Crows In Snow

di Gelatin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** Ⅲ ***
Capitolo 4: *** Ⅳ ***
Capitolo 5: *** Ⅴ ***
Capitolo 6: *** Ⅵ ***
Capitolo 7: *** Ⅶ ***
Capitolo 8: *** Ⅷ ***



Capitolo 1
*** I ***


I personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Yana Toboso; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro

 

Crows In Snow


La neve scendeva placida dal cielo uggioso, andandosi a congiungere al biancore immacolato che attorniava il castello.

Ciel fissò piattamente tale spettacolo, fin troppo abituato al gelido clima invernale per poterlo studiare con chissà quale particolare interesse.

Era cresciuto poco più a sud di quella landa desolata, il proibito territorio del Sovrano dei Ghiacci, dove nessun uomo con un briciolo di buon senso avrebbe messo piede; il suo nome passava, intrepido, di bocca in bocca da secoli, eppure mai il ragazzino si sarebbe trovato a pensare di poter avere a che fare egli stesso con una simile creatura.

In fin dei conti, però, era stato lui ad appigliarsi alla sua slitta, era stato lui a seguire lo sconosciuto misterioso avvolto nella sua ingombrante pelliccia.

Sospirò.

Alle sue spalle, nella stanza di un monocromatico azzurro smorto, il grande baldacchino dalle cortine leggere era divenuto appoggio di una molteplicità di libri e qualche vecchio diario scarabocchiato frettolosamente.

Indolente, pensò avrebbe dovuto finire i suoi compiti, o il demone si sarebbe certamente adirato.

Sebastian -questo era il nome con cui il Sovrano gli si era presentato-, pareva compiaciuto dell'aver un nuovo pupillo al quale tramandare le sue arti: diceva che se si fosse impegnato abbastanza pure lui, grazie al suo aiuto, sarebbe stato capace di manipolare la neve e il ghiaccio come meglio avrebbe voluto.

Ciel non ne era troppo convinto, eppure, guardandosi gli arti lividi e ritornando con la mente al passato, tendeva a darsi dello stolto per tale scetticismo.

Lasciò le dita sfiorassero il freddo vetro della finestra, ma non percepì alcun brivido scuoterlo; il gelo non poteva più scalfirlo, così ben abbarbicato nelle profondità del suo cuore e del suo animo.

Un soffio di vento, quasi impercettibile, gli carezzo la gota, improvviso: capì il Sovrano lo stava richiamando a sé e si affrettò ad abbandonare la camera scendendo precipitosamente le lunghe scale a chiocciola a piedi nudi.

Ben presto, si ritrovò nell'immenso salone di ghiaccio in cui Sebastian l'aveva condotto la prima e definitiva volta in cui era entrato nel castello per non abbandonarlo più.

Tutto nella stanza era di un impersonale e accecante bianco, perfino il trono, un agglomerato di stalagmiti intrecciate a formare un seggio improbabile; un lungo corridoio, attorniato dagli stessi spuntoni gelati, conduceva dall'immensa porta principale al podio su cui era solito sedere il Sovrano.

Schivò una delle tante colonne ghiacciate e si avvicinò alla creatura, seduta compostamente a gambe accavallate, che lo fissava in tralice.

Era bello, aveva pensato la prima volta che lo aveva visto.

La pelle diafana, nivea, era perennemente coperta da lunghe vesti che arrivavano a sfiorargli mollemente le caviglie, quanto bastava per rivelare gli alti stivali laccati di nero, che risuonavano secchi a ogni suo passo, e nulla di più, condannando al mistero qualunque cosa vi fosse al disotto.

Sulla testa, a coronare la chioma corvina, un diadema sbilenco, cereo, era affisso quasi per magia e riluceva sfolgorante, sottolineando l'incommensurabile potere di cui la creatura era in possesso.

Protese una mano dalle lunghe unghia verniciate; il pallore delle sue dita andava sfumando in un blu scuro, quasi pece, già all'approssimarsi del polso, cosicché le uniche cose a restare incontaminate erano le sue mani e il singolare sigillo sul dorso della sinistra.

Ciel attraversò l'immensa distesa di acqua gelata e accettò il sostegno in silenzio, salendo flemmaticamente gli scalini che rialzavano il podio.

Quando si ritrovò difronte al volto del demone, stette ad attendere le sue parole, calmo.

Il viso del Signore dei Ghiacci era di squisita bellezza, dai lineamenti delicati, i quali si dipingevano perfettamente nel volto ovale, aggraziato e ferino, simile a quello di una statua.

Sebastian, col consueto ghigno, alzò gli occhi cremisi sui suoi.

''Hai finito i tuoi compiti?'' domandò tranquillamente.

Ciel rimase impassibile, scuotendo la testa.

''Non ancora.''

Un sospiro abbandonò le labbra sottili del Sovrano, che lo guardò con un'impercettibile e mal simulata nota di disappunto.

''Ti avevo domandato di farlo'' sottolineò l'ovvio, poi allungò le dita al suo viso, carezzando delicato la pelle tenera sotto al suo occhio destro.

Lì, a sostituire l'oltremare dell'iride gemella, il medesimo sigillo che il demone aveva impresso sulla mano, simbolo indissolubile del loro eterno legame.

Sulle prime, nell'assopimento del suo cuore inaridito, aveva percepito un certo disagio nell'ammirare allo specchio l'insolito indaco del suo occhio e la figura geometrica che vi si stagliava di sopra, come una maledizione; poi, tutto era stato nuovamente inabissato dall'apatia della sua sorte e non vi aveva più dato importanza.

''Non importa'' sospirò nuovamente Sebastian, continuando a scrutarlo fermamente ''Significa concluderò io le tue lezioni.''

Si alzò, sovrastandolo, imponente, con la figura slanciata.

Ciel ispirò il suo aroma, che non era un vero e proprio profumo: qualsiasi odore, in quel posto, pareva essere inghiottito dal gelo, eppure sulle vesti del demone perseverava un profumo vago, come di rose, che lo trasportava indietro ogni volta.

Indietro alla sua casa e alla spensieratezza, indietro a Elizabeth, indietro ai loro giochi e al loro giardino pensile.

Avrebbero dovuto ferirlo, tali rimembranze, tuttavia non potevano più farlo.

Seguì Sebastian per uno dei corridoi adiacenti, identici in tutto e per tutto al resto della dimora; giunsero nell'angusto studio del demone e Ciel prese posto dinnanzi a questi, dall'altra parte del piccolo tavolo, formato anch'esso da un sottile strato di ghiaccio.

Gli venne porto un tomo i cui disegni grotteschi rapirono la sua attenzione.

Si concentrò in particolar modo sulle rune che ornavano buona parte delle pagine e di cui riuscì a capire ben poco.

Sebastian gli si era avvicinato, il corpo gelido a una spanna dal suo.

Avesse potuto, sarebbe rabbrividito.

Scrutando il profilo del demone ricordò la prima volta in cui il suo sguardo si era posato su di lui, dietro la finestra appannata della sua casa, quando quel meraviglioso individuo senza nome gli aveva sorriso, attorniato dalla neve circostante, ed era subito sparito nel momento in cui Ciel, dopo essersi accucciato a terra, preso alla sprovvista, aveva osato alzare nuovamente la testa al vetro.

Da quell'istante, gli era stato impossibile toglierselo dalla mente.

Una fredda mano sulla schiena lo spinse a volgere l'attenzione al Sovrano, il quale gli stava indicando un rigo non meglio definito della pagina.

''Presta attenzione'' lo ammonì ''Hai detto di voler apprendere: non puoi farlo se non mi ascolti''

Il ragazzino lo tacitò con un'occhiata svogliata.

Sebastian inarcò un sopracciglio e sospinse gentilmente il suo viso, per scrutarlo fisso.

I loro nasi si sfiorarono.

Ciel desiderò inconfessabilmente di poterlo baciare ancora.

''Non fare il bambino viziato. Sono il tuo maestro e signore. Rivolgerti con quell'aria di sufficienza è fuori luogo.''

Il ragazzo tradì un cipiglio infastidito, tuttavia non ribatté, sapendolo inutile.

Era suo. Il suo corpo, la sua anima, il suo cuore, tutto era stato conquistato dai tentacoli di ghiaccio della creatura.

Presto, le parole del demone divennero poco più di un cantilenare confuso; la sua voce, estremamente piacevole, svelta e decisa, lo trascinò in un irresistibile assopimento. Era colpa di Sebastian, alla fine, se era stato incapace di chiudere occhio quella notte, preso a cercare di scacciare la sua immagine dalla testa.

Durò giusto qualche altro minuto, poi non resistette più e chiuse le palpebre.
 

Quando si svegliò era ancora nello studio del Sovrano, lo decretò immediatamente dalla luce eccessivamente flebile, inconsistente, lasciata filtrare dalla sola, minuscola finestra.

Di certo, però, non era più al suo posto, all'estremità della scrivania.

Gli ci volle un po' per discernere il punto preciso in cui si trovava e, ancor di più, elaborare ciò che stava accadendo.

Sebastian doveva averlo portato sul divano incuneato tra le librerie, abbastanza ampio affinché potesse sdraiarvisi senza problemi, e adesso teneva il suo capo in grembo, accarezzandolo distrattamente.

Ciel si tirò a sedere di slancio.

Sentì il Sovrano ridacchiare.

''Proprio come un infante, sei incapace di restare sveglio.''

''Io...'' balbettò, non riuscendo a trovare una scusa adeguata.

''Con il giusto impegno potrò insegnarti ciò che so, ma se dormi durante le mie spiegazioni ogni tentativo si fa vano, non credi?''
Ciel si morse il labbro.

''Non accadrà più.''

''Lo spero'' ghignò il demone ''Va pure a letto, allora, per oggi è abbastanza.''

Fece per alzarsi, ma un capogiro lo fece annaspare e afferrare la testata del divano di slancio.

Guardò di sottecchi l'espressione del demone, divertita, e si maledisse.

Questi si avvicinò e lo prese tra le braccia.

Avrebbe protestato se il profumo del Sovrano non fosse stato così pungente e se le sue mani, delicate nel sorreggerlo, non avessero zittito qualsiasi opposizione.

Nella parte più recondita del suo cuore, una sorta di malata soddisfazione lo avviluppò, spaventandolo; Sebastian lo aveva scelto, ne aveva fatto un suo allievo e aveva acconsentito a condividere l'eternità intera con lui.

Il temuto e ignominioso Signore dei Ghiacci, una vera e propria legenda nelle sue terre, aveva accolto sotto la sua ala un misero umano come lui, donandogli conoscenza e immortalità.

Sorridendo impercettibilmente, lasciò Sebastian attraversasse di nuovo il salone e l'immensa scalinata per ricondurlo alla sua camera, nella torre più alta.

Lo adagiò tra le coperte ghignando.

''Vedi di dormire a dovere, non interromperò nuovamente le mie lezioni per lasciarti sonnecchiare.''

Un suo palmo sulla fronte gli impedì definitivamente di tenere le palpebre aperte.

Si abbandonò al sonno percependo la presenza del demone accanto al letto.

Il loro primo incontro si sarebbe potuto dire singolare, pittoresco, nel modo in cui al demone garbava fare le proprie entrate in scena.

Il Sovrano dei Ghiacci l'aveva reso centro del suo interesse nel pieno dell'inverno, il medesimo che, perenne, gelava la sua dimora; Lizzy era da poco tornata a casa, e Ciel si era arrampicato insonnolito sulla sedia dinnanzi alla finestra, scrutando il magnifico paesaggio fuori stante.

Se, da una parte, detestava quella stagione per via della maniera in cui lo costringeva in casa, dall'altra era profondamente affascinato dal candore della neve e dalla perfezione dei suoi fiocchi.

Uno di essi, notevolmente più grande rispetto agli altri, aveva percorso la propria traiettoria davanti al suo naso, volteggiando bizzarramente, per poi posarsi su una delle cassette colme di rose che lui ed Elizabeth avevano assicurato alle rispettiva finestre.

L'aveva già dimenticato per passare al successivo quando un movimento contrastante, insolito, aveva attirato la sua attenzione: in quello che avrebbe potuto definire un alito di vento, il fiocco era cresciuto, le sue forme si erano plasmate assumendo presto sembianze antropomorfe e un uomo, bellissimo, si era palesato alla sua vista.

Tutto, in lui, ricordava la neve.

La pelle candida, le vesti leggiadre in cui era avvolto, perfino la freddezza dei suoi occhi.

Gli aveva sorriso, gelido, salutandolo con la mano.

Sbigottito, Ciel era saltato giù dalla sedia tremando.

Il suo cuore aveva iniziato a pompare tanto forsennatamente da fargli temere di poter spirare da un momento all'altro; i suoi occhi, sgranati, avevano presto preso a bruciargli per l'insistenza con cui li teneva aperti e il suo respiro, irregolare, si era propagato per la camera in una cacofonia di ansiti.

Un'ombra fugace al di fuori del vetro e la crescente paura si era interrotta in un istante.

Quando aveva rialzato lo sguardo, la creatura non c'era più.

 

Si destò che le prime luci dell'alba stavano già colorando il cielo.

Non si stupì di non vedere il demone accanto al letto: molte volte questi attendeva si addormentasse, ritto a fianco del baldacchino o, più sporadicamente, seduto al margine di questo, giocherellando con le ciocche dei suoi capelli, ma mai, neppure una volta, l'aveva ritrovato al risveglio.

Si sedette tra le coperte sfatte, le uniche, assieme al materasso, a non essere composte della stessa materia dell'intera dimora.

Coprirsi, ovviamente, era un'abitudine, non una necessità: egli stesso girava per il castello con solo una leggera tunica indosso, esageratamente corta, che si apriva in una scollatura disinibita all'altezza del petto.

Sulle prime non vi aveva semplicemente prestato attenzione, preso com'era dall'immensità di quel luogo straordinario e da Sebastian e, successivamente, non se l'era più sentita di replicare.

Questi erano gli abiti scelti per lui e questi avrebbe indossato.

Un'altra giornata era giunta, così scese dal baldacchino e si rassetto alla bell'e meglio.

Alla fine, era quello il suo dovere.

La sua casa, sua zia, Elizabeth, aveva abbandonato tutto di sua spontanea volontà e non vi era modo lo rimpiangesse.

Tuttavia, ciò che ignorava, è che lui era il solo a essersi gettato il passato alle spalle, assaporando la compagnia di quel demone; miglia e miglia lontano, Lizzy era ancora lì, ad attenderlo, ma era decisa a non aspettarlo ancora per molto.

