dietro le quinte della mia vita

di GHENEA
(/viewuser.php?uid=914313)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** la parola scelta ***
Capitolo 2: *** le cose potrebbero andare peggio? ***
Capitolo 3: *** un sogno, una brutta sorpresa e una ragazza con gli occhi viola ***
Capitolo 4: *** parlami dei tuoi occhi ***
Capitolo 5: *** che cosa sai su di me? ***
Capitolo 6: *** fai brlliare te stesso ***
Capitolo 7: *** una rosa ***
Capitolo 8: *** salvataggio ***
Capitolo 9: *** a quanto pare abbiamo entrambi problemi di insonnia ***
Capitolo 10: *** il corvo ***
Capitolo 11: *** ninne nanne ***
Capitolo 12: *** pianti e pioggia ***
Capitolo 13: *** una lunga, lunga giornata ***
Capitolo 14: *** che cosa significa amare? ***
Capitolo 15: *** di me e di te ***
Capitolo 16: *** figh and roll ***
Capitolo 17: *** tutto ciò che non potrò mai essere ***
Capitolo 18: *** ballo (pt.1): vestiti pericolosi ***
Capitolo 19: *** Ballo (pt.2): troppe emozioni ***
Capitolo 20: *** segreti sotterati e tombe di salici ***
Capitolo 21: *** la tranquillita di un posto non tuo. Andrà tutto bene. ***
Capitolo 22: *** come fà un'istante così profondo a cancellarsi così velocemente? ***
Capitolo 23: *** ritorni ***
Capitolo 24: *** rabbia ***
Capitolo 25: *** brutte sorprese ***
Capitolo 26: *** confusione e sacrifici ***
Capitolo 27: *** la fine ***
Capitolo 28: *** EPILOGO ***



Capitolo 1
*** la parola scelta ***


PRIMO CAPITOLO


Pensi davvero di non aver scelta.
Sei convinta al cento per cento che quella sia l’unica possibilità.
E poi scopri che l’inevitabile era evitabile.
Questi sono i momenti più disperati; ti senti morire, perche in fondo sapevi che le cose potevano andare diversamente, ma non mi sono mai spinta oltre, a cercare un altro modo, per paura di sbagliare o di cercare l’inesistente. Mi rendo finalmente conto di tutta la sofferenza che avrei potuto evitare, se solo non avessi avuto paura.

Brutta questione la paura.
Ti blocca, ti inganna, ti fa fare cose che non avresti mai fatto. La paura è una bambina malvagia che insiste e insiste finche non le dai ciò che vuole. Pensi non ci sia scampo, ma in realtà l’unica cosa che devi fare è puntare i piedi e dire a te stessa “ io non ho paura”.
Ma come si fa quanto la paura sei proprio tu. Quando non sei tu ad aver paura, ma gli altri. Se sei tu la causa della loro sofferenza cosa si deve fare?.
Me  lo domando da troppo tempo, e la risposta non l’ho mai trovata.
Io porto dolore, terrore, confusione. Sfrutto le persone e mi nutro dei loro sentimenti negativi; sono la figlia del demonio. Mi celo nell’ombra e aspetto.

E se la paura un giorno provasse ad amare? Che fine farei?
Se un giorno si stufasse di impadronirsi di me e provasse a farmi vivere la mia vita, cosa farei?
Diamine, ci sono un bel po’ di domande a cui non so rispondere a quanto pare.
Ormai non so neanche se potrò più pormele. La paura sta vincendo, è tardi. Dovrei provare a resistere, dovrei provare a difenderli.

Già dovrei.

 Ma se non ne fossi in grado? Se la paura tornasse. Se non avessi davvero scelta?

No!

Una scelta c’è sempre. Devo solo cercarla. Devo trovare il giusto ingranaggio e far ripartire questo diamine di orologio che guida la mia vita.
La vita è troppo breve per i se e per i ma, dicevano. Io non sono d’accordo.
La vita è troppo breve e basta. Bisogna essere svelti a decidere, perché il tempo non aspetta nessuno e di certo non aspetta me. Quindi basta perdere tempo.
 Troviamo la soluzione che avrei dovuto trovare prima



Angolo autrice
salve popolo di efp!
il capitolo qui presente è solo un cappello introduttivo della mia storia; spero che sia di vostro gradimento e se trovate errori o cose non chiare, sentitevi liberi di farmelo notare con una recensione, che da me sarà molto gradita, purchè costruttiva.
volevo avvisare del fatto che questa è la mia primissima storia, e vi chiedo scusa in'anticipo di eventuali, terrificanti errori grammaticali.
sinceramente non saprei neanche se una .... cosa del genere possa essere degna di efp, ma provar non nuoce .... spero.
vi ringraio della pazienza e della comprensione e ci sentiamo con un'altro aggiornamento 
byby 
-carly
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** le cose potrebbero andare peggio? ***


IO GIURO CHE TI AMMAZZO!!!!"
Se non ricordo male erano queste le parole che quel ragazzo del terzo anno continuava ad urlarmi; secondo me è stato un pò esagerato: dopo tutto era solo un banale scherzo, innocente, quello di stamattina; dovrebbe ringraziarmi invece di lamentarsi tanto; la vita qui al liceo è sempre molto noiosa e  dopotutto ho solo strappato un sorriso a tutti. Avergli riempito l'armadietto di vernice magenta è stata forse una delle mie migliori vendette; almeno sarò sicuro che ci penserà due volte prima di fare, di nuovo, il bulletto con quelli del primo anno. L'unico problema è stato il fatto che lui non l'abbia presa proprio bene, rispetto al resto degli altri studenti in corridoio che, alla vista del macello che avevo combinato nel suo armadietto, si sono messi a ridere di gusto, incuranti del leggero fastidio che sentiva invece la povera vittima. Diciamo solo che poco dopo quel ragazzo ed io abbiamo avuto un piccolo dibattito dove è sembrato necessario il contatto fisico; ero anche abbastanza convinto di potergli tenere testa facilmente, ma fino ad allora non mi aveva mai neanche sfiorato il pensiero che forse, essendo un bullo, e che pur avendo il cervello di una gallina, in quanto a musculatura e combattimento era davvero più abile di me.
Sia chiaro non ho rimpianti, anche perché ormai l'ufficio della preside mi era così familiare, che mi sarebbe dispiaciuto non passare a fare un saluto da quella nonnina tanto simpatica (nonché capo della nostra scuola).
Ormai passarmi i pomeriggi a scuola era diventata parte della routine giornaliera; dopotutto a casa mi sarei solo annoiato e ultimamente trovo piuttosto fastidioso il fatto di avere così poche cose da fare, anche se i miei videogame sono sempre presenti per intrattenermi.
Dal vetro opaco della porta della presidenza intravedo la sagoma della preside, che con passo svelto entra nel suo ufficio; oggi sembra più infastidita del solito, quindi capisco subito che non sarà una passeggiata questa conversazione.
"Signorino Logan, di nuovo qui? Mi faccia indovinare un altro dei suoi innocenti scherzi? Le piace così tanto la mia compagnia?"
Mi squadra attraverso i suoi sottili occhiali dalla montatura rossiccia con sguardo serio, per poi dirigersi verso la sua scrivania, accompagnata dal sonoro battere dei suoi tachi sul pavimento.
"Come potrei rinunciare alla compagnia di una nonnina tanto simpatica Sign. Ellen?" e sfoggio uno dei miei più grandi sorrisi seduttori.
"Non si prenda queste confidenze con me Signorino Logan; ho altro a cui pensare invece dei suoi insulsi capricci" aggiunge con tono tagliente; "mi tolga una curiosità perchè continua a fare scherzetti del genere? Le piace forse infastidire la gente o si è pazzamente innamorato di quella poltrona"
Si siede e indica con la mano la comoda poltrona sulla quale mi siedo tutte le volte quando vado da lei
"la relazione tra me e questa poltrona ormai non è più un segreto a quanto pare"
Mi hanno sempre detto che non tengo mai la bocca chiusa, ma sinceramente a me pareva quasi un complimento. Ora, vedendo la faccia della donna che ardeva dal desiderio di mettrmi le mani al collo, mi rendo conto che forse un lato negativo questa mia caratteristica ce l'ha.
"La mia è una domanda seria signorino Logan. Sa, sono davvero stufa del suo atteggiamento prepotente e sconsiderato. Forse non ha ancora capito che si sta mettendo nei guai da solo.Immaggino che lei conosca bene che tipo di reputazione ha qui a scuola. Non mi piace affatto impicciarmi negli affari degli altri, quindi la prego di smettere i suoi giochetti o dovrò iniziare a prendere seri provvedimenti."
Come pronunciò questa frase mi venne da ridere; non pensavo che la vecchietta fosse capace di tirare fuori gli artigli in questo modo; sono stupito, davvero. Le devo dare ragione però; la mia reputazione qui non è delle migliori e da molti vengo visto come una palla al piede, ma continuo a credere che questo posto senza di me sarebbe di una noia terribile; e poi dai: questa avrà una centinaia di anni; è la prova vivente dell'esistenza dei dinosauri e inizio a credere che la scuola se la sia costruita lei, mattone per mattone; è di altri tempi e di certo non capisce il nuovo significato di divertimento che si è creato negli utimi tempi, ed io lo incarno benissimo.
"Immagino che questi seri provvedimenti equivalgano a dei giorni di sospensione e la immediata chiamata dei miei genitori"
"Sono al corrente della sua particolare situazione Signorino Logan quindi non faccia lo sbruffone."
Eh già, io lo so meglio di lei.
"Tuttavia sò che la sospensione non basterà, dato che quando tornerà ricomincerà tutto da capo"
La signora ha intuito; e brava la nonnina!
"Per questo ho scelto di prendere un provvedimento un po' più ... particolare per lei"
Ok quest'ultima frase non mi è piaciuta; sarà un mio presentimento, ma si legge benissimo che la sua idea non è nulla di piacevole, almeno non per me. Una scintilla sui suoi occhi ha attirato la mia attenzione, come la consapevolezza di aver trovato la ricetta per l'elisir di lunga vita (se già non l'ha fatto).
"e quale sarebbe questa "particolare" soluzione che ha trovato?"
Dico tentando di sembrare il più serio possibile, ma con la faccia che ha assunto la donna, mica è facile riuscire guardarla fissa in quegli occhi grigi come le nuvole prima di un temporale. La soggezione che riesce a creare con un semplice sguardo mi porta a credere che in realtà la sospensione sarà l'ultimo dei miei problemi.
"Ho deciso che sarà costretto a partecipare al corso teatrale della scuola ed è obbligato a presentarsi come attore nella classe della signora Arden"
Oh no! Questa mi vuole morto. Miss Arden è davvero l'ultima persona che qualcuno vorrebbe incontrare.
Non che abbia qualcosa contro quella donna; sicuramente al momento mi sta più simpatica della preside, ma stiamo parlando di una fissata con l'arte, o qualsiasi cosa possa essere barboso per un ragazzo della mia età. Si tratta di una della donne più strane che abbia mai incontrato: qualsiasi discorso tu stia affrontando lei riesce a girare le parole in modo da tirare fuori un qualche grande insegnamento artistico; appena inizia non la smette più di parlare. Veramente è logorroica; dopo cinque minuti con lei vorresti solo metterle un tappo in bocca e buttarla giù nel tartaro.
"non può farlo! Il corso teatrale non è mai stato obbligatorio e lei non mi può imporre di parteciparvi"
Non ho alcuna intenzione di entrare a far parte di quella gang di scalmanati del gruppo teatrale.  Chiunque decida di sua spontanea volontà di passarsi due pomeriggi a settimana chiuso nella vecchia catapecchia che è il teatro della scuola, a parlare per ore e ore con una malata da ricovero psichiatrico per preparare uno spettaccolo teatrale che non andrà mai a vedere nessuno, sicuramente non è gente sana.
"in questo caso è possibilissimo visto che stiamo parlando di una punizione, che come lei sà, viene scelta dalla preside, cioè la sottoscritta"
L'idea di quello a cui sto andando incontro non mi piace per niente e non credo neanche abbia il diritto di farlo.
"sono sicuro che non sia del tutto legale questa cosa"
"si informi pure allora signorino Logan; gli posso assicurare che è tutto legale. Ormai ho preso questa decisione e così sarà. Domani pomeriggio lei si presenterà nell'aula teatrale della scuola e frequenterà per i prossimi mesi il corso teatrale, dalle 15:30 alle 17:30 ogni giorno, fino a tempo indeterminato."
Mentre pronunciava questa frase, la trascrisse anche su un foglio per darlo a chissà chi.
Fantastico ora si che sono apposto. La mia vita diventerà un inferno.
" Quando fà la parte della preside cattiva fa davvero schifo come persona." Non so bene come siano uscite queste affermazioni, ma alla fine era un modo per scaricare la rabbia; un forte senso di rabbia nei suoi confronti mi pervade, costringendomi a mettere il broncio. Poi peggio di così non mi poteva andare no?
"per questo sono fiera di me stessa"
Dice con tono di superiorità. Non posso crederci; ma questa è veramente la nonnina di 5 minuti fa? Non la credevo capace di tanto.
Dopo la fantastica notizia la donna mi fa uscire dal suo ufficio con un cordiale sorriso; questa è bipolare. Prendo lo zaino ed esco dalla saletta, senza darmi preoccuparmi di salutare ne lei, ne la segretaria che sedeva davanti al suo ufficio. Mi aggira per i corridoi, ormai completamente vuoti, verso la porta principale, ma prima mi fermo dal mio armadietto per svuotare lo zaino da cianfrusaglie varie.
Ringrazio solo il fatto che ormai non ci sia più nessuno studente ancora qui perché sono in uno stato pietoso, con l'umore sotto zero e la cosa non è da me. Stufo di tutto e di tutti esco dalla porta principale con lo zaino in spalla e un'occhio nero come il mio umore.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** un sogno, una brutta sorpresa e una ragazza con gli occhi viola ***


Una distesa bianca.
Un'immensa distesa bianca è la prima cosa che vedo appena apro gli occhi, appesantiti dal sonno. Intorno a me c'è solo il più totale e sconfinato nulla.
sento le gambe muoversi da sole, iniziando così a correre lungo la desolazione che mi circonda.
Non so che cosa stia succedendo.
Dove sono?!! Che cosa mi sta succedendo?!!
Non ho mai fatto uso di droghe e non vedo il motivo per la quale qualcuno debba drogarmi, ma ora come ora mi sembrerebbe la spiegazione più plausibile.
Poi mi rendo conto che tutto questo potrebbe essere opera del mio inconscio; per cui devo star sognando, eppure cavolo, è un sogno davvero molto sentito.
Improvvisamente sento una voce.
È una ragazza e mi pare così familiare, eppure sono certo di non averla mai sentita. Sò però che appartiene a qualcuno di importante e il suo nome mi pende dalle labbra ma non riesco ad afferrarlo. Come se mi fosse stato sottratto.
Inizialmente era un leggero sussurro, quasi non si capiva quello che diceva, come quando provi a comprendere il vento durante una folata.
Poi inizia a farsi sempre più forte diventando un urlo disperato: Sta usando tutto il fiato che ha in corpo, solo per chiamare il mio nome.
"GARFIELD AIUTO!!!"
Poi sotto i miei piedi appare il vuoto; una pozza buia della quale non si riesce a vedere il fondo. La paura si prende gioco di me e il terrore di cadere è così forte che mi fà formicolare la pancia, ma quando sento il terreno staccarsi dai miei piedi e iniziare la caduta una mano delicata mi afferra. Non riesco a vedere il volto della mia salvatrice, anche se il contatto con la sua mano mi riporta quella forte convinzione nel sapere l'identità della ragazza, ma niente; nessun nome, nessun ricordo:
"forse perche devi ancora viverlo"
un leggero fruscio pronuncia queste parole nella mia testa, ma non è la stessa persona a parlare.
Ciò che avviene dopo mi sconvolge non poco: una migliaio di immagini mi passano davanti alla velocità della luce e non riesco a capire niente. Un forte mal di testa mi pervade e io non riesco a distogliere lo sguardo dal turbine di figure che mi passano davanti, a volte rischiando anche di  investirmi. non riesco nemmeno a capire cosa raffigurano e come sottofondo c'è sempre quella dannatissima voce, che continua ad urlare la stessa cosa.
"GARFIELD AIUTO!! ATTENTO! NO! DIETRO DI TE!!!"
Poi il buio.
Il suono della sveglia mi riporta alla realtà, facendomi trovare in un bagno di sudore.
Wow! ma da quando faccio sogni del genere?
Meglio controllare la data di scadenza del latte di ieri sera.
Vado subito a farmi una doccia per togliermi del tutto la sonnolenza, accorgendomi che mi converrebbe anche sbrigarmi visto che tra meno di 5 minuti dovrei uscire di casa; se arrivo in ritardo quella serpe in menopausa della preside potrebbe anche scegliere di prolungare la mia punizione, anche se già di per sè non ha una fine.
Esco da casa di corsa senza neanche fare colazione e vado verso la fermata dell'autobus, che riesco a prendere a pelo; nonostante sia quasi sempre in ritardo oggi era in perfetto anticipo, tanto per iniziare bene la giornata.
Fortunatamente le lezioni si svolgono molto velocemente ed ho avuto anche il tempo di prendermi un po' di caffè al bar davanti alla scuola, prima di iniziare la giornata.
Mi sono costretto di tentare di evitare guai, come gesto disperato.
Continuavo a sperare che cambiasse idea e che capisse che in realtà tutto questo era una pazzia, ma nulla di tutto questo accadde.
Dopo il suono dell'ultima ora, frustrato e affranto, mi dirigo verso l'aula di laboratorio teatrale.
Tento di sembrare il meno arrabbiato possibile, ma non credo di esserci riuscito e me ne accorgo grazie agli sguardi straniti degli altri studenti. Due o tre si stavano anche fermando per salutarmi, ma ci hanno ripensato non appena mi hanno visto.
Percorro il lungo corridoio fino ad arrivare ad una porta verde. La apro e mi ritrovo nell'ala est della scuola dove ci sono tutti i laboratori. La porta del teatro è l'ultima a destra; tento di far passare più tempo possibile tra un passo e l'altro, ma nonostante tutto in meno di due minuti mi trovavo già lì davanti. La fisso attentamente, indeciso se entrare davvero o meno. Se non presento non farò altro che aumentare i miei problemi, chi lo sa magari decide di iscrivermi obbligatoriamente anche al club di matematica.
Di certo meglio il teatro.
 Prendo tutta la mia forza di volontà e apro la porta.
In fondo alla stanza c'è allestito un palco enorme con tanto di tende rosso fuoco e pavimento il legno bianco. Per arrivarvi bisogna scendere delle scale coperte di un soffice velluto nero dove sopra poggiano poltrone dello stesso tessuto ma di colore rosso. Non ero mai stato in questa parte della scuola quindi non avevo mai visto il teatro, ma non mi aspettavo di certo una meraviglia del genere. L'atmosfera di questo posto mi dà un senso di ordine e di calma. è tutto molto pulito e profuma di nuovo, un pò come i libri appena comprati; uno di quei profumi che ti snifferesti a vita.
Arrivato davanti al palco mi guardo intorno, notando la postazione per controllare i riflessori con vicino delle casse enormi per l'audio. Mi sembrava anche di scorgere una figura scura, ma una forte luce mi colpisce, accecandomi per qualche secondo.
"hey amico durante il periodo di prove è vietato agli studenti accedere al teatro, lo sai vero?"
La voce proveniva sempre verso i riflettori ed era grossa e profonda, con un lieve accento inglese credo. Non mi dà neanche il tempo di rispondere che già mi ritrovo la sua figura possente d'avanti. Si tratta di un ragazzo, sicuramente del quinto anno, afroamericano e pelato. Sarà stato alto circa un metro e ottanta, per non parlare della muscolatura sviluppatissima, che viene inoltre evidenziata dalla canotta grigiastra; sicuramente farà pesi o roba del genere.
"allora hai perso la voce biondino?" mi chiede un pò indispettito.
Credo che non gli piacciano gli estranei e il suo modo di atteggiarsi mi piace ben poco, ma non ho di certo intenzione di mettermi contro un bestione del genere. Sarebbe capace di mandarmi all'ospedale.
"scusa, mi chiamo Garfield; la preside mi ha mandato qui per scontare la mia punizione"
Gli porgo la mano e lui la stringe con forza. Vedo il suo viso illuminarsi e mi sorride; il ragazzo, prima minaccioso, ora sembra essersi trasformato in un orso di zucchero filato. Sembra molto uno di quei ragazzi molto alla mano.
"ah si, sei quello nuovo! Piacere di conoscerti io sono Victor Stone, l'addetto alle luci e tutto ciò che riguardi la tecnologia in questo teatro"
"molto poco quindi"
Rispondo, guardandomi intorno molto perplesso. Davvero quel poso a qualcosa a che fare con tasti e lucine?
"ahah più di quanto immagini piccoletto."
Nonostante il nomignolo (del tutto comprensibile per via della mia bassa statura, in confronto al gigante), mi pare di capire che a questo posto ci tiene. mi mette una mano sulla spalla e mi incita a seguirlo.
"allora, dimmi un pò, che diamine hai combinato per finire in questa catapecchia?"
Mi porto una mano nei capelli, abbastanza imbarazzato; avrei dovuto aspettarmelo che la vecchia non si sarebbe fatta gli affari suoi.
"diciamo che ho solo fatto capire a un bulletto che non dovrebbe prendersela con i più deboli"
Tralascio i dettagli, ma sembra che Victor abbia già capito tutto. 
"quindi sei un eroe degli indifesi eh? Molto nobile da parte tua devo dire"
Dice con tono teatrale; credo proprio che lui e questo teatro di siano trovati. Sta di fatto che ha ragione, ma in ogni caso la punizione me la devo fare io, mica quello che ieri mi ha fatto l'occhio nero.
"più uno a cui piace divertirsi, direi"
Sorrido e mentre continuiamo a percorrere il palco mi porto le mani dietro la testa.
"allora credo che io e te andremo molto d'accordo"
Questo ragazzo mi sta già simpatico.
"allora, ho l'incarico di farti fare un breve giro turistico prima che arrivino gli altri"
Andiamo dietro le quinte del palco, dove mi mostra i camerini ed altre stanze dove, per lo più, si tengono altri materiali teatrali per scenografie e via dicendo.
"gli altri?" davvero questo corso attrae così tanta attenzione?
"si, in tutto siamo in cinque. Karen Beecher, Kori, Richard Grayson, Rachel Roth ed io; ecco questo è la sala costumi o come la chiamiamo noi: il paradiso di Kori"
Si trattava di una stanza strapiena di vestiti e costumi di ogni genere. Incredibile quanti vestiti potessero stare in un'unica stanza, con ancora lo spazio di una scrivania di abbondanti dimensioni e una macchina da cucire.
"perché viene chiamato così?"
"Kori oltre ad essere molto brava a recitare è anche un'abile costumista; tutte le volte che dobbiamo esibirci, crea dei vestiti molto originali e adatte alle situazioni."
Ci dirigiamo verso una serie di scale di metallo vicino alla sala costumi, che ci conducono sopra alla tribuna, proprio nel lato opposto del palco. Qui ci sono ogni genere di leve e pulsanti, usati probabilmente per il comando delle luci e dei suoni.
"qui invece lavoro prevalentemente io, dato che sono l'unico che si intende veramente di ingegneria ed elettronica" dice in tono fiero.
In effetti aveva molto la faccia da nerd dei computer. Solo che non ce lo vedevo proprio a lavorare in un teatro. Soprattutto se stiamo parlando di un corso di Madame Arden; non pensavo neanche che quella donna conoscesse l'esistenza della tecnologia e dei computer.
"come mai frequenti questo corso? Insomma non la trovi un po' una rottura di palle? Con una professoressa come madame Arden poi"
Questa domanda mi esce dalla bocca senza che me ne fossi neanche accorto. Ammetto di esser stato davvero sfacciato, ma andiamo: se stiamo parlando della stessa Arden che conosco io, questo corso dovrà essere qualcosa di veramente noioso. Per quanto una persona possa essere appassionata al teatro e ai costumi, non vedo come si possa sopportare una donna ti tale pesantezza.
"sono sicuro che col tempo troverai la risposta da solo piccoletto" dice ridendo di gusto. A quanto pare se la aspettava una domanda del genere.
"sappi però che la Arden non è poi così male"
"la ringrazio del simpatico complimento Sign. Stone" dice una voce appena dietro di noi.
Merda! riconoscerei quella voce squillante tra mille. Spero solo che non abbia sentito tutta la conversazione altrimenti posso dire anche addio alla mia vita. Mi giro e mi rendo conto che una donna così non potevi non riconoscerla: con quel suo corpo magro, anziano e gli ispidi capelli grigi lunghi sembrava proprio una tipica anziana inglese, molto snob e pronta a sbatterti in faccia la sua cultura; per non parlare della camicia bianca e la gonna lunga fino ai piedi, che ti facevano capire quanto lontana dai nostri tempi fosse.
"lei dovrebbe essere Garfield. Sono felice che si sia presentato in anticipo, così potremmo spiegarle bene quello che facciamo qui."
 Si aggiusta i suoi minuscoli occhiali dalla montatura arancione, che le circondano gli occhi neri. Mi scruta con sguardo serio, facendomi intuire che forse ha sentito tutto; poco male quanto meno sò già che non farà di tutto per attaccar bottone con me.
"non si disturbi non starò qui per molto. Sono sicuro che la preside presto cambierà idea"
Per quanto sappia che è ben poco possibile una cosa del genere, perchè dopo settimane passate il compagnia della preside, ho capito che quando prende una decisione è difficile che la cambi, ma io continuo a sperare.
"oh, non sà quanto questo mi renderebbe felice."
Come prego? La guardo piuttosto interdetto; se neanche lei mi vuole perchè ha accettato di prendermi in custodia? Se si rifiutasse eviterebbe un sacco di problemi a tutti.
"lei per me ora è solo una palla al piede e non vedo l'ora che se ne vada, sinceramente, perchè questo è un corso per persone che hanno la capacità di impegnarsi veramente in ciò che fanno e lei non mi pare quel tipo di persone che si impegna in ciò che fà. Sinceramente non ho fatto i salti di gioia nel sapere che si sarebbe aggiunto uno studente della sua fama nel mio gruppo di studenti, ma non posso disobbedire alle richieste della preside, quindi per piacere si trovi qualcosa da fare, che non distragga i miei altri studenti "
non saprei se sentirmi offeso o meno, ma di credo che le cose che mi abbia appena detto non siano affatto carine; il problema è che come lei, a quanto pare, non sopporta me, io non sopporto lei. Inizio a credere che la preside l'abbia fatto apposta ad iscrivermi proprio ad un suo corso.
"bene ora che siamo stati entrambi sinceri, lasci che gli spieghi a cosa stiamo lavorando"
quindi all'isteria soffre anche di cambi d'umore improvvisi; perfetto.
"gli ho già fatto fare io il giro Madame, quindi non si disturbi"
Aggiunge Victor; Sembra che non si sia neanche accorto della sfuriata di prima; magari è una cosa che fà abitualmente.
"ti ringrazio Victor mi hai tolto un grande peso; non è che puoi anche parlargli della sceneggiatura e del suo compito qui? Io devo preparare il palco"
"Con grande piacere Madame"
Detto questo Madame Arden si reca verso il palco, mentre noi scendiamo e andiamo a sederci su due delle sedie di tessuto rosso usate per gli spettatori. Vorrei ringraziarlo per essersi preso la briga di guidarmi, perche altri cinque minuti con lei non li avrei potuti sopportare, ma non dico niente, sperando che comprenda comunque.
"devi scusarla, ma quando si inizia a parlare del suo corso di teatro diventa particolarmente isterica; credo che ormai sia l'unico passatempo per lei; il marito è scomparso l'anno scorso"
questo spiega il motivo delle sue tante assenze l'anno precedente. In effetti non la vedevo più tanto spesso in giro per i corridoi, a controllare l'andamento degli studenti. Capisco allora anche le ragioni delle sue sfuriate; credo che tema che possa rovinare il suo duro lavoro.
"non preoccuparti; te l'ho già detto, presto non vedrete più da queste parti"
"l'importante è crederci"
lo guardo divertito e lui ricambia. Poi, non so bene da dove, tira fuori un copione di circa 300 pagine che potrebbe perfettamente fungere come arma di difesa nel caso di aggrassione.
"allora, in parole povere il copione da seguire è questo" dice porgendomi il blocco; mi viene male solo a vederlo.
"la storia tratta dell'opera di Shakespare, "sogno di una notte di mezz'estate" ritrattata noi personalmente. I protagonisti e la storia sono uguali, ma ambientati nel nostro secolo; abbiamo rendendolo quasi un musical e abbiamo tolto alcuni personaggi"
ammetto che non è brutta come idea; sinceramente non leggo molto, Shakespare mi piace particolarmente, anche se ho iniziato solo perche molti videogiochi si basavano sulle sue opere.
"a chi è venuta questa idea?"
"alla Arden; è lei che ogni anno scrive una sceneggiatura da interpretare."
Sento il rumore della porta d'entrata, sbattere e dei passi leggeri ;mi giro a vedere chi è appena entrato e noto due ragazzi.
"oh ecco sono arrivati Kori e Richard!"
Sposto lo sguardo verso l'entrata e vedo due ragazzi della mia stessa età se non più grandi di un anno. La ragazza aveva lunghi capelli rossi come il fuoco e una pelle abbronzata, che le metteva in risalto gli occhi di un forte verde smeraldo. Indossava un vestito rosa pelle che le arrivava a circa metà coscia, che le risaltava molto le curve; e che curve. questa ragazza rappresenta il sogno erotico di qualunque uomo.
Il ragazzo al suo fianco invece aveva capelli corti, neri e gli occhi azzurro ghiaccio. Era alto, forse un po' più della rossa e trascinava con sè un alone di mistero, accentuato dalla rigida e dritta postura che aveva. Sarebbe potuto passare per un ballerino di danza classica, ma aveva qualcosa che mi spaventava quasi. Una determinazione nello sguardo che avrebbe potuto piegare qualunque cosa al suo volere; insomma il classico leader di un gruppo, seppure avesse una struttura molto esile.
 I due si tenevano per mano, quindi deduco che siano fidanzati. Devo dire che il tipo se le sceglie bene, ma mi pare assurdo che una ragazza che sprizza gioia da tutti i pori possa stare con uno serio e cupo come lui; però alla fine chi sono io per giudicare?
Appena ci videro la rossa viene incontro a Victor abbracciandolo, mentre il ragazzo si avvicino con calma esaminandomi dalla punta ai piedi.
"hey Vic non ci presenti il tuo nuovo amico?" chiede Dick dopo aver salutato l'amico.
"lui è Garfield il ragazzo della quale la Arden ci ha parlato ieri. Al contrario di come ce lo ha presentato sembra apposto, quindi Rich puoi evitare di perquisirlo."
adesso sono curioso di sapere cosa è andata a dire in giro quella donna; se questo sentiva il desiderio di perquisirmi, non credo nulla di buono.
"piacere Garfield io sono Kori e se Victor ti ritiene apposto allora sarò felicissima di essere tua amica. Salute a te, oh mio caro amico Garfield"
Detto questo mi abbraccia e penso che mi abbia rotto qualche costola. Ma da dove viene tutta questa confidenza. Che l'abbiano drogata prima di farla venire qui? Bhe questo spiegherebbe molte cose.
"i- il piacere è mio" borbotto ancora dolorante dalla stritolata appena datami. Quella ragazza ha più forza di quanto possa sembrare.
"io sono Richard, il ragazzo di Kori e nonostante mi fidi ciecamente della mia ragazza e di Victor penso che giudicherò da solo se darti la mia fiducia o meno" dopodiché mi porge la mano e sfoggia un sorriso calmo, ma freddo.
Un po' titubante afferro la mano in segno di educazione. Tento di apparire il più duro possibile, ma non penso che ci sia riuscito; la fermezza di questo tipo è impressionante.
"Avete notizie di Karen? Di solito è molto in'anticipo" chiede Victor, riportando l'attenzione su di sé ... grazie al cielo.
"mi ha scritto che arriverà un po' dopo perchè suo padre si è dimenticato, di nuovo, le chiavi di casa"
Dice Kori, avvicinandosi di nuovo al suo partner, mentre io mi siedo di nuovo sulla poltrona di velluto rosso.
"ok allora direi che possiamo iniziare a provare le prime scene" a parlare fù la Arden che nel mentre aveva riempito il palco di cianfrusaglie varie
"qui avete tutto quello che vi serve per la prima scena. Victor vai pure alla tua postazione e dà al signor Logan una copia del copione così potrà iniziare a leggersi le battute, mentre noi iniziamo a provare le scene dove non c'è Puch"
Da quello che ho potuto leggere nel copione i personaggi sono quatto: Kori in Ermia, Dick con Lisandro e Karen dovrebbe essere Elena, mentre io dovrei fare l'elfo Puch che, da quello che ho capito, combina solo un mucchio di guai; direi quindi che io mio personaggio mi calza a pennello.
Dopo 10 minuti dall'inizio delle prove vedo sento di nuovo la porta sbattere e la figura di una ragazza, anch'essa con la pelle color caffè, entrare di corsa, con il fiatone.
"scusate ragazzi, ho fatto il più presto possibile"
Mentre tenta di riprendere fiato, si avvicina al palco e si lega i capelli scuri e ricci in un muccetto affrettato. Posa la borsa dietro le quinte e viene salutata da tutti.
Quando ritorna, scende dal palco per andare a salutare Victor, che nel mentre era sceso dalla sua postazione, con un bacio veloce.
"Karen il biondino è quello nuovo di ieri; si chiama Garfield"
La ragazza si gira e sembra notarmi solo ora; mi guarda un attimo perplessa, ma poi mi lancia un caloroso sorriso e mi si avvicina.
"scusa piccoletto non ti avevo notato"
Le stringo la mano notando che stanno usando tutti lo stesso nomignolo; ho capito che sono basso, ma potrebbero anche evitare di evidenziarlo tutte le volte.
"allora ci siamo tutti, bene possiamo continuare. Sei arrivata giusto in tempo cara, era il momento della tua parte. " Afferma Madame Arden, avvicinandosi anche lei per salutare la ritardataria.
Karen corre di nuovo sul palco e prende il suo copione per ricominciare le prove.
Ammetto che sono davvero molto bravi. La loro capacità interpretativa è molto sviluppata e credo che questo non sia il loro primo anno di teatro. Ora capisco cosa intendeva La Arden quando diceva che non avrei dovuto interferire con il loro lavoro: vuole che tenti in tutti  modi di raggiungere il loro livello per non farli retrocedere.
In effetti fin'ora mi sono fermato solo a pensare ai miei problemi dati nell'entrare in questo gruppo, ma sicuramente loro si troveranno più in difficoltà di me. Perchè allora ha voluto costringermi a partecipare a questo corso?
La risposta non la ottenni mai, ma in cambio sentì la porta nuovamente sbattere, interrompendo la battuta di Kori. Come me tutti smettono di fare quello che stavano facendo e fissano l'entrata. Davanti alla porta vedo l'immagine di una ragazza che non sarei più riuscito a togliermi dalla testa: i capelli corvini come le piume di un corvo a lunghezza spalle, incorniciano un viso pallido, illuminato dagli occhi di un insolito viola profondo. Dal suo viso non traspare niente: è freddo, distaccato e misterioso; si muove leggera e silenziosa come un'ombra, senza badare agli sguardi degli altri ragazzi del gruppo.
 Una strana atmosfera si crea nell'aula che sembra essersi totalmente congelata. I suoi occhi, oltre ad avere un colore davvero insolito, mascherano qualsiasi emozione, portandomi a pensare che non sia neanche umana. Tutto questo alone di mistero le dà una bellezza che non ho mai visto.
Con molta calma la ragazza scende le scale fino ad arrivare vicino a Madamme Arden
"tesoro sei arrivata, bene!"
La professoressa si avvicina alla nuova arrivata, per porgerle una copia del copione.
"Abbiamo appena iniziato le prove della prima scena quindi non ti sei persa niente di speciale; il ragazzo l'ha in fondo si chiama Garfield, e dovremo tenercelo per un pò" detto questo la prof mi indica e la misteriosa ragazza mi squadra, con poco interessa. Decido quindi di alzarmi e le porgo la mano, senza una precisa ragione, sentivo solo un'ardente bisogno di guardarla da vicino, sperando di scorgere qualcosa.
"piacere Garfield Logan"
osserva la mia mano per pochi secondi, ma non degnandola di interesse, alza il volto per poi posarsi sui miei occhi; li indaga per un attimo, mentre io non faccio a meno di osservare attentamente i suoi, così particolari e ... vuoti.
Dopodiché se ne va dietro il palco salutando, con un semplice gesto della mano, i suoi compagni, che ricambiano con affetto, mentre io continuo a restare con la mano tesa come un deficiente. che caratterino la ragazza.
"che bello che tu sia arrivata Rachel" dice Kori correndole in contro e abbracciando la ragazza come se non si vedessero da un'eternità
"ok ora mollami Kori non ci vediamo da meno di 24 ore quindi non mi pare il caso di essere così felici" dice con voce tagliente accettando a malavoglia l'abraccio della rossa.
"a me è parsa un'eternità; perche sei sempre così cattiva con me?" afferma Kori sciogliendo l'abbraccio e con quel suo tono da bambina, si finge offesa.
"torna a lavoro ora; non abbiamo tutto il giorno e le cose da fare sono tante" detto questo Rachel va dietro le quinte a fare chissà cosa.
Sono ancora in piedi a fissare i movimenti della ragazza, finche non scompare del tutto; a quel punto mi risveglio dal  mio stato vegetativo e mi ricompongo. Noto alcuni strani sguardi da parte di Richard e Karen, ma non ci faccio peso, anche perchè la Arden non mi dà neanche il tempo di riavvicinarmi al mio posto.
"Logan è il tuo momento; vediamo come sei messo in recitazione"
Perdo un battito e con uno scatto mi giro verso la donna, con sguardo terrorizzato.
"come scusi?"
lei continua a fissarmi, un pò infastidita forse, ma rievidenzia il concetto.
"sali, tocca a te"
Vorrei protestare, ma effettivamente mi rendo conto che prima o poi questo momento sarebbe arrivato. senza ulteriori commenti salgo sul palco con il cuore a mille. prendo un bel respiro e mi butto; le parole escono gettate, come i gesti. mi sento leggermente osservato, ma non ci faccio caso; penso soltanto alle battute e a cercare di non fare una figuraccia proprio il primo giorno.
Appena finisco, con mia somma sorpresa, Madame Arden mi scruta con sorpresa.
"dopotutto, forse, potrai esserci d'aiuto"
Torno al mio posto e continuo a leggere il copione cercando di memorizzare già qualcosa. Il tempo passa pigramente e due o tre volte ho seriamente rischiato di addormentarmi, ma dopo circa un'ora finisce la tortura ed io ero pronto ad andarmene a casa, per passare il resto della giornata a dormire, se non fosse stato per un piccolo contrattempo.
Prima che arrivassi alla porta, per uscire l'anziana signora mi ferma.
"Logan aspetti un attimo"
mi fermo a malavoglia e mi giro verso di lei che mi raggiunge.
"nonostante tu sia moto bravo a recitare, non sei ancora in grado di adattarti alla storia con naturalezza come gli atri e non voglio rallentamenti in questo corso, pertanto dovrei restare ogni giorno un'ora in più con uno dei miei allievi, che ti aiuteranno"
la mia pazienza ha un limite però; già che ci siete fatemi dormire direttamente a scuola.
"ma la mia punizione va dalle 15:30 alle 17:30, perchè dovrei farmi un'ora in più?!"
"perchè ne ha bisogno, e ne ho bisogno io; questo corso è molto importante per tutti noi e detto molto sinceramente, lei ora è una palla al piede, con un grande talento nella recitazione, che và però perfezionato"
provo a ribadire, ma vengo bloccato dalla mia interlocutrice.
"non accetto discussioni, vedrà che un giorno mi ringrazierà di tutto questo"
detto questo si allontana, mentre io rimango lì fermo imbambolato. E dire che credevo che non sarebbe mai potuto andare peggio di così.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** parlami dei tuoi occhi ***





Rispetto al primo giorno di prova, il secondo era sicuramente stato molto più veloce e in dolore, forse per via della mancanza degli sguardi truci della Arden o magari era stato l'accoglienza dei suoi nuovi compagni. Sta  di fatto che tutto era parso più facile, tranne la recitazione ovviamente: nonostate gli venisse naturle parlare e interpretare, gli era ancora difficile l'idea di dover tenere una conversazione (o un monologo) dovendo seguire non le sue parole, ma quelle scritte da altri.

Era sempre stato molto naturale nelle conversazioni; non si fermava mai a pensare cosa dire, gli pareva un gesto anormale nella sua natura e non si era mai preoccupato di quello che gli usciva dalla bocca, convinto che se quelle parole avevano deciso di solleticargli la lingua, un motivo c'èra.

Il contrario sembrava però pensare Rachel; ne il giorno prima, ne oggi era riuscito a scambiare qualche parola con la ragazza, sempre rinchiusa dietro le quinte a lavorare a chissà che cosa. Non ne capiva la ragione, ma pareva che più il tempo passasse, più il desiderio di scoprire qualcosa su di lei si faceva impellente. Probabilmente era dato dalla sua frenetica curiosità, che lo spingeva a dover conoscere qualsiasi cosa sulle persone che lo circondano, cosa che gli riusciva sempre molto bene. con quella ragazza invce sembrava impossibile.

Era già tanto che fosse riuscito a sapere il suo nome, si ritrovò a pensare una volta che uscirono tutti dal teatro. Accetai a malincuore le ore aggiunte dalla vipera; capivo che oppormi non sarebbe servito a molto, a quanto pare non serve mai. Quanto meno ora avevo del tempo per provare a memorizzare il copione, cosa che a casa non avrei mai fatto per via della presenza di attività sicuramente più divertenti, come la televisione o i videogiochi o qualsiasi altra cosa che non riguardasse il teatro.

Mentre prendevo posto in una delle comode poltrone di velluto davanti al palco, mi resi conto che dopottutto recitare mi piaceva e anche la compagnia non era male; forse un giorno avrebbe anche potuto scegliere deliberatamente di partecipare a qual tipo di attività, ma non era mai stato uno che si impegnava molto nelle cose che potevano essere superflue. alzo un'attimo lo sguardo dal copione, per osservare il palcoscenico: la sua imponenza, la sua semplicità lo attrevano e l'idea che là sopra poteva far accadere qualsiasi cosa gli fece brillare gli occhi. Un luogo di magia, così ne avrebbe parlato se qualcuno gli avesse chiesto di descriverlo; notò però che nell'angolo a sinista, vicino all'entrata del retropalco, c'era uno zaino scuro.

Eppure sono sicuro che se ne fossero andati tutti. chiudo il copione e mi dirigo verso il palco; quando mi avvicinai abbastanza, senti anche una serie di rumori, provenienti da dietro le quinte. Pensandoci bene, non avevo visto Rachel uscire dalla porta.

Vado nel punto in cui percepisco i rumori  e come previsto trovo la ragazza intenta a mettere in ordine il camerino dei costumi. Oggi Kori aveva passato gran parte del tempo lì dentro, per  preparare le prime bozze dei vestiti, ma sembrava più che ci fosse passato un'uragano che una ragazza. Il pavimento di legno era infatti nascosto da una miriade di vestiti che lo tapezzavano completamente, mentre pile di fogli erano raggruppati, in modo disordinato, per tutta la stanza.

In tutto questo, una Rachel piuttosto scocciata andava avanti e indietro tentado di mettere a posto quello che poteva; non sembrava accorgersi di me, finchè non ebbi la prova del contrario

"hai ntenzione di stare lì a fissarmi ancora a lungo?"

Chiese senza lasciare trasparire nulla, se non un pò di frustrazione.

"scusa, pensavo che fossero andati via tutti, ma poi ho sentito dei strani rumori e sono venuto a controllare"

Feci per avvicinarmi per aiutarla, ma prima che potessi fare qualunque cosa uscì dalla stanza, portando uno scatolone con se.

"non toccare nulla; non sembra, ma per Kori la stanza ha un'ordine e non vuole che lo si distrugga"

Si allontana dalla stanza per andare in un'altra ala delle quinte che non avevo ancora visto; la seguo fino ad una piccola stanza, molto più ordinata dell'altra, con una scrivania in legno su cui poggiava un computer portatile  di ultima generazione. Poggia lo scatolone a finaco del dispositivo e si siede sulla poltrona girevola davanti alla scrivania, senza deglnarmi di uno sguardo.

"a cosa stai lavorando"Tento di attacare bottone con una domanda semplice, alle ragazze piace sempre parlare di sè e dei loro progetti, per cui   credo sia il modo migliore per iniziare una conversazione.

"non ti deve interessare; torna a fare quello che devi, due ore sono tante e passarle con la persona sbagliata le rendono ancora più lunghe"

Colpito e affondato; ammetto che non me lo aspettavo.

"stai dicendo che non vorresti passare due ore con me o pensi che sia io a non volerle passare con te? perchè se è così ti sbagli, mi farebbe molto piacere conversare, dato che non ne abbiamo mai avuto la possibilità, fino ad ora"

In risposta mi lanca uno sguardo truce, che sarebbe in grado di congelare il deserto del Sahara o di uccidere una persona. Torna a concentrarsi sullo schermo del computer, senza lasciare altri commenti. Decido di usare un'approccio più diretto quindi.

"io non ti piaccio vero?"

Ora si volta verso di me, con sguado velenoso

"acuto il ragazzo"

Con questo chiude definitivamente la conversazione, se così si può chiamare. Capendo che non era il caso insistere, mi dirigo di nuovo verso la platea e torno a concentrarmi sulle parole del copione, almeno queste non tenteranno di uccidermi con un'occhiata.

-

-

-

Il mio livello di sopportazione è molto basso, ed è una cosa che tengo a far capire a chiunque il prima possibile; l'ostinatezza del nuovo ragazzo non mi piace, come non mi piace il suo fare irritante. Da quando l'ho visto il giorno ho capito che non seremo mai andati d'acordo, almeno io non volevo andari d'accordo.

ho sempre avuto un'innata capicità nel leggere le persone, abilità che ho avuto modo di sviluppare ne tempo e mai le mie teorie si sono verifica errate. Per quato possa essere stano e complesso da pensare, tutti noi portiamo nel nostro corpo, nel nostro portamento, nel nostro modo di parlare qualcosa che dice chi siamo, chi siamo stati e chi saremo e impararare a codificare questi codici è stata una delle prime cose che mi hanno insegnato da piccola.

La mia infanzia non è mai stata molto ... infantile. Mentre le mie coatanee giocavano con le bambole io imparavo ad usare una pistola e mi adrestravo nelle arti del combattimento. Nonostante sia senmpre stata obbligata a reprimere ogni tipo di sentimento e fossi abituata a stare alla larga dalle persone mi risulta facile carpirne informazioni senza l'ausilio delle parole.

Non ho mai avuto dubbi sulle mie deduzioni, tranne che con Garfield Marck Logan. All'inizio credevo che non ci fosse molto da scoprire: un bambino nel corpo di un'irresponsabile e stupido adolescente. Quel tipo di persona irritante che tenti di evitare in un autobus quando non hai voglia di parlare oppure uno dei ragazzi più in vista della scuola che hanno in testa solo la definizione di divertimento. Quasta mia certezza è andata completamente in frantumi non appena l'ho sentito recitare: la sua naturalezza mi ha spinto a credere che quello che mostra alla gente non sia altro che una maschera, come se interpretasse un personaggio anche durante il corso della giornata.

In realtà non ha mai iniziato a recitare, come non ha mai smesso.

Mi è difficile quindi definire che tipo di persona potrebbe essere; naturalmente c'è più di quello che vuole far vedere in superficie ed è difficile credere che una persona così solare possa avere dei segreti, ma se quei segreti potrebbero mettere in pericolo il gruppo teatrale, farò qualsiasi cosa per allontanarlo. Kori, Richard, Victor e Karen sono tutto quello che ho costruito nel tentativo di crearmi una vita migliore, priva di paura e di sacrifici. Una vita che mio padre sdegnerebbe, solo per il fatto che mi sia legata a delle persone e che teoricamente sdegnerei anche io, ma loro sono i miei unici amici; le uniche persone che hanno deciso di accetarmi per come sono e che non mi abbandoneranno mai.

Fui risvegliata da questa serie di pensieri dal rumore di un sedia; l'oggetto stava venendo bruscamente trascinato dal biondino, che si avvicina con molta tranquillità alla mia scrivania. Si siede al contrario appoggiando il mento lungno lo schienale della seduta. Finito di sistemarsi mi osserva, in silenzio. Ricambio lo sguardo e poso l'atenzione sui suoi occhi dello stesso colore del cielo dopo la tempesta: un'azzurro così limpido da far invidia al mare, dove potrei perdermi se non avessi imparato un minimo di rigidità.

 "ho finito di studiare le battute non è che mi daresti una mano?"

Mi chiede molto semplicemete;

"a fare cosa? A leggere?"

Rispondo con voce sprezzante, sperando che tolga presto il disturbo

"simpatica la ragazza" dice in tono sarcastico.

"non sei costretto a parlarmi"

Continua a fissarmi insistentemente; non pensavo potesse esistere un colore così azzurro. Le varie sfumature che prendono li rendono ancora più fanciulleschi, come d'altronde è il loro proprietario.

"scusa, ma indossi le lenti?"

lo guardo confusa per vi di quella espressione azzadata.

"i tuoi occhi; non credevo fosse possibile un colore simile, può essere dato solo da delle lenti a contatto colorate, se non sbaglio."

Torno a concentrarmi sullo schermo del computer per proseguire la ricerca che mi aveva chiesto la Arden, non chè l'unica ragione per cui io sia ancora qui. Vorrei evitare di parlarne, ma il giovane è molto isistente.

"non porto le lenti sono del mio colore, per così dire, naturale"

Vedo una scintilla di curioità nel suo sguardo, ma farò finta di non averla notata.

"in che senso? Non sono sempre stati così?"

"no, ma non vedo il motivo per qui dovrei andare a dirlo proprio a te"

Iniziano a stancarmi tutte queste domande.

"perche siamo solo noi due in un noiosissimo teatro e non abbiamo niente di meglio da fare; quindi avanti sputa il rospo"

La definizione di privacy per lui deve essere un optional. Non ho per niente voglia di compromettermi iniziando a parlare del miopassato, ma nessuno ha detto che dovrò per forsa dirgli la verita.

"non ho intenzione di parlare della mia vita proprio con te"

"perché? Perchè sono appena arrivato e non ti fidi? Cosa ci sarà di così strano in te da non potermi dire? Alla fine aprirsi non fa male a nessuno te lo dico per esperienza"

Solo ora, riesco a notare una modifica nel suo, prima immobile, sguardo. Un velo cupo che prende tutta l'iride e sembra quasi che inscurisca il suo colore originale.

"esperienza personale? Da quello che vedo non sembri per niente un tipo chiuso" dico con il mio solito tono neutro.

"non si giudica un libro dalla copertina. E vorrei farti notare che non mi hai ancora risposto alla mia domanda"

Il suo tentativo di cambiare discorso non me la dice giusta, ma non mi viene in mente nulla che un ragazzo come lui possa giudicare. scosso lo sguardo e torno al mio lavoro, sperando che si stufi.

"la mia risposta la sai già e dovresti capirla data ^la tua esperienza personale^"

"hai ragione, ma sono curioso"

Non ho intenzione di passare un intero pomeriggio in questo modo

"tu non conosci il significato della parola privacy vero?"

"priva.... Che?" dice in tono scherzoso, accennando un sorriso

 Rinizio a ripensare al motivo della discussione. Mi rivedo lì in quell'auto, dopo la fine di una delle mie prime missioni.

Avevo undici anni e avevo già visto troppa morta in una sola notte, e la cosa peggiore era pensare che fosse stata colpa mia; "te lo avevo detto Rachel" aveva detto quella notte "con il tuo gesto sconsiderato tutte le famiglie di quei uomini ora avranno qualcuno da piangere. il senso di colpa mi stava dilaniando. Per aver tenuto in vita un solo uomo, altri cento l'avevano persa. Eppure in quel momento mi era parso così indifeso, non mi sembrava giusto dover togliere la vita ad uomo senza una giusta mtivazione e in quel momento non l'avevo.

Forse qualche entità superiore aveva deciso che dopo quella notte i miei occhi avevano visto abbastanza. Ricordo il forte schianto e le grida che mi perforavano le orecchie; il buio che non riuscivo a scacciare in quei pochi attimi di coscenza, mentre la pelle mi bruciava. Poi il risveglio in quella stanza bianca mentre un dottore mi spiega dell'incidente  e che sarei diventata cieca se mio padre non avesse deciso di farmi fare un intervento al cristallino. Da lì tutto cambiò.

Non avevo voglia di riportare alla mente determinate cose e sicuramente Garfield non aveva alcun diritto di chiedermele, ma qualcosa mi diceva che non avessi trovato una soluzione sarebbe stato difficile toglierselo di torno.

"Un incidente. Mi ha danneggiato il cristallino e sarebbe stato perenne se non mi avessero voluto far fare un rischioso intervento. Ci sono state delle complicazioni e la mia retina ha assunto questo colore. Per il resto ci vedo benissimo. Ecco contento? Ora mi ascerai in pace?"

"non capisco perché tu abbia voluto tenermi sulle spine così tanto"

"non vedo il motivo per cui dovrei parlare con te di queste cose sinceramente"

mi guarda con un viso beffardo, degno di qualche schiaffo per rimettere a posto la mimica facciale che al momento non mi andava molto a genio.

"però me ne hai parlato"

Un sorriso irritante occupa ora il suo volto, facendo apparire sul mio uno gigno di fastidio. Odios, ecco come lo defineri; odioso e molesto, due aggettivi che con lui vanno di pari passo e non ho neanche più voglia di provare a scoprire qualcosa in più su di lui. Quello che ho sentito oggi è più che sufficiente.

"è ora di andare, le tue ore aggiuntive sono finite e tra poco i bidelli chiuderanno definitivamente le porte"

Spengo il computer e mi allontano dalla scrivania seguita da Garfield. schiaccio l'nterrutore principale per spegnere tutte le luci, portando un'aura cupa intorno a tutto il palco. La platea è ancora illuminata in modo da capire dove mettere i piedi, per cui raggiungiamo la fine della rampa delle scale facilmente.

"ti accompagno a casa, dove abiti?"

Farò finta di non sentirmi irritata per quella assurda proposta. Davvero mi chiedo come una calunque persona possa accettare un'invito del genere da un ragazzo appena conosciuto; potrebbe perfettamente essere un maniaco o un crimale. eppure l'ha posta come un'invito normale, come se facessero tutti così. Magari è vero e sono solo io ad essere abituata a questo modo di vedere le persone, ma alla fine nessuno fà nulla se non per avere qualcosa in cambio.

"non ce ne è bisogno; so badare a me stessa"

Usciamo dalle porte della scuola in silenzio.

"allora a domani Rachel" mi saluta, per poi adare nella direzione opposta alla mia, fortunatamente.

Aspetto di vederlo sparire da dietro il vicolo per dirgermi verso la BMWnera che era parcheggiata vicino all'entrata della scuola. A volte la stupidità degli scagnozzi di mio padre non la capisco propio. Ha abbastanza soldi per permettersi sicuramente agenti con più inteletto, ma probabilmente preferiva avere quacuno che lo seguisse ciecamente senza farsi domande.

è difficile poter defire la persona di mio padre. Diciamo che non è il tipico padre affettivo che ti costruisce una casetta sull'albero o che ti isegna andare in bicicletta. Dirige la Trigon Investiment,  una società che si occupa di scambi commerciali con l'estero; sarebbe quasi normale, finchè non ti rendi conto che tutto questo è solo una copurtura per coprire una delle più potenti famiglie mafiose del continente; ed io ne faccio parte, dato che mio padre è quello che si definisce il Boss. non ho mai pensato ad una vita con un padre diverso, fino a poco tempo sinceraente pensavo che fosse così per tutti; poi però vedevo le bambine in braccio ai rispettivi genitori e i gesti affettivi che si scambiavano tra di loro. una volta lessi da qualche parche che l'affetto vero lo si può trovare guardando un padre e sua figlia, ma io non capì mai il motivo, forse perche non avevo mai sentito il calore di un'abbraccio, ma solo quello di una pacca sulla spallo dopo un lavoro ben fatto.

é difficile pter spiegare tutto questo, perchè per me è la normalità. è come chiedere ad una macchina perchè non ha un cuore. Ametto che a volte percepisco dei vuoti dentro di me, qualcosa che semra non potersi colmare e forse non vorrei che si colmino, perche non saprei poi come abituarmi ad un peso del genere; ne ho già tante di cose a cui pensare e il rapporto tra me e mio padre non è una di queste.

Avere un ruolo nella svita è già tanto e non è per niente piacevole, lo ammetto: sono quella che aiuta a concludere i contratti o li inizia; quella che mette paura alle persone giuste, cosa su cui marcia la famiglia di mio padre. Diciamo che sono colei che entra in gioco nel momento esatto in cui mio padre vuole avere una certezza di fedeltà dei suoi sottoposti.

Attraverso la grigia città, mentre le ruote della lussuosa auto fanno rumore sotto l'asfalto bagnato. è da un pò che non esce il sole e una oltre di nuvole grigie continua ad occupare il cielo senza dare alcun segno di movimento, ma sinceramente on mi asptetto altre da una giornata di pieno inverno. Arrivo davanti all'imponente grattacileo nel giro di dieci minuti, grazie al poco traffico e alle ristrette dimensioni di Jump city. L'insegna Trigon Investiment occupa il punto più alto del'ledificio; come al solito l'imponenza della struttura mi mette in soggezione, era per questo che mio padre scelse proprio questo grattacielo come sede dei suoi commerci: gli piaceva il senso di grandezza che dava a chiunque si avvicinasse alla sua base. ovviemente ha fatto mettere il suo ufficio nel piani più altro, quello reale però si trovava molto più in basso, sotto terra per essere precisi. Infatti nei piani inferiori si trovava il vero fulco dell'industra; era lì che avvenivano i contratti più loschi o un'altra serie di azioni spregevoli che elencarle richiederebbe una giornata intere.

"Rachel, ho appena finito di leggere il fascicolo sulla tua ultima missione: brillante come al solito ... proprio figlia di tuo padre " dice l'uomo con voce malvagia. non mi ero neanche accorta di essere arrivata davanti alla sua scrivania e sentirmi ciamare così è stato sufficiente nel risvegliarmi dai miei pensieri. Non mi sono mai definita veramente sua figlia, o almeno non l'ho mai accetato, ma tutte le volte che entro in'azione divento come lui: meschina, sfruttatrice, senza cuore. Avevo paura di me stessa, ma è una cosa che ho imparato a dominare. Dopo anni di esperienza conosco i miei e i suoi di limiti, ma sono veramente pochi.

Ci sono ragazzi della mia età che come passatempo dopo scuola hanno attività fisica o escono con gli amici, ma sto parlando di persone che si possono definire "normali". Per quanto mi riguarda, passo il tempo a spiare le persone alla quale mio padre e la sua "azienda" puntano: io ho il compito di studiargli, di capirli e spesso devo entrare nella loro vita personale. È grazie a me che gli affari di quest'uomo vanno così bene: perché io gli svelo le loro debolezze, i loro punti deboli, i loro segreti. Poi quando sono stati sfruttati fino all'ultimo vengono eliminati e quello è un compito che tre volte su cinque spetta a me.

Esatto; sono sporca del sangue di ben 13 persone. Non cerco giutificazioni; quello che è fatto è fatto e l'unico modo che avrei per rimediare è incastrare l'arteficie di tutto, cosa che ho intenzioe di fare, quando ariverà il momento ideale.

"non ti definisco più mio padre da tanto tempo" tutte le volte che parlo non riesco a fare a meno di pensare a quanto in realtà ci assomigliamo; la stessa voce fredda e impassibile; ormai sembra il mio tono di voce naturale

"ne sono al corrente, ma non è questo che ti aiuterà a disfarti di me ,lo sai bene. Presta attenzione ora"

Detto questo si alza da quell'enorme poltrona di pelle nera e butta sulla scrivania di metallo il fascicolo che aveva in mano quando sono entrata.

Ora che è più vicino riesco a scorgere quegli occhi neri che per me sono sempre stati un pozzo senza fondo. Non c'è via d'uscita da quegli occhi; quando gli incontri sei destinato a vagarci per l'eternità.

"ho un nuovo compito per te. Devi spiare una persona per me. Come al solito troverai tutto ciò che ti serve in camera tua. Puoi iniziare da subito."

Come al solito il suo sguardo gelido mi scruta dentro le mie iride violette per scoprire a cosa sto pensando. Ne sarebbe capace se non avessi imparato proprio da lui come mentirgli. È l'unica cosa in cui risulto più brava di lui.

"ho bisogno dei miei mezzi."

Rispondo senza staccargli gli occhi di dosso; se tento di evitare il suo guardo ne verrò defitiavamente schiaciata.

"avrai a disposizione tutto ciò che ti servirà come sempre. Intanto chiamerò la scuola per avvisare del fatto che non potrai partecipare alle lezioni per un po'"

"Ti ho più volte ripetuto che porterò avanti sia la mia vita scolastica che il mio dovere."

 

"Molto bene, allora. Ora puoi andare"

Le nostre conversazioni non durano mai tanto. Come ho già evidnziato il nostro rapporto non è molto affiatato; ci comportiamo più come nemici perchè è questo che siamo, è questo che ci hanno insegnato ad essere. La diffidenza è l'arma migliore di un'uomo, come lo è la fredezza e l'apatia: tutte cose che ormai sò perfettamente utilizzare. Eppure continuo a chiedermi se ne valga la pena: se davvro sarò in grado di andare avanti così. Poi mi ricordo delle cose che potrebbe fare: portarmi via mia madre, sarebbe come sottrarmi l'unica cosa che ancora mi aiuta a sopportar tutto questo. è per lei che vado avanti ed  per lei se non sono ancora scappata. Per quanto dura possa essere sono certa che lamentarsi non serva a nulla e sicuramente non migliorerà la situazione.

Ci sono stati dei moementi nella mia vita dove mi arresi completmente a lui, quando ormai ero stanca di sperare in un miracolo che non sarebbe mai arrivato. In quel periodo mi sentivo come una macchina prima di anima, forse perchè lo ero veramente. Tutto quello che facevo agli altri sembrava nulla in confronto a ciò che lui ha fatto a me, ma mi resi conto che non era una scusa plausibile per le mie azioni, null in effetti può esserlo, ma non ho mai avuto possibilità di scelta; il mio destino fù trascritto appena nacqui e tutto fù da lui ben programmato, anche il modo per disfarsi di me; non appena avrà raggiunto il suo obbiettivo io gli sarò solo di intralcio, per questo dovrò aspettare il momento giusto e poi agire in fretta.

Mi accorgo di essere uscita all'edificio, ormai il mio corpo sà la starda in aumatico, senza che io ci pensi più di tanto.

Dovrò cercare di prendere una decisione importante un giorno, lo sento, ma non sò come potrà andare a finire per via della mia poca esperienza.

 

-

-

-

Da sopra l'edificio da dove la corvina era appena uscita si poteva scorgere, con un po' di attenzione, un'ombra minacciosa che osservava dall'alto, ogni minimo movimento della ragazza.
Rachel si crederà pure tanto furba, si trovò a pensare l'ombra, ma non sa che alla fine un allievo non potrà mai superare il suo maestro; troppa esperienza che ancora a lei manca.
Il fatto che lei pensi che sia riuscita ad acquistare il mio consenso, non vuol dire che sia così; da tempo la osservo e noto che sta cambiando. Non è più la lastra di ghiaccio senza un minimo di emozione.

È cambiata, ma non durerà.

Qualsiasi cosa tu abbia in mente Rachel, sappi per certo che ne verrò a capo.

A qualunque costo.

Quando vide l'auto patire si stacco dall'immensa finestra per tornare a lavoro; tutto a suo tempo, come spesso diceva lui; tutto a suo tempo.

E un sorriso malvagio si dipinse sul volto del cinquantenne, regalando una nuova brezza gelida nella stanza.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** che cosa sai su di me? ***




È finalmente arrivato il venerdì. il giorno della settimana forse più agognato da ogni studente del mondo; una delle tante cose che tiene uniti tutti noi ragazzi americani. Si respira un'aria davvero diversa durante questo giorno della settima ed è impossibile non sentirlo quando perfino l'autista dell'autobus ti saluta, chiamandoti per nome, nonostante tu sia certo di non averglielo mai detto.
Con il sole che splende alto nel cielo, pronto ad illuminarti la giornata, perfino questo vecchio catorcio sembra quasi sicuro, e non perche durante tutto il tragitto si è fermato solo due volte (record memorabile, l'anno scorso il minimo è stato quattro), ma perche l'autista non ha rischiato di investire nessuno, per tutti i quindici minuti di tragitto. Appena scesi sembravamo tutti  un pò scossi, infatti sono sicuro di aver visto delle persone che si rifiutavano di scendere convinti che in realtà non fossimo affatto arrivati. Il viaggio era stato troppo normale, ma chi sono io per poter giudicare la bellezza del venerdì? A quanto pare l'unico che non avrà la possibilità di goderselo.
Stava andando tutto bene; non avevo combinato troppi danni evidenti, nessuno mi aveva minacciato di farmi del male ed ero quasi felice di andare a teatro, ma l'attimo si distrusse in un secondo.
È passata una settimana da quando ho iniziato il corso di teatro e per ora è andato tutto bene; i ragazzi sono simpatici e ho già un certo affiatamento con Victor e Kori; con Dick invece devo ancora rompere il ghiaccio, ma grazie a Kori sono sicuro che diventeremo buoni amici. È difficile sopravvivere al mio fascino, dopotutto, a parte Rachel, ma lei è un caso a parte.
Lo ammetto forse non mi sto impegnando abbastanza per farmela amica, ma a volte è davvero irritante il fatto che abbia sempre ragione. Ammetto che le nostre conversazioni sono molto aumentante dall'ultima volta, ma tra un urlo e l'altro non riesco a capire se sto facendo progressi o se sto solo tornando indietro, il che sarebbe molto imbarazzante perché ho praticamente iniziato da zero e sono ancora allo stesso livello. Il problema è che neanche lei collabora molto; diciamocelo, posso essere irritante quanto vuoi, che se mi urli addosso per ogni minima cosa non aiuti di certo.
Ammetto anche che forse sto diventando leggermente ossessionato da questa cosa e me ne sono reso conto solo quando ormai era troppo tardi; dico solo che quel giorno ebbi l’assoluta certezza che il latte macchiato non era il suo genere di bevanda, perche gran parte di quello finì addosso ai miei vestiti e sul suo portatile; devo però dire che sono stato fortunato perche gran parte delle sue minacce mi fecero capire che oltre a lanciarmi addosso la bottiglia aveva anche intenzioni di infilarmelo in parti dove non dovrebbe entrare nulla. Per un attimo pensai che volesse farlo davvero, ma sono stato salvato dalla ferrea presa di Kori, che distrasse il mio boia il tempo necessario per far calmare le acque. È stato un momento terribile, ma almeno ora ho la certezza che si ricorderà di me.
Mente mi perdo in questi ricordi sento squillarmi il telefono, segno che mi era appena arrivato un messaggio. Il numero era quello di Victor:“ Gar di alla Arden che oggi non vengo. Ho un brutto raffreddore, che mi sta uccidendo. Ricordami anche quando sarò sotto terra amico, addio”
Sarà difficile una lezione con la Arden senza Vic, ma sento che nulla potrà abbattere il mio umore oggi; sicuramente troverò qualcun’altro con la quale scherzare durante le pause, tipo Kori; lei mi pare il tipo di sostituto adatto e magari riuscirò a storcere qualche parola a Rich, inoltre Karen mi aveva promesso qualche informazione su dei nuovi pezzi di ricambio per la moto.
Rispondo al messaggio e pieno di positività e buoni propositi entro dentro la sala, ma appena varco la soglia percepisco che qualcosa non va. Rachel e la Aden stanno parlottando davanti al palco e la ragazza non sembra per niente contenta. Quello che le sta dicendo deve essere davvero sconvolgente perché è questo che dice l’espressione della ragazza, di solito sempre molto neutra. Si accorgono di me solo quando la porta si richiude alle mie spalle, facendo eco per tutto il teatro.
“Salve Logan, stavo appunto dicendo a Rachel che oggi a quanto pare sarete soli; Dick è con il padre in viaggio, mentre Kori doveva restare a casa perche la sorella è stata male e Karen è alla garage del padre ad aiutare.”
Adesso l’espressione di Rachel mi sembra davvero troppo infima per evidenziare la gravita della situazione


“ma come faremo a provare se alla fine ci sono solo io? Non avrebbe più senso mandarci a casa?”
Sia la mia che la faccia di Rachel si illuminano, accessi da un barlume di speranza che renderebbe tutto più bello, ma viene stroncato subito.
“no; mi spiace deluderla, ma per voi ho in mente qualcosa di meglio. Ho notato che tra voi non gira buon sangue, ed è una cosa che non possiamo permetterci. Le divergenze portano a odio e odio porta a una cattiva recitazione”

Non ho ben afferrato il suo ragionamento,ma non credo ci sia molto da capire; sta semplicemente trovando una scusa o forse le cose che ha detto hanno un senso, ma sicuramente ne io, ne la mora lo abbiamo capito.
“infatti ora voi resterete qui per le prossime tre ore per conoscervi meglio, mentre io andrò in sala professori per seguire una riunione con la preside e i miei colleghi.”
Ed è lì che capisco che in realtà tutto questo può avere un risvolto positivo; in tre ore dovrà pur parlare, in somma è pur sempre un essere umano e a quel punto io riuscirò a capire qualcosa della sua mente complicata.

“non abbiamo altra scelta alla fine, quindi immagino sia inutile discutere”
Senza aggiungere altro mi dileguo dietro le quinte per appoggiare lo zaino. Voglio tenere la massima distanza tra lei e qualsiasi aggetto acuminato della stanza e mi pare di aver visto delle forbici a punta arrotondata l’ultima volta che ho aperto l’astuccio.
Quanto torno indietro vedo che la prof è già andata via e rimaniamo solo io e lei.

“si vede che aveva proprio voglia di andarsene” dico scendendo verso la tribuna e sedendomi dietro alla poltrona dove stava lei.
“già e non è l’unica”
Fredda e pungente come al solito, iniziamo male; noto che a quanto pare il muro di fianco a lei sembra essere molto più interessante di me, per via dell’intensità con la quale lo sta guardando.

“allora dimmi qualcosa di te, siamo qui per questo infondo”
Diciamo che avevo pensato ad un sacco di frasi ad effetto in quel frangente di tempo; diciamo roba alla James Bond, frasi di classe che mi avrebbero assicurato la sua totale collaborazione, ma dalle labbra mi uscì quella misere e scontata … cosa. Mi vergognai terribilmente tre secondi dopo, dandomi della stupido.
“non ho niente da dire; trovati qualcosa da fare, tre ore sono tante.”

“mi stai dicendo che hai intenzione di passare le prossime tre ore a fissare un muro, invece che palare con me, l’unico essere umano di questa stanza? ” dico quasi offeso “vedila come una lotta alla sopravivenza; una roba tipo Hunger Games, ma meno violenta … spero”
Non posso credere di averlo detto. Ti prego Dio dimmi che non ho citato Hunger Games e che non l’ho paragonata alla nostra situazione.
“a cosa dovrei sopravvivere, precisamente, a te? perché conosco il metodo perfetto e si chiama totale isolazione”
 Il suo sguardo ora è volto verso di me; non smetterò mai di stupirmi del colore delle sue iridi che ora sono fissi sui miei, e mi scavano dentro. Sono quasi certo che possa riuscire a leggere i miei pensieri.

“alla pazzia per esempio, tre ore senza parlare a nessun essere vivente è il primo passo verso il manicomio“
Questa conversazione stanno prendendo una strana svolta, ma è la prima conversazione senza minacce di morte che facciamo, quindi mi sento molto soddisfatto.
“vorrà dire che correrò il rischio”
Arriviamo a un punto morto della conversazione, quel momento quando capisci che non c’è più nulla da fare, ma qualcosa mi dice che lei ha solo bisogno di pazienza; qualcosa che ho letto nel suo volto impassibile mi dice che basta solo insistere per farla cedere e per quanto stupida possa sembrare questa idea decido di seguire il mio istinto.
“come mai ci tieni così tanto nel tenere la tua vita segreta?”
Glielo chiedo quasi come fosse una domanda banale, un po’ come quando chiedi a un conoscente quale sia il suo hobby o quando domandi ad uno sconosciuto il nome del proprio cane. Lei rimane impassibile, ma capisco che non si aspettava una domanda del genere, non così diretta almeno.
“pensi davvero che ti risponda?”
“no, era solo per riaccendere la conversazione”
Continuo a fissarla e lei fa lo stesso.
“perché ci tieni così tanto a saperlo”
Risponde accigliata; non credevo che una persona potesse essere in grado di interrompere delle conversazioni, tanto bene quanto lei. Deve un dono, non c’è altra spiegazione.
“rispondi sempre ad una domanda con un’altra domanda?”
“da che pulpito viene la predica”
La vedo sogghignare ancora, forse perché si è resa conto che ha interrotto la conversazione, di nuovo.
“ti stai divertendo vero?”
Si gira dall’altra parte e non risponde, lasciandomi con il dubbio. Quella specie di lieve sogghigno, mi rendo conto, è la prima cosa simile ad un sorriso che le ho visto fare dopo una settimana.
“ti rendi conto che tu sai molte cose su di me ed io non so neanche il tuo cognome”
Si gira di nuovo, ma il ghigno è sparito.
“come fai a dire che so molte cose su di te?”
“posso essere ottuso, ma di certo non stupido; ho notato di come indaghi nelle persone, scrutandole negli occhi e fai la stessa cosa con me e devo dire che non mi da neanche fastidio, ma sarebbe tutto molto più semplice se mi chiedessi direttamente quello che vuoi sapere”
Continua a fissarmi, ma sembra che l’intensità sia diminuita; ora non sta guardando me, sta solo pensando a cosa dire mentre sostiene il mio sguardo. È una cosa che ho notato solo ora, ma capisco che la fa spesso: quando pensa, si sente in dovere di sfidare gli altri, è come se creasse una copertura per impedire agli altri di leggere i suoi pensieri.
“cosa ti dice che abbia scoperto qualcosa?”
Ora sono io a sorridere.
“il fatto che tu ora me lo stia chiedendo; diciamo che ho provato ad usare il tuo stesso metodo per cercare di capire qualcosa di te, ma non so se quello che ho trovato si corretto.”
Alza le sopraciglia, con fare indignato, ma pio torna seria e a quel punto capisco di aver trovato un modo per farla parlare o quanto meno per starmi a sentire.
“facciamo così: tu ora mi dici cosa hai scoperto su me e poi io ti svelo cosa ho scoperto su di te”
“cosa ti fa credere che accetterò?”
Sogghigno di nuovo, mentre vedo il suo volto corrugarsi.
“niente”
Attende qualche secondo prima di decidere, ma alla fine poggia la schiena sullo schienale della sedia di fronte a lei, in modo da essere faccia a faccia e allora il mio sorriso si apre definitivamente.
“inizia tu però”
Accetto la condizione e inizio senza troppi preamboli, sperando di aver azzeccato qualcosa.
“partiamo da una cosa semplice, il tuo carattere: sei fredda e distaccata e sospetto anche molto apatica, penso per via di un’infanzia che ti ha insegnato a non fidarti di nessuno”
Nessuna espressione sul suo volto, non un minimo mutamento, ma vado avanti ad oltranza.

“non hai molti amici, hai sempre allontanato tutti eppure tu e gli altri del gruppo siete molto affiatati, quindi non erano le persone a scappare da te, ma tu ad allontanarle; Kori è una ragazza decisa e forse un po’ sciocca, per questo non sei riuscita a fare la stessa cosa con lei, è troppo insistente e gli altri le sono andati dietro a ruota.”

“chi ti dice che abbia tentato di allontanare le persone che hanno provato ad essermi amica?”
“da come allontani me. Si vede che hai molta pratica, ma sono più tenace degli altri vero? lo si nota anche da come guardi la gente; sei sempre tagliente e sfuggevole e lo ammetto minacciosa, ma per quanto mi riguarda, le persone come te sono solo spaventate da loro stesse che dagli altri”
Non accenna ad una conferma, ma non nega neanche; sta tentando di mettermi nella strada sbagliata, confondendomi.
 “tutto questo perché da piccola qualcuno deve averti ferito. Chi è stato?”
“dovresti capirlo da solo”
“vuol dire che sto andando bene?”
“no, neanche un po’
Si crea di nuovo una cosa simile ad un sorriso, ma è molto fugace, bisogna essere veloci per scorgerlo ed io lo sono stato, ma sparisce subito.  È la prima volta che mi soffermo ad osservare le sue labbra: sono piccole e sottili, ma incredibilmente interessanti.
“però sono riuscito a farti ridere, anche se per poco”
“non stavo sorridendo”
“già e io ho la pelle verde.”
Dico in tono sarcastico, ma per tutta risposta mi guarda accigliata. Nonostante tutto sembra che si stia divertendo, forse riusciremmo a passare le prossime ora senza dichiararci guerra a vicenda.
“hai già finito? Non sembra un gran risultato avendo avuto quattro giorni di tempo.”
“Infatti non ho mai detto di aver finito”
“allora sentiamo”


Sospira; per quanto possa essere improbabile (anche io stento a crederci), sono riuscito ad attirare la sua attenzione.

“immagino che come sport tu faccia qualcosa che abbia a che fare con lo scontro corpo a corpo; hai alcuni lividi sulle braccia e le mani hanno le nocche arrossate, segno che tiri spesso pugni micidiali.”

“su questo c’hai azzeccato. Sin da piccola mio padre mi ha mandato a studiare l’arte del combattimento; ho fatto praticamente tutto, dal judo all’aikido e sono anche piuttosto brava con la scherma.”
Finalmente qualche informazione senza che debba tirargliele fuori con le pinze. Capisco ora perché mi è sempre sembrata così minacciosa; ora che l’ho notato ha la corporatura da combattente, e le arti marziali sono proprio lo sport che le affiancherei.
“bene Garfield Marck Logan, vai avanti”
La vedo sogghignare, capendo il mio profondo stato di shock; non ha mai detto a nessuno il mio secondo nome, mai. Neanche la Arden potrebbe trovarlo, perché ho espressamente chiesto alla preside di tenerlo segreto, ma come fa lei a saperlo? Capisco quindi che i suoi momenti di osservazione sono stati molto più seri dei miei e devo dire che mi spaventa un pochino sapere che una ragazza del genere sa questi tipi di informazioni. Mark, il nome di mio padre; per nulla al mondo vorrei dimenticarlo, ma fa sempre male accorgersi che porto il nome di un cadavere.
 “ora tocca a te”
Non ho più voglia di scherzare; voglio sapere che altro sa, fino a quanto si è spinta nelle ricerche e quanto devo temerla, nonostante sappia perfettamente che non si può avere paura di una ragazza spaventata come lei.

“sul serio quindi non sai altro?”
“è tutto quello che so”
“un po’ scarsino; da come ne parlavi sembrava che sapessi persino il mio codice fiscale.”
“sono solo curioso di sapere cosa altro sai di me, oltre il mio secondo nome. Vorrei che le cose più importanti me le dicessi di persona, come io farei, se me lo permettessi“
Sentiamo improvvisamente un grande botto provenire da dietro le quinte. Sembrava che fosse caduto qualcosa.
“sarà caduto uno degli scatoloni della Arden?”
Chiedo, senza dare molto peso all’episodio; mi giro a guardare verso le quinte, ma non riesco a scorgere nulla oltre il buio.

“probabile; meglio dare un’occhiata però”

Si alza e và verso il luogo da dove avevamo sentito il forte rumore; probabilmente questa era una scusante per evitare di andare avanti con la conversazione, e forse non avremo più modo per riprenderla, ma in effetti scopro che non mi importa molto; mi bastava chiacchierare e lo ammetto è molto piacevole stare con lei: sembra che qualsiasi cosa possa accadere sia un nulla di fianco a lei perché ha quella posa, quel passo che ti fa capire che nella via ne ha viste tante e che pronta a vederne altre. Le da un’aria così forte, ma capisci che è molto facile scalfirla, perche se riesco a vederlo io, quanti altri lo capiranno?
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** fai brlliare te stesso ***





Con la brutta piaga che stava pendendo quella conversazione, sono grata a chiunque abbia fatto cadere lo scatolone. Ora lo vedo, davanti ai miei piedi, mentre mi guardo intorno alla ricerca di una possibile traccia di presenza umana; sarà pure un po’ affrettata come teoria, ma spero con tutta me stessa che nessuna dei stupidi uomini di mio padre abbia avuto la brillante idea di prendere iniziative. Sebbene non ce ne sia motivo, non capirò mai cosa passa per la testa di quelli scimmioni e se così fosse dovrei mettermi a convincerlo, con le buone o con le cattive, ad andarsene.
Sento dietro di me la presenza del biondino; se prima la sua presenza era insopportabile, ora è insostenibile. Non ho la minima idea del motivo per la quale abbia deciso di interessarsi a me, ma spero che finisca in fretta. Non mi è mai piaciuta di coinvolgere qualcuno nella mia vita; con fatica mi sto abituando alla presenza costante di Kori e gli altri, infatti sono stata molto titubate, nel sapere che un nuovo ragazzo della sua fama sarebbe entrato nel gruppo. Dagli altri sembra ben accettato, ma è sempre difficile imparare a fidarsi degli altri dopo che hai passato una vita a convincerti che non te lo puoi permettere. Non ho mai avuto la possibilità di scegliere se fidarmi o no di qualcuno, di solito era sempre scritto in un fascicolo e mi sento in dovere di proteggere la mia nuova famiglia da delle possibili minacce. Garfield al momento ne rappresenta una, forse minima, ma sempre presente per cui ho ancora le mie diffidenze.
Poi percepisco un’ombra muoversi da dietro un telone. Mi metto in guardia e con cautela mi avvicino, pronta a tirare fuori il pugnale dall’elastico dei pantaloni. L’ombra si è immobilizzata e sembra fissarmi dall’altra parte del telone, ma non si muove. Mi avvicino definitivamente e con uno scatto sosto il telo e mi butto a capo fitto addosso all’ombra, che risulta essere molto più piccola e pelosa del dovuto. Mettendo a fuoco la situazione mi ritrovo con un gatto dal folto pelo grigio, forse un po’ in sovrappeso.    
“Rachel tutto bene?”
Di tutta risposta esco dal nascondiglio del micio e mostro a Garfield la mia vittima; sia lui che il gatto sembravano molto scossi, poi quest’ultimo inizia a lottare per scendere dal mio grembo.
“ho trovato l’intruso”
Glielo porgo definitivamente e sembra tranquillizzarsi con le coccole del ragazzo; noto il collare di cuoio rosso, ma non faccio in tempo a leggere che scompare sotto il folto pelo.
“sembra che tu gli piaccia”
Noto infatti che il volto del getto si fa molto più giocoso, rispetto all’attimo di terrore che prima lo dominava. 
“lo conosci?”
Di tutta risposta lo vedo scrollare la testa, molto preso dall’intrattenere l’intruso.
“sul collare però c’è inciso un numero di telefono, magari è il proprietario”   


Non faccio a meno di pensare a quanto ora assomigli ad un bambino che ha appena trovato il cucciolo dei suoi sogni: gli brillavano gli occhi mentre faceva le coccole al suo nuovo amico; e il gatto ricambiava compiaciuto facendo le fusa.

“ho sempre avuto un forte legame con loro; tutto quello che so, lo devo ai miei genitori”
Una punta di rammarico si sente nella sua voce.
Una delle cose che non avevo ancora scoperto su di lui erano i rapporti che ha con suoi genitori;
“in che senso?”
Lui mi guarda, sorridente.
“erano dei biologi molto famosi; Studiavano gli animali,  per farla breve.”
Temo di aver toccato un tasto dolente.
 “erano?”
“sono morti quando avevo 10 anni”

Il velo scuro dell’ultima volta si alza nel suo sguardo, rovinando il limpido azzurro dei suoi occhi. Mi sembra così strano che una persona così solare, così felice, possa aver avuto un passato così difficile; perdere i genitori a quella età è come distruggere le basi di un palazzo. Come fa ad affrontare tutto con un sorriso, quando in cambio la vita gli ha distrutto ciò che aveva di più caro? Forse è più forte di quello che credevo, forse non il bambino irresponsabile che vuole far credere di essere; magari, anche lui come, indossa una maschera.

 “forse è il caso di chiamare il proprietario.”


Cerco di allontanarmi il più possibile da quel tasto dolente, mentre vado a prendere il cellulare che stava nello zaino, non troppo distante da lì. Intanto lo lascio giocare con il gatto ì, mentre io tentavo di chiamare il possibile proprietario. Solo al quarto tentativo riuscì a ricevere risposta; a quanto pare non è la prima volta che il gatto scappa, ma non era mia arrivato ad entrare in luoghi sconosciuti. Riuscì a dare l’indirizzo della scuola e a chiudere la chiamata prima che la signora iniziasse a raccontarmi la storia della sua vita.


