Look at me, only me

di Rivaille_02
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


«Eren» chiamò una giovane ragazza dai capelli neri. «Eren, devi svegliarti» scosse il fratello che stava ancora dormendo.
«Mika…sa?» il ragazzo finalmente aprì gli occhi. Avendo riconosciuto la sorella, si alzò velocemente abbracciandola. «Mikasa! Per fortuna stai bene! Allora “quelli” non ti hanno fatto niente!». La sorella non era affatto sorpresa, anzi, ci era abituata.
«Eren» lo chiamò di nuovo.
«Cosa?».
«Non c’è tempo di sognare i titani. Bisogna andare a scuola» disse seria lei. Eren la guardò stranito.
«Scuola? Ma se dobbiamo combattere i giganti!» esclamò. A quel punto, Mikasa gli fece vedere il calendario e lo fece preparare velocemente: non era mai arrivata tardi da nessuna parte.
«Oh, Eren! Ti sei svegliato finalmente» la madre tirò un sospiro di sollievo mentre il figlio prendeva una fetta di pane così da mangiarla durante il tragitto.
«Sì mamma, e sono riuscito a uccidere il mio primo gigante!» esclamò Eren fiero di sé.
«Quando inizierai a capire che la vita non è un anime e che i giganti non esistono?» il padre si era arreso ormai. Da quando Eren aveva incontrato Armin, iniziò a confondere la vita reale con i suoi sogni. Per questo ogni giorno, quando Mikasa lo svegliava, la poverina doveva subirsi una nuova preoccupazione da parte del fratello.
Prima di andare a scuola, i due andarono a prendere Armin, il loro amico d’infanzia. Suonarono il campanello e li rispose suo nonno, che andò a chiamarlo.
«’Giorno!» li salutò il ragazzo cercando di nascondere la sua faccia assonnata. «Scusate se vi ho fatti aspettare...non riuscivo a svegliarmi...» abbassò la testa arrossendo.
«Tranquillo Armin! Non sei l’unico addormentato stamani!» lo rassicurò Eren ridendo.
«Esatto. E ora sbrighiamoci che non voglio arrivare tardi il primo giorno di scuola» Mikasa assunse un’espressione seria e anche un po’ inquietante. I due ragazzi capirono subito che non era il tempo di chiacchierare.

Arrivati a scuola, i tre controllarono i fogli delle classi per vedere in quale erano capitati.
«Dannazione!» esclamò Eren infastidito. «Non riesco a vedere niente!».
«Mikasa, tu riesci a leggere qualcosa?» chiese Armin alla ragazza. Rispose con un “no” secco. A quel punto, il ragazzo propose ad Eren di prenderlo sulle spalle per avere una visuale migliore.
«Se qualcuno deve salirgli sulle spalle, quella sono io» Mikasa era sempre gelosa di suo fratello. Guai a chi lo toccava!
Armin era impaurito dalla ragazza. Ogni volta che voleva fare qualcosa con Eren, Mikasa si intrometteva sempre.
«Dai, Mikasa…perché devi essere gelosa anche di Armin?» Eren si avvicinò al biondo mentre la ragazza si arrese.
Una volta su, Armin poté vedere i tanto desiderati fogli.
«Siamo nella stessa classe!» esclamò felice Armin, attirando l’attenzione di tutti. «E io che pensavo che i fratelli li dividessero...». Eren scoppiò a ridere.
«Armin...io e Mikasa non siamo veri fratelli, lo sai» gli ricordò. Mentre il biondo scendeva, si avvicinò un ragazzo che sembrava il solito delinquente di turno.
«Ehi, come ti chiami?» si appoggiò alla spalla di Mikasa.
«Dimmi prima chi sei e che intenzioni hai». Il ragazzo si mise davanti a lei ignorando Eren che si stava avvicinando minacciosamente.
«Jean Kiristein e quest’anno frequenterò la 1°E. Tranquilla, non ho cattive intenzioni...è solo che sei carina e...» mentre pronunciava quelle parole si sentì arrossire. I ragazzi lo guardarono sorpresi.
«Jean, giusto?» si intromise Eren. Armin, sapendo le intenzioni dell’amico, cercò di tenerlo fermo, senza successo. «Sei nella nostra stessa classe e...».
«E la campanella sta per suonare. Eren, andiamo» finì Mikasa prendendo la mano del fratello. Jean si innervosì e,  afferrando il colletto del ragazzo, urlò: «Quanto sono geloso! Ma sta tranquillo che prima o poi quello a cui prenderà la mano sarò io, moccioso!». Si girarono tutti verso di loro.
«Ma che problemi hai?» disse Eren scacciandolo.

Arrivati in classe, tutti si sedettero e aspettarono l’arrivo del professore.
«Ehi, Armin!» lo chiamò Eren mettendosi a sedere sul suo banco. Il biondo arrossì. «Che c’è? Perché sei arrossito?».
«E-eh? Ah, no, ecco...» il ragazzo abbassò la testa dall’imbarazzo. «C-che volevi dirmi, Eren?» la rialzò di scatto cercando di sorridere normalmente, come se davanti a lui ci fosse il suo migliore amico d’infanzia e non il ragazzo che gli piaceva.
«Volevo chiederti se dopo le lezioni volevi andare a fare un giro per i negozi...ho visto che ne hanno aperto uno nuovo e volevo andarci con te».
«Certo che sì! Sai anche che tipo di negozio è? Una fumetteria o una sala giochi?» Armin era emozionato all’idea. Eren gli sorrise.
«Perfetto allora» il ragazzo stava per andarsene quando il biondo lo fermò afferrandogli la giacca della divisa scolastica.
«Eren...» arrossì di brutto, ma non smise di guardare il suo amico negli occhi. Era deciso. «Ecco...non è che...» si interruppe vedendo che aveva attirato l’attenzione di tutta la classe.
«Non è che...?» il castano lo invogliò a continuare. Armin abbassò la testa e mollò la presa. Non poteva dirlo davanti a tutti.
«Niente, lascia perdere...» si arrese.

A un certo punto entrò una persona, forse uno studente data la sua statura.
«Ehi, tu! Menomale che non c’è ancora il professore, sennò ti beccavi una sgridata!» gli urlò Jean dall’ultimo banco facendo il gradasso.
«Questo dovrò dirlo io a te nei prossimi giorni, Jean...» gli rammentò Marco, il suo migliore amico. Loro due erano l’opposto. Uno era un donnaiolo che faceva di tutto pur di avere una ragazza; l’altro era un ragazzo tranquillo e socievole a cui non piaceva mettersi in mostra.
Il ragazzo che era appena entrato si sistemò alla cattedra, lasciando i presenti stupiti.
«Primo: non sono uno studente ma un professore» iniziò lanciando uno sguardo severo agli studenti, che si misero immediatamente a sedere.
«Secondo» continuò sedendosi. «Scommetto che non mi abbiate riconosciuto, data la scenata di prima. Dico bene, Kiristein?» chiese conferma al ragazzo, letteralmente impaurito dal suo sguardo. Il professore sospirò.
«Sono Levi Ackerman, il vostro professore di educazione fisica. Vi anticipo che, alla fine di tutte le lezioni, dovrete pulire la palestra. Anche se non ci sarò le ultime ore, dovete pulirla. Ci siamo capiti, mocciosi?» spiegò severo. Il professor Levi era un maniaco della pulizia. Non c’è stata classe che non abbia pulito la palestra quando c’era lui.
«Sì prof!» risposero i ragazzi intimoriti dall’insegnante. Solo Eren sembrava non averne paura. Al contrario, quando i loro sguardi si incrociarono, arrossì.
Levi fece l’appello per riconoscere i suoi alunni.
«Ackerman Mikasa» il professore non fece notare il suo stupore nel vedere che qualcuno, nella sua classe, avesse il suo stesso cognome. Pensò fosse solo una coincidenza, anche se era molto raro.
«Sì» rispose la ragazza alzandosi in piedi. Pur essendo Aprile, indossava ancora la sua preziosa sciarpa rossa. Gliel’aveva regalata Eren quando la salvò da due delinquenti. Da quel momento, non se la tolse se non per fare il bagno.
«E’ stupenda...» mormorò Jean guardandola. Marco lo guardò esasperato: quando vedeva una ragazza carina, cercava sempre di conquistarla, senza successo.
«Arlert Armin» continuò Levi.
«Presente, prof!» rispose deciso il biondo, come se l’insegnante fosse un capitano.
«Blouse Sasha».
«S-sì!» rispose la ragazza continuando a mangiare un onigiri, il suo cibo preferito. Il professore la guardò male.
«Tu, ragazzina» la chiamò. Ebbero tutti paura. Sasha si guardò intorno e diede un altro morso all’onigiri.
«Ehi, sto parlando con te!» Levi sbatté le mani sulla cattedra facendo sobbalzare tutti. La ragazza si convinse a guardarlo. «Dopo ti faccio fare dieci giri del campetto da calcio».
«Perché? E’ solo un onigiri...se vuole gliene do metà...» propose Sasha spezzando il suo amato cibo in due, tendendone una metà all’insegnante, che rifiutò.
«Ora come ora, vorrei solo del tè. Chiudiamo qui la discussione, continuiamo l’appello» rimise gli occhi sul foglio. «Bott Marco».
«Sì!» il ragazzo si alzò in piedi con orgoglio. Era felice di avere Levi come professore, dato le voci che giravano su di lui. Si diceva che, grazie ai suoi consigli, tutti gli studenti che aveva, anche i delinquenti, erano passati. Voleva quindi approfittarne sia per se stesso che per Jean.
«Braun Reiner».
«Presente!». Reiner, insieme ai suoi due amici Bertholdt ed Annie, era stato bocciato per le troppe assenze. Odiava la scuola. Ci andava solo per il club di rugby, di cui faceva parte.
«Ti ho già visto l’anno scorso, vedi di promuovere quest’anno. Non voglio avere un delinquente come te un anno di più in questa scuola» lo avvertì Levi, che l’anno precedente aveva avuto la sfortuna di conoscerlo durante una supplenza. Il ragazzo rispose con un “sì” deciso.
«Hoover Bertholdt».
«Sì!» rispose alzandosi in piedi. Si stupirono tutti della sua altezza: era il più alto della classe.
«La stessa cosa vale anche per te».
«Sì prof!».
«Jaeger Eren» quel cognome sembrava gli sembrava familiare.
«Presente, prof!» il ragazzo si alzò in piedi deciso. Levi lo scrutò attentamente per vedere se si ricordava di lui, ma non ci riuscì. Eren arrossì al solo contatto visivo con il professore.
«Il tuo cognome mi suona familiare, ragazzino» decise alla fine di togliersi quel dubbio.
«Sono il figlio del Dottor Jaeger. Forse è per questo...» rispose lui.
«Okay. Ora ricordo dove l’ho sentito» continuò. «Mi aspetto grandi cose dal figlio del Dottore, quindi ti terrò d’occhio».
«Sì!».
«Kiristein Jean».
«Sì prof...».
«Fermo! Non alzarti. So già chi sei. Terrò d’occhio anche te, data la scenata di prima». Jean finse di non avere paura, mentre in realtà ce ne aveva tanta. Dopotutto, era il professor Levi.
«Leonhart Annie. Le stesse cose di Braun e Hoover» non la fece nemmeno alzare. Rispose “sì” con aria scocciata.
«Reiss Historia. Sei per caso di famiglia benestante?».
«Sì, prof» rispose la ragazza alzandosi. L’insegnante annuì. Historia era la più bassa della classe, ma anche la più carina. Tanto che Reiner le mise subito gli occhi addosso.
«Springer Connie».
«Eccomi, professore! Connie Springer in carne ed ossa!». Era il solito simpaticone di turno.
«Ymir...perchè non c’è scritto il cognome?» Levi era confuso.
«Non ho un cognome. Non so nemmeno chi siano i miei genitori. So solo che mi hanno chiamata Ymir» si alzò. Poi, guardando Historia, disse: «E guai a chi tocca la mia Historia! Sposami una volta finita questa noia!». Ymir era un’altra bocciata per le troppe assenze. Levi era scioccato. Uscì per primo dalla classe.
«Ricapitolando...abbiamo una mia parente che non ho mai incontrato, uno che mi sembrava una ragazza con quei capelli a caschetto, una mangiona, uno che sembra normale, quattro bocciati, uno che arrossisce appena lo guardo, uno che vuole fare il gradasso, una ragazza che sembra apposto e un idiota...» sospirò rimettendo il foglio con tutti i nomi nella sua borsa. «Questa classe mi farà impazzire...».

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


«E quello lo chiamate correre?! Muovetevi mocciosi!» Levi non aveva mai avuto una classe così sfaticata in vita sua.
«Ma che vuole ancora? Non vede che siamo mezzi addormentati?!» si lamentò Jean a bassa voce. Nessun altro fiatò, anche se erano tutti d’accordo. Eren, invece, cercò di correre più veloce per il professore.
«Eren! Non andare così veloce! Non riesco a tenere il passo!» gli urlò il povero Armin, negato in educazione fisica. Il castano si girò guardando gli altri, senza però smettere di correre.
«Avete sentito che ha detto il professore? Forza!» urlò attirando l’attenzione di Levi, che accennò un piccolo sorriso soddisfatto. Jean lo guardò male. Ormai lo odiava.
Una volta finita la corsa, l’insegnante li fece fare degli esercizi di risaldamento, come flessioni e addominali. Una volta finiti, Levi li fece giocare fino alla fine delle due ore: i ragazzi a calcio e le ragazze a pallavolo.
«Forza, ragazzi. Scegliete in fretta le squadre» ordinò il professore avvicinandosi agli alunni con due palloni.
«Ma i capitani prof?» domandò Conny. L’insegnante lo guardò male.
«Possibile che non sapete nemmeno fare una cosa tanto semplice?» sbuffò. «I capitani saranno Jaeger e Kiristein, siccome vanno molto d’accordo». I due nominati si guardarono con aria di sfida. Marco e Armin erano preoccupati su cosa potesse succedere.
«Ascoltami bene, Jaeger! Chi vincerà questa partita avrà la mano di Mikasa!» disse Jean deciso, senza distogliere lo sguardo dall’avversario.
«Ma mi vuoi spiegare che problemi hai?!» Eren non lo sopportava più. A quel punto, scelsero le squadre.
Intanto, le ragazze fecero dei passaggi con l’altra palla.
«Mikasa, giusto?» la chiamò Sasha. La ragazza annuì. «Sembra che qualcuno ti abbia già messo gli occhi addosso» ridacchiò.
«Non m’interessa» rispose lei indifferente passando la palla ad Annie.
«Anche alla mia Historia non interessa quel Reiner, giusto?» Ymir era gelosa della sua amica.
«Esatto. A me non interessano i ragazzi come lui».
«Historia! Quando questa maledetta ora finirà, sposami!» la abbracciò forte la ragazza beccandosi una pallonata da parte di Annie.
«Se non stai attenta, il nemico ti colpirà alle spalle e perderai» la avvertì seria. Ymir la guardò male.
«Perdere cosa, scusa? Non di certo la mia Historia!». La ragazzina cercò di calmarla. Sasha, che era accanto alle due, cercò di afferrare la palla.
«Dipende, Ymir. In guerra puoi perdere i tuoi compagni o la tua vita, nel mondo dello spettacolo e dello sport la reputazione, contro la banda avversaria il tuo territorio, come ben sai. Te l’ho detto, dipende dalla situazione in cui ti trovi» Annie era piuttosto seria quando parlava di queste cose. Faceva parte della banda del quartiere insieme a Reiner, Bertholdt e Ymir e le era capitato di perdere il territorio.
«Avevamo deciso di non tirare più fuori quest’argomento, Annie!» le urlò Ymir tirandole il pallone dietro. La ragazza lo scansò facilmente. Le altre tre non riuscivano a capire di cosa stavano parlando.
«Lo so che è stato un duro colpo, ma ormai la rivincita è alle porte e dobbiamo ricordarlo» continuò la bionda. Rimasero tutte in silenzio per un paio di secondi. Sasha le guardò ansiosa.
«Guardate i ragazzi come giocano bene! Chi pensate che vinca? Io tifo per la squadra di Eren!» ruppe il silenzio indicando il campo. Si girarono tutte e iniziarono a fare delle scommesse.
«Jean è determinato a vincere per te, Mikasa. Dovresti dargli una possibilità» disse Ymir dandole dei colpetti sulla spalla.
«No» rispose secca lei. I suoi occhi in quel momento erano soltanto per suo fratello.
«Perché no?» le chiese l’altra confusa.
«Dai, Ymir. Dopotutto l’ha conosciuto oggi...» intervenne Historia. Ymir la abbracciò di nuovo.
«Quanto sarai intelligente, Historia! Sposami quando tutto questo sarà finito!».
Nel frattempo, Jean cercava di rubare la palla a Eren.
«Jaeger! Dammi quella dannata palla almeno posso fare goal!» gli urlò.
«Mi vuoi dire perché ce l’hai tanto con me?!» alla fine glielo chiese. Era arrivato al limite della sopportazione.
«Perché Mikasa ti sta sempre attaccata! Una così bella ragazza non dovrebbe stare con uno come te!».
«Ma lo vuoi capire che è mia sorella?!». A quelle parole, Jean rimase scioccato ed Eren ne approfittò per passare la palla ad Armin.
«Sorella...? Ero geloso di suo fratello...?» balbettò. Non poteva crederci. «Allora ho una possibilità! Mikasa, guarda come faccio goal e straccio tuo fratello!» si riprese rubando la palla al povero Armin. Corse dritto verso la porta, scartando tutti i difensori e segnò portando in vantaggio la sua squadra. Guardò poi verso la ragazza che desiderava tanto per vedere se stava esultando per lui, invece rimase indifferente.
«Mikasa, non vedi che ti sta guardando? Almeno un piccolo applauso...» la pregò Sasha e così fece, tanto per accontentarli. Jean sorrise per poi guardare Marco.
«Visto, Marco? Ha applaudito! Le piaccio! Ho una possibilità, Marco!» esclamò abbracciandolo. Eren si avvicinò ad Armin.
«Armin» lo chiamò.
«S-sì, Eren?» si girò di scatto.
«Hai capito che ha quello?».
«Penso che voglia soltanto fidanzarsi con Mikasa...».
«Non accetterà mai uno come lui». Eren conosceva bene sua sorella.
La partita finì con la vittoria della squadra di Jean.
«Ragazzi. Appena torniamo in classe devo dirvi una cosa, quindi cambiatevi velocemente» avvertì Levi, che aveva capito con che classe aveva a che fare.
Negli spogliatoi non regnava di certo la pace.
«Eren, ho vinto io. Permettimi di avere la mano di Mikasa» Jean non mollava.
«Sai che dopo un po’ sei stancante? Comunque è lei che deve decidere, non io. Anche perché ho già qualcuno che mi piace» annunciò Eren. Tutti si girarono verso di lui.
«Chi è la sfortunata che dovrà subirti?» il ragazzo si mise a ridere.
«E’ di questa classe, Eren?» gli chiese Marco curioso.
«Dimmi che non è la bella Historia...» pregò Reiner.
«Dimmi che sono io, Eren...» sussurrò Armin mentre si metteva la maglia nascondendo il suo rossore. Eren si pentì di aver parlato.
«Fate finta che non abbia detto niente...» disse imbarazzato.
Le ragazze, nel frattempo, stavano continuando le loro litigate.
«Perché non sapevo niente di questa rivincita?!» Ymir era la co-leader della banda e le scocciava non essere al corrente di una cosa così importante.
«Perché quel giorno avevi accompagnato Historia a fare compere, come se fossi la sua ragazza» le rispose Annie.
«Ferme! Volete dire che siete delle ragazze di strada? Per questo avete sempre quello sguardo inquietante?» s’intromise Sasha.
«Ymir è la ragazza di strada, io vivo da sola in un piccolo appartamento in periferia. Non dovete sapere altro» spiegò la bionda.
«Annie! Dopo tu e gli altri due dovete spiegarmi tutto, intesi?!».
«Pensavo che te l’avessero già detto, ma sei la co-leader, quindi sta tranquilla che saprai tutto».
Una volta usciti, Levi cercò di farli tornare in classe integri.
«Mettetevi seduti, subito!» il professore era esausto. Si sedettero tutti velocemente. «Devo dirvi un paio di cose che mi ha comunicato il preside».
«Prof! Ha visto come ho giocato? Mi metterà un otto?» gli chiese entusiasta Jean, che non aveva ascoltato l’ultima frase. Levi lo guardò male. «Mi accontento anche di un più...» provò a rimediare.
«Kiristein».
«Sì, prof!».
«Non metterò voti a nessuno oggi. E ora ascoltatemi» assunse un tono piuttosto serio. Tutti erano attenti, quindi iniziò. «Per prima cosa, siete tutti obbligati ad aderire a un club. I volantini sono esposti lungo il corridoio e la presentazione dei diversi club sarà la prossima settimana. Mi assicurerò che veniate tutti».
«E chi non vuole iscriversi?» domandò Ymir.
«Hai altro da fare?».
«E direi, sennò non l’avrei chiesto profe!» scoppiarono tutti a ridere.
«Tanto lo sapevo che i bocciati me l’avrebbero chiesto...chi non ha intenzione di iscriversi sarà considerato uno sfaticato. Come in tutte le scuole normali, insomma...» spiegò il professore.
«Perché “normali”, prof?» chiese Eren.
«Proprio tu me lo chiedi Eren?!». Era la prima volta che chiamava un suo alunno per nome. Il ragazzo cercò di non arrossire, senza successo.
«Scusami Jaeger. Per rispondere alla tua domanda, lo capirai quest’anno. Non c’è alcun bisogno di rispondere ora» Levi si calmò mettendosi a sedere. La campanella dell’intervallo suonò e tutti corsero al bar per comprare un panino.
«Jaeger» lo chiamò il professore. Il ragazzo si avvicinò alla cattedra.
«Sì?».
«Vedi di non complicarmi le cose facendomi arrabbiare, per favore». Eren lo guardò confuso.
«Mi scusi ma proprio non capisco».
«Lascia stare. Cerca soltanto di non farmi arrabbiare» si spiegò meglio. Il ragazzo continuava a non capire. «Jaeger».
«Professore, mi scusi ma...».
«Ti ho detto di lasciar stare». A quel punto Eren salutò il professore e andò nel corridoio con Armin, mentre Mikasa era stata rapita da Sasha. Levi mise la testa sulla cattedra. «Perché l’ho chiamato per nome? Eppure non è il mio studente ideale...allora perché?».

