A flight history

di Laylath
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. Vista sfocata ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. La bambina con gli occhiali ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2. Lasciare il nido ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3. Rudimenti di vita ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4. Insostenibile leggerezza ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5. Preludi di cambiamenti ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6. Stupida quattrocchi ***



Capitolo 1
*** Prologo. Vista sfocata ***


Prologo. Vista sfocata.

 

Distretto di Shiganshina, 850.
 
Il dolore all’occhio sinistro la faceva impazzire.
Sentiva tutto attorno la pelle tirare e bruciare in maniera insopportabile mentre le bende sporche di terra e sangue le venivano levate con tutta la gentilezza possibile. Un lembo trascinò con sè una ciocca di capelli attaccata alla sua carne e questo le fece sfuggire un gemito involontario.
“Mi dispiace, signora – si scusò Jean con fare contrito, mentre continuava la sua medicazione – ma qui è un vero e proprio disastro”.
“Tranquillo” sospirò lei, cercando di stare ferma e chiudendo l’occhio sano. Vedere tutto in maniera sfocata non faceva che aggiungere un fastidio ad una situazione già difficile da sostenere.
Si sentiva stanca, prosciugata, tutto quello che voleva fare era sdraiarsi e farsi una lunghissima dormita che la aiutasse a dimenticare almeno per qualche ora quanto aveva appena vissuto. Un oblio dove non c’erano morte e distruzione, dove nemmeno lei esisteva davvero e dunque non poteva provare quel dolore così tremendo.
Smettila di pensarci – si rimproverò – rispetto a Sasha ti è andata anche bene. Per non parlare di tutti quelli che sono morti… tu sei viva e relativamente illesa.
Tuttavia il suo corpo la pensava in maniera diversa. Ora che la fase d’emergenza e d’azione era finita, non poteva fare a meno di provare un grosso senso di malessere per esser stata ferita all’occhio. Fosse stato in altre parti del corpo avrebbe accettato la cosa con maggior facilità, ma quella era la sua zona sensibile sin da quando era piccola.
“Dannazione, c’è ancora qualche frammento delle lenti rotte nella carne – sbottò Jean con un sibilo frustrato – deve aver pazienza, signora: dovrò usare le pinzette per levarli prima di bendare di nuovo”.
“Va bene” annuì lei, cercando di non irrigidirsi troppo a quella rivelazione. Involontariamente il suo occhio buono si serrò e anche la palpebra del sinistro cercò di fare altrettanto, provocando una nuova scarica di dolore.
Sentì il soldato che frugava nella cassettina del pronto soccorso, un fastidioso tintinnare di attrezzi chirurgici che le fece serrare le labbra con timore. Perché aveva così tanta paura di una medicazione dopo che aveva appena vissuto l’inferno uscendone viva per miracolo mentre tanti altri erano morti?
Quel dolore doveva essere niente per lei, eppure…
“Lascia, ci penso io”.
“Va bene, capitano. Allora torno da Sasha per vedere le sue condizioni”.
Il rumore dei passi che si allontanavano indusse Hanji ad aprire l’occhio destro giusto in tempo per vedere Levi che si inginocchiava alla sua altezza e la scrutava con attenzione. La sua vista ci impiegò qualche secondo per mettere bene a fuoco il suo viso: non c’era più traccia del sangue di tutti i giganti che aveva ucciso, sembrava che fosse appena rientrato da una semplice passeggiata. Solo il viso tirato ed i capelli scuri leggermente arruffati non rientravano nel concetto di ordine di Levi.
Si scrutarono qualche secondo e poi l’uomo allungò la mano che teneva le pinzette ed Hanji fu costretta a chiudere gli occhi per evitare almeno la parte visiva di quella medicazione così penosa.
Uno… due… tre… sembrava che i suoi occhiali si fossero disintegrati in decine di crudeli frammenti che avevano deciso di penetrare in profondità. Per quanto la mano di Levi fosse precisa, ogni volta era un piccolo mondo di bruciore che la torturava fino a quando non veniva sostituito da un nuovo focolaio di dolore.
Le parve un miracolo quando la voce di lui annunciò il fatidico “finito”.
“Grazie” sospirò Hanji, riuscendo finalmente a rilassare le mani che aveva tenuto serrate in grembo sino a quel momento.
Seguendo le indicazioni sollevò la testa e permise all’acqua fresca della borraccia di bagnarle tutto il viso, dando un minimo di sollievo alla parte ferita.
“Non dovrebbe fare infezione, mi pare abbastanza pulita – continuò Levi, mentre prendeva un rotolo di garza e iniziava a farle una nuova fasciatura – ovviamente bisognerà cambiare spesso la medicazione durante il viaggio di ritorno”.
“Viaggio di ritorno – Hanji sospirò disperata nel pensare a quanto li attendeva per tornare a casa. Il desiderio di sprofondare nell’oblio si fece di nuovo prepotente – ma prima dobbiamo pensare al sotterraneo della casa di Eren. Armin si è svegliato?”
“Non ancora, credo dormirà qualche ora prima di riprendersi. Un qualcosa che suggerisco anche a te, quat… Hanji”.
“È così strano vedermi senza occhiali?” riuscì a sorridere lei, notando quella lieve esitazione.
“Adesso dormi – scrollò le spalle Levi, chiudendo la cassettina dei medicinali e alzandosi in piedi – così stremata non sarai di molta utilità”.
Senza lasciarle tempo di replicare si allontanò lungo il muro, dalla parte opposta rispetto al piccolo accampamento di fortuna che avevano ricavato per permettere ad Armin di riprendersi e per curare Sasha… e anche lei. Un minuscolo angolo di sicurezza dopo il disastro che era successo.
Consapevole che il suo corpo le chiedeva un minimo di riposo, la donna obbedì al consiglio di Levi e si sdraiò nel giaciglio da campo che le era stato preparato. Stupidamente allungò la mano verso il viso per levarsi gli occhiali in un gesto abituale, ma la mano si bloccò a metà strada.
“Sciocca…” sospirò con un sorriso amaro, sistemandosi meglio sul duro cuscino.
L’incoscienza l’avvolse quasi subito, segno che era davvero stanca.
Si rassegnò all’idea di avere il sonno tormentato dai ricordi di quanto successo nelle ore precedenti, ma il suo ultimo barlume di coscienza le trasmise una sensazione di estrema sorpresa.
“Occhiali? Sul serio mia figlia deve portare gli occhiali?” disse una voce che non sentiva da anni.
Mamma?


 


___________________
Salve a tutti.
Dato che la mia fase di fissazione per AoT prosegue, ho deciso di buttarmi in questa long sul personaggio di Hanji.
Partendo dal prologo, ambientato fra il capitolo 84 e il capitolo 85 del manga, tornerò indietro negli anni per sviluppare la storia della nostra Quattrocchi preferita, andando addirittura alla sua infanzia. Sarà interessante vedere la sua crescita, le sue motivazioni, le sue scelte... vedere come si svilupperanno i rapporti con quelli che poi saranno i suoi compagni della Legione Esplorativa. Riprenderò anche i fatti noti del manga, sebbene cercherò di andare soprattutto sui missing moments, su quei dietro le quinte che tanto ci piacciono.

E niente, sarò felicissima se vorrete seguirmi in quest'avventura, in questo volo entusiasta della nostra cara Hanji ^^

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1. La bambina con gli occhiali ***


Capitolo 1. La bambina con gli occhiali.

 

Distretto di Karanes (Wall Rose), 828.
 
La bambina sbirciò con curiosità il dottore che, andato verso uno degli armadi presenti nel suo studio, iniziava a frugare in uno dei tanti cassetti. Istintivamente i suoi occhi si strinsero per mettere a fuoco quella figura distante alcuni metri, in modo da poter capire cosa stesse prendendo, ma il suo tentativo venne stroncato dalla mano di sua madre che le strinse la spalla con rimprovero.
“Non strizzare così gli occhi che ti vengono le rughe anzitempo, Hanji – le sussurrò la donna – ti mancavano soltanto gli occhiali, santa pazienza. L’ho sempre detto che il leggere troppo ti avrebbe provocato solo guai. Ne è certo, dottore – proseguì poi a voce più alta, riprendendo un tono tranquillo – insomma ha appena otto anni: magari i problemi alla vista le passano da soli”.
“Signora Zoe – rispose il medico, tornando verso loro con un paio di lenti in mano – il problema alla vista di sua figlia è destinato a peggiorare se non si pone rimedio. Molto bene, bambina, adesso chiudi l’occhio destro e guarda col sinistro attraverso questa lente che ti metto davanti. Come ti sembra?”
“Nitido!” esclamò Hanji con entusiasmo, vedendo i contorni prendere improvvisamente forma. Le sue piccole dita afferrarono quell’affascinante oggetto per portarselo ancora più vicino e poterlo esaminare con attenzione.
“Molto bene, proviamo anche con l’altro – annuì il medico con un sorriso soddisfatto – decisamente meglio anche in questo caso, vero?”
“Proprio! – il sorriso della bambina era estasiato – che cosa sono?”
“Lenti, mia cara. Se mi concedi qualche minuto ti prendo le misure e procederò a creare la montatura adatta”.
Hanji dovette trattenersi per stare ferma mentre il medico le misurava la testa con uno strano attrezzo. Aveva mille domande da fare su come funzionava e su quale fosse il principio che faceva in modo che tramite quei curiosi pezzi di vetro trasparenti ci vedesse molto meglio. Ma a pochi passi da lei sentiva la presenza di sua madre che la sorvegliava: le aveva promesso di comportarsi bene dal medico, di non disturbarlo con le sue domande insistenti e di fare la bambina educata.
Così dovette restare buona fino a quando l’uomo andò in un’altra stanza per procedere assemblare i suoi nuovi occhiali. A quel punto Hanji non si trattenne più.
“Mamma, hai visto che cosa fantastica? Ci vedo senza problemi con quelle lenti! Anzi, forse ora riuscirò a vedere meglio di qualsiasi altro bambino!”
“Povera me, che mi tocca a sentire – scosse il capo Agatha Zoe – invece di essere così entusiasta perché non pensi al fatto che ora sarai costretta a portare gli occhiali? Già immagino tutti i commenti del vicinato! Quando mai si è vista una bambina con gli occhiali. Sai chi li porta? Il vecchio maestro della scuola di tuo fratello!”
Hanji stava per ribattere che allora voleva dire che era intelligente come quel signore anziano che la salutava sempre, tuttavia intuì che non era il tipo di risposta che voleva sentire sua madre. D’istinto cercò di assumere una posizione più dritta e composta sull’alto sgabello dove stava seduta, immobilizzando immediatamente le gambe che non avevano smesso di ciondolare per tutto il tempo e posando le mani in grembo, nella posa da signorina che le era stata insegnata.
Tuttavia i suoi occhi continuavano a vagare per quel meraviglioso ambiente pieno di cose interessanti. Per quanto coi contorni sfocati, riusciva ad individuare tantissimi oggetti di cui non sapeva la funzione e nella sua mente si immaginava maneggiarli con perizia per fare cose strane e misteriose che riuscivano a guarire le persone.
“Ecco qua, scusate l’attesa – disse il medico dopo qualche minuto, rientrando nella stanza – molto bene, signorina: vediamo un po’ come ti stanno”.
“Speriamo solo che non siano… troppo evidenti!” commentò la signora Zoe.
 
La famiglia Zoe viveva in uno dei quartieri commerciali del distretto di Karanes.
Horace Zoe aveva ereditato dal padre un rinomato negozio di tessuti che egli gestiva con grande passione e abilità, tanto che la sua fama era giunta anche negli altri distretti del Wall Rose. Anni prima aveva consolidato la sua posizione sociale sposando una giovane di buona famiglia che, tra le altre cose, aveva portato con sé una ricca dote che aveva permesso di ampliare l’attività già ben avviata.
Hanji era la secondogenita della coppia e, ad essere sinceri, non era quello che si poteva definire il fiore all’occhiello della famiglia, come invece ci si aspettava da una figlia.
La madre, Agatha, aveva riposto in lei tutte le sue speranze: dopo aver messo alla luce un maschio aveva ardentemente desiderato una bambina per poter fare di lei una piccola principessa. Ed, effettivamente, considerato che entrambi i genitori erano di aspetto gradevole, così come il primo figlio, ci si aspettava che anche la bambina venisse su parecchio graziosa.
Tuttavia Hanji, all’età di otto anni, non sembrava soddisfare le grandi aspettative materne a partire dall’aspetto fisico. Era alta e slanciata per la sua età ma tremendamente scomposta: era come se in lei ci fosse una goffaggine innata che nessuna lezione di postura e comportamento riusciva a correggere.
Ogni suo gesto, discorso, modo di muoversi era esagerato, quasi fosse posseduta da un’energia troppo grande per il suo corpo da bambina. A questo si aggiungeva un viso dai tratti non certo delicati, a partire dal naso che prometteva giorno dopo giorno di diventare pronunciato, alla faccia dei nasini piccoli e all’insù delle altre bambine, e dal mento troppo generoso. I capelli castani risultavano particolarmente ribelli a qualsiasi pettine, tanto che la madre sin da piccola era stata costretta a legarli in due arruffate trecce.
L’unico tratto di rilievo in quel viso erano gli occhi: grandi, di un bel castano chiaro, avevano una luce e una vivacità fuori dal comune capaci di rendere accattivante il suo sguardo.
“Peccato che ora ci sono questi occhiali a rovinare tutto!” protestò Agatha quella sera, mentre la famiglia era intenta a cenare.
“L’importante è che la bambina ci veda bene e non abbia più quei mal di testa – disse con semplicità Horace – il resto è di secondaria importanza”.
“Adesso potrò riprendere a leggere i libri, papà?” chiese Hanji con grande aspettativa.
“Non vedo perché no”.
“Grandioso!”
“Invece di perdere troppo tempo coi libri dovresti pensare maggiormente al tuo modo di comportati, Hanji – scosse il capo la madre – adesso che hai gli occhiali è indispensabile che il tuo atteggiamento sia più consono ed educato: dobbiamo fare in modo che le persone vadano oltre questo dettaglio”.
“Sì? – la bambina si levò gli occhiali e li osservò con un sorriso – per me non sono così male, mi aiutano a vedere bene”.
Davanti a quell’affermazione così spontanea, Gerard, il figlio maggiore, non riuscì a trattenere una piccola risata divertita. Questo richiamò subito l’attenzione delle due femmine di casa; tuttavia, mentre la madre gli lanciò una lieve occhiata di rimprovero, Hanji rispose con un furbo sorriso.
Sicuramente lui vorrà sentire tutto quello che ho visto nello studio del dottore – pensò con gioia la piccola.
 
“… e quindi ho immaginato che prendevo quell’attrezzo e aprivo la bocca di una persona coooooosì – Hanji nella foga si mise in piedi sul letto del fratello e allargò le braccia più che poteva, come un pescatore che vanta una preda davvero esagerata – e vedevo tutto quanto, anche in fondo alla gola! Sarebbe davvero interessante, non pensi anche tu?”
“Spero che tu non abbia detto simili cose davanti alla mamma” ridacchiò Gerard, seduto alla sua scrivania intento a finire una composizione per la scuola.
“Proprio no! – scosse il capo la bambina, ricadendo seduta a gambe incrociate, totalmente incurante della camicia da notte abbottonata male. Coi capelli sciolti che le ricadevano disordinati sulle spalle era uno spettacolo davvero buffo – Però un giorno saprò come funzionano tutte quelle cose, vedrai! Nei tuoi libri di scuola non si dice niente?”
“La medicina non rientra tra le materie che studiamo a scuola, sorellina”.
“Voglio andare pure io a scuola – sbuffò lei, mettendosi a braccia conserte e gonfiando le guance – non capisco perché le femmine non possono”.
“Per voi basta un’istruzione più semplice che si può dare a casa. Ma tu hai sempre i libri della biblioteca di papà, no?”
“Scommetto che a scuola imparerei un sacco di cose in più – disse lei con aria sognante – e invece devo passare le mattine con la mamma che insiste a farmi imparare i nomi di vestiti, di punti di ricamo e tutte le stupide cose dell’educazione di una brava signorina di buona famiglia! Non sai che noia! Non vedo l’ora di essere più grande per poter aiutare papà in negozio”.
“Lì ci penserò io… da te penso che ci si aspetti solo che sia dolce e carina per poi trovarti un buon marito”.
“Perché? Non sono carina?” Hanji sorrise, forse in maniera troppo entusiasta, tanto che gli occhiali le scivolarono sul naso.
“Per me lo sei – ridacchiò Gerard, chiudendo il quaderno e andando a sedersi accanto a lei – ma conviene che vai a dormire prima che la mamma scopra che non sei a letto”.
“Domani mi compri un nuovo libro mentre rientri da scuola? Ti prego! Ti prego! Magari uno di medicina che spieghi tutti gli strani attrezzi che ha il dottore!”
“Per questo mese ti ho già preso il libro che ti compete, Hanji Zoe – scosse il capo il ragazzo, mettendole l’indice sulla fronte – adesso fila a letto”.
“Va bene – annuì la bambina, per nulla scoraggiata da quel rifiuto. Anzi si alzò dal letto per abbracciare con entusiasmo il fratello maggiore – Buonanotte!”
“Buonanotte”.
 
