Let's ride.

di AnnVicious
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Premessa. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11. ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14. ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15. ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16. ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17. ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18. ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19. ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20. ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21. ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22. ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23. ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24. ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 (prima parte) ***
Capitolo 27: *** Capitolo 25 (seconda parte). ***
Capitolo 28: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 27. ***
Capitolo 30: *** Capitolo 28 (Prima parte). ***
Capitolo 31: *** Capitolo 28 (Seconda parte). ***
Capitolo 32: *** Capitolo 29. ***
Capitolo 33: *** Capitolo 30. ***
Capitolo 34: *** Capitolo 31. ***
Capitolo 35: *** Capitolo 32 (Fine). ***



Capitolo 1
*** Premessa. ***


Ebbene si, eccomi con una nuova storia, questa volta nel magico mondo delle fanfiction. Ricordo di aver scritto l'ultima almeno tre anni fà e sono completamente fuori esercizio, ma ci tengo a precisare alcuni punti prima di lasciarvi al primo capitolo, in modo da farvi avere le idee chiare mentre procederete nel corso della lettura:

-Lana Del Rey ed Alex Turner mantengono gli stessi nomi nel corso di questa storia ed anche lo stesso aspetto fisico.

- Entrambi hanno vite diverse da quelle che hanno al momento.

-I nomi di paesi e città che citerò, saranno completamente inventati ma manterrò i nomi originali delle città più famose (es: Londra, Roma, Parigi, Las Vegas...).

-I due protagoniti avranno caratteri diversi da quelli che siamo abituati a vedere, o meglio visto che non ho mai avuto il piacere di incontrare nessuno dei due di persona, non so dire che tipo di gusti abbiano in base ad arte, libri, musica o altro e questo anche ciò che riguarda la loro persona: non so se siano introversi od estroversi con il prossimo, se abbiano attacchi d'ira o se siano le persone più dolci del mondo, quindi cercherò di basarmi su ciò che so, ma all'ottanta percento i loro caratteri saranno del tutto opera mia e quindi non rispecchiano assolutamente la realtà.

-Come al solito, sono aperta ad ogni tipo di critica purchè sia fondata su dei criteri dai quali si possa trarre un discorso produttivo sia per me che per l'interlocutore.

Detto ciò, buona lettura, spero che la storia possa suscitarvi delle emozioni.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1. ***


Lana si trovava a Woodville, il piccolo paesino nel quale era nata, ventisette anni prima e si era già pentita di aver preso quella decisione.
Come ognuna delle poche scelte fatte all'improvviso nella propria vita, ancora una volta si ritrovava a far fronte al proprio rimorso.
Il paesino le si presentava come un'isola deserta.
Nel corso degli anni, era andata più volte in quel posto solo per fare visita ai suoi genitori e vi era sempre stata vita per quanto ricordava: persone fuori dal bar che sorseggiavano aperitivi, anziane signore le quali con la scusa di spazzare il proprio vialetto di casa, si fermavano a spettegolare con le vicine su chiunque, i bambini che correvano da una parte all'altra del paesino senza fermarsi un attimo e i genitori alle finestre ed affacciati ai balconi che li rimproveravano, le donne e le madri che con le loro figlie riempivano la piccola piazza dove ogni lunedì vi era il mercato, gli uomini che si concedevano brevi passeggiate al chiaro di luna in compagnia dei loro fedeli amici a quattro zampe...
In soli due anni, Woodville sembrava essere diventato un paese fantasma e Lana aveva scorto qualche anima viva proprio nel luogo in cui se lo sarebbe aspettato di meno, ovvero il cimitero. Ma anche in quel luogo dove finivano corpi senza vita i quali fino a prima appartenevano ad anime immortali, vi erano pochissime persone e si potevano addirittura contare sulle dita: il guardiano, la vecchia Elize che da quando Lana aveva memoria, si recava ogni sera a portare un fiore sulla tomba del defunto marito ed una famiglia composta da madre, padre e due figli maschi di circa quindici anni, probabilmente in visita dopo una recente scomparsa.
Ciò che turbava Lana non era il fatto di sentirsi sola in un posto a lei così caro che da sempre teneva un piccolo spazio nel suo grande cuore, anzi la solitudine era spesso un conforto per lei, più che una tortura. Ciò che la rendeva triste era il fatto che oramai Woodville aveva perso la magia che aveva conservato per decadi su decadi: i giovani se ne erano andati nelle grandi città, in cerca di fama, di avventure ed opportunità che lì non avrebbero mai trovato. Le famiglie preferivano trasferirsi in città, vicine ai posti di lavro e alle università. I turisti non vedevano nemmeno sulla mappa quel piccolo puntino e spesso capitavano lì solo perché si erano smarriti o cercavano il bosco a qualche chilometro da lì, dove in molti adoravano fare escursioni o semplici passeggiate nella natura incontaminata.
Rimanevano gli anziani, qualche famiglia e gli onesti e patriottici lavoratori del paese che portavano avanti la loro attività nella buona e nella cattiva sorte.
Anche Lana tempo addietro, se ne era andata e in quel momento, mentre posava un mazzo di girasoli sulla tomba di suo padre, se ne pentì, pensando che forse sarebbe stato meglio rimanere fedele al suo paese di nascita e lavorare dur per aiutarlo a fiorire rigoglioso, come meritava.
Restò a fissare per qualche secondo la foto in bianco e nero di suo padre, Richard che aveva abbandonato la vita qualche mese prima.
In quella foto incastrata nella lapide, aveva una quarantina d'anni e ed era vestito in giacca e cravatta, come era sempre solito fare. Sopra allle sue labbra spuntavano dei baffi scuri ed una barba appena accennata dava risalto al suo viso squadrato ma evidentemente in salute. I suoi occhi erano identici a quelli di Lana, di un marrone intenso che ricorda quelllo del dolce quanto irresistibile caramello e la sua espressione era seria, sebbene mascherasse un piccolissimo sorriso a bordo labbra che Lana poteva notare senza troppa difficoltà. Il suo nas era aquilino, somigliante per forma a quello della ragazza e nella foto mostrava solo un paio di rughe sulla fronte e sotto agli occhi.
Lana decise di sedersi sul soffice terreno, reso ancora più morbido dalle recenti piogge e sospirò mentre accarezzava alcuni dei numerosi petali di uno dei quattro piccoli girasoli che gli aveva portato in dono.
"Ehi papà. Scusa se mi faccio viva solo ora, dopo cinque mesi. Sei stato una persona meravigliosa, un cittadino esemplare, un padre ammirevole...". Lana si fermò, schiarendosi la voce che subito si era fatta roca per la commozione, poi proseguì, a voce più bassa.
"Mi manchi. Ogni giorno stento a credere che tu davvero non sia più qui, in questo folle mondo. Con me sei stato un amico fidato, un esempio da seguire, un compagno di giochi, un aiuto nei compiti, uno splendido genitore che non mi ha mai fatto mancare nulla...".
Lana a quel punto, non resistette un istante di più e scoppiò in lacrime, andando a posare una mano sulla lapide per sorreggersi mentre si rialzava, mentre con l'altra si affrettò ad asciugarsi le lacrime che scendevano rapide sulle sue guance.
In quegli ultimi mesi aveva pianto così tanto che quasi si sorprese nel sentire che i propri occhi potessero ancora produrre anche solo una lacrima.
Era stata una dura perdita per lei e col carattere sensibile ed emotivo che si ritrovava, aveva dato sfogo alla propria tristezza più volte in quei mesi, nonostante chiunque accanto a lei cercasse di rincuorarla. Per quei cinque mesi, Lana era stata come imprigionata dal suo stesso dolore ed era uscita di casa solo quando le era stato necessario o giusto per non impazzire.
Posò un bacio sulla foto di Richard che poi si soffermò ad accarezzare  appena con le dita lunghe per qualche momento, avendo la strana sensazione che se avesse tolto la mano da lì, la foto e la lapide sarebbero sparite in fretta e furia.
Ma forse, il corpo di quell'uomo che da qualche mese giaceva sottoterra, era l'unica cosa che rimaneva, almeno per un po'.
Lana spostò di malincuore le dita dalla foto di suo padre e dopo essersi asciugata ancora una volta delle piccole lacrime che continuavano a scendere silenziose e tiepide sul proprio viso, si voltò e inizò a camminare con passo lento e lieve, come era solita fare, ma in quegli ultimi mesi, anche i propri passi erano mutati appena, diventando leggermente più pesanti, schiacciati anch'essi dal peso della perdita.
Mentre usciva dal cimitero, Lana si soffermava, con lo sguardo ad osservare fugace le foto delle lapidi che scorrevano lente davanti ai propri occhi e la propria innata empatia la costringeva a sentirsi dispiaciuta anche per quei defunti cari di chissà chi nel paese.
Finalmente, dopo appena qualche minuto, data la piccolezza di quel cimitero e il proprio passo lento, Lana si trovò fuori da quel luogo deprimente e si potè concedere finalmente un lungo d intenso sospiro.
Era stato un passo importante, per lei andare a trovare la lapide di suo padre lì a Woodville: pur essendo consapevole del fatto che fosse morto, Lana nell'arco di quegli ultimi mesi aveva ricordato suo padre nei loro momenti migliori che avevano passato assieme e poco prima, quando si era ritrovata davanti alla sua tomba, era come se la sua mente avesse realizzato completamente il lutto solo in quel momento, perché nella mente della ragazza, Richard aveva continuato a vivere vagando nelle numerose camere dei ricordi nel suo cervello.
Si sentiva come se fosse stata svuotata da qualcosa e ancora non sapeva dire a sè stessa se fosse un peso o qualcosa della quale non avrebbe voluto liberarsi. Voleva stare in quel paesino familiare ancora per un paio di giorni e si ripromise di allungare il proprio soggiorno all'unico motel disponibile da quelle parti, che i gestori riuscivano a tenere in piedi solo grazie al flusso escursionisti che arrivavano tra la primavera e l'estate.
Lana, però non aveva voglia nemmeno di tornare nella propria stanza in quel momento. Sentiva il bisogno di stare in un posto a stretto contatto con la natura, di isolarsi parzialmente, quel tanto da poter vedere le persone passare senza però essere vista e dopo aver attraversato la strada ed essersi seduta su una panchina accanto al piccolo stand del fioraio che stava chiudendo proprio in quel momento, si dette un'occhiata intorno: il microscopico cimitero era vicinissimo al bosco il quale si trovava alla sinistra della ragazza mentre alla sua destra, una delle poche strade principali, si affacciava direttamente alla piazza dalla quale si poteva udire un leggero chiacchiericcio che faceva da sottofondo ai pensieri di Lana.
Il suo sguardo andò nuovamente sul cimitero proprio di fronte a lei e si alzò, decidendo che doveva assolutamente cambiare zona se voleva evitare di avere una crisi di pianto, quindi iniziò ad incamminarsi verso il bosco, dove la strada asfaltata diveniva poco alla volta sempre più diradata per lasciare poi spazio allo sterrato e all'erba fresca, di un verde brillante che sprigionava quell'odore di natura al quale Lana non sapeva resistere ed anche gli alberi si facevano sempre più numerosi, tra i quali si trovavano anche arbusti, uccellini che cinguettavano, civette che con l'imbrunire, iniziavano a farsi sentire come fosse una sorta di monito.
Lana era innamorata della natura, di tutto ciò che l'uomo non aveva trasformato in meccaniche o fabbriche ed amava incondizinatamente anche gli animali i quali spesso  per indole, sembravano sentire la sua gentilezza ed i meno paurosi, come i cani, i passeri e a volte persino i gatti, si lasciavano accarezzare dalla ragazza che ogni volta in cui li incontrava sul proprio tragitto, moriva dalla voglia di far sapere loro che nutriva affetto per ognuno di essi.
Ma in quel momento si rese conto di non voler restare nemmeno in quel posto, fin troppo isolato dal paese, così rivolgendo lo sguardo verso est, scorse finalmente il luogo adatto dove poter far scorrere i propri pensieri: era il laghetto ai piedi della collinetta dove da bambina era solita andare a giocare con gli amici e ricordava bene che il prete della chiesa poco distante, non faceva altro che rimproverarli a causa del pandemonio che causavano. Sorrise al ricordo, ma con amarezza: sapeva bene, dentro di sè che non avrebbe mai più ritrovato quei momenti di tale spensieratezza da dimenticarsi di tutte le ansie e paure con le quali stressava la propria mente ogni giorno.
Una volta raggiunto quel piccolo angolo di paradiso che stava facedo esplodere nella sua mente i ricordi dell'infanzia e della prima adolescenza, Lana si sedette sull'unica panchina proprio a qualche passo dal laghetto che per le sue piccole dimensioni, poteva anche essere scambiato per uno stagno.
Con amarezza, però mentre si guardava intorno, notò che proprio di fronte alla chiesa, era sorto un pub e a giudicare dall'aspetto, si trattava di uno di quei posti dai quali si poteva uscire anche in coma etilico. Lana non andava pazza per i pub, le birrerie o posti simili: aveva sempre trovato conforto tra i libri e a volte (spesso negli ultimi mesi) nel buon vino, ma la sua natura insicura e cauta le aveva sempre suggerito di starsene a casa la sera piuttosto che uscire e caccarsi nei guai.
Dentro di sè, però moriva dalla voglia di entrare in quel luogo pieno di sconosciuti, bere, socializzare e divertirsi anche se il giorno dopo non sarebbe stata di certo al massimo delle proprie forze.
Le sue gambe, però si tenevan ben ferme al terreno e non volevano saperne di far alzare la ragazza.
Lana però, continuava a fissare quel pub vicino, da cui venivano urla vivaci, musica ad alto volume e grasse risate: sembrava un posto nel quale avrebbe potuto divertirsi, perché nn provarci?
Nella penombra, illuminata a malapena da un lampione distante e semicoperta dai cespugli che attorniavano il perimetro del laghetto, Lana stava per alzarsi, ma proprio nel mmento in cui stava sforzando appena le gambe e la schiena per stare in piedi, vide una figura uscire dal bar: traballava appena e urlava al telefono qualcosa che Lana nn riuscì a percepire subito giacché era troppo distante dalla persona per poter sentire in modo chiaro le sue parole.
Lei non voleva origliare, era solo curiosa e sapeva di trovarsi in un punto dove vi era poca luce e quindi lei era visibile solo parzialmente.
"Te lo giuro Tay, erano le figlie del direttore del programma!". Esclamò la figura che avanzava barcollando, verso il laghetto.
Lana dalla voce, dedusse che era un uomo o un ragazzo e vltandosi appena verso di ess, cercando di non attirare l'attenzione, potè vedere che era alto più o meno come lei, ovvero sul metro e settanta, indossava una giacca di pelle nera e lucida come le scarpe e dei blu jeans stretti, la maglietta bianca che portava sotto alla giacca, spiccava dal momento che quest'ultima era aperta.
Lana non riusciva a vedere il ragazzo in faccia siccome si era appena voltato di spalle, ma di sicuro doveva avere una espressione arrabbiata in viso dato come urlava al telefono in quel momento: "lo sai che è il mio lavoro, non starmi addosso, cazzo!".
Quella voce aveva qualcosa di familiare e Lana si sforzava di associarla ad un volto, ma inutilmente.
Teneva gli occhi fissi sul ragazzo, cercando di analizzarlo come meglio poteva: le sembrava molto giovane, probabilmente sotto i trent'anni e quindi sprecato per un paese così piccolo dove a malapena vi era spazio per i defunti.
Tirò un sospiro silenzioso nel ripensare a suo padre che le era stato portato via a causa del diabete, ma i suoi pensieri vennero interrotti dal ragazzo che urlava al telefono con sempre più foga.
"Anche se ci avessi scopato, che ti importa? E' più di un mese che io e te non facciamo nulla!".
Lana in quel momento, iniziava a sentirsi a disagio: quella era una conversazione personale e lei stava origliando tutto, ma si era ritrovata nel bel mezzo della litigata tra il ragazzo e la sua partner senza volerlo e se Lana avesse voluto raggiungere il motel, avrebbe dovuto per forza prendere la strada dove era situato il bar ed il ragazzo l'avrebbe vista, quindi decise di stare lì ad aspettare che se ne andasse.
"Non sto dicendo che l'ho fatto, ma...".
Il ragazzo si voltò, facendo qualche passo verso il laghetto, facendo un sospiro arrabbiato, probabilmente perché l'interlocutrice continuava ad interrmperlo senza dargli modo di spiegarsi.
"Taylor, non posso venire adesso, sono bloccato in questo buco di paese!".
Il giovane fece un altro passo verso il laghetto e si ritrovò proprio sotto al lampione.
Fu in quel momento, mentre lui continuava ad inveire al cellulare che Lana lo riconobbe.
Era Alex, Alexander, il suo primissimo amore, il compagno di giochi che non la abbandonava mai, colui con il quale scappava nei boschi quando facevano troppo casino proprio lì, dal laghetto.
Era il primo vero amico che aveva avuto Lana, la sua prima cotta, il suo primo amore, il primo che la aveva abbandonata...
Per dieci anni non aveva avuto più notizie sul suo conto dopo che a diciassette anni era stato costretto a cambiare città ed ora eccolo lì, proprio a qualche passo da Lana.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2. ***


Lana rimaneva a fissare Alexander come un cieco che vede per la prima volta il sole.
Era incantata da lui, da come la luce giallastra del lampione illuminava il suo viso, il quale sembrava fatto apposta pr essere baciato dalla luce, da qualunque fonte essa provenisse.
Alex era sempre stato particolarmente carino, anche da bambino, quando le sue guance erano ancora paffute e i suoi occhi color caramello tanto grandi che avrebbero intenerito anche il demonio in persona; nella fase adolescenziale, come capita a qualunque ragazzino, l'unica cosa che andava a rovinare il suo viso a tratti spigoloso era l'acne, ma anche quella era sparita velocemente come era arrivata, lasciando che quel ragazzo fiorisse come il più bello dei fiori.
Purtroppo Lana dai diciassette anni in poi, non lo aveva più visto fino a quel momento, ma non aveva mai dubitato del fatto che il suo splendore sarebbe durato ancora molto a lungo.
Era rimasta per una manciata di secondi a fissarlo e si era accorta solo in quel momento che lui la stava guardando con una certa curiosità, ignorando completamente la ragazza che continuava ad urlare al telefono.
Lana reagì d'istinto e si voltò col capo a guardare il laghetto, volgendo le spalle al ragazzo e mordendosi forte il labbro inferiore: era più forte di lei reagire in quel modo, d'altronde era sempre stata molto riservata, persino con le persone che conosceva da un pezzo, infatti gli unici che davvero conoscevano i suoi segreti ben nascosti tra le righe e tra le rime, erano i suoi quaderni, tra i quali teneva tutte le poesie che scriveva; persino in quel momento, nella piccola borsa teneva un blocco di appunti con una penna, pronta a cogliere l'ispirazione in qualunque momento sarebbe arrivata, sebbene quello non fosse affatto un periodo nel quale si sentiva particolarmente creativa.
Restava con il volto nascosto dai propri lunghi capelli castani, mossi appena da un leggerissimo vento di metà Aprile che non le dispiaceva affatto sebbene stesse indossando solo una camicia di cotone, con le stampe a fiori che tanto amava.
Con la coda dell'occhio, cercò di sbirciare tra i propri capelli e vide che Alex si era voltato, dandole di nuovo le spalle e tornando a litigare al telefono.
"Si, si ti sto ascoltando, signorina 'voglio tutte le attenzioni su di me' e no, non sono ubriaco".
Lana, nell'udire quella frase, accennò un debole sorriso perché con la coda dell'occhio, poteva vedere Alexander che si stava tenendo con l'aiuto del gomito, al lampione e continuò ad ascoltare in silenzio, nascosta dalla propria chioma, indecisa se scappare in silenzio nel bosco proprio dietro al laghetto o continuare a restare lì facendo finta di nulla.
"Ah io sarei un narcisista? Ma ti sei vista? Ti conci come una barbie drogata e guai a chi si rifiuta di metterti in prima pagina!".
Lana si sentiva sempre più a disagio ad ascoltare di nascosto quella discussione fin troppo privata ma nello sbirciare ancora una volta tra i propri capelli, poteva vedere che Alex si era deciso a staccarsi dal palo e barcollante, si stava allontanando poco alla volta dal laghetto.
"Ma vaffanculo, non capisci un cazzo!". Urlò Alex all'improvviso, gettando il cellulare dritto di fronte a sè, che andò a distruggersi in mille pezzi contro il tronco di uno dei numerosi alberi presenti sul viale.
Lana, nel frattempo era attanagliata dalle morse allo stomaco: non era affatto il momento per andare a farsi riconoscere da lui e farci le solite chiacchiere di circostanza che si cominciano in circostanze del genere, ma lei nel corso degli anni aveva desiderato così tanto vederlo che le sembrava di stare sprecando una occasione irripetibile e iniziava a sentirsi sempre più confusa nel da farsi.
Poteva anche andare lì e cercare di confortarlo, dicendogli che aveva per sbaglio sentito la chiamata ma non avrebbe mai voluto che lui pensasse che in qualche modo lei voleva riprovarci con lui dopo così tanto tempo e per giunta proprio nel bel mezzo di una crisi di coppia.
Perché sei così complicata, Lana? Si chiese la ragazza, esasperata dalle proprie paranoie e volse lo sguardo al cielo chiaro, stracolmo di stelle, come se esse potessero in qualche modo darle una soluzione al proprio dilemma.
E proprio in quel momento, come se qualcuno lassù l'avesse ascoltata, forse suo padre o forse semplicemente il destino, una stella cadente attraversò veloce il cielo e Lana ne approfittò sibito per chiudere gli occhi ed esprimere un desiderio.
Vorrei così tanto liberarmi da tutte queste ansie e paure e vivere semplicemente come voglio.
Questo fù il suo desiderio. tanto semplice e tanto complesso al contempo.
Si voltò, ancora una volta e il proprio sguardo incontrò ancora una volta quello di Alexander, il quale seguendo la scia della stella cadente che finiva proprio nel piccolo spazio di cielo che si intravedeva appena dietro la sagoma, fece ricadere gli occhi su quelli di Lana.
Quella volta si avvicinò, sicuro di sè stesso e quando fù abbastanza vicino da poter sentire bene il pacifico suono naturale che emetteva il laghetto con le sue microscopiche onde, disse: "tu sei Lana".
La sua non era affatto una domanda, il suo tono di voce era affermativo e a Lana si scaldò il cuore e lasciò che un sorriso illuminasse il proprio volto grazioso e tondeggiante, ringraziando la buona sorte che aveva in quella strana serata.
"E tu sei Turner, vero?". Chiese Lana, con la voce più morbida di quella di una madre che sussurra la ninna nanna al proprio bambino.
Alex fece un passo verso la panchina sempre più vicina a lui e chiese, accennando un sorriso. "Abiti ancora qui, in questo posto sperduto?".
"Tu no?". Chiese Lana, con un leggero tono di voce ironico.
Alex scosse la testa, lasciando che un ciuffo scuro e pieno di brillantina, ricadesse sulla sua fronte pallida.
"E tu?". Chiese lui, curioso ma restando sulle sue: non osava avvicinarsi più di tanto, in fondo Lana era comunque una sua 'ex' e di solito le sue ex ragazze non reagivano bene quando lo incrociavano per strada.
"Io non abito più qui da anni. Sono venuta oggi perché è deceduta una persona a me molto cara". D'istinto, Lana fece una smorfia ed abbassò lo sguardo sulle proprie ginocchia coperte da una gonna bianca: era ancora ben aperta la ferita che le aveva lasciato suo padre Richard con la sua scomparsa.
Alex era indeciso se fare un ultimo passo per sedersi sulla panchina con Lana, ma decise di lasciare stare e di rimanere nella sua posizione, anche se non si reggeva bene in piedi a causa della troppa sambuca bevuta mezz'ora prima al pub poco distante.
"Mi dispiace per la tua perdita...". Non sapeva cos'altro dire e in quei casi era solito accendersi una sigaretta, cosa che fece anche in quel momento.
Lana abbozzò un sorriso nel vederlo fumare e disse, con il suo solito tono di voce calmo e dolce: "a sedici anni le sigarette ti facevano ribrezzo. Vedo che le cose sono leggermente cambiate".
Anche Alex accennò un sorriso, lieto che Lana avesse spezzato quella strana atmosfera di imbarazzo che si era andata a creare un momento prima.
"Beh, nella mia famiglia non ce ne è uno che non fumi. Credo che i Turner nascano tutti già con un pacchetto di sigarette tra le mani".
Lana accennò una seconda risata ed Alex prese dalla tasca il pacchetto semi vuoto. "Ne vuoi una?".
Lei scosse la testa e lui aggiunse: "vedo che tu, invece sei rimasta la solita ragazza per bene".
"Ehi, ma se le prime canne me le sono fatte con te!".Contestò Lana, senza poter fare a meno di ridere.
"Già, me lo ricordo".Disse Alex rimettendosi il pacchetto in tasca per poi continuare: "pur di non metterci il tabacco, le facevamo piene di erba e dopo un tiro eravamo distesi su un prato a domandarci su quale pianeta vivessero gli unicorni!".
"Già". Ribattè Lana, ridendo. "Ricordo che eravamo talmente strafatti che a malapena riuscivamo a tenere gli occhi aperti!".
Lana finalmente iniziava a sentirsi più leggera: l'ansia stava sparendo molto lentamente come al solito, ma era già un ottimo sengo, in più nessuno dei due serbava rancore e anche se fosse stato in quel modo, ormai erano passati dieci, lunghissimi anni.
Alex rideva, ma Lana, notando che barcollava ancora, chiese con gentilezza: "ehi, vuoi sederti?".
"Mi salvi la vita". Rispose Alex che senza farselo ripetere due volte, ne approfittò subito per sedersi sulla panchina e Lana badò bene di tenersi ad una distanza di sicurezza da lui, d'altronde era sempre ubriaco e non sapeva cosa gli passasse per la testa in quel momento. Non sapeva se in quei dieci anni avesse iniziato a coltivare pensieri negativi o se invece era rimasto il solito ragazzino ribelle che amava osare e cacciarsi nei guai.
"Ho esagerato con la tequila e... Qualcosa di cui non ricordo il nome. Me lo ha consigliato lui".
Lana ridacchi e si spostò i capelli leggermente mossi dietro ad un orecchio. "Uhm, carino da parte sua invogliarti a bere nonostante le tue condizioni precarie".
Alex rise e poggiò la schiena allo schienale di legno della panchina, in modo da stare più comodo. "Addirittura precarie? Guarda che reggo bene l'alcool".
"Lo vedo, lo vedo". Disse lei, schernendolo con un sorriso divertito.
Alex prima di rispondere, fece un lungo tiro dalla sigaretta dal filtro giallastro e Lana notò solo in quel momento quanto effettivamente fosse bello il suo viso nonostante non fosse al meglio delle sue condizioni: il suo naso, che se da adolescente risultava forse troppo sporgente sul suo viso, ora era perfettamente proporzionato ad esso giacché anche il suo volto era divenuto leggermente più allungato; i suoi occhi non avevano perso quel fascino irresistibile: sebbene non fossero di un azzurro chiaro come quelli dei nordici o di un verde smeraldo, Lana trovava che i suoi, di una tonalità più scuri dei propri, aventi lo stesso colore dell'ebano, fossero perfetti. I suoi capelli scuri tirati indietro con forse troppo gel, mettevano in risalto la sua fronte ben proporzionata e notò che l'attaccatura dei suoi capelli somigliava molto a quella di un cuore; le labbra, quelle porte per il paradiso delle quali Lana ancora elogiava la morbidezza e lo splendore nelle sue poesie più nostalgice, erano piene e rosee al punto giusto da farle fare dei pensieri sconci su di esse se solo si fosse fermata qualche secondo di più a fissarle come incantata.
"Dunque, che ci facevi qui tutta sola?". Chiese Alex, dando poi un altro tiro dalla sigaretta, gettando il fumo verso il lago per non infastidirla.
Lana sbattè per un paio di volte le palpebre degli occhi, per riprendere lucidità siccome era rimasta per qualche attimo di troppo a fissare Alexander.
"A dire il vero, cercavo un posto per riflettere. Ho avuto una giornata molto strana". Disse senza aggiungere ulteriori dettagli: lei pensava sempre di essere noiosa e non voleva assolutamente annoiare Alex, quindi anche se agli occhi di molti poteva sembrare una ragazza che faceva la misteriosa apposta per attirare su di sè l'attenzione, in realtà preferiva solo stare sulle sue per non infastidire nessuno diventando logorroica senza accorgersene.
Ad Alex non sfuggì la mancanza di dettagli nella risposta di Lana, quindi decise di lasciar perdere con un semplice: "capisco".
Lana lo ringraziò mentalmente per non aver cercato di farle dire di più sull'argomento e accennando un debole sorriso, guardò Alex, chiedendo: "e tu, invece? Come mai il favoloso Turner ha fatto ritorno in questo buco di paese?".
Alex era troppo ubriaco per poter cogliere la citazione che Lana aveva fatto, riportando esattamente quelle tre parole che lui aveva detto al telefono, così mentre guardava Lana, sempre più affascinato dalla sua bellezza e la sua voce delicata ma profonda al contempo, rispose: "ho litigato al telefono con mio padre parecchie volte in questi ultimi giorni. Mi sa che superiamo il nostro personale record di litigate". Disse accennando una risata sarcastica e proseguendo poi, sotto gli occhi attenti della ragazza che non si lasciava sfuggire una sola parola detta da lui. "Mia madre ha il cancro e parte della chemioterapia la sto paganado io, ma sembra che io debba per forza venire qui a trovarla per dimostarle che le voglio bene...". Alex concluse con un sospiro e gettò poi gli occhi sul laghetto dove si poteva vedere il riflesso delle stelle più luminose.
"Non so cosa dire... Mi dispiace che tu stia affrontando questa situazione in famiglia e posso capire il motivo per il quale sei riluttante nell'andare a trovare tua madre".
Alexander riportò gli occhi su quelli di Lana e con un movimento impercettibile cercò di avvicinarsi di più a lei.
"Secondo te da cosa dipende il mio comportamento?". Chiese lui, mantenendo un contatto visivo con gli occhi della giovane che sollevò appena le spalle.
"Non lo so, forse un semplice timore di vedere tua madre debole e fragile quando ai tuoi occhi è sempre stata forte...". Lana non capiva il motivo per il quale Alex le avesse posto quella domanda, ma forse non vi era un collegamento preciso dal momento in cui lui era ancora parecchio ubriaco e non riusciva a tenere ferma la testa che faceva ondeggiare lentamente da una parte all'altra. Notò poi una cosa che la fece rabbrividire: il braccio di Alex, senza che lei avesse nemmeno il tempo di pensare, era finito sulle proprie spalle e la distanza tra i due, per qualche motivo si era fatta minima, le loro gambe quasi potevano sfiorarsi e Lana sentì un brivido correrle dietro la schiena.
"Anche tu sei molto forte, vero?". Sussurrò Al e la sua voce, seppur fosse calda e leggermente roca, alle orecchie della ragazza parve come un sibilio di un serpente, pronto ad inghiottire la propria preda con solo una ed efficace mossa.
Lo sguardo di Lana ricadde sui propri piedi ricoperti da delle scarpe nere, senza avere la più pallida idea di come comportarsi. "Mh... E con la tua ragazza come va?".
Spostò gli occhi su quelli di Alex e le spuntò un delizioso sorriso, di chi sa di aver appena centrato il punto debole in questione.
Ma quel sorriso scomparve presto dal viso della ragazza perché Alex rispose in modo molto semplice e diretto: "ci stiamo lasciando. Mi tiene il fiato sul collo ma in realtà tra noi è già finita".
Una nuova ondata di brividi scosse il corpo di Lana nel sentire una mano del ragazzo posarsi sulla propria coscia, spostando appena -con fare del tutto naturale- un lembo di stoffa bianca che la ricopriva.
Lana si morse forte il labbro inferiore: avrebbe tanto voluto dare un pugno in pieno volto ad Alex in quel momento.
Ovviamente, non rispose alla sua affermazione, concentrata come era a tenere gli occhi fissi prima sulla sua mano e poi sulla sua faccia che in quel momento aveva una espressione strana, inusuale, perversa.
Era la tipica faccia di chi era abituato ad avere tutto senza storie e Lana immaginava che ciò riguardasse anche i piaceri della carne.
"Che stai facendo?". Gli chiese lei d'improvviso, nel vedere le labbra di Alex troppo vicine alle proprie  e spostò di nuovo gli occhi sulla mano del ragazzo posata sulla propria coscia e tornando poi di nuovo a guardarlo.
"Dai, lo so che mi vuoi ancora...". Sussurrò Alex in risposta, socchiudendo gli occhi e andando a cercare le labbra carnose di Lana.
Lei fece in tempo a scansarsi e ormai il sangue le ribolliva così tanto nelle vene per la rabbia che decise di agire senza pensarci due volte, mollando uno schiaffo in pieno volto al ragazzo ed alzandosi, sistemandosi la gonna mentre si allontanava da lui.
"Ma che cazzo fai?!". Esclamò furente Alex, alzandosi a sua volta.
"Cosa fai tu, piuttosto! Hai una bella faccia tosta a cercare di infilarmi una mano nelle mutande dopo a malapena qualche minuto di conversazione!".
Disse Lana, sempre più agitata e profondamente delusa dal comportamento di Alexander, quel ragazzo che tanti anni prima le aveva fatto conoscere l'amore, per quanto potesse essere serio l'amore a sedici anni.
 "Ma dai, stavamo assieme tempo fa". Cercò di giustificarsi Alex, ma senza alcun risultato, anzi Lana non accennava a far sbollire la rabbia.
"E cosa diavolo vuol dire? Che hai il permesso di baciarmi e mettermi le mani addosso quando vuoi?".
In tutta risposta, Alex fece spallucce e fece un mezzo passo barcollante verso di lei che subito lo respinse con una spinta, facendolo capitombolare nel laghetto, gettando schizzi d'acqua ovunque.
"Questa giornata non poteva concludersi in modo peggiore". Disse Lana, guardando Alex che tentava di riaffiorare dal laghetto: non era affatto profondo, l'acqua arrivava a malapena sotto all'ombelico e Lana, quindi dette la colpa a lui che era troppo ubriaco persino per uscire da lì.
Si voltò, dandogli le spalle ed ignorando le sue urla di aiuto, sistemandosi la borsa in spalla e raggiungendo la strada che l'avrebbe portata all'unico motel presente nel paese.
Si, tornare a Woodville alla fine si era rivelata davvero una pessima scelta.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3. ***


Lana era appena entrata nella propria piccola stanza dell'unico motel disponibile in quel paesino dal nome Woodville ed era fortunata perché molti piccoli paesi non sapevano nemmeno cosa fosse un motel o anche un semplicissimo ostello.
La propria stanza era molto semplice, dai colori neutri come le carte da parati grige alle pareti, sulle quali era impresso un motivo floreale opaco e a terra vi era una moquette visibilmente vecchia dello stesso colore triste, che a Lana non regalava nessuna emozione sebbene lei in quel momento avesse altro per la testa per potersi concentrare su quella stanza spoglia e triste, che rifletteva appiena il proprio umore al momento.
Si tolse le scarpe, la gonna e la camicetta a fiori e poggiò poi il mucchio di vestiti assieme alla borsa, sull'unica poltrona nella stanza, anch'essa di un colore spento, intonata alla stanza già di per sè apatica. Una volta rimasta in biancheria intima, Lana si infilò sotto alle coperte: sebbene non avesse per niente freddo, trovava sempre del conforto nel sentirsi abbracciare dal calore che le offrivano le lenzuola e d'inverno, con il piumone era ancora più piacevole, avvolgente.
Lana avrebbe preferito cento volte dormire nel proprio letto, a Mooney o almeno da sua madre che era andata via da Woodville da quando era morto suo marito: diceva che quel paesino dove avevano vissuto per tutta la vita lei e Richard le avrebbe reso ancora più difficile andare avanti con la propria vita e Lana le aveva dato pienamente ragione, aiutandola qualche mese prima con il trasloco
Christine, la madre di Lana, aveva rifiutato più volte la proposta della figlia di ospitarla a vivere con lei.
"Una donna di una certa età deve pur avere i suoi spazi" diceva sempre, ma Lana sapeva benissimo che il motivo per il quale sua madre non voleva andare a vivere con lei, era per non starle tra i piedi.
Lana si rigirò nel letto un paio di volte, non riusciva a trovare la posizione giusta per dormire e quel materasso era tremendamente scomodo, come se sotto di esso ci fosse qualche sasso messo lì apposta per farla soffrire di insonnia.
Cercava inoltre, inutilmente di non pensare all'acaduto di appena mezz'ora prima, ma a quel punto era inevitabile tenere lontani ancora quei pensieri che tentavano in ogni modo di tormentarla: Lana sapeva benissimo, da qualche parte nel proprio subconscio, che non avrebbe preso sonno finchè non avrebbe dato modo al proprio cervello di analizzare ciò che era appena accaduto, quindi dopo un sospiro, ad occhi chiusi decise di lasciar fluire i propri pensieri, di farli uscire dalle multiple gabbie che si creava.
Lana non veva la più pallida idea di cosa fosse preso ad Alex negli ultimi anni: di certo l'impressione che le aveva dato, non era affatto buona, anzi Lana si augurava di non rivedere mai più quella persona e non si azzardava nemmeno solo a pensare di andargli a chiedere scusa per averlo spinto nel laghetto. Se lo era cercato, dopotutto dal momento in cui loro due erano da soli e Lana non sapeva quanto fosse cambiato Alex; non escludeva il fatto che fosse diventato un maniaco negli ultimi anni, anche se le risultava poco probabile: Alex, da ciò che ricordava Lana, aveva sempre avuto un cuore buono, raramente si dava delle arie e se lo faceva, era solo per scherzare, possedeva un'anima nobile che metteva sempre a disposizione per il prossimo in difficoltà.
Ma a quanto pareva, le cose ora erano leggermente cambiate, infatti Lana aveva notato che sebbene Alex aveva mantenuto la sua particolare energia positiva e fosse sempre pronto a sorridere, le aveva dato l'impressione di una persona facilmente irascibile e forse anche vanitosa. D'altronde, Lana non poteva tirare le somme così presto, dopo nemmeno una trentina di minuti di chiacchere con Alex, ma avrebbe voluto così tanto che non si fosse comportato in quel modo così molesto...
Lei ormai aveva abbandonato da anni ed anni i sentimenti che aveva provato per lui molto tempo prima, ma nella propria mente lo vedeva ancora come una sorta di principe azzurro, con la sua cortesia ed il suo cuore puro.
Forse era proprio quella immagine di lui che Lana si era prefissata nella mente a farla comportare in quel modo così scontroso con lui quando aveva provato a baciarla con la mano sulla propria coscia in bella mostra e senza alcuna vergogna e sapeva che in molte altre donne avrebbero reagito come aveva fatto Lana, ma era come se un piccolo e nascosto meandro della propria mente, desiderasse di mettere da parte l'accaduto e parlare ancora una volta con Alexander.
Erano passati dieci lunghi anni dall'ultima volta nella quale si erano visti e a distanza di tutto quel tempo, si erano riusciti a scambiare appena un paio di parole di circostanza.
Lana sentì stringersi la pancia, presa dal rimorso.
Avrebbe potuto stare al gioco, ricambiare quel bacio che prima aveva schivato e magari avrebbero avuto una notte di passione, in onore dei vecchi tempi.
Ancora una volta, Lana si setiva come una "perdente", colei che si lasciava passare ai cento all'ora le occasioni davanti agli occhi.
A lei non mancava nulla: aveva una modesta casa a Mooney, una graziosa cittadina a pochi chilometri dal mare, le era stata finalmente pubblicata la sua primissima raccolta di poesie appena un anno prima e aveva un lavoro part-time come receptionist da uno dei tre dentisti della cittadina, tutti i suoi vicini le volevano bene e non facevano che elogiare le sue doti da poetessa. Sua madre era una donna eccezionale e si era presa sempre cura di lei, dandole una solita base di cultura, studio e pensiero libero. Lana era autosufficiente: sapeva cuciare, lavare, stirare e anche ricamare se si metteva d'impegno, a volte suonava anche la sua viola.
Ma Lana non si sentiva completa, sentiva che la vita aveva molto di più da offrirle di una vita così semplice e mediocre da risultarle noiosa nei suoi momenti più bui, quando guardava il cielo stellato e ripensava agli amici che avevano scelto l'avventura, agli ex che si erano liberati di lei come un fiore secco perché a loro detta Lana risultava tropo noiosa.
Era forse il caso di cambiare qualcosa?
Ed Alex che sebbene non le avesse fatto una bella impressione, era stato capace di darle una scossa di vita, di farla entrare in un nuovo flusso di energie totalmente nuovo.
Lana aveva sempre avuto l'impressione di conoscere pochissime delle sfumature che le offriva la vita: conosceva il verde dei campi, ma non lo aveva mai visto dall'alto; conosceva l'azzurro dei cieli più limpidi che le aveva offetto Woodville fino a tarda adolescenza, ma non era mai riuscita a credere di poter toccare le nuvole con un dito; sapeva bene come fosse fatto il mare, con le sue onde spumose e i suoi gabbiani, ma di che colore era il mare lì dove solo le barche a vela ed i pescherecci si spingevano?
Che cosa si provava a camminare nella selvaggia oscurità, invece che nella tranquilla e confortante luce del giorno?
Con questi pensieri, Lana si addormentò e sognò ciò che per lei era irraggiungibile.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4. ***


Il mattino dopo, Lana si trovava nel microscopico bagno di quel vecchio motel e si stava guardando allo specchio dopo essersi fatta una doccia rilassante:in quel mattino, si vedeva diversa nello specchio, lì dove la propria immagine si rifletteva davanti ai suoi occhi come una amara verità: i propri occhi scuri sembravano aver perso un poco di quel calore che di solito mostravano, le proprie labbra le sembravano troppo carnose e il naso troppo piccolo come la fronte; persino i suoi lunghi capelli color caramello sembravano esprimere spossatezza e il proprio viso in generale le risultava malato, come fosse ammalata.
Lana non sapeva perché si vedeva in quel modo e decise di coprire tutta quella tristezza malcelata con del fondotinta e una bella dose di matita nera che era solita mettere sia sotto agli occhi che sopra alle palpebre e dopo aver finito, restò ancora a fissarsi allo specchio: ora sembrava avere un aspetto più vitale, ma quella luce di tristezza negli occhi non poteva nasconderla nemmeno con cento chili di ombretto e matita.
Non sapeva con precisione perché si sentisse così triste e nostalgica, probabilmente era ancora per la prematura morte di suo padre o forse perché non era riuscita il giorno prima, a parlare con lui come avrebbe voluto.
Sapeva che parlare con la sua tomba non significava affatto parlare con l'anima che aveva alloggiato nel suo corpo per tanti anni, ma era l'unico punto di riferimento che aveva da quando lui era spirato e Lana, in quel nuovo giorno, voleva fare del suo meglio per comunicare con lui, soprattutto per liberarsi dell'enorme peso che aveva in corpo, come se non gli avesse mai detto veramente quanto bene gli aveva voluto e quanto gliene avrebbe voluto per sempre.
Dopo essersi vestita ed aver fatto colazione nel piccolo bar dell'edificio, decise quindi che quello sarebbe stato il suo ultimo giorno di permanenza a Woodville e che quella sera stessa si sarebbe messa in viaggio per tornare a Mooney, che distava un paio d'ore di autobus da lì.
Mentre era diretta a piedi verso il cimitero ad appena dieci minuti di distanza dal motel, Lana pensava già al proprio ritorno a casa: si sarebbe messa a scrivere certamente qualcosa e magari avrebbe anche strimpellato un po' la propria viola.
Lana fece un respiro profondo, socchiudendo appena gli occhi nel sentire il leggero vento fresco che emanavano le fronde degli alberi i quali riempivano il lungo viale che stava percorrendo per arrivare al cimitero: sebbene in alcune zone della cittadina nella quale viveva si potesse respirare qualche piccola dose di aria pulita, non era neanche lontanamente comparabile a quella che poteva respirare a Woodville.
Poco prima di arrivare davanti al cancello in ferro battuto del cimitero, però Lana fù costretta a fermarsi.
Di fronte ad esso vi era un piccolo negozio di fiori e proprio lì, in quel preciso istante, Alexander ne stava comprando un mazzo e Lana potè osservare senza troppo sforzo che si trattava di banalissime rose rosse, sicuramente comprate per scusarsi con quella ragazza con la quale fino alla sera prima stava discutendo al telefono.
A Lana non andava affatto di fare dietrofront, per di più non proprio in quel momento in cui finalmente si era decisa a parlare a cuore aperto sulla lapide di Richard, suo padre ma nemmeno facendolo apposta, Alex si stava fermando più del previsto, per parlare con il commerciante il quale a giudicare da ciò che si dicevano sembrava essere una sua vecchia conoscenza.
Azzardò un passo avanti ma ci ripensò subito: il fioriaio nel vederla, l'avrebbe di sicuro salutata e ciò avrebbe attirato anche l'attenzione di Alex, quindi sospirò nervosa e si voltò, iniziando a tornare sui propri passi affondando le lunghe unghie nelle maniche della borsa per il nervoso.
"Ehi, Lana".
D'istinto, ella si fermò sul posto e sebbene avesse già riconosciuto la voce, si voltò a guardare Alex che la raggiungeva a passo svelto.
"Ehi". Rispose lei a denti stretti quando Alexander si trovò faccia a faccia con lei, ma a debita distanza.
"Ci tengo a chiederti scusa per ieri sera, ero piuttosto ubriaco e mi sono lasciato andare...". Alex cercava un contatto con gli occhi di Lana, la quale si ostinava a puntare le pupille dietro di lui: sapeva che se avesse osato guardare quegli occhioni color caramello, avrebbe ceduto subito e lui l'avrebbe passata liscia.
"Non potevi pensarci ieri sera?". Chiese lei, guardandolo per un secondo negli occhi.
"Ma non me ne hai dato l'occasione...". Protestò lui, con un tono di voce morbido, di chi vuole risolvere una discussione con calma.
"Non so se lo ricordi, ma ti sei addirittura difeso dicendo che essendo una tua ex, avevi il permesso di farlo". La voce di Lana, invece era di una rabbia contenuta e la tonalità era appena più alta rispetto a quella che utilizzava di norma.
"Ma dai Lana, tu non hai mai fatto qualche stupidaggine da ubriaca?". Chiese lui, quasi supplichevole mentre azzardava un passo avanti.
"No. Sono molto diversa da te". Disse lei, acida e nel vederlo fare un passo avanti, ne fece uno indietro a sua volta ma senza risultato dal momento in cui Alex invase il suo spazio con altri due passi, fino a trovarselo a qualche centimetro da sè.
"Dai, fa uno sforzo per me. Questa potrebbe essere l'ultima volta in cui ci vediamo...".
Quelle parole furono come un morbido affondo nello stomaco di Lana che si aggrovigliò su sè stesso solo al pensiero di farsi sfuggire l'ennesima occasione di cambiamento nella propria vita e si lasciò soggiogare dagli occhi dolci e grandi di Alexander che sembrava essere ad un passo dal mettersi in ginocchio e supplicarla.
Ma Lana era come bloccata: rimaneva sulla propria posizione, senza indietreggiare e tenendo gli occhi sul viso del ragazzo che aveva di fronte, il quale sfilò una rosa rossa dal centro del boquet che teneva stretto alla base in una mano. Offrì poi la rosa alla ragazza ed aggiunse: "ti prego, miss Del Rey".
Lana sentì spuntare un sorriso spontaneo tra le labbra nell'udire quelle parole: dieci anni prima, Alexander la chiamava in quel modo quando voleva farsi perdonare di qualcosa e assieme a quel paio di occhi dolci che si ritrovava, riusciva sempre ad ottenere il perdono in tempo record nonostante le si sforzasse ogni volta di tenergli il broncio in un lasso di tempo più lungo.
"E va bene, ma metti giù quella rosa". Rispose lei, sorridendogli e venendo subito accolta tra le calorose braccia del ragazzo.

"Come mai non ti piacciono le rose? A tutte le ragazze piacciono". Disse Alex, seduto sulla panchina accanto al fioraio con Lana accanto, la quale si era seduta proprio lì, nello stesso identico punto anche la sera prima dopo essere uscita dal cimitero, umiliata da sè stessa per non essere riuscita a lasciar andare suo padre.
"E' solo perché ormai hanno assunto un significato scontato e banale". Disse lei, mentre osservava Alex rimettere la rosa nel mazzo con le altre per poi aggiungere: "e se la tua donna si accorgerà che ne manca una, tornerete a litigare". Accennò una risata, fecendone scappare una anche ad Alex.
"Figurati se può accorgersene: ogni volta nella quale sono lontano da casa nostra, le faccio recapitare un mazzo di rose a casa. Ormai se ne sarà stancata".
Lana rise e disse, divertita: "secondo me, appena le vede davanti alla porta, fa un bel falò".
Alex, che in quel mattino era splendido, vestito con una giacca di pelle, una camicia nera semitrasparente e dei jeans blu scuro con tanto di capelli leggermente scompigliati e un delizioso profumo, rispose: "non importa. E' il pensiero che conta, no?". Chiese, incontrando gli occhi dolci della ragazza.
"il pensiero conta quando le cose le fai con il cuore, non quando diventa una routine". Rispose lei indifferente, cercando di non far apparire quelle parole come una predica.
"Ma a te non piacerebbe ricevere dei fiori quando la tua anima gemella si trova fuori città?". Chiese curioso, cercando di capire il punto di vista di Lana.
Lei ci pensò su per qualche secondo, spostando gli occhi sul cielo limpido e privo di nuvole che lasciava splendere il sole regalando vivacità a tutta la vegetazione circostante.
"Mi piacerebbe ricevere fiori il primo, il secondo ed anche il terzo giorno. Ma se diventa una routine, allora stai solo sprecando soldi e spezzando inutilmente vite nel bel mezzo della loro fioritura". Tornò a guardare Al, aspettandosi una sua risposta mentre in silenzio, si godeva il delizioso odore di chissà quale colonia che lui aveva addosso.
"In effetti hai ragione". Constatò Alex, con una smorfia che si faceva largo tra le proprie labbra, mentre una mano accarezzava dolcemente i petali del vistoso mazzo di rose fresche che teneva nell'altra mano, posato sulle proprie ginocchia.
"Ehi, però non vuol dire che tu non debba più spedire quei fiori alla tua ragazza. Sentiti libero di fare ciò che ti senti". Puntualizzò Lana, mantenendo un delicato sorriso tra le proprie labbra color pesca. Alex abbassò leggermente il capo, facendo roteare nella mano quel mazzo di rose e ne annusò appena l'odore.
"Penso che tu abbia perfettamente ragione, Lana. Ma in questi giorni non so più come dimostrarle i miei sentimenti".
"Perché non provi a scriverle una lettera. E non una e-mail, una vera e propria lettera dove apri il tuo cuore e cerchi di esprimere il tuo sentimento per lei".
"Secondo te lo apprezzerebbe?". Domandò Alex, guardando Lana, inarcando un sopracciglio scuro.
Lei fece spallucce, ribattendo: "io apprezzerei molto di più una lettera sincera piuttosto che il solito mazzo di fiori che ricevo da chissà quanto tempo":
"Otto mesi e mezzo". Disse lui, ridendo e aggiunse: "allora proverò con la lettera, grazie Lana". Entrambi si scambiarono un sorriso di cortesia e poi Lana si alzò, sistemandosi la borsa azzurra in spalla.
"E' stato bello rivederti, Alex. Se vuoi, possiamo vederci dopo pranzo, che ne dici?". Quella era una delle pochissime volte nelle quali era lei ad offrirsi una opportunità e sperava che Alex avesse dato una risposta positiva: non aveva assolutamente intenzione di 'rubarlo' alla sua attuale ragazza, voleva solo passare qualche ora con luia chiaccherare, a provare nostalgia nel ricordare avvenimenti passati e magari anche ad aggionarsi sulle vite che entrambi conducevano, anche se di sicuro quella di Alex sarebbe stata di gran lunga più interessante della propria.
"Perchè, che cosa hai da fare adesso?". Chiese Alex, alzandosi subito dopo di lei e tenendole gli occhi addosso, come se non volesse lasciarla scappare.
"Io devo andare al cimitero". Disse lei, indicandogli la struttura che avevano di fronte e aggiunse poi con amarezza nella voce: "purtroppo mio padre mi ha lasciata cinque mesi fa e voglio dirgli addio come si deve...". Sospirò appena e tornò a guardare i cancelli del cimitero.
"Ah, mi dispiace molto...". Disse Alex sottovoce, abbassando appena lo sguardo.
Lana sapeva dentro di sè che non era realmente dispiaciuto. perché avrebbe dovuto esserlo? In fondo, non era nemmeno un suo genitore o quello di un caro amico.
"Non ti preoccupare". Disse Lana, accennando un sorriso e vedendo che improvvisamente Alex alzò il mazzo di rose, alzò un sottil sopracciglio castano.
"Che ne dici se ti faccio compagnia? Gli portiamo queste, è un peccato buttarle via". Gli spuntò un sorriso sghembo tra le labbra e Lana rispose subito: "ma no, non voglio che i tuoi soldi vadano sprecati e poi proprio ieri gli ho portato dei girasoli".
"E quindi? Mi hai dato una bella idea per cercare di riappacificarmi con la mia ragazza, devo sdebitarmi".
Lana non potè fare a meno di sorridere ed accettò quel mazzo di fiori freschi e leggermente profumati, illuminati da uno degli svariati raggi di sole che offriva quella giornata.
La ragazza non poteva capacitarsi di come facese quel ragazzo ad essere il giorno prima viscido e subdolo il giorno prima mentre in quel giorno sembrava risplendere di una luce propria tanto era dolce ed apprensivo nei confronti di Lana.

Una volta dentro al cimitero in compagnia di Alex che aveva promesso di tenersi ad una certa distanza quando Lana avrebbe deciso di parlare davanti alla lapide del proprio padre, notarono con poco stupore che all'interno si trovavano sempre la solita famiglia in visita ed un paio di custodi che si prendevano la vita con calma, parlando tra loro mentre fumavano assieme una sigaretta: d'altronde a Woodville non dovevano preoccuparsi di ubriaconi o drogati che andavano a profanare tombe o a rubare qualcosa all'interno del cimitero. probabilmente la cosa che era successa lì dentro, fù anni prima, quando un alce si era ritrovato lì dentro per sfuggire ai cacciatori e avevano impiegato una giornata intera per farlo uscire senza lasciare che facesse troppi danni.
Ma in compagnia di Alex, Lana non sentiva più quella strana sensazione del giorno prima mentre attraversava le svariate lapidi di chi aveva persola vita giorni, mesi o anni prima. Era come se lui inconsapevolmente, le infondesse quel coraggio che le mancava.
O forse, si stava solo immaginando tutto e come al solito si stava lasciando trasportare dalle proprie emozioni.
Ed eccola ancora una volta lì, davanti alla lapide: i quattro girasoli erano ancora presenti e Lana si abbassò per poter posare le rose ad appena qualche centimentro dall'epitaffio. Una volta tornata in piedi, vide Alexander baciarsi il dito indice per poi chinarsi ed accarezzare delicatamente la foto del padre di Lana.
"Ci mancherai, Richard". Disse semplicemente sottovoce e poggiò appena un braccio su una spalla della ragazza, sussurrando: "ti lascio sola con lui, io sono qui dentro se hai bisogno". Si rivolsero un piccolo sorriso, poi Lana attese che Alex si fosse allontanato abbastanza da non poter fargli udire la propria voce e quando si sentì finalmente da sola, si chinò nuovamente sulla lapide del padre, allungandosi per lasciare un dolce bacio sulla sua foto ed a quel gesto, sentì ubito a commozione farsi largo nel proprio corpo, ma quella volta non gliel'avrebbe data vinta.
"Hai visto che bella giornata è oggi, papà?". Sussurrò Lana, andando con una mano ad accarezzare il terriccio, sotto il quale a distanza di qualche mentro, abitava il corpo di Richard, ormai senza vita da qualche tempo.
"Queste belle giornate di metà aprile mi fanno venire alla mente i ricordi di quando nei week-end mi portavi a fare piccole escursioni, in città a prenderci un gelato o a fare una passeggiata sul lungomare. Ricordi quando ti costrinsi a portarmi al cinema a vedere quel film sdolcinato che proprio non ti piaceva? Eri venuto lo stesso con me, solo per farmi felice, per vedermi sorridere e solo ora che di te non è rimasto altro che una tua foto mi rendo conto del fatto che ogni cosa che facevi, piccola o grande che fosse, era per il desiderio di vedere felici me e la tua coraggiosa moglie...".
Lana riprese fiato e setivaciaramente gli occhi pizzicarle più volte per la commozione, ma non si arrese e con gli occhi lucidi e la voce che iniziava a traballare, continuò in modo totalemente spontaneo, al di fuori di tutte le parole che per mesi si era prefissata nella mente.
"Nonostante io abbia sempre nutrito un grandissimo affetto nei tuoi confronti, papà, e non abbia mai faticato a dimostrrtlo eccetto quelle rare volte nelle quali litigavo con te, ho ancora la sensazione di non averti dimostrato abbastanza, di non averti detto a sufficienza che ho amato ogni tua sigola azione fatta per il mio bene o per il bene della mamma. Ho amato ogni tuo difetto ed ogni tuo pregio: la tua calligrafia storta, le sere in cui mi facevi vedere i film di far west che tanto ti piacevano... Non tutti i figli possono vantarsi di aver avuto un padre dolce e premuroso come te, sai? E io mi sento immensamente fortunata, nonostante ti sia stato dato poco tempo per brillare in questo mondo. Ma si sa, sono sempre gli angeli a morire per primi...".
A quel punto, Lana non ce la fece più e scoppiò in lacrime di commozione che non persero l'occasione di rigarle il viso, tiepide e allo stesso tempo crudeli.
Ma finalmente era riuscita a dire ciò che davvero sentiva provenire dal cuore e non avrebbe potuto chiedere di meglio, anche perché in quel momento il 'meglio' non esisteva; aveva finalmente aperto il proprio cuore e tanto bastava a farla sentire più leggera, nonostante le lacrime continuassero a rigare imperterrite il proprio viso.
"Mi mancherai papà, ma ti prometto che vivrò appieno la mia vita e ti renderò orgogliosa di me". Disse sorridendo alla figura ritratta nella foto che baciò nuovamente a fior di labbra, poi si rialzò e mentre si asciugava le lacrime, si sentì avvolgere da dietro in un abbraccio.
"Non ho potuto fare a meno di ascoltare". Sussurrò Alex.
Lana si voltò per poterlo stringere a sua volta e affondò il viso nel suo petto, subito inebriata dal suo profumo.
"Non importa, adesso va molto meglio".

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Capitolo 6
*** Capitolo 5. ***


"Spero non ti dia fastidio il fatto che io abbia origliato una conversazione così personale". Disse Alex a bassa voce una volta che lui e Lana furono fuori da quel piccolo cimitero, aggiungendo poi: "è stato inevitabile. Quel posto è piccolissimo, come tutto ciò che è qui a Woodville, del resto".
Lana scosse appena la testa e gli dette una pacca affettuosa su una spalla. "Non mi dispiace, Alex". Disse semplicemente, mentre si asciugava i residui di lacrime che avevano inumidito i propri occhi abbondantemente poco prima.
"Posso offrirti il pranzo?". Chiese gentilmente Alex mentre si incamminavano verso la piccola piazza poco distante da lì.
Lana fece una piccola smorfia e rispose, con la voce ancora semiroca e timida. "Ti ho già derubato delle tue rose, non voglio derubarti anche del tuo tempo".
Alex si lasciò sfuggire una risata e stavolta fù lui a rincuorare la ragazza con una pacca delicata sulla spalla.
"Lana, non preoccuparti. Fino a domattina non ho nulla da fare e anche se può sembrare immensamente strano detto proprio da me, io ti ho sempre considerata una persona con la quale vale la pena passare il tempo".
Stavolta fù lei a sorridere dopo aver udito le sue parole. "E cosa ne sai? Magari in tutti questi anni potrei essere diventata una pazza psicopatica".
"Non direi proprio". Rispose lui, ricambiando la risata e dandole una leggera spinta giocosa. "Ricordo bene che provavi pietà persino nell'uccidere una mosca e credo che certe cose non cambino".
"Ehi, ma anche le mosche hanno diritto alla vita!". Scherzò Lana, guardando Alexander in viso mentre camminavano: aveva la sensazione che più passavano del tempo insieme e più il suo volto risplendeva ed anche lei stessa, ora che lui non era ubriaco fradicio come la sera prima, aveva la sensazione di sentirsi più leggera, più in armonia sia con sè stessa che con ciò che la circondava. Non sapeva se effettivamente le cose stessero così, ma le piaceva credere che fossero le loro energie fuse insieme a creare quella armonia che sentiva crescere piano dentro di sè.
"mettendo da parte le povere ed innocenti mosche, allora lo accetti il mio invito a pranzo?". Chiese Al, guardandola per un attimo con quegli occhi marroni e resi ancora più vividi dalla luce del sole, che avrebbero potuto sciogliere il più resistente dei ghiacciai.
"Va bene, se proprio ci tieni a spendere soldi". Acconsentì Lana, accennando una timida risata.
"Non hai idea di quanti soldi io abbia da sprecare". Rispose lui e Lana sentì chiaramente nella sua voce che non lo aveva detto affatto per vantarsi, ma quasi come fossero una condanna, tutti quei soldi dei quali aveva accennato.

Una volta arrivati in uno dei due bistrot presenti in quel minuscolo paesino, entrambi avevano già fatto la loro ordinazione e stavano facendo una piacevole conversazione, seduti ad un piccolo e tondo tavolo di legno con sopra una tovaglia bianca e del pane tagliato a fette, riposto in una piccola cesta proprio di fianco ad una bottiglia media di vino rosso al centro del tavolo; sulla loro destra avevano una finestra di medie dimensioni dalla quale si poteva scorgere la vista mozzafiato delle colline che circondavano Woodville sul lato est e quel panorama, così genuino e naturale, creava uno strano senso di nostalgia ed appagamento negli sguardi di Alex e Lana che guardavano ammaliati dalla finestra i prati verdi ed i vasti campi.
 "Questa è la parte che mi è mancata di più di Woodville". Sospirò Lana che col gomito poggiato sul tavolo, lasciava che la mano sorreggesse il proprio viso, senza scostare gli occhi dalle vetrate della finestra.
Alex dopo aver finito di masticare un piccolo pezzo di pane, rispose con il sorriso tra le labbra: "detesto ammetterlo, ma è mancato molto anche a me questo paesino nato nel nulla".
Lana nel sentire la risposta datale dal ragazzo, girò gli occhi verso di lui, incrociando le gambe sotto al tavolo per stare più comoda, come era solita fare.
"Perchè detesti ammetterlo?". Chiese, con la voce che sembrava quella di una dolce bambina: raramente si era sentita così spensierata nell'ultimo periodo di tempo e le sembrava quasi di vivere ad un metro dal suolo, galleggiante e finalmente in sintonia con almeno una delle situazioni nelle quali si trovava.
"Beh, io adoro la città. Mi piace camminare tra la folla, le auto, i treni, il caos tipico delle metropoli e ora mi accorgo del fatto che anche la campagna non è così male".
Lana inclinò appena un sopracciglio, continuando a mantenere un lieve sorriso tra le labbra e gettò nuovamente lo sguardo sulla distesa di natura selvaggia che le offriva quella splendida vista.
"Io ho scelto la via di mezzo. Mi sono trasferita a Mooney proprio per avere sia una parte di natura che una parte di città".
"Non ti fai mancare niente, eh?". Rispose Alex, cercando gli occhi di Lana che era ancora incantata dalla vista oltre la finestra.
"Invece mi faccio mancare molte cose. Cose che potrei avere ma che mi faccio sfuggire continuamente". Rispose Lana e nel terminare la frase, tornò a guardare Alexander, mettendosi composta nel vedere il cameriere arrivare dietro di lui con i piatti fumanti ed un odore delizioso che inebriava le proprie narici.
"E allora perché te le fai sfuggire?". Chiese Alex, voglioso di scoprire qualche altarino che Lana teneva nascosto.
Lei aspettò che il cameriere servisse loro i piatti e stappasse la bottiglia di vino, poi rispose mentre aggiungeva l'olio ai funghi nella propria pasta.
"Penso perché non ho abbastanza voglia di mettermi in gioco". La propria tonalità di voce lasciò intendere ad Alex che Lana non aveva intenzione -per il momento, di rispondergli in modo più approfondito, quindi rispose con un semplice: "uhm, capisco" ed iniziò a tagliarsi le proprie fette di carne.
"Come mai tu hai ordinato solo il secondo piatto?". Chiese Lana, accorgendosi solo in quel momento che lui aveva della carne nel piatto beige.
"Ieri sera, quando sono tornato nella mia stanza ho vomitato e quindi preferisco non mangiare come un maiale come faccio di solito". Disse lui, facendosi sfuggire una risata che contagiò anche Lana. "Ah, scusa se te l'ho ricordato". Disse per poi iniziare a mangiare la propria pasta.
"E comunque, sappi che se mi prendo un raffreddore, me la verrò a prendere con te". Disse Alex, puntando il coltello verso Lana fingendosi minaccioso e lei, capendo che si riferiva alla spinta che lei gli aveva dato, facendolo finire nel laghetto, si mise a ridere, bevendo poi qualche sorso di vino per non rischiare di strozzarsi.
"Cavolo, che paura! Allora la prossima volta ti getto in un vulcano così ti asciugi per bene".
Alex rise e dopo aver masticato un boccone, replicò: "ma si, dai. Ne uscirò solo con qualche grave ustione".
"Robetta da poco". Aggiunse Lana, ridacchiando.
"Beh, potrò dire di essere stato ai Caraibi". Disse Alex.
"Certo. I caraibi degli Inferi". Rispose lei, continuando a tenere il sorriso tra le labbra mentre continuava a mangiare cercando di essere il più fine possibile. Sapeva bene che non era ad un appuntamento romantico ma ci teneva comunque a dare una buona impressione di sè al ragazzo che non vedeva da fin troppo tempo.
Anche Alex non potè fare a meno di ridere e dopo essersi finito il primo bicchiere di vino, disse con una voce decisamente più delicata e seria: "prima ho insistito con le scuse, come faccio di solito. Sei sicura di averle davvero accettate o l'hai fatto solo per azzittirmi?".
Lana si prese il tempo per masticare il proprio boccone di pasta e dopo aver bevuto un sorso di vino, rispose con pacatezza e sincerità: "Alex, non sei assolutamente il primo che ha quegli atteggiamenti con me quando è alticcio. Ci sono già passata e tu sei l'unico che abbia davvero insistito nel rivolgermi scuse sincere. Non ce l'ho con te, è acqua passata ormai". Dopo aver finito di parlare, Lana si lasciò andare ad un leggero sorriso ed Alex rimase incantato per un momento di troppo a guardarla.
Se ne accorse subito dopo e sbattè gli occhi un paio di volte.
"In città le ragazze non sono così dolci come te". La sua era una semplice affermazione, ma Lana sapeva che era un suo personale modo di farle un complimento.
"Immagino che ne approfittino subito per denunciarti e fare soldi, vero?". Accennò una risata ed Alex annuì.
"Anche togliendo di mezzo questo fattore, spesso sono fredde come il ghiaccio e solo per strappare loro una risata, devi tirare fuori il portafogli e svuotarlo completamente nell'arco di una serata".
"Wow, volendo io ci metto anche due minuti a svuotarlo, sappilo". Disse Lana, ridendo.
Alex ricambiò quel sorriso e ammise poi: "ciò che voglio dire è che io ieri sera mi sono comportato malissimo con te e ora stiamo pranzando assieme in una bellisima giornata di sole".
Lana capiva perfettamente dove volesse arrivare Alex con quelle parole. "Beh, noi di Woodville siamo così: il giorno prima ci lanciamo maledizioni e il giorno dopo è come se non fosse accaduto nulla".
"Tranne le anziane. Loro non dimenticano mai". La corresse Alex con fare scherzoso, per poi finirsi il secondo bicchiere di vino rosso.
Lana rise nel ricordarsi di una cosa. "Mi ricordo ancora di quando la vecchia Camille scoprì il mio panino al prosciutto nel suo giardino. Venne a fare una scenata sotto casa dei miei genitori e mi guardò storto per mesi".
Alex inarcò un sopracciglio, ridacchiando nell'immaginarsi l'avvenimento. "Mi ricordo di quella signora ma non ricordo del panino. Ero già andato via?".
Lana annuì, aggiungendo poi: "si, da un paio di mesi. Avevo appena scelto di essere vegetariana e quel giorno dovevo fare una escursione con Zoe e Carmen ma non c'era nessuno cestino nei paraggi e..".
"E così hai scambiato il giardino della vecchia per una pattumiera". Disse Alex per poi iniziare a mangiare l'insalata.
"Ehi, non farmi passare per una che inquina l'ambiente!". Esclamò Lana, fingendosi seria per poi lasciarsi sfuggire una risata.
"Ma no, nessuno ti giudica, signorina ambiente pulito".
"Ma dai, aveva sempre una catasta di rami che le occupavano il giardino e pensavo non se ne fosse accorta". Disse Lana, continuando a ridere.
"Allora per sdebitarti, valle a dare un bel bacio". Disse Alex ridendo nell'immaginarsi la scena.
"Conoscendola, mi strapperebbe via la mandibola come farebbe un t-rex". Disse Lana, facendo scoppiare in una rigogliosa risata Alex, il quale in quel giorno non poteva fare a meno di essere di ottimo umore sebbene i problemi nella sua vita personale non mancassero.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6. ***


Una volta fuori dal ristorante, Alex propose a Lana di fare un giro nel bosco, lo stesso dal quale Lana aveva tagliato il giorno prima per poter raggiungere il laghetto da cui poi aveva incontrato il ragazzo.
In quel momento erano già immersi nella natura: le chiome delle numerose quercie erano leggermente mosse da un fresco venticello delle due del pomeriggio che non risultava affatto sgradevole dal momento in cui la temperatura si aggirava sulla ventina di gradi ed il sole continuava a splendere alto nel cielo azzurro, completamente sereno e con solo qualche nuvola bianca, sparsa in lontananza. In quel boschetto vi erano numerose campanule di un vivido colore blu, le quali crescevano anche nel piccolissimo sentiero sterrato dove a malapena vi era spazio per una persona, ma questo a Lana ed Alex non importava: erano completamente fuori dal mondo in quel momento e non si sarebbero accorti nemmeno dell'esplosione di una ipotetica esplosione. Oltre alle campanule che si estendevano a tappeto lungo tutto il bosco e delle quali Lana aveva già colto un piccolo mazzo che teneva in una mano, vi erano numerose siepi ed un piccolo ponticello in legno che serviva per passare sopra all' altrettanto piccolo e stretto fiume il quale produceva un suono somigliante ad un brusio, rilassante e armonioso, perfettamente coordinato al cinguettio dei piccoli volatili di differenti specie che svolazzavano da un ramoscello all'altro e a quello che producevano castori, picchi e scoiattoli perennemente al lavoro per poter sfamare sè stessi ed i loro cuccioli.
"Sai, non mi hai ancora detto il motivo per il quale tu ti trovi qui". Disse Lana serena, mentre passeggiava appena ad un paio di metri di distanza da Alexander, davanti a lui che rispose semplicemente, con la medesima pacatezza nella voce.
"E' una situazione complessa".
Lana capì da quella risposta semplice e priva di ulteriori informazioni che luiprobabilmente non desiderava approfondire l'argomento, quindi scherzò.
"Magari sei venuto a dare fuoco al tuo paese di nascita senza pietà".
Lui non potè fare a meno di accennare una risata, accellerando appena il passo per poter annullare la distanza tra sè e Lana.
"Nah, la questione è molto più semplce di ciò che pensa la tua mente malata".
Lana ridacchiò e si fermò, voltandosi poi verso di lui che con pochi passi, annullò la distanza tra loro due.
"Ultimamente ho letto troppi thriller, lo ammetto".
"Lo noto, lo noto". Rispose Alex, avvicinandosi a lei e dandole poi una pacca sulla spalla. "Dai, continuiamo a camminare, miss".
Lana sorrise nel sentirsi chiamare in quel modo, il che le riportò alla mente alcuni ricordi. Si mise a camminare di fianco al ragazzo, dicendo poi: "ti ricordi quando venivamo ogni giorno qui con il nostro gruppo di amici?".
Lana notò subito in Alexander quel tipico mezzo sorriso nostalgico che si era innescato subito dopo che lei aveva detto quella frase.
"Si, stranamente lo ricordo come se fosse ieri. Ogni volta in cui giocavamo a nascondino, ci perdevamo qualcuno e puntualmente quel qualcuno eri sempre tu". Guardò Lana prima serio e poi con un sorriso nascente tra le labbra, lei sorrise ed esclamò: "ehi, non darmi la colpa! Ero imbattibile in quel gioco e voialtri fin troppo scarsi".
"Ma non è vero niente. Non sapevi nasconderti e quindi ti inoltravi dove il bosco è più fitto così non ti avremmo trovata nemmeno con l'aiuto di chissà quale dio!".
"Ehi ehi, non scambiare il talento con gli sporchi trucchi che usavi tu quando giocavamo a carte!". Disse Lana divertita, spingendo appena Alex il quale spinse a sua volta la ragazza in modo giocoso.
"Se tu non ti accorgi che nascondo i jolly sotto la sedia, sono problemi tuoi, cara". Rispose Alex con tono superiore.
"No, significa che avevi paura di essere sconfitto da una ragazza". Rispose lei, ridacchiando.
"Ah si? Però mi sembra di ricordare che vincevo sempre quando giocavamo a rincorrerci". La sfidò lui mantenendo un tono di voce superiore e un sopracciglio scuro leggermente inarcato mentre di tanto in tanto, osservava le reazioni di Lana, continuando a passeggiare nella fitta vegetazione.
"Mi stai forse sfidando?". Chiese lei, ricambiando gli sguardi di sbeffeggiamento che lui le stava lanciando, che rispose.
"Forse".
Lana a quel punto, lanciò un ennesimo sguardo di sfida al ragazzo e poi esclamò: "allora prendimi se ci riesci!".
Detto ciò, le proprie gambe scattarono in una corsa lungo lo stretto sentiero, la sua gonna bianca dalle numerose piege, svolazzava in ogni direzione e i piedi della ragazza si muovevano veloci l'uno di fianco all'altra; Alex non si fece sfuggire la sfida che finalmente era arrivata e prese a correre appena un secondo dopo di lei, ma dal momento in cui non era allenato e i suoi polmoni erano pieni di sostanze nocive rilasciate dal fumo di numerose sigarette che aveva fumato negli ultimi sette anni, la propria corsa risultava più affannosa ma uno dei suoi pregi era che non si arrendeva facilmente ed inseguiva Lana come avrebbe fatto un lupo con una gazzella, facendosi largo tra gli alberi e la vegetazione, superando un secondo ponticello e pestando qualche fiore. Lana si destreggiava abilmente nel bosco, su per la collina, libera dalle sostanze nocive che invece aveva Alexader nei polmoni e più in sintonia con la natura rispetto a lui, che era abituato a schivare auto imbottigliate nel traffico e non tronchi ed arbusti.
Alex inseguì Lana per qualche centinaio di metri restandole sempre dietro di qualche metro nonostante fosse affannato non poco da quella corsa improvvisata e quando vide il piccolo sentiero bloccato da un grosso ed unico salice nel bosco, subito ne approfittò per darsi la spinta e bloccare la ragazza di spalle, placcandola e facendola finire con il busto contro il maestoso albero.
"Ehi, n-non... vale!". Disse Lana, affannata mentre si voltava verso di lui che era distante appena qualche centimetro da lei.
"Certo che vale, miss...". Rispose lui, ancora più affannato di lei. Si voltò appena con la testa per fare qualche colpo di tosse, ma non accennò a spostare le braccia poste ai lati delle spalle della ragazza che di sicuro non avrebbe perso l'occasione di sfuggirgli ad una sua minima distrazione.
"Vedo che non hai perso la voglia di barare in ogni gioco che fai". Disse lei, respirando affannosamente a distanza ridotta dal corpo di Alex. Si sentiva stranamente accaldata e sapeva che in parte era a causa della sua corsa improvvisata, ma c'era anche dell'altro: in quel particolare frangente, in quella determinata situazione, i propri occhi non potevano fare a meno di posarsi prima sugli occhi di Alex, che venivano illuminati dai vacui raggi di sole che penetravano tra i rami del salice e poi sulle sue labbra che erano fin troppo vicine al proprio viso, in quel momento. Per un frammento di secondo, dette la colpa al bicchiere di vino che aveva bevuto a pranzo, inebriandole i sensi e rendendola più allegra, ma era fin troppo cosciente di sè e le ci voleva più di un bicchiere di vino per farla ubriacare.
Aveva, semplicemente una gran voglia di premere le proprie labbra contro quelle di Alex.
"Ho vinto onestamente, merito un premio". Disse lui in un tono di voce molto più basso rispetto a quello usato poco prima e sebbene fosse affannato, a Lana risultava fin troppo ammaliante, soprattutto osservare quelle labbra che si muovevano al rallentatore nella propria testa.
E per una volta, Lana decise di non porsi troppi problemi, di agire e basta, senza ulteriori indugi.
Avvicinò le proprie labbra a quelle di Alexander, distanti appena una manciata di centimetri e socchiuse gli occhi nel sentirle, morbide e fresce sulle proprie.
In un primo momento, le labbra del giovane sembrarono indugiare, restando impassibili mentre quelle di Lana, carnose e ospitali, ne accarezzavano ogni più minuscolo lembo, attirandole alle proprie per poi lasciarle e ripetere quel procedimento che le veniva così naturale, per almeno un paio di volte.
Riaprì appena gli occhi, restando col volto vicinissimo a quello di Alex e la schiena ancora attaccata all'immenso tronco del salice piangente, senza accennare a staccarsi da esso.
"Ho la sensazione che questi dieci anni non siano mai passati, per noi". Sussurrò Alex, con la voce ancora più bassa e profonda di qualche istante prima.
"Non sono mai passati". Sussurrò in risposta Lana.
Alex a quel punto, rispose in modo diretto e semplice, posando una mano sulla guancia morbida e vellutata della ragazza, per poi avvicinarsi appena col viso, quel tanto che bastava a cancellare quel minimo spazio che li allontanava di poco e posò poi le labbra sulle sue: quella volta furono esse a cercare e ad assaporare quelle della ragazza che avevano ancora un leggero aroma del vino rosso che avevano bevuto appena un'ora prima ed oltre ad esso, le carnose labbra di Lana che non attesero a muoversi con le sue, risvegliarono i dolci ricordi di molte, troppe primavere prima, quando la loro gioventù era sbocciata insieme e i loro corpi, spesso comunicavano più di ciò che avrebbero espresso milioni di parole, quando per essere felici bastava semplicemente sentire il calore dell'altro, che fosse racchiuso tra le loro mani intrecciate o tra i loro corpi bollenti, che fremevano dalla voglia spasmodica di riscoprirsi ogni giorno di più, lì tra quei boschi che molti anni prima, erano stati diverse volte un rifugio d'amore per Alex e Lana e che in quel momento quel luogo, come fosse incantato da chissà quale incantesimo aveva riacceso in loro la voglia di riaversi.
Lana fremeva nel sentire la mano del ragazzo accarezzare la propria guancia e mentre si baciavano, desiderò con tutte le sue forze che quel momento non finisse mai.
le loro labbra continuavano a cercarsi e a quel punto nessuno dei due accennava a staccarsi, come se anche i loro corpi fossero essi stessi vittima di un incantesimo.
Forse era proprio quel posto, tutto lo splendore di quella natura a riportare insieme dei cuori che tanto tempo prima erano stati così vicini, così uniti.
Alex staccò appena le proprie labbra da quelle di lana, per riprendere fiato e guardò intensamente negli occhi la ragazza, sussurrandole dolcemente: "sei bellissima".
"Anche tu". Rispose semplicemente lei, per poi aggrapparsi nuovamente alle sue labbra morbide delle quali non riusciva a fare a meno, in quel momento e si rese conto che le parole che aveva detto ad Alex erano più vere di ciò che pensava: Alex era davvero l'esempio di bellezza sia mentale che fisica, la quale lei nel corso della sua vita, aveva cercato quasi spasmodicamente in ogni ragazzo che aveva conosciuto. Lo aveva trovato nel cantante di un gruppo rock una sera quando si trovava in un locale con gli amici, ma aveva scoperto, una volta che aveva avuto l'occasione di parlare con lei, che era più stupido di un mulo. Aveva poi trovato una parte di Alexander in un ragazzo conosciuto in chat che poi dal vivo si era dimostrato completamente diverso sia di aspetto che di mentalità. Un paio di estati prima, mentre Lana si trovava a camminare in spiaggia nella propria città, aveva visto di spalle un ragazzo che le era sembrato identico ad Alex e ricordava bene che il proprio cuore aveva iniziato ad accellerare ad ogni passo che faceva per avvicinarsi a lui ed una volta voltatosi, aveva avuto una amara delusione: non era affatto lui, non era il viso a forma di cuore, non era il suo sorriso sghembo e sincero, non era il suo corpo snello, non era la sua voce, non era il suo profumo e non erano quegli occhi dolci che la avevano conquistata molti, troppi anni prima.
Alla fine si era arresa nel cercarlo ed ora eccolo lì, con lei a condividere i sentimenti che avevano perduto tanto tempo prima.

"Ti ho cercato nel corso di tutti questi anni, lo sai?". Disse Lana in un tono di voce dolce, mentre camminavano sul piccolo sentiero sterrato del bosco che andava via via disperdendosi, ricoperto sempre di più da foglie secche e ramoscelli. Avevano ripreso a camminare da pochi minuti, subito dopo essersi dati quei baci così pieni di nostalgia e amore ritrovato, con l'intenzione di parlare, semplicemente parlare di ciò che era accaduto nelle loro vite per tutti quegli anni nei quali erano stati separati.
"Mi hai cercato su internet?". Chiese Alexander, con un delizioso abbozzo di sorriso sul volto rilassato e sognante.
Lei scosse appena la testa, ridacchiando. "No, quello non l'ho mai fatto. Sapevo benissimo che se avessi cercato il tuo nome su un qualsiasi social network, prima o poi uno dei due avrebbe trovato il coraggio di scriversi".
"E cosa c'è di sbagliato nel risentirsi in una chat?". Chiese lui, in tono per nulla accusatorio, era semplicemente curioso ed ammaliato dalla voce della ragazza: voleva sapere da lei tutto ciò che si era perso della sua vita, sia le cose belle che quelle brutte, sia la sua evoluzione mentale che a livello di esperienze fisiche.
"E' che... Non volevo che uno di noi due si sentisse obbligato a rispondere all'altro. Ho sempre desiderato di poterti rivedere perché fossimo in qualche modo predestinati a reincontrarci e non obbligandoci ad una conversazione di circostanza su internet, non so se mi spiego". Disse Lana, cercando di spegarsi come meglio poteva.
"Capisco ciò che intendi dire". Constatò Alex, notando che la ragazza aveva trovato difficoltà nell'esprimersi, per poi aggiungere: "anche io in un certo senso, la penso così, ovvero: ciò che è passato, rimane nel passato, ma se alcune figure del passato tornano nell'attuale presente, significheranno pur qualcosa".
Anche Alex non si era spiegato così bene e ad entrambi sfuggì una risata.
"Va bene, credo di averci capito qualcosa". Disse la ragazza.
"Quindi, dove mi hai cercato di preciso?". Chiese Alex, curioso di sapere la risposta che gli avrebbe dato Lana.
Lei gli rispose con un sospiro, rendendosi conto di quanto fosse stata ingenua nel cercare in altre persone quel ragazzo incomparabile.
"Ti ho cercato in svariati ragazzi che poi si sono rivelati completamente diversi da te: in un cantante di una piccola band, in un tizio conosciuto in chat, in uno sconosciuto in spiaggia... E' difficile spiegarlo, ma sebbene una parte della mia mente avesse ormai riposto il tuo ricordo in un vecchio cassetto impolverato, un'altra parte di essa, invece continuava a cercarti".
Alex ascoltava con grande attenzione e si ritrovò d'accordo con Lana: "sai, anche io in un certo senso è come se non ti avessi mai dimenticata del tutto, soprattutto nel primo anno in cui mi sono trasferito: ti vedevo ovunque ed allo stesso tempo in nessun luogo. Poi ho capito che dovevo lasciare da una parte la mia ossessione nel cercare una donna simile a te e mi sono abbandonato a ciò che la vita mi ha offerto".
"Secondo te è stata la scelta giusta?" chiese Lana, la quale appena un momento dopo si sentì stringere la mano da quella calda e forte di Alexander che si fermò, costringendo così anche lei a fare lo stesso.
"Alla fine ti ho comunque incontrata di nuovo e quindi sono felice di aver preso quella decisione nove anni fà".
Con quegli occhi castani, illuminati dai raggi di sole che filtravano tra la fitta vegetazione, Alex guardava Lana come se non esistesse altra ragazza al mondo e lei sentiva chiaramente le proprie guance ribollire, colorandole di un candido rosa che lui si soffermò ad accarezzare con una certa delicatezza, come se stesse accarezzando il più raro dei fiori.
"Sei rimasto identico al ragazzo che amavo tanti anni fà". Sussurrò lei, lasciando poi che Alex le si avvicinasse per baciarla, ricambiando il bacio mentre stringeva la propria mano con la sua, tenendo le loro dita ben salde insieme. Le labbra del ragazzo non accennavano ad essere in qualche modo bramose o possessive di lei, erano semplicemente dolci e delicate sulle proprie, che si incontravano e producevano un piacevole suono, come quello di un piccolo schiocco.
"E tu sei rimasta la dolce e affascinante miss che eri tempo fà". Disse sottovoce Alex, guardando Lana negli occhi dopo averle dato quel bacio nel quale aveva espresso più di quanto era riuscito a comunicare.
Lana non potè fare a meno di arrossire ancor e ad Alex scappò una leggera quanto breve risata: "dai, guarda che aarrossisco anche io!".
"Tu? Le tue guance non diventerebbero rosse nemmeno nel deserto più caldo al mondo": Rispose Lana, ricordandosi bene di quanto fosse incline Alex a non essere imbarazzato in certe situazioni: nemmeno quando da piccolo lo scoprivano a rubare qualcosa riuscivano a metterlo in imbarazzo, era sempre stato molto disinibito e capace di mantenere molto bene il controllo delle proprie emozioni, lasciando che la parte lucida della propria mente prendesse il controllo per analizzare la situazione e capire come comportarsi in merito, infatti molto spesso riusciva a defilarsi da certe situazioni proprio per la sua innata prontezza nell'agire.
"Vedo che ricordi bene quanto io possa essere sfacciato". Disse Alex ridendo, lasciando poi la mano di Lana per andare a sedersi su una robusta parte di tronco in parte coperta dal muschio, spezzato da chissà quale forza della natura tanto tempo prima. Era come se fosse una panchina naturale e nemmeno troppo scomodo; Lana si avvicinò al ragazzo e si sedette di fianco a lui, con una espressione improvvisamente seria in volto che Alex non faticò a cogliere dal momento in cui non riusciva a toglierle gli occhi di dosso.
"Stai ripensando a tuo padre?". Chiese lui, sperando di poter ravvivare quegli occhi scuri improvvisamente fattisi tristi.
Lana aveva lo sguardo basso e stava seduta in disparte -per quanto lo permettesse quel mezzo tronco coperto di muschio, con gli occhi puntati a terra, sulle foglie secche.
"No, è che... Penso di aver sbagliato io stavolta". Disse, lasciando vacillare ancora di più Alex che non capiva dove la ragazza volesse andare a parare.
"In che senso? Cosa avresti sbagliato?". Chiese Al, spostandosi appena verso di lei.
"Sono una persona orribile, Alex". Disse d'improvviso lei, voltandosi a guardarlo con gli occhi ancora più tristi.
"Ma che dici?" fece in tempo a chiedere Alex, le cui parole furono sovrastate da quelle di Lana.
"Tu hai una vita, hai una ragazza alla quale stamattina hai addirittura comprato delle rose ed io... ho approfittato di te".Sbottò, alzandosi ed iniziando a camminare nervosamente avanti e indietro, con le braccia incrociate, come era suo solito fare quando aveva lo stomaco in subbuglio per il nervosismo.
Alex, ora finalmente poteva capire la tristezza di Lana e fece un enorme e disperato sospirò, lanciando lo sguardo verso il cielo che era coperto quasi del tutto dalle immense fronde degli alberi che crescevano a dismisura nel bosco.
"Io e Taylor stiamo passando un brutto periodo e temo anche che sia l'ultimo".
Lana si voltò di scatto verso Alex nell'udire quelle sue parole dette in un sospiro e si avvicinò di un passo a lui, di fronte ad esso.
"Alex, ti prego non gettare all'aria la tua relazione solo perché ci siamo scambiati un paio di baci...".
Dopo aver udito le parole della ragazza, fù Alex quello costretto a voltarsi in fretta verso di lei e non se la sentiva più di stare seduto, quel tronco gli pareva improvvisamente scomodo e quindi si alzò, mentre esclamava: "per te non significano nulla i baci che ci siamo scambiati? Sono solo baci?". Chiese, enfatizzando la parola 'solo'.
Lana lo guardò con disperazione negli occhi.
"Magari è stato solo un ritorno di fiamma, tutto qui...". Lei stessa non credeva a ciò che stava dicendo in quel momento.
"Lana...". Iniziò Alex, portando entrambe le mani sulle sue spalle, per potersi far guardare dritto negli occhi da lei, poi continuò.
"Ho già avuto esperienze di semplici ritorni di passione momentanea e penso anche tu. Io la sto vivendo in un modo del tutto differente e penso sia lo stesso per te".
Entrambi si guardavano diritto negli occhi: Alex da parte sua, non conosceva sguardo più bello di quello felino ed al contempo dolce di Lana, con le labbra che avrebbero invogliato anche un essere celeste a baciarle e il viso tondo e morbido dalla pelle vellutata che meritava di apparire solo nei sogni; Lana invece si ritrovava di nuovo ad affrontare quegli occhi più dolci del miele, resi più chiari di una tonalità per via del sole che li illuminava e come se lui sapesse bene l'effetto che le faceva quello sguardo, teneva le  pupille castane puntate sulle proprie con sfacciataggine.
Ma Lana aveva già deciso qualche istante prima e continuando a sorreggere quello sguardo, disse.
"Per me sono stati dei semplici baci, Alex. Prima dal salice, mi andava di baciarti e l'ho fatto, tutto qui".
Alex aggrottò le sopraciglia e simultaneamente, lasciò andare le spalle di Lana, restando però con un legame visivo.
"Lana, non venirimi a raccontare queste cose. E' da un bel po' che non ti vedevo, questo è vero. Ma ricordo bene che tu non eri affatto una ragazza frivola e non lo sei tutt'ora". La voce del ragazzo era seria e rigida.
Lei rispose con un semplice scrollata di spalle, incrociando nuovamente le braccia.
"Alex, che vuoi che ti dica? Le persone cambiano. Non puoi aspettarti di ritrovare tutto come prima dopo dieci anni".
detto ciò, Lana si sitemò la bretella della borsa in spalla e iniziò ad incamminarsi verso la via del ritorno, sentendo distintamente i passi del ragazzo seguirla.
"Le persone non cambiano". Disse lui in tono deciso, per poi aggiungere: "dove diavolo stai andando?!".
"Torno al motel. Sono stanca, domani devo guidare a lungo". Rispose Lana con una sorprendete voce fredda e distaccata.
sentì poi all'improvviso la mano di Alex prenderle il polso e tirandolo con forza a sè, costringendo Lana a voltarsi, la quale si morse forte il labbro inferiore per non reagire dando uno schiaffo in pieno viso al ragazzo che sembrava non avere la minima intenzione di mollarla.
"Alex...": Lo ammonì Lana, strattonando appena il polso dalla presa della sua mano.
"Aspetta solo un attimo". Disse lui, per poi aggiungere: "adesso formulo una teoria, tu devi solo annuire se è corretta e stare in silenzio se è errata, okay?":
"Poi mi lasci andare?". Chiese Lana, rivolgendogli uno sguardo a dir poco esasperato.
Lui annuì e non perse tempo a formulare ciò che aveva da dire, tenendo stretto il polso della ragazza.
"Tu hai provato la stessa cosa, lo stesso sentimento che ho provato io: hai avuto la stessa sensazione che il destino o la vita o quello che è, ci abbia fatti incontrare di nuovo per darci una seconda possibilità, per poterci riscoprire. E tu stai morendo di sensi di colpa dentro di te perché hai paura che tu possa essere la causa per la quale io probabilmente chiuderò la relazione con la mia attuale ragazza. Magari hai anche paura di fare un tuffo nell'ignoto e quindi ti stai lasciando sfuggire l'ennesima occasione di cambiamento nella tua vita".
Lana rimase immobile.
Alex aveva azzeccato minuziosamente e con gran perspicacia tutto ciò a cui lei aveva pensato.
Ma non era disposta a cedere, quindi non annuì, rimanendo ferma e non annuendo con la testa.
Alex si rabbuiò nel vederla restare immobile, straconvinto del fatto che lei avrebbe annuito, quindi a malincuore, lasciò il polso della ragazza, come aveva promesso poco prima.
Lana non perse l'occasione di allontanarsi di qualche passo e disse sottovoce: "ora posso andare?". La propria voce non era affatto sarcastica, solo debole e stanca.
Alex rispose con un grosso sospiro: "vai pure... Domattina prima di partire, passo sotto al motel e se ti va, scendi a salutarmi, okay?".
Lei stavolta annuì, poi si voltò, iniziando a camminare nelle prime luci del tramonto sullo stretto sentiero che la avrebbe riportata a Woodville mentre Alex restava immobile, nel guardarla allontanarsi da sè.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7. ***


Lana cercò di infilare la chiave nella serratura della porta della propria stanza per la terza volta, ma la propria mano tremava troppo e la chiave finì per cadere a terra.
Fece un enorme sospiro di rassegnazione e si chinò a raccoglierla per poi riuscire finalmente ad infilare quella maledetta chiave nella serratura ed aprire finalmente la porta di quella stanza così triste e grigia, che in quel momento sembrava rappresentare il proprio umore.
Una volta chiusa la porta, Lana poggiò la chiave su uno dei comodini di fianco al letto ed iniziò a privarsi lentamente degli indumenti mentre si recava nel bagno stretto che a malapena riusciva a contenere il box doccia, il water ed un lavandino.
Quando fù completamente nuda, entrò nel box ed aprì l'acqua che in un primo momento la fece rabbrividire siccome era ghiacciata a dir poco. Persino le tubature di quella struttura erano vecchie e l'acqua ci metteva un paio di minuti prima di raggiungere la temperatura desiderata.
Lana aspettò in un angolo con pazienza, poi nel sentire finalmente scrosciare l'acqua calda, si accostò proprio sotto al getto e si lasciò finalmente andare alle lacrime che aveva trattenuto lungo tutto il percorso di ritorno.
Per fortuna Alex non aveva deciso di seguirla per chiederle ulteriori spiegazioni e lei se ne era accertata guardandosi dietro le spalle di tanto in tanto.
Quel pianto non era affatto liberatorio, anzi Lana stessa sapeva che ce ne sarebbero stati tanti altri nel corso di almeno due settimane, ma ormai era abituata a quel tipo di pianto: erano le lacrime delle occasioni perse e lei che ne aveva perse così tante, lottava con esse almeno un paio di volte al mese, incapace di liberarsene.
Quella però, non era una semplice occasione persa come il rifiuto di un biglietto per un concerto ma qualcosa di molto più importante per lei: aveva molto probabilmente rifiutato l'unica persona con la quale sarebbe stata felice lungo l'arco di tutta la propria esistenza ed esserne consapevole non faceva altro che dilungare le proprie lacrime che in quel momento si confondevano con l'acqua tiepida.
Da sempre evitava anche la più piccola delle occasioni se vi era anche solo l'uno percento di probabilità di fallimento ed allo stesso tempo, sapeva molto bene che non poteva continuare a vivere in quel modo perché prima o poi si sarebbe bloccata per sempre e non avrebbe più visto la luce del sole: già si immaginava in età avanzata a tessere la lana e a guardare dalla finestra con sguardo malinconico tutte le persone che agivano e si mettevano in gioco mentre lei si lasciava ad appassire con enorme tristezza ed angoscia sul divano di casa, finché una notte sarebbe arrivata una facile morte nel sonno, che le avrebbe tolto finalmente il peso di quella esistenza non vissuta.
La ragazza emise un gemito di dolore mentre iniziava a lavarsi, lasciando cadere la spugna per terra nell'immaginare vividamente quella scena che si era fatta largo così chiaramente nella propria mente e poi si lasciò andare ad un pianto ancora più forte, quasi isterico, sbattendo lievemente i pugni sulle mattonelle bagnate: era esasperata da sè stessa e così stanca di farsi manovrare dalle proprie insicurezze che non la lasciavano nemmeno fiatare.
Se fosse stata una ragazza diversa da ciò che era, di sicuro non si sarebbe lasciata sfuggire l'occasione di essere felice, l'occasione di poter rendere felice anche la persona che aveva amato e continuava ad amare nei meandri più nascosti della propria mente e del proprio cuore. Se ne sarebbe infischiata della relazione che aveva in corso Alex con quella Taylor e avrebbe lasciato correre la propria vita così come veniva, come fosse una foglia ondeggiante nel vento.
Invece lei si trascinava dietro un enorme peso di piombo, incatenato saldamente ad una caviglia, come quelli che erano costretti a portare i carcerati tmpo addietro, nelle prigioni più severe. Il proprio peso, però non era fatto di piombo, ma di ansie, preoccupazioni continue e la catena che legava questo pesante fardello alla propria caviglia era unicamente la propria fragile mente.