 


Warning! Don't feed the author!
Innanzitutto salve e grazie a chi è arrivato fin quaggiù! Gradite del tè caldo? Un biscottino?
Ecco che, dopo anni, mi decido a fare la mia entrata su efp, indecisa e spaventata. Conoscendomi, potrei pentirmene non appena cliccherò sul tasto ''pubblica'' -la mia vita spericolata è fatta al 90% di ansia, non fateci troppo caso.
Il titolo della storia è tratto dall'omonima e bellissima canzone dei Passengers che, nonostante a livello di testo non c'entri molto con la fanfiction, mi è sembrato comunque appropriato.
Mi sono permessa di apportare svariate modifiche alla fiaba di Andersen come, d'altro canto, ha fatto anche la Toboso nel suo spin-off: nella storia originale si accenna a una scuola di magia di cui, a quanto pare, i demoni fanno parte, da qui l'idea di un Sebastian che ''trasmetta'' le arti magiche a Ciel. Per il resto... Beh, il resto lo vedrete in seguito anche perché in buona parte devo ancora scriverlo.
Spero di cuore la fanfiction possa essere stata di vostro gradimento.
Al prossimo capitolo!
Baci
 
 

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Capitolo 2
*** II ***


Crows in Snow

 

Elizabeth, quattordici anni, due perfette codine a tenere in ordine la massa di boccoli biondi e un paio di entusiastici occhi verdi, aveva fino a quel momento affrontato la vita con la tipica esuberanza giovanile che la contraddistingueva dalla nascita.

Nessuno era mai stato privato delle sue espressioni gioiose, che sembravano portare il sole anche nel mezzo della tempesta, o delle sue dolci parole. Era ben voluta da tutti: dai suoi famigliari più stretti, dai compagni di giochi e perfino dalle vecchiette che si limitavano a scorgerla correre lungo la via principale durante la bella stagione.

Per questo fu terribile quando l'ombra calò su di lei, privando la città della sua letizia.

Dal giorno in cui Ciel era scomparso, non era stata più la stessa.

I suoi sorrisi si erano trasformati in ghigni incrinati, le sue parole sembravano essere state inabissate dalla tristezza stessa e la sua risata era sparita col giovane, probabilmente morto oltre le porte della città, nella foresta, e già divorato fino alle ossa dagli animali che la popolavano.

Nonostante tentasse con tutta se stessa di essere ragionevole, le era proprio impossibile credervi: rifiutava la morte di Ciel come se non vi fossero altre verità oltre l'irremovibile convinzione che l'animava. Il ragazzo doveva essere ancora vivo.

Elizabeth se lo sentiva sotto la pelle, era una percezione mai provata in precedenza alla quale, eppure, si affidava ciecamente, guidata da una forza ascetica.

Fu con questa certezza che, quando la neve si sciolse e la primavera riscaldò il clima, Lizzy indossò le graziose scarpette rosse regalatele quel Natale e si diresse al fiume, sedendosi sulla sua sponda e piangendo silenziosamente.

Attorno a lei la neve si era sciolta, lasciando il verde smeraldino dell'erba facesse da culla ai fiori variopinti, smossi adagio dal vento gentile; il cielo, disseminato di qualche vaporosa nube, quel mattino era straordinariamente terso, e guardandolo a Lizzy ricordò un po' di Ciel.

''Se solo sapessi dove ti trovi, farei di tutto per riportarti indietro.'' singhiozzò, prendendosi la testa tra le mani.

Prima ancora di scomparire, il giovane era cambiato, non poteva negarlo.

Il ragazzino spensierato con cui era cresciuta, il suo amato amico, era diventato d'improvviso distaccato e schivo, una sorta di relitto umano stanco, abbandonato a un altrettanto stremato tormento.

Aveva smesso di giocare con lei e di ridere insieme, si era richiuso in camera senza neppure affacciarsi alla finestra per chiacchierare sul loro roseto com'erano soliti fare.

Se c'era qualcuno a cui era pesato maggiormente quel cambiamento era lei: Elizabeth si era sentita estremamente sola, tuttavia quella solitudine era di gran lunga più sopportabile della lacerante perdita a cui era sottoposta adesso.

Avrebbe dato qualsiasi cosa per riaverlo.

Si sporse sulla superficie tersa dell'acqua per guardare il proprio riflesso pallido, segnato dalle innumerevoli notti insonni trascorse a pensare a Ciel, a rigirarsi nel letto incapace di dormire.

Per una frazione di secondo, intravide qualcosa d'indistinto poco al di sotto del pelo dell'acqua, simile a due occhi, le cui pupille allungate, abominevoli, parevano scrutarla dal vermiglio dell'inferno stesso.

Trasalì, alzandosi con troppa fretta; il tacco della sua scarpina s'incastrò in una rientranza del terreno ed Elizabeth cadde nel fiume con un tonfo sordo, trascinata via dalla corrente.

Sebastian distolse l'attenzione dall'immenso specchio ai suoi piedi per puntarsi sul ragazzino appena entrato nel salone.

La figura di una certa fanciulla era già sparita a una velocità che nessun occhio umano avrebbe mai potuto cogliere, così Ciel incedette senza fare troppe domande, mirando ostinatamente al pavimento.

''Finito di studiare?'' chiese, ricevendo un cenno d'assenso.

Il demone si decise a spezzare la propria immobilità, impettito difronte al trono, per andare incontro al ragazzo, il quale si era fermato, indeciso, a una manciata di passi da lui.

Lo fronteggiò, dilettandosi nel vederlo tentare di schivare il suo sguardo senza però riuscire a evitare di alzare gli occhi al suo viso, come faceva spesso, in una maniera così deliziosamente vulnerabile da compiacerlo mutamente.

L'animo di quell'umano, incontaminato, spensierato e radioso, era stato ciò ad averlo interessato; ma anche adesso, dopo aver reso di ghiaccio il suo cuore ed estirpato qualunque sentimento positivo in lui -per i suoi affetti, per il mondo al di fuori del suo castello-, serbava un ché di estremamente attraente che non sapeva spiegarsi.

Il suo orgoglio ostentato, forse, tra i suoi tanti difetti, era quello che il demone apprezzava maggiormente.

Ne aveva fatto il proprio pupillo per la mente brillante e per un certo portamento che, dopo secoli di esperienza, era capace di discernere con una sola occhiata, ciononostante, si diceva, non si sarebbe spinto tanto lontano solo per quello.

''Molto bene'' lo blandì, ghermendo le sue spalle minute ''Possiamo fare un po' di pratica, adesso.''

Ciel sembrò restio, ma non osò obiettare, seguendolo al centro del salone.

Il demone si guardò intorno, poi alzò una mano e si sforzò quel minimo indispensabile per far sì il calice accanto al trono tagliasse l'aria fino a incontrarsi con la sua presa.

Sposto l'oggetto, colmo di vino, tra loro, lasciando il ragazzo l'osservasse con un misto di curiosità e trepidazione.

''Inizieremo con qualcosa di semplice'' annunciò ''Congelare un liquido è l'incantesimo più facile tra tutti, alla portata di un bambino''

E così dicendo sfiorò appena il bordo della coppa con la punta delle dita, facendo solidificare la bevanda all'istante.

Ciel si agitò nervosamente sul posto.

''Devi solo concentrarti'' lo spronò il Sovrano.

Lentamente, il ragazzino portò le piccole mani ai lati del calice -il suo contenuto nuovamente liquido- e serrò le palpebre, cercando di rammentare le lezioni del demone riguardo all'aggregazione del proprio potere in una determinata parte del corpo.

Provò e riprovò.

Sentiva un vago formicolio lungo braccia e gambe, eppure, non appena questo sembrava protendersi alle sue dita, svaniva improvvisamente, lasciandolo sconfitto e stanco.

Seguirono numerosi, inutili tentativi.

Sebastian sbuffò.

''Non ti concentri abbastanza'' disse, sovrapponendo le mani alle sue; percepì la presa del ragazzino tentennare ''Respira profondamente, non distrarti''

Si fece più vicino al giovane, carezzando col fiato l'incavo del suo collo; il debole calore che ancora si librava dalla sua pelle era travolgente, e dovette far leva su buona dose del proprio autocontrollo per non affondare i canini nella sua carne tenera e privarlo di quell'ultimo frammento di umanità.

Lo sentì inspirare sonoramente.

''Bene, ora permetti al tuo potere di scorrere fino al calice. Focalizzati sul vino, figurati il ghiaccio che si avventa sulla sua superficie e ne prende possesso, senza esitazione, plasmando la materia secondo il proprio desiderio'' sussurrò. Nell'atto, si era avvicinato ulteriormente, e ora le sue labbra sfioravano l'orecchio del fanciullo ad ogni parola ''Immagina il gelo che si chiude su di lui, non lasciandogli alcuna possibilità di salvezza.''

A quella frase il potere di Ciel affluì celere, con la peculiare impetuosità dei principianti: il Sovrano poté sentirlo fremere sotto la sua presa, tendendosi e infine librandosi tra loro, raffreddando l'aria già gelida.

Osservò la chioma del giovane oscillare, una flebile, pallida luce circondarlo: le sue vesti si spalancarono, come invase da un vento invisibile, e per un istante tale forza crebbe tanto drasticamente da spingere il Sovrano a prepararsi a intervenire. Prima che potesse farlo, tuttavia, l'immobilità tornò ad avvolgere il ragazzino, silente.

Questi aprì un occhio, incerto; Sebastian gli sorrise rassicurante.

''Bravissimo.''

Ciel fissò la coppa gelata.

Il vino adesso era uno spesso blocco di un cremisi annacquato.

''Sono stato io a farlo?''

''Chi altri?''

''Non credevo ci sarei riuscito...''

''Oh, suvvia'' sbuffò il Sovrano ''Sono io il tuo insegnante, è ovvio ce l'avresti fatta.''

Il ragazzo non aggiunse più nulla, rimase solo a fissare trasognato il frutto dei suoi sforzi. Il carminio di quel vino era l'unica tinta a spezzare il monocolore dell'intero castello, da quando ne avesse memoria; era riuscito a ritrovarlo solamente nelle magnifiche iridi di Sebastian e nei suoi più celati ricordi.

Delle più svariate gradazioni di rosso erano le rose che zia Francis e zia Angelina gli avevano permesso di piantare insieme alle loro erbe aromatiche. Lì, invece, nello sfiancante abbandono, non cresceva nessun fiore, la vita stessa era annientata dal gelo, cosicché la solitudine regnava sovrana alla stregua del demone.

Ciel s'incupì e Sebastian non mancò di notarlo.

''Cosa t'impensierisce?''

Il ragazzino lo guardò titubante, torcendosi le dita.

''Sei sempre stato qui da solo?'' si decise a porre la domanda che gli vorticava in testa da settimane. Nella dimora non c'erano né servitori né cameriere: tutto era costantemente immerso in una quiete paurosamente innaturale, agghiacciante, che lo rendeva quasi paranoico.

Costretto all'angoscia di quel palazzo funereo, aveva ricercato la vita con ostinazione particolare: ma neanche oltre le grandi vetrate era mai riuscito a scorgere qualcosa di diverso dalla neve.

Neve, neve ovunque.

Neve che continuava a scendere dalla volta senza sosta, neve che non aveva lasciato spazio alla primavera.

Era estenuante.

''Da che io abbia memoria sì.'' rispose Sebastian, sottraendolo ai suoi pensieri.

''È per questo che mi hai preso con te? Ti sentivi solo?''

''La solitudine è un'emozione tipicamente umana, noi demoni non siamo fatti per instaurare legami. Oserei dire di averti condotto qui per noia: insopportabile, snervante noia. Inoltre, è da decisamente troppo tempo che tengo le mie arti per me soltanto; trasmetterle a un umano mi è sembrata un'esperienza piuttosto interessante'' spiegò, accigliandosi al vedere il tormento campeggiare sul volto di Ciel ''Che succede? C'è qualcosa che non ti piace, qui dentro?''

''Non è questo...'' iniziò incerto ''Semplicemente, il sole arriva a malapena a rischiarare questo posto e la vita rifugge il tuo castello alla stregua della luce: non ci sono né persone né altre creature viventi, nemmeno un fiore riesce a sbocciare in tanta desolazione.''

Il Sovrano gli rivolse una lunga occhiata, poi gli si avvicinò, congiungendo le mani.

Ciel ricambiò lo sguardo, stupito e curioso.

Quando Sebastian schiuse nuovamente i palmi, tra di essi c'era qualcosa.

Una rosa di ghiaccio, trasparente e meravigliosa, polarizzava l'esiguo chiarore del salone nei suoi petali affilati, rilucendo come un diamante; non una singola imperfezione ne rovinava la superficie immacolata, rasentando la stessa perfezione del demone che l'aveva realizzata.

Sebastian gliela porse e il ragazzo l'accetto con cautela, affascinato.

''È stupenda...'' sussurrò inconsapevolmente, dando voce ai suoi pensieri.

''Non soltanto. I fiori appassiscono, muoiono come tutte le altre creature viventi, ma questo non lo farà, conserverà la sua bellezza per sempre. È ciò a rendere tanto magnifico il ghiaccio: è capace di preservare qualunque cosa avvolga, di conferire l'immortalità che neppure Dio è capace di donare.

Capisci, Ciel? Io ti sto offrendo l'eternità.''

Il ragazzo gli gettò un'occhiata sorpresa, non sapendo cosa dire.

Boccheggiò molteplici volte poi, incapace di trovare una risposta adeguata, si limitò a tacere, riportando l'attenzione alla rosa di ghiaccio.

Anche il Sovrano rimase in silenzio, ma Ciel poté sentire il suo sguardo studiarlo a lungo prima di decidersi a voltarsi e ad abbandonare il salone. Il ragazzo ammirò le sue spalle ampie ondeggiare dietro al grande mantello di pelliccia mentre si allontanava con la sua tipica andatura ferina.

Quando nessun altro suono infranse la stasi dell'atmosfera -eccezion fatta per il suo respiro accelerato-, osò riconcedere gli occhi al fiore che scintillava nella sua presa: lo contemplò in estasi poi, quasi non potendone fare a meno, lo avvicinò al proprio viso, poggiando le labbra sulla sua gelida superficie.

Fu un bacio rapido, leggero come quelli che il demone gli aveva elargito al loro primo incontro, giusto il tempo di ricercare parte dell'essenza di Sebastian nella meraviglia da lui creata. Se la strinse al petto e imboccò la stessa direzione del demone, diretto alla propria stanza.

L'unico dettaglio a sfuggire alla sua mente annebbiata fu un insolito, stonante battito di troppo dietro al punto in cui la rosa posava.

 


Warning! Don't feed the author!
Bentrovati miei piccoli marshmallow colorati!
Mille grazie a chi ha recensito lo scorso capitolo e anche a tutti i lettori silenziosi! Vi adoro!
Ho deciso aggiornerò un capitolo alla settimana: la fanfiction non sarà troppo lunga e io sono incredibilmente lenta a scrivere, non me ne vogliate.
E niente, credo di aver detto tutto (?)
Grazie ancora a coloro che sono arrivati fin qui!
Au revoir!

