Fly me to the moon

di Veni Vidi Jackie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte 1 ***
Capitolo 2: *** Parte 2 ***
Capitolo 3: *** Parte 3 ***
Capitolo 4: *** Parte 4 ***



Capitolo 1
*** Parte 1 ***


Mi trovavo in motorino lungo via Trieste, a Lido di Ciomarea.

Non posso dimenticare quel giorno.

A bordo di “Will” (così chiamavo il mio scooter), non vedevo l’ora di raggiungere il mio stabilimento balneare per passare il pomeriggio coi miei amici. Come facevo tutte le estati, d’altronde. Sempre lo stesso tragitto, tra l’altro.

Sapevo quindi benissimo, lungo via Trieste, del cartello “strada dissestata”, delle tantissime buche e dei dossi naturali creati dalle radici sottostanti che rialzavano la carreggiata di diversi centimetri. Tuttavia, non so perché, quel pomeriggio non feci troppa attenzione.

Superai il cartello “strada dissestata” e un paio di buche, ma proprio non vidi quel rialzamento della carreggiata dovuto alle radici sotterranee di un pino, che cresceva lì accanto.

Andavo a circa 45 chilometri orari (il massimo consentito era 50), quando notai la presenza di quel pericolo. Tentai solo di rallentare: ero troppo vicino, non avrei potuto fare altro.

Ma era troppo tardi anche per frenare.

Salii sul dosso a più di quaranta chilometri orari e il mio Will si impennò, librandosi nell’aria.

Fu allora che successe.

Sorprendentemente, presi il volo. Letteralmente. Volai. E’ scontato dire quanto rimasi scioccato e sconvolto. Non facevo altro che girarmi a destra e a sinistra o a guardare in basso per vedere se stessi sognando oppure no. Non era affatto un sogno, era realtà. Stavo volando.

Quando fui ad una quindicina di metri da terra, decisi di spegnere il motore: continuai a volare, come se nulla fosse cambiato. Potevo vedere tutta Lido di Ciomarea dall’alto: era bellissima, ma non riuscii ad apprezzarla perché ero spaventato a morte. Le macchine, le persone e le case si facevano sempre più piccoli mano a mano che io mi alzavo in alto. Fu quando mi trovai a un centinaio di metri da terra che provai a spostare il peso in avanti, per cercare di scendere un pochino: accadde. Will scese di qualche metro, prima di assestarsi a quell’altezza ad un altro mio movimento.

Mi misi a giocherellare col motorino: mi abbassavo, tornavo in alto, andavo a zig zag, facevo capovolte…

Fu durante una delle mie acrobazie che incrociai un’altra persona su di uno scooter, in direzione opposta alla mia. Era una ragazza di circa vent’anni, che guidava come se non avesse mai lasciato terra: sguardo fisso davanti a sé, in assoluta tranquillità.

- Ehilà! - la salutai, ma lei non mi considerò nemmeno. Mi sorpassò, come se nulla fosse avvenuto. La seguii con lo sguardo per un pochino, per poi tornare a guardare davanti a me. Fu così che evitai per pochissimo un frontale (sembra molto strano parlare di frontali a diverse centinaia di metri d’altezza, ma fu quello che accadde).

Una macchina sterzò e mi evitò per pochi centimetri, mentre il guidatore al suo interno gridò e inchiodò a pochi metri da me. Mi fermai pure io e fu allora che notai quanto fosse bella quella macchina: stile anni ‘60, con la capotte del tutto aperta, lunga, affilata e bellissima. Non sono mai stato un amante delle auto, ma quella mi affascinò.

Ero talmente preso da quella vettura che inizialmente non sentii nemmeno le lamentele del suo guidatore, ancora seduto al suo interno e rivolto verso di me.

- Ma ce li hai gli occhi o no? Mi stavi per prendere in pieno! -

Scioccato com’ero, non dissi niente. Lo fissai e basta.

- Cos’è? Ora hai perso anche la bocca? -

Era un uomo sulla cinquantina, piuttosto magro e vestito molto bene: portava un abito scuro a mezza fodera, con sotto una camicia bianca e una cravatta nera. Era anche pettinato di tutto punto: i capelli castani erano ben ordinati e pettinati verso la sua destra. Degli occhiali marroni dalla pesante montatura si frapponevano tra me ed i suoi occhi rabbiosi.

- Mi rispondi o no? -

Mi scossi, quasi rendendomi conto solo allora che stava parlando con me.

- Mi scusi...- riuscii solamente a dire

L’uomo inclinò la testa, scrutandomi da sotto quei pesanti occhiali. - E’ sicuro di stare bene? -

Di nuovo non riuscii a dire niente: ancora non sapevo se stessi sognando o meno. Fu allora che l’uomo aprì lo sportello e...scese. Quel tizio stava camminando nell’aria!

Si avvicinò a me barcollando e ogni volta che rischiava di perdere l’equilibrio imprecava sottovoce. Quando finalmente mi fu davanti mi studiò ancora per qualche secondo senza dire nulla.

- Sei nuovo di qui, non è vero? - domandò poi. - Non ti ho mai visto, ora che ci penso -

Io annuii (non sapevo cosa altro fare!).

- Oh, ma allora devi perdonarmi. - L’espressione dura si era adesso trasformata in un grande sorriso. - Io mi chiamo Louis Sinatra. -

Allungai la mano per ricambiare la sua stretta, senza poter fare a meno di guardare in basso e vedere gli edifici piccoli piccoli.