Dopo essersi asciugata ed essere uscita dal bagno, Lana accese per una frazione di secondo lo schermo del cellulare e nel vedere che erano le nove e mezza di sera, decise di mettersi a letto: era decisamente presto per andare a dormire, ma il mattino dopo si sarebbe dovuta svegliare presto per poter raggiungere Mooney, la cittadina dove abitava, ad un paio di ore di viaggio. Aveva ancora altri due giorni di vacanza da godersi ed aveva tutta l'intenzione di starsene a casa o al massimo nel piccolo parco solitario che si trovava a due passi da lì, magari avrebbe incontrato Jimbo, il gatto randagio al quale offriva sempre qualcosa da mangiare.
Ma proprio dopo essersi stesa nel letto, Lana si rese conto, asciugandosi l'ennesima lacrima sulla federa del cuscino, che probabilmente avrebbe passatoo il tempo a piangersi addosso.
Ora era realmente convinta del fatto che tornare a Woodville fosse stata davvero la scelta peggiore che avesse mai preso.
Eppure aveva ancora bene in mente il sapore delle labbra di Alexander.
E quel pensiero così vivo e nitido nella propria mente, la cullò in un sonno di morbida tristezza con un retrogusto di amara nostalgia.

Il giorno dopo, Lana fù svegliata all'improvviso dal suono fastidioso che produceva la sveglia sul telefono che si apprestò a disattivare il più velocemente possibile.
Restò a fissare il soffitto per qualche minuto, ancora più triste di quanto lo fosse il giorno prima sebbene, solitamente i raggi di sole che filtravano dalla finestra scaldavano il letto, la facessero svegliare di buonumore.
La verità era che aveva sognato un mattino del tutto diverso appena qualche ora prima: aveva sognato una colazione a letto con Alex, l'odore di caffè venire dalla cucina e lui che le strimpellava una vecchia canzone di Lou Reed con la chitarra impolverata che lei teneva in un angolo buio del corridoio.
Invece si ritrovava in quel triste motel di quel paesino dimenticato da dio e l'unica cosa che le teneva compagnia era il caos che sentiva provenire da fuori: era domenica e come al solito, le mamme e i papà allestivano delle piccole bancarelle per cercare di vendere vecchi libri e giocattoli con i quali i figli non giocavano più e altri, invece ne approfittavano per vendere dolciumi o ortaggi coltivati nei campi o negli orti di casa. A Lana non era mai dispiaciuta quella tradizione che gli abitanti di Woodville ormi si tramandavano da anni, ma in quel momento voleva solo restare nel silenzio della propria tristezza che stava sempre ben attenta a non mostrare mai al prossimo.
Decise così di alzarsi e prepararsi alla svelta, in modo da potersene andare il prima possibile e restare da sola nella propria auto familiare.
Prese dal piccolo armadio la propria valigia bianca e dopo averci riposto i vestiti usati il giorno prima, indossò l'ultimo cambio che si era portata dietro: dei jeans chiari a vita alta ed un top a fiori che coprì in parte con una giacca in denim, indossò poi le stesse scarpe da ginnastica del giorno prima e mentre era in bagno a pettinarsi ed a truccarsi con la solita matita nera ed il solito lipgloss, sentì d'improvviso suonare un clackson per tre volte di fila proprio sotto al motel: all'inizio Lana sobbalzò appena per il rumore improvviso, poi i avvicinò alla finestra perché le risultava strano il fatto che nel giorno del mercato fosse permesso alle auto di circolare.
Decise di affacciarsi mentre si sistemava il cellulare e le chiavi della macchina in una tasca della giacca di jeans e con stupore vide che era una jaguar di un bellissimo nero lucido e decappottabile, infatti risaltavano due sagome di cui Lana ne riconobbe subito una: era Alex.
Si era completamente dimenticata del fatto che sarebbe venuto a salutarla un'ultima volta.
"Lana!". Esclamò alex, accorgendosi subito di lei che lo fissava da dietro alla finestra.
Lei a malincuore, aprì la finestra e disse: "Alex... Scendo a salutarti". La propria voce era uscita orribile, sembrava che avesse appena finito di piangere e sperava che lui non se ne fosse accorto.
Si affrettò subito a prendere la valigia e la borsa, scendendo le scale velocemente e pagando per le due notti nelle quali aveva alloggiato nel motel: voleva vedere Alex e salutarlo al più presto, in modo da poterselo lasciare finalmente alle spalle ed una volta fuori dalla struttura, fece il giro per raggiungere il parcheggio, dove vide subito la jaguar parcheggiata.
Alex, nel vedere Lana andargli incontro, scese dalla macchina e la donna seduta al posto del passeggero fece lo stesso.
"Lana, credevo che tu te ne fossi già andata, menomale che sei ancora qui. Non mi hai lasciato il tuo numero ieri".
Lei inarcò un sopracciglio nell'udire quelle parole, quando si trovò di fronte a lui ed alla donna misteriosa. Alex non si sarebbe mai comportato in quel modo, non dopo ciò che era accaduto il giorno prima nel bosco.
"Ah... Scusami". riuscì a dire, sempre più perplessa.
"Beh, meglio così. Almeno sono potuto venire ed ora posso farti conoscere Taylor, la mia ragazza". Disse lui, scambiandosi un'occhiata con la donna bionda di fianco al ragazzo, che porse la mano a Lana con un sorriso socievole stampato in faccia.
"Ehm... Ciao, io sono Lana, un'amica d'infanzia di Alexander".
Ma che diavolo sta accadendo? Pensò Lana, spaventata da quella strana ed improvvisa situazione.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8. ***


Lana si era immagnata su una auto sportiva in diverse situazioni: magari dopo aver conosciuto uno stimato studioso o dopo aver incontrato il proprio attore preferito o semplicemente in una di quelle strane e magiche serate che talvolta capitano nella vita, dove tutto può accadere.
Ma non si sarebbe mai aspettata di stare seduta in quella costosa auto tirata a lucido e con ancora l'inconfondibile odore di nuovo al suo interno, con Alexander e la sua ragazza davanti a lei.
Non sapeva come esprimere il proprio grado d'imbarazzo, ma soprattutto non sapeva perché proprio un paio di minuti prima, si fosse lasciata convincere nell'andare con loro a fare colazione in un bar appena a qualche chilometro da lì, subito dopo il cartello bianco con la scritta: "welcome to Woodville"; probabilmente gli occhi di Alex avevano fatto ancora una volta il loro sporco lavoro, ammaliando ancora una volta la ragazza e soprattutto facendo una discreta leva sui propri sensi di colpa.
Aveva una strana sensazione dentro di sè, come se il proprio inconscio la stesse avvertendo del fatto che no, non si sarebbero di certo fermati alla colazione e probabilmente nemmeno quella giornata sarebbe finita bene, forse solo per lei o forse per tutti i presenti in quella macchina.
"Eri mai salita su un'auto del genere, Lana?". Chiese Taylor, voltandosi col capo verso di lei mentre si spostava gli occhiali da sole sulla testa.
Lana non faticò a distinguere quel lieve accenno di vanità nella voce della ragazza bionda, quindi le rispose con un accenno di sorriso e una leggerra scossa della testa, indicante una ovvia risposta negativa.
"Xander ha detto che me ne regalerà una a breve". Aggiunse Taylor con un sorriso compiaciuto tra le labbra e mantenendo quella sfumatura di vanità nella voce che Lana non riusciva proprio a sopportare.
"Mi fa piacere". Rispose semplicemente e stando bene attenta a non aggiungere altro onde evitare che quella ragazza parlasse ancora. A pensarci bene, ricordava che Alex per un motivo che in quel momento non ricordava, fin da bambino aveva sempre detestato farsi chiamare Xander e invece sembrava che da ciò che poteva vedere Lana, quel fastidio era totalmente svanito in lui.
Alzò gli occhi per un frammento di secondo e vide che gli occhi di Alex andavano di tanto in tanto sullo specchietto retrovisore, come a cercare un contatto visivo con Lana che lei decise di non regalargli: avevano molto in sospeso di cui parlare e di sicuro lui sapeva bene che a lei non stava piacendo affatto la situazione nella quale lui la stava mettendo.
"Cercherò di farti avere il modello nuovo di jaguar per il tuo compleanno". Rispose Alex alla sua fidanzata, lanciandole un fugace sorriso per poi tornare a concentrarsi sulla guida e lei nel sentire della bella notizia, subito ne approfittò per esultare dicendo: "siii! Tra tre mesi avrò la jaguar!" e spupazzando la faccia del ragazzo come fosse un peluche.
Lana non lo invidiava affatto in quel momento, ma doveva ammettere che come attore non se la cavava affatto male: da brava osservatrice quale era diventata nel corso degli anni passati ad osservare invece che a gettarsi nella mischia, aveva notato che lui stava spudoratamente fingendo di essere felice ed entusiasta in quella giornata, quando i suoi occhi celavano una malsana voglia di andare a scavarsi una fossa di almeno dieci metri, sotto terra e magari essere ibernato lì per un po'. Ma se la cavava el cercare di essere affabile ma non troppo ed amorevole al punto giusto e Lana era curiosa di vedere fino a che punto sarebbe riuscito a tenere in piedi il suo teatrino personale.
Taylor, entusiasta più di prima, ebbe di nuovo l'idea di voltarsi verso la ragazza che se ne stava seduta dietro in un angolo, chiedendole: "tu dove abiti Lena? Quando avrò la mia jaguar, potrei venirti a fare visita!".
Lana si morse il labbro inferiore nel sentire che aveva sbagliato il proprio nome, ma non volle correggerla e proprio quando stava per risponderle nel modo più striminzito e antisociale possibile, Alex disse: "tesoro, si chiama Lana, non Lena". Accennò una risata per non risultarle scontroso e Lana dentro di sè, stava festeggiando perché vedeva Alex cercare un posto nel piccolo parcheggio davanti ad "Old Paul's", il bar che suscitò subito nella mente di Lana tanti, troppi ricordi associati anche ad Alex.
Decise però, di non stare a scavare nel passatoo per quella volta, perché in quel momento il proprio cervello le aveva appena imposto di raggiungere un obiettivo di vitale importanza: entrare nel bar, scambiare quattro chiacchiere di circostanza e scusarsi con i due fidanzatini e senza farsi mancare una bella dose di fretta ed agitazione nella voce, che nel pomeriggio sarebbe dovuta passare dalla propria madre e quindi visto il lungo viaggio che la aspettava, non sarebbe potuta trattenersi oltre.
Ora che aveva pianificato una via di fuga, si sentiva già più tranquilla e mentre si toglieva la cintura, rispose a Taylor con un sorriso: "non preoccuparti, capita spesso di sbagliare. Io stessa dimentico sempre i nomi e faccio come lavoro la segretaria". Accennò una breve risata e appena Alex spense il motore, uscì subito da quella macchina così bella e luccicante come un diamante, ma che in quel momento detestava a morte e voleva togliersela dalla vista al più presto.
Taylor una volta scesa dall'auto, seguì a ruota Lana e con un vivace sorriso tra le labbra piene e rese lucide da un lucidalabbra, le chiese: "ehi prima non mi hai risposto. Quindi dove vivi ora?".
Lana ebbe un irrefrenabile impulso di riempire di bugie quella ragazza che non le stava particolarmente simpatica ma con loro c'era anche Alex che in quel momento stava chiudendo la macchina e non voleva mettersi in qualche guaio con le sue stesse parole, quindi rispose mantenendo la calma: "abito a quasi tre ore da qui, a Mooney". Non aggiunse altro per evitare che Taylor aprisse altri argomenti, ma le sembrava fin troppo entusiasta per permettere alle chiacchere di fermarsi.
"Ah, mi hanno parlato bene di quella cittadina! io però sono più una tipa da metropoli". Concluse la frase con un sorriso e Lana ricambiò con uno forzato, accellerando il passo verso quel bar, ma fermandosi subito dopo per una domanda fatta da Alex: "ehi Lana, vuoi che ti metta la valigia nel baule?".
Lei si voltò verso di lui: entrambi trasudavano a pelle lo stesso sguardo scocciato, ma Lana non riusciva proprio a capire quel malumore del ragazzo giacché fin a qualche minuto prima era stato a dir poco euforico. Forse aveva già finito le sue cartucce come attore e aveva deciso di abbassare la maschera.
"No no, lasciala sotto al sedile. Tanto lo sai, qui a Woodville se qualcuno vede un portafogli a terra, te lo viene a riportare sotto casa". Accennò un minuscolo e nervoso sorriso che Alex ricambiò, rispondendole: "hai ragione, dovrebbero chiamarla Saintville".
A Lana sfuggì una brevissima risata che sembrava quasi sarcastica, quindi si avviarono tutti e tre verso il bar distante appena qualche metro dal parcheggio.
In realtà lei non avrebbe mai lasciato la propria valigia bianca incustodita in quel modo, ma il proprio piano era di filarsela il prima possibile da quell'inferno di situazione e dal momento in cu la macchina di Alex era decappottabile e scoperta in quel momento, la situazione era perfetta: avrebbe infilato il braccio sotto il sedile posteriore, senza nemmeno aprire la portiera e se la sarebbe svignata in fretta, una volta sgusciata fuori da quel bar con la scusa che aveva già elaborato nella propria mente.
Voleva solo tornare nella propria casa, nel proprio porto sicuro a crogiolarsi nella propria autocommiserazione fino a riprendere il giorno dopo, la propria inutile routine della propria inutile esistenza.

Qualche minuto dopo, Lana si ritrovava sotto agli occhi un piattino co all'interno un cornetto alla marmellata che non aveva per niente voglia di mangiare ed un caffè macchiato che di tanto in tanto sorseggiava. Di fronte a sè, invece aveva Taylor che seduta vicino ad Alex, non smetteva per un secondo di parlare.
Parlava di quanto fosse stancante il suo lavoro da modella, di quanto la infastidissero i cosiddetti scalatori sociali che volevano conoscerla solo per poter arrivare a conoscere le persone che desideravano incontrare e di quanto fosse incompetente la nuova cameriera che lasciava sempre in giro i prodotti per la pulizia dopo averli utilizzati e dei fastidiosi aloni che lasciava sugli specchi quando li puliva.
Perché non ho anche io questa tipologia di problemi?
Si ritrovò a chiedersi Lana.
Lei non odiava quella donna che a malapena conosceva, il problema era che non la voleva smettere di parlare ed aveva preso Lana per una vecchia amica di penna con la quale ti scambi di continuo lettere e finalmente vedi per la primissima volta di persona e vuoi condividere con essa ogni più piccolo dettaglio della tua vita. Forse era semplicemente molto socievole ma Lana di socializzare non ne aveva proprio voglia, soprattutto in quel momento e la infastidiva anche il fatto che alex se ne stesse in disparte di fianco a Taylor, con la mano poggiata sotto al mento mentre mangiava di tanto in tanto le sue uova strapazzate e gli occhiali da sole che coprivano il suo sguardo che a giudicare dalla posizione in cui stava e dal fatto che aveva a malapena spiccicato due parole con il cameriere per ordinare, doveva essere decisamente malinconico o pensieroso: continuava a fissare il paesaggio verdeggiante che gli offriva la finestra, ma probabilmente andava a perdersi oltre, chissà dove...
Tornò con gli occhi su Taylor che continuava a raccontarle aneddoti su quella povera cameriera colpevole persino di aver mangiato un pacco di cracker nella pausa e notò che in effetti era proprio bella: aveva una bellezza particolare, che non sarebbe di certo piaciuta a tutte le persone del mondo. I suoi occhi erano grandi e furbi, pieni di vita e di una bellissima tonalità di azzurro chiaro, sopra di essi vi erano due sopracciglia sottili e perfettamente delineate di un castano chiaro che doveva essere il suo colore naturale giacché in quel momento era bionda e portava un taglio di capelli molto corto e spettinato che metteva in luce il suo viso sottile ma dalle guance piene, il suo naso all'insù e le sue labbra piene, carnose e delicate come pesche, la sua pelle era leggermente abbronzata e risplendeva sotto i raggi del sole che filtrava dalle finestre del bar.
Ciò che Lana invidiava di quella ragazza era il fatto che era ambiziosa e stava perseguendo i suoi sogni e ciò che voleva fare nella propria vita.
Lana, invece l'unica cosa che aveva ottenuto era stata la pubblicazione della sua raccolta di poesie dopo due ani di attesa da parte della propria casa editrice. Fare la segretaria per un dentista non era certo ciò a cui ambiva nella vita e spesso si accontentava di stare a guardare nei film oppure nella vita reale, le persone che al contrario proprio, riuscivano ad ottenere ciò che volevano, spesso lottando con le unghie e con i denti.
"Allora, tu come mai sei ritornata a Woodville?". Chiese d'improvviso Taylor, accorgendosi del fatto che aveva monopolizzato la conversazione.
Si beccò subitò un occhiataccia da parte di Alex che fino a quel momento era rimasto con lo sguardo perso nel paesaggio che gli offriva la finestra accanto a lui.
"Io sono tornata a causa del decesso di mio padre. E' morto qualche mese fà e prima non me la sentivo di venire qui...". Decise di non aggiungere altro per non risultarle noiosa, inoltre Alex sembrava parecchio furente con la sua ragazza.
"Taylor, ti ho detto due volte prima di incontrare Lana, stamattina di non dire niente a riguardo".
"Dai, non è successo niente". Disse Lana accennando un sorriso, notando il tono di voce arrabbiato di Alex.
Taylor, però non era una ragazza che si lasciava mettere i piedi in testa e dopo aver posato nel piattino la propria tazza di caffè vuota, si voltò verso di lui, con gli occhi improvvisamente di ghiaccio, dicendo: "forse me ne sono dimenticata dato che non mi hai ancora spiegato delle famose figlie del direttore".
Alex si appoggiò gli occhiali da sole in testa per poter guardare Taylor negli occhi ed incrociò le braccia, sulla difensiva.
"Ti ho detto la verità, sono le figlie del direttore di DTv. Magari se rifiutavo la foto, poteva pure licenziarmi, sai?".
Taylor alzò un sopracciglio chiaro ed estrasse dalla piccola borsa appesa alla sedia, il proprio cellulare e nel vederlo, Alex sbuffò.
"Che c'è, hai visto qualche altra stronzata su internet?". Chiese lui, sarcastico.
"Sh". Rispose lei, mentre cercava qualcosa nel dispositivo e quando la trovò, puntò lo schermo del telefono ad un centimetro dagli occhi di Alex.
"Come mai su wikipedia non c'è scritto che lui abbia due figlie gemelle ma solo un maschio di trent'anni che fa il ragioniere?".
Lana vide chiaramente la faccia da poker di Alex che andava sgretolandosi lentamente come una lunga fila di tasselli da domino.
"Ma dai, su internet ci sono scritte solo stronzate!". Rispose lui alzando la voce come per intimorirla, ma lei non voleva saperne di arrendersi.
"Addirittura nel giornale dove c'era la foto con le tue fans, parlano di 'orgia sotto cocaina'. Vogliamo parlare di questo?".
Alex rivolse una rapidissima occhiata di aiuto verso Lana che spostò subito lo sguardo su Taylor con un sospiro: non voleva saperne di sporcarsi le mani andando a mettersi negli affari loro e aveva intenzione di svignarsela a breve da quel posto, dove gli abituali clienti erano concentrati, chi spudoratamente e chi più discretamente, ad ascoltare nel dettaglio il litigio tra i due.
"Perché, invece non parliano di quella volta in cui ti ho trovata a scopare in piscina con la tua migliore amica?". Ribatté Alex, facendo avvampare le gote di Taylor.
"Avevamo solo bevuto troppo e ci siamo fatte trasportare. Capita quando il tuo ragazzo cocainomane non riesce a farselo venire duro". Disse la bionda alzandosi di scatto, sbattendo una mano sul tavolo e facendo sobbalzare appena Lana che se non fosse stata in un certo senso in mezzo a quella situazione, si sarebbe fatta volentieri una risata.
"Sei tu che non sei capace di farmelo indurire". Replicò Alex, alzandosi con lei e guardandola con occhi ardenti di rabbia.
"Ah, allora un applauso alle gemelle dei cazzi di marmo!". Urlò lei, applaudendo in modo sarcastico.
"Un applauso anche a Taylor l'alcolista anonima che bacia di più una bottiglia di vodka che me!". Alex rispose con lo stesso tono di voce, applaudendo a sua volta lentamente le mani.
"Di sicuro la vodka mi eccita di più del tuo stupido programma televisivo, stronzo". Rispose a tono Taylor, che sembrava ormai decisa a continuare la sceneggiata lì nel bar.
"E di sicuro la coca mi fa godere più di te". Replicò Alex, gettando gli occhiali da sole per terra che di sicuro costavano almeno un centinaio di dollari.
"Importa solo il sesso per te, vero? Allora noleggiati una squillo e levati dal cazzo". Taylor fece un passo indietro per non inciampare nella sedia, continuando a guardare furiosa il suo uomo.
"Si che mi importa se tu mi fai aspettare un mese anche solo per sfiorarti, frigida del cazzo!". Anche Alex sembrava non voler abbassare i toni e Lana se prima aveva anche la voglia di farsi una risata, in quel momento si sentiva imbarazzata e di troppo, quindi lasciò qualche spicciolo di mancia nel proprio piattino e discretamente, cercò di defilarsi una volta alzatasi dalla sedia, sussurrando un: "d-devo andare, mi aspettano tre ore di viaggio e devo passare da mia madre...".
Taylor che era la più vicina a lei, indicò Lana ed urlò ad Alex: " sei contento? Lei deve andare via e tu continui a comportarti da stronzo!".
D'improvviso, Lana si sentì addosso lo sguardo di Alex, come se si fosse accorto solo in quel momento che lei esistesse e il proprio sguardo le implorava scuse peggio degli occhi di un cane che sa di averla fatta sul tappeto. Poi tornò a guardare Taylor.
"E' stata colpa tua che hai tirato fuori la storia delle gemelle".
"E' colpa tua che mi riempi di bugie e ormai hai il naso più lungo del cazzo!". Rispose urlando Taylor.
"Oh-oh, come se tu fossi la santarellina della situazione, ma fammi il piacere!".
"Allora sai che c'è? L'altra sera mi sono scopata Nick. Si proprio lui, il tuo amichetto di bevute!".
Alex rimase per un momento di sasso, rosso in faccia come duecento pistilli in un vulcano e nella rabbia, indicò Lana che stava cercando silenziosamente di uscire dall'ingresso che aveva quasi raggiunto.
"Hai scopato Nick? Bene, io ieri ho baciato lei".
Lana, che aveva posato in quel preciso istante la mano sulla fredda maniglia della porta del bar, sentì improvvisamente il sangue gelarsi nelle vene e le guance avvampare di rosso, piena di vergogna e imbarazzo come non lo era mai stata prima d'ora.
Ma davanti a sè aveva l'uscita: con una breve corsa prima alla macchina per recuperare il bagaglio e poi una manciata di chilometri fino all'hotel, avrebbe potuto prendere la propria macchina e non tornare mai più a Woodville.
E per una volta, scelse di agire e quindi, prima che Taylor potesse darle della poco di buono o altri mille sinonimi, aprì in fretta la porta ed iniziò a correre verso la jaguar.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9. ***


Lana correva.
Più veloce del vento, aveva già raggiunto la lussuosa auto sportiva di Alex e mentre afferrava la maniglia della propria valigia bianca, si auto-ringraziò per due cose: per non aver mai iniziato a fumare sigarette ed aver preservato i propri polmoni con qualche corsa nel parco di tanto in tanto e soprattutto di aver scelto una valigia trolley, fornita anche di due piccole ruote che avrebbero agevolato la propria corsa verso l'hotel.
Era appena riuscita ad afferrarne la maniglia che sollevò fino a poterla posare a terra tra i ciottoli che c'erano nel parcheggio ed iniziò a tirare il manico allungabile della valigia che si trascinava sulle piccole ruote, dietro di lei. Avrebbe anche potuto prendere l'autobus per arrivare prima all'hotel ma fortuna voleva che quel giorno era domenica e di autobus ne passava uno ogni tre ore se andava bene, quindi Lana aveva rimosso quella possibilità e armandosi di pazienza, iniziò a camminare a passo veloce a bordo dello stradone che l'avrebbe portata nel centro di Woodville.
Certo, appena un paio d'ore prima, al proprio risveglio, si era immaginata che la giornata fosse andata in tutt'altro modo: aveva raffigurato sè stessa in macchina, con i finestrini abbassati per metà e della musica indie dal timbro triste alla radio per continuare il proprio viaggio immersa nella malinconia e nelle occasioni perse. Una volta a casa, dopo una doccia avrebbe pianto ancora un po' per essersi lasciata sfuggire Alex e poi dopo pranzo sarebbe andata al parco, dove avrebbe chiamato sua madre che era sempre paranoica quando sapeva che Lana doveva guidare per più di un'ora. Poi magari, si sarebbe gustata una nuova raccolta di poesie che aveva comprato giorni prima e magari sarebbe passato a salutarla anche quel gatto randagio, Jimbo, con il quale andava tanto d'accordo e forse la sera, se la temperatura non fosse stata troppo fredda, avrebbe pensato di farsi un giro in spiaggia per lasciare fluire liberi i propri pensieri nelle onde del mare.
Ma quella giornata era partita in un modo molto strano e non si aspettava che finisse come lei aveva programmato da appena sveglia.
Di una cosa era convinta, dal prio momento in cui aveva rimsso piede in quel paese: tornare a Woodville era stata una pessima scelta
Le due piccole ruote della valigia producevano un rumore incredibilmente fastidioso sull'asfalto, come se stesse trascinando un carro invece di un peso di appena una decina di chili, ma Lana si mise in testa che doveva farci l'abitudine dal momento in cui le mancavano ancora la bellezza di quattro chilometri a piedi e non aveva nessuna intenzione di fare pause: era leggermente affannata ma non le importava, nemmeno una slogatura alla caviglia l'avrebbe fermata in quel momento e non aveva intenzione di lasciarsi andare alle lacrime che già pungevano fastidiose, sui propri occhi.
"Lana!".
La ragazza sussultò, riconocendo subito la voce della ragazza di Alex ed accellerando quindi il passo d'istinto, con la paura che le avrebbe potuto fare del male o che l'avrebbe offesa lungo tutto il tragitto. O magari entrambe le cose.
"Lana, fermati per favore!". Urlò la voce di Taylor in un tono supplicante e Lana, con il cuore che accellerava i battiti, decise di obbedire per non farla infuriare ancora di più, andando a sedersi su un basso muretto di cemento a bordo della grande strada asfaltata, riprendendo silenziosamente fiato e cercando di darsi un contegno nel vedere la donna ridurre velocemente la distanza tra le due.
"Ehi, finalmente ti sei decisa a fermarti". Disse Taylor affannata dopo aver annullato quasi del tutto la distanza, fermandosi a qualche metro da Lana per poter riprendere fiato.
Lana non disse nulla, rimanendo a fissare la bionda con gli occhi di un cerbiatto impaurito davanti al fucile di un cacciatore.
"E' vero ciò che ha detto Alex poco fa nel bar riguardo a voi due?". Chiese Taylor e Lana notò che non vi era alcuna traccia di aggressività o cattiveria nella sua voce.
A quel punto non aveva alcun senso mentire, tanto valeva scoprire tutte le carte, quindi si ritrovò ad annuire lentamente con la testa, abbassando lo sguardo che ricadde sulla propria valigia poggiata per terra.
"Lana, non ti ho rincorsa fin qui per insultarti o altro, puoi stare tranquilla". Sussurrò Taylor che stava ancora cercando di riprendere fiato.
Lana nel sentire quella frase, si confuse ed alzò quindi gli occhi sulla bionda che a sua volta cercava lo sguardo della ragazza.
"Allora perché sei qui?". Chiese Lana, tesa e ancora un po' spaventata.
"Volevo solo chiederti scusa per come mi sono comportata poco fà. Ormai io ed Alex sappiamo comunicare solo urlandoci addosso...".
Lana notò subito l'infelicità negli occhi azzurri della ragazza nel pronunciare quelle parole e se fosse stata una sua amica, avrebbe subito gettato le braccia attorno al suo collo per rincuorarla e farla sfogare, ma in quella situazione non sapeva come agire, quindi restò in silenzio, lasciando che Taylor continuasse il proprio monologo.
"Tutto ciò che è venuto fuori in questo litigio è vero al cento percento, purtroppo: Alex continua ad avere come priorità lo svago ed i soldi invece che preoccuparsi di me e ho l'impressione che ultimamente non si sia portato a letto solo le gemelle, ma chissà quante altre ragazze. Io invece, sono sempre attaccata alla bottiglia e quelle rare volte in cui io e Xander ci vediamo, io sono fradicia e lui sfinito da chissà quale droga. Il risultato è che finiamo sempre per litigare, a volte anche spaccando qualche bottiglia o piatto...".
"Non avevo la minima idea che tra di voi le cose stessero andando così male...". Disse Lana a bassa voce, sbirciando il volto della ragazza che le sembrava parecchio triste, afflitta da quella situazione difficile nella quale si trovava.
"Di solito mi spedisce quintali di rose rosse a casa, come se quelle dovessero essere una dimostrazione di dolcezza. Poi quando torna a casa, eccolo di nuovo arrabbiato ed ubriaco. L'ultima volta è tornato addirittura con cinque amici ed io al piano di sopra che facevo finta di dormire mentre loro trascorrevano la nottata ad urlare e ad alzare al massimo la musica".
Lana, el vedere Taylor sempre più triste, si avvicinò appena a lei e disse a bassa voce: "non so quanto possa tirarti su la notizia, ma ieri mattina quando l'ho incontrato, l'ho convinto a scriverti una lettera d'amore invece di spedirti sempre il solito mazzo di rose...". Lana sapeva bene di non esserle di aiuto, ma in quel contesto non sapeva cosa altro dire o fare per alzarle il morale, soprattutto perché Lana si sentiva tremendamente colpevole nell'aver baciato Alex, l'uomo di una donna che le sembrava così disponibile e dolce.
Taylor alzò lo sguardo sugli occhi scuri di Lana e disse, con un accenno di sorriso: "la lettera può ficcarsela nel culo per quanto mi riguarda. Ho chiuso, non voglio più stare con una persona del genere".
Sul volto di Lana comparve una smorfia di tristezza: era sempre brutto per una romantica ed emotiva come lei, vedere una relazione spezzarsi sotto ai propri occhi.
"Magari tra un paio di giorni, potreste rivedervi e parlarvi con calma... magari senza gettarvi oggetti addosso e senza droghe in giro". Lana riuscì a far sorridere appena Taylor con le ultime parole da lei disse, ma scosse appena la testa in risposta, per poi aggiungere: "abbiamo entrambi un caratteraccio, Lana. E devo dire che nei primi mesi è stato tutto perfetto. Avevamo le nostre cene romantiche, le sue serenate, la mia voglia di essere sexy per lui, la sua bellezza ed il suo carisma... Sono tutte cose che dopo qualche mese di relazione, iniziano a passare in secondo piano e noi abbiamo fatto l'errore di andare a vivere insieme dopo nemmeno due mesi di fidanzamento. Quando i nostri difetti si sono mostrati, ho capito soprattutto nell'ultimo mese, di stare con un ragazzo che non fa altro che esibire la propria ricchezza, arrivando a spendere cifre esorbitanti in una sola sera solo per sentire gli appalusi dei suoi falsi amici. Poi il suo vizio di bere che mi ha attaccato, e quella maledetta polvere bianca che lo rende spettacolare quando la sniffa e insopportabile e violento quando non ne ha. Io non voglio vivere un amore tossico, io non sono Nancy e lui non è Sid". Taylor si fermò per riprendere fiato e Lana, che aveva ascoltato le sue parole con grande attenzione, si ritrovò a chiedersi chi diavolo fosse allora quel ragazzo che la aveva accompagata al cimitero, che la aveva portata a pranzo e che poi aveva camminato con lei nei boschi.
Quante maschere indossava Alex?
Quale era, dunque la sua vera natura?
"Taylor, non so cosa dire... Mi dispiace che tra voi debba per forza finire".
La bionda alzò lo sguardo verso il cielo sereno, decorato con qualche piccola nuvola bianca e fluttuante, inspirando e poi espirando ampiamente, come se stesse lasciando scorrere tutte le emozioni negative fuori dal suo corpo magro.
"Non è la fine del mondo. Domani il sole sorgerà ancora e questa giornata sarà solo una delle tantissime pagine del passato".
Lana accennò un sorriso nel vedere quella ragazza così ottimista e coraggiosa anche qualche minuto dopo la rottura con quella che magari fino a poco prima, aveva considerato la sua anima gemella. Lana non sarebbe mai stata capace di essere così tranquilla: lei si sarebbe buttata giù di morale, avrebbe annullato la propria autostima e si sarebbe chiesta per giorni e giorni dove aveva sbagliato e se avrebbe potuto rimediare.
Invidiava così tanto la forza d'animo di Taylor.
"Sei una persona così forte, ti invidio". Ammise Lana, strappando una risata alla ragazza seduta di fianco.
"Non risolvo nulla a buttarmi giù. Io so quali siano i miei pregi ed i miei difetti e so che merito di meglio di questo". Lana le sorrise, felice di vedere la sua determinazione perseverare nelle parole che aveva appena udito.
"Ah, prima che arrivi il mio taxi, ci tengo a dirti una cosa". Disse Taylor mentre si accendeva una sigaretta che aveva sfilato da una tasca dei jeans stretti che indossava, ricevendo l'attenzione totale di Lana, la quale si spostò di lato i lunghi capelli che venivano continuamente mossi dal leggero vento primaverile.
"Innanzitutto ci tenevo molto ad incontrarti ed è stata una delle ragioni per cui ho fatto una sorpresa ad Alex, raggiungendolo a Woodville. Ogni tanto mi parlava di te e mi diceva sempre che eri una persona deliziosa e gentile. Soprattutto sensibile ed io adoro le persone sentimentali. Tu dal poco che ho visto, hai un modo tutto tuo di reagire, ma resti sempre adorabile anche quando in auto fingevi di prestarmi attenzione". Taylor le sorrise e fece un tiro dalla sigaretta, mentre Lana potè sentire chiaramente le proprie guance diventare rosse.
"Ehi, guarda che non è una critica. Io mi sono comportata malissimo per via della situazione con Alex, ma ora che abbiamo avuto modo di parlare, ti va di scambiarci i numeri?".
Lana sentì inspiegabilmente, una fitta allo stomaco e si morse il labbro inferiore mentre guardava di sottecchi la ragazza accanto a sè.
"Vuoi il mio numero di telefono anche se ho baciato quello che fino a poco fà era il tuo ragazzo?". Chiese con la voce tremolante. Era così facile per lei commuoversi, le bastava che qualcuno le mostrasse anche solo un briciolo di affetto quando non credeva di meritarselo e sentiva subito gli occhi inumidirsi e la gola restringersi.
Taylor rise mentre fumava la sigaretta e rispose a Lana mentre con l'altra mano tirava fuori il telefono dalla grande borsa rossa e aperta che teneva sulla spalla.
"Lana, andiamo. Mi è bastato conoscerti per i primi dieci minuti per capire che non hai baciato Alex con l'intenzione di portartelo a letto. E poi sinceramente, non mi importa. Ciò che mi faceva innervosire era il fatto che lui non ammettesse certe cose anche quando era palese che mi stesse raccontando menzogne".
Lana tirò un piccolo sospiro di sollievo e non potè fare a meno di sorridere a Taylor, che aveva completamente rivalutato in una manciata di minuti che aveva passato da sola con lei.
Dopo essersi scambiate i numeri, Taylor lanciò a terra la sigaretta nel vedere arrivare il taxi giallo e dopo aver abbracciato con affetto Lana, disse: "torna al parcheggio, Lana. Xander ti deve delle scuse e devi dirgli che dopodomani passo a prendere le mie cose a casa sua".
Lana annuì, senza avere il tempo per contestare e salutò la ragazza che dopo essere salita sul taxi, svanì dalla strada fino a diventare una piccola macchiolina gialla, in pochi secondi.

Mentre Lana riprendeva la propria valigia che iniziò a trascinarsi dietro verso il bar che aveva abbandonato di corsa appena mezz'ora prima, continuava a dmandarsi perché Alex avesse trattato così male una ragazza come Taylor che dopo aver conosciuto meglio, Lana reputava una persona caparbia, vivvace e coraggiosa.
Lei stessa si era resa conto di aver commesso un terribile errore nel farsi trasportare da sentimenti negativi quali invidia e rabbia che avevano offuscato il proprio giudizio che se dapprima si era dimostrato negativo, ora invece si era rivelato piuttosto positivo. Non si sarebbe perdonata facilmente quello sbaglio, anzi dopo quella chiacchierata con Taylor che le aveva infuso una sorta di ottimismo, aveva intenzione di automigliorarsi e di non lasciare di nuovo che i propri sentimenti avrebbero contrastato nuovamente il proprio metro personale di giudizio.
Era stato incredibilmente scortese da parte sua, starsene a giudicare una persona che non aveva mai conosciuto in vita sua e solo in quel momento se ne rendeva conto; avrebbe voluto tornare indietro e comunicare di più con quella ragazza così spigliata, ma ora che aveva il suo numero, ci sarebbero state di certo altre occasioni.
Nel vedere il bar in lontananza, però Lana sentì nuovamente una stretta allo stomaco: non voleva tornare lì dentro, non dopo quella scenata; era sicura del fatto che si sarebbe sentita addosso gli occhi di ogni singolo pettegolo di Woodville ed era già un miracolo se la notizia di quella scenata non si fosse già sparsa in tutto il paesino. Di sicuro le anziane del posto fremevano dalla voglia di sentire nuovi pettegolezzi, qualcosa di succulento e rovente su cui discutere, ma non era questo a preoccupare Lana dal momento in cui non sarebbe tornata in quel posto per un bel po' di tempo, nemmeno sotto tortura.
Ciò che non voleva affrontare, erano gli sguardi accusatori dei camerieri, del barista, della gente che era lì dentro...
Fortunatamente, però vide che la jaguar nera era ancora parcheggiata nello stesso posto del piccolo parcheggio ed al suo interno poteva scorgervi Alex, il quale sembrava intento a cercare qualcosa nei sedili posteriori.
"La valigia ce l'ho io". Disse Lana a pochi passi dall'auto, capendo al volo cosa Alex stesse cercando.
Lui, con i capelli spettinati e gli occhi coperti dagli occhiali da sole, non appena sentì la voce di Lana, saltò giù dall'auto, scavalcando una delle basse portiere e le andò incontro.
"Lana, dove eri finita?".
"E' questo ciò che hai da chiedere dopo quello che hai detto nel bar?". Disse lei, con voce indifferente, avviandosi verso la macchina ed andando poi ad aprire il posto del passeggero accanto a quello del conducente.
Come se non l'avesse sentita, Alex chiese: "Taylor dove è finita?".
Lana sbuffò mentre metteva la propria valigia su un sedile posteriore e dopo che si fù seduta, sospirò.
"Chiedimi scusa e avrai le tue risposte".
"Scusa per cosa?". Chiese lui, avvicinandosi alla vettura ed inarcando un sopracciglio scuro.
Lana guardò Alex scocciata, poi disse: "per favore, portami al parcheggio del motel. Voglio andare a casa". Vedendo Alex entrare al posto di guida, Lana si voltò con la testa dall'altra parte ma non potè evitare la sua ennesima domanda e sbuffò nel ricordarsi che aveva lasciato le cuffie a casa.
"Ti dispiacerebbe darmi delle risposte?". Chiese lui, pressante mentre metteva in moto la macchina.
"Tutto ciò che ho da dirti è che Taylor verrà dopodomani a casa tua a riprendersi le sue cose. Immagino tu debba evaporare quando sarà lì". Il tono di voce di Lana andava facendosi via via più acido e non poteva fare a meno di essere odiosa con lui: quel mattino si era presentato sotto al motel con la sua ragazza senza darle la benchè minima spiegazione, la aveva trascinata in una situazione che la aveva messa a disagio e per di più si era vergognata da morire quando loro due si erano messi a litigare come matti nel bar, costringendola a fuggire da lì dopo la rivelazione del bacio tra lei ed Alex.
"Le farò trovare le sue cose fuori dalla porta". Disse lui con cattiveria, mentre iniziava a guidare.
"Che gentiluomo". Commentò sarcastica Lana, che non spostava gli occhi dal paesaggio nemmeno per sbaglio.
"Se l'è cercata quella stronza". Continuò Alex, guidando sullo stradone.
"Certamente". Continuò Lana con il proprio sarcasmo.
"Tu che c'entri con lei?". Chiese Alex, voltandosi verso la ragazza dopo essersi dovuto fermare davanti ad un semaforo rosso.
"Io non c'entro niente". Sbottò Lana, voltandosi a guardare Al. "Ma guarda caso, mi hai messa in mezzo ai tuoi casini e non posso ricevere nemmeno delle cazzo di scuse". Era molto raro che Lana dicesse delle parolacce, anche se si tratta delle più semplici che si sentono tutti i giorni e bastò quel tono di voce decisamente arrabbiato per azzittire Alex e riportare il suo sguardo alla guida.
Lana, che in quel momento si aspettava finalmente le sue scuse, rimase delusa dal suo comportamento e tornò a guardare il paesaggio.
Una volta nel parcheggio del motel, Lana si sentì già meglio nel vedere la sua auto: un vecchio modello di Ford color rosso cremisi, ma tenuta bene e funzionante sebbene dentro non regnasse sempre l'ordine, ma d'altronde era la sua e poteva tenerla come desiderava.
La ragazza stava per aprire lo sportello basso per poter scendere ma sentì all'improvviso una stretta sul polso: si trattava della mano di Alex e Lana alzò i propri occhi colmi di indignazione a fissare i suoi che a malapena si intravedevano sotto agli scuri occhiali da sole.
"Aspetta un momento". Disse lui, con voce seria.
"Non posso andare da nessuna parte". Commentò Lana, mantenendo un tono di voce sarcastico.
"Scusa". Disse semplicemente lui, togliendosi gli occhiali da sole per potersi far guardare negli occhi: era di nuovo quello sguardo da cane bastonato, quello a cui quasi nessuno poteva resistere, soprattutto Lana.
Ma non si sarebbe lasciata soggiogare da essi, non in quel momento.
Strattonò quindi il proprio braccio, liberandosi dalla sua presa e scese in fretta dalla macchina sportiva, sbattendo forte la portiera.
"Ti ho chiesto scusa!". Disse Alex, colpito nel segno nel vedere Lana reagire in quel modo e scendendo poi in fretta dalla macchina.
"Potevi dirlo prima di afferrarmi il polso". Disse Lana mentre si dirigeva alla propria auto e in concomitanza, con una mano frugava nella borsa alla ricerca delle chiavi.
"Allora scusami anche per il polso!". Continuò Alex, seguendo Lana in ogni suo più piccolo movimento. Quando lei si fermò di colpo davanti alla propria auto, per poco lui non andò a sbattere contro la sua schiena.
Finalmente Lana riuscì a trovare le chiavi nella borsa, ma nel tirarle fuori, caddero per terra e sbuffò, voltandosi poi verso Alex, furente.
"Sai chi meriterebbe davvero delle scuse? Taylor. L'hai trattata malissimo, ti sei preso gioco di lei che non desiderava altro che vivere una storia d'amore con te, mentre tu lurido egoista che non sei altro, pensavi solo ai tuoi soldi ed alle tue cazzo di droghe!". Lana pungolava il petto di Alex con il dito indice e non smetteva per un secondo di guardarlo con disprezzo mentre continuava la sua sfuriata: "tu che hai fatto per renderla felice mentre te la spassavi con le gemelle? Le mandavi un mazzo di rose ogni giorno? Oh, che carino. Ma le rose non servono a nulla se poi lei dorme da sola e tu sei chissà dove a tirare cocaina dai seni di qualche showgirl da quattro soldi!".
Alex era sconcertato da tutta quella rabbia che stava tirando fuori Lana ed aveva gli occhi spalancati, senza sapere cosa dire o fare per difendersi.
"Hai distrutto una relazione che sarebbe potuta durare tanti altri anni! E poi perché cazzo hai lasciato che io ieri ti baciassi? Avresti dovuto mandarmi al diavolo invece di rincorrermi. Avresti dovuto essere con Taylor...". Lana sentiva chiaramente le lacrime iniziare a pizzicarle gli occhi, pronte a spegnere l'incendio che ardeva nei propri occhi.
"Datti una calmata, Lana. Non sono cazzi che ti riguardano". Disse serio Alex, facendo un passo indietro nel vedere la ragazza sempre più vicina al punto di rottura.
Lei alzò nuovamente gli occhi sui suoi e disse con ritrovata fermezza: "certo, la tua relazione andata a puttane non è certo affar mio. Ma sai cosa ho potuto vedere nell'arco di questi tre giorni? Che sei cambiato parecchio ed in peggio. La tua bella jaguar ed il tuo aspetto fisico da rockstar ti fanno sentire invincibile, vero? Ma cosa resta di te se sei messo a nudo, senza i tuoi lussi ed i tuoi sfarzi ad renderti bello? Te lo dico io, di te resta solo il corpicino di un verme che non è capace di guardare oltre sè stesso, pieno di vizi e che manda a puttane le cose belle che gli offre la vita".
Alex si era decisamente ammutolito, come se le parole di Lana gli stessero strappando via i vetiti di dosso, scoprendolo per ciò che era: un inutile e semplice rifiuto della società che poteva permettersi di vivere bene grazie allo squallore del suo programma tv che lo aveva reso celebre, ma senza di esso non era nulla, solo un miserabile con troppi vizi e la voglia di autodistruggersi.
"Io non mi sarei aspettata mai nella vita di reincontrarti, ma l'immagine che mi ero fatta di te nella testa, è di gran lunga superiore a ciò che mi hai dimostrato di essere nell'arco di poco tempo. Mi hai fatto perdere anche la voglia di cercarti nel volto di qualcun' altro. Che senso ha se poi sarà una delusione?".
Lana si chinò a raccogliere le chiavi che le erano cadute per terra poco prima e sospirò, sentendo una lacrima rigarle il volto. Proprio mentre stava per aprire la portiera, però fu costretta a voltarsi nel sentire Alex parlare.
"Quindi anche al cimitero, anche nel ristorante e nel bosco ti ho dato questa impressione? Ti sei sentita male nello starmi vicino ieri? Eri ansiosa di andatene quando ti ho presa per mano? Hai avuto conati di vomito dopo esserci baciati?".
Lana strinse forte le proprie labbra nel sentire la voce commossa di Alex che andava a punzecchiare il proprio tenero cuore e guardò con esasperazione gli occhi caldi del ragazzo.
"No, Alex. In quelle occasioni sei stato il ragazzo che ogni tanto riappare nei miei sogni. Sei stato tutto ciò che eri anche a diciassette anni e infatti quando ti ho baciato, mi ero addirittura dimenticata del mondo esterno, del fatto che tu avessi una relazione. Ieri è stato forse uno dei giorni più belli della mia vita, ma non so più distinguere quanto sia vero ciò che ho visto ieri e ciò che ho visto oggi".
Alex, all'inizio sembrò confuso dalle parole di Lana, ma ci misero poco a fare chiarezza nel suo cervello e disse, allungando una mano verso di lei.
"Vuoi vedere il vero Alex? Vieni con me".
I suoi occhi sembravano sinceri e senza secodi fini, perciò Lana provò a fidarsi ancora di quel ragazzo, stringendo la sua mano.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10. ***


Lana si era completamente dimenticata dell'esistenza del vecchio ponte di Woodville.
Molti anni addietro, a seguito di una frana, il vecchio ponte di legno era diventato inagibile ma ai tempi esisteva già l'autostrada che permetteva ai paesani di andare in città, quindi quel ponte era stato dimenticato da praticamente chiunque dal momento in cui non aveva più uno scopo da ormai troppi anni, ma non era stato dimenticato da Alex il quale aveva portato Lana proprio davanti ad esso: nonostante fosse chiaro che quel piccolo ponte di legno avesse ormai una certa età dal colore scuro che avevano assunto le assi, rimaneva comunque bellissimo, tanto da incantare la ragazza.
La flora circostante in tutti quegli anni, era cresciuta senza sosta e concedeva a quel ponte uno strano fascino, come se fosse in qualche modo fatato: sotto di esso vi era quello che sembrava uno stagno ed agli estremi opposti di esso, si ergevano due grossi salici, dei quali le chiome ricadevano nello specchio d'acqua decorato da numerosi fiori marini, di un delicato rosa che andava dal pastello fino a diventare più acceso dove l'acqua si faceva più profonda. Le rane non attendevano nel farsi sentire e lo stesso valeva per il resto della fauna intorno: proprio dietro al ponte, dove fiiva lo stagno, si poteva ammirare un bellissimo e piccolo bosco composto da olmi, aceri e qualche pioppo, maestosi e splendenti dove i raggi del sole riuscivano ad accarezzarli. Era possibile vedere tantissime specie di volatili variopinti, che andavano dai fagiani, tordi e picchi di diversi colori e chissà quante altre numerose specie alle quali Lana non sapeva dare un nome preciso ma che erano più che sufficienti per incantarla.
Si strinse appea nella propria giacca di jeans mentre si avvicinavano al ponte di legno: data la presenza dello stagno in quella piccola pianura dimenticata da dio, l'aria era più umida rispetto a quella del centro del paese ma a lei non importava perché per stare in un luogo del genere, valeva certamente la pena stare al fresco.
Lei dopo essere salita sul ponticello costruito a forma di mezzaluna, si sedette in una estremità, facendo attenzione che le vecchie assi di legno potessero ancora sorreggere una cinquantina di chili.
"Come mai siamo qui?". Chiese poi Lana, senza alcuna traccia di acidità o cattiveria nella voce: quel luogo era stato capace in un brevissimo lasso di tempo, di trasmetterle una strana pace interiore che aveva intenzione di godersi.
Alex sostava di fianco a lei, appoggiato coi fianchi alla ringhiera di legno del ponte e dopo essersi tolto gli occhiali da sole che si infilò nella maglietta che portava sotto alla giacca nera e lucida, disse: "siamo qui per vedere il vero Alex, no?". Disse lui a bassa voce, anch'esso senza alcuna sfumatura di ostilità nella voce.
"Sai, venivo spesso qui da ragazzo, quando i miei genitori litigavano. La mia famiglia non era pacifica come la tua: da me c'era guerra quasi ogni sera ed io pur di cercare di far riappacificare i miei, ricordo che fingevo di scappare via, venendo a rintanarmi qui".
Lana ascoltava Alex con attenzione, curiosa di sapere dove sarebbe arrivato con quel discorso che aveva iniziato.
"Da ragazzino avevo la convinzione che, anche se i miei genitori si detestassero a vicenda, scappando di casa avrei potuto far riscoprire loro il piacere di fare squadra, di essere uniti sotto un unico scopo e magari riscoprire i sentimenti che tanti anni prima li avevano uniti nel matrimonio".
Lana fece una piccola smorfia: non aveva mai avuto la minima idea, da piccola che Alex avesse dovuto passare una situazione del genere.
"Avevi un cuore grande". Commentò Lana in un sussurro, lasciando poi che Alexander continuasse il proprio viaggio nel passato che aveva deciso di condividere con lei.
"Hai detto bene. Lo avevo. Ricordo di aver provato almeno fino al compimento dei miei diciott'anni a far riconciliare in qualche modo i miei genitori che non facevano altro che pestarsi i piedi a vicenda. Addirittura un gioro, mia madre stanca di avermi attorno, mi disse che era a causa mia se lei era costretta a stare con mio padre e ciò mi ferì al punto da scegliere di mettere da parte i sentimentalismi e pensare ad un modo per fare soldi ed andarmene da casa".
Alex sospirò, sendendosi accanto a Lana, a qualche centimetro di distanza. La ragazza poteva vedere chiaramente la fatica che stava facendo nel tirare fuori quei ricordi tumultuosi e silenziosamente, gliene era grata.
"Mio padre, invece è sempre stato espressivo come un sasso nei miei confronti. Più cercavo di aprirmi a lui, anche solo per raccontargli come era andata la mia giornata, più lui si chiudeva a guscio, rispondendomi solo a monosillabi. Solo da ubriaco era capace di farsi una risata ed io ero stanco di cercare affetto dove evidentemente non ne avrei mai ricevuto se non in piccolissime dosi nelle festività. Per non parlare del fatto che, una volta maggiorenne, iniziarono a farmi pesare anche il fatto che dovevano pagarmi cibo, cure ed un tetto sulla testa. Così decisi di andarmene a Dartmoor che dista cinque ore da qui. Volevo stare il più lontano possibile da loro, ma anche se mi ero trasferito così lontano appositamente, loro non si degnavano nemmeno di chiamarmi e spesso dovevo ricordare io loro della mia esistenza".
Alex posò lo sguardo sulle proprie scarpe, con rassegnazione, poi scattò qualcosa in lui e volse lo sguardo al cielo, inspirando l'aria pulita che gli donava quel posto.
"Come mai hanno tutta questa indifferenza e severità nei confronti del loro unico figlio?". Chiese Lana mantenendo la voce bassa. In un primo momento fu tentata ad avvicinarsi appena ad Alex, ma restò ferma, rendendosi conto del fatto che a lui non serviva affatto una spalla su cui piangere o cose simili.
Lui nell'udire quella domanda, portò gli occhi sulle scarpe di Lana: "chi lo sa. Preferisco pensare che siano stati così freddi ed indifferenti con me perché volevano che io diventassi autosufficiente e spiccassi il volo. Le altre soluzioni sulle quali ho riflettuto mi deprimono troppo e preferisco pensare a questa soluzione, anche se si tratta di una illusione".
Lana, in risposta sospirò, sperando con tutto il cuore che si fosse trattato davvero di ciò a cui aveva pensato Alex in tutto quel tempo.
"Quando sono arrivato a Dartmoor, ho iniziato a seguire dei corsi di recitazione all'uiversità che ho poi abbandonato al secondo anno. Mi ero reso conto del fatto che non mi serviva per farmi strada perché dalla mia parte avevo già il mio potenziale per entrare nel mondo dello spettacolo, ovvero fascino e carisma. E lo so, ti sembrerò un presuntuoso, ma non ci vedo nulla di male nel conoscere le proprie qualità".
Lana accennò un debole sorriso e senza riuscire a levargli gli occhi di dosso, disse: "io non ho detto nulla. Anzi, vorrei avere anche io questo tuo pregio, non sai quanto".
Alex abbozzò un sorriso e restando in disparte, le rispose: hai solo bisogno di persone che ti mettano alla prova e che ti facciano capire quanto tu valga davvero".
Lana abbassò lo sguardo, sospirando. "Spero di non incontrare queste persone quando ormai sarò vecchia e decrepita".
"Ehi, non è mai troppo tardi per iniziare ad amare sè stessi". Rispose subito Alex, al quale dispiaceva vedere la ragazza così abbattuta.
Lei si voltò verso di lui e dandogli un piccolo colpo sulla spalla, disse: "dai, continua. Stavi narrando la tua storia".
Lui sorrise a quella spinta, felice del fatto che poco alla volta si stesse ristabilendo una leggera sintonia tra loro e prese un enorme respiro.
"A Dartmoor, non riuscendo ad ottenere visibilità, mi trovai qualche lavoretto come monta palchi, addetto al montaggio delle luci, schiavo personale di attori e registi... Le provavo di tutte pur di farmi notare e finalmente a vent'anni, un manager sottopagato decise di darmi una possibilità, facendomi fare piccole comparse in alcuni film fino ad apparire negli spot pubblicitari in tv. A ventiquattro anni ero controllato dai miei direttori: dovevo portare vestiti di una certa marca, sponsorizzare un marchio preciso e addirittura avere una ragazza fantasma che in pratica vedevo solo negli eventi pubblici. In tutto questo erano passati almeno sei anni ed io e i miei genitori ci eravamo visti solo per le feste. Naturalmente, anche in quelle rare occasioni, non mancavano di farmi sapere con poco tatto che a loro non piaceva affatto la mia ambizione e che forse era il caso di smetterla di fare il 'pagliaccio' in televisione".
Alex riprese fiato e si sdraiò per terra, sulla superficie semi ovale del ponte di legno, con le mani dietro la nuca e gli occhi rivolti verso il cielo sereno.
"Degli anni a venire fino ad ora, non c'è molto che mi venga in mente da raccontare: sono diventato dipendente dalla cocaina, mi sono trasferito ad Iron Valley, lavoro per uno show televisivo ed ho avuto una cosa come venti relazioni. Non ricordo se Taylor fosse la ventesima o la ventunesima". Fece una smorfia, come se non gli importasse molto di sapere quella informazione e Lana disse: "hai avuto una vita piuttosto movimentata".
"Ho sempre un pensiero fisso in testa: "stare fermi è molto peggio di correre e rischiare di farsi male".
Lana sentì un brivido correrle lungo la schiena nel sentirlo pronunciare quella frase e si strinse di nuovo nella giacca in denim, sospirando malinconica.
"Io sono campionessa nello stare ferma a guardare le occasioni ballarmi davanti per poi svanire nel nulla".
Alex roteò gli occhi sui suoi. "Prima o poi troverai il coraggio di liberarti dalle catene immaginarie che credi di avere. Una volta che avrai spiccato il volo, la vista dall'alto sarà così bella da dimenticarti di chi ti dirà che avresti potuto prendere un'altra scelta o aspettare la prossima occasione".
Lana si sentì toccare nel profondo da quelle parole. Sentiva di nuovo quella strana sintonia che legava i due e decise di sdraiarsi accanto al ragazzo, anch'essa con gli occhi puntati sulle nuvole ed il cielo azzurro pastello.
"Come ci si sente a stare lassù?". Chiese, indicando appena con il mento il cielo illuminato dal sole.
Alex rispose, rilassato e con un mezzo sorriso tra le labbra: "hai la sensazione che tutti ti stiano ad osservarare, in attesa che tu faccia quella mossa sbagliata che ti farà capitombolare giù, sulla crudele terra. Ma la verità è che basta saper stare per bene in equilibrio, senza lasciarsi distrarre dagli sguardi cattivi ed invidiosi di quelli che non ce l'hanno fatta, tenendo sempre ben in mente il tuo obbiettivo. Nessuno sarà in grado di fermarti se tu sarai la prima a crederti invincibile".
Quelle parole erano di grande ispirazione per Lana, la quale aveva una improvvisa voglia di mettersi in gioco, di prendersi finalmente ciò che le spettava.
Vedendo con la coda dell'occhio Alex stiracchiare le braccia, ne approfittò subito per unire la propria mano con la sua, tiepida e sottile.
Il proprio sguardo si incrociò con il suo e Lana seppe immediatamente cosa dire e cosa fare.
"Ora voglio spiccare il volo". Sussurrò, facendo nascere un sorriso tra le labbra di Alex che con la mano libera, andò ad accarezzare il viso della dolce Lana.
"Ti insegnerò io a volare". Disse in risposta Alex.
Entrambi avvicinarono le loro labbra ed iniziarono a baciarsi, sdraiati su quel vecchio ponte che inspiegabilmente, aveva fatto ritrovare loro ciò che avevano lasciato in sospeso tempo prima.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11. ***


"E' strano come il momento prima tu mi faccia desiderare di darti un pugno faccia mentre il momento dopo tu sia capace di attirare le mie labbra alle tue come fossero due calamite di poli opposti": Disse Lana ridendo. Si trovavano ancora in quel posto dimenticato da tutti, ma che risplendeva di una bellezza propria, naturale e rilassante anche solo alla vista. Alexander e Lana si erano messi a sedere vicino allo stagno per poter osservare la vita che vi era in quest'ultimo: entrambi erano rilassati, sciolti completamente da ogni tipo di tensione che avevano avuto in corpo un'ora prima e le loro mani si tenevano delicatamente strette tra i verdi fili d'erba che ricoprivano la terra di quel posto. "Che tu lo voglia ammettere o no, abbiamo sempre avuto una sorta di sintonia, una frequenza radio dove le nostre menti vanno a sincronizzarsi di tanto in tanto". Rispose lui dopo essersi lasciato andare ad una breve risata e si voltò poi con il viso a guardare quella ragazza, la quale a sua volta guardava quello stagno che si rifletteva nei suoi occhi scuri e pieni di calore umano: come aveva fatto in tutti quegli anni a dimenticarsi di un volto così paradisiaco? Come aveva fatto ad avere tante, troppe relazioni alla ricerca del piacere delle carni facile e scontato quando solo poter guardare quel viso scolpito dagli angeli gli dava una emozione così intensa? Sapeva bene che Lana non poteva essere considerata da ogni singola persona al mondo come l'essere umano dalla bellezza quasi divina, ma per lui, lei rappresentava tutto ciò che aveva sempre, inconsciamente cercato nel volto delle altre ragazze: i suoi bellissimi capelli splendenti scendevano, leggermente mossi qausi fino a metà della sua schiena, resi ancor più luminosi dai vacui raggi di sole che li accarezzavano ed il suo viso tondo, con il mento e le labbra appena pronunciati, sembravano una visione paradisiaca ai suoi occhi. E non voleva nemmeno provare a posare lo sguardo sul suo corpo perché a quel punto sarebbe stato completamente una vittima del suo incantesimo non voluto. "Forse hai ragione. In effetti anche quando da ragazzini litigavamo in quelle rarissime volte, riuscivamo sempre a trovare la nostra personale frequenza sulla quale ci sintonizzavamo per parlare e scordarci completamente del litigio". Rispose lei, spostandosi una ciocca di capelli dietro ad un orecchio e voltò poi il viso verso qello di Alex nel sentirsi osservata da lui, il quale nell'incrociare i suoi occhi, strinse d'istinto la sua mano semi nascosta dall'erba verde brillante. "Vieni con me". Disse d'improvviso Alex, completamente ipnotizzato dagli occhi di Lana. Lei non potè fare a meno di sorridere ed accarezzò dolcemente, con la mano libera, il volto magro e pallido del ragazzo. "Dove vuoi andare?". Chiese con voce morbida. "Voglio portarti ad Iron Valley". Disse lui, sempre più convinto. Lana si sentì in un primo momento lusingata, ma subito alcuni dubbi non persero tempo ad assalire la propria mente. "Ma... Non intendi per sempre, vero? Tra due giorni devo tornare a lavoro...". Alex sorrise nel vederla così dubbiosa, come era la sua natura e disse: "mi accontenterò di due giorni, ma voglio passare altro tempo con te. Voglio essere sicuro di vederti domani mattina al mio risveglio e l'unico modo che ho è quello di rapirti". Accennò una risata a metà che Lana non potè fare a meno di ricambiare. "Per me va più che bene. Avrei certamente passato i due giorni restanti di libertà ad annoiarmi a Mooney, magari facendo qualcosa che non mi avrebbe ricordato di avere una vita priva di stimoli". Lana accennò un timido sorriso che nascondeva un sentimento di tristezza. "Sul serio puoi venire? Quindi ti stai fidando di me?". Chiese Alex, con gli occhi colmi di entusiasmo: stava già immaginando a come sarebbe stato avere altri due giorni a disposizione con Lana e fremeva dalla voglia di farle vedere quella grande città. "Beh, non mi sembra che tu sia diventato un maniaco o cose del genere col passare di questi dieci anni... O almeno spero". Disse le ultime parole con un tono di voce ironico che Alex carpì subito, lasciandosi andare ad una breve risata. "Non sono assolutamente un maniaco o uno psicopatico e non ho nessun disturbo bipolare per quanto ne so". Rispose lui, continuando a tenere la mano della ragazza stretta alla propria, come se avesse paura che lei potesse sparire da un momento all'altro. "Magari in questi due giorni riuscirò io a farti venire un disturbo". Disse Lana divertita, incrociando le gambe per terra per stare più comoda da seduta. "Tu potresti solo suscitare solo cose positive nelle persone, miss". Sussurrò Alex e notò subito che era riuscito ancora una volta nell'intento di far arrossire Lana che non poté fare a meno di sfiorare le sue labbra calde con le proprie per qualche secondo. "Riesci a far arrossire molte ragazze con questi complimenti spudorati?". Chiese lei senza smettere di sorridere, sfiorandosi una delle guance accaldate. "A dire il vero, non ci provo nemmeno di solito. Dato il mio aspetto ed il mio stile, le donne tendono a stereotiparmi, credendo che io sia il solito bello e dannato che parla poco e tratta male le ragazze, quindi solitamente mi attengo al personaggio che loro stesse si impongono nella mente. Io non devo nemmeno sforzarmi di essere me stesso". Disse serio Alex, ma senza vantarsi: si sentiva a suo agio con Lana e le avrebbe parlato di qualsiasi cosa gli sarebbe venuta in mente senza vergognarsi. Lei restò per qualche secondo a riflettere, rispondendo poi: "wow, le donne che spesso si lamentano di non avere pari diritti degli uomini, sono proprio le prime ad essere maschiliste secondo ciò che mi hai appena detto. Ma se poi ti attieni al tuo personaggio, immagino che le relazioni non vadano a finire bene". Alex annuì. "Esatto. Perché poi vorrebbero che io mi trasformassi un giorno in agnellino e un altro giorno in un leone e il giorno dopo in chissà cosa in base al loro umore. E' per questo che preferisco mille volte te ad una di loro, perché tu sei capace di vedere oltre a ciò che ti mostra una persona di primo impatto e non ti fermi alle apparenze": "Beh, questa mia 'dote' a volte mi ha portato dei guai". Rispose Lana, facendo una smorfia. "Ma adesso sei qui, no? E scommetto quello che vuoi che hai ricevuto mille volte più soddisfazione nel cercare di conoscere meglio le persone invece di fermarti a degli schemi prefissati, no?". "Si, io sono felice di non etichettare nessuno e devo ammettere che ho avuto molti bei momenti con persone che non conoscevo e che in una sera hanno aperto il loro cuore a me, ma il mio difetto è che spesso vado a cercare di immettermi nella specifica situazione raccontatami e finisco per starci molto male per le esperienze negative vissute da altre persone". Alex, ovviamente era restato imbambolato ad ascoltare Lana e si ritrovò d'accordo con lei. "Hai ragione ed avrei una cosa da chiederti". "Dimmi pure". Disse Lana con un sorriso, ansiosa di ascoltare la sua domanda. "Tu preferisci le esperienze narrate dalle bocche di altre persone o preferiresti vivere quelle esperienze sulla tua pelle?". Lana sospirò e fece una breve smorfia: "mi sono fatta spesso questa domanda e la risposta che mi sento di darti è che se prima volevo fermarmi a vivere solo le esperienze positive che mi sentivo narrare, ora invece non mi dispiacerebbe nemmeno vivere una serata andata male o un periodo particolarmente nero. Semplicemente perché è molto meglio vivere le esperienze sulla propria pelle invece che sentirsele raccontare". Lana accennò un sorriso nel terminare la frase e Alex sentì il cuore accellerare i battiti: più parlava con lei e più sentiva di appartenerle in qualche modo, di essere legato con un filo invisibile al suo perché erano in sintonia su ogni cosa. "Anche io penso la stessa cosa". Rispose, per poi rubare un piccolo bacio alla ragazza. Lana accarezzò il suo viso mentre ricambiava il suo bacio e sentì chiaramente nel proprio cuore che stava perdendo nuovamente la testa per lui. Ancora una volta, la chimica tra loro anche a distanza di dieci anni non sembrava cambiata. Ancora una volta, erano semplicemente loro due e in quel momento, nel mondo non esisteva forza che potesse separarli. Dal momento in cui Lana aveva scelto di passare due giorni ad Iron Valley con Alex, si trovava in quell'istante sulla sua jaguar nera e luccicante, a godersi il vento che con il tettuccio abbassato, arrivava da tutte le direzioni: essendo aprile, si trattava di un vento piacevole, fresco e frizzante al punto giusto per poter essere apprezzato. Guardava scorrere rapidamente il paesaggio attraverso i propri occhi mentre la radio accesa sparava ad alto volume un cd di canzoni di rock classico come i Led Zeppelin ed i The Doors; i boschi ed il paesaggio verdeggiante andavano via via diminuendo, lasciando più spazio alle larghe strade asfaltate, ai semafori ed alle rotonde. Ovviamente era Alexander a guidare, ormai da due ore ed il suo modo di guidare, sebbene non fosse lento, era veloce al punto giusto da rendere a Lana il viaggio godibile senza doversi preoccupare di andare a sbattere da qualche parte o di cadere all'improvviso in un fossato. Alex ci sapeva fare con la guida e sebbene avesse di nuovo indosso gli occhiali da sole, Lana poteva notare che sul suo volto vigeva una espressione rilassata e serena. Era da almeno una ventina di minuti in cui nessuno dei due non apriva bocca e non perché mancassero gli argomenti di cui parlare, ma semplicemente perché entrambi volevano godersi assieme la musica ad alto volume e il vento accarezzare i loro volti illuminati dal sole delle quattro del pomeriggio. Lana non era affatto preoccupata nel trovarsi in macchina con lui: per una volta stava bene e si sentiva a proprio agio. Era a conoscenza del fatto che doveva sapere ancora molte cose del ragazzo che le stava accanto, ma lui aveva cercato in tutti i modi di farle acquistare fiducia nei suoi confronti e Lana non vedeva motivo per il quale allarmarsi. Oltretutto, anche la ragazza nel profondo, desiderava passare altro tempo con lui e per una volta non si sarebbe lasciata sfuggire l'ennesima occasione che le si presentava davanti, anzi per una sola volta si era imposta che nell'arco di quei due giorni, avrebbe fatto ciò che si sarebbe sentita di fare, senza restrizioni. "Ancora una manciata di minuti e potrai finalmente ammirare l'inquinamento della mia città". Disse Alex ridendo, mentre portava le dita sulla manopola del volume della radio che abbassò quel tanto da permettere a loro due di avere una conversazione senza dover urlare. "Non vedo l'ora di poter inspirare un po' di puro e semplice smog". Disse Lana, accennando una risata che condivise con il guidatore. "Tu non eri mai stata ad Iron Valley?". Chiese Alex, posando per un secondo gli occhi sul viso di Lana che teneva gli occhi sulla strada dritta di fronte a sè, mentre si sistemava i capelli dietro alle orecchie che venivao continuamente scompigliati dal vento. "Ci ero stata in gita con la mia famiglia quando ero ancora piccola, ma non ricordo assolutamente nulla". Disse lei, raggiante. "Bene, così spetta a me l'onore di farti fare un giro turistico". Disse lui con un finto tono di voce orgoglioso, impettendosi appena. Lana rise per la posizione da lui assunta e sfiorò appena con le unghie il cruscotto davanti a sè. "Io voglio farlo un giro turistico ma solo se mi lasci guidare questa bellezza". Alex scosse la testa mentre rallentava per fermarsi ad un incrocio. "Ma non ci penso proprio. Voi donne siete pericolose con le macchine!". "Ehi, maschilista che non sei altro, guarda che la mia auto la tengo bene!". Rispose subito a tono Lana ma senza perdere il sorriso. "Te la faccio guidare per dieci metri, se vuoi". Rispose lui, ridendo. "Oh wow, racconterò dell'esperienza indimenticabile alla mia prole". Ridacchiò Lana. "Se avrai dei figli maschi, capiranno perché avrai guidato questa meraviglia per soli dieci metri". Rispose Al, accarezzando il volante in pelle lucida per poi schiacciare il piede sull'accelleratore quando il semaforo si illuminò di verde. "Se mai avrò dei figli maschilisti, romperò loro le ginocchia con una spranga di ferro". Disse Lana, continuando a sorridere. "I tuoi figli saranno perfetti, miss". Rispose Alex in un impeto improvviso di dolcezza che portò la ragazza a sorridergli dolcemente. "Sei proprio un rubacuori, tu". Rispose lei, scherzosamente. "Per il momento non voglio rubarne così tanti, di cuori". Disse lui, mantenendo un tono di voce allegro ma dolce al contempo e Lana non potè fare a meno di sorridergli ancora. "Eccoci nel casino". Aggiunse Alex subito dopo, fermandosi in una lunga coda di traffico proprio appena dopo essere entrati nella grande città dove abitava lui. Lana ridacchiò, dicendo: "beh, sei tu che hai scelto di vivere qui, no?". Alex si accese una sigaretta per poi rispondere dopo essersi fermato completamente nella lunga coda di traffico. "Infatti non lo rimpiango, ma ammettò che a volte rimpiango la natura sconfinata di Woodville". "A proposito, chissà se ritroverò ancora la mia macchina nel parcheggio, tra due giorni". Sospirò Lana. Alex ridacchiò e fece un tiro dalla sigaretta: "ma si che la troverai, non è mica la mia bellissima jaguar". Lana lo fulminò con lo sguardo. "Hai qualcosa contro le auto che non costano un occhio della testa?". "No, assolutamente niente". Rispose Alex notando lo sguardo minaccioso di Lana, ma trattenendo un sorriso. D'improvviso sentirono suonare un clacson proprio dietro di loro ed Alex rispose con un finissimo quanto educato: "che cazzo vuoi?!" sporgendosi per poter guardare il fuoristrada che sembrava voler schiacciare la propria auto sportiva. Nel giro di pochi istanti, tutti nella lunga fila di auto presero a suonare il clacson e Alex si mise a fumare la propria sigaretta con fare nervoso mentre procedevano a passo d'uomo per evitare di sbraitare ancora con gli altri automobilisti. "Ecco, ora sento anche io la mancanza di Woodville". Disse Lana, riuscendo a spezzare la tensione che si era creata, facendo sorridere Alex il quale dopo aver gettato il mozzicone di sigaretta per strada, rispose. "Questa è una delle parti che odio profondamente della città. La gente è stressata, tutti odiano tutti e si finisce per litigare per niente". "Beh, Alex anche tu prima non hai reagito benissimo". Constatò Lana. "E' vero, ma ormai vivo da tanto qui e mi viene automatico rispondere male anche a chi per sbaglio mi urta la spalla mentre cammino per strada". Rispose lui mentre finalmente, dopo aver preso una strada secondaria, era riuscito a districarsi da quella infinita fila di macchine su una delle strade principali. "Infatti questo è uno dei motivi per i quali preferirò sempre Mooney a città come questa". Disse Lana, spostando gli occhi verso il panorama: in effetti era molto diverso da quello che era abituata a vedere nella sua piccola cittadina di periferia. Le strade erano piene di persone che camminavano velocemente avanti e indietro senza sosta che finivano per ammucchiarsi come stormi di uccelli agli incroci dove quando i semafori pedonali diventavano verdi, grandi gruppi finivano per mescolarsi gli uni agli altri. Le strade erano letteralmente straripanti di auto, taxi e mezzi di trasporto, il cielo sembrava ricoperto da una sottile e grigia patina di smog e i palazzi si ergevano ammassati gli uni agli altri, togliendosi il respiro a vicenda. Lana notò, mentre la macchina continuava a muoversi, che gli spazi verdi erano pochissimi se non rari. Da quando erano entrati ad Iron Valley, lei aveva notato solo un paio di piccoli parchi ed anche essi erano ammassati di persone che facevano jogging ed altre che portavano frettolosamente i loro animali a quattro zampe a spasso. Non aveva la più pallida idea di come facessero tutte quelle persone a vivere ogni secondo della loro vita di fretta, senza avere un attimo di tregua. Anche gli ingrandimenti delle prime pagine di cronaca nera appesi davanti ai chioschi dei giornalai le misero una certa angoscia: notava che a caratteri cubitali vi erano sempre impressi con inchiostro nero omicidi, suicidi o furti e inoltre vi erano anche molte persone agli angoli delle strade, rese invisibili dalla massa di cittadini frettolosi, che erano meno fortunate e stavano lì sedute, ad aspettare che qualcuno gettasse loro qualche spicciolo con il quale sfamarsi. "Questa città mette depressione". Disse Lana una volta scesa dalla macchina che Alex aveva appena parcheggiato in un garage accanto ad un grande edificio a quattro piani che visto da dietro, sembrava essere un centro commerciale. Dopo aver alzato il tettuccio automatico della propria auto, anche Alex scese dalla macchina che chiuse con accortezza, rispondendo poi: "l'unico modo che hai per sopravvivere in questa città di sanguisughe è di andare dritto per la tua strada e magari tapparti le orecchie con della buona musica". Alexander viveva al penultimo piano in quello che era un edificio di appartamenti di lusso in una zona non molto trafficata dove nelle vicinanze vi era solo qualche piccolo negozio ed il centro commerciale che portava inevitabilmente del trambusto di sottofondo. L'ingresso all'appartamento dava direttamente al salotto che si presentava ampio e spazioso, almeno il doppio di quello di Lana. Era arredato in un modo molto minimalista: il divano a penisola nero era l'unico oggetto ad occupare la sua parte di spazio: la televisione di fronte ad esso era sottile ed appesa ad un muro, il tavolo era di vetro, posto in un angolo e le due librerie, attaccate al muro, erano sottili e lì dove mancavano dei libri, vi erano dei soprammobili a riempire lo spazio. Un tappeto, anch'esso nero come il divano, copriva la distanza tra esso e la tv e un basso tavolino da caffè, anch'esso in vetro, era posto in un angolo all'ingresso. Lana non era rimasta particolarmente colpita, perciò una volta dentro, la propria attenzione andò a spostarsi sui vari dipinti ( e le loro ristampe ) appesi sui muri bianchi: riconobbe il famoso Incubo di Fussli e un paio di dipinti di Van Gogh. Vi era anche un'opera di Picasso e nel corridoio risaltava l'opera più famosa di Andy Warhol. "Ti intendi di arte?". Chiese Lana, voltandosi verso Alex il quale aveva appena poggiato a terra la valigia bianca della ragazza. Appoggiò le chiavi ed il portafogli sul tavolino di vetro e poi rispose mentre si toglieva la giacca in pelle. "Mi piace in generale ma non è una vera e propria passione". "Capisco". Rispose semplicemente Lana mentre si avvicinava all'ampio balcone che illuminava tutta la stanza. Alex, notando che lei si stava diregendo verso di esso, la precedette ed andò ad aprire la grande finestra scorrevole per permetterle di uscire: anche il balcone era piuttosto ampio e collegava la sala con la camera da letto accanto. Era decorato con un paio di piante grasse poste in entrambi gli angoli ed un tavolino tondo ed in legno con un paio di sedie coordinate, poste l'una di fronte all'altra. Il balcone era fatto in ferro battuto, meticolosamente decorato nei bordi ed agli angoli. Lana posò entrambe le mani sul freddo ferro ed ammirò il paesaggio: sotto di sè vi era la città con le sue strade asfaltate e il suo traffico, ma alzando gli occhi, si potevano scorgere le colline ai confini della città, prive di quella nebbia perenne che era al di sopra di Iron Valley e i tenui raggi di sole sembravano accarezzarle con il loro calore penetrante. Proprio appena sotto di esse, emergevano dei vasti campi di fiori che variavano dalle semplici margherite alle viole e persino girasoli che Lana amava tanto. Si accorse anche di un fiume che scorreva attraverso le colline e di grandi recinti con all'interno dei cavalli che riposavano beati. "Ti piace la vista qui?". Chiese Alex che sostava di fianco alla ragazza la quale fino a quel momento era restata in religioso silenzio. "Si e penso che tu abbia scelto questo appartamento proprio per la vista". Alex ridacchiò e posò una mano sulla ringhiera, vicino a quella morbida e curata di Lana. "A dire il vero ho scelto questo solo perché non avevo voglia di cercarne altri". "Ah". Fu la risposta della ragazza. Lui rispose con una risata: "ma se la tua stima nei miei confronti aumenta, sei libera di pensare che io abbia scelto questo posto per il panorama". Lana si voltò verso Alex e gli sorrise. "Non sarà certo una casa a farmi cambiare idea sul tuo conto". "Ah menomale. Per un attimo ho temuto il peggio". Rispose Alex scherzando, ma senza poter fare a meno di togliere gli occhi di dosso alla ragazza la quale ricambiava quelle attenzioni e senza aggiungere altre parole che le sarebbero sembrate futili in quel momento, si avvicinò a baciarlo ed Alex ne approfittò per posare entrambe le mani sui suoi fianchi e stringerla a sé. Ogni volta nella quale si baciavano, Lana aveva l'impressione che il tempo si fermasse ed era lo stesso anche nel momento prima, quando i loro occhi si guardavano in quel modo, comunicando in una lingua tutta loro che sembrava dire: "sono qui, non abbandonarmi".

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Capitolo 13
*** Capitolo 12. ***


Lana si trovava nello spazioso bagno dell'appartamento di Alex.
Aveva sempre creduto di poter vedere quei bagni così ampi solo nei programmi televisivi dove le persone ostentavano le proprie ricchezze. Quella stanza era verniciata di un verde acqua vivido e la vasca dove poco prima si era concessa un bagno rilassante a dir poco, era grande e quadrata, sopra di essa vi era uno scaffale dove vi era posizionato tutto ciò che rendeva il rituale del farsi il bagno un vero paradiso: dalle bombe da bagno che redevano l'acqua multicolore e suggestiva ai sali da bagno fino alle candele profumate, gli incensi e persino una bottiglia di champagne e addirittura un lettore musicale attaccato alla parete che si poteva impostare su ogni tipo di musica da atmosfera. Quel bagno era persino dotato di luci soffuse e uno strano marchingegno che permetteva con un tocco di chiudere automaticamente sia le tapparelle che le tende. Ma il tocco finale era il lungo specchio a scomparsa che lei non avrebbe mai trovato se non fosse stato per Alex che prima del bagno le aveva indicato una piccola maniglia che se tirata, avrebbe svelato quello specchio dentro al quale la ragazza si vedeva riflessa in quel momento.
Quando aveva ritrovato in valigia il proprio vestito rosso, si era autoringraziata per averlo messo lì dentro prima di partire per Woodville, qualche giorno prima. Avevano scelto di andare a cena in un ristorante in città e Lana non avrebbe mai voluto mettere a disagio Alex presentandosi in jeans e maglietta. Quel vestito aderiva perfettamente al suo corpo come fosse stato una seconda pelle e le scarpe, anch'esse di un rosso acceso, le conferivano un aspetto slanciato, facendo risaltare le sue lunghe gambe.
Si era appena finita di truccare con un tocco finale di rossetto rosso fuoco e sistemare i capelli che le ricadevano, ondulati a ridosso di una spalla e dopo aver sistemato le proprie cose nella valigia che si era portata in bagno, prese la borsa ed aprì la porta.
Proprio a qualche metro da lei, Alex si stava abbottonando un bottone in una manica della camicia e Lana era sicura di non aver mai visto un ragazzo di una bellezza divina come la sua: era una sorta di fusione tra James Dean ed Elvis Presley con quella camicia rossa come il vestito di Lana e la giacca elegante fatta di chissà quale pregiato tessuto di un blu scuro, quasi nero. I suoi pantaloni erano neri ed attillati e le sue scarpe lucide come non mai. I suoi capelli erano lucidi e colmi di brillantina tirati indietro, con un ciuffo che andava a sfiorare la sua fronte.
Aveva appena finito di aggiustarsi anche il colletto della camicia quando si voltò a guardare Lana, rimanendo improvvisamente incantato.
Le guance della ragazza non persero l'occasione di diventare rosse almeno quanto il suo vestito e se non avesse indossato il rossetto, si sarebbe morsa le labbra fino a farle sanguinare per l'imbarazzo che provava.
"Wow". Disse poi lui, spezzando il silenzio ed offrendo la mano alla ragazza che lei strinse appena.
"Mi avevi detto solo che il tuo vestito era rosso, non che saresti sembrata una venere". Sussurrò senza riuscire a staccarle gli occhi di dosso.
"E tu non mi avevi detto che saresti sembrato un divo di Hollywood". Rispose lei, avvicinandosi a lui.
Alex le regalò un sorriso che in un primo momento poteva quasi essere scambiato per impacciato, ma poi disse, sicuro: "beh, presto ci andrò, quindi devo allenarmi".
Lana si lasciò andare ad una risata ed Alex posò una mano su una sua guancia, accarezzandola appena per poi aggiungere: "ma solo se tu vieni con me".
"Hai così tanto bisogno di una domestica?". Scherzò Lana, sentendo lo stomaco in subbuglio quando Alex sfiorò la sua guancia con tanta delicatezza.
"Ho bisogno di una venere". Disse lui senza perdere quel tono di voce che avrebbe conquistato anche il più duro dei cuori.

Quella sera, Alex lasciò guidare a Lana la sua preziosa jaguar per arrivare fino al ristorante anche se in quei cinque chilometri percorsi per arrivare in centro, la aveva pregata di andare piano e di andare a picchiare con una mazza chiunque avesse osato avvicinarsi troppo all'auto, rischiando magari di rigarla.
Una volta dentro, i due non faticarono a trovare un tavolo dal momento in cui Alex conosceva i proprietari del posto e data la propria popolarità in quella città, non avrebbe probabilmente dovuto pagare nulla.
Erano infatti riusciti ad avere un tavolo appartato con tanto di candele e fiori freschi al di sopra di esso. Non poteva mancare nemmeno il vino più pregiato ed i cibi più prelibati.
Lana quella sera come in nessun'altra della sua vita, si sentiva davvero trattata come una regina, ma anche se aveva quella sensazione di regalità, non riusciva comunque a spostare lo sguardo da quello di Alex che a sua volta, era incantato dallo splendore di quella donna che aveva di fronte.
"Lo sai che non ti caverò gli occhi di dosso per tutta la sera, vero?". Disse Alex mentre mangiava il proprio salmone affumicato.
Lana non potè fare a meno di arrossire di nuovo a quelle parole. "Penso che la cosa sarà reciproca, sai?". Disse lei, con le guance nuovamente arrossate.
 "Per me va bene così. In questo modo potrò guardarti più a lungo negli occhi". Sussurrò lui, con un timbro di voce incredibilmente romantico.
"Alex, ho le guance così rosse che tra poco dovrai chiamare i pompieri per spegnerle". Sussurrò lei con una risata nervosa mentre mangiava il proprio pasto con lentezza: voleva godersi ogni più piccolo momento con quel ragazzo che le stava regalando così tante emozioni l'una dopo l'altra e non voleva nemmeno pensare a quando sarebbe stata costretta ad andarsene, almeno in quella sera non voleva avere dubbi, non voleva avere paura.
"Ma no, sono deliziose le tue guance in questo momento". Continuò Alex.
"Forse devi farti controllare la vista". Rispose Lana, accennando una risata per poi bere la fine del secondo bicchiere di vino.
"La mia vista funziona benissimo e non capisco come mai tu non abbia una scia di spasimanti dietro di te che ti supplichino anche solo per un'occhiata". Rispose lui mentre continuava a mangiare.
"Perché la magia svanisce quando apro bocca". Disse Lana, accennando una risata.
Alex dopo aver bevuto il quarto o forse il quinto bicchiere di vino, le rispose: "io adoro la tua bocca".
Lana nell'udire la sua risposta, rise e picchiettò le proprie unghie sul calice di Alex. "E' questo che ti fa essere così smielato?".
Alex fece 'no' con la testa, ridendo con lei. "Fidati, sono ancora abbastanza lucido. Anni di alcolismo hanno reso il mio fegato più forte che mai".
"Oh, buono a sapersi". Rispose Lana con un sorriso tra le labbra. Avrebbe voluto sapere di più riguardo a quella dipendenza di Alex ma non le sembrava il momento opportuno e non aveva intenzione di imporgli di smettere: aveva sempre rispettato la libertà altrui e non si era mai permessa di imporsi su qualcuno, nè con gli amici, con i suoi ex o con i suoi genitori.
"E tu come mai hai iniziato il terzo bicchiere di vino senza finire in coma etilico?". Chiese Alex, scatenando una risata nella ragazza che proprio in quel momento si stava riempiendo il calice per metà.
"Non ho mai assaggiato un vino così buono, lasciami fare". Disse lei con voce dura che sciolse poi con l'ennesimo sorriso mentre si apprestava a sorseggiare il vino bianco e frizzante dal proprio bicchiere.
"Voglio proprio vederti da ubriaca". Disse curioso Alex per poi iniziare a mangiare il contorno ma senza poter fare a meno di guardare la ragazza di tanto in tanto.
"Faccio battute pessime ed inizio a ridere come una gallina". Rispose lei, senza riuscire a togliersi il sorriso dalle labbra mentre mangiava ciò che rimaneva del proprio pasto.
"Ehi ma volevo scoprirlo da me!". Protestò Alex, incrociando le braccia e fingendosi offeso.
"Ma non c'è nulla di così interessante da scoprire". Disse lei, ridendo ancora ed accorgendosi del fatto che forse era già molto brilla dal momento in cui si iniziava a sentire stranamente la testa leggera e aggiunse: "anzi, penso che potrai vedermi in azione molto, molto presto".
Alex rise nel vederla sollevare ancora il suo calice e non perse l'occasione di farlo sfiorare con il proprio per un brindisi per poi concedersi qualche sorso della bevanda.
"Tu sei una persona molto interessante, Lana. Non sottovalutarti". Disse poi Alex che in un lampo si era fatto serio.
Lana, ancora una volta non voleva rovinare quella bellissima serata, quindi decise di non rispondere in modo approfondito, dicendo solo: "hai ragione, devo cercare di non farlo". Sapeva benissimo, però che non avrebbe risolto nulla.
"Ti insegnerò io a far alzare quella tua maledetta autostima, miss". Rispose Alex deciso, notando che lei non aveva voluto spendere altre parole nell'argomento.
"Farai meglio ad aprire un cantiere allora, perché c'è molto lavoro da fare". Rispose lei ridendo, ma in quel sorriso che voleva essere autoironico, Lana sapeva bene che celava una profonda ed implacabile tristezza.

