Six degrees (of separation)

di CHAOSevangeline
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Alone together ***
Capitolo 2: *** Hold on ***
Capitolo 3: *** Who knew? ***
Capitolo 4: *** In my veins ***
Capitolo 5: *** Just one yesterday ***
Capitolo 6: *** Lights off ***



Capitolo 1
*** Alone together ***


Six degrees (of separation)
 



i. alone together
“I don't know where you're going
But do you got room for one more troubled soul?
I don't know where I'm going
But I don't think I'm coming home

This is the road to ruin
And we're starting at the end"




Misaki allungò un braccio sopra di sé e osservò il soffitto attraverso gli spazi fra le proprie dita.
«Che stai facendo?»
Il rosso, fin troppo concentrato su quella semplice azione, si riscosse e guardò Saruhiko.
Erano entrambi seduti sul pavimento, il ventilatore che a malapena rinfrescava la loro pelle imperlata di sudore estivo.
«Se allunghi la mano così ti sembra quasi di poter afferrare il soffitto.»
Misaki aveva risposto con sincerità, ma già riusciva ad immaginare il sopracciglio pericolosamente inarcato di Saruhiko e il suo peculiare schiocco di lingua.
Uno schiocco.
Poi il tono di perplessa sufficienza.
Bingo.
Gongolò.
«Non capisco davvero come ti vengano certe idee.»
Misaki tentò di voltare ancor di più la testa, di intercettare con i propri occhi il volto di Saruhiko.
«Mi vengono perché guardo la vita con leggerezza, a differenza tua», ribatté fintamente offeso Misaki. «Non dirmi che non ti capita mai!»
Conosceva Saruhiko e ogni sfumatura del suo tono di voce. Stava osteggiando la sua idea, ma al contempo la trovava divertente.
«Mi capita per colpa tua, che mi attacchi la stupidità.»
«Senti…»
Le mani di Saruhiko si poggiarono sulle sue guance, obbligando il ragazzo a stare dritto. Saggiò con le dita le fossette agli angoli delle labbra di Misaki; era imbronciato, anche se non poteva vederlo.
«Ora sta fermo, se non vuoi che ti tagli.»
Il rimprovero di Saruhiko aveva zittito il rosso, ora immobile.
Se le spalle e il petto di Misaki erano coperti da un ampio asciugamano, mentre il ventilatore ormai oltremodo sfruttato tentava a fatica di rinfrescare il loro appartamento, c’era un motivo: non potevano esattamente permettersi un parrucchiere, così come non potevano esattamente permettersi un nuovo ventilatore.
Saruhiko non voleva chiedere aiuto a sua madre, non volendo essere in debito con nessuno. Misaki non voleva che la sua, di madre, scoprisse in che condizioni precarie viveva.
Una per la troppa indifferenza, l’altra per la troppa preoccupazione, non dovevano essere coinvolte.
Il terrore di perdere tutto – anche se era molto poco – ciò che avevano li terrorizzava a tal punto da renderli indipendenti: si arrangiavano, forse stentando, ma addormentarsi esausti sui loro futon, dopo una giornata di Homra e lavoretti part-time, era meglio di qualsiasi giornata avessero concluso chiudendo gli occhi nei comodi letti delle rispettive case.
Era tutto perfetto così.
«Stavo pensando…»
«Zitto.»
«Ma…!»
«Sht.»
C’era solo una regola quando Saruhiko era tanto concentrato: Misaki non doveva fiatare.
Saruhiko riusciva ad ignorarlo, di solito, ma per una mansione che rischiava di ferire il suo migliore amico aveva bisogno che non volasse nemmeno una mosca.
Così, nei dieci minuti impiegati da Saruhiko per sfoltire la sua chioma ramata, Misaki doveva rimanere zitto e immobile.
I dieci minuti peggiori della sua vita, al termine dei quali si ritrovava con ameno cinque spunti per altrettante conversazioni.
Le dita di Saruhiko gli pettinarono i capelli, scorrendo tra le ciocche appena alleggerite. Indugiarono, forse un pochino troppo, ma senza che Misaki protestasse.
Saruhiko lo faceva di proposito, Misaki sperava fosse così.
Il primo non l’avrebbe ammesso, il secondo non chiedeva per timore di sentirsi dire che quella sua speranza era sciocca come il più delle sue idee.
Non gli importava di riflettere sul perché amasse le carezze di Saruhiko tra i propri capelli: lo facevano stare bene, così come lo faceva stare bene considerarle carezze piuttosto che semplici tocchi involontari. Nella sua genuinità, a Misaki era sufficiente questa consapevolezza.
«Ho finito.»
Uno sguardo all’orologio: dieci minuti spaccati.
Misaki si voltò, un ampio sorriso sulle labbra. Non aveva nemmeno bisogno di guardarsi allo specchio per accertarsi che il suo taglio gli piacesse: si fidava troppo di Saruhiko, per metterlo in dubbio.
«Potresti farlo come lavoro. Sai, per arrotondare.»
«Certo, e tu è meglio che invece non ti avvicini più ai miei capelli con delle forbici.»
Risposta secca e cinica.
Saruhiko non pagava più le conseguenze per le velleità di acconciatore di Misaki da pochi mesi, ma ricordava ancora l’infausto periodo in cui il gel era stato un ottimo alleato per camuffare sapientemente gli errori madornali del rosso.
Misaki si imbronciò.
«Ero serio!»
«Anche io», lo provocò l’amico. «Ma non farei mai un lavoro simile. Troppe chiacchiere leggere e…» C’era qualcosa di peggio. «Odio toccare le persone.»
Silenzio da parte di entrambi.
Saruhiko era certo di essersi appena giocato i brevi momenti in cui poteva godersi un brivido al cuore toccando i capelli di Misaki. Misaki aveva appena ottenuto, anche se solo in parte, la conferma di ciò che sperava.
Non c’era nulla di imbarazzante nel modo in cui Saruhiko gli tagliava i capelli, ma in quel momento invece sì.
Un rumore inaspettato.
Grazie al cielo qualcosa che li distraesse.
Entrambi si voltarono verso il ventilatore: pale ferme e puzza di bruciato.
«… Beh, peccato: ci avresti aiutato a comprare un ventilatore nuovo.»
Nel loro appartamento, il ventilatore ormai esausto non rinfrescava più l’aria, lasciando che le goccioline di sudore sulla loro pelle si moltiplicassero.
Eppure tra uno sbuffo di risata per la constatazione di Misaki e le sue proteste verso gli sprazzi di vita saltuari dell’elettrodomestico, nessuno dei due avrebbe cambiato nulla.
Nel loro piccolo mondo, tutto era perfetto.