Hanji era una bambina felice.
Il suo carattere esuberante l’aveva protetta dalle pressanti aspettative materne e dunque non si portava dietro nessun complesso. Per quanto si rendesse conto di non essere simile alle sue coetanee non lo viveva come un problema: era troppo interessata al mondo in generale per preoccuparsi di cose da niente come il vestito da mettere o il modo di camminare. Quando sua madre le aveva insegnato a muoversi con un libro in testa l’unico suo interesse era stato scoprire di che cosa parlasse e se fosse interessante da leggere.
Aveva una mente rapida e sveglia, cosa che compiaceva parecchio il padre. Tuttavia quest’ultimo, per quieto vivere con la moglie, preferiva non intromettersi troppo nell’educazione della bambina: nelle buone famiglie erano le madri a preoccuparsi della prole femminile in quasi tutti gli aspetti.
Di conseguenza Hanji sentiva quasi esclusivamente la campana materna… ma tale suono le entrava da un orecchio e le usciva dall’altro: non che non volesse bene alla donna, ma semplicemente non parlava di cose interessanti. E della stessa pasta erano fatte le signore che a volte veniva a trovarla a casa e con le quali si metteva nel salottino buono a prendere il the.
“Comunque è proprio un vero peccato – sospirò una di queste signore in una di queste occasioni, la settimana successiva al giorno in cui Hanji aveva messo gli occhiali – la bambina ha davvero degli occhi notevoli. È necessario che li porti sempre?”
“Per adesso sì – annuì Agatha – spero che il problema si risolva col tempo. Il medico ha detto che non è escluso”.
“A me non danno fastidio – provò ad intromettersi Hanji – ci ved…”
“Hanji, cara – la interruppe subito la madre – perché non vai a prendere un po’ d’aria? C’è un così bel tempo questa mattina… è che tende a stare troppo col naso sui libri: dovrebbe stare più fuori”.
Senza nemmeno salutare, la bambina colse al volo l’occasione e si precipitò fuori da quella stanza troppo profumata per i suoi gusti. Senza riuscire a trattenere una risata felice corse lungo il corridoio e poi giù per le scale: l’entusiasmo era tale che allargò le braccia ad imitazione del volo degli uccelli, apparendo ben strana con il vestito con le maniche a sbuffo e la gonna larga.
“Ciao, papà! – esclamò gioiosa, entrando nel negozio proprio accanto alla casa – ti posso dare una mano a fare qualcosa?”
“Ciao, cara, non eri con tua madre e la signorina Harre?”
“Libera uscita!” sghignazzò lei con soddisfazione.
Horace la fissò per qualche secondo, probabilmente chiedendosi se il permesso era vero oppure si trattava di qualche fuga. Probabilmente l’espressione della figlia lo convinse perché si trovò ad annuire con calma.
“Se vuoi puoi controllare i conti che stanno sui fogli dietro il bancone”.
“Subito!” corse Hanji, lieta di venir coinvolta in qualche attività produttiva. Senza contare che era parecchio brava a fare di conto e niente le dava soddisfazione quanto dimostrare la propria abilità al genitore. Con tutta probabilità si trattava di un modo per compensare quel rapporto non proprio stretto, ma erano ragionamenti emotivi che la bambina non poteva comprendere se non a livello istintivo e quindi non ci faceva troppo caso. Per lei era semplicemente piacevole passare del tempo col padre piuttosto che con la madre.
Tuttavia quella lieta collaborazione durò solo una ventina di minuti. Nel negozio arrivarono dei clienti e con fare gentile Horace invitò la figlia ad andare a giocare fuori.
 
Negozio e casa si trovavano in una zona parecchio benestante.
Lo testimoniava la tipologia di persone che camminava per le strade, ma anche le abitazioni ed il fatto che non mancassero alcune zone verdi tra le costruzioni. Questo era un dettaglio che piaceva molto ad Hanji perché attirava gli animali, in particolare gli uccellini che spesso decidevano di fare i nidi sugli alberi che stavano vicino al negozio.
Lieta del momento all’aria aperta, corse in un piccolo spiazzo verde per venir subito attratta da una farfallina bianca che prese a volare davanti al suo viso. Con un gesto del tutto naturale, ma che avrebbe fatto inorridire sua madre, la bambina salì sul muretto che circondava quel minuscolo parchetto ed iniziò a camminare in equilibrio, seguendo il piccolo volatile.
“Farfallina bella e bianca,
vola vola e mai si stanca…” canticchiò a bassa voce, cercando di non spezzare quel momento così magico tra lei e quella creatura. La farfallina sembrò apprezzare perché dopo qualche secondo si posò
sul suo naso, provocando un ansito di meraviglia da parte della bambina.
“Ehi, quattrocchi!” chiamò una voce, spezzando l’incantesimo e facendo volare via la piccola creatura.
Hanji recuperò il contatto con la realtà e si girò verso la strada dove vi erano alcune delle altre bambine che abitavano nel vicinato. Con loro non aveva un buon rapporto: non le trovava per niente interessanti con tutte le loro arie da signorine…probabilmente sarebbero state delle figlie perfette per sua madre, con i capelli in ordine, i vestitini senza una piega e portati con eleganza.
“Dici a me?” chiese senza nemmeno scendere dal muretto.
“Ah, adesso sei ancora più strana con quegli occhiali – continuò la capogruppo, indicandola con aria irrisoria – non sai che li portano solo per persone vecchie?”
“Li porta il vecchio maestro di scuola – ribatté Hanji con un sorriso furbo – questo vuol dire che sono intelligente come lui e so un sacco di cose che voi non sapete. Dici che sono una quattrocchi? Beh con quattro occhi invece che due vedrò molto di più rispetto a voi!”
“Con quattro occhi sei un mostro!” ribatté la bambina, ovviamente seccata dal fatto che la teorica vittima non accusasse il colpo, anzi la prendesse meglio del previsto, portandosi in una posizione di vantaggio.
“Del resto non sei per niente educata – ribadì un’altra, spalleggiando l’amica – non si cammina sui muretti: è una cosa che fanno solo i maschi!”
Hanji stava per dire che non sapevano quello che si perdevano, ma poi un’idea le balenò in mente. Con un sogghigno fissò a turno ciascuna delle sue tormentatrici, in perfetto silenzio: poteva sentire il loro disagio che cresceva mano a mano che puntava il suo sguardo su di loro.
“Chissà cosa potrebbe fare un mostro – mormorò con calma – sapete… dal dottore c’erano un sacco di oggetti strani: potrei usarli per fare esperimenti su di voi…”
“Smettila!” disse una delle bambine, rifugiandosi dietro una delle più grandi.
“C’era una cosa che serviva ad aprire la pancia – continuò Hanji, estremamente divertita, curandosi di tenere un tono minaccioso – te la ficca qui, nell’ombelico, e poi te lo svita e la apre! Bluaaaagh! Esce tutto quanto!”
“Che schifo! Hanji Zoe, sei un mostro!” strillò un’altra ragazzina.
“E si tira fuori ogni cosa, e tu sei sveglio che osservi!”
Avrebbe continuato, ci stava davvero prendendo gusto ad immaginarsi fare tutte quelle cose, ma il suo pubblico era già fuggito via con delle grida tra lo spaventato e disgustato. Con un sospiro rammaricato scese dal muretto: sicuramente la notizia della sua esibizione sarebbe arrivata anche alle orecchie di sua madre e questo avrebbe significato una nuova ramanzina esasperata sul modo di comportarsi.
“Oh, beh – sospirò, mentre la farfallina tornava a svolazzarle davanti al viso prima di allontanarsi verso l’alto – fortunata te che hai le ali e puoi andare dove ti pare e piace”.
Alzando gli occhi e andando oltre le eleganti case della sua via, non poté fare a meno di scorgere le alte mura in lontananza.
Chissà quante cose meravigliose avrebbe potuto vedere una volta lassù: con quattro occhi invece che due avrebbe notato un sacco di cose che sfuggivano al resto del mondo, ne era certa.
Sarebbe fantastico avere delle ali! – pensò, aprendo istintivamente le braccia.





 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2. Lasciare il nido ***


Capitolo 2. Lasciare il nido.

 

Distretto di Karanes (Wall Rose), 836.
 
“Tieni, papà, ho finito di sistemare questi libri contabili”.
La voce squillante di Hanji irruppe nel negozio, facendo girare i numerosi clienti.
“Grazie, cara – sorrise educatamente Horace, tornando poi a dedicarsi ad una facoltosa acquirente come se niente fosse successo – allora, signora, questa stoffa va bene? Gerard, per favore, provvedi a tagliarne tre metri e sistemala nella carta velina”.
“Subito, papà”.
Era come se quello fosse il segnale che tutto fosse nella norma e che non bisognasse fare caso all’alta e snella ragazza che si metteva in punta di piedi per raggiungere uno degli scaffali più alti dietro il bancone in modo da poter sistemare un pesante registro accanto ai suoi compagni.
“Santo cielo, certo che è cresciuta davvero tanto in questi ultimi tempi – commentò proprio la cliente appena servita – adesso quanti anni ha?”
“Ne ha quasi sedici – commentò con una punta d’orgoglio il commerciante – eh, i figli! Crescono più in fretta di quanto si creda. Guardi anche Gerard: adesso ha ventuno anni ed è già sposato e in attesa del primo figlio. Un’ottima prospettiva per il negozio, vero?”
“Proprio così. E tu, cara? – la donna si rivolse quindi ad Hanji che, finito di sistemare, si era avvicinata al bancone – Hai già un fidanzato con cui mettere su famiglia?”
Horace stava per intervenire, ma Hanji fu più rapida a fare un’espressione tra il divertito e lo sconvolto. Con tutta probabilità sarebbe anche scoppiata a ridere, ma per la presenza di tutte quelle persone cercò di controllarsi il minimo indispensabile.
“Sposarmi? No, non credo proprio – disse in completa sincerità, facendo un cenno con la mano quasi ad invitare la signora a non dire sciocchezze – trovo che il mondo sia pieno di cose interessanti, ma il matrimonio non rientra tra quelle. Certo è un fenomeno sociale degno d’attenzione, ma non fa al caso mio”.
Ovviamente la voce forte della ragazza si era sentita, anzi era quasi rimbombata in tutto il negozio e, altrettanto ovviamente, si era fatto subito un imbarazzante silenzio.
Ma come sempre intervenne Horace a riportare le cose alla normalità.
“Non appena arriverà il nuovo campionario dalla capitale le farò sapere, cara signora. Ecco la sua stoffa e mi saluti tanto suo marito e sua madre”.
 
La cliente del negozio aveva detto bene: Hanji era davvero cresciuta negli ultimi tempi.
O per meglio dire il suo corpo aveva iniziato a trovare un compromesso accettabile tra altezza e proporzioni. Per quanto non avesse curve femminili pronunciate, c’era un particolare fascino nella sua figura slanciata ed energica dalle lunghe gambe. Le trecce che l’avevano accompagnata durante l’infanzia erano state abbandonate circa quattro anni prima a favore di una disordinata coda di cavallo che sembrava quasi esaltare i suoi capelli castani e ribelli. Il viso, com’era da aspettarsi, non aveva perso i suoi tratti decisi, ma era illuminato da un’intelligenza e da un’espressività tali da non poter essere considerato brutto.
Le ragazze a sedici anni potevano essere belle, carine, eleganti, ma Hanji Zoe era affascinante. Almeno questa era l’opinione dei ragazzi fino a quando lei non apriva bocca. Allora succedeva quello che sua madre definiva il disastro più totale che le avrebbe impedito per sempre di trovare un buon partito: iniziava a parlare di qualsiasi argomento che eludesse le solite conversazioni femminili. Non c’era materia scolastica in cui non avesse qualcosa da dire e lo faceva con un tale entusiasmo da mettere a disagio la maggior parte dei suoi interlocutori. I pochi ragazzi che erano riusciti ad andare oltre questo dettaglio la trovavano estremamente divertente, ovviamente a piccole dosi, ma perdevano qualsiasi interesse per lei. Il fatto di essere la figlia di un facoltoso commerciante non era garanzia di un matrimonio.
“… soprattutto se tu non ci metti un minimo d’impegno, ragazza! Santo cielo, ma come ti viene in mente di dire cose simili davanti ai clienti di tuo padre? Specie davanti alla signora Lowell! Stai certa che questa tua nuova prodezza sarà sulla bocca di tutti entro l’ora di cena!”
Agatha Zoe terminò la sua sfuriata e si lasciò cadere pesantemente sul divano del salotto, massaggiandosi la tempia destra in un gesto sin troppo familiare quando si trattava della figlia minore.
“Le ho semplicemente detto come la pensavo, mamma – Hanji scrollò le spalle – e se non ha niente di meglio da fare che raccontare della mia prodezza sono problemi suoi, non miei”
“Benedetta ragazza, dove ho sbagliato con te? Che cosa ci trovi di male nell’avere un marito e dei figli?” la madre la fissò con incredulità, come se ancora non si capacitasse di avere una figlia dalle idee così anomale.
“Non ci trovo niente di male per le altre – Hanji si sistemò meglio gli occhiali – semplicemente non la ritengo una cosa adatta a me: sarebbe una vita estremamente noiosa”.
“Trovi che la mia vita sia noiosa?”
“Beh – la giovane arrossì e girò lo sguardo altrove – credo che per te sia stata una scelta appagante, quindi hai fatto più che bene. Ma non siamo tutti uguali, mamma, è la realtà”.
“E quindi quale sarebbe la tua appagante scelta? – adesso Agatha la fissava con estrema ironia – restare una zitella a vita senza mai concludere nulla? Sai bene che quando tuo padre si ritirerà il negozio andrà a tuo fratello e poi ai suoi figli: sul serio ti vuoi ridurre ad aiutare in un qualcosa che non puoi nemmeno definire tuo?”
Hanji si morse la lingua per evitare di dare alla madre una rovente e poco educata risposta. Si limitò a scuotere il capo con irritazione ed uscire dal salotto: certe discussioni non portavano a nulla. Da diverso tempo aveva imparato che, molto spesso, parlare con sua madre era come parlare al vento.
 
Col passare degli anni la camera di Hanji era diventare una piccola succursale della biblioteca paterna. Due grandi librerie occupavano una parete ed ospitavano la vasta raccolta di volumi che la giovane aveva accumulato: vecchi libri di scuola di suo fratello, altri comprati nel negozio che si trovava dall’altra parte del quartiere, altri ancora donati da suo padre. Pochi romanzi, molti manuali ed enciclopedie: era con quelle pagine che Hanji si era fatta una vaga idea di quanto fosse vasto ed interessante il mondo e come, di conseguenza, una vita che aveva come unico fine mettere su famiglia non fosse per niente appagante.
Ogni volta che sfogliava quei libri la sua mente iniziava a vagare sulle ali della fantasia. Si immaginava vedere di persona tutte le meraviglie di cui leggeva: dalle montagne, alla neve, al grande fiume che correva a sud, verso il distretto di Shiganshina. Voleva salire sulle grandi mura, tutte e tre, e percorrerle a piedi per vedere com’era il mondo visto dall’alto.
“E invece guardati – sospirò, buttandosi sul letto e mettendo le braccia dietro la testa – sei bloccata in basso, Hanji Zoe. In una vita per nulla appagante e senza nessuno sbocco che ti soddisfi”.
Era così, inutile negarlo.
Amava profondamente suo padre e suo fratello e le faceva piacere poter aiutare nel negozio. Ma era una distrazione ad un senso di insoddisfazione che diventava sempre più prepotente nel suo animo. Era come negare la realtà dei fatti, ossia che non stava concludendo molto nella sua vita. Vedeva le sue coetanee che già iniziavano a sistemarsi con qualche fidanzato, prospettando il matrimonio nell’arco degli anni successivi, mentre lei restava immobile. E la cosa peggiore era che nessuno sembrava capire questo suo senso di incompiuto: nemmeno suo padre e suo fratello, sebbene solidali, riuscivano a concepire l’idea di una ragazza che uscisse fuori dagli schemi. Probabilmente suo padre si cullava ancora nell’idea che fosse solo una fase di ribellione adolescenziale e che tutto si sarebbe sistemato: amava dire che ciascuno aveva i suoi tempi e dunque qualche anno in più non avrebbe fatto la differenza. Gerard invece preferiva assecondare quelli che secondo lui erano ancora i capricci della sorellina minore, ma ora che si era sposato era come se la sua vita avesse preso un percorso totalmente differente: negozio, famiglia… aveva tutto. Restava quella strana sorella a cui avrebbe sempre voluto bene ma che, in qualche modo, non rientrava nelle sue responsabilità.
“Ma che ci faccio qui? – si chiese con un sospiro, in uno dei sempre più frequenti momenti di sconforto – Che senso hanno tutti questi libri se poi le cose non le posso vedere di persona?”
 
Qualche settimana dopo Horace ricevette la grande notizia che le sue merci erano state richieste a Shiganshima nel Wall Maria. Dopo aver preso accordi con i rivenditori di quel distretto si decise che il carro con le merci avrebbe seguito la strada sino a Trost e poi sarebbe uscito fuori dal Wall Rose per andare verso il confine più esterno del mondo degli uomini.
Considerata la lunghezza del viaggio, fu Gerard ad offrirsi volontario per guidare la spedizione commerciale. Come da consuetudine vennero ingaggiate alcune guardie che erano sempre a disposizione della gilda dei commercianti quando questi dovevano compiere dei viaggi verso altri distretti. Generalmente non si incontravano guai, ma qualche banda di briganti era sempre in agguato ed era meglio prendere precauzioni: mercanti isolati potevano venir aggrediti, ma una piccola carovana ben sorvegliata era un deterrente più che sufficiente per scoraggiare i malviventi.
Come seppe di quel viaggio, Hanji non perse tempo a chiedere l’autorizzazione di andare: era l’occasione perfetta per staccare da quell’ambiente che, nel bene e nel male, la stava logorando. L’idea di poter vedere posti nuovi la elettrizzava, a partire dal dover viaggiare nel carro per una settimana buona. Ovviamente sua madre si oppose con sdegno ad una simile richiesta: non era certo decoroso per una fanciulla viaggiare da sola assieme a tutti quegli uomini, sebbene la presenza del fratello fosse una garanzia per il suo onore. Forse anche Horace sarebbe stato del medesimo avviso, ma la veemenza con la quale Hanji lo supplico lo fece desistere.
“Magari con questo viaggio sfogherà le sue energie e tornerà più docile” disse alla moglie quando venne data la tanto attesa autorizzazione.
Sta di fatto che a fine agosto di quell’anno, poco prima del suo sedicesimo compleanno, una gioiosa Hanji salì sul carro per sedersi in cassetta accanto al fratello.
“Pronta?” le chiese Gerald con una strizzata d’occhio.
“Mai stata più pronta!” annuì lei con entusiasmo, sistemandosi meglio la comoda gonna da viaggio che aveva scelto d’indossare. Si stiracchiò vistosamente, mostrando le braccia snelle e candide e poi scoppiò a ridere.
“Dovresti tenere le maniche abbassate – le suggerì il fratello – tornare con viso e braccia abbronzati non sarà un modo per rabbonire nostra madre”.
“Per le prossime due settimane la mamma non ci sarà – obbiettò lei – sono libera di fare come mi pare piace. Allora, vogliamo andare?”
“Agli ordini, Hanji Zoe. Verso Trost!”
 