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Capitolo 3
*** Ⅲ ***


Note: onde a evitare confusione, la parte iniziale, in corsivo, è un flashback. Buona lettura ^^
 

Crows In Snow


Il ricordo confuso di quella notte non l'aveva più abbandonato: segretamente, nella parte più recondita del suo animo, Ciel custodiva ancora la reminiscenza della singolare creatura apparsa davanti alla sua finestra, imponente e bellissima, per certi versi insidiosa in un modo che non sapeva spiegarsi.

Aveva avvertito il pericolo, tuttavia l'immagine dell'essere continuava a presentarsi insistente nella sua mente e nei suoi sogni, e neppure Elizabeth era riuscita a distrarlo con la sua spensieratezza. Giorno dopo giorno l'innaturale necessità di rivedere quel volto etereo si era fatta pressante, impellente, e il ragazzo non era più riuscito a concentrarsi su altro.

Poi, in un battito di ciglia e un fiotto di dolore, tutto era cambiato.

Ogni cosa si era mostruosamente distorta e la felicità era scomparsa, come volata via.

Adesso, pure le persone a lui più care gli parevano fantocci insignificanti; le loro frasi, lontane e ovattate, non arrivavano neppure a sfiorare il suo udito e la città che aveva tanto amato gli mostrava ora tutte le sue imperfezioni.

Non c'era più nulla di bello nella sua vita, nulla che valesse la pena di essere considerato.

La sola cosa a dargli ancora un minimo di forza, uno sprazzo di sentimento, era il ricordo della creatura che ricercava ovunque: nel freddo, nel pallido bianco della neve, nei suoi fiocchi simmetrici e incantevoli, le uniche cose a non essere state contaminate dal suo crescente avvilimento.

Contrariamente agli anni passati, Ciel si era ritrovato a sperare l'inverno non finisse mai. Non voleva vedere l'ultimo ricordo dell'essere sparire in quel modo.

''Ciel, mi stai ascoltando?''

Il ragazzo volse la sua attenzione a Elizabeth, che lo scrutava arcuando il labbro inferiore con aria capricciosa. Si era sporta pericolosamente dalla sua finestra, proiettando la propria, tenue, ombra sulle rose sottostanti.

''Cosa c'è?'' rispose svogliatamente.

''Mi annoio, giochiamo insieme.''

Il ragazzino scrollò il capo.

''Non ne ho voglia, adesso. La zia mi ha dato il permesso di scendere fino in piazza, penso andrò lì.''

La neve stava iniziando a sciogliersi a causa del clima più mite, e tra poche settimane sarebbe giunta la primavera: voleva godersi appieno gli ultimi momenti a contatto col suo unico lenimento prima di attendere un intero altro anno.

Elizabeth si era adombrata e non aveva aggiunto alto; la vide chiudere la finestra e rientrare nella sua camera, mortificata, eppure non se ne dispiacque tanto quanto avrebbe voluto.

Sospirò, indossò il suo pesante cappotto e uscì di casa senza salutare la zia.

La città era piccola, un agglomerato di minuscole case diroccate addossate l'un l'altra; impiegò poco, quindi, a giungere alla piazza principale, dove un gruppo di ragazzi più grandi era intento a giocare.

Si accomodò su una panchina spazzando via la neve che l'aveva ricoperta e osservò distrattamente alcuni giovani legare i propri slittini a una manciata di carri fermi nello spiazzale.

Un ragazzo biondo dall'aria gioviale gli si avvicinò.

''Heilà!'' lo salutò, mostrandogli un sorriso tutto denti.

Ciel cercò di ricordare il suo nome: in città tutti si conoscevano tra loro, e anche lui doveva aver certamente scambiato qualche parola con quel fanciullo, ma nel suo totalizzante disinteresse non ricordò quando.

''...Finnian, giusto?'' tentò, dopo interminabili secondi di riflessione.

Il biondo annuì con foga.

''È da un po' di tempo che te ne stai a passeggiare da solo senza Lizzy'' sentenziò, sedendoglisi accanto ''Avete litigato?''

Ciel trattenne una smorfia infastidita.

''No, nulla del genere.''

''Uhm... Davvero? Sai, sembri molto triste''

Il ragazzino osservò la sua espressione incupirsi, compassionevole, per poi mutare celermente in un impeto inspiegabile di gioia.

''Ho un'idea! Hai voglia di provare il mio slittino?'' sorrise, indicandogli l'oggetto in lontananza.

Ciel scosse la testa: ''Ti ringrazio, ma non ho voglia di giocare.''

Finnian si rabbuiò nuovamente, tuttavia non demorse; lo afferrò per un braccio e con una forza spaventosa lo trascinò fino al gingillo di legno, porgendogli la corda a cui era legato.

''Quello'' iniziò, facendo un cenno verso un punto alle proprie spalle ''È il carro di Bard. Assicuralo lì e lasciati trascinare fino al pendio, poi slega la fune: è divertente, te lo assicuro!''

Ciel fissò scettico la corda che aveva in mano.

''Dai, fai solo un tentativo!'' insistette Finnian.

Il ragazzino sospirò, sconfitto.

''D'accordo.''

Fu appena capace di vedere un sorrisone sbocciare sulle labbra del ragazzo che questi venne richiamato da un gruppo di amici al margine opposto della piazza, oltre la fontana di marmo.

''Ci vediamo dopo!'' sventolò la mano per aria e corse via.

Ciel rimase a fissare il punto in cui era sparito, per poi riportare l'attenzione all'oggetto accanto a sé: cercò il carro di cui parlava Finnian per individuarlo accostato ad altre due vetture simili per grandezza e fattura.

Stava per avvicinarglisi quando qualcosa colse il suo interesse.

In lontananza, su quella che sotto lo spesso strato di neve era la via principale, una slitta immacolata macerava velocemente la distanza che la separava dalla piazza; contrariamente a quanto Ciel credette, questa non si accostò ai carri, ma li aggirò, percorrendo il perimetro dello spiazzale un paio di volte prima di fermarsi in un angolo isolato.

Il ragazzino, che non aveva perso di vista neppure per un istante la vettura, gli si accostò rapito, trascinando con sé lo slittino di Finnian.

Quando fu abbastanza vicino, notò le dimensioni stupefacenti del veicolo e la candidezza del suo colore. Mai nella sua vita aveva visto una slitta tanto bella, la cui consistenza evanescente, simile al ghiaccio, la faceva somigliare a qualche magico oggetto tirato fuori da una vecchia favola.

Estasiato, cercò di guardare il viso del conducente: questi gli dava le spalle, e Ciel non poté intravedere null'altro se non una voluminosa pelliccia di lupo. Ciononostante, il forestiero si accorse della sua presenza, e con un gesto della mano lo invitò a legare la corda alla sua slitta.

Il ragazzino annuì, per quanto l'altro non potesse vederlo.

Assicurò lo slittino meticolosamente e vi prese posto: fece giusto in tempo a sedersi che la vettura parti a una velocità spaventosa, costringendolo a trattenere un urlo terrorizzato.

Imboccarono la strada inversa da cui il forestiero era arrivato così rapidamente che Ciel non riuscì neppure a intravedere distintamente le persone nella piazza; quando, giunti al pendio, provò a slacciare la corda, non vi riuscì.

Il panico lo colse.

I fiocchi di neve si erano fatti così fitti e grossi da impedirgli di discernere l'ambiente circostante, mentre il gelo gli penetrava fin sotto il cappotto e i vestiti.

Provò a gridare senza successo.

Nel momento in cui iniziò a contemplare l'idea di gettarsi giù dallo slittino in corsa, la vettura si fermò d'improvviso e il conducente si voltò, mostrandogli finalmente il suo viso.

Ciel reprimette un gemito sorpreso.

Davanti a lui, la creatura che aveva tormentato le sue giornate, rendendole un cumulo di banali ore analoghe, lo scrutava con un ghigno mefistofelico, facendolo sentire incredibilmente vulnerabile.

''Tu tremi'' sentenziò l'uomo, abbandonando l'enorme, candida slitta. Lo prese per i fianchi e lo adagiò accanto a sé, avvolgendolo nella voluminosa pelliccia.
Il ragazzino rabbrividì.
L'individuo lo fissò lungamente, poi si chinò su di lui, sfiorando la sua bocca in un bacio delicato, e Ciel non sentì più freddo.

''Non avere paura'' gli sorrise ''Ti condurrò nel mio meraviglioso castello, lontano da questo sudicio posto.''

Il ragazzino respirava a malapena.

''Chi sei?'' riuscì a biascicare.

''Non l'hai ancora capito?'' domandò il magnifico forestiero ''Il mio nome è temuto da secoli e la mia stessa persona viene creduta una leggenda: sono il Sovrano dei Ghiacci, giunto per far di te il mio nuovo pupillo.''

Ciel non seppe cosa rispondere.

Il Sovrano dei ghiacci era un'entità a metà tra la fiaba e la storia; la zia Angelina gliene aveva narrato innumerevoli volte, ma il ragazzino l'aveva sempre smitizzato a un racconto atto a terrorizzare i bambini. Neppure nelle sue fantasie più pittoresche avrebbe mai pensato di poter imbattersi in tale creatura né, tantomeno, che questa potesse interessarsi a lui.

Strabuzzò gli occhi, fissando il volto incantevole del Sovrano.

''Perché proprio io?'' chiese, avvicinandosi inconsapevolmente al corpo accanto al suo.

''Hai del potenziale'' rispose l'altro, passandogli un braccio attorno alla schiena e facendo ripartire la slitta. Ciel si girò giusto in tempo per vedere lo slittino di Finnian scomparire alle loro spalle, inghiottito dalla neve.

''Mi sembrava uno spreco lasciarti muffire in quella cittadina di stolti. Puoi fare grandi cose, con il mio aiuto.'' ghignò, accostando nuovamente le labbra al suo viso.

Stavolta, queste si posarono sul suo occhio destro, gentili, provocandogli uno strano intorpidimento che si protese a tutto il corpo; lentamente, i suoi arti si desensibilizzarono e persero piano il proprio colore.

Ciel si fissò le mani rapito e poggiò la testa sulla spalla del demone, lasciandosi andare.

Prima che se ne potesse rendere conto, stava già dormendo.

Quando Lizzy aprì gli occhi non percepì l'acqua gelida lambirla; tutto era caldo, il suo corpo asciutto e le sue scarpine rosse stanziavano a terra, al fianco del letto su cui era sdraiata.

Si mise a sedere, osservando confusa la stanza dalle pareti scure e il mobilio tetro: l'abitacolo era angusto, eppure l'unica finestra presente non bastava a rischiararlo a dovere, forzandolo a un'opprimente penombra.

Sul comodino accanto al suo giaciglio, un cumulo di barattoli contenenti qualcosa di terribilmente simile a delle ossa si disegnava sul resto degli oggetti grotteschi presenti nella camera, rendendo l'atmosfera ancor più stramba.

Ad accogliere il suo risveglio, una lunga, inquietante risatina.

Lizzy si voltò spaventata per vedere un uomo alto, abbigliato di nero, entrare da una delle due porte cigolanti.

''Ti sei svegliata'' ridacchiò, apparentemente studiandola da sotto la massa di capelli argentei ''Quando ti ho trovata sulla riva del fiume credevo fossi morta.''

La ragazzina indietreggiò nel materasso, allarmata.

''Dove mi trovo?'' riuscì a biascicare con voce tremante.

L'individuo le si avvicinò stringendo tra le dita -che facevano sfoggio di lunghe unghia nere- una tazza fumante.

Lei lo fissò sconcertata, non accennando a prenderla.

''Sta tranquilla, è solo del tè'' di nuovo quella risata agghiacciante. Accettò la bevanda senza riuscire a reprimere il tremito delle sue mani.

''Ti trovi nella mia umile dimora, adesso. Era da tempo che non ricevevo visite: vieni dalla città, non è vero?''

Lizzy annuì.

''Io... Cerco un amico.'' sentenziò, scrutando il viso dell'uomo, segnato da una profonda cicatrice che lo attraversava obliquamente.

''Un amico?'' ripeté questi ''Di qui non passa mai nessuno. Di vivo, almeno''

La fanciulla impallidì.

''Sta tranquilla, è da molto che non ho a che fare con ragazzini.''

Elizabeth tirò un sospiro di sollievo.
"Mi chiedo dove possa essere..." mugugnò tra sé e sé, dimentica dell'individuo al suo fianco. Sorseggiò piano il tè, assaporandone il sapore dolce e lasciando il suo calore la scaldasse dolcemente.
"Ma dimmi, se non è morto, dove potrà mai essere?" domandò al singolare sconosciuto.
Lui si portò una mano al mento, pensieroso; il ghigno incrinato nella sua espressione non accennava a sparire, rendendolo sinistro come tutti gli oggetti presenti nella camera.
"Oltre la mia dimora ci sono poche case e, dopo queste, le montagne. Non so dove si possa trovare il tuo amico, ragazzina"
Di nuovo, sulla sua faccia, quel sorriso storto, illeggibile. Neppure i suoi occhi erano visibili sotto la lunga frangia.

Elizabeth s'incupì, stringendo le mani attorno alla ceramica bollente.

''Non fare quella faccia: non c'è nulla che non possa essere risolto da una risata!'' continuò l'uomo, porgendole un recipiente colmo di biscotti che lei rifiutò fiaccamente.

''Una risata?'' domandò ''Una risata non riporterà Ciel da me.''

Lo sconosciuto scosse la testa:''È vero, non lo farà, ma io posso aiutarti.''

Lizzy gli gettò un'occhiata sorpresa, sporgendosi verso di lui.

''Ti prego, dimmi come! Farò qualsiasi cosa! Ho dei risparmi da parte, in città! Se mi aiuterai e verrai con me te li cederò più che volentier-'' fu zittita da un dito premuto sulle labbra.

''Non è un qualcosa di materiale, ciò che chiedo.'' asserì, stranamente serio.

''E allora cosa?'' incalzò la ragazzina.

''Ciò che voglio è...'' arcuò ulteriormente le labbra ''Una risata di prim'ordine!''




 
Warning! Don't feed the author!
Sul serio, stavolta credevo proprio non sarei riuscita a postare in tempo! Avevo deciso di prendermi un giorno di pausa e, prima che me ne accorgessi, ne erano già passati tre! Ah, la pigrizia.
Al solito, grazie infinite a chi segue la storia!
Ci si becca speriamo la prossima settimana!
Ciao!

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Capitolo 4
*** Ⅳ ***


Edit: i dialoghi mancanti sono stati corretti. Grazie mille a Selyasil per avermelo fatto notare



Crows In Snow
IV

 

 

La rosa, come promesso da Sebastian, non si era sciolta, rimanendo, immutata, dove l'aveva lasciata.

