Iris, candido fiore fra milioni di spine

di Jessie_Tzn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I - Il rumore del silenzio ***
Capitolo 2: *** Capitolo II - Qualche riccio e qualche storia ***
Capitolo 3: *** Capitolo III - Una parola di troppo ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV - Un grido e una promessa ***
Capitolo 5: *** Capitolo V - Un sospiro di sollievo ***



Capitolo 1
*** Capitolo I - Il rumore del silenzio ***


Capitolo I - Il rumore del silenzio

Il suo sguardo rivolto alla finestra pizzicava le stelle che quella sera rendevano luccicante il cielo.

Le foglie degli alberi ondeggiavano leggermente grazie ad una dolce brezza estiva; delle macchine passando producevano un rumore simile a quello del vento forte d’inverno; i lampioni illuminavano la strada e il miagolare di un gattino si percepiva appena, come una goccia d’acqua in un vasto oceano.
Nonostante ciascun suono fosse di per sé pacato, nel silenzio di quella notte ognuno di loro era inevitabilmente avvertibile.

Eppure, tutto ciò che Iris riusciva a sentire era quel vortice di pensieri che volteggiavano nella sua mente.

Una ad una, le scene della sua vita, le passavano dinanzi agli occhi e si ponevano tra le sue iridi castane e quella mezzaluna luminosa che s’innalzava nel cielo.

Come quella volta che le cadde un po’ di gelato al cioccolato sulla maglia e cercando di toglierlo riuscì soltanto ad espandere rovinosamente la macchia. Aveva quindici anni quando successe ed era inaccettabile che alla sua età riuscisse a combinare pasticci come una bambina di cinque anni. Persino il cameriere rise della sua goffaggine come se non bastasse il rimprovero di sua madre.
Lei lo ricordava ancora quel giorno e provava la stessa vergogna, lo stesso sentimento di inadeguatezza.

D’altronde, lei non si è mai sentita al posto giusto, con le persone giuste, al momento giusto. Tutta la sua vita è stata sempre allegramente caratterizzata da quel dolce e persistente pensiero di non essere abbastanza: non abbastanza simpatica, non abbastanza bella, non abbastanza brava a ballare, non abbastanza furba. Il suo non essere abbastanza si riversava su tutto quello che la circondava rendendo il posto sbagliato, le persone sbagliate e il momento sbagliato.

Ma Iris ci aveva sempre provato a cambiare le cose. Tante sere aveva invitato le sue amiche a uscire tutte insieme e altrettante volte si era sentita a disagio, come se tra quelle ragazze lei non c’entrasse nulla. Come un puntino bianco tra tanti puntini rossi.
Non era colpa sua se non riusciva a sciogliersi e a ballare liberamente, a scatenarsi, nei locali dove la trascinavano. Quella sala dalle luci lampeggianti e abbaglianti e tutte quelle persone completamente sconosciute facevano dilagare quella timidezza già devastante.
Era tanto se non scappava a gambe levate.
E cosa poteva farci se non voleva un fidanzato che non l’amasse davvero? Non le serviva un ragazzo solo per poter dire di averlo. Era consapevole del fatto che non avrebbe mai incontrato un principe azzurro con tanto di cavallo bianco e cappello azzurro con la piuma bianca, ma almeno un po’ di sentimento aveva tutto il diritto di pretenderlo. Come erano strane le sue amiche, con quei ragazzi tutti uguali esteticamente, ignoranti e senza un minimo di senso della verità. Erano simpaticamente assurdi con quei cellulari nelle loro mani, pronti a condividere con il mondo ogni gesto, ogni carezza.
Tutto falso. Quei grandi amori duravano sì e no una settimana e poi arrivederci. Ovviamente seguivano quelle frasi sui social di brava ragazza sconvolta dalla dolorosa conclusione della storia romantica con l’amore della sua vita. Questa fase durava circa due o tre giorni, fino al momento in cui riuscivano a trovarne un altro, di ragazzo.
E come poteva quel giorno, in gita, portare alle sue labbra quella sigaretta se il fumo le aveva sempre dato fastidio? Anche quando suo padre fumava lei si allontanava un po’ per non respirare quell’odore secco di bruciato che la faceva tossire.

Iris ci aveva sempre provato a cambiare le cose. Aveva concesso delle occasioni a tutto e tutti, aveva rinunciato qualche volta a leggere i suoi bei libri per accontentare gli altri ma, a quanto pare, era stato inutile.

Ed ecco presentarsi un altro ricordo in cui la sua delicata inadeguatezza le aveva tenuto compagnia. Come dimenticarsi di quel giorno in cui Paola e Rachele le avevano presentato quel ragazzo dagli occhi azzurri. Aveva dei capelli castani morbidi e ricci, un sorriso smagliante che indossava insieme ad una camicia bianca e un pantalone elegante. Quel principe moderno le tese la mano dicendo di chiamarsi Alessandro. Lei la strinse e disse il suo nome. Poi la strinse ancora e non accennava a lasciarla. Gli occhi di Iris erano completamente incantati da quelli del ragazzo e la sua mente aveva deciso di fare le valigie e andare via. Dopo svariati secondi fu lui a chiederle se gentilmente poteva lasciargli la mano. In quel momento si risvegliò dal sogno e si rese conto di essere capitata nella parte più buia della stanza delle brutte figure.
Inutile precisare che da quel giorno il principe non le rivolse più la parola e le sue compagne di classe la presero in giro per mesi. Loro forse l’avevano dimenticato, ma Iris custodiva questo momento nel disco della memoria che suonava ogni volta che intorno a lei era silenzio.