- Vedo che guardi giù, eh? - continuò – Scommetto che sei sorpreso. Ovvio che lo sei, come potresti non esserlo? -

- Che...che diavolo succede? - balbettai

- Scommetto che ti è preso un colpo quando mi hai visto scendere dall’auto, eh? E non ti sei accorto, quando ti sei fermato col motorino, di non cadere? - fece una grossa risata – Diavolo! E’ così divertente vedere i novellini! -

Poi si ricompose. - A parte gli scherzi, qui non è sicuro parlare. Vieni sulla mia macchina e saliamo un po’ di quota, ti spiegherò alcune cose. -

Non lo feci. E come potevo farlo? Sotto di me c’era il vuoto. Sapevo che se non eravamo già caduti non mi sarebbe capitato nulla, ma avevo comunque paura. Sotto di me non c’era un pavimento, c’era il cielo.

- Oh, forza! - mi incoraggiò lui. - Non vedi che non ti succede nulla? Metti un piede per terra, da bravo. O meglio, dovrei dire: “metti un piede nel vuoto”! -

Rise di nuovo, dandomi una pacca sulla spalla. - Scherzavo, scherzavo. Senti, come ti chiami? -

Lo fissai e basta.

- E su! Non ti voglio mica fare del male! Anzi, sono qui per aiutarti! Come ti chiami? -

- Al...Alessandro...- balbettai ancora

- Oh, molto meglio adesso! Senti, Alessandro, metti un piede dove penseresti che ci sia il pavimento. Non ti succederà nulla, te lo prometto. -

Non lo feci.

- Forza! - mi esortò – Non vedi che sei fermo sul motorino e non stai precipitando? Non ti succederà nulla, fidati. Dammi la mano. -

Con molta riluttanza obbedii e misi il piede in basso, nel vuoto...e non caddi. Sentii come se ci fosse un piano, un pavimento a sorreggermi. Lo guardai stupito e lui ridacchiò.

- Buffo, eh? Sì, sì, molto divertente. Soprattutto le prime volte. -

Dopo essermi tolto il casco mi accompagnò fino alla sua stupenda auto, tenendomi sempre per mano e sorreggendomi ogni qual volta perdevo l’ equilibrio. Mi ero infatti accorto che ogni tanto mi sentivo scivolare in basso, come se rischiassi di cadere da un momento all’altro.

- Non ti preoccupare, non ti preoccupare – mi rassicurò, notando la mia paura – anche io prima barcollavo, hai visto? Tra poco ti spiegherò il motivo. -

Mi fece accomodare al posto del passeggero e partì.

- Allora, Alessandro, come diavolo sei finito qui? -

- Ehm...-

Malgrado la mia paura fosse un poco diminuita, ancora non mi fidavo totalmente di quell’uomo. E tanto meno di me stesso…

- Andiamo! Di me ti puoi fidare! Parla in tranquillità -

Lo guardai: tutto sommato mi sembrava un brav’uomo. Decisi di dovermi fidare di lui.

- Sono...ehm...io stavo andando al mare...-

- Okay, okay. Vai avanti -

- E...ehm...come posso...non saprei come...-

- Usa le tue parole -

Sospirai, quasi non credendo a quello che stessi per dire. - Dunque...stavo andando al mare...e...e poi...poi mi sono ritrovato qui...io...io stavo volando -

Lui annuì. - Sei per caso finito in una buca o qualcosa di simile? Forse un sollevamento della carreggiata? - chiese

- Sì! E’ proprio così! - esclamai, quasi per auto convincermene

- Come immaginavo. Dov’eri? -

- Come? -

- Dov’eri quando hai preso il volo?

- A Lido di Ciomarea -

- Dove? Non ho capito. Parli così piano! Stai tranquillo! Ti ho già detto che di me ti puoi fidare, alza un po’ la voce -

Deglutii, sperando che quel gesto mi sciogliesse ancora un po’.

- A Lido di Ciomarea... -

- Ah! - esclamò – La conosco bene! Una bella città tutto sommato...sì, una bella città. In realtà qui in Versilia di belle città ce ne sono molte -

A questo punto si girò verso di me e cambiò totalmente argomento.

- Sai che macchina è questa? - mi domandò, riportando l’attenzione davanti a sé

- No -

- Ti piace? -

- Sì -

- Davvero? -

Avrei voluto dirgli che era la più bella macchina che avessi mai visto, ma non lo feci. Mi limitai, per adesso, a rispondergli con poche parole.

- Sì, mi piace -

- E’ una Lincoln Continental, la stessa auto su cui fu ucciso Kennedy. L’unica differenza è che questa è bianca. -

Guardai gli interni marroni con rinnovata ammirazione, per poi riportare gli occhi su di lui.

- Cosa mi è successo? - chiesi

- Ricordi come mi chiamo? - cambiò subito argomento

- No -

- Louis Sinatra. - Mi guardò come aspettandosi che io dicessi qualcosa. - Proprio come Frank, Frank Sinatra. Anche io sono italo americano, sai? E’ per questo che parlo così bene l’italiano. Sono di La Spezia, la conosci? -

- Certo. -

La nostra auto stava ancora percorrendo una strada invisibile nel cielo e presto mi accorsi, con enorme stupore, che eravamo saliti di quota rispetto a dove ci eravamo incontrati.