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


«Perché l’ho chiamato per nome?» questa domanda tormentava Levi da quando uscì dalla classe. A un certo punto si fermò nel mezzo del corridoio. «Perché quella classe ha così pochi alunni? In media dovrebbero essere una ventina...meglio chiedere al preside» pensò. Si diresse quindi in presidenza.
«Ehi, Levi! Dove stai andando?» gli chiese una donna della sua età. Levi si girò scocciato.
«Hange, che c’è?» le chiese mentre lei si avvicinava sorridendo. L’uomo sapeva che voleva qualcosa.
«Voglio solo sapere dove stai andando» insistette abbassandosi alla sua altezza.
«Mi dai sui nervi quando fai così. Trova un altro modo per ricordarmi che sono basso, idiota». Hange si rialzò, evitando di far fare figuracce al professore più rinomato di tutta la scuola. «Ecco, brava».
«Non mi hai ancora risposto!» la donna non demordeva: quando poneva una domanda, pretendeva una risposta.
«Sto andando in presidenza. Ti basta come risposta?». Hange era confusa: Levi ci andava raramente.
«Perché? Non dirmi che si sono già presi a botte il primo giorno!» si mise a ridere.
«Cambiando discorso, sai perché la mia classe conta solo dodici studenti? E perché quest’anno ho solo una classe? Di solito ce ne ho due o tre...c’è un motivo in particolare?» le chiese pensieroso. Anche Hange rimase sorpresa.
«Intendi la 1°E? Quella classe ce l’ho alla prossima ora...mi dici un po’ com’è?». Levi le diede il foglio che usava per fare l’appello. Rimase stupita quando lesse “Ackerman”: quel cognome nella loro città ce l’aveva soltanto Levi, quindi pensò ad una probabile parente. Sgranò gli occhi quando arrivò a “Jaeger”. «Il figlio del dottore qui? E’ un onore! Levi, quando sei fortunato ad averlo incontrato prima di me! E’ un bravo ragazzo come il padre?». Essendo il figlio del dottor Jaeger, Eren sarebbe dovuto andare in una scuola privata; ma poiché Mikasa e Armin insistevano così tanto ad andare a scuola con lui, suo padre decise di iscriverlo in una scuola pubblica.
«Eren, eh? Non è il mio studente ideale. Litiga sempre con Kiristein, quindi ti consiglio di tenerlo a bada». Non si era accorto che lo aveva di nuovo chiamato per nome.
«Levi, hai appena chiamato uno studente per nome? Li chiami tutti per cognome, anche nelle riunioni!» Hange non era mai stata più stupita di così.
«L’ho rifatto?» non poteva crederci. La donna fece un sorriso malizioso.
«Non è il tuo studente ideale, lo chiami per nome...anche se è una cosa improbabile data l’età, ma non è che ti piace?». Levi non riuscì a credere a quelle parole. Forse era per quello? Ma no, era impossibile! Aveva trent’anni, non poteva innamorarsi di un quindicenne.
«Impossibile» rispose secco. «Ora devo andare in presidenza, Hange».
«Ma Levi!» lo chiamò.
«Te lo compri con i tuoi soldi il panino» sapeva fin dall’inizio che era quello il vero motivo per cui l’aveva fermato.
«Ma è quello il problema! Non ho soldi!» esclamò la donna disperata. Nonostante ciò, Levi se ne andò.
Nel frattempo, Eren e Armin erano in cortile seduti su una panchina a mangiare il loro bentō.
«Eren...» il biondo era imbarazzato da quanto l’amico gli era vicino.
«Che c’è, Armin?» si girò lui. Si accorse che si era un po’ allontanato, quindi si riavvicinò. Il ragazzo arrossì per poi allontanarsi di nuovo. Eren si rimise accanto a lui. Appena vide che si stava per spostare, gli prese la mano. Armin arrossì. «Mi spieghi che hai? E’ da stamattina che ti comporti in modo strano...» lo guardò preoccupato. «È successo qualcosa?».
«Eren...posso parlarti in privato?» gli chiese senza guardarlo. Era troppo imbarazzato per poter alzare la testa. Il castano accettò confuso. Era la prima volta che non riusciva a capire il suo migliore amico.
Lo seguì fin dentro il bagno, l’unico posto in cui, secondo il biondo, non c’era nessuno in quel momento. Si mise di fronte a Eren, prese un bel respiro e parlò. «Eren» lo guardò. «Mi piaci» dichiarò convinto afferrando il colletto del ragazzo baciandolo. Non si accorse, però, che Jean e Marco erano dietro la porta.
Sasha, intanto, si era portata Mikasa a comprare un panino. Dopo cinque minuti di fila, finalmente le due ragazze riuscirono a prendere due panini. Tornarono in classe a mangiare. C’erano solo loro due.
«Mikasa...è vero che sei la sorella di Eren?» le chiese la ragazza addentando il tanto desiderato cibo.
«Sì, perché?».
«Non avete lo stesso cognome...per caso ti ha adottata il dottor Jaeger?».
«E’ davvero conosciuto...» si sorprese Mikasa.
«Certo che è conosciuto! Mio padre mi ha detto che qualche anno fa salvò il nostro quartiere da un’influenza tremenda!» Sasha sembrava entusiasta mentre lo diceva. Dopotutto, il dottore salvò anche suo padre.
«Non basta prendere le giuste medicine?».
«Quell’influenza non era normale! Era un qualcosa di strano...non saprei dirti. Il dottor Jaeger può spiegarti meglio». Stettero in silenzio per qualche minuto, giusto per finire il pranzo. «Tornando a prima, Mikasa. Ti hanno adottata?».
«Sì» rispose secca lei. Pensò che così facendo, Sasha non le avrebbe chiesto il perché. Invece...
«Per caso i tuoi ti hanno abbandonata o roba del genere?» era la classica ragazza curiosa che faceva domande inappropriate. Mikasa rimase in silenzio. Non poté resistere, però, alla faccia della compagna.
«Sono morti durante una rapina in banca. E’ successo quando ero in seconda elementare». La ragazza assunse un’espressione cupa, come se stesse rivivendo quel momento. Le scese qualche lacrima. Fu un trauma per lei. In quella rapina c’erano anche Eren e suo padre, che si preoccupò di chiamare la polizia mentre il figlio accorse in aiuto della ragazza. Le fece impugnare per la prima volta un coltello e la convinse a combattere con lui. Uccisero i tre ladri prima dell’arrivo della polizia. Ovviamente, il dottor Jaeger sgridò il figlio che lo portò da Mikasa, traumatizzata dall’accaduto. Eren le mise la sua sciarpa rossa intorno al suo collo.
«“Torniamo a casa” mi disse...» la ragazza sorrise. Sasha non capì.
«Chi te l’ha detto?» chiese confusa.
«Eren in quella rapina, quando mi ha dato la sua sciarpa...» rispose con un tono dolce, che raramente aveva.
«Quindi dopo quella rapina ti sei trasferita a casa di Eren?». Mikasa annuì. Proprio in quel momento, Reiner e Bertholdt entrarono in classe. Appena videro le ragazze, presero due sedie e si misero accanto a loro. Le dissero che degli studenti del terzo anno li avevano chiesto di entrare nei loro club.
«Che club erano?» domandò Sasha curiosa.
«Calcio, rugby...tutti club sportivi» rispose Bertholdt guardando l’amico per confermare.
«Io mi sono già iscritto al club di rugby. Dopo la scuola c’è la prima lezione» Reiner era fiero di aver scelto quel club: la squadra aveva vinto i regionali e quell’anno doveva affrontare i mondiali con i nuovi iscritti.
«Che figata Reiner!! Invece tu Bertholdt? Hai scelto?» chiese sempre la castana.
«Penso che mi iscriverò al club di basket...per la mia altezza è l’unico club a cui posso aderire. E poi mi è sempre piaciuto come sport». Quando parlava di quello sport, aveva sempre il sorriso in faccia. Suo padre faceva parte della squadra che due anni prima vinse le nazionali di basket e voleva seguire le sue orme.
«Esiste un club di cucina?» a Sasha piaceva molto cucinare, soprattutto le patate al forno: erano le sue preferite.
«Anche Conny voleva iscriversi...sta andando in 3°D a chiedere di iscriversi» la informò Reiner. Subito, la ragazza si precipitò dall’amico. Uscendo dalla porta, però, urtò Historia e Ymir la sgridò stringendo a sé la bionda.
«Avete scelto il club?» chiese la ragazzina mentre si metteva seduta al posto di Sasha, vicino a Reiner.
«Reiner si è iscritto al club di rugby mentre io più tardi andrò a chiedere se posso entrare in quello di basket» rispose Bertholdt. Ymir scoppiò a ridere.
«Con quell’altezza penso che ti prenderebbero subito!» disse abbracciando Historia da dietro. «Tu invece Mikasa?».
«Arti marziali» rispose alzandosi. «Bertholdt, giusto? Vuoi andare ora a chiedere per il club?» chiese guardando il ragazzo.
«Vai ora? Ma la ricreazione è quasi finita...» non era il tipo a cui piaceva arrivare tardi alle lezioni.
«Se è per questo, è faremo bene a sbrigarci».
«Annie mi ha detto che anche lei andava ora da quelli di terza per il club...un’altra ragione per andare!» esclamò Ymir ridacchiando. Il ragazzo arrossì e se ne andò con Mikasa. «Certo che gli piace davvero quella biondina...».
«A proposito di Annie...te l’ha detto? “Quella cosa”» le chiese Reiner.
«Parli della rivincita? Me ne ha parlato prima...dopo la scuola voglio i dettagli».
«Certo, Ymir. Il co-leader deve sempre sapere tutto». Historia continuava a non capire.
«Volete spiegarmi di che state parlando? Quale banda? Quale rivincita? Pensavo che queste cose non esistessero in questo quartiere...». Non le piacevano queste cose e soprattutto non avrebbe mai pensato che la sua migliore amica le facesse.
«Lo sa anche lei?».
«Non solo lei, tutte le ragazze lo sanno...Annie l’ha detto nello spogliatoio prima».
«Dovrebbe saperlo che nessuno al di fuori della banda deve sapere cosa succede fra noi...». Reiner era serio riguardo a queste cose.
«Vallo a dire a quella bionda!» esclamò Ymir nervosa. A un certo punto entrarono Jean e Marco scioccati.
«Ragazzi, che vi è successo? Avete delle facce...» chiese Reiner mentre i due presero posto accanto a loro.
«Armin e...Eren...» Jean riuscì a dire solo questo da quant’era scioccato. Marco non aprì bocca. Gli altri tre non capirono.
«Per caso si sono fatti male? Sono in infermeria?» domandò Historia preoccupata. I due ragazzi scossero la testa. La ragazza si alzò. «Insomma, che è successo di così tanto scioccante?! Non ditemi che hanno litigato o fatto a botte...anche perché non mi sembrano tipi che lo farebbero...». Nessuna risposta. A quel punto Ymir si arrabbiò.
«Volete dirci che hanno fatto o no?! Non vedete che la mia Historia è preoccupata?!» urlò ai due afferrando Jean per la giacchetta dell’uniforme.
«Armin ha...» iniziò Marco.
«Si è dichiarato ad Eren» finì l’altro. La ragazza lasciò la presa.
Levi, nel frattempo, era arrivato in presidenza.
«Che ti porta qui, Levi? Ti stanno causando già problemi quei ragazzi?» ridacchiò il preside Erwin, nonché professore di matematica.
«Mi spieghi perché la mia classe conta soltanto dodici studenti e non una ventina come tutte le classi?».
«Hai avuto due ore per osservarli...non hai notato niente in loro?» il preside tornò serio.
«Cosa dovevo notare? Che sono degli idioti che sanno solo litigare?» Levi proprio non capiva.
«Impareranno ad andare d’accordo...ma singolarmente, almeno per oggi, non hai notato qualcosa di particolare? Qualcosa che gli altri alunni non hanno...».
«Singolarmente, eh? Non saprei proprio...ma se devo dire qualcosa, sono tutti molto agili» rispose mettendosi a sedere. I due si guardarono negli occhi per qualche secondo, poi Levi capì. «Non dirmi che...».
«Quest’anno vinceremo noi contro quell’altra scuola» disse deciso Erwin.
«La Liberio intendi? Davvero pensi di batterla con quei mocciosi?» chiese incredulo l’altro. La Liberio era una scuola superiore imbattibile, la più forte della regione. Erano riusciti a batterli solo nel basket, nel resto avevano sempre perso.
«Esatto. Ho scelto personalmente quei ragazzi parlando con i loro genitori. Per questo motivo quest’anno avrai solo una classe» spiegò il preside.
«Anche Hange ce l’ha...».
«L’ho affidata ai professori più adatti per addestrarli al meglio per la sfida che si terrà alla fine dell’anno». Levi stette in silenzio per qualche minuto. Guardò incredulo Erwin: ogni anno riusciva sempre a sorprenderlo con la sua intelligenza.
«Ho capito. Li allenerò al meglio, quei mocciosi» disse alzandosi.
«Sono sicuro che farai un ottimo lavoro, Levi».

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


«Eren» lo guardò. «Mi piaci» dichiarò convinto afferrando il colletto del ragazzo baciandolo. Non si accorse, però, che Jean e Marco erano dietro la porta. Eren gli accarezzò i capelli per poi staccarsi da Armin. Si fissarono per qualche secondo in silenzio. L’atmosfera era piuttosto imbarazzante. Il biondo arrossiva sempre di più ogni secondo che passava.
«Armin...». Eren piegò la testa senza smettere di accarezzarlo.
«S-sì, Eren?». Il suo viso da bambino si fece tutto rosso in un batter d’occhio. Mollò la presa del colletto per reggersi alla giacca dell’uniforme dell’amico. Eren sospirò.
«Da quanto tempo volevi dirmelo?». Armin lo guardò stupito. Quindi se n’era accorto? Per tutto questo tempo aveva fatto finta di niente? Non era da lui. Quando notava una cosa, la faceva subito presente. «Da tanto, immagino...».
«Eren, io...». Il castano lo zittì subito stringendolo a sé.
«Armin...» iniziò facendo arrossire ancora di più il biondo che aveva già le lacrime agli occhi: pensò che finalmente il ragazzo che tanto desiderava fosse stato suo. «Mi dispiace...» disse soltanto.
«Per caso c’entra il professor Levi?» chiese Armin stringendosi ancora di più all’amico. Non voleva che Eren lo vedesse piangere.
«Il professore? Che stai dicendo, Armin? Certo che no...».
«Ogni volta che ti guardava, arrossivi subito. Ed è solo il primo giorno...cosa farai domani? E nei prossimi giorni?».
«Io che arrossisco? Quando mai!» ridacchiò Eren. Il biondo non rispose. «Tornando a prima, Armin...».
«Ho capito. Non devi ripeterlo» gli disse staccandosi con forza dal ragazzo. «Ormai ti conosco, Eren. Non penso ti noterà, ma buona fortuna comunque! Faccio il tifo per te! Come ho sempre fatto...». Corse via lasciando Eren lì, immobile, senza aver avuto modo di fermarlo. Cadde a terra.
«Stava piangendo...» sussurrò. Abbassò la testa fino a far toccare la fronte al pavimento. «Mi odierà...mi odia...». Qualche lacrima iniziò a scendergli. «Perché sono così stupido?!» esclamò alla fine battendo il pugno in terra.
La campanella suonò ed Eren era ancora in bagno. Non sentì nemmeno il rumore di passi che si avvicinavano a lui.
«Ehi, la campanella è suonata. Torna in classe, moccioso» lo avvertì una voce da adulto. Il ragazzo alzò la testa.
«Professore...». Si asciugò velocemente le lacrime. «Mi scusi, ci vado subito...» gli disse alzandosi.
«Fermo». La tristezza di Eren non passò di certo inosservata agli occhi di Levi. «Stavi piangendo. È successo qualcosa?». Il ragazzo non lo guardò. Appena mise un piede avanti, il professore gli afferrò il braccio costringendolo a fermarsi. «Se non è una cosa grave non lo dirò al preside; se invece lo è, sarò costretto a dirlo. Quindi dimmi che ti è successo almeno ti faccio tornare in classe».
«Ho solo litigato con il mio migliore amico...» rispose Eren a voce bassa.
«Com’è finito questo litigio?».
«L’ho fatto piangere e penso che ora mi odi...solo perché sono uno stupido...». Il ragazzo strinse il pugno. Si stava per rimettere a piangere, ma non lo fece: non aveva mai pianto di fronte a nessuno perché voleva sembrare forte, anche nei momenti in cui si sentiva morire dentro.
«È tutto?».
«Sì, prof...».
«Sicuro?». Levi sapeva che Eren voleva dirgli altro, magari sfogarsi.
«Non le devo dire altro, prof».
«Va bene. Per qualsiasi cosa, vieni in vice-presidenza».
«Grazie, prof». Finì così la loro conversazione. Il ragazzo tornò in classe senza guardare in faccia nessuno. Levi, invece, venne fermato da Hange.
«Levi! Che ci fai nel bagno degli studenti?» gli chiese appoggiandosi al cornicione della porta.
«Uno studente non si sentiva bene. Ora devo tornare in vice-presidenza» rispose andandosene.
«Ora ho la 1°E...terrò a bada Jaeger e Kiristein!».
«Buona fortuna, Hange» la salutò con la mano. La donna ricambiò.
Appena entrata in classe, tutti si sedettero: stavolta avevano riconosciuto la professoressa.
«Buongiorno ragazzi! Mi chiamo Hange Zoë e sono la vostra nuova insegnante di scienze!» disse un’aria di gran fierezza. Dopo aver fatto l’appello, fece fare agli alunni un test d’ingresso per vedere le loro conoscenze.
«Mi scusi, ma cos’è sta roba? Io non l’ho mai studiata!» si lamentò Connie cercando di decifrare quel linguaggio a lui sconosciuto.
«È perché non hai mai studiato, Connie...» ribattè Sasha. Andavano nella stessa classe quando erano alle medie. Il ragazzo copiava a ogni verifica, per questo l’avevano promosso.
«Tranquilli, ragazzi. Fate solo quel che vi riesce» rassicurò l’insegnante. Il test iniziò e Hange ne approfittò per controllare le schede degli alunni. Essendo studenti scelti personalmente dal preside, dovevano essere in qualche modo speciali.
Se ne stava seduta, tranquilla, con i suoi occhialini che usava durante le lezioni di equitazione che teneva in un maneggio lì vicino sulla cattedra. Era talmente concentrata che non vide Armin davanti a lei.
«Professoressa, ho finito il compito» annunciò consegnando il foglio. Gli cadde l’occhio sui documenti che stava consultando. «Scusi la domanda, ma cosa sono quelli?».
«Sono cose della scuola, niente che interessi a voi alunni» rispose guardando l’orologio. «In mezz’ora hai già finito il compito? Sei veloce, Arlert...». Prese il compito e lo controllò: nemmeno un errore. Rimase stupita. Subito dopo, anche Marco lo consegnò. Gli altri finirono al suono della campanella. L’ultimo a dare il compito era stato Eren.
«Professoressa, alcune cose non le ho ben capite...ho lasciato delle risposte in bianco» si scusò. Hange lo prese per un braccio e lo tirò a sé.
«Che ne pensi di Levi, Eren?» gli chiese all’orecchio. Il ragazzo arrossì.
«I-il professore? E’ severo e...». Hange lo interruppe.
«Non è quello che volevo sapere. Ti piace?». Arrossì ancora di più. Non riuscì a rispondere. «Non ti ha catturato con quello sguardo? E quella voce?».
«P-perché tutte queste domande?» domandò Eren imbarazzato. L’insegnante sorrise maliziosamente.
«A me puoi dirlo, Eren. Non ti mangio mica!» le scappò una piccola risata. Alla fine lo lasciò andare. «Vieni in sala professori qualche volta, magari posso darti qualche consiglio». Il ragazzo la guardò impaurito, in un certo senso.
«Che consigli, Jaeger? Su come non avere la testa fra le nuvole durante le lezioni?» lo prese in giro Jean.
«Dai, Jean...». Marco cercò di allontanare il suo amico.
«Non sono affari tuoi, Kiristein» lo provocò Eren.
«Non sono affari  miei, eh?». Jean, irritato dalla risposta, sferrò il primo pugno. Mikasa non ebbe nemmeno il tempo di girarsi che Hange si era messa in mezzo ai due.
«Vuoi beccarti una nota il primo giorno, Kiristein?». Quando la professoressa si arrabbiava, era davvero spaventosa al punto da mettere i brividi agli alunni, che si sedettero subito. Per questo tutti i suoi studenti stavano zitti durante le sue lezioni.
«Cos’è questa confusione?» chiese una voce maschile.
«Non avevi delle cose da fare, Erwin?».
«Ho già parlato con Levi, se intendi quello». Posò la sua borsa nera sulla cattedra.
«No, aspetta, che ci fai qui?». Hange proprio non capiva.
«Non hai letto l’orario scolastico? Questa è l’ora di matematica e io sono il professore» rispose come se fosse la cosa più ovvia. La donna sospirò.
«Dovevo immaginarlo, siccome questi ragazzi li hai scelti tu...» prese la sua borsa, salutò gli studenti e uscì dalla classe. Nessuno aveva capito cosa fosse successo, ma non ci fecero caso. Erwin avvertì che alla fine dell’anno si sarebbero sfidati con la scuola del quartiere accanto.
«Intende la Liberio?» chiese Ymir ad Annie a bassa voce. Annuì.
«Che giorno, di preciso?» chiese Reiner.
«Ancora non si sa, ma sarà di sicuro a marzo» rispose.
«Che classe dovrà sfidarla?» domandò Sasha.
«Voi». La classe rimase in silenzio. «Qualcosa non va?».
«No, prof...in cosa bisogna sfidarli?» chiese Armin.
«Nei club a cui vi iscriverete» rispose. «A proposito, ho già visto che alcuni di voi hanno già aderito ai club. Quando tutti voi ne avrete scelto uno, vi comunicherò i dettagli delle sfide» spiegò.
«Quindi sapremo in anticipo su cosa si baseranno?». Mentre tutti facevano domande, Eren non faceva altro che pensare a come scusarsi con Armin. Ci teneva alla sua amicizia. Il biondo fece altrettanto. Entrambi provarono a non guardarsi, senza successo.
I ragazzi continuarono a fare domande fino al suono della campanella. Seguirono altre due ore di lezione. Dopo la scuola, ci fu la presentazione dei diversi club. Lì, gli studenti decisero dove iscriversi. Le attività sarebbero iniziate il giorno dopo per i primini che non avevano ancora aderito. Alla fine della giornata, Eren non si era ancora scusato con Armin.
«Eren» lo chiamò Mikasa sedendosi sul letto del fratello. Non rispose. «Eren». Ancora niente. Gli tirò una pacca sulla spalla. «Eren». Il ragazzo aprì gli occhi e si alzò mettendosi accanto alla sorella.
«Che c’è, Mikasa?».
«Ti vedo assente. Qualcosa ti turba?». Abbassò la testa. «E’ da dopo l’ora di ginnastica che non parli con Armin. Avete litigato?». Sussultò.
«In un certo senso sì...l’ho fatto piangere...».
«Non ti sei scusato?».
«No...».
«Perché?».
«Perché sono un stupido che non capisce cosa provano gli altri, ecco perché...» Eren strinse i pugni.
Nei giorni seguenti, il ragazzo non riuscì a scusarsi.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


