La Gelida Charlotte

di Kia_1981
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Aria di tempesta. ***
Capitolo 2: *** Un rifugio sicuro ***
Capitolo 3: *** La Gelida Charlotte ***
Capitolo 4: *** Ultimo brivido ***



Capitolo 1
*** Aria di tempesta. ***


Megan si strofinò le mani che, nonostante i guanti, si stavano congelando, poi si strinse nel mantello, sbuffando seccata. Possibile che dovesse esserci sempre qualche problema? Tornò con la mente al giorno della sua partenza, qualche settimana prima.

Si era ripresa bene dall’incidente sul ghiaccio e, nonostante le domande insistenti di Eloise, aveva rifiutato di raccontarle quello che era successo: si era limitata a darle una spiegazione molto vaga, che non aveva assolutamente placato la curiosità della sua migliore amica, la quale aveva finto per un po’ di lasciar cadere la questione, quindi aveva fatto scattare la trappola e le aveva chiesto di accompagnarla ad Aldenor. Era stata una decisione difficile per Megan: avrebbe preferito rimanere nella Vecchia Capitale, portarsi avanti con gli studi, prepararsi bene per la laurea imminente… poi aveva accettato, pensando che cambiare aria per un po’ le avrebbe fatto bene. Sperava perfino che, una volta tornata, avrebbe smesso di cercare, tra i volti degli studenti, un volto in particolare con quegli occhi che la seguivano con attenzione, il sorriso scanzonato, i modi impertinenti, la risposta sempre pronta. Lui era sempre più sfuggente, sembrava che avesse sempre meno tempo per andarla a cercare alla fine dei suoi turni o per assistere, da un posto in fondo all’aula, alle lezioni in cui lei faceva da assistente. Si era sinceramente augurata di toglierselo dai pensieri, durante quel viaggio, soprattutto perché non riusciva a spiegarsi come e per quale motivo si trovasse tanto spesso a pensare a lui. Invece si era trovata a fare i conti con le continue allusioni di Eloise a proposito di Julian, durante quello che le era parso un lunghissimo viaggio verso Aldenor. Una volta arrivate a destinazione, avevano scoperto che Jordan si trovava lì già da qualche giorno insieme a Jerome… e a Julian, ovviamente.

Megan sprofondò nel sedile della carrozza, sospirando di nuovo. Aveva cercato di evitare il giovane Cavaliere, ma sembrava che lui non avesse intenzione di starle tra i piedi come suo solito. Quell’apparente disinteresse l’aveva sorpresa e scombussolata, al punto da farle desiderare di andarsene in anticipo: il disagio a cui aveva tentato di sottrarsi si era ripresentato in una forma ancora più acuta. Le dava fastidio sapere di averlo vicino e vederlo così lontano, ma le dava ancora più fastidio continuare a chiedersi perché lui si comportasse in quel modo: non avrebbe dovuto importarle, anzi, avrebbe dovuto farle piacere essere finalmente riuscita a levarselo di torno.

Due colpi secchi sullo sportello della carrozza la fecero sobbalzare. Si portò una mano al cuore, imprecando: come evocato dai suoi pensieri, il volto del giovane fece capolino nell’abitacolo: alla fine aveva trovato una buona scusa ed era riuscita a partire in anticipo, ma con lui come scorta.

«Non possiamo più aspettare. Dobbiamo andare a cercare un posto in cui passare la notte», l’espressione seria di Julian le diede una brutta sensazione: lui era sempre tranquillo e sereno, quando appariva così, in genere, era preoccupato o molto arrabbiato. Forse entrambe le cose, in quel momento.

«Il vetturino ha detto che sarebbe tornato al più presto con una nuova carrozza. Sarebbe stupido andarcene da qui e perderci chissà dove in mezzo a questo gelido nulla che ci circonda», provò a replicare stizzita, cercando di non battere i denti per il freddo. Quella stupida carrozza non poteva decidere di rompersi in un momento peggiore: erano in mezzo ai boschi, la luce stava diventando sempre più fioca, l’aria sempre più fredda, e chissà quali animali feroci e affamati si aggiravano fra gli alberi. Rabbrividì. Forse Julian aveva ragione, avrebbero fatto meglio a togliersi da lì.

«Il vetturino è via da ore, con l’unico cavallo che avevamo a disposizione. Non siamo così lontani dal primo centro abitato, quindi temo che abbia avuto dei problemi», cercò di farla ragionare. Solo in quel momento Megan si rese conto che si era arrampicato sul tetto della carrozza e in qualche modo era riuscito a tirare giù il suo baule.

«Cosa diavolo hai intenzione di fare?», gli domandò rabbiosa quando lo vide armeggiare con la chiusura. «Ci sono i miei vestiti, lì dentro!»

«Lo so, Milady», le sorrise. «E a meno che non vogliate che sia io a scaldarvi, vi consiglierei di scegliere qualcosa per cambiarvi quando avremo raggiunto un posto in cui ripararci durante la notte. C’è aria di tempesta e siamo qui fermi da talmente tanto tempo che dubito che la nostra presenza sia passata inosservata».

La dottoressa non obiettò. Aprì il baule e rovistò rapidamente tra gli abiti ma le parole di Julian l’avevano scossa al punto che non riusciva nemmeno a pensare ad altro se non al fatto che non voleva diventare la cena congelata di qualche lupo famelico. Le tremavano le mani quando il giovane si mise accanto a lei e la sua vicinanza le restituì un po’ di calma e lucidità.

«Vi serve qualcosa di caldo e poco ingombrante, come quell’abito che avete usato quando siamo andati a pattinare. E biancheria asciutta. Calze, soprattutto. Mettete qui quello che vi serve». Le aveva parlato in tono rassicurante, poi le aveva avvicinato una grossa sacca da viaggio a cui lei aveva lanciato un’occhiata diffidente.

«Stai scherzando?», aveva protestato con una punta di isteria. «Dovrei mettere i miei indumenti intimi insieme alle tue cose?». Si pentì di averlo detto nel momento stesso in cui Julian scoppiò a ridere.

«Esattamente sapreste dirmi perché la cosa vi disturba tanto?», riuscì a dire con forzata serietà e una punta di malizia. «Cosa temete che succeda? Vi assicuro che la mia sacca contiene solo indumenti puliti e profumati».