“la proprietaria ci metterà un po’ prima di arrivare; è praticamente dall’altra parte della città”
Avviso Garfield, che era molto preso dal gioco che stava facendo con quell’ammasso di peli ambulante; continuo a pensare alla morte dei suoi genitori. Di gente uccisa ne ho vista tanta: persone che non se lo meritavano ed altre che invece se la sono cercata. Si tratta di un’inesorabile svolta degli eventi quando una cosa nasce dovrà per forza morire prima o poi, per questo a volte mi stupisco nel vedere gente che sparge lacrime per la perdita di qualcuno di importante, eppure dal suo sguardo sembra che improvvisamente abbia un senso.
Lui ora non sta piangendo, ne si sta chiudendo in se stesso, sta solo giocando con quello stupido gatto con una gioia ed una semplicità che mi mettono i brividi. Se lui è capace di affrontarla in questo modo allora, che senso ha la morte? Insomma, alla fine la perdita la sentiamo noi che restiamo in vita, non i morti, ma appena formulo questo pensiero mi do della stupida. È ovvio che lui stia soffrendo è solo più bravo di altri a coprirlo.
“non deve essere facile”
Mi esce dalle labbra prima che possa capire ciò che avevo appena detto; già questo parla molto di suo, se inoltre gli do modo di iniziare un’altra conversazione non finirà mai più. Alza il volto verso di me che sono in piedi davanti a lui per poi riabbassarlo verso il micio.
“non lo è per nessuno”
Risponde, capendo a cosa mi riferivo. Per quanto cocciuto ed irresponsabile sia noto che in realtà è molto perspicace, nasconderà sicuramente un sacco di altre qualità che ammetto non mi interessino per niente, per cui vado sul palco e mi siedo in’attesa dell’arrivo del proprietario del gatto. Proverò a chiudere un po’ gli occhi; stanotte non avrò la possibilità di dormire e sinceramente ne sono molto felice: la notte per me è sempre piena di incubi e dormire è come condannarmi ad otto ore di tortura psicologica, passate ad osservare il soffitto o nei casi migliori le stelle. Non ricordo neanche l’ultima volta che dormì veramente serena, dopo l’incidente alla retina mio padre ha intensificato gli addestramenti nonostante fosse consapevole che non fosse stato causato per una mia mancanza di preparazione, ma credo che sapermi ancora più preparata lo aveva fatto stare tranquillo per un po’: alla fine sono praticamente una fonte molto importante per lui, la custode dei suoi segreti più profondi e ho imparato a miei spese che se mai proverò a renderli pubblici lui prenderà ottime precauzioni.
Ricordo ancora quando provai a scappare da quell’inferno e non riuscì ad arrivare neanche al cancello di casa mia; non mi punì, mi riporto semplicemente in casa e mi rise in faccia, ma quello fù più che sufficiente. Fù abbastanza per farmi capire che per quanto potessi lottare non sarei mai riuscita a scappare veramente da lui, a quel punto capì che avrei dovuto giocare al suo gioco per darmi almeno una possibilità.
Fui interrotta da quella scia di ricordi maligni, da un forte acqua marina e aprì di impulso gli occhi per ritrovarmi poi due sfere azzurre intente a fissarmi; sento le guance arrossarsi leggermente per colpa della sua troppa vicinanza e con irritazione alzo un sopraciglio mentre sentivo i suoi ciuffi biondi solleticarmi la fronte.
“si può sapere che cos stai facendo?”
Al suo sguardo contemplatore si aggiunge il muso del gattone che mi miagola addosso come se mi stesse parlando. Il giovane capendo il mio sguardo omicida si sposta e con un sorriso mortificato si porta una mano dietro la nuca grattandosela.
“scusa è che mi parevi così assorta che non ho resistito; è la prima volta che ti vedo così tranquilla”
Il gatto miagola di nuovo e mi alzo a sedere definitivamente. Tranquilla? Con quello che avevo per la testa mi fa strano che avessi un’espressione del genere. L’odore del mare mi è rimasto incastrato nel naso, ma che razza di prodotti una, neanche i miei capelli profumano così tanto.
“e ti pare una buona scusa per venire addosso ad una persona. Pensa se fosse entrato qualcuno; la gente fa presto a farsi strane idee”
Mi guarda perplesso per un attimo e poi scoppia a ridere; ma che vuole ora?
“davvero ti preoccupi di quello che le persone potrebbero pensare?”
“certo che no; dovrebbe dare fastidio a te. A me non fa ne caldo ne freddo, spesso la gente si diverte a pensare fantasie solo per il loro mero divertimento e finche non danno fastidio a me non vedo perché dovrei accentuare il divertimento di un ragazzino che non ha nulla da fare”
Mi guarda di nuovo confuso e con un sorriso beffardo si riprende il gatto, che desiderava ancora altre attenzione, notando che con me quegli occhi dolci non funzionavano.
“ti rendi conto che hai detto una serie di cose, che non ho capito, solo per dire un no?”
“vedi allora che le hai capite”
Porta gli occhi in’alto continuando a sorridere come un demente. Si siede affianco a me portando le mani dietro la schiena e abbandonando il gatto, che si stava arrotolando di fianco al suo idolo, diventando definitivamente una palla di pelo ambulante; il giovane mi fissa per un po’ divertito, e la stessa cosa fa il micione: sembrano che pensino la stessa cosa, ma non riesco neanche ad immaginare cosa possa immaginare un gatto con quella espressione.
“se vuoi puoi tornare a dormire; prometto che non ti disturberò più”
Lo guardo infastidita; prima di tutto, pensa davvero che sarei capace di addormentarmi con un simile maniaco che continua a fissarmi? E poi non stavo dormendo dannazione.
“pensi davvero che ti risponderò?”
Lo guardo stufa, ma lui mantiene sempre lo stesso sorriso; ma gli si è bloccata la mascella?
“lo hai appena fatto”
“usi sempre questo atteggiamento da so tutto io quando parli con qualcuno?
“no, solo con quelli che se lo meritano”
Lo guardo attentamente; si rende conto che quello che dice non ha senso, tutto quello che fa non ha senso. Santo cielo solo provare a capire cosa dirà dopo mi fa venire mal di testa. È così dannatamente imprevedibile e allo stesso tempo l’apoteosi della banalità.
“ti invece, truci sempre chiunque con quegli occhi taglienti”
Accenno ad un sorriso beffardo.
“solo quelli che se lo meritano”
“Touche”
Ripete, per poi sdraiarsi come me prima, a guardare il soffitto in legno del teatro. Sembriamo dei profughi accampati sotto un ponte: così terribilmente inconsci sul da farsi.
“non sembri una persona a qui piaccia molto la comunicazione, quanto meno con me”
“sono colpita che tu ci sia arrivato”
Si alza definitivamente guardandomi storto.
“no davvero, perché ce l’hai con me? È solo perche non ti vado a genio o … che ne so, perché sono un uomo?”
Il termine uomo affiancato alla sua figura farebbe ridere chiunque; anche la corporatura poco robusta trasuda fanciullezza.
“ma cosa? Stai scherzando vero; dovrei discriminarti solo perché sei un ragazzo?!”
Questa conversazione sta entrando nell’assurdo. Ma come diamine siamo arrivati a sto punto?! E io che ancora gli permetto di importunarmi. Dovrei starmene zitta e lasciare che le sue parole mi scivolino addosso come vento, e invece questo tipo me lo rende impossibile; con la sua cocciutaggine e nessun ritegno per le persone a lui esterne non mi riesce di starmene a sentire mentre questo si prende gioco di me.
“che ne so che cosa passa per quella tua testa; magari sei solo in’imbarazzo perché non hai mai parlato con un ragazzo del mio fascino. Se va bene non ci sei mai neanche uscita con un ragazzo per un appuntamento; con quel caratteraccio ci credo porca miseria”
Ve bene questo è troppo; probabilmente stava parlando a vanvera, non pensava a quello che diceva si vedeva, ma ho raggiunto il limite della sopportazione. Per quanto possa essere diversa dalle altre ragazze della mia età ho anche io una dignità da difendere e il mio orgoglio femminile sta ormai prendendo il sopravento. Questo odioso, spocchioso, bastardo farabutto ha i secondi contati e glielo faccio capire quando mi alzo e lo guaro dall’alto al basso con il pugno destro stretto.
“tu, ma chi ti credi di essere!”
Vedo il suo sguardo intimorito e seguendo il premuroso consiglio del gatto, si allontana da me strisciando verso la fine del palco. Lo seguo con lo sguardo ripetendomi in testa: è solo un ragazzino sotto ormoni che non sa neanche quello che dice.
“vieni qui e subito provi a fare l’amicone, convinto di conoscermi e inizi a sparare una fesseria dopo l’altra, sfidando la mia pazienza. Sappi che se non ti riempio di botte è solo per ritegno delle mie povere mani!”
Terrorizzato annuisce, buttando giù un groppo di saliva assurdo, rumorosamente. Scendo dal palo con le mani che mi prudono e prendo il mio zaino. Al diavolo la Arden, io qui dentro con questo incosciente non ci resto un secondo di più.
“e dai Rachel, guarda che non dicevo sul serio! Dove stai andando? Certo che se te la prendi così sarebbe difficile per chiunque cercare un approccio con te”
Mi volto, sperando che sia l’ultima volte, per concludere definitivamente quell’assurda conversazione.
“io non ho mai chiesto nessun tipo di approccio! Scemo!”
Arrivo in cima alle scale e lo vedo trasalire per il mio tono infuriato. Apro la porta, per porre fine a questo supplizio, ma vengo bloccata da un robusto corpo anziano, che con i suoi enormi occhiali a sfera, quasi privi di montatura, mi scrutano con curiosità. La veste a fiorellini bianchi e rosa e il grembiule, altrettanto bianco mi colpisce come un pugno in occhio, mentre una voce aggrinzita e stridula mi trapana le orecchie.
“chiedo scusa giovanotto, ha mica visto il mio Edgard? Il mio micione peloso se ne è andato senza pranzare e sono così preoccupata”
Urla, ma sembra non accorgersene. Che diamine, che qualcuno le metta a posto l’apparecchio uditivo; questa diventa un pericolo pubblico.
“mi hanno telefonato e mi hanno detto che il mio Edgard si trova qui, deve essere stato attirato dalle gatte che circondano questo gattile. Devo dire che siete pieni di personale e per di più molto giovane: ai miei tempi vedere così tanti giovani che perdevano tempo dietro gli animali sarebbero stati definiti come figli di cacciatori o scansa fatiche, pensi che una volta, nel 1956, un giovane tento addirittura di-“
“cercava il suo Edgard, ecco non è il gatto lì sopra il palco, venga la accompagno”
Riesco ad interromperla prima che inizi a raccontarmi la storia della sua vita; torno indietro, consapevole che qualcuno là in altro si stesse prendendo gioco di me. Garfield mi stava raggiungendo dalle scale, perché era già a metà percorso, probabilmente nel tentativo di convincermi a fermarmi.
“oh il mio Eddy, piccolo mio ma che cosa combini!”
Vedo l’anziana diventare arzilla come un pesce, correndo verso il biondino e il gatto. Quest’ultimo non sembrava particolarmente felice del ritrovamento della padrona, e come dargli torto. Il ragazzo invece consegno la vittima alla donna lasciandole alle loro coccole, per poi raggiungermi verso la scalinata, dove osservavo i due festeggiare. Arriva al mio gradino e senza che me ne accorgessi in tempo, mi sposta una ciocca dei capelli corvini dietro l’orecchio per parlarli all’orecchio.
“e per la cronaca, io ti inviterei volentieri ad uscire”
Poi si allontana per guardarmi in faccia e sorride, per poi riscendere. Intanto il mio volto sta andando in fiamme, mentre tento con tutta me stessa di darmi un contegno. Quel maledetto, se ci riprova gli spacco il naso. Come si permette, quel … quel … non mi viene in mente neanche un termine adatto per definirlo! Si sta dando troppe confidenze e non capisco davvero da dove derivi tutta questa tenacia; più volte gli ho fatto capire che non ho bisogno delle sue attenzioni o del sui patetici tentati di approccio – come li definisce lui -, ma sembra che abbiano avuto l’effetto inverso di quello che speravo, e Dio se questo mi irrita. Mi volto con cautela verso lo scocciatore e lo vedo impegnato contemplare il suo cellulare; se solo ripenso alla vicinanza alla quale si è permesso di stare sento uno strano formicolio lungo la schiena, per poi ricacciarlo indietro.
La signora di prima si decide a distogliere l’attenzione dal povero animale per avvicinarsi a me e ringraziarmi di aver badato al “suo mascalzone”. Con la ferrea convinzione che Garfield fosse l’addetto alle lettiere, ringrazia pure lui per il contributo che dava alla società, anche se poco prima si lamentava del contrario. Anche lui sembra confuso quanto me, ma non si fa domande e accompagna la signora in cima alle scale per dare un ultimo addio al suo nuovo amico. Io osservo tutto sempre a metà della scalinata e quando la signora toglie il disturbo il giovane si gira verso di me, con sorriso spavaldo per poi mettersi a guardia della porta.
“ed ora a noi due”
Lo guardo male – di nuovo – ma non batte ciglio. Cosa ha ancora da dire? Non ha già parlato abbastanza? Se d'altronde cerca un modo veloce per morire però, non sarò di certo io ad impedirglielo.
“che cosa vuoi ancora Logan?”
“adesso mi chiami anche per cognome? È un gran passo avanti sai!”
Incrocia le braccia e lo stesso faccio io, ma lentamente salgo le scale mantenendo il contatto visivo. Vedo un po’ di titubanza, ma non si muovo dalla sua postazione, costringendomi a fermarmi proprio davanti al suo volto.
“fammi passare”
Mantengo la voce calma e passiva, nonostante muoia dalla voglia di prenderlo di peso e lanciarlo via dalla mia strada.
“no”
Mi sorride di nuovo, ma con una faccia più da schiaffi del solito. Ci guardiamo ancora per qualche istante senza che nessuno distolga gli occhi dall’altro; ammetto che uno delle persone più tenaci che per ora abbia mai visto, nessuno era mai riuscito a trattenere lo sguardo fisso su di me così a lungo senza cedere per primo. Ne io ne lui sembriamo essere dell’idea di cedere e se mai qualcuno ora vedesse questa scena in terza persona sentirebbe la tensione nell’aria e le scariche di corrente che si mandano i nostri volti.
“se tra meno di un secondo non ti sposti sarò costretta ad usare la forza”
Non cede e allora non mi lascia altra scelta; prendo il suo polso destro e con uno scatto gli porto il braccio dietro la schiena e costringo le sue gambe a farlo votare per poi trovarsi con la faccia spiaccicata contro il metallo della porta, mentre una grande soddisfazione mi apre un leggero sorriso che lui non è in grado di vedere.
“oltre che scontrosa aggiungerei, agli aggettivi che ti si affiancano perfettamente, anche manesca”
Stringo la preso facendogli uscire un gemito di dolore.
“ e violenta”
Lo mollo e finalmente ho la possibilità di andarmene, ma la sua mano mi blocca, prendendomi per il polso destro, prima che io riesca a varcare la soglia della porta; ora però esagera!
 “Rachel lo so che sono un rompipalle, un bambino e un irresponsabile, ma voglio solo provare a fare amicizia con te; possibile che per te sia così difficile?”
“si è molto difficile, e per quanto mi riguarda non ti ho mai chiesto  di essermi amico quindi puoi anche evitare di disturbarti”
“il problema è proprio chiesto: io non ho bisogno di avere il tuo permesso”
Lo quadro allibita: tutta questa testardaggine, dovrebbe farmi infuriare in modo da mollargli un cazzotto in faccia e non rivolgerli mai più la parola. Invece sembra quasi che lentamente qualcosa si sia sciogliendo; vorrei ignorarla, ma improvvisamente non ho più voglia di dargli contro. Mi scosso dalla sua presa e torno indietro, senza dire una parola. Se solo ne avessi la forza, me ne andrei con sarebbe bene che faccia, ma qualcosa me lo impedisce; una sensazione nello stomaco, un lieve pensiero alla testa che non riesco ad afferrare.
“ l’orario si è concluso, è ora di andare”
Mi strattono dalla sua presa e vedo nel suo volto la delusione inondarlo; non so perché, ma vedere quegli ora così privi della sua solita luce mi crea un malessere alla pancia.
“ti do dieci secondi per prendere la tua roba, dopotutto devo ancora dirti cosa ho scoperto su di te no?”
Lo vedo riprendersi e si precipita prendere il suo zaino. Sono stupita del fatto che ci abbia messo davvero dieci secondi. Appena ritorna mi si affianca e percorriamo il corridoio di uscita, in silenzio. Appena usciti si sente l’aria fredda di inizio dicembre entrarmi dal cappotto e raffreddarmi le membra, ma mi risveglia dal tepore dell’edificio. Inspiro a pieni polmoni, godendomi quell’attimo di pace mentre un leggero fumo esce dalla mia bocca, mi giro verso Garfield e lo becco intento a fissarmi con occhi languidi: cosa vuole adesso?!
“sto aspettando”
Dice, continuando a guardarmi, ma stavolta meno concentrato; ruoto gli occhi e mi incammino, cercando un modo per iniziare il discorso.
 “Partendo dalle banalità come hai fatto te, sei un narcisista rompiballe, senza un minimo di ritegno per la privacy altrui e ha spesso nelle manie di protagonismo”
Mi guarda torvo mentre continua a seguirmi verso casa mia; ha davvero intenzione di  venirmi dietro fino a casa mia?
“grazie per essere stata così franca e diretta”
Il suo tono sarcastico e stizzito mi costringono a voltarmi verso di lui, in modo da fargli intendere che se la era cercata.
“devo dire che le altre deduzione che avevo fatto di te però sono risultate sbagliate”
Divento seria e sento il suo sguardo pesante addosso.
“cosa vuoi dire?”

“tu fingi, reciti per così dire, per coprire le tue vere debolezze. Diciamo che in questo siamo simili, per così dire. La vera domanda però era: cosa sarebbe capace di affondare un ragazzo che come te sembra troppo felice per essere abbattuto?”
Mi guarda complice, capendo cosa intendo e si intristisce un po’, abbassando lo sguardo e portandosi le mani sulla testa, segno che sto andando nella direzione giusta. È un libro aperto questo ragazzo, dovrebbe stare più attento nell’aprirsi con le persone, non si sa mai. Eppure sembra così naturale per lui, come se lo facesse sempre, ma allo stesso tempo mai.
 “è per via dei tuoi genitori vero?”


Ora porta lo sguardo al cielo con un sorriso triste che gli contorna il volto.


“beccato”
“devo dire però che mi hai sorpreso; quando si subisce una perdita come a tua si tende a cambiare molto, di solito ci si chiude a riccio nel dolore o quanto meno non si è come ... come te diciamo”
“dovrei offendermi?”
Mi guarda torvo, ma sempre pensieroso.
“mi chiedo solo come tu faccia”
Pensa per un po’, il tempo di attraversare la strada e mettere piede sul marciapiede.
“mio padre era un uomo molto saggio. Mia madre una volta mi ha detto che era un ragazzo molto serio e diffidente, mi ricorda molto Richard; lei invece era il contrario, gentile spontanea, la consideravo come una specie di dea. In così poco tempo mi hanno insegnato così tanto, ma una cosa che mai mi dimenticherò: quando brancoli nel buio e non vedi nessuna luce, sii tu la tua luce”
Lo guardo, mentre vedo che con la testa è da tutt’altra parte, in un mondo tutto suo, dove le parole che ha detto sembrano avere un senso. Perché per me non è mai stato così, perché il tunnel in cui mi sono cacciata ci sono nata e probabilmente ci morirò, ma non ho mai chiesto il contrario. Non me la sono scelta io la mia vita e lui non si è scelta la sue, eppure, con motivazioni diverse, la viviamo così senza false speranze.
“non sempre si risplende per conto proprio però”
Mi guarda e tanto per cambiare mi sorride, più sinceramente del solito però, più raggiante. Dio perche sto prestando attenzione a queste piccolezze.
“è proprio questo il bello, sai ci sono persone che ne fanno risplendere altre, involontariamente”
Non capisco cosa voglia dire, e non voglio indagare ulteriormente per cui non proferisco parola, mentre mi accorgo che la strada per casa si farà sempre più breve. Dovrò inventarmi qualcosa per mandarlo via prima che qualcuno lo veda, ma per ora mi beo di questi attimi di silenzio, notando che effettivamente, la sua compagnia può diventare gradevole. Non lo ammetterei neanche sotto tortura, però mi sento meno affaticata con lui, come se la barriera da me creata abbia avuto la possibilità di cedere, solo per poco.
Iniziamo a percorrere la breve salita che porta alla villetta di mio padre; la strada come sempre è deserta e silenziosa a parte per qualche cane infastidito da altri passanti o altri animali. Arriviamo dopo qualche minuto davanti al cancello di ingresso e appena mi giro per mandarlo via vedo il suo volto stupefatto che osserva la cancellata.
 “ora puoi anche andare, grazie di avermi accompagnata.”


“vuoi dirmi che tu vivi qui?”
“già; grazie mille ci vediamo lunedì.”
Continua a sbattere le palpebre, degno dei peggiori tic agli occhi, ma il mio terrore sale quando sento il cancello aprirsi di scatto. Senza accorgermene mi metto davanti a Garfield, convinta che fosse mio padre o qualcuno mandato da lui; se scoprisse del club di teatro e di Kori e gli altri, non esiterebbe a farli sparire, come i miei altri vecchi tentativi di approcci con le altre persone. Invece vedo la lunga chioma corvina di mia madre uscire da dietro la porta. Indossa uno dei suoi soliti vestiti colorati, che secondo me solo lei è in grado di indossare senza sembrare un confetto. Mi ero completamente dimenticata che lei di solito a quest’ora esce in giardino, e ora sono fregata.

“Rachel, ben tornata tesoro! Chi è il tuo amico?”
Mi volto con calma verso di lei fulminandola con lo sguardo; amico mio? questo qui?!

“oh, mamma non ti avevo vista”
“buona sera signora” ,la saluta Garfield;
Mia madre gli sorride amorevolmente; conosco fin troppo bene quello sguardo e Dio spero che non abbia intenzione di fare quello che temo voglia fare!

“buonasera a te; chiamami pure Arella; gli amici di Rae sono anche i miei”

Dice sfoggiando il suo dolce sorriso. È una che go sempre amato di lei, il suo modo di sorridere come se andasse tutto bene: come se mio padre non fosse un mostro, come se lei fosse felice. Lo ha sempre fatto, non ricordi dove lei non mi sorridesse così, a volte pensavo davvero che andasse tutto bene e grazie a lei ho avuto degli attimi di pace, ma poi capì che la sua falsa felicità era una maschera per aiutarmi a sopportare la mia situazione.
“ti và di entrare per uno spuntino; la nostra cuoca ha appena sfornato dei biscotti a dir poco deliziosi”
La guardo spalancando la bocca. Sul serio! Lo ha detto davvero?!
“veramente lui se ne stava andan-“
“se non è  un disturbo accetto volentieri!”
Mi volto verso di lui e lo trucido con lo sguardo mentre vedo che mi guarda complice. Lo odio, definitivamente! Non ha davvero altro da fare?!
“no tu non vuoi, non è vero?!”
“non ho nulla da fare e poi sono curioso di vedere come è questa casa dall’interno”
Si lo ammazzo.
“perfetto, allora prego, accomodati”
E anche lei non aiuta però. Lo sa meglio di me che se lo dovesse vedere mio padre sarebbe la fine. Eppure glielo spiegato un sacco di volte e mi pareva che avesse capito, ma nonostante questo continuava da insistere per farmi portare almeno Kori a casa qualche volta; sapeva bene le mie preoccupazioni, ma lei è fatta così: teme sempre che soffra di solitudine, quando sa che ormai ci vado a braccetto. Eppure sembra l’unica che se ne preoccupa così tanto e mi chiedo perche ci tenga così tanto che mi crei una vita a dispetto di mio padre, sapendo che potrei mettere a rischio la vita degli altri.
“ mamma pa-“
“tuo padre è partito da poco per un viaggio all’estero, tornerà tra tre giorni. Non ti preoccupare”
Mi sorride dolcemente capendo le mie preoccupazioni.

“coraggio entriamo, altrimenti i biscotti si raffreddano”
Li vedo dirigersi verso il cancello entrando nel giardino; io sospiro e aspetto ancora un po’ prima di seguirli, godendomi ancora un po’ la brezza fresca di questo tramonto invernale. Poche volte ho il tempo di godermene uno, di solito vedo solo albe e devo dire che le preferisco; l’idea che la notte stia calando mi ha sempre dato un senso di fine, qualcosa che tu non puoi fermare. Il fatto che dovrai aspettare il ritorno del sole per poterti rimettere quella maschera di normalità che non ti appartiene, sapere che in un altro luogo invece sta riprendendo la vita. l’alba invece mi aiuta, mi fa capire che è iniziato un altro giorno e che magari non sarà brutto come il precedente e che come il sole che risorge dopo una notte di tenebra anche io potrò ricominciare, prima o poi. Ci sono momenti dove vorrei fermarmi in un punto qualsiasi e restarci, dimenticandomi di  tutto e di tutti, come ora; per quanto io ami le albe, anche questo tramonto non mi spiace e rimarrei volentieri, sperando che il sole non scompaia mai veramente, nonostante questo possa impedirgli poi di risorgere.
 “RAE non entri?”
La vocina molesta di Garfield mi risveglia dai miei pensieri, soprattutto perché ha usato quell’odiosissimo nomignolo, inventato da mia madre. Se non lo ammazza prima mio padre, giuro che lo faccio io.

“non ti ho mai dato il permesso di chiamarmi così, quindi non prenderti tutta questa confidenza, sono stata chiara!”

Gli urlo. Mi fa perdere il controllo questo dannato ragazzino.

“dai RAE non farti desiderare altrimenti sono costretto a venirti a prendere con la forza; questi biscotti sono fantastici.”

Ormai il sole ha quasi finito la sua ascesa e lentamente scompare sotto la folta foresta davanti a casa mia, lasciando spazio a quelle minuscole lucine dove spesso ho riposto tutti i miei desideri. Quelle stelle sono sempre state una certezza come le albe e i tramonti. Certezze che mi hanno sempre spinto ad andare avanti e per quanto buffo possa suonare spesso mi ripeto: "fallo per le stelle e per il sole, che sempre ti guarderanno incoraggiandoti". 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** una rosa ***


Quando dico che questi biscotti sono qualcosa di stupendo, non mento di certo. Sono una delle cose più buone che abbia mai mangiato. Me ne sarò già divorati una scodella intera, e ne continuano ad arrivare altri. Più tardi voglio controllare se da quella cucina c’è una specie di vano dedicato solo a loro. Non mi stupirei se fosse vero: questa casa è qualcosa di immenso, mi hanno anche detto che l’ala ovest è interamente dedicata ai ricevimenti speciali con tanto di salone da ballo e scale che Walt Disney spostati. Io penso di non avere un’ala ovest, e se s’è comprende tutto il monolocale. Appena entrato mi hanno accompagnato lungo un corridoio con pavimenti di marmo bianco, le pareti sono colorate con un marrone chiaro che dà un senso di calore alla casa; dello stesso tono era il “primo salotto” –da quello che so ne hanno altri cinque- stesso pavimento, stesse pareti, con due divani a sei posti disposti intorno ad un tavolino di vetro. Sopra questi pendeva un’enorme lampadario che per ora era spento, grazie alle ultime luci del tramonto che passavano attraverso l’enorme finestra. Questa dava sul giardino ed era uno spettacolo incredibile vedere vere opere di giardinaggio e i fiori che iniziavano a chiudersi, nonostante il freddo. Probabilmente avranno un sistema di riscaldamento anche per loro, perché altrimenti non mi spiego come possano sopravvivere a queste temperature.

Mi trovo seduto proprio davanti a questa finestra, con il tè servito e la madre di Rachel che mi sorride, notando il mio stupore. Sono rimasto colpito nello scoprire che è l’esatto opposto di sua figlia: è gentile e una donna amabile, mai ho visto in tanta semplicità una tale bellezza; i lunghi capelli corvini cadono, morbidi sulla sua spalla sinistra mentre mi guarda piena di interesse con quei suoi occhi verdi. Sono sicuro che se Rachel non avesse avuto quell’incidente avrebbe le iridi del suo stesso colore e per quanto siano simili nell’aspetto nel carattere sono l’opposto. È strano, ma in lei vedo molte cose di mia madre, per questo sono certo che qualsiasi problema possa avere non è di certo legato alla madre; lei sembra una di quelle madri che non ti fa mancare nulla, colma di affetto da darti in qualsiasi momento e pronta a difenderti a costo della vita. sono quasi invidioso, lo ammetto.

“allora Garfield”- dice dopo aver bevuto un sorso del profumato tè, mentre ripone la tazza sul tavolino- “non ho mai sentito parlare di te; da quanto conosci Rachel?”

“sono entrato nel suo gruppo di teatro cinque giorni fa, diciamo che ho combinato un bel casino e per punizione mi hanno obbligato a frequentare queste lezioni aggiuntive”

Sospiro, ripensando a quanti guai mi sarei evitato se per una volta avessi dato ascolto al buon senso, ma ammetto che le cose sarebbero potute andare peggio; quanto meno ho trovato un gruppo di ragazzi simpatici e dei nuovi amici.

“e dimmi ti trovi bene? Rachel non mi parla molto della sua vita scolastica, ma so che tiene particolarmente a quel corso e secondo me l’ha aiutata tanto”

Le sorrido e annuisco; Rachel ora non era presente, si è allontanata per andare a posare lo zaino di scuola, quindi è il momento migliore per cercare di tirare fuori qualche informazione.

“molto, sono tutti molto simpatici devo dire, ma ovviamente non sono bravo come loro, sicuramente frequentano il corso da più tempo di me”

Anche lei annuisce e poi abbocca all’amo.

“oh si, Rachel lo frequenta da circa due anni se non sbaglio. Pensa che una volta voleva anche abbandonarlo, ma sono riuscita a convincerla a non farlo; quel posto per lei rappresenta molto”

Bevo ancora un sorso di tè, stando attento a non scottarmi. Penso di non aver mai bevuto qualcosa di più buono, o forse non ho mai bevuto del tè direttamente; è particolarmente rilassante però, me ne ricorderò la prossima volta che andrò a fare la spesa.

“davvero?”

Sorride ancora e annuisce. Sembra che le piaccia molto parlare della figlia e questo va solo a mio vantaggio. Sicuramente lei è molto più incline alla conversazione di Rachel.

“esatto, non sai che fatica convincerla, ma lei è fatta così: testarda fino in fondo. Non c’è una volta che mi ascolti veramente eppure in qualche modo è riuscita ad accogliere le mie lamentele. Pensa che una volta, quando era piccola, è scappata di casa per ben due ore per non fare il bagnetto, mi ha fatto vivere un inferno e alla fine l’ho trovata nel giardino dei vicini a giocare con il gatto. Aveva solo tre anni, ma da lì avrei dovuto capire tutto”

Non riesco ad immaginarmi una Rachel bambina, ma ammetto che è una storia divertente, quasi inverosimile se la affianchi alla lastra di ghiaccio nell’altra stanza. Però ho anche scoperto che le piacciono i gatti, eppure non sembrava tanto affine con Edgard; mi vengono i brividi se solo la immagino con un gatto in braccio, perché più che una normale adolescente mi pare di vere quasi la versione femminile di Don Cuor Leone.

“sai mi pare di avere anche qualche foto di quel giorno, aspetta che vado a cercare l’album”

Sta per alzarsi, ma viene fermata dall’arrivo della guasta feste; appena entrata mi lancia un occhiataccia, come se fosse a conoscenza delle mie intenzioni.

“non ce ne è bisogno mamma”

Si siede accanto a me, forse per avere la possibilità di fermarmi appena mi venga in mente qualche cavolata, e prende la sua tazza di te bollente tra le mani, che le era stata appena consegnata dalla cameriera Anna. Peccato però, ero molto curioso di vedere Rachel da piccola. Noto che Arella ci sta lanciando delle fulgide occhiate, chissà cosa le sta passando per la testa; poi appoggia la sua tazza sul tavole e si prepara a parlare dopo lunghi minuti di imbarazzante silenzio.

“allora, ditemi da quanto tempo state insieme?”

Meno male che avevo appena posato la mia tazza anche io, altrimenti avrei dovuto sborsare un capitale per ricomprarla . Mi metto a ridere, preso da un attacco isterico; solo il pensiero di io e lei che stiamo insieme mi fa sbellicare dalle risate per quanto assurda possa essere come immagine. Rachel invece sta tentando di non strozzarsi con il tè che le è andato di traverso e mi lancia delle occhiate omicide che mi fanno tornare serio. Poi riguardo l’espressione di Arella e scoppio di nuovo a ridere.

“ho detto qualcosa di strano?”

“cosa ti fa credere che stiamo insieme mamma?! Io e questa sottospecie di melanzana impertinente?!devi essere uscita di senno”

Sbraita Rachel, in preda ad un attacco d’ira. Io continuo a ridere e mi merito una cuscinata da parte della mora.

“stareste così bene insieme tesoro”

È tutto quello che riesce a dire la donna mentre anche lei sorride sotto i baffi.

“non mi sembra il caso di dire queste cose, mamma; mi pare abbastanza impossibile una nostra possibile relazione. Ho un certo istinto omicida nei suoi confronti e lo scambio affettivo più gentile che potrei fargli sarebbe strangolarlo.”

Non mi pare un’offerta molto invitante, quindi evito di fare commenti, per via anche della troppa vicinanza. C’è un cuscino vicino a lei che potrebbe diventare molto pericoloso. Ci pensa Arella, però a portare la conversazione ad un livello ancora più imbarazzante.

“sei sempre cosi violenta tesoro; povero quel cristo di tuo futuro marito, non so davvero come farà a sopravvivere. Non sai neanche cucinare un pasto completo, quindi mi chiedo che fine farete”

Se possibile Rachel si altera ancora di più, ma lo maschera con un’assoluta freddezza nei movimenti e nella voce.

“mamma”

dice digrignando i denti e continuando a fissare con odio la sua progenitrice.

“Garfield, tesoro, Rae ti ha mai raccontato di quel giorno in cui io e la sua cameriera preferita fummo costrette a mangiare per settimane una polpa strana e appiccicosa di dubbia provenienza?”

sorridendo beffardo lancio uno sguardo a quella di fianco a me, per riportare l’attenzione sulle storie di gran lunga più interessanti di Arella.

“temo di no, ma sarei felice di ascoltarla”

Rachel sbuffa per poi lamentarsi:” avevo solo sette anni, non sapevo neanche come girarmi in cucina”

“purtroppo Anna quel giorno aveva lasciato fuori dalla dispensa una pento gigante e così la mia piccola ha deciso di-”

“grazie mamma; non ci interessa”

La donna si arrende e soffia sulla tazza di te con un legger sorriso sulle labbra rosee; sono molto simili a quelle di sua figlia, solo meno carnose, più allungate e meno invitanti …

dopo essermi accorto della brutta piega che i miei pensieri stavano prendendo, mi nascondo anche io nella tazza di te, scoprendo di aver già finito la bevanda, allora sfogo l’imbarazzo nella nuova scodella di biscotti (appena riempita dalla diligente cameriera); di questo passo potrei anche evitare di cenare.

“sai Garfield ora che ti guardo bene noto che hai davvero degli occhi particolari. Non ho mai visto un azzurro così vivo eppure così profondo, risaltano molto la tua personalità.”

“tutta farina del sacco di mia madre, anche lei aveva un colore molto simile”

un po' di malinconia si nasconde tra le mie parole; a volte me li sogno la notte, quelle sue pozze azzurre che non rivedo da troppo tempo.

“deve essere molto soddisfatta del lavoro che ha fatto. A proposito se vuoi avvisarli che resti per cena ci farebbe molto piacere”

“mamm-”

tenta di interromperla, probabilmente per evitare che tocchi il tasto dolente che in effetti ha già toccato, ma ormai ci sono abituato.

“no Rachel, su questo non demordo, si tratta di buona educazione”

“non è per quello”

Arella mi guarda con sguardo interrogativo

“non preoccuparti Rachel; Arella i miei genitori sono morti quando ero piccolo e purtroppo devo declinare l’invito; stasera devo lavorare, ma verrò volentieri un’altra volta”

Lei mi guarda mortificata ed è la cosa che odio di più dopo che confesso il mio problema. La paura di avermi ferito con delle parole improvvisamente diventa più importante dell’effettivo problema. Tutti si scusano come se potessero aggiustare le cose. Solo Rachel, ora che ci penso, non mi ha fatto pesare la verità.

“sono mortificata tesoro; non preoccuparti, magari ci organizziamo meglio un’altra volta”

Sorride continuando a guardarmi. Almeno sembra che non voglia iniziare a farmi delle domande. Qulla è un’altra cosa che non mi piace affatto.

“tornando al discorso di prima, sono veramente meravigliosi”

queste lusinghe mi fanno sentire un po' in imbarazzo, ma credo che stia cercando di osannare le qualità che mia madre mi aveva donato.


“non saranno mai paragonabili a quelli di sua figlia.”

in tutta risposta la ragazza lascia cadere nel thè un biscotto, facendone uscire un po' per terra, con gli occhi sbarrati verso il vuoto.


“sono d’accordo”

mi sorride, compiaciuta e soddisfatta. A quanto pare la storia dell’incidente deve essersela lasciata alle spalle. Controllo l’orario sull’orologio a pendolo in un angolo della stanza: le 18:30; se voglio sperare di arrivare in orario dovrò darmi una mossa.

“temo che sia ora che io vada”

Rachel tiro un sospiro di sollievo silenzioso e Arella si alza per baciarmi la guancia.

“è stato un piacere averti come ospite; sappi che ci conto sulla cena”

detto questo si allontana verso le finestre che apre per poi uscire sul giardino. “Rachel lo accompagni tu alla porta?”

Senza aspettare una risposta esce. Ci alziamo nello stesso istante e lei mi accompagna lungo il corridoio e poi verso la porta sempre in silenzio.

“è simpatica tua madre”

spezzo il silenzio prima che lei apra la porta

“è molto più di questo”

la porta si apre e supero la soglia per uscire definitivamente dalla casa.

“ci vediamo, allora”

“grazie per avermi accompagnato, anche se nessuno te lo aveva chiesto”

sorrido e scendo i gradini, mentre sento la serratura della porta scattare. Vado verso il cancello, quando Arella sbuca dal nulla e mi fa prendere un infarto.

“grazie per averla accompagnata; dice sempre che preferisce stare da sola, la maggior parte del tempo, ma tende sempre a mentire su questo punto di vista. In realtà la solitudine è la sua più grande paura”

in fondo si sapeva, a nessuno piace stare solo.

“Garfield ho bisogno di chiederti un favore; posso contare su di te?”

“certo Arella, qualsiasi cosa”

gli occhi prima limpidi e felici ora si fanno seri,

“allora ti prego, proteggi Rachel”


 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** salvataggio ***


La paura di morire è quella che ormai si può definire “un rischio del mestiere”. È una delle prime cose che ti vengono insegnate, a non prendere alla leggera nessun compito, non lasciarsi abbindolare dalla semplicità del momento e di restare sempre in guardia. Il rispettare o meno queste regole può fare la differenza dal fallire o dal vincere, dalla morte alla vita. Un buon risultato, dopo l’esperienza, lo ottieni sempre grazie a quanto ti impegni a rispettare certe basi che ti vengono imposte fin da subito.

Stasera non è andata così. Stasera ho deciso di non rispettare le basi e le conseguenze stanno venendo a prendermi. Sicuramente non è la prima volta che vengo inseguita degli scagnozzi delle mie vittime, ma è la prima volta che sono così vicina dal fallire. È stato solo un attimo; un momento di distrazione che mi ha fregato. Doveva essere una cosa da dieci minuti: entri, prendi i documenti ed esci. Non mi sono accorta che nell’uscire avevo lasciato l’ufficio dell’uomo a cui ho rubato quei fogli aperto e le guardie da lì hanno fatto due più due.

Allontanarli sarebbe stato di gran lunga più facile se avessi avuto un mezzo di trasporto, correndo invece sembra quasi di giocare al gatto e al topo: si sa già dall’inizio come finirà. Avrò gia fatto una quarantina di Km, tutti prendendo strade secondarie, passando dai vicoli più bui di Jump, stando lontana dalla strada principale, ma ad ogni bivio me li ritrovo addosso. Sono nascosta dietro ad un cassonetto da dieci minuti, per riprendere fiato, e per studiare un piano; non posso tornare a casa, non con questi tipi alle calcagna e non posso neanche chiedere rinforzi perché nessuno a parte Trevor sa di questa missione, l’unica possibilità è quella di seminarli, ma per farlo ho bisogno di un’auto o meglio di una moto.

Al momento sono incastrata in un rischio del mestiere. Da lontano posso già sentire lo stridulo suono delle gomme sull'asfalto, risvegliando in me la forza di correre, anche se so che non durerà. Inizio a sentire la stanchezza, ma vado avanti.

Esco da sotto il porticato e inizio ad inoltrarmi negli stretti vicoletti della città, aggirandomi cautamente e cercando di far il meno rumore possibile, scalando agilmente le ringhiere e i muretti che mi occupavano il passaggio. Le strade sono deserte e l’unica figura che è ancora in giro è la mia, seguita dagli scagnozzi della mia ultima preda. Corro fino allo svenimento e quando arrivo al limite decido di passare al contrattacco. Mi blocco in mezzo alla strada e carico le pistole; aspetto. Il rumore del motore si fa sempre più vicino finche non mi ritrovo il grosso Suv nero davanti. Un gruppo di cinque uomini scendono dall’auto, seguiti da altri che stavano su macchine diversa. Erano tutti armati fino ai denti e la unica possibilità era quella di fare più datti possibili alle macchine per poi continuare a scappare.
Prima di iniziare chiudo gli occhi e distendo i nervi; rilasso i muscoli, sento i polmoni gonfiarsi per poi contrarsi. I battiti rallentano e mi calmo. La mente lucida si concentra solo su unica cosa che è la sopravvivenza, il resto del mondo non esiste; ci siamo solo io e il nemico. Si azzerano i pensieri, le emozioni, e riesco a percepire ogni movimento del mio corpo. Ora ne ho il pieno controllo

Riapro gli occhi in tempo per vedere un uomo arrivarmi abbastanza vicino; prepara un destro da lanciarmi ma io sono più veloce e mi abbasso, per poi colpirlo dritto alla bocca dello stomaco, si piega in due per poi cadere a terra. Altri due uomini mi raggiungono e con due calci concatenati li faccio cadere a terra per la forte botta alla testa. Non è sempre necessario dare dei colpi foti, basta beccare il punto giusto, come le orecchie. Un colpo ben assestato verso il timpano è in grado di tramortire un uomo del loro peso senza il minimo sforzo. Un altro mi viene incontro, ma proprio mentre mi sta per tirare un pugno gli afferro la mano per con rompergli l’avambraccio storcendolo. Sento con chiarezza ogni osso spezzarsi, ogni muscolo piegarsi, ogni nervo stringersi dei miei avversari, mentre con assoluta calma continuo a combattere


Vado avanti così per minuti, che mi sembrano ore e sento la stanchezza impossessarsi del mio corpo, nonostante la forte scarica d'adrenalina di prima;ora però noto alcune guardie tirare fuori le pistole, rendendo la faccenda molto più difficile. Inizialmente riesco ad evitare le prime pallottole, ma i colpi si fanno sempre più veloci e più precisi, facendomi rischiare più volte di essere beccata. Riesco a disarmare solo un paio di uomini, quando uno mi becca di striscio la spalla, provocandomi un dolore lancinante in tutto il braccio. Porto la mano sulla ferita insanguinata per poi fissare con odio colui che mi ha colpito, facendolo rabbrividire.

Tiro allora fuori anche io le armi, ma invece di puntare ai miei avversari miro alle gomme delle macchine, riuscendo a sgonfiarne la maggior parte, ma non tutte. Cercare di difendermi e allo stesso tempo mirare richiede uno sforzo immane. Quando sento che le munizioni sono finite non so più che inventarmi; sono stanca, ferita e circondata dal nemico; sento l'adrenalina consumarsi nelle vene lasciandomi priva di energie. La stanchezza arriva tutta di colpo, senza alcun preavviso. Ho le gambe che tremano per tentare di sostenere il peso del mio corpo. Le immagini si fanno sfocate e nella mia mente sento la paura di pochi minuti fà tornare ad annebbiarmi il cervello.

Ho ormai perso la speranza quando vedo una forte luce accecarmi ed avvicinarsi sempre di più, accompagnata da un rombo selvaggio.

Il fanale di una moto sportiva sfreccia a tutta velocità verso di me, mentre gli scimmioni tentano di sparare alle gomme del mezzo, ma con scarsi risultati; questi all’ultimo si scansano evitare di essere investiti, facendo così arrivare il mezzo vicino a me. Neanche il tempo di reagire che vedo il guidatore tendere il braccio, prendendomi di peso e caricarmi sulla moto, partendo a tutto gas, allontanandoci così dal luogo dell’azzuffata, lasciando gli scagnozzi con sguardi un po’ confusi.

Accade tutto così velocemente che non ho il tempo di ragionare. Un attimo fa ero di fronte alla fine e ora sono attaccata ad uno sconosciuto che va oltre i 100 Km/h; decido di sfruttare la situazione a mio vantaggio e quando vedo che siamo abbastanza lontani prendo il conducente per il casco e lo trascino con me giù dalla moto.

Appena caduti a terra, mentre anche la moto cade trascinandosi per un pezzo, io parto di corsa all’attacco. Il conducente a terra alza a fatica, ma appena mi vede correre verso di lui inizia a dimenarsi come un pazzo mentre prova a togliersi il casco. Non lasciandogli neanche il tempo di respirare gli salto addosso, colpendolo con una ginocchiata allo stomaco. Cade a terra, di nuovo, per il dolore. Sto per attaccare di nuovo ma lui con un gemito riesci a togliersi quell’oggetto infernale rivelando la sua vera identità. Al che mi blocco completamente, perché se spera che dopo averlo riconosciuto io abbia cambiato idea sull’ucciderlo si sbaglia di grosso.

Capelli biondi, occhi azzurri, una faccia da scemo; sembra un déja vu.: Garfield, straziato a terra che impreca contro il mondo e contro di me.
“Dannazione Rachel se non ti piace andare in moto bastava dirlo. Dio santo che male! Ma che hai al posto del ginocchio?!”

dopo la sorpresa iniziale mi riprendo e mi rendo veramente conto di cosa è appena successo;


“dannazione a te piuttosto, che diamine stavi facendo?”

Mi guarda sbigottito, come se avesse fatto la cosa più bella del mondo. Crede davvero che buttarsi in mezzo ad una rissa sia stata una genialata?


“ti salvavo la vita?!”

prova ad alzarsi premendo le mani sulla bocca dello stomaco.


“avevo tutto sotto controllo, non avevo bisogno di questo tuo intervento così sprovveduto”

Falso; se non fosse stato per lui probabilmente ora sarei morta, ma non posso di certo incoraggiare questi comportamenti.


“fammi capire ti salvo da morte certa, e come ringraziamento mi sfasci la moto e mi distruggi lo stomaco?!”


“ti ho detto che non avevo bisogno di aiuto e poi uno che ti trascina di peso per farti salire sulla sua sfrecciante moto, non mi sembra proprio un tipo affidabile”

ora il suo strazio aumenta, come il suo volume della voce.


“ti ho salvato la vita, MALEDIZIONE!!”

sospiro l’aria e improvvisamente mi sembra difficile restare in piedi. La vista mi si appanna e il respiro diventa corto; sento un forte bruciore lungo la spalla dove mi hanno colpito e vedo un’ampia pozza di sangue. A quanto pare la ferita è più profonda di quanto immaginavo. Le palpebre diventano pesanti, ma devo restare sveglia.


“ehy tutto ok?”

resta sveglia, resta sveglia! Penso solo a questo mentre Gar mi si avvicina cercando di capire cosa avessi. Istintivamente mi copro la ferita con la mano, ma questo mi provoca una fitta lancinante.

“oddio, ma ti hanno ferita.”


“acuta osservazione”

mi guarda con rimprovero mentre mi prende il braccio con delicatezza per guardare la ferita; sembra che stia per vomitare.

“non c’è nulla da scherzare, devo portarti in ospedale”

colgo le ultime forze che mi restano per fermarlo; l’ospedale è l’ultimo luogo dove dobbiamo andare. È proprio lì che gli uomini di prima verranno a cercarmi e inoltre i dottori vedendo le mie condizioni faranno due più due e chiameranno la polizia che a sua volta cercherà mio padre.

“l’ospedale No!niente ospedale e niente dottori!”

 

mi guarda confuso mentre cerca qualcosa per fasciarmi la ferita. Nonostante la delicatezza che usa la mia debolezza mi porta a sentire dolore comunque. Presto sverrò per via del sangue e della stanchezza quindi devo essere molto chiara.

“d’accordo, basta che non ti agiti”

provo a parlare, ma le parole restano bloccate in gola; Garfield se ne accorge e inizia preoccuparsi di più.

“ehi Rachel! Non provare a chiudere gli occhi mi hai capito?!”

non ce la faccio più; devo chiudere gli occhi, il mio corpo si sta imponendo e invece che figure nitide vedo chiazze sbiadite sempre più scure, più inesistenti

“resta sveglia; continua a parlare!”


mi dà due o tre schiaffi sulla guancia per farmi restare sveglia, ma ormai sono già andata. l’idea di poter dormire mi alletta molto e cedo alla tentazione ormai inebriata da quella sensazione di vuoto che si sta creando nella mia testa. Niente più pensieri, niente più preoccupazioni, solo il vuoto buio in cui sta scivolando.
Sono ormai addormentata, quando sento due braccia prendermi e mettermi in sella sulla moto;


 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** a quanto pare abbiamo entrambi problemi di insonnia ***


A rialzarmi dalle tenebre sarà stato quel forte dolore alla spalla; un bruciore lancinante che più prendevo coscienza, più aumentava. Non avevo ancora le forze per aprire gli occhi; Non capisco che cosa succede finche non ridevo le immagini della mia ultima missione, passarmi davanti tutte insieme. La leggerezza della testa sparisce, vendendo rimpiazzata da un forte dolore. Sento l’oscurità che ancora mi circonda e la paura che mi congela il sangue nelle vene, come mai l'ho sentita prima d'ora. è così vicina a me che posso sentirne il pungente odore e il pesante fiato sul collo; così vicina che posso vederne gli occhi vuoti e freddi, posso leggerne l'espressione, ma non ha volto. come si può vedere il viso di un concetto astratto?

Poi una mano calda mi si posa sulla fronte e il buio svanisce; la paura svanisce, tutto diventa bianco e puro, resta solo il dolore alla spalla.

Sento odori diversi, rumori diversi da quelli che di solito sono a casa mia; c’è muffa e chiusa che aromatizzano la stanza dove sono e il fruscio dell’acqua che fa quasi da sottofondo insieme ad una voce, forse proveniente da una televisione o una radio. Poi c’èra freddo; un viscido e lento senso di smarrimento era l’ultima confermo che non ero a casa mia. Iniziai a respirare con più enfasi e lentamente le palpebre decisero ascoltarmi e no non ero di certo a casa mia.

Le immagini non sono subito limpide,ci metto un po' a capire che la grossa chiazza marrone davanti a me è semplicemente un soffitto in legno mal tenuto. Provo ad alzarmi, ma mi vuovo troppo velocemente e il dolore alla spalla aumenta; mi giro a fissarla e noto che è accuratamente fasciata con delle bende, prima sicuramente bianche, ma che si stvano lentamente colorando. Mi porto una mano sulla ferita e mi alzo con calma per poi sedermi sul materasso su cui qualcuno mi aveva sistemata; metto a fuoco l’angusta stanza in cui mi tro e la coperta verde pisello con avevo dormito e a quanto pare l’unica cosa che copriva la parte superiore del mio corpo a parte il reggiseno di pizzo nero. Ora ci credo che morivo di freddo!
Trovo una maglia ai piedi del letto, la indosso velocemente e dopo vari sforzi riesco ad alzarmi dal letto ancora con la testa che mi gira. Mi guardo un po’ intorno: la casa era davvero disordinata, con sedie usate al posto dell’armadio e un cucina zeppa di cartoni per pizza di chissà quanto tempo. Il pavimento in palchè risulta tappezzato da un'incredibile vastita di rumenta, tra cui cartacce, lattine, indumenti, scarpe, calzini e quella sembra … si un paio di mutande da uomo. Non mi stupirei di trovare anche un essere vivente qui sotto.

Da quello che vedo mi trovo in quello che potrebbe essere un monolocale o un magazzino, dipende dai punti di vista; vicino al letto in cui ero c’è a pochi passi quella disgustosa cucina divise solo da una porta e un muretto su cui si poggia un divanetto a due posti nero posto davanti alla t.v, forse troppo vicino, sostenuta da un piccolo mobile che conserva anche varie custodie di videogiochi, mentre due joystick sono poggiati ai piedi del mobiletto. Mi sento quasi oppressa da questo macello, non riesco a vedere tutto questo disordine senza fare nulla quindi inizio a sistemare. Prendo vestiti che possono sembrare puliti e li piego mettendoli sopra il divano. Trovo un saccheto dove infilo tutte le cartacce inutili e così per venti minuti intesi. Alla fine si riesce quantomeno ad intravede la forma della casa reale; questa forma di fissazione per l’ordine è più forte di me, ma quanto meno evito di vivere nello schifo in cui vive chi abita qui.

In effetti, chi precisamente abita qui? E qui dove?

Neanche il tempo di provare a rispondermi che si apre una porta alle mie spalle, una di quelle che non avevo neanche notato ed oltre ad uscire un po' di vapore vedo anche un poderoso e ben delineato corpo maschile uscire da quello che sarà un bagno. Corpo, fortunatamente coperto nei punti giusti da un misero asciugamano bianco che il ragazzo tiene con una mano, mentre con l’altra se ne passa un’altro sui capelli biondi.

No; vi prego non ditemi che-

“oddio!”

Esordisce terrorizzato Garfield. Esatto sto guardando gli addominali incredibilmente seducenti dell’ultima persona che non mi sarei mai aspettata di beccare.

“Rachel mi hai fatto prendere un colpo, per la seconda volta inoltre”

alza gli occhi Rachel, cerca almeno di fissarlo negli occhi. Cerco di ricompormi. Improvvisamente mi ricordo del salvataggio di Garfield; io che lo butto giù dalla moto e le sue parole preoccupate e le goccioline d’acqua continuano a scendere lungo le spalle… concentrati cacchio!
 Sento le guance bruciare quando alza lo sguardo, capendo di essere osservato, assumendo anch’egli un’espressione imbarazzata.

“a quanto pare” biascico qualche parola, forse incomprensibili e uso tutto le forsìze che ho per guardarlo in faccia.

“come ti senti?; stanotte avevi la febbre alta. Hai perso più sangue del previsto”

Mi si avvicina e mi porta una mano sulla fronte, aumentando ancora di più il mio rossore.
“starei sicuramente meglio se ti mettessi qualcosa addosso!”

Ora assume la sua solita faccia da conquista e cerca di pavoneggiarsi ancora di più; in effetti da parte mia potrei anche evitare di dargli corda.

“sono sicuro che a farti sentire meglio sia il fatto che sia mezzo nudo; dai ammettilo che non sono proprio male” dice con sguardo malizioso. Mi viene da tirargli un pugno quando fa così.

“a meno che tu non voglia un’altra ginocchiata sullo stomaco, ti consiglio di  fare come ti ho detto.”
“ecco! sull’argomento delle botte che mi hai tirato ieri, vorrei proprio riparlarne”
Detto questo torna in bagno, e io rimango sola con quel casino di casa e acora il suo fisico scolpito, impresso nella mente.


-

-

-


Lo sempre detto che la palestra aiuta per conquistare le signore, ma con Rachel ero convinto che non bastasse un bel fisico per stupirla e invece … a quanto pare non è tutta ferro e ghiaccio, anche lei soffre delle debolezze umane come la tentazione carnale .

Mi stava letteralmente sbranando con gli occhi e fare finta di non essermene accorto è straziante. Potrei anche decidere di restare così e punzecchiarla ancora un po', ma nelle condizioni in cui si trova non vorrei che diventasse più aggressiva del solito.

Almeno ora so che sta bene, ieri mi ha fatto prendere un bello spavento, soprattutto dopo che ha perso i sensi. Ho fatto la prima cosa che mi è venuta in mente e l’ho caricata in moto per portarla da me.
Esco dal bagno e la trovo seduta sul letto, rifatto;
“non eri costretta a rifare il letto ci avrei pensato io”

Mi rimetto la maglia, dopo aver già infilato i pantaloni per poi andare verso di lei. Oltre al letto sembra che mi abbia rimesso a posto la stanza.
“si tratta più che altro di abitudine e poi questa casa è già un tale casino”

Faccio finta di non aver sentito; in questo casino alla fine mi ci trovo bene, mi sento a mio agio e poi non ho mai veramente tempo per mettere in ordine. Sicuramente il mio tempo libero non lo passo a riordinare. Vado verso la cucina, anche questa riordinata e liberata da tutti i rimasugli delle mie ultime cene.


“vuoi qualcosa in particolare per colazione; abbiamo del latte, biscotti e cereali e ti consiglio di approfittarne, non vorrei mai vederti svenirmi di nuovo tra le braccia.”


La vedo sgranare gli occhi, probabilmente solo ora si è ricordata di ciò che è successo la notte scorsa. Mi raggiunge in cucina, ancora accigliata, ma mi diverte un sacco vedere come si arrabbia facilmente.


“ va bene un caffè. Perché mi hai portato qui?”

“ci trovavamo più vicino a casa mia che da te. Dopo quello che era successo, volevo raggiungere più in fretta possibile un luogo dove medicarti quella ferita.”


Metto la caffettiera sul fuoco e mi giro verso lei.


“ cosa ci facevi in giro a quell’ora” mi chiede

rivivo per un attimo quello che era successo la sera prima, ma decido di restare sul vago.
“non riuscivo a dormire e di solito, quando succede, faccio un giro in moto; quando ti ho visto in mezzo alla strada, ho fatto la prima cosa che mi è venuta in mente.”


Mi tornano ancora alla testa l’incubo della notte precedente, rivedendo la morte dei miei genitori;le loro urla disperate, il buio della mia camera, una barca esplodere per poi lasciare un grande vuoto, in me e in quel mare. Scaccio questi pensieri e torno a concentrarmi sulla realtà.


“ e poi questa domanda la dovrei fare io a te”


“stavo facendo anche io un giro; quel gruppo di uomini mi ha seguito per tutta la via. Quando mi sono stufata, hanno reagito male e bhe … il resto lo sai. Mi sono stupita anche io che avessero con loro delle pistole”


“degli stolker di prima categoria; dovremmo avvertire la polizia”
“Non ce ne è bisogno; io sto bene e non avrebbe nessun senso avvertire la polizia se non sono neanche riuscita a vederli in faccia”
per quanto non mi piaccia l’idea che quei farabutti siano ancora a piede libero per la città non vorrei crearle dei problemi agendo di testa mia; eppure dovrebbe essere lei la prima a volerli dietro le sbarre. Oppure non me la racconta giusta, ma diciamocelo: quando racconta tutta la verita?
Sento intanto che il caffè è pronto e lo servo su due tazze, di cui una la porgo alla mia ospite, sedendomi vicino a lei.


“quindi in conclusine, ora sappiamo che entrambi abbiamo seri problemi di insonnia.”
Cerco di sdrammatizzare un po’ la situazione, con il mio banale umorismo, che sembra però risvegliarla

“spiritoso”

dopo qualche secondo di silenzio vedo che le sue gote stanno iniziando ad arrossarsi; lì per lì avevo il timore che le stesse tornando la febbre, ma non era possibile, non così da un momento all’altro. Credo che mi siano avanzate delle altre aspirine, ma se ieri è stato un casino convincerla a portarla qui, convincerla a curarci sarà ancora più dura.

“senti un po' invece”

il rossore aumenta e sembra molto indecisa se tacere o continuare la frase.

“perché quando mi sono svegliata ero senza maglietta?”

oh accidenti. Ecco cosa mi ero scordato di fare.

Quando siamo arrivati da me la prima cosa che sapevo di dover fare era di fasciarle quella brutta ferita; il problema si pose solo quando mi resi conto di quello che avrei dovuto fare. Oltre ad improvvisarmi esperto medico da pronto soccorso dovevo anche fingere che non mi importava di cosa c’ era sotto la maglietta di Rachel Roth. Lo ammetto sono un maniaco schifoso che non ha rispetto della privacy altura, ma chiunque, ed evidenzio chiunque, nella mia situazione avrebbe dato una sbirciatina. Ovviamente al momento mi premeva di più evitare che morisse dissanguata, ma non mi dispiacerebbe avere la possibilità di toglierle i vestiti, magari in un contesto un po' più floreo.

“ah, ecco vedi questa è una storia un po' bizzarra ...”

per via dello stress e della terrificante sensazione di morte che trasudava la ragazza da ogni poro, mi viene in gola una risatina sfrenetica che non mi aiuta ad uscire da quella situazione, a dir poco, imbarazzante

“Garfield Marck Logan!”

tra poco mi soffoco con l’ultimo sorso di caffè per lo spavento e decido di arrendermi.

“e va bene, va bene! Eri ferita e per fasciarti ho dovuto togliertela io, ma giuro che non ho visto niente!”

alzo le mani per farmi da scudo verso l’ira funesta della mora, ma non basta a proteggere la mia povera tazza, stata scaraventata violentemente conto il muro facendo un pelo al mio viso. Inutile dire che da lì partì il panico più assoluto.

“tu cosa?!”

si alza con violenza dalla sedia e i suoi occhi sembrano prendere fuoco. I pugni stretti lungo i fianchi mi fanno intendere che se non voglio uno di quelli in faccia mi conviene trovare qualcosa di geniale come solo io so fare per scamparla. Al momento la scelta migliore mi sembrava la fuga.

“ti ho detto che non ho visto niente o almeno ci ho provato!”
questa era l’ultima cosa che dovevo fare; la mia idea era quella di allontanarla il più possibile della cucina: troppi oggetti acuminati, troppi pericoli. l’ultima frase che la mia bocca si è lasciata sfuggire (grazie a proposito), sarà la mia condanna con o senza coltelli nella sua mano.

Inizia quindi una corsa frenetica che avrà vita breve dato che abito in un mono locale. Mela cavo con qualche salto sul divano o qualche scivolata alla parkur, ma ho la ragazza alle costole. Come cacchi fa ad essere così vispa dopo che è stata colpita da un proiettile?!

Dopo il quinto giro del tavolo, mi fermo con in mente un’idea per calmarla o quanto meno sperare che me la dia vinta. In un attimo di coraggio mi blocco e mi giro verso quella specie di predatore spietato e la afferro per i polsi; poi con tutta la forza che ho riesco a placcarla e a lanciarla nel letto di fianco per poi seguirla a ruota nella caduta s


“tu vuoi veramente morire oggi!”

“ci vuole un po' di calore umano per calmare gli animi”

Inutile dire che non sembra d’accordo; con una velocità incredibile e senza che me ne accorga, riesce a scambiare le posizioni: io passo con la schiena schiacciata contro il materasso, mentre lei sta sopra di me.

“vedo che siamo intraprendenti”

dico per farle capire quanto equivoca può sembrare questo momento, ma sembra non darne conto; un sorriso maligno continua a farsi strada sul suo volto. È così sbagliato che questa situazione mi stia piacendo?

“io non mi metterei a scherzare ora che sono così vicina a punti … compromettenti”

io dico, prima se la prende perché per salvarla le ho dovuto togliere la maglietta e ora mi fa queste scene qua. È il controsenso più bello che abbia mai visto.
Le sorrido beffardo a vicenda e mi rendo conto ora che in questo mento la vedo rilassata, quasi calma. Come se per qualche istante i suoi mille scudi siano calati per darle un attimo di tregua e mi sembra di scorgere la vera Rachel: quella persona un po' ottusa che fors, sebbene lo disgusti così tanto, ha bisogno di un po' di affetto. Ne rimango affascinato.
Una creatura così bella, così misteriosa la si può ammirare davvero solo da vicino. È come guardare un quadro: solo dopo che ti avvicini abbastanza sei in grado di notare dettagli che prima ti sfuggivano; sfumature di colore, pennellate morbide, linee di una precisione tale da far paura e solo lì ti rendi conto di quanto quel quadro comunichi in realtà. A nessuno piace la Gioconda se la osserva per cinque secondi.

Appena si rende conto della serietà che stava prendendo quel momento, ritorna tutto come prima: lei distaccata si toglie e va in giro per la casa a cercare le sue cose forse. Io sbuffo senza motivo per poi alzarmi e aiutarla.

“vai già via?”
le passo le scarpe e la giacca che avevo posato vicino alla porta la notte prima.

“al contrario di te ho delle cose da fare”

le sorrido e osservo mentre si sistema per tornare a casa. Che sfacciata, non ringrazia neanche per l’aiuto.


“anche io sono un tipo impegnato sai? Secondo te come lo guadagno da vivere?”

 

“me lo chiedevo anche io”


L’accompagno verso la porta, ma prima di uscire prendo le chiavi della moto.


“cosa ti servono le chiavi?”


“dopo ieri quei tipi potrebbero essere ancora in giro, forse a cercarti, voglio solo essere prudente”


“non ho bisogno di aiuto me la so cavare bene anche da sola”


Assume un’espressione infastidita, orgogliosa. Come al solito vuole fare tutto da sola, ma la frego subito sul nascere; non ho intenzione di rischiare.


“già, l’hai detto anche ieri, prima di svenire”


Ora la sua faccia muta diventando quasi imbarazzata.


“Sali e non fare storie”
Le porgo uno dei due caschi, che prende a malavoglia, ormai sconfitta e fa come le ho detto.
Faccio partire la mia amata moto e sfreccio a tutta velocità verso casa sua. Passa un quarto d’ora di silenzio e arriviamo davanti all’immensa villa. Davanti alla porta vedo uscire Arella che corre ad abbracciare la figlia.
“Rachel mi hai fatto prendere un bello spavento; come stai?”

la ragazza, sebbene infastidita da tutte quelle moine si lascia accogliere dalla donna che non vedeva altro che lei.


“tutto bene mamma, ora puoi lasciarmi.”


tenta di staccarsi dallo stritolamento della madre, che in ansia lascia andare sua figlia per controllare che stia bene.


“ieri notte Gar mi ha chiamato e mi ha detto tutto, chiameremo subito la polizia non ti preoccupare.”

anche ora sembra avere la stessa reazione quando glielo avevo detto io, ma più tranquilla.
“non è necessario mamma, sto bene”
“se non fosse arrivato Garfield non oso immaginare cosa sarebbe potuto accadere. Ti ha anche medicato e ha insistito per farti stare da lui, perchè non voleva svegliarti.”


Questo particolare se lo poteva anche risparmiare. Questa donna parla davvero troppo.
“lo so mamma”
Penso che l’unica cosa che voglia Rachel ora sia andarsene a casa; forse è il caso che tolga il disturbo.


“se non le dispiace io ora andrei, ho delle commissioni da fare”
Arella si gira guardandomi con il sorriso che ha sempre sulle labbra. Mi chiedo se, quando sorrida, Rachel sia così bella come sua madre.


“certo Gar, non potrò mai ringraziarti abbastanza. Ti prego, se hai bisogno di qualcosa non esitare a chiedere”
“lo farò grazie.”


Mi rimetto il casco ,ma quando sto per partire vedo Arella avvicinarsi.


“mi sono ricordata ora che tra una settimane è il 18esimo compleanno di Rachel e io e suo padre pensavamo di organizzare una specie di ballo galante per festeggiare, ma dato che mio marito inviterà un sacco di colleghi di lavoro, temo che lei si annoierà da morire;potresti venire a tenerle compagnia, che ne dici?”


Tra me e Rachel non saprei dire chi sia il più stupito. Lei non sembrava neanche essere a conoscenze di questo “ballo”. Poi ci sono io che sono scioccato del fatto che stia invitando me e non, che ne so … Kori!
“più che a me lo dovrebbe chiedere a Rachel, non so se le possa far piacere la mia compagnia”
“sono d’accordo con lui per una volta”


Sentenziò la mora.


“sono certa che lei gradirà molto, ma per sicurezza inviterò anche gli altri del gruppo di teatro.”


Sembra molto orgogliosa della sua idea.


“mamma non ce n’è bisogno, non so se a mio padre potrà far piacere la loro compagnia.”


“Rachel non preoccuparti, con lui ne ho già parlato e mi ha detto che farà il bravo.”
Questa parte di conversazione, non l’ho ancora ben afferrata.
“ho solo bisogno della sua conferma”
Questa volta si volta verso di me con occhi speranzosi; non posso e non voglio rifiutare, l’unico impiccio è il volere di Rachel, non vorrei mai costringerla a sopportarmi anche fuori scuola. La molesto già abbastanza, ma sua madre sembra essere davvero disperata.


“sarei molto felice di venire, ovviamente con il permesso di Rachel.”
Come risposta ricevo un suo sguardo serio, e lei che si volta per entrare in casa. Io e Arella rimaniamo a fissarla, finchè non scompare dietro la soglia della porta.


“scusala Gar, posso assicurarti che non lo fa per te.”
Vedo sua madre guardarmi tristemente, con lo sguardo fisso a terra.

 

“per chi allora?”

 

Se davvero non sono io il problema, chi è? E perché la fa essere così sopratutto? Non le fa bene essere così chiusa e così distante, in particolare se ad esserlo è qualcuno che, in fondo, vuole davvero sentirsi apprezzata

“devi aspettare che sia lei a dirtelo. Non posso impicciarmi in affari non miei; quando sarà il momento, ti prego però di non scappare. Lei ha bisogno di te.”


Detto questo corre per rientrare in casa lasciandomi alquanto confuso. Mi rimetto il casco e accendo il motore, per poi partire a tutta velocità, dirigendomi verso casa. Si vede che quella famiglia nasconde qualcosa di grosso ed estremamente doloroso, ma magari riuscirò a farmi dire qualcosa da Arella; sicuramente sarebbe più propensa a parlare di sua figlia, ma forse dovrei solo lasciare perdere e andare avanti, dovrei allontanarmi da quella ragazza e i suoi problemi. Ne ho già di miei di problemi a cui pensare.

Eppure credo che mi sarà impossibile, perché sembra che tra me e quella ragazza si sia attivato un potente magnete.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** il corvo ***


in questa casa sembra essersi improvvisamente dimenticati chi tra tutti stia per compiere diciotto anni: altrimenti non mi spiego come la festeggiata stessa non avesse idea di questo “ballo”. Sono certa che oltre ad esserci lo zampino di mia madre c’è anche mio padre dietro a quesa storia; lui e questo suo impellente desiderio di mostrare al mondo esterno o meglio, ai suoi collaboratori, di quanto la vita possa sembrare una favola di fianco a lui. Questa faccenda non sarà altro che un’altro suo assurdo gioco per usarci come garanzia, di nuovo.

Appena mi sistemai decisi di andare subito a dare un taglio a questa faccenda. Non gli permetterò di usare il mio compleanno come mezzo per arricchirsi ancora, perché questa sicuramente si trasformerà in una festa da affari, dove la cosa più eclatante sarebbe trovare qualcuno che non menta per dieci secondi.

L’ufficio di mio padre si trova in un’area riservata della casa dove solo pochi domestici ed io possiamo accedere. Neanche arella può scendere qui e credo che Trevor lo abbia fatto principalmente per togliersi dai piedi una seccatura almeno durante metà della giornata. Se non è lì allora è in città o in viaggio d’affari, ma starà aspettando il mio rapporto. Non so come possa prenderlo questo mio enorme ritardo, ma sarà il meno. La cosa più dura saranno le sue urla per essermi fatta beccare in un modo così stupido. Salgo le scale e percorro il lungo corridoio che mi porta davanti alla porta color rosso velluto. Busso alla porta e quando, ma apro solo quando sento il consenso; la stanza è praticamente buia, come al solito, illuminata solo dalla finestra a parete che da sul cancello principale. La fioca luce del sole coperto da nuvole minacciose è la sola che mi permette di intravedere la sagoma robusta dell’uomo.

 

“sembra simpatico il tuo amico Rachel; chi è?”

 

“nessuno di importante.”


Lentamente si gira per guardarmi. Il suo sguardo, pungente come al solito, si posa su di me, ipnotizzandomi e costringendomi a guardarlo. nonostante fosse davanti alla finestra è avvolto da una lugubre ombra che mi impedisce di vedergli il viso, ma posso intuire il falso sorriso dolce. La postura ritta e grossa sono un ottimo mezzo che spesso usa per intimorire la gente e funziona. O visto uomini potenti cadere a quei pochi centimetri di differenza, ma che usati bene sono molto utili. I vestiti eleganti, nonostante fosse in casa abbelliscono la sua figura; ogni donna cadrebbe ai suoi piedi, se non sapesse che razza di creatura sia


“sempre protettiva nei confronti dei tuoi amici eh?”


“non ha importanza ora”

Questo argomento è sempre stato molto delicato. L’idea che io abbia degli amici non gli piace per niente perché dice che mi indeboliscono, mi rendono un obbiettivo facile e lui non vorrebbe mai che il suo agente migliore diventi improvvisamente ricattabile. Per lui non dovrei neanche continuare ad andare a scuola, che alla mia istruzione ci penserà lui e che così facendo potrei concentrarmi su cose più importanti, tipo lui.


“io direi di si. Tesoro vuoi forse insinuare, che la tua vita al di fuori del lavoro non è importante per me?”

continua a prendermi in giro, ghignando in modo sinistro. Solo l’idea di essergli così vicino mi porta i brividi. Tra di noi non c’è mai stato un contatto fisico o anche solo una comunicazione normale tra padre e figlia. Solo molta tensione perché entrambi sappiamo che potremmo distruggerci a vicenda e che un solo passo falso potrebbe comportare la rottura degli accordi. Accordi che abbiamo stipulato silenziosamente con sguardi, gesti, avvenimenti. Uno di questi è che lui deve stare fuori dalla mia vita e che io non devo fare domande e attenermi ai piani. Mentre altre famiglie combattono contro altri problemi io il problema lo affronto proprio nella mia famiglia, perchè mentre gli altri bambini temevano l’arrivo dei mostri celati dall’oscurità della loro stanza, io temevo l’arrivo di mio padre e le urla di mia madre. Ho odiato quest’uomo sin dall’inizio della mia vita e lo stesso vale per lui. Non mi ha mai vista crescere; c’era solo per rimproverarmi o per vedermi fallire e deridermi. Ricordo ancora benissimo il giorno che ha segnato l’inizio di una vita impiegata nel continuo addestramento; avevo quattro anni all’epoca.

 

“come mai non sei tornata stanotte?”


“c’è stato un problema, a quanto pare avevano dei sospetti e appena mi hanno beccata non hanno esitato ad attaccare, non mi hanno chiesto nullo solo volevano che svanissi. La mia copertura è ovviamente saltata”


getto i documenti che mi aveva chiesto la sera prima sulla sua scrivania in modo disordinato. Un ex alleato della famiglia di mio padre aveva iniziato ad arricchirsi in un modo spropositato, tanche che avrebbe sicuramente creato dei sospetti e presto qualcuno sarebbe venuto ad indagare. Il mio compito era quello di trovare tutte le prove che potevano ricondurre a noi e creare in qualche modo l’inizio delle indagini. Ovviamente mi ero lavorata questo uomo una settimana prima, infatti casualmente questo uomo aveva perso la sua segretaria di fiducia e sempre casualmente aveva bisogno urgentemente di qualcuno che l’ho aiuti nei suoi vare spostamenti di denaro. Io avevo il compito di passare inosservata per una settimana e poi partire all’azione, ma a quanto pare questi erano meno stupidi di quello che immaginavo.

 

“perchè non sei tornata subito qui?”

non una domanda su come sto, non mi chiede neanche cosa sia successo; solo perché non ho rispettato le tempistiche? Sicuramente questa situazione lo aveva agitato parecchio; mai come in questi tempi eravamo stati vicini a un rischio tale e solo perché un cretino aveva intenzione di aspettare.

 “sono stata ferita e sono svenuta. Quel ragazzo mi ha medicato e mi ha fatto restare da lui.”

Poggia gli occhi sui fogli sulla scrivania e inizia a leggerli portandosi gli occhiali da vista sul naso. Li analizza per qualche minuto mentre io resto ferma davanti a lui, in piedi, aspettando il verdetto. Con un sorriso soddisfatto alza lo sguardo su me. Ovviamente ero riuscita nell’obbiettivo finale e lui saprà già come risolvere con la denuncia di furto che mi arriverà, ma se andasse tutto bene mi avrebbe già fatto andare via.


“Rachel spero che tu ti ricorda i miei insegnamenti su quanto gli affetti non giovino nel tuo di lavoro.”

“si me ne ricordo. I sentimenti ti fanno diventare soggettivo ed essere soggettivo porta  a non ragionare con oggettività e ciò porta al fallimento o, nel mio caso, alla morte.”

Recito quel mantra ormai a memoria, per via di tutte le volte che me lo ha fatto ripetere


“molto bene; allora perché ti ostini a farti del male non rispettando questo codice?”

“non capisco dove tu voglia arrivare”

“invece io credo proprio di si”

Le sue due pozze nere mi scrutano con rabbia, cercando di darsi una risposta da sola, cercando di capire cosa pensi e perche mi ostini a lottare contro di lui.


“davvero credi che non mi sia accorto della tua recente vita sociale, credi davvero che in questo momento io non sappia del corso di teatro e dell’ospite che abbiamo avuto la settimana scorsa? ”


La risposta era molto facile: certo che sapeva di loro, sapeva del mio reddito scolastico, degli insegnanti che avevo, come mi muovevo e cosa mangiavo a pranzo perfino, ma se c’è stato un momento in cui sono stata felice di essere sua figlia è stato quando sono riuscita a nascondere l’identità degli altri. Avevo i mezzi, le fonti e l’opportunità così quando ha iniziato ad insospettirsi li ho cancellati dal mondo e grazie all’amicizia e la comprensione della preside, anche dalla scuola.


“non ho intenzione di cambiare la mia vita per stare dietro ai tuoi servigi”


“forse ti sei dimenticata a cosa servano questi servigi”


stringo i denti per evitare di alzare la voce“non ho affatto dimenticato. Come potrei dimenticare ciò che faresti a mia madre. E tu invece? Tu hai dimenticato a cosa ti servo invece io?Non sono come quei deficienti delle tue guardie, io ho talento, come dici tu, ad ingannare le persone e nel tuo campo, questa dote è oro. Mi hai addestrata sin da da bambina a sottostare ai tuoi ordini e a seguire tutte le lezioni che mi imponevi, per diventare un giorno utile al tuo scopo. Uno scopo che sinceramente non capisco. Tu hai già potere e denaro, cosa ti serve ancora? Perche continui a macchiarmi le mani di sangue altrui?”

Ora sta apertamente sorridendo e la voglia di saltargli addosso sale, fino a toccare le stelle. Gli farei patire le pene dell’inferno se solo potessi davvero toccarlo o anche solo pensare di potermi avvicinare senza rischiare di cadere in una delle sue trappole.


“non ti ho mai sentita parlare delle tue doti con tanta fierezza. Che ti sia veramente decisa a capire che in questo mondo di ingannatori se non sei tu il predatore finisci preda?”


“e tu ti sei convinto di essere uno di questi, vero?”

Vederlo arrabbiato è una goduria per gli occhi; così funesto e allo stesso tempo così fragile. Quale uomo fa quello che fa lui senza avere una grande debolezza. È buffo che sia stato proprio mio padre a rivelarmelo?

“oh non mi permetterei mai; il vero potere è altro, credimi tesoro. Sicuramente non è quello che hai tu: una ragazzina che non può neanche scegliere come festeggiare il suo compleanno non è forte, è solo succube di se stessa. Raccontare alle persone che è colpa mia se hai fatto quelle cose ti fa sentire meno in colpa? Pensare che se non fosse per me tu vivresti una vita normale? Figlia mia se non fosse per me, tu non saresti neanche nata”

Era partito. Aveva iniziato a parlare a vanvera come quando deve convincere degli acquirenti, colpendo i punti giusti sapeva arrivare dove voleva. È questo quello che gli ha permesso di arrivare dove è ora, sapere dove e chi colpire.

“tu povera, piccola anima dispersa, che non sa più che fare per sfuggire dall’atroce padre che manipola e corrompe le persone per puro divertimento personale. Eppure tesoro, io penso che la gente non veda questo: io, come i tuoi amici segreti, vediamo solo una assassina che si è sporcata le mani perché non è stata in grado di fare le scelte giuste, che mente agli altri, ma soprattutto a se stessa, per tenersi la coscienza pulita. Una ragazza un po' sciocca che crede di star facendo il possibile, ma che tenta di salvare quello che ormai è intoccabile, di domare un demone indomabile. Io vedo una gattina spaventata che ha deciso di tirare fuori gli artigli contro le persone sbagliate solo per evitare di provare quello soffocante e lancinante sensazione di paura”

Scandisce l’ultima parola che mi arriva dritta allo stomaco, con il suo fiato che sapeva di fumo così vicino che sarei stata in grado di specificare anche il tipo di sigarette. Mi mette una mano sulla nuca per poi darmi la botta finale.

“vediamo tutti qualcuno come me”

Sussurra all’orecchio ogni sillaba per assicurarsi che entri in testa, come il vento dell’est pronto a distruggere ogni casa, ogni struttura. Un vento indomabile che strappa via le certezze, le divora per poi sputarle e renderle poltiglia. Perche alla fine è solo questo il miglior strumento, e gli permette di fare quello che vuole.

“basta!”

mi allontano di qualche passo per finire con le spalle al muro e nessuna via d’uscita.

“hai ottenuto quello che volevi, ora lasciami andare”

Si gira e torna verso la scrivania per mettere in una pila ordinata i fogli riposti sopra. Poi si accende un altra sigaretta e dopo un profondo e infinito tiro, butta fuori il fumo che mi arriva fino alle narici.

“vai, e goditi la tua libertà effimera”

Non ribatto neanche. Esco da quella stanza che mi stava soffocando e corro lungo il corridoi, sentendomi ancora il suo fiato addosso e il suo sorriso gelido che mi perseguita. Arrivo alla mia stanza e solo lì, assicurandomi di aver chiuso a chiave la porta, lascio che delle lacrime liberatorie mi solchino il viso, scoprendo solo dopo che queste erano già lì. Mi ero mostrata debole, mi ero inginocchiata al suo cospetto e l’idea di non poter far altro che assecondarlo mi mozza il respiro. Le suo parole sono ancora dentro la mia testa e vagano e come tentacoli si infilano ovunque e voci mi urlano addosso che ha ragione, che è colpa mia. Mi dicono che potevo fare altre mille cose, ma io ho preferito trascinarmi addosso tutti quei cadaveri. Tutto quel sangue.

Era da quando avevo quattro anni che non versavo più neanche una lacrima. Le ho lasciate dentro di me, costringendomi a non piangere nei momenti più disperati. Lo facevo per mia madre; volevo essere in grado di proteggerla diventando forte per lei. Ora però il peso di tutti quegli anni si è fatto sentire e non posso fare a meno di piangere. Sento il loro gusto salato, mentre i polmoni cercano disperatamente l'aria tra un singhiozzo e l'altro. Il peso allo stomaco si fà sempre più opprimente, mentre sento il cuore in gola. Quindi è questo che si prova piangendo; questo continuo senso di dolore, accompagnato da una forte leggerezza alla teta. Più le lacrime scendono più, libera mi sento o più credo di essere

torna alla tua libertà effimera  

Sembra il riassunto della mia vita, breve e falsa.
Resto lì per chissà quanto tempo, finche non vedo il cielo in scurirsi e la notte inoltrarsi. Mi siedo sul balconcino davanti alla finestra con una coperta e guardo le stelle riempire il manto del cielo. Vedo poi una costellazione che mi ha sempre affascinato: le stelle che formano l’immagine di un corvo si alzano in cielo limpide come non mai. Mi ricordo che da piccola aspettavo di spegnere la luce per passare la notte su quel balconcino di legno ad osservare quel magnifico corvo fissarmi e mi immaginavo che qualcuno avesse mandato in cielo quel magnifico uccello per vegliare su di me. In qualche modo mi aiutava a credere che tutto questo abbia un senso, che in qualche modo uno scopo ci sia.

Odi, soffri, piangi e poi, solo poi vivi.

Cullata dalle stelle sento che è il momento di chiudere gli occhi e tornare a far finta che vada tutto bene, che me la caverò.

Mai cose più false mi erano passate per la testa. Fanculo

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** ninne nanne ***



Le lancette girano lentamente, in quel orologio appeso alla parete. I minuti e perfino i secondi sembrano interminabili in quella classe dove ho passato la mia giornata, ma quest’ora di latino sembra davvero interminabile. Neanche i più fedeli amanti della scuola seguono la professoressa, che continua a parlare in una lingua che può facilmente sembrare arabo. La lavagna è ormai tinta di scritte bianche senza alcun senso.
Mi si offusca la vista per l’ennesima volta. Ho le palpebre pesanti e non vedo l’ora di andarmene da qui per poter schiacciare un sonnellino in infermeria, prima che inizi il corso di teatro. Ormai abbiamo già provato tra volte tutto lo spettacolo, ma ci son ancora varie imperfezioni nei dialoghi e nella struttura delle scene che la Arden vuole assolutamente risolvere. Da quello che ho capito alla fine della scuola dovremmo fare una specie di spettacolo per la fine dell’anno.
Ho ormai totalmente perso interesse per la lezione, quando finalmente odo il suono paradisiaco della campanella, che indica la fine delle lezioni. Mi dirigo velocemente in infermeria dove passerò il prossimo quarto d’ora in attesa dell’arrivo degli altri nel teatro della scuola.
I corridoi e le classi sono già totalmente sgomberi e fuori si possono sentire le grida felici degli alunni. Non mi ero ma fermato ad osservare i corridoi vuoti della scuola, ma mi piace la calma che emanato. Tutte le mattine mi chiedo perche ho deciso di continuare la scuola dopo l’incidente dei miei e non di continuare a prendere lezioni a casa. Poi però trovo sempre la risposta: mio zio mi aveva letteralmente rubato la mia parte di eredità. Dannato lui e i suoi avvocati.
Arrivato alla mia meta apro la porta scorrevole. Dentro ovviamente non c’era più nessuno e io ho tutto il tempo per riposarmi tranquillamente. A differenza di quello che credevo i letti che aveva a disposizione la scuola erano incredibilmente comodi. Peccato però che il soffitto bianco lasciava un po’ a desiderare. Se uno invece di dormire qualcuno volesse solo contemplare quella massa bianca si annoierebbe a morte.
Casualmente la voglia di dormire è andata a farsi benedire, forse per aver riportato a galla ricordi poco gradevoli. Alla fine è anche colpa di quei ricordi che non riesco più a dormire la notte. Tutte le volte quando provo a dormire mi risveglio con le lacrime agli occhi, nel cuore della notte, e troppo spaventato per riaddormentarmi passo la notte a girare con la moto fino all’alba.
Pensavo di aver ormai superato il trauma, ma diciamocelo come si fa a dimenticare la morte?
Improvvisamente sento il sonno tornare e mi assopisco, lentamente, fino a cadere completamente nelle mani dei miei incubi.