La studiò assorto, disegnandone i contorni con un dito. Era indubbiamente bella, e sarebbe potuto restare a fissare i giochi di luce da essa proiettati per ore se il Sovrano non l'avesse chiamato nel suo studio.

Avevano continuato a far pratica con la magia: per Ciel era sempre più facile gestire il proprio potere, e ogni complimento da parte del demone lo lusingava più di quanto non avrebbe mai ammesso. Tutti i suoi sforzi si erano concretizzati nel desiderio impellente di guadagnarsi la sua approvazione, quasi non vi fosse nulla di più vitale.

Era impossibile non lasciarsi sedurre dal modo carezzevole con cui lo lodava, dal suo tocco leggero sulle braccia quando lo supportava negli incantesimi più complessi; Sebastian era perfettamente consapevole dell'ascendente che aveva sul ragazzino, e Ciel lo sapeva. Aveva cominciato a odiare l'attrazione dannosa che l'aveva spinto a seguire il Sovrano, nonostante sapesse si trattava di qualcosa di inscindibile dalla sua anima.

Era tardo pomeriggio e il sole iniziava a morire, assorbito dall'orizzonte latteo; era rimasto intere decine di minuti a fissare il fiore di ghiaccio, dimentico dello scorrere del tempo.

Fu solo quando i riflessi policromi proiettati dall'oggetto si fecero più tenui che si destò dal suo sopore e si alzò in piedi con le ginocchia doloranti.

Il tramonto era il momento della giornata che amava di più: era bella la maniera in cui faceva risaltare il colore caldo delle rose, infrangendosi sui loro petali e sui tetti delle case; con Elizabeth ne aveva apprezzato lo spettacolo chissà quante volte.

Lì non c'erano case che i raggi potessero colpire, ma la visione era comunque d'indubbia magnificenza.

Stremato, uscì dalla sua camera per percorrere l'unica, breve, rampa di scale che lo separava dalla sommità della torre del castello.

Si appoggiò al parapetto del piccolo balconcino osservando l'orizzonte e chiudendosi nei suoi pensieri. Solo al tramonto poteva intravedere il calore dell'arancio, solo in quei minuti pure la neve cedeva la sua tinta atona per rivestirsi coi raggi solari; le sue mani sembravano meno livide, memori ancora della sua anima limpida.

Sospirò, quando una voce lo fece sussultare.

Dietro di sé, senza che l'avesse sentito arrivare, Sebastian stava fermo sull'uscio a sondarlo divertito.

''Siamo malinconici'' ghignò, prendendo posto al suo fianco.

Il ragazzino gli rispose con uno sbuffo e quello che voleva essere un diniego appena borbottato.

''Che succede, la mancanza di casa ti consuma?'' lo provocò con tono ironico.

''Nulla del genere'' lo zittì, infastidito ''Posso sapere cosa ci fai tu qui, piuttosto?''

Il demone non si scompose, appoggiando la testa su una mano e sporgendosi dalla balconata.

''Non posso passare a salutare il mio apprendista? Per quale insegnante scriteriato mi hai preso?'' rispose teatralmente.

Ciel non aggiunse altro, continuando a guardare l'orizzonte.

La presenza del demone al suo fianco, incombente, lo metteva in un imbarazzante disagio; gli sarebbe piaciuto poter dire di essersi abituato al suo fascino o alla sua impenetrabile facciata, ma non era così.

L'imprevidibilità di Sebastian lo spaventava e attraeva al contempo: simile a un predatore, sapeva della sua fatalità, eppure, ammaliato, non riusciva a starne lontano.

''Ho trovato questo, nella giacca del tuo cappotto'' il Sovrano protese la mano.

Ciel osservò sorpreso il petalo sul palmo del demone, rosso e florido, quasi fosse miracolosamente scampato al tempo stesso. Non aveva idea di come fosse finito lì: poteva esservi svolazzato per uno strano scherzo del destino o poteva averglielo messo lui stesso ed essersene semplicemente dimenticato.

Incomprensibilmente, il suo cuore perse un battito.

Ricordò le parole del demone sull'eternità del ghiaccio e fissò il petalo incontaminato dinnanzi a sé.

''Perché l'hai tenuto?''

Non fece in tempo a dire nulla che le dita di Sebastian vi si chiusero sopra, nascondendolo alla sua vista; quando esse si riaprirono il petalo era completamente gelato. In un istante, questi era in frantumi.

''Se ti piacciono tanto le rose, posso crearne quante ne vuoi.''

Ciel scosse la testa: ''Non sapevo neppure della sua esistenza.''
Il Sovrano lo studiò a lungo, incastrando gli occhi nei suoi.

Quando riprese a parlare, il ragazzino si era quasi perso nel cremisi delle sue iridi, di un colore sorprendentemente più vivo di quello del petalo che aveva appena distrutto.

''Non è possibile tu sia nostalgico, vero?''

Il giovane gli rivolse un'occhiata curiosa, poi fece un nuovo segno di negazione: ''Smettila di dire sciocchezze.''

Sebastian fece un parso avanti, slanciandosi su di lui. La sua mano gli afferrò il viso e lo strattonò verso l'alto, costringendolo in punta di piedi.

Ciel, atterrito, fissò le sue pupille allungate scandagliargli l'animo.

''Non c'è modo di tornare indietro'' sibilò ''La tua anima mi appartiene, sappilo''

Il ragazzino tremò a quello sguardo, incapace di divincolarsi: il fascino fatale del demone si riversava su di lui con singolare prepotenza. La paura si mischiò a un'eccitazione primordiale e incontrollabile che gli serpeggiò sotto la pelle, facendolo rabbrividire.

Non diede peso alla minaccia, spostandosi a fissare le sue labbra pallide e sottili, tese in una smorfia differente dal solito sogghigno beffardo; l'unica cosa a cui fu capace di pensare fu la magnificenza sublime della sua espressione furente, infiammata.

Sebastian lo lasciò andare, il sorriso tornato a campeggiare sul suo volto, quasi dimentico dell'impeto d'ira che l'aveva preceduto.

''Spero lo terrai a mente.''

Ciel non mosse un muscolo: era tornato a poggiare i piedi al suolo, ma oltre quello non si era concesso nessun altro movimento.

''Lo so bene, perché ricordarmelo?'' sbuffò, riportando gli occhi all'orizzonte.

''È anche questo il compito di un insegnante, no?'' rispose con leggerezza.

Il ragazzino non disse altro.

Non riuscì più ad ammirare il paesaggio: il Sovrano divenne uno spettacolo nettamente più divino, e la sua attenzione fu rapita da lui e lui soltanto.

Il sole morì e il cielo decolorò in un fosco blu; il pallore del demone si accentuò a quella flebile luce, rendendolo una visione ancor più eterea.

I suoi sensi erano troppo sviluppati perché non si accorgesse delle attenzioni di Ciel.

Incastrò ancora il suo sguardo, poi protese un braccio per avvolgergli le spalle: il suo peculiare profumo gli inondò le narici, e il ragazzino non ebbe la forza di scansarsi.

Lasciò lo riaccompagnasse nella propria camera, serrato nel suo abbraccio, facendo defluire lontano i ricordi, le rose e il tepore della primavera, non desiderando altro che rimanere per sempre stretto nel calore gelido di quel gesto.

 

''Non distrarti.''

Il demone lo colse di sorpresa, intento a mirare il vuoto. Lo aveva incaricato di ricopiare alcune rune e le nozioni basilari di un numero interminabile d'incantesimi; gli doleva la mano con cui reggeva la piuma e, a furia di intingere lo strumento nell'inchiostro, il male si era esteso all'intero braccio.

''Sto solo prendendo una pausa, sono stanco.'' ribatté sommessamente, facendo virare lo sguardo a Sebastian, seduto sul suo trono.

Accomodato su una pila di cuscini, poggiò i gomiti sul basso tavolino, nauseato dalle pagine ingiallite sotto al suo naso.

''Imparerai ben poco continuando a lamentarti'' lo rimbeccò Sebastian, accavallando le lunghe gambe ''Devi fare dei sacrifici se vuoi diventare grande.''

Ciel corrugò la fronte:''Imparerò ben poco pure senza una mano.''

Il Sovrano ridacchiò, singolarmente di buon umore. In un'altra occasione si sarebbe limitato a zittirlo con un ordine secco, costringendolo a continuare nonostante il dolore.

''Quando sarai abbastanza preparato ti porterò fuori di qui, in giro per il mondo, cosicché tu possa far pratica: esercitarsi dal vero è senz'altro più utile''

Il ragazzino lo guardò sorpreso, non celando un barlume di entusiasmo.

La sua città era il confine più ampio che avesse potuto visitare fino alla venuta del Sovrano: mai vi si era allontanato e mai aveva pensato di farlo. Ai tempi gli andava bene così, e l'unica cosa che la sua mente puerile riusciva a concepire era che stare a giocare a vita con Elizabeth sarebbe stato piacevole e divertente.

A pensarci adesso si dava dello stupido.

''Ci sono posti splendidi che ti piacerebbero certamente'' continuò Sebastian ''Ma non pensare sarà semplice: molti maghi e demoni hanno un carattere bellicoso, e scoprirai presto che esistono più creature di quante tu non creda. Poche di esse sono amichevoli e rimangono comunque inutili alla tua formazione.

Dovrai sporcarti le mani di sangue per ottenere potere, inizia ad assimilare ciò da ora.''

Troppo distante. Tutto troppo lontano affinché Ciel potesse immaginarlo sul serio.

Il pensiero di uccidere qualcuno non lo aveva mai sfiorato, eppure non lo inorridiva; forse per il gelo calato su di lui, forse per l'astrazione momentanea del concetto, l'idea di fare una cosa del genere gli parve un prezzo più che accettabile.

Voleva divenire potente, voleva Sebastian potesse essere fiero di lui.

Che pensiero sciocco. L'allievo che supera il maestro. Dubitava ci sarebbe mai riuscito: tra secoli, magari, se non anche millenni. Il Sovrano era estremamente anziano, caratteristica a cui doveva buona parte della propria forza; si domandò se vi fossero demoni più potenti di lui, per quanto non ne avesse mai sentito parlare. Probabilmente solo Lucifero stesso. Avrebbe dovuto domandarglielo; avevano parlato tanto di magia ma poco delle creature capaci di utilizzarla: il soprannaturale era un qualcosa che aveva sempre confinato alla tradizione e di cui non gli aveva ancora chiesto adeguatamente.

''Non credo sarà un problema. Uccidere qualcuno, intendo.'' sospirò in risposta, ricavando da parte del Sovrano un'occhiata a metà tra lo stupito e il divertito.

''Per essere un umano hai una carenza di morale notevole.'' sogghignò questi.

Ciel arricciò il naso, fissandolo di traverso:''Di chi credi sia la colpa?''

''Di certo non mia'' il demone si arricciò distrattamente una ciocca corvina attorno al dito ''Se ho congelato il tuo cuore è perché sapevo avresti potuto benissimo sopravvivere senza; ci sono persone dall'etica talmente ferrea che avrebbero finito con l'impazzire in breve tempo a causa della dicotomia tra la propria moralità e la mancanza di stimoli. Tu non sei tra questi''

Il giovane si chiuse nelle sue riflessioni, analizzando l'affermazione di Sebastian: era davvero un essere umano tanto abietto da poter accettare tali immoralità pure in una condizione normale? Si era sempre visto come un ragazzo comune, incapace di fare del male a qualcuno. Ma ora che il demone gli diceva una cosa del genere non ne era più tanto sicuro.

''Evita di crucciarti, è una cosa piuttosto comune'' lo rassicurò il Sovrano ''Persone del genere sono quasi impossibili da trovare. Gli esseri umani tendono al male poiché rientra nella loro natura: quasi sempre la propria felicità comporta la pena di altri. E quale persona non desidera essere felice? La tua rarità sta nella tua propensione alle arti magiche, non nella tua spietatezza, se è questo che ti preoccupa'' lasciò andare la ciocca di capelli che ricadde, liscia e morbida, lungo la sua guancia ''Hai fatto molti progressi. Proprio come pensavo, hai un talento innato.''

''Sono stato scelto dal Sovrano dei Ghiacci, è ovvio io abbia talento.'' motteggiò il ragazzino, sporgendosi sul tavolo per fissarlo con un ghigno compiaciuto.

Sebastian ricambiò l'espressione e abbandonò il suo posto, andando a raggiungerlo ai piedi del tavolo: sembrava ancora più alto e imponente, magnifico, colpito trasversalmente dalla pallida luce.

''Sei proprio un ragazzino sfrontato'' poggiò un palmo sul tavolo, chinandosi alla sua altezza. Ciel fu incantato dalla sua pelle perfetta ''Dovrei punirti, lo sai?''

Il demone era indubbiamente di buon'umore.

Per quanto il sarcasmo fosse una costante nel suo comportamento, quel giorno in particolare niente sembrava poterlo indisporre.

Il giovane ne fu divertito, e si allungò anch'egli puntellandosi sulla medesima superficie.

''Mi farai ricopiare l'intero tomo?''

Sebastian rimase in silenzio per qualche secondo, il sorriso ormai allungato allo stremo.

Erano tanto vicini che sarebbe bastato allungarsi giusto un altro po' per poterlo baciare. Tale pensiero, tuttavia, non fece in tempo ad articolarsi nella sua testa che il Sovrano si era già scansato.

''Esattamente.''

E così dicendo si allontanò dal salone, lasciandovi un Ciel paonazzo e confuso.

 


Warning! Don't feed the author!
Okay, sono in ritardo di un giorno e me ne scuso. Con questo caldo il mio pc si surriscalda ogni dieci minuti, e scrivere qualcosa senza che questo si spenga di colpo è quasi impossibile --finirò col defenestrarlo.
Eccocci nuovamente alle mirabolanti avventure di Ciel e Sebastian! Quest'ultimo è un gran mattacchione, ma non so per quanto ancora porterà avanti il suo ''british humor'' senza essere assalito dal suo allievo prediletto.
As always, grazie a tutti quelli che seguono la storia e alle bellissime recensioni che mi lasciate! Vado a cercare di combattere il caldo!
Alla prossima!

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Capitolo 5
*** Ⅴ ***


Crows In Snow

 

 

Appagare l'umorismo di Undertaker, suo bizzarro salvatore, le aveva impiegato giorni preziosi, trascorsi provando a recuperare le forze e arrovellandosi alla ricerca di una battuta adeguata.

Dopo innumerevoli sforzi era riuscita a raggiungere il suo obiettivo: certo, più che una risata quella del becchino era stata uno sbuffo sommesso, ma aveva comunque apprezzato lo sforzo, decidendosi a darle le informazioni desiderate.