Intanto che parlava le aveva tolto di mano un abito di lana e lo aveva riposto con attenzione, poi, visto che lei sembrava essersi bloccata, aveva cominciato a rovistare nel baule in cerca delle altre cose che potevano servire. A quel punto Megan si era riscossa, gli aveva schiaffeggiato la mano e gli aveva dato uno spintone che però non lo aveva smosso di un millimetro.

«Non ti azzardare», lo avvertì minacciosa mentre affondava le mani tra pizzi e stoffe pregiate in cerca del sacchetto che conteneva la sua biancheria. Dopo averlo recuperato lo fece sparire rapidamente nel borsone di Julian, insieme ad un contenitore in cui portava abitualmente alcuni medicinali e il necessario per le medicazioni di emergenza, quindi chiuse la sacca.

«Ho finito», avvertì in tono funereo. Julian sembrava molto teso: si guardava in giro circospetto e sembrava annusare l’aria. Megan lo guardava scettica, gli sembrava che il ragazzo stesse davvero esagerando. «Possiamo andare? Si sta facendo sempre più buio», sbottò spazientita. Il ragazzo si voltò verso di lei, le fece segno di tacere portandosi un dito davanti alle labbra, poi le si avvicinò e si gettò la sacca sulle spalle.
«Andiamo. Conosco questo posto: qui vicino c’è un rifugio di caccia. Dobbiamo raggiungerlo prima che sia troppo buio», la spronò a bassa voce. Megan lo seguì senza protestare e lasciò che la prendesse per mano per guidarla.

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Capitolo 2
*** Un rifugio sicuro ***


Poco dopo essersi allontanati dalla carrozza inutilizzabile, le condizioni del tempo erano peggiorate. Un vento freddo e tagliente aveva cominciato a soffiare, prendendo sempre più forza mentre la neve ghiacciata li investiva senza dare loro tregua. Il capanno di cui aveva parlato Julian era spuntato come un miraggio in mezzo a quell’inferno: con il buio incombente avevano quasi rischiato di non vederlo. Si erano chiusi dentro e avevano sbarrato la porta mentre all’esterno si sentiva una specie di ululato raccapricciante che fece tremare Megan più di quanto non stesse già facendo.
Mentre Julian si muoveva con cautela nel buio in cerca di una lampada da accendere, lei era rimasta addossata contro la porta. Il cuore le martellava come impazzito per la paura mentre premeva l’orecchio contro il legno, ascoltando il grido agghiacciante e rabbioso del vento che sembrava, a tratti, il grido di un essere vivente. 

«Megan?»

Si voltò a guardare Julian che aveva trovato una lampada a olio ed era riuscito ad accenderla. La morbida luce gialla sembrava rendere un poco più accogliente il poco che riusciva a illuminare. Si rese conto che il ragazzo la osservava preoccupato.

«C’è qualcuno là fuori. Ho sentito una voce», gli disse, pensando che probabilmente l’avrebbe presa per pazza, ma non se ne curava: era terrorizzata.

«Non c’è nessuno là fuori, solo il vento», le rispose dopo un istante di esitazione che diede a Megan la certezza che anche lui doveva aver sentito la stessa voce. «Venite via dalla porta. Sedetevi qui e tenetemi la lampada. Voglio provare ad accendere il camino».

La giovane eseguì, lieta di avere qualcosa da fare che la distraesse dai suoi timori. Prese la lampada dalle mani di Julian, ma tremava talmente tanto che la luce oscillava pericolosamente con il rischio di far cadere dell’olio. Seguì con attenzione i tentativi del ragazzo finché, con grande sollievo da parte di entrambi, il fuoco cominciò a consumare con crescente intensità i ciocchi di legno adagiati nel focolare. Soddisfatto del risultato, il cavaliere si tolse il mantello gocciolante appendendolo ad un gancio vicino al camino, quindi si voltò verso di lei, liberandola dal compito di tenere la lampada.

«State congelando», osservò preoccupato soprattutto nel notare il suo sguardo quasi assente. Era pallidissima, gli occhi erano lucidi e le labbra rese violacee dal freddo. Non reagì quando lui le sfilò i guanti, stringendo per un momento le sue mani gelide. Doveva trovare il modo di toglierla da quello stato catatonico.

«Milady, i vostri abiti sono zuppi, non potete stare così», lei non rispose, si limitò ad emettere un flebile sospiro con lo sguardo ancora fisso sulla porta. La preoccupazione di Julian si fece più acuta: l’unica soluzione era tentare di provocarla.

«E va bene, mia signora», cominciò in tono suadente, slacciandole il mantello che lasciò cadere pesantemente a terra, «se proprio non vuoi collaborare, ci penserò io a spogliarti».

Accolse la reazione immediata di Megan fu accolta da Julian con immenso sollievo: la prima cosa che si riaccese in lei fu una scintilla furiosa nello sguardo. La rabbia imporporò le sue guance, poi si alzò di scatto dalla sedia e lo spinse via con tutte le forze che riuscì a raccogliere.

«Levami le mani di dosso!», esclamò puntandogli un dito sul petto e ricevendo in risposta un sorriso scaltro.

«Bentornata fra noi, Milady», Julian accennò un inchino. «Ora dovreste davvero togliere quello che avete addosso e mettervi qualcosa di asciutto», proseguì porgendole la sacca in modo che potesse prendere le proprie cose. Si voltò, volgendole le spalle per permetterle di cambiarsi. Con gli occhi chiusi ascoltava il fruscio degli abiti che venivano sfilati e appoggiati a terra: cercava di non pensare a come l’avrebbe vista se si fosse voltato in quel momento e lo sforzo che stava compiendo era quasi insostenibile.

«L’avresti fatto davvero o stavi solo cercando di farmi reagire?», volle sapere lei. Julian sospirò, si tolse gli stivali e li appoggiò vicino al fuoco per farli asciugare.

«No che non lo avrei fatto!», protestò brusco, per poi aggiungere amareggiato: «Credevo mi conosceste abbastanza da non avere bisogno di farmi una simile domanda».

«E se non fosse servito?», gli chiese parandosi davanti a lui con i capelli ancora gocciolanti. Almeno i vestiti, adesso, erano asciutti. Le rivolse un sorriso sfacciato.

