Dragged into the Blight

di LysandraBlack
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Foresta di Brecilian ***
Capitolo 2: *** Torre del Circolo dei Maghi ***
Capitolo 3: *** Enclave elfica di Denerim ***
Capitolo 4: *** Altura Perenne ***
Capitolo 5: *** Orzammar I ***
Capitolo 6: *** Orzammar II ***
Capitolo 7: *** Ostagar ***
Capitolo 8: *** Ostagar II ***
Capitolo 9: *** Lothering ***
Capitolo 10: *** Redcliffe ***
Capitolo 11: *** Kinloch Hold I ***
Capitolo 12: *** Kinloch Hold II ***
Capitolo 13: *** Kinloch Hold III ***
Capitolo 14: *** Strada Imperiale verso Denerim ***
Capitolo 15: *** Foresta di Brecilian ***
Capitolo 16: *** Rovine di Brecilian ***
Capitolo 17: *** Denerim ***
Capitolo 18: *** Haven ***
Capitolo 19: *** Tempio di Haven ***
Capitolo 20: *** Bannorn ***
Capitolo 21: *** Redcliffe ***
Capitolo 22: *** In viaggio verso Ostagar ***
Capitolo 23: *** Selve Korkari ***
Capitolo 24: *** Orzammar - Distretto dei Diamanti ***
Capitolo 25: *** Orzammar - Città della Polvere ***
Capitolo 26: *** Orzammar - Distretto dei Diamanti ***
Capitolo 27: *** Orzammar - Arena delle Prove ***
Capitolo 28: *** Orzammar - Covo del Carta ***
Capitolo 29: *** Vie Profonde - Trincee dei Morti ***
Capitolo 30: *** Vie Profonde - Incudine del Vuoto ***
Capitolo 31: *** Redcliffe ***
Capitolo 32: *** Denerim ***
Capitolo 33: *** Denerim - Palazzo dell'Arle ***
Capitolo 34: *** Forte Drakon ***
Capitolo 35: *** Denerim - La Perla ***
Capitolo 36: *** Denerim - Palazzo di Arle Aemon ***
Capitolo 37: *** Denerim - Enclave Elfica ***
Capitolo 38: *** Incontro dei Popoli ***
Capitolo 39: *** Denerim ***
Capitolo 40: *** Denerim - Quartieri bassi ***
Capitolo 41: *** Denerim - Città Alta ***
Capitolo 42: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Foresta di Brecilian ***


CAPITOLO UNO: FORESTA DI BRECILIAN

 





Tamlen le lanciò uno sguardo interrogativo, l'arco puntato sui tre umani che avevano fatto l'errore di avvicinarsi troppo all'accampamento dei Dalish.

«Allora? Che ne facciamo di loro?» Le chiese.

Aenor scrollò le spalle. «Se li lasciamo andare, ne arriveranno altri.» Portò una mano all'elsa della spada a due mani, avanzando verso i tre malcapitati.

Il compagno ghignò, soddisfatto della risposta. «Non ci si può aspettare altro dagli shem...»

Il primo umano non ebbe nemmeno il tempo di girarsi per fuggire, che la freccia di Tamlen gli si conficcò dritta nel petto, all'altezza del cuore.

Il secondo cercò di farsi scudo con le braccia, ma la spada di Aenor gli andò a tranciare gli avambracci, conficcandosi nella clavicola.

Il terzo riuscì a fare una decina di metri, prima di essere abbattuto dalla seconda freccia dell'elfo.

«Ah, le comodità dell'arco: rapidità, meno schizzi di sangue, poter colpire a distanza...» Cantilenò Tamlen scherzosamente, guardando la compagna estrarre la spada dal corpo dell'uomo. Uno spruzzo di sangue si levò dal cadavere mentre crollava a terra. Aenor non lo degnò di risposta, mentre puliva la lama sui vestiti del morto e la rinfoderava con facilità.

«Cosa ne pensi della caverna che dicono di aver trovato?» Gli chiese, scrutandosi intorno. «Potrebbero anche essere un mucchio di sciocchezze, per quanto ne sappiamo.»

Tamlen si rigirò tra le mani la tavoletta con le inscrizioni che i tre gli avevano consegnato. «Non lo so, questa deve pur venire da qualche parte. E ci sono rovine nascoste per tutto il Ferelden, magari stiamo per trovare qualcosa di grosso.»

«Dovremmo parlarne con la Guardiana...» Suggerì Aenor, poco convinta.

«Non mi dire che credi a quegli shem?» Le chiese Tamlen, scoppiando in una risata incredula. «Avranno probabilmente visto un orso, altro che demone...»

«Ma se ci fosse davvero?»

La squadrò divertito, sollevando un sopracciglio. «La grande predatrice ha paura di un orso!» La sbeffeggiò, accarezzando l'impennaggio di una delle frecce che portava nella faretra sulle spalle. «Non preoccuparti, fortunatamente ci sono qua io.» Le diede un buffetto sulla spalla, per poi incamminarsi nella direzione che gli umani avevano indicato.

«Proprio di questo mi preoccupo...» Borbottò risentita Aenor, seguendolo.

Si fecero strada tra gli alberi, in silenzio, attenti ai suoni della foresta attorno a loro. Incontrarono delle tracce fresche di lupo, segno che uno dei numerosi branchi della foresta di Brecilian era uscito a caccia.

Raggiunsero l'ingresso della caverna stranamente senza intoppi.

«Hei, non mi ricordo di averla mai vista prima d'ora...» Commentò sorpreso Tamlen, avvicinandosi a quella che un tempo era stata una colonna di pietra, che giaceva in pezzi e ricoperta dal sottobosco. Un sentiero di rocce coperte di muschio conduceva in profondità, mentre dal soffitto pendevano stalattiti e rampicanti.

«Continuo a pensare che sia una pessima idea.» Aenor poteva quasi percepire che c'era qualcosa di sbagliato da quelle parti. «Possiamo avvisare la Guardiana e tornare qui con qualche persona in più. Non hai idea di cosa potrebbe esserci là sotto!»

«Siamo cacciatori ormai, servirà più di qualche storiella su un demone dagli occhi neri per spaventarmi... Anche se non posso dire la stessa cosa di te.» Le appoggiò una mano dietro la schiena. «E poi, se mettiamo in agitazione tutto il clan per niente, ci prenderanno per cretini!»

Aenor sbuffò, odiava dargliela vinta, ma sapeva che se fosse tornata indietro, lui sarebbe entrato là dentro da solo. E almeno così poteva controllare che non finisse mangiato da qualche ragno gigante.

Rabbrividì al pensiero. “Non esistono grotte senza ragni giganti...”

Si fecero strada tra i rovi che crescevano avvinghiati alle rocce, scendendo sempre più in basso, finchè la vegetazione non lasciò il posto alla nuda roccia.

Passarono sotto un antico arco di pietra, sbucando in una sala, anch'essa di pietra, sorretta da larghe colonne decorate. Le enormi radici della foresta si erano scavate la strada fin là sotto, facendo crollare parte del soffitto. Dall'alto filtrava un po' di luce, che con la polvere del luogo si diffondeva in modo sinistro per tutta la stanza.

Aenor si ritrovò suo malgrado ad ammirare l'abilità architettonica di coloro che avevano costruito quel posto: sembrava antico di chissà quanti secoli, eppure aveva resistito tutto quel tempo.

Un ticchettio sinistro la fece subito tornare sull'attenti. Sfoderò la spada, facendo segno a Tamlen di stare in allerta. Non riuscì a fare più di tre passi che una sagoma nera, grossa un paio di volte lei, le piombò addosso dal soffitto.

Schivò buttandosi alla propria destra, frapponendo la spada tra lei e la cosa, che si rivelò essere un ragno gigante, le chele che schioccavano fameliche grondanti veleno.

Senza pensarci due volte, Aenor menò un potente fendente dal basso, tranciando una delle zampe pelose della bestiaccia, che soffiò e si tirò indietro, pronta per attaccare nuovamente, quando una freccia dall'impennaggio bianco gli si conficcò in uno dei troppi occhi. Furente, il ragno emise un lamento acuto, indietreggiando e dimenandosi, perdendo sangue.

In suo aiuto spuntarono altri due ragni, leggermente più piccoli del precedente.

«Fenedhis lasa!» Grugnì, colpendo una delle creature e sbilanciandola. Quella cadde su un fianco, le zampe che si dimenavano freneticamente. «L'avevo detto che non era una buona idea!» Conficcò la lama nella testa della bestia, estraendola poi velocemente, stando attenta che il veleno schizzato dalla ferita non la colpisse. Si girò verso Tamlen, in tempo per vederlo finire l'altro ragno.
Insieme, fronteggiarono l'ultima creatura, che sibilava ferita, schioccando minacciosamente le chele, abbattendola.

«Meno male che c'eri anche tu, no?» Le sorrise sardonico lui, andando a recuperare le frecce.

«Ugh. Non dirmi che le riutilizzi dopo che sono finite in quella roba.» Commentò Aenor, indicando il veleno verdastro che colava da esse.

«Perché sprecarlo? Potrebbe far comodo.»

Lo guardò raccogliere le frecce una ad una, ispezionarle per vedere se erano ancora utilizzabili, e rimetterle nella faretra.

Si addentrarono ulteriormente tra le rovine, oltrepassando una vecchia porta di legno ormai marcito. Incontrarono ancora un paio di ragni, che non diedero troppi problemi.

Girando tra i corridoi, passarono accanto ad uno scheletro ricoperto di ragnatele, probabilmente di qualche sventurato avventuriero. Aveva ancora addosso parti dell'armatura, arrugginita e inutilizzabile, l'elsa spezzata di un pugnale in mano.

Svoltarono per un lungo corridoio, notando altri resti, impossibile dire se di elfi o umani.

Ad un certo punto, Tamlen accelerò il passo, fermandosi di fronte ad una statua, che ritraeva una figura snella, con una lancia in mano e un abito lungo.

«Non è possibile! Guarda, lo riconosci?» Esclamò lui, indicando la statua.

Aenor squadrò l'oggetto, indecisa. «Forse. Sembra familiare.»

«Quando ancora il nostro popolo viveva ad Alrathan, queste statue erano scolpite per onorare i Creatori. Dopo che gli shem ci resero schiavi, la maggior parte di esse andò perduta... Non capisco, tutta la struttura sembra opera umana, ma questa statua è sicuramente elfica. Possibile che questo posto risalga ai tempi di Arlathan?» Spiegò, l'eccitazione per la scoperta palpabile nella sua voce.

«Forse hai ragione, ma non c'è molto altro che ci possa aiutare, qua sotto.» Commentò lei laconica.

«Sì, hai ragione... In ogni caso, deve esserci ancora qualcosa di valore, qui!» L'elfo lanciò un'ultima occhiata alla statua, prima di incamminarsi a passi veloci lungo il corridoio, impaziente.

«Come sapevi della statua?» Gli chiese lei, rompendo il silenzio che la stava innervosendo.

«Era in uno di quei libri che la Guardiana non lascia toccare a nessuno. L'ha chiamato “l'amico dei morti”... Qualcuno che portava le anime dei defunti verso il loro ultimo riposo, o qualcosa del genere.»

«“Amico dei morti”?» Sbuffò Aenor. «Questo sì che porta fortuna...»

«Non era considerato un dio malvagio, non come Fen'Harel.» Ribattè Tamlen. «Che quella statua sia in un posto così sinistro...» Si strinse nelle spalle, lasciando la frase a metà.

Aenor si guardò attorno. Capiva benissimo, quel posto metteva i brividi. «Cosa pensi che fosse?»

Tamlen scosse la testa. «Non ne ho idea. Sembra umano, ma... forse alcuni dei nostri antenati vivevano sottoterra, come i nani.» Fece una smorfia. «Personalmente, sceglierei mille volte di stare là sopra, piuttosto che qua sotto.»

«Nessuno vivrebbe volontariamente in un luogo del genere...»

«Non lo so, Aenor, ho una strana sensazione. Come se avessimo... disturbato qualcosa, venendo qua sotto.» L'elfo si guardò intorno, scrutando accigliato la penombra che li circondava. Si riscosse subito dopo. «In ogni caso, ci vorrà bel altro per spaventare un cacciatore Dalish.»

«Te lo ricorderò, quando staremo a testa in giù in un bozzolo di tela di ragno, in attesa di essere mangiati vivi.» Commentò lei.

«Beh, se non volevi venire, potevi tornartene all'accampamento. A proposito,» Si girò a guardarla, nascondendo a malapena un sorrisetto divertito. «Non dovevi aiutare Mastro Ilen oggi?»

Lei si arricciò una ciocca di capelli corvini attorno al dito e guardandolo di sottecchi. «Forse... Ma non potevo certo lasciarti cacciare nei guai da solo, no?» Gli si avvicinò, sorridendo. «Non sia mai che mi perda il divertimento di essere mangiata viva da un aracnide sovrappeso.»

«Ah, quindi mi hai seguito per la fauna locale e il brivido dell'avventura...» La afferrò per i fianchi, tirandola a sé. Una mano salì a carezzarle la nuca, mentre i loro nasi si sfioravano.

«Mi conosci, mai una giornata tranquilla!» Ridacchiò Aenor, socchiudendo gli occhi e lasciando che il profumo di lui la inebriasse: sapeva di foglie secche in autunno e di resina di pino.

Quando le labbra di Tamlen si posarono su quelle morbide di lei, Aenor sembrò dimenticarsi del luogo in cui si trovavano, contavano solo i loro respiri, le mani di lui sulla sua schiena, la sua lingua che le carezzava la propria. Gli passò una mano tra i capelli biondi, scompigliandoli e traendolo maggiormente a sé.

Dopo qualche attimo, Tamlen si staccò da lei, un sorriso soddisfatto stampato in faccia. «Vedo che scendere qui è servito a qualcosa...»

«La prossima volta, possiamo semplicemente sgusciare dietro uno degli aravel, sai? Non è necessario rischiare la pelle.» Lo canzonò lei, sfiorandogli la guancia col dorso della mano.

«Hai fino a quest'inverno per ripensarci, ma vhenan.» Le prese delicatamente il mento, seguendo col pollice il percorso del Vallaslin, che scendeva lungo il collo.

«Non credere sia così semplice farmi desistere, Lethallin.» Gli prese il viso, guardandolo negli occhi. «Ci vuole ben altro per annullare questa unione.»

«Ma serannas, Aenor Mahariel.» Le diede un buffetto sulla fronte. «Ora vediamo cosa c'è in fondo a queste rovine e andiamo ad avvisare la Guardiana Marethari, prima di ritrovarci come quel tipo laggiù.» Indicò ciò che restava di uno scheletro, appoggiato tristemente ad una radice che sporgeva dal terreno. Si voltò, riprendendo l'arco in mano e proseguendo per il corridoio buio.

Aenor lo seguì dopo un attimo di esitazione. Per un momento, quel posto le era sembrato meno terribile, ma quel momento era ormai passato. Sfoderò nuovamente la spada, affrontando le tenebre.

Stavano procedendo spediti, quando un rumore metallico rimbombò per i corridoi di pietra. Si fermarono immediatamente, cercando di capire da dove provenisse. Sentirono un rumore di passi strascicati, seguito da un grido rauco e disumano, che fece loro gelare il sangue nelle vene.

«Fenedhis lasa!» Esclamò con orrore Tamlen, mentre uno scheletro avanzava verso di loro, le cavità dove dovevano esserci stati gli occhi ora delle braci ardenti, pezzi di armatura che pendevano dal corpo e spada a due mani alzata. Lo sgomento durò poco, incoccando dopo un attimo una freccia e mirando alla testa. Colpì sfortunatamente l'elmo, rimbalzando via.

«Tempo di tornare morto!» Urlò Aenor, ignorando il cuore che le batteva all'impazzata e menando un fendente al petto del cadavere. Quello parò con la sua spada, il metallo vecchio che risuonò sinistramente con l'impatto, le ossa che sferragliavano assorbendo il colpo.

Senza dargli il tempo di contrattaccare, Aenor gli sferrò un calcio sulle ossa del bacino, facendolo barcollare all'indietro. Afferrò saldamente la propria spada, mentre con tutta la forza che aveva in corpo staccò la testa alla creatura, che caracollò al suolo, le ossa che si sparpagliavano per il pavimento.

«Cos'era quella cosa?!» Esclamò Tamlen, sconvolto. «Ci deve essere della magia oscura, per far risvegliare i morti.»

«Beh, buona fortuna a questo qua, se vuole risvegliarsi di nuovo.» Ribattè lei, dando un calcio alla testa dello scheletro e mandandola a rotolare ancora più lontano. «Sempre meglio, direi.» Commentò sarcastica, avanzando lentamente verso una grande porta di legno sormontata da un arco in pietra, pronta ad attaccare qualsiasi cosa fosse saltata fuori dalle tenebre.

La porta era chiusa, ma riuscirono a sfondarla con una spinta ben assestata.

L'elfa entrò per prima, avanzando di qualche passo incerto verso il centro della sala. Qualcosa di grande e luccicante attirò la sua attenzione, ma prima che potesse capire cosa fosse, un ruggito aggressivo la colse di sorpresa.

Qualcosa di grosso e peloso le si abbattè contro, scaraventandola a terra. Sbattè la testa sulla pietra dura, la visione che le si oscurò per qualche secondo, cercando di liberarsi da quella che doveva essere una zampa, più grossa di lei, premuta contro il suo petto.

«Hei!» Sentì Talmen urlare, poi il peso su di lei sparì.

Cercando di riprendere fiato, barcollò per rimettersi in piedi. Un guaito segnalò che una delle frecce del compagno era andata a segno. Senza perdere tempo, recuperò la spada che era scivolata poco più in là e si lanciò all'attacco con un affondo, sorprendendola alle spalle e lasciando uno squarcio sul fianco della bestia. Quella emise un lamento acuto, per poi fronteggiarla di nuovo.

Si prese un attimo per capire cosa fosse: aveva la forma di un grosso orso, la pelliccia strappata e sanguinolenta che lasciava spazio a degli spuntoni ossei, e sotto di essi carne violacea, malata e nauseante. Emanava un puzzo di marcio e putrefazione.

Un'altra delle frecce di Tamlen si conficcò nella spalla della bestia, dandole l'opportunità di menare un altro fendente alla zampa posteriore. La creatura crollò a terra, cercando di rialzarsi spostando il peso sulle altre zampe. L'elfo la colpì prima sulla spalla, poi in un occhio, facendola ringhiare di dolore e dando spazio di manovra alla compagna, che raccolse tutte le energie in un ultimo fendente al fianco della bestia, conficcandole la spada tra le costole, spingendo con tutto il suo peso finché non fu dentro quasi fino all'elsa.

La creatura cadde su un fianco, sussultando in preda agli spasmi, per poi afflosciarsi sul pavimento, una chiazza di sangue nerastro che si allargava sotto di essa.

Aenor cadde a terra, esausta, le mani sulle ginocchia.

«Odio questo posto.» Esalò, chiudendo gli occhi e cercando di riprendere fiato.

«Ti ha ferita?» Le chiese Tamlen, preoccupato.

Lei scosse la testa. «Non credo...» Stese le gambe, che ancora le tremavano. «Per i Creatori, cos'era quella cosa?»

L'elfo si strinse nelle spalle. «Non lo so e non lo voglio sapere. Spero solo non ce ne siano altre.» Lo sguardo gli si posò al centro della stanza. Rimase incantato.

Aenor si voltò nella stessa direzione, notando che quella struttura luccicante che aveva visto entrando era in realtà composta da una lastra riflettente, adornata da due grandi statue in pietra che sembravano sorvegliarla.

«Meraviglioso, non è vero?» Esclamò Tamlen, avvicinandosi ad essa.

L'elfa si rialzò faticosamente in piedi, una brutta sensazione ad attanagliarle lo stomaco.

«Mi chiedo cosa significhino le incisioni...»

Vide Tamlen salire i tre gradini che portavano allo specchio, rapito da esso.

«Probabilmente, “non toccare”.» Lo avvertì lei, affrettandosi a raggiungerlo e prendendogli la mano prima che potesse toccare qualcosa.

«Tranquilla, non riusciremmo a romperlo nemmeno provandoci, credo. Vedi quanto è pulita la superficie? Nemmeno una crepa, o un granello di polvere, è fantastico! Vorrei proprio sapere che cosa dicono le scritt- Hei!» Sobbalzò, liberando la mano da quelle di Aenor con uno strattone. «Hai visto? Si è mosso qualcosa!» Scrutò il vetro con sguardo febbrile.

«Tamlen, per favore, allontanati. Potrebbe essere pericoloso.» Lo pregò lei. Quello specchio aveva qualcosa di sinistro.

«Non preoccuparti, voglio solo... Ecco! L'ho visto di nuovo! L'hai visto?!» Sobbalzò eccitato, avvicinandosi ancora di più al vetro, fin quasi a toccarlo.

Ad Aenor sembrava di aver visto qualcosa, come un riverbero, nella superficie dello specchio. Fece un passo indietro, spaventata. «Tamlen, andiamo via.»

«Lo senti? Credo sappia che siamo qui.» La ignorò lui, concentrato solo sul vetro. «Vedo qualcosa... sembra una città, come... sotterranea?» Sfiorò lo specchio, che reagì al suo tocco con una serie di increspature concentriche, come se avesse buttato un sasso dentro una pozza dall'acqua cristallina in una giornata senza vento. «E una grande oscurità... » Sobbalzò, sgranando gli occhi in un espressione di terrore. «Mi ha visto! Mi ha visto! Non- non riesco a distogliere lo sguardo...»
Tamlen emise un guaito d'orrore. «Aiuto!» Urlò, mentre sulla superficie dello specchio si creavano molteplici increspature.

«Tamlen!» Aenor schizzò in avanti per afferrarlo, ma prima che potesse raggiungerlo venne scaraventata indietro, una luce bianca accecante che sembrava spaccarle la testa.



 

Aprì gli occhi a fatica, guardandosi attorno. Era sdraiata su un pagliericcio, accanto ad uno degli aravel del suo clan. Si mise a sedere, la testa che le girava, le budella che sembravano essere in fiamme. “Tamlen.” Un ronzio insistente alle orecchie le impediva di pensare lucidamente, ma trovare Tamlen era importante.

Si mise in piedi barcollando e a passi incerti raggiunse Fenarel, che sedeva sotto un albero poco lontano da lei.

«Sei sveglia, devi avere gli Dei dalla tua parte, Lethallan!» La salutò calorosamente. «Eravamo tutti preoccupati per te, come ti senti?»

«Tamlen. Dov'è?» Lo interruppe lei. Qualcosa non andava. Come era tornata all'accampamento?

L'altro esibì un'espressione preoccupata. «Non lo sappiamo. Lo shem che ti ha portata qui ha detto di non averlo visto da nessuna parte.»

«Lo shem?» Chiese lei. «C'erano degli umani, ma ce ne siamo sbarazzati...» Questo se lo ricordava.

«Lo shem che ti ha riportata qui due giorni fa... Davvero non ricordi?»

«Due giorni?!» Esalò Aenor, sconvolta. «Due giorni che non sapete dov'è Talmen, e nessuno è ancora andato a cercarlo?!» Un giramento di testa la prese alla sprovvista, facendola barcollare.

Fenarel fece per afferrarla, ma lei si scostò in malo modo. «La maggior parte dei nostri cacciatori sono fuori a cercarlo, ma quello shem non ci ha detto dov'è la caverna dove ti ha trovata... Dice di essere un Custode Grigio, quello.»

Aenor lo ignorò, non le interessava sapere altro sullo shem, voleva solo accertarsi che Tamlen fosse vivo.

«In ogni caso, la Guardiana ha detto che voleva parlarti, appena ti fossi svegliata, vado a chiamarla. Siediti.» Continuò Fenarel, allontanandosi poi in tutta fretta e tornando con Marethari.

Aenor aveva camminato avanti e indietro per tutto il tempo, incapace di sedersi e in preda all'ansia.

«Vedo che stai meglio, Da'len. Siamo stati fortunati che Duncan ti abbia trovato. È stato difficile persino per la mia magia liberarti da qualsiasi cosa fosse quell'oscurità, sembrava succhiarti via la vita.» La salutò Marethari, la preoccupazione che trapelava dal suo volto corrucciato.

«Quindi, qualunque cosa sia, potrebbe aver preso anche Tamlen?» Chiese Aenor, un nodo alla gola.

«Se ha incontrato la stessa entità, sì. Il Custode Grigio dice di averti trovata all'esterno di una caverna, già colpita dal male. Duncan pensa che ci potrebbero essere stati dei Prole Oscura, in quelle caverne... è vero?» Le chiese la donna.

Aenor scosse la testa. «Ricordo solo lo specchio.» Rispose.

«Uno specchio? Uno specchio ha fatto tutto ciò? Non ne ho mai sentito parlare, in tutte le mie ricerche.» Sospirò. «Speravo di ottenere delle risposte, ma a quanto pare le domande aumentano. E Tamlen è ancora scomparso, e la sua vita è più importante di qualsiasi artefatto. Se è stato infettato nello stesso modo in cui sei stata colpita tu, è in gravi condizioni. Duncan è tornato alla caverna per cercare i Prole Oscura, ma non possiamo contare solo su di lui per ritrovare uno dei nostri.»

«Andrò io. So dov'è, e Tamlen...» La interruppe Aenor, bloccandosi subito. Anche solo pensare che gli fosse capitato qualcosa era doloroso.

«Ti sei ripresa abbastanza, Da'len?» Le chiese Marethari.

La ragazza cercò di apparire più risoluta possibile. «Sto bene. E sono l'unica qui a sapere dov'è la caverna. E se fosse successo qualcosa a Tamlen...» Inspirò profondamente, ricacciando indietro le lacrime. «Devo trovarlo, Guardiana.»

Marethari accennò un sorriso stanco. Dopotutto, anche se non avevano ancora partecipato al rituale dell'Unione, l'affetto che legava Aenor e Tamlen non era un segreto per nessuno nel clan. «Molto bene. Ho dato ordine al clan di preparare i bagagli, partiremo verso Nord, è tempo di spostarci. Porta Merril con te, andate in queste rovine e trovate Tamlen, se potete.»

Aenor annuì, per poi allontanarsi senza aggiungere altro alla ricerca di Merril, la Prima della Guardiana.
Fenarel la rincorse. «Aenor!»

Lei non si fermò neanche. «Sì?»

«Stai andando a cercare Tamlen? Vengo con te.» Annunciò il ragazzo. Era un cacciatore, e avere un altra spada su cui contare le faceva sicuramente comodo. Aenor lo ringraziò, mentre andavano a recuperare Merril.

Sulla strada, incontrarono Junar, un altro dei cacciatori, e un elfo che Aenor non aveva mai visto prima. Aveva il viso pulito, non portava alcun Vallaslin, tuttavia sembrava avere più o meno la stessa età della ragazza.

«Sono contento che ti sia ripresa!» La salutò Junar. «Non eri qua quando Pol è arrivato, vero?» Indicò il ragazzo di fianco, che arrossì leggermente, salutandola a sua volta. «Pol è un Orecchie Piatte, è arrivato qualche giorno fa da una delle città degli umani...»

«Scusate, ma ora proprio non mi interessa.» Lo interruppe sgarbatamente Aenor, proseguendo per la sua strada. Che qualche Orecchie Piatte si fosse rifugiato dal Clan non era una novità, ma la maggior parte di essi tendevano a non durare a lungo. Non erano cacciatori, addestrati da una vita e cresciuti nella foresta. Non come lei, o Tamlen. Tamlen era forte, e scaltro, se la sarebbe cavata.

Raggiunsero Merrill, che li aspettava già pronta al limitare dell'accampamento.

«Come apprendista della Guardiana, potrei scovare qualcosa che vi è sfuggito. In ogni caso, l'obbiettivo primario è trovare Tamlen.» Li rassicurò la maga, mentre si dirigevano verso le rovine.

La foresta sembrava più cupa e ostile del solito, mentre i tre la attraversavano.

Improvvisamente, Aenor si accorse di qualcosa tra la boscaglia. Tese le orecchie, facendo segno agli altri di stare in allerta e preparare le armi. Merrill sfoderò il suo bastone magico, mentre Fenarel estrasse la spada, impugnandola con la sinistra mentre con la destra teneva un piccolo scudo di legno.

Aenor si avvicinò furtivamente alla creatura: più bassa e tozza di lei, aveva però forma umana. Senza chiedersi cosa fosse, partì alla carica, cogliendola di sorpresa e disarmandola con un fendente preciso. Fenarel sopraggiunse poco dopo, colpendo la creatura alle spalle e uccidendola.

Si fermarono ad esaminarla: di familiare, a parte avere due braccia, due gambe e una testa, non aveva altro. La testa era deforme, con denti appuntiti che uscivano dalla bocca e la faccia contorta in un ghigno malevolo, la pelle che sembrava essere stata fusa con dei pezzi di metallo inchiodati al cranio. Un'accozzaglia di pezzi di materiale e foggia diversi componevano l'armatura leggera, ricoperta da spuntoni di metallo aguzzo. L'arma, una spada dall'aria sinistra, era stata chiaramente assemblata rozzamente, e sembrava più un coltellaccio da macello che una spada vera e propria.

«Cos'è questa cosa? Prole Oscura?» Chiese Merrill, chiaramente turbata.

«Non ne ho idea. In ogni caso, se ce ne sono altri, dobbiamo muoverci. Tamlen potrebbe essere in pericolo.» Rispose bruscamente Aenor, rimettendosi in cammino e affrettando il passo. I ragni giganti erano una cosa, ma Prole Oscura? Non erano addestrati a combattere quella roba. Dovevano trovare Tamlen e andarsene da lì il prima possibile.

Prima di raggiungere la rovina, incontrarono altre due di quelle creature, che eliminarono velocemente, seppur con qualche difficoltà. Aenor si rese conto che, nonostante fingesse di essersi ripresa, sentiva le gambe molli e le mani che reggevano la spada le tremavano leggermente.

Entrarono nella caverna, Merrill che si guardava intorno stranita. «Interessante.»

Aenor decise di ignorarla, mentre quella continuava ad analizzare le rovine.

«Dobbiamo trovare Tamlen. O quel che resta di lui, dubito che sia ancora vivo, con quei mostri in giro...» Sentì dire alla Prima.

Aenor si girò di scatto, fronteggiandola, furente. La superava di mezza testa. «Stai zitta. Non puoi saperlo.» Ringhiò, guardandola dritta negli occhi.

L'altra sembrò rendersi conto delle sue parole, perché chinò la testa in segno di scuse. «Mi dispiace, hai ragione. Scusa.»

«Non perdiamo altro tempo.» Dichiarò l'altra, voltandosi e ricominciando a camminare, la spada tenuta davanti a sé. Avrebbe ritrovato Tamlen, non importava se avesse dovuto affrontare un drago per farlo.

Si inoltrarono tra i corridoi, ripercorrendo la strada che Aenor e Tamlen avevano fatto due giorni prima. Incontrarono piccoli gruppi di quei mostri, ma riuscirono in qualche modo a cavarsela, anche e soprattutto grazie agli incantesimi di Merrill. Finalmente, raggiunsero la stanza che conteneva lo specchio. Entrarono, sorpresi di trovarci già qualcuno.

Aenor provò una stretta al cuore, realizzando che la figura non era Tamlen, bensì un umano.

«Ah, sentivo qualcuno combattere contro i Prole Oscura. Tu sei l'elfa che ho trovato nella foresta, vero? Sono sorpreso di trovarti già guarita.» La salutò quello.

«Non ho idea di chi tu sia, shem.» Lo squadrò guardinga.

«Anche se non ti avesse salvato la vita, un Custode Grigio merita rispetto.» La redarguì Merrill.
Aenor provò un moto di stizza nei confronti della compagna. Poteva anche essere il re degli Shem in persona, non le importava un bel nulla.

Prima che potesse ribattere, l'umano la interruppe, alzando una mano. «Non mi devi niente. Era mio dovere riportare al clan uno dei suoi cacciatori ferito, i Custodi Grigi e i Dalish sono alleati da lungo tempo.»

«Stiamo cercando Tamlen, il nostro compagno.» Tagliò corto Aenor, che non aveva alcuna intenzione di perdere tempo a parlare con uno shem, Custode Grigio o meno. «Ero qui con lui, ha toccato lo specchio e poi...» Restò in silenzio, incerta su cosa fosse realmente accaduto.

«Lo specchio attira i Prole Oscura. I Custodi Grigi hanno trovato altri specchi prima d'ora, si crede che fossero usati nel Tevinter per comunicare. Col passare del tempo, alcuni si ruppero, restando contaminati dalla stessa corruzione dei Prole Oscura... Se Tamlen ha toccato lo specchio, deve averla fatta uscire. È questo che ti ha infettato, e sicuramente ha infettato anche lui.» Spiegò l'uomo.

Aenor ascoltò attentamente. Qualcosa non le tornava, ma questa “corruzione” avrebbe spiegato il perchè si sentisse così debole, nonostante le cure della Guardiana. «Quindi, ho contratto l'infezione dei Prole Oscura.»

Duncan annuì gravemente. «So che puoi sentirla dentro di te. Le cure sono solo temporanee, posso sentire come si stia diffondendo. E fintantoché questo specchio esiste, potrà infettare altri.»

La ragazza rimase in silenzio. Probabilmente, quello che l'uomo stava dicendo era la verità.

«Per ora, dobbiamo occuparci dello specchio.» Sentenziò Duncan, estraendo uno dei due pugnali che portava sulle spalle e voltandosi verso l'artefatto. Sferrò con forza un colpo, mandando il vetro in frantumi, sprigionando un'energia che Aenor non seppe identificare. «Andiamocene, devo parlare con la Guardiana riguardo ad una cura per te...» Disse l'uomo.

«E Tamlen?!» Sbottò lei, furente.

«Non c'è nulla che possiamo fare per lui.» Rispose stoico l'altro.

«Non vado da nessuna parte senza di lui!» Urlò Aenor, furiosa. Che lo shem se ne andasse, non aveva bisogno né di lui né della sua cura. «Fen'Harel ma halam, shemlen, sei libero di andartene!» Si spostò di lato, per permettergli di levarsi di torno.

Lui restò impassibile di fronte al suo scoppio di collera. «Sarò chiaro: non c'è nulla che puoi fare per lui. Sono passati tre giorni da quando è stato infettato, senza che fosse curato. Tu sei sopravvissuta grazie alle cure della vostra Guardiana, e alla tua volontà. Ma Tamlen, non ha speranza. Devi fidarti di me.»

Aenor perse definitivamente le staffe. «Fidarmi?! Di uno shemlen?! Non ho alcuna intenzione di abbandonarlo, dovessi affrontare un centinaio di quei Prole Oscura!» Fece due passi verso l'uomo, incurante del fatto che fosse molto più in alto di lei, più grosso e sicuramente più avvezzo al combattimento. «Non me ne frega nulla se morirò entro qualche giorno, non abbandonerò Tamlen. E la tua fiducia te la puoi anche ficcare nel-»

«Aenor!» La interruppe Merrill.

«Non intrometterti!» Le urlò lei, girandosi di scatto a fronteggiarla.

La guardavano come se fosse impazzita. Da Merrill se lo aspettava e degli shem non c'era da fidarsi... ma Fenarel?! Guardò negli occhi quest'ultimo, quasi implorandolo. «Non puoi pensarla come loro. Non puoi abbandonare il tuo migliore amico.»

Fenarel sfuggi al contatto visivo, abbassando lo sguardo. «Lethallan... se è davvero la corruzione dei Prole Oscura, credo che il Custode Grigio abbia ragione. Non c'è niente da fare per lui.»

La ragazza dovette trattenere le lacrime che le pungevano gli occhi. Come potevano tradirla in questo modo? Come potevano abbandonare Tamlen ad un destino così orrendo? Scosse la testa. «Avremmo almeno dovuto trovare il corpo.»

«I Prole Oscura l'avranno portato via.» Disse Duncan. Il suo tono era quasi dolce, come se stesse assecondando i capricci di un bambino. Aenor sentiva montare ancora di più la rabbia, verso lo shem, verso i suoi cosiddetti amici, soprattutto verso sé stessa. Era tutta colpa sua.

La verità la colpì come un macigno: era colpa sua. Avrebbe potuto fermare Tamlen, dirgli di tornare indietro, supplicarlo, convincerlo in qualche modo. E invece aveva creduto di poter affrontare qualsiasi cosa si nascondesse in quelle rovine. Si era lasciata convincere dal compagno, e ora era lui ad averne pagato le conseguenze , e lei ad essere rimasta sola.

Strinse i pugni, lasciandosi sfuggire un singhiozzo, le braccia rigide lungo il corpo. Abbassò lo sguardo, in segno di resa.

«D'accordo.» Acconsentì, guardando in basso verso il pavimento, i pezzi di vetro dello specchio sparsi per la stanza, ora innocui. Gli altri la precedettero verso l'uscita. Fenarel fece per avvicinarsi a lei ad un certo punto, ma qualcosa lo fece desistere.

Raggiunsero l'accampamento degli elfi senza problemi, anche se Aenor si rifiutò di estrarre la spada per combattere contro i Prole Oscura che incontrarono lungo la strada.

«Siete tornati, è un sollievo.» Li accolse Marethari. «Duncan, non mi aspettavo di rivederti così presto.» La donna li scrutò, un'espressione affranta in volto.

«Non mi aspettavo nemmeno io di essere di ritorno a breve, Guardiana.» La saluto Duncan.

«Avete notizie di Tamlen?» Chiese Marethari.

Aenor non rispose, restando in silenzio a fissare l'erba. Se si fossero messi subito alla sua ricerca, se quello shem non avesse tenuto nascosto il luogo dove si trovavano le rovine, forse qualcuno dei cacciatori avrebbe trovato Tamlen prima dei Prole Oscura.

«È ormai troppo tardi per lui, non abbiamo trovato nulla.» Rispose l'umano.

Marethari sospirò, affranta. «Ciò che temevo. Duncan, ho bisogno di parlarti un momento. Da'len, parleremo in seguito della tua cura. E riferisci ad Hahren Paivel l'accaduto, dovrà preparare una funzione per il morto.»

“Morto”.

La parola continuò a rimbombare nelle orecchie di Aenor ore dopo che la Guardiana l'aveva proferita. A parlare con l'Hahren c'era andato Fenarel, vedendo come era ridotta l'amica. Aveva poi tentato di confortarla, ma non c'era niente che potesse fare.

Mentre l'intero clan si stringeva attorno al falò per commemorare uno dei loro cacciatori, Aenor li osservava da lontano. I Dalish non piangevano la morte, ma la accettavano come un evento naturale della vita.

Stronzate. Tutte stronzate.

Non poteva essere naturale, come le era stato strappato via l'ultimo delle persone a lei care. Prima i suoi genitori, ora Tamlen. Sparito nel nulla a causa di una malattia magica portata da uno specchio maledetto. Dov'era la normalità in tutto questo?!

Sopraggiunse la notte, e mentre venivano accesi fuochi per tutto l'accampamento, gli elfi si riunivano per dare un ultimo saluto ad uno di loro.

«Lethallan, è il momento...»

Aenor alzò lo sguardo, riconoscendo Fenarel. Prese la mano che lui le offriva per alzarsi, per poi avvicinarsi agli altri. Erano tutti raccolti in cerchio, intorno a dove sarebbe dovuto esserci il corpo. Aenor avanzò verso il centro. La Guardiana le porse un oggetto, piccolo, di forma ovale. Un seme di qualche albero, che la ragazza non riconobbe. Non le importava neanche. Non ci sarebbe stato nessuno sotto le radici di quell'albero, non aveva senso. Si inginocchiò, appoggiando le mani sulla terra umida e appena smossa, inspirandone l'odore.

«Ir abelas, ma vhenan. Falon’Din enasal enaste.» “Piango la tua perdita, mio cuore. Che Falon'Din ti guidi”. Sentiva le lacrime scorrerle giù dalle guance, ma non fece nulla per fermarle. «Che ti possa ritrovare presto, emma sa'lath.» “Mio unico amore, ci rincontreremo presto.” L'unica consolazione di quella corruzione, era che non avrebbe dovuto attendere a lungo.

«Falon'Din enasal enaste.» Recitarono in coro tutti gli altri.

Uno ad uno, piano piano ognuno se ne andò, finché rimase da sola, accovacciata sulla terra umida. Non seppe per quanto a lungo rimase lì, ad aspettare che la Corruzione prendesse anche lei, ma quando la Guardiana le appoggiò una mano sulla spalla, il cielo era ormai illuminato dalle prime luci dell'alba.

«Ti devo parlare, Da'len.»

La seguì obbediente, senza più forze. Marethari la condusse da Duncan, che era rimasto in disparte, rispettoso del dolore del clan.

«Io e la vostra Guardiana abbiamo parlano, e siamo giunti ad un accordo che ti riguarda. Il mio ordine ha bisogno di aiuto, e tu hai bisogno di una cura. Me ne andrò tra poche ore, e spero che tu scelga di venire con me. Saresti un eccellente Custode Grigio.» L'uomo sembrava sincero. Ad Aenor non interessava.

«Grazie, ma non è necessario.» Rifiutò in tono piatto.

«Forse non hai capito la tua condizione. La Corruzione non può essere curata, alla fine ti ucciderà lo stesso. Le cure che hai ricevuto hanno rallentato la diffusione, ma nel giro di qualche tempo sarei morta, o peggio. Unirti ai Custodi Grigi può impedirlo.»

«Non mi interessa.» Scosse la testa. Non capivano, come avrebbero potuto?

«Sta arrivando un Flagello, e ci servono Custodi capaci come te. Il nostro ordine è l'unica cosa che può contrastare i Prole Oscura, non capisci?» Le chiese Duncan. Dal tono, cominciava a spazientirsi. «Non lo faccio per pietà, ma perché credo tu abbia del potenziale.»

«Oh, non ne dubito, shemlen.» Lo interruppe Aenor. «Ma ho il diritto di rifiutare. Se devo morire, morirò nel modo che preferisco. E sarò grata quando arriverà il momento.»

«Da'len! Non è da te piangerti addosso in questo modo!» Esclamò sorpresa Marethari. «Capisco che la morte di Tamlen sia stata un duro colpo per te, so che eravate legati, ma non avrebbe voluto vederti gettare via la tua vita! Non quando puoi dedicarla a qualcosa di più grande di tutti noi.»

«Non sapremo mai cosa avrebbe voluto Tamlen. È morto no?» Ribatté irata la ragazza. «Mentre io sono ancora qua. No, Duncan dei Custodi Grigi, non andrò da nessuna parte.»

L'uomo perse la pazienza. «Allora non mi lasci altra scelta.» Si schiarì la voce. «Invoco il Diritto di Coscrizione su questa ragazza, Aenor Mahariel.» Annunciò.

«E io lo riconosco, Duncan dei Custodi Grigi.» Rispose la Guardiana.

«Mi dispiace che non sia stata una tua decisione, ma la minaccia dei Prole Oscura è troppo grande per essere ignorata.» Concluse l'uomo.

Aenor sgranò gli occhi. «Non può farlo!» Rantolò verso Marethari. Aveva preso la sua decisione, era pronta a morire, perché lasciava che questo shemlen la portasse via contro la sua volontà?!

«Da'len, lo faccio per il tuo bene. Non lasciarti morire, ma combatti per tutti noi.» Rispose semplicemente Marethari, guardandola con occhi pieni di compassione.

La rabbia si impossessò nuovamente della ragazza, che si scagliò contro Duncan in un attacco di furia cieca. Non avesse avuto altro che il piccolo pugnale che portava alla cintura, sarebbe anche stata una possibile minaccia per l'uomo, ma così ridotta, stanca, debilitata e quasi disarmata, fu facile per lui stordirla con un colpo alla testa. 