Percorrendo i boschi ad est, in un paio di giorni di cammino, si sarebbe ritrovata alla dimora di un principe trasferitosi da una manciata di settimane in quelle terre: doveva essere un adolescente, per quanto aveva potuto constatare il becchino intravedendolo un giorno in lontananza e udendo la sua risata argentina.

Elizabeth sapeva bene che Ciel non era un nobile né tantomeno un principe, ma sapeva pure di non potersi aspettare una spiegazione coerente alla sua sparizione, così s'incamminò il giorno stesso alla ricerca della reggia.

Il bosco era fitto e cupo: in particolar modo, durante la notte, creature sinistre si aggiravano tra gli alberi, dando voce a latrati agghiaccianti; la ragazzina non poteva far altro che acquattarsi meglio nella coperta datale da Undertaker assieme a qualche provvista, e provare a dormire.

Al mattino successivo si svegliava più stanca di quando si era appisolata e, guardando il proprio riflesso nel fiume, si era accorta di come la sua faccia si fosse fatta pallida e i suoi occhi fossero stati contornati da profondi solchi neri.

Era il sonno a darle il tormento. Più che sogni, a onor del vero, i suoi erano incubi tanto spaventosi da farle dubitare potessero essere davvero frutto della sua mente: lei non aveva mai visto la morte, il terrore, l'angoscia. Era sempre stata segregata sotto una campana di vetro, protetta dai suoi genitori e suo fratello; soltanto le cose belle avevano il permesso di entrare, soltanto felicità e spensieratezza.

Lizzy era una ragazzina forte. Non si sarebbe messa in viaggio per trovare Ciel, in caso contrario: avrebbe semplicemente aspettato di dimenticarlo, ricercando la gioia in altre cose e altre persone, fin quando di lui non fosse rimasto altro che il roseto tra le loro finestre.

Era stata grandemente felice con lui e non poteva sopportare tale allegria le venisse sottratta.

Il perché Ciel fosse sparito restava un mistero, così come il suo comportamento nei loro ultimi giorni assieme. Gli doveva aver nascosto qualcosa, il suo compagno di giochi, colui che le aveva confessato tutti i propri segreti.

E se qualcuno avesse voluto fargli del male?
Ma chi, nella loro città pacifica e accogliente?

Stentava a credere che una sola di quelle pacate anime potesse essere capace di torcere un singolo capello a un bambino.

Doveva esserci dell'altro di cui nessuno era a conoscenza.

La possibilità di trovarlo alla reggia di cui le aveva parlato Undertaker era l'unica cosa a spingerla ad andare avanti.

Poteva essersi davvero allontanato dalle porte della città come avevano supposto i suoi abitanti ed essersi perso nel bosco, per poi imbattersi in una buon'anima che l'avesse soccorso, portandolo con sé.

Voleva davvero crederci. Se ne autoconvinse caparbiamente, ponendo la sua speranza come unica e ineluttabile certezza, tappandosi le orecchie e rifiutandosi di ascoltare realtà al di fuori di quella. In fondo, così aveva sempre fatto.

Il viaggiò durò due giorni e mezzo, e quando si ritrovò davanti alla meta prefissata quasi non vi credette.

Dinnanzi a lei un immenso palazzo dallo stampo orientale si erigeva, maestoso, sull'acquoso cielo pomeridiano, denso di alte arcate sostenute da innumerabili colonne, tinte vivaci e mosaici d'incredibile bellezza.

Incredula, avanzò lentamente verso l'ingresso, facendo scricchiolare il terriccio sotto di sé. Mai nella sua vita aveva visto una costruzione tanto mastodontica e sontuosa, di una ricchezza che aveva potuto ammirare soltanto nelle illustrazioni di certi libri di fiabe.

Era giunta difronte all'enorme porta d'ingresso e le sue mani già premevano sulla superficie grinzosa del legno. In cuor suo, aveva un po' di timore a bussare; il pensiero di incontrare un volto estraneo, di non trovarvi Ciel come aveva sperato, la spaventava e frenava in un'indecisione momentanea.

Ispirò e spostò l'arto al batacchio, stringendolo forte.

Non aveva ancora battuto il primo colpo che la porta si spalancò, facendola sussultare e barcollare in avanti; due mani la sostennero, impedendole di cadere.

Un uomo slanciato, avvolto da una veste smeraldina, la guardava stupito, la fronte appena aggrottata.

Elizabeth si ritrasse spaventata.

''Perdonatemi'' farfugliò, sforzandosi di non tremare ''Sto cercando un amico.''

Lo straniero continuò a fissarla interdetto, poi le rivolse un sorriso cordiale, rassicurante.

''Mi dispiace, signorina, ma gli unici a vivere qui dentro siamo io e il principe Soma, che non conosce nessuno di queste terre. Vi sarete certamente confusa con qualcun altro.''

La fanciulla si adombrò, incapace di trattenere le lacrime.

Udì l'uomo balbettare qualcosa, allarmato, e poi un'altra voce sovrapporsi alla sua.

''Agni, cosa sta succedendo?''

Lizzy alzò lo sguardo per vedere avvicinarsi un altro individuo, la medesima pelle ambrata del compagno e gli stessi vestiti curiosi, probabilmente una manciata di anni più grande di lei.

Il primo dei due uomini farneticò una spiegazione confusa, così il ragazzo si rivolse direttamente a lei.

''Chi sei, cosa ci fai qui? Ti sei persa?''

''Dice di star cercando un amico'' s'intromise colui che l'aveva accolta ''Voi la conoscete, principe?''

Il ragazzo scosse la testa.

''Affatto. Ma vieni, non star lì fuori, fa freddo'' la invitò gentilmente. Lizzy varcò la soglia esitante, catapultandosi nel fasto degli interni del palazzo ''Agni, portale qualcosa da mangiare, sembra affamata.''

La fanciulla lo seguì lungo la sala luminosa dai pavimenti lucidi e il soffitto a volta, fino a dei soffici divani in cui il principe la invitò a prendere posto.

Si lasciò cadere su uno di questi, sfinita.

Il viaggio l'aveva sfiancata: le sue scarpe erano incrostate di terra, così come i suoi vestiti, e tra i suoi capelli s'erano impigliati una quantità notevole di foglie e rametti che non era riuscita del tutto a togliere con il solo ausilio dell'acqua come specchio.

Agni era tornato, accompagnato da un aroma succulento.

Dispose diversi piatti sul tavolo davanti a lei con un inchino.

''Come sei arrivata fin qui? Non ti ho mai vista da queste parti. Non che vi sia molta gente ad aggirarsi per il bosco.'' le domandò il ragazzo, il cui tono gentile riuscì a tranquillizzarla parzialmente.

Iniziò a raccontare la sua storia incespicando con le parole, singhiozzando sommessamente e lasciando tutte le sue ipotesi e paure prendessero voce sotto all'udito attento dei due sconosciuti. Quando finì di parlare, scoppiò ancora una volta in un pianto copioso.

Soma si sporse, dandole una pacca affettuosa sulla spalla.

''Agni, prepara un bagno caldo a Lizzy, per favore. Sarà nostra ospite fin quando lo vorrà.''

Il servitore si congedò, mentre la ragazzina cercava di asciugare le lacrime.

''Vi ringrazio, siete tanto gentile.'' bisbigliò grata. Anche parlare le costava uno sforzo immane. Non si era ancora del tutto ripresa dalla caduta nel fiume, e il viaggio nel bosco aveva solo peggiorato la situazione; sperava solo di non essersi presa un'infreddatura.

''Non preoccuparti, farò ciò che posso per aiutarti a trovare il tuo amico!'' la consolò, invitandola a mangiare qualcosa.

Fu capace di mandar giù giusto due bocconi: la disperazione e il pianto le avevano chiuso lo stomaco, e qualsiasi sapore pareva nausearla.

Soma sembrò capire la situazione, e non disse nulla quando lei mise giù le posate senza aver finito neppure metà piatto. Si limitò a sorriderle, alzandosi ed esortandola a seguirlo fino a quella che sarebbe stata la sua stanza.

Percorsero una serie di corridoi e scalinate, più simili a un dedalo che a un vero e proprio palazzo; durante tutto il tragitto Soma cianciò di qualche leggerezza, raccontandole di come fosse giunto dall'India alla ricerca anch'egli di una persona per poi trasferirsi in quella reggia.

Elizabeth si sforzò di ascoltarlo, tuttavia i suoi pensieri erano rivolti a Ciel e, per quanto tentasse di segregarlo almeno momentaneamente lontano dalla sua testa, ogni suo sforzo si andava a unire al precedente insuccesso.

''Prego, questa è la tua stanza. È una delle camere più belle, ma non venendoci mai nessuno a far visita è sempre vuota.''

La ragazzina lo raggiunse e superò con un sommesso ringraziamento.

Venne introdotta in un trionfo di colori tiepidi e intarsi dorati che facevano rilucere le pareti quasi fossero fatte d'oro; un ampio letto addossato al muro giaceva al centro della stanza, attorniato da un mobilio tanto pregiato da metterla a disagio.

Non era decisamente abituata a quel genere di sfarzo; pensò sarebbe stato bello se Ciel fosse stato lì per vedere tale splendore.

''Agni ti ha già preparato il bagno: rilassati e riposati, domattina parleremo della persona che cerchi, d'accordo?''

Lizzy assentì.

Nell'istante stesso in cui il ragazzo chiuse la porta, lei vi si lasciò scivolare contro, poggiando la testa sulle ginocchia e consentendo ai boccoli biondi di avvolgerla.

Per la prima volta dall'incidente al fiume, contemplò l'idea che Ciel potesse essere morto sul serio: era una riflessione raccapricciante, e il sol lambirla col pensiero la avviliva orribilmente.

Asciugò con la manica del vestito le lacrime che avevano ripreso a solcarle le guance e si diresse verso il bagno adiacente, trovandovi una vasca interrata già piena di acqua fumante. Si spogliò e permise al tepore di accarezzarla bonariamente.

Uscì dal bagno con la testa finalmente sgombra, indossando la vestaglia lasciatale sul letto e gettandosi su quest'ultimo, non riuscendo a tenere le palpebre aperte.

Per la prima volta dopo giorni, Lizzy cadde in un sonno profondo.

Sebastian ghignò al vedere la faccia della ragazzina rossa di pianto.

Che essere umano infinitamente patetico. Non credeva, quando era andato a riscattare il ragazzino da quella vita indegna, qualcuno si sarebbe premurato di venirlo a cercare; agli occhi di una persona dotata di un minimo di raziocinio, la dipartita del fanciullo sarebbe parsa l'unica spiegazione sensata.

Eppure ecco che quella bambina s'impuntava, ostinata, a rifiutare la morte del compagno, arrivando a mobilitarsi in un viaggio incerto e folle.

Per un demone come lui, che non conosceva affetto o amore, quel gesto era semplicemente una manifestazione di irreprimibile stupidità. A conti fatti, sarebbe stata una stupida pure se fosse partita per cercare il ragazzo sapendo della sua ubicazione; Sebastian non l'avrebbe mai lasciato andare e nessun umano era abbastanza forte da poterlo costringere.

Si puntò ancora sullo specchio sotto di sé, osservando la ragazzina gettarsi tra le coperte e affondare la testa nel guanciale. In una manciata di minuti il suo respiro si fece regolare, segno si era già abbandonata al sonno.

Percepì dei passi attutiti farsi largo per le scale.

Tese una mano per far scomparire l'immagine sotto di sé, ma l'incantesimo parve agganciarsi alla fanciulla per un secondo di troppo; dovette accentuare di un po' la forza per far sì questi la abbandonasse e tutto tornasse immobile e cristallino.

Ciel era già entrato nel salone e lo guardava con occhi sgranati.

Ah, errore di calcoli, un bel fastidio.

Il ragazzino si avvicinò flemmaticamente, le labbra che fremevano nell'atto di articolare qualcosa.

Il Sovrano rimase impassibile, studiando lo sgomento del giovane e il contrasto di sentimenti che attraversò il suo sguardo in genere così cupo.

Stupendo, decisamente stupendo.

Ciel si era fermato ai margini dello specchio di ghiaccio e lo scrutava quasi stesse cercando di farvi riaffiorare nuovamente l'immagine della ragazza.

Finalmente, parve recuperare il dono della parola, facendo sì il sorriso del demone si allargasse ulteriormente.

''Quella era...'' biascicò ''Quella era Elizabeth, vero?''

 


 


Warning! Don't feed the author!
Sì, ho cambiato giorno di pubblicazione dal lunedì al martedì: col finire dell'estate dubito di avere la forza psicofisica di aggiornare di lunedì, perdonatemi.
Nel caso non ve ne foste ancora accorti, non mi piace scrivere di Elizabeth -perché non mi piace proprio lei, ma dettagli-, però certe cose vanno fatte. Diciamo che il brutto è per la gran parte passato, comunque.
Grazie infinite a chi ha resistito fino a questo quinto capitolo, spero avrete la stessa tenacia pure per gli altri!
See ya!

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Capitolo 6
*** Ⅵ ***


Crows In Snow

 

''Quella era... Quella era Elizabeth, vero?''

Che quesito sciocco, Sebastian si sarebbe aspettato certamente di meglio; dov'era la rabbia violenta delle invettive successive alla scoperta, dove il combattuto astio nei confronti del suo maestro e padrone?

Il tono del ragazzino si fece più deciso, accendendo il suo interesse.

''Cosa le hai fatto?''

Il demone gli rivolse un'occhiata esageratamente stupita.

''Io? Assolutamente nulla.''

''Perché l'osservavi? E dove si trovava?'' non stava urlando, ma gli sarebbe bastato alzare davvero di poco la voce per farlo. Nel suo cuore insensibile, uno strano sentimento molto simile alla collera si era fatto strada: si sentiva ingannato dal demone, svalutato per la poca fiducia riposta in lui.

''La bambina è partita per cercarti, dovresti esserne lieto. Adesso si trova poco più a ovest delle grandi catene montuose, in attesa di riprendere il viaggio.'' si permise di omettere il singolo particolare della sua caduta nel fiume.

L'espressione di Ciel, ora, era di puro stupore.

''Perché non mi hai detto nulla?'' biascicò.

''Non l'ho ritenuto importante. Dubito riuscirà ad arrivare fin qui e, anche se fosse, non ne trarrebbe alcun beneficio. Devi concentrarti sui tuoi studi, distrazioni del genere sono infruttuose.''

Il giovane lo incenerì con un'occhiata.

