Watercolour

di Tenue
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I'm not afraid of the asylum ***
Capitolo 2: *** Don't touch him! He has hallucinations ***
Capitolo 3: *** Welcome downstairs ***
Capitolo 4: *** Three days ***
Capitolo 5: *** Blood among tiles ***
Capitolo 6: *** Getaway ***
Capitolo 7: *** Everything is gone away ***



Capitolo 1
*** I'm not afraid of the asylum ***


Salve a tutti, questa è la mia prima ff in questo fandom e spero vi piaccia; se volete lasciare una recensione, a me farebbe molto piacere e se qualcosa non vi piace o ci sono errori, fatemi sapere che provvedo a correggere.

La fic è deddicata alla dolcissima Sespia, che come me ama la LeviHan alla follia *w*

Buona lettura!


Watercolour



0. Prologo



Si dice che quando la vita finisce il suo corso e giunge al termine, il corpo muore, viene abbandonato, ma l'anima continua a restare viva. Dove vada nessuno lo sa, si dice che ci siano il paradiso e l'inferno. Ma e se fosse l'anima a morire prima del corpo?



1. I'm not afraid of the asylum



Il giorno in cui Zoe Hanji si ritrovò la prima volta dinnanzi al manicomio, enormi nuvoloni grigi coprivano la vista del sole, e il caldo estivo aveva ceduto il passo all'aria fresca di settembre. Si trovava in montagna, dove quel giorno, pareva esserci più vento del solito, che scuoteva le alte fronde dei pini e creava onde più o meno forti, nei torrenti che passavano lì vicino.

Con appena qualche chilometro di distanza dal paesino più vicino, sorgeva l'imponente edificio dell'istituto psichiatrico, davanti al quale la ragazza era ferma con gli occhi spalancati. Ma non dall'agitazione. Zoe Hanji era in qualche modo entusiasta di quella svolta che stava subendo la sua vita, e comunque, per lei, essere agitati era piuttosto insolito. Era famosa per i suoi atteggiamenti sempre allegri e spesso anche esagerati, ed era inoltre un'incredibile ficcanaso su qualsiasi cosa attirasse la sua attenzione.

Era stato proprio il suo carattere, riversatosi poi sulle sue azioni alquanto folli, che le erano costati quei sei mesi di reclusione in un istitituto psichiatrico.

L'edificio pareva malandato da fuori, dipinto di bianco e con un grande giardino sul davanti; la pianta si sviluppava costeggiando il dirupo della montagna retrostante. Pareva molto antico.

Zoe prese la valigia dall'auto della polizia, e cominciò ad incamminarsi seguita da i due uomini in divisa.

Era entusiasta all'idea di stare accanto a dei pazzi, e probabilmente appena entrata avrebbe sentito il bisogno quasi ossessivo di chiedere a chiunque le capitasse sotto tiro il perchè si trovasse lì, quale malattia mentale avesse, e via dicendo.

Ma nonostante tutto, Zoe sentiva qualcosa a livello dello stomaco, come un brutto presentimento. Lei lo ignorava, o almeno cercava di reprimerlo, rimproverandosi di essere una codarda.



Quell'improvvisa svolta avrebbe segnato la fine o l'inizio della sua vita. Una di queste due opzioni era quella della quale era convinta Zoe;  l'altra era ciò che sarebbe successo veramente.

E purtroppo, lei credeva che l'entrata in quel manicomio, avrebbe segniato l'inizio di un' emozionante avventura.


 
o°o°o



Zoe trascinò la sua valigia, piuttosto pesante visto tutto quello che ci aveva messo dentro, fino alla segreteria. I poliziotti parlarono con l'infermiera dietro al bancone, lasciandola in disparte, poi se ne andarono e a Zoe fu chiesto di avvicinarsi con un cenno della mano.

Il posto era quasi deserto. Di tanto intanto passavano infermieri o medici, che a volte accompagnavano qualche paziente.

Hanji salutò educatamente l'infermiera, ma lei si limitò ad osservarla per alcuni istanti, per poi tornare a picchettare i tasti del computer. Aveva un aspetto malandato, con le occhiaie piuttosto marcate sotto gli occhi, che le si intavvedevano attraverso gli occhiali dalla montatura sottile e le rughe che le davano molti più anni di quanti ne avesse in realtà.

Si alzò con un po' di fatica, e s'incammino verso le scale. -Seguimi ragazzino.-

Zoe si accigliò, trattenendo una risata. Doveva averla scambiata per un maschio visto il suo atteggiarsi da ragazzaccio. Nonostante i lunghi capelli castani, che teneva in una coda disordinata, aveva effettivamente i lineamenti del viso un po' mascolini, ma aveva comunque dei begli occhi grandi e dolci dietro le lenti degli occhiali, occhi che probabilmente un maschio non avrebbe potuto avere; quella donna non doveva vederci molto bene...così disse piano

-Ehm, mi scusi...io sono una ragazza.-

Lei, senza voltarsi e continuando a camminare, fece un cenno con la mano come a scusarsi, e borbottò piano -Non mi piacciono questi transessuali, si credono chi non sono...-

Fortunatamente non fu udita da Zoe, altrimenti avrebbe iniziato un'altro dei suoi interminabili discorsi a difesa delle persone considerate diverse. Infondo, qualsiasi pretesto era buono per lei, per cominciare a parlare spiegando il proprio punto di vista.

Salite al terzo piano, la condusse attraverso un lungo corridoio bianco, contrasegnato come "ala maschile".

-Signora, le ho già detto che sono una_-

-Si si, ho capito.- la interruppe bruscamente l'infermiera -Ma sinceramente non  me ne frega un accidente di dove stai, tanto per me non fa differenza- poi si fermò e la guardò scocciata - E poi l'ala femminile è al piano di sopra! Perciò accontentati.-

Zoe si zittì, reprimendo la voglia di strangolarla.

L'infermiera le indicò la sua stanza, tirò fuori una chiave e glie la porse. - Vedi di andare d'accordo col tuo compagno di stanza. Non voglio casini, chiaro?- Zoe annuì -La cena è alle sette in punto, la mensa è a destra della segreteria, visite e appuntamenti con gli psichiatri iniziano domani.- e detto questo si congedò sgarbatamente.

La ragazza bussò, ma non sentendo alcuna risposta, entrò comunque. Magari il suo compagno stava dormendo o era al bagno.

La stanza era piccola, con due letti, un grande armadio e una piccola finestra con le inferriate, e nell'angolo c'era la porta del bagno.

Mise la sua valigia sul letto affiancato alla parete sinistra, visto che l'altro era già occupato da un'altra borsa. Anche il suo compagno di stanza doveva essere arrivato quel giorno.

Sospirò, avvicinandosi alla finistra aperta  e appoggiando le braccia al davanzale. Respirò a pieni polmoni l'aria fresca di montagna, godendosi il paesaggio che aveva davanti. Oltre al cortile, s'intravvedeva un fiume non molto distante, affiancato da sconfinate distese di alberi e circondato dalle montagne.

Improvvisamente l'aprirsi dalla porta la fece voltare. Sull' uscio comparve un ragazzo bassino, coi capelli corvini, lo sguardo tra l'annoiato e lo scocciato e probabilmente gli occhi più belli che Zoe avesse mai visto: grigio chiaro, profondi e taglienti.

Aveva alcune cose in mano, ma prima che lei potesse chiedergli alcunchè, lui parlò.

-Sei una donna-

-Acuta osservazione.- rispose sorridendogli -peccato che l'infermiera non sia stata acuta quanto te.-

Lui sembrò studiarla per alcuni istanti, poi alzò le spalle. -Finchè non ti vedrò nuda andrà bene.-

Lei gli si avvicinò -Sono Zoe Hanji, molto piacere.- disse tendendogli la mano.

Dopo un'attimo di esitazione lui glie la strinse. -Levi Ackerman.- Rispose pulendosi la mano con un straccio subito dopo, senza farsi vedere. Aveva una leggera ossessione per l'igene.

-Allora Levi, che hai in mano?-

-Questi li ho fregati dallo sgabuzzino- disse alzando un flacone contenente del detersivo.- questa stanza è una topaia, e non ho intenzione di dormire in un posto così sporco e pieno di polvere.-

Le mise in mano il flacone. -E visto che la stanza è anche tua, metà del lavoro spetta a te, quattrocchi.- La guardò, sottintendendo che non ammetteva repliche.

Lei ridacchiò -Agli ordini!-





Alla fine, Zoe aveva lavorato per molto più tempo di Levi. Aveva dovuto ripulire le stesse cose più e più volte, finchè il compagno non si riteneva soddisfatto.

Dopo di che, aveva svuotato la valigia, mettendo i suoi effetti personali sul comodino e nei cassetti, ma ritenendosi troppo stanca per sistermare i pochi vestiti che si era portata da casa nell'armadio, li buttò dentro alla bene e meglio, con evidente disappunto del moro.

-Hey Levi- esordì mentre finiva con i suoi vestiti e guardava fuori dalla finestra -dici che si può uscire in giardino?-

Lui alzò lo sguardo dal libro che si era messo a leggere appena finito di pulire. -Prima l'infermiera mi ha detto che a meno che non abbiamo visite o pasti, possiamo stare solo nella zona dei dormitori, o anche scendere in cortile. - Si sporse verso Zoe e le indicò dietro di sè. -Se percorri tutto il corridoio e poi giri a sinistra ci sono delle scale, quelle scendono direttamente in giardino.-

Zoe sbuffò - Perchè le infermiere con te ci parlano?-

Levi fece un mezzo sorriso, tornando al suo libro.

Le labbra della ragazza si incresparono in un sorriso, ringraziò ed uscì in corridoio. L'inaspettato, piccolo sorriso del suo compagno di stanza l'aveva fatta leggermente arrossire. Percorse tutto il corridoio canticchiando come una bambina -Ho fatto sorridere Levi...-


 
o°o°o



-Oi, quattrocchi! Che hai in mano?- Chiese Levi appena vide Zoe rientrare con qualcosa tra le mani.

La ragazza gli mostrò i piccoli fiorellini di montagna che aveva messo in un barattolino di vetro, preso chissà dove. -Li ho raccolti in giardino, così diamo un po' di colore a sta stanza, no?- disse indicando le pareti e i mobili completamente bianchi.

Li mise sul davanzale, mentre Levi la squadrava incuriosito.

Lui aveva sempre odiato le persone, a prescindere. Odiava aprirsi, e preferiva di gran lunga stare da solo, magari in compagnia di qualche libro, soprattutto da quando una qualsiasi relazione con una persona lo portasse a diventare inspiegabilmente violento. Con quella ragazza era diverso. Non gli aveva detto niente quando l'aveva costretta a pulire da cima a fondo la sua parte di stanza, non si era rivelata infastidita quando l'aveva chiamata quattrocchi, e nonostante il suo carattere ben poco socievole, Zoe continuava a parlargli amichevolmente. Era strana, ma allo stesso tempo la persona più vicina che avvesse sentito negli ultimi tempi.

-Levi?-

Sussultò, interrompendo i propri pensieri e guardando la propria compagna che intanto si era seduta sul pavimento di fronte a lui e l'osservava incuriosita.

-Tu sei qui perchè sei un malato mentale?-

Levi le rivolse uno sguardo scocciato. Quella lì non aveva peli sulla lingua.

-No, sono solo un asociale un po' incline alla violenza...-

Lei continuava a fissarlo, come una richiesta silenziosa a dirle di più.

-Divento inspiegabilmente violento con ogni persona che non la pensa come me o che mi dia contro, basta poco per farmi esplodere.- sospirò; per lui era strano parlare così ad una persona, ma con Zoe si sentiva quasi a suo agio -Dopo un po' capirono che il carcere era inutile e mi attribuirono un problema psicologico dovuto alla mia infanzia.-

Zoe aprì la bocca per parlare, ma fu interrotta da Levi -No. Non ti parlerò della mia infanzia.- disse incrociando le braccia, vagamente divertito dal tenero broncio che mise la sua compagna.

-E va bene, va bene.- sbuffo lei.

Poi d'improvviso lo guardò speranzosa -Possiamo essere amici, Levi?-

Lui sussultò e arrossendo leggermente -E'-E' presto per dire cose del genere, stupida quattrocchi...- borbottò, sentendo però che quelle parole lo avevano reso felice.

-Non hai paura che diventi violento?- chiese poi.

-Nahh, non ne avresti motivo- alzò le spalle -e poi in caso so difendermi.-

Levi ridacchiò. -E' meglio che scendiamo per cena adesso, e già tardi.-


 
o°o°o



-Lo finisci quello?-

Chiese la ragazza accanto a Zoe, indicando gli avanzi della sua cena con la forchetta.

-Eh? Ah, no no, mangia pure.- disse passandole il piatto. Era seduta in uno dei tavoli della mensa, con accanto Levi e altri quattro ragazzi con la quale stava stringendo amicizia, al contrario di Levi, che continuava a mangiare silenzioso senza degnarli di uno sguardo. La ragazza accanto a lei, Sasha, se ricordava bene, era molto socievole quanto ingorda e golosa, ed era finita lì per disturbi ossessivi compulsivi insieme a Connie, il ragazzino che le stava accanto. Poi c'era Eren, la persona più suscettibile che avesse mai visto probabilmente; per certi versi assomigliava a Levi, dato che a volte, senza motivo, cambiava radicalmente personalità e comiciava ad urlare rabbiosamente contro chiunque, perdendo il controllo su se stesso. Levi aveva consigliato di stargli lontano, dicendo che probabilmente soffriva di personalità multipla, ma Zoe proprio non capiva: se era malato non era certo colpa sua, e non ne voleva sapere di negargli l'amicizia.

Fortunatamente, al fianco di Eren c'era anche il suo migliore amico, Armin, che si prendeva cura di lui, anche quando perdeva il contollo. Biondo e con dei grandissimi occhi azurri. Lui era probabilmente il più strano di tutti; in giro si era sparsa la voce che vedesse i morti o che fosse perseguitato dal demonio. “Tutte balle” aveva risposto Eren in sua difesa. Dicevano così per trovare una ragione al suo comportamento, sempre chiuso, sulla difensiva, e terrorizzato da qualsiasi cosa appena fuori dal normale.

Zoe era estremamente affascinata da quei suoi nuovi amici.

-Hanno detto che arriverà un nuovo dottore.- parlò Armin di punto in bianco, con quella sua voce bassa e apparentemente spaventata.

-Mmh, cosa?- Chiese Sasha a bocca piena.

-Si, l'ho sentito anch'io- confermò Eren. -lo hanno detto le infermiere qualche giorno fa.-

Armin annuì -Pare che questo medico sia conosciuto per i suoi metodi brutali verso i pazienti, spero sia solo una diceria.- Disse comcinciando a tremare leggermente e sentendo la voce venir meno. Eren gli circondò le spalle con un braccio e lo accarezzò piano per rassicurarlo un po'. Quando non aveva scatti d'ira era estremamente protettivo verso i suoi amici, soprattutto Armin, a cui era particolarmente legato.

-E perchè dovrebbero mandarci questo medico?- Chiese Zoe, incuriosita.

Capendo che Armin non se la sentiva, Eren parlò al posto suo -In giro si dice che la percentuale di risultati positivi ottenenuti in questo istituto sta via via decrescendo, e sostengono di dover cambiare un po' i metodi...essere più...aggressivi.-

Armin si stava agitando così Eren decise accompagnarlo in camera, ma prima si fermò e disse piano ai suoi compagni -Penso... che dovremmo goderci questi ultimi momenti di libertà...-

Poi lasciarono la sala.

Zoe si girò verso Levi, trovando i suoi occhi grigi che la fissavano. -Hai paura?-

Presa alla sprovvista da quella domanda, si affrettò a rispondere.

-Che? No, no! Io...io non ho paura!- Fece un sorriso tirato, che a Levi non sfuggì.

Il brutto presentimento era ancora lì, amplificato dalla notizia dei metodi brutali del nuovo medico, e non sapendo cosa aspettarsi, Zoe si ritrovò nel più totale ignoto. E aveva paura.



Fine I capitolo


 

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Capitolo 2
*** Don't touch him! He has hallucinations ***


Salve a tutti ^^
Mi spiace, avrei voluto pubblicare il capitolo decisamente prima, ma con l'inizio della scuola non ho avuto molto tempo per deddicarmi alla fic.
Cooomunque, spero il capitolo vi piaccia e se volete lasciare una recensione mi farebbe molto piacere, anche perchè sto trattando tematiche un po' delicate, come le malattie mentali, e se qualcosa vi infastidisce o secondo voi è sbagliato ditemelo.
Altra cosa: nel primo capitolo avevo scritto che Eren è schizofrenico e mi scuso molto, ma ho sbagliato, infatti in realtà è Armin ad essere schizofrenico, mentre Eren ha disturbi di doppia personalità. Comunque il primo capitolo è stato corretto.

Okay, ringrazio chi ha recensito e chi ha messo tra le preferite/seguite, sappiate che vi adoro *^*
Buona lettura!