Non aveva mai dimenticato le cose negative della sua vita, le teneva ben impresse nella mente e le ripassava ogni volta che il disco tornava a suonare. Una cantilena che si ripeteva nella sua anima e che faceva eco nel suo cuore. Era tanta la voglia di fermarla, di cancellarla o quantomeno di cambiarne le parole. Era immensa la voglia di staccarla dal suo spirito ed alleggerire quelle spalle sulle quali si poggiava il peso dei suoi pensieri.

Dalla finestra della sua camera, Iris riusciva a vedere in lontananza gli aerei che spiccavano il volo e che, allontanandosi, diventavano sempre più piccoli fino ad essere un puntino di luce e infine sparire del tutto.
La ragazza dai folti capelli ricci voleva sparire come quegli aerei che ogni giorno vedeva decollare e viaggiare tra le nuvolette bianche del cielo. Forse la soluzione a tutti i suoi problemi era quella: andare via da quei luoghi, da quelle persone, da quei pensieri.

E fu proprio allora che mentre il suo sguardo rivolto alla finestra pizzicava le stelle e le foglie degli alberi ondeggiavano leggermente grazie ad una dolce brezza estiva e delle macchine passando producevano un rumore simile a quello del vento forte d’inverno e i lampioni illuminavano la strada e il miagolare di un gattino si percepiva appena come una goccia d’acqua in un vasto oceano, si avvertì un rumore assordante che coprì ogni suono. Una luce bianca illuminò il cielo rendendo invisibili le stelle per pochi secondi e il disco dei pensieri si bloccò per lo stesso arco di tempo. Stava succedendo ancora.

Quell’enorme macchina dalla forma di un drago stava spiccando il suo volo e Iris rimase ad osservarla mentre si allontanava lampeggiando. Restò a guardarla con la travolgente voglia di partire, con l’irresistibile voglia di spiccare il volo e con la decisa volontà di sparire, allo stesso modo, nel buio di quella notte rumorosa.

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo II - Qualche riccio e qualche storia ***


Capitolo II- Qualche riccio e qualche storia




La dolce fanciulla si destò dal suo sonno mentre i raggi del Sole illuminavano già la sua camera dalle pareti color panna. Si sedette sul bordo del suo lettino e passò qualche minuto a riflettere su questo nuovo giorno che avrebbe dovuto affrontare. In seguito il suo sguardo andò a posarsi sull'orsacchiotto bianco che le teneva compagnia ogni notte e che sembrava, con lo sguardo, chiederle di restare.

«Non guardarmi così. Se dipendesse da me, tornerei a dormire» disse guardandolo. Accennò ad un sorriso, infilò le pantofole, si alzò dal letto e si diresse verso la stanza da bagno. Fece velocemente la doccia e si lavò i denti mentre ripassava nella mente gli argomenti studiati il giorno prima. Questo non la divertiva particolarmente, ma tra le poche cose che andavano a costituire quella che era la sua vita vi era la scuola. Aveva un'ottima media, la più alta della sua classe nonostante i vani tentativi di superarla di una certa Teresa, un'acidissima ragazza dagli occhi verdi come il veleno e la cui simpatia era paragonabile ad un doppio ceffone in pieno viso, di quelli che lasciano il segno delle dita sulle guance. Iris di certo non era un abile raccontatrice di barzellette, né era il divertimento in persona, ma non era nemmeno antipatica. Era timida, ma era molto gentile nei suoi modi, nei suoi atteggiamenti e nel suo modo di relazionarsi con gli altri. Essendo molto brava in ogni materia, i suoi compagni le chiedevano spesso aiuto e lei era sempre disposta a spiegargli ciò che non avevano capito. Lo faceva volentieri, anche se erano le stesse persone che in un'altra occasione non le avrebbero nemmeno rivolto la parola.

Fece colazione con un paio di fette biscottate e poi corse alla fermata dell'autobus il quale, incredibilmente, era in orario. Da casa sua alla scuola non ci voleva tantissimo tempo, ma era abbastanza da potersi concedere di osservare il panorama dal finestrino: strade, giardini, villette, palazzi. Persone che correvano in ufficio in giacca e cravatta e altre che, con lo zaino in spalla, camminavano adagio; persone che erano al telefono e altre che caricavano le valigie in auto. 
Iris provava ad immaginare le loro storie, i loro problemi, i loro sogni. Quel signore pelato in giacca e cravatta, ad esempio. La ragazza aveva rapidamente organizzato nella sua mente un'intera scena: lui tornava a casa e la moglie lo accoglieva dandogli un bacio dolce sulle labbra che lui ricambiava. Arrivava poi, urlando come tutti i bambini, il suo figlioletto che tra le mani reggeva una pallina colorata e gli chiedeva di giocare. Il pelatone andava in camera ad indossare qualcosa di più comodo e quando tornava era subito pronto a fare qualche tiro con il suo piccolo campione. 
Il suo problema era il tempo. A causa del troppo lavoro non riusciva a passare molto tempo con la sua famiglia e di questo sua moglie lo rimproverava spesso ma mai con aggressività perché capiva che il marito faceva sacrifici per permettere loro di vivere con serenità. 
Il suo sogno era diventare capo ufficio e non rischiare più di perdere il suo lavoro da un momento all'altro.