Le mura.
Hanji non era mai stata così vicina a quelle strutture così imponenti.
Il quartiere dove viveva si trovava proprio nel mezzo del distretto e non c’era mai stata l’occasione per osservare con attenzione quelle pareti di pietra. Soltanto quando la carovana si avvicinò al grande cancello per poi poter proseguire lungo la strada commerciale, la ragazza si accorse del profondo senso di incombenza che procuravano da chi le guardava dal basso. Non poteva fare a meno di tenere la testa sollevata, trovando incredibile che l’uomo fosse riuscito a costruire un qualcosa di così imponente.
“Pronta, ragazzina? – le chiese Gerard, distogliendola dai suoi pensieri – Adesso ti mostro cosa c’è fuori dal distretto”.
Senza che Hanji avesse tempo di rispondere, l’uomo aveva già incitato i cavalli con le redini ed il carro era avanzato rapidamente verso il grande cancello che si apriva nelle mura. Per qualche secondo alla giovane venne un groppo alla gola nel trovarsi improvvisamente all’ombra, in uno strano tunnel dove i rumori erano in qualche modo amplificati.
Ma fu solo per poco: all’improvviso i colori ed il sole estivo tornarono a farla da padrone.
E Hanji si alzò felice sulla cassetta nel vedere quel paesaggio verde che si apriva davanti a lei, con case molto più rade e rurali che, mano a mano, lasciavano il posto alla campagna.
“Oh, le cartine non possono minimamente competere con tutto questo! – esclamò gioiosa – è tutto così… aperto! Gerard, come sono potuta restare a casa per così tanto tempo quando a portata di mano c’era una cosa simile?”
Spalancò le braccia, rischiando di colpire la testa del fratello, sentendo l’esigenza di abbracciare in qualche modo l’immensità che si apriva davanti a lei. Non più case ed edifici a riempirle la visuale, ma la natura: poteva vedere dei rilievi in lontananza e campi immensi proseguivano a perdita d’occhio. Mano a mano che proseguivano anche gli ultimi piccoli agglomerati sparivano per lasciare spazio solo a qualche mulino o qualche altro edificio rurale.
“Eccoci sulla strada commerciale – annunciò il fratello, come imboccarono una larga via sterrata dove si vedevano i solchi lasciati in precedenza da altri carri – proseguiremo verso sud per un paio di giorni e poi arriveremo a Trost. Lì sbrigherò alcuni affari e poi usciremo dalla parte che ci immette nel territorio tra il Wall Rose ed il Wall Maria. Ehi, ma che stai facendo?”
Hanji si era girata frettolosamente verso l’interno del carro, frugando nella sacca che aveva caricato prima della partenza. Con un’esclamazione soddisfatta tirò fuori un quaderno dalla copertina di pelle e un carboncino con la punta già affilata.
“Devo prendere appunti, ovvio – rispose, iniziando a fare uno schizzo del paesaggio e delle mura che li affiancavano a un centinaio di metri di distanza – l’osservazione diretta è molto meglio del mero studio sui libri. Sono sicura che entro stasera saprò già un sacco di cose in più”.
“Diamine – ridacchiò Gerard – sono uscito fuori da Karanes almeno una decina di volte per gli affari, ma non credo di essere mai stato così entusiasta. È solo campagna, Hanji, niente di speciale”.
“Niente di speciale? – lei si girò a guardarlo con incredulità – Beh, pensa a questo: grazie alla campagna possiamo venir sfamati. Certo, la maggior parte delle persone vive nei distretti, ma se non ci fossero le campagne e chi le coltiva nel territorio tra le mura non si potrebbero sfamare tutti quanti. Siamo davanti ad un ingranaggio di sussistenza davvero poderoso: sono le campagne comprese tra i due muri più esterni a coprire i bisogni alimentari di tutta la popolazione, compresa quella della capitale”.
“E senza noi a vendere le stoffe la gente non si vestirebbe… e prima che tu lo dica, rendo grazie agli allevatori di pecore e a tutti coloro che operano nel settore della colorazione e della lavorazione dei tessuti, va bene?”
“Così iniziamo a ragionare – acconsentì Hanji tornando ai suoi schemi – comunque, dipendesse da me, sarei in viaggio trecentosessantacinque giorni l’anno: questo senso di libertà è meraviglioso… appagante!
 
Come previsto, a metà della settimana successiva giunsero al distretto di Shiganshina.
Il viaggio era stato tranquillo e piacevole, senza nessuna problematica provocata dai banditi. L’evento più eccitante era stato quando avevano dovuto fare una lieve deviazione per un ponte che doveva esser riparato: per guadare il fiume erano state usate delle chiatte messe a disposizione dal villaggio che si trovava sulle sue rive.
Shiganshima non era molto diversa da Trost o Karanes: quartieri commerciali, altri più modesti, ma l’organizzazione e persino la topografia erano pressoché identici. Con tutta probabilità c’era stato un progetto ben preciso quando erano state create le mura ed i relativi distretti.
Mentre Gerard sbrigava gli affari, Hanji decise di fare un giro per la città, proprio come era successo a Trost. Le guardie erano presenti pressoché ovunque e si poteva passeggiare tranquillamente: bastava essere un minimo accorti e non addentrarsi nelle zone più malfamate.
La sua curiosità la portò verso una zona dai bassi edifici, quasi sicuramente magazzini: da lì era possibile osservare meglio le mura nella loro interezza, senza tetti o altro a disturbare.
E cosa ci sarà oltre? – si chiese con un fremito – e pensare che basterebbe solo oltrepassare quel cancello. Se solo non ci fossero i giganti…
 Che poi non se ne vedeva uno da tempo, almeno stando a quanto sapeva. Non c’erano notizie di attacchi alle mura da anni, almeno a quanto dicevano i libri. Tuttavia erano davvero vaghi sull’argomento: non spiegavano né l’origine né la natura di queste creatura. Sembrava che fosse un semplice dato di fatto che gli uomini dovessero stare dentro le mura ed i giganti fuori.
E se le cose fossero cambiate? O comunque… non si potrebbe fare qualcosa per poter essere liberi di andare anche oltre il Wall Maria? Chissà quali meraviglie ci sono oltre!
Alzò lo sguardo fino alla cima del muro, gli occhi castani che si illuminavano d’aspettativa: oltre quella barriera non c’erano campi coltivati, ma un mondo da scoprire. Natura incontaminata e poi chissà che altro.
Un nitrito la fece girare verso il campo di terra battuta che stava tra i magazzini. Diversi cavalli erano stati fatti entrare dal recinto e ora galoppavano soddisfatti. Uno di loro si avvicinò alla staccionata presso la quale stava Hanji e subito la ragazza sorrise.
“Scommetto che hai fiutato la mela che ho in borsa – ridacchiò, frugando nella tracolla di tela dove portava il suo quaderno – ti cedo la mia merenda, ma solo perché sei capace di fare uno sguardo davvero implorante. Ciao, bellezza, sei davvero uno splendore”.
Era proprio un bel cavallo, non c’erano dubbi: non come quelli robusti usati per tirare i carri. Questo aveva un bel manto bianco e sembrava pronto a galoppare per ore senza stancarsi mai. Mentre mangiava con soddisfazione la mela, Hanji ne approfittò per passare tra le assi della staccionata e portarsi accanto a lui: gli accarezzò il collo e la criniera, provocando uno sbuffo di soddisfazione.
“Ti piacerebbe avere le ali e volare fuori queste mura?” gli chiese.
“Non ha certo bisogno di ali per andare fuori le mura – obiettò una voce – domani uscirà dal cancello principale. Signorina, non dovresti essere dentro il recinto dei cavalli”.
Hanji si girò, arrossendo colpevolmente. A rimproverarla era stato un uomo sulla trentina, vestito con la divisa militare. Tuttavia lo sguardo acuto della giovane fu rapido ad individuare lo stemma cucito sulla parte alta della manica della giacca.
Le ali della libertà – quasi le mancò il fiato – è un soldato della Legione Esplorativa!
Non le era mai capitato di vederne uno da vicino. Qualche volta li aveva visti passare da Karanes mentre si dirigevano fuori dalle mura per qualche missione. Entrambi i suoi genitori sostenevano che erano un corpo militare che non aveva molto senso d’esistere: a parer loro le cose andavano benissimo così e bastava la normale Guarnigione delle Mura per proteggere i cittadini.
“Andare fuori dalle mura, che sciocca perdita di tempo e di risorse. Noi stiamo benissimo qui”.
Erano queste le frasi che aveva sentito dire ai suoi le rare volte che si era parlato dell’argomento. E a rigor di logica avevano ragione: perché sprecare tempo e risorse quando la vita era dentro le mura?
“Ah, è stato questo golosone a farti gli occhi dolci, vero? – il soldato sbuffò, dando una pacca amichevole al cavallo che terminava con soddisfazione il suo spuntino – È davvero incorreggibile”.
“Davvero domani andrete fuori le mura, signore? – chiese Hanji, intuendo che l’uomo era ben disposto nei suoi confronti – E quanto ci starete?”
“Una quindicina di giorni se tutto va bene”.
“E cosa farete?”
“Pensa allo stemma sulla mia giacca, signorina”.
“Esplorare, certo – arrossì Hanji, ma poi sorrise – è già stato fuori dalle mura?”
“Altre due volte”.
“E com’è?”
L’uomo la fissò con acuti occhi scuri. Sembrava si fosse appena accorto veramente della sua presenza e la stesse in qualche modo valutando.
“Completamente diverso da come te lo sei sempre immaginato, e sai perché? – attese che Hanji facesse un cenno di diniego prima di riprendere – Perché sai che non ci sarà nessun altro muro ad ostacolarti”.
Quelle parole erano musica per le orecchie di Hanji. Per quanto stesse parlando con quel soldato da poco più di un minuto, sentiva di avere con lui molta più affinità di quanto ne avesse mai avuta con qualsiasi altra persona avesse mai incontrato in vita sua. Finalmente qualcuno per cui il desiderio di libertà non era qualcosa di anomalo.
“Sai che la legione esplorativa è il reparto con le maggiori perdite di tutto l’esercito? – continuò l’uomo con serietà – statisticamente in ogni missione si perde circa il trenta per cento dei soldati”.
“Colpa dei giganti? Sono davvero così terribili? Insomma… ho letto qualche libro che ne parla, ma dice ben poco”.
“Signorina, proprio come non ti puoi immaginare cosa c’è oltre le mura finché non lo provi di persona, lo stesso vale per i giganti. È inutile che ti racconti di un mondo meraviglioso senza mostrarti il rovescio della medaglia: sono dei mostri assassini”.
“Capisco, beh, del resto non siamo dentro le mura senza motivo, no?”
“Infatti, ma i folli come noi credono che un giorno i giganti possano essere sconfitti ed il mondo fuori dalle mura esplorato e abitato”.
“Esplorato… mi piacerebbe tanto”.
“Se queste mura ti vanno strette dovresti pensare di entrare nella Legione Esplorativa – disse il soldato senza mezzi termini – hai un buon fisico da quanto vedo, quanti anni hai?”
“Sedici… però… però io sono figlia di un commerciante di tessuti”.
“Sì? Mio padre ha una bottega di gioielli a Trost, pensa tu. Non importa da dove provieni, ragazza, se senti quell’impellente desiderio di libertà non c’è nulla da fare. Ti resterà tutta la vita e non potrai fare a meno di alzare lo sguardo sulle mura e chiederti come sarebbe andata se fossi entrata nel nostro corpo militare. Rischi la vita ad ogni fottuta missione, certo; vedrai i tuoi compagni morire, inutile negarlo e ci sono buone probabilità che un giorno tocchi pure a te, ma ne vale la pena se questo porterà ad essere liberi”.
“Una scelta appagante…” Hanji ripeté le parole che aveva detto sua madre giorni prima.
“Valuta i pro ed i contro: non saresti la prima ad aver voltato le spalle ad una vita normale, con matrimonio e figli. Io per primo ho rinunciato ad un’attività ben avviata e ad un’esistenza sicura. Ma se sei come me, capisci bene che non sarei potuto restare in quella che a tutti gli effetti era una prigione”.
“Giusto per curiosità, come si entra nella Legione Esplorativa?” Hanji tirò fuori il suo quaderno ed il carboncino, pronta a prendere appunti.
“Ogni gennaio inizia un corso d’addestramento: dura tre anni e poi scegli in che reparto entrare. O meglio, scegli tra Legione Esplorativa e Guarnigione delle Mura perché la Polizia Militare è una scelta riservata solo ai primi dieci del corso”.
“Tre anni…”
“Se ne hai sedici vuol dire che ne verresti fuori a diciannove, una buona età direi. Considera che non è uno scherzo: se sei una ragazzina abituata ad essere servita e riverita pensaci bene”.
“Io? Proprio no!” ridacchiò Hanji.
“Ehi, Hank! – chiamò una voce da uno degli edifici – Ti sbrighi si o no?”
“Beh, il dovere chiama – scrollò le spalle il soldato, dando un’arruffata ai capelli di Hanji – chissà se ci rivedremo, signorina. In ogni caso ti auguro buona fortuna”.
“Anche a lei, signore! E… e stia attento domani” arrossì Hanji.
Il sorriso che le rivolse l’uomo fu il più appagante che potesse mai vedere.
Era il cinque settembre, il giorno del suo sedicesimo compleanno.
 
Nemmeno due mesi prima Hanji Zoe era una ragazza che non sapeva minimamente cosa aspettarsi dalla vita. Si sentiva soffocata dalla quotidianità e giorno dopo giorno cresceva in lei l’insoddisfazione di non poter mai avere un’esistenza veramente appagante. Temeva che, col passare degli anni, sarebbe arrivata a rassegnarsi all’idea di futuro che i suoi genitori avevano in mente per lei: matrimonio, famiglia, figli... tutto maledettamente ordinario. Tutto al di fuori delle sue vere aspettative.
Ma a quanto sembrava esistevano davvero gli incontri destinati a dare una svolta alla propria vita e nel suo caso si era trattato di quel soldato di nome Hank con cui aveva parlato per una decina di minuti. Un lasso di tempo troppo breve per decidere il proprio destino? Per i benpensanti sì, ma Hanji si era sempre distaccata dalla massa.
E quella notte stessa aveva deciso cosa voleva fare della sua vita.
“Pazza! Mia figlia è pazza! – Agatha fece letteralmente cadere a terra il bicchiere che si ruppe in decine di frammenti – Lo sapevo… sapevo che questo viaggio non avrebbe portato nulla di buono! Entrare nell’esercito! Ma sei folle, Hanji Zoe? Sei una ragazza!”
“Ci sono molti soldati femmina, mamma!” Hanji sorrise nel modo più incoraggiante che poteva.
Sapeva che per la sua famiglia sarebbe stato un vero e proprio shock scoprire delle sue intenzioni, ma non si era immaginata che la sua precisissima madre facesse addirittura cadere un bicchiere durante la cena.
“Oh cielo… o cielo… ma la sentite? – la donna prese il tovagliolo ed iniziò a farsi aria – Horace, dì qualcosa a questa tua figlia! Riportala tra le persone che pensano!”
“Hanji cara, sono solo sciocchezze – disse l’uomo con voce calma ma ferma – credimi, non è la vita che fa per te. Figurati, una Zoe che diventa soldato, ma quando mai!”
“Perché no? – la ragazza cercò di tenere un tono di voce positivo – Insomma, vi siete sempre preoccupati di cosa avrei fatto nella mia vita ed ecco qua, ho preso una decisione!”
“Una delle decisioni più assurde che abbia mai preso – ribatté la madre – scordatelo, ragazza! Anzi, da domani inizio a cercarti un fidanzato così la finiamo con queste storie. Sono stata anche troppo accondiscendente in questi tempi e…”
“Fidanzato? – Hanji si alzò in piedi e batté con forza i palmi delle mani sul tavolo – sul serio tu pensi a trovarmi un fidanzato mentre c’è un mondo fuori da queste mura che attende di essere scoperto? Come puoi essere così ristretta nei tuoi ragionamenti?”
“Fuori dalle… oh no… no no no! Già l’esercito era una follia, ma qui stai andando ben oltre!”
Hanji si morse il labbro con insofferenza: si era ripromessa di non tirare fuori la sua intenzione di andare nella Legione Esplorativa ma nella foga se l’era lasciato scappare.
“Quindi fammi capire – disse il padre scuotendo il capo – in un viaggio di quindici giorni tu hai improvvisamente deciso che vuoi entrare nell’esercito? Che cosa è successo per farti arrivare a questa idea? Se proprio vuoi viaggiare, allora ti posso dare qualche incarico per i nostri commerci e…”
“Oh, papà! Non ho bisogno di simili contentini! Non è la mia vita lavorare nel commercio… è la tua e di Gerald”.
“E la tua sarebbe nell’esercito?”
“È quello che ho intenzione di scoprire” annuì lei con decisione.
“Hanji Zoe – intervenne la madre – prova solo ad entrare nell’esercito e giuro che… che non avrò più una figlia!”
“Benissimo! – sbottò la ragazza, allontanandosi dal tavolo – Effettivamente di una madre così poco incoraggiante non ho bisogno!”
“Suvvia, sono certo che possiamo…”
Ma Hanji aveva già chiuso alle sue spalle la porta della sala da pranzo.
 





_____________
nda.
Per quanto riguarda l'addestramento militare, sappiamo che dura tre anni confrontando le vicende del manga/anime relative al periodo di formazione di Eren e compagni.
Sull'età di accesso, ho presupposto che 12 anni (l'età in cui inizia Eren) siano il requisito minimo e che si possa entrare anche più avanti nel tempo (del resto personaggi come Reiner e Berthold sembrano di qualche anno più grandi). Di conseguenza trovo del tutto possibile che buona parte delle reclute sia sì giovane, ma non così tanto come Eren e Mikasa che più che altro mi appaiono come eccezioni.

Nonostante non si sappia l'età di Hanji, si conosce il suo giorno di nascita ossia il 5/9, non me lo sono inventato io.

Sulla decisione improvvisa di Hanji di entrare nell'esercito, trovo che sia da lei avere questi "colpi di testa". Si deve inoltre considerare che comunque stava fermentando in lei l'esigenza di distaccarsi dalla vita della sua famiglia a cui comunque mal si adattava.