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Per la serie "a volte ritornano".
Se non sforno qualcosa di Sarumi ogni tot e non lo pubblico non mi reputo soddisfatta, perciò ecco qui la one-shot di apertura di questa raccolta!
Raccolta in cantiere da mesi, ma che sono riuscita a concludere solamente ieri.
Come suggerisce il titolo ci saranno un totale di sei capitoli, ognuno ispirato da un particolare verso o strofa di una canzone. Non ringrazierò mai abbastanza le autrici di AMV Sarumi e le varie canzoni più o meno adatte a loro con cui ho creato una playlist per avere sempre l'ispirazione a portata di mano.
Questo primo capitolo è basato su un'illustrazione del manga di Lost Small World, dove appunto si vede Saruhiko intento a tagliare i capelli a Misaki nell'appartamento in cui hanno convissuto.
Conto di aggiornare nell'arco di due-tre giorni, essendo appunto la storia conclusa.
Intanto spero che questo primo capitolo vi piaccia e che vi vada di dirmi, eventualmente, cosa ne pensate.
Alla prossima! <3

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Capitolo 2
*** Hold on ***


ii. hold on
“Long endless highway, you're silent beside me
Driving a nightmare I can't escape from
Helplessly praying, the light isn't fading
Hiding the shock and the chill in my bones
They took you away
Can you hear me screaming, "please don't leave me""