- Sai come sono finito qui? - chiese

- No -

- Sai quanti anni ho? -

Lo guardai stupito. - Come? -

- Hai capito bene. Secondo te quanti anni ho? -

Riportai l’attenzione sul suo volto, cercando di studiarlo meglio. - Quarantotto? -

Rise. - Ne ho cento due. -

Non so perché ma non mi stupii, forse perché mi ero già sorpreso troppo nei momenti precedenti.

- Allora, non mi chiedi come faccio ad averne così tanti e a sembrare così molto più giovane? - mi domandò

- Come fai? -

Louis Sinatra sorrise. - Ora ti spiego come sono finito qui. Era il 1961, stavo passando un’estate in Versilia. Ti ho già detto che sono italo americano, no? Bene, ero qui in vacanza. Più precisamente ero a Eriga Vigo, in via Indipendenza...non so se la conosci. Ah, sì? Ottimo. Volevo andarmene in Darsena, in spiaggia libera. Sai com’è via Indipendenza, no? Onestamente non ricordo nemmeno se allora si chiamasse già così...comunque, ti assicuro che già a quel tempo era piena di buche e sollevamenti del manto stradale. E io cosa feci? Stavo guidando quando presi uno di quei rialzamenti della carreggiata...maledette radici! Quegli alberi andrebbero tenuti sotto controllo! Comunque, mi capitò quello che è successo poco fa a te: mi innalzai in volo...ed eccomi qui. -

Avevo ascoltato attentamente e ora stavo cercando di metabolizzare il tutto.

- Sei un po’ confuso, eh? - mi chiese ridacchiando, dopo avermi dato una rapida occhiata. - E’ normale che tu lo sia. Ma dimmi un po’, sono la prima persona che hai incontrato qua su? -

- Sì. -

Mi resi subito conto di essermi sbagliato. - Ah, no! - esclamai – La seconda! Ho incontrato un’altra persona -

- Ah, sì? E chi? -

- Una ragazza bionda...avrà avuto più o meno la mia età...su un motorino -

- Descrivimela. -

Ero in difficoltà: l’avevo vista per pochi secondi e onestamente in quel momento ero ancora sicuro di essere in un sogno.

- Aveva una t- shirt verde se non sbaglio...era bionda...piuttosto carina...il suo motorino era bianco...- risposi, cercando di sforzarmi

- Mhm...-

Sinatra aggrottò le sopracciglia, prima di rallentare e fermarsi. Guardai in basso: eravamo ancora più alti di prima, stavolta le case erano difficile da riconoscere e si vedevano soprattutto campi verdi e boschi. Ma la vista che più mi impressionò fu quella del mare: quella distesa blu mi sconcertò non poco.

- Aveva per caso un casco blu? - mi chiese poi

- No, o almeno non mi pare...era grigio -

- Mhm...- Sinatra a questo punto si accese una sigaretta – probabilmente è qualcuna che si è persa...un po’ come te adesso -

- Eh? -

- Una ragazza che è arrivata qui da poco ed è ancora un po’ confusa -

- Ma perché mi è sembrata catatonica? Nel senso, ho avuto l’impressione che non mi avesse nemmeno visto. Mi ha superato senza neanche guardarmi. -

Si voltò verso di me. - Questo però prima non me lo hai detto -

- Mi è venuto in mente ora. - Feci una pausa. - E’ importante? -

- Assolutamente sì -

Feci un’altra pausa, fissandolo. - Come fai ad avere cento due anni? -

Sorrise e mi diede una pacca sulla spalla. - Oh, finalmente me lo hai chiesto! Cominci a svegliarti, allora! Bene, bene. Io vengo dal 1961, Alessandro. Ricordi come ti ho detto che sono arrivato fin qua su? Era il 1961, no? Bene, sono rimasto lo stesso da allora. Stessi vestiti, stessa auto e stesso fisico. Non sono invecchiato per nulla, sono ancora un uomo vicino alla cinquantina. Non so come questo sia possibile, dal momento che me lo chiederai. Ci sono delle regole qua su e non tutte le conosco, ma questa sì: il tempo qui non scorre. -

Mi diedi il tempo di immagazzinare quelle informazioni prima di fare altre domande.

- Come facciamo a non cadere? E perché prima mi hai detto che non è sicuro parlare nel punto in cui ci siamo incontrati? -

- Risposta alla prima domanda: non lo so. Non so come sia possibile che non precipitiamo nel vuoto, so solo che non accade. Risposta alla seconda domanda: perché eravamo troppo bassi. A soli cento metri da terra il “pavimento” (così lo chiamiamo noi, anche se invisibile) è molto fragile, bisogna salire per trovarlo più compatto. Il motivo di tutto questo? Indovina un po’: non lo so. Conosco molte regole, ma non le loro motivazioni -

- Tu prima hai detto che nel 1961 stavi andando al mare quando...insomma...quando ti è capitato quel “fatto”...-

- Esatto, sì -

- E mi hai anche detto che sei rimasto tale e quale a come eri allora...-

- Giusto, sì. -

Stavo cercando di ragionare, di mettere insieme tutti i pezzi del puzzle. - E allora perché sei in giacca e cravatta? Andavi al mare vestito così? -

Mi guardò con uno strano sorrisetto sulla faccia, per poi rilasciare tutto il fumo della sigaretta.

- Ottima osservazione – commentò – infatti mi sono espresso male: stavo tornando a casa da lavoro per poi andare al mare -

- Ah...e che lavoro fai? -

- Facevi – mi corresse – devi usare il tempo passato, ormai. Comunque, ero un avvocato -

- Capisco...-

Sinatra spense la sigaretta e indossò un cappello nero di feltro che prese da qualche parte dietro il suo sedile.