2. Don't touch him! He has hallucinations
Passarono diversi giorni, ma parve quasi che la notizia dell'arrivo del nuovo medico, che era ormai sulla bocca di tutti i pazienti dell'ospedale, fosse in realtà falsa. Così dicevano alcuni, i più speranzosi, altri credevano non fosse altro che un ritardo. Ad ogni modo, nel frattempo attorno a Zoe si era formato un bel gruppo di amici, e il suo compagno di stanza non potè fare altro che aggregarsi. Levi se ne stava perlopiù in disparte, ma, benchè lo nascondesse bene, non gli dispiaceva avere tutte quelle persone che gli giravano sempre attorno.
Il gruppo era solito uscire in cortile dopo pranzo, avevano circa un'ora prima che le infermiere li richiamassero dentro, e solitamente si recavano sul retro dell'edificio, dove vi era un piccolo campo da pallacanestro circondato da altissime recinzioni. La pallacanestro era l'unico svago che le infermiere concedessero, anche se restavano comunque in disparte ad osservarli per tutto il tempo.
Era l'una e mezza circa, e il sole era alto e caldo nel cielo, nonostante l'autunno si stesse inevitabilmente avvicinando. Eren saettava abilmente tra i giocatori della squadra avversaria palleggiando velocemente, nonostante il sudore che gli scendeva sulla fronte e i leggeri ansimi che uscivano di tanto in tanto dalla sua bocca. Il capitano della squadra avversaria, Jean, stava invece tentando con gesti quasi violenti di rubargli il pallone.
Armin stava seduto in panchina, non avendo mai amato particolarmente lo sport e sembrava più tranquillo del normale. Accanto a lui sedeva Levi, come al solito distratto a leggere il suo libro, dato che se avesse giocato, avrebbe probabilmente finito col fare del male a qualcuno, vista la sua indole particolarmente violenta e il fatto che lo sport lo innervosisse parecchio. Zoe sedeva sulla panchina accanto e osservava Sasha che, senza accorgersene, aveva preso a farfugliare, mentre gli occhi vacui facevano intendere che fosse entrata in qualche sorta di trans; solo poco dopo, Zoe si accorse che stava contando, oltre che con la voce, anche con le dita. Connie le aveva spiegato che era del tutto normale e che non bisognava interromperla, altrimenti le avrebbe dato molto fastidio, anche se lui stesso ammise che a volte la interrompeva per dispetto. Sasha si scosse all'improvviso e arrossì, imbarazzata per aver avuto di un episodio ossessivo compulsivo in pubblico.
-Scusatemi, l'ho fatto di nuovo, vero?- Chiese sorridendo imbarazzata.
-Oh si!- disse Connie trattenendo una risata -Avresti dovuto vederti! Eri tutta concentrata...avevi un’espressione assurda!-
Sasha s'imbronciò.
-Stupido! Non prendermi in giro!- disse offesa lei, puntandogli il dito contro. -Ti ricordo che queste cose succedono anche a te!-
-Ma non sembro così stupido quando ho i miei episodi.- Ribattè.
-Ah no? Vogliamo parlare di tutte quelle seghe mentali che ti fai ogni giorno? Del tipo hai paura di non aver chiuso la porta, e tipo giri e rigiri la chiave almeno trenta volte?-
-Quelle si chiamano "compulsioni" Sasha ed è normale che... aspetta, o erano le "ossessioni" quelle?- chiese Connie a bassa voce, confuso.
-Perchè non ascolti gli psichiatri quando ti parlano?- chiese lei, esasperata.
-Oddio, avrei dovuto fare psicologia anzichè chimica...- Connie e Sasha si voltarono verso Zoe, persa nei suoi pensieri. Sorrise e mise una mano sulla testa della ragazza, scompigliandole i capelli. -Siete veramente interessanti e adorabili voi due-.
Connie sembrava stesse per ribattere, quando sentirono le infermiere chiamare.
Jean e Eren si avvicinarono alle panchine, togliendosi le magliette sudate e infilandosi quelle pulite che Armin li porgeva.
-Voi che avete adesso?- chiese Jean.
-Niente di che- rispose Eren -Io ho le solite sedute e ad Armin devono prescrivere i nuovi farmaci, visto che quelli che prende adesso non funzionano più-.
Jean annuì -Voi?-
-Ah non ne ho idea, chiederò all'infermiera.- alzò le spalle Connie. Sasha si grattò la guancia imbarazzata, dicendo che neanche lei aveva prestato attenzione a quello che le avevano detto le infermiere.
Levi chiuse il libro e si alzò dalla panchina. -Io ho una seduta col dottor Smith.- disse semplicemente.
-Ah, ti hanno dato quello bravo.- commentò Eren.
Levi alzò le spalle indifferente -Uno vale l'altro, tanto non li ascolto comunque.-
-Ah Levi! Il mio psichiatra sta nella stanza accanto a Smith. Posso venira con te?- Chiese Zoe, affiancandosi al compagno.
-Fa un po' come ti pare.- disse lui, con voce inaspettatamente meno acida del solito. Era strano per il moro avere attorno persone felici di stare vicino a lui, ma gli faceva piacere.
Dietro di loro intanto, Armin si era avvicinato ad Eren. -Avete vinto?-
-Ovvio.- disse lui orgoglioso della sua bravura -ma quell'idiota di Jean mi ha dato filo da torcere, sono sfinito.-
Armin prese ad accarezzargli il braccio, lo faceva spesso, di solito per calmarlo o semplicemente per mostrargli il suo affetto. All'inizio parve così, Eren era stanco ma vittorioso e il biondo lo stava solo sfiorando, ma dopo pochi secondi la presa sul suo braccio si rafforzò di colpo, Eren percepiva la pressione delle dita del compagno che gli stringevano il polso, quasi a fargli male.
-Armin, stai bene?- chiese d'istinto Eren, girandosi e vedendo con orrore il suo viso pallido, dagli enormi occhi vacui. Aveva preso a tremare e farfugliare a voce talmente bassa da non poter essere quasi udito; si strinse di più al compagno, il quale lo abbracciò forte.
-Eren... è lì...portami via ti prego...- mormorava, scosso dai singhiozzi -ho paura...-
Il biondo si ritrovò contro il petto di Eren, che gli passò una mano tra i capelli, accarezzandoli leggermente, per dargli almeno un po' di conforto.
-Shh...va tutto bene... nessuno ti farà del male, Armin.-
Il suo tremore peggiorò appena le infermiere si avvicinarono per riportarlo dentro. Appena provarono a toccarlo, gridò.
-Lo porto dentro io. - Disse il castano mentre osservava preoccupato il comportamento dell’amico, nonostante ci fosse ormai abituato. -Ha le allucinazioni, non toccatelo o farete peggio.- Aggiunse freddamente, prendendolo in braccio delicatamente, sentendo la sua guancia liscia e bagnata dalle lacrime calde, poggiata sulla sua spalla.
-Non toccatelo...-
3 anni prima...

Armin piangeva, di nuovo. Doveva avere un'altra delle sue allucinazioni.
Eren aspettò pazientemente che si calmasse, mentre gli accarezzava delicatamente la schiena. Erano seduti per terra, nella loro stanza della clinica, ormai vuota. L'indomani sarebbero entrambi stati trasferiti ad un altro manicomio ed era probabilmente quello, secondo Eren, il motivo per cui il compagno era così nervoso. Stava ricurvo su se stesso, con le gambe strette al petto, in realtà anche lui stava aspettando pazientemente che la paura passasse; Eren non sapeva cosa fare. Gli dispiaceva vederlo così e provò a dirgli qualcosa, magari sentire la sua voce lo avrebbe confortato. Così gli disse la prima cosa che gli venne in mente.
-Non soffro di doppia personalità, non ho mai sofferto di disturbi simili.-
Armin non si mosse, ma aveva sentito ed era rimasto confuso. Voleva chiedergli come fosse possibile, perchè era quella la malattia che gli avevano diagnosticato, ma non aveva voglia di parlare, sentendo come se qualcosa glie lo impedisse. Fortunatamente Eren continuò a parlare ugualmente -In realtà non ho niente di grave ma... ho paura di tornare a casa e lasciarti solo...- Premurandosi che nessuno lo sentisse continuò -Ho un'amica qui in clinica, si chiama Christa... che soffre di doppia personalità... e mi ha descritto esattamente come funziona...- Armin spostò lo sguardo dal pavimento a lui, lo guardò nei suoi occhi verdi, tendenti all'azzurro, che gli erano sempre piaciuti tantissimo. Voleva che il suo sguardo bastasse a ringraziarlo, ma sapeva che prima o poi avrebbe dovuto parlare. Eren lo prese tra le sue braccia -Non ti abbandonerò, mi farò visitare e curare una malattia che non ho, ma voglio stare con te, Armin.-
Il biondo gli sorrise tra le sue braccia, mormorando un debole "grazie" che però Eren sentì ugualmente. Gli baciò i capelli biondi e rimasero in quella posizione per minuti interi.
Eren a quel tempo non aveva la più pallida idea di come si facesse a calmare una persona come Armin, e al contempo gli infermieri della clinica continuavano a chiedersi il perchè Armin riuscisse a fidarsi di Eren anche quando aveva le sue crisi. Quando dovettero partire, Armin stette di nuovo male. Non aveva idea di dove stesse andando, di cosa gli avrebbero fatto e non voleva andarsene dal posto in cui, un anno prima, aveva conosciuto Eren.
Il moro allora gli si era avvicinato e lo aveva abbracciato come ogni volta e gli aveva ricordato che sarebbe andato con lui, che non lo avrebbe mai lasciato da solo. Quando le infermiere si erano avvicinate Eren gli aveva ringhiato contro. -Non avvicinatevi...- Non si fidava di loro, nè tanto meno degli psichiatri -Voi non sapete cosa prova...stategli lontano e lasciate che sia io a prendermi cura di lui!- gridò.
-Non toccatelo...-
o°o°o

-Hey Levi- esordì Zoe a bocca piena, mentre con la forchetta separava con cura le verdure dalla carne, nel suo piatto. -Secondo te, dove li tengono i malati mentali pericolosi, tipo i serial killer psicopatici? No, perchè la gente qui attorno mi sembra troppo tranquilla per un manicomio...-
-Secondo me li isolano- rispose Sasha al posto del moro -come nei film. Avranno celle super sicure.-
-Magari li hanno uccisi tutti- fece Connie -magari uccideranno anche noi.-
-Sarebbe terribile! Dici che lo faranno?-
-Nessuno ti ucciderà Connie, è un ospedale...- rispose Eren stravaccato sulla sedia, esausto dopo il pomeriggio che aveva passato a calmare Armin.
-Ma potrei uccidervi io se non la smettete di fare cagnara voi due.- disse Levi senza neanche alzare lo sguardo dal suo piatto.
-Oddio, dici che fa sul serio?- chiese Sasha a bassa voce sporgendosi verso Connie.
-Mah, conoscendolo forse_-
-Sta zitto!-
Tutti si girarono verso la voce femminile che aveva urlato dal tavolo accanto.
-Scusami, ho detto qualcosa che...-
La ragazzina che aveva urlato si girò e fissò Connie per alcuni istanti. Poi arrossì e si coprì il volto con le mani.
-Scusami, non dicevo a te!- Disse dispiaciuta. -Accidenti, me lo hai fatto fare di nuovo...Ymir, sei una cretina!-
-E-eh? Con chi stai...?-
-Christa, sei tu?- chiese Eren d'un tratto.
-Oh, ciao Eren, che piacere rivederti.- disse abbassando le mani e sorridendo dolcemente.
Anche Armin parve poi riconoscerla e la salutò silenzioso. Zoe si sporse pericolosamente dalla sua sedia. -Christa... chi è Ymir?- chiese curiosa.
-Oh...- Christa sorrise e si indicò la testa. -Lei sta qui.-
Gli altri la osservarono perplessi, così Eren spiegò loro il disturbo della quale soffriva.
-Christa soffre di personalità multipla, Ymir è una di queste personalità e a volte ci parla...altre volte riesce a diventare lei.-
-A volte mi fa fare cose che non dovrei fare...- Disse con tono di rimprovero, guardando verso l'alto. -Ad ogni modo... non ho potuto fare a meno di sentire parte della vostra conversazione e ad Ymir è venuta voglia seriamente di andare cercare i pazienti pericolosi.
-Vuoi dire che ci sono davvero?- Chiese Connie.
-Mhh... Ymir dice che li tengono al piano di sotto... No! Te lo scordi, noi non ci andiamo!-
-Che figata!- Esultò Zoe -Levi, andiamo a cercarli, ti prego!-
-Stupida quattrocchi, di certo non ci lasceranno mai girare per il manicomio da soli.-
-Mica chiediamo il permesso alle infermiere! Sasha, Connie, voi venite con me, vero?-
-Ovvio!- Fecero entusiasti.
Levi sospirò infastidito -Okay, okay, verrò per tenere d'occhio voi mocciosi. Ma solo perchè senza di voi qui è tutto troppo noioso...-
-Grandioso! Quando andiamo?- chiese Sasha battendo il cinque a Connie.
-Facciamo domani pomeriggio. E' domenica e abbiamo tutto libero.- Rispose Zoe.
-Aggiudicato! Voi venite?- chiesero ad Armin e Eren.
Il biondo scosse la testa.
-Meglio di no...- disse l’altro -Una volta ci sono stato là sotto. E' disgustoso, dovreste vedere come trattano quei pazienti...-
-Come nei film!-
-Si, Sasha... più o meno...-
Eren si alzò prendendo il suo piatto vuoto -Bene, io e Armin andiamo a dormire. Buonanotte.-
Gli altri gli augurarono la buonanotte e li videro allontanarsi.
Mentre uscivano, Zoe notò per una frazione di secondo Eren sussurrare qualcosa per poi posare un leggero bacio sulle labbra del compagno.
o°o°o

Zoe non aveva dormito affatto bene quella notte. Era stata perlopiù sveglia, sdraiata a pancia in su a fissare il muro e ad ascoltare il lento respiro del suo compagno. Non aveva idea del perchè, ma non riusciva a prendere sonno; era probabilmente quel leggero nervosismo che aveva a tenerla sveglia. Infatti, non si sentiva del tutto a suo agio all'idea di scoprire come venivano trattati i pazienti del piano di sotto, nonostante avesse anche una certa curiosità.
All'una di notte si era alzata, senza più alcuna traccia di stanchezza, e si era messa a frugare nel suo borsone.
Levi, avendo il sonno incredibilmente leggero, si destò quasi subito sentendo il rumore che Zoe stava facendo. Si rigirò tra le coperte e portò una mano a stroppicciarsi gli occhi pigramente.
-Quattrocchi, che diamine stai combinando a quest'ora? Vai a dormire...- mugugnò. Zoe si voltò sorpresa.
-Levi... Scusami, non volevo svegliarti.- disse alzandosi e andando verso il suo letto con un album da disegno e un astuccio tra le mani. Il moro fece emergere la sua testa dalle coperte e la guardò. Aveva i capelli spettinatissimi e gli occhi pieni di stanchezza, a Zoe parve adorabile, specie se lo paragonava a com'era di giorno. -Non ho sonno, così ho pensato di mettermi a fare qualcosa.-
-Vuoi disegnare?- chiese osservando il blocco di Zoe. -Devi accendere la luce, mi avresti svegliato comunque- Disse mettendosi seduto sul letto. -Sei poprio una stupida.-
Mormorò per poi sbadigliare.
-Quindi posso...-
-E va bene... Ma solo se mi fai vedere cosa disegni.- Disse mentre la ragazza premeva l’interruttore.
-Sei strano di notte...- osservò. -Credevo mi avresti ucciso se ti avessi svegliato, invece sei meno stronzo a quest'ora.- Ridacchiò.
-E' l'effetto del sonno... domani ti meno.- Levi si avvicinò e si accovacciò accanto a Zoe che aveva preso ad abbozzare il vasetto di fiori sul davanzale. -Non sono carini quei fiori?-
Levi annuì, mentre osservava la mano di Zoe che si muoveva fluida sul foglio.
-Fai schifo a disegnare.- Osservò Levi ridacchiando e si guadagnò uno scappellotto da parte della compagna, la quale era arrossita.
-Non... non sono cose da dire queste! Sto ancora imparando!- Disse sembrando offesa. -Un mio amico amava disegnare e mi stava insegnando... ma poi mi sono ritrovata qui.-
Levi mugugnò qualcosa, per farle intendere che aveva sentito, ma nel frattempo era scivolato in un sonno leggero, con la testa appoggiara sulla spalla di Zoe. Lei continuò a disegnare per qualche altra ora, poi anche lei crollò addosso a Levi.
-Domani potrei colorarlo con gli acquerelli...- mormorò prima di addormentarsi contro il corpo di Levi.

Zoe era rossissima in volto e dava le spalle a Levi, troppo in imbarazzo per guardarlo in faccia, vista la posizione in cui si erano svegliati quella mattina. Si pettinò in fretta i capelli e li sistemò in una coda alta abbastanza disordinata. Uscirono dalla stanza silenziosamente e si diressero verso la mensa per la colazione. A metà strada Zoe si sentì chiamare e si voltò verso l'infermiera che si stava avvicinando a lei.
-Ah, Zoe! Dopo colazione devi andare nell'ambulatorio 3, sei con il dottor Sanes oggi.-
-Con chi, mi scusi?-
-Djel Sanes, quello nuovo.- spiegò, poi si allontanò.
A Zoe si gelò il sangue nelle vene e Levi parve accorgersene.
-Non preoccuparti, è solo un altro medico.- Tentò di confortarla -Andiamo in mensa ora, gli altri saranno già giù.-
o°o°o

Bianco.
Era l'unica cosa che Zoe vedeva. Sdraiata sul lettino, riusciva a vedere solamente il bianco del soffitto. Le era stato iniettato qualcosa prima, il braccio bruciava ancora e cominciava a sentirsi strana. La sua vista si faceva appannata e la sua lucidità cominciava a venir meno, mentre la sua inquietudine aumentava.
Sentiva vagamente quello che Sanes, il nuovo psichiatra, stava dicendo alle infermiere mentre armeggiava con qualcosa che Zoe non riusciva a distinguere.
Aspettò, pregando che finisse presto, perchè quella situazione non le piaceva per niente.
Sentì improvvisamente qualcosa di freddo sulle tempie e una voce che le intimava di non muoversi. Ma se ne avesse avuto la possibilità si sarebbe mossa eccome, sarebbe fuggita di certo, ma non sentiva più le braccia, le gambe e anche la voce sembrò essere scomparsa, fino a quando un urlo disumano uscì dalla sua bocca. Il suo corpo si contorse di scatto, la mani le tremavano e non riusciva a stare ferma. La testa pulsava e le doleva in modo assurdo, non aveva mai avvertito tanto dolore. Non aveva idea di cosa le stessero facendo, ma sentiva come delle scosse elettriche fortissime nel cervello; troppo forti, sembrava che la sua testa stesse andando a fuoco. Dalla nuca, fino alle tempie, sentiva bruciare. Era insopportabile, ma tutto ciò che riusciva a fare era gridare. E dimenarsi, per quanto gli fosse concesso.
Quando finì, il corpo di Zoe crollò sul lettino e lei rimase immobile, senza la forza di imprecare o anche solo di emettere un qualsiasi suono che avrebbe confermato il suo essere ancora viva.
In un attimo di lucidità, riuscì a sentire il medico che parlava dietro di lei.
-Guarda, vedi questa parte qui del cervello?- Diceva ad una delle infermiere indicando un monitor. -Vedi come...-
Zoe si concentrò più che potè per ascoltare ogni cosa, ma le venne sonno e stava man mano perdendo conoscenza.
-Si, potremmo fare così... Allora direi che ha funzionato. Segnalo, primo esperimento sulla paziente Hanji Zoe: successo.-


Fine II capitolo
 

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Capitolo 3
*** Welcome downstairs ***


Ehm… salve ^^
So di aver detto che ci avrei messo di meno a pubblicare, ma purtroppo la mia adoratissima Sespia non potrà più farmi da beta e senza il suo sostegno mi sono un po’ persa T.T
Anyway, una mia amica si è proposta di corregermi i capitoli, perciò adesso vediamo come va. Spero il capitolo sia apposto, io mi sono documentata per le malattie eccetera, ma potrei aver commesso errori, perciò in caso ditemi.
La buona notizia è che per quanto riguarda il capitolo 4 l’ho (incredibilmente) quasi finito, perciò devo solo completarlo e farlo betare.
Okay la smetto con le note e vi auguro buona lettura ^^
Se volete lasciate un commento anche breve, che a me fa sempre tantissimo piacere <3


3.  Welcome downstairs                                                                                                                     .
 
