In die Nacht

di Bibismarty
(/viewuser.php?uid=59704)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La nascita ***
Capitolo 2: *** Separazione ***
Capitolo 3: *** Sono sbagliato ***
Capitolo 4: *** Il braccialetto con la stellina ***
Capitolo 5: *** Una cosa sola ***



Capitolo 1
*** La nascita ***


…˚*In Die Nacht*˚…          

 

I Tokio Hotel non mi appartengono (per mia sfortuna) gli eventi descritti in questa fanfiction sono inventati da me, anche se si basano su fatti realmente accaduti (vedi foto di quinta elementare di bill e tom). Detto questo vi lascia alla lettura di questo testo sperando che sia di vostro gradimento. Ci ho messo tutta me stessa per descrivere il modo brutale in cui è picchiata Bill…eh sì perché mi veniva da piangere…spero che voi siate meno frignoni di me, e che capiate la sofferenza di Bill e Tomi al divorzio dei loro genitori…buona lettura!

 

 

      La nascita…

 

La flebile luce che proveniva dall’alto, dalla vecchia lampada, ferì i suoi deboli occhi. Gli occhi di un piccolo neonato. Un neonato che vedeva per la prima volta, la luce… Aveva così freddo e un terribile dolore alla pancia…cosa gli avevano fatto? Lo strattonarono e lo posero su qualcosa di morbido e caldo. No, contro qualcosa di caldo e morbido. Il ventre della sua mamma. E se prima le sue grida avevano riempito la stanza ora qualcosa lo bloccò. Sentiva che sopra di lui qualcosa, qualcuno…ma era troppo piccolo per percepire se si trattava di parole o semplicemente non percepiva niente…Voleva piangere ma non ci riusciva. Qualcuno…Era qualcuno? Si rivolgeva a lui. Si rivolgeva a lui? Era difficile da capire, ma sentiva che non doveva piangere. I suoi deboli occhi intravidero qualcosa di sfuocato davanti a sé. Non sapeva perché, ma quel qualcosa lo aveva reso felice. E solo allora chiese gli occhi crollando nel suo primordiale sogno.

 

“Non sono un amore?” chiese Simone dolcemente, mentre era stretta al petto dal marito davanti al vetro da cui osservava i suoi piccoli gemellini. Tom e Bill. Sì così si chiamavano. I suoi due gemellini omozigoti.

“Si, Simone” disse stringendo a se la moglie con affetto. “I nostri angioletti…”

Simone sorrise e facendo un passo avanti appoggiò una mano al vetro sperando che non esistesse per poterli raggiungere…per poterli riabbracciare di nuovo.

Jorg pensò che era ancora debole dopo il parto. I medici avevano avuto un bel daffare con loro. Il primo, Tom, non voleva darla vinta all’ostetrica mandandola letteralmente in tilt. Tutto il contrario del suo fratellino, Bill, lui si che non si era fatto attendere. Ma Jorg sapeva che erano speciali…erano i suoi bambini. I suoi piccoli bambini. I suoi piccoli bambini gemellini.

“Simone andiamo. Sei debole, devi riposare. Rimarrò io qui a vegliare su di loro.”

Simone si volse. “Ok. Ti amo” disse stringendo la sua manona.

“Anch’io, Simone” sussurrò avvicinandola a se e abbracciandola.

 

 

A casa…

 

Simone gettò la borsa per terra. La borsa colma dei suoi vestiti, quelli che Jorg aveva preso alla rinfusa, quando aveva saputo che Simone era stata portata in ospedale perché doveva partorire.

Jorg entrò in quel momento. Con Tom e Bill in braccio. Erano vestiti di tutto punto con le tutine che la loro nonna aveva preparato con i loro nomi cuciti sopra in bianco. Li passò a Simone e lui chiuse la porta di casa. Ora cominciava la nuova vita.

 

 

 

 

3 anni dopo...

 

“Tomiiiii!”

“Billlll!”

I due stavano giocando in giardino scavando con le loro palette e raccogliendo la terra in grandi vasi. Simone girava loro intorno coordinando i lavori. “Oh bravo Tom…si si lì Bill…”

“Così mamma? Guarda!” disse Tom affondando la paletta nella terra che poi gettava nel vaso alla sua destra.

Simone batté le mani allegra. “E tu Bill?”

Bill provò a imitare il fratello, ma alzò la paletta e gli finì dritta sulla fronte. Allora scoppiò a piangere. Tom, gli si avvicinò e gli stampò un bacio sulla sua piccola fronte. Bill smise di piangere, ancora seduto, quindi più basso di Tom, alzò la testa e incrociò gli occhi marroni di Tom. “Non pangere…” disse lui sorridendo.

Bill rimase immobile. Il suo fratellone…il suo adorato fratellone lo proteggeva sempre. “Grazie, Tomi” spiaccicò, mentre gli occhi gli diventavano lucidi.

Simone fissò la scena allibita. Non era la prima volta che Tom, il suo Tom, era più veloce di lei e era lui che tranquillizzava Bill, il suo Bill. Tom era forte, forte abbastanza anche per proteggere il suo fratellino oltre che sé.

 

 

2 anni dopo…

 

“Tomi guarda questo! È venuto bene, no?” domandò Bill mostrando a Tom un biscotto a forma di stella.

Tom alzò lo sguardo dal suo di biscotto e diede un’occhiata alla stellina di Bill. “Beeeella! Ma l’hai fatta con lo stampino?” chiese.

“No no Tomi tutto da solo!”

Tom gli sorrise e gli mostrò il suo. Era un biscotto dalla forma indefinita.

Bill corrugò la fronte. “Che cos’è?”

Tom incrociò le braccia, arrabbiato. “Doveva essere un albero di natale, ma si è mosso e mi ha fatto sbagliare. Quel biscotto non si dovrebbe muovere!”

Bill rise. “Guarda come faccio io e poi prova tu…” disse cominciando a modellare il biscotto di Tom, che osservava corrucciato. “Ah, ok. Ora ci riprovo.”

Ora erano entrambi indaffarati.

“Sorriso!” Simone scattò una foto che ripose poi nell’album di famiglia. Lo chiuse delicatamente e lo rinfilò nel cassettone del settimanale. “Vediamo cosa avete fatto di bello…” urlò dalla camera Simone dirigendosi verso la cucina.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Separazione ***


Ecco questo nuovo capitolo...e voi che leggete recensite perchè non so se vi piace o meno! ho delle storie con tante letture e poche recensioni e non capisco se leggete e fuggite o leggete senza recensire...non capisco!! T.T...va beh ecco questo capitolo...buona lettura...

1 anno dopo…

 

Bill aprì tutti i cassetti del settimanale con foga. Uno dopo l’altro. “Dove sei?” urlò arrabbiato. Eccolo, l’aveva trovato.

L’album di famiglia si trovava nelle mani tremolanti di Bill. Cominciò a sfogliarlo. Ad ogni pagina sentiva la rabbia pompargli nel cuore e soffocarlo. Le lacrime gli scorrevano sulle sue guance, ma non le asciugò. Lasciò che macchiassero i ricordi, i ricordi di qualcosa che era stata troncata. Di qualcosa di finito. FINITO!