- Come mai non sei più tornato indietro? Voglio dire: perché non te ne torni a casa, invece di restare qui? Se non sbaglio sono più di cinquant’anni che sei qua... - chiesi

- E’ esatto. Non me ne torno perché non ho nessuno: nessuna moglie, nessun parente, nessun amico...nessuno. Sto meglio qua che sulla terra. -

Lo guardai dubbioso. - Siamo...morti? -

Scoppiò in una grossa risata. - Morti? No! Assolutamente no! Non è il paradiso questo, se è quello che cerchi di dire -

- E allora come fai a non invecchiare mai? Sei...- esitai a finire la frase – sei...immortale? -

- Te l’ho detto: non conosco il motivo. Per quanto riguarda l’immortalità...beh, so solo che da quando sono qua non mi sono mai sentito male. Certo, ho qualche acciacco alla schiena, ma quello lo avevo anche sulla terra. Quindi...beh, non saprei che dirti. Sì, può darsi che non morirò mai -

- Come faccio a tornarmene indietro? Intendo, sulla terra -

- Quello è importante che tu lo faccia presto, in effetti -

- Che intendi dire? -

Si sistemò meglio sul sedile. - Ricordi quando parlavamo di quella ragazza, prima? Quella che hai incrociato sul motorino? Bene, sei fortunato a non essere finito come lei. Hai detto che ti è sembrata catatonica, no? E’ una reazione che hanno molti quando finiscono qui per la prima volta, sei fortunato che non ti sia capitato lo stesso -

- E perché non mi è successo? -

Mi guardò sorridendo.

- Ah, ho capito – dissi – non lo sai -

- Esatto. Non lo so. Come ti ho già detto prima: “succede e basta”. Non ha senso chiedersi il motivo. -

Annuii. - Comunque, come posso tornare giù? -

- E’ molto semplice: basta inclinare leggermente verso il basso il tuo motorino. E’ molto facile, ricorda che stai volando e non guidando -

- Perché hai detto che è importante che lo faccia presto? -

- Perché è la verità: più tempo starai qui e più difficile ti sarà tornare indietro. E’ un’altra regola -

- Cosa significa che mi sarà più difficile tornare indietro? -

- Esattamente quello che ti ho detto. C’ è come una forza qua su...- si guardò intorno, con espressione dubbiosa - ...qualcosa che non vuole che torniamo giù, non so cosa sia. Più presto te ne andrai e meno resistenza incontrerai -

Anche io, seguendo il suo esempio, mi ero guardato intorno. Non avevo visto altro che cielo azzurro e qualche nuvoletta in lontananza.

- Cosa dovrei fare una volta tornato sulla terra? - chiesi

- Assolutamente niente – rispose con improvvisa fermezza, guardandomi direttamente negli occhi – non devi fare niente -

- Perché? -

- Fidati, è meglio così. Continua a vivere la tua vita. Non fare domande, non fare niente -

- Non capisco...-

Sinatra sospirò, accendendosi un’altra sigaretta. - Te l’ho già detto: c’è come una forza...una forza contraria che non vuole che approfondiamo il senso della nostra esperienza...non so cosa sia ma la percepisco...la percepiamo tutti -

- “Tutti”? Quante sono le persone come noi, che volano nei cieli? -

Rise. - Migliaia, immagino. Tu hai visto solo una minima parte di questo mondo. -

Questa volta fui io a sospirare. - Okay, voglio andarmene di qui -

- Ottimo – Sinatra batté le mani – prima lo fai, meglio è. -

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Capitolo 2
*** Parte 2 ***


Il motorino era esattamente dove lo avevo lasciato: in piedi sul vuoto, in mezzo al cielo.

Louis Sinatra fermò la macchina e mi guardò sorridendo.

- Bene – disse – credo che questo sia il tuo capolinea. Ricorda: nessuna domanda quando tornerai giù. Non raccontare a nessuno di questa esperienza -

Mi sentivo confuso quanto prima. - Okay...-

Mi allungò di nuovo la mano. - E’ stato un piacere conoscerti, Alessandro. -

Ricambiai il saluto e scesi dall’auto, camminando nel vuoto: feci molta fatica a non farmi prendere dal panico.

- Ricorda: nessuna parola! Non devi parlare con nessuno, Alessandro! - mi esclamò dietro Sinatra, mentre raggiungevo Will. - Niente di niente! -

Annuii più volte per fargli capire che avrei tenuto la bocca chiusa e indossai il casco, per poi salire sul motorino.

- Metti in moto e quando sei ad una certa velocità spingi il manubrio in basso, proprio come se dovessi scendere. Io ti guarderò da lontano – mi consigliò

- D’accordo. -

In realtà sapevo già come fare: non avevo certo dimenticato le mie acrobazie di qualche minuto prima. Oppure di qualche ora prima? Non sapevo più quanto tempo fosse passato…

Misi in moto e partii, percependo lo sguardo di Louis Sinatra su di me.

Quando fui ad una certa velocità, feci pressione sul manubrio verso il basso e riuscii a perdere quota. Piano piano mi resi conto di stare sorvolando via Einaudi, vicino a dove avevo spiccato il volo. Mi abbassai fino a toccare la carreggiata e, una volta “atterrato”, costeggiai la Fossa del Prete (uno sporco fossato) per poi girare in via Martiri delle Foibe. Raggiunsi uno stop e dopo pochi secondi ero in via Trieste.