Era da più di un’ora che Levi stava seduto a fissare Zoe, avvolta nelle coperte e profondamente addormentata. Era ormai consapevole del fatto che la sua compagna avesse costantemente un sonno agitato,  infatti si ritrovava spesso la mattina ad osservare le assurde posizioni in cui dormiva. Ma questa volta Zoe non si era mossa da quando le infermiere l’avevano praticamente gettata sul suo letto dopo l’esperimento. Zoe giaceva immobile con un’espressione leggermente dolorante e il corpo rigido. Il moro l’aveva tenuta d’occhio per tutto il tempo; era rimasto seduto su una sedia a braccia conserte, osservando ogni minimo e involontario gesto che compiva la compagna nel sonno. Preoccuparsi per gli altri non era affatto da lui, ma Zoe era stata sottoposta a qualche terapia a lui sconosciuta e voleva assicurarsi che la ragazza addormentata accanto a lui non avesse subito danni irreparabili. Per un momento aveva cercato di convincersi che la sua fosse solo preoccupazione per se stesso, nel caso anche lui venisse sottoposto alla stessa terapia e che fosse il solito bastardo egoista di sempre. Ma infondo sapeva che l’improvvisa comparsa di Zoe nella sua vita aveva cambiato qualcosa in lui; certo, non il suo carattere intrattabile; ma senza darlo a vedere, Levi stava cambiando lentamente il suo modo di pensare e di essere, rivalutando la possibilità di avere a cuore una persona al di fuori di se stesso.
Zoe sussultò impovvisamente e contrasse le sopracciglia. Mugugnò portandosi le mani alle tempie gemendo. Il moro si alzò immediatamente, avvicinandosi e sedendo nel letto accanto a lei. –Zoe, che hai?-
Zoe gemette ancora e afferrò la camicia di Levi, come se cercasse qualcosa. –La testa…- mugugnò piano. Tremante, la sua mano scorreva sul corpo dell’altro, finché non gli afferrò la mano, forte quasi a fargli male. -Mi fa male… la testa…- schiacciò la testa contro il cuscino –Cazzo…-
Levi non aveva idea di cosa fare a quel punto. Non era abituato a certi contatti fisici, ma forse per riflesso o forse per irrefrenabile desiderio, strinse forte la mano della compagna nella sua.
–Guarda che cosa diamine mi fai fare…- sussurrò tra sé e sé, senza farsi sentire.
Pochi minuti dopo, il respiro di Zoe parve rallentare, la presa sulla sua mano si allentò e il suo corpo si rilassò pian piano. Levi per un attimo credette che Zoe stesse svenendo, ma poi i loro sguardi si incrociarono. Lei lo fissava con i suoi grandi occhi color nocciola, senza battere ciglio; lo scrutava come faceva ogni santo giorno. Il suo sguardo pareva ancora un po’ assonnato, ma era di certo viva e abbastanza reattiva.
-Stai meglio?-
-Più o meno… - disse Zoe per poi sbadigliare, portandosi pigramente una mano davanti alla bocca -il mal di testa è quasi sparito del tutto… sto bene, credo…-
-Bene- fece Levi, visibilmente sollevato. –Allora… puoi lasciarmi la mano adesso- aggiunse, sentendosi improvvisamente in imbarazzo. 
Zoe sorrise lievemente arrossendo –Giusto…-
Le dita dell’altro scivolarono via dalla sua presa e Zoe, impovvisamente, si rigirò nelle coperte, dando le spalle a Levi, il quale avrebbe giurato di sentirla ridere.
-Tu hai dei problemi…- commentò lui.
Zoe fece sprofondare la faccia nel cuscino per nascondere il rossore che, inevitabilmente, le stava colorando le guance, mentre rideva senza riuscire a fermarsi. Sentiva ancora le dita fredde di Levi stringere le sue, e il pensiero la imbarazzava e divertiva allo stesso tempo.
Levi si alzò e andò in bagno, lasciando Zoe sghignazzare nel letto. Quando il suo viso riemerse da sotto le lenzuola, Levi le stava porgendo un bicchiere d’acqua; la aiutò a mettersi seduta e a bere.
-Posso sapere che ti hanno fatto o non te la senti?- chiese il moro, appoggiando il bicchiere vuoto  sul comodino.
-Quanto siamo premurosi oggi, eh?- fece Zoe inclinando la testa e ghignando.
-Se preferisci ti costringo a parlare dell’esperimento a suon di calci in culo…- disse minaccioso, ma anziché intimorire la castana, la fece ridere ancor di più.
-Non ne ho idea…- disse appena si fu ripresa –Non ho idea di cosa mi abbiano fatto…-
Zoe tirò leggermente la camicia di Levi, incoraggiandolo a sedersi accanto a lei.
-E’ tutto così confuso… Mi avevano messo sulla fronte delle cose fredde… Non riuscivo a muovermi, Dio è stato orribile. Mi avevano immobilizzata e…l’ansia cresceva e cresceva e mi sentivo sempre più strana.- Raccontò la ragazza, appoggiando il corpo alla testiera del letto e sforzandosi di ricordare -Poi la testa ha incominciato a farmi male e cazzo, bruciava! Mi faceva un male cane! Poi non so, quello psichiatra, Sanes, ha detto qualcosa. Credo abbia detto…primo esperimento…successo…-
Levi la osservava attento –Successo…- sussurrò. –Zoe, come ti senti adesso?-
Zoe lo guardò confusa –Te l’ho già detto, sto bene…-
-No, dico… ti senti strana, diversa?-
-Mmh io…- Zoe ci pensò un attimo. Se quell’esperimento era stato un successo, significava che i medici avevano ottenuto il risultato che volevano su di lei. Avevano cambiato qualcosa in lei? Nel suo cervello?
Reprimendo il senso di nervosismo come era solita fare, rispose –No, mi sento normale…-
-Okay.- disse Levi –Vuoi dormire ancora un po’?-
-Oh si…- fece Zoe. E senza accorgersene, appoggiò la testa sulla spalla di Levi e chiuse gli occhi, cadendo in un sonno profondo.
 
o°o°o
 
Il vento autunnale entrava dallo spiraglio della finestra lasciata leggermente socchiusa, andando a scompigliare appena i capelli color oro del ragazzino accoccolato tra le gambe di Eren. Armin alzò le braccia per stiracchiarsi e improvvisamente si girò, facendo cigolare le molle del letto e ritrovandosi il viso del castano a pochi centimetri dal suo.
Per tutto il tempo in cui Eren e Armin avevano condiviso la camera in quel manicomio, il biondo non aveva mai effettivamente dormito, né fatto niente nel proprio letto; il suo era un campo di battaglia, i loro vestiti, libri e tutti quei pochi oggetti personali che avevano erano tutti ammassati là sopra. Era dalla primissima notte che avevano passato in quel manicomio, che Armin s’intrufolava nel letto dell’altro per dormire, ed era ormai diventata un’abitudine. Essendo pieno pomeriggio, i due non dormivano affatto, ma passavano il tempo a leggere o, rare volte, a parlare. Il libro di Eren era appoggiato al comodino da parecchi minuti ormai, e quello di Armin era appena stato chiuso e appoggiato per terra. Armin silenziosamente appoggiò la testa sulla spalla dell’altro, che lo strinse a sé, cominciando a lasciargli soffici baci sul collo. Le mani del biondo, che prima stringevano la maglietta dell’altro, s’intrufolarono tra le sue ciocche castane, tirandogli piano i capelli e facendogli sollevare i viso. Appena gli occhi turchesi incontrarono i suoi, Armin si abbassò piano poggiando timidamente le labbra sulle sue.
Eren allora lo tirò ancora più a sé, facendogli schiudere le labbra e insinuando la lingua nella sua bocca. Continuarono a baciarsi per minuti interi, interrotti solo da brevi momenti per riprendere fiato. Il biondo si abbandonò alla sicurezza che l’abbraccio di Eren gli infondeva, chiudendo gli occhi, fino a quando tre parole vengono sussurrate a fior di labbra.
-Non andare via…-
Armin appoggiò la fronte contro la sua, osservandolo attraverso le palpebre socchiuse.
-Sono qui, Eren…-
Lui chiuse gli occhi e gli baciò una guancia, accarezzandogli l’altra leggermente con le dita.
-Non avere paura, non andare via…-Ripeteva malinconicamente, come se si fosse appena ricordato di qualcosa di tanto triste, da velargli gli occhi di lacrime.
-Vorrei che tu potessi essere sempre così…- gli diceva.
-Lo so…-
Eren invertì le posizioni, facendo sussultare il biondo che si ritrovò schiacciato contro il materasso. Il castano si mise a cavalcioni su di lui e osservò con un piccolo sorriso le guance dell’altro diventare rossissime. Ci accarezzò una guancia, poi le sue dita scivolarono tra i sottili fili dei suoi capelli.
-Guarirai, Armin. Te lo prometto, non avrai più paura.-
Al biondo parve un’affermazione ingenua come quella di un bambino, ma sorrise ugualmente, tirando timidamente Eren verso di sé. Non era così semplice guarire, lo sapeva bene. Gli stessi medici che lo avevano in cura gli facevano paura, ma Eren era l’unica che persona che non gli avrebbe fatto mai del male, si fidava di lui e conosceva ogni suo particolare. Eren era entrato in clinica psichiatrica solo per degli atteggiamenti un po’ violenti verso i suoi compagni di classe, non poi così anormali per un ragazzo di quindici anni, ma sua madre aveva insistito per farlo vedere da uno psicologo ed ora era rimasto in un manicomio, fingendo di essere un malato mentale, solo per lui. Solo per Armin.
-Non avrai più paura.-
Gli sarebbe piaciuto, non avere più paura. Non avere più attacchi di panico, non piangere più e non farsi più tenere la mano da Eren mentre gli facevano una semplice visita. Ma il mondo pareva essere un enorme mostro, come quelli che di notte si nascondono sotto il letto dei bambini, pronto a divorarlo, pronto a massacrarlo come in un incubo. Questo era il mondo agli occhi di Armin.
Eren lo proteggeva, sempre.
Armin strinse forte il corpo di Eren, che si stese sopra di lui. Si baciarono ancora, avevano l’intero pomeriggio, la sera e anche la notte volendo.
Non dovevano preoccuparsi di nulla, le visite e tutto il resto erano cose che avrebbero atteso il giorno dopo per mettere ansia al biondo. Adesso c’era solo Eren.
 
o°o°o
 
 -Daiii! Chiedimelo!- Insistette lagnosamente Zoe, abbracciando Levi da dietro, facendo vagamente irritare quest’ultimo.
-E se non mi interessasse?-
-Ma tu mi hai detto il tuo motivo e io voglio dirti il mio!-
-Sei stata tu a chiedermelo.-
Zoe sbuffò –Davvero non ti interessa sapere cosa mi ha fatta ricoverare in manicomio?-
-Mah, ho come la sensazione che sia stato il tuo atteggiamento da squilibrata…-
Zoe, fingendosi offesa, cominciò a punzecchiare il fianco di Levi col pennello che stava usando per dipingere. Erano seduti per terra, Zoe stava dipingendo con gli acquerelli il suo disegno, con tratto un po’ goffo, mentre Levi criticava con disinvoltura qualsiasi segno lei tracciasse.
-Giuro su Dio, se mi sporchi di colore la camicia bianca sei morta.-
-Mmh-
-Adesso non mi parli?-
Zoe non rispose, riportando il pennello nel vasetto d’acqua e inarcando la schiena per tornare a dipingere.
Levi sospirò –Non che me ne freghi qualcosa, ma penso tu possa dirmi quale assurdo atto da pazza maniaca tu abbia compiuto per finire qui…-
La castana fece un lieve sorrisino –Hai presente l’amico di cui ti parlavo? Quello che mi insegnava a disegnare?-
Levi annuì.
-Si chiama Moblit, studiavamo insieme chimica all’università. Io e lui passavamo intere giornate insieme, era un po’ come il mio fratellino.- Raccontò, cominciando a colorare le foglioline che sbucavano dal vasetto disegnato. –Era timido, impacciato, però sapeva tenere a bada la mia mentre malata…a volte… Comunque, io e lui vedevamo soprattutto film insieme, film sul soprannaturale: vampiri, alieni, quelle cose lì. Poi un giorno ne vedemmo uno sui giganti!- si entusiasmò a quelle parole. Levi taceva e l’ascoltava quasi interessato. –Moblit inizialmente non voleva…però poi l’ho convinto… Levi, abbiamo costruito un gigante!-
Levi si scosse improvvisamente.
-Voi cosa?!- fece incredulo –Zoe, non inventarti cazzate adesso…-
-No No! Sul serio… Avevamo fregato un po’ di attrezzature dalla scuola e un po’ ce l’ha prestata un amico di Moblit, e io e lui abbiamo creato un gigante nel suo garage! Certo non enorme…sarà stato…tre, tre metri e mezzo…-
Levi la fissava con una faccia indecifrabile, non sapeva se crederle, visto il fatto che, essendo Zoe, avrebbe potuto combinare di tutto senza troppi problemi, o non crederle affatto e cominciare a menarla.
-Quale cazzo di malattia mentale devi avere per sognarti una cosa del genere?- decise di non crederle.
-Non ho idea di che malattia abbia.- rispose Zoe, girandosi e guardandolo quasi seriamente. –Quello che mi ha interrogato dopo l’incidente si è limitato a dire che ero pazza.- Disse alzando le spalle.
-Incidente?-
-Ah si! Il gigante a provocato alcuni danni…Ma Moblit non c’entrava, mi sono presa io la colpa e considerata un pericolo pubblico… ed eccomi qui! Sei mesi di… rieducazione. Credo avessero detto così.- disse distrattamente tornando al suo disegno.
Dopo un attimo di silenzio, Levi, con il solito sguardo apatico di sempre, chiese –Ammesso che tu davvero si così idiota da creare un mostro, mi spieghi come cazzo hai fatto?-
Zoe sorrise –Sono una scienziata, Levi. E mi piace credere che si possa creare qualsiasi cosa dal nulla, anche se è qualcosa al di fuori del normale.- Con insoliti colori per dei fiori, colorò ogni petalo, facendoli risultare totalmente irreali, ma stranamente belli. –Non ubbidisco alla normalità, ma alla mia mente malata.-
-Si si… piuttosto non dovremmo andare adesso?-
-Mmh? Oh si!- Zoe cominciò a pulire i pennelli. –Non vedevo l’ora! Questo posto è enorme, e sono curiosa di esplorarlo tutto quanto!- Cinguettò.
 
 
o°o°o
 
La domenica pomeriggio, in genere, c’erano molti meno medici e infermiere in giro per i corridoi. Dopo pranzo non si facevano né visite né alcun tipo di interventi e gran parte del personale tornava a casa, lasciando i pazienti nella noiosa routine di sempre. Era una giornata piuttosto fredda, e Zoe era seduta sul davanzale di uno dei finestroni del corridoio, con la testa svogliatamente appoggiata contro il vetro ghiacciato. Sentiva il forte vento fuori, far frusciare le fronde degli alberi, in lontananza inghiottite dalla nebbia, mentre osservava il cielo completamente bianco, dalle lievissime sfumature grigiastre. Le passò un brivido su per la schiena, percependo il freddo autunnale, che carezzava le montagne, sulla sua pelle.
Levi stava in piedi a braccia conserte, non fidandosi neanche minimamente a sfiorare il vetro che a suo parere non veniva pulito da diversi mesi. Con la coda dell’occhio vide arrivare Sasha e Connie, mentre si spintonavano correndo, probabilmente nel mezzo di un gara, e scorse poi anche Christa camminare tranquillamente dietro di loro.
Sasha frenò di colpo, scaraventandosi contro Zoe, che si riscosse improvvisamente dall’osservazione delle montagne fuori. L’entusiasmo le illuminò gli occhi, mentre passava un braccio attorno alle spalle dell’altra.
–Allora, andiamo?- cinguettò Sasha.
Zoe annuì, e cominciarono ad incamminarsi lungo il corridoio. –Voi siete già stati giù?-
-Di sotto mai… ma a volte io e Connie ci intrufoliamo in cucina, per fregare qualcosina… siamo dei geni quando si tratta di queste cose!-
-Non ci hanno mai beccati.- fece Connie.
 