POV RACHEL
È da tre giorni che non tornavo a scuola dopo quello che era successo. Ho passato le giornate nella palestra di casa mia a picchiare un sacco da pugilato e a fare corse sotto l’alba. Tre giorni di allenamento continuo, per la prima volta per mia pura scelta. Dovevo smaltire tutta la rabbia in qualche modo e sfogarmi picchiando qualcosa che non sia un essere umano mi sembrava l’idea migliore. Poi però è arrivata mia madre con le sue ramanzine sull’ inesistenza della mia vita sociale e sono stata costretta a tornare. Ho tentato di evitare di rincontrare i miei amici per paura di metterli solo in pericolo, ma alla fine non si può scappare dalle proprie responsabilità. Ora so cosa fare; le notti passate sveglia in questi ultimi giorni mi hanno portato consiglio e dedicherò tutta me stessa a proteggere le persone a me care.
Arrivo nell’aula di teatro che ormai sono arrivati già tutti. Il palco già adibito mi fa capire che dovremmo riprovare dalla prima scena. Come di routine Kori mi viene addosso per salutarmi, io la respingo, ma lei continua finche non viene richiamata da Dick. Ormai sono così abituata all’affetto di Kori che non ne posso più fare a meno. Non so se possa esistere al mondo qualcuno che sia capace di odiarla veramente. In fondo lei è capace di farti sorridere anche nei momenti meno opportuni. È così piena di energia che sembra instancabile; per non parlare del suo incredibile talento nella recitazione. È davvero incredibile come una ragazza così vivace possa stare con uno così calmo e serio di Dick, ma alla fine sono sicura che ci sia un lato dolce in quei spettrali occhi azzurri.  
Arrivata verso il palco noto che anche Karen era già arrivata e mi saluta, anche lei, con un affettuoso cenno della mano. I suoi occhi marroni rivelano la grande grinta che non smette mai di mostrare. Tra lei e Victor c’è davvero una grande somiglianza, ma a volte tutta quella forza d’animo li porta ad avere qualche furioso litigio, ma nulla che non possa risolvere Kori con le sue grandi capacità di approccio con le persone.
Sono queste le persone che difenderò sempre con tutta me stessa e non le scambierei per nulla al mondo.
Mi rendo però conto che all’appello manca qualcuno. Manca quella vocina molestante, quei vivaci, ma profondi occhi blu, in grado di far perdere i gangheri ad ogni minima ridicola battuta.
“ qualcuno di voi ha notizie di Garfield?”
Chiede la Arden precedendomi.
“oggi l’ho visto durante la prima ricreazione e mi ha detto che sarebbe venuto, magari qualche professore l’avrà fermato per parlargli, dato che è il periodo dei recuperi.”
Victor sembrava un po’ preoccupato mentre rispondeva alla domanda e anche io non avevo un bel presentimento. Penso di essere diventata un po’ troppo paranoica.
“va bene tanto nelle scene che proveremo oggi non c’è, ma vorrei comunque che si muovesse”
Passano i  minuti ma del biondo ancora nessuna traccia. Sto iniziando a preoccuparmi; Garfield sembrava essersi affezionato al corso anche se non lo dava a vedere, e un professore non si ferma a parlare per più di venti minuti della situazione scolastica di un caso perso come lui. Mi sento abbastanza inutile seduta qui a guardare gli altri provare mentre perfeziono la sceneggiatura.
“è via da un po’ di tempo, non vorrei avesse combinato un altro dei suoi casini, Rachel potresti per favore andare a cercarlo”
Mi chiede la Arden rimettendosi davanti agli occhi gli occhiali; uno dei suoi tanti gesti nervosi.
Annuisco e mi dirigo a passo svelto verso la porta. Appena la varco inizio a correre per tutta la scuola. “ti consiglio di stare attenta ai tuoi amici “ aveva detto mio padre e lui le minacce le mantiene sempre. Dopo qualche giro in corridoi della quale neanche ricordavo l’esistenza, mi avvicino all’infermeria e sento il rumore di un oggetto metallico cadere. Spalanco la porta della bianca stanza, per ritrovare una scatola con dentro dei medicinali per terra. Raccolgo la scatola e faccio un giro di perlustrazione; fino a prova contraria le scatole non volano. Controllo ogni lettino per poi ritrovarmi davanti un Garfield addormentato su uno di essi.
Il braccio destro posato sopra la fronte lasciava intravedere l’espressione impaurita del ragazzo. Lo sento mormorare qualcosa nel sonno, ma riesco a comprendere solo poche parole.
“no … mamma … la barca!!! …  No … !!”
Il dolore che emana la sua voce mi fà sentire così impotente, così distante. Lui sta soffrendo e io non posso farci niente quando mi ero appena ripromessa di impedirlo. Lentamente poggio una mano su quei capelli biondi e morbidi dandogli qualche lieve carezza; mi siedo nella sedia vicino al lettino continuando quel movimento delicato che sembrava aver calmato almeno un po’ gli incubi del ragazzo, che ancora si celavano nella sua testa.
Non so cosa mi prenda ma i lamenti da bambino che rilasciano la bocca di Garfield mi ricordano le notti in bianco passate a controllare mio padre e a consolare Arella. Mi ricordo cosa faceva poi mia madre per farmi addormentare tra le sue braccia: tutte le volte si metteva a cantare la ninna nanna che le aveva dedicato mia nonna.

“dormi piccola anima; dormi senza paura, la vita ti aspetta come una nota sicura. Allevia il dolore e resta lontano, dalle cattive mani dell’incubo profano. Pensa alla luce, pensa alla musica; qui solo quella ti fa sentire unica. Restami accanto e non tremare, attendiamo l’alba arrivare. Se nel buoi non stai bene, sappi che non è lui a farti cadere. Egli ti cela le brutte cose, egli cammina in un prato di rose. Odi le mia parole anima indifesa sogna nel letto,  durante l’attesa. Sogna sempre al buio e fatti aiutare,  pensa ai cavalli in riva al mare. Senti il calore che emana il sole e senti le onde calme e sonore. Si forte piccola anima e non lasciarti sopraffare, perche il buio è sempre lì pronto ad aiutare.”

Le parole mi uscivano dalle labbra senza neanche darmi il tempo di capire che stavo cantando ad alta voce. Vedo però che lo sguardo di Garfield è molto più rilassato ora. Il suo volto da bambino calma anche la mia agitazione e non posso fare a meno di arrossire notando quei lineamenti così belli.  Continuo a giocare con i suoi ciuffi biondi. La sofferenza che deve aver provato alla fine non è tanto diversa dalla mia. I suoi più brutti ricordi lo perseguitano anche nel sonno, senza lasciargli via d’uscita. Eppure lui è felice; lui non è freddo o arrabbiato col mondo. Vive la sua vita consapevole che non possa fare altro.
Ancora immersa in queste riflessione vedo i muscoli del viso irrigidirsi e sento dei mugulii uscire dalla sua bocca, segno che si stava svegliando. Faccio per allontanare la mano quando questa viene afferrata dalla  presa ferrea della mano del ragazzo, riportandosela sulla fronte coperta dai suoi capelli color grano. Con le guance in fiamme tengo il palmo della mano sulla sua testa mente fisso quelle fessure azzurre guardare il soffitto; dovrei allontanarmi ma la sua presa mi da un così forte senso di disperazione che non riesco a seguire la mia volontà.
“è da giorni che non dormivo così a lungo e così tranquillamente. Grazie”
La sua espressione è seria, ma ricca di gratitudine. Ora le sue pupille sono puntate sulle mie e non riesco a distogliere lo sguardo. Sono ormai in trappola.
“immagino che la colpa sia del cibo scaduto nel tuo frigo”
Tento di staccarmi dal suo sguardo, ma continua a fissarmi come se non avesse sentito ciò che ho detto. Che gli sta succedendo? Lo vedo alzarsi dal lettino dell’infermeria per poi sedersi.
“che ore sono?”
“ti dico solo che sei abbastanza in ritardo da far preoccupare la Arden.”
Il mio tono neutro tradisce il vero imbarazzo che sto provando. Che mi abbia sentito cantare?
Appena si rende conto di ciò che gli ho detto spalanca gli occhi e si alza di scatto verso la porta prendendomi per un braccio.
“dannazione Rachel potevi venire a cercarmi prima! ora quella mi fà il mazzo.”
La sua agitazione aumenta e inizia a correre strattonandomi da una parta all’altra della scuola, verso l’aula teatrale.
“trascinarmi da una parte all’altra della scuola non risolverà il problema lo sai vero?”
“lo so, ma farà sentire meno in’ansia me”
Il suo tono sarcastico è quasi impercettibile, coperto dal suono di sottofondo dei nostri piedi che colpiscono velocemente il pavimento marmoreo dell’edificio. Arriviamo davanti alla grande porta verde, ma ci fermiamo prima di entrare per riprendere fiato. Dopo qualche secondo di pausa, vedo Garfield sollevare la mano ed afferrare la maniglia della porta, ma invece di aprire si gira verso di me, avvicinando troppo al mio viso. Il suo volto presenta il suo solito sorriso da deficiente accompagnato da una strana luce nei suoi occhi. Non riesco a trattenere me stessa dall’arrossire mentre lui si prende gioco di me.
“sai che come ninna nanna non è per niente male, soprattutto se sei tu a cantarla”
Detto questo si lancia di scatto verso la mia guancia, posandoci sopra le sue labbra. Senza neanche darmi il tempo di elaborare lo vedo correre dentro la sala, lasciandomi dietro la porta che si chiude alla sue spalle. Sono paralizzata. Come ho potuto permettere anche solo che si avvicinasse a me?
Mi siedo con la schiena appoggiata alla porta con nella testa un uragano. Voglio assolutamente capire che diamine mi sta capitando. Prima un ragazzo del genere l’avrei fatto rigare dritto a suon di calci. Ed è stato così per un po’, ma perché ora mi lascio paralizzare da un bacio sulla guancia, e soprattutto perche mi lascio baciare così. Cosa ha Garfield di speciale?; forse è la sua grande forza di volontà?, o la sua capacità di diffondere il buon’umore?
Lui è stato in grado di resistere a tutto il mio distacco. Ho tentato con tutta me stessa di allontanarlo, ma lui continua ad insistere senza demordere. Perché si vuole così tanto avvicinarsi a me?
Non ha senso; lui dovrebbe scappare da me. Dovrebbe aver paura di me e della mia freddezza.
Senza darmi il tempo di andare oltre mi alzo e apro la porta con una forza che non avrei immaginato di avere; ho sempre contato sulla mia agilità, mai sulla forza bruta. Con lo sguardo degli altri puntato su di me  cerco con lo sguardo di quel’odioso biondino. Lo trovo davanti al palco vicino alla professoressa che con sguardo terrorizzato mi fissa. Mentre con una lentezza straziante scendo le scale lo vedo indietreggiare fino a restare con la schiena attaccata allo scalino del palco.
“amica Rachel tutto bene?”
L’ultima cosa che sento è Kori che mi chiama, ora i suoni sono diventati ovattati, tutto intorno a me si è sbriciolato, l’unica cosa chiara è la figura immobile di Garfield che ancora terrorizzato mi fissa. Ho totalmente perso il controllo di me stessa … di nuovo. Devo assolutamente riprendere il controllo; dell’ultima volta che persi il controllo non ricordo molto, ma mio padre mi spiego che avevo ucciso il mio bersaglio e alcuni dei suoi agenti che mi avevano cercato di fermare, a sangue freddo. Da quello che so questi attacchi d’ira sono la conseguenza dei traumi che mio padre mi ha fatto sopportare da bambina, come il suo duro addestramento e le sue continue minacce. Mi ha addestrato ad essere una macchina di distruzione così bene, che a volte, soprattutto nei momenti più confusionari, non riesco  a fare a meno di usare la forza per risolvere la confusione che ho in testa. è il mio modo di difinderemi, un brutale e vigliacco modo di prottegermi dal dolore.
È questo che intendo quando dico che mio padre mi ha trasformato in un mostro. Per questo tento sempre di mantenere un profilo basso, ma ora tutta la confusione sta straripando e non so come fare a fermarmi.
Ora mi ritrovo davanti a Garfield che preoccupato cerca di dire qualcosa che non riesco a sentire. Nella mia testa ci sono solo urla e pianti. Non sento altro, solo queste voci che mi riempono a testa fino a scoppiare.
Senza alcun segnale, vedo il mio braccio alzarsi e prendere Garfield per il colletto della camicia e sollevarlo di una decina di centimetri da terra. Ora sta urlando, o almeno ci sta provando. La mia presa è ferrea e rischio di soffocarlo, ma le voci nella mia testa mi impediscono di elaborare la situazione, se non mi fermo morirà soffocato. Lotto contro il mio stesso braccio impongo a me stessa di mollarlo, ma niente, ho totalmente perso il controllo.
In mezzo a tutta quella confusione sento però ancora la voce preoccupata di Garfield, la notte che mi salvò da quel mio errore di valutazione. Rivivo tutto di quella sera: il dolore alla spalla la presa del biondo e i suoi occhi preoccupati.
A un certo punto sento un forte bruciore al capo e le mie gambe cedere, per poi cadere nel buio assoluto. Non vedo più gli occhi terrificati del ragazzo; solo il nero. Le voci nella mia testa si son finalmente placate e posso finalmente elaborare ciò che è appena successo. Sento le lacrime scendere e bagnarmi il volto. Come posso avere il coraggio di dire che sono diversa da mio padre? Tutto quello che sono e quello che faccio, causa sofferenza alle persone. Volevo solo proteggerli … proteggere tutti da quello che è lui, ma solo capisco che devo proteggerli da me. Sono io colei che causa la loro sofferenza. Sono io che causa a loro tutti questi problemi. Sono sempre io quella che inganna le persone per i propri interessi.
Alla fine sono nel posto dove merito di stare: nelle tenebre più assolute, al freddo e sola. Perché nonostante tutte le mie sciocche scuse da eroina, sarà sempre qui il mio posto. In un luogo buio come il mio cuore e vuoto come il mio spirito.



ANGOLO AUTRICE
buonasera a tutti.
allora cosa ne pensate, ve lo spettavate? gli strani modi di risolvere i problemi di Rachel sono alquanto .... strani, però c'è modo e modo.
dpero che il capitolo vi sia piaciuto e per favore ditemi cose ne pensate della storia e cosa dovrei aggiustare.
vi mando un saluto affettuoso (se esistete) e ci si sente con il prossimo aggiornamento.
-carly

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** pianti e pioggia ***


POV GARFIELD

Ho i polmoni in fiamme. Respiro ed espiro avidamente l’aria, per recuperare tutto l’ossigeno che non ho potutoassumere in quei interminabili minuti bloccato con le mani di Rachel premute al collo. Se ripenso alla scena di pochi secondi fà mi vengono i brividi. Quando chiudo gli occhi rivedo lo sguardo vuoto e tetro della mora, ancora posato su di me mentre la sua mano premuta sulla gola mi impediva di parlare e coi gersti tentavo di avvisarla, di dirle che non respiravo e lei che quasi non vedendomi, continua a guardarmi con quegli occhi viola vuoti, diventati neri, stringendo la presa. Non l’avrei mai creduta capace di una forza tanto micidiale, ma ora la domanda che mi annida la testa è solo una: che cosa le è preso?
Se sono ancora vivo è solo grazie a Victor che ,non so con quale coraggio, ha colpito la ragazza alla nuca con il libro di informatica (sarebbe in grado di uccidere qualcuno con quel libro), ovviamente dopo insistenze da parte di tutti gli altri che continuavano a gridarle di mollarmi. A un certo punto anche Dick è corso da me tentando di sganciarmi dalla presa della ragazza, ma senza alcun risultato.
Ora lei è lì davanti a me, svenuta terra con le lacrime che le bagnano il viso. Il mio cuore perde un battito. Non sopporto vederla in queste condizioni: mi ricorda troppo la morte dei miei genitori; di nuovo le urla disperati delle persone in quella nave mi tornato in mente e non posso fare a meno di chiudere gli occhi, per tentare di cancellare quei ricordi.
“Garfield mi spieghi che diamine le ha fatto per farle avere questa reazione?!! Stava per soffocarti!”
Era stato Dick a parlare mentre Kori correva verso l’amica continuandola a chiamarla.
“davvero non le ho fatto niente, anzi le ho fatto un complimento e l’ho ringraziata per avermi svegliato prima di entrare qui”
Rivivo il momento dove per ringraziarla ho avuto il coraggio di baciarla sulla guancia. Lei era arrossita come un pomodoro e mi ha fatto subito tenerezza. Tutte le volte che si arrabbia o che è imbarazzata mette un broncio che dovrebbe intimorirmi, ma mi fa solo ricordare quanto sia bella in quelle occasioni.
“portiamola in’infermeria se entro un’ora non si sveglia chiameremo il 911”
Ordina la Arden che era rimasta sconvolta dall’accaduto. Vedo Victor prenderla in braccio e dirigersi verso l’infermeria seguito da tutti noi.

Passa una mezz’ora, ma Rachel non da segno di ripresa e questo non fa altro che aumentare il mio stato di ansia; ho preferito restare fuori dalla stanza per evitare che i brutti ricordi tornino a galla. Cosa posso aver fatto per farle avere una reazione del genere. Sapevo che mi odiasse, ma non pensavo che potesse essere in grado di uccidermi. Ora ho solo una gran paura di lei e mi odio per questo. Lei ogni giorno sopporta i miei atteggiamenti infantili, le mie frecciatine e ora io sono cui a piangermi addosso perché ha reagito male dopo aver fatto qualcosa che l’ha infastidita … anche se non ancora cosa. Voglio solo che si riprenda per potere chiedere scusa.
Ancora immerso nei miei ragionamenti sento la porta aprirsi mostrando la figura di alta e robusta di Victor avvicinarsi sedendosi accanto a me ,appoggiato al muro.
“sicuro di stare bene amico? La presa di Rachel era bella stretta e …”
“sto bene Vic grazie”
“secondo te perché ha reagito così?”
“non lo so, ti giuro mi sto scervellando per capire cosa abbia combinato per farla arrabbiare così tanto”.Era vero. È da quando è entrata che ci penso e ripenso senza trovare nulla. “forse mi odia a tal punto da essere capace di uccidermi in qualsiasi momento.” Un sorriso un po’ strano spunta sul mio volto, ancora pensieroso.
“non credo sia questo il motivo; non credo neanche ti odi veramente. All’inizio era così con tutti noi, ma con il passare del tempo ha imparato a volerci bene, a modo suoi;”
Mi volto verso Victor con sguardo attento.
“ha un modo davvero particolare di dimostrare affetto, allora” dico con tono sarcastico. Restiamo qualche minuto in silenzio a fissare la parete davanti a noi.
“non è la prima volta che si comporta così”
La voce del mio amico è diventata seria e cupa, e sento un velo di preoccupazione diffondersi nell’aria.
“cosa intendi dire?”
La mia curiosità è ormai alle stelle; tutto di Rachel mi incuriosisce e visto che lei non è incline a parlare molto di se stessa, tutte le cose che mi vengono dette su di lei sono ben accettate.
“prima di conoscere Rachel di persona, c’erano delle voci che giravano su di lei: si dice che quando lei era ancora al primo anno un ragazzo continuava ad infastidirla, prendendola sempre in giro fino d arrivare ad alzare le  mani su di lei. Per un po’ a sopportato, ma un giorno gli insulti si fecero più pesanti e lei cedette alla rabbia ed è passata alle mani, rompendogli una gamba e causandoli diversi problemi con la respirazione. Ora questo ragazzo deve fare ogni giorno delle visite per controllare lo stato dei suoi polmoni, o almeno così mi hanno detto”
Rimango letteralmente sconvolto da quello che Victor mi ha appena riferito; che Rachel fosse forte lo sapevo, ma non pensavo che potesse causare dei problemi simili.
“sono sicuro che quel ragazzo se la sia meritata, ma ciò che Rachel gli ha fatto … ha spiazzato tutti. Dopo quell’episodio è stata assente da scuola per molto tempo ed è tornata molto cambiata. No rivolgeva più la parola a nessuno, e nessuno sapeva niente di lei; la sua freddezza aumentò, finché non fu costretta ad iscriversi al corso di teatro”
Il volto di Victor lasca intravedere la malinconia e il dispiacere nel raccontare questo episodio.
“non ne sapevo nulla” se non l’avessi incontrata qui, non saprei neanche dell’esistenza di Rachel e mi stupisce il fatto di essermi lasciato sfuggire un episodio del genere.
“Garfield dopo oggi Rachel tenterà di allontanarsi il più possibile da te, fino a farsi odiare, perché avrà paura di farti del male di nuovo. La conosco abbastanza bene da dire che lo fa perché vuole proteggerci dai suoi segreti e per farlo sarebbe capace di lasciare anche il gruppo di teatro”
Il silenzio ci avvolge lasciandomi interdetto; non so che dire e non so come dovrei reagire. Qualcosa dovrò pur dire per fargli capire che ho capito. Il problema è che non ho capito. Non so dove voglia arrivare, quindi resto in silenzio, sperando che mi dia più spiegazioni.
“la prima volta che la Arden mi ha parlato di te, ho subito avuto paura per Rachel, ma a quanto pare mi sbagliavo. Garfield tu per lei sei diverso e si capisce da come si comporta con te. Nonostante le litigate e i suoi tentativi di allontanarti tu sei sempre lì appiccicato a lei pronto ad infastidirla. Ammiro davvero molto la tua determinazione e non sono l’unico. Anche Kori è rimasta stupita dalla tua forza d’animo, qualsiasi cosa lei ti dica sei sempre pronto a ribattere”
“cosa vorresti dire? che io per lei sono speciale o qualcosa del genere? “
Sul volto di Vic si dipinge un sorriso sincero e i suoi occhi riacquistano quella nota spavalda che l’ha sempre caratterizato
“non proprio biondino, credo più che altro che ti trovi insistente, e forse è quello che serve per capirla fino in fondo e tu sei una delle persona più insistenti che o abbia mai conosciuto.”
Mi fingo offeso mettendo il broncio, mentre il mio amico qui, si mette a ridere tirandomi un bugno sulla spalla che ,seppur fatto per scherzo, mi provoca un dolore non da poco. Senza lasciarmi il tempo di ribattere sento le urla di gioia di Kori unite a quelle della Arden, ma non posso neanche entrare a controllare che mi ritrovo la porta in faccia e una figura che cammina a passo veloce verso l’uscita. Ormai certo di chi si trattava, mi porto una mano al naso dolorante e inseguo la fuggitiva, che nonostante fosse appena svenuta, si muoveva molto velocemente, costringendomi così a correre. Raggiungo Rachel solo all’uscita della scuola, dove per fermarla l’afferro per il polso. Con lo sguardo basso e desolato cerca di liberarsi, ma non ho alcuna intenzione di lasciarla andare; neanche l’acquazzone che mi sta infradiciando i vestiti  mi impedirà di porgere le mie scuse alla mora.
“lasciami andare subito Garfield!”
Continua ad urlare la ragazza imprecando contro di me. Le gocce continuano incessantemente a scendere, ma non riesco a distogliere lo sguardo dal suo viso: coi capelli fradici che le circondano i sottili lineamenti del viso e gli occhi sull’orlo delle lacrime, non posso fare a meno di notare quanto bella sia in ogni situazione.
“certo che non ti credevo una tale frignona”
Continua a dimenarsi come una forsennata e per farla stare calma la stringo a me in un abbraccio che contiene tutto il mio dispiacere per ciò che le ho fatto fare. Continuo incessantemente a creare guai alle persone che meno se lo meritano solo per i miei comportamenti infantili. Sono stato così sciocco da non accorgermi di tutte le volte che la vedevo trattenersi nel menarmi a sangue quando oltrepassavo il limite e ora la sua rabbia è esplosa, perdendo il controllo solo per colpa mia.
“Dove credi di andare con sto tempo deficiente!”
“lontano dai guai. Non ho intenzione di restare qui un momento di più, sapendo di poter uccidere uno di voi da un momento all’altro.”
“No, non hai capito! Ora tu resti qui, e ti fai controllare; hai preso una bella botta e-”
“Lasciami subito!!”
Rachel continua a dimenarsi nonostante la mia presa ferrea; sembra quasi disperata, ma non posso rischiare che si allontani così. La prendo per i polsi e le sollevo il viso per avere tutta la sua attenzione.
“Rachel guarda: sto benone, ok?! Non c’è bisogno che tu te ne vada”
“tu non capisci, se non fosse stato per Victor saresti morto!”
Ora i suoi occhi sono colmi delle lacrime che aveva trattenuto per tutto il tempo della discussione e la disperazione trabocca dal suo volto completamente bagnato.
“non ne saresti mai stata capace, lo so per certo!”
“come puoi esserne così sicuro? cosa ti porta ad non avere paura di me?! Perche non mi eviti come gli altri?!”
“non hai imparato davvero niente da quando ci siamo conosciuti allora! Io non sono gli altri! E non so come qualcuno possa avere paura di te. Si a parte il brutto carattere e la tua tendenza ad uccidere le persone con i tuoi sguardi glaciali, non trovo nulla di spaventoso in te!”
“forse allora sei più scemo di quanto pensassi”
Ora il suo respiro è più calmo, ma le lacrime non smettono di scendere ed è ancora decisa ad andarsene.
“mettiamo subito una cosa in chiaro Rachel. Tu prova ad allontanarti da me o dal gruppo e io giuro che ti vengo a cercare ti riporto in aula, a costo di portatrici di peso!”
“ma chi ti credi di essere, mia madre?!”
“no, sono un’adolescente incredibilmente affascinante e carismatico con una moto da urlo, che ora si sta beccando una broncopolmonite per farti capire che tutti noi compiamo degli errori! Quindi ora, per una volta, piantala di piangerti addosso e impara dalla preziosa lezione che la vita ti sta dando e torna dentro!”
Spalanca gli occhi stupita, per poi richiuderli,  portandosi le mani alle tempie ormai esausta del mio insistere.
“io no sto piangendo!!”
Dice mettendo il broncio come solo io potrei fare
“ah no è vero stai solo sudando dagli occhi, scusami; sai con il caldo che fa qua fuori non ci si dovrebbe stupire!!”
Il mio tono è ormai un misto tra il sarcastico e lo spazientito, il che direi che è del tutto normale visto la sua incredibile cocciutaggine, accompagnata da quel terribile orgoglio, che porterà con sé fino alla tomba, penso.
Faccio un profondo respiro e tento di calmare i nervi.  Non arriverò da nessuna parte continuando ad urlare è inutile.
Mi dirigo verso la moto parcheggiata proprio qui vicino e le porgo uno dei caschi che porto sempre dietro per sicurezza.
“mettilo e sali senza far storie. Meglio che ti riporti a casa”
Stupendomi del tono imperativo che sono riuscito a dare alla mia voce, la vedo fare quello che le ho detto, ormai rassegnata. Prima di partire però invio a Vic un messaggio dove gli spiego la situazione.
Partiamo subito dopo aver mandato il messaggio e dopo 15 minuti di un’interminabile e silenzioso percorso, arriviamo davanti alla vasta villa, nonché dimora di Rachel. Spengo il motore e l’accompagno verso l’entrata di casa, ma prima che possa scappare dentro casa, l’afferro per un polso.
“sappi che mantengo sempre le promesse, quindi stai attenta alle tue decisioni”
Riesco ,con mia incredibile sorpresa, a fare un grandioso sguardo deciso e a mantenere la voce ferma; come risultato vedo lei con continua a fissarmi per poi dire una cosa che non credevo presente nel vocabolario di Rachel.
“s-scusa, e grazie di tutto”
Non credevo ai miei occhi. Rachel Roth che borbotta indecisa delle scuse, senza guardarti male. Penso che questo dovrò segnarmela. Dopodiché, tanto per sfumare il mio momento di stupore, mi chiude in faccia la porta, causandomi ancora più dolore al naso già prima colpito nel medesimo modo. Chissà che cosa le avranno fatto le porte per essere trattate così violentemente da lei. 
Mi dirigo verso la mia moto per mettermi a guidare verso una meta diversa dal solito; ho bisogno di un conforto che solo i morti mi possono dare, con il loro silenzioso ascolto, soprattutto i miei genitori, che sono sempre stati dei grandi ascoltatori.
Percorro quella strada ormai così familiare. La terra bagnata emana un'odore fresco, rilassandomi mentre parcheggio il mezzo e mi tolgo il casco. Il silenzio di quel posto mi assale, calmando il respiro, prima affanato. La malinconia torna mentre pago il fioraio per una rosa blu, erano le preferite di mia madre; ho preso quella che più si avvicinava al colore dei suoi occhi. A volte, quando mi guardo allo specchio, rivedo i suoi lunghi capelli biondi, lisci come fili di ragnatele e i lineamenti di mio padre. Con le immagini dei loro volti nella testa, arrivo alla tomba. Dal cumulo di terra spunta una lapide di marmo bianco. I loro nomi scritti in pietra nera sono come una lama che affonda nel mio petto. Un fiume di pensieri mi assale mentre poso la rosa nel vaso.
"sai papà ora avrei proprio bisogno di una delle tue grand frasi"
Sorrido malinconico, ripensando a quante cose mi ha insegnato e a quante me ne avrebbe potute insegnare ancora; forse se ci fosse lui ora saprei che cosa è davvero l'amore e cosa vuol dire.
Il silenzioso battito del quore torna a pulsare velocemente e un nodo alla gola mi avverte delle lacrime che stanno per arrivare.
"non piangere Gar la mamma è qui, e se ti senti solo pensa al ragazzo verde e alla maga, ti ricordi cosa dico sempre? loro credevano di essere soli, ma non sapevano che la loro solitudine si annulanva, sommata a quella dell'altro"
Già quelle parole; quelle parole che mi hanno impedito di cadere insieme alle sue storie. Quel ragazzo magico e quella maga hanno accompagnato la mia infanzia. Quelle storie che tutte le sere mi raccontava fino a notte fonda mi hanno insegnato quanto sia bello avere sempre qualcuno su cui contare. Prima erano loro la mia famiglia, il mio bastonne che mi aiutava a rialzarmi, e ora chi c'è?
"oggi ho davvero rischiato di ragggiungervi, chissa se ci saremmo riuniti?"
Sempre silenzio, non che mi aspettassi diversamente.
Mi giro e torno sui miei passi, osservato da quella rosa oceano, con i petali bagnati dalla pioggi e forse da qualche mia lacrima.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** una lunga, lunga giornata ***



“ti impedisco categoricamente di uscire conciata così!”
Era ormai la quinta volta che mia madre si lamenta degli indumenti che indosso. Lei continua a dire che per un’uscita con il gruppo di teatro ci sarebbe voluto qualcosa di più adatto ad una “signorina” della mia età. Non so quante volte ho evidenziato il  mio disprezzo per i soliti vestiti che indossavano le altre ragazze per uscire.
Sinceramente non capivo neanche perché avevo accettato l’idea di andare con gli altri del gruppo. Ogni anno la Arden ci imponeva di uscire tutti insieme per prenderci una pausa dalle prove e per legare di più, ma in un modo o nell’altro riuscivo sempre a trovare una scusa per non venire. Quest’anno invece tra le minacce di Garfield e le crisi di mezz’età anticipata di mia madre, non sono riuscita a impedirlo. Ora mi trovo in quella che un tempo era camera mia e che ora è totalmente tappezzata da indumenti tirati fuori dai meandri più oscuri del mio armadio, con Arella che urla come una forsennata perche io continuavo a voler restare vestita con i miei amati jeans e la mia felpa ormai centenaria, mentre lei insiste sul voler che mi cambiassi immediatamente.
“almeno mettiti una gonna”
Ormai esasperata mi porge una delle gonne più corte e più rosa del mondo. Molto in stile Kori, ma per niente adatta a me.
“non ho intenzione di contrattare con te su come vestirmi. Resterò con la mia felpa, punto!”
Non sembrava difficile da capire, ma questa donna ,che dovrebbe essere mia madre, non voleva mollare l’osso.
“Allora mettiamola così: se ora non ti cambi immediatamente inviterò alla tua festa di compleanno tutta la tua scuola compresi gli insegnanti e i vicini, che ne dici?”
Rassegnata e depressa mi avvio verso ciò che resta del mio guardaroba.
“d’accordo, d’accordo mi cambio”
Era umiliante cadere nelle minacce di mia madre, ma già ha invitato Garfield, se in più ci si mette tutto il resto della scuola, sono rovinata.
Soddisfatta finalmente esce dalla mia stanza lasciandomi il tempo di cambiarmi, anche se non muta molto il mio abbigliamento: al posto della felpa nera metto una camicia viola che mi arriva a metà sedere coperta da una giacca di pelle nera. I jeans restano gli stessi strappati di prima e afferro un paio di scarpe sportive a caso nella scarpiera. Scoprendo di essere in ritardo già di cinque minuti sulla tabella di marcia, corro verso l’uscita e mentre scendo le scale verso l’atrio, scorgo mia madre che annuisce soddisfatta e mi saluta con il suo solito tono di voce pacato. Era da quando le ho raccontato dell’ incidente con Garfield che non la vedevo sorridere così sinceramente.
Sarà giusto chiamarlo incidente? nei miei incubi continuo a vede me con le mani sul collo di Garfield, solo che questa volta non c’è nessuno a fermarmi. La mia più grande preoccupazione è che in fondo fossi cosciente di ciò che stavo facendo e sapere di non essere più in grado di controllare me stessa mi fa solo accogliere l’idea di andarmene, ma tutte le volte che mi sento pronta per lasciare,  mi tornano in mente le parole di quel ragazzo incredibilmente saggio: “ tutti noi compiamo degli errori! Quindi ora, per una volta, piantala di piangerti addosso e impara dalla preziosa lezione che la vita ti sta dando”
Noi tutti compiamo degli errori, ha ragione, ma i miei errori sono troppo gravi per trovarvi rimedio, o almeno così credevo. Da un po’ stavo iniziando a pensare che forse certe mie decisione potessero essere prese diversamente.
Mentre camminavo immersa nei miei pensieri, vengo svegliata dai soliti saluti squillanti di Kori e dalla voce di Dick che tenta di calmare i bollenti spiriti della sua fidanzata, che aveva attirato l’attenzione di qualche persona sul marciapiede.
“insomma Rachel non ti pensavo tipa da ritardi simili, è da dieci minuti che ti stiamo aspettando, inoltre non rispondi neanche al cellulare!”
Questo è quello che mi viene detto, appena raggiungo il gruppetto. Effettivamente ammetto di aver notato una vibrazione proveniente dalla tasca anteriore della giacca, ma non ci avevo fatto troppo caso.
“scusate ho avuto qualche complicazione e non ho sentito il cellulare”
“oh non preoccuparti”
Il viso già più calmo della rossa mi fa iniziare a credere che questa ragazza stia diventando un po’ bipolare.
“Garfield ha appena chiamato e ha detto che raggiungerà direttamente al bowling per via di alcuni problemi con la moto, ma secondo Vic e Dick si è solo addormentato”
 “teoria del tutto accettabile, conoscendo Garfield”
“è quello che ho detto anche io”
A parlare era Dick che intanto aveva appena inviato un messaggio, probabilmente al soggetto della discussione.
Ho notato che ultimamente il moro e il suo inseparabile gel sono ancora più affiatati del solito, soprattutto oggi, che è più che evidenti dato che i raggi del tiepido sole, brillano tra quei suoi lisci capelli neri pece; nonostante ciò, continua però ad attirare gli occhi di tutte le ragazze che gli passano affianco, causando quelle stridule ed insopportabili risate e le occhiatacce di Kori su ogni una di loro.
Senza giri di parole ci dirigiamo verso la meta decisa (non da me, per la cronaca), ovvero l’ampia sala da bowling all’interno del centro commerciale più visitato della mia cittadella. Non ci sono mai stata; in casa quella che si occupa delle spese dei vestiari miei e di mio padre è  mia madre e spesso mi chiedeva se volessi andare con lei, ma una forza maggiore chiamata orgoglio e lavoro mi spingevano sempre a rifiutare.
In ogni caso arriviamo davanti all’ampio edificio in meno di dieci minuti e tra le fervide risate di Kori, le battutacce di Victor e i sfreccianti commenti di Karen, mi rifugio tra quel gruppo di casinisti osservandoli e apprezzando la loro compagnia, per quanto caotica sia.
“ah a proposito Rachel, mi è arrivato un messaggio da tua madre ieri, dove ci invitava tutti al ballo per il tuo compleanno. Mi spieghi quando avevi intenzione di dirmelo?!”
“non lo chiamerei proprio ballo-”
Vengo subito interrotta dalla possente voce di Victor
“aspetta tu festeggi il tuo compleanno? In tutti questi anni non ti ho mai visto festeggiare o quanto meno avvisare che fosse il tuo compleanno e ora te ne esci con addirittura un ballo?!”
“ho detto che ballo non mi sembra la giusta-”
Un’altra interruzione viene fatta, ma sta volta proviene dalla voce di Karen, che con un sopracciglio alzato si rivolge contro Vic.
“non parlarle in quel modo, avrà avuto le sue ragioni per non festeggiarlo gli altri anni; quest’anno si sarà stufata e avrà deciso così, giusto Rachel”
“non le stavo parlando male, sei tu che fraintendi sempre tutto!”
Inizia così un’altra delle loro tate litigate , mentre io cerco di trovare le parole per risolvere il diverbio.
“ecco che ricominciano, loro e il loro dannato orgoglio”
Commenta Dick ormai spazientito
“se mi lasciaste spiegare- “
Di nuovo interrotta dalle urla del loro ennesimo ligio
“se solo ti sforzasti di guardare oltre ed evitare di dare pregiudizi!”
“ah io do pregiudizi, senti bello o la finisci di sparare cazzate o giuro che ti faccio vedere le stelle”
Ho sempre amato il carattere forte di Karen
“vediamo se ne hai il coraggio, bellezza!”
Ok ora si esagera
“ora basta! Giuro che vi faccio arrestare tutti per disturbo della quiete pubblica se non la piantate di fare i bambini!”
Tutte le volte i loro diverbi bisogna aggiustarli così e si finisce sempre con loro che mi danno retta, o in questo caso, con gli sguardi di gran parte del centro commerciale puntati su di noi. Mentre io continuo a fissare i due soggetti, vedo Dick e Kori scoppiare a ridere seguiti a ruota da Victor e Karen che , come se non fosse successo nulla, si abbracciano continuando a ridere.
“s-scusa Rachel ma dovevi vedere la tua faccia ahaha”
Dice Kori mentre si asciuga una lacrima per il ridere. Cerco di riprendere la calma inspirando profondamente e chiudendo gli occhi, ottenendo il risultato che volevo.
“mia madre sta organizzando questa specie di festa, perché quest’anno è il mio diciottesimo compleanno e lei è convinta che sia un anno importante e che vado festeggiato in modo particolare, solo che più che una festa per me, sarà una scusa per mio padre per invitare tutti i suoi vari colleghi di lavoro per parlare di affari o robe del genere”
“a me basta che ci sia da mangiare”
Esclama Victor per poi essere ripreso da una feroce gomitata da parte della sua ragazza.
“e dai stavo scherzando”
“io invece al posto tuo sono disperata, devo ancora trovare un vestito adatto abbinarci scarpe, trucco e acconciatura, per non parlare del fatto che devo trovare il vestito di Dick e tutto in meno di sei giorni!”
Vedo già la faccia terrorizzata di Dick e mi sembra anche di sentire gli urli disperati che partono dal suo portafoglio. Povero, non lo invidio affatto e se conosco Kori, scommetto che lo costringerà a passare un’intera giornata a provare vestiti su vestiti.
Chiuso il discorso del ballo/festa/suicidio mentale, ci dirigiamo verso la sala da bowling, fortunatamente non troppo affollata. Ci dirigiamo subito ad affittare le scarpe, mentre Victor e Karen si dirigono in una delle tante piste libere per prendere i posti. Da quello che ho capito loro si definiscono dei professionisti e come scarpe hanno già le loro. Purtroppo i “professionisti” hanno la splendida idea di mettersi in una fila accanto proprio a quella di alcuni ragazzi che non sembrano avere buone intenzioni. Tutti piuttosto alti, continuano a gridare cose senza senso mentre si pavoneggiano come solo appunto un pavone potrebbe fare. Sembrano però neanche accorgersi della nostra presenza, ma le caotiche urla non cessano portandomi a capire che sarà una lunga giornata.
Oltre a me a quanto pareva sapevano già tutti come giocare e le varie tecniche, ma questo non risultò un problema. Infatti, sotto consiglio di Karen mi metto a fare qualche tiro di prova, riuscendo a buttare giù tutti i birilli. Con gli sguardi stupiti dei miei compagni torno a sedermi in una delle comode poltrone aprendo il libro che mi ero portata dietro.
“Rachel sei sicura di non aver mai giocato?”
Chiede Victor quasi sconvolto.
“ne sono più che certa, ma ammetto che pensavo di trovare qualcosa di più difficile che un semplice gioco di aerodinamica.”
Alla fine si usavano le stesse tecniche per sparare con una pistola: si attende, si prende la mira e si preme il grilletto.
Dopo aver fatto un lancio ciascuno Kori ha l’idea di iniziare una specie di gara tutti contro tutti.
“chi perde verrà con me e Dick al centro commerciale, che ve ne pare?!”
Detto questo le face disperate del gruppo diventano paragonabili all’urlo di Munck, ma nessuno si tira indietro dando così inizio a quella che potrebbe sembrare un semplice gioco tra compagni, ma che in realtà è una lotta alla sopravvivenza. Sotto lo stupore di tutti continuo ad ottenere il massimo dei punti con qualche strike consecutivo, ma, come ho già detto prima, secondo me era fin troppo semplice. Victor invece sembrava non pensarla così; era infatti lui quello che per ora aveva raggiunto il punteggio minore, ma nonostante ciò continuava a dare la colpa a qualsiasi cosa inanimata si trovasse nell’ampia sala: prima era il troppo rumore, poi era la sua borsa tra i piedi … sembrava quasi che il mondo ce l’avesse con lui o forse era solo il detto “chi si loda s’ imbroda” che iniziava a fargli brutti scherzi. Dopo tutto la modestia è una qualità sempre ben accettata.
Dopo qualche tiro inizio però ad avere sete e mi dileguo verso la macchinetta non molto lontana dalla nostra postazione. Nonostante i prezzi, a mio parere davvero troppo altri, spesi la bellezza di un dollaro per una semplice bottiglietta d’acqua, che non arrivò mai. Al suo posto però scorgo dietro di me uno dei ragazzi pavone che poco prima stava di fianco alla nostra postazione e, con un sorriso troppo sicuro di sé, si avvicina pericolosamente appoggiando un braccio sulla macchinetta bloccandomi. Lo fulmino subito con uno dei miei soliti sguardi, rimanendo impassibile, ma questo non lo allontana minimamente; anzi sembra divertito.
“hey bellezza hai bisogno di aiuto?”
Dice mettendo in bella mostra qui denti ingialliti dal troppo fumo.
“per niente, più che altro sembri tu quello che ha bisogno di un dentifricio nuovo”
Dico stizzita dal suo alito pesante.
“uh che caratterino che abbiamo, ma non preoccuparti ora ci penso io a farti rilassare”
Lo vedo che fa per afferrarmi il braccio per portarmi chissà dove, ma sono abbastanza veloce da fermare la mano e alzargliela in alto, per poi portargliela dietro la schiena e spiaccicarlo contro la macchinetta, causandogli un mugolio di dolore.
“no ora a rilassarti sei tu e ti consiglio di tenere giù quelle manacce se non vuoi ritrovati senza”
Il mio tono continua ad essere freddo come al solito, ma si sente perfettamente la nota spazientita che prende.
“tu brutta stronza, non sai con chi ti sei messa contro”
Neanche il tempo di replicare che vengo circondata da quella che poteva sembrare un gruppo di teppisti e che molto probabilmente è. Scorgo in ogni uno dei sette ragazzi un ghigno poco rassicurante.
“ehy c’è qualche problema?!”
Sento un voce troppo familiare alle mie spalle, dove posso scorgere i soliti capelli biondi e la corporatura magrolina. Garfield, sbucato da chissà dove si mette di fianco a me con in volto un’espressione dura che non credevo sua. Continuava a fissare ognuno dei ragazzacci intorno a noi soffermandosi particolarmente su quello che aveva attaccato briga con me, che nel mentre si era liberato dalla mia presa.
“non penso siano affari che ti riguardino biondino, sparisci prima che ti faccia male!”
Ora sul suo volto appare un sorriso visibilmente divertito.
“farmi del male? Voi?, personalmente mi fate solo ridere, siete quasi patetici; da soli non riuscite neanche ad abbordare una ragazza e dovreste farmi paura in gruppo?”
Il tono sarcastico di Garfield fa notevolmente infastidire i miei aggressori portandoli ad avvicinarsi ancora, soprattutto il fumatore incallito di prima, che sembrava essere il boss della situazione. Fissa accigliato il biondo dietro di me, che intanto fa la medesima cosa, solo con un sorriso molto sicuro di sé.
“Rachel c’è qualche problema?”
A fronteggiare il gruppetto ora c’èrano anche Victor e Robin, che con una postura severa si avvicinano fissando con sfida i disturbatori. Si sente la tensione che è nell’aria, contornata dal mio notevole fastidio: avrei potuto fronteggiarli facilmente da sola, dopotutto sono abituata a cose ben peggiori che i semplici lamenti di qualche adolescente con un alto tasso di ormoni nel cervello. Vista da un’altra prospettiva questa scena poteva perfettamente sembrare l’inizio di una guerra tra bande, eppure i sette ragazzi sembravano notevolmente impauriti dalla presenza di Victor e dagli sguardi di Dick. Indietreggiano lentamente, mentre il capo mi fa capire con uno sguardo che no finirà lì.
“no, va tutto bene se ne stavano giusto andando.”
Mi dileguo verso la postazione con addosso gli sguardi preoccupati di Kori e Karen, seguita dagli altri due, mentre Garfield si sofferma a fissare il gruppo uscire dalla porta.
“ti hanno fatto qualcosa?, stai bene tesoro?”
Mi chiede Karen sempre in’ansia.
“no va tutto bene, ma sarebbe andata anche meglio se non vi foste impicciati, avevo la situazione sotto controllo.”
“ora ricominci con la solita sceneggiata? Un semplice grazie basterebbe sai?”
Lo sguardo di Garfield notevolmente infastidito, mi da solo che sui nervi , ma devo ammettere che sta volta o apprezzato il suo aiuto anche se continuo a ribadire che avrei risolto la situazione anche senza di lui.
Come risposta rimango in silenzio mettendo il muso e mi risiedo nella mia postazione, come se nulla fosse.
“e tu quando pensavi di arrivare? Iniziavamo a pensare che non saresti più venuto!”
Inizia Kori così a sgridare il ritardatario per non avere chiamato e le solite cose.
“cerca di capirmi, mi è la moto. Qualche deficiente si è divertito ieri notte a smontarla e ho dovuto chiamare un mio amico per farmela aggiustare; inoltre ci ha messo più del previsto ad arrivare e sono corso, a piedi, da casa mia fino a qui e non è proprio una passeggiata!”
“questo non ti giustifica; avresti potuto benissimo chiamare”
“Kori ti prego sono in lutto, ma non capisci che ora la mia moto si trova a lottare tra la vita e la morte?”
Con la disperazione negli occhi vedo Garfield inginocchiarsi pregarla di smettere con la ramanzina.
“che ne dite di smetterla e di continuare a giocare piuttosto?”
Si vede che l’idea di passare un’intera giornata con la coppietta non andava proprio giù a Victor, ma alla fine dovrà rassegnarsi. Un punteggio così misero non penso l’abbia mai fatto; già diverse volte non è riuscito a colpire neanche un birillo. Anche Kori se ne è resa conto e da quello che ho capito costringeràe il malcapitato a pagare il pranzo ai due piccioncini domani, che inoltre dovrà seguire per tutta la giornata in giro per i fitti corridoi di questo centro commerciale. Già ora li sento organizzare per domani, ma le loro voci diventano solo un suono di sottofondo mentre rimango concentrata nella lettura, l’unica cosa che ora come ora è capace di darmi conforto. E mentre continuo a immaginare come avrei potuto passare la giornata se non fossi venuta qui, sento la continua stridula voce del ritardatario farsi strada tra quella di Kori e Victor, probabilmente per prendere in giro quest’ultimo. Do per l’ennesima volta una controllata all’orologio appeso alla parete arancione della vasta sala, in’attesa che arrivi un orario adatto per andarmene; le quattro del pomeriggio: troppo presto per allontanarmi e troppo tardi per trovare una scusa.
“hai intenzione di passare tutto il pomeriggio a leggere?”
Vedo sbucare da dietro il libro dei vivaci capelli biondi, intenti a portare la mia attenzione su di lui, ma con pochi risultati.
“si era il mio intento”
Giro pagina continuando ad ignorarlo, ma, come mi aspettavo, continua ad insistere. vuole assolutamente che gli faccia vedere se sono brava come gli altri dicono, a bowling, arrivando quasi a pregarmi.
“Dai che ti costa, ti prego fallo per me”
Chiede imitando il musetto di un cane.
“dovrei trovarlo un buon motivo?”
“direi che è un ottimo motivo”
“continua a crederci”
Lo vedo andarsene facendo finta di offendersi, mentre io esulto internamente per essere riuscita a togliermelo di torno, ma neanche il tempo di riprendere la lettura che lo vedo tornare con in mano una palla da bowling. Mi ero dimenticata con chi avevo a che fare.
“facciamo così se riesci a fare un punteggio più alto del mio stasera ti offro una pizza”
Vedo una luce di determinazione accendersi nello sguardo del ragazzo, che si dirige verso la pista di lancio. Con lentezza si mette in posizione di lancio e mentre fissa meticolosamente la pista noto che sembra sta facendo dei calcoli. Sposta lo sguardo verso tutti i birilli e solo dopo aver perfezionato la presa sulla palla, lancia quest’ultima riuscendo a beccarli tutti, tranne uno. Un sorriso soddisfatto spunta dal suo viso, ora rivolto a me.
“non mi abbasso sciocchi giochetti del genere”
Per quanto mi costi ammetterlo, aveva fatto davvero un ottimo tiro, aveva solo sbagliato l’angolazione, ma per il resto un ottimo tiro. Nonostante stessimo parlando di Garfield sono stupita dalla precisione con la quale ha studiato il modo in cui lanciare.
“sei troppo orgogliosa per tirarti indietro fai sto tiro e falla finita”
“ti romperà per tutto il resto della giornata Rachel lo sai, ti conviene accontentarlo. Magari ci guadagni anche una pizza”
A parlare fù Dick che ora sta seduto di fianco al depresso Victor mentre Kori mi osservava speranzosa. Purtroppo devo dare ragione al moro, così ripongo sul tavolino davanti a me il libro e mi alzo sbuffando infastidita. Prendo la prima palla che mi capita e mi metto in posizione. Sento lo sguardo di tutti posarsi su di me, mentre muovo il braccio per lanciare, facendo Strike.
“contento ora?”
Torno a sedermi riprendendo la lettura ignorando palesemente gli altri.
“molto”
Vedo il solito sorriso da ebete spuntargli sulla faccia infastidendomi solo di più. Tanto insistere per poi perdere e trova ancora il coraggio di ridere.
Passo il pomeriggio più inutile della mia vita a leggere e fare qualche commento durante le conversazione degli altri,  che saltavano da un argomento all’latro come grilli in un campo di fiori.
“secondo me si atteggia troppo, è brava a cantare e tutto quello che vuoi, ma se la crede troppo; qualcuno dovrebbe dirglielo di abbassare la cresta”
La voce di Victor mi risveglia dal mio momento di concentrazione nella lettura, portandomo ad alzare lo sguardo e ascoltare la conversazione.
“secondo fa bene: a talento, è una bella donna e ha carattere. se non si atteggia lei non lo può fare nessuno”
Insinua Karen.
“io no credo neanche che si atteggi. Semplicemente è il suo carattere”
La voce flebile di Kori si intromette nella conversazione facendo nascere un dubbio sul volto di Dick.
“come si fa a capire se una persona si atteggia o se è semplicemente il suo carattere”
“credo sia tutta una questione di sguardi. Chi lo fa per carattere lo fa bene, la gente non se ne accorge neanche; il contrario quelli che lo fanno per vantarsi”
Teorizza Garfield portando gli occhi al soffitto per cercare le parole, sotto lo sguardo indagatore del gruppo.
“tu sapresti riconoscere una persona che si vanta apposta?”
Chiede curiosa Kori, ora molto attenta alla piega che sta prendendo una conversazione.
“io no, non credo, ma sicuramente Rachel ci riuscirebbe”
“cosa centro io, ora?”
“tu Rachel sapresti capirlo?”
Ora l’attenzione di tutti si posa su di me, che mi guardano in’attesa di una risposta.
 “si lo saprei capire. Come ha detto Garfield è una questione di sguardi, tutto qui”
“come fai?”
Vedo gli occhi di Kori che brillano di ammirazione; un’ammirazione che non capisco da dove venga. A me capire le persone risulta facile e per un po’ ho pensato che fosse così per tutti, ma grazie a diverse esperienze ho scoperto che ad avere questa abilità sono solo io. è come se parlassi con loro però attraverso gli occhi, ma forse è troppo complicato da spiegare.
“è complicato da spiegare, lo faccio e basta.”
Liquido così la domanda di Kori, per nulla soddisfatta.
“ma avrai pure qualche trucco, qualche rito particolare … “
“rito? Non faccio mica parte di una setta”
“non era quello che intendevo”
Lo sguardo confuso di Kori fa quasi tenerezza.
“basta osservare”
“osservare che cosa?”
La curiosità di Kori non ha limiti; ormai è come se avessi distrutto la diga che teneva a freno la marea di domande della ragazza, irrefrenabile e sotto gli sguardi divertiti degli altri continua fare domande su domande.
“come si comporta una persona. Noi uomini tendiamo ad avere determinare reazioni a seconda di determinate circostanze e per quanto una persona sia brava a nascondere ad’esempio la propria agitazione, il suo sguardo la smentirà sempre.”
“come mai?”
“perché gli occhi sono lo specchio dell’anima. Infatti non troverai mai due persone con gli stessi, uguali e identici occhi. Avranno sicuramente qualche impercettibile differenza nello sguardo, nel colore o nella struttura.”
La ragazza sembra finalmente comprendere, portandomi a sperare che abbia finito con la sua sfilza domande, ma ora ad impegnarsi ad infastidirmi c’è anche Victor.
“è per questo che da quando Gar è entrato nel gruppo non fai altro che fissarlo?”
Sento un leggero rossore sulle gote e lo stesso vale per il diretto interessato, che non fa a meno che spostare lo sguardo su di me. Riesco però a controllare il tono e a rispondere in modo netto.
“esatto, non c’è modo migliore per capire una persona che osservare i suoi comportamenti”
Vedo la delusione sul volto del’afroamericano, per aver distrutto i suoi piani cospiratori e una punta di soddisfazione si fa strada nel lieve sorriso compiaciuto appena spuntatomi.
“sicura che non ci siano altri motivi?”
Chiede Garfield, più per infastidirmi e auto compiacersi, che oer curiosità, come solo lui sa fare.
“più che certa”
“eppure io pensavo che quello più interessato all’altro, dei due fossi tu Garfield! “
Esclama Kori, facendo aumentare il rossore sulle guance del biondo, mentre io tendo a nascondermi dietro il mio libro fingendo indifferenza.
“perche dovrei essere interessato a lei!”
“la vera domanda è perche non dovresti esserlo”
Chiede Dick. Noto lo stato di forte imbarazzo di Gar che non sa più che inventarsi, ormai messo alle strette. Penso quindi che per il bene di tutti debba intervenire.
“è ovvio che non è interessato a me”
“come fai a dirlo?”
Un’altra odiosa domanda di Victor mi porta ad aumentare il mio istinto omicida nei suoi confronti. Sempre pronto ad impicciarsi in cose che non lo riguardano, come tutti in questo gruppo. Per questo ammetto di preferire molto di più la loro compagnia, quando si evita di parlare di me. La loro sete di curiosità è insaziabile e forse è anche colpa mia. Non sanno niente di me eppure mi vogliono bene; ripongono spesso la loro fiducia in me ed io l’unica cosa che faccio è evitare di farmi conoscere da loro. Non sapevano neanche che giorno fosse il mio compleanno, ma non perché non me lo chiedessero; più volte Kori ha insistito per passarlo insieme, ma l’ho sempre liquidata. A me stessa dicevo che era per il loro bene. Meno cose sanno di me meglio è e lo penso tutt’ora, ma mi sento comunque in colpa.
“c’è da chiederlo? Siamo completamente diversi. Io seria e distaccata, lui sciocco e infantile; lui amante della vita e del divertimento, io pessimista e scontrosa. Chi mai potrebbe essere attratto da me? Soprattutto uno come lui”
Vedo gli altri restare in silenzio e fissarmi seriamente, mentre io continuo a leggere impassibile il libro. Sento però un forte senso di pesantezza, portato forse dell’intensità dello sguardo di Garfield posatosi su di me da quando ho scansato attenzione da lui su di me. Non so neanche perché l’ho fatto. Forse perche lo trovavo in difficoltà e il tuo tentativo di formulare un frase che non feisse nessuno, mi ha portato a non avere altra scelta.
Chiudo il mio libro tascabile, per riporlo al suo posto nella giacca mia giacca nera.
“è tardi per me, penso sia il caso che vada”
 Prima però che possa raggiungere la porta vengo interrotta da una vivace voce
“aspetta Rachel veniamo anche noi”
Mi raggiungono quindi Dick, Garfield e Kori, mentre Karen e Vic restano ancora per qualche partita. Depositate le scarpe e pagato la nostra quota vi dirigiamo verso l’uscita del vasto edificio. Mi accorgo che all’esterno è già tutto avvolto dal buio e la città è decorata con le varie luci prodotte dai lampioni e dai fari delle macchine. Un freddo pungente attraversa la mia giacchetta causandomi un brivido. Cosa mi ha portato ha mettermi solo questa giacca prima di uscire?!
“io e Dick ci giriamo di qua; i miei genitori ci stanno aspettando, ci vediamo lunedì”
Salutiamo entrambi la coppietta che si dirige verso la direzione da loro indicata, lasciandomi così sola con Garfield. Appena vedo i due svoltare l’angolo, lo saluto e mi dirigo verso casa mia.
Mi guardo intorno notando quanto sia piacevole l’atmosfera creatasi. I fari del traffico illuminano con varie tonalità la strada regalandole un forte senso di calore. Il chiarore della luna piena mi illumina la strada e le voci di sottofondo mi fanno sentire meno sola. Tutto questo mi porta distarmi. Sento il forte frastuono di un clacson rimbombarmi nelle orecchie e risvegliarmi dalla contemplazione dei dintorni. Giro la testa in direzione del suono e mi ritrovo davanti un’auto che a tutta velocità sfreccia verso di me, ma neanche il tempo di agire che un peso mi prende per riportarmi sul marciapiede. Sento la folata d’aria causata dal passaggio della sfrecciante auto rossa che senza alcun contegno continua a suonarmi contro nonostante mi fossi spostata; o meglio, nonostante fossi stata spostata. Mi giro verso il braccio che mi ha afferrato per ritrovarmi davanti la solita persona che incontro nei momenti meno opportuni.
“che ci fai qui?!”
“prego non c’è di che”
Risponde sarcastico.
“ti sto inseguendo, mi pare chiaro”
“e potrei sapere per quale ragione?”
“per la pizza, hai fatto un punteggio più alto di me ricordi? In palio c’èra una pizza”
“ah”
Noto il suo volto confuso. Non mi ero dimenticata dell’episodio, ma mi stupisce la sua demenza. Se una persona non vuole riscattare la vincita di una scommessa, solitamente la persona che ha perso non glielo và a ricordare, ma dopotutto stiamo parlando di Garfield, quindi la logica si annulla, letteralmente.
“che c’è, non ti va?”
“ora devo tornare a casa, me la offrirai in un altro momento”
Sperando che se ne dimentichi
“non ci pensare neanche, ora vieni con me e ti compro sta benedetta pizza, così stanotte avrò sonni tranquilli!”
Mi prende per un braccio e mi trascina letteralmente verso chissà dove.
“se non sbaglio questo si chiama sequestro.”
Dico tentando di divincolarmi.
“puoi chiamarlo come vuoi, tanto viene con me lo stesso”
Il suo tono di voce deciso, mi spinge a temere che sarò a costretta a seguirlo veramente quindi con uno sbuffo spazientito accetto.
“va bene vengo con te, però lasciami il braccio”
Fa come gli ho detto e rallenta il ritmo con la quale stava camminando, per permettermi di raggiungerlo. Intanto prendo il cellulare per mandare un messaggio a mia madre, ma vedo che mi ha preceduto.
-ciao tesoro, spero ti stia divertendo io stasera vado a cena con i vicini e a casa resterà solo tuo padre, quindi ti consiglio di restare a mangiare fuori.
Ti voglio bene.
Baci. –
Se andassi a casa, dovrei restare da sola con mio padre e farei restare in’ansia mia madre, quindi penso che approfitterò dell’occasione. Non sono mai stata sola con mio padre per una serata intera, quindi non so cosa potrebbe accadere, ma non sono pronta scoprirlo sta sera.
-Stasera mangio fuori non preoccuparti –
inviato il messaggio lo ripongo al suo posto per proseguire verso la meta ancora a me ignota.
“posso almeno sapere dove stiamo andando?”
“nella pizzeria migliore che conosco”
Wow molto indicativo.
“fidati ne varrà la pena”
Mi dice convinto.
“lo spero per il tuo bene; mi aspetto anche che sia ben farcita.”
“basta che non mi svuoti il portafoglio, devo ancora trovare il modo per far riparare la moto”
Porta lo sguardo al marciapiede con un triste sorriso.
“mi spieghi che cosa è successo?”
Domando curiosa
“qualcuno si è divertito a smontarla ieri notte, ma non si è neanche posto il problema di portarli via.”
Ti consiglio di stare attenta ai tuoi amici. Le parole di mio padre mi trafiggono come solo una lancia potrebbe fare, facendomi spalancare gli occhi. Sta iniziando, sta ricominciando a fargli del male. Non so più che fare; mi ero ripromessa di allontanarlo se fosse successo, ma non riesco. Per la prima volta in tutta la mia vita non riesco ad allontanarmi da una persona. Il suo sguardo è troppo forte, il suo braccio mi affererebbe subito e non mi lascerebbe più, ma non voglio che gli faccia ancora del male.
“pensavo di portarla dalla carrozzeria del padre di Karen, ha detto che mi farebbe un buon prezzo, ma al momento non potrei permettermi nulla.”
Lo guardo, ma non vedo alcuna forma di tristezza; forse dispiacere, ma niente a che vedere con tristezza, odio o altri sentimenti simili.
“sembra che la stai prendendo bene però”
Mi lascio sfuggire un commento, che non sembra infastidirlo.
“stai scherzando vero?! Sono in lutto, per non parlare delle bollette che devo pagare e dell’affitto. Di questo passo finirò in strada”
Disperato inizia a deprimersi mentre rallenta il ritmo del passo, costringendomi a fermarmi per farmi raggiungere.
“muoviti vorrei mangiare ad un orario decente”
Raddrizza la postura e accelera il passo.
“volevo ringraziarti, per oggi intendo; stavano diventando insistenti gli altri, soprattutto Kori, non sa mantenere la bocca chiusa quella ragazza”
“non devi ringraziarmi, eri in difficoltà e ti ho aiutato, come tu hai aiutato me; alla fine ho solo ricambiato un favore.”
“quale dei tanti? Quando ti ho salvato la vita, quando ti ho riportato a casa nonostante il diluvio o quando oggi ti ho aiutato?”
Imbarazzata spostò lo sguardo. Non mi ero più chiesta come ripagare tutte le volte che mi ha aiutata senza chiedere nulla. Spesso mi domando perché lo faccia, ma penso che neanche lui lo sappia;
“quello che vuoi. Troverò il modo di sdebitarmi anche degli altri, così poi sarò apposto con la coscienza”
Un sorriso furbo fa capolino sul suo volto. Uno di quei sorrisi dove ti viene voglia di prendere a schiaffi il proprietario.
“Rachel Roth che ha problemi di coscienza per me? Incredibile, ma quindi è vero che sei attratta da me”
Lo fulmino con lo sguardo.
“vogliamo parlare di te che non riesci a dormire la notte per me?”
lo vedo arrossire e mettere il broncio.
“lo sai che non era quello che intendevo!”
“la stessa cosa vale per me”
Di nuovo un profondo silenzio mi avvolge portandomi a pensare di aver finalmente spento questa specie di macchinetta vivente potendo tornare a concentrarmi sui miei pensieri.
Attraversiamo la strada per arrivare davanti d un edificio bisognoso di immediata riparazione; le grigiaste crepe sui muri sono evidenziate dalla rosea pittura delle pareti esterne, dove, poco più in’alto della porta a vetrate, è appesa una pericolante insegna con su scritto “The pizza”. Un nome banale e per niente orecchiabile, un po’ come il mio accompagnatore, che alla sola vista dell’edificio ha accelerato il passo. Prima di entrare però, mi ferma sulla soglia della porta e si porta una mano dietro la testa.
“prima di entrare ti devo avvisare; in questo posto potresti trovarti in situazioni imbarazzati, dato che la persona che ci lavora è … come dire … particolare? Qualsiasi cosa accada ti prego non tentare di uccidere nessuno soprattutto il sottoscritto.”
Rimango un po’ spiazzata da quella richiesta e una brutto presentimento fa capolino nella mia testa.
Non mi lascia neanche il tempo di replicare che lo vedo già prepararsi per aprire, la porta, ma si volta ancora una volta verso di me.
“sei pronta?”
Annuisco poco convinta, ancora un po’ confusa e forse impaurita.
“speriamo bene”
Deglutisce rumorosamente mentre porta lo sguardo al cielo. Non so perché, ma ho il presentimento che sarà davvero una lunga serata, come tutta la giornata di oggi d’altronde.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** che cosa significa amare? ***





Se pensavo che l’esterno fosse pessimo, l’interno del’edificio era anche peggio, ma con un’aria meno rovinosa. Le pareti di un giallo senape erano decorate con fotografie appese raffiguranti uomini diversi, ma tutti vicini a pizze di dimensioni sproporzionate. Appena entrata la prima cosa che si scorgeva era il bancone con la cassa, affiancato  da un’enorme forno a legna, acceso probabilmente da poco. Sento un brivido invadermi la schiena, dato che a riscaldare l’ambiente c’erano quattro minicaloriferi posti uno ad ogni lato della sala quadrata. Di fianco a noi vedo una serie di tavoli, decorati con tovaglie di carta a motivi floreali tutti rossi o verdi e come centro tavola vi è un piccolo vasetto in vetro che contiene pacchetti di grissini e tovaglioli, anch’essi di carta.
“Garfield!!”
Da dietro il bancone vedo spuntare improvvisamente un uomo sulla quarantina. Ha ispidi capelli scuri e la barba, del medesimo colore, che gli copriva lievemente il spigoloso viso. Alla testa portava una bandana, della quale non capivo l’utilità, ed era vestito con una maglia bianca, visibilmente sporca di unto e di sugo, accompagnata a pantaloni rossi, anch’essi sporchi di una sostanza nerastra.
“amico tuo?”
Gli chiedo, poco convinta di voler sapere la risposta e a confermare fu il fatto che, mentre tentava di raggiungere il suo amico, si sente il rumore di pentole che sbattono e lui che da dietro il bancone inciampa su qualcosa che poteva essere una padella, cadendo rovinosamente a terra.
“amico mio”
Mi risponde divertito, per poi portare l’attenzione sull’uomo, che era riuscito ad arrivare verso di noi incolume.
“Lucian! “
Esclama Garfield abbracciando il suo amico. Quando si lasciano vedo il pizzaiolo portare l’attenzione su me. Mi osserva con un misto di eccitazione e curiosità, forse per via del colore dei miei occhi.
“vedo che mi hai portato carne fresca ehh”
Non si stava riferendo a me, vero?
“lasciala stare Lucian, non è interessata”
Dice Garfield lanciandomi uno sguardo divertito. Lo fa apposta lo stronzo!
“uh allora deve essere la famosa Rachel. Piacere piccola, sono Lucian e tu non sai quanto Garfield sia ossessionato da te, ormai non fa altro che parlare di quanto strana e interessante tu sia”
Mi prende forzatamente la mano e me la stringe portandola su e giù, non so per quanto tempo; dopo aver elaborato ciò che mia aveva appena confessato sposto lo sguardo su Garfield ormai in ebollizione, da quanto è arrossito, mentre fissava con odio il suo amico .
“Lucian!”
Con incredibile disprezzo il biondo fissa l’altro che continuava a ridersela.
“è la verità!”
Si giustifica Lucian per poi recarsi senza troppi giri di parole, di nuovo dietro il bancone.
“allora cosa posso fare per fare voi. Immagino siate qui per una cenetta romantica; purtroppo ho finito le candele, ma vi posso fare una pizza a cuore che ne dite una con i vostri nomi scritti sopra eh?!”
Un altro logorroico; stupendo.
“niente cenette grazie”
Dice disgustato Garfield. In’effetti chi sarebbe così sdolcinato da ordinare una pizza a cuore; io penso che lo lascerei immediatamente. Se c’è una cosa che non sopporto sono tutte quelle coppiette mielose. Non c’è bisogno di far venire il diabete per dimostrare il proprio affetto e quelle persone che si attaccano così insistentemente a qualcuno, sono persone disperate che non sopportano l’idea di ricevere dei no.
“ha vinto una scommessa e le devo una pizza”
Un leggero tono di fastidio, mi fa sentire fiera di essermi concessa, quella che potrebbe descriversi come una delle vittorie più semplici della mia vita.
“ah già me lo avevi detto che era una tipa tosta”
Continuando a fissare lo stravagante pizzaiolo non posso fare a meno di notare che sa un po’ troppe cose su di me e ciò in teoria dovrebbe darmi fastidio, ma per quanto mi impegni riesco solo ad esserne divertita
“quindi tu vai in giro a parlare di me e della mia vita al primo pizzaiolo che vedi?”
Gli chiedo, ormai stufa di sentir parlare di me.
“Lucian non è il primo pizzaiolo che incontro. È un buon’amico di famiglia, nonché mio datore di lavoro”
“non cambiare discorso!”
“non l’ho fatto!”
Esclama infastidito. Ammetto che è quasi divertente farlo arrabbiare. Tutte le volte finisce per mettere il broncio e mi sembra di vederlo come era da bambino.
“ehi! Ehi! Calmi; non preoccuparti principessa, tutto quello che Gar mi dice resta in questa pizzeria”
Lo fisso inacidita. Nomignoli come “piccola” o “principessa” non me li deve dare. Una volta anche mio padre mi ha chiamata così davanti ad un gruppo di suoi colleghi. La sensazione che provai era un misto tra la nauseata e l’adirata, perciò non mi piace. Trovo anche che siano nomignoli molto poco azzeccati, soprattutto per la mia persona. Mi fanno sentire sottomessa e debole ed è una cosa che non ho mai sopportato.
“wow! Gar mi aveva parlato delle tue famose occhiatacce, ma credevo che fosse solo una sua impressione, invece avevi proprio ragione amico!”
Vedo i due lanciarsi uno sguardo complice per poi passarlo di nuovo su di me, ma stavolta con un sorriso a trentadue denti, quasi inquietante, da parte di Lucian
“e immagino che tu abbia ragione anche ... sul resto”
La voce timorosa di Gar blocca il discorso dell’uomo, prima che possa aggiungere altro.
“Lucian, non ci provare n-!”
“che tipo di resto stai parlando?”
Una scintilla si fa strada negli occhi marroni del pizzaiolo, mentre l’ansia comincia a salire. Noto che la fiducia che pongo in Garfield è più di quella che ho mai posto in qualcuno e ora scoprire che anche lui l’ha tradita, mi provoca un grande peso allo stomaco. Avverto anche la tensione che prova il ragazzo di fianco a me, che non fa altro che fissare accigliato il suo amico, che gli sta davvero rovinando la giornata.
Lucian si avvicina pericolosamente, per poi sussurrarmi parole, mai da me prima d’ora udite
“tipo che hai un corpo da paura, per non parlare della tua terza abbondante!”
“Lucian chiudi quella minchia di bocca!!!”
Mentre lui era impegnato a picchiare a sangue il pizzaiolo io mi trovavo in una specie di trans. L’imbarazzo sale alle guance, le mani iniziano a sudare e ho il fiato corto. L’ira invade il mio corpo e non mi stupirei se mi spuntassero quattro occhi rossi indemoniati. Tutto ciò a cui riesco a pensare è a quando, la mattina del mio risveglio, il biondo mi aveva assicurato di non aver visto niente. Lì per lì  ho reagito male, ma infondo sapevo che non era tipo da approfittarsi di situazioni del genere, ora invece la rabbia sta consumando ogni briciola di autocontrollo.
“pensavo fosse una cosa che dovesse sapere”
“allora evita di pensare le prossime volte!”
“voi dire che ci saranno prossime volte?”
“giuro che ti butto come condimento per la tua prossima pizza!”
Le loro voci suonano deboli, mentre io sto elaborando l’accaduto e tentando di riottenere una posizione autorevole, ma al momento penso di essere con la bocca semiaperta e lo sguardo perso nel nulla.
“però vedi che non ha reagito male?!”
“ma sei scemo?! Ora mi ammazza!”
Mi sblocco dallo stato di shock, pronta a fargliela pagare.
“TU!”
Entrambi sobbalzano dallo spavento, cautamente si voltano sudando freddo e con espressione terrorizzate.
“poss-“
“Zitto! Garfield Marck Logan ti consiglio vivamente di iniziare a trovare qualcosa con cui difenderti, perché ora mi hai veramente stufato. Tu e il tuo amico pedofilo!”
Entrambi continuano a fissarmi arretrando di qualche passo, portando le mani in’alto in segno di resa.
“se ti prendo, giuro che butterò entrambi nel forno a legna, se ora non mi dai una più che valida spiegazione!”
Con il terrore negli occhi borbotta parole per nulla comprensibili, poi una terribile consapevolezza fa capolino tra i miei pensieri; lo stesso terrore, la stessa rabbia, la stessa fastidiosa sensazione di leggerezza. Tutto si sta ripetendo, tutto uguale all’ultima volta. Non voglio, non devo perdere il controllo di nuovo. inspira, espira, calmati; inspira, espira. Non perderò di nuovo, non sarò la creatura spietata che ha sempre desiderato. Ispira, espira.
Ripeto il mio mantra; ho giurato che mai più sarebbe successo di nuovo, soprattutto non di nuovo a lui. La calma mi pervade, il tono rimane alto, ma mi sento già meglio.
“ e dire che stavo iniziando a fidarmi, ma a quanto pare non ho ancora capito che tutti vogliono qualcosa in cambio!”
Ormai stufa vado a sedermi verso il primo tavolo che vedo, rischiando però di romperlo. Nonostante la brutta piega che aveva preso la serata, non se ne andrà a casa senza prima aver pagato le conseguenze delle sue azioni. Dopotutto sono ancora convinta che non lo abbia fatto volutamente. Non so da quando ho iniziato a nutrire questa cieca fiducia, soprattutto per un tipo come Garfield.
Inoltre sto morendo di fame.
Vedo l’espressione sbigottita del biondo, che ora sta parlando con Lucian, anche se dalla sua espressione sembrava più che lo stesse minacciando. Non riesco a capire cosa dicano, ma è sicuramente qualcosa che ha messo del terrore nello sguardo del vile pizzaiolo. Finito con lui, si reca cautamente verso il tavolo in cui mi trovo, osservando curioso il broncio che ho messo.
“quindi … niente corse disperate verso l’ignoto? Niente massacri degni di un genocidio?”
“desideri così tanto venir malmenato?”
“no, no! Solo sono stupito”
“non ho intenzione di farti tornare a casa senza aver pagato per la tua insolenza”
Sposto lo sguardo sul pavimento piastrellato bianco con gli occhi chiusi in segno di offesa.
“non l’ho fatto apposta”
Ritorno a guardarlo mentre si siede di fronte a me, tentando di nascondere il suo imbarazzo.
“te l’ho detto avevi perso troppo sangue e ho dovuto toglierti la maglietta per medicarti e fasciarti, non potevo evitare di guardare”
Quasi offeso, si mette anche lui ad osservare il pavimento. Cosa avranno di così interessante queste piastrelle? Non ho il tempo di controbattere che vedo Lucian uscire dalla porta della cucina con un taccuino e una penna in mano, per dirigersi verso di noi.
“allora cosa vi porto?”
Chiede con ancora un sorriso da ebete sul viso.
“penso che dovrebbe scegliere Rachel alla fine io devo solo pagare”
Si voltano entrambi verso di me e dopo aver ordinato, un’imbarazzante silenzio cade su di noi. La pizzeria era completamente vuota, anche se da fuori la finestra si vedevano dei passanti curiosi, osservare il locale. Sembrava trovarsi in un luogo estraneo al mondo esterno, così caotico, pieno di luci e vita. Ormai le strade brulicavano di coppiette e famiglie coperte da pesanti cappotti girare per le strade tra allegre risate; una scena toccante quasi, e piena di effetto, soprattutto se ammirata all’interno della pace e dell’imbarazzante silenzio che presenta la pizzeria.
“sai che non devo essere sempre io quello che inizia una conversazione vero?”
Continua ad osservarmi mentre io porgo l’attenzione all’esterno.
“chi ti dice che voglia iniziare una conversazione?”
“io vorrei”
“non sempre ciò che vuoi si realizza”
Affermo stizzita.
“pessimista”
Ora la mia attenzione è sul suo viso, desideroso di attenzioni e concentrato.
“preferisco realista”
“c’è differenza?”
Prende un bicchiere d’acqua, prima di ricominciare a parlare. Noto solo ora le profonde occhiaie che porta sotto gli occhi, come se non dormisse di notte. Qualcosa lo deve tormentare e forse so anche di cosa di tratta, ma mi pareva di aver capito che avesse pienamente superato la morte dei suoi genitori, anche se so che in realtà cose del genere non le si superano mai. Il dolore si allevia, lentamente, ma non sparirà mai del tutto: ci sarà sempre un gran vuoto e  non riuscirai mai a colmarlo in pieno, puoi solo imparare a conviverci.
Mi guardo un po’ in torno, per poi scoprire che giusto dietro di me si trovava un palchetto con un microfono e un computer vicino. Non è ciò che penso vero? Altrimenti giuro che esco da cui correndo.
“dimmi che quello non è un Karaoke, ti prego”
Un sorriso spunta sulla sua faccia.
“vuoi cantare?”
“manco morta!”
Esclamo. Noto poi una chitarra vicino al palco.
“di chi è la chitarra?”
Domando incuriosita
“mia, quando c’è poca gente mi metto a suonare per guadagnare qualche spicciolo in più”
Sorpresa, provo ad immaginarmelo su quel palchetto con in grembo la chitarra. Trovo quello strumento perfettamente adatto alla personalità di Gar; mia madre ha sempre avuto una grande passione per la musica e un giorno mi disse che la nostra anima può essere rappresentata da uno strumento
 “chi ti ha insegnato?”
Con sguardo orgoglioso e un velo di malinconia nello sguardo, appoggia la testa sulla sua mano.
“aveva iniziato mio padre, ma dopo la sua morte ho fatto da me, seguendo i consigli di Lucian e sono diventato davvero bravo”
Inizia a pavoneggiarsi, forse per cancellare quel velo scuro nel suo sguardo; alla fine è così che fanno tutti, anche io: nascondono il dolore sotto sorrisi.
“immagino”
Dico sarcastica, ma divertita dalla sua espressione offesa.
“tu suoni qualcosa?”
Annuisco, tornandomi in mente alcune sere passate ad esercitarmi a suonare il violino. Avevo visto mia madre suonarlo e subito la sua melodia mi ha affascinata, così l’ho costretta ad insegnarmi.
“sò suonare il violino e un po’ di piano; mia madre ha un grande amore per la musica e sa suonare vari strumenti così mi ha insegnato lei all’età di sette anni.”
“sarei curioso di sentirti suonare”
Mi confessa.
“dovresti sentire mia madre, lei è davvero brava; ci mette tutta se stessa.”
Rivedo lei seduta sulla poltroncina davanti al piano mentre mi suonava la sua ninna nanna per farmi dormire con il suo sorriso e la sua voce delicata. L’ho sempre paragonata ad un angelo e a volte non faccio a meno di chiedermi se fosse veramente mia madre, sempre circondata da quella pura aurea che emana, al contrario di me.
“dovresti sentire questo giovanotto, quando parte convinto con quella sua cavolo di chitarra diventa un maestro.”
Sbuca dietro di noi Lucian con le nostre pizze fumanti.
“ecco a voi”
Vedo poi che sposta l’attenzione su una famiglia entrata da poco nel ristorante per portargli ad un tavolo non molto distante da noi e porgendogli in menu. Continuo a non fare a meno di notare quanto impacciato sia nei movimenti. Un continuo barcollare, per non parlare della confidenza che si prende con le persone estranee, trattandole come se fossero vecchi amici.
“è un tipo molto … stravagante”
Mi sfugge questo commento mentre taglio a fette la cena
“molto, non riesce mai a tenere la bocca chiusa …”
Imbarazzato si butta sul piatto, tentando di non incontrare il mio sguardo.
“ti ho sentito!”
Urla Lucian da dietro il bancone, mentre inforna altre pizze e accoglie i clienti. Lentamente il ristorante inizia a riempirsi, portando un po’ di quell’atmosfera caotica, sempre presente in ogni locale, distruggendo così il senso di estraneità che mi dava poco fa.
Un lieve sorriso mi spunta sul volto, notando quanto i loro battibecchi siano futili e senza senso e mentre continuo a gustarmi la mia cena (ammetto che Gar aveva proprio ragione, era squisita), il pizzaiolo si avvicina per colpire il biondo da dietro il collo, come vendetta. Di tutta risposta lo vedo girarsi verso il suo amico, con uno sguardo accigliato, per poi tornare verso di me.
“trovo invece che faccia bene a dire sempre quello che pensa; può aiutare molto le persone a prendere i giusti provvedimenti”
Dico, con un sorriso malvagio, mentre lui continua a tagliuzzare la sua povera pizza vegetariana.
“ad’esempio, ora posso liberamente denunciarti per stolking e abuso”
Detto ciò, inizia ad andargli di traverso il boccone che aveva appena preso, rischiando di strozzarsi e facendo spuntare un’impercettibile sorriso sul mio volto.
“non lo faresti mai”
Annuncia convinto.
“allora non mi conosci per niente”
Con ancora quello sguardo maligno addosso, vedo Lucian venire verso di noi.
“oh no ti conosce fin troppo bene”
Esclama il pizzaiolo, che si era intromesso nulla conversazione come se nulla fosse.
“lo dico per esperienza, una volta mi ha detto che-“
“Lucian nessuno te l’ha chiesto!”
Lo interrompe Garfield visibilmente infastidito, ma nulla poteva ormai fermare la lingua lunga del suo amico.
“andiamo amico, mi spieghi come puoi fare a conquistarla se non le dici neanche che sei interessato!!”
Tra me e Gar non so chi sia quello messo peggio: il suo volto ormai è totalmente arrossato e fissa con odio Lucian che intanto lo fissava con un sorriso da ebete; potevo scorgere le nuvolette di fumo uscire dalle sue narici, come fanno i tori durante le corrida. Per quanto mi riguarda, ormai sento di essermi quasi abituata a momenti imbarazzanti, ma non posso evitare di guardare Garfield, che sempre più rosso, lega il mio sguardo con il suo e solo per pochi secondi, mi sembra di intravedere il mio riflesso in quelle celesti iridi.
“perdonate l’intromissione, ma non ho potuto fare a meno di ascoltare e credo che quest’uomo abbia ragione. Ragazze belle come lei non se ne trovano spesso in giro e ti consiglio di tenertela ben stretta.”
Ad intromettersi è stata un’ anziana signora che avrà si e no una sessantina d’anni, seduta di fianco a noi. Noto però che non è l’unica che ha ascoltato la conversazione e ad essermene accorta non sono l’unica. Il biondo ormai, in’ebollizione continua a farfugliare cose quasi incomprensibili, nel tentativo di spiegare, ma viene interrotto dagli esuli del suo amico.
“visto!”
Dice indicando la signora.
“io sono d’accordo con loro, devi darci dentro amico!”
Urla un ragazzo al tavolo dietro di noi. Perche diamine si stanno intromettendo tutti ora?! Sembra di essere in uno di quei programmi televisivi dove ci si diverte a vedere la reazione delle persone in determinate condizioni. Mi sembra già di vedere spuntare fuori Fabio Volo urlando “sorridi sei su Candid Camera!”
“bisogna anche vedere però cosa ne pensa lei”
Annuncia la ragazza vicino al tipo di prima; probabilmente la coppia si stava divertendo a dare consigli a caso. Ora sentivo gli sguardi di tutto il ristorante addosso.
“è vero! Rachel ti interessa Gar?”
Chiede Lucian, risvegliando i  miei istinti omicidi.
Ammetto che non me lo ero mai chiesto veramente, pensavo che non ce ne fosse bisogno. Non mi sono mai fidata di nessuno e avevo le miei idee sul quel sentimento chiamato amore. Diciamo che più volte mi ripetevo che amare era un normalissimo sentimento, uguale agli altri e che noi umani ci siamo solo divertiti a gonfiarlo di importanza, per rispondere alle nostre mille domande. Non mi sono mai fermata più di tanto a ragionarci e se mai qualcuna mi avesse fatto una domanda del genere, avrei semplicemente risposto che l’amore non esiste e se esiste io non lo posso provare; non dopo ciò che ho fatto. Una persona che ha fatto cose simili alle miei non può meritare di provare una cosa simile all’amore. Ero fermamente convinta di questa  mia opinione, ma ora mi trovo con le spalle al muro e non mi piace per niente. Sono sempre abituata a prevedere le persone e mi piace sapere di poter tenere tutto sotto controllo, perché alla fine siamo tutti uguali, ma ora mi sento così impotente e non mi sarei mai aspettata di sentirmi così per qualche imbarazzante domanda, ed il fatto con riesca a trovare un’immediata risposta mi manda in confusione. Ora le mie certezze stanno andando in frantumi, trafitte da quella fatidica domanda.
Diversamente da prima ora il viso di Garfiel è tornato al suo colore originario e mi sta fissando, inerte, senza dire niente. Aspetta come gli altri. Sò di non avere via di scampo e posso solo scegliere due strade: o scappo senza dare risposta, facendo la figura della codarda, o rispondo sinceramente. Io userei anche la seconda scelta, il problema è che non so neanche io quale sia la verità. Negli ultimi tempi mi sento più confusa del solito, per essere precisi da quando Gar mi ha salvata la notte dell’aggressione. Da lì tutto è cambiato; ho smesso di non fidarmi di lui e questo all’inizio mi ha spaventata, spingendomi a scappare da me stessa e ha nascondere i problemi, facendo finta di non vederli. Ora capisco che ho passato gli ultimi giorni a scappare da quella domanda e dalla risposta.
In questo mondo che non ha fatto altro che mentirmi, che non ha fatto altro che trascinarmi nell’oblio più assoluto della disperazione, portandomi a diventare un essere insensibile, portandomi ad essere la figlia dell’uomo che è mio padre, a odiare tutto e tutti, convinta che la felicità che avevano gli altri non la meritavo; ora sento che qualcosa è cambiato e grazie a Garfield si è riaccesa in me, qualcosa che avevo estinto per sempre.
“non lo so”
Da quelle parole usci tutta la mia confusione, sento un nodo alla gola e ho il forte bisogno di urlare. Ho bisogno di sfogarmi, di trovare qualcosa a cui appigliarmi ed rimanere aggrappata.
“che vuol dire non lo so?, saprai no cosa pensi di lu?!”
L’insistenza di Lucian mi strazia. Non posso continuare, ho paura di esplodere. Ho bisogno di stare sola. Ho bisogno che la finiscano di guardarmi tutti.
“già, come si fa a non sapere se ti piace qualcuno o no?”
Già come si fa Rachel? Perche sei così confusa?
“io-”
Vengo interrotta dal rumore di una sedia e dall’improvviso alzarsi del ragazzo seduto davanti a me.
“ora basta Lucian, lasciala in pace!”
Sbotta Gar sbattendo con rabbia le mani sul tavolo. Nel volto del pizzaiolo ora c’è solo una faccia stupita, quasi mortificata.
“ scusate, vado un attimo ai bagni”
Con calma mi alzo dalla sedia per percorrere il corridoi che separa la sala principale dalla toelette, sotto lo sguardo di tutto il ristorante. Vedo alcune persone sussurrare qualcosa ai loro compagni, ma non riesco a capire di cosa si tratti. Finalmente entro nel lungo corridoi, coperto da muri di mattonelle rosse, e in fondo scorgo le due porte di entrata.  Accelero il passo e finalmente mi ritrovo nell’unico posto dove a quanto pare, posso trovare un po’ di pace. Appoggio la testa sulla porta ed esamino l’ambiente: ci sono tre lavandini di marmo nero, lucido, in fila da dove sbucano i beccucci dell’acqua. Di fronte ad essi ci sono invece tre porte di legno dipinto di azzurro, che coprono l’interno della stanzetta, con muri del medesimo colore. Davanti a me invece vedo una piccola finestrella che da sul cielo notturno,privo però di stelle, per via delle troppi luci della città. Sembra che anche loro mi abbiano abbandonata ora, ma conosco qualcuno che non lo farebbe mai. Prendo in fretta il cellulare e cerco nella rubrica il numero dell’unica persona che ora potrebbe aiutarmi; dopo varie ricerche lo trovo e digito il tasto chiamata, aspettando che il proprietario risponda.
“pronto Rachel?”
La vivace voci di Kori mi da un immediato sollievo. Non ho mai capito come riuscisse a farmi questo effetto la ragazza, ma le sono grata.
“ciao Kori scusa l’ora, ti disturbo?”
Il mio tono impassibile, nasconde l’agitazione che provo. Mai mi sarei immaginata di voler chiedere dei consigli a Kori soprattutto di questo argomento.
“figurati, ma è successo qualcosa di grave?! Stai bene?!”
Un sorriso mi sfugge, per il suo impacciato tentativo di mantenere un tono normale, risultando solo molto preoccupato.
“no, no tutto bene, è  che …”
Non riesco a trovare le parole per parlarle.
“possiamo parlare?”
Le chiedo, per assicurarmi che sia sola.
certo aspetta un attimo”
Sento una porta chiudersi e il suono del vento dall’altra parte della cornetta; deve essere uscita fuori.
“dimmi tutto”
Una strana sicurezza mi pervade e ora so cosa chiederle.
“Kori, cosa vuol dire amare qualcuno?”
Mi stupisco da sola per come sia uscita diretta quella domanda.
“uh … aspetta tu mi stai chiedendo un consiglio?! Oddio Rachel non sai da quando stavo aspettando questo momento!!”
I suoi urli di gioia per poco non mi distruggono il timpano, allontano così il cellulare dall’orecchio finche non la sento calmarsi.
bhe Rachel, innanzitutto, non posso essere io a dirti cosa voglia dire amare, perche ha un significato diverso per tutti noi.”
Confusa non dico niente attendendo che mi spieghi di più.
“ad esempio per me amare Dick significa voler passare con lui ogni momento di gioia, ma anche di difficoltà e aiutarci a vicenda. Il significato di amare purtroppo è troppo complesso per potergli dare una semplice definizione, secondo me. Ogni uno di noi ama in modo diverso.”
“ e come ti accorgi che ti stai … innamorando di qualcuno?”
Chiedo, esitando.
“a dire il vero non te ne accorgi, di colpo ti rendi conto di voler bene ad una persona, la tratti in modo diverso dagli altri, ti preoccupi di più, vorresti passare più tempo in sua compagnia e hai paura.”
“paura?”                                       
“si, forse è proprio grazie alla paura che riesci ad amare”
“non capisco, come può la paura aiutarti ad amare?”
“vedi quando ami, si tende ad essere più insicuri perché tutte la proprie certezze si concentrano sul sentimento che provi per quella persona e quindi hai una costante paura che questa ti abbandoni portandosi via le tue certezze, ma in questo modo farai di tutto per non lasciarla andare. Almeno per me è stato così, te l’ho detto alla fine amiamo tutti in modo diverso”
“credo di aver capito, grazie Kori.”
“come mai queste domande Rachel?”
“ero solo curiosa, ora scusa devo andare”
Chiudo in fretta la chiamata, per evitare altre domande. Oggi ne ho davvero abbastanza di tutti questi interrogativi nella mia testa, ma Kori mi ha tranquillizzata e preoccupata allo stesso tempo. Sapere che posso contare su di lei sempre mi ha aiutato, ma sapere che tutta la mia insicurezza e che tutte le cose nuove che mi sento dentro sembrano voler significare che mi stia innamorando, non mi aiuta. Mentre Kori mi parlava non ho potuto fare a meno di pensare a Garfield; il fatto che riponga tutta la mia fiducia in lui, quando non mi sono mai fidata di nessuno, che quando sto con lui mi sento insicura, perche lui azzera tutte le mie certezza, con il suo carattere impossibile da prevedere e il suo sorriso così vero, vorranno mica dire che mi sto innamorando di lui? È forse l’ennesima volta che mi faccio la stessa domanda questa sera, ma dopo ciò che ha detto Kori non posso fare a meno di credere che, forse, potrebbe anche essere così.
Io innamorata? Mai mi sarei aspettata una cosa del genere. Ora sento qualcosa di stano invadermi lo spirito. È come e di colpo tutte le difficoltà siano svanite, come se mille lucciole mi stesserò girando intorno. Mi sento leggera e ho voglia di piangere, nonostante non ce ne sia bisogno. Non capisco cosa sia. È come una brezza fresca in piena estate o come quando ascolto la mia canzone preferita a tutto volume. Una forte energia mi scorre nelle vene, come se fossi capace di fare qualsiasi cosa. Che sia forse la felicità? O nella pizza c’èra forse della droga?
Qualsiasi cosa sia è il caso che l’adoperi subito. Esco dal bagno ancora un po’ confusa. Sarà il caso di tornare in sala? Alla fine non posso fare altro e inizio ad essere stanca di fuggire.