Note dell'Autrice: 

Salve a tutti! Questa è la prima long che scrivo e pubblico, ho già la trama ben delineata e sono fiduciosa di portarla a termine. In linea generale, l'idea è postare un capitolo alla settimana. Sono abbastanza lunghi, il dono della sintesi non mi appartiene, ma spero siano scorrevoli. I primi capitoli tratteranno delle singole Origini dei sei protagonisti, per poi seguire il viaggio della Custode e dei suoi compagni, man mano che si aggiungono al gruppo, dal punto di vista dei vari personaggi. 
Grazie per aver letto, ogni commento, critica o suggerimento è ben accetto! :D 

Per chi volesse dare un'occhiata, sto disegnando i vari protagonisti. QUI c'è Aenor.

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Capitolo 2
*** Torre del Circolo dei Maghi ***


CAPITOLO DUE: TORRE DEL CIRCOLO DEI MAGHI

 





Geralt sbuffò, incenerendo l'ultimo ragno gigante in quel dannatissimo magazzino. Si grattò la barba rossiccia, irritato. Non solo quella sciacquetta dell'iniziata aveva trascinato Jowan in quel piano ridicolo, ma si era fatto coinvolgere pure lui stesso. “Che idiota!” Pensò l'uomo, agitando una mano e rovesciando con un incantesimo uno degli scaffali appoggiati al muro, solo per il gusto di farlo. “Lo sta usando solo per riuscire a scappare dalla patetica vita nella Chiesa.”

Ignorò la fitta di gelosia, dirigendosi a passo sicuro verso l'uscita del magazzino.

«Oh, già di ritorno?» Gli chiese l'Incantratrice Anziana Leorah.

«Ovviamente.» Ribatté Geralt, tendendole il modulo di richiesta per la verga di fuoco. «Ora, se potesse firmarmi questo...»

«Certamente, certamente.» Borbottò l'Incantatrice, scarabocchiando la sua firma sul foglio. «Se avessi bisogno in seguito, un giovane così promettente...» Gli riconsegnò il foglio.

«Non esiti a chiamarmi.» Rispose prontamente lui, afferrandolo e chinando leggermente la testa prima di allontanarsi. “Razza di indolente.” Pensò schifato. L'Incantatrice non aveva nemmeno provato a disfarsi di un paio di ragni nel magazzino della Torre, come pretendevano potesse insegnare qualcosa agli Apprendisti, o persino ai Maghi che avevano già superato il Tormento?!

Sulla strada verso il magazzino di Owain, si imbatté in uno dei Templari che avevano assistito al suo Tormento, un giovane alto dai capelli ricci e biondi e gli occhi chiari.

«Amell. Sono contento tu abbia superato il Tormento.» Gli disse quello, salutandolo con la mano.

Geralt non aveva tempo da perdere, soprattutto con un uomo che il giorno prima non avrebbe esitato un attimo ad ucciderlo in nome di un qualche Creatore.

«Sì, immagino che la perdita di un promettente prigioniero sarebbe stata devastante per l'Ordine.» Lo sbeffeggiò. Quello sembrò risentirsi, perchè aggrottò le sopracciglia e cercò di ribattere.

«Non tutti i Templari amano uccidere i maghi. E voi siete nella Torre anche e soprattutto per essere protetti.»

Geralt non sapeva se l'idiota era effettivamente convinto di quello che stava dicendo oppure era addestrato a ripetere la stessa frase a comando ogni volta che se ne presentava l'occasione. Se davvero i maghi fossero stati liberi, non avrebbero avuto bisogno di alcuna protezione dal mondo esterno, anzi, sarebbe stato l'esatto contrario. Se soltanto la Chiesa non avesse addestrato così meticolosamente i suoi soldatini a dare la caccia a qualsiasi mago libero al di fuori dei Circoli...

«Servo il Creatore, e finché sono guidato da Lui, non posso fallire.» Recitò il templare.

«Mi sento davvero rassicurato, grazie mille...» Ribattè beffardo il mago, cercando di ricordarsi il nome dell'uomo di fronte a lui.

«Cullen.» Disse il templare. «Onestamente, non ho mai visto un Abominio... Nè ne ho mai ucciso uno.» Ammise.

«Ma non mi dire.» Commentò Geralt.

Cullen tornò sulla difensiva, incrociando le braccia davanti al petto. «Gregoir mi avrebbe aiutato. E qualcosa deve pur succedere.» Esitò un attimo. «Anche se... Nel caso non succedesse nulla, potremmo non accorgercene? Magari in questo momento degli Abomini-»

«Sapevo che i Templari fossero paranoici, ma non fino a questo punto.» Lo interruppe Geralt. «Se davvero la Torre fosse infestata da Abomini, voi sareste già tutti morti, o peggio, e noi maghi saremmo fuori da qui a goderci questa bella giornata di sole sull'altra sponda del lago, sorseggiando calici di sangue per i nostri orrendi sacrifici umani.»

Il templare sgranò gli occhi, per un attimo spaventato. Si riprese in fretta, però, e gli lanciò un'occhiataccia. «Non è divertente. Potresti essere preso sul serio.»

Geralt sollevò un sopracciglio, guardandolo di traverso. «L'unico qui che rischia di essere preso sul serio, per un codardo, sei tu. Buona giornata, ser. E attento agli Abomini, hanno una preferenza per i giovani biondi, ho sentito dire.»

Girò sui tacchi e si allontanò in fretta, lasciando il templare alle sue preoccupazioni. Aveva altro a cui pensare. Ripercorse velocemente la strada fino al magazzino di Owain, recuperando senza problemi la verga di fuoco.

L'Adepto della Calma lo faceva rabbrividire. Pensare che potesse succedere a chiunque di loro, appena avessero sgarrato dal codice che i Templari e la Chiesa imponevano ai maghi della Torre, era terrificante. Essere privato dei propri poteri magici come di qualunque emozione... Se Jowan correva davvero un rischio simile, Geralt avrebbe fatto qualsiasi cosa, qualsiasi, pur di non lasciare che gli accadesse nulla. Persino lasciarlo fuggire con quella stupida iniziata.

Si affrettò verso la cappella, dove l'amico e la ragazza lo stavano aspettando.

«Hai fatto in fretta!» Commentò Jowan, entusiasta.

«Sì, beh, già che devo fare tutto io, almeno non mi perdo in chiacchiere.» Rispose acido Geralt.

«Ah-ah, spiritoso.» Disse l'altro con una smorfia.

«Al deposito, allora! La libertà ci aspetta.» Disse l'iniziata.

Geralt dovette trattenersi dal lanciarle uno sguardo di fuoco, letteralmente. Quella sua voce petulante lo innervosiva come poche cose.

«Jowan, posso parlarti un attimo?» Chiese all'amico, ma quello scosse la testa, afferrandolo per un braccio e trascinandolo fuori dalla cappella.

«Ne possiamo parlare quando saremo nel deposito.» Lo ignorò.

Geralt notò con fastidio che l'altro sembrava non avere occhi che per la ragazza, che camminava a passo spedito davanti a loro. Sbuffò di nuovo, arrendendosi.

Scesero le scale verso il primo piano, dov'era l'accesso ai sotterranei. L'ingresso al deposito era bloccato da una grande porta in pietra, ricoperta da rune e intagli.

«La Chiesa chiama questo ingresso la “Porta della Vittima”. È formata da duecentosettantasette tavole, una per ognuno dei primi templari. È un promemoria dei pericoli rappresentati da chi è maledetto dalla magia.» Spiegò l'Iniziata con fare saccente.

«Non mi pare di aver chiesto una lezione sugli insegnamenti bigotti della Chiesa.» Tagliò corto Geralt. «Vediamo se questa verga di fuoco funziona, piuttosto.» Estrasse l'artefatto, soppesandolo.

«Prima, la parola d'accesso.» Lo fermò nuovamente la ragazza. «L'ho ottenuta da un templare che ha recentemente accompagnato un mago nella cassaforte...»

«E non ha sospettato nulla?» Chiese Geralt, scettico.

«Abbiamo chiacchierato in diverse occasioni. Credo si fidi di me.» Rispose l'altra.

Il mago le lanciò uno sguardo acido. «Sì, immagino come tu possa aver convinto uno di quegli idioti.»

«Geralt!» Si intromise Jowan. «Piantala, sei qui per aiutarci, te lo ricordi? Smettila.» Lo sgridò.

Le sue parole lo colpirono come un incantesimo di ghiaccio. Abbassò lo sguardo.

«Hai ragione, Jowan.» Disse, ingoiando l'orgoglio. Guardò l'iniziata, pregando che nessuno dei due riuscisse a capire cosa gli stava ronzando in testa in quel momento. «Le mie scuse, Lily.» Sperò bastasse. Solo pronunciare il nome di lei gli dava il voltastomaco.

La ragazza scosse la testa. «Non preoccuparti. Hai appena superato il tuo Tormento, e noi ti abbiamo coinvolto in questa cosa... è normale che tu sia nervoso. Grazie per aver accettato di aiutarci.» Gli sorrise, rassicurante.

“Non l'ho certo fatto per te”, pensò Geralt, ma si morse la lingua per evitare di risponderle e fare infuriare nuovamente Jowan. Tutto questo serviva a farlo uscire da lì e sopportarsi quell'idiota era un prezzo esiguo da pagare, pur di aiutare l'amico.

«Spada del Creatore, Lacrime dell'Oblio.» Pronunciò l'iniziata avvicinandosi alla porta. Qualcosa scattò, segno che la parola d'accesso aveva funzionato. «Ora, deve ricevere il tocco del mana. Andrà bene qualsiasi incantesimo, ma sbrigatevi.»

I due maghi si scambiarono uno sguardo d'intesa, per poi lanciare i propri incantesimi sulla porta.

La porta si aprì di scatto, lasciandoli passare.

Con la seconda serratura, non ebbero altrettanta fortuna.

«Non funziona!» Si lamentò Jowan, dopo che la verga di fuoco si rivelò inutile.

Geralt la impugnò saldamente, riprovandoci. Il raggio di fuoco colpì la serratura e svanì nel nulla.

«Sembra che dovremo trovare un altro modo per raggiungere i filatteri...» Commentò pensoso.

«Hei.» Lo chiamò Jowan. «Qualcosa non va. Non è possibile lanciare incantesimi qui, hai notato?» Gli chiese, preoccupato, mostrando il palmo della mano come per provare quanto appena detto.

L'altro provò a sua volta a lanciare una sfera di fuoco, ma non riusciva a trasformare l'energia che sentiva scorrere dentro di sé in qualcosa di concreto. «Hai ragione.»

Si avvicinò alla porta, esaminando le rune incise nella pietra. Non le riconobbe con precisione, ma era facile capirne la provenienza. «Questi sigilli, sono sicuramente opera dei templari. Annullano ogni tipo di magia lanciata all'interno della loro area di influenza.»

«Ecco perché Irving e Gregoir usano delle semplici chiavi! Quelle magiche non funzionano!» Commentò la ragazza. Geralt poteva avvertire una nota di panico nella sua voce petulante.

«Manteniamo la calma. C'è un'altra porta, là in fondo. Vediamo dove conduce.» Indicò il corridoio alla loro destra.

«Probabilmente porta ad un'altra parte del deposito... Che probabilità ci sono che esista un altro ingresso?» Si lamentò Jowan, visibilmente preoccupato.

Geralt si strinse nelle spalle. «Siamo arrivati fin qui, no? Tanto vale provare.» Li precedette verso l'altra porta. Era anch'essa chiusa, tuttavia era in legno, e non vi erano rune o sigilli visibili. Fece un nuovo tentativo con la verga di fuoco, che finalmente si rivelò utile, fondendo la serratura. Aprì la porta con un calcio.

Uno sferragliare di metallo lo fece sobbalzare, girandosi di scatto.

Una delle armature a guardia del corridoio, spadone e scudo pronti a colpirli, stava avanzando minacciosamente verso di loro.

«Oh, allora non sono così scemi come pensavo.» Sogghignò Geralt, preparando una palla di fuoco nella mano destra e prendendo la mira. Aspettò che Jowan sferrasse uno dei suoi incantesimi di ghiaccio, congelando le giunture della sentinella, prima di farla esplodere in un vortice di fiamme e ferro fuso. L'iniziata, che si era nascosta dietro Jowan con un grido di paura, riemerse da dietro la schiena di lui.

«Ce ne saranno altri?» Chiese, la voce incrinata.

«Probabile.» Rispose Geralt, trattenendo a stendo una risata. Ci voleva ben altro per fermare lui e Jowan quando lavoravano assieme. Si fece strada verso il corridoio, pronto ad attaccare qualsiasi cosa si fosse mosso.

«Non preoccuparti Lily, ci siamo noi a proteggerti.» Sentendo Jowan rassicurare la ragazza, provò l'ormai familiare fitta allo stomaco.

Fortunatamente, a distrarlo dai due piccioncini ci pensarono altre sentinelle in armatura, che si gettarono loro addosso appena svoltato l'angolo.

Con un incantesimo di telecinesi, Geralt ne spedì due lontano da sé, facendo cadere la lancia ad uno di essi. Il terzo venne bloccato al suolo da Jowan, gli scarponi intrappolati in un blocco di ghiaccio. Senza perdere tempo, Geralt evocò un glifo di paralisi, impedendo ai due per terra di alzarsi e finendoli poi con una serie di palle di fuoco. Jowan disintegrò l'ultimo con un quadrello arcano. Si fermarono a riprendere fiato, scambiandosi uno sguardo complice.

Jowan gli si avvicinò, alzando una mano e sfiorandogli la barba. Il cuore di Geralt saltò un battito. L'altro ridacchiò, dandogli un buffetto sul mento come a scacciare qualcosa. «Continuo a ripetertelo, prima o poi andrai a fuoco.» Geralt non fece caso alla scintilla che l'altro aveva allontanato, troppo preso ad evitare di arrossire e diventare del colore dei propri capelli.

«Ah. Grazie.» Riuscì a dire, sperando che l'amico non notasse niente di strano. Prima che potesse aggiungere altro, Jowan si era già voltato verso l'iniziata, stringendola a sé in un abbraccio.

Mandando giù la bile di gelosia nel vederli così vicini, Geralt si costrinse a ricomporsi.

«Diamoci una mossa.» Li spronò, precedendoli.

Incontrarono altre sentinelle, ma se ne liberarono velocemente.

«Non vedo l'ora di andarmene da qui. Queste cose.. non sono creature del Creatore.» Si lamentò l'iniziata, distogliendo lo sguardo dai resti fumanti di un'armatura.

«Alcuni nella Chiesa direbbero la stessa cosa dei maghi.» Ribatté acido Geralt, non dando nemmeno il tempo di rispondere agli altri due e finendo con un incantesimo l'ultima sentinella ancora in piedi.

Sbucati in una stanza piena di scaffali impolverati, vennero aggrediti da un piccolo branco di cacciatori oscuri, che non si provarono una sfida, nonostante la pellaccia dura e squamosa che li ricopriva e i denti aguzzi. Prima che il capobranco, che aveva spedito a terra, riuscisse ad afferrare la gamba di Geralt, Jowan si affrettò a lanciargli un quadrello arcano, uccidendolo sul colpo.

«Non c'è di che.» Esclamò poi, facendo un leggero inchino.

«Non montarti la testa...» Ribattè l'altro con una smorfia divertita.

Affrontarono ancora alcune sentinelle, per poi sbucare in una ampia stanza, stracolma di oggetti, libri e altri manufatti dall'aspetto intrigante. Un grosso baule con inserti dorati attirò l'attenzione di Geralt, che senza pensarci andò ad aprirlo.

«Ora sì che ragioniamo!» Esclamò, estraendone un bastone da mago di legno scuro e ferro, intrecciato e contorto su se stesso. «Niente male.» Commentò soppesandolo, girandoselo abilmente tra le mani. Era ora che trovasse un bastone magico suo, che non fosse uno di quelli standard che il Circolo dava in uso ai propri membri. Inoltre, solitamente nella torre solo i maghi affermati e gli Incantatori giravano portando i propri bastoni sulle spalle, mentre ai giovani maghi era sconsigliato girare armati senza un ottimo motivo. Ecco perché si era dovuto addentrare lì sotto senza, non volendo destare sospetti.

Gli scaffali erano pieni di libri, e Geralt si ritrovò a studiarne le copertine, rapito. Chissà quali segreti e incantesimi proibiti dalla Chiesa contenevano...

«Hei! Non è il momento per fare il topo di biblioteca, non ti pare?» Lo richiamò alla realtà Jowan. «Piuttosto, questa statua, non ti sembra strana?» Gli chiese, indicando un mabari di pietra rivolto verso la libreria che Geralt stava esaminando.

«Perché il Circolo tiene così tanti manufatti del Tevinter nel suo deposito?» Chiese l'iniziata.

«Sono parte della storia, Lily... e sono affascinanti. >> Le rispose Jowan.

Tra le molte cose che avevano in comune i due maghi, vi era l'interesse per gli incantesimi e gli artefatti antichi, soprattutto quelli che possibilmente sarebbero stati considerati pericolosi o illegali dalla Chiesa e i suoi Templari. Spesso, seduti di fronte alla finestra dell'ultimo piano della Torre, avevano fantasticato su come sarebbe stato scappare dal Circolo. Il Tevinter era ovviamente la prima meta che era venuta loro in mente, l'unica nazione di tutto il Thedas ad essere governata interamente dai maghi. Lì, la magia non era temuta, ma onorata, e tutti tenevano in gran conto i maghi più potenti. Non vi erano Templari né una Chiesa Andrastiana pronta a condannare chiunque avesse poteri magici.

Anders, uno degli Apprendisti che a volte trascorreva del tempo con loro, aveva ribattuto che in Tevinter era comune la Magia del Sangue, che comportava sacrifici umani: i Magister erano noti per sacrificare in gran quantità i propri schiavi, pur di raggiungere i propri obbiettivi di potere.

Niall, un altro degli Apprendisti, era rabbrividito all'idea, affermando che preferiva la tranquillità e sicurezza del Circolo. “Certo, se ti piace essere sorvegliato giorno e notte, senza sapere quando ti uccideranno.” Aveva commentato Geralt, notando che Jowan era rimasto in silenzio, un'espressione pensosa e corrucciata in volto.

«Credo che quest'affare serva come amplificatore, l'ho letto da qualche parte.» La voce di Jowan lo riportò a concentrarsi sulla stanza. «Hei, dammi una mano a spostare la libreria, ho un'idea.»

Insieme, riuscirono a spostare da un lato il pesante mobile di legno antico, rivelando una parete di calce ammuffita dietro di esso.

«Fammi indovinare, verga di fuoco?» Scherzò Gealdt indicando la statua del mabari, una volta che ebbero spostato la libreria. «Un nome più stupido non potevano darglielo...» bofonchiò, dopo che Jowan gli fece segno di procedere.

La statua assorbì l'energia del manufatto, proiettando a sua volta un raggio che mandò in frantumi la porta in un'assordante esplosione.

«Questa l'avranno sentita di sicuro.» Commentò Geralt, aspettando che la nube di fumo e detriti si depositasse. L'iniziata era in preda ad un attacco di tosse.

«La stanza dei filatteri!» Esclamò Jowan sollevato, attraversando di corsa il varco nel muro. Gli altri due lo seguirono a breve distanza. «Non dovrebbe essere difficile, non ce ne sono molti, qui.»

Prima che potesse finire la frase, vennero assaliti da nuove sentinelle, che fecero la stessa fine delle precedenti. Salirono una rampa di scale, raggiungendo gli scaffali contenenti i filatteri.

Esaminarono ciascun ripiano, con crescente impazienza, fino a che Geralt non trovò quello che stavano cercando.

Era su un tavolino basso, assieme ad un altro paio di filatteri. “Strano che non sia sugli scaffali come gli altri...” Pensò Geralt. Se davvero i sospetti di Jowan erano fondati, probabilmente il Primo Incantatore l'aveva lasciato fuori in attesa di compiere a breve il Rituale della Calma.

Lo porse all'amico.

«Lo hai trovato!» Esclamò raggiante lui. «Non riesco a credere che questa piccola fiala si frapponga tra me e la libertà.» Ne accarezzò la superficie con le dita, delicatamente. «Così fragile...» Sussurrò rapito, «così facile da eliminare, per spezzare la stretta che ha su di me...» Aprì le mani, lasciando che cadesse a terra, frantumandosi e spargendo il contenuto sul pavimento in pietra.

Geralt rimase a fissare la chiazza di sangue che si faceva strada tra le crepe.

«Finalmente, sono libero!» Disse con enfasi Jowan, un gran sorriso sul volto.

Geralt non lo vedeva così felice da tempo, e non poté fare a meno di sorridere a propria volta. «Come ci si sente?» Gli chiese.

«Chiedimelo di nuovo quando saremo fuori di qui.» Rispose l'amico. Gli appoggiò la mano sulla spalla, stringendola. «Grazie, Geralt. Non ce l'avremmo fatta senza di te.» Gli disse, improvvisamente più serio.

L'altro dovette di nuovo sforzarsi per darsi un contegno. «Figurati, sei più che capace di cavartela da solo, lo sai.» Rispose, stringendo a sua volta il braccio dell'amico. «Peccato solo che il mio filatterio sia stato già spedito a Denerim.»

Jowan cercò di rassicurarlo.«Sei troppo potente per preoccuparti di un paio di Templari. Se dovessero trovarti-»

«Quando, intendi dire. Non c'è modo di evitarli, se hanno il mio sangue.» Lo interruppe l'altro.

«In ogni caso, te ne sbarazzeresti senza problemi. So che puoi farcela.» Continuò imperterrito Jowan. Suonava così sicuro, l'espressione sul viso seria e determinata, che Geralt finì per crederci. Gli occhi scuri dell'amico brillavano alla luce delle candele bluastre sulle pareti della stanza, e improvvisamente si rese conto di quanto erano vicini. Poteva quasi sentire il respiro di Jowan, veloce ed eccitato dalla nuova sensazione di libertà. Deglutì a vuoto, allontanandosi di scatto e voltandosi di lato, sperando che la penombra e la barba gli nascondessero il rossore sulle guance.

«Muoviamoci, abbiamo poco tempo.» Disse per rompere il silenzio.

«Non voglio restare qui un momento di più.» Convenne l'iniziata. Geralt sbuffò, per un attimo si era dimenticato della presenza della ragazza.

Si diressero verso la porta d'ingresso principale, che scoprirono spalancarsi senza difficoltà se aperta dall'interno. Percorsero in fretta il corridoio che portava all'uscita.

«Ce l'abbiamo fatta!» Bisbigliò Jowan, contenendo a stendo l'euforia. «Quasi non ci credo! Ora, dobbiamo solo-»

«Allora, quanto dicevate era vero, Irving.»

Geralt sentì il sangue gelarsi nelle vene. Si voltarono, atterriti, per veder sopraggiungere il Comandante Gregoir, accompagnato da altri due Templari, e il Primo Incantatore Irving. Non riuscì a trattenere un'imprecazione volgare.

«Un'iniziata che cospira con un mago del sangue. Sono molto deluso, Lily.» Prese la parola Gregoir. Si avvicinò, come per esaminarla. Jowan si spostò automaticamente davanti alla ragazza, a farle scudo col proprio corpo. «Sembra sconvolta, ma in pieno possesso delle sue facoltà mentali. Non è opera del mago del sangue, quindi.» Continuò il Comandante, per nulla impressionato, voltandosi poi di nuovo verso Irving. «Avevate ragione. Irving, questa iniziata ci ha tradito. La Chiesa non permetterà che resti impunita.» Il suo sguardo si posò poi su Geralt, che d'istinto strinse i pugni attorno al suo nuovo bastone magico, pronto a difendersi. «E costui, da poco un mago, che già si prende gioco delle regole del Circolo.»

«Non è colpa sua!» Intervenne Jowan. «È stata una mia idea!»

«Jowan.» Lo zittì Geralt con voce ferma. Era grato all'amico per aver preso le sue difese, ma dopotutto la colpa era di tutti e tre. E se dovevano combattere per uscire da lì, avrebbero affrontato Gregoir e i suoi Templari, Irving e tutti gli altri, non importa se fossero morti. Era comunque preferibile a quello che aspettava entrambi se li avessero catturati vivi.

«Ora basta!» Li interruppe Gregoir. «Come cavaliere comandante dell'Ordine dei Templari, condanno questo mago del sangue a morte.» Portò la mano sinistra dietro le spalle, ad afferrare l'elsa della spada a due mani che portava sulla schiena. «E questa iniziata si è presa gioco della Chiesa e dei suoi voti. Portatela ad Aeonar.» I Templari dietro di lui obbedirono, facendo qualche passo in direzione della ragazza, che tremava aggrappata al braccio di Jowan.

«La... la prigione dei maghi. No, vi prego, no. Non laggiù!» Balbettò lei in preda al panico, indietreggiando.

«No! Non vi permetterò di toccarla!» Urlò Jowan, estraendo qualcosa di scintillante dalla veste.

Fu un attimo.

La lama calò agile sulla pelle, causando uno schizzo di sangue che andò a spargersi sul tappeto. Una nube rossastra si alzò da essa, i suoi tentacoli che si innalzavano diramandosi attorno al mago. Jowan raccolse l'energia sprigionatasi, facendola convergere sui Templari, che vennero colpiti in pieno senza avere il tempo di difendersi, mandandoli a terra e stordendoli.

Geralt guardò l'amico, sconvolto e senza parole.

L'iniziata emise un grido di terrore. «Come hai potuto?! Hai detto di non avere mai...» Indietreggiò, gli occhi spalancati puntati su Jowan, sconvolta.

«Lo ammetto, ho... usato la magia del sangue! Credevo che mi avrebbe reso un mago migliore!» Cercò di spiegare lui, il tono di voce supplichevole.

«La magia del sangue è malvagia, Jowan! Corrompe le persone, le cambia...» Balbettò lei, rischiando di inciampare sul corpo di uno dei Templari svenuti.

«Rinuncerò a tutto. A tutta la magia.» Cercò di calmarla lui. «Voglio stare con te, Lily. Ti prego, vieni con me...»

«Mi fidavo di te. Ero pronta a sacrificare tutto per te... io...» La ragazza scosse la testa. «Io non so chi tu sia, mago del sangue. Stammi lontano!»

«Lily...» Rantolò Jowan. Geralt notò che stava piangendo.

Un movimento brusco lo mise in allerta, uno dei Templari si stava svegliando.

«Jowan, dobbiamo andarcene.» Chiamò l'amico, cercando di farlo ragionare. «Jowan!» Urlò, non ottenendo risposta.

L'altro era impietrito, lo sguardo fisso nel vuoto. I singhiozzi sommessi dell'iniziata l'unico rumore nella sala, finché uno dei Templari non si girò su un fianco, l'armatura che strideva contro la pietra del pavimento.

«Jowan!» Urlò di nuovo Geralt, afferrando saldamente il bastone magico e lanciando sul templare una runa di paralisi, impedendogli di rialzarsi. «Dobbiamo andare!» Lo afferrò per un braccio, scuotendolo.

L'altro sembrò riprendersi, voltandosi a guardarlo. «Non... non sei...?» Balbettò.

«Sono furioso, ma non c'è tempo ora per prenderti a schiaffi!» Lo zittì Geralt, spingendolo verso la porta d'uscita. Infilarono velocemente il corridoio, correndo a perdifiato per il piano terra della Torre. Incontrarono alcuni Apprendisti, che ebbero la prontezza di spostarsi. Colsero di sorpresa un templare, Geralt lo colpì alle spalle con un incantesimo di telecinesi, per poi lanciare una runa di paralisi. Senza nemmeno controllare che avesse avuto effetto, si scapicollarono giù per le scale. Fortunatamente, la sala d'ingresso conteneva solo altri due Templari.

Ormai, però, non potevano più contare sull'effetto sorpresa.

I due, tra cui Geralt riconobbe esserci il giovane biondo che aveva partecipato al suo Tormento, Cullen, li stavano aspettando ad armi sguainate, minacciosi.

I maghi sapevano di non dover dare loro il tempo di lanciare un'aura di antimagia. Tenendosi a distanza dalle loro armi, si prepararono a combattere.

Geralt lanciò una palla di fuoco in direzione dei due guerrieri, costringendoli a buttarsi di lato per evitarla: uno di loro venne colpito dall'incantesimo di ghiaccio di Jowan, che lo fece cadere a terra.

Cullen si riprese in fretta, lanciando la sua aura di antimagia contro Jowan, che era il più vicino al portone d'uscita. Il mago barcollò, colpito dagli effetti, dando l'opportunità al templare di sferrare un attacco con la spada.

Prima che potesse colpirlo, Geralt lanciò sull'amico Armatura di Roccia, donandogli una protezione magica temporanea che permise al compagno di incassare il fendente senza quasi subire danni. Il guerriero non si perse d'animo, e con un grugnito si preparò a colpire di nuovo, questa volta usando lo scudo, scaraventando Jowan a terra.

Geralt urlò il nome dell'amico, la paura che gli attanagliava le viscere.

«Eccoli!» Sentì qualcuno urlare alle loro spalle.

“Gregoir”. Riconobbe la voce. “Lo ucciderà.”

Realizzò quello che doveva fare. Guardò Jowan, che stava cercando di allontanarsi dal templare che troneggiava sopra di lui, la spada alzata, pronto a sferrare il colpo di grazia.

Geralt inspirò profondamente, raccogliendo le ultime energie rimaste.

Scagliò un incantesimo di telecinesi sull'amico, spedendolo dall'altra parte della sala, vicino al portone d'ingresso, sperando che l'armatura di pietra attutisse la caduta.

Il templare lo guardò stranito, prima di prepararsi a lanciare nuovamente la sua aura antimagia. Geralt strinse spasmodicamente il bastone magico, alzandolo davanti a sé. Urla concitate e uno sferragliare di armature segnalarono che Gregoir e i suoi Templari li aveano raggiunti.

Prima di lanciare l'incantesimo, incrociò lo sguardo atterrito di Jowan. Vide l'amico muovere le labbra, ma l'energia che stava raccogliendo e il frastuono che regnava nel salone gli impedirono di sentire le sue parole. Gli sorrise un'ultima volta, prima di rilasciare una palla di fuoco gigantesca contro il soffitto, facendo esplodere tutto il salone in un inferno di fiamme e detriti.



 

Quando riprese conoscenza, si accorse che qualcosa gli impediva i movimenti. Era buio, l'aria sapeva di muffa e umidità. La schiena poggiava su quella che sembrava roccia, fredda e scivolosa. Scosse le braccia, e dal rumore metallico capì che era incatenato. Provò a muovere le gambe, inutilmente. L'avevano immobilizzato. Dalla nausea che lo attanagliava e la testa che gli martellava, erano probabilmente catene incise con rune che annullavano la magia. Qualcosa di viscido gli colava sulle palpebre, e sentiva la barba incrostata di sporco. Una fitta al petto particolarmente dolorosa gli fece notare che era in pessime condizioni, probabilmente con numerose escoriazioni, ustioni e ferite varie sparse per il corpo.

A dirla tutta, era sorpreso di essere ancora vivo.

«Questo mi insegna a far esplodere i soffitti.» Gracchiò, la voce rauca che rimbombava sulle pareti spoglie della cella angusta. Gli faceva male la gola, aveva sete e non aveva idea di quanto tempo fosse passato dal loro tentativo di fuga.

“Jowan.” Ce l'aveva fatta? Era riuscito a dargli abbastanza tempo per fuggire, oppure era stato catturato dopo pochi metri fuori dalla Torre? Il terrore di non sapere cosa era accaduto all'amico era ancora più grande di quello per sé stesso.

Un mago del sangue. Aveva avuto dei sospetti, certo, ma se solo glielo avesse detto... Si erano sempre detti tutto no? “Beh, quasi tutto”, ammise a malincuore. Nonostante avesse da anni capito che quello che provava per Jowan non era semplice affetto fraterno, l'altro non era mai sembrato interessato, o propenso a quel genere di relazioni, quindi Geralt non aveva mai provato a fare niente, spaventato dall'idea che l'amico potesse rifiutarlo e smettere di frequentarlo.

Appoggiò la nuca sulla pietra, sentendosi senza energie.

Se non era nemmeno riuscito a garantirgli la fuga... Si sentì sprofondare.

 

 

Non seppe quanto tempo era passato, ma ad un certo punto qualcuno lo svegliò con uno schiaffo.

Alzò lo sguardo, mettendo a fuoco uno dei templari, l'armatura scintillante che brillava al buio, la spada al fianco e uno scudo sulle spalle.

Non che importasse veramente come fosse equipaggiato, in quelle condizioni Geralt dubitava sarebbe riuscito persino a camminare sulle proprie gambe, tentare di stordire il templare e darsi alla fuga era fuori discussione, persino se non fosse stato inchiodato al pavimento con quelle catene.

«Tu prova a fare qualsiasi cosa, e ti stacco la testa, mago. Capito?» Minacciò l'uomo. Non ottenendo risposta, gli tirò un manrovescio in pieno volto. «Non ho sentito!» Gli urlò in faccia.

«Capito.» Gracchiò il mago, sentendo il sapore metallico del sangue in bocca.

«Damien, deve essere in grado di parlare.» Una seconda voce, Gregoir.

Il Comandante dei Templari fece il suo ingresso, occupando la maggior parte del suo campo visivo e costringendolo a guardarlo dal basso all'alto.

Geralt rabbrividì, temeva quello che sapeva stavano per fargli. L'avrebbero trasformato in un Adepto della Calma, privato di qualsiasi emozione. Niente più eccitazione nell'usare la magia, o curiosità nello sfogliare un libro, niente più... qualsiasi cosa fosse che provava quando pensava a Jowan. Per un attimo, il sorriso dell'amico si sovrappose all'espressione di odio negli occhi ridotti a fessure del Comandante.

«Irving.» Chiamò quello, facendo spazio al Primo Incantatore.

L'anziano mago sembrava ancora più vecchio e debole del solito. Guardò il prigioniero con disgusto.

«Mi aspettavo di più da te, Amell.» Prese la parola Irving. «Come hai potuto aiutare a fuggire un mago del sangue? Aiutarlo a distruggere il suo filatterio, per giunta. Mi ha molto deluso.» Scosse la testa, come a rafforzare le sue parole.

«Dovrebbe interessarmi?» Rantolò Geralt. Sputò un grumo di sangue per terra, facendo sobbalzare il templare che l'aveva schiaffeggiato. «Ho aiutato il mio migliore amico a fuggire da questa maledetta prigione. E lo rifarei mille volte, ammazzandovi tutti, se necessario.» Ricambiò lo sguardo dei due, sfidandoli.

Gregoir scoppiò in una risata denigratoria. «Ah! Pensi che facendoci perdere le staffe ti garantiremo una morte rapida?» Lo schernì, guardandolo dall'alto in basso. «No, non sarà così semplice. Prima, ci dirai dove è scappato quel verme del tuo amico, poi, quando tutti saranno di ritorno, ti sottoporremo al rituale della calma. Finirai a pulire le latrine per il resto dei tuoi giorni, traditore.»

“Quando saranno tornati?” Geralt faticò a trattenere una risata isterica. Parlava sicuramente di tutti i maghi che erano partiti per Ostagar. Voleva che fosse reso un Adepto della Calma quando tutto il Cirolo fosse stato presente, in modo da farne un esempio. Nella maggior parte dei casi il rituale era fatto in sordina, per evitare che i maghi si spaventassero e iniziassero a tramare piani di fuga, o di rivolta... Ma Geralt e Jowan si erano spinti troppo in là, qualunque cosa gli avessero fatto adesso i templari, avrebbero avuto tutto il supporto del Circolo, riuscendo a debellare sul nascere le polemiche sull'eccessivo controllo della Chiesa che ultimamente circolavano nella Torre.

«Non ho idea di dove sia.» Disse, ed era la verità. Jowan aveva panificato la sua fuga con l'iniziata, ma quell'inutile traditrice lo aveva abbandonato. Chissà dove era andato a rifugiarsi.

Se Gregoir era laggiù ad interrogarlo, però, una cosa era certa. Era riuscito ad eludere i Templari e allontanarsi dalla Torre senza che riuscissero a fermarlo.

«Vedremo, se non ti torna in mente qualcosa.» Lo minacciò il Comandante. «In ogni caso, tra qualche settimana, ti sarà impossibile resistere. Dopo il Rituale, basterà chiederti dove si trova quel mago del sangue, e tu ci fornirai tutte le informazioni di cui abbiamo bisogno, senza battere ciglio.»

Detto questo, girò i tacchi, andandosene a passi veloci.

Irving, che non aveva proferito parola, ma era rimasto a guardarlo tutto il tempo con quell'espressione tra il disgusto e la delusione, gli rivolse un cenno col capo, prima di seguire il Comandante fuori dalla cella.

Rimase solo con il templare, che gli sferrò un calcio al costato prima di uscire dalla cella, che chiuse a chiave. Si sedette poi su una panca, posta esattamente di fronte all'ingresso, senza staccargli lo sguardo di dosso da sotto l'elmo decorato con due ali di metallo.

Geralt si concesse un gemito di dolore, raggomitolandosi su sé stesso per quanto le catene glielo permettessero.

 

 

Rimase per giorni nell'oscurità, a rimuginare su quello che avrebbe potuto fare per uscire da lì. Il piano che avevano escogitato lui e Jowan non era perfetto, certo, ma se Irwin e Gregoir non si fossero accorti così presto della loro effrazione, avrebbe potuto funzionare.

Sospirò, risentito.

Chissà se Jowan ce l'aveva fatta. Non sarebbe stato il primo mago a riuscire a fuggire dalla Torre, soltanto pochi mesi prima un altro era riuscito ad eludere i Templari e darsi alla macchia... e a quanto si diceva, non erano ancora riusciti a riacciuffarlo.

Dei passi lo risvegliarono dai suoi pensieri.

Davanti alla porta della cella comparve un volto familiare, che lo guardava preoccupato.

«Geralt?» Chiamò quello, avvicinandosi ulteriormente fino a toccare le sbarre.

Il prigioniero cercò per quanto possibile di mettersi seduto, sfoderando un tentativo di sorriso verso l'amico. «Niall. Non pensavo avrebbero permesso a qualcuno di farmi visita.»

«Cosa vi è saltato in mente?!» Lo rimproverò l'altro, mettendosi quasi ad urlare. «E Jowan! Da quanto è un mago del sangue?»

Geralt sospirò. Niall non avrebbe mai capito il desiderio di libertà che li aveva spinti a cercare di evadere dalla Torre. «Niall, non vuoi immischiarti in questa faccenda, fidati.»

«Fidarmi!» Esclamò l'altro. «Come puoi anche solo dirmi una cosa del genere! Prima Anders, poi tu e Jowan! Possibile che ogni amico che ho decida di impazzire e cercare di farsi uccidere?»

Geralt tenne a bada l'irritazione che lo pervadeva ogni volta che sentiva nominare Anders. «Non è colpa nostra se tu sei contento di passare la tua vita in gabbia, Niall. Alcuni di noi vorrebbero vedere cosa c'è al di fuori del Lago Calenhad, senza dover aspettare di essere chiamati al servizio di qualche Lord o Re che ci metterebbe un collare e una catena.» Ribatté risentito.

«Parli come Anders.»

«Perché aveva ragione!» Perse la pazienza Geralt, alzando la voce. «Aveva dannatamente ragione, e saremmo potuti essere fuori di qui già da un pezzo, se non avessimo avuto troppa paura di affrontare i Templari! E giustamente, non ci ha aspettato, e ora sarà a godersi la libertà da qualche parte, mentre io sono chiuso qua dentro ad aspettare che quei cani bastonati dei grandi Incantatori tornino e decidano se ammazzarmi o rendermi un burattino, senza nemmeno sapere se Jowan sia vivo!»

Seguì un lungo silenzio, disturbato soltanto dalle gocce d'acqua che cadevano dal soffitto ticchettando sul pavimento di pietra.

«Non l'hanno ancora preso.» Disse finalmente Niall. «Gregoir è furioso, sta mandando tutti i Templari che può a cercarlo, ma tra quelli che ha mandato ad Ostagar e quelli che devono restare qui, non sono in tanti. Probabilmente Jowan sarà già dall'altra parte del Ferelden.»

Geralt trattenne il fiato, lieto della notizia e grato all'amico per avergliela riferita.

«Piuttosto, io mi preoccuperei di te stesso, Geralt. Hanno tutte le intenzioni di fare un processo in grande. Girano da mesi voci di magia del sangue e ribellioni, e il vostro tentativo di fuga non ha fatto altro che rafforzare l'idea di Gregoir che dobbiamo essere tenuti sotto controllo più stretto.» Continuò Niall. «Vogliono fare di te un esempio, in modo da scoraggiare possibili imitatori. Appena tutti torneranno da Ostagar...»

Geralt ascoltò l'amico senza battere ciglio. Quello che aveva appena detto non faceva altro che confermare quello che già sapeva. Non sarebbe uscito bene da lì, in nessun caso.

«Almeno ci ho provato.» Disse semplicemente. «E Jowan ce l'ha fatta.»

Niall lo guardò, e nel suo sguardo Geralt intuì che l'amico sapeva più di quanto dimostrasse. «Devo andare, ora. Mi hanno concesso solo qualche minuto.» Disse. «Vorrei che me l'aveste detto. Magari sarei riuscito a dissuadervi.»

«Ti saresti soltanto messo nei guai, e per niente.» Ribattè Geralt. «Non è colpa tua, non avresti potuto fare niente per impedircelo, e nel peggiore dei casi saresti incatenato qua di fianco a me.»

L'amico sembrò voler ribattere, ma l'altro lo interruppe prima che potesse aprire bocca.

«È meglio se torni di sopra, prima che inizino a sospettare anche di te.»

Niall annuì. Lo salutò con un cenno della mano, per poi voltarsi e sparire lungo il corridoio.

Geralt si appoggiò nuovamente alla parete, non riuscendo a trattenere un sorriso triste. Almeno, dei suoi amici due erano riusciti nel loro intento, e uno non si rendeva conto della vita da prigioniero che conduceva.




 

Note dell'Autrice:

E anche Geralt Amell fa la sua comparsa! In assenza di Duncan, gli altri possibili Custodi dovranno cavarsela da soli e non sempre andrà per il meglio.

Ogni commento, critica o suggerimento è ben accetto. Al prossimo capitolo! 

Ho iniziato a disegnare i vari protagonisti. QUI c'è Geralt, in tutta la sua gnoccaggine (ci ho provato, almeno...)!

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Capitolo 3
*** Enclave elfica di Denerim ***


TRIGGER WARNING: 
Questo capitolo è un po' forte, contiene scene di stupro e torture fisiche (seppur non trattate nel dettaglio). Lettori avvisati...

 


CAPITOLO TRE: ENCLAVE ELFICA DI DENERIM







Kallian sbadigliò sonoramente, alzandosi dal letto. Shianni, sua cugina, le aveva messo una certa agitazione, facendo irruzione in camera sua e invitandola poco gentilmente a darsi una mossa.

Si diresse verso lo specchio, afferrando la spazzola e cercando di dare un senso alla massa di capelli bruni che sparavano in tutte le direzioni. Li pettinò vigorosamente, raccogliendone piccole ciocche in due trecce ai lati della testa e lasciando gli altri a caderle sulle spalle in morbidi riccioli.

Notò che grazie alle ore di sonno in più, le occhiaie che aveva di solito erano sparite. Per fortuna.

Quello era il gran giorno.

Doveva ammettere che all'inizio non era entusiasta di sposarsi con un perfetto sconosciuto, ma avendo chiesto informazioni sul futuro marito, le era stato descritto come un ottimo partito.

Apprendista alla forgia di un fabbro, niente meno.