“Bill! Oh eccoti. La mamma…Oh Bill che fai?”

Bill aveva appena strappato la foto del matrimonio dei loro genitori. Si fermò di colpo alle parole di Tom e lasciò cadere i pezzi della foto sul freddo pavimento. “Lasciami solo…” farfugliò, mentre le lacrime gli bagnavano il volto.

“Bill…Ti prego…Non fare così…” sussurrò Tom con un’espressione ferita.

“Lo stanno facendo Tomi! Si separeranno! E non saremo più una famiglia…MAI PIÚ!” strillò furioso e offeso.

“Bill è una loro scelta...” cercò di dire Tom.

“Che riguarda anche noi Tomi! Non pensano che anche noi soffriamo...che ci stiamo male? No, loro sono egoisti!”

“Come te, Bill! Hanno fatto di tutto, sai? Ma non si amano più! Non hanno fatto la scelta giusta…”

“Anche quando ci hanno messo al mondo allora!”

Tom gli si avvicinò. Prese l’album e lo lasciò cadere a terra, apposta. “Lo so, ma ora sii forte, Ok?” gli sussurrò all’orecchio dopo averlo abbracciato. Bill strinse il maglione di Tom. “Tomi…Che ne sarà di noi?”

“Non lo so, ma lo scopriremo presto…Molto presto”.

 

Quella sera sia Simone che Jorg avevano due visi tristi e consumati. Cercavano di non guardarsi per risparmiare ai figli altre sfuriate. Mangiarono in silenzio.

“Mami posso andare a prendere una cosa in camera?”domandò Bill.

“Finisci la cena, Bill” rispose Simone senza alzare gli occhi dal piatto.

“Ma ho finito, Mami! Devo farvela vedere…a te e a papà!”

Simone mollò la forchetta e questa cadde e rimbalzò nel piatto. “Ok. Vai.”

Jorg deglutì, la vide bere tutto d’un fiato il bicchiere colmo di vino.

Tom sospirò.

Bill tornò di corsa e sua mamma alzò lo sguardo. Quando vide cosa aveva in mano, si alzò dalla sedia facendola cadere dietro di se. “Bill rimettilo al suo posto…avanti!”.

Bill posò l’album delle foto sul tavolo. Lo sfogliò velocemente e ne trasse una foto. Era una foto di sei anni fa. Della loro nascita. Bill e Tom erano nelle braccia della loro mamma e Jorg steso al suo fianco e sorrideva stringendosi alla moglie.

“Perché lo volete rovinare? Perché volete rovinare questo?” domandò serio.

Jorg gli chiuse l’album davanti al naso. “Bill per favore non complicare le cose…”

“Perché?” domandò alzando la voce.

Tom si alzò anche lui. “Si…Perché?”

Simone non parlò.

“Sono cose complicate…” rispose allora il padre.

“…perché noi le possiamo capire…Giusto?”

Jorg voleva ribattere, ma parlò sua moglie. “Mi dispiace tanto, ma non possiamo fare altrimenti. Voi non c’entrate nulla e siete costretti a subire tutto questo...”. La sua voce s’incrinò. “Non significa che se un giorno vivremo divisi il nostro amore nei vostri confronti non sarà più lo stesso. Sia io che vostro padre abbiamo una sola cosa in comune: voi.”

“E perché se questo amore per noi è così forte non può tenervi uniti?” domandò Tom.

Suo padre scosse la testa. “Non possiamo Tom. Abbiamo preso una strada e ora non possiamo più tornare indietro. Abbiamo già fatto richiesta di divorzio ad un avvocato e domani sarà scelto il vostro tutore futuro. Mi dispiace…”

Bill aveva già gli occhi lucidi. Le sue parole uscirono come un pugno al cuore: “Vi odio! VI ODIO!” Corse in camera sua sbattendo la porta e si gettò sul letto.

Le braccia di Tom crollarono lungo i fianchi. Era sbigottito. “Credevo che si sarebbe risolto tutto…invece aveva ragione Bill. Ha ragione a odiarvi! Vi odio anch’io!” disse furioso prima di filare da Bill.

“Bill…?”

Il suo gemellino si volse verso di lui e l’abbracciò forte. “Qualsiasi cosa accada non abbandonarmi, almeno tu!”

Tom gli accarezzò la testa. “No, io non lo farò. Te lo prometto.”

 

Fuori dal finestrino della macchina scorrevano case e case. Bill chiuse gli occhi. Si era aperta una ferita troppo profonda da poter risanare. Tutto cadeva a pezzi un po’ alla volta e lui non era riuscito a fermare la strage. Ci aveva provato, ma nessuno lo aveva ascoltato. Né lui né Tom quella mattina avevano parlato anche quando la mamma aveva spiegato loro che il padre aveva fatto le valigie e era partito ieri sera. Nemmeno quando nel camino avevano visto le foto del padre o quando la madre aveva detto che Bill non poteva toccare l’album delle foto se l’intenzione era quella di strappare il suo contenuto. Bill sapeva che aveva trovato la foto strappata e che anche quella era finita nel camino.

Si volse verso Tom, seduto accanto a lui sul sedile posteriore. Lui sorrise amaramente e gli strinse la mano. “Andrà tutto bene” bisbigliò talmente piano che nemmeno Bill riuscì a capire, ma a lui interessava solo sentirsi vicino a qualcuno che lo capiva. L’unico che ora riusciva a farlo sentire a casa e amato.

Sorrise debolmente a sua volta.

 

“Ciao. Tu sei Tom e tu Bill, giusto?” chiese la donna con un paio di occhiali sul naso adunco. L’assistente sociale.

Loro annuirono (Simone uscì dalla stanza chiudendo la porta).

“Vi farò alcune domande…così per conoscerci, ok?”

Tom sbuffò. Perché non può andare al sodo? Ci accorcerebbe ogni dolore…

L’assistente sociale non se ne accorse, ma sotto il tavolo Tom e Bill si stringevano la mano sperando, anche se inutilmente, che i loro genitori potessero essere tutti e due i loro tutori e tornare ad essere una famiglia.

 

Solo la sera ricevettero risposta dall’avvocato. I due gemellini erano crollati sulle poltroncine nel corridoio dello studio del legale che loro odiavano a morte perché era colui che avrebbe rovinato le loro vite. La segretaria diede una sbirciatina ai due bambini e vide che si stringevano ancora la mano. Sorrise piena di compassione prima di tornare alla sua postazione.

Dopo tre ore uscirono dall’ufficio dell’avvocato. Simone e Jorg andarono a svegliare i loro piccini e spiegarono loro come sarebbero andate le cose da quel giorno.

L’affidamento andava alla madre e il padre avrebbero potuto vederlo ogni week-end e nelle vacanze comandate. I due gemellini abbracciarono il papà contemporaneamente. D’ora in poi sarebbe diventato difficile farlo, quindi prima che se ne andasse vollero godere di quell’abbraccio a lungo, mentre la mamma tratteneva le lacrime e teneva una mano sulla bocca.

