un forte battito

di Stillmar
(/viewuser.php?uid=1030609)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** un arrivo inaspettato ***
Capitolo 2: *** Dolce risveglio? ***
Capitolo 3: *** Un nuovo amico ***
Capitolo 4: *** una promessa ***
Capitolo 5: *** arrivo in città ***
Capitolo 6: *** una speranza ***
Capitolo 7: *** un incontro fortuito ***
Capitolo 8: *** il tesoro sepolto ***
Capitolo 9: *** brutte notizie ***
Capitolo 10: *** chi non muore si rivede ***
Capitolo 11: *** una decisione ***
Capitolo 12: *** un attimo di pace ***
Capitolo 13: *** un nuovo giorno ***
Capitolo 14: *** un grande spavento ***



Capitolo 1
*** un arrivo inaspettato ***


PROLOGO
UN ARRIVO INASPETTATO
Un forte battito risuonava nelle sue orecchie, non capiva cosa fosse ma di certo non se lo stava immaginando. Un grido si perse nell’oscurità, correndo tra le fronde e rompendo il placido silenzio della foresta. Come rispondendo ad un richiamo, in quel momento un fulmine solitario squarciò la volta notturna seguito da un violento temporale. L’acqua si abbatté su arbusti ed alberi lavando via tutto ciò che trovò davanti a se. L ’acqua gli alberi e i fulmini erano gli unici testimoni della strana creatura apparsa improvvisamente in quel luogo. Chiunque fosse passato di li sarebbe senz’altro rimasto sorpreso di trovare una così bizzarra sagoma giacere sull’erba bagnata. Si trovò improvvisamente steso per terra non riuscendo a muoversi; ci mise un po’ ad aprire gli occhi e si spaventò credendo di essere diventato cieco, ma in realtà era solo buio. Molto buio. Cercò di muovere una mano, non ci riuscì subito ma non appena ne prese possesso capì che il terreno su cui si trovava era fangoso per la pioggia. Cercò di alzarsi in piedi e solo dopo svariati tentativi ci riuscì; quando i suoi occhi si abituarono all’oscurità si rese conto di trovarsi in mezzo ad un bosco.  Un rantolo di orrore attraversò il suo corpo, si sforzò in tutti i modi di non cedere al panico.   Protese le mani di fronte a se, cercando a tentoni un albero a cui reggersi  ed iniziò ad esaminare il proprio corpo; si sentiva molto dolorante, ogni parte del suo corpo sembrava essere stata percossa con forza, però non era ferito. Si sgranchì gambe e braccia, e si tastò rapidamente i vestiti come a voler verificare l’integrità del proprio corpo. Iniziò a guardarsi intorno ma il buio notturno lo circondava. Fatto ciò cercò di rimettere in ordine i propri pensieri, non sapeva dove fosse e, ora che ci pensava, non ricordava più neanche il suo nome; forse un blocco mentale dovuto alla situazione. Cercò nelle proprie tasche qualunque cosa avesse potuto aiutarlo, si tastò la giacca e i jeans e le uniche cose che trovò furono: un orologio sporco di fango al polso, un accendino  e un portafogli usurato con dentro dei documenti e qualche soldo. Trasse una piccola tessera plastificata, accese l’accendino per fare un po’ di luce e a stento lesse un nome: Jackson West. Una parte della sua mente parve riaccendersi in quel momento, era certo che quello fosse il suo nome. Cercò ancora alla ricerca di una fototessera o altro ma non trovò nulla tranne un piccolo sassolino di forma irregolare nascosto in una tasca del portafogli. Spigoloso ma liscio al tatto, lo fece passare per un po’ tra le dita prima di rimetterlo a posto distrattamente; si appoggiò una mano alla tempia bagnata cercando di ricordare altri dettagli, ma per quanto si sforzasse pareva che l’oscurità nella sua mente fosse ben più fitta di quella che la circondava. Deluso per il fallimento sospirò e passò svariati secondi a osservare le gocce di pioggia che cadevano sul suo bianco palmo  scorrendo pigramente lungo le scheletriche dita e Jackson si abbandonò ad un attimo di pace prima di passare  all’azione. Deciso ad andarsene da quel luogo, tirò su il cappuccio della giacca  per ripararsi ed iniziò a muoversi procedendo piano, flagellato dalla pioggia, inciampando nelle radici con i suoi lunghi piedi; urlò un paio di volte sperando ci fosse qualcuno nelle vicinanze, ma nessuno rispose. Camminò per un tempo incalcolabile, poi improvvisamente il terreno sotto i suoi piedi cambiò, da fangoso e accidentato quale era divenne liscio e gli alberi sparirono. Un lampione isolato illuminava quella che era una strada. Jackson si avvicinò alla tremolante luce del lampione, come una nave alla deriva che durante la tempesta avvista un faro. Il suo cuore si illuminò di speranza; se c’era una strada probabilmente li vicino c’era una città e, una volta arrivato, avrebbe potuto cercare aiuto. Un rumore e un fascio di luce alla sua sinistra lo fecero sussultare: un’auto. Cercò di fermarla ma l’autista non lo notò e proseguì. Il nostro Jack rimase immobile ad osservare l’auto allontanarsi, tirò il fiato ripensando alla propria sfortuna, quando gli balenò alla mente un dettaglio: poco prima che l’auto passasse gli era parso di intravedere per un istante il guidatore, a quel punto l’assurdità della propria situazione gli sembrò un niente in confronto all’idea di aver appena visto una tigre guidare un’auto. Scosse la testa pensando alla propria follia, forse dettata dalla eccessiva stanchezza, tuttavia quel dubbio non abbandonò mai completamente la sua mente. Si appoggiò un momento al lampione cercando di ragionare. Persa quell’auto chissà quanto tempo sarebbe passato prima di vederne un’altra, quella strada non era certo molto trafficata e la pioggia non sembrava essere intenzionata a smettere. Dovendo decidersi in fretta la sola cosa che gli venne in mente fu di cercarsi un riparo dove aspettare il mattino e rimettersi in marcia col favore della luce. Non gli andava l’idea di camminare tutta la notte sotto la pioggia, e poi si sentiva ancora molto indolenzito. Si allontanò dalla strada e, non essendoci un posto migliore, si sistemò come meglio poté in una nicchia ai piedi di un grande albero; ma fece appena in tempo ad appoggiare la testa sul giaciglio asciutto che si addormentò.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Dolce risveglio? ***


Capitolo 1
Dolce risveglio?
 Un forte battito risuonava nelle sue orecchie, non capiva cosa fosse ma di certo non se lo stava immaginando. Il mattino arrivò  come all’improvviso, Jack sbadigliò, aprì gli occhi e molto lentamente si tirò fuori dalla nicchia in cui si era addormentato; ci mise un po’ ad abituarsi alla luce e si stropicciò la faccia con le mani sentendo la barba che gli circondava la bocca e arrivava fino al collo. Una volta in piedi e sveglio si guardò intorno notando come il bosco fosse molto meno spaventoso alla luce del giorno. Solo allora poté rendersi davvero conto dell’ambiente che lo circondava. Una foresta di conifere, nulla al di fuori dell’ordinario, ma di certo non il luogo migliore in cui perdersi. Più i minuti passavano più la situazione sembrava farsi assurda. Ma lo era decisamente di più il fatto che Jack non ricordasse assolutamente nulla prima della sera precedente. La sua memoria pareva essersi resettata e tutto ciò che aveva erano solo le cose che teneva in tasca. Si sforzò di darsi una qualunque spiegazione, non poteva certo essere finito lì per caso. Rapimento? Ma se chiunque lo avesse rapito avesse voluto un riscatto non lo avrebbe certo abbandonato in mezzo agli alberi. Nella mente di Jack andavano formandosi sempre più nuove teorie sempre meno attendibili. Di pari passo con il suo stomaco anche la sua mente sembrava risentire dei morsi della fame. In effetti aveva davvero fame, gli sembrò di non mangiare da giorni e decise pertanto di lasciare i ragionamenti a più tardi e di concentrarsi sull’ andarsene da quel luogo. Fortunatamente non si sentiva più indolenzito e il terreno non era più fangoso, ma queste erano delle ben misere consolazioni. In ogni caso non poteva lasciarsi prendere dal panico, così dopo una breve riflessione decise di raggiungere nuovamente la strada; seguirla fino ad uscire dalla foresta, e una volta fuori cercare aiuto.

Ci mise poco a raggiungere nuovamente la piccola arteria di asfalto; in fondo era contento di avere trovato un seppur esile  collegamento con la civiltà, ma quando vi giunse rimase per un attimo interdetto su dove dirigersi. Lanciò un’occhiata su entrambi i lati della strada chiedendosi da che parte sarebbe stato meglio andare, consapevole che prendere la direzione sbagliata lo avrebbe condotto probabilmente chissà dove. Rimase lì a pensare per un po’ dopodiché decise di tentare la fortuna dirigendosi a sinistra. Jack iniziò a camminare con un grande peso sullo stomaco: non era certo di nulla in quel momento e sperava davvero che quella fosse la direzione giusta. Costeggiò la strada in cerca di qualcuno che potesse aiutarlo almeno a capire dove si trovasse, camminò per alcuni minuti che a lui parvero ore senza incontrare nessuno. Più che altro lo opprimeva il totale silenzio che regnava in quel posto, talmente profondo che perfino i suoi pensieri sembravano essere più rumorosi. Per quanto tendesse l’orecchio non riusciva a sentire nulla tranne i propri passi, gli alberi lo osservavano passare con un che di solenne finché il silenzio non fu rotto da una brezza che scivolò tra le fronde e le scosse. Jackson sentì il vento raggiungerlo ed inspirò a pieni polmoni, sentendosi subito molto meglio. Al suo naso giunse anche un odore come di fiori ed erba bagnata, non aveva idea da dove provenisse, ma fu così inebriante che per poco non gli venne il capogiro. Lanciò uno sguardo al cielo, le nuvole erano spesse e grigie, ma non sembrava stesse per piovere di nuovo: -Deve essere autunno.- pensò. La cosa lo rese solo più nervoso, ma era certo che prima o poi avrebbe incontrato qualcuno. Proseguì provando più volte a urlare per farsi sentire, ma neanche questa volta funzionò; la  sua voce rimbalzava tra le fronde per poi disperdersi nel  fitto del bosco. Di lì a poco però, la vegetazione intorno a lui iniziò a cambiare; gli alberi si fecero più radi ed estesi campi coltivati apparvero a destra e a sinistra. Si ritrovò fuori dal bosco quasi senza accorgersene. La cosa lo rallegrò, ma quel luogo continuava a non dirgli assolutamente niente.

La strada divenne una breve salita e Jackson dovette valicare la piccola collina davanti a sé, ma una volta superato il margine della foresta si ritrovò in un quasi sterminato paesaggio rurale. Dall’altura su cui si trovava aveva un’ottima visuale dei dintorni; la strada continuava simile ad un grosso serpente, adagiata attraverso vaste distese di terra arata ed ancora più lontano una cresta di dolci colline si delineava sopra l’orizzonte. Una leggera nebbia si alzò in quel momento mentre l’uomo continuava a camminare lungo il bordo della strada, gettando ogni tanto delle occhiate dietro di sé sperando nell’eventuale passaggio di una macchina solitaria. Iniziò a sentire bruciore alle gambe, mentre i morsi della fame tornarono a tormentarlo. Ovunque guardasse vedeva solo campi coltivati, ma non c’era traccia di nessuno, autista o contadino che fosse. L’uomo sorrise ripensando ironicamente alla propria sfortuna. Si fermò un momento per tirare il fiato ed osservare meglio l’ambiente circostante e con un gesto quasi involontario si rimise la mano in tasca, iniziando a giocherellare con quello che c’era dentro. Così facendo gli ricapitò in mano lo strano sasso che aveva trovato la scorsa notte. Iniziò a giocarci facendoselo passare tra le dita, poi se lo fece scivolare nel palmo e lo mise controluce per osservarlo meglio. Non era esattamente un sasso ma una specie di minerale. Il colore rossastro era attraversato da delicate venature rosa che risalivano a spirale attorno al cristallo. La forma irregolare e spigolosa appariva stranamente bella. Jack era certo di non aver mai visto nulla del genere e pensò che magari valesse anche qualcosa. Normalmente si sarebbe liberato di un qualcosa a prima vista così insignificante, ma decise comunque di conservarlo; era un oggetto bizzarro e doveva esserci un motivo se gli era finito in tasca. A quel punto il velo di nuvole sopra di lui  si aprì ed  un raggio di sole colpì il piccolo minerale riflettendosi su di esso e facendolo brillare. Jack rimase quasi rapito da quel sasso così curioso, ma quando aguzzò la vista notò oltre la sua mano,  in lontananza, oltre il campo di mais davanti a lui il largo tetto di un fienile.  Subito si strofinò gli occhi credendo fosse un’allucinazione, ma ebbe la conferma che era davvero così, il piccolo quadrato rosso in mezzo ad una distesa di piante altissime si trovava proprio di fronte a lui.  Così vicino eppure appariva lontanissimo. Jackson si sentì in salvo: li vicino avrebbe sicuramente trovato qualcuno a cui chiedere aiuto. Si avvicinò al margine del campo ma poi si rese conto di una cosa: la strada proseguiva in tutt’altra direzione. Probabilmente lo avrebbe condotto attraverso altri campi deserti e Jack di certo non aveva tempo da perdere. Tuttavia il campo davanti a lui era piuttosto grande e non era proprio entusiasta all’idea di attraversarlo ma poiché, se alla fine avesse trovato aiuto ne sarebbe di certo valsa la pena. Così optò per questa seconda opzione. Lanciò un ultimo sguardo alla strada dietro di se poi superò il piccolo fosso che lo separava dal campo e si inoltrò in mezzo alle piante certo ce ne sarebbe uscito di li a poco.

L’uomo prese ad avanzare sul morbido terreno, aprendosi con le braccia un varco tra le piante che gli arrivavano fin sopra la testa; ma pensare al mais gli fece anche ricordare di essere affamato, così si fermò ad esaminare una delle pannocchie che sembrava abbastanza matura, la prese in mano e pensò:- al contadino non dispiacerà se gliene rubo un paio, del resto ho un buon motivo per farlo.- avvicinò la pannocchia alla bocca e staccò alcuni chicchi che risputò immediatamente. Sfortunatamente erano ancora acerbi. Si pulì la bocca ed imprecò rimettendosi in marcia, ma dovunque guardasse non vedeva altro che granoturco una sorta di impenetrabile muro che sembrava intenzionato a tenerlo li per sempre. Intanto il cielo si era nuovamente oscurato e in quel momento una brezza gelida lo raggiunse facendolo tremare; l’uomo strinse a se la giacca malconcia, quanto avrebbe dovuto ancora sopportare prima di uscire da quella situazione? Perso, infreddolito, affamato: -ci manca solo che sia lunedì- pensò. Schiacciò un altro gruppo di piante davanti a se incespicando tra le foglie mentre cercava in tutti i modi di non perdere l’orientamento. Quel posto sembrava un vero e proprio labirinto. Continuò a procedere superando un piccolo fossato. Si sentì quasi come un vero avventuriero perso in mezzo alla giungla alla ricerca di chissà quale manufatto. Una giungla decisamente meno pericolosa di quella che immaginava, ma per lui bastava e avanzava. Pur avendo perso la memoria sapeva in cuor suo di non essere tagliato per le avventure pericolose. Il cielo si scurì ulteriormente in quell’ istante. Jack si fermò per guardarsi intorno, quando una fitta lo colpì improvvisamente causandogli dolore alle tempie, l’uomo digrignò i denti e chiuse gli occhi per un momento ma quando li riaprì non riuscì a vedere il campo di mais. Tutto sembrava improvvisamente aver perso forma e colore, ogni suono cessò e Jack smise addirittura di sentire freddo. Attorno a lui c’era il vuoto finché non gli parve di vedere un bagliore alla sua destra, si voltò e vide una sagoma indistinta venire verso di lui nella penombra. Jack aprì la bocca ma nessuna voce ne uscì, eppure in cuor suo avrebbe voluto gridare, avrebbe voluto correre verso la sagoma, ma il suo corpo era come paralizzato. A quel punto la sagoma si fermò, puntò un dito evanescente verso Jack e bisbigliò qualcosa di incomprensibile prima di sparire. Jack tentò nuovamente di muoversi, ma una nuova fitta più forte della precedente lo colpì alla testa come un dardo e quando cessò, Jack si ritrovò in ginocchio in mezzo al mais. Sospirò e si passò le mani sulla faccia sentendo il sudore scivolargli via. Sentì stringersi la morsa che aveva nello stomaco, non aveva idea di cosa fosse successo: - non ha senso- pensò. Si rimise in piedi lentamente, la testa gli doleva ancora e gli ci volle un po’ per tornare a vedere chiaramente; si sentì stanco ed incredibilmente confuso, una nuova ed enorme serie di domande si formò dentro il suo cervello e contemporaneamente sentì crescere dentro di se un forte senso di rabbia e sconforto, una rabbia scaturita dalla paura, una paura però diversa da quella  che aveva provato all’inizio quando si era risvegliato nel bosco, una paura molto più forte che nasce da ciò che non si riesce a comprendere. Jack espresse il suo stato d’animo con un gemito di rabbia, ed alzò lo sguardo, sfregandosi  gli occhi iniettati di sangue. Ma non fece in tempo a ricomporsi che  gli parve di udire un suono molto strano. Lontano e flebile sembrava provenire da un luogo imprecisato oltre il muro di piante, Jack si levò in piedi tendendo l’orecchio e cogliendo un suono che mai si sarebbe aspettato di udire in un luogo simile: una risata.

L’uomo iniziò a muoversi, prima lento e poi più veloce continuando ad ascoltare il debole suono che andava disperdendosi insieme al vento. Ad ogni passo esso pareva farsi più forte, più vicino, più reale. Jack tentò di rispondere, tentò di farsi sentire ma la risata pareva essere indifferente, anzi sembrava quasi che si spostasse rapidamente non volendo farsi raggiungere. L’uomo affrettò il passo, superò un folto gruppo di piante incespicando ripetutamente, ma quando ascoltò nuovamente si accorse che il rumore era cessato. –No- Jackson tirò il fiato cercando di ritrovarlo, si mosse oltre una cunetta dove la vegetazione sembrava essere più rada, ma una volta passato oltre si ritrovò davanti ad una scena molto strana. Davanti a lui si aprì uno spiazzo di terra battuta delimitato dalle altre piante, probabilmente usato per il transito delle macchine agricole. Al centro un grosso palo di legno consumato era conficcato nel terreno, ma la cosa più strana era cosa vi era appoggiato. Jack ci mise un po’ a distinguere ciò che vide, una strana sagoma molto simile ad un piccolo maiale stava con la fronte appoggiata al palo. Il “maiale” o almeno quello che Jack pensava di vedere, indossava una felpa e dei pantaloni scuri, ma la cosa che più lo colpì fu notare che fosse in piedi sulle zampe posteriori. L’uomo si stropicciò gli occhi cercando di spiegarsi la situazione, ma ormai non ne era più in grado. Si era quasi convinto che fosse solo un pupazzo quando accadde qualcosa che lo sconvolse a dir poco. Il piccolo animale si animò improvvisamente, ruotò su se stesso ed esclamò: <<… 99,100! Chi c’è c’è, e chi non c’è si arrangia!>>

Mi resta difficile descrivere esattamente cosa accadde, Jack parve cambiare colore e divenire pallido come un cadavere. Neanche si era accorto di avere allentato la mascella che ora pendeva totalmente aperta. Una goccia di sudore scivolò accanto al suo occhio destro ma non parve farci caso; rimase immobile come pietrificato ad osservare quel, qualunque cosa fosse, scomparire alla sua vista in mezzo alle piante di mais. Un fremito lo pervase dalla punta dei capelli fino ai piedi, cercò di fare un passo indietro ma inciampò su se stesso finendo a terra. La debole botta parve fargli riprendere conoscenza, riportò la propria attenzione sul piccolo spiazzo di fronte a se cercando di aggrapparsi a quel poco di sanità mentale che gli restava. Solo quando provò ad alzarsi si accorse di essersi fatto male al polso cadendo, digrignò i denti prendendosi la mano sinistra nella destra, quando un rumore proprio da quella direzione lo colse di sorpresa. Li in piedi davanti a lui a fissarlo c’era un agnello. Ma non un agnello normale, anch’esso su due zampe e con indosso dei leggeri pantaloni di tela e una maglietta a maniche lunghe era li, fermo ad osservare con i suoi grandi occhi sbarrati l’uomo ansimante seduto a terra. Jack trasalì ed iniziò a tremare, l’agnello invece rimase immobile con le piccole zampe inermi lungo i fianchi. La tensione era talmente palpabile che la si sarebbe potuta tagliare. Le dita di Jack stringevano un immaginario appiglio nel terreno mentre sentiva l’ultimo briciolo di lucidità abbandonarlo, avrebbe voluto urlare ma la voce non voleva saperne di uscire come se fosse ancorata in fondo alla gola. A quel punto un rumore leggermente più forte distolse l’attenzione dell’agnello, con un gesto repentino Jack si levò in piedi e si mise a correre. Corse. Come non aveva mai corso in vita sua. Una sola parola si definì nella sua mente:-No-. Parve crescere di intensità fino a quasi uscire dalle orecchie dell’uomo. L’adrenalina pulsava in tutto il corpo di Jack, insensibile alla fatica continuò a correre senza voltarsi. La sua fuga lo fece giungere lontano, si fermò ormai completamente perso. Non riusciva nemmeno a tenere il fiato, la nausea gli attanagliava lo stomaco. Jackson cadde sulle ginocchia e fece appena in tempo a lanciare un ultimo sguardo alla coltre di nubi sopra di lui. –oddio- pensò, prima di svenire in mezzo al mais.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Un nuovo amico ***