Dopo aver finito di cenare in quel lussuoso ristorante senza aver dovuto sganciare nemmeno un centesimo data la popolarità di Alex ad Iron Valley. i due decisero di andare a smaltire la sbronza che si erano inevitabilmente presi entrambi, in uno dei minuscoli parchi poco distante da lì, senza smettere per un secondo di ridere e parlare anche quando si ritrovarono seduti da soli su una panchina di legno del parco e le loro voci diventate forti e squillanti a causa dell'alcool, rimbombavano nelle vicinanze.
La serata non stava andando come entrambi a modo loro, se l'erano immaginata ma ne Alex e ne Lana avevano o celavano un minimo segno di delusione sul volto o dentro di essi: si sentivano semplicemente più leggeri e spensierati, per una volta senza dover fare lo sforzo di relazionarsi con il mondo esterno, perché loro due in quei momenti così stranamente magici, viaggiavano sulla stessa lunghezza d'onda e non avevano bisogno d'altro, se non l'uno dell'altra.
"Alex ti giuro che lo abbiamo visto quell'ufo, non è colpa mia se sei anziano e non te ne ricordi!". Disse Lana che non la smetteva più di ridere anche mentre parlava e sembrava aver contagiato anche Alex, il quale seduto di fianco a lei, rispose: "ti ho detto di no, avevamo fumato troppa erba quel pomeriggio!".
Lana per un momento si domandò come fossero finiti a parlare di alieni ma ci rinunciò subito: in pochissimo tempo avevano cambiato almeno una quindicina di argomenti che avevano collegato l'uno all'altro con chissà quale strampalato ragionamento. In fondo che importava da dove venisse quel discorso se erano così in sintonia?
"Ma no, era erba, mica acidi!". Rispose con foga Lana, senza perdere il sorriso.
"Anche se fosse come dici tu, è passato troppo tempo, non mi ricordo niente!". Esclamò divertito Alex.
"Appunto, perché ormai sei anziano e la memoria inizia a giocarti brutti scherzi. Stanotte ti alzerai tre volte per andare in bagno, me lo sento". Disse lei ridendo nel vedere Alex alzarsi sulla panchina per poi fare dei piccoli salti.
"Questa ti sembra opera di un vecchio, miss Del Rey?". Chiese lui, continuando a saltellare.
"Sembra opera di una scimmia ubriaca". Rispose Lana, continuando a ridere.
Alex si rimise a sedere, affannato e si portò una mano tra i capelli in disordine. "Ehi, guarda che è tutta classe".
"Eh si, la classe degli elefanti". Disse lei per poi dargli una pacca sulla spalle e aggiungere: "non lo vedi che per due saltelli che hai fatto, ormai ti viene un un infarto?".
Alex rise e si accese una sigaretta che poi indicò con la mano libera. "E' colpa sua, non mia".
"Quindi è la sigaretta che ti si infila tra i denti senza pietà e ti fa fumare di controvoglia?". Ridacchiò Lana.
"Si, non lo vedi?". Alex finse in un modo alquanto buffo, di essere costretto dalla sigaretta ad essere fumata e Lana a quel punto, non riusciva più a smettere di ridere, contagiando ancora una volta con la sua risata semplice e cristallina, anche Alex.
"Mi sei mancato tantissimo in tutti questi anni, Al". Disse poi lei, andando ad appoggiarsi sulla sua spalla e raggomitolandosi accanto a lui.
Alex accarezzò una spalla della ragazza e nel vedere la pelle d'oca su un suo braccio, subito si tolse la giacca elegante che mise sulle sue spalle.
"Ehi, se hai molto freddo, andiamo a casa".
"No, non voglio". Sussurrò lei dopo aver fatto uno sbadiglio.
"Perché no?". Chiese dolce Alex, dopo aver fatto qualche tiro dalla propria sigaretta che lasciava una leggera nebbiolina nell'aria già satura di chissà quante altre sostanze nocive.
"Perché non voglio che questa serata finisca". Sussurrò sincera lei, spostando appena la testa in modo da poter guardare Alex negli occhi.
Ma non voglio che tu collassi su questa panchina". Rispose lui ridendo appena, allungandosi poi per poter baciare sulla fronte quella ragazza della quale sembrava non poter fare più a meno.
"Non fa niente, almeno sono con te". Sussurrò Lana, stringendosi al suo braccio mentre faceva un secondo sbadiglio.
Lui gettò la sigaretta a terra, poi posò le labbra tra i suoi capelli, vicino al suo orecchio ed inebriato dall'odore di cocco che emanava la lunga chioma scura della ragazza, sussurrò.
"Sarai con me, ma in un bel letto comodo con tanto di cuscino, lenzuola ed anche le mie braccia che ti stringeranno forte".
Lana sentì dei brividi percorrerle tutto il collo e la schiena nell'udire quel dolce sussurro di Alex e rabbrividì appena: sentiva una strana fitta allo stomaco e anche se avrebbe voluto tanto ignorarne la causa, sapeva benissimo che doveva affrontarla in quel determinato momento visto che quella sera aveva intenzione di passarla serenamente.
Quella fitta allo stomaco e quei brividi improvvisi erano scaturiti dai pensieri paranoici di Lana che le dicevano che forse quella sera Alex non voleva solo stare nel letto con lei ma anche andare oltre. Lei era ovviamente affascinata da lui e da ciò che si stava mostrando a lei, ma quei brividi erano dovuti anche al fatto che era trascorso più di un anno da quando lei aveva avuto l'ultimo rapporto sessuale e come se non bastasse, non se la sentiva quella sera di andare oltre e poi si sentiva già troppo in colpa verso Taylor, la ormai ex ragazza di Alex.
Lana continuava a ripetersi di non pensare a tutti quei dilemmi che la assalivano senza sosta, ma non poteva farne a meno dato che quello era il suo carattere. Sentì il braccio di Alex stringerla leggermente di più (evidentemente aveva sentito il brivido improvviso della ragazza di qualche secondo prima) e poi sussurrò: "ehi Lana, hai ancora freddo?". Il ragazzo cercò lo sguardo di Lana, la quale colse il momento per liberarsi una volta per tutte di quelle paranoie.
"Alex, posso chiederti una cosa?". Chiese, cercando tenere gli occhi sui suoi nonostante le girasse la testa.
Lui, notando il tono di voce improvvisamente serio della ragazza, abbozzò appena un sorriso ed annuì. "Certo, sfogati con papà Alex".
La sua risposta fece sfuggire un sorriso a Lana che però non perse la propria serietà.
"Quali sono le tue aspettative per quando torneremo a casa tua?". Chiese lei ed Alex, guardandola negli occhi capì subito cosa lei volesse davvero intendere.
"Lana, perché non lasciamo semplicemente che le cose seguano il loro corso?".
Lana si morse il labbro inferiore ancora decorato con un filo di rossetto rosso, senza scostare gli occhi da quelli di Alex e si mise a sedere.
"Non me lo perdonerei mai... Mi sentirei una poco di buono nei confronti di Taylor...". Disse lei, stringendosi nella giacca che Alex le aveva prestato.
"Lei è già storia vecchia, ormai e non dovresti essere tu a preoccupartene, ma se è solo per questo, non dovresti scervellarti". Anche Alex voleva un contatto visivo con Lana e non smetteva di osservarla.
"Come fai ad essere sempre così rilassato?". Chiese Lana, sospirando.
Alex si alzò, leggermente barcollante e rispose semplicemente, allargando appena le braccia.
"Ci sarà sempre qualcuno che ti odierà per quello che farai, quindi chissene frega e fai quello che vuoi fare. Hai idea di quante persone mi odiano solo perché io sono ciò che loro non hanno avuto il coraggio di essere? Se dovessi fermarmi a pensare a loro, a quest'ora avrei i capelli bianchi e sarei rintanato in casa con la paura di uscire per non incontrare quelle persone. Invece sono qui e ho avuto il piacere di vederti dopo la bellezza di dieci anni e di loro non mi interessa assolutamente nulla".
Lana aveva gli occhi che brillavano per l'emozione del breve discorso che aveva appena fatto Alex, il quale le si avvicinò e si piegò sulle gambe per poi accarezzare una sua mano.
"Lana. Vivi e basta. Fa quello che vuoi. Io non ti costringerò a fare nulla ma abbiamo solo questa sera e domani e voglio che tu abbia un bel ricordo di questi giorni".
In quel momento, lei era rimasta incantata a fissare Alex, come se non fosse sicura che una persona così energica, positiva e con così tanta voglia di vivere, potesse davvero esistere. Strinse la sua mano e poi si avvicinò per baciarlo, cosa che lui ricambiò con un dolce sorriso tra le labbra.
"Come fai ad essere così... Splendente?". Chiese lei con una certa commozione nella voce.
Alex si rialzò e le porse la propria mano che Lana accettò, ritrovandosi in piedi con lui e stretta tra le sue braccia.
"Basta ignorare chi ti dice che non puoi farcela". Rispose lui sorridendole.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13. ***


Alexander e Lana, a distanza di un'ora, si ritrovavano in quel momento a casa di Alex, a guardare nello schermo gigante che lui aveva di fronte al letto, una replica dello show televisivo che lui conduceva per guadagnarsi da vivere.
Alex, sebbene avesse la mente sgombra di pensieri dato che aveva appena finito di fumare uno spinello con Lana la quale stava sdraiata a pancia in giù sul letto, non poteva fare a meno di sentirsi in imbarazza quando nello show di cui lui era il protagonista, faceva una battuta squallida o si avvicinava troppo e flirtava con una delle avvenenti veline del programma. Sapeva bene che era tutto scritto nel copione apposta per aumentare l'audience ma in quegli istanti si stava rendendo conto del fatto che il proprio lavoro era decisamente squallido ed umiliante sia per lui che per le ragazze costrette ad indossare abiti appariscenti e striminziti che in più dovevano anche fingere di farsi andare a genio lui, il presentatore di quel ridicolo programma il cui unico scopo era quello di far trastullare lo spettatore annoiato delle undici di sera.
Dentro di sé, Alex aveva sempre saputo cosa stava facendo ma quel momento, come altri nei quali era assolutamente lucido o in imbarazzo, gli veniva una fervida voglia di abbandonare tutto ed andare a farsi monaco in Tibet per espiare i propri peccati. Si sentiva sporco dentro, soprattutto davanti agli occhi della innocente Lana che guardava il programma ridacchiando, sgranocchiando delle patatine in preda alla fame chimica che le aveva procurato l'erba.
Lui si trovava seduto di fianco a lei, con le gambe incrociate e incredibilmente teso: detestava vedere la propria faccia in televisione, soprattutto in quel contesto. Riusciva a vedere attraverso lo schermo, il lato peggiore di sé: sotto l'effetto di qualche bicchiere di chissà quale superalcolico e quello della polvere bianca che aleggiava perennemente come un veleno nel backstage e nei camerini, lui si mostrava spavaldo, viscido e mostruoso: l'incarnazione di tutto ciò che da giovane non avrebbe mai voluto diventare, quando sognare di essere il messia era facile. Ma la propria vita non era stata semplice con lui, sebbene non gli mancassero soldi e un tetto sulla testa ogni notte. Aveva faticato duramente per acquisire la posizione nella quale si trovava ora ma quel traguardo raggiunto, in quel momento ad Alex sembrava solo una presa in giro, qualcosa che chiunque con un bel faccino e la lingua biforcuta avrebbe potuto ottenere.
Alex sospirò appena e stanco di arrovellarsi e di sentire Lana sghignazzare, prese il telecomando di fianco a sé e spense la tv, facendo voltare Lana verso di lui che aveva dipinta in volto una espressione confusa.
"Perché hai spento? Era divertente". Disse lei accennando un sorriso: si era tolta quello spledido vestito rosso che aveva indossato prima per la cena, optando per degli indumenti più comodi, ovvero dei pantaloni da ginnastica ed una canotta nera. Anche Alex si era lasciato andare alla comodità ed indossava dei pantaloni larghi ed una t-shirt bianca.
"Non voglio che tu mi conosca per ciò che sono in televisione...". Disse Alex, serio.
Lana gli dette una leggera pacca sulla spalla per poi rispondergli mentre si metteva sdraiata su un lato, in modo da poter guardare il ragazzo negli occhi.
"Lo so bene che interpreti un personaggio quando sei sotto i riflettori, non sono scema". Disse lei sorridendogli, scatenando un leggero sorriso anche sul volto di Alex che però, tornò subito serio.
"E se ti dicessi che non sono così solo in televisione?". Alex deglutì e posò gli occhi castani su quelli di Lana: ci teneva al suo parere personale sebbene fino a qualche giorno prima aveva pensato a lei solo in alcuni momenti di nostalgia e riflessione.
Lana gli rispose semplicemente, con una lieve alzata di spalle: "è la tua vita, Al. Sei tu che scegli se indossare o no una maschera giorno per giorno".
Alex era stupito dalla risposta della ragazza. "Per te è possibile quindi, vivere senza indossare strati e strati di maschere?".
Sapevano entrambi come sarebbe andata a finire quella riflessione dato che le loro menti erano sotto effetto della marijuana: Lana ricordava bene di quando da ragazzini, avevano iniziato a fumare insieme e dei lunghi discorsi che facevano a casa o nel parco che puntualmente, andavano a concludersi con uno dei due che finiva per addormentarsi addosso all'altro.
"Secondo me, dipende dal tipo di vita che si conduce: penso sia normale fingere quando si è in un perenne contatto con sconosciuti, ma parlo per esperienza personale. Dimmi la tua a riguardo, sono curiosa". Ancora una volta, Lana si lasciò andare ad un breve sorriso che però non contagiò Alex, il quale era immerso nei propri pensieri prima di dare una risposta effettiva alla ragazza sdraiata su un lato, di fianco a lui che invece era seduto.
"Io fingo anche con le persone care... Amici o parenti stretti e non credo sia questo il comportamento giusto".
Ancora una volta, Lana rise ed Alex in un primo momento, si chiese cosa lei ci trovasse di così divertente in ciò che lui aveva appena detto, poi si concentrò nel sentire la sua risposta.
"E allora quale è il comportamento giusto? Penso che non ce ne sia uno adatto a tutti, quindi se a te sta bene mostrare una personalità diversa dalla tua, fallo". La risposta di Lana era stata semplicemente schietta e sincera ed aveva stupito Alex, il quale si ritrovava ancora una volta a riflettere mentre Lana era intenta a mangiare le ultime briciole restanti nella busta di patatine ormai vuota.
"Quindi ognuno può scegliere cosa è giusto e cosa è sbagliato? E secondo quale metro di giudizio?".
Lana gettò a terra la busta di patatine vuota e si mise a sedere a gambe incrociate di fronte a lui, portandosi i lunghi capelli scuri su un lato della spalla.
"Beh, ognuno ha il proprio personale metro di giudizio a meno che non venga influenzato da terzi ed ognuno di noi nasce con la propria concezione personale di giusto o sbagliato. Io credo che ognuno possa vivere come più gli piace a meno che non vada a nuocere in qualche modo al prossimo".
Alex ascoltava attentamente le parole di Lana, concentrato più che mai sui suoi occhi e sulle sue labbra, come se lei in quel momento fosse una sorta di guru spirituale.
"Okay e in che modo la personale concezione di bene e male può essere influenzata da altre persone?".
Lana abbassò lo sguardo per riflettere, mentre si attorcigliava una ciocca di capelli, un gesto che era solita fare quando era immersa nei propri pensieri.
Rialzò lo sguardo qualche secondo dopo, con una smorfia in viso: "ti faccio un esempio, il primo che mi è venuto in mente ma non prenderla a cuore, per favore".
Alex inarcò un sopracciglio scuro nel sentire le parole della ragazza. "Faccio parte delle esempio?". La sua era una domanda ma a giudicare dall'espressione di Lana, era appena divenuta una conferma ed Alex incuriosito, la esortò a continuare.
"Allora, il programma che conduci, ad esempio può soggiogare le menti di alcuni ragazzi che guardano lo show. Ad esempio, quando tu flirti e palpi le ragazze presenti nel programma, involontariamente vai a creare un paradosso ovvero quello di vedere la donna solo come un oggetto da portarsi a letto...". Lana riprese fiato. Le sembrava di aver parlato troppo e non voleva in alcun modo andare a ferire i sentimenti di Alex, sperava solo che avesse capito dove lei voleva arrivare con quel discorso.
"Lana, ma è scritto sul copione, non lo faccio perché mi va di farlo...". Sussurrò Alex sentendo di punto in bianco lo stomaco chiudersi ed una strana amarezza nella gola. Sapeva bene ciò che faceva, anche quando era sotto effetto di alcool o droghe e non voleva ammettere a sé stesso che in realtà quel lavoro non lo appagava affatto perché era tutto ciò che era riuscito ad ottenere nel mondo dello spettacolo.
Lana non faticò a notare l'amarezza con la quale Alex aveva pronunciato quelle parole e dentro di sé, si odiò per averlo ferito.
"Alex, cambiamo discorso...". Sussurrò lei.
Lui, nel vedere la ragazza abbattuta, si affrettò a sfiorarle appena una mano per confortarla e cercò i suoi occhi.
"Scusa Lana... E' che non me la sento di affrontare ora questo discorso". Disse lui, sincero abbozzando un piccolo sorriso.
Lei guardò i suoi occhi, scrutandovi attentamente dentro, come se stesse cercando qualcosa.
"Cosa ti blocca? Perché non riesci ad aprirti?".
"Potrei farti la stessa domanda". Rispose Alex in difesa, sentendosi attaccato dalle innocenti domande della ragazza che non era assolutamente intenzionata a nuocergli in alcun modo.
"Penso sia semplicemente il mio carattere, il mio modo di essere". Rispose Lana, alzando appena le spalle.
"Anche io sono introverso, ma in un modo totalmente diverso da ciò che dimostri tu". Disse Alex, lasciandosi andare ad un sospiro.
"Siamo cambiati molto in questi dieci anni, vero?". Rispose Lana con un timido sorriso che le spuntò tra le labbra carnose.
"Eppure ci attiriamo ancora come calamite". Rispose Alex, sfiorando nuovamente la mano della ragazza per cercare un contatto con lei, la quale la strinse appena.
Lana non disse nulla, lasciando che fossero le proprie labbra sulle sue a parlare ed Alex, non potè fare a meno di ricambiare quel bacio pieno di quella tenera dolcezza e comprensione che fino a quel momento solo lei era stata in grado di dargli sebbene nella propria vita avesse frequentato un abbondante numero di donne.
Quando i loro occhi si riaprirono, le mani di Alex erano sui fianchi di Lana e le braccia della ragazza erano avvolte dietro la schiena di Alex.
"Sei sempre stato nella mia mente in tutti questi anni, anche quando ti credevo ormai un ricordo lontano, nient'altro che un pugno di polvere destinato a dissolversi nell'aria...".
Alex era stregato dalle parole di Lana e si spostò appena per poterla guardare negli occhi ed accarezzare con una mano il suo dolce viso.
"Io ho cercato in tutti i modi di seppellirti nei meandri più oscuri della mia mente, ma sopratrattutto negli ultimi tempi, il mio subconscio nei sogni, ti ha dipinta spesso come una visione, un qualcosa di troppo lontano da raggiungere e alla fine... Eccoti qui, ad un paio di centimetri da me".
Lana ammirava il modo chiaro e cristallino con il quale Alex riusciva ad esprimersi e non poteva fare a meno di sentirsi voluta e a proprio agio tra le sue braccia, anche se non si erano ancora aperti del tutto l'uno con l'altra.
"Ti ricordi che da ragazzini dicevamo che non saremmo mai stati separati?". Chiese Lana dolcemente e dopo aver fatto uno sbadiglio silenzioso, si stese nuovamente sul letto. Alex si sdraiò accanto a lei ed iniziò ad accarezzare lentamente i suoi lunghi capelli castani, iniziando a giocarvici con le dita affusolate.
"Non ne sapevamo ancora niente della vita, le nostre menti non erano ancora state intaccate dalla cruda realtà". Sussurrò con la voce che andava facendosi più bassa e roca, colto anche lui dalla sonnolenza.
"Vorrei poter vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo. Come quando eravamo ragazzini...". Sussurrò Lana, voltandosi verso di lui per poter guardare Alexader negli occhi prima di addormentarsi.
"Possiamo farlo se solo lo vogliamo davvero". Sussurrò lui in risposta, scostandole dei capelli dal viso.
"E' ciò che più desidero al mondo". Rispose Lana con voce bassa, tenendo gli occhi socchiusi sui suoi. Sentiva chiaramente le proprie palbebre che diventavano sempre più pesanti, eppure on riusciva a spostare lo sguardo da quello magnetico di Alex.
"Lo voglio anche io, ma solo se ci sarai tu al mio fianco. Che senso ha essere liberi se si rimane da soli?". Alex era più sincero che mai in quel momento ed anche se le loro potevano sembrare solo le semplici farneticazioni di chi sta per addormentarsi, entrambi sentivano una fiamma che ardeva lentamente ma decisa nei loro animi perché era ciò che desideravano davvero anche nei loro cuori.
In fondo, può esserci qualcosa di più emozionante dell'essere liberi con la persona che si ama dal profondo del cuore?

Entrambi si addormentarono l'uno tra le braccia dell'altra ed Alex, al proprio risveglio, non riusciva a ricordare da quanto tempo non riuscisse a dormire così bene come aveva dormito in quella notte. Si sentiva leggero, spensierato e totalmente riposato, in più la propria mano stava accarezzando dolcemente una spalla della ragazza che era stata capace in pochissimo tempo di scoprire tanti piccoli frammenti nascosti della propria anima. Tutte le donne ed amici che aveva avuto nel corso degli anni non avevano avuto accesso nemmeno a metà di ciò che lui aveva rivelato alla ragazza in appena un paio di giorni. Era incredibile come in qualche modo fossero così incredibilmente in sintonia ed Alexander era più che deciso nel volere Lana nella propria vita. Non gli importava se fosse rimasta come amica, come la sua partner o conoscente, ma sentiva che ora che si erano finalmente ritrovati dopo tanti, troppi anni di distanza, non avrebbe più potuto fare a meno di lei, del suo bellissimo sorriso e delle sue parole che addolcivano il suo cuore come fossero miele.
Era ancora incantato a guardarla, mentre lasciava scorrere una mano dalla sua spalla fino al suo bacino, diverse volte. Una spia rossa del telefono di casa posto su un tavolino accanto al televisore, segnalava che vi erano dei messaggi in segreteria, ma in quel momento ad Alex proprio non importava nulla di qualunque cosa.
Si concentrò invece sul viso di Lana mentre continuava ad accarezzarla lentamente, che veniva scaldato appena dai raggi del sole che filtravano dalla grande finestra alle spalle del ragazzo.
Lana emise un piccolo sbadiglio nel sentire quelle dolci carezze e aprì lentamente gli occhi, sorridendo poi nel vedere Alex seduto di fianco a sé, che la coccolava da chissà quanto tempo.
"Salve, miss Del Rey". Sussurrò Alex, andando a posare un bacio tra i capelli della ragazza che sorrise dolce a quelle attenzioni alle quali non era abituata: era passato troppo tempo dall'ultima volta nella quale si era svegliata con accanto qualcuno per il quale nutriva dei sentimenti ed Alex era la persona con la quale avrebbe voluto svegliarsi per tutto il resto della propria vita.
"Da quanto tempo sei sveglio?". Sussurrò lei dolcemente.
"Solo da qualche minuto. Hai dormito bene stanotte?".
Lana annuì e gli rispose con un sorriso: "hai il materasso più comodo del mondo. Tu, invece?".
"Lo credo bene visto quello che l'ho pagato". Disse lui ridendo, poi aggiunse: "E' la prima volta da non so quanto tempo in cui mi sveglio finalmente felice e riposato del tutto. Credo che il merito sia solo tuo, sai?".
"E perché?". Chiese Lana mentre stiracchiava le braccia per poi mettersi seduta sul letto, senza spostare gli occhi dal viso di Alex.
"Semplicemente perché sei qui con me e in tua compagnia mi sento molto meglio".
"Beh, da stanotte allora tornerai a dormire male". Rispose lei abbozzando una risata mentre stiracchiava anche le spalle ed il torace.
"Perché?". Chiese Alex, confuso in un primo momento.
"Perché domani mattina devo tornare a fare la segretaria". Rispose Lana ridendo.
"Dai, resta qui per sempre". Disse Alex iniziando a farle gli occhi dolci mentre le si avvicinava con il viso in modo da farle notare la propria espressione tenera.
"Certo, per tutta l'eternità. Anche quando del mio corpo non rimarrà che un cumulo di ossa". Disse Lana in tono scherzoso nel vedere gli occhioni dolci del ragazzo e non poté fare a meno di accarezzare il suo viso.
"Le seppellisco in questo letto, lo giuro".
"Uhm, sai che buon odore di fiori che avrà, allora". Ribatté la ragazza che non poté fare a meno di ridere ancora.
Anche Alex rise, poi si alzò dicendo: "stanotte borbottavi di libertà e di fughe con l'anima gemella, dove sono finiti i tuoi sogni di gloria?".
"Nella marijuana che mi hai fatto fumare ieri sera". Rispose lei ridendo, mentre si alzava dal letto.
"Ehi, io ho offerto e tu hai accettato, non fare la finta innocente". Disse Alex ridendo a sua volta.
"No, mi hai legata e mi hai fatto fumare contro la mia volontà, ammettilo". Scherzò Lana.
Alex le si avvicinò e con un gesto veloce prese i suoi polsi senza stringerli e la spinse appena sul letto, mettendosi a cavalcioni su di lei.
"Per caso è così che ti ho costretta?".
"Esattamente". Disse Lana che non la smetteva per un secondo di ridere.
Alex si allungò per darle un bacio e lei rispose dandogli un morso sul labbro inferiore.
"Lasciami, devo andare in bagno".
"Come sei fine e delicata". Disse Alex ridendo, liberando Lana dalla propria presa e spostandosi in modo da permetterle di alzarsi.
"Come te quando rutti". Rispose lei ridendo, mentre si alzava.
"Merda, ho ruttato davvero davanti a te?". Chiese Alex, preoccupato, ricevendo un buffetto sulla spalla da Lana.
"Sto solo scherzando, non farti paranoie". Disse lei, ridendo nel vederlo subito preoccupato di aver fatto una brutta figura con lei.
"E comunque non ti scordare che quando avevamo sedici anni, facevamo le gare di rutti insieme e a volte riuscivo anche a batterti". Aggiunse lei, facendo subito affiorare dei ricordi nella mente di Alex, il quale ridacchiò.

Dopo aver fatto colazione ed essersi lavati entrambi, Alex e Lana decisero di comune accordo di ordinare una pizza per pranzo. A nessuno dei due andava di uscire da quella casa: erano fin troppo a loro agio lì, dove potevano dire e fare ciò che volevano, inoltre sebbene quell'appartamento non suscitasse alcuna sensazione in particolare in Lana, lì si sentiva come a casa propria sebbene la vita nelle grandi, rumorose e frenetiche città non facessero affatto per lei. Ma che importava, d'altronde, se erano insieme e da soli?
Inoltre, spesso Lana ricordava bene di essersi sentita a disagio nelle case di ragazzi con cui tempo prima aveva avuto delle relazioni durature e non, anche se ormai li aveva conosciuti da mesi ed erano le persone più calme e pacifiche della Terra. Lei, in un modo o nell'altro, riusciva sempre a trovare un modo per rinchiudersi nelle proprie ansie e paranoie che le impedivano spesso di vivere la vita così come veniva e di godersi il momento, cosa che invece accadeva con Alex: con lui si sentiva libera e rilassata e soprattutto non sentiva il bisogno impellente di intrattenere una attività perché non avevano bisogno di fare qualcosa. A loro bastava semplicemente la compagnia l'uno dell'altra ed il resto veniva da sé.
Lana, dopo aver dato un'occhiata alla libreria di Alex, si era seduta sull'enorme divano a penisola del salotto ed Alex si era subito andato a sedere con lei, incapace di starle lontano anche solo per qualche minuto.
"Sai cosa non abbiamo fatto ieri sera?". Chiese Alex con voce bassa, avvicinandosi a lei e andando a posare un braccio sulle spalle della ragazza che non poté fare a meno di ridere.
"Cosa, farti togliere dei punti dalla patente per guida in stato di ebbrezza?". Chiese Lana, accennando una risata e voltandosi appena per guardarlo, andando così ad incrociare i suoi occhi vivaci che sembrarono stupiti alla domanda della ragazza.
"Ah, non avevamo preso un taxi alla fine?". Chiese lui, facendo una breve smorfia.
Lana rispose facendo 'no' con la testa, aggiungendo: "devo ammettere che però anche da ubriaco te la cavi a guidare. Anche se andavi piano come una lumaca".
"Forse cercavo di imitare il tuo stile di guida". Scherzò lui, guadagnandosi una piccola spinta da parte di Lana.
"Guarda che la tua preziosa jaguar l'ho guidata piano per non scatenare la tua ira".
"Oh, ma che premurosa". Rispose Alex, facendole il verso e guadagnandosi una seconda spinta dalla ragazza.
"Stanotte vengo a rigarti la macchina". Disse Lana, incrociando le braccia per fingersi offesa.
"Ah, mia cara non puoi. E' sotto chiave in garage". Rispose Alex in un tono di voce fiero, curioso di sapere dove sarebbe andata a parare la ragazza.
"E' per questo che imparerò a costruirmi una bella molotov". Rispose lei, cercando di non farsi sfuggire una risata che stava trattenendo.
"Sarebbe più semplice credere agli asini che volano piuttosto che a te che imbracci una possibile arma". Disse Alex, ridendo e andando poi a posare nuovament il braccio sulle sue spalle.
"Come ti permetti?". Chiese Lana, continuando a fingersi offesa, aggiungendo poi: "guarda che a casa ho un coltello svizzero".
"Oh cazzo, adesso si che tremo". Rispose Alex e Lana non poté fare a meno di ridere.
"Non riderai tanto quando troverai la tua bella macchina tutta sfregiata".
"Certo, certo...". Sussurrò Alex, andando poi a posare appena le labbra sul collo della ragazza, spostando appena i suoi capelli da un lato.
Lana sentì subito dei brividi su tutta la nuca e sul lato del collo dove le labbra del ragazzo la stavano sfiorando così dolcemente: riusciva a sentire il suo alito fresco che sfiorava la sua pelle e quella sensazione invetibilmente, le faceva nascere la pelle d'oca.
"Che stai facendo?". Sussurrò Lana con la voce improvvisamente roca, con un lieve accenno di risata.
"Voglio solo assaporarti un poco...". Sussurrò Alex, iniziando a baciare delicatamente il collo di Lana, scendendo lentamente fino al suo decolleté semi scoperto dato che lei indossava una camicia abbottonata solo per metà.
"Tra poco assaporerai la pizza...". Sussurrò lei in risposta, ridacchiando dal momento in cui quei baci le facevano un leggero solletico molto piacevole. Non riusciva a dirgli di no e nemmeno voleva farlo. Le piaceva il modo di fare di Alex, che agiva senza chiedere esplicitamente il permesso e senza essere troppo invasivo o troppo smielato. Lui continuava a baciarla e Lana inclinò d'istinto il collo a favore del ragazzo, lasciando che una sua mano si andasse a posare appena sopra il ginocchio della ragazza che era scoperto giacché indossava una gonna.
"C'è qualcosa di più delizioso della pizza". Rispose Alex co la voce che andava via via facedosi sempre più bassa e calda.
Lana si lasciò sfuggire un piccolo sospiro di piacere ed andò ad intrecciare una gamba con quella di Alex nel sentire che i suoi deliziosi baci diventavano sempre più appassionati, andando a premere le labbra sulla sua nuca, come per assorbire il sapore della sua pelle.
"Quindi vuoi mangiarmi?". Chiese Lana, andando a sedersi sulle gambe del ragazzo ed incrociando per un momento i suoi occhi che emanavano la stessa, inconfondibile scintilla di desiderio.
Alex accennò un sorriso nel sentire le parole di Lana e fiorò con una mano il suo viso, mentre l'altra restava sul ginocchio della ragazza.
"Voglio gustarti". Disse lui, deciso.
"Non ricordi che sapore avevo, dieci anni fa?". Chiese Lana, con una leggera sfumatura di provocazione nella sua voce.
Alex lasciò scorrere la sua mano dalla guacia della ragazza al suo collo, fino ad arrivare, lentamente ad un suo seno e poi al suo bacino sul quale strinse appena la presa.
"Ricordo che eri il più bel fiore esotico, ma quel fiore adesso è sbocciato ed è arrivato al massimo della sua fioritura". Rispose Alex, il quale non riusciva in alcun modo a togliere gli occhi di dosso alla ragazza che era incantata da lui: da come muoveva le sue labbra, dal suo timbro di voce, dalle parole che usava per descriverl, da come le sue mani fremevano per toccarla, eppure rimanevano dolci e sensuali. I loro respiri erano lenti e procedevano allo stesso ritmo, mentre i loro cuori, in quegli istanti sembravano battere all'unisono l'uno per l'altro.
Erano così presi l'uno dall'altra, mentre i loro corpi iniziavano a stringersi insieme e le loro labbra finalmente andavano a cercarsi e a sfiorarsi che nessuno dei due, in un primo momento, si accorse del campanello il cui suono trillava in tutto l'appartamento.

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Capitolo 15
*** Capitolo 14. ***


Alex e Lana si alzarono di scatto quando il campanello suonò per la terza volta.
Lui corse subito ad aprire alla porta mentre Lana cercava di darsi una sistemata alla gonna ed alla camicia bianca che indossava la quale Alex fino a pochi istanti prima, stava sbottonando senza che lei nemmeno se ne fosse accorta dal momento in cui era stata molto presa dalle labbra di Alex, dal suo profumo, dal suo corpo che sfiorava continuamente il proprio, da ogni più piccolo sussulto che scatenava in lei ogni più piccolo respiro del ragazzo...

 Purtroppo per loro, nell'arco di tutto il pomeriggio, non ci fù più occasione di baciarsi o anche solo di sfiorarsi.
Nel primo pomeriggio, Miles, un amico stretto sia di lui che di Taylor, venne a trovare Alex, cogliendolo in compagnia della dolce e timida Lana .
Alex l'aveva presa da parte per un paio di minuti dopo mezz'ora di conversazione con Miles per baciarla e per dirle che era meglio non esibirsi in pubbliche effusioni d'amore davanti a Miles giacché lui era molto amico anche di Taylor, la ormai ex ragazza di Alex e soprattutto era una persona molto leale ed onesta che non sopportava le menzogne. Alex non sentiva dentro di sé di avere qualcosa da nascondere, ma sapeva bene di dover evitare alcune situazioni ed atteggiamenti quando era necessario e non sarebbe stato affatto carino, da parte sua, dimostrare a Miles che nel giro di nemmeno due giorni, aveva già trovato una persona con la quale avrebbe voluto trascorrere più di una sola notte insieme.
Lana trovava Miles molto simpatico: aveva un gran senso dell'umorismo ed una gran cultura musicale; aveva una band dove il suo ruolo consisteva nel suonare la chitarra e cantare. Principalmente facevano musica alternativa ma ultimamente lui e la sua band si erano cimentati nella creazione di un nuovo album dall'impronta jazz e con qualche sfumatura di rock e blues. Lana, che amava incondizionatamente sia la musica jazz che il blues, non poté fare a meno di chiedergli di sentire qualche traccia delle canzoni che lui stava creando con il suo gruppo musicale, così con il consenso di Alex, decisero di spostarsi a casa di Miles la quale si trovava in un ampio attico proprio nel centro urbano di Iron Valley e dopo aver fumato qualche spinello in compagnia ed aver ascoltato Miles cantare e suonare prima il sax e poi la chitarra, per Lana giunse l'ora di ripartire per Woodville.
Alex, dopo averla accompagnata fino a Woodvile (dove Lana aveva lasciato la sua Ford), le lasciò tutti e tre i recapiti telefonici che lui possedeva, compreso anche l'indirizzo di casa propria e  quello dello studio presso il quale lui si recava per registrare il programma televisivo che conduceva. Lana era lusingata da tutte quelle attenzioni che lui le stava dando di sua spontanea volontà e lei gli promise che si sarebbe fatta sentire molto presto, lasciandole a sua volta l'unico numero di telefono che possedeva.
Si salutarono con un lungo e dolce bacio proprio con il cielo sereno, al calar del sole e quell'atmosfera, rese il tutto decisamente più sognante e romantico, decisamente al di sopra delle aspettative di entrambi.

Nel viaggio di ritorno verso Mooney, la città dove attualmete abitava, Lana non smise per un attimo di sorridere e canticchiare le canzoni che passavano alla radio, persino quelle commerciali che lei non era mai riuscita ad apprezzare. Si sentiva rigenerata, come se quei due giorni li avesse passati su un altro pianeta e non le importava nulla del resto del mondo perché finalmente aveva un motivo per andare a dormire felice e serena, con un meraviglioso e sereno sorriso che illuminava il suo volto come un faro nella notte.
 Anche nel giorno seguente, al proprio risveglio, Lana non poteva fare a meno di essere felice anche della più piccola cosa come ad esempio il sole che fuori risplendeva, i passeri che cinguettavano riproducendo meravigliose melodie ed il leggero vento primaverile che accarezzava gli alberi della pittoresca cittadina nella quale lei viveva.
Se più volte, nel corso di quei giorni che Lana aveva trascorso a Woodville, aveva pensato più volte di aver fatto una pessima scelta nel tornare in quel luogo dove aveva vissuto la sua infanzia e la sua adolescenza, in quel momento si era ricreduta e non avrebbe mai voluto tornare indietro sui suoi passi, non avrebbe mai pensato di fare una scelta diversa ed era felice anche di aver discusso con Alex più volte perché senza quelle parole urlate e furiose, non avrebbero mai potuto vivere poi quei due giorni a casa del ragazzo in completa sintonia, distaccati del tutto dal mondo, nella loro personale dimensione sebbene fossero stati proprio nel bel mezzo di una metropoli.
Non le era dispiaciuto affatto di non aver potuto scambiarsi più effusioni e coccole con Alex perché sentiva di aver iniziato ad instaurare una strana sintonia con lui, la stessa che era nata tra loro tanti anni prima e Lana non avrebbe scambiato quel legame nemmeno con tutto l'oro del mondo.
Per lei erano stati due giorni perfetti sebbene non fossero andati a pranzo sotto la torre Eiffel o a guardare l'aurora boreale in Norvegia.
Lana si era resa conto del fatto che avrebbe potuto essere felice anche circondata dalla semplicità quotidiana se era in compagnia di una persona con la quale si sentiva completamente in sintonia ed a proprio agio.
Solitamente,  lei non era una ragazza pretenziosa: non voleva un letto tappezzato di petali di rose, essere portata a cena nel ristorante più costoso al mondo, essere lodata da tutte le persone che conosceva o avere come casa un castello fiabesco. A Lana erano sempre bastati i piccoli angoli di natura che le offriva Mooney per sentirsi appagata e spesso riusciva a passare anche una settimana da sola senza alcuna compagnia umana, ma ora si accorgeva del fatto che per sentirsi davvero felice, le sarebbe basta la presenza di una sola ed unica persona: colui che da piccolo le si era avvicinato timidamente chiedendole di giocare insieme, colui che spesso preferiva giocare con lei piuttosto che con gli altri ragazzini, colui che pur di far sorridere Lana, una volta aveva combattuto contro uno sciame di api, tornando a casa con la faccia gonfia a causa delle punture di insetto, colui che contemporaneamente, era stato capace di rubarle il primo bacio ed anche il cuore.
Lana, grazie a tutte quele energie positive che aveva raccolto negli ultimi giorni grazie ad Aex e soprattutto grazie a sé stessa a quale si era finamente permessa di vivere alcune situazioni senza imporsi dei limiti mentali, aveva ritrovato l'ispirazione e da due sere di fila, dopo il lavoro e dopo aver cenato, si buttava a capofitto a scrivere racconti brevi o poesie ispirate dai sentimenti che sentiva forte e chiaro.
Lana, però non aveva ancora riscritto ad Alex e non perché aveva paura di scrivergli, ma semplicemente perché non voleva che lui si sentisse costretto a comunicare con i messaggi che lei non amava particolarmente come mezzo di comunicazione e poi sapeva bene che lui sarebbe stato di sicuro molto impegnato con quel lavoro che personalmente, Lana odiava. Si era però sentita con Taylor, la quale non faceva altro che mandarle messaggi su messaggi appena le accadeva qualcosa di improvviso. Lana era felice che quella ragazza l'avesse presa così in simpatia e lei cercava di stare sempre dietro a tutti quei messaggi che lei le mandava, comprese foto buffe di lei e del suo piccolo bulldog nero che si portava perfino sui set fotografici.
Al mattino del giorno seguente, il mercoledì, il cellulare di Lana iniziò a vibrare incessantemente a causa di una chiamata in arrivo. Allungò il braccio per prendere il dispositivo sul comodino e fece una smorfia nel vedere il nome sul display.
"Taylor, come ti viene in mente di chiamarmi cinque minuti prima che mi suoni la sveglia? Lo sai che potresti andare in galera per questo?".
Lana sentì la ragazza ridere per le parole che aveva appena detto ed aggiunse prima di farla parlare: "comunque sto scherzando, dimmi pure".
"Devo dirti una cosa fantastica, Lana! Posso venire a cena da te, stasera?".
Lana aggrottò le sopracciglia scure mentre si alzava dal letto. "Certo che puoi venire, ma cosa è successo?". Chiese, curiosa.
"Voglio dirtelo a voce, devo resistere fino a stasera". Disse lei, facendo sfuggire una risata a Lana.
"Ma adesso come stiamo comunicando, con i nasi?". Sentì Taylor ridere, con la sua voce squillante e non potè fare a meno di essere contagiata dalla sua risata.
"Dai, hai capito cosa intendevo! Dammi il tuo indirizzo, per favore". Lana non perse altro tempo e le dettò l'inidirizzo della propria abitazione, poi le chiese, preoccupata: "ma non sei troppo lontana dalla mia città? Non voglio farti fare tutta questa strada solo per una cena e per giunta da sola..."
"Non è un problema, devo restare per un paio di giorni a Riverrun per lavoro, quindi sarò ad appena un'ora di distanza da te, se non di meno". Rispose raggiante Taylor.
Lana, però non sembrava ancora tranquilla. "Ma se lavori, sarai stanchissima stasera...".
"Ma dai, non lavoro di certo in una fabbrica!". Rispose lei, vivace ed allegra.
"Allora siamo d'accordo per stasera". Disse Lana con un sorriso in volto: sarebbe stata una bella serata leggera e avrebbe potuto conoscere più a fondo quella ragazza che  le era tanto simpatica.
"Cosa mangeremo di buono?". Chiese Taylor, senza smettere di ridere.
"Uhm... pensavo a qualche rifiuto tossico e qualcosa che riesco a racimolare per strada". Disse Lana fingendosi seria, ma scoppiando subito dopo in una fragorosa risata assieme all'amica.
Le ragazze si salutarono e Lana, dopo essersi lavata e vestita, si recò a lavoro. In quel giorno sembrava non esserci particolamente molto da fare: solo appena una decina di clienti entrarono in quello studio dentistico dove lei lavorava come segretaria e visto che aveva già terminato qualche giorno prima di fare il resoconto mensile delle entrate e delle uscite, spesso si era persa con lo sguardo ad osservare la pioggia andarsi a posare sull'asfalto della strada dove si affacciava la finestra: nel mese di aprile, era frequente che a Mooney ci fossero degli acquazzoni improvvisi ed inspiegabili ed a Lana non dispiacevano, anzi preferiva decisamente quelli ai temporali.
Continuò a piovere incessantemente anche dopo pranzo e nel primo pomeriggio. Solo verso le quattro, il sole iniziò a illuminare timidamente con i suoi raggi tiepidi, le strade, le case, gli alberi e la piccola spiaggia della cittadina. Lana staccò da lavoro ale cinque, come al solito e dopo essersi fermata al minimarket vicino casa, andò a trovare Jimbo, il gatto che ormai tutti conoscevano. Addirittura, un falegname gli aveva costruito una piccola cuccia dove ripararsi quando la temperatura sarebbe stata poco clemente con lui ed i primi freddi dell'inverno avrebbero iniziato a farsi sentire. Lana, invece gli aveva messo una vecchia coperta calda nella cuccia e spesso era solita a portare del cibo e qualche leccornia all'animale che in quel periodo, stava addirittura iniziando a mettere su qualche chilo di troppo.
Una volta a casa, la ragazza si mise subito all'opera per preparare una buona cena per lei e Taylor e dopo aver messo le verdure nel forno, si iniziò a chiedere quale fosse la buona notizia che voleva darle Taylor, ma senza trovare risposta ai propri dubbi. Decise, quindi di non complicarsi la vita scervellandosi per cose inutili e dopo aver fatto la solita chiamata a sua madre e dopo aver apparecchiato la tavola per due e dopo aver infine finito di cuocere le verdure, sentì il telefono vibrare e rispose al messaggio di Taylor, la quale la informava -euforica anche nel messaggio, che sarebbe arrivata da lei entro mezz'ora.
Per un istante, Lana aveva immaginato che fosse stato Alex a mandare quel messaggio, che fosse stato lui l'ospite per quella serata.
Domani devo chiamarlo, mi inizia a mancare. Pensò Lana, mentre iniziava a sistemare il salotto che era sempre pulito, ma che lei si ostinava a tenere sempre in perfetto ordine. Dopo aver messo anche del vino rosso sul tavolo, andò a sedersi sul divano e subito le riaffiorò alla mente un flashback di quando, qualche giorno prima, lei ed Alex si toccavano e si baciavano sul divano del  suo appartamento con tanta foga e desiderio. Non si era mai sentita così bene tra le braccia di un uomo come in quelle di Alex ed avrebbe voluto passarvici tutto il tempo della sua vita.
Il campanello discostò Lana dai propri pensieri e subito si alzò in piedi, andando ad aprire la porta dove una sorridente Tayor le gettò subito le braccia al collo, stringendola con tanto calore e lasciandole poi un bacio sulla guancia.
"Ma quanta energia!". Disse Lana, sorridendole.
"Hai visto? Te l'ho detto che non mi stanco facilmente". Disse lei sorridente per poi guardarsi intorno ed annusare l'aria nel salotto. "Ma che buon profumo!". Aggiunse, facendo spuntare un sorriso sul volto di Lana. "Ho cucinato delle verdure gratinate, spero che ti piacciano. Abbiamo anche due bottiglie di vino rosso". Disse Lana ridendo e spostadosi per far entrare la ragazza.
Taylor, però fece una smorfia e disse subito: "oddio scusa, non volevo che tu stessi ad impazzire ai fornelli. A me va benissimo anche un semplice panino".
"Ma non preoccuparti, l'ho fatto con piacere". Rispose Lana, posandole una mano su una spalla e finendo ancora una volta con le braccia di Taylor attorno al proprio collo e ad i propri capelli.
"Sei un tesoro, ti voglio bene". Disse Taylor, per poi staccarsi ed iniziare a guardarsi intorno, andando subito ad osservare uno scaffale posto vicino al corridoio dove Lana teneva parte della sua collezione di dischi.
"Wow, ti piace Sinatra! Ed anche Etta James e Nina Simone... Lana, sposami". Disse Taylor, scherzando ed avvicinandosi a lei con in mano un disco di Frank Sinatra.
Lana le sorrise e non lasciandola nemmeno parlare, le indicò la radio posta su un tavolino basso vicino all'attaccapanni.
"Puoi alzare il volume quanto vuoi, i miei vicini sono anziani e sordi". Disse Lana, ridendo mentre si avvicinava a Taylor per mostrarle come si alzava il volume in quella radio. "Non ti facevo una tipa che ascolta questo genere di musica, sai?. Lana fece un passo indietro dopo aver alzato il volume e vide Taylor sorridere.
"Io di solito tendo ad ascoltare molto rock classico, ma ultimamente ho anche dei periodi jazz".
Lana annuì e disse poi: "allora, quale era la grande notizia che dovevi darmi?".
D'improvviso, gli occhi di Taylor si illuminarono di una luce tutta nuova, come se dovesse parlare di una sua passione, una sua ragione di vita.
"Andiamo a sederci, non voglio che ti venga un colpo". Disse ridendo.

Così, dopo aver mangiato e bevuto del vino rosso sulle note di "The way you look tonight" di Sinatra, Taylor dopo aver finito il suo terzo bicchiere di vino, disse con gli occhi che brillavano ancora di quell'entusiasmo che aveva dimostrato anche al mattino con la voce, quando aveva chiamato Lana, disse: "io ed Alex vogliamo riprovare a stare insieme".
"Ah...". Riuscì solo a dire Lana, ma accennando un sorriso per non destare sospetti: lei non sapeva nulla dei due giorni che Lana aveva passato da Alex e in quel momento le fu chiaro il motivo per il quale Alex non si era ancora fatto sentire da quando lei era tornata a Mooney.
Decise di aggiungere altro, per non sembrare strana alla ragazza che aveva di fronte.
"E' una notizia bellissima, sono felice per voi". Lana sorrise quel tanto c he bastaava per non risultare falsa alla ragazza.
"Anche io lo sono e non sai quanto. Sai come è successo?".
Non voglio saperlo. Pensò d'istinto Lana, improvvisamente nervosa.
"Come? Dimmi tutto": Fu invece la risposta di Lana, mentre si versava del vino nel calice vuoto. Aveva un gran bisogno di affogare i pensieri in qualcosa di alcolico in quel momento. Non si era certo aspettata che Taylor avesse voluto darle una notizia del genere e si domandava come fosse stata così ingenua nel non essere arrivata prima ad una conclusione simile.
"Ieri pomeriggio ero andata a casa sua a riprendere le mie cose che avevo lasciato a casa sua nel corso di questi otto mesi...". Iniziò Taylor e Lana subito intervenne.
"Se non sbaglio, avevi detto ad Alexander di non farsi trovare in casa, vero?". In realtà Lana stava solo prendendo tempo perché sospettava che Taylor avesse qualcos'altro da dirle a giudicare dai suoi occhi pieni di vita e gioiosi, luccicanti come le sfaccettature di un diamante.
"Si". Annuì lei. "Io avevo la mia copia di chiavi, così sono entrata e mentre stavo cercando le mie cose, all'improvviso lui esce dalla doccia e... Non lo so, mi sembrava parecchio triste dlla sua espressione, così anche se ero ancora arrabbiata con lui, mi sono avvicinata e...". Taylor fermò la propria narrazione per abbassare lo sguardo e sorridere. Dopo aver bevuto un paio di sorsi di vino assieme a Lana, continuò.
"All'improvviso ci siamo ritrovati per terra. Lui senza l'asciugamano addosso ed io con i vestiti strappati... Era da mesi che non lo facevamo in quel modo, come se fose stata la prima volta...".
Lana non poteva fare a meno di immaginarsi tutte le scee che Taylor descriveva giacché sin da piccola aveva sempre posseduto una grande immaginazione, ma in quel caso le era fatalamente nociva: non volev immaginare un'altra donna tra le braccia di Alex. Non voleva immaginare che fosse un'altra persona a svegliarsi con lui ogni mattino. Voleva maledettamente essere lei a poter condividere ogni momento della giornata con Alex. Voleva essere lei a conoscere ogni più piccola sfaccettatura della personalità di Alex e del suo comportamento. Voleva conoscerne tutti i pregi, i difetti, i vizi, l'odore della sua pelle, le sue imperfezioni, i suoi talenti, i suoi gusti musicali, i libri che leggeva... Voleva poter essere così vicina all'animo di Alex da temere di potersi fondere con il proprio.
Ma Lana non poteva odiare Taylor semplicemente perché aveva o probabilmente avrebbe ottenuto ciò che lei segretamente desiderava nel profondo della sua coscienza.
Tirò un breve e silenzioso sospiro, accompagnato poi da un dolce sorriso e con la musica che faceva da sottofondo, lasciò che la ragazza le raccontasse nell'arco di tutta la sera, fino a mezzanotte, tutto ciò che avevano fatto lei ed Alex. I sentimenti che Taylor provava per lui e il suo desiderio personale di, un giorno non troppo lontano, volerlo sposare con tanto di una cerimonia e la città in festa per loro. Lana sopportò anche quando Taylor decise, dopo troppo vino, di raccontarle più nel dettaglio il loro rapporto sessuale e poi anche quanto le desse fastidio il fatto che lui toccasse le ragazze nello show televisivo dove lui conduceva.
Quando scattò la mezzanotte e per Taylor si fece ora di andare via, Lana poté finalmente, dopo essersi chiusa la porta alle spalle, lasciarsi andare a quel mare di lacrime che aveva trattenuto per tutto il tempo. Si mise le mani tra i lunghi capelli mentre lasciava che la propria schiena scivolasse lungo la porta fino ad arrivare a sedersi per terra.
Lana era profondamente arrabbiata ma non con Alex, ma con sé stessa.
Si odiava perché si era concessa di sperare, di andare a briglie sciolte come un cavallo selvaggio, verso tutto ciò in cui non aveva mai osato sperare troppo, proprio per paura di rimanere un giorno, fregata dalla delusione e dall'amarezza che sembrava offrirle continuamente la vita.
D' un tratto si alzò: quel sottofondo musicale era diventato irritante e staccò la spina della radio con una certa violenza dalla presa e mentre le lacrime continuavano a rigarle il volto, iniziò a togliere piatti e bicchieri dal tavolo, lasciando alla fine solo una bottiglia di vino ancora semi piena alla quale si attaccò, bevendo lunghe sorsate di quel nettare rosso senza pensarci su due volte.
Avrebbe voluto annegarci in quel vino, rimanere in uno stato confusionale finché tutto quel dolore che sentiva dentor, non le fosse finalmente passato. Odiava quella parte: quella in cui sapeva di aver perso, quella in cui non le erano rimaste carte da giocare, quella in cui poteva chiudere il sogno distrutto in mille pezzettini, in un cassetto dimenticato.
D'improvviso, il cellulare di Lana si mise a squillare, interrompendo il caos dei suoi pensieri che quella sera facevano più rumore di un branco di elefanti.
Vedendo lampeggiare sullo schermo il nome di Alex, Lana cercò di mettersi a posto la voce come meglio poteva e dopo essersi asciugata le lacrime, rispose con un semplice: "pronto?".
"Ehi Lana, sono Alex...".
"Proprio oggi mi stavo domandando come mai ci stessi mettendo così tanto a farti vivo...". Sussurrò Lana, senza riuscire a nascondere del tutto la propria tristezza.
"Mi dispiace, Lana". Disse semplicemente Alex con un tono di voce che a Lana sembrò esausto.
"Per cosa ti dispiaci? Non avevamo una relazione in fin dei conti...". Rispose Lana con un tono di voce abbattuto e di sconfitta.
"Io l'avrei voluta una relazione con te...". Sussurrò Alex.
A Lana, nel sentire quelle parole, sfuggì una breve ed amara risata. "Bel modo per farmelo capire".
Era strano come nessuno parlasse direttamente dell'argomento principale ma al contempo vi giravano intorno, come una sorta di meccanismo di difesa da parte delle due persone. Come se avesse fatto più male dire per intero il titolo della loro spada di Damocle.
"Ci meritiamo tutti una seconda possibilità ed anche tu stessa avevi detto che dovevo provare un approccio diverso con lei...".
"Si...". Ma avrei voluto una possibilità anche io di stare con te. Pensò Lana con una triste smorfia dipinta in volto.
"Diciamoci la verità, tra me e te non avrebbe funzionato. Siamo troppo distanti e fin troppo diversi. Io sono tutto ciò che tu non sei". Aggiunse poi Lana con amarezza.
Sentì chiaramente Alex tirare un sospiro e poi le sue parole che furono come una coltellata nello sterno.
"Abbiamo sognato abbastanza negli ultimi giorni. E' ora di svegliarsi e tornare alla realtà".
"Si...". Rispose nuovamente Lana mentre si gettò a peso morto sul letto, ancora vestita e con il trucco addosso.
"Mi dispiace averti illusa, Lana. Ho illuso anche me e mi sono accorto solo ieri del fatto che devo desiderare solo ciò che mi è poss-".
"Sono stanca". Lo interruppe Lana, socchiudendo gli occhi gonfi ma lui continuò.
"Sto solo cercando di dire che abbiamo vissuto in una sorta di fiaba. Non era del tutto reale ed è stato più saggio per me ritornare con lei...".
"Da quanto ti sei rammollito?". Chiese d'improvviso Lana, staccando poi la chiamata e lasciando cadere il telefono per terra.
L'unica cosa nella quale aveva avuto il coraggio di credere nella propria vita, era proprio l'amore che aveva per Alex e che lui aveva ricambiato in quei bellissimi giorni passati insieme ad oscillare tra sogno e realtà, come se fossero stati in una sorta di incantesimo delle fate di cui Shakespeare narrava in Sogno di una notte di mezza estate.
Gli unici giorni nei quali si era sentita davvero in vita e libera di fare tutto ciò che avrebbe voluto in compagnia dell'nica persona che avrebbe voluto accanto per tutta la sua vita e che aveva sempre cercato negli occhi di altri, erano appena svaniti nel grande oceano delle speranze e venivano portati via dalla corrente, lasciando Lana da sola con la rabbia, l'apatia ed una profonda tristezza interiore.

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Capitolo 16
*** Capitolo 15. ***


Hai detto che ero il fiore più esotico
Mi tenevi stretta nella nostra ultima ora
Non so come fai a convincerli e a conquistarli, ragazzo
Non so cosa fai, ma sei incredibile
Non so come fai a superarlo, superarlo...
Qualcuno di così pericoloso, corrotto e pieno di difetti come te

Uno per i soldi, due per lo spettacolo
Ti amo dolcezza, e sono finalmente pronta ad andare
Come sei arrivato in quel modo? Non lo so
Sei fottuto, sei brillante
Sembri un uomo da un milione di dollari

Allora perché il mio cuore è rotto?


Il quaderno di Lana era aperto sul letto e quelle parole scritte con inchiostro nero ed una calligrafia disordinata erano frutto di ciò che le era accaduto la sera prima.
Lana non era solita a lasciare le sue cose in giro per la casa, ci teneva sempre a tenere tutto in ordine, ma senza essere troppo ossessiva sulla pulizia, ma una cosa che proprio non si dimenticava mai di rimettere al proprio posto, era quel quaderno dove, oltre ad appunti e disegni che ogni tanto faceva, presa dalla noia o ispirata da qualcosa in particolare, teneva i suoi pensieri più intimi e personali. A volte si esprimeva in rime, altre volte semplicemente lasciava scorrere la propria penna sulla carta che aveva usato diverse volte come punto di sfogo o per fare chiarezza quando i propri pensieri iniziavano ad ingambugliarsi come fili impossibili da slegare.
Su quel quaderno, sprovvisto di righe o quadretti, dai fogli bianchi e sottili, inoltre si potevano scorgere delle piccole macchie trasparenti, accompagnate anche da minuscole macchie di inchiostro nero, lì dove le lacrime avevano ceduto ed erano cadute.

In quel momento, Lana si trovava a lavoro e guardava con malinconia e tristezza la solita finestra con il solito paesaggio: la strada che sapeva a memoria, i soliti aceri, il solito traffico, le stesse persone. La pioggia era tornata sottile e delicata e picchiettava pianissimo sulla finestra, abbastanza fitta da permettere alla ragazza di perdercisi con lo sguardo.
La rabbia era già passata.
Perché mai avrebbe dovuto essere arrabbiata se in tutta la sua vita si era sempre lasciata sfuggire tutto davanti agli occhi?
Era solo molto triste e malinconica, continuamente sul punto di piangere, ma presto sarebbero passate anche quelle emozioni come un semplice temporale estivo.
Lana era così stanca di lasciarsi sfuggire le occasioni e non aveva la minima idea di come fare, come pensare, come comportarsi per imparare a vivere come avrebbe voluto. Le sarebbe piaciuto così tanto potersi alzare, mandare tutto al diavolo a cominciare dal suo lavoro, la sua casa, quella cittadina così bella eppure così dannatamente noiosa in certi giorni e della quale si era maledettamente stufata ma non trovava mai il coraggio di dirlo a se stessa..
Avrebbe semplicemente voluto sentirsi libera.
Ed era dannatamente sicura che anche suo padre avrebbe voluto che lei avesse vissuto la propria vita come più desiderava, senza paura e con le ali spiegate verso chissà quali magnifici orizzonti.
Si era ritrovata spesso a domandarsi cosa si stava perdendo e soprattutto perché lasciava passare quelli che in teoria avrebbero dovuto essere gli anni più belli della propria vita: quelli dove si è giovani e spensierati, pieni di ansie e paure per il futuro ma allo stesso tempo così tenaci ed inesorabili con tantissimi momenti felici e tanti altri tristi.
Si domandava spesso anche dove fosse finita la propria euforia di vivere, di conoscere e fare qualcosa di nuovo.
Era stata una persona in particolare a rubarle la spensieratezza?
Oppure era stata lei stessa a portarsela via?
Lana non sapeva come rispondere a quelle sue domande.
Sentì d'improvviso il proprio cellulare vibrare di continuo nella tasca dei propri jeans che indossava quel giorno e, credendo che si trattasse di una chiamata, prese in fretta in mano il dispositivo, ma erano solo i messaggi che Taylor le stava madando a raffica.
Sospirò: quella ragazza sembrava non stancarsi mai di raccontarle ogni minima cosa che faceva attraverso i messaggi e Lana, dopo aver appreso la notizia che lei e Alex erano tornati insieme, non moriva dalla voglia di parlarle e non perché ora la odiava, semplicemente perché avrebbe tanto voluto essere al suo posto.
Siccome non aveva nulla di meglio da fare in quel momento, decise comunque di dare un'occhiata a cosa le aveva scritto Taylor e sgranò gli occhi nel leggere i messaggi.
Taylor l'aveva appena invitata a cenare con lei, Alex e con un loro amico di cui non aveva fatto il nome, spiegandole che le doveva una cena dal momento in cui lei era stata a casa della ragazza la sera prima.
Lana non ebbe tempo di riflettere che vide arrivarle un ennesimo messaggio, questa volta da parte di Alex il quale la implorava a prendere parte alla cena in modo da poter restare per qualche minuto da soli e parlare.
Ancora una volta non fece in tempo a riflettere che le arrivò un altro messaggio, stavolta da Taylor che le aveva mandato l'indirizzo del ristorante dove avrebbero cenato.
Lana bloccò lo schermo e sospirando, si rimise il telefono in tasca, poi nel vedere arrivare un cliente nel propio piccolo ufficio, accennò il suo solito sorriso cordiale.
Non avrebbe mai cenato con loro, nemmeno per tutto l'oro del mondo.

Lana si era appena chiusa alle spalle la porta di casa sua con un sospiro, forse il millesimo della giornata. Era stata una giornata particolarmente pesante per lei sebbene il suo lavoro non le richiedesse chissà quale sforzo o capacità intellettiva.
Era la sua mente ad essere stanca.
Non ne poteva più di affliggersi con i propri pensieri, sentiva d'improvviso un impellente bisogno di uscire, di stare a sentire i problemi altrui o di riempirsi le orecchie di musica, o magari entrambe le cose.
Soprattutto, sentiva l'urgenza di seppellire i propri pensieri con una quantità imbarazzante di alcool.
Così, senza stare a pensarci troppo, almeno per una volta, si diresse a passo veloce nella propria camera da letto e una volta davanti all'armadio le cui ante erano state spalancate, con forza da lei, Lana seppe subito cosa mettersi: era un elegante vestito nero con una scollatura a cuore, fatta di pizzo. La stoffa, dietro terminava quasi fino a toccare terra, mentre davanti si fermava sulle ginocchia: aveva messo quel vestito solo una volta, almeno un anno prima quando era uscita a cena con il suo ormai ex ragazzo Peter e ricordava bene di essersi sentita a disagio perché era fin troppo appariscente per i propri gusti, ma quella sera Lana per una volta nella sua vita, voleva osare, fare qualcosa di diverso e senza l'aiuto di Alex.
Dopo aver abbinato anche delle scarpe nere e lucide con tanto di tacco, impiegò una ventina di minuti per truccarsi ed acconciarsi i capelli che con qualche boccolo, ricadevano su una sua spalla, scendendo ad accarezzarle, soffici e lucidi, il seno sinistro. Tornò nella propria stanza per prendere una giacca nera dall'armadio, ma dopo averla indossata e prima di spegnere la luce, notò il proprio quaderno aperto sul letto e si ricordò improvvisamente di ciò che vi aveva scritto all'interno quella mattina al suo triste risveglio.
Si avvicinò quindi a quest'ultimo e strappò la pagina macchiata di quelle parole fatte di disperazione, di inchiostro e lacrime, poi la accartocciò con rabbia e la gettò con foga contro la finestra chiusa, poi spinse quel quaderno per terra e dopo aver speto la luce, andò via in fretta dalla stanza, mormorando: "sono solo una stupida illusa".
Prese poi la borsa e senza neanche cenare, uscì di casa sbattendo con forza la porta, diretta verso la propria auto.
Anche alla guida risultava più determinata, iniziando ad accellerare quando la strada era libera, infischiandosene se le fosse arrivata una multa a casa per eccesso di velocità e suonando il clacson quando trovava una fila davanti a sè.
Guidò per circa una quindicina di minuti per arrivare nel nuovo pub proprio in centro di cui tutti in giro per Mooney parlavano: si chiamava "The LightHouse" ed aveva tutta l'aria di essere un locale a tema irlandese come suggerivano le decorazioni di quadrifogli verde scuro accanto al nome del locale messo in rilievo.
Quello non era affatto il genere di locali che lei era solita frequentare, anzi da quando aveva perso suo padre, Richard, si era completamente chiusa in se stessa e nella propria monotona routine, ma in quel momento si era imposta di iniziare a frequentare nuovi posti, nuove persone ed intraprendere anche qualche nuova attività o sentiva chiaramente dentro di se, che presto sarebbe impazzita e avrebbe iniziato a dare di matto.
Una volta dentro al locale, le venne spontaneo sorridere: era proprio ciò che cercava e che aveva creato nella propria immaginazione.
Nonostante fossero a malapena le nove di sera, lì dentro già vigeva una atmosfera di caos: la musica rock era al massimo volume e qualcuno se la godeva appieno, sia vecchi che giovani, ballando con energia al centro dell'ampio locale, dove vi era più spazio giacché tutt'intorno erano presenti almeno una ventina di tavolini strapieni di persone con in mano boccali di birra, pestati o shots. L'aria, lì nella LightHouse, era satura di grasse risate, dore di legno, alcool e cibo di vario tipo.
Lana scelse di andare a sedersi ad uno degli unici due tavoli a due posti liberi, sentendo chiaramente addosso gli occhi di ogni singolo uomo del locale e non se ne meravigliava: era conscia del fatto che possedeva il dono della bellezza, ma sperava che le persone nell'arco della serata, le si fossero avvicinate anche solo per scambiare con lei due chiacchiere e non solo per tentare di abbordarla.
"Ciao bellissima, cosa ti servo?". Urlò uno dei camerieri per farsi sentire in mezzo a tutta quella confusione.
Lana alzò d'improvviso lo sguardo sul cameriere biondo che possedeva un paio di splendidi occhioni verde prato.
"Per ora una birra scura, grazie". Disse lei sorridente.
"Come?". Chiese il cameriere, avvicinandosi appena a lei ed aggiungendo: "scusa, non sento niente con tutto questo casino".
Lei sorrise e gli ripeté la sua ordinazione, aggiungendo: "complimenti, siete riusciti ad ammucchiare qui tutte le trenta persone che vivono a Mooney".
Il giovane cameriere ridacchiò e spostandosi un ciuffo dalla fronte, disse: "abbiamo aperto solo da due settimane, dacci altri due mesi e chiuderemo tutto".
Lana rise ancora, facendosi trasportare dalla spontaneità del cameriere.
"Oh non preoccuparti. Alla gente di questa città piace molto fare baldoria".
"Ah si? Buon per me, posso continuare a pagarmi l'università!". Rispose lui senza smettere di ridere.
"Matt! Lascia stare la ragazza e va a servire gli altri tavoli!". Lo rimproverò il proprietario sulla cinquantina d'anni, da dietro al bancone in legno lucido, che era impegnato a servire un gruppetto di ragazze appena arrivate nel locale. Lana non poté fare a meno di ridere e disse: "vai o l'università dovrai pagartela in un altro modo".
Matt ridacchiò e dopo aver tirato fuori una penna ed un blocchetto per gli appunti, disse: "ti porto la tua birra al più presto".
"Non ho fretta". Rispose Lana, scoccadogli un veloce sorriso nel vederlo andare verso gli altri tavoli.
Quel ragazzo, con la sua disinvoltura e con solo un paio di frasi, aveva subito messo Lana a proprio agio, la quale in attesa della propria bevanda alcolica, si iniziava a guardare intorno con occhi curiosi e giacché si era seduta proprio a qualche passo dal bagno, poteva vedere il flusso di gente che ne usciva, riuscendo persino a riconoscere qualche volto che le pareva familiare come quello di Vera, la giovane assistente del dentista presso il quale Lana faceva la segretaria o quelli di Rose e Brian, i suoi vicini che non perdevano mai occasione di divertirsi: Lana li aveva sempre invidiati come coppia perché anche se erano insieme ormai da vent'anni, erano ancora affiatati e molto raramente li aveva sentiti urlare o discutere. C'era anche Maya che faceva la commessa in un negozio di vestiti il quale Lana adorava e salutò la ragazza con un cenno, senza andare a disturbarla dal momento in cui si trovava lì con i suoi amici.
Lana, però quando spostò gli occhi sulla sedia di fronte a se che era vuota, sentì improvvisamente una profonda tristezza lacerarla da dentro, ma non voleva cedere, non voleva tornare a casa a piangersi addosso ancora una volta: voleva concedersi una opportuità, una occasione per divertirsi anche se sarebbe restata da sola per tutta la sera, anche se le cose non fossero andate come lei aveva immaginato.
Era così stanca di essere se stessa e almeno per una sera, voleva essere un'altra: una Lana più decisa, divertente, carismatica ed anche folle qualche volta. Sentiva il bisogno di evadere da ciò che era e si ripromise che ci sarebbe riuscita, costi quel che costi.
Finalmente arrivò la propria birra scura in un boccale di medie dimensioni riempito fino all'orlo, Lana rimase leggermente delusa perché era stato il proprietario del pub a portarle la bevanda e non il ragazzo di poco prima, ma non le importava più di tanto, le avrebbe fatto solo piacere scambiare qualche altra parola con lui.
E poi, proprio poco dopo aver iniziato a sorseggiare la propria birra ghiacciata, lo vide: era un ragazzo bellissimo ai propri occhi: la prima cosa che notò in lui fù il suo modo di camminare da solo, tra le persone. Dall'atteggiamento sembrava scocciato o irritato da qualcosa, ma al contempo agli occhi di Lana appariva enigmatico, come se avesse molti segreti da nascondere. Lo osservava mentre si avvicinava al bancone strapieno ed ordinava da bere, poi lo vide sollevarsi gli occhiali da sole e guardarsi intorno.
Fu in quel momento, sulle note di una canzone rock degli anni '70 che i loro sguardi si incrociarono.
Il ragazzo, vestito con jeans strappati ed una lucidissima giacca da motociclista, non perse tempo e dopo aver preso dal bancone il suo drink che il giovane Matt gli aveva appena dato, si avvicinò al tavolo di Lana, mantenendo la sua camminata arrabbiata ma sicura.
"Ci conosciamo?". Chiese lui, andando poi a bere qualche sorso del suo Gin lemon nel bicchiere di vetro.
Oddio, sta davvero cercando di parlarmi con la frase più banale del mondo? Si chiese Lana.
"Non credo proprio. Non sono di qui".Mentì spudoratamente lei, mantenendo gl occhi su quelli neri del ragazzo.
"Nemmeno io". Rispose lui. Aveva la voce e l'odore inconfondibile di chi è solito fumare molte sigarette al giorno.
"Quindi?". Disse Lana, con una leggera presunzione nella voce.
"Quindi se non ci conosciamo, potremmo conoscerci". Continuò lui, allungando una mano per presentarsi, mentre sollevava l'altra per dare una lunga sorsata al suo drink.
Bravo, ti sei salvato in calcio d'angolo. Pensò Lana, ridendo mentalmente e dopo aver bevuto a sua volta qualche sorso della birra fredda, strinse appena la mano del ragazzo che pareva bruciare per quanto fosse calda.
"Sono Lana, piacere". Disse automaticamente, tenendo il contatto visivo sul bel moro.
"Io sono James. Va bene anche Jay".
"Okay James, vuoi sederti?". Chiese Lana, indicandogli con un quasi impercettibile movimento della testa, la sedia vuota di fronte a sé.
Lui no si lasciò sfuggire l'occasione e subito dopo essersi andato a sedere di fronte alla ragazza, le chiese: "allora, che ci fa una ragazza bella come te, qui tutta sola?".
Oddio, spero che non dica solo frasi fatte per tutto il tempo. Si augurò mentalmente Lana mentre beveva una lunga sorsata dalla propria birra scura che sembrava proprio essere ottima con quel sapore dolciastro e leggermente speziato che la invogliava a berne ancora.
"Cerco solo di passare una bella serata. Tu?". Chiese, ma non vi era un particolare interesse nella voce della ragazza.
"Anche per me è lo stesso". Rispose lui, aggiungendo poi: "ho litigato di brutto con un mio amico, oggi".
"Mi dispiace, è sempre brutto litigare con una persona cara. Cosa è accaduto?". Chiese Lana, con cortesia e poi bevve ancora altre abbondanti sorsate di birra, consapevole che ora che gli avevagli chiesto qualcosa di personale, avrebbe dovuto sopportarsi un lungo e terribile monologo su quanto fosse triste litigare e su quanto lui avesse avuto ragione ed il suo amico torto nella discussione che avevano avuto.
Lana prese un bel respiro, poi posò un gomito sul tavolino in legno e il palmo della mano sotto al mento, pronta ad ascoltare: anche se non le interessava nulla della vita di quel ragazzo, era ancora determinata a passare una bella, anzi fantastica serata e decise di non pensare al fatto che aveva offerto a James di sederi con lei solo perché aveva un qualcosa che nei modi di fare e di vestirsi che le ricordava Alexander.

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Capitolo 17
*** Capitolo 16. ***


Lana non aveva la minima idea di ciò che stava facendo.
La serata, dopo il terzo boccale di birra ed un cuba libre, aveva iniziato a scorrere in un modo molto strano e senza alcuna logica apparente. Non aveva mai retto bene l'alcool e le bastava davvero poco per ubriacarsi, il problema era che il suo cervello era acceso assieme ai neuroni, ma solo una piccolissima parte che le permetteva di mantenere una parvenza di controllo, giusto quel piccolo insieme che le permetteva di riuscire a parlare, camminare anche se traballando appena ed era già un miracolo se non era ancora caduta rovinosamente per terra dato che indossava almeno sei centimetri di tacco.
Alzò la testa e si ritrovò davanti allo specchio del bagno del LightHouse, con i capelli leggermente spettinati ed il viso illuminato da quattro lampadine fissate allo specchio rettangolare che le mostrava il suo volto con il trucco leggermente sbavato e quel poco di rossetto rosso che le rimaneva. Dietro di lei c'era James che teneva le mani ferme sui suoi fianchi e si muoveva appena a ritmo della musica che nel bagno si sentiva di meno, ma comunque ad alto volume. Le pupille della ragazza erano dilatate e sentiva una gran carica dentro di sé.
"Allora, che effetto ti fa?". Chiese James, con voce sensuale ed andando a poggiare la testa sulla spalla di Lana, lasciadole dei baci sulla nuca che trasudavano passione e desiderio.
Lana sollevo appena il collo, mentre guardava allo specchio il ragazzo che baciava con foga la propria pelle, come se lei fosse stata l'unica donna sulla terra ed avvicinò lentamente il dito indice con l'unghia laccata di un vistoso nero lucido, a pulire i resti di polvere bianca che era rimasta sotto alla propria narice.
"Mi fa sentire invincibile". Rispose Lana, schiudendo appena le labbra carnose e gettando per quello che sembrò un istante eterno, lo sguardo al soffitto verde scuro di quel bagno.

Il tempo prese di nuovo a scorrere in un modo strano ed incomprensibile per la ragazza e senza nemmeno avere il tempo di fare dei pensieri razionali e logici, si ritrovò come all'improvviso, nel proprio letto, nella propria stanza, completamente nuda e sopra al corpo ansimante di James, il quale teneva entrambe le mani sui suoi seni che stringeva con forza; poi si ritrovò tra le sue braccia, con la schiena rivolta al muro, le braccia aggrappate al suo collo e le mani che stringevano i suoi capelli mossi, corvini. Le loro labbra non riuscivano a non volersi, a cercarsi continuamente e spesso sia Lana che il ragazzo, sembravano non voler fare nemmeno lo sforzo di prendere fiato, limitandosi a piccoli ed accellerati respiri affannosi sui loro visi sudati per poi tornare subito a baciarsi e ad ansimare l'uno nella bocca dell'altra. Lana lasciava che una delle sue mani scorresse dalla sua nuca alla sua schiena ampia, mentre le gambe erano strette con forza attorno ai fianchi di James, il quale con il bacino, faceva dei movimenti secchi e decisi verso quello di Lana, la quale non poteva fare a meno di emettere qualche piccolo urlo, susseguito da numerosi gemiti.

Infine, si ritrovò ancora una volta sul letto, questa volta senza essere coinvolta in alcuna attività sessuale e chissà come, era riuscita addirittura, dopo le svariate perfomance sessuali che aveva avuto con il ragazzo il quale dormiva a pochi centimetri da lei completamente nudo e con il lenzuolo bianco che a malapena gli copriva le parti intime, a indossare la propria biancheria intima ed il reggiseno nero che aveva indosso anche la sera prima.
Non sapeva che ore fossero e nemmeno voleva saperlo: a gudicare da come era alto e luminoso il sole che riusciva a vedere dalla finestra, sembravano essere le undici o forse già mezzogiorno. Le bastava avere la consapevolezza che fosse venerdì e quel giorno avrebbe lavorato solo al pomeriggio, quindi per fortuna, avrebbe avuto tempo per rimettersi in sesto ed apparire almeno un poco decente sul posto di lavoro.
Come puoi svegliarti con qualcuno che non ami? Si chiese d'improvviso la ragazza, mentre lasciava cadere gli occhi sul ragazzo che le dormiva di fianco, russando leggermente e con una smorfia di soddisfazione stampata sulla faccia che Lana gli avrebbe voluto volentieri cancellare con un pugno.
Si domandò anche da dove venissero quegli strani pensieri violenti, ma trovò risposta nella domanda che si era posta ancora prima.
Non poteva ancora credere di essere andata a letto con un ragazzo del quale aveva conosciuto appena il nome e qualche racconto divertente della sua vita, di cui però Lana ricordava poco o niente e si sforzò quindi di chiudere gli occhi, cercando di ricordarsi altro oltre al nome dell'agglomerato di carne e sangue che le stava accanto e che stava iniziando a russare in un modo ancora più irritante.
Ricordava che lui aveva venticinque anni, che era un cocainomane e che era un completo coglione, che per tutta la serata non aveva fatto altro che fare battute, raccontare barzellette ed inventarsi chissà quale cavolata ed aneddoto divertente sulla sua vita, facendo sgretolare in tanti minuscoli pezzettini la maschera da "cattivo ragazzo" che si era creato poco tempo prima, alla sua entrata nel locale.
Lana si ricordò all'improvviso, come un rapidissimo flash di luce, della propria immagine riflessa allo specchio e delle proprie dita laccate di smalto nero che pulivano i resti della polvere bianca sotto le narici.
Senza stare a pensare ancora, Lana per una volta agì di istinto, mettendosi quindi seduta e prendendo il proprio cuscino coperto dalla federa, che iniziò poi a sbattere diverse volte sul corpo di James, dicendogli ad alta voce di alzarsi ed andarsene.
"Ehi ma che cazzo...". Esclamò lui, fermando con una mano il cuscino mentre con l'altra si stropicciava gli occhi.
"Mi hai fatto sniffare ieri sera, pezzo di idiota!". Urlò Lana, alzandosi dal letto e andando ad infilarsi in fretta i primi jeans che trovò nell'armadio.
"E quindi? Hai detto che non eri la prima volta che lo facevi". Disse lui, gettando a terra il cuscino che fino a poco prima Lana gli stava sbattendo addosso ed alzandosi poi velocemente da quel letto.
"Si che era la prima volta!". Contestò Lana, tirandogli poi addosso i suoi vestiti che lui riuscì a prendere al volo prima che collidessero sulla sua faccia.
"Allora perché non me lo hai detto?!". Chiese lui, alzando la voce mentre iniziava a vestirsi velocemente con i vestiti che lei gli aveva lanciato.
"Porca puttana, non hai visto che ero ubriaca fradicia?!". Urlò lei mentre si infilava anche la prima maglia che si ritrovò davanti.
"Beh, però la coca ti ha fatto guidare benissimo fino a qui". Affermò lui, fingendo un tono di voce orgoglioso, con un accenno di risata dopo essersi infilato anche i pantaloni di pelle e gli anfibi.
"Ma cosa... Tu sei pazzo!". Urlò Lana, correndo poi ad aprire la porta di casa propria e portandosi successivamente una mano davanti alla bocca: aveva parcheggiato la sua Ford sul prato e buttato giù un piccolo pezzo di steccato di legno del proprio minuscolo giardino che per quanto era piccolo, poteva essere scambiato anche per un'aiuola.
Chiuse subito la porta di casa prima che qualcuno dei vicini la vedesse e si ritrovò di fronte James che si stava infilando la t-shirt che aveva addosso la sera prima, con assoluta nonchalance.
"Visto? Non è andata male, lady". Fece per andare ad accarezzare un suo fianco con una mano ma si beccò una spinta dalla furente Lana che urlo: "non è andata male?! Ho sfasciato un pezzo del mio recinto e mi è andata bene che io abbia ancora la patente. Non potevi guidare tu?".
"Ma sei pazza? Mi tolgono la moto se guido sotto effetto di alcool e droghe". Rispose lui, con una innocente semplicità nella voce.
"E quindi hai fatto guidare me! Bel gentiluomo del cazzo!". Urlò lei, applaudendogli in modo sarcastico per poi aprirgli la porta d'ingresso.
"Esci fuori immediatamente". Esclamò Lana in modo repentino, esasperata.
"Aspetta, vado a prendere la giacca...". Disse lui e fece per andare verso il corridoio che lo avrebbe portato nella camera, ma Lana bloccò James, afferrandolo per un polso e poi spingerlo con l'altra mano verso la porta aperta e urlare arrabbiata. "Non mi interessa della tua giacca di merda. Va fuori. Ora".
James cercò di divincolarsi dalla presa di Lana in un primo momento, ma si ritrovò in un istante fuori dalla casa e fece in tempo solo a dire: "allora ti chiamo per venirla a pren-". Non fece in tempo a finire che Lana gli sbatté la porta in faccia.
Tirò un lungo sospiro e passandosi una mano nei capelli pieni sporchi di lacca rappresa, decise di andare a farsi una doccia, soprattutto per togliersi di dosso quell'odore del profumo, della pelle di James e la puzza di alcool di dosso.

Dopo essersi fatta la doccia, Lana con solo un asciugamano addosso che le copriva il corpo ancora bagnato, si fermò a guardarsi allo specchio, sospirando e chiedendosi: chi diavolo sono io?
Non fu capace di trovare una risposta e sentì d'improvviso la gola più amara del solito, forse a causa della droga che aveva assunto la sera prima, forse a causa dei suoi occhi riflessi nello specchio che erano così tristi e persi, o forse per entrambe le cose.
La suoneria del telefono che squillava nella camera da letto, distolse Lana dai suoi pensieri masochisti e corse in camera, cercando il telefono che era sepolto sotto al letto assieme alla borsa. Dopo aver preso in mano il dispositivo ed essersi rialzata da terra, Lana nel vedere che era Taylor che la chiamava, sospirò e decise di risponderle dal momento in cui le doveva delle scuse per non essersi fatta nemmeno sentire il giorno prima.
"Ciao, Taylor". Rispose Lana mentre si appoggiava il telefoo all'orecchio, fingendo una voce calma e tranquilla.
"Ehi Lana, come stai?". Chiese lei, con voce preoccupata e Lana subito si sentì in colpa per non averle risposto nemmeno ai messaggi il giorno prima.
"Scusa se non ti ho risposto ieri. Non stavo molto bene". Rispose, cercando di risultarle credibile.
"Non ti preoccupare, cosa ti è successo?". Chiese Taylor.
Lana si sedette sul letto e guardando la giacca di pelle di James che giaceva a terra, rispose: "nulla di particolare... Ho avuto un poco di febbre". Fece un colpo di tosse per rendersi più credibile e subito sentì Taylor esclamare: "cazzo, mi dispiace. Ora stai meglio?".
"Non lo so...". Sussurrò Lana, facendo poi un silenzioso respiro nell'accorgersi del fatto che non sarebbe stata bene ancora per chissà quanto tempo.
"Allora misurati la febbre!". Esclamò Taylor con una risata squillante.
Lana sospirò ancora. "Davvero Tay, mi dispiace di non aver nemmeno potuto avvisare".
"Ma dai, non ti preoccupare affatto". Rispose vivace la ragazza per poi aggiungere ridendo: "comunque ti sei solo persa me che cantavo ubriaca al karaoke mentre a malapena mi reggevo in piedi".
Lana accennò una risata nell'immaginarsi la scena, ma quel piccolo sorriso svanì subito nell'immaginarsi anche Alex lì con lei, che la aiutava a reggersi in piedi mentre cantavano chissà quale canzone d'amore insieme.
Sospirò per l'ennesima volta e rispose fingendosi divertita. "Spero che qualcuno abbia ripreso questa scena da oscar".
"Probabilmente metà del locale". Rispose Taylor senza smettere di ridere.
"Domani riuscirai a venire?". Aggiunse poi, facendo subito accigliare Lana.
"Non lo so, dipende come starò... E dove?". Chiese, facendo una smorfia nel vedere che il proprio cuscino era sporco di trucco.
"A Windrun, il produttore dello show che conduce Alex organizza una festa nella sua villa per festeggiare il successo del programma".
Come se quel programma insulso meritasse anche di essere festeggiato. Pensò sarcastica Lana.
"Windrun è ad appena a qualche chilometro da Mooney, dai vieni". Continuò Taylor, con voce dolce ed incalzante, la tipica di chi vuole convincere altri a fare qualcosa quando sanno che il prossimo è già in procinto di rifiutare.
"Beh, ma sei sicura che Alex vuole che io venga?". Chiese Lana, cercando di salvarsi dal dover dire a Taylor che non ci sarebbe stata nemmeno quella volta.
"Ma si che vuole. Ha chiesto lui al produttore se poteva invitare anche te e Miles oltre a me!". Rispose entusiasta la ragazza, che ormai sembrava già convinta del fatto che Lana si fosse presentata all'evento sebbene lei non le avesse dato alcun motivo per pensarlo.
"Purtroppo non ti assicuro niente, dipende da come starò domani". Disse Lana, fingendo altri colpi di tosse.
"Oggi non andare a lavoro, così per domani ti sarai ripresa". Disse Taylor, ancora speranzosa e Lana iniziò a sentirsi ancora più in colpa nei suoi confronti: lei non le aveva fatto nulla di male per meritarsi quel trattamento di indifferenza e non era affatto giusto. Rifletté quindi per dei brevissimi secondi: di sicuro non avrebbe avuto occasione di vedere Alex senza Taylor al suo fianco o senza che qualcuna delle persone per le quali lui lavorava, lo avesse preso da parte per parlargli di soldi o elogiarlo, quindi il rischio che lei potesse effettivamente trovarsi da sola con lui, era davvero basso. Gli occhi le ricaddero nuovamente sulla giacca di pelle per terra ed ebbe un'idea.
"Va bene, oggi resto a casa". Rispose.
"Quindi é un si?". Chiese Taylor, che sembrava faticare per trattenere l'entusiasmo.
"Prendilo come un forse si". Disse Lana, accennando una brevissima risata.
"Okay, okay ci divertiremo tantissimo, mettiti il tuo vestito migliore, ho tantissime persone da presentarti!". L'entusiasmo di Taylor si era riacceso come un fiammifero acceso su una scia di benzina e dopo aver parlato con Lana dell'indirizzo del posto, l'orario e di quanto si sarebbero divertite insieme a quella festa, finalmente decise di riattaccare.
Lana, dopo aver chiamato il proprio datore di lavoro, dicendogli che si sarebbe assentata per una settimana a causa di problemi di salute, gettò finalmente il telefono sul letto e si lasciò andare con la schiena sul materasso, lasciando che l'asciugamano che scivolò ai piedi del letto, la lasciasse completamente nuda.
Non sapeva cosa stesse facendo, ma sapeva che rivedere Alex, le avrebbe fatto molto, molto male e non sapeva ancora fino a che punto sarebbe riuscita a sopportare quella situazione, quella distanza tra lei e lui, quel sogno che continuava ad infrangersi, i propri pensieri che stavano iniziando a sfuggirle dalle mani e soprattutto quella voglia crescente dentro di sé di mandare al diavolo tutto e andarsene lontano, lasciandosi tutto alle spalle, tutto ciò che aveva amato e tutto ciò che aveva temuto.

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17. ***


Lana aveva passato il venerdì in un modo molto strano: dopo aver spostato la propria auto ed averla parcheggiata in un modo decente sul vialetto, aveva ritrovato in un carrello seminascosto da una credenza nel salotto, dei superalcolici che in alcune occasioni le venivano donati, come nelle festività o per qualche compleanno. Ricordava bene che un suo zio si intendeva particolarmente di alcolici, principalmente perché lui stesso in prima persona, spesso aveva sperimentato quello che lui chiamava "nettare degli Dei" e nelle festività, coglieva sempre l'occasione di regalare a qualcuno della famiglia un liquore o un alcolico che lui aveva personalmenrte testato anni o mesi addietro. Una cosa che a Lana era rimasta particolarmente impressa e che trovava molto divertente, era che quando quel suo zio si accingeva a fare quei doni, raccontava sempre ciò che si ricordava a riguardo dell'esperienza, rendendo simbolico il valore di quella bottiglia o fiasco che lui si accingeva a regalare.
Così, Lana aveva sorriso quando aveva stappato quella bottiglia di Whisky invecchiato di cinque anni, ricordandosi che suo zio, una volta sbronzatosi con quello, il giorno seguente si era svegliato in una cella e con l'accusa di atti osceni in luogo pubblico.
A Lana, però non era accaduto nulla di così eccessivamente drastico e sorprendente: aveva passato il pomeriggio e la sera a cantare a squarciagola e l'unica cosa "azzardata" che aveva fatto, era stata quella di tingersi i capelli di nero.
Sulle undici di sera si era accorta di avere il numero di James e lo aveva chiamato con la testa che ancora le girava e la voce ancora roca dopo tutto quel cantare invano ma che almeno le era servito nel sentirsi più disinibita per quella chiamata, dove lei non si era affatto scusata per aver cacciato in malomodo il ragazzo e lo aveva addirittura invitato a passare la notte da lei sebbene lui abitasse almeno a venti minuti da lì ed erano già circa le undici e mezza di sera, ma james aveva un carattere masochista e non gli dispiaceva farsi trattare male dalle donne, specie da quelle che esercitavano attrazione su di lui, come Lana.

Una volta che James ebbe infine raggiunto la casa di Lana in moto, mettendoci addirittura meno del previsto, avevano passato un paio di ore a fumare erba e a guardare un film e lui, da ingenuo quale era, aveva inutilmente sperato per tutta la sera, senza scordarsi di fare battute maliziose o certi movimenti con il corpo, che Lana gli avesse concesso il suo corpo. Lana già da prima di chiamare James si era aspettata che lui si fosse comportato in modo provocante con lei per tutto il tempo, ma per quella sera non nutriva un desiderio sessuale, ma solo quello di non restare da sola in compagnia della bottiglia di whisky che si era poi finito James, il quale si era addormentato sul divano dopo che Lana si era già appisolata con la faccia sulle sue gambe già da mezz'ora.
Lana iniziava ad apprezzare un pochino la compagnia di James: non era odioso, non si dava così tante arie e non era così stupido. Le era indifferente e non le dispiaceva passare del tempo con lui se non allungava le mani e si era ripromessa che avrebbe provato ad avere conversazioni profonde con lui quando sarebbero stati entrambi sobri.
Ma al sabato mattina Lana non era proprio in vena di parlare o sorridere: si risvegliò sul divano, aggrappata a James e con un orribile mal di schiena. Dopo che si fu alzata, si accorse anche del mal di testa e non poté fare a meno di imprecare sottovoce. Fece un paio di passi per spegnere il televisore di fronte a lei che era rimasto acceso per tutta la notte con "Le Iene" in loop, ma inciampò sulla bottiglia vuota di Whisky che fece un rumore assordante, fin troppo per la testa della ragazza che sembrava volesse scoppiarle da un momento all'altro. Si voltò verso James e notò che anche quel mattino russava come un maiale, così gli si avvicinò cautamente e gli diede un buffetto sulla pancia, forte abbastanza per farlo svegliare di colpo, imprecando.
"Dai Lana, mi sono addormentato alle due!". Protestò James, guardando la ragazza per poi chiudere di nuovo gli occhi.
"Allora non russare, ho un gran mal di testa". Protestò lei mentre si chinava a raccogliere la bottiglia vuota.
D'improvviso sentì uno spostamento d'aria e subito dopo delle mani avvolgerle lo stomaco e stringerla appena, cosa che le fece scappare un conato di vomito.
"James, mi fai vomitare...". Disse Lana.
"In che senso?". Chiese lui, ridendo e andando a pizzicarle un fianco.
Lana si spostò abbastanza da sfuggire alla sua presa, ma lui riuscì comunque a darle una pacca sul sedere.
"Se prima ero tentata a dire una gentilezza, dopo questo gesto direi nel senso che devo correre in bagno a vomitare nel water". Disse lei, indicando con la mano libera, la sua che l'aveva sculacciata, poi getto la bottiglia nel bidone.
"Che permalosa". Disse lui, alzandosi ed avvicinandosi a Lana, la quale sospirò, capendo bene dove lui volesse andare a parare con quegli occhi neri che iniziavano a cercare un contatto con i suoi e con la sua mano che andava a posarsi su un proprio fianco.
"Possiamo aspettare fino a dopo la festa di stasera?". Chiese lei con voce morbida ma decisa, cercando di convincere James.
"Ma sei così bella...". Continuò lui, scendendo con la mano a palpare una natica della ragazza mentre le labbra si avvicinavano pericolosamente alle sue.
Lana, nel ricordare in alcuni flashback che aleggiavano nella propria mente, come effettivamente ci avessero dato dentro la sera prima, non poté fare a meno di avere dei brividi nel sentire quel contatto fisico tra loro e per non contraddirsi, decise di stare immobile, senza dire nulla.
"Mi stai dicendo di si a modo tuo?". Chiese  sussurrando, la voce di James che era vicinissima alla nuca della ragazza, tanto da riuscire a sentirne il fiato caldo e nel sentire le sue labbra iniziare a baciarle, mordere e succhiare la propria nuca, Lana si lasciò sfuggire un sospiro di eccitazione, sussurrando poi un: "forse".
James, spronato dall'unica parola pronunciata dalla ragazza che trovava irrresistibile quanto caliente, decise di agire e dopo averle sfilato di dosso la t-shirt che aveva indosso, mettendo in bella mostra il suo seno abbondante, la prese subito in braccio mentre continuava a marchiare il suo collo profumato con le sue labbra.
"Hai la polvere magica?". Sussurrò Lana al suo orecchio, andando poi a posare una mano tra i suoi capelli mossi e neri come pece che strinse appena.
James si limitò ad annuire, facendo un sorrisetto provocante e dopo aver fatto in fretta uso della sostanza che lui aveva nascosta in una tasca interna della giacca da motociclista, finirono per fare sesso sul divano per due volte di fila e poi, estenuati da quell'attività fisica, decisero di fare una doccia insieme, ma ancora una volta si lasciarono andare alla lussuria e ancora una volta la polvere bianca cadde come neve all'interno delle narici dei loro nasi.