«Sapete, c’è una cosa che funziona sempre nelle fiabe: quante volte una gelida fanciulla è stata riportata in vita scaldando le sue labbra con un bacio?». La risposta fu accolta da un momento di silenzio attonito.

«Sei un vero idiota!», sbottò infine Megan che, rendendosi conto di essere arrossita, si era girata verso il caminetto fingendo di essere intenta a stendere le sue cose ad asciugare. Julian scoppiò a ridere e approfittò di quel momento per cominciare a cambiarsi. Megan rimase voltata finché non fu ragionevolmente sicura che lui avesse terminato. Il ragazzo tornò accanto a lei, vicino al focolare, e riprese ad osservarla con attenzione, provocando di nuovo il suo disappunto.

«Vi sentite bene?», le chiese e, senza aspettare risposta le tastò il polso per controllare le pulsazioni. Lei si liberò immediatamente dalla presa e tornò a rivolgere uno sguardo assente alla porta: c’era ancora quella voce, da qualche parte là fuori e ora, che la tempesta si era placata, sembrava chiamare il suo nome. Megan rabbrividì mentre un rumore di oggetti che venivano spostati la riportava lentamente alla realtà. Si accorse che Julian stava cercando qualcosa in una credenza che lei non aveva notato. Un sorrisetto divertito si fece faticosamente strada sul suo volto al pensiero di quanto fosse assurdo che quel ragazzo stesse cercando da mangiare.

«Dubito che riuscirai a trovare del cibo, lì dentro», lo apostrofò con una smorfia provocata da un forte dolore alla gola. 

«Ho trovato del tè e del miele, l’ideale per scaldarsi un poco», replicò mostrandole il suo bottino. «Poi, se volete anche dei dolci, vi posso assicurare che le cuoche a Palazzo sono brave e generose come quelle della Reggenza», aggiunse procurando un  altro debole sorriso alla giovane. 

«Bene, Lord. Adesso dimmi: dove pensi di prendere l’acqua per il tè?»

«Dalla mia borraccia, ovviamente», le rispose. Si diresse spavaldo verso la sacca, la spostò, la sollevò e infine recitò una sfilza di imprecazioni non appena si rese conto che la borraccia era sparita: doveva averla persa mentre cercavano il rifugio.

«Scioglierò della neve», disse avvicinandosi risoluto alla porta. Megan rimase a guardarlo in preda ad un cupo sgomento. Avrebbe voluto dirgli di non uscire, ma non riuscì ad articolare alcun suono. Quando infine il giovane rientrò, sano e salvo, la dottoressa si rese conto di aver trattenuto il respiro per tutto il tempo. La voce che le era parso di sentire aveva taciuto per tutto il tempo che Julian era stato fuori e aveva ripreso a lanciare i suoi inquietanti richiami non appena lui si era richiuso l’uscio alle spalle.

«Possibile che tu non lo senta?», gli chiese esasperata.

«Vi state agitando troppo», osservò il Cavaliere, mettendo l’acqua a bollire sul fuoco, evitando accuratamente di risponderle. Quando il tè fu pronto lo versò e glielo mise davanti, aggiungendo una dose abbondante di miele. Megan bevve in silenzio, poi lamentò un fortissimo mal di testa e andò a coricarsi sull’unico letto presente. Julian sembrava assorto e accolse la sua decisione con un cenno di assenso.

«Dormite bene», augurò a Megan mentre si infilava sotto la coperta ruvida.

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Capitolo 3
*** La Gelida Charlotte ***


Si svegliò di soprassalto, con il respiro corto e madida di sudore. Aveva avuto l’impressione che la voce che aveva sentito fuori fosse riuscita ad avvicinarsi tanto da sussurrarle qualcosa all’orecchio.
Si alzò e barcollando si avvicinò a Julian che sonnecchiava seduto accanto al camino.

«Jules!» Gli diede un piccolo calcio alla gamba mentre si strofinava le braccia per scaldarsi. Sentiva dolori ovunque, aveva la nausea e avvertiva un freddo tremendo, quindi aveva concluso di avere la febbre.

«Sto morendo di freddo», gli comunicò cercando di non sforzare troppo la gola che bruciava da impazzire. Lui considerò con occhio critico le condizioni della dottoressa e andò a cercare qualcosa nella sacca. Ne estrasse il contenitore con il necessario per le emergenze mediche; poi continuò ad estrarre gli abiti. Megan era troppo esausta per protestare.

«Dovete avere la febbre alta», constatò Julian. «Avete qualcosa per abbassarla?»

«Gocce», si limitò a dire facendo un cenno vago in direzione del tavolo prima di lasciarsi cadere a terra davanti al camino. Guardò desolata i mantelli che sembravano ancora lontani dall’essere asciutti; si lasciò sfuggire un sospiro mentre si stringeva le ginocchia al petto in cerca di un po’ di calore. Julian si avvicinò a lei.

«Come si prendono?», domandò mostrandole la boccetta accuratamente etichettata. «Vi serve dell’acqua?»
Megan fece un cenno affermativo. Non aveva alcuna voglia di prendere quella medicina disgustosa, ma non poteva certo mettersi a discutere. Un istante dopo prese dalle mani di Julian una tazza leggermente tiepida da cui si levava un odore nauseante.

«Era avanzata un po’ di acqua, prima. Visto che l’abbiamo fatta bollire dovrebbe andare bene, giusto?», rimase ad osservarla mentre, con una smorfia schifata, beveva la sua medicina.

«Sei sempre attento alle lezioni di medicina, a quanto pare», commentò lei divertita, «Da quando hai smesso di frequentarle ho notato che qualcuno si è trovato in difficoltà.»

«Lo so che è sbagliato suggerire…», cominciò il giovane con espressione contrita, ma il gesto noncurante di Megan gli fece lasciare la frase in sospeso. Dopo averle tolto la tazza di mano si sedette a terra accanto a lei. Notò che stava tremando.

«Dovreste cambiarvi di nuovo, ma non credo abbiate più niente di asciutto»

«Infatti», confermò Megan.

«Posso darvi la mia camicia», propose il ragazzo ma non ricevette risposta. Rimasero in silenzio a fissare il fuoco.