Capitolo 2   
Un nuovo amico
Un forte battito risuonava nelle sue orecchie, non capiva cose fosse ma di certo non se lo stava immaginando. La prima cosa che Jack sentì quando riaprì gli occhi fu l’erba pungente che gli pizzicava la guancia. Una mosca solitaria svolazzò accanto al suo naso, ma si allontanò subito vedendo questo muoversi
L’uomo si mise a sedere riacquisendo lucidità un poco alla volta. Si  portò una mano alla tempia, realizzando ogni cosa. Subito iniziò guardarsi intorno, scattò in piedi barcollando in preda all’ansia. Più volte si sforzò invano di riflettere, cercando di convincere se stesso di essersi immaginato tutto. Ma non poteva perché in cuor suo sapeva che ciò che aveva visto in mezzo a quel campo era reale. –No-
 Gli tornò tutto in mente, prima l’autista dell’auto, la visione, poi il maialino ed infine il piccolo agnello in piedi di fronte a lui che lo fissava con quegli occhi meravigliati. Il respiro si fece nuovamente ansimante, era dunque davvero impazzito? Il povero Jackson West aveva dunque perso il lume della ragione?
–No, non è possibile-.
O forse quel luogo lo aveva suggestionato a tal punto da avere delle visioni. Gli parve di udire nuovamente una fioca risata correre tra le piante. Si tappò le orecchie sperando che cessasse, ma sembrava rimbombasse tutt’intorno. Addirittura gli parve per un attimo di scorgere davanti a se i piccoli occhi di quelle creature che lo scrutavano da dietro i lunghi steli. I grandi occhi dell’agnello che lo fissavano. Nella sua mente riaffiorarono i due animali, in piedi su due sole zampe e con addosso dei vestiti, cosa facevano li? E se l’avessero seguito? Ripensare allo sguardo meravigliato della piccola pecora gli procurò un senso di vuoto nello stomaco. Aggrappandosi con gli artigli alla propria forza di volontà urlò a se stesso che non esisteva alcun animale con addosso vestiti. Non potevano esistere.
Una nuova brezza più forte delle precedenti lo raggiunse, scuotendo la cima delle alte piante di mais. Il vento si stava nuovamente alzando; ma cosa peggiore il sole stava calando. Un ennesimo tuffo al cuore per Jack, ora sapeva di dover assolutamente abbandonare quel luogo, non sarebbe sicuramente sopravvissuto ad un’ altra notte all’addiaccio.  Mandò giù un groppo e  fece un passo prima di rendersi conto di essersi perso. La sua fuga lo aveva condotto si lontano, ma gli aveva anche fatto perdere l’orientamento. Lo spavento per fortuna fu di breve durata; la sua attenzione fu catturata da un nuovo rumore proveniente da oltre le piante. Un rumore decisamente familiare. Un rombo di un motore vicino, molto vicino. Il motore di un’auto  che stava passando accanto al campo di granoturco. Jack gemette e si mise a correre sperando di raggiungerlo, oltrepassò il muro di piante che delimitava il campo e quasi  si gettò sulla strada. Ma arrivò troppo tardi. La macchina era già ben lontana, se ne potevano vedere solo i fanali sparire nel crescente buio del crepuscolo. Un onda di disperazione e rabbia ruppe il silenzio:
<< No! Non di nuovo dannazione! >> Jack concentrò tutta la forza che gli era rimasta in quell’unico urlo.  Cadde in ginocchio sul bordo della strada, si prese la testa tra le mani ed infine scoppiò a piangere. Pianse, quasi come un bambino, non riusciva a pensare a nient’altro. Da quando si era risvegliato in quel luogo aveva cercato di rimanere saldo pur realizzando le difficoltà. Ma evidentemente non ne era più in grado, non dopo quello che aveva passato. Mi domando come chiunque reagirebbe ad affrontare una simile serie di assurdità nell’arco di una sola giornata, una giornata che peraltro stava volgendo al termine. Quando Jackson sollevò il capo inumidito dal pianto il sole era ormai già tramontato. Le gambe riuscirono miracolosamente a reggere il suo corpo ma era chiaro che se non avesse trovato al più presto qualcosa da mangiare non sarebbe andato lontano. Tirò su con il naso e strinse nuovamente a se la giacca con le mani tremanti. Non avendo più nulla da fare li Jack si raccolse e si rimise in marcia addentrandosi ancora di più in quel misterioso ed oscuro luogo.
Da lontano si sarebbe potuta vedere una sagoma scura che continuava imperterrita a costeggiare la strada sfidando le tenebre e la stanchezza. Ormai il buio era calato inghiottendo ogni colore attorno a lui, l’uomo dovette quindi sforzarsi di adattare la propria vista alla mancanza di luce. E questo fu un bene visto che sarebbe probabilmente andato a sbattere se non avesse notato il grosso cartello piantato nel terreno davanti a lui. La sagoma nera si delineò in un momento tanto che per poco Jack non si spaventò. Il cartello da solo sarà stato alto un paio di metri. Anche al buio si potevano notare alcune grandi lettere in rilievo. Il nome di un paese senza dubbio.  Con l’accendino in mano provò a fare un po’ di luce, le grandi lettere che componevano una frase sul cartello presero forma. La piccola fiamma tremolava circondata dal gelido buio notturno, nella penombra l’uomo balbettò alcune parole:
<< Benvenuti … contea … Bunnyburrow … >>
Dalla padella nella brace insomma. Ora Jack era ancor più certo di essere completamente perso. Mai prima di allora aveva sentito un luogo con un simile nome. Ma non riuscì ad interpellare oltre il proprio cervello. La stanchezza e la fame presero di li a poco il sopravvento. Alcuni minuti dopo essersi lasciato lo strano cartello alle spalle Jack arrancò sull’asfalto gelido esalando alcuni profondi sospiri. Alzò lo sguardo e si mise a contemplare la volta celeste che ormai era completamente decorata di stelle. Una miriade di piccoli punti luminosi che fluttuavano lassù incuranti della follia che circondava l’uomo che le fissava dal basso. Questi sperava quasi che lo compatissero, o che l’aiutassero indicandogli la strada. Del resto le stelle servivano a questo no? Ma di certo Jack non aveva la più pallida idea di come fare ad orientarsi con esse. Il suo sguardo iniziò a scendere continuando a fissare quei piccoli fori nel cielo notturno. Ma quando ebbe riabbassato la testa  credette  per un momento che una di quelle stelle avesse improvvisamente deciso di staccarsi dalle altre per avvicinarsi al suolo. Un fioco alone luminoso all’altezza degli alberi che rischiarava debolmente l’oscurità notturna. All’inizio il povero Jackson pensò all’ennesima allucinazione ma, pur non essendo del tutto lucido, non ci mise molto a capire che la luce davanti a se non era una stella ma la luce di una casa poco distante. Un vera e propria manna dal cielo. Chissà come jack riuscì a trovare la forza di rimettersi in piedi, un sorriso disperato si dipinse sul suo volto. Stanco di false speranze ed allucinazioni fin troppo reali forse aveva finalmente trovato la salvezza che ora era li di fronte a lui.
<< Vi dico che l’ho visto. >> esclamò Jeremy
<< Certo, come no. >>
<< Te lo assicuro era in mezzo al campo.>>
<< A si? E aveva anche dei lunghi denti? E gli artigli? >>
<< Beh no, ma … >>
<< Finiscila ok. Il vecchio fattore ti ha raccontato quella storia per metterti paura. Non voleva che tu e gli altri combinaste qualche guaio. >>
<< Ma papà … >>
<< Non voglio sentire altro. Sali in macchina dobbiamo tornare a casa. >>
Jeremy infilo le dita nelle tasche con sguardo torvo e si diresse a lunghi passi verso l’auto dove il resto della sua famiglia lo stava già aspettando. Salì e si sedette appoggiando la faccia contro il finestrino.
<< Non fare così Jeremy, in fin dei conti è stata una bella festa.>> disse la signora Whitewool. Da quel momento il silenzio calò per quasi tutto il viaggio di ritorno, a parte sporadici commenti sulla cortesia dei vicini e sul buon cibo consumato alla fiera agricola. Un evento molto sentito in tutta la contea. Quell’anno poi i contadini locali si erano davvero dati un bel da fare nell’organizzare tutto. Una noia mortale come sempre. Jeremy rimase col muso contro il finestrino osservando la  luce della campagna che andava pian piano spegnendosi. Non si sentì di intervenire nella conversazione, non riusciva a pensare ad altro che alla strana creatura che, almeno lui, era certo di aver visto. Quell’ essere con i vestiti logori e il viso in parte senza pelo che lo fissava con i suoi due occhi scuri. Inutile sottolineare i suoi vani tentativi di avvisare gli altri partecipanti alla festa della presenza di un mostro nel terreno del vecchio fattore. Il viaggio fu fortunatamente breve. La casa della famiglia Whitewool era una accogliente villetta situata in un piccolo appezzamento di terra circondata dalla pace della campagna. A poca distanza alla casa vi era un vecchio deposito decadente che, o per mancanza di tempo o di soldi, non era mai stato restaurato e che per Jeremy era diventato una sorta di castello dove egli si recava quando aveva voglia di divertirsi un po’.
Nel tepore della casa, la famiglia consumò una ricca cena, della quale però Jeremy si interessò ben poco.  Non appena ebbe finito corse in camera sua, si arrampicò sulla libreria e prese un vecchio libro con la copertina rugosa che conteneva la descrizione dettagliata di un’ampia varietà di mostri. Un regalo di suo zio, per la verità mai approvato da sua madre. Sfogliò pagine su pagine trovando alcune dettagli interessanti, altri disgustosi, ma nessuna immagine sembrava assomigliare al mostro con la faccia a metà. Così è come lo aveva battezzato Jeremy. La sua testardaggine era superata solo dalla sua fantasia. Immerso nella sua ricerca finì per perdere la cognizione del tempo, alzò la testa solo quando sentì qualcuno bussare alla porta. Sulla soglia si palesò sua madre.
<< Jeremy? Posso entrare? >>
<< Oh, va bene. >> si limitò a rispondere questo chiudendo il libro. Lo sguardo della madre si fece serio in un momento:
<< Che stai facendo? Sai bene che non voglio che tu legga quel libro.>>
<< Sto cercando di ritrovare il mostro che ho visto.>>
<< È per questo che prima hai mangiato così poco?>> domandò lei.
<< Non avevo fame, ma credo di aver quasi capito di cosa si trattass … hei! >>
 La signora Whitewool strappò il libro dalle mani di Jeremy: << Quel matto di un contadino  e questo libro ti hanno suggestionato anche troppo per oggi. >>
<< Ma tu mi credi, vero? >>
Dopo aver rimesso il libro a posto, la madre di Jeremy sospirò e guardò il figlio con fare stanco:
<< Jeremy, dovresti essere già abbastanza grande per sapere che i mostri non esistono. >>
 Il volto del piccolo mammifero divenne una smorfia imbronciata. Guardò sua madre per alcuni istanti poi saltò giù dal letto ed uscì spedito dalla stanza: << Non mi credi neanche tu. >>
<< Jeremy, non fare così. Per favore. >>
Jeremy parve non sentire. Uscì di casa per sbollire la rabbia e decise di dirigersi verso il vecchio deposito dietro casa sua. La stradina che lo raggiungeva era di terra battuta, contornata da due soli lunghi cespugli. Scivolò dentro da un’ apertura segreta che solo lui conosceva. Si trovò solo nel buio del capanno adibito ormai solo a stipare cianfrusaglie, che a volte però diventavano ottimi oggetti di svago. Jeremy del resto aveva una mente dalle mille idee, e quando il mondo attorno a lui perdeva, per così dire, l’entusiasmo egli lo reinventava sfruttando anche la sua ottima parlantina. Tutte qualità che però non trovavano spazio nelle relazioni sociali; per questo Jeremy non vantava un gran numero di amici. Preferiva starsene per i fatti suoi ricercando la gioia che solo la sua immaginazione era in grado di procurargli. Tra quelle quattro pareti insomma viveva le sua migliori avventure in una vita per lui a volte noiosa. Si mise in cerca di una piccola lucerna posta su una mensola accanto all’ingresso segreto. Non un granché ma era sufficiente per fare un po’ di luce sulla situazione. Jeremy pose a terra il lume e si diresse verso il centro del capanno continuando a bofonchiare ancora arrabbiato, non tanto per il fatto che tutti gli avessero riso in faccia, ma per come nemmeno sua madre gli credesse. Aveva sempre dato per scontato l’appoggio dei propri genitori, ma un diniego espresso in modo così deciso gli suonava in qualche modo strano. Del resto è spesso difficile per un bambino comprendere le decisioni di un adulto. Un cigolio proveniente da chissà dove distolse l’attenzione di Jeremy. Un secondo cigolio seguì, poi un terzo ed un quarto sempre più forti, ed infine un sordo tonfo come un sacco di patate che cade. Jeremy già in piedi con la lanterna in mano si guardò intorno con gli occhi sgranati. Il rumore proveniva da una delle finestre che si trovavano dall’altro lato del deposito. << Chi va la? >> biascicò Jeremy. Si avvicinò tremolante alla finestra, sentiva caldo nonostante la sera fosse piuttosto fredda. Superò un vecchio baule polveroso e diresse il fascio di luce davanti a se, illuminando la sagoma della creatura che non avrebbe mai trovato sul suo libro, una grottesca figura a quattro zampe e con gli occhi spiritati e gli abiti logori che gli ansimava contro. Il mostro con il volto a metà era di fronte a lui. Non si capì bene chi urlò più forte. Jeremy lasciò cadere la lanterna e scappò verso l’uscita, Jack incespicò sbattendo la testa contro una trave di legno e finendo a terra stordito. L’agnello si precipitò fuori dal capanno, si fermò e guardò dietro di se ma una zampa lanosa sulla spalla lo fece sobbalzare: << Jeremy, ti ho sentito urlare, stai bene? >> il signor Whitewool prese il figlio tra le zampe. << Sembri terrorizzato, cos’è successo?>>
Jeremy disse la verità, una mezza verità. Sapeva bene cosa sarebbe successo se avesse cercato di descrivere quello che aveva davvero visto. Avrebbe voluto certo, ma non avrebbe ottenuto altro risultato se non quello di fare arrabbiare ulteriormente suo padre. No, questa volta se la sarebbe cavata da solo, così si limitò a dire;
<< Io ho … ho … visto un grosso ragno. >>
<< Un ragno, dove? >> chiese il padre.
<< Nel deposito, avresti dovuto vederlo, sarà stato grande così. >> disse Jeremy allargando le zampe. Il padre apparentemente sollevato lo riprese:
<< Mi hai fatto preoccupare, quante volte ti ho detto di fare attenzione quando entri li dentro? >>
<< Scusa papà. >> disse Jeremy chinando la testa.
<< Forse è meglio che controlli … >>
<< Oh no, non credo. Anche il ragno si è preso un bello spavento. Sono certo che è già scappato. >> affermò l’agnello con un sorriso. Il signor Whitewool alzò un sopracciglio: << Credo sia meglio chiudere questo posto per oggi. >>
<< Oh no. >> azzardò Jeremy. poi riprese: << Voglio dire, ho lasciato un paio di cose li dentro vado a prenderle. >>
<< Va bene, ricordati di chiudere la porta quando avrai finito. >>
<< Ma certo. >> disse Jeremy sfoderando il suo migliore sorriso. Il padre si incamminò verso la porta di ingresso, e quando Jeremy fu certo di essere solo scivolò di nuovo dentro il deposito. Felice in cuor suo all’idea di aver avuto ragione, recuperò la luce e raggiunse lo spazio sotto alla finestra. La sagoma era ancora li, inerme ma il suo respiro pesante era ben udibile anche a distanza. Non sembrava essere pericoloso, la sua ossuta e pallida zampa era riversa lungo il suo fianco. Il piccolo si avvicinò con cautela, cercando di emettere meno rumore possibile.
La prima cosa che Jack vide quando si riprese dal tremendo mal di testa, fu il bastone che l’agnello impugnava rivolto verso la sua faccia, ancora rossa per le precedenti lacrime. Trasalì e arrancò, accorgendosi però di trovarsi con le spalle contro la parete del granaio. L’animale non si scompose, continuò a fissarlo con malcelata ansia. Il silenzio proseguì finché il mammifero lanoso parlò:
<< Tu … capire mia lingua? >>
Jackson rimase interdetto, quasi convinto che quell’ agnello lo stesse prendendo in giro, riuscì però a rispondere con una certa sicurezza: << Amico, abbassa quel coso prima di farti male. >>
In un secondo infatti il bastone cadde a terra, gli occhi del piccolo animale  parvero riempirsi di emozione. Si tappò la bocca con entrambe le zampe e fece un passo indietro.
<< Tu sai parlare … >> bisbigliò.
 L’uomo si mise in piedi appiattito contro la parete. L’agnello non sembrava essere spaventato, egli tuttavia non aveva idea di come comportarsi. Portò le mani  aperte davanti a se e disse con un filo di voce:
<< Ok, non voglio farti del mal … >>
<< L’hai fatto ancora … ah ha! Lo sapevo che esistevi, lo sapevo! >> l’agnello cambiò espressione in un istante diventando euforico per l’emozione. Contemporaneamente Jack si fece perplesso:
<< … di che stai parlando? >>
Il mammifero lanoso parve non sentire:
<< Wow! Che cosa sei !?Da dove vieni!? Dov’è la tua coda? E il tuo pelo? Hai fame? Sono così emozionato che … che …>>
Di pari passo con l’entusiasmo del piccolo, la mente di Jack cedette definitivamente. L’uomo iniziò a vaneggiare, massaggiandosi convulsamente le tempie:
<< NO. No, no non esistono animali parlanti, è solo un parto della mia immaginazione. Tu non esisti! >> le voci dei due si sovrapposero creando un gran trambusto che proseguì per alcuni minuti, fin quando entrambi non iniziarono a fare dei profondi respiri per calmarsi. Subito dopo però l’agnello ricominciò con le domande: << Che cosa sei? >> chiese infine.
Jackson si sentì quasi offeso da quella domanda:
<< Cosa sono io? Ma cosa sei tu!? >> chiese Jack, il cui cuore stava saltando da tutte le parti.
<< Te l’ho chiesto prima io. >> disse l’agnello;
<< Oh scusa, ma sai di solito non parlo con gli agnelli. >> disse Jack in tono sarcastico.
<< Come sai che sono un agnello? >>
<< Lascia perdere. >> disse l’uomo accompagnando la frase con un gesto della mano; - ok devo essere completamente impazzito- pensò. Ma realizzò in quel momento una cosa molto strana: << Scusa ma … non ti faccio paura? >>
<< No. >> fu l’immediata risposta dell’animale.
<< Neanche un po’? >> chiese nuovamente Jack.
<< Più che altro sembri disperato. >> disse il piccolo mettendosi le zampe in tasca.
<< In un certo senso lo sono. >> ammise l’uomo con un sospiro. L’agnello fece nuovamente finta di non sentire:<< Non mi hai ancora risposto, che cosa sei? >>
Jack rispose con sincera irritazione:
<< Non cosa, chi sei. E comunque sono un essere umano  >>
<< Cos’è un essere ulano? >> chiese Jeremy inclinando il capo a destra
<< Essere umano! Ed è quello che sono io. >> Jack stava iniziando a perdere la pazienza, l’agnello lo squadrò dalla testa ai piedi, poi disse: << Sei un alieno per caso? >>
<< No. >>, rispose subito Jack poi fece una pausa e riprese:<<  Almeno non credo. >>
<< Se non sei un alieno, da dove vieni e come sei arrivato qui? >>
<< Cos’è un interrogatorio? >> rispose Jack ormai esasperato, << Accidenti quanto parli, ma non lo sai che non si deve parlare con gli estranei? E poi … come diavolo è possibile che tu sappia parlare? >>
<< So farlo e basta. >> si difese il mammifero, <<  E poi ora sei tu quello che fa troppe domande. >> Jack accusò il colpo ed entrambi rimasero in silenzio, poi l’agnello ricominciò:<< Quindi, hai anche un nome? Il mio è Jeremy. >>, Jack abbozzò un mezzo sorriso e rispose: <<  Sei imprudente a dire il tuo nome a chi non conosci. >>
<< Me lo dicono spesso. >> rispose con leggerezza l’animale. Jack ghignò e rispose: << Bene … Jeremy, io sono Jack e il piacere e tutto tuo. >>
<< Siete sempre così scontrosi voi esseri ulani ? >>
<<  … oh lasciamo perdere. >> borbottò Jack. Si passò la lingua sul labbro inferiore, poi riprese:
<< In ogni caso non credo che anche tu saresti molto cordiale se ti trovassi nella mia stessa situazione; mi sono perso … e poi non so neanche dove accidenti mi trovo … >>
<< Per questo stavi piangendo? >> Chiese il piccolo animale.
<< Non stavo piangendo. >> rispose Jack con malcelato imbarazzo;
<< Sembrava il contrario. >> disse l’agnello in tono ironico. C’era qualcosa di incredibile in quell’animale: non solo non aveva idea di cosa fosse la paura, ma aveva anche un’eccellente spirito d’osservazione.
<< Che c’è, vuoi farmi perdere la pazienza piccoletto? >>
<< Hei non chiamarmi piccoletto. >>
<< Scusa … piccoletto. >>, un sorriso di sfida si dipinse sul volto di entrambi.
<< Ma come sei arrivato qui? >>, chiese nuovamente l’agnello. Jack non sapeva che dire, ma se quel agnello aveva così tanta voglia di fare conversazione, forse poteva ricavarne qualche informazione importante, così allargò le braccia e rispose: << Beh, te lo spiegherei volentieri se lo sapessi, ma purtroppo non è così, e ormai mi sono stancato di chiedermelo. Inoltre, sarei ben contento se mi dicessi dove ci troviamo. >>
L’agnello incrociò le zampe e si mise a guardare l’uomo con un’espressione che Jack comprese dopo cinque secondi. Con sincera irritazione esalò un: << Per favore. >>
L’agnello sorrise e subito rispose:
<< In questo momento ti trovi al confine della contea di Bunnyburrow. >> rispose il mammifero; a quel punto Jack ricordò il cartello visto giù in strada:
<< Quindi questa è la contea di Bunnyburrow? >>
Il piccolo annuì e proseguì:
<< Anche se a dire il vero siamo più vicino alla città. >> aggiunse l’altro. A quelle parole gli occhi di Jack ebbero un guizzo: << Quale città? >>
<< Zootropolis. >> concluse il mammifero.
Jackson lo fermò con un cenno della mano:
<< Aspetta, quindi qui vicino c’è una intera città abitata da animali parlanti? >>
<< Si … se la metti così. >> rispose il mammifero annuendo.
<< E … non ci sono altri … umani? >> chiese l’uomo in preda all’ansia.
<< No, direi proprio di no. >>
Jack si mise una mano sullo stomaco e si appoggiò alla trave li accanto.
<< Cos’hai? >> chiese Jeremy allarmato.
<< Sto per sentirmi male. >> disse Jack con voce roca.
<< Vuoi un po’ d’acqua? Oppure … >>
<< Mi serve solo un attimo. Non … sono in forze. >>
<< Posso portarti da mangiare. >> disse l’agnello.
<< Lo faresti? Grazie … >> disse l’uomo con uno sguardo sincero.
<< Aspetta qui. >> il piccolo animale corse fuori dal granaio. Jack osservò la sua sagoma sparire dietro l’angolo prima di bisbigliare:
<< E chi si muove? >>
Con un ultimo rantolo l’uomo si sedette a terra con la schiena appoggiata alla parete.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** una promessa ***


Capitolo 3
Una promessa.
Un forte battito risuonava dentro alle sue orecchie, non capiva cosa fosse ma di certo non se lo stava immaginando. Jack attese pazientemente il ritorno di Jeremy, che dopo un lasso di tempo quasi infinito riapparve con alcuni avanzi della cena avvolti in un panno a quadri rossi e bianchi.  Jack mangiò e si dissetò, non si azzardò a fare lo schizzinoso pur vedendo che la maggior parte del cibo erano verdure.  Del resto non poteva certo sperare che una famiglia di agnelli mangiasse carne. Per tutto il tempo, fu accompagnato dallo sguardo interessato di Jeremy, che continuò a fissarlo durante tutta l’operazione. Tanto che ad un certo punto, Jack si fermò e chiese:
<< Devi proprio continuare a fissarmi in quel modo? >>
L’agnello si limitò a spostare altrove lo sguardo per alcuni minuti.
 
Quando ebbe finito, l’uomo si pulì la bocca con una mano, e si sistemò in una posizione più comoda sempre rimanendo appoggiato al muro. La luce appoggiata a terra li vicino, ne proiettava l’ombra sulla parete, facendolo apparire come una creatura deforme. A quel punto Jeremy parlò ancora:
<<  Certo che voi esseri ulani siete strani. >>
<<  Senti chi parla. >> rispose Jack. Un momento di riflessione però fu sufficiente a fargli ricordare una cosa:
<< Aspetta. >> disse << Io ti ho già visto, nel campo … >>
<< Oh, allora te lo ricordi. >> disse Jeremy.
<<  Già.  >> proseguì l’uomo massaggiandosi il collo:
  <<  Mi hai fatto prendere un accidente. Che ci facevi li? >>
<< Stavo solo giocando a nascondino. >> fu la semplice risposta.
<< Non proprio il posto più adatto, ti pare?  >> osservò Jackson.
<< Volevo allontanarmi dal rumore della fiera. >> disse l’agnello alzando le spalle.
<< La fiera? >> chiese di nuovo l’uomo inarcando un sopracciglio.
<< La fiera agricola che si tiene qui tutti gli anni. È un evento che richiama tutti gli agricoltori della zona, ma francamente non l’ho mai trovata esaltante. >> concluse l’agnello sedendosi a sua volta. Jack non ci mise molto a capire che forse era quello il motivo per cui non aveva incontrato nessuno prima di arrivare li. La campagna si era spopolata perche i contadini si erano diretti alla fiera. Ed in fondo quello era stato un vero colpo di fortuna.
<< Tu invece perché eri li? >> chiese Jeremy con sincera curiosità. L’uomo chinò il capo e rispose:
<< Ehm … lasciamo stare. >>
Si grattò la testa e si affrettò a cambiare discorso:
<< Hei, non divaghiamo. Ancora non riesco a crederci … >>
<< A cosa? >> chiese l’agnello.
<< A tutto … questo! >> esclamò l’uomo con un ampio gesto delle braccia. Fece una piccola pausa, poi riprese:
<< Oltre ovviamente al fatto di non ricordare nulla. >>
<< Hai perso la memoria? >> chiese il piccolo.
<< Non so neanche come sono arrivato, te l’ho detto. >> disse Jackson con una certa enfasi. Si grattò il mento il mento barbuto poi riprese.
<< Se ho ben capito, qui ci vivono solo mammiferi, giusto? >>
<< Esatto. >> rispose l’agnello.
<< Anche quelli pericolosi? >>
<< Cosa intendi? >>
<< Tigri, leoni … ci sono anche loro? >>
<< Si ma non sono più pericolosi, non cacciano più le prede.>>
<< Sul serio? Ma come fate a … ? >>
<< Non so spiegartelo con esattezza. Andiamo solo d’accordo … il più delle volte. >> disse Jeremy pacatamente. Jack si grattò il naso, continuando a riflettere, ma per quanto si sforzasse, gli riusciva difficile immaginarsi una cosa simile. Una società formata da prede e predatori che vivono insieme. Una bellissima utopia in effetti, ma che a Jack vedeva solo come un ulteriore rischio.
<< Sembri non sapere nulla dei mammiferi. >> disse Jeremy.
<< Non sapere nulla? Ti informo che anche io sono un mammifero.>> disse Jack con sincera irritazione.        << Davvero? Ma allora perche hai così poco pelo? >> domando quindi Jeremy.
<< Noi umani siamo così, ma posso provartelo toccami la mano.>> e nel dire questo protese l’arto verso il piccolo animale, che però si ritrasse quando vide le bianche dita affusolate dell’uomo. Jack comprese l’errore, vedendo l’espressione di dubbio sul viso del mammifero. Avrebbe forse dovuto usare più tatto, in fondo quello che aveva davanti era pur sempre un bambino. Richiuse lentamente la mano portandola indietro:
<< Scusa. >> disse.
 Anche l’agnello si ammutolì e i due ripresero a fissarsi per secondi interminabili.
<< Colpa dell’ansia. >> disse l’uomo rompendo il silenzio.
<< Com’è casa tua? >> chiese allora Jeremy.
<< Cosa? >>
<< Com’è il posto da cui vieni? >>
<< Beh, non è molto diverso da qui in effetti … >>
Squadrò il piccolo con un’aria da idiota, poi finse uno sbadiglio e disse:
<< Ma il resto lo saprai domani. Vedi è stata una giornata pesante, e ora mi sento parecchio stanco. >>
In realtà la stanchezza non era il solo motivo per cui Jack aveva sviato la conversazione. Non aveva idea in quel momento  di come descrivere un luogo simile ad una pecora, senza contare ovviamente che li i mammiferi come Jeremy venivano usati per ben altri scopi. Ci avrebbe riflettuto dopo una bella dormita. L’agnello si mise in piedi:
<< Oh ma certo. Puoi metterti laggiù, non ti vedrà nessuno. >> disse Jeremy indicando un piccolo cumulo di paglia a ridosso della parete, ben nascosto dietro una pila di ciarpame.
<< Posso davvero restare qui? >> domandò l’uomo.
<< Si, nessuno viene mai qui a parte me. >> rispose la pecora appoggiando la luce su un piano rialzato.
<<  In effetti è il posto più comodo su cui abbia mai dormito finora. >> disse Jack con un sorriso.
<< Tornerò domani, tu fa attenzione però. >> lo avvertì il piccolo.
<< Tranquillo. >> disse Jack  in tono ironico. L’altro si diresse verso l’uscita, ma a quel puntò udì il proprio nome:
<< Jeremy. >> disse l’uomo, fermando l’animale sulla soglia.
<< Perche? Perché mi stai aiutando? >>
Jeremy si volse e rispose:
<< Fin da quando ti ho visto nel campo, ho capito che ti serviva aiuto. Certo all’inizio pensavo fossi un mostro, ma mi è bastato parlare con te per capire che non lo eri. >>
<< Chi ti dice ce non lo sia invece? >>
<< Di certo non sei uno che si può incontrare tutti i giorni, ma comunque ora siamo amici. >>
<< Noi due? Amici? >> domandò l’uomo quasi incredulo.
<< Esatto. >> rispose Jeremy.
<< Inoltre sono abbastanza grande per capire chi ha davvero bisogno di aiuto. >>
Jack rimase letteralmente senza parole. Un agnello davvero acuto, senza dubbio. Convinto delle sue decisioni benché potessero sembrare folli.  L’uomo abbozzò un sorriso e disse:
<< Abbastanza grande … ma quanti anni hai? >>
<< Perché non indovini? >>
L’agnello sorrise e scivolò fuori dalla porta, lasciando Jack solo dentro il deposito. L’uomo si sistemò sul nuovo giaciglio incrociando le dita dietro la nuca, e iniziando a osservare il soffitto del capanno. Ripensò a tutto ciò che gli era capitato fino a quel momento. Eppure era riuscito a trovare qualcuno disposto ad aiutarlo. –amico di un agnello?- pensò rigirandosi su un fianco. Socchiuse gli occhi pensando di nuovo a Jeremy. Un nome che per qualche strano motivo gli suonava famigliare. La notte passò tra sogni agitati. Una nuova immagine offuscata simile alla precedente comparve di nuovo dentro la mente di Jack. Con un gemito, egli si svegliò dentro il deposito. I raggi del sole fecero capolino dalle tegole sconnesse del tetto. Alcuni finirono per adagiarsi sul pavimento polveroso, altri raggiunsero i vecchi bauli, le assi e molte altre cose li accumulate. L’uomo si spolverò a dovere e rimase ad attendere la visita di Jeremy che arrivò poco dopo portando del cibo. La colazione fu più che abbondante e i due non ci misero molto a riprendere il filo della conversazione :
<< Jeremy, ti assicuro che non dovrai sfamarmi ancora per molto.  >>
<< Vuoi andartene? Ma sei appena arrivato. >> disse Jeremy a bocca piena.
<< Lo so, ma non posso restare qui. Lo capisci vero? >>
<< Beh, non puoi neanche andartene in giro così. >>
Jack ne era consapevole, così come era consapevole che quello era solo uno dei tanti problemi che avrebbe dovuto affrontare. Poi si ricordò di un dettaglio importante:
<< Ieri sera … hai parlato di una città? Zoo  … qualcosa. >> disse l’uomo.
<< Zootropolis. >> lo anticipò prontamente il piccolo mammifero.
<< Si esatto. Ci sei mai stato? >>
<< Ma certo, ci abito. >>
<< Davvero? E dimmi … dove si trova? >>
<< Beh … dirlo così è un po’ difficile. Ma perché vuoi saperlo? >>
 