Aprì il baule che conteneva i pochi vestiti che possedeva, estraendone l'abito per la cerimonia. Consisteva in un vestito bianco con lo scollo a barca, decorato con pietre dure, le maniche lunghe e leggermente larghe verso il fondo. Si guardò un'ultima volta allo specchio prima di uscire: il bianco dell'abito era quasi accecante, a contrasto con la sua pelle scura color dell'ebano. O almeno, credeva che somigliasse all'ebano, non ne aveva mai visto uno per davvero, ma un mercante aveva cantato le lodi di quel legno quasi nero, comparandolo alla sua bellezza. Ovviamente era stata una tattica, nemmeno troppo celata, per portarsela a letto. L'uomo si era beccato un educato rifiuto, ma il complimento le era rimasto in testa. Dopotutto, era l'unica di tutta l'enclave ad avere la pelle di quel colore, come la sua defunta madre.

Si rassettò la gonna, andando nel salotto della piccola casa, dove suo padre era in attesa.

«Ah, la mia bambina.» La salutò lui. «Questa è l'ultima volta che posso chiamarti così...» Si giustificò, vedendo la figlia sbuffare infastidita. «Sei splendida, tesoro. Vorrei tanto che tua madre potesse vederti.» La strinse in un abbraccio affettuoso, gli occhi lucidi.

«Anche io, padre.» Ricambiò l'abbraccio Kallian. «È quasi ora.» Disse, cercando di nascondere la tensione nella propria voce.

«Vai a cercare Soris. Prima comincia la cerimonia, meno possibilità avrete di svignarvela.» Disse Ceylon carezzandole la guancia, prima di farsi da parte, indicando la porta con un cenno del capo.

«Non preoccuparti, stavolta faremo i bravi.» Cercò di rassicurarlo lei.

Stava già aprendo la porta, che il padre la interruppe nuovamente.

«Ah, tesoro, un' ultima cosa.»

Si girò a guardarlo, interrogativa.

«Quello che ti ha insegnato tua madre, a tirare con l'arco, a maneggiare i coltelli... Forse è meglio lasciare all'oscuro il tuo sposo, per il momento.» Le suggerì preoccupato.

«Prima o poi lo verrà a sapere in ogni caso, padre.» Rispose lei, stringendosi nelle spalle. «Comunque, non è proprio il primo argomento di conversazione che mi sarebbe venuto in mente.» Lo salutò con la mano, prima di aprire la porta e uscire.

Il frastuono dell'enclave la accolse come qualsiasi altro giorno. Elfi indaffarati camminavano sotto il peso di grossi sacchi e cassette, mentre cani dall'aspetto smunto li rincorrevano o li osservavano da lontano. Un paio di elfi dall'aria ubriaca erano seduti su dei barili di fronte al negozio di Alarith, dove probabilmente avevano speso le poche monete di rame che possedevano in vino di pessima qualità. Alcuni bambini si rincorrevano nel fango, agitando bastoncini di legno a mo' di spade.

Camminò in fretta verso il Vhenadahl, notando che qualcuno aveva aggiunto delle piccole decorazioni al grande albero che cresceva in mezzo alla piazza, probabilmente in onore della cerimonia di quel giorno. Un paio di elfe la salutarono agitando le mani, sorridenti.

«Kallian?» La chiamò qualcuno.

Si guardò attorno, non riconoscendo la voce. Una coppia di elfi, probabilmente dell'età di suo padre, le fecero segno di avvicinarsi.

«Come sei cresciuta!» La salutò la donna, un sorriso benevolo sul volto. «Cara, è un giorno così importante oggi!»

Kallian sorrise a sua volta, incerta su cosa dire e cercando di nascondere l'imbarazzo.

«Non preoccuparti.» La rassicurò l'altro, mettendo un braccio intorno alle spalle della compagna. «Tesoro, non può ricordarsi di noi.» Disse alla moglie.

Quella si strinse le mani. «Oh, certo. Scusaci. Il mio nome è Dilwyn, e questo è Gethon. Eravamo amici di tua madre, sai.» Si presentarono. «Non ti vediamo da quando lei...»

«Molto piacere.» Disse Kallian, stringendo la mano che la donna le stava porgendo.

«Adaia era bellissima, e così vivace. E un po' scatenata.» Continuò la donna, guardandola di sottecchi e non smettendo di sorridere. «Chissà che tu non le assomigli.»

«È così triste che lei non sia qui, che non possa vederti così cresciuta.» Convenne il marito, triste.

«Dicono tutti fosse una donna straordinaria.» Kallian non sapeva bene cosa dire. La madre era morta quando lei era bambina, quasi dieci anni prima. Si ricordava le favole che le raccontava prima di andare a dormire, di cavalieri, maghi ed eroi, e quando le aveva regalato il suo primo arco, le prime lezioni con esso, quando la freccia andava a finire lontano perdendosi nel fango e spaventando i gatti che si nascondevano nei vicoli dell'Enclave.

«Volevamo vederti, oggi, e farti i nostri migliori auguri.» Spiegò la donna. «Siamo così contenti di vedere che stai bene.»

Il marito porse a Kallian una piccola sacca di pelle, gonfia. «Abbiamo messo da parte qualcosa, per aiutarti a cominciare la tua nuova vita.»

Kallian accettò il regalo, commossa. «Grazie, ma non dovevate...»

«Ci fa solo piacere, cara.» La interruppe lui. «Che il Creatore ti protegga.»

«Ora va', non vorrai arrivare tardi alla cerimonia!» La spronò a donna, dandole una carezza affettuosa sulla spalla. «Ho sentito dire che lo sposo è proprio in gamba!»

Li salutò di nuovo, mettendo in tasca la sacchetta di denaro. “Che gentili”, pensò, mentre cercava il cugino tra la folla di gente che si affaccendava per la piazza.

«Soris!» Lo chiamò, vedendo il giovane elfo dai capelli rossi appoggiato sotto un'impalcatura di legno. «Pensavo fossi scappato.»

«Ah, eccoti finalmente, la mia fortunata cugina!» Esclamò lui. «Pronta a festeggiare la fine della nostra indipendenza?»

«Hei, siamo ancora in tempo per fuggire.» Scherzò Kallian.

«Certo, potremmo cercare i Dalish per i boschi, scommetto saranno facili da scovare.» Ribattè lui.

Kallian sapeva che, nonostante si stesse lamentando tanto per quel matrimonio, Soris non avrebbe mai avuto il coraggio di andare da nessuna parte. L'Enclave era la loro casa dopotutto.

Puzzolente, mal frequentata e spesso preda di umani che adoravano spadroneggiare sui più deboli, ma pur sempre casa.

«Piuttosto, la fai facile tu. Il tuo promesso sposo è un sogno che si realizza. La mia futura moglie, invece, quando apre bocca sembra un topo in agonia.» Continuò il cugino, demoralizzato.

«Soris!» Lo rimbeccò l'altra. «Nemmeno tu sei esattamente un principe, lo sai?»

Lui scrollò le spalle. «Se vuoi facciamo cambio.»

Kallian scoppiò a ridere. «Certo, sono sicura che accetteranno di sicuro. Coraggio, andiamo, prima che debba trascinarti sull'altare legato come un salame.» Lo spronò, facendogli strada verso la piattaforma in legno che era stata allestita per ospitare i due matrimoni.

Sulla strada, vennero interrotti nuovamente da un elfo biondo, che Kallian conosceva di vista.

«Ah, ecco l'uomo del momento! Come te la passi, Soris?» Esclamò quello, dando una pacca sulla spalla all'amico.

L'altro lo salutò poco convinto. «Tutto bene. Questa è mia cugina, la sposa... Beh, l'altra sposa, non la mia sposa, ovviamente!» Arrossì violentemente, mangiandosi le parole. Kallian non riuscì a trattenere una risata.

L'elfo la salutò cortesemente. «I miei migliori auguri ad entrambi...» Sembrava turbato da qualcosa. «Soris, i miei fratelli non verranno. Se ne sono andati a cercare i Dalish. Gira voce che ci sia un clan di passaggio a qualche giorno di cammino dalla città.» Sbuffò, poco convinto. «Alarith deve aver raccontato di nuovo una delle sue storie e loro ci hanno creduto, a quanto pare.»

Kallian sapeva che il proprietario dell'unico negozio dell'Enclave sosteneva di essere stato salvato dagli Elfi dei Boschi parecchi anni prima, durante un'imboscata di un gruppo di briganti.

«Non preoccuparti, Taedor. Dagli un paio di giorni e saranno di ritorno a casa, pieni di vergogna e affamati.» Lo rassicurò Soris.

L'amico sembrava non contarci troppo, ma si strinse nelle spalle. «Speriamo. Ancora auguri a entrambi.» Si congedò, lasciandoli ai loro impegni.

Il gruppo di bambini che aveva visto prima giocare coi bastoncini sfrecciò loro davanti, rincorrendosi e menando fendenti con le loro armi di legno.

«Mi ricordano noi.» Commentò Soris con un sorriso.

«Oh, sì. Vincevo sempre io.» Ribatté Kallian divertita. «Hei, c'è Shianni!» Indicò l'amica, ma il sorriso le si congelò sul volto.

Tre umani, riccamente vestiti, si facevano strada tra la piccola folla di elfi, che si ritraevano spaventati.

«È una festa, giusto?» Sentì dire ad uno di loro, un giovane dall'aspetto sgradevole. «Prendete una puttana e divertitevi!» Scoppiò a ridere, un suono che di gioioso non aveva nulla. Guardò Shianni, squadrandola dall'alto al basso con sguardo da predatore. «Gustatevi la caccia, ragazzi. Guardate questa, così giovane e delicata...» Fece per afferrarla, ma l'elfa si ritrasse di scatto.

«Toccami e ti sgozzo, porco!» Gli urlò dietro, per niente spaventata.

«Vi prego, mio signore! Stiamo festeggiando dei matrimoni, oggi.» Supplicò un altro elfo, inchinandosi di fronte all'uomo.

«Stà zitto, verme!» Lo schiaffeggiò quello, mandandolo a terra. Kallian si sentì irrigidire d'istinto.

«So cosa stai pensando, ma magari dovremmo starne fuori...» Provò a fermarla Soris, preoccupato.

Ignorando il consiglio del cugino, la ragazza si diresse a grandi passi al fianco di Shianni.

«E questa chi è?» Esclamò l'uomo. «Sei venuta a farmi compagnia, dolcezza?» Il suo sguardo viscido si soffermò sull'incavo dei seni di lei, accentuato dal vestito scollato.

Trattenendo l'impulso di tirargli uno schiaffo, Kallian decise di optare per la via diplomatica.

«Non è un buon momento per trovarsi nell'Enclave, signori.» Disse, cercando di essere più convincente possibile.

«Ah!» Si offese quello. «Come osi?! Hai idea di chi sia io?!» Le chiese adirato, alzando la voce e avanzando minacciosamente verso di lei.

Kallian non indietreggiò di un passo, sostenendo il suo sguardo nonostante avesse un po' di paura.

«Oggi c'è un sacco di movimento, qui. Ed è pieno di ubriachi o tagliaborse, non è certo il luogo dove passare una piacevole mattinata.» Tentò di convincerlo, sforzandosi di apparire preoccupata.

L'umano scoppiò a ridere, malevolo. «Se credi che dei pezzenti del genere possano essere un problema per me, non hai idea con chi stai parlando. Sono-»

Non riuscirono a sentire chi egli fosse, perché Shianni, che si era chinata ad afferrare una bottiglia di vetro da terra, lo colpì forte dietro la testa, facendolo svenire sul colpo.

«Sei impazzita?! Questi è Vaughan Kendells, il figlio dell'arl di Denerim!» Urlò uno dei suoi scagnozzi, correndo a controllare le condizioni dell'uomo.

«Che?!» Esclamò Shianni, rendendosi conto della situazione. «Oh, per il Creatore, che ho fatto?!»

Kallian represse un'imprecazione. «Sentite, è stato un incidente.» Provò a dire, ma i due, che avevano sollevato da terra il corpo del compagno svenuto, lanciarono loro insulti e minacce.

«La pagherete cara, orecchie a punta!» Urlò uno dei due, prima di battere in ritirata.

«Stavolta ho proprio combinato un casino.» Gemette Shianni, guardandoli allontanarsi.

«Andrà tutto bene, non oserà dire a nessuno di essere stato steso da un'elfa!» La rassicurò Soris.

«Non preoccuparti, Shianni, si risolverà tutto.» Gli diede man forte Kallian, senza però esserne convinta. Quello era l'erede dell'Arl di Denerim in persona, non c'era speranza che lasciasse passare un'insubordinazione del genere, soprattutto da parte di un'elfa.

Due elfi, un ragazzo e una ragazza, si avvicinarono verso di loro, confusi.

«Che è successo?» Chiese lei con una voce acuta. Era vestita in modo elegante, un abito dai colori sgargianti e i capelli ben pettinati e intrecciati.

Soris si lasciò sfuggire una risata nervosa. «Nulla, solo il figlio dell'Arl che ha cominciato a bere troppo presto...» Si affrettò a cambiare discorso. «Cugina, ti presento Valora, la mia futura moglie.»

Kallian la salutò con un cenno del capo, la sua attenzione era tutta per l'altro elfo, un giovane di bell'aspetto, i capelli biondi e il mento pronunciato.

«Devi essere Nelaros. Piacere.» Si presentò imbarazzata. «Sono Kallian.»

«Ma certo, ti ho riconosciuta subito.» La salutò lui. Sembrava molto più sicuro di sé di quanto lo fosse lei.

«Sono certo che avrete un sacco di cose di cui parlare...» Si intromise Soris, salutando e andandosene in tutta fretta, Valora al seguito.

Kallian rimase da sola con il suo futuro sposo. Aveva le braccia forti, sicuramente grazie al suo lavoro alla forgia.

«Sei nervosa?» Le chiese lui, cercando di rompere l'imbarazzo che si era creato.

Lei annuì. «Un poco.» Ammise. «Più che altro, è strano sposarsi con qualcuno che non si è mai visto prima, vero?» Accennò un sorriso.

L'altro sorrise a sua volta. «Ti capisco. Pensavo che sarei rimasto calmo, ma quando finalmente ti ho vista...» Scosse la testa.

«Come è andato il viaggio da Altura Perenne?» Gli chiese, mentre aspettavano che la Sorella della Chiesa arrivasse e che gli altri completassero i preparativi per la cerimonia.

«Nient'affatto movimentato, per fortuna. La carovana con cui viaggiavamo era così povera da aver tenuto lontani i briganti.»

Fecero loro segno di avvicinarsi. Madre Boann, l'unica Sorella che metteva piede nell'Enclave, era finalmente arrivata.

Le due coppie si affrettarono a mettersi in posizione, uno di fianco all'altra. Kallian quasi sussultò quando Nelaros le sfiorò la mano. «A proposito, sei splendida.» Le sussurrò.

Gli sorrise imbarazzata, incerta su cosa rispondere. Certo, sposarsi non era il suo sogno nel cassetto, ma in un posto come quello non si poteva essere troppo schizzinosi, o inseguire desideri irrealizzabili. In più, lui le sembrava una brava persona. Era anche piuttosto bello, e questo aiutava parecchio. Sperava sarebbero stati felici. Lui avrebbe trovato lavoro sotto uno dei tanti fabbri della città, lei avrebbe continuato a lavorare al mercato, sarebbero stati abbastanza benestanti da permettersi di affittare una casa con una stanza da letto e un salotto, dove avrebbero invitato Soris e Valora a cena...

Sì, una vita così non le sembrava poi male.

Valendrian recitò le parole di rito, ricordando il sacrificio di Andraste e celebrando i legami che univano gli elfi dell'Enclave, che costituivano la loro forza.

Madre Boann prese quindi la parola. «Nel nome del Creatore, che ci fece nascere in questo mondo, e per il quale recitiamo il Canto della Luce-»

Un frastuono proveniente dal fondo della folla la fece interrompere.

Vaughan, il figlio dell'Arl, procedeva a passi pesanti verso di loro, il volto contratto dalla rabbia. Lo seguivano i suoi due scagnozzi e quattro guardie cittadine in armatura, dotate di spade e scudi.

«Milord?» Esclamò sorpresa la Sorella. «Che sorpresa inaspettata!»

«Scusate l'interruzione, Madre, ma sto organizzando una festa e siamo a corto di ospiti femminili!» Annunciò l'uomo, scoppiando in una risata forzata. Salì senza indugi sulla piattaforma, avvicinandosi a Valora e guardandola malevolo.

Madre Boann cercò di intervenire, facendogli notare di essere ad un matrimonio.

Vaughan spinse da parte Valora, facendola cadere a terra con una risata di scherno. «Se volete vestire a festa i vostri animaletti da compagnia, sono affari vostri. Ma non facciamo finta che sia un matrimonio vero.» Li derise, affrontando minacciosamente la Sorella. «Ora, siamo venuti qui per divertirci, vero ragazzi?» Chiese alle sue guardie, che risposero entusiasticamente.

I tre uomini vestiti elegantemente squadrarono le donne attorno a loro, con aria critica.

«Prendiamo queste due, quella col vestito aderente e...» Cominciò Vaughan, cercando tra la folla. «Dov'è quella puttana che mi ha colpito prima?»

«Qui, Lord Vaughan!» Urlò uno degli altri due, trascinando Shianni per un braccio.

«Lasciami, brutto figlio di p-» Gridò l'elfa, per essere poi zittita con un potente manrovescio.

Vaughan sembrava trovare tutto estremamente divertente. «Oh, sarà uno spasso.» Si girò poi verso Kallian, che era rimasta in silenzio, il sangue che le ribolliva nelle vene, non volendo rischiare di mettere in pericolo nessuno. Era oltretutto disarmata, e quel vestito, anche se le stava molto bene, non era affatto adatto ad uno scontro.

«Ma guardate la bella sposa!» Esclamò quello. «Sono rare di quel colore!»

Kallian dovette mordersi il labbro, stringendo la mano di Neralos, che aveva afferrato la sua in modo protettivo. «Non preoccuparti, non lascerò che ti prendano.» Le disse con voce tremante, ma senza lasciarla andare nonostante l'evidente paura.

Non potevano scappare, e anche se fossero riusciti a seminarli, quelli avevano già preso Shianni. Resistere avrebbe solo portato altri problemi. Imprecò tra sé e sé.

«Ah, sì, è proprio ben fatta.» Commentò Vaughan, passandole il dorso della mano sul collo e afferrandole il braccio con forza, facendole male.

Non avendo alcuna intenzione di dargli la soddisfazione di vederla lamentarsi, Kallian oppose resistenza, cercando di liberarsi con uno strattone. Lui sembrò non accorgersene nemmeno, un ghigno stampato sul volto. «Sono certo che vogliamo tutti evitare ulteriori... complicazioni.» Disse in tono minaccioso, gli occhi ridotti a fessura.

«Lasciami andare!» Ringhiò Kallian, perdendo le staffe e provando di nuovo a liberarsi dalla sua presa, ottenendo solo una risata di scherno.

«Oh, che caratterino!» La strinse ancora più forte, facendole sfuggire un gemito di dolore. «Ci sarà da divertirsi!» Le diede uno schiaffo, forte.

La vista le si oscurò di colpo.



 

«Creatore, proteggici. Creatore, aiutaci. Creatore, proteggici. Creatore, aiutaci. Creatore, proteggici. Creatore, aiutaci...»

«Piantala!» Si levò la voce di Shianni. «Mi stai tirando pazza!»

Kallian aprì gli occhi, tirandosi su a sedere. Le girava un po' la testa. Incontrò lo sguardo preoccupato dell'amica. «Per il Creatore, meno male che ti sei svegliata. Ci stavamo preoccupando...» Le disse Shianni. Kallian si guardò attorno: erano in una piccola stanza di pietra e tavole di legno, segno che erano state portate in uno dei palazzi di Denerim. Sapendo che il loro rapitore era il figlio dello stesso Arl, erano probabilmente in uno dei posti più presidiati dell'intera città. Uscire da lì sembrava impossibile.

«State tutte bene?» Chiese, cercando di non far trasparire la paura nella sua voce.

Le altre annuirono, mentre la giovane elfa poco distante, Nola, non smetteva di pregare il Creatore, cantilenando ininterrottamente le stesse parole.

«Dobbiamo trovare il modo di uscire da qui.» Affermò Kallian.

«No, non ce la faremmo mai!» Ribatté una delle altre, l'espressione terrorizzata. «Faremo... gli daremo quello che vogliono, poi quando saremo tornate a casa, dimenticheremo tutto.» Valora si dichiarò d'accordo, tentare la fuga era troppo rischioso.

«Sarà peggio se opporremo resistenza.» Disse in tono amaro.

«È molto peggio non farlo!» Si adirò Shianni, decisa. Stava per aggiungere qualcosa, ma l'elfa che stava pregando si interruppe di colpo con un gemito di terrore.

«Sta arrivando qualcuno!» Squittì spaventata.

La porta si spalancò di scatto, rivelando cinque guardie in armatura completa. Quello che doveva essere il capitano si concesse un ghigno alla vista delle cinque donne che si ritraevano spaventate. «Salve, ragazze, siamo qui per accompagnarvi alla festicciola di Lord Vaughan.» Annunciò.

Nola si alzò di scatto, cercando di allontanarsi dagli uomini. «State lontani!»

Prima che Kallian potesse rendersene conto, la ragazza cadde a terra in un lago di sangue. Schizzi cremisi le macchiarono il viso e impregnarono il vestito bianco. Rimase pietrificata, guardando il capitano ammirare la propria opera con la spada sguainata che gocciolava sangue.

Una delle ragazze si lasciò sfuggire un rantolo. «L'avete uccisa!» Esclamò sconvolta.

«Questo è quello che succede quando si cerca di insegnare alle puttane un po' di rispetto.» Ribattè il capitano, per nulla impressionato. Si girò poi verso i suoi uomini. «Voi due, prendete il fiorellino che si nasconde là dietro. Horace ed io ci occuperemo della sposina e dell'alcolista.» Ordinò. Quelli eseguirono prontamente. «Voi,» si rivolse agli ultimi due. «Prendete l'ultima rimasta, ma attenzione, è un'attaccabrighe.» Indicò Kallian con un cenno del capo, prima di girare i tacchi e andarsene.

«Oh, non preoccuparti.» Disse uno dei due, fingendo di rassicurarla. «Saremo dei perfetti gentiluomini.»

L'altro non ci provò neppure. «Fai la brava, o finirai come la tua amica là.» Minacciò riferendosi alla ragazza a terra.

Kallian si sentiva tremare di paura. «Non fatemi male.» Balbettò, alzando le mani in segno di resa. Più si fosse mostrata debole, pensò, meno quelli avrebbero ritenuto necessarie le maniere forti.

I due uomini sogghignarono, uno dei due andò ad afferrarle un braccio, tirandola verso l'uscita, mentre l'altro le fece scivolare una mano dietro la schiena, palpandole il sedere e facendola sobbalzare. Cercò istintivamente di divincolarsi, cosa che le procurò uno strattone più violento che le fece male alla spalla. La scortarono fuori dalla stanza, in una sala che sarà stata grande quattro volte tutta casa sua. La attraversarono tutta, per poi attraversare un corridoio e superare altre stanze. Per tutto il tragitto, la guardia che l'aveva palpata continuò a stuzzicarla, divertito dai tentativi di ribellarsi della ragazza.

Dopo un tempo che le parve interminabile, raggiunsero il resto delle guardie. Delle altre elfe non c'era traccia.

«Lord Vaughan ha detto di portarla dentro.» Disse il capitano, facendo un cenno verso la pesante porta di fronte a loro. «Ha una sorpresa per lei.»

Kallian trattenne a stento il terrore, sentendosi le gambe molli e pronte a cedere. I due la trascinarono di peso oltre la porta, scaraventandola a terra e chiudendola dietro di sé, sghignazzando.

«Kallian!» Si sentì chiamare.

La ragazza alzò lo sguardo. Soris era tenuto in ginocchio con le braccia legate dietro la schiena, Nelaros, accanto a lui, era nella stessa situazione.

«Ora sì che è una festa!» Esclamò Vaughan, battendo le mani e guardandola malevolo. «Abbiamo trovato questi due che sgattaiolavano in cucina, armati solo di un coltello.» Aveva in mano la propria spada, che poggiò minacciosa sulla guancia di Soris, la punta che incise la pelle morbida lasciando scorrere una goccia di sangue. «Qualche suggerimento, ragazzi?» Chiese poi ai suoi due compari, che ridacchiarono soddisfatti.

«Gli elfi sono come i ratti.» Commentò uno di loro, dando un calcio a Nelaros, che cadde bocconi.

Kallian rimase impietrita, ancora a terra, incapace di muoversi. Sentiva le altre elfe singhiozzare.

Vaughan si guardò attorno, valutando la situazione. Dopo qualche attimo, sembrò decidersi sul da farsi, ridacchiando tra sé e sé.

«Mi sento particolarmente magnanimo, oggi. Se volevano partecipare alla nostra festicciola, non vedo perché privarli di questo piacere!» Annunciò, facendo un cenno ai due compagni. «Imbavagliateli.» Ordinò. Quelli si affrettarono ad eseguire. Vaughan, senza nemmeno guardarli, si chinò ad afferrare Kallian per un braccio, tirandola in piedi con uno strattone. «Ma guarda,» disse, accarezzando lascivo il collo della ragazza, per poi scendere verso il basso e afferrarle un seno da sotto il vestito, facendola gemere di dolore, «la nostra ospite è sporca.» Passò il pollice su una chiazza di sangue fresco, portando poi la mano sul viso di lei e premendo il dito sulle sue labbra, lasciando un alone rossastro. «Non possiamo permetterlo!»

Afferrò entrambi i lati dello scollo dell'abito, per poi strapparli con violenza.

La stoffa si lacerò con facilità, le pietre decorative si sparsero tintinnando sul pavimento.
Kallian gli urlò di fermarsi, cercando di coprirsi il seno nudo con le braccia. L'altro le afferrò i polsi, forzandole le braccia ai lati del corpo. «Non fingerti timida, orecchie a punta, vedrai che ci divertiremo.» Avvicinò il viso al suo, baciandola prepotentemente. Lei reagì divincolandosi con uno strattone, tirandogli una testata sul mento.

Vaughan si ritrasse di scatto con un grido di dolore, tirandole uno schiaffo col dorso della mano, facendola barcollare. Uno degli anelli che portava alle dita le procurò un taglio sul labbro, che iniziò a sanguinare. «Maledetta puttana!» Ringhiò il lord. «Legatela con gli altri, ci occuperemo prima delle sue amiche.» Ordinò, andando a prendere Shianni, che cercò di strisciare via da lui. Aveva il viso rosso e contuso, segno che aveva opposto resistenza.

«Dannate», sibilò Vaughan, prendendola per i capelli e facendola gridare di dolore, «puttane!»

Gli altri due umani si avvicinarono a Kallian, le corde per immobilizzarla già pronte.

Prima che potessero raggiungerla, la ragazza si gettò di peso su uno di loro, buttandolo a terra. Colto di sorpresa, l'uomo non fece in tempo a reagire, permettendole di afferrare il coltello che portava legato alla cintura. Prima che potesse però farci qualcosa, l'altro uomo la colpì con un calcio al costato, togliendole l'aria e facendola cadere su un fianco. Kallian non si perse d'animo, stringendo il manico dell'arma e conficcandola con forza nel dorso della mano dell'uomo a terra.

L'altro la colpì di nuovo, ma stavolta lei riuscì ad attutire il colpo parandolo con la spalla. Si rialzò di scatto, fronteggiandolo, il coltello alzato in aria e pronta all'attacco.

Un grido terrorizzato la fece trasalire. Si girò di scatto, restando impietrita.

«Gettalo, o la sgozzo come una scrofa!» Ordinò imperiosamente Vaughan, che stringeva a sé Shianni, la lama della sua spada premuta di taglio sulla sua gola, intrappolandola tra essa e l'uomo. La ragazza respirava a fatica, piangendo e singhiozzando. «Aiutami...» Pregò l'amica.

Sentì i gemiti soffocati dei due elfi legati, che si agitarono cercando di liberarsi, senza successo.

L'attimo di esitazione di Kallian le costò caro. L'uomo alle sue spalle la colpì alle scapole, afferrandole il braccio con cui teneva il pugnale e torcendoglielo dietro la schiena, costringendola a lasciarlo cadere. Le bloccò anche l'altro, facendole male finché non gli implorò di smettere.

«La pagherete cara.» Sputò Vaughan, gettando Shianni a terra e tenendola giù con un piede premuto sulla sua schiena.

Kallian finì legata e imbavagliata di fianco di Soris e Nelaros, costretta a guardare Vaughan e i suoi uomini approfittarsi delle sue compagne.

La prima ad essere spogliata fu Shianni. La colpirono violentemente finché non smise di dibattersi, cercando di raggomitolarsi al suolo in preda alle lacrime, il naso rotto che colava sangue, che andava a impestare i suoi capelli.

L'uomo ferito si legò un pezzo di stoffa attorno alla mano, bevendo un'abbondante sorso di vino da una bottiglia sul tavolo. Rinfrancato, ignorò il dolore e si unì ai suoi complici, bloccando le braccia dell'elfa sul pavimento mentre Vaughan si muoveva sopra di lei con forza.

Quando il lord ebbe finito, la lasciarono sul pavimento, rivolgendo la propria attenzione sulle altre due. L'uomo che aveva disarmato Kallian tirò in piedi l'elfa che aveva suggerito di assecondare i loro rapitori, strattonandola. Lei gemette impaurita, ma non oppose resistenza mentre le sollevavano la gonna, gettandola sul letto e schiacciandole la testa contro il materasso.

Soris lottò contro le corde che gli bloccavano le caviglie e i polsi, ringhiando da sotto il bavaglio e contorcendosi nel tentativo di liberarsi.

L'uomo con la mano ferita sembrò trovarlo divertente, perché gli si avvicinò con un ghigno perverso, afferrandogli il mento e costringendolo a guardarlo negli occhi. «Oh, sei preoccupato per la tua mogliettina?» Gli chiese, inginocchiandosi di fronte a lui e avvicinandosi così tanto che i loro nasi si sfiorarono. «Braden sa essere un po' brusco, ma vedi che quando avrò la tua ragazza, la farò urlare per chiederne ancora.» Lo derise, premendo un piede sull'inguine dell'elfo. «E chissà, magari una volta che avremo finito con loro, potremmo trovare un uso anche a voi due.» Sfregò il tacco contro la stoffa dei pantaloni di Soris, facendolo sussultare. «Tanto, voi orecchie a punta siete tutti uguali, a parte quello che avete qua sotto. Ma a questo si può sempre rimediare.» Minacciò allusivamente. Spostò il peso sulla gamba tra le gambe dell'elfo, che gridò di dolore.

Un urlo soffocato segnalò che Vaughan aveva cominciato ad occuparsi di Valora. La maneggiò come una bambola di pezza, buttandola sul grande letto di fianco alla compagna. «Jonaley, questa è già pronta per te!» Chiamò il compagno, che si allontanò da Soris con un ghigno, armeggiando con la cintura dei pantaloni.

Kallian nel frattempo stava disperatamente cercando di tagliare le corde ai polsi, sfregandole contro lo spigolo della roccia su cui era appoggiata. La pelle le si stava lacerando in più punti, rendendole le mani scivolose di sangue. Nelaros, di fianco a lei, cercò di attirare la sua attenzione con un grugnito soffocato, indicando con un cenno del capo i piedini su cui poggiava la libreria. Strisciarono silenziosamente verso di esso, sfregando le corde contro lo spigolo. La ragazza lavorava febbrilmente, cercando senza successo di ignorare i gemiti provenienti dal letto. Finalmente, dopo un tempo interminabile, sentì le corde cedere.

Si liberò le mani, piene di escoriazioni, e cominciò a slegare la corda che le bloccava le caviglie.

Dopo qualche tempo Nelaros le segnalò di essere riuscito a liberarsi.

Quando Vaughan si allontanò da Valora, lasciando spazio a Jonaley, si girò per controllare i prigionieri.

Nelaros fece per colpirlo alla nuca con la bottiglia di vino che il compare dell'uomo aveva lasciato sul tavolo, ma mancò il bersaglio, centrandolo sulla schiena. Quello, voltandosi e venendo colpito, si accasciò a terra con un gemito, maledicendolo e afferrando l'elsa della propria spada. L'elfo si ritrasse di scatto, lasciando spazio a Kallian, che si buttò contro Vaughan con tutto il proprio peso, schiacciandolo a terra e impedendogli di estrarre l'arma, il coltello che le era caduto prima puntato sulla gola dell'uomo.

«Allontanatevi o lo ammazzo!» Urlò, la lama premuta sulla pelle candida del lord. Quello, che probabilmente non aveva mai ricevuto una minaccia del genere in vita sua, la guardò sconvolto.
Nelaros era intanto scattato a bloccare la porta, per evitare che le guardie potessero fare irruzione.

Gli altri due umani si voltarono a guardarla, in allarme e incerti sul da farsi.

«Ho detto di allontanarvi!» Ripeté Kallian, rafforzando il concetto premendo il coltello ad incidere leggermente la pelle fino a far spillare una singola goccia di sangue.

«Fate come vi dice!» Sbraitò Vaughan, chiaramente in panico. I due obbedirono immediatamente, alzando le mani e allontanandosi di qualche passo dal letto.

«Cosa intendi fare, eh?» Le chiese poi il lord, cercando di mascherare la paura. «Ci sono almeno una dozzina di guardie qui dentro, e tu hai solo un coltello.»

Aveva ragione, seppure in parte. Si chinò a sguainare la spada dal fodero che l'uomo teneva alla cintura. «Ho anche questa.» Constatò, puntandola a terra.

«Possiamo risolvere la situazione pacificamente.» Cercò di convincerla quello. «Lascerò andare le tue amiche, e pure quei due. Hai la mia parola.»

Kallian non sapeva cosa fare. Era certa che l'uomo stesse mentendo per salvarsi la vita, e nel momento in cui avesse tolto la lama dalla sua gola, avrebbe ordinato ai suoi uomini di sfondare la porta e sarebbe stato tutto inutile.

D'altra parte, uccidere il figlio dell'arl di Denerim avrebbe comportato una catastrofe non tanto per loro, quanto per l'intero Enclave. Non poteva lasciare che sterminassero tutti gli abitanti del quartiere per vendicarlo.

Deglutì a vuoto, c'era un'unica soluzione.

«In piedi.» Ordinò all'uomo, tenendo sempre la lama a contatto con la sua pelle mentre gli si toglieva di dosso, permettendogli di alzarsi. Quello la guardò spaesato.

«Adesso aprirai quella porta, e ordinerai alle guardie di riportare tutti loro all'Enclave. Immediatamente.» Gli puntò la spada dietro la schiena, spingendolo verso la porta ma restando nascosta dietro la parete, in modo che non potessero vederla una volta aperta. «Sappi che non importa quante guardie ci siano fuori, sarai morto prima che riescano a muovere un passo.» Lo avvisò, premendogli la punta tra le clavicole per rimarcare il concetto.

Nelaros nel frattempo aveva liberato Soris, che corse da Valora. Shianni si era rimessa in piedi a fatica. Le elfe si rivestirono faticosamente, tenendo insieme i lembi di stoffa che erano stati strappati. Camminarono malconce verso la porta.

«Ora aprila, e fai come ti ho detto.» Ordinò Kallian a Vaughan.

«Kallian, aspetta.» Si bloccò Nelaros. «E tu?»

Anche Soris a quel punto si era girato a guardarla ad occhi sgranati.

Lei rimase in silenzio, guardandolo con determinazione.

«No, non posso.» Si oppose lui. «Resto io.»

Kallian scosse la testa. «Serve qualcuno che le protegga se le guardie non seguono gli ordini alla lettera.» Spiegò. Poi, punzecchiò nuovamente Vaughan con la spada. «Muoviti, apri la porta.»

Quello obbedì, tremante di rabbia.

La porta si spalancò, rivelando solo due guardie, che si girarono sorprese saltando sull'attenti.

«Con loro abbiamo finito.» Annunciò il lord. «Riportateli immediatamente nell'Enclave.» Kallian spinse la lama ancora più contro la sua schiena. «Immediatamente, ho detto. Niente deviazioni.»

Le guardie annuirono, confuse, tuttavia sembrarono obbedire agli ordini dell'uomo.

Guardando sfilare gli elfi di fianco a lei, Kallian sentì un nodo alla gola. Se solo avesse agito prima... Incrociò lo sguardo di Shianni, che chinò il capo. Non c'era bisogno di aggiungere niente.

Quando furono usciti, Vaughan chiuse la porta di scatto. «Quindi?» Chiese scocciato. Aveva capito di non essere più in pericolo.

Kallian inspirò profondamente, facendo due passi indietro e lasciando cadere a terra la spada in segno di resa.

Vaughan si voltò verso di lei, un largo ghigno che presagiva vendetta stampato in faccia.

 

 

 

Due settimane dopo, una sacca voluminosa venne buttata nel fango davanti ai cancelli dell'Enclave.

Alarith, seduto ad aspettare una cassa di merce clandestina col favore del buio, corse ad investigare. Dalla sacca rotolò fuori il corpo esanime di una ragazza dalla pelle scura, completamente nuda e sporca di fango e altre incrostazioni. L'elfo corse a chiedere aiuto, e insieme ad un paio d'altri riuscirono a portarla dall'Hahren.

Valendrian stese la ragazza su un piano, controllando se fosse ancora viva. Respirava a stento, le pulsazioni sul polso che si percepivano appena.

Cominciò lavandola e disinfettando le sue numerose ferite: aveva tagli di diverse forme e dimensioni su tutto il corpo, un grosso sfregio sul petto e quello che sembrava un foro profondo fatto con un oggetto molto appuntito, a lato della testa brillavano tre tagli paralleli dai bordi sfrangiati. Il naso era rotto e incrostato di sangue, il labbro era spaccato, lasciando intravedere la gengiva sottostante. Sulla schiena presentava numerosi altri tagli, sottili e profondi. Intorno al collo, alle caviglie e ai polsi presentava profonde escoriazioni e segni di sfregamento. La caviglia era piegata in modo innaturale, le ginocchia sbucciate e le gambe piene di ferite minori. Lividi e contusioni più o meno recenti la ricoprivano quasi interamente. Una serie di cicatrici dalla forma strana correvano per tutto il corpo, come se fosse ricoperta da rovi intricati. I capelli, prima di un colore bruno quasi nero, erano ora ridotti a ciocche bianche come il latte.

«Devo chiamare Ceylon?» Chiese Alarith a Valendrian mentre l'elfo lavorava sulle ferite.

«Aspettiamo di vedere se sopravvive alla notte.» Decise l'Hahren. «Nessun padre dovrebbe vedere la figlia in questo stato.»  









Note dell'Autrice: E anche Kallian fa la sua comparsa. Ogni commento o critica è ben accetto! :) 

Ho disegnato i vari protagonisti. QUI c'è Kallian.

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Capitolo 4
*** Altura Perenne ***


CAPITOLO QUATTRO: ALTURA PERENNE

 





Il castello di Altura Perenne fremeva di attività: i preparativi per la partenza dei soldati erano quasi completi, le ultime provviste venivano caricate sui carri, i cavalli strigliati e sellati, gli uomini controllavano l'equipaggiamento, affilavano le lame e sostituivano le corde degli archi, lucidavano le armature e, soprattutto, salutavano la famiglia che avrebbero lasciato a casa.

Elissa li guardava con invidia, mentre camminava a passo spedito verso il salone del castello. Suo fratello maggiore, Fergus, sarebbe partito quella sera stessa assieme a suo padre, mentre lei sarebbe rimasta a casa a badare ad Altura Perenne. Era ingiusto.

«Cucciola, non ti avevo vista.» La salutò Teyrn Bryce Cousland, suo padre. «Howe, vi ricordate di mia figlia?» Chiese all'uomo accanto a lui.

Arl Howe, un uomo dal volto allungato e il naso adunco, vestito in abiti eleganti, la salutò con un cenno del capo. «Vedo che è diventata un'adorabile fanciulla. Piacere di rivedervi, mia cara.»

«Il piacere è mio, Arl Howe.» Rispose cortesemente Elissa, nonostante l'uomo non le piacesse particolarmente. Aveva un modo di fare un po' viscido, come se pensasse una cosa e ne dicesse sempre un'altra. Tuttavia, era un vecchio amico e compagno d'armi del Teyrn Cousland, e non aveva mai dato prova di slealtà nei confronti della Corona o di Altura Perenne.

«Mio figlio Thomas ha chiesto di voi.» Disse Howe. «Forse dovrei portarlo con me la prossima volta...» Lasciò la frase in sospeso. La ragazza fece un sorriso di circostanza. Il terzogenito di Howe era sette anni più giovane di lei, a malapena poteva considerarsi uno scudiero. Avendone lei ventuno, il ragazzino aveva sviluppato nei suoi confronti una certa adorazione, che ovviamente l'Arl voleva sfruttare in vista di un possibile matrimonio che avrebbe unito le due casate.

«Non vede l'ora di affrontarvi di nuovo a duello.» Continuò l'Arle, una punta di sdegno nella voce: era chiaro che non approvasse l'addestramento che i Cousland avevano dato alla figlia.

«Mi farebbe piacere.» Rispose prontamente lei.

«Ad ogni modo, figlia mia, ti ho fatta convocare per un motivo.» Le disse il padre, prendendole una mano tra le proprie e guardandola serio negli occhi. «Mentre tuo fratello ed io saremo via, ti affido il castello.» Lei stava per replicare, ma lui la fermò prima che potesse aprire bocca e lamentarsi nuovamente. «So che vorresti venire anche tu, e non ti lascio a casa perché mi preoccupo per te, bensì il contrario. Porteremo con noi il grosso del nostro esercito, lasciando Altura Perenne largamente sguarnita e vulnerabile: è compito tuo difendere il castello e la nostra famiglia, in caso qualcuno dei nostri nemici decidesse di approfittarne per attaccarci o... la battaglia non dovesse andare a buon fine.»

«Padre...» Elissa sapeva che era la mossa più saggia, tuttavia si sentiva abbandonata. Mentre suo fratello e suo padre avrebbero rischiato la vita combattendo una gloriosa battaglia per salvare nuovamente il Ferelden, come i Couslan avevano fatto durante la ribellione di Re Maric, lei sarebbe rimasta in disparte, a casa, a badare alla famiglia e ad un castello mezzo vuoto. «Capisco perchè volete che resti a casa. E farò del mio meglio.» Gli assicurò.

Il padre si concesse un sorriso, guardandola con affetto. «È quello che volevo sentire. Ora va', dì a tuo fratello di condurre le truppe ad Ostagar senza di me e che lo raggiungerò domani assieme agli uomini di Arl Howe.»

Elissa annuì, facendo una piccola riverenza e dileguandosi alla ricerca del fratello.

Prima che potesse salire la rampa di pietra che portava alle stanze dei Cousland all'ultimo piano del castello, venne fermata da uno degli uomini del padre, Ser Gilmore.

L'uomo era di bell'aspetto, i capelli rossi portati lunghi che ricadevano sulle spalle massicce, accentuate dall'armatura di metallo che indossava.

«Eccovi qui! Vostra madre mi aveva detto che il teryn vi aveva mandata a chiamare, perciò non volevo interrompere.»

«Salute anche a voi, Ser Gilmore.» Lo salutò Elissa, sorpresa di trovare il cavaliere ancora in giro e non a supervisionare i preparativi per l'imminente partenza.

«Ah! Perdonate la mia scortesia, mia signora. È solo che vi ho cercata ovunque.» Si scusò lui.

«Non c'è bisogno, Ser. Credo che avermi vista sporca di terra e affaticata durante gli allenamenti in cortile, ed esserci scambiati più di qualche colpo, renda superflue le formalità.» Lo rassicurò lei. «Dunque, perché tanta fretta?»

«Temo che il vostro segugio stia nuovamente creando scompiglio in cucina.» Rispose l'altro. «Nan minaccia di andarsene.»

Lei si lasciò scappare un risolino. «Nan minaccia di andarsene da quando era la mia balia, ed è ancora qui. Comunque, sarà il caso di andare a recuperare Biscotto.» Fece segno al cavaliere di seguirla, mentre si avviava alle cucine.