La domenica pomeriggio, ed in genere ogni momento libero, i pazienti potevano passare il tempo in stanza o nella sala comune in fondo al corridoio. C’erano dei libri, si poteva giocare a carte e alle volte era anche consentito vedere la televisione o uscire nel cortile, se il tempo lo permetteva. I pazienti dovevano però limitarsi a queste zone, non era consentito l’accesso agli ambulatori, agli studi medici e tanto meno alle sale operatorie o ai piani interrati.
Dopo aver sceso le scale dell’ala est, quella dei dormitori dei pazienti e di alcuni medici, i cinque ragazzi si fermarono poco prima di entrare nell’atrio. Sasha gli fece cenno di non muoversi e corse verso il bancone delle infermiere.
-Mi scusiii! La tizia della 109 ha di nuovo morso la sua compagna!- gridò.
L’infermiera, che da prima la guardava con aria seccata, fece una smorfia tra l’impaurito e l’esasperato.
-Cazzo...- imprecò –Petra! Chiama le altre! Dobbiamo di nuovo sedare quella della 109!- gridò all’infermiera dalla stanza accanto. Appena si furono allontanate, Sasha fece cenno di seguirla, sorridendo vittoriosa. Percorsero l’atrio, infondo ad esso si diramavano due corridoi e due rampe di scale, una che saliva e una che scendeva, attorno alla gabbia di un ascensore.
-Beh…Andiamo?- chiese Connie voltandosi verso gli altri. Levi guardando i gradini, via via sempre più scuri man mano che scendevano, fu il primo a muoversi e cominciò a scenderli a due a due senza voltarsi indietro. Zoe gli fu subito dietro, seguita dagli altri. Aveva sempre avuto un ambiguo interesse per questo genere di cose. La affascinava il concetto di “inquietante” e tutto ciò che riguardava la mente umana, il limite che essa può sopportare prima di rendere il la persona a cui appartiene completamente pazza. Ed era dannatamente curiosa, più una cosa sconosciuta e pericolosa attirava la sua attenzione e più la curiosità sovrastava la paura. Il suo corpo si mosse praticamente da solo, iniziando a scendere i gradini di legno, che circondavano la gabbia di ferro di un vecchio ascensore, sempre più nell’oscurità. Al piano di sotto, non c’erano finestre, solo una debole luce al neon illuminava i piano. L’elegante parete in legno e carta da parati che rivestiva i muri ai piani superiori era stata sostituita da pareti in cemento armato dalla vernice scrostata. I corridoi erano deserti, c’erano alcune sedie a rotelle ai lati, più avanti comparivano scritte sui muri. Continuarono a camminare, svoltarono l’angolo, e percorsero il corridoio a destra. Non era loro intenzione allontanarsi troppo, volevano solo sentire il brivido dell’adrenalina, scoprire le parti più inquietanti che quel posto così monotono e noioso aveva da offrire. Zoe si annotava mentalmente tutto ciò che vedeva, era un ambiente che l’affascinava. Notò come le scritte sui muri scrostati divenivano sempre più disperate in un certo senso, alcune macchie sul pavimento erano probabilmente sangue. Più ci si addentrava nei sotterranei del manicomio, più le pozze e le strisciate di sangue lasciate dalle barelle aumentavano. Un grido squarciò il silenzio. Era poco distante, alcune stanze più avanti quella che sembrava essere una donna, stava gridando disperatamente, le sue urla e i suoi lamenti presero a rimbombare per tutto il corridoio.
-Sentite… torniamo indietro, okay?- mormorò Sasha prendendo a tremare.
-Ma non abbiamo ancora visto niente…- si lagnò Zoe. Levi sbuffò.
-Ymir vuole proseguire…- sussurrò debolmente Christa.
-A questo punto sarebbe da irresponsabili cont_- Levi si interruppe, sentendo improvvisamente dei passi venire verso di loro. Erano snervatamente lenti, pesanti. I ragazzi si girarono, ma l’oscurità ingoiava la fine del corridoio.
Solo da lontano udirono delle voci. –Sono dei pazienti quelli? Come sono arrivati qui?-
-Come hanno fatto ad uscire dalle celle?-
-Che aspetti?! Prendi i sedativi e prendiamoli prima che scappino di sopra!-
I ragazzi trattenerono il fiato per qualche istante, poi cominciarono a correre senza pensarci due volte. Levi imprecò, maledicendo Zoe più volte, la quale più che spaventata sembrava stesse ridendo, ma nella furia della corsa, il moro non seppe dirlo con certezza. Prima di rendersene conto Christa era sparita, ma per le pareti rimbombò la sua debole voce.
-Correte!-
C’erano stati dei bivi, così tanti corridoi che Zoe non avrebbe mai saputo come tornare indietro.
Di punto in bianco credette di essere da sola, Sasha e Connie avevano girato dalla parte opposta, lungo un ‘altro corridoio, ma lei era già entrata nella stanza davanti a sé, e tornare indietro sarebbe stato impossibile ormai. Sentì improvvisamente una mano tapparle la bocca, un braccio stringerla all’altezza della vita e si sentì sollevare da terra.
Cercò di dimenarsi, fino a quando non sentì la voce di Levi intimarle di stare zitta.
Si accucciarono nell’angolo dietro la porta. Levi tratteneva con una mano Zoe contro il muro, mentre si sporgeva per vedere il corridoio dallo spiraglio tra la porte e il muro. Appena si fu accertato che i medici che li inseguivano avessero proseguito lungo il corridoio, il moro si rilassò contro il muro, sospirando.
-Che idea stupida…- mormorò seccato, poi si girò verso Zoe, sentendola sghignazzare. –Che hai da ridere tu?-
Zoe riprese fiato –E’ stato divertente, mi ci voleva una scossa di adrenalina!-
Lui la fissò a bocca aperta, prima di tirarle un pugno non troppo forte sul braccio.
-Ahia…- si lamentò lei tra le risate.
-Sei un’idiota…- Sbuffò –Piuttosto, dove siamo finiti?-
L’unica luce proveniva dal corridoio, ma non bastava ad illuminare la stanza. Avanti a loro, al centro della stanza distinguevano solo un’ombra scura, una figura indefinita. A Levi gli ci volle un po’ per abituarsi al buio e riuscire a vedeva cosa circondava la figura.
Nel silenzio, lui e Zoe si alzarono e chiusero silenziosamente la porta, accendendo la luce.
Zoe si tappò immediatamente la bocca, bloccando il grido e il conato di vomito che inevitabilmente gli stavano salendo. Levi si limitò a spalancare gli occhi, indietreggiando disgustato. Davanti a loro c’era una vetrata che divideva a metà la stanza. Dall’altra parte, una donna legata ad una sedia e collegata ad una quantità spropositata di macchinari, li fissava con gli occhi spalancati. Stava incurvata con la schiena e la testa rasata ciondolava in avanti, mettendo in evidenza i punti sulla nuca, messi probabilmente in seguito ad un intervento chirurgico. La sua pelle sembrava sgretolarsi, le sfigurava il viso e le gambe, il resto era coperto da una stretta camicia di forza.
Dalle labbra schiuse usciva un rivolo di saliva, Zoe credette che stesse tentando di parlare, ma uscivano solo suoni biascicati dalla sua bocca.
-Levi…- la sua voce tremò –Che cos’è questo posto?-
La porta si spalancò e i due si girarono di scatto.
Christa era in piedi sull’uscio della porta e rideva istericamente.
-Benvenuti al piano di sotto…- sghignazzò, fissando Levi e Zoe con due occhi dorati e stranamente allungati.
 
o°o°o
 
I suoi piedi scalzi sprofondavano nel materasso, mentre stava accucciata trattenendo il respiro. Né lei né Connie stavano respirando, sentivano il pulsare troppo forte del loro cuore nel cervello, avevano l’adrenalina a mille e i crampi allo stomaco per quanto avevano corso. Si erano nascosti nel primo lettino vuoto trovato e avevano tirato l’enorme tenda azzurra che copriva ognuno dei letti. Attraverso la tenda Sasha vide muoversi fugacemente un’ ombra. Impercettibilmente Connie afferrò la spalla della compagna, sporgendosi per vedere meglio l’ombra indistinta.
-Dove sono?- sentirono dalla stanza vicino.
-Non lo so, non lo so!- fece l’ombra esasperata –Io…lì cercati ovunque, ma sono spariti e… potrebbero essere ovunque! Guarda, questo posto è enorme!-
-E se fossero entrati in uno degli stanzini in corridoio?-
-Hai ragione, andiamo a vedere.-
La porta si richiuse alle spalle della dottoressa. Sasha e Connie per un attimo si guardarono negli occhi e sorrisero vittoriosi.
-Grande idea nascondersi qui Sasha!-
-Grazie- fece lei pizzicando una guancia del ragazzo.
-Non sarebbe male restare qui ancora un po’, eh?- chiese lei dopo un po’.
-Hai paura, per caso?- ghignò l’altro.
-Eh? No no, ehm…Okay, adesso scendiamo e vediamo com’è la situazione…-
Sasha fece scorrere la tenda e scese dal letto. Sentì le piastrelle ghiacciate sui suoi piedi e le passò un brivido su per la schiena. Le scomode scarpe di plastica, che davano ad ogni paziente, dovevano averle perse da qualche parte, durante la corsa.
Si guardò attorno. Nella fretta di nascondersi, non aveva notato le evidenti pozze di sangue sul pavimento e sui lettini vuoti, solo adesso riusciva a scorgere l’indistinto mugugnio sofferente che proveniva da dietro le altre tende.
Mise una mano davanti al naso, quando l’odore del sangue marcio stava diventando insopportabile. Si accorse che quelle che parevano essere formiche o scarafaggi si raggrumavano ovunque, salivano sui muri o affogavano nel sangue scuro.
-Che schifo…- mormorò –Certo, di sopra non è granché, ma almeno puliscono…-
Si girò verso Connie –Dai andiamo, veloci. Dobbiamo riuscire a trovare gli altri e tornare di sopra…-
Connie non rispose. Aveva lo sguardo fisso avanti e la testa leggermente inclinata.
-Connie, non puoi entrarmi in trans adesso! Non mi frega se hai un episodio, adesso dobbiamo scappare, reprimi tutto e andiamo!- Disse cercando di non alzare troppo la voce.
 Le parve strano però che il suo amico fosse perfettamente immobile, apparte la testa che ciondolava leggermente secondo il ritmo del suo respiro, le sue dita e le sue labbra non si muovevano. Non stava affatto avendo uno dei suoi soliti episodi.
-Connie…- gli scosse la spalla violentemente ma invano. Cominciò a spaventarsi.
–Connie!- gridò sentendo le lacrime cominciare a bagnarle gli occhi.
Sapeva che i medici l’avevano sentita, sapeva che si stavano avvicinando. Ciò che seguì quell’urlo fu per la ragazza molto confuso. Ricorda il disperato tentativo di caricarsi il suo amico in spalla e poi un forte dolore al braccio, il pavimento contro la sua faccia, e le lacrime che scendevano sul suo viso.
-Connie, dove sei?-

Fine III capitolo



 

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Capitolo 4
*** Three days ***


4. Three days

Martedì sera
Aveva gli occhi fissi nel nulla.

Uno sguardo tanto inespressivo da risultare inquietante. Come un manichino, vuoto, senza un’anima.
Levi era raggelante, i suoi occhi non erano socchiusi in quel suo solito sguardo severo e freddo, ma erano aperti, eppure vuoti. Quasi spaventati, o forse no… solamente vuoti.
La sottile linea della sua bocca, non componeva parole da ore. Certo era abituato a non parlare molto, ma non riusciva, o meglio, non aveva voglia nemmeno di rispondere alle veloci e strazianti domande degli psichiatri. Parlare sarebbe stato troppo difficile.

Immobile. Silenzioso. Un corpo vuoto, sembrava così innocuo…
Eppure era legato ad un lettino d’ospedale, imbottito di antipsicotici. Pericoloso.

Mosse leggermente la testa verso sinistra. Qualcuno era entrato, si era avvicinato.

Non la vedeva bene, ma la figura era in piedi accanto a lui, un infermiera probabilmente. Percepì la sua mano avvicinarsi al suo corpo. Un brivido gli scosse il braccio, che fosse un’altra iniezione di farmaci? Levi non sopportava quella roba iniettata nelle sue vene, gli faceva male.
Sentì qualcosa carezzargli la mano. La figura l'aveva presa tra le sue mani e la stringeva dolcemente. Gli parve insolito.

E gli parve ancora più insolito sentire che la cinghia che gli stringeva il polso alla sbarra del lettino si stesse allentando.
 Dopo alcuni secondi anche l’altro polso era libero. Si alzò col busto, un riflesso incondizionato, e si sporse in avanti.
La sua mano, che era inevitabilmente già pronta a graffiare o ferire qualcuno, a stringere e infilzare con le unghie la pelle di qualche inflessibile infermiera, si fermò a mezz’aria.
Perché la figura che lo stringeva tra le braccia non era più un indefinito sconosciuto.
Sapeva che era lei, lo percepiva dall’odore, dalla voce che gli sussurrava che andava tutto bene, dall’azione sconsiderata, preoccupata e dannatamente dolce che aveva appena compiuto. Era da lei.
Zoe lo stava abbracciando. E lui non si stava ribellando o dimenando, solo… appoggiò la testa sulla sua spalla e chiuse gli occhi.

Sentì gli infermieri portarla via, si sentì spingere di nuovo contro il materasso bianco, sentì ancora l’ago perforargli la pelle mentre lo sedavano.

E tornò di nuovo a fissare le piastrelle sporche del soffitto.


Domenica - 2 giorni prima

Christa inclinò la testa di lato, studiando curiosa le espressioni di Zoe e Levi che la fissavano sconvolti.
-Sei per caso…Ymir?- chiese piano Zoe.
-Mmh, a quanto pare…- sorrise assottigliando gli occhi dorati.
-Okay…Ymir- parlò piano Zoe –tu sai come si esce da qui?-
-Mmh- Ymir fece qualche passo indietro, e intimò a Zoe e Levi di seguirla. Zoe si voltò un ultima volta a fissare la donna dietro il vetro, che aveva chiuso gli occhi da qualche minuto ormai, e seguì la ragazza fuori.
-Almeno voi state bene…chissà se gli altri due se la sono cavata alla fine…- sussurrò Ymir assorta.
-Cosa? Che è successo a Sasha e Connie?- chiese Zoe allarmata, mentre proseguivano per un corridoio deserto.
-Connie stamattina ha fatto con Sannes, sai? Proprio prima di te.- Spiegò Ymir.
Zoe la osservò confusa e l’altra ragazza continuò –Forse è quello che gli ha fatto stamattina che lo ha fatto svenire…-
-Ymir, che stai dicendo?-
-Connie è svenuto?- intervenne Levi, serio.
Ymir alzò le spalle –Così pare…- Svoltarono l’angolo, il corridoio era bianco, a sinistra c’erano alcune sedie a rotelle e barelle, a destra le stanze blindate dei pazienti. Alcuni ridevano, altri gridavano. Zoe prese a tremare leggermente. L’aria era fredda, i loro passi rimbombavano lungo il corridoio, accompagnati dal debole ronzio delle luci al neon.
-Adesso dove sono Sasha e Connie?- chiese Zoe
-Ah… credo li abbiano portati di sopra.- rispose Ymir, disinvolta –lo spero per loro… se sono ancora giù non è un buon segno.-
Levi continuava a rimanere in silenzio, intanto che Zoe domandava a Ymir cosa sapeva. Mentre camminava allungò il braccio e fece scorrere le dita lungo il muro, sfiorandolo appena, sovrappensiero. La vernice era a tratti graffiata, e ritrasse la mano immediatamente quando si accorse di ciò che pareva essere sangue scivolare tra le crepe.
Mentre procedeva li vide apparire sempre più frequentemente, strisciate di sangue o graffi nel muro che formavano parole.

DOLORE.
 
Avvertì il pianto di una donna, così lontana da essere quasi inudibile. Eppure Levi sentì ugualmente quella voce che si alzava, quel pianto che diveniva straziante, mentre tra i singhiozzi la donna chiedeva di essere lasciata in pace.
–Non voglio!- gridava, e Levi trovò un infinità di quelle parole incise nel muro.
 
NON VOGLIO.
 
Era scritto ovunque. Le persone erano state private di ogni libertà, il loro corpo e la loro mente erano nelle mani dei medici, i quali potevano farci assolutamente quello che volevano.
I tre ragazzi si ritrovarono di fronte ad un bivio: corridoio di destra o corridoio di sinistra.
Levi scorse subito la parola incisa nel mezzo del muro di fronte a sé.

BASTA.
 
La scritta era isolata dalle altre e ripetuta una sola volta.
Levi volse lo sguardo ad entrambi i corridoi e sussultò non appena vide ciò che pareva essere il corpo di un uomo accasciato sotto una finestra col vetro frantumato, a sinistra. L’uomo aveva dei cocci di vetro fra le mani e sul collo una profonda ferita, dal quale era fuoriuscita una copiosa perdita di sangue, che gli aveva imbrattato il petto e si spandeva a terra. Il moro distolse lo sguardo e seguì le due ragazze lungo il corridoio di destra.
Basta.
Una scritta. Destra o sinistra.
Si può fare questo genere di scelta una volta sola.
Levi guardò dritto avanti a sé, decidendo di non dare più importanza ad alcuna scritta. Continuò dunque a camminare incurante dei graffi sui muri che mille volte formavano la stessa parola.
 
MORTE.
 
Eppure, per quanto si sforzasse di non farlo, Levi ritornò di nuovo sovrappensiero.
-Non spaventarti.- Levi sussultò. Girò leggermente la testa, incontrando lo sguardo di Ymir. –Su ci trattano relativamente bene, facciamo le terapie e quando i disturbi mentali se ne vanno, noi torniamo a casa. Qui sotto, è tutto più complicato. Non sai mai cosa può passare per la testa di un pazzo. E qui…- Ymir si fermò e Zoe riconobbe un dei corridoi che avevano percorso all'inizio. Dovevano essere vicino alle scale. –Tutto diventa infinitamente ingiusto e crudele. E strano. E imprevedibile.- Ymir inclinò la testa di nuovo e osservò Levi e Zoe uno alla volta. –Anche voi siete strani.- osservò.
-Tsk.- Levi sbuffò scocciato, superando Ymir e continuando a camminare verso le scale, seguito subito dopo da Zoe.
Dopo un po’ si girò, guardando Zoe –Tu e le tue stupide idee, non avrei dovuto seguire voi mocciosi qui sotto…- sbottò. Il suo tono tuttavia non era arrabbiato, così Zoe ribattè.
-Se non fosse per me in questo momento saremmo nelle nostre stanze ad annoiarci a morte.- borbottò, incrociando le braccia.
-Avrei potuto finire il mio libro…-
Zoe gli tirò un pizzicotto sul braccio, trattenendo un sorriso. –Quanto sei noioso…-
Levi sbuffò leggermente, poi però le sue labbra s’incurvarono leggermente, in quello che poteva quasi essere un sorriso. Zoe non diede a vedere di essere inevitabilmente arrossita e continuò a camminare come se niente fosse.
 
 
o°o°o

Lunedì

Sasha strinse le gambe al petto, mentre stava accovacciata su uno dei vecchi divanetti della sala comune. Aveva lo sguardo avvilito e non spiccava parola da quando Levi e Zoe l’avevano trovata mentre piangeva accasciata davanti alla stanza di Connie.


