PRIDE HIGH SCHOOL

di Mimithe_Moonlight
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** LICEO E PRIMI INCONTRI ***
Capitolo 2: *** Il Ballo ***
Capitolo 3: *** Neve e Storie del Passato ***
Capitolo 4: *** Il nuovo Arrivato ***
Capitolo 5: *** LA GITA SCOLASTICA ***
Capitolo 6: *** La resa dei Conti ***
Capitolo 7: *** La Verità ***
Capitolo 8: *** Sei tu, Elizabeth Bennet ***
Capitolo 9: *** I'M BROKEN ***
Capitolo 10: *** Un Passo Avanti ***



Capitolo 1
*** LICEO E PRIMI INCONTRI ***


SPAZIO AUTRICE
Mi prendo questo spazio prima della mia storia per presentarmi e dirvi che questa è la prima volta che scrivo su Orgoglio e Pregiudizio e quest’idea è sorta un po’ così. Probabilmente trasportandola nel presente i personaggi non saranno più molto attinenti a quelli di Jane Austen ma  tenterò di mantenere le cose più importanti. Ditemi cosa ne pensate e vi prego aiutatemi a migliorare perchè ne ho davvero bisogno.
 

LICEO E PRIMI INCONTRI

Capitolo1


E’ verità universalmente ammessa che il liceo sia il periodo peggiore e allo stesso tempo migliore della vita di ognuno.
Elizabeth Bennet questo l’aveva capito da subito o almeno si era abituata all’idea di non poter cambiare la situazione. A ormai diciassette anni si era assuefatta allla vita scolastica e all’odio che provava per quest’ultima. Non la odiava perchè fosse una ragazza stupida o non avesse voglia di studiare ma per il semplice motivo che odiava la gran parte delle persone che la frequentavano.
 Era, si potrebbe dire, una persona piuttosto solitaria. Le piaceva leggere e starsene sulle sue a osservare le altre persone e a pensare. Il che non le veniva molto difficile perchè era una ragazza piuttosto comune dal punto di vista fisico. 
Lunghi capelli castani che scendevano in morbide curve fino a metà schiena e occhi scuri ma brillanti. Le labbra carnose erano perennemente atteggiate in un sorriso sarcastico che rivolgeva a chiunque. Vestiva in modo casual e piuttosto semplice indossando felpe che spesso erano troppo lunghe e le arrivavano a metà coscia. Era in breve una ragazza carina ma non così bella da tentare i ragazzi. Non così bella, almeno, come lo era sua sorella.
 Jane era un angelo sceso in terra. Lunghi capelli biondi e ondulati che ricadevano morbidamente ai lati di un viso perfetto in cui spiccavano due grandi occhi azzurri da cerbiatta incorniciati da lunghe ciglia bionde. Sorrideva sempre e mai la si era vista arrabbiarsi con qualcuno. Non si parli poi del fisico perfetto della ragazza. Alta e slanciata con tutte le curve al posto giusto. Era l’orgoglio della famiglia Bennet. Probabilmente la famiglia più numerosa della costa est. Per loro le battute sul poco controllo delle nascite erano all’ordine del giorno e spesso anche Elizabeth si chiedeva perchè non si fossero fermate dopo la seconda figlia.
 Non che non sopportasse le sorelle minori ma erano ecco...particolari. 
Lydia e Kitty gemelle nate a distanza di pochi secondi l’una dall’altra erano le più grandi oche della scuola. Pettegole quasi più della madre e naturalmente assidue acquirenti del giornaletto rosa della scuola con tutti i pettegolezzi e le dicerie.
E infine c’era Mary, la povera e incompresa Mary. Ragazza nè bella nè particolarmente intelligente. Passava il tempo sui libri e probabilmente non aveva mai baciato un ragazzo in vita sua. Ma a lei non interessava. Lei era superiore a tutto questo (O almeno così diceva) Sta di fatto che Elisabeth a volte avrebbe voluto che non esistessero e che finalmente in casa loro regnasse la calma. Il desiderio era sicuramente corrisposto dal padre di Elizabeth che lavorava nella biblioteca della scuola e spesso si fermava lì a dormire pur di non tornare a casa dalla moglie e dai suoi strepiti.
Era grazie al lavoro di loro padre che Jane e Elizabeth erano riuscite ad entrare nella più importante scuola della zona la PRIDE HIGH SCHOOL. Frequentata dalle persone più ricche e più insopportabili che Elisabeth avesse mai conosciuto ma con il programma più rinomato di tutto lo stato. Tutti le guardavano all’alto in basso a causa dei loro vestiti non firmati e della loro levatura sociale. Non erano altro che piccole borghesi che abitavano in una vecchia casa al contrario dei loro compagni tutti ricchi sfondati o figli di grandi imprenditori. 
Elizabeth li ignorava o insultava a denti stretti. Jane li scusava trovando un modo per difendere ognuno di loro. Era questa la vita delle due più grandi ragazze Bennet. Una vita che era però destinata a cambiare.

Potrebbe iniziare tutto con un poetico c’era una volta ma Elizabeth probabilmente mi  ucciderebbe se narrassi così la sua storia quindi eccoci qua iniziamo...
La sveglia trillò una, due tre volte. Si sentì un grugnito a metà fra un cinghiale e il verso che avrebbe potuto emettere uno zombie. E come un morto vivente Elizabeth Bennet emerse dalle coperte. Osservò con odio l’orario della sveglia che configurava un inevitabile ritardo alla prima ora di lezione del primo giorno di scuola. L’anno iniziava splendidamente. Si ravviò i capelli castani costringendosi a scendere dal letto e a dirigersi strascicando i piedi verso la cucina alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti. La famiglia era già riunita intorno al tavolo e Jane perfettamente pronta la aspettava sorridendo di prima mattina come una ragazza uscita dalla pubblicità del Mulino Bianco. Se non le avesse voluto così tanto bene probabilmente Elizabeth l’avrebbe già uccisa per la sua perfezione. 
-Buongiorno Lizzy!- esclamò con voce squillante facendo aggrottare la fronte della sorella infastidita che si limitò a fargli un cenno con la mano prima di raggiungere la caffettiera e versarsi un’abbondante tazza di liquido denso e bollente. 
-Tu un giorno mi spiegherai come fai ad essere così incredibilmente allegra di prima mattina- commentò dopo aver preso un sorso dallla tazza ed essersi riunita intorno al tavolo insieme alla famiglia.
-Perchè ogni giorno è un buon giorno!- esclamò in risposta Jane saltellando fino al lavabo per lavare la propria tazza di tè perchè come se non bastasse a Jane non serviva bere il caffè mentre Lizzy...Bhè Lizzy avrebbe avuto bisogno di una dose in vena di caffeina anche solo per riuscire ad aprire gli occhi. 
-Tu devi veramente farti di roba forte- rispose a bassa voce seppellendo la testa fra le braccia appoggiate sul tavolo.
-Su Liz non potete fare tardi il vostro primo giorno e poi ho sentito che avrete dei nuovi compagni. Arrivi importanti o almeno così dicono- si intromise la madre delle ragazze pronta come al solito a dare il via ai suoi pettegolezzi. 
-Ti prego non di prima mattina tesoro- mugugnò il marito nelle stesse patetiche condizioni della figlia. Elizabeth si alzò dal tavolo e si diresse in bagno ascoltando distrattamente le parole troppo veloci della madre. Si lavò in tutta fretta cercando di svegliarsi con l’aiuto dell’acqua gelida dritta sul viso e si vestì nel solito modo. Un vecchio paio di jeans scuri, scarpe da ginnastica ormai logore e felpa nera troppo grande e con un ampio cappuccio. Si caricò lo zaino in spalla e seguì la sorella elegantissima nel suo vestito azzurro fuori dalla porta di casa. La fermata dello scuolabus a pochi metri era già gremita dagli studenti alcuni disperati altri pronti a chiacchierare. Elizabeth faceva sicuramente parte della prima categoria. Allungò una mano nella tasca e prese il pacchetto di sigarette accendendosene una sotto lo sguardo leggermente perplesso della sorella
-Che c’è?- domandò la minore delle due con la sigaretta stretta fra le labbra. 
-sono le sette del mattino Lizzy...Non ti sembra un po’ presto per iniziare?-
-Jane avevamo concordato che ne potevo fumare al massimo quattro al giorno e che potevo gestirmele come volevo. Quindi lasciami fumare in pace-
L'espressione sul viso di Jane parve ferita e il cuore di Lizzy non resse e si scusò per il tono cattivo. Non riusciva a resistere a quegli occhi da cucciolo. In silenzio ascoltò le parole gioiose e speranzose della sorella mentre fumava con calma cercando di svegliarsi. Missione destinata a fallire. Si issò sull’autobus dietro alla sorella leggiadra come sempre arrancando fino a un posto in fondo al mezzo e vicino a un finestrino sporco. Si lasciò cadere sul sedile con la grazie di un elefante e sbuffando tirò fuori le cuffiette dallo zaino e se le calò sulle orecchie innondandosi la testa delle note di una vecchia canzone rock. 
Jane aveva subito iniziato a chiacchierare con alcune ragazze della sua classe e sorrideva amabilmente verso tutti facendo subito segno alla loro vicina di casa, Charlotte, a raggiungerle una volta che questa salì sull’autobus
Charlotte era la migliore amica di Elizabeth da quando erano piccole e giocavano insieme nel cortile e da quando ne avevano memoria non si erano mai separate a parte in un frangente. Quello in cui Charlotte si era fidanzato con il viscido e idiota cugino di Lizzy. William Collins, l’essere più disgustoso che la terra avesse mai visto. Non c’era niente in lui che Lizzy ammirasse o tollerasse.
 Era una persona insipida con un ego più grande di quanto potesse permettersi e la terribile abitudine di mettere in ridicolo se stesso e tutta la famiglia, carattere che condivideva con le sorelle minori di Lizzy e Jane. Nessuno si era ancora spiegato come un ragazzo di tale sorta fosse riuscito a conquistare il cuore di Charlotte che magari non era bella ma era comunque una persona intelligente. Avevano litigato quando Lizzy con la sua solita sincerità aveva esposto la questione all’amica. Ci era voluto poco però perchè giungessero alla pace. Esattamente due minuti e trentacinque secondi se vogliamo essere precisi. Avevano accettato ognuna i pensieri dell’altra e avevano in pratica ignorato la questione anche se Lizzy tratteneva i conati ogni volta che li vedeva scambiarsi effusioni in pubblico. 
Salutò l’amica con un cenno del capo raggomitolandosi contro la parete dell’autobus cercando una buona posizione per dormire prima dell’arrivo a scuola. Charlotte la conosceva abbastanza bene da sapere  che non lo faceva per dispetto ma per un semplice e impellente bisogno di dormire. Bisogno che da quando la conosceva, la assaliva praticamente in ogni momento della giornata.
Tuttavia il viaggio si presentò più breve del solito e presto il grande e solenne edificio dellla PRIDE HIGH SCHOOL si stagliò davanti agli alunni. Lizzy scocciata scese dal mezzo inciampando come al solito nell’ultimo scalino. Si stava preparando già al tremendo urto quando successe. Due braccia la sorressero e si ritrovò aggrappata al petto di qualcuno che evidentemente non conosceva. Imbarazzata indietreggiò e cercando un po’ di contegno per il proprio orgoglio ferito sollevò il viso e fissò lo sguardo in quello del suo misterioso salvatore. Era un ragazzo alto e dai profondi occhi blu mare. Ciuffi di capelli corvini gli ricadevano sulla fronte in modo disordinato. Stretto in un giubbotto di pelle nera il suo contegno era pressocchè impeccabile anche se sicuramente un tantino rigido. Una camicia bianca ricalcava i solchi di un fisico scolpito ma non eccessivamente muscoloso. Il ragazzo non sorrise nè parlò. Si limitò a fissarla negli occhi con fare indagatore.
-Lizzie! stai bene sorellina?- Jane accorse al fianco della sorella e la abbracciò protettiva.
-Ehi mamma chioccia che ti prende sono solo scivolata dal gradino come al solito- rispose.
-Forse dovresti fare più attenzione a dove metti i piedi- intervenne il ragazzo e la sua voce suonò fredda e neutra nel silenzio che creò semplicemente con il suo intervento. Poteva essere una sua impressione ma a Lizzy parve di sentire un’accenno di divertimento nella voce del ragazzo che rimase a guardare le due sorelle.
-Elizabeth chi è questo ragazzo?- bisbigliò Jane all’orecchio della sorella che si strinse nelle spalle.
-E io che ne so si è limitato a prendermi al volo. Non abbiamo avuto il tempo di presentarci mentre si comportava da principe azzurro mancato-
-Farò in modo di non aiutarti mai più se preferisci così. Io, comunque, sono William Darcy. Il ragazzo nuovo- disse allungando una mano e stringendo quella di Jane e Charlotte che si presentarono ammirate dalla galanteria del ragazzo. Ma Elizabeth no. Eh no, Elizabeth osservò la mano tesa del ragazzo e inclinando il viso di lato lo osservò un attimo perchè quello che lei percepiva era solo che quel ragazzo sembrava avere un ego sproprorzionato rispetto a quello che si poteva aspettare da uno della sua età.
-Elizabeth Bennet. Voi ricchi siete troppo formali- esclamò e William parve spiazzato dalla risposta.
-Tu invece non sei molto gentile te l’hanno mai detto? Di solito quando qualcuno ti aiuta si dovrebbe rispondere grazie non insultando il suo ceto sociale- Elizabeth rise e finse un inchino.
-Allora la ringrazio sua magnificenza per l’aiuto non richiesto che mi avete concesso. Vedrò di chiedere al maggiordomo prima di presentarmi la prossima volta alla sua presenza- Disse sollevando un sopracciglio prima di voltarsi e allontanarsi ma dopo qualche passo si voltò.
-E comunque la straordinaria gentilezza è uno dei tratti più belli della mia straordinaria personalità-
Era già troppo lontana quando William cercò di risponderle mentre la sua voce veniva soffocata dalle scuse di Charlotte e Jane per il comportamento della ragazza. 
Fu quella la prima volta che Elizabeth Bennet vide gli occhi blu di William Darcy destinati a cambiargli la vita in quell’anno scolastico che era iniziato come tutti gli altri.
La giornata si svolse tranquillamente tanto che Elizabeth credette di essersi addormentata più volta. Quando finalmente la campana suonò la fine dell’ultima ora alla ragazza pareva di non sapere nemmeno dove si trovava poi scuotendo la testa raggiunse la sorella aspettandola davanti alla sua classe. Jane era un anno avanti a lei ma avevano deciso che ogni giorno chi finiva prima avrebbbe aspettato l’altra e così Elizabeth si trovò ad osservare una scena che mai si sarebbe aspettata. Sua sorella stava parlando con un ragazzo. Piuttosto carino anche. Capelli ricci di un castano rossiccio si arrotolavano intorno al suo viso come una corona di fiamme. Jane pareva totalmente a suo agio mentre annuiva passando il suo cellulare al ragazzo che lo prese e vi digitò il suo numero. 
-Cosa ci fai qui?- una voce gelida la immobilizzò sul posto. si voltò e incontrò lo sguardo di William che le rivolse un sorriso a denti stretti come il solo farlo gli costasse fatica. 
-Aspetto Jane per tornare a casa. Tu piuttosto?-
-Aspetto Charles il ragazzo che parla con tua sorella- rispose il ragazzo e la sua voce trasudava un certo risentimento.
-Senti mi dispiace per averti dato del tronfio ricco maleducato-
-E quando lo avresti fatto scusami?-
-O molte volte e usando espressioni molto più colorite in realtà- Lui per la prima volta sorrise mentre finalmente i due che aspettavano si avvicinarono.
-Lizzie ti presento Charles è un mio nuovo compagno di classe-  Il ragazzo sorridendo tese la mano che Elisabeth strinse con gioia contagiata dal sorriso del giovane.
-Jane andiamo?- le domandò curiosa di sapere i particolari della storia mentre estraeva la seconda sigaretta della giornata dal pacchetto giocherellando con l’accendino. I due ragazzi la osservarono perplessi mentre Jane li salutava e insieme alla sorella si dirigeva fuori. 
-Allora?-
-Cosa?-
-Hai intenzione di raccontarmi di questo Charles oppure devo cavarti le parole di bocca a forza?-
-Non c’è molto da dire è simpatico e molto carino e poi...bhè mi ha chiesto di uscire-
Elizabeth sorrise a guardare l’espressione gioiosa della sorellla ma un senso di inquietudine le era montato dentro. Un’inquietudine generata dal tono di William parlando dell’amico.
Forse le cose non sarebbero andate come previsto.

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Capitolo 2
*** Il Ballo ***


    IL BALLO

Solitamente Elizabeth amava avere ragione ma in quel momento, davanti alla sorella silenziosamente chiusa in sè stessa non riusciva a esserne felice. Non è che l’appuntamento con Charles fosse andato male, anzi sicuramente era andato meglio di tanti di quelli a cui era stata Elizabeth ma non era stato sicuramente perfetto. Il problema forse era stato che il ragazzo si era trascinato dietro la sorella maggiore. Caroline. Elizabeth l’aveva vista solo di sfuggita all’uscita da scuola quando il gruppo dei tre ricconi era tornato a casa. Stessi capelli rossicci del fratello ma lunghi, con i ricci che le circondavano il viso perfetto come una nube di fuoco. Era perfetta, fisico da modella e sorriso che abbagliava ma fredda come il ghiaccio. Da quello che le aveva raccontato Jane era stata piuttosto simpatica per tutto il pomeriggio ma non si era allontanata dai due nemmeno un secondo e aveva monopolizzato la conversazione impedendo ai due ragazzi di parlarsi come si deve. E questo naturalmente aveva fatto in modo che si attirasse l’odio di Lizzie. Nessuno poteva mettersi fra sua sorella e la sua felicità. Era una questione di principio. Anche se in realtà non poteva fare a meno di pensare che tutta la faccenda avesse a che fare con quel damerino di Darcy. Era strano non riusciva a togliersi dalla testa la sua espressione quando aveva visto insieme Jane e Charles. Disprezzo. Elizabeth Bennet aveva deciso da quel momento che lo avrebbe odiato per sempre e che mai e poi mai avrebbe permesso che interferisse con la felicità di Jane. Abbracciò la sorella che se ne stava seduta sul divano con un buon libro mentre intorno a loro la famiglia litigava su cosa fosse meglio guardare alla televisione quella sera. Partita di Calcio o Nothing Hil? Le donne avevano deciso e il povero signor Bennet era abarbicato al telecomando cercando di impedire alle figlie minori di strapparglielo dalle mani. La sua lotta era destinata a finire presto perchè l’intervento della madre fu decisivo. La padrona di casa aveva scelto. Nothing Hill e non c’era altro da discutere. Sbuffando il marito consegnò la refurtiva sprofondando nella poltrona con le braccia incrociate davanti al petto. Nell’attesa che la pubblicità terminasse la madre scagliò la bomba.
-Domani sera c’è il ballo ragazze- disse senza nemmeno degnare di uno sguardo le due interessate. Lizzie e Jane si guardarono negli occhi reprimendo una risata e immaginando già cosa la madre stesse per dire.
-Ci andrete vero?- domandò con una nota di panico nella voce. Il padre rizzò le orecchie all’idea delle sue due ragazze preferite lasciate andare in giro fino a tardi.
-No che non ci andranno- intervennne
-Questo non ti riguarda tesoro- lo zittì la moglie e questo spalancò gli occhi stupito.
-Allora ragazze mie ci andrete o no? So che i tre nuovi ragazzi verranno...-
-Mamma sono due ragazzi e la sorella di uno dei due, tanto per precisare e comunque sì ci andrò. Ma per Lizzie non posso dire niente- disse Jane per fermare l’ennesimo battibecco domestico.
-Come no Lizzie! E’ la tua occasione per farti notare. Non ti ho fatto bella per farti stare in un angolo indossando quelle stupide felpe. Devi andarci. Te lo ordino oppure ti tolgo tutti i Cd rock dalla camera te lo giuro-
Lizzie spalancò la bocca per ribattere. Non aveva nessuna voglia di andarci. Aveva letto che bisognava presentarsi vestiti eleganti e lei non aveva la minima intenzione di mettersi i tacchi e poi non sapeva nemmeno ballare. Poi notò l’espressione decisa della madre e capì. Non aveva speranze. Sospirò abbassando gli occhi e scuotendo la testa accettò. La madre batte le mani contenta e la faccenda per lei si concluse lì ma non per Lizzie. Ci sarebbero stati tutti compresi quelli che detestava e entro il giorno dopo avrebbe dovuto trovare un modo per non apparire ridicola. Un' impresa insomma. Sua madre l’aveva incastrata per bene questa volta non c’era dubbio. 

Elisabeth si era nascosta per quasi tutta la giornata da chiunque le volesse chiedere se sarebbe venuta alla festa. Si era afflosciata sul banco e aveva passato lì praticamente tutta la ricrezione finchè nella sua classe non era piombato il silenzio. Al suo fianco Charlotte aveva smesso di chiacchierare animatamente con il suo Willy che aveva rivolto l’attenzione verso la porta dell’entrata. Lizzie si scostò i capelli dalla faccia per osservare anche lei cosa aveva creato il tanto atteso silenzio. William Darcy era comparso sulla porta dell’aula. La sua espressione non lasciava trasparire nulla di quello che pensava. I capelli neri evidentemente troppo lunghi cadevano negli occhi blu mare che erano fissati proprio su di lei. Allungò una mano verso la tazza di caffè presa al bar della scuola e si mise dritta tenendo il cartone caldo fra le dita. Il ragazzo si avvicinò e poggiò la mano sul banco di Lizzie abbassandosi per guardarla dritto negli occhi. Elizabeth si allontanò di scatto portando la tazza alle labbra. 

-Elizabeth giusto?-
-In persona-
-Posso parlarti?-
-No- William sollevò un sopracciglio stupito.
-No?-
-Non ti era mai capitato vero? Che qualcuno ti dicesse di no- Solllevò gli occhi al cielo e raddrizzò la schiena.
-Per un minuto soltanto potresti parlarmi senza punzecchiarmi?-
-Dipende, hai intenzione di chiedermelo per favore?- Elizabeth nascose un sorriso soddisfatto al vederlo trattenere a stento la rabbia. 
-Per favore Elizabeth puoi uscire un attimo e parlare con me?- Sorridendo la ragazza si alzò in piedi e si diresse verso la porta.
-Visto non era così difficile!-
mormorò all’orecchio del ragazzo quando gli passò a fianco. Uscì dalla classe e si appoggiò al muro sorseggiando il caffè. Darcy la seguì e si pose davanti a lei con le braccia incrociate davanti al petto e lo sguardo che pareva perso da qualche parte dietro Elizabeth. 
-Allora che cosa vuoi da me?-
-Quando distribuivano la gentilezza tu dov’eri?-
-Scusami mi hai fatto venire fuori solo per insultarmi o hai un secondo fine che io non riesco a comprendere?-
-Non ti sto insultando comunque no, ho una domanda da farti- Il silenzio calò fra i due e Elizabeth lo guardò sollevando un sopracciglio in attesa che continuasse.
-Allora devo strapparti le parole di bocca?- Di nuovo gli occhi di lui si infiammarono ma il suo tono nel risponderle era l’esempio della freddezza.
-Voglio solo sapere se tu e tua sorella verrete al ballo stasera-
-Allora ricapitoliamo, mi hai fatto alzare dalla mia comodissima sedia dove stavo pacificamente dormendo per chiedermi se io e Jane saremo allo stupido ballo che il preside ha dato in onore del nuovo anno o più probabilmente in onore dei vostri soldi- 
-Sì anche se...-
-No aspetta, ma che diavolo di problemi hai! e poi perchè ti dovrebbe interessare cosa facciamo io e mia sorella!-
-Dio mio, sei la persona più scortese che abbia mai incontrato! Volevo solo sapere se sareste venute. Caroline mi aveva chiesto se potevo informarmi-
-Non sono affari nè tuoi nè di Caroline Bingley e ora se non ti dispiace avrei una lezione da seguire. E tanto per la cronaca mi aspettavo che quelli come te fossero più bravi a parlare con le persone-
Elizabeth entrò in classe e si sedette al proprio banco. 
-Si può sapere cosa voleva da te William Darcy?- chiese Charlotte quando ricomparve l’amica
-Niente di importante- mugugnò Elizabeth tornando a sdraiarsi sul tavolo.
-Darcy hai detto?- si inserì il viscido Collins interrompendo la conversazione.
-Sì, William Darcy. Il damerino riccone più maleducato che abbia mai incontrato. Perchè lo conosci?-
William parve pensarci un minuto prima di scuotere la testa e tornare a concentrarsi sulle ginocchia della sua fidanzata.
Elizabeth seppellì il viso nelle braccia e rimase in silenzio per il resto della giornata cercando di capire per quale motivo Caroline non aveva chiesto direttamente a Jane se sarebbe venuta alla festa il giorno prima. Per quale motivo aveva chiesto a William Darcy di domandarlo a lei, una persona che nemmeno conosceva. Scuotendo la testa salì sull’autobus ignara degli occhi blu mare che la guardavano da lontano.


-No mamma non c’è la minima possibilità che io mi metta quell’affare!-

urlò Elizabeth Bennet osservando la madre che le sventolava davanti agli occhi un vestito rosso scuro. 
-Dai Lizzie rilassati!- Intervenne Jane a cercare di calmare gli animi troppo agitati. 
-Jane sembrerò stupida con quello addosso! Già ho accettato di mettermi quelle scarpe che mi fanno sentire come se fossi sui trampoli. Non potete costringermi!-
-Certo non possiamo, ma lo faremo lo stesso. Con cosa vorresti andarci scusami? Ti devi vestire elegante lo sai!- ritentò la signora Bennet il cui tono ormai sfiorava quello di una preghiera.
-Mamma ti prego!-
-Almeno provatelo!- Elizabeth si alzò dal letto e con uno sbuffo prese il vestito chiudendosi in bagno. Ne uscì qualche secondo dopo incerta su un paio di scarpe col tacco rosse. Il vestito in questione si apriva leggero poco sopra le ginocchia e fasciava il busto in un elegante corpetto con la scollatura a cuore e senza spalline che metteva in risalto le curve snelle della ragazza. Tante cose si potevano rinfacciare alla signora Bennet ma sicuramente non la sua capacità nel scegliere gli abiti perchè quello a Elizabeth stava più che bene. Jane si portò una mano alla bocca sorridendo stupita e felice.
-Io lo avevo detto che era perfetto- bisbigliò la madre alla sorella maggiore che annuì sorridendo. Elizabeth osservo il proprio riflesso nello specchio e un leggero sorriso increspò le sue labbra. Forse non era così male...
-Allora?- Elizabeth si voltò verso le due donne e annuì.
-E va bene- La signora bene saltellò urlando soddisfatta per poi costringere le due sorelle a sedersi per acconciare i capelli e truccarle mentre la minore delle due cercava ancora di ribellarsi. 