Mentre elaborava queste teorie, l'autobus era già arrivato a destinazione. Una volta scesasi guardava intorno e tutti i suoi coetanei erano ancora fuori i cancelli a fumarsi una sigaretta prima di entrare. Era già tardi ma avevano la scusa dei ritardi dei mezzi pubblici e quindi sentivano di potersi autorizzare a perdere altro tempo. Iris, invece, camminava spedita verso l'entrata.

Raggiunse la sua classe e, dopo aver salutato il prof con un educato "Buongiorno", andò al suo posto. 
Il suo compagno di banco era lì seduto ad aspettarla.

Lorenzo era uno dei pochi che non fumava e se Iris avesse dovuto descriverlo a qualcuno, tra le prime caratteristiche che avrebbe elencato, avrebbe menzionato i numerosi bracciali e anelli che portava rispettivamente al polso e alle dita. I suoi anelli facevano parte di una preziosa collezione della sua saga preferita: il Signore degli Anelli. La ragazza gli chiedeva spesso di prestargliene uno, ma quello era "il suo tesoro", giusto per restare in tema. Iris lo chiamava Riccio pervia dei suoi capelli: li portava corti ai lati, ricci e un po' più lunghi al centro. Di solito qualche ciuffetto ribelle si poggiava sulla sua fronte e lui passava intere ore a cercare di aggiustarlo.

«Passi più tempo tu con la mano tra i capelli che un parrucchiere.» commentava ironica l'amica e lui le sorrideva.

Il loro banco era stracolmo di scritte, disegni e calcoli svolti a matita. Si erano sempre ripromessi che un giorno li avrebbero cancellati ma ovviamente quel giorno non arrivava mai e, dopo circa cinque mesi, la superficie del banco non era più verde come prima, ma era di un grigio matita misto a varie sfumature di nero penna, rosso penna e blu penna. Di solito la rossa e la blu erano sempre prese in prestito da qualche compagno di classe perché le numerose penne colorate di Iris sparivano nel nulla dal primo giorno di scuola.

«Nuova opera d'arte?» gli chiese mentre Lorenzo con la matita stava tracciando le linee per disegnare un volto. Il ragazzo aveva una forte passione per l'arte che manifestava in ogni spazio libero tra una materia e l'altra, tra un sogno e l'altro, tra una pagina e l'altra. Era stato costretto a scegliere la ragioneria dai suoi genitori per via della vicinanza dell'istituto alla scuola elementare che frequentava la sua sorellina più piccola, Emma. In questo modo lui poteva passare a prenderla all'uscita da scuola e poi tornare a casa.

«Emma» rispose disegnandole i capelli lisci e corti e poi gli occhi che sarebbero dovuti essere castani come i suoi, ma non aveva i colori per farli.

Nel frattempo erano entrati tutti i suoi compagni di classe che, con aria sofferente, prendevano posto in aula. Tra di loro vi era anche Ugo che con il suo animo ribelle e un bicchiere di plastica contenente del caffè faceva il suo ingresso trionfale.

«Le posso offrire anche una sigaretta, Maffei?» domandò irritato il prof di diritto con la penna tra le mani.

«No, grazie prof. Me l'hanno offerta i miei amici stamattina, sarà per la prossima volta.» e così dicendo fece un sorriso soddisfatto e gettò il bicchiere ormai vuoto nel cestino dei rifiuti.

«Signorina Occhipinti, vuole spiegarci lei la lezione del giorno?»

«Certo prof!» acconsentì veloce.

Iris fece un respiro profondo per gestire l'ansia dell'interrogazione e poi iniziò il suo discorso fluido ed elegante che spiegava nei minimi particolari la composizione della Costituzione italiana, la storia e le sue caratteristiche.

«Complimenti Occhipinti, sempre meglio!» ne seguì un ennesimo segno positivo sul registro rosso sempre aperto sulla cattedra.

«Puoi tornare a respirare, adesso» le sussurrò Lorenzo ridacchiando e le mostrò il disegno completo e colorato con le sfumature grigie della matita. Delle labbra carnose e un piccolo nasino si erano aggiunti ai tratti iniziali ed Emma era meravigliosamente ritratta su quel foglio precedentemente destinato a raccogliere appunti.

Lo diceva sempre la nonna: «Il sogno è quella gomma che si posa tra le mani di chi la desidera e cancella ciò che è scritto per riscrivere il destino»

 

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo III - Una parola di troppo ***


Capitolo III – Una parola di troppo

Erano ormai trascorse due ore di lezione ed era appena suonata l'amata campanella dell'intervallo. Il professore di italiano salutò i ragazzi ed uscì dall’aula con una pila di libri in mano. Qualche ragazza rimase al suo posto a fare merenda, altri raggiunsero i corridoi per incontrare gli amici delle altre classi e qualcun altro approfittò di quei minuti per rivedere gli appunti scritti frettolosamente sul quaderno. Iris faceva parte dell’ultima categoria, come al solito. Non le piaceva gironzolare per l’aula, per i corridoi o tantomeno ingozzarsi di cibo. Le sembravano esagerate per una semplice merenda tre pizze fritte con prosciutto e mozzarella, una parigina e un panino con prosciutto crudo, come era solito fare Ugo.