«Eren» lo chiamò una voce maschile. Il ragazzo si girò. Sorrise.
«Buongiorno professore!» esclamò andandogli incontro.
Era già metà aprile. Levi ed Eren avevano iniziato a parlarsi di più. Ogni volta che poteva, il ragazzo andava in vice-presidenza per poter stare con il professore.
«Mi ha chiamato un’altra volta per nome...per caso sono il suo studente preferito?» gli chiese il castano con un sorrisetto malizioso abbassandosi all’altezza dell’insegnante che lo guardò serio. Eren chiuse gli occhi, pensando che volesse sgridarlo.
«Non è che sei il mio studente preferito...mi stai solo simpatico, Eren». Il ragazzo sentì qualcosa accarezzargli i capelli: era Levi. Aprì lentamente gli occhi.
«Professore...mi ha chiamato di nuovo per nome...» arrossì. Il professore ritirò allora la mano.
«Non è vero» rispose secco.
«Sì che è vero, prof. Lo ha fatto due volte» precisò.
«Mai fatto».
«Lo ha appena fatto, prof...».
«Non dire sciocchezze, Eren» incrociò le braccia.
«L’ha rifatto...». Il ragazzo non sapeva più come dirglielo. I due rimasero a fissarsi senza aprire bocca. Eren iniziò ad arrossire. «Professore, per favore, non mi fissi così tanto...mi mette in imbarazzo...» abbassò la testa coprendola con le mani. Levi gliele prese e le spostò, in modo da potersi godere quel raro momento di imbarazzo del ragazzo. «Professore...».
«Che c’è?». Accennò un sorrisetto soddisfatto che cancellò subito. Eren si stupì.
«Dovrei andare...».
«Dove?».
«Al bagno...» disse la classica scusa per uscire da quel momento imbarazzante per lui. L’insegnante lo lasciò andare.
Impegnato con Levi, Eren non riuscì a trovare un modo per scusarsi con Armin. Il biondo, nel frattempo, aveva stretto amicizia con Jean e Marco, che avevano assistito alla dichiarazione. Dopo la scuola, raggiunsero i rispettivi club.
«Armin, cos’hai?» gli chiese Marco prima di entrare nell’aula del club di recitazione.
«Niente...» rispose a testa bassa. Non voleva che il suo nuovo amico si preoccupasse. «Comunque, oggi si inizia a decidere la trama, giusto?» cambiò argomento. L’altro annuì. Una volta entrati, furono accolti dagli studenti del terzo anno. Si misero a sedere in cerchio. Mentre decidevano la trama del loro spettacolo, qualcuno bussò alla porta. Il più grande andò ad aprire. Rimase sorpreso nel rivederli di nuovo.
«Abbiamo due nuovi iscritti, sono dei primini» li informò entusiasta. I due entrarono.
«Ehilà!» salutò la ragazza dai capelli arancioni. Le corsero tutti incontro.
«E a me non salutate?» chiese l’altro ragazzo. Solo due o tre andarono da lui. Armin e Marco rimasero a sedere confusi.
«Loro sono i due nuovi iscritti!». Il più grande li indicò così che i due potessero andare ad loro.
«Quindi esiste ancora qualcuno che vuole iscriversi al club di teatro...» disse il ragazzo guardandoli. La ragazza sorrise. Gli altri due si presentarono.
«Armin Arlert della 1°E, piacere di conoscervi!».
«Marco Bott, anch’io della 1°E. Piacere!». Ci fu qualche secondo di silenzio.
«La 1°E? La classe del professor Levi?» chiese la ragazza al suo amico.
«Sì, proprio quella» rispose. Le s’illuminarono gli occhi.
«Piacere nostro! Io sono Petra Ral e lui è Oluo Bozado. Siamo ex alunni del professor Levi!» si presentò lei.
«Ha anche un fanclub da quant’è carina» specificò l’altro. Alcuni studenti li chiesero cosa ci facessero lì, dato che andavano all’università. Risposero che volevano andare a trovare i loro professori, siccome non avevano tanti impegni.
«Comunque, che stavate facendo?» domandò Petra.
«Stavamo decidendo la trama dello spettacolo».
«Che ne dite di una tragedia?» propose Oluo. Lo guardarono tutti sconcertati. «Che c’è? Il teatro è anche questo. Proprio come la vita...». Si girarono tutti lasciandolo parlare. Era suo solito perdersi in discorsi che nessuno ascoltava perché ritenuti noiosi. Rifiutarono tutti: era un anno che non si iscriveva nessuno. Adesso che avevano due nuovi studenti, volevano proporre qualcosa di più felice.
«Una storia d’amore? Magari con una relazione alunno-professore!» suggerì Petra.
«Abbiamo capito che ti piace il professor Levi, Petra. Ma non mi sembra il caso di dirlo a tutta la scuola...». La ragazza arrossì.
«M-ma che dite? Il professore? No...non mi piace affatto...». Si girò coprendosi il viso con le mani. Era proprio cotta.
«Penso che non funzionerebbe...questo tipo di relazioni ormai non si trova più in nessuna opera moderna» spiegò Armin. Era vero, ma il motivo principale era il fatto che gli ricordava troppo Eren.
«Armin ha ragione, non è un tema che attirerebbe molte persone...». Dopo aver discusso un po’, Petra e Oluo salutarono i ragazzi e andarono a cercare loro ex professori.
«Chissà che classe è quella del professor Levi...» si domandò la ragazza.
«Di sicuro ci saranno scansafatiche e gente che non si incontra facilmente per strada» disse l’altro imitando Levi. La ragazza si arrabbiò.
«Smettila di imitarlo, Oluo! Il professore non parla in questo modo!». Una figura maschile li vide.
«Ehi, voi!» li chiamò avvicinandosi. I due si girarono.
«Ah, siete più grandi...scusate...» ridacchiò dall’imbarazzo.
«Sta tranquillo, che c’è?». Petra gli sorrise gentilmente.
«Sapete dove posso trovare il professor Levi? Ho bussato in vice-presidenza ma non mi ha risposto...». Il ragazzo strinse a sé i fogli che doveva portargli.
«Sei per caso della 1°E?» gli chiese Oluo incrociando le braccia. Il ragazzo annuì.
«Anche noi lo stiamo cercando. Vuoi unirti a noi?» gli chiese la ragazza guardandolo. Era più bassa, nonostante andasse all’università. Quindi doveva alzare la testa per guardarlo. Annuì. «Perfetto! Posso sapere il tuo nome?».
«Eren Jaeger» rispose.
«Bene, Eren. Allora andiamo tutti insieme a cercare il professore!» esclamò Petra. Iniziarono a guardare nelle aule.
«Posso chiedervi perché state cercando il professore?» domandò Eren.
«Volevamo andare a trovarlo». Li guardò straniti.
«Andate per caso all’università?».
«Esatto!» rispose la ragazza. «Tu, invece? Perché lo cerchi?».
«Volevo parlargli...». Di solito, Eren andava da Levi soltanto per vederlo. Parlavano di quel che capitava. Altre volte gli chiedeva dei consigli su alcune cose e così via. Tutto questo solo per stare un po’ con lui.
Dopo aver controllato tutta la scuola, si arresero. Pensarono che fosse andato a casa.
«Impossibile! Il professor Levi mi aveva detto che c’era questo pomeriggio!» esclamò il ragazzino. Proprio in quel momento, arrivò un uomo.
«Come ha detto Eren, anche oggi mi tocca fare il pomeriggio per controllare la classe. Ma guarda caso, prima che inizino le attività del tuo club, devi sempre parlarmi, Eren». Al ragazzo luccicarono gli occhi.
«Professore!». Gli corse incontro. «Volevo consegnarle i fogli che mi aveva chiesto!». Gli diede i fogli che stava proteggendo con tanta attenzione. L’insegnante sospirò e li prese. Guardò poi chi c’era dietro Eren.
«Petra e Oluo, che ci fate qui? Non dovete studiare?».
«Non abbiamo tanti impegni in questi giorni, quindi ne abbiamo approfittato!» gli disse la ragazza avvicinandosi insieme al suo amico. Eren li guardò allontanarsi. Ancora una volta, rimase impalato senza aver potuto parlare. Decise di dirigersi dai ragazzi del suo club.
«Eren» lo chiamò Levi. Il ragazzo si girò felice.
«S-sì?».
«Oggi è il tuo turno ad essere controllato. Puoi parlarmi durante le pause se vuoi».
«Va bene!». Fece il sorrise più bello che avesse fatto in quei giorni di scuola e se ne andò entusiasta. Anche quel giorno poteva stare un po’ con lui.
Una volta raggiunto il suo club, lo accolsero tutti cordialmente. Durante gli allenamenti aveva stretto amicizia con tutti, era diventato addirittura il preferito del capitano. Non c’era nessuno della sua classe.
«Ci siamo tutti?» chiese l’allenatrice.
«Sì!» risposero i ragazzi in coro.
«Andate a cambiarvi allora. Oggi vi allenerete a coppie». Detto questo, andarono nello spogliatoio. Quando Eren aprì il suo armadietto, trovò un biglietto sopra la sua divisa. Lo prese e lo lesse.
                                                Ti guarderò oggi, quindi fai del tuo meglio.
                                                  Non stancarti troppo e riposati quando
                                                  ci sono le pause. Starò accanto alla tua
                                                  allenatrice, quindi se vuoi parlarmi sai
                                                   dove trovarmi.
                                                                                                   Levi

Arrossì appena vide il nome “Levi”. Non aveva scritto “Il professor Levi” come in tutti i documenti che scriveva, aveva messo il suo nome. Sorrise e lo rimise dentro l’armadietto.
«Ehi, Eren! Perché sei arrossito? Hai trovato una lettera d’amore?» scherzò il capitano.
«No, solo mia sorella che mi dice di mettercela tutta anche oggi» mentì prendendo la divisa. Quando tutti ebbero finito di cambiarsi, si diressero verso il campetto da calcio della scuola.
«Ragazzi, oggi abbiamo il professor Levi a sorvegliarci. Quindi fate del vostro meglio!» informò la loro manager, una ragazza di seconda con i capelli a caschetto. Aveva una cotta per il capitano e questo soltanto Eren lo sapeva. Infatti, ad ogni pausa, la aiutava ad avvicinarsi a lui.
«E soprattutto non fatemi fare figuracce!» precisò l’allenatrice.
«S-sì!» risposero intimiditi. Quando si arrabbiava, erano guai per tutti.
Iniziarono l’allenamento e Levi non distoglieva lo sguardo da Eren che stava facendo dei passaggi con il capitano. L’allenatrice aveva capito che erano ottimi amici, quindi, ad ogni allenamento, li metteva insieme. Era abbastanza bravo, tanto che l’avevano messo come punta della squadra.
«Eren, se continui così ti daremo la maglia numero dieci» gli disse il capitano.
«La maglia numero dieci? Davvero?». Il ragazzo non poteva crederci. Indossare quella maglia equivaleva ad essere il giocatore più forte della squadra. L’altro sorrise.
«Sarebbe un onore se la indossassi tu».
«Ma quello è il tuo numero, capitano...».
«Te la passo volentieri. Siccome c’è anche il professor Levi, possiamo discuterne con la squadra. Gli faremo capire quanto vali, Eren». Era deciso a dargliela.
«Non penso che...». Non riuscì a finire che subito il capitano chiamò gli altri. Raggiunsero le panchine e iniziarono a discuterne anche con l’allenatrice e la manager. Erano tutti d’accordo.
«Lei che ne dice, prof? Eren se la merita quella maglia?» gli chiese l’allenatrice.
«Dovrei vederlo giocare in una partita per decidere. Fatela ora, voglio vedere di cos’è capace il mio studente». Levi incrociò le braccia e guardò il ragazzo che gli sorrise convinto.
Fecero la partita. Eren sembrava un professionista da come si muoveva. Nel primo tempo segnò due goal. Durante la paura, l’insegnante decise che si meritava quella maglia. Il ragazzo quasi pianse dalla gioia. Se anche il professore aveva acconsentito, voleva dire che si aspettava grandi cose da lui ma soprattutto che aveva fiducia nelle sue potenzialità.
Quando la partita si concluse, si fecero le sei del pomeriggio e i ragazzi dovettero tornare a casa. Eren era rimasto solo nello spogliatoio. Si sedette sulla panca a bere dalla sua borraccia. Era la seconda partita di allenamento e si stancò molto, anche se non lo fece notare al resto della squadra. Nemmeno il capitano se ne accorse. Ad un certo punto, sentì la porta aprirsi.
«Eren, che ci fai ancora qui?».
«Professore...». Aveva il fiatone. Levi chiuse la porta e si mise a sedere accanto a lui.
«Hai giocato bene, Eren».
«Grazie prof...».
«Immagino che tu sia stanco». Il ragazzo annuì. «Appoggiati pure sulla mia spalla, riprendi fiato». Così fece. Eren chiuse gli occhi. Levi gli accarezzò i capelli. «Sei fradicio, ancora non ti sei fatto la doccia?».
«Ancora no».
«Fattela ora. Se vuoi ti aspetto».
«Non ha altri impegni, prof?».
« Il mio impegno è quello di tenervi sott’occhio e assicurarmi che stiate bene. Quindi vatti a fare una doccia. Ti aspetto qui».
«Grazie prof...».

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Mentre Eren si faceva la doccia, Levi controllò il suo armadietto. Lo aprì e prese in mano la divisa.
«E’ sporca» si disse guardandola. Sentì suonare il telefono del ragazzo: era un messaggio di Mikasa. Lo lesse. Si avvicinò alle docce. «Eren. Tua sorella ti ha scritto che stasera dorme da un’amica» lo avvisò bussando alla sua porta.
«Amica? Per caso è Sasha? Quelle due vanno molto d’accordo in questi giorni!» rispose lui ridendo.
«Sì, è Blouse».
«Prof, perché chiama solo me per nome?».
«Non ti chiamo per nome».
«Non in classe, ma quando siamo soli sì...». Levi bussò di nuovo.
«Torno a sedere, tu finisci». Tornò dov’era prima. Il telefono di Eren squillò: era sua madre. Rispose.
«Eren, dove sei?» chiese la donna.
«A fare la doccia, signora». Rimase in silenzio per qualche minuto.
«Per caso sei un compagno di mio figlio?».
«Sì».
«Potresti dire a Eren che stasera sarà da solo in casa?».
«Perché? Dove deve andare?» le chiese Levi. Non poteva lasciar solo il suo alunno, soprattutto in quel periodo: c’erano stati diversi omicidi e, contemporaneamente, era iniziata la battaglia fra le bande per il territorio.
«Sia a me sia a mio marito hanno chiesto di fare il turno notturno».
«Dormirà da me. Non mi fido a lasciarlo da solo» le disse deciso.
«Davvero? Ti ringrazio...anch’io avevo un po’ paura a lasciarlo da solo...».  La voce della donna si fece rilassata. «Ora devo proprio scappare...grazie ancora» riattaccò. Levi rimise il telefono di Eren nella sua borsa e andò da lui. Proprio mentre era davanti alla porta, questa si aprì.
«Professore, io ho fini...» si interruppe quando vide l’uomo davanti a lui. Si rimise dentro la doccia imbarazzato.
«Mettiti un asciugamano prima di uscire, idiota!» gli urlò l’insegnante passandogliene uno. Se lo mise e uscì.
«Avverta quando è davanti alla porta, professore...». Il viso di Eren si poteva confondere con un pomodoro da quant’era rosso. Andarono nella stanza degli armadietti e il ragazzo si vestì.
«Dormirai da me stanotte» gli disse Levi all’improvviso.
«C-cosa?! Ma i miei...».
«Gliel’ho detto e hanno acconsentito». Il viso dell’alunno tornò rosso come prima.
«I miei hanno...cosa?!».
«Ho finto di essere un tuo compagno, anche perché sarebbe stato strano se le avessi detto che sono il tuo professore» gli spiegò.
«Perché l’ha fatto? Posso benissimo stare da solo in casa o andare da Armin...».
«Arlert? Il tuo amico che hai rifiutato?». Eren rimase senza parole. Come poteva saperlo?
«Come fa a...?» sgranò gli occhi.
«Pensi davvero che non sappia cosa succede fra voi ragazzi?» si avvicinò al ragazzo che subito indietreggiò.
«Ma eravamo soli in bagno...lei era arrivato qualche minuto dopo...». Finì con le spalle al muro. Il viso rosso. Il cuore che gli batteva a mille. Levi gli bloccò le vie d’uscita.
«Sono arrivato prima, sei tu che non mi hai né sentito arrivare né visto dietro la porta».
«C-cos...».
«Basta parlare ora». Prese Eren per il colletto facendolo avvicinare al suo viso. Il ragazzo chiuse gli occhi. L’insegnante non ebbe nemmeno il tempo di dargli un bacio a stampo che subito bussarono.
«Eren, sei ancora lì dentro?» domandò una voce femminile.
«È la nostra manager, prof...». Levi lo lasciò. «Sì! Non entrare però, ho appena finito di farmi una doccia» la avvertì il ragazzo mentre si sistemava il colletto della divisa scolastica. Alla ragazza scappò una piccola risata.
«Volevo solo dirti che il prossimo mese si farà una gita di qualche giorno con la squadra». Appoggiò la schiena alla porta.
«Sì? E dove?» le chiese mettendosi velocemente le scarpe.
«Ancora non si sa».
«Staremo qui a Shiganshina?».
«Andremo fuori città. L’allenatrice pensava di andare perfino a Ragako!» scoppiò a ridere. Ragako era situata nella città di Shiganshina ed era il quartiere più vicino al mare.
«A fare cosa? Surf?». Anche Eren si mise a ridere. Levi rimase a sedere accanto a lui senza aprire bocca.
«Domani se ne parla meglio con gli altri. Ora devo salutarti, il capitano mi ha invitata fuori a cena!» comunicò entusiasta. Il ragazzo sorrise.
«Un appuntamento? Buona fortuna!».
«Grazie!». La ragazza si allontanò. Solo allora Eren uscì insieme al professore. Rimasero in silenzio per un po’. Iniziarono a camminare senza aprire bocca. Uscirono dal cancello della scuola per poi dirigersi verso un incrocio stradale. L’alunno non perse di vista nemmeno per un attimo il suo insegnante. Quando il semaforo diventò verde per i pedoni, tutta una massa di gente iniziò ad attraversare quella larga strada. Levi lanciava ogni tanto qualche occhiata a Eren per controllare che fosse sempre dietro di lui. Il ragazzo si teneva stretto al braccio dell’uomo in modo da non perdersi in mezzo a quella marea di persone.
«Prof, potrei sapere dove abita? Tra poco usciamo da Shiganshina...e non ha nemmeno una macchina!» domandò l’alunno sorpreso.
«Sono nato a Rose, la regione dai mille misteri. Mi sono trasferito dieci anni fa a Maria. La mia casa comunque è qui vicino: ci vorranno come minimo quindici minuti per arrivarci» gli spiegò.
«Rose? Vuoi dirmi che hai cambiato regione per venire a insegnare qui?». Per Eren era una cosa strana. Levi lo squadrò.
«Devi darmi del lei, moccioso». Una volta attraversato, i due si diressero alla prima fermata dell’autobus che trovarono. Quando il mezzo arrivò, salirono e presero posto nella parte anteriore, vicino alla porta.
«Scendiamo fra due fermate» avvisò l’uomo. Il ragazzo annuì. Rimasero in silenzio finché non arrivarono alla prima fermata dove una donna, nella fretta di sedersi, urtò Levi, che si era alzato per cedere il posto a una signora incinta.
«Mi scusi! Si è fatto male?» gli chiese. La raggiunse un uomo poco più alto.
«Quante volte ti ho detto di non correre, soprattutto in autobus, Isabel?». Sospirò. Ormai non lo ascoltava più, faceva sempre di testa sua. All’udire quel nome, l’insegnante si girò di scatto.
«Isabel? Isabel Magnolia?» domandò lui incredulo. La donna lo guardò per la prima in viso. Lo riconobbe subito: non era cambiato da allora.
«Fratellone!» esclamò saltandogli addosso. Eren si preoccupò di proteggere la signora accanto, dato che le stavano per cadere addosso.
«Abbiamo una signora incinta, fate attenzione!». Lei lo ringraziò. «Quella donna mi sa tanto di bambina...l’aiuto a trovare un altro posto se vuole». Scosse la testa: pensava che la donna si sarebbe calmata.
«Infatti, Isabel. Non dovresti fare così in un mezzo pubblico...» le disse l’altro. «Comunque Levi, non mi hai riconosciuto?». L’insegnante lo guardò.
«Furlan Church, andate ancora in giro insieme?».
«Prof, li conosce?» chiese Eren alla fine.
«”Prof”? Quindi ti hanno davvero preso fratellone?». L’uomo annuì.
«Non chiamarmi così, Isabel. E comunque, che ci fate a Maria?». All’improvviso l’autobus si fermò. Fu un colpo di fortuna per i due, che a quella domanda sbiancarono. Levi s’insospettì.
«Dobbiamo scendere ora?» domandò il ragazzo alzandosi. L’insegnante annuì.
«Comunque siamo qui per lavoro...» rispose Isabel mettendosi a sedere. Furlan le diede ragione.
«Non me la raccontate giusta» finì scendendo con il suo alunno. Eren non fece domande. Non aprì bocca. Continuarono a camminare per una stradina buia. Il ragazzo iniziò ad avere paura. Dopo poco uscirono e si fermarono di fronte a un condominio di tre piani.
«Abita qui?» chiese l’alunno. Levi annuì. Presero l’ascensore e arrivarono alla terrazza dell’ultimo piano.
«L’ultima porta è la mia» informò l’uomo prendendo le chiavi. Il ragazzo guardò giù: nonostante avesse tre piani, era abbastanza alto. Aperta la porta, l’insegnante lo invitò a entrare. Era la classica casa di periferia.
«Pensavo che abitasse in una casa a due piani come la mia...» confessò il ragazzo sorpreso.
«Dovrei avere qualche tuta nell’armadio. Mettiti quella più comoda» gli disse mentre appendeva a giacca. Eren, allora, cercò la camera e si cambiò. L’altro, invece, preparò la cena.
Nel frattempo, Ymir e gli altri della sua banda erano nel loro rifugio, un piccolo locale abbandonato da tutti, in una delle poche zone tranquille della periferia. Si trovava vicino al condominio in cui abitava Levi, nel sottosuolo. Stavano aspettando Reiner per iniziare la riunione.
«Quello là è sempre in ritardo!» si lamentò Ymir mettendosi le mani nei capelli.
«È con sua cugina, Ymir. Cerca di capirlo...» le ricordò Bertholdt, seduto a un tavolo con Annie.
«Gabi...quella dodicenne della Liberio. Ditemi che senso ha faro una scuola dove le medie e le superiori sono nello stesso edificio!» esclamò di nuovo la castana prendendo posto al bancone. Proprio in quel momento entrò Reiner. La ragazza dovette rialzarsi per tirargli uno schiaffo. «Dobbiamo iniziare ora per colpa tua» gli disse stringendo i denti per la rabbia. Il ragazzo si scusò, così la riunione poté cominciare. Discussero prima delle cose futili, come i ragazzi da quattro soldi della Liberio, in modo da toglierseli subito, per passare poi alle cose che più li preoccupavano: gli adulti e i coltelli. Ymir prese un coltellino dal bancone.
«I coltelli li abbiamo anche noi» disse passando il dito sulla lama affilata. «Gli adulti anche, quindi di che ci preoccupiamo ancora? Possibili imboscate?» domandò guardandoli tutti, dal primo all’ultimo, con un’espressione seria.
«È vero, gli adulti ce li avete. Sono anche bravi nel maneggiare armi, da fuoco e non. Lo sapete benissimo che nelle battaglie passate venivano utilizzate perfino le pistole» ricordò un uomo che si stava avvicinando alla banda.
«Io mi preoccuperei anche delle vittime che potranno essere coinvolte. Mi spiego meglio: potrebbero rapire una persona a voi cara per indebolirvi, o per spronarvi, dipende che carattere avete. Le imboscate potrebbero farle in questa via. Sanno dove si trova il nostro rifugio» continuò la donna che era con lui.
«Quindi domani dovremo andarcene di qui, giusto?» chiese Annie, rimasta in silenzio fino a quel momento.
«Ce ne andremo ora, è molto più sicuro. Fra poche ore saranno qui» puntualizzò l’uomo.
«Ma sbaglio o nel condominio qui vicino abita il nostro professore?» domandò Bertholdt preoccupato.
«Il fratellone, eh? Non è un problema. Conoscendolo, ignorerà tutto e continuerà a dormire» lo tranquillizzò la donna sorridendo. Dopo aver finito di parlare, svuotarono il locale e si sistemarono in un posto più sicuro. Quando ebbero finito, aspettarono quelli della Liberio nel vecchio rifugio.
«Come agiremo, Furlan e Isabel?».