A Lizzie parve che fossero passate ore al posto di pochi minuti prima che finalmente potessero uscire. Jane pareva totalmente a suo agio mentre camminava su un altissimo paio di scarpe col tacco blu scuro come il vestito che indossava e che le fasciava il corpo in modo perfetto. Al suo fianco Lizzie non poteva fare a meno di sentirsi a disagio mentre si impegnava per non cadere di faccia sul marciapiede sotto i suoi passi incerti.
La scuola era gremita di persone che si affollavano all’entrata mentre dall’interno si sentiva arrivare il suono martellante della musica troppo alta. Lizzie immaginava già le lamentele di chi viveva vicino all’edificio. Ci volle poco alle due sorelle per individuare fra la folla il cugino e la fidanzata intenti a baciarsi con un po’ troppa passione. Elizabeth scosse la testa cercando di rimuovere quella disgustosa immagine dalla mente mentre li raggiungevano. Poi Jane si fermò e afferrò Lizzie per il polso. Il suo sguardo era immobile e fisso in avanti mentre una figura dai capelli rossicci si faceva largo fra le persone a fatica. Charles Bingley. Jane arrossì e abbassò il capo in imbarazzo mentre il giovane riusciva finalmente ad arrivare fino a loro. Sorridendo si scompigliò i capelli con fare imbarazzato, elegante nel suo smoking nero. 
-Speravo davvero che saresti venuta Jane-
-Lo stesso vale per me. Ah ti vorrei presentare mia sorella, Elizabeth- Come se si fosse appena accorto di lei Charles sobbalzò e con un sorriso allungò la mano verso Elizabeth che la prese divertita da quanto apparisse impacciato quel ragazzo. 
-Allora ecco chi sei! William mi ha detto di averti conosciuto- Lizzie si irrigidì cosa aveva raccontato William Darcy al suo amico riguardo al loro incontro?  Charles parve notare il suo disagio.
-Stai tranquilla, do sempre retta a William ma a volte tende ad essere un poco affrettato nei suoi giudizi-
-Spero che riuscirò a cambiare l’opinione che hai di me dopo i suoi racconti- 
-Non credo ci metterai molto ma stai attenta a Darcy non piace quando qualcuno dimostra che aveva torto-
-Oh stai tranquillo non ho paura di lui-
-Di chi non hai paura?- intervenne una voce scura alle sue spalle. Si voltò di scatto e se lo trovò davanti. Gli occhi blu che la fissavano freddi e divertiti dal rossore per l’imbarazzo. Raddrizzò la schiena  e sollevò il mento anche perchè era di una ventina di centimetri più alto di lei. 
-Parli del diavolo...- sussurrò la ragazza sostenendo lo sguardo annoiato di William. 
-Ah sarei io il diavolo?-
-Come sei perspicace! Complimenti!- Charles spalancò gli occhi guardando la ragazza che incautamente aveva deciso di sfidare il suo amico. 
-Gentile come sempre vedo- 
-Non mi smentisco mai- Jane guardò il suo amato Charles che si strinse nelle spalle mentre William si avvicinò a Lizzie.
-Sai ho faticato a riconoscerti prima, poi però ho sentito l’odore della tua scortesia sin da lontano e ti ho riconsciuto subito-
 Lizzie era rossa di rabbia. Il suo orgoglio le imponeva di sferrargli uno schiaffo in pieno viso ma non aveva voglia di tirarsi addosso una punizione per il suo comportamento. Scosse il capo e si voltò verso la sorella. 
-Io vado dentro a cercare Charlotte, ci vediamo dopo- esclamò stringendo le mani a pugno e affrettandosi con passo deciso verso l’ingresso, il vestito che frusciava ad ogni movimento.
Lo odiava non c’era altro da dire, aveva questo modo di fare come se si credesse il migliore solo perchè era ricco. Si buttò nella mischia alla ricerca della migliore amica e la trovò sola soletta in un angolo della sala da ballo dove le luci colorate accecavano i ragazzi in pista. 
-Come mai qui sola?- urlò a Charlotte per sovrastare la musica assordante.
-Orsacchiotto è andato a prendere qualcosa da bere- Lizzie rise sentendo quel nomignolo affettuoso che lei non avrebbe attribbuito nemmeno al suo peggior nemico. 
-Tu dove eri finita?- 
-Ho avuto un incontro con mister simpatia. William Darcy- rispose alzando gli occhi al cielo. 
-Sai ho scoperto che suo padre possedeva metà delle aziende discografiche della nazione- 
-La metà triste a giudicare dall’espressione del figlio-
-Non credo che nemmeno tu saresti così felice se i tuoi morissero in un incidente d’auto lasciandoti con la sorellina minore- 
Lizzie si morse la lingua e iniziò a sentire i sensi di colpa farsi sentire poi scorse qualcosa in mezzo alla pista da ballo. Erano i capelli biondi della sorella che volteggiavano nell’aria mentre ballava con Charles. Si voltò sorridendo verso Charlotte che si strinse nelle spalle prima che la sua attenzione fosse rubata dal fidanzato. Lizzie si allontanò dalla copietta per non rigettare quel poco che aveva mangiato e si imbattè nuovamente nel giovane William Darcy intento a sorseggiare punch da un bicchiere trasparente. Le rivolse uno sguardo di sfuggita in cui ammirò per la prima volta il suo fisico fasciato dal vestito e le gambe slanciate dalle scarpe col tacco. 
-Balli?-
-Non se posso evitarlo-

-Sei sempre così accomodante?-
-E tu sempre così ironica?- Lizzie scosse il capo 
-Lascia perdere ero decisa a provare a trattarti meglio ma tu non me lo permetti non è vero? Vuoi litigare e così sia. Non ho intenzione di farmi mettere i piedi in testa da te-
Lui sembrò stupito e si voltò ponendosi di fronte a lei cercando di fermarla mentre si allontanava.
-Elizabeth aspetta...-
-Vai a quel paese William Darcy. Io vado a fumare una sigaretta o un intero pacchetto-
Elizabeth corse fuori dalla sala sentendosi lo sguardo di William sullla schiena. Il freddo all’esterno si era fatto pungente. Le mani di Lizzie tremavano mentre prendeva l’accendino e lo portava alle labbra stringendo la sigaretta con la mano destra. Si appoggiò al muro e prese una boccata espirando il fumo mentre lentamente si calmava. Poi sentì le loro voci.
-Charles non c’era bisogno che mi trascinassi fuori, non sono un bambino posso cavarmela da solo-
-Sai non sembra che tu ti stia divertendo poi così tanto non hai ballato con nessuno. Nemmeno con Charlotte e sai cosa lei provi per te-
-Tua sorella è bella quanto vuoi Charles ma un tantino assillante e poi tu stai ballando con l’unica vera bellezza stasera-
-Jane è veramente un angelo sai? E’ così dolce e poi è tremendamente bella- Lizzie sorrise a sentire il modo in cui lui parlava di sua sorella. Doveva davvero piacergli. Si sporse in avanti e osservò i due che per sua sorpresa avevano estratto un pacchetto e si stavano accedendo una sigaretta. 
-Sì hai ragione ma stai attento, non vorrei che rimanessi scottato dal tuo sole- Lizzie si trattenne da colpire Darcy dritto in faccia.
-Comunque sei stato un po’ troppo affrettato nel parlare di sua sorella. Non è per niente come ne avevi parlato-
-Orgogliosa e terribilmente irritante-
-E anche piuttosto bella non credi?- Stranamente Lizzie si scoprì agitata dall’idea di sapere cosa pensasse William. 
-Sì, è bella ma non abbastanza da tentarmi- Elizabeth si appoggiò al muro e scoprì che quello che aveva appena detto il ragazzo la deludeva anche se non avrebbe voluto. 
-Dio mio quanto sei duro William- sentì commentare Charles ma non importava più. Si raddrizzò e, preso un bel respiro uscì allo scoperto facendo finta di non vedere i due anche se aveva scorto lo sguardo colpevole e leggermente dispiaciuto di William mentre si passava la mano sul volto con un sospiro. 
-Elizabeth ti stavo cercando da ore!- sentì dire alla sorella che di corsa era uscita dall’edificio.
-Scusami ero fuori a fumare- sussurrò spegnendo la sigaretta ormai finita.
-Hei va tutto bene sorellina?- Lizzie non avrebbe saputo come rispondere ma si limitò a sorridere un poco.
-Sì certo-
-Tu non me la racconti giusta- disse Jane che sapeva riconoscere ormai le espressioni di Elizabeth come fossero le proprie.
-Cos’è successo?-
-Niente. Ora andiamo a casa per favore-


ANGOLO DELL’AUTRICE
Eccoci qui secondo capitolo come vedete sto cercando di seguire il più possibile la trama del libro della Austen. Fatemi sapere cosa ne pensate e grazie mille a chiunque ha letto il capitolo precedente

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Capitolo 3
*** Neve e Storie del Passato ***




Erano passati pochi giorni dal ballo di inizio anno ed Elizabeth non aveva più parlato con William da allora. Ogni volta che si incontravano uno o l’altro distoglieva lo sguardo e cambiava direzione. Dopo la rabbia per il modo in cui lui aveva parlato di lei, Elizabeth aveva iniziato a provare uno strano senso di colpa, perchè forse anche lei non era stata proprio amabile con il ragazzo. Anzi era stata piuttosto sgarbata ma c’era in William Darcy qualcosa che la irritava profondamente. Non si era ancora spiegata cosa fosse ma aveva intenzione di scoprirlo. Nel frattempo aveva avuto modo di conoscere meglio Caroline Bingley che pareva volesse trasferirsi a casa loro a giudicare dal tempo che vi passava. Sembrava che trovasse la compagnia di Jane più piacevole di quella di suo fratello e dell’amico di famiglia, e almeno su questo Elizabeth non poteva dargli torto. Sapeva però che ogni volta che la giovane dai capelli rossi suonava alla porta, Jane sperava di vederla varcare la soglia con il fratello gemello. Per quanto riguardava Charles, la maggiore della famiglia Bingley riusciva ad incontrarlo solo a scuola dove le loro chiacchierate sembravano poter durare ore prima che uno dei due fosse stanco della compagnia dell’altro. Elizabeht era sempre più felice per la sorella perchè aveva constatato che Charles era il ragazzo più simpatico e gentile che avesse mai incontrato. Un sorriso gioioso era sempre dipinto sul viso raggiante e costellato di minuscole lentiggini. I capelli rossicci ricadevano sugli occhi chiari che in ogni istante cercavano lo sguardo di Jane. Il modo in cui trattava quest’ultima era per Elizabeth la fonte di maggiore gioia. Quando erano insieme sembrava che fosse al cospetto di una principessa. Come il migliore dei gentiluomini le teneva aperta la porta e si offriva sempre di portarle i libri o di accompagnarla a casa alla fine delle lezioni. Alcuni avrebbero potuto trovare questo suo atteggiamento sospetto ma era impossibile nutrire verso il ragazzo qualsiasi dubbio sulla natura delle sue attenzioni. Sicuramente Jane era troppo accecata dalla sua cotta per Charles anche solo per accorgersi di tutto questo. Tuttavia la sua timidezza la frenava anche se pareva che la compagnia del ragazzo la stesse aiutando. In cuor suo Elizabeth si sentiva un tantino gelosa di questo nuovo arrivato che riusciva a far aprire la sorella allo stesso modo in cui solo lei fino ad allora ne era stata capace. Ma l’amore che provava per Jane soffocava questo fastidioso sentimento con la felicità per la gioia della sorella. 
Non era l’unica a gioire di questa nascente amicizia. La Madre delle giovani amava spettegolare e con le altre donne del suo Club aveva già approfondito la faccenda in ogni modo. Il marito invece si limitava a guardare sospettoso il ragazzo quando dopo aver accompagnato Jane a casa si attardava a fare ancora qualche parola. Ma Jane non si accorgeva di nulla. Le sue attenzioni erano tutte rivolte verso Charles e verso la sorella Lizzy.
Si era accorta che dal ballo c’era qualcosa di diverso nel modo in cui questa si comportava. Era diventata ancora più silenziosa e tendeva a chiudersi in sè stessa più spesso di prima. Jane vedeva che c’era qualcosa che la preoccupava ma Elizabeth si rifiutava di parlarne ogni volta che lei chiedeva e anzi cercava di cambiare argomento concentrando le attenzioni di Jane su qualsiasi altra cosa. Lei cercava di rispettare la privacy di Lizzy ma non poteva fare a meno di preoccuparsi per la sorellina. Proprio mentre era intenta a pensare a come farle confessare il suo segreto, Elizabeth entrò nella camera da letto che condividevano. Era fradicia e teneva su una spalla lo zaino di scuola che pareva di poco più asciutto rispetto alla sua padrona. Sbuffando la ragazza poggiò le cuffie sul letto e si tolse le scarpe. Una piccola pozzanghera si stava intanto formando ai suoi piedi mentre lasciava cadere lo zaino per terra per poi sedersi sulla sedia davanti alla scrivania. 
-Sei di nuovo andata a correre sotto la pioggia?- chiese e Lizzy annuì togliendosi le scarpe e svuotando l’acqua in esse contenuta fuori dalla finistra. Dall’acqua che ne uscìpareva fossero un’acquario, pensò Jane mentre Lizzy si cambiava. Si chiese come mai non indossasse mai qualcosa di più carino e che risaltasse di più il suo corpo. Elizabeth non l’avrebbe mai ammesso ma era una bella ragazza. I capelli fradici sgocciolavano sulle spalle sottili ed eleganti come la curva del collo o dei fianchi stretti. La pancia piatta era pallida e costellata di nei ma quello che la ragazza cercava di nascondere era probabilmente la cicatrice argentea che scorreva dal fianco destro fin dietro la schiena per non parlare di quella che si trovava sulla spalla e che i genitori le avevano permesso di coprire con un tatuaggio scuro. Un ramo con un unica foglia che si staccava e diventava una fila di rondini con le ali spiegate. Elizabeth non parlava mai di come se le era procurate ma Jane lo sapeva e ogni volta che ci pensava il cuore le si spezzava. Forse sua sorella non era perfetta ma non c’era da biasimarla se faceva così fatica a fidarsi delle persone. Jane conosceva poche persone che fossero riuscite a far breccia in quel muro che Lizzy aveva costruito intorno al suo cuore ferito. 
La ragazza tremante per il freddo si coprì con il pesante pigiama e indossò un paio di calze di lana. In quel momento, mentre si sfregava i capelli con l’asciugamano pareva più fragile che mai. Le rivolse un sorriso divertito.
-So che sono bellissima ma la smetteresti di fissarmi?- domandò e Jane rise distogliendo la mente da quei tristi pensieri. 
-Non capisco perchè ti piace così tanto infradiciarti quando potresti benissimo stare seduta al calduccio sotto le coperte-
-Non saprei come spiegartelo J, mi sento libera quando lo faccio-
-Non credo che ti sentirai così libera quando la mamma vedrà in che stato hai ridotto la casa- 
Elizabeth si strinse nelle spalle anche se nei suoi occhi si leggeva un certo timore per la reazione della signora Bennet.
-Quando succederà sappi che io sarò già lontana, in Messico probabilmente o in Canada dove non potranno estradarmi per subire la sua ira- commentò sdraiandosi sul letto e affondando la testa nel cuscino di piume. Jane rise e si preparò a darle la bella notizia.
-Liz...indovina!- Un rantolo confuso che doveva rappresentare la risposta di Lizzy si sollevò, soffocata dalla federa premuta contro il viso.
-Sai che non ti capisco quando boffonchi- rise Jane mentre Elizabeth si sforzava di sollevare il viso per ripetere la sua risposta.
-Un branco di orsi bianchi si è riunito per affermare i suoi diritti sull’estrazione di petrolio in Groenlandia?- La maggiore la guardò confusa.
-Cosa? No, non è di questo che parlavo. Dai riprova-
-Jane io ti voglio bene ma il criceto che mandava avanti il mio cervello correndo sulla sua ruota è andato in ferie. Non riuscirei a sviluppare un pensiero sensato neanche volendo-
-Okay dormigliona... Domani la scuola resta chiusa! Dicono che sia in arrivo una tormenta di neve e quindi niente lezioni!- Subito lo sguardo di Elizabeth si fece più sveglio. 
-Dici sul serio?- domandò cauta e quando Jane annuì parve dimenticare la stanchezza e si alzò in piedi sul letto saltando come una bambina. La sorella rise vedendo la reazione infantile della sorella.
-Che potremmo fare Jane? nel nostro giorno di libertà?- 
-In realtà ho già accettato un invito che hanno fatto ad entrambe...- disse imbarazzata la maggiore. Lizzy smise di saltellare e il suo sguardo si fece indagatore.
-Che invito hai accettato?- 
-Caroline mi ha chiesto se ci sarebbe piaciuto passare la giornata con lei e Charles nella nuova casa-
-Io non posso venire, sai com’è, i compiti...- rispose Lizzy senza guardare negli occhi la sorella. Come faceva sempre quando stava mentendo.
-Li hai già fatti oggi prima di andare a correre. Ti ho visto. Hai completato anche quelli per dopodomani. Non hai scuse mia cara- 
-Ti prego Jane non farmi questo, io non ho niente contro Charles ma ammettiamolo, non è che Caroline provi per me chissà quale simpatia...-
-Dai Lizzy fallo per me! Papà non mi lascerà mai andare se non ci sarai anche tu, non se c’è il rischio che la tormenta mi blocchi lontana da casa e sola-
-Oh ma non saresti sola, il principe Charles giungerebbe sul suo fidato destriero e ti porterebbe in salvo- 
-E dai Lizzy ti prego, ti prego, ti prego!- disse Jane con tono supplichevole e facendo gli occhioni dolci alla sorella che ormai era sul punto di cedere. Con uno sbuffo Elizabeth si lasciò cadere sul letto esclamando con fare teatrale : -E così sia-. Jane rise felice battendo le mani per la gioia, poi Elizabeth si sollevò puntellandosi sui gomiti.
-Ma sappi che se tu e il gentiluomo farete le cosacce io me ne ritornerò dritta a casa ok?- Jane avvampò per l’imbarazzo e preso il cuscino lo lanciò contro la sorella che lo schivò ridendo.
-Allora è la guerra che vuoi...- disse Elizabeth afferrando il proprio cuscino e dando via ad una violenta lotta all’ultima piuma. Ad interromperle quando ormai entrambe avevano il fiatone fu l’urlo della madre che dalla cucina stava intimando loro di smetterla alll’istante. Ridendo le due sorelle si lasciarono scivolare sul pavimento coperto dal tappeto morbido. Elizabeth posò la testa sulla spalla di Jane e lei le accarezzò distrattamente i capelli. 
-Ti piace davvero molto vero?- mormorò ad un tratto Lizzy senza guardare la sorella.
-Chi?- 
-Babbo Natale, di chi vuoi che stia parlando Jane? Del tuo principe azzurro!-
-Charles?-
-Sì mia perspicace sorella- commentò ridendo Elizabeth mentre la maggiore le tirava una lieve gomitata contro il fianco per farla stare zitta.
-Sì, credo proprio di essermi innamorata di lui Liz- Rispose Jane dopo qualche secondo di silenzio e sentì la sorella sorridere contro la sua spalla.
-Credi che io abbia una possibilità con lui?- Domandò ma non ricevette risposta. Abbassò lo sguardo e vide che Elizabeth si era addormentata e ora se ne stava con gli occhi chiusi e il sorriso sereno sul viso rilassato. Jane sorrise sospirando e prese il cellulare per inviare un veloce messaggio a Caroline per confermare che sarebbero venute. 


Quando si svegliarono la mattina dopo, la neve stava già cadendo fitta e la strada era già coperta da un fitto strato bianco e qualcuno era già uscito per liberare i vialetti. In casa Bennet erano ancora praticamente tutti sotto le coperte. Solo tre figure si aggiravano per la casa silenziosa. 
Jane agitata cercava di trovare qualcosa di adatto da mettersi mentre il signor Bennet e Elizabeth la guardavano scambiandosi occhiate complici. Ognuno con in mano una grossa tazza fumante di caffè osservavano Jane che correva avanti e indietro continuando a cambiarsi i vestiti in cerca dell’abito perfetto. Ci mise come minimo mezz’ora a scegliere e quando finalmente uscì dal bagno indossava un abito di lana blu scuro con le calze a maglia chiare a fasciare le gambe e i piedi calzati in un paio di pesanti stivali invernali foderati di tessuto morbido e caldo. Fece una giravolta davanti ai due che sorrisero annuendo. 
-Dimmi che io non mi devo vestire così bene...-
-Oh sì invece. Per una volta, potresti metterti quel maglione rosso scuro che non metti mai...Non dico di metterti un vestito ma qualcosa di carino dai! Per favore...-
Elizabeth rise esasperata e sospirò guardando il padre che con le labbra mimò un -Resisti!- ma gli occhioni dolci della sorella furono più convincenti e annuì.
-Ti pensavo più resistente figlia mia- le sussurrò sorridendo il padre mentre Elizabeth si dirigeva verso la sua camera. Sotto le indicazioni della sorella indossò il maglione consigliato ma si rifiutò categoricamente di mettere una gonna riuscendo così a spuntarla indossando un paio di jeans neri. Si infilò un paio di stivali neri e la sorella insistette per legarle i capelli in uno chignon spettinato da cui sfuggivano riccioli ribelli che incorniciavano il viso di Elizabeth. 
-Sono ridicola?- domandò specchiandosi mentre indossava un pesante cappotto, la sciarpa e i guanti. Jane comparì alle sue spalle calcandosi sulla testa un baschetto di lana bianca. 
-Sei fantastica- la rassicurò mentre indossava anche lei un paio di guanti chiari. Elizabeth sospirò e afferrò lo zaino varcando la soglia di casa preparandosi al freddo della neve sul viso. 

Jane ed Elizabeth camminavano affiancate lungo la strada innevata strette sotto lo stesso ombrello. Gli autobus le avevano tradite quel giorno, gli orari erano stati cambiati a causa della neve e molte linee erano state soppresse tra cui quella che serviva alle due sorelle. Avanzavano lentamente tentando di mantenersi in equilibrio. Elizabeth si era accesa una sigaretta nel tentativo di scaldarsi e forse anche di placare l’agitazione per quella visita. Voleva fare bella figura per dimostrare a Charles che sia lei che Jane erano brave ragazze e soprattutto che la maggiore era totalmente degna delle sue attenzioni. 
La famiglia Bingley abitava a qualche isolato di distanza da Elizabeth e Jane, in Netherfield Road. Era un tragitto piuttosto lungo ma alle ragazze era sempre piaciuto camminare e così avevano la possibilità di chiacchierare un po’ in pace e tranquillità. Jane era nervosa e continuava ad attorcigliarsi una ciocca dei lunghi capelli biondi intorno alle dita, troppo persa nei suoi pensieri per accorgersi dello sguardo divertito della sorella. C’erano solo due persone a cui Elizabeth teneva veramente, Jane e suo padre. Per loro avrebbe fatto qualsiasi cosa, compreso recarsi di malavoglia in un posto per fare in modo che la sorella ottenesse le attenzioni della sua cotta segreta. 

Quando arrivarono alla casa dei due ragazzi Elizabeth si immobilizzò con gli occhi spalancati. Non era una casa, piuttosto forse un complesso residenziale tutto intero! Era enorme ed occupava un grande spazio nella via deserta. Camerieri indaffarati rimuovevano la neve dal viale alberato che partiva da dietro un grosso cancello di metallo dotato di telecamere sopra il citofono. Jane premette il pulsante e si presentò al cameriere che venne ad aprire mentre Elizabeth rimaneva ammutolita per lo stupore e venne praticamente trascinata all’interno dalla sorella. Quando finalmente raggiunsero il portone di ingresso, Caroline Bingley fece la sua comparsa dalla cima di una lunga scalinata in marmo. Elegante anche in casa sua, notò subito Elizabeth mentre la giovane si avvicinava con un sorriso dipinto sul viso aggrazziato e così perfetto da risultare fastidioso. Charles la seguiva a poca distanza e scese in fretta le scale raggiungendo le due sorelle e aiutando Jane a togliersi il cappotto per poi appenderlo all’ingresso Quasi senza accorgersene Elizabeth lasciò che qualcuno facesse lo stesso con lei ma non si accorse di chi era stato finchè non si voltò e i suoi occhi incontrarono quelli blu di William. Aprì la bocca per dire qualcosa ma non ne uscì nessuna parola. Lui sorrise passando il cappotto all’amico che era distratto dal sorridere come un ebete a Jane che ricambiava lo sguardo con le guancie rosse forse per l’imbarazzo, forse per il freddo. 
-Non ti vedo da parecchio tempo Elizabeth, come stai?- intervenne William a rompere l’imbarazzante silenzio.
-Infreddolita ma tutto sommato bene direi bene grazie, tu William?- rispose lei cercando di essere il più gentile possibile anche se nel suo cuore sentimenti diversi continuavano a confonderla. Il ragazzo fece per rispondere ma Caroline lo interruppe prima.
-Avete fatto tutta questa strada a piedi?!- esclamò stupita appoggiandosi al corrimano della scala.
Elizabeth annuì sollevando gli occhi verso di lei.
-Sì, gli autobus sono praticamente spariti- 
-E non potevate venire in macchina?-
-Serviva a mio padre per andare a lavorare- rispose gentilmente Jane distogliendo l’attenzione dal suo amato Charles che guardava la scena con il sorriso raggiante. William appoggiato al muro guardava Caroline Bingley come se sospettasse che ci fosse qualcosa che non andava. 
-Avete solo una macchina per tutta la famiglia!?- domandò sbalordita.
Elizabeth avrebbe voluto prenderla a calci. Era evidente che cercava di mettere in imbarazzo Jane per la modestia della sua famiglia e Lizzy faceva fatica a trattenersi.
-Sì, preferiamo camminare. Sai siamo delle grandi ambientaliste- rispose Elizabeth cercando di distogliere l’attenzione dalla sorella che imbarazzata aveva abbassato lo sguardo. 
-Ammirevole veramente- boffonchiò la rossa rinunciando all’intento di battere Elizabeth che sorrideva sotto i baffi. Dietro di lei William osservava le due ragazze con aria divertita. 
-Avrete freddo suppongo. Ho fatto preparare della cioccolata calda se la volete!- esclamò Charles e Jane annuì contenta mentre seguiva il ragazzo verso la sala da pranzo. 
-Non mi aspettavo di vederti qui sinceramente- disse Elizabeth a William mentre seguivano la piccola comitiva. 
-Mia sorella andava a sciare con una sua amica e mi ha vietato di stare da solo a casa nostra quindi...- rispose il moro stringendosi nelle spalle.
-Senti mi dispiace per...-iniziò Elizabeth
-Elizabeth, William muovetevi la cioccolata si raffredda!- la interruppe la voce squillante di Caroline e per la seconda volta in pochi minuti Elizabeth sperò che qualcuno la strozzasse al posto suo. 
Forse però entro fine giornata avrebbe potuto scusarsicon Darcy senza essere interrotta.   


Avevano passato la mattinata a chiacchierare e studiare. O almeno Elizabeth aveva passato la mattinata a guardarli fare i compiti mentre leggeva un libro trovato nell’infinita biblioteca dei Bingley. William invece aveva passato il tempo a scrivere sul cellulare messaggi alla sorella da parte di Caroline. Jane cercava di spiegre a Charles matematica anche se lui pareva più interessato agli occhi blu della ragazza piuttosto che ai radicali e alle funzioni goniometriche. 
-Elizabeth ti va di fare due passi mi sto addormentando a furia di stare qui seduta- le chiese ad un tratto Caroline alzandosi dal divanetto e allungandole una mano. Elizabeth confusa si alzò e stringendosi nelle spalle si diresse verso l’uscita della stanza insieme poi la rossa si voltò.
-William vuoi venire con noi? -
-No grazie, devo ancora riuscire a parlare con mia sorella visto che fin’ora ho scritto solo ciò che tu volevi dirle. Mi ha chiesto di chiamarla-
-Okay, salutamela- disse Caroline con voce smielata per poi rivolgersi a Elizabeth.
-Sua sorella è semplicemente fantastica e lo aiuta a gestire il loro patrimonio e la compagnia. Fanno i milioni insieme- 
Elizabeth sollevò gli occhi al cielo a quell’inutile specificazione sul patrimonio dei fratelli Darcy e al ragazzo non sfuggì quell’ennesima dimostrazione di insofferenza verso di lui e il suo tenore di vita. Ma solo quando le due si furono allontanate si decise a parlare.
-Perchè si comporta così tua sorella, Jane?- chiese e la maggiore delle sorelle Bennet sollevò lo sguardo con un espressione triste dipinta sul viso prima raggiante.
-Non credo di potertelo dire William, Elizabeth non ne parla mai nemmeno con me e si rifiuta di parlarne con altri...-
-Vorrei solo capire perchè ogni volta che mi parla  sembra così arrabbiata. Come se fosse colpa mia se sono nato ricco...-
-Devi capire che quello che le è successo non è stato facile da superare-William inclinò il viso confuso e incuriosito.
-Che cosa le è successo?-
Jane aveva gli occhi lucidi e distoglieva lo sguardo da quello del ragazzo. Charles le posò una mano sulla spalla e le sorrise incoraggiante.
-Niente di quello che ci dirai uscirá da questa stanza, te lo prometto...-
Jane sospirò e guardò fuori dove la neve continuava a cadere e si vedevano Elizabeth e Caroline che camminavano fianco a fianco. 
-Okay-sussurrò e si raddrizzò sulla sedia stringendo le maniche del maglione fra le mani.
-La mia famiglia non ha sempre vissuto in questo quartiere...prima abitavamo in città e mio padre possedeva una libreria storica in centro. Conoscevamo Charlotte perchè lei ed Elizabeth erano migliori amiche e quindi passavamo molto tempo in questo quartiere. Un giorno tre anni fa venne a casa nostra un imprenditore.Voleva il terreno della libreria per costruirci un nuovo hotel della sua linea. Non aveva una buona fama e tutti sapevano che i suoi soldi lo avevano aiutato a tirarsi fuori da situazioni spinose. Mio padre era legato a quella libreria e così Lizzy. Il loro amore per la lettura li aveva sempre uniti Papà si rifiutò di vendere era stata di suo padre e lui aveva intenzione di lasciarla in eredità a Lizzy. L’imprenditore non la prese bene. Disse che ce l'avrebbe fatta pagare e che avremmo ceduto la proprietà che l'avessimo voluto oppure no. Mio padre lo cacciò e ci dimenticammo della faccenda. Poi una sera lui e liz erano usciti a cena per festeggiare il fatto che mia sorella fosse stata scelta per un importante stage di scrittura. Stavano tornando  a casa ed era molto tardi. Un gruppo di ragazzi sui diciotto anni li accerchiarono e spinsero in un vicolo . Avevano dei coltelli e li minacciavano sventolando davanti a mio padre il foglio in cui arebbe dovuto accettare l’accordo di vendita. Lui si rifiutò ancora e loro lo pugnalarono. Tenevano Elizabeth ferma mentre il coltello penetrava nella sua carne e il sangue iniziava a bagnare la camicia. Mio padre cadde a terra e non contenti decisero di sfogarsi su Elizabeth. Aveva quindici anni e ancora mi ricordo il suo viso quando ce lo raccontò...- il dolore del ricordare quegli eventi la interruppe mentre William con la gola secca pose quella domanda
-l’hanno...violentata?- domandò esitante e il sollievo lo prese quando vide Jane scuotere il capo
-Ci provarono. Un poliziotto li fermò e li trovò nel  vicolo . Lei era sdraiata mezza nuda nel sangue suo e di nostro padre mentre si stringeva i vestiti a brandelli addosso e cercava di far rimanere sveglio papà. La portarono in ospedale e la polizia le chiese di riconoscere gli aggressori. Li denunciammo ma non sapevamo contro chi ci stavamo mettendo. Erano tutti figli di ricchi personaggi della finanza e sostenuti dai migliori avvocati. Dissero che Elizabeth li aveva provocati e accusarono mio padre di essersi colpito da solo per far sembrare la sua storia più convincente. Era assurdo ma il giudice ci credette. Perdemmo la causa e il mandante dell’attacco ebbe ciò che voleva. Ci tolse tutto e noi ci trasferimmo qui. Elizabeth da allora non si fida più di nessuno, ha smesso anche di scrivere che era la cosa che più amava. Non ti odia per i tuoi soldi William. Non riesce a fidarsi di te perchè le ricordi quei ragazzi che hanno tentato di violentarla dopo aver pugnalato suo padre. Lei non ne parla mai. Poche settimane dopo già faceva finta di nulla. Fece coprire la cicatrice sulla spalla con un tatuaggio e iniziò a chiudersi in se stessa ma a volte si sveglia urlando e io sono lì pronta a calmarla. Anche se non lo dice so che nei suoi occhi  rimarrà sempre impressa l’immagine di quei volti...Ora capite perchè non ne parliamo ? Capite perchè è così scostante? È solo fragile e non si fida più di nessuno a parte me,Charlotte e nostro padre. Ci vuole tempo per abbattere i muri che si è costruita intorno. Lasciale del tempo William...-

Il ragazzo annuì mentre Charles stringeva Jane in un tenero abbraccio. Non avrebbe mai immaginato che il motivo di tanto astio fosse una storia del genere. Ora capiva la frecciatina sul suo essere ricco. Si chiese però cosa quella mattina l’aveva spinta a chiedergli scusa. Era certo però che qualcosa era cambiato da quando aveva conosciuto quella ragazza. Era curioso e la tentazione di starle più vicino era sempre più forte. Forse stava impazzendo e probabilmente lei non l’avrebbe mai accettato. Sollevò lo sguardo e incontrò gli occhi di Elizabeth che stava rientrando nella stanza con Caroline. Quando si voltò per appendere la giacca gli parve di scorgere i contorni del tatuaggio spuntare dal colletto. Lei gli rivolse un rapido cenno del capo accompagnato da un tiepido sorriso. E allora William pensò che l'avrebbe aspettata non importava per quanto tempo.
Lui ci sarebbe stato.