ANGOLO AUTRICE.
bhe ciao, ecco un nuovo capitolo. Che ne pensate? I strani amici del nostro Garfield sono in grado di mettere in confusione la povera Rachel, con l'auito di Fabio Volo. Vi prego ditemi che sta cavolata su Candid Camera è corretta, perchè mi fido ciecamente della mia amata Wikipedia, ma su ste cose non ci capisco niente e mi sto sentendo molto stupida :,D.
Lucian l'ho invntato io (se on contiamo quello di Shadowhunters), nonostante morissi dalla voglia di inserire Aqualad al suo posto, ma poi mi sono detta "perchè acqualad dovrebbe diventare un pizzaiolo pedofilo" e quindi ciccia.
Volevo avvisare che passero il finesettimana in campagna e dovrei tornare lunedi, quindi in tempo per il prossimo aggiornamento, ma per scurezza vi informo.
Mi sono arrivate un sacco di messaggi di incoraggiamento, e più di una persona mi ha già informata della loro fissazione con questa storia, e vi sono grata anche dei consigli sulla grammatica (faccio del mio meglio:p)).
Con affetto e cortesia un saluto e vado via ( ehhh che poetessa ... ok ora basta)
-carly

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** di me e di te ***





La forte luce della sala della pizzeria mi assale, accentuando la forte differenza di luminosità tra il corridoio e il resto del ristorante. Tento di far come se non fosse successo nulla, come se Lucian non mi avesse fatto alcuna domanda, come se tutto il ristorante non mi stesse osservando. Come se Garfiel non mi avesse aiutata. Rientrata noto che anche il resto delle persone lo sta facendo e ammetto con una bravura ammirevole. Anche Lucian ora sta prendendo le ordinazioni ad altri clienti, e sembra neanche notarmi. Al tavolo dove ero prima non c’è più traccia del ragazzo che dovrebbe pagarmi il conto. Torno a sedermi continuando a guardarmi in torno alla sua ricerca, ma senza risultati. Che se ne sia andato? In tal caso pazienza; ora come ora più mi sta lontano meglio è. Diventerebbe un problema se però ci fosse lo zampino di mio padre, ma è alquanto improbabile, dato che non sarebbero tutti così tranquilli se fosse stato rapito.
Improvvisamente tutte le luci si spengono. I bambini chiamano le madri, mentre queste cercano di spiegargli che si tratta solo di un blackout, e il confabulare confuso degli altri clienti della pizzeria crea un’atmosfera piuttosto lugubre; sembrava di trovarsi immersi nelle ombre di anime perdute della quale parlava l’ultimo libro che ho letto. Di Lucian nemmeno l’ombra e un brutto presentimento mi fa portare la mano verso il mio pugnale nella tasca della giacca. Quel pugnale me lo porto dietro sempre per sicurezza, e perché era di mio nonno che, da come mi ha spiegato Arella, era un’amante delle armi. Lei me l'ha descritto come un uomo robusto e forte; un gigante con il cuore d’oro, e in qualche modo ho subito provato grande ammirazione per lui. Avere il suo pugnale con me, mi fa sentire un po’ come se fossi con lui.
Pronta ad attaccare ascolto, cercando il suono dei passi pesanti degli uomini di mio padre, ma niente. Poi un forte riflettore illumina il piccolo palco di legno in fondo alla stanza, dando una fioca luce al resto della sala. Un alto sgabello e un microfono proiettano le loro ombre sul muro bianco e dalle scalette vedo salire Lucian che impugna il microfono con grande sicurezza.
“signori e signore spero che stiate passando una piacevole serata e per renderla ancora più piacevole un mio caro amico è qui per il vostro intrattenimento; accetta richieste e vicino alla cassa c’è un cesto dove potete mettere qualche moneta per aiutarlo a comprarsi una chitarra migliore”
Qualche risata mi arriva all’orecchio, mentre cerco di capire che diamine stia facendo.
“senza ulteriori indugi vi presento Garfield Logan”
Un applauso riempie l’atmosfera, mentre la disperazione mi assale. Ma dove diamine sono finita?
Vedo il biondo salire sul palco come se niente fosse. Una postura decisa, lo fa sembrare più adulto, infatti quel fanciullesco volto sembra stonare con il resto dandogli un’aria particolare; si differenzia dalla  massa. Posa lo sguardo su di me e fa l’occhiolino. Quando scende un pugno in faccia non glielo leva nessuno;
“buonasera a tutti, questa canzone è stata richiesta da una persone nel ristorante come sorpresa alla sua compagnia. Una ragazza davvero fortunata.”
Prende la chitarra per portarsela in grembo e sistema il microfono. Sembra non essere minimamente agitato e forse è così, ma mi stupisce il controllo con la quale si prepara, incantando subito il pubblico che non aveva occhi che per lui. Anche io, incuriosita rimango a guardarlo.
Parte la base e subito si attiva qualcosa in lui, una scintilla che accende un fuoco che si manifesta nelle sue mani che, veloci e coordinate, si muovono componendo accordi legati da quella melodia.
Parlami di te e dei tuoi silenzi,
dei tuoi occhi che son sempre senza sguardi,
parlami per non dimenticare,
per non avere più paure.
Non mi sarei mai aspettata che sapesse cantare così bene, accompagnandosi da solo inoltre. Con lo sguardo verso il pubblico scruta ogni uno dei spettatori, come se le parole da leggere fossero nei loro visi.
Parlami di partecipazione
Ma questa vita ci fa solo che mentire
Parlami perché ti so ascoltare
Anche se poi non so che dire

Non faccio a meno di sentire quelle parole come miei, e pensare a quel corvo che ascolta ma non parla.
Di un amore che fa pugni senza guanti
Di ritorni che han sapore di partenze
Di un cuore che ha più stanze di un albergo
Mentre guardo le stelle levarsi nei tuoi cieli
Di sognare i tuoi sguardi ad occhi aperti
Di temporali che ci urlano contro
Di me e di te

Sento il cuore aumentare il battito, e la strana energia di prima tornare, mentre luci colorate circondano il cantante, che guarda concentrato la sua chitarra.
E basterebbe solo sporcarci di parole
Leggendoci negli occhi
La paura e l’emozione

Basterebbe solo trovare il coraggio di agire, ecco cosa vuole dire, peccato che il coraggio viene spesso seppellito dalla paura.
Ci siamo persi in una strada tra follia e vita
La follia eri tu
In questa vita che grida e che spinge lontano
Se molli la presa mi scivoli piano

E su questo un po’ di esperienza ce l’ho, se molli la presa rischi di cadere. La canzone mi invadeva la testa e ormai ero troppo presa da quelle parole per notare un certo pizzaiolo che mi guardava divertito.
Ma che cosa vuol dire sentirsi insicuri
La teoria degli esclusi e la poesia degli illusi
Occhi chiusi

In questo momento sembra proprio che non sappia cosa vuoglia dire sentirsi insicuri, forse per la determinazione delle sue parole.
Di un amore che fa pugni senza guanti
Di ritorni che han sapore di partenze
Di un cuore che ha più stanze di un albergo
Mentre guardo le stelle levarsi nei tuoi cieli
Di sognare i tuoi sguardi ad occhi aperti
Di temporali che ci urlano contro
Di me e di te
Di me e di te
Di me e di te

Ora invece di far vagare lo sguardo, ha gli occhi puntati su di me e non sembra neanche accorgersene, come faccio io, e rimango ad osservare quel suo volto luminoso.
E tira su gli occhi
Non serve guardare lontano
Parliamoci adesso

Ora posso annegare in quel celeste così vivo, mentre lui ha ormai lo sguardo perso verso di me e continua a suonare, come se si fosse dimenticato della presenza delle altre persone. E credo di essermene dimenticata anche io.
Di un amore che fa pugni senza guanti
Di ritorni che han sapore di partenze
Di un cuore che ha più stanze di un albergo
Mentre guardo le stelle le stelle

Si risveglia dal suo stato di trans e si alza dalla sedia continuando a suonare, accompagnato dagli applausi di tutto il locale. Qualche coppia si alza per ballare, altri urlano incitandolo a continuare; sembra di essere al concerto di una qualche boy band. Lui che con un sorriso radioso, accoglie tutti quei complimenti e si gode il suo momento di gloria, dimenticandosi dell’imbarazzo, del dolore e di tutti i suoi problemi. Ora c’è solo lui e la sua chitarra. Quello che non sapevo era che oltre alla musica, per la testa aveva anche due occhi viola e le parole che cantava erano solo per lei, anche se non l'avrebbe mai saputo.
Di sognare i tuoi sguardi ad occhi aperti
Di temporali che ci urlano contro
Di me e di te
Di me e di te
Di me e di te
E tira su gli occhi
Non serve guardare lontano
Parliamoci adesso  

Di sognare i tuoi sguardi ad occhi aperti
Di temporali che ci urlano contro
Di me e di te.

Degli urli partono da ogni angolo del locale, insieme a fragorosi applausi. Lui li accoglie tutti portando le mani al cielo a inchinandosi più volte. Sembra che aver cantato gli abbia regalato una nuova energia; ora è più sveglio, meno teso e il velo di malinconia era sparito, lasciando il suo volto puro. Mentre scende dal palco, da una pacca sulla spalla a Lucian, ricominciando a parlottare e con tutto quel trambusto non riesco a sentire. Inoltre c’èra un gran via vai di gente, tutti che si dirigevano verso Gar (principalmente ragazze), chiedendogli di farsi una foto o gli facevano complimenti; credo di aver visto qualche d’una porgli dei bigliettini, probabilmente con il loro numero. Vederlo in mezzo a tanta gente che gli dimostrava affetto, mi faceva sentire … non so, bene, ma mi dava allo stesso tempo quasi infastidita. Dovrò chiarire anche questo punto con Kori più tardi. Quasi tutto il ristorante ora gli stava attorno eppure non capisco perché tutta questa emozione; per quanto possa essere stato bravo non vedo il motivo di tutta questa agitazione. Sta di fatto che ormai ho perso ogni sua traccia, in mezzo a quella folla. Eppure non sembrava tanta la gente prima. Lo vedo sbucare solo qualche minuto dopo mentre tutti tornavano ai loro posti; non mi ero neanche accorta però, che non so quando, mi ero alzata, aspettandolo a braccia incrociate. Appena mi vede, sorridere per poi avvicinarsi con una nuova determinazione, nel passo e nello spirito.
“allora, ora hai finito di fare la sarcastica?”
“non ho mai messo in dubbio le tue doti musicali, solo quelle celebrali”
Con un certo divertimento, ricomincio a prenderlo in giro e fingendosi offeso, difende il suo orgoglio.
“guarda che in questa stupenda testolina c’è più di quello che pensi”
“ah si?”
“ah si!”
Mentre lui continua a ridere io continuo a restare seria e indifferente. Poi lui mi fa cenno con la testa verso l’uscita.
“che dici pago e andiamo a farci un giro?”
Chiede, con volto sincero ed elettrizzato.
“cosa è una nuova tattica di approccio?”
Chiedo con sguardo di sfida e un’impercettibile curva all’insù si fa strada sul mio volto.
“forse … funziona?”
“no, neanche un po’”
Vado a riprendere la giacca, lasciata sulla mia sedia; mi ero totalmente dimenticata del freddo che faceva li dentro, ma sembravo essermene abituata.
“andate già via? E io come faccio nel caso qualcuno volesse il bis”
Sbuca Lucian con tre piatti vuoti in mani e la disperazione nel volto.
“non so mettiti a cantare qualcosa, potresti tornare in pista e diventare l’affascinante, quarantenne musicista, filantropo”
Se mi fossi trovata in un fumetto un punto esclamativo sarebbe spuntato vicino alla testa del pizzaiolo, che di colpo si raddrizza come colto alla sprovvista.
“sai che è proprio una bella idea, chi resisterebbe al mio fascino?”
Ci dirigiamo verso la cassa, per pagare.
“come potrebbero fuggire da questo bel faccino?”
Domanda Gar, per gonfiare le speranze dell’amico.
“potrebbero usare la porta”
Lascio sfuggire questo commento, facendo sogghignare il biondo che tentava di trattenersi per non offendere Lucian, che non sembrava neanche accorgersene, intento a prelevare lo scontrino.
“ecco a te divertitevi ragazzi e tornate a farmi visita”
Si appoggia con i gomiti al bancone, mentre mi cade dalla tasca il cellulare che sbatte violentemente conto terra. Lo raccolgo e fortunatamente noto che non era successo niente, quindi mi dirigo verso l’esterno dove mi aspettava Garfiel quando vengo fermata dalla voce che mi ha perseguitata tutta la sera.
“lasciati andare Rachel, te lo meriti tu e lui”
Prima che mi possa girare a chiedere spiegazioni, è già entrato in cucina per servire altri clienti.
“Rae ti muovi?!”
L’irritazione ritorna a farsi sentire e mi dirigo verso l’uscita, continuando però a ragionare sulle parole di Lucian.
“ti ho già ripetuto che non voglio essere chiamata così!”
Gli urlo mentre varco la soglia della porta di vetro, per trovarmi nella solita atmosfera caotica della città di notte. Il traffico che tenta di librarsi, le luci dei lampioni, tutto come sempre.
“ehi era forse una battuta quella di prima?”
Domanda, sbalordito.
“non sei l’unico ad avere il senso dell’umorismo sai?”
Iniziamo ad incamminarci verso non so dove, prendendo una strada in salita.
“allora lo ammetti che sono simpatico, oltre che terribilmente affascinante!”
Una luce si accende nel suo volto, speranzoso.
“per niente”
Distruggo le sue speranze.
“quando ammetterai che sono divertente?!”
“quando lo sarai per davvero, ovvero quando mi farai ridere”
Un ghigno si forma sul suo volto, costringendomi a guardarlo, mentre cammino con le mani nelle tasche della giacca.
“facciamo così, se entro stasera riesco a farti ridere, starai con me fino a mezzanotte!”
Ora stupita e confusa alzo le sopraciglia.
“stai veramente facendo un’altra scommessa con me?”
“certo!”
“è una battaglia persa, e poi perché dovrei restare a girare con te fino a mezzanotte?”
Chiude gli occhi, come soddisfatto di se stesso per portarsi le mani dietro la testa.
“lo vedrai”
Un sospiro spazientito, esce dalla mia bocca. Devo ormai abbandonare le speranze, non riuscirò mai a liberami di lui. Già come se lo volessi veramente.
“preparati perché sarà una lunga serata”
“già me lo aspettavo”
Esasperata porto lo sguardo verso il basso, quando inizio a percepire qualcosa nell’aria. Tensione forse, sembra che qualcuno stia urlando al mondo intero che ha paura e che il vento trasmetta questo sentimento ovunque si posi. Un forte rumore mi giunge allo orecchie, come dei passi in corsa, ma sembro essermene accorta solo io; mentre Gar continua a camminare io mi giro per controllare e vedo una sagoma nera venirmi addosso, facendomi barcollare rischiando di cadere in strada, ma riesco a stare in equilibrio. La figura si allontana di corsa scontrando anche Gar.
“ehi stai attento! Rachel tutto ok?”
“si io sto bene, ma quel tipo ti ha appena rubato il portafoglio”
Avevo appunto notato, la mano dell’individuo entrare nella tasca della giacca per sottrargli il portafoglio in pelle marrone. Scioccato, si lancia all’inseguimento dell’uomo.
“cazzo! Aspettami qui!”
Urla nel bel mezzo della sua corsa, ma non o intenzione di obbedirgli. Corro verso la sua stessa direzione, ma invece di aggirare il palazzo, taglio lungo uno stretto vicoletto, chiuso da un cancelletto di legno, che riesco a saltare, grazie alla presenza di alcuni bidoni che mi danno lo slancio. Atterro con una capriola per riprendere la corsa, con l’adrenalina che mi scorre in corpo. Il vicolo continua finche non incontro un altro muretto di cemento, ma senza alcun cassonetto; di lato però noto una specie di finestrella e, sempre di corsa, mi lancio sul buco per darmi la spinta. Supero il muro, ma invece di atterrare sul terreno, atterro su qualcosa di più morbido. Il borseggiatore infatti ora si trova sotto di me. Gli afferro entrambe le braccia e gliele curvo verso la schiena,mentre con le gambe lo faccio restare a terra,  facendolo gemere per il dolore. Un attimo dopo arriva anche Garfield con il fiatone, che rimane stupito alla mia vista.
“Grande Rachel, l’hai preso!”
Afferma gioioso. Si dirige verso di me, che intanto ho fatto alzare il malvivente sempre con la mia presa ferrea, per aiutarmi; lo respingo subito facendogli capire che posso perfettamente farcela da sola. Si scansa con un sorriso comprensivo e pieno di gratitudine, per poi dirigersi verso il portafoglio, caduto nel lato più buio del vicolo. Prima però di riuscire a prenderlo, uno stivale nero, di pelle sbuca dall’oscurità, calpestando l’oggetto e trascinandolo verso l’ombra. Per lo spavento sento Gar sussultare, mentre inizio ad avvicinarmi, sempre tenendo le mani al ladro, e con il braccio libero raggiungo il pugnale, pronta ad attaccare … di nuovo.
“mi spiace capo mi hanno preso”
Dice l’uomo bloccato da me, con tono sofferente. Ora che sento il suo tono di voce, mi rendo conto di averlo già sentito.
“non preoccuparti Logan, il piano era quello”
Ora ho la presa salda sul pugnale e cerco di scrutare nell’ombra per capire chi fosse. Intanto vedo il mio compare (se così si può definire) avvicinarsi a me, per portarmi dietro le sue spalle. La voce divertita, ma neutra allo stesso tempo dell’uomo nel vicolo, mi ricorda quella che spesso addotto io.
“chi siete? Cosa volete?”
Chiede Garfield tentando di assumere una posizione di autorità.
“calma, calma biondino, non è con te voglio parlare.”
La voce dell’oscuro vicolo finalmente si mostra, risultando quella di un ragazzo. Avrà circa venticinque anni; è altro, molto alto, con capelli neri lunghi e occhi verdi scuro. Qualcosa di minaccioso si fa strada sul volto gelido, della quale sono tanto esperta. Sorride sereno mentre Gar stringe quasi impercettibilmente le mani, sentendosi intimorito.
“la tua amica però, sembrerebbe la persona più che adatta alla richiesto che ho da porvi”
Posa lo sguardo su di  me, mostrando la dentatura bianca, se non fosse per un premolare dorato, che splendeva nel buio del vicolo.





ANGOLO AUTRICE
scusate per l'enorme ritardo, ma io e la mia famiglia ci siamo trattenuti più del solito in campagna e appena tornata ho aggiornato. la canzone riportata è dei Zaro Assoluto e dalle parole mi parevo molto adatta a questa coppia. sarei felice di sentire anche la vostra opinione grazie a quelche recensione.
grazie dell'attenzione e buon proseguimento.
-carly

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** figh and roll ***





Un vento gelido soffia nella strada buia, regalando una profonda sensazione di solitudine, non così reale. Nonostante il freddo una figura scura, quasi fosse solo un’ombra, se ne sta accucciata sulla cima di un palazzo. Sembra scrutare la vastità del gioco di luci della città: tra lampioni, fari delle macchine e insegne di negozi ormai era tutto un globo unico; e invece no. Quel’ombra guardava ben oltre; oltre i passanti, oltre i palazzi e i freddi muri. Lei guardava un vicoletto sperduto nel centro città. Studiava, come un falco fa con la sua preda, quella che potrebbe risultare una semplice coppia di fidanzati, ma la nostra sagoma scura sapeva che non era così. Il suo obbiettivo era bensì quella ragazza dai capelli corvini e occhi viola, accompagnata da un giovane della sua stessa età.
Dovete sapere che questa sagoma non è solo una delle tante oscure presenze della notte. Era bensì un’esile ragazzina, dai capelli color grano e grossi occhi azzurro chiaro. Una ragazza apparentemente normale, forse un po’ più magra del solito per il resto tutto nella norma, ma oltre ad aver passato tutta la sua giornata dietro quella coppia era bensì il contrario della normalità. Se qualcuno conoscesse la sua storia la definirebbero come una pedina nelle mani di un mostro e forse anche lei lo credeva, ma era molto di più.
In questo momento lei è un’ombra che segue il suo obbiettivo, insieme al vento freddo che muove i suoi sottili capelli. Il giorno prima era la fidanzata di un anziano miliardario e il giorno ancora prima era stata una simpatica donna delle pulizie. Cosa sarà domani non lo sa ancora, ma cosa farà quella notte le è ben chiaro; mentre la corvina era riuscita ad acciuffare un borseggiatore, lei rise illuminando il suo volto, diventando più di un’ombra.
-
-
-
“credo di non aver capito bene, ripeti”
Il buio di quel vicolo sembrava essersi dissolto, non appena il moro aveva mostrato il suo volto spigoloso. Per qualche strana ragione una vocina mi ha impedito di saltargli addosso, e porre fine ai suoi giorni da malvivente, costringendomi ad ascoltare l’assurda proposta. Inoltre non posso contare neanche sull’appoggio di Garfiled che sembrava quasi in’imbarazzo davanti a quel ragazzo: evitava il suo sguardo e si è avvicinato a me in modo protettivo, troppo per i miei gusti, ma lasciarlo fare è l’unico modo che ho per assicurarmi che non gli accada nulla. Forse è anche per questo che ora siamo in piedi, in cerchio, insieme al borseggiatore, come uno di quei gruppi di sostegno per alcolizzati disperati, solo che invece di parlare dei nostre problemi e dei nostri sentimenti più profondi, si discute di affari, se così si possono definire.
“mi pare di essere stato più che chiaro, ora sta a te decidere”
Risponde il ragazzo davanti a me, mentre alla  mia sinistra vedo Gar stringere i pugni, quasi impercettibilmente e anche il tipo che gli ha rubato il portafoglio sembra abbastanza infastidito.
“scusa, potresti mollarmi ora? vorrei tornare a casa con entrambe le braccia”
Mi trovo in una situazione alquanto strana, come incasinata: uno sconosciuto esce magicamente dal buio di un malfamato vicolo, per chiedermi di lottare in una specie di torneo clandestino in cambio del portafoglio della statua umana di fianco a me. Inoltre il ladro che ho dovuto rincorrere pretende pure di fare richieste, per non parlare del fatto che se non accetto ha minacciato entrambi di farci del male.
“stai zitto! Non hai diritto di parola al momento”
Gli urlo, come un cane farebbe ad un gatto.
“ha ragione Logan piantala di protestare!”
Si aggiunge il moro.
“ ma io … “
Prova a ribattere, ma vedendo l’occhiata che io e il suo presunto capo gli abbiamo lanciato, tace subito.
“quindi fammi capire, devo lottare contro alcuni uomini, per farti vincere dei soldi e tu in cambio mi ridai il portafoglio?”
Chiedo ancora immersa nei miei pensieri.
“esatto, gli scontri inizieranno tra mezz’ora quindi ti consiglio di fare in fretta”
Un sorrisetto malefico spunta sul mio volto. Ho avuto una lunga giornata piena di imprevisti e di pieghe imbarazzanti, e ora questo pensa di poter porre condizione CON ME?
Mollo la presa, liberando Logan che si sposta subito verso il suo capo, spaventato. Anche l’attenzione di Gar è su di me, che curioso mi guarda di sfuggita restando serio. Stringo i pugni facendo scrocchiare le nocche, per poi lanciarmi verso colui che ha deciso di sfidarmi, tirandogli un calcio nel punto un cui sosta il fegato, costringendolo a piegandosi per il dolore. Velocemente prendo al volo il portafoglio di pelle marrone, portandomi dietro di lui dandogli le spalle e reggendo orgogliosamente l’oggetto. Mentre il borseggiatore correva verso il suo capo, Garfield mi raggiunge quasi come se non fosse successo  nulla; ormai si deve essere abituato.
“era necessario?”
Mi chiede con le mani nelle tasche e osservando pietosamente il poveretto.
“se lo meritava”
Gli porgo il portafoglio, per ricevere come ringraziamento un sorriso. Di sottofondo però iniziò a sentire dei lamentii, accompagnati da singhiozzi. Con tono disperato, lacrime agli occhi e le mani sul mio piede, il ragazzo appena picchiato, mi guarda.
“ti prego!!”
Disperato, inizia a piagnucolare come un bambino, implorandomi.
“ho scommesso un sacco di soldi su di te e se non torno con qualcosa, mio padre mi ammazza”
“non sono affari che mi riguardano, dovevi pensarci due volte prima di fare il furbo”
Cerco di mantenere il mio tono neutro, ma con notevole difficoltà.
“sei senza cuore, che ti costa aiutarmi, ti prego!”
Mai visto un comportamento tanto infantile … ah si aspetta, forse si. Quasi inconsciamente porto lo sguardo a Garfield che sta cercando di trattenere le risate.
“e tu che ci trovi di divertente eh?!”
Il borseggiatore si avvicina minaccioso e io istintivamente, metto un braccio tra i due. Un pensiero improvvisamente mi annebbia la testa: se ora non farò ciò che mi hanno chiesto, ogni volta che Gar varcherà la soglia di casa sarà in pericolo. Questi lo cercheranno e lo infastidiranno ogni volta che ne avranno la possibilità e non posso permetterlo. Come ho fatto a non arrivarci prima.
“accetto, ma in cambio dovrete lasciare in pace il biondino. Sono stata chiara?!”
Con sommo stupore di tutti, pronuncio quelle parole, accompagnate da un sospiro spazientito. Gli occhi del ragazzo inchinato davanti a me, si illuminano da una luce di speranza.
“certo, certo tutto quello che vuoi! Basta che lotti per me!”
Ora è in piedi mentre mi stringe la mano colmo di gioia. Quello che prima mi sembrava uno dei soliti ragazzi mafiosi, ora sembra solo un bambino felice delle sue caramelle; lo stesso però non si può dire di Garfield che mi sgancia dalla stretta di mano del moro, infastidito.
“neanche per sogno, tu non fai proprio niente e vieni via!”
“Gar questi non ti lasceranno in pace finche  non gli accontenterò, e non voglio averti sulla coscienza chiaro? “
Incrocio le braccia al petto, mentre il ricattatore sorride soddisfatto.
“sentito ragazzino, non preoccuparti e vai a casa, qui ci pensiamo noi”
Porta una mano sulla spalla del diretto interessato, confortandolo, anche se Gar sembra tutto tranne che tranquillo, infatti con un braccio caccia quello del moro infastidito.
“a casa?! Neanche per sogno, se proprio vuoi accontentare questi sfigati io verrò con te Rae!”
“molto bene, allora andiamo tutti!”
Annuncia Logan, che fino ora era rimasto in disparte, iniziando a dirigersi verso i meandri del vicolo.
Stufa di discutere, lo seguo insieme a Gar, mentre a chiudere la fila c’è il ragazzo della quale non so ancora il nome.
“non ho capito come ti chiami”
Chiede quello di lato a me, precedendomi.
“oh certo, sono Morgan, Morgan Laurece mentre voi siete …?”
Prima che possa rispondere intervengo per impedire che spifferi a tutti la mia identità, per non contare che potrebbero conoscermi per via di mio padre.
“non ti deve interessare chi siamo, fatti bastare il mio aiuto”
Mentre ci inoltriamo sempre di più, l’oscurità si fa più fitta e ad illuminare il cammino ci sono solo pochi lampioni che diffondono una tenue luce arancione. In lontananza si sentono delle voci: urli di tifo, incoraggiamenti e imprecazioni, mischiati a musica di pessimo gusto. Se non mi trovassi in questa situazione, direi che si tratta di una discoteca, ma dato che sto seguendo un ragazzo verso un luogo di incontri illegali di lotta libera, direi più che è il posto dove dovrò esibirmi. Sento il fiato teso di Gar sino a qui, mentre Logan si volta tutto contento, per mostrarci un’ampia tenda blu, appesa su un muro. Scosta la tenda e subito uno stretto corridoio si mostra dinanzi a noi. Lo percorriamo senza fiatare per arrivare a delle pericolati scale di metallo che si bloccano su una seconda porta. Morgan porge al capo fila una chiave, con la quale apre la porta, tutto seguito dall’occhio indagatore di quel ragazzo che non fa altro che agitarsi ad ogni loro movimento. Sento la porta aprirsi con uno scatto, facendoci entrare in quella che definirei come una specie di tribuna privata. Come la galleria dei teatri, solo che questa era coperta da finestre di vetro, sorretto da strutture di metallo dipinto di un verde scuro; percorreva tutta la sala circolare sulla quale si affacciava, finche a metà si trovava una porta che conduceva in una sala con poltrone, mal ridotte. Fuori da questo corridoio si vedeva il putiferio più totale: una marea di persone tutte appiccicate le une alle altre, che urlano ed esultano, verso la recinzione dove avveniva un’incontro tra due uomini entrambi di dimensioni abbondanti. C’èra chiunque: donne mezze nude, camionisti, donne che sembravano camionisti, pieni di tatuaggi ovunque. Insomma quelle persone di cui tua madre di dice sempre di starle alla larga. Le loro grida si sentivano anche oltre il vetro. Osservo  Garfield che, con lo sguardo visibilmente preoccupato, osserva l’incontro.
“benvenuti al Fight and Roll, dimora dei più spietati spargimenti di sangue”
Annuncia Morgan.
“ok tu l’ha giù non vai; è stato un piacere, ma ora dobbiamo proprio andare”
Mi prende per un braccio e mi porta verso la porta, ma lo blocco subito, cercando il suo sguardo.
“Gar ho avuto a che fare con gente peggiore di questa, non preoccuparti, hai visto di cosa sono capace. Li butterò giù come soldatini”
Dico per rassicurarlo.
“ Rachel quelli ti schiacceranno, hai visto cosa ha appena fatto?!”
Si riferisce al fatto che ora uno dei combattenti aveva afferrato i piedi dell’avversario, facendogli prendere una facciata per terra, per poi sollevarlo come se fosse una piuma e sbatterlo contro un tavolo di legno che, ovviamente, si era distrutto. Mi giro di nuovo verso di lui che con la disperazione negli occhi, continua a fissarmi.
“Rachel ti prego”
Un lieve rossore mi riscalda il viso.
“devo farlo, credimi farei dell’altro, ma mantengo sempre le promesse. Io sono più abile di tutti loro messi insieme e non mi accadrà nulla, non devi preoccuparti per me”
“la ragazza ha ragione, noi staremo qui a guardare e se le cose dovessero andare sorte, lì c’è una porta che dà diretto accesso al campo, nel caso volessi aiutarla”
Arriva Morgan intromettendosi, facendo solo accigliare il biondo, che sembra però capire.
“ragazzina sei la prossima vogliamo andare?”
Annuncia Logan. Mi volto ancora verso Gar.
“se le succederà qualcosa vi farò passare dei grossi guai, sono stato chiaro?!”
Con un volto minaccioso e seriamente arrabbiato, si rivolge ai due che ci hanno portati qui. Tutto questo sentimento di protezione che ha nei miei confronti non lo capisco, nessuno si è mai preoccupato per la mia incolumità come fa lui, non ne avevano bisogno e l’idea di fare stare in’ansia qualcuno non mi piace. Invece che potermi completamente dedicare al rischio che andavo a correre e restare concentrata, sono costretta ad impegnarmi più del solito, a fare uno sforzo maggiore per non provocare dolore agli altri. Ora Gar mi sta mettendo in serie difficoltà con me stessa, perché è la prima volta che mi piace sapere che qualcuno è preoccupato per me. Mi fa sentire accettata e il modo in cui tenta di minacciare gli altri gli dà un’aria seria e cupa non sua.
Logan e Morgan annuiscono, e mi accompagnano verso la porta per il palco.
“stendili tutti principessa”
Prima che la mano del moro si posi sulla mia spalla, la blocco stringendogliela.
“qualsiasi cosa accada, lui resta qui! Non deve raggiungermi per aiutarmi!”
Il mio sguardo penetrante lo fa restare senza parole per un attimo, ma la sua espressione viene subito rimpiazzata da un sorriso comprensivo.
“devi volergli proprio bene eh?”
Infastidita gli rispondo per le rime.
“non voglio che nessuno si intrometta nei miei affari, tutto qui”
Sposto lo sguardo e gli mollo la mano, mentre scendo le scale di servizio, illuminate solo da una pendolante lampadina.
“non preoccuparti Rachel Roth sei l’ultima persona con la quale vorrei avere problemi”
Spiazzata mi giro e sul suo volto arrogante c’è di nuovo quella lugubre area misteriosa, come la prima volta che l’ho visto.
“m-ma come …”
Rimango senza parole, allora lui sa.
“salutami Trevor, è da un po’ che non lo vedo”
Chiude la porta e io non riesco ancora a crederci. Pochissime persone conoscono il nome di mio padre, inoltre un ragazzo della sua età, così sciocco e sprovveduto. Che cosa c’èntra lui con mio padre?
Scendo gli ultimi gradini per arrivare davanti ad un’ altro corridoio, da dove si può scorgere una forte luce. Probabilmente il ring dell’incontro. Sento le voci dei cori di tifosi, gli sbraiti e il fischio di un microfono.
“come prossimi lottatori abbiamo il grande, il solo ed’unico Splitskull”
Arrivo davanti all’entrata del ring, mentre un uomo che dovrà pesare poco più che una tonnellata mostra alla folla i suoi gonfi bicipiti, probabilmente opera di steroidi, e sbraita come un cane. La pelle abbronzata e sudata brilla sotto i riflettori. Le dimensione di questo colosso sono strabilianti, ma più grandi sono più rumore fanno quando cadono. Il mio avversario continua a correre convinto di se stesso e accoglie tutti gli applausi della folla mentre il conduttore riprende in mano il microfono.
“e come sfortunata avversaria abbiamo una nuova gente, il suo nome d’arte è Raven e tutti noi le facciamo le nostre più sentite condoglianze”
Raven? Non mi pareva di aver mai indicato un nome d’arte.
Prima di entrare, mi sbottono la camicia restando con i jeans e una canotta nera. Non sarà come la divisa che uso, ma è sempre meglio di prima. Varco la soglia, facendomi illuminare dalla forte luce del palco, mentre risate e fischi mi rimbombano nelle orecchie. Rimango impassibile, con una postura determinata mentre osservo l’avversario alla ricerca di punti vulnerabili. L’unico indumento che indossa sono delle mutande nere, lasciando il resto della pelle libera. Mi urla contro e mi fissa con sguardo minaccioso, quando noto un particolare davvero interessante; diversi lividi, sparpagliai in tutto il corpo, probabilmente se li è fatti durante i combattimenti precedenti, ma se concentro i colpi su quei punti e premo i giusti nervi non dovrei avere problemi.

DING DING

Nell’istante in cui si sente la campana di inizio, il colosso mi corre addosso come un toro. È lento, i suoi movimenti sono goffi e prevedibili, ma dove l’hanno pescato questo? Mi sposto di lato, mentre quello continua a correre oltre a me e ricominciare l’assalto. Non ho voglia di tirarla per le lunghe e la puzza di sudore di questo posto è insopportabile. Quando è abbastanza vicino riesco a prendergli il braccio schiacciando il nervo. Sento il braccio irrigidirsi e lui si ferma girandosi verso di me, in quell’istante colpisco con un potente calcio il volto, sollevandogli la testa. Mentre cerca di restare in equilibrio, sputa per terra lasciano cadere del sangue. Mi lancia un’altra furiosa occhiataccia, mentre gli spiriti bollenti degli spettatori sembrano calmarsi. Urlando porta indietro il braccio destro, preparando il pugno da scagliarmi, lo lasco fare, ma quando arriva ad un soffio dal mio volto mi sposto a sinistra, lasciandogli colpire l’aria. In quei pochi secondi dove lascia il braccio in’aria, riesco ad afferrarlo e usando tutta la forza che ho lancio per terra il gigante. Lo immobilizzo mentre il conto alla rovescia inizia.

“TRE … DUE … UNO!!”

La folla urla in coro parole poco chiare, mentre il conduttore corre verso di me alzandomi il braccio in segno di vittoria. Gli applausi partono e sembrano non fermarsi mai. Libero il mio avversario, che tra un ringhio e l’altro si trascina dolorante verso l’uscita, ferito nell’orgolio. Vengo accecata da un riflettore mentre cerco di capire cosa sta succedendo nel corridoio sopra la tribuna: Morgan ha un sorriso soddisfatto sul viso mentre Gar applaude colmo di felicità, o almeno così sembra; a dire la verità più che felicità potrebbe sembrare sollievo.
Mi allontano dal ring, per tornare in tribuna, nonostante il conduttore mi avesse detto di farmi controllare per vedere se stessi bene. L’avversario non mi ha neanche colpito quindi non ci saranno problemi. Assisto ad altri due incontri nella panchina dentro il corridoio, davanti al palco, per poi uscire vittoriosa da altri tre scontri sempre illesa. Mi chiedo per quanto dovrò restare qui, anche perche la stanchezza inizia a farsi sentire, ma nonostante ciò ammetto che mi sto davvero rilassando. L’adrenalina che scorre, il senso di superiorità e il potere che sento mi dà un senso di pace mai provato. I problemi sembrano essersi dissolti e sento lo spirito più libero, soprattutto quando guardando il punto in cui sosta il biondo e vederlo illeso. Ormai ho un forte senso di responsabilità nei suoi confronti, dopo quello che gli faccio passare mi sembrerebbe il minimo. Sembrerebbe quasi che mi ci stia affezionando, ma no: Rachel Roth non si affeziona alle persone, non crea legami. Proteggo solo chi mi aiuta.
“ben fatto principessa, ancora un’incontro e sarai libera di andartene con il tuo amico”
Dice Morgan, quando arrivo nel mio luogo di riposo, mentre asciugo il sudore con un asciugamano e calmo il respiro affannato. Annuisco e mi siedo nella panchina, aspettando il mio turno, sperando di riuscire ad uscirne anche con le poche forze che mi restano






ANGOLO AUTRICE
salve a tutti. vi chiedo scusa per l'enorme ritardo e non cerchero giustificazioni, ammettedo che avendo mancanza di ispirazione sono entrata in crisi. ora però sono più pronta che mai con questo nuovo capitolo, che spero sia stato all'altezza dell'attesa.
come vi sembra stia procedendo la storia?
un'affettuoso abbraccio e ancora grazie per le recensione positive.
-carly

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** tutto ciò che non potrò mai essere ***





Non posso crederci.

Non posso davvero credere di aver permesso a Rachel di mettre a rischio la sua incolumità per aiutare un criminale come Morgan. Alla fine se le accadrà qualcosa sarà tutta colpa mia; mi sono fatto rubare il portafoglio e non sono neanche riuscito a recuperarlo da solo. Quando ho visto contro chi avrebbe avuto a che fare, ho provato un enorme peso allo stomaco; immaginarla tra le grinfie di quei bruti mi ha distrutto, ma la sua testardaggine è più forte anche del suo buon senso ed io sono qui, con i muscoli tesi mentre guardo quella ragazza che le dà di santa ragione alla versione povera di Jonh Cena. Posso solo continuare a sperare che vada tutto bene; l’ultimo incontro l’ha sfinita, si notava, ed ora lei è là, da sola e l’unica cosa che vorrei fare è prenderla e portarla via dai qui, dai suoi problemi e farla finalmente ridere.
“non preoccuparti Romeo, la tua ragazza riuscirà a vincere senza problemi”
Mi giro di scatto ritrovandomi davanti Logan, che era rimasto in un angolo della saletta a osservare silenzioso ogni cosa.
“l-lei non è la mia ragazza”
Sento le gote tingersi di un lieve rossore. Ho passato tutto il giorno ad arrossire praticamente, ma il mio organismo non ne ha ancora abbastanza.
“davvero? Certo che si direbbe il contrario”
È visibilmente confuso. Diamo davvero l’idea di essere una coppia?
“ti sbagli, siamo solo amici, forse neanche quello”
“oh, ma è qui che ti sbagli biondino. Una semplice conoscente non si spingerebbe a farsi prendere a botte per difendere qualcuno e una semplice amica non tenterebbe così furiosamente di proteggerti”
Ha ragione. So benissimo che ha ragione ed avevo fatto anche io quel ragionamento, ma c’è qualcosa che mi impedisce di credere che lo faccia solo per affetto.
“cosa intendi dire?”
“hai presente quando stavo per dartele in quel vicolo?”
Mi chiede tranquillo mentre io, punto nell’orgoglio, annuisco.
“si è messa tra me e te senza neanche pensarci. Un semplice, istintivo gesto che forse tu non sei riuscito a capire. Questa ragazza è pronta a tutto pur di proteggerti, come tu per lei. Pensi che una persona che non provi affetto per te possa fare questo?” alza lo sguardo su di me “ragazzino io credo che a te la mora piaccia e anche molto, vero?”
Stringo i pugni. Quella domanda, ancora! Possibile che sia così evidente. Il problema è che non ne sono sicuro al cento per cento. Forse non so neanche che significa amare, ed è in questi momenti che vorrei essere come Kori. Se c’è una cosa che so per certo è che quella ragazza ha la massima consapevolezza dei suoi sentimenti e non ha paura a liberarli, al contrario di Rachel e forse al contrario anche di me.
“il problema è proprio questo, non lo so neanche io”
Lascio andare un sospiro, mentre sul volto dell’uomo si curva un sorriso comprensivo.
“fammi indovinare, la solita crisi giovanile eh? Certo che voi adolescenti rendete tutto più difficile”
“non è facile, te lo assicuro, ma trattandosi di Rachel nulla lo è”
“per quanto particolare possa essere è pur sempre un’umana”
Mi guarda severo mentre assorbo la dura rivelazione. Forse sono io che rendo le cose più difficili di quello che sono, ma andiamo vogliamo veramente dire che se ora andassi da lei e le dicessi che forse sono innamorato resterebbe tutto immutato?
“lo so, ma lei è … diversa; è assurdo e scontato che dica così, ma non mi sono mai sentito così certo di una cosa del genere. è l’unica cosa che so per certu su di lei”
Mi torna in mente la voce di Lucian: – lui ti conosce meglio di chiunque altro-; quanto si sbaglia. Dannazione quanto si sbaglia!
“su questo ti do ragione, neanche a me sembrava la tipica ragazza che incontri sul bus, ma in cosa è diversa?”
Lo guardo straziato; no può farmi domande del genere ora, mi strazia!
“fidati amico ti sto solo aiutando, coraggio cosa hai da perdere?”
Si sposta con una mano la chioma rossa (molto probabilmente tinta) e continua a guardarmi, aspettando. Sbuffo straziato e mi arrendo.
“lei … lei è impossibile da descrivere. È distante, manesca e da l’aria di essere una ragazza incredibilmente forte, impossibile da scalfire”
“ed è così, da quello che ho visto”
Sorrido sovrappensiero, per la sua sciocca affermazione.
“esatto è incredibilmente forte sia fisicamente che nell’animo, ma è anche incredibilmente fragile. Lei ha affrontato di tutto, davvero di tutto, e sembrerebbe che niente possa fermarla eppure una semplice parola, un gesto da parte di qualcuno a cui vuole bene la distruggerebbe. Anche lei ne è a conoscenza  per questo limita molto i suoi affetti.”
“e uno dei pochi nella lista a quanto pare sei proprio tu”
Sorride, lasciandomi scosso. Non mi capacito dell’idea che forse, in fondo, potrebbe anche aver ragione.
“ha bisogno di essere protetta e di qualcuno che le voglia bene veramente, secondo me.”
Evito di commentare le sue ultime parole, ma insiste.
“e quel qualcuno, sembreresti tu, giusto?”
“non saprei, io le voglio bene, molto diciamo, ma non so lei;”
“prova a chiedere”
Grande consiglio, davvero, non ci avevo pensato. Il suo volto divertito intuisce i miei pensieri, sogghignando.
“già pessimo consiglio”
Annuisco e porto lo sguardo al soffitto esasperato.
“bhe alla fine non posso dirti molto, tu la capisci sicuramente meglio di me”
“è che con lei non contano le parole; è solo fiato sprecato, bisogna agire direttamente”
Batte le mani e si stacca dal muro dove era appoggiato.
“perfetto allora sono sicuro che saprai cosa fare”
Già facile a dirsi.
“però se continui a convincerti che per lei sei solo un amico o forse neanche quello, non andrai lontano”
Si avvicina di qualche passo, portandomi una mano sulla spalla e con l’altra mano mi schiaffeggia due volte il viso, senza un’apparente senso.
“per quanto una cosa possa sembrarti difficile, impossibile, ci sarà sempre una vocina dentro dite che ti continuerà a dire di provare. Prova a darle ascolto, il resto verrà da se”
Confuso e sorpreso di tanta sicurezza, resto in silenzio a fissarlo negli occhi nocciola. Si stacca subito per dirigersi verso la porta con una mano nella tasca dei pantaloni neri. Pensare che fino a qualche ora fa questo era colui che mia aveva rubato il portafoglio. Prima di uscire però si gira un’ultima volta.
“ah Romeo, qualunque cosa ti dica la vocetta ti consiglio di farlo ora perché la tua bella sta per fare una brutta fine.”
Il mio cuore perde un battito. Mi fiondo sulla finestra e la scena che mi si scaglia davanti mi congela in sangue nella vene: Rachel, in ginocchio, mentre tenta di alzarsi con le mani e sputa un liquido rossastro al posto della saliva. Una mano premuta alla stomaco, mentre i capelli le si appiccicano al volto perlato dal sudore. Lancia un’occhiata al suo avversario e tenta di tornare in piedi, ma non riesce. Con il terrore negli occhi e il respiro affannato corro verso le scale di servizio seguito dai saluti di Logan.
“non c’è di che!”
Sto per arrivare al ring, quando mi si para davanti la sagoma di Morgan.
“dove credi di andare ragazzino?!”
Cero di sorpassarlo senza rispondergli, ma prima di poter fare un altro passo mi afferra per il braccio. Non gli do il tempo di completare l’azione che mi libero dalla presa con un forte strattone e gli tiro un pugno sulla bocca. Non so da dove viene tutta questa forza, ma al momento l’unica cosa che conta è salvare Rachel, in’oltre non mi è dispiaciuto; prendiamol come una sorta di ringraziamento per avermi rovinato la giornata. Continuo a correre, fino a venire illuminato dai riflettori e con lo stupore di tutto il pubblico prendo una gamba del tavolo, ora distrutto, e con tutta la forza che ho lo tiro in faccia a quell’ammasso di muscoli gigante. Un fuoco mi brucia dentro e mi credo di avergli anche ringhiato contro. Mentre l’uomo cade a terra con una mano sul volto io mi fiondo su Rachel. La vedo trasalire, appena cerco di aiutarla ad alzarsi.
“deficiente, torna subito indietro!”
Mi spinge via con una mano, ma la riacchiappo subito, prima che possa di nuovo cadere.
“deficiente io?! sei tu la stupida che si sta facendo ammazzare!”
Le urlo, più per rimproverare la mia distrazione, che lei. La tengo per i fianchi mentre tenta di tornare in equilibrio.
“ammazzare, ma se-“
Si interrompe e senza aggiunger altro fa una specie di calcio rotante, o qualcosa del genere, che, se non mi fossi abbassato, avrebbe colpito me: il braccio colpito del lottatore fà un rumore davvero poco rassicurante, come uno scricchiolio, ma molto forte e sicuramente molto doloroso, dato l’urlo che lancia il poveretto. Mi giro completamente verso di lui, mentre sorreggo Rachel che continua ad imprecare contro di me.
Il lottatore ora è a terra, mentre si contorce per il dolore sento una campana suonare, per segnare l’inizio del conto alla rovescia. Vedo Rachel staccarsi dalla mia presa e tirare un’altro calcio, stavolta però in uno di quei punti dove nessun uomo dovrebbe mai essere colpito, soprattutto con una tale forza. Ho sentito dolore per lui. Non fa altro che rotolarsi per terra senza neanche le forze per urlare.
“TRE! … DUE … UNOO!!”
La gente si alza per urlare e sbraitare, come negli altri incontri, ma stavolta mi sento felice come loro anche io. l’ansia si scioglie mentre veniamo annunciati come vincitori, seppure con qualche strappo alla regola. Vedo il volto della ragazza restare teso e con il respiro affannato si scosta i capelli dal volto, per poi puntarmi un dito contro.
“togliti quel sorriso dalla faccia perche quando usciamo di qui giur-“
 Non so con quale coraggio, con quale enfasi, ma lo faccio. Con lei bisogna agire non parlare. Non le d’ho neanche il tempo di finire che la prendo per le spalle e la avvolgo un grande abbraccio, annusando i suoi sottili capelli e stringendola sui fianchi. La sua rigidità iniziare lascia spazio ad un breve momento di scioltezza dove ricambia il mio gesto.
“grazie al cielo stai bene”
Affermo stringendola ancora di più, tentando di non farle mele, perchè ora come ora mi sembra la cosa più fragile di questa mondo.
-
-
-
“hey bionda lo vuoi un passaggio? Dai che ci divertiamo”
Queste sono la maggior parte delle affermazioni che venivano dette a quella ragazza. Un gruppo  di quelli che potrebbero essere presi per motociclisti quarantenni, fanno di tutto per attirare l’attenzione di quella bella ragazza dai capelli color grano e occhi grandi azzurri. Non si poneva troppi problemi, era abituata ad atteggiamenti del genere da parte di sprovveduti che non sapevano neanche con chi avevano a che fare. Pensavano solo ai loro luridi interessi mentre con sguardi troppo lunghi ammiravano la profonda scollatura della canotta bianca e esaminavano le magre gambe, scoperte grazie ad un misero pantaloncino di jeans scuro. Aveva più pelle scoperta che altro, lo sapeva bene la ragazza, ma quelle attenzioni le piacevano: la facevano sentiva superiore, migliore degli altri e ne andava fiera. E poi per la testa aveva altro; mai nella sua vita aveva trovato qualcuno che poteva eguagliarla in tattiche di combattimento, ma quella mora poteva essere l’eccezione. - l’ha addestrata bene-, ammetteva a se stessa, mentre la vedeva lottare con tanta agilità. Si muoveva nel suo territorio, esaminava la preda, tutte cose avevano insegnato anche a lei nell’istituto eppure lei lo faceva con una superficialità diversa dalla sua. Sembrava che fosse nata per quello, che sapesse fare solo quello ed era forse questo che la fregava.
Ora quella bionda la guardava attenta senza badare ai commenti dei suoi vicini, con le mani sui fianchi pronta a fermare eventuali molestatori, che non tardano ad arrivare. Più di una volta le era capitato quindi era abituata a questi trattamenti, ma continuava a divertirsi come la prima volta. Prima che una lurida mano si fermi sul suo fondoschiena, questa l’afferra senza distogliere lo sguardo dal combattimento. Ogni secondo che passa la presa si fa più dura, costringendo il proprietario dell’arto a urli di dolore, mentre cerca di liberarsi, ma invano.
Dopo che il ragazzo aveva fatto la sua entrata in campo, l’attenzione della giovane aumentò, non considerando più il resto. Si ritrovò a pensare che quel ragazzo le potrebbe esserle mentre sul suo volto abbronzato, si disegna un sorriso soddisfatto. Quello che era successo le fece capire che finalmente aveva trovato il modo di uscire da tutto quello che poteva definirsi la sua via, ma che in realtà non era altro che una terza maschera e ad aiutarla sarebbe stato proprio quel ragazzo.
Finalmente lascia la mano del pervertito, facendolo cadere in’avanti, per poi girarsi verso l’uscita sotto li sguardi impauriti del resto degli uomini che gli aveva messo gli occhi addosso. Nonostante fuori fosse pieno inverno e lei fosse vestita con quei vestiti semplici, il freddo esterno le diene piacere procurandole qualche brivido. Indossa comunque il suo pesante giaccone, che lascia sempre scoperte le lunghe gambe e si dirige all’uscita di quel vicolo.
“sempre a lavoro vedo”
non si gira neanche, continuando per la sua strada.
“se sei qui per dirmi qualcosa di utile fallo ora, altrimenti la tua compagnia non è apprezzata”
“come siamo scontrose oggi”
Un ghigno sputa sulle sottili labbra, marchiate di pesante rossetto, della bionda.
“forse potresti aiutarmi a calmarmi”
“sai bene che non posso, per quanto mi dispiaccia; hai un lavoro da svolgere”
Appena davanti alla strada principale la ragazza si volta osservando il suo interlocutore.
“da quale pulpito viene la predica; hai qualcosa di utile o mi stai solo facendo perdere tempo?”
“la seconda, ovviamente”
Sbuffa e si dirige verso la strada seguita dall’ultima frase di quella voce nel vicolo.
“attenta ai nemici che ti fai, potresti pentirtene”
“non ho nulla da perdere, lo sai bene”
Detto questo si dirige verso il centro città, con le mani nelle tasche del lungo giaccone, seguita dallo sguardo dell’uomo che con un ghigno torno nell’oscurità da dove era spuntato.
-
-
-
“non avresti dovuto farlo”
Continua con questa tiritera da quando siamo usciti da quel malconcio locale. Davvero il suo orgoglio mi lascia spiazzato ogni volta. È la terza volta che la salvo, ma mai ho ricevuto un grazie, soltanto botte e aggressioni.
“però l’ho fatto e dovresti solo ringraziarmi”
Si blocca per poi girarsi verso di me. In giro non c’è più tanta gente, neanche sulla strada principale che di solito è strapiena di persone, ma essendo le undici passate è più che comprensibile. Appena usciti dal ring si è catapultata fuori per iniziare subito a sgridarmi.
“ringraziarti?! Ti sei lanciato contro quell’ammasso di steroidi come un pazzo, senza avere un piano o un’arma mettendo a rischio entrambi.”
“ma se è grazie a me che sei ancora qui”
“non mi pare che sia stato tu a metterlo fuori gioco”
La rabbia nella sua voce tradisce la calma con la quale sta cercando di affrontare la situazione.
“no è vero, io ho solo evitato che ti spalmasse sul pavimento!”
“avevo tutto sotto controllo!”
Si volta di nuovo e continua camminare costringendomi a rincorrerla per un tratto.
“lo dici ogni volta, anche se sai perfettamente che non è vero e che hai apprezzato il mio aiuto”
“già così tanto che come ringraziamento ho voluto tirarti un calcio”
Assume un tono sarcastico, ma comunque già più calmo.
“so benissimo che non era per me, ma per l’avversario”
Rimane in silenzio sospirando.
“senti, hai ragione non mi sarei dovuto lanciare così, ma è la prima cosa che mi è passata per la testa; tu eri lì, che sputavi sangue e io non potevo farci niente … non è bello sentirsi inutili.”
Con il broncio e lo sguardo a terra la noto girarsi e tornare a camminare, mentre la seguo sospirando.
“non farlo mai più, per favore”
Alzo il volto e mi affretto a seguirla; penso che nessuno dei due sappia effettivamente dove stiamo andando, ma tutto per di evitare di stare fermi nello stesso punto.
“perché sorridi?”
Mi chiede con tono apatico. Neanche io me ne ero accorto, ormai lo faccio istintivamente.
“è la prima volta che ti sento dire per favore”
Sbuffa, portando lo sguardo al cielo buio, cercando quasi qualcosa.
“l’educazione me l’hanno insegnata, non vedo cosa ci sia di divertente”
“si, ma continua a suonarmi strano detto da te”
Ora guarda la strada davanti a se, per poi fermarsi di colpo.
“tu sai dove stiamo andando?”
A quanto pare se ne è accorta anche lei.
“a dire la verità no; sei partita verso l’ignoto e io non ho potuto far altro che seguirti”
“da bravo stalker quale sei”
“grazie, faccio del mio meglio”
Mi guardo un po’ intorno: le strade ben illuminate dai lampioni sono completamente vuote e le vetrine dei negozi illuminano i vari prodotti, nonostante le porte siano sbarrate. Qualche gatto lanciava miagolii scostanti mentre girovagano per i quartieri, facendo abbaiare cani o cadere lattine e quant’altro. Uno in particolare attirò la mia attenzione: si tratta di un piccolo gatto arancione che mi è appena passato davanti, rischiando di venir calpestato, per poi scomparire dietro una ampia siepe. Poi un flash: mi sembra di tornare bambino, quando scorgo dietro la siepe una colonna di marmo bianco, come ho fatto a non riconoscere subito il posto. Seguo il gattino e mi infilo nella siepe, spostando rami e foglie per evitare che mi arrivino in faccia.
“Gar cosa stai facendo?”
La voce di Rachel mi raggiunge mentre un sorriso mi spunta tra le labbra, come succede tutte le volte che pronuncia il mio sopranome; fino a ieri mi chiamava con il mio nome intero se non addirittura con il cognome, solo oggi la sento finalmente usare il mio sopranome e devo dire che detto da lei sta magnificamente.
Riesco ad oltrepassare la siepe e finalmente sbuco dove mi aspettavo.
“vieni Rachel questo non te lo devi perdere”
Sento il rumore dei rami spezzarsi e le foglie sfrusciare, per poi vedere la sua figura staccarsi da un ramo, visibilmente irritata. Appena si gira però la vedo sbattere più volte le palpebre incredula.
Il grande parco della mia infanzia infatti e più bello che mai,  sotto la pallida luce della luna. Nonostante gli alberi fossero senza foglie, il prato di un verde brillante decora i lati del sentiero dove ci troviamo, insieme a qualche fiore resistito al freddo. Anche i ricordi si fanno strada nella mia testa, rivivendo quei pomeriggi passati nel parco di mia madre, con lei e mio padre. Le calde risate mi occupano la mente con il suo volto angelico, contornato dalla sua lunga chioma dorata e i suoi occhi marroni come la corteccia delle querce.
“che posto è?”
Mi chiede, posando il suo sguardo su di me.
“un tempo era di proprietà della mia famiglia, mio padre comprò questo pezzo di terreno e lo fece abbellire con fontane e tutto il resto per il trentesimo compleanno di mia madre, io avevo solo sei anni. Quando sono morti sarebbe dovuto essere mio, insieme all’eredita che mi avevano lasciato, ma mio zio, alla quale ero stato affiato a dieci anni, e il suo gruppo di avvocati riuscirono ad ottenere tutto, senza lasciarmi nulla e dato che questo posto non gli interessava l’ha reso luogo pubblico, ma ormai si sono dimenticati tutti della sua esistenza”
Abbasso lo sguardo, mentre lei continua a fissarmi. Se solo ripenso a quello che ha fatto mio zio … durante il funerale non ha neanche pianto; non si è mai posto il problema di prendersi cura di me, mi ha ospitato in casa sua fino ai sedici anni per poi sbattermi fuori, mandandomi una volta al mese il pagamento per l’affitto, giusto perche di tutti quei soldi non sa che farsene.
“mi spiace,  non volevo farti rivivere brutti ricordi”
“non ti preoccupare, mi fa solo che bene ricordare”
Alzo lo sguardo verso di lei e faccio l’immane sforzo di trattenere una ristata; sui suoi capelli infatti ci sono ancora delle foglie incastrate tra le ciocche nere che le danno un aspetto impacciato e infantile, per nulla da Rachel.
“che hai da ridere ora?!”
Avendo notato la mano per coprire le risate, mi guarda accigliata. Tolgo la mano e un sorriso mi sboccia sul volto; non un sorriso di scherno, neanche un sorriso finto: uno di quei sorrisi che ti vengono quando senti la voce di un neonato mentre prova a parlare, o quando vedi un uomo donare del denaro ai poveri per strada.
 Spinto dall’istinto mi avvicino a lei portandole le mani tra i capelli e con molta calma libero le ciocche corvine lanciando via le foglie; sembravano i fili di una ragnatela: così lisci e sottili, ma resistenti come solo lei potrebbe essere. Mentre continuo a ridere abbasso lo sguardo su di lei e subito il sorriso mi si cancella, come gessetto sulla lavagna, notando la terribile vicinanza tra di noi. Il rossore sulle sue gote circonda lo stupore del suo volto mentre io rimango imbambolato a guardarla; troppo vicino Gar, allontanati, mi diceva una vocina nella mia testa, ma la tentazione di avvicinarsi e osservare meglio ogni singolo particolare di quel volto è più forte. Conoscendola in qualche modo si allontanerà prima lei con qualche scusa, ma non fa niente, ma proprio niente; resta qui immobile e non sono neanche sicuro che stia respirando.
Aspetta … Neanche io sto respirando. Il vento gioca con le sue ciocche facendola sembrare ancora più bella: sembra che il mondo stia facendo di tutto per farmi aumentare la voglia di avvicinarmi. Poi abbasso lo sguardo sulle sue labbra e da lì per me è la fine. Mai le labbra di una ragazza mi sono sembrate così invitanti, noto anche che sono semi aperte come se la mora volesse parlare e che, come me, non trovi il coraggio, ma ora come ora spero vivamente che un meteorite cada improvvisante dal cielo, atterrando a pochi passi da noi, perche forse solo quello mi distrarrebbe dandomi la forza per allontanarmi.
I suoi occhi lucidi catturano nuovamente i miei, attirandosi come calamite; lentamente mi avvicino o forse si è avvicinata lei? Quasi impercettibilmente la distanza si accorcia sempre di più, torturandomi. Ok Gar stai calmo, hai già baciato altre ragazze prima d’ora no? Non può essere così diverso dalle altre volte; già peccato che le altre volte non mi sentivo così terribilmente attratto, non avevo tutti i muscoli tesi, il cuore in arresto e una continua sensazione di mancanza d’aria. Non mi sentivo neanche così terribilmente vuoto, un vuoto che, sono sicuro, si sarebbe colmato appena sfiorate quelle labbra. Ed è proprio quando sento il suo respiro addosso che un grande botto ci fa girare entrambi verso il cielo, dove bagliori rossi illuminano il manto nero. Da ora in poi odierò con tutto me stesso i fuochi d’artificio, colui che li ha inventati e le persone che in questo momento li hanno lanciati in’aria. Un’altra esplosione e stavolta un scintillante verde ci illumina. Rimango a guardare quello spettacolo mentre nella  mia mente torna quella vocina che, giustamente, mi sta dando dello stupido proiettando un centinaio di volte l’immagine di me, di lei, delle sue labbra, dei suoi splendidi occhi …
potevano accenderli in qualsiasi momento, QUALSIASI, proprio ora dovevano esplodere vero?!
 “è tardi ed è il caso che torni  casa; conoscendo Arella sarà in pensiero”
Mi giro per poi sorriderle e annuire, dirigendoci verso la siepe. Tutto come se non fosse successo nulla e io non so se rallegrarmene o meno, ma noto che appena uscita porta particolare attenzione sui suoi capelli; noto anche che non siamo neanche troppo lontani da casa sua, vedendo da lontano il bianco terrazzo della casa di Rachel ora illuminato dai fuochi. Iniziamo ad incamminarci,  accompagnati dagli sbalzi di luce nel cielo e da un silenzio penetrante.
“sai Rachel ora che ci penso, so proprio poco di te”
“sai più che a sufficienza, anzi forse troppo”
“forse per te, ma andiamo se ci pensi bene è vero: non sò quale sia il tuo colore preferito, il tuo cibo preferito, insomma quelle cose che tra amici si dovrebbero sapere”
“quindi mi reputi una tua amica?”
Rimango basito da quell’affermazione.
“Certo! perche tu no?”
“Non l’ho mai detto”
Un sorriso da idiota si fa strada sul mio volto. Un punto a mio favore!
“ci tieni davvero così tanto ad avermi come amica?”
Chiede notando la mia espressione.
“una domanda più stupida non me la potevi davvero fare; ti sottovaluti davvero molto Rae, apprezzo molto più di quello che credi la tua compagnia”
Continuo a guardarla camminare, stavolta con il volto più serio.
“cosa te la fa apprezzare?”
“con te trovo una calma che difficilmente trovo con gli altri, diciamo che quando sono con te posso rilassarmi completamente perché so che non giudichi mai nessuno”
“anche con glia altri sei sempre lo stesso mi pare”
“si ma con te non sempre costretto a parlare, con te si sta bene anche solo in silenzio, senza alcuna vergogna”
Il – senza alcuna vergogna- è sopravalutato.
“vuoi dire che tu, Garfield Marck Logan, preferisci il silenzio alle parole?”
Insiste in tono sarcastico.
“per niente, trovo che parlare aiuti molto, ma con te non c’è bisogno di parole”
Sembra pensarci su poi si gira di nuovo verso il marciapiede.
“il blu”
Afferma a certo punto, ma confuso non afferro il concetto.
“cosa?”
“il blu e i Waffles, il mio colore e il mio cibo preferito”
Aumenta il passo e quando finalmente capisco la raggiungo di corsa.
“il mio è il verde e il tofu”
“il tofu?”
Si gira confusa verso di me, quasi schifata.
“si sono vegetariano”
“questa poi, credevo che la pizza vegetariana fosse una tua strana voglia”
“perché non dovrei essere vegetariano?”
“lascia stare, non capiresti”
Leggermente divertita sposta lo sguardo davanti a se, ma ormai troppo preso dalla conversazione insisto.
“e no adesso me lo dici”
Ridendo mi avvicino a lei e inizio a farle il solletico sulla pancia e notando un suo impulsivo irrigidimento credo di aver finalmente trovato un suo punto debole, ma è tenace e non si lascia sopraffare dall’impulso di ridere.
“G- Garfield smettila”
Qualche risatina leggera esce dalle sue labbra, tra le parole che tenta di pronunciare, mentre continuo ad insistere.
“d-dai … ah … piantala ahah”
“allora sai anche tu ridere, eh?”
Tenta di allontanarsi, ma la tengo stretta notando solo dopo che la sto praticamente abbracciando da dietro.
“non smetterò finche non urlerai che sono il più bel ragazzo che tu abbia mai conosciuto”
Si china, tentando di scivolare via dalla mia presa ancora intenta a trattenere le fragorose risate.
“per mentire spudoratamente a tutto il vicinato? Non sarebbe un comportamento da brava vicina”
Smetto di farle il solletico ma continuo a tenere le braccia davanti a lei per non sciogliere quella sottospecie di abbraccio spostando la testa sulla sua spalla. Anche la sua di testa si gira in direzione della mia.
“sono sicuro che ai tuoi vicini un po’ di sano vandalismo da ragazzi gli farà solo che bene, non immagino neanche la noia di questo posto la sera”
Un suono lieve mi entra nella testa per non lasciarlo più. Una leggera risatina, quasi impercettibile per chi non stesse aspettando solo quello, mi fa venire voglia di risentirlo di nuovo, all’infinito finché non avrò memorizzato ogni minima onda sonora. Mentre le sue labbra prendono quella tanto attesa curva all’insù, due fossette forano il volto della mora ed io imbambolato come uno scemo resto a guardarla, così vicina a me, così sciolta e finalmente serena. Approfitta del mio momento di debolezza per sguazzare via dalla mia presa e dirigersi verso il cancello di casa sua, ma ci scommetterei, con un po’ di rossore sulle gote e ancora un accenno di sorriso.
“dannazione!”
La sento imprecare, mentre mi avvicino.
“che succede?”
Guarda con odio la chiave che aveva in mano.
“ho preso la chiave del cancello, ma non quella della porta. Me la devo essere dimenticata”
Stizzita, apre il cancello e varca la soglia seguita da me.
“non avete tipo una chiave di scorta, ad’esempio sotto lo zerbino o i qualche vaso?”
Si gira verso di me come se si chiedesse se stessi scherzando.
“non tutto accade come nei film, lo sai vero?”
Ecco la solita Rachel; mi guardo in giro alla ricerca di un modo per farla entrare, senza trovare nulla.
“non c’è un altro modo per entrare?”
Alza di scatto la testa, come se avesse appena avuto un’idea geniale, il che è molto probabile.
“forse un modo c’è”
Corre verso l’entrata del giardino, seguita de me percorrendo il sentiero circondato da fiori di qualsiasi tipo, tutti chiusi per l’ora tarda a parte qualche bella di notte. Invece di seguire il sentiero piastrellato, attraversa un cespuglio per finire sotto un ampio balcone di pietra bianca con tanto di colonnine e lastra di marmo sopra.
“ok, ora che si fa?”
Non rispondendomi inizia a sbottonarsi la camicia viola, provocandomi forti brividi alla schiena. Ok mantieni il controllo e non fare lo stupido, sguardi troppo lunghi potrebbero costarmi un occhio perché non sarà clemente come stasera una seconda volta. Butta per terra la camicia rimanendo con una canotta nera; ho freddo per lei.
“ti prenderai un raffreddore che fai?!”
Raccolgo la camicia e inizio a togliermi la giacca per darla a lei, ma mi ferma con lo sguardo.
“ora io mi arrampico fino al balcone, ci vediamo dalla porta d’ingresso così mi ridai la camicia”
Alzo lo sguardo osservando il muro completamente liscio, se non fosse per qualche nicchia dove risiedono piccole statue rappresentanti dei angeli e roba varia. È praticamente impossibile scalare un muro del genere.
“vuoi arrampicarti fin là su?!”
Chiedo stupefatto.
Non si degna di darmi risposta, che inizia ad indietreggiare osservando accuratamente il muro davanti a lei. Non provo neanche a fermarla, so perfettamente che mi ignorerebbe e basta.
“sappi che quando cadrai ci sarò io ad afferrarti”
Un sorriso beffardo spunta sul suo volto, posandosi su di me.
“questa potevi davvero risparmiartela”
Detto questo corre slanciata, verso il muro. Appena raggiunto poggia un piede sulla parete bianca per fare quello che potrebbe perfettamente rientrare nella classe di salti olimpionici, aggrappandosi al bordo di una delle tante nicchie. Rimango stupito da tanta agilità e resto a guardarla mentre si muove fulminea risalendo la parete con la sola forza delle apparenti esili braccia, come un silenzioso felino. Ora è in piedi sul bordo della nicchia, mentre si aggrappa alla testa della statua e poggia i piedi sulle mani dell’angelo di marmo, dandosi lo slancio per raggiungere il bordo del suo balcone. Per una frazione di secondo la vedo scivolare e in quel secondo sento il cuore perdere un battito, per poi tornare normale dopo che la vedo alzarsi e sorpassare il colonnato per toccare finalmente il pavimento. Tiro un sospiro di sollievo e vedo lei che mi fa segno di andare verso la porta. Eseguo l’ordine e dopo cinque minuti la vedo sbucare da dietro la porta.
“io direi che per oggi basta ginnastica”
Annuncio porgendole la camicia, che afferra nell’immediato.
“per una volta sono d’accordo”
Alza lo sguardo verso di me, per poi porgermi quella che sembrerebbe una carta di credito. Confuso fisso prima la sua mano e poi il suo viso serio.
“prendilo come un ringraziamento per avermi aiutata oggi, non trovo altro modo per sdebitarmi”
Afferrato il concetto mi tiro indietro; non posso accettare dei soldi da lei.
“che?! No! Non posso accettarli Rachel!”
“invece lo farai e con i soldi che ci sono dentro riparerai la moto”
Accigliata si avvicina ancora di più per pormi sempre la stessa carta, ma io ancora più convinto l’afferro per quel braccio spingendola più vicina ancora in modo da poter poggiare le mie labbra sulla sua fronte. Un innocuo, bacio affettuoso e già mi manca il fiato. Che strano effetto che mi fa questa ragazza capace di mandarmi il cervello in pappa solo con un suo sguardo.
“preferisco di gran lunga questo come pagamento, grazie”
Ancora vicinissimi le sussurro queste parole, osservando il suo volto, che è un misto tra lo scioccato e l’imbarazzato; con quelle sue gote rossissime che le risaltano gli occhi questi sembrano limpidi e puri.
“grazie per la piacevole serata Rae, ci si vede”
Mi allontano, dandole le spalle e alzando un braccio come saluto. Non le do il tempo di reagire che sono già fuori dal cancello. Ho paura di scoprire quale potrebbe essere la sua reazione, per oggi mi sono già spinto abbastanza oltre per quanto riguarda gesti azzardati.
Quando mi venne in mente l’idea di rincorrerla per offrirle quella pizza, non mi sarei mai aspettato la piega che avrebbe preso la serata; a parte i momenti con Lucian, lì me lo sarei dovuto aspettare. Per quanto io trovi ammirevoli le persone che dicono sempre la oro, questa sera ho dovuto chiudere un occhio perche quelle di Lucian erano domande troppo pesanti per Rachel, capisco la difficoltà che deve aver provato e non sopportavo di vederla in difficoltà per colpa mia. Poi mi è venuta l’incredibile idea di dedicarle anonimamente quella canzone e li mi sono sentito subito meglio. La musica mi ha sempre aiutato e nei momenti più bui era quella che mi faceva capire di dover rialzarmi e quindi ho deciso di aiutare io la musica ad aiutare gli altri e a quanto pare con Rachel ha funzionato. Durante la canzone poi c’è stato quel momento, che se ci ripenso sono di nuovo ho il fiato sospeso e mai delle parole mi sembravano tanto adatte come all’ora.
Tira su gli occhi, non serve guardare lontano, parlami adesso Rachel, svelami chi sei
Parlami di te, del tuo cuore con più stanze di un albergo, lasciami guardare lo splendido cielo stellato nei tuoi occhi ametista.
Mi sono perso e non capisco se sto vivendo un folle, strano sogno o la vita reale eppure quella follia sei tu e sei reale.
Resta e non mollare la presa su di me, non accetterò mai la tua partenza.
Questo avrei voluto dirle, questo è quello che sentivo in quel momento e mai come prima la verità più chiara.
Diamine Rachel Roth, mi hai davvero messo in un bel casino; e ora come te lo dico che mi sono innamorato di te?
-
-
-
Se ne è andato così. Prima riesce a farmi ridere, riesce a farmi provare cose, mai provate prima; mi fa annegare in quell’azzurro così vivo, mi fa sentire felice e accettata e poi se ne và così. Grazie davvero Garfiled, non sai cosa sarebbe potuto accadere, del terribile errore che avrei potuto fare se solo i fuochi non fossero iniziati. Mai come stasera ho apprezzato la compagnia di qualcuno, non con uno come lui; lui, l’unica persona che non potrò mai essere, mi bacia (seppur sulla fronte) come gesto d’affetto e mi lascia qui con tutta questa grande confusione in testa. Ho chiuso la porta dopo essere rimasta lì imbambolata per un po’, e ora mi trovo seduta sul balcone ad ammirare le stelle e a tentare di mettere un po’ di ordine tra i miei pensieri, ma un lugubre scricchiolio mi risveglia e mi fa girare di scatto la testa per trovarmi davanti quella sagoma da me tanto odiata.
“tu non dovresti essere qui”
Ritorno in me, con tono gelido e apatico.
“e tu non dovresti frequentare gente non alla tua portata”
Mi rivolto verso la finestra non dando troppo perso alla sua presenza.
“non credo che ti riguardi, piuttosto lui lo sa che sei cui?”
“cambi sempre discorso sul più bello sei sempre la solita, comunque no non lo sa, ho deciso di fare uno strappo alla regole; ne valeva la pena”
“allora non hai il diritto di stare qui, hai un bel po’ da fare da quello che ho visto”
“già ma mi interessano di più le cose che ti riguardano ”
Mi volto di nuovo a fissare i suoi occhi celesti, furbi e velenosi come al solito.
“va via Tara!”
“oh su Rachel non fare la guastafeste”
“non sarei me se non lo fossi”
“strano, non mi sembrava con quel ragazzo”
Per un secondo il mio volto ha mutato espressione racchiudendo tutto il mio disprezzo per lei; per un secondo, ma sufficiente per farle spuntare un maligno sorriso sul volto.
“mi hai seguito, è stato lui vero? Ecco che cosa era quella missione importante sul tuo calendario. Ti ha chiesto di seguirmi!”
“pensi che aspetti i suoi ordini per farmi gli affari tuoi?”
Si porta le mani sui fianchi e china la testa di lato.
“andiamo Rachel che sarà mai, alla fine sai benissimo che in modo o nell’altro finirà male; funziona così quando di mezzo c’è tuo padre”
“hai ragione, motivo per cui dovresti stare attenta a ciò che fai; sono sicura che non sarà felice di scoprire che io ho capito che mi stessi seguendo”
Mi lancia uno sguardo di odio. Ora ce l’ho in pugno.
“che cosa vuoi?!”
“soltanto un po’ di pace, e che tu non dica a nulla a mio padre di quel ragazzo”
La guardo minacciosa, mentre lei si mette a ridere.
“oh Rachel, ma da quando siamo così sentimentali?”
“sono molto seria ora Tara; i patti sono semplici tu impedisci che lui gli faccia qualcosa e io mi lascio controllare da lui, salvandoti dalla sua furia, perche sappiamo entrambe cosa succede quando qualcosa non và come vuole lui e non importa chi, qualcuno deve pagare e io sto evitando che quella persona sia tu.”
Il sorriso le svanisce dal viso pensando alla mia offerta, fissandomi negli occhi e io ricambio finche con un gesto si scosta i lunghi capelli biondi e si dirige verso la porta.
“lui la farà pagare a tutti, lo sai vero? Ci strapperà via qualunque cosa abbiamo, di nuovo, senza nessuna esclusione, neanche per te.”
Detto questo si gira verso di me con sguardo assente.
“ho già perso tutto, sto solo impedendo che mi tolga quello che sono riuscita a costruirmi e se per farlo devo scendere ad accordi, sono pronta a tutto”
Esce dalla stanza, lasciandomi finalmente sola con me stesse. Tiro un sospiro e obbligo le lacrime a tornare indietro; non è ancora il momento, non ancora.
-
-
-
In quel tetro ufficio, solo una figura si reggeva imponente illuminato dalla pallida luce della luna, che proiettava la sua ombra sopra la scrivania di marmo nero, affiancata all’enorme poltrona di pelle rosso sangue. Un’immagine molto tetra, si direbbe, soprattutto se il resto dell’ufficio è completamente al buio. Eppure stiamo solo guardando un uomo che si sta fumando la sua sigaretta serale (seppure alle due di notte) ammirando i colori della notte, circondato dal più totale silenzio. Silenzio che viene presto interrotto da una vibrazione insistente e una luce dell’ampio schermo di un cellulare poggiato sulla scrivania, a pochi centimetri dall’uomo che, nonostante la vicinanza, solo alla quarta vibrazione decide di rispondere.
“spero che tu mi abbia chiamato per qualcosa di importante”
Dice con voce tetra, l’imponente figura
ti sembra questo il modo di rispondere ad un tuo vecchio amico?”
Un’ altro tiro di sigaretta, un’altra nuvoletta di fumo esce dalle labbra rosa e sottili, contornate da un leggera barba scura sul mento.
“socio, non amico”
“come vuoi, ho chiamato solo per farti un saluto è da un po’ che non ci si vede in giro Trevor e poi oggi ho visto tua figlia, ci ho messo un po’ a riconoscerla, ma avete lo stesso atteggiamento e lo stesso sguardo minaccioso”
Seppure a metà, l’uomo spinge sul posacenere la punta della sigaretta piegandola tutta su se stessa.
“inoltre è davvero una gran bella ragazza, quanti anni ha? Sedici, diciassette?”
“non penso che sia io a dovertelo dire”
Risponde serio.
“e sai quale è la cosa più buffa, che non era neanche da sola, ti giuro che se mi fossi immaginato tua figlia non l’avrei mai immaginata con un tipo del genere, davvero strana la vita non trovi?”
“mi pareva di essere stato chiaro la scorsa volta, io lascio in pace te e tu stai zitto”
“si, ma vedi non mi và più di restare sotto un’ombra”
“preferisci forse stare sotto una tomba?”
La voce dell’altro lato del telefono si fa più seria.
 “voglio proporti un accordo”
Ora la sagoma ha in mano una bottiglia di vino, rosso sembrerebbe, e la versa nel calice di vetro con estrema calma.
“tu un accordo con me?”
“conosco i tuoi scopi Trevor, e so che tua figlia è una pedina importante”
“vai al sodo”
se tua figlia firmasse di propria volontà, non trovi sarebbe tutto più semplice? Se tutto ciò che desideri lo potessi ottenere più facilmente e in modo più rapido, non trovi sarebbe una cosa meravigliosa?”
Ora l’attenzione dell’uomo è aumenta e afferra il cellulare con più convinzione.
“ti ascolto”
“trovo che la cosa che tu sappia fare meglio sia minacciare sai? Hai un talento e dovresti usare questo tuo talento anche con tua figlia.”
“mia figlia non ha niente che non le abbia già portato via, non c’è nulla con la quale la possa minacciare se non sua madre, che mi serve più di tutte lo sai”
Si lascia cadere sulla sedia con il bicchiere in mano pieno di vino che brilla alla luce della luna.
“è qui che ti sbagli; se ti dicessi che la persona con cui era oggi era più di nessuno?”
Un sorriso spunta sul volto dell’uomo, che dopo un lungo sorso del liquido rossastro, si poggia sullo schienale della poltrona.
“a quel punto penso che potrei essere interessato al tuo accordo, socio”