«Fiorellino, lo sai che se non mangi diventi anoressica?» le disse Ugo con la sua solita aria da creatura superiore. Si sentiva così per via della sua età. A quanto pare, avere due anni in più rispetto agli altri significava essere un gradino al di sopra di tutti. Iris, invece, pensava che avere due anni in più a causa di due bocciature per svogliatezza era motivo di vergogna. Aveva visto varie volte la mamma di Ugo agli incontri scuola-famiglia e, ognuna di queste volte, l’aveva vista piangere e chiedere al figlio perché le stesse facendo così male mentre lui, invece, se la rideva.
Iris pensò a quelle lacrime mentre Ugo cercava di farla innervosire chiamandola con quel nomignolo banale e alquanto irritante.

«Fiorellino, non rispondi neanche? Il gatto ti ha mangiato la lingua?» insistette lui appoggiandosi con i gomiti al banco. «Ah, dimenticavo. Sei la solita asociale» aggiunse poi. Iris lo guardò per un istante negli occhi, sentiva la rabbia scorrerle per le vene e imprigionarle il cuore. La mente fu l’unica parte del suo corpo a impedirle di sferrargli un pugno in pieno viso. Si morse la lingua con i denti e iniziò a contare da uno a mille.
Quanto odiava quella parola, quanto desiderava che venisse cancellata dal mondo. Lei non era asociale, lei semplicemente non voleva avere niente a che fare con soggetti simili.

«Falla finita Ugo, non sei per niente divertente.» Per fortuna ci pensò Lorenzo a rispondergli. Con una mano sulla spalla lo spostò leggermente all’indietro e aspettò appoggiato al banco che si voltasse per andarsene.

«D’accordo, non te la infastidisco la fidanzatina.» terminò Ugo con un sorrisetto infantile sul viso che Lorenzo ricambiò con una smorfia di disgusto. Finalmente si allontanò per raggiungere degli amici nel corridoio e il buon compagno di banco si sedette. Guardando alla sua sinistra notò Iris particolarmente nervosa. Tremava e aveva lo sguardo rivolto ai suoi appunti ma si capiva che non era concentrata a leggerli.

«Tutto bene?» le chiese Lorenzo spostandole i capelli dal viso. Lei annuì con il capo. Cercò di calmarsi mentre odiava con tutta se stessa ciò che stava per succedere. L’odio e la rabbia erano arrivati ad offuscare la sua mente che non era più lucida come qualche minuto prima. Avrebbe voluto urlare, avrebbe voluto tirare calci e pugni a quella testa vuota, avrebbe voluto tirar fuori tutta la sua rabbia, sfogarsi, ma allo stesso tempo sapeva che le avrebbe provocato solo guai. Ugo aveva il doppio della sua forza e quindi non avrebbe avuto la meglio, inoltre si sarebbe procurata qualche nota sul registro o, nel peggiore dei casi, una sospensione che avrebbe potuto macchiare la sua immacolata carriera scolastica. Non era la prima volta che accadeva e sapeva già che, di lì a poco, un’esplosione di emozioni l’avrebbe completamente devastata e avrebbe iniziato a piangere. Fortunatamente la professoressa di matematica entrò in quell’istante e lei chiese di andare in bagno.

«Come al solito appena entro in aula c’è qualcuno che deve andare al bagno» affermò spazientita la prof appoggiando la borsa sulla cattedra. «Vai, su, ma non perdere tempo» aggiunse infine accordandole il permesso. Iris saltò quasi dalla sedia ed a passo svelto uscì dall’aula e raggiunse i bagni. Entrò e chiuse la porta a chiave. Si appoggiò con le spalle al muro, il suo cuore batteva forte e le lacrime cominciarono a scorrere sulle sue guance. Molte arrivarono alle labbra e la fanciulla assaporò ancora una volta il gusto salato della stanchezza. Perché Iris era stanca di sopportare, stanca di arrabbiarsi, stanca di ascoltare le offese gratuite che le destinavano ogni giorno. Perché la goccia che fece traboccare il vaso fu quella parola detta da una persona senza un minimo di cervello, ma quel vaso, prima, era stato riempito di tante e tante gocce. Iris era stanca di tremare e anche stanca di piangere così, senza fare rumore per paura che qualcuno se ne accorgesse.
Prese della carta igienica per asciugarsi un po’. La strinse forte nella sua mano e poi diede un pugno nel muro con tutta la forza che aveva e si liberò di una parte della rabbia che la stava tormentando. Ne diede un altro e un altro ancora incurante del dolore che si stava procurando alle dita. Si appoggiò con le mani a quelle mattonelle di un azzurro sbiadito e iniziò a respirare profondamente. Sentì dei brividi lungo la schiena, si morse il labbro inferiore. La sua mente cominciava a tornare lucida e dopo una decina di secondi riuscì a fermare le lacrime e quel detestabile singhiozzo che le accompagnava.
Ora non poteva andare avanti per tutto il tempo che voleva, come di notte. Ora doveva fare in fretta e doveva anche fingere che tutto andasse nel migliore dei modi. Per evitare che gli occhi diventassero gonfi e rossi, si sciacquò più volte il viso con acqua fredda e poi si asciugò con la carta igienica. Aspettò qualche altro secondo davanti allo specchio per recuperare tutta la calma di cui aveva bisogno e finse un sorriso per convincersi che la tempesta fosse passata.

Tornò in aula a testa alta e, tranquilla, si sedette accanto a Lorenzo che la osservò preoccupato. Bisogna sapere che nonostante tra loro non ci fosse una grande amicizia, cercavano sempre di proteggersi l’un l’altra ed anche stavolta il ragazzo cercò di allentare la tensione. Prese dal suo quaderno un piccolo foglio con sopra una vignetta e la passò alla sua compagna di banco.