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Eren tornò da Levi con una maglia a maniche corte e dei pantaloni lunghi.
«Vuole una mano, prof?» gli chiese appoggiando la testa sulla sua spalla per vedere cosa stesse cucinando. L’insegnante rimase calmo, nonostante il ragazzo gli avesse messo le braccia intorno al bacino.
«Sto solo cucinando del riso. Puoi metterti seduto» rispose senza guardarlo.
«Sicuro? Non devo fare nulla?». Levi sospirò.
«Gli ospiti non dovrebbero far niente, nemmeno stare così attaccati a chi li ospita». Il ragazzo arrossì e ritirò subito le mani andando a sedere. L’uomo si  accomodò poco dopo nel posto davanti e iniziarono a mangiare.
«M-mi dispiace per prima...è che sono abituato con mia madre e...». Eren non riuscì a finire per l’imbarazzo. Levi alzò la testa e vide che gli tremava la mano.
«Non preoccuparti» disse dolcemente. «E adesso mangia». Il ragazzo obbedì. Levi, senza farsi vedere, controllò se davvero mangiava. La mano gli tremava ancora. «Se vuoi t’imbocco».
«N-non c’è bisogno...». Eren riuscì ad avvicinare il cucchiaio alla bocca, ma non smetteva di tremare. A quel punto l’uomo si alzò e andò dal piccolo imbarazzato. Alla fine lo imboccò come se fosse un bambino. «È buono...» disse dopo il primo boccone.
«Pensi di riuscire a mangiare da solo? Non sei più imbarazzato?» gli chiese Levi mettendogli una mano sulla spalla senza smettere di tenergli la mano. Il ragazzo annuì e l’altro poté tornare al suo posto. Mangiarono in silenzio. Quando finirono e Levi terminò di lavare i piatti e le posate, Eren iniziò con le domande.
«Chi erano quei due studenti di oggi? Mi hanno detto che vanno all’università...».
«Sono due dei migliori studenti che abbia mai avuto, Petra e Oluo. Non posso dirti altro. Sai, la privacy» rispose mettendo la sedia accanto al ragazzo.
«E i due che abbiamo incontrato in autobus?».
«I miei amici d’infanzia».
«Ma se lei è venuto qui a Maria vent’anni fa, vuol dire che vi siete separati? O sono venuti anche loro con lei?». Eren lo guardò portando le mani sulle ginocchia.
«Ci siamo separati perché...» non finì. «Ma sei uno stalker? Perché tutto ad un tratto vuoi sapere della mia vita?!» si alzò di scatto. Il ragazzo aveva un’espressione dispiaciuta. Non pensava che Levi avrebbe reagito in quel modo. Voleva soltanto parlare un po’ con lui. Voleva soltanto conoscere la persona con cui avrebbe passato quei tre anni di superiori.
«Volevo solo...». Abbassò la testa e strinse i pugni. L’uomo distolse lo sguardo da Eren per guardare fuori dalla finestra.
«Ancora non è tanto buio. Vuoi uscire o rimare dentro? Ho una PlayStation se vuoi...» gli chiese calmandosi. Il ragazzo alzò gli occhi per guardarlo.
“È così figo visto da qui...” pensò.
«C’è un negozio di anime e manga qui vicino?» domandò.
«Io pensavo di andare al karaoke. Comunque dovrebbe esserci un negozio del genere a dieci minuti da qui». Al ragazzo si illuminarono gli occhi. Si alzò di scatto, entusiasta.
«Vado a vestirmi!» esclamò.
«Prendi pure i miei vestiti. Dovrei avere delle giacche da ragazzo». Una volta che Eren chiuse la porta della camera, Levi andò alla finestra. Il cielo non era ancora del tutto blu notte e non c’erano nuvole. Lo rilassava parecchio guardare il cielo. Quando lo guardava, era come se i suoi problemi si rimpicciolissero. Però si ricordava anche del suo passato, di tutto quel che era successo a Rose. Dei suoi amici, di sua madre e di quando li ha dovuti abbandonare per partire con Erwin per Maria.
“Isabel, Furlan...perchè siete qui? Vi avevo detto di non seguirmi...”. Ormai per la testa aveva soltanto i suoi due migliori amici. Non capiva perché erano lì. Li aveva avvertiti che sarebbe stato pericoloso. A Maria si sono sempre queste battaglie fra bande. Non voleva che venissero coinvolti anche loro.
Proprio in quel momento arrivò Eren, che stette in silenzio vedendo quella scena più unica che rara: Levi che guardava il cielo, assolto nei pensieri, e le lacrime che gli rigavano il viso. Decise di avvicinarsi lentamente. Lo abbracciò dolcemente da dietro.
«È per questo che le stavo facendo quelle domande, prof. Non so a cosa stia pensando. Di sicuro a qualcosa di triste, siccome sta piangendo» gli disse.
«Non sto piangendo». L’insegnante si asciugò le lacrime. Al ragazzo scappò una piccola risata.
«Non è obbligato a raccontarmi quel che ha passato, ma sappia che ci sono io con lei. Farei qualunque cosa pur di vederla sorridere, davvero» continuò stringendolo a sé.
«Ormai non ho più niente per cui sorridere, quindi evita di perdere tempo, Eren».
«Mi sta dicendo che non è felice in questo momento, prof?» gli chiese. I suoi occhi verde speranza ora si erano spenti. Non si aspettava una risposta del genere.
«Non è questo...».
«Perché mi ha ospitato, prof?».
«Per proteggerti, ovvio».
«Perché vuole proteggermi? Da chi o da cosa vuole proteggermi?».
«Non hai sentito degli omicidi? E delle bande che stanotte iniziano a scontrarsi?».
«Quindi ci tiene a me, prof?». Levi sussultò.
«Eren...che hai? È successo qualcosa?» gli chiese dolcemente girandosi. Spalancò gli occhi quando lo vide piangere. «E-ehi...Eren?».
«Che ho...? Me lo chiede pure?». Tentò di asciugarsi le lacrime, ma queste continuavano a scendere. Era rosso in viso.
«Eren...». Levi non sapeva cosa fare. «Razza di bambino, certo che tengo a te. Come agli altri della 1°E...secondo te perché ti ho detto di venirmi a parlare ogni volta che volevi? Perché ti avrei scritto quel biglietto prima degli allenamenti?». Gli prese le mani. «Dai...ora basta piangere, Eren».
«Prof...» lo chiamò il ragazzo cercando di smettere di piangere.
«Chiamami Levi quando siamo soli».
«Levi...» lo chiamò di nuovo.
«Che c’è, Eren?».
«Posso abbracciarla?» gli chiese.
«Dammi del “tu” quando siamo soli». Lo abbracciò lui. Il ragazzo ricambiò stringendolo forte. «Se smetti di piangere, ti compro quel che vuoi».
«Quel che voglio, in questo momento, è soltanto stare con te...» dichiarò Eren affondando il viso nella maglia di Levi. Questo gli diede un bacio sulla fronte.
«Vuoi andare a dormire? Ho solo un letto singolo...spero non ti dispiaccia» gli disse accarezzandogli i capelli. Il ragazzo annuì, quindi lo portò a letto.
Eren si sdraiò su un lato mentre l’insegnante si limitò a stare a sedere sul materasso.
«Mi dispiace per la scenata di prima...non so cosa mi sia preso...».
«Non preoccuparti» Levi gli accarezzò il viso dolcemente. «Sicuro di voler dormire?».
«Sì...sono abbastanza stanco...» rispose il ragazzo socchiudendo gli occhi.
«Peccato...volevo fare qualcosa con te stasera».
«Mi dispiace...».
«Domani è domenica. Dopo pranzo usciamo un po’, va bene?» gli chiese.
«Dove andiamo?». Finalmente Eren fece di nuovo quel bellissimo sorriso da bambino emozionato.
«In quel negozio dove volevi andare prima». Il ragazzo si limitò a sorridere. «Vuoi dirmi qualcosa?».
«Sto iniziando ad affezionarmi a te, Levi...» dichiarò arrossendo. L’uomo gli diede un bacio sulla fronte.
«Buonanotte, Eren». Uscì dopo essersi accertato che stesse dormendo. Tornò in cucina, che sarebbe anche l’ingresso insieme al salotto, e spense la luce. Rientrò in camera e si mise sdraiato accanto a Eren. Lo strinse a sé e gli baciò la fronte. «Sono io a dovermi scusare, Eren. Sono io che ti ho fatto piangere. Come ho fatto con gli altri, insomma...spero che mi perdonerai...» gli sussurrò, anche se non poteva sentirlo. Stava dormendo profondamente. Il viso da bambino ispirava tenerezza, il modo in cui erano posizionate le mani anche. Levi sorrise. Era un sorriso vero e dolce. Un sorriso che prima di allora non aveva mai fatto. «Penso che non mi vedrai sorridere domani, a meno che tu non diventi così tenero quando siamo soli, Eren».
Nel frattempo, Armin e Marco erano a dormire a casa di Jean: avevano deciso di fare un pigiama party quella notte. Si trovavano nella sua camera, i futon già in terra e spuntini sul tavolino. Stavano parlando delle ragazze della classe.
«Senti Armin. Come posso conquistare Mikasa?» chiese Jean mangiando un biscotto preparato da sua madre.
«Non saprei...è una ragazza piuttosto difficile» rise il biondo.
«Possibile che pensi solo alle ragazze, Jean?» sorrise Marco accanto a lui.
«Mikasa è diversa dalle altre! Ha dei capelli neri stupendi, corti e lisci...poi i suoi occhi del medesimo colore che ti guardano in un modo così sexy...per non parlare delle tett...».
«Okay, abbiamo capito» lo interruppe Armin. Marco iniziò a ridere mentre Jean divenne rosso dalla vergogna. Fece per prendere un altro biscotto, ma erano finiti. Allora il biondo si alzò per andare a prenderne altri in cucina lasciando gli altri due da soli. Appena chiuse la porta, iniziarono a parlare.
«Che ne pensi di Armin, Marco?».
«È un bravo ragazzo e mi dispiace per quel che è successo fra lui ed Eren...».
«Già...non ho mai visto degli amici come loro, quindi mi dispiacerebbe se si allontanassero...».
«Ancora non hanno fatto pace?» chiese Marco sconvolto.
«Perché pensi che Armin sia qui con noi? Sta cercando delle persone con cui stare in questo momento...» rispose l’altro.
«Hai ragione...». Jean si sdraiò mettendo la testa sulle gambe dell’amico. Si sorrisero a vicenda. Il ragazzo alzò le braccia per afferrare il viso di Marco. Prima lo accarezzò dolcemente, poi lo avvicinò al suo.
«Sei arrossito» disse all’amico, che distolse subito lo sguardo. «Mi piaci, idiota» dichiarò affettuosamente baciandolo. Il ragazzo spalancò gli occhi: non se lo aspettava. Non sembrava essere interessato a lui, siccome parlava solamente di ragazze e in quei giorni ci stava provando con Mikasa. Quando ebbe realizzato che i suoi pensieri erano del tutto sbagliati, chiuse gli occhi e ricambiò il bacio.
«Sono tornato...». Armin aprì lentamente la porta per paura di far cadere i biscotti. Appena li vide, gli scappò un sorriso.
“Sono così dolci...mi dispiace interromperli” pensò. Entrò quindi senza far rumore, ma si fece sentire quando appoggiò il piatto sul tavolo. I due si staccarono e arrossirono subito cercando di negare il tutto. Il biondo rise.
«Armin...non ti sei offeso?» gli chiese Jean mettendosi seduto.
«No, tranquillo...anzi, sono felice per voi!». Sorrise provando a nascondere il vuoto che aveva dentro. Era felice per loro, questo sì. Ma allo stesso tempo era triste perché gli tornò in mente quel giorno. Quel momento. La causa per cui non riusciva più a guardare Eren negli occhi.
«Armin...dì la verità, per favore» lo supplicò Jean avvicinandosi al biondo. Aveva già cambiato espressione.
«La verità...?» domandò alzando la testa per guardare l’amico negli occhi. Non tolse il sorriso, ma le lacrime iniziarono a scendere. «La verità, dici?». Quel sorriso scomparve, lasciando spazio a quel che provava realmente. «La verità è che...» iniziò a singhiozzare. Le lacrime scendevano più velocemente. Le gote rosse. «...voglio stare con Eren» dichiarò alla fine abbandonandosi al pianto mentre Jean lo strinse forte a sé.
«Armin...scusaci tanto...». Marco si avvicinò.
«Se vuoi parlo con quel maledetto e lo faccio venire qui». Armin scosse la testa. «Allora che ne dici di incontrarlo domani?» propose allora Jean. Il biondo annuì.
«E che gli dirai?».
«Gli chiederò scusa...» rispose in mezzo a qualche singhiozzo.
«Ma è stato lui a rifiutarti!» ribattè Jean.
«Gli dirò che mi va bene anche se rimaniamo amici...gli dirò tutto quel che serve...io voglio solamente stare con lui...». Armin si strinse alla maglietta dell’amico mentre Marcò gli accarezzava i capelli. Era disposto a tutto pur di passare il tempo con Eren. Lui era il ragazzo che lo salvava sempre dai bulli, sia a scuola che fuori, era il ragazzo che gli regalava la merenda, era il ragazzo che c’era sempre quando era triste, lo proteggeva, gli voleva bene, avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui. Per questo erano migliori amici. Per questo Armin voleva stare con lui. Per questo lo amava.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Una ragazzina dai capelli neri raccolti in uno chignon correva in direzione dell’ex rifugio della banda di Ymir. Una volta accertata che non ci fosse nessuno nei paraggi, scese le scale ed entrò. Le sembrò strano non vedere nessuno dentro. Prese il telefono e, scocciata, chiamò uno dei tre ragazzi più piccoli della banda. Aspettò qualche secondo prima che il ragazzo rispondesse.
«Devi rispondere subito!» esclamò lei arrabbiata.
«Ho capito! Non è colpa mia se la tasca ha la cerniera!» ribattè l’altro.
«Passiamo a cose più serie. Non sono qui» informò la ragazza uscendo.
«Almeno sei al loro rifugio?».
«Non sono mica così stupida! Ritorno alla base» rispose scocciata. Il cielo era blu notte, le stelle e la luna illuminavano quella piazzetta dove mancavano i lampioni. Era tutto così silenzioso. Troppo silenzioso. Non c’era nessuno a parte la ragazza. Nonostante l’atmosfera tetra, mantenne la calma.
«Dobbiamo venirti a prendere, Gabi?» chiese una voce maschile più matura.
«Non c’è bisogno Colt, davvero». Sentì dei passi. Erano veloci. Si girò di scatto ma non vide nessuno. Per sicurezza andò a controllare. «Chi va là?». Nessuna risposta. «Vieni fuori!». Niente. Gabi iniziò ad innervosirsi. «Ho una bomba con me! Non ho paura a usarla!». Dall’altra parte della cornetta erano tutti preoccupati: la ragazza era davvero capace di farla esplodere.
«Gabi, non riattaccare! Stiamo arrivando con la macchina. Tempo dieci minuti e siamo da te!» la avvertì Colt facendo salire i ragazzi sul mezzo. «Falco» chiamò il fratellino.
«Che c’è?» domandò il ragazzo mettendosi a sedere nel posto accanto al guidatore.
«Usa quel coltello» gli ordinò accendendo il motore.
«Perché non mi hai fatto rimanere a casa...» sospirò prendendo l’arma.
«Oggi Falco potrà difendere la sua bella Gabi!» rise la ragazza seduta nei posti dietro, Zofia. Il ragazzo arrossì.
«E dai, Falco! Lo sappiamo tutti ormai che hai una cotta per lei!» continuò l’altro seduto accanto a lei, Udo. Colt si limitò a ridere.
Nel frattempo, Gabi si ritrovò faccia a faccia con suo cugino, Reiner. La ragazza prese la bomba dalla tasca del pantalone e gliela mostrò. Non si sorprese.
«Vuoi dirmi che utilizzate anche le bombe oltre ai coltelli?» le chiese facendole vedere la lama della sua arma.
«Non contro di te, ovviamente» rispose mettendola via.
«Dove sono i tuoi amici?».
«Dovrebbero arrivare fra dieci minuti».
«Hai riattaccato?» le domandò guardando il telefono acceso.
«Silenzioso» rispose secca lei. Reiner alzò il braccio. Gabi lo guardò confusa. Si guardarono entrambi in silenzio. Ad un certo punto, si sentì il rumore di una macchina. Appena fu dietro la ragazza, abbassò il braccio. Una ventina di ragazzi corsero verso di loro, circondando il veicolo. I ragazzi che erano dentro riuscirono ad uscire.
«Quindi questa è la banda di Shiganshina...» osservò Udo sistemandosi gli occhiali.
«E i leader dovrebbero essere quei due, giusto Colt?» chiese Zofia guardando nella direzione di Reiner.
«Esatto, proprio loro: Furlan Church e Isabel Magnolia» rispose il ragazzo. «Prendete i coltelli. Se ci sono loro, si inizia subito».
«Vedo che ci conosci, ragazzino» gli disse Isabel sorridendo.
«A quanto pare siamo famosi come una volta...» continuò Furlan estraendo il coltello. Così fecero tutti gli altri quando videro arrivare altre vetture. Questo annunciò l’inizio della battaglia. La gente negli appartamenti cercava di far dormire i loro bambini, altri abbassarono le serrande. Ormai erano tutti abituati.
Dopo dieci minuti, nessun ferito. Dopo venti, uno o due feriti. Dopo mezz’ora, ce ne furono una decina. Il rumore e le urla dei componenti delle bande svegliò Eren. Aprì lentamente gli occhi e vide Levi sdraiato davanti a lui. Gli scosse delicatamente la spalla.
«Levi...» lo chiamò assonnato.
«Che c’è, Eren?».
«Cosa sono questi rumori?». L’uomo si girò verso il comodino e accese il telefono per vedere l’ora: le due e mezza di notte. Si alzò. «Dove vai?».
«In cucina». Il ragazzo lo seguì. Siccome la luce era spenta, mise male i piedi per il troppo sonno e cadde addosso a Levi. «Potevi rimanere a letto. Sarei tornato subito» gli disse reggendolo.
«Volevo venire...» rispose Eren appoggiandosi al tavolo. L’uomo accese la luce e guardò fuori dalla finestra. «Che succede, Levi?» chiese il ragazzo stropicciandosi gli occhi. L’altro si diresse verso la porta.
«Aspettami qui». La aprì.
«Ma Levi...».
«Eren». Lo guardò serio. Il ragazzo annuì preoccupato e si mise a sedere sul divano sotto la finestra. Levi uscì chiudendo la porta. Si affacciò dalla terrazza.
“Spero che non ci siano anche loro...” pensò cercandoli. Quando li trovò, spalancò gli occhi incredulo. “Siete degli idioti...”. Bussò.
«Eren, io scendo. Tu rimani dentro. Non uscire per nessun motivo, okay?». Eren rispose con un “sì” ansioso. L’uomo allora prese l’ascensore e scese. Li aspettò dentro. Era sicuro che sarebbero passati di lì, Furlan e Isabel.
Eren decise di farsi un caffè per svegliarsi: sapeva che non si sarebbe riaddormentato con tutto quel rumore. Mentre beveva, si affacciò alla finestra e vide quel che preoccupò Levi. Per poco non sputò la bevanda. Mise la tazza sul tavolo e aprì per mettere fuori la testa. Intravide una ragazza dai capelli corti castani. Socchiuse gli occhi per vedere chi fosse: Ymir. Con un coltello in mano. Stava per uccidere un ragazzo. Eren non sapeva se chiamarla o stare zitto. Optò per la prima.
«Ymir!!» urlò. La ragazza riuscì a sentirlo. Decise prima di infilzare l’avversario e poi girarsi verso il compagno di classe. Anche gli altri lo sentirono, ma non lo degnarono di uno sguardo.
“Che stanno facendo...? Per ‘qualcosa da fare stanotte’ intendevano la battaglia fra bande?”. Il ragazzo non poteva crederci. Chiuse la finestra e corse a prendere il telefono. Anche se probabilmente stava dormendo, decise di chiamare Armin. In realtà, il biondo non stava affatto dormendo. Anzi, si stava divertendo con Jean e Marco. Quando gli squillò il telefono, fu il primo a rispondere.
«Che ti serve, Jaeger?» rispose scocciato. Eren rimase scioccato. Cosa ci faceva il suo amico insieme al ragazzo che più odiava?
«Jean, passami Armin» gli ordinò.
«Che fai? Prima lo rifiuti, non ci parli, e ora lo chiami trattando così un suo amico? Riattacco».
«Jean, aspetta». Armin gli prese il telefono. «Che vuoi dirmi, Eren?» gli chiese dolcemente. Silenzio. «Eren, ci sei?». Non rispose. «Dove sei? Vuoi che ti raggiunga?».
«Non venire» disse secco. Il biondo non capì. Chiese spiegazioni. «Volevo solo dirti di fare attenzione...».
«Eren, che succede?».
«La tua casa è qui vicino...è iniziata la battaglia fra bande...» lo avvertì. Il ragazzo sussultò.
«Eren, dove sei? Casa tua è a mezz’ora di distanza dalla mia...».
«Non importa. Fai attenzione». Riattaccò veloce. Armin era confuso. Che voleva dire con “fai attenzione”?
Eren appoggiò il telefono sul comodino e si rannicchiò nel letto. Le lacrime iniziarono a scendere senza che se ne accorgesse.
“Perché l’ho chiamato? Perché ho riattaccato così? Non volevo fare niente di tutto ciò...l’ho ferito ancora, ne sono sicuro...”. Si toccò la guancia. “Lacrime...? Sto piangendo...?”. Non poteva crederci. “Voglio Levi...ci sta mettendo troppo...” affondò la testa nel cuscino.
Levi si era appoggiato alla porta d’ingresso del condominio. Era preoccupato, anche se l’espressione seria non lo dimostrava. Appena li vide davanti a sé, li prese per i cappucci delle loro giacche e li buttò, letteralmente, dentro l’edificio chiudendo la porta. Avevano entrambi dei graffi sul viso e sulle braccia. Li disarmò.
«Che stai facendo, fratellone?!» gli urlò contro Isabel alzandosi.
«Non urlare. C’è gente che dorme a quest’ora» rispose Levi tenendo i coltelli in mano.
«Non possiamo lasciare soli i ragazzi» ribattè Furlan avvicinandosi all’amico.
«E voi dovevate rimanere a Rose. Vi avevo avvertiti». Diventò serio. Sentirono dei suoni da fuori.
«Qualcuno ha chiamato la polizia...» osservò la donna. «Avverto i ragazzi!». Si avviò verso la porta ma Levi le si mise davanti bloccandola.
«Lì ci sono anche i miei ragazzi. Se la sanno cavare».
Appena udirono le sirene, i ragazzi iniziarono a sparpagliarsi in modo da lasciare la piazzetta vuota. La polizia arrivò quando ormai era tutto finito. Isabel e Furlan se ne andarono quando gli agenti ebbero finito di pattugliare la zona. Levi tornò nel suo appartamento e scoprì che era stato Eren a chiamarli. Lo trovò nel letto che piangeva.
«Levi...» lo chiamò in mezzo a qualche singhiozzo. L’uomo si avvicinò e gli asciugò le lacrime.
«Cos’è successo?» gli chiese. Il ragazzo gli prese le mani.
«L’ho ferito di nuovo...sono uno stupido...».
«Chi hai ferito?».
«Armin...».
«Farete pace, ne sono sicuro» cercò di tranquillizzarlo.
«Ne sei davvero sicuro...?». Levi avvicinò il suo viso a quello di Eren facendolo arrossire. Non doveva nemmeno rispondere, il ragazzo aveva già capito la risposta dal suo sguardo. Così deciso e dannatamente sexy, questo era quel che pensava mentre l’altro lo guardava. L’uomo fece sdraiare dolcemente il ragazzo. «L-Levi...che stai...?». Non riuscì a continuare.
«Zitto e fatti baciare, Eren». Detto ciò, lo baciò. SI staccò quasi subito vedendo il castano a disagio. «Che c’è? Sto continuando quel che avevamo iniziato nello spogliatoio» spiegò come se fosse la cosa più ovvia.
«È solo che...». Eren girò la testa imbarazzato.
«Non te lo aspettavi?».
«N-no...».
«Devi dirmi qualcosa, Eren?».
«E-ecco...anche tu mi...». Levi si buttò accanto al ragazzo. Prese un bel respiro e poi parlò. «Anche tu mi piaci, Levi» dichiarò tutto ad un fiato. Eren si girò per vederlo in faccia: stava sorridendo.
«Da oggi considerati il mio ragazzo, Eren Jaeger» gli disse chiudendo gli occhi.
«Mi metterai voti alti?» scherzò.
«Ti valuterò come gli altri. Non faccio eccezioni» rispose serio. Il ragazzo ridacchiò.
«Stanco?» gli chiese accarezzandogli il viso. Non rispose. Una volta capito che stava dormendo, gli diede la buonanotte con un bacio sulla fronte e spense la luce.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Passò un mese da quel giorno. Eren e Levi mantennero segreta la loro relazione, anche se il ragazzo andava a quasi ogni cambio d’ora in vice-presidenza dal professore. Così facendo, si guadagnò il soprannome di “ruffiano” da parte di Jean.
«Eren» lo chiamò Armin andandogli incontro. Il castano si girò e gli sorrise. Questo fece arrossire l’amico. «E-ecco...dopo sei libero?» gli chiese abbassando la testa.
«Avrei gli allenamenti...» rispose dispiaciuto.
«Domani?».
«Parto con la squadra per Ragako».
«Dopo gli allenamenti?».
«Si può fare». Armin sorrise.
«Si va in centro? Ho sentito che hanno aperto una nuova fumetteria!» propose entusiasta. Eren gli scompigliò i capelli.
«Ho i soldi contanti per il pranzo di oggi, quindi pagherai tu!» rise.
Mikasa li osservava da lontano insieme a Sasha. Si portò la sciarpa davanti alla bocca per coprire un piccolo sorriso soddisfatto. Era felice nel vederli amici come prima. L’altra stava mangiando il suo amatissimo onigiri. La ragazza l’avvertì che fra qualche minuto sarebbe arrivata la professoressa Zoë, ma lei era troppo affamata per mettere via il suo cibo. Proprio come disse Mikasa, l’insegnante arrivò e chiamò Eren alla cattedra.
«Levi ti vuole parlare. Sai dove trovarlo, no?» chiese conferma. Il ragazzo annuì. «Vedo che sei il suo preferito qui dentro. Vedi di non deluderlo, Eren!» gli sorrise gentilmente.
«Non lo farò, prof!» rispose fiero. Uscì dalla classe dirigendosi in vice-presidenza. Si trovava al pian terreno, al contrario dell'aula situata al secondo piano. Per le scale incontrò una sua amica, Mina Carolina. L’aveva conosciuta per caso mentre andava alla sede del club di calcio. Lei era in quello di pallavolo e la trovava abbastanza carina.
«Ehi, Eren!» lo salutò con la mano. Il ragazzo ricambiò con un sorriso. «Dove vai di bello?» chiese con le mani dietro la schiena.
«La nostra prof si è dimenticata dei libri nell’aula professori e mi ha chiesto di andare a prenderli» mentì. Era bravo con le bugie. «Tu che mi dici, Mina?».
«Pausa bagno!» sorrise innocentemente chiudendo gli occhi. Dopo di chè si salutarono e Eren poté tranquillamente recarsi dal suo amato professore.
Arrivato davanti alla porta, bussò. Sentendo la voce di Levi, entrò.
«Chiudi» gli ordinò. Il ragazzo obbedì. «Siediti». Obbedì di nuovo prendendo posto su una delle due sedie che c’erano di fronte alla scrivania. L’insegnante si alzò avvicinandosi a Eren.
«Perché mi hai chiamato? Sarei venuto lo stesso, lo sai» gli disse seguendo l’uomo con lo sguardo.
«Se fossi venuto tu, non saresti rimasto a lungo» si mise dietro di lui appoggiando le braccia intorno al suo collo. «Se ti chiamo io, puoi rimanere tutto il tempo che voglio» fece un sorrisetto malizioso. «Ecco perché» gli diede un bacio sulla guancia. Il ragazzo girò la testa per guardarlo.
«Perché stai qui dietro? Non vuoi venire da me?» gli chiese indicando le sue gambe.
«Abbiamo tutto il tempo, Eren...».
«Se salto la lezione, potranno insospettirsi. Farei soffrire anche Armin...» abbassò la testa pensando a quanto ci sarebbe rimasto il suo amico se l’avesse abbandonato proprio durante la lezione della professoressa più simpatica della scuola. Loro due si divertivano a farle domande insensate, tanto per divertirsi un po’ e perdere tempo. Erano le lezioni preferite dal biondo e non voleva mancare, anche se doveva stare con Levi. Si era promesso di non farlo più soffrire.
Quando Eren smise di pensare, si ritrovò Levi sulle sue gambe che gli stava sfilando la cravatta.
«Vedi di concentrarti solo ed esclusivamente a me ora, Eren» gli disse prendendogli il viso fra le mani.
«Sì, scusami» si scusò sorridendo dolcemente. A quel punto l’insegnante lo baciò mentre gli sbottonava la camicia. Notò con gran stupore che non indossava la canottiera.
«Perché non indossi niente sotto?» gli chiese.
«Fa caldo» rispose tranquillamente Eren.
«Non che mi faccia differenza». Levi sbottonò l’ultimo bottone e iniziò a baciargli il petto facendo mugolare il ragazzo. Una domanda gli venne spontanea.
«Un mese e mezzo e non so nemmeno quanti anni hai...buffo, eh?».
«Quest’anno ne faccio venticinque» rispose senza guardarlo.
«Abbiamo dieci anni di differenza allora...». Nessuno disse più niente. Solo quando Levi stava iniziando a baciare il collo del ragazzo, Eren si lamentò. «L-Levi...per favore...» gli strinse la maglietta a maniche corte.
«Che c’è?».
«A-ah...ecco...» arrossì di colpo. «Ma perché tutto questo? Insomma...non ti sei mai comportato così a scuola...».
«Domani parti, no? Non ti vedrò per una settimana. Dimmi tu come dovrei stare in questi giorni». Calò il silenzio. Ad un certo punto, sentirono bussare alla porta. Iniziarono a sudare freddo. Levi non aveva appuntamenti per quell’ora. Chi poteva essere?
Nel frattempo, in classe Armin si stava annoiando. Aveva incrociato le braccia sul banco e ci aveva appoggiato la testa. Era la prima volta. Mikasa provava a farlo concentrare, ma il biondo continuava a fissare il telefono per vedere l’ora. Hange se ne accorse.
«Che hai, Arlert? Non ti senti bene?» gli chiese preoccupata.
«Sono passati venti minuti ed Eren ancora non è in classe...mi sa dire il perché?». Da quando avevano fatto pace, non riusciva a stare senza di lui per più di cinque minuti.
«Non so quanto ci metterà Levi con lui, ma così non sei in grado di seguire la lezione. Che ne dici di andare un po’ fuori a prendere aria?». Il biondo annuì. Chiese a Mikasa di prendere più appunti possibili, mise il telefono in tasca e uscì testa bassa.
“Dovrei andare in vice-presidenza e chiedere al prof di far rientrare Eren?” pensò Armin mentre scendeva le scale con le mani in tasca. Starnutì. “In pieno Maggio? Forse qualcuno starà parlando di me...”. Continuò a camminare come se niente fosse. Ad un certo punto iniziò a girargli la testa. Riuscì ad arrivare davanti alla porta della vice-presidenza. Fece per bussare quando sentì dei gemiti provenire dalla stanza accompagnati dalla voce divertita di Eren. Il ragazzo, incredulo, rimase immobile. “Ha ottenuto quel che voleva. Dovrei essere felice in quanto suo migliore amico, no?” accennò un piccolo sorriso. Decise lo stesso di bussare. Non poteva passare l’ora senza divertirsi con lui. Dopo un paio di secondi, si sentì la voce di Levi chiedere “Chi è?”
«Arlert della 1°E. Eren potrebbe rientrare in classe?» chiese. La porta di aprì e ne uscirono il castano e il professore.
«Lo vuole Hange? Quella quattrocchi...». Armin annuì. «Va bene allora...dopo continuiamo il discorso, Jaeger» disse girandosi verso Eren. Dopo di chè, si ritirò nella stanza. I due ragazzi si ritrovarono uno difronte all’altro.
«Sai che non è vero, giusto?» domandò il biondo sorridendo dolcemente.
«Certo» rispose l’altro scompigliandogli i capelli facendolo ridere. «Scusa se ti ho fatto aspettare» sorrise. «Andiamo a perdere tempo con la prof, dai!» lo prese per mano facendo uno dei suoi splendidi sorrisi, quelli che fanno arrossire Armin. I due, allora, tornarono insieme in classe facendo a gara a chi arrivava primo, proprio come due bambini. Levi era con la schiena appoggiata alla porta. Si portò le dita alle labbra sfiorandole dolcemente. “Avrei voluto farti di più. Odio i limiti di tempo” pensò stringendo i denti.
La giornata passò velocemente ed Eren era ad allenarsi con il suo club. L’allenatrice avvertì di nuovo i ragazzi del giorno seguente. Avrebbero dovuto essere a scuola per le sette del mattino per poi dirigersi insieme alla stazione in centro. Non accettava ritardi! Durante la pausa, il ragazzo era seduto sulla panchina accanto al capitano.
«Ti dona il 10» gli disse quest’ultimo guardandogli la maglia.
«La saprò sfruttare al meglio dal prossimo mese». Eren ne andava fiero.
«Vi ho portato un po’ di acqua ragazzi» avvertì la manager porgendo ai due ragazzi due borracce d’acqua. La ringraziarono. La ragazza si mise a sedere in mezzo ai due e iniziarono a parlare della gita.