Lana e James, alle otto di sera, subito dopo aver cenato con tutto ciò che avevano trovato nel frigo della ragazza, colti da una strana fame chimica a causa dell'abuso della polvere bianca e dopo essersi vestiti e profumati, si trovavano sulla moto da biker del ragazzo, diretti alla vicina città di Windrun, dove si sarebbe tenuta quella festa alla quale James sembrava ansioso di partecipare dal momento in cui seguiva il programma che conduceva Alex e sembrava anche apprezzarlo.
Lana, se prima aveva cercato di farsi stare almeno un pochino simpatico quel ragazzo, dopo aver appreso quella notizia, ci aveva rinunciato completamente e si era messa in testa di doversi liberare al più presto di lui, magari proprio il giorno dopo o proprio dopo la festa. Anzi, perché non dargli una piccolissima possibilità di farsi conoscere meglio da lei? Magari aveva davvero qualcosa da dirle a parte le grandi cavolate che si inventava perché evidentemente soffriva di bassa autostima. In fondo, quella giornata con lui non stava passando in modo pessimo: dopo la doccia insieme, avevano ballato fino alle tre del pomeriggio e Lana era stata soddisfatta di essere riuscita a fare apprezzare la musica blues al ragazzo, che invece le aveva fatto conoscere un gruppo punk\rock che non le dispiaceva affatto. Poi avevano guardato un altro film sotto l'effetto della marijuana e si erano addormentati nuovamente sul divano, risvegliandosi poi giusto in tempo per cenare e prepararsi il vizio. Lana, ormai stava prendendo il vizio di svegliare James in modi poco carini, mentre lui non poteva fare a meno di svegliarsi con la voglia di toccare Lana e a lei iniziava a non dispiacere più di tanto, perché se era sotto effetto di qualche sostanza, riusciva anche ad immaginare che fosse un altro a toccarla in quel modo.
Una volta arrivati all'indirizzo che Taylor aveva dato a Lana quel mattino ed essersi ritrovati davanti ad una splendida quanto enorme villa tutta illuminata e con tanto di fontana di marmo nel vasto giardino verdegiante e curato, con luci multicolore che rendevano l'acqua un vero spettacolo per gli occhi , Lana si ripromise di lasciarsi alle spalle la vita che aveva a Mooney e di essere la Lana che spesso era stata negli ultimi due giorni: semplice, divertente, con un sottile velo di mistero e la voglia di sperimentare sempre cose nuove. Aveva supplicato a James di non dire a Taylor ed Alex che si erano conosciuti in un locale due giorni prima, ma di dire che si conoscevano già da una settimana perché altrimenti, quella versione sarebbe andata a collidere con ciò che Lana aveva detto a Taylor al mattino, ovvero che aveva avuto la febbre. James le aveva detto che avrebbe mantenuto quella versione ma solo a patto che un giorno lei fosse uscita con lui anche solo per un caffé e Lana aveva accettato di buon grado, anche perché non aveva nulla da perdere.
Una volta scesa dalla moto del ragazzo, Lana si sistemò il lungo vestito bianco che indossava quella sera: aveva un morbido scollo a "V" che le conferiva un aspetto elegante e il vestito candido, aderiva perfettamente al suo corpo sinuoso, andando a terminare allargandosi appena, in delle piccole piege, in modo da permetterle di camminare senza troppa difficoltà. I capelli della ragazza che ora erano neri come il petrolio, erano per metà poggiati su un lato della spalla e sulla schiena, ondulati e morbidi mentre sulle proprie labbra luccicava il suo rossetto rosso preferito. James, accanto a lei, sembrava non sfigurare affatto e sfoggiava una elegante camicia rossa sotto alla giacca da motociclista nera, i suoi jeans erano stretti e semplici, mentre le sue scarpe erano nere e lucide come la giacca. Si posò gli occhiali da sole in una tasca interna della giacca e prese a braccetto Lana, la quale nell'avvicinarsi al portone di ingresso nella villa, dove un maggiordomo li stava facilitando aprendo loro un'anta del portone, inizò a sentire addosso l'ansia di dover incontrare Alex.
James, ovviamente non sapeva nulla di tutto ciò che era accaduto da quando loro due si erano ritrovati a Woodville e non voleva che James ne sapesse nulla, infatti aveva detto lui che Alex era un semplice amico di infanzia che aveva ritrovato grazie all'amicizia che aveva stretto recentemente con la sua ragazza, ovvero Taylor.
James non si era fatto domande, del resto non conosceva Lana per nulla, a parte qualcosa sui suoi gusti musicali ed i suoi modi bruschi di svegliarlo, ma nutriva un gran rispetto nei confronti della ragazza anche se aveva intuito vagamente di non essere esattamente il tipo di persona che lei cercava.
Dopo aver attraversato il portone, i due si ritrovarono davanti ad una magnifica sala d'ingresso, con persino il soffitto decorato con un dipinto che sembrava fatto direttamente da un artista italiano per quanto er bello e particolare. Dal soffitto, poi pendeva un lampadario gigiante, di quelli che si vedono in film come "Il grande Gatsby" ed era ornato in ogni angolo da piccoli quanto sfarzosi cristalli pendenti che si riflettevano tra loro dando vita a piccoli spettacoli di luce con minuscoli arcobaleni che volteggiavano tra loro. Davanti a loro, nascevano due enormi scale a chiocciola di marmo bianco, che però erano state chiuse con dei pali e nastri rossi tutt'intorno ad esse.
Lana vide che sulla sinistra vi era una porta aperta e con James, si recò lì:  poteva intravedere una stanza enorme per i ricevimenti, tutta decorata con divani, bar, repliche di famosi dipinti e anche foto del proprietario della magione che lo immortalavano mentre stringeva la mano a chissà quale pezzo grosso nell'ambito del cinema e dell'intrattenimento. Appena fece un passo oltre la porta per entrare nella stanza che era grande almeno quanto tutta la casa della propria madre, Lana si iniziò a sentire gli sguardi di almeno una sessantina di persone che erano presenti in quell'ambiente. C'erano persino un pianista ed un sassofonista che suonavano e alla ragazza l'ambiente nel quale si trovava, con quella musica e quelle persone altolocate, sembrava quasi di ritrovarsi in Eyes Wide Shut.
"Merda, ma sai chi è colui che ha organizzato tutto questo?". Sussurrò stupito, James a Lana, mentre si avvicinavano al bar che era all'estrema destra della grande stanza da ricevimento.
"No, conosco solo la mia amica che mi ha invitata ed il suo partner. Mi sento una stracciona con questo vestito addosso". Rispose, accennando un sorriso, ma sentì subito la mano di James stringere la sua ed il suo sussurro: "sei bellissima. E poi mi sa che tu sia l'unica qui che abbia meno di cinquant'anni".
Lana accennò un sorriso: apprezzava la gentilezza di James e decise di fare una battuta per spezzare la tensione che sentiva dentro di sé.
"Magari siamo finiti nel reparto mummie". Disse mentre camminavano lentamente e si guardavano attorno, tenendosi per mano giaccé sembrava che quel salone si stesse riempiendo sempre di più e Lana non aveva alcuna intenzione di perdersi tra quelle vecchie megere.
"Le mummie hanno buon gusto". Disse James, staccando per un attimo la mano da quella di Lana per rubare, agile due bicchieri di martini da un vassoio di un cameriere che stava passando proprio in quel momento. Lana regalò un sorriso al ragazzo nel vederlo passarle il biccheire di vetro con tanto di oliva dentro e disse: "wow, sei l'acrobata degli alcolizzati". James non poté fare a meno di ridere, poi si voltò verso l'altro lato della stanza, con il naso all'insù, come se stesse cercando qualcuno.
"Che c'é?". Chiese Lana nel vederlo confuso e lui si affrettò a dire: "la tua amica è alta e bionda? Perché penso che ci stia dicendo di raggiungerla".
"Si, aspetta...". Disse Lana, improvvisamente di nuovo agitata e si voltò nella direzione in cui guardava James, vedendo chiaramente che Taylor stava gesticolando per dirle di raggiungerla. "Si, sono loro. Andiamo". Aggiunse Lana e James prese subito a braccetto la ragazza che, mentre camminava verso Taylor ed altre due persone che sapeva già per certo chi fossero, si scolò in qualche sorso il proprio drink.
A James non era sfuggita l'agitazione di Lana, così sussurrò al suo orecchio: "ho portato con me la roba, se ne hai bisogno, fammelo capire".
Lana si strinse al braccio di James e gli sussurrò un veloce: "grazie".
 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18. ***


Taylor accolse subito Lana con un abbraccio caloroso e la ragazza le sorrise, facendo attenzione a non farsi cadere di mano il piccolo calice vuoto.
"Che bello che tu sia riuscita a venire! Alex diceva che ti saresti persa". Disse lei ridendo, sorriso che Lana ricambiò. Salutò anche Miles che quella sera indossava un abito totalmente bianco che gli stava a pennello e sembrava decisamente incantato da Lana, prendendo addirittura la sua mano per lasciarvi un bacio delicato.
"Ecco, la prossima volta devi salutarmi così". Disse Lana, rivolta a James che le sorrise, standole sempre vicino.
Alex restava in un angolo accanto alla porta, a parlare al telefono di qualcosa che sembrava essere moloto importante e Taylor, accorgendosi che lui era in disparte, andò picchiettargli una spalla con le dita come per dirgli di muoversi.
"Quindi non è stato un raffreddore a tenerti in casa". Disse Miles con un sorriso sornione tra le labbra e Lana subito si sentì avvampare le guance di rosso, limitandosi a fare 'no' con la testa e a sorridere imbarazzata, poggiando appena la testa sulla spalla di James.
"Sono James, piacere di conoscerti, Miles". Disse il ragazzo che si allungò appena per stringere la mano di Miles, senza staccarsi da Lana che sembrava così fragile in quel momento.
Miles stava per rispondergli con altrettanta cortesia, ma si intromise Alex, che con la mano che non era occupata dal cellulare, strinse quella di James.
"Sono molto onorato di conoscere il cavaliere di Lana. Vedi di trattarla bene". Disse le ultime parole fingendosi minaccioso, ma sciogliendo tutta la tensione con una risata che James ricambiò.
Alex si voltò poi verso Lana, la quale non sapeva cosa aspettarsi da lui, ma strinse solo  per un secondo sfuggente la sua mano, come se fossero davvero sconosciuti, come se avesse cancellato del tutto i loro momenti insieme, le loro litigate, i loro modi di riappacificarsi, il modo in cui si guardavano come fossero le uniche persone esistenti al mondo, persino i suoi occhi non emanavano più quella particolare scintilla di calore quando incontravano quelli di Lana.
"Sei bellissima stasera". Disse, ma Lana, mentre fingeva un sorriso di cortesia, non credette nemmeno un po' a quelle parole che lui aveva appena sputato, in fretta come fossero il veleno mortale di un serpente: lui era splendido, come in ogni momento della sua vita; indossava un abito di un blu vivace ed elettrico, sotto la giacca sbottonata, una camicia bianca e quel profumo delizioso che era solito indossare, i suoi capelli erano totalmete tirati indietro, schiacciati lungo la sua testa con la brillantina e aveva gli occhi di chi desiderava solo farsi una bella dormita.
Il telefono di Alex prese a squillare di nuovo e lui andò ad ad appartarsi in un angolo della stanza gigante e stracolma di gente per poter parlare in tranquillità, poi Taylor, raggiante come al suo solito, prese la mano di Lana che staccò dalla presa di James e disse: "noi andiamo a farci un drink, voi due comunicate... O qualsiasi cosa facciano i maschi quando le donne non guardano".
"E Alex?". Chiese Miles.
"Penso ne avrà per un po', lo stanno aggiornando sulle modifiche che faranno al programma". Rispose Taylor con una semplice alzata di spalle.
Lana, mentre veniva trascinata verso il bar, ebbe solo il tempo di guardare per un attimo James, il quale le sorrise e fece spallucce, come per dirle di godersi semplicemente la serata e lei si trovò a chiedersi come lui facesse a sentirsi a suo agio in quella casa piena di sconosciuti.
Una volta davanti al bar, Taylor ordinò due gin lemon e Lana ne approfittò per appoggiare il suo bicchiere vuoto sul bancone di legno lucido.
"Chi è tutta questa gente?". Chiese Lana, mentre si sedeva sullo sgabello accanto a quello della ragazza che quella sera era a dir poco splendente: indossava un abito corto, pieno di strass ma senza essere pacchiano e aveva inoltre, una ampia scollatura che scopriva le sue spalle e andava a chiudersi tra i suoi seni ma senza finire nel volgare, anzi quel vestito si addiceva perfettamente a lei ed alla sua personalità vivace.
"Tutti i giovani che vedi, probabilmente sono degli arrampicatori sociali alla ricerca di contatti con registi e produttori. Questo posto è come una miniera d'oro per chi vuole fare carriera nel cinema o in televisione. Xander mi ha detto il nome di qualche vecchio bacucco che si trova qui dentro, ma non li ricordo già più". Disse, per poi voltarsi verso di lei e aggiungere con un dolce sorriso: "sono felice che tu sia qui".
Lana non poté fare a meno di ricambiare quel sorriso e Taylor strinse la sua mano fredda in segno di affetto.
"Come ti trovi con quel...? Ah, non ricordo il nome". Taylor rise di quel proprio difetto che a Lana risultò adorabile.
"Si chiama James. Ma almeno ti ricordi i mio nome, stasera?". Chiese Lana, ridendo.
Taylor rise a sua volta e poi disse, con malizia: "ti sta sempre vicino, lo avete già fatto?".
Lana non potè fare a meno di mordersi il labbro inferiore ed arrossire appena a quella domanda, poi sorseggiò il proprio drink che era appena arrivato assieme a quello della ragazza e rispose, sottovoce: "beh... Si e devo ammettere che ci sa fare". Lana spostò lo sguardo sulla folla di persone nella sala, per non farle capire che stava mentendo. Di quei momenti aveva solo sprazzi di ricordi ed anche se effettivamente, James sapeva come darle piacere, Lana non ci teneva a ricordarsene.
 "Da quanto vi conoscete?". Chiese Taylor, con gli occhi puntati sul viso di Lana, desiderosa di sapere altri dettagli da lei.
"Da circa una settimana... Scusa se non te ne ho parlato". Disse Lana, ma nel voltarsi, trovò sul suo viso una espressione confusa e divertita al contempo.
"Perché ti scusi? Non sono mica tuo marito!". Scherzò Taylor, accarezzando una spalla di Lana la quale non riusciva per un momento a staccasi dal proprio gin lemon sebbene la propria testa avesse già iniziato a girarle al primo sorso.
"No, ma l'altro giorno ho finto di stare male e...".
Taylor non poté fare a meno sorriderle, per poi baciarle una guancia e dire poi con tranquillità: "ma non preoccuparti affatto di questo! A me può fare solo piacere sapere che tu abbia trovato una persona con cui stai bene!".
"Grazie...". Rispose semplicemente Lana, attaccandosi nuovamente al bicchiere e lasciando che il proprio sguardo si perdesse ancora nella folla: improvvisamente si sentiva un enorme peso sulla coscienza. Cosa stava facendo della propria vita? Perché stava sfruttando James solo per non sentirsi sola? Perché non riusciva ad essere onesta con sé stessa ed ammettere che l'unica persona al mondo con la quale avrebbe voluto passare la propria vita, era proprio Alexander? E perché all'improvviso, da ciò che lei aveva letto nei suoi occhi, per lui ora sembrava solo una semplice conoscente? Perché Lana che era stata sempre così paurosa nel prendere decisioni, ora ne stava prendendo una più sbagliata dell'altra?
In quel momento, i propri occhi disperati, incontrarono quelli di James che parlava dall'altro lato del salone con Miles e decise di alzarsi.
"Sembri molto pensierosa, c'é qualcosa che non va?". Chiese Taylor mentre sorseggiava il proprio drink, nel vedere Lana alzarsi all'improvviso e avrebbe voluto risponderle che no, non andava bene proprio niente, ma invece si limitò a dirle: "devo andare un attimo in bagno, mi sa che questo drink è troppo forte per me". Accennò una risata e poggiò il gin lemon sul bancone.
Taylor le sorrise e fece per alzarsi. "Ti accompagno volentieri".
"Non ce ne é bisogno". Rispose in fretta Lana e dopo averle lanciato un sorriso che voleva essere rassicurante, iniziò a farsi largo tra la folla di persone delle quali alcune coppie avevano preso a ballare un lento che la piccola orchestra stava suonando e raggiunse James che era intento a parlare di musica con Miles.
"Ehi, mi accompagneresti un attimo alla toilette?". Chiese con dolcezza, ma i suoi occhi erano disperati.
James dette il suo drink a Miles e disse: "Me lo reggeresti, per favore? Torno subito, mi sei molto simpatico". Miles gli sorrise, prendendo subito il bicchiere del ragazzo e una volta che si furono allontanati da lui, Lana sussurrò: "mi serve quella roba adesso...".
"S-solo un momento". Disse lui mentre si frugava nella tasca interna della giacca e poi aggiunse: "vuoi che venga con te in bagno?".
Lana scosse subito la testa in segno di dissenso e prese la bustina trasparente che James le passò di nascosto, al riparo da occhi indiscreti.
"Okay... dopo raggiungimi, va bene?". Furono le parole preoccupate di James e Lana annuì, frettolosamente.

Il maggiordomo era stato così gentile da indicare a Lana il bagno degli ospiti e lei non vedeva l'ora di catapultarcisi dentro.
Era sull'orlo di una crisi di nervi, troppe domande le si agitavano nella testa e a nessuna di quele riusciva a trovare una vera quanto convincente risposta.
Stava aspettando da un paio di minuti che uscisse dal bagno giacché era occupato e si guardava intorno nervosamente, stringendo nel pugno chiuso il dono che le aveva fatto James, come se tutte le persone nei dintorni, improvvisamente avessero dei raggi-x al posto degli occhi e potessero vedere cosa teneva stretto saldamente nella mano, facendo cenni di dissenso e versi di disapprovazione.
Ma nel corridoio che portava al bagno c'era solo una bellissima ragazza bionda che amoreggiava con un uomo che ad occhio e croce aveva circa una cinquantina d'anni e Lana si trovò a chiedersi ingenuamente, cosa ci trovasse mai una ventenne così bella, nel fiore dei suoi anni, nel corpo di un uomo che stava appassendo lentamente, pieno di rughe e tristezza malcelata. Poi si rese conto all'improvviso del luogo nel quale si trovava e distolse immediatamente lo sguardo, lasciandosi sfuggire una brevissima smorfia di disgusto sul viso. Ma lei, in fondo chi era per giudicare le loro azioni? Ognuno, infine è libero di fare ciò che vuole della propria vita, seguendo o no una precisa morale, si ritrovò a pensare Lana che fece poi un sospiro di sollievo nel vedere la porta aprirsi.
Una bellissima donna cinquantenne uscì dal bagno, avvolta nel suo pellicciotto bianco ed infasciata in un bellissimo vestito nero con tanto di strascico. Fece i complimenti a Lana per la sua bellezza e la ragazza non poté fare a meno di arrossire e ricambiare il complimento.
Allora esistevano anche donne che non si comportavano come mummie a quella sfarzosa festa e Lana, per un momento fù felice di averne incontrata almeno una.
entrò poi nel bagno di fretta, che si rivelò essere un antibagno, così andò poi ad aprire una seconda porta, evitando accuratamente di guardarsi nello specchio alla sua sinistra e si rinchiuse nella toilette. Subito si indaffarò a scartare la polvere bianca dall'involucro trasparente ce la racchiudeva e mentre poi si accinse a versarsela con attenzione sulla mano chiusa a pugno, nello spazio tra il pollice e l'indice, pensò: tanto peggio di così non può andare.
Si avvicinò con il naso alla propria mano e dopo aver sniffato quella sostanza bianca come neve, le sfuggì un verso di piacere e subito Lana iniziò a sentirsi molto, molto più carica di prima, come se avesse potuto correre una maratona per due volte di fila e vincerla senza problemi.
Si sentiva indistruttibile, energica, dominatrice.
Sentiva ancora la testa girarle a causa del maritini bevuto troppo in fretta, mischiato subito dopo con dei sorsi di cuba libre, ma era come se non lo percepisse realmente sapeva solo che c'era, ma non le avrebbe creato fastidio finché l'effetto della droga non fosse svanito.
Uscì velocemente dal bagno per potersi dare un'occhiata allo specchio ed assicurarsi che non avesse il naso sporco di quella roba, ma proprio mentre raggiunse l'antibagno (dove si trovava lo specchio), urtò una persona e subito chiese scusa senza nemmeno guardare chi fosse, accingendosi a controllarsi allo specchio e a pulirsi il naso leggermente sporco con uno dei fazzoletti di carta messi a disposizione sul lavabo di marmo.
"Per fortuna che ero io il rammollito".
Lana avrebbe riconosciuto quella voce anche fino in capo al mondo.
Si voltò di scatto e si ritrovò faccia a faccia con Alexander, che aveva dipinta in volto una espressione tra amara delusione e stanchezza.
"E non ho intenzione di rimangiarmelo". Rispose Lana a testa alta, mentre seguiva con lo sguardo Alex che stava entrando nella seconda porta, la quale portava nel bagno, ma si voltò verso Lana per poterle rispondere e guardarla negli occhi.
"Nessuno ti ha chiesto di farlo, ma sappi che non uscirai facilmente dalla situazione nella quale ti stai mettendo". Le parole di Alex non avevano affatto un tono accusatorio, ma quello di una semplice constatazione, come se stesse parlando con una ragazza qualunque, incontrata per caso.
"E tu che diavolo ne sai della mia situazione?". Chiese Lana, sanza nascondere la propria voce aspra.
Alex sospirò e dopo una alzata di spalle disse, come se fosse una cosa ovvia: "mi è bastato vederti quando sei arrivata. Accanto a quel motociclista che avrai conosciuto in chissà quale schifoso bar e con quegli occhi cerchiati di occhiaie che la dicono lunga su come hai passato l'ultimo o gli ultimi due giorni. Ricorda che un drogato sa riconoscerne un altro".
Lana era sempre più arrabbiata con lui e disse, allargando appena le braccia, a voce alta: "cosa avrei dovuto fare, allora?! Disperarmi come una bambina perché non ho ottenuto ciò che volevo? La vita va avanti e non me ne frega un cazzo se sto sbagliando. Non m'interessa di te, nascosto in un angolo pronto a puntarmi addosso il tuo ditino giudice che di sicuro è più sporco di tutte e dieci le dita delle mie mani!". Lana non sapeva se ringraziare se stessa o quella droga che aveva appena assunto per essersi finalmente liberata di uno dei tanti pesi che aveva sul cuore da quando Alex le aveva dato il benservito.
"Ma sentiti, stai iniziando a parlare proprio come una drogata". Ribatté Al, che non accennava a scomporsi, andando a passarsi una mano tra i capelli pieni di brillantina, dei quali una ciocca scura ricadde su un lato del suo viso.
"Allora sto parlando proprio come te". Concluse Lana, uscendo poi da quel bagno e sbattendo con troppa forza la porta, ma nessuno l'avrebbe sentita. La ragazza e l'uomo erano andati via e nell'ampio corridoio non era rimasto più nessuno.
Lana sentiva un gran bisogno di sfogare tutta quella carica che sentiva nel corpo senza sfociare in atti violenti, quindi decise di andare a prendere aria nel giardino sul retro, dove era presente un'altra fontana, ma più piccola e con meno getti d'acqua. Una volta fuori, si pentì di non aver preso la propria giacca che aveva dato al maggiordomo al suo ingresso ed iniziò a strofinarsi le braccia nude per riscaldarsi. In un certo senso doveva essere grata a quel vento gelido, almeno la distraeva e non le faceva ripensare a quella discussione appena avuta con Alex che chissà come, ora si sentiva in diritto di giudicarla per azioni che lui stesso aveva fatto, chissà quante migliaia di volte in più di lei. Era ancora furiosa e non aveva intenzione di rivedere Alex, anche se ciò l'avrebbe portata a trascorrere tutta la notte lì fuori, al freddo.
Dopo aver fatto avanti ed indietro per qualche minuto lungo il vialetto fatto di lisci ciottoli bianchi che si estendeva lungo tutto il perimetro del giardino interno, Lana andò a sedersi su uno dei tre gradini, anch'essi di marmo bianco, posti proprio davanti alla porta-finestra che dava sul giardino meticolosamente curato nei minimi dettagli.
Sentiva ancora molto freddo e continuava a scaldarsi le braccia, ma già non tremava più a causa della cocaina che aveva inalato prima, che rendeva il suo corpo quasi totalmente insensibile agli agenti esterni. Guardava il cielo notturno che quella sera era bellissimo, pieno di stelle e con una mezza luna che sembrava voler illuminare proprio quella immensa villa e, pensò con amarezza, non c'era nessuno tra le tante persone lì presenti con la quale avrebbe voluto condividere la vista di quel cielo meraviglioso; sentiva il blues provenire dall'interno, ma non voleva ancora tornare dentro, certa del fatto che avrebbe incontrato nuovamente Alex e lei, agitata come era in quel momento, non avrebbe potuto fare a meno di urlargli addosso ancora una volta, magari rivelando i loro segreti a tutta la sala da ricevimento.
Sentì d'improvviso aprirsi la porta che dava sul giardino e voltò il capo come una scheggia.
Si trattava ancora una volta di Alex e Lana non gli dette il tempo di parlare.
"Vattene. Subito". Sibilò, ma era come se non avesse detto nulla.
"Il bamboccio ti sta cercando, torna dentro per favore". Le tese una mano per aiutarla ad alzarsi, ma lei la ignorò completamente, tenendo gli occhi fissi su quelli di Alex che sembravano guardare oltre di lei, come se stesse parlando con un fantasma.
"Ti ho chiesto di andartene". Disse Lana, mantenendo lo stesso tono di voce.
"No, non me lo hai chiesto affatto". Constatò Alex, con voce sarcastica per poi aggiugere con la ormai solita voce calma che gli apparteneva quella sera: "mettiamo da parte i sentimenti negativi. Ti va di ballare con me?".
Lana continuava a guardare Alex e ancora una volta, ebbe la sensazione che lui non la stesse guardando realmente, come se ci fosse un vetro davanti ai suoi occhi.
"Cosa sarebbe, un premio di consolazione? Va' a farti fottere". Detto ciò, Lana gli dette le spalle, tornando a fissare il cielo luccicante di stelle e sfregandosi appena le braccia con le mani, un gesto che ormai le veniva automatico sebbene non avesse più tanto freddo.
"La coca ti rende scurrile. Ti preferisco quando fumi le canne". Disse Alex, con la stessa e identica voce calma e pacata, senza lasciar trasparire un briciolo di emozione dalle sue parole che avrebbero potuto far sorridere Lana se solo lui le avesse pronunciate con un tono di voce anche solo vagamente divertito.
Invece continuava ad essere una semplice ombra con lei, un semplice riflesso in uno specchio d'acqua.
 

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Capitolo 20
*** Capitolo 19. ***


"Nessuno ha chiesto la tua opinione, mi pare". Disse Lana con un timbro di voce molto acido, continuando a fissare il cielo in attesa che lui finalmente se ne andasse.
"Non c'é nessuno divieto di esprimere la propria opinione, mi pare". Constatò Alex, tenendo sempre la propria voce fredda e impassibile che fece rabbrividire Lana, la quale anche se non avvertiva del freddo fisico, poteva sentire benissimo quello che invece emanavano i loro cuori, che sembravano risiedere in Antartide in quel momento.
"Fa come ti pare, allora". Rispose Lana, sollevano appena le spalle.
Alex fece un sospiro silenzioso e disse: "non ti costa nulla entrare dentro, anzi starai anche al caldo".
Lana si domandò se lui stesse fingendo di essere stupido o se invece stesse interpretando alla perfezione un personaggio e avrebbe quasi preferito che lui fosse d'un tratto diventato cerebroleso piuttosto che avere la conferma del fatto che stesse indossando una maschera proprio con lei, che tanto tempo addietro aveva vissuto una bellissima amicizia con lui che poi si era tramutata in un amore giovanile e spensierato.
"Non ho freddo". Rispose semplicemente Lana.
Alex, a quel punto decise di avvicinarsi a lei e prima di sedersi accanto alla ragazza che continuava a stare seduta su uno di quei freddi gradini di marmo a guardare il cielo ostinata e cocciuta come non mai, si tolse la giacca blu elettrico che indossava e andò a poggiarla cautamente sulle spalle seminude di Lana.
Una volta sedutosi accanto alla ragazza, notò subito che lei si spostò sul bordo del gradino ed Alex non poté fare a meno di sospirare ancora.
"Hai la pelle d'oca". Constatò lui, posando lo sguardo sul suo braccio nudo che sembrava implorare un pezzo di stoffa.
"Ho detto che non ho freddo". Disse Lana, togliendosi la giacca di Alex dalle spalle che poggiò a terra, nello spazio tra loro due.
"Fa come vuoi, ma ti verrà una bronchite se starai ancora qui fuori". Disse Alex, mentre si rimetteva la propria giacca.
"Non mi importa". Rispose Lana, continuando a fissare le stelle pur di non guardare lui, che di sicuro, a sua volta stava evitando di guardarla.
Alex sospirò ancora una volta: ne aveva abbastanza di quel comportamento.
"Puoi spiegarmi che ti prende?". Chiese, con una debole speranza che lei finalmente decidesse di sfogarsi, in modo da poter tornare dentro e finire quella serata che per entrambi stava durando fin troppo.
Lana si voltò d'improvviso verso di lui, che ancora una volta sembrava guardare oltre di lei, come se fosse oscurata da una fitta nebbia.
"Tu ti comporti come se non ci fossimo mai conosciuti da tutta la dannatissima sera e dovrei essere io quella ad avere dei problemi, stasera?"
E finalmente, anche la maschera di Alex iniziò a sciogliersi, a decomporsi e a rivelare qualcosa di lui.
"Che cazzo dovrei fare, scusa? Devo baciarti e ballare con te per tutta la sera? La mia situazione è più complicata della tua, non posso permettermi certo di scoparmi il primo stronzo ubriaco come stai facendo tu".
"Chi ti dice che io abbia avuto dei rapporti con lui?". Chiese Lana, arrabbiata e alzandosi all'improvviso, indignata dalle sue parole.
Alex fece lo stesso e finirono per ritrovarsi uno di fronte all'altra.
"Ti comporti esattamente come me cinque anni fa e avresti lasciato perdere se non fosse stato così, invece mi hai fatto quella domanda".
"Per te non dovrebbe comunque essere un problema dal momento in cui non abbiamo una relazione o qualcosa che vagamente le si avvicini". Si difese Lana, con voce pungente ed incrociando le braccia.
Non è questo il problema. Voglio che ti liberi di quel tossico. Puoi avere molto di meglio, Lana". Gli occhi di Alex erano più sinceri che mai.
"Si chiama James". Constatò Lana per poi aggiungere: "e la vita è la mia. Faccio come mi pare".
"Ma sentiti". Sbiffò Alex. "Parli come una ragazzina davanti al papino".
"E tu ti comporti da padre con me, quindi puoi evitare di giudicarmi". Constatò Lana, salendo il gradino per avere più spazio: sentiva sempre più caldo e discutere ad alta voce di sicuro non la aiutava.
"Perché stai facendo delle scelte sbagliate e non voglio che tu finisca male, idiota". Rispose Alex con foga, facendo un passo verso di lei nel vederla allontanarsi.
Lana poso lo sguardo sulla piccola fontana al centro del giardino: stava iniziando a capire che con quella discussione non sarebbero arrivati da nessuna parte, così tornò a guardare Alex.
"Senti, facciamo finta che non ci siamo mai rivisti dopo questi dieci anni e ognuno di noi riprende la propria vita". Solo a pronunciare quelle parole, Lana sentiva chiaramente il cuore iniziare a pulsarle più forte, fino a riuscire a sentirlo nella propria testa.
"Quindi vuoi tirarti indietro?". Chiese Alex a voce alta, facendo un mezzo passo verso di lei.
Quelle parole, pronunciate proprio da lui, fecero infuriare Lana, la quale iniziò ad urlare.
"Sono io quella che si tira indietro?! Davvero? E tu che invece mi hai detto con una telefonata che ti sei rimesso con Taylor dopo che l'ho dovuto sentire prima dalle sue parole, cosa sei, un eroe di guerra?! Ti prego, vai farti fottere, Alexander". Lana spostò lo sguardo sulla porta-finestra alla quale si avvicinò e fece per aprirla, ma sentì la voce di Alex dire: "e tu, invece sei bravissima ad aprire le gambe al primo che ti capita a tiro, complimenti!".
Lana si voltò infuriata come non mai, verso di Alex che nel frattempo si era avvicinato di più a lei e senza pensarci due volte, lo colpì in pieno viso con una mano.
Alex era rimasto di pietra alla rezione improvvisa di Lana ed anche lei, in quel momento si stava chiedendo se lo avesse fatto davvero.
La guancia sinistra di Alex era arrossata e si potevano vedere chiaramente le dita della ragazza stampate sul suo volto.
Alex, senza dire altro, strinse forte i fianchi di Lana ed avvicinò in fretta le labbra alle sue, iniziando a baciarla con una tale foga da farle quasi male.
Lana era imprigionata dalla sua presa, ma non poté fare a meno di ricambiare quel bacio con altrettanta passione, andando a stringere con entrambe le mani che si infilavano sotto la sua giacca e la sua camicia, la sua schiena calda, rigandola con le unghie.
Nessuno dei due proferiva una sola parola. In quel giardino il suono delle loro labbra che si incontravano, o meglio scontravano, più e più volte e quello dei loro respiri affannati che si univano gli uni con gli altri, erano la loro colonna sonora.
Si poteva udire un suono otturato di applausi provenire da dentro e l'orchestra che riprendeva a suonare, ma nessuno dei due ascoltava, nessuno dei due voleva saperne del mondo reale, nessuno dei due aveva intenzione di smettere di ascoltare la melodia che creavano i loro baci, quel suono raro che facevano le labbra che non smettevano mai di cercarsi, neanche dopo dieci anni, quell'inevitabile dichiarazione d'amore silenziosa, quel frastuno che facevano i loro cuori che battevano all'impazzata l'uno contro l'altro attraverso i loro corpi uniti l'uno all'altro, inevitabilmente inseparabili.

All'improvviso, qualcuno bussò sulla porta-finestra ed entrambi sussultarono, entrambi con gli occhi confusi, che ancora faticavano a tornare alla pesante realtà.
Lana era poggiata con la schiena alla porta e non aveva intenzione di voltarsi per vedere chi fosse: si immaginava nella propria testa che fossero sia Taylor, Miles e James, tutti pronti ad urlare a tradimento, tutti pronti a distruggere il loro sogno.
Alex tolse le mani dai fianchi di Lana ed aprì la porta-finestra, chiedendo "c'é qualche problema?".
"Vi prego di perdonare il disturbo, ma il signor Tattler sta per fare il suo discorso e desidera che tutti gli ospiti siano presenti nella sala ricevimenti".
Lana tirò un immenso sospiro di sollievo nel sentire che era la voce bassa e profonda del maggiordomo e si voltò verso di esso, porgendogli un sorriso.
"Arriviamo subito". Disse Alex, cordiale e sfoggiando uno dei suoi migliori sorrisi.
"In un batter d'occhio". Aggiunse Lana.
Il maggiordomo sorrise ad entrambi e dopo aver fatto un cenno di saluto, richiuse la porta, lasciando i due nuovamente soli.
"Il signor Tattler è il produttore del tuo programma televisivo?". Chiese Lana, mentre si asciugava col dorso della mano le labbra gonfie e bagnate.
"Si, quello snob con il simbolo del dollaro al posto degli occhi, farà il discorso più lungo della storia e guai a chi osa sbadigliare". Rispose Alex, mentre si rimetteva la camicia nei pantaloni e si dava una sistemata alla giacca ed ai capelli in disordine.
"Lo devo sentire anche io che non so nemmeno che faccia abbia?".
Alex annuì. "Tutti devono soffrire in gruppo. Penso sia grazie a lui che avvengano i suicidi di massa in tutto il mondo".
Lana non poté fare a meno di ridere ancora e lo aiutò ad abbottonarsi un bottone della giacca, poi lui la aiutò a sistemarsi i capelli neri da un lato.
"Ti dona molto questo colore". Disse Alex, mentre accarezzava la chioma della ragazza.
"Ero ubriaca dii whisky quando ho fatto la tinta". Rispose Lana, ridendo vicinissima al suo volto.
Alex rise a sua volta ed accarezzò il suo volto, scendendo sul suo mento che poi avvicinò al proprio viso, lasciandole un dolce bacio sulle labbra.
"Dobbiamo entrare dentro, miss Del Rey". Sussurrò Alex, senza riuscire a staccarsi da lei.
"Prima di entrare... Scusa per lo schiaffo. Penso sia stata colpa della droga". Sussurrò Lana, abbassando lo sguardo.
"Io ti ho dato della poco di buono. Credo che faccia più male quell'insulto di una sberla". Rispose Alex, ritrovandosi poi le braccia di Lana attorno alla vita.
"Alex, io voglio rivederti ancora".
"Mi rivedrai". Disse lui, stringendosi a lei.
"Voglio restare da sola con te. Come a Woodville". Spiegò Lana, con la voce che assomigliava a quella di un uccellino ferito.
"Lunedì verrò a Mooney". Disse Alex, deciso, senza staccarsi da quell'abbraccio così intimo.
"Promesso?". Sussurrò Lana, con la voce soffocata giacché aveva la faccia schiacciata sulla spalla del ragazzo.
"Promesso". Disse lui, stringendo ancora il suo corpo al proprio e spostando poi la testa per cercare le sue labbra e baciarle ancora un'ultima volta prima di tornare dentro e fingere che tutto ciò che era appena accaduto lì fuori, non fosse mai successo, fingendo che tra loro non ci fosse una corda invisibile che li teneva legati anche quando erano distanti, anche quando si odiavano a morte.

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Capitolo 21
*** Capitolo 20. ***


Alex aveva avuto ragione da vendere quando aveva confidato a Lana che il signor Tattler avrebbe potuto condurre le persone ad un suicidio di massa. Si trovava a ridosso di un muro, accanto a James e con un bicchiere di champagne in mano che era stato distribuito a tutti i presenti nella sala dei quali in molti, aveva notato che erano già stati svuotati da un pezzo sebbene il discorso di Tattler non fosse ancora terminato. Era da ormai dieci minuti di fila che parlava di argomenti noiosi dei cui almeno alla metà delle persone lì presenti non interessava nulla dato che si trattava solo di accompagnatori o di amici di amici che probabilmente servivano solo per fare numero. Stava facendo una sorta di ramanzina all'industria dell'intrattenimento perché a parer suo, erano tutti dei venduti o persone pagate fin troppo profumatamente solo per il lusso di avere il sangue blu. Lana si chiese da che pulpito venisse la predica dal momento che anche lui aveva creato uno dei programmi spazzatura più orrendi e superficiali degli ultimi tempi, ma d'altronde non erano affari suoi. Desiderava solo tornarsene a casa e dormire per tutta la domenica in modo da passare direttamente al lunedì. Vide che James, accanto a sè, decise di scolarsi tutto lo champagne in qualche sorso, coprendosi dietro alla testa di Lana per non farsi vedere da Tattler. Lana gli prese la mano e la strinse, sussurrando poi: "non potevi aspettare fino alla fine del discorso?". "Ma dai, non siamo mica in chiesa". Brontolò lui. "Ho capito, ma l'educazione non te l'ha insegnata nessuno? Siamo suoi ospiti!". Sibilò Lana, dandogli una piccola gomitata. "Va bene che siamo suoi ospiti ma ha rotto il cazzo. Sarebbe stata meglio una processione". James si beccò un'altra gomitata e Miles che era in piedi vicino al ragazzo, non poté fare a meno di ridacchiare nel vedere la buffa scena tra i due. Lana notò che anche il bicchiere di Miles era vuoto già da chissà quanto e sussurrò: "anche tu? Siete delle persone orribili". Disse, fingendosi delusa e amareggiata "Anche a lui ha fracassato i coglioni, evidentemente". Disse James con voce fin troppo alta, tanto da attirare su di sè gli sguardi di metà delle persone presenti nella sala. Lana sussurro: "okay, fingo di non conoscerti". Fece qualche piccolo passo adiacente al muro e si fermò: in un angolo si erano appartati Alex e Taylor e Lana non poteva che guardarli con invidia. Sghignazzavano sottovoce mentre di tanto in tanto sorseggiavano la bevanda frizzante dai loro bicchieri e si scambiavano delle piccole effusioni. Lana non si sarebbe mai sognata di interrompere quel momento di intimità tra loro, ma non poteva fare a meno di desiderare di essere al posto della ragazza. Anche se Alex le sembrava parecchio brillo e forse anche lei era nelle sue stesse condizioni, si divertivano semplicemente viaggiando sulla stessa lunghezza d'onda, in un modo tutto loro di parlare e scherzare facendo battute che solo loro potevao capire dal momento in cui erano molto intimi . Perché mai Lana avrebbe dovuto rovinare tutto? Tatta quella sintonia, tutte quelle risate, tutte quelle parole sussurrate tra loro.. Chi era in fondo, lei per poter mettere fine ad una cosa tanto bella come la totale sintonia tra due persone? Sentì un'improvvisa morsa allo stomaco, presa ancora una volta dai pensieri negativi che doveva affogare immediatamente con qualcosa, quindi seguì l'esempio di James e Miles e si finì a sua volta il bicchiere di champagne che teneva stretto in una mano. Dal momento in cui si sentiva già meno lucida, si appoggiò con la schiena al muro e lasciò che le parole del signor Tattler scorressero come un ronzio distorto mentre la cognizione del tempo, andava piano piano via con il vento. "Dici di me e poi anche tu ti sei tracannata tutto il bicchiere". Sussurrò James che si era avvicinato a Lana, la quale non si mosse dalla posizione che aveva assunto, ridacchiando alle sue parole. "Beh, ma io posso. Io sono la gran duchessa di Mooney, non lo sai?". "Okay, sei ubriaca": Sussurrò James ridendo e prendendole il bicchiere vuoto dalla mano che appoggiò per terra in un angolo, mettendosi poi vicino a lei e stringendo appena la sua vita con il braccio, per assicurarsi che non fosse caduta giacché si trovava in quelle condizioni ed indossava anche scarpe alte. "Mi sottovaluti, cherie". Sussurrò lentamente Lana, poggiando la testa sulla spalla del ragazzo. "Anche io dicevo così al mio ventesimo compleanno. Poi il giorno dopo mi sono risvegliato in un bidone". Sussurrò lui, facendo scoppiare Lana in una risata fragorosa che attirò su di sè l'attenzione di un paio di uomini di mezza età che si trovavano lì vicino, a soffrire in silenzio in attesa che Tattler finisse quel maledetto comizio. "Che schifo, quindi ho baciato uno che è stato nella pattumiera". Sussurrò Lana, facendo un passo indietro mentre rideva, ma James la tenne ferma, poggiando entrambe le mani sui suoi fianchi per evitare che cadesse. "Non mi pare che ti sia dispiaciuto baciarmi". Sussurrò lui in risposta, con un furbo sorrisetto malizioso tra le labbra. Lana, in risposta scosse la testa e si avvicinò poi a lui, iniziando a baciarlo con foga, più di quanto lui si aspettasse e ancor meno si sarebbe aspettato che lei avesse iniziato a baciarlo con tanto di lingua, che cercava la sua in un modo quasi disperato. Anche il corpo della ragazza si faceva più vicino al suo e lui sussurrò al suo orecchio: "perché non andiamo a casa tua?". Lana scosse appena la testa in segno di dissenso, andando nuovamente a cercare le sue labbra che trovò solo per qualche secondo. "Il tuo letto è comodissimo per il genere di cose che hai in mente di fare". Sussurrò lui, cercando di convincerla. Lana continuava a tenere gli occhi chiusi, andando a baciare continuamente il volto di James. Per fortuna il discorso era finito da poco e nel grande salone, era tornata la musica ed un clima di festa, con molte più risate che aleggiavano nell'aria rispetto a prima, un brusio di sottofondo ed il ritorno della musica del sassofono e del pianoforte. "Voglio stare qui con te". Sussurrò Lana, continuando a tenere gli occhi chiusi mentre gli baciava il mento, le labbra e il bordo di esse. Si muoveva in modo provocante con il corpo che strusciava in continuazione contro quello del ragazzo, il quale stava iniziando a cedere alle sue avances con molta facilità. "Non vuoi proprio muoverti, eh?". Sussurrò lui con voce spezzata dal momento in cui iniziava a sentirsi molto eccitato. Lana scosse nuovamente la testa in segno di dissenso e poi iniziò a scendere a baciare il suo collo che era stato già marchiato da lei quello stesso mattino. "Okay, allora adesso trovo un modo per tirarti su...". Sussurrò piano James, che con una mano iniziò a cercare qualcosa nella tasca interna della giacca. Nel frattempo, Lana stava marchiando per bene la nuca del ragazzo, sporcandola con quel poco di rossetto che le era rimasto addosso e poi nel sentire qualcosa immettersi tra i loro corpi, schiuse appena gli occhi per vedere di cosa si trattasse e con sorpresa vide che era il pugno chiuso di James, che al riparo da occhi indiscreti, teneva della polvere bianca tra l'indice ed il pollice chiusi a pugno. "Prendila e vedrai che tra poco starai molto meglio...". Sussurrò lui. Lana annuì piano e fece per avvicinarsi alla mano del ragazzo, ma sentì poi una seconda mano andare a circondarle il bacino e la voce di Alex urlare sottovoce. "James, che cazzo stai facendo?". "E' ubriaca fradicia, volevo farla resistere ancora un po'...". Sussurrò lui, agitato ed imprecando poi sottovoce perché Alex gli aveva fatto cadere a terra la polvere bianca che si era già ormai dispersa nell'ambiente. "Si, per fare i tuoi comodi, vero?". Quella di Alex era una domanda, ma aveva il tono di una affermazione per nulla celata. "Alex, portiamola a casa sua, so dove abita". Sussurrò Taylor, decisa. "Non volevo fare niente, stai calmo". Disse James ad Alex, tenendo stretta la presa sulla vita di Lana. "Lasciala, le fai male". Sussurrò Taylor, strattonando il braccio di James che mollò subito dopo la presa. "James, sono calmissimo, ma togliti dalle palle o ti servirà ben altro che la coca per svegliarti". Rispose Alex sottovoce, imponendosi con un timbro di voce duro. "Almeno fammela portare a casa". Replicò James. "Ma se sei ubriaco!". Contestò Taylor. "Vattene da qui adesso e nessuno ce l'avrà con te. Non diremo nemmeno a Lana che stavi per farla sniffare da ubriaca". Disse Alex, mantenendo la voce dura. James farfugliò qualcosa e scambiò delle parole con Miles, poi abbandonò l'edificio con passo veloce, arrabbiato e nervoso. Nel frattempo, Lana si era ormai addormentata sulla spalla di Alex, il quale teneva salda la presa con il proprio braccio attorno alla sua vita e le parole che aveva appena udito, stavano già svanendo nella sua mente, navigando assieme al mare di avances che aveva fatto a James poco prima di chiudere gli occhi. Ad un certo punto della notte, chissà dopo quanto, Lana riprese per qualche momento una strana lucidità, dove riusciva solo a sentire i suoni attorno a lei. Le bastava sentire il suo morbido materasso sotto di sé per sapere che era riuscita in qualche modo ad arrivare a casa. "No, con me ha bevuto solo un paio di sorsi di gin lemon, poi è stata per un po' in bagno". Era la voce di Taylor che parlava sottovoce, preoccupata. Poi sentì un lenzuolo avvolgerla fino al collo e una mano tiepida, troppo liscia e sottile per essere quella di Alex, accarezzarle i capelli e scostarle alcune ciocche dal viso. "Se non sbaglio, quando sono tornato da voi, aveva un bicchiere vuoto in mano". Disse Alex a bassa voce. "Lei non sembra affatto una tipa che beve come noi, deve esserle successo qualcosa". Rispose Taylor, mantenendo la voce bassa. Lana sentì qualcuno sedersi sul letto, ma era così stanca da non riuscire nemmeno ad aprire gli occhi e vedere chi fosse. Non sapeva nemmeno se si stesse immaginando o meno quella conversazione o se la avesse poi ricordata al proprio risveglio. "Beh, ha perso suo padre cinque mesi fa. Direi che la ragione per bere ce l'ha". "Ma appunto, sono già cinque mesi... Avrei capito se si fosse comportata in questo modo uno o anche due mesi dopo la perdita. Secondo me è colpa di quel ragazzo". Sussurrò in risposta Taylor. "Non sono affari nostri, Tay. Dobbiamo andare, ci aspetta un'ora di viaggio per arrivare in hotel". La voce di Alex era così paziente e gentile. Lana avrebbe tanto voluto chiedere a lui e Taylor di perdonarla per il proprio comportamento stupido, ma la stanchezza la stava prendendo tra le sue grinfie, assieme alla testa che non smetteva per un momento di girarle, così senza nemmeno accorgersene, si ritrovò ancora una volta nel mondo dei sogni. Il mattino dopo, di domenica, Lana si svegliò nel proprio letto con un tremendo mal di testa e un alito tremendo. Non aveva voglia di alzarsi, avrebbe voluto dormire per altri sette anni di fila. Ricordava bene tutto ciò che era accaduto nell'arco della sera precedente fino al suo spudorato flirt con James e avrebbe tanto voluto avere una gomma speciale per cancellare tutto eccetto ciò che era accaduto nel giardino sul retro con Alex e solo a pensarci, il suo cuore fremeva. Voleva che quella giornata passasse in fretta, in modo da potersi vedere con lui, il lunedì e sapeva che stava commettendo un grande errore: ricordava bene una particolare scena nella propria mente; Alex e Taylor che ridevano e scherzavano tra loro, nel loro mondo personale mentre il signor Tattler continuava a fare il suo sproloquio e si sentiva sporca dentro nel pensare che avvrebbe potuto distruggere la relazione tra loro due. Da quando aveva rivisto Alex a Woodville, ormai molti giorni prima, tutto sembrava andare per il verso sbagliato nella vita di Lana. Non avrebbe neanche mai nemmeno lontanamente immaginato di portarsi a letto un quasi sconosciuto, di provare la cocaina con lui, di ubriacarsi da sola con del whisky e di sentirsi così inutile ed effimera ma allo stesso tempo, schifosamente viva. Decise di alzarsi dal letto o quei pensieri l'avrebbero presto soffocata lì, sul suo letto e dopo essersi lavata ed aver pranzato dato che era già passato mezzogiorno, decise di andare al parco vicino a casa propria per schiarirsi le idee. Era da più di una settimana che non andava in quel posto e per lei era piuttosto inusuale dal momento in cui prima di rivedere Alex, era solita andare in quel posto almeno tre volte nell'arco della settimana, ma non le importava più di tanto. Del resto, poche cose sembravano essere nella norma dopo quell'incontro. Andò a sedersi su una delle sei panchine di legno disponibili nel piccolo spazio verde e si lasciò andare ad un lungo sospiro di esasperazione. Era arrivato, dunque il momento di prendere una decisione drastica a riguardo di Alex? Forse era il caso di iniziare a frequentare James? Solo al pensiero, rabbrividì e non perché lui e faceva ribrezzo, ma semplicemente perché non avrebbe mai trovato la sintonia che aveva trovato naturalmente con Alex e senza fare alcuno sforzo, tanto, tantissimo tempo addietro. Forse era il caso di cambiare città per ripartire con una nuova vita? Quella domanda scatenò subito del nervosismo in Lana: avrebbe dovuto cercarsi un nuovo lavoro, una nuova casa, un modo per cercare di instaurare dei vaghi rapporti di amicizia con i suoi vicini... Già solo a pensarci, si sentiva male. Non aveva voglia di rifare tutto da capo e inoltre, già sapeva che stabilirsi in un altro luogo per poi intrapredere di nuovo la stessa identica vita di prima, non le sarebbe servito proprio a nulla, anzi probabilmente l'avrebbe fatta solo deprimere ancora di più, perché si sarebbe considerata una perdente, una semplice fallita che non era capace di uscire dai ranghi e vivere in un modo totalmente diverso perché era troppo attaccata alla propria routine, ai propri modi di fare e alla propria tranquillità personale. Le sarebbe piaciuto poter comprare un camper e partire per un viaggio totalmente da sola, ma la propria situazione economica non le poteva permettere un simile acquisto e aveva accantonato l'idea tanti anni fa. Quindi, cosa fare, come agire per non sentirsi soffocata da un amore, un sentimento così forte che però non poteva vivere? Sbuffò, rivolgendo lo sguardo al cielo sereno e abbassando la guardia, poggiando le spalle sullo schienale basso della panchina e divaricando appena le gambe coperte dal tessuto dei jeans. Aveva conosciuto tante ragazze che se ne sarebbero fregate di Taylor e che si sarebbero prese Alex senza guardare in faccia a nessuno, schifosamente egoiste, possessive e invidiose di chiunque avesse qualcosa che loro non possedevano. In molti frangenti, Lana aveva desiderato essere una di loro, di far parte di quella schiera di oche giulive astute e stupide allo stesso tempo, che erano capaci solo di osservare il loro riflesso allo specchio o nelle vetrine e concentrate solo su sé stesse e su quale tipo di scollatura scegliere per far strisciare da loro il ragazzo che desideravano, gettandolo poi qualche mese dopo nei rifiuti dei ragazzi usati. Sarebbe stato tutto molto più semplice.

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Capitolo 22
*** Capitolo 21. ***


Il lunedì era arrivato più in fretta del previsto.
Dopo aver riflettuto al parco per quasi tutto il pomeriggio, la sera Lana era andata a cena da sua madre Christine, la quale visto che la ragazza non si era fatta sentire così spesso negli ultimi giorni, le aveva chiesto se nella sua vita procedesse tutto per il meglio e Lana aveva mentito spudoratamente, dicendole che non aveva nulla di cui preoccuparsi ed era semplicemente solo stanca perché stava facendo delle ore in più a lavoro, cosa assolutamente non vera. L'ultima cosa che Lana voleva, era che sua madre si preoccupasse inutilmente e si era ripromessa che le avrebbe telefonato più spesso. Aveva poi accennato a Christine, sua madre, che a Woodville aveva rivisto Alexander e lei subito si era emozionata, chiedendo a Lana di scrivergli e di fare una cena tutti insieme, compresi anche i genitori di Alex. Lana le aveva semplicemente detto che ci avrebbe pensato, dicendole che nell'ultimo periodo lui non era esattamente al cento percento delle sue energie, anzi molto spossato per via del suo lavoro.
Una volta tornata a casa, Lana si era gettata a capofitto sul letto, ignorando le cinque chiamate di James ed un paio da parte di Taylor.
Voleva solo vedere Alex e prendere una decisione insieme a lui.

Alex, al mattino aveva inviato un messaggio a Lana, dicendole che sarebbe arrivato a Mooney per le due del pomeriggio, subito dopo essersi liberato dal lavoro e Lana appena dopo aver pranzato, si era già vestita, in attesa che lui finalmente arrivasse, per sfogarsi con lui di tutto ciò che si aggirava per la propria mente che lei continuava a caricare di pensieri, ansie, paranoie e chissà cos'altro.
Per quel giorno, non aveva indosso nessun vestito: niente di elegante, niente di elaborato; una semplice maglia a righe bianche e nere ed un paio di blue jeans stretti, terminando con delle scarpe da tennis verde acqua. Portava sul viso solo un leggero tratto di matita nera e i suoi capelli erano liberi da prodotti chimici per tenerli fermi come la lacca, leggermente ondulati che le ricadevano leggeri sulle spalle. Alle due precise, Lana uscì fuori dalla porta, prendendo con sé le chiavi di casa: era molto tesa e non vedeva l'ora di potersi tuffare tra le braccia del ragazzo, per cercare in lui quel conforto che solo lui era in grado di darle fino in fondo.
Cinque minuti dopo, Lana vide finalmente la jaguar nera e scintillante di Alex, parcheggiare a ridosso del marciapiede, a pochi passi dalla casa di Lana.
Una volta sceso dall'auto, Alex non poté fare a meno di sorridere gioioso nel vedere che Lana lo stava aspettando fuori dalla porta di casa, come faceva sempre da ragazzina quando dovevano vedersi da lei per giocare ai videogiochi insieme. Anche lei sorrise, in quel modo timido ma affettuoso e con quegli occhi castani che sembravano brillare solo per lui. Il ragazzo si scordò improvvisamente del resto del mondo e si avvicinò in fretta a lei, andando subito a posare le mani sui suoi fianchi. Prese in braccio Lana e posò le labbra sulle sue, custodendole come se fossero il più prezioso dei tesori.
"Ciao anche a te". Sussurrò lei, ma Alex non ne voleva sapere di parlare e si tuffò nuovamente tra le sue labbra che avevano il sapore di paradiso e vaniglia, qualcosa di così bello che neanche il più ispirato ed illuminato tra tutti i poeti del mondo avrebbe saputo descrivere senza dover riempire tomi su tomi di parole sommerse di frustrazione ed inchiostro nero che avrebbe solo macchiato centinaia e centinaia di fogli.
Lana per lui era insostituibile, quella persona che avrebbe voluto vedere al suo fianco in ogni momento della sua vita, quella persona con la quale avrebbe voluto unire la propria ombra e con la quale avrebbe voluto condividere ogni grande soddisfazione ed ogni soffocante dolore.
Tutto pur di poter continuare a stringere la sua mano fino all'ultimo giorno delle loro vite.
Anche Lana sembrava non volersi staccare più dalle sue labbra e le proprie mani erano andate a posarsi dietro la nuca del ragazzo, andando a posarle poi, nella sua chioma scura che almeno in quel giorno, non era appiccicosa e sommersa di brillantina.
Per loro, i baci sembravano sempre dover durare un'eternità e forse era proprio grazie a quelli che riuscivano a stabilire un legame così profondo, una empatia così forte da sembrare due corpi con una sola anima.
E Lana ogni volta in cui posava le labbra sulle sue o guardava troppo a lungo i suoi occhi, aveva la certezza, dentro di sé che anche se nel giro di qualche giorno o di qualche anno si fossero separati nuovamente, non avrebbe mai smesso di amarlo.
Alex, tenendo con una mano il corpo di Lana stretto al proprio petto, con quella libera rubò dalla tasca dei jeans della ragazza, le chiavi di casa sua e camminò fino ad arrivare alla porta, poi senza staccare nemmeno per un momento le labbra dalle sue, dolci e sorridenti, riuscì ad aprire la porta che poi chiuse con un debole calcio una volta dentro. Gettò le chiavi sul divano e posizionò nuovamente la mano sotto ai glutei della ragazza.
"Che intenzioni hai?". Chiese lei, ma Alex tornò di nuovo a baciarla mentre la portava nella camera da letto della ragazza che si trovava in fondo al corridoio ed una volta raggiunta, sussurrò: "ho intenzione di amarti". Sussurrò semplicemente lui, toccando nel profondo il cuore di Lana con quelle semplici parole.
Lana aveva completamente dimenticato cosa fossero tutte le ansie, le paranoie e le paure che aveva avuto fino a qualche minuto prima e per quella volta non aveva intenzione di dar loro spazio, di lasciarsi dominare da quei pensieri deturpanti.
Voleva solo restare in paradiso con Alex, almeno per un po'.

Così, tra leggere risate e lo schiocco dei loro baci che non accennavano a fermarsi, Lana ed Alex iniziarono a fare l'amore.
Tutto iniziò dai loro baci, che una volta sul letto della ragazza, iniziarono a farsi più appassionati, più desiderosi di appartenersi l'uno con l'altra, più lussuriosi ed al contempo più teneri.
I loro indumenti, pezzo per pezzo, iniziarono a cadere per terra: le prime furono le loro scarpe, poi la giacca di pelle di Alex, la quale scivolò nel piccolo spazio vuoto di fianco al letto e poi la maglia a righe di Lana, che Alex le sfilò tra dolci risate. Fù poi la volta della t-shirt grigia del ragazzo, che Lana fece volare dall'altra parte del letto con un gesto rapido, ansiosa di proseguire nella loro dimostrazione di amore che stava raggiungendo un apice sempre più alto.
"Nessuno ci corre dietro, abbiamo tutto il tempo del mondo, miss". Sussurrò Alex, che aveva notato una certa fretta nei gesti di Lana che era sdraiata sotto di lui.
Posò una mano sul volto della ragazza, accarezzandolo con una dolcezza tale da poter essere considerata un dono degli dei.
"Ogni momento potrebbe essere l'ultimo". Sussurrò Lana, guardando Alex con la stessa dolcezza vibrante, negli occhi marroni.
"Abbiamo oggi". Sussurrò in risposta lui, posando un bacio sulla sua fronte. "Questo presente è il nostro per sempre". Aggiunse lui, andando poi a sfiorare nuovamente le labbra carnose della ragazza, che non poteva fare a meno di commuoversi per tutta quella felicità che lui le stava donando.
Lana posò le mani sulla sua schiena nuda e calda, stringendola a sé, come per assicurarsi che non fosse tutto un meraviglioso sogno.
Alex fece lo stesso, andando a sfiorare il collo della ragazza e poi il suo busto nudo, in ogni più piccolo millimetro e posando gli occhi dolci su quel corpo che lui considerava fin troppo perfetto, per cercare di memorizzare nella propria mente ogni più piccolo dettaglio di esso: il piccolo neo che lei aveva su un fianco, la forma del suo ombelico e quella dei suoi seni sui quali andò a posare dei baci leggeri, facendo vibrare appena il corpo di Lana, che restava sotto di lui a guardarlo, affascinata ed innamorata di ogni suo più piccolo gesto.
Lana nel frattempo, esplorava il corpo di seminudo di Alex con i propri occhi e le proprie dita che accarezzavano appena il suo collo, scendendo poi sul suo petto liscio, che odorava del profumo della sua pelle e per un momento credette di essere davanti a qualcuno di troppo bello per essere vero: Alex non aveva muscoli se non un piccolo accenno sulle sue braccia, non aveva una abbronzatura perfetta, mediterranea e nemmeno il petto ampio.
Lui era semplicemente perfetto per lei, come lei lo era per lui.
I loro sguardi si incontrarono quando entrambe le loro mani, simultaneamente, andarono a posarsi sui loro jeans ed entrambi ebbero la certezza, con solo quei piccoli gesti ed i loro occhi che non smettevano di amarsi, che volevano appattenersi in quel momento ed ancora per molto, molto a lungo.
Una volta rimasti privi di indumenti, non ci fù nemmeno più bisogno dei gesti: bastavano semplicemente i loro corpi che si univano e si cercavano di continuo a vicenda, desiderosi solo di conoscersi ed esplorarsi fino in fondo, per spazzare via l'unica barriera che era rimasta tra loro.
Arrivati al momento saliente del loro rapporto, Alex e Lana si trovavano l'uno di fianco all'altra, con le gambe incrociate tra di loro e le loro labbra gonfie che non smettevano per un solo istante di cercarsi e trovarsi ogni volta in un nuovo bacio, in una nuova carezza d'amore, in una nuova spassionata dichiarazione silenziosa ed anche i loro corpi non potevano fare a meno di restare appiccicati.
Entrambi ansimavano piano, sulle loro labbra o tra le loro orecchie, come se nessun'altra forma di vita dovesse condividere con loro quel rapporto d'amore così intimo e personale, che con nessun' altro, nel corso degli anni, erano mai riusciti a ricreare, per quanto inconsciamente ci avessero provato e riprovato più volte.
Le loro mani continuavano a muoversi sui loro corpi giovani e ricchi di euforia, come se entrambi non fossero ancora del tutto sicuri del fatto che tutto ciò fosse reale e avessero bisogno di continue conferme, accarezzandosi a vicenda le rispettive guance, le loro chiome, le loro schiene, le loro gambe... A volte frettolosamente ed altre, invece lenti e calmi, sussurrandosi gemiti di piacere o dolci parole.
L'amplesso arrivò per entrambi allo stesso momento, ma ne Alex e ne Lana smisero di baciarsi, almeno per qualche minuto, finché entrambi non finirono l'ossigeno nei loro polmoni ed ebbero per fora bisogno di staccarsi per poter prendere aria.
Poi restarono a guardarsi ed Alex stava per dire qualcosa, ma Lana posò il dito indice, dolcemente sulle sue labbra gonfie e lui non poté fare a meno di sorriderle ed innamorarsi ancora una volta di lei, della sua semplicità e dei suoi occhi che avrebbero continuato a guardare i suoi in quel modo anche se lui fosse stato involontariamente la causa di tutti i suoi peggiori mali nella vita.
Aveva notato, sebbene lei lo avesse nascosto piuttosto bene, lo stesso sguardo innamorato negli occhi di Lana quando sabato, ad inizio serata l'aveva trattata come se per lui fosse stata una semplice conoscente come tante e l'aveva rivisto ancora quando lei gli aveva mollato uno schiaffo in pieno viso. Lo aveva notato ancora prima, quando l'aveva accompagnata a Woodville per farle riprendere la sua auto e poi tornarsene a casa sua, dove ora, sul letto, giacevano distesi in quegli istanti divini. Aveva visto i suoi occhi innamorati nel bosco, quando dopo dieci anni si erano baciati di nuovo, come se fosse stata di nuovo la prima volta, come se non avessero mai smesso di amarsi e volersi dopo tutto quel tempo che si era accumulato nei loro sguardi e sulle loro spalle, sebbene entrambi avessero tentato più volte di dimenticarsi l'uno dell'altra, inutilmente.
Lana sentiva di poter volare solo per come la stava guardando Alexander in quei momenti fatti di dolcezza e spensieratezza.
Quelli di Alex erano gli occhi di colui che non aveva mai smesso di amarla.
Ed aveva la certezza assoluta che, gli occhi i quali stava osservando in quel momento, erano senza dubbio i più veri che avesse mai visto in tutta la vita. Ed era strano che fossero proprio i suoi, o meglio, una magnifica contraddizione, che proprio quelli di Alex, che negli ultimi tempi erano sempre stati velati da così tante maschere da non capire molte volte lui stesso quante ne avesse avute addosso.
Le armature erano finalmente cadute ai piedi del letto, le loro corazze erano finalmente state gettate al vento da milioni di baci e le loro maschere ed i loro elmi, erano stati finalmente sciolti con le fiamme eteree che erano divampate tra i loro corpi e nelle loro anime quando si erano uniti in quel letto che ora aveva l'odore delle loro pelli.
Ora potevano finalmente comunicare, potevano finalmente liberarsi, potevano finalmente amarsi.
E non volevano tornare alla realtà, non ancora.
Era troppo presto per smettere di sognare.

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Capitolo 23
*** Capitolo 22. ***


"Stai dicendo che sono proprio nello stesso lato del letto dove si trovava il bamboccio?". Chiese Alex a Lana, dapprima con fare serio e poi lasciandosi sfuggire un sorriso nel vedere un cuscino arrivargli addosso.
"Esatto. Non ti piace l'idea?". Chiese lei, ridacchiando e lasciandosi accarezzare il corpo ancora nudo da Alex, il quale le si avvicinò appena per poter condividere un bacio, forse il millesimo in un giorno, con lei.
Erano ancora entrambi senza vestiti, completamente nudi, con gli occhi che non smettevano di incrociarsi e le loro mani che non volevano proprio saperne di stare senza accarezzare i loro corpi o i loro visi per più di qualche secondo.
Non volevano alzarsi, era ancora troppo presto per tornare alla realtà.
Sembrava fosse troppo presto per tutta la vita.
Erano come bloccati volontariamente nel loro spazio-tempo fatto di sogni, di leggerezza, di baci, di sorrisi e di certezze.
E chi sente il bisogno impellente di svegliarsi quando la realtà è così bella da sembrare onirica?
Sapevano bene entrambi che a distanza di appena qualche ora avrebbero dovuto far fronte separatamente alle loro problematiche quotidiane più o meno gravi, ma sapevano bene anche quanto fosse raro raggiungere quei così rari momenti di sintonia totale con l'altra persona e soprattutto di riscoprire l'innamoramento, quella incantevole magia che come un pizzico di polvere di stelle gettata da chissà quale fata arrivata a far loro quel dono, regalava ad entrambi la magia del ritrovarsi in un paradiso terreno.
"Potrei solo essere un pochino geloso". Sussurrò Alex in risposta a Lana, la quale nel vedere lui prendere una sigaretta dal suo pacchetto, ne rubò al volo una e lui alzò subito un sopracciglio nel guardare lei accendersela.
"Da quanto fumi?". Aggiunse in tono neutro, incantato a guardare come il fumo uscisse lentamente dalle sue labbra ancora gonfie per i troppi baci.
Lana passò l'accendino ad Alex, il quale a sua volta si accese la propria sigaretta e rispose: "ne fumo una ogni sei mesi, non preoccuparti. E comunque non dovresti essere geloso". Disse lei con voce morbida, voltandosi verso di lui lentamente e lasciando che il fumo andasse ad accarezzare il suo viso.
Alex fece un colpo di tosse e sul suo volto apparì nuovamente una espressione di confusione.
"Perché non dovrei esserlo?".
"Perchè io voglio te". Sussurrò Lana, decisa ma dolce al contempo, lasciando che i propri occhi andassero a posarsi su quelli di Alex che nel sentire quella sorta di dichiarazione, non poté fare a meno di accarezzare il suo viso e rubarle un bacio a fior di labbra.
"Il sentimento è ricambiato". Sussurrò lui in risposta, rimettendosi poi seduto sul letto a fumare la propria sigaretta. Lana fece lo stesso e poggiò appena la testa sulla sua spalla nuda e lui con una mano, andò ad accarezzare un suo morbido avambraccio.
"Non voglio fingere ancora che non esista nulla tra me e te, Alex". Sussurrò Lana mentre fumava la sua sigaretta, appoggiata a lui.
Alex sospirò e lasciò un bacio tra i capelli neri della ragazza.
"Anche io non voglio vivere una menzogna".
Lana sollevò gli occhi sul suo volto, ma da quella posizione riusciva a vedere solo fino alla sua bocca che era appiccicata alla sigaretta.
"Quindi che cosa faremo?". Domandò lei, che per una delle rare volte, si stava finalmente esprimendo come voleva.
Alex sentiva chiaramente che in quegli istanti la magia onirica che li aveva circondati, stava iniziando a svanire come nebbia nelle prime ore del giorno e sospirò nuovamente, quindi dopo aver tirato ancora dalla sigaretta che da qualche anno, troppi anni, era diventata la sua migliore amica, rispose:
"Per ora non lo so, miss...".
Lana colse l'amarezza nella sua voce e lasciò un bacio sul suo collo tinto di un rosa pallido.
"Scusa se ti sembra che io ti stia pressando... E' che io sono felice con te, te e basta...". Lana smise di parlare prima che la sua voce fosse divenuta roca e Alex si spostò appena per poter guardare Lana, andando ad accarezzare i suoi capelli morbidi.
"Lo stesso vale per me, ma non ti dirò di credermi. Immagino che un sacco di uomini che sono passati nella tua vita ti abbiano detto di credere alle loro parole per poi abbandonarti. Ho solo bisogno di tempo, non so quanto, per capire come comportarmi con Taylor...". Anche Alex avrebbe voluto dire altro, ma le parole non volevano saperne di lasciare la sua bocca e il silenzio calò nella stanza annebbiata dal fumo.
"Alex...". Sussurrò Lana e prima di continuare, gettò la sigaretta dalla finestra socchiusa, dalla quale penetravano dei caldi raggi di sole di inizio Maggio.
Poi la commozione si impossessò della sua voce, ma Lana quella volta non si sarebbe lasciata intimorire da essa. aveva intenzione di essere chiara e di dire all'unico ragazzo che amava, tutto ciò che le passava per la testa.
"Io... Ci ho riflettuto e non voglio perderti ancora una volta per rivederti tra magari vent'anni, quando ormai avremo più rughe che vita nel corpo e più dolori che gioie, quindi... Beh, posso accettare che anche lei provi dei sentimenti per te... Non importa, l'importante è che io possa ancora vedere il tuo viso e lasciarmi trasportare dai nostri baci... E sentire la tua mano che mi accarezza... E sentire la tua voce che mi dice quanto sia bella la vita e l'odore della tua pelle vicina alla mia...".
Lana non riuscì più a proseguire: il suo petto iniziò ad essere scosso da leggeri singhiozzi ed in un battito di ciglia, la ragazza si ritrovò in lacrime senza nemmeno avere il tempo per rimandarle indietro.
Alex si era accigliato ed aveva subito accolto Lana in un abbraccio caloroso, di quelli che quando stai piangendo, ti fanno piangere ancora di più perché ti rendi conto del fatto che in fondo, di altre parole non c'era bisogno perché quella persona aveva già capito tutto dall'inizio.
"Lana... Stai dicendo che saresti disposta a sacrificarti?". Sussurrò Alex senza smettere di abbracciarla, lasciando che lei inumidisse una sua spalla di lacrime e stringendola ancora più forte di un attimo prima, colpito profondamente dalle sue parole.
Non aveva mai conosciuto in tutta la sua vita una persona disposta a così tanto pur di ricevere dell'amore da lui, che si era sempre dimostrato una pessima scelta per tutte le ragazze che aveva avuto. Si era dimostrato anche un pessimo figlio e spesso un pessimo amico. Persino pessimo per se stesso, quando in certi giorni si soffermava troppo a guardare il proprio riflesso allo specchio e poteva scorgervi tutta la sporca corruzione della sua anima nera.
Era la prima volta in cui desiderava così tanto la felicità di una persona e allo stesso tempo si sentiva così in sintonia con essa tanto da poter sfiorare i giardini dell'Eden con lei.
"Non sarebbe un sacrificio...". Sussurrò lei dopo un singhiozzo e prima di continuare, deglutì un paio di volte, cullata da quell'abbraccio.
"Sarebbe il giusto prezzo da pagare per non perderti ancora".
Alex, nell'udire quelle parole, si spostò, sciogliendo l'abbraccio e dopo aver gettato la sigaretta ormai consumata fuori dalla finestra alla sua sinistra, posò entrambe le mani sulle spalle della ragazza, costringendola a farsi guardare in volto e disse: "ehi, anche io non voglio perderti ancora. E non dovresti mettermi su un piedistallo come stai facendo ora. Se vogliamo dirla tutta, in confronto a me tu sei decisamente venuta su meglio, come essere umano".
Riuscì a strappare una risata a Lana, la quale tirò su col naso ed asciugò in fretta le lacrime con il dorso della propria mano.
"In questo periodo ho un bel po' di cose per la testa, ma quando avrò sistemato tutti i casini nella mia vita, verrò a prenderti su un cavallo bianco e scapperemo insieme".
"Preferisco gli unicorni". Sussurrò lei ridendo, in un tentativo di spezzare la tensione.
Alex ridacchiò a sua volta. "Va bene una sagoma di cartone che é nel backstage del set dove giriamo il programma televisivo?".
Lana, ridendo appena, con la voce ancora roca e piena di commozione, rispose: "va benissimo, dobbiamo risparmiare".
Anche Alex si lasciò sfuggire un'altra risata ma i suoi occhi tornarono seri in un nanosecondo e prese il viso di Lana tra le sue mani calde con una dolcezza tale da far commuovere ancora la donna, i cui occhi scuri brillavano solo ed esclusivamente per lui.
"Non ho intenzione di abbandonarti di nuovo". Sussurrò lui con altrettanta dolcezza anche nella voce.
"Alex, non voglio aspettarti per un anno o più...". Rispose Lana, senza traccia di cattiveria nella voce, solo con troppa tristezza che vibrava nelle tonsille e nella gola, mescolata al suo sguardo basso e alla sua ritrovata insicurezza.
"Mi serve solo un mesetto... Al massimo due, okay?". Sussurrò Alex, cercando di guardare Lana negli occhi.
"Prima mi hai detto che non vuoi che io ti creda...". Bisbigliò in risposta Lana.
"E non devi farlo. Ti sto solo chiedendo di aspettarmi e poi potremmo avere tutto ciò che vorremo. Insieme". La voce e gli occhi di Alexander erano piuttosto decisi e determinati nel pronuciare quelle frasi e non aveva alcuna intenzione di venire meno a tutto ciò che stava dicendo perché lui era il primo a voler essere felice con Lana, a desiderare una vita con lei, la quale lo fissava ancora incerta, ma con gli stessi occhi innamorati che solo a lui riservava.
"Alex, invece mi stai esattamente chiedendo di crederti, solo con parole diverse. Mi stai chiedendo di aspettarti qui mentre tu sbrigherai le tue cose. E se poi non tornerai?". Sussurrò Lana senza distogliere gli occhi dai suoi, in un tono di voce tutt'altro che accusatorio.
Alex lasciò scivolare le mani sui fianchi nudi della ragazza che accarezzò: non erano in cerca di una sorta di modo di corruzione, ma solo incapaci di distaccarsi da quel corpo che lui reputava meraviglioso almeno quanto l'interno di esso, dove si alloggiava l'animo della ragazza.
"Hai ragione, io non ti sto dando nulla di concreto". Disse lui in risposta, abbassando lo sguardo.
Lana sospirò e stavolta fu lei ad accarezzare il viso dell'amato, per riportare i suoi occhi castani sui propri.
"Alex, tu sei stato e sei tutt'ora indubbiamente la persona alla quale ho concesso di conoscermi fino in fondo e l'unica che davvero voglio conoscere in ogni sua piccola imperfezione, perché nonostante i nostri sbagli, i nostri fallimenti l'una con l'altro e le nostre parole urlate con rabbia, io sento di appartenerti. Sento dentro di me di voler vivere tutta la mia vita al tuo fianco, sento di volerti così intensamente che solo il pensare di dover vivere una vita senza la tua presenza, mi disorienta e mi deprime. Io ti amo, Alex". Confessò Lana, più sincera che mai, senza distogliere gli occhi vibranti di emozione dai suoi.
"Ti amo. Quindi, se dentro di te sai già che non potrà mai esserci nulla che non comprenda il nostro contatto fisico e mentale, dimmelo ora. Perché non potrei sopportare di vivere con l'illusione, con la speranza che un giorno tornerai e tutto sarà paradisiaco come oggi".
Lana fece un lungo sospiro, prendendosi un momento per abbassare lo sguardo: non era mai stata così sincera in tutta la sua vita.
Tornò sugli occhi di Alex che trovò commosso, con gli occhi che brillavano come due stelle luminose in un limpido e chiaro cielo notturno.
"Proprio perché ti amo e ti rispetto molto, non ti chiederei mai al mondo di scegliere tra me e la tua donna. Voglio solo sapere, sinceramente da te, se tornerai quando te ne sarai andato da qui".
Alex restava con le labbra socchiuse e gli occhi pieni di amore per la ragazza che gli stava seduta davanti e che con amore, durante tutto il suo discorso, non aveva smesso di tenere la mano sul proprio viso. La strinse nella propria, riscaldandola e posò gli occhi scintillanti su quelli della donna.
"Provo gli stessi sentimenti che tu provi per me". Sussurrò a bassissima voce, come se anche quella stanza non potesse sentire una dichiarazione come quella.
"Dillo, Alex". Sussurrò Lana, stringendo la mano di Alex.
"Ti amo". Rispose semplicemente lui e poté vedere chiaramente la commozione farsi strada negli occhi di Lana che erano ancora umidi a causa del suo pianto avvenuto pochi minuti prima.
"Voglio stare con te, Lana. Voglio riscoprirti ogni giorno e innamorarmi di te sempre di più. Voglio appartenerti e voglio stringerti la mano quando avrai paura e accarezzarti il viso quando sorriderai. Voglio mostrarti ogni più piccolo e remoto angolo del mondo solo per vederti felice e voglio svegliarmi ogni giorno con il tuo corpo di fianco al mio, non importa dove e come, l'importante è che saremo insieme".
Alex non riuscì a dire altro, la commozione era tale in quel momento da spezzare la sua voce che si era fatta bassa e profonda.
In risposta, Lana non riuscì più trattenersi e finì per gettarsi su di lui, andando poi a baciarlo dolce, innamorata ed in completa estasi per la confessione che lui le aveva appena fatto.
Fecero nuovamente l'amore su quel letto, senza stancarsi di riscoprire i loro corpi, senza stancarsi di baciarsi e senza stancarsi di essere felici insieme.

Alle undici di sera, Lana aprì la porta della propria piccola casa con un sorriso a trentadue denti stampato in volto e prima di chiuderla, restò per un momento sulla soglia, a guardare il ragazzo che amava, andare via.
Una volta dentro, chiuse la porta e si tolse le scarpe da ginnastica che poi gettò in un angolo della stanza ed andò a gettarsi sul divano, ancora raggiante: Alex nell'arco di tutto il pomeriggio e la serata, era stato il ragazzo che ogni tanto nell'arco di quei dieci anni, era apparso nei sogni di Lana. Per tutto il pomeriggio erano stati nel letto, a parlare semplicemente di loro due, di quanto inconsciamente avessero desiderato ritrovarsi nell'arco di tutto quel tempo che era andato perso e scivolato via troppo in fretta tra le loro mani e di dove sarebbero voluti andare, quali posti visitare, tutte le cose che avrebbero voluto fare prima di morire. Poi la sera avevano deciso insieme di andare a cena non in un ristorante di lusso o qualche locale all'ultima moda, ma in un semplicissimo prato ad appena qualche chilometro dalla spiaggia dove poi avevano passeggiato fino a poco prima.
Lana in quel momento non riusciva proprio a capire perché le persone debbano continuamente spendere tantissimi soldi per dimostrare agli altri di essere felici quando la felicità dovrebbe essere intima e spensierata, come quella che avevano vissuto lei ed Alexander in quella splendida giornata.

Entrambi avevano deciso di comune accordo, di non lasciarsi scappare altre opportunità che la vita avrebbe offerto loro e Lana, che era stata fino a poco prima la regina delle occasioni perse, non aveva potuto trovarsi più d'accordo con lui.
Alex aveva parlato molto anche della sua relazione con Taylor, confessando a Lana che la loro relazione era sempre stata molto altalenante, fatta di molti alti, dove si volevano bene e si proteggevano a vicenda, susseguita poi da altrettanti profondi bassi, dove non facevano altro che insultarsi e rendersi impossibili le vite a vicenda. Aveva confessato a Lana che in quegli otto mesi di relazione, sia lui che Taylor erano stati licenziati spesso dai loro datori di lavoro perché si facevano trovare strafatti o ubriachi sui rispettivi set o addirittura restavano per ore al telefono a litigare e ad insultarsi a vicenda in condizioni pessime. Le aveva anche raccontato di quando le aveva fatto consegnare un mazzo di fiori come scuse e lei in tutta risposta li aveva bruciati sul set fotografico con l'aiuto di una bottiglia di vodka dalla quale non si staccava mai nei suoi periodi più neri nella sua relazione con Alex. Ma anche lui non era stato esattamente un angelo ed aveva raccontato a Lana di quando in una intervista alla radio, proprio il mattino dopo averla scoperta a letto con la sua migliore amica, le aveva dato della poco di buono. Lana non aveva potuto fare a meno di ridere quando lui le aveva raccontato di quegli episodi di vendetta reciproca, ma aveva capito bene ciò che aveva voluto comunicarle in seguito Alex: lui e Taylor non riuscivano mai a comprendersi fino in fondo sebbene si conoscessero da un discreto lasso di tempo e il loro modo di far pace consisteva semplicemente in una notte di sfrenato sesso riappacificatore, accantonando da qualche parte i problemi che avevano avuto fino a quegli istanti e vivendo in tranquillità finché uno dei due decideva di dire quella parola di troppo che avrebbe poi scatenato l'ennesima lite a base di alcool, droghe, urla e oggetti rotti.
Si conoscevano bene, ormai, ma non abbastanza da dire basta a quella relazione che inevitabilmente avrebbe finito per nuocere molto ad entrambi.
Ed Alexander, poco prima di lasciare Lana a casa, quella sera aveva deciso che avrebbe messo fine presto a quella relazione e lei si era offerta per dire a Taylor come stessero effettivamente le cose, che lei ed Alex volevano stare insieme, che avevano riscoperto il loro amore l'una per l'altro e avevano intenzione di viverlo insieme finché sarebbe durato.
Lana preferiva non pensare a quando da lì a tre giorni, lei ed Alex si sarebbero visti proprio per parlare con Taylor: di certo non avrebbe avuto una reazione positiva nell'apprendere ciò che le avrebbero detto, ma almeno si sarebbero tolti quel terribile peso dalla coscienza e avrebbero vissuto finalmente con il cuore più leggero.
Nel frattempo, sebbene Alex le avesse detto che non era assolutamente necessario, Lana si era imposta di dire a James che tra loro due non sarebbe mai nato nulla. Sapeva benissimo che sarebbe bastato semplicemente non rispondere più alle sue chiamate ed ai suoi messaggi, ma sapeva bene anche che sarebbe stato molto più crudele da parte sua lasciarlo tentare di comunicare con lei piuttosto che dirgli subito come stessero effettivamente le cose.

Così, il giorno dopo Lana non perse tempo e disse a James con un messaggio, scusandosi prima per non aver risposto alle sue chiamate, che voleva vederlo quel pomeriggio, per poterci scambiare quattro chiacchiere. James le rispose in fretta, giusto un paio di minuti dopo, dicendole che aveva bisogno anche lui di parlarle. In un primo momento, Lana si sentì sollevata: forse anche lui non era interessato a lei e voleva darle un due di picche, ma fu costretta subito a ricredersi quando lui le inviò un'ora dopo, una foto di lui davanti allo specchio con l'addome nudo, dicendo nella didascalia che non vedeva l'ora di incontrarla.
Lana aveva deciso di non rispondergli, limitandosi a dirgli, poi alle quattro del pomeriggio, che si sarebbe trovata nella caffetteria "Hiding Place" entro pochi minuti.
Quel pomeriggio indossava dei semplici jeans chiari con un accenno di strappi sulle ginocchia, le sue solite scarpe da tennis ed una maglietta a maniche corte, verde scuro che lasciava scoperte le sue piccole spalle. I suoi capelli erano raccolti in una lunga treccia che andava a posarsi su un lato della sua spalla. Era appena arrivata ad Hiding Place, il suo locale preferito: dentro vi erano due grandi sale, ovvero una per i clienti che non avevano intenzione di leggere e l'altra sala che fungeva da piccola biblioteca, con tanto di tavolini in legno con sedie coordinate e quattro divanetti color cremisi presso i quali si trovavano delle librerie basse ed un sottofondo molto basso di musica da lettura come classica o jazz strumentale per incentivare la lettura e creare una atmosfera di pace.
Lana, però quel giorno aveva scelto di sedersi ad uno dei due tavolini metallici disposti fuori dal locale: non voleva che uno dei suoi luoghi preferiti avesse per lei delle energie e dei ricordi negativi, inoltre non sapeva come James avrebbe reagito alla notizia che lei stava per dargli e non voleva disturbare nessuno.
Aveva appena finito di bere il suo caffé macchiato quando lo vide arrivare sulla sua motocicletta nera, facendo un rumore assordante. Parcheggiò a qualche metro di distanza e dopo essersi tolto il casco anch'esso nero con tanto di fiamme gialle e rosse dipinte sui bordi, raggiunse Lana che ricambiò timidamente il suo saluto: improvvisamente iniziava a sentirsi tesa e avrebbe voluto saltare la parte in cui gli dava il ben servito per potersi teletrasportare direttamente a casa.
"Oggi non lavori?". Chiese lui dopo essersi seduto di fronte a lei, mentre con una mano cercava di sistemarsi i capelli mossi che il casco gli aveva schiacciato.
"No, ho preso una settimana di ferie". Rispose lei, senza lasciarsi scappare alcun tipo di emozione dalla voce, cosa che lui sembrò non captare minimamente.
"Ti é piaciuta la foto che ti ho mandato stamattina?". Accennò un sorrisetto malizioso che Lana congelò con un'occhiataccia.
"James...".
"Okay, ho capito. Ti rinfrescherò la memoria quando saremo in un luogo più appartato". Rispose lui senza perdere quel modo di fare provocante.
"Penso proprio di no". Rispose Lana, senza poter fare a meno di scuotere la testa.
"Dunque, di cosa volevi parlarmi tu?". Aggiunse poi Lana, per non rischiare di doversi sorbire l'ennesima battutina maliziosa da parte di James.
Lui si tolse la giacca da motociclista che appoggiò allo schienale della sedia ove era seduto e dopo aver ordinato un drink pestato, disse: "innanzitutto, i miei amici dicono che vogliono conoscerti e che sei bellissima". Terminò la frase con un sorriso fiero che fece alzare un sopracciglio a Lana.
"Non... Dove hai trovato delle mie foto?".
"Su facebook!". Disse lui entusiasta.
Lana si mise una mano sulla fronte. "Non uso più quel social network da ormai tre anni. Credevo di averlo chiuso".
"A quanto pare no". Rispose James fiero, come se avesse trovato il tesoro dei templari.
Lana sospirò, esasperata e nel vedere arrivare il drink del ragazzo, disse: "non è troppo presto per bere?".
"Perché sono le quattro e mezza?". Disse lui con nonchalance per poi iniziare a sorseggiare il suo mojito.
"Ma dopo devi guid- lascia stare". Disse Lana lasciandosi sfuggire un secondo sospiro esasperato.
Lui ridacchiò e fece per accarezzare il viso della ragazza, la quale non lo permise, spostandosi appena. "Non ti preoccupare, so controllarmi".
"Certo, non lo metto in dubbio". Disse Lana, scettica e sarcastica. Tornò poi a guardarlo ed aggiunse: "allora, dovevi dirmi altro?".
Lui dopo aver fatto un altro sorso dal drink, si fece un poco più serio e Lana si augurò che non stesse per uscire l'ennesima cavolata dalla sua bocca.
"Quando sabato siamo stati a quella festa del signor nonricordocomesichiama, ti ricordi di quando hai bevuto lo champagne dopo il discorso?".
Lana lo guardò confusa, e socchiuse poi gli occhi, cercando di ricordare qualcosa ma della fine di quella serata ricordava solo che era strafatta e che aveva svuotato il calice in tempo record. Poi la testa aveva iniziato a girarle in un modo strano e da lì i suoi ricordi si facevano molto annebbiati.
Scosse la testa, sperando con tutto il suo cuore di non aver fatto qualcosa di riprovevole o di non aver detto a James parole di cui in quel momento avrebbe potuto pentirsi amaramente. Purtroppo con Alex non avevano toccato minimamente quel discorso e non sapeva ancora cosa avesse fatto dopo aver bevuto quello champage anche perché aveva ignorato le chiamate di Taylor il giorno dopo.
"Ecco, eri molto sbronza e stavo cercando di portarti a casa tua ma Taylor e l'altro me l'hanno impedito".
"L'altro chi?". Chiese Lana, con un accenno di curiosità nella voce.
"Il suo ragazzo, il cocainomane". Spiegò James.
Lana si sentì in dovere di difendere Alex. "Si chiama Alexander e anche tu non sei proprio l'esempio della sobrietà in persona". Lasciò cadere lo sguardo sul drink che lui stava soreggiando e lui lasciò subito la cannuccia verde.
"In effetti hai ragione". Constatò James con una breve e secca risata.
"Continua". Disse Lana, seria e il ragazzo seduto davanti a lei, sembrò capire finalmente che lei non era molto in vena di scherzare.
"Beh, io non ero affatto ubriaco, ma Alexander mi stava minacciando di andarmene e alla fine sono stato costretto a lasciarti nelle loro mani. Penso che siano stati loro poi ad accompagnarti a casa".
Lana era quasi certa che le cose non fossero andate esattamente in quel modo e che James si stesse solo rigirando la storia a suo favore.
"Che cosa ti hanno detto?". Chiese lei, mantenendo la calma.
"Lui mi ha urlato che mi avrebbe mandato in ospedale ed anche la sua donna era parecchio aggressiva". Spiegò James, ma Lana non riusciva a credere ad una singola parola che lui stava dicendo, quindi si limitò a dire: "beh, l'importante è che ora siamo tutti sani e salvi, no?".
"Come dici tu". Rispose lui, andando poi a sorseggiare il proprio drink.
"E tu, invece di cosa mi dovevi parlare?". Chiese subito dopo il ragazzo, per evitare che il silenzio tra di loro si prolungasse troppo fino a creare una atmosfera di imbarazzo.
Lana non poté fare a meno di sospirare ancora e cercò le parole nel cielo sereno e limpido che c'era in quel pomeriggio di inizio Maggio.
Sapeva che non doveva girare intorno al discorso, avrebbe solo fatto più male a quel ragazzo che sebbene non fosse affatto il tipo di persona per la quale lei avrebbe potuto nutrire un vago interesse amoroso, era comunque un essere umano con dei sentimenti e non voleva che soffrisse troppo a causa propria.
Tornò quindi a guardare James e cercò di esprimersi nel modo più onesto possibile.
"James, quello che voglio dirti è che non sono interessata a frequentarti ancora...". lo guardò per un momento negli occhi, poi abbassò lo sguardo sulla sua tazza di caffé vuota, stringendo in una mano il cucchiaino freddo.
"L'ho notato da come mi tratti che non ti interesso poi così tanto". Disse James, con voce seria e cupa.
Lana stava per dire qualcosa, ma James fu il primo a parlare.
"Fattelo dire onestamente, sei un po' egocentrica. E si, potevi dirmelo prima che non ti interessavo invece di non rispondere alle mie chiamate".
Lana si era immaginata nella propria mente diverse reazioni da parte del ragazzo, ma non si era minimamente aspettata che lui fosse finito ad insultarla. Rialzò lo sguardo e lasciò cadere il cucchiaino di ferro per terra senza accorgersene nemmeno.
"Non me la sentivo parlarti al telefono di un argomento così delicato. E non ho bisogno che tu mi dica chi sono, lo so benissimo da sola". Quella era una delle rarissime volte nelle quali si manifestava la sua autostima e non aveva la minima intenzione di lasciarsi offendere gratuitamente da una persona che non conosceva nemmeno una virgola di lei.
"Allora devo rinfrescarti un pochino la memoria. Sei una troietta".
Lana si morsicò forte il labbro inferiore nel sentirsi chiamare in quel modo. Non poteva credere al fatto che quel ragazzo il quale fino a un attimo prima aveva tanta voglia di ridere e fare battutine, ora le stesse dando della poco di buono.
"Solo perché ho capito che non mi interessi? Bell'atteggiamento per uno che ha venticique anni, li dimostri pienamente". Disse Lana, ovviamente sarcastica mentre si alzava dalla sedia. Lasciò degli spicci per il caffé sul tavolo e si sistemò la borsa su una spalla: non aveva alcuna intenzione di restare lì a farsi insultare.
"Sai, ero molto ubriaco e strafatto l'altra sera e all'inizio ho pensato che fosse stata la mia immaginazione a farmi un brutto scherzo...". Disse James.
"Di che cazzo stai parlando, ora?". Disse Lana, sbuffando e voltandosi verso di lui.
James non si lasciò ripetere la domanda e proseguì: "avevo mandato il signor cocaina a cercarti e non vedendo nessuno di voi due, ero venuto a dare un'occhiata in giro. E poi, come puoi immaginare, ho visto te e coca-man baciarvi molto intensamente. E ora non venirmi a dire che si trattava di uno scambio di saluti, principessa".
James incrociò le braccia sul petto, fiero di essere riuscito a smascherare Lana, la quale era rimasta in piedi, completamente pietrificata e con una espressione stralunata dipinta in volto, incapace di dire qualcosa che avrebbe migliorato o peggiorato la situazione.
"Ho visto i tuoi occhi giudicarmi diverse volte da quando ci siamo conosciuti. Mi hai squadrato diverse volte come se io non fossi alla tua altezza, a volte addirittura come se io ti facessi schifo. Indovina un po', l'unica che si deve vergognare tra noi due sei proprio tu. Avrei lasciato perdere se tu oggi non mi avessi detto che non ti interesso più, in fondo non avevamo ancora una vera e propria relazione e avrei messo da parte quella tua azione, ma visto che siamo alla resa dei conti e tu ti sei rivelata per la stronza egocentrica che sei, almeno posso levarmi questo sassolino dalla scarpa". James finì il proprio breve ma alquanto intenso discorso, con un ghigno dipinto tra le labbra e Lana era ancora pietrificata dalle sue parole che erano state come veleno per lei. Non avrebbe mai immaginato che lui fosse stato capace di parlarle in quel modo, ma forse stava dicendo proprio la verità.
In fondo, Lana sapeva bene di averlo preso in giro e dentro di se aveva sperato più volte che fosse stato così anche per lui, invece James forse aveva voluto davvero interessarsi a lei che ancora una volta aveva gettato tutto al vento.
"Cosa credevi, di aver trovato la donna perfetta? Anche io sono una persona proprio come te e ammetto di aver sbagliato". Disse Lana, in un tentativo miserabile di congedarsi almeno senza cattiveria.
"Facile giustificarsi così. Tu hai più anni di me, ti comporti in questo modo nei miei confronti e vieni a dirmi che sono io l'immaturo? Non prendiamoci in giro, Lana". Rispose James, restando rilassato sulla sedia, andando poi a sorseggiare il proprio mojito.
Lana iniziava a sentire gli occhi pizzicarle e sapeva che di lì a poco si sarebbe lasciata andare ad un pianto di sfogo, ma non voleva dare la soddisfazione a James di mostrarsi ancora più debole e fragile di quanto già lo fosse in quegli istanti che sembravano non passare mai.
"Ora che hai finalmente scoperto quanto io possa essere patetica e miserabile, tu cosa ne hai ricavato?" Chiese lei a voce bassa e tremolante.
Lui fece spallucce. "Non mi interessa il guadagno, non quando ci sono i ballo i sentimenti delle persone. Volevo solo farti sentire ciò che ho provato io ogni volta in cui il tuo sguardo giudice si è posato su di me e soprattutto come mi sono sentito quando tu ed Alexander vi stavate baciando mentre io ero a pochi passi da voi e mentre Taylor era a qualche metro di distanza. Spero che lo venga a sapere presto".
"Se ti dava fastidio come ti guardavo, non eri costretto a restare con me". Rispose Lana con la voce sempre più vibrante.
"Credevo che quando mi avevi chiamata da ubriaca quella sera, ti saresti aperta di più a me, invece hai aperto solo le gambe".
Lana non resistette più e si avvicinò a lui, sbattendo la mano sul tavolo e alzando la voce.
"Come cazzo ti permetti di dirmi queste parole quando quella sera in cui ci siamo conosciuti mi hai fatto sniffare coca da ubriaca e per di più mi hai fatto anche guidare?! Non fare l'angelo caduto dal cielo per sbaglio. Sei una persona di merda tanto quanto me e scommetto che quando ero ubriaca l'altra sera alla festa, tu non ti sia affatto comportato da agnellino innocente come volevi farmi credere prima".
James, d'un tratto si era ammutolito, colto in pieno volto dalle parole ruggenti della ragazza che sostava ad appena qualche centimetro da lui.
"Oh, ora non alzi più la cresta, vero? Non sei più il supereroe della situazione, vero? Ricordati che nella vita avrai solo quello che meriti e se ti sono capitata io che ti faccio così tanto schifo, fatti due domande". Quelle parole furono il colpo di grazia per lui e Lana non voleva più sapere di James Treacle.
si risistemò la borsa su una spalla e poi si voltò, lasciando che la treccia le ricadesse lungo la schiena e raggiunse in fretta l'auto che aveva parcheggiato dietro all'edificio.
Una volta dentro, appoggiò la borsa sul sedile accanto, poi scoppiò in lacrime.
 