ANGOLO AUTRICE
scusate, scusate e scusate per l'enorme ritardo ma sono parecchio indietro con i capitoli e non trovo neanche lo spazio per aggiornare ultimamente. La mia vita sociale è andata a farsi benedire mentre i libri di scuola mi stanno letteralmente aggredendo.
Questo poi è il capitolo più lungo che finora abbia mai scritto ed è stato un lavoraccio correggerlo, spero che sia di vostro gradimento.
in ogni caso, grazie per la pazienza.
un saluto.
-carly

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** ballo (pt.1): vestiti pericolosi ***





È da ormai tre giorni che tutta casa mia è in subbuglio. Cameriere e maggiordomi corrono a destra e a sinistra, puliscono con più maniacalità, mentre dalla cucina si sente sempre quel forte rumore di pentole e postate in continuo movimento. Mia madre è sempre a parlare per i preparativi con persone sempre diverse,  mentre mio padre si chiude in ufficio per evadere da tutta questa confusione. La tensione si sente nell’aria e ogni volta che passo vicino a qualcuno questo mi saluta con inchini più profondi. Insomma non sono una principessa o un reale di che altro genere e non vedo il motivo di tutta questa confusione per la preparazione del ballo del mio compleanno. Ieri sera Arella mi è anche saltata addosso tutta emoziona perche la sua bambina sta per compire diciotto anni, come dice lei; mi chiedono se sono emozionata o se sento già qualche cambiamento, ma io sento solo una grande confusione in me. In parte sarà anche dato dalla caotica situazione della mia casa, ma dall’altra ci sono anche tutti i miei pensieri rivolti a Garfield, che da quella sera si comporta più fastidiosamente che mai. Ogni volta che ne ha la possibilità si vanta di essere riuscito a farmi ridere, mettendomi in imbarazzo come non mai.
“allora la nostra regina di ghiaccio si sta sciogliendo eh?”
Questo è quello che Victor mi ripete da quando ha scoperto della mia serata con il biondo, che grazie al cielo ha evitato di parlare di quelle due o tre volte dove ho rischiato di baciarlo. Mi infastidisce parecchio che abbia deciso di gridare ai quattro venti i miei piccoli momenti di debolezza; poteva evitarselo, come poteva evitarsi di lascarmi questi grandi dubbi in testa e quel suo cavolo di bacio. Ormai ho in testa solo quello. L’immagine di lui che si avvicina pericolosamente e della sensazione delle sue labbra sulla mia testa; qualche volta mi tocco la fronte e mi stupisce il fatto che mi ricordi il preciso punto dove è avvenuto il contatto. Ho anche tentato di starli il più lontano possibile, ma nulla da fare; ormai non ne sono più in grado, non sono più capace di abituarmi alla sua assenza e questo è un guaio, un grosso guaio.
Non posso neanche provarci perche ormai me lo ritrovo ovunque; anche stasera lo vedrò, insieme agli altri che non fanno altro che mandarmi messaggi di auguri, soprattutto Kori che fino ad uno mezz’ora fa continuava a parlarmi di quanto era emozionata eccetera, eccetera. Mi ritrovo così, sdraiata sul letto ad aspettare l’ora imminente e so che dovrei iniziare a prepararmi, ma non ne ho le forze. Ormai è da tre giorni che sto fino a mezzanotte a guardare fuori dalla finestra per poi alzarmi alle cinque del mattino sudata e spaventata da incubi orribili, sotto le prime luci dell’alba.
Sento bussare alla porta e sulla soglia vedo spuntare mia madre più bella che mai: un bellissimo vestito di un rosa leggero si trascina sul pavimento, lascia scoperte le forme di Arella grazie ad una scollatura a cuore, che insieme ad una spallina, appesa alla spalla destra, decorata con un vaporoso tessuto, sostengono il suo stupendo abito. Un corpetto stretto definisce bene la sua magra struttura per poi coprire con una lunga gonna le gambe. I capelli lunghi neri sono leggermente mossi sulle punte e ricadono circondandole il volto truccato, mentre ad illuminarle gli occhi ci sono degli orecchini semplici, ma d’effetto. Ho sempre pensato che la sua bellezza sia imparagonabile e ora credo che più bella di così non lo sia mai stata. Non mi sono mai reputata simile a mia madre perché mai potrò essere bella come lei e le poche cose che avevo ereditato da lei, come i miei occhi, che prima dell’incidente erano di un verde scuro come il suo, sono andati perduti.
“tesoro ma non sei ancora pronta!? Alcuni ospiti sono già arrivati e altri ne arriveranno a momenti, cosa aspetti?!”
Mi alzo a malavoglia dal letto e mi reco verso il mio armadio per prendere una felpa e dei jeans, ma vengo subito interrotta dal suo familiare tono pacato e gentile.
“al vestito ci ho pensato io, vieni con me”
Poggio gli indumenti e la seguo verso la sua stanza; da un po’ mia madre e mio padre occupano stanze diverse per volere di Trevor e credo che Arella ne sia sollevata, come me. Mi apre la porta dell’immenso vano per poi arrivare il guardaroba che ha più o meno le stesse dimensione di una stanza da letto normale. Accende le luci della seconda stanza e si dirige verso il fondo dove un manichino regge un abito di tessuto blu scuro. Le due spalline sono trasparenti se non fosse per delle farfalle ricamate che man mano più numerose si legano alla profonda scollatura, anche questa a cuore, che si collega attraverso un ricamo di rose sempre blu alla gonna liscia che scende fino a coprire i piedi. Anche la bellezza di questo indumento mi lascia senza parole e non oso immaginare quanto sia costato.
“era di tua nonna, avrebbe voluto indossarlo alla festa per la tua nascita, ma non è vissuta abbastanza e nel testamento ha espressamente chiesto di fartelo indossare al tuo diciottesimo compleanno, così che possa vedere come tu sia cresciuta durante la sua assenza. In questo vestito c’è tutta la sua vita e ha voluto donartelo per il tuo giorno speciale Rachel.”
Dovrò indossare questa meraviglia? Se va bene non è neanche della mia taglia e inoltre non mi sentirei a mio agio, quelle poche volte che ho indossato un abito del genere si contano sulle dita di una mano mozzata. Con una chiave mia madre apre il vetro dove sostava il manichino per poi tirare via l’abito con una delicatezza estrema. Me lo porge, ma non sono sicura di volerlo indossare;
“sono sicura che ti starà benissimo, gli abiti della nonna non mi hanno mai deluso e neanche questo lo farà”
Con un sorriso gentile mi convince, così lo prendo e mi dirigo verso lo stanzino per cambiarmi. Sento la stoffa morbida e leggera percorrere la mia pelle e un profumo di rose mi inebria i sensi. Solo dopo averlo indossato mi rendo conto che in realtà la misura era perfetta, come tutto di quell’abito; noto anche i ricami floreali dietro la schiena, mentre alcune ciocche scendono appena oltre la spalla. Esco dal quella specie di camerino trovando mia madre seduta sull’enorme letto matrimoniale che appena mi vede si alza in piedi portandosi le mani alla bocca e sgranando gli occhi dallo stupore.
“oh Rachel, bambina mia sei stupenda!”
Si avvicina per poi prendermi il viso tra le mani per guardarmi da vicino.
“ora pensiamo al trucco e ai capelli”
Cosa?
“mamma, ma non hai detto che c’è già della gente di sotto? Non pensi che non ci sia bisogno di questa perdita di tempo?”
Gira per il salone/armadio alla ricerca di qualcosa, aprendo cassetti e roba varia tirando fuori di tutto e di più.
“la tua bellezza non è mai una perdita di tempo Rachel e poi giù c’è tuo padre che sono sicura intratterrà gli ospiti di ora meglio di me, è dai tuoi amici che dobbiamo tenerlo alla larga, ma da quello che mi ha detto Kori abbiamo ancora abbastanza tempo; oh Eccolo!”
Mi fa sedere davanti ad’ampio specchio e inizia a tirare fuori qualsiasi tipo di polvere e creme varie. Deve però aver notato il mio volto preoccupato e teso.
“c’è qualcosa che ti turba Rae? Lo sai che con me puoi parlarne”
Con sguardo basso ci penso un po’ su, convinta a voler lasciare stare, ma poi vedo i suoi occhi così sinceri, preoccupati e sospiro.
“ho paura, mamma; paura di quello che potrebbe succedere stasera”
“ti riferisci a quello che potrebbe fare ai tuoi amici?”
Mi chiede mentre inizia a spargermi per la faccia vari prodotti con le sue mani delicate.
“mi porterà via tutto mamma, e presto lui e te sarete le uniche cose che mi rimarranno; non si farà scrupoli e non posso, non voglio accettare che per colpa del mio egoismo possa far del male anche a te e a loro. Ho paura da tutta una vita, ma mai come stasera.”
Trattengo le lacrime, non devo piangere, io non devo provare emozioni. Per un momento restiamo in silenzio e inizia a parlare solo dopo aver posato su una mensola una polvere strana.
“tuo nonno non passava mai molto tempo con me Rae, ma quei pochi momenti li ha passati a proteggermi e a darmi affetto; un giorno mi disse una cosa davvero molto importante: -la paura non esiste, lei è la rappresentazione delle tue incertezze e delle tue debolezze. Gioca con noi uomini e si nutre di questo, ma se noi invece di temerla la accogliessimo ci aiuterebbe a risolvere un sacco di problemi.-”
Ascolto quelle parole con’attenzione, ragionando e osservando il suo sorriso sereno dal riflesso della specchio. Mentre mi raccoglie i capelli lasciandosi sfuggire qualche ciocca.
“era un uomo davvero saggio e l’affetto che nutrivo per lui è davvero tanto. Quelle poche cose che ebbe la possibilità di insegnarmi le ho memorizzate, con la promesso che un giorno le avrei insegnate a te. Rae prova a fare come tuo nonno, afferra a mano della tua paura e fatti guidare”
Un lieve sorriso mi appare sul viso. La sua voce mi ha tranquillizzato, proprio come quando ero piccola. In tutti questi anni non è cambiato nulla tra me e lei. Continua ad essere lo stesso angelo di sempre.

-

-

-

“Gar ma possibile che quello in ritardo sia sempre tu?!”
La voce di Kori mi distrugge il timpano mentre salgo nell’auto di Victor. Avendo ancora la moto in riparazione sono stato costretto a chiedere un passaggio al mio amico, che ha dato uno strappo anche a Kori, Dick e ovviamente Karen. Sono tutti in tiro stasera: tutti e tre portiamo degli eleganti smoking con cravatta o fazzoletto (nel caso di Dick) abbinato all’abito delle proprie belle, mentre io ho solo una cravatte blu scura. Il completo era di mio padre, una delle poche cose che sono riuscito ad ottenere da mio zio. Le ragazze poi dovranno stare attente con chi parleranno e i miei due amici dovranno tenersele ben strette perché sono davvero belle. Karen ha un abito in tessuto liscio color platino, decorato da qualche perla sul bordo della scollatura e dietro la schiena; i capelli prima riccissimi ora lisci e sciolti, mentre Kori sembra che abbia deciso di far impazzire Dick e il suo portafoglio con un’aderente vestito rosso fuoco ampiamente scollato, che risalta molto i suoi occhi e i suoi capelli, che sono legati in uno chignon perfetto, e decorate con pietre preziose, sembrerebbe, sia sul retro che tra lo spazio tra lo scollo e la gonna.
“scusa Kori non trovavo il cellulare”
Menti, ma non potev svelarglielo. Mi siedo sui sedili posteriori insieme al moro e alla sua ragazza, mentre davanti ci sono Karen e al volante ovviamente Victor, dato il suo amore spassionato per la sua macchina.
“tutti pronti?”
Chiede quest’ultimo.
“si andiamo pure Vic”
Risponde Dick, quando vede che ho allacciato la cintura. Ci mettiamo meno tempo del previsto e arriviamo davanti al cancello dove ci attende un maggiordomo che ci informa del luogo dove possiamo lasciare l’auto. Si tratta del retro della casa che non avevo ancora visto, ma sembra essere fatto apposta come parcheggio, dato che oltre alla nostra un’altra decina di vetture sono già posizionate nei rispettivi posti. Appena scesi noto i vertiginosi tacchi delle due ragazze, ma mentre con Victor non c’è bisogno di preoccuparsi, con Dick bisogna stare attenti data l’altezza della sua ragazza, che già senza tacchi avranno la stessa misura; non oso immaginare con quei trampoli.
Ci dirigiamo verso l’entrata abbellita da luci e da cespugli con le solite rose, bianche e blu, appena superata la soglia il calore della casa mi riscalda le membra, il che è preoccupante data la porta aperta e l’ampiezza di quel salone già mezzo pieno di gente. Un’enorme lampadario si innalza nel soffitto illuminando tutta la sala; infondo a questa, un’enorme scalinata di marmo lucido collegava il piano terra a un balcone chiuso con finestre che occupavano tutta la parete, da dove si poteva accedere all’esterno che se non sbaglio dovrebbe dare sul giardino di rose, in corrispondenza alla camera di Rachel. I volti dei miei compagni sembrano stupiti quanto me e si guardano intorno increduli dello sfarzo di quella sala. Arella ha fatto le cose davvero in grande.
“sembra un castello delle fiabe”
Con voce sognante, Kori mi si avvicina insieme agli altri, ancora ammaliati.
“non oso immaginare quanto tempo serva per pulirla così, contando che questa è solo la sala ricevimenti”
Le due coppie si prendono a  braccetto quando un maggiordomo si avvicina a noi per chiedere i nomi, ma veniamo preceduti dall’arrivo di una bellissima donna dalla folta chioma nera con un vestito rosa pallido. Stento quasi a riconoscerla, ma il suo sorriso cordiale è inimitabile.
“oh ragazzi sono così felice che siate venuti, siete davvero bellissimi; Kori, Karen quegli abiti vi stanno davvero di incanto non sapete quanto siano fortunati questi bei giovanotti di avervi come compagne”
Imbarazzati, i due arrossiscono lievemente mentre le loro compagne ringraziano la signora Roth.
“grazie Arella sei splendida anche tu, a stento ti riconosciamo”
Inizia così una lunga conversazione sui loro abiti e una serie di elogi ai negozi di abbigliamento vari, che viene presto interrotta dall’arrivo un signore e di una signora, chiaramente sposati e sembrerebbe dello stesso ceto sociale della famiglia Roth. La salutano affettuosamente e si allontana con loro verso un gruppo di altre persone, ma prima di andarsene si avvicina a me.
“Rachel  sarà qui a momenti, tieni d’occhio la scalinata”
Mi fa l’occhiolino e la vedo allontanarsi con i suoi amici mentre un sorriso triste mi spunta sul volto. Tra tutte le famiglie proprio a questa sarebbe dovuto accadere un destino così doloroso. Sento la voce di Kori che mi chiama, ma prima resto ancora a guardarmi intorno tra quella marea di persone tutti, con abiti sfarzosi e sorrisi falsi, circondati da una stana aurea di luce; poi il mio occhio cade su un uomo circa sulla quarantina con smoking e cravatta nera, insieme a un gruppo di altri signori dal viso cupo e freddo. Tra tutti però era lui quello che mi raggelava di più il sangue, qualcosa mi diceva di dovergli tare alla larga eppure sentivo anche una sorta di attrazione. I suoi lineamenti, la sua postura mi ricordavano qualcuno; quando vedo però Arella avvicinarsi all’uomo e stampargli un bacio sulla guancia mi resi conto che costui era proprio il padre di Rachel. Non so come, o per quale ragione, il suo sguardo si gira verso di me e resta a scrutarmi, come fece Rae il primo giorno che la vidi; sembrava che mi stesse guardando l’anima da quanto intensamente si fosse concentrato su di me. Poi un sorriso gelido si aprì sul suo volto.
“Gar devi assolutamente provare queste tartine di granchio, sono la fine del mondo!”
La voce di Victor mi distrae per qualche secondo costringendomi a voltarmi verso di lui. Prima di raggiungerlo, mi giro di nuovo verso quell’uomo, ora però intento in una conversazione con un’altra signora. Raggiungo i miei amici e rido vedendo Vic che si era già lanciato sul buffet, mentre iniziavo a sentirmi un po’ osservato.
“davvero non sai cosa ti perdi. Voglio conoscere l’uomo che le ha cucinate e stringergli la mano”
Victor si strafogava come un matto di quelle tortine, sotto gli occhi severi di Karen che non faceva altro che ricordargli quanto fosse maleducato il suo comportamento. Intanto Kori aveva intrapreso una conversazione con una simpatica vecchietta, che si complimentava per la sua eleganza accompagnata dal marito. I due anziani stavano raccontando alla ragazza e a Dick vecchi aneddoti della loro vita da fidanzati. Tutti sembrano stare alla grande, ma un senso d’ansia mi impedisce di godermi la serata. Insomma sapevo che non ci sarebbe stato un gran che da fare, ma festeggiare il compleanno di Rachel mi sembrava un motivo più che valido per venire, per non parlare del favore che mi aveva chiesto Arella; più ci penso più sto male e l’ansia cresce. Non mi ero neanche accorto di aver immerso la mano nella ciotola di arachidi e di averla già mezza svuotata.
“allora Gar, glielo hai detto?”
Mi giro verso Vic, che aveva finito di abbuffarsi per passare ad un bicchiere di punch (l’unica bevanda presente oltre al vino rosso, che sembrava una specie di fissazione per quella casa), confuso.
“dire cosa a chi?”
Mi guarda furbo e insiste.
“oh dai, lo sai cosa intendo”
“se devo essere sincero no”
Rimane in silenzio per un po’ fissandomi.
“non fare finta di non capire, l’abbiamo visto tutti che c’è un feeling tra voi e non dirmi che non è vero”
Dal tono di voce sembra leggermente arrabbiato, ma non potevo farci niente, non capivo a cosa si riferisse.
“ma di chi stai parlando?”
“di Dick, è ovvio”
Lo guardo un attimo confuso, con un’espressione che diceva tutto: eh?
“ma secondo te a chi mi sto riferendo? Alla tu Rae, no?”
Ripeto: eh?
Troppo concentrato a cercare di collegare in fili, mi persi il momento in cui la definì “la mia Rae” e trasalì nell’istante in cui compresi.
“lei non … perche la mia Rae?”
“non è così che la chiami sempre? Rae di qui, Rae di là; mi stupisco solo che non decidiate di darvi una mossa”
Eh?
I miei sguardi da ebete stanno diventando abituali.
“Victor davvero non capisco: darci una mossa in cosa?”
Non dovevo domandarlo; non dovevo proprio domandarlo.
“mi stai dicendo che non glielo hai ancora chiesto?”
“Victor giuro che ti affogo in quel punch se non ti fai capire”
Visibilmente stupito, mette via il suo bicchiere.
“ti sto chiedendo se hai già chiesto a Rachel di uscire, e non uscire del tipo – hey ti devo un pizza quindi ti trascino per mezza città per ricambiare un debito-, ma nel senso – hey mi piaci, usciamo insieme e facciamo tanti figli-”
Modalità imbarazzo alle stelle: on
“non fare quella faccia, sappiamo tutti che gli sbavi dietro da quando l’hai vista e lei non è da meno, solo che è più brava di te a nasconderlo”
Colpito e affondato.
“io non sbavo dietro a nessuno”
Punto nell’orgoglio mi dirigo verso un piatto di non so che, e ci affondo la mano; ora come ora tutto quello che è commestibile mi sembra un buono sfogo, pur di evitare di mettergli le mani addosso.
“non direttamente almeno”
Aggiunge.
“non penso che sia il termine giusto per definire quello che provo per lei”
Dannazione a me e alla mia boccaccia.
“uh ma allora lo ammetti amico. Lei ti piace”
Sposto lo sguardo sul piatto sulla quale mi sono appena gettato. Dire che mi piace è poco, troppo poco.
“ o mio Dio!”
Annuncia Vic esultante. Fa che non abbia capito, fa che non abbia capito.
“lei non solo ti piace Gar! Tu sei totalmente cotto amico!”
Mi tira una pacca, capace di farmi rigurgitare tutto quello che avevo mangiato; ora ha il dono di leggere nel pensiero?
“tu sei innamorato!”
I suoi urli attirano l’attenzione del nostro gruppo, compreso qualche altro invitato e il padre di Rachel. Dannazione Vic.
“chi è innamorato di chi?”
La chioma rossa di Kori sbuca da dietro l’afroamericano, seguita da Dick e Karen.
“il nostro biondino ha una super cotta per la regina di ghiaccio”
Lo ringrazio per il suo tono più pacato, ma ora può anche morire.
“o mio dio davvero Gar?! Ma è stupendo. Sono sicura che Rachel ti ricambia senza alcun dubbio. Ne sono certa”
Anche tu Kori, ti sei meritata i mie istinti omicidi.
“cosa ti fa essere così sicura?”
Le chiedo, e di colpo si blocca, come se sapesse di aver parlato troppo.
“Kori?”
Non ha il tempo di rispondermi che la vedo cambiare espressione e girarsi verso la scalinata. Seguo il suo sguardo mentre mi infilo in bocca un’altra tartina, che rischia di uccidermi. Senza fiato mi va di traverso il boccone mentre guardo ammaliato sopra le scalinate, dove si erige la più bella e dannatamente sexy ragazza che abbia mai visto. Mentre Vic tenta di aiutarmi a sopravvivere non faccio a meno di pensare che una morte del genere sarebbe una delle morti più belle del mondo.




               


      





ANGOLO AUTRICE
salve a tutti, eccomi con nuove scuse per l'ennesimo ritardo. lo so, sono lenta, ma è più dura di quanto pensassi.
qui avete le immagini dei vestiti di Arella, Kori, Rachel, e Karen, in quest'ordine. spero vi piacciano; a me personalmente piace un sacco quello di Rache, dove ce la vedo troppo bene.
ok ora vado a continuare a scrivere per cercare di aggiornare prima.
sorry di nuovo.
-carly

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Ballo (pt.2): troppe emozioni ***




Da quando mia madre è stata costretta ad uscire è passato già un po’ di tempo. Sono sempre nella sua stanza, pronta per scendere, ma un’insostenibile senso d’ansia mi impedisce di dirigermi verso quelle dannate scale. Mi sdraierei sul letto se non fosse per la scomoda acconciatura  che mi pesa sulla testa. Il silenzio che c’è qui dentro mi piace e ci resterei tutta la sera, ma ho promesso ad Arella che sarei scesa non appena fossi stata pronta. Ha organizzato tutto questo per me, nonostante io non glielo abbia mai chiesto e ad aspettarmi ci saranno gli altri. Più resto qui, più aumenta la possibilità che mio padre attacchi discorso con loro, quindi coraggio Rachel, ne è dell’incolumità delle uniche persone che ti vogliono bene. Apro la porta e il brusio della sala da ballo mi arriva alle orecchie e aumenta man mano che mi avvicino. Per raggiungere l’area della casa dedicata a questi tipi di ricevimenti devo attraversare il lungo corridoio e arrivare fino alla porta grigia che ora mi si para davanti. Appoggio la mano sul freddo metallo della maniglia. Appena l’aprirò non dovrò essere insicura o impaurita. Appena aprirò questa porta dovrò tornare ad essere forte e fredda. Sorridere alla persone giuste, anche se non mi piacciono; dovrò lodare le stupide ochette per la loro volgare bellezza e dovrò evitare di stare troppo tempo con i miei amici. Quando varcherò questa soglia, qualsiasi cosa accadrà dovrò essere forte e sopportare; dovrò cancellare me stessa e diventare l’amata figlioletta di Trevor Roth, che stasera compirà diciotto anni.
Giro la maniglia e la luce della sala mi invade. Mi ritrovo proprio dilato alla scala e alcune persone si sono già girate lanciandomi sguardi lunghi. Con passo deciso mi dirigo verso la scalinata mentre il tacco di mia madre mi massacra i piedi. Non mi abituerò mai a questo tipo di scarpe, ma per fortuna mi hanno insegnato a camminarci. Sono davanti alla rampa e sulla sala è sceso il più totale silenzio. Lo sguardo mi cade su Arella che da infondo la  sala sembra commuoversi, per poi vagare per il resto della sala. Vedo Kori che con il suo solito sorriso mi guarda sognante e non faccio a meno di pensare con quell’abito sembri proprio una principessa. Mi spiace solo un po’ quello che Dick, che intanto si era avvicinato alla sua compagna, avrà dovuto sganciare. Di lato a loro ci sono Karen e Victor, anche lei molto bella con quell’abito che metteva bene in mostra le sue forme, sicuramente molto apprezzate dall’afroamericano, che intanto era occupato a battere pacche sulla schiena del solito, impacciato biondino, che rischiava il soffocamento. Quando quest’ultimo sembro riprendersi si appoggia al tavolo e alza lo sguardo su di me rimanendo a bocca aperta. Scorgo Vic e Dick lanciarsi occhiate divertite, per via del comportamento del loro amico, che aveva posto su di me tutta la sua concentrazione pensando chissà cosa. Terminata l’immensa scala, Trevor mi porge la mano, lodando la mia bellezza e tutto il resto. In questo momento sembrava davvero un padre che amava la proprio figlia e continuava a ripetere quanto fosse orgoglio di me, mentre alcune signore si avvicinano per farmi i complimenti e tutti i loro più sinceri auguri. Ricambio con un sorriso e lodi dei loro confronti, ringraziandole per aver accettato l’invito. Terminati convenevoli toccava ai mariti di queste donne, che imitando le mogli,  mi fanno i soliti auguri ecc. I primi quindici minuti della serata sono passati così mentre lanciavo di tanto in tango un'occhiata fugace, scoprendo che con lo smoking stava davvero bene. Anche lui però sembrava deciso a non perdermi di vista con gli occhi che gli brillano; dopo questo risultato mi sento davvero orgogliosa di me stessa. Quando finisco con i colleghi di mio padre mi piomba addosso la figura di Kori tutta emozionata.
“Rachel sei davvero stupenda sta sera”
Mi stritola e chiedo aiuto con lo sguardo a Karen che cerca di scollarmela di dosso.
“grazie Kori, ora mi puoi lasciare?”
Fa come le ho chiesto, mentre gli altri si avvicinavano, leggermente sorpresi.
“come ci si sente ad aver raggiunto la maggiore età?”
Mi chiede Dick, prendendo la mano della sua compagna.
“nessun cambiamento particolare per ora, ma non aspettarti che mi crescano squame e ali”
“ci sono cose peggiori”
Risponde il mio interlocutore.
“io non so voi ma qualche cambiamento lo vedo: una Rachel così elegante; pensavo di non vivere abbastanza per poterla vedere”
La faccia di Victor sbuca dietro Dick, seguito da Gar che non aveva detto ancora nulla; in compenso il suo volto diceva tutto e sembrava che non avesse mai visto una ragazza vestita così.
“non ti ci abituare”
“non dovresti dirlo a me”
Un sorriso spunta sul volto di tutti che con lo sguardo si girano verso Gar, visibilmente in soggezione. Non capendo, lo guardo anche io, in’attesa di spiegazioni.
“che c’è?”
Chiede confuso.
“lo vorrei sapere anche io”
Rispondo, ma prima che qualcuno possa dire altro, la bionda più irritante del mondo mi si avvicina. Indossava un abito davvero troppo aderente dal seno fino alla vita per poi aprirsi con una lunga spaccatura fino al pavimento; la chioma bionda, normalmente liscia ora era mossa sulle punte e una collana brillante le circonda il collo. È sempre stata così: perfetta in tutto, ma le mancava qualcosa, secondo mio padre, che io avevo in dosi maggiori
“cavolo Rachele hai proprio fatto colpo stasera, stavo parlando con il figlio di uno dei tanti amici di tuo padre e non la smetteva più di guardarti”
Tiene in mano un bicchiere dell’immancabile vino rosso, il preferito di mio padre. Quante volte ho sperato che ci si strozzasse.
“non mi pare di averti invitata Tara”
Rispondo infastidita. Sta andando peggio di come avessi previsto, anche se non lo ritenevo possibile.
“tu no, ma a tuo padre andava comodo quindi eccomi qui. Chi sono questi i tuoi amici?”
Mi volto verso di loro mentre Tara si avvicina al gruppo osservando con sguardi languidi Dick.
“carini”
“ehm Rachel non ci presenti?”
Chiede Dick visibilmente in difficoltà, mentre Kori si avvicina pronta a marcare il suo territorio.
“lei è Tara una mia … conoscente, Tara lui è Dick ed è impegnato lascia stare”
“peccato”
Fingendo di rimanerci male punta invece su Gar, anche lui mezzo inpanicato si prepara a difendersi, ma lo precedo.
“non c’è nulla alla tua portata qua Tara, puoi anche andare”
Si gira verso di me con uno di quei sorrisi falsi, da farti venir voglia di tirarle due schiaffi.
“non preoccuparti, si capisce lontano un miglio che è già cotto”
Detto questo si allontana, lasciandosi alle spalle il suo forte profumo alla vaniglia.
“non mi piace quella ragazza Rachel”
Annuncia Kori con tono cupo; detto da lei poi è davvero un grande insulto dato che solitamente le sta simpatico chiunque, ma quando si tratta di Dick e della loro relazione tira fuori gli artigli.
“non sei l’unica”
Sospiro e mi volto verso la rossa.
“secondo voi dovrei sentirmi offeso? Ci ha provato con tutti tranne che con me”
Dopo un’occhiata da parte di Karen, l’afroamericano si rimangia subito quelle parole mentre a me viene quasi da ridere. Della musica da sala inonda l’aria e alcune coppie si spostano al centro iniziando a ballare, sotto gli occhi di tutti. Gli istinti omicidi verso mia madre raggiungono livelli fuori dalla norma.
“che bella musica, ti prego Dick andiamo”
Senza neanche ascoltare la risposta del compagno, la mia amica trascina letteralmente il poveretto in pista. Vengono seguiti a ruota da Victor e Karen anche se le parti sembrano invertirsi, sotto lo stupore di Karen. Rimaniamo così solo io e il biondino, che sembrerebbe ancora imbarazzato.
“non ti credevo tipo da smoking”
Gli dico, per rompere un po’ il ghiaccio. In mezzo a tutta questa gente falsa ho bisogno della sua semplicità.
“neanche io, ma preferisco questo a quello che indossi tu”
“su questo concordo, mi chiedo ancora perche ho accettato di metterlo”
Mi sorride più tranquillo ora.
“ti sta davvero bene però”
Ora sono io quella in imbarazzo.
“ho solo più pelle scoperta del solito”
“già, molta più pelle”
Subito dopo si volta verso di me, come pentito di quello che aveva appena detto. Il problema è che è la verità e sono troppo straziata per arrabbiarmi.
“sembri più stanca del solito”
Ci azzecca subito.
“non mi piacce questa confusione, tutto qui. Dei presenti a parte voi conosco solo pochi di vista e tutti che fingono di conoscermi da una vita”
Dopo questa sprezzante dichiarazione sembra illuminarsi una lampadina sopra la testa del ragazzo, che mi prende per un braccio e inizia a strattonarvi verso l’uscita.
“andiamo allora”
Dice solo questo mentre tento di stargli dietro, ma qualcuno glielo deve spigare che con un tacco quindici non può pretendere nulla da me.
“come prego?”
Siamo vicino all’uscita mentre tento di mantenere l’equilibrio; per grazia di Dio si volta e capendo la mia seria difficoltà rallenta.
“conosco un bel posto non lontano da qui, sono sicuro che ti piacerà”
Prima di proseguire lo fermo e lo fisso negli occhi.
“non posso Gar noteranno la mia assenza”
Scolla le spalle come se non fosse niente.
“e allora? L’hai detto tu stessa che non ti piace stare qui; è il tuo compleanno e non ho intenzione di fartelo passare con il broncio”
Resto ferma a guardarlo  per qualche secondo. Questo vestito gli dona davvero molto; gli illumina il volto in un modo strano, ma bello per non contare che mette in risalto il fisico ben messo. Ha ragione, passare il mio diciottesimo compleanno così è inaccettabile, anche per me; inoltre a nessuno interesserà di me; ora come ora sono tutti impegnati a fare i lecchini con mio padre. Mi lascio scappare un altro sorriso e mi tolgo le scomode scarpe lasciandole davanti all’ingresso sul retro della casa.
“quello che vedo è un tatuaggio?”
Mi chiede. Essendo ora alle mie spalle e avendo un vestito che mi scopre metà schiena il mio corvo nero in mezzo alle scapole è in bella vista. Mi ero dimenticata di controllare questo particolare, se lo avessi saputo avrei evitato di indossarlo.
“acuta osservazione”
Nessuno era al corrente della sua esistenza, tranne mia madre. Me lo feci all’età di sedici anni come forma di ribellione nei confronti di mio padre. Qualche volta mi dimenticavo della sua presenza, ma fa parte di me e del mio passato.
“non me ne hai mai parlato”
“non vedo per avrei dovuto. Non vado in giro a parlare dei miei tatuaggi”
“hai usato il plurale, vuol dire che ce ne sono altri?”
 Sorrido beffarda.
“chi lo sa”
Percorriamo il vialetto di casa mia e usciamo dal cancello.
“perché proprio un corvo?”
Mi chiede raggiungendomi. Il freddo asfalto mi fa venire qualche brivido, ma per fortuna la giacca che ho preso mentre posavo le scarpe è più che sufficiente.
“ti interessano così tanto i segni sul mio corpo?”
“vuoi una risposta sincera?”
Con la sua faccia da pervertito mi fa intendere che non voglio davvero sapere la risposta.
“per quello”
Indico in’alto il cielo notturno dove si può chiaramente distinguere un gruppo di stelle che formano lo scheletro di un corvo.
“mi ha sempre fatto compagnia quella costellazione e per ringraziarla mi sono fatta tatuare questo simbolo”
Ammirato, alza lo sguardo e dopo qualche giro di perlustrazione sembra trovare il disegno delle stelle.
“in effetti è un’animale che ti rappresenta molto bene”
Immersa nel cielo non d’ho ascolto a quello che mi dice, ma continua a camminare verso la strada che mi indicava lui. Sentivo il peso del suo sguardo su di me, ma non ci diedi conto. Ho passato le ultime tre ore a desiderare un momento del genere: la tranquillità e la spensieratezza, senza dover pensare a come dovermi comportare, lontano da tutto e da tutti tranne che da Gar ma per quanto sia dura per me ammetterlo, se non ci fosse lui questo sarebbe un momento tra tanti meno speciale di quanto possa sembrare. Le stelle le vedo ogni notte, ma mai con lui. Resta in silenzio tutto il tempo, capendo il mio bisogno di pace, indicandomi le strade da imboccare e evitando che vada addosso a pali o a macchine mentre mi immergevo in me stessa a meditare. Era una cosa che facevo di rado, ma mi dava molto sollievo: mi chiudevo in camera e chiedevo a qualcuno di venirmi a chiamare solo se fosse stato strettamente necessario, poi mi sevo sul letto e restavo lì immobile; non sognavo ad occhi aperti, ma è qualcosa di similare, in quel momento c’èro solo io e riordinavo i pensieri. Mi tranquillizzavo.
“l’uomo di prima, quello che ti ha preso la mano dalla scalinata, era tuo padre vero?”
Mi giro verso di lui; me l’aspettavo una domanda del genere
“si, anche se padre non è la giusta definizione; non è mai stato molto presente”
“non pensavo esistesse qualcuno che facesse più paura di te”
Alzo un sopraciglio e lo guardo storto.
“quindi ammetti di aver paura di me”
Un sorriso gli spunta sul volto.
“e chi non ne avrebbe? Fulmini le persone con uno sguardo, hai sempre quell’aurea tenebrosa addosso, per non parlare del fatto che se qualcuno non ti và a genio gli rendi la vita impossibile”
Mentre parla continua a sorridere, e io non sapevo se sentirmi offesa o lusingata.
“però è questo il bello di te”
Prima che potessi replicare indica con il dito una scogliera davanti a noi. Senza che me ne resi conto eravamo arrivata sul lungo mare di Jump City. Le sue spiagge non sono la fine del mondo, anche perche la maggior parte di queste è coperta da scogli e massi che rendono impossibile la frequentazione. Mi chiedo perché mi abbia portato qui; da come me ne ha parlato sembrava qualcosa di fantastico, ma la spiaggia non mi ha mai fatto impazzire. Si dirige a passo svelto verso la scogliera per poi fermarsi subito davanti allo strapiombo che da sul mare calmo e scuro. Il rumore delle onde si sente appena da quanto calma è l’acqua e la mezza luna si riflette a sulla superficie del mare. Raggiungo Gar che sembrava aspettarmi, ma più in là di così non potevamo andare. Mi porge la mano aspettando che l’afferrassi; lo guardo non capendo.
“è scivoloso”
Mi risponde molto semplicemente, ma gli afferro comunque la mano mentre lo vedo dirigersi verso quello che potrebbe sembrare un sentiero per scendere verso il mare, che prima non avevo notato, ma invece di finire direttamente in mare finiamo proprio sotto allo scoglio dove ci trovavamo prima. Poggiai i piedi scalzi sulla fredda roccia, mentre la mia testa era a pochi centimetri dal soffitto di quella piccola grotta; per quanto potesse essere un posto semplice regalava un’atmosfera piacevole. L’acqua scontra il bordo della lastra di pietra per poi ritirarsi; verso l’interno c’è una semicupola a chiudere tutto, che si sviluppa fino a metà della pietra dove ora stiamo in piedi. Gar aveva ragione, è molto scivolo; più volte ho rischiato di perdere l’equilibrio, ma grazie alla sua presa ho evitato una caduta disastrosa.
“possibile che tu conosca sempre i posti più belli della città, ma che nessuno ne sia mai a conoscenza?”
Chiedo divertita.
“che dire; sono sempre in giro”
Mi rendo conto che le nostre mani sono ancora intrecciate, ma non le staccherei per nulla al mondo; produce un calore degno della più sofisticata stufa.
“ti piace quindi?”
Me lo chiede con lo stesso tono di voce di un bambino, speranzoso.
“è un bellissimo posto”
Inspiro a pieni polmoni l’aria di mare, rilassando i muscoli tesi; si sta così bene che sembra di essere fuori dal mondo. Una nuova forza sembra rigenerarmi da tutti questi giorni passati a pensare, che ora mi sembrano così inutili.
“lo sai che ci teniamo ancora per mano?”
Mi chiede continuando a guardare il mare, come me. Tutte le rispostine fredde, tutti i gesti maneschi che potrei lanciargli, mi sembrano così crudeli e futili ora.
“scusami”
Stacco subito la presa, riprendendomi, capendo che magari a lui quel contatto potesse dargli fastidio, ma dopo neanche due secondi se la riprende intrecciando le dita nelle mie. Guardo prima le nostre mai e poi alzo lo sguardo su di lui scoprendo che mi stava fissando accigliato.
“perche?!”
Mi chiede quasi arrabbiato. Avevo fatto qualcosa di male?
“cosa, perche?”
 Mi metto sulla difensiva iniziando ad agitarmi;
“perché pensi sempre che le persone ti odino e non apprezzino la tua compagnia?; perché pensi di essere un peso per gli altri? Perché ti sottovaluti così tanto e non fai altro che ripeterlo? Pensi che nessuno possa mai volerti bene, ma perché Rae; perché?!”
Sta quasi urlando e la sua presa si fa sempre più forte, senza però causarmi dolore. Cosa gli è preso così all’improvviso? Mi chiede cose della quale sa già la risposta e il suo tono non mi piace per niente; può urlare con chi vuole, ma con me no!
“ non è forse così? Andiamo Gar mi conosci; ci sono validi motivi per odiarmi e altri validi per credere di essere un peso, solo che tu non riesci a vederli!”
Non capisco perché stia urlando anche io, forse perché fa male ammettere quelle cose, ma è la verità e non posso farci niente. Dovrei essere abituata al dolore.
“hai ragione non riesco a vederli, ma perché non ci sono. Questi problemi sono solo nella tua testa. Tu non riesci a vedere che meravigliosa persona tu sia!”
Stupita, sento le gote scaldarsi, ma spero che siano meno rosse di quanto le senta.
“tu sei … sei testarda, masochista, manesca e forse un po’ depressa, ma sei la ragazza più tenace e tosta che conosca. Sei … sei seria, bellissima, sicura di te, responsabile, altruista, bellissima, sensibile,… l’ho già detto bellissima?”
Non so cosa stava succedendo, ma mio dio ero senza parole. Le cose che mi stava dicendo Garfield mi rimbombavano nella testa e si ripetevano, come un disco rotto. Un groppo alla gola mi cresceva man mano che parlava, gesticolando con voce decisa, ma molto nervosa. Il tempo sembrava essersi fermato e io non sò che fare.
“ sai sempre cosa dire alla persona giusta; sai prendere le giuste decisioni nei giusti momenti, hai sempre un piano di riserva; potrei andare avanti all’infinito e non mi stancherei mai di ripeterti quanto tu sia fantastica  Rae”
Con la mano libera mi accarezza delicatamente la guancia, un gesto che sembrava istintivo per lui. Lo faceva come senza pensarci eppure per me sta significando così tanto. Gli ci vuole davvero cosi poco a farmi provare cose da me mai provate? Sensazioni così forti che mi fanno tremare
“non ho nessuna di queste caratteristiche e piantala di parlare a sproposito; se stai cercando di capirmi smettila perché è inutile. Se avessi bisogno di qualcuno che mi ripeta cose di me non vere posso anche tornarmene a casa”
Mi giro spedita verso i presunti scalini per uscire da quel posto e tornarmene da dove sono venuta;almeno lì non mi sentirò così insicura.

-

-

-
Uno scoppio
Un fascio di luce
Poi il buio.
Pianti, urla spaventati, sirene che suonano.
È tutto così veloce che non si rese neanche conto di niente.
Eppure l’aveva pianificato lei.
Tutto quello che aveva costruito, tutti i sacrifici erano destinati ad essere vani, ma era necessario.
Tutto per potere regalarle una vita migliore.
La gente ha tante idee su cosa si trovi dopo la morte. Tutte teorie affascinanti, ma fondate sui nostri desideri di rinascita. Alcuni vedono il lato scientifico e credono che non ci sia semplicemente nulla. Altri vedono un paradiso dove si cammina su nuvole con ali bianche sulla schiena; c’è perfino chi crede che diventerà un animale o che altro spirito. Infondo speravo anche io che ci fosse qualcosa ma l’amara verità è che è semplicemente tutto nero.
Ho freddo.
Non ho pensieri, solo immagini che vagano velocemente davanti a me; tutta la mia vita mi passa davanti. Mio padre, mia madre tutte le persone che ho amato.
 Si anche lui.
E poi il suono di una risata. Un neonato avvolto in una pesante coperta bianca, morbida e calda. L’immagine è annebbiata ma il volto di quella creaturina è nitido e ben distinto. Sta provando a prendermi la mano tra le risate e quando ci riesce di porta il pollice nella bocca sdentata tutta contenta.
So chi è quel neonato e so che quel giorno fu il più felice della mia vita.
Quindi è questo che avviene dopo.
I suoni si fanno ovattati e torna il vuoto.
Tiro un sospiro di sollievo.
Finalmente è finita.
-

-

-

 Faccio il primo passo per arrampicarmi, ma tra il vestito lungo e scomodo, e il pavimento scivoloso perdo l’equilibrio e scivolo. Prima di toccare terra però vengo afferrata dalle sue braccia che mi impediscono di andarmene. Quindi mentre poco prima ero sul punto di andarmene ora lo trovo impossibile, dato che mi sta tenendo ben attacca a lui.
“Gar mollami se non vuoi che ti faccia male”
Continuo a dimenarmi colpendolo sul petto cercando di staccarmi, ma lui continua resistere e a stringermi.
“non ne avresti il coraggio, non faresti mai del male a me o a chiunque non se lo meriti Rachel; sei troppo altruista.”
Stringo i denti; io che non ho il coraggio di fare male agli altri? Vedremo.
“potrei spaccarti il naso anche ora”
Lo minaccio, ma la sua espressione non cambia.
“allora fallo! Che aspetti. Dimostrami che quello che ho detto è sbagliato!”
Sto per agire, ma qualcosa mi blocca. Non riesco neanche a pensare di fargli del male dopo tutto quello che gli ho fatto sopportare. Le scene di quella giornata di pioggia mi tornano in mente; lui che tenta di respirare e io che senza pietà gli stringo le mani addosso. No, non sarei mai capace di rifargli del male. Tutto quello che posso fare è continuare a guardarlo.
“visto? Se non fossi come so tu sia io sarei già a terra, a piangere disperato e implorare pietà”
Rido amaramente immaginandomi la scena. Non mi sto più dimenando; improvvisamente non ho più voglia di staccarmi ed andarmene.
“se non fossi così magnanima tu non avresti neanche le forze per parlare.”
Con gli occhi fissi nei miei, posso intravedere il mio riflesso, circondato da quell’azzurro mare così intenso da far perdere significato agli altri colori.
“sai Rae, ora ho proprio voglia di baciarti”
Lo dice come se sotto trans. Non ho neanche il tempo di stupirmi e di aggredirlo che sento il suo profumo fresco e vivace invadermi le narici e il suo respiro che mi accarezza la pelle. Qualche goccia d’acqua mi bagna le gambe e una brezza leggera scompiglia i suoi ciuffi biondi verso i mie capelli neri; la mano che prima era intrecciata alla mia, ora poggia sul mio collo insieme all’altra, pronto ad evitare che scappi. Sta volta non mi lascerà fuggire e io mi sento la mente annebbiata. Tutto quello alla quale riesco a pensare è alla forte tentazione di avvicinarmi, e di sciogliere anche solo per poco la mia corazza; la corazza che mi ha protetto per tutta la vita ora è stata scalfita da un ragazzo semplice come lui, eppure sembra essere l’unico capace di darmi tutto quello che non ho mai avuto. Ancor prima che me ne accorga sento il lieve contatto con le sue labbra sulle mie, per poi posarsi completamente come pezzi di un puzzle, concedendomi quel contatto che in fondo sapevo di desiderare; so anche che dopo ora continuerò a non farne più a meno. I polmoni mi bruciano in cerca di aria, ma la voglia di stare così è più forte mentre quel bacio inizia a farsi più profondo. Quando nessuno dei due ha ormai più aria ci stacchiamo entrambi con un sorriso stupido sulle labbra. Uno dei sorrisi più veri che abbia mai fatto, forse; Gar continua ridere colmo di gioia sembrerebbe e io non posso fare altro che imitarlo mentre inspiro pesantemente in cerca delle giuste dosi di ossigeno.
“neanche una donna in cinta può avere delle voglie così strane”
Dico tra un sospiro e l’altro, mentre lui poggia la sua fronte sulla mia.
“che posso farci, solo tu puoi farmi quest’effetto”
Continua a guardarmi con quell’aria da bambino. Per tutta risposta gli sfioro di nuovo le labbra velocemente; un contatto quasi inesistente.
“diciamo che è stata una mossa rischiosa, ero convinto che il naso spaccato ora me lo sarei meritato, ma Garfield Logan non sa cosa sia la paura”
 Con tono fiero incrocia le sue mani intorno ai miei fianchi, facendo aderire ancora di più i nostri corpi mentre restavamo ancora fronte contro fronte; le mie mani si appendono al suo collo e restiamo immobili per qualche secondo a fissarci, con il rumore del mare sullo sfondo, e poi ...
Puff;
L’incantesimo svanisce e mi rendo conto solo ora di cosa è appena successo. Ho appena baciato Gar! Cioè lui ha baciato me, ma io gli sono andata dietro a ruota.  Eccome se gli sono andata dietro. Il problema è che non mi è dispiaciuto ma proprio per niente; è stato il mio primo bacio e devo dire che è stato magnifico, come magnifica la persona alla cui l’ho concesso, ma diamine io che bacio qualcuno!? Io che mi innamoro?! Cosa mi è preso, che cosa è successo?! Anzi, cosa succederà!?
Non posso dire che Gar non mi piaccia, anzi il contrario, ma non sono sicura su quello che prova lui.
Oddio lo sto pensando davvero?! Mi sto davvero chiedendo se piaccio o no a qualcuno?! Il mio orgoglio è in frantumi; la mia testa è in frantumi. Se prima mi sentivo confusa adesso sono distrutta e non so più come reagire. Non mi viene in mente nessuna scappatoia, ho il nulla totale in testa; solo un vocina che mi ripete parola per parola quello che è appena successo, facendomi sentire uno straccio, ma allo stesso tempo la persona più felice di questo mondo.
“è successo davvero?”
Con tono sorpreso anche Gar sembra essersi risvegliato.
“oddio l’ho fatto davvero!”
Non posso fare a meno di lasciarmi sfuggire una risatina divertita, data l’espressione che ha preso il suo volto.
“non mi sembravi così sconvolto quando ti sei spiaccicato sulla mia faccia”
Ora il suo imbarazzo è alle stelle, mentre continuo a prendermi gioco di lui.
“mi è sembrato che anche a te non sia affatto dispiaciuto”
Ora un sorrisetto furbo spunta su di lui, inverdendo la situazione.
“non ho mai detto il contrario”
Tento di aggirare l’argomento, ma è deciso a ricevere una risposta secca e positiva.
“quindi … ?”
Faccio finta di non capire.
“e dai Rae”
Sbuffo rassegnata.
“e va bene; non mi è affatto dispiaciuto, ma guai a te se ne parli ad anima viva”
Con gli sguardi minacciosi sono sempre stata brava, ma stavolta invece di impaurire il mio interlocutore sembra che lo abbia portato al settimo cielo.
“lo sapevo che anche tu non avresti resistito al mio fascino”
Ora mettiamo in chiaro una cosa: sarei pronta a tutto, davvero a tutto pur di salvare il mio orgoglio quindi l’idea che mi era appena apparsa per salvarmi mi sembrava semplicemente geniale, per quanto fosse azzardata; nel mentre di tutta questa conversazione eravamo sempre appiccicati l’uno all’altro quindi mi basto un semplice scatto in avanti per arrivargli a un soffio dalle labbra. Nello stesso istante alzai una gamba imitando un passo di salsa che imparai da bambina in modo che la mia coscia aderisse bene al suo fianco, mentre le mani vagavano per i suoi capelli con fare seducente. Lo vidi per un attimo perdere i sensi, ma restando sveglio socchiude gli occhi e aspetta il contatto che non arriverà mai data la mia fulminea scomparsa.
“dicevi?”
Ancora confuso e con le labbra in posizione, aspetta per qualche secondo per poi capire e tornare alla sua postura ritta, molto imbarazzato, aggiustandosi la cravatta.  Io continuo a guardarlo vittoriosa con le mani sui fianchi.
“ho messo nell’elenco che sei insopportabile? Perché mi è appena sorto un dubbio”
Dice mentre si avvicina verso di me e mi mette un braccio intorno al collo più allegro di prima. Mi aiuta a risalire verso lo scoglio per evitare di scivolare, per poi tornare ad avere il suo braccio che mi penzola sulla spalla.
“temo che ti sia sfuggito”
Ci incamminiamo verso la strada di ritorno, passando come la più strana delle coppie. Per una volta in tutta la mia vita non sono infastidita da questo genere di contatto e decido, che forse per qualche ora, almeno per il mio compleanno posso permettermi di avere debolezze. Di staccarmi dal ghiaccio e far finta che vada tutto bene.
 “e invece, quanto tu mi faccia impazzire l’ho specificato?”
Un sorriso spunta sul mio volto, leggermente arrossato.
“diciamo che hai reso l’idea, ma non prenderti troppe liberta; sono sempre la fredda regina del ghiaccio”
Ci dirigiamo così, lontano da quella grotta, con una certezza in testa: questo ragazzo mi ha regalato il più bel compleanno della mia vita.

-

-

-

C’è un momento nella vita di tutti dove ti sentirai veramente distrutto.
Improvvisamente tutto perde significato e tu non fai altro che pensare e cercare di capire il perché. Perche tutto quel dolore? Perché devo affrontare tutto questo?
In quel momento tu non saprai che fare. Ti sentirai sperduto, deluso, abbandonato e inutile. Sarà come se tutti i tuoi incubi peggiori si unissero in unica grande ombra, pronta a risucchiarti nel vortice delle tue paure.
Perderai la forza di parlare e di respirare per pochi secondi, ma a te sembrerà un’eternità. Il mondo improvvisamente cadrà a pezzi, il tuo cuore si distruggerà, lasciando un vuoto incolmabile. Sentirai la mancanza di qualcosa che per te era vitale e non saprai come andare avanti senza.
In parole povere è proprio come se morissi, solo che non te ne andrai da quel mondo: no, resterai lì attaccato a quel macigno che ora è diventata la tua vita, ad affrontare tutte le insidie nel tuo percorso ora più ombroso che mai. E non potrai mai fuggire; puoi corre e scappare finche vuoi, ma le tenebre saranno sempre lì, un passo avanti a te e tu piangerai, strillerai, ma sarà come se nessuno ti sentisse.
Ma sai quale è la cosa peggiore?
Sapere che non potrai mai fare niente per tornare indietro e cambiare le cose.
Per quanto ardente sia il tuo desiderio, tu non potrai far altro che andare avanti e continuare la tua penosa esistenza, ma per esperienza posso dirti che sarà come se restassi sempre lì, in quel momento così disperato e per quanto tu lotti, per quanto provi a dimenticare ci sarà sempre quel vuoto così pesante sul cuore, che ti ricorderà ogni singola cosa che avresti potuto fare. Ti ripeterai sempre sarebbe andata diversamente.
Come lo sò con certezza?
Lo sto provando ora.
E pensare che non mi ero accorta di niente; ho sempre creduto che quando sarebbe successo, l’avrei saputo. Quanto mi sbagliavo. E la cosa più straziante è che non posso fare altro che guardare, stillare, piangere e disperarmi. Lo ammetto ci ho messo qualche secondo per reagire, per credere a cosa era successo, ma quando lo capito ho iniziato a dare di matto. Penso di aver spaccato il naso ad un collega di quel mostro, ma a chi importa. Lei era lì a terra, immobile; non respirava, non dava un minimo segno di vita. Sembrava una statua greca, una di quelle che le piacevano tanto: immobile, bianca e delicata. I lunghi e sottili capelli corvini coprivano il pavimento lucido se non fosse per quell’enorme pozzanghera rossa che invadeva il suo corpo, imbrattando il vestito, rosa come erano le sue guance.
È così difficile credere  a quello che vedo che mi pareva di sentire la sua voce: “Rachel va tutto bene, andrà tutto bene”
Non riesco a capire più niente. I suoni sono ovattati e confusi, le immagini offuscate, mi sento a malapena la faccia solcata dalle lacrime e dai gridi muti che continuano ad uscirmi dalle labbra. Una mano leggera sembra sfiorarmi la spalla, ma non ne sono certa finche un corpo non mi avvolge in un disperato abbraccio.
Davanti al suo corpo c’è lui che le tiene la mano fingendo dolore e rabbia. False lacrime gli bagnano li zigomi mentre le bacia le dita.
Vorrei saltargli addosso, ucciderlo davanti a tutti usare tutta la mia disperazione per strappargli gli occhi dalle orbita e spaccargli le costole, riducendole in polvere. Ma un peso mi blocca e non è il corpo che mi abbraccia, è qualcosa di più profondo, che profuma di cannella e di brezza estiva. È calda e piacevole e mi impedisce di non fissare il suo corpo fermo; una tortura così dolce che fa male e sento che sto per scoppiare.
Chiudo gli occhi che mi paiono sciolti, inesistenti e afferro colui che mi sta abbracciando con tutte le sue forze, per piangere sulle sue spalle. Non so quanto sono rimasta lì perche è come se avessi perso i sensi continuando a lacrimare e a urlare.
Mi ricordo benissimo però l’ultima immagine che vidi:
Me in ginocchio, davanti al corpo di Arella, steso sul pavimento e circondato da sangue scarlatto in mezzo ad un sacco di persone mentre guardano esterrefatti la scena.
Ora li odio tutti.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** segreti sotterati e tombe di salici ***





Il cielo è grigio e un pioggerellina fioca raggela l’aria, mentre i tuoni rimbombano sullo sfondo. Il prete continua a parlare, ma non lo sto più ascoltando da un po’. Per essere precisi da quando è iniziata la messa. È stato un miracolo che abbia capito da solo che era il momento di recarsi fuori a seppellire la bara di Arella Roth. Al funerale si sono presentate un’infinità di persone, ma solo poche piangevano veramente e la cosa triste è che a far parte di quel gruppo non c’èra il padre di Rachel.
Il posto in cui risiederà la lapide della donna si trova nell’ampio giardino della famiglia, dove a quanto pare sostano anche i suoi genitori. Si trova sotto un salice immenso e mentre le sue foglie accompagnano le goccia di pioggia a terra, viene calata la bara. Mille fiori diversi vengono gettati sopra di essa, ma nessuno sembra avere alcun valore: sono tutti simili, con colori morti e senza foglie. Non posso credere che una persona così buona abbia così poche persone che le vogliano bene veramente.
Tra i ricchi invitati, mi è sembrato di scorgere anche il panettiere che lavora vicino a casa mia, insieme a quella che sembrerebbe sua moglie e ad un commesso del centro commerciale. Loro sono forse gli unici veramente tristi, insieme a me e ai miei amici.
Kori ha pianto per tutta la cerimonia e Karen tiene lo sguardo basso. Ho visto anche qualche lacrima da parte di Vic, ma era troppo impegnato a consolare la fidanzata per rendersene conto. Dick non fa altro che sorreggere e abbracciare la sua compagna senza dire una parola, ma con uno sguardo più gelido del solito. Sono venuti anche i loro genitori, sempre a sguardo basso e con toni sotto zero. Nessuno si azzarda a parlare mentre ricoprono di terra il buco dove sosterà Arella durante il suo perenne riposo.
Non mi stupisco che manchi Rachel.
La notte in cui Arella fu uccisa ho dovuto prenderla in braccio e riportarla in camera sua a forza. Era letteralmente sotto shock e mi si stringeva il cuore nel vederla in quello stato. Ho sofferto tanto quanto a lei, ma in quel momento dovevo restare il solito me e aiutarla ad addormentarsi. Sono rimasto con lei fino all’alba, non ce la facevo a lasciarla con tutti quei incubi per la testa, così sono uscito di nascosto appena fui sicuro che dormisse serena, se così si può dire.
So perfettamente cosa vuol dire perdere una persona e so che in questo momento ha bisogno di sfogarsi, per questo fino a due giorni fa ero sotto il suo balcone a lanciargli sassolini, sperando che mi aprisse per poterla rivedere.
È da una settimana che non viene neanche a scuola, dove non si fa altro che parlare dell’accaduto. Mai avevo causato più risse di quelle nell’ultimo periodo, pur di evitare che si parlasse male di Rachel. Il corso di teatro invece sta andando sempre più a rilento, mentre i giorni scorrono sempre più veloci senza di lei. Lo ammetto, mi manca più di quanto pensassi.
La pioggia si fa più fitta e ormai se ne sono andati via già tutti, solo io e Victor siamo ancora qua dato che Dick ha letteralmente trascinato Kori al riparo.
“andiamo amico, non possiamo fare più niente ormai”
Vedo che ora anche lui si dirige verso un luogo riparato.
In realtà io potevo fare qualcosa per cambiare le così, ma ho preferito tener fede ad una promessa anche se ora lo rimpiango.

-

-

-

Mentre fuori si sta calando la tomba di mia madre, dentro camera mia c’è più totale silenzio. Un silenzio che mi pervade da ormai chissà quanto tempo. Non so neanche se questa potrebbe vagamente tornare camera mia: ci sono le piume dei cuscini ovunque, mobili rotti e coperte ovunque tranne che sul letto. In meno di ventiquattro ore credo di aver finito tutte le mie lacrime. Ho gli occhi che bruciano come la gola, ma nulla in confronto al profondo senso di vuoto che sento ogni qual volta mi passi per la mente lei. A volte mi sono risvegliata convinta che fosse tutto un orribile incubo, ma poi mi affacciavo alla finestra e vedevo il cespuglio di rose preferite di mia madre raso a terra e tornava tutto come prima. Il dolore, la solitudine, e il rancore; tutto assieme in un solo secondo.
Apro la porta solo per prendere qualcosa da mangiare dal vassoio che mi porta ogni giorno Anna. Ha anche provato ad entrare per mettermi a posto la stanza, ma la ho minacciata di licenziarla se ci avesse provato e così se ne è andata, lasciandomi nel buco di solitudine che mi ero creata.
Ho pensato molto in questi giorni; ho ripensato a tutte le volte che non sono voluta andare in giro con Arella, a tutte le volte dove non le prestavo ascolto. A tutte le volte dove lei mi diceva di volermi bene e io non rispondevo; ho rivisto tutti i momento dove le mentivo. A volte passavo anche dei giorni senza parlarle o vederla. Ho provato a contare tutte le volte dove mi ha consolato e protetto, ma ho perso il conto. In certi momenti mi è anche parso di sentire le note della canzone che mi cantava, rimpiango di non averle chiesto di insegnarmi a suonarla. Come rimpiango un sacco di altre cose.
È strano vero? Passi gran parte della tua vita a lamentarti di ciò che non hai senza vedere ciò che invece hai e solo quando lo perdi ti rendi conto di tutti i rimpianti.
Ci sono stati momenti in cui neanche pensavo, semplicemente si fermava il tempo e io guardavo il buio della mia camera mentre dei strani rumori alla finestra riempivano la stanza. Sapevo che Garfield  avrebbe tentato di consolarmi, ma ho paura di fargli del male. Non ho voglia di sentirmi dire che andrà tutto bene e che devo andare avanti. Non voglio neanche pensare di poter andare avanti e potrei giurare che se qualcuno provasse a dirmi qualcosa su mia madre, rischierei di ucciderlo.
Sto molto meglio qui, ma so che non potrò passarci l’eternità. Devo ancora distruggere l’uomo che mia rovinato la vita portandomi via tutto. Me ne andrò solo quando mi sentirò pronta, tutto qui.
Sento bussare alla porta e con un sospiro, rispondo a voce fioca.
“Anna ti ho già detto che non voglio vedere nessuno e che non ho bisogno di niente”
Senza rispondermi apre la porta e si guarda attorno tristemente; deve aver notato la situazione della camera.
“perdonatemi signorina, ma si tratta di una cosa piuttosto importante.”
Fruga nella tasca del grembiule bianco e ne tira fuori una busta, porgendomela.
“che significa?”
Chiedo afferrando la busta; la giro per vedere il nome dell’indirizzato e trovo scritto il mio nome. Riconosco la scrittura leggera ed elegante.
“due giorni prima del suo compleanno, sua madre mi ha fatto promettere che al giorno del suo funerale gliela avrei consegnata”
Tristemente abbassa lo sguardo e si gira verso la porta.
“grazie Anna, ti prego di scusarmi per il mio comportamento”
Prima di andarsene mi scuso e solo quando la sento allontanarsi apro la busta. È una lettera da parte di Arella.
 
Cara Rachel
se stai leggendo questa lettera allora vuol dire che ormai il mio tempo è terminato. ora chissa dove sarò, se nel paradiso che tutti sogniano o se mi sto già rincarnando in qualcosa. non lo so e ora non mi interessa. Vorrei solo aver evitato di lasciarti da sola, in un mondo così difficile e con così tante cose da doverti insegnare. avrei voluto esssere con te durante il tuo matrimonio e scegliere insieme a te il te il vestito avrei voluto essere lì con te quando sceglierai il nome per tuo figlio; vorrei essere lì con te anche solo senza far nulla, basta che possa stare con la mia bambina. sei così crescita e pensare che sembrano passato pochi giorni da quando gattonavi in giro per il giardino. da sempre sei stata la luce dei miei occhi, la mia ragione di esistenza e sono felice di aver dato la mia vita per la tua. forse ora sarai triste, non è facile perdere le persone alla quale si vuole bene; sò che tu hai fatto di tutto per aiutarmi e ifatti mi sento un pò in colpa per questo. dovrei essere io quella che sacrifica se stessa per il bene della figlia e invece non hai fatto altro che proteggermi. non hai avuto la possibilità di fuggire da questa terribile prigione per paura di lasciarmi in balia di tuo padre eppure sarebbe stato ciò che avrei sempre voluto.
decidere di lasciarti è stata una scelta terribile da prendere, ma è la cosa più giusta da fare. ci sono cose che non sai di me, ma ho deciso che in questa lettera lascerò una parte di me stessa, i modo da tenerti compagnia durante il tuo percorso. anche io non ho avto una vita facile Rae, ma per mia scelta:

Arella, nome curioso vero. Non ho mai saputo il perché di quel nome e mai mi è importato. Un tempo credevo che i miei genitori mi odiassero. Era un convinzione per me, un dato di fatto così decisi di odiarli anche io a mia volta. Passavo così poco tempo con loro che a volte restavo via per giorni, credevo che tanto loro non se ne sarebbero mai accorti, così presi com’erano dal lavoro, soprattutto tuo nonno: lui non c'èra mai e le poche volte dove lo vedevo passava il tempo a darmi lezioni di vita, ma non potevo immaginare che tutte le poche attenzioni che mi davano lo facevano solo per proteggermi e lo capì troppo tardi. Un giorno smisi totalmente di tornare a casa e scappai lontano, credendo di poter vivere finalmente la vita che volevo. Avevo solo diciassette anni ed ero così vulnerabile e sola che sembravo non esistere. Il mondo non mi guardava, nessuno mi notava mentre dormivo al freddo nei parchi e quando frugava nei cassonetti per trovare qualcosa da mangiare. Più il tempo passava, più mi pentivo della cattiva scelta che feci, soprattutto quando in giro vedevo i volantini con la mia foto sopra, erano tutti uguali: “ scomparsa ragazzina di diciassette anni, avvertire la polizia in caso di ritrovamento. Arella ti prego torna da noi, ti vogliamo bene”. Non ebbi il coraggio di tornare e passai mesi a girare e a tentare di sopravvivere. In quei giorni mi resi conto di quanto la vita sia dura e di quanto fossi debole di fronte a tale disperazione. Ripensai a tutte le sciocchezze che commisi e a tutte le volte dove i genitori mi avevano manifestato affetto, ma ero così accecata da una sciocca convinzione da non vederli. Mi resi conto di quanto fossi stata cieca e di quanto ciechi sembrassero gli altri. Un giorno però accadde qualcosa che mi cambiò la vita: un ragazzo più grande di me di tre anni mi trovò seduta su una panchina in un giorno di inverno. Aveva gli occhi neri come pozzi e uno sguardo gelido e pungente, ma ne fu subito attratta. Lui mi raccolse dalla strada, mi diede una casa, da mangiare e dei vestiti puliti. Rimasi con lui e la sua famiglia per anni mentre il mio amore per lui cresceva sempre di più. Non vedeva in realtà quanto lui la ingannava, e decisi comunque di sposarlo. Le nozze avvennero al mio ventiduesimo compleanno e quel giorno ritrovai anche i miei genitori. Fui così felice di riconciliarmi con la mia famiglia che mi misi a piangere tra le braccia di mia madre. Dopo quell’incontro però aprì gli occhi. Capi che il marito da me tanto amato era in realtà un uomo terribile che schiacciava chiunque intralciasse i suoi interessi. Di questi interessi facevo parte anche io, ma lo capì tardi.
Devi sapere che tuo nonno era il proprietario di una delle più grandi industrie d’armi degli Stati Uniti. Il potere che aveva nelle mani era immenso e solo un uomo saggio e buono come lui sapeva usarlo. Il mondo sarebbe stato in pericolo se fosse caduto nelle mani di tuo padre.
Tuo nonno morì il mese dopo delle mie nozze, ucciso da tuo padre in persona, davanti ai miei occhi. Il suo scopo era quello di impossessarsi dell’industria mediante me, sapeva che tuo nonno mi voleva bene e che voleva regalarmi una vita priva di difficoltà lasciandomi in’eredità la sua ricchezza. Ci era quasi riuscito, ma tuo nonno fu più furbo: capì al volo gli intenti di tuo padre e cerco di convincermi a lasciarlo, ma ero troppo accecata; lui era colui che mi aveva salvato. L’unico che mi aveva notata e che mi riempiva di attenzioni che mai avevo avuto.

 Ho accusato tuo nonno di voler rendermi la vita un inferno. E lui non batte ciglio. Cambiò il testamento: se io fossi rimasta in vita fino al compimento dei tuoi diciotto anni allora l’industria sarebbe andata a me, in caso contrario tutti i profitti ricavati da essa sarebbero stati affidati a te e le redini dell’industria allo stato.
Quando lessi il testamento seppi cosa avrei dovuto fare. Tuo nonno temeva che Trevor ci avrebbe ucciso non appena ne avrebbe avuto la possibilità e io volevo regalarti la vita che ti meriti, ma non potevo lasciarti nelle grinfie di tuo padre, così ho deciso. Avrei trascorso con te più tempo possibile.
Ho ingaggiato un sicario con l’ordine che mi uccidesse un’ora prima a mezza notte. In questo modo io sarò morta prima che tu compia diciotto anni e potrai fuggire dall’ira di tuo padre. Avrei avuto il tempo per insegnarti la differenza tra il bene e il male; per farti capire cosa è l’umiltà e insegnarti a continuare a sperare.
Non ci si stanca mai di sentirsi dire ti voglio bene, per questo non si dovrebbe smettere mai di dirlo. Il bene che ti voglio non sarà mai abbastanza, bambina mia. Per te farei questo ed altro. So che quando sarò morta tu ti sentirai persa e soffrirai tanto e non ti voglio dire che non devi. Soffrire, piangere, amare vuol dire essere umani, nascondere le emozioni non è mai un bene e tu l’hai fatto per troppo tempo. Quindi piangi Rae e sfogati, liberati della tua prigione e alzati in volo come il più nobile dei corvi. Sarà difficile, lo so, devi solo prenderti il tempo per imparare e vedrai che ce la farai. Probabilmente penserai di non poter andare più aventi senza di me, ma devi sapere che è quello che hai sempre fatto fin’ora. Mi sento così in colpa per averti dovuto dare una vita così piena di sacrifici: hai affrontato di tutto Rae e senza che io potessi intervenire; sei la ragazza più forte che conosca, non ti lasci smentire da nulla e so che qualsiasi cosa accada tu andrai avanti sempre e comunque. In questo momento non se più tu lo comprendo: è dura perdere una persona cara, quindi prenditi il tempo necessario, ma poi devi ripartire più forte di prima. Sono sicura che riuscirai a farcela e ricorda che io sarò sempre con te.
Questa è l’ultima volta che potrò parlarti e ho intenzione di essere totalmente sincera con te. Mi sono ripromessa che non avrei interferito con la tua felicità, ma ci sono dei momenti dove una madre deve fare il possibile per proteggere sua figlia e io credo di averlo fatto. Sapevo che dopo la mia scomparsa avresti perso una parte impostante dela tua vita e non volevo laciarti in balia del mondo, non volevo lsciarti sola. Per quasto ho dovuto chiedere a Garfield di proteggerti
Ho raccontato questa storia anche a Gar e gli ho chiesto un grande favore, cosa che forse non avrei dovuto fare. La prima volta che l’ho incontrato, ho capito subito che era una brava persona e gli ho fatto promettere di proteggerti il giorno del tuo compleanno portandoti in un luogo sicuro, lontano da casa e così deve aver fatto. Gli ho chiesto di vegliare su di te mentre io non ci sarò e sono sicura he ci riuscirà se tu glielo concederai.
Non devi arrabbiarti ne con lui ne con te stessa. L’unica colpa l’ho io che non sono stata in grado di starti accanto a sufficienza. Questo ragazzo ti vuole davvero un gran bene e spero vivamente che possa essere lui l’uomo della tua vita perché so che sarebbe pronto a tutto pur di proteggerti. Non ha esitato un attimo nell’accettare.
Sappi che ti vorrò sempre bene e neanche la morte mi impedirà di proteggerti. Ora vai Rae e ricorda: abbraccia la paura.
Arella Roth
La mamma ti sosterà sempre.
 
La carta si bagna di lacrime. Eppure pensavo di averle piante tutte ormai.
Non so se sentirmi delusa o arrabbiata. Anzi sono entrambi. Lui sapeva, ma non ha fatto niente.
Non ha tentato di salvare lei e mi ha portato via solo per volere di mia madre. L’unica persona della quale mi fidavo ciecamente, l’unica alla quale avevo mostrato le mie debolezze e con la quale mi ero aperta, mi ha tradito. Mi ha mentito e io stupida che ci sono cascata.

-

-

-

Mercoledì, ore 13:25
Lezione di algebra.
La lotta contro le palpebre è più dura di quanto credessi.
Resistono; impongono il loro dominio, ma non li lasceremo scender per appisolarsi, nonostante la tentazione sia molta.
Mentre la prof è alla cattedra intenta a parlare io sto lottando contro la sonnolenza e non riesco a fare a meno di immaginarmi come un soldato in trincea.  L’attenzione alla lezione è andata a farsi benedire; ora come ora sono intento a pormi domandi di gran lunga più interessanti: viene prima l’uovo o la gallina? Siamo soli nell’universo? Perché il latino ha così tante “s”? esistono le polpette al pesto? I pinguini hanno le ginocchia? Come fanno ad essere così morbide le labbra di Rachel?
Ok forse l’ultima non seguiva il tema della altre, ma non mi stupisco più: ormai passo più della metà del tempo a ripensare alla sera di quel bacio; non avevo calcolato la possibilità che un giorno sarebbe potuto accadere, quindi è più che comprensibile che mi ecciti al solo pensiero. Quel semplice contatto mi ha fatto venire la pelle d’oca e sarei stato disposto a morire soffocato solo per rimanere lì. In quel momento mi è sembrato così inutile respirare; mi ha completamente mandato in pappa il cervello; in quel momento tutto quello che riuscivo a pensare era “ wow”. Fù il momento più felice della mia vita e non riesco ancora a credere che si sia potuto distruggere in così poco tempo. In meno di un secondo ho capito che quella felicità non era destinata a durare.
Neanche oggi è venuta a scuola ed è già la seconda settimana di seguito; non so quanto le possa importare in questo momento, ma tutte le volte che vedo la sua postazione dietro le quinte vuota mi sento mancare. Ciò che ho fatto è stata per proteggerla, ma lasciare Arella morire … non è stato facile accettare. Quando mi ha chiesto di aiutarla ero certo di non voler accettare; so cosa significa perdere un genitore e non volevo che Rae provasse il dolore che sento ancora oggi, ma poi la disperazione negli occhi della madre, la voce cupa con la quale parlava mi ha fatto intuire quanto avesse bisogno del mio aiuto. Forse avrei dovuto scegliere diversamente, forse avremmo potuto trovare una soluzione per salvarle entrambe. Potrei sembrare una persona spregevole, ma nonostante tutti i dubbi di ora credo che se potessi tornare indietro nel tempo lascerei le cose così pur di proteggere Rae, anche se il prezzo da pagare è il suo odio. Perché quando leggere la lettera di sua madre e scoprirà ciò che ho fatto non ci sarà modo di farmi perdonare da lei.
 “Logan”
Ora devo solo cercare di convincerla a scappare da suo padre.
“Garfield mi sta ascoltando?”
Facile a dirsi; se proverò ad avvicinarmi anche solo a casa sua mi sparano in testa, sia lei che suo padre.
“GARFIELD!”
Mi risvegliano gli urli della professoressa, ormai davanti al mio banco, mezza infuriata.
“mi farebbe la cortesia di rispondere alla domanda”
Chiede infastidita e con le mani sui fianchi. Calma Gar, respira.
“quale domanda?”
Le chiedo cercando di mantenere la calma. Proprio in un momento simile deve avercela con me?”
“quale è la probabilità che lei riesca stare sveglio durante una mia lezione?”
Ultimamente sono molto stressato, quindi ho un caratteraccio e di certo le sue battutine non mi aiutano.
“sarà sicuramente maggiore di quella che ha lei per evitare di sputare quando parla”
Risate trattenute si fanno strana nell’aula da parte dei miei compagni classe, mentre la donna davanti a me sbuffa dalla rabbia.
“dalla preside, ORA!”
Mi alzo senza protestare. Stavolta lo fatta grossa; dannazione a me e alla mia boccaccia.
Mi giro fissandola con odio. Io questa prima o poi  la butto giù dalle scale. Esco dall’aula sbattendo la porta dirigendomi a passo svelto nell’ufficio della preside, che neanche senza farlo apposta ci vado a sbattere contro.
“Logan, pensi un po’ che stavo pensando proprio a lei”
Raccolgo i fogli che le ho fatto cadere, per poi porgerglieli.
“si sente bene?”
Non capisco cosa intende finche non mi sento gli occhi umidi. Mi scaccio le lacrime indietro prima che possano scendere e reprimo i singhiozzi. Quando sento di riuscire a parlare con un tono normale, rispondo.
“non si preoccupi, è solo un po’ di polvere”
Mi guarda inespressiva come al solito, per poi pormi un fazzoletto che accetto solo per cortesia.
“avrei bisogno di parlare con lei, ci dirigiamo verso il mio ufficio?”
Scrollo le spalle e la seguo percorrendo la strada ormai a me familiare. Non è cambiato nulla dall’ultima volta che ci sono venuto. Sembra passata un’eternità eppure ci ero stato neanche una settima fa, dopo un piccolo incontro di box nel corridoio principale. Quel giorno ero stufo di sentir gli altri parlare male di Rachel. Non lo sopporto, non si devono permettere.
“prego si sieda”
Mi accomodo sulla mia solita poltrona, aspettando.
“devo dire che sono piuttosto sorpresa del suo miglioramento. Da quando ha iniziato il corso di teatro è tornata la pace a scuola anche se per un breve periodo.” Si siede dietro la sua scrivania metre osserva un fascicolo giallo.
“faccio del mio meglio”
Dico cercando di capire di chi sia il fascicolo.
“immagino però che il merito non sia solo del corso”
Chiude il fascicolo e lo appoggia sulla scrivania davanti a me, in modo che possa leggere il nome del proprietario; o meglio della proprietaria.
“credo di non capire”
Sorride e si aggiusta gli occhiali sul naso per poi ricominciare a parlare.
“questa è la mia scuola signorino Logan, tutto quello che accade qui dentro io sono la prima a saperlo e sono a conoscenza del fatto che ha tentato altre bravate anche quando stava già frequentando il corso”
Si lo ammetto, ma era uno di quei giorni no e un ragazzino del secondo anno mi aveva fatto inciampare di proposito. Per tutta risposta ero proto a mettergli un petardo dentro l’armadietto e lo stavo per fare, finche una mora non rovinò tutto. ricordo bene quel momento perchè era stata la prima volta che vidi la vera Rae, non quella fredda e scontrosa; la Rae che fà del suo meglio per aiutare gli altri e impedire che si mettano nei guai.

“ Logan cosa credi di fare?”
Mi girai e rividi la ragazza dagli occhi viola, Rachel se non ricordo male.
“tu sei Rachel quella di teatro”
Mi fissa accigliata con e mani nella tasca della felpa. Sembrava molto stanca, come se avesse passato la notte in bianco.
“di solito non mi infischio nei problemi degli altri, ma questo armadietto è affianco al mio quindi qualsiasi cosa tu abbia intenzione di fare falla da un’altra parte”
Si dirige verso l’armadietto a fianco quello della mia vittima per poi aprirlo e metterci dentro diversi libri; do una sbirciatina dentro per poi stupirmi del maniacale ordine con la quale riponeva le cose. Sembrava quasi in’usato.
“quando hai finito di farti gli affari degli altri sei pregato di andartene”
Mi dice senza neanche guardarmi mentre chiude il cassetto.
“tu non dovresti essere in classe? c’è lezione ora”
“da che pulpito viene la predica”
Colpito e affondato.
“sei sempre così acida o solo io ho l’onore?”
Si allontana senza neanche guardarmi.
“non sono affari che ti riguardano”
Più imbronciato di prima, mi giro per terminare il lavoro che avevo cominciato, ma vengo nuovamente fermato dalla stessa voce.
“far soffrire gli altri non ti aiuterà a risolvere i tuoi problemi”
“è solo un banale scherzo tutto qui”
Armeggio con il pacchetto di petardi per cercare di aprirlo.
“sei proprio ritardato. Questo banale scherzo ti farà finire in presidenza con la conseguenza che aumenterà la tua frequentazione al corso di teatro.”
Mi giro per guardarla.
“in poche parole ti stai fregando da solo, ma questo non mi riguarda.”
Si gira per andarsene con passo calmo. È entrata con due ore di ritardo eppure se la prende molto comoda. Ora che ci penso non so neanche in che classe vada e sono sicuro che se lo chiederò non mi risponderà mai. Così metto via in fretta e furia il pacchetto di petardi e mi affretto a seguirla, dimenticandomi completamente il motivo per cui fossi lì.
“che cosa hai ora?”
Chiedo affinacandola.
“hai già terminato la tua vendetta, o sei qui solo per infastidirmi?”