 

La macchina si allontanava da quel puntino che rimaneva là a salutare. Tom lo fissò finché non svoltarono l’angolo. Sprofondò di nuovo sul sedile e Bill appoggiò la sua testolina sulla sua spalla. Tom chinò la sua su quella del fratello e si addormentarono, ma quella notte nessuno dei due fece sogni tranquilli.

ringraziamenti: 

Midnight of phantom  che aveva già letto questa storia...l'avevi letta dalla mia amica giusto? non so se questo capitolo ti piaccia ma rieccolo...mi farebbe piacere che seguissi nuovamente questa storia...è stata la prima che ho scritto :)
niky94 per aver recensito ogni mia storia ...se ho una recensione in ogni storia è merito tuo :) grazie ancora :)

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Sono sbagliato ***


Ciao! eccomi tornata a postare un nuovo capitolo di In die Nacht! questa volta Bill si troverà alle prese con i compagni di scuola...anche se non è scritta perfettamente mi ha fatto piangere scrivere questa capitolo...spero piacerà anche a voi...cmq buona lettura!

                                                                                      -----------------------------------------

Non dopo molto tempo dal divorzio Simone si risposò con Gordon Trümper, un chitarrista, che portò la passione per la musica ai gemellini. Tom imparò a suonare la chitarra a soli sette anni e Bill scrisse la sua primissima canzone a sei: Leb’ die Sekunde. Comincia per loro una piccola rinascita. Dopo un travestimento in maschera per una festa di Halloween comincia a truccarsi con la matita di nascosto, ma poi lo fa a scuola e presto si ritrova tra le mire dei suoi compagni e numerose volte viene picchiato. Come successe quella volta…

 
Bill se ne stava nel suo angolino a testa china. Tutti i suoi compagni correvano per il parco ridendo e scherzando. Era ricreazione e stava spiluccando la sua merenda, quando un’ombra gli coprì la visuale. “Oggi abbiamo la foto di classe della quinta. Metti ancora la matita agli occhi? Io non voglio far vedere ai miei che ho in classe un maschio che fa la femminuccia…”

Bill alzò lo sguardo mostrando i suoi occhi evidenziati dalla matita come in segno di sfida.

“Oh ma allora lo fai apposta! E noi che credevamo fossi tordo o sordo! Noi non le tolleriamo le femminucce Bill Kaulitz!” strillò il capo della banda formata tutta dai suoi compagni di classe. Fece scrocchiare le ossa delle dita. “Mio papà dice che quelli, come te, sono così perché hanno problemi in famiglia e il più delle volte sono loro a crearli…”

Bill si alzò e i suoi occhi marroni scintillarono alla luce del sole.

“Chi ti ha detto di alzarti?” ribollì quello, mollandogli un pugno in pancia. Bill si piegò in due sulle gambe. “Bravo chinati. Sei una vergogna…x la tua famiglia…e x tutta la scuola e x noi!”

I suoi compari allora cominciarono a calciarlo. “Li senti questi, è? Te li diamo noi da parte di tuo padre. Dice di dirti che se quella sera non portavi le foto lui sarebbe rimasto…”

Bill sotto le percosse dei suoi compagni si scervellò per capire come faceva a saperlo, a sapere cosa era successo a casa sua.

“Ti basta femminuccia? Basta voi!” ordinò. Afferrò la maglia di Bill e sollevò il suo corpicino steso a terra. Lo guardò, mentre le lacrime gli facevano colare il trucco. Pump! Lo colpì al naso.

Sangue che colava…

Dolore lancinante per tutto il corpo…

Riuscì con una gran fatica a raggiungere il bagno. Si chiuse a chiave e si rannicchiò vicino al water portando le gambe contro il petto, stringendole con le braccia e appoggiando il mento sulle ginocchia.

 

Tom stava cercando Bill per tutto il cortile della scuola, quando una ragazzina gli disse di averlo visto andare al bagno. Tom capì. Bill non ci andava mai se non per rifugiarsi, quando lo picchiavano.

Tom era stufo. Era stufo di vedere soffrire il fratello. Aveva provato di tutto per fermare i compagni di Bill e intimidirli. Però forse era ora che li ripagasse con la stessa moneta. Se la prendevano in gruppo contro lui che era solo e indifeso.

Rientrò nella struttura e s’imbucò nei bagni. “Bill?” urlò incazzato.

Non ricevette risposta. “Bill?” urlò più forte. “Lo so che sei qui…”

“Qui Tomi…” disse piano.

Tom calciò la porta (Bill non si sarebbe alzato per aprirgli) e ruppe la serratura. “Bill…” sussurrò vedendolo in quella miseria. Era peggio del solito. Aveva il naso rotto. Grandi lividi sulle braccia e forse anche sotto i pantaloni e sulla pancia. Tom s’inginocchiò di fronte a lui. “Bill…” sussurrò di nuovo.

Il fratellino alzò leggermente la testa tanto da vedere in faccia Tom. “Tomi è colpa mia se mamma e papà non sono più insieme?” domandò piano.

Tom scosse il capo. Gli appoggiò una mano sulla testa. “Certo che no, Bill. È successo perché doveva succedere. Tu non c’entri niente, ma chi ti ha detto una cosa del genere?”

“I miei compagni...” rispose.

“Bill non devi credergli! Lo fanno solo per farti arrabbiare. Ci provano gusto.”

“Ma allora come facevano a sapere delle foto Tomi? Delle foto che abbiamo fatto vedere la sera prima che ci dividessero…”

Tom si strinse nelle spalle. “Non lo so. Ma il papà non è stato. Non ti accuserebbe mai di aver rotto il loro matrimonio anche perché litigavano già da tempo.”

“Però il papà è andato via per quello…Perché gli ho detto che lo odiavo come odiavo la mamma…”

“Appunto…Lei non è andata via. Non è andata come il papà. La mamma e il papà quella sera hanno discusso a lungo e hanno ritenuto che papà dovesse andare…per non ricadere in scenate davanti a noi”.

“Ma anche perché sono sbagliato…”

“No, non sei tu quello sbagliato. Sono loro ad essere sbagliati, fratellino”.

Bill aveva la faccia rossa e gli occhi gonfi tipici di un lungo pianto. “Tomi ti ricordi ciò che mi avevi detto? Mi avevi promesso che non mi avresti abbandonato”.

“E non l’ho fatto. Sono qui, vedi?”

“Mi puoi abbracciare, Tomi?” domandò in un sussurro.

Tom lo abbracciò. Bill appoggiò il mento alla sua spalla e pianse. Pianse ancora finché non si fu sfogato. “Grazie Tomi. Grazie di tutto. Grazie di esistere…”

Tom lo strinse a sé. Come aveva sempre fatto fin da piccolo. Come si sentiva di fare per proteggerlo dal mondo esterno, da ciò che gli faceva male. Era più grande di lui di solo dieci minuti, solo dieci fottutissimi minuti, eppure si sentiva responsabile di ciò che gli succedeva.

 “Tomi ho paura. Ho paura che un giorno le nostre strade si divideranno e non sarò abbastanza forte per proteggermi dal mondo…”

“Se mai un giorno ci divideremo sarai forte abbastanza per proteggerti, fratellino. Per cui cerca di restare indifeso il più a lungo possibile così ti potrò proteggere per sempre. Hai capito?”