In ogni caso spero che vi sia piaciuto anche questo capitolo.
Ringrazio tutti quelli che hanno messo la storia tra le seguite e quelli che la stanno recensendo.

alla prossima :)

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3. Rudimenti di vita ***


Capitolo 3. Rudimenti di vita.

 

Campo addestramento, (Wall Rose), 837-9
 
“Ehi! È davvero un gioco da ragazzi!”
Hanji scoppiò a ridere con soddisfazione mentre si teneva in perfetto equilibrio nella struttura che simulava l’uso del dispositivo di manovra tridimensionale. Agitò abilmente le lunghe braccia, provocando un lieve oscillare della sua persona, ma questo non scalfì minimamente la sua statica.
“Credevo che il tuo agitarti perenne ti avrebbe buttato giù in tre secondi, ragazza – sbuffò l’istruttore con un sorriso sarcastico ma carico di soddisfazione – ottimo lavoro, adesso scendi pure. Il prossimo, coraggio! Non ho intenzione di fare notte con voi!”
Con l’aiuto di un compagno Hanji si sganciò dalla struttura e poi raggiunse il suo gruppo di compagni che già aveva superato la prova. Tutti l’accolsero con un gran sorriso e pacche sulle spalle, una ragazza la abbracciò con gioia, lieti che un altro di loro fosse riuscito a superare quella temuta prova che segnava il confine tra chi continuava l’addestramento e chi veniva mandato a casa. Tuttavia la loro squadra, quindici persone in tutto, era molto promettente ed era praticamente matematico che ce l’avrebbero fatta senza troppi problemi.
“Ieri sono riuscita a sbirciare tra i fogli dell’istruttore – confidò la ragazza che aveva abbracciato Hanji – pare che la nostra squadra abbia i risultati migliori del Wall Rose. Non ci batte nessuno, parola mia!”
“Daisy, sei una spia – sibilò un altro giovane – se venivi scoperta potevi metterci tutti nei guai”.
“Non ha fatto nulla di male – la difese Hanji con una scrollata di spalle, mentre applaudiva ad un altro loro compagno che superava brillantemente la prova – a volte quell’uomo è davvero distratto e lascia i suoi appunti ovunque. Comunque stasera bisogna festeggiare, che ne dite?”
“Assolutamente sì!” applaudì Daisy.
 
Era autunno dell’anno 837 e l’addestramento della squadra 304 andava avanti da ormai dieci mesi.
Dieci mesi in cui Hanji Zoe aveva cambiato completamente vita e ogni giorno che passava sentiva di aver fatto la scelta giusta. Finalmente si trovava tra persone che non la consideravano fuori norma, dove la sua esuberanza non era vista come qualcosa di poco consono: scoprire di potersi esprimere senza paura di essere giudicata era un qualcosa di meraviglioso che aveva bramato segretamente per tutta la sua adolescenza. Che senso aveva parlare di vestiti se tutti indossavano la medesima divisa? E i capelli? Meglio averli legati o corti per non disturbare la visuale durante l’addestramento.
Il loro era un gruppo eterogeneo di ragazzi e ragazze, provenienti dalle più disparate classi sociali, che avevano trovato subito un feeling molto forte.
Hanji, ovviamente, per il suo carattere gioviale ed entusiasta molto spesso faceva la parte da leone, specie nelle occasioni di divertimento.
Quella sera non venne meno a questa sua fama e le sue risate furono quelle più rumorose nella camerata che festeggiava allegramente il superamento di quella nuova prova. Anche perché l’alcool aveva la capacità di renderla particolarmente briosa: ancora non si capacitava che nella sua famiglia le fosse stato concesso solo qualche bicchiere di vino allungato durante i pasti.
“L’equilibrio è la chiave! – dichiarò, saltando con un balzo sopra un letto, rischiando di calpestare alcuni compagni tra l’ilarità generale. Puntellandosi come meglio poteva nel poco spazio lasciato libero, simulò la prova di quella mattina, suscitando gli applausi e le ovazioni di tutti – E quando useremo quelli veri sarà ancora più semplice, vedrete!”
Socchiudendo gli occhi, la vista un po’ annebbiata per il liquore bevuto, cercò di calcolare rapidamente la distanza e poi spiccò un altro balzo verso un letto vicino. Il risultato, tuttavia, fu disastroso e si concluse con un caos di gambe, braccia, cuscini e lenzuola che volavano da tutte le parti. Questo fu quasi un segnale per tutti gli altri che, alla faccia della loro presunta età e maturità, iniziarono una lotta coi cuscini, totalmente incuranti di richiamare con le loro grida qualche istruttore.
“Scusa… scusa – annaspò Hanji tra le risate, cercando di riemergere tra le coperte ed i cuscini in mezzo ai quali era affondata. Non aveva nemmeno idea di chi avesse quasi distrutto nella sua caduta, sapeva solo che ora gli occhi le lacrimavano senza parere per il divertimento – ma vedrai che… che con il meccanismo vero andrà meglio… chiunque tu sia, sia ben chiaro… sia e sia… no?”
“Sei fradicia, Hanji?”
“Ah, sei tu, Ned? – sorrise scioccamente nell’individuare il suo compagno che la stava aiutando a liberarsi dal lenzuolo – Io fradicia? Proprio no!”
Si accorse solo allora che i loro visi erano vicinissimi e come questo fosse accaduto era un mistero bello e buono. Cercò di riflettere sulla dinamica, ma le labbra di Ned si posarono sulle sue e fu come se un fulmine le attraversasse il cervello, bloccando qualsiasi ragionamento.
Fu una cosa rapida, forse tre secondi. Poi lui si scostò e le levò del tutto il lenzuolo di dosso, parando un cuscino che stava volando verso di loro. Con una goffa scalciata la giovane si rialzò seduta e fissò il suo compagno che chiaramente stava evitando di guardarla in viso. Notò un lieve rossore nelle sue guance e anche lei, a ben pensarci, si sentiva stranamente calda e non per colpa dell’alcool.
“Ehi, Hanji! – la chiamò Daisy, saltando nel letto accanto a lei – un altro brindisi?”
“Brindisi? Eh… ecco… io credo di aver bisogno d’aria, sai?”
“Uh, che faccia! – ridacchiò la bionda – se devi vomitare vai fuori! Non voglio dormire in una camerata che sa di vomito!”
 
E di questo dovrò scrivere a casa?
Era una domanda davvero stupida da porsi in un momento come quello, eppure la mente di Hanji, tornata subito a funzionare dopo quel momento di sbandamento, non poteva fare a meno di pensare anche ad un simile particolare.
Scriveva ben poche volte a casa, in genere  una ogni due mesi, premurandosi sempre di indirizzare le lettere al fratello, confidando nel suo spirito diplomatico e discreto, capace di separare quello da dire ai genitori e quello da tenere per sé. Anche se in questa seconda categoria rientravano ben poche cose: dopo un’iniziale entusiasmo nel descrivere la sua vita nell’esercito, Hanji aveva dedotto dalle risposte che la descrizione dell’addestramento, delle lezioni, dei suoi commilitoni, non interessava più di tanto nemmeno a Gerard. Era meglio fermarsi a qualche scarsa pagina con normali informazioni: se andava tutto bene, se aveva bisogno di qualcosa, sapere come stavano tutti loro e come procedeva l’attività di famiglia. Erano quelle le cose di cui si voleva parlare a casa, per il resto preferivano dimenticare che lei ora non indossasse più un abito ma pantaloni – e già questo sicuramente avrebbe provocato lo svenimento di sua madre – e giacca e che si dedicasse ad un addestramento che tra le altre cose prevedeva combattimento, corsi di sopravvivenza in ambienti più disparati e così via.
Scrivere che aveva appena baciato un ragazzo forse rientrava tra quello che era meglio tacere.
“Tutto bene?” proprio la voce di Ned interruppe le riflessioni.
“Nah, solo desiderosa di un po’ di fresco – scrollò le spalle lei con un sorriso, cercando di apparire la più disinvolta possibile – ed era anche il momento di dire basta alle bevute. Domani è previsto addestramento con il movimento di manovra tridimensionale a prescindere dal nostro stato di sobrietà”.
“Siamo dello stesso avviso – sospirò lui stiracchiandosi e raggiungendola negli scalini esterni alla loro baracca dalla quale provenivano ancora le risate degli altri – almeno noi due cerchiamo di tenere alto l’onore della squadra dopo tutti i complimenti che ci sono stati rivolti”.
Hanji annuì, perplessa da quell’atteggiamento.
Insomma, in teoria ci siamo appena baciati… non dovremmo affrontare il discorso?
Ned le piaceva, su questo non c’erano dubbi: esteticamente era un bel ragazzo, niente di eccezionale, ma con quello che Daisy avrebbe definito un suo perché. Diversamente da lei non era molto rumoroso, anzi era tra i più pacati della squadra e quindi c’era da chiedersi cosa potesse esserci da fare il filo con lui. Ma era anche vero che gli opposti spesso si attraggono e dunque non era da escludere un coinvolgimento emotivo a priori.
Va bene, coinvolgimento emotivo. Provi per lui qualcosa in più rispetto agli altri tuoi compagni? – rifletté con attenzione, mentre il suo viso manteneva un’espressione neutra per quanto possibile.
Certo la pacatezza ed a volte i silenzi di Ned avevano un buon effetto su di lei: poteva parlare senza essere interrotta, ma allo stesso tempo sicura di essere ascoltata. A testimonianza c’erano i pochi ma buoni interventi che il ragazzo faceva durante queste conferenze che spesso avevano il potere di far eclissare tutti gli altri.
Forse un bacio rubato in un simile modo da parte di un altro compagno l’avrebbe infastidita.
“Perché mi hai baciata?” chiese all’improvviso, non riuscendo a trattenere oltre la domanda.
“Era proprio necessario fare questa domanda? – Ned la fissò leggermente stranito, ma poi si passò una mano tra i corti capelli castani – Insomma… se un ragazzo bacia una ragazza è perché è interessato a lei, no?”
“Interessato a me? Beh… beh, sai – avvampò – questa proprio non me l’aspettavo. Insomma, mi dicono spesso che sono interessante, ma nel senso rumoroso del termine!”
“Va bene, interessato forse non è il termine giusto – ridacchiò lui – Vediamo se così va meglio: sei la ragazza più stravagante che conosco, Hanji Zoe, e mi piaci parecchio. E quando sei praticamente balzata sul mio letto rischiando di travolgermi non ho resistito a baciarti. Ti sei offesa?”
“Offesa? Io? Ma no! Piuttosto, sorpresa!” esclamò la giovane, agitando le mani.
Una parte della sua mente si divertì moltissimo ad immaginare sua madre che si scandalizzava per quel corteggiamento così poco di buono, ma poi la sua attenzione tornò su Ned e sui suoi occhi castani che, alla luce delle lampade esterne, traevano riflessi davvero piacevoli.
Poi, quasi a cercare un attimo di tregua, alzò lo sguardo verso il cielo limpido e stellato. Le piaceva tantissimo la visuale in quel campo d’addestramento: niente mura, un senso maggiore di libertà rispetto a quello dato nel distretto dove stava la sua casa.
“È stupido dirlo, ma… mi sento molto bene” confidò con un sorriso, riuscendo a rilassarsi
“Effetto dell’alcol? O della mia presenza?”
“No, bene in generale. Sai quanto ci sono quei momenti perfetti? Senza nessun motivo particolare, solo… ti senti in pace col mondo e con te stessa. Ecco è uno di quei momenti”.
“Ehi, mi stai comunicando una risposta?” chiese Ned, strizzandole l’occhio con malizia.
 “Oh, wow! Qui si corre…” iniziò lei, ma poi la sua parte impulsiva prese il soppravvento. Ned le piaceva, c’erano tutti i presupposti per iniziare una bella relazione. Certo, erano soldati in addestramento e ogni occasione era buona per ribadire che la loro vita poteva essere messa a repentaglio più spesso di quanto immaginassero.
Ma privarsi di queste esperienze non ha senso. Tanto valeva restare a casa.
“Ma sì… sì, direi di sì!” sorrise, grattandosi con l’indice la guancia.
“Bene, quindi sarebbe troppo chiederti un altro bacio?”
“Un altro? Beh no… però questa volta voglio essere pronta!” e senza troppi indugi fece quei due passi che lo separavano da Ned e presogli il viso tra le mani lo baciò con goffaggine.
Ora, lei aveva letto ben poco sui baci: i romanzi romantici non erano certo tra le sue letture preferite e anche le poche volte che si era cimentata era andata subito oltre quelle righe considerate noiose. Un bacio del resto doveva essere un atto naturale tra due esseri umani, altrimenti non si poteva poi procedere con tutto il resto del l’atto che portava alla riproduzione.
Però quel secondo bacio fu strano… umido. Il primo era stato così rapido che Hanji non aveva avuto il tempo di capire davvero che sensazione fisica avesse provato. Ma questo era diverso: sentiva le labbra di Ned, la cortissima peluria appena sopra il suo labbro superiore. Fu quasi tentata di staccarsi per analizzare meglio la situazione, ma una parte meno nota di lei decise invece di continuare, andando oltre queste sensazioni nuove e cercando di farsele piacere. Sarebbe stata curiosa di chiedere a Ned se stesse baciando bene, ma per una volta tanto decise di lasciar stare le domande e cercare di godersi il momento.
Dai, in fondo dopo il primo impatto non è per niente male! – ammise dopo qualche secondo, mentre le braccia del suo compagno la cingevano dolcemente.
 
Visto il carattere esuberante di Hanji Zoe, si poteva presumere che la sua relazione con Ned sarebbe stata sbandierata ai quattro venti.
Invece, fatto strano, fu un qualcosa di incredibilmente discreto tanto che persino i loro compagni a volte dubitavano che fosse vero, nonostante i giorni diventassero settimane e poi mesi. Durante il giorno non c’era niente che potesse far pensare che il loro rapporto fosse diverso da quello di due semplici compagni di squadra: Hanji gli riservava il solito trattamento non dissimile da quello usato con gli altri maschi del gruppo e pure Ned restava il solito ragazzo tranquillo che parlava ben poco.
La notte poi, se si assentavano, lo facevano comunque in momenti in cui la squadra non era riunita, come se non volessero in nessun modo alterare quelli che erano gli equilibri del gruppo.
A volte Hanji si era chiesta come mai non aveva mai fatto conferenze sul suo fidanzamento ed era rapidamente giunta alla conclusione che persino lei aveva delle cose che preferiva tenere per sé. Ed effettivamente era bello poter usare quell’aggettivo possessivo.
Ned era suo, condivideva solo con lei la sfera più intima della sua persona.
Durante l’addestramento cercavano di inculcare loro l’idea che doveva fidarsi ciecamente uno dell’altro, ma questo era diverso. Era un rapporto che escludeva il resto del mondo perché a loro andava bene così. Del resto doveva restare tra di loro la volta in cui lui le aveva toccato il seno e poi le aveva sbottonato la camicia gialla che indossava sotto la giacca della divisa. O quella dopo in cui avevano fatto l’amore per la prima volta in maniera così goffa e scomoda, nascosti in uno dei magazzini.
“Ehi, voi due! Se restate a studiarvi ancora un po’ rischiate di mettere radici!” la voce dell’istruttore riscosse Hanji dall’attenta valutazione che stava facendo di ogni singola mossa di Ned, suo avversario in quell’allenamento di lotta.
“Sì, signore!” annuì la ragazza, cercando di trovare il punto dove attaccare.
Ma Ned fu più rapido di lei e le fu addosso con tutto il suo peso, cercando di afferrarle il braccio per imporle una presa di sottomissione. In genere un attacco simile si concludeva vittoriosamente, ma Hanji era quella che veniva definito avversario carogna: infatti, invece di subire la presa iniziò a divincolarsi con una foga fuori dal comune, ignorando il dolore al braccio, e con dei movimenti così disarticolati da mettere in difficoltà la presa di Ned. Con un urlo stridulo riuscì a dare lo strattone decisivo e diede una poco elegante ma efficace testata al ventre del suo avversario, mozzandogli il respiro.
“Dannazione a te, Zoe – commentò l’istruttore, prendendo appunti e allontanandosi verso le altre coppie di lottatori – sei peggio di una rissaiola da taverna. Poco elegante come sempre… ma fottutamente efficace! A quando un calcio nei testicoli?”
“Se proprio servirà…” ansimò Hanji, tendendo la mano a Ned per aiutarlo a rialzarsi.
“Spero tanto di no” rispose lui con il broncio, mettendosi una mano sul ventre offeso.
“Troppo forte la testata? Mi sono anche fatta male nonostante la mia massa di capelli”.
“Con la testa che ti ritrovi spaccheresti anche le Mura” sorrise Ned, arruffandole la massa arruffata.
“A me basta superarle – rispose la ragazza – prima ci voglio salire per godermi la vista da lassù: dev’essere davvero niente male. E poi voglio andare fuori”.
“E farti divorare dai giganti?” Ned la fissò con attenzione, come se fosse estremamente curioso di sentire che risposta avrebbe dato.
“Spero proprio di no – sghignazzò lei, stiracchiandosi e poi massaggiandosi il polso – voglio solo scoprire il mondo al di fuori. Dev’essere fantastico, non credi?”
Forse il giovane avrebbe risposto, ma il richiamo dell’istruttore fece loro riprendere la posizione di combattimento.
 