Ad un certo punto arrivò un ragazzo che stava cercando Eren, che lo riconobbe subito.
«Che succede Marco? È successo qualcosa?» domandò avvicinandosi.
«Armin...» disse soltanto. Aveva il fiatone per quanto aveva corso. Il castano spalancò gli occhi.
«Che ha fatto Armin?!».
«Ora lo stanno portando in infermeria...». Non aspettò nemmeno un secondo per precipitarsi subito lì. Non sapeva cosa gli fosse successo, ma se l’avevano portato in infermeria era di sicuro qualcosa di grave.
Arrivato davanti alla stanza, spalancò la porta e vide Armin sdraiato sul letto. Aveva gli occhi chiusi.
«Che è successo al mio amico?» chiese ai membri del club di teatro.
«È svenuto improvvisamente durante le prove...» rispose il ragazzo più grande. L’infermiera pregò tutti di uscire per far riposare il biondo. Eren chiese se poteva rimanere siccome era il suo migliore amico e la donna accettò a patto di non disturbare nessuno. E così il ragazzo prese una sedia e si mise accanto al letto del biondo che aprì gli occhi poco dopo. Il castano lo lasciò riprendere. Gli mise una mano sulla fronte: scottava.
«Non preoccuparti, Eren...» Armin gli sorrise. «Sarà solo un po’ di febbre... sai, l’influenza che gira in questi giorni...».
«Potevi ammalarti in un altro momento anche tu?! Domani devo partire dannazione...» sbatté il pugno sul materasso. Il biondo gli prese la mano. Gli disse di non preoccuparsi, che era solo una normale influenza, che sarebbe guarito in qualche giorno. Eren sospirò. Lo guardò negli occhi per qualche secondo. Aveva uno sguardo di chi aveva perso le speranze. Lo abbracciò dolcemente. «Vedi di guarire presto». Armin iniziò ad accarezzargli i capelli.
«Quando tornerai sarò già guarito» ridacchiò.
«Torno ad allenarmi...dopo ti porto a casa».
«Con la bici?». Eren annuì. L’altro sorrise divertito. «Guarda che peso...».
«Ma se l’altro giorno ti ho preso in braccio come una principessa!» il castano scoppiò a ridere mettendolo in imbarazzo.
Dopo qualche battuta, Eren tornò dal suo club per un’altra mezz’ora di allenamenti. Quando ebbero finito, l’allenatrice ricordò ancora una volta del giorno seguente facendo entusiasmare i ragazzi.
«Ehi, Eren» lo chiamò il capitano. «Vuoi che vengo a prenderti domani o pensi di arrivare in anticipo?» chiese ironico dandogli una pacca sulla spalla.
«Non voglio disturbarti» rispose ridacchiando.
«Macché! Dai, fatti trovare giù alle sei e mezza».
«Vieni a piedi?».
«Una bella camminata non fa male» sorrise. Il ragazzo accettò e lo salutò.
Una volta portato Armin a casa, rimase con lui per un po’. Poi tornò a casa sua. Dopo cena andò in camera e si buttò sul letto distrutto. Sentì il telefono squillare.
«Chi cavolo è?!» sbuffò andando alla scrivania. Quando vide chi lo stava chiamando, non si sorprese affatto. Anzi, sorrise. Rispose alla chiamata.
«Sei a casa?» chiese una voce maschile dall’altra parte della cornetta.
«Certo Levi, dove pensavi che fossi? Sotto casa tua?» scherzò Eren.
«Non sarebbe stato male». Il ragazzo arrossì.
«I-idiota...» si mise a sedere sul letto. «Perché mi hai chiamato?».
«Volevo solo sentire la tua voce» rispose con un tono stranamente dolce che fece sorridere il ragazzo. «Domani non ti vedrò a lezione... mi raccomando, non fare lo stupido».
«Tranquillo Levi».
«Con te non si può mai stare tranquilli» precisò. Chiacchierarono per un po’. Furono interrotti dalla voce di Mikasa che chiamava Eren per aiutarla, quindi si salutarono. «Eren» lo chiamò Levi prima che il ragazzo potesse chiudere la chiamata.
«Sì?» chiese rimettendo il telefono all’orecchio.
«Ti amo» dichiarò buttandogli un bacio. Il castano divenne più rosso di un pomodoro. Non si aspettava anche il bacio.
«Anch’io ti amo» rispose sorridendo. Chiuse la chiamata e andò dalla sorella.
Levi ripose il telefono sul comodino accanto al letto e andò verso l’armadio. Lo aprì e prese una maglietta blu a maniche corte. Si rimise a sedere sul materasso e si sdraiò. Si portò la maglietta al naso e la annusò. “Questa settimana mi addormenterò con il tuo odore, Eren...” pensò chiudendo gli occhi.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Il telefono squillò disturbando il sogno di Eren che, sbuffando, allungò il braccio verso quell’oggetto fastidioso. Si chiese chi fosse lo stupido che lo chiamava quando ancora dormiva. Appena vide chi era il responsabile del suo risveglio, rispose immediatamente.
«Capit- volevo dire, Tetsuya? Perché mi stai chiamando a quest’ora?» gli chiese mettendosi a sedere sul letto.
«La gita con la squadra, Eren!». Questa frase fece saltare il ragazzo giù dal letto per poi urlare alla madre che era sveglio. «Sono già le sei e mezza...pensi di farcela in dieci minuti o vuoi che ti aiuti?» domandò il capitano facendo su e giù davanti alla porta d’ingresso.
«Ce la faccio, tranquillo! Se vuoi entra pure. Riattacco che sennò faccio tardi!» detto questo, Eren chiuse la chiamata per prepararsi in fretta e furia. L’altro ragazzo rimase fuori ad aspettarlo: lo conosceva, tempo cinque minuti e l’avrebbe subito raggiunto. E così fu. Appena qualche minuto dopo, il castano uscì con una valigia. Dopo aver salutato tutti, si avviarono a scuola.
«Tu che porti?» gli chiese Tetsuya osservando con quanta facilità portava il bagaglio.
«Qualche cambio, roba per il bagno e...» si interruppe. Il capitano lo invogliò a continuare guardandolo curioso. Eren spostò gli occhi su di lui sorridendogli. «La PlayStation con qualche gioco!» finì entusiasta.
«Non penso che la utilizzeremo tanto...» lo avvertì triste l’altro.
«Ma almeno di sera possiamo giocare!» ribattè ridacchiando. Tetsuya si limitò ad annuire sorridendo. Passò lo sguardo dal viso dell’amico al suo abbigliamento. Indossava pantaloni lunghi a fine Maggio.
«Eren, non hai caldo con quei pantaloni?» domandò guardandolo stranito. Il ragazzo scosse la testa.
«Magari mi cambio a scuola... a Ragako fa caldo!» esclamò.
«Ricordi che le stanze sono con due letti, vero?».
«Sta tranquillo, capitano! Staremo in stanza insieme!» lo rassicurò dandogli una pacca sulla spalla.
Una volta a scuola, la manager e l’allenatrice li diedero il buongiorno e aspettarono gli altri ragazzi. Quando furono tutti presenti, salirono sul pullman per andare alla stazione. C’era chi ascoltava musica, chi giocava al telefono, chi parlava. Eren faceva parte di quest’ultimo gruppo. Seduto vicino al capitano, discuteva degli ultimi videogames a cui aveva giocato. In treno lo stesso. Oltre a quello, parlavano anche della scuola e di cose quotidiane. A volte si intromise anche la manager sclerando sui ragazzi degli anime che nominavano.
Il viaggio durò circa un’ora e mezza. Quando scesero dal treno, li aspettava un pullman che li portò al loro albergo. Una volta arrivati, l’allenatrice distribuì le chiavi delle stanze ai ragazzi. Quella di Eren si trovava al secondo piano ed era la numero ventisette. Era abbastanza piccola ma perfetta per due ragazzi come lui e Tetsuya. Il castano andò nel piccolo terrazzino della stanza ad osservare il cielo. Lo stesso che stava guardando Armin dalla finestra di camera sua.
Il biondo aveva la febbre alta e non riusciva a fare un passo che subito cadeva. Quella mattina Mikasa era andata a trovarlo.
«Vuoi che ti registri le lezioni?» le chiese aprendo la porta per andarsene.
«Mi faresti un enorme piacere» rispose l’altro sorridendo.
«Allora dopo passo da te» avvisò la ragazza. Armin annuì e si salutarono.
Mikasa uscì e si diresse verso la scuola. Nonostante il caldo, continuava a tenersi la sciarpa rossa al collo. Sentì qualcuno tirargliela. Si girò di scatto e vide Sasha con un onigiri in mano.
«Andiamo a scuola insieme?» le chiese quest’ultima sorridendo. L’altra annuì.
«Abiti qui vicino?».
«Sì! Se vuoi puoi venire qualche volta. Potremo organizzare un pigiama party e invitare le altre!» le propose entusiasta mentre mangiava il suo onigiri. La ragazza accettò. Sasha era la sua prima amica femmina in quella scuola e di certo non voleva sprecare quell’occasione per provare a fare amicizia anche con le altre ragazze.
Arrivate a scuola, andarono dai ragazzi della loro classe. Erano ormai diventati una classe unita, fatta eccezione per Jean ed Eren che ancora litigavano. Al primo non andava giù l’idea che il castano avesse trattato così male Armin.
Suonata la campanella, corsero in classe: il professor Levi non accettava ritardi. Ma stavolta quello in ritardo era proprio lui. Gli alunni si sorpresero nel vedere la cattedra vuota. Si misero, quindi, a sedere tranquillamente. Decisero di aspettare qualche minuto. Ad un certo punto, Historia si alzò e si diresse verso la porta.
«Vado a chiedere ai custodi se il prof è arrivato» avvertì.
«Sta ferma, biondina! Se non c’è è meglio. Si chiude la porta, si spengono le luci almeno pensano che non ci siamo!» disse Jean che stava controllando il telefono di Marco.
«Pensi che funzionerà?» gli chiese Ymir chiudendo la porta.
«Alle medie funzionava sempre. Vero Marco?» guardò l’amico che cercava disperatamente di riprendersi il cellulare. Historia si arrese e tornò al suo posto. Ymir spense le luci e si mise a sedere mettendosi la bionda sulle gambe. Sasha si girò indietro per parlare con Mikasa. Connie andò alla cattedra e iniziò a imitare i professori.
«Ragazzi, sono il professor Springer! Mettetevi tutti seduti!» esclamò ottenendo come risultato le risate dei compagni. Sasha alzò la mano. «Parla pure Blouse!». La ragazza si alzò e si mise accanto a Connie.
«Io e Mikasa pensavamo di fare un pigiama party questo sabato. Interessa a qualche ragazza?» chiese.
«Questo volevi chiedere?!» domandò sorpreso il ragazzo guardandola. Tossì. «Pensavo volessi venire all’interrogazione di Storia, Blouse!» riprese il tono da insegnante. O almeno ci provò.
«Quale interrogazione scusa?! E poi a quest’ora dovevamo avere ginnastica...» ribattè l’altra stranita.
«Sono io il professore qui!» le puntò il dito cercando di sembrare serio, senza successo. «Ecco la domanda per te, Blouse» si schiarì la voce.
«Non le fare le domande che si fanno alle elementari, Connie!» esclamò Reiner divertito.
«Quali domande?» chiese Ymir girandosi verso il ragazzo.
«Se non sei mai andata a scuola è normale che tu non lo sappia» si intromise Annie senza guardare in faccia nessuno. Era seduta al suo banco con le braccia incrociate e la testa bassa.
«Ragazzi, fate silenzio! Allora Blouse, rispondimi per bene» Connie provò ad assumere un tono serio, ovviamente senza successo. A Sasha scappò una risata. «Di che colore era il cavallo bianco di Napoleone?» chiese cercando di mantenersi serio. Tutta la classe scoppiò a ridere, il ragazzo compreso.
«Se le domande fossero tutte così, a quest’ora avremmo tutti la sufficienza!» esclamò Jean asciugandosi le lacrime per le risate. Ad un certo punto, la porta si aprì.
«Se le domande fossero tutte così sareste all’asilo, non alle superiori» disse una voce maschile dal tono severo. Connie e Sasha corsero al loro posto. «Cosa stavate facendo, mocciosi?» chiese mettendosi a sedere sulla cattedra. Gli studenti si guardarono a vicenda.
«Stavo interrogando Sasha, prof!» provò a giustificarsi Connie. Il professore sospirò.
«Non importa. Vi voglio vedere in palestra in quindici minuti, capito?». I ragazzi obbedirono mentre Levi rimase in classe. Fermò Mikasa. «Tuo fratello risponde quando lo chiami?».
«Non l’ho ancora chiamato... provo più tardi. Perché?». La ragazza era confusa. L’altro rimase in silenzio. Mikasa allora se ne andò con Sasha. Levi raggiunse la classe poco dopo. Si sentiva l’assenza di Eren. O almeno la sentiva il professore. Infatti, una volta in palestra, aveva notato che era tutto più tranquillo senza di lui. Nessuno litigava, nessuno urlava, niente. Ridevano, chiacchieravano normalmente. Appena furono tutti presenti, l’insegnante lo chiese.
«Manca qualcuno oggi?».
«Manca Armin, prof» rispose Marco.
«A proposito, come sta, Mikasa? Ha la febbre alta?» domandò Bertholdt guardando la ragazza.
«Ragazzi. Manca solo Arlert?» domandò serio. Tutti annuirono. «Jaeger? Non è di questa classe?».
«Sì, giusto. Manca anche Eren» rimediò Jean sbuffando. Marco gli scosse il braccio per farlo stare zitto.
«Non vi siete accorti della sua assenza?».
«Ma se è in gita con il club non va contata come assenza, no?» chiese Historia alzando la mano.
«Per questo non me l’avete detto?» Levi era piuttosto irritato. Aveva uno sguardo che metteva i brividi a tutti. Un misto fra rabbia e tristezza nel quale gli alunni vedevano solo la prima. A loro il professore appariva soltanto come un uomo severo ma allo stesso tempo gentile, siccome li faceva sempre giocare nelle sue ore. Nessuno notava mai la sua tristezza nel vedere Eren quasi sempre escluso dal gruppo.
«Non gliel’abbiamo detto perché se n’era già accorto» Jean incrociò le braccia guardando male l’insegnante. Rimasero tutti in silenzio.
«E se non fosse stato così?».
«Come se non ci si accorgesse dell’assenza del proprio ragazzo... non mi faccia ridere» sbuffò il ragazzo beccandosi una botta sulla schiena da parte di Reiner.
«Avevamo detto di non...» iniziò questo a bassa voce, ma fu interrotto.
«Non me ne frega. Prima o poi le cose vanno dette». Mikasa li guardò stranita.
«Cos’è questa storia?» chiese irritata avvicinandosi a Jean. Sasha cercò di tenerla per il braccio. Era l’unica che non sapeva niente. Marco si nascose dietro l’amico, che non ci pensò due volte a rivelarle tutto.
«Non ti sei accorta che Eren va spesso in vice-presidenza?». La ragazza annuì. «E che ci è andato molto di più in quest’ultimo mese?». Annuì di nuovo. «E tutte quelle occhiatine che si lanciano?». Allora Mikasa capì. Si girò verso Levi furiosa. Se non l’avessero retta, gli avrebbe di sicuro tirato un pugno.
«Fammi quel che vuoi, quel che è fatto è fatto ormai» disse soltanto il professore. Cosa poteva fare ora che l’avevano capito? Assolutamente niente. «Per oggi vi lascio fare quel che volete. Basta che mi lasciate in pace perché sono parecchio irritato oggi» avvertì allontanandosi. I ragazzi calmarono prima Mikasa, poi andarono a prendere le palle per giocare un po’. Levi uscì dalla porta che portava al cortile e chiamò Eren. Questa volta rispose.
«Pronto, Levi?».
«Devo parlarti. Hai un minuto?». Appoggiò la schiena al muro.
«Dovrei farmi la doccia... è una cosa veloce?».
«Te lo dico subito. Sanno di noi». Il ragazzo non rispose. Si sentì però un tonfo. «Eren?!».
«Anche Mikasa?» chiese scioccato.
«L’ha scoperto oggi» rispose Levi sedendosi. «Ma cos’era quel tonfo? Tutto apposto?».
«Sì... sono solo cascato per lo shock...».
«Ti sei fatto male?» domandò dolcemente.
«Rispetto a quando mi butto in campo non è niente» ridacchiò. Levi sorrise.
«Con chi sei al telefono, Eren?» chiese una voce maschile. L’uomo si mise in allarme.
«Oh, Tetsuya. Uhm... sono con un amico di scuola» gli rispose il ragazzo. «Ora devo riattaccare. Ti chiamo dopo» riattaccò subito senza nemmeno aver dato il tempo a Levi di rispondere. Non poteva farsi beccare al telefono con un professore. Questo, infatti, ci rimase male. Non si aspettava una cosa del genere. Rimase seduto con la testa nascosta fra le braccia. I suoi occhi erano lucidi. Pian piano le lacrime iniziarono a rigargli il viso. Eren, però, non poteva piangere. Sapeva che l’aveva ferito ma non poteva farci niente. Non poteva dirgli “ti amo” davanti a qualcun altro. Anche lui stava soffrendo. Aveva persino paura di tornare a casa. Pensava che l’avrebbero preso in giro, che non l’avrebbero più visto con gli stessi occhi. Aveva paura di cosa avrebbe potuto fargli sua sorella. Aveva paura. Per la prima volta nella sua vita.
«Hai riattaccato per stare con me, Eren?» chiese Tetsuya abbracciandolo da dietro.
«In verità dovrei farmi la doccia...» fece per girarsi ma si fermò. «Hai l’asciugamano addosso?».
«Certo che ce l’ho! Non voglio mica saltarti addosso, Eren» rise l’altro. Il castano allora si alzò e andò in bagno. «Vuoi che ti prepari i vestiti?».
«Se puoi prendermi una canottiera e un pantaloncino mi faresti un favore» gli sorrise chiudendo la porta. Quel sorriso fece battere il cuore al capitano che sorrise a sua volta.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Eren e la sua squadra passarono tutto il pomeriggio ad allenarsi e a giocare in spiaggia. Cenarono nel ristorante dell’albergo, ovviamente facendo impazzire l’allenatrice da quanto chiasso facevano. Di sera c’era chi usciva per fare due passi, chi andava in spiaggia e chi, come Eren e il capitano, rimanevano nelle loro stanze. I due ragazzi avevano acceso la PlayStation e si erano messi a giocare a un nuovo videogames di calcio.
«Goal! E con questo ho vinto io, Eren!» esclamò Tetsuya abbracciando l’amico. «Hai perso per tre a uno... sei più bravo nella vita reale, Eren...» disse sospirando.
«Sono più bravo nei giochi di guerra...» si giustificò roteando gli occhi.
«Che ne dici di andare a dormire, Eren?» gli chiese sorridendogli. Il castano guardò l’orologio: era quasi mezzanotte. Davvero avevano passato tutta la serata a giocare? Ascoltò quindi il capitano, spense tutto e si mise nel letto. L’unica luce che illuminava la stanza era quella della luna. Tetsuya non riusciva a prendere sonno, così si girò verso Eren. Si accorse che indossava ancora la maglietta.
«Non ti togli la maglietta, Eren?» gli chiese.
«Di notte fa un po’ freddo, quindi preferisco tenerla» rispose senza girarsi. Sembrava fosse impegnato a fare qualcosa. Il ragazzo si alzò per andare nel letto dell’amico. Teneva il telefono fra le mani. Riuscì a vedere con chi stava chattando: Eren l’aveva salvato come “Master”. Sorrideva anche mentre scriveva.
«Chi è questo, o questa, “Master”, Eren?» domandò serio. Il castano si girò col cuore che gli batteva a mille. Non sapeva come rispondere. Tetsuya se ne accorse. «Per caso è qualcuno che ti comanda? O la tua ragazza? Sai, di solito è così...» continuò fissando il telefono.
«Niente del genere» rispose alla fine. Il capitano non gli credette. Lesse i messaggi che si inviavano l’un l’altro. Non riuscì a capire se fosse la sua ragazza o sua sorella. I messaggi di questo, o questa, “Master” erano come degli ordini detti dolcemente. “Ricordati di pulire la stanza”, “Non far arrabbiare l’allenatrice”, “Divertiti”.
«Quanto vorrei anch’io una persona che si preoccupa così per me, Eren...» disse sorridendo. Eren salutò “Master” e ripose il telefono sul comodino. Si girò poi con il corpo dalla parte del capitano, già sdraiato con il viso affondato nella sua maglia.
«Non dormi nel tuo letto?» gli chiese guardandolo. Aveva un’espressione rilassata, come se si sentisse al sicuro stando così vicino ad Eren.
«Perché dovrei, Eren? Sto così bene qui con te, Eren...» alzò lo sguardo verso quegli occhi verde smeraldo che lo facevano impazzire. «E tu stai bene con me, vero Eren?» portò una mano al viso del ragazzo accarezzandolo dolcemente.
«E-eh? C-certo che sto bene con te, capitano. Sto bene quando sto con te, con mia sorella, con...» non riuscì a continuare che Tetsuya gli mise un dito davanti alla bocca.
«Con questo “Master”, Eren?».
«È solo mia sorella... sai com’è, no?» mentì. Non poteva farsi scoprire, anche se l’intera classe ormai lo sapeva.
«Mi stai dicendo la verità, Eren?» non aveva mai visto il capitano così... possessivo. L’espressione disegnata sul suo viso ricordò ad Eren quella di un yandere. Gli vennero i brividi. Aveva visto alcuni anime con delle ragazze yandere, come il famoso “Mirai Nikki”, e aveva paura che scoprisse l’identità del suo “Master”, ovvero Levi.
«Potrei mai mentirti?» gli sorrise. Non riuscì a non far vedere l’ansia che aveva. Il telefono iniziò a vibrare. Eren fece per prenderlo ma Tetsuya fu più veloce. Lesse il nome: “Master”.
«Vediamo se è davvero tua sorella, Eren» il capitano pigiò la cornetta verde per rispondere. Si alzò in modo che Eren non potesse riprendere il telefono. «Pronto? Parlo con Mikasa Ackerman?» domandò mentre il castano, per non creare sospetti, rimase a sedere sul letto sperando che Levi si inventasse qualcosa per non farsi scoprire.
Dall’altra parte della cornetta, l’uomo rimase stupito nel non sentire la voce del suo Eren. Si chiese chi fosse.
«Sono un amico di Mikasa e mi stavo domandando chi fosse la persona che ha rinominato “Il mio schiavetto”» era così bravo a mentire. Tetsuya fece un sospiro di sollievo. Se era davvero la sorella, allora Eren poteva essere suo.
«Questo è il telefono del fratello. Ho risposto io perché si era addormentato» spiegò tornando dall’amico. Dopo un po’ riattaccò e mise il telefono sul comodino. Prese poi il castano per i polsi e lo fece sdraiare. «Era davvero il numero di tua sorella, Eren» gli disse guardandolo negli occhi. Il ragazzo non ebbe il minimo segno di arrossamento. Il viso del capitano si avvicinò a quello di Eren. «Ora potrai essere mio, Eren...» gli sussurrò. Il castano girò la testa così che Tetsuya evitasse di baciarlo in bocca.
«Senti, capitano...» iniziò Eren.
«Che c’è, Eren? Per caso il mio Eren in realtà è timido?» sorrise guardandolo.
«Mi dispiace...» continuò a voce bassa. Il capitano non capì.
«Perché, Eren? Guarda che se non sei pronto...» si interruppe quando i loro occhi si incrociarono di nuovo.
«Per me sei solo un mio amico, capitano» riuscì a finire. Era in preda all’ansia. Aveva visto in alcuni anime cosa succedeva se si rifiutava un yandere, ma cosa poteva farci? Lui amava Levi. Avrebbe fatto qualsiasi cosa, corso qualsiasi rischio, affrontato chiunque pur di stare con lui.
L’altro non rispose. Si limitò a tornare nel suo letto. Ad Eren parve strano.
«Quel “Master”...» parlò all’improvviso. Il castano sussultò. «Il realtà non è tua sorella, e quello che ha risposto non era affatto un suo amico...». L’altro rimase in silenzio. Il cuore che gli batteva a mille. Eppure Levi sa fingere così bene, pensò. «Era quel professore che una volta ogni due settimane viene a controllarci, quello con cui parli sempre, quello con cui ti vedo tutti i giorni dopo la pausa pranzo: Levi Ackerman, dico bene?» chiese conferma senza girarsi. Eren si sdraiò con gli occhi che guardavano il soffitto, non rispondendo. Si addormentò poco dopo mentre l’altro piangeva. Ma che poteva farci?
Il giorno seguente sembrava che si fosse dimenticato tutto. Sembrava che quella sera non fosse successo niente. Si parlarono normalmente, si divertivano come facevano sempre. Il castano si stava convincendo che fosse stato tutto un sogno. Per tutta la durata della gita fu così, anche se la notte Eren doveva dormire nello stesso del capitano per via degli incubi che faceva quest’ultimo.
L’ultimo giorno arrivò in fretta e i ragazzi tornarono a Shiganshina. Tornarono a scuola il giorno dopo.
Prima di uscire, Mikasa si fermò sull’uscio della porta. Eren si fermò una volta scese le scale. La ragazza lo prese per un braccio e lo portò in cucina dai genitori che li guardarono confusi.
«Devo dirvi una cosa ora che c’è Eren» avvisò. Il ragazzo la guardò stranito. Gli adulti la invitarono a continuare. Prese allora un bel respiro, guardò poi il fratello e parlò. «Eren è gay ed è fidanzato con il prof di ginnastica» dichiarò. Ci fu qualche secondo di silenzio che al castano sembrarono un’eternità. La reazione della madre non fu certo delle migliori. Infatti andò dal figlio e gli prese le spalle. Aveva un’espressione preoccupata e scioccata. Il padre era rimasto seduto sulla sedia a leggere il giornale che gli copriva il volto.
«Eren, quel che ha detto Mikasa è la verità?» gli chiese. Eren abbassò lo sguardo. La donna sussultò per poi guardare il marito. «Tesoro, digli qualcosa! Non può avere una relazione con un uomo... ha solo quindici anni!» lo implorò.
«Eren» iniziò con tono serio.
«Papà, mi dispiace... ma io-».
«Ti da voti alti?».
«Come al solito».
«Allora va bene».
«Tesoro!» esclamò irritata la madre. A quel punto il padre abbassò il giornale e guardò serio il figlio.
«Ascoltami Eren. Cosa fai con questo professore?» gli chiese.
«Cosa dovrei fare, scusa?».
«Vai a casa sua qualche volta?». Eren annuì. La madre era scioccata. «E cosa fate?».
«Mangiamo e mi aiuta a fare i compiti» rispose scocciato.
«Non fate altro?». Il ragazzo scosse la testa. «A volte ci dici che la notte dormi a casa di amici, giusto?».
«Non mi farebbe mai cose del genere!» esclamò stringendo i pugni. «Levi non è quel tipo di persona! Vi ho già detto quel che facciamo, gli avete anche parlato ai colloqui, cos’altro volete sapere?!». Mikasa lo prese per il colletto e lo guardò negli occhi. Era abbastanza arrabbiata.
«Digli quel che fate in vice-presidenza» gli ordinò.
«Cosa dovrem-».
«Fallo Eren!» gli urlò contro. La madre gli osservò il collo.
«Eren, è un succhiotto quello?» gli chiese ancora più scioccata di prima. Il ragazzo non rispose. «Eren Jaeger» alzò la voce. «È quello che fate veramente?». Eren si arrese.
«Mamma, non lo abbiamo mai fatto. E sì, questo è un dannatissimo succhiotto. Me l’ha fatto il giorno prima della partenza. E se vuoi sapere quel che facciamo veramente, beh, oltre a quel che vi ho detto prima, ci baciamo e dormiamo insieme. Vi basta come risposta?! Diamine...». Nessuno aprì bocca. Il ragazzo salutò tutti e corse a scuola. Non passò da Armin perché probabilmente stava ancora dormendo. Aveva ancora l’influenza. Una volta davanti l’edificio, Eren si guardò attorno: Levi doveva già essere arrivato. Doveva trovarlo, voleva sfogarsi, voleva piangere, voleva urlare. Conosceva i suoi, di sicuro gli avrebbero fatto cambiare scuola o avrebbero fatto trasferire Levi in un altro edificio, magari lo avrebbero fatto tornare a Rose. No, non poteva succedere. Non doveva accadere. Pensando a lui, si era completamente dimenticato di aver lasciato indietro la sorella. Si sentì uno stupido. Si sentì in colpa. Si avvicinò al portone della scuola e cercò di chiamare un bidello per farsi aprire. Ne vide arrivare uno biondo con un viso a lui familiare. Eren si stupì nel vederlo lì. Non faceva molto caso ai bidelli, anzi, a dire il vero non li incontrava mai. Per questo non ci avevo fatto caso. L’uomo gli aprì la porta facendolo entrare. La richiuse subito dopo.
«Signor Hannes? Che ci fa lei qui?» gli chiese il ragazzo sorpreso.
«Io qui ci lavoro! Perché non ti guardi mai intorno, Eren?» rispose l’altro sorridendogli. Eren aveva incontrato Hannes quando andava in terza elementare. Anche lì faceva lo stesso lavoro. Qualche giorno dopo il suo arrivo, il castano, Armin e Mikasa iniziarono a passare la maggior parte del tempo con lui che ben presto diventò un amico di famiglia.
«Signor Hannes, sa per caso se c’è il professor Ackerman? Avrei bisogno di parlargli urgentemente» arrivò dritto al punto. L’uomo si guardò intorno.
«Penso che non sia ancora arrivato, mi dispiace» rispose.
«Sono arrivato circa dieci minuti fa, Jaeger. Cosa c’è?». Levi apparve da dietro Hannes camminando nella loro direzione. Eren sussultò. Quasi pianse.
«Prof... devo parlarle in privato» gli disse guardandolo negli occhi. L’uomo gli fece cenno di andare con lui. Come al solito, entrarono in vice-presidenza. Una volta chiusa la porta, il ragazzo si buttò fra le sue braccia piangendo. Levi gli accarezzò i capelli.
«Ti sono mancato così tanto?». Gli baciò dolcemente la fronte. Eren provò ad asciugarsi le lacrime. «Tranquillo, ora sei con me. Basta piangere, dai...» gli prese il viso fra le mani e lo baciò appassionatamente. Il ragazzo poté solo chiudere gli occhi e ricambiare. Gli strinse la giacca. Intanto aveva smesso di piangere. Aveva smesso di pensare a tutto. Era con Levi, l’uomo che amava più di qualsiasi altra persona al mondo, l’uomo per cui si era messo contro tutti. Si rilassò. Spostò le mani dalla schiena dell’insegnante ai suoi fianchi. Lo bloccò al muro. Levi aprì gli occhi staccando le labbra da quelle di Eren. Il ragazzo fece lo stesso.
«Mi hai davvero bloccato al muro? Eren... non sei portato per fare l’attivo, dai» gli sorrise l’uomo accarezzandogli il viso.
«Ah no? Vogliamo vedere?» lo sfidò facendo un sorriso malizioso, come se stesse cercando di avere qualcosa. Come se volesse di più.
«Era per questo che sei venuto prima?». Eren sussultò. Abbassò la testa. «Cosa c’è? È successo qualcosa in gita?» gli chiese serio.
«No... Levi, è solo che...» iniziò il ragazzo affondando la testa nella giacca dell’insegnante.
«È solo che...? Eren, parla» gli ordinò preoccupato. Il castano si morse il labbro.
«Mikasa ha detto ai miei che stiamo insieme e non l’hanno presa bene. Stamani sono venuto prima perché sono scappato... gli ho detto tutto, ho provato a spiegargli che non sei una cattiva persona, ma non vogliono ascoltarmi...» iniziò a piangere.
«Perché gliel’ha detto?».
«E che ne so! Se n’è uscita così...» esclamò. Alzò poi lo sguardo verso quegli occhi argentei di cui si era perdutamente innamorato. «Io voglio stare con te, Levi. Non so come convincerli... io...» non riusciva a parlare da quanto piangeva.
«Cosa vuoi fare, Eren? Vuoi che ci parli io?» gli chiese dolcemente mentre gli asciugava le lacrime.
«Non li convincerai mai» affermò convinto Eren. Li conosceva, non sopportavano tanto queste cose. Mikasa voleva che lo odiassero? Questo si chiedeva il ragazzo.
«Allora dimmi che vuoi fare».
«Voglio scappare».
«Dove? Devi andare a scuola, Eren».
«I miei non sanno dove abiti, mi hai anche detto che non hai dato il tuo indirizzo alla scuola». Levi aveva capito.
«È troppo presto per condurre una vita di coppia».
«Levi...» Eren fece gli occhi a cucciolo, quelli che facevano impazzire Levi. Quelli che, ogni volta che li guardava, gli veniva voglia di bloccarlo al muro e di baciarlo come non mai.
«Eren...» si morse il labbro. «Non mi guardare in quel modo quando siamo a scuola...» lo avvertì.
«Dimmi prima se posso trasferirmi da te o no, Levi...» lo disse con quella voce che faceva sempre eccitare Levi.
«Certo che sì, Eren... e non farmi eccitare a scuola...».
«Tanto ho il cambio» scherzò Eren baciandolo con passione.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