Sentirono le urla rabbiose della vecchia cuoca ancora prima di svoltare per il corridoio.

«Quando Nan è scontenta, fa in modo che lo sappiano tutti...» Commentò Ser Gilmore ridacchiando.

«Ricordo ancora le scenate quando tornavo sporca di fango in tempo per la cena.» Elissa scosse la testa, ripensando a quante volte la povera balia aveva dovuto ripulirla da capo a piedi in tutta fretta e in tempo per il pasto con la famiglia, dopo che lei aveva passato la giornata tra spade e combattimenti.

«Eravate una bambina terribile, a detta sua.» Confermò Ser Gilmore, rendendosi conto subito dopo di aver parlato a voce alta e scusandosi immediatamente.

Lei lasciò correre con un cenno della mano. «Oh, per piacere. Ha probabilmente ragione.»

Raggiunsero la cucina, dove un' arrabbiatissima Nan stava sbraitando contro due poveri servitori.

«Cacciate quel maledetto cane pulcioso dalla dispensa!»

I due elfi si scambiarono sguardi terrorizzati. «Ma signora, non si lascia avvicinare!»

La vecchia sembrò, se possibile, arrabbiarsi ancora di più. «Se non riesco ad accedere a quella dispensa, giuro che vi scuoierò entrambi, inutili elfi!»

Ser Gilmore accorse in aiuto dei due poveretti. «Calmatevi, buona donna, siamo qui per aiutarvi.»

Quella si girò inviperita, squadrando i nuovi arrivati con un cipiglio rabbioso. «Voi! Il vostro maledetto bastardo continua ad infilarsi nella mia dispensa! Quella bestia dovrebbe essere soppressa!» Sbraitò, puntando un indice nodoso all'altezza del petto di Elissa.

Lei sospirò, abituata alle scenate della donna. «Mi dispiace Nan, sai che Biscotto non resiste al profumo di cibo...»

La vecchia sembrò calmarsi un poco. «Fate in modo che se ne vada! Ho già abbastanza problemi ad occuparmi di un castello pieno di soldati affamati!»

Elissa scrollò le spalle, aprendo la porta della dispensa.

Biscotto, un grosso Mabari dall'arruffato pelo color miele, si girò verso di lei, abbaiando due volte.

«Stai di nuovo infastidendo Nan, razza di goloso.» Lo redarguì lei, incrociando le braccia al petto.

Quello uggiolò sonoramente, per poi puntare qualcosa alla sua destra e abbaiare di nuovo, le orecchie all'indietro e la piccola coda ritta, in posizione d'attacco.

Elissa si stupì molto. «Che c'è, trovato qualcosa?»

Il mabari si girò brevemente verso di lei, tornando poi a puntare dei sacchi di tela sul fondo della dispensa. La ragazza tese le orecchie, captando uno scalpiccio sul pavimento di pietra.

«Sembra ci sia qualcosa...» Annunciò Ser Gilmore, estraendo la spada.

Lei fece lo stesso. «Avanti Biscotto, prendilo!» Ordinò al segugio, che scattò in avanti con un balzo, rovesciando i sacchi per terra. Un lamento acuto segnalò che aveva azzannato qualcosa con le sue fauci possenti.

Una decina di ratti di grosse dimensioni fuggirono dal loro nascondiglio, correndo in direzione dei due nuovi arrivati, che si affrettarono ad eliminarli.

Ser Gilmore ne rivoltò uno con un piede, osservandolo da vicino. «Questi ratti vengono dalle selve Korcari. È meglio non dirlo a Nan, è già abbastanza infuriata.»

«Sì, con Biscotto.» Ribattè Elissa. «Almeno così saprà che stava solo facendo il suo lavoro di cane da guardia. Vero, bello?» Si chinò ad accarezzare il cane dietro le orecchie, facendolo scodinzolare allegramente.

Nan non fu contenta di sentirsi raccontare dei topi giganti che avevano invaso la sua dispensa, ma per lo meno sembrò far temporaneamente pace con il mabari, a cui offrì un biscotto.
Il cane, rendendo onore al proprio nome, lo mangiò di gusto, leccando affettuosamente la mano della vecchia e facendola inveire di nuovo.

Scapparono dalla cucina prima che potesse trovare altro di cui accusarli. Sull'uscio, trovarono i due elfi che la vecchia stava strigliando quando erano arrivati.

«Sì è un po' calmata. Mi dispiace dobbiate subirvela tutti i giorni...» Disse loro Elissa.

I due la guardarono allarmati, scuotendo la testa e inchinandosi profondamente, bofonchiando delle scuse agitate e ringraziandola per la sua preoccupazione, per poi scappare di nuovo nelle cucine.

«Beh, mia signora, ora che avete il mabari sotto controllo, posso andare a prepararmi per l'arrivo degli uomini dell'arle.» Annunciò Ser Gilmore.

«Aspettate.» Lo fermò Elissa. «Partirete domani con mio padre, vero?»

L'altro annuì. «Sì, il teyrn mi ha richiesto nella sua scorta personale.»

Lei prese fiato. «Tenete d'occhio mio padre, Ser. Può essere avventato, e non...»

«Lo farò, mi signora.» La interruppe l'uomo, portandosi il pugno chiuso all'altezza del cuore. «Proteggerò il teyrn con la mia stessa vita, vi prometto che tornerà sano e salvo.»

«Grazie, Ser Gilmore. So che siete un uomo di parola, e la vostra fedeltà a mio padre è salda.» Elissa si strinse nelle spalle. «Vorrei solo venire con voi.»

«Lo so, mia signora. E sono certo che le vostre conoscenze strategiche e militari saranno di grande aiuto in futuro, tuttavia il teyrn vi ha dato un compito importante quanto quello di guidare uomini in battaglia: non è semplice governare, ed egli si fida ciecamente di voi.»

La ragazza sapeva che era vero: era stata istruita al meglio, sapeva quali casate nobiliari fossero fidate e da quali invece guardarsi, conosceva le leggi e le necessità del popolo di Altura Perenne e, in caso di necessità, confidava di poter gestire un attacco al castello da parte di forze nemiche. Tuttavia, il non poter accompagnare il fratello e il padre ad Ostagar la faceva sentire come se la stessero proteggendo.

Salutò Ser Gilmore, augurandogli buon viaggio e buona fortuna.

Salendo la rampa che portava al piano di sopra, incrociò sua madre, Teyrna Eleanor Cousland. Era una donna ancora molto bella per la sua età, qualche ruga le solcava il volto austero, i capelli grigi, una volta biondi come quelli della figlia, erano legati in due chignon alla base della nuca.

«Ah, ecco la mia splendida figlia!» La salutò. «Dalla presenza del vostro molesto segugio, immagino che la situazione nelle cucine si sia risolta.»

Biscotto uggiolò in risposta, cercando di convincerli con la sua espressione più innocente. La teyrna non diede segni di cedimento, fissandolo con disapprovazione.

I suoi ospiti, Lady Landra, suo figlio Dairren e un'elfa che doveva essere la dama di compagnia, lanciarono sguardi divertiti al mabari.

«Sì madre, Nan è già tornata al lavoro.» Rispose Elissa, dando una grattatina dietro le orecchie del cane, che scodinzolò contento. «Biscotto aveva solo un po' di fame.» Pensò che era meglio non parlare di ratti giganti di fronte agli ospiti, soprattutto quando la cena della sera sarebbe stata preparata proprio nelle cucine infestate.

«Speriamo che abbia lasciato qualcosa per nutrire i nostri ospiti... Tesoro, ti ricordi di Lady Landra, la moglie di Bann Loren?»

«Ma certo, ci siamo viste alla festa di primavera...» La salutò cortesemente Elissa. La donna in quell'occasione era ubriaca marcia, ma anche su quello era meglio soprassedere. «È un piacere rivedervi. Spero vada tutto bene a Caer Oswin.»

«Oh, cara, sei troppo gentile. Se ricordo bene, ho trascorso metà della festa a cercare di convincervi a sposare mio figlio...» Lady Lndra ridacchiò, accennando al ragazzo di fianco a lei.

«E con ben misere argomentazioni, se posso aggiungere...» Si intromise quello, facendo un largo sorriso ad Elissa. «È un piacere rivedervi, mia signora. Siete più bella che mai.»

«Dairren, ben trovato.» La ragazza ricambiò il sorriso. Era un uomo piacevole e di bell'aspetto, aveva più o meno la sua stessa età e le madri erano amiche di vecchia data.

«Anche lui non si è ancora sposato!» Aggiunse Lady Landra.

Il ragazzo, imbarazzato, spostò il peso da un piede all'altro. «Non date retta a mia madre...»

«Magari possiamo incontrarci più tardi in biblioteca e parlare un poco?» Gli chiese Elissa, sapendo già che lui avrebbe accettato.

«Ma certamente. Ne sarei molto felice.» Le assicurò immediatamente lui.

«Oh, meraviglioso!» Commentò raggiante Lady Landra. «Oh, questa è la mia dama di compagnia, Iona.» Aggiunse indicando l'elfa dietro di loro, un po' in disparte. «Dì qualcosa, cara...»

Quella, una giovane donna bionda e molto carina, fece una riverenza verso Elissa. «È un vero piacere, mia signora. Siete davvero bella come vi descrive vostra madre.»

«E lo dice dopo avervi vista percuotere uomini imbottiti in cortile, sudata come un mulo...» Si intromise teyrna Eleanor.

Elissa si trattenne dallo sbuffare. Anche la madre ai suoi tempi si diceva fosse stata capace di far fuori un uomo ancora prima che quello capisse che sotto l'elmo vi era una donna, ma non l'aveva mai vista combattere. Teyrna Eleanor Cousland era una Lady in tutto e per tutto, e dopo la nascita dei figli aveva appeso l'arco al chiodo, dedicandosi alla famiglia e alle pubbliche relazioni con gli altri Lord del Ferelden, oltre che all'amministrazione del castello di Altura Perenne.

«La maestria di vostra figlia con la lama è davvero impressionante.» Concordò Dairren.

«Ai miei tempi, ero anch'io una discreta guerriera.» Ammise la teyrna. «Ma credo siano state arti più delicate a permettermi di trovare marito.»

Elissa scrollò le spalle. «Credo che l'uomo che sposerò debba essere in grado di apprezzare sia le mie arti delicate sia le mie abilità con la spada, madre.» Scoccò uno sguardo a Dairren, che annuì imbarazzato in segno di approvazione.

Eleanor Cousland roteò platealmente gli occhi al cielo.

«Ora scusate, ma dovrei andare a cercare mio fratello.» Si accomiatò Elissa. «Dairren, a dopo.»

Fece un lieve inchino agli ospiti, per poi proseguire lungo il corridoio.

Bussò alla porta della camera del fratello. «Fergus?»

Oriana, la moglie, venne ad aprirle. Aveva gli occhi gonfi e rossi, segno che aveva pianto. Elissa le poggiò una mano sul braccio, ben sapendo che qualsiasi parola di conforto sarebbe stata inutile contro l'ansia che la donna provava a vedere il marito partire per la guerra.

Il piccolo Oren non condivideva le stesse paure e saltellava emozionato per la stanza.

«Elissa!» Esclamò Fergus, girandosi a guardarla. Indossava la sua armatura, tirata a lucido, e portava spada e scudo sulle spalle. «Sei venuta anche tu a salutarmi?»

«Non potevo lasciarti partire senza, no?» Ribatté lei. «E nostro padre mi ha detto di cercarti.»

«Mi porterai una spada,vero?» Chiese Oren al padre, tirandolo per un braccio e richiamando la sua attenzione.

Fergus si inginocchiò di fronte al bambino, accarezzandogli una guancia. «Ma certo. La più grande che riuscirò a trovare. E sarò subito di ritorno, te lo prometto.»

«Vorrei tanto che la vittoria fosse certa come la fai sembrare...» Commentò la moglie, preoccupata.

«Oh, non spaventare il bambino, amore mio. Ti dico che è vero.» Cercò di rassicurarla lui, dando un buffetto sulla testa del piccolo.

Fergus sembrava sicuro di sé, ma Elissa sapeva che era bravo a nascondere le sue vere emozioni. Non poteva certo far preoccupare la famiglia, ma la guerra di fronte a loro sarebbe stata pericolosa, e nessuno era certo dell'esito.

«Nessun Prole Oscura potrà toccare mio fratello!» Confermò lei, dandogli una pacca sulla spalla e facendo risuonare gli spallacci di metallo. «Mi mancherai, sai?»

L'altro si aprì in un sorriso gioviale. «Vorrei che potessi venire anche tu. Sarà stancante uccidere tutti quei Prole Oscura da solo... Ma qualcuno deve pur farlo.»

La sorella ricambiò il sorriso. «Avrei voluto poterti guardare le spalle.»

«In Antiva, una donna sul campo di battaglia sarebbe vista come... insolita.» Commentò Oriana, che era però ormai abituata all'idea che Elissa fosse abile nel combattimento quanto Fergus.

«Ma se ho sempre sentito che le donne di Antiva sono alquanto pericolose!» Ribattè il marito, ammiccante.

«Solo con la gentilezza e il veleno, marito caro...»

Lui scoppiò a ridere. «Detto dalla donna con cui prendo il tè tutti i giorni!»

«Nostro padre dice che ci saranno anche dei Custodi Grigi, a combattere con il re.» Disse Elissa, pensierosa. «E tutti i lord sono stati chiamati alle armi, l'intero Ferelden.»

«Custodi Grigi?!» Esclamò entusiasta il bambino. «Con i grifoni?»

«Oren, esistono solo nelle storie ormai.» Gli spiegò paziente la madre.

«Sì, lo so. Un esercito così unito non si vedeva da... Beh, da prima dell'invasione degli Orlesiani!» Commentò Fergus. «Il che fa ben sperare. I Prole Oscura non avranno speranza.»

«Lo stratega di Re Cailan è ancora Teyrn Loghain. Dovrebbe organizzare lui la guerra.» Elissa aveva una sorta di adorazione per l'uomo, avendo letto tutto il materiale reperibile sulla guerra di liberazione guidata da Re Maric, padre dell'attuale sovrano, e il suo fidato amico Loghain, ora teyrn e padre della regina del Ferelden. I racconti di come l'esperienza e l'intuito di Loghain, assieme alla prontezza di spirito e al suo coraggio, avessero spesso volto le battaglie a favore dei ribelli erano i suoi preferiti. «Avrei voluto conoscerlo.» Si lamentò Elissa.

«Farò in modo di convincere nostro padre a portarti a palazzo una volta vinta la guerra, sorellina.» Le assicurò Fergus. «Così potrai inondarlo di domande e farti cacciare come disturbatrice della quiete dopo averlo esasperato.» Sogghignò.

L'altra non finse nemmeno di essersi offesa. Conoscere l'eroe della sua infanzia era uno dei suoi sogni. E magari, se fosse stata abbastanza fortunata e il teyrn fosse stato particolarmente di buon umore (non che fosse conosciuto per il suo buon carattere, s'intende), sarebbe anche riuscita a tirare di spada con lui.

L'invidia tornò a roderle il fegato. Se avesse combattuto assieme al fratello e al padre, avrebbe avuto qualche possibilità di essere notata dal Teyrn.

«A proposito di nostro padre.» Disse lei. «Gli uomini da Amaranthine sono in ritardo, ha detto di partire senza di lui e che partirà domani assieme a Lord Howe.»

«Ah! Sembrano camminare all'indietro da quanto sono lenti ad arrivare!» Commentò Fergus, un leggero disprezzo nella voce. Howe non piaceva particolarmente nemmeno a lui. «Farei meglio ad andare, allora. Un sacco di Prole Oscura da decapitare, e il tempo stringe!»

Si chinò ad abbracciare un ultima volta il figlio, dando poi un bacio alla moglie. «Sarò presto di ritorno, amore mio.» Le disse.

Fecero il loro ingresso anche il teryn e la teyrna. «Spero, mio caro, che volessi aspettarci prima di sgattaiolare via?» Chiese Bryce Cousland, sorridendo.

«Che il Creatore ti protegga, figlio mio. Pregherò per il tuo ritorno ogni giorno.» Aggiunse la madre abbracciandolo stretta.

«Fergus non avrà problemi, madre.» Cercò di tranquillizzarla Elissa.

«Continuo a dirvelo, non mi farò un graffio!» Confermò Fergus sicuro di sé.

«Che il Creatore ci protegga tutti. Che preservi i nostri figli, i nostri mariti e i nostri padri, e che li riconduca da noi sani e salvi.» Recitò Oriana.

«E che ci mandi birra e donne, già che c'è!» Aggiunse Fergus. «...Per gli altri uomini, ovviamente.» Si precipitò ad aggiungere, dopo che madre e moglie l'ebbero squadrato con disapprovazione.

Elissa scoppiò a ridere.

«Perché le donne?» Chiese Oren nella sua innocenza.

«Perché sanno versare bene la birra.» Rispose prontamente Bryce Cousland.

«Fergus!» Lo rimproverò Eleanor. «Sembra di vivere con due bambini. Fortunatamente, ho una figlia.»

Elissa continuò a ridere. «Che, ripetete continuamente, non è tanto meglio.»

La teyrna scosse la testa, sconfitta.

«Mi mancherai, madre. La terrai d'occhio, vero sorellina?.» Le disse Fergus, stringendo Elissa.

Lei gli diede una gomitata giocosa. «Credo proprio sappia cavarsela da sola, fratellone.»

«Beh, Fergus, direi che è ora di mettersi in partenza, altrimenti non uscirai più da quella porta, tua madre e tua moglie finiranno per incatenarti qui.» Commentò il teryn. «Ci vediamo tra qualche giorno.» I due uomini si strinsero le mani.

«Allora vado. A presto, famiglia!» Annunciò Fergus, prima di dare un'ultima carezza ai capelli del figlio e uscire dalla porta. Elissa lo guardò allontanarsi con un nodo alla gola.

«Non preoccuparti per lui, cucciola.» La rassicurò il padre. «Fergus sa badare a sé stesso.»

Lei si strinse nelle spalle, inquieta. «Lo so, padre.» Scambiò uno sguardo preoccupato con la madre, ma entrambe non aggiunsero altro. Vedere partire entrambi, e non poter accompagnarli, era frustrante per entrambe.

«Partirò anch'io tra qualche giorno, cara.» La informò la teyrna. «Lady Landra mi ha invitata da lei, e credo che non avermi in giro farà solo bene alla tua autorità.»

«Madre!» Esclamò Elissa. «Ma non c'era bisogno. Anzi, mi farebbe molto piacere che tu restassi, lo sai. Non ci sarà molto da fare, dopotutto, e non dovete partire solo per farmi sentire più importante.»

«Lo so cara, ma sia io che tuo padre la pensiamo allo stesso modo. Vedilo come una prova, sarà la prima volta che sarai la sola e unica responsabile di Altura Perenne.»

Elissa sospirò. «Capisco, madre. Questo castello sembrerà parecchio vuoto, senza tutti voi.»

«Oh, cucciola, saremo presto di ritorno.» Disse il teyrn.

Oren la tirò per un braccio. «Quindi sarai tu a badare a me e alla mamma, zia?»

«Esatto, piccoletto. Sarà divertente!» Rispose lei, cercando di sembrare convincente. Sarebbe stato difficile distrarre il bambino dall'assenza del padre e dei nonni.

«E se il castello venisse attaccato? Ci saranno dei draghi?» Le chiese quello. Sembrava tremendamente eccitato alla sola idea di vedere una gigantesca creatura volante, sputafuoco e ricoperta di squame. “Bambini...” Anche lei segretamene avrebbe voluto vederne uno, ma da molto lontano e possibilmente non incrociandone la strada.

«I draghi sono creature malvagie, Oren. Mangiano la gente!» Lo rimproverò la madre, inutilmente.

«Sì! Voglio vedere un drago!» Continuò imperterrito lui.

«Questo è perché tu e Fergus continuate a raccontargli certe storie...» Borbottò Oriana, guardando Elissa di traverso. L'altra scrollò le spalle.

Oren richiamò di nuovo la sua attenzione. «Mi insegnerai ad usare la spada, zia? Così potrò combattere i mostri cattivi anche io!»

La ragazza gli sorrise. «Certo. Domani stesso!» Lo assecondò. «In un paio d'anni, sarai così bravo che andremo a caccia di draghi!»

Il bambino gridò felice, abbracciandola stretto. «Sei la migliore zia del mondo!»

Lei lo lasciò fare, ignorando gli sguardi corrucciati della madre e di Oriana. Dopotutto, non c'era niente di male ad addestrare Oren all'uso delle armi, era anche ora. Lei e Fergus avevano iniziato più o meno alla sua età.

«Cara, non dovresti avere un appuntamento con qualcuno in biblioteca?» Le ricordò la teyrna.

«Oh?» Si intromise Bryce Cousland, interessato. «Non sarà mica con il giovane Dairren?»

Elissa arrossì. «Siamo solo... soltanto per scambiare qualche parola, padre. Niente di che.»

«Ma certo, ma certo... Ricordo quando io e tua madre ci siamo conosciuti...»

Prima che il teyrn potesse rivangare il passato, Elissa sgattaiolò via, Biscotto che le trotterellava dietro allegramente.


 

Il ragazzo era seduto ad uno dei tavoli di legno della biblioteca, immerso nella lettura di un pesante tomo storico, con un ricamo sulla copertina che lo identificava come proveniente dal Tevinter.

«Dairren?» Lo chiamò lei. Quello sollevò lo sguardo, sorpreso.

«Siete venuta!»

«Ma certo.» Gli si sedette di fianco. «Era uno dei preferiti di mio nonno, quello, sapete?» Commentò, indicando il libro. «Tutta questa biblioteca era il suo piccolo mondo privato.»

«È molto fornita... Questo libro, credo sia stato bandito dal Ferelden qualche secolo fa!»

Elissa ridacchiò. «Sì, se lo fece spedire direttamente dal Tevinter. C'è un intero settore di libri sulla magia, nonostante qui nessuno abbia mai avuto sangue magico. E tutta l'ala alla nostra destra è sulla storia del Thedas, sia fatti che leggende. Mentre più avanti ci sono testi di medicina, erboristeria e alcuni vocabolari. Abbiamo anche un paio di volumi direttamente da Par Vollen.»

Sperò che non sembrasse di starsene vantando. Amava quel luogo, ed il suo sogno era leggere ogni singolo volume in quella biblioteca, proprio come avrebbe voluto il nonno.

«Affascinante.» Commentò Dairren. «Non si vede tutti i giorni una così vasta collezione. Il vostro preferito?» Le chiese, chiudendo il tomo che stava leggendo e appoggiandolo di fianco a sé.

Elissa ci pensò su un poco. Ne aveva parecchi. «I draghi del Tevinter, forse. L'ho letto tre volte.»

«Ottima scelta!» Esclamò il ragazzo, colpito. «Le teorie di Timious sulla natura dei draghi e sulla loro connessione con la Prova Oscura sono estremamente interessanti!»

«Sì, beh, tra qualche settimana avrete la possibilità di chiedere conferma ad un Custode Grigio, no?» Gli disse. «Domani cavalcherete con mio padre per Ostagar.»

L'altro annuì. «Sarò il suo secondo... Non più di uno scudiero glorificato, gli terrò pulita l'armatura, sellerò il suo cavallo e cose così... è un grande onore, però.»

«E combatterete la Prole Oscura.»

«Lo spero. Ammetto di essere un po' in ansia all'idea. Ma è necessario combatterli. E sconfiggerli.»

Lei gli fece un sorriso incoraggiante. «So che vi distinguerete in battaglia.»

«Se posso... Sono sorpreso che non veniate con noi, mia signora.»

Elissa sospirò. «Credetemi, se dipendesse da me, sarei al fianco di mio fratello in prima linea. Tuttavia, la mia presenza è richiesta qui ad Altura Perenne. Una Cousland deve rimanere.» Cercò di nascondere l'amarezza che la pervadeva. Sarebbero partiti tutti.

«Se volete, posso cercare di scrivere tutto quello che accade durante la battaglia. Non sono granchè come scrittore, ma farò del mio meglio.» Si offrì lui. «E vi terrò costantemente aggiornata.»

«Lo gradirei molto.» Lo ringraziò lei. «Dubito che Fergus o mio padre si ricorderanno di scrivere qualcosa. E torneranno a casa raccontando solo le cose più inutili, come la birra dopo la vittoria.»

L'altro le mise una mano sulle sue, guardandola negli occhi. «Sarebbe un onore.» Si rese conto dell'audacia, ritirando subito la mano. «Sapete, è il mio sogno scrivere di un avvenimento così importante. Un giorno, uno dei miei libri potrebbe essere in una biblioteca come questa.»

Lei allungò a sua volta la mano, poggiandola sulla sua e sfiorandogli le dita. «Sono certa che sarà così.» Si sporse un poco più in avanti, verso di lui.

«Mia signora...» Balbettò Dairren.

Prima che potesse fermarla, Elissa azzerò lo spazio tra di loro, appoggiando le labbra sulle sue in un casto bacio, solo per un attimo. Si ritrasse velocemente, lasciandogli la mano.

«Attenderò con ansia il vostro ritorno.» Disse, prima di alzarsi e andarsene in fretta, lasciando il ragazzo attonito e imbarazzato.

Elissa schizzò nelle proprie stanze, seguita da Biscotto.

«Lo so, forse sono stata troppo intraprendente.» Disse al cane, che la guardava con occhi intelligenti che sembravano sapere quello che le ronzava in testa. «Ma è carino, e tutti pensano potrebbe essere un buon partito e gli piacciono i libri e...» Sospirò, sdraiandosi sul letto e guardando il soffitto. «E potrebbe non tornare.»

Biscotto saltò sul letto, leccandole una mano.

«Tutti loro potrebbero non tornare.» Abbracciò il mabari, in cerca di conforto. Quello uggiolò triste.




 

Nell'inferno che si scatenò qualche ora dopo, Elissa urlò a squarciagola, inginocchiata in una pozza di sangue accanto ai corpi senza vita del nipotino e della cognata.

Sentì sua madre trascinarla via.

«Dobbiamo trovare tuo padre!» Urlò per l'ennesima volta, il volto di Eleanor rigato anch'esso dalle lacrime. «Li vendicheremo, tesoro mio, te lo giuro.»

Tornarono nel corridoio, dove Elissa tranciò di netto il braccio ad uno degli uomini di Howe che cercò di sbarrare loro la strada, trafiggendolo poi al petto. La teyrna abbatté con tre frecce l'altro assalitore. Corsero a perdifiato verso il salone, dove il frastuono del combattimento era più forte. «Ser Gilmore!» Gridò la ragazza, accorrendo in aiuto dell'uomo e recidendo la testa del suo assalitore con un potente fendente laterale.

«Siete salve!» Esclamò lui, sollevato. «Il teyrn era terrorizzato, è andato a cercarvi...» Menò un colpo dall'alto vero il basso sulla spalla di un nemico, facendolo crollare a terra urlando.

«Avete visto mio padre?» Gli chiese lei. Un'accetta l'avrebbe colpita al fianco se Biscotto non avesse azzannato il braccio dell'uomo con cui stava combattendo, sbilanciandolo e dando accesso alle fauci dell'animale alla gola dell'uomo.

Quando tutti i nemici furono a terra, poterono riprendere fiato.

«Sprangate le porte! Tenete fuori quei bastardi!» Ordinò Ser Gilmore ai suoi uomini, reggendosi un fianco ferito. «Sua signoria. Mia signora. Se avete una vita di fuga, usatela. Non potremo trattenerli a lungo.» Respirava affannosamente.

«Dobbiamo trovare mio marito.» Ribatté Eleanor Cousland. «Sai dirci dov'è andato?»

Il cavaliere scosse la testa. «L'ultima volta che l'ho visto era ferito gravemente. Gli ho suggerito di non allontanarsi, ma era deciso a trovarvi... è andato in direzione delle cucine. Credo voglia usare l'uscita di servizio nella dispensa.»

«Il Creatore ti protegga, Ser Gilmore.» Disse la teyrna, prima di rivolgersi alla figlia. «Andiamo.»

L'altra guardò l'uomo e le altre cinque guardie nella sala. Non sapeva cosa dire, quegli uomini andavano incontro a morte certa. Se solo Fergus avesse aspettato a partire, avrebbero avuto abbastanza uomini per riuscire a contrastare l'attacco...

«Che il Creatore vegli su tutti noi.» Disse semplicemente il cavaliere, prima di chinarsi in un ultimo saluto e andare verso il portone ad aiutare i suoi uomini a tenerlo chiuso.

Sulla strada per le cucine, incontrarono altri numerosi nemici, tra cui un cavaliere con un enorme martello da guerra. Schivando uno dei suoi potenti colpi, che l'avrebbero sicuramente frantumata anche sotto la sua armatura pesante, Elissa finì per terra, dando l'opportunità ad uno degli arcieri di Howe di colpirla ad una coscia. Digrignando i denti dal dolore, conficcò la spada sotto l'ascella del cavaliere, sfruttando lo spazio tra le placche della sua armatura, per poi farlo cadere a terra e finirlo con un altro colpo.

Biscotto e la madre si occuparono dei due arcieri rimasti. Finalmente, entrarono nelle cucine.

Il corpo della vecchia Nan era riverso a terra, una ferita da taglio lungo la schiena.

Senza riuscire a trattenere le lacrime, Elissa la superò singhiozzando. Biscotto ringhiava, pronto a difendere lei e la teyrna da chiunque.

La ragazza aprì con un calcio la porta della dispensa, sfondandola.

«Padre!» Gridò terrorizzata, correndo verso l'uomo a terra.

Bryce Cousland alzò lo sguardo annebbiato da terra, il volto che si apriva in un sorriso sofferente. «Siete... salve...» Ansimò a fatica.

«Bryce!» Esclamò la moglie, inginocchiandosi accanto a lui. «Sei ferito!»

«Gli... uomini di Howe.» Spiegò lui.

«Dobbiamo portarvi via di qui.» Disse Elissa, cercando di aprire la porta di uscita della dispensa.

«Non... credo di farcela, cucciola.»

La ragazza diede un pugno alla porta, imprecando. «Certo che ce la fate!» Insistette.

«La mia adorata bambina...» Sospirò il teryn. Uno spasmo di dolore lo fece gemere sonoramente.

«Quando gli uomini di Howe supereranno il cancello, sarà la fine. Dobbiamo uscire da qui.» Gli disse la moglie, esaminandogli la ferita.

«Qualcuno... deve raggiungere Fergus. Dirgli cosa è successo.» Ansimò l'uomo.

«E ottenere vendetta.» Sibilò Elissa. «Howe non la passerà liscia.»

«Vendetta, sì...» La voce del teyrn si faceva sempre più flebile.

La teyrna lo chiamò di nuovo. «Bryce, l'uscita è qui affianco. Ti troveremo un mago guaritore e-»

Il marito scosse la testa, sofferente. «Il castello è circondato. Non ce la farò.»

«Padre...»

Prima che potesse dire altro, sentirono dei movimenti provenire dal corridoio, almeno una decina di uomini. Biscotto tirò indietro le orecchie, scoprendo i denti e ringhiando.

«Andate.» Ordinò Bryce Cousland. «Andate, e assicuratevi che Howe abbia ciò che si merita.»

Elissa provò a ribattere, le lacrime che le bloccavano le parole.

Due uomini fecero irruzione nella cucina., le armi sguainate.

«Eccoli!» Urlarono per avvertire i compagni. Una freccia colpì uno dei due in un occhio, uccidendolo sul posto, mentre l'altro venne buttato a terra e sbranato dal mabari.

Tuttavia, era troppo tardi. Altri passi pesanti annunciarono che il grido era stato sentito, e presto la cucina sarebbe stata invasa dai nemici, troppi perché potessero sconfiggerli tutti.

Elissa si girò disperata verso la madre, la quale abbassò un attimo l'arco, guardandola negli occhi con solennità.

«Vai, tesoro.» Disse semplicemente, puntando nuovamente l'arma verso l'ingresso.

«Madre...»

«Non c'è tempo.» La interruppe lei. «Li tratterrò finché possibile.»

La ragazza guardò un'ultima volta i due genitori, che si scambiarono uno sguardo d'assenso.

«Che il Creatore ti protegga, cucciola.» Disse Bryce Cousland, appoggiando le spalle contro la parete e chiudendo gli occhi.

«Vai!» Le urlò di nuovo Eleanor Cousland, abbattendo il primo uomo ad entrare con una freccia al ginocchio.

Elissa sentì le gambe muoversi da sole.

Entrò nello stretto passaggio, Biscotto dietro di lei a guardarle le spalle. L'aria sapeva di fumo, era difficile respirare. Il passaggio curvava più volte su sé stesso, scendendo con ripide scale, le pareti scivolose che rendevano impossibile appoggiarsi.

La ragazza singhiozzava, tirando su col naso e non sentendo nemmeno il dolore quando le ginocchia colpirono violentemente il pavimento, trovandosi a terra senza essersi accorta di aver perso l'equilibrio. Aveva gli occhi appannati dalle lacrime, la gamba che le pulsava dolorosamente. Tastò la ferita, rimettendosi faticosamente in piedi: si guardò la coscia, i pantaloni zuppi di sangue sotto l'armatura, costringendosi a proseguire.

Dopo quella che le parve un'eternità, il lungo corridoio finì.

L'uscita dava sul retro del castello, dove vi erano i cavalli e il fieno per nutrirli. Un'ondata di calore e fiamme segnalò che gli uomini di Howe avevano dato fuoco alle stalle. I nitriti di dolore dei cavalli e le urla disperate di chi era rimasto intrappolato riempivano l'aria.

Elissa si guardò attorno disperata, non c'era modo di attraversare quell'inferno.

Si girò verso Biscotto, che nonostante tutto non indietreggiava davanti alle fiamme. Il segugio la guardò con determinazione, prima di puntare le zampe anteriori nella terra e tendere le spalle.

“È finita.” Pensò la ragazza in preda alla disperazione. Era stato tutto inutile, sarebbero morti bruciati, oppure gli uomini di Howe li avrebbero trovati e trucidati come avevano fatto con il resto della sua famiglia. E Fergus non avrebbe mai saputo cosa era successo.

Fergus.

Doveva avvisare il fratello, prima che attentassero anche alla sua vita.

Biscotto scattò in avanti, gettandosi con un grande balzo tra le fiamme e attraversandole.

Elissa sgranò gli occhi, asciugandosi il volto. «Non così.» Non poteva finire in quel modo.

Si coprì il viso con il braccio e si lanciò anche lei tra le fiamme.




 

Sentiva qualcosa di umido e viscido leccarle la faccia. Sollevò le braccia da terra con un gemito, cercando di tirarsi in piedi e scivolando sul terreno fangoso. Aprì gli occhi.

Biscotto uggiolò rumorosamente, cercando di nuovo di leccarle la guancia. Elissa lo abbracciò, sollevata che fossero entrambi ancora vivi. Si guardò attorno, scoprendo di essere sulla riva del fiume che passava sotto Altura Perenne. Da lontano, poteva scorgere il castello, ancora avvolto da una spessa nuvola di fumo nero. Si costrinse a distogliere lo sguardo, sentendo le lacrime scenderle sulle guance e non facendo nulla per arrestarle.

«Dobbiamo andare da Fergus.» Disse al mabari, che la guardava preoccupato. «Howe pagherà per quello che ha fatto.»

Si rimise in piedi barcollando, lo sguardo determinato puntato a sud. 








Note dell'Autrice: E anche Elissa ha avuto la sua porzione di sfiga. I fangirlamenti su Loghain sono dovuti al fatto che ho da poco letto Il trono Usurpato, il libro che racconta di come Maric e Loghain abbiano ripreso il trono del Ferelden strappandolo agli Orlesiani. Molto bello, lo consiglio assolutamente, soprattutto perchè da sia un sacco di informazioni in più sul mondo di Dragon Age, sia perchè fa conoscere meglio Loghain, prima che diventasse ciò che è in Origins. Fa capire molto delle sue azioni successive... 

Per chi volesse dare un'occhiata, sto disegnando i vari protagonisti. QUI c'è Elissa.

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Capitolo 5
*** Orzammar I ***


CAPITOLO CINQUE: ORZAMMAR I

 





«Se sei un abitante della superficie, ad Orzammar per trafficare del Lyrium di contrabbando... Qual è il primo posto dove andare?»

Natia Brosca spalancò la porta d'ingresso del Tapster. La ragazza inalò il forte odore di birra e alcol, leccandosi le labbra, ignorando i commenti indignati degli altri clienti alla vista di due marchiati nel locale. Si passò una mano tra la massa di capelli, dal colore rosso acceso come quello della sorella, ma portati intrecciati e corti per non essere d'intralcio nelle zuffe, procedendo a passi decisi verso il bancone. Il nano dietro di esso li guardò con disgusto.

«Non serviamo i senzacasta, qui, fuori!»

Natia si scambiò uno sguardo divertito con il suo compagno, Leske, rigirandosi tra le mani un coltello dall'aspetto letale.

«Guardaci meglio e ritenta.» Disse all'oste. Quello sgranò gli occhi, fissando prima il coltello, poi i tatuaggi che avevano in faccia, infine di nuovo le armi che portavano addosso.

«Oh, scusate, siete... M-ma certo.» Balbettò. «Posso fare qualcosa per voi?»

«Puoi dirci dove trovare un certo Oskias.» Rispose Leske.

L'altro deglutì a vuoto. «Sì... è qui, con lo stesso boccale da due ore. Ma ha pagato bene, in anticipo. Che ha fatto?»

Natia si appoggiò al bancone, sporgendosi verso di lui e guardandolo dritto negli occhi, godendosi lo sguardo intimorito dell'oste. «Tanto per cominciare, non ci ha offerto da bere.»

«Ah... Permettetemi di rimediare!» Il nano dietro al bancone si asciugò il sudore sulla fronte col dorso della mano, per poi girarsi, trafficare con due boccali e poggiarli sul bancone pieni fino all'orlo. Li spinse verso i due nuovi arrivati, ritirando rapidamente le mani e rimettendosi a distanza di sicurezza dietro al bancone. «Beh, fate quello che dovete fare, io sono sul retro a sistemare, se avete bisogno...» Balbettò allontanandosi.

Natia e Leske afferrarono con calma i boccali, battendoli sulla pietra del bancone e facendoli risuonare. La ragazza se lo portò alle labbra, annusandone l'aroma, per poi berne a lunghe sorsate.

«Salroka! Potresti anche gustartela...» La rimproverò il compagno, facendo un ungo sorso e tenendola in bocca per qualche istante.

«E ripensarci per il resto dell'anno?» Ribattè lei. «Meglio non ricordarsela troppo, altrimenti lo schifo di licheni e muschio che beviamo di solito non farà altro che peggiorare.»

L'altro grugnì il suo dissenso. «Preferisco godermi le cose belle della vita.» Prese due lunghi sorsi, socchiudendo gli occhi. «Una buona birra, una bella donna... a proposito, come sta la tua meravigliosa sorella?»

Natia sbuffò stizzita, sforzandosi di ignorare la fitta di gelosia che le stringeva le budella ogni volta che Leske faceva un apprezzamento su Rica. Sapeva di non essere bella come lei, di certo non aveva la sua grazia e raffinatezza, le sue mani pulite e le sue labbra rosse e carnose, il viso sempre perfettamente dipinto... «Mai stata meglio, se non si fa mettere incinta da qualche lord entro un paio di settimane, forse avrai pure una possibilità con lei.» Commentò acida.

Il tono di voce, ovviamente, non sfuggì al compagno. «Salroka, non sarai mica gelosa?» Le diede una pacca sulla spalla. «Nessun altro sa fare magie con quei coltelli. E hai le mani d'oro, con le serrature e con le borse. Un po' meno con altro, ma...»

Prima che potesse finire la frase, Natia ricambiò la pacca, mettendoci una discreta forza. Ignorando le proteste dell'altro, buttò giù il resto della sua birra. «Muoviti, che abbiamo del lavoro da fare.»

Di malavoglia, Leske la imitò.

Il nano che cercavano, un abitante di superficie che non aveva nemmeno il marchio dei senzacasta, era seduto ad un tavolo di pietra, lo sguardo perso nel boccale. Sembrava aspettare qualcuno.

Natia si sedette prepotentemente sulla sedia di fronte a lui.

«Quel posto è occupato!» Protestò quello, facendo per alzarsi. Leske gli si piazzò alle spalle, intimidendolo.

«Sì, da me.» Ribattè Natia. «Ora svuota le tasche, senza fare scene.»

Oskias spostò lo sguardo da lei a Leske, visibilmente spaventato. «Non sapete con chi sono-»

Natia sfoderò il coltello con rapidità, piantando la punta in una delle crepe del tavolo e tenendolo saldamente in verticale. «Chi credi che ci mandi, idiota?» Fece un cenno al compagno, che afferrò la borsa che il nano teneva accanto a sé. Quello guaì spaventato, tenendo stretta una delle cinghie.

«Ascoltate... sono sempre stato leale con Beraht, io e la mia famiglia gli dobbiamo molto...» Leske gli strappò la borsa di mano, rovistando tra il contenuto.

«Ah! Sembra che abbiamo trovato qualcosa.» Commentò poi sorridendo in direzione della ragazza.

Oskias andò nel panico. «E va bene! Ho due pepite di lyrium, dovevo venderle ad un mio contatto...» Li guardò implorante. «Vi prego, è la prima volta.»

«Prima e ultima.» Sentenziò Natia. «Anche se da questa storia, potremmo guadagnarci, Leske.»

L'amico la guardò interrogativamente. «Alle spalle di Beraht?»

Natia si rigirò tra le mani l'impugnatura del coltello. «Non ci saranno testimoni a parlare.»

Oskias scattò in piedi, afferrando l'elsa della propria spada. Prima che riuscisse anche solo ad estrarla per metà, sobbalzò e si accasciò con un gemito sul tavolo, uno dei pugnali di Leske che gli spuntava dalla schiena, conficcato fino all'elsa. Fece per tentare di rialzarsi, ma Natia lo afferrò per i capelli, sporgendosi e sollevandogli il volto verso di sé.

«Niente di personale.» Gli disse, prima di conficcargli il proprio coltello in un'orbita.

Oskias sussultò violentemente, per poi crollare riverso per terra.

«Non c'è nulla da vedere, qui, abbiamo finito!» Annunciò Leske ad alta voce, incrociando gli sguardi di alcuni curiosi. Gli altri clienti del Tapster, che avevano capito dall'inizio cosa stava per succedere, si affrettarono a tornare a fissare intensamente i propri boccali.

Natia recuperò la propria arma, pulendo la lama sulle vesti del cadavere. Leske fece lo stesso.

«Allora, che hai intenzione di fare con queste?» Le chiese a bassa voce, indicando la borsa aperta ma senza tirare fuori il contenuto. Dopotutto, era probabile che Beraht avesse dei contatti anche lì in quel momento.

«Una la vendiamo, l'altra la usiamo come prova del fatto che lo stesse fregando.» Decise Natia.

«Conosco una persona che ce le comprerà. Cinquanta e cinquanta?»

«Ovvio, come tutto.»

Uscirono dal locale, guardandosi attorno e dirigendosi verso uno dei banchi dei mercanti del quartiere popolare. Tutti coloro che incontravano li guardavano con schifo, a volte lanciandogli insulti. Due senzacasta per il mercato, un vero affronto all'ordine della città.

Da bambina Natia sarebbe arrossita di vergogna, trattenendo a fatica le lacrime. Quel tempo era però passato da un pezzo: gonfiò il petto e tagliò per la piazza a testa alta, ignorando i commenti.

Una lavandaia lanciò un grido di ammonimento, scansandosi con un balzo da loro, nonostante fossero abbastanza lontani da non potersi scontrare in alcun modo.

«State indietro! Queste sono le vesti del Modellatore!» Lì ammonì sgarbatamente.

Natia si limitò a guardarla storto, facendo defilare la serva con uno squittio.