Misaki era la persona che più Saruhiko credeva di comprendere.
L’unica che gli interessasse davvero comprendere.
Era un libro aperto, facile da leggere. Forse un po’ confusionario, tra parole scritte completamente in maiuscolo, colorate, calligrafia disordinata e note a margine per dare traccia dei suoi pensieri più reconditi.
Un tipo di libro che piaceva a Saruhiko contro ogni sua aspettativa: era imprevedibile, coinvolgente. Al diavolo l’ordine.
Ad ogni pagina Saruhiko tratteneva il fiato, ansioso di scoprire il contenuto della seguente.
Ad ogni parola Saruhiko tratteneva il fiato, speranzoso che la successiva fosse il suo nome.
In maiuscolo, assordante per i colori sgargianti con cui era scritto.
In un altro libro avrebbe odiato quel disordine, ma non se quel libro era Misaki.
Se Saruhiko fosse stato un libro sarebbe stato noioso, freddo, senza tutti gli scarabocchi che invece caratterizzavano l’amico.
Mentre pensava questo, gli pareva quasi di descrivere i loro quaderni delle scuole medie.
Misaki allungava una mano, furtivo, e con la penna scriveva qualcosa di sciocco sulle pagine dei suoi libri. Saruhiko schioccava la lingua così forte da essere il più appariscente, tra i due.
“Misaki che diavolo hai scritto qui?”
“Oh, lì? È… no, non lo capisco.”
E se Misaki lasciava perdere subito perché non gli importava, Saruhiko tentava di tutto pur di decifrare le parole illeggibili e, appena le comprendeva, con un sorriso soddisfatto le comunicava a Misaki.
Era avido di conoscenza, bisognoso di ampliare anche solo di un dettaglio la veduta del ragazzo che era riuscito a farsi strada nel suo cuore.
Reagiva sempre in maniera tiepida, Misaki, come se non gli interessasse troppo ciò che era proprio lui a fare. Eppure Saruhiko sapeva grazie a qualche suo piccolo atteggiamento quanto Misaki fosse felice di essere l’unico ad avere un posto fisso nella platea desolata che era il suo cuore.
Misaki era la stessa persona che, quando le questioni non riguardavano lui ma il suo migliore amico, si faceva subito interessato, attento; Saruhiko era un libro complicato quanto Misaki, ma non per il disordine: quello che c’era dentro di lui era un ordinatissimo caos, nascosto dietro parole oscure, perifrasi e similitudini capaci di depistare.
Pareva più una serie complicata di equazioni che un libro di testo, per la sua difficoltà.
Spesso Misaki non conosceva le parole più complesse al suo interno e altrettanto spesso chiedeva proprio a Saruhiko cosa significassero.
Esattamente come a scuola.
Termine dopo termine, spiegazione dopo spiegazione, Saruhiko gli concedeva una visione un poco più chiara di sé.
Una sorta di scambio.
Aveva evitato Misaki credendolo stupido, all’inizio. Sempliciotto subito dopo. Sconcertante quando lo aveva conosciuto bene: o prendeva decisioni del tutto sbagliate su cosa fare, su cosa dire, o sceglieva la cosa migliore.
Zero o cento, nessuna sfumatura.
Forse era proprio questo che Saruhiko adorava di lui.
Questo, così come tutti gli aspetti di Misaki che aveva sempre criticato, scontrandosi con quegli occhi nocciola pieni di rammarico. Non voleva deluderlo, aveva detto una volta Misaki dopo un bicchiere di sake rubato di nascosto a Izumo.
Chissà se si impegnava ancora in ogni cosa solo per lui.
Chissà che non lo facesse per Mikoto, per Totsuka, per Izumo.
Chissà che non lo facesse per chiunque meno che per Saruhiko Fushimi, il noioso e complicato migliore amico che Misaki aveva giurato a suo tempo di salvare da qualsiasi cosa.
E quel giuramento lo aveva fatto da sobrio, mettendo in imbarazzo entrambi; lo aveva borbottato, saltando giù dal muretto dove si erano seduti a guardare le stelle.
Esistevano soltanto loro due, quella notte. Saruhiko era stato così sciocco da crederci.
Così sciocco da pensare che Misaki stesse per guadagnarsi altri cento punti capendo ogni cosa; che avesse intuito il perché le dita di Saruhiko fossero sgattaiolate tanto vicine alla sua mano, quasi sfiorandola, tremanti.
Negava sempre che Misaki gli avesse insegnato a correggere i propri difetti, ma aveva imparato proprio da lui ad essere un po’ meno pessimista.
Non voleva neanche pensare che Misaki non lo ricambiasse, per questo aveva giustificato la sua fuga pensando all’imbarazzo.
Poi lo aveva visto rivolgere gli stessi sorrisi a qualcuno che non era lui e così aveva capito che, forse, cominciare a sperare era stato un errore: non era speciale come pensava.
Misaki si era stancato di prendere quelle piccole annotazioni a fondo pagina per ricordarsi un aspetto particolare di Saruhiko, per marchiare a fuoco nella propria mente qualcosa che dopo discussioni nuove e piccoli litigi aveva capito.
Saruhiko era stancante. Era complicato. Era noioso.
Non avrebbe dovuto biasimarlo.
Nel libro che era Misaki, dopo i punti, il nome di Saruhiko non era più sottolineato, scritto con colori sgargianti.
Nelle pagine successive, non c’era nemmeno più.