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Capitolo 24
*** Capitolo 23. ***


Dentro quella piccola ma confortevole auto, Lana si stava lasciando andare ad un pianto di sfogo, dovuto alla discussione avvenuta poco prima con James.

Era più che sicura del fatto che non lo avrebbe rivisto mai più, eppure era riuscito a ferirla in un modo alquanto tangibile, tanto da far sanguinare a dirotto i suoi sentimenti che sembravano non poter avere un solo attimo di pace in quell'ultimo periodo.

Piangeva, con la testa appoggiata sul volante dell'auto, non solo perché era stata ferita, ma soprattutto perché sapeva che ciò che aveva detto James, sebbene fosse stato sottoforma di offesa malcelata, era purtroppo vero. Poteva sentire i singhiozzi aumentare in un modo spropositato ogni vola in cui la mente le faceva apparire a caratteri cubitali, le parole che le aveva detto il ragazzo poco prima.

E continuava a domandarsi cosa diavolo le fosse accaduto negli ultimi anni.

Aveva sempre saputo di non essere perfetta e la cosa non l'aveva mai scalfita minimamente, ma ora che James le aveva sbattuto in faccia la verità, per lei era stato come entrare in una enorme sala piena di specchi dove ognuno di essi rifletteva ogni suo più piccolo difetto, amplificandolo alla massima potenza e portandolo sotto ai riflettori. Se prima aveva creduto di avere almeno un briciolo di autostima, ora si era completamente disintegrata e polverizzata fino a diventare solo fumo e cenere impalpabile.

Sentiva che il telefono nella borsa che aveva messo sul lato del passeggero, aveva iniziato a vibrare insistentemente: qualcuno la stava chiamando, ma Lana in quegli istanti non voleva proprio saperne di avere contatti umani, nemmeno se si trattava solo della voce.

Voleva solo chiudersi nella sua bolla di tristezza e solitudine e starci finché non avrebbe avuto bisogno per forza di contatti umani per non impazzire del tutto.

Aveva la continua sensazione che ogni cosa che faceva, anche il minimo errore, prima o poi sarebbe andato inevitabilmente a riversarsi dentro di lei, con una forza dieci volte maggiore ed era così stanca di ricevere così tanto dolore e di essere così sensibile e fragile.

Alzò per un momento lo sguardo, tirando su col naso e mise subito in moto la propria auto nel vedere che stava passando proprio in quel momento, sul marciapiede, James in compagnia di quello che sembrava essere un suo amico.

Si infilò la cintura in fretta e dopo aver inserito la marcia, uscì subito dal parcheggio prima che lui avesse potuto vederla in quelle condizioni pietose, con la faccia completamente stravolta e le lacrime che scendevano copiosamente lungo le sue guance.

Raggiunse in un paio di minuti una piccola frazione di spiaggia libera che erano soliti frequentare solo dei ragazzi alla ricerca di un posto tranquillo per fumarsi un paio di spinelli senza correre il rischio di essere fermati e magari anche perquisiti dai poliziotti fin troppo suscettibili.

Per fortuna, in quel pomeriggio sembrava non esserci anima viva in quei pochi metri di sabbia e Lana dopo aver parcheggiato, si tolse la cintura e sbuffò: il telefono non la voleva proprio smettere di suonare, proprio quando lei aveva solo bisogno di stare da sola con se stessa; lo cercò nella borsa e per un momento fu quasi tentata di fargli fare un bel volo in direzione del mare, ma nel vedere il nome di Alex apparire sullo schermo, fu costretta a trattenersi e dopo aver fatto un profondo respiro per cercare di rilassarsi, si schiarì la voce e rispose.

"Ehi, Al". La sua voce era uscita comunque smorzata e sperava che lui non se ne fosse accorto.

"Lana è la quinta volta di fila che ti chiamo. E' successo qualcosa?".

Lana si sfilò le scarpe da tennis assieme ai calzini e scendendo dalla macchina, rispose: "non sono in vena di contatti umani in questo momento...".

"Volevo solo chiederti se per caso hai visto James stamattina o prima". Disse Alex e Lana riuscì a captare dell'ansia nella sua voce.

"Perché? Che ha fatto?". Chiese lei in fretta, tornando in macchina senza nemmeno aver potuto poggiare i piedi sulla sabbia.

"Ha inviato un messaggio a Taylor dicendole che ha visto me e te baciarci sabato nella villa di Tattler. Non hai idea di quanto sia furiosa con me, ci ho discusso fino a qualche minuto fa al telefono, cercando di convincerla che James lo avesse detto solo per farci litigare". Alex sembrava esausto almeno quanto Lana dalla voce che aveva.

"Ci siamo visti prima". Ammise Lana per poi aggiungere: "come ti avevo detto ieri, volevo chiarire con lui e dirgli che non mi interessa".

"E non è finita bene, immagino". Disse Alex con un sospiro di esasperazione.

"Per niente". Confermò Lana, senza aggiungere altro.

"Io credo di poter convincere Taylor che si sia trattato solo di un gesto di vendetta nei tuoi confro...".

"Alex, non avrebbe senso inventarsi una cosa del genere, nemmeno per James". Disse Lana, interrompendolo.

"Allora non so cosa altro poterle dire per farla calmare...". Rispose Alex, sempre più esasperato. Lana poteva sentire del trambusto e delle voci in sottofondo, chiaro segno del fatto che lui si trovasse sul posto del lavoro in quel momento.

"Esci prima da lavoro". Disse Lana, decisa come poche volte nella sua vita. "Andiamo insieme da Taylor, ovunque si trovi in questo momento e risolviamo adesso questa storia".

"Lana, adesso Taylor è intrattabile e se vado via ora dal set, rischio che mi facciano fuori".

"Alex, volevamo comunque parlarle insieme, direi che è l'occasione giusta per farlo".

"Ma adesso non farà altro che insultare entrambi!". Protestò lui.

"E che lo faccia, allora! Ha tutte le ragioni per odiarci". Replicò Lana.

"Possiamo almeno aspettare che si calmino un attimo le acque, almeno fino a domani?". Chiese Alex, esasperato.

"No, Alex. Facciamola finita ora. Sono stanca di tutti questi problemi, voglio vivere tranquilla". Rispose lei, determinata.

Sentì Alex sospirare e dopo qualche secondo di pausa, disse: "va bene, facciamolo".

Lana ed Alexander si incontrarono un'ora dopo, davanti ad un hotel di lusso chiamato "Blue Velvet".

Lui era appea sceso dalla sua scintillante e bellissima Jaguar e Lana dalla sua Ford rosso scuro, nel grande parcheggio dell'edificio.

Sebbene Alex avesse indosso i suoi soliti occhiali da sole neri, Lana poteva percepire chiaramente la tensione che stava emanando da ogni angolo del suo corpo e riusciva a scorgere delle chiazze di sudore sotto alle sue ascelle coperte da una camicia bianca e semitrasparente. Lana, invece non era affatto spaventata dalla situazione e sapeva benissimo che non sarebbe stato facile trovare le parole giuste da dire a Taylor come non sarebbe stato semplice affrontarla in tutta la sua rabbia, ma indipendentemente da come si sarebbe svolta quella situazione, Lana sapeva, anzi aveva la certezza che dopo sarebbe stato tutto più facile e non vedeva l'ora di dire finalmente a Taylor come stessero effettivamente le cose.

"Arriverà a minuti". Disse Alex, avvicinandosi poi a Lana mentre controllava l'ora sul suo orologio da polso.

Lana prese la sua mano che strinse, come per dargli forza e lui accennò un debolissimo sorriso nervoso.

"Ci sono io con te, non avere paura". Fu la risposta di Lana.

"Non ho paura". Disse Alex, ma quella frase odorava di menzogna persino da chilometri di distanza.

Nello scorgere Taylor nella hall del lussuoso hotel dove aveva appena finito di posare per una rivista, Lana strinse ancora una volta la mano del ragazzo di fianco a lei per poi mollarla e camminare per qualche metro, verso l'entrata dell'hotel.

"Ciao, Taylor". Disse Lana appena lei uscì dall'edificio.

Taylor si tolse gli occhiali da sole blu a goccia che indossava, infilandoseli poi nella grossa borsa nera e rispose a Lana per poi rivolgere un'occhiataccia ad Alex che restava appiccicato alla macchina di Lana.

"Lana, ti sta solo prendendo per il culo. Non puoi immaginare quante ragazze ingenue abbiano abboccato al suo minuscolo ed insignificante amo".

"Non è come pensi". Rispose Lana.

"Ma guardalo, Lana. Non ha nemmeno il coraggio di venire qui a parlarmi a quattr'occhi". Disse Taylor, continuando a guardare Alexander che sembrava non avere intenzione di muoversi da li.

Lana si accorse solo in quel momento degli occhi leggermente gonfi della ragazza che le stava davanti, chiaro segno del fatto che aveva pianto poco tempo prima.

"Perché non andiamo a parlare nel retro?". Chiese Lana, vedendo nella hall delle persone con degli attrezzi avvicinarsi all'uscita.

"Si, assolutamente. Non voglio che i miei colleghi mi vedano ancora con quel perdente". Rispose Taylor, indicando Alex con un cenno della testa per poi iniziare a fare il giro del grande hotel, seguita da Lana e da Alex che restava ancora indietro.

Taylor andò a sedersi a ridosso di un muretto e si accese una sigaretta, facendo cenno a Lana con la mano di sedersi accanto a lei. Lana non se lo fece ripetere e si sedette accanto alla ragazza, incrociando poi le gambe con un gesto automatico.

"Se James non mi avesse mandato quel messaggio, avreste continuato a tenermi nascosta la vostra relazione?". Chiese Taylor, guardando Lana.

"Non era una relaz-". Iniziò Alex.

"Sta' zitto tu. Sto parlando con Lana". Disse bruscamente Taylor, troncando la sua frase e tornando poi a guardare seria Lana.

"Alex ha ragione. Non era una sorta di relazione segreta e si, avevamo programmato proprio ieri che te ne avremmo parlato tra due giorni".

"Perché tra due giorni?". Chiese Taylor, con gli occhi puntati su quelli di Lana mentre continuava a fumare la sigaretta e Lana notò che era agitata dal tremolio dei suoi piedi che non volevano saperne di stare fermi sul suolo cementato.

"Perché saresti tornata a cas-". Alex fu interrotto per la seconda volta da Taylor.

"Taci". Sibilò Taylor, che continuava a fumare la sigaretta sempre più nervosa.

"Taylor, è come dice lui. Semplicemente volevamo aspettare che tu tornassi a casa e che tu fossi più rilassata". Rispose Lana, un po' seccata dal fatto che lei trattasse Alex in quel modo, ma non poteva di certo biasimarla per il suo comportamento viste le circostanze.

"Da quanto tempo va avanti questa cosa?". Chiese Taylor, continuando a guardare Lana.

"Da quando sono tornato a Woodv-".

"Ti ho detto di stare zitto!". Sbottò Taylor, alzandosi di scatto e lanciando in un impeto di rabbia, la sigaretta ancora accesa addosso al ragazzo, la quale creò un buco sui suoi pantaloni neri all'altezza del ginocchio.

"Ma che cazzo ti prende?!". Urlò Alex, allontanandosi di un paio di passi e sfiorandosi il ginocchio dove la sigaretta lo aveva bruciato.

"Hai anche il coraggio di chiedermelo?!". Urlò Taylor mentre si avvicinava ad Alex: sembrava una tigre in quel momento.

"Taylor, perché non ti siedi?". Disse Lana a voce bassa e lei si voltò verso la ragazza.

"Non ne voglio sapere di sedermi!". Urlò Taylor per poi voltarsi nuovamente verso Alex.

"Sono stanca di farmi prendere per il culo da te, Alex. Da quando ti ho conosciuto un anno fa, non hai fatto altro che causarmi problemi!".

"Ah scusa, non sapevo di avere a che fare con Santa Taylor". Rispose Alex a voce alta.

"E io non sapevo di essermi messa con una puttana che lavora gratis!". Continuò Taylor, sempre più nervosa.

"Oh, parla quella che dal giorno alla notte cambia orientamento sessuale e si scopa la sua amichetta del cuore!". Contestò Alex.

"E' successo una, UNA fottutissima volta". Urlò lei.

"Ah e quando sei tornata etero e ti sei fottuta anche Nick?!". Replicò lui che si trovava ormai ad un passo da Taylor.

Lana poteva vedere quanto entrambi trasudassero odio reciproco e rabbia e le sembrò di rivivere un flashback di settimane addietro, quando in una caffetteria proprio a qualche passo da Woodville avevano iniziato ad urlarsi addosso come dei matti.

"Beh, tu invece hai avuto un bello sconto nel portarti a letto due gemelle in una sera!". Rispose Taylor per poi aggiungere: "toglimi una curiosità, ti sei portato a letto anche Lana?".

Alex guardò per una frazione di secondo Lana che si era appena alzata, colpita da quelle parole, poi tornò a guardare Taylor.

"Non me la sono portata a letto come dici tu. Lei mi sta dando tutto ciò che per mesi ho cercato inutilmente in te".

"E cosa sarebbe, fammi un po' sentire". Rispose lei, incrociando le braccia e mettendosi automaticamente sulla difensiva, restando davanti a lui.

Alex non si lasciò intimorire per quella volta e rispose, deciso con addosso gli occhi di Lana che lo sostenevano.

"Lana si prende cura di me. Sono una persona migliore quando sono al suo fianco e insieme non abbiamo bisogno di nien'altro se non di tenerci per mano. Avrei un milione di parole e frasi da dire, ma dubito che tu abbia voglia di starmi a sentire visto come mi stai trattando".

"Ora ti sto a sentire perché non ti stai comportando da coglione". Rispose Taylor che poi rivolse lo sguardo su Lana, che restava in piedi ad appena qualche passo da loro.

"Lana, vieni qui". Ordinò Taylor, ma senza traccia di cattiveria nella voce.

Lei obbedì e si avvicinò, fermandosi proprio tra Taylor ed Alex.

"Allora, è vero ciò che ha detto Alexander?". Chiese poi Taylor e Lana annuì.

"Cos'è successo tra voi due? Perché avete iniziato a provare dei sentimenti l'uno per l'altra?". Era strano il comportamento di Taylor, pensò Lana nel sentirsi porgere quella domanda. Qualunque altra ragazza si sarebbe fiondata subito su Lana e non si sarebbe fatta alcun problema a metterle le mani addosso o a lanciarle qualcosa addosso, aggiungendo tutti gli insulti più variopiti a lei, sua madre e ad almeno un altro paio di generazioni. Taylor, invece prima di agire rifletteva e aveva scelto di puntare il dito contro Alex, che conosceva ormai come le sue tasche.

Lana decise di rispondere nel modo più sincero e oesto possibile, certa del fatto che Taylor avrebbe almeno provato ad ascoltarla.

"Non so se Alex te l'abbia mai raccontato, ma io e lui ci conosciamo da quando avevamo sei anni e vivevamo entrambi a Woodville, il nostro paese di nascita. Siamo stati amici e compagni di giochi fino a circa quindici anni, poi abbiamo scoperto insieme l'infatuazione e abbiamo iniziato ad esplorare insieme questo sentimento finché a diciassette anni, lui non è stato costretto a trasferirsi con i suoi genitori. Da quel momento non ci siamo più visti, né sentiti e né cercati per dieci anni e quando ci siamo rivisti a Woodville è stato come se non ci fossimo mai separati. Certo, abbiamo due stili di vita molto differenti e tanto da raccontarci, ma è come se i nostri sentimenti fossero solo stati messi in pausa per tutto questo tempo, in attesa di essere riattivati...". Lana si fermò per riprendere fiato e rialzando gli occhi su Alex e Taylor, fu felice di vedere che entrambi erano rimasti ad ascoltarla.

"Alex, perché non mi hai mai parlato di Lana?". Chiese Taylor.

Lui con un'alzata di spalle, rispose: "col passare degli anni ho finito per dimenticarmi quasi completamente di lei e non credo proprio che tu avessi voluto che io ti raccontassi di una mia ex ragazza". Cercò in una tasca dei pantaloni le sigarette e poi se ne accese una, restando con lo sguardo basso.

"Su questo non posso darti torto". Rispose lei mentre lo osservava fumare.

"Taylor, io ti devo delle scuse". Disse Lana, attirando su di sé l'attenzione della ragazza.

L'espressione di Taylor era alquanto confusa e Lana si affrettò a darle delle spiegazioni: "pur essendo a conoscenza del fatto che tu ed Alex non stavate passando un bel periodo nella vostra relazione, io non ho saputo mettere un freno ai miei sentimenti..."

"Lana, non darti la colpa anche di questo...". Disse Alex con un sospiro e Taylor notò come lui la guardasse: i suoi occhi si poggiavano su quelli di Lana come se non esistesse altra persona al mondo, come se lei fosse sia l'alba che il tramonto, come se lei fosse l'unica ragazza sulla Terra.

"Per quanto mi scocci dirlo, Alex ha ragione. Non è un crimine innamorarsi". Disse Taylor.

Gli occhi di Lana incrociarono quelli azzurri di Taylor, quella donna che si stava dimostrando così comprensiva nei suoi confronti e soprattutto in una situazione così delicata, dove avrebbe potuto scegliere di agire in mille modi diversi ma invece aveva scelto di capire, di analizzare la situazione.

"Mi sono comportata anche male con te quando ti ho conosciuta a Woodville". Lana disse quelle parole con un groppo in gola.

"Smettila di darti colpe che non hai e poi non ti eri affatto comportata male, eri solo distante". Disse in risposta Taylor, guardando Lana come se avesse voluto abbracciarla, ma le circostanze non lo permettevano e restavano ad una distanza di sicurezza.

Lana continuava a sentire quel peso che dallo stomaco la percorreva fino ad arrivare alla gola e sapeva che non meritava tutta quella comprensione, tutta quella dolcezza da parte di quella che in quel momento avrebbe dovuto essere una sorta di nemica giurata. Ma si era ripromessa di essere forte, di superare le sue barriere che la tenevano imprigionata nelle sue paure, così offrì una mano alla ragazza e quando lei la prese, Lana abbracciò Taylor che fu alquanto sorpresa da quel gesto.

lana avrebbe voluto dirle anche che la stava derubando della persona per la quale provava dei sentimenti, ma scelse di tacere, lasciando che fosse quell'abbraccio a parlare al posto suo e Taylor, che accarezzava la schiena della ragazza, sembrò capire ciò che Lana stava tentando di comunicarle. Si spostò appena e sussurrò poi a Lana:

"Sii felice con lui, okay? E continuiamo a sentirci, non voglio che la nostra amicizia finisca".

Lana annuì. Non riusciva a risponderle perché il groppo che fino a qualche istante prima sentiva in gola, era diventato un macigno e sentiva chiaramente i propri occhi iniziare ad inumidirsi.

"Vorrei parlare con Alex da sola per dieci miuti, ti dispiace?". Chiese Taylor alla ragazza, mantenendo un tono di voce calmo e gentile. Lana rispose che non le dispiaceva affatto e Taylor le regalò un piccolo sorriso ed un secondo ma rapido abbraccio.

Lana andò a sedersi sul muretto dove prima lei e Taylor si erano sedute e guardava da lontano lei ed Alexander che in una piccola aiuola, parlavano di chissà cosa. Lana non voleva saperlo, erano cose personali che riguardavano solo loro due e non aveva il diritto di intromettersi in una questione privata. Non aveva affatto il timore che lei tentasse di baciarlo o riportarlo tra le sue braccia in qualche modo perché non si era dimostrata affatto quel tipo di persona, ma anzi una ragazza fin troppo buona e comprensiva, soprattutto nei confronti di Lana che si vergognava ancora per essersi fatta dei pregiudizi su di lei quando si erano viste per la prima volta, incoraggiata soltanto dall'invidia.

Alle undici di sera, Lana si trovava nel largo e comodo letto dell'appartamento di Alex che era appena tornato dopo essere stato chiamato dal produttore del suo programma televisivo per un'ora di straordinario dato che al pomeriggio aveva lasciato il posto di lavoro in fretta e furia.

Si era appena tolto le scarpe e la giacca e dopo essersi seduto sul letto, dove Lana lo stava aspettando con un dolce sorriso, Alex non poté fare a meno di predere il suo viso tra le mani e baciarla con altrettanta dolcezza.

"Va tutto bene?". Gli chiese Lana, andando ad accarezzare con una mano i suoi capelli scuri che come al solito, erano pieni di brillantina e chissà quale altro prodotto chimico.

"C'é ancora una cosa che devo dirti". Sussurrò lui in risposta, lasciandosi trasportare dalle sue carezze così dolci.

"Che cosa?". Chiese Lana, curiosa ma furono interrotti dal telefono di Alex che prese a vibrare nei suoi pantaloni.

"Ti prego, fa che non sia di nuovo il lavoro o mi tolgo la vita". Disse lui con un sonoro sospiro scocciato mentre estraeva lo smartphone dalla tasca, lasciando sfuggire una risata alla ragazza che era seduta di fronte a lui, la quale tolse subito la mano dai suoi capelli.

Alex si fece subito scuro in volto nel vedere il nome lampeggiare sullo schermo del dispositivo e Lana si sporse appena, curiosa di sapere chi fosse.

David era il nome che stava turbando Alex e lui decise infine di rispondere.

"Ciao, papà". Disse serio e cupo.

Lana fece per alzarsi, non voleva intromettersi in una conversazione personale e sapeva bene che Alex non aveva affatto un bel rapporto con i suoi genitori, ma lui strinse la sua mano, come per dirle di restare lì con lui e Lana restò seduta , spostandosi al suo fianco e tenendo stretta la sua mano che stava iniziando a sudare.

"Lo so, appena potrò, verrò a trovarvi". Rispose Alex all'interlocutore che alzò la voce al punto che anche Lana riuscì a sentire la sua voce dura e roca, sebbene non riuscisse però a decifrare le sue parole.

"Che stai dicendo? Le stai facendo prendere tutte le sue medicine?". Chiese Alex, con una espressione di panico che iniziava a farsi strada sul suo volto. Lana, in un gesto automatico strinse di più la mano del ragazzo.

"L'altro giorno mi hai detto che stava reagendo alla cura". La voce di Alex era sempre più intrisa di paura.

"Vi raggiungo domani all'alba. Come si chiama l'ospedale?". Alex strinse la mano di Lana e la guardò per un momento negli occhi. Lana non ricordava di averlo mai visto così impaurito e in un tentativo di rincuorarlo, si strinse a lui, tenendo stretto il suo braccio libero.

""Ho capito. Arrivo tra qualche ora, chiamami subito se hai degli aggiornamenti". Alex riattaccò subito dopo che il padre lo ebbe salutato e si voltò verso la ragazza, con gli occhi lucidi e il fiato corto.

"Mia madre sta morendo". Furono le uniche parole che disse, sussurrate appena.

 

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Capitolo 25
*** Capitolo 24. ***


"Lo sai che non eri costretta a venire con me, vero?". Chiese Alex, per la milionesima volta mentre guidava verso la clinica privata di Sunspeare, la città dove si erano trasferiti lui e i suoi genitori quando erano andati via da Woodville, ormai tanti anni prima.

"Al, è la quarta o forse la quinta volta che me lo chiedi e lo sai che voglio starti vicino, quindi non preoccuparti, stai tranquillo e non chiedermelo di nuovo, okay?". Rispose Lana, accarezzando appena la sua spalla: era attentissimo alla guida sebbene i suoi occhi cerchiati di occhiaie profonde scure come se gli avessero dato un pugno, implorassero disperatamente almeno qualche ora di sonno. Per tutta la notte, Lana aveva sentito chiaramente che Alex nel letto continuava a rigirarsi o si alzava per andare in bagno a fumare una sigaretta dopo l'altra. Lo aveva sentito anche andare nell'enorme salotto a prepararsi una tisana, ma sembrava non aver riscosso alcun effetto. Verso le sei del mattino aveva svegliato Lana, la quale aveva dormito a malapena quattro ore: avevano passato molto tempo a parlare della situazione della madre di Alex, Valerie, e della sua malattia che le stava rubando velocemente l'essenza vitale.

Sebbene lei non avesse mai toccato una sigaretta in tutta la sua vita, le era comunque toccato il cancro ai polmoni e per di più non operabile. Alex aveva raccontato a Lana che lui in molte occasioni aveva mandato dei soldi ai suoi genitori per fare in modo che sua madre avesse ricevuto le migliori cure in una clinica privata e se prima sembrava iniziare a fare qualche passo avanti con le varie terapie che offriva la clinica, dopo la chiamata di suo padre ricevuta la sera prima, Alexander iniziava a dubitare seriamente che sua madre ce l'avesse fatta sebbene Lana ce la stesse mettendo tutta per non permettergli di rassegnarsi e demoralizzarsi.

"Scusa se sono così nevrotico oggi". Disse Alex, guardando per un secondo Lana e tornando subito dopo a concentrarsi sulla grande autostrada semivuota.

"Non preoccuparti. Piuttosto, che ne dici di darmi il cambio? E' già da tre ore che stai guidando senza sosta e non sei affatto in buone condizioni".

Alex si trovò d'accordo con lei, soprattutto nel sentire i propri occhi iniziare ad appannarsi e così dopo essersi fermati nella corsia d'emergenza ed essersi scambiati i posti in auto, Lana iniziò a guidare e dopo qualche minuto con le mani sul volante, decise di spezzare un poco la tensione con una piccola risata.

"Che c'è?". Chiese Alex, tenendo lo sguardo stanco, ben fermo sulla strada per assicurarsi che lei non sbagliasse sebbene dovessero percorrere l'autostrada e per almeno altre due ore, lei non avrebbe dovuto fare altro che seguire essa ed i cartelli indicanti la città che era la loro destinazione.

"Sto guidando da dieci minuti e ancora non mi hai pregata di andare piano o di insultare qualcuno che si avvicini troppo alla macchina". Disse lei, accennando un piccolo sorriso, che Alex ricambio, accennando una risata a sua volta ma senza aggiungere nulla: aveva così tante ore di sonno da recuperare che i nervi dei suoi occhi, nel realizzare che avevano a disposizione un paio d'ore di sonno, già iniziavano ad appannarsi e a diventare incredibilmente pesanti come macigni.

"Lana... Se mi addormento, non ci troveremo per sbaglio su Marte, vero?". Sussurrò lui, iniziando a cercare una posizione comoda sul sedile e maledicendosi mentalmente per aver comprato un'auto sportiva dove a malapena riusciva a stare seduto senza ingobbirsi o sentire male a qualche parte del corpo.

"Non ti preoccupare, ti sveglierai direttamente su Saturno". Rispose lei abbozzando una risata.

Lui ancora una volta, riuscì solo a sorriderle, senza dire niente e si accese poi una sigaretta per distendere i nervi, sebbene ne avesse già fumato un pacchetto da venti nell'arco di poche ore. Accese poi la radio ed inserì l'unico cd di musica classica che possedeva, che aveva ricevuto in regalo un paio di anni prima, da un amico ormai dimenticato; accarezzò poi la mano di Lana che era ferma sul cambio delle marce e sussurrò: "grazie per ciò che stai facendo per me".

"Shh, ora pensa a riposare". Disse lei con voce bassa, andando ad accarezzare a sua volta la mano del ragazzo.

Alex non se lo fece ripetere due volte ed in men che non si dica, si addormentò con la faccia schiacciata sul finestrino e la sigaretta ancora accesa tra le dita che Lana, con delicatezza gli sfilò da esse per poi gettarla dal piccolo e scuro finestrino: quella macchina, ormai aveva preso l'odore delle marlboro rosse che di solito fumava Alex, ma a lei in quel momento non importava di altro se non di far riposare il ragazzo che amava e di potergli stare vicino, di essere la sua ancora di salvezza.

Aveva l'assoluta certezza che anche lui avrebbe fatto del suo meglio per stare vicino a Lana se lei avesse attraversato un momento del genere e ne aveva già avuto la prova quando, settimane prima, lui l'aveva accompagnata al cimitero di Woodville. Inoltre non aveva ancora cancellato dalla mente tutte le volte in cui, da ragazzina, quando era ancora fin troppo emotiva e fin troppo sensibile e instabile, andava a cercare conforto nel porto sicuro che ogni volta si rivelavano essere le braccia di Alex.

Lei, purtroppo sapeva benissimo cosa volesse dire perdere un genitore e sperava, mentre lasciava scorrere gli occhi sulla grande e vasta autostrada, che Valerie, la madre di Alex, gli avesse risparmiato quell'immenso dolore che si prova quando una delle due figure genitoriali prima o poi ed inevitabilmente, viene a mancare.

Di tanto in tanto, posava lo sguardo sul ragazzo il quale dormiva rannicchiato in una posizione scomoda sul sedile del passeggero di fianco a lei e avrebbe voluto che lui fosse stato sempre così spensierato, proprio come l'espressione che si faceva largo sul suo volto in quegli istanti di più che meritato sonno, dove la sua mente finalmente andava in stand-by e poteva concedersi un breve viaggio in chissà quale sogno, in chissà quale dimensione lontana.

Lana si promise più volte, nel corso di quelle due ore interminabili di guida, che avrebbe provato in tutti i modi a renderlo felice, così tanto felice che se un giorno si fosse fermato a riflettere se quello che stava vivendo fosse un sogno o la realtà, non avrebbe saputo rispondersi.

 

Una volta arrivati a Sunspeare, Alex si era rimesso di nuovo alla guida dopo quasi due ore di sonno ed erano appena arrivati nel parcheggio della clinica dove la madre di Alex era ricoverata. Nonostante avesse dormito, non sembrava affatto riposato: la sua espressione era comunque seria e nervosa, ogni muscolo del suo viso era teso, contratto e le occhiaie non avevano nemmeno accennato a sparire o almeno a dissolversi lentamente.

Scesero dall'auto e Lana prese subito la mano di Alex che strinse forte e lui ricambiò rivolgendole un piccolo sorriso che con quegli occhi d'un tratto carichi di gratitudine, sembrava dire semplicemente grazie di tutto.

Una volta dentro, Alex chiese alla segretaria di turno in quale stanza fosse ricoverata sua madre e dopo aver raggiunto la porta della stanza numero trentatré, Alex si bloccò.

"Ho paura". Ammise all'improvviso lui in un tono di voce cupo e debole, fissando la porta celeste davanti a sè e spezzando quel silenzio di tensione che si era andato a creare subito dopo che Alex, appena qualche minuto prima, aveva parcheggiato la macchina davanti alla clinica.

"Andrà tutto bene". Sussurrò Lana con voce confortante senza aggiungere altro, stringendo appena la presa sulla sua mano sudata, piena di tensione come ogni terminazione nervosa del suo corpo. Lei sapeva benissimo che tutto ciò che voleva sentirsi dire una persona in quel momento e che ci tiene molto alla persona che si trova dall'altra parte della porta, erano solo quelle tre semplici parole, senza stare a fare grandi e lunghissimi quanto noiosissimi discorsi sulla vita che prima o poi è destinata a finire: quelle erano cose che nel proprio inconscio tutti sapevano ed Alex proprio non aveva bisogno di uno di quei discorsi filosofici che lo avrebbero fatto stare solo peggio.

 

Lui incrociò nuovamente il suo sguardo, traboccante di gratitudine e prima di fare leva sul pomello metallico della porta, baciò Lana sulla fronte e lei sapeva benissimo che ancora una volta, lui con il suo modo di fare, la stava ringraziando altre mille volte con un solo gesto.

 

Alex non si aspettava di trovare sua madre in quelle condizioni, o meglio sapeva quanto la sua malattia la stesse inghiottendo, ma non si era mai azzardato a immaginarsi in quali condizioni avrebbe dovuto essere sua madre e ora non sapeva se fosse stato un bene o un male.

Valerie era nel letto della stanza della clinica, pallida e con gli occhi vuoti, gli occhi di chi sa benissimo di avere i giorni contati e di essere senza speranza.

Quegli occhi spaventarono Alex molto di più del macchinario per contare i battiti del cuore alla sua destra e del tubo conficcato nel suo braccio che le stava iniettando chissà cosa, alla sua sinistra.

David, il padre di Alex, stava sonnecchiando su una sedia a fianco del letto e lui non voleva disturbarlo, anche perché conoscendolo, sarebbe anche stato capace di insultarlo. Si avvicinò a sua madre, mentre sentiva la presenza di Lana dietro di lui che non lo abbandonava per un momento ed alla quale non poteva fare a meno di essere grato.

“Ehi mamma… Sei sveglia?”. Sussurrò lui, restando in piedi una volta che ebbe raggiunto il suo capezzale: erano ormai anni in cui non usava più chiamarla mamma, ma sapeva benissimo che anche se non lo dimostrava, sotto alla corazza di ferro che era il suo carattere, le faceva piacere essere chiamata in quel modo.

“Alex, finalmente sei qui”. Riuscì a dire lei e lui non poté fare a meno di voltarsi per un secondo verso Lana, per nascondere alla madre gli occhi lucidi.

Lana non capiva da dove lui stesse prendendo tutta quella forza di volontà: lei in una situazione simile, avrebbe pianto per giorni e giorni interi, invece Alex sembrava voler dimostrare a se stesso di essere forte, a tutti i costi, anche in quella situazione piuttosto drammatica.

Lei si avvicinò appena ad Alex, quel tanto da potergli accarezzare appena la spalla, come per dargli coraggio, anche se lui ne aveva già abbastanza per una intera squadra di football.

Lana riusciva a scorgere la figura debole della madre di Alex, Valerie, che era semicoperta dalle spalle di Alex: aveva una sorta di turbante in testa, dal quale sfuggiva un ciuffo nero che si andava ad appoggiare sulla sua fronte pallida e dal colorito decisamente malato, anche le sue labbra avevano un colorito diverso, più scuro e sembravano raggrinzite. I suoi occhi verde scuro sembravano essersi arresi alla battaglia, così come il suo corpo decisamente sottopeso che Lana riusciva a scorgere dal momento in cui la copriva solo un lenzuolo color arancio pastello.

“Scusa se ti ho fatta aspettare così tanto”. Sussurrò Alex in risposta alla madre, mentre andava ad accarezzarle il viso visibilmente scarno.

“Non preoccuparti, lo so che sono almeno cinque ore di viaggio da Iron Valley”. Sussurrò lei in risposta, andando poi a guardare Lana con una piccolissima scintilla di curiosità che attraversava i suoi occhi verdi.

Tornò poi a guardare Alex e gli sussurrò, in un tono di voce più audace: “Alex, se non è una tua amica, falla uscire. Lo sai che non mi interessa conoscere le modelle da quattro soldi che ti porti a letto”.

Ad Alex sfuggì un piccolo sorriso nel sentirla parlare in quel modo nonostante non fosse proprio al massimo delle sue forze ed allungò poi una mano verso Lana che si avvicinò, poi lui rispose alla madre: “davvero non ti ricordi di lei? Guardala meglio”.

Valerie guardò confusa Alex, poi tornò con gli occhi su Lana, esaminando i suoi tratti somatici con attenzione e quando capì di chi si trattasse, tra le sue labbra si fece largo un debole ma sincero sorriso.

“Tu sei Lana, l’amica di infanzia di Alex”.

Lana annuì, aggiungendo poi: “si, mi dispiace doverci incontrare in queste circostanze...”.

“Non ti preoccupare, piccola. E’ sempre un piacere enorme rivederti”.

Lana non poté non accennare un brevissimo sorriso imbarazzato e prima che potesse rispondere, Valerie guardò Alex e disse: “dimmi che hai rimesso il cervello in quella testa piena di brillantina e che ti stai frequentando con lei”.

Alex accarezzò nuovamente il viso della madre e le sorrise, rispondendo poi sottovoce per non svegliare David che stava ancora dormendo tutto storto su una sedia nonostante in un angolo della stanza ci fosse una piccola poltrona bianca che sembrava essere decisamente più comoda.

“Per la tua gioia, si. Ci stiamo frequentando, sei felice?”.

“Non lo dici solo per darmi un contentino, vero?”. Chiese Valerie, socchiudendo gli occhi per cercare di capire se Alex stesse mentendo o meno, ma lui in risposta prese la mano di Lana la quale gli regalò un piccolo sorriso, poi lei disse a Valerie: “posso confermalo senza problemi”.

Valerie sorrise a Lana, come se le avesse dato la notizia più bella del mondo e rispose: “me lo sentivo che un giorno vi sareste rivisti. Mi ricordo bene che da piccoli eravate inseparabili come due argapornis *. Certi legami così profondi non li si può separare nemmeno con la forza di un ciclope”.

Lana non poté fare a meno di sorridere per la similitudine che lei aveva fatto e rispose sempre con la sua cortesia immancabile: “ti ringrazio molto, Valerie”.

“Ma non era un complimento”. Rispose lei. “Era solo una constatazione. Ricordo anche che quando non riuscivo a trovare Alex per farlo venire a cena, sapevo già benissimo che mi toccava andare nel bosco a cercarlo o venire a casa tua. Non eravate per un secondo staccati e vedevo con i miei occhi che non vi annoiavate mai di giocare insieme o di uscire”.

“Beh, eravamo semplicemente bambini”. Disse Alex con una alzata di spalle. Lana gettò per un momento gli occhi sui suoi: lo vide prendere una sedia pieghevole dove poi si sedette e capì il perché della sua risposta affrettata. Evidentemente doveva essere stanchissimo, forse la dormita su quel sedile scomodo in macchina aveva molto probabilmente solo peggiorato il suo stato di stress.

“Alex, anche i bambini si annoiano. E tu con Lana non ti annoiavi mai”. Disse sua madre, guardando poi Lana con un grande bontà negli occhi.

“Anche tutt’ora non ci annoiamo”. Disse Alex mentre si strofinava gli occhi stanchi.

“Lana, davvero non ti annoi a guardare il suo programma televisivo?”. Chiese Valerie alla ragazza, notando che il figlio era molto stanco e di sicuro vedere la madre in quelle condizioni, non era esattamente un toccasana.

“E’ divertente, ma per i motivi sbagliati. Comunque io non sono nessuno per giudicare ciò che fanno gli altri per vivere e con lui mi sono già espressa”. Rispose Lana, scaturendo in Valerie un altro sorriso debole ma comunque pieno di calore.

“Ecco perché mi sei sempre piaciuta, Lana. Sei una persona riflessiva e qualche mese fa ho anche avuto l’opportunità di leggere Nati per morire”. Valerie si riferiva chiaramente al titolo della raccolta di poesia che aveva pubblicato Lana l’anno prima e la ragazza, inevitabilmente arrossì.

“Ah… Spero che tu l’abbia trovata una lettura discreta. Ti ringrazio per i tuoi complimenti”.

“Discreta? Io non sono una fan delle poesie, a malapena conosco Walt Whitman, ma tu invece hai un modo tutto tuo di scrivere. Ora ti mantieni scrivendo, vero?”. Chiese, curiosa Valerie e piuttosto certa del talento di Lana, la quale si sentiva piuttosto sopravvalutata in quel momento.

“A dire la verità no… Purtroppo di questi tempi si tende a leggere molto meno, ancor di più le poesie e poi non credo che le cose che scrivo ultimamente possano piacere al mio editore...”.

Valerie prese una mano di Lana e la guardò con fervore negli occhi. “Il talento lo hai nel sangue, fidati. Secondo me dovresti vivere scrivendo poesie e se io fossi il tuo editore, non esiterei a supportarti”.

“Sei fin troppo gentile, Valerie...”. Sussurrò Lana, arrossendo nuovamente, in imbarazzo per tutti i complimenti che le stava facendo quella donna che non si stava affatto dimostrando per la fredda e scorbutica che le aveva descritto Alex, settimane prima.

D’un tratto, Lana si voltò verso la sedia sulla quale era seduto David, il padre del ragazzo, il quale si stava svegliando in quel momento, evidentemente disturbato dalle nuove voci che sentiva nella stanza: era un uomo dal viso colto, ma severo. Indossava degli occhiali dalla montatura piccola e nera come i suoi occhi, infossati dalle occhiaie che su quel viso magro ed incredibilmente somigliante a quello di Alex, portavano con fatica chissà quante ore di sonno represse. I suoi capelli erano tra il grigio ed il castano scuro che portava legati in una piccola coda. Indossava una camicia a maniche corte, stropicciata ed il suo mento era coperto da un leggero strato di barba, anch’essa dei colori dei suoi capelli.

Alex, nel vedere il padre svegliarsi, si alzò in piedi con un moto meccanico, quasi come se fosse abituato a comportarsi in quel modo in presenza di David.

“Al, finalmente sei qui”. Disse David, alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso il figlio che gli dette una pacca sulla spalla come breve saluto.

“Scusa il ritardo, ho dovuto viaggiare da casa mia fino a qui...”.

“Chi è questa ragazza?”. Chiese David, ignorando completamente le scuse del figlio ed avvicinandosi a Lana.

Lei stava per presentarsi, ma Alex le rubò la parola.

“La conosci. E’ Lana, la figlia di Richard”.

Lana, nel sentir pronunciare il nome di suo padre, fu subito scossa da un lampo di tristezza che cercò di ignorare.

“Salve, signor Turner”. Disse semplicemente Lana a bassa voce, ma lui al contrario di Valerie, non sembrava affatto felice del fatto che lei si trovasse li.

“Lana, puoi darci qualche minuto? Ho bisogno di parlare con Alexander”. Disse serio David.

“Si. Si, certo”. Rispose Lana, sistemandosi poi la borsa in spalla e raggiungendo subito la porta.

Alex la guardò con gli occhi che le imploravano scusa e le disse: “prenditi qualcosa al bar, è al piano di sotto. Dopo ti raggiungo io, okay?”.

Lana annuì semplicemente e si dileguò il più in fretta possibile da quella stanza, dove l’atmosfera si era improvvisamente fatta seria e pesante.

Una volta raggiunto il bar che le aveva suggerito Alex, mentre aspettava che arrivasse la propria tisana, Lana stava ancora lottando con i ricordi che aveva di suo padre, i quali si erano rifatti improvvisamente vivi grazie alle parole di Alex rivolte a suo padre.

Ovviamente sapeva benissimo che lui non aveva di certo nominato appositamente il padre di Lana per infliggerle dolore, anzi ricordava bene che quando ancora la famiglia Turner viveva a Woodville, saltuariamente David e Richard andavano a pesca insieme o si concedevano una serata di bevute nel bar della piccola piazza di Woodville, quello più frequentato dai paesani.

Lana, però era sempre stata intimorita dalla presenza di David perché da sempre emanava un’aura di severità e di inflessibilità, anche perché lei era sempre stata l’esatto opposto di ciò che lui le aveva dimostrato di essere e spesso, da ragazzina si era domandata cosa mai ci avesse trovato suo padre, una persona tanto benevola ed indulgente, in un tipo come lui, così freddo e rigoroso. Alex aveva sicuramente preso da lui una parte di tratti somatici, mentre da sua madre quel calore umano che li contraddistingueva.

Nel vedere la sua tisana arrivare, Lana automaticamente sorrise al cameriere e si andò a perdere subito dopo, nuovamente nei suoi pensieri mentre con il cucchiaino mescolava la bevanda calda che emanava un odore inconfondibile di valeriana e melissa.

Tanti pensieri attraversavano la sua testa in quel momento e vista la situazione, aveva deciso di non dire nulla ad Alex di come fosse andata la discussione con James e soprattutto non gli avrebbe chiesto di cosa avessero parlato lui e Taylor quando il giorno prima lei lo aveva preso da parte. Erano due cose che in confronto a ciò che gli stava capitando in quel momento, non avevano un briciolo di importanza e l’unica cosa che voleva fare Lana era quella di stargli il più vicino possibile.

Mentre assaporava la tisana, cercando di impiegarci più tempo possibile, rispose ad una chiamata sul cellulare e dopo un paio di minuti di conversazione. Lana riattaccò sconfortata.

Il dentista presso il quale faceva la segretaria a Mooney l’aveva supplicata di tornare a lavoro prima della fine delle ferie perché la sua nipote non era in grado di svolgere alcuna mansione che lui le indicava senza mandare inevitabilmente tutto a rotoli e Lana, purtroppo aveva dovuto accettare nonostante avesse cercato di spiegargli quanto le servissero i due giorni restanti di ferie.

Sebbene quella tisane alle erbe sarebbe dovuta essere particolarmente rilassante, lei non riusciva nemmeno a fare un respiro che non emanasse ansia.

Era così difficile per gli altri capire che voleva solo stare accanto al ragazzo che amava?

 

Alex raggiunse Lana al bar della clinica un’ora dopo, scusandosi con lei diverse volte per aver tardato così tanto, ma Lana non si era accorta nemmeno che fosse passato così tanto tempo, assorta com’era dai suoi pensieri.

Pranzarono insieme con scarso appetito, sempre in quel bar che si trasformava in mensa negli orari dei pasti principali e lui le disse ciò che gli aveva detto suo padre, ovvero che a Valerie, sua madre, restava probabilmente appena qualche giorno di vita e che il suo corpo, tumefatto dal tumore che si era espanso vertiginosamente nell’arco di pochissimi giorni, andando a mangiare anche le cellule del resto dell’organismo. Disse anche a Lana che ormai erano due anni in cui sua madre lottava contro il tumore e sebbene la prima volta avesse sconfitto il cancro con l’aiuto di una terapia specifica che lui non aveva esitato a pagarle, dopo qualche mese era riapparso in una normale visita di controllo ed ancora più forte di prima.

Lana aveva ascoltato Alexander con molta attenzione mentre avevano appena toccato il loro riso con i funghi e gli aveva stretto la mano, per non fargli mancare il suo sostegno, ma sapeva che era arrivato il momento di dirgli della telefonata che aveva ricevuto poco prima.

 

“Alex, devo dirti una cosa, ma per favore cerca di non prendertela con me...”. Disse Lana, sospirando dopo essersi tracannata il secondo bicchiere d’acqua di fila: improvvisamente la gola le era diventata secca ed arida come il deserto, cosa che le accadeva spesso quando era in ansia.

“Che cosa?”. Chiese lui, lasciandosi trasportare dalla preoccupazione e stringendo d’istinto la mano della ragazza che si trovava sul tavolo assieme alla sua.

“Mi ha chiamata il mio datore di lavoro e domani devo assolutamente tornare in ufficio...”. Disse lei senza girare intorno al discorso e andando a posare lo sguardo sul suo riso del quale aveva a malapena mangiato qualche boccone.

Lui disse solo: “non ti preoccupare, non eri certo obbligata a restare qui”.

A Lana, però non sfuggì quel tono di voce abbattuto e rialzò lo sguardo sul suo viso che trovò piuttosto triste e scoraggiato. Le faceva male al cuore vederlo in quello stato, avrebbe preferito mozzarsi di netto una mano piuttosto che vederlo così indifeso, così solo.

“Sai che ti dico? Fanculo il resto, io voglio starti vicino”.

Alex rialzò lo sguardo: i suoi occhi brillavano di commozione come due stelle polari e non poté fare a meno di accarezzare il viso della ragazza e sussurrarle un: “grazie, Lana. Per tutto, di tutto”.

“Tu ci sei sempre stato per me quando eravamo insieme. E’ arrivato il mio momento di dimostrarti che tu sei importante per me quanto io lo sono per te”.

“Non hai bisogno di dimostrarmelo. Lo fanno già i tuoi occhi”. Sussurrò Alexander, avvicinandosi a lei per poterle strappare un bacio e non gli importava del fatto che proprio in quel momento avevano iniziato a scorrere delle lacrime sul proprio viso, perché sapeva che Lana non lo avrebbe giudicato, ma lo avrebbe capito e lo avrebbe stretto forte a sé in un abbraccio.

 

 

 

 

 

* Argapornis: meglio conosciuti come pappagalli “inseparabili”.

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Capitolo 26
*** Capitolo 25 (prima parte) ***


Lana non si era pentita affatto di aver scelto di restare accanto ad Alex che in quei momenti aveva un disperato bisogno di lei.

Sebbene il padre di Alex, David, non fosse la persona più socievole e simpatica al mondo, lei era determinata a sopportare il suo carattere acido ed apatico pur di restare con il ragazzo che amava per dargli tutto il sostegno di cui aveva bisogno.

D’altronde, Lana non biasimava affatto David per il suo comportamento scorbutico e poco tollerante nei suoi confronti: stava affrontando un momento drammatico della sua vita ed ognuno reagisce in un modo diverso al dolore e Lana non aveva mai mancato di rispetto ad esso.

Lana, la notte aveva dormito con Alexander in un hotel a basso costo ad appena qualche chilometro dalla clinica e lui non smetteva per un attimo di parlare di sua madre: le raccontava della sua passione per i fiori che aveva scoperto proprio qualche mese prima che loro, tanti anni prima, si trasferissero lontano da Woodville. Valerie, una volta che Alex aveva abbandonato la casa di famiglia, aveva deciso di aprirsi un piccolo negozio di fiori, abbandonando il suo lavoro di insegnante delle scuole elementari. Poi, dopo qualche anno, inaspettatamente era sopraggiunta la malattia che l’aveva colta come un fulmine a ciel sereno. Valerie non aveva mai toccato nemmeno per sbaglio una sigaretta nell’arco di tutta la sua vita e non era riuscita a spiegarsi come fosse stato possibile che proprio a lei fosse venuto un tumore ai polmoni. D’un tratto, per lei la vita era diventata un attimo fuggente, qualcosa che può sfuggire di mano in qualsiasi momento. La prima cosa che fece, fu quella di smettere di litigare continuamente con suo marito di cose futili e soprattutto di smetterla di essere così attaccata al denaro, come lo era stata per tutta la vita, perché si era resa conto del fatto che i soldi non le sarebbero serviti da morta. Aveva poi intrapreso un piccolo viaggio da sola, alla ricerca di se stessa, di ciò che non aveva vissuto da giovane, di ciò che non aveva osato cercare in gioventù, troppo assorbita dal suo pessimismo e dal suo attaccamento ai soldi per spiegare le ali e prendere il volo.

Valerie era sempre stata una donna elegante, pragmatica ed obbiettiva, che raramente si lasciava andare ai sentimentalismi, ma la sua malattia l’aveva cambiata, rendendola più libertina e soprattutto meno intollerante, diventando la persona che era in quel momento, capace di ridere e scherzare anche con la consapevolezza che presto avrebbe lasciato la sua terra, la sua casa, il suo figlio, suo marito ed il suo corpo.

Valerie, la sera prima che Alex e Lana tornassero in hotel per dormire almeno qualche ora, aveva incoraggiato più volte i due ad intraprendere un viaggio e di vivere più avventure possibili perché lei prima che arrivasse il suo tumore, non aveva fatto altro che vivere di rimpianti, aggrappandosi alla floricoltura per avere l’illusione di star vivendo per qualcosa, per non sentirsi vuota, per avere semplicemente un motivo per il quale aprire gli occhi ad ogni alba e chiuderli dopo ogni tramonto.

Lana aveva ascoltato volentieri quella donna che per lei era diventata una fonte di ispirazione e dopo quella notte, aveva passato un altro giorno nella clinica, a prendersi cura di Alex e sua madre. Avrebbe voluto rendersi utile anche per David, il padre del ragazzo, ma lui continuava ad essere ostinato ed irremovibile con lei e Lana alla fine aveva deciso di lasciar perdere per evitare di innervosirlo ancora di più.

Alex aveva poi chiesto a Lana di tornare a casa perché non voleva che lei si fosse sentita obbligata a stare li e sebbene lei all’inizio avesse protestato, dicendogli che sarebbe stata con lui finché lui avrebbe gradito la sua presenza in quel posto, alla fine si era trovata d’accordo con lui: era terribilmente stanca e spossata, era stata una settimana molto lunga e piena di avvenimenti, quindi un po’ di riposo nel proprio letto, l’avrebbe di certo aiutata a stare meglio.

Alex le promise che l’avrebbe tenuta aggiornata sulle condizioni di sua madre, ma Lana non ebbe più notizie del ragazzo per tutto un giorno e non fu sorpresa. Finalmente lui poteva stare con i suoi genitori da solo e poteva condividere con sua madre tutto ciò che sentiva nel profondo, senza persone che attorno che non c’entravano nulla con il loro legame, con il rapporto intimo e personale che solo una madre ed un figlio possono avere.

Lana capiva perfettamente il perché del silenzio di Alex e non aveva intenzione di disturbarlo, quindi si era concentrata sul lavoro, beccandosi un rimprovero da parte del suo datore di lavoro per averlo lasciato nel bel mezzo del caos con sua nipote che non sembrava particolarmente ferrata per quel tipo di lavoro. Lana aveva poi spiegato a grandi linee del perché lei si fosse dovuta assentare e lui le aveva subito chiesto scusa per quella ramanzina.

Quei giorni sembravano non passare mai, erano lenti e languidi come le giornate di inverno più fredde, quelle che sembravano non passare mai, quelle che fanno dubitare persino del fatto che prima o poi il sole splenderà di nuovo alto nel cielo.

Per Lana, ad ogni ora che passava, stava diventando estenuante aspettare di ricevere delle notizie da parte di Alex, che sembrava deciso a continuare il suo silenzio stampa. Ancora una volta non gli dava la colpa, avrebbe solo voluto sapere come stessero lui e sua madre.

Magari il cancro era in remissione e lui si stava semplicemente riposando: anche quando erano andati a dormire in hotel, Lana aveva sentito chiaramente il ragazzo muoversi nel letto matrimoniale della stanza che era stata assegnata loro alla reception e si era anche alzato un paio di volte, incapace di dormire per più di un paio d’ore. Lana ricordava di averlo anche provato a stringere tra le proprie braccia, per confortarlo e rassicurarlo, ma ogni volta in cui lui aveva posato gli occhi sui suoi, Lana vi aveva visto dentro una tempesta di pensieri che si scatenavano dentro di lui e aveva capito che neanche moltiplicandosi in altre novantanove persone non sarebbe riuscita a dargli conforto perché la sua mente lo rifiutava, lo scacciava via come fosse veleno, qualcosa che non gli apparteneva, qualcosa che in quei momenti era sicuro di non meritare.

 

Le risposte ai dubbi ed alle ansie della ragazza, arrivarono con il suo telefono che aveva preso a squillare insistentemente, vibrando contemporaneamente e facendo un rumore infernale visto che era appoggiato sul comodino ad appena qualche centimetro dal letto, alle cinque e mezza del mattino.

Se in altre circostanze avrebbe certamente ignorato una chiamata quando ancora il sole non aveva iniziato a sorgere nel cielo, in quel momento, invece, aveva preso subito in mano il telefono e nel vedere che si trattava proprio di Alex, rispose in fretta senza farlo aspettare inutilmente.

“Ehi”. Disse semplicemente, con la voce ancora impastata di sonno che cercò subito di schiarirsi senza fare rumore.

Alex sembrava non rispondere e per qualche attimo di silenzio completo, Lana pensò che forse l’aveva chiamata per sbaglio.

“Alex… Ci sei?”. Chiese lei, facendo poi nuovamente silenzio.

E fu in quel momento che captò il suo respiro strozzato ma bassissimo, quasi impercettibile.

“Ehi. Sono qui”. Sussurrò Lana con voce dolce, nonostante si stesse ancora svegliando.

Aveva già capito cosa fosse accaduto da quei respiri affannosi e quasi inudibili.

“Al...”. Sussurrò ancora lei, mettendosi seduta sul letto.

“Lana… Mia madre non ce l’ha fatta...”. La sua voce era così fragile che Lana non poté fare a meno di rabbrividire e rattristarsi per la perdita che aveva appena subito l’amato.

“Mi dispiace moltissimo, tesoro. Non meritava di certo tutta questa sofferenza”. Sussurrò lei, sospirando triste.

“Vorrei che tu fossi qui in questo momento”. Sussurrò lui con la voce rotta dalle lacrime e a Lana si spezzò il cuore nel sentirgli dire quelle parole.

“Non avrei dovuto andarmene l’altro giorno, scusa...”. Rispose lei a bassa voce, stringendo con la mano sinistra il lenzuolo di cotone, come se avesse voluto romperlo: detestava sentire che lui, l’unica persona che avrebbe voluto amare per tutta la vita ed alla quale voleva appartenere, fosse da sola a sopportare e a tenere testa ad un dolore tanto grande.

“Sono io che ho voluto che tu tornassi a casa tua, non ti preoccupare...”. Sussurrò lui per cercare di rasserenarla ma quella frase la fece solo sentire peggio, perché nonostante lui avesse perso probabilmente la persona più importante di tutta la sua vita, cercava comunque di non far venire dei sensi di colpa a Lana e lei seppe ancora una volta, dentro di se, che lo amava con tutto il suo cuore e che non avrebbe voluto separarsi da lui nemmeno per tutto l’oro del mondo.

“Dovrei essere con te per stringerti forte tra le mie braccia ed asciugarti le lacrime, invece sono a casa mia”. Sussurrò Lana, con voce colpevole, stringendo ancora il lenzuolo nel quale premette a lungo le sue lunghe unghie.

“Mi basta sentire la tua voce...”. Rispose Alex, tirando su con il naso.

“Quando è successo?”. Chiese Lana con voce bassa, che finalmente non era più impastata di sonno, anche se risultava comunque roca a causa della tristezza che stava provando e poteva solo lontanamente immaginare come dovesse sentirsi Alex in quegli istanti.

“Quasi due ore fa… Ha combattuto fino alla fine, ma i medici non hanno potuto fare nulla...”. Stava per aggiungere altro, ma Lana poté sentire chiaramente la sua voce spezzarsi ed i singhiozzi farsi vivi, pronti a collaborare con le lacrime che di sicuro stavano scendendo lungo le sue guance pallide.

Lana premette ancora le unghie nel lenzuolo, andando a creare un piccolo buco nel cotone.

Desiderava così tanto avere il potere di potersi teletrasportare da lui in quel momento.

“Scusa se ho chiamato solo adesso… Nemmeno mio padre ha reagito bene e io ed un medico di turno abbiamo dovuto calmare un suo attacco di panico...”.

“Alex, non devi chiedermi scusa. Ora resta vicino a lui e cercate di farvi forza insieme...”.

“A che serve farsi forza? Tanto prima o poi sarà anche il nostro turno”. Rispose lui, con un tono di voce melodrammatico, che fece rattristare anche Lana, la quale però cercò di dargli una risposta positiva: anche lei non era stata particolarmente ottimista quando suo padre l’aveva abbandonata, ormai sei mesi prima.

“Valerie non vorrebbe vederti così, Al. Lo so che adesso è difficile pensarlo, ma il sole sorgerà anche domani e dovrai trovare dentro di te la forza di andare avanti e rendere felice tua madre che di sicuro ti starà guardando… Ovunque si trovi ora”.

“Magari non è da nessuna parte. Probabilmente dopo la vita ci aspetta semplicemente il nulla...”. Sussurrò lui e a Lana parve evidente che in quel momento lui non fosse in vena di parole di conforto.

“Può darsi, ma che senso ha stare a pensarci adesso? Quando moriremo, lo scopriremo”. Rispose lei, mantenendo una voce morbida e confortante.

“Hai ragione. Lo vedremo quando ci sarà tolta la vita da chissà cosa...”. La voce di Alex sembrava sempre più scoraggiata, ma Lana dopo aver fatto quei due tentativi di rincuorarlo, non sapeva più come comportarsi o cosa dirgli.

Avrebbe semplicemente voluto stringere il suo petto contro il proprio e le proprie mani con le sue, per comunicargli semplicemente con quei gesti che c’era e ci sarebbe sempre stata.

“Vorrei stringerti forte a me, adesso”. Sussurrò Lana.

“Ed io vorrei poter piangere sulla tua spalla”. Ammise Alex, con una voce così indifesa ed innocente da far sussultare ancora il cuore di Lana. Le aveva improvvisamente ricordato di quando da bambino e i suoi genitori lo sgridavano per un brutto voto preso a scuola, lui correva subito da lei, nella casa poco lontana per cercare un suo abbraccio e lei non era mai stata capace di negargliene uno, nemmeno quando litigavano, perché quei suoi occhi color caramello avrebbero potuto riscaldare il cuore anche al più freddo degli uomini.

“Verrai al funerale?”. Chiese lui, spezzando il silenzio che si era creato.

“Si, certo che ci sarò”. Sussurrò lei, tornando con i pensieri alla realtà, che fino ad un secondo prima avevano viaggiato fino a troppi anni prima.

“Ti va poi di restare a dormire da me?”. Chiese lui.

“Me lo chiedi anche? Certo che resterò da te”. Rispose Lana, dolce come non mai.

“Sei meravigliosa. Trovi sempre il modo di starmi vicino, di non farmi mancare nulla”.

“Tu faresti lo stesso per me”.

“Sempre”. Rispose lui, sicuro sebbene la sua voce non potesse mascherare quella grande tristezza che sentiva dentro.

 

Due giorni dopo, di sabato, Lana si ritrovava nuovamente a Woodville e per una strana coincidenza della vita, di nuovo per un funerale, di nuovo per una persona persa.

Aveva indosso un abito di un nero opaco, così come le sue scarpe e la sua piccola borsa che teneva nella mano libera dal momento in cui l’altra era stretta a quella di Alex che si trovava accanto a lei, anch’egli vestito completamente in nero con solo una cravatta grigia che spiccava sopra a tutta quella oscurità.

Lana lo aveva trovato diverso: oltre al suo nuovo taglio di capelli a cui inizialmente non aveva fatto nemmeno caso, Alex era perennemente pensieroso e scuro in volto, ma Lana non poteva fargliene una colpa. Lei sapeva molto bene quanto fosse difficile superare un lutto del genere, ma c’era qualcosa in lui che a lei dava la sensazione che fosse mutato definitivamente dopo quella perdita, ma ancora non sapeva dire bene cosa fosse.

A quel funerale sembrava essere presente tutto il paese: d’altronde, a Woodville tutti si conoscevano e il cimitero, quel giorno era affollato da almeno una quarantina di persone, ovvero tutte le persone che avevano conosciuto Valerie e che in lei avevano visto una persona buona, una madre, una moglie ed una donna amorevole.

Molte di quelle persone presero l’occasione di dire due parole in merito a quella donna che aveva appena perso la vita, per renderle omaggio e c’era invece chi lo dimostrava posando fiori ai piedi del suo epitaffio sotto al quale si trovava la tomba che era stata già seppellita con la terra.

Alexander, invece non aveva voluto fare né un discorso, né lasciare qualcosa, che sia un fiore o un ricordo, sulla lapide della madre ed era proprio ciò che preoccupava Lana: lui non era mai stato un tipo riservato, né una persona che provava imbarazzo a fare discorsi in pubblico e non riusciva proprio a captare cosa gli stava passando per la testa nell’arco di tutta la cerimonia.

Dopo che ebbero finito e furono finalmente fuori dal cimitero, Alex chiese a Lana di andare da lui, a casa sua, dicendole che non voleva vedere per un momento di più quel paese che ora lui era capace di vedere solo sotto un aspetto negativo, proprio come era accaduto a Lana quando era tornata dopo mesi, per andare a trovare suo padre.

Lana, quindi si prese un momento per salutare sua madre la quale era venuta dalla cittadina vicina nella quale ora abitava, per partecipare alla funzione dal momento in cui aveva sempre conosciuto Valerie.

Christine, la madre di Lana, avrebbe voluto poter parlare anche con Alex per poterci anche scambiare due parole oltre che alle condoglianze che gli aveva fatto ad inizio della funzione, ma Lana le disse che lui non se la sentiva di parlare con nessuno in quel momento.

La ragazza raggiunse quindi Alex al parcheggio, dove già lui la stava attendendo al volante della sua Jaguar e una volta che si fu sistemata dalla parte del passeggero, Alex mise in moto per poi partire spedito verso Iron Valley.

In macchina vi era un silenzio devastante: nessuno dei due osava proferire anche solo per sbaglio una sillaba e Lana non aveva intenzione di interromperlo: sapeva benissimo che ora nella mente di Alex si aggiravano almeno duecento pensieri diversi e lei, che di tanto in tanto lo guardava di sottecchi, si accorgeva dei suoi occhi che in alcuni attimi, quando evidentemente i pensieri si facevano troppo personali, si inumidivano e faticavano così tanto a trattenere quei macigni che erano diventate le sue lacrime.

Aveva una faccia così stanca e non solo per tutte quelle ore di sonno perse, ma semplicemente della vita, delle amarezze che gli stava offrendo come coltellate nei polmoni.

Lana era quasi tentata di accendere la radio per offrire almeno una distrazione ad Alex, per non lasciare che i suoi pensieri lo prendessero e lo trasportassero in un buco nero di depressione.

Decise di provarci, tanto al massimo poteva chiederle di spegnere, non sarebbe accaduto nulla di stupefacente, quindi premette il pulsante di accensione della radio, poi prese un libro dal borsone ai propri piedi nel quale si era portata anche un cambio di vestiti per la sera e per il giorno seguente e si mise a leggere, lanciando di sottecchi delle occhiate ad Alex, che sembrava non essersi nemmeno accorto della musica, tanto concentrato come era nei propri pensieri.

Lana decise quindi di concentrarsi nella lettura: il viaggio durava almeno due ore e doveva riempire in qualche modo il tempo dal momento in cui la conversazione tra loro due sembrava morta.

“Ti dispiace abbassare il volume della radio? Ho mal di testa”. Disse Alex, facendo voltare di scatto Lana, la quale aveva appena iniziato a credere che lui non avesse parlato per tutto il viaggio.

“Se vuoi la spengo… L’avevo accesa solo per fare da sottofondo”. Senza farselo ripetere ancora, Lana abbassò il volume dal piccolo display touch screen, tornando poi a rileggere per la terza volta la stessa pagina del libro: non riusciva proprio a concentrarsi nella lettura, era troppo distratta da Alex, che continuava ad essere taciturno come la notte.

“Non preoccuparti. Cosa stai leggendo?”. Chiese lui con un tono di voce tutt’altro che interessato, ma stava almeno provando a fare conversazione e lei lo ringraziò mentalmente.

“Sto leggendo Submarine di Joe Dunthorne, ne hai mai sentito parlare?”. Chiese lei, senza poter fare a meno di guardare Alex di tanto in tanto, che però non spostava per un secondo gli occhi dalla strada.

“E’ una sorta di avventura nell’oceano? E comunque, no non l’ho mai sentito”.

Lana accennò un debole sorriso. “No, diciamo che quella del sottomarino è più una metafora. Penso che entrambi abbiamo qualcosa in comune con il protagonista”.

“Ovvero?”. Alex, anche se non dimostrava con il linguaggio del corpo interessamento per il libro, a Lana dava l’impressione che si stesse sforzando sul serio di pensare ad altro.

“Il protagonista si chiama Oliver e sebbene sia dotato di una grande intelligenza e tanto acume, quando si trova a dover affrontare delle situazioni che potrebbero metterlo sotto pressione, si chiude in se stesso e fa fatica a mostrare ciò che davvero è dentro”.

“Sembra interessante”. Commentò Alex, aggiungendo poi: “e il sottomarino quindi, si riferisce alla sua personalità?”.

Lana annuì, felice del fatto che lui stesse prestando attenzione.

“Si, è un tratto che ha in comune con suo padre, quello di viaggiare nel proprio oceano privato di emozioni”.

“Vorrei essere anche io un sottomarino, in questo momento”. Disse Alex, fermandosi ad un semaforo rosso e accendendosi una sigaretta.

“Io sono stata nel mio oceano personale per molto tempo, ma non ho risolto nulla. Ho capito più tardi nella vita che chiudendomi in me stessa, avrei solo limitato me stessa e ciò che potrebbe accadere fuori dal guscio”.

Alex sospirò: sapeva bene quanto avesse ragione da vendere Lana.

“E se io volessi stare nel mio sottomarino solo per qualche mese?”.

Lana chiuse il libro e guardò con occhi tristi il ragazzo: sapeva bene come si sentisse in quel momento, ma non aveva intenzione di farlo naufragare con tutta la tristezza che stava sentendo.

“Se proprio vuoi chiuderti in te stesso, dovrai farlo in mia compagnia”.

Alex, per la prima volta da quando erano saliti in macchina, rivolse finalmente lo sguardo verso Lana e disse, con una smorfia sul volto.

“Potrei non essere ciò che ti aspetti”.

“E chi ha detto che mi aspetto qualcosa?”.

Alex accennò un amaro sorriso e nel vedere scattare il verde, tornò a far pressione sull'acceleratore, senza però andare troppo forte.

“E a te poi, chi ci pensa se ti dovrai preoccupare di me?”.

“Ci penso io a me stessa e soprattutto a te”.

Lana poté scorgere un piccolo quanto veloce sorriso apparire e sparire poi velocemente sulle sue labbra accarezzate dal caldo sole di maggio.

“Sei incredibile, riesci sempre a provarmi quanto tu sia meravigliosa”. Disse Alex, ma senza andare ad incrociare gli occhi con quelli di Lana, impegnato come era nel cercare di non sbagliare corsia nell’autostrada nella quale era appena entrato.

“Mi lascerai dimostrartelo lasciando guidare me? Non voglio offenderti, ma hai l’aria davvero sfinita, Alex e vorrei che tu ti prendessi un po’ di pausa dallo stress”.

Alex fece una smorfia, rispondendo: “no, preferisco guidare. Devo tenere la mente impegnata o mi verrà una crisi esistenziale”.

“Alex, ma non dormi da giorni e hai detto che hai anche mal di testa...”. Protestò lei.

Lui aggrottò le sopracciglia e strinse di più entrambe le mani sul volante.

“Ho detto che va bene così, sta tranquilla”. Rispose lui con un tono di voce decisamente più aspro, ma a Lana non fece affatto paura: stava semplicemente puntando i piedi come un bambino quando vuole qualcosa a tutti i costi.

“Allora come mai stai iniziando anche a sudare?”. Chiese lei, vedendo chiaramente le sue guance arrossate e un paio di piccole gocce di sudore che scendevano lungo il suo viso.

Lui non rispose e prese da sopra al cruscotto i suoi soliti occhiali da sole neri che indossò, continuando a guidare.

“Eh si, ora hai certamente risolto il problema”. Disse Lana, rimettendo il libro nel borsone, andando poi ad incrociare le braccia.

“Se ti faccio guidare, la chiudi la bocca?”.

“Forse”. Rispose lei con un sorrisetto di trionfo che le spuntò tra le labbra.

Così, dieci minuti dopo, Lana si ritrovava al volante di quella Jaguar nera e scintillante sotto i raggi del caldo sole di quel pomeriggio e non si sarebbe mai stancata di guidare una macchina così. Alla sua destra, sul sedile del passeggero, Alex aveva appena iniziato a sonnecchiare con la faccia schiacciata sulla parte superiore del sedile, sebbene per qualche minuto avesse provato con tutte le forze nel tenere il broncio alla ragazza, che imperterrita aveva continuato nella guida, infischiandosene delle sue occhiatacce e dei suoi sonori sbuffi.

 

Una volta arrivata al piccolo complesso di appartamenti appena fuori dal centro di Iron Valley, dove abitava Alex, la ragazza fu costretta a svegliarlo dopo a malapena un’ora in cui lui era riuscito a dormire. Mentre lei lo aiutava a salire le scale del condominio di lusso per arrivare a casa del ragazzo, lui testardo come un mulo, si era ostinato a portare sulle spalle il borsone di Lana, che però lo stava aiutando nel reggersi in piedi dal momento in cui traballava per il sonno che aveva.

Una volta arrivati dentro l’appartamento del ragazzo, Lana gli tolse il borsone dalla spalla che getto subito a terra ed accompagnò Alex nella sua enorme stanza da letto, dove lui si sdraiò subito senza nemmeno togliersi le scarpe e gli occhiali da sole, cosa che poi, con cautela fece Lana, facendo attenzione a non disturbarlo. Dopo aver tirato le tende ed avergli lasciato sul comodino una bottiglia d’acqua nel caso gli fosse venuta sete, Lana stava per andare in salotto per continuare a leggere il libro che si era portata, ma sentì la mano di Alex prenderle un polso che strinse appena, con le poche forze che gli rimanevano prima di crollare definitivamente in un lungo sonno e mugugno: “non te ne andare anche tu”.

Lana gli sorrise dolcemente e si riavvicinò a lui per poi accarezzare i suoi capelli che non era ancora abituata a vedere così corti e sussurrò: “resto qui con te, va bene?”.

Alex annuì semplicemente e la sua mano andò ad accarezzare il bacino della ragazza, attirandola a sé e lei si avvicinò al suo viso, regalandogli un bacio.

Lui le sorrise appena, poi sembrò finalmente cadere in un sonno profondo.

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Capitolo 27
*** Capitolo 25 (seconda parte). ***


Dopo tre ore, alle sette e mezza della sera, Lana aveva finito di leggere quel libro il quale le aveva trovato bellissimo a dir poco e probabilmente sarebbe entrato nella sua top ten dei romanzi migliori che avesse mai letto. Aveva anche scritto qualche frase che di tanto in tanto bussava alla porta della sua mente, in uno dei suoi quaderni che si era portata ad Iron Valley e infine aveva mangiato qualcosa che non fosse scaduto che aveva trovato nel frigorifero di Alexander.

Per lui era riuscita a preparare solo dei tramezzini con dentro tonno ed insalata, tre delle pochissime cose non andate a male.

Dopo aver appoggiato il piatto nero sul comodino, Lana riprese a scrivere nel suo quaderno, ma proprio un paio di minuti dopo vide Alex iniziare a rigirarsi nel letto e a stiracchiarsi, quindi prima che si svegliasse del tutto, Lana mise il proprio quaderno per terra, di fianco al letto: per lei le poesie e tutte le frasi che tirava fuori dalla mente, erano molto personali ed ancora non se la sentiva di condividerle con lui e soprattutto non in quel momento in cui lui aveva appena subito una grave perdita in famiglia.

Vide il ragazzo rigirarsi verso di lei che era seduta e nel vederlo poi schiudere appena gli occhi, non poté resistere alla tentazione di accarezzare i suoi capelli ed il suo viso pallido.

“Sei davvero stata qui tutto il tempo?”. Sussurrò lui, con la tipica voce roca ed impastata di sonno di chi si è appena svegliato da una lunga e rigenerante dormita.

“Quasi sempre”. Sussurrò lei, lasciandosi accarezzare dal ragazzo che sembrava essersi decisamente addolcito rispetto a qualche ora prima.

“Non mi dire che mi hai tradito con il bagno”. Sussurrò lui ridendo.

“Eh si, purtroppo la mia vescica è una stronza. E ti ho tradito anche con le cose scadute che hai in frigo”. Disse lei ridacchiando, cosa che fece anche Alex.

“Allora anche stanotte avrai numerosi appuntamenti col bagno”.

“No, sono riuscita a trovare qualcosa che si fosse salvato dalla tua sbadataggine”. Disse lei, andando ad accarezzargli nuovamente il viso per poi indicare il piatto su cui vi erano disposti quattro tramezzini triangolari per Alex, il quale dopo averli visti, disse: “cazzo, mi sa che adesso dovrei proprio scusarmi per aver fatto lo stronzetto in macchina”.

“Decisamente”. Disse Lana con un sorriso di trionfo tra le proprie labbra.

“Piuttosto, sei riuscito a dormire bene, stavolta o ti devo ibernare per farti dormire come si deve?”. Chiese lei con un dolce sorriso giocoso tra le labbra: era felicissima di vederlo finalmente più rilassato e più a suo agio. Quando Alex era di buon umore, era capace di trasmetterlo a chiunque intorno a lui e in quel momento, Lana sentiva chiaramente il suo viso ed il suo corpo emanare energie positive.

“Come faresti poi, se io fossi costretto a dormire per l’eternità?”. Chiese lui, andando a sedersi di fianco a lei e portandosi il piatto con i tramezzini sulle gambe, che iniziò subito a mangiare con appetito.

“In quel caso mi farei ibernare con te. Non avrebbe senso la vita senza di te”.

Alex, per un nanosecondo aveva sperato che lei stesse dicendo sul serio, ma quando si era voltato per osservare la ragazza, l’aveva vista ridere e si era lasciato contagiare dalla sua risata che trovava sempre angelica, serafica.

“Dai, sul serio. Mettiamo che io un giorno sparisca nel nulla. Verresti a cercarmi?”. Chiese lui, per poi dare un morso al tramezzino mentre osservava la ragazza, in attesa di una sua risposta.

“Certo che ti verrei a cercare, ma non saprei dove trovarti”. Rispose Lana, andando a posare un pollice sotto al labbro inferiore di Alex per pulirgli una piccola macchia di mayonese.

Lui non poté fare a meno di sorridere alla dolcezza che gli dimostrava la ragazza e dopo aver inghiottito il cibo che aveva in bocca, rispose: “Nemmeno io lo saprei. Dimmi dov'è il luogo in cui ti nascondi quando nulla va bene e vuoi stare solo da sola con te stessa”.

Lana non dovette riflettere molto per dare una risposta ad Alex: sapeva benissimo quale fosse il posto che preferiva quando aveva solo bisogno di lasciar fluire i pensieri.

“C'è una piccola frazione di spiaggia libera a Mooney. E’ seminascosta da un parcheggio e da una casa abbandonata, perciò è il posto perfetto per i ragazzi che vanno lì a fumarsi l’erba di nascosto. Ma quando non c'è nessuno, quando siamo solo io, la sabbia, le onde, i gabbiani e il mare è il posto perfetto. Il mio posto dove sembra tutto andare come dico, dove l’immaginazione prende vita e mi fa sembrare la vita così facile per almeno qualche ora...”. Lana aveva un dolce sorriso tra le labbra nel raccontare ad Alex di quel posto e lui lo aveva notata: lei aveva quella scintilla negli occhi tipica di chi ama la vita così tanto da lasciarsi deludere da essa.

“Stavo per chiederti di farmi vedere quel pezzo di spiaggia, un giorno ma penso sia una cosa che debba venire da te quando sarà il momento giusto”. Rispose Alex.

“Hai ragione. Anche se muoio dalla voglia di farti vedere quel luogo, arriverà il momento perfetto per mostrartelo. E invece, il tuo posto dove ti nascondi da tutto, dove si trova?”. Chiese Lana, curiosa di conoscere dove Alex lasciasse andare i suoi pensieri, dove rimetteva in ordine le idee e allo stesso tempo riusciva a sognare. Lui aspettò prima di masticare il suo secondo tramezzino, poi dopo aver bevuto dell’acqua dalla bottiglia che Lana qualche ora prima gli aveva lasciato sul comodino, scese dal letto e si infilò le scarpe.

“Vieni, ti mostro il luogo dove mi nascondo”. Disse lui, attirando l’attenzione di Lana che si alzò dal letto. “Alex, se hai ancora mal di testa, forse è meglio se resti a casa”.

“Ma non dobbiamo uscire da qui”. Disse lui, scatenando una nuova ondata di curiosità in Lana, la quale si stava iniziando a chiedere se per caso le fosse sfuggita una stanza dell’appartamento, ma gettando un occhio verso l’ampio corridoio, ci ripensò: aveva di certo visto ogni angolo di quella casa. Forse Alex la stava solo prendendo in giro.

“Hai per caso una porta segreta qui che mi è sfuggita?”. Chiese lei, guardandolo con aria interrogativa.

Alex, che aveva appena finito di mettersi le scarpe, si avvicinò a Lana ed accarezzò il suo viso.

“Sai, avrei voluto sapere molto prima il luogo in cui ti rifugi”.

“Perché?”. Chiese Lana, sempre più confusa ma ammaliata dai suoi occhi calorosi e dalla sua mano tiepida sul proprio viso che strinse nella propria.

“Quando sono ritornato a casa da Woodville, ricordi che tu sei venuta con me?”.

“Si, abbiamo cenato insieme e ci siamo ubriacati”. Rispose Lana, accennando una risata al ricordo di quella folle quanto magica serata.

“Quando poi sei tornata a casa tua, non avevo la minima idea di quale fosse il tuo indirizzo di casa e non sapevo nemmeno quale fosse il tuo luogo preferito per nasconderti. Avevo una paura terribile di dimenticarmi del tuo volto...”. La voce di Alexander sembrava farsi sempre più intensa ed incalzante e Lana aveva la netta sensazione che lui le stesse per mostrare qualcosa di molto personale. Qualcosa che probabilmente rivelava molto di più di ciò che lui era abituato a mostrare, coperto come era dai suoi strati di maschere che era ormai obbligato a portare.

La mano di Alex, dal volto di Lana scese ad accarezzare la sua mano che lei subito strinse.

“Cosa vuoi mostrarmi, Al?”. Chiese lei e lui come risposta, iniziò a camminare fuori dalla stanza da letto, oltre il corridoio e per finire poi nella camera degli ospiti. Lana lo aveva seguito, tenendo la mano stretta alla sua e con la curiosità a mille, che continuava a crescere. Lui, però mollò la presa dalla sua mano e guardò verso il soffitto che solo in quella stanza era di legno e Lana iniziò a capire proprio in concomitanza con lui che stava aprendo il passaggio per andare nella soffitta. Una scala metallica venne tirata giù da Alex con l’aiuto di una cordicella che aveva proprio quella funzione e Alex salì i primi tre gradini, poi si voltò verso di lei e le offrì la propria mano per aiutarla a salire. Lana prese la sua mano che strinse forte e senza temere di cadere, le vertigini o qualunque altra cosa che l’avrebbe fermata in quel momento, salì i pochi gradini che li separavano dalla soffitta.

“Un anno dopo essere andato via da Woodville con la mia famiglia, ho iniziato a scoprire quanto mi piacesse dipingere e devo ringraziare mio nonno, anche lui un pittore, che ai tempi per il mio compleanno mi regalò il mio primissimo cavalletto, assieme a delle tele e ai tre colori di base, ovvero il giallo, il ciano ed il magenta...”.

Lana da quando aveva messo piede nella soffitta, non era riuscita a degnare Alex nemmeno di uno sguardo: era estasiata da tutto ciò che la circondava. Sia alla sua estrema destra che alla sua estrema sinistra, erano presenti un paio di cavalletti per un totale di quattro. Quella soffitta, ricavata dal sottotetto e chiaramente nuova, sembrava ricoprire il perimetro tra la stanza degli ospiti e quella di Alex, ma espandendosi solo in lunghezza. Vi erano tre piccole finestre quadrate proprio sopra la ragazza, che illuminavano sufficientemente quasi tutta la soffitta, lasciando che gli angoli alle estremità fossero più oscurati.

“Ovviamente i miei genitori, appena videro che mi iniziava a piacere sul serio dipingere, mi allontanarono subito dal cavalletto, andando invece a farmi focalizzare sugli studi. Se prima li avevo detestati a morte per questo, adesso lo vedo come un gesto di protezione, che come al solito, mi mostravano in un modo tutto loro. Alla fine, volevano solo che io mi concentrassi sugli studi, ciò che loro ritenevano importante per il mio futuro”.

Lana ascoltava Alex con interesse, annuendo di tanto in tanto, ma non riusciva proprio a distogliere lo sguardo da quella soffitta: vi erano decine e decine di tele raffiguranti persone, animali e paesaggi che Alex aveva visto nel corso di tutti quegli anni passati. Su un piccolo e vecchio tavolino di legno, vi erano posti degli stracci (alcuni sporchi ed altri molto meno) , una grande varietà di pennelli di diverse dimensioni, alcuni sporchi ed altri perfettamente puliti, con solo qualche macchiolina di colore incrostato qua e la, di chissà quanto tempo prima. C’erano anche alcune bottiglie d’acqua disposte per terra e sul tavolino dei bicchieri semivuoti. Disposte per terra su un vecchio lenzuolo bianco, vi erano alcune spatole di varie dimensioni, alcune per togliere il colore dalla tela ed altre per la pittura ad olio. Vicino ad ognuno dei quattro cavalletti di cui disponeva il ragazzo, vi erano diversi colori per la pittura: alcuni erano acrilici, altri colori ad olio e tanti colori a tempera, dei cui molti erano stati messi in un vaso trasparente a terra, accanto ad una delle tre tavolozze di colori che si trovavano in giro per la soffitta. Ciò che non vedeva Lana era l’attrezzatura per dipingere all’esterno e ciò la preoccupò.

“Alex, sei mai stato fuori a dipingere?”. Chiese lei, curiosa di conoscere la sua risposta ed avvicinandosi a lui con un sorriso di gratitudine dipinto sul suo viso tondeggiante.

“Molto raramente si, ma sono almeno tre anni che non mi sposto da questa soffitta”.

“Perché?”. Chiese Lana curiosa, mentre lui si avvicinava a dei pennelli sporchi che iniziò a pulire con attenzione inumidendo un panno pulito, immergendolo appena in un bicchiere con dentro dell’acqua.

“Semplicemente perché non sarebbe stato coerente con il personaggio che mi ero ormai creato al di fuori di qui”.

A Lana venne in mente di quando, tempo prima, al vecchio ponte di Woodville lui aveva abbassato la guardia, mostrandosi a Lana per ciò che era, ovvero una persona semplice, che come tante altre vuole solo le cose che alla fine vogliono tutti, ma che sembrano così difficili da raggiungere ogni singola volta in cui ci si prova veramente.

“Quindi nemmeno i tuoi amici più cari sanno di questo tuo talento?”. Domandò lei.

Lui scosse la testa, facendosi finire un ciuffo ribelle e leggermente ondulato sulla fronte. “Non esistono amici cari qui ad Iron Valley. Questa è la città del ferro, non c’è spazio per chi nutre sentimenti veri e sinceri per un’altra persona. Qui solo i leccaculo ed i superbi hanno il loro spazio”.

Lana, nel sentirlo parlare in quel modo, non poté fare a meno di avvicinarsi a lui e sussurrargli, guadandolo dritto negli occhi: “tu hai me. Io non sono fatta di ferro o di finzione, ma di carne, di sentimenti e un cuore che batte. Di me ti potrai fidare sempre”.

“Questo lo so”. Disse lui sottovoce, andando ad accarezzare con la punta di un pennello umido il viso della ragazza, per poi avvicinarsi a lei con il viso, abbastanza per poterla baciare.

Lana sorrise nel sentirsi accarezzare dalle setole sintetiche del pennello color crema e ricambiò quel bacio che ancora una volta, sembrava intriso di parole non dette.

“Vieni, ti mostro una cosa”. Sussurrò lui, poggiando poi il panno ed i pennelli sporchi sul tavolino, andando poi a prendere la mano della ragazza che portò accanto ad uno dei cavalletti. Prese poi una grossa tela che aveva appoggiato per terra dietro alle altre, come se volesse tenerla nascosta al mondo e la mostrò a Lana, la quale rimase stupita nel vedere un suo ritratto realizzato con pittura ad olio nei minimi dettagli.

Osservando quella tela su cui era dipinto il proprio volto, Lana si ricordò da dove Alex avesse tratto ispirazione: un paio di giorni dopo essersi rivisti, lei ed Alex avevano pranzato insieme e lui aveva dipinto lei in quel frangente, con gli occhi sognanti che guardavano dalla finestra il meraviglioso paesaggio che le offriva, ovvero quello della meravigliosa campagna di Woodville.

“Alex, è bellissimo”. Sussurrò Lana, sinceramente commossa dal fatto che Alex avesse deciso di sprigionare la propria creatività proprio dipingendo lei, una ragazza come tante altre che gli aveva rubato il cuore. Il dipinto era carico di colori come il verde, l’arancio e il porpora e Lana ne era ammaliata, non poteva fare a meno di guardarlo, impressionata dall’abilità che aveva il ragazzo con i pennelli ed i colori.

“Ti ringrazio. Ci ho messo tutto il mio impegno e la mia concentrazione per realizzarlo. Questo dipinto rappresenta la paura che ho avuto di scordarmi del tuo viso, la paura di non averti più rivista e la paura di non essere abbastanza per te...”. Rispose Alex e Lana non poté fare a meno di notare una certa commozione nella sua voce.

Lei poggiò il dipinto per terra con grande attenzione, poi si avvicinò a lui e posò le mani sui suoi fianchi, con gli occhi castani accesi di entusiasmo.

“Ora non dovrai più avere paura di non rivedermi e di non meritarmi abbastanza. Io ti voglio accanto a me mentre balliamo, mentre ridiamo e mentre piangiamo. Non sarei capace di immaginarmi una vita senza te al mio fianco che mi stringi la mano”.

“Me lo prometti?”. Sussurrò lui, con gli occhi pieni di entusiasmo che lei gli stava trasmettendo.

“Non te lo prometto”. Sussurrò lei dolcemente, per poi aggiungere, andando ad accarezzare il suo viso. “Te lo dimostrerò”.

Alex non poté fare a meno di sorridere ed i due presero a baciarsi, con tutta la foga e la passione che contraddistingueva i loro baci, il loro dimostrarsi amore l’una per l’altro.