Rieccomi qui, sul luogo del misfatto. Stavolta fui attentissimo: superai il cartello “strada dissestata” e le prime buche. Ed eccolo lì: il sollevamento stradale che mi aveva giocato quel tiro mancino.

Parcheggiai Will a bordo della strada e mi soffermai a guardare con più attenzione quel “dosso” naturale. Era davvero alto: c’era da stupirsi se nessuno, guidando un motociclo, ci avesse mai lasciato le penne. Feci attenzione che non passassero veicoli e mi chinai, per vederlo ancora meglio.

Soddisfatto del mio sopralluogo, guardai l’orologio: le tre e un quarto, ero stato in cielo per circa mezz’ora.

Tornai al motorino e nel mentre che mi sistemavo il casco scorsi un movimento dietro un albero, uno dei tanti pini che costeggiavano via Trieste sul lato destro. Mi ero parso di aver visto un uomo che mi sbirciava, qualcuno che si era subito ritratto dietro il tronco non appena lo avevo scorto. E, avevo paura anche solo pensarlo, mi sembrava che assomigliasse molto a Louis Sinatra, l’uomo delle stelle: aveva gli stessi abiti. Non ne ero sicuro, ma questa era stata la mia impressione.

Mi allontanai da Will per avvicinarmi al pino in questione, facendo attenzione a non fare rumore. Quando fui abbastanza vicino mi fermai, timoroso di soddisfare la mia curiosità. Preso coraggio, accelerai il passo e superai il tronco: non c’era nessuno.

Piuttosto confuso, me ne tornai da Will e in quegli stessi istanti ebbi la forte impressione di essere spiato da qualcuno. Mi girai indietro, ma stavolta non vidi niente nemmeno dietro i pini. Forse mi ero sognato tutto…

Accesi il motorino e ripartii: c’era una giornata al mare da trascorrere.

 

 

L’aver trascorso il pomeriggio in spiaggia coi miei amici mi fece completamente dimenticare la mia disavventura di qualche ora prima: arrivato a casa, intorno alle 18:30, ero ormai certo che mi fossi sognato tutto.

Era stato un sogno, un’allucinazione, o forse uno scherzo dovuto al caldo.

Eppure sembrava così reale…

No, non ci dovevo pensare. Ogni volta che mi sorgeva un dubbio, anche un minimo dubbio che in realtà non mi fossi sognato nulla, mi mettevo a fare qualcos’altro pur di non pensarci: soprattutto ascoltare la musica.

Fu durante la notte che cambiai idea. Feci un sogno: stavo volando in cielo con Will, il mio motorino. Incrociai una ragazza su uno scooter, la stessa che avevo visto il giorno precedente, che mi aveva superato senza nemmeno degnarmi di uno sguardo. Stavolta, però, non appena ci incrociammo si girò verso di me e disse:

- Questo non è un sogno. -

Nient’altro.

Riportai l’attenzione dalla ragazza a davanti a me e stavolta non c’era Louis Sinatra in auto che rischiava di colpirmi, ma l’uomo che avevo intravisto in Via Trieste, quello nascosto dietro un albero. Avevo ragione: era vestito proprio come Louis Sinatra. Mi guardava da sotto il cappello di feltro, con le mani in tasca e le gambe leggermente divaricate. Aveva uno strano sorriso sulla faccia, che non mi piaceva affatto.

Andavo troppo veloce per evitarlo: mi stavo già preparando all’impatto, mentre lui non si era minimamente scomposto. Era ancora nella stessa posizione, con lo stesso sorriso. Nel momento di colpirlo, però, mi svegliai di soprassalto.

In poche ore avevo cambiato idea: non avevo sognato.

Era successo davvero.

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Capitolo 3
*** Parte 3 ***


Il giorno dopo sapevo già cosa fare.

Alle 9 del mattino partii con la mia auto e raggiunsi in mezz’ora Ciomarea, tra le colline della Versilia. Lido di Ciomarea, infatti, era solo una delle tante frazioni di questo Comune. Parcheggiai vicino ad un asilo nido e presto fui sotto il palazzo comunale.

Entrai deciso e, seguendo le indicazioni su alcuni cartelli, mi ritrovai davanti all’ufficio del sindaco. Tuttavia, ero entrato così determinato di conoscere la verità da non essermi accorto che ero entrato in settori riservati e adesso una mezza dozzina di persone, uscite dai loro uffici, erano alle mie calcagna.

Decisi quindi di non perdere ulteriore tempo ed entrai, senza bussare, nell’ufficio del sindaco. Aperta la porta, mi ritrovai di fronte ad uno spettacolo surreale: il sindaco Francesco Del Santo, in smoking ed occhiali scuri, era sdraiato su di un divano mentre diversi fotografi lo immortalavano da angolazioni diverse.

- Okay, okay, ragazzi – disse alzandosi in piedi, dopo essersi accorto di me – per oggi abbiamo fatto. -

Quando tutti se ne furono andati, il primo cittadino mi accolse con un grande sorriso e chiuse la porta dietro di me. Quindi mi accompagnò fino alla sua scrivania, che dava su una piccola finestra di lato.

Francesco del Santo aveva poco più di quarant’anni e non era sicuramente un bell’uomo: stempiato, con i tratti del viso piuttosto marcati e un’espressione quasi assente.