 
ANGOLO DELL'AUTRICE
Ecco qui il terzo capitolo. Ringrazio tutti quelli che hanno recensito e che continuano a leggere questa serie. Ho cercato di spiegare come mai Elizabeth fosse stata così brusca con William, fatemi sapere cosa ne pensate. So che è un passato piuttosto pesante e fuori completamente dall'universo della Austen, spero di non aver esagerato troppo ma volevo dare al personaggio di Elizabeth uno spessore maggiore attraverso una storia che rendesse la sua personaltà più sfaccettata.
 Grazie Mille a Tutti. Baci e Abbracci
D.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                       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Capitolo 4
*** Il nuovo Arrivato ***




La giornata a casa Bingley si era dimostrata più piacevole di quanto Elizabeth si sarebbe aspettata. Lei e Jane erano addirittura riuscite a convincere i due ragazzi a giocare a palle di neve mentre Caroline si era rifiutata. La ragione? L’umidità le rovinava i capelli. Ma del resto nessuno aveva tentato di convincerla. Comunque le sorelle Bennet si erano rivelate delle professioniste e avevano distrutto i loro due avversari disorientati dalla furia delle ragazze. Al termine della giornata William aveva anche offerto loro un passaggio ma il padre delle due era arrivato prima reclamando le figlie per importanti faccende famigliari. Il congedo fu veloce ma stranamente pieno di calore. Persino Lizzie e Caroline parvero seppellire per poco l’ascia di guerra. Per poco perché mentre Jane e la sorella si avviavano verso l’auto del padre a nessuno sfuggirono i commenti della rossa riguardo ai vestiti, ai capelli, all’auto o a qualsiasi altra cosa le passasse per la testa ma qualsiasi cosa dicesse non riusciva a cancellare il sorriso dai volti dei due amici. Che si scambiarono un’occhiata complice ignorando le parole della ragazza. Pareva che ormai si fossero abituati a sentirla gracchiare il suo parere su chiunque. Persino William aveva abbandonato il solito viso serio per concedersi un ampio sorriso.  Quando arrivarono a casa per aiutare il padre a sedare l’ennesima crisi di nervi della madre, Jane ed Elizabeth  poterono affermare di essersi divertite e con la totale sorpresa della famiglia Elizabeth non aveva niente da ridire sul comportamento di William o di Caroline sebbene fosse stato chiaro per tutta la giornata che nessuna delle due sopportava l’altra.  Purtroppo l’allerta neve venne ritirata e le due ragazze furono costrette a presentarsi a scuola il giorno dopo insieme al resto della scuola che già rimpiangeva quella giornata di pace.
Con ancora meno voglia del solito  Elizabeth si alzò dal letto così caldo e accogliente e mise piede fuori dalle coperte. Il pavimento era gelido e subito la ragazza rimpianse la sua abitudine di lanciare le ciabatte lontano dal letto ogni volta che andava a dormire. Saltellando sulle punte raggiunse  le morbide babucce e nel farlo diede uno scossone ala sorella che stranamente non era ancora in piedi. La bionda sollevo il viso e mormorò con voce impastata dal sonno.
-Che ore sono?- 
-Tardi, è tardi e alla prima ora ho matematica quella donna non mi perdonerà mai più se entro in ritardo. E’ puntuale come un dannatissimo orologio svizzero- Jane rise e si stropicciò gli occhi per poi trascinarsi anche lei fuori dal letto ma in modo sicuramente meno impacciato di Elizabeth. Le due sorelle corsero fino alla cucina e trangugiarono di fretta la loro colazione. Quella giornata stava iniziando malissimo. Jane In due minuti era già pronta ad uscire. Vestita di tutto punto e intenta a darsi una ritoccata al trucco mentre Elizabeth saltellava da un lato all’altro della loro camera  su un piede solo mentre tentava di infilarsi i pantaloni. Calzò gli stivali di pelle scura e si fiondò giù dalle scale mentre tentava di mettersi il maglione e la giacca cosa che risultava impossibile mentre teneva fra le labbra il cellulare e nella mano destra lo zaino. Jane ridendo si allungò e le prese la borsa dalle mani mentre uscivano dalla porta dando alla sorella il tempo di sistemarsi decentemente i vestiti. Arrivarono appena in tempo alla fermata dell’autobus e balzarono di fretta sul mezzo raggiungendo i posti in fondo per sedersi. Insomma la giornata non si stava prospettando come una delle migliori a guardare i presupposti della sveglia. Miracolosamente Elizabeth riuscì ad entrare in classe in perfetto orario sebbene sputando i polmoni dopo la corsa compiuta lungo i corridoi solo per arrivare prima dell’insegnante. Ironia della sorte la professoressa di matematica sarebbe stata assente tutta la giornata a causa della neve che la bloccava in casa dal giorno prima. Il che fu un miracolo per Elizabeth che potè concedersi un lungo sonnellino durante l’ora di supplenza. Quando finalmente suonò la campanella della ricreazione Liz raccolse i suoi libri e si diresse a passo spedito verso il cortile per godersi la prima sigaretta della giornata. Stava appunto per uscire all’aperto ben coperta dal suo cappotto quando andò a sbattere contro qualcuno e si ritrovò a terra in mezzo ai suoi libri. Sbuffando alzò lo sguardo e si preparò ad insultare chi le era venuto addosso ma rimase ammutolita a vederlo già inginocchiato per terra a passarle i libri che le erano caduti con aria colpevole. Era un ragazzo alto e ben piantato. Indossava una grossa felpa con il logo della squadra di football della scuola. Il viso aggraziato era reso ancora più bello da un sorriso smagliante che gli illuminava gli occhi azzurro ghiaccio. I capelli castano chiaro erano corti incorniciavano il viso in un’aureola oro scuro. Elizabeth allungo una mano e afferrò i libri.
-Mi dispiace tanto no ti ho proprio vista- esclamò lui e Liz stranamente non trovò altro da rispondere e si limitò a sorridergli stringendosi nelle spalle.
-Tranquillo non fa nulla, non ti ho visto nemmeno io- 
-Scusami non mi sono ancora presentato. George Wickham , sono il nuovo arrivato-
-Elizabeth Bennet- rispose lei stringendo la mano che il ragazzo le porgeva. Nel frattempo il suono della campanella segnalò alla ragazza che la sua pausa avrebbe dovuto attendere ancora a lungo. Strinse i libri contro il petto e si alzò con un sorriso imbarazzato dipinto sul viso. 
-E’ meglio che vada in classe o mi prenderò una strigliata che non scorderò mai-
-In che classe sei?-
-La quarta nel terso corridoio del primo piano-
-Fantastico, ti accompagno-
-Cosa scusa?- Wickham si strinse nelle spalle infilando le mani nelle tasche della felpa.
-Ti accompagno. La mia classe è di fianco alla tua praticamente, possiamo fare la strada insieme-
-Oh, bhe…Okay!- balbettò Elizabeth stupita dall’intraprendenza di quel ragazzo.  
Lui gentilmente si offrì di portarle i libri e si incamminarono veloci verso le loro classi. George si stava rivelando un ragazzo fantastico. Era una persona solare e gentile, continuava a fare a Lizzy domande sulla sua vita e sulla sua famiglia a cui la ragazza non poteva fare a meno di rispondere attirata dai modi affascinanti di quel giovane di solo un anno più grande di lei. La cosa che più stupiva Elizabeth era il fatto che con lui  il suo spirito ribelle e aggressivo sembrava assopirsi e scomparire. Gli donava ampi sorrisi camminando al suo fianco e ascoltando ogni parola del ragazzo che raccontava senza smettere di sorridere il come si fosse trasferito in città dopo la morte dei genitori e di come il suo primo giorno di scuola si stesse rivelando una sorpresa dopo l’altra. Quando arrivarono davanti alla porta a Elizabeth dispiaceva quasi lasciare la compagnia di Georges e anche lui non ne sembrava molto felice. Con delicatezza le passò i libri e a Lizzy parve di sentire una scintilla quando le loro dita si sfiorarono.
-Senti, posso offrirti un passaggio per tornare a casa dopo scuola? Ho una vecchia moto e c’è posto per due se ti va…-le disse il ragazzo mentre un lieve rossore compariva sulle guance rosee. 
-Mi farebbe piacere, grazie mille- rispose lei stringendo fra le mani i libri come se potessero sostenerla mentre l’imbarazzo la invadeva.
-Allora passo a prenderti qui all’uscita, d’accordo?-
-D’accordo- si salutarono con un rapido gesto della mano e Elizabeth si fiondò in classe mentre sentiva le guance diventare rosse e bollenti. Sorridendo aprì i libri e si preparò alla lezione di letteratura che la aspettava attendendo in realtà solo il momento in cui sarebbe suonata finalmente l’ultima campanella.


Come promesso George passò a prenderla davanti alla classe e si diresse con lei verso l’uscita sotto lo sguardo stupito di Charlotte e il suo fidanzato che non sapevano nulla dell’incontro dei due.  Da gentiluomo le prese lo zaino e la portò fino al parcheggio dove li attendeva la moto di lui. Una vecchia Harley in tutto il suo splendore. Lui le passò il casco e Liz si legò i capelli poi sentendo un clacson si voltò e scorse Jane con Bingley che stava per tornare a casa. La salutò con la mano e la sorella maggiore ricambiò seppur con stupore nel vederla vicino ad un ragazzo che non aveva mai visto. Poi Elizabeth spostò lo sguardo e i suoi occhi incontrarono quelli di William. IL ragazzo era vicino alla sua macchina e aveva la mano sulla maniglia della portiera. Il suo sguardo si era fatto scuro e burrascoso mentre guardava dietro la ragazza e i suoi occhi incontravano quelli glaciali di George. I due si scrutarono a lungo prima che William scuotesse la testa e con rabbia entrasse nell’auto sbattendo la portiera dell’auto. Sgommando si gettò fuori dal parcheggio scomparendo poco dopo alla  vista della ragazza che si voltò verso il nuovo amico. George era immobile. Il sorriso era scomparso dal suo viso e la mascella era contratta, le sopracciglia aggrottate.
-Voi vi conoscete?-
-Se conosco William Darcy? Oh sì e speravo che non l’avrei più rivisto- Elizabeth si stupì a sentire quelle parole così amare uscire dalle labbra del ragazzo che le era sembrato  persona solare e gentile.
-Cosa è successo fra voi?- George scosse il capo e la guardò negli occhi.
-Non qui, vieni ti porto in un posto-
Elizabeth si infilò il casco e salì sul sedile della moto dietro a George che mise in moto e si diresse lungo le strade con i cumuli di neve ammucchiati lungo i marciapiedi. Viaggiarono per alcuni minuti prima di immettersi in una via laterale che li portò fino ad un parchetto abbandonato. Il cancello arrugginito era divelto e lasciava uno spazio attraverso il quale i due ragazzi poterono entrare. La neve non era stata spazzata e ora giaceva intonsa e splendeva sotto i deboli raggi del sole che si faceva spazio fra gli spiragli delle nuvole scure sopra di loro. Gli alberi che circondavano il parchetto erano spogli ma il ghiaccio e la neve formavano piccole strutture scintillanti che facevano sembrare i rami ricoperti di migliaia di minuscole foglioline bianche. Elizabeth trattenne il fiato colpita dalla bellezza del luogo e si inoltrò nella neve che le arrivava quasi al ginocchio. Faticosamente si fece strada fino ad un vecchio scivolo a forma di tubo e si sedette all’interno dove la neve non era caduta. George dietro di lei si sedette sul bordo sorridendo debolmente e pensieroso.
-Allora?- lo incitò Elizabeth stringendosi le ginocchia contro il petto.
-Ah, giusto vuoi sapere cosa sia accaduto fra me e Richie Rich- Il suo tono era amaro e non nascondeva una certa rabbia nei confronti del ragazzo. Elizabeth prese una sigaretta e se la mise fra le labbra accendendola e aspettando che il ragazzo cominciasse il suo racconto.
-Non è una storia entusiasmante in realtà. Io e William eravamo migliori amici si da quando eravamo nati. Prima ancora che conoscesse Charles Bingley e sua sorella. Eravamo un duo inseparabile. Io e lui contro il mondo. Poi siamo cresciuti e con noi la sorella minore di William, Georgiana. Era sempre stata una bambina incantevole ma quando divenne una ragazza la sua bellezza fiorì in tutto il suo splendore. Poi io e William ci perdemmo di vista. Io ero sempre impegnato d’estate nei corsi per entrare nell’esercito mentre lui era impegnato ad imparare come gestire gli affari così finimmo per non vederci quasi mai. Poi io rincontrai Georgiana. Accadde circa un anno fa quando lei aveva ormai 15 anni e io 18. Iniziò tutto come un’innocente cotta estiva ma poi crebbe e divenne qualcosa di più. Ci innamorammo ma a William questo non piaceva. Non approvava che uscissi con sua sorella. Diceva che le avrei spezzato il cuore e che non ero degno di stare con lei. Io e Georgiana tentammo di convincerlo in tutti i modi a cambiare idea ma era irremovibile. Controllava Georgiana a vista e non la lascava uscire se non c’era un’amica con lei. Ma noi trovavamo lo stesso un modo per vederci. Poi però un’amica di William ci vide e lo chiamò. Lui corse subito a cercarci e ci trovò insieme. Impazzì. Si avventò contro di me e mi spinse lontano da Georgiana che era in lacrime. Poi iniziò a picchiarmi e anche se inizialmente non avrei voluto poi mi ritrovai a rispondere ai colpi di William ma ammetto che quella volta ebbi la peggio. Mi fece giurare che non mi sarei mai più fatto vedere a casa sua e che non avrei più tentato di vedere Georgiana. E da allora non l’ho più visto. Non da quando ha trascinato via Georgiana e l’ha chiusa in casa per fare in modo che non ci vedessimo mai più. Non avrei voluto dargliela vinta né ferire sua sorella ma poi partii con i miei genitori e ci fu l’incidente che me li ha portati via. Era da un anno che non vedevo William e non mi immaginavo lo avrei trovato qui. Ora sai tutta la verità su me e William- terminò George guardando Elizabeth che nel frattempo era rimasta in silenzio a scrutare stupita le espressioni del viso del ragazzo. Non lo conosceva da tanto eppure avrebbe giurato che stava dicendo la verità. Il suo sguardo così come le emozioni che trasparivano dal suo racconto sembravano davvero reali e in poco tempo Elizabeth si convinse che aveva parlato troppo presto quando si era ripromessa di far pace con William. Ciò che aveva fatto era terribile e non poteva immaginare come avesse potuto fare una cosa del genere a sua sorella che diceva di amare così tanto. Allungò una mano sfiorò quella del ragazzo con un sorriso lieve sul viso pallido per il freddo. George strinse delicatamente le dita di Lizzy e sollevò lo sguardo su di lei. I loro occhi si incontrarono. Un turbine di emozioni contraddittorie si agitavano nelle iridi dei due mentre le pupille si dilatavano per il desiderio di un bacio che entrambi volevano. George si chinò in avanti abbastanza perché le sue labbra sfiorassero quelle di Lizzy che sobbalzò leggermente prima di rilassarsi e spingersi più avanti per approfondire quel tocco così gentile e delicato. La mano del ragazzo le accarezzò il viso costringendola a sollevare leggermente il mento mentre Elizabeth faceva scivolare le dita fra i capelli del ragazzo. Per la prima volta dopo tanto tempo Elizabeth non stava pensando. Si era lasciata andare e stava baciando un ragazzo che conosceva solo da poche ore. Eppure tutto questo non le importava.
-Credo sia ora che ti riporti a casa- le sussurrò George una volta che si furono separati. Lizzy annuì sorridendo come inebetita mentre lui la prendeva per mano e la portava fino alla moto e la portava a casa. 
Si lasciarono con la promessa che il giorno dopo si sarebbero rivisti e con la tacita promessa di parlare di quel bacio dato dentro uno scivolo in mezzo alla neve. Elizabeth era sovrastata dalle emozioni che le correvano per il cuore confondendola. La rabbia verso William e il modo in cui aveva trattato George, il desiderio incontrollabile di rivedere quest’ultimo e il bisogno impellente di parlare con Jane. Salutò in fretta il resto della famiglia e corse al piano di sopra dove Jane la aspettava già intenta a leggere il libro di chimica con espressione concentrata e confusa. Appena sentì aprirsi la porta richiuse subito il testo e sollevo gli occhi verso la sorella con un sorrisetto malizioso sul viso. 
-Allora?- domandò con gli occhi che brillavano dalla curiosità-
-Cosa?-
-Dai Lizzy! Chi era quel ragazzo che ti ha portato in moto via da scuola?-
-George Wickham, un ragazzo nuovo a scuola- 
-E?-
-Ci siamo conosciuti a ricreazione e ha insistito per portarmi a casa a fine lezioni. È incredibilmente gentile…-
-E bello- aggiunse Jane mentre la sorella posava lo zaino e si sedeva sul letto con espressione sognante.
-E cosa è successo dopo? Parla su! E’ impossibile che ci abbiate messo così tanto tempo per tornare a casa!-
-Okay, Jane ti racconterò tutto ma tu devi promettere che terrai la bocca chiusa con tutti-
-Promesso!- esclamò Jane andando a sedersi vicino alla sorella tutta eccitata all’idea di sentire una storia interessante.
-Okay, ecco tutto- iniziò Elizabeth e raccontò ogni cosa. Della gentilezza di George, del suo fare da gentiluomo e di come le aveva offerto quel passaggio. Poi raccontò alla sorella del parco innevato e dello scivolo. Indignata narrò la storia che legava William e George e di come il ricco ragazzo si fosse dimostrato una persona orribile nei confronti dell’ex migliore amico. Quando infine le raccontò del bacio, Jane saltò in piedi e abbracciò la sorella ridendo e chiedendole ancora più particolari che Elizabeth fu felice di darle sebbene arrossendo vistosamente. Quando finalmente terminò il suo racconto Jane rimase in silenzio per qualche secondo pensierosa.
-Penso comunque che ci debba essere stato un qualche fraintendimento fra quei due. Non credo che William sarebbe in grado di fare una cosa del genere. Sono uscita speso con lui e Charles e mi è sembrato una brava persona, magari un po’ solitario e scontroso ma gentile tutto sommato-
-Io invece non credo che riuscirò mai più a vederlo come tu lo dipingi. Le parole di George erano così sincere e mi è impossibile credere che stesse mentendo-
-Il tuo giudizio è offuscato dai tuoi sentimenti Lizzy, non sei la migliore per costatare i fatti-
-Forse hai ragione ma sono sempre più incline a non sopportare William Darcy e il suo pomposo modo di fare- 
Jane sorrise ma nella sua mente si aggirava il pensiero che un ragazzo perfetto come George non potesse esistere davvero e scorgeva nelle parole che aveva detto alla sorella qualcosa che strideva in contatto con l’immagine di William che si era fatta uscendo con lui e il suo amico Charles. Era felice per la sorella ma non poteva fare a meno di nutrire un poco di sospetto che era arrivato solo quel giorno e già aveva iniziato a far parlare di sé e a cercare le attenzioni di Elizabeth. 

Passarono due settimane e a quel primo bacio ne seguirono altri, mentre Charles continuava a fare una timida corte a Jane, George cercava ogni secondo per stare con quella che ormai era diventata la sua ragazza. Elizabeth dopo anni sorrideva di nuovo, spensierata e girava per i corridoi con la mano in quella del suo fidanzato. La sorella maggiore continuava ad osservare ciò che succedeva con un certo sospetto ma non poteva non essere felice per ciò che finalmente stava vivendo Lizzy. George si era presentato ufficialmente alla famiglia attirando le attenzioni delle più piccole della famiglia Bennet che non nascosero mai il loro parere sull’aspetto del ragazzo che era, secondo loro, un figo da paura. Elizabeth si limitava a sollevare gli occhi al cielo mentre il fidanzato rideva stringendole la mano. Non era Jane l’unica che nutriva riserve verso il nuovo arrivato che stava già facendo parlare di sé, William Darcy non aveva mai lasciato trasparire il suo parere su George ma nessuno poteva ignorare i suoi sguardi pieni di amarezza e rabbia.
Lui ed Elizabeth non si parlavano più molto. Semplici saluti e monosillabi durante le uscite di gruppo in cui venivano coinvolti e durante i quali George non si presentava mai. La scusa era sempre qualche impegno sportivo o l’impellente necessità di studiare ma tutti sapevano che in realtà il vero motivo era quel passato che univa lui e William. Lizzy ignorava volutamente il tutto, troppo presa dalla sua nuova relazione per curarsi di cosa pensasse William Darcy del suo fidanzato. In realtà nonostante tutto Il ragazzo avrebbe preferito che Elizabeth lo insultasse e lo trattasse male come era solita a fare rima piuttosto che continuare a interagire con lui in modo così freddo. Certo gli parlava ma nel frattempo i suoi occhi esprimevano un malcelato disinteresse verso di lui. William sapeva che probabilmente questo aveva a che fare con George e con quello che probabilmente lui aveva detto ad Elizabeth ma era troppo orgoglioso per chiedere e piegarsi così alla silenziosa guerra che Lizzy stava conducendo contro di lui. 
I giorni passavano e andava così avvicinandosi il Ballo D’Inverno a cui Elizabeth non partecipava quasi mai. Il motivo era che oltre ad odiare quel genere di cose, il ballo prevedeva come tradizione che si giungesse con un accompagnatore che Elizabeth non aveva mai la minima voglia di cercare. In poche si erano presentate alla serata senza per paura di essere additate come “sfigate”  Elizabeth invece aveva degli ammiratori ma si limitava a rifiutare qualsiasi richiesta e a chiudersi in camera sua con le cuffie la sera del ballo. Perciò non seppe cosa dire quando George la invitò ad andarci con lui.  Da un lato avrebbe voluto rifiutare e rimanersene a casa senza dover per forza andare a quella stupida occasione ma dall’altro vedeva lo sguardo di George eccitato all’idea di ballare con lei in pubblico e con vestiti eleganti, fu per questo che non riuscì proprio a dire di no al fidanzato che tutto soddisfatto la baciò con delicatezza e le consegnò il suo invito.   Elizabeth era felice per la rima volta dopo tempo. Serena e senza preoccupazioni tornò a casa dove la madre aveva già preparato il vestito per il ballo e sebbene ancora si chiedesse come avesse fatto a saperlo non poté fare a meno che esserne felice.  E per la prima volta nutriva aspettative straordinarie per quel ballo. 

Quelle aspettative furono però deluse. La sera del ballo Lizzy stava aspettando il suo cavaliere davanti alla scuola. Un vecchio cappotto lungo le copriva le spalle lasciate scoperte dall’abito bianco che le arrivava fino ai piedi. La scollatura a cuore era decorata da minutissimi arabeschi e sottolineava le forme delicate e snelle della ragazza. Tuttavia per quanto aspettasse George non era ancora arrivato. Quell’anno i partecipanti erano pochi, complice il freddo gelido e la neve che aveva riiniziato a cadere sottile e delicata. Poi il telefono squillò e Lizzy lo afferrò sperando di trovare notizie del suo fidanzato. 
Non si sbagliava ma non erano le notizie che voleva vedere.
“Mi dispiace non riesco a venire, ho degli impegni dell’ultimo minuto. Va senza di me e divertiti cucciola! Baci George” 
Con rabbia Elizabeth infilò il cellulare nella borsa e fece per dirigersi verso casa ma un pensiero la fermò. Cosa aveva da perdere? Tornare a casa dopo tutto lo sforzo che aveva fatto per rendersi presentabile sarebbe stato ancora più imbarazzante così si voltò e con grazie si diresse verso la scuola accodandosi ai pochi che si erano presentati. 
All’interno la sala era occupata da una pista da ballo sopra la quale volteggiavano le poche coppie. Molti erano vicino al banco dei cibi e delle bevande e chiacchieravano a piccoli gruppetti vicino alle pareti della sala. Riuscì a scorgere Jane e Charles intenti a ballare un lento nel centro della sala, ognuno perso negli occhi dell’altro. 
-Ciao- le disse una voce alle spalle. Lizzy si voltò e stupita si trovò a guardare William Darcy elegantissimo nel suo completo. La giacca bianca metteva ancora più in risalto i suoi capelli corvini e gli occhi blu oceano erano ancora più luminosi del solito. Sfoderò un timido sorriso che poco si addiceva a uno come lui e gli porse la mano.
-Posso invitarti a ballare Elizabeth? O hai intenzione di prendermi a pugni?- Lizzy davanti a quel tentativo così goffo di essere gentile e affabile non potè fare a meno che sorridere e porgere la mano a Darcy.
-Vedremo se te lo meriterai dopo questo ballo-
Lui la condusse nel centro della pista e con delicatezza le pose la mano su un fianco conducendola nel primo lento che avesse mai ballato. In silenzio ballavano con gli occhi fissi l’uno in quelli dell’altra senza distogliere lo sguardo che sembrava comunicasse più di quanto si potesse dire a parole.
-Ho visto che il tuo cavaliere non è venuto-commentò William rompendo il silenzio.
-Degli impegni lo hanno costretto a rimanere a casa- rispose freddamente lei. Non sapeva il motivo ma il fatto che lui volesse parlare di George la innervosiva più di qualsiasi cosa. 
-Bhe, non sa cosa si è perso, sei bellissima- Lizzy spalancò gli occhi stupita e si sentì arrossire.
-Io ecco…grazie- rispose lei balbettando. William con grazie la fece volteggiare in aria sollevandola per la vita e Elizabeth sentì un brivido scorrerle lungo la spina dorsale quando le sue dita le accarezzarono la schiena lasciata nuda dal profondo spacco del vestito. Il tatuaggio nero spiccava sulla pelle chiara attirando l’attenzione del ragazzo che ne seguì il volo con un dito, il tocco leggero che la fece rabbrividire nuovamente.
-Posso chiederti una cosa Elizabeth?- domandò ad un tratto lui. 
-Dimmi- 
-Per quale motivo mi stai evitando?- Elizabeth distolse lo sguardo. Sperava che no avrebbero toccato quell’argomento.
-E’ colpa di qualcosa che ti ha raccontato George?- Quando sentì l’odio che proveniva dalla voce di lui Lizzy dimenticò però ogni tentativo di essere superiore e più gentile.
-George? Davvero tu vuoi parlare di quello che mi ha raccontato George?- Sibilò furente prima di voltargli le spalle e uscire all’aria aperta con l’aria pungente che le sferzava la elle nuda. Senti poco dopo il rumore dei suoi passi raggiungerla e si voltò pronta ad affrontarlo nuovamente. 
-Si può sapere cosa ti sta succedendo?- domandò lui spalancando le braccia con aria confusa.
-Quello che mi sta succedendo è che non riesco più a reggere il tuo sguardo che segue on odio me e George lungo i corridoi o il tono della tua voce quando parli di lui. Non hai il diritto di giudicarlo, non dopo ciò che gli hai fatto!-
-Ciò che IO gli ho fatto?- il suo tono tremò di rabbia e i suoi occhi si fecero scuri.
-Neghi forse di averlo separato da tua sorella per nient’altro che un tuo odio personale? Non sei stato forse tu a picchiarlo perché amava tua sorella Georgiana?-
-Come scusa? Io l’avrei picchiato perché amava mia sorella Georgiana?! Lui non ha il diritto di parlare di lei. È Solo un bugiardo Elizabeth e forse ormai tu sei troppo incantata dalle sue parole per accorgerti della persona con la quale ti sei fidanzata!-
-Non hai il diritto di criticare la mia scelta! Lui è un bravo ragazzo! LUI TIENE A ME!- 
-Pe quanto tempo ancora? Per quanto ancora ti illuderai che questa sia la verità? Tu non lo conosci come lo conosco io tu non sai quello di cui è capace!- 
-Io so però quello di cui Tu sei capace! Non sei altro che un borioso e orgoglioso ragazzo che non sopporta il fatto di non essere al centro dell’attenzione. Lui è gentile e amabile mentre tu ti trascini dietro quei pochi amici che hai una dei quali non vorrebbe fare altro che tapparti la bocca con la sua!-
-Di cosa stai parlando?-
-Di Caroline ecco di cosa. Non siamo amiche forse ma comunque provo pena per lei. Da quanto lasci che ti segua come un cagnolino senza mai neanche dirle grazie? Non ti sei accorto di quanto sia innamorata di te? Sei troppo occupato a pensare a te stesso per accorgerti dei sentimenti di qualcun altro!- 
William la guardò con gli occhi spalancati e la afferrò per un polso quando lei si voltò per andarsene.
-E tu Elizabeth? TI credi così tanto diversa da me eppure anche tu fai lo stesso e nemmeno te ne rendi conto- 
-Lasciami- ringhiò Elizabeth in preda alla rabbia e alla paura perché quella presa intorno al suo polso ricordava troppo quella che anni prima l’aveva trascinata per terra in quel vicolo e le immagini di quella notte iniziarono a passarle davanti al viso mentre lacrime si affacciavano sugli occhi terrorizzati. William solo allora si accorse della sua presa ancora stretta intorno al sottile polso della ragazza e capì. Si tirò indietro in fretta e le voltò le spalle correndo poi via mentre Elizabeth rimaneva lì in mezzo al parcheggio. Le braccia strette intorno al busto , tremante. Sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla e si voltò incontrando gli occhi azzurri di George. Che scorse le lacrime e si inginocchio al suo fianco preoccupato con delicatezza le passò una mano sullo zigomo portando via le sue lacrime. 
-Cosa è successo Lizzy?- le chiese ma lei non rispose. Si strinse contro il petto di lui singhiozzando mentre il ragazzo la cullava dolcemente.
-Va tutto bene, tranquilla- le sussurrò in un orecchio. Lei sollevò il viso e poggiò le sue labbra su quelle del ragazzo bisognosa di quel contatto. 
-Portami a casa- sussurrò una volta che si furono separati e lui annuì prendendola in braccio e portandola fino alla sua moto. Elizabeth si strinse a lui premendo il suo petto contro la sua schiena e lasciando che le lacrime le scivolassero lungo il viso mentre le parole di William le rimbombavano nella testa. 
         Di che cosa stava parlando?