 
<< Curiosità , e poi mi sarebbe utile raggiungerla. Come ho detto non posso restare qui in eterno …  >>
<< Te lo auguro. Ma che devi fare in città? >>
L’uomo rimase interdetto, in fondo non aveva un reale motivo per andarci. Probabilmente era una destinazione remota e pericolosa,  ma era abbastanza sicuro che li avrebbe trovato risposte, e nella migliore delle ipotesi un modo per tornare a casa. Con un gesto automatico si mise a giocherellare con il piccolo minerale che teneva in tasca poi rispose:
<< Al momento non ho un altro punto di riferimento. Credo sia l’unico posto in cui possa trovare aiuto. >>
<< Vero. >> disse l’agnello.
<< Per questo mi serve un modo per arrivarci. >>
La pecora si pulì le zampe nella maglietta, poi disse:
<<  La città non è molto distante. I mezzi per raggiungerla sono molti, ma rischieresti di essere visto. >>
Jack si sorprese:
<< Ci sono così tanti animali in giro?  >>
<< Certo, Zootropolis è una città davvero molto grande. >>
Per Jeremy, fu semplice descrivere la città a Jackson. A cominciare dai distretti centrali, fino alle zone periferiche, le principali attrazioni e i luoghi di ritrovo. Cercò di essere molto specifico, e l’uomo rimase molto colpito da ciò che quel piccolo agnello gli raccontò su quella  città all’apparenza sconfinata.
<< Sembra un luogo meraviglioso. >> disse l’uomo, quando Jeremy ebbe terminato.
<< Ora tocca a te. >> disse la pecora sedendosi a gambe incrociate.
<< Cosa intendi? >>
<< Io ti ho descritto casa mia. Ora tu descrivimi la tua. >>
<< Beh … d’accordo … >> disse l’uomo non molto convinto.
Ed anche Jack iniziò a descrivere a grandi linee, il proprio luogo di origine al piccolo mammifero, rimanendo però vago su molti dettagli. Non accennò la presenza di mammiferi, e descrisse ben poco del resto dovendosi inventare  parecchie bugie. Ciò che ne derivò, sembro più che altro la descrizione di un luogo scialbo e privo di cose interessanti; ma nonostante ciò, Jack non poté fare a meno di notare l’espressione meravigliata dell’ agnello che sovente fece domande, voglioso di saziare la propria curiosità. Una volta finito, Jackson tirò il fiato e disse:
<< È stato divertente, ma ora torniamo a noi. Come raggiungo la città? >>
<< Io avrei un’idea. >> disse l’agnello mettendosi una zampa sotto il mento.
 << Quale? >> domandò Jack con sincero interesse.
<< Io e la mia famiglia tra due giorni torneremo in città. Forse potrei riuscire a farti salire di nascosto sul furgone. >> spiegò il piccolo mammifero.
<< Due giorni? Dovrei restare qui per altri due giorni !? >> esclamò l’uomo ormai esasperato.
<< Si. >> disse l’agnello sorridendo.
L’uomo accolse la notizia con una smorfia. Ma in fondo non poté che essere contento di avere trovato un passaggio sicuro verso quella che ormai riteneva essere la sua unica ancora di salvezza.
Due giorni passarono, durante i quali Jack e Jeremy furono pressoché inseparabili. Nei pochi momenti in cui rimase da solo, l’uomo ne approfittò per fare mente locale, riordinando tutti i dettagli di ciò che gli era capitato fino a quel momento e tentando di trovare un nesso, ma purtroppo con scarsi risultati. I due ebbero anche tempo di approfondire la propria conoscenza; e Jack non tardò a comprendere la grande fantasia di cui Jeremy sembrava essere dotato. Inoltre non persero tempo a curare i dettagli del proprio piano; stabilendo l’esatto momento in cui Jack sarebbe dovuto salire sul pianale del furgone. Secondo Jeremy non sarebbe stato difficile, poiché suo padre non controllava mai bene gli agganci del telo di copertura. Si accordarono anche su cosa fare non appena fossero arrivati in città.
 Nonostante però da una parte Jack apprezzasse sinceramente la compagnia di Jeremy, dall’altra faticava ancora a reprimere la propria ansia, che a volte lo portava a reagire in modo poco opportuno. Come accadde il pomeriggio dell’ultimo giorno quando Jeremy si presentò dall’uomo con una cosa importante da dirgli:
 << Jack, ho pensato ad una cosa in questi giorni. Ti aiuterò a raggiungere la città, ma … >>
<< Ma … ? >>
<< Ma ad una condizione. >>
<< Oh , quindi vuoi qualcosa in cambio? Sentiamo. >> disse l’uomo con finto entusiasmo.
L’agnello si alzò in piedi e a gran voce esclamò:
<< Mi porterai a fare un giro, nel luogo da cui provieni. >>
L’uomo di tutta risposta si mise a ridere:
<< Ah, hai voglia di scherzare vero? >>
L’agnello si fece improvvisamente serio:
<< Assolutamente no, sarà una vera avventura. Troveremo il modo di farti tornare a casa e poi … >>
Jackson lo fermò con un gesto della mano:
<< Non parlare al plurale questa è una faccenda, peraltro pericolosa, che riguarda solo me. >>
<< Non è vero. Ora riguarda anche me. >
Jackson digrignò i denti per il nervoso. Quell’animale ora lo stava davvero iniziando ad irritare.
<< Oh no, non se ne parla. >>
Il piccolo incrociò le braccia e borbottò
<< Che peccato, ti avrei aiutato volentieri. >>
 Jackson si mise in piedi ed alzò la voce:
<< Non prendermi in giro! >>
 L’agnello vacillò e si mise sulla difensiva :
<< Non ti stavo prendendo in giro. >>
 L’uomo proseguì ormai in preda alla collera:
<< Oh davvero? Mi sembrava il contrario. Anzi sai cosa, mi stupisce che tu non abbia qualcun altro da prendere in giro. >>
Jack si rese conto di aver superato il limite solo quando si accorse delle lacrime che andavano  formandosi negli occhi del piccolo. Evidentemente, questi avrebbe davvero voluto avere qualcun altro da prendere in giro, ma purtroppo non era così. E anche se l’agnello non lo dava a vedere, il fatto che avesse davvero pochi amici lo metteva spesso a disagio. Nemmeno lui sapeva da cosa dipendesse. A volte si sentiva semplicemente diverso dagli altri, pensiero alquanto bizzarro, poiché si sta parlando di una pecora. Altre volte temeva che la sua mente eccezionalmente aperta lo facesse apparire in qualche modo strano agli occhi degli altri, o semplicemente questi tendevano a lasciarlo indietro.
Jack imprecò contro se stesso. Aveva appena ferito un animale buono e che lo aveva aiutato:
<< Io … mi dispiace. >>
<< Non fa niente, non potevi saperlo. >> disse il piccolo passandosi una zampa sugli occhi.
Non poteva saperlo, eppure avrebbe dovuto capirlo. Più volte durante le loro conversazioni era venuto fuori l’argomento, ma Jack non ci aveva mai badato troppo, ritenendo fosse solo un’esagerazione.
– ottimo lavoro Jack – pensò.
L’uomo si avvicinò, e con lo sguardo basso, ad esaminarsi i piedi disse:
<< Jeremy, mi dispiace davvero. Non avrei dovuto reagire così. Ma vedi, non è che io non voglia portarti con me, e solo che non posso. >>
<< Perché no? >> disse il piccolo mandando giù un groppo alla gola.
<< Perché come ho detto, la mia è una situazione pericolosa e non voglio coinvolgerti. >>
La spiegazione non bastò a far calmare Jeremy, così Jack a malincuore dovette inventare forse la più grande bugia mai concepita dalla sua mente:
<< Va bene, senti. Se riuscirò a trovare un modo per tornare a casa, allora forse potrai venire con me. >>
L’agnello alzò il capo, e si mise a fissare Jack con i suoi grandi occhi lucidi, poi bisbigliò:
<< È una promessa? >>
Jack guardò Jeremy dritto negli occhi, poi prese fiato e disse:
<< È una promessa. >>

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** arrivo in città ***


CAPITOLO 4
Arrivo in città

Un forte battito risuonava nelle sue orecchie, non capiva cosa fosse, ma di certo non se lo stava immaginando.  Jackson riuscì a dormire ben poco quella notte. Troppa l’emozione, o forse troppi i ripensamenti non lo seppe mai con esattezza. Nessuna nuova visione venne a trovarlo, ed un poco gli dispiacque. Avrebbe in fondo desiderato dare una nuova occhiata in quelli che almeno lui credeva essere dei frammenti del suo passato, nascosti da qualche parte nella sua testa. Ma forse avrebbe preferito avere solo un altro dei suoi violenti mal di testa, per dimenticare. Dimenticare almeno per pochi minuti tutti i suoi problemi. La mattina arrivò a grandi passi, prima però che il sole si alzasse al di sopra della campagna, Jack si svegliò sentendosi scuotere dalla piccola zampa di Jeremy. L’agnello era in piedi accanto a lui, tremolante sia per il freddo che per l’emozione. L’uomo riprese conoscenza, lo salutò e si mise a sedere notando quasi subito uno strano oggetto che il piccolo aveva con se.
<< Jeremy … che cosa sono? >>
<< Per te. >> rispose la pecora. << Li ho trovati in cantina, non è molto ma dovrebbero aiutarti a non farti notare. >>
Il piccolo porse a Jack una grande e morbida sciarpa di colore scuro, un paio di occhiali da sole e infine un paio di guanti anch’essi scuri. Jack rimase per un po’ dubbioso chiedendosi cosa avrebbe dovuto farci, poi Jeremy disse:
<< Prova a coprirti la faccia con la sciarpa. >>
Jack capì cosa intendesse il piccolo, e indossò la sciarpa in modo che gli coprisse tutta la parte inferiore del viso. Poi tirò su il cappuccio della giacca per nascondere la forma della propria testa. Con l’aggiunta degli occhiali da sole sarebbe riuscito a passare per un qualunque mammifero. Ma quando arrivò a provare i guanti sorse un problema, poiché essi avevano solo quattro dita ciascuno, e Jack invece ne aveva cinque. Questi si limitò a sovrapporre il mignolo e l’anulare di ciascuna mano, infilandoli insieme nell’ultimo dito del guanto. Il tutto sembrò reggere, anche Jeremy ne fu convinto.
<< Sei perfetto. >> disse.
<< Ancora una volta sono in debito con te Jeremy. >> rispose l’uomo.
Il piccolo si limitò a sorridere, poi fece cenno a Jack di seguirlo verso l’uscita segreta. I due uscirono dal capanno senza fare rumore, e Jeremy gli indicò il punto in cui era parcheggiato il furgone. Un furgone di modeste dimensioni, con una carrozzeria rossastra solcata da non pochi graffi e bozzi come a voler indicare tanti anni di onorato servizio.
<< I miei genitori si sveglieranno tra poco. Devi sbrigarti a salire sul pianale. >>
<< Ok. >> disse Jack espirando.
<< Tutto bene? >> chiese il piccolo.
<< Certo. Pensavo solo che non riuscirò mai a ringraziarti abbastanza. >>
<< Ora non pensarci. >> rispose Jeremy cordialmente,<< Ma sbrigati però. Io cercherò di guadagnare tempo. >>
L’uomo non se lo fece ripetere ancora. Tagliò attraverso il prato e raggiunse il furgone acquattandosi accanto ad esso. Il pianale era coperto da un sottile telo agganciato ai fianchi del veicolo, ma non fu difficile per Jack scostarlo quanto bastava per passare. Si accertò che la via fosse libera e salì sul pianale in gran parte occupato dai bagagli, ma anche da altri da oggetti che forse il padre di Jeremy utilizzava nel proprio lavoro. Attrezzi metallici, cavi e alcuni sacchi vuoti riposti li vicino. Si fece spazio più che poté, e provò a sistemarsi ma non ci riuscì. Inoltre notò come la copertura non fosse esattamente completa.  I genitori di Jeremy avrebbero potuto scorgerlo mandando a monte il piano. Dovendo decidersi in fretta, scelse una soluzione più impegnativa ma comunque efficace, e si nascose in uno dei sacchi vuoti. Non fu facile, ne piacevole ma quando finalmente riuscì a mimetizzarsi, si rannicchiò accanto ai bagagli attendendo pazientemente la partenza. Aspettò a lungo, tanto che rischiò quasi di addormentarsi di nuovo, finché udì alcune voci provenire da molto vicino:
<< Siamo pronti. Andiamo. >>
Il signor Whitewool richiuse il telo per coprire i bagagli, poi salì al posto del guidatore. Jackson provò a sbirciare fuori, ma si acquattò quando intravide per un secondo la madre di Jeremy. Il rombo del motore gli fece capire che sarebbero finalmente partiti. Il piano di Jeremy aveva funzionato per il momento. Jackson si concesse un sospiro di sollievo, mentre cercava di rimanere saldo sul pianale, sperando che una delle valigie non gli finisse addosso. Riuscì addirittura a sentirsi felice, semplicemente per il fatto che si stava finalmente allontanando da quel posto. Una vittoria misera in realtà, ma in quel momento gli bastava e avanzava. Una volta arrivato, avrebbe dovuto concentrarsi sul suo vero obiettivo,  La mente di Jack, balzò da un pensiero all’altro in pochi istanti, decidendo infine di ricordargli la promessa fatta al piccolo la sera precedente. Come se non sapesse di aver mentito. Non avrebbe mai davvero portato Jeremy nel modo degli umani. Aldilà di questo però iniziò a sentirsi quasi un criminale. Aveva vissuto alle spalle di un’altra famiglia, rubando il loro cibo, tuttavia non riuscì a capire come avrebbe potuto rimediare. Si decise che quando tutto quella storia fosse finita, avrebbe ringraziato Jeremy e la sua famiglia, ma per il momento doveva prima pensare a se. Dimenticandosi per alcuni istanti tutto il resto, Jack distese i propri muscoli e si rilassò socchiudendo gli occhi e lasciandosi cullare dalle oscillazioni del veicolo. Il viaggio proseguì tranquillo per un lungo tratto ma le cose si complicarono quando il furgone cominciò ad attraversare un tratto di strada dissestata. Le continue scosse destarono l’uomo, che tentò di mantenersi saldo, nonostante fosse abbastanza bloccato. In effetti quel giorno il signor Whitewool avrebbe fatto meglio a controllare la copertura del pianale, che finì per sganciarsi a causa delle repentine scosse dovute alle buche della strada. Jack non poté evitarlo, così come non poté evitare che il sacco in cui si era nascosto finisse pericolosamente vicino al bordo del pianale. A quel puntò bastò solo che il furgone passasse a tutta velocità su una cunetta poco profonda perché Jack venisse sbalzato fuori dal furgone. Un volo di pochi secondi seguito da un rovinoso ruzzolone. Il sacco che conteneva Jack rotolò svariate volte sulla strada, fino ad arrestarsi poco lontano.

Fortunatamente l’occupante non si ruppe niente, neanche gli occhiali, ma nessuno si accorse di lui e il furgone della famiglia Whitewool scomparve dietro ad uno spesso muro di alberi.
Jack strisciò fuori dal sacco, dolorante e furente per l’improvviso congedo:
<< Chi ti ha dato la patente razza di caprone!? >>
Jack barcollò verso il ciglio della strada, starnutendo per tutta la polvere che gli era entrata nel naso. Tolse cappuccio e sciarpa e si mise a fare dei profondi sospiri, continuando a guardare nella direzione in cui aveva visto sparire il furgone. Si mise una mano sul volto emettendo dei sommessi ed incomprensibili mormorii.
<< Jeremy! Mi dispiace! >>
Per un attimo sperò che l’agnello potesse sentirlo e tornasse a prenderlo, ma ovviamente non accadde. Jeremy era già troppo lontano. Jackson rischiò quasi di perdere nuovamente il controllo. Lo aveva perso. In un attimo tutti i suoi propositi e pensieri sfumarono. La sorpresa e il rimorso lo aggredirono in un istante. Fosse stato più furbo se ne sarebbe andato la sera precedente.

Pensare alla delusione del piccolo gli fece male, quasi più di quanto gli avesse fatto male la caduta, ma sapeva che in fondo era meglio fosse andata in quel modo. Non era neanche riuscito a ringraziarlo come si deve. Quante bugie gli aveva raccontato? Fino a che punto si era approfittato di lui? L’uomo inoltre sapeva che il piano studiato dall’agnello per aiutarlo una volta arrivato in città non avrebbe mai funzionato. Jeremy non sarebbe comunque riuscito a nascondere un umano in eterno e Jack non avrebbe potuto sopportare l’idea di mettere in pericolo un amico. Ma ora Jeremy non avrebbe avuto problemi dovuti alla sua presenza, e Jack non sarebbe stato tenuto a mantenere la sua promessa. Una promessa peraltro pericolosa e assai poco sincera che Jack si pentì innumerevoli volte di aver pronunciato. Nonostante provasse un forte senso di colpa per aver alimentato in quel modo le speranze di un bambino, tentò più volte di convincersi che ormai non poteva più farci nulla. E in effetti era vero. Jeremy se ne era andato, e probabilmente non lo avrebbe rivisto mai più.
Così le strade dei due si divisero. Jackson lanciò un ultimo sguardo dietro di se chiedendo ancora scusa al suo amico, forse il mammifero più coraggioso che avesse mai conosciuto. Tentò di lasciarsi alle spalle la sua ennesima disavventura, indossò nuovamente il travestimento, e si rimise in cammino non sapendo però che la sua avventura in quel luogo straordinario fosse appena cominciata.

La marcia ricominciò, ma fortunatamente durò molto meno della precedente. Poco dopo aver iniziato a costeggiare la strada, Jack incappò in uno stretto sentiero che portava sulla vetta di una collina dalla quale l’uomo avrebbe potuto dare una occhiata ai dintorni. Durante tutto il tragitto Jackson dovette ripetere a se stesso i motivi per cui doveva raggiungere la città. Ragionò a lungo arrivando a trarre una importante conclusione: se lui si trovava li probabilmente anche altri esseri umani erano riusciti ad arrivare, e se erano nella sua stessa situazione avrebbero anch’essi cercato di raggiungere la città. Jack sperò davvero di non essere l’unico essere umano in quel luogo, ma non avrebbe potuto esserne certo finché non avesse raggiunto la città. Marciò per un tempo incalcolabile, e ad un certo punto gli sembrò di sentire un rumore in lontananza quasi come quello di un treno, ma ci diede poca importanza. Arrivò ben presto in un punto in cui la vegetazione si infittì leggermente, e il terreno iniziò a salire.  Si fece strada tra le fronde inciampando e incastrandosi in tutti i modi, finché un raggio di sole non lo accecò per un istante. Si mise una mano sul viso e, quando si fu abituato alla luce Jack si ritrovò sulla cima di una scogliera.
Ancora qualche passo e probabilmente sarebbe finito in acqua. Tornò in se e ciò che vide quando alzò lo sguardo lo  lasciò senza parole. Da quel punto vi era una vista perfetta della città che si delineò in tutto il suo splendore davanti ai suoi occhi. La prima cosa che Jack notò furono gli enormi grattacieli che svettavano al di sopra degli altri edifici. La città pareva già di per se sconfinata, anche più di come gliela avesse descritta Jeremy. Era tutto sorprendente dalla loro altezza alla loro forma ed erano resi splendenti dal sole che si rifletteva sui vetri colorati. Ma come tale visione lo meravigliò, allo stesso tempo lo spaventò tremendamente. Finora non ci aveva mai davvero pensato, ma solo allora si rese conto di essere l’unico umano vivo sulla faccia della Terra,( sempre che quello fosse effettivamente il pianeta Terra) ed era un pensiero, almeno per lui, a dir poco inquietante.
Guardò  prima a destra, poi a sinistra e vide un lunghissimo viadotto che attraversava la baia e portava fino in città. Ci pensò per un momento, ma alla fine decise che tentare di raggiungerlo era fuori discussione. Altra cosa che notò furono un discreto numero di imbarcazioni che andavano avanti e indietro lungo quel tratto di mare, e pensò che probabilmente doveva esserci una banchina o un molo li vicino. Si sporse, osservando al di sotto del luogo in cui si trovava e si stupì notando un’ imbarcazione ormeggiata in una piccola spiaggia sabbiosa immediatamente sotto di lui. Sollevato dalla scoperta tornò indietro e scese lungo il pendio, cercando di raggiungerla. Quando finalmente arrivò si mise ad ispezionare il luogo. La barca era ormeggiata ad un piccolo molo improvvisato, composto da alcune tavole di legno marcio. Anche l’imbarcazione aveva un aspetto piuttosto trascurato: la vernice bianca era consumata in svariati punti e il nome sullo specchio di poppa era ormai illeggibile. Solo allora Jack si rese conto delle sue effettive dimensioni, era un peschereccio in fin dei conti, abbastanza piccolo da raggiungere una spiaggia isolata come quella, ma abbastanza grande da richiedere addirittura una piccola scialuppa. Non avendo altre idee Jack pensò di chiedere un passaggio ai proprietari della barca, ma non vide nessuno li intorno.
–Forse è abbandonata- pensò.

Si avvicinò cercando di scorgere la sagoma di qualche pescatore; ma visto che sembrava esserci solo lui, decise di salire a bordo e vedere se trovava qualcosa. Attraversò il molo, rischiando più volte di scivolare sulle assi tutt’altro che stabili, e da li scavalcò il parapetto ritrovandosi su di un ponte deserto, al centro del quale vi era un boccaporto chiuso e vicino ad esso alcune casse. Jack si diresse verso la cabina principale che si trovava leggermente spostata a prua, ma non vi trovò gran che dentro; tuttavia si sorprese notando che tutta la strumentazione fosse funzionante, inoltre trovò alcune fotografie di quelli che, con tutta probabilità, erano i pescatori. Al suo naso arrivò anche un debole odore di tabacco provocato da un mozzicone di sigaretta lasciato in un posacenere li accanto. La prova inconfutabile che la nave non fosse abbandonata, i proprietari si erano solo assentati, Jack non doveva fare altro che aspettare che tornassero. La scoperta rincuorò l’uomo, ma il suo buon umore non durò a lungo. Una volta uscito dalla cabina, Jack  notò nuovamente le casse abbandonate sul ponte, si avvicinò e scoprì che alcune di esse erano aperte. Era certo si trattasse di materiale per la pesca, ma un’improvvisa curiosità lo spinse ad avvicinarsi e sollevare il coperchio. Ciò che trovò lo lasciò interdetto. La copertura della cassa cadde rivelandone  il contenuto: un vasta gamma di componenti metallici e materiale elettronico, la seconda cassa invece era piena di bottiglie di liquore, mentre nell’ultima vi era un vero e proprio arsenale di petardi. Un brivido di orrore attraverso il volto dell’uomo quando in cuor suo realizzò che quella non era una nave di pescatori, ma di contrabbandieri; e lui ci era salito sopra. Rischiò quasi di farsi sopraffare dal panico, doveva andarsene da li e alla svelta. Rimise frettolosamente la copertura alle casse, ma proprio mentre stava per raggiungere nuovamente il molo udì alcune voci avvicinarsi dal pontile. Jack si guardò intorno non sapendo che fare, ma riuscì a nascondersi appena in tempo dentro alla scialuppa coprendosi con il telo di copertura, molto più grande e pesante di quello del furgone del signor Whitewool. Rimase immobile respirando lentamente, finché non sentì dei passi sempre più vicini e poi delle voci:
 << Chi è l’idiota che ha lasciato una cassa aperta? >>
<< Non guardare me. >> disse una voce da chissà dove.
<< Quante volte vi ho detto di fare attenzione? Questo è il nostro affare più importante e niente deve andare storto. >>
 
Jack spostò leggermente il telo e vide gli stessi animali che erano nella foto. Un cinghiale, una tigre, una zebra e un massiccio orso bruno; una squadra decisamente improbabile. Indossavano tutti dei pantaloni scuri di tela, l’orso e la tigre portavano una salopette sopra alla camicia, la zebra una maglietta a maniche corte e il cinghiale, che aveva tutto l’aspetto del capo, un grande impermeabile scuro. Così conciati chiunque avrebbe potuto scambiarli per pescatori. Il cinghiale continuò rivolgendosi agli altri:
<< Portate a bordo l’ultima parte del carico e partiamo, si sta facendo tardi. >>
L’uomo rimase fermo rannicchiato dentro la scialuppa ad osservare la scena, gli animali portarono tutte le casse sottocoperta, poi vide la tigre dirigersi verso la cabina al centro dell’imbarcazione. Subito si udì il rombo del motore, poi alcuni colpi e l’imbarcazione partì. Jack rimase immobile, cercando di non fare rumore. Ad un certo punto udì il alcuni animali parlare tra loro sul ponte, era difficile capire cosa dicessero per via del rumore del motore: << Questo è un colpo grosso, portiamolo a termine, e il nostro cliente ci ricompenserà molto generosamente. >>
<< A che cosa gli serviranno tutti quei componenti? >>
<< Non ti deve importare. Facciamo ciò che dobbiamo fare e basta. >>
Quelle parole non rassicurarono affatto Jack ma, benché fosse tremendamente preoccupato, lo rincuorò il fatto che se non altro stava attraversando la baia; una volta arrivato avrebbe sicuramente trovato un modo per scappare; se fosse andato tutto liscio. Come invece non accadde. Mentre era nascosto, Jack si sentì girare la testa, poi un nuovo flashback gli si infilò nella mente; anche questo sempre molto confuso. Ogni suono sparì e gli parve di iniziare a ricordare qualcosa, ma proprio quando un’immagine stava iniziando a formarsi all’interno della sua testa, il pesante telo di copertura si sollevò e una forte zampa tigrata lo prese per il collo togliendogli il fiato. Jack fece appena in tempo ad accorgersene che si ritrovò sul fondo delle scale che portavano sottocoperta. Un improvviso dolore gli percorse il braccio e la schiena per come era atterrato; ma quando tentò di rialzarsi un ulteriore calcio lo spinse verso una cassa li vicino rovesciandone il contenuto. Nella foga del momento Jack si rese conto di aver perso la sciarpa, e si affrettò a recuperarla prima che qualcuno lo vedesse in viso. Si rigirò sul pavimento in direzione dell’entrata, ma davanti a lui trovò l’orso, il cinghiale e la tigre con lo fissavano con uno sguardo tutt’altro che rassicurante. Jack trasalì e si spostò indietro. Il capo dunque prese la parola:
<< Bene bene, a quanto pare abbiamo un clandestino a bordo. >>
<< Avevo sentito uno strano odore quando siamo saliti, sapevo che c’era qualcun altro sulla barca. >> aggiunse la tigre con un ghigno. Il capo sembrò non sentire:
<< Chi sei? E che diavolo ci fai qui? >>
Non vi fu risposta,l’uomo ancora stordito per il colpo continuò a fissare quei tre con uno sguardo spento cosa, a dire il vero, assai difficile per lui in quel momento. Aveva il fiato corto, sentiva ancora dolore al braccio e alla schiena e sudava copiosamente.
<< Amico … >> proseguì  il cinghiale,<< … se rispondi, potrei anche decidere di non farti troppo male. >>