Così passarono i tre anni di addestramento della squadra 304, con i risultati che si succedevano sempre in maniera ottimale. In particolare Hanji spiccava tra tutti i suoi compagni non tanto per agilità fisica, nella quale comunque aveva ottime prestazioni, ma per l’intelligenza a parere di tutti fuori dal comune.
Nelle materie scolastiche eccelleva e molto spesso andava oltre quello che spiegavano i suoi docenti: girava voce che con tutta probabilità nemmeno tra i soldati veri e propri ci fosse qualcuno con il suo livello di conoscenza.
“Sarai parecchio contesa, amica mia – le disse Daisy, una delle ultime sere che passavano da allieve – sarai di certo tra i primi dieci e ti potrai permettere di andare nella guardia reale”.
“Non mi interessa – rispose Hanji con sincerità, felice di avere quell’amica stretta con cui potersi confidare – andare a rinchiudermi dentro le mura più interne? È proprio quello che voglio evitare con tutta me stessa. Io voglio andare nella direzione opposta”.
“Legione Esplorativa, eh? Non so in quanti faranno questa scelta”.
“Tu no?”
“Mah, non lo so… da una parte dev’essere fantastico vedere cosa c’è fuori dalle mura, ma dall’altra la percentuale di mortalità è così alta che non mi pare un bell’affare”.
“E allora per cosa siamo entrati nell’esercito?” chiese Hanji, ovviamente dispiaciuta nel capire che la ragazza non condivideva pienamente la sua scelta.
“Per proteggere la nostra gente, per cambiare vita… almeno nel mio caso”.
“Per essere liberi!”
“Con tutti quei giganti… non credo sarà mai possibile, Hanji”.
“Ma se non ci proviamo nemmeno non lo potremo mai sapere, non credi?”
Gli occhi azzurri di Daisy la fissarono con ammirazione e una prima traccia di dubbio apparve sul suo bel viso delicato che Hanji qualche volta le aveva invidiato.
“E Ned che farà?” chiese la giovane per cambiare argomento.
“Lui? Oh, credo che andrà nella Guarnigione delle Mura” rispose con semplicità Hanji.
“Vi… vi separate? Oh no! E come farete con la vostra relazione?” Daisy sembrava sconvolta.
“Ecco… presumo che ne dovremo parlare…” ammise l’altra, levandosi gli occhiali con lieve imbarazzo e facendo finta di pulire un’inesistente macchia di sporco.
Già, negli ultimi mesi ero così presa dagli esami e dalle prove che proprio non ho pensato alla nostra relazione.
 
Semplicemente la loro era una storia nata e consumata tranquillamente, senza nessun evento tragico a provocarne la rottura. Si erano piaciuti, avevano passato dei bellissimi momenti assieme, ma poi qualcosa si era spento, scivolando nella quotidianità senza che nessuno dei due se ne rendesse conto. Dormire assieme era diventata un’abitudine più che un’esigenza, così come i baci scambiati furtivamente e con circospezione, nonostante l’ovvio sostegno dei compagni.
E così fu anche la notte dopo, quando i due amanti si trovarono nello stesso letto, la testa di Hanji posata sul petto di Ned. Erano tanto cresciuti in quei tre anni: i loro corpi avevano ormai perso gli ultimi residui di adolescenza per diventare del tutto adulti: l’addestramento li aveva resi dei fasci di muscoli e nel caso di Hanji aveva dato poco spazio alle curve femminili. Se già aveva avuto poche forme prima di entrare nell’esercito, la situazione ora veniva ulteriormente accentuata dallo sviluppo degli addominali, dei muscoli e delle spalle.
“Ned, mi trovi ancora bella?” chiese, osservandosi distrattamente le dita lunghe e affusolate, forse una delle caratteristiche che apprezzava maggiormente in se stessa.
“Certo che lo sei, Hanji, ti ho mai detto il contrario?”
“No… solo che, mi andava di sentirlo”.
“Qualche problema?” chiese lui, accarezzandole i capelli in un gesto abitudinario.
“Pensavo al futuro, tutto qui: insomma, il gran giorno si avvicina. Meno di una settimana e saremo dei soldati veri e propri. Questi tre anni sembrano davvero volati”.
“Anche a me, lo ammetto… e pure io stavo pensando al futuro ultimamente”.
“Il mio è la Legione Esplorativa – disse Hanji senza mezzi termini, senza nemmeno alzare lo sguardo su di lui – non penso di averne mai fatto mistero”.
“Il mio è la Guarnigione delle Mura” rispose Ned, col medesimo tono tranquillo.
Si fece silenzio, persino la mano di lui smise di accarezzare la chioma castana della giovane.
Ecco, l’avevano detto, in una maniera così semplice da risultare quasi surreale. Proprio come tre anni prima Hanji aveva trovato assurdo eppure naturale quel primo bacio, adesso provava le medesime sensazioni per quelle parole che, a conti fatti, segnavano la fine ufficiale della loro relazione.
“È stato da vigliacchi aver fatto prima l’amore?” chiese Ned.
“No, perché mai? – lei si alzò dalla posizione sdraiata e si sedette sul giaciglio, incurante della sua nudità – Insomma, siamo adulti e consenzienti, no? Eravamo entrambi consapevoli delle decisioni dell’altro e se ci è andato di farlo non vedo perché pentircene… forse è il modo migliore per…”
“… per finirla”.
“… già, finirla…”
Semplice… dannatamente semplice. Oh Ned, chiaro che il nostro non era un grande amore, ma solo una piacevole e solida relazione tra compagni.
Per qualche secondo ne fu delusa, ma poi si disse che era meglio così: se fosse stato un grande amore ci sarebbe stato molto più in ballo e le decisioni sarebbero state molto più difficili. Ma stando così le cose era più semplice volare fuori da quel nido che l’aveva in qualche modo accolta per quei tre anni, un rifugio intimo che l’aveva fatta crescere come donna più di quanto avesse fatto quando era ancora una semplice ragazzina borghese.
“Sai, Hanji, l’ho capito da subito che tu volevi volare troppo in alto rispetto a me – dichiarò Ned con un sorriso, posandole una mano sulla schiena nuda e provocandole una piacevole sensazione di calore – ma mi sono detto che ne valeva comunque la pena”.
“Ne sono felice – sorrise sinceramente lei – perché anche per me è così”.
“Promettimi solo che non volerai troppo vicino ai giganti, ragazza”.
“Lo farò, promesso”.









__________
nda.
In questo capitolo mi sono voluta soffermare sul periodo d'addestramento di Hanji ed in particolare su questa prima esperienza amorosa. 
Non è mai specificato se Hanji abbia avuto delle relazioni (del resto nel manga persino il suo sesso è ambiguo), ma in questa versione, per riallacciarmi anche alla mia one shot "La disperazione del mostro" ho voluto farle provare anche questa situazione a parer mio parecchio interessante. Anche se è una relazione senza nessun'aspettativa particolare credo che sia importante per la crescita emotiva della nostra eroina, specie per aiutarla a capire come determinate cose non vanno esternate ma vanno taciute e tenute per sè stessi.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4. Insostenibile leggerezza ***


Capitolo 4. Insostenibile leggerezza.



840 – 43

L’anno 840 non era stata un’annata buona per la Legione Esplorativa: di un duecento reclute provenienti da tutte e tre le mura soltanto una decina avevano deciso di unirsi a loro. La maggior parte aveva scelto di far parte della Guarnigione delle Mura che poteva vantare un organico quasi in eccesso, tanto che si parlava di mandare in congedo buona parte del personale più anziano.
Il Comandante aveva deciso di non farsi abbattere da quella scarsa adesione ed aveva ordinato che i nuovi arrivati venissero integrati rapidamente nei reparti loro destinati, in modo che potessero unirsi alle operazioni nell’arco di pochi mesi.
E così era successo.
Nell’aprile di quell’840, a nemmeno vent’anni, Hanji Zoe si trovava davanti al grande cancello del Wall Maria, nel distretto di Shiganshima, aspettando che si aprisse per far uscire una nuova spedizione della Legione Esplorativa. Lo scopo era scoprire se il fragile avamposto che era stato costruito nella precedente missione esisteva ancora: si trattava di un’operazione quasi di routine, senza nessuna ambizione di andare oltre quello che era già stato esplorato.
Ma alla giovane non interessava tutto questo: era arrivato il suo momento, quello che aveva intimamente atteso per tutti quegli anni: le pareva che le ali cucite sulla sua giacca prendessero vita e fossero pronte a farle prendere il volo. La sua eccitazione era tale che il cavallo scartò e pestò gli zoccoli con impazienza, come se volesse iniziare pure lui a correre selvaggiamente.
“Calmati, ragazza – le consiglio Hank, accanto a lei, mettendo una mano sul collo dell’animale per calmarlo – sei davvero troppo agitata”.
“Non è stato così anche per te la prima volta?” chiese Hanji, sistemandosi meglio l’elastico dei suoi occhiali da missione: un gesto che contribuì a rendere ancora più scarmigliata la sua pettinatura.
“Sai che si dice tra i soldati? – le chiese il soldato che anni prima le aveva parlato in un campo poco distante e che, con sua somma sorpresa e soddisfazione, si era ritrovato quella ragazza ormai diventata un componente della Legione Esplorativa – Che quelle come te sono le prime che vengono fatte fuori nelle missioni fuori dalle mura”.
“Altri invece dicono che le persone come lei sono in qualche modo baciate della fortuna e riescono a sopravvivere anche nelle situazioni più disperate – intervenne Lysa, la compagna di Hank, con una strizzata d’occhio – Non farci caso, ragazza mia, Hank sta soltanto cercando di metterti in guardia. Del resto ci tiene alla sua pupilla”.
“Baciata dalla fortuna? – Hanji sorrise a quell’idea – Non mi pare male come cosa. Ehi, Daisy, tu che ne pensi?” si girò dall’altra parte per rivolgersi alla sua vecchia compagna, l’unica che assieme a lei fosse entrata nella Legione Esplorativa. Tuttavia il suo sorriso si spense come vide che la giovane era pallidissima e le sue mani tremavano vistosamente mentre stringevano le redini.
“Non hai paura?” chiese la bionda con un filo di voce, non riuscendo a staccare gli occhi dal cancello che ancora non si alzava.
“Paura? Ma no – la incoraggiò Hanji con una pacca sulle spalle – Pensa che cosa meravigliosa: tra un po’ cavalcheremo senza che davanti a noi ci sia nessun muro. Saremo libere come non lo siamo mai state, una cosa che solo pochi privilegiati possono dire di aver fatto. Là fuori c’è il mondo, Daisy, il vero mondo: ed è lì, a nostra portata”.
“Novellina, vedrai la calmata che ti darai quando incontreremo i giganti – la rimproverò un soldato davanti a lei, senza nemmeno girarsi – dovresti fare come la tua amica e avere un minimo di paura. Non è una gita di piacere… cerca di tenere a bada la tua pupilla, Hank”.
Davanti a quel rimprovero Hanji mise un lieve broncio e si rivolse di nuovo ad Hank. Questi si limitò a una lieve scrollata di spalle, come a dire che tutto sommato se l’era andata a cercare.
Tuttavia quel lieve malumore durò solo una decina di secondi, spazzato via dall’adrenalina che provava sin da quando avevano annunciato quella nuova missione. Era pronta a scalare le mura a mani nude se solo gliel’avessero chiesto e si sentiva smaniosa come mai le era successo
Quanto alla paura… sembrava che per ogni componente della Legione Esplorativa fosse una compagna più o meno assillante dalla quale non ci si può mai staccare del tutto. Soltanto lei sembrava esserne immune.
Tutto sommato potrebbe essere un’esperienza interessante pure quella – si disse, sistemando un ciuffo che le era scivolato davanti agli occhi.
Ma qualsiasi altro pensiero svanì non appena il rumore del cancello che si alzava iniziò ad invadere l’aria.
 
Fu come essere trasportata da un fiume in piena.
Come se una corrente improvvisa prendesse lei ed il suo cavallo e li facesse muovere verso quell’apertura dalla quale usciva una luce completamente nuova e strana. Fu un incredibile momento di estasi e leggerezza in cui le sembrava davvero di poter volare, mentre entrava in quell’apertura tra le mura, percependo appena lo sbalzo di temperatura tra zona al sole e quell’interno ombroso. E poi di nuovo sole, quello d’aprile che regala il primo dolce caldo, carico delle promesse primaverili. E ora, fuori dalle mura, quel calore sembrava ancora più vitale, capace di invitare i fiori e gli animali a risvegliarsi dal torpore dell’inverno prima del previsto.
Quel calore e quella luce, quella sensazione che era tutto quello che aveva sempre desiderato.
Un’insostenibile senso di leggerezza, quasi un volo che fino a quel momento le era stato impedito. Le sue ali adesso non erano più tarpate, la gabbia era stata aperta davanti a lei.
“Ragazza, sei tra noi?” la voce di Hank la richiamò alla realtà.
“Io? – rispose con voce ansante – Certo… oh, Hank, è una sensazione così… così…”
“Sei tra i più folli che abbia mai incontrato – sorrise seccamente lui – ma capisco appieno cosa stai provando, Hanji. Darei non so cosa per poter riprovare le sensazioni della prima volta che sono uscito fuori, quando mi sono sentito il signore del mondo”.
“Il mondo… il mondo! È questo il vero mondo, ed è meraviglioso!”
“Sì, non c’è niente di diverso rispetto a dentro le mura, eppure ti pare tutto nuovo, lo so bene”.
“Fa un po’ paura…” commentò Daisy, accostandosi a loro, dato che la formazione procedeva compatta.
“Non è di questo che ti devi spaventare, biondina – le disse il soldato – è la stessa natura di sempre, fidati. Fa solo strano sapere che le mura sono da una parte e non anche dall’altra. Ma se questo fosse l’unico ostacolo da superare saremmo davvero fortunati”.
“Questa zona dovrebbe essere tranquilla – commentò Lucy, adeguando la sua cavalcatura al passo più rapido imposto dalle prime file – fatevi animo, novellini”.
Hanji annuì e cercò di frenare il sorriso. Fosse dipeso da lei avrebbe spronato ancora di più il suo cavallo per correre libera in quel vasto e meraviglioso mondo.
 
L’incontro con i giganti avvenne il giorno successivo, nel tardo pomeriggio, quando ormai Hanji si era quasi convinta che non li avrebbero incontrati e che quella missione si sarebbe rivelata solo una grandiosa gita che le aveva mostrato le reali possibilità del mondo.
Fu questione di pochi secondi e fu come se la tensione che avevano provato tutti i suoi compagni di colpo si acuisse, un sottile filo d’acciaio che andava a creare una rete che univa tutti loro. Ci fu un grido d’allarme e tutti corsero alle proprie cavalcature.
“Verso il bosco!” esclamò il Comandante, riferendosi alla macchia d’alberi che stava a pochi chilometri da loro.
“Ma dove sono? – chiese Hanji, accostandosi ad Hank – non li vedo… io non li…”
Un rumore di qualcosa che veniva rotto e fu costretta a girarsi, mentre il suo cavallo, perfettamente addestrato, seguiva gli altri.
Durante l’addestramento insegnavano loro com’erano fatti i giganti: le classi, la loro vulnerabilità appena dietro il collo, il fatto che si disinteressassero completamente degli animali per aggredire solo gli uomini. Ma niente, nessuna spiegazione teorica, nessuno schema alla lavagna li poteva preparare all’impatto visivo con quelle creature.
Se la mente di Hanji fosse stata abbastanza lucida si sarebbe accorta che era una classe dieci metri e che dietro ne avanzavano altri più piccoli. Ma tutto quello che poté notare di loro fu la loro andatura completamente sgraziata, come se fossero in procinto di cadere da un momento all’altro. Quei corpi privi di qualsiasi armonia, deformati nei modi più impensabili tanto da sembrare quasi bambole fatte da un giocattolaio folle.
“Hanji! – la richiamò Hank – guarda davanti a te, stupida! E tieniti pronta con il dispositivo: dobbiamo salire sopra gli alberi, chiaro?”
“Certo!” la giovane annuì, recuperando la lucidità e rendendosi conto che erano in una situazione di pericolo. Provò un primo brivido di quella che era la paura, ma ancora l’idea che stavano rischiando sul serio la vita per quelle creature così goffe le sembrava irreale.
“Attenti! Escono anche dal bosco! Sono almeno cinque!”
Il nuovo avviso mise in allarme l’intera spedizione: il gruppo di quaranta soldati si trovò praticamente accerchiato dai giganti che, a dispetto delle loro deformità si stavano dimostrando davvero veloci.
“Cambio ordine! – esclamò il capitano, con un urlo che fece girare tutti – squadre di cinque all’attacco! Ciascuno con i suoi compagni!”
“Li attacchiamo? – chiese Daisy spaventata, galoppando affianco ad Hanji ed Hank, mentre anche Lysa ed un altro veterano si accostavano a loro – Dobbiamo davvero attaccarli?”
“Calma e lucidità, novelline – raccomandò Lysa, prendendo le sue lame con un movimento fluido – ricordate l’addestramento: calcolate bene le misure. Occhio ai movimenti delle braccia: spesso sono più rapidi del previsto”.
“Classe tre metri, alla nostra destra – mormorò Hank, sguainando a sua volta le sue armi – bastiamo io e Lysa. Roy, tu proteggi le ragazze: vediamo se ce la possiamo cavare in due con questo qui!”
Partirono all’attacco, spronando le loro cavalcature. Di colpo anni di esperienza e di sincrono si palesarono in quello che si poteva definire un magnifico e strano balletto, dove ciascuno conosceva a memoria i passi della coreografia. Persino il gigante sembrava esser consapevole di essere parte di quello spettacolo, sebbene nel ruolo di vittima. Sembrava che i suoi tentativi di attacco fossero a beneficio dei due ballerini umani: Hank attrasse la sua attenzione sulla destra, evitando di un soffio il lungo braccio che cercava di colpirlo, mentre Lysa metteva in moto il meccanismo di manovra tridimensionale dall’altro lato, agganciandosi alla schiena del nemico. Le sue lame brillarono alla luce del sole due secondi prima che un fiotto di sangue fumante sprizzasse dal collo del gigante. Proprio questi crollo a terra, senza che la sua espressione mutasse minimamente: niente dolore, paura o altro, come se non avesse possibilità di mostrare altro sentimento che il nulla.
“Alla nostra sinistra, classe sei metri! – Roy richiamò l’attenzione di Hanji e Daisy – troppo vicino per evitarlo. Dimostratemi cosa vi hanno insegnato in addestramento!”
“Sì! – scattò subito Hanji, seguendolo al galoppo, sentendo che il suo corpo veniva invaso da una nuova scarica d’adrenalina, forse più cattiva rispetto alla solita – Daisy, andiamo!”
Di colpo gli automatismi derivati da oltre tre anni d’addestramento tornarono a galla: fu come se il suo corpo si ricordasse alla perfezione di come funzionasse, di quali fossero le tempistiche giuste per lanciare i ganci e lasciarsi trascinare dal dispositivo. L’istruttore le aveva sempre detto che, nonostante il suo corpo ed il suo perenne agitarsi era una delle migliori, e non lo diceva a caso.
Lei era a sinistra, Roy e Daisy a destra rispetto al gigante: quest’ultimo scartò verso i secondi e questo le fece capire che toccava a lei attaccare. Le sue mani si mossero automaticamente alle lame e all’avvio del dispositivo. Di colpo fu in aria, un volo che aveva sperimentato già altre decine di volte, ma che questa volta puntava ad un nemico vero e non a delle sagome di cartone.
E si sentiva leggera, incredibilmente leggera, mentre vedeva quel testone dai capelli neri avvicinarsi sempre di più. Ne colse i lineamenti deformati, gli occhi troppo grandi, il naso piccolo, il sorriso ebete. E poi quel punto dietro la nuca ed ecco la scarica di energia che arrivava: le lame si abbassarono con violenza. Questa volta nessun rumore di sagoma spezzata, ma solo la sensazione di carne morbida che veniva tagliata con incredibile facilità.
Quanto durò? Un paio di secondi, eppure le parve lunghissimo. Ancora una volta fu l’addestramento che la fece ricadere con grazia sul terreno. Ma i suoi occhi non potevano che osservare quella massa caduta a terra che iniziava a fumare come se avesse preso fuoco.
“Hanji! – Hank le fu accanto – tutto bene?”
“Sì – annuì lei – quali altri ora?”
“Andiamo ad aiutare lì, verso quelli di sei metri!”
La giovane annuì e corse ad aiutare i suoi compagni.
Aveva appena ucciso il suo primo gigante, il cuore le batteva a mille, la piccola scossa di paura che aveva provato poco prima era del tutto passata.
 