ANGOLO AUTRICE:
Innanzitutto chiedo scusa per il ritardo ma negli ultimi tempi ho un po’ di calo dell’ispirazione motivo per cui non credo che questo capitolo sia un granchè. Per quanto riguarda il personaggio di Wickham lo vedrete ancora per un po’ sebbene neanche io lo sopporti molto. 
Spero che vi piaccia e recensite!
Baci e Abbracci
Darkalyce



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Capitolo 5
*** LA GITA SCOLASTICA ***


Era passata una settimana dal ballo di inverno e Elizabeth ancora cercava di capire cosa William volesse dirle con quelle parole.
Non si erano più incontrati da allora o per meglio dire avevano sempre cercato di evitarlo. Jane dopo averla vista scappare via dalla festa con George aveva chiesto informazioni al suo cavaliere ma Charles non aveva potuto dirle niente anche perché William nel frattempo era scomparso dalla festa. Quando era arrivata a casa aveva trovato Elizabeth in lacrime sdraiata sul letto, il cuscino premuto sul viso per soffocare i singhiozzi.
Non aveva voluto parlarle allora e Jane non aveva cercato di costringerla limitandosi ad abbracciarla in silenzio accarezzandole i capelli. Non era una persona che piangeva facilmente sua sorella e vederla in quello stato era terribile per lei. Quando Elizabeth si era addormentata, aveva chiamato George per chiedergli se sapesse qualcosa ma il ragazzo sapeva solo di averla vista discutere con William prima che lui la raggiungesse.
Non aveva sentito cosa si stessero dicendo ma quando era arrivato da lei, Lizzy era in lacrime e tremava. Il giorno dopo Elizabeth si comportava come se niente fosse successo ma Jane riusciva a vedere che la sua mente era altrove, sembrava distante e da quella sera sempre più spesso rimaneva persa nei suoi pensieri mentre gli altri le parlavano. A scuola spesso rimaneva da sola in classe a scarabocchiare su un vecchio quaderno, senza parlare con nessuno. Solo George riusciva in qualche modo a scuoterla dal suo torpore. Quasi a forza la trascinava in cortile a prendere aria o in giro per la città durante il pomeriggio. Il loro posto preferito era il vecchio parco abbandonato e spesso ci andavano per starsene un poco in pace lontano dagli occhi dei curiosi che spettegolavano sulla loro relazione così inaspettata.
I due ignoravano le voci fastidiose degli altri e si chiudevano nel loro luogo sicuro. Presto sarebbe iniziata la stagione sportiva e George era quasi sempre ad allenamento ma trovava sempre un poco di tempo per stare con la sua fidanzata che aveva iniziato a frequentare stabilmente le gradinate dello stadio dove il ragazzo si allenava. In tutto questo i più pettegoli si interrogavano sull’atteggiamento del giovane ragazzo dai capelli corvini.
William Darcy era diventato ancora più scostante di prima, sempre impegnato e nervoso aveva iniziato ad evitare il resto dei suoi compagni di scuola limitandosi a passare il tempo con il suo migliore amico che aveva confessato Jane di essere piuttosto preoccupato. Non aveva mai visto l’amico così nervoso e soprattutto così chiuso in sé stesso. Non voleva confidarsi nemmeno con lui e aveva rifiutato ogni tentativo di Caroline di tirarlo su di morale. Aveva anche smesso di tentare di trattenere a lingua e le sue risposte erano diventate brusche e amare. Elizabeth ignorava ogni cosa che le riferivano sul ragazzo e ogni volta che l’argomento veniva tirato fuori con la sorella e la migliore amica sembrava diventare all’improvviso sorda mentre il suo sguardo si faceva scuro tradendo che in realtà sapeva qualcosa ma non ne voleva parlare.  
La primavera si stava avvicinando e la gita scolastica era alle porte. Per la prima volta le classi di Jane ed Elizabeth erano state accoppiate e le due saltellavano dalla gioia alla prospettiva di poter passare una settimana con sua sorella lontano dalla pazzia della loro famiglia. Il signor Bennet si aggirava tristemente per casa preso dallo sconforto all’idea di essere lasciato solo con la moglie e le figlie minori, in preda alle crisi di nervi delle quattro donne. Aveva richiesto turni extra in biblioteca e aveva progettato la settimana successiva in modo tale da rimanere il più possibile lontano da casa ma sapeva che sarebbe stato tutto inutile, l’unica possibilità di sfuggire alle quattro sarebbe stato ritirarsi in un eremo in mezzo ai boschi e circondato da filo spinato e anche se aveva riflettuto seriamente su questa possibile soluzione l’aveva poi trovata irrealizzabile e si era rassegnato.
 L’unica ragione che metteva Elizabeth a disagio al pensiero della gita era che in classe con Jane c’era anche William e sarebbe stato impossibile evitarlo. George ra stato dda poco spostato in classe con il vecchio amico e ora la classe era ormai spaccata in due parti, una che sosteneva il solare e simpatico George e l’altra che difendeva William, la situazione fra i due era sempre piuttosto tesa ma era mantenuta sotto controllo dal fatto che nessuno dei due aveva intenzione di avere contatti con l’altro e quando succedeva tentavano di mantenerli freddi e professionali. Sembrava la Guerra Fredda, secondo Jane, solo che in scala ridotta. Sarebbe stata una gita difficile per tutti.  
Pochi giorni prima della partenza Charles e sua sorella seguirono William in città per aiutarlo a risolvere degli affari. Il fatto che il ragazzo controllasse metà delle quote dell’azienda di famiglia lasciava Elizabeth a bocca aperta e nonostante non sopportasse quel ragazzo non poteva negare che lo ammirava per la dedizione che dimostrava in affari così difficili come quelli che dirigeva. Charles promise che avrebbe telefonato a Jane ogni giorno ma doveva partire ora che il suo amico aveva così tanto bisogno di lui. Elizabeth si chiedeva quale fosse il motivo che richiedeva la presenza di entrambi i ragazzi e iniziò a sospettare che fosse solo un modo escogitato da William o da Caroline per allontanare i due che stavano diventando sempre più intimi. Ancora non parlavano di relazione ma agli occhi di tutti era quello che stavano vendo sebbene fossero troppo timidi per ammetterlo. Quindi nell’attesa della gita le due ragazze passavano il proprio tempo spettegolando e ridendo, ancora non sapevano che non sarebbe andata come si avevano immaginato.

Il giorno della partenza, la piazzola davanti alla scuola era gremita di studenti e accompagnatori. Alcuni studenti osservavano con invidia i compagni in partenza mentre si trascinavano verso le loro aule. Le sorelle Bennet erano appena arrivate e stavano consegnando le proprie valigie all’autista prima di salire anche loro sul pullman ormai prossimo alla partenza. Si sedettero con Charlotte in fondo all’autobus e presto George raggiunse la fidanzata e dopo averle posato un bacio leggero sulle labbra si sedette al suo fianco. La temperatura sembrò abbassarsi quando William Darcy salì sul mezzo. I suoi occhi incontrarono quelli di George e intorno a loro tutti ammutolirono. Il braccio di Wickham si strinse intorno alla vita di Elizabeth e il corvino non poté non notare quel gesto. Con una smorfia si accomodò nel sedile di fronte al loro in modo che Charles potesse stare vicino a Jane e chiacchierare con la sua cotta ormai non tanto segreta. Elizabeth silenziosa fece scorrere lo sguardo fra il fidanzato e William che si era appoggiato al finestrino e aveva indossato le cuffiette, palesemente deciso a non rivolgere la parola a nessuno. Si chiedeva se i due avrebbero mai risolto le questioni che li legavano ma non riusciva proprio ad immaginare. Quando il pullman si mise in moto Elizabeth si riscosse dai suoi pensieri e si unì ai suoi amici in una lunga serie di cori goliardici, ridendo senza pensieri.  

Arrivarono all’hotel che era ormai già calata la sera. Le luci della grande città che avrebbero visitato l’indomani illuminavano la notte tersa. Le stelle si confondevano con gli areoplani che volavano in alto nel cielo. Elizabeth si guardava intorno a bocca aperta mentre trascinava la sua valigia mano nella mano con il suo ragazzo. George sorrise teneramente a vedere l’espressione da bambina che aveva la sua ragazza mentre osservava la città intorno a lei. Erano anni che Elizabeth non metteva piede in un posto del genere. Da quando si erano trasferiti nel nuovo quartiere dopo gli avvenimenti di quella notte. George non ne sapeva niente, Elizabeth non glielo aveva ancora raccontato e anche lei non sapeva spiegarsene il motivo. Imbarazzo forse, oppure semplice paura al pensiero di tirare fuori quell’argomento. Restava il fatto che dopo più di un mese di relazione ancora non aveva avuto il coraggio di parlarne con lui. Alzò lo sguardo verso il ragazzo e gli sorrise lievemente, forse in quella settimana avrebbe trovato il momento adatto. 

Elizabeth era esausta. Quella sera dopo essere arrivata in hotel si era accodata ad un gruppo di amici ed erano andati a farsi un giro per locali in cerca di un poco di divertimento. George aveva voluto restare in camera perché troppo stanco e Elizabeth l’aveva lasciato fare. William Darcy al suo fianco camminava un poco distanziato dagli altri dando ogni tanto un’occhiata al cellulare. Dietro di loro Jane e Charles camminavano abbastanza vicini da far in modo che le loro dita si sfiorassero sotto lo sguardo contrariato di Caroline che dopo aver tentato con aria civettuola di attaccare discorso con William aveva deciso di tornare in hotel. Lizzy si avvicinò al ragazzo tenendo la sigaretta fra le labbra mentre la accendeva. 

-Ehi-disse e William sollevò lo sguardo da terra incontrando quello di Elizabeth.
-Ciao- rispose lui con aria stupita -Pensavo mi evitassi-
-Infatti lo facevo, lo faccio-
-E allora perché stai parlando con me?-
-Perché ho bisogno di capire- 
-A me pare che tu sia stata abbastanza chiara l’ultima volta che ci siamo parlati. Pensi che io sia solo un egoista bastardo e direi che questo punto lo hai chiarito molto bene. Cos’altro c’è da dire quindi?-
-Perché fai così?-
-Così come?- 
-Ogni volta che provo ad avvicinarmi a te, a capire chi sei davvero fai duecento passi indietro. Sto solo cercando di comprendere come tu abbia potuto fare certe cose!-
-Ah ecco stiamo tornando a parlare di George- 
-Smettila di dire il suo nome in quel modo, come se fosse solo un insetto spiaccicato rimasto sotto la tua scarpa- 
-Non mi rovinerei mai le scarpe pestandolo stanne certa- commentò William con un sorriso ironico.
-Si può sapere che cosa ti ha fatto?!- esclamò Elizabeth spalancando le braccia.
-Non è quello che ha fatto a me il problema. E’ quello che ha fatto a mia sorella che non posso perdonare-
-Da quello che so, tu non ci sei andato per il sottile quella volta-
-Fammi indovinare George ti ha raccontato di come io, bastardo che non sono altro ho diviso due giovani innamorati senza alcuna ragione impedendo al divino cavaliere dalla scintillante armatura di salvare la principessina Georgiana Darcy dal perfido fratello. Non è così?- 
-Lo neghi forse?- 
-Con tutto me stesso, Elizabeth, perché tu hai conosciuto solo quella parte della storia-
-Perché c’è altro che dovrei sapere?-
-In ogni storia ci sono sempre due versioni- rispose William con voce più dolce. 
-E allora raccontamela- 
-Ne sei sicura?- Elizabeth annuì e William raddrizzò la schiena.
-Va bene, allora vieni con me-
Senza pensarci prese Elizabeth per mano e la condusse fino ad una panchina del parco in cui stavano camminando. Gli altri si erano riuniti poco distante e chiacchieravano tranquilli, ridendo e sollevando le bottiglie di birra al cielo notturno. 

-Credo che tu sappia che io e George eravamo amici quando eravamo piccoli, cresciuti insieme e mai separati fino a quando lui non decise che voleva provare ad entrare nell’esercito. Fu un duro colpo per la nostra amicizia e ci divise per molto tempo. Nel frattempo i miei genitori erano morti ed io e Georgiana vivevamo con mia zia Catherine. Quando George tornò ero al settimo cielo. Da molto ormai non facevo altro che pensare agli affari e occuparmi di mia sorella, avevo bisogno di stare un poco col mio vecchio amico. Mi raccontò delle sue avventure al campo di addestramento e di come si fosse abituato ormai alla rigida vita militare. Poi iniziò a frequentare mia sorella che ormai aveva quindici anni ed era una bella ragazza, gentile e solare. Conoscevo George e lo avevo visto alle prese con decine di ragazze, il che non mi rendeva entusiasta all’idea di vederlo uscire con mia sorella ma comunque chiusi un occhio e lasciai che la loro storia fiorisse. Poi un giorno vidi George ad una festa mentre se la spassava con una ragazza della nostra classe. Non potevo sopportarlo, da quel momento cercai in tutti i modi di tenerlo lontano da Georgiana senza però spiegare a mia sorella il motivo per paura che la facesse soffrire troppo. Quando seppi da una mia amica che continuavano a vedersi decisi di agire. Quel giorno mi dissero che volevano partire e andarsene, Georgiana convinta che lui la amasse era pronta a lasciare tutto per seguirlo ma io non potevo permetterglielo. Lo ammetto quella volta persi il controllo. Preso dalla rabbia colpii George ancora e ancora prima che riuscissero a dividerci. Avevo la mano tumefatta ma almeno riuscii a far andare via quel verme. Quella sera stessa raccontai tutto quello che sapevo a Georgiana che ne fu distrutta. Quando George lasciò la città non potevo esserne più felice. Nel frattempo mia sorella si stava riprendendo da quella prima grande delusione e tentava di recuperare il sorriso. E’ per questo che io e George abbiamo chiuso qualsiasi rapporto. E’ per questo che lo odio e non ho intenzione di smettere. Non dopo quello che ha fatto a Georgiana- 
Elizabeth lo guardava a bocca spalancata, il cuore scombussolato non sapeva più di chi fidarsi. George era il suo ragazzo e si era dimostrato da subito incline a dirle tutta la verità e lei non aveva pensato un secondo al fatto che potesse esserci un’altra versione attendibile di quella storia. Ora si sentiva così stupida per aver preso posizione così in fretta, in effetti William non aveva fatto nulla per far sì che lei non gli credesse. Si passò una mano fra i capelli sciolti nel vento leggero appoggiandosi allo schienale della panchina.
-Non è possibile…- sussurrò piano.
-Non mi aspetto che tu mi creda così, da un momento all’altro, ma devi sapere tutta la storia prima di continuare a stare con uno come lui. Io so cosa di capace, non potrei sopportare di vederlo fare quello che ha fatto a Georgiana anche a te-
-Perché? Perché ti preoccupi così tanto per me? Non ho fatto niente per meritarmi le tue attenzioni, ti ho solo trattata malissimo e mi dispiace, non sai quanto mi dispiace…-Elizabeth sollevò gli occhi e incontrò quelli blu mare di William che la guardava sorridendo dolcemente. 
-Diciamo che forse me lo sono un po’ meritato-
-Già, in effetti non sono abbastanza bella da tentare nessuno, nemmeno per un singolo ballo, non è vero?-
William rise sollevando gli occhi verso le stelle.
-Credo di non aver mai detto nulla di altrettanto stupido in vita mia- Elizabeth sorrise e guardò il cellulare. Era tardissimo, dovevano rientrare e la cosa che la preoccupava di più era il fatto che George non l’aveva ancora richiamata quella sera. 
-Forse è meglio se torniamo all’hotel. Devo parlare con George- 
-Spero che sia cambiato Elizabeth, lo spero davvero per il tuo bene- disse serio William alzandosi e porgendole una mano per aiutarla a fare lo stesso. Lei sospirò prima di afferrarla in quel secondo le parve di sentire una scintilla scorrere sulla sua pelle. Scosse il capo e si riunì agli altri per tornare alle loro stanze mentre nella sua testa i pensieri si affollavano. Cosa doveva fare? Chi stava dicendo la verità? Chi le stava mentendo?

Elizabeth camminava sola per i corridoi dell’hotel. Sua sorella aveva già raggiunto la loro stanza ma prima Lizzy doveva incontrare George e parlargli di quello che le aveva detto William. Camminava a testa bassa sulla moquette rosso scuro giocherellando con la chiave elettronica della sua stanza. Arrivo alla porta di George e bussò piano. Nessuna risposta. Elizabeth stava per ritornare alla sua stanza rinunciando a parlargli per quella sera quando un suono proveniente da dietro la porta attirò la sua attenzione.
Si pietrificò sul posto mentre un sospetto iniziava a farsi strada nella sua mente. Avvicinò lentamente la mano alla maniglia e la abbassò. La porta era aperta. Spinse in avanti il pannello di legno e ciò che vide la raggelò. Nel letto c’erano due figure seminascoste dalle coperte. Il rumore della porta che si apriva aveva attirato la loro attenzione e una delle due figure aveva sollevato il lenzuolo per guardare chi fosse.
Gli occhi color ghiaccio di George si fermarono un secondo in quelli castani di Elizabeth che a stento tratteneva le lacrime di rabbia e dolore per quel tradimento. Il ragazzo spalancò gli occhi stupito e aprì la bocca per dire qualcosa ma da sotto le coperte spuntò un altro viso.
Caroline Bingley le sorrise stringendosi il lenzuolo intorno al corpo nudo. La rabbia crebbe a dismisura nel cuore di Elizabeth che senza dire una parola voltò le spalle ai due e senza preoccuparsi di chiudersi la porta alle spalle, si diresse verso la sua stanza le mani tremanti che ancora stringevano la chiave elettronica. Sentì il rumore dei passi di George che si affrettava per seguirla ma non aveva intenzione di ascoltare qualche stupida scusa. La parola “Bastardo” rimbombava nella sua mente all’infinito mentre tentava di trattenere le lacrime che ormai le scorrevano lungo il viso. Adesso sapeva benissimo chi le aveva mentito. Sapeva benissimo che William aveva avuto ragione su George tutto quel tempo e lei era stata così stupida da cadere nella rete di inganni di quel ragazzo. Spalancò la porta della stanza che condivideva con la sorella e si gettò sul letto soffocando i singhiozzi nel cuscino. Jane preoccupatissima si precipitò subito dalla sorella tentando di capire cosa fosse successo in quei pochi minuti che avevano passato separate.  Elizabeth fra i singhiozzi non riusciva a spiegarsi perché soffrisse così tanto per una storia durata poco più di un mese e tentava invano di spiegare alla sorella cosa fosse successo. 
-William…aveva ragione…ha sempre avuto ragione- disse poi fra un singhiozzo e l’altro. Jane non riusciva a comprendere di cosa parlasse la sorella e stringendola a sé prese il cellulare mandando un veloce messaggio a Charles e William. 

“Elizabeth è in lacrime, non so cosa stia succedendo. Ho bisogno di aiuto”

I due ragazzi non ci misero molto ad arrivare, bussarono alla porta ed entrarono, i capelli scarmigliati e i pigiami stropicciati addosso. William osservò un secondo Elizabeth e si avvicinò a lei lentamente. La ragazza si copriva il viso con le mani ma non oppose resistenza quando dolcemente lui gliele spostò per guardarla negli occhi arrossati dal pianto. 

-Lizzy, che succede?- domandò permettendosi quel nomignolo così intimo e affettuoso. 
-Avevi ragione William, avevi ragione su tutto- singhiozzò lei. Charles si avvicinò a Jane e le mise una mano sula spalla convincendola ad allontanarsi per un po’. 
-Cos’è successo?- chiese il corvino accarezzandole distrattamente il dorso della mano.
-Sono andata a parlare con lui e l’ho trovato a letto con un’altra…Era lì e mi guardava con quello stupido sorrisetto. L'ha fatto solo per ferirmi...E’ stato orribile…-rispose lei tentando di calmare il respiro. 
-Caroline non è vero?- domandò Charles intervenendo per la prima volta nella situazione. Elizabeth sollevò gli occhi verso il ragazzo ed esitò prima di annuire piano. Charles si passò una mano sul viso con fare stanco. 
-Mi dispiace così tanto, Caroline sa essere  una vera stronza quando vuole. Mi dispiace, davvero-
-Non è colpa tua, George avrebbe potuto tirarsi indietro. Avrebbe dovuto. Io quel bastardo lo uccido- sibilò William  alzandosi ma Elizabeth lo trattenne tenendolo per un polso. 
-Non ne vale la pena- sussurrò con le lacrime che scorrevano mute lungo le sue guance. William si chinò sulle ginocchia e le sorrise dolcemente prima di avvicinarsi e stringerla in un abbraccio lieve, come se avesse paura di farle male stringendola troppo forte. Elizabeth nascose il viso nell’incavo del suo collo singhiozzando piano. 
-Avevi ragione tu…hai sempre avuto ragione…mi dispiace di non averti lasciato spiegare- sussurrò la ragazza mentre William con meno imbarazzo le accarezzava dolcemente la schiena e i capelli scarmigliati. 
-Non importa Elizabeth, va tutto bene…andrà bene vedrai- 
Jane si voltò verso Charles e gli fece cenno di seguirla fuori un secondo mentre William tentava di calmare Elizabeth. Solo quando la ragazza fu finalmente addormentata il corvino lasciò la stanza con il suo amico per lasciare alle due sorelle la loro privacy. Più volte i pensieri del giovane Darcy andarono a quella ragazza dai capelli scuri che gli aveva mostrato un altro lato di sé, ancora una volta l’aveva sorpreso. Quel lato di lei così fragile e delicato che William voleva solo proteggere. Proteggere a tutti i costi.





ANGOLO DELL’AUTRICE
Eccomi dopo troppo tempo. Innanzitutto scusate se ho saltato l’ultimo aggiornamento ma non ho proprio avuto tempo e quindi questo mese penso di aggiornare due volte. Fatemi sapere cosa pensate di questo capitolo. Alla prossima.
Darkalyce

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Capitolo 6
*** La resa dei Conti ***