Due ore prima Sasha si era svegliata nel suo letto, con un enorme vuoto nella sua mente. I ricordi ricomparivano pian piano e attese pazientemente, fino a quando non si alzò di scatto e corse a perdifiato fino all’ala maschile. Spalancò la porta, e vide Connie seduto per terra contro la parete. I suoi occhi erano aperti, ma era completamente immobile, tanto che Sasha si precipitò addosso a lui e accostò il suo orecchio al petto. Il cuore batteva. Lui era vivo.
-Connie! Grazie al cielo!- gridò commossa, singhiozzando. -Per un attimo ho pensato che ti avessero ammazzato o chissà cosa!-
La ragazza abbracciò forte l'amico, ma benché il suo corpo fosse caldo e il suo petto si alzasse e abbassasse regolarmente per il respiro, Connie sembrava essere effettivamente un morto.
-Connie... non fare lo stupido, abbracciami...-
La testa di Connie s'inclinò leggermente, come fosse un peso morto.
-Almeno guardami.-mormorò Sasha cominciando a spaventarsi.
Connie alzò lentamente il volto, quasi a scatti, e guardò Sasha, come gli era stato chiesto.
I grandi occhi vacui dell’amico non sembravano guardarla realmente, la inquietavano soltanto.
Un singhiozzo le sfuggi dalle labbra. La paura prese improvvisamente possesso di lei e le lacrime cominciarono minacciare di uscire. Lei le ricacciò indietro, tirando su col naso.
-Si può sapere che ti prende?- prese l'amico per le spalle e lo scosse violentemente. La sua voce si era incrinata, era consapevole delle lacrime che avrebbero presto preso a scorrere sulle guance.
-Che ti hanno fatto...-mormorò appoggiando la fronte a quella di Connie e guardando nei suoi occhi assenti, vuoti. Non erano affatto gli occhi del ragazzino che l’aiutava ad affrontare la noia facendo scherzi alle infermiere o andando a rubare il cibo dalla dispensa con lei. Connie era sempre stato  vivace, spesso lui e Sasha bisticciavano, ma subito dopo combinavano qualche casino insieme solo per far sbraitare le infermiere e passavano intere giornate a ridere insieme. Sapevano che probabilmente non sarebbero mai guariti dal loro disturbo mentale l'uno senza l'altra.

Un' infermiera aveva portato via Connie per delle analisi sul suo stato poco dopo. Sasha era rimasta fuori dalla sua camera a cercare di reprimere le lacrime, fino a quando Zoe non le si era avvicinata e l'aveva incitata ad alzarsi e a stare un po' con lei e Levi.


Da bambina Sasha era stata abituata alla solitudine, passava molto tempo con suo papà da soli nel bosco vicino alla sua casa. Per lei non era mai stato un problema. Ma l’improvvisa mancanza del suo migliore amico le aveva provocato un doloroso senso di vuoto. La solitudine era diventata qualcosa di terribilmente spaventoso e l’idea di restare completamente sola la fece sentire fragile, persa. Si asciugò in fretta le lacrime con la manica della camicia e chiese a Zoe se potevano andare un po' nella saletta comune. Lei le sembrava una persona così affidabile e sentì l’improvviso bisogno di stare con tutti i suoi compagni.


Appena fuori dalla finestra, c'era un enorme abete, che filtrava i raggi del sole e faceva ombra nella saletta. Zoe e Sasha si erano sedute sul divanetto, mentre Levi faceva scorrere lo sguardo sull'enorme libreria nell'angolo. Dopo pranzo si erano aggiunti anche Armin e Eren e avevano giocato a carte e chiacchierato per un paio d'ore.
Sasha improvvisamente si scosse.
-Sapete cosa, io vado a vedere di Connie! Voglio sapere che gli è successo e mollare un pugno in faccia a quello psichiatra del cavolo che gli ha fatto questo!-
Disse aggrottando le sopraciglia. Si alzò in piedi e si avviò verso la porta.
-Auguri.- mormorò Levi disinteressato.
-Connie era il mio migliore amico! Al diavolo, vado a_-
La porta si aprì, prima che lei sfiorasse il pomello.
Zoe riconobbe subito l'infermiera che apparve sull'uscio. Era la stessa che l'aveva accompagnata il primo giorno. L'infermiera guardò la ragazza che aveva di fronte per un istante. -Sasha Braus mi sembra sia tu, hai una visita con Sannes, andiamo.-
Sasha si lasciò sfuggire un gridolino dalle labbra.
-Ripensandoci... potrei restare qui buona buona...- mormorò tra sé e sé fissando la donna che aveva davanti. La ragazza inizialmente si dimenò alla presa dell'infermiera, che pareva essere almeno il doppio più forte di lei.
Quando però l'infermiera minacciò di sedarla, Sasha apparentemente si calmò, cominciando a cercare freneticamente un modo di fuggire
 
o°o°o


Martedì mattina


Levi trovava lo studio del dottor Erwin Smith piuttosto bello. Aveva le pareti verde pastello, i mobili in legno d’ebano non avevano un filo di polvere, la grande vetrata che dava sul cortile illuminava la stanza e tra i libri, riposti ordinatamente sugli scaffali scuri, s’intravvedevano delle foto, probabilmente del dottore con sua moglie.
Il corridoio del primo piano era in genere molto tranquillo, vi erano solo gli studi degli psicologi e non succedeva quasi mai niente.
Levi sedette sul divanetto in pelle nero, accavallando le gambe e appoggiando un braccio sullo schienale. Il suo sguardo annoiato si soffermò sullo psicologo, seduto dietro alla scrivania. Era un uomo tranquillo lui, a differenza di tutti gli altri medici con cui aveva avuto a che fare, i suoi modi erano gentili e per niente bruschi. O almeno era quello che poteva vedere all'apparenza; Levi non si fidava mai delle apparenze, perciò avrebbe valutato bene cosa dirgli e cosa tenergli nascosto.
-Buongiorno Levi.- Salutò cordialmente il dottor Smith, dopo aver messo da parte il computer portatile sul quale stava annotando i seguenti impegni. -Sono il dottor Smith.-
-Lo so.- rispose Levi indifferente.
Lo psicologo sorrise -Allora, come ti senti oggi, Levi?-
-Non c'è male.- disse assottigliando gli occhi -E tu come ti senti, Erwin?-
Lo psicologo rimase leggermente confuso dalla domanda e dal fatto che un paziente gli stesse dando del tu. Gli parve fuori luogo.
-Bhe, grazie per l'interessamento, ma non siamo qui per parlare di me. Siamo qui per i tuoi disturbi.- gli rispose tranquillamente. –Dunque_-
-Voi psicologi sembrate sempre così rilassati...- mormorò -così...contenti?-
Levi sembrava star parlando da solo.
-Levi, ti pregherei di_-
-Sembra quasi che ignoriate cosa vi succeda attorno... Certo voi vi limitate a fare domande e a diagnosticare la malattia che ci intasa il cervello... e vi pagano per questo dopotutto.-
Lo psichiatra non sembrò innervosirsi dalle parole dell'altro, era probabilmente abituato a comportamenti fuori luogo da parte dei suoi pazienti. Si limitò dunque ad ascoltare quelle parole e a studiare il paziente. Lo analizzava.
-Ma penso che tu sappia cosa viene fatto ai pazienti, per guarirli.- disse Levi.
-Si, lo so- Rispose l’altro calmo.
-Lo sai che cosa viene fatto... a quelli come noi.- continuò il moro alzandosi.
-Lo so, Levi- ripeté l’altro, mente il moro si avvicinava alla finestra e prendeva ad osservare fuori, assorto. -Ma, come hai detto tu, è per guarirvi.- aggiunse lo psicologo.
-Ah.- Levi non si voltò, ma guardò Erwin con la coda dell'occhio. -Sannes ci sta guarendo quindi.- disse.
Erwin lo fissò per alcuni secondi.
-Giusto, sei uno dei pazienti di Sannes...- il suo sguardo si incupì. Prese la cartella clinica di Levi e la sfogliò rapidamente -Capisco.-
Allo psicologo tornarono alla mente le parole dell'infermiera con cui aveva parlato quella mattina, “ognuno dei pazienti di Sannes reagisce in modo diverso all'esperimento”. Poteva essere un problema.
-Ho visto i pazienti che tenete al piano di sotto, sai? Ho visto come vengono privati di qualsiasi libertà e dignità. Alcuni gridano e si dimenano; altri subiscono e basta, sembrano morti. Connie sembra morto.- Affermò il moro dopo un attimo di silenzio. -Se glielo chiedi lui si alza, mangia, dorme, si sveglia... Ma tutto ciò che lo rendeva Connie sembra essere sparito.- Spiegò.
Erwin cominciava ad innervosirsi, ma non lo diede a vedere.
-Sasha, quando ieri è tornata in camera sua dopo l’esperimento, era pallida come un cadavere, sembrava sull'orlo di una crisi isterica, Zoe ha perso conoscenza per più di un'ora e quando si è svegliata mi ha raccontato il dolore che aveva subito. E io… ho sentito qualcosa di strano nel mio cervello dopo l’esperimento, poche ore fa . E’ stata una sensazione strana, spaventosa. Qualcosa è cambiato in me, qualcosa è sparito dal mio cervello…-
Il moro si voltò. C'era inevitabilmente qualcosa che non andava, qualcosa nel suo volto e nella sua espressione che era al di fuori del normale.
Era la prima volta che il dottor Smith aveva in cura quel paziente, ma lo aveva già visto spesso in giro per l'ospedale. Era stato chiamato a volte per dei consulti e aveva avuto modo di osservare il carattere complicato di Levi.
Ma la persona avanti a lui, che in quel momento sembrava star per avvicinarsi, non era il paziente di prima.
C'era qualcosa di strano.
Nei suoi occhi, che aveva sempre visto così sottili e taglienti, ora erano aperti, e lo scrutavano nel profondo. La linea della sua bocca si era incurvata leggermente, evidentemente provava piacere nel dimostrare che aveva compreso qualcosa di cui non doveva venire a conoscenza.
-Ci state uccidendo?- chiese a voce bassa, ma le parole sussurrate rimbombarono nelle orecchie dello psicologo.
Erwin premette il pulsante sotto la sua scrivania silenziosamente e mantenendo un'espressione neutra.
-Levi, è molto importante per me che tu ti sieda.- disse lentamente.
-Lei sa qualcosa dottor Smith? Sa che cosa ci stanno facendo?-
-Ti pregerei di non dimenarti o cercare di sottrarti in alcun modo agli infermieri, Le_- Una mano alla gola interruppe bruscamente la sua frase. Un verso soffocato uscì dalle labbra di Erwin, colto alla sprovvista. Appena Levi gli fu addosso il dottor Smith vide i suoi occhi chiari sparire sotto la palpebra superiore. Nonostante la sua stazza, il dottor Smith dedusse che il paziente fosse estremamente più forte di lui. Quel ragazzo era dotato di una forza sovraumana.
Il dottore, con la schiena schiacciata contro lo schienale della sua sedia, cercava di tenere lontano il paziente.
Levi non capiva bene quello che stava facendo, era come se il suo corpo agisse da solo. Eppure una parte di lui godeva immensamente nel premere le sue unghie sulla pelle di uno dei dottori, per il semplice fatto che loro fossero sempre intoccabili, potenti e che nessuno potesse ferirli. Ma lui lo stava facendo, perché era forte.
Lo avrebbe ucciso, pensava.
Due uomini vestiti di bianco gli bloccarono le braccia dietro la schiena e mentre ancora gridava, fuori di sé, fu trascinato fuori dalla stanza.
Erwin fu soccorso immediatamente, ma scansò malamente la mano dell’infermiera china su di lui.
-Sto bene…- disse debolmente dopo alcuni secondi, aspettando che il suo respiro tornasse normale. Si allontanò dalle infermiere tossendo violentemente. Si tastò la gola, mentre si avvicinava alla finestra che rifletteva leggermente la sua figura, notando le chiazze scure sulla sua pelle.
-Sono delle bestie.- commentò.
 
Levi si stava dimenando, cercando di sottrarsi alle strette ferree degli infermieri.
Dopo non molto, cominciò a girargli la testa e non riuscì più a fare resistenza. Smise di pensare. Ogni cosa che vedeva accadere intorno  a lui, veniva subito dimenticata. Cominciava a vedere sfocato, i colori che gli passavano davanti non avevano più una forma definita. Tutto scorreva troppo velocemente davanti ai suoi occhi, non riusciva a capire. Non aveva più controllo sul suo corpo.
Sentì qualcosa di vagamente morbido sulla schiena, doveva essersi steso su qualcosa.
La vista si offuscava sempre di più.
C’erano delle macchie rosa, sopra di lui. Forse dei volti.
Sentiva un lieve brusio di sottofondo, troppo confuso per capire cosa fosse. Poi tutto divenne silenzioso.
Anche le macchie di colori sparirono e tutto era diventato bianco.
Non si muoveva, Levi. Non dormiva neanche, era sveglio.
E con occhi aperti e vuoti fissava il nulla.
 
Fine IV capitolo
 

Buon pomeriggio a tutti!
Per questo capitolo ho voluto fare un esperimento, diciamo. Potrei aver fatto un casino con il tempo della storia, in caso vi spiego: ho voluto mettere l’ultima scena (cronologicamente) all’inizio del capitolo e dopo di che ho fatto il flashback in cui ho raccontato dei giorni precedenti. A mio parere, la storia si presentava meglio in questo modo, ma se non si capisce niente, posso modificare.
Detto questo, volevo dirvi che ho già iniziato il quinto capitolo e ho in mente un sacco di cose ^^
Si può dire che con questo capitolo si conclude la prima parte della storia, dal prossimo qualcosa cambierà…
Al prossimo capitolo ^^

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Capitolo 5
*** Blood among tiles ***


5. Blood among tiles

Levi aveva sempre apprezzato il silenzio.
Non amava i posti affollati e troppo rumorosi, preferiva la quiete, un posto silenzioso in cui poter leggere o anche solo rilassarsi.
Eppure, il silenzio in cui era immerso da giorni era straziante, fastidioso.
Noioso.
Non poteva fare niente, era legato ad un lettino d’ospedale, costantemente sveglio. Poteva solo respirare. Sentire l’aria entrare e poi uscire, non aveva davvero nient’altro.
Quello che vedeva erano solo pareti bianche, tutto ciò che poteva sentire era l’odore del disinfettante. Il resto era silenzio.
Dopo che aveva aggredito il suo psicologo, Levi era stato portato lì a tempo indeterminato; nemmeno lui sapeva dove fosse. Non sapeva cosa gli veniva fatto, ne se sarebbe mai finita quella specie di tortura.
La sua stanza era molto piccola, in mezzo c’era il suo lettino in ferro e nient’altro, fatta eccezione per la sedia posta lì accanto. Cinque minuti al giorno, su quella sedia veniva a sedersi Zoe e parlava con lui. Levi non rispondeva quasi mai, si limitava spesso a fissarla. Zoe parlava di molte cose, gli riferiva cosa succedeva durante il giorno assieme ai loro amici, e una volta era arrossita dicendole che di notte si sentiva sola senza di lui.
Ogni volta che lei entrava in quella stanza, Levi non le staccava mai gli occhi di dosso. Il suo continuo chiacchiericcio era probabilmente l’unica cosa che lo teneva incollato alla realtà, altrimenti sarebbe caduto nel vuoto più totale, avrebbe smesso di pensare, il silenzio avrebbe ingoiato la sua anima e lui probabilmente sarebbe morto.
Senza che se ne accorgesse Zoe era diventata un pensiero fisso, pensava a lei quando non c’era, quando c’era solo il silenzio.
Improvvisamente il silenzio era diventato qualcosa di insopportabile per lui, e tutto ciò che desiderava era sentire un qualsiasi rumore, anche il rumore più assordante. Avrebbe dato qualsiasi cosa per sentire ogni minuto di quell’agonia la voce di Zoe chiacchierare incessantemente come faceva sempre.
Ma la capo infermiera concedeva alla sua compagna di stanza solamente cinque minuti al giorno per fargli visita.
Il quinto giorno di reclusione in quella stanza, Zoe era venuta da lui verso il tardo pomeriggio.
Si era seduta accanto a Levi e si sporta verso di lui.
-Le giornate si stanno accorciando velocemente.- esordì lei con un sorriso triste –è già buio fuori.-
Le sue dita, che sfioravano il bordo del lettino, scivolarono lentamente lungo il lenzuolo, fino ad incontrare la mano di Levi. Zoe ne accarezzò il dorso delicatamente, come faceva spesso per dargli conforto.
–Eren dice che arriverà presto la neve, anche se secondo me è troppo presto. Ma sai com’è fatto Eren, è così testardo… Dice che qui fa così freddo d’inverno che comincia a nevicare molto presto.- Zoe sussultò quando sentì la mano di Levi stringere la sua. Era strano, perché in genere Levi non si muoveva mai, si limitava a fissarla appunto.
Eppure le dita sottili e fredde di Levi scivolarono su quelle di Zoe.
-Mi piacerebbe vedere la neve.- mormorò lui, con voce roca.
Zoe fece un largo sorriso, contenta di risentire finalmente la sua voce.
-Anche a me, dove vivevo io non nevicava quasi mai.- disse piano Zoe –la vedremo insieme, quando uscirai di qui.-
Levi tirò leggermente le labbra in un lieve sorriso.
-Guarda che sorridere un po’ di più non ti fa certo male, sai?- borbottò lei.
-Accontentati, quattrocchi.- sbuffò l'altro.
Rimasero in silenzio per qualche secondo, poi Zoe abbassò lo sguardo verso le loro mani congiunte e arrossì. Levi se ne accorse e il suo sorriso divenne un ghigno, mentre i suoi occhi la guardavano divertiti. –Non ti sarai mica innamorata di me, quattrocchi?-
Zoe arrossì ancora di più e i suoi occhi si spalancarono.
–Cosa? Certo che no!- ribatté. –Come potrei mai innamorarmi di un nanetto irritante e maniaco delle pulizie come te!- disse trattenendo un sorriso divertito.
Sentendosi improvvisamente meno intimorita dallo sguardo tagliente di Levi, Zoe alzò lo sguardo e lo guardò negli occhi.
-Sicuro di non essere tu, quello innamorato di me?- chiese con sfacciataggine.
-Non potrei mai!- rispose subito Levi –Non potrei mai innamorarmi di un’imbranata mezza pazza come te.-
-Già, hai proprio ragione…- mormorò Zoe, nonostante si avvicinò un po’ più al viso del moro, mordendosi il labbro nervosamente. Levi continuava ad osservarla silenzioso, Zoe però non sembrava volersi avvicinare ulteriormente e il rossore sulle sue guance divenne più evidente. Levi si sporse leggermente, staccando la schiena dal cuscino. Lei era tornata a guardare verso il basso, non riuscendo più a sostenere lo sguardo dell’altro.