In alto a sinistra si leggeva: “La prossima volta…” e c’erano raffigurati Iris che osservava soddisfatta Lorenzo che colpiva Ugo con una sedia.

La ragazza sorrise divertita e guardò Lorenzo che le fece l’occhiolino. Conservò il bigliettino in una tasca della borsa in modo che nessuno potesse trovarla.

«Ora che ci siete tutti» esclamò la prof richiamando l’attenzione dei suoi alunni «vorrei darvi una comunicazione importante che vi interesserà particolarmente. Tranquilli, non dobbiamo fissare ancora la data del compito.» Un sospiro di sollievo collettivo seguì le parole della professoressa che rise consapevole della paura che avevano i suoi allievi delle verifiche in classe.

«Potrei darvi anche una notizia peggiore del compito in classe» affermò guardando ad uno ad uno i ragazzi che aveva di fronte.

«Prof, le assicuro che rispetto al compito di matematica, sono tutte belle notizie!» rispose Filippo, il migliore amico di Ugo, provocando la risata di tutta la classe compresa la prof. Qualcuno del gruppo dei suoi fedeli compagni si alzò addirittura in piedi per onorarlo con un fragoroso applauso.

 

#SpazioAutrice

Salve a tutti!
Innanzitutto colgo l’occasione per ringraziarvi per i vostri bellissimi commenti che mi hanno rallegrato l’anima. Apprezzo tantissimo i vostri voti e i vostri pareri che mi fanno sempre sorridere e migliorare e presto riceverete un biscotto direttamente a casa per questo.
Detto ciò, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate della circostanza che si è venuta a creare tra Ugo, Lorenzo e la nostra povera Iris. Avete mai vissuto o assistito ad un’esperienza simile?
E quanti di voi la pensano come Filippo? Non siate timidi!

Aspetto le vostre risposte nei commenti e, se il capitolo vi è piaciuto, non esitate a votarlo con una stellina (questo vi farà guadagnare un biscotto extra).

A presto 😊 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV - Un grido e una promessa ***


Capitolo IV – Un grido e una promessa

La professoressa, al contrario di quanto si potesse pensare, non punì i ragazzi che avevano applaudito in alcun modo. La prof Tinelli era la migliore dell’istituto da tutti i punti di vista. Era vivace e le piaceva scherzare ma, allo stesso tempo, era severa nella sua materia. Chiedeva ai suoi allievi il massimo impegno, accettava solo due giustificazioni per entrambi i quadrimestri e durante i compiti in classe camminava per l'aula come un carabiniere alla ricerca di malviventi. C’è da dire, però, che beccava sempre qualche genio che cercava invano di copiare e questo la spingeva a continuare il suo cammino per l’aula finché non avessero consegnato tutti. In cambio, lei era sempre disponibile e gentile. Ripeteva le nozioni decine e decine di volte affinché tutti le capissero ed era l’unica a riferire ai suoi alunni le notizie importanti in anticipo per farli trovare avvantaggiati rispetto ad altri, come quel giorno.

«Tornando a noi» disse la prof sorridendo «ieri ho avuto modo di parlare con la professoressa Lentini che si occupa dell’organizzazione delle gite, la quale mi ha riferito che nei prossimi giorni circoleranno gli itinerari per i viaggi d’istruzione che si faranno il prossimo mese.» Non appena la prof ebbe terminato questa frase, gli occhi dei ragazzi si sgranarono al massimo, sorpresi ed entusiasti di aver ricevuto finalmente questa notizia tanto attesa. Alcuni si abbracciarono soddisfatti, altri cominciarono a giocherellare con penne e quaderni, altri presero di nascosto i cellulari e inviarono messaggi e altri si paralizzarono dall'emozione.

«Vi prego di non far sapere a nessuno che ve l’ho detto perché sapete che non mi sarebbe permesso. In ogni caso, con la scusa di voler dare un’occhiata agli itinerari, me li sono fatta consegnare con l’impegno di restituirli al più presto.» Si fermò un attimo per godersi i visi ansiosi dei suoi allievi, poi girò qualche pagina dal suo registro e continuò dicendo «Chiaramente, ho colto l’occasione per farmeli gentilmente fotocopiare dal signor Alfonso del primo piano ed ora li ho portati a voi» concluse il discorso sfilando dal registro dei fogli con su scritte tutte le destinazioni tra le quali poter scegliere e le mostrò sorridendo compiaciuta. A quel puntò i ragazzi non riuscirono a non gridare e, come se si fossero messi precedentemente d’accordo, cominciarono dei cori in onore della professoressa. Quest’ultima in un primo momento fu felice di vedere tale reazione ma poi si rese conto del gran baccano che stavano facendo e decise di rimettere ordine battendo la mano sulla cattedra e chiedendogli di abbassare un po’ la voce.