In quel momento Jack capì di essersi davvero messo nei guai, era ovvio che quegli animali non gli avrebbero concesso clemenza. Per un attimo pensò di spiegare tutto, ma non lo fece per un solo motivo: per lui quella situazione era, si difficile, ma in qualche modo imbarazzante. Non si era mai sentito di un uomo minacciato in quel modo da un animale,  ed era una cosa che Jack non poteva accettare. Non sopportava di essere trattato in quel modo soprattutto da uno stupido cinghiale.
<< Secondo me è uno sbirro capo. >> disse l’orso che fine a quel momento si era tenuto in disparte.                Il capo sembrò non sentire neanche lui, un silenzio orribile calò in quell’istante.  Jack non ce la faceva più. Non sapeva che fare. Ormai era tardi per cercare di scendere a compromessi; e ovviamente non poteva spiegare il vero motivo per cui si trovava li. Ci pensò per un istante, ma alla fine decise che non si sarebbe mai abbassato a chiedere pietà ad un animale, non lui. Jack spostò la mano per raddrizzarsi e arrivò a toccare uno strano oggetto di forma cilindrica. L’uomo attese che il cinghiale si distraesse poi gettò una rapida un’occhiata vicino a sé. Nella penombra Jack riconobbe il grosso petardo che giaceva vicino alla sua mano. Ce ne erano molti altri rotolati fuori dalla cassa che aveva urtato poco prima. Senza farsi notare la raccolse e la nascose dietro di se, poi tornò a fissare i suoi aggressori. Sembrava che il cinghiale stesse perdendo la pazienza:
<< Va bene ho cercato di essere ragionevole con te, ma quanto pare … >>; poi volse le spalle e si rivolse a suoi scagnozzi:
<< Pensateci voi, e se non dice niente gettatelo in acqua. >> l’orso e la tigre si guardarono sorridendo in modo perfido, poi questa ultima disse:
<< Ti avviso amico, stai per passare un brutto quarto d’ora. >> si  avvicinò e afferrò  l’uomo per il collo cercando di togliergli il cappuccio. Jack capì di dover passare all’azione al fine almeno di non passare un “brutto quarto d’ora”; così con un gesto repentino afferrò il proprio accendino, fece brillare la miccia, e gettò l’ordigno sul pavimento prima che chiunque lo potesse intercettare; riuscendo appena in tempo a chiudere gli occhi e a coprirsi le orecchie.  Subito dopo una luce molto forte divampò nella stanza; seguita da un fracasso infernale.  Jack senti la morsa attorno al proprio collo allentarsi, ma quando tentò di aprire gli occhi si ritrovò disorientato in mezzo ad un mare di scintille, mentre vedeva le sagome sfocate degli altri animali che come lui barcollavano avanti e indietro per la stanza, e tutti i suoni sembravano essere scomparsi.  Approfittò dell’occasione, dopo che ebbe individuato l’uscita si mise a correre, per quanto ci riuscisse a causa anche del male alla schiena, in quella direzione mentre alle proprie spalle udiva le urla degli altri animali:
<< Aiuto! Non vedo più niente! >>
<< Quel maledetto sta scappando, qualcuno lo fermi! >>
 
Jack si trascinò fuori dal boccaporto, che chiuse e sigillò prima di accorgersi della zebra rimasta sul ponte. L’animale uscì dalla cabina armato di un tubo e si diresse verso Jack a tutta velocità per cercare di fermarlo. Quest’ultimo, che ancora faceva fatica a distinguere il sopra dal sotto, la schivò istintivamente gettandosi a destra. L’animale però non riuscì a fermarsi in tempo e inciampò finendo rovinosamente contro il parapetto. Jack si tirò su, rendendosi conto definitivamente del pericolo; si allontanò cercando una soluzione. La zebra si rialzò subito dopo e, ancora intontita, tentò di colpire l’uomo. Jack si spostò appena in tempo per evitare un fendente da parte del mammifero che infuriato cercava di colpirlo col tubo. Questo menava colpi in tutte le direzioni, mentre Jack puntualmente li schivava, correndo su e giù per il ponte dell’imbarcazione che peraltro si stava continuando a muovere senza nessuno che la controllasse, e a condire la scena vi erano le urla dei tre compari rimasti chiusi sottocoperta che cercavano in tutti i modi di forzare il boccaporto per uscire. La fuga proseguì per un po’ finché la zebra non riuscì a colpire Jack al fianco spedendolo a terra, ma attese ad attaccare nuovamente per tirare il fiato. Jack ebbe quindi il tempo di rialzarsi appoggiandosi al parapetto, ma quando la zebra tornò per colpire, l’uomo rivelò il salvagente che teneva in mano e con quello parò il colpo. Una vena di perplessità si dipinse per un istante sul viso della zebra che riprese nuovamente ad attaccare. Jack parò un paio di fendenti, ma attese che il suo aggressore si sbilanciasse per infilargli il salvagente dalla testa e quest’ultimo si ritrovò bloccato con le braccia serrate lungo i fianchi. Fulmineo  gli diede un forte spintone, facendolo finire fuoribordo con un sonoro tonfo. Ma l’euforia per la vittoria durò poco. Un forte schianto alle sue spalle lo fece sussultare altro non era, e Jack lo sapeva, il boccaporto che stava per cedere sotto alle spinte dei tre animali bloccati dentro. Una volta usciti la avrebbero fatto a pezzi, era arrivato il momento di togliere il disturbo. Si fiondò come un razzo dentro la scialuppa e iniziò a slegare le cime che la fissavano all’imbarcazione, era a buon punto quando il boccaporto si aprì con un sordo fragore e i tre mammiferi infuriati uscirono pronti ad acciuffarlo. Jack terminò l’operazione giusto un secondo prima che la forte zampa tigrata lo raggiungesse e lo afferrasse nuovamente per il collo. La scialuppa cadde in acqua allontanandosi nella scia dell’imbarcazione, l’uomo si mise in piedi ad osservare la barca allontanarsi con sopra i tre mammiferi che sbraitavano e imprecavano:
<< ACCIDENTI. Girate la barca e raggiungiamolo svelti! >>
<< Ehm, capo … >>
<< Cosa c’è? Eh? Ah! Abbandonare la nave! >>
 
Jack non capì bene cosa successe in quel momento, ma per qualche ragione fu felice di vedere un grande lampo di luce alzarsi alto nel cielo e le sagome dei tre mammiferi che si tuffavano in acqua in preda al panico. Probabilmente l’esplosione dei petardi aveva finito per accendere altre micce rimaste scoperte, e con tutta la polvere nera e l’alcool presenti a bordo la deflagrazione era stata inevitabile. Una moltitudine di lampi di luce colorata seguì subito dopo, sprigionando innumerevoli scintille che salirono alte nel cielo. Jack rimase attonito sulla scialuppa a osservare quel meraviglioso spettacolo pirotecnico, la nave che affondava lentamente portando con se il prezioso carico e le quattro sagome che arrancavano in acqua cercando di raggiungere un isolotto li vicino. Crollò a sedere sulla scialuppa togliendosi sciarpa e cappuccio e cercando di rendersi conto di cosa avesse appena combinato:  -Non metterò mai più piede su una barca in vita mia- .
Sollevò lo sguardo tornando a osservare la nave che affondava, avvertendo stranamente un senso di vittoria, del resto aveva sconfitto da solo un intero equipaggio di animali contrabbandieri. Quel pensiero gli parve così assurdo che per un momento sorrise, poi trasse un profondo respiro, si asciugò il sudore e, dandosi un’occhiata in giro, trovò un paio di remi riposti in fondo all’imbarcazione. Li prese e li dispose ai lati della scialuppa iniziando a spostarsi faticosamente verso la città.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** una speranza ***


Capitolo 5
Una speranza
Un forte battito risuonava nelle sue orecchie, non capiva cosa fosse ma di certo non se lo stava immaginando. La scialuppa abbandonata galleggiava pigramente accanto al molo. Da essa come uno spettro si levò una sagoma scura, che ben pochi però notarono impegnati come erano nel loro lavoro. Non fu quindi difficile per Jack raggiungere la banchina ed allontanarsi. La sagoma prese a spostarsi svicolando attraverso il porto e cercando di restare nell’ombra. Poco alla volta l’uomo riuscì a lasciarsi alle spalle i rumorosi cantieri, per addentrarsi nella famosa città e compiere i primi incerti passi tra gli edifici che delimitavano il distretto cittadino. Jackson si prese un po’ di tempo per riprendersi dalla sua scaramuccia con i contrabbandieri, ma benché fosse ancora scosso ogni suo altro pensiero scomparve quando vide i primi abitanti della città. Nonostante tutto quello che aveva passato, nulla avrebbe potuto preparalo a ciò che avrebbe trovato in quel luogo. La grande strada che aveva imboccato iniziò presto a suddividersi in sempre più vie, ognuna della quali raggiungeva gli angoli più remoti della città. L’uomo procedette arrivando ben presto alle vie più interne del distretto; anche il traffico aumentò e sempre più veicoli dalle più bizzarre forme e dimensioni invasero le strade in una sinfonia di clacson. Jack continuò ad avanzare incerto spostandosi lungo il marciapiede, ovunque si voltasse non smetteva mai di sorprendersi. Sempre più animali di ogni taglia e specie popolarono in un attimo le strade. Jackson rimase ad osservare molti dei passanti per alcuni secondi. Erano tutti animali. Ognuno diretto chissà dove. Veloci e attivi, pigri o lenti, a strisce o a macchie. In quel momento Jack sentì crescere dentro di se infinite emozioni contrastanti. Ma quello che di più lo stupì furono le innumerevoli opere architettoniche e tecnologiche presenti ovunque.
Ogni struttura, dagli edifici ai veicoli era qualcosa di impensabile, almeno per la mente di un uomo come lui. Una nuovissima parata di odori suoni e colori gli si palesò davanti in un istante. I bizzarri edifici e soprattutto i modi stupefacenti con cui gli animali erano riusciti ad adattarsi tutti allo stesso ambiente erano a dir poco geniali. Si sentì come un bambino appena nato capace di sorprendersi di qualsiasi cosa.
Possiamo solo immaginare la meraviglia, e allo stesso tempo la paura del nostro Jack mentre attraversava quel luogo; un luogo assolutamente fuori dal comune, un luogo che nonostante tutta la gioia che lasciava trasparire incuteva in Jack un profondo terrore. Ora per lui mantenere il profilo basso diventava fondamentale, si immaginò la reazione generale se si fosse trovato a viso scoperto davanti ad altri animali. Quel pensiero lo travolse e quasi automaticamente immaginò cosa gli sarebbe successo dopo: probabilmente lo avrebbero arrestato e poi sarebbe finito impagliato in un museo, o forse dissezionato in un qualche laboratorio segreto, chissà …
Pensieri terribili si avvicendarono nella sua mente; molti dei quali videro un terribile esito degli eventi. Ma Jackson riuscì a disfarsene richiamando il proprio autocontrollo. Quando le strade iniziarono a farsi troppo affollate, decise di dileguarsi attraverso gli stretti vicoli secondari che si diramavano in mezzo agli edifici più grandi dirigendosi inconsapevolmente verso quello che effettivamente era il centro del distretto di Downtown. Si fermò ad un certo punto in prossimità di una enorme piazza, una sorta di crocevia in cui passava un enorme numero di animali. Non c’era modo di aggirarlo, avrebbe dovuto attraversarlo per forza. Jack non poté fare altro che rimanere attonito. Non riuscì ancora a capacitarsene: prede e predatori, animali di ogni sorta che vivevano a stretto contatto tra loro, e ora lui era li in mezzo e non avevano nessuna intenzione di aggredirlo. Almeno per lui l’idea di essere l’unico umano in un mondo popolato interamente da animali era già di per se inquietante ma l’emozione, o forse la paura di quell’incontro ravvicinato lo ridussero in uno stato di semi incoscienza. Solo la voce del grosso cartellone pubblicitario alle sue spalle lo strappò dal suo mondo dei sogni; si voltò appena in tempo per vedere l’enorme faccia di una gazzella bionda che con il suo enorme sorriso diceva:
 << … benvenuti a Zootropolis. >>
Jack riacquistò conoscenza, ricordandosi di chiudere la bocca rimasta aperta sotto la sciarpa. Si ritrovò così immobile in mezzo ad una schiera di animali parlanti che andavano su e giù senza degnarlo di uno sguardo. Anzi in verità qualche occhiata la ricevette. Per quanto il suo travestimento fosse efficace, non era di certo perfetto. Inevitabilmente il suo aspetto apparve bizzarro ad alcuni mammiferi li presenti, che iniziarono a fissarlo in modo strano e a bisbigliare. Probabilmente riferendosi alle sue scarpe così tanto fuori moda. Tale mormorio si insinuò nel suo orecchio come un fastidioso ronzio. All’iniziò provò a non farci caso, ma ben presto capì che avrebbe fatto meglio ad allontanarsi in fretta. Sentì l’apprensione avvolgergli di nuovo lo stomaco, e con la mano calcò ulteriormente il cappuccio sulla sua faccia. Non fu una decisione eccellente, e se ne accorse solo quando andò a sbattere contro un rinoceronte rischiando quasi di rompersi il naso. L’enorme animale si voltò e gli lanciò uno sguardo truce.
 << Mi scusi. >>, disse Jack da sotto la sciarpa.
Si tastò il naso un paio di volte e , dopo averne assicurato l’integrità, riprese a muoversi rischiando di uccidere un criceto che si ritrovò la sua scarpa a pochi millimetri dal muso.
<< Guarda dove vai! >> si sentì urlare dal basso.
<< Sono desolato. >> si scusò Jack.
Fece un paio di passi indietro e si punse sugli aculei di un istrice liberando un sonoro grido di dolore. L’istrice si voltò per capire cosa stesse succedendo, ma Jack era già scomparso diretto a tutta velocità fuori da quel posto. Riuscì a raggiungere uno spazio meno affollato e si fermò per recuperare fiato, ma l’arrivo improvviso di una giraffa vicino a lui lo spaventò a morte. Sollevò la testa e per poco non gli venne il capogiro quando realizzò le vere dimensioni di quell’animale. Fu davvero troppo. Si mise a correre ed evitò alcune zebre quando si accorse che il suo travestimento stava cedendo. Si fermò un istante per rassettarsi e fu travolto da un branco di capre. Quando la marea passò, si ritrovò completamente illeso ma disorientato, al punto che finì per inciampare contro un’auto ferma. Si ritrovò a guardare l’asfalto ancora prima di capire cosa fosse successo. Jack non l’aveva notata prima perché era un’auto per animali di piccola taglia, non sarà stata alta più di cinquanta centimetri. Si rialzò lentamente ed imprecò tra i denti quando udì accendersi l’antifurto il quale, pur essendo per  un’auto così piccola, funzionava anche troppo bene. Il rumore attirò l’attenzione della maggior parte dei presenti.
-Al diavolo la discrezione- pensò Jack. A quel puntò senti la voce di un elefantino alle sue spalle:
 << Guarda papà, quel signore non ha la coda. >>
Jack lo guardò storto per un momento poi riprese a correre come un ossesso lungo il marciapiede, superò un paio di strade, svoltò in un vicolo e si appiattì contro il muro. Tolse la sciarpa per riprendere fiato e  si gettò un paio di occhiate attorno per assicurarsi che non ci fosse nessuno. Dovette fare appello a tutte le proprie forze per non crollare e si percosse da solo maledicendo la propria goffaggine. D’ora in poi doveva fare più attenzione, non poteva permettersi altri errori del genere. Avrebbe avuto bisogno di tempo per adattarsi a quel posto. Dovette estinguere la paura per lo scampato pericolo prima di indossare nuovamente la sciarpa ed uscire dal vicolo per addentrarsi nelle vie centrali del distretto di Downtown.
Attraversando quelle strade però, Jack notò come in qualche modo, l’intera città lasciasse trasparire una sorta di armonia contagiosa. Pensò che forse non doveva essere facile per certi animali andare d’accordo, eppure quella città aveva un non so che di idilliaco. Gli tornarono alla mente le parole di Jeremy: “la città in cui ognuno può essere ciò che vuole”, non seppe perché ma si sentì piuttosto scettico su questo punto. Già, Jeremy …
Inevitabilmente il pensare al suo amico causò in Jack un ulteriore vuoto allo stomaco. Si sentì in colpa. Cosa plausibile peraltro. Dovette rispiegare a se stesso le proprie motivazioni, ma stavolta neanche esse bastarono ad estinguere la tristezza dovuta a quell’ abbandono involontario.
Imboccò una lunga via piena di negozi, meno affollata della precedente, ed un poco si sorprese di come   riuscisse per così dire a restare nascosto pur essendo in piena vista. Osservò attentamente l’ambiente. Tutti parevano essere così felici. Una felicità da cui Jack si sentì lontano anni luce. La solarità degli altri mammiferi lo fece sentire meglio, ed in fondo sinceramente invidioso. Continuò a camminare fermandosi alcuni secondi ad ogni vetrina, ed intravide un paio di oggetti dall’aspetto davvero interessante, tuttavia questo gli fece anche ricordare di essere completamente al verde. L’uomo sospirò e si passò una mano sulla testa, cercando il proprio portafogli dentro ai pantaloni. Gli riservò una occhiata malinconica prima di rimetterlo a posto.
 Proseguì per un po’ quando vide un piccolo gruppo di animali davanti alla vetrina di un negozio di elettrodomestici. Incuriosito, Jack si avvicinò al vetro dietro al quale vi erano tre televisori di diversa grandezza che trasmettevano in sincrono la stessa notizia, prese posto e ascoltò:
<< Grande spavento questo mattina per l’improvvisa esplosione avvenuta nella baia. Secondo un recente sopralluogo l’imbarcazione trasportava materiale contraffatto altamente infiammabile, ma non è chiaro come esso possa essersi incendiato. Le autorità sono ora impegnate nel recupero del relitto, ma dei proprietari si sono perse le tracce. >>
 A quanto sembrava il diverbio che aveva avuto con la simpatica banda di marinai non era passato inosservato. Inizialmente la notizia lo turbò, tuttavia era certo che non avrebbero mai potuto risalire a lui. Aveva senza dubbio fatto un bel lavoro anche se avrebbe preferito non attirare tutta quella attenzione. Pensò di andarsene quando la notizia seguente attirò la sua attenzione:
<< La comunità scientifica si è riunita in giornata per esporre le proprie teorie sul lampo di luce apparso in cielo pochi giorni fa. >>
Seguì un filmato amatoriale dell’evento in questione. Benché il video non fosse eccellente, il lampo fu ben visibile. Una  lama luminosa che dal cielo si abbatté al suolo. Lui stesso ne rimase turbato. centrava forse qualcosa con la sua presenza li? In quel momento un’altra leggera fitta alla tempia lo distolse dalla realtà. Il tutto durò pochi secondi, giusto in tempo perché Jack potesse sentire l’ultima parte del servizio:
 << E ora cediamo la linea alla nostra inviata Jenny Crowe per l’intervista al pluripremiato scienziato Beauford Dent.>> Subito sullo schermo apparve il viso di una giovane lontra:
<< Qui è Jenny Crowe, in diretta dall’istituto di ricerca e sviluppo tecnologico di Zootropolis, oggi abbiamo con noi uno dei più importanti scienziati della città, il professor Dent. >> La telecamera inquadrò il vecchio castoro di cui si parlava. Indossava un camice bianco, e i piccoli occhi erano protetti da un paio di occhiali da vista. << Signor Dent circolano voci sugli strani fenomeni degli ultimi giorni. >>
L’intervistato parlò sfoderando uno strano accento dovuto ai suoi incisivi prominenti:
<< Abbiamo ragione di credere che siano anomalie innocue, tuttavia i nostri migliori esperti sono al lavoro per determinarne le cause. >>
<< Quindi i cittadini non hanno motivo di temere nulla? >>
<< Assolutamente no; ma resta pur sempre un fatto senza precedenti. >>
<< Che cosa sapete per il momento? >> domandò a quel punto la giornalista.
<< Secondo le recenti rilevazioni il lampo ha sprigionato una grande quantità di energia e gas, il quale essendo rimasto a lungo nell’atmosfera è poi ricaduto sottoforma di pioggia. Ora, questa “pioggia” invece di essere assorbita dal terreno è rimasta in superficie e si è cristallizzata. Abbiamo analizzato questi cristalli e il loro potenziale energetico è rimasto elevato. >>
<< Questi cristalli, quindi, potrebbero essere usati come fonte di energia? >>
<< Quasi sicuramente, dobbiamo condurre altri esami. >>
<< Quanto credete ci vorrà? >>
<< Ancora non lo sappiamo, ma vi terremo informati. >>
<< Possiamo vedere uno di questi cristalli? >>
<< Certamente. >> il castoro mise la zampa in tasca e estrasse un sassolino rossastro e irregolare praticamente identico a quello di Jack. L’uomo sgranò gli occhi e si mise automaticamente la mano in tasca.
<< Allora noi restiamo in attesa, grazie professor Dent. Da Jenny Crowe all’istituto di ricerca e sviluppo tecnologico di Zootropolis è tutto, a voi la linea. >>
Jack si allontanò continuando a pensare, animato da una minuscola speranza. Una novità incredibile senza dubbio. Quindi il sasso, o meglio il cristallo che aveva in tasca proveniva dal quel lampo di luce? E quel lampo centrava forse qualcosa con la sua presenza li. Non ne era certo ma forse ciò che c’era dietro a quel minerale poteva essere il suo biglietto di andata per casa. Altre domande, altri dubbi si sommarono ai precedenti, ma di una cosa fu certo: doveva tenersi informato sul lavoro di quello scienziato. Ma per il momento non poteva che aspettare, di contro non si sarebbe di certo annoiato; aveva un’intera città popolata da animali da esplorare, e nel frattempo cercare di fare un po’ di luce sul suo passato. Ma preferì godersi quel poco di felicità appena ritrovata. Proseguì per un po’, poi gettò uno sguardo all’orologio; le quattro del pomeriggio. Il tempo era volato!
 Jack continuò a camminare cercando di mantenere la discrezione, cosa non esattamente semplice. Ma riuscì comunque a rimanere vigile, e discreto. La sua marcia lo portò in un altro angolo del distretto, e l’uomo iniziò a chiedersi dove fosse effettivamente.  Fortunatamente li vicino , attaccata ad un pannello trovò una cartina dell’intera città comprendente tutti gli ecosistemi, con la freccia “tu sei qui”.
-Buono a sapersi-, pensò Jack, -Quel che non so e come ci sono finito QUI-.
Osservando meglio la carta Jack notò che la zona comprendente la città era molto più grande di quanto avesse pensato. Tutti gli ecosistemi concentrati in una sola città, incredibile. E ora lui si trovava vicino al centro di quel pianeta in miniatura, pianeta alieno si intende. Alzò lo sguardo e vide gli enormi grattacieli che dominavano la città. Enormi torri impenetrabili che gli ricordarono quanto fosse davvero piccolo. Quella sensazione durò poco, si raccolse e si rimise in marcia diretto da nessuna parte; fortunatamente a quell’ora c’era meno gente in giro così riuscì ad evitare altri incidenti. Svoltò un paio di vie, poi si sedette a riposare su una panca arrugginita. Si appoggiò allo schienale, volse lo sguardo ed incontrò quello di un cane senzatetto che lo fissava. Jack iniziò a fissarlo a sua volta. Non si scompose, cercò di sembrare naturale e salutò questo con un cenno del capo. Di tutta risposta il cane lo squadrò per alcuni istanti, poi raccolse le proprie cose e se ne andò. Jack ci rimase male fino ad un certo punto, anche lui del resto avrebbe reagito così se uno come lui gli si fosse seduto accanto. La malcelata paura di quel cane era giustificata.
-Quello mi guardava in … cagnesco.- realizzò infine mettendosi a ridere come un idiota.
Gli ci volle un po’ per calmarsi, in effetti erano state poche le occasioni in cui aveva riso da quando era si era ritrovato in quel luogo. Tirò un paio di sospiri e si mise a contemplare le bizzarre auto che passavano continuamente davanti a lui.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** un incontro fortuito ***