«Sei di buon umore oggi.» Commentò Leske con un sogghigno.

Si avvicinarono ad un banco che esponeva oggetti di uso comune. Una donna di bell'aspetto li salutò cordialmente. «Leske! Che ci fai qui, vuoi provare a sedurmi per ottenere altri nastri per la tua ragazza?»

«Piuttosto, voglio convincere te a diventare la mia ragazza, Olinda. Sai che il mio cuore langue per te.» La salutò di rimando il nano, sfoderando il suo tono migliore e sorridendo alla donna.

Natia alzò gli occhi al soffitto con una smorfia.

«Non dirlo quando c'è mio marito. Chi è la tua amica?» Ribattè l'altra, guardando Natia.

«Non posso crederci, Leske non vi ha mai parlato della sua migliore amica?» Rispose la ragazza in tono sarcastico, lanciando uno sguardo velenoso al compagno.

«Hei, quando sono con una signora, l'ultima cosa a cui penso sei tu.» Disse lui.

«Stronzo.» Sibilò tra i denti lei, attenta però a non farsi sentire dalla mercante.

«Beh, posso farvi uno sconto, dato che siete amici, ma non posso regalarvi nulla.» Disse Olinda.

«In realtà, volevamo vendere.» Annunciò Natia, allungandole la borsa. L'altra la prese velocemente, nascondendola alla vista dietro al banco.

«Non so dove l'abbiate preso, né voglio saperlo.» Annunciò Olinda. «Trenta pezzi d'argento ciascuno.» Offrì loro.

«Solo?!» Si lamentò Leske. Era ovviamente molto meno di quanto valesse.

«Il mercato è solo in superficie, e mi ci vorrà del lavoro per rivenderlo. E dovrò trovare qualcuno che non faccia domande sulla provenienza.» Spiegò la donna.

«Affare fatto.» Tagliò corto Natia. Trenta pezzi d'argento era praticamente quanto riusciva a racimolare in due mesi di lavoro per Beraht.

Presero il denaro, allontanandosi il fretta dal banco.

«Prima di andare da Beraht, lasciami nascondere i soldi a casa.» Disse Natia. «Non vorrei che si mettesse a frugarci nelle tasche...»

«Ottima idea.» Annuì Leske. «Sempre che tua madre non lo veda e finisca tutto in una pozza di vomito dopo una delle sue solite sbronze.»

«Deve solo provarci.» Ringhiò la ragazza.

Tornarono velocemente verso il Distretto della Polvere. La ragazza fece segno all'amico di aspettarla fuori. Aperta la porta di casa, il familiare puzzo di vino scadente si univa a quello del profumo che la sorella di Natia, Rica, usava per rendersi desiderabile dai nobili del Distretto dei Diamanti.

«Chi è? Che vuoi? Rica, sei tu?»

Natia sbuffò rumorosamente.

«Sono il Re di Orzamamar.» Rispose, sbattendo la porta dietro di sé per chiuderla. Il tonfo fece sobbalzare la madre, che quasi lasciò cadere la bottiglia ormai quasi vuota che reggeva in mano.

«Non prendermi per il culo, razza di ingrata! Ti ho fatta io, e ne posso fare un'altra uguale.» Bofonchiò la donna. Il suo alito puzzava di vino scadente e di qualsiasi altra cosa si fosse bevuta durante la giornata. Natia strinse i pugni, le braccia rigide lungo il corpo.

«Sono l'unica ragione per cui non sei morta in qualche vicolo.» Le ricordò velenosamente.

«E allora lasciami morire! Tanto, che motivi ho per restare in vita?» Ribattè la madre, con un singhiozzo finale. Prese un altro sorso dalla bottiglia, scuotendola.

«Me lo chiedo tutti i giorni.» Le voltò le spalle, andando nell'altra stanza. Un baule, riempito perlopiù della roba di Rica, giaceva in un angolo. Dall'altro lato, una rientranza con una tinozza in pietra. Si avvicinò ad essa, spostando un paio di pietre e nascondendoci la sacca di pelle con le monete d'argento che aveva ricavato dalla vendita delle pepite. Tornò verso la porta, dove la madre stava bofonchiando qualcosa che non riuscì ad afferrare. «Me ne sto andando. Puoi pure affogartici in quella merda, per quel che me ne importa.»

«Non osare parlarmi in quel modo! È ancora casa mia, questa dove vivi! Casa mia, hai capito?!» Gridò l'altra, incespicando sulle parole e agitando la bottiglia in aria.

Natia perse le staffe. Si avvicinò in tre passi al tavolo, sbattendo entrambe le mani sulla superficie di pietra e facendo tintinnare violentemente tutte le bottiglie vuote abbandonate su di esso.

«Chi cazzo credi che la stia pagando, questa baracca di merda?! Eh?!» Urlò furiosa. La madre si ritrasse sulla sedia, gli occhi sgranati. Natia le strappò la bottiglia dalle mani, agitandogliela davanti al naso. «E di chi cazzo credi che siano i soldi che usi per ammazzarti con questa roba?!» Osservò la bottiglia, poi la scagliò violentemente contro il muro. Quella esplose in mille pezzi, spargendo cocci ovunque e quel poco che restava del vino. «Non fosse per me, saresti a pregare qualche stronzo di comprarti gli ultimi tre denti buoni che ti restano in bocca, pronta a metterti in ginocchio per un sorso di quello schifo!» La donna la fissava con occhi sgranati. Non era la prima volta che Natia urlava in quel modo, ma non succedeva spesso. Anche perché la ragazza faceva di tutto per passare il meno tempo possibile in casa, e quelle poche volte che tornava per lavarsi e cambiarsi la madre era spesso svenuta sulla sedia o assente a procurarsi altre bottiglie.

«Scegli un modo più economico di morire, perché io ho chiuso con te.» Ringhiò Natia, scostando lo sguardo e andandosene a grandi falcate.

Qualsiasi cosa fosse l'incarico successivo di Beraht per lei e Leske, sarebbe stato certamente meglio di tutta la merda che doveva sopportare a casa.

 





 

Lord Duran Aeducan, secondogenito del Re di Orzammar Endrin della Casata Aeducan, si stava intrecciando la barba castana con cura, facendo attenzione che non si annodasse e che le ciocche fossero tutte dello stesso spessore, il che richiedeva non poca attenzione, quando venne interrotto dal suo Secondo, che irruppe nella stanza senza quasi bussare.

«Mio signore.» Si annunciò. «La vostra arma è stata lucidata e affilata.» Gli porse la grande ascia da guerra, che Duran soppesò per qualche momento, prima di sistemarsela sulla schiena.

«Grazie, Gorim.» Inspirò a fondo. «Possiamo andare.»

Il compagno d'armi sembrò capire alla perfezione la riluttanza del Principe. «Il Re si aspetta la Vostra presenza al banchetto, certamente, ma non c'è fretta. Tutte le famiglie nobili passeranno ore a fare richieste e lamentele di ogni genere a Vostro padre...»

«Credimi, amico mio, preferirei trovarmi nelle Vie Profonde ad affrontare un'armata di Prole Oscura, piuttosto che districarmi tra politici lamentosi e vendicativi.» Commentò Duran. La politica faceva parte del suo sangue, nove Aeducan erano saliti al trono, compreso suo padre, ma nonostante tutto il principe preferiva la semplice arte della guerra piuttosto che tenere conto di quale deshyr stesse complottando cosa contro chi in favore di quale riforma che avrebbe riempito le tasche di altre caste e casate. Un Hurlock poteva essere un avversario formidabile, ma un'ascia piantata in mezzo agli occhi era sempre la strategia migliore. La stessa cosa, purtroppo, non si poteva dire riguardo ai complotti giornalieri dei deshyr dell'Assemblea.

«Proprio di questo si trattava, mio signore. Lord Harrowmont ha indetto delle Prove per testare in duello i giovani che vi accompagneranno domani nella spedizione nelle Vie Profonde. Forse dovremmo andare e mostrargli cosa significa davvero combattere.» Si grattò la barba, pensieroso. «Beh, più che altro, voi dovreste mostrarglielo. Io vi darò il mio supporto dagli spalti.»

«Cosa stiamo aspettando, allora? Potrebbe dare una svolta alla giornata.» Accettò con entusiasmo Duran. Combattere in almeno uno scontro gli avrebbe risollevato di molto il morale.

Si avviarono verso l'ingresso, sorpassando la camera del fratello minore di Duran, Bhelen.

Un guizzo di capelli rossi e un forte profumo femminile, seguito da un'esclamazione sorpresa, catturarono la loro attenzione. Sentì la porta della stanza del fratello chiudersi di scatto.

Duran sospirò profondamente, prima di girarsi e tornare sui suoi passi. Bussò tre volte, per poi entrare senza aspettare risposta.

«Mi... mi scuso tantissimo vostra altezza!» Esclamò una ragazza. La prima cosa che saltò all'occhio del principe fu il tatuaggio che quella aveva sulla guancia destra, segno che ella apparteneva ai senzacasta. Aveva brillanti capelli rossi legati in un'acconciatura piuttosto elaborata e un abito troppo decorato ed elegante per una come lei. «Pensavo foste il Principe Bhelen, e io...»

Duran scosse la testa, alzando una mano per zittirla. «Non importa, niente di grave. Tuttavia, mio fratello sarà al banchetto per il resto della serata. Fareste meglio ad andarvene.» Le suggerì.

La ragazza si inchinò profondamente, mantenendo la schiena dritta, segno che era stata ben addestrata. Come lei, molte altre ragazze, le più carine e prospere, venivano imbellettate ed educate ad essere piacevoli e piacenti per attirare l'attenzione dei nobili. La cosa conveniva sia alle concubine, che venivano spostate negli alloggi della famiglia dell'amante con tutti i parenti stretti, sia alle casate nobili e delle famiglie della casta dei guerrieri più influenti, poiché davano nuovi figli che sarebbero stati addestrati a combattere contro la Prole Oscura.

«Ma certo, mio signore. Col vostro permesso.» Disse la ragazza prima di filare via. Duran notò che aveva una grossa collana al collo, che non poteva che essere un regalo da parte del fratello.

«Deve piacerle davvero.» Commentò. «È risaputo che Bhelen abbia un debole per le rosse.»

Sentì Gorim ridacchiare. Uscirono dal Palazzo, superando i vari banchi che i mercanti avevano allestito straordinariamente nel Distretto dei Diamanti, e si diressero verso la porta che dava sulle scale per il piano inferiore, dove era situata l'Arena delle Prove. Sulla strada, due ragazze dall'aria promiscua richiamarono la loro attenzione, ma Duran non le degnò di un secondo sguardo. Non era decisamente dell'umore giusto.

Li aspettavano alcune guardie personali del Re Endrin, che li scortarono fino all'Arena.

Il rumore della folla che urlava e gridava il proprio supporto ai combattenti li investì molto prima che si affacciassero dal balcone che dava sull'Arena.

«Vostra Altezza, è un onore avervi qui.» Lo salutò il Maestro delle Prove. «Siete venuto a vedere combattere questi prodi guerrieri in Vostro onore?»

«Veramente, l'idea era di combattere io stesso.» Lo contraddisse il principe.

«Vostra Altezza, le Prove di oggi sono in Vostro onore...» Provò a ribattere l'uomo.

«E allora rendetegli onore facendo ciò che il Vostro principe vi ordina.» Lo interruppe Gorim.

Duran posò una mano sulla spalla dell'amico, fermandolo. Non c'era bisogno di essere così duri con il Maestro, la sua era un'osservazione legittima. «Mia intenzione è di onorare i combattenti di oggi sfidandoli a duello e testando le loro abilità contro di me.» Spiegò all'uomo.

«Ma certo, Vostra Altezza, com'è Vostro diritto.» Si inchinò l'uomo. Si avvicinò alla balaustra, schiarendosi la voce, mentre Duran si preparava ad entrare nell'Arena.

«Signori e signore di Orzammar, abbiamo un ingresso all'ultimo momento in queste Prove, tenute in onore della Casata Aeducan.» La folla rumoreggiò, in trepidante attesa del misterioso candidato. «Ecco a voi, Lord Duran Aeducan stesso!»

Un boato si sollevò dagli spalti. Centinaia di nani si alzarono in piedi urlando la propria approvazione a gran voce, guardando il secondogenito del re fare il suo ingresso.: nella sua armatura di squisita fattura, le spalle possenti, la barba e i capelli curati e il viso autoritario ma al tempo stesso piacevole, era difficile non amare il principe di Orzammar.

«Questa, è una Prova gloriosa, combattuta sotto i vigili occhi dei Campioni di Orzammar, per l'onore della Casata Aeducan!» Annunciò il Maestro.

Duran alzò il braccio a salutare la folla urlante, per poi squadrare il suo avversario.

«Lord Aeducan combatterà contro Aller Bemot, il figlio minore di Lord Bemot!» La folla rumoreggiò il proprio incoraggiamento.

«Mi fate onore, Vostra Altezza.» Disse Aller Bemot, chinando il capo.

Entrambi gli sfidanti si calarono l'elmo sulla testa, sfoderando le proprie armi.

«Il primo a cadere, sarà lo sconfitto. Combattete!»

Il suo sfidante non era male, aveva una buona tecnica e sapeva usare bene il maglio da guerra che portava, tuttavia non era all'altezza del principe. Duran fece durare più a lungo del necessario il combattimento, esibendosi in alcuni colpi esagerati soltanto per dare spettacolo, mentre evitava senza troppe difficoltà i tentativi di Bemot di colpirlo, rendendo tuttavia credibile lo scontro. Non voleva arrecare disonore all'avversario.

Dopo qualche tempo, decise che era il momento di concludere, assestando un colpo preciso sullo spallaccio dell'altro, sbilanciandolo, e mirando poi allo sterno con il piatto della propria arma per mandarlo a terra. La folla si esibì in un boato di apprezzamento.

Duran si risistemò l'ascia sulle spalle, togliendosi l'elmo e tenendolo sottobraccio mentre allungava una mano verso l'avversario a terra.

Bemot, un po' acciaccato e sanguinante, la afferrò senza pensarci un attimo, rimettendosi in piedi traballante e sorridendo in direzione del pubblico.

L'avversario successivo di Duran era Hadal Helmi, una nana dalla corporatura snella e l'armatura leggera che le permetteva movimenti rapidi e fluidi, con cui riuscì a mettere in difficoltà il principe. Dopo un acceso scontro, e aver riportato un paio di contusioni leggere, Duran si rivelò nuovamente vincitore.

L'ultimo sfidante era un nano ormai quasi anziano, calvo e dalla barba grigia, che rispondeva al nome di Ser Blackstone della Casta dei Guerrieri, comandante di una legione delle Vie Profonde. «Questo ti sarà di lezione, ragazzo. Cerca di imparare qualcosa, quando sanguinerai.» Esordì quello.

Duran l'aveva incontrato qualche volta sul campo di battaglia e non gli era mai andato a genio. Aveva sentito tessere grandi lodi sulle abilità militari dell'uomo, ma anche tante lamentele dalle nuove reclute che si ritrovavano a servire sotto di lui.

«Buona fortuna anche a voi.» Ribattè Duran senza scomporsi. Non c'era bisogno di deriderlo a parole, il vecchio sarebbe finito col culo per terra molto presto. E stavolta, non si sarebbe risparmiato nemmeno un colpo.

Ser Blackstone tornò nella sala d'attesa dei duellanti portato a braccio da quattro nani, privo di sensi e con il pubblico che urlava a squarciagola il proprio supporto per il principe Aeducan.

Duran tornò al proprio posto sulla balconata con un ghigno soddisfatto stampato sul volto.

«Un ottimo spettacolo, mio signore.» Gli disse Gorim.

Non restava altro che guardare gli altri sfidanti affrontarsi tra di loro, per vedere chi avrebbe combattuto contro il principe nello scontro finale.

Un guerriero in particolare attirò l'attenzione di Duran.

Combatteva con due spade corte, tenendole in modo non convenzionale, muovendosi come un cacciatore oscuro, saettando qua e là e sorprendendo lo sfidante puntando più sulla velocità che sulla tecnica. Messo alle strette, ad un certo punto potè giurare di averlo visto tirare una manciata di terra negli occhi dell'avversario, finendo poi per spedirlo a terra con un calcio nelle parti basse e puntandogli una delle due lame davanti alla feritoia per gli occhi dell'elmo.

«Non è sicuramente un combattente convenzionale, mio signore, ma è efficace.» Commentò Gorim divertito. La folla sembrava condividere le sue idee, perché avevano cominciato a gridare a gran voce il nome del nano. Quello sollevò il braccio in segno di vittoria, tuttavia senza togliersi mai l'elmo.

«Everd Bera.» Ripeté Duran. «Come mai non ne ho mai sentito parlare?»

«Perché prima d'ora era conosciuto solo per essere un gran bevitore e per aver sconfitto a duello soltanto molte botti di birra e qualche nug.» Spiegò Gorim ridacchiando. «Oggi sembra sia la sua giornata buona, però.»

«Se ne sconfigge un altro, il pubblico avrà di che divertirsi.» Commentò il principe. Fece segno ad uno dei servitori lì vicino di riempirgli il boccale di birra al miele, prendendone due lunghi sorsi e osservando Everd prepararsi allo scontro successivo.

Il nuovo avversario era una novizia delle Sorelle del Silenzio, Lenka. Se avesse superato la Prova, sarebbe entrata ufficialmente nell'Ordine, rinomato per le sue letali guerriere. Lenka combatteva anch'ella con due lame.

Il Maestro delle Prove annunciò che, date le circostanze, il combattimento era da considerarsi all'ultimo sangue, poiché era la prova finale che la novizia doveva affrontare.

Everd non fece una piega, restando impassibile sotto il suo elmo, immobile al centro dell'Arena, le armi già sguainate e pronto all'attacco.

Fu un aspro combattimento dall'esito incerto.

Duran riconosceva chiaramente la superiorità nello stile della novizia, tuttavia Everd dimostrava una straordinaria capacità di adattarsi ai diversi stili di combattimento degli avversari, cambiando continuamente tecniche, al punto che il principe finì per domandarsi se ne avesse effettivamente una. Gli affondi sembravano completamente casuali eppure andavano sempre a graffiare l'armatura della novizia dove essa era più vulnerabile, saltando subito indietro e schivando le lame dell'avversaria senza che essa riuscisse a sfiorarlo. Everd era sgraziato, brutale e istintivo, non esitava ad usare tutto ciò che aveva a sua disposizione, e tutto ciò funzionava. Duran quasi sobbalzò sullo scranno, quando l'iniziata riuscì a buttare l'avversario a terra, colpendolo ad un fianco e spillando sangue. Lenka fu però troppo lenta a sferrare il colpo di grazia: Everd, strisciando su un lato, le tirò un calcio da terra, colpendola alla gamba e facendola sbilanciare. Cadde in ginocchio, cercando di rialzarsi, ma Everd con un salto si era già rimesso in piedi, scattando contro di lei e buttandola a terra di peso.

Quando il guerriero con l'elmo si rimise in piedi, una delle sue spade era conficcata nel collo della novizia. Il pubblico, dopo un attimo di esitazione e sgomento, esplose in un boato trionfante, omaggiando il guerriero e pregustando lo scontro finale tra il Principe Aeducan e il nuovo, improbabile avversario.

Duran si alzò in piedi, battendo le mani e lanciando un grido di approvazione.

«Questo sì che sarà uno scontro degno di nota!» Esclamò entusiasta, finendo la propria birra e infilandosi l'elmo sottobraccio, pronto ad entrare nell'Arena.


 

 

 

 

 

Il cuore di Natia Brosca batteva all'impazzata.

Il fianco destro, dove quella stronza muta l'aveva colpita, le faceva parecchio male, mentre il sangue che le colava da una ferita sulla fronte le rendeva difficile tenere l'occhio sinistro aperto. Quel maledetto elmo era pesante e troppo grande per lei, così quando era stata colpita da un colpo alla testa, il metallo all'interno le aveva graffiato la faccia. Le spalle le facevano male per il peso dell'armatura, aveva il fiatone e riusciva a malapena a respirare sotto tutta quella maledetta roba.

La folla di nani, nobili dalle barbe profumate e i culi quadrati a furia di stare seduti a perdersi in chiacchiere, appartenenti a tutte le caste della città, stavano facendo il tifo per lei.

“Tecnicamente, per Everd.” Si disse, tuttavia sotto quell'armatura c'era lei, non quell'ubriacone incapace che tutti credevano che fosse. Lei aveva sconfitto i tre guerrieri che la separavano dalla prova finale, era lei che il pubblico applaudiva a gran voce.

Il Maestro delle Prove si riaffacciò dalla balconata sopra l'Arena, zittendo il vociare eccitato.

«Everd Bera avanzerà allo scontro finale, che deciderà il vero campione dell'Arena, contro il Principe Duran Aeducan!» Annunciò il nano.

Fece il suo ingresso il principe in questione, un nano di bell'aspetto, la folta barba castana intrecciata che ricadeva su un'armatura imponente, che probabilmente valeva quanto la somma di tutte le armature dei guerrieri che aveva affrontato in quella giornata. Il principe avanzò baldanzoso, tenendo la gigantesca ascia da guerra e mostrandola al pubblico, che si alzò in piedi in un'ovazione che le rimbombò nelle orecchie, sovrastando per qualche attimo il battito frenetico del suo cuore.

Lei, una senzacasta, una marchiata, la peggiore feccia di Orzammar, stava per sfidare l'amato e venerato Principe Aeducan, lo stesso che tutti, in città, davano come favorito al trono del re.

Se fosse riuscita a batterlo... Scosse la testa, non era il caso di distrarsi.

«Combatti bene. È un onore avere un avversario così valido.» Le disse il principe, chinando il capo.

“Leske starà morendo dal ridere. Un principe che si inchina ad una senzacasta...”

Fece del suo meglio per rispondere all'inchino, attenta a non farsi sfuggire una parola, poi sfoderò le sue due spade corte. Erano più lunghe e pesanti dei coltellacci a cui era abituata, ma la lama tagliava il cuoio delle armature e la pelle sottostante come fossero fatti d'acqua. Una delizia.

Vide il suo avversario calarsi in testa l'elmo, mentre il pubblico si zittiva in trepidante attesa.

I due sfidanti iniziarono a girarsi attorno, studiandosi. Brosca sentiva su di sé le centinaia di paia di occhi puntati su di loro. Osservò il guerriero di fronte a lei, come si muoveva sicuro di sé, come se non fosse altro che una scaramuccia di taverna di fronte ad un boccale di birra profumata.

Il Principe si fermò di colpo, interrompendo il semicerchio che stavano percorrendo, come ad invitarla a farsi sotto. Natia avrebbe potuto scommettere che quello stesse sogghignando tronfio, sotto la sua bella armatura decorata. Decise di non dargliela vinta, fermandosi e restando ad osservarlo a distanza di sicurezza. “Fatti avanti, stronzo.”

L'altro accettò la sfida. Sollevò l'ascia da guerra, avanzando verso di lei molto più velocemente e con più grazia di quanto si Natia si aspettasse. In un attimo le era addosso, e lei dovette schivare per non ritrovarsi il fianco sfracellato. Era cerca che la sua armatura, per quanto ben fatta, non avrebbe retto un colpo del genere: il principe aveva sì uno splendido equipaggiamento, ma era anche molto bravo, sicuramente la sua fama di guerriero non era esagerata.

Senza darle nemmeno un attimo, il nano roteò l'ascia sollevandola dietro la testa e fece per colpirla dall'alto, costringendola a buttarsi nuovamente da un lato. Cogliendo l'opportunità, Natia si gettò in avanti, superandolo e girandosi su sé stessa, mirando sotto i possenti spallacci, dove l'armatura doveva avere una giuntura. La lama raggiunse la spalla, ma si limitò a scalfire il metallo, poiché il principe si era girato di poco, tornando subito a risollevare la propria arma.

Brosca, sbilanciata, non poté fare altro che gettarsi per terra per evitare di ritrovarsi l'ascia in pieno petto. Rotolò di lato nella polvere, schivando un altro fendente dall'alto.

La lama dell'ascia si conficcò momentaneamente a terra, dandole il tempo di scattare in avanti e colpire l'avversario al braccio. Ancora una volta, l'armatura attutì il colpo, lasciandolo illeso.

Il principe liberò con uno strattone la propria arma, facendola ruotare agilmente e costringendo Brosca ad allontanarsi con un salto.

Natia dovette fare qualche passo indietro, per riprendere fiato. Il nano sembrava manovrare quell'affare come se non avesse peso, e quella montagna di metallo che aveva addosso non lasciava praticamente nessun punto libero, a parte qualche centimetro in corrispondenza delle giunture, ma con quello che roteava l'ascia come fosse un nastro di seta, non riusciva ad avvicinarsi abbastanza da colpirlo. Poteva solo schivare.

La folla rumoreggiava, indignata che qualche colpo non fosse ancora andato a segno.

Natia aveva perso completamente la vista all'occhio sinistro, ormai chiuso e incrostato di sangue secco. Le braccia le sembravano in fiamme, e il fianco le faceva terribilmente male, impedendola nei movimenti. Osservò il principe, ma quello sembrava fresco e riposato. Effettivamente, lei aveva combattuto tre incontri di fila prima di quello, mentre lui era probabilmente a bere col culo piazzato su una comoda sedia a godersi lo spettacolo.

Digrignò i denti, facendo due passi avanti e preparandosi ad un nuovo scontro.

Il principe fece fare un giro completo in aria all'ascia, maneggiandola con abilità mentre avanzava verso di lei a passi larghi e sicuri.

La folla si zittì improvvisamente.

«Hei! Quella è la mia armatura!» Biascicò qualcuno ad alta voce.

Brosca si girò di scatto: Everd, la camicia ancora macchiata di birra e vomito, barcollava instabile nella sua direzione, il braccio puntato verso di lei. “Merda.”

«Chi sei?!» Tuonò il Maestro delle Prove. «E come osi interrompere-»

«Lo conosco! È Everd!» Urlò qualcuno.

La folla rumoreggiò di sorpresa.

«Tu!» Urlò il Maestro delle Prove per sovrastare il frastuono, indicando Natia con un cenno imperioso del braccio. «Togliti l'elmo, e fatti vedere!»

Natia indietreggiò spaventata. Se l'avessero vista... Qual era la punizione per una cosa del genere?

«Le tue abilità sono impressionanti, ma sei da solo. Mostrati, o ricorreremo alla forza! Guardie!» Tuonò il nano dall'alto della balconata. Al suo segnale, altri tre nani entrarono nell'Arena, circondandola. Il principe si avvicinò anche lui, minacciosamente.

In trappola, la ragazza obbedì. Lasciò cadere a terra le armi, sollevando le mani e portandosele ai lati della testa. Inspirò forte, prima di sollevare l'elmo e gettandolo ai propri piedi.

Gli spettatori urlarono indignati, le guardie rimasero impietrite. Persino il principe Aeducan si immobilizzò per la sorpresa.

Natia Brosca si costrinse ad alzare il mento in segno di sfida.

«Senzacasta!» Urlò oltraggiato il Maestro. «Insulti la natura stessa di queste Prove!»

La ragazza si limitò a sostenere lo sguardo. Qualsiasi cosa avesse provato a dire, sarebbe stata ignorata e sovrastata dal chiasso.

Si lasciò trascinare via dalle guardie, senza opporre resistenza. Mentre la portavano via, vide il Principe togliersi l'elmo, lo sguardo incredulo e irato.

“Chissà quanto gli brucerà il culo, a sapere che è stato colpito da una marchiata.”

Se fosse morta nel giro di qualche ora, almeno se ne sarebbe andata con un sorriso sulle labbra: nessun senzacasta aveva mai osato fare una cosa del genere.

Qualcuno la colpì alla testa, facendole perdere i sensi.


 

Si risvegliò dolorante, la testa che pulsava e il fianco che sembrava in fiamme. Il sangue secco che aveva in faccia puzzava, quasi quanto l'aria attorno a lei. Era sdraiata con la schiena sulla pietra, il soffitto era basso e pieno di stalattiti. Si mise a sedere a fatica, sfregandosi l'occhio.

«Natia! Sei sveglia?» La chiamò qualcuno con un sussurro. «Mi senti?»

«Leske?» Rispose lei con voce impastata, riconoscendo l'amico. «Che ci fai qui?»

«Ho pensato di farti compagnia.» Rispose quello sarcastico. «Appena ti hanno scoperto, sono tutti impazziti. Si sono messi a controllare la casta di chiunque nell'Arena, sugli spalti... quando mi hanno scoperto, hanno subito capito che lavoravo con te. Mi hanno interrogato, ma credo sapessero già chi c'era dietro a tutto...»

«Non è una delle solite celle.» Osservò Natia. «Dove siamo?»

«Beraht deve aver pagato qualcuno. Queste non sono certo le prigioni delle guardie.»

La ragazza imprecò tra i denti. «Qual è la punizione per aver fatto il culo all'intera Casta dei Guerrieri?» Chiese, anche se aveva già un'idea.

«Fustigazione pubblica. Taglio della mano sinistra per aver rubato un'armatura, della mano destra per aver insozzato il lavoro di un fabbro, scorticamento in pubblico per aver impersonato un membro di una casta superiore...» Elencò Leske. «E se non sei ancora morta, esecuzione per aver dissacrato le Prove.» Concluse con voce funebre.

Natia soffiò forte dal naso, appoggiando la testa alla parete dietro di sé. «Beh, almeno se lo ricorderanno per anni.»

Leske sbuffò divertito. «Quello sicuro, salroka. Sei stata grandiosa.»

Vennero interrotti da dei passi. Jarvia, la mano destra di Beraht, emerse dal buio con un ghigno.

«Bene, sei sveglia.» Disse. «Avete causato un gran casino e Beraht ha perso cento sovrane. Le Prove sono state dichiarate invalide e l'Assemblea ha aperto un'indagine. Non puoi neanche immaginare come stesse Beraht quando mi ha detto di venirti a prendere.» La cosa sembrava divertirla terribilmente. «Godetevi l'ultima notte insieme. Peccato vi abbiamo messi in celle separate, o vi avrei augurato un'ultima scopata.» Se ne andò con un ghigno ancora più tronfio di quello con cui era arrivata.

Natia restò in silenzio per un attimo, guardandosi attorno. Intravide delle schegge di metallo sul pavimento. «Leske, non so tu, ma io non ho intenzione di restarmene qui ad aspettare che quello schifoso ci ammazzi come nug.» Annunciò, prima di mettersi al lavoro sulla serratura della cella.

Era arrugginita, e quelli non erano certo i suoi attrezzi da scasso, ma dopo qualche tentativo la porta si aprì cigolando. Esultante, uscì e si affrettò a fare lo stesso con la porta della cella del compagno.

Si ritrovarono a vagare per i corridoi, recuperando delle armi e evitando gli scagnozzi del capo per non allertare l'intero palazzo. Due volte Natia dovette farne fuori un paio che bloccavano loro la strada, ma se la cavarono senza troppi problemi, arrivando in fretta dove doveva esserci l'uscita.

«Se quella schizzata della sorella non sa stare al suo posto, non me ne faccio nulla nemmeno della troia.» Disse qualcuno, la voce attutita proveniente da dietro una porta.

“Beraht.” Lo riconobbe subito Natia. Si schiacciò contro la porta, per ascoltare meglio.

«Rica?» Commentò un altro nano. «Volevo da tempo farci un giro, con una bellezza come quella...»

Leske le fece segno di andarsene, ma Natia non ne aveva alcuna intenzione. Prendersela con lei era un conto, ma non avrebbe permesso a Beraht e ai suoi schifosi scagnozzi di toccare sua sorella.

Spalancò la porta con un calcio, gettandosi contro il suo capo approfittando dell'effetto sorpresa.

 

 

«Sei stata fantastica!» Esclamò Leske, dandole una pacca sulla spalla. «L'hai caricato di peso, e poi l'hai buttato a terra e-» Rievocò l'attacco con il coltello in aria, raggiante. «Mica se l'aspettava!»

Natia ghignò soddisfatta, pulendosi il sangue di Beraht dal viso col dorso della mano. Lo stronzo si era ritrovato un coltello piantato nella gola ed era morto agonizzando, uno spettacolo. Guardò il cadavere del nano per terra, riverso in una pozza di sangue scuro. Fece tintinnare il sacchetto di monete che avevano recuperato frugando nelle tasche dei tre, per poi lanciarlo a Leske, che lo afferrò al volo, sorridente.

«Muoviamoci, se hanno già messo qualcuno ad occuparsi di Rica...» Natia sputò per terra, centrando il corpo di Beraht. «Questo stronzo dovrebbe crepare altre venti volte.»

Uscirono dalla porta secondaria, che dava su un vicolo nel quartiere comune. Si avviarono in fretta verso l'ingresso del Distretto della Polvere, cercando di dare nell'occhio il meno possibile.

Natia rimase indietro, la testa bassa per evitare che qualcuno la riconoscesse. Parecchie guardie pattugliavano la piazza del mercato, e cinque erano appostate a bloccare il passaggio per il livello inferiore. Leske si girò verso di lei, fermandosi e guardandola interrogativamente.

«Che facciamo?» Le chiese.

Natia sospirò. «Leske. Giurami che ti prenderai cura di mia sorella.»

L'altro sgranò gli occhi. «Salroka, che vuoi fare?»

Lei scosse la testa. «Mi fido di te, Salroka.» Gli poggiò una mano sulla spalla, superandolo a grandi passi e a testa alta, camminando in direzione delle guardie con un ghigno feroce stampato in volto.

«Hei, voi! Volete farvi fare di nuovo il culo da una marchiata, o vi è bastato alle Prove?» Gridò loro.










Note dell'Autrice: Ecco a voi Natia e Duran! Natia è estremamente volgare e a volte sgrammaticata, se notate degli errori nelle sue battute, sono probabilmente voluti. Mi piacciono un sacco le differenze e le dinamiche tra le varie caste dei nani, per quanto sia un sistema orribile, e spero di riuscire ad affrontarle in modo interessante. Il capitolo di Orzammar è molto lungo, essendo diviso per due personaggi, quindi seguirà la seconda parte. Recensioni, commenti, critiche o osseravazioni mi farebbero molto piacere. 

Ho disegnato i vari protagonisti. QUI c'è Natia, nel prossimo capitolo ci sarà il link per Duran.

Al prossimo capitolo! 

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Capitolo 6
*** Orzammar II ***


CAPITOLO SEI: ORZAMMAR II

 





Duran Aeducan si lasciò cadere sullo scranno, chiudendo gli occhi. Che giornata terribile.

Non soltanto quella senzacasta aveva dovuto scegliere proprio quel giorno per disonorare le Prove e tirarsi contro le ire dell'intera città, ma era pure arrivata a scontrarsi in finale con lui. E gli aveva persino dato del filo da torcere, doveva ammettere. Il Maestro delle Prove era furioso, l'intera casta dei guerrieri era in tumulto, i nobili chiedevano maggiori punizioni per i senzacasta e l'Assemblea aveva fatto partire un'indagine sull'intero andamento e organizzazione delle Prove.

Nel giro di qualche ora, Orzammar era entrata nel caos, quando l'indomani avrebbero dovuto organizzare una delle più importanti spedizioni degli ultimi anni nelle Vie Profonde.

Il principe si massaggiò le tempie, tentando di farsi passare il mal di testa senza grandi risultati.

Il banchetto organizzato in suo onore si era trasformato in un vociare concitato di nobili, tutti pronti a suggerire questa o quell'altra soluzione al problema dei marchiati, delle scommesse sulle Prove, dell'organizzazione delle caste e, probabilmente, su ogni altra questione esistente.

Lord Dace lo guardava in cagnesco dall'altra parte della sala: aveva cercato di convincerlo a riabilitare i nani di superficie, ma quando il principe gli aveva fatto notare che nessuna delle casate nobiliari aveva intenzione di saldare debiti non propri in nome di qualche nano dalla testa tra le nuvole, Ronus Dace aveva ammesso il proprio complotto, rifugiandosi nella sua birra al miele e lanciandogli di tanto in tanto sguardi risentiti.

Lady Helmi, d'altra parte, aveva uno sguardo tronfio mentre teneva un discorso tra un altro gruppetto di nobili. Duran non riusciva a sentire le parole, ma era certo che la donna stesse tramando qualcos'altro per arricchirsi a spese altrui: tra i molti pettegolezzi, girava voce che sfruttasse gli orfani senzacasta per farli lavorare senza doverli pagare.

Lord Harrowmont gli si avvicinò sorridente. «Lord Aeducan, vostro padre è molto fiero di voi.» Gli disse. «Mi dispiace per quanto successo alle Prove, un affare oltraggioso, a mio dire.»

Come se avesse bisogno di sentirselo dire. Annuì, bofonchiando una risposta.

Il mal di testa continuava a martellargli nelle orecchie, voleva solo andarsene a letto.

«Ovviamente prenderemo provvedimenti, e daremo a quella marchiata una punizione esemplare!» Continuò imperterrito l'anziano nano. «Non possiamo andarci leggeri, altrimenti daremo l'impressione di tollerare certe cose. E altri seguiranno il suo esempio, se non facciamo qualcosa per impedirlo, possiamo starne certi, non ci si può fidare di quella feccia.»

Duran annuì distrattamente, facendo scivolare lo sguardo per la sala, fino allo scranno del padre, impegnato in una conversazione animata con due rappresentanti della città nanica di Kal-Sharok.

«E ovviamente aspetteremo il vostro ritorno per l'esecuzione, in quanto siete stato personalmente offeso durante le Prove in Vostro onore, persino colpito durante il combattimento!»

Il principe rivolse nuovamente la sua attenzione al nano di fronte a lui. «Potrei stare via a lungo.»

L'altro scosse la testa. «Non importa, la terremo in cella. Sarebbe oltraggioso che voi non foste presente.» Insistette.

«Molto bene, allora.» Sospirò Duran. Come se giustiziare una senzacasta imprigionata per giorni potesse servire a ripristinare il suo onore. Per non parlare dell'onore dei guerrieri che erano stati sconfitti dalla marchiata in questione. Le Sorelle del Silenzio avevano già mandato lettere irate all'Assemblea, chiedendo un risarcimento per la loro novizia assassinata.

Quando venne chiamato dal padre, sospirò di sollievo.

«Comandante.» Lo salutò Re Endrin. «Trova tuo fratello Trian e mandamelo. Voglio parlargli.»

Duran si inchinò leggermente. «Certamente, padre. A domani.»

Uscì in fretta dalla sala, ansioso di liberarsi di tutti quei nobili. Gorim lo seguì a ruota.

«Che giornataccia, eh?» Commentò l'amico.

«Non penso potesse andare peggio.» Rispose il principe.

«Non dite così. Ancora non avete parlato con vostro fratello Trian!» Scherzò il guerriero. Duran scosse la testa, sconsolato. Aveva tristemente ragione.

Trovarono Trian nelle sue stanze, assieme al più giovane dei principi, Bhelen.

«Sei un Comandante, dunque.» Lo salutò il fratello maggiore. «Ti hanno dato il titolo prima o dopo esserti battuto contro un senzacasta, per di più donna?»

Duran decise di ignorarlo, come faceva nella maggior parte dei casi. Il fratello sapeva essere insopportabile, ma era sempre sangue del suo sangue, e soprattutto l'erede al trono.

«Nostro padre vuole parlarti, Trian.» Rispose semplicemente in tono piatto.

«Ovviamente. Dobbiamo discutere della strategia per la spedizione di domani.» Si vantò l'altro, guardandolo con superiorità. «Bhelen, goditi la boria del nuovo Comandante, se vuoi, ma vai a letto presto.» Ordinò al fratello minore, per poi andarsene tronfio dalla stanza.

Gli altri tre rimasero un attimo in silenzio, aspettando che se ne andasse.

«Non so davvero come fai, con lui.» Commentò Bhelen.

Duran sospirò. «Sorrido, annuisco e faccio il mio dovere.» Ammise. «Nel migliore dei casi, mi lascia perdere e torna alla sua amata politica.»

Bhelen scosse la testa. «Un tempo ti avrei dato ragione, ma sto iniziando a pensarla diversamente, su di lui.» Abbassò la voce, fino a farla diventare quasi un sussurro. «Non avrei mai pensato che il suo tanto declamato onore gli avrebbe permesso di agire seguendo la sua gelosia...»

«Fratello, di cosa stai parlando?» Chiese Duran senza capire.

«Fratello, Trian sta cercando di ucciderti.» Rispose Bhelen con voce greve.

Duran rimase a guardarlo, attonito. «Cosa?»

«Ho sentito che ne parlava con alcuni dei suoi uomini.» Continuò il fratello minore. «All'inizio ero sconvolto, come te, ma poi ha iniziato ad avere senso. Trian ha deciso che sei d'intralcio per ottenere il trono, e forse ha ragione. Sa che hai successo tra il popolo e sei benvisto dall'Assemblea. Sarebbe insolito per l'Assemblea andare contro il volere del re, ma non sarebbe la prima volta.»

«Ma non mi è mai interessato essere re, lo sai.» Ribattè Duran. «Sono un guerriero, nient'altro.»

«Guarda solo quello che hai fatto oggi.» Lo interruppe Bhelen. «Hai partecipato alle Prove in tuo onore, per ottenere la gloria e per dare spettacolo al popolo. Se otterrai successo nella spedizione di domani, non farai altro che migliorare la tua posizione come erede al trono. Trian ha paura che nostro padre lo rimpiazzi appena torneremo. E se non lo fa, l'Assemblea nominerà te Re appena nostro padre morirà. Sai che il suo orgoglio non gli permetterà di farsi semplicemente da parte.»

Duran si rifiutò di ascoltare altro. «Non ho intenzione di discuterne, Bhelen. Trian è nostro fratello, e voglio credere di potermi fidare almeno della famiglia. Non mi è mai interessato nulla del trono, e anche se l'Assemblea dovesse nominarmi, mi tirerei indietro. Deve rendersene conto, sarà anche tronfio e orgoglioso ma non è uno sciocco.»

«A me sembra che questo dimostri che non ci si può fidare nemmeno dei fratelli.» Osservò l'altro.

«Non mi muoverò contro di lui. E impedisco a chiunque di farlo.» Chiuse la questione Duran, alzando una mano per zittire ulteriori argomentazioni.

 

Giorni dopo, inginocchiato accanto al cadavere senza vita del fratello, quelle parole continuavano a tormentarlo. “Nostro fratello”, come aveva potuto? Chi poteva essere così astuto da organizzare tutto così alla perfezione, incastrandolo per un omicidio che non aveva commesso e mai avrebbe pensato di farlo?

Alzò lo sguardo, incrociando quello del padre, supplicandolo di credergli.

«Figlio mio. Dimmi che non è come sembra.» Disse Re Endrin, la voce che tremava.

Duran deglutì a vuoto, gli occhi sbarrati, sconvolto che il padre potesse anche solo pensarlo colpevole di un simile atto. «Padre, non sono stato io.» Riuscì a dire, la voce strozzata.

«Ha ucciso Trian! Proprio come Trian aveva detto che avrebbe fatto!» Si intromise Bhelen, facendosi avanti.

Duran si volse verso il fratello, senza capire. «Bhelen?» Sussurrò.

«Il mio signore è innocente!» Ribattè Gorim, fronteggiando il principe.

«Ser Gorim, la tua lealtà ti rende un testimone inutilizzabile. È compito altrui raccontare l'accaduto.» Dichiarò Lord Harrowmont. «Tu, esploratore. Dicci, cosa è successo?»

Duran rimase accanto al corpo del fratello, la mano guantata e sporca di sangue di Prole Oscura ancora appoggiata sulla spalla di Trian, incapace di muoversi mentre i due uomini che lo avevano accompagnato raccontavano di come si fosse scagliato sul fratello maggiore, uccidendolo senza pietà in un'imboscata. Nell'altra mano, teneva ancora l'anello con il sigillo degli Aeducan, appartenente a Trian. Rimase in silenzio a guardare il fratello minore, Bhelen, annuire con convinzione mentre i due raccontavano le loro menzogne.