«C’era qualcuno, fuori, nella tempesta», cominciò Megan, sperando di alleviare l’angoscia che provava. «Sentivo una voce che mi chiamava».

«Non dovete pensarci più», l’ammonì duramente Julian. «E dovete togliervela dalla testa».

«Quindi l’hai sentita anche tu! Non me la sono immaginata».

«Se la sentite di  nuovo, ignoratela. E smettete di pensarci», si limitò a ribadire lui senza rispondere. Megan sbuffò contrariata: era evidente che lui sapeva qualcosa che non le voleva dire, ma non aveva intenzione di desistere finché non le avesse raccontato tutto.

«Smetterò di pensarci quando ti deciderai a dirmi cosa ho sentito», si ostinò a ribadire.
Per tutta risposta il Cavaliere si alzò e, avvicinandosi al camino, prese un paio di mattonelle che aveva messo a scaldare, li avvolse in un panno e li infilò sotto le coperte, in fondo al letto.

«Dovrebbero tenervi un po’ più al caldo»

«Non cercare di cambiare discorso»

«Va bene», si arrese Julian, ma il sorriso che gli affiorò sulle labbra mise Megan in allerta. «Prendete la mia camicia e cambiatevi. Quando sarete pronta risponderò alla vostra domanda».

«Idiota», ribadì la dottoressa sbuffando platealmente, ma prese la camicia dalla sacca e si cambiò. La sensazione di avere di nuovo addosso qualcosa di asciutto, nonostante si trattasse dei vestiti di Julian, la fece sentire un po’ meglio. La camicia le stava lunga, ma le gambe le rimanevano scoperte. Le era già successo una volta, per uno sfortunato caso a cui preferiva non pensare, di trovarsi davanti a lui così poco vestita e avrebbe preferito che l’esperienza non si ripetesse.

«Mi sento ridicola», protestò. «E questa roba non mi copre abbastanza, ho ancora freddo».

«Allora andate a mettervi subito sotto le coperte», le suggerì il ragazzo compiendo uno sforzo sovrumano per evitare di guardarla. Probabilmente, considerò, Megan si sentiva già più in forze, dal momento che aveva ritrovato l’energia di insultarlo e brontolare. Un rumore improvviso lo fece balzare in piedi. Guardandosi intorno si accorse che una sedia si era rovesciata e Megan era raggomitolata a terra, tremante, accanto ad essa. In un attimo le fu vicino.

«Non riuscivo a reggermi in piedi», gli spiegò cercando di tirarsi su da terra, ma le sembrava di essere completamente priva di forze. Julian allungò una mano, sfiorandole lievemente una guancia. Megan non capì il motivo di quel gesto e nemmeno il sollievo che il giovane mostrò quando interruppe il gesto.

«Va tutto bene», la rassicurò sollevandola fra le braccia per adagiarla sul letto.

«L’ho sentita di nuovo», sussurrò. «E sento sempre più freddo. Ho la sensazione che non riuscirò mai più a scaldarmi».

«È quello che vuole farvi credere lei, non datele retta», provò a tranquillizzarla.

«Stai delirando anche tu?», lo apostrofò Megan. «Trova un modo per scaldarmi e dimmi chi o cosa mi stava chiamando là fuori. Me lo devi».

«Avete già addosso tutte le coperte che sono riuscito a trovare. Ma, se volete, posso scaldarvi io stesso», la punzecchiò.

«Fai come credi», sbottò lei senza soffermarsi a pensare se desiderasse o meno quella vicinanza. Trattenne il fiato quando Julian spostò le coperte e si distese dietro di lei. Poco dopo si sentì circondare dalle sue braccia.

«Potete ricominciare a respirare», la prese in giro, sussurandole vicino all’orecchio. La sua spiritosaggine gli valse una gomitata nelle costole.

«Sei…», cominciò Megan.

«Un idiota, lo so», terminò Julian per lei. «Ma non avrei mai permesso alla Gelida Charlotte di prendervi», soggiunse accentuando leggermente la stretta, gesto che non provocò alcuna protesta da parte della dottoressa.

«Chi è la Gelida Charlotte?», chiese incuriosita, preferendo ignorare la capriola che aveva sentito nello stomaco quando il giovane l’aveva stretta più forte a sé.  

«È il motivo per cui Padre Thorne ci ha mandati qui. Il padre di Lady Eloise, in una sua lettera, ha parlato di una vecchia storia che sembra essere tornata molto in voga da qualche tempo. A quanto pare sono sempre più numerosi i casi di persone che sostengono di aver avuto a che fare con questo fantasma». Megan si agitò nel sentire quel termine che le riportava alla mente spiacevoli ricordi. D’istinto le accarezzò una spalla per tranquillizzarla.

«In realtà Ned ha pensato che potesse trattarsi di una creatura sfuggita alla distruzione del Presidio, così ha spedito me, Jordan e Jerome a controllare. Abbiamo cercato a lungo e inutilmente. È una fortuna che abbia deciso di riaccompagnarvi, quando siete partita. A quanto pare ci serviva un’esca per attirare la Gelida Charlotte».

«Un’esca?», ripeté con disappunto. «Mi hai usata come esca?»

«Veramente è un’idea che ho preso in considerazione solo riflettendoci a posteriori. Ad ogni modo, considerando la leggenda, credo che si possa dire che siamo stati entrambi delle esche perfette»

«E la leggenda cosa dice? Non credo di averne mai sentito parlare. Si tratta forse di uno di quegli stupidi spauracchi per bambini?»

«Dubito che sia una storia conosciuta fuori dai confini di Aldenor», cominciò Julian. «Si narra che, molto tempo fa, in un piccolo paese fra le nostre montagne, vivesse una fanciulla dotata di una straordinaria bellezza ma di salute piuttosto delicata», Megan emise uno strano verso che poteva essere di disgusto o di disprezzo, divertendo il giovane che decise però di ignorarla proseguendo con il suo racconto.

«Un giorno, un giovane di una famiglia nobile, sentì parlare di questa incantevole fanciulla e decise di volerla conoscere. Si mise in viaggio e arrivò fino al paese in cui viveva Charlotte. Si innamorò di lei a prima vista e…»

«Che idiozia. Si sarà innamorato di quello che ha visto. Nemmeno la conosceva, il suo sentimento, ammesso che ci fosse, poteva essere solo superficiale».