''È pericoloso si aggiri da sola per boschi e montagne, potrebbe morire!-''

''E non vedo come la cosa possa riguardarti'' lo interruppe il Sovrano ''Morirà comunque, prima o poi, a differenza tua; è per questo che ti ho detto di dimenticare i tuoi cari e ti ho aiutato a indurire il tuo animo, per evitarti inutili sofferenze. L'unico che resterà per sempre al tuo fianco sono io'' divorò la distanza che li separava ad ampie falcate, fino a poter scrutare da vicino i bellissimi lineamenti del giovane. I suoi occhi eterocromi brillavano di un fervore che gli aveva visto soltanto di sfuggita, quando questi si posavano su di lui quasi a volerlo consumare ''Smettila con i piagnistei, quindi, non lasciare i tuoi sentimenti ti condizionino.''

Si abbassò fino a far cozzare le loro fronti. Il respiro del ragazzino, caldo, vivo, era un assalto alla sua fermezza: così piccolo, fragile, sopprimere l'impulso di romperlo fu quasi inammissibile.

Le labbra di Ciel tramarono.

''Finiscila di trattarmi come se fossi una tua proprietà.'' protestò, con poco più di un sussurro.

''Lo sei.''

Il Sovrano dei Ghiacci doveva avere sempre l'ultima parola. Fu per questo che Ciel non ebbe modo di insistere oltre.

La sua bocca venne catturata in un bacio gelido come quello del loro primo incontro; le labbra di Sebastian, tremendamente morbide e gentili, erano quasi dolci mentre blandivano le sue in quel contatto delicato, dal ragazzo tanto ambito e in quell'istante rimpianto.

Non appena la bocca del Sovrano si sovrappose alla sua, il pensiero di Elizabeth divenne un ricordo ovattato e lontano: esattamente come quel giorno sulla slitta, il ragazzino lasciò ricadere nell'oblio qualsiasi emozione mortale avesse preceduto il demone.

Fu impensabile esimersi dal circondargli il collo con le braccia e costringersi in punta di piedi per prevalere su quel gesto troppo casto; la sua lingua, intrepida, forzò la bocca dell'altro per entrare e carezzare lascivamente la gemella, ottenendo un gemito sorpreso e due mani a cingergli i fianchi per sollevarlo da terra senza alcuno sforzo.

Si ritrovò a cozzare contro una delle colonne con un rantolio di dolore, immediatamente sopraffatto dal corpo di Sebastian aderente al proprio e dal suo peculiare profumo. Il demone aveva risposto al bacio di slancio, trascinandolo in un vortice di sensazioni mai sperimentate prima d'allora: la sensualità in cui aveva condotto quel tentativo goffo e puerile gli strisciò sulla carne facendolo ardere e aizzando i suoi più remoti istinti.

L'eccitazione si destò e sbocciò in lui con velocità sconcertante.

Si impose di allontanare il Sovrano voltando il capo e frapponendo una mano tra loro.

''Basta così.'' sussurrò, la faccia in fiamme.

Sebastian lo reggeva ancora, il corpo spaventosamente vicino al suo bacino e il viso a pochi centimetri dal suo.

''Perché?'' il suo alito gli carezzò l'orecchio, strappandogli un tremito. Era inumano il non lasciarsi andare a quella voce accattivante e sensuale, lievemente arrochita mentre gli sussurrava tale domanda.

Di nuovo, non ebbe il tempo di rispondere che una mano di Sebastian scivolò dal fianco a una delle sue natiche, stringendo piano.

L'impulso di schiaffeggiarlo e correre via imbarazzato fu grande, tuttavia la parte più terrena e volubile di lui era ancora pressante, proprio come aveva detto il demone.

Permise al Sovrano di percorrere il suo collo con le labbra, lasciandosi dietro una scia rovente che gli ricordò, forse per la prima volta da quando era lì, il calore che aveva per sempre abbandonato.

Mugugnò qualcosa di non meglio definito quando i canini di Sebastian affondarono nella sua carne, senza fargli troppo male; il suo basso ventre ebbe un nuovo fremito e quello stesso spasmo parve riecheggiargli nella testa.

Gemette il nome del demone immergendo le mani nella sua chioma corvina e riappropriandosi delle sue labbra.

''Ci penserò io a estirpare tutte le emozioni superflue'' bisbigliò ''Farò di te un discepolo ideale. Ti donerò sapienza, potere e immortalità, t'innalzerò agli stessi livelli di Dio'' un altro bacio, Ciel lo tenne stretto a sé più a lungo del necessario ''Dimentica quegli indegni sciocchi, ormai tu sei al disopra di loro.''

Stavolta non provò neppure a replicare; s'impose di ignorare il significato delle sue parole, lasciando gli scorressero addosso simili ad acqua e si perdessero nel nulla.

Strinse le gambe attorno alla sua schiena e riprese da dove le loro bocche avevano interrotto.

Nient'altro venne a turbare la sua passione.
 

Quando l'indomani mattina si svegliò nel proprio letto, i segni della notte precedente spariti e il corpo riposato, si domandò se non si fosse trattato tutto di un sogno.

A smentire l'appena nato dubbio vi pensò l'individuo accanto a sé, seduto tra le coperte sfatte, la schiena poggiata contro testata; reggeva un grande libro sulle ginocchia e non dava segno di aver notato il suo risveglio.

Dalla sua posizione privilegiata, Ciel poté ammirare il fisico scultoreo del demone, la pelle d'un pallore sconvolgente fino ai pettorali, dove andava scurendo in tre diramazioni opposte, avvolgendo di nero sia le braccia che il collo.

Si puntellò sui gomiti, scrutandolo insistentemente.

''Ben svegliato'' lo salutò il Sovrano senza distogliere gli occhi dal tomo ''Dormito bene?''

''Direi di sì'' rispose, ancora assonnato. L'altro non aggiunse nulla e quel silenzio cominciò a urtarlo ''Tu?''

''Io non dormo.''

''Mai?''

''Mai.''

Il ragazzino sbuffò.

''Anch'io smetterò di dormire, prima o poi?''

Sebastian si degnò di spostare la propria attenzione su di lui, il tipico sorrisetto a campeggiare sulla sua espressione.

''Sì, ma ci vorranno secoli: il tuo corpo è quello di un umano e se sottoposto a sforzi necessita di riposare. Il non doverlo fare implica una notevole quantità di potere.''

Ciel mugugnò un assenso impastato e si rigirò sul materasso, studiando annoiato la volta del baldacchino: non aveva mai prestato troppa attenzione ai bellissimi bassorilievi che lo ornavano in un tripudio di fiori e foglie d'acanto.

''Non sento alcun male e la mia pelle è incontaminata'' esordì, rompendo ancora la quiete ''Eppure sono abbastanza sicuro tu sia stato piuttosto... violento.'' concluse la frase borbottando le ultime parole e arrossendo leggermente.

''Ho usato i miei poteri per darti una ripulita'' spiegò Sebastian ''Non posso permettere i tuoi studi siano rallentati a causa mia: quantomeno non avrai una scusante per restare a letto.''

''Come se ne avessi avuto l'intenzione...'' bofonchiò il ragazzino avvicinandosi al Sovrano e lasciandosi cingere da un suo braccio. Poggiò mollemente una guancia sul suo petto, rabbrividendo: seppur il demone l'avesse reso insensibile al freddo, la sua pelle era gelida alla stregua del ghiaccio e sortiva un certo effetto perfino su di lui.

Spostò gli occhi sul grande libro dalle pagine ingiallite, ornato da una fitta calligrafia.

''Che lingua è?'' chiese, fissandosi sui caratteri che si componevano in parole sconosciute.

''Latino.''

Si lasciò andare a un versetto di meraviglia.

''Sai il latino?''

Una risata gutturale, forse vagamente calda

''Conosco molte più lingue di quante tu non creda.''

''Puoi insegnarmelo?'' non seppe il perché di quella richiesta, gli venne spontanea come il sospiro che seguì da parte del demone.

''Se solo ti dimostrerai volenteroso nei tuoi studi. Non c'è fretta, hai secoli per imparare queste cose.''

Secoli.

Mai aveva contemplato un lasso di tempo così ampio. La sua vita era sempre stata volta alla giornata seguente e a quella dopo ancora; il futuro era solo un sogno incerto e idealizzato, un qualcosa di cui chiacchierare sottovoce con Elizabeth durante i pomeriggi di pioggia, quando erano impossibilitati a uscir fuori per giocare. Adesso l'eternità si manifestava, gloriosa, dinnanzi a lui, sconvolgendolo: all'inizio la paura era ovviamente fiorita nel suo petto, ma pian piano quell'angoscia era andata perdendosi assieme agli occhi carmini di Sebastian e alla sua parlata inflessibile. La malinconia era scomparsa totalmente, e da quella notte era convinto non sarebbe più tornata.

Diventare grande, aveva detto il Sovrano. Divenire una leggenda proprio come quella creatura di cui da bambino gli avevano tanto raccontato.

La paura del suo immenso potere e della sua infinita saggezza, un'entità trascendente l'umanità intera e qualsivoglia ragione, cosa di più sublime di un potere così grande?

L'attrazione per tale promessa affondò ogni altro pensiero.

''Sebastian'' richiamò l'attenzione del demone, che si volse a guardarlo. Com'era bello, in particolar modo sotto la luce smorta del mattino, i suoi tratti parevano risplendere ''Giurami di tener fede alle tue parole, donandomi la conoscenza che solo tu possiedi.''

Un ghigno, il Sovrano annuì lentamente.

Chissà cosa doveva avergli fatto quella notte, oltre a sradicare tutte le sue emozioni e i suoi ricordi; un desiderio ancor più potente della carne l'aveva preso al risveglio, ed era convinto Sebastian l'avesse sostituito ai lividi e ai segni dei morsi, come uno scambio imparziale.

''Ti ho già detto lo farò, e io non mento mai.''

Continuarono a scrutarsi per una manciata di secondi, durante i quali il ragazzino si sforzò a vuoto di trovare un difetto su quel bel viso.

''Diventerò più potente di te, ci volessero pure millenni.'' asserì con una sicurezza che non sapeva di possedere.

Stavolta il demone rise piano, sinceramente divertito.

''Spero anche tu non menta mai.''

''Non mi piace farlo'' disse, sporgendosi di poco per baciare di nuovo il Sovrano. Sì, la sua bocca era decisamente gelata, i sensi non l'avevano ingannato ''Se sei tu il mio insegnante, sono certo vi riuscirò. Sei troppo orgoglioso per fallire nel tuo obiettivo pur di non avere eguali.''

La risata di Sebastian crebbe d'intensità. Ripose il libro nello scrittoio facendolo aleggiare per aria, poi parlò nuovamente.

''Io ti trasmetterò tutta la mia sapienza, ma se non sarai in grado di sfruttarla doverosamente, non sarà mia la colpa.'' ribatté.

''Oh, sta tranquillo'' anche lui, adesso, stava sorridendo ''Di questo non ti devi assolutamente impensierire.''

Con Sebastian al proprio fianco, non c'era bisogno si preoccupasse di nulla: il suo futuro era già stato scritto ad arte dal demone, e anche si fosse sforzato gli sarebbe stato impossibile cambiarlo.

Doveva solo seguirlo attentamente e lasciare la sua leggenda prendesse forma. In un'altra occasione, anni prima, l'idea l'avrebbe atterrito, forse disgustato, tuttavia ora non riusciva a pensare a qualcosa migliore di ciò.

Era vero, il potere di Sebastian doveva essere più immenso di quanto pensasse.



 

Warning! Don't feed the author!
Non ci credo di essere arrivata fino al sesto capitolo! È già passato più di un mese dalla pubblicazione della storia e siamo quasi alla fine!
Finalmente, il capitolo SebaCiel che non vedevo l'ora di dare alla luce. Spero vi siate divertiti a leggerlo tanto quanto mi sono divertita io a scriverlo :D
I rapporti tra queste due patate sono indubbiamente cambiati, adesso. Chissà come si evolveranno i fatti d'ora in avanti (no, sul serio, ditemelo voi, io non lo so, aiuto).
Grazie mille di sopportarmi ancora, vi meritate tante cose belle!
Ciao ♪

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Capitolo 7
*** Ⅶ ***


Crows In Snow


 

''Sforzati un altro po'... Così, esatto, molto bene''

Ciel percepì le dita formicolare in quella maniera peculiare e i palmi scaldarsi, palpitanti.

''Resta calmo, controllalo'' il demone era dietro di lui e gli posava, rassicurante, le mani sulle spalle ''Ci sei quasi, mantieni la concentrazione qualche altro istante ancora''

Oltre le palpebre chiuse gli parve di intravedere il suo potere ribollire, prendere forma e diffondersi per il salone, meno impetuosamente della volta precedente, quasi stesse finalmente riuscendo ad assoggettarlo al proprio volere.

''Benissimo!'' si congratulò Sebastian con un battito di mani. Il ragazzino schiuse gli occhi per vedere uno spesso blocco di ghiaccio ricoprire il pallido marmo della statua davanti a lui. Sorpreso, fissò il Sovrano.

''Ci sono riuscito davvero...''

''Ovviamente'' sorrise l'altro, concedendogli un buffetto sulla guancia.

Ci erano volute una decina di lezioni prima che riuscisse a congelare qualcosa senza rischiare di far crollare il castello, e aveva iniziato a perdere le speranze; l'espressione compiaciuta di Sebastian, comunque, era sicuramente la soddisfazione migliore.

''Qualche altro esercizio e padroneggerai il tuo potere egregiamente'' iniziò il demone ''Dopodiché potremo passare a qualcosa di più complesso'' tornò a lui e gli scoccò un bacio sulla guancia, quasi a premiarlo.

Gli eventi di quell'agognata notte non si erano più ripetuti: il Sovrano si era mostrato lo stesso, inflessibile insegnante di sempre e anche la distanza tra loro era rimasta immutata. Eppure, di tanto in tanto, si permetteva qualche gesto avrebbe osato dire affettuoso, come in quel momento.

''Mi raccomando di continuare con lo stesso impegno.'' lo ammonì.

Ciel rispose con un assenso svogliato e attese il demone gli desse altri ordini, ma ciò non avvenne.

''In cosa dovrei esercitarmi, ora?'' lo esortò, fissando la sua schiena e il mantello bordato di pelliccia. Il Sovrano, che stava già allontanandosi, si fermò, facendo ricadere nel silenzio il salone.

''Per oggi può bastare'' rispose senza voltarsi ''Ti sei meritato un giorno di riposo. Da domani riprenderemo con qualcosa di diverso.''

Il ragazzino annuì e lo guardò abbandonare la stanza.

Per un istante aveva voluto fermarlo, ma non era riuscito a trovarne il coraggio: l'attesa lo stava sfiancando e la lontananza era ormai insopportabile. Da quando Sebastian l'aveva fatto ricadere in quello stato indolente e disinteressato, la noia era tornata a seguirlo: soltanto gli esercizi di magia e il demone sembravano dargli conforto. Era come se preoccuparsi e struggersi fosse meglio che stare a guardare seccato il paesaggio fuori dalla propria finestra, nelle ore in cui il Sovrano lo trascurava andandosi a rinchiudere chissà dove.