Fu così che tutta la giornata passò a discutere su quale meta scegliere. C’era mezzo mondo da visitare e non riuscivano a decidersi. Dinanzi ai loro occhi scorrevano tutti i nomi che figuravano su quella lista tra cui: la bellissima Venezia, la storica Firenze fino alla romantica Parigi e alla desiderata Londra. Queste furono le mete che vennero prese in considerazione mentre le altre furono scartate. Alessio e Rachele cominciarono già a fare dei calcoli per scoprire il cambio da euro a sterlina quanto valesse per poi diffondere il risultato a tutti i loro amici. Teresa, nel cambio d’ora, aveva già chiamato sua madre per chiederle il permesso che, ovviamente, le fu accordato per qualsiasi meta si fosse scelta. Giovanni e Luca stavano preparando la lista dei documenti necessari per partire. Paola e Olga, invece, la lista delle cose da mettere in valigia per essere pronte ad ogni evenienza.

Al primo banco, sulla destra dell'aula, gli occhi di una certa ragazza dai capelli ricci avevano iniziato a brillare di speranza. Quella voglia di partire, di allontanarsi, di cambiare aria sembrava trovare accoglienza nella possibilità di uno di quei viaggi e non le importava se a Parigi o a Londra o in qualsiasi altro Paese o città del mondo; le bastava anche solo mettere piede su quell’aereo che l’avrebbe portata tra persone nuove da conoscere, luoghi da visitare e sogni da realizzare.

C'era un solo problema: la sua famiglia non poteva permettersi una spesa di questo genere soprattutto se considerata facilmente evitabile e, quindi, non di vitale importanza. Suo padre era un modesto operaio e sua madre una casalinga e a stento riuscivano ad arrivare a fine mese senza debiti. Iris, che era sempre stata comprensiva nei confronti dei suoi genitori, non aveva mai avanzato richieste assurde che loro non avrebbero potuto soddisfare. Capiva che gli avrebbe fatto male non poter dare alla loro unica figlia ciò che voleva. La prima idea da scartare, quindi, era chiedere i soldi ai suoi genitori.

«Non è fantastico?» le chiese ad un certo punto Lorenzo aggiustandosi quel ciuffo di capelli che poggiavano sulla sua fronte. Lui non avrebbe avuto alcun tipo di problema in quanto, pur non essendo dei ricconi, i suoi genitori avevano la possibilità di muovere somme di denaro abbastanza alte. E seppur non avessero voluto dargli nulla, Lorenzo avrebbe potuto sfruttare quei soldi che conservava nel suo salvadanaio.

«Certamente.» gli rispose la ragazza dagli occhi castani sorridendogli. Non avrebbe mai confessato al suo compagno di banco il reale problema e così, mentre circolavano nella sua mente circa duemila strategie sul come recuperare un po’ di soldi, cercava di fantasticare sul viaggio insieme a Lorenzo.

Il suono dell’ultima campanella mise in pausa i numerosi commenti che erano circolati in quell’aula per diverse ore. Iris corse a prendere l’autobus e, dopo un quarto d’ora circa, era già arrivata a casa. Trovò facilmente le chiavi nella borsa grazie alla versione peluche di Tweety che aveva come portachiavi; le prese e aprì la porta. Ad accoglierla ci furono le urla dei suoi genitori che provenivano dalla cucina. Sua madre stava accusando suo padre di non riuscire a procurarsi abbastanza soldi per vivere e che era colpa sua se non riuscivano a trascorrere qualche giorno in serenità. Suo padre si difendeva dicendo che non poteva farci niente se la paga che gli spettava non era delle migliori perché il suo posto di lavoro nella fabbrica di magliette era l’unica cosa che era riuscito ad ottenere per smettere di essere un disoccupato.

Iris aveva ascoltato quei discorsi migliaia di volte, fino alla nausea, ed ogni volta che tornava da scuola era sempre la stessa storia.

«Sono tornata!» gridò chiudendo la porta. Quando la sentivano i suoi genitori chiudevano il discorso che, però, veniva solo rimandato alla prossima occasione.

«Ciao tesoro! È quasi pronto in tavola, sbrigati!» replicò la madre mentre terminava di cucinare. Iris andò in camera sua a posare la borsa e a togliersi la giacca. Successivamente passò nella camera di sua nonna per salutarla. Era una dolce signora di ottantasei anni che le voleva bene più di chiunque altro. Aveva capelli d’oro bianco e delle rughe sul suo viso, ma conservava quella bellezza interiore che trasmetteva, attraverso i suoi occhi castani, dolcezza e bontà d’animo. Iris provava per lei un amore che superava qualsiasi confine immaginabile.

«Menomale che la nonna più bella di tutte è capitata a me!» disse entrando nella sua camera. La nonna la salutò sorridendo e le chiese come fosse andata a scuola. Lei rispose che tutto era andato bene e, ovviamente, evitò qualsiasi riferimento ad Ugo e a quella possibilità di viaggiare che sembrava chiederle di non arrendersi, non quella volta.

I successivi quattro giorni non furono dei migliori. Il suo cervello stava andando in fumo a causa delle mille soluzioni alle quali aveva pensato ma che capiva poi essere infattibili. La notte dormiva molto poco e, nei rari momenti in cui riusciva a riposare, faceva dei paurosi incubi che la costringevano a svegliarsi e a convincersi che non fossero reali. Sognava di litigare con i suoi genitori, di essere derisa dai suoi compagni, di dover guardare l’aereo partire da casa mentre tutti gli altri vivevano quello che era il suo sogno. Era molto confusa, ma l’unica cosa della quale fosse sicura era che aveva bisogno di staccare la spina della routine per riprendere la sua vita in mano.

Un soffio di vento entrò dalla finestra della sua camera ancora aperta e le provocò dei brividi di freddo. Vi si avvicinò per chiuderla e, mentre guardava quel cielo senza stelle, promise a sé stessa che non sarebbe stata l’ennesima delusione.