«Milady, mi state rovinando la narrazione. Posso finire o non siete più interessata?»

«E va bene, continua pure», gli concesse Megan brontolando. Aveva sentito il bisogno di interromperlo perché cominciava a trovare fin troppo piacevole stare fra le braccia di Julian a farsi raccontare storie che le avrebbero forse provocato qualche incubo. Lui riusciva a farla sentire al sicuro, anche se fuori c’era una creatura del Presidio che non smetteva di chiamarla per nome.

«Bene», riprese soddisfatto il ragazzo. «Stavamo dicendo che il giovane perse subito la testa per lei e cominciò a corteggiarla. Charlotte si lasciò incantare con facilità dai modi e dai regali del suo ammiratore e in capo a poche settimane venne annunciato il fidanzamento dei giovani». Julian fece una pausa per non mettersi a ridere, poiché aveva sentito Megan sibilare un insulto molto colorito nei confronti del comportamento della protagonista della storia.
«Charlotte si trasferì in città, il suo fidanzato le regalò una casa, provvedendo anche al personale di servizio. Gli piaceva girare per la città con lei, in modo da sfoggiare la sua bellezza. Venne l’inverno e il giovane nobile ricevette l’invito per un importante ballo che si sarebbe tenuto in una città vicina. Ovviamente decise di andare con la sua fidanzata, nonostante lei da qualche giorno lamentasse di non sentirsi bene. Charlotte decise di assecondarlo, perché lo amava e voleva che lui fosse felice. La sera della festa il giovane si presentò a casa della fidanzata con una carrozza scoperta. Faceva freddo, l’aria odorava di neve: uscire a quell’ora e con quel mezzo era una follia, ma lui voleva che tutti potessero vederli e invidiarli per quello che avevano. Anche a Charlotte piaceva essere ammirata, così accettò di buon grado di usare quella carrozza. Partirono e, come chiunque avrebbe potuto prevedere con facilità, le condizioni del tempo peggiorarono presto. Cominciò a nevicare, sempre più intensamente. Passarono diverse abitazioni ma decisero di non fermarsi a chiedere riparo: non volevano rischiare di perdere la festa. La nevicata peggiorò trasformandosi in una tempesta di neve. Quando finalmente raggiunsero la loro destinazione, il giovane era febbricitante e Charlotte… era pallidissima, le sue labbra erano violacee, le punte delle dita nere: era morta durante il viaggio ma il suo fidanzato non se ne era nemmeno reso conto. Il ragazzo si riprese dalla sua malattia nel giro di qualche settimana. Non parlò più di Charlotte e di lì a poco si fidanzò nuovamente, e l’annuncio del proprio imminente matrimonio suscitò un grande scalpore, visto che era passato poco meno di un anno dalla morte della precedente fidanzata. Il nobile, però, non arrivò mai all’altare: uscito per una cavalcata con alcuni amici, venne sorpreso da una nevicata precoce. Ancora una volta la nevicata si trasformò in tempesta ma, quando il gruppo riuscì a trovare rifugio in un capanno simile a questo, ma il futuro sposo non riuscì a mettersi in salvo. Gli altri dissero che si era allontanato dal gruppo urlando terrorizzato di aver sentito nella tempesta la voce di Charlotte che lo chiamava. Il suo corpo non fu più ritrovato. Si dice che il fantasma della giovane vaghi nelle tempeste chiamando per nome le vittime prescelte».  

«Un branco di idioti», commentò Megan con disprezzo, riferendosi ai protagonisti del racconto e ricacciando indietro la sensazione di disagio che le aveva procurato ascoltare la storia.

«Sarà, ma questo non toglie che la storia che vi ho raccontato ha avuto un grande successo. Qualcuno ne ha fatto una ballata o un poema e, se non ricordo male, diversi anni fa andavano di moda queste piccolissime bamboline bianche, di ceramica, che venivano vendute in una scatolina a forma di bara ed erano chiamate “Gelida Charlotte”».

«Disgustoso. Come poteva essere apprezzata una cosa del genere?», si sorprese Megan.

«Non ne ho idea. Non mi sono mai interessate le bambole», sogghignò Julian. «Passato il freddo?», le chiese tornando subito serio.

«Pensi davvero che sia una creatura del Presidio?», domandò a sua volta Megan per evitare di rispondere: se gli avesse detto che si sentiva meglio, Julian non avrebbe più avuto motivo di stare lì e dal momento che lei cominciava ad apprezzare quella vicinanza, voleva rimandare ancora per un poco il suo allontanamento.

«Ne sono sicuro. L’ho percepita chiaramente, là fuori. Abbiamo sempre considerato la possibilità che qualcuno di quegli esseri fosse riuscito ad allontanarsi in tempo. Adesso ne abbiamo la conferma».
Non poteva più starle così vicino. In quel letto cominciava a fare fin troppo caldo e il motivo non era semplicemente la quantità di coperte sotto cui si erano infilati. Ma le domande di Megan non erano ancora terminate.

«Come mai sei convinto che entrambi abbiamo svolto il ruolo di esche?»

«A quanto pare la Gelida Charlotte dimostra una predilezione per le coppie», rispose pensieroso. Megan si girò fra le sue braccia per guardarlo negli occhi.

«Ma noi non siamo una coppia», gli fece notare.

«Ma questo Charlotte non lo sa e poi…», riuscì a non dire che avrebbero potuto esserlo.

«E poi… cosa?», volle sapere lei.

«Nulla», rispose sommessamente senza distogliere lo sguardo dal suo. Adorava perdersi in quegli occhi verdi.

«Sei innamorato di me, Jules?»

La domanda fu così diretta che lo colse alla sprovvista. Sentì il cuore accelerare mentre pensava a come rispondere e, soprattutto, al motivo che poteva aver spinto Megan a fargli quella domanda. Meglio tergiversare e capire cosa stesse succedendo.

«Io… non mi sarei mai aspettato una domanda del genere. Posso sapere perché me lo state chiedendo?», aveva ben chiara la risposta che avrebbe voluto poterle dare, ma non era sicuro che lei la volesse sentire.
Megan aveva già cominciato a sentirsi stupida nel momento stesso in cui, senza riflettere, aveva posto quella domanda. Ora lui non voleva rispondere. Gli costava così tanto dire sì o no? E, soprattutto, era sicura di voler sentire la risposta, qualunque essa fosse?