In quel momento la porta si aprì di colpo ed entrarono tre uomini in camicia e cravatta.

- Eccolo qui! - gridarono, fiondandosi su di me – Prendiamolo! -

- No, no! Signori! - Il sindaco si alzò in piedi e fece segno a quegli uomini di fermarsi. - E’ tutto sotto controllo, andate pure -

- Ne è sicuro, signor sindaco? - chiese uno, guardandomi in tralice

- Assolutamente. Nel caso sorgano dei problemi non esiterò a chiamarvi. -

Dopo un’ultima occhiataccia nei miei confronti, i tre aggressori richiusero a malincuore la porta dietro di loro.

- Allora, giovanotto – fece il sindaco, tornando a sedere e incrociando le dita – cosa l’ha portata qui da me? -

Mi sistemai la t-shirt, tutta stropicciata dopo il tentativo del mio linciaggio.

- Vorrei chiederle delle cose, se permette... – dissi poi

- Certo, faccia pure -

- Via Tries...-

- AAAAARGHHH! -

Saltai sulla sedia: il sindaco aveva appena emesso un grido disumano!

- Sta bene, signore? - domandai, guardandolo con gli occhi spalancati

- Sì, sì...- sembrava scosso – ho avuto solo un attacco di...oh, è uguale. Vada pure avanti -

- Ma è sicuro? -

- Assolutamente. Prego, proceda. -

Benché ancora titubante, obbedii.

- Ecco, le volevo parlare di via Tries...-

- AHHHHHHH! -

Il sindaco urlò ancora, stavolta più forte di prima. Sobbalzai e nello stesso momento piombarono nella stanza gli stessi uomini di prima, accorsi dopo aver udito quell’urlo.

- Prendiamolo! - esclamarono di nuovo, correndo verso di me

- No, fermi! - Il sindaco si era alzato in piedi e aveva ordinato loro di fermarsi con un gesto della mano. Era tutto rosso in viso e completamente sudato. Ma cosa gli stava succedendo?

- Sto benissimo – proseguì – ho solo avuto un attacco di...oh, per favore, uscite di qui! -

- Signore, lei non sta affatto bene! Questo ragazzo le sta facendo del male? - domandò uno di loro

- Sto benissimo, ve l’ho già detto. E no, non mi ha fatto niente. Ora, per favore, uscite di qua? -

Il primo cittadino sembrava aver recuperato la calma ma aveva ancora un po’ di affanno, come se avesse appena fatto una grossa corsa. Inoltre era impossibile non vederlo sudare copiosamente.

I tre uomini mi guardarono minacciosamente.

- Se sento qualcos’altro di strano giuro che te la farò pagare! - mi minacciò uno

- Per favore, ragazzi – fece Del Santo – andatevene e fatemi ascoltare questo ragazzo. -

Una volta che se ne furono andati, il sindaco tornò a sedersi e sospirò.

- Allora, cos’è che mi stava dicendo? - chiese

- Signor sindaco, le volevo parlare di via Tries...-

- AAAAAARGHHHH! -

Il volto del primo cittadino si fece rosso mentre gridava a pieni polmoni, i capelli si rizzarono in testa e del fumo cominciò ad uscire dalle sue orecchie e dal naso. La sua testa adesso si muoveva velocemente a destra e sinistra, in alto e in basso mentre urlava...sembrava di essere in un film horror. Ben presto sentii picchiare con violenza alla porta: erano gli uomini di prima, accorsi a soccorrere il sindaco. Non so perché, ma adesso la porta era chiusa a chiave…

- Aprite! Aprite! - gridavano – Aprite o la buttiamo giù! -

Guardai il sindaco: era ancora in preda al delirio, con la sua testa che non faceva altro che muoversi in ogni direzione velocemente.

In quel momento, per una frazione di secondo, mi apparve l’uomo che avevo intravisto dietro ad un albero, il giorno prima. Stava di fronte a me, in piedi, mi fissava e teneva una mano sulla spalla di Del Santo. Ma fu veramente per pochissimo, dal momento che scomparve subito.

Non feci in tempo a chiedermi se avessi sognato o meno che apparve di nuovo, nella stessa posizione. Stavolta non se ne andò. Era un uomo di mezza età, vestito esattamente come Louis Sinatra. Mi fissava intensamente. Poggiava la mano destra sulla spalla sinistra del primo cittadino, ancora in preda alla sua pazzia. Ovviamente non si placavano neanche le minacce dei tre uomini fuori, che ora si preparavano a buttare giù la porta.

- Tu non dovresti essere qui – parlò lo sconosciuto, senza staccarmi gli occhi di dosso. Aveva una voce calda, che emanava fiducia.

- Cosa? - domandai alzando la voce, essendo difficile sovrastare le urla di Del Santo.

L’uomo mi fece segno di aspettare e poi schioccò le dita della mano sinistra: in quel momento calò il silenzio nella stanza. Il sindaco continuava a dimenarsi come prima e potevo ancora vedere la porta muoversi sotto i colpi degli uomini di fuori, ma non sentivo alcun rumore. Era come aver messo il silenzioso alla televisione.

- Tu non dovresti essere qui – ripeté lo sconosciuto

- Chi è lei? - domandai, più incuriosito che spaventato

- Nessuno di importante -

- Cosa vuole da me? -

L’uomo fece un sorriso triste. La cosa che più mi colpì del suo volto fu il naso adunco, tuttavia non si può dire che fosse un brutto uomo.