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Capitolo 3
*** Who knew? ***


iii. who knew?

“If someone said three years from now
You'd be long gone
I'd stand up and punch them out
Cause they're all wrong”



 

Misaki ricordava che una volta lui e Saruhiko erano stati al luna park.
Il profumo dello zucchero filato, il rumore delle giostre e il vociare delle persone si amalgamavano in un miscuglio sfocato.
L’unico elemento ben distinto era lui.
Saruhiko.
«Stammi vicino, ok?»
Era già buio e il parco affollato.
Misaki lo aveva detto neanche parlasse ad un bambino e la risposta ottenuta era stata uno sbuffo d’assenso scocciato. Ovviamente.
Quello che tra i due aveva più paura di perderlo – e di perdersi – era proprio Misaki.
Riusciva ancora a sentire il panico che l’aveva assalito, fulmineo come una scossa, quando con la coda dell’occhio non l’aveva più visto.
Il tempo di voltarsi completamente e Saruhiko era di nuovo lì, al suo fianco: era stato allontanato per un attimo da un gruppo, che aveva preferito dividerli piuttosto che aggirarli.
Saruhiko aveva imprecato loro contro e poi lo aveva guardato.
Il suo cipiglio si era rilassato e Misaki aveva tirato un sospiro di sollievo.
Era tornato in quel luna park, una volta.
C’era ancora il profumo dello zucchero filato, il rumore delle giostre e il vociare delle persone.
Poi aveva guardato accanto a sé.
Mancava la cosa più importante.
Saruhiko.




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Passo da capitoli che contano più di 500 parole a capitoli che invece ne hanno 200 spaccate, come questo.
Questa flashfic, così come la prossima, sono state le prime su cui ho lavorato, quando questa storia doveva essere una raccolta di racconti brevi ed efficaci (?)
Vi consiglio la canzone, da cui ho preso ispirazione anche per lo sfondo del racconto. È davvero molto "loro".
Colgo l'occasione per ringraziare chi ha inserito la fanfiction tra le seguite e le preferite!
Al prossimo capitolo ~

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Capitolo 4
*** In my veins ***


[Trigger Warning: Autolesionismo]


iv. in my veins
“Oh, you're in my veins
And I cannot get you out
Oh, you're all I taste
At night inside of my mouth
Oh, you run away
'Cause I am not what you found”




«Sai, Saruhiko.» Un sorriso abbagliante l’aveva quasi accecato. «Se si tratta di te sento che potresti addirittura conquistare il mondo.»
La sua mente era come un proiettore che rendeva il passato presente: riusciva ad animare i ricordi nitidamente, quasi si stessero svolgendo ancora una volta davanti ai suoi occhi, quasi le parole pronunciate allora potessero essere udite dalle sue orecchie.
Non sarebbe stato un male, non sarebbe stato terribile, se solo anche i bei ricordi non avessero iniziato a ferirlo.
Anche Misaki faceva male.
Il suo nome, il suo sorriso.
Tutto.
E faceva male più di tutto.
Saruhiko non l’avrebbe mai creduto possibile: proprio lui. Proprio Misaki, l’unico a cui avesse mai permesso di avvicinarsi.
«Cosa c’è, Saruhiko?»
Già, lui glielo avrebbe senz’altro chiesto nel vederlo così, rannicchiato sul materasso, vulnerabile come sempre si rifiutava di ammettere.
Di notte, quando la stanchezza lo sopraffaceva e tutto diventava ovattato, Saruhiko aveva paura: ogni timore si faceva reale, ogni insicurezza sfuggiva al suo controllo. Non capiva quanto la sua mente sognasse o creasse volontariamente per lui degli scenari che mai si erano verificati, ma che avrebbero potuto prendere vita.
Quanto avrebbe voluto che lo facessero.
Era un masochista.
«È stata una brutta giornata?»
A quel punto Misaki si sarebbe seduto accanto a lui, rimanendo in attesa. Poco, perché non era paziente, e poi avrebbe insistito.
A Saruhiko parve quasi di sentire il materasso infossarsi, ma non controllò.
«Basta…»
Perché doveva torturarsi così?
«Basta cosa?» Giusto, lui era insistente. «Sono qui per te, Saruhiko. Ormai dovresti saperlo!»
Ancora quel sorriso abbagliante.
Tutte le volte in cui lo aveva visto sorridere sembravano essersi sovrapposte, sommate in quella curva di gioia tanto dolorosa.
Basta.
«Ti ho detto di stare zitto!»
Quasi gridò.
Avrebbe voluto scacciarlo; avrebbe voluto cancellarlo come una sbavatura di grafite, ma la sua vita intera era una sbavatura. Misaki era soltanto la più bella.
Il materasso riprese la sua forma e Saruhiko tornò ad essere solo.
I polsi bruciavano.
Era la realtà, e nella realtà Misaki non c’era.
Ginocchia contro il petto, un singhiozzo.
Ma se fosse stato lì, tutte quelle cose le avrebbe dette davvero.