Durante quella spedizione i giganti comparvero per ben tre volte e uccisero una decina di soldati, tra cui Daisy. Se Hanji non aveva provato paura, per la prima volta si trovò invece davanti alla morte di una persona che conosceva bene e le sensazioni che la pervasero non furono per niente gradevoli. A fine scontro, mentre si aiutavano i feriti e si recuperavano i cavalli, la trovò dilaniata in due, una parte che giaceva a terra e l’altra nella bocca di un gigante che era stato ucciso poco dopo e che ancora fumava mentre si disintegrava.
Fu terribile, agghiacciante, e si sentì estremamente in colpa per non aver nemmeno un graffio. Le mani che tenevano ancora strette le lame iniziarono a tremare e si sentì una completa stupida per aver provato persino esaltazione  nei momenti d’azione di poco prima.
“Mi dispiace – le disse Hank, accostandosi a lei e mettendole una mano sulla spalla – purtroppo è il prezzo che dobbiamo pagare ad ogni dannata spedizione”.
Hanji scosse il capo, incapace di dire qualcosa: erano tremendi i momenti in cui non riusciva ad esprimere quello che provava. Tutto andava a finire in uno strano groppo in gola che non trovava sfogo nemmeno nel pianto.
“Bastardi – sussurrò dopo qualche minuto, mentre veniva indotta con gentilezza ad allontanarsi – ma perché lo fanno?”
“Perché è la loro natura – spiegò il soldato – e posso capire che il primo impatto non sia mai facile, specie se viene ucciso qualche commilitone di cui si è particolarmente amici. Daisy era una brava ragazza… e prima che ti faccia strani pensieri, non cercare una giustizia o una razionalità in quello che accade in uno scontro coi giganti. Puoi calcolare le tue mosse al millesimo, essere pronto a tutto, avere in testa lo schema imparato in addestramento, ma è un qualcosa di totalmente imprevedibile, ogni dannata volta. Anche se sei il soldato migliore del mondo hai sempre quella percentuale di fallimento che ti può costare la vita, va bene? Questa volta è toccato a Daisy, la prossima può toccare a me, a Lysa, a Roy o a te… o a tutti noi, chissà”.
“Perché mi dici tutto questo?” sussurrò Hanji col cuore straziato.
“Perché è la realtà della Legione Esplorativa, ragazza mia… e dato che sei la mia pupilla preferisco che la impari subito piuttosto che crogiolarti in fantasie dove i buoni non possono morire”.
“E allora noi…”
“Tieniti stretto il pensiero della libertà che hai bramato e che hai assaporato – la interruppe il soldato – quella è la risposta a molte domande che ti farai nei prossimi giorni. Come è giusto che sia”.
“Come è giusto che sia…” ripeté passivamente lei, mentre abbandonavano quel campo di battaglia e quei corpi che non si potevano permettere di riportare indietro.
 
Passarono due anni e il destino volle che Hanji non soccombesse per mano dei giganti, nonostante avesse preso parte alle spedizioni che si erano succedute nel corso del tempo. Ogni tanto veniva ritirata fuori la storia che le persone con il suo carattere erano in qualche modo baciate dalla fortuna, ma col passare del tempo era entrata a pieno titolo nella Legione Esplorativa e questi discorsi finivano nel dimenticatoio con sempre più frequenza. Rimaneva certo una personalità di spicco per la sua rumorosità, esuberanza, entusiasmo… un fatto che poteva stridere in un corpo militare con una così alta mortalità. Tuttavia se ci si abituava a vedere i propri compagni morti per mano dei giganti ci si poteva anche abituare all’idea di non avere dei soldati propriamente normali. Del resto per continuare a stare nella Legione Esplorativa bisognava avere un minimo di follia, era questa l’opinione comune.
In quel periodo di tempo Hank aveva perso parzialmente l’uso di una gamba: non era stato per colpa di un gigante ma per un brutto calcio ricevuto da un cavallo imbizzarrito durante una missione. Era stato congedato con onore, dati i suoi quindici anni di servizio, ma continuava a rendersi utile nelle stalle della Legione Esplorativa.
Quanto ad Hanji era ormai una che si era fatta le ossa, come si soleva dire a chi superava i primi due anni senza soccombere. Ormai veniva considerata un elemento affidabile: aveva una buona tecnica, sebbene non eccezionale, e poteva vantare un buon numero di giganti ucciso alle spalle. In ogni caso aveva imparato a metterci la giusta cattiveria, quel sano odio che era in grado di superare la paura e dunque di permettere un attacco valido.
Del resto come poteva essere altrimenti? Dopo che aveva visto morire delle persone che considerava sue amiche, Hanji aveva ormai identificato i giganti come i suoi grandi nemici. Adesso ad ogni missione quasi sperava di incontrarne qualcuno per potergliela fare pagare, per presentare il conto a nome di Daisy e di tutti i suoi commilitoni morti.
Il mondo fuori era meraviglioso e lei desiderava ancora ardentemente poterlo esplorare. Ma al contempo desiderava con tutta se stessa liberarlo dalla presenza di quelle creature così odiose e detestabili, che non avevano un reale scopo nel piano del mondo. Perché non mangiavano gli uomini per fame, ma solo per un istinto che non aveva alcun senso.
“Sparisci, creatura senza senso!” esclamò proprio un giorno dell’agosto dell’843, mentre colpiva la nuca di un gigante classe tre metri, l’ultimo rimasto di un trio che aveva attaccato la sua squadra in ricognizione durante una missione.
Mentre i suoi tre compagni si avviavano già per avvisare che tutto si era concluso per il meglio, Hanji guardò con aria disgustata il suo avversario. In genere non infieriva su quei corpi una volta che cadevano a terra, ma in quel momento si trovava da sola, una cosa che accadeva assai di raro durante le missioni. Poteva concedersi un minimo di cattiveria gratuita.
Senza dare tempo a ripensamenti alzò la lama e tranciò di netto la testa di quel gigante.
Senza nemmeno pensarci sferrò un calcio contro quella testa che ancora teneva la sua espressione ebete. Un gesto senza nessun particolare motivo, uno sfogo senza senso.
Ma…
Leggera?
Fu come un fulmine che la colpì in pieno, lasciandola completamente stordita in mezzo a quel campo che fumava per i corpi dei giganti che si stavano decomponendo. Rimase a guardare quella testa così grande che rotolava per qualche metro, leggera come una palla di stoffa con la quale giocavano i bambini. Considerata la stazza di quel gigante, la testa doveva essere tutt’altro che leggera.
L’odio scomparve, sostituito da una nuova e strana curiosità. Fu come se la bambina che era stata, quella che era sempre piena di domande anche fuori dall’ordinario, tornasse a presentarsi.
Si sistemò meglio gli occhiali e raggiunse la testa che aveva terminato la sua corsa contro un sasso.
Esitò leggermente e poi la afferrò per i capelli, sollevandola con estrema facilità.
Davvero… com’è possibile che sia così leggera?
Questione di cinque secondi e quel gigante non era più il suo nemico.
Era il suo personale oggetto di studio.








_________
Salve,
eccomi tornata dopo le vacanze dove non avevo materialmente occasione per scrivere. Mi scuso per l'attesa, specie dopo che avevo postato i primi capitoli con un intervallo di tempo decisamente minore. Ma come si dice "meglio tardi che mai".
Dunque, per questo capitolo ho preso spunto dalla chiacchierata che Hanji fa con Eren quanto questi è stato appena affidato alla squadra di Levi. Proprio la nostra studiosa racconta che il suo interesse per i giganti era nato solo dopo questo particolare episodio e che prima li considerava solo come nemici. Lo trovo davvero interessante e coerente con il suo personaggio: a lei serve lo spunto, l'intuizione giusta per poter andare oltre il modo di pensare comune.
Possiamo dire che questo momento è la "nascita" dell'Hanji che abbiamo imparato a conoscere nel manga e nell'anime.

Per la cronaca, siamo nel 843, l'anno successivo (ossia nel prossimo capitolo) farà la sua gradita comparsa il nostro campione dell'Umanità preferito.

Nel frattempo vi auguro un buon proseguimento di vacanze :)

Laylath


 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5. Preludi di cambiamenti ***


Capitolo 5. Preludi di cambiamenti.



844


“… e a quel punto sento una presenza incombere dietro di me. Non faccio in tempo a girarmi che lo sento sniffare i miei capelli… sniffare! Parola mia, Mike ha qualche serio problema! Come non gli ho tirato un pugno ancora non lo capisco!”
A quell’ultima frase di Nanaba, Hanji non ce la fece più a trattenersi e scoppiò a ridere in maniera così rumorosa che buona parte delle persone presenti nella mensa si girò a guardarla. Rimase in quella condizione per qualche minuto, incurante di aver rovesciato il suo bicchiere d’acqua e aver rischiato di far altrettanto con il suo piatto di stufato. Alla fine riuscì a riprendere fiato, seppur con difficoltà, e ad asciugarsi le lacrime che ormai colavano senza parere sulle sue guance.
“Scusami! Ti prego perdonami! – esclamò, levandosi gli occhiali per pulirli – non è per te, ti giuro… ma dovresti vedere la tua faccia mentre raccontavi. Era fantastica!”
“Non è questa la reazione che mi aspetterei da una persona che reputo amica – replicò Nanaba con una smorfia di stizza, riprendendo a mangiare – io ti parlo dei miei problemi con Mike…”
“… e dai che è innocuo, lo sai bene pure tu: sniffa i capelli a chiunque. Come fanno i cani, no? È un modo per… – dovette cercare la parola adatta – conoscere meglio le persone”.
“A me li sniffa un po’ troppo spesso ed ormai mi conosce bene! Perché invece a te li ha sniffati una sola volta?”
“Evidentemente preferisce i tuoi. Non ti ricordi che un paio di giorni fa ha detto qualcosa tipo i capelli di Nanaba hanno il profumo migliore, sanno di frutta? Io lo trovo carino”.
“La dovrei prendere come una dichiarazione? – la bionda soldatessa si irrigidì ancora di più nella sua panca – Hanji Zoe, se prima di consideravo strana dopo questa sei salita al livello di matta”.
“Dai, scherzavo! In fondo Mike è simpatico nonostante sia parecchio taciturno, fossi in te non lo scarterei a priori”.
Nanaba fece una smorfia e poi un sorrisino malizioso apparve sulle sue labbra sottili.
“Vogliamo parlare di relazioni tra soldati? Parliamo di te allora. Proprio ieri ho sentito una voce molto interessante che ti riguarda: è vero che hai una cotta nientemeno che per Keith Shadis?”
“Il comandante? – Hanji cercò di mantenere un tono calmo, ma sentì le sue guance avvampare – Sono solo stupide sciocchezze, vorrei proprio sapere chi le ha messe in giro!”
“Che sorpresa: Hanji Zoe che si interessa ad un essere umano e non ai giganti! Il nostro comandante dev’essere davvero affascinante per attirarti in maniera così palese”.
Hanji riprese a mangiare, cercando di ignorare le occhiatine maliziose che la sua amica continuava a lanciarle.
Era passato un anno ed ormai la sua passione per i titani era nota in tutta la Legione Esplorativa. Se prima era considerata un tipo esuberante adesso in parecchi la definivano fin troppo strana. Ma, com’era nelle sue corde, la giovane si lasciava scivolare tutto addosso e continuava i suoi studi su quelle bizzarre creature. Dopo numerose osservazioni era sicura di trovarsi davanti ad esseri davvero particolari che agivano per puro istinto senza nemmeno rendersi conto di quello che facevano. Purtroppo per lei non aveva molte possibilità di studio diretto: doveva accontentarsi delle intuizioni che ricavava durante le spedizioni fuori dalle mura e dalle poche possibilità che aveva di tenere in mano qualche pezzo di cadavere prima che si dissolvesse del tutto o prima che il corpo di spedizione riprendesse a muoversi. Per quanto la sua ricerca fosse entusiasmante era comunque ad un punto fermo, questa era la realtà dei fatti.
“Parliamo di cose più importanti – Nanaba la riscosse da quei pensieri – proprio a proposito del comandante Shadis”.
“Se hai intenzione di continuare il discorso, sappi che mi stai facendo passare del tutto l’appetito”.
“No no, non parlo di te – il viso androgino della soldatessa era serio – hai sentito le voci che circolano ultimamente? Pare che vogliano eliminare del tutto le spedizioni oltre le mura”.
“Cosa? – gli occhi di Hanji si dilatarono per la sorpresa e per il terrore: non potevano levarle anche quelle poche possibilità di studio diretto che le restavano – Ma come possono fare una cosa simile?”
“Bada, sono solo voci… ma pare che riguardino l’assenza del comandante in questi giorni. Dicono che sia andato direttamente nella capitale per parlare con i piani alti. Sembra che ci siano parecchie pressioni per ridurre le azioni della Legione Esplorativa: considerano le spedizioni uno spreco di uomini e di risorse, specie dopo gli ultimi disastrosi risultati”.
“Che follia! – Hanji era sconvolta – Non capiscono che così facendo ci leveranno anche le uniche possibilità di essere liberi? Ci vogliono far vivere per sempre dentro le mura?”
“Alla maggior parte della gente va bene così, del resto – considerò Nanaba con pragmatismo – Anche se ci chiamano la speranza dell’umanità, la maggior parte di loro non crede davvero che un giorno si potrà vivere fuori dalle mura. E del resto non ci stanno male dentro: non ci sono giganti, vivono bene. Una volta non mi avevi raccontato che pure la tua famiglia pensava le medesime cose?”
“Mh…” annuì la studiosa, rigirando con aria triste il suo stufato.
Effettivamente, nonostante gli anni, la sua famiglia non aveva cambiato minimamente idea sul suo essere diventata un soldato della Legione Esplorativa. Forse, se fosse diventata un membro della Guarnigione delle Mura o della Guardia Cittadina i rapporti sarebbero stati più facili; tuttavia per come stavano le cose sua madre la considerava come morta e suo padre e suo fratello si trovavano in lieve imbarazzo le poche volte che andava in visita a casa. A loro non interessavano i discorsi sui giganti e su quello che stava fuori dalle mura, anzi li trovavano inquietanti. La semplice verità era che ormai la famiglia Zoe aveva un solo figlio… una volta aveva avuto anche una figlia, ma preferiva dimenticare che era stato così.
“Comunque questo periodo di stasi mi annoia parecchio – disse Nanaba, facendole riprendere contatto con la realtà – spero che il comandante ritorni presto. Sai che con lui sono andati anche Mike ed il suo superiore? Vedrai che quello farà parecchia strada con le sue innovazioni”.
“Erwin Smith? – Hanji annuì con interesse – Il suo reparto non ha avuto nemmeno una perdita nell’ultima missione: ammetto che quella nuova formazione e l’uso dei segnali di fumo non è niente male”.
“Sarà il nuovo comandante della Legione, sempre che non sciolgano il corpo. Se succedesse cosa faresti? Io credo che tornerei a casa”.
“A casa? – Hanji sorrise con sarcasmo – no, non è proprio quello che farei io”.
 
Si, va bene, lo trovo un tipo decisamente interessante, ma questo non vuol dire che abbia una cotta per lui. Avrà quasi vent’anni più di me.
Hanji si trovò a pensarlo la settimana successiva, mentre si trovava schierata con il resto della Legione davanti al comandante Shadis e altri tre soldati che non aveva mai visto. Effettivamente il suo superiore aveva un qualcosa che la attirava in maniera particolare, sebbene non riuscisse a definire cosa. Forse era la sua aria vissuta, forse il suo modo di parlare o tutto un insieme di dettagli, compreso il fatto che non esitava a buttarsi nel combattimento quando venivano attaccati dai giganti. Di certo Hanji lo considerava un ottimo soldato, come testimoniava anche il fatto che fosse sopravvissuto a tante spedizioni fuori dalle mura.
“… da questo momento questi tre combatteranno al vostro fianco. Voi tre, presentatevi ai vostri compagni” stava dicendo Shadis. E questo riportò l’attenzione di Hanji sui nuovi arrivati.
Strano, non è periodo di fine addestramento – pensò – che si tratti di un trasferimento?
Quella a sinistra era una ragazza che sembrava appena uscita dall’adolescenza e le due codette che le tenevano i capelli castani certo non contribuivano a darle un aspetto più adulto. Anche il suo sorrisetto impertinente e sicuro parlava di una personalità peperina e ancora un po’ infantile.
Il soldato a destra aveva i capelli chiari e lo sguardo serio: tutto sommato non lo trovò diverso da svariati componenti dell’esercito. Non aveva tratti particolari e dunque si sarebbe trattato di scoprire se aveva una personalità interessante.
E quello al centro…
Mh, non è proprio un campione d’altezza… e che sguardo annoiato.
“Levi…”
Se non avesse visto quelle labbra sottili muoversi, Hanji avrebbe pensato che quella voce dal tono basso fosse provenuta dal nulla, forse nemmeno esistita. Specie se in contrasto con i nomi degli altri due, Farlan ed Isabel, che invece furono detti con maggiore scioltezza.
Beh, qualche componente in più non può far male – rifletté con lo stesso disincanto di chi, nel corso di quattro anni, aveva visto svariati soldati entrare nella Legione Esplorativa.
 