PRIDE AND PREJUDICE HIGH SCHOOL:LA RESA DEI CONTI



Il sole non si era ancora levato quando Elizabeth aprì gli occhi nel buio della stanza d’hotel che condivideva con la sorella. Nella fitta oscurità della camera per un secondo le parve che non fosse successo nulla, le sembrò, per un piccolo e magico secondo, che tutto fosse normale. Come se i fatti della sera prima non si fossero verifcati, come se non avesse davvero trovato il suo fidanzato a letto con un’altra, a letto con Caroline Bingley per giunta. Quando quel secondo terminò Elizabeth si rannicchiò sotto le coperte mentre lacrime di rabbia le pungevano gli occhi. Sì, rabbia, perchè questo provava per quel tradimento. Non tristezza, non si sentiva ferita o altro. Era una rabbia di fuoco che le montava nel cuore un sentimento che proprio non riusciva a controllare. Si sforzò di trattenere le lacrime, George non avrebbe avuto quella soddisfazione. Non glielo avrebbe permesso. Strinse i pugni tanto da farsi entrare le unghie nella pelle morbida del palmo. Quando l’incendio dentro di lei parve essere stato domato si decise a sollevare il viso sopra le lenzuola soffici e profumate. Sua sorella Jane dormiva ancora, un paio di occhiali da lettura sbilenchi le pendevano sul naso mentre il capo era abbandonato sul braccio teso che penzolava fuori dal letto. Elizabeth sorrise e con delicatezza glieli levò, poggiandoli poi sul comodino in mezzo ai due letti. Jane sospirò lievemente sistemando meglio la testa sul morbido cuscino di piume. Cercando di non fare rumore si diresse verso il piccolo bagno della stanza chiudendosi la porta alle spalle. Con sguardo critico diede un’occhiata al suo viso riflesso nello specchio. Gli occhi erano arrossati per le lacrime versate la sera prima, occhiaie scure li circondavano mentre i capelli le incorniciavano il volto pallido. Le mani stringevano così forte i lati del lavandino che le nocche erano sbiancate. Con un sospiro Elizabeth aprì il rubinetto lasciando che l’acqua scorresse fino a diventare calda. Si sciacquò il viso più volte tentando di cancellare l’immagine di George e Caroline che prepotentemente le compariva davanti agli occhi ogni volta che li chiudeva. Fu in quel momento che scorse lo schermo del suo cellulare illuminarsi. Doveva averlo lasciato in carica la sera prima e non l’aveva più guardato. Facendosi coraggio sblocchò il telefono per trovarsi davanti un’infinita serie di messaggi e chiamate di George risalenti alla sera prima. Nell’ultimo SMS le chiedeva di vederla, di parlare con lui perchè doveva spiegarle, farle capire che era stato tutto un errore. Sforzandosi di non tirarlo contro la parete per la rabbia, lo appoggiò sul lavandino stringendo i pugni. Una parte di lei voleva rispodergli. Fargli vedere che era più forte e che quello che aveva fatto non l’aveva scalfita ma non poteva. Perchè se l’avesse fatto, lui avrebbe potuto riiniziare il suo sporco giochetto. Ingannarla e ferirla di nuovo. Non poteva lasciarglielo fare, non ora che sapeva di tutte le bugie che le aveva raccontato, non ora che conosceva la verità sulla storia che legava lui e William. 
William. Non riusciva a ricordarsi il momento esatto in cui il ragazzo se n’era andato. Probabilmente era rimasto finchè lei, esausta, non si era addormentata. Ricordava però le sue braccia intorno a sè, gentili ma forti nel sostenerla mentre lei piangeva con il viso nascosto nella sua spalla e ricordava le sue mani che lievi le accarezzavano la schiena e I capelli. La sua voce che le sussurrava di calmarsi, di stare tranquilla perchè avrebbe risolto tutto lui, di fidarsi, di respirare perchè tutto sarebbe andato bene. Quella voce scura ma così gentile da cullarla finchè non si era addormentata fra le sue braccia. Avrebbe dovuto ringraziarlo, ma come? Niente pareva abbastanza per quello che lui aveva fatto per lei. Niente lo legava a Lizzie così tanto da giustificare il suo atteggiamento prottettivo. Lei era stata sempre sgarbata e scostante con lui mentre William aveva dimostrato di essere molto più nobile di lei. Aveva lasciato perdere tutte le offese che lei gli aveva arrecato ed era corso da lei quando ne aveva avuto bisogno. Come poteva farsi perdonare per quello che aveva fatto al ragazzo? Come poteva eseere perdonato il suo orgoglio che l’aveva resa così cieca? Sospirando tornò in camera trovando Jane sveglia e intenta a spazzolarsi I lunghi capelli biondi.  La sorella le sorrise teneramente e la abbracciò senza dire niente. Non c’era bisogno di parlare. Facendo finta che nulla fosse accaduto la aiutò a scegliere qualcosa da indossare, optando poi per un vecchio maglione bianco e un paio di jeans scuri infilati negli stivaletti di pelle. 
-Vuoi che ti pettini io?- domandò Jane. Era una cosa che aveva sempre fatto quando Elizabeth era giù di morale. Pettinarle i capelli mentre chiacchieravano del più e del meno nel tentativo di distrarla. Lizzie annuì sedendosi poi davanti alla sorella che con delicatezza iniziò a pettinarla. Ma quel giorno sembrava che nessun argomento fosse adatto a quella chiacchierata. 
-Quando se ne sono andati William e Charles ieri sera?- chiese alla fine Lizzie interrompendo il silenzio mentre Jane iniziava a intrecciarle i lunghi capelli scuri. 
-Charles e io siamo andati a cercare Caroline e ti abbiamo lasciato in stanza con William che cercava di calmarti. Quando siamo tornati, tu stavi dormendo con la testa poggiata sulle sue gambe mentre lui ti accarezzava la testa. E’ stato piuttosto imbarazzante interrompere quel momento- Elizabeth si sentì arrossire e sperò vivamente che Jane non se ne accorgesse.
-E l’avete trovata?-
-Chi?-
-Caroline- 
-Oh sì che l’abbiamo trovata. Dovevi vedere Charles. Era furioso. E’ piombato in camera di Caroline che era tornata da poco e stava parlando con una sua amica, poi l’ha presa per un braccio come fosse una bambina e l’ha trascinata fuori. Stavo per urlarle di tutto ma lui mi ha preceduto gridandole che era una vergogna per tutta la famiglia e che se non fosse stata  sua sorella non le avrebbe più rivolto la parola. Poi mentre lei sembrava sull’orlo delle lacrime è arrivato a dirle che era una stupida ragazzina che non sapeva tenersi i vestiti addosso e che se veramente era così stronza come aveva dimostrato quella sera allora sicuramente George era il ragazzo adatto a lei e…- si interruppe accorgendosi di quello che aveva detto. 
-Oddio scusa…- Elizabeth rise
-Non ti devi scusare di niente e sappi che sto iniziando ad apprezzare sempre di più Charles. Hai tutta la mia approvazione sorellona- Jane le accarezzò la testa spostandole poi la treccia alla francese in modo che si posasse sulla spalla di Lizzie. 
-Ecco fatto- esclamò battendo le mani soddisfatta e passando a Lizzie uno specchietto. La ragazza sorrise osservando il viso liberato dai ciuffi ribelli di capelli e il trucco leggero ma che copriva al meglio le occhiaie della sera prima. 
-Forse sarebbe ora che raggiungessimo gli altri per la colazione, il tuo principe azzurro si chiederà dove sei finita- esclamò Elizabeth spalancando la porta  della stanza. 
-Sicura di essere pronta?- domandò Jane con sguardo preoccupato.
-Non lascerò certo che George e Caroline distruggano il divertimento della nostra gita scolastica. Questo non potrei mai perdonarmelo. E poi devo parlare con William- Jane sorrise e corse verso la porta precedendo la sorella verso le scale. Lizzie si chiuse alle spalle la porta sospirando mentre tentava di calmare il tremore delle mani e il cuore che accellerava al pensiero di ritrovarsi davanti a George. Forse non era ancora pronta ma non poteva passare la sua vita chiusa in quella camera di albergo quindi era meglio strappare via il cerotto quella mattina o non ce l’avrebbe mai fatta.
La sala da pranzo era già gremita dagli studenti quando Elizabeth e Jane entrarono. I loro occhi cercarono fra la folla intorno ai tavoli tentando di trovare visi familiari. Poi lo sguardo di Elizabeth incrociò quello di William. Gli occhi blu mare del ragazzo si fissarono nei suoi con un’intensità tale da farle dimenticare dove si trovasse. Nessuna parola, nessun cenno e nessun sorriso. Solo quell’unico sguardo e parve che intorno a loro la sala scomparisse. Elizabeth sentì il cuore fermarsi e la mente sgombrarsi da tutti i pensieri che continuavano a ronzarle nella testa come mosche fastidiose. Seguì Jane fino al tavolo a cui il ragazzo sedeva in compagnia di Charles. William sorrise timidamente facendo spazio al tavolo anche per loro, sembrava in imbarazzo e stranamente Elizabeth trovò la cosa piuttosto tenera. 
-Come stai?- le sussurrò mentre Jane e Charles erano entrati in una delle loro solite e infinite conversazioni.
-Sono stata peggio, diciamo-
-Direi che è normale sentirsi feriti dopo quello che è successo-
-Non sono ferita- rispose Elizabeth forse troppo bruscamente tanto che qualcuno nei tavoli vicini si voltò a guardarli, forse trovando anche strano il fatto che i due stessero parlando così amichevolmente e non tentassero di uccidersi a vicenda come al solito
-Sono arrabbiata- disse tentando di riabbassare il tono della voce. -Non era una storia così importante ma mi aspettavo comunque sincerità e trasparenza. Non un tradimento con la prima che passa. Senza offesa per Charles-
-Lui è arrabbiato con Caroline quasi quanto te credimi. Ieri quando siamo tornati in camera non faceva altro che lamentarsi di quanto sua sorella potesse essere tremenda. Ed è vero. Caroline è una serpe con il volto di un gattino. Ti attacca alle spalle-
-Non mi aspetttavo che saresti stato così duro con lei, visto che insomma…- William la guardò confuso poi spalancò gli occhi mentre iniziava a tossire per colpa del caffè che gli era andato di traverso.
-Ma sei impazzitta! Non c’è niente fra me e lei e non ci sarà mai! Non che lei non ci abbia provato. IDiciamo che i suoi sentimenti nei miei confronti sono sempre stati abbastanza chiari ma non voglio diventare un’altra tacca sulla sua cintura. E poi Georgiana la detesta. E se c’è un parere che davvero mi interessa è il suo-
-Perchè la odia? Quando siamo venute a casa di Charles mi sembrava che Caroline non vedesse l’ora di rivederla…-
-Questo perchè è convinta che in questo modo potrebbe entrare nelle mie grazie. Come se non sapessi che lei e il suo gruppo di ochette l’hanno maltrattata per anni quando vivevamo ancora in città. E’ brava a mentire ma io sono altrettanto bravo a riconoscere un bugiardo quando lo vedo- 
-E cosa pensi di me?-
-Lei mia cara- disse William fingendo un tono altisonante -E’ la creatura più irritante, sgarbata e stupenda che conosca e straordinariamente bella nonostante il suo atteggiamento scostante-
Elizabeth arrossì e sorrise.
-Bhe, sicuramente Signor Darcy lei è la persona più maleducata che abbia mai incontrato, non si dovrebbe rivolgere così ad una signora. Ma la perdono nonostante tutto perchè il suo animo è troppo nobile anche solo per accorgersi di essere stato fin troppo sincero-
William distolse lo sguardo.
-Se fosse vero ti avrei avvertito prima su George-
-Tu ci hai provato ma io sono stata sorda e se qualcuno qui ha delle colpe sono io e non tu, William- Il ragazzo la guardò e di nuovo I suoi occhi parvero incatenarla a sè. Almeno finchè un mormorio non si levò nella sala attirando l’attenzione di Elizabeth. 
George era appena entrato.
Questo non pareva niente di strano ma il fatto che il suo occhio destro fosse gonfio e nero e il suo labbro spaccato sì. Quello era davvero strano. William abbassò la testa e Elizabeht lo sentì soffocare una risata.
-Hai forse qualcosa da dirmi?-
-Io?- domandò il ragazzo con un sorriso angelico.
-Sì tu, testa di rapa! Che diavolo è successo alla sua faccia?!-
-Ecco è possibile che mi sia scordato di dirti come ieri mentre tornavamo in stanza abbiamo incontrato George. Ed è possibile che essendo un po’ arrabbiato io, ipoteticamente, gli abbia tirato un pugno o due-
-Ah sì? E questi pugni ipotetici hanno lasciato lividi ipotetici o reali?- William sollevò lo sguardo verso George che con aria imbarazzata si aggirava davanti al buffet
-Piuttosto reali direi- esclamò con aria soddisfatta. Elizabeth rise scuotendo la testa.
-Grazie- sussurrò.
-Non c’è problema. E’ stato letteralmente un piacere- rispose lui incrociando le braccia e appoggiandosi allo schienale della sedia. –Era da un po’ che aspettavo di rifarlo, e poi il viola gli dona non credi?- 
Elizabeth sorrise senza accorgersi che nel frattempo George l’aveva vista e si stava avvicinando. Quando alzò la testa lui era lì davanti a lei. Una mano tesa a porgerle un caffè l’altra infilata nella tasca dei pantaloni. Lo sguardo basso e I capelli spettinati che ricadevano sugli occhi nel tentativo di nascondere il livido violaceo. Elizabeth sentì William irrigidirsi al suo fianco mentre lentamente sentiva il sangue diventarle ghiaccio nelle vene. 
-Cosa vuoi?- domandò fredda ignorando la mano tesa del ragazzo.
-Solo parlare con te, ti prego. Posso spiegarti tutto!- 
-E sentiamo come potresti spiegare il fatto che ti ho trovato a letto con un’altra? Stavate studiando matematica e poi casualmente vi siete ritrovati senza vestiti in camera tua?- 
-Amore ti prego…- Elizabeth sentì la rabbia tornare prepotentemente e scattò in piedi furiosa, le mani strette a pugno ai lati del corpo consapevole degli occhi di tutta la scuola fissi su di lei. 
-Non chiamarmi così. NON OSARE- sibilò, la mascella serrata, gli occhi fiammeggianti. 
-Elizabeth ti prego, è stato un errore, una cosa da niente! Non provo niente per lei io amo te…nessun altro!-
-George faresti meglio ad andartene prima che smetta di controllarmi. Non mi hai mai vista infuriata e ti assicuro che non vuoi-  George esitò poi I suoi occhi si fermarono sul viso di William che lo guardava serio con le braccia incrociate davanti al petto, gli occhi blu diventati ormai due pozzi scuri.
-E’ per lui che non vuoi sentire le mie ragioni? E’ così? Peferisci fidarti di lui piuttosto che del tuo fidanzato? Anche dopo tutto quello che ti ho detto, dopo la verità che ti ho raccontato su William Darcy tu ancora gli credi?- William si alzò e fece un passo avanti ma Elizabeth lo fermò. La  mano si posò sul petto di William spingendolo indietro delicatamente. Voltò il viso verso George e sorrise. 
-Fidanzato? Io non ho un fidanzato. Non più- esclamò prima di sferrare al ragazzo un pugno dritto allo stomaco. George stupito si piegò in due tossendo e Elizabeth afferrò la tazza di caffè e la portò vicino alla bocca prima di storcere il naso.
-Sai “fidanzato”- aggiunse calcando aspramente quella parola -Non mi va più il caffè- passò accanto a George e con un sorriso gli versò il contenuto della tazza sulla testa. 
-Ops, chiedo scusa mi deve essere sfuggita qualche goccia- Jane la guardò con la bocca spalancata per lo stupore mentre Lizzy si dirigeva con aria fiera verso l’uscita dalla sala.
-Ah Geroge!- esclamò voltandosi prima di uscire -Usa le dovute precauzioni! Sarebbe davvero terribile per un bambino averti come padre- 
Sentì qualcuno nella sala bisbigliare e altri ridere mentre lasciava la sala seguita dai suoi amici compresa Charlotte che non sapeva niente della notte prima e attonita si trascinava dietro il fidanzato mentre inseguiva l’amica per sapere cosa diavolo era successo. Elizabeth si voltò e incontrò lo sguardo di William che le sorrise facendole l’occhiolino. Charles e Jane dietro di lei ridevano tenendosi per mano e Lizzy finalmente si sentì libera. Sorrise spalancando le braccia verso il cielo terso . Sollevò il viso verso il sole ridendo con gli occhi chiusi mentre il sole le scaldava la pelle. 
-E ora che si fa?- le domandò William infilando le mani nella tasca della giacca.
-Si vive- rispose Lizzy  sorridendo. Il ragazzo la guardò stupito mentre quel sorriso ancora una volta gli bloccava il respiro. Mentre la semplicità con cui Elizabeth poteva essere perfetta lo stupiva di nuovo e  il suo cuore gli urlava ancora una volta che non avrebbe potuto mai e poi mai lasciare che si allontanasse da lui.

ANGOLO DELL’AUTRICE
Prima che tiriate fuori torce e forconi imploro il vostro perdono. So che sono passati anni dalll’ultimo aggiornamento ma proprio non riuscivo a trovare il tempo nè l’ispirazione giusta per rendere questa resa dei conti all’altezza delle mie aspettative e spero anche delle vostre. Non mi è mai piaciuto George e volevo che la sua sconfitta (che sarà definitiva o no?) fosse plateale e gli facesse insomma fare una vera e propria figura di voi-sapete-cosa davanti a tutti. Per il resto che ve ne pare? Continuiamo questo viaggio insieme oppure no?
Aspetto il vostro prezioso parere e al prossimo capitolo.
Baci 
Darkalyce  

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Capitolo 7
*** La Verità ***


P&P High School
Capitolo 7

La Verità


Il sole splendeva riscaldando l’aria mite che sapeva ormai di primavera, il vento soffiava leggero facendo frusciare le foglie degli alberi in una sottile musica. Elizabeth, con gli occhi chiusi e un bicchiere di carta colmo di caffè in mano, se ne stava seduta  su una panchina sotto un vecchio salice piangente. Poco distante Charles e Jane lanciavano briciole di biscotti a uno stormo di rumorosissime anatre che starnazzanti si agitavano nell’acqua del fiumiciattolo artificiale che scorreva per tutto il parco, sormontato ogni tanto da un ponte in pietra. Charlotte e il suo amato William Collins li avevano lasciati poco prima per andare in centro città a fare shopping mentre loro avevano preferito rimanere lì nella pace di quel piccolo angolo di verde all’interno della metropoli. Jane si voltò verso la sorella sorridendo nel vederla rilassarsi sotto quell’albero.
-Dovresti smetterla di preoccuparti così tanto per lei, è più forte di quello che pensi- le sussurrò Charles in un orecchio facendola rabbrividire. Si voltò verso di lui e i suoi occhi si persero in quelli chiari del ragazzo.
-Lo so, ma non posso farne a meno. Rimarrà per sempre la mia piccola sorellina, anche quando avremo novant’anni e le rughe. Continuerò a vedere in lei quella piccola bambina che passava ore e ore a scrivere su un quadernino le sue storie- gli rispose gettando una manciata di briciole nel fiume alle anatre che si litigavano per riuscire a raggiungere il cibo. Sentì le sue braccia cingerle delicatamente i fianchi e si abbandonò ala stretta del ragazzo appoggiandosi contro il suo petto.
-Ho visto il coraggio che nasconde Elizabeth Bennet e ti assicuro che non c’è proprio nulla di cui preoccuparsi, soprattutto se continua a versare caffè in testa alle persone- commentò ridendo Charles mentre poggiava il mento sulla spalla di Jane.
-E poi ora c’è William a tenerla d’occhio, e fidati di me se ti dico che niente potrà farle del male con quel ragazzo come guardia del corpo- Jane annuì piano e rise ripensando alla faccia di George quella mattina, era talmente ridicolo con i rivoli di caffè che gli scorrevano lungo il viso mentre se ne stava a bocca aperta come un pesce a guardare Elizabeth che lo metteva in ridicolo davanti a tutta la scuola. Si voltò verso Charles che la guardava confuso da quell’improvvisa risata e si sollevò sulle punte per fare qualcosa che non aveva ancora avuto il coraggio di fare. Le sue labbra sfiorarono quelle del ragazzo, esitanti temendo un rifiuto, ma dopo un attimo di stupore Charles si sporse in avanti approfondendo quel primo bacio e attirandola a sé. Le mani di Jane che stringevano il bordo della giacca aggrappandosi come se avesse paura di cadere. Quando si separarono a entrambi mancava l’aria mentre sorridevano con le fronti poggiate l’una contro l’altra. Sentirono fischiare e applaudire e quando si voltarono videro William e Lizzy che ridendo battevano le mani. Jane scosse il capo con le guance ancora rosse per l’imbarazzo.
-Abbiamo degli amici davvero invadenti, lo sai vero?- sussurrò Charles con la mano ancora poggiata sulla schiena di Jane.
-Purtroppo sono l’unico tipo di amici che abbiamo- commentò intrecciando le dita con le sue e avvicinandosi ai due guardoni.
-Lo sapete che siamo in un parco pubblico, vero?- rise Elizabeth quando li raggiunsero.
-Ma tu non stavi dormendo pacificamente senza disturbare nessuno?- 
-Corretto, “Stavo”, perché al genio qui di fianco è venuta la geniale idea di svegliarmi!-
-Dai, non fare la noiosa tanto non saresti riuscita a dormire ancora per molto lo stesso. Dobbiamo tornare in hotel- rispose William stringendosi nelle spalle.
-Dobbiamo proprio?- mugugnò Elizabeth nascondendo il viso sotto le braccia.
-E’ quasi ora di cena e stanotte c’è la festa prima di tornare a casa e alle nostre noiosissime vite- 
-Voi andate pure avanti io vi raggiungo fra un po’, diciamo “mai”- rispose Lizzy raggomitolandosi sulla panchina con la tazza di caffè vuota appoggiata di fianco. Jane rise appoggiandosi contro Charles mentre William sollevava gli occhi al cielo.
-Dai alzati e andiamo, non voglio incorrere nell’ira della professoressa di matematica, quella belva è assetata di sangue-commentò il ragazzo scuotendola mentre lei borbottando parole incomprensibili si aggrappava alla panchina.
-Non posso lasciare da sola questa panchina, è l’amore della mia vita e ci sposeremo- 
-Sicuri che non sia ubriaca?-domandò Charles inclinando il viso.
-Se hai messo qualcosa nel suo caffè, William giuro…- iniziò Jane con gli occhi già fiammeggianti.
-Calmati mamma chioccia io non ho fatto niente! Non so perché si comporti così!-
-Ehi io sarei ancora qui, nel caso non lo sapeste e voleste continuare a parlare di me come se non ci fossi. E comunque io non ci torno in hotel e non ho intenzione di andare a quella festa per rivedere George che fa gli occhi dolci a ogni gallina che incontra- borbottò Lizzy alzando una mano.
-E va bene, l’hai voluto tu…- William si avvicinò a lei e dopo averla osservata un attimo la sollevò di peso caricandosela su una spalla mentre lei si divincolava battendogli i pugni sulla schiena e urlando indispettita. 
-Shh, prima che pensino che sto cercando di rapirti e mi arrestino-esclamò il ragazzo mentre si dirigeva con gli altri verso l’uscita del parco sotto gli sguardi attoniti delle persone che passeggiavano lungo il sentiero. 
-E tu mettimi giù allora!- 
-Ne sei sicura? Io mi stavo abituando alla vista- commentò William ridendo mentre le dava una leggera pacca sul sedere prima di farla tornare con i piedi per terra.
-IDIOTA!- esclamò la ragazza dandogli un pugno sulla spalla mentre lui continuava a ridere di gusto sotto gli sguardi divertiti di Jane e Charles. 
-Almeno ti sei alzata no?- commentò Jane passando il braccio intorno alle spalle della sorella. 
-Ma tu da che parte stai scusa?- mormorò lei con gli occhi spalancati.
-Possiamo andare signorine? Dobbiamo prepararci per una festa!- Elizabeth sospirò sollevando gli occhi al cielo lasciando che la sorella la trascinasse fuori dal parco e verso il loro hotel.

-Maledetta te, Jane, lo sapevo che non dovevo darti retta quando mi hai fatto comprare questo stupido vestito! Sembro una deficiente!- esclamò Elizabeth sporgendo la testa da dietro la porta del bagno. Jane sollevò gli occhi al cielo mentre finiva di mettere l’ultima forcina a sostegno del suo chignon. 
-Dai, non fare la melodrammatica e fatti vedere!- Lizzy sbuffò e aprì la porta del bagno prima di uscire strascicando i piedi. Jane la guardò con la bocca spalancata, era perfetta. Il vestito nero che le aveva fatto comprare metteva in risalto il suo corpo longilineo e si apriva in un’ampia gonna che le arrivava a metà coscia. Il corpetto attillato le lasciava scoperte le spalle e sulla schiena vi era una spaccatura ricoperta da un sottile strato di pizzo. Il tatuaggio svettava scuro sulla pelle pallida della ragazza che si stringeva le braccia al petto leggermente a disagio. 
-Sei uno schianto-
-Mi sento nuda…Posso almeno mettere le scarpe da ginnastica? Mi ucciderò i piedi se metto qelle trappole che mi vuoi prestare!- 
-Sono solo un paio di scarpe col tacco non il demonio!-
-Ti prego!-
-Senti se proprio non vuoi mettere le mie scarpe mettiti gli stivali col tacco che ti ho regalato per Natale!- Elizabeth sbuffò afferrando gli stivali neri e lasciandosi cadere sul letto per indossarli. 
-Non capisco perché la fai sempre così difficile quando si tratta di andare ad una festa! Non è che c’è qualcuno su cui vuoi fare colpo?- commentò Jane poggiandosi la mano sul fianco e facendo arrossire Lizzy.
-E tu cosa mi dici, invece? Tu e il principe azzurro siete una coppia ora?-
 -Io, non lo so. Quella cosa al parco è stato un impulso del momento…-
-O MIO DIO!! JANE BENNET TU LO AMI!!-urlò Elizabeth spalancando gli occhi e lanciandosi in avanti per abbracciare la sorella.
-Sono così felice per te!!!- 
-Quanto vorrei che ci fosse qualcuno così anche per te…-sussurrò Jane stringendo la sorella.
-Magari William Collins ha un cugino-commentò lei con un sorrisetto divertito mentre la stanza si riempiva del suono cristallino delle risate delle due ragazze e fuori scendeva la notte.

William Darcy stava finendo di allacciarsi i bottoni della camicia quando qualcuno bussò alla porta. 
-Vado io!- urlò a Charles che a ancora in bagno nel tentativo di tenere a bada i suoi capelli e l’ansia che provava all’idea di rivedere Jane. Aprì la porta e si trovò stupito a fissare il volto tumefatto di George con al suo fianco Caroline. Sorrise sotto i baffi vedendo il segno ancora violaceo del  livido intorno agli occhi e il labbro spaccato.
-Charles vieni a vedere! C’è la coppia dell’anno alla porta!- esclamò appoggiandosi contro lo stipite mentre si allacciava i polsini della camicia. Charles alle sue spalle aprì la porta del bagno e sbirciò fuori. Il suo sguardo incuriosito si fece freddo quando incontrò quello della sorella.
-Caroline cosa ci fai con lui?- domandò gelido avvicinandosi ai due. 
-Ci vado ad una festa, Charles, alcuni hanno ancora buon gusto e non escono con i membri della servitù- Lui strinse i denti gli occhi ridotti a due fessure.
-Giuro su Dio, Caroline, se non fossi mia sorella…- William posò una mano sulla spalla dell’amico facendolo indietreggiare. 
-Non per essere sgarbato, ma si può sapere che cosa diavolo volete?-
-Sempre dritto al punto, non è vero William?- intervenne George sorridendo con una tale sfrontatezza da far ribollire il sangue al moro che faticava a trattenersi dal colpirlo ancora. 
-Volevo parlare con te di Lizzy-
-Non chiamarla così, non osare…- sibilò William stringendo i pugni.
-Stai lontano da lei, lo dico per te, amico. Quella è una mela marcia completamente fuori di testa. E poi non hai visto le cicatrici che ha addosso. Alcuni dicono che spacciasse droga. Sono davvero sollevato di non stare più con lei…-
-Vattene. Ora- 
-Ehi, Cercavo solo di aiutarti amico!-esclamò George sollevando le mani.
-Tu non puoi parlare male di Elizabeth. Non ci devi provare e comunque, io e te non siamo amici quindi fai un favore a tutti e due e vattene da qui-
George fece per replicare ma scosse il capo e senza dir niente si allontanò con il braccio intorno alle spalle di Caroline.
-Che cosa voleva dire?- domandò Charles non appena William lo guardò dopo essersi appoggiato con la schiena sulla porta appena chiusa.
-Non ne ho idea…-sospirò l’altro passandosi stancamente una mano sul viso.
-Vuoi che chieda a Jane?- William scosse il capo.
-Goditi la festa. Parlerò io con Elizabeth, anche se farlo potrebbe voler dire cancellare quell’unica briciola di fiducia che ora nutre in me. Non posso farne a meno però, ho bisogno di risposte- 


La musica esplodeva dalle casse stordendo Lizzy e rimbombandole nella cassa toracica, sorseggiando il suo bicchiere di punch analcolico osservava le coppie che si scatenavano in pista cercando di rimanere stabile sui suoi stivali col tacco. Jane e Charles erano chissà dove, spersi fra la folla ma Lizzy era sicura che si stessero divertendo anche senza vederli. Avrebbe voluto lasciarsi andare ma ogni volta che ci provava scorgeva il volto di George intento a sorridere a Caroline mentre ballavano proprio al centro della pista. Sentiva il sangue ribollirle nelle vene per la rabbia al pensiero del potere che stava dando al ragazzo. Il potere di farla sentire così incredibilmente stupida e insignificante. Sospirò desiderando per l’ennesima volta che quel bicchiere fosse pieno di alcool che potesse annebbiarle il cervello troppo disorientato dalla musica e dai mille pensieri che la affliggevano. 
-Elizabeth- la ragazza si voltò di scatto verso la voce che l’aveva chiamata. William era lì in piedi davanti a lei, elegantissimo nel suo abito da sera ma con gli occhi preoccupati e il corpo teso.
-William, che succede?-domandò confusa inclinando il viso. Il ragazzo sentì la sicurezza mancargli mentre guardava Lizzy e si trattenne dall’accarezzarle la guancia per spostare quel ciuffo ribelle che le ricadeva sullo zigomo.
-Io ti devo parlare di una cosa- lei lo guardò stupita aggrottando le sopracciglia.
-Cosa?-
-Non qui, vieni con me- rispose lui afferrandola delicatamente per il polso e tirandosela dietro scivolando nella folla dei ragazzi che si agitavano a ritmo di musica. Si fermò solo quando l’ebbe trascinata all’esterno, sotto lo sfarfallio di un vecchio lampione che illuminava la strada deserta
-Will si può sapere che ti prende?!- esclamò Elizabeth divincolandosi dalla sua stretta. Lui nervoso sospirò guardando in alto verso le stelle e la luna quella sera ridotta ad una piccola falce luminosa. 
-George è venuto a parlare con me e Charles- disse infine senza guardarla. Lizzy spalancò gli occhi e si passò una mano fra i capelli sciolti che le ricadevano morbidamente sulle spalle magre. 
-Che cosa voleva?- si sforzò di domandare con la voce affievolita dall’ansia.
-Parlare di te, del tuo passato-
-Cosa ti ha detto?-
-Niente di importante-
-WILLIAM DIMMI COSA DIAVOLO TI HA DETTO QUELLO STRONZO!-urlò Elzabeth tappandosi poi la bocca con la mano. -Ti prego- mormorò con occhi imploranti- Il ragazzo si voltò verso di lei esitando. 
-Ha detto che tu non sei come vuoi farci credere. Che sei una mela marcia, una bugiarda e che in passato hai fatto cose, diciamo poco legali- 
-Dio mio-mormorò lei alzando il viso verso il cielo, gli occhi lucidi di lacrime. 
-E tu gli credi?- gli domandò lei. 
-Non lo so- 
-Cosa vuoi dire?-
-Che non ti conosco, per Dio! Non mi hai mai detto nulla sul tuo passato! So solo quello che mi ha detto Jane…- Elizabeth aggrottò le sopracciglia.
-Cosa ti ha detto mia sorella?- William la guardò mordendosi la lingua e maledicendosi per non essere stato zitto.
-Quel giorno quando siete venute a casa di Charles, mentre passeggiavi con Caroline, io le ho chiesto il motivo per cui mi odiavi così tanto e lei mi ha raccontato del motivo per cui avete lasciato la città. Non arrabbiarti con lei ti prego, siamo stati insistenti e lei voleva solo aiutare…-
-Lo so, non mi arrabbierò con lei, tranquillo. Conosco abbastanza Jane da sapere che non c’è nulla che non farebbe per aiutare il prossimo, è semplicemente nella sua natura cercare di aggiustare ciò che sembra rotto. Ci ha provato anche con me ma non c’è niente che possa mettere a posto, ci sono troppe cose che non vanno bene in me, troppo che avrebbe bisogno di essere riparato- 
-Elizabeth…- mormorò lui avvicinandosi. Lei sollevò il volto rigato di lacrime silenziose e scintillanti come le stelle che brillavano sopra di loro.
-No, William, George ha ragione. Forse è per questo che sembravamo una bella coppia entrambi eravamo marci dentro- 
-Smettila, tu non hai niente in comune con quello-
-William…-sospirò lei. -Se la pensi così forse è ora che tu senta tutta la storia-
Si sedette per terra, sul bordo del marciapiede, stringendosi le ginocchia contro il petto e William si accomodò al suo fianco.
-Io conoscevo i ragazzi che ci aggredirono. Jane non lo sa, nessuno l’ha mai saputo. Erano miei amici o almeno lo credevo. Insieme ci divertivamo e io a quei tempi ero convinta di essere indistruttibile, per questo mi piaceva stare con loro, non si lasciavano fermare da nulla e “pericoloso” per loro era sinonimo di “divertente”. Diventammo presto un gruppo unito e ammetto che avevamo modi per divertirci non del tutto legali ma i miei non lo sapevano e con loro riuscivo a mantenere il mio solito atteggiamento. Ero molto più aperta prima, a volte persino gentile e amorevole, ma soprattutto ero un’ingenua. Mi innamorai di uno dei ragazzi del gruppo e lui sembrava ricambiare. Ma tutto divenne diverso quando fummo una coppia. Era geloso e possessivo, e voleva sempre di più. Una sera eravamo soli e lui cercò di convincermi a fare…l’amore con lui. Io mi rifiutai. Lui si infuriò tanto da tirarmi uno schiaffo e quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Me ne andai e troncai i rapporti con loro con quelli che frequentavamo. Misi la testa a posto ma una volta che finivi nel loro gruppo non era così facile uscirne. Non sapevo che quel ragazzo fosse il figlio del tizio che voleva comprare la libreria di mio padre, ero sempre strafatta e ricordavo a malapena quello che dicevamo a cena anche se cercavo di sembrare normale. Quella sera mentre tornavamo a casa non ci accorgemmo di essere seguiti, ma la sua voce mentre ci spingevano in quel vicolo la riconobbi subito. Impotente lo vidi pugnalare mio padre mentre gli altri mi tenevano ferma, una mano a tapparmi la bocca io non…- Lizzy esitò le mani che tremavano mentre se le stringeva in grembo cercando di tenerle ferme.
-Elizabeth puoi smetterla non c’è bisogno che…- provò a fermala William ma lei scosse il capo.
-Va bene così, devi sapere- prese un respiro profondo e continuò.
-Quando mio padre perse conoscenza loro si concentrarono su di me. Mi spinsero contro il muro e mentre mi tenevano ferma lui si avvicinò con il coltello ancora sporco di sangue in mano. Me lo faceva scivolare sulla pelle ferendomi e tagliandomi i vestiti. Sentivo le sue mani ovunque e non riuscivo a muovermi. Quando mi baciò io lo morsi e gli sputai in faccia e lui infuriato  ferì con il coltello alla pancia, ricordo il sapore del suo sangue in bocca e l’odore del mio che mi pizzicava le narici. Poi decise che voleva divertirsi e prendendomi per il collo mi costrinse a mettermi di schiena. Le lacrime mi correvano lungo il viso salate mentre singhiozzando cercavo di ribellarmi. Il coltello mi tagliò di nuovo, questa volta sulla spalla. Sentii il rumore della cintura mentre si slacciava i pantaloni e se non fosse arrivato quel poliziotto probabilmente sarebbe finita ancora peggio. Non parlai per settimane dopo che mi portarono in ospedale. Dissero che avevo un crollo psicologico. Sindrome da stress post-traumatico e quant’altro. Mi sedavano e mi imbottivano di pillole e a me piaceva. Volevo solo dormire e non svegliarmi più. Smisi di mangiare mentre il senso di colpa mi divorava. Era colpa mia se mio padre aveva rischiato di morire. Solo colpa mia. La notte gli incubi mi rendevano impossibile chiudere gli occhi senza risentire quelle mani sul mio corpo. Poi una notte Jane si sdraiò sul mio letto e iniziò a parlarmi pensando che io dormissi. Mi chiese di lottare, di rimettermi in piedi perché lei non sarebbe sopravvissuta se io  mi fossi lasciata morire così. Fu quella notte che capii che non potevo farlo, non potevo lasciarla e così decisi di provarci almeno. Ci misi mesi a riuscire ad uscire di casa. La psicologa veniva a casa nostra e mi faceva parlare per ore, mi diceva che potevo piangere, urlare, fare quello che mi faceva stare meglio. Così scrissi. Scrissi per ore tutto quello che mi era successo e poi non scrissi mai più. Feci il tatuaggio la prima volta che uscì di casa dopo l’attacco, non riuscivo a guardarmi allo specchio e vedere tutte quelle cicatrici. Lo chiesi ai miei genitori e loro accettarono. Jane venne con me e per la prima volta la vidi sorridere. Ma vedevo la preoccupazione nel suo sguardo. Quell’ombra di paura che io mi lasciassi andare di nuovo e questa volta non riuscissi più a mettermi in piedi. Avevo toccato il fondo e lei con me. Mi guarda ancora così, ogni volta che mi sveglio urlando per gli incubi, ogni volta che mi perdo nei miei pensieri e divento distante, ogni volta che vedo un coltello o qualcuno mi prende per un polso. Odio sapere che ha paura per me ma non posso aiutarla perché so benissimo che non sono ancora guarita, sono passati tre anni e ancora ho paura, ancora non riesco ad andare oltre. Quindi George ha ragione, c’è qualcosa che non va in me e davvero vorrei poterlo aggiustare ma non so come fare perché ogni volta mi sento impotente e debole come quella notte. Solo un’inutile ragazzina- William la guardò e con delicatezza le sollevò il viso, sorridendole dolcemente le accarezzò la guancia.
-Tu non sei un’inutile ragazzina e sei la donna più forte e coraggiosa che abbia mai incontrato- La tirò verso di se stringendola tra le sue braccia. Lizzy piangeva piano nascondendo il volto nell’incavo della sua spalla. 
-Nessuno ti farà mai più del male, te lo prometto- le sussurrò all’orecchio. 
-Vuoi tornare dentro?- le chiese quando si separarono.
-Dobbiamo proprio?- replicò lei sorridendo. Lui rise alzandosi in piedi e spolverandosi i pantaloni pulendoli dallo sporco del marciapiede prima di allungare una mano verso Elizabeth per aiutarla ad alzarsi. Lei esitò un secondo prima di afferrarla e farsi aiutare.
-E ora dove vuole scappare signorina Bennet?-
-Ovunque, signor Darcy, ovunque- 
E mentre camminava al suo fianco lungo la strada deserta stringendosi nella giacca di lui che le aveva posato sulle spalle, Elizabeth Bennet si sentì per la prima volta protetta e non temette le ombre che si annidavano negli angoli della strada. Erano anni che non provava quella sensazione di sicurezza. Sollevò gli occhi verso il ragazzo che sorrideva guardando davanti a se, le spalle rilassate e le mani infilate nelle tasche dei pantaloni , e si chiese cosa ci fosse di così speciale in lui, per quale motivo riuscisse a farla sentire così quando nessuno ce l’aveva più fatta, nemmeno Jane e nel suo piccolo nemmeno George. Sentendo i suoi occhi su di sé William si voltò a guardarla, gli occhi blu non più come il mare in tempesta che si incastrarono come zaffiri in quelli scuri di Elizabeth.
-Liz, se non la smetti di fissarmi ti porto di nuovo in braccio fino alla festa- 
-Ehi, scusa è solo che…Come ci riesci?-
-Come ci riesco a fare cosa?-
-Ad essere così tremendamente e insopportabilmente perfetto- Lui la guardò stupito sollevando le sopracciglia.
-Ehm, non riesco a capire, mi hai appena fatto un complimento?-
-Non ti ci abituare!- rise lei spintonandolo con la spalla. 
-Elizabeth?-
-Mh?-
-Mi chiedo la stessa cosa ogni volta che ti guardo-



ANGOLO DELL’AUTRICE
Eccomi qui in terribile ritardo ma perdonatemi fra pellegrinaggi a Santiago, impegni scoutistici e wi-fi che non funziona è stato un inferno scrivere questo capitolo soprattutto perché l’ho scritto due volte dal momento che la prima stesura non mi piaceva molto. Ma ecco qui il capitolo, che ne pensate? Fatemi sapere.
Al prossimo capitolo.