«Fa’ finta che non te lo abbia chiesto», gli rispose seccata. Aveva appena deciso che non le importava più saperlo.

«Siamo a letto insieme e tu indossi la mia camicia», le ricordò in tono malizioso. «Come potrei fare finta di niente?» 

La sfacciataggine di Lord non aveva limiti. Megan scoppiò a ridere beffarda.

«Sei senza vergogna. Non siamo “a letto insieme”. Non nel senso che intendi tu, razza di imbecille! E smetti di prenderti tanta confidenza!», lo colpì sul petto. Qualunque fosse il vero motivo che l’aveva spinta a fargli quella domanda, di certo era stato cancellato dal comportamento poco serio del giovane. «Ad ogni modo ti ricordo che sei stato tu il primo a tirare fuori l’argomento con quella storia che Charlotte predilige aggredire le coppie».
Cercò di voltargli di nuovo le spalle, ma lui la tenne ferma.

«Avete ragione, quindi mi sembra giusto rispondere alla vostra domanda. Sempre che la risposta vi interessi ancora», le disse tranquillo, sollevandole con delicatezza il volto per guardarla negli occhi.
Il cuore di Megan cominciò a battere più forte. Si rese conto di avere paura della risposta, qualunque potesse essere. Ciononostante, si ritrovò ad annuire: voleva sapere.

«Non sono innamorato di voi. Non più», confessò tutto d’un fiato.

«Bugiardo», lo accusò la giovane, cercando di contenere la rabbia e l’angoscia che la stavano assalendo. «Non ti credo».

«La prima volta che vi ho vista, mi sono innamorato di voi e sono stato innamorato di voi a lungo»

Doveva scegliere bene le parole: aveva una splendida occasione e non voleva sprecarla.

«Poi vi ho conosciuta meglio e i miei sentimenti sono cambiati. Non si può restare innamorati per sempre».

Megan distolse lo sguardo. Non riusciva più a sostenere quel confronto. Da quando gli aveva preso il ritratto si era ritrovata a pensare spesso a lui. Pensieri che non erano approdati ad una conclusione e che la lasciavano sempre più confusa. C’erano le solite considerazioni: Julian era troppo giovane per lei, faceva il cascamorto con tutte, non riusciva mai ad essere serio, era troppo insistente… d’altro canto era sempre disposto a dare una mano a chiunque e per qualunque cosa, era attento, sveglio, intelligente, premuroso e, soprattutto, aveva sempre dimostrato un grande rispetto per lei. Le lasciava i suoi spazi. La lasciava sbagliare. Più di una volta l’aveva fatta sentire in difetto ma non le aveva mai rinfacciato i suoi errori. L’aveva protetta senza farglielo pesare, senza chiederle niente in cambio o meglio, niente che lei non fosse disposta a concedergli.

Vi ho conosciuta meglio… i miei sentimenti sono cambiati…

Quelle parole continuavano a risuonarle in testa. Chiaramente aveva trovato un’altra a cui rivolgere le sue attenzioni.

«Hai ragione», si sforzò di dire infine, ma la sua voce sembrava incerta. «Non si può continuare ad essere innamorati quando il sentimento non è ricambiato. O quando ti rendi conto di aver perso la testa per qualcuno di insopportabile». Sorrise debolmente. «Quindi… lei chi è?»

Julian rimase interdetto per un momento quando si rese conto che Megan aveva capito esattamente il contrario di quello che stava per dirle. Avrebbe voluto confessarle che l’amava, che più tempo passava con lei, più era convinto di non volere nessun’altra nella propria vita. Invece lei aveva dato per certo che conoscerla meglio aveva significato smettere di provare qualunque cosa per lei. Quello che più lo aveva sorpreso era stato vedere quanto profondamente si sentisse ferita dalla conclusione a cui era arrivata.
Stava per risponderle quando un colpo improvviso li fece sobbalzare: sembrava che qualcuno stesse cercando di abbattere la porta.
Julian scivolò silenziosamente fuori dal letto e andò ad infilarsi gli stivali.

«Mi sta chiamando», sussurrò Megan. Fuori il vento aveva ripreso ad ululare furioso, ma si poteva chiaramente distinguere un richiamo in quel suono agghiacciante.  

«Ignorala!», l’avvertimento risoluto di Julian arrivò mentre il giovane finiva di vestirsi.

«Sei impazzito? Cosa pensi di fare da solo?»

«Milady, sono un Chiamato», le ricordò. «È mio compito combattere esseri come quello che c’è qui fuori, ma vi ringrazio di esservi preoccupata per me», le sorrise ammiccando.

Un Chiamato… a Megan tornò in mente il modo in cui le aveva sfiorato la guancia prima di prenderla in braccio per metterla a letto.

«Hai creduto che si fosse impossessata di me?», gli chiese.

«Ero abbastanza sicuro di no, ma ho preferito controllare: se mi fossi sbagliato, non avrei potuto toccarvi senza farvi del male».   

Era pronto per uscire ad affrontare la creatura. Megan rimase ad osservarlo mentre si portava una mano sul petto e, con sorpresa e curiosità, vide il bagliore azzurro della lama che il giovane aveva richiamato e che ora teneva stretta mentre si preparava ad uscire.
Socchiuse la porta e controllò l’esterno, poi lanciò un’occhiata a Megan.

«Non mi farà nemmeno un graffio. Sono imbattibile», affermò con un sorriso sfrontato per alleviare la tensione.

«Sbruffone», commentò Megan lievemente divertita. «Cerca di tornare tutto intero», sospirò preparandosi all’attesa.

Rimase per poco tempo nel letto, poi mandò al diavolo il freddo e si alzò, avvicinandosi alla porta. Dall’esterno provenivano ululati agghiaccianti e il rumore ovattato dello scontro che si stava combattendo nella neve. Non poteva vedere niente e presto un fastidioso nervosismo si impadronì di lei. Cominciò a fare avanti e indietro nel locale, andò a controllare gli abiti messi ad asciugare e, constatando che alcune delle sue cose erano asciutte e intiepidite dal calore del fuoco, decise di rivestirsi.