CAPITOLO 6
Un incontro fortuito
 
Anche durante una giornata splendida possono succedere fatti spiacevoli. Stupisce la semplice casualità con cui essi accadano, anche in una città come Zootropolis. Non si sa mai che alla porta del vostro negozio possa palesarsi un individuo sospetto che irrompa all’interno armato delle peggiori intenzioni per poi andarsene correndo dopo avervi derubato. Fu proprio ciò che accadde in un punto imprecisato del centro.
La porta di un negozio anonimo si aprì di schianto e una losca figura ferina ne uscì in tutta fretta con la refurtiva nascosta sotto giacca. Alcune occhiate nervose prima davanti e poi dietro furono sufficienti a fargli credere di potersi defilare senza problemi. Le urla del gestore però, bastarono a mettere in allarme tutti i presenti, compresa una coppia di poliziotti che a bordo della loro auto stavano eseguendo il loro giro di ronda.
Il ladro tentò subito di dileguarsi correndo nella direzione opposta, ma la volante non tardò a raggiungerlo. L’inseguimento proseguì attraverso parcheggi, vicoli e strade ma ne gli inseguitori ne l’inseguito parevano essere intenzionati a cedere. La rocambolesca fuga terminò quando il malvivente voltatosi per accertarsi di aver seminato i due agenti, andò a sbattere contro un passante. L’urto fu sufficiente a far cadere a terra entrambi e la refurtiva si sparse tutt’intorno.
Un forte battito risuonava nelle sue orecchie, non capiva cosa fosse ma di certo non se lo stava immaginando. Jackson si ritrovò supino a guardare il cielo, borbottando tra i denti una fantasiosa imprecazione. Mise una mano a terra per alzarsi e toccò qualcosa di liscio e regolare, sottile come la carta. Quando riuscì a vedere meglio si accorse di avere in mano un biglietto, come quelli per i concerti o per le partite. Ce ne erano molti altri sparsi sul selciato, insieme ad un lupo con il volto coperto che cercava di raccattarne il più possibile. Impiegò pochi istanti per capire la situazione. Si alzò cercando di allontanarsi ma i quel momento si accorse di aver perso sensibilità in gran parte del corpo. Rimase in ginocchio, quando si accorse che il rapinatore davanti a lui non era più un comune ladro, ma la figura evanescente della sua mente che lo fissava. Questa puntò un dito contro Jack poi una voce innaturale uscì dalla sua bocca inesistente:
<< Che cosa hai fatto Jack? >>
Jackson ansimò terrorizzato, ma quando abbassò lo sguardo vide un bagliore proveniente dal cristallo  rotolato fuori dalla sua tasca a poca distanza davanti a lui. Provò a raggiungerlo ma il lupo, o meglio la figura, pensando fosse un oggetto di valore lo precedette soffiandoglielo per un secondo. L’uomo non rimase inerme e con rinnovato coraggio si protese in avanti verso il ladro:
<< Hei, quello è mio! >>
I due iniziarono a strattonarsi cercando di prendere per se il prezioso sassolino. Uno scontro feroce ma fortunatamente breve. Con un calcio, Jackson allontanò il malintenzionato riuscendo a recuperare la pietra, quando il rumore di una brusca frenata lo sorprese alle spalle. La prima cosa che vide fu la sagoma di un’automobile, non ebbe tempo di osservare meglio, ma per poco scorse i due lampeggianti accesi sul tetto. Si ritrovò così sbalzato sul cofano ed urtò contro il vetro prima di ricadere a terra stordito. In quel mentre il rapinatore scomparve lasciando dietro di se una scia di pezzi di carta.
Il tutto durò sempre pochi secondi. Il mondo riacquistò i suoi colori, ma quando Jack recuperò lucidità sentì una seconda voce, più gentile e acuta chiamarlo da chissà dove:
<< Signore, signore sta bene? >>
Jack tentò di rigirarsi su un fianco accusando dolore al petto dovuto ad una o forse più costole incrinate. Rantolò e si rimise in piedi con non poca fatica. Quando vide di nuovo chiaro, si accorse del coniglio o meglio della coniglietta accanto a lui che, preoccupata, continuava a chiedergli se stesse bene. Jackson si appoggiò al cofano dell’auto per reggersi e rispose:
<< Ma certo agenti, sto bene. >>
Si sorprese da solo di tali parole. Quello che aveva davanti era davvero un agente di polizia. Fosse stato un po’ più lucido avrebbe notato subito il suo abbigliamento. Indossava una divisa blu, con un distintivo dorato sul cuore e pantaloni scuri tenuti su da una cintura in cui erano inseriti la radio, la pistola a sedativi e un altro paio di oggetti. Le lunghe orecchie grigie erano ritte sulla sommità del suo piccolo capo, ed esibiva due vispi occhi viola sul suo piccolo muso.  Subito dopo Jack si accorse anche del suo collega: una volpa fulva con la stessa divisa ed uno sguardo tutt’altro che calmo.  Abbassò il capo e tossicchiò pregando di non perdere la calma proprio ora. Le sue parole parvero calmare i poliziotti che tirarono un sospiro di sollievo:
<< Ne è sicuro? Ci ha fatto prendere un bello spavento. >>
-Mai quanto me. –  pensò Jackson.
A quel punto fu la volpe a parlare, e non tardò a rimproverarlo:
<< Che diavolo ci faceva in mezzo alla strada? >>
Jackson non si scompose, benché l’idea di essere rimproverato da una coppia di animali gli sembrasse assurda:
<< Credo di aver avuto un diverbio con un ladruncolo. Per caso lo stavate inseguendo? >> disse cercando di ignorare il dolore al torace.
<< Si per sua informazione. Ma prima di tutto vorremmo evitare vittime. >> rispose la volpe con sincera irritazione.
<< Le ho già detto che sto bene. Però ho paura che il vostro ladro ormai abbia preso il volo. >>
<< Maledizione . >> disse la volpe guardando nella direzione in cui il ladro era scappato. Salì in macchina e messa mano alla radio si mise in contatto con la centrale. La coniglietta invece rimase fuori a parlare con Jack:
<< Lo scusi, ultimamente è un po’ stressato. >> disse la poliziotta riferendosi al collega.
<< Non fa niente. >> disse l’uomo. Tentò di fare un passo ma cedette sulla gamba dolorante:
<< Faccia piano. Deve essersi fatto male.  >> disse la coniglietta.
<< Cinque minuti e mi passa. Non è stato … terribile. >>
Si spostarono sul marciapiede e l’agente iniziò ad esaminare la scena:
<< Se non altro il ladro ha abbandonato una parte della refurtiva. >> disse osservando il gran numero di biglietti che il ladro non era riuscito a portare con se.
<< Magro bottino. >> commentò Jack.
<< Che genere di ladro ruberebbe dei biglietti? >>
<< Più di quanti si pensi. Abbiamo avuto parecchi problemi con questi bagarini. >>
<< Questo non è stato fortunato. >> osservò Jack.
<< Vi ha aggredito? >> chiese la coniglietta
<< A cercato di derubarmi ma non ci è riuscito. >>
<< Per caso lo avete visto in faccia? >>
-Quello non aveva la faccia.-  pensò Jack ripensando alla sua visione.
<< No purtroppo. >> disse Jack cercando di sembrare dispiaciuto.
<< Lei è fortunato lo sa? >> disse l’agente. Jack riuscì a cogliere tutta l’amara ironia di quella frase, e con la lingua tra i denti rispose                                                                                
<< Spesso me lo dimentico. >>
La coniglietta si mise a squadrare Jack dall’alto verso il basso, osservando il suo aspetto non poco bizzarro, così gli chiese:
 << Lei … è nuovo di qui vero?
<< Come lo ha capito? >> domandò Jack con una punta di ansia nella voce.
<< Un’ impressione, forse dovuta al suo … >>
<< Abbigliamento? Capisco. >> la anticipò Jackson.
La poliziotta trattenne una risata e disse:
<< Vuole lanciare una nuova moda per caso? >> disse indicando le scarpe di Jack. Questo prese a grattarsi la nuca e a guardare da tutt’altra parte.
<< Però sembrano comode, dove le ha trovate? >> proseguì la coniglietta.
<< Le ho fatte io. Ho i pied … voglio dire le zampe, molto delicate. >>
<< Anche la sua faccia è delicata per caso? >> disse la volpe già di ritorno.
<< Nick! >> lo riprese la collega.
 Jackson ridacchiò poi rispose:
<< Lei è molto spiritoso lo sa? >> disse Jack camuffando alla perfezione il proprio sarcasmo. Ormai era diventato bravissimo a mentire.
<< E lei … potrebbe togliersi il cappuccio quando parla? >>
Quelle parole punsero l’uomo come un ago da maglia.
<< Ecco no … non posso. >>
<< E perché no? >> domandò l’agente inarcando un sopracciglio.
L’uomo prese coraggio e disse:
<< Perché … in un certo senso lei ha ragione agente.  Vede la mia pelle è molto sensibile alla luce del sole. Non posso scoprirmi troppo, sennò … sto male. >> spiegò Jackson ormai convinto di aver perso il conto di tutte le stupidaggini sparate fino a quel momento. Quella volpe iniziava a dargli sui nervi, tuttavia era consapevole di trovarsi su di un terreno minato, e la sola cosa che gli venne in mente di fare fu cercare di cambiare argomento:
<< Inoltre … >> disse << non ho ancora avuto modo di ringraziarvi per avermi salvato. >> azzardò.
<< Ma le pare, del resto l’abbiamo investita con l’auto. >> disse la volpe un poco sorpresa.
 << È stato un incidente. E se non foste arrivati quel ladro mi avrebbe di certo derubato. Quindi non posso che ringraziarvi agenti Hopps … e Wilde? >> disse, leggendo i nomi dalle uniformi dei due poliziotti. Questi si scambiarono un’occhiata perplessa, poi la coniglietta disse:
<< Beh, lieti di averla aiutata signor … ? >>
<< Wes … ser. Si Wesser. >>
<< Abita molto lontano da qui signor Wesser? >>
 << No no. Il mio albergo è proprio qui vicino. Anzi per la verità si è fatto tardi, devo proprio andare. >> rispose prontamente.
<< Allora … arrivederci. E faccia attenzione. >>
<< Certamente, e buona fortuna con il vostro caso. >> disse Jack che ormai si era allontanato parecchio. I due poliziotti rimasero ancora un poco a fissare il misterioso individuo appena incontrato.
<< Certo che quello è proprio strano. >>
<< Non so, c’è qualcosa i quello li che non mi convince. >> disse la volpe con espressione assorta.
<< Non sei l’unico. Comunque ora dobbiamo sbrigarci, o il capitano andrà su tutte le furie. >> disse la coniglietta.
<< Agli ordini. Ma solo dopo un bel gelato. >> concluse la volpe sorridendo.
Così i tre si congedarono, i due poliziotti alle prese con il loro caso, e Jack impegnato a riprendersi da quell’incontro. Acciaccato e dolorante riprese a camminare imponendo a se stesso di non combinare altri disastri fino all’indomani. Aveva battuto ogni record di stranezze in una sola giornata ed era stato molto vicino a lasciarci le penne. Ma ciò che lo preoccupò di più fu la sua ultima visione, il pensiero di come fosse stata così reale e duratura lo inquietò non poco. Tuttavia si era anche fatto due nuovi amici no? Quei due agenti stavano forse sospettando qualcosa? Decise di non pensarci, e di non pensare a nient’altro per quel giorno.
Non camminò molto prima di accorgersi di avere qualcosa attaccata sotto la suola della scarpa. Quando guardò trovò uno dei biglietti caduti a terra e di cui si era inavvertitamente impossessato. Con più calma si mise ad osservarlo. Sembrava un biglietto costoso a giudicare dalle dimensioni:
<< Posto in prima fila, pass per il backstage … ma chi diavolo è Gazelle? >> si chiese.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** il tesoro sepolto ***


Capitolo 7
Il tesoro sepolto
Un forte battito risuonava nelle sue orecchie, non capiva cosa fosse ma di certo non se lo stava immaginando. Il sole stava ormai per tramontare e le ombre iniziarono ad allungarsi sulle strade della città. Ovunque si accesero lampioni, luci e insegne a neon come a voler indicare che il ritmo di quella città non terminava nemmeno di notte.
Il movimento nelle vie più interne non diminuì, o almeno Jackson non se ne accorse, ormai stanco di quel giorno che gli aveva riservato così tante emozioni. La sola cosa che avrebbe voluto in quel momento era solo un posto in cui poter riposare. Aveva camminato per chilometri, tanto da non sentire quasi più le gambe, doveva assolutamente fermarsi, ma dove? Quando il sole calò del tutto, l’aria diventò fredda. Troppo fredda per passare la notte fuori. Si sarebbe accontentato anche di un pezzo di cartone abbandonato sul marciapiede se ne avesse trovato uno. Il suo vagabondare lo portò vicino alla periferia del distretto, in un vecchio complesso industriale abbandonato, ben lontano dalle luci e dall’allegria del centro, formato da grandi capannoni marcescenti e altre strutture a prima vista tutt’altro che sicure. In un batter d’occhio riacquistò la propria identità di figura scura e anonima che vaga alla ricerca di un posto in cui poter riposare. Non era così che si sentiva del resto? Come un fantasma? Anzi avrebbe quasi preferito essere davvero un fantasma. Almeno non avrebbe sentito la stanchezza e i crampi allo stomaco. Il tremendo silenzio che dominava quel luogo non fu un problema per lui, ormai si era abituato alla solitudine. Si addentrò in quel luogo restando vigile, per quanto ancora potesse. Dovette anche fare i conti con un fastidiosissimo senso di paranoia. Si fermò ad un certo punto davanti ad un vecchio deposito grigio, con i vetri rotti e i muri ammuffiti dal tempo, e rimase ad osservarlo per un po’. Gli ricordò il capanno in cui aveva fatto la conoscenza di Jeremy. Questo però era molto più grande e a prima vista non gli disse assolutamente nulla. Quello non era di certo un posto segreto in cui poter esprimere la propria fantasia. Quella struttura fatiscente portava i segni dell’abbandono e insieme all’oscurità che la circondava appariva come qualcosa di spaventoso. Normalmente non ci avrebbe mai messo piede ma quella era una situazione assolutamente fuori dal normale. La gelida brezza notturna fu sufficiente a fargli cambiare idea. Il cigolio della pesante porta di lamiera rimbombò in ogni angolo. Dentro era completamente buio, non vi era nessuna luce fatta eccezione per una vecchia torcia impolverata abbandonata sul pavimento, Jack la raccolse e la accese. Una scossa di paura lo attraversò quando vide una orribile ombra con la bocca piena di denti affilati apparire sul muro. Lo spavento che prese fu tale che perse la presa sull’oggetto che si spense nuovamente. A tentoni Jack lo recuperò, fortunatamente funzionava ancora. Guardò meglio e si sentì uno sciocco ad essersi spaventato per l’ombra di un vecchio macchinario arrugginito. Fece un respiro profondo e, con molta prudenza, continuò ad esplorare quel luogo dimenticato. Li dentro c’era un terribile odore di muffa, ma se non altro era asciutto. Ovunque vi era un gran numero di rottami metallici e macchinari in disuso, abbandonati li come giocattoli rotti, insieme  ad innumerevoli imballaggi vuoti che fornivano ora riparo agli insetti. Jackson iniziò a chiedersi quali altri “mostri” potessero nascondersi in quel posto, e un poco rise rendendosi conto che l’unico vero mostro presente li dentro era proprio lui.
La polvere era talmente tanta che Jack se la sentiva continuamente dentro il naso. Si spostò verso il centro del capanno finché non arrivò in una spazio più largo delimitato da alcune taniche di benzina e altri macchinari, notando con sua grande sorpresa una  discreta quantità di bottiglie di birra vuote e anche i resti di un falò, lasciati probabilmente dai precedenti (o attuali) inquilini. Jack non aveva valutato questa possibilità ma ormai era troppo stanco per pensarci, decise quindi di fare finta di niente, almeno finché non se ne fosse presentata l’eventualità. Appoggiò la torcia su un ripiano, in modo da avere una migliore illuminazione poi prese alcuni fogli di cartone, dei quali c’era abbondanza, e li sovrappose creandosi una sorta di letto.
–Non potrei cadere più in basso di così- pensò Jack mentre terminava il lavoro.
 Il letto non aveva certo un’aria accogliente ma almeno non avrebbe dormito sul pavimento. Subito decise di accendere un fuoco, cosi liberò una piccola porzione di pavimento e vi accatastò altri fogli di cartone. Poi si diresse verso le taniche di benzina che aveva visto poco prima pregando di trovarne almeno una piena. Incredibilmente la maggior parte delle taniche era piena; ne afferrò una ma, mentre stava tornando indietro, inciampò e cadde in ginocchio perdendo la presa sull’ oggetto che fortunatamente non si aprì.
Recuperò la torcia e la puntò ai suoi piedi per capire su cosa avesse inciampato, e rimase perplesso notando che il pavimento in quel punto era leggermente rialzato, Jack si avvicinò e vide che in realtà si trattava di una spessa tavola di legno nodoso coperta da polvere e piccoli rottami, posta in modo da coprire quella che sembrava una piccola fossa. Al massimo della sua curiosità Jack afferrò la tavola e faticosamente la sollevò, prese la torcia e la diresse in quel punto, ciò che trovò lo lasciò sconvolto. Sotto alla tavola c’era davvero una fossa e quella fossa era piena di soldi, un mare di banconote di ogni taglio e colore. Troppi per contarli tutti.
Jack lo toccò per un istante come per credere ai suoi occhi, un inconsapevole sorriso si formò sul suo volto, mentre osservava quel tesoro. Il suo balbettio si trasformò in una risata sempre più forte. Afferrò i soldi a manciate e cominciò a giocarci, facendoseli scivolare tra le dita. Una espressione di vera gioia dovuta ad un vero colpo di fortuna. Quando tornò con i piedi per terra, si rese però conto di quella ennesima stranezza.
Qualcuno aveva nascosto li quel denaro. Poteva essere falso. Ma sicuramente il proprietario sarebbe ritornato presto per recuperarlo. Magari quella stessa notte. Non potevano certo essere soldi puliti.
Consapevole che avrebbe potuto mettersi in grossi guai decise comunque di approfittarne, ma solo per disperazione. Afferrò alcune manciate di soldi e si farcì per bene il portafogli. L’indomani avrebbe accertato la loro autenticità. Poi ripose nuovamente la tavola al suo posto recuperò la tanica e, servendosi del suo accendino, diede fuoco ai pezzi di cartone ammucchiati li vicino. Una fiamma scoppiettante illuminò l’ambiente scacciando le ombre che si allontanarono negli angoli più remoti del capanno. Dopo aver fatto luce sulla situazione prese il proprio “letto” e lo spostò in un angolo più riparato, in modo che chi fosse entrato dalla porta non lo avrebbe visto subito.
Una volta terminato, si sedette pesantemente sul proprio giaciglio. Avvicinò le ginocchia al petto ed assaporò il sollievo di trovarsi al riparo con un fuoco acceso. Sapeva di dovere riposare, il giorno dopo sarebbe stato parecchio impegnativo, eppure non poté fare a meno di pensare un’ ultima volta al suo amico Jeremy. Si chiese se anche lui lo stesse pensando in quel momento. Rimase un poco assorto a guardare le piccole fiamme che divoravano lentamente il cartone. I pezzi di cartone si erano consumati e avevano assunto una forma strana, spiovente, come il tetto di una casa. Una casa circondata dal fuoco, il quale sembrò recuperare intensità all’improvviso. Jack distinse la scena per pochi secondi. Si stropicciò gli occhi stressati sentendo la propria lucidità abbandonarlo. Colto da una improvvisa stanchezza si addormentò, con impressa nella mente l’immagine della casa in fiamme.
Abbandonata a poca distanza sul pavimento, la torcia scaricò in poco tempo le batterie e si spense da sola riconsegnando quel luogo all’oscurità a cui apparteneva.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** brutte notizie ***


Capitolo 8
Brutte notizie
Un forte battito risuonava dentro alle sue orecchie, non capiva cosa fosse ma di certo non se lo stava immaginando. Sogni alquanto agitati … quella notte non ce ne furono. La prima cosa che Jack vide quando si svegliò fu il soffitto marcio del capannone in cui si era rifugiato, non proprio il massimo di prima mattina. Tentò di rigirarsi scoprendo così di trovarsi sul pavimento, a poca distanza dal suo letto. Un mucchio di polvere gli entrò nel naso, facendolo starnutire ripetutamente e facendogli lacrimare gli occhi. Si alzò in piedi pulendosi i vestiti. Quando si fu completamente svegliato, iniziò subito a stilare una lista di cose da fare. Camminò su e giù un paio di volte prima di convincersi di avere tutto sotto controllo. Il suo obiettivo era difficile, ma non impossibile: se fosse riuscito ad avvicinare quello scienziato, avrebbe sicuramente trovato un modo per andarsene da lì. Del resto era ormai convinto che la sua permanenza in quel luogo fosse durata già troppo. Prese il proprio portafogli, sentendo con sollievo lo spessore delle banconote. Con quelle si sarebbe assicurato una abbondante colazione. Un sommesso brontolio arrivò in quel momento dallo stomaco di Jack.
 Ridefinì i dettagli della propria operazione, dopodiché imboccò la porta di lamiera. Una volta uscito trasse una profonda boccata d’aria, per la verità non molto salubre, ma dovette fare una piccola tappa richiamato da un comune bisogno fisiologico. Si diede un’occhiata in giro, si incamminò verso il retro del capannone, e si imboscò in un container vuoto. Cinque minuti dopo uscì, e si incamminò verso la città aggiustandosi la cerniera dei pantaloni. Il sole stava sorgendo sulla dormiente città, e la fame di Jack non attese a lungo. Ritornò vicino al centro cittadino percorrendo un paio di vie ancora quasi completamente deserte, ed entrò nel primo bar che vide. Abbastanza anonimo, ma aveva l’aria di essere lì da parecchio.
L’uomo si rassettò un istante ed entrò, facendo tintinnare la piccola campanella appesa sopra la porta. Richiuse questa e scivolò dentro cercando di non farsi notare, ma percepì gli sguardi dei pochi avventori che lo aggredirono inesorabilmente. Si avvicinò al bancone e la barista, una cerva di mezza età, lo vide e gli chiese:
 << Buongiorno, cosa prende? >>
<< Un caffè. >> fu l’istintiva risposta, seguita quasi subito da: << Da portare via. E anche una brioche per favore. >>
<< Subito. >> disse la barista lanciandogli un’occhiata diffidente, a cui però ormai Jack si era abituato. Mentre attendeva il proprio ordine, si sedette su un alto sgabello ed iniziò ad osservare l’ambiente, non si poteva certo dire che fosse il massimo, ma non era neanche completamente squallido, anzi nel complesso poteva risultare accogliente. Il bancone era di legno lavorato, ed era leggermente consumato ai bordi e dietro ad esso vi erano un gran numero di scaffali, pieni di bottiglie. Il soffitto era arricchito da due file di neon spenti, uno dei quali circondato da una macchia di umidità. Anche l’intonaco era consumato in svariati punti. I tavoli erano poco distanti gli uni dagli altri, e molti avevano ancora le sedie riposte sopra. In quel momento giunse la voce della barista:
<< Lei è nuovo di qui vero? >>
<< Come …? >>, chiese l’uomo;
<< Le ho chiesto, se è nuovo di queste parti. >> proseguì la cerva, mostrando i suoi due grandi occhi, che nonostante l’età, parevano nascondere ancora il fascino di un tempo.
 << In effetti è così. >> rispose Jack con una vena di stupore; << Sono arrivato in città solo ieri. >> aggiunse per far sembrare più vero il discorso, ma la barista pareva in vena di chiacchierare:
<< Appena trasferito nella grande città, non deve essere stato facile. >>
<< Solo all’inizio. >> rispose l’uomo, << Ma la città mi ha decisamente accolto a (braccia) zampe aperte. >>
<< Oh, mi fa piacere. >> disse la barista con sincera gentilezza.
<< Non starebbe meglio se si togliesse il cappuccio? >> chiese poi.
<< Oh no, sto bene così. >> rispose Jack chiudendo lì la questione, si aggiustò la sciarpa, poi disse:
<< Mi piace il suo bar. >>
<< Ho grazie. Questo è forse il bar più vecchio dell’intera città, ci lavoro praticamente da sempre. >> rispose la cerva da dietro la macchina del caffè.
<< E gli affari vanno bene? >> chiese nuovamente l’uomo;
 << Diciamo che sono andati peggio. >> disse la cerva con un sorriso.
 Jack si sporse leggermente sul banco: << Poco fa, come ha fatto a capire che sono nuovo di qui? >>
 La barista alzò lo sguardo e rispose:
<< Ormai solo due tipi di mammiferi entrano nel mio bar: i forestieri, e i clienti abituali; e le assicuro signore che conosco tutti i miei clienti affezionati alla perfezione. >>
 La campanella della porta trillò in quel momento, e un vecchio e grosso maiale entrò con passo pesante, la commessa si rivolse a Jack con un sospiro:
<< Parli del diavolo … >>
 Jack si voltò ad osservare il nuovo arrivato: indossava una camicia di flanella a quadri gialli e neri e un paio di pantaloni scuri che aderivano perfettamente al girovita del corpulento animale. Il mammifero si sedette ad un posto di distanza da Jack, squadrandolo per un momento con i suoi occhi arcigni e infondendogli in qualche modo una leggera ansia, fortunatamente in quel momento intervenne la barista:
<< Che c’è Tom? Sei finalmente abbastanza sobrio per capire dove hai messo il portafogli? >> l’improvvisa uscita fece restare l’uomo di sasso, era chiaro che quei due avessero un rapporto strettamente confidenziale, il maiale si limitò a voltare lo sguardo e a rispondere:
<< Buon giorno anche a te Betty. Oggi ti vedo più in forma del solito. >>
<< Non posso dire lo stesso di te. Ti porto il solito? >>
<< Ormai dovresti conoscermi. >> disse il maiale accennando un sorriso. La barista sparì un momento nel ripostiglio, lasciando i due avventori appoggiati sul banco. In quel momento calò un improvviso silenzio all’interno del bar, Jack poté udire solo i leggeri grugniti emessi dal maiale accanto a lui
 La quiete fu rotta dalla televisione che in quel momento iniziò a trasmettere l’edizione mattutina del telegiornale. Jack spostò lo sguardo sui pochi altri avventori, intenti o a consumare o a leggere il giornale.
<< Grande paura per l’incendio scoppiato nei sobborghi del distretto, intorno alle tre di questa notte. >>
Jack si irrigidì come se qualcuno gli avesse tirato un pugno nello stomaco; si volse verso il televisore e riprese ad ascoltare:
<< I pompieri sono subito intervenuti per domare le fiamme che hanno distrutto il numero undici di Green Garden Avenue. Non sembrano esserci state vittime, ma il residente ovvero il celebre scienziato Beauford Dent risulta scomparso. >>
 Jack fissava lo schermo come ipnotizzato, non si accorse nemmeno di aver serrato il pugno sul bancone.
<< Le meccaniche dell’accaduto sono ancora poco chiare, ma è stato accertato che la natura dell’incendio sia dolosa. Gli inquirenti stanno cercando di fornire tutte le informazioni possibili, ma non hanno idea di chi possa aver commesso un’azione così grave. >>
  Si abbandonò ad un breve momento di sconforto; ma la voce della barista lo scosse: << Signore mi scusi, il suo caffè è pronto.>>
<< Oh si, grazie. >> rispose educatamente.
Sfilò una banconota dal portafogli e la porse alla barista trattenendo il fiato. Il suono della cassa che batteva lo fece calmare, appena in tempo per prendere il resto. Mentre stava pagando il servizio proseguì:
 << Il dipartimento di polizia ha assicurato l’utilizzo di ogni mezzo per trovare i possibili incendiari, e soprattutto il professore scomparso. >>
Fu interrotto dalla voce del maiale alle spalle di Jack:
<< Accidenti, al giorno d’oggi niente è più al sicuro. >>
<< Già >>, disse la barista << Dar fuoco alla casa di un famoso scienziato … mi domando dove andremo a finire. >>
-IO mi domando dove andrò a finire. - Pensò Jack uscendo dal bar e allontanandosi con la propria colazione in mano.  
Percorse il marciapiede a lunghi passi, in cerca di un luogo in cui far sbollire la propria rabbia ma, nonostante la giornata fosse decisamente cominciata col piede sbagliato, Jack tentò di consolarsi con il caldo pasto che era riuscito a procurarsi. Svoltato l’angolo in fondo al marciapiede trovò un bel posticino accanto ad una zona di verde, si sedette su di una panca sotto l’ombra di una grande pianta esalando una boccata d’aria fresca. Aveva dimenticato il sapore di una brioche calda, gli sembrò di non mangiarne da secoli. Il caffè non fu altrettanto eccezionale, ma Jack ne avvertì subito gli effetti benefici. Fresco e riposato si concesse un lungo momento di calma per poi ricominciare a riflettere.
Si sentì beffato in tutti i modi, ma in fondo la sua idea iniziale non brillava certo di sicurezza. Avrebbe potuto scatenare un vero e proprio putiferio. Solo che ora, era di nuovo al punto di partenza. La cosa che più di tutte lo seccava era dover ricominciare la propria ricerca d’accapo. Escludendo subito l’idea che potesse essere stato lo stesso scienziato ad incendiare la propria casa, Jackson iniziò a domandarsi chi avrebbe mai dovuto fare una cosa simile. E perché? Il signor Dent si era forse messo nei guai? Magari con gente pericolosa? O era venuto a conoscenza di qualcosa? Si mise la mano in tasca e prese il piccolo minerale. Che quei minerali centrassero in tutta la faccenda? Una casa incendiata, uno scienziato scomparso … per dei sassi? Sassi molto più preziosi di quanto sembrava.
Ma se davvero il solo mammifero che poteva aiutarlo era sparito, non restava che una cosa da fare: mettersi a cercarlo. Benché non fosse convinto all’idea di mettersi ad investigare da solo. Jackson non aveva certo l’aria da investigatore, tuttavia si trattava sempre della sua unica possibilità di tornare a casa, quindi perché non provare? In fondo che aveva da perdere?
In quel momento gli tornò in mente l’indirizzo della casa che aveva visto in televisione: Green Street … no, Green Garden Avenue, 11. Se davvero avrebbe dovuto investigare avrebbe cominciato da li. Balzò in piedi con rinnovata volontà, e determinazione. Avrebbe fatto di tutto pur di trovare un modo per tornare a casa, e se questo voleva dire ritrovare quello scienziato, avrebbe tentato. Iniziò a camminare, rendendosi conto solo 5 minuti dopo di non avere la più pallida idea di dove si trovasse Green Garden Avenue.
Riuscì a risolvere consultando alcune cartine appese ad una fermata dell’autobus. Dopo mezz’ora riuscì a finalmente ad individuarne l’ubicazione. Da dove si trovava era sufficiente proseguire in linea retta, poi cambiare corsa fino ai sobborghi ed infine girare a destra.
Non attese a lungo la propria corsa, ma quando arrivò dovette sbrigarsi a scendere dall’autobus prima che la vecchia elefantessa seduta dietro di lui, a cui non si era rivolto in modo esattamente garbato, avesse modo di colpirlo in testa con la borsetta e quindi ucciderlo. Jackson scoprì così l’indole suscettibile di certi mammiferi. Superò un paio di incroci, quando vide una casa transennata, attorno alla quale vi era un piccolo gruppo di animali e alcuni giornalisti insieme alla polizia.
La casa sembrava essere quella giusta: una villetta a due piani con le finestre del piano superiori infrante e i muri anneriti dal fuoco. Jack si avvicinò cercando di non farsi notare. Sopra alle altre voci, udì quella di un agente che cercava in tutti i modi di tenere i curiosi a distanza. Jackson si mise ad osservare con più attenzione, cercando di cogliere i particolari. La porta non sembrava essere stata forzata e le finestre del piano di sotto erano integre. Se nessuno aveva fatto irruzione, forse il professore conosceva il suo aggressore. Sempre che non fosse stato proprio lui a dare fuoco alla casa.
 I mammiferi vicino a lui intanto, probabilmente alcuni conoscenti del professore, bisbigliavano:
<< Io ho sentito che stava annegando nei debiti. >>
<< Quello lo sapevano tutti, ma arrivare addirittura a bruciargli casa? >>
Jack si spostò di poco a destra, quando notò qualcosa ai piedi del sostegno della transenna. Mezza sepolta dalla terra, trovò una pennetta. La ripulì e la nascose un momento prima che l’agente di turno arrivasse:
<< Hei lei, non mi ha sentito? Si allontani. >>
L’uomo si limitò ad obbedire, e si spostò più indietro. Avrebbe voluto osservare meglio, ma in quel momento c’era davvero troppa gente. Rimase qualche altro minuto prima di dirigersi in tutt’altra direzione senza smettere di pensare.
Quando si fu allontanato, tornò ad osservare la pennetta. Era leggermente graffiata, segno che qualcuno l’aveva maneggiata ripetutamente. Jack iniziò a pensare che forse chi ieri notte era entrato in quella casa stava cercando qualcosa. E forse non l’aveva trovata. Troppe teorie e troppe domande che non sarebbe mai riuscito a chiarire. Non da solo almeno. In quel momento desiderò quasi essere rimasto con Jeremy. Se non altro avrebbe dormito meglio che non in un vecchio capannone industriale. Decise di cercare una nuova sistemazione quella stessa sera, ma prima avrebbe effettuato un altro generoso prelievo. Quanto al resto, quella scoperta gli sembrò sufficiente per quel giorno. Avrebbe controllato il contenuto della chiavetta appena ne avesse avuto modo, e nel frattempo avrebbe cercato altri indizi. La sua ricerca quel giorno concluse ben poco.
Il resto della giornata passò velocemente. Jackson continuò ad esplorare il distretto, avvertendo nuovamente quella contagiosa euforia che sembrava essere ovunque. Si liberò anche di parecchi soldi che divennero principalmente cibo, biglietti dell’autobus e una giacca nuova comprata da una donnola ambulante. Non ebbe altre visioni quel giorno, solo un leggero mal di testa. Verso sera si sedette a riposare su un’altra panchina in uno dei tanti parchi del distretto. Distese i propri muscoli e quasi senza accorgersene si appisolò.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** chi non muore si rivede ***