Mimithe Moonlight

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Capitolo 8
*** Sei tu, Elizabeth Bennet ***


PRIDE AND PREJUDICE HIGH SCHOOL
Qualche giorno dopo, quando le due classi si prepararono al loro ritorno, i pettegolezzi sulla separazione di Lizzy e George volavano di bocca in bocca ed erano l’argomento di maggiore interesse del momento. Sebbene Elizabeth tentasse in ogni modo di mantenere un basso profilo sembrava che ovunque andasse le persone la conoscessero e volessero sapere cosa diavolo fosse successo. Le malelingue già ipotizzavano che William Darcy fosse il vero motivo di questo improvviso crollo nella relazione dei due che sembrava, fino a quel momento, essere una storia da fiaba. Eppure in quei pochi giorni il giovane Wickham si era trovato con un occhio nero e la sua fidanzata sedeva a fianco di un altro. Quella faccenda attirava l’attenzione di tutti, anche di quelli che non conoscevano di persona Elizabeth e i suoi amici. Era passata dall’essere una persona pressoché invisibile ad essere improvvisamente una delle persone più conosciute di tutta la scuola. Eppure su quell’autobus, era chiaro che qualcosa era cambiato. Lizzy sedeva vicino  a William chiacchieravano tranquillamente ascoltando musica con lo stesso paio di cuffiette mentre poco più indietro George era sommerso dalle civettuole chiacchiere di Caroline e cercava invano di nascondere il volto tumefatto dietro la mano. Gli insegnati avevano fatto molte domande su cosa era successo ma nessuno aveva risposto e dopo la scena che si era presentata a colazione avevano preferito tenersi fuori dalla faida. Quello era stato sicuramente il momento clue di quella gita scolastica e ance se avrebbero dovuto mantenersi imparziali era chiaro a tutti gli studenti che anche loro avevano le loro preferenze e scommettevano su chi avrebbe avuto la meglio. Anche se, bisognava ammetterlo, nessuno avrebbe immaginato che Elizabeth Bennet potesse dimostrare tanta forza nel fronteggiare, davanti a tutta la scuola, il suo ormai ex-fidanzato. E mentre la coppia che sembrava perfetta aveva mostrato il suo lato oscuro, poco lontano Jane e Charles pareva fossero in luna di miele. Non facevano altro che sorridere e ridacchiare scambiandosi sguardi complici. INessuno dubitava che prima o poi quei due sarebbero finiti insieme e anche se c’era qualcuno che commentava il tempismo che aveva fatto coincidere l’inizio di una storia con la fine di un’altra ma nessuno in realtà ci faceva davvero caso. 
Tuttavia appena tutti tornarono alle loro solite vite e alla solita routine scolastica nessuno parve più interessarsi alla situazione dei ragazzi cosa che sicuramente risollevò il morale a un’esausta Elizabeth che dopo aver rivelato tutta la verità su quello che era successo la notte dell’aggressione si sentiva come svuotata. Il terrore nel sapere che qualcuno conosceva il suo segreto, tutta la verità, la perseguitava. Si fidava di Darcy ma non riusciva a sopportare la sensazione di on avere più tutto sotto controllo. La sensazione di essere vulnerabile ora che lui sapeva. Era stupido e lo sapeva ma era così abituata a vivere nel silenzio sotto il peso della verità da non essersi accorto quanto  questa la stesse lentamente inghiottendo. Quella realtà oscura che dimorava dentro di lei era stata svelata e ora non si poteva più tornare indietro. Passava il tempo libero correndo, cercando di soffocare nella fatica tutti i suoi pensieri, e ogni volta che cadeva il dolore dei lividi sovrastava finalmente quello per il tradimento di George. Dolore perché aveva nuovamente sbagliato a fidarsi di qualcuno, dolore perché un uomo le aveva di nuovo portato via qualcosa. Un altro pezzo di lei che se ne andava e tutto questo nell’eterno, inutile tentativo di riparare ciò che in lei si era rotto. Ma non importava a quanto pare, perché si sarebbe risollevata ancora una volta, doveva farlo, non poteva permettersi di lasciarsi andare, non questa volta. La sua famiglia non l’avrebbe sopportato e nemmeno lei sarebbe riuscita a guardarsi allo specchio se l’avesse fatto. Non voleva essere debole. E così nascondeva tutta la sua confusione nei respiri affannosi delle corse veloci sotto la pioggia e in mezzo alle raffiche di vento che stavano caratterizzando quegli ultimi giorni. 
Si fermò ansimante vicino al ponte di pietra che superava il fiume della città. Il cuore le batteva forte rimbombandole nella testa come un grosso tamburo mentre si appoggiava al muretto e guardava distrattamente l’acqua scorrere sotto di lei. Le nubi grigie che la sovrastavano avevano dissuaso gran parte delle persone dall’uscire quel giorno. L’aria umida le si appiccicava addosso come una seconda pelle coprendola di minuscole gocce di rugiada. Il vento le accarezzava delicatamente la pelle scostandole i capelli dal viso pallido. Dietro di lei una coppia nascosta sotto un ombrello colorato si affrettavano sulla strada lastricata dirigendosi verso casa. Elizabeth li guardò curiosa, sorridendo. Amava osservare le persone. Quando non sanno di essere osservate si comportano in modo diverso, abbattono le barriere e lasciano cadere le maschere. Smettono di fingere. Una volta Elizabeth era convinta di riuscire a vedere quando una persona stava mentendo, lo considerava un po’ come il suo speciale superpotere. Poi aveva capito che alcune persone mentono meglio di altre e sono in grado di far leva su ciò che desideri per convincerti che loro sono dalla parte del bene. Arrivati al bivio i due si salutarono frettolosamente con un bacio e corsero via sotto la pioggia che aveva iniziato a cadere. 
-Non dovresti stare qua fuori sotto la pioggia, ti ammalerai-
Eliabeth aveva imparato a riconoscere quella voce e l’avrebbe riconosciuta fra mille voci così come avrebbe riconosciuto sempre quegli occhi blu che la guardavano quando si girò. William Darcy era stretto nel suo cappotto  con una mano teneva sollevato il suo ombrello in modo da coprire anche Elizabeth. La pioggia gli era scivolata sui capelli e gli imperlava le labbra socchiuse in un sorriso  amichevole. Lizzy si strinse nelle spalle.
-Cosa ci fai qua fuori?- 
-Cerco te, in realtà- 
-E per quale motivo, signore?-
-Tua sorella mi ha chiamato era chiedermi se potevo rintracciarti e dirti che stasera saresti stata da sola a casa. La tua famiglia va a trovare una vostra parente e visto che ti sei dimenticata della visita hanno preferito lasciarti qui- Lizzy sorrise scuotendo il capo.
-Oh non me lo sono dimenticato, l’ho evitata volontariamente- 
-Voi signorina siete proprio una causa persa!- esclamò William accompagnandola lungo la strada, lo sguardo fisso davanti a sé. Elizabeth rise estraendo un pacchetto di sigarette e mettendosene una tra le labbra dopo averle offerte al suo accompagnatore. William scosse il capo con un sorriso ma si chinò comunque verso di lei per accendergliela. Lizzy lo ringraziò con lo sguardo aspirando una grossa boccata di fumo e beandosi della sensazione di calore che le si diffondeva nel petto. 
-Comunque come mai Jane ha chiamato te?- domandò interrompendo il silenzio tra loro disturbato solo dal lieve rumore dei loro passi sull’asfalto. 
-Charles deve averle detto che ero in zona, mi dovevo occupare di alcune cose da queste parti- Non l’aveva mai sentito essere così evasivo su quello che faceva. William Darcy tendeva a essere sempre piuttosto chiaro ma in quel momento pareva distante e nervoso. Come se ci fosse qualcosa che non andava.
-Hei, tutto bene?- Lui la guardò con un sorriso quasi malinconico. 
-Certo, solo un poco stanco, troppo lavoro- Fu allora che Elizabeth si ricordò del fatto che William non doveva occuparsi solo della scuola ma anche di pare dell’azienda di famiglia. Troppo peso gravava sulle spalle di quel ragazzo e ancora una volta Elizabeth si stupì di sé stessa, perché mai e poi mai si sarebbe aspettata di preoccuparsi per William Darcy e se qualcuno le avesse detto che sarebbe successo probabilmente gli avrebbe riso in faccia. Eppure quel sorriso che nascondeva qualcosa la spinse ad allungare una mano e a stringere quella del ragazzo, grande e calda. Lui la guardò stupito per un secondo prima di stringerla piano mentre sollevava il viso ad osservare il cielo sempre più minaccioso. 
-Sai ho incontrato George oggi- disse. Lizzy strinse i pugni inspirando dalla sigaretta accesa. 
-Gli hai parlato?- 
-In realtà a quanto pare lui era troppo occupato a fare altro, diciamo che per un attimo ho pensato che lui e la ragazza con cui era volessero strapparsi la faccia a vicenda. Una scena abbastanza disgustosa lo ammetto- 
-Pensavo che ora facesse coppia con Caroline-
-No, Charles mi ha detto che li l’ha mollata poco dopo il nostro ritorno. A quanto pare non riusciva a sopportare il suo costante chiacchiericcio. Se non lo odiassi con tutto me stesso, forse proverei addirittura pena per lui-  Elizabeth sorrise debolmente, sapeva che George sarebbe andato presto avanti con la sua vita ma non pensava che questo l’avrebbe ferita, ma a quanto pare si sbagliava. 
-Ho pensato che dovessi saperlo- Lei annuì.
-Grazie- sussurrò prima di lasciar cadere la sigaretta e spegnerla con il piede.  
-Lui ti manca- Affermò William guardandola con gli occhi socchiusi cercando di capire.
-Non lo so. Vorrei dire che mi è totalmente indifferente ma non posso, ogni volta continuo a pensare al fatto che ho lasciato che mi baciasse, che mi toccasse. Ho quasi la nausea quando ci penso- le parve di sentire il ragazzo sussurrare un “anche io” ma non volle indagare per paura di aver capito male. Il profilo bianco di casa Bennet si stagliò quasi all’improvviso davanti ai loro occhi. La pioggia si era fatta battente e rendeva difficile vedere ad un palmo di naso. William l’accompagnò sino alla porta cercando di coprire tutti e due con l’ombrello, ma il vento rendeva difficile proteggersi dalle grosse gocce che piovevano dal cielo. Lizzy aprì la porta di casa saltellando impazientemente sulle punte dei piedi e si voltò verso William. 
-Va bene, ora che sono sicuro che tu sia arrivata a casa, vado- Fece per voltarsi ma Elizabeth gli afferrò il braccio. Lui si voltò, la pioggia gli scendeva lungo il viso come lacrime seguendo la linea elegante del collo sino al colletto del cappotto. 
-Puoi rimanere se ti va… Aspettare che smetta di piovere- Lui osservò il cielo indeciso mentre un lampo illuminava la strada. 
-Se non ti do fastidio…- Lizzy sorrise tirandolo dentro casa e mostrandogli dove posare le sue cose.
-Vuoi qualcosa da bere? Caffè?- Lui annuì con un sorriso teso di chi si sente fuori luogo mentre la seguiva attraverso il piccolo corridoio che portava alla cucina. Si guardava intorno curioso ma in imbarazzo e Elizabeth si rese conto solo allora di come dovesse sembrargli casa loro. Di come probabilmente rispecchiasse del tutto il loro tenore di vita. 
-Mi dispiace, probabilmente sei abituato a case più grandi, la nostra è davvero un’umile dimora- cercò di spiegare lei mentre metteva la caffettiera e una teiera sul fuoco.  Lui la guardò confuso.
-Di cosa stai parlando? Io la trovo stupenda, sicuramente meglio di quelle ville enormi in cui ti perdi. Io e mia sorella abitiamo in un appartamento poco più grande di questa casa. La nostra vera residenza e poco fuori città, sulle colline, e l’ho sempre trovata davvero troppo, troppo grande- Elizabeth sorrise a vederlo cercare un modo per farla sentire meno a disagio. Con attenzione versò il caffè nella tazza e lo porse a William che mormorò un ringraziamento. Continuava a stupirsi di come cercasse di essere un ragazzo qualsiasi. Era vero, l’aveva giudicato troppo in fretta e con troppa leggerezza. C’erano così tanti aspetti di William Darcy che non riusciva nemmeno a immaginarselo. 
-Quindi è questa la tua tana- 
-In realtà non passo molto tempo qui, c’è una piccola stanza sotto il tetto. E’ quella la mia parte preferita di questa casa-
-C’è una possibilità che tu me la mostri?- 
-Non sei ancora pronto a vedere il rifugio di Elizabeth Bennet, lo dico per il tuo bene- 
-A volte ho quasi paura di te, sai? Come il terrore che tu possa nascondere qualche cadavere in cantina. Ti comporti come se avessi nel sottoscala un laboratorio segreto di anfetamine-
-Oh, no sta tranquillo, quello lo faccio nel capannone in giardino- scherzò Elizabeth agganciando le dita intorno alla tazza di tè caldo. William sorseggiò il suo caffè osservando la pioggia fuori dalla finestra che non accennava a smettere di cadere. 
-Cosa dovevi fare in città?- domandò Elizabeth non potendo resistere alla tentazione. 
-Dovevo andare a trovare una persona-   Il suo sguardo era freddo quando si fissò negli occhi di Elizabeth e la ragazza comprese che lui non le avrebbe detto niente, non ancora almeno. 
-Senti, questo fine settimana ho organizzato una piccola festa nel mio appartamento, mi chiedevo se ti andasse di venire. Jane ha accettato e anche alcune persone della scuola- Lei sorrise annuendo. 
-Certo, voglio assolutamente vedere com’è la casa di Messer Darcy!- 
Lui si lasciò andare a una risata sollevata appoggiandosi allo schienale della sedia e posando la tazza vuota sul tavolo.
-Senti, Will, ti va di rimanere a studiare qui? Devo ripassare alcuni sonetti di Shakespeare e non so davvero dove sbattere la testa- Lui rise inclinando il viso, i capelli neri gli scivolarono negli occhi facendo sentire a Lizzy l’incredibile desiderio di immergerci le dita e portarglieli indietro. Strinse le mani intorno alla tazza aspettando una risposta dall’amico e stupendosi di come si fosse abituata in fretta a quel nomignolo, Will, che mai avrebbe usato con lui. Eppure qualcosa era cambiato da quella notte in hotel. Qualcosa aveva avvicinato quelle due anime così diverse ma allo stesso tempo così simili, che erano William Darcy ed Elizabeth Bennet. 
-Mi stai chiedendo se ti posso dare una mano?- domandò il ragazzo sollevando un sopracciglio.
-Se vuoi metterla così…-  
-Non mi capiterà mai un’altra volta vero? Di sentirti chiedere aiuto?- Elizabeth scossa piano il capo con l’accenno di un sorriso triste ma sicuro. 
-Allora direi che non c’è altro da fare, accetto l’offerta- rispose allargando le labbra a mostrare i denti di porcellana in un grande sorriso.  Elizabeth si voltò verso il ripiano della cucina e lanciò a William un piccolo volume rilegato in pelle. 
-Diamoci da fare professore!- Esclamò trascinandolo in salotto e lanciandosi sul divano dove si sedette raggomitolando le gambe davanti al petto seguita da William  che si accomodò compostamente al suo fianco con quella posa tipica di chi è stato educato a comportarsi in un certo modo, alla maniera di un lord dei tempi antichi. Lizzy inclinò il viso a guardarlo mentre sfogliava con curiosità il libricino ricoperto di note a matite scritte con una grafia chiara e ordinata. Vide gli angoli delle sue labbra sollevarsi leggermente prima che si voltasse verso di lei, gli occhi blu che brillavano illuminati dai lampi che rischiaravano il cielo fuori dalla finestra.
-Che c’è?- domandò. Lizzy scosse il capo arrossendo leggermente, non riusciva a capire cosa attirasse così tanto la sua attenzione in quel ragazzo. Si strinse nelle spalle nascondendo il viso nella tazza di thè ormai quasi finita prima di cambiare discorso cercando di concentrarsi sulla letteratura inglese. William si rivelò un ottimo insegnante e ascoltatore mentre le faceva ripetere  sonetto dopo sonetto, leggendoglieli con voce calma e calda e un’espressività che mai si sarebbe aspettata da un tipo schivo come lui. Sembrava un attore sul suo palcoscenico mentre recitava quelle parole che sembrava sgorgassero fuori dal suo cuore attraverso le sue labbra. Elizabeth fece del suo meglio per mantenere la concentrazione ma ogni piccolo dettaglio la faceva tornare nel mondo dei suoi pensieri e William era così preso nelle sue spiegazioni da non accorgersene quasi, almeno finchè non si voltò e la vide addormentata con il capo appoggiato contro lo schienale del divano e il vecchio maglione tutto bucherellato stretto addosso. Sorrise afferrando la coperta che era drappeggiata sul bracciolo e posandogliela delicatamente addosso  mentre controllava l’ora. Era tardi ma tanto non c’era nessuno ad aspettarlo a casa, Georgiana era a casa di un’amica, scrisse un veloce messaggio a Charles per dirgli che non probabilmente non sarebbe uscito quella sera e con delicatezza, per non svegliare Lizzy, si sistemò meglio sul divano. Lei sembrava non essersi accorta di nulla, il suo respiro era lieve e regolare, le spalle sottili si sollevavano lentamente e le dita stringevano delicatamente le maniche del maglione. Sembrava così piccola, così piccola e sottile. Ripensò a ciò che gli aveva detto quella notte fuori dall’hotel, alla difficoltà con cui gli aveva rivelato quanto fosse stata terribile per lei quella notte, quanto fosse stato doloroso rialzarsi dopo quella caduta. Per un attimo si chiese cosa sarebbe successo se lei non avesse avuto la forza di lottare, quella forza che lui tanto ammirava. Probabilmente ora non sarebbe stato lì seduto al suo fianco. Probabilmente lei non ci sarebbe stata. Aveva imparato così bene a nascondersi dietro la maschera della ragazza forte ma allegra che vederla crollare così era stato strano, irreale. Si sporse in avanti e con delicatezza le scostò una ciocca di capelli dal viso. Per un secondo le sue dita sfiorarono la pelle fredda e morbida di Lizzy che sospirò nel sonno senza aprire però gli occhi. William afferrò il libro su Shakespeare e si concentrò sulla lettura dei minuscoli appunti finchè anche le sue palpebre si abbassarono e si addormentato.
-Elizabeth?- 
-William?-
Furono queste due domande a svegliarli facendoli sobbalzare. Elizabeth appoggiata con la schiena al bracciolo del divano aveva le gambe allungate su quelle di William che vi poggiava morbidamente una mano sopra. Entrambi si guardarono stropicciando gli occhi prima di voltarsi in direzione delle voci che avevano pronunciato in coro quelle due domande. Charles e Jane, mano nella mano, li guardavano stupiti con gli occhi e le bocche spalancate. 
-Che ci fate qui, voi due?- rispose Lizzy confusa guardando la sorella-Pensavo fossi anche tu a cena dalla zia!- 
-Ho ottenuto un’uscita anticipata e gratis di prigione grazie a Charles, ho barattato la mia libertà con la sua presentazione alla zia- 
Lizzy sorrise notando quanto sua sorella stesse cambiando da quando stava con Charles, era ancora più sorridente e pareva brillare di luce propria da quanto splendeva di gioia. Lui le faceva bene, era come una medicina per tutte le preoccupazioni che Jane nascondeva sotto i suoi sorrisi gentili.
-E lui invece?- disse indicando William che si appoggiava con i gomiti allo schienale osservando le due sorelle parlare come se loro due non fossero stati presenti e ammirando ancora una volta il profondo legame che le legava. Erano come due facce della stessa medaglia, la luce e le tenebre, il sole e la lune, diverse ma complementari.
-Niente, mi stava dando una mano a studiare e dobbiamo esserci addormentati- spiegò brevemente Lizzy, rabbrividendo a sentire il tocco leggero della mano di William sulle sue gambe mentre sollevava la mano per afferrare il cellulare e guardare l’ora. 
-Sarà meglio che io vada, è davvero tardi- affermò alzandosi e affermando il cappotto. Elizabeth lo accompagnò alla porta e lo salutò sorridendo prima di chiudersi la porta alle spalle e di trovarsi a guardare le espressioni maliziose della coppia che sembrava sul punto di iniziare un lunghissimo interrogatorio. 
-Va bene, so che non riuscirò a dissuadervi da ciò che volete fare quindi fatelo pure ma prima lasciate che mi sieda vi prego- esclamò stancamente lasciandosi cadere sul divano con un sospiro. 
 
 
Prima che Elizabeth potesse rendersene conto, arrivò il weekend e con esso la prima festa in casa Darcy. Non riusciva in verità a spiegarsi il motivo per cui si agitasse tanto in vista dell’occasione, ma aveva questa sensazione che la tormentava, un nervosismo che non riusciva a scacciare. Eppure William l’aveva rassicurata che sarebbe stata una serata semplice e divertente, senza niente di eccessivo. Solo una piccola riunione tra amici. Sospirando si mise a sedere sul letto infilandosi un paio di sobrie scarpe nere in velluto con un poco di tacco. Si alzò strofinando il vestito di pizzo scuro lasciando che i capelli le scivolassero leggeri sulle spalle scoperte. Era dimagrita ancora, il profilo delle sottili ossa delle clavicole sempre più in vista. Sua sorella era alle prese con i suoi lunghi capelli biondi e tentava di legarli in una treccia elegante ma l’elastico le scivolava tra le dita co e un pezzo di sapone bagnato. Sorrise avvicinandosi a Jane e aiutandola finendo il capolavoro che la ragazza era riuscita a fare con poche forcine. 
-A volte mi chiedo come tu faccia ad essere così tremendamente perfetta, sempre in ordine, sempre gentile. Devi essere un angelo sceso in terra-  
-Sono una delle poche che riesce ancora a sopportarti sorellina quindi è possibile- Elizabeth rise accarezzandole la spalla per rimuovere un batuffolo di lanuggine. 
-E comunque Lizzy mi sto convincendo che negli ultimi tempi ci sia un altro angelo custode nella tua vita- 
-Di cosa stai parlando?-
-Lo sai benissimo, non fare finta di niente- la rimproverò lei mentre si infilavano il cappotto controllando un’ultima volta nello specchio se erano presentabili.  
-Dai Liz! Come puoi continuare a negare che fra te e William c’è qualcosa!-
-Ti sbagli Jane, so che non ti capita spesso, ma in questo caso è così. Will ed io siamo solo amici, niente di più, niente di meno- 
-Non tutti gli amici sono disposti a fare a botte con un ex ragazzo arrabbiato-
-Questo non significa nulla-
-Sì invece, so che sai essere sorda riguardo a queste cose ma te lo ripeto ancora una volta, sono al 90% sicura che lui nutra dei sentimenti per te e sono altrettanto sicura che anche lui non ti sia indifferente. Quindi non capisco perché non puoi solo ammetterlo- Lizzy si pietrificò sulla soglia, la mano stretta intorno alla maniglia gelida. Gelida come il suo cuore, che teneva i pezzi insieme per miracolo e ogni giorno faticava di più a sopportare tutto quello che capitava alla ragazza.
-Perché non ci potrà mai essere nulla tra noi. Perché lui è William Darcy e io sono solo un personaggio sullo sfondo nella sua vita. Non sono importante. Non abbastanza-
-Forse lo sei per lui, dovresti aver il coraggio di dirglielo però-  Lizzy si voltò verso la sorella che per la prima volta dopo anni vide di nuovo nei suoi occhi quello sguardo freddo, lo sguardo di chi ha costruito intorno a sé una barriera impossibile da superare, una barriera che nemmeno lei era riuscita ad abbattere. Quegli occhi solitamente così luccicanti erano velati dai ricordi che si succedevano come un film in bianco e nero davanti alle iridi della minore. Jane lo sapeva. Sapeva benissimo che sua sorella aveva paura e che quella paura forse non sarebbe mai scomparsa ed era questo che più la preoccupava. Il fatto che sua sorella forse non avrebbe mai ritrovato quella felicità che prima era uno dei suoi tratti distintivi. Sapeva che crescendo avrebbe prima o poi abbandonato quell’ingenua gioia dei bambini ma avrebbe voluto che avesse comunque trovato qualcosa che le facesse illuminare gli occhi e quel qualcosa era scomparso dopo quella notte. Ma aveva sperato, aveva sperato che George le avrebbe donato un po’ di tranquillità ma lui aveva tradito quella speranza e aveva peggiorato la situazione. Aveva visto cosa stava succedendo a sorella, vedeva come lentamente stesse di nuovo precipitando ma non riusciva a capire come fermare la sua caduta. Sapeva che c’era solo una persona che poteva aiutare Elizabeth e quella persona era William, l’unico ragazzo che fosse riuscito a smuoverla e a generare in lei qualche tipo di vera reazione emotiva, che fosse rabbia o felicità non importava. Ma fu quello sguardo a farle capire che avrebbe dovuto smetterla e cambiare argomento. Aprì la porta senza dire una parola, evitando di rispondere alla sorella. Charles le sorrideva sulla soglia o per lo meno sorrideva a Jane che subito superò la sorella e gli gettò le braccia al collo. Lizzy alzò gli occhi al cielo sorpassandoli e dirigendosi verso la macchina che li aspettava in fondo al vialetto con al volante William. Il ragazzo le rivolse un veloce sorriso mentre montava a bordo seguita dalla coppietta felice.
-Se dovete strapparvi la faccia a forza di baci, vi prego avvertite così evito di guardare nello specchietto retrovisore- commentò Lizzy allacciandosi la cintura mentre William metteva in moto.
-Almeno adesso sai come mi sento io a reggere la candela ogni singolo giorno- aggiunse il ragazzo con un sorriso facendo manovra. Elizabeth rise sentendo i due nel sedile posteriore lamentarsi con aria offesa per ciò che avevano detto. Le stelle brillavano sopra le loro teste e con il cuore più leggero Lizzy sollevò gli occhi verso la distesa blu punteggiata di quelle minuscole scintille. William la guardava con la coda dell’occhio cercando di rimanere concentrato sulla guida ma chiedendosi continuamente cosa passasse per la mente di quella ragazza che gli faceva sentire l’impulso di girare l’auto e andare via con lei, senza una meta, davanti a loro solo l’infinito e dietro di loro tutti quei problemi che sembravano insormontabili. Ma William DArcy non era un tipo da follie, o almeno non lo era mai stato prima di incontrare Elizabeth Bennet, lei aveva dato tutto un altro significato al termine pazzia. Aveva dato un nuovo significato a tutto e William era consapevole che ormai non avrebbe potuto più lasciarla andare. Aveva già sprecato troppo tempo. Lei si voltò a guardarlo, i capelli scuri che le accarezzavano con fare ribelle il viso rilassato in un piccolo sorriso, gli occhi neri che brillavano come una candela nel buio. Lui non disse niente, ricambiò il suo sorriso sotto gli sguardi complici dei due amici che osservavano la scena col fiato sospeso. 
 