 

#SpazioAutrice

Salve a tutti!

Vi ringrazio per aver letto la storia fino a questo punto e per aver votato e commentato il capitolo precedente, siete fantastici! :)

Approfitto di questo spazio per chiedervi: cosa ne pensate della piega che sta prendendo la storia? Secondo voi Iris riuscirà a racimolare la somma di denaro per partire?

Aspetto le vostre risposte nei commenti insieme ad eventuali consigli che vi sentite di darmi. Come sempre, le critiche costruttive sono ben accette!

Vi saluto con affetto e, se questo capitolo vi è piaciuto, non esitate a votarlo con una stellina!

Al prossimo capitolo! :)

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo V - Un sospiro di sollievo ***


Capitolo V - Un sospiro di sollievo
 
 
La mattina del quinto giorno le gocce di pioggia ticchettavano contro la finestra. Iris aprì gli occhi e guardò l’orologio scoprendo che fossero solo le sei e mezza. Era presto, il cielo era tanto nero quanto lo era a mezzanotte. Si sedette sul bordo del letto e i primi minuti di quel giorno furono dedicati a quel pensiero fisso: «Dove potrei prendere quei soldi?»
L’intera giornata trascorse così come le altre: doccia, colazione, autobus, scuola. Ormai tutte le mattine procedevano in questo modo e non vi era via di scampo. La borsa pesante sulla spalla, il sorriso leggero sul viso e i pensieri che vagavano per una mente troppo affollata.
Matematica, italiano, diritto, religione e informatica. Quattro campanelle che separavano un’ora dall’altra, cinque quaderni di Iris che circolavano di banco in banco. Compiti copiati, chiacchiere a bassa voce e sonnellino sullo zaino di chi, come Ugo, ha proprio sonno.
Quella mattina si decise la meta del viaggio. Le mete ormai erano a conoscenza di tutti e bisognava prendere una decisione per non restarne fuori. La professoressa Beatrice Trivaldi di italiano intervenne alla seconda ora.
«Trovo che voi non prestiate abbastanza attenzione alle alternative italiane» fu così che cominciò il suo discorso. Aveva l’aria decisa di chi ce l’avrebbe messa tutta. Mentre parlava si poteva percepire la sua reale intenzione di far cambiare idea ai suoi ragazzi.
«Spesso percepiamo la volontà di volerci allontanare il più possibile dal nostro nido perché solo in quel modo potremmo trovare qualcosa che sia realmente in grado di regalarci emozioni, di farci brillare gli occhi. Io credo che non sia esattamente così.» S’interruppe un paio di secondi per riflettere e per scegliere le migliori parole da utilizzare. Il silenzio regnava nell’aula, erano tutti desiderosi di conoscere il continuo di quel filosofico discorso.
«Io credo che di monumenti ammirevoli qui in Italia ce ne siano a centinaia. Credo che per farvi brillare gli occhi basterebbe fare una passeggiata di pochi metri fuori da questa scuola. Ho sentito che tra le mete italiane vi sarebbero interessate Venezia e Firenze, una più bella dell’altra anche se di Venezia ne ho solo sentito parlare e ho letto qualche libro. Firenze, invece, l’ho vissuta in prima persona e mi sembra di viverla ancora adesso mentre ve ne parlo.» e sorrise mentre giocava con la sua penna che passava da una mano all’altra. Per risultare convincente la professoressa cominciò ad elencare tutto ciò che avrebbero potuto trovare una volta giunti lì.
«La cattedrale di Santa Maria del Fiore, la Galleria degli Uffizi, Palazzo Vecchio, Palazzo Pitti» e continuò questa lista con un’altra decina di posti da visitare.
«La bella Firenze di Dante Alighieri, il più grande poeta di tutti i tempi.» la prof aveva una sorta di cotta per il poeta fiorentino. Non perdeva occasione per citarlo ed era presente in ogni suo discorso. La professoressa in questione non era affatto giovane e il suo aspetto non smentiva tale verità. Aveva il viso rugoso ed i capelli bianchi – escluso qualcuno biondo che dava un pizzico di colore a quella tela bianca. Per via di questo aspetto e della sua ossessione per Dante Alighieri, alcuni andavano raccontando che la professoressa fosse in realtà la Beatrice alla quale il poeta aveva dedicato indimenticabili versi d’amore. Inutile prenderla in giro quindi, quegli ottocento o novecento anni li portava una meraviglia!
Bisogna specificare, però, che la prof Trivaldi aveva un modo di parlare sereno e pacato che faceva incantare chiunque l’ascoltasse. Utilizzò quel tono di voce per convincere i ragazzi e, inevitabilmente, quest’ultimi furono completamente d’accordo con lei. A questo punto anche la meta del viaggio era stata decisa ed Iris non sapeva ancora come poter partecipare.
All’uscita di scuola le nuvole avevano finito di mettere tristezza nel cielo e avevano lasciato spazio a qualche raggio di Sole. Iris prese posto sull’autobus giallo che l’avrebbe portata a casa sua. 
Oggi il suo vicino di posto era un ragazzino di dodici anni. Aveva cinque anni in meno rispetto a lei e portava degli occhiali per la vista azzurri come i suoi occhi. Dopo un paio di secondi, prese dalla borsa delle gomme all’anguria.