CAPITOLO 9
Chi non muore si rivede
Un forte battito risuonava nelle sue orecchie, ma che divenne in pochi istanti un insistente ticchettio. Jack si svegliò sentendo qualcosa battere ripetutamente sulla sua gamba. Si riprese un poco irritato, ma trattenne i propri pensieri e disse:
<< Oh, agenti … hei. >>
<< Ha dormito bene signor Wesser? >> chiese ironicamente la volpe incrociando le braccia. Jack si rese conto in un attimo di essersi messo a dormire nel posto sbagliato. Il torpore lasciò il posto ad una vena di imbarazzo quando vide le facce dei due agenti che lo squadravano accigliate.
<< Oh … non me ne sono neanche accorto. Ero così stanco. >> disse l’uomo cercando di alzarsi.
In quel mentre il portafogli gli scivolò dalla tasca e gli cadde a terra. La volpe lo prese e glielo restituì:
<< Faccia attenzione. >> gli disse.
<< Santo cielo a volte sono così imbranato. >> disse Jack cercando di sembrare ironico.
<< Le piace girare … ben fornito. >> aggiunse la volpe riferendosi al portafogli.
Jack rimise quello in tasca e rispose:
<< Beh … non si sa mai … >> i suoi occhiali scuri nascosero la sua espressione di antipatia verso l’agente, che a sua volta parve ricambiare. A quel punto la coniglietta parlò:
<< Si è perso per caso? >> chiese.
<< Oh no, mi ero solo fermato un momento … >> disse Jackson recuperando la sua apparente calma.
<< Le conviene sbrigarsi, il parco sta per chiudere. >>
<< Cosa? È già così tardi? >> disse l’uomo fingendosi sorpreso.
<< Ho paura di si, l’uscita però e poco distante, se vuole la accompagniamo. >>
Jack rimase interdetto per alcuni secondi prima di rispondere:
<< Se a voi non dispiace. >>
I tre cominciarono a camminare affiancati verso il cancello del parco. Per il primo tratto di strada nessuno parlò. Jack cercò di ignorare la soggezione dovuta al trovarsi in compagnia di una coppia di poliziotti, e provò a concentrarsi sull’ambiente circostante. Non si era mai accorto di quanto potesse risultare malinconico un parco abbandonato. Soprattutto un parco grande come quello in una giornata così grigia. Spostò lo sguardo dalle piante, alle panchine vuote. Concesse un solo sguardo alle nuvole sopra di sé prima di tornare a guardare i suoi accompagnatori. Quei due sembravano una coppia affiatata, e Jack si sorprese rendendosi conto di come due animali nemici di natura potessero collaborare. Non aveva ancor realmente capito come funzionassero le cose in quella città, e la sua ragione gli rendeva ancora più difficile comprenderlo.
Il suo sguardo si incrociò per un attimo con quello dell’agente Hopps. Jack iniziò ad esaminarsi le scarpe prima di dover rispondere ad una nuova domanda:
<< Spero che vi siate ripreso dal nostro ultimo incontro. >> disse l’agente abbassando un poco le orecchie.
<< Ma certo. Ovvio che la piccola disavventura sia stata un incidente di percorso. >>
<< Oh, meno male. >> disse sentendosi realmente sollevata.
<< Può togliermi una curiosità? >> chiese a quel punto l’agente Wilde.
<< Beh … certo. >> rispose Jack.
<< Perché ha deciso di venire in città? >>
Jack prese una boccata d’aria prima di rispondere:
<< Forse ero solo stanco della mia vita precedente. Avevo davvero bisogno di cambiare e ho colto al volo l’opportunità, per così dire. >>
La volpe si limitò ad annuire apparentemente convinta della risposta di Jack.
Il gruppetto si fermò in prossimità del cancello del parco continuando a chiacchierare. Insieme a loro passarono pochi altri ritardatari. Quando i tre si prepararono a salutarsi nuovamente le prime goccioline di pioggia cominciarono a ticchettare tutt’intorno.
<< Accidenti. >> disse Jack << Mi bagnerò prima di tornare al capan … volevo dire al mio albergo. >>
<< E molto distante? >> chiese la coniglietta.
<< Non molto, ma il mio autobus dovrebbe arrivare tra poco. Quindi … ci salutiamo qui. Grazie della compagnia.>> disse Jack iniziando ad incamminarsi.
<< Può dirmi un’altra cosa? >> chiese nuovamente la volpe.
<< Si agente? >> Jack si voltò per rispondere.
<< Per caso il suo albergo è il Lion’s Plaza sulla quinta strada? >>
La domanda colse Jackson impreparato. Ammutolito dall’indecisione finì per rispondere la prima cosa che gli venne in mente:
<< Ehm, si. Si esatto, è proprio quello. >> disse con un finto sorriso.
<< Incredibile, come ha indovinato? >> disse poi.
<< Ero solo curioso. >> disse la volpe. << Non le ruberò altro tempo buona giornata. >>
<< A lei. >> disse Jack con una vena di perplessità nella voce.
 Rimase immobile a guardare i due agenti svoltare l’angolo prima di raggiungere la fermata del suo autobus. Rimuginò un poco se avesse fatto bene a dare ma quella risposta, ma in fondo aveva detto ormai così tante bugie che non ci faceva neanche più caso.
 
<< Secondo me sei solo paranoico. >> disse l’agente Hopps al suo collega.
<< No, invece … quello lì nasconde qualcosa. >> rispose l’agente Wilde acquattato dietro l’angolo, cercando di non perdere di vista il bizzarro forestiero
<< O forse no. >> rispose l’agente Hopps con semplicità.
<< Io la sua storia non me la bevo. Non pensi anche tu sia strano che un turista giri con così tanti soldi nel portafoglio? >> domandò la volpe.
<< Può avere i suoi motivi, e anche se fosse perché credi nasconda qualcosa? >>
<< Non lo credo, ne sono certo. >>
<< E perché? >>
<< Semplice, non esiste alcun albergo Lion’s plaza sulla quinta strada. >> disse la volpe con un sorriso. L’affermazione allarmò la sua collega. I due si fissarono per un momento poi all’unisono dissero:
<< Quello lì è un bugiardo. >>
 
Jackson, si sbrigò a tornare verso l’impianto industriale prima che il tempo peggiorasse. Durante il tragitto ammazzò il tempo ripensando ai suoi incontri di quel giorno. Ed ancor di più ripensando alla cordialità che mai si sarebbe aspettato di ricevere da degli animali. Tolto l’aspetto esteriore quegli animali erano delle vere persone. Aveva avuto modo di capirlo parlando con Jeremy, eppure ora iniziava a vedere le cose in modo molto diverso. Quasi si sorprese della semplicità con cui si era rivolto alla barista quella mattina. Ormi poteva dire di essersi ambientato.
 Ripercorse la propria strada a ritroso, arrivando a destinazione ormai a notte inoltrata. Una volta dentro si tolse la sciarpa e gli occhiali e si diresse verso il tesoro sotterrato nel pavimento. Sollevò il legno, ed ebbe modo di rimiralo nuovamente, quando udì un rumore alle sue spalle.
Il leggero ticchettio della pioggia che batteva sul tetto forato del capanno iniziò ad aumentare, così come il rumore si fece più vicino. Jack si irrigidì e indossò nuovamente la sciarpa un attimo prima di vedere due lunghe orecchie spuntare da dietro il relitto di una macchina.
Uno scatto metallico ed una sagoma si palesò subito dopo avvicinandosi lentamente all’uomo:
<< Rimanga fermo dov’è signor Wesser. >>
La pioggia era da poco iniziata, quando i due poliziotti giunsero davanti alla porta di lamiera rimasta socchiusa. Facendo appello a tutta la loro astuzia ed esperienza, si assicurarono che in giro non ci fosse nessuno prima di entrare a loro volta, cercando di ignorare la stanchezza dovuta alle poche ora di pedinamento.
Nella penombra Jack riconobbe immediatamente la voce dell’agente Hopps, e dietro di lei scorse l’ombra del suo collega:
<< Agenti cosa … cosa ci fate qui? >> disse Jackson cercando di apparire calmo. Una terribile sensazione lo raggiunse in quel momento. I due mammiferi non sembravano intenzionati ad ascoltarlo. Ma ora era tardi, ed era inutile tentare di dare spiegazioni, lo avevano preso con le mani nel sacco.
<< Non faccia scherzi. >> disse la volpe avvicinandosi al buco pieno di soldi. Entrambi erano sul chi vive, con la pistola a sedativi pronta all’azione.
<< Aspettava qualcuno per caso? >> continuò l’agente Wilde.
<< Cosa? Oh no, per favore posso spiegare. >> disse l’uomo volgendo una mano verso i soldi.
<< Non peggiori le cose. >> intimò nuovamente la coniglietta.
<< Vi prego, ve lo assicuro io non … >>
<< Signor Wesser! >>
 
La loro attenzione si spostò su un nuovo suono metallico proveniente dal buio, in un punto imprecisato della parete. Un nuovo clangore, come di lastre di metallo smosse. Alla fievole luce delle torce dei due agenti, apparvero quattro sagome massicce, volti nuovi solo per due dei mammiferi li presenti. Jack sgranò gli occhi preparandosi al peggio. Un cinghiale parecchio arcigno si fece avanti con fare sorpreso:
<< Sbirri?! Come diavolo ci avete trovato? >>
Poi avendo notato il terzo incomodo si rivolse a questo con rinnovata rabbia:
<< Tu! Mi ricordo di te. Non ti è bastato affondarci la barca, hai anche trovato il nostro nascondiglio segreto! >>
<< Non mi sembra più così segreto capo. >> disse la tigre alle spalle del cinghiale.
<< Silenzio! >> ribatté questo stizzito.
<< Di che sta parlando signor Wesser, sono suoi complici? >> chiese l’agente Hopps senza abbassare l’arma.
Il cinghiale non sentì e proseguì:
<< Allora, vedo che stavolta ti sei portato alcuni amici per prepararci una retata, è? >>
A quel punto la volpe intervenne, con aria stupita:
<< Cosa? No un momento, lui non è con noi. >>
<< Beh, non è nemmeno con noi. >> disse il cinghiale furente.
Tutti gli sguardi si spostarono su Jack, troppo concentrato a trattenere la strizza. Riuscì solo a biascicare un “Ops ” da sotto la sciarpa.
 
Il cinghiale riprese avendo notato la tavola di legno sollevata. << Avete addirittura osato toccare il nostro tesoro. Questo è troppo! Nessuno di voi uscirà vivo da qui! Prendeteli! >>
A quel grido i suoi scagnozzi si gettarono in avanti. La tigre cadde sotto i sedativi dei due agenti, mentre l’orso mancò di un soffio la coniglietta. Jack intanto cercò di sgattaiolare fuori ma si ritrovò bloccato da una sua vecchia conoscenza. Un secondo dopo si ritrovò nuovamente inseguito da una zebra furibonda che cercava di colpirlo con un bastone.
La volpe riuscì a portarsi dietro un riparo e accese la radio:
<< Centrale qui agente Wilde, ci servono rinfor- >>
La trasmissione si interruppe e la radio gli rimase in mano distrutta da un colpo di pistola. Poco lontano il cinghiale ostentò trionfante la propria arma. Judy intanto era alle prese con l’orso, il quale benché fosse più grande era infinitamente più lento. La poliziotta schivava e colpiva portandosi sempre fuori tiro, ma l’orso non sembrava essere intenzionato a cedere.
Jackson intanto cercava in tutti i modi di seminare il proprio inseguitore. Superò un cumulo di rottami e imballaggi, ma fu poco attento e dovette fermarsi quando un lembo della sua giacca rimase impigliato in un macchinario. Tirò finché non udì la stoffa strapparsi, ma in quel momento la zebra arrivò e cercò di colpirlo al viso. Per sbagliò però afferrò la sua sciarpa e gliela tolse.
<< Giù le zampe. >> disse l’uomo recuperando la sciarpa e allontanando la zebra con un calcio.
Tirò il fiato ed evitò un nuovo fendente portandosi verso il centro del capanno. In quel momento gli venne un’idea. Corse in linea retta verso l’agente Hopps, lanciando un urlo per attirarne l’attenzione. Neanche a farlo apposta la coniglietta sembrò intuire la sua strategia e si mise a correre a sua volta verso Jack.
Quando i due si ritrovarono ad essere molto vicini, cambiarono direzione all’ultimo momento. Jackson si gettò a sinistra e la poliziotta balzò a destra, facendo andare a sbattere i loro inseguitori l’uno contro l’altro. I due delinquenti si ritrovarono entrambi al suolo. La volpe avendo esaurito i dardi, cercò di sfruttare quel trambusto per raggiungere la sua collega. Quando la confusione si calmò, i due agenti si ritrovarono uno accanto all’altro con l’ombra del cinghiale armato che incombeva su di loro con un ghigno malefico. Un’altra imprecazione che uscì quasi come un orrendo grugnito:
<< Sbirri, avete finito di mettermi i bastoni tra le ruote. >> disse putando l’arma davanti a sé.
<< Io invece no! >> urlò Jackson un attimo prima di comparire a fianco del cinghiale, armato con lo stesso bastone del suo inseguitore.
 Colpì con forza il viso dell’animale, cercando di concentrare nel colpo la propria rabbia, ma non poté evitare una spiacevole conseguenza. Accecato dal colpo ricevuto, il mammifero sparò in aria. Un solo proiettile attraversò in linea retta il capanno e colpi la prima cosa che incontrò sul suo percorso: una delle tante taniche di benzina ammassate accanto al muro. La deflagrazione fu istantanea e sbalzò a terra tutti i presenti. Gran parte delle strutture portanti del capanno cedettero e una vampa di fuoco si sparse in un attimo. Alcuni frammenti infuocati caddero sopra ai soldi incendiandoli in un istante. Jack vide con tristezza i soldi che venivano divorati dal fuoco, poi udì un urlò dietro di lui:
<< Noo! Sbirri me la pagherete! >> un nuovo cedimento separò i malviventi da Jack e i poliziotti.
 Parte del soffitto crollò a pochi passi dal cinghiale e dai suoi scagnozzi. Questi si diedero alla fuga dalla loro entrata di servizio. L’uomo alzò una mano per proteggersi dai calcinacci cadenti. Veloce si rimise in piedi cercando di individuare una via d’uscita. La porta di lamiera era aperta, ma avrebbe dovuto sbrigarsi prima che il resto della struttura collassasse.
Iniziò a correre verso di essa, ma si fermò quando vide i due poliziotti svenuti a terra. In quel momento il tempo sembrò rallentare. Jack dovette nuovamente fare i conti con la propria coscienza. Avrebbe dovuto correre e mettersi in salvo, ma non lo fece. Vide i volti dei due agenti. Inermi, indifesi come cuccioli del tutto ignari di stare per morire. Sarebbero morti se Jack non avesse fatto qualcosa.
Jack li avrebbe salvati? Anche se avesse significato non tornare più a casa? Pensò che forse anche quei due dovevano avere una casa a cui tornare, con una famiglia ad attenderli. Lo avrebbero arrestato, in fondo stavano solo facendo il loro dovere. Inutilmente Jackson cercò di giustificare la decisione contraria, ma sapeva che animali o poliziotti che fossero, nessuno avrebbe mai meritato una fine del genere. Jack chiese semplicemente a sé stesso cosa fosse giusto fare.
Da una fiammella lì accanto prese forma una sagoma scura, senza viso ne occhi. Questa si mosse prima avanti e poi indietro prima di adagiarsi accanto ai mammiferi e iniziare a sua volta a fissarli.
-Allontanati da loro. -  pensò Jack digrignando i denti.
La sagoma si levò in aria e puntò il dito indice, non verso Jack stavolta ma verso la porta ancora aperta. All’uomo quell’ultimo cenno fu sufficiente. Si caricò la volpe sulle spalle e prese la coniglietta in braccio stringendola al proprio torace prima di ricominciare a correre. Riuscì ad evitare per un soffio una trave cadente ed uscì dal capanno pochi secondi prima che il resto del tetto e dei muri crollassero sollevando un gran polverone che oscurò ogni cosa.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** una decisione ***


Capitolo 11
Una decisione
 
Un forte battito risuonava nelle sue orecchie, non capiva cosa fosse ma di certo non se lo stava immaginando. Jackson corse quasi più veloce di come aveva corso nel campo, incurante di tutta la polvere e il fumo che aveva respirato. Il fianco gli doleva e sentiva le gambe bruciare per l’improvviso sforzo. Raggiunse un altro punto della zona industriale in cima ad una piccola collina. Protetto dall’oscurità raggiunse la cima dell’altura e posò a terra delicatamente i due poliziotti cercando si riprendere fiato. Si tolse occhiali, sciarpa e i guanti bruciacchiati. Tossì a lungo e si passò una mano sugli occhi lacrimanti ed iniettati di sangue. Guardò su, giù e poi di nuovo verso i due animali. Sollevò leggermente il capo della coniglietta, come ad aspettarsi una qualunque reazione. Entrambi avevano dei lividi, e la volpe si era graffiata uno zigomo. Rimase a vegliare su di loro per alcuni minuti, ma nessuno dei due mammiferi si mosse. L’improvvisa ansia gli impedì di ragionare. balzò in piedi con le mani sulla bocca a reprimere un gemito.
 
Avrebbe dovuto scappare, avrebbe dovuto allontanarsi da lì prima che qualcuno lo vedesse. Ma non lo fece.
Scappare? E dove? Verso altri luoghi sperduti con tesori sepolti sotto di essi? In un batter d’occhio si sentì apatico. Dove sarebbe finito se avesse continuato a scappare? Inoltre era proprio grazie a quella sua fuga che ora temeva di avere due poliziotti sulla coscienza.
Si allontanò dai due animali di pochi passi guardando nella direzione da cui era arrivato. Poté ancora vedere la fioca luce delle macerie fumanti del vecchio deposito, ritenendosi assai fortunato ad essersela cavata. Lui si, ma i due agenti?
In quel momento mise il piede su uno strano oggetto.  Un oggetto piccolo di forma strana, molto simile ad una carota. Ci mise poco a capire fosse una penna. Non ci mese molto a capire che forse apparteneva all’agente Hopps. Provò a far uscire la mina, ma accidentalmente accese una registrazione:
<< Nota vocale per Judy Hopps, comprare regalo per il compleanno di papà. >>
Jack rimase sorpreso di sentire una registrazione uscire da una penna. Ma subito dopo avverti un senso come di nausea. Dunque l’agente Hopps aveva davvero una famiglia. Una famiglia che ne avrebbe pianto la scomparsa, e il responsabile sarebbe stato lui.
Jack si sedette a terra cercando di convincersi del contrario. Riascoltò la registrazione altre due volte prima di iniziare a sentirsi davvero in colpa, e arrabbiato con sé stesso. Appena il tempo di pensare questo, che udì un leggero movimento alle sue spalle, ed una fievole voce:
<< Signor … Wesser? >>
L’agente Hopps, con una zampa a reggersi la testa dolorante, provò ad avvicinarsi alla sagoma scura davanti a sé. Jack tirò un profondo sospiro, felice in fondo che l’agente fosse viva, ma si ricordò subito di aver perso la sciarpa. Cercò di accostare al viso il cappuccio della giacca, e rispose:
<< Sta bene, agente? >>
<< No. Ahi … >>
<< V- vi siete fatta male? >>
<< Cosa … è successo? >>
<< Praticamente ogni cosa. >> disse Jackson.
<< Come? >>
<< Si è presa una brutta botta in testa? >> disse l’uomo sentendo il proprio nervosismo aumentare.
<< Signor Wesser la smetta. Può spiegarmi che cosa … >> iniziò la coniglietta alzando la voce.
<< Vuole che mi spieghi? Va bene! >>
Si volse furente verso la coniglietta, dimenticandosi completamente di avere il volto scoperto. Nella penombra, con la giacca svolazzante e la barba incolta a contornargli il mento, Jack apparì più grande e spaventoso di quanto in realtà non fosse.
Un grido di terrore attraversò la notte. L’agente cadde al suolo protendendo una zampa davanti a sé, con un’espressione di orrore dipinta sul volto. Arretrò di pochi passi, con il respiro ansimante. Jack desistette dalla sua posa temibile, recuperando la propria ragione. Gli parve di rivedere in sé stesso il terrore provato dalla coniglietta in quel momento. Lui non era così. Non le avrebbe fatto del male, ma che altro avrebbe potuto fare? La coniglietta continuò a guardare Jack come se fosse un mostro, la sola che egli era certo di essere in quel momento.
<< No … ti prego. >> un flebile mormorio da parte dell’agente fu tutto ciò che fece cadere Jack singhiozzante sulle proprie ginocchia. L’uomo chinò il capo e sopprimendo un groppo in fondo alla gola disse:
<< Non … voglio farti del male. >>
Erano parole dettate dalla disperazione di un uomo stanco di scappare e mentire, e che era certo non sarebbe mai più riuscito a tornare a casa. Non ora che era stato visto in viso da un poliziotto. Si aspettò di vedere l’agente correre via a gambe levate, ma così non fu. Quando sollevò lo sguardo, la poliziotta era di nuovo in piedi a circa tre metri di distanza da lui. Jackson ansimò pesantemente, e disse:
<< Non volevo che accadesse tutto questo. >>
L’agente Hopps rimase immobile, forse per terrore, o forse per curiosità, Jack non lo capì.
<< Cosa … chi è lei? >>
Jack abbozzò un sorriso e rispose all’ennesima domanda della coniglietta:
<< Vorrei tanto saperlo. >> rispose.
Nel dire ciò allungò la mano che teneva la piccola penna che aveva trovato poco prima, e fece per restituirla alla proprietaria:
<< Mi dispiace. >> aggiunse.
La coniglietta si sorprese di vedere la sua penna, e rimanendo vigile fece per andare a prenderla, quando una nuova voce fermò entrambi:
<< Judy! Attenta! >>
Il gesto sincero di Jack fu interrotto da una lucente fila di denti che dal buio arrivarono a serrarsi intorno al dorso della sua mano, facendo cadere la penna. Una fitta lancinante gli percorse il braccio, mentre sentiva già il calore del sangue intorno alle dita. Riuscì a divincolarsi dalla presa della volpe spedendo questa a terra. La volpe ruzzolò al suolo prima di essere raggiunta dalla sua collega. Era dolorante per i lividi, e aveva già il fiato corto:
<< Judy! Scappa. >> mormorò la volpe con la voce rotta dal dolore.
<< Dannata volpe mi hai morso! >> urlò Jack continuando a reggersi la mano sanguinante. Il poliziotto tentò di mettersi in piedi aiutato dalla collega, ma rimase anch’esso immobile per il terrore. Judy cercò di aiutarlo, benché fosse scioccata da cosa fosse appena successo. Mentre Jack era alle prese con la propria ferita, la coniglietta cercò in tutti modi di calmare il suo collega, il quale sembrava ad un passo dal diventare catatonico. Quando tutto tornò quieto, si pose davanti al suo collega come a difenderlo e disse all’uomo.
<< Tu non vuoi farci del male, vero? >>
 Non a caso si rivolse a Jack dandogli del “tu”.
<< È quello che stavo cercando di spiegare …  >> iniziò Jack cercando di ignorare il dolore.
<< Spiegare? Cosa vorresti spiegare? Mostro. >> gridò Nick.
<< Non osare chiamarmi in quel modo. >> rispose l’uomo furente, e nel dire ciò si avvicinò di alcuni passi.
<< Sta lontano da me! >> urlò l’agente ormai in preda al panico.
Judy si pose tra i due cercando di calmare la situazione. Jack si avvicinò, e i poliziotti ebbero modo di vederlo meglio, stupiti di fronte a quell’essere bizzarro.
<< Posso ritenermi offeso. Ed in primo luogo posso dirvi che non vi toccherò. >> affermò l’uomo.
<< Pensi davvero che ci fideremo di te? Dopo tutto quello che ci hai raccontato, argh … >> disse la volpe tentando di mettersi in piedi.
<< Immagino … >> proseguì la coniglietta << che il tuo nome non sia neanche Wesser. >>
Jack li squadrò entrambi, poi con tono grave:
<< Il mio vero nome è Jackson West, e sono un umano. >>
I due poliziotti non dissero nulla, ma vedendoli poco convinti l’uomo riprese:
<< Se volete potete controllare. >> disse estraendo la tessera sanitaria dal portafoglio. La gettò ai piedi dei due poliziotti con un gesto stizzito.
<< Potete tenervela, tanto a me non serve. >> aggiunse
La volpe raccolse la piccola tessera da terra e cercò di leggerla. Quando terminò la prese tra le dita e disse:
<< Questa non dimostra un bel niente. >>
<< Spiacente, ma non ho altro.>> rispose Jack.
<< Non sei divertente. >>
<< Non era mia intenzione. >> disse l’uomo cercando di sembrare calmo.
<< Come non era tua intenzione far fuggire quei quattro malviventi? >>
<< Non era mia intenzione neanche salvarvi, eppure eccoci qua. >>
 