«Odio stare chiusa qui senza far niente», sbottò esasperata. Come facevano quelle “fanciulle indifese” che si mettevano costantemente nei guai aspettando che qualcuno andasse a salvarle? Quando era nervosa aveva l’abitudine di leggere storie in cui una igenua giovane in pericolo veniva salvata dall’eroe di turno per sfogarsi passando tutto il tempo ad insultare la protagonista. In quel momento avrebbe tanto voluto avere uno di quei libri con sé.

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Capitolo 4
*** Ultimo brivido ***


Megan non aveva idea di quanto tempo fosse passato da quando Julian era uscito: forse solo alcuni minuti, forse ore. Il tempo sembrava scorrere in modo strano, o forse era solo la noia che le dava quell’impressione. Aveva tenuto vivo il fuoco per scacciare i brividi di freddo che ancora la scuotevano, ma che si stavano facendo meno frequenti. Anche le mani, che prima erano arrossate e gonfie e percorse da un doloroso formicolio stavano tornando alla normalità. Un segnale rassicurante.
Era concentrata sulla propria diagnosi quando la porta si spalancò, facendola alzare di scatto rovesciando la sedia su cui era seduta.
Julian apparve sulla soglia, la mano appoggiata al petto per riporre la sua arma che sparì con un ultimo scintillio.

«Imbattibile, eh?», lo apostrofò Megan mentre lo guardava riprendere fiato.

Julian sogghignò.

«Infatti alla fine ho vinto io, ma devo averla lasciata avvicinare un po’ troppo un paio di volte», il giovane mosse qualche passo incerto, richiudendosi la porta alle spalle. «Credo di aver bisogno di voi. Come medico, intendo».
 
***
 
«Ti direi di stare a riposo, ma ho l’impressione che sarebbe una raccomandazione inutile», affermò la bionda dottoressa finendo di medicarlo: la ferita alla testa non era profonda, ma aveva sanguinato parecchio; in più c’erano almeno due o tre costole incrinate, tutto il resto era a posto. 

«In questo momento riposare è l’unica cosa che desidero», le assicurò stando disteso ad occhi chiusi. Un cupo brontolio accompagnò quelle parole.

«Sembra che il tuo stomaco non sia d’accordo», gli fece notare, divertita, la dottoressa.

«Il mio stomaco aspetterà: non ho intenzione di dargli retta in questo momento. E poi la mia scorta di dolci è troppo lontana», ribadì senza aprire gli occhi.
Sentì Megan alzarsi e tornare poco dopo al suo fianco. Aprì un occhio e vide che aveva con sé un involto contenente dei panini dolci con gocce di cioccolato. Avevano un profumo deliziosamente invitante e Julian si mise subito seduto incurante del dolore.

«Hai saccheggiato le cucine prima di partire?», gli chiese ironica osservando l’aria famelica con cui aveva addentato il primo panino.

«Ho fatto gli occhi dolci alle cuoche e mi hanno riempito di prelibatezze. Anche Jordan tornerà con un bel bottino», affermò orgoglioso. «Sempre che non si mangi tutto durante il viaggio», soggiunse. «Dovreste assaggiarne uno anche voi».

Megan si rese conto di aver fame non appena accettò l’offerta di Julian. Tuttavia si limitò a staccare piccoli pezzi del morbido impasto ripensando alla domanda a cui lui non aveva risposto e chiedendosi come tornare sulla questione.

«Dovresti lasciarne qualcuno anche per lei», disse infine sentendosi stupida.

«Lei? Lei chi?», domandò perplesso.

«La tua bella», gli rispose caustica Megan, giocherellando nervosamente con il suo ciondolo.

Julian esultò intimamente: aveva appena assistito ad una chiara dimostrazione di gelosia. Doveva essere successo qualcosa che l’aveva convinta a guardarlo con occhi diversi. Finalmente poteva avere la certezza di vedersi ricambiato. Però avrebbe dovuto essere ancora molto paziente: conosceva Megan abbastanza bene da capire quanto dovesse sentirsi confusa, perciò non sarebbe stato saggio essere troppo diretto con lei.

«Dubito che le farebbe piacere essere chiamata in quel modo. Soprattutto perché non è mia».

«Nemmeno a me farebbe piacere, questo significa che almeno è intelligente»

Julian sogghignò.

«Molto intelligente», confermò. «E generosa, indipendente, orgogliosa, altruista. Ha un carattere forte. Ed è bellissima», terminò osservandola di sottecchi. Forse aveva esagerato.

«Sembra perfetta», si lasciò sfuggire Megan a bassa voce.

«Per me lo è di sicuro», affermò Julian. «E un giorno spero di riuscire a dirle che la amo».

Megan si riscosse. La ama. Addirittura.

«Vuoi dire che non lo sa?», gli chiese incredula. Se davvero provava un sentimento così forte per questa ragazza, come aveva potuto non accorgersene?

«Sembrerebbe di no», le confermò con un sorriso imbarazzato. «Ora è molto presa dallo studio e dal lavoro. E immagino che abbia già fatto progetti per il futuro, visto che le manca poco alla laurea. Non voglio esserle d’intralcio», concluse convinto.

Megan era senza parole. Se a questa misteriosa giovane mancava poco alla laurea, forse la conosceva.

«Frequenta lo Studium?».

Julian fece un cenno affermativo.

«Lo frequenta e, dal momento che so per certo che la conoscete piuttosto bene, preferirei non dirvi di chi si tratta».

Megan incrociò le braccia, sbuffando contrariata: se non voleva dirglielo, avrebbe di sicuro trovato il modo di scoprirlo da sola. Considerato tutto quello che riusciva a scoprire lui, non poteva essere così difficile raccogliere informazioni su qualcuno. La voce di Julian interruppe le sue riflessioni, riportandola alla realtà.

«Quando ho richiamato la mia spada, Jordan e Jerome lo avranno sentito e si saranno messi in viaggio per cercarmi. Credo che saranno qui fra qualche ora, sarà meglio approfittarne per dormire un po’, non credete?»  

«Hai ragione», disse la giovane alzandosi per allontanarsi: quel letto era troppo stretto per poter dormire entrambi senza tenersi abbracciati. Julian la bloccò trattenendola per un polso e lei gli rivolse uno sguardo contrariato.