«Eren» lo chiamò Mikasa a bassa voce. Il ragazzo continuò a disegnare senza degnarla di uno sguardo. «Eren, presta attenzione alla lezione, per favore» lo implorò toccandogli la spalla. Il castano si girò.
«Che c’è Mikasa?» le chiese come se nulla fosse.
«Perché eri rosso in viso? Ti stava scendendo anche un po’ di bava...». Eren arrossì ancora di più.
«Niente di cui preoccuparsi» rispose secco. La ragazza si sporse per vedere cosa stesse disegnando.
«La situazione sta diventando grave, Eren» affermò seria.
«C-che ho fatto?».
«Ne parliamo dopo» impugnò la penna e ricominciò a scrivere.
«Ma Mikasa...» la pregò Eren guardandola confuso. La ragazza si alzò e gli tirò un’occhiata.
«Eren, se dico dopo è dopo!» esclamò irritata attirando l’attenzione di tutti. Si risedette subito.
La lezione finì in fretta e i due fratelli si ritrovarono a discutere nel cortile della scuola. Il ragazzo stava disegnando Levi durante la lezione e Mikasa si era arrabbiata parecchio. Data la faccia che aveva Eren, pensava che si stesse facendo dei filmini mentali perversi. Il castano cercava di replicare, ma la sorella non lo ascoltava. Il litigio si fermò quando sentirono uno studente parlare con il professor Levi. Il ragazzo spalancò gli occhi quando si accorse di chi si trattava. Stava per andare a difendere l’insegnante quando Mikasa lo trattenne. I due riuscirono a scambiarsi un solo sguardo prima che la ragazza portasse Eren dentro l’edificio. Gli venne incontro Historia con aria di festa. Gli disse di andare in classe perché stava per succedere una cosa bellissima. I due si guardarono confusi ma decisero di seguirla. Una volta in classe, trovarono tutti i banchi messi attaccati ai muri e i ragazzi seduti su di essi. Marco fece segno ad Eren di mettersi accanto a lui e Jean mentre Mikasa si era già seduta accanto alla bionda. Il ragazzo ascoltò Marco e si mise a sedere da loro.
«Senti Eren» lo chiamò Jean. Il castano si girò. «Ormai saprai che tutti noi sappiamo stai con il prof Levi, giusto?» chiese, per la prima volta, un po’ imbarazzo.
«Sì, e che devo farci? Lo amo... lo amo come...» si fermò per trovare le parole. Vide che il suo compagno teneva stretta la mano di Marco e che quest’ultimo era arrossito. «…come a te piace Marco, dico bene Jean?» gli sorrise. Il ragazzo sussultò arrossendo.
«Esatto... per questo ti chiedo scusa se magari ti ha dato fastidio il fatto che ti isolavamo sempre o che ti chiamavo “ruffiano”...» era stranamente calmo. Persino il suo amico era sorpreso nel vederlo così.
«Comunque siamo fidanzati anche noi Eren» ricambiò il sorriso Marco. Jean divenne rosso in viso mentre gli altri due ridevano.
«Quindi ora devo solo convincere i miei...» il castano non si era accorto che aveva pensato ad alta voce. I suoi occhi si spensero ripensando a quel che era successo quella mattina. I due gli chiesero spiegazioni ed Eren disse tutto. Dopotutto erano suoi compagni di classe ed erano proprio come lui.
«Ti reggiamo il gioco allora!» lo rassicurò Marco facendogli l’occhiolino. «Dirò a Mikasa che oggi starai da me». Il castano lo ringraziò. Non aveva pensato a come avrebbe potuto ingannarla i giorni seguenti. Ad un certo punto entrò Connie con l’atteggiamento di un riccone e Historia fece un cenno a Jean. Il ragazzo prese il telefono e andò su YouTube. Eren e Mikasa non riuscivano a capire cosa stava succedendo. La ragazza notò che Ymir non c’era e che Reiner aveva un sacchetto di patatine in mano. Erano quelle fatte a forma di anello. Strano, pensò Mikasa, diceva sempre che non gli piacevano. Jean fece partire la classica musica che si mette ai matrimoni. La ragazza sentì un “Che ti tocca fare, amico” da parte di Bertholdt. Non vide neanche Sasha e Historia sembrava emozionata. Vide entrare l’amica sottobraccio con Ymir. Chiese spiegazioni alla bionda che le disse di aspettare. Anche Eren era confuso come la sorella. Appena vide la castana davanti a Connie e Reiner portargli il sacchetto di patatine, capì che si stavano “sposando”. Non poteva crederci. Mancava solo che si vestissero da sposino e sposina, pensò il ragazzo guardando prima Marco che stava facendo un video e poi i due. Quando si scambiarono gli “anelli” e si baciarono, tutta la classe iniziò ad applaudire e a fischiare. Eren applaudì sorridendo. Ci si poteva davvero “sposare” a quindici anni in questo modo?
Il “matrimonio” finì al suono della campanella che segnò l’inizio di un’altra noiosissima lezione di matematica durante la quale gli alunni riuscirono a malapena a prendere appunti. Nessuno prestava davvero attenzione: Marco stava inviando il video del “matrimonio” ad Armin, Jean stava pensando ad un modo per interrompere la lezione, Bertholdt continuava a guardare Annie anche se lei era al telefono, Reiner che guardava Historia e Ymir che lo squadrava, Sasha e Connie disegnavano sui loro quaderni, Mikasa controllava il fratello ed Eren pensava a Levi. Gli venne in mente anche Armin.
“Chissà come sta...” pensò tenendosi la testa fra i palmi delle mani. Guardò poi la lavagna e vide delle scritte strane. “È arabo?” si chiese sgranando gli occhi mentre il professore continuava a spiegare. Quando il ragazzo iniziò a scrivere senza capire niente, l’insegnante iniziò a chiamare alla lavagna e andò in panico, come tutti gli altri d’altronde. Era sempre così: la lezione di matematica iniziava, i primi dieci minuti stavano tutti attenti, poi si distraevano, a volte Eren e Jean litigavano perché non tornava un nonnulla, il professore chiamava alla lavagna e tutti iniziarono a sudare freddo come se stessero per morire. Stavolta chiamò Connie e tutti si alzarono portandosi la mano al cuore. Era un gesto che facevano sempre ogni volta che qualcuno andava davanti a quell’enorme rettangolo nero riempito di scritte bianche che nessuno riusciva a decifrare. L’unica cosa che l’alunno riuscì a capire era “2+2”. Indicò l’operazione dicendo: «Il risultato è “un pesce”». Tutta la classe scoppiò a ridere mentre il professor Smith rimase serio. Ormai era abituato a quelle battutine dette per fare tenere gli studenti su di morale durante un’ora così noiosa.
Fortunatamente per gli alunni, quella fu l’ultima lezione del giorno. Si diressero tutti verso le aule dei rispettivi club, tranne Eren. Quel pomeriggio avrebbe saltato l’allenamento per mettere in atto il suo piano. Mikasa era bloccata in palestra per il club di arti marziali insieme ad Annie e sapeva che il fratello sarebbe stato al campetto con la squadra, quindi ne avrebbe approfittato per trasferirsi da Levi.
Una volta nella macchina dell’insegnante, Eren gli chiese se potevano andare prima da Armin per vedere come stava. L’uomo accettò e si diressero a casa del biondo. Gli venne spontaneo, però, chiedergli una cosa.
«Sicuro di non voler provare a farmi parlare con i tuoi, Eren?».
«Ne abbiamo parlato stamani Levi...» rispose il ragazzo stringendo i pugni.
«Sicuro che succederà tutto quel...».
«Levi!!» esclamò interrompendolo. Levi fermò la macchina poco dopo. Eren si guardò intorno: erano in un parcheggio vuoto, coperto da un edificio. Si preoccupò delle intenzioni dell’altro. «Cosa vuoi fare? Levi, dobbiamo andare da...» il ragazzo non riuscì a continuare per lo sguardo agghiacciante dell’uomo. Non capiva cosa stava provando, se era arrabbiato o solo serio. Arretrò fino a toccare lo sportello con la schiena. Levi gli prese il viso fra le mani. Eren non sapeva se lo stava per baciare o lo voleva sgridare. I suoi occhi non esprimevano nessuna emozione. Il cuore del ragazzo iniziò a battere velocemente. Era la prima volta che non riusciva a capirlo. Chiuse gli occhi preoccupato.
«Possibile che ti fai tutti questi problemi, Eren? Queste cose lasciale ai grandi, tu devi concentrarti solo su di me, devi guardare solo me. Capito?» il suo tono era freddo. Non riusciva a riaprire gli occhi, i battiti non volevano rallentare. «Eren, calmati e apri gli occhi. Vuoi sapere come sta il tuo amico, no? E allora andiamo» tornò alla guida mentre il ragazzo cercava di rilassarsi. Levi gli tirò un’occhiata. «E non provare a urlarmi contro ancora una volta, moccioso» finì per poi ricominciare a guidare.
Una volta arrivati da Armin, Eren corse in camera sua e andò ad abbracciarlo. Gli disse cose come “Mi sei mancato” o “Ero in pensiero per te”. Il biondo non faceva altro che accarezzargli i capelli e qualche volta gli dava anche qualche bacio sulla fronte. Lo tranquillizzò dicendogli che la febbre gli era passata e che il giorno seguente sarebbe tornato a scuola. Il ragazzo era al settimo cielo. Non vedeva l’ora di divertirsi in classe insieme al suo migliore amico.
Nel frattempo, Levi stava guardando lo zaino di Eren. Aveva come ciondolino un titano in versione chibi e non sembrava tanto pieno. Quindi lo prese e controllò se c’erano i libri o almeno un quaderno. Gli saltò all’occhio un foglio stropicciato vicino all’astuccio. Guardò se il ragazzo stava arrivando e, appena si accorse che era ancora da Armin, gli diede un’occhiata. Sapeva che non era giusto, ma quei cuori disegnati a penna lo fecero in qualche modo ingelosire. Una volta aperto, non poteva credere ai suoi occhi: Eren l’aveva disegnato in una maniera così sexy che non poteva essere vero. Non avrebbe mai pensato che sarebbe stato in grado di fare una cosa del genere a scuola, sotto gli occhi dei professori e dei compagni. Era al primo banco, addirittura davanti alla cattedra. Come poteva averlo disegnato così senza essere beccato? Aveva bisogno di spiegazioni. E infatti ecco Eren che stava correndo nella sua direzione. Aprì lo sportello e si mise a sedere nel sedile accanto a Levi. L’uomo accese la macchina e si diressero a casa sua. Nessuno dei due fiatò. Il ragazzo iniziò allora a parlare di quel che aveva fatto a scuola ma l’altro non lo degnò di uno sguardo. Non rispose nemmeno. Solo quando arrivarono nell’appartamento si decise ad aprire bocca.
«Eren». Il castano si girò di scatto. Il tono era freddo come quello di quando si erano fermati prima. Non riusciva a capire perché era così quel giorno. «Oggi hai fatto un disegno a scuola, dico bene?» chiese guardandolo. Sembrava che avesse degli occhi di ghiaccio. Eren andò in panico.
«D-disegno?» balbettò intimorito dal suo sguardo pietrificante. Levi si avvicinò sempre di più a lui fino a bloccarlo al muro. Aggrottò le sopracciglia. Finalmente un’espressione, anche se negativa.
«Ti ha visto qualcuno?». Il ragazzo non rispose. «Eren!» esclamò facendolo sobbalzare.
«M-Mikasa...» rispose a testa bassa. Di nuovo, il cuore gli batteva a mille e aveva paura. Per la prima da quando stava con Levi aveva paura di lui.
«Che lezione c’era?».
«Matematica» ormai non aveva più senso tenerselo per sé. L’uomo sbatté il pugno al muro facendolo spaventare ancora di più. Si allontanò sedendosi sul divano mettendosi le mani fra i capelli. «C-cosa c’è, Levi? H-ho fatto qualcosa di sbagliato?» domandò  restando fermò dov’era. Era la prima volta che lo vedeva così arrabbiato e aveva paura di quel che gli avrebbe potuto fare.
«Hai anche il coraggio di chiedermelo?!» stavolta non lo guardò. Controllò il telefono e vide che aveva ricevuto un messaggio da parte di Erwin dove gli diceva che dovevano parlare. «Per l’appunto».
«Levi io... mi dispiace...» Eren stava per piangere. Si portò una mano alla bocca e si morse un dito.
«Eren ».
«S-sì?».
«Vieni». Il tono era diventato calmo tutto ad un tratto. «Siediti accanto a me». Il ragazzo obbedì.
«Levi...» singhiozzò.
«Dimmi cos’hai fatto durante il ritiro».
«Mi sono allenato» rispose asciugandosi le lacrime.
«La prima sera, Eren» si corresse guardandolo. Eren si ricordò che quella mattina lo aveva visto parlare con Tetsuya.
«Che ti ha detto?» chiese ansioso.
«Solo di non starti vicino. Ma sai che ti dico?» gli prese il viso fra le mani facendolo avvicinare al suo. «Che me ne frego» lo baciò. Quando si staccarono, lo guardò negli occhi. «E per il disegno, moccioso...» iniziò serio.
«Mi dispiace...». Il ragazzo non sapeva cosa fare. Era stranito da quel comportamento.
«Erwin ha un buon occhio, non fare più cose del genere durante le sue lezioni. E tua sorella ha detto qualcosa?».
«Solo che stavo sbavando mentre disegnavo» rispose secco.
«Ah, davvero?» Levi sorrise maliziosamente. Il suo telefono iniziò a squillare ma non ci fece caso. «TI ha detto altro?» gli chiese facendolo sdraiare sul divano.
«Levi, il telefono...» provò a dire il ragazzo guardando l’apparecchio cadere per terra.
«Chissene. Ora voglio solo scusarti per il comportamento che ho avuto finora».
«E se è una telefonata importante?». L’uomo girò il viso di Eren in modo da guardarlo negli occhi.
«Aspettano» rispose secco baciandolo con passione. Il ragazzo a quel punto si arrese a lui ignorando tutto il resto. La mano di Levi scivolò sul corpo del compagno fino ad arrivare ai pantaloni. Si sentì bloccare da lui.
«C-che stai facendo?» gli chiese imbarazzato.
«Cosa mi hai detto di voler fare tu stamattina? L’attivo? Eren, sappiamo tutti e due che non ne sei capace...» sorrise dolcemente. «Ti imbarazzi anche solo se ti sfioro o, addirittura, se ti guardo...». Il telefono non voleva smettere di squillare. Levi si irritò parecchio e decise di vedere chi era. Eren nel frattempo si mise seduto accanto a lui con la testa appoggiata alla sua spalla.
«Levi, oggi mi sei sembrato mia sorella con il ciclo» gli disse con calma.
«Eren...».
«Davvero! Prima sei arrabbiato per chissà quale motivo, poi diventi così dolce... non è che anche i ragazzi possono avere il ciclo?» chiese incosciente di quel che stava dicendo.
«Eren, è solo il mio carattere» rispose chiudendo la chiamata. Non voleva rispondere ad Erwin.
«Ma non ti ho mai visto così Levi...» alzò lo sguardo per guardarlo negli occhi.
«E questo è niente...» disse a bassa voce. Ci fu qualche secondo di silenzio.
«Levi, è da quel giorno che voglio chiedertelo» iniziò Eren.
«Parli di quei due adulti che abbiamo incontrato?». Annuì. «Cosa vuoi sapere?».
«Ora siamo una coppia, giusto?».
«Lo siamo da un mese».
«Giusto». Levi gli accarezzò i capelli. «Tu sai tutto di me, ti ho detto tutto».
«Arriva al punto».
«Le coppie dovrebbero dirsi sempre tutto, ma sembra che per noi non sia così. Mi sembri ancora così lontano in un certo senso... voglio sapere, Levi...» lo guardò prendendogli la mano.
«Cosa, Eren?». Il ragazzo prese un bel respiro e parlò. Dopo un mese poteva finalmente chiederglielo.
«Voglio sapere il tuo passato».