Tutte le altre volte che provavo a fare qualche mia bravata avevo sempre addosso Rae che mi faceva passare la voglia di infastidire gli altri. Solo ora capisco che forse lo faceva per aiutarmi.
“ho visto come ha perso subito l’interesse di quel armadietto e di come è corso dietro alla signorina Roth e devo dire che sono rimasta colpita da entrambi; non credevo esistesse qualcuno capace di capire quella ragazza e non credevo neanche possibile che avrebbe provato a rivolgere la parola proprio a lei”
Devo prenderla come un’offesa?
“i problemi sono ricominciati da quando non è più venuta a scuola vero? Per quanto sia difficile ammetterlo quella ragazza è l’unica a riuscire a controllarlo”
“non capisco dove voglia arrivare”
“non voglio arrivare da nessuna parte; a dire la verità vorrei che la finisse di scontrarsi con gli altri alunni della scuola, ma capisco i suoi motivi: vuole difendere la signoria Roth e fa bene non la voglio rimproverare, ma non va bene a quei due o tre ragazzi alla quale ha spaccato il naso”
Il tono della sua voce stava aumentando.
“sono sicura che non andrebbe bene neanche a Rachel che per quanto distrutta dalla morte della madre, non arriverebbe mai a far del male a qualcuno sono per qualche parola tagliente. Vorrei che capisse che per quanto giusti siano i suoi motivi, non lo sono per altri.”
Stringo i pugni adirato, ma non con lei, con me stesso: non riesco a fare nulla per aiutarla, mi sento così inutile; sono stato in grado solo di distruggerle la vita nel tentativo di salvarla e il massimo che sappia fare è andare a picchiare qualche ragazzino che non sa fare altro che criticare. Se solo non mi avesse mai incontrato forse ora starebbe meglio, forse non bene, ma sicuramente meglio di come sta ora. E ammetterlo fa davvero male. Tutto il peso del celo sembra essersi caricato sulle mie spalle. Sapere di averla ferita, di averla delusa mi uccide più di quanto potrebbe fare la morte stessa.
“io …”
Ora o anche perso la capacita di parlare, fantastico. Trovo ora che i colori della stanza siano più spenti mentre nuvoloni carichi di pioggia si avvicinano sempre di più, minacciosi.
“le chiedo scusa signora, le prometto che cercherò di mantenere il controllo la prossima volta”
“Garfield in teoria non dovrei dirlo, ma deve sapere che io provo molta ammirazione nei suoi confronti”
Alzo lo sguardo spento, mentre la vedo togliersi gli occhiali.
“è sempre riuscito ad alzarzi davanti a tutto e le assicuro che non è da tutti, specialmente nel suo caso. Sono sicura che chiunque altro sarebbe crollato subito. In tutta la mia vita ho incontrato solo una persona forte come lei”
Abbasso lo sguardo sulla cartella, capendo a chi si riferisse.
“sembrate davvero così diversi a prima vista. La prima cosa che ho pensato quando l’ho inserita nel gruppo è che sicuramente avrebbe causato dei problemi alla signorina Roth e nel profondo speravo che sarebbe andato tutto bene, ma  da quando vi osservavo ho capito che sbagliavo a dubitare. Ho visto quanta forza d’animo abbiate entrambi; provi ad immaginarselo  come un sottile filo rosso che collega entrambi: viaggiate su sponde diverse, avete lunghezze d’onda diverse, siete l’uno l’opposto dell’altra, ma ci sarà sempre quel filo a tenervi legati”
Sentivo di iniziare a capire, anche se era piuttosto strano sentirsi dire questo dalla propria preside.
“entrambi avete la capacità di rialzarvi sempre; avete i vostri tempi certo, ma una ferita non si rimargina subito. Sono sicura che anche ora la signorina Roth riuscirà a superare tutto, ma avrà bisogno del suo appoggio. Dovrà farle percepire il filo rosso che vi lega, ma non ci riuscirà se prima non lo percepisce lei”
Percepire un filo. Mi stava dicendo che per riuscire ad aiutarla avrei prima dovuto capire che cosa era quel filo che ci univa? Ho una così grande confusione in testa, non riesco neanche a mettere insieme i più semplici concetti come posso cercare di percepire un filo ignoto.
“non sarà facile, ma penso che lei ci possa riuscire”
Si alza improvvisamente dalla sedia e si dirige verso la porta per poi uscire senza dire niente.
Non saprei dire per quanto tempo restai li dentro, però appena uscì non c’èra già più nessuno a scuola. Sebbene sarei dovuto andare a teatro, oggi non ce la facevo proprio. Non avrei retto il volto dei miei amici preoccupati la tensione che ci sarebbe stata.

Presto pioverà, lo si sente nell’aria, un giorno perfetto per andare in un cimitero.



ANGOLO AUTRICE
sono magicaente riapparsa, con questo capitolo forse un pò deludente. Non sono pienamente soddisfatta, ma se avessi deciso di modificarlo ancora sarebberò passate altre due settimane e voi mi avreste ghigliottinato all'istante, soprattutto per come vi ho lasciati sospesi nel capitolo precedente.
Riassumendo un pò tutto abbiamo una Rachel molto arrabbiata, un Garfield depresso e un Arella sotto terra (sing). Potrebbe andrare peggio? SI!!
Ma bando alle ciance vado a provare a scrivere il prossimo capitolo, se la pila di compiti non mi uccide prima.
by
-carly

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** la tranquillita di un posto non tuo. Andrà tutto bene. ***


Pioggia.
Gocce che cadono furiose sul terreno, creando un suono che ora non riesco a sentire. Sembra di essere in una bolla; le gocce bagnate che mi aggrediscono sembrano frutto della mia fantasia. Un sogno; solo uno stupido sogno. Eppure sento lo sforzo dei muscoli, la confusione in testa, la rabbia nelle vene. Una serie di cose che se stessi dormendo non potrei provare. Mille luci mi circondano, annebbiandomi la mente, non riuscendo più a creare pensieri concreti mi limito a seguire ciò che il corpo mi impone di fare, con una disperata enfasi che mai forte come ora l’avevo sentita. Mille voci sembrano chiamarmi mentre calde, lacrime bagnate si fanno strada nel mio viso già umido. Anche i capelli sono ormai completamente fradici e sembra che tutto un tratto il mio corpo sia diventato così pesante. Il peso però che sento è interiore. Come quando vidi il sangue scarlatto di Arella sul pavimento, un colore così forte e intenso che faceva male vedermici riflessa. L’acqua si infrange nel terreno producendo lievi scintille mentre i miei piedi calpestano velocemente l’asfalto senza alcuna idea di dove stessi andando. C’èro solo io e la mia ira, in quel marciapiede scolo. Penso che in tutta la mia vita non sia mai riuscita a correre così velocemente e per così tanto tempo. Perché per quanto ne sappia sembrano passati giorni dall’ultima volta che ho sentito i vestiti asciutti; sembra un miraggio lontano il focolare della casa di un tempo, quasi mai esistito. Sembravo muovermi a passi di danza, poggiando i piedi con forza per poi rilanciarmi con più velocità; la stanchezza mi scivolava via come la pioggia ora. Poi i palazzi prendono posto nel vuoto paesaggio, incroci ormai troppo familiari; parchi, cartelli, insegne, cartelloni passano di sfuggita nel mio campo visivo prendendo poi una scalinata verso l’alto. Non sono padrona dei miei movimenti eppure sento che è quello che voglio; come quel bacio sullo scoglio.
-

-

-

Partiamo subito dal presupposto che tutte le volte che torno dal cimitero sono abbastanza emotivo. Ovviamente questo non giustifica il fatto che sia riuscito a dimenticarmi l’ombrello a scuola con l’alluvione che infuriava su Jump City, ma, seguendo un ragionamento contorto, mi manleva dal mio non stupore nel girare l’angolo della strada per casa mia e sentirmi buttato a terra da un corpo umano. La cosa che mi ha fatto leggermente trasalire è stato il fatto che quel corpo era della protagonista di tutti i miei pensieri; ancora più interessante è stato il momento in cui mi ha puntato un coltello alla gola mentre era ancora sopra di me. Non saprei se sentirmi emozionato o terrorizzato, ma nel dubbio sarò entrambi. Non misi subito a fuoco l’immagine, ma sentivo chiaramente la fredda lama pungermi il collo, mentre la mia schiena si stava infradiciando insieme ai vestiti. Quando vidi il suo viso per poco non mi sentì mancare. Era rigato dalle  lacrime, ma aveva un’espressione vuota: i suoi occhi non dicevano niente, sarebbe sembrato il corpo di un cadavere, per via dello stesso pallore e del tocco gelido. Le iridi violacee erano spente senza più la minacciosa scintilla che hanno di solito. Profonde occhiaie solcavano la parte inferiore degli occhi mentre i capelli bagnati incrociavano il suo viso. Non saprei se essere felice o meno di vederla in questo stato, ma mi sono mancati così tanto i suoi lineamenti che ho quasi dimenticato la presenza della lama sul mio collo. Quasi.
“perche!?!”
Me lo chiede quasi urlando e io so già cosa intenda. Ho avuto così tanta paura di questa domanda che non mi sono mai fermato a pensare ad una risposta concreta.
“perché mi hai tradita come hanno fatto tutti?! Io mi fidavo Gar, mi fidavo ciecamente di te e tu l’hai uccisa. Hai ucciso mia madre!”
Mi spezzano il cuore le sue parole e resto pietrificato nel vederla così. Colma d’odio e rabbia. Sono davvero stato capace di ridurla in questo stato?
“è colpa tua se ora lei non c’è più; è colpa tua se ho perso l’unica persona che mi voleva bene. Lei mi ha sempre protetto e io non sono stata in grado di proteggere lei. Sarebbe ancora cui se non fosse stato per te!”
Preme con più forza la presa con il coltello e una goccia di sangue si confonde con l’acqua fredda della pioggia. Ha ragione; ha terribilmente ragione. Per quanto possa averla protetta ho pur sempre fatto in modo che lei soffrisse, ma l’ho fatto per lei.
Per lei e per Arella.
 Dopo esser stato con i miei genitori ho capito di aver fatto la cosa giusta, per quanto terribile ed ingiusta sia stata. Ho mantenuto fede ad una promessa e ho protetto la ragazza che amo e per quanto lei possa odiarmi ora a me basta che sia salva e fuori pericolo; per questo non mi muovo; rimango fermo immobile aspettando che si sfoghi senza imporre resistenza.
 Cavolo, quanto sono cambiato.
 Alzo lo sguardo e la fisso intensamente negli occhi; in quegli occhi che mi hanno colpito subito vedo per un istante la solita luce che vedevo di solito. Sembra quasi che stia combattendo contro se stessa; per un momento la presa si fa meno sicura mentre continua a fissarmi,  mentre io memorizzo ogni minima sfumatura del suo pungente sguardo, che ora sembra così fragile. Un’espressione mortificata si fa strada sul suo volto mentre la vedo tornare la solita Rachel. Per un istante rivedo l’odiosa ragazza che mi ha da subito colpito, con la sua eleganza e la sua determinazione. È così che la vorrei ricordare; è così che vorrei vederla seppure per l’ultima volta: bella e letale come solo lei può essere e mi toglie il fiato averla ora così vicina a me.
Molla la presa sul pugnale, che scontrandosi sull’asfalto emette un suono sordo. Sento il suo respiro, ogni suo battito del cuore. Ogni suo singolo muscolo sembra essersi sciolto sotto il mio tocco. Le sue mani chiuse a pugno mi tengono con forza la giacca ormai scura per l’enorme quantità d’acqua accumulata. Non resisto e d’istinto le circondo le fragili spalle con le mie braccia, delicatamente, per paura di spezzarla di nuovo. Ho come l’impressione di sentirla sussurrare parole in rima, quasi una formula, ma poi riconosco la melodia e mi rendo conto che è la stessa canzone che ha infranto i miei incubi quella volta, settimane fa. Ora che ci penso sembra che si stia ripetendo tutto: la pioggia batte, lei come non l’ho mai vista, spoglia di tutte le sue difese, di tutte le sue corazze.
Singhiozzi sonori, mi invadono la testa facendomi sentire solo peggio.
“perche Gar?”
La voce coperta dalle lacrime è leggera, quasi un sussurro, ma mi raggiunge forte e chiaro.
“perché non scappi, non cerchi di proteggerti?”
Dal tono di voce sembra che sia molto stanca e probabilmente le domande sono retoriche, ma mai la risposta a tutto mi sarebbe sembrata così chiare.
“perché io ti amo Rachel Roth e non potrei desiderare di meglio che starti accanto.”
Sento i suoi respiri più lenti e rilassati mentre la presa si indebolisce; si deve essere addormentata, ma non mi pare un buon posto dove fare un sonnellino questo. La prendo in braccio come uno sposo farebbe con la sua amata e la porto verso casa mia, sperando che il riscaldamento si sia già accesso. La sento così leggera, mentre tento di proteggerla dall’acqua con la mia esile figura, a volte mi soffermo a guardarla dormire con un volto sereno ma sempre rigato dalle lacrime perse. Arrivo finalmente davanti alla soglia di casa e non senza difficoltà, riesco ad aprire la porta di casa.
 Grazie al cielo i caloriferi sono accesi e bollenti. Prendo dall’armadio tutte le coperte che trovo, mentre appoggio Rae sul letto. Ha i vestiti fradici e non ha nemmeno una giacca, quindi mi sento in dovere di cambiarle i vestiti. Il solo pensiero mi fa arrossire in un modo sconfinato, ma se non voglio che si prenda un malanno serio devo farlo. Le tolgo la maglia, cercando di non soffermarmi più di tanto sul reggiseno, fortunatamente sportivo, ma che comunque lascia una buona parte di pelle scoperta. Davvero tanta pelle. Sposto lo sguardo e vado a prendere una mia maglia e una felpa che ovviamente le calzano, si e no il doppio. In tutto ciò, strano ma vero, lei continua a dormire beata e questo non mi rassicura molto. La infilo sotto tutte le coperte, togliendole alla veloce i leggins bagnati. Ti prego Gar mantieni il controllo. Mantieni il controllo. Non lasciare che i tuoi istinti abbiano la meglio.
Ripetendomi questo mantra in testa, le butto un piumino addosso, sopra alle altre coperte (forse ho un po’ esagerato, ma meglio prevenire che curare) e corro a cercare quel diamine di termometro, che mammamia non è mai al suo posto. Lo trovo dentro il porta spazzola (ormai non mi faccio più domande) e corro a misurarle la febbre.
39.5 dannazione, come immaginavo.
Mi dirigo in cucina e bagno una pezza da metterle sulla fronte imperlata di sudore mentre aspetto che l’acqua bolla per la borsa d’acqua calda. Vado in bagno dove prendendo un’asciuga mano e tento di asciugarla al meglio i capelli corvini.
Passa così una mezz’ora a tentare di ricordarmi i migliori modi per aiutarla. Quando credo di aver finito vado a cambiarmi anche io, cercando di fare il più velocemente possibile; le cambio qualche volta la pezza mente trovo la medicina che cercavo. Ovviamente non posso dargliela ora, ma spero che si svegli in tempo per potergliela dare. Prendo una sedia e la porto vicino al mio letto osservandola dormire: il respiro lento alza e abbassa le coperte mentre sembra che si stia calmando. Tento di pensare positivo, ma l’unica cosa che mi frulla in testa è se abbia sentito o no ciò che le ho detto. Lo so è molto egoistico, ma sono accadute davvero un sacco di cose ultimamente. Ricordo che mia madre voleva sempre vedermi sorridere, anche quando le cose si mettevano davvero male è grazie a lei e al suo ricordo che ho affrontato la vita; spero che Rae possa fare lo stesso, ma se non ci riuscirà voglio darle la certezza che sorriderò io per lei.
Sempre.
-

-

-

Un tocco leggero.
Una sensazione di bagnato sulla fronte.
E poi basta, cadevo di nuovo in buco profondo, dove tutto era caldo e troppo confuso.
Si ripete questo per chissà quante volte, e tutte le volte volevo aprire gli occhi per capire cosa mi stava succedendo, ma solo il pensiero mi affaticava e mi riaddormentavo. Ora però è diverso, sento le forze tornare e la ovattata confusione nella mia testa si alleggerisce. Inoltre un dolce profumo mi attrae; è qualcosa che so di conoscere bene ma non riesco a ricordare. Per un istante spero che tutto quello che è accaduto nelle ultime settimane fosse stato l’incubo più lungo della mia vita, ma sono tutte sciocche illusioni. Lo capisco quando riesco finalmente a capire dove mi trovo. Immersa da una serie di coperte che sembrano non finire mai. Sento poi una voce; non riesco subito a riconoscerla per via del basso tono che ha, ma capisco subito che si tratta di un ragazzo. Sembra che stia intonando un canzone, ma è quasi un sussurro, quindi decido di alzarmi per controllare. Dato che mi trovo proprio a casa sua mi aspetto di trovare Garfileld e per qualche strana ragione non desidero altro, ma non so se sarò capace di guardarlo negli occhi senza pensare a quella lettera. Riesco ad alzarmi senza troppi problemi, solo qualche giramento di testa, e mi guardo in torno per un attimo: è più disordinato di quanto ricordassi. Il tono di voce si fa più forte e riesco finalmente a distinguere le parole della canzone.

 I drive away from your house, chasin' butterflies out.
Girl, I don't know how you do it.

Mi giro verso destra, da dove veniva la sua voce, e trovo una porta di legno bianco semi chiusa. Lentamente mi avvicino, mentre lui continua a canticchiare.

I said "Girl, you're beautiful, 'n' you already know it,
But I'll say it again and a million times after that"
You laugh and you shake your head and say "Boy, you're crazy"
Well, girl, if I'm crazy, I'm only crazy 'bout you


Dalla piccola fessura della porta vedo la figura del biondo davanti ai fornelli, intento a mischiare chissà che cosa in un recipiente con un mestolo, mentre dell’acqua in un pentolino iniziava a bollire. Al contrario delle altre stanze la cucina sembrava quella più ordinata delle altre, ma neanche tanto. Diciamo che era in condizioni più accetabili.

I was lookin' right into your eyes, right then, porch light
Flipped on and I saw your dad lookin' through the window. Hope he ain't mad.

Faccio attenzione a non farmi sentire e ascolto incuriosita.

Then I helped you outta my truck,through the yard to your front door
Said "Girl, am I gonna see you again?" You answered me back with a kiss

Mi si accalda il viso, forse per la febbre o forse per la vaga idea che mi era venuta in quell’istante: e se stesse parlando di me? Appena formulo il pensiero faccio di tutto per ricacciarlo indietro. Ricorda cosa è successo, come ti ha preso in giro;
cerca di tornare in te Rachel..

I drive away from your house, chasin' butterflies out
Girl, I don't know how you do it
Roll the radio down, say "I love you" out loud
Man, I think I'm 'bout to lose it
Ain't my thing to jump the gun,
But I called my dad and said "She's the one"
Said "Boy, better get that ring, if you really wanna change her name"
Like a merry-go-round, got my head spinnin' round and round and round
That's just what you do, do, do, do, do, do, do to me


Quello che aveva nel contenitore ora lo rovescia in una macchina per fare i waffle e subito capisco cosa stia preparando. Non ho neanche guardato l’ora, che stupida. Mi sveglio in una casa non mia e la prima cosa che faccio è origliare il proprietario della casa. Bel lavoro Rachel complimenti ti stai comportando davvero bene; il mio buon senso cerca di zittire il mio orgoglio creandomi solo più confusione nella testa. Mi sento accaldata e stanca, con un peso alla testa e sbalzi di temperatura mi fanno venire i brividi. Mi appoggio alla maniglia della porta tentando di riprendere l’equilibrio, ma così facendo sposto leggermente la porta. Lui fortunatamente non se ne accorge e continua a intonare.

I picked you up for our second date, you're sure lookin' pretty
Sweet as an angel, here to save my soul
Mmm, yea, you get me high, you take me to heaven
And I get to shakin' when you put your lips on mine
It could be the best night of my life, least 'til next time
Oh yea, gotta get this right, follow all the rules and be back by 9
Pulled up to drop you off, leanin' in to sneak one more
Said "Baby, when can I see you again? How 'bout every night after this?"


inizia a fare qualche goffo accenno a qualche strana danza mentre con un mestolo simula un microfono.


I drive away from your house, chasin' butterflies out
Girl, I don't know how you do it
Roll the radio down, say "I love you" out loud
Man, I think I'm 'bout to lose it
Ain't my thing to jump the gun,
But I called my dad and said "She's the one"
Said "Boy, better get that ring, if you really wanna change her name"
Like a merry-go-round, got my head spinnin' round and round and round
That's just what you do, do, do, do, do, do, do to me
Yea, that's just what you do, do, do, do, do to me


Sono ormai persa in quel mare di parole e non riesco più a formulare un concetto concreto, resto solo li ad ascoltare la sua voce senza pensare più a nulla.

Yea, that's just what you do

I drive away from your house, chasin' butterflies out
Girl, I don't know how you do it
Roll the radio down, say "I love you" out loud
Man, I think I'm 'bout to lose it
Ain't my thing to jump the gun,
But I called my dad and said "She's the one"
Said "Boy, better get that ring, if you really wanna change her name"
Like a merry-go-round, got my head spinnin' round and round and round


Un’altra ventata di calore e questa volta sento le gambe cedere.
 
That's just what you do, do, do, do, do, do, do to me
 
Afferro la maniglia della porta, con il risultato di peggiorare solo le cose.

Yea, that's just what you do, do, do, do, do, do, do to me

Cado rumorosamente nell’altra stanza, facendo venire un infarto al biondo, che per lo spavento lascia cadere il mestolo per terra. Si gira e una frazione di secondo lo vedo prendere il colorito di un pomodoro. Non ne capisco il motivo, sono troppo occupata a cercare di alzarmi senza barcollare. Noto solo ora che legato alla vira ha un grembiule bianco dalle decorazioni verdastre; quella vista mi lascia sfuggire un sorrisino di scherno. Tiro su rumorosamente di naso, perdendo ogni lezione di bonton che mi avevano impartito da piccola.
“R- Rae, che ci fai in piedi? V- va tutto bene?”
Con voce tremante mi aiuta ad alzarmi e noto che si sofferma parecchio a osservare i miei indumenti, ma non ci faccio molto caso. La febbre mi sta facendo delirare e mi aggrappo a lui, avvicinandomi solo di più. Il suo corpo produce un calore piacevole che mi fa solo stringere la presa, mentre il suo colorito va di male in peggio; sembra che stia per esplodere.
“R- Rachel ci sei?”
Stringo la presa sul suo petto e appoggio il viso nell’incavo del suo collo per godermi quel dolce tepore mentre mi tiene per i fianchi.
“sei molto caldo”
Dico come in trans. Le parole uscivano così, senza pensarci; tutto quello che mi passava per la testa era solo la voglia di rimanere attaccata a lui, il resto non lo riesco a comprendere.
“R- rae mi sa che la febbre si sia alzata, forse è il caso che ti rimetta a let-“
“ no, voglio stare così ancora per un po’”   
Lo interrompo aggrappandomi con più forza respirando il suo odore. Lui resta lì fermo, aumentando la presa mentre sento le forze venire a meno. Improvissamente sento il rumore di una porta che si spalanca e una voce familare venire verso di noi.
“ehy amico scusa il ritardo, ti giuro che ho fatto il più presto possibil-“
Sulla soglia della stanza vedo entrare Luke con in mano un sacchettino trasparente e gli occhiali da sole addosso, nonostante fossimo in pieno inverno. Sento il corpo di Gar irrigidirsi non appena vede il suo amico, ricordandosi di avermi ancora incollata a se.
“certo che voi due ci state dando proprio dentro eh?”
Le mani di Gar si staccano improvvisamente da me, iniziando a gesticolare.
“Luke! Non è assolutamente come sembra stavamo solo, solo … ?”
Le gambe iniziano a farsi molle e a malapena sorregono il mio peso.
“solo?”
Cado a terra portandomi una mano alla bocca per placare l’attacco improvviso di tosse, seguita a ruota dal biondo, che ignorò palesemente il suo compagno. Mi porta una mano sulla fronte per misurare la temperature e dalla sua espressione grave capisco che non sono in una buona condizione.
“dannazione Rae la febbre si è alzata di nuovo”
Mi prende in braccio, ma io sono troppo confusa e debole per replicare; il massimo che faccio è appoggiare nuovamente la testa nell’incavo del suo collo, e non migliora di molto la mia condizione, ma lui è troppo preso dal trasportarmi da una stanza all’altra per preoccuparsene.
“Luke, ha preso la medicina che ti ho chiesto?”
Chiede appoggiandomi con cautela sul letto. Appena lo vedo accennare un movimento lo afferro per la felpa, guardandolo negli occhi. È stato un movimento istintivo, non sono riuscita a controllarmi e anche lui ne è sorpreso e quando vedo che il suo sguardo non cede sul mio, quindi sposto il viso sulla coperta, mantenendo però la presa sul suo indumento.
“si ce l’ho, ma và presa a stomaco preso; è pur sempre un’antibiotico”
Dice Luke porgendo la scatola con le pasticche a Gar; in tutta risposta si siede vicino a me prendendo la scatola. Mi circonda le spalle con un braccio diminuendo le distanze di sicurezza che dovrei tenere da lui.
“prendimi dei biscotti e un bicchiere d’acqua allora”
Sarà una mia impressione, ma mi è sembrato di vedere Luke sogghignare nel mentre, per poi dirigersi verso la cucina.
“come ti senti”
Mi chiede; io non saprei come rispondergli: potrei dirgli la verità, dirgli che sto di merda un po’ per mia madre, un po’ per la febbre e un po’ perche vorrei non sentire questa così opprimente sensazione di aver sempre bisogno di lui quando dovrei solo stargli lontano; quando dovrei solo odiarlo; oppere potrei mentirgli spudoratamente e dire che sto bene, che non si deve preoccupare, per poi andarmene non appena sarò in grado di alzarmi di nuovo e fare di tutto per non vederlo mai più. Decido di stare in silenzio e avvolgermi nelle coperte, sotto il suo sguardo preoccupato. Dopo pochi attimi arriva Luke con dei biscotti e l’acqua.
“mangia, vedrai che poi starai meglio”
Mangiare è l’ultima cosa che vorrei fare, ma se voglio rimettermi ho bisogno di quella medicina. Faccio come mi dice e poi mi porge la pasticca che mando giù senta difficoltà. Sento poi la leggera carezza del suo fiato sulla mia nuca e sento le palpebre diventare pesanti. Tutta la realtà mi sembra un’illusione sfocata e cado nell’ombra (di nuovo), tra le braccia di un Morfeo perenne. L’ultima cosa che sento è un lieve bacio sulla fronte che calma i miei sensi portandomi una visione celestiale e sonni tranquilli, accompagnati dalla voce di mia madre; pareva un sussurro, una lieve brezza quasi, ma il suo profumo, il suo lieve tocco erano inconfondibili. Trovai la gioia di quei pochi momenti felici con lei che improvvisamente si fecero tanti. Ogni singolo secondo che ricordo con lei mi pare una luce lontana, che conserverò sempre come mio grande tesoro. Sarà per la febbre o per qul profumo di waffle nell’aria, in ogni caso il volto di Arella mi apparve chiaro e lindo, mentre vestiva con una tunica bianca ed era ricoperta di una luce abbagliate; mi apparve con il suo sguardo sereno e i suoi occhi limpidi che parlavano e mi dicevano “andrà tutto bene, si forte, vai avanti  e ricorda, uno spiraglio di luce ci sarà sempre”.
Per la prima volta dopo mesi, dormi serena.
-

-

-

“la medicina sta già facendo effetto, bene”
Mentre la guardavo appisolarsi, le diedi un istintivo bacio, con la scusante che così facendo avrei misurato meglio la sua temperatura.
“tutto merito delle affettuose cure del Dottor Logan”
Scherzò Luke, dandomi una sonora pacca sulla spalla. Mi chiedo come faccia ad essere sempre così tranquillo, io è da ieri che sono in’ansia, crogiolandomi in tutte le mie strane teorie sulla salute della ragazza. Sono perennemente preoccupato, ma ora che ha preso l’antibiotico sono più tranquillo.
“piantala Luke”
Mi dirigo verso la cucina, appena in tempo per salvare i waffle che avevo preparato, da una fine tremenda.
“che carino hai perfino cucinato per lei, sei proprio uno da sposare”
Dice con uno strano tono di voce, un po’effeminato.
“mi ha detto che le piacciono i waffle, pensavo di farle un favore”
Mi stupì di me stesso quando mi venne questa brillante idea, stava procedendo tutto liscio finche Rae non si mise a sclerare: da lì la mia testa ha avuto un reset; non mi ricordavo neanche il  mio nome.
“l’importante è il pensiero”
Si siede davanti al tavolo che avevo preparato per la colazione, aspettando.
“pretendi pure che ti dia da mangiare ora?”
“ehy, sono stato io che sotto il diluvio universale è andato a prenderti quelle diamine di pastiglie per salvare la tua bella”
“ci hai messo troppo tempo”
Rispondo, sapendo di  essere in torto, ma mi piaceva torturarlo; dovevo sfogarmi su qualcuno.
“certo la centenne della farmacia mi ha dato cinque dollari di resto in spiccioli, c’erano così tante monete che mi si incrociavano gli occhi”
Mi viene da ridere pensando alla scena, conoscendo che Luke non ha un briciolo di pazienza.
“e poi sei tu troppo ansioso; ogni due minuti mi arrivava un tuo messaggio, mettevi ansia persino a me”
“Rae stava male è normale che sia preoccupato”
Metto il broncio mentre inizio a lavare le stoviglie. Capisco di aver un po’ esagerato forse, ma andiamo chiunque avrebbe agito come me.
“allora lo ammetti che ti piace”
Alzo lo sguardo in direzione di dove dormiva la ragazza e non faccio a meno di sorridere.
“dire che mi piace è un effimero”
Torno a concentrarmi sulle pentole mentre la molesta voce del mio amico mi accompagna. Non ho voglia di ascoltarlo, ma gli sono grato per essere qui con me ora così appena ho finto gli passo un piatto con un waffle e una tazza di caffè;
“quindi, ora state insieme o cosa?”
Rimango interdetto da quella domanda.
“no, non stiamo insieme, ma …”
Non posso dirgli del bacio. Per Rachel sarà un motivo in più per odiarmi e poi non credo se si potesse definire proprio bacio quello; nel senso, io lo vedo più come l’istante più felice della mia vita;
“tranquillo, ho capito; non sei costretto a dirmi tutto”
Lo guardo pieno di gratitudine; quando finisce di bere il caffè, decide di andarsene. Gli restituisco i soldi per la medicina e lo accompagna alla porta dove mi saluta con un gesto di incoraggiamento.
Chiudo la porta e vado dare un occhio alla mia ospite. Per ora sembra che dorma sogni sereni; è la prima volta che la vedo così rilassata, così spoglia delle sue corazze. Sono le 8:00 del mattino, direi che ancora un’ora di sonno me la possa permettere; solo che non avevo per niente voglia di rimettermi in quello scomodo divano e un pensiero malato mi sfiora. Li per lì decido di lasciar perdere, ma la tentazione è tanta, così alzo le coperte del letto e mi accoccolo di fianco alla mia Rae; lei non sembra accorgersene ma il modo in cui era messa … sembrava volesse che mi avvicinassi di più e a confermarmelo fù il leggero movimento della sua mano verso la  mia. Non me lo feci ripetere due volte e la avvolsi in un abbraccio che sarebbe potuto durare per sempre. Mi addormento inebriato dal suo odore e con le sue mani sul mio petto, cadendo così in un'incantesimo dalla quale non vorrei mai liberarmi


ANGOLO AUTRICE
*risorge dall'entro terra* I'm alive!!!
non sono scomparsa e chiedo scusa per il ritardo di quasi un mese. mi inchino (di nuovo), sono veramente mortificata, ma temo che dobiate abituarvi: ora che è iniziata la scuola non riesco più a stare tanto dietro alla storia. porterò a fine questo lavore perche ci tengo particolamente, ma ho i miei tempi e spero di riuscire ad agiornare almeno una volta la mese (mi vergogno molto).
chiedo scusa (di nuovo) a tutti coloro che mi scrivono recensioni e alla quale poi non riesco a rispondere, ma ho tempi limitati, quindi scusate la mia insolenza e abbiate pazienza (e tanta anche).
scusate se vi lasco così, sò che il capitolo è alquanto indecente, ma non avrei aggiornato mai più se mi fossi messa a riscriverlo.
un'abbraccio
-carly
p.s. questo capitolo sarebbe dovuto uscire il primo del mese, ma efp mi ha dato dei prolemi e ho potuto aggiornare solo ora. Non sò perchè, ma non mi caricava il capitolo e non lo postava; solo ora per grazia divina sono riuscita. Ancora scusa; farò del mio meglio per aggiornare il prima possibile.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** come fà un'istante così profondo a cancellarsi così velocemente? ***




Da quando è capitata quella tragedia i risvegli erano qualcosa di orribile; tutte le volte vivevo con la speranza che l’incubo fosse finito. Scoprire che mi illudevo era un duro colpo, infatti non era mai facile alzarsi; iniziavo a chiedermi se ne valesse veramente la pena. Per due settimane la mia vita ha smesso di scorrere e mi sono abbandonata a me stessa senza chiedermi quali conseguenze avrebbe avuto. Per due settimane non feci altro che darmi colpe, convita  che fosse l’unica cosa che al momento potessi fare. Non è facile affrontare questi momenti, ormai lo so per esperienza, ma ho imparato che stare ferma a disperarsi non fa altro che aumentare il dolore; ho fatto un grave errore, ora ne sono consapevole. Mi ci sono volute due settimane per capirlo. Due settimane per riabbracciare la voglia di alzarsi e di agire. Perche per la prima volta dopo tanto mi risvegliai con voglia di vivere, o almeno senza la solita malinconia.
Apro gli occhi senza difficoltà, i ricordi di qualche ora fa sono molto offuscati e la presenza di un corpo caldo di fianco a me non aiuta alla concentrazione. Subito davanti a me si desta il volto calmo e assonnato del solito ragazzo. Chissà perché tutte le volte ci ritroviamo sempre in queste situazione: io misteriosamente avvinghiata a lui e quest’ultimo che non se lo lascia ripetere  due volte. Come da copione lo stupore iniziale c’è, ma si dissolve subito; che inizi a farci l’abitudine? Sento una nota di ribrezzo nel stargli così vicino; non passa momento dove io non ripensi a ciò che lui ha fatto e averlo davanti a me, ora … non lo so … mi spaventa. Con lui mi sento in continuo pericolo, perché se c’è qualcuno che potrebbe ferirmi e farmi davvero male ormai è solo lui.
Dal volto calmo sembra che si sia addormentato da un po’, questo mi permetterebbe di andarmene di soppiatto senza alcun problema, e probabilmente farei così se non fossi così attaccata a lui. Ogni movimento potrebbe portare il mio piano al totale fallimento, ma non posso neanche aspettare che si svegli di suo, contando che potrebbe volerci tutto il giorno. Mentre tento appunto di trovare qualche via d’uscita un suono ripetitivo mi blocca completamente: se va bene è l’unica volta in cui imposta una sveglia in tutta la sua vita e me la becco io. Lo sento lamentarsi e produrre strani biascichi incomprensibili mente con il braccio destro, quello che mi teneva ben stretta a lui, tenta di spegnere la sveglia. Approfitto del momento di distrazione per sgattaiolare fuori dalle coperte. Neanche il tempo di fare un passo, che già la sua mano mi blocca e con occhi assonnati mi guarda da capo a piedi, mentre sul suo volto compare un sorriso da schiaffi.
“uno dei migliori risvegli della mia vita, grazie”
Non capendo abbasso lo sguardo e in una frazione di secondo mi passano per la testa domande della quale sinceramente non vorrei risposta: perche non ho i pantaloni? Di chi è questa felpa che mi copre a malapena fino a metà coscia? Chi mi ha tolto i vestiti? E altre svariate imprecazioni.
Vi prego ditemi che ha una badante e che è stata lei a ridurmi così.
 Cerco di mantenere la calma e di affrontare la situazione. Mi stacco dalla sua presa e nascondo il rossore delle guance recandomi verso la porta della cucina alla ricerca dei miei vestiti.
“dove credi di andare così, fino ad un’ora fà deliravi per la febbre; non mi sembra il caso di girare per casa mia mezza nuda; Non che mi diaspiaccia, puoi perfettamente prenderla per abitudine, ma non ora forse.”
Cambia tono della voce quando arriva alla parte del “mezza nuda”. Aspetta … deliravo per a febbre? Qualcuno mi uccida, chissà cosa avrò combinato.
“voglio evidenziare il fatto che sono mezza nuda, come dici tu, per colpa tua. Ora dimmi, dove sono i  miei vestiti?”
Mi raggiunge in cucina frettolosamente.
“in bagno ad asciugare; dovresti ringraziarmi ti ho evitato una broncopolmonite fulminante”
Certo dovrei essere io a ringraziarlo, ma si rende conto di quello che dice. Decisa ad evitare di parlargli mi dirigo verso il bagno, per poi trovare un paio di jeans ancora umidi. Oggi non deve essere la  mia giornata. Sto per infilarmi l’indumento quando vedo il biondo pormi dei pantaloni della tuta che ad occhio e croce dovrebbero starmi. Lo guardo per capire se faceva sul serio.
“dovrebbero starti, anche se è imbarazzante sapere che ho la stessa taglia di una ragazza”
Si fa sul serio.
“ma se non vuoi metterli per me non è un problema, anzi … “
Con un sorriso beffardo lascia intere la fine della frase; mi affretto a riprendere una posizione autoritaria, mentre Garfield si allontana.
“quando hai fatto vieni in cucina, hai bisogno di mangiare”
“non ho bisogno di niente; sto benissimo”
Vado verso il letto dove pochi minuti fa dormivo per cercare le mie scarpe, sperando che almeno quelle siano in condizioni migliori.
“diresti la stessa cosa se ti dicessi che ho fatto i waffle?”
Anche le scarpe sono umide e un forte profumo inizia ad invadere la casa. Un odore che rimane impresso nella testa, non lo poi dimenticare; sa di casa e di affetto materno. Tutto quello di cui avevo bisogno sotto forma di cibo. Senza pensarci due volte, lo raggiungo in cucina e trovo sul tavolo due piatti con già serviti da mangiare. Resto ferma sulla soglia, mentre il mio stomaco reclama ciò che da troppo rifiutavo; In fondo non posso andare lontano con i vestiti bagnati e poi a casa ormai non ho più nulla; nulla per la quale valga la pena di lottare.
Mi siedo senza dire una parola mentre Gar mi guarda sorridendo e questo mi crea un nodo allo stomaco. Come può sorridere, come può pesare che ci sia qualcosa per la quale valga la pena sorridere; stringo i pugni; no, non riesco ad accettare che proprio lui mi abbia fatto questo.
“serviti pure”
Mi ero fidata, avevo cancellato le barriere solo per pochi momenti e lui è riuscito a distruggermi. Tutto quello che avevo imparato, tutto quello che ho passato per costruirmi la mia immunità al dolore è andato in fumo, solo per la mia debolezza. Ho causato la morte di mia madre, HA causato la morte di mia madre! E io sono ancora qui; perche non riesco a ragionare lucidamente quando c’è Garfield di mezzo; perche non riesco a levarmelo dalla mente.
“che c’è non hai fame?”
Come se non avesse parlato continuo a punzecchiare il mio waffle, mente i pensieri vagano; non mi sono neanche accorta che la sua espressione stava cambiando.
“Rae credo che sia il caso di parlare di ciò che è accaduto ultimamente”
Alzo lo sguardo sempre con la forchetta in mano. Cosa ci sarà mai da dire? Sono una stupida ecco tutto.
“la gente ha bisogno di parlare quando ha qualcosa da dirsi; per quanto mi riguarda tra neanche un’ora varcherò quella soglia e farò in modo di non farmi più vedere. Non c’è nulla da dire.”
Resta in silenzio guardandomi. Non riesco a decifrare più il suo viso, forse perche non riesco più a guardarlo negli occhi. Rischierei di cascarci di nuovo e lui capirebbe tutta la rabbia e l’odio che sto nascondendo: riuscirebbe a leggermi dentro come solo lui saprebbe fare e mi sentirei vulnerabile più di quanto già non sia.
“Rae, io-“
“non chiamarmi mai più così!”
Solo lei poteva chiamarmi con quel nomignolo. Soltanto a mia madre permetterei di chiamarmi così e non ho più il coraggio di sentirlo dire da lui. Deve finirla di credere che tutto potrà tornare come prima, perche non sarà mai così; non cadrò di nuovo nello stesso inganno. Penso che dopo tutto le cose che mi sono successe fino ad ora, l’unica cosa buona che ne è venuta fuori è la consapevolezza che ora mai gli stessi errori non riuscirò più a farli.
“basta Gar, non c’è niente che tu possa dire o fare; puoi scusarti quanto vuoi, puoi implorare e pregare il mio perdono anche in eterno, ma questo non farà altro che peggiorare le cose. Io mi sono fidata, mi sono aperta e ti ho permesso di scorgere una parte di me che mai avrei liberato e non sai quanto mi pento di questo.”
Resta fermo, bloccato dalle mie parole. Forse mi sto facendo più male io a dirgliele che lui a sentirle. Eppure è quello che si merita, è quello che penso; ma allora perche sento questo peso allo stomaco. Come se il mio cuore si stesse lentamente fermando.
“Rachel per favore ascoltami, ti giuro che non volevo farti del male, ma-“
“ma cosa!?”
Mentre prima il mio sguardo era verso il piatto, ora punta severo verso di lui; il mio pugno batte sul tavolo. La paura di sentirmi invasa dai suoi occhi svanisce e finalmente riaffronto il suo volto. Voglio che veda come mi ha ridotto; voglio che sappia e che capisca che è riuscito a farmi cadere. Rimango perplessa quando vedo l’ombra cupa che lo avvolgeva un tempo, tornare a capo del suo sguardo; solo una volta lo vidi assumere quel velo e fu la prima volta che parlammo. Da lì in poi rimase sempre il solito ragazzo, avvolto da quella luce di allegria e spensieratezza che un po’ invidiavo, quindi non tenni conto dell’episodio. Ora invece sembra di tornare a mesi fa; sembra che stia guardando un ragazzo completamente diverso.
“avanti dimmi che cosa ti ha spinto a non dirmi niente dei piani di mia madre, dimmi perche non hai impedito che accadesse tutto questo? L’hai fatto per soldi? ti ha promesso una parte dell’eredità di mio nonno o hai semplicemente fatto la tua buona azione mensile? Avanti Garfield, per una volta si sincero con te stesso e dimmi perché?!”
Il tono della mia voce si è improvvisamente alzato, lo noto solo ora che mi bruciano le corde vocali. Il suo viso si fa umido, gli occhi lucidi, ma si sta trattenendo. Respira quasi con difficoltà, come se avesse voglia di gridare e stesse risparmiando le forze. anche lui ora mi sta fissando, non come prima, ora sembra che stia tentando di parlarmi con gli occhi, ma io sono soprafatta dalla rabbia per rendermene conto. È una sensazione strana, sembra che tutto ciò che vedi sia coperto da un velo nero e rosso con la quale non riesci a mantenere la calma.
“non sei stata l’unica che in questi giorni è stata male. Credi davvero che abbia dormito sonni tranquilli. Pensi che non abbia passato ogni singolo istante a pensare a quello che ho fatto? Non passa momento dove non ripensi a cosa avrei potuto fare per aiutarla. Tu non sai quanto hai ragione nell’odiarmi ora. Sono stato uno stupido, non potrò mai essere perdonato per la scelta che ho fatto, ma ogni volta che mi ricordo il motivo della mia decisione, capisco che rifarei la stessa cosa un milione di volte”
Resto immobile, in silenzio. Qualcosa mi obbliga a non saltargli addosso per finirlo. L’odio cresce a dismisura.
“queste settimane senza di te, sono state un peso insopportabile. Sapere che tu stai così male mi uccide e prendimi pure per falso, pensa quello che vuoi; so che tanto non crederai ad una singola parola di quello che sto dicendo. Per te d’ora in poi resterò colui che ti ha definitivamente rovinato la vita ed è assolutamente vero; ci sono passato, so cosa si prova nel perdere un familiare e so anche quanto ti senti arrabbiata contro colui alla quale dai la colpa della tua sofferenza: è forse l’unica cosa che ti fa andare avanti. Vederti il lacrime, in preda alla disperazione, sopra il corpo della persona a te più cara … mi stava uccidendo e doverti poi portare via tra le tue urla impazzite è stato anche peggio. Passare tutti questi giorni a mentirti, a far finta che vada tutto bene andava contro a tutti i miei principi; insomma ti stavo praticamente portando via la stessa cosa che hanno portato via a me e non so come, ma l’ho fatto: ti ho ferita, ti ho fatta piangere”
Il suo tono sembra quasi un sussurro, ma continua fissarmi. Non riesco a fare altro che ascoltarlo, sempre più convinta di volermene andare.
“ma preferisco vivere con il tuo odio che saperti morta ”
Il quel instante mi pareva di vedere tutta la purezza delle sue azione; mi ero quasi convinta che dicesse la verità. Ci stavo per cascare di nuovo, ma mi sono fermata in tempo. Dopo tutto quello che è successo continuo a fidarmi di Garfield; per questo devo stargli il più lontana possibile. Se questo vuol dire che non dovrò mai più vederlo in modo da ricreare le mie barriere, così sarà. Mi si crea un peso al cuore solo a pensarlo. Da quando sono diventata così dipendente da una persona? Devo troncare questa situazione ora; è il momento di smetterla.
“grazie per l’ospitalità”
Con i pugni stretti e la gola secca mi alzo del tutto dalla tavola e mi dirigo verso la stanza dove erano state mese le mie scarpe, infilandomele. Un magone mi assale, mentre il silenzio inonda il monolocale; improvvisamente mi sembra insopportabile anche solo l’idea di restare ancora qualche secondo qui dentro. Nel mentre percorrevo quel breve tratto di corridoi tra la porta e la cucina mi sembra di rivedere gli attimi in cui credevo di potermi finalmente fidare di qualcuno; quei attimi di demenza dove mi ero quasi convinta che il mondo non fosse un posto così orribile, come lo disegnavo. Erano momenti di felicita e in comune avevano che li ho passati tutti con lui. Pochi ma intensi, mi viene da dire ripensandoci; come fa un istante così profondo a cancellarsi così velocemente. Non prova a fermarmi, non accenna ad una parola, un sussulto; resta li, fermo a fissare l’aria. Ancorato con i piedi al pavimento, immobile, quasi morto; Per me sarà allora più facile crederlo tale, quindi.
Attimo sfuggente ecco come lo definirei questo momento. Una curva importante per la tua vita che dura meno di un secondo. Una scelta, che mi parla di odio e di falsità; un tempo credevo che un momento così non avrei mai potuto viverlo, perché non ho mai avuto questi tipi di momenti. Eppure eccomi qui, davanti a questa porta blindata di legno marrone, inumidita dall’acqua.
I secondi più profondi e struggenti della mia vita; ecco cosa sto vivendo.
come fa un istante così profondo a cancellarsi così velocemente?
Fuori l’aria è umida e pungente; i veno taglia a pelle e sussurra versi di lamento, lasciando una pioggerellina lieve. Prendo la prima strada che mi capita e parto, senza sapere bene dove andare.
-
-
-
In quella piovosa giornata d’inverno, due occhi neri come la pece osservano dall’alto di un ufficio piuttosto tetro, il traffico del centro città. La postura retta, lo sguardo perso e le mani incrociate dietro la schiena lo fanno sembrare perso nei suoi pensieri, assorto nella contemplazione del paesaggio. Eppure, in realtà, l’unica cosa persa di quell’uomo era lo sguardo; la testa era interamente concentrata in un unico e chiaro punto, fisso nella sua testa ormai da giorni. Gli ultimi avvenimenti, oltre che aver portato via una madre dalla figlia, avevano anche creato gran casino in quell’ufficio; Lo si capisce dai fogli sparsi nella scrivania, nei vari fascicoli in giro per l’ufficio e il portacenere pieno di cicche. L’ultima sua perdita ha causato il totale stravolgimento dei suoi piani; doveva ammetterlo: non si era spettato un comportamento simile da Arella; era fermamente convinto che quella donna fosse solo un’incapace ragazzina piena di sogni e false speranze, una persona facile da manipolare, perfetta per i suoi piani quindi. Invece è risultata più efficace di come pensava. Aveva sottovalutato il suo avversario, il padre di Arella è stato più astuto di quanto pensava, avrebbe dovuto capirlo da come si era facilmente arreso davanti al volere della figlia nel volerlo sposare assolutamente. Ma non importa, continuava a dirsi, una soluzione c’èra di sicuro.
“signore, perdoni l’interruzione, ma è arrivata la persona che ha chiamato”
Tornando alla realtà, si gira verso il maggiordomo, annuendo.
“fallo entrare, poi lasciaci”
Ordina con voce mite.
Entra nel ufficio con passo rilassato, un uomo con una folta capigliatura nocciola. Al contrario del borghese di Trevor, il suo nuovo socio veste con semplicità dei jeans e una maglia coperto semplicemente da un giaccone impermeabile, visibilmente bagnato. La sua figura slanciata e solida lo fanno sembrare un trentenne ingannando la sua vera età leggermente più vecchia. Non degna di uno sguardo il maggiordomo e cammina verso la scrivania piena di fogli.
“accomodati prego”
Fa come gli viene chiesto e lo stesso fa Trevor, spostando la pila di documenti di lato a se.
“per telefono mi hanno detto che era una cosa importante, che succede?”
Un freddo sorriso si dipinge sul volto del capo mentre si porta le mani al mento.
“che succede chiedi? Immagino che tu sia a conoscenza degli ultimi avvenimenti, vero?”
“si, ti faccio le mie condoglianze per la perdita e se mi hai chiamato per sapere perché non ero al funerale, sappi che ho avuto un piccolo contrattempo”
Anche sul volto del giovane arriva un beffardo accenno sul volto.
“sai bene di non essere qui per questo; si qui perché vorrei sapere come pensi di procedere ora che la mia ultima possibilità di potere è andata in fumo”
Il tono di voce si alza, senza però scalfire l’accenno di sfida sul volto dell’imputato. Rimane tranquillo con gli occhi marroni sempre puntati su quelli di lui.
“ammetto che non avevo pensato ad una mossa del genere da parte della tua bella, è stata molto astuta, ma noi lo siamo di più, ricordatelo.”
“su questo non dubbi, Arella è stata brava, ma abbiamo ancora un paio di carte da giocarci. La sua morte però ci crea un bel po’ di problemi. Il testamento parla chiaro e lei è stata attenta a rispettarlo; la sua morte risale a prima del compimento del diciottesimo compleanno di Rachel”
Si alza dalla scrivania e si dirige verso la finestra continuando a fissare lo stesso punto di prima, per poi raggiungerlo il suo compare dandogli una pacca sulla spalla.
“non posso darti torto, ma ricordati che questo non cambia nulla, anzi in realtà ci ha solo torto lo sfizio di farla fuori; ci ha fatto un favore, pensala così”
Il giovane si allontana dalla finestra prendendo una sigaretta dalla tasca per portarsela alla bocca. Trevor si gira di nuovo verso di lui, porgendoli uno sguardo serio, facendogli intendere di andare avanti.
“cosa hai mente di fare?”
Dopo aver acceso la sigaretta, inspira profondamente per poi levarsela di bocca, facendo uscire un po’ di fumo.
“credo che sia il caso di portare il nostro asso qui; se non agiamo in fretta quella ragazzina potrebbe farsi venire in mente qualcosa. È astuta come il padre quella bambolina, ma è anche distrutta per la perdita della sua mammina. Credo che questo potrebbe giocare a nostro vantaggio”
“o svantaggio; ho insegnato a mia figlia ad essere terribilmente diffidente”
“fidati amico mio, si è rammollita più di quando credi; non ci darà troppi problemi. Tu avrai il tuo armamento e io i miei soldi, te lo garantisco.”
dopo qualche secondo Trevor si dirige verso la scrivania, premendo un pulsante del telefono.
“Stephanie, chiama Tara e dille di venire nel mio ufficio al più presto”
“si signore, gliela porto subito”
Risponde una voce femminile, dall’altro lato del telefono. Ancora un altro tiro di sigaretta, mentre i due continuano a guardarsi con sorriso da complice
“è un piacere fare affari con te”
Trevor gli porge la mano che viene stretta subito dall’uomo di fronte.
“tu non sai quanto”.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** ritorni ***




La sento andarsene, come se fosse l’unico suono che io abbia mai veramente ascoltato. Forte, deciso e terribilmente letale. Sento nella mia testa la mia stessa voce che urla di fermarla, ma la ignoro e lascio la porta chiudersi. L’ho detto io alla fine: “preferisco vivere con il suo odio che saperla in pericolo”; è perfettamente logico che ora non ne voglia più sapere. Il dado è tratto e non sarò di certo io ad impedirle un po’ di tranquillità. Eppure ora mi sento a pezzi: come se avessi corso per tutta la città senza un attimo di respiro;
Ha lasciato il piatto praticamente pieno, non ha neanche bevuto l’aranciata: forse era troppo impegnata ad urlarmi contro. Un peso insopportabile si fa strada sul mio petto, ma tento di cacciarlo indietro come le lacrime. Si lo ammetto sono a un passo dal piangere come una ragazzina, e questo oltre che deludermi mi stupisce. Non piango mai molto e tutte le volte capita quando sono con i miei genitori, al cimitero; ci sono state ovviamente delle altre volte: ad esempio quando Lucian mi ha rigato la moto, ma quelli erano momenti meno seri e ovviamente meno incasinati di ora. Sparecchio, coprendo solo il piatto di Rachel per evitare che le mosche ci volino sopra, sperando che torni indietro. Ha lasciato da me i suoi vestiti. Anche quelli li piego e li ripongo con cura vicino alla porta; magari con qualcuna delle sue doti eccezionali scassinerà la serratura per recuperarli.
La speranza è l’ultima a morire alla fine. A risvegliarmi dai miei pensieri è il suono del telefono fisso; subito credo che sia Rachel, ma poi mi ricordo che lei probabilmente non ha neanche il numero di cellulare. Mi avvicino al comodino e alzo la cornetta.
“pronto?”
“Garfield? Sei tu?”
Quella voce. Quella dannatissima voce. Mi ha perseguitato per anni e risentirla dopo tanto tempo è un colpo al cuore. Resto in silenzio incredulo; no, non può essere lui.
“per favore rispondi; mi ci sono volute settimane per trovare il tuo numero, ho bisogno di palarti”
Ho fatto di tutto per staccarmi da lui e ora eccolo qui; la sua voce mi fa montare dentro di me un grande senso di rabbia. Come può anche solo parlarmi, dopo tutto quello che ha fatto.
“Gar-“
“ha sbagliato numero”
“Mark ti prego, so che sei tu”
Quel nome; no non è possibile.
“non chiamarmi così! Non ne hai il diritto!”
“Garfield ho bisogno di palarti; devi sapere che in questi ultimi tempi mi sono successe … delle cose che mi hanno fatto riflettere; voglio scusarmi, ma non per telefono”
Chiedermi scusa? Bhe dopo tre anni, se la è presa comoda. Come può anche solo pensare che io potrò ascoltarlo, figuriamoci perdonarlo.
“sai perfettamente quale è la mia risposta”
Il mio tono di voce è tremante per la rabbia. Non ce la faccio, non posso di nuovo tornare a parlargli.
“voglio solo vederti per scusarmi come si deve Gar. Solo una volta, poi prometto che scomparirò dalla tua vita, ma ti prego dammi la possibilità di rimediare”
“mai!”
Sto per riagganciare, ma la sua voce mi precede.
“Garfield sto per morire! Ho un tumore e i medici mi hanno dato come massimo due mesi di vita. Non voglio morire sapendo di averti lasciato solo per tutto questo tempo. Non voglio dover andare a dire a tua madre quanto coglione sia stato, non lo sopporterei”
“quando morirai non raggiungerai mai mia madre; finirai all’inferno, dove è giusto che tu stia”
“allora permettimi di andarci con la coscienza più leggera”
Stingo i pugni, sbancando le nocche.
“perché mai dovrei farti questo favore? Tu hai distrutto tutto ciò che avevo, non ti lascerò interferire anche con la mia nuova vita”
“perche io posso aiutarti. Chiedimi qualsiasi cosa in cambio, ma ti prego permettimi di venire da te”
“non voglio niente da te, non voglio neanche più averci a che fare con te; in realtà non so neanche perchè sto continuando a parlarti. Addio”
Non gli d'ho neanche il tempo di rispondere che butto giù il telefono con violenza. Mi porto le mani ai capelli. In neanche un giorno sono riuscito a rovinarmi la vita; si vede che deve essere la mia giornata no. In casi come questi la cura migliore è una lunga sessione di videogame con la compagnia di un pacchetto di patatine e nachos vegetariani, ma (cosa che reputavo perfino io impossibile) mi è passata tutta la voglia di giocare; effettivamente credo che passero la giornata a guardare il soffitto e ha cercare una soluzione per tutto sto pasticcio.  Sto per mettere in atto i miei piani, quando sento bussare alla porta. Lì per lì speravo fosse Rachel, nonostante fossi già a conoscenza del fatto che in realtà non sarebbe più tornata indietro o almeno non così in fretta, apro però la porta con comunque quella convinzione, la figura che mi si presta davanti è molto diversa da Rae. Con un abbigliamento trasandato, con la quale mai l’avevo visto prima, e il sorriso da chi sa di essere colpevole di qualche fattaccio vedo mio zio; le mani in tasca e l’espressione rilassata lo fanno sembrare diverso da come me lo ricordavo: le profonde occhiaie, insieme alla sua figura molto magra ed esile mi fanno capire che la questione del tumore era vera. Non sono particolarmente addolorato, neanche un po’ se devo essere sincero, sapevo che prima o poi tutto il male che aveva causato gli sarebbe ricaduto addosso. lo guardo sbigottito, non capendo come e quando avesse trovato casa mia.
“non mi hai lasciato scelta”
Sorride ancora ed io non accenno nessuno movimento; resto li a guardare quella faccia che mi ha sempre fatto rigare il volto di lacrime; la stessa dell’uomo che mia madre chiamava fratello; la persona che mi ha trascurato per i suoi affari, che mi ha discriminato e che mi ha impedito di vivere la mia infanzia. Ora quel volto, nuovo e più vecchio mi sta guardando.
“allora non vieni a salutare tuo zio?”
-
-
-
Intanto nel mezzo di una strada deserta, nonostante fosse l’ora di punta, girava Rachel alla ricerca di non si sa bene quale meta, con quei vestiti che la facevano sembrare uno dei soliti barboni che si aggirano per le stazioni. Eppure la stazione era ben lontana. In realtà forse lei sapeva dove steva andando, ma non voleva ammetterlo. Al momento le sembrava la persona migliore da cui andare, quella che le aveva sempre detto che in caso di necessità ci sarebbe stata. Non aveva mai preso molto in considerazione quelle parole: spesso le persone dicono delle cose solo per cortesia e quindi non le era mai saltato in mente di seguirla veramente. Ora però la situazione era diversa; si trovava nello sconforto più totale con da una parte il cuore che le dice di tornare indietro, chiedere scusa a Garfield e poi di picchiarlo brutalmente, mentre dall’altra il cervello che le diceva di non voltarsi e andare per la sua strada. Per tutta la vita le era stato insegnato che in questi casi ha sempre ragione la testa, perché il cuore è sentimentale, cioè soggetto all’influenza della pietà e del perdono, cosa che non doveva succedere. È un bivio che l’uomo si è sempre posto; quale sarà la strada migliore? La risposta è molto soggettiva, và di individuo ad’individuo, forse una unica non esisteva per il semplice fatto che non dovrebbe porsi e che bisognerebbe cercare una via di mezzo, cosa però alquanto complessa. Si ritrovo a fare questi ragionamenti mentre varcava la soglia del portone di un palazzo. Suonò al citofono dell’interno interessato che le aprì senza chiedere niente. Alquanto incauto, pensò mentre saliva le scale fino al terzo piano; appena si trovò davanti alla porta della casa, questa si apri facendo uscire la ragazza dalla foltissima chioma rossa, ora più gonfia del solito per il brusco risveglio.
“Rachel!”
Esclamo stupita con la voce ancora impastata dal sonno.
“che ti è successo? Di chi sono questi vestiti”
Alzò il volto verso l’amica senza proferire parola, ma bastò quello sguardo a far intendere tutto a Kori, la quale capì che qualcosa aveva scosso profondamente l’amica, oltre ovviamente la tragedia di sua madre.
“entra dai; ti preparo un po’ di thè”
Passata la porta si trovo in una casa di medie dimensioni e venne pervasa da un forte odore di rose, inizialmente un po’ fastidioso, ma riscaldava molto l’ambiente insieme ad un arredamento scoordinato ma che dava un forte senso di famiglia e di casa. C’èrano in tutto sei vani e loro si diressero verso quello della cucina, per preparare la bevanda. Durante tutta la preparazione rimasero in silenzio; Rachel osservava ogni dettaglio di quella casa che nell’insieme sembra un uragano di oggetti messi a caso in giro per la stanza, ma che davano l’idea della personalità della padrona. Mentre si guardava intorno l’amica le porta una tazza per poi sedersi sul divano, sempre in silenzio.
“non c’è bisogno che mi spieghi cosa è successo se non vuoi, so che non ti piace farlo. Puoi però sfogarti con me, piangere o anche solo stare così in silenzio se ti fa stare meglio”
Era tentata di usare la terza opzione, ma dentro di se aveva bisogno parlare, di far uscire quello che aveva dentro.
“lo odio”
Così iniziò guardandosi le mani mentre i capelli corvini le coprivano una parte del viso. Kori si sedette comoda e aspettò.
“chi voglio prendere in giro, non sarò mai capace di odiarlo davvero”
Un sorriso di sconforto appare sul volto della corvina.
“vorrei però; renderebbe le cose molto più semplici, ma non riesco; dopo quello che ha fatto non posso di certo perdonarlo e non voglio farlo, non ancora almeno e questo mi fa uno strano effetto: sembra quasi cosa più sbagliata che potrei fare e non sono solo io a dirmelo, mi prenderai per pazza, ma anche mia madre me lo ha detto in sogno.”
Si ferma per qualche secondo, alzando ora lo sguardo verso Kori che ascoltava in silenzio ogni singola parola.
“ oggi sono stata da lui. Mi ha aiutata, mi ha protetta e mi ha anche preparato la colazione; ti rendi conto lui!”
sto quasi ridendo di gusto, ma la nota malinconica è forte e chiara.
“gli ho detto che è una persona orribile e che non avevo più intenzione di vederlo; che il mio odio per lui non smetterà mai di bruciare e che è colpa sua per tutte le cose brutte che mi sono accadute.”
Ora riabbassa lo sguardo; non dimenticherò mai la sua faccia di pietra, e l’ombra che era tornata nei suoi occhi.
“me ne sono andata senza dire altro; mi aspettavo quasi che mi seguisse per farmi cambiare idea, forse ci speravo, ma non lo ha fatto. Venendo in qua mi sono resa conto che finalmente ero riuscita ad allontanare anche lui; da quando ci siamo conosciuti è stata l’unica persona della quale non riuscivo a liberarmi e mi dava fastidio. Non riuscivo a tenere il tono freddo di sempre, facendomi arrabbiare e costringendo far vedere più di quello che sarebbe dovuto uscire”
Kori continua a seguire interessata il discorso, ma sentendola parlare si convinceva sempre di più che la sua teoria era corretta. Tra i due stava nascendo qualcosa di forte e nessuno dei due forse se ne rendeva conto.
“ per tutto questo tempo ho tentano di allontanarlo, convincendomi che fosse la cosa migliore per lui, per non farlo entrare in faccende che non lo riguardavano, per non metterlo in pericolo; ora che finalmente ha capito, forse non capisco più io.”
Sospiro e ricaccio indietro le lacrime; ultimamente ho pianto davvero tanto, forse sto dando sfogo a tutto ciò che ho accumulato negli anni, dove piangere era assolutamente vietato essendo una forma di debolezza. Le lacrime per il dolore sono state le più sofferte; quelle di sfogo, quelle che stanno cercando di uscire adesso invece, sono liberatorie. Un puro concentrato di odio, stress che ti alleggerisce la testa e il cuore. Sono forse le più utili, ma sono pur sempre lacrime.
“non faccio a meno di chiedermi se è veramente quello che voglio o se è frutto del mio smisurato orgoglio. Da quando ho superato la soglia di casa sua, non sentendo la sua voce chiamarmi mi sono resa conto che in realtà è l’ultima cosa che vorrei”
Ora le lacrime escono copiose dai miei occhi. Li sento arrossare per l’ennesima volta e il magone nella gola mi fa parlate con un tono profondo, ma Kori sembra capire benissimo. Lei ha sempre capito tutto di me; mi ha sorpreso quando me ne sono accorta e mi imponevo di non crederci eppure è sempre stato così.
“e mi fa male pensare che devo far finta che non sia così, per il suo bene”
La guardo mentre sorseggia la tazza di te. Si è lentamente avvicinata e ora poggia le mani sulle mie. Mi chino e appoggio la testa sulla sua spalla, bagnandole il maglione verde prato.
“se dovessi descrivere il momento in cui l’ho conosciuto, lo definirei come una minuscola luce apparsa in un mare di oscurità; un faro, in una notte senza stelle. È l’unica cosa buona in questo casino; non riuscirei a descriverlo in alcun modo. Non capisco davvero che cosa mi stia succedendo: sono sempre stata bene da sola e non riesco a credere che un ragazzino sbruffone, infantile e irresponsabile come lui possa avermi cambiato così profondamente”
Sospiro, aspettando di calmarmi, poi Kori, per la prima volta da quando avevo iniziato a parlare, apre bocca.
“credo di aver capito cosa ti stia succedendo sai.”
Alzo il capo e torno a fissarla; mi sorride in modo dolce e non faccio a meno di ammirare la sua positività.
“hai mai considerato l’idea di esserti innamorata?”
Mi guarda con determinazione, cercando di capire la mia risposta leggendomi gli occhi.
“a dire il vero si; me lo sono chiesta tante volte e tutte le volte evitavo di darmi una risposta, forse perche non lo so o perche non voglio saperlo. Se devo essere sincera ho parecchio paura di quel sentimento: è capace di prenderti emotivamente e travolgerti l’esistenza; puoi spezzarti con una facilità inimmaginabile, per non parlare che per amare c’è, per forza, bisogno di una seconda persona per amare, e quello già porta ad una sensibilità emotiva che causa un’aprirsi completamente all’altro. è molto rischioso perché dai a quella persona la possibilità di distruggerti e ti porta ad essere debole e condizionato da una serie di sentimenti che bisognerebbe ignorare e rinchiudere invece”
Mi guarda quasi stupita dalle mie parole e accenna ad un sorriso comprensivo; non capisco che cosa ci si da ridere, tutto quello che ho detto è giusto e non si può controbattere perché anche lei lo sa.
“sai dirmi la definizione di amore?”
Rimango un po’ confusa per quella domanda, ma rispondo senza fare domande.
“è  una dedizione appassionata ed esclusiva, istintiva ed intuitiva fra persone, volta ad assicurare reciproca felicità”
“hai detto bene!”
Esulta, portandomi una mano su una spalla.
“l’amore è istintivo e intuitivo; è una cosa che ci viene donata sin da piccolo, e anche se non sembra Rachel tu ne hai ricevuto: da tua madre, da me, da Victor, da Dick. Il fatto che sia così potente, così importante per le persone è dato dal fatto che noi siamo amore. Persino tuo padre ha in se un briciolo di buon’animo; la prima cosa che ti dona la vita è proprio questa meravigliosa possibilità di dare e ricevere affetto per far sentire meglio gli altri, sta a noi scegliere se usarlo o meno e non lo puoi rinnegare. Forse lo puoi nascondere, ma non puoi evitare la semplice essenza della vita.”
Non posso fare a meno di trovare senso alle sue parole e rendermi conto che effettivamente era tutto vero. Ogni singola parola mi entra nell’animo, mi rimbomba nella testa, come se il mio cuore volesse darle ragione e farmi capire che tutto quello che sta dicendo la mia amica è vero.
“nella vita di ogni uno, però, capiterà di incontrare quella persona capace di farti venire la pelle d’oca al solo contatto o di farti aumentare il battito del cuore mentre lo guardi; forse è una versione troppo smielata per te, me ne rendo conto, ma è quello che, quanto meno, accade a me“
Mi guarda sorridente; i suoi occhi verdi, brillando e rivelano la purezza delle sue parole.
“è fatto per dare felicita e riceverne altrettanta, come hai detto tu, e a me non pareva per niente che tu non fossi felice quando stavi con lui”
Abbasso lo sguardo, tentando di non farle capire che avesse ragione.
“anzi, persino al tuo compleanno lo hai dimostrato; te lo stavi praticamente mangiando con gli occhi, e altrettanto faceva lui”
Arrossisco, mentre tiro su di naso per poi alzarmi e appoggiare la testa sulla sua spalla in cerca di conforto. In cambio lei mi dà una carezza sulla testa e quasi mi sembra di risentire il calore materno che mi dava Arella.
“quando lo ammetterai a te stessa sarà più facile accettarlo. Ormai lo abbiamo capito tutti, manchi solo tu”
Ha ragione; infondo forse l’ho sempre saputo. Ad un tratto mi pare tutto quasi più chiaro: ecco perché mi risultava difficile allontanarmi, ma allora quando è successo? E come? Non è mai stato un problema che mi ponevo spesso, quello di iniziare una relazione; pensavo e penso di non avere la pazienza e le capacità richieste per poterne sopportare una. Ammetto però che, in alcuni casi, mi sembrava un’esperienza interessante da fare.
“cosa devo fare Kori?”
Sospiro e aspetto. Ho perso la concezione del tempo; chissà da quanto sono qui?
“penso che dovresti parlargli, quello aiuta sempre; quanto meno dagli la possibilità di parlargli”
“non posso. Tu … tu non sai cosa ha fatto”
Chiudo gli occhi ricacciando i vecchi pensieri.
“invece lo so benissimo”
Mi alzo di scatto, guardandola con stupore misto a delusione; anche lei no.
“lo sappiamo tutti in realtà, Arella ce ne ha parlato qualche settimina prima del tuo compleanno, ma questo Gar non lo sa. Ci ha fatto giurare di non interferire, che era per il tuo bene. Abbiamo tentato chissà quante volte dal dissuaderla dall’idea, ma era convinta che fosse l’unica soluzione”
Continuo a guardarla con sguardo perso. Perché la gente deve farmi stare così male; perché non ho seguito gli insegnamenti di mio padre; se non avessi nessuno ora quantomeno non mi sentirei così tradita.
“ci ha detto anche che immaginava avresti avuto questa reazione e che avresti tentato di staccarti da noi e da Gar. Abbiamo promesso che ti avremmo sempre protetta e che per te ci saremo sempre stati; non vogliamo il tuo perdono, non ne abbiamo bisogno credo, vogliamo solo vederti felice come avrebbe voluto vederti lei.”
Altre lacrime. Sono perfino più amare di prima, ma non sono l’unica a piangere. Ora anche il viso di Kori è solcato da sottili gocce d’acqua, mentre gli occhi verdi accesi sono arrossati. Quando parla si sente il magone alla gola che la costringe a respirare a bocca aperta, uscendo così lievi singhiozzi.
“Rachel io capisco cosa tu stia provando ora, lo sai bene anche io ho perso mia madre e fa male, farà male per sempre, ma se c’è una cosa di cui ho la più assoluta certezza è che lei non avrebbe mai voluto veder soffrire per colpa sua, riversando il mio dolore su mio padre, il quale non aveva colpe. Anche Garfield non ne ha, tua madre ha fatto la sua scelta e ha scelto te, perché voleva che tu vivessi la vita che non ti ha mai potuto dare. Se pensi che odiarlo possa farti stare meglio, allora fallo, ma domandati bene prima se sei davvero disposta a perderlo del tutto”
La risposta mi parve chiara e limpida subito, senza neanche pensarci. Per una volta penso che deciderò di seguire i sentimenti; non posso usare altro che quelli ora. Le prendo le mani e gliele stringo; lei alza lo sguardo su di me e, seppur con le lacrime agli occhi, le sorrido; in quel gesto metto tutto il mio affetto e la mia gratitudine per lei: da quando ci siamo conosciute è sempre stata disponibile e gentile con me eppure non esiste volta in cui non mi abbia rivolto uno dei suoi sguardi solari. La abbraccio e lei mi viene dietro, insieme alla sua stretta soffocante.
“grazie per essere così, Kori”
Le dico, cercando di trattenere le lacrime; la sento sorride e scioglie l’abbraccio mentre tenta di asciugarsi il viso.
“vado a preparare altro thè; ti va di stare a pranzo”
“penso che resterò qui anche per più tempo, se non è un problema per tuo padre”
Sembra esplodere di gioia e annuendo va a mettere a bollire altro thè, mentre io mi sdraio con la testa più leggera.
-
-
-
 
Era già tarda mattinata, quando arrivai davanti al luogo dove sarebbe dovuto avvenire il rapimento; nonostante fossi stata chiamata di buon’ora raggiunsi la casa solo adesso. Avevo perso molto tempo nel prepararmi, più del solito devo dire. Mentre ripassavo il piano continuava a tornarmi in mente la conversazione con Rachel avvenuta non troppo tempo fa: mi aveva promesso di non dire nulla a suo padre della mia mancanza di riservatezza, in cambio della protezione dei suoi cari. Mi viene difficile ammetterlo, ma penso che i sensi di colpa stiano avendo la meglio sul mio senso del dovere. Noto subito la costosa auto parcheggiata di fonte alla casa, per cui trovo che sia il caso di attendere che l’ospite del ragazzo se ne vada. Spengo il motore della macchina di servizio, ma lascio il riscaldamento acceso per potermi rilassare nel tepore della vettura. Fuori le strade sono ancora bagnate nonostante non piova più da parecchie ore, forse per via dell’umidità di oggi, che rende questa giornata invernale ancora più gelida; infatti sono poche le persone che attraversano le strade nonostante l’avvicinarsi dell’ora di pranzo. Improvvisamente vedo sbucare da dietro l’angolo una bambina sui cinque/sei anni mano nella mano con quella che credo sia sua madre. La piccola ha un’area così serena e felice mentre chiacchiera allegramente con la donna a suo fianco, ignara del male nel mondo o delle difficoltà che vedrà crescendo; sembra crudele pensare che una bambina così allegra un giorno potrebbe cedere al suo lato più tenebroso iniziando a prendere strade sbagliate una dopo l’altra. Un giorno potrebbe ritrovarsi perfino ad odiare la persona con cui sta passeggiando. Mi chiedo come una persona possa cambiare radicalmente, che cosa possa spingere un umano a rovesciarsi così. Strano che me lo domandi proprio io.
Nello stesso istante mi viene in mente un’altra bambina, però più grande di quella appena passata, anche lei felice e spensierata che camminava con i suoi genitori verso la gelateria che tanto le piaceva. Quella bambina non poteva neanche immaginare che proprio davanti quella gelateria, con ancora in mano il suo cono alla menta e cioccolato, avrebbe perso tutto; tornano le immagine del sangue scarlatto sull’asfalto due corpi inerti stesi a terra e i lamenti di quella bambina che chiamava disperatamente la mamma e il papà. Si ricorda ancora perfettamente del colpo di sparo che le fischiava ancora nelle orecchie e degli occhi penetranti e incuranti dell’uomo armato di quella pistola ancora calda. Il cono che le cade dalle mani non appena si vede puntare addosso la pistola e il visino rigato dalle lacrime che non riesce  produrre altro suono che qualche gemito di dolore tra una lacrima e l’altra, nonostante in realtà volesse urlare. Un altro sparo, altro sangue, ma stavolta non si senti triste per quella morte; l’assassino cade a terra senza più forze e la bambina si volta verso la gelateria. I sottili capelli biondi che le erano davanti al viso, non le impedirono di vedere la figura del suo salvatore: un uomo imponente con occhi neri come pozzi ed una tagliente voce che la chiamava a se. In quel momento non pensò il gelato caduto, alle lacrime che le facevano arrossare gli occhi o alle gocce di pioggia che le facevano appiccicare i capelli al volto, vedeva solo le due persone che più amava al mondo sdraiati su una pozza rossa, immobili e privi di vita. “Era successo tutto così in fretta”, si ritrovo a pensare, “che non ho neanche avuto il tempo di assaggiare quel gelato”.
Cosa stai facendo Tara? Ti eri ripromessa di cancellare quel ricordo, ma come si fa ad eliminare un pezzo di sé. Il dolore che si prova quando ti strappano via qualcosa di tuo è pari alla morte, la parte peggiore è data dal fatto che però non muori; resti lì in mondo che non ti appartiene più, in posto dove l’unica cosa che puoi fare è aspettare che tutto questo dolore finisca; perché allora ho deciso di fare questo lavoro, a volte mi chiedo: forse perché alla fine procurare dolore agli altri, fa sembrare questa attesa meno insopportabile ed è bello pensare che non si è mai gli unici a soffrire così tanto. Ora però non riesco ad affiancare questa idea a ciò che sto per fare. Tradire una promessa; mi hanno sempre insegnato che la parola non vale nulla, per cui non ti puoi mai fidare di nessuno, ma Rachel mi ha protetto, come i miei genitori hanno protetto me quel giorno. Chissà forse anche l’uomo che gli ha uccisi era nelle mie stesse condizioni, forse non voleva sentirsi solo; anche solo pensare di assomigliare a lui mi fa venire i brividi, per cui ho deciso: è momento di tradire e non di fidarsi più.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** rabbia ***