“Nostro fratello.”

Quasi non si accorse di Gorim, che si scagliò contro l'esploratore, e non mosse un muscolo quando due nani lo trascinarono in piedi di peso. Suo padre lo guardò come fosse un estraneo, chiedendogli se avesse altro da aggiungere.

«Come fate a non accorgervi che è tutto un complotto?» Rispose, scuotendo la testa. Bhelen aveva organizzato tutto nei minimi dettagli, probabilmente per mesi, se non addirittura anni. La sua unica speranza era appellarsi all'Assemblea, e sperare che i Deshyr smascherassero i piani del fratello.

«Vorrei crederti.» Ribattè il Re, voltandogli le spalle.

Mentre veniva legato e scortato fuori dalle Vie Profonde, per tutto il lungo tragitto non si lasciò sfuggire una sola parola, limitandosi a guardare fisso il responsabile di tutto.

Bhelen. Bhelen. Bhelen.

La sorpresa per aver scoperto ciò di cui era capace asciò ben presto spazio alla collera. Una cieca, bruciante furia che a stento riusciva a controllare. Non desiderava niente di più che fargliela pagare, che strappargli quel sorriso beffardo dal volto, togliergli tutto ciò che aveva appena conquistato. Voleva vendicare il fratello maggiore, certamente, ma ciò che gli rodeva più ardentemente era l'essere stato imbrogliato così platealmente. Non aver capito cosa stesse tramando, non aver fatto nulla per impedire una tragedia del genere.

Lo rinchiusero in una cella angusta, nei meandri delle prigioni sotterranee di Orzammar. Al buio, non gli rimase altro che torturarsi su come avrebbe potuto evitare tutto quanto. Dopo quelle che potevano essere un paio o una dozzina di ore, una guardia arrivò a portare il cibo ai prigionieri, lasciando poi la torcia appesa al suo supporto nella parete. Duran non degnò di uno sguardo il piatto, limitandosi a coprirsi gli occhi a causa della luce improvvisa.

«Guarda un po', ho compagnia.»

Il principe si voltò in direzione della voce, proveniente dalla cella alla sua destra.

«Un principe, per di più. Che onore.» Continuò la voce, chiaramente femminile. «Com'è che invece di macellare qualche Prole Oscura e le occasionali marchiate alle Prove, hai deciso di assassinare tuo fratello?» Gli chiese.

Duran finalmente la riconobbe. Con tutte le persone con cui poteva finire in cella, proprio la senzacasta che aveva umiliato tutti i partecipanti alle Prove di qualche giorno prima. Appoggiò la schiena contro il muro ricoperto di muschio, senza nemmeno degnarla di una risposta.

«Puoi ignorarmi quanto ti pare, ma fidati che ammazzeranno prima te.» Continuò quella. La sentì ridacchiare sommessamente. «Se pensavano fosse grave quello che ho fatto io, un principe che ammazza l'erede al trono li avrà fatti impazzire completamente.»

Duran chiuse gli occhi, cercando di ignorarla.

Era questo che pensavano tutti? Si era già sparsa la voce su come avesse ammazzato il sangue del suo sangue? In quel caso, anche le sue speranze in un'udienza di fronte all'Assemblea erano poche, se non addirittura inesistenti.

«Quello lo mangi?» Gli chiese nuovamente la senzacasta, sporgendosi dalle sbarre per toccare il piatto posto di fronte alla cella del principe. Quando lui non rispose, l'altra riuscì in qualche modo ad afferrare il coccio e portarselo via. «Ah, vedo che non ti hanno dato roba migliore della mia. Peccato, per un attimo avevo sperato in nug arrosto col miele.» Commentò lei.

La sua voce fastidiosa venne sostituita da un sonoro masticare, che non aveva nulla di aggraziato.

 

 

 




Natia si leccò le dita, passandole poi a raccogliere l'ultimo residuo di cibo nella ciotola. La zuppa era molto più buona di quanto si mangiasse nel suo quartiere, ma il principe sembrava essere superiore alla fame dei comuni prigionieri.

Schioccò rumorosamente la lingua, gustandosi il sapore del cibo, per poi prendere due sorsi misurati dal bicchiere accanto a lei. Non avevano portato altro da bere, quindi occorreva razionare. In quelle celle non faceva così caldo come in alcune zone della città sotterranea, però il sistema di ventilazione non era chiaramente dei migliori.

Si ritrovò a guardare le macchie di muffa sul muro, per l'ennesima volta.

Erano giorni che era chiusa là dentro, per la maggior parte del tempo sena luce e senza cibo, ma da quando era arrivato il suo vicino di cella, le guardie si facevano vedere molto più spesso, portando cibo e acqua ad intervalli regolari di alcune ore, cambiando la torcia appesa al muro e, cosa molto importante, non rivolgendole più alcuna attenzione. Niente più sputi, niente più calci, niente più raccogliere il cibo da terra dopo che uno di quei culi di bronto aveva rovesciato la sua cena con un calcio accompagnato da un ghigno soddisfatto. Tutto sommato, però, sarebbe potuto andarle molto peggio. Nessuno aveva approfittato di lei, non l'avevano battuta abbastanza forte da romperle qualcosa e le avevano pure medicato le ferite che si era provocata durante le Prove. Tutto ciò per, ovviamente, farla arrivare viva e in grado di dare spettacolo nel momento della sua esecuzione, ma quella sembrava essere lontana. Giorni impegnativi, per l'Assemblea. Ghignò al pensiero di tutti quei lord dalle barbe profumate che squittivano furiosi e spaventati, il panico che stava probabilmente aleggiando nel Distretto dei Diamanti dopo l'omicidio dell'erede al trono. Sarebbero passati giorni prima che qualcuno si ricordasse di lei.

Dei passi interruppero i suoi pensieri. Tese le orecchie.

Due persone, in armatura, procedevano in fila verso di loro. Una era la guardia, riconobbe il nano dal suo incedere traballante a causa dell'alcol.

«Dieci minuti, ser. Gli ordini sono ordini.» Disse la guardia, allontanandosi poi da sola.

Davanti alla sua cella passò un nano in armatura, equipaggiato con uno scudo e una spada, che la superò senza degnarla di uno sguardo.

«Gorim!» Sentì esclamare il principe.

«Ah, quindi sai parlare!» Commentò a voce alta Natia, non sorprendendosi quando nessuno dei due le rispose. Il nuovo arrivato, Gorim, sembrava portare solo brutte notizie per il principe.

Tra i discorsi di politica e altre cose incomprensibili, riuscì a capire il succo del discorso: a quanto pareva, l'Assemblea non era più dalla sua parte, e il fratello minore non vedeva l'ora di sbarazzarsi di lui. Questo Bhelen non sembrava affatto un principe, ma il genere di persona che non si sarebbe stupita di trovare a capo del Carta.

«Verrete mandato nelle Vie Profonde, rinchiuso lì finché la Prole Oscura non vi ucciderà.» Sentì dire al visitatore.

Seguì un momento di silenzio.

«Mio padre?» Chiese il principe.

«Lord Harrowmont dice che il Re si è ammalato. Non ha potuto sopportare il peso di perdere due figli contemporaneamente.»

Di nuovo, il principe rimase in silenzio.

«Ho pregato l'Assemblea di mandarmi con voi, ma non ne hanno voluto sapere.» Continuò l'altro. «È stato un onore servirvi, mio signore. Mi addolora quanto successo.»

«Lo so, Gorim. Ti auguro il meglio sulla superficie, amico mio.» Rispose il principe.

Natia si schiarì la voce, sonoramente.

«Tutto molto commovente, ma se ci fosse un modo per non fare ammazzare il nostro principe, qui, e andare tutti in superficie?» Prese parola, sporgendosi attraverso le sbarre.

Il visitatore si voltò finalmente verso di lei, guardandola con disprezzo.

«E come pensi di poter fare, marchiata?» Le chiese.

Natia sogghignò, leccandosi le labbra secche. «Quanto denaro puoi recuperare nel giro di un paio d'ore?» Gli chiese.

L'altro sembrò non capire. «Stai proponendo di corrompere le guardie? Sei così stupida?»

La ragazza scosse la testa. «Stai zitto e ascoltami. Il Carta ha degli scavatori, professionisti in questo genere di lavori, e ci sono dei tunnel segreti sparsi per tutta la città. Scommetto quello che vi pare che ce n'è uno sotto di noi, da qualche parte.»

«Metterci in combutta con il Carta?!» Ribattè l'altro, ma il principe lo interruppe.

«Gorim, lasciala parlare.»

Natia si leccò nuovamente le labbra. «Se provi a mettere piede nel Distretto della Polvere urlando che vuoi vedere il Carta, ti troverai subito morto in un vicolo.» Lo guardò negli occhi, accertandosi che le prestasse tutta la sua attenzione. «Al mercato, c'è una bancarella vicino al Tapster. Ci lavora una certa Olinda. Vai senza imbellettarti la barba e chiedi di Leske. Dille che stavolta riguarda più di qualche sasso, capirà. Ti metterà in contatto con un nano, porta tutti i soldi che puoi recuperare e fai esattamente come ti dice, non ha un bel carattere. Digli che ti manda Natia, Natia Brosca, e che deve trovare della gente in grado di tirarci fuori di qui.» Spiegò brevemente.

Il nano sembrava confuso. Si girò verso il principe, non sapendo cosa fare.

«Gorim, fai come ti dice.» Gli ordinò quello dopo qualche attimo di silenzio. «Sai dove trovare i soldi, la chiave è nel cassetto dello scrittoio, sotto il doppio fondo.»

«Ma... siete certo di potervi fidare?» Ribattè l'altro.

«Bhelen mi farà ammazzare sicuramente. Non ho altre possibilità. Dovessi anche strisciare nella melma, uscirò da qui. E prima o poi tornerò per vendicarmi.» Disse il principe. «Ora vai, non c'è tempo da perdere.»

Natia osservò il visitatore inchinarsi brevemente e uscire quasi di corsa dalle prigioni.

«Sei sicura di poterci fidare di questo... tuo amico?» Le chiese il principe, dopo qualche tempo.

La ragazza esitò un attimo. «Leske?» Sospirò sonoramente. «Se i soldi sono abbastanza, riuscirà a tirarci fuori, sì.» Sperava di avere ragione.

 

Doveva essere da poco passata l'ora di coricarsi, quando sentirono dei rumori provenire dalla parete dietro di loro. La guardia era passata da poco, e non si sarebbe fatta rivedere prima di sei o sette ore.

Natia si sporse dalla sua cella, facendo segno al principe di darsi una svegliata, per poi afferrare il bicchiere di coccio che le avevano dato e picchiettarlo sulla parete, sperando di riuscire a guidare gli scavatori nella direzione giusta, attenta però a non fare troppo rumore.

Dopo qualche interminabile minuto, qualcuno rimosse con cautela una delle grandi pietre.

«Natia?» Si sentì chiamare.

«Leske!» Rispose, aiutando gli scavatori ad allargare il buco nella parete. «Ce l'hai fatta!»

Tolsero in fretta altri tre massi, e la testa dell'amico si affacciò dall'altra parte. «Avevi dei dubbi, Salroka?» Le chiese beffardo. Natia si trattenne dall'abbracciarlo. Quasi non ci credeva, il piano stava effettivamente funzionando. Rimossero in fretta le restanti pietre, permettendo a Leske e altri due nani di farsi strada nella cella angusta.

«Bel posto.» Commentò l'amico, guardandosi attorno. «Quasi meglio di casa tua.»

Natia scoppiò a ridere. «Qualsiasi posto è meglio di casa mia, là c'è mia madre.»

Leske le allungò un paio di attrezzi da scasso. «Fai la tua magia.»

La ragazza si avvicinò alla serratura della porta, aprendola senza difficoltà, per poi uscire. Squadrò il principe, che la fissava in attesa appoggiato alle sbarre. Ponderò l'opzione di mollarlo lì, sarebbe stato divertente vedere la sua faccia. Esitò, armeggiando con la serratura.

«Muoviti, abbiamo parecchia strada da fare.» Gli disse, spalancando la porta con un cigolio. Quello le fece un cenno col capo, uscendo in fretta. Se lo avesse mollato lì, avrebbe sicuramente chiamato le guardie, e loro non avrebbero fatto tre passi oltre l'uscita del tunnel.

Si infilarono velocemente nel varco attraverso la parete, ritrovandosi poi in uno spazio angusto, dove un tunnel appena scavato conduceva in profondità. Senza pensarci due volte, si calò giù.

«Allora, stai aspettando che la pietra si sciolga?» Sentì uno dei due nani scavatori chiamare il principe. Seguì un grugnito di disgusto, mentre anche l'ultimo dei nani si calava nell'oscurità con loro. Strisciarono nello stretto passaggio per quello che le sembrò un'eternità, nel buio più assoluto. L'aria era poca e piena di terra, rendendole difficile respirare, mentre il terreno smosso e friabile rischiava ad ogni metro di collassare e seppellirli tutti. Sentiva qualcuno ansimare pesantemente dal fondo, poteva essere solo il principe, non abituato a spazi così ristretti.

I senzacasta, invece, procedevano spediti ma con la necessaria cautela, con la sicurezza di chi l'aveva fatto molte altre volte. Natia ringraziò la Pietra che almeno quella volta non stesse trasportando oggetti ingombranti. Il nano scavatore, davanti a lei, si fermò di colpo, per poi tirarsi in piedi e uscire verso l'alto.

La ragazza sentì uno spostamento d'aria e seguì il nano su per il condotto.

Era una vecchia cisterna, ora arrugginita, piena di polvere, ragni, muschi e licheni. La scala che dal basso li avrebbe portati al piano di sopra era pericolante e senza qualche piolo. Faceva molto caldo, segno che da qualche parte doveva passare uno dei cunicoli che portavano l'aria calda proveniente dalla lava verso la città.

Salirono in fila indiana, attenti a dove mettevano i piedi, e finalmente sbucarono in un tunnel che la ragazza conosceva bene, uno dei tanti condotti ormai inutilizzati che esistevano vicino al Distretto della Polvere. Il nano davanti a lei li condusse in un vicolo, dove li stavano aspettando altri due nani incappucciati.

«Mio signore!» Esclamò quello che aveva fatto visita al principe qualche ora prima, chiaramente sollevato. Il principe, che durante il percorso le era sembrato provato, sembrava essersi ripreso. Fece un cenno col capo in direzione dell'altro.

«E ora?» Chiese, togliendosi dei residui di terra dalla barba aggrovigliata.

«Ora, dovrai toglierti quell'aria regale di dosso.» Rispose Natia, incurante dello sporco che le era rimasto appiccicato ai vestiti e alla pelle. Più fossero stati sgradevoli agli occhi e al naso, meno le guardie cittadine avrebbero prestato loro attenzione.

«Non vi piacerà, mio signore, ma è l'unico modo per tirarvi fuori di qui.» Disse Gorim, facendo un mezzo inchino a mo' di scusa ed estraendo una boccetta di liquido nero dalle tasche.
Natia lo riconobbe subito, era inchiostro. Del tipo che veniva usato per i tatuaggi non permanenti che gli abitanti della superficie dovevano indossare quando visitavano la città. Si scambiò uno sguardo compiaciuto con Leske: non capitava tutti i giorni di vedere marchiare un principe come la peggiore feccia senzacasta.

«Non sarà dell'inchiostro in faccia a fermarmi, Gorim.» Dichiarò il principe, facendo segno all'amico di procedere.

Leske intanto si avvicinò a lei, mettendole una mano sulla spalla. «Il peggio deve ancora venire, Salroka. Farvi uscire dalle prigioni era la parte facile. Quel Gorim mi ha assicurato di avere contattato un passaggio da Orzammar alla capitale degli umani, ma non potete salire su come se niente fosse. Vi dovete rendere invisibili e passare dalle uscite che Beraht usava per il suo contrabbando. Poi, quando vi sarete allontanati dalla città, vi unirete alla carovana di mercanti che quel tizio ha contattato. Non c'è pericolo che vi lasci lì, visto come sembra amare leccare i piedi al principe.» Spiegò, lanciando un'occhiata sprezzante ai due nobili.

«Leske, non so come potrò mai ripagarti.» Gli disse Natia, prendendogli una mano tra le sue. L'altro, che non era abituato a certe manifestazioni di affetto, scosse il capo con un sogghigno.

«Ci ho fatto un po' di soldi, Salroka. E poi, mi hai tirato fuori da certe brutte situazioni, in passato. Non mi devi proprio un bel niente.» La guardò di sottecchi, come a voler aggiungere qualcosa, ma poi rimase in silenzio.

Natia gli lasciò la mano, a disagio. «Tieni d'occhio Rica, senza Beraht il quartiere sarà invivibile per qualche tempo. E lei non ha idea di come vadano certe cose.» Le dispiaceva partire senza salutare un'ultima volta la sorella, molto più di quanto fosse disposta ad ammettere.

«Se la caverà. Ha già trovato qualcuno che la riempie di regali, a quanto pare, quasi è riuscito a distrarla dalla tua situazione. Voleva venire qui, ma le ho detto che era troppo pericoloso.»

La ragazza annuì. «Hai fatto bene. Non voglio finisca nei guai per colpa mia.» Esitò, la paura di salire in superficie che cominciava a farsi sentire. «Se cado nel cielo, bevici su una delle birre del Tapster.»

Leske ridacchiò. «Se cadi in cielo, come farò a saperlo?»

 




 

Duran lanciò un'occhiata ai due senzacasta, che confabulavano poco lontano da loro.

«Muoviamoci, prima che le guardie si accorgano che siamo spariti.» Disse, coprendosi il capo con il cappuccio del mantello sudicio che gli avevano dato per coprirsi. Non bastava l'onta di essersi fatto marchiare, seppur temporaneamente, la faccia, doveva anche andare in giro puzzando come una pila di sterco di bronto. Bhelen avrebbe pagato pure per quello.

La senzacasta sembrò finalmente ricordarsi che avevano fretta. Vide il suo compare allungarle due pugnali dall'aspetto rozzo e letale, che la ragazza si infilò senza esitare nella cintura, per poi tirarsi su anche lei il cappuccio, a coprirle quella massa di capelli rossi, ingarbugliati e sporchi che si ritrovava in testa.

«Al primo bivio per Denerim, subito dopo il passo di Gherelen.» Gli ripetè per la terza volta Gorim. Il suo secondo era chiaramente in ansia all'idea di lasciarlo in mano a dei senzacasta, ma non c'era altra soluzione.

«Gorim, per l'ultima volta, ho capito.» Disse all'amico, cercando di apparire più sicuro di quanto in realtà fosse. «Tra qualche giorno saremo lontani da qui.»

L'amico gli allungò due pugnali, che il principe si sistemò sotto il mantello. Non erano certamente come la sua fidata ascia, ma un senzacasta con un arma forgiata da un fabbro e così appariscente sarebbe stato giustiziato a vista. Lo salutò un'ultima volta con un cenno del capo, per poi seguire la senzacasta in un vicolo laterale.

Attraversarono parte del Distretto della Polvere senza essere notati da nessuno.

Piccoli gruppi di nani, con vistosi tatuaggi sul volto e l'aria trasandata, si aggiravano per le strade luride senza curarsi di ciò che stava loro attorno. Molti altri erano buttati agli angoli delle strade, ubriachi o troppo affamati per muoversi, mentre alcuni di loro chiedevano l'elemosina.

Una nana poco svestita lo chiamò con voce gracchiante, offrendogli un servizio a prezzo stracciato. Continuò a camminare senza voltarsi, disgustato dallo stato in cui quella gente viveva.

Entrarono in una catapecchia di pietra fatiscente, la ragazza che faceva loro strada con aria sicura. Doveva aver attraversato quel passaggio altre volte, perchè fece scattare il meccanismo nel muro senza alcuna esitazione, rivelando un tunnel abbastanza largo da far passare due nani affiancati. L'unica torcia lanciava una luce tremolante attorno a loro, mentre si addentravano in silenzio tra innumerevoli cunicoli che si diramavano in ogni direzione. Probabilmente, pensò Duran, quei tunnel si espandevano veramente per tutta la città e oltre. Fermare i traffici del Carta, in possesso di quei passaggi nascosti, era un'impresa chiaramente impossibile.

Dopo alcune svolte, il percorso cominciò a farsi in salita, a volte interrotto da scalinate scavate nella pietra, altre in cui dovettero far forza sulle braccia per issarsi su delle rocce franate.

L'aria cominciava a farsi sempre più fresca, e portava odori che Duran non aveva mai sentito prima. Dopo un paio d'ore, intravide un raggio luminoso passare dal soffitto della caverna dove stavano passando, come a tagliare l'aria attorno a loro.

La caverna si restringeva di nuovo, portando ad una ripida scalinata.

La ragazza si fermò di colpo, guardando in alto, senza proferire parola.

Duran la imitò, ma a parte dell'altra luce che filtrava dal soffitto, in maggiore quantità, non vedeva nulla di particolare. Erano vicinissimi alla superficie, però, e tutto il suo buon senso da nano gli stava urlando di tornare indietro, sottoterra, dove non rischiava di cadere nel cielo senza un soffitto.

«Non sono mai andata oltre quella scalinata.» Ruppe il silenzio la ragazza.

Duran si girò sorpreso verso di lei. Da quando avevano lasciato il Distretto della Polvere, non l'aveva sentita fare un suono.

«Non possiamo tornare indietro, a questo punto.» Rispose, non sapendo bene se a lei o per convincere se stesso. Tuttavia, rimase immobile a guardare il soffitto sopra le loro teste.

«Qualsiasi cosa ci sia là sopra, non può essere peggio di quello che c'è qua sotto.» Dichiarò la ragazza ad alta voce, per poi cominciare a salire i gradini con decisione.

Duran, dopo un attimo di indecisione, la seguì.

 

La scalinata terminava di fronte ad una porta di pietra, dall'aria antica. Era probabilmente uno degli ingressi secondari che i nani dovevano usare ai tempi in cui le Vie Profonde erano la culla di un fiorente impero, non ancora sommerse da orde di Prole Oscura. Era tuttavia stata oggetto di manutenzione costante, perché i cardini sembravano oleati e la serratura nuova.

Mentre la ragazza armeggiava con la serratura, aspettò in silenzio, cercando di ignorare il panico crescente che sembrava immobilizzarlo. Una volta usciti da quella porta, non ci sarebbe stato modo di tornare indietro. Avrebbe perso il suo nome, il suo diritto di nascita, tutti i suoi diritti e doveri. Sarebbe stato nessuno, agli occhi dei nani.

Bhelen aveva programmato tutto nei minimi dettagli, per farlo condannare dall'Assemblea come colpevole di fratricidio e farlo esiliare nelle Vie Profonde, il suo nome cancellato da ogni Ricordo dal Modellatore. Pensò a suo padre, caduto malato dopo aver perso entrambi i suoi figli nello stesso giorno: era davvero come gli aveva riferito Gorim, o Bhelen era caduto così in basso da attentare alla vita del loro stesso padre? Il volto di Trian, a terra coperto di sangue, gli balenò in mente, chiaro come se ce lo avesse ancora di fronte. Bhelen non si sarebbe fermato davanti a nulla ormai, voleva così tanto quel trono da eliminare chiunque si frapponesse tra lui e la corona.

L'avrebbe fermato, a qualunque costo.

Sarebbe andato a chiedere aiuto al re degli umani, a Denerim, ricordandogli dell'aiuto che i nani avevano fornito al padre di lui per riconquistare il trono usurpato dagli Orlesiani. Avrebbe trovato il modo di riconquistare il favore dell'Assemblea, a costo di chiedere favori a nani di superficie e, persino, allearsi con i senzacasta del Carta. Avrebbe avuto la testa di suo fratello, giurò a se stesso.

La serratura scattò.

La ragazza restò un attimo immobile, le mani appoggiate alla superficie in pietra, esitante. Duran le si avvicinò, appoggiandosi anche lui alla porta.

Presero un respiro profondo, e spinsero.

 

Dovettero portarsi le mani al volto, coprendo gli occhi che bruciavano.

La luce era ovunque, accecante, non permetteva loro di vedere nulla. Rimasero storditi per alcuni minuti, cercando di abituare la vista, appoggiati alla parete alle loro spalle, come a cercare la protezione della roccia.

Duran mise a fuoco con difficoltà l'ambiente circostante: una distesa bianca, abbagliante, si spandeva sotto di loro a perdita d'occhio. A tratti vi erano macchie di verde, più vivace rispetto a quello dei licheni che crescevano nel sottosuolo e simile a quello delle pietre preziose. Alte strutture marroncine dalla forma cilindrica si ergevano attorno a loro, coronate da diramazioni, simili alle venature del lyrium, che si muovevano costantemente ed erano decorate da quelle che sembravano foglie appuntite. Tutto era coperto di bianco: le rocce attorno a loro, il terreno...

L'aria gli entrava gelida nel naso, congelandogli i peli della barba e facendolo rabbrividire. Annusò, cercando di carpirne l'odore, ma a parte il freddo, non riusciva a distinguere nulla di familiare.

«Cosa... cosa sono quelli?» Sentì chiedere. La senzacasta fissava il paesaggio attorno a sé a bocca aperta, per una volta senza la sua solita espressione aggressiva sul volto.

«Alberi, credo.» Rispose Duran dopo un attimo di esitazione. Aveva letto qualcosa riguardo il mondo in superficie, ma i libri non erano mai stati la sua passione.

Rimasero incollati alla parete di roccia, come a cercare di trarne conforto. Nessuno dei due osava alzare lo sguardo sopra di loro, nel terrore di non trovare assolutamente nulla.

Una folata d'aria li fece rabbrividire. Faceva freddo, ma Duran si accorse di essere in un bagno di sudore. Si scambiarono uno sguardo preoccupato, incerti sul da farsi.

Molto probabilmente la notizia della loro fuga si era già sparsa, e presto l'intera città si sarebbe mossa alla loro ricerca. Chissà in quanti si sarebbero aspettati che il principe fuggisse in superficie, pur di non affrontare un esilio nelle Vie Profonde...

Duran si fece forza. Nessuno degli abitanti della superficie cadeva veramente in cielo, altrimenti non ci sarebbe rimasto nessuno là sopra. Mosse un passo in avanti e poi un altro, allontanandosi dalla parete rocciosa. C'erano rocce e terra sotto di lui, seppur ricoperte da quella sabbia bianca e friabile, e ciò lo confortava un pochino.

Sentì la ragazza esclamare qualcosa di molto volgare, per poi seguirlo a passi pesanti.

Scesero lentamente verso la vallata, seguendo quella che sembrava una piccola strada scavata nella montagna, fino a ritrovarsi su una strada più larga. Lì attorno gli alberi erano più numerosi e fitti, come una sala piena di colonne. Duran ignorò il pensiero che, in una sala, ci sarebbe stato un sicuro soffitto a grandi volte a proteggerli dal vuoto assoluto.

Sempre senza guardarsi in alto, seguirono la strada.

Gorim aveva detto loro che sarebbero sbucati a tre giorni di cammino dal punto d'incontro, non c'era tempo da perdere. Se Bhelen avesse allertato le guardie che presidiavano i cancelli in superficie, presto sarebbero stati ricercati persino lì. Ma anche i nani a guardia del portone d'ingresso alla città non avevano il coraggio di avventurarsi troppo lontano da lì, e un viaggio di due giorni sarebbe stato per loro sicuramente troppo.

Camminarono per quelle che dovevano essere ore, notando che la luce attorno a loro mutava, si affievoliva e cambiava colore. Si fece pian piano rossastra, e le ombre proiettate dagli oggetti si facevano sempre più lunghe e inquietanti, finché non si fece finalmente buio. Non era però un buio totale, come quando le torce si spegnevano in un cunicolo sotterraneo, bensì c'era comunque una luce diffusa, proveniente da chissà dove. I due nani si rifiutarono nuovamente, in tacito accordo, di alzare il naso da terra.

Ben presto attraverso gli alberi, fino a quel momento abbastanza silenziosi, cominciarono ad udirsi molti suoni che li facevano sobbalzare continuamente.

Un grido acuto fece quasi cadere Duran dalla sorpresa, mentre una creatura alata si alzava in volo sopra di loro, sparendo tra la vegetazione. Continuarono ad andare avanti. Poco dopo, un ululato prolungato fece loro estrarre le armi, guardandosi attorno e scrutando allarmati l'ambiente circostante. Chissà quale genere di creature si aggirava da quelle parti...

Sentirono dei rumori attorno a loro, seguiti da altri ululati. Si bloccarono, mettendosi schiena contro schiena e alzando i pugnali, pronti a difendersi.

Duran scrutava la penombra attorno a loro, attendo ad ogni minimo movimento. Qualcosa iniziò a ringhiare, un verso basso e minaccioso.

Un'ombra uscì dagli alberi con un balzo, scagliandosi addosso a loro.

Duran, che l'aveva visto per primo, riuscì a schivare, e la belva si abbatté contro la ragazza, buttandola a terra. La senzacasta imprecò, cercando di mettere il coltello tra lei e quella cosa.

Il principe andò in suo soccorso senza esitazione, ma prima ancora che potesse colpire il loro assalitore, quello si era già allontanato con un balzo, la pelliccia fulva impregnata di sangue che andava a macchiare il terreno bianco. Ringhiò nuovamente, scoprendo i denti appuntiti, le orecchie basse e la schiena inarcata. Era molto più piccolo di un bronto, ma alto quanto un nano.

Duran rimpianse di non avere la sua ascia.

Si scagliò contro l'animale, incurante che un'altra delle bestie lo stesse già attaccando. Finì a terra in un vortice di zanne, artigli e pelliccia, cercando di tagliare e ferire qualsiasi cosa gli capitasse sotto tiro. Il muso dell'animale schioccò a pochi centimetri dalla sua faccia, costringendolo a tenerlo lontano da sé con un braccio. Con la mano libera, mirò al collo dell'animale, conficcandogli il pugnale nella carne e girando l'elsa. La bestia guaì di dolore, per poi accasciarsi da un lato, senza vita. Duran spinse il cadavere lontano da sé e corse in direzione della compagna, pronto ad aiutarla.

Si fermò di colpo, sorpreso.

La ragazza era sdraiata sulla schiena, gli occhi sbarrati di fronte a sé, lo sguardo atterrito. Il corpo senza vita del secondo animale era accanto a lei. Non sembrava ferita.

Dopo qualche attimo, Duran alzò lo sguardo.

Una distesa infinita di blu incombeva sopra di loro, punteggiata di piccole luci. Delle spesse macchie simili a fumo fluttuavano su di essa, mentre le punte degli alberi, seppure così alti, non riuscivano nemmeno a sfiorarla.

Si lasciò cadere a terra, incurante del freddo, lo sguardo rapito verso l'alto. Non sentì nemmeno l'acqua che si infiltrava ghiacciata tra le brache, il freddo pungente che gli riempiva di ghiaccioli la barba ridotta ormai ad un ingarbugliato ammasso di peli. Non riusciva a staccare lo sguardo dalla terribile vastità che sembrava non avere fine, come ipnotizzato.

Rimasero a fissare il cielo, in silenzio, l'uno accanto all'altra, rapiti e terrorizzati allo stesso tempo.

«A quanto pare, non è così facile cadere in cielo.» Disse la ragazza.











Note dell'autrice: ed ecco finite le varie Origini! Dal prossimo capitolo ci si sposta ad Ostagar. Come sempre, commenti, critiche e suggerimenti sono bene accetti. :)

Ho disegnato i vari personaggi. QUI c'è Duran, l'ultimo dei nostri protagonisti!

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Capitolo 7
*** Ostagar ***


CAPITOLO SETTE: OSTAGAR

 





Il viaggio dalla Foresta di Brecilian alla fortezza in rovina di Ostagar era stato silenzioso e privo di avvenimenti degni di nota. Aenor non aveva quasi rivolto parola al Custode Grigio che l'aveva coscritta contro la sua volontà, limitandosi a rispondere ai pochi tentativi di conversazione di Duncan con occhiate gelide e indifferenza. L'uomo aveva così ben presto smesso di parlarle, limitandosi a rompere il silenzio solo quando era strettamente necessario.

Dopo più di due settimane di viaggio, gli alberi della foresta iniziarono a diradarsi, lasciando spazio ad una rigogliosa pianura. Viaggiando sulla strada principale, incontrarono alcune carovane di gente, la maggior parte che andavano nella loro stessa direzione: carri pieni di vettovaglie per l'esercito, persone che speravano di ricavare qualche soldo svolgendo mansioni nell'accampamento, soldati che marciavano in file ordinate al seguito dei loro comandanti. Nessuno faceva troppo caso a due viaggiatori solitari.

«Quando arriveremo ad Ostagar, non attaccare briga con nessuno.» Le disse quando i torrioni della fortezza furono in vista. «Molti non hanno nemmeno mai visto uno del Popolo.»

Lei era rimasta in silenzio, non voltandosi nemmeno. Sicuro, gli umani erano abituati agli orecchie piatte, pronti a servirli in ogni momento. Dovevano solo provarci con lei, quegli shem, e avrebbero scoperto di cosa una Cacciatrice Dalish era capace.

La fortezza era innegabilmente imponente, dovette ammettere l'elfa. Era la struttura più grande che avesse mai visto, i muri diroccati tuttavia massicci, le torri in rovina che sfioravano il cielo, con grandi rampicanti che si arrampicavano sulle pietre, stendardi e tende multicolori che segnavano le diverse zone dell'accampamento. Un fiume di shemlen indaffarati correva qua e là, e Aenor individuò anche qualche orecchie piatte in abiti da lavoro. Rimase per un attimo ferma ad osservare tutto quel via vai, nervosa di ritrovarsi in mezzo a così tanta gente, per di più estranei ed umani.

«Andiamo, le altre due nuove reclute ci staranno aspettando, siamo gli ultimi ad arrivare.» La spronò Duncan, precedendola verso la fortezza.

Aenor si riscosse, cercando di darsi un contegno e non far trapelare il nervosismo. Se aveva altre due reclute, perché era venuto fino alla Foresta di Brecilian a cercare nuovi possibili Custodi? Scosse la testa, era inutile pensarci. Seguì lo shem, oltrepassando un'arcata di pietra e un immenso portone spalancato per permettere il passaggio. Attraversarono un ponte di pietra che sovrastava tutta la vallata sottostante, permettendo una vista spettacolare: la pianura si espandeva sotto di loro, gli alberi che si facevano più fitti man mano che lo sguardo si posava più a sud, verso le Selve Korcari, dove si diceva che la nebbia fosse così fitta da non permettere il passaggio per gli angoli più remoti della foresta. Certo, la stessa cosa veniva detta della Foresta di Brecilian, quindi potevano anche essere tutte sciocchezze.

«Duncan!» Li chiamò una voce. Aenor si girò, osservando uno shemlen in armatura dorata venire verso di loro. Aveva lunghi capelli biondi e un sorriso stampato in volto.

«Re Cailan!» Rispose il Custode con un breve inchino. «Non mi aspettavo-»

«Un'accoglienza regale?» Lo interruppe l'altro. «Stavo cominciando a pensare che vi sareste persi tutto il divertimento!»

«Non se potrò evitarlo, Altezza.» Rispose Duncan.

«Dunque, il grande Duncan combatterà al mio fianco, dopotutto! Gli altri Custodi mi hanno riferito che avete trovato una recluta promettente... Immagino si tratti di voi?» Quello che a quanto pareva era il re degli umani rivolse su di lei la sua attenzione, guardandola con aria amichevole.

«Maestà, permettetemi di fare le presentazioni...» Duncan le lanciò un'occhiata che sembrava significare “non fare stronzate”. Aenor faticò a non sbuffare, infastidita.

Il re fece un cenno con la mano. «Non c'è bisogno di essere così formali, Duncan! Presto, sanguineremo fianco a fianco in battaglia, dopotutto. Posso sapere il vostro nome, amica mia?»

L'elfa rimase a fissarlo. Lo shem la guardava, il sorriso sul volto che non accennava a sparire.

«Mahariel.»

«Beh, permettetemi di darvi per primo il benvenuto ad Ostagar. Sono certo che i Custodi Grigi beneficeranno molto della vostra aggiunta nei loro ranghi!» Rimase lì, in attesa di un qualsiasi cenno o risposta amichevole.

Aenor si limitò a chinare lievemente la testa da un lato, sbattendo le palpebre un paio di volte, soppesandolo. Era davvero il re? Forse era tutto un piano per evitare che il vero regnante venisse fatto a pezzi dalla Prole Oscura, e quello era un idiota preso da qualche parte e vestito con l'armatura del re...

In assenza di una risposta soddisfacente, lo shem sembrò rinunciarci. «Beh, mi dispiace farla breve, ma dovrei tornare alla mia tenda. Loghain era ansioso di discutere di strategie.»

«Arl Eamon manda i suoi saluti, e vi ricorda che i suoi uomini potrebbero essere qui nel giro di una settimana.» Prese parola Duncan.

«Ah!» Esclamò l'altro. «Aemon vuole solo prendersi un po' di gloria. Abbiamo già vinto tre battaglie contro quei mostri, e domani non sarà diverso.» Disse tronfio.

“È veramente un idiota.” Concluse Aenor.

Da come lo guardava Duncan, sembrava che il Custode la pensasse allo stesso modo, ma nessuno dei due diede voce alle proprie considerazioni. Il re continuò il suo discorso, senza accorgersi di nulla. «Non sono nemmeno sicuro sia un vero Flagello. Abbiamo incontrato un sacco di Prole Oscura, certo, ma dell'Arcidemone non c'è traccia.»

«Deluso, Maestà?» Chiese Duncan. L'elfa percepì chiaramente del sarcasmo, che però passò inosservato da parte del re.

«Speravo in una guerra come nelle storie! Un re che cavalca a fianco dei famosi Custodi Grigi per sconfiggere un dio corrotto!» Gli brillavano quasi gli occhi. «Beh, suppongo mi dovrò accontentare. Beh, ora devo proprio andare, prima che Loghain mandi una squadra alla mia ricerca. A presto!» Li salutò con la mano, per poi andarsene seguito dai suoi uomini.

Duncan e Aenor rimasero a guardarlo andare via, in silenzio.

«Nonostante le vittorie, l'orda dei Prole Oscura si fa più grande ogni giorno che passa. Ormai sono più numerosi di noi.» Le disse l'uomo mentre si addentravano nell'accampamento, superando tende multicolori e soldati intenti a prepararsi per la battaglia del giorno seguente. «So che c'è un Arcidemone dietro tutto questo, ma non posso chiedere al re di agire seguendo solo una mia sensazione. Ma torniamo a noi. Ogni recluta deve sottoporsi all'Unione, per diventare un Custode Grigio. È una procedura breve, ma richiede dei preparativi.»

«Come se avessi altre scelte.» Commentò gelida l'elfa, osservando uno dei soldati pulire la lama della propria spada con un panno oleato.

«Spero che tu presto capisca la necessità del nostro Ordine, e la grande opportunità che comporta unirsi a noi. In ogni caso, c'è un altro Custode Grigio nell'accampamento, Alistair. Vallo a cercare e digli che è il momento di riunire le altre reclute. Fino ad allora, ho degli affari di cui occuparmi.» Duncan se ne andò, lasciandola lì a chiedersi come fare a trovare un umano in mezzo ad una mandria di altri shemlen tutti uguali.

Decise di andare in esplorazione.

L'accampamento ferveva di attività, alle orecchie le giungevano suoni e rumori di tutti i tipi. Vide una donna vestita di colori brillanti in piedi, le mani tese verso un gruppo di soldati in ginocchio che recitavano una cantilena che l'elfa non riconobbe. Proseguì, superando un fabbro che stava sistemando dei pezzi di armatura. Il metallo suonava sotto i colpi precisi del martello e Aenor pensò a Mastro Ilen, a come le sarebbe piaciuto poter stare di nuovo a guardarlo intagliare archi dal legnoferro pregiato della foresta. Con una fitta di nostalgia, passò accanto a due energumeni in armatura pesante, decorate con una spada fiammeggiante.

Quasi fece un salto dalla sorpresa: un gruppo di persone armate di bastone magico stavano facendo incantesimi in cerchio, le espressioni concentrate e sicure di sé. Erano vestiti con delle tuniche lunghe, e apparivano così diversi da Merrill e la Guardiana...

Sapeva che i maghi umani venivano tenuti rinchiusi in una Torre, per essere tenuti sotto controllo dalla Chiesa, era quindi sorpresa di trovarli lì. Evidentemente, quando si trattava di avere l'aiuto di qualcuno che poteva evocare una pioggia di fuoco a proprio piacimento, gli umani lasciavano temporaneamente uscire i propri prigionieri. Lanciò di nuovo uno sguardo verso i due uomini in armatura: dovevano essere Templari, i soldati addestrati a cacciare e uccidere tutti i maghi fuori dal controllo della Chiesa. Alcune volte era successo che uno di essi desse la caccia ad uno dei maghi dei clan Dalish, ma fortunatamente erano stati rari episodi. Sembravano avversari formidabili.

Una signora anziana, con la stessa tunica dei maghi che stavano lanciando incantesimi sotto la supervisione templare, era seduta poco distante da lei. La donna, sentendosi osservata, alzò lo sguardo, salutandola con la mano. Aenor rispose con un cenno del capo, per poi sgattaiolare via.

Un odore di carne arrosto le fece borbottare lo stomaco, quindi si mise alla ricerca della fonte, che scoprì essere un gigantesco montone allo spiedo. Un uomo lo stava arrostendo sul fuoco. Qualcuno lo chiamò, facendogli abbandonare il posto e lasciando per il momento il falò incustodito.

L'elfa non ci pensò un attimo. Si avvicinò di soppiatto, estraendo il piccolo coltello che portava alla cintura, afferrando una ciotola lì di fianco e tagliandosi una generosa porzione di carne, per poi andarsene indisturbata. Soddisfatta, salì una rampa di scale, arrampicandosi agilmente su un muro alto un paio di metri e sedendosi con le gambe a penzoloni ad osservare il via vai sotto di lei, masticando il suo bottino e buttandolo giù con qualche sorso d'acqua dal suo otre.

«Oh, e io che pensavo stessimo andando così d'accordo!» Sentì dire a qualcuno dietro di lei. Si girò a guardare, leccandosi le dita sporche di grasso: un umano in armatura leggera stava discutendo con un altro umano, vestito come i maghi che aveva incontrato poco prima. Era chiaro che tra i due non corresse buon sangue. «Avevo pure deciso di dare il tuo nome ad uno dei miei figli... quello brontolone.» Continuò lo shem. Aenor sbuffò, leggermente divertita dalla scena.

Il mago sembrava non essere affatto contento, ma sembrò fare come gli veniva chiesto. Se ne andò a grandi passi, borbottando tra sé.

L'umano in armatura si accorse dell'elfa che lo fissava e la salutò con la mano.

«Una cosa bella del Flagello, è come unisce le persone!» Le urlò sorridendo, venendo dalla sua parte. «Come una festa. Potremmo metterci in cerchio, tenerci per mano... quello sì che darebbe ai Prole Oscura qualcosa di cui preoccuparsi!» Le si avvicinò, guardandola dal basso, ridacchiando. «Aspetta, non ci siamo mai visti, vero?» Si interruppe. «Non sei un'altra maga, no?» Le chiese, guardandola con apprensione.

Aenor rimase a fissarlo dall'alto in basso, soppesandolo. «No.»

«Ah, meno male.» Si rilassò nuovamente l'altro. «Non ci sarebbero stati problemi se tu lo fossi, certo... Ah, ma tu devi essere la nuova recluta di Duncan, l'elfa Dalish! È un piacere, io sono Alistair.» Disse tutto d'un fiato, sorridendole.

“Perchè tutti gli umani biondi che incontro qui sorridono in modo stupido per niente?” Si ritrovò a pensare Aenor, senza rispondergli.