Tra l’odore di colori acrilici e di legno, entrambi non avevano intenzione di fermarsi e dopo che Alex ebbe gettato un vecchio quanto grande lenzuolo per terra, entrambi si distesero su di esso ed i loro baci si iniziarono a fare sempre più intimi, sempre più personali, sempre più inimitabili.

Erano avvinghiati l’uno all’altra e ora i loro occhi si cercavano, si volevano, si desideravano e le loro mano erano ansiose di toccarsi, di esplorarsi ancora una volta, di accarezzare ogni centimetro della loro pelle che iniziavano mostrare sotto i loro strati di vestiti.

Lana, dopo che ebbe sfilato la camicia elegante e nera che indossava Alex, lasciò che le sue mani accarezzassero il suo corpo che andarono poi a sfilare il suo vestito nero ed opaco con gli orli di pizzo, poi dopo essersi tolti entrambi le scarpe ed i calzini, iniziarono a lasciarsi dei piccoli e rossastri marchi sui loro corpi, stretti l’uno all’altra come due magneti.

Lana si era spostata sopra di lui, a cavalcioni sul suo corpo ed Alex si era messo seduto, tenendo stretto il corpo magro e asciutto della ragazza, ancora una volta col reverenziale timore che fosse potuta sparire da un momento all’altro da quella soffitta nascosta, come uno spirito della notte.

Dopo che entrambi si furono liberati anche della loro biancheria intima che in quel momento era diventata inutile, finalmente furono liberi di esplorare appieno i loro corpi ed Alex si spostò, facendo sdraiare Lana e mettendosi su di lei, iniziando a baciare tutto il suo corpo, assaporando a fondo le sue carni calde, fino ad arrivare alle sue parti intime, alle sue cosce, le sue gambe lunghe e magre, fino al dorso dei suoi piedi.

Lana aveva l’assoluta certezza di non essersi mai sentita così amata, così voluta e così desiderata e sentiva il bisogno dentro di sé, di voler dimostrare ad Alex le stesse cose che lui le stava dimostrando, così si rimise sul corpo di Alex, iniziando a baciarne ogni centimetro mentre lui, con un colore a tempera che aveva trovato per terra, iniziava a dipingere col dito macchiato del rosso del colore, lungo tutto il corpo della ragazza che non smetteva per un secondo di baciare la sua pelle calda.

Poi i loro corpi iniziarono a cercarsi ancora ed ancora, fino ad arrivare insieme, come la volta precedente, a quel piacere così intenso ed agognato da far emettere dei forti gemiti ad entrambi, che ora giacevano l’uno di fianco all’altra.

Lana, dopo aver ripreso un respiro normale, mentre osservava Alex fumare una sigaretta, aveva trovato un colore a tempera blu ed aveva preso a dipingere il corpo nudo del ragazzo con delle righe ondulate che ricordavano delle onde, scendendo dal petto fino al suo basso ventre, ammaliata da come quel colore si posasse sulla pelle del ragazzo e dal buon odore che emanava la tempera.

“Ehi Giotto lo sai che poi ci metteremo un po’ a toglierci tutta questa roba di dosso?”. Sussurrò Alex, ridendo.

“Ehi questo è un capolavoro, non ti azzardare a lavarti”. Rispose Lana ridendo a sua volta, mentre con l’indice continuava a formare delle piccole onde blu sul corpo del ragazzo.

“Va bene, vedrò di farmi assumere in un circo come fenomeno da baraccone”. Sussurrò lui divertito.

Lana fece pressione sulla tempera, facendo uscire dell’altro blu da essa e dopo che se la fu spalmata sul dito, andò a tracciare due spesse righe blu su una guancia del ragazzo e poi anche sull’altra.

“No, nei circhi trattano male le bestie”. Sussurrò lei.

“Ah-ah-ah”. Rispose lui, sarcastico e andando poi a rubare un bacio alla ragazza che stava tracciando delle linee anche sul suo collo.

“Dovresti essere un capotribù indiano, di quelli che vanno a caccia per portare da mangiare alla tribù”. Rispose Lana, senza poter fare a meno di ridere.

Alex fece un tiro dalla sigaretta e poi si portò una mano sulla bocca, imitando un urlo tipicamente indiano.

Lana si fermò per ridere e dopo aver chiesto ad Alex di rifare quel verso per altre cinque volte, decisero di andare a farsi un bagno insieme e quando ormai erano le dieci di sera, dopo aver bevuto del vino insieme mentre lui le faceva un rapido ritratto a matita usando la tecnica del chiaroscuro, verso le undici tornarono nel letto, ma Lana si era completamente dimenticata del quaderno che aveva gettato a terra ormai quattro ore prima ed Alex lo aveva appena preso tra le mani, restituendolo alla ragazza, senza darvi nemmeno dare una sbirciata all’interno.

“Grazie”. Rispose lei piena di gratitudine, andando sedersi sul letto per poi riprendere il proprio quaderno al cui interno erano scritte cose tanto personali da farle male a volte, quando si soffermava a rileggerle. SI soffermò a guardare la copertina del quaderno con motivi floreali colorati con tonalità di colori chiari e tenui: Alex, appena qualche ora prima le aveva mostrato il suo modo di creare, ciò che probabilmente fungeva da sfogo per lui e aveva tenuto quel segreto per tanto tempo, probabilmente rivelandolo solo a Lana da quando era andato a vivere da solo e lei aveva apprezzato infinitamente il fatto che fosse riuscito a svelarle quel segreto così intimo, personale. Sapeva che ciò che stava per fare, non doveva farlo solo per ricambiare la sincerità di Alex e la sua voglia di mostrarle tutto il suo mondo, ma perché doveva sentir nascere da dentro quel sentimento, quella voglia di mostrare ad una persona così cara dei pensieri così segreti, che fino a quel momento solo l’inchiostro aveva saputo custodire.

Sapeva, dentro di sé che era arrivato il momento di aprirsi completamente ad Alex e non voleva aspettare oltre, non voleva che il tempo cancellasse quella sensazione che sentiva in quel momento, quindi passò nuovamente il quaderno ad Alex, il quale confuso, inarcò un sopracciglio.

“Vuoi che te lo vada a mettere nel tuo bagaglio?”. Chiese lui, senza capire.

“No, voglio che tu legga ciò che scrivo”. Sussurrò lei, con un dolce sorriso tra le labbra.

“Sei sicura?”. Chiese lui, incerto mentre la sua mano andava ad accarezzare la copertina semi ruvida del quaderno a righe.

Lei, in risposta annuì ed aggiunse poi: “non fraintendermi, non lo sto facendo perché tu mi hai svelato un tuo segreto oggi, ma semplicemente perché anche io sento dentro di me l’intimità crescere tra noi due e voglio sapere cosa pensi di ciò che scrivo”.

Alex non poté fare a meno di sorriderle. “Questo è il regalo più bello che tu possa farmi, lo sai? Stai mettendo a nudo la tua anima con me e penso che sia una sensazione indescrivibile”.

Lana posò un bacio sulla sua guancia, poi si aggrappò con una mano al suo braccio nudo e posò la testa sulla sua spalla.

“Coraggio, aprilo”. Sussurrò riferendosi al quaderno.

Alex non se lo fece ripetere ancora ed aprì il quaderno in una pagina a caso, trovando le seguenti parole scritte con una calligrafia delicata ed ordinata, nero su bianco:

È per te, è per te, è tutto per te

Ogni cosa che faccio

te lo dico tutto il tempo

Il paradiso è un posto in terra con te

Dimmi tutte le cose che ti va di fare

Ho sentito che ti piacciono le ragazze cattive

Dolcezza, è vero?

È meglio di quanto ho sempre saputo

Dicono che il mondo sia stato costruito per due

Vale viverlo solo se qualcuno ti ama

E tesoro, ora tu lo fai.


 

“Queste parole le ho scritte pensando a te”. Ammise Lana, dando uno sguardo al quaderno per poi concentrarsi sull’espressione di Alex, che a sua volta era concentrato a leggere quel piccolo paragrafo di parole che sembravano urlare a gran voce i sentimenti che Lana provava per Alexander.

“Hai ragione”. Sussurrò Alex, leggendo e rileggendo quelle parole per poi voltarsi appena verso Lana. “Non vale la pena vivere se non hai nessuno da amare”.

Lana sorrise appena nel sentire le sue parole e si baciarono ancora una volta, poi Alex sfogliò un’altra pagina a caso di quel quaderno che custodiva i pensieri più intimi e segreti della ragazza.

Pronto? Pronto?
Puoi sentirmi?
Posso essere la tua bambola di porcellana
Se vuoi vedermi cadere
Ragazzo, tu sai così di droga
Il tuo amore è mortale
Dimmi che la vita è bella
Tutti loro pensano che ho tutto
Ma non ho nulla senza di te
Tutti i miei sogni e le luci non significano
Nulla senza di te.

Tutti i miei sogni e le luci non significano
Nulla se non posso averti.


 

“Uhm… penso di sapere quando hai scritto queste parole”. Sussurrò Alex, notando anche che quelle parole, al confronto del paragrafo che aveva letto prima, erano decisamente più ricalcate, come se fossero state scritte in un momento di disperazione o frustrazione. O magari entrambe le cose.

Lana sospirò, ricordandosi improvvisamente di quando Alex le aveva dato il benservito per telefono, dopo che Taylor era appena andata via da casa di Lana, dopo che le aveva detto sorridente che lei ed Alex erano tornati ad essere una coppia, dopo che il suo cuore si era appena spezzato.

“Non pensiamoci più. Ora siamo insieme”. Sussurrò Lana, andando ad accarezzare la sua nuca.

“Voglio solo che tu sappia che non potevo frequentarti perché con te mi sembrava di stare troppo bene ed avevo paura del fatto che presto sarei stato male o peggio, che avrei fatto soffrire te”. I suoi occhi si posarono sinceri su quelli di Lana che continuava ad accarezzare la sua nuca, incapace di staccarsi da lui.

“Non preoccuparti. E’ comprensibile che tu abbia paura quando vedi che ti stanno accadendo troppe cose positive, soprattutto quando la vita non è spesso generosa nei tuoi confronti”. Rispose Lana, comprensiva, mentre si stringeva ad Alex che posò un bacio tra i suoi capelli profumati.

“Okay, leggo l’ultima cosa”. Sussurrò lui, con ritrovato entusiasmo.

“Puoi leggere tutto ciò che vuoi”. Disse lei in risposta mentre lui sfogliava il quaderno, scegliendo poi una pagina a caso, una delle prime, forse proprio la prima cosa che aveva scritto Lana quando aveva comprato quel quaderno che sebbene fosse come nuovo, in realtà aveva almeno tre o quattro anni. A volte le capitava di ritrovare dei quaderni sui quali aveva scritto dei suoi pensieri tempo addietro, ancora incompleti o semivuoti e per non sprecarne le pagine, li riprendeva per scriverci quando ritrovava l’ispirazione.

Aveva l'abitudine di chiamarmi veleno
Perché ero edera velenosa
Sarei potuta morire proprio lì
Perché Jim era proprio accanto a me
Jim mi ha sollevata
Mi ha fatto male, ma sembrava vero amore
Jim mi ha insegnato che
Amarlo non era mai abbastanza

Questa è ultraviolenza
Ultraviolenza
Posso sentire sirene, sirene
Mi ha colpito ed è sembrato come un bacio
Posso sentire i violini, violini
Dammi tutta questa ultraviolenza.

Lana si morse forte il labbro inferiore nel vedere quale pagina avesse scelto Alex da leggere: quelle erano parole che aveva scritto molto tempo prima, almeno quattro anni fa, quando era sicura di amare quello che poi era diventato il suo ex, quando era convinta che amore fosse anche farsi del male, quando era convinta di doversi sacrificare per ricevere l’amore di un’altra persona.

“Non sono sicuro di voler sapere chi sia Jim”. Sussurrò Alex, abbozzando una risata che a Lana parve nervosa.

“Ti basta sapere che è un mio ex di quattro anni fa?”. Chiese Lana, sperando che la risposta di Alex fosse positiva.

Lui si mise a rileggere in fretta quel paragrafo scritto con una calligrafia decisamente molto più disordinata rispetto alla grafia elegante ed in corsivo che aveva visto nelle altre pagine, poi si voltò appena verso Lana, con una smorfia sul viso: “non ce la faccio, vorrei sapere altro, ma solo quello che ti senti di dirmi”.

“Okay...”. Rispose Lana , facendo un sospiro e rimettendo a posto i ricordi che iniziavano ad affollarsi nella propria mente dei quali avrebbe voluto cancellare almeno il novanta percento a riguardo di quella ormai passata relazione.

“Conobbi Jim quando avevo ventidue anni, in una delle rare sere in cui decidevo di andare a bere qualcosa con gli amici. Quella sera mi lasciai andare troppo all’alcool e come sai, a me basta molto poco per farmi ubriacare. Ovviamente quella notte dormimmo insieme. Aveva cinque anni più di me, non so cosa cercassi di dimostrare a me stessa, ma ero convinta del fatto che il vero amore fosse anche violenza e quindi lasciai che lui mi trattasse male ogni volta in cui ci vedevamo e lui era ubriaco...”.

Alexander ascoltava Lana con attenzione, senza alcuna traccia di pregiudizio negli occhi e spronando la ragazza a continuare.

“Lui aveva il dono della bellezza, ma era il tipo di persona prepotente, che non accetta la sconfitta ed alcune volte anche aggressivo, specie quando esagerava coi superalcolici o con le anfetamine. Ai tempi ero ancora stupida e pensavo che fosse bello avere un ragazzo che beveva, si drogava, che aveva una moto e che era desiderato da tutte le altre ragazze. Dio, Alex, avresti dovuto vedere cosa facevo per lui…”. SI posò una mano sulla fronte, poi con un sospiro si tirò indietro i capelli neri e continuò: “Ero diventata il suo zerbino, senza un briciolo di rispetto per me stessa e lo osannavo come se fosse un dio sceso in terra...”.

Lana si fermò, non era sicura di voler proseguire e ancor di più non era sicura che Alexander volesse sentire il resto.

“Insomma, Jim era il tipo di persona che i tuoi genitori non dovevano conoscere”. Disse lui, accennando una breve risata per spezzare la tensione che si stava andando a creare.
Lana strinse la sua mano e proseguì: “un giorno, dopo mesi in cui mi lasciai maltrattare da lui e farmi usare come fossi una bambola gonfiabile a suo piacimento, dovevamo vederci in un hotel per stare insieme, ma lui arrivò sotto effetto di droghe ed ubriaco, dopo essere appena stato schedato dalla polizia che gli aveva trovato addosso una piccola quantità di speed ed hashish. Io appena lo vidi entrare, con quegli occhi colmi di rabbia, seppi da subito che non sarebbe stata affatto la bella giornata in cui scioccamente speravo”.

Alex sgranò gli occhi che trasudavano stupore: sapeva cosa stava per sentire e strinse la mano di Lana.

“Se non te la senti di proseguire, non sei costretta a farlo”. Disse lui, andando a stringere anche l’altra mano fredda della ragazza.

“Non preoccuparti. E’ passato molto tempo da quella volta e per fortuna quella esperienza mi è servita per crescere e per riconoscere quando davanti mi si parava un soggetto come lui. Come puoi immaginare, prendemmo subito a litigare e un paio, di coppie dalle stanze accanto ci intimarono di smetterla minacciando di chiamare la polizia. Io non volevo saperne di avere dei rapporti sessuali con lui, non dopo che aveva passato un’ora ad insultarmi e a darmi la colpa di tutti i suoi problemi… Purtroppo è accaduto lo stesso e lui mi premeva una mano sulla bocca per non farmi gridare. Ovviamente avevo provato a morderlo o strattonarlo, ma mi teneva bloccata mentre faceva i suoi comodi con il mio corpo”. Lana serrò le labbra nel ricordarsi vividamente di ogni singola scena, ma decise di proseguire: non voleva che ci fosse nemmeno un segreto tra lei ed Alex.

“Per fortuna, appena dopo che lui ebbe finito possedermi, un ospite dell’albergo bussò alla porta della nostra stanza, preoccupato per la mia incolumità e nel vedermi coi vestiti strappati ed in lacrime sul letto, andò a chiamare immediatamente le guardie che po a loro voltai chiamarono la polizia”.

“Dimmi che lo hai denunciato”. Sussurrò Alex, che sembrava davvero colpito da quella storia.

Lana scosse la testa. “Non potevo. Conoscevo tutti i suoi amici e me l’avrebbero fatta pagare se avessi ammesso lo stupro. Ho dovuto raccontare ai poliziotti che stavamo solo facendo una sorta di esperimento, ma per fortuna ebbi abbastanza sale in zucca per abbandonare definitivamente lui, i suoi problemi e quell’albergo”.

“E non sai che fine abbia fatto?”. Chiese Alex, andando ad accarezzare delicatamente un braccio della ragazza, semicoperto da una t-shirt che utilizzava per dormire.

“Non è da me dire certe cose, ma spero davvero che abbia sofferto e che stia soffrendo tutt’ora, come ho dovuto soffrire io per la mia stupidità”.

“Andiamo, Lana… Eri solo più giovane ed ingenua. Si è approfittato di te e spero che abbia pagato per ciò che ti ha fatto”. Rispose Alex, facendo per abbracciarla ma Lana si spostò appena, rifiutandolo.

“Non indorare la pillola, Alex. Sapevo bene quante cose non andassero in lui e le mie amiche, ai tempi non facevano altro che ripetermi di lasciarlo stare, ma ero così dipendente da lui che finii per allontanarmi anche da quelle ragazze che mi volevano bene”. Lana sospirò, abbassando lo sguardo ed Alex portò gli occhi su quelle parole scritte sul quaderno.

“Sei sicura di voler tenere questa pagina?”. Chiese lui.

“Certo che si”. Rispose Lana, decisa. “Quella pagina, come altre che conservo, mi servono a ricordarmi di non commettere più gli stessi errori e a rispettare di più me stessa. E’ anche grazie a queste esperienze negative che ora sono ciò che sono”. La sua voce era ferma e sincera ed Alex non poteva che essere orgoglioso della donna forte che era diventata Lana nel corso di tutti quegli anni.

“Ti aiuterò anche io a difenderti da ogni cosa che vorrà nuocerti. Tu sarai la tua spada ed io il tuo scudo”. Disse lui e Lana, nel sentire le sue parole, non poté fare a meno di baciarlo e di desiderarlo dentro di sé ancora una volta, di unirsi ancora a lui, di sentire di appartenergli come lui apparteneva a lei.

Lasciarono cadere il quaderno per terra e il suono dei loro baci e dei loro gemiti di piacere, furono l’unica cosa che si udì in quella casa per un tempo che a loro sembrò troppo breve, anche se fosse stato per un anno interno.

Anche l’eternità non era abbastanza per loro.


 

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Capitolo 28
*** Capitolo 26 ***


"Se tu avessi l'opportunità di fare qualsiasi cosa, quale sarebbe la prima che faresti?". Chiese Alex sottovoce, mentre accarezzava una spalla nuda di Lana, sdraiata accanto a lui quasi totalmente nuda, con solo delle mutande addosso, come lui che si trovava quasi del tutto disteso, reggendosi una guancia con una mano. Guardava Lana accendersi il joint che lui aveva appena finito di preparare ed era completamente ammaliato da lei che lentamente, fumava quella marijuana mischiata con un poco di tabacco. Ammirava come le sue labbra si andavano a posare sul filtro di carta ricavato da uno dei biglietti aerei che lui conservava appositamente per quell'utilizzo preciso.

Dopo aver fatto nuovamente l'amore insieme, nessuno dei due era riuscito a chiudere occhio: c'era una strana elettricità nella stanza da letto di Alex, quella sera ed una sintonia molto più intima tra i due che sembravano non bastarsi mai.

Così, a notte fonda, di comune accordo avevano deciso di stare svegli ancora per un po', anche perché per loro, il tempo che passavano insieme, sembrava non essere mai abbastanza, non erano mai sazi l'uno della presenza dell'altra, sentivano il bisogno persistente di continuare a parlare, di continuare a baciarsi, di continuare ad appartenersi, di continuare ad essere una cosa sola.

"Partirei per un viaggio senza destinazione". Sussurrò Lana, osservando il fumo del joint andarsi a disperdere nel soffitto fino a risultare invisibile ai suoi occhi.

Alex era ancora vigile e sveglio e si era accorto del fatto che lei non ci aveva messo molto a rispondere a quella domanda che avrebbe di certo richiesto più tempo di riflessione se lui l'avesse rivolta a terzi.

"Ci avevi già pensato altre volte?". Chiese quindi Alex, prendendo tra l'indice ed il medio lo spinello che Lana gli stava passando dopo aver dato un secondo e breve tiro da esso.

"Si, ma è sempre restata solo una mia fantasia di come vorrei che fosse la mia personale fuga alla ricerca della libertà". Rispose sincera lei, scandendo bene le parole che aveva sussurrato e da quei dettagli, Alex capì che l'erba stava già iniziando ad agire sulla ragazza, rendendola più rilassata e quindi più propensa nell'immergersi in quel tipo di discorsi.

"Cosa ti ha tenuta ferma nell'intraprendere questo viaggio?". Chiese Alex per poi concedersi un tiro dal joint, andando poi a soffiare il fumo sulla spalla di Lana, cosa che la fece sorridere appena mentre rifletteva.

"Penso semplicemente il mio carattere, il mio modo di essere". Rispose lei, alzando appena le spalle e voltandosi appena con la testa verso Alex, che aveva gli occhi puntati su di lei, attenti ad ogni parola che lei diceva.

Lui fece un altro tiro e nel ripassare la canna alla ragazza, le rispose.

"Ciò che ti trattiene è la paura, ma moltissime altre persone avrebbero timore di fare una cosa del genere".

"Certo". Rispose Lana e prima di proseguire, poggiò le labbra carnose sul filtro di cartone e fece un piccolo tiro, soffiando poi il fumo verso il soffitto.

"E' che a volte penso che la morte potrebbe arrivare davvero in qualsiasi momento e se dovessi morire in questo istante, non vorrei andarmene da questo posto perché ho ancora un sacco di cose che vorrei vivere sulla mia pelle e...": Lana non riusciva a trovare le parole per esprimersi, perciò Alex si affrettò ad aiutarla, trovandosi in completa sintonia con i suoi pensieri.

"Non sai cosa ti aspetterà dopo la vita, perciò vorresti sperimentare tutto ciò che hai sempre sognato, vero?".

"Si e per quanto sembri molto bambinesco come sogno nel cassetto, ciò che voglio dal profondo del cuore è proprio una partenza senza meta. Non importa la destinazione, non importa il viaggio, mi importa solo di avere il coraggio, un giorno di partire e lasciarmi ogni più piccola traccia di routine e normalità alle spalle...". Lana abbozzò un innocente quanto bellissimo sorriso nel dire quelle parole e Alex non poté fare a meno di accarezzare il suo volto, sorridendo a sua volta.

"Ti hanno mai detto che sei stupenda quando ti esprimi in questo modo?". Sussurrò lui, senza staccare lo sguardo dagli occhi sognanti e brillanti di Lana che erano persi nel buio quasi totale della stanza, accesi da chissà quale fantasia, da chissà quanti sogni ad occhi aperti.

"Si, me lo hanno detto". Sussurrò Lana, tornando con gli occhi su quelli di Alexander e facendo poi un tiro dal joint.

"Ah si? E chi?". Chiese, curioso Alex.

"Tu". Sussurrò lei, soffiando poi lentamente il fumo sulle labbra del ragazzo, vicinissime alle proprie. Lui aprì piano le labbra che poggiò appena sulle sue, inalando il fumo prima che si andasse a disperdere nell'ambiente e accarezzando appena con una mano un fianco della ragazza che rabbrividì appena a quel contatto così intimo, così personale.

"E il tuo sogno nel cassetto qual'è?". Chiese curiosa Lana, dopo essersi staccata appena da lui quel tanto da poter sussurrare quelle parole e dopo avergli passato ancora una volta quella canna che agiva su entrambi in un modo alquanto strano in quella calda notte di maggio.

"Uhm...". Rispose Alex, mettendosi seduto e andando poi a posare gli occhi sulla grande finestra su cui si rifletteva la luna piena, dalla quale veniva l'unica fievole fonte di luce che illuminava appena la stanza, abbastanza da permettere ai due innamorati di distinguere i loro lineamenti del corpo.

Lana notò che lui era davvero concentrato, con gli occhi fissi sulla luna, come se la regina della notte avesse avuto risposte solo per lui e per un momento, la ragazza notò i suoi occhi brillare di commozione.

"Ehi...". Sussurrò Lana, andando a posare un bacio sulla sua spalla nuda.

"Stavo ripensando a ciò che mia madre aveva detto qualche giorno fa, sul fatto di godere della vita ogni secondo perché come hai detto tu, non sappiamo quando moriremo". Sussurrò lui e Lana abbracciò il ragazzo da dietro, posando le labbra sulla sua nuca e sussurrando poi: "non sappiamo con certezza quando questa vita terminerà. Eppure tutti ci ostiniamo a vivere come se fossimo immortali".

"Forse i veri coraggiosi sono proprio quelli che spezzano ogni routine, che vivono giorno per giorno". Continuò Alex, tenendo la voce bassissima, per non rischiare di far apparire delle lacrime nei suoi occhi sempre più commossi.

"Loro se ne andranno da qui con il sorriso sulle labbra, senza rimpianti". Sussurrò in risposta Lana, tenendo stretta la schiena del ragazzo contro al proprio torace nudo.

"Io non voglio vivere una vita di rimpianti". Sussurrò Alex, andando a stringere una mano della ragazza dietro di sé, che lo stringeva forte a lei.

"Nemmeno io". Rispose semplicemente Lana.

"Andiamo sul tetto". Sussurrò poi Alex all'improvviso, scosso da un intimo brivido proveniente dalle viscere del suo corpo.

Sebbene Lana all'iniziò non capì cosa volesse fare di preciso Alex su quel tetto, quando poi furono lì, dopo essersi dati una mano a vicenda per arrampicarsi attraverso una delle tre piccole finestre che vi erano nella soffitta della casa dove Alex nascondeva il suo talento da pittore, all'ultimo piano di quel palazzo, seduti sulle tegole, finalmente capì: la vista in quel punto, era a dir poco meravigliosa, da togliere il fiato.
Potevano osservare le luci della periferia di Iron Valley e se alzavano appena lo sguardo, le campagne dei paesi vicini si distendevano a perdita d'occhio ed erano più chiare da vedere di notte, al chiaro di luna, quando le fabbriche si prendevano una pausa, quando la fretta di vivere non era così tanta, quando le persone si concedevano finalmente del riposo nelle loro compatte e strette case, quando lo smog lasciava un po' di respiro alla terra, quando tutto sembrava tacere ed al contempo rinascere.

Alexander e Lana passarono ore a contemplare quel paesaggio, finendosi il joint che erano riusciti a portarsi su assieme ad un altro che Alex aveva acceso quasi un'ora dopo, quando l'effetto del primo iniziò a svanire.

L'aria lassù era fresca ma non fredda: entrambi indossavano solo dei calzini e i loro indumenti che usavano solitamente per dormire e quando Lana sentiva dei brividi causati dal piacevole vento sulle spalle, Alex subito si apprestava a posarle un braccio sulle spalle ed a stringerla a sé e Lana avrebbe voluto sentirsi libera come lo era in quella notte, al fianco dell'unica persona con la quale voleva condividere la propria vita, per tutta l'eternità che sarebbe stata a loro concessa.

Parlarono di quanto fosse bello il pianeta nel quale erano nati, di cosa si celasse oltre le nuvole, oltre il cielo, oltre lo spazio aperto, se ci fossero altre forme di vita o se quella galassia fosse invece desolata e glaciale come l'Antartide.

Poi all'alba, Alex d'improvviso pianse, ricordandosi di Valerie, sua madre che era tramontata per sempre e che non avrebbe potuto mai più guardare il sole sorgere, stringere la mano ad Alex, abbracciarsi quando le cose andavano male, sorridere insieme, sospirare guardando la pioggia, ridere insieme nel vedere un film, farsi dei regali nei giorni di festa, scherzare assieme nella leggerezza dei giorni spensierati che portava con sé la primavera, lamentarsi per la neve che bloccava le strade d'inverno quando il freddo entrava nelle ossa, sfogarsi dei loro problemi che spesso tendevano ad ingigantire solo per avere delle parole di conforto in più e credere insieme che un giorno sarebbe andato tutto per il verso giusto.

Lana aveva lasciato che lui sfogasse tutta quella tristezza che sentiva dentro e silenziosamente, anche lei non aveva potuto impedire ad un paio delle sue lacrime scendere lungo le sue guance, ricordandosi a sua volta di suo padre che ora era chissà dove.

Poi si erano stretti a vicenda mentre il sole sorgente aveva iniziato ad accarezzare le loro sagome e si erano promessi, tra sussurri e sorrisi sinceri./, che avrebbero visto ancora tante altre albe e tramonti insieme.

Si erano addormentati mezz'ora dopo, proprio quando il traffico e le fabbriche avevano ripreso con la loro marcia, nel letto stretti l'uno con l'altra.

Alex e Lana si svegliarono dopo l'orario di pranzo, più o meno verso le tre del pomeriggio e dopo aver ordinato da mangiare in uno dei tanti ristoranti cinesi nella zona che nell'ultimo periodo sembravano andare molto di moda. La ragazza iniziò a notare che lui si era svegliato particolarmente pensieroso e malinconico quel pomeriggio, ma almeno il suo mal di testa e le sue ore di sonno perse, ora sembravano solo un lontano ricordo e Lana era già felice nel vederlo meno nervoso e con l'arrabbiatura facile come invece era stato nel primo pomeriggio del giorno antecedente.

I due non si mossero di casa: semplicemente non ne sentivano il bisogno, ma sentivano invece il bisogno intimo di stare assieme da soli, nella loro dimensione personale, senza nessuno che andasse ad urtare per sbaglio il loro mondo nel quale avevano ricominciato a navigare dopo tanti anni di distacco.

Quando però, per Lana iniziò a farsi tardi, visto che il giorno dopo sarebbe stato lunedì e avrebbe dovuto recarsi a lavoro, Alex insistette per regalare alla ragazza un suo dipinto che aveva concluso qualche tempo prima, lasciandosi trasportare dalla fantasia ed immaginando che entrambi fossero stati dei musicisti: infatti sulla tela vi erano raffigurati loro due, su un enorme palco illuminato da luci di un delicato rosa chiaro dalla parte di Lana e di un blu tra il chiaro e lo scuro dalla parte di Alexander, andando a fondersi proprio al centro della tela.

Lana, ovviamente appena aveva raggiunto casa, la prima cosa che aveva fatto era stata quella di appendere quello spettacolo per gli occhi proprio nel muro di fronte all'ingresso, dove tutti avrebbero potuto ammirarlo, cosa che neanche lei dopo averlo appeso, riusciva a smettere di fare: lei, in quel suggestivo dipinto, indossava un soffice vestito bianco ed era in piedi dietro ad Alex, con le mani sulle sue spalle ed una espressione sognante, gli occhi chiusi e la testa leggermente inclinata da un lato, immersa nel suo personale paradiso. Alex, invece, davanti a lei nel dipinto, era riuscito a dipingersi come una vera rock-star,con una chitarra elettrica tra le mani dipinta molto bene sebbene lui stesso avesse ammesso di non averne viste così tante in vita sua, se non a casa di Miles che faceva il musicista o in qualche museo dove erano esposti gli oggetti a cui tenevano di più personalità come Jimi Hendrix, Janis Joplin o Elvis Presley. Lui, nel dipinto su tela, teneva stretta la chitarra a sé come se da lei dipendesse la sua vita e aveva una espressione piena di euforia, con la bocca aperta, gli occhi chiusi e la schiena contro il petto di Lana, come se non potesse fare a meno, né della musica, nella della sua musa.

Lana era però rimasta scoraggiata da una cosa: su quella tela di medie dimensioni, non vi aveva trovato nemmeno un segno di una firma di Alexander o anche solo un segno che dicesse che il dipinto lo aveva creato lui, che proveniva dalla sua fantasia ed era una cosa che aveva notato anche negli altri numerosi dipinti che aveva visto nella sua soffitta: come lui stesso le aveva comunicato, far venire a sapere a qualcuno che lui dipingeva, avrebbe fatto cadere la maschera di ferro che col tempo si era creato per vivere ad Iron Valley, ma per Lana era così tragico che un gran talento andasse sprecato in quel modo senza poter essere contemplato o ammirato da nessuno tranne che da lei.

Ora che però stavano diventando più intimi e si erano confidati i loro segreti, Lana aveva intenzione di spronare Alex, soprattutto dopo i discorsi che la notte prima avevano fatto per tutto il tempo riguardo alla vita ed alla libertà di essere e fare ciò che più desidera l'animo.

Non poteva sopportare il fatto che la passione che ardeva nella sua anima, fosse destinata ad essere vista solo da lei, ma non era pretenziosa, quindi non lo avrebbe mai obbligato a mostrare i suoi lavori, ma solo spronato di tanto in tanto.

Il giorno seguente, di lunedì, Lana si svegliò con l'amaro in bocca, alle sette del mattino. Sapeva dentro di sé, che probabilmente lei ed Alex avrebbero avuto modo di vedersi solo nel fine settimana, quando nessuno dei due era alle prese con il proprio lavoro e la propria quotidiana routine, ma a lei Alex mancava già così tanto.

Non trovò nessun messaggio o chiamata persa da parte sua sul telefono, ma non ne fu meravigliata: Lana sapeva bene quanto fosse grande il bisogno di stare da soli con la propria personale tristezza quando una persona cara viene a mancare. La sera, dopo una lunga e noiosa giornata di lavoro, dopo aver cenato, Lana provò a contattare Alex, ma non ricevette risposta, così decidette di lasciar stare: le bastava aver potuto sentire che il suo telefono squillasse per essere più tranquilla. In caso il numero fosse risultato inesistente, avrebbe iniziato a preoccuparsi.

Lana però, di martedì al suo risveglio aveva sperato con tutto il cuore di trovare un messaggio da parte di Alex, le sarebbe bastata anche una stupida foto di una faccia buffa, un oggetto a caso o anche una pietra. Qualunque cosa purché fosse stato da parte sua le avrebbe regalato anche solo un fugace sorriso, ma invece il telefono non voleva proprio saperne di regalarle un piccolo frammento di gioia. Prima di uscire di casa per andare a lavoro, rivolse lo sguardo al dipinto in salotto, chiedendosi dove fosse Alex e cosa stesse facendo in quel momento. Prima di recarsi alla sua vecchia Ford, controllò anche la cassetta delle lettere che di solito svuotava il venerdì, con la vana speranza di trovarci qualcosa che in qualche modo fosse riportabile ad Alex, ma vi trovò solo frustrazione e le solite pubblicità dei supermercati nei dintorni.

Quel giorno fu più difficile da far passare, più lento, più ansiogeno e sebbene Lana si fosse promessa di non chiamare Alex per non rischiare di passare per possessiva, morbosa o cose del genere, nella pausa pranzo ruppe quel fioretto che aveva fatto a sé stessa e tentò di chiamare il ragazzo. I primi quattro squilli andarono a vuoto, ma ne rimanevano ancora almeno altri quattro che però, non regalarono nemmeno quella gioia alla ragazza di poter sentire lo scatto alla risposta ed, ancor meno, la voce di Alex che le avrebbe provocato un sussulto dal profondo del cuore. Anche il secondo tentativo non andò meglio e Lana per tutto il pomeriggio, fin quando dopo aver fatto la solita spesa tornando a casa, ebbe l'umore sotto i piedi, chiedendosi se per caso avesse sbagliato qualcosa, se magari in qualche modo avesse ferito i sentimenti di Alexander senza accorgersene e magari se la fosse presa sul personale decidendo quindi di farle un dispetto e di sparire per un certo periodo di tempo, ma non le venne in mente proprio nulla e non perché lei si ritenesse una santa, ma perché erano stati così bene insieme, sia nelle lacrime che nelle risate, che le sembrava assurdo anche solo pensare che lui se la fosse presa per qualcosa.

E quindi, si domandò Lana, a cosa era dovuto quel silenzio da parte del ragazzo che amava? Le stava forse nascondendo qualcosa?

Anche in quel caso, Lana non era il tipo di persona che faceva quei pensieri colmi di ansie e paranoie riguardo alle relazioni, ma la sua mente iniziava a giocarle degli scherzi ed iniziava a farle formulare le teorie più assurde e disparate. Immaginava scene in cui lui ritornava tra le braccia di Taylor, cosa altamente improbabile o addirittura che si fosse improvvisamente preso una cotta per una delle modelle che lavoravano con lui nello show televisivo che conduceva e che fosse scappato via con codesta in un posto lontano, abbandonando ogni cosa ed ogni persona al passato.

Alla fine, Lana esaurita dai propri pensieri masochisti, decise verso le undici di sera, dopo qualche bicchiere di vino bianco per offuscare la sua mente che altrimenti sarebbe stata capace di portarla alla follia, di andare a dormire, ma prima di addormentarsi, mentre era nel letto e controllava sul cellulare le email, decise di mandare un messaggio ad Alex, molto semplice, ma che racchiudeva tutto il malessere che lei sentiva in quel momento: "mi manchi moltissimo, Alex. Fatti sentire, per favore. Mi manchi come l'aria".

Dopo aver inviato quel messaggio, che per lei era una chiara dichiarazione di quanto si sentisse vulnerabile e in ansia per lui in quel momento, aspettò almeno per mezz'ora una sua risposta, ma invano.

Durante la notte, addirittura la sua mente fu abbastanza autolesionista da farle sognare il ragazzo che amava e lei si era svegliata nel bel mezzo della notte, alle tre del mattino con il fiatone e l'ansia che si era fatta ancora più presente in lei; non aveva fatto un bel sogno sebbene Alexander vi fosse presente:nel sogno, infatti loro si arrampicavano insieme su un grattacielo altissimo, con almeno una quarantina di piani con la forza e la fantasia che contraddistingue di solito il sogno dalla realtà ed una volta in cima, sul tetto piatto e asfaltato il cui nel sogno era usato per l'atterraggio di piccoli aerei privati, iniziavano a litigare e ad urlarsi addosso, in un modo così brutale che iniziavano persino a spingersi, anche se entrambi i loro volti erano segnati da lacrime di disperazione e poi Lana, senza pensare alle conseguenze, aveva spinto Alex oltre il cornicione, facendolo volare giù da quell'enorme edificio alla velocità della luce. Lei si era svegliata di soprassalto proprio un attimo prima dello schianto dell'amato sul suolo freddo della strada illuminata dalla luce fioca e giallastra dei lampioni.

Aveva la fronte madida di sudore: sebbene in diverse notti della sua vita avesse già fatto sogni spaventosi di quella tipologia, ogni volta si risvegliava scioccata e in uno stato di panico momentaneo.

Prese il telefono sul comodino proprio di fianco a lei e senza pensarci due volte, chiamò immediatamente il numero di Alexander.

"Siamo spiacenti, ma il numero da lei chiamato è stato disattivato o inesistente". Disse la voce del centralino automatico.

Ciò che più temeva Lana aveva appena preso forma tramite una voce robotizzata e non sapeva se ridere o piangere di quella situazione.

Mille pensieri iniziarono da subito ad affollare la mente della ragazza, ma erano tutti infondati ed incerti perché di concreto non sapeva davvero nulla: non sapeva il motivo per cui Alex avesse ignorato le sue chiamate ed il suo messaggio, non sapeva cosa gli stesse accadendo e non sapeva neppure se preoccuparsi o meno per la notizia che aveva appena assimilato, ovvero che lui non aveva più quel numero e lei non sapeva, senza quello, come contattarlo. Se gli avesse inviato una lettera, ci avrebbe messo almeno due giorni o almeno tre per arrivare a destinazione e nessuno dei due era amante dei social network. Non aveva nemmeno la sua email, non le era mai passato per la mente di chiederglielo dal momento in cui erano sempre riusciti, nel bene o o nel male, a vedersi o sentirsi.

Decise, dopo almeno una mezz'ora di paranoie e di ricerca di soluzioni, che se lui entro un paio di giorni non si fosse fatto sentire attraverso qualunque mezzo a sua disposizione, sarebbe andata fino ad Iron Valley con la sua vecchia auto, correndo il rischio di rimanere a piedi dato che aveva già la sua manciata di chilometri percorsi.

Non fu facile per Lana addormentarsi e finì infatti per girarsi e rigirarsi nel letto almeno per una ventina di volte, finché la sua mente, esausta per tutte quelle ansie che lei le procurava continuamente, decise che era abbastanza e che il suo corpo aveva bisogno di almeno qualche ora di riposo per poter continuare a infestarsi di paranoia.

Il mattino dopo, Lana fu svegliata alle sei del mattino, proprio quando il sole aveva iniziato a sorgere nel cielo, da un assordante rumore di ciò che sembravano essere uno o più clacson. Si alzò, innervosita da quel rumore assordante, imprecando tra sé e sé e dopo essersi lavata la faccia, andò ad aprire la porta di ingresso, per vedere cosa diavolo stesse accadendo dal momento in cui il rumore sembrava venire proprio a pochi passi da casa sua.

Dalla finestra, proprio un attimo prima di aprire la porta, vide che proprio sul piccolo vialetto di casa sua, vi era parcheggiato un enorme camper per la maggior parte colorato di verde acqua tendente al turchese con il tetto bianco crema, da cui proveniva quel suono che per lei era odioso quanto infernale soprattutto dal momento in cui si era svegliata con un mal di testa martellante.

Certa del fatto che si trattasse di qualche ubriacone ancora in stato di euforia dopo una sbornia, si preparò ad affrontarlo, anche perché non era certo la prima volta in cui le accadeva da quando abitava a Mooney, paese tanto tranquillo di giorno e festaiolo la sera. La prima cosa che disse aprendo la porta, fu: "ehi, cazzo sono le sei del mattino, stai svegliando tutto il vicinato...".

Rimase però di sasso, impalata sul primo dei tre gradini dell'ingresso di casa quando vide scendere dalla vettura, con un sorriso a trentadue denti stampato in volto, nientemeno che Alexander.

"E' così che tratti la tua anima gemella?". Chiese lui, ironico ed al contempo gioioso.

"A-Alex?". Chiese lei esitante, ancora paralizzata per la sorpresa, ma con un sorriso che iniziava a farsi largo sul suo volto, rincuorata e felice del fatto che si trattasse di lui.

"Che ti aspettavi, il Papa?". Disse lui, continuando a scherzare e facendo un passo verso di lei che sostava su uno dei tre gradini della veranda a braccia conserte, dopo aver chiuso la portiera del camper.

"Dove eri finito? Sono giorni che provo a chiamarti!". Disse Lana, andandogli subito incontro per abbracciarlo e lui allargò le braccia per accoglierla tra esse, stringendo poi il suo corpo con il proprio.

"Scusa. Avevo delle cose da sbrigare, miss". Rispose lui dolce, con le mani che accarezzavano la schiena di Lana per confortarla e farla sentire al sicuro.

"Tipo comprare questo bel camper?". Chiese lei, staccandosi appena dall'abbraccio per poter guardare prima l'abitacolo e poi lui, con entusiasmo negli occhi.

Alex le spostò dei capelli spettinati dal viso, mossi da un leggero vento caldo che soffiava in quel mattino e le sorrise, ma a Lana non sfuggì quel nervosismo che Alex cercava di comprimere tra le sue labbra.

"Si e non solo. Ho venduto l'appartamento, la jaguar e ieri sera ho lasciato il lavoro in diretta televisiva".

Lana lo guardava negli occhi stupefatta, per capire se la stesse solo prendendo in giro o se invece stesse parlando sul serio, ma sul suo viso non riusciva a scorgere segni del fatto che stesse mentendo: i suoi occhi erano come due trottole e rimbalzavano continuamente dal cielo agli occhi della ragazza, non aveva infarcito le sue parole con numerosi dettagli inutili per condire la menzogna, anzi era stato molto diretto e schietto, ma sembrava teso come una corda di violino.

"Come mai hai voluto liberarti di tutte queste cose?". Chiese Lana, tenendo gli occhi sui suoi per cercare di studiarlo e capire che cosa si aggirasse per la sua mente.

Alex sembrava sempre più agitato, soprattutto dopo che Lana gli aveva fatto quella domanda e guardò, prima di rispondere, ancora una volta, con una rapida occhiata, il cielo limpido ove il sole stava iniziando a sorgere altro.

Prese poi entrambe le mani di Lana e si inginocchio ai suoi piedi, aggrappandosi nuovamente ai suoi occhi, fiducioso del fatto che sarebbe andato tutto bene, che sarebbero stati entrambi felici, in un modo o nell'altro.

"Vieni via con me". Il suo non era un ordine, piuttosto somigliava molto di più ad una supplica.

Lana, sempre più sorpresa, esterrefatta da quella situazione, dalle parole appena pronunciate da Alex, non sapeva cosa rispondere, non sapeva cosa lui volesse sentirsi dire e non sapeva cosa intendesse con quelle parole, se magari celassero un altro significato che lei non riusciva a cogliere, eppure lui sembrava cristallino come l'acqua di un lago, chiaro come come il cielo in pieno Luglio.

"Dove vuoi andare?". Riuscì a chiedere lei, tornando a guardare i suoi occhi pieni di calore ed energia.

"Non lo so, ma tu vieni con me". Fu la risposta onesta del ragazzo, che ancora una volta sembrava supplicarla, in ginocchio sulle proprie gambe e con ogni parte del corpo che sembrava fremere.

Per un momento Lana aveva addirittura temuto in una proposta di matrimonio dal momento in cui lui si era messo in quella posizione, ma l'aveva rimossa subito: per quanto fosse romantica l'idea di indossare un vestito bianco e promettersi a vicenda amore e protezione, nessuno dei due credeva in quella modalità di unione. Lana aveva sempre pensato che non c'era alcun bisogno di dimostrarsi amore davanti a tante persone e ad un dio in cui non credeva, ma piuttosto che ognuno avrebbe dovuto avere un proprio modo personale ed intimo per poter festeggiare l'unione con lo spirito affine, ma non solo una volta all'anno, ma in tutte le volte in cui lei e la persona amata avessero sentito il bisogno di mostrarsi quanto realmente tengano l'una all'altro.

"Ti sei lasciato alle spalle tutta la vita che ti sei creato senza nemmeno sapere se io accetti o meno questa tua offerta?". Chiese Lana, sempre più stupita e senza poter fare a meno di guardare negli occhi quello che si stava finalmente tramutando nel vero Alex, abbandonando per una volta e per sempre tutte le sue corazze, tutte le sue maschere, tutta la finzione di una vita che era chiaro che fosse diventata un capitolo concluso.

Alex non accennava a muoversi da quella posizione e non voleva nemmeno saperne di mollare le tiepide mani della ragazza, che restava in piedi davanti a lui.

Era finalmente pronto a dirle tutto, a liberarsi di quel flagello che aveva continuato a tormentarlo in quei lunghi, lunghissimi giorni.

"Tu e mia madre mi avete fatto capire un sacco di cose, aprendo davanti a me le porte di un mondo che non avevo mai visto perché ho sempre pensato che per me fosse irraggiungibile e giudicando con la mente chiunque, invece avesse tanto coraggio da prendere la propria vita tra le mani e farne ciò che meglio crede, senza piegarsi a nessuno...". Iniziò lui.

Lana restava in religioso silenzio, tenendo gli occhi carichi di energia sui suoi, che a loro volta emanavano elettricità come tutto il resto del suo corpo che restava piegato al suolo.

"Nel corso di questi dieci, lunghissimi anni nei quali siamo stati distanti, mi sono sempre ritenuto superiore a chi si accontenta di poco, a chi preferisce guardare dentro la propria anima invece che la televisione. Ho sempre preferito i beni materiali, i corpi, la lussuria, le droghe, i vizi ed il cibo spazzatura ad una meditazione o alla lettura di un libro o ad una escursione in montagna. Ma poi da ormai un annetto, Iron Valley mi è iniziata a stare stretta, ho iniziato a capire, nei momenti in cui mi hanno fatto compagnia solo la musica ed i pennelli, che forse c'è altro oltre a ciò che mi ostino a credere sia giusto, che forse devo ancora conoscere molte parti di me stesso...".

Alex riprese per un attimo fiato e Lana si accorse della sua voce che si era abbassata di un mezzo tono nelle ultime parole da lui pronunciate, preso dalla commozione con la quale le aveva pronunciate.

"Poi sei arrivata tu, in tutta la tua onestà e semplicità, con quel sorriso amorevole che potrebbe cullare il sonno di tutti i bambini di questo mondo. Tu senza nemmeno accorgertene, sei riuscita a spazzare via dai miei occhi quel velo di stupidità che ricopriva il mio mondo, mostrandomi quanto in realtà possa essere bella la vita anche solo con semplici cose, senza il bisogno di dover andare per forza a baciarci sotto la Torre Eiffel per dimostrarci amore, senza dover pubblicare su ogni social network esistente ogni nostro bacio o carezza ad ogni minuto, senza dover essere forzatamente possessivi. Tu hai reso la mia mente libera e riempire mille pagine con parole di gratitudine non basterebbe per ringraziarti.

Poi mia madre ha iniziato stare male all'improvviso, a causa del cancro, quella malattia imprevedibile. Nei giorni in cui sono stato con lei nella clinica privata, a tenerle la mano, ad accudirla e ad ascoltarla, mi sono accorto nuovamente di stare dimenticando qualcosa, ovvero il valore della vita, della mia vita...".

Alex strinse istintivamente le mani di Lana, la quale lo stava ad ascoltare senza osare aggiungere anche solo una sillaba che avrebbe rovinato quel suo discorso che fino a quel momento, aveva trovato tanto bello quanto emozionante.

"Io ho una paura fottuta della morte". Ammise lui, con gli occhi che brillavano, illuminati dai raggi del sole che era sorto alto nel cielo da pochi minuti.

"Non so cosa mi aspetti dopo, non so se effettivamente ci sia un luogo dove tutte le anime si incontrano e fanno festa tutti i giorni, non so se il tempo diventi infinito, se ci sia un luogo dove vanno tutte le persone che hanno commesso azioni cattive nella loro vita, non so se ci sia un primo posto per chi è stato un martire nella vita terrena, non so se ci siano realmente lo Shangri-là, il Nirvana o il Giardino dell'Eden. Ciò che so per certo è che io sono vivo e voglio vivere come voglio, senza le leggi altrui che io non ho scelto. Io sono in vita e questo è tutto ciò che conta, non mi serve leggere decide e decine di libri su religioni diverse per capire che alla fine, tutti coloro che hanno scritto quei libri, sono stati spinti solo ed esclusivamente per sentirsi più al sicuro e protetti quando il loro cuore ha cessato di battere.

Quindi non voglio vivere nella routine, non più.

Voglio spostarmi di continuo, vedere cosa c'è fuori dalla finestra, fuori dalla città, fuori dal solito paesaggio e voglio farlo con te. Con la donna che amo". Concluse Alex, lasciandosi scappare ancora una volta un tono di voce profondamente commosso.

Lana era rimasta senza parole.

Dopo aver guardato ed ascoltato attentamente Alex esprimersi in un modo così chiaro, dopo aver sentito l'emozione vibrare in tutto il suo corpo e dopo aver stretto a lungo la sua mano che sembrava decisa a portarla anche sopra alla cima dell'Everest, non aveva la più pallida idea di cosa dire o fare.

Era orgogliosa di lui, di ciò che stava diventando, della persona che sarebbe stato più avanti nella vita, dopo aver intrapreso quel folle quanto stupendo viaggio, a bordo del camper che restava parcheggiato, in quel momento dietro di lui, illuminato dai raggi del sole come fosse una promessa di libertà.

Ma a Lana mancava ancora qualcosa che avrebbe voluto sentire uscire dalla bocca di Alex ed accovacciandosi appena, per poter essere ala sua altezza dal momento in cui non si era mosso dalla posizione inginocchiata nella quale si era messo poco prima, la ragazza sussurrò, accarezzando appena la sua nuca.

"Cosa farai se per caso io rifiuterò la tua offerta?". La voce di Lana si era fatta d'improvviso seria e razionale, priva della nota di dolcezza e calore umano che di solito non faticava a trasmettere anche alle persone estranee.

Lui parve accorgersene subito e si inumidì le labbra un paio di volte prima di rispondere, abbassando lo sguardo sul grandino dove si trovava in ginocchio e poi riportò gli occhi fieri e sinceri su quelli di Lana.

"Mi dispiacerebbe molto se tu ti rifiutassi di venire via con me. Ma non ho intenzione di rinunciare a questo viaggio e non solo perché ora come ora, questo camper alle mie spalle è tutto ciò che mi rimane, ma perché voglio vivere come ho sempre sognato. Non avrò una data di ritorno ma solo quella della partenza, ovvero oggi. Muoio dalla voglia di vivere appieno la mia esistenza, di riscoprire me stesso, di fare finalmente ogni piccolo movimento non perché mi viene ordinato ma perché mi va di farlo e...".

Per Lana, quelle parole erano più che sufficienti.

Senza nemmeno farlo finire di parlare, gettò entrambe le braccia attorno al suo collo, baciando quelle labbra delle quali conosceva ogni più piccolo millimetro e stringendosi a lui, desiderosa di sentire il contatto del proprio corpo contro il suo.

Alex strinse a sua volta Lana, ricambiando quel bacio con altrettanta foga e sorrise ancora e ancora, senza stancarsi, raggiungendo un nuovo apice di felicità che mai aveva provato in vita sua.

"E' un si?". Chiese lui quando le loro labbra trovarono un centimetro di spazio per poter far fuoriuscire le parole.

Le loro fronti si sfioravano e le loro mani si accarezzavano a vicenda, senza volerne sapere di staccarsi nemmeno per un istante.

"Si, si e ancora si. Voglio partire con te". Rispose Lana, decisa.

"Come ti ho detto, non avremo una data precisa di ritorno. Ti va bene?". Chiese Alex, specificando quella clausola per assicurarsi che lei fosse sicura e convinta di ciò che stava per fare.

Lana, da parte sua sapeva bene ciò a cui stava andando incontro: avrebbe detto addio alla propria casa, al proprio lavoro, a Mooney, ai suoi vicini, a tutti i posti a cui si era affezionata in quella cittadina nel corso degli anni. Avrebbe salutato il clima favorevole e la melodia dei bambini che la domenica mattina giocavano nel quartiere, avrebbe salutato la sua vita tranquilla, la sua routine confortante, il suo stile di vita che fino ad ora l'aveva tenuta lontana dai pericoli...

Di tutte quelle cose a cui aveva pensato per una manciata di secondi, non ce ne era nemmeno una che potesse farle cambiare idea sulla decisione che aveva appena preso. Inoltre, aveva sempre desiderato, più e più volte, nei momenti in cui era disperata e aveva bisogno di staccare o nei momenti sereni dove si concedeva il lusso di sognare ad occhi aperti, di partire da sola e tornare a casa chissà quando.

E il ragazzo che amava e che avrebbe amato ancora per molto a lungo, le aveva appena fatto quella proposta, come se per tutto quel tempo le avesse letto nel pensiero.

"E chi ha detto che io voglia avere una scadenza per ritornare qui?". Rispose Lana, con un sorriso raggiante, di quelli che ispirano fiducia al primo impatto,di quelli che fanno perdere la testa, che fanno innamorare al primo sguardo.

Ed Alex si era innamorato per l'ennesima volta di lei, dell'unica donna con la quale voleva condividere la propria vita.

"Questo è certamente il giorno più bello della mia vita". Sussurrò lui, baciando nuovamente la ragazza che poi prese in braccio una volta alzatosi in piedi.

"Questo è certamente il nostro giorno più bello della nostra vita". Rispose Lana, trasudante felicità da ogni poro della sua pelle e della sua anima, mentre Alex prese a girare su sé stesso, stringendo i fianchi della ragazza che divaricò appena le braccia, per godersi il leggero venticello sul viso e tra i capelli.

Una volta dentro casa propria, Lana riempì un paio di valige con dentro l'indispensabile per partire: lo spazzolino, la biancheria intima, vestiti comodi e leggeri, calzini, scarpe, i suoi libri preferiti, i suoi quaderni con dentro i suoi pensieri e le sue poesie, alcuni dei cd musicali ai quali era più affezionata e un bracciale d'argento che le aveva regalato suo padre quando era piccola. Prima di salire nel mezzo di trasporto, prese anche la tela che aveva attaccato qualche giorno prima al muro raffigurante lei ed Alex e una volta chiusasi alle spalle la porta d'ingresso di casa sua, Lana si sentì già in un modo diverso: aveva una strana leggerezza nel corpo, mista a tanta euforia. Sentiva dentro di se, la crescente sensazione di essere invincibile.

Ma soprattutto di essere viva, viva come mai lo era stata fino a quel momento.

Alexander la aiutò a caricare le sue valigie nel camper e una volta dentro, mentre lui si apprestava a mettere in moto e fare le manovre necessarie per uscire dal vialetto, lei si sporse da uno dei tanti e piccoli finestrini, urlando.

"Questo è il giorno più bello della mia vita!".

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Capitolo 29
*** Capitolo 27. ***


Diario di Lana.


 

In tutta la mia vita, ho sempre creduto di essere destinata ad una esistenza mediocre, senza lasciare il segno in un campo specifico della società nella quale vivo. Sono sempre stata troppo timorosa anche per difendere i miei ideali, soprattutto quando incontro persone con un carattere decisamente più forte del mio. Spesso ho lasciato che le persone facessero di me ciò che meglio credevano, quindi anche con la mia mente, il mio corpo ed il mio spirito. Ma fortunatamente, sono una persona che come molte altre, impara dai propri errori, a non commettere di nuovo lo stesso sbaglio e soprattutto forte, anche se a prima vista non si direbbe proprio, dato l’aspetto da ragazza fragile che ho conservato in tutti questi anni di vita.

Anzi, in realtà non penso effettivamente da tutta la vita di essere destinata ad una vita normale e noiosa, ma quell’idea c'è sempre stata nella mia mente: è come se dentro di me, chissà quanto a fondo nella mia anima, avessi sempre saputo che non sarei stata destinata a grandi cose o ad atti eroici e questo pensiero che in qualche modo è sempre stato una costante dentro di me, non ha fatto altro che vincolarmi ad esso, limitandomi nelle mie possibilità e lasciandomi manipolare dall’idea ormai ben radicata nella mia testa, che per quanto mi fossi impegnata in qualunque cosa nella quale riuscissi, ci sarebbe sempre stato qualcuno che quella cosa precisa, l’avrebbe fatta cento, mille, un milione di volte meglio di me. Nonostante la mia adolescenza sia stata un po’ movimentata, ricordo che in alcune occasioni mi sono fermata sulla mia panchina preferita a versare qualche lacrima nel vedermi nel futuro, morire dopo una esistenza triste e modesta, con un manipolo di amici falsi attorno alla mia bara e con i miei parenti vagamente dispiaciuti, costretti ad una finta tristezza, costretti ad essere misericordiosi, caritatevoli e pieni di tante belle parole di condoglianze.

Quel pensiero, quella precisa immagine che mi ero creata nella testa, è sempre stata un incubo nascosto per me, che si è ripresentato ogni volta in cui ho compiuto gli anni, sentendo le responsabilità su di me come un macigno enorme sulle mie spalle sempre più forte, sempre più pesante.

Eppure, nonostante fino ad ora abbia vissuto con il terrore addosso di dover vivere una vita spaventosamente normale, non ho fatto mai effettivamente nulla di concreto per cambiarla, per prendere una nuova via, per cercare qualcosa di nuovo, per ritrovare le mie speranze. Ho sempre avuto paura del giudizio altrui e le mie piccole trasgressioni me le sono sempre concessa da sola, senza nessuno accanto a me che avrebbe potuto osare puntarmi il dito contro e giudicarmi a gran voce o forse peggio, alle mie spalle.

Poi è tornato Alexander.

Lui mi ha involontariamente insegnato che in fondo, la vita non è che un momento fugace, qualcosa che un giorno c’è e il giorno dopo chissà. Lui, in tutti questi anni ha vissuto in un modo totalmente diverso dal mio, anche se a sua volta con i suoi limiti, con le sue paure e le sue incertezze che ha affrontato nella quotidianità dei suoi giorni.

Ma lui si è preso ciò che voleva, senza preoccuparsi del giudizio altrui, senza starsi a guardare alle spalle una volta iniziata la corsa, indipendentemente dal fatto che il suo obbiettivo sia stato nobile o meno, lui ha percorso la strada che voleva percorrere, senza preoccuparsi di non poter più tornare indietro, senza soffermarsi a guardare le sue orme.

Ora, grazie a lui e forse anche a me stessa, mi sento finalmente libera.

Vivere in un viaggio perpetuo è sempre stato un mio sogno proibito, quel genere di pensiero che non è mai volato via dalla mia testa, al quale mi sono concessa solo nei momenti più tristi o poco prima di addormentarmi, quando i sogni possono sembrare quasi realizzabili, quando la vita non sembra un macigno così insormontabile.

La prima decisione che abbiamo preso insieme, appena due minuti dopo essere entrati in questo camper, è stata quella di tenere entrambi un diario, dove racconteremo ai noi del futuro cosa abbiamo visto, cosa ci è successo, cosa abbiamo vissuto.

Ci siamo fermati a comprare i nostri diari in un autogrill proprio fuori da Mooney: il mio è di un verde oliva che mi ricorda i diari che si vedono nei vecchi film; è semplice e privo di decorazioni, io ho solo aggiunto il mio nome sulla copertina rigida. Quello di Alex, invece è rosso cremisi e la copertina, anch’essa rigida mi ricorda una vecchia edizione di un libro che tempo fa avevo preso in prestito dalla biblioteca. Anche lui vi ha scritto sopra il suo nome con la sua calligrafia a zampe di gallina, aggiungendo anche un titolo proprio sotto al suo nome con un pennarello indelebile: “Let’s Ride”.

Anche lui sta scrivendo qualcosa nel diario da ormai mezz’ora e mi domando quali siano i pensieri che lui vuole imprimere nel suo diario, ma mi sono promessa che non vi andrò mai a sbirciare a meno che lui non mi dia il permesso, perché non c’è nulla di più intimo dei propri pensieri, di ciò che la propria mente crea.

Il nostro camper, dentro è bellissimo e non potrei desiderare di meglio: abbiamo un letto ad una piazza e mezzo sufficientemente largo per dormire entrambi comodi, con coperte verde acqua dal motivo floreale e le federe dei cuscini color ciano come il copriletto; il nostro letto è raggiungibile con una piccola scala di legno ed Alex mi ha detto che è stato costruito così in modo da ricavare più spazio, infatti sotto di noi c’è una scrivania e accanto ad una delle sei piccole finestre, c’è una sedia a dondolo in legno di cui ovviamente mi sono già innamorata e appropriata prima, quando siamo tornati nel camper. Abbiamo comprato un grande tappeto con motivi indiani che abbiamo messo proprio sotto alla scrivania ed alla sedia a dondolo; tra la sedia la scrivania c’è un piccolo spazio libero dove per ora abbiamo riposto le nostre valigie. Se mi affaccio dalla ringhiera di legno, posso vedere tutto il camper: una piccola cucina al lato sinistro, mentre a destra c’è un divano con tanto di tavolino basso e anch’esso in legno davanti ed una porta che da al piccolo bagno che riesce a contenere anche una doccia. Poi c’è quello che avrebbe dovuto essere l’abitacolo del guidatore, ma Alex mi ha detto che ha fatto sostituire la porta con la tenda colorata che vedo ora perché voleva che in questo camper non ci fossero barriere tra di noi. L’ho trovata un’idea stupenda e trovo meraviglioso anche il fatto che lui abbia deciso di portarsi dietro due dei suoi cavalletti e le tele vuote che gli erano rimaste da sfruttare: è deciso, finalmente nel voler dipingere e ha intenzione di sviluppare ancora di più il suo talento per poter fare ritratti a chiunque gli dia il permesso, nei viaggi che faremo. Io gli ho detto che sa già dipingere più che discretamente e che non ha così tanto bisogno di auto-migliorarsi, ma dentro di me sono contenta del fatto che lui senta questo bisogno: non bisogna mai fermarsi quando si tratta di applicarci in ciò che ci fa sentire vivi.

Ah, quasi dimenticavo: qui sopra, da entrambe le pareti ci sono anche degli scaffali da riempire con i nostri libri e persino una piccola radio dove ascolteremo la musica che più ci aggrada.

Non so esprimere con l’inchiostro quanto io sia felice per essere finalmente libera, addirittura con la persona che amo, cosa che fino a qualche mese fa ritenevo impossibile, se non addirittura inimmaginabile.

Ora che sono accanto a lui, in un parcheggio per camper a Stairel (paesino ad ovest che dista circa quattro ore da Mooney), mi domando cosa diavolo stessi aspettando per prendere una decisione, per liberarmi finalmente di quella vita che non mi soddisfaceva per nulla, che non avrebbe arricchito la mia anima, né la mia mente.

Non ho nemmeno avvisato il mio datore di lavoro ed i miei conoscenti. E poi, perché avrei dovuto se non ne ho sentito subito la necessità? Tutto ciò che ho fatto, è stato telefonare a mia madre per dirle che sarei partita con Alex e che per ciò, non mi avrebbe trovata a casa per un po’ di tempo. Lei non mi ha fatto tante domande e credo che in segreto, abbia sempre sperato che io avessi preso questa decisione: lei non è mai stata come me, ovvero insicura, paurosa o timida. Lei ha sempre preso la vita come fosse un oceano, lasciandosi trasportare dalle onde della bassa marea e cavalcando, invece quelle dell’alta marea,affrontandole di pieno petto, innamorandosi, lasciandosi rompere il cuore qualche volta e continuando a testa alta, indipendentemente dalle azioni compiute.

Christine, d’altronde è sempre stata fonte di ispirazione per me e non potevo sognare di avere una madre diversa da lei: una madre che invece di leggerti delle storie, è lei stessa ad inventarle, una donna che è sempre restata accanto alle persone a cui ha voluto più bene, una persona umile, ma non stupida, che non ha mai lasciato che qualcuno calpestasse la sua dignità.

Questo è il mio primo giorno di vera libertà e sto apprende-


 

“Stai ancora scrivendo?”. Chiese Alex, disturbando la ragazza che stava appoggiata alla piccola testiera del letto, intenta a scrivere con una penna blu nel suo diario verde oliva.

“Aspetta un minuto”. Rispose Lana, accennando un sorriso e lasciandosi accarezzare una guancia da lui: Lana non riusciva a capire come facesse lui ad essere sempre così affascinante e premuroso, ma nei suoi occhi poteva trovare la devozione che aveva per lei, la stessa che Lana aveva per lui e allora la risposta le fu finalmente chiara.

“Mi perdoni, miss Del Rey”. Sussurrò lui, andando ad accarezzare poi un suo fianco e Lana non poté fare a meno di perdonare quei grandi occhi che si posavano su di lei come fosse l’unica persona sulla terra.

Riprese poi a scrivere le ultime parole del giorno sul suo diario.


 

Questo è il mio primo giorno di vera libertà e sto apprendendo molte più cose oggi che quante mai ne abbia apprese nella mia vita, attraverso i libri, attraverso i film, le mie esperienze, gli amici che ho avuto e i ragazzi da cui mi lasciavo promettere sogni di gloria e libertà. Nulla di tutto ciò è lontanamente paragonabile a ciò che sto provando adesso e che io sia maledetta come poetessa in erba, ma ora voglio godermi la mia ritrovata libertà tra le braccia dell’uomo che amo ed il modo in cui mi fa sentire quando ci siamo solo noi e le nostre anime che si fondono assieme ai nostri corpi, non riuscirebbe nemmeno a descriverlo un semidio.


 

Lana mise il punto alla sua ultima frase del diario che poi appoggiò su uno scaffale della libreria quasi del tutto vuota per il momento e si voltò verso Alex, che in quel lasso di tempo non si era stancato di aspettarla, ma aveva continuato ad accarezzarla e a guardarla sognante con quegli occhi per i quali lei avrebbe trovato le migliori rime, ma non sarebbero state mai abbastanza per descrivere come la facevano sentire ogni volta in cui si posavano sui propri.

Le loro labbra si cercarono e si trovarono da subito, tranquille e senza essere precipitose: ora non c’era fretta di amarsi, ora potevano esprimersi in quel modo ogni qualvolta nella quale lo avessero desiderato.


 

Diario di Alex.

Ho cercato diverse volte, nella mia vita incasinata, la felicità.

E non mi sono mai accorto del fatto che fosse così vicina a me tanto da non riuscire a vederla.

Non ho mai tenuto un diario, quindi sono certo del fatto che verrà fuori molto incasinato, ma che importa? Tutto ciò che voglio da queste pagine vuote, è di poterle riempire con l’inchiostro di ricordi che poi leggerò quando i viaggi saranno finiti, quando le cose da vedere e la voglia di avventura si saranno dissipate nella nebbia. Per ora non voglio soffermarmi a rileggere ciò che scriverò di volta in volta: sarebbe uno spreco di tempo, per me sforzare gli occhi per leggere qualcosa che appartiene al passato quando vivo nel presente.

Inoltre devo rendere ogni singolo giorno degno di essere vissuto sia per me sia che per Lana, la donna di cui sono perdutamente innamorato, quindi di tempo per rileggere il passato, non ne avrò proprio.

Questo camper l’ho comprato da un rivenditore di veicoli usati e aveva pochissimi chilometri, a malapena superano il migliaio: Carl, il rivenditore mi ha spiegato che il vecchio proprietario glielo aveva venduto perché non aveva più tempo di viaggiare da quando aveva avuto il terzo figlio ed io ricordo di essere rimasto perplesso: perché se ci piace fare una cosa, troviamo sempre delle scuse per non farla o per posticipare?

Io ho fatto lo stesso con la pittura, un milione di volte e se ripenso a quanto tempo abbia perso dietro alle persone a leccare i piedi a chiunque pur di ottenere ciò che volevo, rabbrividisco.

Avrei potuto saziare la mia anima invece che la mia stupida e contorta ambizione.

Ma ormai, ciò che è fatto, è fatto ed è completamente inutile stare a rivangare il passato a meno che non serva per capire qualcosa ed in effetti, analizzando i miei comportamenti precedenti, mi sono accorto del fatto che tutto ciò che ho fatto e che mi è accaduto, mi ha portato a dove sono ora: in questo bellissimo camper, sdraiato sul letto con di fianco a me la persona che amo dal profondo del mio cuore e non scambierei la mia vita nemmeno con quella della persona più ricca e intelligente del mondo.

Non mi importa, perché non sarei nulla, sarei solo un’anima triste che vaga tra queste terre senza meta.

Ora voglio solo mettermi alla guida, prendere la tavolozza dei colori in mano in piena estate e stringere la mia miss ogni sera e lasciarmi cullare dai suoi baci.

Sento che finalmente sono diventato ciò che segretamente ho desiderato in tutto questo tempo: per tutto il tempo in cui ho cercato di diventare almeno un presentatore televisivo, ricordo di aver guardato con disprezzo tutti coloro che attraversavano la città con solo uno zaino in spalla. Ho ancora il ricordo vivido di quando un mattino, al bar si presentarono due ragazze, bellissime ed innamorate l’una dell’altra per comprare delle sigarette al volo. Quel mattino mi sentivo abbastanza socievole e sperando in una cosa a tre, avevo preso a parlare con loro, le quali sorridendomi, mi dissero con serenità che non avevano bisogno di incastrati (così definivano chi non si lascia andare ai propri desideri) con loro e ricordo che le ho detestate nel vederle poi ripartire insieme per il loro viaggio nel loro camper mini-va, ridacchiando. Due anni fa, quando le incontrai, avevo stupidamente pensato che Erin e Louise, questi erano i loro nomi, stessero ridendo di me, ma in realtà erano semplicemente felici.

Ora mi domando se siano ancora in giro, se siano ancora innamorate, se abbiano ancora dentro di loro quello spirito curioso ed immortale che mi avevano dimostrato di avere o se invece si siano arrese per sempre alla lenta e suicida routine di tutti i giorni.

A dire il vero, non mi importa così tanto di loro, ma ricordo che ogniqualvolta in cui vedevo qualcuno intento a viaggiare per se stesso e non nei soliti posti in cui si va per fare invidia agli amici, dentro di me nasceva la repulsione scatenata a sua volta da una profonda invidia repressa, perché sapevo che non avrei trovato mai il coraggio nella mia vita di fare una cosa tanto audace e soprattutto non per gli altri, ma per se stessi.

E invece eccomi qui.

Sono la prova vivente del fatto che non si finisce mai di conoscersi.

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Capitolo 30
*** Capitolo 28 (Prima parte). ***


Diario di Alex.

Oggi io e Lana abbiamo deciso di intraprendere la via della montagna e abbiamo riscoperto insieme quanto sia meraviglioso restare in contatto con la natura selvaggia ed incontaminata. Ne avevamo entrambi abbastanza delle città, dello smog,della gente stressata, del fetore dell’asfalto consumato, del caldo soffocante, della vita racchiusa in piccoli edifici comodi, dell’aria condizionata, dei cibi velenosi.

Ci siamo svegliati entrambi alle sei del mattino e prima di partire verso la maestosa catena montuosa di Stairel, abbiamo riscoperto ancora una volta i nostri corpi con le nostre labbra e con i nostri pensieri che sembrano sempre più collegati, sempre più uniti verso la stessa direzione.

Quel camper sarà il più gioioso nido d’amore che io abbia mai avuto, me lo sento. Di luoghi nei quali ho avuto l’occasione di assaggiare deliziosi corpi, ne ho avuti tanti: il mio letto, il letto di sconosciute, hotel di lusso, un fienile, una casa abbandonata, a volte anche dei sudici bagni di alcuni club di città, ma mai nessun luogo sarà più prezioso di quanto lo sia questo camper, che sebbene non rappresenti il lusso, sebbene non sia l’emblema dello sfarzo, sebbene non sia una casa grande quanto una città, sebbene non sia un cottage in riva al mare o un’intima baita in collina,è semplicemente nostro, mio e di Lana. E ciò basta a renderlo speciale, a renderlo desiderabile ad altre migliaia di persone nel mondo che venderebbero la loro anima ad un demone pur di passare l’alba o il tramonto insieme a qualcuno che amano qualcuno dal profondo del cuore, per sentirsi anche solo come me quando incrocio gli occhi di Lana e con solo uno sguardo e una risata squillante è capace di far sgusciare via silenziosamente, tutte le ansie e le paure che mi ero portato dietro fino a quel momento.

Ora che siamo finalmente liberi, lei sembra ancora di più sé stessa e credo che avremo ancora molto da scoprire gli uni degli altri ora che abbiamo intrapreso questo viaggio senza ritorno, ora che entrambi stiamo vivendo il sogno, il nostro sogno.

Prima di raggiungere le montagne, ci siamo fermati a comprarci qualcosa da mangiare, ovvero dei semplici panini. Oltre a quelli abbiamo fatto anche delle provviste per i prossimi giorni perché è nostra intenzione fermarci qui per almeno qualche giorno, per assorbire del tutto la pace e la tranquillità di questo posto che sembra surreale, uscito da qualche favola o da un libro di racconti. Dopo aver incastrato per bene tutti gli alimenti e le bevande nel nostro mini frigo, siamo finalmente partiti alla volta della catena montuosa e Lana ha insistito per poter guidare il camper. Devo dire che guida piuttosto bene sebbene a volte, nelle ripide e alte curve sterrate che portano ai monti, si sia lasciata sopraffare dall’ansia ed ho assunto quindi io il ruolo di guidatore per gli ultimi chilometri restanti.

Appena abbiamo parcheggiato il camper, ho subito sentito il bisogno impellente di dover dipingere quel maestoso paesaggio che è possibile ammirare da qui e Lana ha sentito nel medesimo istante la voglia irrefrenabile di comporre qualche rima dedicata ai monti e all’ululato dei lupi che siamo riusciti ad udire in lontananza. Ma mentre lei era distesa con il quaderno a terra e la penna tra le dita, in uno dei prati più verdi che io abbia mai avuto occasione di vedere, ho provato l’impulso irrefrenabile di dipingere quella meravigliosa creatura distesa lì a pochi passi da me, nella tranquillità della natura incontaminata, splendida con quel semplice vestito bianco che ha avuto addosso per tutta la giornata.

Sembrerà stupido o perfino scontato per alcuni, ma abbiamo passato tutto il nostro primo giorno in montagna a camminare nella fitta foresta e la sera ad osservare il piccolo fiume che crea una piccola cascata, andando poi a riversarsi nella pianura sottostante, creando un piccolo lago puro e cristallino. Io non credevo di amare così tanto la natura: in un certo senso, l’ho sempre ripudiata, perché la vita in città, per i miei scopi che avevo in mente prima di lasciare tutto, mi sembrava decisamente più comoda per me e più facile.

Mi sbagliavo, qui è tutto meraviglioso e a volte devo addirittura stropicciarmi gli occhi, per assicurarmi del fatto di non stare vivendo in un sogno.

Diario di Lana.

Questa è la terza notte che passiamo in montagna ed una parte di me vorrebbe restare qui per sempre, ma non possiamo mettere radici. Io ed Alex abbiamo intenzione di vedere tutto ciò che possiamo e per farlo, dobbiamo, anzi vogliamo essere sempre in movimento, anche perché sappiamo bene entrambi che la bellezza della natura non si concentra tutta solo in un posto.

Quando vedo questi meravigliosi spettacoli naturali, mi viene da credere spontaneamente che esista Madre natura, perché l’uomo, che è distruttore di tutte queste meraviglie da ormai fin troppo tempo, non potrebbe mai creare qualcosa di tanto bello quanto commovente. Io ed Alex, in ognuna di queste tre sere, abbiamo parlato, sotto le stelle ed un cielo limpido e stellato che solo i monti sanno offrire, tra soffi di vento provenienti dai boschi e il pianto dell’acqua che scorre attraverso la schiena del monte, di quanto possa essere effimero tutto ciò che vediamo con i nostri occhi, di quanto tutto ciò sia mutevole e quindi destinato ad un cambiamento, di quanto tutta questa bellezza naturale a volte possa sembrarci immortale.

E’ incredibile quanto abbia scoperto di Alex: sono passati solo quattro giorni da quando abbiamo deciso di metterci in viaggio, alla scoperta di noi stessi e di ciò che ci circonda, eppure abbiamo già stabilito una nostra sintonia senza nemmeno dovercelo dire a parole: entrambi siamo consapevoli di ciò e riusciamo addirittura a sentire, a volte, con il semplice sfiorarci, cosa sentiamo, senza comunicarcelo a parole, semplicemente soffermandoci a guardarci per qualche istante.

Qui, da soli in montagna, dispersi nella natura, i rischi che avremmo potuto correre, sarebbero stati innumerevoli, ma ci sarebbe stata la stessa probabilità di incappare in qualche pericolo in città o in qualunque altro luogo e sarebbe stato quindi inutile rinchiuderci nel camper a tremare di paura. Stiamo invece imparando dai monti, a restare in silenzio per ore, senza il bisogno estenuante di dover fare qualcosa, di doverci per forza rendere utili in qualche modo, di essere schiavi di qualche dipendenza solo per avere la consapevolezza di essere vivi. Abbiamo alternato lunghe ore di silenzio con altre ore di lunghe conversazioni ed altre ancora con solo il suono della natura incontaminata e lo schiocco delle nostre labbra che si sono incontrate diverse volte.

Domattina andremo in città, non sappiamo ancora in quale delle tante, per cercare della bellezza anche in essa.

Diario di Alex.

Mentre eravamo di ritorno dalla montagna, abbiamo dato un passaggio ad un uomo al quale si era rotta l’auto, presso il paese più vicino, ovvero Dodgeville. Si chiama Robert ed ha trentacinque anni, una moglie e due figli. Voleva trovare un luogo tranquillo dove potervici portare, l’indomani, la sua amante Roxanne. Non ha faticato ad ammettere a me che purtroppo non prova più un sentimento d’amore per la sua attuale moglie, ma con Lana è stato più freddo nella comunicazione, preferendo conversare con me lungo il tragitto, piuttosto che con lei, la quale capendo di non essere desiderata da lui, silenziosamente si è dileguata, andando a leggere uno dei suoi libri sul letto.

Robert, in quelle due ore nelle quali abbiamo avuto occasione di parlare, mi è sembrato molto più umano di quanto pensassi: con un matrimonio che sembra andare verso la deriva e dei figli che a detta sua, sono “dalla parte di sua moglie”, il suo unico punto di sfogo, nel tragitto casa-lavoro, sembra essere solo Roxanne, la venticinquenne per la quale sembra aver perso la testa. Mi ha anche confessato che gli piacciono parecchio le scommesse e sebbene io non gli abbia mostrato molto interesse nell’apprendere quella notizia, si è subito cimentato a spiegarmi come fregare il banco, quanto e come puntare, i numeri che a detta sua sono più vincenti rispetto ad altri e come capire quando qualcuno stia bluffando con terminologie fin troppo complicate per permettermi di capirci effettivamente qualcosa.

Dopo averlo fatto scendere a Dodgeville, sentivo la testa scoppiare: se Robert possiede un talento, è di certo quello di mettersi a chiacchierare senza sosta e senza mai prendere fiato. Inutile dire che Lana mi ha dovuto dare il cambio nella guida perché avevo un impellente bisogno di sdraiarmi sul letto e farmi passare l’emicrania.

Dopo altre due ore di guida, siamo finalmente arrivati in un luogo convincente: Vendance.

E’ una grande e caotica città che mi ha subito ricordato molto Iron Valley con la sua frenesia scalpitante, il suo traffico sempre intenso e la quantità spropositata di negozi e fabbriche presso la zona industriale.

Per un paio di notti abbiamo scelto di dormire in un albergo, in fondo con i risparmi di Lana e i soldi che ho ricavato dalla vendita della mia macchina e del mio appartamento, i soldi sono il nostro ultimo pensiero. Qualche giorno fa, prima di presentarmi davanti a casa di Lana, ho fatto un calcolo molto approssimativo su quanto avremmo potuto viaggiare insieme senza dover lavorare e con ciò che ho in banca, so di poter stare tranquillo, ovviamente mantenendo un tenore di vita senza lussi e costi eccessivi, almeno per sette anni, se non di più. Di tutto ciò non ho detto nulla a Lana: non voglio che si preoccupi dei soldi, voglio che sia libera da ogni pensiero deturpante e che possa vivere a cuor leggero, assaporando ogni attimo della sua vita e soprattutto con il sorriso tra le sue dolci labbra.

Fortuna vuole che siamo arrivati a Vendance proprio nei due giorni dedicati al patrono della città ed abbiamo così potuto godere delle bancarelle che hanno ricoperto una grande fetta della città, dei giocolieri che sono arrivati con un circo ambulante e della parata che si è svolta verso le dieci di sera, un’ora prima dei fuochi d’artificio che hanno ricoperto tutta quella fetta di cielo che è possibile vedere da questa città, con colori sgargianti e brillanti.

Io e Lana non abbiamo avuto modo di annoiarci e abbiamo passato i nostri due giorni a Vendance ammirando ciò che ci ha offerto la città in clima di festa. Una ragazza mi ha addirittura chiesto di venderle il dipinto della montagna quando, al mattino del terzo giorno in cui eravamo li, nell’aprire la porta del camper, passando ha scorto senza volerlo, proprio quel dipinto che Lana ha voluto appendere, orgogliosa, ad una parete del nostro piccolo salotto mobile. All’inizio sono ovviamente rimasto stupito: mai nella mia vita avrei mai solo osato pensare che qualcuno fosse interessato al mio modo di fare arte tanto da pagare per averne una piccola fetta sotto forma di tela.

Ho cercato di spiegare a Lara, la ragazza interessata al mio dipinto, che è ancora imperfetto ed incompleto sotto molti punti di vista, ma lei non ha voluto sentire ragioni e spronato da Lana, alla fine ho scambiato il mio dipinto per qualche banconota da dieci.

Non ho davvero parole per descrivere come io mi sia sentito nel condividere un pezzo di me, nel poter finalmente considerarmi “bravo” abbastanza da poter condividere la mia arte con altri in cambio di pochi soldi. Alla fine quelli non mi importano nemmeno per il momento, ma come mi ha detto Lana, se mi infastidisce ricevere dei soldi in cambio, posso sempre ricorrere al baratto e penso che agirò in questo modo se mai ci sarà una prossima volta in cui venderò un mio dipinto.

Diario di Lana.

Siamo già a Luglio.

Stento a credere che siano già passati esattamente trenta giorni da quando io ed Alex siamo partiti e la mia vita con lui continua ad essere un sogno: mi sento continuamente come se stessi fluttuando a mezzo metro da terra, incapace di provare sentimenti negativi, incapace di visualizzare mentalmente una vita migliore di quella che stiamo avendo. Ieri sera ho telefonato a mia madre (le telefono almeno ogni tre giorni per assicurarmi che stia bene) e mi ha chiesto, anzi ordinato di passare da lei almeno per una sera, per stare insieme, ma so benissimo che in realtà, da madre protettiva quale è, Christine vuole accertarsi che Alex provi un sincero sentimento nei miei confronti e che non mi stia solo prendendo in giro.

Io non riuscirei mai a formulare un pensiero del genere: abbiamo creato insieme e stiamo ancora creando, un legame più unico che raro. Oramai ci conosciamo bene, sappiamo ciò che ci piace e ciò che ci infastidisce, sappiamo i nostri gusti riguardo alla cucina, ai libri, alla musica, all’arte… Ma soprattutto siamo sintonizzati sulla stessa frequenza di pensiero e quando si crea una unione come la nostra, è difficile spezzarla.

Il nostro non è un amore per gioco, per soldi, per convenienza o altro… Noi ci siamo semplicemente ritrovati e non ci siamo più separati.

Diario di Alex.

E’ la fine di Agosto e ieri sera ho finalmente rivisto Christine, la madre di Lana che non vedevo da molti anni. Nel corso della cena ho notato che si è subito andato a creare un clima favorevole e tutti e te abbiamo finito per alzare un po’ troppo il gomito con il vino bianco che lei ci ha offerto, iniziando poi a lasciarci andare a barzellette con doppi sensi e a risate fragorose. Nonostante Lana mi abbia più volte detto che sua madre non mostri subito affetto per una persona, io l’ho trovata adorabile e caratterialmente, somigliante molto a Lana, anche se lei continua a rinnegarlo. Sarà perché Christine l’ho conosciuta quando ero piccolo, sarà perché lei era abituata a vedermi come l’amico di sua figlia che si scordava continuamente del pranzo e che ogni volta doveva ospitare alla propria tavola dopo la scuola o come l’adolescente ragazzino che era sempre nei pressi di casa loro per nascondersi dai genitori quando litigavano troppo spesso, ma non c’è stato un solo momento in cui mi abbia lasciato intendere di dover portare rispetto a sua figlia e trattarla come merita di essere trattata. Lana mi ha poi spiegato che in realtà Christine non ne ha sentito il bisogno: a sua detta avrebbe visto da subito come mi comporto quando sono con Lana ed ha capito istantaneamente, dopo appena qualche minuto che in fondo non c’è bisogno di alcuna raccomandazione per me, perché si vede da chilometri di distanza che non desidero altro che stare con Lana.

E ci ha preso in pieno: non desidero altro che tenere la sua mano mentre partiamo per nuove avventure.

In questi mesi, con il caldo che diventa umido e soffocante in pianura e nelle grandi città, abbiamo cercato riparo tra le colline e le montagne, dove il vento che soffia tra i pini è mille volte più appagante di un climatizzatore mezzo rotto in una stanza d’albergo. Proprio cinque giorni fa, abbiamo provato ad andare in città e giacché i nostri piccoli viaggi in camper ci hanno avvicinati molto ad Iron Valley, abbiamo deciso di stare un paio di notti in un motel economico.

E’ stata un’autentica tortura: per un errore alla reception, ci siamo trovati in una stanza piena di pipe da crack, bottiglie vuote di birra sparse dovunque, disordine generale e un cattivo odore di cibo in decomposizione. Dopo un paio d’ore in cui eravamo li, sono arrivati due ragazzini sui diciott’anni che continuavano a ripeterci che quella era la loro stanza. Così, dopo essere tornati alla reception a chiedere spiegazioni, ci hanno assegnato una stanza all’ultimo piano: il distributore di acqua non funzionava, il condizionatore era mezzo rotto e spesso si spegneva e Lana con molta grazia, lo faceva ripartire con dei colpi secchi sul lato. L’intera stanza aveva l’odore di aria viziata e una parete del piccolo bagno era colma di muffa nonostante fosse estate, ma la colpa era del condizionatore che perdeva acqua, creando così umidità. La doccia non funzionava nemmeno a pagarla e regolare la temperatura era un’impresa; ho sentito diverse grida provenire dal bagno quando toccava a Lana rinfrescarsi, in più per andare sul piccolo balcone decadente, dovevamo abbassarci perché il meccanismo della veneziana era rotto e non riuscivamo né ad alzarla, né ad abbassarla. Tuttavia siamo riusciti a divertirci comunque in quei due giorni passati nel motel in decadenza. Quei due ragazzini ci hanno venduto dell’erba niente male e abbiamo passato un paio di giorni a fumare e a goderci la sera, la vista che avevamo dal balcone con la veneziana rotta. Anche se quello della città, soprattutto di Iron Valley è un paesaggio che abbiamo visto e rivisto un sacco di volte, soprattutto io, non smette mai di stupirci: abbiamo passato la notte ad osservare la frenesia delle vite altrui e la pace interiore dei pochi che si sono arresi, accettando ciò che sono e senza cercare di arrivare a vette irraggiungibili per loro. Questo tipo di persone si riconoscono facilmente ad Iron Valley: sono coloro che stanno ai lati delle strade a chiedere qualche spiccio ai passanti, sono i vecchi che vanno a sedersi in una panchina del parco ad osservare da lontano i giovani fuori dai locali ubriacarsi e vomitare, sono le persone che di tanto in tanto passano sul marciapiede spensierate, fischiettando motivi inventati e con addosso nient’altro che l’essenziale, senza fronzoli o cose eccessivamente costose addosso., che camminano silenziosi con un amico o da soli, osservando ciò che li circonda senza pretendere nulla. Sono riuscito anche a vedere in un ragazzo la proiezione di ciò che io sono stato per molto a lungo: il balcone della nostra stanza si affacciava proprio su uno dei pub più frequentati e giacché è estate, anche i tavoli fuori sono disponibili. Proprio ad uno di quei tavoli, seduto attorniato dal suo manipolo di ipocriti, ho visto il mio riflesso del passato: era colui che rideva più forte degli altri solo per attirare l’attenzione, era colui che beveva più degli altri senza darlo a vedere, era colui che aveva il tic nervoso di tamburellare continuamente le dita sulla sua gamba, era colui sul quale le amiche avevano fatto affidamento per lasciargli in custodia le borse, ma appena loro avevano voltato l’angolo, lui aveva subito colto l’occasione per frugarvici dentro e silenzioso come un verme, rubare qualche bigliettone dai loro portafogli.

Sebbene non mi siano dispiaciuti quei giorni passati ad Iron Valley, nonostante gli innumerevoli disagi presenti nel motel che però non ci hanno scoraggiati, non vedevo l’ora di poterci rimettere in viaggio: Lana aveva capito bene che non volevo più tornare nel mio passato, che non volevo più rivedere proiezioni del mio passato che ritengo vergognoso.

Diario di Lana.

E’ di nuovo Giugno, è di nuovo estate, ma questo è un giorno speciale.

Oggi io ed Alex festeggiamo un anno di viaggi insieme e per celebrarlo, abbiamo scelto insieme di passare la giornata a Mooney, nella mia amata cittadina dove lui, un anno fa mi ha fatto la proposta che mi ha resa libera, che mi ha resa la persona disinibita e socievole che sono oggi, la persona che ora rispetta se stessa, la persona che ogni giorno, al mattino si alza con un sorriso, la persona che ha smesso di sottovalutarsi, la persona che conosce i propri limiti ed i propri potenziali.

Io ed Alex siamo andati in quel piccolo, minuscolo pezzo di spiaggia dove ero solita nascondermi quando l’autostima era poca, quando non avevo abbastanza forza per affrontare il mondo esterno, quando non avevo fiducia in nulla.

Per una strana coincidenza, ho incontrato James che era li con dei suoi amici a fare baldoria e sebbene Alex mi abbia detto, prima di parlare con lui, che potevamo anche andarcene e cambiare zona, ho preferito parlarci.

James mi è sembrato felice di vedermi nonostante non ci fossimo salutati proprio bene l’ultima volta e la prima cosa che ha fatto e che onestamente ho apprezzato molto, è stata quella di chiedermi scusa per come mi aveva trattata l’ultima volta. Io gli ho semplicemente detto che tutto sommato mi meritavo quelle parole velenose e che alla fine, nemmeno io mi ero comportata troppo bene con lui. Abbiamo passato un paio d’ore con lui ed i suoi amici, a bere un paio di birre insieme che ci hanno gentilmente offerto, ma ho notato dopo cinque minuti che eravamo li che ad Alex continua a non andare a genio James: si vede chiaramente dal suo volto che fa ancora uso di droghe, al contrario di Alex che ha smesso del tutto, tranne qualche volta in cui io e lui ci concediamo qualche canna in tranquillità nella natura, ma ormai la marijuana non la consideriamo nemmeno una droga dal nostro punto di vista.

Poi James ci ha dato una notizia che non ci aspettavamo affatto di sentire: lui ora si sta frequentando proprio con Taylor e le cose, per il momento sembrano andare nella direzione giusta. Ha anche detto che ogni tanto gli parla di Alex, ma niente di più. Lui, ovviamente è restato calmo ed indifferente per tutto il tempo, ma appena abbiamo salutato James e gli altri ragazzi, mi ha confessato che non si aspettava minimamente che a Taylor potesse andare a genio una persona come lui e vorrebbe andare a trovarla con me per sapere cosa stia succedendo.

A me non dispiace affatto accompagnarlo, anzi Taylor mi è sempre stata simpatica sebbene all’inizio non fossi stata così disposta nel farci amicizia, ma ai tempi erano circostanze diverse ed io ero ancora immatura. Penso di esserlo anche tutt’ora, d’altronde non si smette mai di imparare da se stessi e dagli altri, ma so per certo che non commetterò mai più l’errore di giudicare una persona per come decide di mostrarsi davanti ai miei occhi.