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Questo capitolo è stato doloroso, almeno per me (...)
Vi ho fatto solo un piccolo riferimento, non volendoci indugiare troppo, ma è basato su un headcanon mio e della mia bae Rika. Un headcanon abbastanza inflazionato per Saruhiko, secondo cui potrebbe essere stato autolesionista, dato che lo si vede sempre con i polsini.
Non ho stabilito chiaramente se si trattasse di un sogno ad occhi aperti o di un ricordo troppo vivido: mi sembravano carine entrambe le interpretazioni.
Ah! La frase d'apertura del capitolo, detta da Misaki, è spudoratamente tratta da Lost Small World.
Ha fatto sul serio quel complimento a Saruhiko, non vedevo perché non onorare la cosa.
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 5
*** Just one yesterday ***


v. just one yesterday
“So only say my name it will be held against you
If heaven's grief brings hell's rain
Then I'd trade all my tomorrows for just one yesterday”




«Come mai da queste parti, Misaki
Saruhiko aveva sempre avuto un modo particolare di usare l’appellativo che Misaki tanto odiava. Era l’unica persona capace di tramutare quelle tre sillabe di pura agonia in un suono musicale.
Misaki aveva il così disperato bisogno di un compagno, quando si era avvicinato a Saruhiko alle medie, che le sue lamentele sul proprio nome erano sempre state fatte a mezza voce, come per timore di aggiungere un nuovo punto alla già infinita lista di motivi per cui Fushimi Saruhiko non voleva conoscerlo.
Qualche mese dopo il loro incontro, Misaki aveva realizzato all’improvviso quanto Saruhiko utilizzasse il suo nome senza disturbarlo: quasi ogni domanda, ogni frase veniva condita dalla parola che più odiava al mondo. L’aveva notato in modo tanto repentino da accorgersi anche, subito dopo, di come fosse passato dal reputare il proprio nome un supplizio ad amarlo se pronunciato da Saruhiko.
«All’Homra hai perso la lingua, Misaki
Il suo nome era ancora il punto conclusivo di ogni frase, ma era diverso.
Mi, sa, ki.
Scandito lentamente, con aria di scherno, quasi Saruhiko volesse usare quel punto debole come arma.
«Hai così tanto tempo libero alla Scepter 4 da potermi parlare ogni volta che mi vedi per strada, scimmia?»
Non che lui fosse da meno.
Saruhiko gli aveva accennato, una volta, l’indelicata storia alle spalle del suo nome. Misaki sapeva quanto chiamarlo in quel modo gli ricordasse suo padre, quanto andasse a toccare un tasto più dolente e rancoroso di un semplice fastidio dovuto alla femminilità di un nome.
Ma a quel punto si giocava per ferire e Misaki Yata non si tirava mai indietro.
C’era una differenza fondamentale tra lui e Saruhiko: lui reagiva, si infuriava, gridava. Saruhiko no: lo fissava in silenzio, una maschera di insano divertimento forgiata su misura per i loro incontri.
Dov’era l’espressione annoiata che rivolgeva ad ogni persona?
Forse si era guadagnato il suo odio.
Già, chissà se Saruhiko lo odiava. Chissà cosa pensava. A Misaki sarebbe bastato sapere anche solo questo.
Prima che Saruhiko lo tradisse, Misaki aveva pensato fosse strano: il suo comportamento, i suoi occhi. Qualcosa era cambiato, ma non capiva cosa. Ci aveva dato peso, ma non quanto sarebbe stato giusto.
Non certo come era riuscito a fare di notte, quando ormai era troppo tardi, togliendosi il sonno.
Rosso e blu si scrutavano, ai lati opposti della strada.
Le dita pericolosamente vicine alle loro armi.
Deserta o no che fosse la zona, sarebbe stato un buon terreno per scontrarsi.
Quando si incontravano Misaki non sapeva mai come comportarsi: scappare? Affrontarlo?
E poi inevitabilmente si ritrovava ad aprire bocca, lasciando uscire una battuta acida striata di una cattiveria che solo Saruhiko riusciva a far nascere in lui.
Voleva ferirlo, voleva fargli male. Voleva che provasse ciò che lui aveva sentito quando il suo intero mondo aveva deciso di franare sotto i suoi piedi.
E così, lentamente, aveva cominciato a fare il suo gioco.
Lentamente, il suo nome era tornato ad essere una tortura.
Solo, più dolorosa e terribile di prima.