- Io non voglio proprio niente da te, anzi: hai già fatto troppo -

- Eh? -

Non ci stavo capendo più nulla.

- Alessandro, tu non dovresti essere qui. -

Non so perché, ma proprio non ero sorpreso dal fatto che sapesse il mio nome.

- Perché non dovrei? - chiesi

- Perché no, avresti dovuto fermarti quando sei tornato dal cielo col tuo motorino. Non avresti dovuto venire fino a qui, ci stai complicando le cose -

- Vi sto complicando le cose? E voi chi sareste? -

Il mio interlocutore sospirò. - Non importa chi siamo, importa solo quello che facciamo. E per quello che facciamo è importante che tu non venga qui -

- Ma perché? Che ho fatto? -

Lo sconosciuto spostò lo sguardo in basso sul sindaco, che intanto non aveva smesso di dimenare la testa di qua e di là, urlando qualcosa che non potevo sentire.

- Hai davanti agli occhi il risultato delle tue azioni. Questo non sarebbe successo se tu non fossi venuto qua. Avresti dovuto tornare dal cielo, dimenticarti di quanto accaduto e continuare la tua vita. E invece no, da testardo sei voluto venire qui in cerca di chiarimenti - rispose

- Mi sembra ovvio! -

Scosse la testa. - No, non lo è. Non lo dovrebbe essere, almeno -

- Chi siete voi? - ripetei

- Noi? Nessuno di speciale, se proprio vuoi sapere -

- Che fate? Che sta succedendo? Siete voi che mi avete fatto volare, ieri mattina? -

- Ehi, ehi, vai piano – rise – non posso rispondere a tutte le tue domande -

Malgrado fosse piuttosto inquietante nel suo completo nero e nei suoi “super poteri”, non mi trasmetteva tanta paura. Forse era per questo che lo bombardavo di domande.

- Sì, siamo stati noi a farti prendere il volo, ieri. Io, per la precisione -

- E perché mai? Chi è lei? -

Con mia sorpresa, mi allungò la mano. - Harry Melanzana -

- Eh? -

Mi sembrava di non aver capito bene…

- Alessandro – sospirò – vuoi davvero soffermarti sulla bizzarria del mio cognome? -

Un po’ confuso, ricambiai la sua stretta.

- So già come ti chiami – mi anticipò – ma penso che tu te ne sia già accorto. -

E infatti sì, me n’ero accorto poco fa.

- Insomma, esigo delle spiegazioni – affermai

- E le avrai, fin quanto io potrò dirtele. -

Non sapevo cosa volesse dire con quella frase, ma mi dissi di non indagare.

- Perché mai mi avete fatto volare, l’altra mattina? - chiesi

- Conosci la ruota panoramica, Alessandro? -

- Cosa? -

Harry Melanzana mi guardava serio e io non avevo idea di dove volesse andare a parare. - La ruota di Lido di Ciomarea, la conosci o no? -

- Certo che la conosco, ma cosa c’entra? -

- Vuoi che risponda alla tua domanda? Allora tu rispondi alla mia: la conosci? -

- Sì, la conosco – ripetei per la seconda volta

- Sai quando è stata costruita? -

Ci pensai un attimo. - L’anno scorso, mi pare...ma cosa c’entra questo con...-

- Esatto, la scorsa estate – mi interruppe – e ti assicuro che c’entra con la tua domanda. La ruota panoramica è stata realizzata sul lungomare per l’estate e smontata a fine agosto. Ora, sai invece quando verrà smontata quest’anno? -

- No...- risposi, senza capire cosa c’entrasse tutto questo con il mio viaggio tra le nuvole

- A settembre. E questo, mio caro Alessandro...- e qui mi guardò intensamente - è un grosso problema -

- E perché? -

- Perché il sindaco Del Santo...- e qui diede una pacca sulla spalla al primo cittadino - ha sperato in questo modo di aumentare il turismo della zona e aumentare quindi i profitti, della ruota e non. E questa, Alessandro, è una trovata molto interessante -

- E cosa c’è di male in tutto questo? -

Mi guardò. - Assolutamente niente, ecco qual è il problema: non c’è niente di male. Anzi, va troppo bene, mi capisci? -

Ovviamente non capivo.

- Se il turismo in zona aumenta e tutto va secondo i piani di Del Santo...- mi spiegò – il benessere di Lido di Ciomarea aumenterà, ancora di più di quanto non lo sia già adesso. E se già ora questa zona è rinomata in Italia e a livello internazionale, tra qualche anno lo sarà ancora di più. I turisti aumenteranno, gli incassi del Comune anche...-

- E che c’è di male? - mi intromisi

- Niente, te l’ho già detto. Niente. Non può andare tutto così bene, capisci? .

- Ma perché? -

- Perché no, Alessandro. Non può essere tutto così facile. Il sindaco Del Santo sta facendo molto per questa città, sta facendo troppo. Se anche Via Trieste funzionasse a dovere, cosa resterebbe di negativo a Lido di Ciomarea? Niente, purtroppo. E questo noi non lo possiamo permettere -

- “Noi” chi? Chi siete voi? -

- Nessuno di importante, ma quello che facciamo importante lo è. – Sorrise – Oh, se lo è. -

Scossi la testa, sperando di aver capito male.