Tutto sommato, oggi è stata una bella giornata che riviverei volentieri e nonostante sia passato già un anno da quando io ed Alex siamo partiti con il nostro camper, non posso fare a meno di continuare ad amarlo, forse ogni giorno di più.

Diario di Alex.

E’ Luglio, fa un caldo tremendo, il camper ha un guasto e non ne vuole sapere di ripartire e Lana se ne è andata.

Si, proprio così, è andata via e non so nemmeno dove.

Per oggi avevamo programmato di andare al fiume di Farries, un paese di montagna che dista un paio d’ore da Woodville, il nostro paese di nascita, ma le cose non sono andate bene.

Sono già due giorni in cui non la vedo e mi manca, mi manca come l’aria nei polmoni.

Non l’avevo mai vista così arrabbiata, sembrava una leonessa e non si è nemmeno infuriata perché l’ho offesa o le ho fatto qualcosa di male in particolare, no. Si è arrabbiata con me per me.

Notando che i suoi risparmi stavano iniziando a scarseggiare, mi ha lecitamente domandato quanti soldi io avessi da parte e stava già iniziando a fare progetti di sostituire questo camper con un altro dato che, effettivamente spreca molta benzina. Appena le ho detto che siamo a posto per almeno tanti altri anni se restiamo contenuti con le spese, lei ha capito subito che ho intenzione di spendere fino all’ultimo centesimo che ho per questo viaggio insieme.

Stavamo parlando proprio qui, seduti sulla piccola pedana che porta fuori dal camper, dove sono seduto ora e con gli sguardi rivolti verso l’orizzonte, osservando il sole calante. Poi si è alzata ed ha iniziato ad urlarmi addosso all’improvviso, dicendomi che non sono costretto a spendere tutti i miei soldi per noi e che non vuole che se qualcosa per caso andasse storto nel nostro viaggio insieme, io mi ritroverei poi con un piede nella fossa senza sapere come e cosa fare per rialzarmi in piedi.

La mia Lana ha iniziato a sviluppare un carattere più forte e determinato da quando siamo partiti, iniziando a prendere di petto le situazioni difficili ed affrontandole subito, senza lasciarle seppellite in qualche angolo remoto, magari arrivando fino al punto in cui non si riesce più a sopportarle; se non fossi stato impegnato nel dover rispondere alle sue parole rabbiose, avrei di sicuro fatto volentieri un ritratto del suo grazioso volto carico di rabbia, incorniciato dai suoi lunghi capelli mossi e selvaggi, con i suoi occhi scuri carichi di vita, di emozioni, di fuoco che arde dentro di lei.

La mia Lana ora non ha paura del buio e non ne sono spaventato nemmeno io se accanto a me c’è lei a darmi forza, ad illuminare una notte senza stelle con una sua risata melodiosa o con il suo fischiettare mentre legge Proust, uno dei suoi scrittori preferiti, illuminata solo da un paio di lampade a basso consumo.

La mia Lana è l’unica che potrebbe fermare la mia tristezza in questo momento, l’unica che potrebbe fermare la fuoriuscita delle mie lacrime dai miei occhi che inevitabilmente stanno inumidendo questa pagina di diario, sbiadendo alcune delle parole che ho scritto con inchiostro nero.

Tutte le persone che abbiamo incontrato nel corso di questo viaggio, alle quali magari abbiamo dato un passaggio o con le quali ci siamo semplicemente fermati a conversare a caso, mi hanno sempre detto che sono fortunato: posso fare della mia vita tutto ciò che voglio, perché sono libero dalle catene della routine, posso andare dove voglio finché ne avrò voglia, posso coltivare la mia più grande passione, ovvero la pittura.

Ma io non posso fare nulla di tutto questo se non ho accanto a me la mia ragione di vita.

Lei mi ha insegnato a sorridere quando qualcosa andava storto, mi ha insegnato a camminare piano invece di correre anche nella natura incontaminata; lei mi ha spronato a fare di meglio quando ciò che dipingevo non mi soddisfaceva, lei mi ha fatto capire che non importa cosa si fa, dove lo si fa e quando lo si fa, ma l’importante è semplicemente chi hai accanto a te.

Ora sono qui da solo, seduto su questi gradini bollenti, a fumarmi una sigaretta dopo l’altra mentre scrivo queste parole che ai miei occhi umidi provocano sofferenza e sono da solo.

Sono due giorni che aspetto il suo ritorno, non mi sono mosso di un solo metro da qui con il camper, in modo che sappia dove trovarmi. Io non avrei la più pallida idea di dove cercarla, ci ho già provato ieri sera, dopo troppe birre che avevo bevuto e ho chiesto, barcollante ad almeno cinque alberghi nelle vicinanze se per caso ospitassero una ragazza con il suo nome o con il suo aspetto fisico, ma non ne ho ricavato nulla e sono stato addirittura sbattuto fuori a calci dall’ultimo perché ho iniziato a sbraitare qualcosa contro il direttore… A dire il vero non ricordo nemmeno cosa, avevo troppo alcool nel corpo che mi annebbiava la mente ed il mal di testa post-sbornia non ha intenzione di passarmi e di certo stare seduto qui con il sole di metà Luglio che mi cuoce la testa come un uovo e i grilli che non la smettono per un attimo di frinire, non è l’ideale per me, ma non ho intenzione di muovermi da qui per ora.

Sono sicuro che lei tornerà, ha solo bisogno di calmarsi e rimettere i suoi pensieri in ordine.

Inoltre, la seconda opzione, ovvero quella secondo cui potrebbe anche non tornare più e vivere per tutta la sua vita senza di me, senza che io possa vederla ancora un’ultima volta, mi spaventa troppo e sto costringendo il mio cervello a cercare di non elaborare quel pensiero, ma è difficile ed al momento sono pieno di ansie e paranoie…

Alexander smise di scrivere.

Aveva sentito un rumore alla propria destra e voleva essere sicuro che non si trattasse di un animale selvatico. Appoggiò quindi il quaderno e la penna nera su uno dei tre gradini che servivano per salire sul camper azzurro e bianco, poi si guardò intorno: si trovava in una radura e la vegetazione era molto fitta come anche la fauna circostante. Oltre ai grilli e alle cicale che non smettevano per un secondo di frinire, poteva udire i picchi martellare incessantemente i tronchi degli alberi e il richiamo di alcune volpi in calore che ad Alex ricordavano le urla di un neonato quando la notte fa i capricci. La radura nella quale sostava era abbastanza ampia e in più sembrava non ospitare nessun animale pericoloso come i lupi, ma era sempre meglio stare in guardia, perciò Alex si avvicinò lentamente alla sua destra, verso la strada dalla quale aveva sentito provenire il rumore di rami e ne spezzò cautamente uno non eccessivamente robusto da un albero vicino per potersi difendere in caso di pericolo.

Tra gli olmi e i ginepri, apparve però, la sagoma di Lana ed Alex non poté fare a meno di sorriderle, lasciando che il ramo che aveva staccato una manciata di secondi prima, cadesse a terra, nel manto di foglie secche che ricoprivano la pianura.

“Sei ancora qui”. Sussurrò lei, fermandosi ad appena qualche passo da lui.

“Io non vado da nessuna parte senza di te”. Rispose Alex, onestamente.

Lana non poté fare a meno di accennare un dolce sorriso: amava quella sincerità disarmante di Alex, che le provocava sempre una strana fitta al cuore.

“Lo sai che potevi anche lasciarmi qui, vero?”. Rispose lei, con altrettanta sincerità nella voce leggermente rauca.

“E poi come avrei vissuto io, senza di te?”. Chiese lui, allargando appena le braccia ed accompagnandole con un sospiro, come una sorta di segno di resa.

Lana non disse altro: semplicemente fece segno ad Alex di avvicinarlesi e quando fu abbastanza vicino da poterlo toccare, si strinse a lui ed affondò le labbra nelle sue come fossero acqua nel deserto.

“Non importa quanti altri posti visiteremo. Il mio luogo preferito rimarrà sempre la mia mano stretta alla tua”. Sussurrò Lana dopo aver baciato il ragazzo che amava.

Alexander non capiva come lei facesse ad essere sempre così meravigliosamente dolce o come si chiamasse di preciso l’incantesimo che avevano le sue labbra sulle proprie le cui lo facevano sempre sentire ad almeno mezzo metro sospeso dal suolo e non voleva saperlo: voleva solo continuare ad amarla finché avrebbero vissuto entrambi.

“Scusa se non ti ho detto delle intenzioni che avevo con i miei sol...”.

Lana non lo lasciò finire di parlare, andando a posargli un dito sulle labbra.

“Shh. Non è certo colpa tua. Il patrimonio che hai accumulato è tuo e puoi gestirlo come ti pare e piace. Io però, non voglio dipendere dai tuo soldi...”. Iniziò Lana, che a sua volta venne interrotta dal ragazzo che stringeva una sua mano con amore.

“Non mi importa nulla dei soldi, Lana. Possiamo condividerli, non è mai stato un problema per me e mai lo sarà. E poi sono stato io, ormai più di un anno fa a presentarmi sotto casa tua con quel camper, quin-”.

Lana lo interruppe di nuovo, mantenendo un timbro di voce calmo e tranquillo: tra loro molto raramente alzavano la voce per parlare di questioni importanti e tenendo le orecchie aperte e prestando attenzione alle parole dell’altro, erano sempre riusciti a comprendersi senza doversi gridare addosso o litigare per un nonnulla.

“Al, tu non mi hai presa con la forza e costretta a viaggiare con te. Io lo volevo quanto lo volevi tu e io voglio viaggiare per ancora molto tempo, proprio come te. Quindi la mia soluzione è questa se sei d’accordo: abbiamo sempre visitato cittadine o paesini e sempre per più di tre giorni, a volte anche qualche settimana, quindi potrei trovarmi dei piccoli lavori nei dintorni come baby sitter, assistenza agli anziani, pulizie o altro”.

Alex accennò una smorfia e si passò una mano nei folti capelli castani che aveva lasciato crescere negli ultimi cinque mesi, conferendogli un aspetto più naturale e selvaggio che se era possibile, lo rendeva ancora più affascinante agli occhi di Lana.

“Ma se io non ho nulla in contrario nel dividere i miei soldi con te, perché ti stai arrovellando così tanto? Non dirmi che c’è di mezzo l’emancipazione femminile...”.

Lana accennò una risata, rispondendo: “non ho bisogno di liberarmi da nessuno stereotipo o null’altro con te. Ci siamo sempre rispettati a vicenda e ci alterniamo sempre i nostri compiti, quindi non è questo il punto, Al”. Disse lei mantenendo un tono di voce delicato, andando poi ad accarezzare una guancia liscia del ragazzo che amava, il quale stava aspettando che lei proseguisse.

“Io rispetto tutto ciò che è mio così come tutto ciò che è tuo. Alex, a te tutti quei soldi non sono stati di certo regalati ed hai dovuto faticare chissà quanto per per poterteli permettere. Io non voglio sprecare il frutto del tuo lavoro e dei tuoi sacrifici...”.

Alex la interruppe, andando a posare la propria mano su quella di Lana che sostava sulla propria guancia, stringendo poi le sue dita tra le proprie. “Lana, io non ho dovuto fare proprio nessun sacrificio se non la gavetta per qualche anno come accade a chiunque voglia entrare nel mondo dello spettacolo. Ho vissuto una vita piena di eccessi, come i ristoranti costosi, le feste, le droghe, le ragazze… I soldi non sono mai stati effettivamente un problema per me e non lo sono nemmeno ora”.

“Non sono d’accordo”. Rispose lei accompagnando la propria risposta ad un cenno di dissenso con il capo, proseguendo poi: “sono comunque qualcosa che appartiene a te e io non voglio avere il senso di colpa di stare sprecando qualcosa di tuo...”

“Ma non stai sprecando proprio niente e poi non hai nemmeno un vizio...”. La risposta di Alex fece capire a Lana che ormai lui si stava iniziando ad arrampicare sugli specchi pur di darle ciò che lui voleva darle.
“Alex, perché abbiamo intrapreso questo viaggio, un anno e un mese fa?”. Chiese lei d’improvviso, andando a lasciare la mano del ragazzo che le stava di fronte.

“Perché è il desiderio che avevamo entrambi e che tutt’ora abbiamo, no?”. Disse lui, sentendosi improvvisamente insicuro di fronte alla domanda che gli aveva posto la ragazza a sorpresa.

“Esatto, ma abbiamo intrapreso questo percorso insieme anche per liberarci dalla routine e da tutto ciò che nel nostro mondo era diventato banale e scontato, no?”. Chiese Lana, ma la frase aveva chiaramente il tono di una affermazione ed Alex non poté far altro che annuire, così lei proseguì, con una certa urgenza di arrivare al punto.

“Questo si ricollega al motivo per cui, due giorni fa mi sono arrabbiata con te quando mi hai detto di avere soldi a sufficienza per entrambi da poter sopravvivere tanti altri anni insieme in viaggio. Io come te, non cerco solo la libertà dalla routine e dai dogmi che ci venivano imposti ogni giorno, ma anche la libertà personale e sopratutto l’indipendenza”.

Alex aveva capito benissimo cosa stesse dicendo Lana in quel momento, ma fece un passo indietro, iniziandosi a sentire improvvisamente non necessario, non indispensabile a lei come per lui, invece lo era Lana.

“Quindi il fatto che io ti abbia offerto di mia spontanea volontà di vivere entrambi con i miei soldi, per te costituisce un mio tentativo di tenerti in una sorta di catene invisibili?”.

Lana, ancora una volta si ritrovò a scuotere la testa, in segno di dissenso e fece un passo verso l’amato, che si era allontanato appena da lei.

“Alex, tu non hai certo pensato volontariamente a questo, ma appena me lo hai detto, ho realizzato che non sarei mai stata libera dipendendo dal tuo denaro”.

“Lo capisco perfettamente, ma se ti sto offrendo io in prima persona di vivere con i miei soldi, che problema c’è?”. Sul volto di Alex continuava ad aleggiare una espressione di confusione e Lana nell’udire quelle parole, sospirò e si fece coraggio nel poter dire ciò che stava per esprimere a parole.

“Alex, io non voglio vivere sulle tue spalle anche perché ed è solo una ipotesi, se un giorno tra noi dovesse finire tutto, io non voglio avere sulla coscienza il fatto di aver utilizzato i tuoi s-”.

Alex non le lasciò terminare la frase e le si avvicinò per poter prendere entrambe le sue mani e stringerle forte tra le proprie.

“Tra noi non finirà mai niente. Solo la morte ci separerà e anche se accadesse qualcosa che ci separerà, tu non dovrai sentirti così,io non mi permetterei mai di pensare una cattiveria simile sul tuo conto...”. La voce di Alexander si era fatta decisamente più rauca per l’emozione che sentiva crescere dentro di se e Lana, nel vedere i suoi occhi puntati sui propri, così colmi di amore per lei, non poté fare a meno di regalargli un dolce sorriso.

“Lo so che non lo faresti mai. Ma voglio farlo per me, per sentirmi bene con me stessa, per poter essere spensierata con te e vivere la nostra esperienza senza negatività”.

Alex non resistette ed abbracciò Lana, stringendola forte a sé e sussurrandole: “tu sei troppo buona per questo mondo”.

“Infatti non amo il mondo, amo solo te”. Sussurrò dolce lei, le cui labbra furono poi baciate con dolcezza da Alexander.

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Capitolo 31
*** Capitolo 28 (Seconda parte). ***


Diario di Lana.

E’ passato un altro anno di viaggi e io ed Alex non potremmo essere più felici di stare insieme. Solo molto raramente, ci capitano delle discussioni, ma nulla che non si possa risolvere in qualche minuto o in casi ancora più rari, in qualche ora di silenzio, finché uno tra noi due e di solito è Alex a cedere per primo, non si arrende ed inizia a parlare. Io all’inizio, fingo sempre di non ascoltare le scemenze che dice per attirare la mia attenzione, ma alla fine scoppio sempre in fragorose risate quando si mette a fare i suoi versi strani con la gola ed inevitabilmente, come due ragazzini, finiamo sul letto o in una stanza d’albergo o in un prato (dipende da dove ci troviamo al momento) a fare l’amore, a desiderare ancora una volta che i nostri corpi e le nostre anime si uniscano.

E’ incredibile la chimica che c’è tra di noi, a volte ho la sensazione che sembri non dover finire mai, che forse per qualche strano piano vitale, eravamo proprio destinati ad incontrarci, da bambini e innamorarci da ragazzi, per poi perderci per tanti anni e ritrovarci di nuovo. Ora siamo entrambi sicuri di non volerci separare mai più.

Riusciamo entrambi a comunicare bene, senza il bisogno di tenerci nascosto qualcosa o di fare delle scappatelle con altre persone. Sappiamo come tenere viva la fiamma della nostra passione e viaggiando e facendo sempre nuove attività, non ci stanchiamo mai di restare insieme, di tenerci per mano dall’alba al tramonto, fino ad addormentarci insieme.

Io, onestamente (e spero che ad Alex non capiti di leggere questa pagina o finirà per montarsi la testa) non credo di poter vivere in un mondo dove lui non esiste e non credo di poter fare a meno di quel ragazzo.

Sto scrivendo queste parole distesa sul divano vicino all’abitacolo del guidatore e non posso fare a meno di sbirciarlo di tanto in tanto, mentre guida con una mano sul volante e l’altra con in mano una sigaretta, dalla quale di tanto in tanto fa qualche tiro, gettando il fumo fuori dal finestrino aperto alla sua sinistra. Siamo a metà Agosto e fa un caldo impressionante, qui nel camper ci saranno di sicuro più di trentacinque gradi, eppure Alex si ostina a tenere la camicia di jeans addosso ed i pantaloni lunghi. Io sono seminuda sul divano, con solo la biancheria addosso ed i capelli legati e se potessi, mi strapperei anche la pelle di dosso, mentre lui è tutto preso dal suo autocontrollo, anche se i suoi capelli appiccicati al collo, sembrano implorare dell’aria fresca, così come il suo viso leggermente inumidito.

Sebbene siano ormai le undici di sera e solitamente a quest’ora abbiamo già trovato un luogo in cui parcheggiare per poter passare la notte, questa sera siamo bloccati su una autostrada a causa di un incidente e siamo imbottigliati nel traffico da quasi tre ore. Come se non bastasse, siamo diretti in una spiaggia ed è proprio il periodo in cui la gente “normale” prende le ferie e decide di andare in vacanza al mare, quindi temo che ne avremo ancora per un bel po’ prima di arrivare a destinazione. Avevo proposto ad Alex di fermarci nel primo autogrill che troviamo per riposarci, ma è più testardo di un mulo e vuole per forza arrivare in spiaggia. In realtà è molto dolce questo gesto da parte sua: nell’arco di tutta questa estate, a partire da maggio, ho trovato un lavoro presso un frutteto e per tre mesi, sei ore al giorno, sono stata nei campi a raccogliere frutti come albicocche, mele, pesche e altri frutti tipici dell’estate. Ovviamente il nostro camper ha continuato a muoversi, ma abbiamo potuto visitare solo cittadine e paesi nelle vicinanze, restando vicini al mio posto di lavoro momentaneo. E Dio, come è stato dolce ogni giorno Alex quando mi è venuto a prendere: se ero stanca, non perdeva tempo nel farmi un massaggio, non si faceva problemi a prepararmi qualcosa da mangiare e se ero indisposta per la troppa stanchezza, andava a farsi un giro per un paio d’ore, per lasciarmi il mio spazio e permettermi di rilassarmi. Avevo già detto ad Al diverse volte che mi sarebbe piaciuto molto poter andare al mare qualche volta, ma per via del mio lavoro in montagna, non ci è stato possibile fare un viaggio di sei ore per arrivare al mare e poi tornare subito indietro perché il giorno dopo avrei dovuto lavorare. Così mi ha promesso che l’ultimo giorno di lavoro, appena avrei staccato, ovvero oggi, avremmo preso il camper e saremmo stati almeno fino a metà Settembre al mare, ma abbiamo incontrato sia il traffico dei vacanzieri che quello di un incidente, ma lui persevera.

So che non sembra una cosa di molto valore, ma per me ha un grande significato ciò che sta facendo Alex nella sua determinazione.

Ci prendiamo continuamente cura l’una dell’altro e una vita senza di lui, sarebbe una vita sprecata, per me.


 

Diario di Alex.

Oggi io e Lana siamo finalmente riusciti ad andare a trovare Taylor dopo ormai due anni da quando abbiamo incontrato James e tre anni da quando abbiamo iniziato il nostro viaggio insieme.

Taylor, ora si è trasferita ad Nastyville, una piccola città marittima, che dista circa un’ora scarsa da Mooney.

Quando ci ha aperto la porta di casa, non ci aspettavamo affatto che all’ingresso sarebbero accorsi ad accoglierci due gemelli, entrambi di due anni e mezzo e subito dopo, con passo pesante lei, con una faccia che trasudava stress e stanchezza da ogni più piccola cellula. Nonostante abbia la mia età, ovvero trent’anni, sembra dimostrarne già una quarantina sebbene rimanga comunque una bella donna: ora porta i capelli lunghi e biondi, stretti in una coda arruffata e degli abiti tipici da mamma, che credevo di non aver mai potuto avere occasione di vedere su di lei perché è sempre stata uno spirito ribelle, casinista, completamente selvaggia. Ricordo ancora che qualche anno fa, diceva a gran voce di odiare i bambini, elogiava le droghe, l’alcool e ogni vizio che la vita poteva offrirle pur di divertirsi. Ora quel lato della sua personalità, sembrava totalmente abbattuto, forse proprio da quando è rimasta incinta e non so ancora se la cosa debba dispiacermi o meno.

Taylor ci ha accolti con positività, con gli occhi azzurri brillanti di gioia, ma non ho mai visto così poca energia nel suo corpo, nel suo modo di fare. Ora sembra aver assunto completamente il ruolo di madre a tempo pieno e sia io che Lana non ci vediamo nulla di male in questo, ma poi Taylor, davanti ad un thé freddo nel piccolo gazebo posto nel giardino sul retro di casa sua, ci ha spiegato come stanno le cose dal suo punto di vista: appena James è venuto a sapere del fatto che lei aspettava, un paio di anni prima, due gemelli, all’inizio non si era fatto vedere per tre mesi, poi ritornando sui propri passi, tornò da Taylor, la quale nonostante la gravidanza, a causa della depressione causata dalla fuga del suo ragazzo, aveva ricominciato a bere ed una volta sistemate con lui, iniziò a darsi un contegno, bevendo solo una birra ogni tanto. Ci ha confessato anche di aver smesso totalmente di uscire quando sono nati i bambini e che l’unico amico che le è rimasto, è Miles. Tutti, nel suo mondo le hanno voltato le spalle quando lei, dopo aver partorito, ha abbandonato il suo lavoro da modella per poter assumere del tutto il suo ruolo di madre.

I due bambini si chiamano James Jr. e Jacob e quest’ultimo ha bisogno di molte attenzioni perché ha un disturbo dell’apprendimento; Taylor ci ha confessato che James da la colpa a lei di ciò e ci ha detto anche che lui negli ultimi tempi è diventato una sorta di fantasma: torna a casa dopo aver lavorato otto ore in fabbrica, solo per pranzo e cena, poi esce e torna la sera tardi, a volte in condizioni pessime e con una puzza di alcool addosso difficile da ignorare. Io quindi, ho evitato di parlare a lei di quanto, invece io e Lana siamo felici, cosa che ha fatto anche lei, capendo che ciò l’avrebbe solo demoralizzata ancora di più. Taylor ha poi chiesto a Lana di restare per un’ora a parlare da sole.

Lana non mi ha mai riferito ciò che realmente si sono dette, forse vincolata da una promessa di segretezza che si sono fatte a vicenda, ma mi ha solo detto che ha bisogno di un’amica e che vorrebbe passare ancora a trovarla.

Io mi sono trovato decisamente d’accordo con la sua decisione, ma so bene che la situazione di Taylor è parecchio incasinata e non le basteranno certo due parole di conforto per risolvere la sua situazione, ma magari Lana saprà darle la forza necessaria per liberarsi di James e trovare la forza dentro di se per andare avanti a testa alta.

Non l’avevo mai vista così scoraggiata e giù di morale: ricordo bene che anche nei nostri peggiori litigi, quando ai tempi avevamo una relazione, anche se era piuttosto sgangherata e quasi sempre trovavamo qualcosa per cui abbaiarci contro come cani, lei era sempre una fonte inesauribile di energia , nelle migliori e peggiori occasioni. Aveva una scintilla di energia negli occhi che la rendeva viva e non le importava di sbagliare, non le importava di fare lo stesso errore dieci volte di seguito, l’importante era farlo, l’importante per lei, era sentirsi viva.


 

Diario di Lana

Qualcuno, di cui purtroppo non ho mai saputo il nome, diceva: “il tempo vola quando ci si diverte”. Forse è semplicemente un detto popolare, forse non l’ha mai detto per prima una persona, ma questa frase è corretta per me ed Alex.

Ne è passato di tempo, precisamente cinque anni da quando io e lui abbiamo intrapreso questo viaggio e non mi sognerei per nulla al mondo di smettere, non mi sognerei mai di tornare alla mia triste vita “normale” che avevo prima.

Una volta che hai avuto la libertà, non puoi più tornare indietro, non c’è scampo per la tua anima perché ha assaporato l’avventura, ha visto degli immensi spazi aperti, ha visto mari, oceani, laghi e fiumi, ha visto i più bei tramonti e le albe più commoventi e nemmeno miliardi di parole saprebbero descrivere ciò che io provo quando sono alla guida, senza una destinazione precisa, con il vento tra i capelli, semplicemente rincorrendo l’orizzonte, sapendo per certo che non avrò più paura dell’ignoto, sapendo che ora l’unica cosa che conta restare in movimento, continuare a viaggiare, a conoscere persone, a vivere bei momenti con loro e soprattutto rafforzare giorno per giorno, il rapporto unico ed indescrivibile con il pittore e musicista che amo.

Proprio così, Alex ha imparato a suonare anche la chitarra classica. All’inizio la comprai io solo per provarla, dopo essere uscita dalla casa di una donna anziana, Grace, che avevo aiutato con le faccende domestiche e passando davanti ad un mercatino dell’usato, i miei occhi si sono posati su quell’oggetto, innamorandomi della chitarra classica esposta in vetrina, del colore dell’ebano e con delle decorazioni elaborate nei suoi contorni in una tonalità più chiara incise sopra, che mi ricordavano gli indiani d’America; quindi la comprai subito dopo essermi fatta mettere delle corde nuove, assieme alla sua custodia e una volta tornata al camper, dove Alex mi stava aspettando, scoprii che quell’oggetto era destinato a lui:dopo un paio di giorni in cui avevo provato a strimpellare qualche nota a caso, lui curioso, la prese tra le braccia e a me sembrò magico il modo in cui posizionava le sue dita sulla tastiera, come posava il plettro sulle corde con la mano destra e la posizione che assumeva, leggermente piegata in avanti, a raccontarsi con piccole melodie che inventava sul momento. Decisi quindi di regalargliela per il suo compleanno che distava qualche giorno dalla data in cui l’avevo comprata perché era come se io fossi stata il mezzo per fargli ottenere quello strumento che inconsciamente, gli era sempre appartenuto, per il quale aveva sempre avuto un talento innato che non aveva mai sfruttato.

Poi iniziò un periodo straordinario per noi due, pieno di creatività: quando lui ebbe imparato a suonare il suo strumento senza alcun bisogno di libri o lezioni se non quelle casuali che gli offrivano alcuni ragazzi che incontravamo per caso e che anche loro erano appassionati al mondo della musica, iniziammo a suonare insieme sia la mia viola che la sua chitarra e le persone che per caso passavano accanto al nostro camper, sembravano sempre ben disposte ad ascoltare i nostri arrangiamenti che ci venivano sul momento, dandoci anche dei soldi che noi non avevamo chiesto o obbligato nessuno a darci.

Non so come faccia Alex ad essere così strepitoso, ho sempre pensato che sia una persona di scoprire, una di quelle che a distanza di anni, ti sembra ancora di non conoscere del tutto e che ha ancora tanto da offrire. Mi sono sempre reputata fortunata nel poterlo incontrare e addirittura poter essere la sua donna o come mi chiama lui quando decide di ritrarmi in uno dei suoi numerosi dipinti, la sua “musa”.

Mi ha spronata anche diverse volte nel pubblicare un saggio che sto finendo di scrivere che tratta l’argomento della libertà personale, che ormai conosco. Io all’inizio ero in disaccordo perché ci sono persone al mondo che hanno conseguito degli studi, dei master in filosofia, in psicologia, in scienza della comunicazione e chissà cos’altro per poter scrivere un saggio strutturato cento volte meglio del mio ed onestamente, non ho mai approfondito gli studi sulla mente e della psicologia umana se non con qualche lettura ogni tanto sull’argomento, ma ancora una volta, Alex mi ha messo davanti la situazione in una prospettiva totalmente diversa: se i teorici e gli studiosi hanno le loro lauree ed i loro studi dalla loro parte per realizzare un saggio mille volte migliore del mio, dalla mia parte ho invece una esperienza concreta di un viaggio che si è rivelato e si sta rivelando tutt’ora la parte migliore della mia esistenza.

Io non avrei preso nessuna decisione azzardata se non fosse stato per Alex e gli ho ripetuto mille volte che senza di lui sarei semplicemente una signora nessuno.

Lui mi ha risposto che lo stesso varrebbe per lui e che eravamo quindi, in qualche modo destinati a re incontrarci per poterci riscoprire, per ricominciare ad amarci e soprattutto a riscoprire noi stessi in questo viaggio che spero non avrà mai fine.

C’è anche un altro detto popolare che dice: “le cose belle durano poco” e questo, a differenza dell’altro che ho citato all’inizio, non so se sia vero, ma so per certo che finché avrò Alexander al mio fianco,non esisterà nulla di insormontabile per me.


 

Diario di Alex

Il tempo passa per me e Lana e noi ormai, non ce ne rendiamo nemmeno conto. Stiamo per compiere entrambi trentacinque anni e nella nostra anima non ne sentiamo affatto il peso: non ci sentiamo fiacchi o stanchi della vita, anzi ne vogliamo sempre di più. Siamo riusciti a visitare posti di indescrivibile bellezza, nonché capoluoghi di arte e cultura come Parigi, Firenze, Venezia, Amsterdam, Edimburgo ed anche l’Egitto in tutta la sua antica bellezza e maestosità. Ovviamente non siamo potuti arrivare in quei posti oltreoceano con il nostro camper, quindi ogni volta in cui prendevamo la decisione di fare uno di questi viaggi, lasciavamo il camper in custodia e poi partivamo, alla ricerca di altre emozioni,di altra vita, di un’altra dose di libertà.

Ora, il nostro camper è pieno di ricordi dei nostri viaggi: non c’è un solo angolo che non sia stato riempito con nostre foto o con piccoli souvenir che abbiamo comprato durante i nostri viaggi esteri; gli scaffali sono stra-bordanti di libri ed almeno l’ottanta percento sono di Lana, mentre i restanti sono miei. Ammetto di non essere un lettore così vorace come lei, ma col tempo sto recuperando tutte le letture che avrei dovuto fare tempo fa sotto il consiglio di Lana, la quale solitamente, mi chiede di riassumerle il contenuto del libro appena finisco di leggere, per assicurarsi che io abbia appreso appieno i concetti espressi in quest’ultimo. Visto che ormai non abbiamo ormai un solo posto inoccupato dove mettere i nostri effetti personali, abbiamo deciso di mettere i nostri diari sotto al nostro letto, dove avanza un po’ di spazio e sono diventati davvero tanti: ognuno di essi racchiude tanti di quei ricordi, tante di quelle esperienze che se li andasse a leggere qualcuno di sconosciuto a noi, troverebbe surreale il fatto che abbiamo davvero vissuto tante esperienze diverse nella nostra vita rimanendo però sempre legati l’uno all’altra, pronti a sostenerci in ogni caso.

I nostri diari, infatti (o almeno posso dire ciò dei miei dato che non ho mai letto nemmeno una parola di quelli di Lana) possono raccontare non solo un’avventura, ma anche la continua evoluzione della nostra storia d’amore.

Come in qualsiasi storia d’amore, abbiamo passato anche noi i nostri alti e bassi: abbiamo avuto un periodo, l’estate di due anni fa, in cui eravamo entrambi nervosi per il troppo caldo che non ci permetteva di fare nulla, così accadeva che iniziavamo a discutere per un nonnulla, anche per cose come a chi toccava lavare i panni o chi di noi due doveva rifornire il frigo, ma alla fine la sera, quando i rumori attorno a noi calavano, i grilli si calmavano ed il vento iniziava a soffiare piano nella stanza di motel o nel nostro camper, allora, gli unici suoni che si sentivano erano gli schiocchi delle nostre labbra che si incrociavano, che facevano la pace, che riprendevano ad amarsi.

Non penso che ci sia qualcuno in tutto il mondo che amerei al posto di Lana.

Lei è l’unica persona che riesce a capirmi nel profondo e l’unica che starei ad ascoltare per ore, sebbene ormai ci conosciamo entrambi perfettamente.

Abbiamo anche sviluppato, nel corso degli anni, un modo tutto nostro per comunicare e sono i nostri strumenti musicali: Lana con la sua viola o il suo violino o il suo sassofono, mentre io con la mia adorata chitarra da cui non mi separo mai. E’ incredibile quante cose si riescano a dire con il suono di una melodia. A volte, quando decidiamo di regalare dei sorrisi anche alle persone ignare e ci mettiamo insieme ad improvvisare qualcosa per strada, molti bambini si fermano, ammirando i nostri strumenti e come li suoniamo, chiedendosi forse con quale magia possiamo fare ciò, ma soprattutto i bambini, spesso sembrano capire da un solo sguardo quale sentimento ci sia dietro alla melodia e a volte rimango deluso quando i genitori, presi dalla fretta della loro vita, li trascinano via senza poterli far restare ad ascoltare ancora un po’. Anche i ventenni, sebbene siano nell’età in cui la fretta di vivere aumenta vertiginosamente, spesso si fermano per un po’ e quando abbiamo finito, ci chiedono molte informazioni riguardo ai nostri strumenti, alle nostre melodie nostalgiche e spesso, quelli più disinibiti, ci offrono anche di passare la serata a bere qualcosa con loro o a fumare qualche canna in tranquillità. Sebbene spesso io e Lana abbiamo accettato ed abbiamo passato delle belle serate in compagnia di persone giovani che vogliono solo divertirsi, ora siamo entrambi diventati meno festaioli di prima, preferendo la calma del nostro camper invece di una serata in discoteca.

Abbiamo raggiunto quella particolare sintonia in cui non abbiamo bisogno di parlare per comunicarci qualcosa, ma semplicemente stiamo in silenzio e restiamo stretti l’uno all’altra, entrambi desiderosi di appartenerci finché possiamo, consapevoli del fatto che presto o tardi, di noi non rimarranno altro che ceneri nell’aria.

Siamo così piccoli che quando moriamo, non ci sente nessuno e nemmeno lo voglio. Tutto ciò che voglio è di poter tirare l’ultimo respiro, quando sarà il momento, tra le braccia della donna che mi ha rubato il cuore molto, moltissimo tempo fa.


 

Diario di Lana.

Oggi, ventitré Giugno, sono esattamente dieci anni in cui io ed Alexander siamo in viaggio e non potrei desiderare di avere una vita migliore. Mi basta potermi svegliare al suo fianco, con il suo sorriso sbilenco che mi da il buongiorno e sentire il suo cuore che batte, per essere la donna più felice del mondo.

Ormai abbiamo entrambi compiuto da poco trentasette anni, eppure la nostra forza interiore è inesauribile. Certo, ora abbiamo un accenno di rughe sotto agli occhi e ci ammaliamo più frequentemente, ma che importa? Che diavolo importa se ogni ostacolo possiamo attraversarlo insieme, mano nella mano?

Come potranno mai sfiorarci le cose che sentiamo dire in giro come gli attentati, le guerre alle porte, la crisi economica, il contrabbando, il narcotraffico, la prostituzione e chissà cos’altro? Non ci interessa, semplicemente tutto ciò è troppo lontano dal nostro mondo sebbene siamo ben consapevoli delle atrocità che commettono i potenti contro la massa di miliardi di persone che vogliono solo spremerli come limoni fino all’ultima goccia della loro forza vitale, per renderli schiavi, per dominarli, per costringerli ad inchinarsi. Io ed Alex, di tanto in tanto, agiamo in un modo pacifico, ovvero offrendo la nostra arte: io leggo le mie poesie a tema, mentre lui, che ha sviluppato un nuovo stile di pittura, diffonde un messaggio di coscienza universale, attraverso i suoi dipinti che in alcune cittadine, stanno diventando piuttosto popolari. Oppure, una cosa che piace fare ad entrambi, è quella di comunicare con la musica: io in questi anni, ho imparato anche ad usare il violino e per un certo periodo di tempo, ho preso lezioni di sassofono ed un musicista, il mitico Frank, un uomo di colore che ha appena concluso la sua carriera di trent’anni nella sua band che componeva musica jazz\blues, dopo aver fatto la conoscenza mia e di Alex, ha deciso di regalarmi il suo sassofono e devo dire che all’inizio è stato molto difficile rifiutarlo. Così alla fine l’ho accettato, ma solo a patto di insegnarmi a suonare e con l’aiuto di altri sassofonisti che ho conosciuto nei locali o quando si fermavano ad ascoltare Alex, ho imparato a suonarlo abbastanza da permettermi di fare le mie improvvisazioni.

Non mi stancherò mai della vita che abbiamo scelto: è grazie a quella decisione che abbiamo preso ormai tanti anni fa, che abbiamo vissuto liberi, senza barriere e senza mete prestabilite, senza paure o inibizioni, ma solo con una gran voglia di scoprire il mondo attorno a noi e scoprirci l’una con l’altro, giornalmente.

C’è solo un piccolo problema nella nostra vita che sembra essere perfetta.

Oggi siamo tornati a Mooney, come solitamente facciamo ogni ventitré di Giugno per celebrare gli anniversari della nostra partenza e dopo aver passato una splendida giornata nel nostro piccolo angolo privato di male, dove tempo addietro andavo a nascondermi quando le cose andavano male, Alex ha sputato dei fiotti di sangue diverse volte prima di salire sul camper e mettersi alla guida. Inutile dire che poi non l’ho lasciato assolutamente guidare sebbene lui continuasse a ripetermi che stava bene e che non avevo nulla di cui preoccuparmi.

So molto bene che questa non è la prima volta in cui gli succede: l’inverno scorso ha avuto la bronchite per due settimane e da allora ha continuamente problemi con la gola sebbene si sia curato a dovere. Lui non mi ha mai tenuto segreto nulla, a parte la malattia.

Ogni volta in cui sente di essere contagiato da un virus o che l’influenza si avvicina, cerca sempre di mascherarne i sintomi per non farmi allarmare. Io gli ho detto almeno mille volte di non preoccuparsi, ma che anzi, sono felice di potergli dare una mano, ma lui non ha mai cambiato idea su ciò ed io ho imparato nel corso del tempo, a prestare più attenzione ai suoi gesti e movimenti quando lo vedo strano, per capire se si tratti di semplice stanchezza o qualcosa a cui prestare più attenzione.

Diverse volte, quando era convinto che non stessi guardando, negli ultimi mesi ha sputato sangue almeno una decina di volte, senza contare magari, le volte in cui lo ha fatto mentre ero a lavoro.

Io, nel mio piccolo ho cercato di fare del mio meglio per lui, senza fargli capire che lo stavo osservando, magari sciogliendo di nascosto un antinfiammatorio per la gola nella sua bottiglia d’acqua che tiene sempre vicino all’abitacolo del guidatore o cucinando prodotti naturali che lo avrebbero dovuto aiutare, ma ciò ha sembrato non funzionare e sebbene addirittura nelle ultime settimane abbia iniziato anche a mascherare la tosse con me presente, nelle occasioni in cui l’ho sentita, non mi è sembrata affatto leggera come quella di chi ha sudato troppo o la solita tosse rauca del fumatore incallito come Alex.

Come ultima spiaggia, negli ultimi giorni gli ho detto che un medico potrebbe risolvere subito i suoi problemi, ma lui non ne ha proprio voluto sap.


 

Uno schianto improvviso, fece sobbalzare la ragazza.

“ALEX!”. Urlò Lana, scendendo subito dal letto dove era seduta fino ad un attimo prima a scrivere nel proprio diario. Corse subito verso l’abitacolo del guidatore e vide che l’uomo era svenuto all’improvviso ed una densa scia di sangue, colava sul suo volto, andando poi a bagnare le sue labbra pallide, scendendo infine a macchiare la vecchia tappezzeria colorata del camper.

Lana uscì in fretta dal camper e si guardò intorno spaventata: il camper, per fortuna non era gravemente danneggiato, ma si era solo rotto il fanale destro anteriore nell’essersi schiantato contro ad una quercia nel bordo della strada; era Giugno ed erano le cinque del pomeriggio, quindi per il momento, quel fanale non le era indispensabile e avrebbe pensato a farlo sistemare solo dopo che Alex si fosse ripreso.

Tornata dentro, mentre una coda di macchine iniziava a formarsi dietro di loro, Lana provò a svegliare Alex, ma lui al momento aveva perso totalmente i sensi e lei con un po’ di forza, lo trascinò fino al posto del passeggero, continuando a ripetergli, mentre lo accarezzava e gli allacciava la cintura di sicurezza, forse più a sé stessa che a lui: “andrà tutto bene, non è successo niente. Tutto si sistemerà presto. Andrà tutto bene, tutto bene, tutto bene...”.

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Capitolo 32
*** Capitolo 29. ***


Lana si trovava al pronto soccorso, nella sala d’aspetto e non ne poteva più del caos che la circondava: erano le sette di sera e la grande stanza era affollata; c’era un bambino che sembrava avere dai quattro ai sei anni il quale non la smetteva per un secondo di strillare con la madre che voleva tornare a casa, aveva un lungo graffio su un braccio che probabilmente gli aveva causato un gatto randagio e non smetteva per un secondo di frignare con la madre, che cercava in ogni modo di non far svegliare la neonata che teneva in braccio. Vi era anche una coppia di anziani che aveva preso a litigare mezz’ora prima e sembravano non voler smettere di ripetere a voce alta sempre le stesse cose, probabilmente non erano lì nemmeno per qualcosa di grave, anzi sembravano avere forze a sufficienza vista la foga con la quale stavano litigando. Vi era anche un vociare generale dato che erano almeno in una decina nella sala d’aspetto e a Lana stava letteralmente scoppiando la testa.

Aveva preso a battere piano il piede per terra nervosamente ormai già da una trentina di minuti e da quando avevano portato Alex dentro, non aveva smesso per un secondo di mordersi il labbro inferiore che ormai le si era screpolato e nemmeno le importava: in quel momento avrebbe potuto anche sanguinarle tutta la faccia e non se ne sarebbe accorta.

Voleva solo sapere quando avrebbero dimesso Alex e se fosse stato il caso di preoccuparsi per la sua salute o meno, ma non ricevendo notizie, la sua ansia non faceva altro che aumentare in modo spropositato. Da quando si era svegliata quel mattino, si era sentita strana, come se il proprio istinto avesse cercato di metterla in guardia su ciò che sarebbe accaduto nel pomeriggio ad Alexander e si stava maledicendo all’infinito per non averlo ascoltato. D’altronde, Alex era stato bene per tutto il giorno e lei non aveva avuto un motivo concreto per preoccuparsi.

La neonata che teneva in braccio la madre del bambino graffiato sul braccio si era svegliata ed aveva attaccato proprio in quel momento a piangere come una disperata. Lana non ne poteva più di tutto quel caos, sentiva la testa martellarle di continuo e doveva prendere assolutamente una boccata d’aria, così si alzò di scatto, attirando su di sé degli sguardi di incomprensione ed attraversò le porte scorrevoli a qualche passo da lei, che portavano fuori.

Nonostante nell’aria si respirasse solo smog in quell’ora di punta, la prima cosa che fece Lana fu quella di prendere una enorme respiro e ripeté quell’azione per una decina di volte, in un vano tentativo di calmarsi.

Il suo cervello continuava a pensare a cosa diavolo potesse essere accaduto ad Alex: una infermiera l’aveva informata del fatto che lo avrebbero sottoposto a degli esami generali per verificare il suo stato di salute e Lana stava cercando di immaginare cosa mai potesse essere accaduto ad Alexander, il quale di salute era sempre stato bene, a parte qualche rara volta in cui aveva avuto delle comunissime influenze. Ora che ci pensava meglio, aveva notato, oltre al sangue che lui aveva cercato in tutti i modi di mascherarlo alla donna quando ne aveva avuto l'opportunità, in effetti Lana si era accorta del fatto che lui aveva perso qualche chilo e probabilmente avrebbe potuto essere sottopeso ma nulla di cui preoccuparsi a parer suo; solo quella maledetta tosse che nell’ultimo periodo era sembrata piuttosto perseverante in lui, sembrava essere l’unico ostacolo alla completa salute di Alex e Lana non aveva la più pallida idea come associare quella tosse se non al fatto che non fosse ancora guarito totalmente dalla bronchite di cui aveva sofferto qualche tempo prima.

Più si spremeva le meningi per cercare una soluzione per Alex e più le ritornavano a mente le scene che aveva vissuto appena un paio di ore prima: lo schianto improvviso del camper, lui svenuto sul sedile del guidatore, il sangue che gli colava dal naso, il suo bellissimo viso pallido come la morte…

Scosse la testa e rivolse lo sguardo al cielo nuvoloso che copriva il tramonto e sospirò un’ennesima volta.

Non è niente, Lana. Si risolverà tutto al più presto. Si costrinse a pensare per dare un freno alle proprie ansie e paranoie che non accennavano per un secondo di creare caos nella propria mente così fragile in quei minuti di tensione. Si sentiva esattamente tesa come le corde della chitarra del suo partner o come quelle della propria viola. Restava con gli occhi fissi sul camper azzurrino parcheggiato alla propria sinistra: non ricordava nemmeno se lo avesse chiuso a chiavi o meno ma in quel momento era l’unica cosa a non preoccuparla.

Non le importava se un ladro le avesse rubato tutti i suoi averi o addirittura tutto il camper, non le importava di nulla se non della salute di Alex e quel brutto presentimento che era apparso quella mattina, ora era ritornato dieci volte più intenso, tanto da non permetterle di respirare a dovere e nemmeno di stare ferma: continuava a camminare avanti ed indietro davanti alla porta d’ingresso automatica che si apriva e richiudeva ogniqualvolta in cui lei vi passava dinanzi.

Un paio di minuti dopo fu però costretta a spostarsi di corsa perché un’ambulanza aveva appena parcheggiato e dei paramedici stavano mettendo frettolosamente un uomo anziano su una barella. Lana si era messa in un angolo ad osservare i paramedici in azione, almeno per concentrarsi su altro e far respirare la propria mente.

Venne però interrotta da un dottore.

“Mi scusi, lei è la fidanzata del signor Turner?”.

Lana aveva il fiato corto e non riusciva a parlare, quindi si limitò ad annuire con la testa, portandosi con una mano i lunghi capelli dietro l’orecchio.

“Ho bisogno di parlare con lei, mi segua nel mio studio”. Disse l’uomo con il camice bianco e lei prese subito a seguirlo: ora non sentiva più il caos dei bambini che strillavano o degli anziani che litigavano, riusciva a sentire solo il proprio cuore che le batteva veloce nel petto come una trivella impazzita.

“Come sta?”. Riuscì a chiedere lei col poco fiato che aveva in corpo mentre cercava di restare al passo veloce del dottore che non le si era ancora presentato.

“Dopo che avremo finito di parlare, potrà andare a fargli visita”. Rispose il medico dai capelli grigi e gli occhiali piccoli.

Quella risposta fece tirare un piccolissimo sospiro di sollievo alla ragazza: già solo poter sapere che avrebbe potuto rivedere il volto dell’uomo che amava, era per lei di un conforto immenso.

Arrivarono poco dopo in una piccola stanza dalle pareti giallo ocra, una scrivania, tantissimi documenti impilati in uno scaffale alla destra di quest’ultima con alcuni farmaci posti in alto, una stampante e delle stampe di quadri che avrebbero dovuto essere rilassanti agli occhi ma che su Lana sembravano sortire l’effetto contrario. Non le piaceva affatto quel posto, sembrava la tipica stanza dove si dicono cose orribili.

“Si accomodi sulla sedia”. Disse il dottore, indicandole la sedia nera e imbottita che si trovava di fronte alla scrivania dove Lana aveva notato delle cartelle cliniche: forse lì si trovava anche quella di Alex? Avrebbe voluto che il medico le avesse dato del tu ma non riusciva a trovare la forza di poter dire qualcosa a parte rispondere alle domande del medico.

Dopo che entrambi si furono seduti, Lana iniziò a stringersi le mani l’una con l’altra, ben nascoste sotto la scrivania: in quel momento le sarebbe piaciuto poter credere in qualcosa, in una qualunque divinità alla quale potersi affidare nei momenti peggiori della propria vita per non sentirsi sola e credere che forse qualcuno lassù avrebbe protetto Alex, ma la verità è che in certi casi imprevedibili, si può fare affidamento solo sulla sorte.

“Io sono il dottor Travis Spencer. Come la avrà informata l’infermiera Farrel, abbiamo sottoposto il signor Turner a degli esami specifici per capire la provenienza del suo malore improvviso e abbiamo riscontrato in una radiografia un problema...”.

Lana era concentrata appieno su ciò che stava dicendo il dottor Spencer, fissandolo intensamente nei suoi occhi verde scuro e stringendosi ancora più forte le mani l’una con l’altra, fino a sentire dolore nelle proprie ossa. Le parole “radiografia” e “problema” fecero mancare il respiro alla donna, che trasudava ansia e paura da ogni più piccolo poro della sua pelle.

“Arrivi al dunque, per favore”. Disse Lana con voce bassa ma decisa. L’uomo con il camice bianco guardava Lana con compassione ed era proprio quello sguardo che fece ancora più paura alla ragazza.

Spencer aprì una cartella che aveva messo sulla scrivania ed estrasse fuori da essa una radiografia con i polmoni di Alex ingranditi e non ci fu bisogno di aggiungere altro per Lana, perché guardando quell’immagine aveva già capito al volo di cosa si trattasse. Indicò il lato sinistro del polmone, dove vi era la grande macchia nera e disse con voce spezzata: “quando potete togliergli questa roba dal corpo?”.

Posò gli occhi su quelli del dottor Spencer e lasciando che una lacrima scorresse sul proprio viso, Lana lo lasciò parlare dopo aver già letto la risposta nei suoi occhi pieni di pietà.

“Si tratta di un tumore inoperabile”.

Quelle parole risuonarono come un eco ripetuto all’infinito nella testa di Lana, la quale iniziò improvvisamente ad avere la sensazione che la stanza iniziasse a muoversi lentamente intorno a lei. Sbatté diverse volte le palpebre degli occhi per cercare di riprendere il controllo di se stessa ed appoggiò una mano sulla scrivania di frassino per tenersi dritta sulla sedia mentre il dottore aveva preso a spiegarle cosa fosse la chemioterapia e quante probabilità ci fossero di guarire da un tumore simile con l’aiuto di quella cura. Lana sentiva solo il numero delle percentuali come se il dottore le stesse parlando da una distanza troppo elevata per poterlo udire con chiarezza. Aveva sentito “cinque-dieci percento” e poi si era persa di nuovo, non riuscendo a concentrarsi sulle altre parole che stavano uscendo come una cascata inarrestabile dalla bocca del medico. Lana lo guardava, cercando di concentrarsi sulle sue parole, ma era come se all’improvviso fosse calato un velo sul proprio udito e sulla propria vista. I propri occhi finirono sul camice dell’uomo e solo allora notò la targhetta con su scritto il suo nome e la sua professione, che non aveva notato prima, presa dall’ansia che la stava divorando da dentro: “T. Spencer; Reparto Oncologia”.

Avevo la risposta alle mie domande sotto agli occhi e non me ne sono nemmeno accorta. Pensò Lana mentre la stanza attorno a lei continuava ad essere annebbiata ed in un lento movimento, come fosse trascinata dalle onde del mare, affogando lentamente.

“Quanto tempo gli rimane?”. Chiese Lana, interrompendo Spencer a metà di una frase. Il medico, d’altra parte non era sorpreso dalla reazione di Lana e quella era sempre una tra le prime tre domande che erano soliti porgli i familiari o il diretto interessato quando scoprivano la malattia.

Lana si sentiva ancora sul punto di perdere i sensi, ma chiese un enorme sforzo al proprio cervello di restare attivo almeno fino alla risposta del dottore che le stava di fronte e affrontava la situazione come fosse la più normale del mondo, con solo una parvenza di compassione e solidarietà, ma lei dentro di sé, sapeva bene che il compito di dire ai pazienti e ai familiari notizie del genere, spettava ovviamente a chi non era particolarmente sensibile o emotivo.

“Date le dimensioni del tumore e considerando come si è espanso negli ultimi mesi a macchia d’olio, direi… Circa due, al massimo tre mesi”. Rispose lui, guardando Lana con dispiacere.

Lei deglutì: la propria gola era diventata improvvisamente arida come il deserto e se fino ad un attimo prima le sembrava che tutto attorno a lei girasse lentamente, ora sentiva il tempo passare in un modo smisuratamente veloce. Ancora una volta, avvertì una sorta di otturazione alle orecchie che presero a fischiarle in un modo alquanto fastidioso e sugli occhi si andava a posare un velo scuro. Sentì anche una eccessiva sudorazione del proprio corpo e mentre cercava di riprendere fiato, si portò i capelli dietro la schiena. Il proprio battito cardiaco era accelerato ancora una volta e sentiva il respiro farsi più affannoso di prima, accompagnato da un rivoltante senso di nausea che la infastidiva non poco.

“Signorina Del Rey, si sente bene?”. Chiese il medico, alzandosi dalla sedia nell’aver capito che la ragazza stava per perdere i sensi.

“Q-questo è un incubo… Vero?”. Chiese Lana, facendo per alzarsi, ma si dovette aggrappare con entrambe le mani sui bordi della sedia.

“Non si alzi, respiri lentamente...”. Disse il dottor Spencer, avvicinandosi a lei.

“No, no… Sto perdendo tempo. Dovrei essere con lui...”. Lana, con uno sforzo immane dato lo stato in cui si trovava, si alzò d’improvviso dalla sedia, ma non fece in tempo a voltarsi, che svenne tra le braccia del dottore che riuscì a prenderla al volo.

“Ehi, ti sei svegliata finalmente”.

Lana stava riaprendo gli occhi lentamente, ma nel sentire quella voce che amava, che avrebbe riconosciuto tra mille, che le aveva regalato tanta felicità nella propria vita come nessun alto avrebbe saputo fare, spalancò le palpebre, mettendo a fuoco il viso che amava più della sua stessa esistenza.

“Al… Alex, sei qui… Tu sei qui con me”. Sussurrò Lana con voce rauca e lui le regalò un dolce sorriso.

“E dove dovrei essere se non al tuo fianco?”. Chiese lui, semplicemente, facendo sciogliere il cuore della ragazza mentre con una mano accarezzava la sua testa e i suoi capelli che scendevano fino al suo avambraccio.

Lana fece per alzarsi di scatto, ma Alex portò una mano su un suo fianco, stringendola appena.

“Sverrai di nuovo se ti alzi così in fretta, miss”: Dopo tutto quel tempo passato insieme, lui ancora la chiamava miss, come era solito chiamarla quando avevano quindici anni.

“Q-quando sono svenuta?”. Chiese lei, con gli occhi castani confusi che andavano a cercare risposte in quelli color ebano di Alexander.

“Circa mezz’ora fa. L’infermiera mi ha dato il permesso di venirti a trovare”. Concluse la frase con un ennesimo sorriso e Lana nell’udire quelle parole e nel vedere che lui indosso aveva un camice da paziente, improvvisamente si ricordò di tutto e faticò a trattenere un urlo.

“Al...”. Riuscì solo a dire Lana, per poi mettersi a sedere sul lettino di metallo e andando a stringere le braccia attorno al suo collo, lasciando poi che i propri occhi si liberassero delle lacrime che pungevano come aghi in quel momento.

Lui restò in silenzio, capendo al volo che la donna aveva bisogno di conforto, quindi l’unico gesto che fece, fu quello di stringersi a lei a sua volta, andando a posare dei piccoli baci tra i suoi capelli scuri.

“Ti amo. Non mi abbandonare”. Sussurrò lei con una voce talmente rotta e triste da far vibrare il cuore di Alexander, che la strinse ancora più forte a sé, lasciandosi scappare una lacrima che lei non avrebbe visto.

“Sono qui con te. Sempre”. Sussurrò lui cercando di mostrarsi sicuro, ma la propria voce era decisamente troppo triste per poter convincere Lana, la quale si spostò appena con il busto per poter guardare Alex ed accarezzare il suo viso con entrambe le mani. Il proprio viso era umido di lacrime e probabilmente le era colato quel poco di matita nera che si era messa nel primo pomeriggio, ma non le importava, lui l’aveva vista un sacco di volte piangere quando ripensava al suo padre ormai morto da troppo tempo e per farla sorridere, le ripeteva che era bellissima persino quando piangeva e quando si addormentava con la bava alla bocca.

“Perché mi nascondevi sempre il sangue quando tossivi? Avremmo potuto rimediare prima...”. Sussurrò lei, accarezzando piano il suo mento coperto da un leggero strato di barba castana.

“Penso che il dottore lo abbia detto anche a te. Anche se mi fossi fatto visitare qualche settimana fa, avrei avuto più o meno la stessa aspettativa di vita che ho adesso. La malattia si è evoluta troppo velocemente...”. Sul volto di Alex apparì quello sguardo di rassegnazione che Lana non avrebbe mai voluto vedere: erano gli occhi di chi sapeva di non poter scampare alla morte. Erano gli occhi di chi era ben consapevole del fatto che non avrebbe avuto chance.

“Non vuoi provare la chemioterapia?”. Sussurrò Lana, lasciando cadere le mani sulle sue spalle e poi, infine sui suoi fianchi, stringendoli a sé.

“Abbiamo dei risparmi, non preoccuparti per le spese”. Continuò lei con voce bassa nel vedere gli occhi di lui farsi malinconici e pensierosi.

“Dammi un paio di giorni per pensarci, okay?”. Sussurrò lui in risposta, guardando la donna con gli occhi colmi di tristezza malcelata.

Lana annuì, trovando la scelta di Alex più che concreta, ma in cuor suo sperava con tutta se stessa che avrebbe deciso di provare a guarire con la terapia che aveva proposto l’oncologo.

D’un tratto entrò un’infermiera giovane e bionda, con una cartella clinica in mano.

“Signor Turner, lei dovrebbe tornare a letto, deve stare a ripos-”. Alex non le diede tempo di finire.

“Ho appena scoperto di avere il cancro. Vorrei stare da solo con la donna che am-”. Anche lui non riuscì a terminare la frase, ma a causa della tosse che sembrava non accennare ad arrestarsi.

“Forse è meglio che le dai retta, Al...”. Sussurrò Lana, andando a posargli una mano sulla schiena nel vederlo così affaticato nel cercare di gestire quella tosse che non voleva saperne di dargli tregua.

L’infermiera si avvicinò velocemente a loro, dicendo: “lei sta male, ha bisogno di riposo”.

Alexander si alzò dalla sedia, continuando a tossire, portandosi una mano alla bocca come per soffocare quel male, senza poter rispondere. L’infermiera fece per toccargli un braccio e lui reagì scansandosi, continuando a tossire e diventando rosso in volto per lo sforzo continuo, sputando senza volerlo, un fiotto di sangue che andò a macchiare una mattonella del pavimento chiaro.

“Lasci stare, faccio io”. Disse Lana, alzandosi di corsa ed andando a cingere con un braccio i fianchi di Alex.

“Anche lei dovrebbe stare a riposo...”. Rispose l’infermiera, esasperata.

“Io sto bene”. Rispose a sua volta con tono di voce deciso ed aggressivo. Alex posò il braccio libero sulle spalle di Lana e a fatica riuscirono ad uscire dalla stanza, seguiti dall’infermiera evidentemente preoccupata.

“Devo vomitare...”. Riuscì a dire con voce roca Alex tra un colpo di tosse e l’altro. Lana guardò la ragazza bionda ed indicò loro la toilette più vicina.

Una volta arrivato in bagno, Alex si chinò sul water e senza nemmeno avere il tempo di alzare la tavoletta, sputò della saliva per poi rigettare una piccola porzione di sangue che macchiò tutto l’interno del sanitario di porcellana. Quando dopo un paio di minuti, i conati sembrarono essere passati, si sciacquò la faccia nel lavandino poco distante e poi il proprio sguardo andò a fermarsi sul piccolo specchio posto proprio sopra al lavandino: non ricordava di essere mai stato più pallido in vita sua ed il proprio viso era chiaramente molto più magro e scarno. I propri occhi, in quel momento non emanavano nessuna luce di speranza, nessuna ricerca di miracoli e nemmeno uno sprazzo di vitalità, semplicemente persi nel riflesso dello specchio.

Sapeva bene di essere spacciato e nessun opuscolo, libro o film su come affrontare quella terribile malattia che lo affliggeva avrebbero cambiato ciò che sembrava essere inevitabile, ovvero la propria morte di lì a breve.

L’oncologo gli aveva detto chiaramente e senza giri di parole che le probabilità di guarire con la chemioterapia erano molto scarse per non dire inesistenti. Alexander, inoltre, era già certo di non voler andare a cercare tutti i metodi possibili del mondo, ortodossi o no, naturali o meno, di guarire perché non sarebbe cambiato nulla e lo aveva potuto vedere proprio con i suoi occhi su sua madre, tanti anni prima, quando anche lei era morta per lo stesso male, cercando di combatterlo con la stessa terapia che era stata suggerita anche a lui.

Sapeva, quindi molto bene che doveva iniziare a convivere con la sicurezza della morte vicina, che un giorno molto vicino non si sarebbe svegliato più, che non avrebbe più visto albe o tramonti, che non avrebbe più potuto accarezzare il viso della donna che amava, che non avrebbe più sentito la sensazione dei propri piedi per terra, su un prato, sull’asfalto o in acqua. Non avrebbe più sentito il vento tra i capelli e non ci sarebbero più state delle lacrime sul proprio viso perché sarebbe svanito anche quello. Non avrebbe più potuto baciare le labbra di Lana o abbracciare una persona cara, perché non sarebbe più esistito, sarebbe semplicemente svanito nel nulla, come polvere trascinata via dal vento chissà dove…

Avrebbe voluto, qualche ora prima, non causare tutto quel panico alla donna che amava svenendo davanti ai suoi occhi e rischiando che lei si fosse fatta molto male dato che lui si era trovato alla guida in quegli istanti, ma purtroppo non era riuscito a prevederlo, non era riuscito a sentire quella sensazione in tempo e sentiva di aver fallito nel proteggerla.

Alex in quel momento, si accorse di essere certo anche di un’altra cosa: non voleva mostrare a Lana tutta quella depressione che sentiva dentro, perché non voleva che la donna che amava stesse ancora più male, non voleva che il proprio dolore dovesse essere forzatamente anche il suo e si ripromise che lei non avrebbe dovuto sapere nulla di quanto fosse terribile dover pensare alla morte di continuo, di come ci si sente nel sapere che la corsa è finita, che il traguardo è inevitabilmente vicino e dopo averlo superato, probabilmente ad attendere ci sarà solo un burrone.

Dal momento in cui Alexander nei due giorni seguenti allo svenimento aveva continuato a tossire sempre più di frequente e a rigettare ancora altro sangue, era stato trasferito in un ospedale vicino dove era disponibile un intero reparto dedicato ai malati terminali ed era seguito di continuo da una infermiera che gli teneva sempre il respiro e la pressione sotto controllo. Doveva però restare sotto sedativi a causa della sua tosse cronica che gli causava la malattia e di fianco al proprio letto aveva un secchio che veniva costantemente ripulito dai fiotti di sangue che lui di tanto in tanto era costretto a sputare.

Lana gli era stata vicina per tutto il tempo, addormentandosi per due notti di seguito su due sedie scomode sebbene lui l’avesse quasi supplicata di andare a dormire nel loro camper, dove ad attenderla vi era un letto di sicuro più comodo. Lei, ovviamente non aveva voluto sentire ragioni, spiegandogli quasi in lacrime e con la voce rotta dalla tristezza che non voleva perdersi nemmeno un secondo con lui, che voleva condividere con lui anche il loro leggero russare ed i loro sogni, come avevano sempre fatto negli ultimi dieci anni.

Nel frattempo, però si era già resa utile facendo un salto in farmacia per poter comprare dei medicinali che avrebbero alleviato il suo bruciore alla gola, la sua tosse persistente e i suoi conati di vomito, ovviamente sotto la prescrizione del medico di Alex.

Erano circa le quattro del pomeriggio e in quel momento Lana si trovava seduta accanto ad Alex: teneva un libro sulle gambe che sfogliava ogni cinque minuti con la mano libera, mentre con l’altra teneva stretta la mano di Alex che si era da poco svegliato. Lana aveva provato a parlargli, ma aveva lasciato perdere nell’aver notato che voleva semplicemente starsene da solo con i suoi pensieri, ma tenendo comunque stretta la mano della donna. Lui era il primo nel volere che lei non si allontanasse da lui per troppo tempo, ma ogni sera insisteva per farla andare a dormire in un letto decente e non su delle scomode sedie di legno. Ma era solo fiato sprecato e una parte di lui lo sapeva molto bene dato che conosceva Lana come le sue tasche, ormai.

Lana, però aveva notato una chiusura da parte di Alexander: era molto più spesso perso nei suoi pensieri e quando lei cercava di incitarlo alla chemioterapia, lui si metteva a dormire o cambiava discorso in un modo talmente subdolo che Lana finiva a parlare di sassi con lui senza nemmeno accorgersene.

Di lì a breve sarebbero venuti a trovarli Miles, Tayor e il padre di Alex, David e per Lana era arrivato il momento di discutere seriamente della decisione che avrebbe voluto prendere Al riguardo alla terapia suggerita dal medico.

Prese dunque un respiro profondo e chiuse il libro dalla copertina blu di colpo, attirando l’attenzione di Alex che spostò appena la testa verso di lei.

“Sono passati due giorni come avevamo pattuito. Sai di cosa voglio parlare, vero?”. Chiese Lana, cercando di mostrarsi decisa e voltandosi verso l’uomo che amava: giorno dopo giorno sembrava assumere un colorito sempre più pallido, come se quella malattia lo stesse derubando anche dei pigmenti della sua pelle; aveva i capelli unti e gettati all’indietro, ma qualche ciuffo andava a posarsi sulla sua guancia destra, i suoi occhi erano stanchi sebbene si fosse appena svegliato e le sue labbra erano secche e biancastre; la sua gola presentava un gonfiore a causa della tosse persistente che continuava a tormentarlo soprattutto al calar del sole e il suo corpo era decisamente troppo magro per la sua altezza e la sua età.

“Si che lo so. Ormai cerchi di parlare sempre di quello”. Disse Alex in un sospiro, lasciandosi sfuggire un breve sorriso triste. Lana lo vide ed abbassò per un attimo lo sguardo: le si stringeva il cuore ogni volta in cui vedeva un’espressione triste su quel volto scarno che continuava ad amare senza sosta.

“Quindi hai proprio deciso di non volerci provare nemmeno?”. Chiese lei, tornando a guardarlo negli occhi spenti.

“Per concludere cosa? Ho visto come è stato per mia madre e non voglio soffrire così tanto per niente”. Sussurrò lui: quando parlava con Lana, lo faceva sempre sottovoce, in modo da non scatenare la tosse cronica.

“Ma non è detto che sia così anche per te, Alex...”. Disse lei in un sospiro.

“E invece si visto che le mie possibilità di farcela sono pari al cinque percento”. Ribatté lui, alzando di mezzo tono la voce.

“Ma di che cosa hai paura, di vomitare ancora? Lo fai già adesso. Della tosse? Quella non ti manca. Forse la calvizie? Pazienza, i capelli ricresceranno”. Disse lei, alzando a sua volta la voce, lasciando la mano di Alex che teneva stretta fino al momento prima e lasciando poi cadere per sbaglio il libro per terra di cui però Alex fece in tempo a leggere il titolo.

Raccolta di testimonianze dei sopravvissuti al cancro? Davvero?”. Chiese lui, citando il titolo del libro, mettendosi seduto sul letto e guardando Lana con occhi diversi.

“E quindi? La maggior parte delle persone nel libro è guarita grazie alla chemio”. Ribatté lei, facendo sfuggire un piccolo sorriso ad Alexander che poi tornò subito serio.

“Lana, quei libri sono pieni di stronzate per far credere alla gente che si può guarire da tutte le malattie del mondo”.

“E allora? Se voglio crederci qual’è il problema?”. Chiese lei, alzandosi da quella sedia che improvvisamente si era fatta più scomoda di quanto già non lo fosse prima.

Alex guardò Lana esasperato e prima di rispondere, si spostò dei capelli dalla fronte, sbuffando.

“Ma come cazzo fai ad avere delle speranze in una situazione del genere?”. Chiese, andando poi a sorseggiare dell’acqua da un bicchiere che l’infermiera prima gli aveva appoggiato su un carrello al fianco del letto dove vi era pronta anche una flebo in caso ce ne fosse stato bisogno nella notte.

“Tu, invece hai deciso proprio di non provarci nemmeno?”. Chiese Lana, aggrottando le sopracciglia scure.

“E per concludere cosa? Magari anche se riuscirò a guarire, rimarrò un vegetale per il resto della mia vita, tu un giorno ti stancherai di me e scapperai lontano dal peso che sarò diventato. Preferisco la morte a una vita di sofferenza”. Alex era stato molto diretto, senza peli sulla lingua e poteva vedere Lana che si era spostata di fronte al letto sul quale lui era steso, aprire la bocca in segno di stupore e le sue graziose guance arrossarsi per la rabbia.

“Io ti resterei vicino sempre, anche se di te dovesse rimanere solo un occhio. Io non ti abbandonerei mai, come fai a pensare questo?!”. La voce della donna si era fatta ancora più alta.

“Qualunque essere umano vuole sfuggire ai problemi quando diventano troppi e fidati che dover badare ad una persona per ventiquattro ore al giorno per il resto della propria vita non è una passeggiata”.

“Ma per quale diavolo di motivo devi metterti a pensare al fatto che diventerai un vegetale?”. Chiese Lana esasperata, allargando appena le braccia.

“Io non ci penso proprio, un attimo fa stavo solo valicando le possibilità che ho di uscire da questa situazione e si contano su una mano. Francamente, quella che mi piace di più è quella di una semplice morte nel sonno, se mi sarà concessa”. Rispose lui, sollevando appena le spalle che lasciò poi cadere con un sospiro.

“Quindi non vorresti vivere ancora al mio fianco?”. Chiese Lana, in procinto di piangere.

Alexander sapeva che in quel momento doveva essere il più diretto e brutale possibile, in modo da non lasciarle intendere nulla che potesse darle anche solo la minima speranza. Spettava a lui il compito di renderla forte in quella situazione, di rafforzarla per non lasciarla poi soffrire quando se ne sarebbe andato.

“No. Io ho vissuto rendendoti felice e non continuerò a vivere rendendoti infelice”.

“E se tu andassi in coma?”. Chiese Lana con la tipica voce di chi è sul punto di esplodere in una valanga di lacrime.

“Firmerei per farmi staccare la spina”. Rispose lui, senza pietà.

Lana non resistette più e dai propri occhi già gonfi a causa delle poche ore di sonno, iniziarono ad uscire delle lacrime sincere, luccicanti e cristalline come diamanti puri.

“Vaffanculo”. Disse lei a voce alta per poi dargli le spalle ed uscire in fretta dalla stanza, spingendo appena Miles che era appena arrivato assieme a Taylor, James ed il padre di Alex.

Era uscita da una porta scorrevole che dava su un piccolo giardino sul retro e voleva solo piangere a dirotto fino a non avere più lacrime da consumare, ma non era sola: a pochi passi da lei vi erano dei medici che fumavano insieme una sigaretta, discutendo in terminologie troppo approfondite perché lei potesse capire qualcosa della loro conversazione e nemmeno voleva prenderne parte. Voleva solo restare da sola con se stessa, con la sua rabbia e la sua tristezza. Tornò quindi dentro e seguì le indicazioni lungo uno dei numerosi corridoi fino a raggiungere i bagni, ma anche li vi erano delle persone, quindi decise di uscire direttamente fuori dalla struttura e una volta entrata nel camper, finalmente poté lasciarsi andare al proprio pianto di sfogo.

Avrebbe voluto poter essere con Alex in quel momento, per dargli la forza di comunicare alle persone a lui care (James escluso) che gli rimaneva da vivere appena qualche mese, ma il dolore che sentiva dentro era troppo forte per poterle permettere anche solo di smettere di piangere. Si era seduta per terra, di fianco al divano e si stringeva i fianchi con le sue stesse braccia, respirando in modo affannoso e mugolando senza volerlo, mentre le proprie lacrime si riversavano sui jeans che in quei giorni erano stati inumiditi da altre cascate di lacrime che Lana si era concessa nel silenzio quando con una scusa, raggiungeva il camper.

Aveva già superato la fase della negazione, ma la rassegnazione, in lei, non era ancora sopraggiunta: avrebbe voluto provare ogni tipo di cura esistente sulla faccia della Terra per cercare di curare quel male atroce che contagiava Alexander, anche se si fosse trattato del rimedio più assurdo del mondo, lei avrebbe voluto tentarlo pur di poter vedere anche solo un minimo segno di guarigione da parte di Alex.

Negli ultimi giorni aveva tentato di evitare di pensare al fatto che lui di li a breve o forse anche prima, avrebbe potuto chiudere gli occhi per sempre, ma poi ogni volta in cui lui cedeva al sonno, lei iniziava a controllare che respirasse ancora, che l’elettrocardiogramma fosse stabile ed inevitabilmente, finiva per piangere in silenzio perché sapeva bene dentro di se, che sarebbe arrivato il giorno in cui il macchinario sarebbe impazzito per poi segnare, senza battere ciglio, che il suo cuore avrebbe smesso di battere e lui non sarebbe più esistito, lasciando nel mondo terrestre solo un corpo senza vita, solo un cumulo di carne e organi e il volto che lei non aveva mai smesso di amare.

Non riusciva a capire perché Alex non volesse curarsi e sebbene lui avesse tentato di spiegarle le sue ragioni poco prima, Lana non gli credeva: lo conosceva fin troppo bene e sapeva che le stava nascondendo qualcosa che non voleva dirle, dei pensieri intimi che non voleva condividere con lei e quando prima lei gli aveva chiesto di provare con la chemioterapia, lui aveva solo sviato ancora il succo del discorso per essere brutale con lei, in modo che Lana poi non avrebbe aperto il discorso ancora una volta.

Ma lui non aveva idea di come si sentisse lei in quei giorni: non sapeva cosa si provasse nel sapere che presto la vita le avrebbe strappato l’unica persona che aveva sinceramente amato e che non avrebbe mai sostituito, per tutta una vita; non sapeva del panico che la afferrava dritto alla gola, strangolandola, quando lui chiudeva gli occhi o quando iniziava a vomitare sangue. Lui non aveva la più pallida idea di come si sentisse Lana nel sapere che avrebbe dovuto vivere all’ombra, senza la luce che emanava Alex, senza il calore che emanava il suo corpo anche nei giorni più freddi, senza le sue risate sincere, senza sentirlo canticchiare mentre dipingeva, senza poter rimanere incantata quando lui suonava la sua preziosa chitarra, senza poter sognare quando le loro labbra si incontravano, senza i suoi occhi che a volte rimanevano incantati a guardarla mentre lei scriveva, ripetendole che era la creatura più bella che lui avesse mai visto.

Lei si sarebbe sentita nulla senza di lui, avrebbe vissuto il resto della propria vita in malinconia e nuotando nelle proprie lacrime oppure per disperazione, si sarebbe tolta la vita.

Forse si può pensare che Lana la stesse pensando in quel modo perché era evidentemente molto scossa nell’aver dovuto apprendere che Alex, il suo Alex presto sarebbe morto, ma la verità era che entrambi si amavano da troppo tempo e troppo intensamente per poter pensare di vivere separati anche solo per pochissimo tempo; anzi forse il vivere separati avrebbero anche potuto accettarlo, perché avrebbero avuto entrambi la speranza di ritrovarsi, un giorno come era già accaduto dieci anni prima. Ma Lana non poteva sopportare di dover perdere per sempre Alex.

Si asciugò con il dorso della mano gli occhi bagnati dalle lacrime e posò gli occhi sul posto del guidatore: immediatamente le tornò alla mente lo svenimento di Alex di qualche giorno prima e sentì lo stomaco stringersi ed annodarsi ancora di più.

Poi le riaffiorarono anche i numerosi flashback di tutte le volte in cui Alexander, per non far preoccupare Lana, cercava di trattenere la tosse o sputava sangue lontano dalla sua vista: era sempre stato altruista, ma solo con lei, con l’unica persona che a detta sua, meritava bontà d’animo e lo era stato con lei anche in quei momenti, magari sapendo bene dentro di sé che qualcosa nel suo corpo non andava affatto bene.

Lana si alzò, accorgendosi del fatto che lei invece, poco prima, discutendo, era stata egoista ed aveva pensato solo a se stessa nel volergli imporre di sottoporsi alla chemioterapia senza voler udire un “no” come risposta. Invece lui aveva tutte le ragioni per avere libertà di scelta in merito dal momento che era lui il padrone unico del suo corpo e della sua mente. Aveva ascoltato le parole dei medici con calma, senza però venire influenzato dalle solite parole di conforto provenienti dagli infermieri, senza lasciare che la fantasia di una guarigione mettesse radici nella sua testa e mantenendo un atteggiamento che Lana aveva scambiato per pessimismo, ma che invece era solo realismo.

Decise di tornare dentro: ora che era riuscita a riflettere e che era consapevole del fatto che non era suo dovere scegliere al posto di Alex per la sua vita; andò a sciacquarsi la faccia nel tentativo di mascherare gli occhi rossi e quando raggiunse la stanza dove era stato ospitato Alexander, salutò le persone presenti con delle strette di mano per poi andare a sedersi al fianco di Alex, stringendogli nuovamente la mano che lui aveva lasciato nello stessa posizione da quando lei, mezz’ora prima l’aveva lasciata. Quando lui terminò di spiegare a suo padre una cosa riguardante la propria malattia, si voltò appena verso Lana e le sussurrò, con un debole sorriso tra le labbra spente:

“grazie di aver capito”.

Taylor, James, Miles e David restarono con Lana e Alex per altre due ore che sembrarono non passare mai per quest’ultimo: Taylor e Miles non riuscivano a parlare senza prima versare delle lacrime, mentre invece David, il padre di Alex, continuava a negare la malattia che affliggeva il figlio dicendo che era tutta autosuggestione e cose simili. James, invece restava seduto in disparte, limitandosi a rispondere alle domande che di tanto in tanto gli venivano rivolte e passando un nuovo fazzoletto a Taylor quando lei era costretta a buttare quello vecchio. In fondo, tra lui ed Alex non era mai scorso buon sangue in quelle volte in cui era capitato loro di vedersi ed era chiaro che lui si trovasse li unicamente nel ruolo di accompagnatore. Lana aveva notato di tanto in tanto, delle occhiate di James alle proprie gambe o al proprio busto, ma aveva fatto finta di niente, tenendo la cosa per se: sebbene lei come Alex avesse trentasette anni, con la vita che aveva condotto negli ultimi dieci anni, poteva vantare ancora un corpo da ventenne ed anche un viso piuttosto giovanile e trovava normale che di tanto in tanto, persone di sesso opposto e talvolta anche alcune donne, si soffermassero a guardarla.

Quando finì l’orario delle visite e l’infermiera di turno accompagnò gli ospiti fuori dalla porta eccetto Lana che fin da subito aveva protestato per restare sempre accanto al suo amato, Alex tirò un sospiro di sollievo e posò gli occhi scuri su quelli di Lana. “Credevo che Taylor non avrebbe più smesso di piangere”.

“E’ comprensibile, le sei sempre stato molto caro e dovresti essere felice del fatto che ti voglia ancora così tanto bene”. Rispose lei, andando ad accarezzare i capelli sporchi di Alex, aggiungendo poi con una smorfia: “quando ti faranno un bagno? Puzzi di qualcosa andato a male”.

Alex ridacchiò ma fu interrotto, prendendo subito a tossire e Lana si spostò, andando a mettere la bacinella vicino al suo letto: ormai entrambi sapevano riconoscere quando si trattava solo di tosse e quando invece lui aveva bisogno di rigettare del sangue.

Dopo che lui fu riuscito a liberarsi del sangue che sempre più spesso andava a tappargli la gola con l’aiuto con l’aiuto di due infermieri che Lana aveva chiamato, rimasero di nuovo da soli ed Alex, più pallido di prima, disse:

“ho deciso come passare il tempo che mi rimane”.

Lana che si era seduta nuovamente al fianco dell’uomo che amava, gli chiese, mentre accarezzava la sua guancia.

“Che cosa ti piacerebbe fare?”. Chiese lei, curiosa di conoscere la sua risposta che di sicuro l’avrebbe sorpresa.

“Abbiamo passato una buona parte della nostra vita insieme in viaggio, scoprendo un sacco di luoghi bellissimi senza fermarci mai. Ora voglio tornare a casa”. Disse lui sottovoce.

“Vuoi andare ad Iron Valley?”. Chiese lei, spostandogli un ciuffo di capelli dietro l’orecchio con dolcezza.

 

“No, voglio tornare nella nostra casa, dove la nostra vita è cominciata e dove ci siamo conosciuti. Voglio tornare a Woodville, luce della mia vita”.