«Vedo che non sei di molte parole... Beh, come membro più giovane dell'Ordine, è mio compito accompagnare le nuove reclute durante la preparazione dell'Unione.» Continuò Alistair, che sembrava non fare caso all'occhiataccia che Aenor gli stava mandando per aver interrotto il suo pasto tranquillo. «Sono curioso. Hai mai incontrato dei Prole Oscura...?» Le chiese.

«Alcuni.» Ripose asciutta lei, ignorando il tentativo dell'altro di sapere il suo nome. Scese con agilità dal muro, atterrando quasi senza rumore e rialzandosi facilmente. «Se dobbiamo andare da qualche parte, tanto vale muoverci.» Disse, per poi cacciarsi in bocca l'ultimo pezzetto di carne e precederlo verso la tenda di Duncan.

Alistair sembrò non fare caso al suo modo di far e la seguì senza fare commenti.

Purtroppo per Aenor, l'accampamento umano era troppo affollato e caotico per mantenere un senso d'orientamento e finì per ritrovarsi vicino ad un'alta palizzata di legno, da cui provenivano una serie di ringhi e ululati minacciosi. Nervosa, cercò di ritrovare la strada giusta, guardandosi attorno senza risultato. Lanciò uno sguardo risentito allo shem, che però sembrava essersi distratto.

«Guarda, hai mai visto dei mabari?» Esclamò estasiato, avvicinandosi alla palizzata.

Aenor lo seguì di malavoglia.

Nel recinto vi erano diversi mastini da guerra, alcuni più grandi persino dei lupi che vivevano nelle foreste, intenti a lavarsi, dormire o mangiare. Alcuni li salutarono con dei ringhi minacciosi, come a sfidarli ad entrare nel loro territorio. L'elfa non ci pensava nemmeno, quei cosi avevano l'aspetto letale, anche se a quanto pare erano addomesticati. Era abituata agli halla che i clan tenevano per essere aiutati a trainare gli aravel, docili e dall'aspetto aggraziato e carattere gentile, non a delle montagne di denti e muscoli che avevano tutta l'aria di poterle staccare un braccio senza alcuna difficoltà. Alistair, d'altra parte, li guardava ammirato.

«Vi piacciono?» Li interruppe un uomo, alzandosi da terra e uscendo da un piccolo recinto separato dagli altri. «Un vero peccato che la maggior parte di loro domani dovrà essere abbattuta. Sapete, il sangue di Prole Oscura, se lo ingeriscono, nella maggior parte dei casi è fatale.» Indicò il mabari di fianco a lui, l'unico nel piccolo recinto. «Come quello, mi sa che non c'è nulla che possiamo fare.»

L'animale guaì, scostandosi da lui e restando a guardarli afflitto dal fondo del recinto. Era leggermente più grosso degli altri, di colore scuro, quasi nero, mentre il resto dei mabari variava nelle tonalità chiare del marrone.

L'uomo li osservò meglio, per poi illuminarsi. «Voi siete Custodi Grigi, vero?» Chiese loro. Aenor e Alistair annuirono. «Se doveste addentrarvi nelle Selve Korcari, potreste cercare un fiore particolare? Ha i petali bianchi, e cresce sui tronchi caduti vicino all'acqua. Potrebbe salvare alcuni di loro dalla corruzione dei Prole Oscura.»

Aenor guardò il mastino, osservando un taglio dall'aspetto infetto sul muso dell'animale, che correva dal naso all'orecchio, reciso in malo modo. Era chiaro che stava soffrendo, e aveva perso quell'aria minacciosa e letale che avevano i suoi compagni nel recinto adiacente.

«Non mi fa avvicinare, e non riesco a curarle le ferite a dovere. Non che serva a qualcosa, senza quel fiore, ma vorrei almeno provare ad alleviarle il dolore.» Spiegò l'uomo, incrociando lo sguardo dell'elfa. «Se solo riuscissi a metterle il collare, potrei legarla e medicarla...»

Andando contro a tutto il suo buonsenso e spirito di sopravvivenza, Aenor scostò Alistair ed entrò nel recinto. Il mabari ringhiò un attimo, in segno d'avvertimento, ma l'elfa continuò ad avanzare, lentamente, tendendo una mano davanti a sé, il palmo rivolto vero l'alto. Con l'altra, prese il collare dalle mani dell'uomo. Mostrò l'oggetto all'animale, attirato verso di lei dalle sue mani che avevano ancora l'odore della carne che aveva mangiato prima.

L'elfa si chinò di fronte al mastino, mettendosi in ginocchio e aspettando che venisse da lei.

Dopo qualche attimo di esitazione, l'animale le venne incontro, strusciando il muso contro il suo palmo e non facendo caso al collare che la ragazza le stava mettendo.

Finito il lavoro, Aenor si alzò in piedi. L'uomo la fissava ammirato, mentre Alistair sorrideva.

«Cercheremo quel fiore, tu curalo dagli da mangiare.» Disse all'uomo, per poi uscire dal recinto e allontanarsi senza aspettare risposta.

«Wow, come ci sei riuscita?» Le chiese Alistair mentre le faceva strada verso la tenda di Duncan. «Non sapevo che anche i Dalish avessero dei mabari!»

«Non li abbiamo, infatti.» Rispose lei, troncando la conversazione sul nascere.

Arrivarono da Duncan. Le altre due nuove reclute li stavano aspettando: uno di loro portava una lunga spada a due mani sulla schiena, mentre l'altro aveva un arco lungo e una faretra piena di frecce. Il Custode assegnò loro due compiti, ovvero recuperare tre fiale di sangue di Prole Oscura, che a quanto pareva sarebbero poi servite per il Rituale, e trovare dei trattati abbandonati in un forziere nel mezzo delle Selve Korcari. Aenor si chiedeva se l'indomani avrebbero combattuto nell'avanguardia assieme al resto dei Custodi, oppure se li avrebbero spediti nelle retrovie a fare da supporto. In quel caso, non sarebbe stato troppo difficile sgattaiolare via, una volta ricevuta la cura che le avrebbe impedito di morire per certo, e tornarsene dal suo clan. Avrebbe dovuto cercarli, dato che sicuramente erano già in viaggio, ma sapeva che si stavano dirigendo nelle Marche Libere, vicino Kirkwall...

«Allora, è tutto chiaro?» Chiese loro Duncan, risvegliandola dai suoi pensieri. Le reclute annuirono, per poi seguire Alistair attraverso l'accampamento e fuori dalla palizzata che era stata eretta all'uscita dalla fortezza. Il guardiano li squadrò per un momento, prima di riconoscerli come Custodi e lasciarli passare.

«Dicono che ci siano lupi mannari, in queste paludi.» Ruppe il silenzio l'arciere.

«Daveth, giusto?» Prese parola Alistair. «Di lupi mannari non ne ho visti, ma per il momento direi di concentrarci sui Prole Oscura.»

L'altro shem, il guerriero, sembrava più sicuro di sè. «Qualsiasi cosa, sono pronto. Mi sono impegnato al massimo per farmi notare da Duncan, non mollerò proprio adesso.»

“Quindi, lui è qui volontariamente?” Si chiese Aenor, ma rimase in silenzio.

L'arciere si voltò poi verso di lei. «Tu invece? Come ci sei finita qui?»

«Chiedilo a Duncan. È colpa sua.» Rispose evitando il suo sguardo. Non le piaceva come la fissava.

Daveth sembrò non farci caso. «Quanti anni hai, tredici? Meno? Che razza di persona trascinerebbe una ragazzina in questo casino... E quella spada è più grande di te!»

Lei si girò di scatto, inviperita. «Sedici. Abbastanza per usare questa spada e ficcartela-»

«Hei, hei!» Li interruppe Alistair, frapponendosi tra loro. «Siamo qui per un motivo, non dimentichiamocelo, d'accordo? E Daveth, lasciala in pace.»

L'uomo alzò le mani, facendo due passi indietro. «Stavo solo cercando di conoscerci meglio...»

“Conoscerai meglio la terra, se non alzi quei maledetti occhi e li punti da un'altra parte...” Pensò Aenor, spostandosi in testa alla fila.

Proseguivano verso il fitto della palude, in silenzio, quando un gemito attirò la loro attenzione: più avanti, una decina di uomini giacevano riversi a terra, coperti di sangue e chiaramente morti, un'espressione di terrore stampata sul volto. Uno di essi si muoveva appena, gemendo debolmente in cerca di aiuto.

«Beh, non è morto come sembra.» Commentò Alistair.

«Lo sarà presto.» Rispose Aenor, guardando le ferite dell'uomo. La carne aveva già cominciato a putrefarsi, segno probabilmente della corruzione dei Prole Oscura. «Andiamocene, non abbiamo tempo.» Si girò, ma qualcuno le afferrò il braccio.

Alistair l'afferrò per il braccio. «Non abbiamo tempo? Cos'è, hai un appuntamento urgente?»

Aenor sbuffò, irritata dalla perdita di tempo. Sollevò la spada e, prima che potessero fermarla, la calò con forza sul petto dell'uomo, ponendo fine ai suoi lamenti. «È già morto, vedi?»

«Ma sei impazzita?!» Le urlò Alistair, sconvolto.

Lei ricambiò lo sguardo, sfidandolo. «Avremmo perso almeno un'ora a riportarlo indietro, e non sarebbe sopravvissuto alla notte.» Liberò il braccio dalla sua presa con uno strattone proseguendo senza controllare che la stessero seguendo.

«Ricordami di non farmi ferire quando sono vicino a te...»

Non ci fece caso, scrollando le spalle. Se lo shem aveva qualcosa in contrario con il fatto che lei fosse lì, che ne andasse a parlare col suo dannato comandante. Sarebbe stata felice di accontentarlo ed andarsene.

Dopo poche centinaia di metri, incontrarono finalmente dei Prole Oscura.

Alistair a quanto pareva aveva detto la verità, sul poterli sentire: prima ancora che il resto del gruppo potesse accorgersi che qualcosa non andava, aveva già estratto la propria spada, facendo segno agli altri di stare in guardia. Tre Prole Oscura bassi e armati di spade corte sbucarono fuori dal nulla, mentre uno più alto e armato di ascia spuntò dalla collina sopra di loro, seguito da altri tre della stessa stazza.

Le reclute e il Custode si sbarazzarono in fretta delle creature più basse, nonostante quelle fossero veloci e in grado di eludere gli attacchi più poderosi semplicemente schivandoli. Aenor stava liberando la propria spada dal cadavere dell'ultimo, quando uno dei Prole Oscura più grossi riuscì a buttare a terra la recluta volontaria. Fece per andarlo ad aiutare, ma un'altra delle creature le si parò davanti, costringendola a schivare un poderoso fendente dall'alto. Con la coda dell'occhio, vide Alistair caricare la creatura con lo scudo, liberando il guerriero sotto di essa e permettendogli di rialzarsi e colpirlo alle spalle, conficcandogli la grande spada tra le scapole.

Aenor parò di nuovo un colpo della creatura, per poi far scivolare la sua arma di lato, spostarsi e caricare un colpo dal basso verso l'alto, staccandogli un braccio. Uno schizzo di sangue nero e rancido rischiò di colpirla, ma mentre la bestia urlava di dolore e cadeva in ginocchio, la ragazza le recise di netto la testa.

«Però!» Commentò ammirato Daveth. «Non scherzava quando diceva di saperla usare, la spada!»

L'elfa sbuffò, estraendo la fiala vuota dalla tasca e riempendola di sangue di un Prole Oscura. Gli altri due fecero lo stesso.

«Ora, ci manca solo di trovare il fiore per il mabari, e i trattati per Duncan.» Esclamò Alistair, soddisfatto. «Seguendo le indicazioni, dovremmo andare a Nord Est, verso la vecchia fortezza dei Custodi... sempre che sia rimasto in piedi qualcosa.»

Si inoltrarono ulteriormente nella palude, dovendo usare a volte i tronchi degli alberi come ponti per attraversare gli acquitrini. Su uno di essi, Aenor raccolse un fiore bianco dall'aspetto simile a quello descritto dall'uomo che curava i mastini nel recinto.

Da lontano, individuarono i resti di quella che doveva un tempo essere stata una torre di pietra, probabilmente appartenente alla fortezza dei Custodi. Si diressero in quella direzione, eliminando alcuni Prole Oscura che incontrarono sul loro cammino.

La torre era ormai in rovina, sventrata e ricoperta dalla vegetazione, massi enormi che giacevano a terra ricoperti quasi interamente dalla foresta. Attraversarono i resti di un arco in pietra, quasi interamente crollato, facendosi strada con difficoltà e guardandosi attorno.

«Qui c'è qualcosa!» Li chiamò ad un certo punto l'arciere.

Si avvicinarono a lui, guardando i resti di un forziere di legno, ormai marcio e distrutto. Per terra di fronte ad esso giaceva un sigillo con un grifone rampante, il simbolo dei Custodi Grigi.

Alistair si lasciò sfuggire un lamento. «Sembra che qualcuno ci abbia preceduti. E di parecchio. Le protezioni magiche devono essere andate tempo fa.» Commentò esaminando il sigillo.

«Bene bene, cosa abbiamo qui?» Li interruppe una voce femminile, facendoli sobbalzare.

I quattro alzarono immediatamente le armi, pronti a difendersi, mentre una figura femminile appariva dall'interno della rovina.

«Sei un avvoltoio, mi chiedo? Un animale in cerca di carogne, che fruga tra i corpi le cui ossa sono già state spolpate da tempo?» Continuò la donna. Era vestita in modo appariscente, e portava un bastone di legno contorto sulle spalle, chiaramente magico. Gli occhi gialli risaltavano a contrasto con i capelli neri quanto le piume di corvo che le ornavano una spalla. «O forse soltanto un intruso, giunto in queste mie Selve infestate dalla Prole Oscura alla ricerca di facili prede?»

I quattro rimasero a fissarla, attoniti e spaventati.

«Allora? Avvoltoi o intrusi?» Li incalzò la donna.

«Nessuno dei due.» Rispose Aenor, dato che gli altri non sembravano avere intenzione di aprire bocca. «Questa torre era dei Custodi Grigi.»

«Non è più una torre da un pezzo.» Ribattè l'altra. «Le selve ne hanno evidentemente reclamato le spoglie rinsecchite. È un po' che vi tengo d'occhio. “Dove stanno andando?”, mi chiedevo... “Cosa ci fanno qui?” E ora frugate in ceneri che da molto tempo nessuno ha disturbato. Perchè?»

«Non rispondere.» La interruppe Alistair. «È una Chasind, e questo significa che presto ne spunteranno altri.»

La donna gli fece il verso. «Temi che i barbari calino su di voi e vi spazzino via?»

Alistair le lanciò un'occhiataccia. «Sì, essere spazzati via non va bene.»

«Una strega delle Selve, ecco cos'è! Ci trasformerà in rospi!» Esclamò l'arciere, terrorizzato.

La donna si limitò a ridacchiare. «Strega delle Selve? Che sciocche fantasie, queste leggende... Non ragionate con il vostro cervello? Tu, elfa.» Tornò a guardare Aenor, indicandola. «Dimmi il tuo nome, e io ti dirò il mio. Comportiamoci da persone civili.»

Aenor esitò un attimo, ma decise di rispondere. «Aenor.»

Gli occhi della donna brillarono. «Un nome da predatore. Puoi chiamarmi Morrigan, Aenor dei Dalish. Devo forse indovinare il vostro intento? Cercavate qualcosa in quello scrigno, qualcosa che non è più qui.»

«“Non è più qui?”» Ripetè Alistair. «Li avete rubati, vero? Siete una sorta di ignobile strega-ladra!»

«Davvero eloquente.» Lo sbeffeggiò Morrigan. «Ma quando il proprietario di un oggetto è morto, com'è possibile rubarglielo?»

«Possibile e facile, parrebbe.» Ribatté il Custode. «Quei documenti sono proprietà dei Custodi Grigi, e vi suggerisco di restituirceli.»

«Non lo farò, poiché non sono stata io a rimuoverli. Invoca pure un nome che non significa più niente qui, se vuoi... non mi sento minacciata.»

Aenor li interruppe, avendo la sensazione che avrebbero potuto andare avanti a lungo. «Allora, chi li ha presi, Morrigan?»

«In effetti, è stata mia madre.»

«E puoi portarci da lei?»

Morrigan sembrò soddisfatta. «Ecco una richiesta ragionevole. Mi piaci. Seguitemi.»

«Farei attenzione. Si inizia con “mi piaci” e poi... “zap!” Rospo.» Si intromise nuovamente Alistair.

Aenor sbuffò sonoramente. «Solo perché a voi umani piace tenere i maghi in gabbia, non è detto che ognuno di loro voglia trasformarvi in rospi. Io, per esempio, ti farei esplodere direttamente con una palla di fuoco.»

«Questo è il discorso più lungo che tu abbia fatto finora. E ho saputo il tuo nome solo dopo che ti sei presentata ad una strega delle Selve. Credo di non starti esattamente simpatico, vero?» Continuò il Custode con il suo solito tono scherzoso.

«Che intuito.»

«Ci getterà tutti nel pentolone.» Si lamentò l'arciere mentre camminavano nel fango. «Vedrete.»

«Se il pentolone è più caldo di questa foresta, sarà un piacevole sviluppo.» Commentò il guerriero.

Morrigan li condusse fino ad una casetta di legno vicino a delle rovine di pietra, di fronte ad un largo acquitrino. In piedi davanti ad essa stava una donna, dai capelli grigi e il volto segnato da piccole rughe. Li guardò avvicinarsi, scrutandoli uno ad uno come per analizzarli.

«Salute, madre. Ti ho portato quattro Custodi Grigi, che...» Cominciò Morrigan.

L'anziana la interruppe. «Li vedo, ragazza. Come mi aspettavo.»

«Dovremmo credere che ci stavate aspettando?» Chiese Alistair.

«Non dovete fare niente, tanto meno credere. Chiudete gli occhi o spalancate le braccia; in entrambi i casi, vi starete comportando da sciocchi!» Rispose la madre di Morrigan. Aenor sentì le altre due reclute bisbigliare animatamente. «Credete ciò che vi pare. Nello schema delle cose, non cambia nulla. E che mi dici di te?» Chiese, guardando Aenor dritto negli occhi. L'elfa si sentì rabbrividire, c'era qualcosa in quella donna, qualcosa di estremamente strano. «L'appartenenza al Popolo ti dà un punto di vista differente? O la pensi come gli altri?»

«Credo che non abbia importanza ciò che siete.» Rispose Aenor. «Ma avete qualcosa che ci serve.»

L'altra rimase per un attimo con gli occhi fissi su di lei, imperscrutabile. «Siete venuti per i trattati, giusto? E prima che iniziate a sbraitare, il vostro prezioso sigillo si è consumato tanto tempo fa. Li ho protetti.» Si girò a prendere qualcosa appoggiato ad un tavolino di legno dietro di lei. «Eccoli.»

Porse ad Aenor un pacco di pergamene. L'elfa li osservò, c'erano un mucchio di segni sulla superficie, riconobbe il simbolo dei Custodi in un angolo del foglio. Dopo un attimo di esitazione, si risolse a passarli ad Alistair. «Sono questi?»

L'altro li esaminò un attimo, gli occhi che scorrevano il foglio. «Sono loro.»

«Portateli ai vostri Custodi Grigi e dite loro che la minaccia di questo Flagello è maggiore di quanto credano!» Li avvertì la madre di Morrigan. «Ora andate, avete ciò per cui siete venuti. Morrigan, questi sono tuoi ospiti, riaccompagnali fuori dalla foresta.»

La figlia si lamentò rumorosamente, ma chinò il capo. «Come volete, madre. Seguitemi.»

Grazie a Morrigan, la strada per tornare ad Ostagar fu molto più breve e non incontrarono alcun pericolo. Dopo appena un paio d'ore, erano già vicini alle torri della fortezza.

Prima che potessero ringraziarla, la donna era già sparita nel nulla.

Segnalarono la loro presenza alle guardie davanti al cancello, che li fecero entrare. Sulla strada per arrivare da Duncan, passarono dal maestro del canile a dargli il fiore per il mabari ferito.

«Grazie mille! Questo dovrebbe aiutarlo di sicuro. Chissà se una volta guarito vorrà seguirvi!» Esclamò l'uomo, immensamente grato.

Duncan li stava aspettando davanti ad un grande fuoco. «Dunque, siete di ritorno. Avete avuto successo?» Chiese loro. Annuirono. «Molto bene. Ho già fatto preparare i maghi del Circolo. Con il sangue che avete recuperato, possiamo iniziare l'Unione immediatamente. Alistair, portali al vecchio tempio.» Ordinò al ragazzo, che fece loro strada fino ad uno spiazzo di pietra, che dava una spettacolare vista sulla pianura circostante.

Mentre le altre due reclute bisbigliavano concitate tra loro, Aenor sedeva poco lontano, le gambe a penzoloni sullo strapiombo. Le erano sempre piaciute le altezze.

Quando Duncan finalmente li raggiunse, Aenor si alzò per unirsi agli altri. Il guerriero sembrava sempre più preoccupato, le mani che gli tremavano leggermente.

«Finalmente, siamo giunti al momento dell'Unione.» Prese parola Duncan. Nessuno fiatava, mentre il Custode recitava le parole di rito. «I Custodi Grigi sono stati fondati durante il Primo Flagello, quando l'umanità si trovava sull'orlo dell'annientamento. Fu così che i primi Custodi Grigi bevvero il sangue della Prole Oscura e dominarono la sua corruzione.»

Una delle reclute, il guerriero, lo interruppe. «Dobbiamo... bere il sangue di quelle creature?» Aenor poteva quasi sentire l'odore della sua paura. Non aveva tutti i torti, però, farsi intenzionalmente infettare con quella roba... Dovevano essere tutti pazzi. Ben gli stava, per essersi offerto volontario.

«Come i primi Custodi Grigi fecero prima di noi, e come noi tutti facemmo prima di voi. Questa è la fonte del nostro potere e della nostra vittoria.» Rispose Duncan.

«Quelli che sopravvivono all'Unione, diventano immuni alla Corruzione. Possiamo percepirla nella Prole Oscura e usarla per uccidere l'Arcidemone.» Spiegò Alistair.

Duncan fece scorrere lo sguardo sulle tre reclute, valutandone la reazione a quelle parole. «Recitiamo solo qualche parola, prima dell'Unione, ma tali parole sono tramandate fin dai nostri albori. Alistair, vuoi procedere?»

Il giovane Custode si schiarì la voce. «Unitevi a noi, fratelli e sorelle. Unitevi a noi nelle ombre in cui ci ergiamo vigili. Unitemi a noi, che portiamo a termine il dovere che non può essere rinnegato. Se perirete, sappiate che il vostro sacrificio non verrà dimenticato e che un giorno vi raggiungeremo.» Recitò.

«Daveth, vieni avanti.» Chiamò Duncan, alzando un calice d'argento colmo di sangue.

L'uomo lo prese con entrambe le mani, esitando solo un attimo prima di berne un lungo sorso.

Passò un attimo carico di tensione, poi l'uomo cominciò a contorcersi e urlare, cadendo infine a terra esanime, gli occhi bianchi e morti. Aenor lo fissò priva di espressione, il cuore che nonostante tutto le martellava nelle orecchie.

L'altra recluta sfoderò la spada, indietreggiando. «No! Chiedete troppo! Ho una moglie e un figlio. Il vostro prezzo è troppo alto, non c'è gloria in questo!» Urlò in preda al panico.

«Non si torna indietro.» Sussurrò Duncan, prima di estrarre una delle sue due spade. L'altro provò a schivare il colpo, ma ancora prima che vedesse il Custode muoversi, la recluta era già crollata a terra, l'elsa dell'arma di Duncan conficcata nel petto.

L'uomo si voltò poi verso l'elfa. «L'Unione non è ancora terminata...»

Aenor sbuffò. «Quante storie.» Scrollò le spalle, afferrò il calice con entrambe le mani e se lo portò alle labbra.

Bevve quell'orribile robaccia in tre lunghi sorsi. Una fitta tremenda sembrò spaccarle la testa, mentre sentiva le gambe cederle. La vista le si annebbiò per un attimo, un boato che le fece ribollire il sangue come di puro fuoco, bruciandola dall'interno: vide chiaramente un drago, le fauci spalancate verso il cielo, ruggire tutto il suo furore.

Riaprì gli occhi di scatto.

Era sdraiata a terra. Duncan e Alistair erano chini sopra di lei.

«Altre due morti. Durante la mia Unione, morì soltanto uno di noi, ma... fu orribile. Sono lieto che almeno uno di voi ce l'abbia fatta.»

“Speravi che non fosse l'unica recluta che non ti sopporta, eh?” Pensò lei, la testa che le girava.

«Da questo momento, sei un Custode Grigio. Come ti senti?» Le chiese Duncan.

Aenor lo guardò storto, evitando di rispondergli. Come voleva si sentisse?

«Hai fatto dei sogni? Io mi ricordo di aver fatto sogni terribili, subito dopo la mia Unione...» Si intromise Alistair, offrendole una mano per alzarsi. Lei scostò il suo braccio, rimettendosi faticosamente in piedi da sola e cercando di non dare a vedere quanto fosse instabile in realtà.

«Tali sogni arrivano quando si inizia a percepire la Prole Oscura, come accade a tutti noi. Nei prossimi mesi, ti spiegheremo questa e molte altre cose.» Disse Duncan.

«Prima che me ne dimentichi, un'ultima cosa.» Prese di nuovo parola Alistair. «Prendiamo un po' di quel sangue e lo mettiamo in un ciondolo. Servirà a ricordarci di... coloro che non sono arrivati fin qui.» Spiegò, porgendole un laccio di cuoio con una piccola fiala sigillata, piena di liquido nerastro.

Aenor la afferrò poco convinta, soppesandola e cacciandosela poi in tasca.

“Come se avessi bisogno di un qualcosa al collo per ricordarmi di come sono finita qui...”

«Prenditi un po' di tempo. Quando sei pronta, vorrei che ci accompagnassi ad un incontro col re.» Le disse Duncan. «Ci vediamo giù dalle scale, verso est.»

Aenor aspettò che se ne fossero andati, prima di crollare nuovamente a terra. Afferrò l'otre che portava al fianco, sciacquandosi la bocca e bevendo un po' d'acqua. Le bruciava la gola e sembrava che le sue budella stessero andando a fuoco. Tuttavia, aveva temuto di ritrovarsi di nuovo debole e febbricitante, come quando era stata portata fuori dalle rovine nella foresta, cosa che però non era successa. Era certo possibile che, essendo sopravvissuta già una volta alla Corruzione, l'Unione fosse stata in qualche modo più facile.

Inspirò l'aria fredda che veniva da sud. Durante la battaglia, doveva solo trovare il momento giusto per andarsene senza che nessuno la vedesse. In fondo, c'erano migliaia di soldati lì, e parecchi Custodi Grigi: non avrebbero sentito la sua mancanza.

Dopo qualche tempo, si alzò controvoglia, diretta all'incontro con Duncan e il Re degli Idioti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice: “Aenor” in Dalish significa “predatore”. Ecco perchè il commento di Morrigan sul nome di Mahariel. 

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Capitolo 8
*** Ostagar II ***


CAPITOLO OTTO: OSTAGAR II

 





Aenor raggiunse con tutta calma il luogo dell'incontro.

«La vostra passione per la gloria e le leggende sarà la vostra rovina, Cailan. Dobbiamo occuparci della realtà.» Sentì dire mentre si avvicinava al grande tavolo dove erano riuniti tutti coloro che avevano un ruolo di comando. Alistair, un poco distante da esso, la salutò con un cenno del capo. Erano gli unici due che non avevano la minima idea del perché fossero lì. L'uomo che aveva parlato scrutava il re in modo truce: di mezza età, aveva i capelli neri e lunghi, il naso imponente e lo sguardo poco amichevole. Era equipaggiato con un'armatura imponente di metallo grigio scuro, decorata in modo sobrio.

«D'accordo, illustratemi la strategia. I Custodi Grigi e io attireremo la Prole Oscura, sfidandola a caricare le nostre linee... e poi?» Disse il re, che sembrava stufo di sentire le obiezioni dell'uomo accanto a lui.

Quello rispose come se fosse l'ennesima volta che ripeteva la stessa cosa. «Poi, ordinerete alla torre di accendere il fuoco di segnalazione, e i miei uomini andranno alla carica dal proprio riparo-»

«Per attaccare ai fianchi la Prole Oscura, ora ricordo.» Lo interruppe il re. «Parliamo della Torre di Ishal, vero? E chi accenderà questo fuoco di segnalazione?»

«Ho alcuni uomini appostati laggiù. Non è un incarico pericoloso, ma è di vitale importanza.» Rispose l'altro. Sembrava sicuro del suo piano, evidentemente non era la prima guerra che combatteva, e da come gli altri lo guardavano, tutti si fidavano del suo piano.

«Allora dovremmo mandare il meglio a nostra disposizione.» Disse il re. «Inviate Alistair e la nuova Custode Grigia ad assicurarsi che vada tutto bene.»

Aenor sentì gelarsi il sangue nelle vene. Se le avessero affidato un incarico del genere, sarebbe stato impossibile andarsene prima della battaglia. Anche se non aveva alcun affetto per gli umani, era chiaro persino a lei che se avessero perso quella battaglia, l'intero Ferelden sarebbe stato sommerso dalla Prole Oscura. Si scambiò uno sguardo preoccupato con l'altro Custode.

All'improvviso una mezza dozzina di paia di occhi erano puntati verso lei e Alistair.

«Vi affidate troppo a questi Custodi Grigi. È davvero saggio?» Ribatté l'uomo arcigno.

«Basta con le vostre teorie, Loghain, vedete cospirazioni ovunque. I Custodi Grigi combattono il Flagello, non importa da dove provengano.» Lo zittì il re.

«Vostra maestà, dovete considerare la possibilità che compaia un Arcidemone...» Li interruppe Duncan, schiarendosi la gola.

«Non c'è stato alcun segno di draghi nelle selve.» Commentò l'uomo che si chiamava Loghain.

Un altro uomo, vestito con la tunica dei maghi, prese la parola. «Vostra maestà, la torre e il fuoco di segnalazione non sono necessari. Il Circolo dei Magi...»

Prima che potesse finire la frase, una donna anziana dall'aspetto antipatico lo interruppe, guardandolo storto. «Non affideremo le nostre vite ai vostri incantesimi, mago! Conservateli per la Prole Oscura!» Sbraitò. Osservandola meglio, Aenor individuò l'occhio della Chiesa degli umani sulle sue vesti e sul medaglione che portava appeso al collo.

«Ora basta! Questo piano sarà sufficiente. I Custodi Grigi accenderanno il fuoco di segnalazione.» Li interruppe Loghain, zittendo ogni possibile risposta.

«Grazie, Loghain. Non vedo l'ora che arrivi questo glorioso momento! I Custodi Grigi combatteranno al fianco del re del Ferelden per respingere l'ondata del male!» Esclamò re Cailan, la voce che lasciava trapelare la sua emozione.

Loghain sembrava non condividere il suo entusiasmo. Gli diede le spalle, scrutando l'oscurità della notte intorno a loro. «Sì, Cailan. Sarà un momento glorioso per noi tutti.»

 


 

 

Cosa ci fosse di glorioso nel farsi divorare da un paio di fauci sbavanti e putrescenti, era da capire.

Aenor si guardò attorno, cercando di scorgere Alistair tra le fiamme. Il ponte era crollato quasi completamente, colpito da giganteschi macigni in fiamme, costringendoli a separarsi per riuscire ad attraversarlo. Un soldato di fianco a lei urlava di dolore, afferrandosi la gamba maciullata. L'elfa lo ignorò, caricando a testa bassa un hurlock, così si chiamavano i Prole Oscura più grossi, e mandandolo a terra per poi finirlo con la spada. Intorno a lei si era scatenato il caos.

Avevano dormito un paio d'ore, per cercare inutilmente di riposarsi in vista della battaglia. La metà delle truppe si era mossa qualche ora prima dell'alba, scendendo nella pianura con il re e tutti i Custodi Grigi, tranne lei e Alistair, mentre l'altra metà si era nascosta sulla collina con Loghain, per cogliere i nemici alle spalle e schiacciarli su due fronti.

La strategia avrebbe potuto funzionare, se l'orda dei Prole Oscura non fosse stata così sconfinata.

Erano usciti dalle selve, a migliaia, scagliandosi contro le forze del re e mettendoli da subito in difficoltà. Alistair e Aenor si erano immediatamente diretti verso la Torre di Ishal, ma la Prole Oscura li aveva preceduti, attaccando in forze il ponte che collegava le due parti della fortezza e bloccando il passaggio per la torre in un inferno di fiamme e cadaveri.

Schivò una pioggia di detriti infuocati con un salto, rischiando di essere presa alla sprovvista da un genlock, basso, tozzo e coriaceo, che l'aveva attaccata alle spalle. Piroettò su se stessa, schivando un affondo e parando il successivo con la spada. Colpì con un calcio la creatura, che però riacquistò subito l'equilibrio, pronta a scagliarsi nuovamente contro di lei. L'elfa alzò la spada per difendersi, ma prima che la creatura potesse raggiungerla, venne spazzata via da una nuova palla di fuoco piovuta dal cielo.

L'onda d'urto sbalzò via di qualche metro anche Aenor, che si rialzò dolorante, facendo fatica a mettere a fuoco l'ambiente circostante. Controllò di non essere ferita, per poi proseguire verso la torre, di fronte a lei.

«Aenor!» Sentendosi chaimare, accelerò il passo, individuando Alistair poco più avanti, impegnato a tenere a bada due genlock. Corse in suo aiuto.

«Hanno conquistato tutta la torre!» Le urlò per sovrastare il caos tutto attorno, una volta che ebbero eliminato le creature. «Dobbiamo riuscire ad accendere quel fuoco, a tutti i costi!»

L'elfa annuì, schivando un affondo di lato da parte di un altro genlock appena spuntato e staccandogli la testa di netto con un colpo ben assestato.

«Non si può entrare nella torre!» Urlò uno shemlen, avvicinandosi a loro a passo incerto. «Sono ovunque!» Si girò terrorizzato alle loro spalle, indicando la struttura. «Sono spuntati dal nulla, non abbiamo potuto fare niente... Ci hanno massacrati!» Tremava, senza nemmeno cercare di tenere dritto l'arco che aveva in mano. Un hurlock si voltò, attirato dalle sue urla, caricandolo. «Siamo spacciati!» Urlò lo shemlen, non dando segno di volersi difendere.

Aenor, che era troppo distante per impedirgli di finire ammazzato, non potè fare altro che guardare la scena, certa di vederlo fatto a pezzi in pochi attimi...

La creatura si immobilizzò improvvisamente, uno spesso strato di ghiaccio che la ricopriva inchiodandola sul posto. L'elfa non esitò a caricare e colpì l'hurlock con tutta la forza, mandandolo in frantumi maleodoranti tutto attorno. Si girò per vedere da dove provenisse l'incantesimo.

Un mago, con le vesti del Circolo, agitava il proprio bastone magico in ampi cerchi sopra la testa, spedendo lampi di ghiaccio attorno a sé. Altri due genlock caddero a terra, immobilizzati, e Alistair ne approfittò per eliminarli.

«Non è il caso di farsi prendere dal panico!» Commentò il mago, raggiungendo l'elfa e l'arciere. «Voi siete i Custodi che dovevano arrivare per dare il segnale a Loghain?» Chiese alla ragazza, che annuì con il capo.

«Come entriamo là dentro?» Gli chiese, indicando la torre.

Quello squadrò prima lei e poi i gli altri due uomini. «Vendendo cara la pelle.» Rispose.

Alistair sospirò affranto. «E io che speravo potessimo aspettare comodamente il segnale mangiando uno spuntino...» Commentò, prima di dare una pacca sulle spalle all'arciere, ancora tremante. «Hei, vedi di riprenderti, ci serve tutto l'aiuto possibile.» Gli disse.

Quello spalancò gli occhi, terrorizzato all'idea di tornare dentro la torre. «N... no, vi prego! Non-» Si interruppe bruscamente, la spada di Aenor premuta sulla sua gola.

«O ci aiuti ad arrivare là in cima, o ti ammazzo con le mie mani, hai capito?!» Sbraitò lei. «Fenedhis lasa, shemlen, tira fuori le palle!»

«Aenor!» Le urlò Alistair, contrariato. «Non-»

«Allora?!» Ringhiò l'elfa all'arciere, ignorando l'altro Custode.

Il poveretto si ritrovò ad annuire, spaventato. «D'accordo... v-vi seguo.» Balbettò, massaggiandosi il collo quando l'elfa finalmente rimosse la lama dalla sua pelle.

Soddisfatta, Aenor li precedette verso la Torre di Ishal.

L'edificio era in pessime condizioni, in parte crollato o in fiamme, ma riuscirono a farsi strada fino al piano superiore. La torre brulicava di Prole Oscura, genlock, hurlock e persino alcune creature agili e deformi che si muovevano a quattro zampe, strillando da fare accapponare la pelle.

«Shriek.» Disse Alistair, dopo che erano riusciti a far fuori un paio di quei mostri con grande difficoltà. «Odio quelle urla.»

Aenor non potè far altro che concordare con lui. Sentiva l'arciere parlare da solo, terrorizzato, ma per il momento l'uomo aveva fatto un buon lavoro, colpendo praticamente tutti i bersagli.

Spalancarono una porta, trovandosi di fronte ad una decina di Prole Oscura che si scagliarono all'unisono contro di loro. Preparandosi all'impatto, Aenor alzò la spada, riuscendo con difficoltà a parare un colpo di un hurlock particolarmente grosso, che roteava un gigantesco maglio di buona fattura, chiaramente recuperato nell'armeria allestita nella torre.

Imprecò, buttandosi di lato per evitare un altro colpo, senza avere il tempo di contrattaccare. Le sembrò di sentire un ululato dalla stanza accanto, ma venne di nuovo distratta dall'hurlock, che mirò alla tua testa, costringendola a indietreggiare ulteriormente, fino a finire con le spalle al muro. Un genlock la attaccò a sua volta, ma lei riuscì a trapassarlo con la spada prima che potesse colpirla, lasciandosi però scoperta contro il Prole Oscura più grosso, che torreggiava sopra di lei. Si buttò di lato, per mitigare il colpo che però non sentì arrivare. L'hurlock cacciò un grido di dolore, che le perforò le orecchie, colpito da una freccia che gli spuntava dalla spalla. Senza dargli tempo per riprendersi, Aenor raccolse tutte le sue forze e lo passò da parte a parte, girando l'elsa fino ad incastrarla quasi completamente nella creatura. Liberò l'arma con uno strattone, ringraziando l'arciere con un cenno del capo per poi dedicarsi al mostro successivo.

Il pavimento sembrò esplodere tra le fiamme.

Si sentì scaraventare in avanti, lontano dall'esplosione, e per poco non colpì il muro di pietra di fronte a lei. Cercando di riprendere fiato, si appoggiò alla parete per rimettersi in piedi. Si girò a guardare cosa aveva provocato l'esplosione: un Prole Oscura diverso da quelli che avevano incontrato finora, alto e slanciato, fluttuava al centro della sala, un rozzo bastone magico alzato sopra di sé, pronto a sferrare un altro attacco.

Vide l'arciere mirare verso la creatura, ma l'uomo venne attaccato da un genlock prima che potesse scoccare la freccia. Alistair corse in suo aiuto, mentre il mago cercava di contrattaccare.

Aenor tese le orecchie, le pareva proprio di sentire degli ululati. Si appoggiò alla porta di fianco a lei, aprendola con una spallata: all'interno, vi erano delle gabbie con tre mabari, che ululavano e ringhiavano in attesa di essere liberati. Zoppicando leggermente, l'elfa si affrettò ad aprire le gabbie. I mastini scattarono subito nella stanza adiacente, pronti ad attaccare la Prole Oscura.

Si concesse un attimo per riprendere fiato, per poi tornare di corsa in aiuto dei compagni. Il Prole Oscura che lanciava incantesimi sembrava in difficoltà, incapace di lanciare incantesimi incalzato da Alistair, che lo stava spingendo verso una voragine creatasi nel muro esterno della torre. Aenor si affrettò a dargli manforte, colpendolo ad un fianco e facendo barcollare all'indietro. Alistair lo colpì alla testa con lo scudo, stordendolo, per poi abbassarsi e darle l'opportunità di caricarlo in pieno petto, trapassando la stoffa leggera e i tessuti putridi sottostanti senza alcuna difficoltà.

La creatura si afflosciò su sé stessa, e Aenor se ne liberò spingendola giù dalla voragine.

«Un Emissario.» Spiegò Alistair. «Spero non ce ne siano altri.»

 

Con fatica, riuscirono a raggiungere l'ultimo piano della torre, dove doveva esserci la legna pronta per accendere il fuoco di segnalazione. Spalancarono la porta con un calcio, facendosi strada all'interno.

Un ruggito più forte di qualsiasi cosa avessero mai sentito gli perforò i timpani.

Spalancarono gli occhi, terrorizzati alla vista di un'enorme creatura, alto forse quattro metri, dalla pelle violacea e putrida e due corna enormi, che li puntava dall'altro lato della stanza, le fauci aperte a mostrare zanne lunghe quanto un braccio che colavano sangue e bava.

Aenor rimase impietrita, guardando la bestia e cercando di carpirne i punti deboli, senza successo. Lanciò un'occhiata ad Alistair, sperando che il Custode più anziano avesse qualche suggerimento, ma il ragazzo sembrava atterrito tanto quanto lei. «Ogre. Non fatevi colpire.» Disse solo.

«Molto utile!» Ringhiò l'elfa, buttandosi per terra da un lato per schivare la creatura che li aveva caricati, corna in avanti e pronta a farli a pezzi. L'ogre fermò la sua corsa, scuotendo il testone e cercando di individuarli di nuovo. Una saetta lo colpì in mezzo agli occhi, facendolo solo infuriare ulteriormente.

«Bella mossa, ora sì che è contento di farci a pezzi!» Urlò Alistair, preparandosi a schivare nuovamente la carica del mostro.

Il mago dovette ripararsi dietro un cumulo di macerie per non essere spazzato via.

«Hei!» Urlò l'arciere, attirando l'attenzione del mostro nonostante stesse tremando vistosamente. Lo centrò con una freccia sulla spalla scoperta, che però sembrò scalfirlo solo superficialmente.

I due guerrieri provarono a colpirlo ai fianchi, ma la pelle del mostro sembrava impenetrabile, e continuava a parare i loro colpi con facilità, costringendoli a schivare per la maggior parte del tempo.

«Così non funziona.» Grugnì Alistair tirando fiato. Sanguinava da un taglio sulla fronte. Si passò il braccio sul volto, togliendosi il sangue dagli occhi. «Ci serve un piano.»

Aenor annuì. «Mago, tienilo distratto. Tu, arciere, mira alle gambe. Dobbiamo buttarlo giù e impedire che ci carichi un'altra volta.» Ordinò ai due, per poi fare un cenno ad Alistair di prepararsi nuovamente all'attacco.

Il mago lanciò una pioggia di scintille sull'ogre, accecandolo per qualche istante, mentre l'arciere scoccava frecce. Il mostro ruggì, infuriato, ma Alistair e Aenor si fecero sotto, attaccandolo dai lati e cercando di farlo cadere a terra. La pellaccia della creatura era davvero resistente, ma con un affondo l'elfa riuscì a trapassargli una gamba dietro al ginocchio. L'ogre caracollò in avanti con un verso di dolore, cercando di spazzarla via con un braccio. Lei si buttò all'indietro per schivarlo, finendo a terra. La creatura, però, si sporse in avanti, chiudendo la mano a pugno sopra di lei, per schiacciarla al suolo come una mosca. Troppo lenta, Aenor rimase a fissare il colpo in arrivo. Una figura si parò tra lei e l'ogre, proteggendola con lo scudo, che risuonò con uno schiocco metallico.