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Capitolo 6
*** Lights off ***


vi. lights off

“It's like my brain is wired up
and there's a glitch in my system
You're like a drug and now my blood won't stop itching
I'm in critical condition
someone let me out of this prison

Losing you It’s like somebody just turned all the lights off”




Click.
L’interno spoglio dell’appartamento rimase nella più totale oscurità.
Non che durante la loro permanenza lì fosse stato poi molto pieno: vederlo senza mobili voleva dire vederlo solamente un po’ più sguarnito rispetto al passato.
Nulla che potesse disorientarli.
«Mi aspettavo che si accendessero.»
«Illuso.»
Stare lì, fra quelle quattro mura scialbe per l’intonacatura scrostata – lo stavano dando per scontato entrambi, non potendo vedere le pareti con nitidezza a causa del buio – era strano.
Essere lì insieme era strano.
Troppo strano.
Quel tipo di strano che più che disagio suscita stupore.
Misaki si calcò il berretto nero sugli occhi mentre il profumo di zucchero filato cominciava ad impregnare l’aria dell’appartamento.
Erano stati al luna park quella sera, senza che nessuno si azzardasse a dividerli: le dita di Saruhiko erano state artigliate con tanta forza a quelle di Misaki che nessuno ne sarebbe stato in grado.
Lo erano ancora.
Il silenzio dell’attico rendeva quel momento ancor più particolare.
Misaki fissò fuori dalla finestra, osservò il profilo di Shizune City e si sedette sul pavimento, sotto lo sguardo perplesso di Saruhiko.
Lasciò la sua mano.
Saruhiko non giudicò le sue azioni e si sedette accanto a lui.
Non un fiato.
Dopo tutto ciò che era accaduto ritrovarsi in quell’appartamento portava tanta malinconia quanta gioia; erano andati davanti, avevano raggiunto mete diverse, ma avevano imparato a trovare un punto d’incontro.
Un punto dove potevano stare insieme.
Un piccolo sospiro da parte del rosso.
«A cosa pensi, Misaki?»
Quel nome aveva smesso di suonare aspro e antipatico, di nuovo pregno della melodiosità che Misaki vi trovava in passato.
«Mi sembra incredibile.»
La mano che non reggeva il bastoncino dello zucchero filato esplorò lo spazio accanto al suo corpo. Mentre cercava quella di Saruhiko, questa gli andò in contro.
I polpastrelli di Misaki tastarono il polso altrui; un piccolo lembo di pelle gli parve più liscio, non coperto dai polsini.
Una fitta al petto, ma non disse nulla.
«Che vivevamo in questa topaia?» domandò Saruhiko, sarcastico.
Doveva pur difendersi dal brivido provato per il tocco in un punto ancora tanto sensibile. Pareva andare a fuoco tutte le volte che lui stesso lo guardava, lo toccava. Che Misaki lo fissava.
Sapeva quanto facesse male anche a lui, quanto si sentisse responsabile.
Saruhiko aveva bisogno di lui perché lui stesso gli aveva fatto del male e Misaki aveva disperatamente bisogno di occuparsene.
«Che ci siamo tornati», rispose il rosso leggermente imbronciato. «Mi era mancato questo posto.»
Non riuscivano ancora a parlare dei loro trascorsi troppo apertamente. Un bel ricordo portava malinconia, poi rabbia per il tempo sprecato stando divisi, senza costruire nulla insieme.
Faceva ancora male ad entrambi, era ancora difficile metabolizzare tutto quello che li aveva spinti a separarsi e poi a chiarire.
Contava solo che fosse passato.
«Mi sei mancato tu.»
Quell’aggiunta da parte di Misaki portò Saruhiko ad alzare gli occhi dal pavimento. Le gote arrossate del ragazzo, nel buio dell’appartamento, furono qualcosa che Saruhiko non commentò.