Levi allora, tirò la mano che teneva tra le dita verso di sè. Zoe prese coraggio e con l’altra mano sfiorò la guancia di Levi, accarezzandola, per poi farla scivolare tra i suoi capelli neri. Il moro sentiva il respiro veloce di Zoe sulle sue labbra, ormai a pochi centimetri di distanza, e un lieve sorriso si fece di nuovo strada sul suo volto; inclinò la testa e annullò la distanza tra loro, premendo le sue labbra su quelle di Zoe.
Le labbra di Levi erano morbide, pensò Zoe. Era una sensazione strana, ma estremamente piacevole, e del tutto nuova per la castana che non aveva mai baciato nessuno in vita sua. Tremò un po', insicura.
Levi sembrò accorgersene e si staccò leggermente –Slegami i polsi.- sussurrò a fior di labbra.
Zoe, con le mani tremanti, fece come richiesto. Appena ebbe le braccia libere, Levi prese il volto di Zoe tra le mani e la baciò di nuovo, con passione. Zoe si rilassò tra le sue braccia e ricambiò il bacio. Gemette piano nella sua bocca, mentre lui prese ad accarezzarle un fianco.
Poco dopo Zoe si staccò dal bacio e appoggiò la fronte contro quella del moro.
-Io devo… devo...- Zoe cercava di riprendere fiato, le sue guance erano caldissime e rosse e tremava leggermente. Levi la strinse a sè e le baciò una guancia.
-Torna domani.- sussurrò.
-Okay.- Rispose semplicemente. Tornò a legargli i polsi, frettolosamente, così che gli infermieri pensassero che non fosse successo niente.
Levi tornò a sdraiarsi sul lettino e guardò Zoe uscire dalla stanza. Fortunatamente per lui, il silenzio che seguì, fu riempito dai mille pensieri che si formarono sua nella testa. Sorrise guardando il soffitto, e risentì nella sua testa i leggeri gemiti di Zoe, le sue mani calde sulla sua pelle, le sue labbra…
Si addormentò sereno, e dormì profondamente per ore, come non faceva da giorni.

 

o°o°o



Armin s'incamminò lungo il corridoio, seguito da Eren e due infermiere.
Il percorso per arrivare all'ambulatorio era estremamente lungo, trovandosi esattamente nell'ala opposta dell'istituto psichiatrico. In quel punto dell'edificio però, Armin constatò a malincuore che non c'erano finestre e non si sarebbe potuto distrarre osservando il fresco paesaggio di montagna. Per evitare di pensare a quello che sarebbe successo di lì a poco, cercò una qualsiasi cosa con cui avrebbe potuto distrarsi.
Prese improvvisamente a fissare le piastrelle lucide delle pareti, a tratti sgretolate e finite accatastate per terra. Si chiese come ci fossero finite, lì su pavimento; qualche paziente dalla disperazione si era aggrappato ad esse mentre lo portavano in ambulatorio? L'immagine di un uomo disperato che si aggrappava con te unghie a alle piastrelle mentre si dimenava, che sgretolava con le sue mani il muro nel tentativo di sfuggire agli infermieri, si insinuò nella sua testa e lo fece rabbrividire.
La sua mente allora decise di fargli uno scherzo, un'allucinazione, come spesso accadeva. Armin giurò di aver visto del sangue tra una fessura e l'altra delle piastrelle.

Si, c'era del rosso in mezzo a quel bianco lucido.
Non è vero si disse Armin. Io non l'ho visto.
Non l'ho visto. Si ripetè.
-Da qui in poi puoi lasciarci Eren.- la voce dell'infermiera lo risvegliò dalle sue deliranti paranoie.
-No, io resto con Armin.- Rispose irremovibile.
L'infermiera sospirò sembrando quasi esasperata -Non c'è alcun bisogno che tu_-
-Volete che perda la testa e inizi a delirare? Benissimo, tanto se inizia a dimenarsi e gridare a voi basta sedarlo, no?- Eren alzò la voce, cominciando ad irritarsi. Odiava l'indifferenza che aveva il personale del manicomio nei confronti del suo amico.
-Eren...- ad Armin bastava sussurrare il suo nome, per calmarlo, almeno un po'.
Il moro sospirò -L'unica cosa che mi interessa, è che Armin sia sereno, e se ciò significa stare costantemente con lui per tranquillizzarlo, allora è quello che farò.- Disse ricominciando ad incamminarsi, precedendo le infermiere.
-E poi non mi fido di voi, preferisco tenervi d'occhio.- sussurrò poi, senza essere udito dalle altre.

Il viso del biondo era pallido in maniera anormale. Sembrava terrorizzato, non accennava alcun movimento.
Stava seduto sul lettino, mentre fissava i medici che armeggiavano con una strana apparecchiatura. Eren avrebbe giurato che di li a poco il biondo avrebbe rimesso. Il moro non gli aveva staccato gli occhi di dosso, voleva assolutamente evitare che perdesse la testa e facesse qualcosa di avventato. Però sapeva che l'ansia che Armin stava provando in quel momento non si sarebbe potuta placare in nessun modo.
Sannes gli si avvicinò e l'unica cosa che rincuorò momentaneamente il biondo fu che non aveva niente in mano.
-Stenditi- gli ordinò.
Armin fece come richiesto e cominciò a pregare che tutta quella situazione finisse presto.
Eren prese una sedia di plastica e si sedette accanto a lui, poggiando una mano sulla sua spalla. -Io sarò sempre qui, non andrò da nessuna parte.- Disse a voce abbastanza alta, in modo da farsi udire anche dai medici, implicando che era irremovibile.
Sannes lo guardò storto, ma teoricamente il moro non lo stava intralciando quindi lo lasciò fare. Inoltre era la prima volta che vedeva il biondo così calmo.
-Mentre gli infermieri gli sistemavano il macchinario sopra la testa di Armin, Sannes si avvicinò ad Eren con quelle che parevano essere due piastre, con una forma leggermente insolita.
-Ti ho concesso di stare qui- affermò -ma se fossi in te, io non toccherei il tuo amico mentre uso queste.-

 

o°o°o


Zoe emise un altro verso schifato.
Levi si allungò, per quando gli fosse concesso, e cercò di capire cosa la sua compagna avesse tanto da guardare fuori dalla sua stanza.
-Si può sapere che stai guardando?-
Zoe, appoggiata contro l'uscio della porta, si scosse leggermente e si girò a guardarlo.
-Nulla, una paziente ha tentato di scappare, e l'hanno picchiata e sedata- rispose, con un velo di tristezza sul suo viso.
Dopo neanche due minuti sentirono un gridò provenire da una delle stanze vicino. La voce scongiurava di essere lasciata in pace, e in preda a chissà quale crisi isterica continuava a gridare mentre si allontanava. Dopo pochi attimi la voce era sparita, ma Levi notò subito che Zoe si era irrigidita.
-Ti hanno detto quando potrò uscire di qui?- chiese Levi, cercando di cambiare discorso.
-Fra poco hanno detto i medici- rispose, dopo essersi tranquillizzata di nuovo -hanno notato che adesso sei decisamente più stabile. E poi dopo tutta quella roba che ti hanno iniettato non credo che aggredirai un altro medico molto presto.-
Levi sospirò sollevato.

-Ha già iniziato a nevicare?- Chiese poco dopo.
Zoe sorrise -No, ma non manca molto. La temperatura è praticamente sotto zero fuori.-
-Bene, la prima cosa che faremo appena uscirò di qui sarà buttarci in un cumulo di neve.- disse Levi fissando il soffitto.
-Si, così moriremo congelati.- ridacchiò Zoe.
-Ne sarà valsa la pena.-
oe fu grata di vedere Levi così di buon umore.
-Allora promesso, appena uscirai di qui, andremo fuori a morire di freddo.-
-Bene. Non sopporto più questo posto, è cosi dannatamente sporco e... Zoe, perchè mi stai fissando in quel modo?-
-In che modo?
-Sembra che tu abbia appena visto Dio.-
Zoe scoppiò a ridere. -Scusa, è che sei così carino, credo proprio di essermi presa una bella cotta per te!.-
-Ho cambiato idea, la prima cosa che farò sarà prenderti a calci.-
La castana rise più forte. -Ma dai! Non ti sarai mica imbarazzato! Sei proprio carino.-
-Stupida quattrocchi...-

Zoe placò le sue risate e sospirò lievemente. -Hai ragione, questo posto fa proprio schifo.-

 

 

o°o°o

 

alcuni giorni dopo

 

 

-Grandina...- Notò Zoe alzando lo sguardo dal suo album da disegno e guardando fuori dalla finestra.

Nonostante fossero appena le sei del pomeriggio, fuori era già buio; le nuvole non lasciavano passare neanche un raggio di sole. A squarciare l'oscurità c'erano solo i pezzetti di ghiaccio che cadevano dal cielo, scontrandosi minacciosamente contro la finestra.

-Ma non mi avevi promesso che avrebbe nevicato?- chiese Levi alzando un sopracciglio.

-Io non ti avevo promesso proprio niente.- mormorò Zoe, prendendo il pennello e schiacciandolo distrattamente nella pastiglia del blu oltremare.

-Con questo tempo non si può proprio uscire...- disse dispiaciuta, mentre tracciava una spessa linea di colore.

Levi era tornato alla loro camera qualche ora prima. Aveva letto un po', ma poi si era distratto cominciando invece a guardare Zoe disegnare.

Aveva smesso da tempo di chiedersi come Zoe facesse a lavorare in mezzo a quel casino che era diventata la scrivania.'

E oltre tutto era seduta in maniera assolutamente scomposta, e se non si fosse sentito improvvisamente così pigro sarebbe andato lì a tirarle uno schiaffo dietro alla nuca e a rimettere un po' di ordine in quel macello.

Ma appunto si sentiva stanco, quindi decise di appoggiare la schiena al muro e osservare invece la sua compagna.

 

Quando la grandine sembrò pian piano calmarsi, Levi sentì bussare alla porta e vide un' infermiera entrare nella loro stanza.

-Hanji Zoe?- chiese lei distrattamente, fissando la cartella che aveva in mano.

-Eh? Si sono io.- disse Zoe girandosi, poi però s'incupì all'improvviso -Che vuole? Oggi è domenica, non dovremmo avere nessuna visita.-

L'infermiera sbuffò -Non ha importanza, il dottor Sannes ha detto che ti vuole in ambulatorio tra mezz'ora, perciò vedi di darti una mossa.-

Zoe però non accennava a muoversi, scossa da un'ansia improvvisa. L'infermiera, che non sembrava avere una grande pazienza, incrociò le braccia al petto sospirò stancamente.

-Ascoltami bene, ragazzina. Qui le regole non le fai tu, perciò qualunque giorno sia oggi, tu adesso vieni con me.-

-Aspetti un attimo.- richiamò l'attenzione, Levi. -Perchè tanta fretta per questa cosa? Di che si tratta?-

-Non ne so molto- ammise l'infermiera -Da quello che ho capito, il dottore a bisogno di vedere i risultati ottenuti dalla terapia, per la sua ricerca.-

-Bene- Levi lanciò un'occhiata a Zoe, sembrava più pallida del solito. Doveva essersi spaventata dopo aver visto in che condizioni Armin era uscito dall'ambulatorio, alcuni giorni prima.

-Allora...- aggiunse poi -Non sarà un problema se mi offro io al posto di Zoe per questa cosa.- disse tranquillamente.

Zoe spalancò gli occhi, ma qualcosa la stava bloccando dal dire qualsiasi cosa.

-Credo non ci siano problemi.- rispose l'infermiera, leggermente sorpresa dalla proposta di Levi -Bhe, il dottore aveva detto uno dei suoi pazienti. Poi era uscito il nome di Hanji... senti, fai come ti pare. Seguimi.- fece, sbrigativa.

Lui si alzò dal letto, ma Zoe lo bloccò, sull'uscio della porta.

-Levi, aspetta! Non... non puoi_-

-Zoe.- Levi, senza mostrare alcuna espressione, la interruppe. -Si vede lontano un miglio che stai morendo di paura, quindi vado io. In fondo vogliono solo controllare gli effetti della terapia...-

Detto ciò si allontanò, seguendo l'infermiera, e alzò una mano in segno di saluto.

-Ci vediamo quando torno.-

Zoe rimase immobile.

-Ah. Okay... a dopo.- disse flebilmente.

Quando fu rimasta sola in camera, si chiese come mai avesse avuto tanta paura per una cosa del genere. Non era una persona che si tirava indietro, e di certo erano davvero poche le cose che riuscivano a spaventarla.

 

Perchè provo... così tanta paura?

 

 

L'infermiera non aveva spiccato parola per gran parte del tragitto, ma ad un certo punto ruppe il silenzio.

-Lo sai vero, che ciò che stai per subire non è una semplice_-

-Lo so. Sta zitta.- Sbottò Levi, lanciandole un'occhiata gelida.

L'infermiera rise, e Levi notò una nota di presa in giro nel suo tono. -Così ti sei proposto al posto di quella ragazza, eh? Ti piace non è così?- Chiese beffarda.

Levi infilò le mani in tasta e alzò le spalle.

-Sta zitta.-


Fine V capitolo

 

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Capitolo 6
*** Getaway ***


6. Getaway             

C'era umidità nell'aria.
L'acquazzone, che fino a poco prima si era scatenato sulla valle creando una spessa cortina di nebbia, si era finalmente acquietato ed ora piovigginava solamente.
Un leggero vento scuoteva ancora i pini e l'erba era completamente fradicia, Sasha però non sembrava curarsene e stava seduta per terra osservando i monti più lontani che si vedevano attraverso la recinzione.
Una sorta di malinconia la appesantiva, come un costante senso di malessere che non le lasciava via di scampo, che l'aveva costretta in quel limbo nella quale fissava punti a caso, senza realmente guardarli, e si ritrovava intrappolata nei suoi stessi pensieri, che poi divenivano paranoie, e poi paure. Non sentiva niente, benchè il vento soffiasse nelle sue orecchie e gli uccelli vociferassero in lontananza, non percepiva alcun suono, e certo ciò che vedeva era solo nero.

Non si accorse infatti della persona che stava arrivando dietro di lei, si scosse solo quando la figura chiamò il suo nome e lei dunque si voltò di scatto, quasi spaventata.
-Ah! Eren.- disse sorpresa appena vide il suo amico in piedi accanto a lei -che ci fai qui?-
Eren scosse le spalle -Niente, è che si sta bene in cortile.-disse, tirando poi fuori un pacchetto di sigarette ed un accendino dalla tasca del suo camice bianco -E poi qui si può fumare.- aggiunse.
-Dove diavolo le hai trovate quelle?- chiese Sasha spalancando gli occhi.
-Dalle infermiere- rispose il ragazzo come se fosse ovvio, porgendo il pacchetto all'altra.
Qualche tempo prima Sasha avrebbe rifiutato a priori, ma dopo un attimo di esitazione decise comunque di afferrare uno dei bastoncino arancioni. D'un tratto, sentì che la sua salute non avesse poi così importanza, e nonostante si fosse sempre imposta di non fumare, quei buoni propositi sembravano essere spariti. Fumare andava bene in quel momento, perchè era fare qualcosa, perchè non era pensare.
Eren le aveva acceso la sigaretta, e lei la portò un paio di volte alle labbra.
-E' la prima volta?- chiese Eren soffiando fuori dalle labbra una densa nuvola di fumo.
-Che fumo? Si, è la prima volta. E spero anche l'ultima sinceramente, non mi è mai piaciuta l'idea di fumare. -
-Fumerai ancora credimi.-
-Come fai a dirlo?- chiese la ragazza, sulla difensiva.
-Quando una persona di ritrova in quelle condizioni...- disse indicandola con un vago gesto della mano -l'unica cosa che si riesce a fare è autodistruggersi.- la sigaretta tornò di nuovo alle sue labbra -fumare non è male per questo, la morte è lenta certo, ma dolorosa solo alla fine.-
Sasha rimase in silenzio, non aveva idea di cosa Eren stesse dicendo. Lei stava davvero così male? Quel ragazzo aveva visto in lei un oscuro desiderio di morte?
Stava solo fumando, accidenti.
E prima... era semplicemente immersa nei suoi pensieri. Forse era lui ad avere qualcosa di strano.
-E tu vuoi morire Eren?-
Il ragazzo la guardò negli occhi -Dio, no! Io parlavo di te. Dico solo che se cadi in depressione fumare o comunque farti del male sarà inevitabile.-
Sasha lo guardò con indignazione -Io non voglio morire.- affermò con decisione.
Non stava male. Non così tanto.
-Bhe, buon per te.-
Lei rimase in silenzio per un po', quella conversazione era diventata alquanto strana.
-E' solo che... da un po' di tempo molte cose hanno perso significato, credo che non mi importi più di quello che mi succede, sono solo... stanca.-
Eren spostò lo sguardo da lei al paesaggio -Mmh, credo di aver capito.-
Sasha inspirò ancora una volta il fumo, liberandolo poi nell'aria soffiando leggermente.
Poi strizzò gli occhi -Cazzo.-
Il ragazzo si girò a guardarla -Che hai?-
La ragazza gettò a terra la sigaretta e la spense col piede -'Sta roba fa proprio schifo.-
Eren sbuffò una risata, e Sasha si alzò per andarsene, tentando invano di pulirsi i pantaloni.
Sospirò esasperata, e con andatura svogliata si diresse verso l'edificio.
-Sicura di star bene?-
-Certo.-
Così Sasha si allontanò mormorando un  “ho freddo, torno in camera.”