«Vado io a dormire sul tavolo. O per terra»

«Sciocchezze: tu sei ferito, resta a letto», gli ordinò in tono che non ammetteva repliche.

«E voi siete ancora mezza assiderata, siete esausta e avete bisogno di stare al caldo. Il letto è per voi», s’impuntò Julian che non aveva intenzione di cedere.

«Di questo passo saremo ancora qui a discutere quando arriveranno gli altri», si arrese Megan reprimendo uno sbadiglio. «Ascolta il tuo medico e mettiti a dormire. Su questo letto. Fine della discussione», terminò irremovibile.

Julian la guardò per un istante, quindi allentò la presa sul suo polso.

«D’accordo», assentì con un sorriso pericoloso. Appena Megan fece un passo per allontanarsi, le afferrò di nuovo il polso e la tirò sul letto accanto a sé. Il gesto incauto gli procurò una fitta di dolore allo sterno che lo fece impallidire.

«Ma sei impazzito?», protestò la giovane quasi urlando, rendendosi conto del colorito cadaverico dell’altro. «Se ti sei fatto male è peggio per te, brutto imbecille sconsiderato».

Julian rise.

«Mi sembra di ricordare che prima ci fosse posto per entrambi», le ricordò.

«Così potrai vantarti di essere stato a letto con me?», lo provocò.

«Sarà il nostro segreto», promise guardandola negli occhi. «In fondo abbiamo già passato la notte insieme, una volta, e non ne ho mai parlato con nessuno»

«Ma cosa dici?», si stupì. «Non abbiamo mai…», si interruppe ricordando a cosa si stesse riferendo.

«Giusto. In biblioteca», terminò pensierosa mentre Julian annuiva.

«Se riuscite a non farvi estorcere informazioni dalle vostre amiche, siete al sicuro», ridacchiò il ragazzo ricordando che Eloise e Lara erano riuscite a farsi raccontare una parte di quanto era accaduto quando erano rimasti intrappolati in biblioteca.

«E cosa vuoi in cambio del tuo silenzio?», volle sapere Megan.

«Assolutamente niente», fu la divertita rassicurazione.

«Non mi fido. Non voglio sentirmi in debito», protestò sbadigliando. «E se non la finiamo di discutere non riusciremo a dormire».

«Se proprio insistete…», cominciò Julian spingendola gentilmente sul letto. «Potreste concedermi di parlarvi con più confidenza, qualche volta? Non in presenza di altri ovviamente».

«E va bene, te lo concedo», assentì lasciandosi guidare verso il cuscino. Si sdraiò dandogli le spalle. «Dammi pure del tu quando non ci sono orecchie indiscrete nei paraggi. Però adesso lasciami dormire».

Aveva trovato strana la richiesta di Julian, ma era troppo stanca per pensarci. Lo sentì stendersi dietro di sé e, un attimo prima di scivolare nel sonno, le sue braccia la avvolsero donandole una ormai familiare sensazione di tranquillità. Le sussurrò qualcosa che non riuscì a capire, dal momento che non conosceva molto bene il dialetto di Aldenor, ma il tono delle sue parole le fece pensare che doveva essere qualcosa di molto bello.

Dormi bene, mia adorata.

Glielo aveva bisbigliato nella sua lingua, sperando che lei non capisse o, almeno, che stesse già dormendo. Era esausto, dolorante e abbastanza affamato, ma stava stringendo fra le braccia la donna che avrebbe voluto amare per il resto dei suoi giorni e per la prima volta poteva essere ragionevolmente sicuro di avere qualche speranza con lei. Chiuse gli occhi e si addormentò.
 
***
 
Un bussare poderoso e molto insistente alla porta li svegliò. Il fuoco si era spento e dalle imposte chiuse filtrava un po’ della luce grigia del mattino. Megan si precipitò fuori dal letto e cercò di sistemarsi vestito e capelli. Da fuori si sentiva la voce di Jordan che li chiamava.

«Lord! Alzati, maledizione! Sono arrivati», lo avvertì Megan.

Julian sbadigliò e si strinse al cuscino. «Buon giorno anche a voi, mia signora. Spero che abbiate dormito bene», biascicò con la voce impastata dal sonno. «Possono sfondare la porta, se vogliono. Io non ho ancora finito di dormire».

«Sì, certo. Molto divertente», borbottò seccata la dottoressa dirigendosi verso la porta. Aveva dormito benissimo; anzi, volendo essere completamente onesta, era sicura di non essersi mai sentita così riposata, nonostante la febbre si stesse alzando di nuovo, ma non aveva alcuna intenzione di ammetterlo. Si fermò vicino al tavolo, colta da un improvviso giramento di testa: forse avrebbe dovuto muoversi con più calma.

«State qui». Julian le aveva avvicinato una sedia e l’aveva fatta accomodare. «Faccio io gli onori di casa», si offrì e Megan scoppiò a ridere.

Quando Jordan e Jerome entrarono, la dottoressa era riuscita a tornare seria e stava cercando di sistemarsi i capelli. I nuovi arrivati la guardarono per poi scambiarsi uno sguardo perplesso.

«Cosa le hai fatto, Jules?», si informò Jordan tirando da parte l’amico. «Mia sorella potrebbe ucciderti se la vedesse così», concluse gettando un’occhiata allarmata a Megan che aveva seguito quello scambio sogghignando.

«Cosa vuoi che le abbia fatto? Ha la febbre», si giustificò. «E, visto che l’avete svegliata, siete voi che fareste meglio a stare attenti»

Gli altri due si lanciarono un'occhiata comicamente allarmata.

«Nessuno verrà punito se mi portate via di qui. Alla svelta», promise la giovane.

I tre ragazzi si scambiarono uno sguardo d’intesa e in pochi minuti furono tutti pronti a lasciare il rifugio.
 
 
 **********
 
 
NOTA: la storia raccontata da Julian è stata rielaborata da una leggenda conosciuta in epoca vittoriana. Anche le bamboline di cui si parla sono esistite veramente: erano di ceramica bianca, grandi pochi centimetri e, vendute in piccolissime bare, si ispiravano alla figura di questa sfortunata ragazza. Erano conosciute, appunto, come Frozen Charlotte.     
 

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