Dopo dieci minuti da quella presentazione già correvano delle voci sui nuovi arrivati.
A quanto pare non avevano ricevuto il minimo addestramento. I ben informati dicevano che provenivano dalla Città Sotterranea che stava sotto la capitale e che erano entrati nella Legione per non finire in galera o anche peggio. Dei ladruncoli o criminali, a sentire i più altezzosi, e certo questo lasciava perplessi.
“In ogni caso non so quanto sia stato prudente metterli nella squadra di Fragon – commentò Nanaba, mentre lei ed Hanji si dirigevano verso i loro alloggi – si vede che non nutre molta simpatia per loro. Forse il comandante avrebbe dovuto rivedere meglio i suoi piani e metterli in una squadra con un capitano maggiormente benevolo nei loro confronti”.
“Gli uomini di Fragon sono ottimi, vedrai che saranno degli ottimi insegnanti – scrollò le spalle Hanji, ormai disinteressata di quei tre – quello che conta è quanto ha detto il comandante… e cioè che non potevano stare nella squadra di Erwin perché lui sarà impegnato ad organizzare la prossima spedizione. E questo sai cosa vuol dire? – un sorriso estatico le comparve sul viso – giganti… finalmente li rivedrò! Sono cinque mesi che ormai siamo fermi e ho ben poco materiale per continuare i miei studi!”
“Oh poveri noi, adesso ricomincerai! – sospirò la compagna mentre raggiungevano il dormitorio vuoto – e pensare che la maggior parte del corpo era felice che in queste ultime settimane ti fossi data una calmata. Almeno in mensa si mangiava tranquilli senza le tue conferenze”.
“Che c’è? Vuoi che ti legga qualche pagina della mia ultima relazione? – propose maliziosamente la castana, tirando fuori da sotto il letto una cassettina in legno e tirando fuori svariati fogli – Sono sicura che la troverai interessante”.
“Proprio no – scosse il capo l’altra, recuperando invece un cambio di vestiti – piuttosto vado a lavarmi. Cosa che dovresti fare anche tu: dalla puzza di cavallo non ci vuole molto per indovinare che hai passato la mattinata con Hank nelle stalle, vero?”
“Bersaglio colpito! – annuì Hanji con una strizzata d’occhio – Farò più tardi, promesso: adesso devo rimettere un po’ in ordine questo materiale. Se ho una minima idea di come è fatto Erwin Smith, sono certa che alla prossima spedizione non mancherà molto”.
Rimasta sola tirò fuori tutti i suoi appunti e li sistemò con religiosa attenzione. Ormai erano diversi quaderni tutti ripieni della sua grafia inclinata: disegni, schemi, ipotesi…un giorno li avrebbe raccolti in un’unica grande relazione e l’avrebbe presentata al comandante Shadis.
Sperava in questo modo di fargli capire quanto fosse importante lo studio dei giganti, in modo che le venisse data maggiore possibilità di movimento. Negli ultimi tempi aveva iniziato ad accarezzare anche l’idea di una sua personale squadra di studio, ma non osava parlarne con nessuno ritenendo i tempi troppo prematuri.
Però, chissà… il giorno non potrebbe essere nemmeno troppo lontano. Intanto la cosa importante è che ci sia una prossima spedizione alle porte.
 
Effettivamente Hanji aveva visto giusto: un paio di mesi dopo la Legione Esplorativa era davanti ai cancelli del distretto di Shiganshina pronta per partire.
Mentre era ferma al suo posto, aspettando che venisse dato l’ordine di apertura dei cancelli, Hanji si guardava attorno, godendosi appieno il senso d’eccitazione che permeava tutta la sua persona. Era come se fosse uscita da un noioso e lungo letargo: non vedeva l’ora di rivedere la primavera che l’attendeva fuori dalle mura. Con sguardo curioso individuò i tre nuovi arrivi che stavano poco distante da lei: li aveva visti pochissime volte durante quei mesi, complice anche l’addestramento intensivo che era stato loro impartito. Chi li aveva visti all’opera diceva che erano davvero in gamba e dunque parecchi si erano ricreduti sul loro ingresso nel corpo.
Certo, poi alla fine quello che conta sarà il loro comportamento davanti ad un gigante vero.
La solita vecchia trappola che purtroppo era fatale a molti nuovi arrivi: spesso la mente non era pronta ad un simile impatto e questo faceva la differenza tra la vita e la morte. I riflessi allenati per anni rallentavano di quella frazione di secondo che risultava decisiva.
Sentendo un brusio dietro di lei si accorse che il comandante Shadis stava avanzando per raggiungere il suo cavallo in cima alla colonna. Come sempre aveva fatto un rapido giro di ricognizione per assicurarsi che tutto fosse in ordine anche nei carri dell’equipaggiamento e delle vettovaglie.
“Coraggio, ragazzi, faccio affidamento su di voi!” disse l’uomo, passando proprio accanto al cavallo di Hanji e dando una lieve pacca sul ginocchio della giovane. Un chiaro gesto cameratesco che non aveva nessun secondo fine, del resto lei ed il comandante non si erano mai scambiati nessuna parola.
Va bene, è affascinante – ammise a se stessa Hanji, arrossendo lievemente a quel contatto – e ha anche una bella schiena. Però adesso basta, pensiamo ai giganti e al diavolo le chiacchiere di Nanaba!
“Aprite i cancelli! – tuonò Shadis dopo qualche minuto, la sua voce che riusciva ad arrivare anche in fondo alla colonna – Oggi faremo ancora un passo in avanti! Vediamo cosa vi ha insegnato il vostro addestramento! Mostrate loro la forza dell’umanità!”
Ci fu un attimo di tensione, quello che Hanji aveva imparato ad amare, quello che preannunciava il muoversi della spedizione. E Shadis lo sapeva usare alla perfezione, quasi come un attore consumato che sa come catturare l’attenzione del suo pubblico.
“Tutti i soldati… avanzate!” gridò infine, sovrastando persino il rumore dei cancelli che finivano di aprirsi.
E la nuova spedizione della Legione Esplorativa si mise in moto.
 
Come c’era d’aspettarsi non era passato molto prima che dei giganti li attaccassero: se l’erano cavata con poche perdite, ma quello che aveva interessato Hanji era che un esemplare fosse anormale. Tuttavia, come spesso succedeva, non aveva avuto tempo e modo di apprezzarne le caratteristiche: si era proceduto immediatamente all’attacco e tutto era finito nell’arco di pochi minuti.
Però questa volta c’era un nuovo motivo di entusiasmo da parte sua. Solitamente non restava molto impressionata dalle tecniche di combattimento dei suoi compagni, ma questa volta era rimasta davvero ammirata perché una perizia simile nell’usare le lame e il meccanismo di manovra tridimensionale non si era mai vista.
Così, quella sera, come si furono sistemati nelle rovine del castello che costituivano il loro avamposto, Hanji si levò rapidamente i suoi occhiali da combattimento per sostituirli con quelli più comodi di tutti i giorni. Gettò via il mantello pieno di polvere e poi si diresse verso l’altra sala dove stava accampato il resto dei soldati.
È stato grandioso, semplicemente grandioso! – si disse mentre gli occhi castani brillavano d’eccitazione – E chi pensava che uno così basso fosse così bravo? Magari essere così lo rende più leggero e quindi ha maggior facilità di movimento… oh, ma che importa! Non credo di aver mai visto uno come lui!
Finalmente lo individuò, seduto in un angolo che parlottava assieme ai suoi due compagni.
“Ehi, tu, posso disturbarti per un momento? – chiese con disinvoltura, andando davanti a loroL’ho visto, sai? Il momento decisivo!”
Ci fu un attimo di silenzio e mentre gli altri due si guardavano insospettiti, Levi rimase impassibile a fissarla con i suoi occhi infossati. Occhi grigi, che non tradivano alcuna emozione: Hanji si trovò a pensare che sarebbero stati anche belli se avessero trasmesso un minimo di calore. Del resto aveva sempre ritenuto il grigio un colore davvero affascinante per le iridi.
Ma fu una riflessione che durò solo un millesimo di secondo.
“Il momento decisivo? – chiese Levi con calma piatta – Di che stai parlando?”
“Di cosa sto parlando? – era una domanda che Hanji adorava: in genere era l’imboccata giusta per dare il via a una discussione su qualche argomento interessante. Chissà se a Levi interessava parlare dei giganti? Doveva ricordarsi di chiederglielo,magari più tardi – Ovvio che parlo del momento in cui hai abbattuto il gigante! È stato incredibile! Ero sopraffatta dall’ammirazione!”
Ancora un silenzio imbarazzato e Hanji si rese conto che non erano abituati a lei e che, somma scortesia, non si era nemmeno presentata.
“Sono Hanji Zoe. Tu sei Levi, giusto? Questa ragazza è Isabel – indicò la giovane con aria compiaciuta – e lui è…”
Dannazione, mi sono dimenticata il nome…
“Farlan…” si presentò l’altro.
“Giusto, giusto! Farlan! Piacere di conoscerti!” si lasciò cadere seduta tra loro due, dando una pacca sulle spalle a quest’ultimo. Adesso che aveva rotto il ghiaccio sarebbe stato semplice parlare con loro.
Sempre che Levi riuscisse a mettere un paio di parole in fila a formare una frase.
Vediamo se riesco a metterlo a suo agio. Di sicuro se si muove così bene con il meccanismo di manovra tridimensionale, sarà un argomento di cui gli va di parlare.
“Non vieni dal corpo d’addestramento, vero Levi? Come mai sei così abile ad usare il meccanismo di manovra tridimensionale?”
Invece di risponderle lui la fissò, come se fosse una sorta di animale strano. Fu solo dopo che Farlan gli mormorò qualcosa all’orecchio che si decise a rispondere.
“Ho fatto pratica, niente di speciale”.
“Hai imparato da qualcuno? – Hanji decise di dargli un’altra imbeccata dato che era palese come lui non amasse prendere l’iniziativa – La prima volta che ho provato ho avuto un po’ di difficoltà nel bilanciarmi con le cinture. Hai qualche trucco o suggerimento per migliorare?”
“Veramente no…”
“Sei davvero di poche parole, eh? – sospirò, sentendosi lievemente a disagio – anche un piccolo aiuto sarebbe utile. Andiamo! Sono sicura che tutti qui non vedono l’ora di sapere. Tutti hanno visto il tuo combattimento. Ci hai incoraggiato a credere che l’umanità non ha perso, guardarti è stata una vera ispirazione”.
Certo, era un discorso molto alla Shadis, ma era innegabilmente vero. Quel giovane taciturno aveva combattuto in maniera tale da risultare come una ventata d’aria fresca per tutti quanti loro.
A quel punto Isabel iniziò ad intromettersi, sembrava quasi voler impedire a Levi di parlare. Per fortuna Hanji aveva con sé un sacchetto di dolciumi che parve placarla, proprio come una bambina.
“Allora – finalmente riuscì a rivolgersi di nuovo a Levi – quando ci permetterai di sapere cosa ti frulla in testa?”
“Mi dispiace, sono autodidatta. Questo è un qualcosa che non posso insegnare facilmente agli altri”.
“Ma…”
“Scusa, sono esausto”.
Va bene – pensò la ragazza, alzandosi in piedi e prendendo congedo, con la promessa di altre chiacchierate – sei un tipo scontroso, l’ho capito.
 
Due settimane dopo Hanji si stiracchiava vistosamente dopo essersi fatta un bagno caldo ed essersi finalmente cambiata i vestiti sporchi. Quello era uno dei momenti più belli del ritorno al quartier generale: poter usufruire di tutti i confort che offrivano gli alloggiamenti militari, vasche da bagno comprese.
“Hanji Zoe lavata e profumata, evento raro – la prese in giro Nanaba, pure lei decisamente rinfrancata da un bagno caldo – che ne diresti anche di un bel taglio ai tuoi capelli? Forse avresti un aspetto più ordinato”.
“Non osare avvicinare le forbici alla mia chioma – la mise in guardia Hanji, sistemandosi con orgoglio i capelli ancora umidi nella solita disordinata coda – Cambiamo direttamente argomento. Allora, pareri sulla nuova formazione proposta da Erwin?”
“Quella a lunga distanza? Beh, se non piove ha grandissime potenzialità – annuì la bionda, finendo di legarsi gli stivali – Come abbiamo più volte detto, ha tutte le carte in regola per essere il prossimo comandante della Legione. Speriamo il più tardi possibile, dato che il suo avanzamento significherebbe la dipartita del tuo Shadis”.
“Ancora con questa storia? – arrossì Hanji – E allora io riprendo con Mike. Penso che stasera, in mensa, sarà davvero felice di sniffare i tuoi capelli puliti”.
“Ah! Non farmici pensare! Sei così crudele che non meriti nemmeno la mia compagnia”.
E con uno sbuffo Nanaba si alzò dal suo letto e uscì dal dormitorio.
Felice di aver sviato discorsi imbarazzanti, Hanji finì di cambiarsi e uscì pure lei, decisa a godersi quell’ultimo tepore estivo prima del calar della sera. Con tutta probabilità la maggior parte dei suoi compagni si stava già dirigendo in mensa e questo significava che la sua passeggiata solitaria non avrebbe subito intrusioni. Persino una ragazza sociale come lei ogni tanto gradiva stare sola, specie dopo una missione in cui si è costretti al contatto diretto per più di una settimana di fila.
Tutto sommato non era andata così male: nonostante diverse perdite, sembrava che le voci sull’eliminazione delle missioni fuori dalle mura fossero rientrate. Ed inoltre la nuova formazione proposta da Erwin prometteva un periodo di grande innovazione che forse avrebbe aiutato pure i suoi studi sui giganti.
Ma sì – rifletté, fermandosi al centro del campo di parata e respirando a pieni polmoni quell’aria pulita – direi che i risultati sono più che positivi.
Tuttavia i suoi pensieri si interruppero quando i suoi occhi acuti scorsero una figura appollaiata sopra uno dei tetti delle scuderie.
Levi? – lo riconobbe, aguzzando bene la vista.
Stava per richiamare la sua attenzione, magari sarebbe stato lieto di scambiare qualche opinione sulla sua prima missione. Ma si fermò in tempo, ricordandosi di come entrambi i suoi compagni, Farlan ed Isabel, avessero perso la vita.
Giravano parecchie voci su quanto era successo: lui, Erwin e Mike si erano riuniti alla compagnia dopo quasi un’ora, tanto che si temeva per la loro vita. Dicevano che Levi avesse ucciso un gruppo di giganti tutto da solo, dopo che il resto della sua squadra era caduto… un qualcosa di mai visto prima.
Forse l’umanità aveva trovato un nuovo campione, certo, ma quello che vedeva Hanji in quel tramonto di inizio estate era solo un uomo che aveva appena perso le persone a lui più care.
Fa male, certo – pensò, cercando di trasmettere un minimo di conforto a quella figura distante che, anche se l’aveva notata, faceva finta d niente e continuava a fissare davanti a sé – ed è inutile cercare giustizia, non la troverai. Però non sei solo, Levi. Anche se Isabel e Farlan sono morti, almeno restiamo noi… un giorno capirai che vuol dire tanto.
Rimase ancora un minuto ad osservarlo e poi con un sospiro si decise ad andare in mensa: Levi non aveva bisogno di nessuno per imparare quella triste lezione.
Se era fortunata era ancora in tempo per la sniffata che Mike avrebbe fatto ai capelli di Nanaba



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Eccomi tornata con grande ritardo. Scusate ma sono rimasta a combattere settimane con un capitolo dell'altra long che sto scrivendo in un altro fandom.
Comunque eccoci arrivati ad un punto cruciale della storia, ossia l'arrivo di Levi nella Legione Esplorativa. Per le scene di presentazione e del dialogo durante la missione ho ripreso lo spin off "Birth of Levi" che anche se non di Isayama viene ormai considerato canon. Diciamo che il primo impatto tra i due non è stato certo incoraggiante, ma ci sarà del tempo per maturare un rapporto decente. Senza contare che in questo frangente Levi ha ben altri pensieri (se avete letto questo spin off).
Sempre dallo spin off deriva l'introduzione della formazione a lunga distanza da parte di Erwin e già si inizia ad intuire che ben presto diventerà lui il comandante della legione esplorativa.
E ho introdotto anche Nanaba.
Quanto alla cotta che Hanji avrebbe avuto per l'allora comandante Shadis, se ne fa riferimento nel capitolo 71 del manga, anche se lei smentisce in maniera abbastanza stizzita l'accenno alla questione. Ho deciso di rendere questo dettaglio come veritiero, seppur Hanji tenda a nasconderlo agli altri... un'ammirazione molto da lontano, mettiamola così.
A presto :)




 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6. Stupida quattrocchi ***


Capitolo 6. Stupida quattrocchi.



845.