Eren aggrottò le sopracciglia.
Tutto gli era improvvisamente apparso un gran casino. Nulla era più a suo posto.
Sasha si comportava in modo strano. Era assente.
Sembrava così stanca, e lei era tipo ben più vivace.
Inoltre, l'altra cosa che Eren aveva notato, e quella che probabilmente lo spaventato di più, era che Sasha gli era parsa fin troppo  normale.
Durante la loro breve chiacchierata, Sasha non aveva mostrato il benchè minimo atteggiamento ossessivo compulsivo.


 
o°o°o


Benchè Zoe continuasse a guardarsi attorno non riusciva a trovare una risposta. Tutto le sembrava fin troppo strano, quell'aria che la circondava le faceva come intendere che qualcosa non andasse.
Per quanto si sforzasse non riusciva a ricordare dove fosse prima di trovarsi lì, non ricordava cosa stava facendo. La sua memoria sembrava essere scomparsa, lasciando un enorme vuoto nella sua testa.
L'unica informazione che aveva, era che il luogo dove si trovava era un bosco.
Anche se era certa di non esserci mai stata, quel posto aveva qualcosa di familiare.
Continuava a guardare attorno a sè, ma benchè tutto sembrasse giacere immobile e calmo, non riusciva a stare tranquilla.
Qualcosa le sfuggiva. I secondi parevano scivolare via troppo velocemente e lei aveva la sensazione di non avere più tempo.
-Zoe-
Il suo nome risuonò dietro di lei.
Si voltò, e si fronte a lei stava un uomo che riconobbe subito.
-Levi?- chiese confusa -cosa ci facciamo qui?-
-Scappiamo-
-Cosa?- Zoe sentì il terreno sotto ai suoi piedi tremare. Si sentì improvvisamente indifesa, poiché l'ignoto pareva circondarla.
-Zoe scappa- Levi si avvicinò.
-Levi, io non_-
-Scappa!-
Gridò. La voce di Levi le rimbombava nella testa, quell'urlo così forte la fece quasi piangere appena si svegliò di soprassalto, in preda ai tremiti.
Sentì una mano poggiarsi sulla sua spalle per darle conforto, e quando alzò lo sguardo incontro gli occhi grigi e freddi del suo compagno di stanza.
-Levi...- biascicò lei, ancora intontita dal sonno.
Il ragazzo la fece distendere di nuovo sotto le coperte. -Torna a dormire Zoe, sono le quattro del mattino.- disse lui a bassa voce.
Zoe stava per cadere nuovamente nel sonno, quando improvvisamente apparse nella sua testa il ricordo di Levi che lasciava la stanza dietro all'infermiera, mentre lei era rimasta da sola in camera. -Quando sei tornato? Cosa ti hanno fatto?- si sforzò di chiedere mentre il sonno tentava di trascinarla in un altro sogno.
Ma benchè tentasse di restare lucida si addormentò di nuovo e udì solamente Levi che le diceva di dormire e che non gli avevano fatto niente.

 
o°o°o


Da quando Armin era tornato dall'ultimo esperimento, Eren non faceva che fissarlo ogni volta che erano assieme.
-Eren, ti ho detto che sto bene.- disse lui per l'ennesima volta quel giorno.
-Mmh.- rispose lui senza comunque distogliere lo sguardo.
Armin sospirò chiudendo il suo libro e andandosi a sedere sul letto accanto al moro.
-Come faccio a dimostrarti che l'esperimento non mi ha provocato alcun tipo di danno al cervello?-
Eren alzò le spalle -Non lo so, io comunque non sono tranquillo.

Dopo l'esperimento, Armin era stato portato in terapia intensiva.
Eren aveva visto come il biondo, durante la procedura, era svenuto improvvisamente.
Stava gridando, contorcendosi sul lettino, quando ad un certo punto il suo corpo si era accasciato e i suoi occhi si erano girati verso l'alto sparendo sotto le palpebre.
Eren si era precipitato vicino a lui e gli aveva preso il viso tra le mani. Aveva avuto paura che fosse morto, che il dottore avesse sbagliato qualcosa e gli avesse bruciato il cervello.
Solo dopo due ore nel reparto di terapia intensiva, Armin aveva ripreso conoscenza, ed Eren quasi non ci credeva quando constatò che non aveva subito danni, almeno non visibili.
Sembrava star bene.

Dopo alcuni minuti però, Armin girò la testa verso Eren. Il biondo lo fissava, sembrava voler dire qualcosa, ma le parole restavano intrappolate nella sua gola.
Eren si costrinse a rimanere calmo. I monitor accanto al suo compagno dimostravano che era stabile, esattamente come avevano detto i medici.
Armin stava bene, forse era solo scosso. Bastava confortarlo.
Il moro allungò la mano e gli sfiorò lo zigomo.
-I medici hanno detto che sei stabile- disse, cercando di non far trasparire alcuna preoccupazione dalla sua voce. Armin doveva essere il primo a credere che andasse tutto bene. -Hanno ottenuto il risultato che volevano... tu non hai subito danni. Stai bene, insomma.-
Armin inspirò.
-L'ho visto, Eren era lì, l'ho visto...- disse in un sussurro. Aveva gli occhi spalancati e la bocca socchiusa, cominciava a respirare più velocemente, Eren vedeva il suo petto che iniziava ad alzarsi ed abbassarsi ad un ritmo quasi irregolare. Il moro gli prese la mano, cercando di calmarlo, e la accarezzò piano.
-Che hai visto?-
Eren sperò con tutto se stesso che ciò che aveva visto non fosse in qualche modo collegato alla morte. Non era superstizioso, né credeva alle visioni o ad assurdi segni dal cielo, ma non voleva in nessun modo che Armin credesse di aver avuto una premonizione di morte.
Armin inspirò piano e guardò il soffitto, cercando di stare calmo e di ricordare.
-Non era chiaro, vedevo... quella cosa strana e... in quel momento sapevo che cos'era.- in quel momento Armin non lasciò trasparire nessuna emozione, sul suo volto non c'era né paura, né felicità -C'era... un buco bianco, pulito, in mezzo ad un'infinita distesa di caos. Il buco si stava allargando piano, e ho capito che era la mia testa, che tutto quel caos era la mia testa! E quel buco bianco, stava prosciugando tutta la parte malata.  La malattia stava sparendo.-
Eren spalancò gli occhi sorpreso. -Davvero?! E come... come è stato?- quasi speranzoso, quasi contento. La sua espressione però cambiò radicalmente quando Armin si girò e lo guardò negli occhi.
-E' stato orribile.-


Armin però, da quando era stato riportato in stanza, non aveva più nemmeno accennato all'accaduto. Aveva preso a leggere e ignorava gran parte delle domande di Eren.
-Armin... non puoi far finta di non aver detto quelle parole! O... di non aver visto quel... quella cosa!- disse Eren cercando di farlo ragionare.
-Era un delirio probabilmente.- provò a spiegare il biondo -Ero sotto antidolorifici o non so che altro, e avrò avuto un'allucinazione.-
-Ah, quindi questo è il nuovo metodo per lottare contro l'ansia e le paure? Ignorare quello che accade e vivere senza vedere cosa ti accade intorno? Fantastico...- fece sarcastico Eren.
L'altro sbuffò -La stai prendendo troppo male...-
-Ma ti rendi conto di quello che dici vero? Lo hai visto con i tuoi occhi, ti stanno facendo fuori il cervello! E ora vorresti dirmi che sei calmo e tranquillo nonostante tutto?- Eren alzò la voce.
-Sicuro di non essere veramente malato, tu invece? Mi sembra che il tuo “finto” problema di rabbia sia piuttosto reale...-
Eren sospirò, piegandosi in avanti e infilando le dita tra i capelli. Prese dei grandi respiri e finalmente si calmò. Odiava arrabbiarsi con lui. -Scusa, ho esagerato.-
Armin stava per aggiungere altro, ma si fermò notando il comportamento dell'amico.
-Scusami tu... Hai ragione, sai? Ho visto anch'io che c'è qualcosa di strano dentro di me, manca qualcosa. Credo di averlo voluto mascherare, infondo... mi terrorizza pensare che stiano cambiando qualcosa in me senza che io possa fare niente.
Eren si avvicinò di più al biondo e lo strinse in un abbraccio. -Non preoccuparti, se ti fanno qualcosa quelli, giuro che li ammazzerò tutti.- Disse, anche se la sua voce venne leggermente soffocata, dato che il viso di Eren era sprofondato nella maglia di Armin.
Lui sorrise, avvicinandosi poi al suo viso, per lasciare un innocente quanto timido bacio sulle sue labbra. Si sentiva protetto da Eren, ma malgrado questo, un incessante dolore gli attanagliava lo stomaco, e sapeva che quel dolore non se ne sarebbe mai andato finchè non fosse stato libero.
Infondo Armin era stanco di combattere le sue paure, poiché esse erano rappresentate dallo stesso posto in cui viveva. Qualsiasi cosa là dentro aveva motivo di infondergli ansia.
Ogni cosa dovesse fare, ogni rumore sentisse, qualsiasi persona gli parlasse lui aveva paura, e il dolore era costantemente accanto a lui. Ed era stanco di combatterlo, anche se al suo fianco c'era Eren.
Armin sapeva che non avrebbe potuto proteggerlo da ogni cosa.
-Eren...- Appena le loro labbra si staccarono, Armin sussurrò il suo nome, senza però riuscire a guardarlo negli occhi.
La scelta che stava per fare lo metteva più in agitazione di qualsiasi altra cosa, ma gli avrebbe anche garantito la libertà.
-Io voglio andarmene da qui.-
-Armin... lo so che è dura, ma lo sai che dobbiamo scontare ancora un sacco di tempo qua dentro.-
-Lo so- Disse, e finalmente alzò lo sguardo. -Ci serve un piano.-

 
o°o°o
 

Sasha Braus non era mai stata una persona molto educata.
Si era ritrovata centinaia di volte nei guai a causa del suo atteggiamento fin troppo amichevole con le infermiere, eppure non riusciva a contenere il suo carattere.
Essere ben educata era una cosa che proprio non le riusciva.
-Quindi in pratica, ho supplicato l’infermiera di non farmi fare la seduta con quell’imbecille di Smith, no? Le ho detto che aveva un mal di testa fortissimo e che non riuscivo neanche a pensare! E quindi per Smith sarebbe stata una perdita di tempo.- raccontò, mentre lei e Connie stavano seduti per terra contro il muro della sua stanza.
-Ma lei non ha voluto sentire ragioni, neanche quando mi sono avvicinata e le ho detto che avrebbe potuto avere metà del mio pranzo! Ma ti rendi conto? Sprecare un’ occasione del genere, dev’essere proprio stupida!-
Connie si girò leggermente verso di lei, con un’espressione che a lei parve interrogativa. –No, Connie. Metà del mio pranzo non glie l’avrei ceduto comunque.- Disse, incrociando le braccia al petto, poi però parve pensarci su –Ma forse lei mi avrebbe costretto a cederglielo… Bhe, allora avrei preso metà pranzo di qualcun altro.-
La ragazza cominciò a fare scrocchiare le articolazioni delle dita, un dito alla volta, uno della mano destra e uno della sinistra. Lo faceva per il nervosismo, come una sorta di anti stress, per concentrare i suoi pensieri altrove, dunque sulle sue mani.
E contrava, perché contare la distraeva parecchio dai suoi pensieri negativi.
Poi perdeva il conto, oppure scrocchiava due volte le dita di una stessa mano, allora si arrabbiava e ricominciava, ma almeno, era distratta.
-Sai mi mancano un po’… le cazzate che facevamo alla vecchia clinica. Li non ci tenevano rinchiusi tutto il giorno, e dovevamo andarci solo un po’ di giorni a settimana.- Sorrise rievocando quei momenti. Senza volere aveva cominciato a vagare con la mente e si era persa nei ricordi. Poi rise –Ma alla fine, tu hai voluto fare il coglione e ci hanno spedito qui! E ora credono che siamo due pazzi!-
Connie la guardò senza dire nulla. Sembrava si stesse sforzando di fare qualcosa, come si sentisse in dovere di avere qualche sorta di reazione. Eppure non aveva idea di cosa dovesse fare in quel momento.
La sua testa era come vuota. Sasha, la persona che meglio conosceva e di cui sapeva assolutamente tutto, gli pareva quasi estranea. Era solo una persona, ma sentiva che non sarebbe dovuto essere così.
Connie avrebbe dovuto ridere, avrebbe dovuto ribattere e dire che non era colpa solo colpa sua, e che anche Sasha aveva agito da incosciente come lui. Avrebbe dovuto scherzare con lei e prenderla un po’ in giro. Come sarebbe stato normale per loro.
Era questo ciò che non riusciva a ricordare. Non riusciva più a ricordare come era lui stesso. Non sapeva come lui, Connie, avrebbe dovuto comportarsi in quel momento.
-Sono sicura che passerà, sai? Questa… cosa… E’ che mi manchi. Mi manca… noi due, sai, che facciamo cazzate. Non sono una persona sdolcinata o roba simile, ma sei il mio migliore amico, e odio vederti così…-
Il ragazzo non comprese appieno le sue parole, solo parte di esse riuscì ad entrare nella sua testa. Comprese di essere un corpo vuoto, e che la persona che era e di cui quella ragazza parlava, non c’era più. E non sarebbe tornata, dentro di lui lo sapeva.
Perche non c’era rimasto più niente di lui.
Allora capì, e decise. Forse avrebbe potuto spegnersi a quel punto.
Connie era solo un corpo ormai, non valeva la pena restare sveglio. Così lasciò che il pesante sonno, che da giorni gravava sulla sua testa, prendesse il possesso di lui.
Si lasciò andare, chiudendo piano gli occhi.
Prima che si spegnesse del tutto la sua mente però, si formulò un unico pensiero.
Forse avrebbe dovuto ringraziare Sasha. Non seppe per cosa, ma pensò che sarebbe stato giusto farlo.
Poi se ne andò.
 
Sasha si accorse che aveva gli occhi chiusi poco dopo. Connie non accennava più nemmeno al più piccolo movimento.
 
Lei aveva l’abitudine di tastargli il polso almeno ogni mezz’ora, per controllare che non fosse morto. Ma questa volta titubò nel farlo.
Premette le dita sul suo polso.
Una. Due. Tre volte.
Poi le premette sul suo collo.
Ci riprovò cinque volte.
Gettò la testa sul suo petto, accostando l’orecchio al suo cuore.
Immobile.
Fermo.
 
Le lacrime cominciarono a scorrere sul suo viso. In preda ai tremiti gridò.

La persona che gli era stata accanto per tutta la vita era morta.





 

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Capitolo 7
*** Everything is gone away ***


7. Everything is gone away
 

Il cervello umano è una macchina estremamente complessa.
Ed assolutamente imprevedibile.
Nessuno avrebbe saputo spiegare una reazione del genere; persino Sannes, il miglior psichiatra dell'ospedale, non sapeva dare una spiegazione ad una reazione di difesa tanto violenta.
Sasha era una persona semplice, ragionava in maniera semplice; era davvero facile da comprendere. Sin da subito aveva spiegato chiaramente come funzionava il suo cervello, lo aveva sempre fatto senza problemi. Elencava le regole che il suo cervello le imponeva e spiegava agli psicologi come le eseguiva.
Ossessioni e compulsioni. E' semplice, subentrava un pensiero ossessivo, lo risolveva a modo suo.
Facile.

Nessuno sapeva dire perchè, in quel momento, il suo cervello reagisse in quel modo.

-Non toccarmi!- gridava, ai medici, ai suoi compagni, con le lacrime agli occhi e il viso corrucciato in un'espressione che nessuno gli aveva mai visto fare.Era passato un giorno da quando Connie era stato portato in obitorio, etichettato da Sannes come “esperimento fallito”. Sasha aveva visto i suoi occhi chiusi, il suo petto immobile, la sua espressione anonima.Aveva gridato, aveva sbraitato per molto tempo prima di correre fuori e rintanarsi sotto un enorme albero nell'angolo del cortile, sprofondando tra le sue enormi radici e la neve. Era rimasta lì e incredibilmente si era calmata.Gridava ancora solo nel momento in cui qualcuno le parlava o la toccava.

Zoe la fissava da veramente molto tempo. Levi la chiamò e le fece cenno di allontanarsi da lei.
-Vieni qui, ascolta: credo che si sia rifugiata in una sorta di “finta realtà”, dove Connie è ancora vivo. Perciò lasciala stare almeno per un po', ho paura che farla interagire con la realtà possa solo ferirla.-
Zoe continuava a fissarla da lontano, preoccupata -Ma se continua così finirà per morire... non beve o mangia da ventiquattro ore, inoltre fa troppo freddo e ha passato qui la notte senza chiudere occhio, quindi_-
Levi la interruppe con un cenno della mano - Magari le serve ancora un po' di tempo. Per come la vedo io, ha bisogno di crearsi una verità nuova su quello che è successo, far finta che il suo migliore amico non si morto. Ha bisogno di sostituire gli eventi, perchè quelli reali sono troppo dolorosi da sopportare.- Levi si morse il labbro, sperando che Zoe capisse il suo ragionamento. Fortunatamente, sembrava stargli dietro -prima o poi sarà in grado di tornare alla realtà, magari con dei finti ricordi che si è creata lei, probabilmente crederà che Connie sia vivo, ma riuscirà comunque ad interagire col mondo esterno. Per ora però, il contatto con la realtà le fa solo ricordare cos'è successo veramente e ed è troppo doloroso per lei. Francamente, da lei non mi aspettavo una reazione di difesa del genere.-
Levi fece per girarsi e tornare in camera sua. Cominciava ad essere davvero stanco e voleva smettere di pensare per un attimo; quella situazione lo faceva infuriare e aveva bisogno di concentrazione per non perdere il controllo, ma Zoe lo fermò -Quindi secondo te... starà bene?-
Levi avrebbe voluto dirle di si, ne era davvero tentato. Sapeva che Zoe era molto legata a quella ragazza e non voleva che perdesse la speranza, tuttavia non aveva davvero idea di quello che sarebbe potuto succedere, le sue erano solo supposizioni dopo tutto.
-Il cervello è complicato Zoe, potrebbe succedere qualsiasi cosa.- Mormorò, incamminandosi e facendo cenno a Zoe di seguirlo.