Non aveva mai esplorato l'intero castello, eppure era abbastanza sicuro non vi avrebbe trovato poi molto: l'unica cosa a interessarlo, infondo, era Sebastian e nient'altro.

Rassegnato, si chiuse nella sua stanza, gettandosi a peso morto sull'ampio letto. Rigirandosi tra le coperte cercò di captare il profumo del demone, senza successo: si rimangiò quanto detto, non poteva attendere oltre. L'aveva assuefatto al suo tocco, alla sua bocca, ai suoi ansiti contenuti, beneficiando del suo potere per irretirlo con un nuovo incantesimo. Doveva esserne soddisfatto, almeno! Aveva sempre desiderato gli scodinzolasse intorno come un cane ben ammaestrato e adesso se ne lavava le mani, neanche la cosa non lo riguardasse! Che poi, dove diamine si era cacciato? In quei giorni spariva sempre più spesso.

Un lampo di genio gli saettò per la mente e si alzò di slancio, uscendo dall'abitacolo e imboccando il corridoio difronte alla sua camera: era più stretto e buio rispetto agli altri a causa della totale mancanza di finestre a rischiarare il passaggio. Le ombre si coagulavano e perdevano verso la sua estremità, assieme a quella del ragazzino e a qualunque residuo di luce; nessuna apertura nelle pareti lisce e cristalline lo distraeva dal suo lambiccarsi, facendolo arrancare nell'oscurità.

Rabbrividì. Mai si era chiesto dove questo conducesse, limitandosi a scorgere dalla sua stanza la figura di Sebastian attraversarlo sporadicamente: aveva sempre avuto pensieri più martellanti in testa, cosicché la domanda non lo aveva neppure sfiorato.

Quando credette non sarebbe più giunto a destinazione, una porta si disegnò alla fine del corridoio.

Appena la toccò con le nocche nell'atto di bussare, sapeva il demone lo aveva già udito giungere, così si limitò a battere piano sulla superficie giusto un paio di volte.

Una voce ovattata gli rispose dall'altra parte dell'ingresso. Ciel schiuse cautamente l'uscio.

"Credevo fossi nella tua camera a riposare." esordì il Sovrano da dietro il proprio scrittoio.
Quella era l'unica stanza a contrastare col resto del palazzo: per quanto la tinta predominante fosse la medesima, una grande scrivania di legno campeggiava al centro della camera, disarmonica col suo larice consunto; la figura di Sebastian spiccava sullo sfondo azzurrognolo del cielo intravedibile dalla finestra chiusa, oltre i vetri, rendendolo simile a un'apparizione.
"Non sono stanco." pigolò il ragazzino, abbandonando la soglia della porta e avanzando cautamente.
Il demone, all'apparenza impegnato a studiare attentamente il proprio scrittoio sgombro, si alzò, invitandolo ad accostarglisi con un gesto delle braccia.
"Quanto siamo energici!" ghignò "Posso sperare tanta forza duri abbastanza a lungo?''
Ciel non rispose, accettando la presa della sua mano, grande il doppio della propria.
Sebastian lo contemplò dall'alto: le sue lunghe ciglia scure quasi si fondevano col carminio dei suoi occhi, spingendolo sempre a guardare una seconda volta.
"Ne dubiti?" ridacchiò, accostando la fronte al suo petto e lasciando lo conducesse, gentilmente, nella brutta copia di un ballo ondeggiante.
"Come sto andando?" domandò, dopo una lunga pausa di riflessione. Incontrò un'occhiata interrogativa e si spiegò meglio "Con le lezioni, intendo."
Sebastian parve pensarvi un po', poi, trovata la risposta adatta, annuì soddisfatto:"Sei brillante, esattamente come avevo intuito. Te l'ho già detto, io non sbaglio mai."
Il giovane alzò i grandi occhi su di lui.
"Hai mai avuto altri apprendisti prima di me?"
Ancora una volta, si chiuse nei suoi pensieri:"Giusto un paio, ma non sono durati molto"
Ciel inclinò la testa.

"Diciamo che sono stati incapaci di sopportare l'idea dell'eternità."
"Cosa gli è accaduto?"
"Sta tranquillo" sorrise il Sovrano "Non ho fatto loro nulla. Hanno deciso autonomamente di non poter tollerare oltre, ponendo fine ai propri tormenti.''

"Accadrà anche a me?"
Sebastian scrollò le spalle:"Se ti dimostrerai debole, ma non penso ciò accadrà."
Ciel si distrasse, ammirando la luce acquosa filtrare dalla finestra. La foresta era una macchia in lontananza di cui a malapena riusciva a distinguere i contorni, i quali si propagavano perdendosi all'orizzonte.
Sentiva il fiato del demone sui capelli quietarlo assieme alle sue carezze gentili; affondò ulteriormente nel suo petto, ancora quel profumo ad avvolgerlo.
Le sue mani si fecero più lente, Ciel alzò lo sguardo su di lui.
Sebastian mirava nella sua stessa direzione, pensieroso.
I suoi occhi si erano fatti di un cremisi più intenso, assumendo delle sfaccettature rosate, singolarmente brillanti.
"Che succede?" domandò curioso.
I lineamenti corrucciati del demone si stesero in un ghigno, scoprendo i canini appuntiti.
"La bambina è riuscita ad arrivare."
 

Elizabeth si fece strada a fatica sulla neve alta. Aveva denotato una spiccata previdenza facendosi dare gli stivali foderati di pelo e il pesante cappotto da Soma, o sarebbe letteralmente morta di freddo.
Giungere fin lì era stata un'impresa: la carrozza del principe era praticamente esplosa, colpita da chissà quale diavoleria, e aveva dovuto attendere Sullivan gliene procurasse un'altra prima di poter ripartire.

Era stata la strega a spiegarle cosa doveva essere successo al ragazzo: le aveva parlato del Sovrano e del frammento di ghiaccio che doveva aver colpito Ciel al cuore, condannandolo a un'esistenza di apatia e amarezza. Lizzy non le aveva creduto, all'inizio, ma la ragazzina era stata parecchio convincente al riguardo.

Poi, attraversate le montagne, era stata costretta a viaggiare per altri tre giorni, approfittando dell'ospitalità delle sporadiche e quasi inesistenti anime incontrate.

Un paio di ore in più e avrebbe viaggiato da un giorno intero, senza sosta.
Superati gli ultimi alberi, il castello del Sovrano apparve, maestoso ed etereo: era decisamente più imponente della dimora di Soma, attorniata da un'atmosfera al confine tra il cinereo e lo stupefacente.

Le sommità delle torri, acuminate, parevano minacciare il cielo stesso, colpite e ammantate dalla neve; l'immenso portone d'entrata, invece, dava l'impressione di essere impenetrabile, ciononostante Lizzy non si scoraggiò.

Avanzò il più rapidamente possibile, correndo verso quella fauce oscura. Non c'era decisamente tempo per avere paura.

Concentrata com'era sul palazzo, non si accorse immediatamente della stonante macchia tra la neve. Si fermò di scatto, strabuzzando gli occhi: sulle prime pensò si trattasse di un animale, ma approssimandovisi la sua forma si rivelò, inconfondibile.

Un uomo giaceva steso al suolo, il corpo in buona parte coperto dai fiocchi lattei: i suoi corti capelli castani risaltavano sul colore circostante assieme alle brache scure; per il resto era vestito di una modesta camicia, e la ragazzina si disse doveva essere certamente morto. Impallidì, accostandovisi.

Quando si chinò su di lui e lo vide respirare ancora, tirò un sospiro sollevato.

Allungò una mano guantata per smuoverlo incerta.

''Svegliati!'' disse a gran voce. Nessuna reazione ''Svegliati!'' insistette ''Morirai assiderato!''

L'uomo spalancò gli occhi d'improvviso, rivelando due iridi della medesima tinta dei suoi capelli.

''Sono così felice ti sia svegliato!'' sorrise, mentre l'individuo si metteva a sedere.

''Dove...?''

''Questa è la terra del Re dei Ghiacci'' spiegò ''Sono Elizabeth, chiamami pure Lizzy!''

Questi continuò a osservarla confuso. Cosa poteva mai farci qualcuno in quel posto, per di più svenuto in mezzo alla neve? Non era certa di volerlo sapere, ma non poteva evitare di sentirsi in apprensione per lui.

''Re dei ghiacci...?'' chiese flebilmente ''Non intendi la regina?''

La fanciulla si era ripersa a studiare il palazzo e non l'ascoltò con troppa attenzione, limitandosi ad assentire.

''Il Sovrano dei Ghiacci vive in quel castello'' disse, domandandosi se fosse il caso di entrare dalla porta principale. Qualcosa dentro di lei, comunque, le diceva che il Re sapesse già della sua presenza.

''Io devo andare a salvare un mio amico d'infanzia, in quel castello'' spiegò, alzandosi decisa. Non poteva attendere oltre, Ciel era lì, prigioniero, e la stava certamente aspettando; sperò lo sconosciuto fosse abbastanza sagace da tornarsene da dove era venuto ''Bene... Buona giornata, allora!''

Gli diede le spalle e fece per correre via, ma la voce dell'uomo la fermò.

''Aspetta!'' tentennò, un braccio sospeso a mezz'aria ''Verrò anch'io!''

Elizabeth lo guardò per qualche secondo, esitante. Non sembrava una cattiva persona e il suo sguardo era sincero, spassionato; inoltre, anche lui doveva essere una vittima del Sovrano, sennò non si sarebbe spiegato il perché giacesse privo di sensi tra la neve. Gliene avrebbe chiesto in seguito.

''Sul serio? È davvero rassicurante!'' sorrise, presto ricambiata dall'uomo.

S'incamminarono verso la costruzione.

''Com'era il tuo amico d'infanzia?'' chiese l'individuo al suo fianco.

''Ciel era un bambino tanto tenero e gentile'' rispose, rammentando del suo sorriso dolce e della sua voce amabile ''Ma un giorno un frammento dello specchio del diavolo lo ha colpito all'occhio e al cuore. Da allora è diventato un ragazzo freddo che non può fidarsi di nessuno.''

Sì, Elizabeth era abbastanza forte da riuscire a trattenere le lacrime. La paura non si protese a ghermirla, l'esitazione non la vide neppure; nella sua mente vi era soltanto il ricordo di Ciel e il desiderio di salvarlo per poter far tornare tutto com'era in precedenza, prima che la sventura li colpisse entrambi.

Saliti i gradini d'ingresso, non esitò neppure un istante.

''È stato rapito dal Sovrano dei Ghiacci che l'ha intrappolato nel suo cuore di tenebra'' disse a gran voce. Premette i palmi sulla porta, la spinse con quanta più forza le restava in corpo. Questa cedette piuttosto facilmente, spalancandosi con un cigolio sinistro.

''E questo è il perché sono qui per riportarlo indietro!''

 

 



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Nel caso qualcuno si stia chiedendo il perché sia spuntato Arthur nella storia, ebbene... Non ne ho idea, c'era nella side story e l'ho messo. Vedetelo come un'apparizione divina.
Ma bando alle ciance, ben tornati! La mia stagione preferita è giunta assieme al fresco e non vedo l'ora di trascorrere i miei pomeriggi dormendo -cosa che faccio già, ovviamente- e bevendo cioccolata calda.
Chiedo infinitamente e umilmente perdono per aver posticipato la pubblicazione del capitolo di una settimana ma, sul serio, ero in alto mare e non ci sono proprio arrivata, spero solo il prossimo e ultimo capitolo non m'impieghi nuovamente così tanto tempo.
Ce la metterò tutta per scriverlo con ritimi che non siano quelli di un bradipo, sul serio!
Sperando che per allora non siate tutti morti di vecchiaia,
bacioni!

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Capitolo 8
*** Ⅷ ***


Crows In Snow

 

Quando Sebastian si era precipitato fuori dal proprio studio, Ciel era rimasto a fissare spaesato il vuoto: non riusciva ancora a elaborare pienamente le parole fuoriuscite dalla sua bocca, quasi le avesse proferite in una lingua incomprensibile. Era certo il suo raziocinio fosse scomparso assieme all'ultimo svolazzio del mantello del demone, proprio oltre l'uscio; se aveva davvero sentito bene, starsene lì impietrito era una pessima idea.

Con bambina intendeva Elizabeth, forse? Quel pensiero aveva un ché di folle: come poteva mai essere riuscita lei ad arrivare fin lì, in quel territorio impervio dove neppure una volta aveva visto aggirarsi anima viva?

In effetti, dalla notte trascorsa con Sebastian, non aveva più pensato a Lizzy, era come sparita dalla sua mente. Che il Sovrano fosse l'artefice di tale sparizione era indiscusso.

Quasi meccanicamente, ripercorse il tragitto del demone, abbandonando la camera; si catapultò nel corridoio buio e con la stessa, spossata, lentezza, tornò al margine delle scale.

Guardando in basso nell'intricata chiocciola della gradinata, gli fu impossibile intravedere null'altro oltre alla luce del salone, fioca e azzurrognola.

Strinse il corrimano sovrappensiero: ovviamente, se Elisabeth era davvero lì, non poteva lasciarla alla sua sorte, in balia del Sovrano; impallidiva al sol pensiero di cosa avrebbe potuto farle.

Il suo cuore, dopo molti giorni si silenzio, prese a pompare disarmonicamente, levandogli il fiato: era passato troppo tempo dall'ultima volta che aveva provato paura per non lasciarsi scombussolare dal pressante disagio che sentiva su di sé.

Si sedette sul primo scalino, rannicchiando le ginocchia al petto, un palmo premuto sulla bocca; non giungeva nessun suono dal piano inferiore, segno Sebastian doveva essere ancora da solo. Fu tentato di correre fuori dal palazzo e intimare Lizzy di andarsene, ma sarebbe stato inutile: sapeva essere dannatamente testarda, lei, e neppure il demone si sarebbe voluto privare del delizioso intrattenimento offertogli dalla ragazzina.

Perso nelle proprie riflessioni, non notò il Sovrano salire i gradini quietamente, con la solita eleganza; si accorse effettivamente della sua presenza solo quando questi si fermò qualche scalino più in basso, squadrandolo in silenzio.

Ciel alzò il viso su di lui, attendendo parlasse. Ciò non avvenne, cosicché prese lui l'iniziativa.

''Cosa hai intenzione di farle?'' domandò.

Sebastian rispose con fin troppa flemma: ''Abbiamo una visita inaspettata'' decentrò il soggetto del discorso ''È un problema. Non amo far fronte agli imprevisti.''

''Chi?''

''Un altro umano.''