Bill sorrise. Era da quando l’avevano pestato che piangeva e ora Tom era riuscito a farlo ridere.

“Non ti abbandono, Bill. No, mai” E con questo si ritrasse. Si levò il cappello e lo mise a Bill. “Così puoi andare a fare la foto senza che ti vedano in questo stato.”

“Tomi non ti sei mai separato dal tuo cappellino prima d’ora…”

“C’è sempre una prima volta, Bill. Tu ne hai più bisogno di me, no?”

Bill annuì e si asciugò le lacrime con il dorso della mano.

“Forza. Fuori mi aspetta una scazzottata.”

“Vuoi fare a pugni?” chiese Bill preoccupato.

“Non vorrai che quelli se la ridano, quando tu sei dolorante? Gli darò la lezione che si meritano…”

“Ma sono più di te, Tomi!”

“Vorrà dire che starò attento.”

“E se lo scopre la mamma?” domandò preoccupato Bill.

“Gli mostreremo cosa hai sul corpo…quelle botte non spuntano così dal nulla.”

Bill gli prese la manica della maglia. “Stai attento, Tomi!”

Tom gli sorrise. E insieme uscirono dal bagno.

 

“Sorriso!” disse il fotografo, mentre scattava la foto. Prima Bill poi Tom pensarono che quello fosse uno stupido modo come tanti per far sembrare una classe unita. Solo che non lo era affatto. Così in quelle foto si fecero immortalare in due modi molto antisociale. Per dimostrare che tutto quello era ridicolo. Bill aveva il viso nascosto dal cappellino di Tom, e quest’ultimo aveva girato la testa in modo da nascondere la faccia.

Una volta suonata la campana che indicava la fine delle lezioni Tom attese al cancello che uscisse la classe di Bill. E li vide…

Loro alti, sbruffoni, spavaldi e di buon umore. Invece Bill che gli stava distante, aveva la testa bassa e fissava il terreno.

Andò incontro a quegli stupidi che avevano picchiato Bill. “Ehi tu sacco di merda!” disse al capo della banda che aveva dato il pugno in faccia al suo gemellino. “Perché non ti fai i cazzi tuoi, è?” continuò piantandosi davanti al ragazzo con le mani che già gli prudevano, quando lo sentì li davanti a lui. “Lo so che tu e la tua banda di stronzi oggi avete picchiato mio fratello. E questo non mi piace…No.”

Questi ribollirono dentro. “Se le meritava. Tuo fratello è una femminuccia!”

Tom sorrise. “Ah, si? Allora anche tu ti meriti questo bastardo!”

Pump!

 

“Sei stato eccezionale, Tomi!” Bill saltellava felice sulla strada per tornare a casa. Imitò un gancio destro. “Beccati questo allora bastardo!”

Tom sorrise mentre Bill continuava a imitarlo.

“Tomi mi devi insegnare quest’estate!” esclamò felice. Poi d’improvviso si bloccò. “Guarda, Tomi!”

Tom alzò la testa. Sopra di loro passava un aereo diretto a sud.

“Pensa, un giorno potresti diventare uno di quelli che scazzotta la gente come sport! Gireresti il mondo con un tuo aereo privato e io ti seguirei così potremmo andarcene da questo schifoso posto!”

“Bill, io voglio suonare la mia chitarra e basta. Voglio una vita fatta di musica…”

“E io voglio cantare, Tomi! Potrei rispolverare le canzoni che avevo scritto...”

“Bill sii realista. Per formare un gruppo dovremmo avere anche un batterista e un bassista che non abbiamo”.

“Mi ci vedo là sul palco. Io canto. Tu suoni. La gente che urla e grida. Sarebbe una grande rivincita su quegli stupidi dei nostri compagni, no?”

Tom annuì. “Certo Bill, certo!”

Bill non sapeva se Tom era convinto di quello che stava dicendo e forse aveva ragione perché le sue parole non erano proprio realiste e lui ancora vagava nella fantasia, mentre suo fratello forse sapeva che non sempre si poteva ciò che si voleva, ma Bill sapeva anche che moriva dalla voglia di poter suonare davanti ad un vero pubblico tutto per lui. Decise di lasciare stare quell’argomento e trotterellò avanti assaporando di nuovo per l’ennesima volta il viso pieno di sangue del suo compagno di scuola. Per una volta tanto non era stato lui quello a dover piangere. Tom lo afferrò per un braccio. “Fammi vedere la faccia…” disse per vedere se era ancora sporca di sangue. “Vieni sennò la mamma ti sgrida” disse e si fermò davanti alla fontana della piazza.

Bill bagnò un fazzoletto e si pulì piano il naso per non farsi male.

“Ti fa male?” chiese Tom fissando le sue operazioni sulla faccia.

“Un po’ ma niente di grave…”

“Quel tanto che basta per far allarmare la mamma. Cosa gli dici se scopre che metti la matita?”

Bill non rispose. Continuò a pulirsi e si sedette vicino al fratello come se non gli avesse chiesto niente.

“Bill?”

“Cosa c’è?” rispose bruscamente.

“Che gli dici?”

Bill si volse verso di lui e Tom intravide nel suo volto un’espressione triste. “Che lo faccio perché ne ho bisogno…Solo così riesco a superare il divorzio di mamma e papà.”

Tom gli prese il fazzoletto e gli pulì l’occhio che aveva ancora tracce del trucco colato. “La farai preoccupare. Andrà su tutte le furie. Crederà che se le prendi è solo colpa sua…”

Bill cominciò a far dondolare i piedi e a sbattere i talloni contro il muretto della fontana. “Per me il trucco è come una maglietta o un paio di mutande. Mi sentirei nudo senza. È qualcosa che non mi possono togliere. In fondo perché le donne sì e i maschi no? E poi mi evidenzia il colore dei mie occhi…”

Tom sorrise. “Sai ho sentito nei corridoi della scuola che una ragazza ha rivelato ad una sua amica che tu hai proprio dei bei occhi! Su di me invece non ha detto niente. Sono geloso!”

Bill sembrava serio. “Davvero, Tomi?”

Lui si strinse nelle spalle. “Potrebbe.”

Bill saltò in piedi. “Era così o no?”

“Ti prendevo per il culo!” partì di corsa ridendo alla grande.

Bill lo rincorse. “Brutto bugiardo! Torna qui!” ringhiò correndo contro il vento per prendere Tom, suo fratello. Il suo adorato fratellone.

 

“Cosa avete fatto oggi?” chiese Simone a tavola.

Tom e Bill si strinsero nelle spalle. “Niente di speciale. Solo le foto.”

“Le posso vedere?”

“Ce le hanno a scuola. Le puoi andare a prendere domani mattina” rispose Tom e poi lui e Bill si alzarono e andarono in cortile a giocare.

“Bel canestro Tom!” esclamò Bill palleggiando. Ci provò anche lui e il pallone roteò sul canestro e poi entrò dentro prima di ricadere a terra e Bill strillò felice.

Tom e Bill batterono un cinque. Erano imbattibili. Loro due insieme, formando una cosa sola…

 

“Cos’è sta roba?” domandò Simone sventolando le foto sotto i piccoli nasi di Bill e Tom.