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


«Voglio sapere il tuo passato».
Quelle parole fecero sussultare Levi. La sua espressione era un misto fra lo stupito e lo scioccato. Eren poteva leggere la paura nei suoi occhi. Si chiese se sia stata la scelta giusta domandarglielo. Gli accarezzò la guancia.
«Levi?» lo chiamò preoccupato. L’uomo batté le palpebre come se si fosse incantato.
«Perché tutto ad un tratto... tu...?» sembrava come se qualcosa lo bloccasse.
«Se non vuoi tranquillo, non ti obbligo!» ridacchiò il ragazzo mentre l’uomo tornò serio. Pensò a qualcosa per cambiare aria. «Mi sono appena trasferito e non mi sono portato nemmeno un bagaglio! Di certo non sto a tornare a casa... posso mettermi i tuoi vestiti Levi?» gli chiese alzandosi. Il compagno fece lo stesso.
«Non ho vestiti da ragazzo» affermò avvicinandosi alla macchinetta per il caffè. Eren si stiracchiò.
«E i tuoi di sicuro mi staranno piccoli!» esclamò dirigendosi in camera a passo svelto: sapeva che dopo questa battutina Levi gli si sarebbe fiondato addosso irritato. E infatti fu così. In men che non si dica, il castano si ritrovò a terra con l’uomo sopra di lui e i loro visi vicini.
«Prova ripeterlo, moccioso» lo sfidò.
«Sennò che mi fai, Levi?» gli chiese con fare malizioso.
«Lo sai». Era vero: il ragazzo sapeva proprio cosa gli avrebbe fatto.
«Perché allora non me lo fai ora?». Levi non riusciva a resistere alle sue provocazioni. Avvicinò il suo viso al collo di Eren e, appena ci appoggiò le labbra, sentirono un telefono squillare. Avevano la stessa suoneria, quindi non capirono di chi fosse. «Prima fammelo e poi vediamo di chi è dai... sempre sul più bello devono interromperci» si lamentò chiudendo gli occhi aspettando che l’uomo procedesse. Una volta fatto un succhiotto, Levi si alzò per controllare di chi fosse il telefono: era quello di Eren.
«Eren, è tua sorella» lo avvisò. Il ragazzo si alzò di scatto e rispose. Lei voleva sapere dove fosse, con chi e quando sarebbe tornato a casa. Era tranquillo siccome Marco gli aveva detto che gli avrebbe retto il gioco.
«Sono da...» nemmeno il tempo di finire la frase che subito lo interruppe.
«Levi. Sei da lui» terminò lei con tono freddo.
«Cosa? Non è vero!» ridacchiò spensieratamente. Non doveva farla insospettire.
«Marco e Jean sono qui con me e non ti ho visto al club di calcio». Eren sapeva che sua sorella lo controllava come se fosse la sua stalker, ma non avrebbe mai immaginato che sarebbe arrivata fino a quel punto. «Non pensavo che saresti arrivato a scappare di casa... a parte che non sai niente di lui, ma poi è un adulto. Quindi ora torna immediatamente qui» gli ordinò Mikasa parecchio irritata. Si poteva sentire anche un po’ di preoccupazione dal suo tono di voce. Eren guardò Levi come per chiedergli aiuto.
«Ti accompagno a casa» gli disse alzandosi. Nel frattempo la sorella riattaccò e il ragazzo mise il telefono in tasca.
«Ma Levi...».
«Niente “ma” Eren. Il tuo piano è fallito, quindi devo parlare con i tuoi» spiegò mentre prendeva le chiavi.
«Ti ho detto cosa...» non riuscì a finire che l’uomo lo prese per mano avviandosi verso la porta.
«Senti moccioso, te l’ho già detto. Queste cose devi lasciarle ai grandi, tu cosa devi fare invece?» lo guardò prima di aprire la porta.
«Devo concentrarmi solo su di te...» rispose abbassando la testa preoccupato. Dopo di chè uscirono e presero la macchina per andare a casa del ragazzo. Nessuno fiatò. Eren ripensò alle parole di Mikasa: “Non sai niente di lui”. Era vero, non sapeva niente, ma lo amava. Lo amava al punto di scappare di casa e di mettersi contro il mondo pur di stare con lui. Però era davvero curioso di conoscerlo affondo. Con la testa abbassata e gli occhi socchiusi, il ragazzo notò una cosa di cui non si era mai accorto quando era in macchina con Levi: c’erano dei graffi sullo sportello. Spostò lo sguardo verso la parte del guidatore. C’erano anche lì. Non sembravano essere stati fatti da un animale.
“Forse un coltello? Dovrei preoccuparmi? No, non devo preoccuparmi. Sono con Levi, va tutto bene...” pensò accennando un sorriso. Guardò l’uomo. Erano fermi a un semaforo e sembrava essere irritato. Picchiettava l’indice sul manubrio aspettando di ripartire. “Dovrei chiedergli che sono quei graffi?” si chiese Eren ignaro di aver girato, oltre allo sguardo, l’intera testa verso di lui.
«Che c’è Eren?» gli domandò. Il ragazzo scese dalle nuvole tornando a guardare davanti a sé.
«Niente Levi...» prese il telefono per controllare l’ora: le tre e mezza. «È solo che ti vedevo un po’... come dire... irritato?».
«Non è niente. È che ogni volta che vado di fretta becco sempre questo dannato rosso e una fila lunghissima...» rispose sbuffando.
«Anche ora vai di fretta?» gli chiese buttandosi con la schiena sullo schienale.
«Se torni tardi saranno guai per entrambi, okay?».
«“Per entrambi”? In che senso?» Eren era confuso. “Per caso c’entrano quei graffi?” si chiese. Levi esitò prima di rispondere.
«I tuoi lo diranno ad Erwin e sarò licenziato al novantanove percento» spiegò nervoso. Il ragazzo non replicò. Rimasero in silenzio per tutto il resto del viaggio e al castano non piaceva affatto. Parlavano sempre, anche di cose stupide. Era la prima volta che nessuno dei due apriva bocca.
Una volta arrivati a destinazione, trovarono i genitori del castano alla porta. Quando scese dalla macchina e camminò nella loro direzione, la madre gli corse incontro stringendolo a sé. Eren non ricambiò per niente. Guardò suo padre: non l’aveva mai visto così serio. Iniziò a preoccuparsi quando si diresse verso di lui.
«Papà...» lo chiamò a bassa voce. L’uomo lo superò guardando fisso in avanti. Il ragazzo allora si girò: stava andando da Levi. Aveva paura. Aveva paura di cosa gli avrebbe detto. Aveva paura di cosa sarebbe successo. Aveva paura di perderlo. Il cuore gli batteva all’impazzata. Si sentiva mancare il respiro.
«Non osare più avvicinarti a mio figlio». Quelle parole furono un colpo al cuore per Eren. Levi, che era sceso anche lui dalla macchina, si mise le mani in tasca.
«Altrimenti?» lo guardò con aria di sfida.
«Mikasa vi controllerà, e tu sai bene cosa potrebbe succedere se lo dirà al preside. Dico bene, Ackerman?» pronunciò il suo cognome con disprezzo. L’altro sembrava essere messo all’angolo.
«Tsk» fu tutto quello che disse prima di guardare Eren e andarsene. Il padre invitò Eren ad entrare. Il ragazzo esitò per qualche secondo, poi si convinse ad obbedire. Lo accompagnò in cucina, dove si sedettero l’uno difronte all’altro. Si fissarono per un po’. L’uomo iniziò a parlare.
«Eren, sai chi è quell’uomo?» gli chiese.
«È il mio professore di ginnastica e il mio fidanzato... certo che lo so!» esclamò.
«Capisco... quindi non sai niente di lui» dedusse sistemandosi gli occhiali.
«Cosa dovrei sapere scusa?». Il padre gli passò il suo computer. Eren guardo prima lui poi il portatile, poi diede un’occhiata a quel che gli voleva mostrare. C’erano quattro schede aperte. Parlavano tutte di Levi. «Cosa significa?».
«Leggi». Obbedì. Erano tutti articoli di giornale.
“È famoso...” pensò a primo impatto. Lesse poi il titolo della prima scheda: “Prime informazioni sulla banda che sta scatenando il caos a Rose”. Il ragazzo sussultò. “Rose è la regione in cui è nato Levi... ma no, non può essere quel tipo di persona...” cercò di tranquillizzarsi. Continuò a leggere. Più giù c’erano i nomi dei tre componenti che sembravano essere quelli che comandavano: Furlan Church, Isabel Magnolia e Levi Ackerman. I primi due era sicuro di averli già sentiti, ma appena lesse l’ultimo nome pensò che fosse un falso.
«Questo è di sicuro un falso... Levi non farebbe mai una cosa del genere!» esclamò frustrato.
«Guarda gli altri articoli, figliolo». Ancora una volta obbedì. In quello seguente c’erano delle immagini sfocate dove non si riusciva a distinguere bene le persone che cercavano di ritrarre. Nel terzo solo parole e nel quarto altre immagini. Erano limpide e si poteva benissimo distinguere i ragazzi. Eren si ricordò solo allora dove aveva già visto e sentito quei due: erano i migliori amici di Levi che avevano incontrato il mese prima. Appena vide l’ultima immagine, gli caddero le braccia. Non poteva crederci. La foto ritraeva Levi con un coltello in mano mentre con l’altra era impegnato a pulirsi la guancia sporca di sangue. Lo sguardo fulminante che guardava verso un sacco di fianco a lui, nel quale probabilmente c’erano dei soldi. Eren spalancò gli occhi, la bocca aperta per lo shock. Spostò gli occhi verso il padre.
«Anche questo... è un falso... non è vero? Dimmi che non è vero... papà...» l’uomo chiuse il computer e se lo mise davanti.
«Sono articoli di dieci anni fa, Eren. Posso assicurarti che anche in televisione non facevano altro che parlarne. Tua madre può confermare, giusto cara?» chiese conferma alla moglie appoggiata al cornicione della porta. La donna annuì con lo sguardo basso. Il ragazzo non poteva crederci. «Mi ricordavo di aver già visto quel volto... è per questo che l’abbiamo fatto». Non rispose. «Figliolo, lo stiamo facendo per proteggerti... cerca di capire per favore».
«Io... non ci crederò se Levi non mi dirà niente!» esclamò irritato, quasi piangendo. I genitori provarono a parlargli, ma lui scappò in camera. Prese il telefono e, una volta assicurato che i due erano rimasti in cucina, chiamò Levi. Non rispose subito ed Eren iniziò a preoccuparsi. Sussurrò il suo nome mentre le lacrime rigavano il suo viso. Lui? Un ladro? E aveva un coltello in mano... quindi era anche un assassino? Forse si spiegavano anche quei graffi nella sua auto. I suoi pensieri furono interrotti dalla dolce e calda voce dell’uomo.
«Eren? È successo qualcosa? Aspetta... stai piangendo?» si preoccupò.
«Levi... è tutto vero?».
«Cosa Eren? Che ti hanno detto?» domandò ansioso.
«Quello che dicono di te su internet... i giornali, la televisione... tutto quel che riguarda dieci anni fa... Levi, è tutto vero?». Levi sussultò. Eren gli parlò allora degli articoli che gli aveva fatto leggere il padre.
«Eren... c’è un motivo per cui l’ho fatto» rispose. Ormai sapeva tutto, che senso aveva mentire?
«Ora però non sei così, vero? Quando non ci vediamo non fai quelle cose, vero? Quel che ti ho detto non riguarda anche il presente, vero?» le lacrime aumentavano.
«Domani ti spiego tutto... prima degli-».
«Mio padre stavolta non sarà così buono! Levi... non voglio rischiare...» si sdraiò sul letto cercando di asciugarsi le lacrime.
«Se non rischi non saprai mai cosa succederà». Proprio in quel momento entrò la madre, preoccupata per aver sentito il figlio piangere. «Ne riparliamo quando ti sarai calmato, okay?».
«Aspetta Levi... devi rispondermi... per favore...» lo implorò in mezzo ai singhiozzi mentre la donna si metteva a sedere accanto a lui.
«È lungo da spiegare al telefono... senti Eren, ho bisogno di riattaccare. Ci vediamo domani a scuola, okay?» gli disse in fretta.
«Levi...».
«Ti amo» finì per poi riattaccare. A quel punto, la madre prese il telefono di Eren e lo mise sul comodino. Si portò il figlio al petto e gli accarezzò dolcemente i capelli. Il ragazzo strinse la maglia della donna.
«Mamma... perché non volete? Ora... ora non è così, ve lo assicuro...» cercò di convincerla. Quando era con lui non si comportava in quel modo.
«Tuo padre ti ha fatto leggere solo gli articoli di dieci anni fa, vero? Ti ho preso il giornale del mese scorso» gli disse indicandogli il comodino. Eren si staccò e prese il quotidiano. In prima pagina c’era un accenno della battaglia fra bande con una foto in cui poteva distinguere Annie e Ymir. Solo in quel momento capì il perché non erano andate a scuola per alcuni giorni. L’articolo intero si poteva leggere nelle pagine seguenti.
«Non dicono niente di Levi... perché me lo hai dato?» chiese Eren guardando confuso la madre, che girò la pagina facendogli notare un’immagine in cui era presente l’uomo con i suoi due amici armati di coltello. «Era solo sceso a vedere cosa stesse succedendo... non ha niente a che fare con tutto questo».
«Eren, perché non vuoi capire? Perché non vuoi capire la mia preoccupazione? Se parlano ancora di lui in questo modo vuol dire che ha ancora a che fare con queste cose...» spiegò la donna abbracciandolo. «E ti conviene ascoltare tuo padre. Sai cosa può fare, vero?». Eren a quel punto si arrese e decise di obbedire. Pensava di essere forte, pensava di far quel che voleva senza che nessuno lo ostacolasse, pensava di poter vivere come voleva. Si accorse solo ascoltando quelle parole che non era vero, che con i suoi non aveva libertà, che non era forte. Aveva solo quindici anni. Forse era per quello? Forse era per quello che non poteva stare con Levi che era più grande di lui? Ma lo amava. Ed era anche debole. Avrebbe dovuto aspettare i vent’anni, quando sarebbe diventato maggiorenne, per vivere con lui. Avrebbe dovuto aspettare altri cinque lunghi anni e lui non voleva. Voleva stare con lui subito. Aveva bisogno di escogitare un piano, e quella volta ci sarebbe riuscito. 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Ogni notte sempre il solito sogno. Lui e Levi, da soli, in spiaggia a guardare il tramonto per poi baciarsi appassionatamente. Un sogno che purtroppo veniva sempre interrotto dalla voce di Mikasa che gli diceva di andare a scuola. Quando si dirigeva lì pensava a lui, mentre aspettava il suono della campanella pensava a lui, in classe pensava a lui. Durante la lezione di ginnastica desiderava con tutto il cuore chiudersi in bagno con lui e baciarlo.
Ogni giorno sempre i soliti pensieri. Ogni giorno sempre la solita agonia. Ogni giorno sempre le solite domande.
“Quando potrò parlarci di nuovo in privato?”, “Quando potrò tornare a casa sua?”, “Quando potremo tornare a stare insieme?”.
Levi se ne accorgeva sempre durante le sue lezioni che Eren stava soffrendo come lui. Lo capiva. Lo sentiva. L’unico giorno in cui avevano provato a parlarsi, Mikasa si era messa in mezzo ricordandogli le parole del padre.
Ad un certo punto, Levi non si fece più vivo a scuola. Nessuno sapeva il perché. Eren aveva anche provato a chiedere ad Hange e al preside ma entrambi sostenevano di non sapere niente. Era come sparito. I giorni senza potergli parlare erano un’agonia, ma ora che non poteva nemmeno più vederlo o avere sue notizie lo era ancora di più. I genitori lo invogliavano a stare con i compagni, Mikasa provava a farlo uscire con lei e con Armin, ma il ragazzo non riusciva a non pensare al perché Levi lo aveva abbandonato.
Dopo un po’ di giorni dalla sua scomparsa, Eren iniziò a convincersi che doveva stare anche con gli altri suoi compagni di classe.
Nel frattempo, Levi era tornato a Rose insieme a Isabel e Furlan. Di certo non si era arreso all’idea di stare con il suo ragazzo, aveva solamente bisogno di allontanarsi un po’ per pensare a come tornare da lui, a farlo di nuovo suo. Proprio per questo aveva chiesto aiuto ai suoi due migliori amici, che ormai considerava la sua famiglia.
«È una situazione complicata, fratellone» commentò Isabel all’udire la storia dell’amico.
«E tu vorresti tornare a Maria per stare con lui, Levi?» chiese Furlan sedendosi accanto a lui. Annuì. «Allora ascolta, fra due settimane noi e quegli altri della Liberio ci scontreremo di nuovo a Maria. Approfittane». Levi girò la testa.
«Posso davvero tornare durante una situazione come quella?» domandò preoccupato. Gli altri due lo guardarono confusi: non era da lui rifiutare offerte come quella.
«Quando vorresti tornare là sennò? Un’occasione così ci ricapiterà fra altri due o tre mesi e, da quanto stai soffrendo, non penso che tu voglia aspettare così tanto. Dico bene?» provò a convincerlo Furlan. Levi guardò prima il ragazzo e poi Isabel, come per chiedere conferma, come se non credesse che fosse possibile una cosa del genere. Avrebbe davvero potuto rivedere Eren quella notte? Avrebbe davvero potuto farlo suo di nuovo? Ma la cosa che più gli faceva paura era come avrebbe fatto a portarlo con sé. Come avrebbe potuto portarlo a Maria senza che nessuno se ne accorgesse. Come? Il padre l’avrebbe di sicuro fatto arrestare, l’avrebbe di sicuro fatto finire in una di quelle celle fredde, con scarso cibo, vuote. L’avrebbe di sicuro fatto finire in prigione, quel posto in cui avevano luogo violente risse fra i prigionieri se le celle si aprivano. E lui sapeva che non sarebbe sopravvissuto a tutto ciò. Non avrebbe potuto sopravvivere senza vedere il suo Eren, sapendolo preoccupato a morte per lui. Il solo pensiero lo terrorizzava. No, non sarebbe potuta accadere una cosa simile se c’erano loro, Furlan ed Isabel, al suo fianco. Di sicuro avevano un piano se gli avevano proposto quella cosa. E infatti, appena Levi accettò, i due gli spiegarono per filo e per segno quel che avrebbe dovuto fare. Anche se era un po’ preoccupato dalla reazione di una “certa persona”, prese un bel respiro ed espresse la sua opinione.
«Andrei in capo al mondo per poter stare con il mio Eren» disse marcando l’aggettivo “mio”. I due amici lo guardarono soddisfatti. Non c’era altro da fare che far passare quelle due settimane.
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ANGOLO AUTRICE
Ehilà! Scusa tantissimo per l'enorme ritardo >_< ho avuto gravi problemi ed ero talmente stressata che non avevo immaginazione e, di conseguenza, non ho potuto scrivere... SCUSATE ANCORA!!!
E NIENTEH! Mi scuso per il capitolo corto ma forse è meglio così per la suspance eheh~
Fatemi sapere cosa vi è piaciuto o, se avete delle teorie sul piano dei nostri tre amichetti, scrivete pure! Sono curiosa di leggere le vostre opinioni :3
Detto questo, al prossimo capitolo!
-Erika-
 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Quelle due settimane passarono velocemente ed Eren, come sempre, era appena uscito da scuola e si stava dirigendo al condominio dove abitava Levi. Era solito mettersi davanti alla sua porta e scrivergli una lettera nella quale raccontava la sua giornata scolastica, per renderlo fiero del suo fidanzato. Perché Eren ci credeva. Credeva che un giorno sarebbe tornato. Credeva che avrebbe letto tutte quelle lettere. Credeva in lui, nell’uomo che amava più di se stesso.
Appena finito di scrivere la lettera, era indeciso se farla passare sotto la porta o entrare direttamente. L’ultima gli sembrava un po’ rischiosa e impossibile, siccome non aveva le chiavi. Aveva, però, una voglia tremenda di rimettere piede in quella che doveva diventare la sua casa qualche settimana prima. Guardò quindi dentro il suo zaino se aveva qualcosa per aprire la porta. In mezzo a quel miscuglio di libri e quaderni, riuscì a trovare una graffetta sottile. Inserita nella serratura, iniziò a girarla pregando che si aprisse. Dopo un paio di tentativi ci riuscì. Vide tutte le lettere che aveva scritto nelle ultime settimane davanti a sé e non poté che prenderle e metterle sul tavolo. Torno sull’uscio per prendere lo zaino per poi chiudere la porta. Si sentiva come a casa. Si girò: era tutto come l’avevano lasciata quel giorno.
“Quindi Levi non è tornato da allora...” pensò il ragazzo guardandosi intorno. Posò lo zaino sulla sedia, prese la scopa e si mise a spazzare. C’era molta polvere e di sicuro non sarebbe piaciuto a Levi! Arrivato in camera sua, si fermò davanti al comodino: c’erano delle foto che raffiguravano l’uomo insieme ai suoi due amici. Non erano come quelle che gli fece vedere il padre quel giorno, queste erano completamente differenti e Levi, in una di esse, stava addirittura sorridendo.
“Lo sapevo... lo sapevo che non era un cattivo ragazzo. Magari avrà fatto qualche crimine, ma ora è cambiato. Perché non lo vogliono capire...?” pensò Eren prendendo una foto in mano. Si mise a sedere sul letto senza smettere di guardare la foto, in particolare Levi. Gli occhi gli divennero lucidi, poi qualche lacrima iniziò a scendere.
“Levi...” lo chiamò in mezzo ai singhiozzi. “Quando torni...? Non credo di poter resistere ancora a lungo senza di te...”. Si sdraiò stringendo la foto al petto. Il ragazzo iniziò a sentire la sua mancanza. Si addormentò per la troppa stanchezza.
Passò qualche ora e Levi era arrivato a Maria insieme a Isabel e Furlan. Dopo la notizia uscita sul giornale, fecero molta attenzione ai poliziotti che c’erano nei dintorni e si vestirono in modo da non farsi riconoscere. Dopo aver aspettato qualche minuto, salirono finalmente sull’autobus che doveva portarli a casa di Levi.
«Ricordi cosa devi fare, vero fratellone?» gli chiese Isabel mettendosi a sedere.
«Devo solo entrare a prendere le chiavi della macchina, andare a casa del moccioso e convincere i suoi. Mi sembra abbastanza semplice, anche se non ho capito perché dovevo aspettare proprio oggi» rispose Levi esponendo i suoi dubbi. Proprio non capiva. Era una cosa che poteva fare anche il giorno seguente, perché farlo la notte della battaglia fra bande? Furlan gli diede una pacca sulla spalla.
«Ancora non l’hai capito? Se lo fai stanotte, i suoi genitori penseranno che non sei coinvolto in tutta questa confusione, no? Fagli vedere come stanno davvero le cose, Levi» gli spiegò incitando l’amico. L’uomo allora capì e promise che ce l’avrebbe messa tutta.
Arrivò la sera e Levi si diresse verso il suo appartamento. Avanzò lentamente tormentato da pensieri. E se il piano fosse fallito? E se i genitori di Eren non lo avessero accettato comunque? Dopotutto era un adulto con un passato da criminale... chi mai avrebbe gradito la presenza di qualcuno che, pur di vivere una vita migliore, aveva abbandonato la madre e i suoi amici? E se, quando gli avrebbe raccontato tutto, Eren non lo avesse accettato? Se lo avesse abbandonato?
“Non posso pensare a queste cose... dannatamente stupide!” pensò Levi mentre camminava verso la porta della sua abitazione. Appena fu davanti, prese le chiavi e aprì la porta. Eren, che era ancora nella camera dell’uomo a dormire, appena sentì il rumore della serratura si allarmò. Scattò giù dal letto, ripose la foto e si precipitò fuori dalla stanza. Pregò con tutto il cuore che fosse Levi. Quando fu in cucina, quasi pianse dall’emozione: era davvero lui.
«Levi...?» lo chiamò guardandolo incredulo. «Sei davvero tu, Levi...?» continuò avvicinandosi all’uomo, anche lui sorpreso nel vederlo nel suo appartamento.
«Eren...?» rispose mentre il ragazzo lo abbracciò piangendo di gioia. «Eren, che ci fai qui? È sera... non dovresti essere a casa?» gli chiese preoccupato mentre gli accarezzava i capelli. L’altro non riuscì a rispondere dalle troppe lacrime. Levi, allora, aspettò che si riprese per parlargli. Era felice ma allo stesso tempo confuso: come aveva fatto ad entrare Eren se non aveva nemmeno le chiavi? Possibile che non abbia ricevuto nessuna chiamata dai suoi genitori o da Mikasa? Immerso nei suoi pensieri, l’uomo fece sedere il ragazzo sul divano e provò ad avere una conversazione con lui. «Eren» lo chiamò guardandolo negli occhi.
«Levi...» rispose l’altro asciugandosi le lacrime.
«Perché sei qui? Non devi essere a casa?» gli chiese prendendogli la mano per farlo tranquillizzare.
«Volevo solo vedere se in questi giorni eri tornato e...» gli disse guardando verso il tavolo. «... e ti scritto delle lettere ogni giorno. Vuoi leggerle o...?» Eren non riuscì a finire per l’espressione che aveva Levi in quel momento: rosso in viso, sembrava addirittura che volesse piangere. Il ragazzo gli accarezzò il viso facendolo avvicinare al suo e lo baciò. Non era un bacio come tutti gli altri, quello era molto più dolce e passionale. L’uomo trattenne le lacrime. Questa volta non c’era nessuno ad interromperli, né un telefono, né Armin e neanche Mikasa. Niente e nessuno. Solo un pensiero che preoccupava Levi: l’ora dell’inizio della battaglia fra bande. Guardò l’orologio: le undici e un quarto. Sarebbe iniziata a mezzanotte. Doveva sbrigarsi ad andare a casa di Eren per farsi accettare. Si staccò quindi dal ragazzo scusandosi per poi spiegargli tutto. Il castano capì la situazione, quindi l’uomo prese le chiavi della macchina e si affrettarono ad andare in macchina.
«Sicuro che funzionerà?» domandò Eren ansioso. Dopo la reazione dell’ultima volta aveva paura di cosa potesse succedere se si fosse ripresentato.
«Certo. E se non funziona, lo faremo funzionare in qualche modo» rispose Levi concentrato a guidare. Al ragazzo scappò una risatina. L’uomo gli buttò un occhio. «Perché ridi, Eren?».
«È solo che...» iniziò abbassando la testa sorridendo. «Se penso a come siamo arrivati fin qui...» si fermò ripensando a tutto quello che avevano passato fino a quel momento. Levi si limitò a ricambiare il sorriso.
Arrivarono dieci minuti prima di mezzanotte. L’uomo prese il telefono per avvertire Isabel e Furlan che era giunto a destinazione con Eren. Aspettarono la mezzanotte in punto prima di scendere. Quando furono davanti alla porta d’ingresso, il ragazzo sussultò e Levi gli tenne la mano per rassicurarlo.
«Andrà tutto bene, vedrai» gli disse guardandolo. Eren annuì, quindi l’altro poté bussare. Furono entrambi i genitori ad aprire. La madre era come scioccata mentre il padre serio come sempre. Squadrò Levi.
«Che vuoi ancora, Ackerman? Non ti avevo per caso avvertito?». Il tono era severo, più severo dell’ultima volta. Eren iniziò ad avere paura.
«E allora? I suoi avvertimenti non mi fanno paura se c’è Eren di mezzo, signor Jaeger» rispose l’altro con aria di sfida, sicuro di sé.
«So cos’hai fatto e non voglio che io figlio si metta con una persona del genere, soprattutto se ha ancora a che fare con “quelle cose”» continuò il padre.
«Mi spiace deluderla, ma “quelle cose” non mi riguardano più. Ed Eren lo sa benissimo» disse Levi che, sentendo tremare il ragazzo, gli accarezzò la mano.
«Non mentirmi, Acker...» le sue parole furono interrotte da spari e urla provenienti da un posto vicino. «Non vai da loro?».
«Da quando sono a Maria non mi riguarda. Ora come ora voglio solo stare con Eren, l’unico ragazzo che non mi ha trattato come un criminale pur sapendo tutto». Era vero. Levi gli aveva raccontato tutto in macchina e il ragazzo lo accettò lo stesso. Il padre guardò allora il figlio, che prese fiato per poi rispondere.
«È vero, papà. So chi è, cosa fa, dove abita ma nonostante questo lo amo e sono felice quando sono con lui» gli spiegò. Fu un colpo al cuore per entrambi i genitori l’udire quelle parole. Avevano una buona reputazione a Shiganshina e non volevano rovinarla. «Ve lo chiedo per favore! Mamma, papà! Mi avete sempre detto che volevate la mia felicità, e ora che l’ho trovata non lo accettate?!» implorò Eren con le lacrime agli occhi. Ci fu qualche momento di silenzio. A spezzarlo furono dei passi che si dirigevano verso di loro.
«Sei davvero felice con lui, Eren?» gli chiese Mikasa, che era rimasta ad ascoltare la conversazione in cucina fino a quel momento. Il fratello annuì. «Tu, razza di nanetto, sei sicuro di poterlo rendere felice?» domandò poi a Levi un po’ irritata. L’uomo rispose di sì. A quel punto, la ragazza guardò i genitori. «Io li vedo sicuri e decisi. Per me è sì, per voi?» chiese conferma. Cosa potevano fare loro se non arrendersi al desiderio del loro figlio? Quando anche i genitori accettarono, Eren si sentì in dovere di ringraziare la sorella e, istintivamente, di abbracciare Levi. Finalmente ce l’avevano fatta. Finalmente erano riusciti a convincerli. Finalmente avevano vinto. Dopo circa due mesi, avevano ottenuto la libertà di amarsi apertamente. Dopo circa due mesi, potevano dirsi finalmente felici.
Ma ora torniamo alla nostra scuola e al suo vero scopo: battere la Liberio, la scuola media-superiore che fino a quel momento non era mai stata sconfitta, se non a basket.
Le gare si tennero a Marzo, l’ultima settimana di scuola. I ragazzi della classe di Levi si dimostrarono molto più bravi rispetto a quelli dell’altro istituto. Vinsero di brutto contro di loro, tanto che ricevettero tutti la medaglia d’oro. Ma ad Eren importava poco assai. Aveva vinto una battaglia ancor più difficile di quella, ancor più dolorosa, dove in gioco c’era la sua libertà, la sua felicità. E questo era l’importante.