Mai mi sarei potuto immaginare di vederlo in queste condizioni; l’uomo che mi trovo davanti non assomiglia neanche lontanamente all’avocato di successo, sempre ben vestito e grande farfallone che era mio zio. Potrebbe di certo esser preso per il simpatico vicino di casa che ti offre una fetta di torta alle mele ogni volta che passi davanti alla sua proprietà. Il volto è scavato e profonde occhiaie solcano il viso, circondando degli occhi azzurri che non riconosco più
“allora, non vieni a salutare il tuo vecchio zio Antony?”
Lo guardo storto per qualche secondo, aspettando che mi dia qualche spiegazione, ma continua a fissarmi, inerte, aspettandosi davvero un caloroso saluto.
“immagino che tu non abbia intenzione di farmi entrare”
Si risponde da solo e il sorriso gli si cancella dalle labbra. Mi rendo conto solo ora del inconsueto cappello a visiera che indossa, scoprendo leggermente una parte di testa ormai calva.
Mi sposto dalla porta e torno dentro casa, lasciandolo entrare. Torno in cucina a sistemare le ultime cose, continuando ad ignorarlo. Lo sento aggirarsi per la casa incuriosito; sicuramente non è abituato a questi tipi di abitazioni così scadenti. Ha passato la vita tra le mura di splendide ville e appartamenti con attici e per un po’ ci sono stato anche io, ma vedevo quelle bellissime case come le sbarre di una prigione, che seppur dorata, era pur sempre una prigione. Quando mi giro lo trovo a curiosare vicino ad un comodino con varie fotografie, intento ad esaminare quest’ultime.
“mi stupisce non vederne nessuna con una ragazza”
Non rispondo e continuo a fissarlo, sperando che sentendosi in soggezione se ne vada.
“tuo padre era un grande rubacuori e sono sicuro che avrai preso da lui anche questa qualità”
“cosa ne sai tu di mio padre?”
Stringo i pugni sulla sbarra di legno di una sedia.
“eravamo grandi amici, lo  conoscevo sin dai tempi del liceo”
Un triste sorriso si fa spazio tra le sue labbra, un po’ come se stesse rivivendo vecchi ricordi.
“Penso che si siano messi insieme grazie me, anche se ripetevo spesso a tua madre che era un tipo complesso”
Sentir parlare dei miei da lui mi provoca una tale rabbia. Quest’uomo è stata la causa della mia infelicità per troppi anni; mi ha tolto il ricordo dei genitori, impedendomi di vivere nella loro casa e togliendomi qualsiasi cosa potesse ricordarli. Mi ha ignorato e chiuso in casa per troppo tempo. Quando mi disse che non aveva più intenzione di mantenermi mi ero sentito sollevato. Volevo e voglio ancora tagliare ogni tipo di legame da lui.
“che cosa vuoi?”
Gli chiedo, aprendo bocca per la prima volta da quando è qui.
“te l’ho già detto; voglio rimediare”
“non puoi”
Rispondo secco. non mi importa delle sue improvvise crisi di coscienza, doveva pensarci prima di rovinarmi l’infanzia. Mi ha tolto un pezzo di vita per i suoi egoistici scopi e perdonarlo è una cosa che non accetterò mai.
“voglio provarci almeno; dimmi cosa vuoi e te la darò subito: una casa più grande? Una nuova moto? Dimmi cosa posso fare, perché non me ne andrò finche non riuscirò nel mio intento”
Nonostante la malattia noto che continua a fare gli stessi errori di una volta; da sempre ha messo al primo posto i denaro, dimenticandosi di tutto il resto; lo credeva e lo crede ancora, a quanto pare, il mezzo per ottenere tutto ciò che si vuole e forse in parte è vero, ma come può sperare di poter comprare il mio perdono.
“voglio solo che te ne vada”
Incassa il colpo con fermezza. Ancora non posso credere di averlo davvero fatto entrare in casa mia.
“non lo farò finche non ti avrò aiutato”
“non ho bisogno di aiuto, specialmente del tuo”
Avevo imparato quasi a gestirlo, il dolore. La costante voglia di fargliela pagare; quel costante desiderio di vendetta e a volte mi scioccavo di ciò che mi veniva da pensare. Non mi capacitavo della quantità di odio che una persona possa provare verso un’altro suo simile. Eppure eccola qua, di nuovo quella costante sensazione di disprezzo verso di lui, che ora si fa più viva che mai. Credo però che sia normale; è quasi un forma di difesa verso il dolore: incolpare gli altri e non pensare che forse il tuo malessere è dato da te stesso. È la stessa cosa che è capitata a Rae.
“tu le assomigli terribilmente, sai?”
Viene bloccato da un forte attacco di tosse, che riesce a bloccare bevendo un pò dell’acqua che gli porsi.
“tu e tua madre siete praticamente due gocce d’acqua; tutte le volte che ti parlo mi sembra di rivederla ed è una sofferenza atroce. Anche quando eri più piccolo le assomigliavo molto, per questo non avevo il coraggio di guardarti; tutte le volte che ti vedevo non riuscivo a non pensare a lei e al fatto che forse avrei potuto aiutarli, salvarli se solo non fossi stato così egoista. Questo pensiero mi uccideva e decisi di soffocarlo standoti il più lontano possibile. Ora mi sono reso conto che così non ho fatto altro che peggiorare la situazione e ti giuro Gar, ci sto provando davvero a rimediare e voglio riuscirci; non voglio morire con la consapevolezza di non aver mai fatto nulla di buono nella vita”
Si ferma un attimo per riprendere il controllo, ma si vedono lontano un miglio gli occhi lucidi. Qualcosa nel suo atteggiamento, nelle sue parole iniziano a fari crede che stia dicendo la verità. Alla fine sembra di rivivere la stessa conversazione di qualche ora fa, solo che i ruoli si sono invertiti; è così facile odiare una persona a differenza del tentare di farti perdonare.
Sto ancora sbagliando quindi.
 Forse, per tutto questo tempo, non stato l’unico a soffrire terribilmente per la perdita dei genitori. Forse dall’altra parte, un uomo stava anch’egli soffrendo per la perdita di un amico e una sorella. Perché non ho mai pesato a tale evenienza?
 Forse perche ero troppo occupato ad odiarlo.
“so che non è il massimo avermi qui adesso, perche molto probabilmente avrai già i tuoi problemi, ma io posso aiutarti a risolverli; come persona faccio schifo, ma come avvocato non sono niente male e ho molti collegamenti che potrebbero esserti utile per trovare un buon lavoro. Non saprei che altro modo usare altrimenti Gar, quinti per piacere, dimmi cosa devo fare.”
Resto in silenzio per un attimo, cercando di capire cosa fare. Alla fine una mano mi farebbe comoda e ormai mi pare chiaro che se non accetto il suo aiuto non mi lascerà mai in pace.
“io-
Vengo interrotto dallo squillare del mio cellulare; mi guardo intorno per la stanza cercandolo e ringraziando chiunque mi stesse chiamando. Finalmente lo trovo e sullo schermo leggo il nome di Kori. Accetto la chiamata e mi porto il telefono vicino all’orecchio.
“pronto Kori?”
“ciao Gar scusa il disturbo, non ti chiamerei a quest’ora se non fosse davvero importante”
A quest’ora, ma se sono le undici passate; probabilmente, come me, sarà abituata a dormire più a lungo.
“che succede?”
si tratta di Rachel”
Per un istante mi manca il respiro. La lascio tre secondi e riesce già a farmi preoccupare, non è possibile.
“cosa le è successo? Sta bene?”
La voce mi trema leggermente e questo richiama l’attenzione di mio zio, che allunga lo sguardo per tentare di guardarmi in faccia, cosa che gli impedisco voltandomi di spalle.
“si è qui da me; ora si sta facendo una doccia e sono riuscita convincerla a farla restare per un po’ da me. Comunque mi ha detto cosa è successo tra voi stamattina.”
Sono sollevato dalla notizia; se Kori riuscirà ad impedirle di tornare a casa, forse eviterà di farsi ammazzare. Sospiro leggermente.
“già; sono stato uno stupido eh?”
Sorrido tristemente e mi porto una mano nei capelli, ricordando le sue aspre parole.
“non devi sentirti in colpa di nulla Gar, è un peso che abbiamo deciso di portare tutti noi per salvarla e lei l’ha capito.”
Porto lo sguardo verso il basso, sospirando di nuovo e sento di uovo quel macigno sulla schiena,ma l’ho fatto per lei; non importa quanto mi odierà, basta solo che sia salva. Me lo ripeto ormai da giorni ma il dolore non scompare mai. Ho accettato tutte le conseguenze e sono pronto a pagarle.
“dobbiamo farla andare via; finche resterà qui non sarà mai al sicuro. Arella era stata chiara al riguardo, dovete andarvene il pria possibile. Chiama Richard e Victor, sono loro che hanno tutto il necessario.”
In teoria siamo già in ritardo rispetto alla tabella di marcia, ma volevamo lasciarle ancora qualche giorno per riprendersi. Arella ci aveva consegnato cinque biglietti e le chiavi di una casa in Italia per allontanarci dal territorio Americano, dove il padre di Rachel non poteva toccarci. Avremmo dovuto seguirla tutti per evitare che faccia fuori pure noi o che qualcuno confessi dove si trovi.
“e tu?”
Già; ed io?
“Rachel ormai mi odia e ho accettato questa conseguenza quando accettai di aiutare sua madre; non posso venire con voi e costringerla a vedermi ogni giorni. So cosa si prova a dover restare troppo tempo con una persona che non ti và a genio. Ha detto che non mi vuole più vedere e rispetterò il suo volere.”
Mi volto verso mio zio e lui capisce che stavo parlando proprio di lui e come risposta mi lancia un sorriso colpevole, da me ignorato.
“non fare l’idiota, morirai se resterai qui”
“e voi rischiate di fare la stessa fine se non vi sbrigate. Kori ti prego, promettimi che baderai  a lei e che non resterete qui; promettimi che non le succederà nulla ok? La affido a te, me lo fai questo favore?”
“Gar no-“
“promettimelo!”
Dico seriamente; non posso rischiare che le accada qualcosa. Arella la ha affidata a me e farò in modo che non si penta della sua decisione.
“io- io farò del mio meglio”
dice timidamente la ragazza dall’altro capo del telefono.
“grazie; scrivimi quando state per partire, e ricordati, fa di tutto affinché parta. Arella non è morta in vano e glielo dimostreremo”
Butto giù la chiamata, sospirando di nuovo e voltandomi verso Antony, che mi guardava intensamente abbastanza preoccupato.
“in che razza di guaio ti sei cacciato?”
Mi chiede accigliato. Mi metto in tasca il telefono e vado verso la porta di casa, seguita dal suo sguardo.
“non sono affari tuoi ed è arrivato il momento di togliere il disturbo”
Lo aspetto lì davanti, mentre lo vedo alzarsi e dirigersi verso di me. Che finalmente lo abbia convinto?
“capisco quando una persona è nei guai e ora come ora non mi va di vedere morire mio nipote prima di me, quindi non provare a protestare e raccontami cosa succede qui. Qualsiasi cosa sia capitata, sono sicuro di poterti aiutare o quanto meno farò del mio meglio; in questo modo ti libererai di me e risolverai il tuo problema, ormai penso che tu non abbia nulla da perdere.”
A convincere le persone a fare quello che vuole è sempre stato molto bravo. Forse è questo che gli ha portato così tanto successo nella sua carriera. In effetti è una qualità molto utile per diventare un avvocato, inoltre era stato avvantaggiato dall’aiuto dell’aiuto del padre, anch’egli uomo d’affari però non mi pare andassero molto d’accordo lo due. Forse lui potrebbe davvero aiutarmi, potrei tentare di mettere apposto le cose con il suo aiuto; in fondo è quello che vuole anche lui e forse potrei provare a perdonare, anche se non sarà facile.
“sei sicuro, perché non stiamo parlando della solita ragazzata; è una situazione piuttosto complicata”
Incrocia le mani sul petto e mi guarda determinato.
“a differenza di te, alla mia carriera ho dedicato la massima concentrazione; se ti serve aiuto per qualsiasi cosa dal punto di vista legale sono l’unico che possa assicurante una felice conclusione”
Mi porge la mano, aspettandosi che la stringa; mi lascio prendere dal dubbio per un attimo, ma se fare accordi con lui è l’unico modo per salvare la vita d Rachel sono pronto anche a questo.
“d’accordo”
Dico stringendogli la mano. Un sorriso sinceramente felice gli pervade il volto e io lo ricambio pronto finalmente a darmi una svegliata.
-
-
-
L’acqua calda scorre leggera lungo il mio corpo, regalandomi un leggero e ben accetto tepore. Una doccia era proprio quello di cui avevo bisogno per togliermi tutta la pesantezza delle ultime ore. Questa lieve pioggerellina mi aiuta a trascinarmi via ogni pensiero e finalmente riesco a non avere per la testa qualche butto ricordo. Mi abbandono a me stessa, pensando per una volta a me; lo scorrere inesorabile dell’acqua mi dà quella sensazione di scorrevolezza. Tutto è in costante movimento, tutto cambia, tutto passa; anche i problemi più grandi. Eppure c’è un chiodo fisso che sento non passerà mai; che non vorrei scorra via e ha a che fare con un ragazzo dai profondi occhi azzurri e dei limpidi capelli biondi. Non mi ero mai fermata a riflettere sulla sua figura, ma ora che la sua immagine mi si è posta davanti non faccio a meno di notare che è davvero un bel ragazzo. La consapevolezza per i miei sentimenti ora mi fa sembrare strano il solo pensarci. L’imbarazzo cresce a dismisura mentre una parte di orgoglio si ostina ancora a rifiutare la realtà. Il problema però è un altro. Come fare ad accettare tutto? Mi rendo conto che l’ho a fatto per il mio bene, ma mi rende difficile accettarlo, forse perché non voglio o forse perché non voglio volerlo.
Per fortuna che la doccia doveva rilassarmi; mi sento più confusa di prima, se possibile. Chiudo l’acqua della doccia ed esco dalla cabina. Mi avvolgo nel morbido accappatoio, gentilmente prestatomi da Kori, e inizio ad asciugarmi i capelli con un altro asciugamano. Guardo la mia figura nello specchio e mi fermo a fissarmi; non per ammirarmi, solo per osservare i miei cambiamenti che nell’ultimo periodo si sono fatti molto intensi. La pelle pallida, mi fa sembrare una morente e anche il viso dice lo stesso. Per nascondere le occhiaie credo che userò un po’ del trucco di Kori più tardi. Metto i vestiti che la rossa mi ha prestato e noto con sollievo che mi stanno perfettamente. Ho poggiato da un lato gli indumenti che mi ha “imprestato” Gar; non so ancora come glieli restituirò, dato che questo non mi pare il momento migliore, ma in qualche modo farò. Ovunque io vada, è inesorabile, c’è sempre un pezzo di lui in giro; non c’è una volta che, negli ultimi mesi, potessi voltarmi senza ritrovarmi lui o oggetti di sua proprietà in giro e ciò ti fa davvero capire  quanto fastidioso possa essere. Un ragazzo infantile, ma dal cuore grande e proprio la sua costante presenza lo rende unico; quella certezza, che seppur seccante, lui resterà sempre con te e che nessuna forza estranea potrebbe mai farlo staccare. Anche adesso, che il mio unico desiderio è quello di togliermelo di dosso una volta per tutte, non ci riesco; perche l’odore dei suoi vestiti, che prima mi avvolgeva e mi proteggeva, ora mi chiama; perché la mia testa è piena di sue immagini e perche il mio cuore sente la sua mancanza.
Mentre mi ritrovo immersa in questi pensieri una consapevolezza mi risveglia: il mio orgoglio e la mia dignità mi fanno stupire di quando poppante e molla sia diventata. Piego quindi i suoi vestiti e appena mi sono sistemata mi preparo per uscire dal bagno, quando sento il mio cellulare suonare; fortunatamente mi ero ricordata di prenderlo prima di andarmene da casa di Garfield.
Sullo schermo mi appare il nome di io padre e tra rabbia e rimorso accetto la chiamata.
“pronto?”
Chiedo nonostante sappia benissimo chi sia.
“non mi pareva di averti mai dato il permesso di uscire”
La sua foce tagliente mi infastidisce; è la prima volta che lo sento dopo la morte di mia madre.
“non ne ho bisogno”
Con la mia solita freddezza riesco a rispondergli a tono. Ormai non c’è più nulla che mi lega a lui e l’iniziale desiderio di vendetta sembra essersi sigillato, nonostante provi ancora tanta rebbia.
 “oh andiamo cara Rae; dopotutto sono pur sempre tuo padre e tu mi devi un po’ di rispetto, dopo averti cresciuta ed addestrata penso di meritarmi qualcosa in più di una risposta così fredda”
“io non ti devo proprio nulla”
Stavo per mettere giù la chiamata, ma la sua voce mi interrompe.
“forse a me no, ma al tuo amico quanto devi Rachel?”
Confusa avvicino il telefono all’orecchio.
“di cosa stai parlando?”
Sento il battito accelerare; no, non può essere. Sono stata così attenta, lui non può conoscere nessuno de miei amici.
“ti credevo più scaltra, non hai capito di chi parlo?”
L’ansia inizia a salire e ho un’orribile presentimento.
“che cosa hai fatto?!”
La rabbia monta dentro di me e mi fa tremare la voce.
“io niente tesoro; hai fatto tutto tu. Eppure mi pareva di esser stato chiaro per quanto riguardava le relazioni con le altre persone; i sentimenti ti portano alla distruzione, mi sorprende che tu non lo abbia ancora imparato. Lo hai visto con tua madre anche; era una donna frivola e stupida che si è lasciata trasportate dai sentimenti e guarda come è finita: morta per una causa persa”
La rabbia aumenta e stringo di più la presa sul telefono. Non posso sentirlo parlare così di lei. Non può neanche permettersi di nominarla. Lei era tutto per me; l’unica mia fonte di salvezza dai suoi loschi piani; l’unico raggio di luce in una vita passata tra le tenebre e lui me la ha portata via. Non gli permetterò di portarmi via tutto quello per cui lei è morta e per cui morirei io.
“non osare parlare di lei in questo modo; qui l’unico stupido sei tu: così sfrontato da pensare che una vita poteva basarsi sulla distruzione degli altri e non contento hai reso così anche me,  solo per il tuo mero divertimento. La osa più grave è che non te ne accorgi perché non hai la forza di farti un esame di coscienza; così impegnato nei tuoi affari e così preso da crederti l’uomo più potente del mondo che hai perso di vista le tue azioni e ti ritrovi con le mani legate. Perche è questa la tua situazione vero? chissà cosa farai ora che hai perso la tua possibilità di potere?”
Non riesco a impedirmi un sorriso malvagio, divertita dal poter finalmente trovare un punto debole su cui punture. Eppure ero al corrente del fatto che presto avrebbe trovato un’altra soluzione, ma non potevo farmi sfuggire quel piccolo momento di gioia.
“non provocarmi ragazzina, potresti far del male a qualcuno e non credo che il tuo amico ne sarà felice; eppure mi pare un così bravo ragazzo e hai visto che occhi? Azzurri come il cielo dopo una tempesta; sarebbe un peccato se uno venisse cavato non trovi? perderebbe di sicuro il suo bel colore”
Perdo un battito a quelle parole e improvvisamene si avverano tutte le mie paure più profonde. Una serra ovattata si fa strada intorno a me e improvvisamente non mi importa più d nient’altro che della rabbia che sta prendendo il sopravvento. Che cosa ho fatto?! Il terrore sale e non ho più le forze per reggermi in piedi; se dovesse capitargli qualcosa … non posso neanche pensarci. 
“prova a torcergli anche un solo capello-“
“che cosa farai? Mi ucciderai? No Rachel so che non lo faresti mai; se troppo debole. Però potremmo scendere ad accordi. Hai una cosa che potrebbe interessarmi e dato che io ne ho una che interessa a te potremmo venirci in contro”
Quell’odio; quell’emozioni che liberavo solo in particolari momenti la sento tornare. Selvaggia, funesta e terribile. Come una bestia che si risveglia dopo un lungo letargo sentendosi minacciata. Le nocche sbiancano, mentre stingo il pugno della mano libera fino a farmi male.
“che cosa vuoi?”
“nulla di che; una firmetta sul passaggio di eredita e vedrai che finiremo tutto nel giro di pochi minuti. Io lascio andare il tuo amico e ottengo ciò che mi spetta da tempo”
Stringo i denti mentre una nebbiolina mi avvolge nell’anima; qualcosa di terribilmente feroce mi sta travolgendo, prendendo il controllo di me e io lo lascio fare. Non ho più voglia di resistere e mi lascio abbandonare a quel dolce sapore che è l’idea del suo sangue versato.
 “dove devo venire?”
 “sai dove trovarmi e mi raccomando, da sola”
Sento la sua soddisfazione dall’altro capo del telefono. Appena chiusa la chiamata mi lascio avvolgere da quella travolgente rabbia che prende possesso delle mie azioni e mi fa lanciare il cellulare, con forza, addosso al muro, dove si apre in due. Porto le mani ai capelli appena asciugati e mi siedo per terra, cercando di calmarmi e di ragionare; ormai ho abbandonato il controllo e l’unica cosa che riesco a fare un sorriso a trentadue denti, che non lascia presagire nulla di buono. Allontano ogni tipo di legame con la parte conscia di me perche sta volta sento che ha davvero oltrepassato il limite.
Mi alzo e silenziosamente e apro la porta del bagno. Kori sta parlando al telefono, ma non mi fermo e procedo verso la porta di casa. L’atmosfera cupa che si è appena creata intorno a me mi dà un senso di tranquillità e mi aiuta ad azzerare le emozioni. Provo le stessa sensazione di quando aggredì Garfield mesi fà, ma più controllata. Lo spietato assassino che è in me è finalmente uscito fuori e non aspetta altro che poter mette le mani al collo di quel bastardo.
 Percorro il corridoio del portone del palazzo di Kori e apro la porta. La pioggia ha finito di scendere, ma  ci sono ancora varie nuvole scure a minacciare il cielo. Inizio a correre per scaricare un po’ di rabbia, questa volta però ho una meta ben precisa in testa. Inizia la discesa verso un baratro da cui non vorrei mai salvarmi; ho a testa così leggera … e il vento tra i capelli mi provoca un piacevole brivido lungo alla schiena. La mia testa è annebbiata e non riesco più a fare nessun pensiero razionale, sento che a guidarmi è solo l’ardente desiderio di mettere tutto a posto e l’idea di non poterci riuscire non mi sfiora neanche; questa volta non gli permetterò di vincere.
Arrivo a casa mia in neanche troppo tempo e mi dirigo subito in sala rifornimento. Carico la pistola, prendo il pugnale e mi preparo una borsa con le ricariche e altre armi ti piccola taglia. Appena mi sento pronta mi dirigo verso il garage e prendo le chiavi della moto lì parcheggiata. Non l’ho mai usata troppe volte,ma ho bisogno di raggiungere l’ufficio di Trevor il più rapidamente possibile. Parto senza pensare a ciò che lasciavo le spalle: la possibilità di cambiare, la liberta.
 Ormai non mi importa più di nulla; voglio solo porre fine ai miei problemi, una volta per tutte.
-
-
-
Siamo sul ciglio della porta, intenti a fissarci, come se ci parlassimo tra uno sguardo e l’altro, ma senza scambiarci parole. La nostra conversazione sarà durata più di due ore, ma sono state molto produttive. Quanto meno ora potrò aiutare Rachel, ma la mia principale preoccupazione ora è chiedermi se funzionerà.
“ti ringrazio molto Gar”
Mi dice risvegliandomi dal mio stato di confusione. Dovrei essere io a ringraziarlo; dovrei anche scusarmi in realtà. Gli dovrei dire davvero tante cose, chiedergli e dargli spiegazione, ma le parole sono troppe. Tutto quello che dovrei dirgli è davvero troppo per essere detto in una sola frase, ma lui sembrava già capire tutto. Con uno sguardo comprensivo mi porge la mano per stringerla; mi venne però spontaneo fare tutt’altro gesto. Gli afferrai la mano e lo avvicinai a me per abbracciarlo. Lui mi segue e rafforza la sua salda presa sulle mie spalle; è strano, fino a ieri la sola idea di rivederlo mi avrebbe disgustato, ma ora non posso fare altro che esprimere la mia gratitudine, il mio affetto represso e il mio dolore in quell’abbraccio. Ci stacchiamo entrambi e finalmente le parole riescono ad uscire.
“grazia a te”
Solo questo, ma sembra che gli basti. Inizia a scendere gli scalini ripetendomi che era assolutamente necessario che io seguissi alla lettera tutto quello che mi aveva detto; tra una seria di raccomandazioni e l’altra arriviamo davanti alla sua macchina dove ci stringiamo la mano, con fare amichevole.
“cerca di non metterti nei guai ragazzino”
Mi dice con sguardo quasi paterno; in quel momento mi sembrava di guardare il viso di mio padre; seppure morti molto presto, i loro volti sono scolpiti nella mia testa e nonostante l’abissale differenza tra lui e mio zio rivedo in quel suo comportamento un po’ impacciato il mio vecchio.
“farò del mio meglio”
Sorrido e lui ricambia.
“ci vediamo tra due mesi?”
Un malessere interiore mi pervade, ricordandomi a cosa stava andando incontro.
“puoi starne certo”
Apre la portiera della macchina e con un pacato sorriso mette in moto e se ne và.
Sono di nuovo da solo. Sospirando e con mille pensieri per la testa ritorno in casa, con l’intento di portare a termine i miei programmi per la giornata. Quel divano mi sta ancora chiamando e sono già stato interrotto troppe volte. Vedendo però la figura di un’esile ragazza, con i capelli color grano e grandi occhi azzurri davanti alla porta di casa mia, mi rendo conto che il divano dovrà aspettare ancora per un po’. Si vede che oggi è la giornata degli incontri inaspettati e sono sicuro che qualcuno lassù stia “crepando” dalle risate per la sfilza di gente che viene a bussare alla mia porta oggi. Di solito non passa neanche il portino.
Mi fermo davanti al primo dei tre gradini di pietra, che porta davanti alla porta per poi iniziare a rivolgere la parola alla ragazza, che mi sembrava piuttosto tesa.
“hai bisogno di qualcosa?”
Le chiedo. Mi rendo però conto che il suo viso mi è familiare.
“io no, ma qualcuno di nostra conoscenza si”
I suoi modi mi portano alla mente quella ragazza che si era auto presentata al compleanno di Rae. Lei e la ragazza non sembravano andare molto d’accordo e sinceramente non capisco cosa ci faccia qui e soprattutto come faccia a sapere dove vivo. Devo dire che mi sento leggermente allarmato dalla sua presenza.
 “ hey! tu sei la ragazza della festa di Rachel, Talia … Tama …-“
“Tara, Tara Markov; ho bisogno di parlarti ed è piuttosto urgente”
Provo a tirare un sorriso per scusarmi, ma il suo volto serio e agitato me lo impedisce. Qualsiasi cosa debba dirmi non è una bella notizia. Mi guarda fisso negli occhi, ricordandomi molto lo sguardo di Rachel quando cercava di leggermi dentro, ma il suo è meno minaccioso; è quasi più rozzo.
“Rachel è in grave pericolo”
Ora mi faccio più agitato anche io. Con una sola frase è riuscita a focalizzare tutta la mia attenzione su di lei.
“cosa le è successo?”
Eppure Kori mi aveva chiamato poco fà; dovrebbero già essere sull’aereo a quest’ora, lei con tutti gli altri.
“è convinta che suo padre ti abbia rapito e probabilmente ora si sta dirigendo nel suo ufficio per salvarti”
Sono piuttosto confuso e penso che lo abbia capito anche Tara notando la mia faccia,ma la sua serietà non rispecchia la gravità della situazione che vedo io.
“come può pensare che mi abbiano rapito? Chi glielo ha detto”
inizio a sentirmi piuttosto preoccupato. Se quello che lei sta dicendo è vero, vuol dire che Rachel sta praticamente andando incontro ad un gravissimo pericolo dalla quale non potrebbe uscirne sana e salva. Se davvero è così dovrei subito dirigermi verso padre e fermarla prima che possa fare qualche sciocchezza. Quella ragazza; quella dannatissima ragazza non la smetterà mai di farmi preoccupare.
“Trevor mi ha mandando qui per usarti come esca. In teoria io ora dovrei portarti da lui, per convincere Rachel a cedere l’eredità di suo nonno a lui, in modo che abbia il controllo dell’industria. Ormai ha capito che per lei sei molto importante e non si lascerà sfuggire questa occasione, il problema è che non appena lei metterà una firma sul documento la ucciderà e poi passerà a tutti voi.”
Perdo un battito e la guardo terrorizzato. Se tutto questo dovesse accadere non me lo perdonerei mai.
“e tu hai intenzione di eseguire gli ordini?”
Mi fissa, come se stesse scegliendo la risposta da darmi. Esita per qualche istante e sospira; sembra che tutto questo le stia causando grande dolore e la vedo molto spaventata.
“sto solo restituendo un favore e sono stanca di sentirmi legata ad un guinzaglio”
Non sono sicuro di volermi fidare; non mi era sembrata una ragazza affidabile, ma non posso rischiare di perdere Rachel.
“voglio provare a ricominciare da capo e ho intenzione di farlo aiutandovi a distruggere una volta per tutte Trevor”
Le sue parole sono sincere. Si vede da come ha abbassato lo sguardo, da come stringe i pugni e dalla sua voce decisa. Non conosco questa ragazza, è la prima conversazione vera che facciamo e non so cosa il padre di Rachel le abbia fatto, ma sicuramente non è nulla di buono.
Quando rialza lo sguardo una scintilla di determinazione le illumina il volto; l’esitazione di prima svanisce  ma lascia trapassare tutta la sofferenza che ha passato a causa di quel farabutto. Ha rovinato la vita a tutti e ho paura anche solo a pensare cosa potrebbe fare a Rachel. Se le dovesse capitarle qualcosa …
 “andiamo”
Si volta, scende i tre gradini e và verso una lussuosa macchina nera. Io la seguo con lo sguardo, ma quando apre la portiera capisco le sue intenzioni. Velocemente prendo il telefono, le chiavi di casa e mi dirigo dentro la vettura, affianco al sedile della guidatrice. Senza più scambiarci parola accende il motore e preme il piede sull’acceleratore.
È ora di porre fine a questo casino una volta per tutte e non intendo aspettare altro tempo; se solo quel dannato proverà anche solo a toccarla giuro che non gliela farò passare liscia. Non importa se rischio la vita, potrei anche morire.
Non mi importa altro che portare via da tutto questo la ragazza che amo e darle finalmente la vita che si merita. Arella mi ha spiegato di tutti i danni che Trevor le ha fatto passare e del suo problema nel mantenere la calma. Da quello che ho capito è stata così tanto indotta alla violenza che quando perde il controllo non è in grado di fermarsi e si trasforma quasi in un’altra persona. Questo spiega come mai è stata così violenta quando mi ha aggredito, quindi forse è il caso di essere più preoccupati per Trevor perché non sa a cosa sta andando in contro; la ferocia di quella ragazza riflette tutto il dolore che ha dovuto sopportare.
Devo salvarla, a qualsiasi costo, anche se lei non vuole; ho promesso ad Arella ed imposto a me stesso che l’avrei salvata, che me ne sarei preso cura e che avrei sconfitto i suoi demoni interiori. È ora di mantenere fede alla promessa e di lottare e si sarò pure un disperato folle se spero di poter riuscirci, ma è tutto quello che ho al momento.
Sono colpito dalla bravura di Tara nella guida, anche se non credo che le scorciatoie alternative che sta creando siano del tutto legali. Siamo anche sopra il limite di velocità, ma sembra che non se ne accorga nessuno. Una volta è anche passata con il rosso e dal suo volto non trapelava la minima preoccupazione di essere beccata. Penso che non abbia staccato neanche per un momento il piede dall’acceleratore, questo però ci ha permesso di arrivare in poco tempo davanti all’enorme grattacielo di Jump City che si staglia davanti a noi in tutti i suoi 350 metri di altezza. La costruzione in vetro se non sbaglio dovrebbe ospitare una grande compagnia commerciale, ma a quanto pare nessuno sospetta che lì dentro ci sia uno dei grandi boss della mafia americana e se nessuno lo ferma diventerebbe una vera minaccia per il paese intero, se non per il mondo.
E tra poco, dentro questo stesso grattacielo  avverrà la battaglia più dura della mia vita.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** brutte sorprese ***




La struttura imponente che mi si para davanti mi ha sempre creato molta soggezione. Una costruzione così imponente che al suo interno ospitava qualcosa di ancora più grande; penso che nessuno sia mai riuscito a visitare tutte le stanze della struttura, forse neanche Trevor. Non mi sono mai spinta oltre le solite tre stanze in cui stavo, perché non mi importava nulla dei segreti di mio padre; volevo solo stare da sola e fare ciò che dovevo. Se ripenso a quel periodo, vedo solo una ragazza cieca, che sperava in un miracolo per poter aiutare coloro che le stavano attorno, senza però far nulla, aspettando. Tutto il contrario di colei che ora ha appena varcato la soglia. A dire la verità non saprei descrivere me stessa ora; Sento solo rabbia e odore di sangue. È come se non fossi più una persona, o una qualsiasi entità: sono solo odio, un’ombra senza freni che non vede l’ora di ritrovare il suo corpo per ottenere la pace. Pace che forse non vedrà mai, questo è certo, ma lei è convinta che con il suo “piano” riuscirà, quanto meno, a togliersi questo sfizio.
L’ombra che ora mi sta usando, aiutando, io l’ho accolta. Mi sta sostenendo per trovare una ragione per andare avanti, nonostante apparentemente non ce ne siano; le conseguenze le ho accettate ormai da tempo e non ho più voglia di aspettare, agire mi pare l‘unica cosa che posso fare per aiutare me stessa e gli altri.
Oltrepasso le guardie che stanno all’entrata senza problemi, dato che ormai mi conoscono e sicuramente avranno ricevuto l’ordine di farmi passare. Il suono dei miei passi rimbomba in tutta la sala, ma non sembrano attirare l’attenzione della segretaria che tiene gli occhi fissi sullo schermo, finche non arrivo davanti alla sua scrivania. Appena mi nota fa un sobbalzo per lo spavento, ma non mi preoccupo di rivolgerle la parola, so già perfettamente dove andare. La sento chiamarmi da dietro, ma continuo per la mia strada, finche non sento un forte rumore di un allarme. Mi viene in mente solo ora del metal detector posizionato proprio di fianco alla scrivania, per impedire possibili minacce; deve aver percepito il metallo delle armi nella borsa, infatti un gruppo di guardie si avvicinano verso di me circondandomi e chiedendomi di appoggiare tutto il materiale. Come risposta, quando uno di loro si avvicina abbastanza gli tiro un calcio, che gli arriva sul mento, abbastanza forte da farlo cadere a terra. A quel punto il resto delle guardie partono per placcarmi, capendo le mie intenzione poco amichevoli. Ho appena dato il via ad un massacro.
 Riesco a tenere facilmente testa al resto delle guardie, schivando i loro colpi e tra salti acrobatici e colpi ben assestati, mi faccio strada tra la folla di uomini. Butto giù tutte le guardie, in quelli che saranno stati cinque minuti per poi iniziare a correre verso l‘ascensore prima che arrivino i rinforzi. Ormai il mio corpo si muove meccanicamente e non mi serve neanche ragionare sulle mie azioni; mi viene tutto naturale ed è una sensazione fantastica, terribilmente liberatoria, che mi fa provare un folle piacere. Ed ancora meglio quando entrai nell’ascensore e, aspettando che le porte si chiudessero, vidi la faccia terrificata della segretaria che tentava di mettersi in contatto con il suo capo.
Mentre l’ascensore parte e inizia a scendere, sotto terra prendo le ricariche della pistola. Entrare era la parte più facile, ora che sanno che posso essere una minaccia, faranno di tutto per rendermi innocua, ma sono degli sciocchi se credono di poterci riuscire, se credono di potermi fermare con il semplice utilizzo di qualche uomo più robusto del solito; Se per ora sono stata magnanima ora non mi farò scrupoli: se devo sporcarmi le mani di sangue, così sia. Continuo a scendere per circa dieci piani e sebbene il percorso fosse ancora lungo, il mezzo si blocca; come immaginavo hanno bloccato l’ascensore per evitare di avere problemi. Sento dei passi avvicinarsi, mentre dei colpi di proiettile tentano di passare il metallo delle porte. Capendo che così non funziona, aprono usando le maniere forti;
primo colpo, carico la pistola
secondo colpo, punto verso la fessura
terzo colpo , si apre definitivamente e sparo.
Inizia una tempesta di proiettili che riesco ad evitare. Abbatto la prima linea e scavalco con un salto la seconda evitando i colpi del nemico; prendo velocemente la mira e sparo alle gambe dei miei aggressori, che non fanno che aumentare. Intanto corro, con l’adrenalina a mille, verso quell’intrinseco di corridoi, ormai troppo familiari. Diverse guardie tentano di acciuffarmi, ma senza troppa difficoltà le schivo e procedo. Intanto l’area si illumina di luci rosse, segno che un intruso è entrato e stanno per bloccare tutte le porte: devo sbrigarmi, dannazione.
 Arrivo alla prima porta meccanica per passare nell’area privata del piano; dopo quella dovrò prendere le scale di servizio per scendere, dato che hanno bloccato tutto. Sono praticamente davanti alla porta che ha già iniziato a chiudersi, mentre le guardie dall’altro lato mirano contro di me per impedirmi il passaggio; seguo il loro esempio e sparo alla prima linea, mentre oltrepasso con un salto la porta, che mi si chiude alle spalle. Sparo tre proiettili ai tre uomini che tentavano di bloccarmi il passaggio, che cadono a terra senza troppi complimenti. Le scale si trovano a circa una quarantina di metri da qui e noto con sorpresa che le guardie sono tutte sparite ora. Mio padre le avrà chiamate davanti al suo ufficio, capendo il mio obbiettivo;immagino che se lo aspettasse di questa mia violenta reazione. Quel codardo, non ha neanche il coraggio di affrontarmi.
 Arrivo dalle scale, senza fermarmi un attimo, e le scendo fino alla fine della terza rampa, sempre senza nessuno dietro. Mi fermo un attimo davanti alla porta, capendo che appena aprirò, sarà difficile sopravvivere, prendo allora il pugnale e me lo metto in bocca in modo da poterlo afferrare facilmente in qualsiasi occasione; sento però la paura tornare, ma la rinchiudo nella parte più profonda di me ricordandomi chi siamo venuti a salvare; è difficile poter dire cosa accadde dopo: sentivo quasi delle corde allentarsi e una forte sensazione di calore, percorrere tutte le mie vene in ogni centimetro del mio corpo. Il ghiaccio per qualche secondo si è sciolto e l’ossigeno è tornato a girare regolarmente; la nebbia nella testa, è sparita e ora non faccio altro che pensare a tutto quello che ho passato da quando l’ho conosciuto: il primo incontro, quando lo vedevo come una minaccia per me, quando mi ha salvato e portato a casa sua, proteggendomi; quel giorno non potevo immaginare che mi avrebbe aiutato ancora tante volte. Oppure quando mi portò fuori e quello che doveva essere una cena veloce si è trasformata in un’avventurosa serata, dove ho dovuto lottare gratuitamente per salvare il culo a tutti e due, anche quando ha tentato il suicidio lanciandosi contro quell’ammasso di carne per aiutarmi.  Ricorderò per sempre la bellezza di quel giardino e di quello che stava per accadere, di come i suoi occhi mi hanno intrappolato e di come l’ossigeno non riusciva a passare a causa della nostra vicinanza; i fuochi d’artificio e le stelle che dall’alto ci osservavano incantanti e di come lui mi guardava il giorno del mio compleanno. E quel bacio, quello che non m si cancellerà mai dalle labbra e tutti quelli che volevo lasciargli ancora; quel momento di stacco dalla ma vita, dove mi sentivo trasportare in un mondo trascendente dove c’èra l’assoluto nulla. Ricordo il rumore delle onde che si mischiavano ai suoi sorrisi e all’odore del mare che sembrava intrappolato nelle sue iridi, quante volte mi sono persa in quegli occhi cercando la sua vera anima, pensando che nessuno potesse essere così felice; rimasi scioccata nello scoprire che era tutto lì, davanti a me; non c’èra nulla da scoprire, nulla da cercare. Il vero Garfield l’ho sempre avuto davanti ed era proprio come si mostrava, nonostante le grandi difficoltà che aveva dovuto affrontare. Era proprio questa sua trasparenza, questo suo essere sempre lui che mi ha fatto perdere la testa, ed è sempre per lo stesso motivo che ora sono qui, con una mano sulla maniglia, una sulla pistola già ricaricata e un pugnale in bocca, per portarlo via e allontanarlo da quello che è la mia vita incasinata.
Ritorna l’ombra di prima e ritorna la ferocia; senza più esitare apro la porta e apro il fuoco. La stessa cosa fanno i miei avversari, che proteggono l’ingresso dell’ufficio di mio padre; a quanto pare è convinto di riuscirmi a fermare in questo modo. Nonostante il grande numero di guardie riesco a metterne al tappeto circa la metà, ma no ho più ricariche; passo quindi alle maniere forti: afferro il pugnale con la quale ferisco e disarmo i primi due che mi vengono addosso; continuo così procedendo a passo svelto, continuando a far fuori sempre più soldati, inoltre sembra che non ci siano più rinforzi e il numero diminuisce sempre di più. Affondo il pugnale nello stomaco di uno, mentre con un calcio allontano un secondo che stava provando ad afferrarmi. Il problema è che questi sono più robusti dei primi che ho affrontato quindi ci vuole più tempo ad atterrarli, evitando di ucciderli. Infatti solo dopo una decina di minuti riesco a atterrare anche l’ultimo soldato, lasciando la via tra me e quella porta, sgombra. Misi via le pistole e nascosi il pugnale, in modo da tenermi un’arma di riserva con me. Attraversai in fretta il breve tratto di corridoio e aprì con forza la porta di metallo che sbatté furiosamente contro il muro. Il suo ufficio è come al solito terribilmente vuoto; nulla era fuori posto, era tutto gelido come l’anima del proprietario e una forte luce, proveniente da un moderno lampadario d’ha un senso di innaturalezza al vano. Le pareti spoglie e la scrivania in legno sono le uniche cosa sulla quale puoi concentrare la tua attenzione, e di fianco a quella scrivania, intento a sfogliare fogli di vario tipo, vedo lui. Appena varco del tutto la soglia i suoi occhi neri mi puntano, con una luce minacciosa nello sguardo .
“hai fatto in fretta vedo”
Si alza dalla poltrona in pelle nera e sistema i fogli che prima concentravano il suo interesse, mentre io tento di sopprimere la voglia di saltargli addosso e tagliarli la gola. Stringo il pugnale, nascosto nella manica destra, ma prima di poter fare qualsiasi altra cosa lui mi mostra un telecomando con vari pulsanti colorati.
“una sola mossa falsa e mando l’ordine a Tara di ucciderlo”
Non un’emozione, neanche una vaga forma di espressione rivela il suo volto. Rimane immobile a fissarmi, mentre sostengo il suo sguardo; non sono mai riuscita a sfidarlo in quel modo: ogni volta i suoi pozzi scuri avevano la meglio su di me, ora però non ci sono io a guardarlo, c’è quell’ombra, quell’altro lato di me stessa che nessuno dovrebbe conoscere. Allento la presa sul pugnale e lui posa il telecomando, ma nell’aria si percepisce una forte tensione.
“devo dire che avresti anche potuto evitarti di uccidere tutti i miei uomini migliori”
Tira fuori da un cassetto una bottiglia di vino e un bicchiere, nella quale versa il liquido rosso.
“non sono morti, gli ho solo tramortiti”
Tengo a precisare questo fatto, mentre mi avvicino leggermente alla scrivania, così facendo lui si sposta verso il telecomando. Devo scoprire dove lo tiene nascosto, ma anche se lo sapessi e provassi a salvarlo, nel tempo che impiegherò per raggiungerlo, lui sarà già morto.
“cerchiamo di non perdere troppo tempo, ho un volo da prendere tra meno di mezz’ora”
Posa il bicchiere e prende sempre i medesimi fogli, per poi porgermeli insieme ad una penna. Mi sento con le spalle al muro e non riesco a farmi venire un’idea. Se provo ad avvicinarmi Gar muore, e avverà la stessa cosa se provo a scappare per cercarlo. Tutte questa fatica, quindi, per niente? Perche non riesco mai ad averla vinta su di lui?!
“andiamo Rachel, non hai altra scelta e lo sai”
Mi avvicino per prendere i fogli e la penna; se mi metto a leggerli tutti avrò del tempo per pensare a qualcosa, ma prima che possa iniziare sento la porta aprirsi alle mie spalle e vedo la figura dell’ultima persona che mi sarei aspettata di incontrare qui.
-
-
-
Poco distante dal palazzo, per essere precisi proprio davanti, una lussuosa automobile nera era parcheggiata, in attesa della discesa dei passeggerei. Uno di questi sembrava occupato in una telefonata molto vivace, mentre l’altra era concentrata ad esaminare attentamente l’entrata dell’edificio. Proprio a quest’ultima, non sfuggi il fatto che improvvisamente gli uomini di guardia all’entrata, si erano dileguati all’interno, armati di pistola.
“Kori ti ho già detto che non è colpa tua, Rachel è convinta che suo padre mi abbia catturato e ora è da lui per tentare di aiutarmi”
Questa frase era stata ripetuta chissà quante volte dal biondo, nei confronti dell’interlecutore che sembrava sempre più agitata.
“sono troppo preoccupata, dovevo semplicemente tenerla d’occhio e non ce l’ho fatta; come posso aiutarla se non riesco neanche a proteggerla?”
Il giovane si porto una mano sulla testa, massaggiandosi le tempie ormai stufo di sentire la ragazza incolparsi di colpe assurde.
“Kori possiamo ancora aiutarla, ma tu adesso devi calmarti e ascoltarmi bene”
Portando al termine quell’infinito discorso di depressione, la ragazza dall’altro capo del telefono sembra recuperare il senno e si concentra attentamente sulle parole dell’amico.
“cosa devo fare?”
Risponde lei in tono serio e deciso.
“adesso ti manderò un numero di telefono, che dovrai chiamare non appena finiremo questa chiamata: si tratta di mio zio, digli che Rachel è da suo padre e che è il caso di attivare il piano immediatamente. Presentati pure come mia amica ed esegui tutte le sue istruzioni, dovrai fidarti ciecamente; va bene?”
Anche l’attenzione di Garfield era aumentata, come lo stress. Avevano programmato mosse e contromosse, ma di certo non era pronto psicologicamente ad un inizio così immediato. Sperava solo che le cose sarebbe andate per il verso giusto, nonostante sembrasse che ci volesse un miracolo.
“Kori ho bisogno del tuo aiuto per salvare Rachel e me, devi dire a mio zio dove sto andando e poi chiama gli altri e aggiornali della situazione, abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile”
Parole terribilmente vere, neanche lui sapeva cosa lo aspettava varcata quella soglia, ma la speranza di poter aiutare Rae era così forte che cancellava ogni tipo di preoccupazione.
“Gar, dobbiamo andare, sta succedendo qualcosa lì dentro”
Per la prima volta dopo l’inizio di quella telefonata Tara parlò e recupera l’attenzione del ragazzo verso il palazzo. Non sapeva con chiarezza le motivazioni del suo aiuto, ma capiva che era sincera e che le sue intenzioni erano buone.
“Kori ora devo andare, ti mando il numero di telefono; mi raccomando deve essere la prima cosa che fai dopo questa chiamata”
Mentre la chiamata stava per concludersi, sentì le flebili parole della ragazza che lo salutavano.
“stai attento Gar”
Dopo aver schiacciato il tasto rosso  sullo schermo del cellulare, si assicurò che il numero sia arrivato all’amica, per poi spegnere definitivamente il telefono, consapevole che ora non ne avrà più bisogno. Garfield si volta verso la bionda facendole capire che è pronto, nonostante la grande paura.
“le guardie si sono allontanate dalla loro postazione e non sono più tornate”
“sicura che sia per via di Rachel? Magari non è ancora arrivata”
Indica con l’indice fuori dal finestrino, verso una fantastica moto nera parcheggiata proprio davanti a loro, nonché affianco alla porta d’entrata.
“quella è la sua moto, la usa di rado, ma mi pare che questa fosse una motivazione più ce valida”
Osservo il veicolo; non avevo idea che Rachel guidasse e mi chiedo perché non me l’abbia mai detto, ma in effetti non c’è ne mai stata occasione. Apro la portiera e ancora un po’ titubante esco dall’auto seguito da Tara che sempre silenziosamente osserva l’ambiente circostante.
 “non dobbiamo essere avventati, è proprio quello che si aspettano; raggiungiamo la sala controllo, lì c’è una guardia che controlla le telecamere di sicurezza che ci possono venire utili”
Attraversiamo la strada ed entriamo nella struttura senza difficoltà. Davanti alla porta di vetro c’è un’ampia scrivania in metallo, dello stesso grigio freddo delle pareti. L’unica nota di colore differente lo dà il pavimento in marmo scuro, il resto libera un’aura di solitudine impressionante. Appoggiata al bordo della scrivania c’èra una donna sulla quarantina, alta, magra e con uno sguardo terrorizzato che cercava di riprendersi annaspando. Corro verso di lei per chiederle se avesse bisogno di una mano, ma Tara mi ferma prima che possa muovere un passo e mi trascina dietro la scrivania dove vedo cosa ha sconvolto tanto la donna:  i grossi uomini che stavano a guardia della porta erano sdraiati sul pavimento, inerti e delle chiazze di sangue si propagavano intorno a loro.
“dobbiamo chiamare il 911!”
“non ora, ci penserà la segretaria e non preoccuparti non moriranno; Rachel non è più quella di una volta non ucciderà nessuno che non sia suo padre”
Un po’ stupito che quel casino sia opera di Rachel, annuisco e seguo la ragazza verso l’ascensore senza farci vedere dalla segretaria; ascensore che però non c’è. Vedo la faccia di Tara irritata e la sento lanciare una seri di imprecazioni, per poi seguirla correndo verso le scale di emergenza. Scendiamo un paio di rampe senza fiatare, sperando che sappia dove andare. Si ferma davanti ad una porta verde antincendio con sopra scritto un quattro in grassetto nero, proprio a fianco la scritta: “sale controllo”, nello stesso modo della precedente. L’ansia è sempre maggiore e aumenta mentre vedo la bionda che fruga nella tasca della sua giacca e ne tira fuori due pistole, di cui una la porge a me.
“tieni, ti servirà”
“non ho intenzione di sparare a degli innocen-“
“non ho detto che dovrai usarla per forza” mi interrompe lei, “solo che ti sarà utile”
Vedendo il mio sguardo un po’ titubante, la carica e poi me la riconsegna.
“se vuoi salvare la tua ragazza è il caso che tiri fuori le palle, perché oltre questa porta non ci sarà nessuno che ti regalerà torte alle mele, chiaro?”
La guardo imbronciato, un po’ offeso anche, ma non ho il tempo di risponderle che lei ha già aperto la porta; mi fa segno di stare fermo, mentre sento un forte colpo e un proiettile che per poco non la sfiora. Per rispondere alla minaccia la vado sparare un colpo secco che butta al tappeto l’uomo che prima ci aveva attaccati.
“visto?”
Non le d’ho il tempo di dire altro perche, nell’esatto momento in cui lei stava per farsi di nuovo beffe di me, un’altra guardia era arrivata ad aiutare il suo compagno, e avrebbe fatto fuori Tara se non avessi agito di istinto e non mi fossi gettato addosso al tipo colpendolo alla testa con il grilletto della pistola, abbastanza forte da tramortirlo.
“chi è che non ha le palle?”
Le chiedo con sguardo spavaldo; sono così preso dal momento di vittoria che caccio urlo di  gioia; un gesto quasi istintivo.
“woooooo!”
Tara mi prende per il colletto della maglia e mi butta per terra, imprecando, di nuovo, in varie lingue.
“ma sei deficiente! Se ci vuoi far scoprire fai prima a correre in giro con delle bistecche legate addosso!”
In effetti non è stata una delle mie idee geniali, ma ero preso dall’enfasi.
“muoviamoci, gli altri non ci metteranno molto a capire che ci sono altri estranei”
Mi lascia andare e tento di rialzarmi mantenendo un minimo della virilità che mi rimaneva. Percorriamo un lungo corridoio, scartando un paio di porte alla volta; non capisco come ci si possa orientare in un labirinto del genere e credo che Tara pensasse lo stesso perché prima di deciderci ad entrare passammo già due o tre volte davanti alla stessa porta. Dopo il quinto avanti e indietro, afferra la maniglia con decisione. L’ardore nel suo sguardo e la convinzione con la quale apre la porta è tale da farmi restare di stucco, quando mi rendo conto che ha appena trovato il ripostiglio. La guardo un attimo confuso e noto il leggere rossore sulle gote. La mano è ancora attaccata alla maniglia, mente per poco una scopa non le cade addossi, rischiando di investire anche me.
“ammetto che dopo aver visto le moto, le armi e il design di questo posto, non mi aspettavo che tenessero le telecamere dentro il cesto dell’acqua sporca; almeno ogni inserviente potrà sapere quale bagno pulire per primo”
Lei non sembra appezzare la mia battuta, si limita a chiudere con forza la porta e spostarsi a quella di fronte. questa volta ci azzecca, ma avrei preferito un altro straccio in testa che la quantità di uomini armati che occupavano la sala. Erano solo tre, lo ammetto, ma ne valevano il doppio. Stavo già pensando ad un possibile piano d’attacco, ma Tara mi precede: con la pistola spara nelle direzioni delle gambe e i tre colossi cadono a terra come dei sacchi di patate, tirando delle urla raccapriccianti. Per farli tacere inoltre li colpisce alla testa, più o meno come feci io dieci cinque minuti fà.
“guarda nella schermata quindici, dovrebbe essere quella che controlla l’ufficio di Trevor”
Mi si para davanti una parete completamente tappezzata da mini televisioni, tutti che danno un’immagine diversa. Ognuna di queste segnerà una telecamera diversa ma questo vuol dire che ce ne saranno più di duecento; come fa una persona a controllarle tutte?
Mentre Tara lega i tre uomini io cerco la quindicesima schermata; l’immagine che mi si para davanti mi blocca il respiro: Rachel è seduta su una sedia di legno, che legge dei documenti mentre suo padre e un uomo che so di aver già visto conversano tranquillamente. La mente mi si annebbia un po’ quando riesco a scorgere il volto dello sconosciuto; un forte senso di tradimento mi pervade. Mille domande mi si formano nella testa. Che cosa ci fa Logan con il padre di Rachel?!
“va tutto bene?”
Mi chiede Tara, da dietro, ma non riesco ad articolare la risposta; Quel farabutto, quella sera ha avuto la prova che aspettava, ha capito che potevo essere usato come esca per attirare Rachel, per colpa mia ha scoperto i suoi punti deboli solo per quel mio stupido momento di debolezza.
“lui è Logan Hide, un bastardo di strada in cerca di denaro facile; anni fa lavorava con Trevor, ma dopo aver ottenuto una cospicua quantità di denaro da qualche colpo in banca, ha lasciato la famiglia mafiosa per allontanarsi. Quello sarebbe capace di vendere sua madre per una manciata di dollari, un uomo spregevole, ora ho capito come Trevor è venuto a sapere della tua esistenza”
La guardo confuso e capendo torna a spiegare.
“Rachel e Arella hanno fatto di tutto per coprire l’identità di te e gli altri vostri amici, per tenervi al sicuro; perfino io non sapevo della tua esistenza fino a qualche tempo fa quando me lo disse lei stessa, ma giurai di non parlarne ad anima viva e così feci. Quando oggi mi hanno chiesto di venirti a rapire ero confusa, perchè sapevo che oltre me e Rachel non sapeva nessuno la vostra vera identità”
Non riuscivo a crederci; come ho potuto essere così ingenuo!
“quando incontrammo Logan, conoscemmo anche un certo Morgan, ti dice qualcosa?”
Vedo il suo volto incupirsi e le nocche delle sue mani sbiancano, per via della forte pressione.
“lavora per Logan; gli deve molti soldi che non ha, e finchè non li trova è costretto a fare la parte più sporca dei suo colpi. È, diciamo, un caro amico”
Percepisco dell’imbarazzo nella sua voce, ma non indago oltre perche i miei occhi mi obbligano a guardare tutt’altro scenario. Nella quindicesima schermata, la figura della corvina si è alzata con furia e sta provando a saltare addosso a suo padre, ma senza che la sua figura si scomponesse, viene salvato da Logan che blocca Rachel tenendola per le braccia; lei si ribella alla sua presa e sembra che dica cose poco carine all’uomo in smoking. Sembrava guardare un’animale selvatico lottare per la sua libertà, ma prima che possa ulteriormente continuare a sbraitare, le arriva addosso un pugno da parte di Trevor. La potenza del colpo fa girare di scatto il volto della ragazza. Dalla telecamera non si vedeva chiaramente, ma Garfield  dentro di se sapeva, che quello che colava dal suo naso era proprio sangue. Sembrava capace di sentirne l’odore e un forte senso di nausea gli venne addosso, ma fù tutto coperto da tutt’altro perché a quel punto capì che era troppo da sopportare. Anche le sue nocche sbiancarono e la rabbia saliva senza controllo; sentiva il risveglio di una belva nel so corpo, qualcosa che è rimesto chiuso in lui per troppo tempo e alla vista di quel liquido rosso aveva ormai perso il controllo; sentiva di aver provato una cosa del genere anni or sono, dopo la morte dei suoi genitori, solo che qui invece di essere armato di un peluche - con la quale colpì più volte lo zio preso dall’ira- aveva una pistola e improvvisamente seppe come usarla.
“dove si trova”
Nemmeno lui riconobbe la sua stessa voce e anche Tara pareva pensare lo stesso. La sentiva titubante, ma non riusciva a fare altro che fissare, preso dalla collera, quella schermata.
“quindicesimo piano, l’ultimo a cui puoi scendere”
La voce le tremava, ma prima che potesse ascoltare la fine della frase era già partito verso le scale di servizio; la pistola era carica e sapeva bene a chi avrebbe dovuto puntarla.
-
-
-
Vidi Garfield sparire oltre alla porta e i muscoli iniziano a rilassarsi; non so che cosa sia scattato nella sua testa, ma sicuramente non era nulla di buono. La sua voce mi quasi paralizzato; improvvisamente un forte senso di paura mi aveva congelato, mentre nel suo sguardo era nata una luce terribile. Inoltre sembrava che stesse accadendo la stessa a Rachel. Con i capelli attaccati al viso per via del sudore, e il sangue che colava dalle narici, uno sguardo spaventoso inondò il suo volto. Per quelli che sembravano attimi interminabili vidi lo scambio di sguardi tra Trevor e la ragazza e per la prima volta, da quando l’ho conobbi vidi, in quei gelidi pozzi neri, un tremore; era live, questi impercettibili, ma c’è stato e questo voleva dire solo una cosa: Trevor Roth aveva paura. Anche Rachel sembrava essersene accorta, per questo un lieve sorriso affioro tra le sue labbra, ma non vedevo nulla di umano il quel volto. Leggevo rabbia e soddisfazione e prevedevo una terribile piega degli eventi.
 Con una forza brutale Rachel tirò un calcio negli zibedei di Logan, che per via del dolore mollò la ragazza e si accasciò  a terra. Lei salta addosso a Trevor che tentava di schivare i colpi della figlia, ma presto si trovò con le spalle al muro. Vedevo che con le mani cercava di arrivare ad un vaso lì vicino, mentre la figlia gli si avvicinava con il pugnale tra le mani. Non era in sé, si vedeva dal suo sguardo vuoto. Il pugnale entra in contatto con la gola di Trevor, che sta tentando in tutti i modi di togliersi la figlia di dosso, ma senza risultato; la vedo sussurrare qualcosa all’orecchio del padre e prima che possa tagliarli la gola il muro alle spalle dell’uomo si apre, dandogli una via d’uscita; Rachel lo segue e io li perdo dalla visuale della telecamera.


ANGOLO AUTRICE
salve signori, lo sò non mi faccio viva da un pò, ma ora come ora sono presa dalla revisione dei vecchi capitoli e contemporaneamente sto scrivendo quelli nuovi: abbiate pietà di me, se ancora ci siete.
bando alle ciance sappiate che nel prosimmo capitolo prevedo sfaville, inutile dire che non ho la più pallida idea di quando uscirà. vi ho voluto bene comunque, se avete qualche cosa da farmi sapere (eccetto minacce di morte), i'm here!
sappiate inoltre che presto cambiero il mio nome, quindi non spaventatevi, sono sempre io.
by

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** confusione e sacrifici ***




 
Ti piace vero? questa sensazione di scomparsa, di lontananza. Ti piace quando per la testa non hai altro che il vuoto, quando senti i tuoi muscoli contrarsi e rilassarsi, quando ti senti capace di fare tutto quello che vuoi. Quando ti sembra che qualsiasi problema del mondo non ti riguardi e quanto percepisci questo forte odore di odio puro, che non è altro che il sangue, che cola da una ferita aperta che non si chiuderà mai, perché alla fine è sempre stata aperta. Quando capirai che in’effetti si, tutto questo ti piace da matti sarà troppo tardi. Cadrai in un baratro senza più ritorno, il che per molti potrebbe sembrare un’ottima soluzione, ma non a te che stai correndo senza sapere dove, con una sensazione di calore nel cuore che solo una volta hai sentito così intensa. Tu ora hai il forte desiderio di infilzare le carni del tuo demone più nascosto e sentire la sensazione del suo sangue sulle tue mani; quel liquido caldo di un colore così acceso che ti sembra impossibile non notarlo e ti piacerà. Oh, se ti piacerà. Così tanto che non vedrai l’ora di sentire di più, come il battito del suo cuore fermarsi tra le mani o vedere i suoi occhi che lentamente lasciano ogni aggancio alla vita, diventando vitrei privi di una luce che, secondo te, mai sarebbe dovuta stare in quegli occhi.  In questo momento forse non stai respirando, hai dimenticato di come si usano i polmoni. Gli hai mai avuti? Hai mai respirato davvero? Hai mai vissuto davvero, come ora? No, è questa la tua risposta e a te i no non sono mai piaciuti. Eppure eccoti qua, all’interno di una sala le cui pareti sono rivestite di spessa roccia scura, come in una grotta; da poco ti sei abituata alla poca luminosità, ma riesci a vedere lo smisurato corridoio che poco prima il tuo demone ha percorso, anche lui di corsa. Non ci sono luci di emergenza e nessuno ti sta seguendo, ma dopo quello che sei diventata chi lo farebbe?  Ti ricordi ancora del forte bruciore alla guancia e al tuo sangue che ti bagnava le labbra, lasciandoti un gusto amaro sulle labbra. Deve essere stato quel gesto, troppo avventato, ad aver fatto scattare tutto, perché dopo quello tutto è diventato più forte: tu, il dolore, il bruciore e l’odio. Tutto è diventato impossibile da ignorare, anche i tuoi pensieri sembrano abbiano preso vita propria e abbiano deciso di andarsene. Ora però sei costretta a fermarti perché anche il bisogno d’aria è diventato più forte. Ora ti ricordi come si respira e sai risponderti: si ho sempre avuto dei polmoni, ma sembra che solo ora abbiano capito come funzionare. Anche il tuo odio lo ha capito ed è pronto a dimostrartelo, anche se lo ha già fatto dandoti la possibilità di scorgere quella scintilla di terrore in quei pozzi senza fondo che alla fine è stato ciò che ti ha dato la forza di seguirlo nonostante i tuoi piani fossero altri. In questo momento non ti ricordi neanche come è iniziato tutto questo. Da quando la tua vita ha iniziato ad andare a rotoli? La risposta non la vuoi sapere.  Anzi, la sai, ma hai il vuoto nella testa e tutto ciò che capisci è che è il momento di andare a distruggere i tuoi demoni. Quindi ricominci a correre, senti i muscoli fare il loro dovere senza percepire la fatica, i polmoni tornano a prendere aria con più difficoltà, ma sei pronta a cadere di nuovo in’apnea pur di raggiungere il tuo obbiettivo. Vai avanti così finche non vedi la fine del tunnel, la roccia si apre davanti a te ed entri in un’enorme grotta dalla quale vedi scendere possenti stalattiti, che rendono quel paesaggio più lugubre di come è realmente. Sembra esserci solo un’uscita e si trova a circa sei metri di altezza da dove ti trovi. Senza darti la possibilità di andare oltre un proiettile ti sfiora il piede sinistro, ma resti immobile: anche la paura sembra essere svanita e questo ti piace ancora di più.
“non un altro passo”
La sua voce rimbalza tra le pareti della grotta, creando eco. Volgi lo sguardo al diretto interessato e lo vedi con una pistola che mira contro di te. Quelle pozze ti scrutano di nuovo, senza pietà, ma no hai più nulla da far leggere.
“ti darò la possibilità di tornare indietro a recuperare il tuo amico, consideralo il mio regalo per il tuo compleanno”
Parole al vento; non senti nulla che possa davvero suscitare il tuo interesse. Lui lo capisce e preme di nuovo il grilletto, questa volta sfiorando il tuo orecchio destro, ma non facendo altro che un graffio. Che per la prima volta Trevor Roth stesse indugiando?
“ultimo avvertimento bambina, vattene o raggiungerai tua madre”
Non le pareva una cattiva idea, improvvisamente sembrava la cosa che più al mondo desiderasse. Però c’èra sempre quel pensiero, quel soffio di vento nel nulla che le dava ragione di restare. Non sapeva cosa fosse, ma impediva che il vuoto più totale nella sua testa fosse davvero totale. Questo non ti piace, ti manda in confusione perché non ti permette davvero di porre fine a tutto. È come un venticello fresco in un arido deserto, qualcosa che in fondo ti dà una sensazione di speranza, cosa che al momento non riesci a sentire; sai che c’è ma non la senti e questo ti urta solo di più. E urla. Dio quanto urla nella tua testa! Una voce irritante che non dovrebbe trovarsi lì i quel momento.
“che anima straziata; tu, tra tutti sei sicuramente stata quella con la quale mi sono divertito di più”
Altre voci, ricominciano a urlare, ma non sono come quelle dell’ultima volta. Queste son diverse, non ti vogliono spingere alla violenza, ma ti vogliono far tornare indietro. Non le hai mai sentite così chiaramente, sembra ti avvisino di un’imminente pericolo; qualcosa che sanno farà male. Troppo male per poterlo descrivere, ma sarà un dolore paragonabile a quello che hai provato fino ad ora? Sarà quacosa che ti faccia sentire più male di quando ti specchiasti nel sangue di tua madre? Di quando vidi il suo volto senza più una traccia di vita, di quando sentissi le sue mani fredde? Mani che ti hanno sempre trasmesso calore, un calore che tu non eri mai tata in grado di darti da sola.
Già, raggiungerla sembrava un’idea fantastica.
“tu e Tara, ma lei era così stupida. Lei ha visto in me il suo salvatore, quando non sapeva che in realtà ero il suo aguzzino; tu invece sei così altruista: passare una vita a proteggere gli altri da me non deve essere stato facile, ma alla fine è stato tutto inutile vero? alla fine io sono riuscito a fargli del male. Deve essere straziante ricordarselo”
in quel momento si sentì in dovere di rispondere, solo per mettere in chiaro le cose, solo per fargli capire che non era esattamente come intendeva lui.
“non li stavo affatto proteggendo da te”
Alza lo sguardo verso di lui. Voleva vedere la sua faccia, voleva rivedere quel’espressione di terrore tornare.
“ma da me”
Dopo questo il suo corpo capì che era ora di agire e prima che suo padre riuscisse a premere il grilletto lei era dietro ad una stalagmite, mentre sorrido compiaciuta, perché il terrore era tornato e sta volta l’avrebbe fatto durare abbastanza da potersi divertire.
“davvero sciocco da parte tua; ora sarò costretto a sporcare il pavimento del quinto piano”
E di nuovo quelle voci; più terrorizzate di prima. Capì che quelle  non erano affatto voci, era la vera me che dalle profondità del mio inconscio stava tentando di tornare. Capisco ora cosa stava tentando di dirmi: Salvalo! Così feci, ma era troppo tardi. Ero stata troppo avventata.
“Garfield!”
Troppo avventata. Esco dal mio rifugio, ma dopo aver sentito lo sparo vi rendo conto di tutto. Di quanto in parte ha ragione Trevor, ero troppo altruista e forse anche stupida.
“che perdita di talento”
-
-
-
Per un istante mi era parso di perdere me stesso, perdere tutto quello che ero stato e che sono. In quel momento non ero più Garfield Logan, era un’ombra, una creatura onirica che vagava alla ricerca di una meta sconosciuta. Per un attimo era  stato tutto nero, poi rosso e si è evoluto fino a diventare la realtà di ora. Fino a trasformarsi nell’ufficio del padre di Rachel, dove un corpo si muove, tenta di alzarsi. Non ricordo come ci sono arrivato fino a qui, sento solo una forte rabbia repressa a lungo e una gran voglia di tirare un pugno in faccia a qualsiasi essere vivente. Sembrava che tutta la mia vita fosse iniziata solo per farmi arrivare fino a qui: in questo lussuoso ufficio, rivestito da marmi bianchi, senza neanche una finestra ad illuminarlo e solo una scrivania con lampada ad arredarlo. Era tutto spoglio, arido come la mia anima in questo momento che prega per riuscire a trovare una piccola oasi di pace; un luogo dove nascondersi da tutta questa rabbia.
Lo fece; decise che per nascondersi aveva già avuto troppo tempo. Quindi aiuto l’uomo sdraiato ad alzarsi, lo conoscevo. Gli diedi un pugno sul setto nasale e lo lascio cadere per l’ennesima volta. Lì c’èra tutta la rabbia repressa, tutto quello che avrebbe voluto urlare al mondo. Un gesto che valeva più di mille parole. Andava a ritmo di una sinfonia sconosciuta, pronto a seguirla finche non avrebbero finito di suonarla. Si massaggiò le nocche, rosse per il forte colpo e andò avanti, verso il prossimo livello: trovare la sua oasi, che sapeva fosse in pericolo almeno quanto lui. 
Prima di varcare la soglia di quel tunnel senza luce però si girò verso la vittima; lui lo guardava, terrorizzato e impaziente. Sapevo che in quel momento dovevo aver risvegliato la sua paura; la mia se ne era andata. Rimasero così per quelli che sembravano anni, ma non erano stati neanche due minuti; si erano detti tutto in quel momento. Così proseguì, più veloce che poteva.
“è inutile Garfield; anche se riuscissi a salvarla, non potrete mai stare davvero insieme!”
La voce di Logan lo raggiunse, lo senti molto chiaramente, ma non gli diede peso, per lui era solo fiato sprecato. Chissene frega di quello che sarebbe successo, chissene frega di quello che diventeremo, si disse; per ora voglio solo sapere che sta bene e proteggerla da se stessa.
Perché finalmente si era reso conto che il mondo avrebbe potuto lanciare addosso a Rachel tutti i pericoli che aveva, che lei non si sarebbe fatta nulla; era da lei stessa che andava protetta ed era stato dato a lui il compito di farlo
“Garfield ho bisogno di chiederti un favore”
“cosa posso fare?”
“ti prego proteggi Rachel”
Era rimasto sorpreso da quelle parole; in fondo aveva capito che non c’èra nulla di normale in quella famiglia e Arella era così terribilmente seria che sembrava di parlare con la figlia.
da cosa precisamente?”
Non capiva come lui sarebbe riuscito a proteggere una tale ragazza da qualsiasi cosa gli stesse per dire la madre. Lei così forte, così Rachel, come poteva provare a salvarla da una forza esterna.
da tutto quello che potrebbe causarsi”
Non aveva capito cosa volesse dire, ma la stette ad ascoltare;gli aveva raccontato di Trevor, di come si erano incontrati e di come lui uccise il padre di Arella davanti ai suoi occhi. Gli era parso terribile, ma sapeva che in realtà non era da lui che doveva salvarla.
proprio perché è così salda, soltanto lei può farsi davvero del male; ho paura che questo un giorno possa capitare e temo che quel giorno io non ci sarò più”
Non era mai stato d’accordo sul sacrificio di Arella, non lo era ancora adesso, eppure sapeva che doveva assecondarla. Sapevo che per lei la cosa più importante era proteggere sua figlia e ora che non c’èra più questo compito è sulle mie spalle.
Quindi mentre percorreva quel corridoio buio, finalmente vide la luce artificiale di alcune lampade fargli strada, condurlo da dove aveva sentito i suoni di una pistola e una voce, così forti e ridondanti che mi pareva gli avessi dentro la testa. Capisco di essere nella realtà appena vedo suo padre puntare la pistola verso di lei, che si era appena lanciata fuori da un luogo riparto, chiamandomi. A quel punto sentì che il mio corpo prese il sopravvento. Sentì la fatica, il fiatone e i muscoli che mi bruciavano, ma mai una scelta mi pareva più giusta. Ero pronto, lo sono sempre stato e finalmente capisco perche la dovessi proteggere.
Era segnato su carta, con il sangue indelebile degli stessi sentimenti che mi conducono a  sacrificarmi, e non c’è rimorso, non c’è paura, solo speranza che un giorno questo mio sacrificio possa aiutarla in qualche modo.
Poi un’ondata di dolore mi manda in cortocircuito e finisco nell’abiso più profondo di me stesso; sento il sangue colarmi addosso, sento il metallo che ad una velocità incredibile mi perfora le carni e le ossa. Vorrei urlare, ma non ho la forza di fare neanche quello. Tutto quello che mi frena dall’andarmene subito è un filo rosso, che si sta intrecciando sulla mia mano, stringendola fino alla morte. Frena lentamente la mia caduta, fino a farmi restare sospeso un altro po’.
Una distesa bianca.
Un'immensa distesa bianca è la prima cosa che vedo appena apro gli occhi, appesantiti dal sonno. Intorno a me c'è solo il più totale e sconfinato nulla.
sento le gambe muoversi da sole, iniziando così a correre lungo la desolazione che mi circonda.
Non so che cosa stia succedendo.
Dove sono?!! Che cosa mi sta succedendo?!!
Non ho mai fatto uso di droghe e non vedo il motivo per la quale qualcuno debba drogarmi, ma ora come ora mi sembrerebbe la spiegazione più plausibile.
Poi mi rendo conto che tutto questo potrebbe essere opera del mio inconscio; per cui devo star sognando, eppure cavolo, è un sogno davvero molto sentito.
Improvvisamente sento una voce.
È una ragazza e mi pare così familiare, eppure sono certo di non averla mai sentita. So però che appartiene a qualcuno di importante e il suo nome mi pende dalle labbra ma non riesco ad afferrarlo. Come se mi fosse stato sottratto.
Inizialmente era un leggero sussurro, quasi non si capiva quello che diceva, come quando provi a comprendere il vento durante una folata.
Poi inizia a farsi sempre più forte diventando un urlo disperato: Sta usando tutto il fiato che ha in corpo, solo per chiamare il mio nome.
"GARFIELD AIUTO!!!"
Poi sotto i miei piedi appare il vuoto; una pozza buia della quale non si riesce a vedere il fondo. La paura si prende gioco di me e il terrore di cadere è così forte che mi fà formicolare la pancia, ma quando sento il terreno staccarsi dai miei piedi e iniziare la caduta una mano delicata mi afferra. Non riesco a vedere il volto della mia salvatrice, anche se il contatto con la sua mano mi riporta quella forte convinzione nel sapere l'identità della ragazza, ma niente; nessun nome, nessun ricordo:
e tutto riappare; la mia testa ritorna, ritornano i miei ricordi, la mia vita, la mia anima; tutto quello che era mia ora lo è di nuovo; Rachel, il nome che mi pendeva dalle labbra, sento le sue mani delicate che sfiorano le mie, le sue lacrime bagnarmi il viso e le sue urla che continuano a risuonarmi in testa, ma sono sicuro che non fosse la sua voce a chiamarmi. In qualche modo, un filo rosso mi ha collegato a lei e ora so che le sue urla  provenivano da lei. Mi ha chiesto di salvarla e così ho fatto. Ora tocca a te provare a salvare me, amore mio. 
-
-
-
Che stupido!
Cosa?
È davvero uno stupido, non credi?
Chi?
Lo sai chi … buttarsi così, a capofitto verso la morte è una cosa davvero molto stupida; magari crede anche che ne varrà la pena
Ovvio!
Ne sei sicura? Perche non lo salvi allora, perche non ti alzi e corri da lui e provi ad aiutarlo. È così che dovresti fare, se credi che il suo sacrificio non serva
Non ci riesco
Ah già; il nostro corpo non ci risponde, quindi lo lasci andare?
No! Devo salvarlo!
A che scopo? Lo sai che tanto lo rifarà e poi vuoi davvero obbligarlo a restare in un posto che neanche gli piace? Ha perso tutto, vuoi davvero fargli vivere una vita in questo stato?
Ma lui-
Lui cosa? Non lo merita, pensi che non dovesse andare così. È buffo però perche se le cose stanno così, come mai il destino ha deciso diversamente?
No! Non di nuovo
Prima Arella e ora Garfield, ammetto che attiriamo proprio tutte le disgrazie, ma che ne dici se ora ci diamo una svegliata?
Cosa?
Girati dai, guarda chi c’è lassù, a guardarci.
Ma come?
Come è arrivata lì Tara? Che ti importa, ha immobilizzato colui che ti ha portato tutto questo dolore; è la tua occasione.
Si, devo andare, ma lui-
Lui è uno stupido e basta, ha deciso così e non possiamo farci nulla.
Non posso!
Si invece; per una volta smettila di fare la bambina viziata e fai una scelta. Hai la possibilità di compiere la tua vendetta, finalmente vivrai in pace e non avrai più nessun problema. È ciò che desideri da sempre, ciò che desideriamo da sempre ed è giunto il momento che lui paghi per tutto quello che ha fatto.
Si, hai ragione.
Brava, alzati; con calma, quei due si stanno dando da fare. No! Non guardarlo! Girati! lasciarlo perdere farà del bene a tutti. Non volevi allontanarlo, sbarazzartene? volevi mandarlo via dalla tua vita incasinata, volevi lasciarlo fuori da tutto questo. Finalmente hai la possibilità di farlo e non voglio sentire esitazioni al riguardo. è solo una seccatura e da quando lo abbiamo incontrato ci sono capitate solo cose brutte. Hai davvero intenzione di bruciare l'unica opporunità che hai?! per uno stupido e molesto ragazzino che non fà altro che casini, che ha una vita piena di casini?!
Taci…
Cosa scusa?!
Ho detto taci!
Temo che non sia possibile, siamo la stessa persona, da anni.
No
Come?
Non potrò mai essere come te;
non lo decidi tu
invece è proprio il contrario! non sò perchè per anni ho creduto il contrario, ma ho passato una vita a convincermi che non avessi davvero scelta.No!Una scelta c’è sempre. Devo solo cercarla. Devo trovare il giusto ingranaggio e far ripartire questo diamine di orologio che guida la mia vita.La vita è troppo breve per i se e per i ma, dicevano. Io non sono d’accordo; La vita è troppo breve e basta. Bisogna essere svelti a decidere, perché il tempo non aspetta nessuno e di certo non aspetta me. Quindi basta perdere tempo. Troviamo la soluzione che avrei dovuto trovare prima
Cosa fai? No! Metti giù il pugnale!
Questo è l’unica cosa che ho di mio nonno; un tempo ha cercato di liberare mi madre, e ora lo userò per liberare me.
Non potrei mai liberarti di me! Siamo la stessa persona.
Troppo tardi.
-
-
-
“ahi!”
Impreco, per l’ennesima testata data ad una delle tante stalattiti in quel misero tunnel. Mi maledisco per Non aver scelto di usare la via principale del passaggio nascosto di Trevor, ma quanto meno avrò dalla mia l’effetto a sorpresa.
Non so cosa mi abbia spinto ad andare dietro a quel ragazzino; il mio senso di pietà forse. Eppure c’è ancora una parte di me che non sopporta il fatto di dover star dietro a questa terribile seccatura. Una seccatura che mi sta facendo perdere un sacco di tempo. D’altra parte però sono troppo curiosa di scoprire come le cose si stanno svolgendo.
Sento che sono quasi arrivata alla fine del tunnel secondario; di questo passo dovrei sbucare proprio di lato all’unica uscita del passaggio, quindi se faccio in tempo dovrei riuscire a fermarlo prima che scappi definitivamente. In quel caso sarebbe una rovina per tutti : controllando tra le cianfrusaglie della sua scrivania, prima di addentrarmi in questo cunicolo, ho notato l’assenza dei documenti del passaggio di eredità di Rachel. Se dovesse riuscire a prendere quell’aereo sarà impossibile fermarlo.
il suono del cellulare mi distrae dai miei ragionamenti. Incredibile che prenda anche qui sotto. Rispondo senza guardare il numero: solo una persona può chiamarmi da questo numero.
“Morgan non è proprio il momento”
“ciao anche a te principessa”
Mi scosto per schivare un’altra protuberanza del terreno mentre cerco di non urlargli di tutto per il solito nomignolo.
“cosa succede? Di solito i nostri incontri avvengano un po’ meno formalmente di ora”
Lo sento sghignazzare dall’altro capo del telefono, che per poco non mi cade dalla mano.
“so che c’è la probabilità che non ti senta più; volevo solo darti il mio saluto e dirti che sto arrivando con un gruppo di amici. Dove sei di preciso?”
Sorrido, nel sentirlo parlare. Come al solito crede di potermi aiutare. Dio solo sa volte ci è anche riuscito, ma non lo ammetterò mai. Questa volta però si tratta di una questione personale e non ho più intenzione di farmi salvare; non questa volta che posso finalmente lottare per la mia libertà 
“niente da fare, questa volta faccio da sola”
C’è una lunga pausa, che sembra infinita, ma so che serve solo a fargli dingerire il concetto.
“non se ne parla; abbiamo ancora un sacco di conti in sospeso”
Quei piccoli conti in sospeso che si creano tra complici, quali noi, saranno una delle cose che mi mancheranno di più del nostro rapporto. C’è sempre stato questo tipo di legame che mi ha permesso di abituarmi alla sua impertinenza e apprezzarla;
“sentiamo ad esempio cosa?”
Mi fermo del tutto attendendo una risposta, che arriva un po’ titubante.
“un bacio”
Spalanco gli occhi; dopo tutto questo tempo se ne ricorda ancora
“ah e un caffè”
Aggiunge dopo. I riordi degli anni passati arrivano violenti, ma li ricaccio indietro. Non lasciarti contagiare dalla stupida di quegli inetti Tara, devi sopportare per il successo.
“mi spiace, ma dovrò rimandare il mio pagamento”
Sto per chiudere la chiamata e mi blocco. Voglio davvero concludere la mia ultima conversazione, con forse l’unica persona che sono stata in grado di apprezzare davvero? Non voglio lasciarlo così, non voglio che si corra il rischio di lasciare così tanti conti in sospeso. Ci sono cose importanti che mi deve dire e altrettanto devo fare io.
Perché nelle nostre vie, dove usavamo il nostro tempo per lavorare per qualcuno che pareva essere un nostro amico, ci siamo trovati con tante ferite aperte. Insieme siamo riusciti a rimarginarle, attraverso la fiducia che si è instaurate e con il passare del tempo è normale che mi sia innamorata. Ed è normale che non sia mai stata intenzionata a dirglielo; non ne sentivo l’esigenza, non avevo il coraggio di affrontare un mio cambiamento cosi radicale.
“non fare scherzi principessa. Quando arrivo vedrai come mi senti!”
Sulle labbra sento i primi segni di debolezza: sa di sale, ma è così liberatorio che ogni goccia sembra un macigno in meno sulle spalle. Ho voglia di piangere ancora e ancora, fino ad annegare, ma non posso lascirmi coinvolgere e mentre tento di riprendere il controllo mi chiedo perché quel giorno decisi di seguire Trevor. Perché ho passato una vita sotto il so comando, senza ribellarmi? Senza capire che mi stavo rovinando ogni secondo in più sotto la sua influenza.
“lascia stare, Morgan torna indietro; non voglio causarti più guai di quanti già ne hai.”
-Starà tentando di rintracciare tramite il segnale del cellulare- capisco che ho più qualche secondo per parlargli e non fargli scoprire dove sono.
“è stato un ballo interessante. Ti amo. Addio”
Chiudo la chiamata senza neanche sentire la risposta e calpesto il cellulare sotto il piede. Con ancora le lacrime agli occhi mi dirigo verso la porta, mimetizzata con la parete rocciosa della caverna. Apro senza ragionare, ormai trascinata dalla speranza, dall’illusione che un giorno possa poter ridere ripensando a tutta questa situazione. A quel punto frenare i ricordi diventa impossibile e ne vengo risucchiata.
In una città fantasma, nota solo a coloro che vogliono trovarla, la pioggia cancellava le orme dei passanti inesistenti. Sembrava che nessuno si addentrasse in quella desolazione da secoli, ma chi se ne intende capisce che è fin troppo frequentata. Le strade erano deserte, solo la polvere, i rifiuti e i ratti sembravano utilizzare il terreno umido e scivoloso. Una leggera nebbiolina impregnava l’atmosfera di un lugubre colore e nascondeva l’unico passante tra i vicoli di quella città fantasma.
Una ragazzina, alta snella e senza più nulla da perdere girava per le strada coperta da un’ingombrante cappotto sabbia, che lasciava le gambe nude. Aveva il volto scavato e la postura dritta, ma un aspetto stanco della proprio vita. e camminava; camminava da tanto ormai per quelle fetide vie, ma con lo sguardo sempre alto. Era appena scappata dalle sue responsabilità, il dovere la stava rincorrendo mentre la paura le sussurrava dolci parole all’orecchio. Stava andando tutto bene, ma ad un certo punto, in quella sala piena di gente che aveva la vita in mano, con quel bel vestito addosso, aveva capito che non ce l’avrebbe mai fatta a continuare. La ricchezza e la falsità stonavano con il suo visino. Aveva trovato una tregua precaria durante il ballo con quel sconosciuto; le aveva donato qualche attimo di silenzio nonostante non lo avesse ma visto, ma forse era per questo che le era piaciuto subito. Un ballo interessante, non c’è che dire.
Da lontano le pareva di sentire ancore le grasse risate che infestavano la sala; trovava rassicurante il fatto che nessuna ochetta viziata avrebbe mai osato mettere piede in quella landa desolata. Un topo le passo sotto i piedi, alla caccia di nuovo cibo per sfamarsi, e non poté fare a meno di sentirsi come quella creaturina: sola al mondo e che nonostante per molti fosse ripugnante, tentava solo di sopravvivere .
La ragazza fù costretta a fermarsi; un uomo le bloccava la via.
“Tara Markov, suppongo”
Annusò l’aria, come per fiutare il pericolo. In quel momento avrebbe volto sgusciare sotto i piedi della figura come quel topolino.
“chi lo suppone?”
Chiede, non pronta a rivelarsi.
“un amico”
Lo sguardo della donna vestina in sabbia si assottiglia; lei non aveva bisogno di pesi come gli amici. Sono cose di cui i topi non hanno bisogno. L’uomo con il berretto dei Las Angeles Rams, pareva sorridere. Indossava abiti semplici e fumava una sigaretta semplice, dall’odore tosto e aromatico, forse alla menta: di pessimo gusto secondo la bionda.
“Tara Markov non ha amici”
Riesce a intravedere qualche ciuffo nero da sotto il cappello. Aveva ciocche lunghe e spesse, ben tenute, ma poco notabili. Da sotto il giaccone pesante, verde petrolio, sbucava una cinta per tenere i pantaloni. Era un uomo della bassa società quindi, una di quelle persone che sa cavarsela non avendo altro che se stessi. Una persona come Tara, ma lei non era libera. La donna stava pensando che se mai, un giorno, avesse voluto circondarsi di persone, sarebbe stata gente come lui.
“allora bisogna rimediare”
Una fossetta sbuca vicino alle labbra dell’uomo dei Rams. Fossetta che aveva già visto, con l’individuo con cui aveva ballato circa mezz’ora fa.
“non sarà possibile. Gli amici parlano tra di loro e io odio parlare”
Voleva affondarlo, ma lanciandogli una scialuppa. Lui sembrava essere in grado di afferrarla.
“inizieremo con qualcosa di facile allora”
Ora che aveva marcato il territorio l’uomo si sentiva i grado di avvicinarsi, ma con cautela. Sapeva che gli animali di strada mordono.
“cosa ne pensi del ballo di prima?”
Lei lo osserva ancora, e attende. Non gli risponderà. A Tara Markov non piace parlare. L’uomo dei Rams lo aveva già intuito. In tacito accordo ognuno si volta e và per la sua strada.
Entrambi da quel momento avevano capito che si sarebbero rivisti tante volte durante il loro percorso. Senza accorgersene da quel momento i loro fili si erano intrecciati e ogni giorno si annodavano sempre di più. Si promisero tante cose: la libertà, un caffè, un bacio…
Oggi quel filo è così annodato che solo un taglio deciso avrebbe potuto dividerli.



ANGOLO AUTICE
Intanto buona sera;
lo sò, sono scomparsa, come sempre, e anche quetsa volta il capitolo non è dei migliori. voglo appunto scusarmi per eventuali errori e terribili ritardi e continuo a promettervi che farò del mio meglio per stare al passo coi tempi. intanto è passato anche il primo anno di quetsa storia quindi "happy BDAY"
vi annuncio inolte che prevedo ancora due capitoli (compreso l'epilogo) e poi mi dedicherò totalmente alla revisione e a uovi progetti.

fatemi sapere cosa ne pensate (anche della forte citazione a Fight Club) e niente ad un prossimo capitolo
baciamo le mani
carly( CHE INTANTO NON RIESCE A CAMBIARE IL NICK NAME SUL PROFILO)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** la fine ***


Un patto di sangue; così tutto era iniziato. Un giuramento nato con la vita di un uomo in cambio. Un corpo prosciugato di tutta la sua linfa vitale, sembra vuoto; non capisci cosa altro possa esserci dentro. E sempre con il sangue tutto inizia. Le peggiori guerre, le grandi sommosse, la vita stessa. Anche la mia, a quanto pare. Con il sangue di mio nonno, mia madre ha deciso di portare avanti la sua vita per proteggermi e per insegnarmi a stare al mondo; con il suo sangue io ho scelto di alzarmi e di distruggere i miei demoni. Con il mio, ho distrutto il mio macigno sulla schiena, una parte di me che non sarebbe mai più tornata e che ho seppellito in un luogo irraggiungibile.

È un sacrificio, perché se vuoi cambiare qualcosa di importante devi dare qualcosa di altrettanto vitale, e i patti di questo genere non possono essere infranti. Sono segni che restano, cicatrici sulla pelle che non se ne andranno mai. È un privilegio concesso a pochi, ma solo ai migliori. Coloro che sono pronti a saltare per qualcun altro, a dare una seconda possibilità a chi non aveva ancora capito la vita.

Io non voglio che avvengano più. Non per me, non di nuovo. Troppe persone mi hanno dato troppe occasioni e ho voglia di urlare: “perché?! perché non mi lasciate affondare per una volta?! Perchè volete a tutti i costi che viva per qualcun altro?!”

Perché nonno? Perché mamma? Perché Garfield? Cosa vi aspettate che faccia di così grande, cosa volete ottenere dando la vostra vita per la mia? Tra tutti gli individui sulla terra, io non capisco davvero perché c‘è così tanta gente disposta a proteggermi, nonostante abbia arrecato dolore a troppe persone. Mi riempono di un peso insostenibile, lasciandomi vivere con il rimorso di star consumando la vita di qualcun altro, un peso che mi costringe a prostrarmi a terra, che mi piega le ginocchia, che mi spezza la spina dorsale. Mi abbatte completamente al suolo perché la vita è un peso gigantesco e lo è ancora di più se è di qualcun altro. Chi mi ha caricato di questo peso è solo così sciocco ed egoista da credere che magari mi abbia aiutato, che sacrificandosi per me potrò condurre un’ esistenza migliore, ma non pensa invece al dolore, alla fatica, alle lacrime delle persone che lascerà qui. Sono sempre quelli che restano che pagano i debiti del morto.

ogni azione ha una conseguenza uguale o contraria a tale causa

Mi stacco il pugnale infilzato nella mia mano destra, con un gemito di dolore. Se prima intorno a me c’èra un silenzio terrificante ora il rumore è insopportabile. Sento spari, imprecazioni e voci diverse, tutte intorno a me che vagano con disordine. Sono stanchissima, le gambe vogliono cedere. Mi porto la mano buona al viso e sento tracce di sangue secco sul viso; i capelli attaccati alla fronte dal sudore. A parte il grosso e profondo taglio lungo la mano sembro intatta.

Faccio respiri profondi e mi riprendo, sforzandomi di mettere a tacere i nervi doloranti. Appena sono pronta mi guardo intorno e incontro la pozza di sangue di Garfield; i suoi capelli biondi ora assumono una sfumatura vermiglia ed è molto più pallido di come lo ricordavo. Respira a fatica e i suoi occhi sono spenti, il loro colorito vivace è ridotto ad un velo e le lacrime ricominciano a scendere. Mi avvicino a lui trascinandomi a fatica fino a raggiungerlo: il proiettile ha colpito all’altezza del pancreas e una pesante emorragia lo sta prosciugando.

Non c’è tempo da perdere: mi strappo un lembo della maglietta e gli fascio la ferita. Prima però controllo se c’è il foro di uscita che fortunatamente trovo, almeno non dovrò aprirlo per estrarlo. Premo la pezza, contro la ferita pregando che non faccia infezione, essendo l’unica cosa che posso usare e piango; piango e soffro perché se fossi stata più attenta non sarebbe successo nulla di tutto questo, se fossi stata meno impulsiva, se fossi riuscita ad allontanarlo fin da subito lui sarebbe vivo.