Il ragazzino aggrottò le sopracciglia, il demone proseguì.

''Capirai bene non posso lasciarli girovagare per il castello. Cosa dovrei fare?''

Ciel strinse la stoffa della tunica fino a farsi sbiancare le nocche. Ucciderli entrambi, naturalmente, sarebbe stata la scelta più logica, ma non vi era modo gliela proponesse -non che ce ne fosse il bisogno-; allontanare Elizabeth con un incantesimo sarebbe dovuto essere fattibile, per il Sovrano.

''Non puoi mandarla via in alcun modo?'' propose speranzoso ''La tua magia non ha eguali, so che puoi farlo!''

''E poi?'' ribatté l'altro ''Quella ragazzina è incredibilmente cocciuta, non tarderà a ritornare: sarebbe un bel fastidio.''

Il giovane spostò lo sguardo ai propri piedi, sconsolato. Ancora una volta l'incantesimo del demone si era dimostrato troppo fiacco su di lui; voleva il proprio cuore smettesse di martellare incessantemente, agognava di ritornare alla vuota pace dei giorni precedenti.

Di getto, propose l'unico pensiero coerente che gli era passato fino a quel momento per la testa.

''Andiamocene di qui, allora.''

L'espressione di Sebastian mutò rapidamente; il suo cipiglio si fece pensieroso, a metà tra il perplesso e il contrariato.

''Per andare dove?''

''Ovunque, ovunque tu vorrai''

Il Sovrano sembrava star ponderando sul serio l'idea, così insistette: ''Il mondo è grande, sono certo imparerò molto più in fretta facendo esperienza!''

Fossero fuggiti il più lontano possibile, Ciel era certo la sua tranquillità non sarebbe stata più turbata da nulla: avrebbe dimenticato tutti i suoi affetti nella propria vita immortale, lasciando appassissero e si ricongiungessero alla terra senza neppure se ne accorgesse. In qualche modo stava facendo il loro bene, con quel patetico tentativo; presto o tardi anche Elizabeth si sarebbe scordata di lui, ritrovando la felicità e trascorrendo una vita serena.

La sua, di esistenza, apparteneva per intero al demone, ormai.

Si era perso a studiare le proprie dita affusolate strette sulle ginocchia esili, e di Sebastian riusciva a intravedere solo gli alti stivali scuri; non aveva abbastanza coraggio per guardarlo in volto, temendo la reazione alla sua proposta.

In quei minuti saturi di silenzio, pensò a tutte le possibili risposte che avrebbe potuto ricevere ma, ancora una volta, il Sovrano fu imprevedibile. Senza emettere un suono, si volse e ridiscese le scale, tornando nel salone.

Ciel strabuzzò gli occhi, incredulo.

Se Sebastian aveva preso una decisione, sarebbe stato impossibile dissuaderlo. Si acquattò meglio sul gradino e crollò la testa tra le ginocchia, sconfitto.

''Cielo, il rapimento mi fa sembrare una persona orribile'' una voce maschile rimbombò per la sala. Lizzy si trovò al cospetto di un uomo slanciato e incredibilmente bello, che la squadrava dall'alto del suo trono con un sorriso sprezzante. I suoi occhi sanguigni erano pungenti, penetranti, eppure non si lasciò intimidire, avanzando nella sala.

''È venuto da me di sua spontanea volontà, lo sai? E per provarlo, guarda'' alzò una mano e schioccò le dita. Appena il riecheggiare del gesto cominciò ad attenuarsi, dei passi felpati presero il suo posto, letargici e atrocemente familiari.

La ragazzina raggelò ancor prima che Ciel facesse la sua comparsa da dietro una colonna.

''Si è adattato tanto splendidamente al mondo del ghiaccio.'' ridacchiò il Sovrano, mentre il giovane procedeva adagio.

I suoi arti in genere tanto cerei avevano assunto sfumature bluastre e la sua pelle, in quel gelo insostenibile, era coperta a malapena. Non c'era più traccia del suo sorriso sereno, neppure una pallida ombra.

''Perché sei venuta, Elizabeth...''

Lei gridò il suo nome.

L'avrebbe riportato indietro e guarito dalla maledizione del demone, Sullivan ci sarebbe certamente riuscita: non era troppo tardi, bastava solo prendesse la sua mano e corressero via insieme, verso la loro vita gioiosa e spensierata.

''Volevo restassi vicino al davanzale con le rose in fiore.'' la sua voce flebile fu appena udibile, come attutita dal gelo. Lizzy fece un passo avanti, le lacrime più incombenti che mai.

''Ciel! Andiamo a casa insieme!'' lo implorò.

''Impossibile'' tagliò corto ''Il mio cuore è congelato'' avanzò di qualche altro passo, le mani al petto, quasi ricercasse quel battito assente di cui aveva appena parlato. Oltre la cornice delle ciglia, i suoi occhi in passato così carichi di vita erano ora smorti e assenti; il destro aveva perduto lo strabiliante blu zaffiro che l'aveva tanto deliziata, offuscandosi in un violetto spento.

La ragazzina trasalì, tuttavia le fu impossibile distogliere lo sguardo.

''E quest'occhio appartiene al diavolo'' il suo tono piatto si fece impercettibilmente più malinconico ''Non posso più tornare né alle rose meravigliose né ai tiepidi giardini. Quest'occhio vede solo uno sterile mondo ghiacciato.''

Cercò di mandare giù le lacrime per ribattere, ma Arthur fu più rapido.

''Questo non è vero! Se non ti arrendi, puoi sempre provare di nuovo! Sei ancora giovane!''

Ciel sembrò tentennare un attimo a quelle parole, ma poi il suo palmo si congiunse a quello del Sovrano e un'impetuosa folata di vento li disgiunse da loro, sferzandoli feroce e rintronando nell'immensa sala.

''Addio, Elizabeth.'' fu il sussurro udibile nel fragore della tormenta.

Lizzy venne scaraventata sul pavimento, le braccia tese davanti al volto per schermarsi dalla tempesta, un urlo incastrato in gola.

Non appena la furia della bufera si attutì, si guardò intorno, ma del Sovrano e di Ciel non vi era più traccia.

La consapevolezza sbocciò in lei, lenta e brutale, e raggiunse l'apice della propria fioritura col suo singhiozzo sconfitto, principio di un pianto smodato. Picchiò le mani sul suolo, osservando al di là della vista annebbiata le lacrime scendere frenetiche e disintegrarsi sul ghiaccio.

Ciel se n'era andato, e tutto nella sua logica spietata le suggeriva sarebbe stato per sempre. Il suo cuore, allora, era davvero un insalvabile frammento esangue, immemore dell'affetto che l'aveva animato in passato?

Non riusciva a credervi. Non voleva farlo.

In che modo avrebbe potuto affrontare un'esistenza in solitudine, persa la sua persona più cara? Una vita interminabile si snodava davanti a lei nel suo intrico di inesorabile sofferenza. Aveva così tanta paura!

Arthur, dopo essere riuscito a rimettersi in piedi, le aveva poggiato ambedue le mani sulle spalle, nel tentativo di consolarla. Lizzy quasi non se ne accorse; fu la voce cauta e gentile dell'uomo a scuoterla.

"Non c'è più nulla da fare. Il Sovrano l'ha portato via con sé, restare qui è da sciocchi" alla mancanza di reazioni accentuò la stretta "Sono certo starà bene."

"Come potrà mai stare bene?" gemette "La sua anima è stata ghermita da un demone: è condannato alla pena eterna!" Arthur fu incapace di ribattere; accompagnò la fanciulla nell'alzarsi e continuò a sorreggerla quando fu in piedi.

"Dobbiamo andare."

Lizzy alzò lo sguardo sulla volta del palazzo che, leggera, aveva iniziato a smembrarsi in minuscoli frammenti gelidi e luccicanti. Venne tirata via per un braccio, dopo essere riuscita a dare un'ultima occhiata al trono ormai simile a un globo azzurrognolo dai bordi indefiniti e alle colonne disgregate dal medesimo alone. Una pioggia di scintilli l'avvolgeva, sciogliendosi all'incontro con la sua carne. Avanzarono per metri, fino al margine del bosco, prima di arrestare la loro corsa. Arthur, il viso paonazzo per il freddo, cercava di riprendere aria. La ragazzina si concentrò sul castello che, di lontano, pareva ascendere al cielo in un velo di luce: un'ultima goccia di disperazione le attraversò la gota. Poi, voltatasi verso l'uomo, si sforzò di mantenere la calma.

"Prendi" disse, sfilandosi il cappotto "Non sarà molto, ma ti scalderà un po'."

Questi le sorrise dolcemente, scuotendo il capo.

''Non ce n'è bisogno, pensa tu a stare al caldo.''

La fanciulla sbuffò, circondando l'uomo con la cappa troppo stretta.

''A qualche ora di cammino'' spiegò ''C'è Nina, l'ultima donna che mi ha ospitata durante il mio viaggio. Se ci sbrighiamo, dovremmo arrivare prima del tramonto'' esitò un istante ''Grazie per ciò che hai fatto prima. Quello che hai detto a Ciel è stato molto bello.''

L'uomo, ancora una volta, negò umilmente:''Io... ho dieci fratelli, uno di all'incirca la sua stessa età. Sai, anche lui è scomparso diversi anni or sono, ed è per questo che mi trovo qui'' strinse le labbra fino a farle sbiancare ''Ma presumo sia troppo tardi, ormai. Non ringraziarmi, quindi, mi è venuto spontaneo.''

''Le tue parole erano comunque ricche di sincerità: l'ho apprezzato davvero.''

Arthur non parve troppo convinto dall'ostentata fermezza di Lizzy, ma non lasciò lo notasse. Cercando di infondere a quella bambina un granello della propria serenità, si fece forte, riconducendola nel bosco ed evitando si volgesse a guardare un'ultima volta il castello, carcassa di uno splendore distrutto e spazzato via dalla bufera.

Aprì gli occhi per trovarsi circondato dalla neve: le pareti limpide del palazzo, i soffitti sconfinati, le colonne slanciate, tutto era scomparso, inghiottito dai fiocchi inarrestabili.

Era stato lui, quasi incondizionatamente, a provocare quella tempesta, proprio nel momento in cui Elizabeth si slanciava per fermarlo e il Sovrano lo copriva col proprio manto, a metà tra una protezione e una gabbia. In pochi secondi, aveva perso cognizione dello spazio e del tempo e si era stretto d'impulso al corpo del demone, ricercando il suo sostegno.

Quando aveva riaperto gli occhi, si era trovato un'altra volta immerso nella neve, alta e lattea come quella attorno al castello. Erano circondati dalla desolazione: soltanto il Sovrano coi suoi lunghi abiti e il suo crine nero, simile alle piume di un corvo, discordava col paesaggio. L'aveva lasciato per inoltrarsi di qualche passo, i tacchi già del tutto affondati della massa bianca, abbagliante sotto ai morenti raggi del sole.

''Perché?'' chiese.

Il Sovrano lo scrutò di sottecchi con un cipiglio illeggibile.

''Non volevo scontentarti'' si limitò a rispondere ''In fondo, spostarci sarà meglio per la tua formazione''

Tornò sui propri passi, fermandosigli difronte; gli carezzò prima una ciocca di capelli, poi il contorno della mascella e infine il mento.

''La vita di un essere umano è infinitamente caduca: per te che possiedi l'eternità sarà poco più di un battito di ciglia. La memoria, in una creatura imperitura, è differente rispetto a quella di un mortale; imparerai presto a considerare il passato come le pagine di un vecchio diario, dandogli la relativa importanza.''

Capì cosa voleva insinuare.

''E a te, invece? Che importanza dovrò dare?'' domandò, ammirando il sorriso allargarsi sul suo volto.

''Quella dovuta, ovviamente.''

Credette volesse baciarlo, ma quando le sue labbra furono a un soffio dalle proprie, facendole fremere sotto al suo respiro caldo -unico tepore in quel luogo gelido-, questi si scansò, allontanandosi.

Ciel si guardò i piedi immersi nella neve. Ovviamente, non poteva percepire il freddo, ma la consistenza di questa sulla pelle nuda gli provocava una sensazione strana, sgradevole. Sebastian parve notarlo, poiché retrocesse nuovamente e lo sollevò da terra senza sforzo, accogliendolo, come il giorno del loro primo incontro, tra le sue braccia.

Il ragazzo ne approfittò per affondare il naso nell'incavo del suo collo e ispirarne il profumo, finalmente tranquillizzato.

"Sei tiepido." sussurrò, le dita inabissate nella pelliccia che gli avvolgeva le spalle.

"Sono i vestiti, non io" smentì Sebastian "Tu, invece, serbi ancora un po' di calore corporeo."

"Ti dà fastidio?" domandò. Percepì la presa del demone stringersi sulle sue cosce.

"No, non particolarmente. È passato molto tempo dall'ultima volta che ho percepito del tepore.''

Ciel chiuse gli occhi, godendosi quel contatto effimero e lieve con un mugugno soddisfatto.

Non seppe mai se, anche quella volta, il Sovrano avesse utilizzato qualcuno dei suoi incantesimi -neppure in futuro, quando il suo cuore sarebbe definitivamente inaridito e la magia gli avrebbe serpeggiato nelle vene-, ma la paura scomparve lasciando il posto alla pace e pure la neve, instabile e leggera, gli parve d'improvviso più calda.





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Sì, è finita. Finalmente. Ci credo ancor meno di voi.
Appurato il fatto che, non peroccupatevi, mi rendo conto di aver postato di nuovo ampiamente in ritardo, passiamo ai ringraziamenti da premio oscar perché, con la mia poca -quasi inesistente- costanza, non pensavo avrei mai finito questa fanfiction in tempi umani -puntavo al dono dell'immortalità da parte di Sebastian, sinceramente.
Mi sono permessa di cambiare alcune battute di Arthur nel capitolo, per renderle più generiche -nello spin-off, essendo tutto un suo sogno e conoscendo già Ciel, gli si riferisce con l'appellativo 'conte' e sa anche quanti anni ha-. Per il resto, ho cercato di essere il più fedele possibile all'originale, inciucci amorosi a parte  e manco tanto.
Un grosso bacio a tutti coloro che sono stati capaci di seguire la storia fino alla fine -siete degli eroi, sappiatelo- e ovviamente a Seyasil, raku, Hyacinth_ e Haise_Sasaki per le bellissime parole che mi hanno lasciato. Siete adorabili, grazie!
Spero di trovare il coraggio e l'ispirazione per postare nuovamente qualcosa qui su efp e, perché no, su questo bellissimo fandom.
Ancora una volta, grazie di cuore, il vostro supporto mi è stato vitale!
Sperando non passi troppo tempo,
arrivederci! *sventola tragicamente fazzoletto*
 

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