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Capitolo 16
*** Epilogo ***


Il giorno seguente al fidanzamento ufficiale di Eren e Levi, il ragazzo tornò a scuola più felice che mai. Entrato in classe, tutti lo guardarono. Confuso, si mise a sedere al suo posto.
«Jaeger» lo chiamò Jean. Eren si girò verso di lui. «Sai per caso dov’è il professor Levi? È in ritardo» gli chiese mentre Marco gli scosse la spalla come per farlo stare zitto.
«Aveva detto che doveva chiarire una cosa con il preside e poi sarebbe venuto...» gli rispose il ragazzo ignaro delle sue intenzioni. Forse voleva stuzzicarlo? Però avevano fatto pace e l’aveva anche aiutato con il suo piano, fallito... che senso aveva?
«E dimmi...» iniziò Jean guardando il resto della classe. «Come fai a saperlo? Per caso siete venuti a scuola insieme?» gli domandò mentre gli altri sorridevano.
«Jean, dove vuoi arrivare?!» si irritò Eren. L’altro lo incitò a rispondere, quindi il ragazzo non poté che dire “sì”. A quel punto, Sasha non riuscì a trattenersi.
«Quindi il fidanzamento è ufficiale?» gli chiese stringendo i pugni portandoli al petto, emozionata. Il castano si girò verso di lei per poi guardare tutti gli altri suoi compagni. Solo allora capì. Chiuse gli occhi e sospirò.
«Sì, i miei lo hanno accettato...» dichiarò infine sorridendo soddisfatto. La classe, allora, andò da lui a congratularsi e iniziarono una piccola festa. Anche Annie, che fino a quel momento si era esclusa da cose del genere, si unì a loro con un sorriso, felice per il suo compagno di classe. Aveva un cerotto sul viso e l’avambraccio destro fasciato. Anche Reiner, Bertholdt e Ymir erano feriti. Quella notte non l’avevano presa molto bene, tanto che stavano per perdere. Se non era per la polizia avrebbero di sicuro perso. Avevano perso molti più ragazzi dell’ultima volta. Erano tutti ragazzi senza famiglia che vivevano insieme nel loro rifugio. Lo stesso valeva per Ymir: essendo stata abbandonata in tenera età, viveva con loro. Era la più grande e si prendeva cura di tutti. Per questo era la più triste del gruppo, anche se non lo mostrava.
Proprio in quel momento entrò Levi. Gli alunni non si misero affatto a sedere. Anzi, gli chiesero se per quel giorno poteva evitare di interrogare vista la situazione.
«Va bene, ma solo per oggi» rispose il professore serio con le braccia incrociate. I ragazzi esultarono. Unirono i banchi, presero tutto il cibo che avevano e lo misero su di essi in modo da formare una specie di banchetto. Levi, vedendo i quattro studenti feriti, andò da loro a chiedere della battaglia fra bande di quella notte. Ebbero un attimo di esitazione, poi Ymir parlò.
«È stata dura, molto. Abbiamo perso molti dei nostri... se non fosse stato per la polizia, a quest’ora eravamo tutti morti» dichiarò a testa bassa.
«I vostri capi? Isabel e Furlan?» gli domandò l’uomo preoccupato per i suoi migliori amici. Non si erano fatti sentire quella mattina. Pregò con tutto il cuore che non gli fosse successo niente.
«Stia tranquillo. Anche loro hanno combattuto con qualche difficoltà, ma stanno bene. Penso che siano nel rifugio insieme ai ragazzi» lo tranquillizzò lei. Levi tirò un sospiro di sollievo. Ad un certo punto, Sasha andò da loro. Aveva un onigiri in mano.
«Prof, ne vuole metà?» gli chiese sorridendo porgendogliene metà. L’insegnante guardò prima l’alunna e poi l’onigiri.
«Grazie, Blouse» la ringraziò prendendolo. La ragazza, allora, sorrise soddisfatta. Arrivarono anche Jean e Connie che gli offrirono del tè, la sua bevanda preferita. Levi li guardò stupito.
«È una festa per lei ed Eren, no?» gli disse Jean mentre Connie gli porse la tazza di tè. L’uomo la prese ringraziandoli.
Festeggiarono per entrambe le ore del professor Levi. Alla fine della loro seconda ora, gli alunni incitarono Eren a baciarlo. Armin e Marco erano pronti a registrare e a fare foto, gli altri si limitarono a guardare e, quando ci fu il bacio, gioirono urlando “congratulazioni”. L’arrivo della professoressa Hange segnò la fine delle due ore di Levi, che se ne andò ringraziando i ragazzi per quella piccola festa organizzata sul momento. L’insegnante, posizionata alla cattedra, anticipò la lezione agli alunni.
«Siccome oggi è un giorno di festa per tutti in questa classe, parliamo di qualcosa molto bello» iniziò guardando in faccia i ragazzi. Li fece aprire il libro alla parte della riproduzione. Qualcuno rise. «Chi mi sa dire come nascono i bambini?» domandò a tutti. Connie alzò la mano.
«Li porta la cicogna, prof!» scherzò facendo ridere l’intera classe.
«Esatto!» gli disse Hange guardandolo soddisfatta. «Questo sarebbe quello che direi se tu fossi alle elementari, Springer» continuò. Si schiarì poi la voce. «Sperando che gli altri lo sappiano, inizio la lezione» avvertì gli alunni mettendosi a sedere. Durante la spiegazione ci furono delle risatine provenienti dagli ultimi banchi.
«Quindi la mia Historia non potrà avere bambini?» chiese Ymir alzando la mano.
«Abbiamo anche una coppietta di ragazze? Che bella classe!» esclamò la professoressa ridendo. «Comunque no, in quel caso bisogna adottarlo» le rispose. Guardò poi Eren. «La stessa cosa vale sia per Eren e per Levi sia per gli altri due lì dietro» disse indicando Jean e Marco. Subito i due arrossirono.
La lezione si trasformò da un qualcosa di imbarazzante a una delle più divertenti di quei mesi. Per questo, quando la campanella suonò, tutti pregarono la professoressa di continuare anche per l’ora successiva, anche se sapevano che non poteva. Le ore seguenti le passarono chiacchierando fra di loro.
Finita la giornata scolastica, tutta la classe saltò le attività dei loro club per andare a festeggiare fuori. Andarono in un locale vicino dove ci restarono per tutto il pomeriggio. Per la prima volta da Aprile, l’intera classe si riuniva dopo la scuola parlando, mangiando normalmente senza che nessuno litigasse. Si fecero anche molte foto, soprattutto di gruppo. Cosa molto rara se pensiamo a tutti i litigi avvenuti in quei mesi, non solo fra Eren e Jean ma anche fra Ymir e Reiner. Erano soliti discutere per Historia. La castana non aveva capito che il ragazzo si era ormai arreso una volta saputo del loro fidanzamento.
Levi, nel frattempo, era tornato a casa. Eren lo aveva avvertito della loro uscita, quindi non aveva senso rimanere a scuola. Era felice per il ragazzo, che finalmente aveva iniziato a trovarsi bene con tutti i suoi compagni di classe.
Una volta arrivato davanti al suo appartamento, aprì la porta e trovò la luce spenta. Sentiva, però, un certo odore di cioccolata. Quando accese la luce, sentì un “Congratulazioni!” pronunciato in coro da una voce femminile e una maschile. Si girò e vide Isabel e Furlan in piedi davanti a lui. La donna stava tenendo una torta in mano con su scritto “Congratulazioni per il vostro fidanzamento”. Si avvicinò a loro non sapendo cosa dire. Era la prima volta che non trovava parole per descrivere il suo stato d’animo. Non sapeva se essere felice per quella bellissima sorpresa o preoccupato per le loro ferite. Anche loro, come i suoi quattro alunni, avevano bende e cerotti sparsi per il corpo.
«Fanno male?» gli chiese infine guardando le fasciature.
«Dopo aver dormito no, sta tranquillo Levi» lo tranquillizzò Furlan.
«Esatto fratellone! Se facevano male, non saremmo mai riusciti a prepararti questa torta!» esclamò Isabel sorridendo. Levi allora lasciò perdere. Se dicevano così, doveva essere vero.
Anche loro festeggiarono per tutto il pomeriggio. I due amici se ne andarono quando arrivò Eren. Il ragazzo, una volta salutati i suoi compagni, aveva deciso di andare da Levi. Si sentiva in colpa per averlo lasciato da solo proprio nel giorno più importante per loro due. Rimasti soli, non riuscirono a parlarsi. Erano uno di fronte all’altro ma non volava una mosca. Continuavano a guardarsi negli occhi. Il castano stavolta non arrossì subito né si imbarazzò. Levi aveva le braccia incrociate e la sua solita poker face.
«Levi...» iniziò Eren. «Mi dispiace di averti lasciato da solo oggi...» abbassò lo sguardo dispiaciuto.
«Come tu sei stato con i tuoi amici, io sono stato con i miei. Quindi non direi di essere rimasto solo oggi» gli disse con il suo solito tono. Nessuna espressione. Nessun emozione. Niente.
«Levi, posso chiederti cos’hai?».
«Sto solo aspettando, Eren». Il ragazzo non capiva.
«Aspettando cosa?».
«Volevi fare l’attivo qualche settimana fa, no?» gli ricordò Levi senza smettere di guardarlo. Eren allora arrossì. L’uomo sospirò. «Sei proprio un caso perso, piccolo». Il castano alzò gli occhi sorpreso. “Piccolo”? Levi non aveva mai usato soprannomi del genere con lui.
«“Piccolo”...?» domandò stupito.
«Di solito i fidanzati usano nomignoli come questi, no? E poi sei più piccolo di me, quindi penso vada bene» rispose lui come se fosse la cosa più ovvia al mondo. Eren gli sorrise dolcemente mentre gli si avvicinava.
«Non usarli se non vuoi. E poi, non mi sembri il tipo da chiamare qualcuno “piccolo” o “tesoro” e roba del genere» gli disse accarezzandogli la guancia.
«Allora continuerò a chiamarti “moccioso”, va bene?».
«Come vuoi tu, Levi» rise il ragazzo. Ci fu qualche secondo di silenzio, nei quali non fecero altro che guardarsi negli occhi in una maniera così intensa che Eren dovette trattenersi dal baciarlo.
«Eren» lo chiamò Levi con un tono dolce, forse il più dolce che avesse mai fatto.
«Sì?».
«Ti amo» dichiarò sorridendo. Fu un sorriso caldo, di quelli che ti fanno arrossire da quanto sono belli. Il ragazzo si stupì un’altra volta, poi ricambiò.
«Ti amo anch’io, Levi» disse per poi baciarlo.

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