Premo sulla ferita, premo più che posso e tampono e pensare che questo è tutto quello che riesco a fare non mi aiuta, ma continuo.

“sei uno stupido, uno stupido deficiente che non sa fare altro che impicciarsi in affari non tuoi”

Il suo sangue mi imbratta le mani; una grande chiazza rossa ricopriva la sua maglia e il sudore gli imperlava il viso, dolorante

“non puoi insultarmi perfino quando sto per morire”

alzo lo sguardo e lo vedo cosciente e dolorante, che mi fissa. È sveglio e questo mi rende la persona più felice del mondo perché vuol dire che ce la farà, vuol dire che nonostante tutto il sangue che ha perso c’è una speranza. Una lontana e improbabile speranza che lui possa continuare a vivere. Ed è scioccante; scioccante che nonostante il dolore terribile che deve star provando lui continua a ridere, come se nulla fosse, come se, dopo tutto, le cose potrebbero andare peggio, quindi ride. Ci vuole una forza immensa a credere che con circa 2 litri di sangue fuori dal corpo ci sia ancora qualcosa per cui valga la pena ridere.

“vorrei solo ricordarti che sono lo stupido che ti ha salvato la vi-, la vita; di nuovo”

“essere stupidi vuol dire proprio questo imbecille, sacrificarsi per gli altri senza motivo. Tu hai fatto lo stupido, sei sempre stato stupido e nessuno potrà cambiarlo, ma prova a farlo un’altra volta con me e non proverò neanche a salvarti”

solo queste parole continuavo a dirmi: è uno stupido, solo uno stupido …

nonostante sappia che non lo penso minimamente e questo rende me la stupida.

“allora si, sono uno stupido, ma sono lo stupido più felice del mondo se ti ho tenuta al sicura; perché stai bene vero? Non ti hanno colpita, giusto?!”

non mi hanno colpita, perchè c’era lui davanti a me; se ora i ruoli non sono invertiti è solo colpa sua. Se ora io stia soffrendo più di quanto soffrirei con una pallottola nel petto è solo colpa sua. Non posso neanche provare a pensare di essergli grata per il suo sacrificio, perché in questo momento sto morendo con lui.

“per favore Gar-“

“no Rae ti prego lasciami parlare, potrebbe essere la mia ultima possibilità per dirtelo”

Con occhi pieni di supplica mi guarda, mentre con il volto bagnato continuo ad armeggiare con questo straccio di stoffa, cercando di fare il miglior lavoro possibile.

“tu ce la farai, mi dirai quello che devi dirmi quando starai meglio: perché tu starai meglio!”

Ero ormai presa dalla disperazione non sapevo più che fare e lui continuava a perdere davvero tanto sangue.

“Rae non voglio rischiare, ti prego guardami”

Alzo lo sguardo e incontro i suoi occhi azzurri ormai quasi vitrei, ma presenti. Era debole, quasi invisibile ma c’era e questo è incredibile. Lui è incredibile

“Dalla prima volta che ci siamo incontrati, io sono subito rimasto colpito da te; eri una delle ragazze più odiose e determinate che io abbia mai conosciuto; terribilmente cocciuta e incredibilmente insensibile. Piena di barriere che ti sei costruita nella vita, impenetrabili e insostenibili per te. Me ne hai fatte davvero di tutte i colori: ogni litigata, ogni odioso sguardo truce e altri vari aneddoti che ricorderai meglio di me; sono tutte cose alla quale non rinuncerei per nulla al mondo. Ogni singolo sguardo, ogni momento con te, voglio che vivi in me e che resti per sempre parte di me. Poche volte ti ho vista felice, ma quelle mi sono bastate e speravo di poterne vederne altre. Sei davvero la cosa più strana e inaspettata che mi sia mai capitata e non sai quante volte avrei voluto abbracciarti solo per sentire che eri li, altre invece avrei voluto strangolarti per la tua testardaggine, per i tuoi comportamenti indifferenti eppure sono forse le cose che mi fatto diventare matto; Più di quello che ero già prima, terribilmente fuori di testa. Si può descrive solo così una persona che perda la testa per una ragazza così ostinata. Un giorno qualcuno mi ha detto che tra te e me c’èra più di quello che vedevamo, diceva che avevamo un filo che in qualche modo rendeva le nostre differenze un’unica cosa; inizialmente non capì, rimasi piuttosto perplesso, ma sai credo di averlo trovato quel filo e non lo lascerò per nulla al mondo.”

Tra tosse e voce roca sembrava quasi incomprensibile, ma capisco ogni singola parola. Capisco dove vuole arrivare, ma non voglio che lo dice perché sarà ancora più difficile poi pensare a salvarlo. Non voglio che lo dica ora, non voglio che sia l’ultima cos che mi dirà.

Continuavo a fissarlo e osservare quella sua luce che sembra per spegnersi. Piangevo davvero tanto; tutta la mia disperazione era nello scorrere di quelle lacrime.

“tutto questo è per dirti che mi sono innamorato Rachel, di una delle persone più forti del mondo e quella ragazza così tosta ora mi sta guardando e sta piangendo, l’ultima cosa che vorrei vedere, perchè mi si stringe il cuore. Vorrei che mi facesse un bel sorriso, uno di quello che avrei voluto dargli io.”

Senza pensarci feci la prima cosa che mi venne in mente. Era più un volere represso che un gesto istintivo, ma lo feci. Mi avvicinai e scontrai le mie labbra con le sue per poi iniziare un mescolarsi di emozioni: felicità, rabbia, dolore; tanto dolore. Mi sembrava di tremare, oppure era lui; sta di fatto che appena mi staccai per riprendere fiato lui mi riprese a se e ricomincio la danza ed io mi sentì leggera e felice, per un quarto di secondo sembrava tutto perfetto e felice. Il sangue non c’era più, le voci erano svanite, il mondo era un bel posto. La morte non fa più paura e l’amore esiste davvero e lo sto vivendo io.

Poi tutto smette. Il vetro si spezza e Gar perde i sensi e uno sparo ci schiva entrambi; alzo lo sguardo e vedo Tara a terra e Trevor con diverse ferite al volto che punta il mirino su di me. Anzi su Garfield, ma io mi sporgo in avanti per proteggerlo.

Carica e preme il grilletto e tutto si ferma. Non accade nulla.

Solo il rumore delle sirene di un’ambulanza sembrano riavviare il tempo. Per il resto resto ferma a fissarlo e lui fa lo stesso con me: capelli arruffati, vestiti spiegazzati, la faccia piena di dolore e pazzia. Una follia bruciante brilla nelle sue pozze e chissà quali malati pensieri stavano invadendo la sua testa, ma di tutto questo una cosa spiccava più del resto ed era la paura.

Allora capì: non aveva più colpi, lui era stremato ed io ero pronta a lanciarmi per finirlo, per fargli provare quello che ha fatto a me. Dopo una vita lo avevo in pugno. Dopo una vita potevo essere io quella a scegliere il destino dell’altro. Potevo decidere se farlo fuori o risparmiarlo; sarebbe stato facile, basterebbe alzarsi, raggiungerlo e pugnalarlo con l’arma di mio nonno e finalmente tutti avrebbero avuto vendetta: mia madre avrebbe avuto vendetta.

Non dovrei più scappare, non dovrei preoccuparmi più di nulla, perché lui sarebbe morto.

Poi sento la mano di Gar afferrare la mia.

Era il momento di scegliere: la vendetta o la vita?

La scelta mi è parsa subito chiara


 

-


 

-


 

-


 

Circa dall’altra parte della città, nel distretto 9 si era scatenato un putiferio.

Daniel Cartis, geniale ed incompreso addetto alle pulizie del locale aveva appena infranto circa sette leggi del codice del buon inserviente per sua spontanea iniziativa.

Nel distretto 9 non arrivavano più chiamate come quella da circa tre mesi, quindi nessuno poliziotto di turno si era minimamente occupato di alzare la cornetta dopo il terzo ed insistente squillo.

Forse era proprio per questo motivo che il tasso di criminalità continua ad alzarsi; nessuno mostra un minimo di vero interesse per il crimine. Se solo Daniel fosse riuscito a passare quel dannato test dal cardiologo, qui le cose andrebbero molto diversamente.

Insomma, il quasi quarantenne frustrato e stanco decide di alzare la cornetta, prima di svuotare il cestino di fianco alla scrivania del cretino ed inaffidabile James McQueen: ogni giorno tutti si chiedono, come caspita abbia fatto a passare tutte la dure prove per entrare nel corpo della polizia; poi si ricordano dello zio ricco e amico del presidente e perdono sempre un po' di speranza nel mondo.

Non appena Cartis alza la cornetta capisce che la sua vita sta per cambiare.

“l’apice del crimine organizzato in questo momento si trova alla Trigon Incorporation; fate presto”

Come è iniziata la telefonata si conclude.

Il tempo di spiegare ai suoi superiori l’accaduto e subito l’edificio scoppia in allarme. Se era quello che il direttore si immaginava sarebbero finalmente riusciti ad incastrare il capo e il conducente del crimine che da anni controllava Jump City. Non c’era tempo per verificare la veridicità delle informazioni, la tempestività era essenziale e nel caso sarebbero riusciti a tracciare il numero dell’informatore.

In meno di dieci minuti circa sette macchine, ciascuna con due poliziotti armati all’interno, sfrecciavano per le strade allarmando i cittadini che già seguivano le sirene, lanciando le più varie ipotesi.

Arrivati al luogo indicati Lisa Rogers (capo del distretto) si rende conto della gravità della situazione. Appena entrati nell’edificio c’era il caos più totale: uomini stremati a terra, ma vivi, la segretaria all’entrata era terrorizzata, immobile con le lacrime agli occhi e nessuno capiva per quale ragione non avessero avvertito prima il loro distretto. Lisa da ordine ad uno dei suoi uomini di chiamare il 911 e con una scorta di altri quattro agenti procede a controllare l’edificio. L’ascensore era fuori uso, ma non c’era tempo per aspettare il tecnico, quindi usarono le scale di servizio; considerando che già gli anni precedenti si sospettava che questa fosse la base della mafia locale già altri avevano ottenuto un mandato per verificare la teoria, ma non si era mai scoperto nulla. Tutto pulito, tutto in regola, non c’era una fattura fuori posto, ed era proprio questo che accresceva i sospetti, ma nessuno aveva intenzione di rimetterci la faccia.

La signorina Rogers non era mai stata presa sul serio quando insisteva sul voler ricontrollare di persona; dava la caccia a quest’uomo da quando era entrata in servizio, convinta che ci fosse qualcosa che fosse stato tralasciato. Qualcosa come i piani inferiori dell’edificio, dichiarati inagibili per manutenzione.

Fù proprio quella la strada che prese la donna, nonostante i timori dei suoi uomini.

Perlustrò da cima a fondo ogni piano e in ogni uno si presentava sempre lo stesso scenario: uomini feriti, fori di proiettili ovunque; molti parlavano di una guerra tra famiglie, ma Lisa conosceva bene il soggetto e sapeva che se Trevor avesse voluto dare inizio ad una battaglia non l’avrebbe iniziata sicuramente in casa sua.

Passata più di un’ora e mezza le ricerche continuavano con più insistenza: erano riusciti a trovare il vero ufficio del boss, ma non c’erano prove o tracce di lui da nessuna parte, solo un uomo svenuto a terra con un grosso livido sulla faccia. I medici hanno detto che non era nulla di grave e che appena si riprenderà chiameranno il loro distretto.

Per il resto nulla; a parte un gran disordine, nell’edificio non c’era nessuno. La frustrazione era tanta, ma quantomeno si aveva un inizio. Almeno ora potrà dimostrare che in effetti qualcosa sotto quell’azienda c’era e sicuramente nulla di bello; che le sue accuse non erano campate per aria e potrà iniziare ad indagare seriamente sul caso.

Si trovava di nuovo nello studio di Roth, voleva trovare qualcosa da cui iniziare, qualche prova, qualche documento fuori posto, qualche nome. Credeva di essere sola e dopo la quinta perlustrazione della libreria (principale oggetto della stanza) si lascia andare ad un sonoro sbuffo.

“trovato nulla?”

Daniel Cartis (nei panni di un’agente qualsiasi e agli occhi del diretto null’altro che quello) era davanti alla porta, ance lui con le stesse intenzioni del caporale.

“sembra tutto in ordine; non c’è neanche un nome da cui iniziare”

Si avvicina la libreria e inizia a leggere i titoli dei fascicolatori.

“Trevor Roth non è sicuramente tipo da mettere i suoi affari alla luce del sole; a lui piace giocare e sentirsi superiore e vuole dimostrarlo. È un megalomane, ma non di quelli stupidi per questo non lascerebbe mai nulla di importante nel suo ufficio, neanche in quello nascosto, ma in un qualcosa di più simile ad un passaggio segreto”

Lisa pensa a come potrebbero trovare questo nascondiglio se già avevano impiegato cinque anni a trovare l’ufficio vero, ma in effetti forse lo avevano già trovato.

“non nasconderebbe mai delle informazioni importanti dove noi le andremmo a cercare, lui pensa più in grande”

pronunciando queste parole Lisa si allontana dalla libreria ormai convinta che quella sia troppo ovvi. Si guarda intorno; l’ambiente è freddo, neutro, non spira nulla che possa indicare qualcosa della vita del proprietario; non una foto, non un quadro; solo un vaso di ceramica, grigio, con incisioni blu sulla superficie. Perché un boss mafioso, che ha la possibilità di comprarsi vasi di fattura ber più alta, decide di usare come unica decorazione un vaso talmente orribile?

Entrambi si avvicinano al vaso. Daniel lo solleva e la libreria sparisce, al suo posto un grosso varco scavato nella roccia completamente buio. Ci mettono meno di dieci minuti ad arrivare gli aiuti e ancora meno i paramedici, chiamati da Lisa, che davanti a allo spettacolo trovato infondo al tunnel capisce di aver finalmente concluso il caso.

Per il resto della settimana non si farà altro che parlare del nascondiglio nel vero ufficio di uno dei capi delle più grosse organizzazioni mafiose. I cittadini erano confusi e spaventati; come aveva potuto la polizia nascondere delle indagini tanto importanti, e come possono esserci state così tante vittime.

Solo quando il tribunale decretò la pena di Trevor Roth il clima iniziò a cambiare, anche grazie alla scoperta dei tanto agognati documenti nascosti per anni dalla “famiglia” nelle pareti finte della galleria nascosta.


 

Trevor Roth; omicida, ladro, ingannatore e ricattatore.

Pena: ergastolo nella prigione di Rikers Island


 

Quello stesso giorno Jump City perse un fantasma: il cadavere di una ragazza dai capelli color grano fu trovato senza più una goccia di sangue all’interno. Non appariva in nessun registro, non c’erano tracce del suo DNA salvate da alcuna parte, non aveva amici e i vicini della sua ipotetica abitazione dicevano che non vedevano nessuno in quella casa da anni. Era la sconosciuta sulla bocca di tutta la città e protagonista delle più folli storie. Tutti la vedevano come una brava ragazza, con una vita avventurosa, il sogno di ogni adolescente, morta per la propria città. Nessuno si era mai permesso di considerarla diversamente e nessuno di coloro che sapevano la verità avrebbe smentito quelle voce. Solo dopo qualche mese un ragazzo si presentò all’ufficio di Lisa.

“si chiamava Tara ed era un’eroina”


 

Grazie alla morte di Tara si riuscì a fare l’impossibile. Dopo che il caporale e Cartis uscirono dall’edificio un avvocato, Antony Grover, si presento a loro come l’unica possibilità di incastrare Roth e i suoi scagnozzi. Il processo durò sette mesi, nonostante fosse stato catalogato come assoluta priorità, dall’ufficio del procuratore.

La morte di un’innocente fece alzare pesanti accuse su Trevor e suoi alibi furono sventrati dalle grandi abilità dell’avvocato, cui contributo risultò indispensabile. Furono sette mesi impegnativi per tutti, ma alla fine riuscirono ad incastrarlo.

Venne dichiarato colpevole di plurice omicidio: quello di sua moglie Arella Roth e di Tara Markov e di sfruttamento minorile in quanto obbligò la figlia ancora minorenne, Rachel Roth ( la quale non venne mai trovata) ad entrare nei suoi affari e deturpando per sempre il suo equilibrio mentale che la portarono a compire gli omicidi che verranno pagati dal padre in prigione.


 

-


 

-


 

-

i giorni successivi a quello che viene chiamato “il grande giorno” furono molto confusi per Garfield.

Si sveglio in ospedale dopo tre giorni di sonno pesante, e quando aprì gli occhi decise che forse sarebbe stato meglio morire. Il dolore era forte e ovunque; non riusciva a muoversi e tutti i fili che aveva attaccati addosso sembravano risucchiarlo, ma “almeno era vivo”, come disse il suo medico.

I dottori gli avevano raccontato quello che a quanto pare era successo: il mondo era convinto che lui si fosse ritrovato incastrato in un conflitto di interessi tra un potente boss di mafia e un suo complice, le cose si erano complicate e lui stava per diventare una delle vittime, ma grazie all’aiuto di qualcuno che era riuscito a bloccare temporaneamente l’emoraggia e a rianimarlo quando era andato in arresto. Gli hanno anche detto che i suoi amici gli sono stati accanto tutto il tempo e che saranno felici di rivederlo.

Appena gli raccontarono tutto capì che il piano di suo zio aveva funzionato e che Kori era riuscita ad aiutarlo. Finalmente diedero agli altri il permesso di vederlo il suo cuore perse un battito quando non vide entrare Rachel. Era riuscito a resistere, a non chiedere di lei a nessuno dei suoi infermieri di lei sperando che venisse lei, ma così non fu. A dire la verità forse avrebbe preferito non incontrare Victor e gli altri per paura di quello che avrebbero potuto dirgli, tipo che lei era morta, che il suo sacrificio era stato inutile, che non era stato in grado di proteggerla a sufficienza e che non la rivedrà mai più.

Quando i medici lo lasciarono solo con i suoi compagni non fù neanche necessario chiederlo. Kori parlò subito.

“non lo sappiamo Gar”

Gli raccontarono la vera versione dei fatti: lo avevano trovato quasi morto nella grotta e con lui c’era solo Trevor, svenuto, e il cadavere di Tara. Rachel lo aveva salvato da morte certa e prima che la polizia potesse vederla era riuscita a scappare non si sa dove. Avevano provato a parlare con Trevor per farsi dare delle spiegazioni e grazie ad Antony erano riusciti a farsi organizzare un incontro, ma tutto quello che riuscirono a carpirgli fu una stupida metafora: “mamma cervo quando sente l’odore umano sul suo cucciolo scappa e lo lascia a morire”

“pensiamo che abbia cambiato identità”

non c’era più nessuna traccia di Rachel Roth; casa sua venne distrutta da un incendio il giorno dopo la cattura del padre. Restava solo cenere. Cenere e silenzio.

Non parlò molto; anzi, se non gli facevano delle domande Garfield non parlava affatto. Pensava molto però; Tara era morta, Rachel scomparsa, Trevor in prigione e suo zio non lo lasciava un secondo, come i suoi amici. Provavano ad aiutarlo, portandogli di nascosto del cibo vero dal mondo esterno (quello della mensa era immangiabile), ma aveva ancora dei problemi nell’accettare come tutto stava cambiando; eppure era prevedibile, ma aveva preferito sperare che sarebbe andato tutto bene comunque.

Solo quando uscì dall’ospedale, due settimane dopo, iniziò a migliorare il suo umore. Rivide tutti gli amici, rispose alle mille domande di Lucian, riuscì a passare senza problemi l’anno scolastico e la preside gli tolse l’obbligo di continuare il corso di teatro, anche se aveva già deciso di riscriversi l’anno prossimo, forse sperando di ritrovare Rae.

Per tutta l’estate usò i finanziamenti di suo zio, con qui stava iniziando a legare, per cercarla senza ottenere risultati. Rachel aveva lasciato delle tracce false per tutto il paese, probabilmente proprio per evitare che lui la trovasse. Tornò a Jamp city dopo mesi di viaggio, ma non perché si fosse arreso, ma per via della malattia di Antony; peggiorava sempre di più, ma lui visse gli ultimi mesi di vita serenamente, ormai tranquillo di aver chiuso tutti i suoi debiti. Al suo funerale si presentarono poche persone oltre lui: il suo segretario, delle famiglie che aveva aiutato e Lisa Rogers, che per tutta la cerimonia non gli aveva tolto gli occhi di dosso. Alla fine scoprì che la poliziotta voleva informazioni sulla figlia scomparsa di Roth.

“la scuola mi ha detto che eravate nella stessa compagnia di teatro e potrebbe essere importante il suo contributo per scovare gli scagnozzi di suo padre”

Forse fù per la stanchezza o per la disperazione di non saperle rispondere. Gli urlò di tutto, la usò come sfogo personale praticamente; gli rovesciò addosso tutta la sua frustrazione e la fece scappare.

La rivide solo il giorno del verdetto finale, in tribunale, anche se ovviamente non era la persona a cui dava più attenzione. Per tutta l’inchiesta non staccò gli occhi da Trevor e lo stesso fece lui; in quel momento ebbe la possibilità di capire perché Rachel aveva scelto di continuare a vivere sotto il suo comando: Trevor non è un uomo che lascia scappare la gente, lui la lascia andare, ma ti fa solo credere di essere libero, in realtà tu fai solo finta di credere che quel suo sguardo vuoto non ti possa scovare ovunque. In quel momento ogni cellula del suo corpo gli urlava di saltargli addossi, di fargli patire quello che Rachel ha patito per anni, ma rimase seduto. Il sacrificio di sua figlia non sarà vano.

Gli altri avevano perso la speranza di rincontrarlo quando non videro più il suo nome nell’elenco scolastico. La preside disse loro che tutti i documenti su di lei erano scomparsi, anche quelli cartacei e che la sua iscrizione era stata ritirata da un’email non tracciabile. Nonostante questo Gar non perse mai le speranze di ritrovarla.

Il giorno del diploma andò con gli altri a festeggiare e inseguì una sconosciuta per mezza città convinto che fosse lei. Ovviamente rimase deluso. Passarono la serata a parlare dei vecchi tempi, del “grande giorno” e di Rachel.

“sono sicura che quando sarà pronta ci dirà qualcosa; dopotutto ha ancora l’ FBI alle calcagna”

Il caso della figlia scomparsa dei Roth aveva raggiunto le orecchie dell’organizzazione infatti; ora se ne occupavano lo e alcuni dicono che anche i servizi segreti sono in azione.

Kori e Richard avevano intenzione di sposarsi dopo la laurea, Karen inizierà a lavorare nell’officina del padre, mentre Victor ed io avevamo ottenuto una borsa di studio per la Yale University. Le cose cambiano, la nostra vita andava avanti e speravamo tutti anche la sua.

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** EPILOGO ***


Ci sono sempre dei periodi duri; ci saranno sempre. È una cosa che pensi di sapere, ma che spesso dimentichi e ti abbandoni a te stesso. Se non ci fossero, non avrebbe senso la vita, però. Come si può far nascere una creatura, sapendo di metterla in un mondo monotono e scostante. Le difficoltà sono piccole cose; sono marce in più che ti aiutano a capire cosa vuol dire esistere, un concetto che da sempre ci è estraneo: forse perché odiamo i periodi bui e non sappiamo trarre conclusioni da noi stessi. Chi vive di speranza, vivrà sempre per mezzo dei successi degli altri; che vive di rinunce, avrà sempre rimpianti. Eppure mi ci è voluto così tanto tempo per capire; troppo e già ne abbiamo davvero poco da sfruttare per stare il meglio possibile con noi stessi. Mi sento trascinare da un gelido spirito di paura, ma avanzo. La folla intorno procede, senza badare a me; è semplicemente ciò che bisogna sempre fare: non saranno brutti momenti o gravi perdite a fermare il mondo per darti il tempo di ripartire. Nessuno ti aspetta o ti aspetterà mai ed era un concetto che mi pareva chiaro, eppure i ci sono voluti cinque anni di stacco e di ripresa per rendere questo concetto vivo dentro di me.

Cinque anni passati a nascondersi, ad avere paura, a piangere e a crearsi una nuova vita; a pensare alla nuova vita che si creeranno gli altri senza di me.

La Norvegia sembrava il posto perfetto; in Europa i nemici di mio padre mi hanno accolto ed aiutato. Sono rimasta lì tre mesi, poi mi sono arrivate notizie di questo ragazzino che cercava una giovane molto simile a me e sono ripartita.


 

Le cose che erano accadute in quel tunnel mi hanno cambiata profondamente. Quando decisi di lasciar scappare Trevor per salvare Garfield avevo anche deciso di allontanarmi da lui per sempre, perché ero spaventata; ero terrorizzata da quello che ero diventata, da quella persona che stava mettendo davvero in analisi l’idea di lasciare morire l’uomo che amava per inseguire un fantasma. Quella ragazza era l’ultima cosa che volevo diventare, era come lui. Allora fermai l’emorragia e rimasi a fissarlo per cinque minuti per assicurarmi che stesse meglio; gli accarezzai i capelli per l’ultima volta e poi scappai senza più guardarmi indietro, tranne per ringraziare Tara, che era già morta.

Solo dopo essere scesa dall’aereo, alla stazione di Oslo scoprì che erano riusciti ad arrestarlo in tempo e che Garfield era vivo.

L’unica cosa che rimpiangevo è stata quella di non aver potuto rivelargli i miei sentimenti. Non potergli dire che finalmente avevo capito che lo amavo mi stringeva il cuore, come l’idea che ora lui avrebbe potuto trovare qualcuno che potesse dargli molto più di quello che gli ho dato io.


 

Non lo chiamai, non chiamai nessuno; troncai tutto e grazie ai miei contatti cancellai completamente ogni prova della mia esistenza e mi creai una nuova identità: Cecilie Bergan, nata ad Oslo e residente a Drammen. Mi creai una storia e tutto funziono perfettamente, finché non mi spostai verso Shikoku.

Altra vita, altra storia, altre bugie, ma lui era ostinato e non si arrendeva e riuscì a trovarmi infatti un mese dopo che mi sistemai nella casa di campagna di un mio vecchio amico giapponese mi arrivarono notizie della sua comparsa all’ aereoporto Tokyo. Ci misi dieci minuti a ripreparare le valige e partì un’altra volta, questa volta più vicino, per essere sicura che lì non mi avrebbe mai cercato: Honolulu.


 

Come previsto non ci furono più suoi avvistamenti e io vivevo nella vecchia tenuta per le vacante di mio nonno: una villetta davanti al mare che mi permetteva di uscire di casa il meno possibile grazie anche all’arrivo di Gregor, un grande amico di famiglia e maggiordomo di fiducia.

Lì trovai la calma e la pace; pensai molto: a quello che era successo, a quello che sarebbe potuto accadere e a cosa avevo intenzione di fare. Le prime risposte mi arrivarono verso la fine del secondo anno di fuga: scappare è uno dei tanti piaceri della vita che gli uomini non si possono permettere, tranne me; il patrimonio lasciatomi mi permetteva di continuare a vivere nell’ombra per tutta la vita, con tutte le comodità e questo mi spaventò molto. Se solo avessi voluto avrei potuto decidere di restare in quel posto magico per sempre, ma la donna che volevo diventare l’avrebbe fatto? La Rachel che avevo lasciato a Jump l’avrebbe fatto? La ragazza che sono ora, lo farebbe?

Da quando capì che in ogni caso la risposta sarebbe stata si mi posi un limite: ancora tre anni, per far calmare le acque, per depistare la CIA. Dovevano essere cinque anni di totale reclusione dal mondo esterno, di riflessione e di decisioni.

Così è stato; capì finalmente che non potevo lasciare anche il mio futuro a Trevor, non potevo farmi condizionare ancora da un uomo ormai i prigione. Non potevo cambiare il passato, ma sicuramente il futuro me lo sarei costruita meglio e lo avrei fatto da sola.


 

La prima cosa che capì di volere nella mia vita furono i miei amici. Volevo un bel lavoro, che mi desse soddisfazioni e qualcuno che mi avrebbe amato per quello che sono ora e per quello che ero.

Magari la scrittrice, pensai.


 

Gregor mi aiutò molto nello studio e nella mie preparazione. Non potevo di certo passare cinque anni senza fare miente e di certo non potevo tornare nel mondo esterno con senza una qualche certificazione.

Così, grazie a degli agganci del mio amico e maggiordomo, riuscì a prendere una Laurea più che rispettabile alla Oxford Univesity di Londra attraverso studio individuale e ad un esaminatore personale che ogni mese veniva con un test diverso. Ovviamente parliamo di un uomo fidato, tenuto sempre sotto stretta sorveglianza. Più difficile fù con la commissione finale alla presentazione della tesi. Lì decisi di rischiare e partì per la sede dell’università prendendo le giuste precauzioni

Lo studio in parte mi aiuto a capire cosa provava ogni giorno una studentessa normale, con una vita normale, con delle ansie normali e problemi … normali.


 

Quando arrivo la conclusione del quinto anni non mi sentì affatto pronta. Avevo paura che tutto potesse ricominciare da capo, che questi sforzi non siano bastati. Poi però pensai a mia madre; in realtà non passava giorno senza che pensassi a lei, ma alla vigilia della mia partenza la sentì particolarmente vicina.

Come sarà riuscita lei ad andare avanti dopo tutto quello che aveva passato? Forse ponendosi un obbiettivo; alla fine non è così che andiamo avanti tutti? Ci poniamo una linea di traguardo per resistere, per darci un’idea di come comportarci o che scelte fare. Forse usare questo trucco sarebbe stato utile anche a me.

Infondo glielo devo; devo vivere come voleva lei, come desideravamo entrambe di fare un giorno e dato che l’ultima cosa che volevo fare era deluderla decisi che avei fatto così: una lista di cose che voglio fare, dei progetti che porranno l’inizio della mia nuova vita.


 

N. 1

- trovare Garfield


 

N.2

- dirgli che lo amo


 

Dissi addio ad Honolulu e partì nove ore dopo che scrissi quella lista. Altre cinque ore e undici minuti e arrivai all’ aereoporto di San Francisco


 

Con la valigia sotto mano, eseguo gli ultimi controlli, arrivando alla fine davanti all’uscita.. Le porte scorrevoli si aprono e la calda aria di giugno mi attraversa i polmoni; rivedo i palazzi e le strade con la quale sono cresciuta. Inspiro a fondo l’aria; è ufficiale: sono a casa.


 

-


 

-


 

-


 

“non mi pare così difficile da capire giovanotto; si chiama segui il copione, ma sopratutto NIENTE improvvisazioni è chiaro?!”


 

Sedicesimo lunedì bloccato all’inferno; non sta andando bene.

Sarà più o meno la settima volta in una settimana che questo nanetto continua a prendersela con me: per l’amor del cielo, sei il proprietario del ristorante e tutto quello che vuoi, ma ti prego smettila di dirmi cosa fare.

Sapete quando fate una cosa un po' fuori dagli schemi, ma con la convinzione che sia quella giusta, cosa che poi risulta essere? Ecco! Più o meno questa è la mia situazione.

Questa specie di pantegana con meno peli mi sta letteralmente mandando fuori di testa perché non seguo gli spartiti che lui stesso mi scrive per intrattenere le cene a lume di candela dei clienti; il problema non è tanto l’idea di non poter suonare liberamente, quanto più quella che i suoi pezzi fanno davvero schifo.

E non sono solo io a pensarlo; per capire se fossi l’unico a trovarli ripugnanti li ho suonati anche a Kori, che poi lo ha fatto sentire a Richard, che lo ha detto a Karen che li ha mandati a Victor. La risposta è stata unanime: fanno cagare!

Sono quattro mesi che lavoro al Galeone, per pagarmi l’affitto in attesa della fine degli studi a Yale. Appena ricevetti la notizia entrai nel panico più totale: il corso di teatro più famoso d’America aveva scelto me;ME!

Fù solo grazie a mio zio se fu effettivamente possibile realizzare questa assurda idea di entrare nella prestigiosa università: si era preso il compito di pagarmi tutte le spese che fortunatamente non furono troppo fuori i suoi schemi grazie alla borsa di studio, ma è stato comunque un aiuto notevole.

Quando se ne andò non mi aspettavo di restarci così male. L’uomo che per gran parte della mia vita mi aveva cresciuto se ne andò verso la fine del mio primo anno di College e lasciò un vuoto gigantesco. Prima di morire mi chiese un favore un favore enorme: di non piangere per la morte di un farabutto come lui. Non riuscì a mantenere la promessa, ma in compenso volli farlo seppellire di fianco alla tomba di mia madre. Per comodità dissi a me stesso, ma sapevo che in quei pochi mesi ero riuscito a scoprire un uomo nuovo. Inoltre non sarei mai stato in grado di ripagare tutto l’aiuto che mi vi aveva dato, cinque anni prima.

Nonostante la cospicua eredità che mi aveva lasciato io decisi di non usarlo finché non sarebbe stato strettamente necessario, quindi sicuramente non ora. Purtroppo.


 

“tu non puoi iniziare a strimpellare quel povero piano ogni volta che ti pare è chiaro? Ne và della mia reputazione e di quella di tutto il ristorante!”


 

La voce roca Larry stava iniziando a darmi sui nervi; non ce la facevo più. Il “pubblico” ha sempre apprezzato molto le mie improvvisazioni senza mai lamentarsi di nulla. L’unico che si lamenta è lui.

Fortunatamente a salvarmi stanno arrivando Victor e Karen; li vedo entrare di sfuggita, in effetti dovevamo vederci per fare un giro prima che iniziasse il mio turno e a quanto pare questo tipo mi sta facendo perdere un sacco di tempo. Appena riesco a vederlo in faccia, mando un segnale di soccorso al mio amico che in risposta mi guarda confuso, chiedendosi cosa dovrebbe fare (ormai siamo quasi telepatici). Io indico con lo sguardo il nano, attento a non farmi beccare e lui guarda Karen sperando che abbia qualche idea. Lei porta in altro gli occhi spazientita, come suo solito e si avvicina a me a al mio datore di lavoro.

“chiedo scusa, potrebbe indicarmi la strada più breve per la biblioteca pubblica; sa io e il mio ragazzo ci siamo persi e ci farebbe tanto piacere poterla visitare”


 

Larry si gira e in insieme a lui cambia completamente personalità diventando quasi gentile ed educato. Si fionda su Karen con occhi languidi non senza suscitare il fastidio del mio migliore amico che riesce ad intimorire il piccoletto grazie ai sui dieci centimetri in più.

Intanto che loro escono per mostrare la strada io me la svigno verso l’uscita sul retro e aggiro il palazzo. Appena vedo che i tre finiscono di parlare mi dirigo verso la coppia ringraziandoli.


 

“oh mia salvatrice cosa farei senza di te? “


 

“sicuramente tardi agli appuntamenti, direi”


 

Ci salutiamo con un affettuoso abbraccio. Saranno sei mesi che non la vedo, al contrario del suo compagni che ormai non sopporto più per via della sua costante presenza. A parte alle lezioni siamo praticamente sempre insieme, alcuni ci hanno scambiato anche per gay, quello però è stato terrificante: eravamo entrambi un po' ubriachi; un po' tanto. Dico solo questo, mai e dico MAI mentire sulla propria eterosessualità in un bar se non sei prima sicuro al cento per cento che non sia un locale pieno di omosessuali. MAI!


 

“per fortuna che non sei neanche lontanamente simile a questa testa vuota”


 

Ribadisco, tanto per divertirmi un po' a prenderlo in giro.


 

“che simpatico; se non fosse per me lei non sarebbe neanche qui, quindi stai attento ragazzino o non te la porto più”


 

Sta cosa di chiamarmi ragazzino mi dà sempre sui nervi. Ho capito che son più basso di lui, ma dai chi è più alto di Victor. Sono 1,87m di pura massa muscolare e inoltre io mi sono anche alzato in questi anni: 1, 70m di fascino assicurato.

In effetti però non ha tutti torti, ora che vivono a più di tre ore di macchina di distanza non è facile per loro vedersi, sopratutto per Vic, che ha ben deciso di entrare in giurisprudenza e “Yale” e “Giurisprudenza”, fanno rima con “un culo della Madonna”. Però c’è da dire che stanno andando alla grande: sono sette anni che stanno insieme e sono quasi più affiatati di prima, si vede che questa relazione andrà a buon fine.

“volete continuare ancora per molto? Io avrei una certa fame e questo buon cavaliere devo offrirmi un doppio cheeseburger”


 

Chissà quale sarà stata la stramba sfida di questa volta? Di solito per allontanarsi dalla noia fanno queste sfide e penso che ora siano a pari-merito. Tutte le volte è uno spettacolo vederli, entrambi così competitivi.


 

“meglio muoversi allora, tra un’ora e mezza io devo tornare a suonare”


 

Prendiamo la strada principale per andare nel solito bar tanto amato dai miei compagni. È un posto accogliente che ho trovato con Victor girando per New Haven e ormai andiamo sempre lì a mangiare o anche solo a scambiare due parole con Eliza, la storica cameriera più esuberante di quel posto. Perché esuberante? Tutti i giorni la vediamo con una tinta diverso e in faccia un trucco abbinato al colore dei capelli; una volta l’abbiamo vista prima che entrasse a cambiarsi con la divisa del bar e aveva addosso una gonfia gonna con un sacco di balze e veli. Bellissima e strana ecco i due aggettivi perfetti.

Per un periodo Vic aveva provato ad organizzarci un appuntamento perché credeva che saremmo stati una bella coppia; quel giorno la presi molto male e appena scoprì tutto andai a dire di tutto al mio amico, forse ferendolo troppo, ma aveva toccato un tasto troppo dolente, troppo vivo, come lo è ora.


 

“ecco i mie tre clienti preferiti!”


 

Karen e Eliza avevano legato molto, nonostante si vedessero molto raramente ed entrambe si perdono sempre a sparlare degli sconosciuti per strada o perfino dei clienti nel locale.


 

“ehi bella! come andiamo”


 

Se Karen non fosse fidanzata vi giuro che a volte sono convinto che queste due potrebbero anche limonarsi all’istante.


 

“guarda chi si decide, finalmente; allora che vi porto oggi?”


 

“metti tutto nel conto del mio uomo, oggi offre lui!”


 

Vedo la faccia del moro sbiancare completamente a quella affermazione, provocando in me una del tutto giustificata risatina.


 

“come prego?!”


 

“finalmente un vero cavaliere, io te l’ho sempre detto che hai pescato il pesce giusto”


 

Mangiammo in modo più animato del solito, ma con Eliza e Karen insieme non si poteva fare altrimenti. Quelle due da sole facevano un baccano terrificante e pensare che all’inizio si odiavano. Una era gelosa del fatto che El passasse più tempo di lei con Vic e l’altra trovava insopportabile quella costante autorità che la riccia emana, poi un bel giorno decisero di allearsi e per noi non c’è più stata vita.

Dopo aver sborsato completamente il portafoglio del neo-avvocato lasciammo il locale e mentre Karen andava a prendere il furgone per accompagnare il fidanzato a casa, questo mi accompagna al Galeone.


 

“hai sentito l’ultima?”


 

“no, che è successo?”


 

“a quanto pare il nostro Richard, dopo due anni, ha trovato il coraggio e ha fatto la proposta a Kori”

il mio amico progettava da un sacco di tempo di fare la richiesta ufficiale alla rossa, ma tutte le volte succedeva qualche imprevisto o lui aveva un attacco di panico improvviso, che poi mi chiedo mi chiedo, per quale motivo? Kori pende dalle sue labbra come lui fa con lei, quindi di che dovrebbe aver paura?


 

“era anche l’ora!”


 

“penso che presto potrei provarci anche io sai? Non dico il matrimonio, Karen è contraria, ma pensavo alla convivenza; magari dopo gli studi potrei trovarmi qualcosa a Jump City”


 

“è fantastico vedere che perfino tu ti stai sistemando; poni delle speranze anche per i più disperata”


 

Sono felice che il mio amicone abbia deciso finalmente di compire un passo concreto, confesso che credo che Karen aspettasse da un po' una decisione simile, ma non ha mai professato parola per non deconcentrarlo dagli studi e questo oltre che giusto è stato anche molto coraggioso da parte sua. Le relazioni a distanza sono in generale un atto di coraggio, per la maggiore delle volte stupido, ma non per casi eccezionali come loro o chissà chi altri nella terra.


 

“sai qual’è l’unica cosa che mi blocca?”


 

mi fermo sul marciapiede, un po' più avanti di dove si è fermato anche Vic; so a cosa vuole arrivare, lo sapevo che prima o poi questa domanda sarebbe arrivata.


 

“non devi preoccuparti per me Victor, so badare a me stesso”


 

Per questi lunghi anni hanno evitato sempre di parlarne o quanto meno abbiamo affrontato il discorso molto alla leggere qualche mese dopo l’accaduto, ma nulla di più. Penso che l’abbiano fatto per me. Nonostante l’abbiano pianta a lungo a un certo punto si sono tutti rialzati e ora stanno andando avanti. Io non sono arrivato neanche alla parte delle lacrime, perché dentro di me ho sempre avuto questa sensazione insistente, che continuava a dirmi di continuare a cercare, lei non era lontana, che c’è ancora e ha bisogno di me. Dopo l’ennesimo fallimento in Giappone era arrivato l’inizio dei corsi così mi ripromisi che dopo il diploma sarei tornato a cercarla, ma credo questo potrebbe creare soltanto più dolore ai miei più grandi amici.


 

“invece mi preoccupo; mi preoccupo perché sono passati cinque anni e non ti ho mai visto versare una lacrima, cinque anni dove sei rimasto da solo e nessuna ragazza sembrava suscitare il tuo interesse, cinque anni dove non mi hai mai detto come stavi o cosa volevi fare, dove pur di non fare il terzo in comodo ti fingevi malato o lavoravi in extra. Non mi hai mai detto se ti manca o se avessi bisogno di aiuto ed è questo che mi spaventa di più Gar. Non voglio lasciarti solo sapendo che tu per primo non vuoi altro che continuare a restare da solo”


 

La sua preoccupazione era comprensibile; dopo essere rimasto solo praticamente gran parte della mia vita, senza genitori, non vuole che possa ritornare il ragazzino sempre nei guai di tempo, solo che stavolta non siamo più al liceo.

Ma se c’è una cosa che più mi ferirebbe di gran lunga di più è vivere sapendo che di aver strappato le ali alle persone che mi stanno accanto


 

“non ho bisogno di tutte queste cose per stare bene Vic”

in parte era vero; non volevo versare una lacrima e anche solo provare dolore perché avrebbe significato che lei se ne fosse andata per davvero e io non dovevo accettarlo. Perché se c’è qualcuno che può trovarla sono io; Devo essere io. Non riuscì mai a, come dice Vic, rifarmi una vita. Sarebbe stato troppo.


 

“non ho bisogno della tua preoccupazione, dei tuoi rimproveri e tanto meno della tua compagnia. Se vuoi sentirti dire grazie, non lo farò perché è stata una tua scelta quella di dividerci l’affitto quindi sei liberissimo di andartene quando vuoi”


 

le parole mi uscivano dalla bocca come se fossero rimaste incastrate lì da tempo. Non è quello che penso veramente, ma è quello che mi ero sempre imposto di dirgli da anni per mandarlo via.


 

“fare lo stronzo non mi renderà più facile lasciarti”


 

Mi volto verso di lui cercando di adoperare tutte le cose che Rachel mi aveva insegnato senza saperlo: per allontanare le persone a cui vuoi bene devi essere disposto a farti odiare da queste e per farlo devi essere atroce, limpido e senza pietà.


 

“ma aiuterà me a liberarmi di te”

Lo vedo avvampare e mi viene incontro con lunghe falcate che sembravano far tremare il terreno. Mi tira su per il colletto della camici alzandomi di qualche centimetro da terra, ma tengo lo sguardo alto senza farmi intimidire.


 

“piantala di fare come lei cretino e prova a parlarne. Smettila di fare il vigliacco e trova almeno il coraggio di pronunciare il suo nome! Pensi che non ce ne siamo accorti!”


 

Stringe ancora di più la presa, mentre io non so più cosa fare, quindi il silenzio diventa la mia soluzione, come lo è stata per cinque anni.

 

“Allora Gar, come si chiamava? Te ne sei già dimenticato?


 

“non ti permettere nemmeno di pensarlo!”


 

Colto dalla rabbia inizio a ribollire. Come se potessi davvero esserne in grado, come se una cosa del genere fosse davvero possibile. Provare anche solo ad insinuare che io mi sia dimenticato di lei, dei suoi occhi, delle sue labbra … il mio ultimo ricordo-


 

“allora dillo!”


 

resto a fissarlo per qualche minuto finché quella parola non arriva al palato, pronta ad uscire, dopo tanto tempo


 

“dillo!”

mi strattona ancora e a quel punto io cedo definitivamente.


 

“Rachel! Si chiama Rachel! Porta i capelli neri fino alle spalle, ha gli occhi di uno strano colore viola, un tatuaggio sulla schiena ed è la ragazza più bella che abbia mai visto. Me ne sono innamorato cinque anni fa e quando glielo detto lei è scappata. Mi ha salvato la vita e poi è scappata, lasciando me, noi, qui a chiederci ogni giorno se fosse viva o meno, a chiederci se dovessimo andare anche al suo di funerale o se dovessimo iniziare a cercarla. Lei è la ragazza che ci ha abbandonato per salvarci la vita e forse si, è stato un gesto egoista da parte sua, ma lo ha fatto per noi. È la ragazza che ha perso tutto e non lo ha mai fatto capire; è quella che dopo aver perso la madre ha deciso di prendere in mano la sua vita e affrontare i suoi demoni senza chiedere aiuto a nessuno. Forse è stato proprio questo il suo errore più grande, l’agire nell’ombra senza dire a nessuno nulla, così facendo ha costretto anche noi ad agire nell’ombra portandoci ad aiutare Arella ad organizzare il suo suicidio e rinchiudendo suo padre in prigione”


 

Quelle parole mi uscirono di bocca come un fiume in piena, così feroci da farmi star male; così vere da farmi lacrimare.


 

“Rachel mi sta facendo stare così male, mi sta facendo provare un dolore così grande che non sono neanche in grado di parlarne normalmente con il mio migliore amico, ma so che lo ha fatto solo per assicurarsi che potessimo rifarci una vita anche senza di lei. La conosco abbastanza da dire che ne sarebbe capace e voglio essere io quello che quando la rincontrerà le dirà quanto male ci ha fatto stare e che il suo sacrificio è stato inutile. Perchè se c’è una cosa peggiore della morte è proprio l’idea di vivere con la consapevolezza che la persona che più ami al mondo ti stia lontano perché non sei stato in grado di proteggerla o perché non hai fatto altre che peggiorare solo la situazione”


 

Quelle parole mi venivano dritte dallo stomaco. Non dal cuore. Era così liberatorio poter urlare finalmente quello che per anni mi passava per la testa e non dirlo a nessuno stava rischiando di farmi impazzire; eppure non riesco ad esserne felice. Non riesco a non pensare a quanto patetico sono stato per tutto questo tempo, perché ho fatto esattamente quello che ha fatto Rachel per tutta la sua vita: tenersi tutto dentro fino a scoppiare. Eppure ero sempre io quello che le raccomandava di non farlo, di sentirsi libera di parlare e sfogarsi liberamente. La sola differenza è che lei aveva un buon motivo per non farlo.


 

“Gar lo sai che non è vero; abbiamo fatto il possibile per lei e se le cose sono andate così e non possiamo farci nulla”


 

Il suo sguardo preoccupato mi perforava come una lama fredda continua a infilarsi, nel mio corpo, perforando la pelle e gli organi lasciando una sensazione di gelo al suo interno. Lo sguardo di chi sta cercando di capirti, di chi sta cercando di aiutarti, forse peggiorando solo la situazione.


 

“ e se ci fosse stata un’altra soluzione?”


 

la domanda arriva letale alle orecchie del mio interlocutore e lo lascia un po' basito. Che davvero non ci abbia mai pensato? Sono davvero stato l’unico che continuava a torturarsi con questa faccenda?


 

“Garfiel se ti riferisci alla faccenda di Arella ti ricordo che è stata lei a volerlo, che è stata lei che ci ha assicurato che non ci fosse altra scelta”

“non parlo solo di quello Vic, ma di tutto! Abbiamo fatto davvero bene ad impicciarci, a costringerla a cambiare completamente la sua vita. Va bene, quella non la potevi chiamare vita, ma se c’è qualcuno che poteva affrontare una situazione del genere era Rachel e magari sarebbe riuscita a fare meno danni. Hai mai pensato che magari il nostro intervento le ha creato solo più casini?”


 

Resta in silenzio per qualche secondo, a riflettere sulle parole del biondo. Passarono dieci minuti, forse anche di più in totale silenzio. Victor si era chiesto queste stesse cose solo una volta: quando la bara della madre della sua amica venne calata vicino a quel salice; solo che lui ne parlò subito con Dick sperando di non essere l’unico ad avere dei risentimenti. Quello che gli disse il moro cancello qualsiasi suo dubbio, lasciandogli solo un po' di amaro in bocca capendo i suoi errori di giudizio. Decise che era il momento di adoperare le parole del suo amico più saggio.


 

“se pensi che Rachel sia così forte ti sbagli di grosso biondino; lei è solo molto brava a fingere, ma penso che tu sappia meglio di me quanto in realtà necessiti di aiuto.”


 

Si ferma un attimo per lasciare assimilare le sua parole in modo tale da assicurarsi che il ragazzo resti attento e che comprenda.

“se pensi che lei fosse in grado di risolvere la situazione, che il nostro sia stato solo un impiccio e che avremmo fatto meglio a starcene in disparte allora io non sto parlando con Garfield Mark Logan, ma con Rachel Roth”


 

Ora gli occhi azzurri erano fissi con i suoi e sebbene tentasse di nascondere il più possibile le lacrime che lottavano contro la sua volontà per scendere e bagnare il mondo della sua disperazione, quelle erano già lì a rendere quel ragazzo a prima vista così felice e carismatico un vero bambinone.


 

perchè se una persona non riesce a piangere è debole, se si arrabbia per cose stupide ha bisogno di amore, se mente ha bisogno di un nuovo mondo, se si nasconde ha bisogno di una torcia, se odia ha bisogno della forza e se si perde ha bisogno di un bastone e questi perché non potremmo essere noi? Tu, Kori, Karen,me e Dick; perché non dovrebbe aver bisogno di noi?”


 

Molla il colletto della camicia e si allontana di qualche passo. Un campanellino proveniente dalla tasca del biondo spezza il silenzio, per segnalare che è in ritardo e che deve iniziare a lavorare. Già, sembra che sia sempre tardi per lui.

“devo andare, ci vediamo”


 

Anche il moro si gira per tornare dalla sua fidanzata, entrambi prendono strade opposte, ma con gli stessi pensieri per la testa.


 

-


 

-


 

-


 


 

“signorina Rachel è sicura di stare comodo nel sedile posteriore”


 

“Anna ti ho già detto che sto benissimo e che ora devi chiamarmi soltanto Rachel, ormai non lavori più per noi da tempo, lascia stare le formalità”


 

Eravamo in viaggio da circa due orette buone, e questa era più o meno la decima volta che mi faceva la stessa domanda. Questa donna sembrava essere l’unica cosa ancora a me cara rimasta della sua vecchia vita e sebbene gliene avessi fatte passare di tutti i colori era ancora disponibile e pronta ad aiutarla; tanto che lei e il suo garbato marito ( di cui non conoscevo neanche l’esistenza) mi hanno obbligata a stare da loro finchè non avessi trovato un posto fisso in cui stare, nel Naw Jersey, a Toms River; dopo essere atterrata al aereoporto stetti per qualche giorno in un Hotel lì vicino il tempo per potermi organizzare e lì beccai per puro caso lungo la spiaggia. Non ci fù modo di convincerli a fare diversamente così mi fecero rifare le valige per poi ridisfarle a casa loro, nella camera del figlio, ora il Florida. Questa sera hanno voluto portarmi a cena in un locale di alta classe per festeggiare, ma anche in questo mi sento più in obbligo che altro. Diciamo quindi che la mia prima settimana di nuovo negli Stati Uniti l’ho passata a fare avanti e indietro.

Ovviamente avrei pagato io il conto, non voglio fare la parte della sanguisuga e mi sono assicurata che il mio primo libro fosse già stato inviato ad un editore che sembrava molto interessato: con quello che avrei guadagnato comprerò un appartamento a San Francisco. Per sicurezza sono anche riuscita a farmi prendere come allenatrice di karate in una palestra nel caso le cose con il libro non andassero bene.

Eppure, nonostante fosse passato così tanto tempo, lei continuava a trattarmi come il suo capo e non voglio assolutamente che si senta abituata ad avere riguardo anche a casa sua.


 

“va bene signorina, farò del mio meglio”

vidi il suo tenero sorriso dallo specchietto e ricambiai con affetto. Questa donna mi ricorda tanto mia madre, ma non saprei quanto riuscirei ad accettare il fatto di trattarla come tale; di Arella ce ne è una sola e non sarà mai sostituibile.


 

“piuttosto ha avvisato i suoi amici del suo ritorno? Erano molto in pensiero”


 

Con imbarazzo annui, sentendo di nuovo un peso al cuore; ovviamente non era ancora riuscita ad avvisare nessuno, le mancavano le forze e non sapeva quale sarebbe stata la loro reazione se mai lo avessero scoperto. Di una cosa era certa però: il primo che lo avrebbe saputo sarebbe stato sicuramente Garfield. Chi più di lui ne aveva il diritto?


 

“mio fratello lavora nella segreteria di Yale, sono sicura che potrebbe aiutarla a trovare i numeri dei suoi amici, se è questo il problema”


 

“tranquilla Anna, sto solo cercando il momento giusto”


 

la mancanza di mezzi di comunicazione non era mai stato un problema, era riuscita a localizzarli senza troppi problemi da tempo. No, il vero ostacolo era la paura, era lei che metteva sempre i bastoni fra le ruote. Aveva il terrore della loro reazione, aveva paura che le cose non sarebbero mai state come prima o che peggio, avessero avuto dei ripensamenti. Sebbene ci avesse pensato parecchio alla fine perfino lei si era resa conto di quanto prezioso fosse stato il loro aiuto.


 

“come vuole signorina”


 

Per il resto del viaggio non si fece che parlare di me. Anna e il suo consorte erano curiosi di sapere cosa avessi combinato per cinque anni; parlai loro dei corsi fuori sede di Oxford, dei miei vari spostamenti (tralasciando ovviamente la parte in cui fuggivo per evitare Gar) e di come il tempo fosse passato lentamente. Già; sembra passata una vita. Però mi era mancato tutto questo: la vita cittadina, il casino dei turisti, la continua sensazione di movimento, di vitalità e il profumo di caffè appena fatto. Alla fine vivere qui significava non stare mai fermo che se la mettiamo a confronto con la mia sedentarietà di qualche settimana prima è un bel cambiamento da affrontare.

Le ore passavano placidamente, ma quando arrivammo a destinazione capì perché quei due erano stati pronti a farsi un viaggio di circa quattro ore solo per una cena. La classe che il Galeone emanava si avvertiva sin dall’esterno e per una volta mi sentì soddisfatta di aver indossato un vestito lungo; ovviamente non bello come quello del mio compleanno, quello l’ho voluto donare insieme a tutti i beni materiali che erano rimasti in quella casa. Volevo ricominciare da capo e farlo nella villetta a Jump City non mi sembrava l’idea migliore.

Questo è molto più semplice, bianco con uno scollo a barca e le due maniche che mi cadono sulle spalle. I capelli corvini sono leggermente arricciati sul fondo. In questi anni avevo deciso di lasciarli crescere liberamente, aspettando di vederli simili a quelli lisci e soffici di mia madre, invece erano più disordinati, più selvaggi.


 

Una musichetta vivace usciva dalla sala, un pianoforte a coda direi.


 

“sei pronta Rachel?”

Annui alla mia amica, che a braccetto con il marito si avviarono verso l’entrata. Erano una bella coppi, molto in sintonia, molto fedeli l’uno all’altra e soprattutto molto innamorati. Poche volte mi trovavo a riflettere sul futuro, ma ultimamente questo avveniva più spesso. Mi chiedevo chi sarei diventata, dove sarei finita, ma più di tutto mi chiedevo con chi. Vedere ora marito e moglie ha fatto tornare a galla quella domanda, mentre una brezza leggera mi portava ad entrare. Forse avrei fatto meglio a prendere quella giacca.


 

Appena entrati un uomo dietro ad un balcone chiese i nomi per il tavolo e ci accompagnò verso il nostro tavolo. Il locale era molto ampio esteso su due piani, di cui uno dava su un terrazzo magnifico. Noi però preferimmo restare dentro, per via dell’aria fresca che tirava, così riuscimmo a farci dare un tavolo al primo piano. Incontrai alcuni vecchi amici della mamma che mi trattennero più a lungo di quanto volessi. Riuscimmo finalmente a sederci, ed eravamo proprio di fianco al piano posto su una pedana che lentamente ruotava per dare a tutto il locale la possibilità si ascoltare le abili mani del pianista posarsi con estrema delicatezza sui tasti, suonando un melodia dolce e rilassante. Ero già stati in molti ristoranti con orchestra, ma per me facevano solo più casino che altro; qui invece sembrava fatto apposta per rilassare gli ospiti e forse era proprio per la bravura dell’artista.

Appena ci sistemammo sul tavolo un cameriere venne a porci il menù; mentre noi signore scegliamo cosa mangiare il marito di Anna concordava sulla scelta del vino. Andammo di bianco partendo già dal presupposto che in posto del genere non si potesse non scegliere una cena a base di pesce.

Appena finì di prendere appunti il ragazzo si riprese i menù per portare il foglio in cucina. Sembravano tutti molto indaffarati e in effetti quasi tutti i tavoli era praticamente occupati.


 

“l’ultima volta che ci siamo venuti c’era un pianista terrificante; sia io che George eravamo d’accordo e lo sembrava anche tutto il resto del ristorante perché la musica era terribile. Sono felice che l’abbiano cambiato”


 

Sorseggia un sorso del vino appena portato e sorride verso il marito; in segno di lo approvazione assaggio anche io: era davvero buono. Nonostante la bella atmosfera continuava ad essere convinta che in ogni caso una normalissima pizza d’ asporto sarebbe stato comunque perfetto; avevo vissuto nel lusso e nello sfarzo per circa tutta la sua vita, di cene simili ne facevo spesso, se non sempre e ora che potevo godermi un po' di vita mondana sembrava che cercassero di impedirmelo. In fondo ero curiosa di conoscere l’arte dell’ arrangiarsi.


 

“ora riesci a goderti il posto molto più dell’ultima volta”


 

“un buon intrattenimento può trasformare una cena disastrosa a un banchetto dei migliori re; saper distrarre la gente per non far notare da banali errori nel cibo è la filosofia di molti chef stellati”


 

I due mi sorridono dolcemente, afferrando al volo la mia opinione su certe abitudini, ma ammetto che non è poi così male. Quanto meno copre un po' del caotico vociare nel locale.


 

“non l’avevo mai vista da questa prospettiva” risponde George portando il braccio dietro alla nuca della moglie.


 

“dopo che queste cose diventano abituali inizi a farti più domande su certe scelte di gestione. Sono abbastanza esperta nel campo”


 

Ora entrambi mi guardano mortificati, ma continua a sorridere per far capire che in realtà è tutto a posto. Se fossi ancora così debole da piangere ogni qualvolta si accenni alla mia vita passata non sarei di certo qui.


 

“posso farti una domanda un po' scomoda Rachel” chiede sempre il compagno del’ ex-cameriera.


 

“prego”


 

“Come mai ha deciso di tornare nonostante le indagini siano ancora fresche?”


 

A quella domanda resto un po' perplessa, un po' me la aspettavo, ma non da lui, non detta così direttamente. Le indagini su di me sono state chiuse da poco in effetti, con il risultato che ora la CIA mi da per morta, ma sono riuscita a risolvere anche quella faccenda.


 

“George ti pare il caso di fare una domanda del genere? Siamo felicissimi che lei sia tornata signorina e sono certa che avrà i suoi motivi per rischiare”


 

Anna lancia uno sguardo minaccioso all’uomo ma io la calmo subito iniziando a parlarne tranquillamente.


 

“non preoccupatevi, ormai le indagini su di me sono chiuse e sono sicura che se sto attenta resteranno tali. E poi ho già fornito alla polizia tutto quello di qui avevano bisogno per l’indagine”


 

In realtà le cose erano andate un po' diversamente: appena scesa dall’aereo sapevo che i servizi segreti mi avrebbero trovata subito, così gli resi il compito più facile e andai io da loro, grazie all’aiuto di un novellino appena abilitato che stato stupido da condurmi da uno dei pezzi grossi. Inutile dire che contrattare non fù affatto facile; pensavo che volessero informazioni sul crimine organizzato o in che tipi di altri affari si occupava mio padre oltre alla mafia, ma le loro richieste furono ben diverse. In cambio della mia libertà dovevo assicurare all’agenzia i miei servigi per qualche missione di spionaggio.


 

“la tua fama ti precede” mi dissero. Dopo un po' di accese discussioni capì che non c’era altro modo. Se volevo una possibilità per ricominciare dovevo cogliere la palla al balzo: accettai, ma con la condizione che le missioni a cui avrei partecipato le avrei fatte da sola e poche volte. Non avevo abbandonato tutto solo per tornare a fare la spia.


 

“speriamo bene allora”


 

Detto questo arrivarono le prime portate. L’odore di mare rendeva il tutto veramente invitante oltre che la bella vista. Anche il gusto era piacevole quindi potevo dirmi soddisfatta: avevo appena trovato l’eccezione alla regole delle mie teorie sui ristoranti con orchestra.

“oh no, ha ricominciato a suonare quel obrobrio”


 

Si lamentò Anna in modo tale che solo il nostro tavolo sentisse. In effetti ora il pianista aveva iniziato a suora qualcosa di … terrificante. Suoni scoordinati, senza senso e senza un minimo di tatto: stava letteralmente stuprando il piano forte rovinando anche il piatto che mi stavo gustando. Se questo qui aveva intenzione di continuare per tutta la serata così, rischio di implodere.

Inoltre eravamo talmente vicini che se avessi voluto avrei potuto prenderlo per la caviglia e trascinarlo giù. La mia stessa idea sembrava avercela avuta anche George, ma probabilmente lui è più civile di me così decide di usare le parole, più che le mani.


 

“ragazzo non è che potresti optare per qualcosa di più … dolce”


 

Il ragazzo, si gira verso la voce misteriosa e sembra sorridergli in modo gentile per scusarsi con il cliente.


 

“mi scusi, ma non sono io che scrivo la scaletta, ma se vuole posso provare”


 

Annuisce con la gratitudine negli occhi, mentre anche il resto del ristorante sembrerebbe apprezzare quella gentile offerta, felice che il trauma uditivo fosse cessato. Intanto io ero molto concentrata su quelli spaghetti allo scoglio e sul tentare di capire chi mi ricordasse quel timbro di voce. Non ero sicura di aver sentito un parlato uguale, ma più qualcosa di molto simile. Ci furono alcuni minuti di silenzio, probabilmente stava provando ad inventarsi qualcosa di decente e tutta la sala era in attesa, tranne me. Giuro, questo piatto era qualcosa di eccezionale e sicuramente mangiato con un sottofondo migliore sarebbe stato il massimo, ma anche il silenzio andava bene.


 

Poi senti delle note familiare, dolci e piene di vita. Continuaì a mangiare tranquillamente cercando di capire perché mi sembrava che il cuore avesse accelerato i battiti; poi delle parole uscirono di bocca del pianista. Erano leggere, silenziose, impossibile da udire tranne a che ero praticamente di fianco a lui, ma quei sospiri mi fecero tornare immediatamente in mente tutto.


 

Parlami di te, dei tuoi silenzi;

dei tuoi occhi che son sempre senza sguardi


 

La pasta mi andò di traverso, costringendomi a prendere un grande sorso di vino (l’unica bevanda a tavola al momento) e tossisco due o tre volte per la sorpresa. Non poteva essere quella canzone.


 

“Rachel stai bene? Hai bisogno di un po' d’acqua?”


 

Chiede Anna, forse con un tono di voce troppo alto per lo spavento, ma non sufficiente per me perché ero troppo impegnata a tentare di respirare e a cercare di scorgere il viso del suonatore. Fù invece esaustivo come tono, per far si che anche il ragazzo la sentisse chiamarmi in quel modo e se i miei sospetti erano fondati era questa la giustificazione da dare alla brusca interruzione della musica nella sala. Se solo questa cacchio di pedana si muovesse.


 

-


 

-


 

-


 

Non fù necessario aspettare il macchinario però; Garfield si era già alzato di scatto, preso all’improvviso dalla speranza. Aveva già colto i capelli corvini da quando la ragazza era entrata nella sala, ma era troppo concentrato ad evitare che il suo capo lo scoprisse suonare un pezzo non presente nella scaletta da non essere riuscito a vederla. Poi aveva notato la reazione della misteriosa donna dal vestito color perla, ma solo dopo che la sua compagna aveva quasi urlato il suo nome capì. Quello, era il suo nome e lui interruppe bruscamente la musica per saltare dalla piattaforma con ancora gli occhi sgranati. E finalmente si videro. Faccia a faccia con il loro passato. Uno più scioccato dell’altro, senza parole.

Più bella che mai, solo questo pensava il biondo mentre si avvicina con estrema cautela per non rischiare di dissolvere anche questo sogno, questa visione.

Più grande, con più spigoli sul viso, più alto eppure sempre lui; per Rachel era sempre lui ed era come aver ritrovato qualcosa che si era perso da tanto tempo, come quando non ricordi dove avevi messo una collana dal grande significato e dopo anni, con tre figli e un mutuo da pagare, la trovi per puro caso nell’album dei ricordi. Era come vedere un fantasma, il fantasma più inaspettato che si potessero ritrovare.


 

“Garfield ...”


 

Appena un sussurro uscì dalle labbra della mora, impercettibile, tranne per colui che non sognava altro da tempo. Ben presto la imitò. Pronunciò anche lui quel nome.


 

“Ra- Rae ...”


 

Anche il suo impercettibile, anche il suo chiarissimo alla diretta interessata. Sembrava essersi creata una bolla intorno a loro, sembravano esserci solo loro, di fianco a quel pianoforte. La crudele realtà venne a galla quando Larry decise che era il momento di fare la merda e di distruggere tutto.


 

“Logan, se non torni a suonare giuro che ti detraggo la serata dalla paga”


 

Fanculo Larry! penso il biondo, perso in quei occhi ... oh cacchio quegli occhi finalmente.

E dall’altra parte si stava pensando alla stessa cosa. Stava guardando quel corpo un tempo così familiare e ora pieno di dettagli nuovi; rimpiange di non essere stata presente nel momento in cui quel ragazzino impertinente era diventato un adulto, un uomo che, se non fosse per i suoi occhi marini, stentava a riconoscere. Anche i capelli erano diversi, più lunghi di come li ricordava, ma gli davano un fascino tutto nuovo, per non parlare della leggera barba che a quanto pare aveva finalmente deciso di crescere. Si rese conto solo dopo che erano già da circa tre minuti che si stavano fissando, per memorizzare ogni singola cosa nuova dell’altro, poi una mano svolazzante davanti al biondo staccò il contatto.


 

“Logan! Sto parlando con te! Ho detto torna a suonare”

Senza pensarci due volte, Garfield decise che si sarebbe appena licenziato, tanto odiava quel lavoro e per lavoro ovviamente si riferiva al suo capo. Sposto con odio quel manigoldo che l’aveva risvegliato dal suo stato di trans e si avvicino con passo veloce verso la ragazza ritrovata, con il fuoco negli occhi e la marcia degna di marins. La prese per un polso, mentre questa sembrava essersi ormai incantata; non una protesta, non un movimento di lotta. Lo seguì senza proferire parola, finché l’aria fresca esterna non le fece venire la pelle d’oca. In quel momento si risvegliò completamente elaborando cosa era effettivamente successo e cosa ora le aspettava: la verità, la paura.

Garfield era riuscito a trovare un posto tranquillo, poco lontano il ristorante e solo dopo decise di lasciare la mano della mora. Avvicinandosi a lei era riuscito anche a percepire il suo odore, quello non era mai mutato era sempre buonissimo e una specie di bomba per i ricordi nella sua testa. Non aveva la più pallida idea di che cosa dire, non sapeva se iniziare il suo discorso ( che aveva provato e riprovato per circa cinque anni ) arrabbiandosi e urlandole addosso tutto quello che gli aveva fatto passare o se iniziare a esplodere di felicità come un cagnolino quando il proprio padrone rientra a casa.

Entrambi, nello stesso istante decisero di non iniziare a parole, di saltare tutta la parte noiosa per un po' e passare all’azione. Si buttarono ciascuno sulle labbra dell’altro, con una foga e una passione tale da scuotere il cielo, non si staccavano neanche per respirare, dovevano recuperare quei lunghi anni senza la presenza dell’altro e entrambi sembravano disposti a morire soffocati nel provarci.

Quando l’aria era ormai finita e l’apnea troppo lunga si staccarono, ma Garfield non era ancora pronto a parlare così iniziò a riempirla di piccoli baci su tutto il viso; baci leggeri che fecero sorridere Rachel e lui subito si fiondo a baciare anche quel sorriso.


 

“sei tu … sei viva … stai bene “


 

Sussurrava due o tre volte le stesse cose, mentre continuava a tenerla stretta e se, così felice, così arrabbiato. Entrambi poggiarono la fronte l’uno attaccata a l’altra, mentre lei giocava con i nuovi capelli, sottili e leggeri come se li ricordava. Morbidi e profumati, era un esplosione di emozioni quella che stava provando, le faceva male il cuore, ma era così felice che si sarebbe anche messa a piangere dalla gioia. Respirava pesantemente, per riprendere aria e lasciarsi cullare da quelle braccia.


 

“sono terribilmente arrabbiato con te”


 

Garfield non riuscì a trattenersi un sorriso mentre lo diceva, perche finalmente poteva dirgli tutto. Poteva parlare di nuovo con lei.


 

“lo so e sono pronta”


 

Risponde Rachel guardandolo in modo più serio ora. Aveva appena avuto la conferma che le era mancata, ma ora doveva capire se la voleva nella sua nuova vita, se non avesse trovato qualcun’ altro, se avesse rimpianti, ma si era preparata ad incassare tutto e dato che sapeva che lui non avrebbe smesso di parlare finche non le avrebbe davvero urlato di tutto; avrebbe aspettato.


 

“sei andata via, per cinque anni Rachel! Cinque anni! Sai quanto tempo è?! un’infinità! E ogni singolo giorno non ho fatto altro che pensare a te: mi chiedevo dove fossi, se fossi ancora viva, con chi eri, perché non chiamavi, perché non scrivevi neanche un messaggio per farci capire come stavi!”


 

Prese un profondo respiro pronto ad andare avanti mentre Rachel si appuntava le risposte mentalmente.

“mi hai, anzi ci hai fatto passare cinque anni d’inferno lo capisci vero?! Perchè non sapevamo più cosa fare: se saresti tornata tu o se dovessimo cercarti noi e abbiamo praticamente perseguitato la tua cameriera per farci dire qualche informazione, ma nessuno sapeva nulla. Eri sparita e io sono andato in giro per il mondo, alla cieca per cercarti, perché in parte sono ancora convinto che tu sia andata via per colpa mia, per via di quello che è successo nella grotta e che non avevi più intenzione di vedermi. Così sono praticamente entrato in depressione e uscivo poco, studiavo tanto e c’era l’ansia per gli esami perché Yale non è facile e poi Victor che cercava di trovarmi una fidanzata e poi quella volta nel pub per Gay, ma io … no, no, io ...”


 

Inizia a blaterale parole senza senso, parla di cose scollegate ed è ormai diventato una macchinetta che non riusciva più a fermarsi. Alcune frasi non avevano proprio senso logico, ma Rachel decise comunque di lasciarlo parlare, perché magari sarebbe arrivato a qualche nota cruciale o semplicemente per lasciarlo sfogare tranquillamente.


 

“insomma quello che cerco di dirti è che ora ho una paura tremenda di risvegliarmi in casa mia e di aver sognato e trovare una lettera dove mi dicono che hanno trovato il tuo cadavere o che ne so la tua testa in pacco amazon, che … oddio che immagine raccapricciante mi è appena venuta in mente. Comunque, dai hai capito e io sono veramente, infuriato con te ok?! Dovrai darmi delle spiegazioni veramente esaustive per farti perdonare!”


 

Il tono della voce stava aumentando sempre di più e alcuni passanti stavano iniziando a girarsi verso di noi incuriositi, mentre la mora non sapeva se implorare il ragazzo di abbassare i toni o di cacciare gli estranei con occhiatacce. Decise invece di iniziare a dare delle spiegazioni obbligandolo però ad incamminarsi verso l’ignoto per evitare di essere origliati.


 

“ me ne andai appena mi assicurai che la tua emorragia si fosse fermata; sai che avevo la possibilità di vendicarmi?”


 

Mi guardò con gli occhi spalancati, forse sorpreso dell’inizio così diretto. Eppure non desiderava altro;


 

“ma per farlo avrei dovuto lasciarti morire e sai quale è la cosa più terrificante? Ci stavo davvero pensando. Da lì capì che c’era qualcosa che sicuramente non andava in me: prendere anche solo in considerazione l’idea di lasciarti lì a morire per inseguire un fantasma me lo ha fatto capire; avevo bisogno di allontanarmi e di pensare così partì il giorno stesso. Sapevo che mi stavi cercando così continuavo a spostarmi ogni volta che ti avvicinavi, ma non perché non ti volessi più vedere, perché volevo proteggerti. Se mi avessi trovato i servizi segreti o anche solo gli amici di mio padre ti avrebbero scovato e costretto a parlare e credimi per le cose che so, sarebbero disposti ad uccidere. La mia posizione doveva restare segreta e dovevo cancellare ogni mia traccia”


 

Gli disse tutto, dove fosse stata, con chi e che cosa facevo nel mentre. Quando seppe che si trovava addirittura in territorio americano la frustrazione di Garfield crebbe ancor di più. Poi gli parlò di Oxford e dei suoi progetti, mentre entrambi prendevano strade sconosciute, consumando l’asfalto. Il biondo ascoltò tutto senza fiatare, voleva godersi a pieno la sua voce, voleva sapere cosa si era perso in cinque anni e che ragazza era diventata. Trovò nuovi cambiamenti in lei: sorrideva più spesso ad esempio e si creavano delle fossette meravigliose ogni volta. Aveva notato anche che si era alzata un poco, ma gli arrivava comunque alla spalla, aveva un piccolo neo sotto l’orecchio destro e poi non riusciva a smettere di fissare le curve che le evidenziava quel vestito; curve che erano diventate così … adulte. Passò circa un ora e mezza e quando Rechel finì di raccontare decise di aspettare una reazione;


 

“così … Oxford allora; se ti dicessi che quasi me lo aspettavo non ci crederesti”


 

Rachel ammetteva di essere abbastanza confusa, in fondo non sembrava così arrabbiato.


 

“ e poi Honolulu … come mago Merlino”


 

“se ti riferisci a quello di Re Artù lui stava in Inghilterra”


 

“mi riferisco a quello della Disney, dai”


 

Non aveva la più pallida idea di che cosa stesse dicendo. Fino a prova contraria la leggenda parlava chiaro e non c’era alcun accenno alle Hawai, ne era più che certa. Sopratutto non capiva perché stavano parlando di quello. Dove era andato a finire il dovrai darmi delle spiegazioni veramente esaustive di poco fa.


 

“non dirmi che non hai mai visto la versione animata”


 

Garfield era letteralmente a bocca aperta; in che mondo viveva questa ragazza. Insomma: va bene che hai avuto un infanzia non molto … infantile, ma i film della Disney erano un classico, perfino Richard li aveva visti tutti e i suoi veri genitori erano morti quando lui aveva poco più di undici anni. E poi in cinque anni vuoi dire che non hai il tempo di rifarti. Era inaccettabile!


 

“dobbiamo rimediare subito. A casa dovrei avere il DVD”


 

Le prende la mano, di nuovo, e inizia a trascinarla avanti e indietro per la strada alla ricerca di casa sua. Prima che potesse attraversare la strada Rachel decise che voleva assolutamente capire che gli prendeva.


 

“mi spieghi che ti prende?!”


 

Lui si gira verso la ragazza sorridendo impacciato; in effetti non riusciva proprio a capire dove fossero.


 

“Non riuscirò mai ad imparare come orientarmi a New Haven, ma lì vicino c’è un pub dove posso chiedere indicazioni”


 

“non intendevo quello Gar e lo sai bene”


 

Si diciamo che se ne era accorto. Però in fondo che poteva farci, voleva delle spiegazioni e lei gliele ha date e più che esaustive per lui. In realtà gli bastava sapere che lei stesse bene. Però gli era rimasta ancora una domanda, ma aveva una paura tremenda anche solo a pensare di farla.


 

parlami perche ti so ascoltare anche se poi non so che dire; mi hai spiegato tutto Rae e questo mi basta, ma non puoi partire dal presupposto che abbia qualcosa di intelligente da dire, alla fine sono sempre io”


 

Lei lo guardò meravigliata; si era aspettata di dover lasciare che digerisse la cosa qualche giorno, magari settimane per decidere se valeva la pena perdonarla o no, ma a quanto pare, passare così tanto tempo lontano le aveva fatto dimenticare chi era il vero Garfield e di questo le era terribilmente grata.


 

“sai, io e te abbiamo lasciato un discorso in sospeso credo”


 

Lo afferrò per il colletto del completo per avvicinarlo al suo volto e arrivare alla distanza giusta per mordergli il labbro inferiore, facendo entrare il biondo in una dimensione paradisiaca.


 

“davvero?”


 

Fù l’unica cosa che riuscì a borbottare, mentre cercava bisognoso le sue labbra tenendo gli occhi chiusi, senza mai trovarle però.


 

“dove hai detto che abiti?”


 

Le chiese la voce lontana della ragazza, che era riuscita a trovare qualcuno che gli indicasse la strada per la casa del giovane. Lui come un cretino era rimasto lì imbambolato, ma appena la ragazza inizio ad incamminarsi per la strada lui la seguì a ruota. Non ci volle molto ad arrivare sotto il portone, alla fine erano più vicini di quello che sembrava. Victor era rimasto in hotel con Karen, quindi dovette aprire con le sue chiavi, che fortunatamente aveva tenuto nello smoking quella sera, insieme al cellulare: l’unica cosa che doveva ricordare di tornare a prendere erano i suoi vestiti.

Inutile dire che Rachel era stata sollevata non appena il biondo le disse che in casa non c’era nessuno, almeno non avrebbe dovuto passare altre ore a ricordarsi che dolore aveva causato ai suoi amici. Si ripromise però di chiamarli tutti il giorno dopo, ora voleva solo capire cosa si era persa.


 

“è un po' tutto in disordine, ma alla fine cosa ti aspetti da una casa di studenti del college”


 

Sorrise imbarazzato il ragazzo rendendosi conto della situazione della casa. Sicuramente era meglio di come teneva quella a Jump City, grazie ai pochi interventi di Victor nei giorni in cui si trasformava in casalinga, ma comunque migliorabile.


 

“Sarai affamata, in frigo dovrebbe esserci della pizza”


 

Si dirige verso l’ipotetica strada per la cucina, come gli aveva indicato Garfield, che intanto era andato verso quella che sembrava essere camera sua (così diceva la scritta sulla porta), senza avere effettivamente molta fame. Guardandosi intorno non poteva fare a meno di studiare ipotetiche uscite di emergenza, certe abitudini erano dure a sparire. Il vano era piccolo, ma ben organizzato con il piano cucina tutto verso la parete di destra e a sinistra credenza e frigo. Al centro poi un tavolo da quattro posti e le sedie attorno. Una finestra posta sulla parete opposta dell’entrata dava sulla strada, portando con se tutti i rumori della città; il resto della casa non era molto diverso: davanti alla porta d’ingresso un corridoio si interrompeva nel salotto, arredato con un divano, una poltroncina, una televisione di dimensioni generose e una piccola libreria attaccata alla parete delle t.v.

Di lato al salotto c’è il bagno cui attaccato sta la camera di Victor e subito dopo quella di Gar.

Piccolo, ma pieno di sorprese.

Appena finisce di esaminare tutto, il biondo la raggiunge in cucina con in mano un DVD e dei vestiti, probabilmente suoi.


 

“un vestito così bello non può essere usato per occasione del genere, sopratutto se chi lo indossa lo rende ancora più bello”


 

Prende i vestiti dalle mani del ragazzo, dandogli intanto del cretino, mentre si dirige verso il bagno fingendo una calma risoluta. Appena si vide allo specchio con quei vestiti non pote fare a meno di arrossire leggermente. Si lego i capelli in una coda alta e allaccio meglio i pantaloncini larghi e aggiustando la maglia verde scuro che le cadeva larga fino a metà coscia.

Appena uscì lo raggiunse in salotto. Aveva già preparato la postazione, con tanto di birre sul tavolino di fonte al divano.

Prende posto di fianco a lui e senza fiatare iniziano a vedere il film. Nessuno dei due prestava molta attenzione però: lui era troppo concentrato ad ammirare lei che indossava i suoi vestiti, perche cacchio persino vestita in quel modo sembrava la ragazza più bella e eccitante che avesse mai visto. E poi aveva i suoi vestiti.

Lei invece stava cercando il momento migliore per dirgli quello per cui era effettivamente tornata. Quando le mise un braccio dietro la nuca (che mossa prevedibile) capì che non ci sarebbe voluto molto; peccato, il film le stava piacendo particolarmente.


 

“di che discorso parlavi prima?”


 

Le chiese, mentre Merlino stava iniziando a preparare le valige cantando il suo incantesimo. Osservo la ragazza che decise a rispondergli solo dopo che la canzone finì.


 

“si tratta di un filo rosso”


 

Capendo al volo cosa intendeva, perse subito interesse nel respirare, mentre quegli occhi profondi lo scrutavano nell’anima. Di tutto si era aspettato, tranne che fosse davvero lei ad iniziare quel discorso e che un possente schiaffo lo colpisse alla guancia sinistra, provocandogli un dolore lancinante.


 

“punto primo: sei un deficiente! Quella cazzo di pallottola era destinata a me e tu non avresti dovuto interferire. Ti rendo conto che stavi per morire! Cosa volevi fare?! Abbandonarmi anche tu? Costringermi anche tu a vivere per te?!”


 

Garfield cercava le parole per poter ribattere, perchè cacchio sul serio voleva fare quel discorso invece di quell’altro discorso. Dalla bocca però gli uscì solo qualche strano grugnito, non essendosi ancora ripreso dal forte bruciore sulla guancia. Lei riuscì comunque ad intenderlo come una qualche parola e così si alterò ancora di più.


 

“non mi interrompere, prima hai urlato te ed ora urlo io!”


 

Era strano che ora si sentisse così felice di riprovare quel senso di terrore che solo Rachel era in grado di procurargli?


 

“punto secondo!”

Questa volta non arrivò nessuno schiaffo, nessuna urla, solo delle labbra umide che gli erano appena saltate addosso e un profumo inebriante che lo fece impazzire, … di nuovo. Come prima nessuno aveva voglia di respirare, ma solo di intensificare quel contatto e iniziare una danza tutta loro. Appena lei si stacco a forza si accavallò sopra le sue ginocchia e gli prese il viso tra le mani per mantenere il contatto visivo e assicurarsi di dover ripetere quelle parole una seconda volta per farsi capire.


 

“ti amo ance io stupito!”


 

Appena capì effettivamente cosa stava succedendo decise che anche Walt Disney doveva andarsene a quel paese e si butto a capofitto sulle labbra dell’amata, appoggiandola con la schiena sul divano, entrambi con un sorriso da dementi sul viso.


 

“sai di pasta allo scoglio; è stano che mi piaccia così tanto?”


 

In risposta lei gli levò l’utile maglietta e continuando a baciarlo venne a contatto con quella cicatrice. Quella che sarebbe rimasta lì per sempre, testimone di cosa due persone erano disposte a fare amore. Testimone stessa di quell’amore e di quel filo che mai come prima faceva parte di un complesso tessuto di sentimenti che come ragnatele avvolgevano i due. Un intricato casino, ma il più bello del mondo.


 


 


 

Fine...

angolo autrice

salve a tutti o meglio, ciao; ormai possiamo anche darci del tu, soprattutto ora che questa fanfinc è finalmente giunta al termine. che dire ... è stato un parto sia per me che per voi, ma alla fine ci siamo riusciti. tu lettore che mi starai odiando, devi essere orgoglioso di te stesso, perchè sei riuscito a reggere tutti i ritradi, tutte le lunghe attesse e tutte le false speranze.
quesa storia, la mia prima storia, è stata un pezzo importante per me per questi due anni (si perche sono circa passati due anni da quando ho iniziato a pubblicare su EFP); pensare che ero partita con l'idea di creare una cosa completamente diverso, ma sono abbastanza orgogliosa di quello che è uscito e lo sarò di più quando finiro anche di revisionare.
voglio ringraziare tutti i miei lettori, sia quelli attivi che mi riempono il cuore di gioia con le loro recensioni, sia quelli che silenziosi seguono la storia.
per voi nuovi, invece voglio rassicurarvi: non abbiate paura di scrivermi o di darmi le vostre opinioni anche a distanza di anni dalla fine della storia.

spero di cuore di che il finale sia di vostro gradimento e che presto ci potremmo rincontrare, magari in altri generi di storie, magari in altri ambiti, ma state certi che quando sarò pronta tornerò, più carica che mai tra i cataloghi di EFP.

vi auguro ogni bene e buona pasta allo scoglio a tutti.
con affetto
GHENEA.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3468824