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Capitolo 33
*** Capitolo 30. ***


Lana ed Alex si trovavano a bordo del loro amato camper che nel corso di quegli ultimi dieci anni li aveva accompagnati in tutti i viaggi che avevano fatto insieme, senza mai abbandonarli; nonostante delle volte avesse dato dei segni di cedimento, con l’aiuto di un buon meccanico erano sempre riusciti a ripararlo ed ora, nonostante alcuni difetti ed i numerosissimi chilometri, quel camper sembrava ancora lontano dall’abbandonare i suoi due ospiti. Erano passati due giorni da quando le persone care ad Alex erano andate a trovarlo nella clinica e lui prima di farsi dimettere, aveva pensato seriamente alla chemioterapia, ma alla fine aveva scelto, ancora una volta di non curarsi e di lasciare il suo corpo al sicuro da tutti quei medicinali che in breve tempo lo avrebbero ridotto allo stato di uno zombie senza nemmeno avere la forza di pensare con la proprio testa. Ora lo sguardo di Alexander era posato su uno dei finestrini del camper e sdraiato sul letto dell’abitacolo, lasciava scorrere gli occhi sul paesaggio che si muoveva veloce attraverso essi. Lana era alla guida, a qualche passo da lui nella cabina del guidatore e gli aveva imposto di restare nel letto o lo avrebbe abbandonato in mezzo alla strada. Lui sapeva benissimo che lei stava solo scherzando e che non lo avrebbe mai fatto e quindi, di tanto in tanto si divertiva a fare finta di alzarsi dal letto solo per sentire Lana intimargli di stare sdraiato con voce severa, come quella che usano le insegnanti con i bambini troppo capricciosi. Lui non poteva fare a meno di ridere nel vedere lei dimostrargli amore in quel modo: si stava dimostrando terribilmente forte da quando erano venuti a sapere della malattia di Alex e lui dentro di sé, sapeva che purtroppo non avrebbe vissuto abbastanza per poter ringraziare Lana per tutto ciò che stava facendo per lui. E sapeva bene che lei dipendeva da lui come lui da lei e capiva bene il motivo per cui delle volte si scatenavano delle discussioni accese tra loro: era semplicemente perché si volevano bene e non volevano nemmeno immaginare di restare separati. Tuttavia, invece Alex nell’ultima manciata di giorni era stato costretto ad accettare il fatto di dover lasciare la terra senza avere la certezza del fatto che ci sarebbe stata lei da qualche parte, nello spazio, nell’aldilà o chissà dove, ad aspettarlo. E quel pensiero gli faceva forse più male della malattia stessa che gli stava distruggendo velocemente i polmoni. Era stato costretto a dover accettare anche il fatto di sapere più o meno il lasso di tempo nel quale avrebbe cessato di vivere e ora sapeva per certo che era molto meglio vivere senza sapere la propria data di morte perché lui, con la consapevolezza da poco acquisita, non faceva altro che soffrire di insonnia e avere gli incubi quando riusciva a chiudere gli occhi per qualche ora; c’erano dei momenti in cui supplicava la propria anima di farla finita in quel determinato momento piuttosto che dover aspettare ancora, ma erano solo momenti che duravano un batter d’occhio perché poi, quando li riapriva e vedeva il volto della sua amata, si rimangiava tutto siccome ritornava in lui l’assoluta certezza del voler vivere accanto a lei fino all’ultimo millisecondo della propria vita. “Alex, guarda fuori. Siamo a casa, finalmente”. Disse Lana con voce dolce che nel frattempo, continuava a guidare, prestando attenzione sia alla guida del camper che allo specchio retrovisore, per assicurarsi che l’amato fosse nel letto e che stesse bene per il momento. “Rallenta, voglio godermi il paesaggio”. Disse Alexander, iniziando poi ad alzarsi lentamente dal letto, facendosi sfuggire qualche colpo di tosse per poi avvicinarsi con cautela al posto del passeggero ed una volta sedutosi accanto alla donna, poté finalmente sorridere di cuore nel vedere il loro paese natale, il luogo in cui le loro vite erano iniziate e si erano andate ad intrecciare insieme. Lana lo aveva ascoltato ed aveva rallentato fino a guidare quasi a passo d’uomo: anche lei era evidentemente emozionata nell’essere lì con lui ed istintivamente, andò a sfiorare la sua mano pallida. Alex strinse forte le dita rosee di Lana e si guardarono per un attimo, con degli occhi luccicanti di emozioni e dei sorrisi commossi appena accennati sulle loro labbra. Appena qualche centinaio di metri dopo il cartello bianco con incisa sopra la scritta “Welcome to Woodville”, vi era il bar dove molto, moltissimo tempo prima, Alex ricordava di ave fatto una scenata con Taylor davanti agli occhi increduli della giovane Lana che poi si era data alla fuga dopo la rivelazione del loro bacio a Taylor che ai tempi aveva ancora una relazione turbolenta con lui. Sembrava che anche Lana se ne stesse ricordando, infatti le sfuggì una piccola risata, dicendo poi: “tu non hai idea di quanto ti stessi maledicendo mentre tu litigavi con Taylor”. Alex non poté fare a meno di ridere e rispose alla donna: “beh, ai tempi sia io che lei tiravamo polvere bianca come degli aspirapolvere ed eravamo sempre in vena di urlarci addosso”. “Come qualunque coppia sana”. Rispose Lana, scuotendo appena la testa mentre continuava a guidare, felice di ritrovarsi nel loro paese natio che brulicava dei loro ricordi. “Però pensaci un secondo: se io quel giorno mi fossi tenuto per me il fatto del bacio che ci eravamo dati nel bosco, forse ora le cose sarebbero diverse. Forse staremmo vivendo delle vite infelici con delle persone che non amiamo o forse ci sarebbe accaduto altro nelle nostre vite”. Lana ci rifletté su per qualche secondo e si ritrovò subito d’accordo con Alex. “Hai ragione, ad ogni azione corrisponde una reazione, perciò tutto ciò che ci è accaduto, probabilmente è stato per riavvicinarci. Ad esempio, io quando avevo saputo da Taylor che tu ti eri rimesso con lei, io avrei anche potuto semplicemente non risponderti al telefono quella sera e farmi piacere di forza James”. “Invece siamo insieme ed io non potrei esserne più felice. Questi anni con te sono stati...”. “Shh, non usare i verbi al passato. Stiamo ancora vivendo il nostro presente”. Disse Lana, interrompendo la frase di Alex a metà. Lui si voltò verso di lei, che aveva preso a battere velocemente le palpebre e a mordersi il labbro inferiore mentre era concentrata sulla strada, come solitamente faceva quando era prossima alle lacrime e lui non poté fare a meno di stringere ancora la sua mano e sussurrarle, avvicinandosi appena a lei: “non potrei desiderare un presente migliore di questo”. Arrivati alla casa dei genitori di Lana, di comune accordo lei ed Alex avevano deciso di tornare al vecchio bosco che per fortuna esisteva ancora, anzi sembrava essere più rigoglioso che mai: Woodville, negli ultimi anni era rimasta più o meno la stessa, con la differenza di alcuni edifici messi a nuovo a causa di un alluvione che si era verificato qualche anno prima il quale era andato a demolire tutte le strutture troppo vecchie per reggersi ancora in piedi. Mentre avevano ripercorso le familiari strade del piccolo paese, Lana ed Alex avevano notato con piacere che anche la popolazione sembrava essere aumentata, soprattutto per quanto riguardava i giovani e quella crescita demografica era sicuramente dovuta al nuovo liceo e a dei nuovi negozi che avevano notato come una libreria ed un grande negozio di musica che ora era diventato unico grazie alla fusione con la biblioteca di paese. Fortunatamente, però la natura rigogliosa era stata preservata con cura e sia il lago che i boschi nei dintorni sembravano essere ancora intatti nel loro antico splendore. Erano i primi giorni di un Luglio piuttosto torrido, ma né Alex e né Lana avevano intenzione di lasciarsi abbattere dal caldo soffocante ed erano intenzionati a trascorrere ciò che restava del pomeriggio e parte della sera in quel bosco vicino al lago, dove sin da piccoli avevano creato dei ricordi e dove i sogni non avevano mai smesso di regnare, ignari del mondo reale, ignari della crudele vita che invece vi era al di fuori di esso. Così, dopo essersi preparati alla svelta dei panini ed essersi caricati in spalla i loro amati strumenti musicali, Lana ed Alex presero a piedi le strade sterrate secondarie per evitare di farsi riconoscere da qualcuno del posto e di dover essere obbligati a conversazioni inutili che avrebbero rubato loro solo del tempo prezioso, riuscirono a raggiungere finalmente il loro amato posto felice, il luogo dove da ragazzini, sognavano di diventare re e regina di un enorme castello che avrebbero costruito proprio lungo tutta la catena montuosa che circondava per metà la cara e vecchia Woodville. “Lana, li senti anche tu i brividi?”. Chiese Alex mentre camminava lentamente a fianco della donna che amava, la quale si voltò subito preoccupata verso di lui per toccargli la fronte. “Hai di nuovo la febbre? Se ti senti male, ti porto a casa”. Disse lei, con gli occhi che subito si erano fatti seri e tristi. “Ma no, io dicevo i brividi nel ritrovarci qui, in questo luogo”. Spiegò lui, accennando un sorriso dolce nel vedere lei preoccuparsi subito per lui in un modo ancora così amorevole sebbene avessero già passato insieme dieci anni. “Oh… Ho frainteso. Ma tu non ridere di me, scemo”. Rispose lei ridendo, andando poi a spingere appena Alex, facendo però attenzione a non metterci troppa forza dal momento in cui la sua salute era diventata cagionevole. “Sei tu la scema, hai sempre la testa tra le nuvole”.Ribatté Alex, mantenendo il suo sorriso furbo tra le labbra. “Meglio le nuvole che le tue battute idiote”. Disse lei, continuando a sorridere: facevano spesso quel gioco di stuzzicarsi a vicenda quando litigavano o quando, in situazioni come quella, vi era una atmosfera particolare. “Come fai ad arrivare alle nuvole, ti arrampichi sugli alberi come le scimmie?”. “Meglio tentare di raggiungere le nuvole che la tua idiozia”. Rispose lei, sempre con la battuta pronta quando iniziavano a scherzare in quello strano modo. “Okay, stavolta hai vinto tu”. Disse Alex, andando poi a stringersi a Lana che ne approfittò per rubargli la chitarra che avvolta nella custodia nera, si era caricato prima su una spalla. “Quindi ora fammi portare questa e taci”. Rispose lei mentre si faceva carico dello strumento, facendo sorridere ancora una volta l’amato che non poteva fare a meno di ammirarla: lui la osservava senza che lei se ne accorgesse e Lana sembrava aver già capito il fatto che Alex non volesse essere trattato in alcun modo come un malato, qualcuno di cui doversi prendere cura. Lei continuava a ridere e scherzare con lui, facendolo sentire a proprio agio e non un peso inutile ed Alexander non aveva parole per esprimere la gratitudine che aveva per lei. Ancora una volta sembravano sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda, sembravano appartenere allo stesso mare di pensieri e lui non avrebbe potuto chiedere una partner migliore di lei. A volte, quando nel corso degli anni loro discutevano, Lana era solita dire ad Alex di andare a cercarsi una ragazza che fosse più bella o più furba o più intelligente o più talentuosa di lei e lui puntualmente, le rispondeva con un bacio, senza aprir bocca e dire qualcosa che non avrebbe risolto nulla. La baciava, semplicemente e la stringeva forte a sé, la baciava così forte ed appassionatamente per ricordarle che lei era l’unica persona al mondo che lo avrebbe completato e viceversa e lui aveva sempre adorato farla sentire in quel modo e solo il pensiero che presto lui avrebbe dovuto lasciare il mondo terreno senza poter far sentire Lana una parte di sé, l’unica donna al mondo che voleva amare, gli faceva venire voglia di piangere e di urlare al contempo… “Oddio, guarda!”. La voce di Lana, fattasi improvvisamente squillante, interruppe i pensieri di Alex che sorrideva nel vedere la donna saltare agilmente un tronco per poi fermarsi davanti ad un salice piangente. “Ti ricorda qualcosa?”. Chiese Lana con un sorriso a trentadue denti che le illuminava il volto, innocente e cristallino. “Mi ricorda di quando avevi perso la gara che avevamo fatto insieme, scarsa che non sei altro”. Rispose lui, lasciandosi sfuggire un sorriso. “Veramente eri tu che imbrogliavi, come al solito”. Rispose lei, incrociando le braccia e fingendosi offesa. Alex appoggiò per terra la busta che teneva in mano contenente cibo e bibite, quindi si avvicinò velocemente a lei ed una volta di fronte a Lana, le accarezzò dolcemente il viso, soffermandosi a guardare per qualche secondo i suoi lineamenti che nel tempo era arrivato a memorizzare nella propria testa: i suoi occhi scuri e dolci che in quel momento erano teneri come quelli di un puledro appena nato, i lineamenti fini e leggermente marcarti, le sue guance che appena venivano sfiorate dalle mani di Alex, assumevano un leggerissimo rossore, le sue labbra carnose che avevano fatto sognare infinite volte Al per tutte le volte in cui si erano baciati, le sue lunghe ciglia, i suoi lunghi capelli che in quel giorno avevano un leggero odore di lavanda, il suo collo dalla linea elegante… Lei stava per dire qualcosa, ma Alex lo impedì, andando a stringere forte a sé un fianco della ragazza mentre l’altra mano scivolò lungo la schiena della donna, stringendo anch’essa per poi baciarla con tutta la foga che sentiva dentro alla propria anima: voleva sentirsi ancora più vicino a lei e voleva soprattutto che lei si sentisse l’unica donna al mondo che valeva la pena di amare, l’unica su cui gli occhi di Alex avevano e avrebbero desiderato posarsi. Non si fermarono solo a quel bacio: entrambi provavano il forte desiderio di volersi, di sentirsi uniti e sebbene fossero sempre stati spinti da quel desiderio ogni volta in cui facevano l’amore, quella volta la disperazione li guidava come un maestro d’orchestra perché tutti e due sapevano molto bene che presto sarebbe finito il tempo in cui avrebbero potuto stringersi, baciarsi o sfiorarsi o semplicemente guardarsi negli occhi. Lana non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire delle lacrime subito dopo l’amplesso, perché per lei era ancora troppo presto per perdere lui, la persona che amava e nudo nel prato, ai piedi del salice, mentre accarezzava dolcemente una spalla della ragazza, anche Alex pensava alla stessa cosa, ma non proferiva parola: cercava di impegnarsi ad imprimere nella mente ogni dettaglio del corpo di Lana, persino quello delle sue lacrime che scendevano calde a rigarle il dolce viso per poi andare a bagnare gli steli d’erba, come se magari, una volta terminata la propria esistenza avesse potuto portare con sé, almeno il ricordo della donna che non aveva smesso per un solo istante di amare in tutti quegli anni. “Non lasciarmi”. Sussurrò Lana con una voce tanto bassa e triste da far venire la pelle d’oca ad Alex nonostante fossero nel mese di Luglio. “Porterò il tuo ricordo con me anche dopo la morte”. Sussurrò in risposta lui, altrettanto commosso e suggellarono poi la loro intima promessa con un bacio. Il giorno e la notte iniziarono ad alternarsi troppo velocemente per Alex e Lana. Passavano giornate intere nei boschi di Woodville, completamente da soli, fino ad arrivare a conoscerli a memoria e la sera non volevano saperne di tornare nella casa dei genitori di Lana: il cielo del loro paese natio era troppo bello per non essere osservato, mano nella mano, sdraiati tra le lunghe distese d’erba o vicino al fiume che scorreva lento ed inesorabile tra gli alberi antichi che formavano quei posti meravigliosi. Per loro era facile perdersi ad osservare la natura che li circondava e spesso si fermavano a guardare incantati anche i piccoli animali che popolavano quei boschi come gli scoiattoli, le lepri, i picchi, le bisce di fiume, i pesci che vivevano nei piccoli stagni che si potevano trovare qua e là nella natura selvaggia,i volatili come i passeri e le allodole e talvolta riuscivano anche a scorgere i timidi cervi che si avvicinavano di primo mattino alle sorgenti d’acqua per potersi abbeverare. Erano tornati anche al vecchio ponte che per fortuna nessuno aveva ancora distrutto per costruirne uno nuovo. A Lana era subito venuta in mente quella volta, molto tempo prima, in cui lui si era rivelato a lei per ciò che era, spiegandole le motivazioni per cui, ai tempi aveva intrapreso quello stile di vita piuttosto frenetico e sbandato. Anche in quel luogo, una notte si erano addormentati abbracciati stretti l’uno all’altra nonostante il caldo: nessuno tra i due aveva intenzione di stare anche solo un secondo separati e per Lana era già troppo faticoso dover lasciare da solo Alex a casa per un’ora quando a volte era costretta a separarsi da lui per andare a comprare dei viveri o altre cose essenziali come dei calmanti per la tosse di Alex ed altre medicine che lui era costretto a prendere se voleva riuscire a dormire la notte. Per Alex, era chiaro che il tumore si stesse espandendo piuttosto in fretta anche senza fare esami specifici in ospedale: poteva sentirlo dalla tosse che in alcune occasioni, sempre più frequenti, non accennava a fermarsi, talvolta anche facendogli mancare il respiro per alcuni secondi dato lo sforzo enorme che faceva con la gola; poteva vederlo quando in piena notte si svegliava con i conati di vomito ed era costretto a rigettare grandi porzioni di sangue. Quando restavano a dormire a casa, Lana non era capace di chiudere occhio se prima Alex non riusciva a fare sonni tranquilli. Spesso gli sussurrava all’orecchio con pazienza e dolcezza infinita delle canzoni che si erano dedicati a vicenda nel corso degli anni come Love me tender o Stand by me o la loro preferita in assoluto che era Always di Frank Sinatra. Dopo tre settimane di permanenza a Woodville, per Lana ed Alex iniziava ad essere molto difficile poter fare anche solo una breve passeggiata fuori casa perché lui ormai era diventato troppo debole a causa della malattia che lo attanagliava e già alzarsi dal letto al mattino per lui, era diventata un’impresa: il tumore stava succhiando tutta la sua essenza vitale come una succube e gli toglieva la forza nelle braccia, nelle gambe, persino nella mente. Ma Alex non voleva saperne di farsi abbattere da quel tumore e cercava in tutti i modi di resistergli, di continuare a fare tutto ciò che voleva impedirgli, come aiutare Lana a preparare il pranzo o suonare la sua chitarra o stare sul divano aggrappato a lei a guardare un film insieme. Per lui stava diventando difficile anche restare sveglio e spesso sentiva il bisogno di dormire molto più frequentemente perché quella malattia gli toglieva tutte le energie, ma lui non voleva saperne di lasciarsi sconfiggere dal sonno quando la sua unica ragione per restare sveglio e non chiudere mai gli occhi, si prendeva amorevolmente cura di lui, senza mai fargli mancare nulla, senza lamentarsi nemmeno una volta, continuando a dargli tutto l’amore che aveva dentro, sebbene delle volte Lana non riuscisse proprio a non scoppiare in lacrime quando guardavano un film drammatico o persino quando lo aiutava a lavarsi o quando udiva la sua tosse colpirlo così forte da stroncarlo e lasciarlo senza forze. Lana non si era mai arresa di fronte alla malattia di Alex, nemmeno quando le lacrime nei propri occhi erano diventate così tante da non riuscirle ad asciugare con un solo fazzoletto, nemmeno quando ogni notte lui cadeva in uno stanco sonno e lei di nascosto pregava che quella, come le notti prima, non fosse l’ultima per lui, che fosse concesso ad Alex ancora qualche granello della grande clessidra del tempo, che ancora un altro giorno le fosse concesso l’onore di poter vedere ancora della vita negli occhi dell’uomo che amava, di poter posare una mano sul suo petto e sentire ancora il suo cuore battere, di stringerlo tra le proprie braccia e di poter sentire ancora per un po’ il suo respiro costante. Ma tutte le preghiere che Lana rivolgeva al destino non bastavano: lei sapeva bene dentro di sé, che le ore di Alexander erano contate. Lui non mangiava quasi più, la sua gola era tumefatta e quando ingeriva più di ciò che gli consentiva il suo corpo, doveva essere accompagnato da Lana in bagno per rigettare in fretta ciò che aveva mangiato, soffrendo il doppio per l’ulteriore sforzo che doveva fare con la gola. Aveva perso altri chili e la sua pelle aveva iniziato ad essere grigiastra, come quella di un cadavere; i suoi occhi erano perennemente cerchiati da pesanti occhiaie livide e anche solo parlare troppo a lungo o respirare, gli costava un enorme sforzo. Lana che aveva visto in diretta la distruzione fisica e mentale di Alex, a volte si sentiva male e nella notte si alzava per andare a vomitare: le era capitato di desiderare, nel proprio intimo, di voler stare male come lui, di voler provare lo stesso dolore che stava provando lui nel sentirsi strappare dalle mani la vita giorno dopo giorno, addirittura di voler morire con lui quando sarebbe arrivato il momento, ma poi lui le sussurrava con la poca voce che gli restava di amarla più di ogni altra cosa al mondo e lei ci ripensava su, decidendo che avrebbe trovato un modo per far conoscere a più persone possibile tutto l’amore di cui era capace Alex, tutta la sua forza di volontà nel voler passare con lei ogni minuto della sua vita, tutto il suo coraggio nell’affrontare quella malattia mortale senza far conoscere a lei il suo terrore nel sapere che presto tutto sarebbe finito, che presto avrebbe trovato la risposta ad una delle più grandi e antiche domande dell’essere umano, ma che avrebbe portato via con sé, chissà in quale luogo, chissà sotto quale forma. Lana era spaventata anche da un dubbio che spesso la percuoteva dall’interno, togliendole ore di sonno: non sapeva cosa sarebbe accaduto al suo partner una volta lasciato quel pianeta, non sapeva se si sarebbe dissolto semplicemente nel nulla, se la sua energia si fosse unita a qualcosa di mistico che loro non erano in grado di vedere, non sapeva se si sarebbe reincarnato, non sapeva se avrebbe potuto incontrarlo ancora una volta dopo la propria morte. Ne aveva letti di libri a riguardo, negli ultimi giorni, quando Alex si concedeva uno dei suoi lunghi sonni sempre più frequenti ma non riusciva ancora a credere in qualcosa, ad attaccarsi ad un credo per mettersi il cuore in pace almeno sotto quell’aspetto perché le sembrava tutto così effimero e non le riusciva proprio di credere in qualcosa solo per necessità e a volte si ritrovava a desiderare di essere così accecata da una religione da poter credere che ci sarebbe stato qualcosa dopo la morte, ma invece era condannata a cercare risposte, a non trovarle e a farsi ancora più domande di quante ne avesse in partenza. Alex, di tanto in tanto, quando sonnecchiava sul divano accanto a lei e riapriva appena gli occhi stanchi, sentiva il proprio cuore stringersi nel vederla così concentrata nel cercare risposte nei libri o attraverso ricerche sul computer per assicurarsi che lui fosse stato bene una volta lasciato il mondo terreno. Non le aveva mai chiesto di smettere di torturarsi in quel modo, perché lui avrebbe fatto lo stesso se la situazione fosse stata invertita, anzi spesso si ritrovava a chiedersi come facesse Lana a non impazzire, a chiedersi quanto fosse grande il suo autocontrollo perché lui sapeva bene che a ruoli invertiti, non avrebbe mai sopportato di vivere con quel peso, con la consapevolezza che lei molto presto se ne sarebbe andata, lasciandolo da solo. Evitava, quindi di creare discussioni inutili che si sarebbero prolungate poi con dei silenzi lunghi qualche ora che a lui avrebbero fatto male come anni di torture, soprattutto con quella maledetta consapevolezza del fatto che presto sarebbe morto. Qualche giorno dopo, all’alba di un nuovo giorno, Alexander si svegliò con una strana sensazione addosso e seppe subito di cosa si trattasse, senza avere il bisogno di sfuggirle, senza fingere di non sapere di cosa si trattasse perché ogni terminazione nervosa del proprio corpo, sembrava comunicargli la fine, ogni cellula gli stava comunicando che stava per tagliare il traguardo e non ci sarebbe stato nessuno ad attenderlo per consigliargli una coppa o una medaglia. Probabilmente ci sarebbe stato solo buio, un eterno abisso, un labirinto senza uscita, un punto indefinito oltre la stratosfera, oltre le barriere dove non avrebbe fatto altro che perdersi nell’oscurità per sempre. O forse non sarebbe esistito nemmeno in suo spirito, forse sarebbe solo cessato di esistere e ciò lo terrorizzava. Voltò appena il proprio corpo verso quello di Lana con molta cautela, facendo molta attenzione nel non risvegliare la propria tosse cronica che per il momento sembrava volerlo lasciarsi godere quella frazione di mortalità che gli restava. Nel vedere Lana dormirgli di fianco, con un braccio posato sul proprio bacino come se avesse paura che lui avrebbe potuto dissolversi nel nulla mentre lei non guardava, Alex non poté fare a meno di piangere silenziosamente. Indubbiamente, il volto della donna che amava era ciò che gli sarebbe mancato di più vedere se mai avesse avuto coscienza dopo la morte terrena ed ogni spazio temporale, ogni paradiso, ogni aldilà sarebbe stato inferno per lui, senza poter toccare, baciare o anche solo osservare colei che era la sua più grande gioia, colei che aveva mostrato le intimità più nascoste della sua anima solo a lui, colei che nel corso di tutti quegli anni passati insieme, gli aveva tenuto la mano nonostante tutto. Alex andò a posare, silenziosamente per non rischiare di svegliarla, i polpastrelli delle dita su una sua guancia,facendole scorrere delicate fino al suo mento per poi tornare sul suo zigomo leggermente pronunciato e ripetere il gesto almeno per una decina di volte, mentre il sole iniziava a sorgere e alcuni timidi raggi iniziavano a farsi largo nella stanza, andando ad accarezzare i loro corpi seminudi, ricoperti solo dalla biancheria intima dato il caldo di quei giorni. Ad Alex venne in mente un giorno di molto tempo prima, quando si svegliò prima di lei e si mise a farle un ritratto, nell’intimità della loro piccola stanza in un motel a Parigi, all’alba di un nuovo giorno di estate e ricordò chiaramente l’emozione brillare negli occhi di Lana che si era svegliata un paio d’ore dopo, nel vedere quel ritratto, non potendo credere al fatto di essere meravigliosa anche quando dormiva, quando la sua mente ritrovava il piacere dei sogni e la sua faccia si crogiolava beata nel meritato riposo. Avrebbe tanto voluto farle un ritratto anche in quel momento, ma sapeva di non avere tutto quel tempo a disposizione e l’ennesima lacrima silenziosa andò a rigare il suo volto per poi finire sul cuscino, bagnandone la sottile federa di cotone. Avrebbe voluto scriverle poesie, lodando tutte le virtù che lei spesso si convinceva di non avere, avrebbe voluto scriverle delle canzoni allegre da suonare con la chitarra al chiaro di luna, per ricordarle quanto fosse luminosa la sua anima, avrebbe voluto poter baciare ogni centimetro della sua pelle per potersi insinuare nella sua anima e dirle con quei baci che si appartenevano e che il loro legame era indissolubile. Invece si era soffermato a guardarla, perché tutto ciò che voleva in quel momento era almeno la sopravvivenza di un briciolo della propria mente, quella piccola stanza affollata di ricordi di una vita. Li avrebbe cancellati tutti solo per poter custodire il ricordo del volto della donna che amava. “Ti amo”. Sussurrò in un tono di voce così basso da risultare quasi del tutto inudibile. In un primo minuto, ebbe paura che lei si fosse svegliata, interrompendo la beatitudine dei suoi sogni, ma fortunatamente Lana restava dormiente e lui ne approfittò per sussurrarle ancora qualche parola. “Grazie per essere stata te stessa fino in fondo. Grazie per esserti sempre presa cura di me. Grazie per avermi fatto capire che questa vita per me non avrebbe avuto senso di essere chiamata tale se al mio fianco, a tenermi la mano e a guidarmi, non ci fossi stata tu. Grazie per esserti accorta di quando sbagliavo e aver corretto i miei errori e grazie per esserti fermata a correggere anche i tuoi quando te li facevo notare. Siamo cresciuti insieme, abbiamo imparato sin da quando eravamo piccoli, a sorridere insieme anche quando la vita ci ha puniti, abbiamo imparato ad essere felici nel vedere anche solo il semplice volo di una farfalla perché mi hai insegnato che anche la più piccola delle cose può essere meravigliosa se condivisa con la persona che ti sta più a cuore”. Alex fermò il suo monologo sussurrato per riprendere fiato e trattenere la forte tosse che minacciava di spezzare quell’intimo silenzio costruito sui suoi sussurri d’addio all’amata Lana. Alex aveva imparato a trattenere la tosse negli ultimi giorni, anche quella che sembrava essere molto forte, soprattutto la notte quando sempre più spesso si era svegliato più volte con la gola che gli doleva come se all’interno vi fossero stati dei piccoli coltelli che la infilzavano di continuo, senza pietà; in molte occasioni era riuscito a non svegliare Lana, stringendosi le mani sulla bocca e stringendo la gola, facendosi addirittura venire delle lacrime per lo sforzo. Lei ultimamente non dormiva quasi mai per potersi prendere cura di Alex e non gli aveva mai fatto pesare il suo stato di malattia, né si era comportata con lui come un’infermiera di un ospedale, impegnandosi a fondo per non farlo sentire una vittima, ma ancora colui che amava. Alexander, sentiva quindi di doverle molto: avrebbe voluto regalarle almeno altri dieci anni della propria vita che invece stava svanendo più in fretta del previsto e dal momento in cui non poteva farlo, almeno voleva evitare di disturbare il suo pacifico sonno, cullato fino a poco prima dai propri sussurri. Alex non riuscì, però a trattenere tutta la tosse, facendosi sfuggire qualche basso colpo soffocato nella propria mano, spostandosi appena con la testa per non disturbare ancora di più il sonno di Lana, che sembrava essere addormentata profondamente, quel tanto che bastava per non essere svegliata da quel rumore. Alex tornò con la testa a guardare Lana, che sembrava essere persa in un sogno bellissimo a giudicare dal piccolo sorriso che le era nato tra le labbra rosee e sfiorò appena con la mano il suo bacino, desideroso di imprimere nella propria memoria anche il contatto della propria mano sulla sua pelle liscia e calda. Restò per un lasso di tempo che gli parve perpetuo, ad ascoltare il suo respiro mentre la propria mano accarezzava dolce e rassicurante la vita della ragazza e d’improvviso, provò l’impulso di baciarla mentre ancora dormiva: si avvicinò piano con il viso, fino a far sfiorare le loro fronti, e stava per posare le proprie labbra sulle sue, carnose e leggermente socchiuse, ma d’improvviso iniziava a sentirsi terribilmente stanco, bisognoso di dormire in eterno e senza nemmeno rendersene conto, lasciò che le proprie palpebre, pesanti come due macigni, chiudessero i suoi occhi per sempre.

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Capitolo 34
*** Capitolo 31. ***


Lana non riusciva a smettere di piangere. Pensava che prima o poi quelle lacrime avrebbero smesso di scorrere sul proprio viso, che prima o poi gli occhi arrossati avrebbero supplicato pietà facendole cessare di scivolare velocemente sul viso paonazzo e disperato, ma nulla sembrava fermarle. Nemmeno il suo continuo asciugarsele con numerosi fazzoletti di carta sembrava dare ad esse uno stop e quando sembravano essersi finalmente prosciugate, dopo un paio di minuti di calma, ecco che incontravano nella casa, qualcosa che ricordava a Lana l’amato appena perduto e le lacrime riprendevano ad usare come scivolo le guance della donna per poi finire su un fazzoletto o più spesso, sui suoi vestiti e per terra, incontrollabili. Ma quello era il male minore. C’era qualcosa di peggiore che la attanagliava dall’interno del suo corpo, ovvero il suo cuore che non smetteva di stritolarsi su se stesso. Lana non era mai stata così male e non ce la faceva a tenersi tutta quella sofferenza dentro, era qualcosa di più grande di lei, di ingestibile e non aveva la più pallida idea di come affrontarla. Era appena uscita fuori di casa per prendere una boccata d’aria e stringeva un braccio attorno alla propria vita che le doleva probabilmente per lo sforzo che stava facendo per trattenere tutto quel dolore dentro di se, ma con risultati molto scarsi. Prese una sigaretta da un pacchetto che si era portata fuori con se prima di uscire fuori di casa e nel vederne la marca, strinse forte le labbra e l’ennesima lacrima andò a bagnare il proprio viso: erano le Marlboro rosse, la marca preferita da Alex e quel pacchetto aveva ancora diciotto sigarette al suo interno. Lana si ricordò all’improvviso che da quel pacchetto lui aveva probabilmente estratto l’ultima sigaretta prima che venisse a conoscenza della sua malattia siccome da quel giorno non le aveva più ne toccate, ne guardate. Lana sospirò e lanciò quel pacchetto sulla strada che venne subito schiacciato da un furgone di passaggio, poi si accese la sigaretta che aveva preso prima e con la mano libera cercò di asciugarsi le lacrime che ormai scendevano perpetue sul proprio volto: stava osservando i paramedici che proprio in quel momento stavano portando via il corpo privo d’anima dell’uomo che aveva amato e che, ne era sicura, avrebbe amato per sempre. Lei avrebbe tanto voluto saltare su quella dannata barella e provare ancora una volta a rianimarlo con un massaggio cardiaco come aveva fatto appena aveva scoperto, al proprio risveglio che Alex non respirava più, ma aveva coscienza del fatto che, inevitabilmente, non sarebbe cambiato nulla. D’altronde, Lana si era preparata per quel momento tante volte nel giro di due mesi e nonostante avesse avuto già la certezza del fatto che lui prima o poi se ne sarebbe andato, lei non riusciva a non soffrirne in quel modo, tanto meno a mascherare tutto il proprio dolore davanti alle persone che erano arrivate a portarle via il corpo della persona che aveva amato più di ogni altra cosa al mondo. I paramedici le avevano consigliato diverse volte di sedersi o di farsi accompagnare all’ospedale per farsi misurare la pressione data la sua evidente agitazione, ma Lana non voleva saperne. Sapeva di non stare molto bene fisicamente: le girava molto la testa e quel dolore alla pancia non accennava a sparire, ma il dolore le andava quasi bene. Era la prova del fatto che lei fosse ancora viva e che tutti quegli anni di gioia passati con Alexander, non erano stati quindi solo un sogno ad occhi aperti. Spense la sigaretta per terra con una certa foga e una volta firmati alcuni documenti riguardanti il decesso e liberatasi dei paramedici, Lana tornò dentro, chiudendosi la porta alle spalle e il suo cuore si spezzò ancora una volta. Quella casa era piena, stracolma di quelli che erano appena diventati dei ricordi e non più dei semplici oggetti innocui: la chitarra a cinque corde preferita da Alex appoggiata accanto al divano, alcuni dei suoi dipinti appesi contro le pareti viola, i suoi calmanti per la tosse messi in bella mostra su un bancone della cucina, una pila di libri riguardanti la ricerca della vita dopo la morte che Lana stava leggendo fino al giorno prima, disposti in disordine sul tavolino di fronte al divano, una piccola parte di parete che Alex aveva dipinto raffigurando il bosco di Woodville dove erano stati soliti andare nell’ultimo mese, la parete sopra al divano che era stata decorata da entrambi incollandovi le loro foto insieme nei numerosi posti in cui erano stati… Si avvicinò con passo insicuro a quelle foto, come se avessero potuto farle del male con artigli e coltelli ed in effetti, in quel momento lei sentiva un dolore molto simile al graffiare di artigli pungenti dentro di se, i quali la squarciavano dall’interno, che proprio in quell’istante la stavano facendo piegare in ginocchio davanti al divano, di fronte a quella parete piena di leggerezza e voglia di scoprire, di amore e di divertimento: in nessuna di quelle numerose fotografie era presente un solo momento in cui Lana o Alex dimostravano di essere a disagio. Spesso, tra le loro foto apparivano anche volti di persone che avevano conosciuto nei loro viaggi: ne avevano addirittura qualcuna insieme a membri di band famose scattate poco dopo il concerto a cui erano stati. Lana osservava tutto quel mosaico di vita insieme alla persona che aveva amato e senza nemmeno doversi sforzare, ricominciò di nuovo a piangere, lasciando che le proprie lacrime andassero a bagnare il pavimento di legno. Staccò poi una delle numerose fotografie e la osservò: i colori predominanti erano il rosa e l’arancio e guardando per un paio di secondi l’immagine, Lana capì subito quando fu scattata quella foto. Stava tenendo in mano un tesoro di cui non si sarebbe mai liberata: vi erano solo lei ed Alex nella foto, con lo sfondo del mare e l’alba che si innalzava nel cielo, conferendo quel colore rosa chiaro alla foto; rappresentava la loro prima notte passata insieme nel camper, il loro primo giorno di avventura, la loro riscoperta della libertà, il loro amore che brillava come il sole ad Agosto… Inevitabilmente, un paio di lacrime andarono a bagnare subito la carta lucida della fotografia e Lana le asciugò subito, per non rovinarla, concedendosi altro tempo per esserne ammaliata: Alex era bellissimo in quella foto, con un colorito tutt’altro che malato, il suo corpo snello e sano coperto da una maglietta scura, i suoi capelli mossi appena dal vento, un sorriso spensierato ed al contempo dolce, gli occhiali da sole che non riuscivano a nascondere la sua gioia di essere libero ed innamorato, finalmente. Lana rimise la foto al suo posto per evitare di sporcarla ancora o peggio di perderla, poi andò a versarsi in un bicchiere da liquore del gin liscio che bevve d’un fiato, cercando per l’ennesima volta di liberarsi di quelle lacrime che facevano bruciare i suoi occhi ogni volta in cui ricominciavano a scorrere. Si concesse altri tre bicchieri di quel liquore, poi tornò nella propria stanza, dove avevano dormito lei ed Alex nell’ultimo mese e nel vedere da quella visuale il copriletto avente ancora la forma del corpo di Alex, non poté non piangere ancora più forte di prima. Tenendosi stretta la pancia che non smetteva di dolerle, andò a sedersi sul lato del letto dove era solita dormire e passò una mano sulle curve che creava il lenzuolo. “E così ora sono da sola, eh?”. Sussurrò guardando l’altro cuscino, come se stesse parlando con una persona invisibile. “Sai, ho pensato diverse volte a come avrei potuto reagire quando tu te ne saresti inevitabilmente andato. Ma nulla, nulla è comparabile a ciò che sto sentendo in questo momento. Il gin mi ha dato un po’ alla testa, ma ricordi quella volta, quattro anni fa, quando stavo correndo per andare a lavoro e inciampai finendo su un mare di sassi appuntiti finendo per ferirmi su tutto il corpo? Ecco, moltiplicalo per dieci e sposta questo dolore all’interno”. Lana abbassò lo sguardo e sospirando, si spostò i capelli sudati da un lato. Aveva gli occhi più tristi del mondo e per consolarla, nessuno avrebbe potuto colmare il vuoto enorme lasciatole dal partner deceduto. “Io non ce la farò senza di te...”. Sussurrò con voce bassissima e fievole, che dava l’impressione di stare per spezzarsi come una corda di violino troppo tesa. Scosse poi la testa e sussurrò ancora: “non preoccuparti, non ho intenzione di togliermi la vita e raggiungerti ovunque tu sia in questo lasso di tempo, anche se devo ammettere di averci pensato molto spesso e fin troppo seriamente nell’ultimo periodo… Prima di addormentarmi al tuo fianco, mi mettevo di continuo a pensare a quale fosse il metodo meno indolore per andarmene, ma poi mi soffermavo a guardarti dormire, spensierato nei tuoi sogni e capivo che non avrei mai potuto farti una cosa del genere, anche adesso che di te rimangono solo i ricordi nella mia mente e quelli sparsi per casa...”. Lana si sdraiò, andando poi a stringere il cuscino di Alex e scoppiando ancora una volta a piangere fragorosamente nel sentirvi impresso l’odore dell’amato che l’aveva abbandonata. “Come diavolo farò a vivere senza di te?”. Sussurrò Lana con voce rotta per poi lasciarsi andare al pianto doloroso finché le sue palpebre diventarono troppo stanche per restare ancora aperte. Lana preferì il sonno alla vita per almeno un paio di settimane: passava tutto il suo tempo nei campi felici che erano i suoi ricordi che aveva con Alex, osservando tutte le foto le cui avevano scattato insieme nel corso di tutti quegli anni di viaggi, fino a conoscerle in ogni più minimo dettaglio; riascoltava alcuni cd dove insieme avevano registrato i loro strumenti suonare insieme, componendo canzoni che spesso avevano il sapore di spensieratezza; accarezzava dolcemente i dipinti dell’amato defunto che erano riusciti a portarsi nel camper ed in quella casa e rileggeva tutte le poesie che gli aveva dedicato nel corso del tempo, quando ancora non li minacciava di una morte incombente, quando tutto era come doveva essere, quando i pensieri funesti erano solo un accenno in nottate particolarmente pensierose. Era dura per lei ricominciare a vivere e nemmeno voleva farlo: in quelle settimane era un semplice fantasma che si aggirava tra i ricordi e nemmeno sua madre, Christine, era riuscita a rincuorarla. Lei e Taylor, dopo il funerale di Alex - dove Lana aveva deciso di non presenziare perché non aveva voluto che il suo ultimo ricordo dell’amore della sua vita fosse stato quello di vederlo in una bara a tre metri sotto terra, avevano deciso restare in quella casa con Lana per un paio di giorni, per cercare di farle sfogare in qualche modo tutto il dolore che si teneva dentro. Ma Lana voleva che quel dolore così personale che sentiva, non andasse da nessuna parte e quindi non voleva nemmeno condividerlo con quelle persone a lei molto care. Per cui, non vi era stata ragione di farla riprendere perché era lei stessa a non volerlo sebbene una parte del suo cervello le ripetesse che era il caso di buttarsi tra le braccia di una persona cara e lasciar cadere su una spalla tutte le lacrime che tratteneva in presenza di altre persone. Taylor nel vedere Lana così depressa, aveva deciso di stare con lei per una settimana intera, ma a parte degli aneddoti su alcuni dei numerosi viaggi che lei ed Alex avevano intrapreso insieme, non era riuscita a far uscire null’altro dalla bocca di quella donna che ai suoi occhi pareva starsi tramutando in una semplice copia della Lana che era un tempo, quando Alex era in vita. Lana aveva detto chiaramente a Taylor che non era per cattiveria se non si sfogava di ciò che sentiva dentro, con lei, ma semplicemente che preferiva elaborare quel lutto da sola, senza l’aiuto da parte di terzi e non le importava se ci sarebbero voluti mesi o anni. Alla fine, quindi Taylor si era arresa e dopo essersi accertata del fatto che Lana non avesse voluto togliersi la vita, fece ritorno a casa dai suoi figli e da James da cui non riusciva a liberarsi. Miles aveva fatto visita a Lana un paio di giorni dopo la funzione e lei si era concessa di versare solo un paio di lacrime in sua presenza perché ancora una volta i ricordi avevano fatto leva su di lei ed aveva ricordato di alcuni pomeriggi che lei ed Alex avevano passato in compagnia di Miles. Ma nessun bisogno di essere abbracciata o confortata si era manifestato davanti a Miles e lui aveva capito che dietro agli occhi divenuti vitrei della donna, si celava un gran desiderio di solitudine e senza rubarle altro tempo prezioso, anche lui, infine, prese la strada del ritorno nella propria dimora. Lana, una volta sola, dopo quelle due settimane che le erano parse lunghe come cinque anni, si era concessa alla depressione ed all’alcool, del quale poco alla volta stava iniziando a diventare succube, tanto da non riuscire a prendere sonno, la sera, senza prima aver bevuto un paio di bicchieri di un qualsiasi superalcolico che la aiutava a distendere i nervi costantemente sotto tortura. La cosa che più faceva star male Lana era proprio quella di ritrovarsi nel letto da sola, senza più avere la certezza,l’unica che avesse mai desiderato in vita propria, di risvegliarsi accanto all’uomo che aveva amato, che amava e che avrebbe continuato ad amare. Per di più, sapeva bene che non sarebbe mai riuscita a superare del tutto la perdita di Alexander dato il carattere estremamente sensibile ed emotivo che si ritrovava ad avere e prima o poi, sapeva che sarebbe arrivato il momento in cui avrebbe dovuto imparare a convivere con il letto vuoto, con l’assenza di musica proveniente dalla chitarra di Alex, con il freddo delle pareti spoglie senza i dipinti paesaggistici del suo amato che erano capaci di scaldare il cuore anche ad un uomo fatto di solo ghiaccio. Più di tutto, sapeva che non avrebbe più sentito la sua voce, a volte allegra, a volte fischiettante, a volte roca per l’aver fumato troppe sigarette, a volte singhiozzante per essersi lasciato coinvolgere troppo da un libro dalla trama drammatica, a volte sognante e pensierosa quando si dedicava alla pittura, a volte impegnata quando in qualche rara volta concedeva un testo alle canzoni che componeva con la chitarra e sopra ad ogni altra sfumatura, la sua voce che a fine giornata, cullava con maestria e leggiadria, i sogni di Lana, ripetendole che la amava e che sarebbe stato lì al suo risveglio, ancora un altro giorno, ancora un’altra notte stretti l’uno all’altra. La notte, infatti era il momento più difficile della giornata per Lana: in alcune notti, quando i liquori non facevano effetto su di lei, rimaneva sdraiata sul proprio lato del letto a guardare quello vuoto: in alcuni casi, la propria testa ricreava l’immagine di Alex che dormiva di fianco a lei, ma Lana scacciava via subito quelle immagini perché non voleva vivere illudendosi del fatto che prima o poi lui sarebbe tornato, non voleva diventare una di quelle donne che sono capaci di andare avanti giorno dopo giorno grazie solo alla loro fervida immaginazione. Lana non si era nemmeno messa a fare ricerche, come al suo solito, a riguardo dei fantasmi di cari defunti o su come avrebbe potuto contattare l’anima di Alex, semplicemente perché non voleva vivere nemmeno di superstizioni e mettersi a fare strane meditazioni o rituali con il pretesto di volere vicino ancora una volta l’uomo che in cuor suo continuava ad amare nonostante la sua scomparsa. Tre settimane dopo la morte di Alex, in un pomeriggio di metà Settembre, Lana si era messa a dare una ripulita a quel camper che era restato per quasi due mesi a prendere polvere nel piccolo giardino della casa dei suoi genitori e dopo averlo fatto splendere all’esterno, decise di dare una sbirciata dentro: non aveva più messo piede lì da quando era morto Alexander e ci era andata raramente anche quando lui era stato malato, giusto per andare a prendere qualcosa che lui le chiedeva quando la sua malattia gli iniziava ad impedire anche di uscire fuori di casa, come una delle sue chitarre o uno specifico libro che voleva rileggersi. Ancora una volta, nel ritrovarsi sulla soglia del camper che all’interno odorava di chiuso e di qualcosa che nel mini frigo doveva essere andato a male, Lana si ritrovò pervasa dai ricordi che non le davano nemmeno il tempo di respirare, colpendola con una certa violenza dritto nel cuore e ancora più a fondo, arrivando a toccare la propria anima così fragile in quei giorni di buio. Il primo dei numerosi ricordi che tornò nella sua mente, fu di quando dieci anni prima, Alex si era presentato davanti a casa propria, a Mooney, senza un lavoro, una macchina, ambizioni di potere o un tetto sulla testa, ma solo con quel camper e tanta, tantissima voglia di partire e lasciarsi il passato alle spalle con accanto Lana, colei che fino a quel momento aveva sempre cercato ma mai ammesso di volere come compagna di vita… Lana andò a sedersi sul piccolo divano e si portò una mano sulla pancia che aveva ripreso a farle male come le accadeva spesso in quei giorni colmi di dolore e strazio. Portò l’altra mano tra i propri lunghi capelli castani e sospirando, con le lacrime agli occhi, sussurrò: “dovevamo finirlo insieme il viaggio della nostra vita...”. Un paio di lacrime andarono a rigarle il viso ed inevitabilmente, prese a singhiozzare, così silenziosa nel contenere il dolore più grande che avesse mai potuto sopportare. Lana avrebbe voluto evitare di guardarsi intorno perché sapeva bene che la propria testa le avrebbe riportato alla mente tutti gli altri ricordi come le loro sere d’inverno passate a tenersi stretti nel letto e i pomeriggi d’estate sull’autostrada, in cerca di nuovi luoghi da esplorare, la piccola radio accesa a tutto volume mentre si preparavano il pranzo a vicenda, le gare stupide per chi dovesse occupare il divano su cui lei era seduta in quel momento, i muri pieni di alcuni dei dipinti più belli di Alex e di qualche poesia di Lana che aveva scelto lui stesso di esporre… Decise di uscire da quel camper: era ancora troppo presto per lei, lasciarsi coinvolgere da tutti quei ricordi quando proprio in quei giorni stava cercando disperatamente una distrazione a tempo pieno da essi, quindi fece per uscire ma proprio prima di mettere piede sul prato del giardino, qualcosa attirò la sua attenzione: un piccolo e timido raggio di sole aveva illuminato una piccola zona sotto al letto con ancora le lenzuola disfatte, andando ad illuminare appena un blocco di quadernini e Lana ebbe un sussulto nel capire subito di cosa si trattasse: senza indugiare, andò velocemente a recuperare quel blocco composto da almeno una trentina di quaderni dove lei ed Alex, nel corso dei loro viaggi, avevano annotato le loro esperienze fatte insieme e dopo aver pulito col dorso della manica della propria felpa uno strato di polvere sopra ad alcuni di essi, ebbe un’illuminazione improvvisa: da tempo stava pensando ad un modo di far conoscere al mondo quanto fosse stato straordinario Alex e finalmente aveva la soluzione proprio tra le proprie mani. Uscì in fretta dal camper, custodendo stretti al proprio petto quei piccoli tesori, quei diari dei loro ricordi insieme, al riparo dalla pioggia sottile e tornò subito in casa, andando ad appoggiare il suo tesoro ritrovato, sul tavolo in legno della cucina e stava per iniziare a sfogliarli quando venne interrotta dal suono del campanello. Lana andò ad aprire alla porta con un po’ seccata: aveva finalmente trovato il modo perfetto per esternare tutto il dolore che stava provando negli ultimi mesi e non avrebbe mai voluto essere disturbata proprio quando stava per iniziare a sfogliare quei diari così intimi e privati, soprattutto perché in dieci anni di viaggi, lei non si era mai azzardata a leggere cosa Alexander avesse scritto tra quelle pagine e mentre apriva la porta d’ingresso, si era già lasciata assalire dai dubbi: era davvero il caso di leggere delle personali impressioni di quello che fino a poco tempo prima era stato l’amore della sua vita? Scosse appena la testa e decise che ci avrebbe pensato dopo, quando avrebbe cacciato via l’ importunatore di turno che aveva appena suonato alla porta. La persona che l’aveva disturbata, però, si rivelò essere Taylor. “Ciao Lana, sono passata da qui e ho pensato di venire a farti un saluto. Ti disturbo?”. Lei avrebbe voluto rispondere di si, ma il suo buonsenso la costrinse a scuotere appena la testa in segno di dissenso, facendo subito tornare sul proprio volto quell’espressione triste e malinconica che l’aveva accompagnata per tutto il periodo dopo la scomparsa del suo amato ormai defunto. Fece accomodare Taylor dentro casa che però, non perse tempo a fiondarsi sui numerosi diari che erano sparsi su tutto il tavolo. “Cosa sono questi?”. Chiese la donna con una certa curiosità nella voce e Lana, protettiva come una leonessa con i propri cuccioli, si avvicinò subito a lei, andando a posare una mano sulla copertina verde acqua di uno dei tanti diari. “Niente… Sono solo altri ricordi. Vuoi un caffè?”. Taylor ignorò la domanda di Lana, continuando a guardare quegli oggetti che ai suoi occhi apparivano come un pericolo che avrebbe potuto nuocere all’amica. “Sei sicura che ti abbia fatto bene andare a ripescarli?”. Chiese con una smorfia. Lana non poté fare a meno di sospirare, rispondendole cercando di mantenere un tono di voce tranquillo, anche se in quel momento non si sentiva affatto in quel modo. “Non ho ancora avuto modo di sfogliarli...”. “Allora, forse sono arrivata al momento giusto”. Disse Taylor che portò poi gli occhi azzurri su quelli ormai perennemente tristi di Lana. “Perché non li rimettiamo dove li hai trovati?”. “Non ci penso proprio”. Fu la risposta netta e decisa di Lana, alla quale iniziava a turbare il fatto che la mano di Taylor stesse ancora accarezzando le varie copertine dei diari che contenevano al loro interno le svariate emozioni dei viaggi che aveva intrapreso con Alex in quello che le sembrava essere stato tantissimo tempo prima, una vita precedente. “Non ti sto dicendo di bruciarli o altro...”. Si difese Taylor, notando il tono di voce duro che aveva usato Lana nei suoi confronti. “Mi stai dicendo di metterli da parte e non toccarli più, che è più o meno la stessa cosa”. Ribatté Lana con acidità, mantenendo i propri occhi su quelli di Taylor, per assicurarsi che non andassero a posarsi ancora una volta sui diari. “Non posso darti torto, ma rifletti: a che ti serve adesso, tornare a scavare nel passato? Starai solo peg-”. Lana non lasciò finire Taylor e ribatté con foga: “ed hai ragione, ma ora come ora, questi ricordi sono le uniche cose che mi fanno sentire viva”. Mise dell’enfasi nell’ultima parola, sforzandosi di farle capire il bisogno che ne aveva. “E allora vuoi passare tutta la vita a sfogliare pagine e pagine di ricordi?”. Chiese Taylor, usando un tono di voce che a Lana ricordò quello di un’insegnante che sta per mettere in punizione un ragazzino disobbediente. “Senti, Taylor. Con tutto il bene che ti voglio, questi non sono affari tuoi”. Rispose Lana, spazientita, sfoderando un’altra porzione di acidità e facendo un mezzo passo verso di lei, come per intimorirla. “Non sono affari miei? Sono tua amica, Lana. Voglio solo tenerti alla larga da altre sofferenze inutili”. Rispose, iniziando a raccogliere i diari sparsi sul tavolo di legno. Lana la fermò all’istante, andando a stringere un suo polso con la mano, mettendoci la poca forza che ultimamente aveva nel corpo. “Questi diari non mi faranno soffrire. Voglio solo tornare ad essere felice per qualche secondo leggendo dei viaggi di me e lui insieme”. Taylor mollò la presa da alcuni dei diari che era riuscita a raccattare, rendendosi conto del fatto che Lana aveva iniziato ad agitarsi e non voleva che perdesse la calma a causa sua. Perché non provi ad essere felice facendo qualcosa qui, nel presente?”. Le chiese la donna bionda, esasperata dal comportamento dell’amica. “Perché era Alex ad essere la mia felicità! Nessuna cazzo di cosa o persona potrebbe mai sostituirlo!”. Come era ormai da copione nell’ultimo periodo, Lana dopo quelle parole, scoppiò a piangere e Taylor si ritrovò ad abbracciarla e a stringerla forte a sé, in un vano tentativo di poter riuscire a confortarla. “Lo so che adesso ti sembra di non riuscire ad affrontare tutto ciò, ma il tempo metterà a posto tutto...”. Sussurrò Taylor tra i capelli di Lana, la quale si era già abbandonata ai singhiozzi sulla spalla dell’amica, andando ad inzupparle la giacca che aveva indosso. “Non rimetterà a posto proprio niente...”. Sussurrò Lana, mentre cercava di riprendere fiato tra un singhiozzo e l’altro. Taylor sentiva vibrare il suo corpo, scosso da cotanta sofferenza e con una mano, prese ad accarezzare la sua schiena. “Invece si, vedrai che domani starai già un po’ meglio di oggi”. Taylor aveva una voce dolce e rassicurante e Lana, dentro di sé era contenta del fatto che lei avesse abbandonato l’idea di portare via quei diari. “E’ come… “. Prese un respiro e poi continuò dopo essersi schiarita la voce. “Ti sembrerà scontato ma è come se mi mancasse una parte della mia anima, Tay… Non riesco nemmeno a spiegartelo...”. Disse Lana con voce roca, staccandosi appena dall’abbraccio per poterla guardare negli occhi e Taylor, nel vedere i suoi occhi scuri e dolci brillare di tutta quella tristezza che non riusciva a capire, accarezzò appena i suoi capelli, facendo una smorfia prima di risponderle. “Vieni da me. Stare con i miei figli ti farà stare meglio. Sono molto dolci e come hai potuto vedere, ti adorano”.Accennò un debole ma caldo sorriso che Lana, però non riuscì a ricambiare ed ancora una volta, scosse la testa in segno di dissenso. “Non voglio che mi vedano in queste condizioni. E poi ho bisogno di stare da sola”. Taylor capì che in quel momento non era il caso di insistere, così abbracciò ancora una volta Lana e le sussurrò: “non fa niente. Resta pure a Woodville, se lo vuoi”. Lana la ringraziò e dopo essersi bevute insieme una camomilla, Taylor andò a posare nuovamente gli occhi sui diari e il suo sguardo cadde su uno in particolare che Lana riconobbe subito:aveva una copertina rigida ed era di un colore rosso scuro, tendente al cremisi, sopra vi era una scritta fatta con un pennarello nero, semi consumata, ma si poteva ancora leggere cosa ci fosse scritto, ovvero: “Let’s Ride”. Quello era stato il primo diario di Alex e a Lana tornò subito in mente di quando, durante il loro primissimo giorno di viaggio, si erano fermati in un autogrill, il primo che avevano trovato, proprio per comprare quelli che poi sarebbero divenuti i loro primissimi diari dei loro viaggi spensierati in lungo e in largo. Ricordava bene tutto l’entusiasmo che avevano messo nella loro partenza e che non li aveva mai abbandonati del tutto: in quei dieci anni, la loro voglia di vivere la vita giorno per giorno con l’unica certezza di avere un letto e quattro ruote con le quali muoversi in lungo e in largo di città in città senza mai fermarsi in modo permanente in un luogo preciso, ma continuando a restare in movimento, continuando a scoprire giornalmente percorsi, cibi, tradizioni e tanto altro, ma soprattutto riscoprendosi anche ogni giorno, sempre più innamorati della vita che si erano scelti. “Questo era di Alex, vero? Riconosco la sua scrittura da cani”. Disse Taylor con un abbozzo di sorriso, distogliendo Lana dai propri pensieri. Lei appoggiò la tazza ormai vuota sul tavolo e per quanto si stesse sforzando, non riuscì a ricambiare quel mezzo sorriso dell’amica, perché era ancora troppo triste per poter permettere al suo lato ironico di riemergere. “Si”. Rispose semplicemente, con voce fiacca e stanca. Taylor le rivolse uno sguardo dispiaciuto, carico di compassione ed era proprio ciò che Lana non voleva vedere: sapeva benissimo che, tutta quella sofferenza che sentiva addosso in quei giorni che sembravano non finire se prima lei non versava qualche lacrima per Alex, prima o poi sarebbe diminuita fino a diventare solo dei piccoli sprazzi di malinconia di tanto in tanto, ma le serviva molto tempo per elaborare quel lutto. Lana in situazioni come quella, rimpiangeva di essere nata con un carattere così emotivo e sensibile, che di certo non le stava rendendo facile superare quel lutto, ma dentro di sé, nel profondo del suo essere, desiderava anche passare il tempo da sola, a cercare nella propria ed unica energia la forza per alzarsi ed andare avanti con la propria vita e detestava l’idea di dover piangere sulla spalla di qualcuno o anche solo mostrarsi triste davanti alle persone che amava. Ma Taylor sembrava non riuscire a capire quel bisogno intimo della donna e non poteva darle colpe, perché fortunatamente non avevano caratteri simili e quindi era ovvio che ritenesse opportuno andare a trovarla per vedere come stesse in quei giorni o cercare modi su modi per distrarla o confortarla. Taylor aveva detto qualcosa che Lana non aveva sentito, così fece per alzare lo sguardo e nel vedere che lei stava per sfogliare il primo diario di Alexander, le tirò via l’oggetto dalle mani con uno scatto improvviso che di certo la bionda non si era aspettata fino a quel momento. “Ehi, che ti prende?”. Chiese Taylor, con un tono di voce leggermente infastidito. “Questo diario è privato. Io ed Alex non ci siamo mai scambiati i nostri diari nel corso di questi dieci anni per leggerli”. Taylor aggrottò le sopracciglia coperte dalla frangia bionda, perplessa. “Lana, ma ora non c’è più...”. Rispose lei sottovoce, turbata dall’atteggiamento di Lana. “Lo so benissimo che è morto”. Disse Lana, enfatizzando l’ultima parola, tornando ad essere acida ancora una volta. “E allora perché ti fai questi problemi?”. Chiese Taylor. Fece per accarezzare la sua mano, ma Lana la ritirò come se avesse appena messo per sbaglio, la mano su un insetto viscido. “Perché so bene come la pensasse lui su del materiale così riservato e credo che a malapena avrebbe lasciato leggerli a me, se glielo avessi chiesto”. Rispose, con gli occhi che improvvisamente erano divenuti due scintille di fuoco. “Ma che problemi ti fai?”. Chiese Taylor, alzando la voce ed alzandosi poi dalla sedia, tenendo le mani sul tavolo. “E’ morto. M.O.R.T.O”. Proseguì lei ormai quasi urlando, scandendo bene lettera per lettera dell’ultima parola pronunciata e tenendo gli occhi fissi su quelli di Lana, che non sembrava essere affatto scossa dallo scatto improvviso che aveva fatto la donna di fronte a sé. “Lo so bene, non c’è bisogno che me lo ricordi”. Sbottò Lana. “E allora prendi un’iniziativa, non startene lì impalata con quell’atteggiamento passivo-aggressivo”.La rimproverò Taylor. “Vorrei vedere te come reagiresti nella mia situazione”. Replicò sbuffando Lana, restandosene seduta ed incrociando le proprie braccia al petto. Taylor era davvero stanca di quell’atteggiamento che Lana aveva assunto dalla morte di Alex e voleva far capire alla donna che la sua vita non doveva sprecarla piangendosi addosso o nei ricordi, ma che invece avrebbe dovuto prendere l’iniziativa di fare qualcosa, qualsiasi cosa per iniziare a far cicatrizzare le sue ferite che lei invece continuava ad aprire ancora, in ogni momento, con quei ricordi che teneva sparsi per tutta la casa. “Io mi preoccupo continuamente per te. Sempre. Eppure da te, non ho mai sentito nell’ultimo periodo nemmeno due parole di interessamento nei miei confronti”. Lana aveva sgranato gli occhi a quelle parole e da arrabbiata, la sua espressione mutò, divenendo subito abbattuta. “Sto divorziando, ho due bambini da gestire dei quali uno ha un disturbo dell’apprendimento e devo cercare di aiutarlo il più possibile sia con la scuola che con le piccole cose, quel coglione di James non ne vuole sapere di darmi il mantenimento che mi spetta e da te non ho mai ricevuto nemmeno una parola di conforto nonostante negli ultimi tempi io ti sia stata sempre vicina”. Continuò Taylor, ma nel vedere il volto di Lana così sconvolto e triste, concluse con un sonoro quanto scoraggiato sospiro, facendo per andare verso la porta d’ingresso e proprio mentre stava per aggiungere qualcosa prima di andarsene, fu bloccata dalle mani di Lana che strinsero la sua schiena ed i suoi fianchi in un abbraccio che parlava per lei: si stava scusando senza usare le parole, perché in quel momento non ne aveva e nemmeno sapeva come fare a farsi perdonare da colei che non l’aveva mai abbandonata; Taylor poteva sentire una lacrima della ragazza scorrere sulla propria spalla che era per metà scoperta. Decise quindi di voltarsi e strinse a sua volta la donna in un caldo abbraccio, sussurrandole poi, mentre le accarezzava i capelli: “lo so che non lo fai apposta a comportarti così, ma potremmo dirci entrambe come ci sentiamo la prossima volta che ci vedremo, così potremo confortarci a vicenda, che ne pensi?”. Lana rimase stretta nell’abbraccio ancora per qualche secondo, poi decise di staccarsi per risponderle: “hai ragione, ma non saprei da dove partire...”. Alzò gli occhi luccicanti di lacrime sul viso chiaro dell’amica e si strinse le labbra più volte, senza riuscire a comunicare con le parole ciò che sentiva all’interno della propria mente. Taylor, in un gesto affettuoso, asciugò una delle sue lacrime, poi strinse le sue mani e le sorrise appena, dicendole: “tu provaci. Dimmi ciò che senti in questo momento. Anche se ti sembrerà scontato o stupido parlarne, ti assicuro che poi ti sentirai già più libera dal pesante macigno di tristezza che ti stai portando dietro”. Lana trovò le parole di Taylor rincuoranti, per nulla scontate o stupide come lei aveva detto e scosse appena la testa, poi mentre andava a sedersi sul divano, le rispose: “non è questo… E’ che senza di lui mi sembra che tutto abbia perso il senso stesso dell’esistenza...”. Disse solo quelle parole singhiozzanti, ma furono più che sufficienti per farle ritornare le lacrime agli occhi e Taylor andò ad abbracciarla ancora una volta. Alla fine, Taylor era restata fino a sera tarda ad ascoltare Lana e lei fece lo stesso con Taylor: decisero poi dopo cena di guardarsi un vecchio film comico per ridere insieme e di concedersi insieme un drink. Dopo il film, Lana fece vedere all’amica il camper che sostava ormai abbandonato in giardino da troppo tempo e le raccontò di alcuni aneddoti divertenti sulle sue avventure con Alexander, come un giorno in cui dovettero camminare a piedi per una decina di chilometri in piena estate dato che il camper aveva deciso di perdere benzina e lasciarli a piedi o quando in un giorno furono capaci di rompere due stufe elettriche e decisero di tenersi al caldo stando stretti insieme nel letto sebbene in quella sera si tenerono il broncio a vicenda come due bambini, la quale ringraziò l’amica diverse volte perché si era resa conto del fatto che aveva un enorme bisogno di poterne parlare con qualcuno che l’avesse capita e lei era molto probabilmente l’unica persona che avrebbe potuto farlo. Circa alle undici di sera, Taylor tornò a casa dai suoi figli e Lana, per una delle ormai rare volte in quelle tre settimane di tristezza acuta, non andò a dormire piangendo, ma con dipinto in viso un piccolo sorriso e gli occhi gonfi, ma finalmente rilassati, che avevano pianto per tutto il giorno. Lana dedicò una settimana intera alla lettura dei propri diari e di quelli di Alex, che fino a qualche giorno prima erano restati sempre segreti, eccetto qualche volta in cui la sera, prima di andare a dormire, si confidavano insieme le loro impressioni sulla giornata appena passata. Si ritrovò a piangere ancora e ancora, perché tra tutti i fogli che aveva letto di quei diari così intimi, vi aveva trovato tante frasi d’amore: amore per l’avventura, amore per Lana, amore per la vita, amore per gli animali, per la natura… Lana si era accorta anche del fatto che lui non le aveva nascosto nemmeno una volta la sua vera essenza da quando tanti anni prima, avevano deciso di partire insieme: tra le pagine di quei tanti diari che era riuscito a riempire nel corso del tempo con tanti scarabocchi, pensieri, alcune rime, dei numeri di telefono segnati in fretta in un angolo, i suoi sogni impossibili, le sue preoccupazioni impresse con una calligrafia più piccola, vi era proprio quella persona che ora tanto le mancava. Alcune di quelle pagine ingiallite erano state macchiate dalle recenti lacrime di Lana che non aveva resistito ed ancora una volta aveva dovuto asciugarsi gli occhi dolci dinanzi alla consapevolezza che la scioccava di continuo, di essere rimasta da sola. Per quanto riguardava i suoi diari, invece era stato come fare un viaggio nei propri ricordi e non ve ne era uno, nemmeno i litigi più duri o le giornate troppo calde o quelle in cui era malata o ancora, i giorni nei quali era giù di morale che non avrebbe vissuto di nuovo, ancora e ancora solo per poter vedere almeno gli occhi del colore del cioccolato di Alexander, quegli occhi che brillavano di un caldo così intenso da averla potuta riscaldare in ogni notte più gelida della propria vita. Decise poi, in accordo con Taylor, di mettere in atto un’idea che aveva avuto la settimana prima, quando aveva ritrovato quei tesori che erano i diari dei viaggi di lei ed Alex insieme: avrebbe scritto un libro che sarebbe stato adatto anche per cercare di soffrire di meno per la morte del suo partner defunto e lo avrebbe chiamato “Let’s Ride”, proprio come aveva intitolato Alex, dieci anni prima, il suo primo diario rosso cremisi. Introduzione: All’inizio della mia vita, quando conobbi Lui, ero molto piccola e non avevo la minima idea del fatto che avrebbe sconvolto totalmente la mia e la sua esistenza. Eravamo solo dei ragazzini quando iniziammo a confessarci di piacerci, poi per un lungo periodo di tempo non ci vedemmo, ma come nella più bella delle favole, dove il principe ritorna per la sua principessa, Alex tornò ed appena mi dimostrò che in fondo, nonostante gli anni in più sulle spalle, io mi innamorai perdutamente di lui, senza più via di scampo, senza più riuscire a mettere i piedi per terra. Perché è così che funziona l’amore, no? Ti prende in braccio, ti fa volteggiare finché non riesci a volare e quando sei in alto… Beh, nessuno riesce a fermarti. Nulla tranne la morte. In un giorno come tanti, dove le speranze erano poche e le giornate sembravano non passare mai, all’alba, lui si presentò davanti a casa mia e si inginocchiò di fronte a me, offrendomi una chiave, la chiave che avrebbe aperto i cassetti dei nostri sogni, la chiave che ci avrebbe liberati dalle nostre celle mentali, la chiave che ci avrebbe resi liberi e con l’illusione di essere immortali. Era la chiave di un camper verdognolo. Ed io accettai di amare me stessa, di amare lui e soprattutto, di amare la libertà.

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Capitolo 35
*** Capitolo 32 (Fine). ***


Lana stava osservando, con una tazza contenente una tisana, che reggeva in una mano, il suo manoscritto che aveva appena terminato: sebbene la tecnologia si fosse sviluppata molto negli ultimi anni, lei non sapeva fare a meno di carta e penna ed in generale, nella sua vita di tutti i giorni, si rendeva conto di essere rimasta indietro in quel campo ma lei, almeno non era da sola: almeno la metà dei cittadini di Woodville non avevano nemmeno la vaga idea di cosa fossero un tablet od un drone e lei si sentiva ancora un po’ rincuorata nel poter guardare negli occhi delle persone che non erano impegnate a controllare gli schermi dei loro cellulari ogni cinque minuti. Ma Taylor le aveva detto che era praticamente impossibile che ci fosse anche solo un editore al mondo che accettasse ancora manoscritti e non formati digitali, quindi le aveva promesso che avrebbe ricopiato tutto al computer. Lana ricordava di esserle stata molto grata e sebbene inizialmente l’amica avesse rifiutato, le aveva offerto una piccola somma in denaro per il lavoro che sarebbe andata a svolgere. Lana, dopo aver sorseggiato la propria tisana che nonostante avesse lasciato raffreddare almeno cinque minuti, le aveva comunque scottato appena le labbra, andò ad accarezzare tutti quei fogli che ad occhio e croce, erano almeno un paio di centinaia o forse tre e ne lasciò scorrere i bordi tra le dita, inspirando profondamente nel sentire l’odore dell’inchiostro fuoriuscire da essi. Come avrebbe mai potuto rinunciare a quel piacere di toccare, vedere e poter annusare la carta sulla quale si erano riversati tutta la propria ispirazione e tutto il frutto del suo duro lavoro degli ultimi due mesi? Senza parlare poi, di tutte le volte in cui si era dovuta fermare perché le proprie lacrime avevano iniziato a cadere di nuovo, magari in un momento in cui aveva ricordato qualcosa di estremamente toccante che era avvenuto tra lei ed Alex, oppure quando si era trattato di descrivere lui e tutta l’energia che era sembrata circondarlo anche mentre dormiva. A volte, Lana piangeva perché aveva la strana sensazione che lui le fosse ancora vicino in qualche modo e le pareva di sentire la sua presenza ovunque: accadeva soprattutto mentre scriveva di lui e di come fossero riusciti ad essere felici insieme; aveva la sensazione di sentire un leggero vento fresco sulla mano destra quando prendeva il plettro per suonare la vecchia chitarra classica che lui spesso aveva usato, creando con essa delle melodie così dolci e melanconiche nelle sere, ormai un solo ricordo lontano, in cui decidevano di dormire in spiaggia o nei mattini d’inverno, quando, invece si accampavano vicino ad una foresta ed all’inizio del nuovo giorno accendevano un piccolo fuoco per riscaldarsi e lasciavano volare lo sguardo verso i colori chiari che offriva loro il cielo. Quando si soffermava a guardare uno dei tanti dipinti di Alex che ormai riempivano da tempo tutta la casa, Lana sentiva una sorta di venticello fresco carezzarle le spalle, come se avesse voluto dirle che si, era li a guardarlo con lei… Oppure vista la sua ossessione per i colori, sarebbe stato più convincente se lui avesse semplicemente cercato di dirle di non provare a toccare i propri dipinti per nessun motivo o avrebbe rischiato di rovinarli. A Lana sfuggì una risata a quel pensiero e dopo essersi finita la tisana, poggiò la tazza vuota sul tavolo e dopo essersi stretta il fermaglio che teneva raccolti i suoi lunghi capelli in una coda, decise di tornare concentrata: doveva scrivere alcune note finali, una sorta di epilogo: finalmente sentiva le parole iniziare a ronzarle per la testa e prese una delle tante penne nere delle quali molte avevano esaurito l’inchiostro, messe alla rinfusa sul tavolo di legno che era coperto interamente da fogli su fogli macchiati, scarabocchiati, puliti o accartocciati per metà. Il disordine generale si estendeva anche alle altre stanze della casa materna, ma da quando aveva iniziato a scrivere, esattamente due mesi prima, Lana non aveva lasciato la penna nemmeno per un momento se non per dormire e mangiare. Almeno una volta a settimana passavano a trovarla Christine o Nicholas a cercare di rendere quella casa più vivibile o a preparare qualcosa di sano a Lana che non fosse il solito cibo in scatola che ormai lei era abituata a mangiare, come legumi, zuppe precotte o i soliti cibi pronti che bastava infilare nel microonde per avere un’aria vagamente commestibile ai suoi occhi. Lana li aveva ringraziati molto spesso, ma per lei quel genere di cose non erano importanti: per lei lo era solo poter esprimere attraverso la penna tutto ciò che aveva sentito insieme ad Alex in quegli anni fatti di viaggi ed avventure. Scosse appena la testa e cercò di concentrarsi, quindi dopo essersi spostata un ciuffo di capelli dietro all’orecchio, andò finalmente a prendere un foglio nuovo ed iniziò a scrivere: Epilogo: Dopo aver gettato fuori tutto ciò che ho sentito di voler condividere con chiunque avrà avuto la pazienza di seguire il mio racconto fino a questo punto senza ancora odiarmi per essere a volte, fin troppo logorroica e tendente ad essere molto sentimentale, vorrei ringraziare di cuore chiunque si sia preso la briga di ascoltare anche solo una frase detta da me, dopo la scomparsa di Alexander. Solo grazie ad ognuna di codeste persone, ho capito che era solo la sua storia ad aver raggiunto un punto nero d’inchiostro, una fine. E non la mia. Spesso, soprattutto nelle prime settimane dopo il funerale, ho avuto diverse volte il forte desiderio di voler raggiungere lui, ovunque si trovasse, convinta del fatto che solo in quel modo avrei potuto mettere fine alle mie pene e ai miei dolori. Poi, in un giorno uggioso, ho ritrovato quei diari di viaggio, sia miei che suoi, dei quali ho trascritto, oltre alle mie riflessioni, almeno il novanta percento di essi, tenendo per me solo pensieri strettamente personali. Ho voluto trascrivere tutto in un unico libro per due motivi: per salvare me e per cercare di essere una mano che accarezza il viso ed asciuga le lacrime di chi, purtroppo, si è trovato o si trova attualmente nella mia stessa situazione. Con Alex, ho vissuto tutto ciò che a parole mie non sarei mai riuscita a dire o ad esprimere e penso che per renderne una vaga idea, l’unico modo fosse proprio quello di rivivere attraverso tutti i nostri numerosi diari che abbiamo tenuto nel corso di dieci anni, tutto ciò che, oltre all’amore, abbiamo provato l’una per l’altro, che ci ha resi così felici, così liberi. Come avete potuto leggere, la nostra felicità non è stata costruita su mattoni formati da soldi, oggetti scintillanti dal peso di appena un grammo che valgono più di un organo, vacanze in posti ricercati, luoghi comuni o da applausi di milioni di persone. La nostra felicità non è stata manipolata, ma semplicemente è accaduta e l’abbiamo vissuta insieme. Credo che lo scopo finale di ogni persona, per quanto agli studiosi ed ai facoltosi possa risultare semplice e scontato, sia proprio quello di voler vivere la propria esistenza accanto alle persone che si amano e trovando insieme la propria strada per la libertà. Potete odiarmi per queste parole, potete non essere d’accordo, potete addirittura prendere questo libro e bruciarlo o farne mille pezzi o sfogarvi su di esso nel modo più creativo che vi verrà in mente, ma resta il fatto che grazie ad esso, ho ricominciato a vivere e non più solo a sopravvivere, come un automa senza spirito. Ricordo che da bambina avrei voluto vivere tante vite diverse: quella dell’attrice, quella della cantante, quella della modella, quella dell’astronauta, quella del genio... Ma non avevo capito che la mia felicità era distante ad appena qualche pollice da me, giusto a qualche filo d’erba di divario, sdraiata per terra come me e con il naso puntato verso le nuvole bianche, che, ai tempi della puerizia, ispiravano i nostri sogni più fantasiosi. Non avevo capito che quel bambino con un paio di lentiggini sul viso, gli occhi pieni di purezza, ma con una scintilla di furbizia, il naso dritto, le labbra strette ed un sorriso tipico di chi le nuvole non si accontenta di osservarle, ma che vuole anche navigarci dentro, avrebbe, a distanza di tanti, forse troppi anni, riempito il mio cuore di una gioia tale al punto da non riuscire più a fare a meno di lui. Ci sono persone che impiegano tutta la loro esistenza e tutte le forze a loro disposizione per scovare, nel nostro vasto pianeta, la persona con la quale vorrebbero invecchiare, passare la loro esistenza insieme, senza mai dividersi. Ma forse potremmo lasciare che, semplicemente, accada. Erano appena un paio di pagine, eppure Lana, subito dopo aver finito di scriverle, dopo aver messo il punto alla fine dell’ultima frase, si sentì più libera che mai, come se finalmente avesse lasciato andare tutto quel tremendo dolore che l’aveva perseguitata fino a quel momento. Lasciò che le proprie spalle, tese e ritte fino a pochi istanti prima, si afflosciassero sulla sedia di legno e slegò i suoi capelli, scrollando appena la testa ed infine, si lasciò andare ad un sospiro, forse il più lungo che fosse mai uscito dal suo naso. Era un sospiro di liberazione, che aveva accompagnato ad un piccolo verso di appagamento. Infine si alzò ed uscì nel piccolo giardino sul retro, quindi volse gli occhi verso il cielo: Dicembre era alle porte e Lana si strinse in un gesto automatico nel caldo cardigan blu scuro che indossava e sorrise appena nel vedere che nel cielo, sebbene fossero le sei del pomeriggio, una luna piena risplendeva ed accendeva gli occhi dei sognatori che si sarebbero fermati anche solo per un istante a guardarla, limpida e misteriosa. Il pensiero di Lana, ovviamente andò ad Alex, che ringraziò mentalmente, come tutte le sere da quando aveva iniziato a scrivere quel libro su di loro e guardando la luna, iniziò a fischiettare le prime note di Always, una delle innumerevoli canzoni che si erano dedicati a vicenda e quella che lei aveva trovato da subito, la più significativa per loro. Aveva ancora ben presente nelle propria testa, quella sera in cui, dopo uno dei loro rari ma terribili litigi, lui l’aveva invitata a passare la sera in uno di quei locali dove vi erano un paio di piste da ballo, birra a fiumi e persone che, dopo il lavoro, andavano subito in quel posto per addormentare lo stress con alcool ed un karaoke fatto da voci brille e stonate, ma ancora piene di calore. Lana ricordava che quel posto, da subito, non le era piaciuto, abituata come era in quel periodo al silenzio solenne di boschi e foreste piuttosto che al rumore ed alle risate delle persone, ma gli occhi dolci di Alex erano stati così convincenti da averla fatta cedere e dopo avergli tenuto il muso per tutta la sera, tra un paio di birre scure ed anacardi sgranocchiati, alla fine lui l’aveva invitata a ballare sulle note di Frank Sinatra e lì, sulla pista da ballo, se prima lei era riuscita a mantenere il polso freddo, a volte riuscendo anche a non guardare Alex per lunghi lassi di tempo, in quegli istanti aveva perso tutta la concentrazione nell’essere arrabbiata e si era sciolta. Ricordava di averlo abbracciato tanto forte da temere di avergli rotto qualche osso e poi era scoppiata in lacrime, dandosi della stupida una miriade di volte. Ma lui era stato paziente e aveva cullato la ragazza tra le proprie braccia fino alla chiusura del locale, ovvero le tre del mattino. Lana tornò alla realtà nel sentir bussare alla porta. Sapeva chi fosse: siccome sapeva che in quella sera avrebbe finito il libro, aveva chiesto a Nicholas di venirla a trovare, perché aveva anche previsto il fatto che si sarebbe certamente lasciata andare ai ricordi ed alle lacrime facili, proprio come era appena accaduto. Portò un paio di polpastrelli sul proprio viso e dopo essersi asciugata le lacrime che le avevano rigato il volto non appena nella propria testa aveva preso ad echeggiare Always di Sinatra, prima di andare ad aprire al suo caro amico che ormai considerava un fratello, gettò un ultimo sguardo a quella luna così maestosa in quella fredda sera invernale e pensò: “so che sei da qualche parte e so che mi stai osservando. Ce l’ho fatta. Se le cose andranno bene, tutti potranno desiderare di essere liberi come lo siamo stati noi”. La neve scendeva abbondante su Woodville. Erano i primi giorni di Dicembre ed era passato esattamente un anno da quando Lana aveva messo il punto all’ultima frase di Let’s Ride, il libro che narrava dei suoi viaggi con la persona che più aveva amato, nell’arco di dieci anni. Nevicava ormai da tre giorni nel piccolo paese, che nel frattempo non aveva smesso di fare progressi: oltre ai nuovi edifici e a quelli che invece erano lì da una vita, da qualche mese era stato aperto un piccolo centro commerciale che aveva segnato la svolta. Ora, Woodville era una meta per i giovani dei piccoli paesi vicini che non sapevano dove andare quando nei sabati pomeriggi, erano finalmente liberi dagli impegni scolastici; anche le famiglie accorrevano numerose e il piccolo paese sembrava prosperare. A Lana non erano mai piaciuti i centri commerciali, come tutti i luoghi affollati in generale e si era vista costretta ad andare in quel posto, di tanto in tanto, solo per necessità estrema. Il posto nel quale continuava a recarsi con una certa costanza, sebbene a volte non fosse il luogo più solitario del mondo, era proprio il cimitero. Si stava recando in quel luogo proprio in quegli istanti, a bordo della sua auto ibrida che aveva deciso di comprare dal momento in cui non aveva alcuna intenzione di usare il camper che era stato suo compagno di vita per tanto tempo: per lei rappresentava una grossa fetta della storia della sua vita e non voleva imprimere in esso altri ricordi che sarebbero poi andati a mischiarsi con quelli importanti, quelli che non voleva mescolare con altri a cui dava meno rilevanza. Stava proprio per parcheggiare, quando sentì il telefono che aveva poggiato sul cruscotto, iniziare a vibrare in un modo continuativo. Dopo aver spento la macchina proprio davanti al cimitero, nel vedere il numero che lampeggiava sul dispositivo, si affrettò a rispondere e salutò con un cordiale: “ciao Douglas!”. L’interlocutore maschile, risposte con una voce piena di calore e gioia: -Lana, mia cara! Siamo in cima alle classifiche dei libri più venduti della provincia, lo sai? La donna non poté fare a meno, nel sentire quella notizia, di sorridere e dire: -wow, dici davvero? Douglas, però sembrava non essere soddisfatto della risposta datagli da Lana, perciò le rispose, scherzoso: -wow è tutto ciò che ti viene da dire? E’ un gran risultato contando che il tuo libro in formato cartaceo è in vendita da appena tre settimane! Lei non poté fare a meno di sorridere ancora, ma fu lo stesso sorriso di prima: emozionato ed indubbiamente felice, ma privo della carica che invece si aspettava il suo editore. -Beh, e che altro potrei dire? Chiese lei, con un leggero timbro di disagio nella voce. Poi aggiunse: -E’ un buon risultato, no? -Ma certo che si! Rispose Douglas, entusiasta. -Abbiamo pubblicato un libro proveniente da un paesino che persino Google Maps fatica a rintracciare con il satellite, ciò vuol dire che c’è stato un passaparola enorme sia sui social network che a voce, hai fatto un ottimo lavoro! Ancora una volta, Lana non sapeva cosa dire e si rilassò contro il comodo sedile della propria auto, posando gli occhi fuori dal finestrino, sul paesaggio collinare, rivestito ed accarezzato continuamente dal soffice manto di neve tipica della stagione invernale e prese un sospiro. La neve continuava a cadere ed oramai vi erano già alcuni centimetri di una carezzevole massa bianca che si era andata a posare al suolo, dal momento in cui aveva iniziato a nevicare anche per tutta la sera prima. -Questo significa che in molti potranno leggere ciò che ho scritto, no? Chiese semplicemente Lana. -Si ed è tutto merito tuo e dell’impegno che ci hai messo per realizzare quella storia. Disse Douglas, ancora felice per le statistiche degli introiti. -Non è solo merito mio. Rispose Lana, improvvisamente malinconica e con gli occhi che si stavano andando lentamente a perdere nel paesaggio di Woodville, che in certe occasioni trovava così poetico da essere sicura del fatto che non avrebbe mai trovato parole per descriverlo bene come invece le mostravano i suoi occhi. Fortunatamente, Douglas capì a cosa si riferisse Lana e si congedò dicendo semplicemente: -fa un salto nel mio ufficio domani pomeriggio, okay? Dentro di sé, Lana ringraziò Douglas per aver finalmente capito che lei in quel momento sentisse l’urgenza di passare del tempo da sola e sussurrò, con voce flebile: -va bene, ti ringrazio molto per avermi chiamata. Sono felice che le cose stiano andando bene. Disse Lana in conclusione, mentre iniziava a scendere con cautela dalla macchina e contemporaneamente apriva il piccolo ombrello bianco che si era portata dietro dal momento in cui la neve sembrava non voler smettere di atterrare al suolo che ormai era coperto da almeno una trentina di centimetri di manto bianco. -Non vedo l’ora, tengo sempre da parte un cognac invecchiato di sette anni per queste occasioni. Rispose Douglas, con l’entusiasmo nella voce che ancora non si era perso. Lana sorrise di cuore nel sentire le parole del suo editore e poi lo salutò educatamente. Dopo essersi messa il telefono in tasca ed essere scesa del tutto dalla macchina, fece un sospiro: purtroppo certe cose le fiutava da un miglio di distanza da quando aveva perso Alex, tempo prima e il proprio istinto le diceva subito quando qualcuno volesse spingersi oltre all’amicizia o al cameratismo con lei e Lana, prontamente, rifiutava sempre con tatto e gentilezza, una cosa che ormai aveva imparato a fare bene. All’età di trentotto anni, Lana splendeva ancora per la sua naturale bellezza, nonostante non si fosse mai applicata chissà quanto nel vestirsi o truccarsi bene. Il suo fisico era rimasto magro , ma carnoso nei punti giusti e sulla faccia le erano spuntate appena un paio di rughe proprio sotto agli occhi e delle piccole zampe di gallina che a malapena si vedevano. Forse l’unica cosa che avesse effettivamente sentito il passare del tempo in lei, erano proprio i suoi occhi che talvolta, venivano velati da un senso di solitudine e tristezza più grandi di lei, ma era consapevole del fatto che non sarebbe potuta guarire dalla perdita del suo amato e se ne era fatta una ragione. I suoi passi lasciavano delle impronte leggere sulla neve candida che aveva bloccato mezzo paese ed era già tanto che lei fosse riuscita ad arrivare alla collinetta dove era situato il cimitero, senza andare ad urtare nulla con la macchina, cosa che invece le era capitato il giorno prima e sperava dentro di sé che nessuno di sua conoscenza avesse visto la leggera ammaccatura che vi era sul lato posteriore destro della propria auto o i suoi amici l’avrebbero presa in giro fino alla fine dei suoi giorni dal momento in cui lei si era sempre vantata di saper guidare in un modo eccellente. Si lasciò sfuggire una risata tra sé e sé nell’immaginarsi la situazione, ma poi tornò subito seria nell’attraversare i cancelli aperti del cimitero che nel corso degli anni, restava sempre lo stesso. Raggiunse subito la postazione in cui avevano seppellito Alex e che ormai Lana conosceva a memoria, ovvero accanto a sua madre, Valerie, che tanti anni prima aveva abbandonato lui ed il marito David, che Lana sapeva non godere di ottima salute nell’ultimo periodo. Come di consuetudine, la donna fece per inginocchiarsi dinanzi alla tomba, ma ricordandosi del fatto che ci fossero almeno trenta centimetri di neve, si fermò per un attimo, ma scosse poi la testa, decidendo subito che non le importava nulla del fatto che le si sarebbero inzuppati i leggins che indossava: quando restava in piedi per poter parlare alla lapide, le sembrava sempre di sentirsi distante ed ormai di Alexander, le era rimasta solo quella che sembrava essere una macchia di marmo nero, con su incisi il suo nome e la sua data di nascita e morte, come se di una persona defunta importassero solo quelle due cose, solo un nome e due date e nulla di più… Dopo essersi inginocchiata di fronte alla tomba, immergendo le ginocchia nella neve fresca, Lana poggiò l’ombrello per terra e la prima cosa che fece, con un gesto che nel corso del tempo era diventato automatico in situazioni simili, fu quello di togliere la neve che copriva il nome sulla lapide e poi dalla piccola foto che Lana ancora non poteva guardare per troppo tempo senza rischiare di sentire gli occhi lucidi: era una semplice immagine di lui che sorrideva, un accenno di barba sul viso, con una mano tra i lunghi capelli castani in disordine e l’altra che imbracciava la sua chitarra preferita. Quella foto era stata scattata proprio da Lana, all’interno del camper, proprio un paio di mesi prima che venissero a sapere della sua malattia, quando ad entrambi era ancora concesso di sognare un futuro insieme, quando erano ancora convinti di poter arrivare ad ottant’anni insieme, tenendo ancora le loro mani unite e nonostante tutta la stanchezza accumulata in una vita, con ancora la forza di baciarsi e di prendersi cura l’una dell’altro… Lana spostò lo sguardo sul nome perché sentiva già gli occhi iniziare a pizzicarle e si era promessa che non sarebbe arrivata a casa ancora una volta con gli occhi gonfi di chi ha appena finito di piangere a dirotto. -Ehi, indovina chi alla fine è riuscito a pubblicare una storia su di noi? Lana accennò un sorriso nel sentirsi sussurrare quelle parole: ancora non poteva credere di esserci riuscita davvero. -Ora chiunque lo vorrà, potrà leggere di noi, dei nostri viaggi, della nostra vita passata insieme, di tutto il lasso di tempo in cui siamo stati felici insieme… Prese un respiro profondo e poi, senza poterne fare a meno, riportò gli occhi sulla foto incastrata nel marmo nero della lapide, incapace di parlargli di quell’argomento senza poter avere almeno quella sua foto – che ormai conosceva a memoria, davanti agli occhi. - Lo so, sarai stanco di dover sentir parlare ancora di questo maledetto libro, ma cerca di capirmi, ormai parlo sempre di noi proprio per evitare di perdere anche il più piccolo frammento di ricordo di te. Abbassò appena la testa e nel togliersi di dosso dei fiocchi di neve, disse a voce più bassa: - quando sarò più vecchia sarà un bel problema cercare di tenere assieme tutti i ricordi che ho con te. Accennò ad un sospiro, poi tornò a guardare quella foto ed una lacrima che non era riuscita a trattenere, rigò il suo viso ovale. Si guardò intorno per assicurarsi del fatto che il cimitero fosse ancora deserto come lo aveva trovato entrando e nel vederlo ancora vuoto, con un dito, andò poi ad accarezzare il viso sorridente di Alexander nella foto e si allungò poi per dare un veloce e fugace bacio ad essa, ingoiando infine, il groppo in gola che sentiva. - Sarà egoistico pensarlo da parte mia, ma non sai quanto io desideri, in questo momento, di averti qui anche solo per cinque minuti, giusto il tempo di dirti che ti amo e ti amerò per sempre, che dopo aver pubblicato quella raccolta di parole scritte nei nostri diari, finalmente mi sento libera dal peso della tua scomparsa, ma non dalla solitudine del dovermi sdraiare nel letto, di notte, senza poter trovare il tuo corpo da abbracciare e senza poter trovare i tuoi baci al mattino, che sono stati gli unici in tutta la mia vita che mi abbiano fatta sentire amata e satura di amore nei tuoi confronti. E per quanto possa sembrare semplice e sciocco, vorrei dirti che sei sempre nei miei pensieri, che non passa giorno in cui il mio pensiero non vada a te. Oramai siamo nel tempo della condivisione multimediale e queste parole si sentono ogni giorno nella musica o nei film, ma per me hanno ancora un valore immenso e non mi stancherò mai di dirti che anche nel mio cuore, non manca mai un posto per te. Lana, dopo quel breve monologo, tirò un sospiro immenso, lasciando che alcuni fiocchi di neve andassero ad infiltrarsi nel proprio naso, cercando ancora una volta di non piangere, cercando di resistere alla tentazione di mandare la propria vita a quel paese per poter stare su quella tomba per giorni interi. Accarezzò per un’ultima volta quella foto ricoperta da un sottile strato di vetro e resistette ancora una volta dal piangere abbondanti lacrime. Doveva resistere perché aveva ancora un’altra visita da fare in quel cimitero della quale non si sarebbe scordata per nulla al mondo. Si alzò e dopo essersi pulita le gambe divenute umide a causa della neve che si era sciolta sui leggins rivestiti che portava quel giorno, poi riprese il proprio ombrello e lasciò altri passi leggeri sulla neve, che conducevano alla tomba di Richard Lovestone. Lana guardò per un momento dall’alto quella tomba coperta dalla neve e con l’aiuto di un guanto che teneva nella borsa, pulì lo spazio dove vi era inciso il nome di suo padre, poi si inginocchio nuovamente, come aveva fatto poco prima per Alexander e sorrise di cuore nel vedere quella fotografia, la stessa di molti anni prima, che sembrava essere intramontabile anche nella propria mente, che ormai riusciva ad immaginarlo solo in salute e nel fiore degli anni, come quando lei ne aveva appena compiuti una decina e lui la portava nell’unica piazza di Woodville nelle sere estive dove allestivano delle giostre e vendevano sempre dei palloncini, quelli ai quali lei ambiva ogni volta. -Lo so, ormai sembro una pazza nel venire qui ogni volta e iniziare a parlare da sola… Ma in qualche modo questo atteggiamento mi fa sentire più vicina a te e ad Al… Lana sospirò, senza poter fare a meno di portare lo sguardo altrove: era sempre difficile per lei, doversi fare forza in ogni singola volta in cui parlava sottovoce con le lapidi di suo padre ed il suo amato, trattenersi dall’esplodere in un pianto fragoroso, sebbene ormai non fosse più una ragazzina ed aveva imparato a gestire i propri sentimenti. La tristezza era sempre stata il suo punto debole e non riusciva mai a liberarsene del tutto da quando Alex l’aveva abbandonata, anzi vi erano spesso momenti nei quali restava a fissare il vuoto, la sera prima di addormentarsi, ripensando a tutti i giorni meravigliosi passati sia con lui che con suo padre ed inevitabilmente, il mattino dopo, trovava il cuscino bagnato di lacrime. - Volevo… Lana prese un sospiro che le fece aspirare qualche fiocco di neve e rabbrividì. -Volevo solo dirti che nonostante io ora possa sembrarti molto fragile, in realtà sto vivendo bene e credimi quando ti dico che ho passato una buona parte della mia vita tra sogno e realtà. Strinse il manico bianco dell’ombrello, poi continuò: -Mi hai sempre detto di fare quello che mi avrebbe resa felice, nel rispetto del prossimo. Ed è stato il miglior consiglio che tu mi abbia mai dato. Quelle parole hanno sempre trovato spazio nella mia testa, poi un giorno è arrivato lui con un camper sotto casa mia e ho scelto di concretizzare il mio sogno di libertà. L’unico vero sogno che io abbia mai avuto e che mi era sempre parso irraggiungibile, più lontano delle stelle e della luna… Si voltò in fretta e poi si asciugò una fredda lacrima che le stava scivolando sul viso, come se lui avesse potuto vederla. -Lo so… Mi ero promessa di non cedere… Ma ora sembra tutto così diverso senza di te, senza di voi… La testa di Lana era come succube di un proiettore che non faceva altro che trasmetterle ricordi su ricordi di continuo e non sapeva come fare a fermarli, quindi decise di andare via da quel posto al più presto possibile o ne sarebbe rimasta inghiottita per ore, come le era accaduto tante altre volte nel corso dell’ultimo anno. -Ora devo andare, papà. Tua moglie mi aspetta e sappi che non ti ha mai dimenticato. Lasciò un’ultima carezza su quella foto, poi tornò in fretta nella propria auto, dove cercò di rilassarsi fumando una sigaretta, cosa che faceva raramente ma che la aiutava a distendere i nervi. Dopo aver parcheggiato il veicolo accanto al camper che ormai era somigliante di più ad un relitto che un mezzo di trasporto, prese la busta sul sedile del passeggero contenente qualche copia del libro che aveva pubblicato, le quali erano state recapitate da Douglas, Lana entrò nella propria abitazione: dalle finestre si poteva vedere il tramonto che a Dicembre avveniva circa verso le cinque del pomeriggio ed appoggiò la busta contenente i libri su uno dei banconi della cucina per prendersi un momento per ammirare il paesaggio. La notte arrivava molto in fretta a Woodville, soprattutto d’inverno, ma offriva un cielo limpido e chiaro di cui si poteva godere solo da paesi situati in collina come quello e Lana non si stancava mai di rimanerne meravigliata, preferendolo quasi ad una buona raccolta di poesie che solitamente leggeva con ingordigia. Aveva smesso di nevicare da poco ed il cielo si era schiarito proprio in tempo per far godere agli abitanti di Woodville qualche macchia di arancio pallido come quello di un pastello, nel punto in cui le colline ed il cielo si andavano ad incontrare. La propria mente colse subito l’attimo e le donò tanti altri sprazzi di ricordi che sembravano essere riuniti insieme con ago e filo alla rinfusa: poteva vedere davanti ai propri occhi, come fossero state figure realmente esistenti lei da piccola e suo padre che facevano una gita a cavallo tra le colline e poi subito dopo, ecco apparire altre due figure. Era sempre lei, ma con qualche anno in più, nel fiore dell’adolescenza che rideva correndo, mentre un giovane e spensierato Alexander la stava rincorrendo con al loro seguito un piccolo cane nero che era solito accompagnarli nelle loro gite infinite nella natura sconfinata di Woodille. Inevitabilmente, si ritrovò in lacrime. Ma al contempo, Lana sapeva di essere viva e con lei, i suoi ricordi, ai quali teneva come un gufo tiene ai suoi piccoli e proprio come esso, Lana sarebbe stata disposta a volteggiarvi intorno fino alla sua stessa morte pur di non perderli. Cercò di asciugarsi le lacrime, stavolta usando la manica del pullover rosso che indossava e tornò a guardare il cielo dalla finestra, ma rimase delusa perché il tramonto era già terminato e nel cielo risplendevano già le stelle che conosceva a memoria, le quali spesso erano state le sue uniche confidenti, quelle che conoscevano ogni sua più piccola lacrima ed ogni suo tentativo di rincuorarsi innumerevoli volte. Nel vedere una di loro cadere, veloce come una saetta, però ebbe il più bello dei ricordi, quello che le fece spuntare un sorriso genuino che ormai le era concesso solo in rare occasioni: ripensò a tanti anni prima, quando era tornata a Woodville per la morte di suo padre e si era seduta su una panchina, vicino al piccolo lago che esisteva ancora ed aveva espresso il semplice desiderio di poter essere libera e di vivere senza tutte quelle ansie che ai tempi si portava dietro come catene strette alle caviglie tanto da non permettere al sangue di passare. Ricordò anche che il momento seguente a quello, fu quello che aveva dato una svolta alla vita della ragazza, ovvero Alexander che, dopo aver appena fatto una litigata al telefono con Diane che ai tempi era la sua ragazza, aveva riconosciuto Lana e le si era avvicinato. Per Lana era incredibile poter realizzare finalmente, quanto poco effettivamente fosse bastato per scatenare tutta quella serie di eventi che inevitabilmente li avevano riportati l’una tra le braccia dell’altro e per la prima volta in tutta la sua vita, Lana iniziò a chiedersi se non ci fosse nel mondo, qualcosa, una strana magia, un’energia particolare che teneva uniti con un sottile filo invisibile le vite di persone in qualche modo destinate a rivedersi, nel bene e nel male. Era davvero possibile che tutto ciò che le era accaduto prima nella vita, era accaduto semplicemente per far si che le due estremità dei fili invisibili andassero a riconnettersi? Lei non aveva la risposta e probabilmente nessuno al mondo conosceva la verità sulla domanda che si era appena posta la donna, ma pensò che non era poi così importante avere di forza una risposta definitiva: era così bello per lei lasciarsi trasportare dai pensieri e dai dubbi che avere delle risposte, avrebbe significato anche mettere fine alla propria immaginazione, così scelse di guardare ancora le stelle, finché la vita non avesse bussato imminente alla porta di casa. -Lana, ma sei tornata! Non ti avevo sentita entrare. La voce di sua madre, la riportò bruscamente alla realtà e Lana si voltò subito per poter accennare un sorriso alla dolce donna che era sua madre: sebbene avesse ormai ogni capello bianco e le rughe sembravano volersi conquistare a tutti i costi un posto sotto agli occhi della donna, Christine era ancora vivace e nulla nel suo carattere ancora spensierato sembrava voler cedere alla vecchiaia ormai alle porte. -Non dovevate andare a casa tua, stasera? Chiese Lana mentre osservava la donna prendere qualcosa dal frigorifero. -In realtà si, ma c’è troppa neve e ho preferito non rischiare. Rispose lei e nell’udire quelle parole, gli occhi scuri di Lana, si illuminarono di calore. -Alexandra! Chiamò Lana a gran voce e subito una piccola sagoma sbucò dalla porta-finestra che dava sul giardino sul retro. La figlia di Lana gattonava ancora, ma era veloce come un fulmine. Quando Lana prese in braccio la piccola, notò che aveva i guanti sporchi di neve ed un sorriso giocoso che splendeva sulle sue piccole labbra sottili che avrebbe potuto far tornare istantaneamente l’estate su tutta Woodville. -Sei tutta bagnata amore mio, così ti ammalerai. Disse Lana, ma senza dimenticarsi di sorriderle, mentre con una mano libera le sfilava di dosso i guanti bagnati dalla neve, poi si portò una sua mano sulle labbra e vi alitò sopra per poterle scaldare, un gesto che inevitabilmente, finì per far ridere la piccola Alexandra a crepapelle. -So che non vuoi, ma era impazzita per la neve mentre eri via. Disse Christine con un vago senso di colpa nella voce, mentre scaldava il biberon della bambina e Lana scosse appena la testa. -Non preoccuparti, mamma. Credo ne valga la pena per poterla vedere sorridere in questo modo. Lana sorrise alla piccola che aveva preso a giocare coi capelli della madre e Lana andò a riempire il suo volto di baci. Alexandra aveva circa quattro mesi ed inizialmente, l’anno prima, ovvero subito dopo la morte di Alexander, Lana aveva pensato di avere spesso nausea e vomito per lo stress causato da quella situazione per lei insostenibile ma dopo un paio di mesi di incertezze, aveva deciso di sottoporsi ad un controllo e aveva inevitabilmente pianto di gioia nel venire a sapere da una dottoressa che stesse aspettando una bambina. Lana non aveva mai valicato la possibilità di avere dei figli quando ancora Alex era in vita, per il semplice motivo che non vi era bisogno di pensarci: si erano sempre trovati bene da soli, nella loro intimità, che fossero momenti spensierati o brevi litigi. Erano sempre stati entrambi troppo giovani dentro per poter prendere seriamente in considerazione l’idea di prendersi cura di una nuova vita e nessuno dei due aveva mai dato segno di avere istinti materni o paterni. Così, quando dissero a Lana del fatto che stesse cullando una vita nel proprio ventre e che poteva solo trattarsi di una vita alla quale aveva contribuito Alex, se ne prese cura al meglio che poté, con l’aiuto di sua madre e di Diane, la quale non aveva smesso per un secondo di restarle vicina e spesso, nell’ultimo mese prima della nascita, si era portata con sé i suoi bambini per poter dormire da Lana ed assicurarle un viaggio sicuro all’ospedale se le si fossero rotte le acque in un momento inaspettato. E nel bel mezzo dell’Agosto passato, Lana riuscì a dare alla luce una sana quanto robusta bambina che aveva già deciso da tempo di voler chiamare Alexandra, in onore di quel padre che non avrebbe mai visto, ma che sarebbe sempre stato una parte di lei. Tutto sommato, sebbene in alcune occasione si lasciasse andare a pianti causati dai propri ricordi che talvolta sembravano volerla tormentare, Lana conduceva nuovamente una vita felice e sapeva bene di non poter desiderare di meglio. Forse, era accaduto nuovamente tutto per un motivo preciso, forse tutto ciò che aveva passato da quando era nata fino a quel momento, era stato semplicemente per desiderare di stringere tra le proprie braccia la piccola Alexandra. O forse, era tutto dovuto alla strana casualità dell’universo. Ma ancora una volta, Lana non cercava risposte. Voleva solo godersi la sua piccola famiglia e ringraziare ogni giorno Alexander per averle insegnato a sentirsi viva. Restando sempre in sella. Fine.

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