“Le foto, mamma” rispose Tom con aria assente.

Simone le riguardò incredula. “Perché Bill hai il cappello? Ti vergognavi forse che ti facessero una foto? E tu Tom! Non me lo sarei mai aspettata che tu avessi potuto girare la testa!”

Tom alzò la testa e incontrò gli occhi indagatori della mamma. “Bill…Fai vedere alla mamma.”

Simone spostò gli occhi su Bill.

Lui esitò.

Tom sbuffò. Alzò una manica della maglia a Bill e sotto apparvero vari lividi blu risultato dei calci dei suoi compagni.

Simone rimase pietrificata.

Tom continuò. Alzò la maglia e le mostrò la pancia e poi Bill alzò i pantaloni e le mostrò le caviglie.

“Che…Che è successo?”

Poi per finire Tom strizzò il naso a Bill a suo insaputa e lui si lamentò. “Naso rotto. L’hanno picchiato mamma. I suoi compagni.”

“Mi hanno picchiato anche quando ero a terra…”

Simone s’inginocchiò davanti a Bill. “Hai fatto qualcosa per provocarli, amore?”

Bill scosse la testa. “Mi picchiano sempre, quando metto…metto la matita agli occhi.”

Simone lo abbracciò forte, ma non disse niente. Non commentò il fatto che mettesse la matita. Lo sapeva già. Le maestre l’avevano già avvertita, ma non sapeva che lo picchiavano per quello.

Gli accarezzò la testa. “Se succede ancora devi dirmelo, Bill!”

“Ci ha già pensato Tomi a farli smettere, mami!” bisbigliò lui.

Lei sorrise. “Lo so, mi ha telefonato la mamma del poveretto. Gliene ho dette su suo figlio da farle strappare i capelli…” E ridacchiò.

Tom si grattò la testa. “Niente punizione, ma’ ?”

“NO! Vieni qui”. E abbracciò anche lui.

“Mamma? Lo sia che sei la migliore del mondo?” domandò Bill chiudendo gli occhi.

Lei sorrise. “Lo so. Lo so, Bill.”

 

“Avete fatto, tutto?” chiese Simone scostando la porta con delicatezza.

Dentro la stanza Bill aveva appena finito di riporre nella valigia l’ultima maglietta e il braccialetto con la stella che Tom gli aveva regalato l’anno scorso al suo compleanno.

Tom, invece, chiuse la valigia e indossò il suo capellino, il suo preferito. “Forza, Bill”

“Si, Tomi. Solo un attimo” disse prendendo la borsa.

Simone sorrise e scese le scale. Finalmente finita la scuola li attendeva una fantastica vacanza. Simone aveva promesso ai suoi due bambini una vacanza sul lago di Garda.

Salirono in macchina, mentre Simone infilava le valigie nel baule.

“Tomi mi ci vedresti moro?” chiese piano.

Tom lo guardò male. “Tutti vogliono nascere biondi e tu vuoi farti moro?”

“Ma si per non essere uguale a tutti…Per andare contro corrente, no?”

Tom sorrise. “Sei sempre il solito!”

“Secondo me staresti bene…” disse Simone.

“Davvero ma’ ?” chiese Bill eccitato.

“Certo che discorsi. Sei o non sei Bill Kaulitz?” e dicendo questo mise in moto l’auto. (non sembra una frase stupida?)

Bill allacciò la cintura, mentre nella sua testa frullavano mille idee. “E voglio un taglio nuovo di capelli…”

Simone sorrise e svoltò l’angolo. Il lago li aspettava.

 

Passarono ore di viaggio, sostarono a diversi autogrill (a Bill scappava sempre la pipì e Tom non era da meno). Si fermarono a mangiare a sazietà in un autogrill italiano (erano già in Italia) e Simone per farli divertire cominciò a fare facce strane e a raccontare barzellette (cosa non gradita dagli altri che erano tutti italiani e non capivano ciò che dicevano e poi li sentivano ridere).

Stanchi morti arrancarono alla macchina e la adattarono per dormire. Simone sul sedile del guidatore, Bill nel posto accanto e Tom dietro disteso e spaparazzato.

“Notte, ma’. Notte Bill.”

“Notte, ma’. Notte Tomi.”

“Notte Tom. Notte Bill.”

E caddero tutti beatamente nel mondo dei sogni.

 

Bill rimase a fissare lo specchio d’acqua luccicante al sole di mezzogiorno. Il lago di Garda era enorme. Almeno agli occhi dei due gemellini che non l’avevano mai visto…

La machina lo costeggiava, Bill e Tom tiravano il collo per vedere mentre erano fermi in coda.

“Vi piacerà, vedrete.”

                                                                  -------------------------------------------------------

Ringraziamenti: 

Midnight of phantom è questo il capitolo che intendevi? a me piace molto e non sapevo come scriverlo. Ricordo che ora scrivo in modo diverso ma questa storia è bella scritta così, che anche se è scritta in modo semplice mi piace lo stesso. Cmq l'ha postata la mia amica che qui si chiama Nikkith, è stata molto gentile e infatti la ringrazio per la pazienza che ha avuto con me. grazie per aver recensito *_* grazie :)
niky94 grazie per aver recensito la storia. Spero ti sia piaciuta :) ho letto la tua storia la rockstar e la squattera e mi è piaciuta molto! un bacione e continua a recensire!


Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Il braccialetto con la stellina ***


Ciao! Tra tante cose sono riuscita a trovare un pochino di tempo per postare il capitolo...se ci sono errori scusate ma non lo rileggo. Questo è il penultimo capitolo perchè poi avremo la fine!! quella dovrò sistemarla perchè sennò vedrete tutto appicicato! Cmq vi lascio ad un Bill e Tom alle prese con la musica. Inoltre avranno un incontro particolare con due ragazzi...Sapete di cosa parlo?? Non ve lo dico! Buona lettura...

1 anno dopo…

 

Bill si strofinò le mani dal freddo. Mise le mani su una piccola stufa dietro le quinte. Tom stringeva la chitarra, agitato.

Gordon, il loro patrigno, li rassicurava. “È solo una piccola esibizione…Vi siete preparati tanto. Non può andare male…” ripeteva i continuazione.

Si avvicinò a Bill e provò a scaldargli le mani. Lui sorrise debolmente mentre l’ansia lo attanagliava. “Grazie.”

Tom ripassò un pezzo della canzone che ricordava meno. “Si me la ricordo” commentò brevemente.

Pose la chitarra su una sedia. “Vado a prendere una boccata d’aria…”

Gordon annuì.

Tom spinse la porta d’emergenza e si ritrovò nel piazzale davanti al locale. Una scritta lampeggiava sopra di lui. “Groninger Bad”. Sprofondò le mani nelle tasche e sbuffò. Una nuvoletta si condensò davanti di sè. Sopra di lui il cielo stellato era più bello che mai.

In quel momento vide due ragazzi dall’aspetto familiare. Non sapeva dove, ma li aveva già visti. Uno aveva capelli corti e biondi. L’altro capelli castani mossi.

Li vide che lo fissavano distrattamente e quando entrarono dall’ingresso principale rientrò anche lui dalla porta d’emergenza.