«Vuoi?» chiese timidamente alla ragazza che gli sorrise. Le piacevano da morire quelle gomme, ma non le pareva il caso di prenderle da un ragazzino. Le veniva in mente quel detto che dice: «Come rubare delle caramelle a un bambino». Se avesse accettato, probabilmente avrebbe passato qualche giorno a sentirsene in colpa. «No, grazie. Sei molto gentile» si limitò a dire. Il ragazzino alzò le spalle e ripose nello zaino tutte le gomme tranne quella che avrebbe mangiato di lì a poco.
Iris scese dall’autobus e fece il suo percorso quotidiano: cancello, scalinata, porta, entrata.
Il particolare che la rallegrò fu l’assenza delle urla dei suoi genitori. Finalmente un giorno di tregua dopo tanti di guerra. Sorrise a questo pensiero mentre sua madre la raggiungeva all’ingresso.
«Ciao cara. Preparati che tra poco è pronto a mangiare. Oggi pomeriggio devo fare la spesa e tu mi accompagni perché lo sai che farla da sola mi annoia.» le disse senza respirare tra una frase e l’altra.
«Ma io devo studiare oggi pomeriggio!» protestò Iris avvolta dal suo senso del dovere.
«Vedi di non scocciarmi che sai che non sopporto lamentele. Così ho deciso e così facciamo» ribadì sua madre iniziando ad alzare il suo tono di voce. Iris capì che non le conveniva tentare di spiegare che il giorno seguente avevano un compito importante, tanto non le avrebbe dato ascolto e si sarebbe arrabbiata di più. Si diresse verso camera sua e si distese sul letto per mettere il suo cervello in pausa per qualche minuto. Con delle urla simili a quelle delle sorellastre di Cenerentola, sua madre la chiamò per pranzare.
Fortunatamente ci misero solo un’ora per fare la spesa e Iris poté dedicare le ore restanti di quel pomeriggio a studiare per il compito di inglese. Era un compito di grammatica quindi le bastò ripassare tutte le regole una decina di volte per essere sicura. Un po’ d’ansia abitava sempre nel suo cuore e, nonostante le ore passate a studiare, aveva sempre timore che qualcosa potesse andare storto e non voleva problemi anche nell’ambito scolastico.
«Iris, scenderesti la spazzatura?» le chiese sua madre dopo aver cenato. Nonostante suonasse come una domanda, la ragazza sapeva di non poter negarsi a quel simpatico privilegio di gettare l’immondizia altrimenti avrebbe dovuto ascoltare le diecimila lamentele di sua madre. Prese quindi la busta come quasi tutte le sere e scese velocemente le scale. Poggiò la busta di spazzatura in fondo al vialetto di casa e tornò indietro.
All’ingresso del palazzo erano poste l’una accanto all’altra, vicino al cancello, tutte le grigie cassette della posta. Iris gli diede uno sguardo e notò che in quella con il loro nome vi era una busta da lettere bianca che al ritorno da scuola e dal supermercato non c’era. Infilò la mano nella cassetta e riuscì a sfilarla. Non era una bolletta, un volantino, una cartolina o un avviso e sul retro lesse che era indirizzata proprio a lei. Mise la busta sotto la maglia per non farla vedere a nessuno e salì le scale. Appena entrata avvisò la madre che aveva buttato la spazzatura, corse in camera sua e chiuse la porta alle sue spalle.
Si sedette sul letto e aprì la busta. La sua bocca rimase semiaperta per qualche secondo, forse il suo cuore perse qualche battito e il respiro le si fermò per un istante. Nei suoi occhi castani si riflettevano diverse banconote da cinquanta euro che erano sicuramente abbastanza per garantirle tutta la gita, forse sarebbero anche avanzati.
Tra le banconote vi era un bigliettino che Iris afferrò dopo essere riuscita a sbloccarsi. Era profumato e bianco come la busta che lo conteneva. Vi era una scritta in blu molto imprecisa, in stampatello. Le lettere sembravano essere scritte da una mano tremante e non c’erano firme. Nessuno di sua conoscenza aveva quella grafia così strana e, nonostante lo sforzo, non riuscì a capire a chi appartenesse.
Tuttavia, anche se la grafia fosse così particolare, la frase scritta al centro del bigliettino era dolce e passò gran parte della notte a leggerla e rileggerla. Quando mise il tutto nel cassetto del suo comodino, continuò a ripetere quelle parole nella sua mente. Nel frattempo il suo cuore era già partito per Firenze e stava andando in giro per la città.
La fanciulla chiuse gli occhi e riuscì ad addormentarsi ma, al posto dei suoi soliti incubi degli ultimi giorni, fece un meraviglioso sogno. Forse il merito apparteneva alla sua anima che nella notte le ricordava quelle parole sussurrandogliele all’orecchio:
«Buon viaggio Iris, candido fiore fra milioni di spine»


#SpazioAutrice
Saaalve a tutti!
Come sempre, prima delle altre cose, vi ringrazio per i voti e i commenti al capitolo precedente e per seguire la mia storia alla quale sto dedicando tutto il tempo possibile!
Finalmente Iris è riuscita ad avere ciò che le occorreva, ma chi avrà avuto questo pensiero per lei?
Voi chi sospettate? Sentitevi liberi di “accusare” chi volete!
E poi, siete contenti della destinazione scelta per il viaggio?
Attendo le vostre risposte nei commenti!
Se il capitolo vi è piaciuto, non esitate a cliccare sulla stellina!
A presto! :)

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