- Mi stai dicendo che il compito tuo...anzi, il compito vostro... è quello di assicurarvi che tutto vada male? - chiesi

- Non tutto, Alessandro. Solo una parte. E a Lido di Ciomarea rientra in questa piccola parte Via Trieste, che non deve essere assolutamente una strada ben asfaltata, altrimenti tutto andrebbe troppo bene...- Harry Melanzana rabbrividì – troppo bene...-

- E se qualcuno si facesse male prendendo una di quelle buche? -

Alzò le spalle. - Quello non è un mio problema. -

Sperai che stesse scherzando. - Mi avete fatto volare! - esclamai – Potevo ammazzarmi! E poi dimmi un’altra cosa: come diavolo ho fatto a non precipitare a terra? -

- Non esiste un motivo ben preciso: succede e basta. -

“Succede e basta”...anche Louis Sinatra mi aveva risposto così.

- Fammi capire: voi, chiunque siate, fate in modo che non tutte le cose...vadano bene? -

Il signor Melanzana annui. - Esatto, è a grandi linee quello che facciamo -

- Quindi il responsabile della mancata manutenzione di via Trieste non è il sindaco Del Santo? Siete unicamente voi? -

L’uomo inclinò leggermente la testa. - Non è proprio così -

- Ma hai detto prima che Del Santo è un ottimo sindaco, che ha messo la ruota, che ha aumentato i guadagni della zona, che...-

- Lo so – mi interruppe – e tutto questo è vero. Del Santo sta facendo del bene a questa città, ma noi agiamo in luoghi dove abbiamo più possibilità di successo, non so se mi spiego -

- No. -

- Quello che sto cercando di farti capire – spiegò – è che noi interveniamo laddove abbiamo più possibilità di riuscita. Nel caso del Comune di Ciomarea abbiamo lavorato sul sindaco, un’ ottima persona ma allo stesso tempo incapace di far valere il proprio status per rimettere a dovere una strada -

- Quindi...se ho capito bene…voi avete influenzato Del Santo per far sì che non si mobilitasse per il rifacimento di via Trieste? -

Era piuttosto difficile cercare di capire cosa mi volesse dire, ma Harry Melanzana fece segno di sì col capo.

- Esattamente. Abbiamo insistito su una sua debolezza, vale a dire la mancanza di autorità in questo campo, per evitare definitivamente la ristrutturazione di quella strada. -

Abbassai lo sguardo a terra, ripensando a tutto quello che mi aveva detto. Ero incredulo e scioccato.

- Per questo – continuò – anche Del Santo ha una parte di colpa in tutto questo. Una minima parte, ma ce l’ha. Ed è stata quella di essere troppo debole per mettere in gioco la propria autorità al fine di proteggere i cittadini nelle strade -

- Ma se questo è un suo difetto e voi lo rimproverate per questo...perché mai voi stessi non fate nulla per migliorare le cose? Perché non agite per via Trieste? -

I suoi occhi si illuminarono. - Perché sarebbe troppo facile, Alessandro. -

Cominciavo ad odiare quella frase…

- Troppo facile, ricordi? - proseguì – Tutto troppo facile. -

In quell’istante sentii uno schiocco nelle mie orecchie e improvvisamente fu come risvegliarsi da un sogno: il sindaco Del Santo stava ancora urlando (adesso riuscivo a sentirlo fin troppo) e dalla porta arrivavano ancora le minacce dei tre uomini di prima, pronti a farmi a pezzi.

Del signor Melanzana nessuna traccia.

Mi guardai attorno, ma non c’era. Lo stavo ancora cercando quando udii abbattere la porta e mi sentii gettare per terra: i tre uomini mi guardavano sogghignando dall’alto al basso, felici di potersi finalmente gustare la preda.

- Pensavi di farla franca, eh – disse uno di loro

- Hai voluto scherzare fin troppo – esclamò un altro

-Ora ti conciamo per le feste. - fece il terzo

Detto questo, uno di loro mi colpì con violenza sul volto e persi conoscenza all’istante.

 

 

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Capitolo 4
*** Parte 4 ***


 

Quando mi risvegliai, mi ritrovai sdraiato su di una panchina.

Ci volle un po’ di tempo prima di rendermi conto di essere a Ciomarea e più precisamente nel parco della città. Nel mentre che mi mettevo a sedere, notai i miei pantaloncini ricoperti di macchie di sangue. Non ci misi molto a capire che quel sangue era mio e proveniva dal mio volto, che a toccarlo faceva malissimo.

Mi specchiai nello schermo del cellulare: sul mio viso sangue rappreso, che mi faceva sembrare l’antagonista di qualche film horror. Lentamente ricordai: il mio bizzarro volo in cielo, qualcuno di nome Sinatra, qualcun altro di nome Melanzana (o Zucchina?), la mia irruzione dal sindaco, i suoi scagnozzi…

Con molta fatica mi alzai in piedi e mi chinai su una vicina fontana, sciacquandomi il viso. L’acqua era fresca e in una calda giornata d’estate come quella non faceva che piacere. Decisi mentalmente di lasciar perdere tutta la storia: che fossi volato in cielo oppure no non importava, che Harry Melanzana (ecco come si chiamava!) volesse o no che sapessi la verità non importava.

Non volevo finire nei guai come adesso. Preferivo rimanere nell’ignoranza piuttosto che con il naso rotto.

Mi alzai lentamente e mi avviai verso la mia auto, anche se non ricordavo bene dove l’avevo parcheggiata.

E poi, non era forse vero che avevo sognato tutto?

 

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