Bill gli corse incontro. “Tomi! Eccoti.” Bill ora era moro, aveva capelli corti e scompigliati.

Tom prese la chitarra e abbracciò il fratello. “Buona fortuna!”

Sorrisero per scacciare l’ansia, ma non funzionò.

Era il loro turno. Gordon li spinse sul palco e loro si sistemarono nella posizione prestabilita alle prove. Bill afferrò il microfono. Scoccò un’occhiata a Tom e lui partì. Pizzicò le corde e la musica accolse quei quattro gatti che erano seduti a guardali. Bill attaccò a cantare pensando che tutta quella agitazione era stata sprecata per niente. Nessuno se non quattro vecchi l’avrebbero visto. Ma in fondo alla sala vide due ragazzi. Il biondino l’aveva già visto. Si ma dove? Non ricordava. Tornò in sé e si concentrò sulla canzone. Cantò comunque come se davanti a se ci fossero tantissime persone e le mani si mossero come per interpretare ciò che stava cantando.

Finì. La loro esibizione finì. In due ragazzi là in fondo applaudirono. Erano gli unici.

Uscirono delusi.

Tom e Bill sedevano vicini a testa china. Speravano in qualcosa di migliore.

“Come vi chiamate?” disse una voce e loro scattarono su dritti.

Era stato il biondino a parlare.

“Bill e lui Tomi…”

“Tom, ma mio fratello ama chiamarmi così…” lo corresse subito.

“Sembrate molto uguali” ammise l’altro.

“Siamo gemelli omozigoti” disse Bill. “E voi? Sono sicuro di averti già visto.”

“Gustav e lui Georg” rispose il biondino. “Vi ho visto cantare in una autorimessa e sono rimasto un po’ a guardarvi.”

Bill si grattò la testa. “Ah ora ricordo!”

“Oggi vi abbiamo visto suonare. Ci è piaciuto il vostro spettacolo.”

“Davvero?” domandò Tom.

“Si. Anche noi suoniamo qualche strumento. Io la batteria da quando avevo quattro anni.” Disse Gustav.

“Io il basso…” aggiunse Georg

Bill e Tom si guardarono. Nei loro occhi baluginava una speranza.

“Pensavamo che siccome a noi manca un cantante e un chitarrista e voi un bassista e un batterista se…?”

“Io ci sto!” disse Tom.

“Anch’io…”

Gustav e Georg si fissarono interdetti. “Bene. Così nasce una nuova band, ma come ci chiamiamo?”

“Snakeis… No, perché non Deg…Neanche…” cominciò a farfugliare Tom.

“De…Dev…Devi…” tentò Georg

“Devilish!” urlò Gustav.

Tutti e quattro annuirono compiaciuti. Questo nome piaceva a tutti.

Così nacquero i Devilish.

 

“Hai accordato tutto? Chiese Tom a Gustav.

“Si, certo.”

“E togliti quella maglia!”

Gustav fissò la sua maglietta. Non sapeva cosa avesse di male. Era una T-shirt che promuoveva la Val-Thorens sulla quale era stampata una mucca con gli sci ai piedi. (le zampe insomma). 

“Cosa ha di male?” chiese.

Tutti si misero a ridere.

Gustav si strinse nella spalle. “Valli a capire quelli!”

 

Cominciarono a provare nelle autorimesse per poi esibirsi in vari locali. Per guadagnare i loro primi soldi. E cominciarono a ricevere i primi consensi. Racimolato abbastanza denaro comperarono uno studio di registrazione a Magdeburgo. E incidono un demo con sette tracce…

 

“Cazzo! Guardate che roba!” esclamò Tom allibito allargando le braccia.

Da sotto una frangetta nera apparve un occhio color nocciola, incorniciato dalla matita nera. Le mani corsero alla bocca. Bill trattenne un urlo. Una vera sala di registrazione era quella che gli si presentava davanti. Una sala di registrazione con le più svariate tecnologie. Nessuno di loro quattro aveva mai visto tanta roba insieme. Erano abituati a poco e ora erano li dentro quella stanza dove le attrezzature per la registrazione scintillavano come argento. “Uhhh!” Bill cominciò a saltare come un canguro. Tom lo strinse forte. “Bill! Ce l’abbiamo fatta!”

“Tomi!!!!!” continuava a strillare mentre veniva stritolato. Gustav e Georg intanto erano già andati a mettere le mani per la stanza.

I due gemellini si guardarono negli occhi. “Non è che stiamo esagerando?”

Scossero la testa. “Noooo!” e scoppiarono a ridere.

Quella mattina provarono per la prima volta a incidere un pezzo solo per divertimento e lo riascoltarono sbellicandosi dalle risate perché a Bill era scappato un rutto e gli altri si erano piegati dalle risate bloccando tutto il lavoro.

Poi si ingozzarono di patatine e bevvero litri di coca-cola prima di riprovare di nuovo.

“Tomi mi sembra troppo bello…e mi chiedo cosa succederà. Insomma tutta questa fortuna…” disse infilandosi il pigiama quella sera.

Tom si strinse nelle spalle. “Non lo so. Viviamo il secondo per ora. È inutile fare progetti…Non lo dicevi sempre tu?”

A Bill gli si illuminò una lampadina. “Ma certo! Perché non facciamo un cd con la mia canzone…Leb’ die Sekunde? Sarebbe bello, no?”

Tom ci pensò su. “Proviamo. Tanto non costa niente.”

Bill si infilò sotto le coperte del letto e rimase a fissare Tom che faceva lo stesso. “Ti voglio bene, Tomi.”

Lui incontrò gli occhi del fratellino. “Anch’io Bill. Che cosa stupida. Sei mio fratello…” si addolcì poco dopo. “Ti voglio bene anch’io Bill” sussurrò piano.

Solo allora chiuse gli occhi mentre le parole di Tom gli rimbombavano ancora nella mente. E pensò che erano le parole più dolci che avesse mai sentito dette da suo fratello, il suo fratellone.

 

“Cosa? Stai scherzando vero?” ringhiò furioso Tom stringendo un foglio. “Licenziarci? Il giorno prima che esca il nostro demo?” Tom era ancora in pigiama. Era da mesi che avevano lavorato a quel progetto. E ora la casa discografica li aveva licenziati. Tom era su tutte le furie. Gustav mattiniero era sceso nello studio di registrazione e vi aveva trovato una bella lettera sul tavolo, o meglio, una bruttissima lettera. Appena Tom si era alzato Gustav gliel’aveva ficcata sotto il naso. Come fece con Bill che stava seduto sul letto a braccia e gambe conserte.

“Lo sapevo. Era trooooopo bello!” brontolò furioso.

“A me non mi licenziano, Ok?” disse lasciando cadere il foglio. “Non sono ancora maggiorenne e già sono stato licenziato…”

Bill cercò di nascondere un sorrisino di divertimento, ma Tom lo vide. “Bill! Hanno licenziato anche te…”

Gustav scoppiò a ridere. “IO NON SONO ANCORA MAGGIORENNE E SONO GIÀ STATO LICENZIATO…” lo imitò tra le risate.