 
Elizabeth si aspettava che La Tenuta di Pimberly dei Darcy fosse enorme ma ciò che si stava trovando davanti agli occhi era fuori dalle sue aspettative. Una serie di vasche illuminate incantavano gli ospiti con splendidi giochi d’acqua e un lungo viale conduceva, attraverso un piccolo boschetto, alla collina sulla quale si trovava la grande e imponente costruzione che costituiva il fulcro di tutta la tenuta. Come un vecchio gatto se ne stava accovacciata sulla piccola altura con le sue colonne di marmo bianco illuminate da minuscole luci e la musica che si irradiava dalle sue stanze che come occhi la guardavano. Si voltò verso William che l’aveva affiancata dopo aver consegnato le chiavi dell’auto a uno dei dipendenti. 
-Che succede non ti piace?- le domandò con un sorriso sornione offrendole il braccio. Lei lo guardò strabuzzando gli occhi mentre si appoggiava delicatamente al ragazzo. 
-Se mi piace? E’ straordinaria ed è così…così…-
-Troppo appariscente?-
-Stavo per dire straordinariamente grande in realtà. Ma si può sapere come mai non ti piace? Non riesco a capirlo- 
-Non è che non mi piaccia, semplicemente   non riesco a dimenticare quello che mi lega a questo posto, e non mi fa piacere…- Lei sollevò gli occhi verso di lui che guardava dritto davanti a sé con aria assente. 
-Che cosa succede?- gli domandò stupendosi del suo tono dolce mentre si fermava e lo costringeva a fare lo stesso, si trovavano vicino a un piccolo fiume artificiale che terminava in una cascata illuminata da luci multicolore.
-E’ da quando sei venuto a casa mia che sei strano, distante…cosa ti preoccupa così tanto?- 
-Sono i miei genitori. E’ l’anniversario della loro morte- Elizabeth lo guardò in silenzio, le labbra socchiuse in un sospiro soffocato. 
-Io…mi dispiace tanto…Ma allora perché tutto questo, Will, perché questa festa?- gli domandò avvicinandosi e posandogli la mano sul braccio.
-Speravo che questo mi avrebbe distratto per un po’, Georgiana ed io lo affrontiamo ogni anno ma anche se dicono tutti che il dolore tende a scemare, ogni volta sembra sempre che debbano tornare da un momento all’altro. Non abbiamo nemmeno avuto il coraggio di entrare in camera loro per mettere in ordine le loro cose, è tutto ancora come quattro anni fa. Viviamo in un passato che non tornerà mai e non riusciamo ad uscirne e ogni anno organizziamo questa stupida festa sperando che serva a riportarci nella realtà ma ogni singola volta falliamo. Siamo i fantasmi di quello che eravamo prima- 
-E perché l’hai voluta fare anche quest’anno?-
-Perché quest’anno forse sarebbe stato diverso, perché quest’anno ci sarebbe stato qualcosa di nuovo- 
-Di cosa stai parlando?-  Lui le sorrise con un ombra di tristezza mentre le accarezzava una guancia scostandole una ciocca di capelli dal viso magro. 
-Come fai a non riuscire a capirlo, Elizabeth? Sei tu. Ho provato invano a nascondere quello che provavo, a convincermi che era sbagliato che io e te non saremmo mai stati qualcosa di più ma tutto è stato inutile. Ho pensato che se mi fossi convinto che quello che provavo era solo dettato dal sapere di non poterti avere forse avrei avuto un poco di pace, ci ho provato, ma poi ti ho vista con George, ho visto quello che stava facendo e non riuscivo a trovare un modo per aiutarti. Poi quella sera eri in lacrime, distrutta, e non ho saputo mantenere le distanze. Non ce l’ho più fatta. E’ stato quando ho colpito George che ho realizzato che non lo stavo facendo solo per te ma anche per un'altra ragione- 
ELizabeth lo guardava con parole mute aggrappate alle labbra socchiuse, gli occhi spalancati fissi nei suoi . 
-Io, William, di che diavolo stai parlando?!- balbettò mentre lui si avvicinava ancora tanto che il loro respiro sembrava fondersi in uno. 
-Sto dicendo che sono innamorato di te, Elizabeth Bennet, ecco di cosa sto parlando- Lizzy non riusciva a parlare, ogni parola sembrava diventare muta appena toccava l’aria frizzante della notte. Lui le sorrideva come chi guarda un animale selvatico, bellissimo ma impaurito, e sa bene che se non farà attenzione scapperà. Ma Elizabeth non voleva scappare, non sapeva cosa voleva, ma sicuramente non aveva intenzione di andarsene.
E così non fermò William quando con un braccio le cinse il fianco sottile.
E nemmeno quando l’altra mano le si poggiò sulla pelle delicata e bollente del viso.
Lasciò che lui si chinasse verso di lei, gli occhi chiusi, il respiro caldo di Will che le solleticava il collo e il suo profumo di pepe e noce moscata che le pizzicava il naso. 
Le loro labbra che quasi si sfioravano. 

 
-William Darcy?- Lui si voltò di scattò e Elizabeth lo vide impallidire.
-Anne?-
 
 
 
 
 

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Capitolo 9
*** I'M BROKEN ***


-Anne?-
Elizabeth sconcertata faceva scorrere lo sguardo fra i due. Lei, una giovane dal viso pallido incorniciato da sottili capelli scuri, si stava avvicinando inciampando nei suoi stessi piedi e tendendo le braccia verso William. Non appena li raggiunse subito si lanciò in avanti stringendogli le mani intorno al collo mentre lui se ne stava immobile come se fosse improvvisamente diventato di pietra. I suoi occhi cercarono quelli di Lizzie in una muta preghiera ma la ragazza lo osservava ora con uno sguardo di ghiaccio, impenetrabile muro ai suoi pensieri che per la prima volta non riusciva a leggere come fissero i suoi. Come se si fosse appena accorta della sua presenza, Anne si voltò verso di lei tendendole la mano con un sorriso radioso sotto gli occhiali dalla montatura rotonda.
-Mi dispiace tanto sono proprio una maleducata, mi chiamo Anne De Bourgh, sono la futura signora Darcy- esclamò con voce civettuola afferrando la mano di Lizzie e scuotendola mentre la ragazza la osservava spalancando gli occhi. Non aveva uno specchio ma fu sicura che il suo viso fosse sbiancato.
-Futura...Signora Darcy?- bisbigliò in un sottile sussurro sollevando gli occhi verso l’amico, ancora frastornata dopo la sua dichiarazione e l’arrivo di Anne.
-Certo! Willy caro,non le hai parlato del nostro fidanzamento?-
-No, non l’ha mai fatto-rispose Elizabeth con voce fredda e tagliente come coltelli, nei suoi occhi William vide mille mute parole che si agitavano come nuvole di tempesta. E il maggiore dei fratelli Darcy capì in quel momento che tutto quello che era riuscito a costruire si stava sgretolando davanti a lui, impotente mentre quel briciolo di fiducia che si era guadagnato veniva schiacciato da un segreto mai rivelato.
-Il mio Willy così sbadato!- esclamò zuccherosa e civettuola.
-Scusatemi, improvvisamente non mi sento molto bene. William potresti avvertire mia sorella che torno a casa, per piacere?-
Senza dargli il tempo di rispondere si voltò e affrettò il passo sulla ghiaia del breve sentiero. Sentiva gli occhi inumidirsi e si stupì quando una lacrima solitaria discese accarezzandole il collo. Stava piangendo per William Darcy e ancora si chiedeva come fosse arrivata a quel punto. Poi sentì alle sue spalle la sua voce chiamarla, implorandola di fermarsi ma non lo fece. William era però molto più veloce di lei, impacciata sui suoi tacchi e in pochi passi la raggiunse afferrandola per un polso e costringendola a voltarsi.
-Lizzy per favore aspetta!- sentì la bile salirle alla gola mentre i suoi occhi affogavano in quelli del ragazzo.
-Perchè Darcy? Cossicchè tu possa raccontarmi altre bugje? Confessare che mi ami quando sei già impegnato con un'altra ragazza, una ragazza che a quanto pare sposerai,oltretutto? Perché allora mi hai detto quelle cose, volevi qualcuno per divertirti quando lei era lontana?-
-No,No,No! Ti prego lascia che ti spieghi ogni cosa!-Elizabeth scosse la testa
-Sono stanca di sentire scuse. Pensavo potessi essere diverso ma mi sbagliavo. Mi hai ingannato proprio come tutti gli altri. Torna da lei William, io sono stanca di sentirti mentire-
-Non ti ho mentito quando ti ho confessato quello che provavo- lei lo guardò, avrebbe voluto rispondergli che anche lei aveva scoperto un legame più profondo dell'amicizia con lui ma non ci riuscì. Intorno al suo cuore si stava ricostruendo, mattone dopo mattone, il muro che lui era riuscito a scalfire e abbattere, dunque sollevò il viso con orgoglio ignorando le lacrime che silenziose scivolavano sul suo viso
-Sin dal primo momento, William Darcy, la tua arroganza, la presunzione e il disdegno per i sentimenti altrui mi hanno fatto capire che eri l’ultimo uomo sulla terra che avrei mai potuto amare-
Lo vide impallidire diventando come di ghiaccio mentre la sua presa sul suo braccio si allentava. Lizzy non attese oltre e si allontanò di corsa con le lacrime silenziose pronte a riversarsi sulle sue guance, sulla schiena fissi gli occhi di quel ragazzo che per la prima volta le aveva davvero fatto credere che sarebbe potuta essere finalmente felice.

Elizabeth camminava veloce lungo la strada deserta, i piedi scalzi e in una mano le scarpe che si era sfilata imprecando dopo pochi metri. Si sentiva come vuota, inconsistente e per la prima volta dopo tanto tempo non riusciva più a fingere. Fingere di stare bene. Fingere di essere forte, perché non lo era, non lo era mai stata o forse non sarebbe ricaduta nei soliti schemi dimenticandosi della sua regola fondamentale: mai affezionarsi a qualcuno. Lo aveva imparato in quel vicolo anni fa, quando persone che amava le avevano fatto del male. Quando persone di cui si fidava l’avevano tradita. Ora le pareva quasi di essere tornata indietro nel tempo a quei giorni. Aveva confessato a William le sue paure, aveva riso e pianto con lui stupendosi di come avesse potuto legarsi a qualcuno che sembrava così diverso da lei, eppure, mentre camminava sola lungo quella strada, non poteva fare a meno di chiedersi come avesse fatto ad essere così stupida da pensare che avrebbe potuto essere diverso. Maledisse se stessa per essersi costretta a sentirsi così di nuovo. Strinse con rabbia i denti ignorando il dolore ai piedi per il lungo cammino e percorse il vialetto di casa con la consapevolezza che qualcosa dovesse cambiare. Ignorò il fastidioso cinguettio delle voci delle sue sorelle minori e di sua madre, ignorò persino le domande di suo padre.
-Per una volta nella vostra vita, lasciatemi in pace!- urlò correndo su per le scale e sbattendosi la porta della sua camera alle spalle. Il cuore le sembrava uscirle dal petto mozzandole il respiro mentre si lasciava scivolare sulla porta, le mani fra i capelli spettinati. Avrebbe voluto gridare ma la voce sembrava essersi sgretolata insieme alla fiducia che aveva sempre trovato in quegli occhi blu ora probabilmente fissi in quelli della giovane ragazza che non aveva idea di quanto la sua vita fosse una bugia. Al solo pensiero di loro insieme sentì l’impellente bisogno di vomitare e dopo essersi trascinata fino al piccolo bagno che condivideva con Jane si accasciò contro il gabinetto scossa dai conati. Non riusciva a comprendere come mai tutto quello che era successo la stesse provando cosi tanto, lui non le doveva nulla, non erano fidanzati forse nemmeno erano amici ma quel segreto, scoperto così all’improvviso, l’aveva riportata a quella realtà che aveva dimenticato. La realtà in cui gli uomini l’avevano sempre ferita, lasciata sanginante ai lati della strada. Si rialzò a fatica guardando il suo viso pallido riflesso nello specchio appannato. Gli occhi brillanti ora freddi pezzi di ossidiana offuscati da lacrime trattenute. Con rabbia sfregò via il trucco e si strappò di dosso il vestito tornando nella sua vecchia pelle di jeans sgualciti e felpe slargate. Afferrò la giacca e le sigarette poi aprì la finestra come aveva già fatto tante volte e si issò fino alla grondaia e poi sul tetto facendo attenzione a non scivolare sulle tegole bagnate dalla pioggia che aveva iniziato a cadere sottile come spilli. Lasciò che le bagnasse il viso senza preoccuparsi di sollevare il cappuccio mentre si accendeva una sigaretta aspirando affannosamente il fumo come un naufrago che cerca di respirare quando l’onda lo sommerge. Sperava che quel poco di calore avrebbe potuto riempire quel buco gelato che le divorava lentamente il petto giungendo al cuore. Inalò osservando il cielo tumultuoso illuminato dai lampi improvvisi. Si strinse le gambe al petto rabbrividendo alla carezza gentile di una goccia che le scorreva lungo la schiena. Jane sarebbe rimasta a dormire da Charles, la porta di camera sua era chiusa a chiave. Nessuno sarebbe venuta a cercarla, nessuno avrebbe controllato che stesse dormendo nel suo letto o che gli incubi non la stessero tormentando. E così quasi senza accorgersene, sdraiata sulle tegole del tetto sotto quella pioggia di spilli, Elizabeth Bennet si addormentò cullata da un sonno semza sogni.

Quando si svegliò era da poco passata l’alba. Le grosse nuvolone scure si erano svuotate e galleggiavano nel cielo come palloncini sgonfi. Si stropicciò gli occhi maledicendosi per aver avuto la straordinaria idea di dormire su un tetto durante un temporale. La felpa era zuppa nelle aree che la giacca impermeabile non aveva coperto. Facendo peso sui gomiti si sollevò leggermente osservando il quartiere che ancora dormiva. Sospirando si passò una mano sul viso prima di rientrare goffamente in casa, lasciando sul pavimento delle piccole pozzanghere, e dirigersi a ciondoloni fino alla doccia. Si spogliò stancamente degli abiti fradici che indossava e lasciò che l’acqua bollente le scaldasse la pelle scorrendo lieve in sottili fiumiciattoli lungo il corpo magro mentre lentamente capiva che quello che la stava provando così tanto non era altro che la consapevolezza di aver sbagliato un’altra volta a fidarsi delle persone. La consapevolezza di essere tornata ad essere una debole ragazzina indifesa. Aveva di nuovo infranto la promessa che aveva fatto a sè stessa: tieni le persone fuori dal tuo cuore, questo si era giurata ingenuamente convinta che in questo modo avrebbe tenuto lontano anche il dolore ma non accorgendosi che in egual modo si privava della possibilità di amare ed essere amata davvero. Non ce l’aveva fatta però, non del tutto e così Jane, suo padre e William erano riusciti a farsi strada fino a quel punto più profondo dove nessuno riusciva mai ad arrivare: il suo cuore. Con una mano scostò il sottile strato di vapore che si era formato sullo specchio osservando con la curiositá di un bambino le sue occhiaie scure e il trucco sbavato che nè la pioggia nè la doccia erano riuscite a cancellare. Si infilò dei vecchi jeans strappati e una felpa e uscì dal bagno tamponandosi i capelli con un asciugamano.
Uscì appena in tempo per trovarsi davanti Jane, le braccia incrociate davanti al petto, gli occhi pieni di rimprovero e preoccupazione. Elizabeth si bloccò, stupita.
-Si può sapere che diavolo ti è preso?- lo urlò quasi, e dalla sua voce traspariva un sentimento che Lizzie aveva più volte visto dipinto sul suo volto. La preoccupazione di chi sente il dovere di prendersi cura di qualcuno. E in quel momento si rese conto di quanto le avesse fatto male senza accorgersene. Di quanto fosse stata egoista con lei. Jane con la sua generosità immensa, aveva preferito occuparsi di lei, Elizabeth, piuttosto che di sè stessa. Le aveva impedito di vivere senza la preoccupazione di una sorella fragile, spezzata. 
-Calmati, Jane, va tutto bene Sto bene-
-Puoi almeno dirmi perchè sei scappata così ieri sera?- Elizabeth strinse i pugni voltandosi e dandole la schiena.
-Non mi sentivo molto bene- rispose fredda.
-E quest’improvviso malessere non ha nulla a che fare con l’arrivo di Anne alla festa di William vero?-
-E perchè dovrebbe? Non c’è nulla fra noi. Siamo solo amici-
-Lizzie...-
-Smettila Jane. Sto bene, non c’è bisogno che ti preoccupi per me-
-Sono tua sorella è mio dovere farlo- 
-No, non lo è e vorrei tanto che smettessi di farlo. Non ho più dieci anni, so badare a me stessa e non ho bisogno che tu o qualcun altro vi prendiate cura di me. Sto bene! Non sono qualcosa che potete aggiustare, non sono uno dei vostri proggetti. Sono io, sono sempre la solita Elizabeth e vorrei così tanto che ti accorgessi che non puoi farmi tornare quella di prima, sono spezzata irrimediabilmente, Jane! Quello che é successo mi ha cambiata e sono così stanca di fingere il contrario. Non sono più la stessa e devi accettarlo, lascia andare quel ricordo Jane e smettila, smettila, smettila ti prego di tentare di aggiustarmi perchè non puoi. Nessuno può- si interruppe di colpo, col fiatone che le mozzava il respiro sordo esalato da labbra tremanti. Jane la guardava con i grandi occhi blu spalancati per lo stupore, un velo di lacrime ad offuscarne l’usuale brillantezza. Elizabeth si sentì morire vedendo il dolore in quello sguardo così familiare, avrebbe voluto dirle che le dispiaceva che non intendeva davvero quello che aveva detto ma ormai aveva passato la linea e non poteva più tirarsi indietro. Le parve che il suo cuore si facesse di ghiaccio mentre afferrava le sue cose e correva fuori da quella camera, da quella casa, lontano da quegli occhi segnati da un dolore di cui era lei la colpevole. Corse finchè non sentì le gambe cedere e i polmoni implorare aria. Corse con il vento fra i capelli ancora bagnati che le frustavano il viso,gelati. Il muro si erigeva spesso intorno al suo cuore mentre si lasciava cadere su una panchina ormai sfinita. Questa volta, aveva deciso, non avrebbe infranto la sua promessa. Uscire dalle vite di tutti era la cosa migliore che potesse fare e, mentendo a sè stessa, cercava di convincersi che quella fosse l’unica possibilità di agire correttamente. Che quella fosse davvero la strada giusta per donare alle persone che amava la felicità. 

Jane non riusciva a muoversi. Le parole di Elizabeth che le rimbombavano nella testa all’infinito e lacrime silenziose che le scorrevano lungo il viso. Le sembrò di non riconoscere più sua sorella, era stata così fredda e furiosa, quegli occhi oscurati da una tempesta di pensieri che per la prima volta non era stata in grado di leggere. No, non era la prima volta ed era questo a spaventarla di più: il fatto che quello sguardo fosse proprio come quello di anni prima della ragazzina che si stringeva al petto le ginocchia in una stanza di ospedale. Afferrò velocemente la borsa e corse fuori sotto lo sguardo attonito della famiglia che non riusciva a spiegarsi cosa stesse succedendo. Non tentò nemmeno di seguire le tracce di Elizabeth, la conosceva abbastanza bene da sapere che sarebbe stato completamente inutile, così si diresse a passo veloce verso una casa che conosceva bene. Casa Bingley. Ad aprirle la porta non fu però Charles ma l’infida Caroline che con una smorfia annoiata la invitò ad entrare. Avrebbe voluto colpirla. Per la prima volta nella sua vita desiderava ardentemente fare del male a qualcuno ma si trattenne e si affrettò subito alla ricerca del suo vero obbiettivo. William Darcy era come previsto, seduto in cucina con l’amico davanti ad una tazza di caffè e discuteva fittamente con Charles, il viso incupito da un espressione nervosa che lo spingeva a contrarre la mascella digrignando i denti. Con sicurezza si avvicinò e ignorando le domande del fidanzato afferrò uno sbalordito William per il colletto costringendolo a girarsi verso di lei.
-Ora tu mi dirai cosa hai fatto a mia sorella, e farai meglio ad essere molto sincero e molto conciso- Il ragazzo la guardava senza capire, stupito dall’aggressività che mai si sarebbe aspettato di vedere in una persona come Jane.
-Di cosa stai parlando, scusa?- 
-Non fare finta di niente. Ieri stava bene, era felice o almeno lo sembrava, poi parla con te e improvvisamente diventa fredda e aggressiva. Ritorna quella di tanti anni fa. Cosa le hai detto?-
William distolse lo sguardo ricordando le parole che avevano lasciato le labbra di Elizabeth la sera prima, taglienti come coltelli poi guardò il viso di Jane che esprimeva tutta la sua rabbia e la sua preoccupazione, notò allora il sottile segno delle lacrime sulle sue guance e gli occhi arrossati a confermare che aveva pianto. 
-Cos’è successo Jane?- domandò calmo.
-Non tentare di cambiare discorso non intendo andarmene senza una risposta-
-Jane, perchè stai piangendo?- tentò di nuovo e la vide ammutolire passandosi una mano sul viso, stupendosi di ritrovarla bagnata di lacrime. Charles si fece avanti premuroso, stringendola a sè sotto gli occhi comprensivi di William. 
-Credo di averla persa, questa volta non credo che riuscirò a guarirla...-sussurrò Jane e, stretta fra le braccia del giovane Bingley, gli raccontò tutto.
Quando si interruppe tirando su con il naso, William si sporse in avanti posandole una mano sulla spalla. 
-La terrò d’occhio. Ti prometto, Jane, che mi prenderò cura di lei- 
E Jane fu sicura, guardando quegli occhi blu, scuri di una tempesta indomabile, che non avrebbe mai infranto quel giuramento.

I giorni che seguirono quella mattinata, che aveva inevitabilmente e indelebilmente crepato il rapporto delle sorelle Bennet, quella mattinata che avrebbe per sempre segnato un prima e un dopo nella loro vita, videro il piano di Lizzie attuarsi lentamente. Ogni giorno era sempre più distante, più fredda. E mentre le malelingue bisbigliavano del nuovo amore dall’aria malaticcia di William Darcy, qualcuno  aveva già notato come da qualche tempo Elizabeth Bennet aveva preso a scomparire da scuola all’improvviso e la situazione non era poi tanto diversa da quando invece a scuola c’era, sempre da sola, sempre sfuggevole come il vento. Inutilmente Jane aveva tentato di parlarle. Non voleva ascoltarla, toccarla nemmeno guardarla  e sotto gli occhi impotenti di Charles, la maggiore delle due si consumava nella sua tristezza e nello sconforto per non riuscire a salvare la sorella che stava cadendo di nuovo  nel vortice indomabile della parte oiù oscura della sua anima ferita. Senza molti risultati nel frattempo Elizabeth tentava di convincersi che quella fosse la scelta migliore, per tutti. Nessuno vide più Elizabeth Bennet parlare con i suoi amici e tutti si chiesero, sviluppando le teorie più assurde, cosa aveva potuto separarli. Ma non c’erano risposte sensate e tutti si limitavano a pontificare sul nulla, spettegolando e gracchiando come rane in uno stagno.
Poi una sera tutto precipitò. 
Come ogni notte Elizabeth si calò dalla sua finestra sotto lo sguardo di Jane che inutilmente cercava di fermarla. Si sollevò il cappuccio sul capo e corse via guardandosi alle spalle, quasi fosse un fuggitivo braccato dalla polizia. Ma c’erano solo un paio di occhi a fissarla preoccupati mentre si allontanava verso la periferia della città, sola con la sigaretta in bocca e le cuffie nelle orecchie a riempire quel silenzio che la stava consumando. Aveva ricevuto un messaggio da un vecchio amico e quell’invito che una volta avrebbe cancellato senza pensarci due volte, l’aveva accettato. Sapeva che era un errore ma non aveva intenzione di tirarsi indietro. Ormai era diventata la regina degli errori volontari. Per questo non si voltò indietro spingendo i suoi passi lungo la strada deserta. 
La festa era più affollata di quanto aveva inizialmente immaginato. Tutti stretti in quel minuscolo locale, in un groviglio di braccia e gambe che si muovevano al ritmo martellante della musica che rimbombava dalle casse gigantesche fissate al soffitto. Un spessa coltre di fumo appesantiva l’aria del bar che, manco a dirlo, non rispettava le regole sul fumo all’interno dei locali pubblici. Elizabeth con gli occhi chiusi, ondeggiava costantemente fuori tempo, troppo presa dai suoi pensieri e dal coktail non meglio definito che teneva in una mano. Non era ubriaca, solo un po’ alticcia ma iniziava a non sopportare più il caldo soffocante, così strisció fra le persone riuscendo finalmente ad uscire dal locale. L’aria fuori in confronto sembrava gelata. Il quartiere degradato era il teatro delle lotte di territorio di gatti spelacchiati e di un gruppo di ragazzi col volto coperto, probabilmente drogati, che si affannavano risultando non poi tanto diversi dagli animali. Sospirando si accese un sigaretta portandola alle labbra umide di alcool e sudore. Si passò una mano fra i capelli alzando gli occhi verso le stelle che osservavano silenziose il disagio sociale della zona, con i barboni gettati su cartoni sporchi di fango e le siringhe come un tappeto intorno ad un altro gruppo di ragazzi. Si chiese se davvero ci fosse qualcuno a vegliare su tutti loro e se anche ci fosse stato qual’era il suo geniale piano. Scosse il capo stancamente e stava per allontnarsi verso casa quando una voce le gelò il sangue nelle vene.
-Elizabeth Bennet, chi l’avrebbe mai detto!-
Si voltò e i suoi occhi incontrano quelli di lui. Gli stessi di tanti anni fa. Gli stessi che bruciavano come fiamme in quel vicolo, quella notte. Il cuore cessò quasi di battere mentre il respiro le si mozzava in gola. Non era cambiato da allora, nulla di lui sembra mutato, quasi come a volerle ricordare cosa aveva dovuto passare per riuscire a riconquistare una parvenza di normalità. Le si avvicinò con quel suo sorriso che le faceva scorrere brividi lungo la schiena mentre ancora sentiva la sua voce bisbigliarle nell’orecchio che doveva stare zitta o gliel’avrebbe fatta pagare cara. Strinse i pugni cercando di impedirsi di tremare.
-Cosa vuoi?- domandò con voce roca, la gola improvvisamente secca. Lui allungò una mano accarezzandole la guancia ed Elizabeth sentì il sapore amaro della bile in bocca.
-È così che si saluta un vecchio amico? Dov’è la tua perfetta educazione ora?-
-Toglimi le mani di dosso- mormorò ma poi raggelò vedendo stretto, nella sua mano destra, il suo coltello. 
-Sai non credo di averti mai ringraziato per quello che hai fatto. Denunciarmi. Non si tratta cosí la propria gente e tu sai bene cosa facciamo ai traditori non è vero?- la lama del coltello salì ad accarezzarle la pelle della pancia mentre lui le avvicinava la bocca all’orecchio sussurrandole quelle parole che Elizabeth aveva già sentito. 
-Ti prego, lasciami andare- mormorò e sentì una lacrima scorrerle lungo il viso mentre tornava la ragazzina di tanti anni prima, che non riuscì a proteggere suo padre da chi pensava essere amici.
-Perchè Liz? Ci stiamo divertendo così tanto, non è vero? Non ti sono mancato nemmeno un po’?- le sue labbra le si posarono sul collo mentre con il coltello le sollevava la maglia. Senti l’aria fredda della sera sul ventre mentre la lama saliva e così anche la mano del ragazzo che le stringeva il collo non tanto forte da strozzarla ma abbastanza da farle capire che non avrebbe avuto vie di fuga. Ma ad un tratto lui si scostò un poco, forse perchè qualcuno si era avvicinato, forse per spingerla in un vicolo, Elizabeth non lo sapeva ma colse comunque l’occasione e lo spinse lontano da sè. Il coltello le tagliò la pancia ma non le importava mentre indietreggiava correndo e incespicando nei suoi piedi ritrovandosi in mezzo alla strada. 
Fu un attimo. 
Non scorse la macchina ne sentì il fischiare delle ruote sull’asfalto quando cercò di fermarsi. La prese in pieno con abbastanza forza da spingerla per terra, stordita. La testa le girava e i suoni le parevano ovattati mentre si guardava attorno stringendo gli occhi. Il guidatore nel frattempo aveva fatto retromarcia ed era scappato via lasciandola lì sdraiata. Si guardò le mani sporche di sangue e le ginicchia contuse cercando di capire cosa stesse succedendo poi due mani la presero per i fianchi aiutandola ad alzarsi. Si voltò cercando di divincolarsi.
-Vedi vosa ti succede quando scappi da me?- 
urlò tentando di spingerlo via ma la testa le girava così tanto...
-Lasciala andare-sentì ringhiare da una voce familiare poi lui venne strattonato lontano da lei e ricadde sull’asfalto coprendosi il viso. Elizabeth sollevò lo sguardo e i suoi occhi incontrarono il suo viso. Quello di William Darcy. I suoi occhi sembravano un mare in tempesta e aveva il fiatone mentre la osservava. La sua espressione mutò dalla rabbia più furiosa alla preoccupazione mentre si avvicinava a lei e, dopo averla presa per mano la tirava sul marciapiede. Lizzy incespicò sorretta subito da William che la condusse fino alla sua macchina aiutandola a salire. Tutto si muoveva a rallentatore ed era come se Elizabeth non riuscisse più a riconoscere i particolari. Era tutto sfocato, assurdo. Lui la guardava preoccupato controllandole le braccia, le gambe, la testa con attenzione frenetica.
-Lizzie!- lei si voltó a guardarlo e sollevò una mano verso il suo viso accarezzandolo come in trance.
-Grazie-sussurrò. Lui la guardava stupito e sembrava sul punto di dire qualcosa quando abbassò lo sguardo e vide il sangue che le bagnava la maglietta all’altezza del fianco.
-Cristo Santo! Sanguini!-esclamò -Lizzie ti devo portare in ospedale! Ora!- lei sembro riscuotersi e scosse forte il capo.
-Se lo fai, chiameranno i miei genitori e loro si preoccuperanno a morte. Non posso fargli questo. Loro sono convinti che vada tutto bene-
-NON VA TUTTO BENE ELIZABETH!- urlò lui stringendo le dita intorno al volante. -Sei stata aggredita e investita. Non va tutto bene. Anzi va tutto fuorchè bene! Potevi morire lo capisci questo almeno?-
-Sto bene, È solo un graffio- mormò lei sollevando la maglia e mostrando il taglio che aveva già smesso di sanguinare. 
-Visto? Sto bene-
-L’hai detto così spesso che ha smesso di sembrare una frase di senso compiuto- sospirò voltandosi a guardarla negli occhi.
-Sei sicura di non voler andare in ospedale?- Elizabeth annuì con un lieve sorriso nel vederlo cedere così velocemente.
-Ti porto a casa allora?- 
-Ovunque ma non lì, ti prego, non posso affrontare Jane. Non in queste condizioni- lo vide esitare prima di mettere in moto l’auto.
-Va bene, ti porto a casa mia- Lizzie lo guardò stupita mentre guidava con gli occhi concentrati sulla strada e la mascella stretta come se si stesse sforzando di non urlare.
-Mi dispiace, William- sussurrò e lui si voltò un secondo. La sua espressione si fece più dolce mentre allungava una mano accarezzandole il viso. 
-E’ tutto a posto. Stai bene. Sei al sicuro- disse forse più per rassicurare sè stesso che lei. Elizabeth sorrise lievemente e si appoggiò contro il finestrino addormentandosi qualche minuto dopo. Il respiro rilassato e un espressione serena sul volto sporco di lacrime e polvere. 
-Va tutto bene- mormorò William un’ultima volta mentre il suo cuore si faceva finalmente più leggero.