Attraversarono il giardino, facendo sprofondare gli scarponcini nei pochi centimetri di neve, lasciando Sasha alle loro spalle. Zoe alzò lo sguardo e osservò le nuvole che pian piano stavano coprendo il cielo; avrebbe presto ricominciato a nevicare e temeva davvero che il giubotto che le aveva lasciato non bastasse a proteggerla dal freddo.
A metà strada i suoi pensieri s'interruppero non appena vede il corpo di Levi paralizzarsi improvvisamente. Il ragazzo emise un verso strozzato ed un dolore lancinante lo costrinse ad inginocchiarsi.
-Levi!- Zoe corse e si accovacciò accanto a lui, scuotendolo leggermente. -Che hai, Levi?-
Dopo pochi istanti, il ragazzo sembrò riprendersi, ma non accennava ad alzare la testa, che teneva fra le mai. Il suo corpo si era rilassato, il dolore era sparito, tuttavia era rimasto un lieve fastidio a livello della nuca.
-Sembrava...- sussurrò debolmente -Una scossa. Mi ha percorso il corpo e per un attimo credevo mi avesse paralizzato il cervello. Per un attimo ho smesso di pensare...-
Zoe lo aiutò a tirarsi su -Andiamo in camera, va bene? Così potrai riposare.-
Levi annuì, si appoggiò a Zoe e tornarono alla loro stanza.


o°o°o

La stanza era immersa nella penombra, Levi stava steso nel suo letto tenendo un braccio premuto sopra ai suoi occhi.
Zoe, seduta a terra accanto a lui, gli passò una mano sulla fronte.
-Non credo sia febbre...- commentò. Appoggiò i gomiti sul materasso e si protese un po' di più verso il viso dell'altro.
-Va un po' meglio ora?- chiese. Levi mugugnò piano e spostò di poco il braccio -No... non direi...- parlava pianissimo, sentiva la sua voce rimbombare per tutta la sua testa. Percepiva una sgradevole sensazione a livello della nuca, che piano risaliva fino alle tempie, sentiva come delle scosse percorrergli tutta la testa. Gli faceva male pensare, qualsiasi pensiero non faceva altro che peggiorare il fastidio in dolore.
Zoe aveva capito il suo stato e restava in silenzio se non per chiedergli se c'erano miglioramenti. Se ne stava accucciata accanto a lui, a fissare il suo volto perennemente gelido, con preoccupazione e curiosità.
Levi aveva affermato che non era nulla di grave e che aveva solo bisogno di riposo. Ma Zoe non era convinta, credeva che nel suo cervello stesse accadendo qualcosa di incredibile e pericoloso.
-Zoe- Non appena sentì il fastidio attenuarsi, il ragazzo girò piano la testa verso di lei -Mi devi promettere una cosa.-
Zoe si destò improvvisamente dai suoi pensieri, e guardò l'altro interrogativa.
-Non farti mai più neanche sfiorare da Sannes- le sue parole erano più forti e ferme -Qualsiasi cosa succeda, non devi lasciare che ti faccia nulla. Tutto questo casino è per colpa sua, ne sono certo, quel maniaco è senza controllo è i suoi esperimenti ci stanno fondendo il cervello. Quindi... se vuoi che la tua testa continui a funzionare normalmente... per quanto la stua testa possa essere normale... non farti più toccare...- Zoe notò che sembrava leggermente in imbarazzo -il mio è un consiglio, poi fa come ti pare. A me non interessa...-
Zoe ridacchiò e gli punzecchiò piano una guancia -Si che ti interessa.- Lo canzonò -Certe volte fai proprio schifo a dissimulare i tuoi sentimenti.-
Levi fece una smorfia, ma Zoe capì che non era per il dolore. In situazioni del genere infatti, Levi non si dimostrava la solita persona gelida, tuttavia faceva davvero difficoltà a capire come comportarsi. Non era granchè abituato ad interagire con altre persone e Zoe lo sapeva bene.
-Come vuoi...- mormorò.
-Ah ah...- Zoe si avvicinò -Ammettilo che a me ci tieni.-
-Scordatelo-
-Dai!
-Sei irritante- sospirò fintamente seccato -Forse un poco...-
-Che cosa?- chiese Zoe.
-Ci tengo.-
-Ahn.- Zoe sorrise a quella rivelazione. Di norma non era brava nemmeno lei con le persone, forse qualcuno tanto squilibrato quanto lei era quello che le serviva. Non si accorse nemmeno che Levi si era avvicinato e aveva premuto le labbra sulle sue per pochi secondi. Zoe rimase stupita da tanto spirito di iniziativa da parte del suo compagno di stanza.
-Va... va un po' meglio, Levi?-
Il ragazzo sorrise compiaciuto e si risistemò meglio nel suo letto -Diciamo di si. Ora che il fastidio è cessato forse riuscirò a riposare un po'-
Zoe annuì e si alzò -Allora ti lasciò riposare, tu riprendi le forze, mi raccomando!- Disse, sorridendo. Ma Levi era già sprofondato nel sonno.
 

o°o°o

-Non ha alcun senso...- commentò al limite della sua pazienza il direttore. -Mi aveva garantito un successo, e invece ora ci ritroviamo con un ragazzino morto stecchito...- sibilò l'uomo da dietro la scrivania, prendendosi le testa fra le mani.
Sannes, in piedi di fronte a lui, si schiarì la voce -Io le avevo dato una percentuale di successo- chiarì -qui parliamo di esperimenti e sinceramente io stesso non mi aspettavo una vittoria al primo paziente.-
Il direttore sospirò frustato e si passò una mano tra i radi capelli bianchi. Nel suo ufficio calò il silenzio, nessuno dei medici presenti osava fiatare, eccezione fatta per Sannes che non sembrava essere particolarmente a disagio per quella situazione.
-Non mi starà dicendo che non ha idea di come gestire la cosa. Non le è mai capitata la morte di un paziente per mano di un suo dottore? Saprà certamente come insabbiare l'accaduto.-
Il direttore puntò lo sguardo a terra -Una volta sola.-
-Come?-
-E' successo...una volta sola.- Ripetè, alzandosi in piedi -Nessuno viene a sapere niente dei medoti utilizzati, finchè non muore un paziente. Quella volta l'ospedale ha rischiato moltissimo e non voglio che accada di nuovo.-
Sannes assottigliò lo sguardo e osservò bene i suoi colleghi uno ad uno. Daccordo, significa che gestirò io la cosa. Non avete nulla di cui preoccuparvi. Infondo per raggiungere il successo è impossibile non giocare un po' sporco.- Spostò infine lo sguardo al direttore -Lei vuole che questo centro psichiatrico abbia di nuovo una buona reputazione? Vuole vedere i disturbi e le malattie sparire da ogni suo singolo paziente?-
L'uomo annuì leggermente-
-Bene, allora lasci fare a me.-

Sannes uscì dall'ufficio del direttore alle otto precise, come aveva calcolato. Aveva un' insolita aria soddisfatta, la sua scalata verso il successo si stava dimostrando più facile del previsto, ora non gli rimaneva altro che iniziare a lavorare sul come insabbiare la verità sulla morte del suo paziente.
Sulla strada per il suo ufficio però, s'imbattè in una delle infermiere che lo assisteva ad ogni esperimento che correva verso di lui.
-Dottore!- Continuava a chiamarlo terrorizzata -Dottore! Hanno preso tutto!- urlava -Non ci sono più i documenti, i resoconti, i dati, è sparito tutto!-
Il medico, confuso, le intimò di calmarsi e di spiegarsi al meglio.
L'infermiera riprese un attimo fiato dopo la corsa fatta e deglutì -Qualcuno è entrato nel suo ufficio è ha preso ogni documento riguardante i suoi pazienti.-
Sannes annuì calmo e riprese a camminare -Okay, scoprirò chi è stato ad entrare nel mio ufficio e farò in modo che non succeda di nuovo, ma non si preoccupi in ogni caso per i documenti, ce ne è una copia di ognuno nel mio computer.-
-Ma dottore, è sparito anche il suo portatile...
Sannes di voltò -Come?-
-E ho...un brutto presentimento. Credo sia meglio controllare anche l'archivio all'ultimo piano...-
L'uomo si girò, cambiando direzione. Si avviò verso le scale e fece cenno all'infermiera di seguirlo. -Un brutto presentimento hai detto?-
-Si... è che questa faccenda non mi piace.-
 

o°o°o


2 ore prima

Erano da poco scattate le sei del pomeriggio quando Eren e Armin si unirono insieme agli altri gli altri nella saletta comune. Zoe stava distrattamente sfogliando uno dei polverosi libri seduta su uno dei divanetti, mentre Christa stava stesa a terra a giocare con una ciocca di capelli.
-Ah!- Quando li notò, la ragazza si scosse e si alzò in piedi per dirigersi verso di loro. -Siete qui finalmente.-
Eren annuì, guardandosi intorno -Ma non manca qualcuno?-
Zoe si girò, accorgendosi solo in quel momento che fossero arrivati -Levi è in camera che riposa.- Rispose semplicemente.
-Gli è successo qualcosa?- chiese Armin.
-Mmh, più o meno. Credo sia a causa dell'ultimo controllo, Sannes aveva detto di voler constatare i suoi risultati, ma non so cosa sia successo realmente.-
-In ogni caso- s'intromise Christa -é proprio per questo che dobbiamo scoprire cosa sta succedendo.-
I due ragazzi presero dunque posto sull'altro divano -Che dobbiamo fare Christa, per cosa ci hai chiamato qui, 
La ragazza si appoggiò al davanzale della finestra -Ho intenzione di prendere i documenti di Sannes, voglio vedere tutti i dati, i resoconti, tutto quanto. Voglio capire cosa ci sta succedendo, a noi, a Connie...- Guardò fuori per pochi istanti -Dopo di che intendo scappare... e denunciare quello che succede qui. Se proprio devono rinchiudermi da qualche parte, vorrei almeno sentirmi un minimo al sicuro. In questo posto, ho paura di qualsiasi medico si avvicini.-
Zoe annuì -Lo so, è così anche per noi... per me va bene-
Anche Eren e Armin concordarono -Io intendo portare Armin fuori di qui, a qualunque costo. Ne abbiamo parlato e siamo entrambi daccordo. Inoltre vi aiuteremo a trovare e a prendere i documenti, potrebbero essere utili nel caso si manifestasse qualche reazione.
-Bene allora.- sorrise Christa -Sannes ha l'ufficio al primo piano, accanto a quello di Smith, ma credo che la maggior parte della documentazione sugli esperimenti la tenga in una stanza accanto agli ambulatori, all'ultimo piano. C'è un archivio con tutte le cartelle, mi sembra di averle viste.-
-Okay però... sappiamo dov'è Sannes prima di tutto?- chiese Zoe.
-Si- confermò Christa -l'ho visto discutere con un medico prima, in corridoio. Tra un'ora ha un'importante riunione con il direttore e inoltre so che ora è impegnato con i membri di non so che associazione... non ho capito bene, ma dev'essere a proposito di Connie. Sembra che ci vorrà un po' e poi andrà direttamente alla riunione. C'è tutto il tempo.-
-Perfetto. Ah, in ogni caso... Sannes ha un computer?- Chiese Eren -C'è un'alta probabilità che tutti i dati siano salvati anche lì.-
-Si, nel suo ufficio. L'ospedale glie ne ha fornito uno fisso, ma io l'ho sempre visto portarsi appresso un portatile.-
-Bene, allora noi andremo nel suo ufficio- concluse Eren incrociando le braccia al petto.-
Zoe si voltò verso Christa -Quindi andremo noi all'ultimo piano, daccordo Christa?
-Certo.-
-Potrei esservi utile anch'io?- Una voce femminile fece voltare i ragazzi verso la porta.
-Sasha!- Zoe si precipitò da lei. -Come ti senti?-
Sasha la guardò accennando un lieve sorriso -Credo, bene. E' come se avessi improvvisamente preso a negare tutto. Non sento più niente.- Spiegò. -Quindi voglio aiutarvi, scoprire qualcosa, ora che il dolore è sparito mi sento davvero in colpa.-
-Non devi.- rispose Zoe -Se non sbaglio è una fase normale del lutto.-
-Mmh, giusto.-
Christa saltò giù dal davanzale e si avvicinò a lei -Allora verrai con noi, su adesso andiamo, altrimenti si fa sera e questo posto diventa inquietante da morire quando è tardi.-
Eren e Armin si allontanarono insieme, pensando insieme ad un modo per introdursi nell'ufficio.
Zoe e Sasha decisero di andare ad accertarsi di persona che Sannes fosse in riunione -Tu intanto comincia a salire di sopra, noi ti raggiungiamo.-
Christa annuì e cominciò a dirigersi verso il corridoio che portava alle scale.
-E fa attenzione!- aggiunse Zoe. Christa ridacchiò, voltandosi -Da quanto tempo credi che sia qui? So come si fa...- Alzò una mano in cenno di saluto e tornò sui suoi passi.

Approfittò dell'attimo in cui non c'era nessuno in vista per precipitarsi su per le scale. Dopo anni in quel posto, aveva imparato come muoversi in fretta e senza emettere alcun rumore. Normalmente la paura le bloccava in ogni movimento, fin da quando era piccola non riusciva a ragionare quando si sentiva in pericolo e si bloccava. Fortunatamente aveva pian piano imparato a cambiare, a trasformarsi in un'altra persona ad ogni evenienza. Ymir era agile, l'avvertire il pericolo la poteva solo che farla diventare più veloce. Non aveva paura di niente, Ymir era la sua parte più forte.
Dopo l'ultimo gradino sgusciò dietro ad una barella. Attese che ognuno degli psicologi di quel piano fosse totalmente concentrato su qualcosa per scattare verso la prossima rampa di scale. Si fermò al piano superiore, non c'era quasi mai nessuno lì. Si nascose aspettando che uno degli inservienti passasse e si allontanasse per poi se diresse verso una finestra, fermandosi lì per un po'. Si passò una mano sul viso e respirò a fondo.
Per un attimo la presenza di Ymir si era fatta incredibilmente debole. Cercò, con tutte le sue forze, di concentrarsi al meglio. Senza di lei non poteva muoversi.
-Non c'è tempo per essere deboli adesso... sarò Ymir, ora...-

 

o°o°o

-Non credo ci abbiano visti.- mormorò Eren non appena lui ed Armin misero piedi nell'ufficio di Sannes.
-Armin chiuse velocemente la porta alle loro spalle. -Già... fortuna che oggi non c'è quasi nessuno in giro...-
Eren cominciò ad addentrarsi nella stanza, notando che non aveva nulla di particolare, le pareti e i mobili erano piuttosto anonimi e non c'era traccia di piante o oggetti personali, nessuna foto o quadro. In tutti gli uffici in cui era stato c'era almeno una minima cosa che avrebbe potuto distinguerli dagli altri. Si mise a cercare il portatile, mentre Armin guardava tra le librerie e gli scaffali. Esaminò tutta la scrivania, ma non trovò nulla di utile, finchè l'occhio non gli cadde su una valigetta seminascosta ai piedi del mobile dietro di lui. La prese e l'appoggiò sulla scrivania.
L'aprì e con cautela ne tirò fuori il contenuto -Armin, ho trovato il portatile.-
L'amico si voltò verso di lui -io ho i nostri documenti.- disse facendogli vedere le cartelle -Ma non credo siano tutte; quella di Connie per esempio non c'è.-
-Non fa niente, forse troveranno qualcosa di sopra le altre, ora usciamo di qui.- fece, prendendo il portatile.
Il rumore della maniglia della porta li fece arrestare di colpo. La porta si aprì e si ritrovarono faccia a faccia con un infermiere.
Tuttavia l'uomo non fece in tempo ad aprire la bocca, che Eren gli si scagliò contro. Lo spinse contro la parete, tappandogli la bocca, così che non potesse urlare. Poi la sua mano si mosse da sola; senza che potesse nemmeno pensarci gli assestò un colpo in testa col portatile, facendolo svenire.
Armin emise un verso strozzato.
-Tranquillo, Armin- sussurrò -Non l'ho ammazzato... almeno spero. Ma non potevo rischiare.-
Il biondo però rimase pietrificato. Non era la smisurata forza di Eren a mettergli paura, era abituato ai suoi scatti di rabbia. L'essere stati scoperti gli aveva fatto prendere un colpo e non riusciva a far rallentare il suo battito cardiaco.
-Hey Armin, cerca di calmarti- Eren corse da lui e poggiò una mano sulla sua spalla. -Ho sistemato tutto, davvero, non ci scoprirà nessuno. Abbiamo fatto quello che dovevamo e ora ce ne andiamo. Va tutto bene.-
Gli lasciò un veloce bacio sulla fronte e gli accarezzò la schiena -Armin... dobbiamo uscire.-
Il ragazzo alzò la testa e annuì lentamente. Si avvicinarono alla porta, controllarono che nessuno potesse vederli e scattarono verso le scale.

 

o°o°o

L'ultimo piano era deserto, Christa aveva approfittato del giorno in cui gli ambulatori sono vuoti per mettere in atto il piano.
Vide emergere dalla tromba delle scale Zoe e Sasha e fece loro cenno di avvicinarsi.
Christa indicò loro il corridoio -Si trova da quella parte, in fondo al corridoio c'è una porta sulla sinistra, quello è l'ambulatorio. Dentro c'è un'altra stanza, dove dovrebbe esserci tutta la documentazione sull'esperimento_-
Christa si ammutolì di colpo, sentendo un rumore di passi in lontananza venire dal corridoio opposto. Imprecò, constatando che era un medico e che stava venendo verso di loro.
Si nascosero dietro al muro e Christa si sporse di poco per osservare l'uomo -Ci serve un diversivo, non abbiamo scelta.
Sasha alzò la mano, sorridendo rassegnata -Infondo volevo essere utile...- disse alzando le spalle. Senza aspettare una risposta, si diresse verso il medico appena apparso dal fondo del corridoio. Zoe, da dietro il muro osservò la scena. Vide Sasha parlare con il medico, probabilmente aveva detto di essersi sentita male. Poi sparirono dietro ad una delle porte.
-Zoe, andiamo.- la chiamò Christa -Abbiamo del lavoro da fare.

Entrarono in uno degli ambulatori, Christa indicò la porta della stanza adiacente. -Quando sono stata portata in quest'ambulatorio, ho notato che lì accanto c'è un archivio con tutta la documentazione sull'esperimento.- Zoe si avvicinò agli armadietti di vetro. -Serve una chiave...-
Christa tirò fuori dalla tasca una chiave magnetica -L'ho fregata quel giorno a Sannes. Non è poi così intelligente.-
Recuperarono in fretta tutto quanto, ogni cartella che riuscissero a tenere fra le mani. Christa sembrava diversa, probabilmente Ymir aveva di nuovo preso il sopravvento su di lei. Aveva un'espressione strana, sorrideva determinata e tutto ciò a cui riusciva a pensare era distruggere Sannes e il suo dannato lavoro.
Zoe prese l'ultima cartella, quando ebbe una strana sensazione. Vide le cartelle scivolare via della mani di Ymir e riversarsi a terra, e un istante dopo anche lei si accasciò sul pavimento, tenendosi la testa tra le mani. Emise un urlo strozzato mentre Zoe spaventata, le si inginocchiava accanto, avendo già visto quella scena.
-Ymir...- provò a chiamarla.
-Ymir è sparita- mormorò Christa -Non sento più la sua presenza.-
Le lacrime cominciarono a scorrere lungo le sue guance -No... Sono spariti tutti... sono sola...- singhiozzò.
Sentiva la testa pesante, poi uno strano calore a livello della nuca cominciò a farsi sempre più forte, fino a trasformarsi in dolore. Sentiva qualcosa scorrere nella sua testa, come se qualcuno stesse prosciugando tutto ciò che c'era al suo interno.
Zoe vide di sfuggita del sangue uscire dalle sue orecchie -Christa...-
Ma quando la ragazza alzò la sua testa, Zoe vide con orrore che aveva un emorraggia anche da una delle sue narici.
-Stai... sanguinando...- Mormorò in preda al panico. Cercò di riprendersi in fretta e caricò il corpo di Christa sulla sua schiena -Ti porto giù... e poi cerchiamo un medico...-
Christa però, prese a dimenarsi sulla sua schiena e senza che Zoe potesse evitarlo il suo corpo cadde nuovamente a terra. Non ci volle molto prima che il suoi occhi sparissero sotto alle sue palpebre e il resto del suo corpo s'immobilizzasse completamente.

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