Il ragazzino con i rasta allora non riuscì a trattenere una risata.

Georg svegliato da tutto quel baccano entrò nella stanza e con uno sbadiglio a bocca aperta chiese cos’erano tutto quel rumore. Loro ammutolirono, ma appena si volsero verso di lui e videro i suoi capelli in disordine e li li per crollare dal sonno riscoppiarono a ridere.

Georg li fulminò con lo sguardo. “ ‘fanculo! Cosa cazzo avete oggi?”

“Ci hanno licenziato…” lo informò Gustav.

Georg rimase a bocca aperta per lo stupore. “E ridete? Voi siete tutti fuori! Ci hanno lasciato a piedi un giorno prima dell’uscita del demo e voi ve la ridete di gusto…Avete preso una botta ieri sera? Oppure avete mangiato qualcosa di velenoso…”

I tre continuarono a ridere e solo dopo una buona mezz’ora riuscirono a controllarsi e a raccontare tutto a Georg. “E allora?” domandò.

I tre si fissarono e riscoppiarono a ridere.

Georg si mise una mano nei capelli. “Pazzi. Sono capitato in un branco di PAZZI!”

 

 

1 anno dopo…

 

Simone posava le sue mani sulle spalle di Bill, mentre lui cercava di tranquillizzarsi. I suoi occhi sbarrati mostravano quanto fosse agitato come non lo era mai stato. Aveva superato il provino per partecipare al programma “Star Search”. Ora li dietro le quinte fremeva. Tom si era assentato un attimo e Bill temeva che non sarebbe ritornato in tempo per vederlo entrare in scena per non dargli il suo solito “Buona Fortuna”. Simone lo strinse a se. “Adesso viene…non agitarti, Bill. Ce la puoi fare…”

Bill non ne sembrava tanto convinto. Tomi…dai dove sei?

“Eccomi…Bill, sono qui!” urlò Tom correndo verso di lui.

“Bill Kaulitz è il prossimo.” Annunciò un uomo con una cartellina rossa.

Tom lo abbracciò al volo. “E dai fratellino, fagli vedere chi sei!”

“Dove sei andato?” chiese Bill.

Tom aprì la mano chiusa a pugno e rivelò un braccialetto. Bill lo prese. Era il suo, quello con la stella. Il suo regalo.

“L’ho visto nel tuo camerino quando sono andato in bagno.”

Bill alzò lo sguardo su Tom. “Come ho fatto a dimenticarmelo? Cazzo come facevo senza? Grazie, Tomi!”

“BILL KAULITZ!” l’annunciatrice l’aveva chiamato.

“Dammi il cinque!” disse Tom sorridendo. Al contatto sentì una scarica di energia. Quello era assolutamente ciò di cui aveva per dare la carica giusta a Bill.

Un ultimo sguardo e poi uscì mentre partì la musica. Mentre ancora dentro di se ribolliva l’energia di Tom cantò “It’s raining men”. Cantò e non pensò ad altro che al canto stesso.

Qualche minuto dopo era già rientrato nelle quinte.

Bill vide là tra la gente che correva avanti e indietro la faccia di Tom che lo cercava con lo sguardo. Bill sospirò e si avviò da lui. Tom era felice, era evidente. Lo abbracciò e Bill si lasciò cadere tra le sue braccia. Non era contento della sua esibizione. Non aveva ottenuto ciò che aveva desiderato. Tom lo fece sedere e continuò a stringergli la mano anche quando proclamarono il vincitore.

 

“Dai Bill, andiamo” era Tom. Per l’ennesima volta lo ripeteva. Ma Bill non si era ancora mosso. Sedevano li vicini mano nella mano da più di due ore. Tutte le famiglie e gli altri concorrenti erano già andati a casa. Bill e Tom erano gli unici bambini. Vi erano solo gli uomini che smontavano il palcoscenico.

Tom restò a fissare il pavimento, a lungo.

“Dai Bill, andiamo” riprovò tempo dopo.

Bill non rispose. Nell’altra mano stringeva il braccialetto con la stellina. Gli era caduto. Gli era caduto prima che annunciassero il vincitore. Un ragazzino prima di andare a casa lo aveva ritrovato e gliel’aveva restituito. Se solo non l’avessi perso…

“Dai Bill, andiamo” ripeté un’altra volta mentre stava per crollare dal sonno.

“Andiamo” disse piano Bill.

Tom non aveva sentito.

“Andiamo” disse un po’ più forte.

Tom non disse niente. Si alzarono e come due zombi decrepiti si diressero fuori dallo studio televisivo e andarono nel parcheggio dove Simone li aspettava in macchina. Non sapeva che Bill ci avrebbe messo tanto prima di decidere che era ora di andare. Ma non commentò.

Salirono in macchina senza mai lasciarsi la mano. Tanto ormai sembravano incollate.

Nemmeno la macchina faceva rumore. Il silenzio più assoluto li avvolgeva. Bill fuori dal finestrino vedeva scorrere le luci della città. Erano così…così…Non riusciva a descriverle. Era tutto così strano quella notte.

“Scusa, mami” disse amareggiato. Simone non l’aveva sentito. “Scusa mami” disse più forte.

“Niente Macky” era la prima volta che lo chiamava così. Solo la nonna lo chiamava con quel soprannome quando lui era triste.

“Scusa, Tomi” disse poi.

“Niente fratellino” rispose lui.

Erano tutti troppo stanchi e poi lo comprendevano. Sapevano che Bill non era tanto arrabbiato per la sconfitta, ma perché avrebbe potuto dare di più e lui lo sapeva. Questo era ciò che ci voleva per riuscire ad arrivare dove si voleva: continuare a perfezionarsi e mai arrendersi.

Simone arrivati a casa fu aiutata da Gordon per portarli a letto perché erano talmente cotti che si addormentarono beati senza lasciarsi la mano.

Simone e suo marito rimasero sulla soglia guardandoli un’ultima volta. Guardando i due angioletti che dormivano alla grossa. Simone spense la luce e chiuse la porta. Si meritavano un lungo riposo.

 

 La fronte di Bill si accigliò. “Si, sono io Bill Kaulitz.” Teneva in mano la cornetta del telefono.

“Oh si. Gliela passo subito” aggiunse frettolosamente. “Mamma! Un signore vuole parlare con te al telefono.” Simone arrivò dal salotto. “Chi è?” chiese gentilmente.

“Non lo so.”

“Devi chiedere chi è, Bill.”

“Non l’ha detto.”

Simone lo fissò torbida. “Va a fare colazione pulce. È tutto pronto in tavola.”

Bill corse in cucina mentre lei afferrò la cornetta.

Tom in pigiama sedeva vicino al fornello e teneva in mano la confezione di latte. “ ‘giorno, Bill.” Salutò e bevve dalla confezione. Bill con il pigiama più grande di lui aprì il frigorifero e come Tom bevve dalla confezione.

“…si…si…quando? Oh si., capisco….a che ora?...ma certo….nessun problema. È un po’ troppo presto…davvero? Non saprei…mi sembra troppo piccolo…Ah ok. Mi può dare il suo numero che la rincottato io? Ah si. O…5…8…6…9…si poi? Ah 2…7…oh può ripetere?” la voce di Simone raggiunse la cucina.