<< Di che stai parlando? >> in quel momento anche la volpe sembrò ricordare ogni cosa.
<< Glielo vuole spiegare lei, agente Hopps? >>
La coniglietta fece un passo avanti:
<< Quindi sei stato davvero tu a tirarci fuori da lì? >> chiese questa indicando quello che restava del deposito.
<< Non mi aspetto mi ringraziate. >> affermò Jack stancamente.
<< Ringraziarti? A causa tua quei quattro sono scappati. >>
<< Nick … >> lo riprese la collega.
<< Come prego? >> chiese Jackson stupito.
<< Mi hai sentito. Li avremmo presi se non ti fossi intromesso. >> proseguì la volpe.
<< Oh, questo è davvero il colmo. >> esclamò Jack esasperato.
<< Sbaglio o è stato grazie a te che il deposito ha preso fuoco? >> disse la volpe.
<< Quindi stai dicendo che adesso è colpa mia. >>
<< Di chi altri sennò? >>
Jack fece una breve pausa cercando di sbollire la rabbia e disse:
<< Pensi davvero che l’abbia fatto apposta. Hai almeno una vaga idea di quanti soldi c’erano lì dentro? >>
<< E tu hai una vaga idea di quante prove c’erano lì dentro? >> ribatté Nick.
<< Basta! >> intervenne a quel punto l’agente Hopps.
<< Smettetela tutti e due. >>
Il richiamo funzionò. I due si ammutolirono e continuarono a guardarsi storto.
<< Nessuno di noi ha idea di cosa stia succedendo, ma urlare non ci aiuta. >> aggiunse.
 
Jackson si passò una mano sui capelli:
<< Sentite, io non voglio fare del male a nessuno. Non c’entro con quei quattro, quei soldi li ho presi solo perché … ero disperato, capite? >> in quel mentre i suoi occhi parvero farsi più lucidi.
<< Ho combinato un disastro, anzi più di uno da quando sono arrivato qui. Non so neanche come ho fatto, e non ricordo nemmeno chi sono. La sola cosa che so è che ho davvero bisogno d’aiuto. >>
Diede le spalle ai due poliziotti, e si allontanò di un paio di passi, come a voler nascondere le lacrime:
<< Qualunque decisione prenderete, io non opporrò resistenza. >> concluse sedendosi a terra a gambe incrociate.
I due agenti ascoltarono il discorso dell’uomo, e quando terminò rimasero assorti a guardarlo ancora qualche istante. La volpe tentò di avvicinarsi a Jackson, ma la collega lo trattenne quando vide che aveva già messo la zampa sulle manette:
<< Nick, no … >>
<< E l’unica cosa che possiamo fare. >> disse Nick con sguardo serio. La sua collega lo guardò continuando a riflettere; sollevò le orecchie e chiese:
<< Va bene, lo arrestiamo e poi? Lo portiamo in centrale? E cosa raccontiamo? >>
Nick si accorse di non aver riflettuto su quel punto. Si immaginò cosa sarebbe accaduto se avessero portato Jack alla centrale di polizia. La coniglietta proseguì:
<< Io, non credo che abbia fatto tutto questo solo per mentirci. Perché ci avrebbe salvato? >>
La volpe abbassò lo sguardo non sapendo cosa rispondere:
<< Ma … come possiamo …? >>
<< Inoltre ora è un testimone coinvolto in un’indagine della polizia. >>
L’agente Wilde guardò la collega con aria perplessa, non riuscendo a ribattere. Esalò un lungo sospiro e si avvicinò, insieme a Judy, all’uomo seduto poco più in là. La coniglietta gli si mise a fianco e disse:
<< Va bene, ti aiuteremo. >>
Jack si voltò, e guardò il piccolo mammifero con uno sguardo di sincera gratitudine. Oltre all’essere meravigliato per la decisione presa dai due poliziotti. Si rimise in piedi ed espresse il proprio sentimento con una sola parola:
<< Grazie. >>
<< Non una parola. >> disse la volpe allontanando le zampe dalle manette.
<< Sembra che oggi sia il tuo giorno fortunato. >> aggiunse << E ora che facciamo? >> chiese.
<< Per prima cosa dovremmo trovarti un nuovo posto in cui stare. >> disse Judy continuando a riflettere. Jack rimase zitto cercando a sua volta di trovare una soluzione ma a quel punto la volpe sorprese i presenti dicendo:
<< Forse ho un’idea. >>
 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** un attimo di pace ***


 
Capitolo 12                                     un attimo di pace
Un forte battito risuonava nelle sue orecchie non capiva cosa fosse ma di certo non se lo stava immaginando. Jack si mise un dito nell’orecchio cercando di zittire il rumore mentre, appoggiato con la testa contro il finestrino, osservava la neve cadere lentamente sulla strada che scorreva rapida sotto i suoi occhi. La volante della polizia attraversò in tutta fretta le strade di Tundratown, cosa semplice a quell’ora di notte.
 La tensione all’interno della vettura era palpabile; i tre avevano parlato assai poco da quando erano partiti. Poche semplici domande a cui l’uomo aveva risposto controvoglia.  Jack si era quasi rassegnato all’idea che quel viaggio non finisse più. Aveva visto cambiare gli ecosistemi con una rapidità tale che si sentiva come se avesse fatto il giro del mondo, mentre invece era in macchina da circa un’ora. Tuttavia la sua espressione assorta gli conferiva un’aria di apparente calma. I due animali seduti di fronte a lui al contrario davano evidenti segni di nervosismo; la coniglietta tamburellava le dita sul cruscotto con regolarità ossessiva e la volpe non osava togliere lo sguardo dalla strada. Il religioso silenzio si protrasse ancora, finché la coniglietta non parlò:
<< Stai bene? >> la domanda mostrava il suo timore nel rivolgere la parola ad una creatura così strana.
Jackson si raccolse le braccia in grembo e si limitò ad una risposta distratta:
 << Fa ancora male. >> disse allargando la mano destra. La volpe si limitò a squadrarlo con la coda dell’occhio.
Il silenzio tornò a regnare. Jackson riprese ad osservare le luminarie cittadine, meravigliandosi ancora una. Judy prese coraggio e parlò ancora:
<< Bello vero? >>
<< Cosa? >>
<< Non hai staccato gli occhi dal finestrino da quando siamo partiti. Ti piace la nostra città? >>
 la domanda sembrò cogliere Jack impreparato:
<< Oh, beh, di certo è molto particolare. >>
 la poliziotta inarcò un sopracciglio: << Cosa intendi? >>
<< Voglio dire … che è molto diversa rispetto a dove vengo io. >> rispose Jack non senza difficoltà.
<< Già. >> intervenne la volpe, << Sarei proprio curioso di sapere da dove vieni. >>
Jackson spostò la propria attenzione ai due animali seduti davanti.
<< Immagino tu ne abbia passate tante. >> fu il nuovo commento di Judy.
<< Non ne hai idea. >> disse Jack.
<< E immagino non ti dispiacerà raccontarci tutto quanto. >> riprese la volpe.
 L’espressione di Jackson si inasprì, gettò un’ultima occhiata fuori dal finestrino e rispose:
<< Vi dirò tutto, ma solo quando mi direte dove stiamo andando.>>
<< E quello che vorrei sapere anche io.>> disse la coniglietta rivolta al collega, il quale si limitò a fare un sorriso ambiguo e a rispondere:
<< Un po’ di pazienza santo cielo, ci siamo quasi. >> la volante proseguì ancora per un breve tratto, imboccò un paio di strade secondarie e si arrestò in un grande parcheggio innevato accanto ad un grande cartello con sopra inciso il nome White’s Motel. L’auto si fermò nel bel mezzo del parcheggio quasi completamente deserto, a parte un paio di auto coperte di neve e ferme li probabilmente da giorni. Di fronte ai tre seduti nella volante si delineò il profilo del vero motel. Uno come ce ne sono tanti in fin dei conti, prima di tutto l’edificio che conteneva la reception ed al quale erano collegati un discreto numero di appartamenti, le cui dimensioni andavano crescendo in base alle dimensioni degli animali.  Una struttura bizzarra a dir poco. Le facciate degli appartamenti erano dipinte a tinta unita di un colore assai spento, i vetri di alcune finestre erano rovinati, e anche il tetto sembrava aver visto giorni migliori. Questo e lo scarso numero di auto parcheggiate faceva presumere che il posto non avesse un grande giro di clienti.
La volpe annunciò:
<< Eccoci arrivati. >>
<< Ora puoi spiegarci perché siamo venuti qui? >> disse la coniglietta con una certa impazienza,
<< Molto semplice, il mio vecchio amico William gestisce questo motel da anni ormai, con un po’ di fortuna riuscirò a rimediare una stanza per il nostro amico. >>
Jack rimase perplesso:
<< E come farai a … >>
<< Lasciate fare a me.>> disse la volpe slacciandosi la cintura
<< Io e il vecchio Will siamo stati soci d’affari in passato, ed è da allora che mi deve un favore. >>
<< tsk … affari. >> commentò la coniglietta. Jack scrutò l’edificio davanti a sé, in realtà non proprio convinto di quel piano, ma prima che avesse tempo di parlare la volpe scese dall’auto esclamando con malcelata ansia:
<< Molto bene, aspettate qui. >>
Detto ciò attraversò il parcheggio a passo rapido lasciando soli Jack e Judy. Si palesò davanti alla porta della reception, dalla quale pendeva una targa d’ottone non più lucente. Appoggiò la zampa all’uscio premendo delicatamente il legno che si aprì facendo tintinnare una campanella posta sopra lo stipite. L’interno della reception era abbastanza sciatto. Una moquette usurata copriva il freddo pavimento. L’ambiente di per sé poco illuminato era riscaldato a malapena da un semplice calorifero posto in fondo alla stanza. Pigramente seduta alla scrivania stava una volpe bianca, con gli occhi socchiusi in un sonno leggero. A destarla fu proprio la campanella della porta d’ingresso. Dovette fare attenzione a non cadere dalla sedia, si tirò su e rimase stupito da chi vide entrare:
<< Mi venisse un colpo, Nicholas Wilde? >> la volpe rossa acquistò il suo solito sorriso e si avvicinò al tavolo:
<< Hei Hei vecchio Willy cosa racconti? >>
<< Wow ne è passato di tempo. Mi avevano detto che eri cambiato, ma non immaginavo così tanto. >>
<< E tu invece, sei sempre lo stesso.>>
<< Suppongo di non poterci più fare molto, ormai.>> disse sorridendo il vecchio mammifero. Fece il giro del bancone e si avvicinò a Nick, mostrando la propria camicia di flanella a quadri.
<< Fatti guardare. Che ti è successo, sembra che ti abbia investito un treno. >> disse William riferendosi alla divisa rovinata e ai lividi che si era procurato il poliziotto.
<< Rischi del mestiere dovresti saperlo. >> rispose Nick alzando le spalle.
<< Già. Posso offrirti qualcosa, in realtà non c’è molto ma … >> inizio il vecchio mammifero indicando un punto imprecisato della stanza.
<< Non serve. >> lo anticipò Nick
William si prese un momento per aggiustarsi il colletto della camicia.
<< Non ti aspettavo proprio. Non è che sei qui per quel diverbio che ho avuto con l’ispettore sanitario? >>
<< Oh no. Certo che no. >> Lo rassicurò l’altro.
<< Bene. Allora puoi dirmi cosa vuoi. >>
<< Come? >> chiese Nick fingendosi sorpreso.
<< Nick, sono ancora abbastanza sveglio per capire l’ovvio. Non credo tu sia venuto a trovare un amico di così vecchia data solo per salutarlo. E conciato in quel modo per di più. >>
La volpe alzò le zampe:
<< Non ti si può nascondere nulla amico. >>
<< In fondo ti devo ancora un favore. Cosa ti serve? >> disse la volpe bianca tornando a sedersi al suo posto dietro il bancone.
Nick prese un profondo respiro prima di iniziare a parlare:
<< Vedi Will, il fatto è che sto seguendo un caso molto importante. Sul serio il capitano ci sta mettendo davvero sotto. >>
Vedendo il fallimento di questa sua nota umoristica, riprese arrivando al sodo:
<< Mi è stata affidata la protezione di un … testimone molto importante, e il tuo motel mi è sembrato il luogo, più adatto. >>
Attese un poco una reazione da parte dell’altra volpe, che invece non disse nulla. Acquistò solo un’aria più cupa, riconoscendo l’insicurezza nelle parole di un mammifero furbo come quello che aveva davanti. Nick si affrettò quindi a fornire quanti più dettagli:
<< Pagheremo noi ogni cosa, e ti risparmieremo la seccatura della registrazione … >>
<< Per quanto? >> chiese a quel punto la volpe bianca.
<< Cosa? >>
<< Per quanto dovrà fermarsi il tuo testimone? >>
<< oh beh. Ecco … >>
<< Nick. >> lo interruppe l’altro:
<< Non mi importa dei soldi, ma puoi garantirmi che non avrò problemi? >>
Il poliziotto rimase interdetto su cosa rispondere. William riprese:
<< A giudicare dal tuo aspetto non sembra che la situazione sia da prendere alla leggera. È ovvio che questo posto può passare inosservato, ma non potrei sopportare l’idea di perderlo. È tutto ciò che mi rimane. >>
Nick si avvicinò al bancone e rispose con tutta la sicurezza che riuscì a trovare:
<< Ti assicuro che non avrai problemi. Ma ho davvero bisogno che tu mi faccia questo favore. Quindi? >>
Il vecchio mammifero si passò una zampa sulla fronte, fermando le dita sulle palpebre. Aprì un cassetto tarlato sotto al banco e prese una coppia di chiavi che mise nelle zampe del poliziotto. Poi rispose:
<< Quattro settimane. Non di più. >> detto ciò scese dalla sedia e si diresse nella stanza adiacente. Nick sospirò e esclamò:
<< Oh grazie Will, sei il migliore. >>
<< Si, lo so. >> concluse la volpe bianca prima di sparire dietro la porta.
 
Jackson e Judy erano ancora nel parcheggio, entrambi ansiosi ma per differenti motivi. Jackson batteva i denti per il freddo continuando a sperare che Nick avesse successo. Judy invece … non era mai rimasta così tanto in compagnia di un essere umano.
Jack continuò a raggomitolarsi per il freddo, con la mascella che tremava ininterrottamente.
<< Ci sta mettendo parecchio. >> commentò la coniglietta provando ad essere disinvolta.
<< Spero solo si sbrighi. Qui fa un freddo cane. >> disse l’uomo.
Un secondo dopo Jack si rese conto di cosa avesse appena detto. E lo sguardo perplesso che gli rivolse l’agente gli fece capire quanto tale espressione fosse poco conosciuta da quelle parti.
<< Non intendevo … lasciamo perdere. >> borbottò Jackson.
Poco dopo una sagoma rossa si avvicino alla macchina e Nick riferì loro la bella notizia. Protetti dall’oscurità, condussero Jackson all’entrata del suo alloggio. La porta della stanza numero undici si aprì e l’uomo varcò la soglia per primo, accendendo la luce.
Si portò al centro della stanza osservando l’ambiente. La mobilia era semplice, ma nel complesso la stanza appariva molto più accogliente di quanto non sembrasse da fuori. Un vento tiepido proveniente da un piccolo calorifero bastò a fargli passare i brividi di freddo. Una semplice radiosveglia su un comodino iniziò a fissare il nuovo arrivato con i suoi occhi rossi intermittenti.
Un letto a due piazze occupava una buona porzione di pavimento, coperto a sua volta da una moquette rossastra. In fondo alla stanza un divisorio separava il bagno dal resto della stanza. Benché quel posto fosse un tugurio, a Jack sembrò una reggia, in confronto a dove aveva passato le sere precedenti.
Si voltò verso i due mammiferi rimasti sulla porta, non sapendo per sé cosa dire.
<< Ti consiglio di dormire un po’. Noi torneremo tra poche ore. >> disse Nick.
L’uomo annuì con la testa e si sedette sul letto. La coniglietta invece non disse nulla. La volpe prese le chiavi della stanza e disse:
<< Queste le terremo noi, nel caso ti venisse voglia di andartene in giro. >>
Jackson, abbassò lo sguardo e disse a bassa voce:
<< Ho capito. Grazie. >>
I due mammiferi si scambiarono un’occhiata quasi sorpresi della semplicità con cui aveva reagito l’uomo. Quindi richiusero la porta a chiave.
Jackson si distese sul letto riscoprendo il piacere di un comodo giaciglio. Il sonno lo colse di lì a poco.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** un nuovo giorno ***


Capitolo 13
Un nuovo giorno
 
Un forte battito risuonava nelle sue orecchie, non capiva cosa fosse ma di certo non se lo stava immaginando. Jackson, steso prono sul suo nuovo letto, era immerso in un sonno leggero da cui si svegliò bruscamente. si trovò dunque seduto, in mezzo alla stanza, illuminata dai primi raggi di sole che, attraversando la finestra, facevano capolino da dietro le tende.
Ritrovarsi in un ambiente a prima vista così normale, lo fece quasi illudere di essere tornato a casa, e di aver solo sognato gli avvenimenti degli ultimi giorni. Si alzò realizzando di non essersi nemmeno tolto la giacca prima di addormentarsi.
L’aria tiepida presente nella stanza lo convinse a togliersi questa e a lasciarla sull’attaccapanni accanto alla porta. Poi si diresse verso la finestra e scostò la tenda per sbirciare dal vetro che dava sul parcheggio coperto di neve.
-È Natale? – pensò tra sé.
La sua idea svanì quando la radiosveglia, rimasta inavvertitamente accesa, iniziò a trasmettere le previsioni del tempo, augurando il proprio buongiorno a tutti gli abitanti della città. Jackson sospirò un poco deluso.
Si mise a camminare in tondo un paio di volte per scrollarsi di dosso il torpore constatando felicemente di non sentire più male alla schiena.  Poi come era solito fare, si diresse verso il bagno presente nella stanza. Attraversò il divisorio e si fermò davanti allo specchio.
Riuscì a stento a riconoscersi. Il viso appariva stravolto, contornato da almeno due dita di barba incolta, e ancora sporco di polvere. Così erano sporchi i capelli, molto più lunghi e arruffati; e gli occhi arrossati segnati da due lievi occhiaie. L’intensa attività degli ultimi giorni lo aveva messo a dura prova, tanto che a vedersi in quello stato si sentì invecchiato di venti anni. La mano destra era ancora sporca di sangue e il taglio aveva iniziato ad infettarsi.
Pulì la ferita e la disinfettò con un po’ d’alcol rimasto in fondo all’armadietto sotto al lavandino
 Si appoggiò a questo e si gettò una buona dose di acqua gelida in faccia; quasi sperando che ciò fosse sufficiente a fargli riacquistare il suo aspetto normale.
Decise di prendersela comoda, e di passare quanto più tempo poteva dentro la vasca da bagno. Furono pochi minuti di ritrovata tranquillità che bastarono a farlo rinascere.
Si rimise in piedi davanti allo specchio convinto di ritrovare il suo viso rinfrescato, ma non fu così. O meglio, il suo viso c’era, ma evanescente e senza lineamenti. Solo ciò che poteva sembrare una bocca, piegata in una smorfia di scherno.
Jack sobbalzò per lo spavento, ed incespicò nell’asciugamano finendo nuovamente dentro la vasca da bagno con un sonoro tonfo. Sollevò così una quantità d’acqua tale da allagare il pavimento. Si affrettò ad uscire, ma quando tornò a specchiarsi trovò solo il suo volto normale.
Ringhiò contrò il proprio riflesso:
<< Per quanto hai intenzione di continuare a tormentarmi? >>
Aspettò alcuni secondi nella speranza di una risposta, poi senza ragionare tirò fuori la pietra rossa dalla tasca dei pantaloni e la agitò in aria.
<< È questo che vuoi non è vero? >> disse rivolgendosi ad un ipotetico qualcuno, che non sembrava intenzionato a prestargli attenzione.
<< Rispondimi! >>
Scivolò sul pavimento bagnato e dovette reggersi al lavandino per non cadere. Nel farlo sforzo la mano ferita e provò un forte bruciore. Si rimise in piedi e balbettò spaventato:
<< Che cosa vuoi da me? >>
In quel momento udì scattare la serratura della porta nell’altra stanza. Si affrettò a coprirsi con l’asciugamano e si affacciò dal divisorio.
<< Signor West? >>
<< Si, sono qui. >> fu la risposta.
<< Va tutto bene? >>
<< Certo. Deve dirmi qualcosa agente? >>
<< Io … ho pensato potessero servirle degli altri vestiti. >>
<< Oh, certo. La ingrazio, può lasciarli qui vicino. >>
La coniglietta si limitò a fare così, e tornò ad attendere il proprio collega vicino all’entrata. Jackson uscì dal bagno poco dopo pulito e profumato, con addosso dei nuovi vestiti usati. I due agenti lo stavano aspettando con una certa impazienza. Vederlo nuovamente in quella tenuta suscitò in loro una ennesima sensazione di stranezza. Quasi di ribrezzo.
L’uomo si sedette sul bordo del letto, la coniglietta prese per sé una sedia, mentre la volpe preferì rimanere in piedi. Jack tentò più volte di non incrociare lo sguardo dei due animali davanti a lui. La coniglietta abbassò le orecchie mentre la volpe mantenne uno sguardo serio.
<< Buongiorno. >> disse l’uomo.
<< A lei. >> rispose la volpe senza cambiare espressione.
<< Quindi … come va? >> chiese Jack provando ad essere gioviale.
<< Credo che lei lo sappia. Siamo ansiosi di sapere ogni cosa. >> rispose fermamente la coniglietta.
L’uomo non poté fare altro che iniziare a raccontare.
Jack raccontò tutto ciò che gli era capitato negli ultimi giorni. Del suo incontro con Jeremy, e del diverbio con i contrabbandieri, cercando di essere il più preciso possibile. I due mammiferi seguirono i fatti con attenzione alternando sguardi di riflessione ad espressione stupite quando la storia sembrava prendere una piega surreale. Non poco si meravigliarono quando Jack parlò del suo incontro con Jeremy e fecero molte domande a riguardo. Ogni vicenda portò a sempre più quesiti, a cui Jack tentò di rispondere meglio che poté; ma non disse nulla a proposito delle visioni che aveva avuto da quando era arrivato. La fine della storia fu seguita da un profondo sospiro, Jackson si portò le mani sulle ginocchia, ed attese una risposta da parte dei due agenti.
<< Beh, una storia incredibile. >> disse Judy.
<< Se per incredibile intendi assurda. >> aggiunse Nick.
<< È la mia storia. Ve lo assicuro. >> affermò Jackson.
<< Almeno è quello che ricorda, sbaglio? >> chiese la volpe senza cambiare espressione. Dal suo comportamento era chiaro che non credeva del tutto alla storia dell’amnesia.
<< Signor West e sicuro …? >>
<< Per favore, mi chiami Jack. E mi dia del tu. >> la anticipò l’uomo.
<< Jack. Sei sicuro che assolutamente nessuno a parte noi, e Jeremy ti abbia visto in faccia? >>
<< Posso assicurarvelo. E non c’è pericolo per Jeremy, anche se lo raccontasse in giro nessuno gli crederebbe. >>
 La volpe intervenne:
<< Il fatto che un agnello di otto anni che abita chissà dove in questa città conosca il tuo segreto non è la sola cosa a cui pensare. Non potremo essere tranquilli finché quei delinquenti sono in circolazione. >>
<< Sono capaci di tutto e non credo saranno contenti quando troveranno chi gli ha affondato la barca. >> disse la coniglietta volgendo lo sguardo verso l’uomo. Jack sollevò entrambe le mani:
<< Quello è stato un incidente. >>
<< Inoltre li hai derubati tu stesso. >> disse la volpe.
<< Quello è stato … una coincidenza. >>
<< E hai dato fuoco al loro covo. >> proseguì Judy.
<< va bene, va bene ho capito. >> disse Jack deciso a troncare il discorso. Fece una pausa poi chiese:
<< E quindi? >>
 Nick scosse le spalle:
<< Beh, direi che siamo ad un punto morto. Noi non abbiamo idea di come aiutarti, e tu non sai cosa fare. D’altro canto non possiamo lasciarti solo, ma non possiamo neanche arrestarti così su due zampe, al fine di evitare una terribile baraonda. >>
<< Capisco quanto stiate rischiando in questo momento. >> ammise Jackson
<< Non ne hai idea. >> confermò la volpe.
<< Ma capisci che non possiamo ignorarti. Tu … non dovresti essere qui. >> disse Judy.
<< Sempre che ci sia solo tu. Probabilmente qualcuno ti starà cercando, ci hai pensato? >> chiese Nick
<< Ma certo. Ho valutato molte ipotesi. ma mi sarebbe comunque servito aiuto. >>
<< E guarda caso hai incontrato noi. >>
<< Non so come ringraziarvi. >>
 Nick riacquistò un’aria seria e disse:
<< Non farlo. Voglia tu sappia che qualunque cosa stiamo facendo in questo momento non lo stiamo facendo per te. La nostra priorità è garantire la sicurezza di questa città. E soprattutto evitare che si crei panico dovuto ad un … un ... >>
<< Essere umano. >> lo aiutò Jack.
<< Esatto. >>
<< Ma proveremo comunque a farti tornare a casa. >> disse Judy scendendo dalla sedia.
 La volpe squadrò Jack alzando un sopracciglio:
<< Non ricordi assolutamente nessun altro dettaglio? >>
<< Questo e tutto quello che è successo prima del nostro incontro. Poi sono arrivato in città e … >>
<< E cosa? >> chiese Judy.
Jackson si mise a fissare un punto imprecisato della stanza:
<< Il giorno in cui ci siamo incontrati … avevo sentito una notizia.>> si alzò in piedi e si mise a camminare avanti e indietro con fare agitato.
<< Una notizia interessante, probabilmente la conoscete riguardava … uno scienziato mi sembra. >>
<< Il professor Dent? >> disse Judy.
Jack schioccò le dita:
<< Si. Esatto. >>
<< Chi? >> domando Nick con sincera curiosità.
<< Uno scienziato scomparso l’altro giorno senza lasciare traccia. È uno scienziato piuttosto famoso per questo la notizia ha fatto scalpore. >> spiegò Judy.
<< Eppure questa mi è nuova. >> disse Nick.
<< E se vi dicessi che forse una traccia l’ha lasciata? >> disse Jackson con una punta di emozione nella voce.
<< Mi fate capire qualcosa?! >> esclamò la volpe.
 Jackson si mise una mano sotto il mento, attese un poco e riprese:
<< Il giorno in cui sono arrivato in città, ho visto questo signor Dent >>
<< Ci hai parlato? >> chiese Judy stupita.
<< No. L’ho visto in televisione. >>
<< E questo che c’entra? >> Nick parve esasperato.
<< La sua ultima intervista. >>
<< L’intervista in diretta? Non ricordo neanche di cosa stesse parlando. >> disse Judy cercando di ricordare.
Jack fece avanti e indietro un altro paio di volte, poi si limitò a tirare fuori dalla tasca il piccolo sassolino cremisi. I due agenti si misero a guardarlo stupefatti:
<< Che cos’è? >> dissero quasi all’unisono.
<< Non lo so. Ce l’avevo in tasca quando sono arrivato. >> fu tutto ciò che Jack riuscì a dire.
I due poliziotti osservarono il sassolino per alcuni secondi.
 << E a che cosa serve? >> chiese la volpe.
<< Non so nemmeno questo, ma ho pensato che forse potesse saperlo il signor Dent. >>
 La volpe sollevò lo sguardo:
<< Quindi la tua idea era di presentarti da uno scienziato pluridecorato e dire “salve sono un essere ulano arrivato da chissà dove. Mi può dire a cosa serve questo sasso?” >>
<< In quel momento suonava meglio come idea. >> disse Jack vergognandosi un poco, e notando quanto fosse difficile per quei mammiferi pronunciare la parola “umano”.
<< È molto curioso. >> commentò la poliziotta restituendo il sasso a Jack.
<< È strano. >> aggiunse Nick.
<< Credi sia legato in qualche modo alla scomparsa di Beauford Dent? >> disse rivolgendosi all’uomo.
Jackson si limitò ad annuire. Nick rimase pensieroso per alcuni secondi, poi si voltò verso la collega e chiese:
<< Judy sai quale nostro collega si sta occupando del caso? >>
<< Per quanto ne so ancora nessuno. >> rispose la poliziotta.
 Nick corrugò la fronte e disse:
<< Potremmo sempre provare a dare un’occhiata sul database della centrale per trovare informazioni su questo Dent. Visto che è così famoso non dovrebbe essere difficile. >>
<< Informazioni. >> balbettò Jack.
<< Si è quello che ho detto. E adesso dove vai? >>
Jack si diresse verso la giacca appesa all’attaccapanni e prese la piccola pennetta trovata a terra l’altro giorno. La portò dunque all’attenzione dei due poliziotti.
<< Dove l’hai presa? >> chiese Judy.
<< Era fuori dalla casa del professor Dent. Ma non so cosa ci sia dentro. >>
<< L’hai presa dalla scena del crimine? >> domandò la volpe
<< Certo che no, l’ho trovata … vicino alla scena del crimine. >> spiegò Jack
<< E una prova! >> esclamò Judy.
Jackson guardò il piccolo oggetto poi disse:
<< Potrebbe esserci qualcosa di molto importante. Che magari riguarda anche me. >>
<< Come può non esserci nulla. Sarà meglio che tu la dia a noi. >> disse Judy.
Jackson obbedì.
<< Se non altro adesso abbiamo una traccia, per prima cosa dobbiamo farci assegnare il caso. >>
<< Parlerò io col capitano. >> affermò Judy.
<< Io invece vedrò cosa riuscirò a trovare sul conto di Beauford Dent. >> concluse Nick.
<< E io vengo con voi. >> disse Jack a quel punto, lasciando perplessi i poliziotti.
<< Stai scherzando vero? >> chiese Nick a quel punto.
<< Assolutamente no. Questa storia riguarda anche me. >> disse Jackson.
<< Non se ne parla, sei molto più al sicuro qui. >>
<< Non posso dire di essere al sicuro finché quei quattro delinquenti sono in circolazione. L’ha detto lei stesso. Inoltre non ho intenzione di star qui senza far niente. >> fu la risposta.
<< Ma non hai modo di coprirti il volto. Ti vedranno tutti. >> obiettò nuovamente la volpe.
 Jackson lo zittì con una mano:
<< Invece no; grazie al gentilissimo regalo della sua collega, agente Wilde. >>
La volpe lanciò un’occhiata perplessa alla sua collega. Jack invece si diresse di nuovo verso il bagno e tornò con il viso coperto da una nuova sciarpa e un altro paio di guanti neri per nascondere le mani.
Si portò per primo sull’uscio e i due agenti lo seguirono. La volpe disse:
<< Se non altro sembri in grado di mantenere un basso profilo. >>
<< Ne sono capace, glielo assicuro. >>
I tre uscirono nel parcheggio coperto di neve.
 