Poi, il peso della testa di Misaki sulla sua spalla.
«Anche tu.»
Quelle due parole sembravano una barriera posta ad ostacolare un’infinità di parole non dette, sentimenti da comunicare.
«Siamo stati stupidi entrambi.»
Non c’era motivo per addossare tutta la colpa a Misaki.
«E ti pensavo sempre, maledizione. Ogni giorno. Ero ossessionato.»
Misaki non era abituato a sentire Saruhiko prendere l’iniziativa nel dialogo. Non era abituato neanche ad intavolare certi discorsi; con lui però era disposto a farlo, quello così come qualsiasi cosa potesse essere necessaria per l’altro, per loro.
Alzò gli occhi.
Quelle due gocce d’ambra non nascondevano mai nulla, anche se a malapena illuminate dalla luce esterna.
Era come se brillassero di luce propria nel buio.
Forse era per questo, perché quegli occhi lo avevano sempre guidato, che Saruhiko ne aveva sentito tanto la mancanza quando alzando il capo non era più stato in grado di trovarli.
Erano fondamentali come l’aria, Misaki lo era.
«Anche io.»
Lo aveva detto con sorpresa nel realizzare quanto i loro stati d’animo fossero stati simili.
E come due sciocchi non se lo erano detto.
«Sarebbe bastato parlare», sospirò Misaki. «Per provare a risolvere, intendo.»
«Già.»
“Ma è inutile piangere sul latte versato.”
Lo pensavano entrambi, nel corso del breve bacio che si scambiarono poi; le labbra di Saruhiko passionali contro quelle impacciate di Misaki.
Un piccolo ghigno incurvò la bocca di Saruhiko. Anch’essa ora sapeva di zucchero.
«Sei proprio un verginello.»
Misaki colpì la sua spalla con un pugno, senza complimenti.
«Stai zitto!»
Erano due opposti che si attraevano, due calamite troppo simili che erano state capaci di respingersi fino a giungere troppo lontane.
Allora non avevano saputo riunirsi, ma poi, a fatica, si erano attratte di nuovo.
Non stavano bene l’uno senza l’altro ed entrambi lo sapevano.
Ma erano lì, fianco a fianco.
Non c’era motivo perché smettessero di stare seduti in quel modo, sul pavimento della loro vecchia casa, a ricordare il passato: lentamente, mano nella mano, avrebbero iniziato a muovere i primi passi verso il futuro.
Il loro futuro.
Misaki e Saruhiko.
Senza più nulla a dividerli.



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Avevo iniziato una raccolta, tempo fa, di flashfic Sarumi ambientata durante il periodo delle medie.
Siccome ero molto più incostante di ora non l'ho mai finita e devo ammettere che essere arrivata alla fine di questa, di raccolta, mi fa stranissimo. Ci ho messo un po' a pubblicare anche per questo, perché non volevo veramente concluderla.
Scrivere sulla SaruMi è sempre complicato: mi piace parlare del loro contesto originale, ma trovare la giusta ispirazione, le giuste idee, mi è sempre difficile.
Sento già la nostalgia della mia dose quotidiana di SaruMi, però, perciò spero davvero di riuscire quantomeno a pubblicare qualche one-shot, di tanto in tanto.
Ho scoperto che questo lavoretto è stato molto più apprezzato di quanto mi aspettassi e mi ha resa felice come solo i feedback lasciati su lavori riguardanti una OTP secolari possono fare.
Che dire? Ci tengo a ringraziare chi ha seguito questa storia, chi l'ha messa tra le preferite e chi l'ha solamente letta o la leggerà in futuro chissà, magari scrivendomi cosa gliene pare!
Spero che questo ultimo capitolo vi sia piaciuto, ci rivediamo presto nel fandom!

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