“Chi era?” chiese Tom fissando Bill che si strinse nelle spalle.

Tom scosse la testa ridendo e ritornò al suo latte.

Bill richiuse il frigorifero e inforcò una fetta di pane con la nutella e andò a sedersi vicino a Tom.

Quando Simone tornò in cucina li trovò mentre si spintonavano perché non ci stavano seduti tutti e due. Lei portò le braccia ai fianchi. “Allora voi due non vedete le sedie? Che cavolo ci fate sopra li?”

Loro ridacchiarono.

Simone prese a sua volta una confezione di lattee si sedette sul tavolo. “Tanto qui tutti fanno quello che vogliono!” E fece loro l’occhiolino.

 

“Cosa? Davvero? il signore di stamattina è un produttore e vuole parlare con me e con i Devilish?” esclamò felice Bill.

“Già!” rispose assorta Simone.

Tom stava bevendo e a sentire quelle parole sputò sul pavimento. “Cosa?” chiese

Bill ridacchiò.

“Tom! Vergognati!” ululò sua madre trattenendo le risate.

Tom si grattò la testa costernato. “Scusa ma’”

Bill ridacchiava ancora tra se e se pensando che tutto andava a gonfie vele.

Ringraziamenti: 

Midnight of phantom grazie per la ennesima recensione. Questo capitolo catapulta verso la fine che sarà corta ma è la mia parte preferita perchè si sono delle frasi che mi piacciono un sacco e da li si capisce il senso del titolo della storia. Davvero è scorrevole? grazie. credevo di essere noiosa. continua a seguire la storia. un bacione!

 Black_DownTH  davvero ti sembrava di esserci? O.O wow...sono contenta! (: significa che ho trasmesso le mie sensazioni...quando l'ho scirtta mi veniva da piangere :'( T.T ...ho postato presto visto?? così puoi continuare a seguire la storia...anche se c'è solo un altro capitolo dopo questo...spero ti piacerà la fine :) La storia è corta ma è concentrata sugli aventi principali per la formazione e la via del succ...più piccoli miei sfizi di momenti quando erano piccini ^^. un bacione!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Una cosa sola ***


Ultimo capitolo: Una cosa sola

Tre anni dopo…

Era così felice. Si sentiva così leggero che credeva di non riuscire a toccar per terra. Era filato tutto liscio in quei tre anni. Gli eventi si erano susseguiti così velocemente! 

Se solo ripensava al giorno che era uscito il loro primo cd “Screi” o anche “Screi so laut du Kannst”, la riedizione del primo, gli saliva un brivido lungo la spina dorsale. 

Era cresciuto molto da allora non solo fisicamente e la sua voce non era l’unica cosa a essere mutata. 

Tutto intorno a lui era cambiato. E se anche adesso aveva sempre persone che erano pronte a infamarlo per un nonnulla, sapeva, nel suo profondo, che ci sarebbe stato sempre qualcuno, qualcuno che lo avrebbe sostenuto. E non era solo suo fratello, Tomi, come ancora amava chiamarlo, o sua mamma. 

Ora vi erano migliaia di fan in tutta Europa a sostenerlo, a imitarlo, a non farlo sentire solo. Migliaia di persone che nemmeno conosceva, ma a cui lui e il suo gruppo, ormai i celeberrimi Tokio Hotel, ex Devilish, avevano regalato delle emozioni grandissime. 

Con le loro canzoni, con la loro musica e con i loro testi avevano dato a tantissime ragazze e ragazzi una nuova forza per vivere, per sopravvivere in un mondo buio e tetro come in quello che si trovavano loro. 

E se loro ora potevano godere di così tanta fortuna sapevano che non tutti se la passano così bene e era a costoro che avevano scritto una delle più belle canzoni che ancora oggi cantavano. 

Bill aveva sofferto tanto da piccolo e aveva dovuto fare i conti con il pregiudizio degli altri, ma al mondo non era stato l’unico. Lui lo sapeva. Con i suoi testi lasciava importanti messaggi ai suoi fan. Non erano parole scritte al vento. Sapeva che li avrebbero tradotti…

“Bill è ora” disse Tom alzandosi in piedi.

“Si Tomi, vengo.”

Bill improvvisamente si sentì crollare. Forse, non aveva tutti i torti. Anche se aveva cercato di non pensarci quella era la loro prima tappa della tournée del 2007. Come sempre Bill era agitatissimo. Come poteva non esserlo? Avrebbero dovuto cantare su un palco mobile, nuovo di zecca, avrebbero dovuto cantare e il resto del gruppo suonare le canzoni del nuovo album e Bill non si sentiva proprio concentrato per ricordare sia quelle vecchie e quelle nuove.

Mentre gli sistemavano il microfono teneva gli occhi bassi. Rimuginava sulle varie figuracce che avrebbe potuto fare.

Finito dovettero attraversare il corridoio che li portava al palco. Bill ascoltava terrorizzato gli urli delle ragazze che aspettavano che uscissero.

Tom gli strinse la mano. Gli sorrise. Bastò quello e Bill ritrovò un po’ di serenità. Tom poi con uno sguardo tranquillo, ma in fondo in fondo ricco d’ansia che solo Bill riuscì a vedere, uscì sul palco. E tra le urla che aumentavano suonò l’accordo di Übers ende der Welt lasciando andare l’ansia.

Uscì anche Gustav e Georg ammiccandogli. Anche loro agitati. 

Toccava ora a Bill. Il cuore gli batteva fortissimo. Accelerato da una sensazione strana. Sentiva che anche Tom era agitato quanto lui, ma lo sentiva sulla sua pelle. Bill pensò che il loro legame era talmente forte che loro potevano sentire le emozioni dell’altro anche a distanza. Forse per quello Tom era sempre venuto in suo aiuto. Stava troppo male quando lui, Bill, stava male.

Chiuse gli occhi e espirò. Uscì. Le sue preoccupazioni svanirono velocemente. Appena le parole gli uscirono di bocca e sentiva la folla cantare con lui. Era come se fossero una cosa sola. Un sola cosa con dodici mila cuori che vivevano altrettante emozioni in un solo istante. Una sola cosa che sapeva in quel momento non sarebbe mai morta. Era impossibile che morisse. Perché quelle emozioni si erano fuse insieme e avevano lasciato nel profondo di ognuno qualcosa di grande e troppo importante da riuscire a distruggere.

E proprio mentre si volse a guardare Tom, il suo fratellone Tomi, pensò che fosse fortunato. Che mai e poi mai d’ora in avanti sarebbe stato solo. Tom era lui, e lui era Tom. Un'unica cosa. Una sola e grandissima emozione che brillava nella notte più scura.


FINE

Ringraziamenti:

Black_DownTH: Questo è stato l'ultimo capitolo. Spero ti sia piaciuto anche se era corto. Se mi capiterà ne scriverò un altro con la storia nuova di zecca :) un kuss :) e grazie per aver seguito la storia :)

Ringrazio di cuore chi ha recensito questa storia, perchè è stata la mia prima storia e potete immaginare l'emozione e la paura che non piaccia. :) Un kuss a tutti.


Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=369447