 
Nota dell’autore
Prima nota dopo 13 capitoli. Mica male no?
Siamo dunque tornati insieme al povero Jack che ricordate ha bisogno di tutto il nostro sostegno in questo momento. Ammetto il mio ritardo, ma non ho potuto fare diversamente. Inoltre ho perso il conto di quante volte ho riscritto questo dialogo. Spero di fare prima per il prossimo capitolo di cui non vi anticipo nulla.
Tanta suspense e colpi di scena in questo mio esperimento che sembra stia prendendo forma.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** un grande spavento ***


Capitolo 14
Un grande spavento
Un forte battito risuonava nelle sue orecchie, non capiva cosa fosse ma di certo non se lo stava immaginando. La grande scritta sulla porta della centrale di polizia riluceva al sole del mattino, ma arrivava leggermente offuscata agli occhi di Jack, i quali erano protetti dagli occhiali da sole. Jackson aveva fatto appena in tempo ad abituarsi al cambio di ecosistema prima di ritrovarsi in un batter d’occhio davanti all’ingresso dell’unico posto in città dentro a cui non sarebbe mai voluto entrare. Già si era distanziato dall’auto con cui era arrivato, scrutando attentamente il luogo ed osservando con non poco timore l’andirivieni di poliziotti che si apprestavano a partire per i propri giri di ronda. Tutti animali peraltro con cui Jack sperava di avere mai niente a che fare.
Alla figura sul marciapiede se ne affiancarono altre due, anch’esse tutt’altro che tranquille. A discapito dell’infinità di consigli e avvertimenti su come comportarsi che i due agenti gli avevano fornito durante tutto il viaggio; Jack dovette fare i conti con una rinnovata ansia accompagnata dal ronzio che le voci della volpe e della coniglietta stavano provocando nelle sue orecchie continuando ad assillarlo sottovoce. Proseguirono finché non furono entrati e non ebbero attraversato l’atrio prima di arrivare davanti ad un mammifero maculato quasi più largo che alto intento a consumare un pasto più che abbondante. Judy e Nicholas avevano speso parecchio tempo per cercare di descrivere Benjamin Clawhauser.
Jack era riuscito a farsene un’idea abbastanza precisa.
   La precedente confusione lasciò il posto nella mente di Jack ad ogni sorta di commento sulla grottesca mole di quel buffo individuo, che tuttavia ispirava una profonda simpatia. A quel punto sentì Nick tirarlo per una manica:
<< Buongiorno ragazzi. Vi trovo bene. >> disse il ghepardo in tono gioviale.
<< Buongiorno Ben, abbiamo una ricerca urgente da fare, le postazioni sono pronte? >>
<< Certamente. Hanno appena finito di sistemare i nuovi computer. Dovrei avere la chiave di accesso qui da qualche part …
L’attenzione del poliziotto si spostò sul nuovo arrivato.
<< O mi scusi … lei sarebbe? >>
Con un sospiro sotto la sciarpa, Jackson dette il via ad una nuova serie di scemenze:
<< Detective Wesser. >> disse Jack stringendo la zampa del grosso ghepardo. Questi ricambiò con aria diffidente:
<< Non credo di essere stato informato del suo arrivo … >>
<< L’abbiamo chiamato noi, deve aiutarci per un caso importante. >> azzardò Judy con un mezzo sorriso.
<< Oh, capisco. Roba scottante. Ma per ragioni di sicurezza devo chiederle di togliere il cappuccio. >> disse.
<< Temo non sia possibile. >> borbottò Jack quasi non aspettandosi una simile risposta.
Nick prese la parola, avvicinò il collega e iniziò a bisbigliare:
<< Vedi Benjamin, il fatto è che la presenza del signor Wesser oggi non era prevista. Hai davanti una vera autorità nel suo campo e se qualcuno lo vedesse, si creerebbe parecchio scompiglio, capisci? >>
Benjamin aggrottò la fronte:
<< In ogni caso, temo di non poterla far entrare … >>
Jackson iniziò a farsi nervoso:
<< Santo cielo, il fatto che due suoi colleghi assicurino per me non le basta? >>
<< Beh … >> il ghepardo rimase interdetto, chiaro segno che stava per cedere. Jackson dovette sfoderare un numero da maestro mostrando tutta la propria eloquenza. Si protese oltre la scrivania ed esclamò:
<< Se non mi consentirà di svolgere il mio dovere, dovrò riferire un parere molto negativo ai miei superiori. Mi avete fatto precipitare qui per consultarmi o per insultarmi? >>
La precisa affermazione del nuovo arrivato lasciò Benjamin impreparato. I due agenti alle spalle di Jack rimasero ammutoliti.
<< Se … se le cose stanno così allora … prego … >> il ghepardo si fece da parte mortificato.
<< La ringrazio. >>
Il viso dell’uomo parve tornare sereno, si sistemò il colletto della giacca e senza dire altro superò la scrivania.
 I tre, dopo essersi scambiati le ultime indicazioni si divisero. Judy dunque si diresse verso l’ufficio del capitano, mentre Jack e Nick raggiunsero una postazione libera per cominciare a cercare.
Jackson si appoggiò alla scrivania con il bacino, mantenendo le braccia serrate in una posa impaziente, mentre la volpe prese posto davanti al computer.
Poco dopo lo schermo sullo schermo apparve l’annuncio di avvenuto accesso al database e la cosa sorprese non poco l’agente Wilde.
<< C’è qualche problema? >> chiese Jackson
<< No, eppure … il database è ancora in manutenzione. Una fortuna visto che non ho il codice d’accesso. >>
Iniziò a scorrere una enorme quantità di file, prima di fermarsi su una cartella. >>
<< Vediamo un po’. Sembra che il nostro professore avesse più di un vizio da tenere segreto.
<< Che cosa ha trovato? >> chiese Jack.
<< Parecchi arretrati per debiti di gioco, per cui aveva fatto un periodo di recupero in un centro sociale.  Sembra che i creditori gli stessero addosso. E anche che fosse stato apertamente minacciato. >>
<< Che altro? >>
<< Persona impeccabile sotto tutti gli altri aspetti. Eppure, l’istituto presso cui lavorava aveva deciso di tagliarli i fondi. >>
<< E perché? >>
<< Questo non lo dice. Però sembra avesse parecchi collaboratori. Qualcuno di loro dovrà pur sapere qualcosa. >>
<< È possibile stampare la lista? >>
<< Se c’è probabilmente è già dentro il dossier. >> rispose la volpe.
Le frasi sullo schermo si susseguirono, e Nick si fermò su un nuovo paragrafo:
<< Ultimi movimenti bancari … questo è strano >>
<< Che cosa? >>
<< Un grosso versamento effettuato sul conto di Beauford Dent da un anonimo benefattore. >>
<< A quanto risale? >>
<< Alcune settimane fa. >>
 
 
 
<< Cosa?! >>
Il capitano Bogo si alzò di scatto e sbatté entrambe le zampe sulla scrivania
<< Non occorre agitarsi. >> tentò di dire Judy.
<< Non occorre agitarsi!? Perché nessuno mi ha detto che avevamo un testimone sul caso Dent!? >>
<< Glielo ho detto, quel poveretto era scosso e ci è voluto un po’ per convincerlo. >>
<< Questo non vi autorizzava a non avvertirmi. >> aggiunse il capitano gesticolando.
<< Questa è bella, una centrale di polizia in cui il capitano è l’ultimo a sapere le cose. >>
<< Signore sta ingigantendo la questione. Il testimone si è già dichiarato disposto a parlare, ma solo con me e con l’agente Wilde. >>
<< Quindi, uno dei miei agenti migliori e un piantagrane hanno tra le zampe l’unico testimone del caso più importante del momento. Scusa ma la cosa non mi calma.>>
Sospirò stancamente e si avvicinò alla finestra:
<< Il sindaco mi sta col fiato sul collo per questa storia. La sparizione di uno scienziato è già di per sé una tragedia ma ancora di più … lì fuori c’è un’intera orda di giornalisti assetati di sangue pronti a saltarmi addosso. Con tutto quello che ho da fare, l’ultima cosa che mi serve è un’ennesima conferenza stampa. >>
<< Signore, possiamo ottenere informazioni ma ci occorre tempo. >>
<< Va bene ho capito. >> disse il capitano.
Il possente mammifero si risedette pesantemente alla sua scrivania:
<< Se non altro così guadagneremo tempo prezioso. Ci serve ogni minuscolo dettaglio. >>
Rivolse uno sguardo a Judy e proseguì:
<< Mi costringi a prendere una decisione che vorrei evitare. Proprio ora che siamo a corto di agenti. E adesso … salta pure fuori una banda di incendiari. >>
Nel dire ciò sbatté una copia del giornale del mattino sul tavolo. Judy poté leggere in prima pagina un accurato articolo sullo spiacevole incidente dell’altra notte a cui ella stessa aveva preso parte. Deglutì poi chiese:
<< Quindi io e l’agente Wilde avremo il caso? >>
<< Avete carta bianca. Fate parlare quel testimone, e consegnatemi un rapporto il prima possibile. >>
Judy tirò un sospiro di sollievo:
<< La ringrazio signore. >>
<< Credo che non riuscirò mai a comprendere il tuo entusiasmo, Hopps. >>
Un segnale acustico richiese la sua attenzione:
<< Clawhauser, cosa c’è ancora? >>
<< Signore, è arrivata la scolaresca per l’incontro didattico fissato per oggi. >>
<< Oh … no … >> il capitano fece una smorfia e si passò una zampa sul viso, sorpreso da quell’ennesimo impegno imprevisto. Poi ebbe un’idea:
<< Hopps. >>
La coniglietta si bloccò sulla porta.
<< Come te la cavi con i cuccioli? >>
 
 
<< Allora a che punto siamo? >> domandò Jack mordendosi il labbro inferiore.
<< Sto facendo del mio meglio, e non mi aiuti continuando a mettermi pressione. >>
<< Se lei è sotto pressione, allora io sto per avere un attacco isterico. >>
Jack iniziò a battere impazientemente il piede a terra scandendo i secondi meglio di un metronomo, finché la volpe annunciò:
<< Ancora un secondo … fatto. >> disse Nick felice di essere riuscito ad aprire la chiavetta trovata dall’uomo.
<< Cosa abbiamo? >>
<< Ehm … dati di ricerche recenti, note personali, … aha!.>>
<< che cosa? >>
<< Note su un lavoro che il professore stava seguendo dal mese scorso. Una sorta di diario.  L’ultima pagina è stata scritta la stessa notte in cui è scomparso. >>
<< Che dice? >>
<< In poche parole è un resoconto dettagliato del suo lavoro. Un …  “cliente” aveva deciso di finanziare una sua ricerca, le cose sembrano essere andate bene fino alla settimana scorsa. >>
Jack si fece più vicino e lesse a sua volta un paio di righe:
L’esperimento prosegue a gonfie vele. Sia io che il mio cliente siamo rimasti colpiti dai risultati dei primi test. Il prototipo ha risposto correttamente e siamo pronti ad effettuare un ulteriore passo avanti.
<< Poi che è successo? >>
<< Sembra che Beauford Dent abbia cambiato idea. >>
Il testo quindi proseguiva alternando lo stupore al completo disappunto dell’inventore:
Nonostante possa ritenermi soddisfatto per i risultati ottenuti e possa garantire l’efficacia del prototipo ho avuto modo di osservarne anche la pericolosità. Le radiazioni emesse dalla macchina sono un pericolo troppo grande per chiunque. Il mio cliente non ha preso bene il fatto che io abbia deciso di interrompere l’esperimento, ma è necessario per la sicurezza dell’intera città.
<< Stava lavorando a qualcosa di grosso. >>
<< L’ultimo paragrafo è incompleto, come se qualcuno lo avesse interrotto. >> osservò la volpe.
Jack sembrava fremere d’impazienza:
<< Un cliente insoddisfatto quindi? >>
<< Forse lo stesso che ha effettuato il versamento. >> aggiunse Nick
<< Non si può risalire alla fonte? >>
<< Per quello ci vorrebbe un hacker. >>
Jackson tamburellò le dita sulla scrivania, poi chissà perché inizio a sentirsi irrequieto:
<< Continui a cercare. >>
<< Non c’è altro. >> ammise la volpe
<< Come sarebbe? >>
<< Non ci sono altri file più recenti … Hei!
A quel punto il monitor sembrò impazzire; la schermata di testo saltò e al suo posto iniziarono ad apparire una sfilza di messaggi di errore. Nick cercò di intervenire:
<< Che sta succedendo? >>
<< Non lo so. Non funziona più niente. >>
<< Forse è un virus. Stacca la spina. >>
La volpe scivolò dietro la scrivania e staccò la presa, ma non funzionò. Il computer rimase acceso nonostante non avesse più corrente. Lo schermo continuava a saltare continuamente, e ad un tratto iniziarono ad apparire delle frasi senza alcun senso. Jackson e Nick rimasero immobili ad attendere, non riuscendo a spiegarsi come ciò fosse possibile. Solo l’uomo credeva di sapere chi, o meglio cosa ci fosse dietro. E di certo non era un hacker.
Le frasi intermittenti iniziarono a farsi via via più articolate. Ogni lettera sembrava essere scritta con un carattere diverso, il che le rendeva difficili da leggere.
<< Che cosa sono? >> mormorò la volpe.
Jackson rimase di sasso quando intravide in mezzo a quel torrente di parole un solo messaggio leggibile:
 
gT6AIUTAMI JACK90olh
 
Jackson fece un passo indietro non sapendo che pensare, così prese dalla tasca il piccolo cristallo. Subito il suono delle interferenze sembrò diminuire, e fu certo di intravedere l’ombra, che lo osservava dal monitor come da una comune finestra. Ciò era la prova che non si trattasse solamente della sua immaginazione.
L’uomo provò ad avvicinarsi allo schermo, ma proprio in quel momento la porta della stanza si aprì e una figura rotonda si fece avanti:
<< Scusa Nick, passavo per consegnarti il nuovo codice d’access … >>
Fu interrotto da un rumore tremendo. Il computer si fulminò e si spense. La pennetta saltò letteralmente in aria. Tutti i presenti furono colpiti da un brivido gelido che li lasciò ammutoliti. Jack era il solo convinto di aver visto davvero “qualcosa” uscire fuori dal computer ed attraversare la stanza lanciando un forte gemito come di rabbia. Un’ombra che si precipitò fuori dalla porta gettandosi addosso allo sventurato poliziotto. Una ciambella rotolò sul pavimento. La voce gli rimase in gola, e con un gemito soffocato il ghepardo cadde a terra con un pesante tonfo.
Dal buio completo in cui era immerso Benjamin si risvegliò di soprassalto senza smettere di tossire, e Jackson si fece subito da parte prima che il poliziotto riacquistasse la vista.
<< Nick ho fatto un sogno assurdo. >> disse.
Sia Nick che Jackson sospirarono di sollievo.
<< lo so. Mi hai spaventato. >> disse la volpe.
<< che cosa è successo? >>
<< Sei svenuto davanti a noi. >>
<< Felice di vederla salvo, agente. >> Jackson con il viso nuovamente coperto si avvicinò.
Ben si rimise a fatica in piedi aiutato da Nick.
<< Non ricordo … cosa è successo? >>
<< Un semplice cortocircuito.  Le luci sono saltate, e anche il computer a quanto pare. >>
<< Ma come … >>
<< una vera sfortuna, un virus è entrato nel computer e ha causato questo disastro.>>
<< Ma non capisco. I tecnici mi avevano detto di aver concluso la manutenzione del …  >>
Iniziò a guardarsi intorno:
<< Per un attimo mi è sembrato ci fosse qualcun altro qui dentro. >>
<< C’eravamo solo noi qui dentro. >> disse Nick.
<< Sicuro vada tutto bene? >> chiese Jack.
<< Devo solo riprendermi … e sistemare questo disastro. >>
A vedere l’aria esausta del poliziotto, Jack iniziò a sentirsi un poco in colpa. Non solo per il computer, ma perché in fondo era grazie a lui se Ben aveva quasi rischiato un infarto.
<< Scusa ancora Ben, ma ora dobbiamo scappare, sai dov’è il dossier del caso Dent? >> chiese l’agente Wilde.
<< Me lo ha appena chiesto Judy. >>
<< Perfetto allora. Possiamo andare signor Wesser? >> e nel dire ciò precedette Jackson sulla porta.
Jack si rivolse al ghepardo: << Le auguro buona fortuna, signor Clawhauser. E la ringrazio ancora.>>
<< Beh, io … >>
Benjamin parve in quel momento più disorientato che mai. Jack si lasciò di nuovo trasportare da quella simpatia contagiosa provata poco prima. Una sensazione che non si sarebbe mai aspettato di provare nei confronti di un predatore.
 Fu così che in quel momento ideò un modo per far dimenticare al povero poliziotto quella disavventura ricordandosi di una cosa che gli aveva detto Nick durante il viaggio di andata.
I due fecero per uscire quando Jack disse:
<< Mi preceda agente Wilde. >>
Poi si rivolse al ghepardo:
<< Lei ha l’aria stressata signor Clawhauser. Parola mia dovrebbe prendersi una vacanza. >> disse e fece per uscire dalla stanza.
<< Un’ultima cosa agente. >>
Jackson raccolse da terra la ciambella e la lanciò al ghepardo che la afferrò al volo:
<< Faccia più attenzione a quello che mangia. >> concluse toccandosi il naso con l’indice.
Uscì quindi dalla porta, lasciando solo il perplesso mammifero. Quello che a prima vista poteva sembrare un rimprovero, era in realtà un amichevole congedo. Ciò che Benjamin non sapeva era che Jack si era preso la libertà di farcire quella stessa ciambella con un pezzo di carta che teneva in tasca. Un pezzo di carta con allegato un pass per il backstage.
I due si trovarono di nuovo nell’atrio:
<< Nicholas, per favore, non una parola su quanto e successo. >>
La volpe gli si parò davanti
<< Oh, invece credo che ne parleremo. >>
<< Di cosa? >>
<< Mi prendi per un idiota? Quello che è successo prima non può essere solo opera di un virus. >>
<< La prego, non … >>
<< Senti, puoi anche smetterla di rivolgerti a me in quel modo. Ma non farai un altro passo finché non mi dirai cosa diavolo è successo. >>
<< Non posso. >>
<< Perché? >> chiese Nick in tono insistente.
<< Perché non so nemmeno io cosa sia successo. Ecco perché. >>
Jackson si pentì di aver alzato la voce e tentò di riprendere il discorso:
<< Da quando sono arrivato sono successe tante cose. Tante cose strane, che non so spiegare e che mi terrorizzano. >>
<< E in tutto questo c’entra quel sasso? >> chiese Nick.
Jackson si infilò la mano in tasca e rispose:
<< Ne sono quasi sicuro. >>
<< Non puoi continuare ad essere quasi sicuro. >>
<< Non posso essere sicuro finché non capisco esattamente di cosa si tratta. >>
<< E sei quasi sicuro del fatto che ci fosse qualcun altro nella stanza? >>
L’uomo rimase fulminato da quella domanda. Strinse i denti e rispose:
<< Non c’era nessun altro nella stanza. >>
La volpe abbassò le orecchie e si fece seria, mentre Jackson riacquistò il proprio controllo.
<< Io non … >>
<< Va bene. >> lo interruppe la volpe.
<< Non una parola su quanto è successo. >>
Jackson sospirò pesantemente e non disse nulla.
 La volpe proseguì minacciosa:
<< In ogni caso, se quel sasso o qualunque cosa c’entri con esso dovesse mettere in pericolo qualcuno, io te ne riterrò responsabile. >>
Jack sentì la propria pazienza arrivare al limite, ma tutto scomparve quando una piccola figura apparve a fianco a lui, e senza dargli tempo lo colpì con un calcio. Fu più lo spavento del dolore, ma quando Jack realizzò di chi si trattasse lo stupore fu tale che non poté fare altro che balbettare:
<< J-Jeremy. >>
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3687786