Il telefono vibrò insistente nella tasca della felpa che William aveva indossato appena arrivato a casa. Appoggiato alla ringhiera del terrazzo, guardava le stelle che brillavano lontane, la sigaretta stretta fra le labbra mentre abbassava lo sguardo sullo schermo. 
-Ciao Jane-
-Sta bene?- 
-Sì, sta dormendo in camera mia. Le ho dato una mia maglietta e le ho medicato i tagli. Fisicamente sta bene. Psicologicamente non lo so- la sentì sospirare dall’altro capo del telefono.
-Cosa le sará passato per la testa? Accettare quell’invito, andare da sola...Dio, William se non ci fossi stato tu...-
-Jane, Elizabeth sta bene ed è questa la cosa più importante. Solo che...-
-Cosa c’è William?-
-È solo che mi è sembrato che si conoscessero. Come se fossero vecchi amici-
-O mio Dio...alto e capelli scuri?-
-Sì perchè?-
-È Peter, il capo della piccola banda che ha aggredito lei e nostro padre- William sentì la rabbia montargli dentro come cavalli imbizzarriti.
-Io lo ammazzo...-
-William stai calmo. È inutile, contro di loro non si puó fare niente. Sono ben protetti, hanno conoscenze altolocate. Te lo dico per esperienza, lascia perdere-
-Senti, vado a vedere come sta. Ti chiamo se ci sono novità okay?-
-Va bene e William...-
-uhm?-
-Grazie per aver mantenuto la promessa-

Quando Elizabeth si svegliò la mattina dopo, la stanza era vuota. Le tende si muovevano leggere spinte dal sottile vento che entrava da una delle finestre, accostata. Si alzò maledicendo il malditesta che le stava distruggendo il cervello mentre si sollevava poggiando i piedi sul pavimento freddo. Si passò una mano fra i capelli stancamente mentre cercava di rimettere insieme i pezzi della sera prima. La festa,  poi Peter e l’incidente, ricordava il sapore del sangue nella bocca e l’odore dell’asfalto bagnato. E infine c’era stato William. Il suo insolito cavaliere dalla sfavillante armatura che ancora una volta l’aveva salvata. Non aveva idea di come lui potesse sapere dove cercarla né del perché continuasse a volerla aiutare dopo tutto quello che gli aveva detto. Dopo quella sera quando le parole le erano sfuggite fuori dalle labbra leggere come piume ma pesanti come mattoni. Trattenendo il respiro e il dolore per i muscoli indolenziti e i lividi che sapeva percorrerle tutto il corpo, si alzò dal letto e con andatura barcollante si avvicinò alla porta. Si affacciò timidamente fuori socchiudendo gli occhi sotto la luce calda dei primi raggi del sole. Cercando di fare piano uscì dalla stanza, i piedi nudi che rabbrividivano contro il pavimento in marmo, gelido. 
-Ti sei svegliata! Però Will avrebbe potuto anche darti un pigiama completo- esclamò una voce allegra e Elizabeth sobbalzò colta alla sprovvista. La ragazza che aveva appena parlato spuntò da dietro uno scaffale con in mano una scatola di cereali e addosso un’improbabile maglietta del pigiama con degli anatroccoli addormentati disegnati sopra. Era giovane, di qualche anno più piccola di Lizzy probabilmente, con lunghi capelli biondi e ondulati che le accarezzavano il viso perfetto illuminato da un sorriso sincero e da due enormi occhi blu mare. 
-Oh, scusami non volevo spaventarti. Will mi aveva avvertito che saresti stata un poco confusa- “un poco confusa” era un eufemismo considerando l’espressione della giovane Bennet mentre si avvicinava alla zona della cucina mentre l’altra posava sull’isola in granito due tazze decorate da faccine buffe. 
-Non vorrei essere scortese ma potresti dirmi chi sei?- domandò Elizabeth mentre la ragazza le versava del caffè nella tazza aggiungendoci latte e cannella.
-Oh, giusto, che stupida. Io sono Georgiana, Georgiana Darcy. La sorella di Will, la parte simpatica della famiglia detto fra noi. Ah scusami non ti ho chiesto come volevi il caffè se non ti piace lo rifaccio!- esclamò lei tutto d’un fiato sotto gli occhi stupiti di Elizabeth che aveva portato alle labbra la sua tazza e guardava Georgiana come si guarda una creatura esotica, o qualcuno che riesce ad essere pieno di energia la mattina, il che più o meno era uguale. Un unicorno insomma. 
-Va benissimo, grazie mille. William è in casa?- la sorella scosse il capo sbuffando mentre masticava i suoi cereali. 
-E’ uscito, credo avesse da fare a lavoro. Mi ha detto di trattenerti qui finché non fosse tornato e ho intenzione di concludere la mia impresa con successo. Allora, che rapporti ci sono fra te e mio fratello?- Elizabeth si sentì avvampare mentre nascondeva il viso nella tazza.
-State insieme vero? Spero di sì, magari gli togli quel broncio noioso…-
-No, no non stiamo insieme, siamo solo…amici- si chiese se fosse ancora vero dopo le sue parole dell’altra sera. Forse questa volta aveva davvero rovinato tutto sia con lui che con Jane e quel suo stupido tentativo di allontanarli non era servito a nulla se non a distruggere sé stessa. 
-Ah, scusa è che sei uscita dalla sua camera, con addosso una sua maglietta…ho frainteso perdonami- si scusò lei imbarazzata con le guance gonfie di cereali.
-Allora tu sei la famosa Georgiana di cui ho tanto sentito parlare- commentò invece Elizabeth riempiendo quell’imbarazzante silenzio.
-Beh, anche tu sei famosa, Elizabeth Bennet. Mio fratello mi ha parlato di te. Sei passata dall’essere un’irritante ragazzina ad essere una persona fantastica nel giro di pochi mesi. Sono colpita, non sono in molti quelli che riescono a far cambiare idea a Will, è così testardo-
-Fidati, ne so qualcosa- commentò Elizabeth e Georgiana rise, un suono cristallino e puro, la risata di una bambina anche se ormai lei non lo era più. Ora capiva come mai William fosse così deciso a proteggere quel fragile bocciolo di gioia che era sua sorella. Si sentì il rumore delle chiavi che giravano nella serratura e la porta si spalancò. William entrò con un sorriso che si smorzò non appena vide Elizabeth seduta al tavolo della cucina con sua sorella e con indosso solo una sua maglietta.
-Georgiana giuro che non è come sembra-
-Tranquillo abbiamo già chiarito quel punto fratellone- lo zittì lei con un gesto stanco della mano. Lui sospirò di sollievo avvicinandosi alle due ragazze e accarezzando i capelli della sorella dopo averle poggiato un veloce bacio sulla testa. Elizabeth sorrise guardando quel piccolo quadretto famigliare mentre sorseggiava il suo caffè. 
-Ehi, G, ti dispiace se te la rubo per qualche minuto? Io ed Elizabeth dovremmo parlare-
-Fai pure, credo di averla un pochino stordita con le mie chiacchiere- William sorrise alla sorella poggiando un sacchetto della spesa sul tavolo. 
-Non ne dubito-commentò ricevendo un’occhiataccia offesa dalla sorella -Elizabeth potresti venire con me per favore?- Lei annuì seguendolo sul terrazzo. Davanti a loro la città ormai sveglia iniziava a darsi da fare. Erano piuttosto in alto, tanto che Lizzy riusciva a vedere persino il suo quartiere, lontano, oltre il ponte sul lungo fiume che serpeggiava illuminato dal sole.
-Allora hai conosciuto la mia sorellina!- commentò il ragazzo accendendosi una sigaretta e porgendo il pacchetto a Lizzie che lo accettò di buon grado, cercando un modo per stemperare tutta la tensione che si era accumulata quando lui le aveva chiesto di seguirlo.
-E’ fantastica, capisco perché Caroline ne fosse così colpita- 
-Caroline sarebbe colpita anche da qualcuno che avesse la spudorata idea di vestirsi con abiti della scorsa stagione. Georgiana grazie a Dio è molto diversa da lei-
-Senz’altro- commentò e quella sterile conversazione si interruppe in un silenzio opprimente.
-Senti Elizabeth mi puoi spiegare cosa diavolo ti è preso? Scappi di casa, vai in quartieri poco raccomandabili la notte, te la prendi con tua sorella…Non riesco a capire perché stai cercando così disperatamente di autodistruggerti- sentì il velo di preoccupazione che si nascondeva dietro quel tono stanco di chi ormai non sa più dove sbattere la testa.
-Io… volevo solo che Jane smettesse di preoccuparsi per me, che per una volta vivesse la sua vita senza pensare alla sorellina disturbata che non riesce più a fidarsi di nessuno- 
-Beh, se volevi che Jane non si preoccupasse più per te hai ottenuto l’effetto contrario. Complimenti, davvero- non lo aveva mai sentito parlarle così, con tutta quella cattiveria che malamente cercava di celare. 
-Non puoi farmi la predica William, sei tu il primo ad essere un bugiardo. Ti devo forse ricordare di come ho conosciuto la tua fantastica “futura moglie”?- Lui si voltò a guardarla confuso.
-Anne? E’ per questo che ce l’hai con me?-
-William, tu hai detto che ti eri innamorato di me e due secondi dopo è saltata fuori la tua fidanzata ufficiale. Come puoi far finta di niente?- 
-Anne non è la mia fidanzata-
-E lei lo sa per caso?-
-Dio mio! Anne è mia cugina okay?! Mia cugina! Quando eravamo piccoli mia zia le disse che da grandi ci saremmo sposati e lei ci ha creduto. Non è proprio un genio quella ragazza- 
-Tua cugina?- lui annuì.
-Te l’avrei detto quella sera se non fossi scappata via. Ti prego, ti prego, dimmi che non hai fatto tutto questo per colpa mia. Ti prego- C’era disperazione nella sua voce, disperazione nei suoi occhi mentre la guardava trattenendo il fiato in attesa della sua risposta.
-Non è stata colpa tua, solo che… Io mi sono fidata di te, Will, sei stato il primo di cui mi sono fidata dopo tanto, tanto tempo e, quando ti ho raccontato quello che mi era successo, all’inizio mi sembrava la cosa giusta ma poi…Mi sono sentita esposta, vulnerabile e ho avuto paura così, quando ho visto Anne, ho pensato che anche tu mi avessi mentito. Ho pensato di aver sbagliato ancora una volta a giudicare le persone e così sono andata in panico. Ho realizzato quanto fossi stata stupida a credere di essere cambiata, di aver imparato dai miei errori. Ho deciso che non mi sarei più fatta coinvolgere da nulla e ho ritenuto che allontanare Jane fosse meglio per lei, cosicché non si dovesse più preoccupare di me. Lo so che sembra un’idiozia ma ero davvero convinta che fosse la scelta migliore e più andavo avanti più mi trovavo invischiata nelle conseguenze di quello che stavo facendo. Se ieri tu non fossi stato lì io…-Lui si avvicinò e le accarezzò il viso con delicatezza.
-Non dirlo nemmeno. Però Elizabeth ti devo portare in ospedale, questo lo sai vero?- lei annuì  abbassando lo sguardo. 
-Vorrei convincerti anche a fare un’altra cosa in realtà… Sporgere denuncia- Lei spalancò gli occhi scuri stupita e confusa. 
-Sai benissimo che è inutile. Sono persone importanti che conoscono persone importanti. E’ come combattere contro un plotone di panda armati, con solo un cucchiaino!-
-Lo era prima, ma ora hai dalla tua parte un testimone e ti assicuro che anche io conosco persone piuttosto importanti- 
-Io…William non credo che serva a qualcosa…- 
-Impedirai ad altre persone di passare quello che tu hai dovuto passare. A me pare già qualcosa. Fidati di me, non ti tradirei mai. Te lo prometto- Lei esitò i suoi grandi occhi fissi in quelli del ragazzo poi sospirò e annuì decisa. 
-Spero per te che funzioni o questa volta potrei concentrare la mia rabbia su di te- William rise e la tirò verso di sé, stringendola in un abbraccio. 
-Funzionerà ma, Lizzy…un plotone di panda armati?-




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Capitolo 10
*** Un Passo Avanti ***


               PICCOLA PREMESSA DELL’AUTRICE

Eccomi sono tornata più incostante che mai. Mi dispiace, sono una frana ma ho intenzione di migliorare ( o almeno spero) Il dramma è che scrivo sempre molto a sentimento e quindi se l’ispirazione non c’è…non c’è ecco. Questo capitolo (giuro) l’ho scritto e cancellato quattro volte prima di giungere a qualcosa che mi piacesse vagamente e ancora non mi convince del tutto. Come vedrete sto cercando di riportare la mia storia su binari più allegri dopo il mio cupo declino verso la valle delle disgrazie dell’ultimo capitolo che ancora non comprendo pienamente. Detto questo non vi rubo altro tempo e vi lascio alla lettura. Recensite vi prego e non abbandonatemi anche se, fossi in voi, mi prenderei a calci nel sedere da sola.
 


-Allora qual è il vostro piano per la giornata? - Cinguettò Georgiana non appena Elizabeth e il fratello fecero di nuovo il loro ingresso nella stanza. I due si scambiarono un rapido sguardo prima che Lizzy rispondesse
-Faccio un primo passo per ottenere giustizia e tuo fratello mi dà una mano-
-Il solito gentiluomo- commentò la ragazza tirando una gomitata scherzosa al fratello che nel frattempo sollevava gli occhi al cielo fingendosi scocciato sebbene entrambe le ragazze sapessero che niente di quello che sua sorella avesse detto avrebbe potuto far crollare l’immenso affetto che provava per lei.
-Tu non dovresti già essere a studiare con le tue amiche? – lei scosse il capo leccando un cucchiaino sporco di crema al cioccolato.
-Grace sta male, appuntamento saltato. Piuttosto potresti dire a Caroline che non ho intenzione di andare allo stupido party a cui si ostina ad invitarmi? Tanto sappiamo entrambe che lo fa solo per entrare nelle tue mutande…-
-Georgiana!- esclamò William spalancando gli occhi
-Che c’è? E’ vero!- Il ragazzo si passò una mano sul viso allibito dal candore della sorellina.
-Dio, quand’è che hai smesso di essere una tenera bambina di sei anni che giocava con le bambole…- Elizabeth rise portandosi la tazza di caffè alle labbra.
-Bhe, almeno non ha preso il tuo noioso modo di fare- commentò
-Cosa intendi dire?-
-Sì, sai quel modo di muoverti, di parlare…insomma di esistere che hai? Quello di un uomo del 1800. Di quelli che leggi nei romanzi di Jane Austen-
-Davvero divertente, avete finito di prendervi gioco di me voi due?-
-Certamente mio signore-rispose pronta Georgiana scoppiando poi a ridere con Elizabeth. William sospirò i nuovo scuotendo il capo.
-Cosa dovrei fare con voi due?-
-Bhe io sono piuttosto convinta di cosa vorresti fare con una di noi due, fratellone e ti assicuro che non sto parlando di me- Lizzie per poco non si strozzò col caffe mentre voltandosi verso la sorella il moro esclamava ancora una volta -Georgiana!- incerto se strozzare la sorella oppure nascondersi per la vergogna dentro il forno e cuocersi da solo come un piatto di lasagne.
Alla fine della mattinata, dopo un leggero pranzo cucinato da Georgiana che si apprestava a diventare, almeno nella mente di Elizabeth, la ragazza perfetta, William la accompagnò all’ospedale. Fu strano stare lì, seduta in quella sala d’aspetto senza sapere cosa fare o dire per alleviare il peso di quel silenzio che si era creato fra loro mentre aspettavano che qualcuno li ricevesse per dare un’occhiata alle ferite della ragazza. Intorno a loro le persone continuavano ad andare e venire, nella fretta del pronto soccorso e Lizzy attendeva attendo nervosamente un piede per terra. Poi sentì la mano di William posarsi delicatamente sulla sua gamba, il palmo rivolto verso l’alto in attesa. Lei esitò prima di posare la sua su quella del ragazzo e lasciare che le loro dita si intrecciassero mentre lui faceva scorrere il pollice sulla pelle morbida di lei. Non parlò ma quella stretta disse molto più di qualsiasi parola e bastò per farla smettere di pensare almeno per un attimo. Poi un’infermiera si fece avanti e le chiese di seguirla. A malincuore Elizabeth lasciò la mano di William e si alzò seguendo la donna fino ad un lettino dove la attendeva una giovane dottoressa tutta intenta a controllare il risultato di alcuni esami sul suo registro. Sollevò gli occhi verso di loro e con un sorriso le fece cenno di sedersi sul lettino prima di chiederle cosa le fosse successo. Elizabeth le raccontò tutto. Ogni dettaglio di ciò che era successo la notte prima mostrando di volta in volta i lividi e le ferite riportate. Quando nominò William la dottoressa insistette per poterlo vedere e solo dopo che Lizzy le ebbe indicato il suo amico poté continuare. Attentamente la donna ascoltò il suo racconto interrompendola ogni tanto per controllare che non ci fossero lesioni più gravi nei punti indicati dalla ragazza che docilmente si lasciava sfiorare dalle sue mani esperte. Quando le chiese se per caso le avesse fatto violenza lei scosse il capo mormorando –non c’è riuscito neanche questa volta- e spiegando poi a che cosa si riferisse mostrando le cicatrici argentate che ancora tentava di nascondere. La dottoressa aveva uno sguardo impenetrabile, pieno di rabbia e compassione, come se davvero riuscisse a mettersi nei panni della sua paziente. Sospirò di sollievo nel sapere che il suo aggressore non era riuscito a spingersi oltre le sue minacce e dopo aver compilato il suo referto si sedette sul lettino al fianco di Elizabeth.
-Sai-disse-Ne vediamo tante di ragazze come te, troppe. Ragazze con un brutto passato che torna a perseguitarle. Alcune di loro tornano spesso e poi d’improvviso non attraversano più quella porta. Altre decidono di parlare e di farsi forza e la volta che attraversano quella porta è per venire a ritirare il proprio referto insieme ad un avvocato per renderla una prova nel loro processo. Voglio che tu sia una di loro e che tu riesca ad ottenere giustizia per te e per tutte quelle ragazze che non hanno avuto la forza di farlo. Terrò con cura questo referto finchè non verrai a ritirarlo, ne farò copie su copie se sarà necessario così anche se dovessero bruciarle una per una tu potrai sempre avere una possibilità. Testimonierò a tuo favore se vorrai-
-perché fa tutto questo per me?-
-Perché sono stanca di guardare sempre da fuori, voglio per una volta fare la differenza. Quando mi sono laureata ho fatto un giuramento e aiutare te sembra uno dei modi migliori per rispettarlo. Quindi per favore, lotta Elizabeth Bennet- la ragazza sorrise annuendo mentre la dottoressa le porgeva il foglio per le dimissioni e una ricerca per un blando antidolorifico per le sue costole incrinate.
-Lo farò-
Quando uscì dalla piccola sala per le visite subito William le venne incontro con un sorriso incoraggiante. La dottoressa le strinse piano la spalla stringendo il referto appena compilato e si fermò vicino al ragazzo.
-Farai bene a trattarla come si deve o giuro che romperò il mio giuramento di Ippocrate- Lui annuì stupito prima di raggiungere l’amica con un’espressione confusa.
-Ti sei fatta una nuova amica?- domandò indicando dietro di sé, lei rise stringendosi nelle spalle prima di sospirare al pensiero della fermata successiva, la stazione di polizia.
-Ero così sicura stamattina riguardo a tutta questa faccenda ma ora, guardando tutto ciò che mi aspetta inizio a dubitare che arriverò sino in fondo-
-Hei va tutto bene, è normale che tu sia nervosa ma ricordati che noi saremo qui per te, qualsiasi cosa deciderai di fare-
-E noi chi sarebbe? Hai sviluppato un qualche disturbo della personalità mentre non c’ero?-
-Sai bene di chi sto parlando, di me, della tua famiglia, di tua sorella Jane-
-Non le ho più parlato sarà preoccupata…-
-Stai tranquilla le ho telefonato ieri sera dopo che ti sei addormentata- Lizzy lo guardò stupita.
-Pensi sempre a tutto non è vero?-
-O almeno ci provo, allora dove vuoi andare ora?-
-Facciamo un altro passo avanti, andiamo dalla polizia- Lui si avvicinò e con un sorriso orgoglioso la abbracciò e Lizzy ricambiò la stretta prima di separarsi da lui.
-In marcia allora-
 
Quando finirono di rispondere alle domande della polizia, Lizzy era esausta. William aveva rilasciato la sua deposizione e finalmente erano tornati nella macchina del ragazzo. Con un sospiro lei appoggiò la testa al sedile chiudendo gli occhi
 -Lo stiamo facendo davvero?- William annuì con un sorriso e allungò una mano spostandole un ciuffo di capelli dietro l’orecchio. Elzabeth arrossì mentre improvvisamente qualcosa le tornava alla mente.
-Sai con tutto quello che è successo non abbiamo più parlato di una cosa piuttosto importante-
-E sarebbe?-
-Quello che mi hai detto la sera della festa a casa tua- William arrossì visibilmente voltandosi a guardare un punto imprecisato fuori dall’auto.
-Temevo saremmo arrivati a questo momento…- mormorò
-Su non essere così tragico!-
-E’ stato uno dei momenti più imbarazzanti della mia vita e non è neppure bastato a farti capire cosa provassi perché quella guastafeste di Anne si è messa in mezzo, proprio mentre cercavo di dichiararmi. Dio che imbarazzo-
-Bhe non stavi andando malissimo, certo non proprio un Romeo però passabile…-
-Passabile?-
-Direi che un 8 meno per l‘impegno avrei potuto anche concedertelo-
-Donna tu mi uccidi-
-Sai che non poso farne a meno, è più forte di me-
-E sentiamo cosa avresti voluto sentirti dire?- sussurrò avvicinandosi al suo viso con un luccichio divertito negli occhi di oceano.
-E’ questo il meglio che sapete fare signor Darcy?- rispose lei mentre il suo respiro le sfiorava le labbra socchiuse in un sorriso di scherno.
- Forse ti aspettavi qualcosa di diverso, più diretto?- la sua mano le accarezzo il collo e il mento spostandole i capelli dal viso.
-William…- fece per dire Lizzie ma il suono di qualcuno che bussava sul finestrino li colse di sorpresa facendo sobbalzare William che con un imprecazione si trovò a picchiare la testa contro il soffitto dell’abitacolo. Elizabeth si voltò di scatto incontrando due occhi azzurri che ben conosceva.
-Jane…-sussurrò con un filo di voce voltandosi a guardare l’amico.
-Tu centri qualcosa con tutto questo?-
-Ti giuro Elizabeth che se centrassi qualcosa loro non sarebbero arrivati proprio in quel momento- rispose facendola arrossire mentre si apprestava a seguire William che stava scendendo dall’auto imprecando e sfregandosi la testa. Elizabeth prese un respiro profondo poi aprì lo sportello. Jane la guardava con un’espressione indecifrabile su viso solitamente allegro, le braccia incrociate davanti al petto e alle sue spalle Charles che discuteva a bassa voce con William gesticolando animatamente.
-Jane io…- iniziò Elizabeth ma pima che potesse andare avanti Jane le si lanciò addosso stringendola fra le braccia come se avesse paura che potesse scappare.
-Non fare mai più una cosa simile. Ci siamo capite? Mai più. Il mio cuore non reggerebbe, non riesco ad immaginare cosa sarebbe potuto accadere se solo Will non fosse stato lì-  Elizabeth le accarezzò teneramente la guancia con un sorriso sollevato nel vedere che non era arrabbiata con lei.
-Non pensarci, sto bene, Jane, sto bene- la rassicurò ridendo. La maggiore delle sorelle Bennet la imitò abbracciandola ancora per poi voltarsi verso i due ragazzi che le osservavano con aria compiaciuta.
-E voi due che avete da guardare-
-Nulla tesoro, è solo che mi era mancato vedervi così, insieme- rispose Charles prendendo sotto braccio la fidanzata.
-Ma cosa più importante cosa stavate facendo voi due in auto prima che arrivassimo?- domandò poi indicando Will e Lizzie che si guardarono arrossendo.
-Nulla!- esclamarono all’unisono con voce più stridula del normale.
-Sì, come no…- mormorarono gli altri due scambiandosi uno sguardo complice.
-Come avete fatto a sapere dove eravamo comunque?-
-Georgiana- rispose semplicemente Charles mentre si incamminavano lungo la strada per raggiungere l’altra macchina Elizabeth e Jane rimasero indietro stringendosi l’una all’altra come non capitava da mesi.
-William mi ha detto cosa stai facendo…Sono fiera di te sorellina ma c’è una cosa che probabilmente dovrei dirti…- Lizzie si fermò voltandosi verso la sorella improvvisamente preoccupata.
-J, cosa succede?-
-Nulla di importante ma forse sarebbe meglio che non tornassi a casa per ora-
-Ho detto a mamma e papà dell’incidente con quel disgustoso essere strisciante-
-O merda, ma come ti è venuto in mente! Avrei dovuto dirglielo io di persona! Mamma starà uscendo di testa e papà…-
-E’ distrutto, devi lasciare ad entrambi un po’ di tempo e se tonassi a casa con tutti quei lividi probabilmente peggioreresti la situazione-
-E dove dovrei andare scusa? Me lo paghi tu l’hotel?-
-In realtà avrei pensato ad un’altra cosa…- sorrise incerta Jane indicando con il capo i due ragazzi davanti a loro
-Non posso chiedere a William! Ha già fatto così tanto! E poi le cose sono strane fra di noi da quando si è dichiarato, insomma non posso autoinvitarmi a casa sua!- Jane per un attimo spalancò gli occhi stupita.
-Primo: QUANDO DIAVOLO SI E’ DICHIARATO!? E secondo: Charles e io gliene abbiamo già parlato stamattina e lui ha detto di sì quindi…
-Sei diabolica, lo sai questo vero?-
-Faccio del mio meglio- Elizabeth rise passando un braccio intorno alle spalle della sorella e ricongiungendosi ai due amici che le stavano aspettando.
 
La notte era ormai scesa e le poche stelle visibili scintillavano timidamente nel cielo, nascoste dalle luci della città sottostante che ancora non accennava ad andare a dormire. William ed Elizabeth se ne stavano sul poggiolo con lo sguardo fiso nel vuoto e una sigaretta accesa fra le labbra, un posacenere di ceramica appoggiato sul tavolino fra loro. Lei lo aveva già ringraziato come minimo una dozzina di volte per l’ospitalità e ora si trovava al suo fianco indossando un suo vecchio maglione decisamente troppo grande che le arrivava a metà coscia e con i piedi nudi che rabbrividivano a contatto con il pavimento gelato. Lui si voltò a guardarla sorrise nel vederla con la bocca leggermente socchiusa come un bambino che osserva incantato una farfalla colorata. Era stupenda e William non poteva fare a meno di sentire la gola seccarsi quando casualmente il suo sguardo cadeva sulle lunghe gambe snelle e nude che mal venivano coperte da quel suo vecchio maglione che la faceva sembrare ancora più piccola e indifesa cadendole di lato e lasciandole scoperta una spalla, il collo sottile reclinato all’indietro che lasciava vedere il ritmico pulsare della sua giugulare. Era bella da mozzare il fiato e questo William lo sapeva troppo bene ma non aveva il coraggio di andare oltre, per paura di forzarla o di allontanarla da sé dopo quello che aveva passato nelle ultime ore.  Poi lei si voltò a guardarlo e i loro occhi si incontrarono.
-Che succede?- domandò lei spegnendo la sua sigaretta mentre espirava l’ultima boccata di fumo.
-Niente solo che…-
-“solo che” cosa?- insistette lei avvicinandosi.
-Fratellone sai mica dove…- Esclamò Georgiana affacciandosi dalla porta finestra e maledicendosi subito per il proprio pessimo tempismo.
-Scusatemi, ho interrotto qualcosa?-
-No, tranquilla ti lascio tuo fratello io vado a prepararmi per la notte-
Georgiana uscì sul balcone mentre William si passava una mano fra i capelli, con fare sconsolato.
-Mi dispiace tanto fratellone, te lo giuro che in un universo parallelo un’altra me sta sbattendo la testa contro il muro…-
-Non fa niente, cosa ti serviva?-
-Le lampadine, quella di camera mia è morta-
-Sono al loro solito posto in dispensa, ultimo cassetto del mobile-
-Grazie- rispose sollevandosi sulle punte per posare un leggero bacio sulla guancia del fratello prima di correre verso casa.
-Ah Will- si interruppe fermandosi –Smettila di fare il fifone e bacia quella ragazza o l’altra me inizierà a sbattere la tua testa contro il muro. Non c’è niente di meno sexy di un uomo che ti chiede il permesso di baciarti-
-Una parte di me vorrebbe sapere come hai acquisito questa grande saggezza mentre l’altra, bhe l’altra parte, quella che ti vede ancora come la mia piccola sorellina, decisamente convinta che non sapere sia la scelta migliore- Lei rise prima di scomparire dentro casa mentre William rimaneva immobile a guardare la cicca della sua sigaretta spegnersi.
-Oh, al diavolo!- Esclamò prima di entrare e dirigersi verso la stanza degli ospiti che aveva preparato per Elizabeth e, dopo un momento di esitazione,

bussò.


 

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