“Ehilà, Levi, come mai da queste parti?”
Hanji sorrise allegra mentre apriva ancora di più la porta del suo alloggio per permettere al soldato di entrare. I suoi occhi castani si accesero di malizia mentre vedeva quelli grigi ed incavati di lui dilatarsi, per quanto un’azione simile fosse possibile allo sguardo impassibile di Levi, e le labbra sottili stringersi in una linea appena visibile.
Oh, lo so bene! – sghignazzò silenziosamente la giovane – Vedere questo per te è tremendo.
“Allora?” incitò ancora, mettendogli una mano sulla spalla, quasi a volergli impedire la fuga.
“Il capitano Smith vuole il rapporto – la voce di lui era stentorea, era chiaro che si stava trattenendo. Il contatto fisico l’aveva fatto irrigidire, come se per lui fosse inconcepibile che qualcuno osasse tanto – quello che dovevi consegnare la settimana scorsa”.
“Il rapporto? – Hanji si toccò la punta del naso con fare pensoso – Ah, quel rapporto. Non l’avevo consegnato? Bontà divina, l’ho messo da qualche parte come l’ho terminato e me ne sono completamente dimenticata. Aspetta, ora lo cerco: entra, entra! Non fare complimenti! Non c’è niente di scandaloso nella mia camera”.
“… solo il disordine…” sbuffò Levi, recuperando finalmente la sua flemma e rassegnandosi ad entrare.
Hanji non era mai stata ordinata, nemmeno da bambina: tendeva a lasciare tutto sparso nel pavimento o nel tavolo, per non parlare dei vestiti. Con la vita militare almeno questi ultimi si erano drasticamente ridotti, ma questo non le aveva impedito di personalizzare la sua camera non appena gliene era stata assegnata una qualche settimana prima, con la sua promozione a caposquadra. Così, quello che prima era messo alla rifusa nella cassapanca in dotazione ad ogni soldato adesso si trovava sparso in giro per quella piccola stanza provvista, oltre che di letto, anche di scrivania e libreria. E agli effetti personali si aggiungevano decine di libri, fogli, quaderni, materiale da scrittura, microscopi e altri attrezzi messi ovunque tranne che ai loro posti.
Ogni persona che entrava definiva quella stanza con una sola parola: caos.
Ma per Hanji si trattava del suo caos, quasi fosse un riflesso della sua personalità, proprio come la sua chioma perennemente arruffata: riusciva a trovare quello che le serviva in poco tempo… almeno nella maggior parte dei casi. Se, come in quel caso, la cosa che cercava serviva ad un’altra persona magicamente si nascondeva meglio del previsto.
“La relazione… vediamo – iniziò a frugare tra i fogli della scrivania, con il concreto risultato di farne cadere svariati per terra – dove l’avrò messa? Siediti pure Levi, credo che mi ci vorrà qualche minuto”.
“Sedermi… dove?” la voce del soldato suonò tetra, facendola girare.
“Eh, ma quanti drammi! – lo prese in giro, vedendolo osservare con disgusto la sedia piena di vestiti – guarda che è roba pulita: ritirata ieri dalla lavanderia”.
“E perché da ieri sta ancora nella sedia e non piegata dentro la cassapanca dove dovrebbe stare?”
“Non ho avuto tempo” rispose tranquillamente lei, riprendendo a frugare tra le carte della scrivania.
“… so che è fiato sprecato, ma oggi mi voglio far male: dove ti sei seduta fino ad adesso per fare le tue cose da scienziata pazza?”
“Sopra il letto e… ma guarda! Ecco gli appunti che ho annotato alla scorsa spedizione! Credevo di averli persi da qualche parte”.
“Non mi dire…”
“Comunque ti puoi sedere anche nel letto, eh? Prima che tu me lo chieda le lenzuola sono pulite, solo un poco sgualcite: tendo ad agitarmi nel sonno”.
“Tsk!”
Hanji ridacchiò a quell’ennesima protesta e riprese la sua ricerca. Tuttavia, nel frattempo, la sua mente rifletteva sul giovane soldato che ormai era una vera e propria leggenda della Legione Esplorativa. Non era cambiato molto da quando l’aveva conosciuto quasi un anno prima: sempre sulle sue, con quell’aria perfetta e perennemente seria, quasi annoiata. Era il pupillo di Smith, praticamente la sua ombra, e questo ovviamente aveva fatto salire di parecchio le quotazioni del biondo capitano, tanto che nessuno aveva ormai dubbi su chi sarebbe stato il successore di Shadis.
Nonostante questo Levi non era per niente socievole. I soldati della Legione Esplorativa tendevano ad essere abbastanza compatti tra di loro: a lavorare fianco a fianco in un numero relativamente ristretto si finiva per considerarsi una sorta di famiglia allargata, era anche un modo per farsi forza a vicenda di fronte alla pericolosità della loro vita. Ma Levi no, stava al di fuori di questo modo di pensare: nei momenti di libertà se ne stava quasi sempre per conto suo e anche durante i pasti non spiaccicava parola se non quando era chiamato in causa. A volte Hanji pensava che non si fosse ancora ripreso dalla morte traumatica dei suoi due amici, ma lo trovava un ragionamento poco pragmatico per chi aveva scelto di entrare in quel corpo elitario.
In ogni caso Levi, per qualche strano motivo, le piaceva. E questo andava al di fuori delle sue capacità di combattimento e dunque del grande supporto che dava alla Legione Esplorativa. Erano una l’opposto dell’altro, cosa che in teoria avrebbe dovuto portare a un disprezzo reciproco, ma Hanji non provava niente di simile. Trovava quel basso soldato estremamente divertente per tutte le sue piccole manie, quasi un esemplare da studiare. Per esempio quel foulard bianco che portava sempre attorno al collo: come fosse sempre perfetto era un vero e proprio mistero. Per non parlare della sua psicosi nei confronti dello sporco: era quasi una vera e propria mania che ogni superficie che gli riguardasse dovesse essere perfettamente pulita e in ordine.
E di conseguenza era un vero e proprio spasso vedere la sua reazione ogni volta che si incontravano e notava la sua pettinatura scarmigliata, i suoi appunti incasinati e tutta una serie di dettagli che per un maniaco dell’ordine come lui erano assolutamente inconcepibili. Sicuramente Smith aveva in mente una qualche terapia d’urto quando gli aveva chiesto di andare da lei a recuperare quella relazione.
“Allora, nel frattempo che cerco… hai qualcosa da raccontarmi?”
“Niente di che”.
“Mamma mia, la tua loquacità è sempre… no, ma stai davvero facendo sul serio?
Si era voltata ed i fogli le erano caduti di mano come l’aveva visto prendere la biancheria che stava sulla sedia e portarla sul letto per iniziare a piegarla con la stessa perizia di una lavandaia.
“Continua pure a cercare – la incitò lui, senza nemmeno guardarla, totalmente assorto nella sua nuova occupazione – prima lo trovi meglio è”.
“Scommetto che se ci impiego più tempo del previsto mi rimetteresti a posto tutta la stanza – ridacchiò Hanji, scuotendo il capo – ma si può sapere che fastidio ti dà un minimo di disordine?”
“Minimo? – Levi piegò un paio di mutande senza nemmeno farci caso – Sei la donna più disordinata della Legione Esplorativa e questa camera lo dimostra. Dubito che tu conosca bene il concetto di pulizia e di igiene personale”.
“Ti sorprenderebbe sapere che provengo da una famiglia piuttosto agiata, dove il bagno era previsto praticamente tutti i giorni” rispose Hanji, per nulla offesa.
“Non si direbbe”.
“Tu invece provieni dalla Città Sotterranea della capitale, vero? – si avvicinò a lui e lo scrutò con attenzione – quante volte ti lavavi alla settimana?”
“Di certo più di quante volte ti lavi tu”.
Nessun timore o disagio ad affrontare questo tipo di conversazione: Levi era davvero un personaggio interessante.
“Che fai, mi spii?” gli chiese con un briciolo di malizia, giusto per studiare la sua reazione.
“No, mi basta sentire il tuo odore… e dare un’occhiata ai tuoi capelli”.
“Questi? – Hanji scoppiò a ridere con gusto – Ah, ti assicuro che anche appena lavati restano così, mi dispiace ma hai perso un punto”.
“Non hai ancora trovato la relazione…”
“Scusa tanto – alzò le spalle, tornando alla scrivania e riprendendo a frugare ma non mancando di lanciare qualche occhiata incuriosita al suo ospite – è solo che trovo interessante fare conversazione con te. Sei sempre così taciturno: credo che mi abbia detto più cose in questi minuti che in tutto il resto del tempo da quando ci conosciamo”.
“Parli abbastanza tu per entrambi, non ti pare?” ci fu un minimo movimento verso l’alto delle labbra del’uomo: un accenno appena percettibile di sorriso che fu in grado di sconvolgere Hanji quanto una nuova scoperta sui giganti. Il grande Levi era capace di sorridere e l’aveva fatto con lei.
“Oh, ma hai sorriso! O per lo meno hai fatto qualcosa di vagamente simile… adesso non mi vorrai dire che sorrido abbastanza per entrambi: va bene che siamo agli opposti, ma potrebbe essere troppo impegnativo calcolare quantitativamente e qualitativamente in che modo dobbiamo compensarci”.
Levi finì di impilare la biancheria pulita e aggirò la soldatessa per andare a riporla dentro la cassapanca. O almeno quella era l’intenzione: quando sollevò il coperchio vide che anche all’interno vigeva il caos più assoluto e così, con un sospiro, si accontentò di lasciarla ordinatamente sopra il letto.
“La trovi o no la relazione, stupida quattrocchi?” chiese impassibile con uno sbuffo che ebbe il potere di muovere una ciocca dei sottili capelli neri. Si mise a braccia conserte, forse il gesto maggiormente espressivo che era capace di fare.
Ci furono cinque secondi di silenzio mentre nella stanza risuonava quell’insulto.
Per un attimo Hanji si sentì ferita, nessuno aveva mai ritirato fuori la storia dei suoi occhiali da anni: da quel che ricordava solo le ragazzine vicino a casa sua avevano provato a prenderla in giro per questa sua peculiarità. Ma l’indecisione durò solo qualche secondo.
“Nano maniaco del pulito… e con questo siamo pari, Levi – dichiarò con estrema semplicità, mettendogli una mano sulla spalla – anzi direi che siamo amici, sebbene trovi davvero originale che un’amicizia parta da degli insulti, ma del resto siamo entrambi originali, no? E comunque, ecco qua – guardando nella libreria proprio dietro a Levi aveva scorto il gruppo di fogli che cercava – la relazione per il capitano Smith”.
“Grazie – rispose con sarcasmo Levi, mentre gli veniva consegnato il plico che, ovviamente, venne rimesso a posto con mosse precise – ma tengo a precisare che noi non siam…”
“Oh, dai, il taciturno maniaco del pulito e la scienziata pazza quattrocchi: è un bel duo, non credi?”
“Immagino che se rispondo negativamente mi farai qualche assurda conferenza sulle tue motivazioni”.
“Assolutamente sì”.
“Allora lascio le cose come stanno. Buona giornata e, se posso darti un cons…” guardò in giro per la stanza e poi scosse lievemente il capo, come se si fosse appena reso conto che c’erano guerre che nemmeno lui poteva vincere.
Sì, decisamente è divertente – pensò Hanji, quando la porta si chiuse alle spalle del giovane.
Del resto Levi aveva bisogno di qualcuno vagamente simile ad un amico.
 
Due giorni dopo il medesimo disordine regnava nella stanza di Hanji: persino la pila di vestiti perfettamente riordinata da Levi era stata distrutta durante la ricerca di una camicia pulita. Ovviamente la giovane nemmeno ci faceva caso, presa com’era dallo studio di alcuni materiali trovati durante l’ultima spedizione fuori dalle mura. Non si accorse nemmeno di quando bussarono la prima volta alla porta.
“Chiunque tu sia entra! – esclamò, scrivendo alcuni appunti su un foglio, mentre tornava ad osservare al microscopio – e se sei Levi perdona in anticipo il disordine, va bene?”
Ci fu il rumore della porta che veniva aperta e poi silenzio.
“Caposquadra Hanji? – chiamò infine una voce incerta – la disturbo?”
“Noooo – mormorò lei, mettendo meglio a fuoco il microscopio – proprio no… no, no… no, che non sei un esemplare come gli altri: sei stupendo, decisamente perfetto”.
“Come?”
Hanji scrisse le ultime osservazioni sul foglio e poi si riscosse, decidendosi finalmente a girarsi verso l’ospite. Era uno dei soldati che si erano uniti alla Legione ad inizio anno ed era finito a far parte della sua squadra durante l’ultima spedizione. A dire il vero Hanji non ci faceva molto caso ai suoi sottoposti se così li poteva definire anche perché il ruolo di caposquadra era stato da poco introdotto in seguito alle tecniche del capitano Smith sulla formazione a lunga distanza. Nonostante il sistema fosse ancora in fase di perfezionamento, tanto che molto spesso venivano cambiate le disposizioni, Hanji era diventata caposquadra in maniera stabile; con tutta probabilità dipendeva dall’essersi dimostrata particolarmente abile ad adattarsi a qualsiasi posto le venisse assegnato e come tale costituiva una buona guida per chi le stava accanto di volta in volta.
“Aspetta, aspetta… voglio ricordarmi il tuo nome – disse, bloccandolo con un gesto della mano – Mo… Morgil, vero?”
“Moblit, signora” arrossì lui.
“Moblit, giusto! Perdonami, a volte tendo a fare disastri coi nomi. Allora, come va? Ripreso dalla missione di inizio mese? Se non ricordo male eri tu ad essere caduto da cavallo, vero?”
“Sì, signora, non era niente di grave”.
“Meglio così, mi sarei sentita una pessima caposquadra se qualcuno dei miei si fosse fatto male considerato che abbiamo incontrato un solo gigante”.
Questo ovviamente la fece sospirare di rammarico: nelle ultime missioni non aveva avuto molte possibilità di studio dei suoi amati giganti. Solo pochi esemplari che Levi aveva provveduto a far fuori quasi immediatamente, impedendole di fare la minima osservazione su di loro. Con un atteggiamento simile i suoi studi non avrebbero avuto dei grandi avanzamenti.
Ma vaglielo a spiegare a quel maniaco del pulito…
Si sorprese a notare che il viso di Moblit era espressivo tanto quanto quello di Levi impassibile.
“Allora, che cosa ti porta da queste parti? Ah, non fare caso al disordine, anche se non sei Levi”.
“Ecco, a dire il vero sono stato assegnato a lei, signora – un nuovo rossore apparve sulle guance del giovane, facendolo apparire estremamente fanciullesco. Hanji immaginò che non avesse ancora compiuto vent’anni – il capitano Smith ha detto che devo assisterla nelle sue ricerche, sebbene io non sia molto pratico di…” si guardò attorno con aria decisamente sconvolta, come se avesse appena realizzato di essere entrato in una sorta di laboratorio di un professore matto.
“Un assistente? – Hanji si gratto il naso pensosa, ma poi sorrise a quell’idea – Ma sì, dovresti essermi davvero utile. Penso che condividere le proprie teorie con qualcuno faccia sempre bene: avrò un punto di vista diverso dal mio e questo non potrà che aprirmi gli occhi su nuovi orizzonti. Bene, Moblit, benvenuto a bordo… prendi la sedia, io mi metto nel letto”.
“Nel letto?” Moblit divenne addirittura paonazzo.
“Già, con tutta probabilità avremo bisogno di un vero e proprio laboratorio ora che siamo in due, non credi? – ad Hanji brillavano gli occhi per l’aspettativa – E chissà, magari un giorno saremo una vera e propria squadra di ricerca!”
“Se lo dice lei, signora – Moblit si sedette sulla sedia che gli era stata offerta e osservò con estrema curiosità il microscopio – in ogni caso basta che lei mi dica cosa devo fare e…”
“Ti piacciono le scienze?”
“Le scienze? Sì, certo”.
“Benone! Allora guarda dentro il microscopio e dimmi cosa vedi!”
Avvicinandosi al giovane gli diede una pacca sulle spalle e sorrise compiaciuta: con quel ragazzo avrebbe fatto grandi cose, se lo sentiva.
 
“Una volta superata la timidezza si è rivelato un tipo davvero in gamba – disse Hanji con entusiasmo qualche sera dopo, mentre strigliava i cavalli assieme ad Hank – sono davvero contenta che sia stato assegnato a me. Se fosse stato uno privo di fantasia non avrei proprio saputo cosa farmene”.
“Sono contento per te, ragazzina – ridacchiò l’ex soldato, arruffandole i capelli con fare paterno – era proprio ora che trovassi qualcuno con cui condividere le tue conferenze sui giganti”.
“Le hai sempre trovate noiose, vero?”
“Sei la mia pupilla, ma questo non vuol dire che debba trovare interessanti le tue ricerche. Senza contare che quando inizi a parlare è impossibile fermarti! Sei peggio di un cavallo imbizzarrito che non la smette di correre!”
“Grazie per la sincerità – Hanji si unì alla risata, per niente offesa: era perfettamente consapevole che lei ed Hank avevano interessi completamente diversi – mi piace il paragone con un cavallo imbizzarrito, ci sta bene con la mia capigliatura! E poi mi dà l’impressione di un qualcosa di libero e vitale”.
“Ecco una donna che sa capire i complimenti”.
“E che ne pensi di stupida quattrocchi?”
“Chi sarebbe l’imbecille che ti ha detto una cosa simile?” c’era un tono minaccioso nella voce di Hank.
“Quello che ora sta passando nel campo d’addestramento assieme al capitano Smith e non è Mike” rispose con semplicità Hanji, facendo un cenno con la testa in direzione della porta aperta delle stalle che si affacciava sul terreno in questione.
“Ah, il grande Levi? Proprio grande non è se si permette di dire una cosa simile alla mia ragazza. Dovrebbe scendere un po’ dal suo piedistallo: sarà anche bravo a far fuori i giganti, ma non è tutto nella vita”.
“Come sei filosofico oggi – Hanji gli andò accanto e gli diede un lieve pugno sul braccio – beh, gli ho risposto pan per focaccia quando è capitato. In fondo lo trovo molto simpatico”.
“Quello? – Hank scosse il capo con rassegnazione – Senti, io cerco sempre di difenderti quando dicono che sei strana, ma se vai avanti così potrò fare ben poco”.
“Mi piacciono gli estremi a quanto pare: giganti e nanerottoli imbronciati. Meno male che ci sei tu a fare da giusto equilibrio, no?”
“Sparisci di qui, coraggio!” la incitò Hank con una spinta amichevole.
Hanji ridacchiò e uscì dalle stalle, stiracchiandosi alla luce rossastra che annunciava l’avvicinarsi del tramonto. Vide che Levi si era attardato rispetto a Smith e Mike e così decise di raggiungerlo: aveva proprio voglia di stressarlo.
 




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nda
Ehilà, eccomi tornata col nuovo capitolo. 
Siamo nella prima parte dell'845, anno in cui iniziano gli avvenimenti del manga. Però non siamo ancora arrivati a quel punto: in questo capitolo mi sono voluta soffermare sull'evoluzione del rapporto con Levi (ed ecco arrivare il soprannome che ben conosciamo) e sull'arrivo di Moblit :)
Col prossimo capitolo invece ci ricongiungiamo alla trama del manga, o meglio alla primissima parte :)
A presto 

 

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