«Stai bene?!» Le urlò Alistair, crollando in ginocchio, reggendo lo scudo con entrambe le mani, una ferita al fianco che sanguinava copiosamente. L'elfa annuì, sorpresa. Si rimise in piedi, respingendo l'ogre con la spada alzata e permettendo ad Alistair di liberarsi e rotolare da un lato. La creatura fece per parare il colpo alzando il braccio, ma Aenor fu più veloce, usando tutta la forza che aveva per far calare la spada dritta davanti a sé.

L'intenzione era quella di recidergli l'arto, ma la pellaccia del mostro oppose resistenza: la lama restò incastrata in profondità, facendolo ruggire di dolore e vorticare il braccio sano davanti a sé, per colpire l'elfa. Quella si ritrovò a dover fare presa sulla propria arma per issarsi con un salto sul braccio ferito della creatura, evitando per un soffio le fauci enormi che schioccarono a qualche centimetro dalla sua testa. Una freccia si conficcò nella schiena del mostro, facendolo voltare di scatto verso l'arciere. A sorpresa, l'ogre scattò in avanti nonostante la gamba ferita, afferrando l'uomo con il braccio sano e buttandolo a terra. Aenor si ritrovò aggrappata ad una delle corna del mostro, cercando di issarsi su una di esse per evitare le sue zanne. Sentì un rumore di ossa frantumate e un urlo di dolore spegnersi di colpo, sostituito da un gorgoglio sinistro. Si ritrovò faccia a faccia con il mostro, che gettato via il corpo dell'arciere fece per afferrarla e togliersela di dosso. L'elfa scalciò in preda al panico, colpendo l'ogre sul muso per evitare di farsi azzannare. I suoi piedi toccarono una delle punte di metallo dell'armatura sul petto del mostro, ferendosi ad una gamba ma riuscendo ad usare la sporgenza per darsi lo slancio necessario a salirgli sullo spallaccio enorme che la creatura indossava. Si accucciò, cercando di riprendere l'equilibrio facendo presa su una delle corna a cui era ancora attaccata, mentre l'ogre veniva colpito al fianco da una saetta. La distrazione del mostro le permise di aggrapparsi meglio e salirgli in groppa, afferrando entrambe le corna per reggersi in piedi.

Alistair colpì di nuovo la bestia, che parò il colpo con il braccio ferito. Il guerriero si riparò dietro allo scudo, caricandolo di peso e riuscendo finalmente a recidergli l'arto proprio sotto al gomito. Un fiotto di sangue nero si riverso a terra tra i ruggiti dell'ogre, che, accecato dal dolore, caricò incespicando e travolgendo qualsiasi cosa davanti a sé. Alistair riuscì a schivarlo parzialmente rotolando a terra di fianco a sé, colpendo con forza i detriti sul pavimento con un gemito, ma il mago non fu altrettanto fortunato: Aenor, ancora avvinghiata alla base delle corna dell'ogre con tutte le sue forze, lo vide sgranare gli occhi, mentre l'uomo abbassava lo sguardo su una delle enormi corna che gli perforavano il petto da parte a parte. Sputò una bolla di sangue, che finì addosso al mostro e all'elfa, scivolando all'indietro e cadendo sul pavimento con un tonfo.

Con un grido, la ragazza estrasse il pugnale che portava alla cintura, conficcandolo con forza nel collo dell'ogre, dove la pelle era più sottile, e rigirandolo in profondità. Quello cercò di togliersela di dosso, ma lei riuscì ad evitare un'enorme manata che rischiò di sbalzarla via. Estrasse il coltello e si issò più in avanti, facendo presa su una delle corna e infilzando uno degli occhi dell'ogre.

Il gigante scosse la testa, ruggendo impazzito, disarcionandola e spedendola dall'altra parte della stanza. L'elfa colpì il pavimento con uno schianto che le tolse il fiato. La vista le si oscurò per un attimo, mentre annaspava in cerca d'aria. Strisciò a fatica sulle pietre rese scivolose dal sangue, fino ad un cumulo di macerie. Respirando a fatica, si rimise in piedi barcollando. Le facevano male tutte le ossa. Sputò a terra un grumo di sangue, asciugandosi la bocca con la manica. L'ogre, ormai a terra, ruggì verso di lei, cercando di rimettersi in piedi.

Alistair giaceva di lato sul pavimento, cercando di fare leva sulla spada per alzarsi mentre teneva premuta la mano sul fianco ferito, lo scudo a terra.

Il braccio reciso della creatura era a pochi metri da lei, la sua spada ancora conficcata nella carne morta. Con un ultimo sforzo, l'elfa afferrò l'elsa, liberandola con uno strattone, e andò verso l'ogre che la sfidò con un potente ruggito.

«Il Temibile Lupo ti prenda!» Urlò in elfico, prima di schivare per un soffio gli artigli del mostro e sollevare la spada sopra di sé, sentendola penetrare nella carne. Spinse più che poté, sentendo il ruggito della creatura trasformarsi in un gorgoglio orrendo. L'ogre cadde all'indietro, permettendole di ritrarre la spada, causando un fiotto di sangue che la costrinse a proteggersi il viso, roteando poi di nuovo la spada e, con tutta la forza rimastale, piantarla in mezzo agli occhi della creatura.

Quella ebbe un paio di spasmi incontrollati, per poi finalmente giacere immobile in una pozza di sangue maleodorante.

Sfinita, Aenor crollò in ginocchio accanto ad essa, troppo stanza anche solo per recuperare la spada.

«Ce l'abbiamo fatta...» Sentì dire ad Alstair. Alzò lo sguardo per vederlo zoppicare faticosamente verso la grande pila di legname, un tizzone acceso in mano. In pochi attimi la legna prese fuoco, lanciando il segnale che avrebbe dovuto salvare le truppe del re e dei Custodi Grigi. «Speriamo non sia troppo tardi.» Gemette il Custode, crollando a terra a sua volta.

Aenor non seppe per quanto rimasero in quello stato, il respiro che usciva a fatica, gli occhi chiusi cercando di ignorare il dolore.

Un rumore di passi e grugniti li risvegliò dal torpore. L'elfa aprì gli occhi di scatto, incrociando lo sguardo di Alistair.

«Come non detto...» Lo sentì gemere.

Non sapendo nemmeno lei come, si rimisero in piedi a fatica. Estrasse la spada dal cadavere dell'ogre, facendo una fatica immane. L'arma sembrava pesare dieci volte più del solito, pensò mentre almeno una mezza dozzina di Prole Oscura sciamava all'interno della stanza. Quelli rimasero un attimo a guardarli, gli occhietti malvagi che lampeggiavano dai due guerrieri al cadavere dell'ogre a terra, intimoriti e incerti sul da farsi. Un paio di genlock decisero di gettarsi all'attacco, dando l'esempio agli altri.

Aenor sollevò la spada davanti a sé, riuscendo a cogliere di sorpresa il primo e uccidendolo sfruttando la sua stessa carica. L'altro la scaraventò a terra, trafiggendole un fianco. Mentre sentiva la lama reciderle la carne, urlò di dolore, raccogliendo in qualche modo le forse per liberarsi con una ginocchiata. Rotolò di lato, una mano sulla ferita, sentendosi inzuppare di sangue la maglia. Il genlock le fu subito addosso, costringendola a strisciare alla ricerca di un arma. Cercando di proteggersi con un braccio, tastò il pavimento con l'altra mano, trovando ciò che cercava. La creatura le afferrò la gola, stringendo e togliendole il respiro, ma prima che potesse strozzarla Aenor gli ficcò una freccia nel collo, spingendola in profondità. Il genlock gemette di dolore, cadendole addosso e schiacciandola col proprio peso. Se lo tolse di dosso con fatica, mettendosi a carponi e alzando lo sguardo giusto in tempo per vedere Alistair venire colpito in pieno petto da un calcio di un hurlock. Il guerriero colpì violentemente la parete di pietra dietro di lui, accasciandosi esanime. I tre Prole Oscura rimasti si girarono verso di lei, le fauci spalancate che grondavano sangue e bava, pronti a farla a pezzi.

«Fatevi sotto, schifosi.» Li sfidò l'elfa, rantolando. Se doveva morire, ne avrebbe ammazzati quanti più poteva, fino alla fine. Le creature scattarono in avanti, lei strinse la spada, pronta a colpire l'hurlock più vicino con un fendente dal basso.

Un boato assordante la colse di sorpresa.

Qualcosa la scaraventò a terra per l'ennesima volta. Grugnì di dolore, cercando di strisciare via, accecata da polvere e... fiamme?

Rotolò sulla schiena, guardando sopra di sé.

Una serie di squame violacee le occupava il campo visivo. Si girò, guardando un'enorme zampa schiacciare a terra un genlock e spappolarlo sotto il proprio peso. La gigantesca creatura sopra di lei ruggì, facendo tremare l'intera struttura di pietra e vomitando fiamme attorno a sé. Degli strilli di dolore segnalarono che la nuova Prole Oscura arrivata al piano superiore era stata colpita in pieno.

“Un drago.” L'elfa strabuzzò gli occhi. L'Arcidemone, probabilmente. Ma allora perchè stava attaccando la Prole Oscura e non i due Custodi feriti e inermi?

Cercò di individuare Alistair in mezzo a tutto quel frastuono di fiamme e ruggiti, facendosi forza sui gomiti per mettersi a sedere. Il Custode era a pochi metri da lei, ancora svenuto, una chiazza di sangue sotto di lui. Strisciò verso di lui, per... “fare cosa? Ci arrostirà tutti.”

Che tempismo. Non bastava un'orda di Prole Oscura e un Ogre, no, doveva pure arrivare un drago ad ucciderli. Lanciò un'occhiata alla sua spada, troppo lontana perché potesse anche solo pensare di raggiungerla, e poi non avrebbe avuto comunque la forza di sollevarla...

Raggiunse Alistair con un grugnito di dolore. La spada del Custode giaceva a terra, ancora nella sua stretta. Aenor la prese, usandola come perno per mettersi in piedi.

La zampa del drago era poco distante da lei.

Fece due passi in avanti, barcollando, la vista annebbiata dal dolore e dal fumo. L'aria rovente le bruciava il volto, rendendole quasi impossibile respirare. Sollevò la spada, facendola calare debolmente su una delle dita della bestia.

Quella ruggì, spazzando via l'arma come se niente fosse, intrappolando poi l'elfa con una zampa. Il drago si voltò a guardarla, le fauci spalancate in un ruggito, l'alito caldo che le scottava la pelle, le zanne bianchissime che brillavano minacciose alla luce delle fiamme a pochi centimetri dalla sua faccia. “Che meraviglia”, si ritrovò a pensare l'elfa.

«Avanti.» Rantolò trepidante, un rivolo di sangue che le colava dalle labbra. Sorrideva.

Quello rimase un attimo a fissarla, le pupille erano braci ardenti, mentre tutto il resto piombava nell'oscurità. All'improvviso, si sentì sollevare da terra con uno strattone. Riaprì gli occhi: la torre in fiamme era sotto di lei, mentre il terreno si faceva sempre più lontano, le sagome sempre più piccole. La zampa del drago era chiusa fermamente attorno a lei, impedendole di cadere mentre penzolava nel vuoto. Gettò uno sguardo alla sua destra, e vide Alistair trasportato allo stesso modo.

“Sto impazzendo.” Pensò.

 

 

 

 

 

Le pellicce su cui giaceva erano morbide, sapevano di erbe aromatiche e incensi. Fece per girarsi, ma una fitta al fianco le troncò il respiro, immobilizzandola.

«Sei sveglia.» Le disse una voce. «Hai rischiato grosso, ma vhenan.»

«Tamlen?» Gracchiò, la voce roca e flebile. L'elfo le sorrise, accarezzandole delicatamente la guancia con le dita fresche. «Stai... bene?» Balbettò lei, incredula.

«Ma certo, Lethallan. Sei tu quella di cui bisogna preoccuparsi, ora.» Le rispose lui, senza smettere di sorridere. Sembrava rilassato, i capelli biondi che gli ricadevano morbidi sugli occhi, coprendo parzialmente il vallaslin dipinto sul volto.

Aenor non capiva. «Ma... Pensavo fossi...»

L'altro le prese delicatamente il viso tra le mani, guardandola negli occhi, rassicurante. Lei si rilassò, dimenticandosi quasi del dolore che sembrava bruciarle tutto il corpo. Quando le labbra morbide di lui su posarono sulle sue, si lasciò sfuggire un sospiro felice.

Tamlen si staccò improvvisamente da lei. Aenor fece per tirarsi su e afferrarlo per la manica, ma quello era già evaporato nel nulla.

«No!» Urlò, tirandosi a sedere di scatto.

Cacciò un gemito di dolore. Rantolando, si guardò attorno. Non era in uno degli aravel del suo clan, bensì sdraiata in un letto in una piccola stanza di legno, accanto a lei un tavolino su cui vi erano poggiati un infuso che mandava un forte odore di erbe e una ciotola contenente un impasto verdognolo e speziato. La porta si aprì cigolando, lasciando entrare una donna che si tolse dal capo un cappuccio violaceo, lasciando cadere per terra dei piccoli cumuli di neve che si sciolsero sul pavimento.

«Ah, vedo che sei sveglia.» La salutò la nuova arrivata. «Madre sarà entusiasta.»

Aenor sbattè le palpebre più volte, incredula. «...Morrigan?»

La strega delle Selve chinò il capo, accennando un sorrisetto soddisfatto. «Bene, non ti sei dimenticata tutto, allora. Dimmi, riesci a ricordarti come mia madre vi ha salvati?» Le chiese, avvicinandosi al letto. Le scostò le coperte, tastandole il fianco e esaminandole le bende. Sembrava compiaciuta. Le sfiorò la testa, fasciata anch'essa, restando a guardarla in attesa di una risposta.

“Madre?” Ricordava di essere stata in cima alla torre. Avevano ucciso l'ogre, poi erano riusciti ad accendere il segnale, ma erano arrivati degli altri mostri e poi...

«Un drago!» Esclamò. «C'era un drago, sputava fuoco e-» Si interruppe bruscamente, il ricordo che riaffiorava pian piano. “Ho provato ad ucciderlo. Poi voleva mangiarmi.” Come faceva ad essere ancora viva? «Stavo volando.» Biascicò, incerta su cosa fosse successo dopo. Dovera il drago? Cosa ci faceva nel bel mezzo delle paludi, nella capanna delle streghe delle Selve?

«Quella era, in effetti, mia madre.» Disse Morrigan. Incrociando lo sguardo incredulo dell'elfa, si lasciò sfuggire una risatina. «Pensavi forse che tutto quello che potesse fare una strega delle Selve fosse trasformare gli incauti viaggiatori in rospi e cucinarli per cena?»

Aenor rimase a fissarla a bocca aperta. Possibile che la vecchia signora potesse davvero trasformarsi in un drago, enorme e sputafuoco?

«Entreranno le mosche.» Commentò Morrigan, toccandole il mento. «Ora, stai ferma, devo controllarti il resto delle fasciature.» La girò di schiena, spalmandole un po' dell'unguento che teneva vicino al letto. La squadrò con occhio critico, tastandole delicatamente il petto sullo sterno e scendendo ad applicare una leggera pressione sulle costole sotto ai seni. L'elfa gemette di dolore, ma la donna la ignorò. «Sembra che le ferite si siano rimarginate. Fossi in te non farei sforzi per almeno un paio di settimane, comunque, le ossa non sono così semplici da rimettere a posto, e ne avevi parecchie fratturate o rotte. Per la schiena, il fuoco di drago è una scocciatura, ma a quanto pare te la sei andata a cercare... a cosa stavi pensando?» Parlava senza aspettarsi una risposta, continuando ad esaminare le varie ferite ed escoriazioni in via di guarigione. Le porse l'infuso. «Bevi questo, disseta ed è ottimo per le lesioni interne. Te ne ho dovuto somministrare parecchio, in questi giorni.»

L'elfa prese dei piccoli sorsi, sorprendendosi di quanto fosse amaro. Storse la bocca, allontanando il bicchiere. «Da quanto sono qui?»

Morrigan le fece segno di continuare a bere. «Una settimana, circa. Bevilo tutto.»

«Una...?» “Abbiamo vinto o perso?” «Com'è finita?» Chiese, portandosi nuovamente il bicchiere alle labbra e prendendone un altro sorso.

«La battaglia, intendi? L'uomo che doveva rispondere al segnale si è allontanato dallo scontro e la Prole Oscura ha vinto.» Rispose la strega in tono asciutto, gli occhi gialli che non tradivano alcuna emozione. «Quelli rimasti, sono stati massacrati. Il tuo amico non la sta prendendo bene.»

«Amico?»

«Lo stupido pieno di sospetti con cui viaggiavi prima, sì. È qua fuori, vicino al fuoco.» Rispose l'altra. «Madre ha chiesto di vederti, quando ti fossi svegliata. Ce la fa ad alzarti dal letto?»

Aenor annuì, titubante. Appoggiò il bicchiere vuoto sul tavolino, accettando di buon grado la gruccia di legno che Morrigan le porgeva per aiutarla ad alzarsi in pedi. Si avvolse nello scialle di lana pesante che la donna le mise sulle spalle.

Con uno sforzo immane, zoppicò fino alla porta d'ingresso, sentendo dolori ovunque. L'aria fredda le colpì la faccia, i fiocchi di neve che le si posavano sul naso. Si avvicinò al fuoco, che scoppiettava di fronte alla capanna. Una figura era in piedi davanti ad esso. Sentendo aprirsi la porta, si girò di scatto.

«Sei viva!» Esclamò incredulo Alistair. «Pensavo...»

«Sto bene. Più o meno.» Lo interruppe Aenor. «Tu?»

Il Custode scosse la testa. «Non... Abbiamo perso la battaglia. Sono tutti morti, Duncan, il Re... Loghain non ha mai risposto al nostro segnale.» Strinse i pugni, conficcandosi le unghie nel palmo delle mani. «Perchè avrebbe dovuto fare una cosa del genere?»

Aenor rimase a fissarlo senza sapere cosa rispondere. Che ne sapeva lei? Da come tutti erano sembrati pendere dalle labbra del comandante, Loghain doveva essere un esperto di battaglie. Ed era sicuramente legato al re, altrimenti non avrebbe potuto contraddirlo così spesso senza ripercussioni... no? Quindi, perchè abbandonarli?

«Questa sì che è un'ottima domanda.» Li interruppe la madre di Morrigan, avvicinandosi a loro. «Ciò che si nasconde nel cuore degli uomini è ancora più oscuro di qualsiasi altra creatura corrotta... Forse ritiene che il Flagello sia un esercito che può sopraffare. Forse non riesce a riconoscere che il male che c'è dietro di esso è la vera minaccia.»

«L'Arcidemone.» Disse Alistair.

Aenor si decise finalmente a chiedere cosa fosse.

«Si racconta che molto tempo fa, il Creatore rinchiuse gli antichi dei del Tevinter in prigioni nelle profondità della terra. Un arcidemone è uno di questi antichi dei, risvegliato e corrotto dalla Prole Oscura. La storia racconta che siano creature temibili e immortali.» Narrò la vecchia.

«Beh, qualsiasi sia la ragione della follia di Loghain, chiaramente pensa che il Flagello non sia una minaccia. Dobbiamo avvertire tutti.» Alistair sembrava aver deciso già il da farsi.

Aenor lo guardò di sottecchi. Se il Custode aveva intenzione di imbarcarsi in un'impresa del genere, si accomodasse pure. Lei non era ansiosa di affrontare un altro drago nell'immediato futuro. “Parlando di draghi...”

«Ci avete salvati, grazie.» Disse contrita. «E mi dispiace per...»

La vecchia scoppiò in una risatina divertita. «Per cosa, avermi fatto il solletico? Sono rimasta sorpresa, però, non sembravi nemmeno in grado di reggerti in piedi.»

Aenor si appoggiò alla gruccia, premendosi leggermente il fianco che ricominciava a pulsarle dolorosamente. «Beh, grazie lo stesso...» Si rese conto che ancora non sapeva il suo nome.

«Puoi chiamarmi Flemeth.» Rispose lei.

L'elfa sgranò gli occhi. «Asha'bellanar?» Sussurrò, facendo per inchinarsi al cospetto della vecchia.

La donna anziana la fermò subito, rassicurandola. «No, soltanto una vecchia con lo stesso nome.»

Aenor si scusò, restando comunque a fissarla di sottecchi. Una strega che poteva tramutarsi in drago, estremamente potente, che condivideva il nome con la Donna dai Molti Anni... Che l'umana non stesse raccontando tutta la verità?

«Credo dovremmo andare da Alr Eamon. Non era ad Ostagar e tutti i suoi uomini sono rimasti a Redcliffe. Ed era lo zio di Cailan.» Spiegò Alistair. «Lo conosco, è un brav'uomo, rispettato da tutta la nobiltà. Andremo a Redcliffe per chiedergli aiuto!» Sembrava sicuro del suo piano. «Una volta saputo del tradimento di Loghain, radunerà tutti i nobili per detronizzarlo.»

«Quanta determinazione, giovanotto!» Esclamò Flemeth. «Interessante.»

Morrigan fece capolino dalla porta, annunciando che la cena era pronta. I tre rientrarono nella capanna, sedendosi attorno ad un tavolo di legno. La zuppa che ribolliva nel pentolone aveva un odore buonissimo, e Aenor si sentì borbottare lo stomaco dalla fame. Morrigan le versò una porzione abbondante, che l'elfa spazzolò a grandi cucchiaiate, prendendone poi dell'altra.

«Non so se gli uomini di Aemon basteranno.» Ruppe il silenzio Alistair. «Redcliffe non può sconfiggere un Flagello da sola.»

Aenor rimase in silenzio, rimestando la zuppa col cucchiaio di legno. L'idea di andarsene appena fosse stata meglio le ronzava ancora in testa.

«Ma certo!» Esclamò il Custode dopo qualche minuto, illuminandosi. «I Trattati!»

L'elfa si girò a guardarlo, senza capire.

«I Custodi Grigi possono chiedere aiuto agli elfi, ai nani, ai maghi e altri, durante un Flagello! Tutti sono obbligati a prestare loro aiuto.» Spiegò raggiante. «Dobbiamo solo...»

«Girare per tutto il Ferelden e raccogliere un esercito partendo da sole due persone? Una passeggiata, insomma.» Si intromise Morrigan.

Alistair la ignorò, voltandosi a guardare Aenor. «Possiamo farcela, no?» Le chiese conferma.

La ragazza deglutì un sorso di zuppa, non sapendo come rispondere. Annuì, incerta. «Forse.»

«Un “forse” è meglio di niente!» Ribattè l'altro. «Dobbiamo fare qualcosa, siamo gli ultimi Custodi Grigi rimasti! Se non fermiamo il Flagello...» Lasciò cadere la frase nel vuoto.

Piombò nuovamente il silenzio. Aenor guardava intensamente il piatto vuoto. Afferrò del pane e si mise a sbocconcellarlo, senza più fame.

«Prima di andare da qualsiasi parte, vi consiglio di guarire le vostre ferite e rimettervi in sesto. Partirete non appena starete meglio.» Commentò Flemeth.

 

Rimasero nella capanna per altri cinque giorni, sotto le cure di Flemeth e Morrigan, che cambiavano loro le bende regolarmente, applicando intrugli e pomate, mentre occasionalmente la madre recitava qualche incantesimo di guarigione. Morrigan sembrava non vedere l'ora che i loro ospiti se ne andassero e non andava affatto d'accordo con Alistair. I due si beccavano continuamente, pur parlandosi appena. Aenor sperava di liberarsi in fretta di entrambi, ma non era completamente a proprio agio con l'idea di lasciare Alistair ad occuparsi di tutto quel macello.

Finalmente, furono pronti a partire. Morrigan aveva recuperato sul campo di battaglia alcune armi, che i due Custodi si legarono alle cinture. Aenor sentiva la mancanza di una spada a due mani, ma soppesando la daga che aveva in mano dovette riconoscere che era meglio di niente. Alistair si assicurò il piccolo scudo tondo di metallo dietro la schiena, infilandosi la spada nel fodero vuoto con qualche difficoltà.

«C'è un ultima cosa.» Disse loro Flemeth, sull'uscio della capanna.

«Madre, lasciateli andare, o si farà così tardi che saranno costretti a fermarsi un'altra notte.» Si intromise Morrigan, uscendo anche lei sotto la luce del sole. Il cielo si era schiarito, e aveva sciolto il tappeto di neve che era caduto nei giorni precedenti. Un tempo perfetto per viaggiare, se non si aveva paura di sporcarsi di fango.

«I Custodi Grigi se ne stanno andando, ragazza. E tu andrai con loro.» Rispose Flemeth.

Morrigan sgranò gli occhi, sorpresa. «Cosa?!» Esclamò, pronta a ribattere.

«Mi hai sentito benissimo, ragazza. L'ultima volta che ho controllato, avevi un paio di orecchie.»

Aenor si intromise a favore della giovane. «Se Morrigan non vuole, non è il caso di forzarla.»

«Oh, sono anni che vuole andarsene dalle Selve. E questa è un'ottima opportunità. Per quanto riguarda voi, Custodi, consideratelo il vostro debito nei miei confronti.» Disse l'anziana.

L'elfa si strinse nelle spalle. «Come volete.»

«Non per... guardare il cavallo in bocca, ma non ci creerà problemi? Fuori dalle Selve, è un'eretica.» Si intromise Alistair, che chiaramente non voleva la compagnia della maga.

«Se non volevi l'aiuto di noi eretici, giovanotto, potevi restare su quella torre.» Ribattè Flemeth.










Note dell'Autrice: Per ancora un paio di capitoli il personaggio narrante sarà prevalentemente Mahariel, ma non preoccupatevi, presto torneranno anche gli altri!

A chi interessasse, ho disegnato i vari protagonisti, trovate i link in fondo ai capitoli delle rispettivi Origini! :)

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Capitolo 9
*** Lothering ***


CAPITOLO NOVE: LOTHERING


 





Impiegarono qualche giorno ad uscire dalle selve e raggiungere la Via Imperiale. Morrigan aveva suggerito di dirigersi ad un villaggio poco distante, Lothering, il cui commercio era fiorente grazie alla posizione strategica nel punto d'incontro delle strade che conducevano a Denerim, la capitale, Redcliffe e Orzammar, ma anche fuori dai confini del Ferelden, verso Orlais.

Sulla strada, avevano incontrato il mabari curato dal maestro dei canili di Ostagar, che si era unito al gruppo contento e scodinzolante.

«Che strano. Ora abbiamo anche un cane, eppure Alistair resta il più stupido del gruppo.» Aveva commentato Morrigan, ridacchiando in direzione del Custode. Alistair l'aveva ignorata, seduto per terra intento ad accarezzare il mabari sulla pancia. “Falon”, l'aveva chiamato Aenor, “amico” in elfico. E Falon si era da subito rivelato un buon amico, aiutandoli a respingere alcuni Prole Oscura. Sulla strada, più si avvicinavano a Lothering, più numerosi diventavano i gruppi e le carovane di gente che fuggiva dall'Orda. Soldati feriti, civili con il poco che erano riusciti a salvare sulle spalle, straccioni che erano stati probabilmente al seguito dell'esercito, tutti sfilavano a testa bassa davanti a fattorie abbandonate, rovine in fiamme e morti abbandonati sul ciglio della strada.

Arrivarono in vista del villaggio verso mezzogiorno: le tende dei rifugiati erano ovunque, e il fumo di piccoli fuochi riempiva l'aria di profumo di cibo.

«Altolà!» Urlò un uomo parandosi in mezzo alla strada, seguito da una mezza dozzina di altri come lui. «C'è da pagare un pedaggio, per proseguire.» Mise una mano sull'elsa della sua spada, cercando di intimidire il gruppetto.

«Ah, sembra che la stupidità si stia diffondendo più velocemente della Prole Oscura...» Commentò Morrigan, sollevando un sopracciglio e guardandoli divertita.

Aenor sfoderò la sua spada, facendo qualche passo verso l'uomo e fissandolo dritto negli occhi. «Fuori dai piedi.» Gli intimò. Erano stati giorni difficili, Morrigan e Alistair non avevano fatto altro che discutere, mentre la continua carovana di feriti e il puzzo dei cadaveri l'avevano resa particolarmente di cattivo umore. Non vedeva l'ora di mangiare una zuppa calda e riposarsi senza temere un attacco da un momento all'altro, e non sarebbero stati certo un paio di shemlen idioti a bloccarle la strada.

L'uomo deglutì, fissando il tatuaggio che la ragazza aveva sul viso e le orecchie a punta. «Non importa chi siete, la regola è che dovete pagare.» Ripetè, anche se con meno convinzione, facendo per estrarre a sua volta la propria arma.

Prima che potesse anche solo farla uscire per metà, si ritrovò l'elsa della spada di Aenor tra le costole. Andò giù con un gemito, sputando un rivoletto di sangue.

I suoi compari si gettarono subito sull'elfa, ma vennero storditi da un incantesimo di Morrigan, che li rallentò a sufficienza per permettere ad Alistair, Aenor e il mabari di eliminarli senza problemi.

L'elfa si chinò a frugare i cadaveri, recuperando una sacchetta ricolma di monete d'argento. Le armi che i banditi portavano addosso non valevano il loro peso, quindi le abbandonarono lì con il resto degli oggetti confiscati: sicuramente nel giro di qualche minuto uno dei mendicanti lì attorno sarebbe accorso a vedere cosa poteva raccogliere.

Entrarono al villaggio, venendo accolti da un frastuono di gente impegnata in lavori di vario genere, Aenor che si guardava intorno, frastornata da tutta quella gente. Falon la seguiva trotterellando, il naso puntato verso l'alto a seguire i vari profumi.

Superarono la piazza principale. Qualcuno urlava a squarciagola, attirando una piccola folla.

«Non c'è speranza! Ci prenderanno tutti, mangeranno i cuori dei vostri figli, il male scenderà sopra tutti noi!» gridava l'uomo come un pazzo. Il pubblico si scambiava sguardi terrorizzati, alcuni piangevano, altri bisbigliavano che il chasind aveva ragione, non c'era via di scampo.

Aenor rimase un attimo a guardare la scena, incerta.

Alistair le picchiettò sulla spalla. «Dovremmo dire qualcosa, no?»

«E che cosa?» Gli chiese lei. «Probabilmente ha ragione. Questa gente non ha mai preso una spada in mano, e un intero esercito di soldati ben addestrati, tra cui i famosi Custodi Grigi, sono stati spazzati via nel giro di mezza giornata.» Scosse la testa, proseguendo oltre e lasciando l'uomo a urlare indisturbato. «Nel giro di qualche giorno, anche loro saranno tutti morti.» Bofonchiò, ma l'altro Custode sembrò non averla sentita. Si girò a cercarlo.

Alistair era rimasto tra la piccola folla, l'aria corrucciata.

«Sembra che l'idiota abbia qualche problema ad affrontare la realtà.» Commentò Morrigan, che chiaramente trovava tutta la situazione immensamente divertente.

Rimasero a guardare mentre il ragazzo fronteggiava il Chasind, che smise temporaneamente di urlare per guardarlo perplesso.

«Ascoltatemi bene!» Alzò la voce Alistair, assicurandosi che tutti potessero sentirlo. «Non dovete perdere le speranze! I templari e i soldati qui vi proteggeranno!»

Alcuni tra i presenti annuirono, un paio gridarono la loro approvazione.

Il Chasind strabuzzò gli occhi, guardandolo sconvolto. «Posso sentire il male dentro di te! La Prole Oscura ci ucciderà tutti, vi dico! Come hanno distrutto l'esercito del re, spazzeranno via questo posto!» Urlò, indicando Alistair con mano tremante.

Il Custode sembrò in difficoltà, guardandosi attorno in cerca di aiuto da parte dei compagni. Aenor lo guardò a sua volta, incrociando le braccia davanti al petto. “Ora te la cavi da solo...”

Alistair si strinse nelle spalle, facendosi coraggio. «La Prole Oscura non è imbattibile! Io stesso ne ho uccisi alcuni e ci sono decine di uomini più capaci di me qui, a combattere per la buona gente di Lohering!» Ribatté. «E tu, sei grande e grosso, dovresti usare quella spada che porti sulle spalle per difendere questa gente, non terrorizzarli a morte con le tue urla! O sei forse un codardo?»

L'altro restò a bocca aperta a fissarlo, messo in imbarazzo dalle sue parole. «No, io...»

«Bravo!» «Diglielo!» Urlò qualcuno. Alistair gonfiò il petto, sfidandolo a ribattere.

L'omone indietreggiò di qualche passo. «Beh, probabilmente avete ragione...»

Il Custode annuì convinto, voltandosi poi verso la folla. «C'è sempre speranza!» Dichiarò, per poi raggiungere Aenor e Morrigan, che erano rimaste a guardarlo in disparte.

«Strano, per qualcuno che fino ad un paio di giorni fa si disperava per la morte dei suoi compagni, sembra che tu si sia ripreso bene.» Gli disse Morrigan.

«Non so quanto possa servire.» Rincarò la dose Aenor, che tuttavia era rimasta ammirata dalle parole del Custode. Per tutto il viaggio Alistair era rimasto in silenzio, corrucciato, ma sembrava che la determinazione che l'aveva preso nella capanna di Flemeth si fosse soltanto rafforzata.

«Sempre meglio che lasciarli nel terrore.» Ribattè lui. «Siamo Custodi Grigi, è il nostro lavoro.»

Entrarono nella Chiesa, a cercare informazioni sulla sorte dell'esercito e teyrn Loghain. Li accolse un templare, che chiese loro se avessero bisogno di qualcosa.

«Informazioni.» Rispose Alistair, che era quello del gruppo che attirava di meno l'attenzione. «Eravamo nell'esercito, ci siamo salvati per un soffio.»

Il templare annuì, comprensivo. «Sì, sono in molti qui ad avere una storia come la vostra. Purtroppo non c'è posto per altri rifugiati, a Lothering, ma potrete prendere qualche provvista per il viaggio, e accamparvi nelle vicinanze per qualche giorno.» Rispose. «Cosa volete sapere?»

«Grazie, non intendevamo comunque fermarci per molto. Il re, abbiamo saputo che è morto...» Rispose Alistair, incupendosi.

«Si dice... si dice che i Custodi Grigi lo abbiano assassinato. Che siano dei traditori, e abbiano cospirato per prendersi il regno, strappandolo al nostro amato Re Cailan.» Rispose il templare, abbassando la voce fino ad un sussurro. «Personalmente fatico a crederci, ma è Teyrn Loghain in persona che lo ha annunciato, tornato da Ostagar, e il teyrn è un uomo d'onore.» Scosse la testa, affranto. «Il re si fidava ciecamente dei Custodi... L'esercito è stato spazzato via, la Prole Oscura sarà qui a giorni e noi non abbiamo abbastanza uomini per difendere la città.»

«Abbiate fede, ser, non è detto.» Cercò di confortarlo Alistair. Il suo sguardo si posò alle spalle del templare. Aenor lo vide stringere gli occhi, come a cercare di riconoscere qualcuno. Il Custode si incamminò verso il fondo della Chiesa, avvicinandosi ad un cavaliere che stava sfogliando dei libri su uno scaffale.

«Alistair?» Lo riconobbe quello, quasi lasciandosi cadere il tomo dalle mani. «Cosa ci fai qui?»

L'altro lo salutò a sua volta. «Eravamo ad Ostagar. Stiamo cercando di andare da Arl Eamon...»

Il cavaliere fece una smorfia tesa. «Allora temo di avere brutte notizie per voi... l'Arl è malato. E nessuno ha trovato una cura, per cui tutti i cavalieri di Redcliffe sono stati mandati alla ricerca dell'Urna delle Sacre Ceneri. Ci stiamo affidando persino alle leggende, da quanto siamo disperati.»

«L'Urna delle Sacre Ceneri?» Chiese Aenor, che non ne aveva mai sentito parlare prima,

«L'Alr è malato?!» La ignorò Alistair, visibilmente turbato. «Com'è possibile? Da quanto?!»

Il cavaliere si strinse nelle spalle. «Due settimane circa. All'improvviso è collassato, e non si è più svegliato da allora.» Rispose.

«È terribile!» Esclamò Alistair. «Dobbiamo arrivare immediatamente a Redcliffe, e scoprire cos'è successo.»

«Vi auguro buona fortuna, le strade sono sempre più pericolose.» Li salutò il cavaliere.

Uscirono dalla Chiesa, scambiandosi occhiate cariche di sconforto.

«Arl Aemon è malato e Loghain non ha perso tempo a dare tutta la colpa ai Custodi Grigi... ora tutti pensano che abbiamo tradito il regno, mentre lui può governare indisturbato al posto della figlia! E senza Aemon, non c'è nessuno tra i nobili che possa tenergli testa.» Ringhiò Alistair tra i denti, attento a non farsi sentire.

«Sempre peggio.» Commentò Aenor, guardandosi attorno. La sua attenzione venne catturata da un piccolo gruppo di persone, radunato attorno ad un carro carico di merci. Si avvicinò ad indagare. Una donna vestita con i colori della Chiesa stava litigando a voce alta con quello che era chiaramente il mercante proprietario del carro.

«Questa gente non può permettersi di pagare così tanto per beni di prima necessità!» Disse la donna, alzando la voce. «La maggior parte di queste cose le hai acquistate a poco prezzo dalle stesse persone a cui ora vuoi rivenderle al quadruplo del loro valore iniziale!»

Il mercante non sembrava impressionato. «Sono affari, sorella, niente di personale. Se non possono permettersi la mia roba, vadano a comprare da qualcun altro.» Notò i tre nuovi arrivati, e fece loro segno di avvicinarsi. «Hei, voi! Se mi levate di torno questi scocciatori, vi farò uno sconto sulle merci che acquistate!» Urlò loro.

Aenor si avvicinò, individuando una bella spada a due mani spuntare dal carro. Era probabilmente della grandezza giusta per lei, sembrava affilata al punto giusto e di buona fattura. «Quanto per quella?» Chiese al mercante, indicando l'arma.

Quello si illuminò, gli occhietti che brillavano di cupidigia. «Quattro monete d'oro. È un affare, credetemi, non ne troverete una migliore qua in giro! Di ottimo acciaio e splendida fattura!»

Stava evidentemente gonfiando il prezzo. «Io dico che potete regalarmela. Ed evitare di affamare questa gente, che hanno già abbastanza problemi.»

L'altro le scoppiò a ridere in faccia. «Sei impazzita, orecchie a punta?!» Fece un gesto con la mano, come per scacciarla. «Via, non ho tempo da perdere, sparite, pure voi!» Si girò per coprire la merce esposta, dando le spalle all'elfa.

Aenor estrasse la sua spada, e prima ancora che il mercante potesse accorgersi di quello che stava succedendo, lo colpì con il pomolo sulla tempia. Quello cadde a terra con un gemito, privo di sensi, trascinandosi dietro parte della mercanzia, che si sparse con un rumore di ferraglia. La donna della Chiesa si mise ad urlare, ma un paio di persone attorno a loro lanciarono grida di approvazione. Aenor ignorò tutti loro, recuperando la spada a due mani dal carro e saggiandone l'equilibrio e la lama, soddisfatta. Se la assicurò sulle spalle, prendendo anche una placca pettorale dal mucchio e misurandosela per vedere se fosse della sua taglia. Andava aggiustata, ma poteva andare.

Si girò poi verso Alistair e Morrigan, che sembravano per una volta approvare entrambi. «Vedete se avete bisogno di qualcosa. Altrimenti, questa gente saprà certo farne uso.»

«Tu... Non vuoi nulla in cambio?» Balbettò la donna della Chiesa, incerta su cosa fare.

«Non avreste nulla che mi serve.» Rispose l'elfa, finendo di assicurarsi la nuova armatura e lasciando per terra quella vecchia, praticamente distrutta dopo lo scontro ad Ostagar.

La donna si affrettò ad esaminare le merci sul carro, aiutata dagli altri tre che la accompagnavano. Alistair trovò degli stivali nuovi, da sostituire ai suoi che cadevano ormai a pezzi.

Se ne andarono poi in direzione della taverna, un edificio in legno piuttosto grande che dominava la piccola piazza sul fiume.

L'interno era caldo, affollato e chiassoso. Uomini e donne si aggiravano muniti di boccali di birra e sacchi mezzi vuoti di vettovaglie, mentre il proprietario sbraitava ordini ai pochi camerieri costretti a servire quella masnada di gente.

«Non abbiamo camere!» Urlò non appena vide i nuovi arrivati avvicinarsi al bancone. «E non offriamo birra ai soldati, non mi importa da dove venite o cosa avete combattuto!» Mise in chiaro.

Aenor gli mise di fronte una manciata di monete, prese dai briganti affrontati prima. «Dacci tutta la carne secca, il pane e il formaggio che possiamo comprare con questi.»

L'oste squadrò il gruzzolo. «E dove li avrebbe trovati tutti questi soldi, un'orecchie a punta?» Le chiese diffidente, addentando una moneta con sospetto. Sembrò soddisfatto, però, e sparì sul retro.

«Ottima domanda.» Disse qualcuno con tono da attacabrighe.

Si girarono, vedendo alzarsi cinque uomini armati di tutto punto venire verso di loro, minacciosi.

«Teyrn Loghain sta cercando proprio due come voi, un'elfa tatuata e un ragazzo dall'aria scema. Siete Custodi Grigi, vero?» Disse l'uomo che aveva parlato prima, estraendo la spada. «Vi preferirebbe vivi, ma non penso abbia nulla in contrario se vi portiamo da lui a pezzetti.»

Aenor sfoderò la spada a sua volta, soddisfatta di come se la sentiva in mano. «Pensi davvero sia una buona idea?»

«Hei, stiamo calmi...» Provò ad intromettersi Alistair. «C'è un sacco di gente, qui, e qualcuno potrebbe farsi male se-»

«Fate spazio!» Urlò Aenor, prima di gettarsi contro il capo a testa bassa, facendo cozzare le spade con un forte clangore metallico. Quello rispose al colpo, ma l'elfa era più veloce e capace. Gli avrebbe tagliato la testa con un colpo ben assestato, se non fosse stato per una ragazza che le si parò davanti a braccia aperte, costringendola a fermarsi a pochi centimetri dalla sua gola.

«Sei impazzita?!» Le gridò, furente. L'uomo ne approfittò per sgusciare via, facendo per colpirla ad un fianco, prendendola alla sprovvista.

La ragazza che si era intromessa però gli sferrò un colpo alla testa con il manico di un coltello, facendolo barcollare e dando la possibilità ad Aenor di buttarlo a terra con un calcio. Assicurandosi che l'uomo restasse fermo puntandogli la spada alla gola, si girò di nuovo verso l'altra.

«Che ti salta in mente?!»

L'altra alzò le mani in segno di resa, rinfoderando l'arma. Portava un arco e una faretra piena di frecce sulle spalle, e due coltelli legati alla cintura, che cozzavano con gli abiti da Sorella della Chiesa che indossava. Aveva i capelli ramati tagliati a caschetto, due treccine che pendevano di lato. «Non c'è bisogno di uccidere nessuno, vero? Questi uomini si saranno chiaramente resi conto di non avere speranze...» Disse, lanciando un'occhiata verso gli uomini di Loghain, che si scambiarono uno sguardo terrorizzato. Uno di essi era tenuto da Alistair, che lo aveva disarmato colpendolo in piena faccia con lo scudo.

Aenor scosse la testa. «Non credo proprio.» Ringhiò, premendo l'arma contro la gola del capo. Quello singhiozzò terrorizzato, sentendo la lama spillare sangue.

«Ferma!» Le intimò la ragazza, afferrandole il braccio. Aveva una presa sorprendentemente salda.

«Ti consiglio di lasciarmi, o sarai la prossima.» La avvertì l'elfa in tono minaccioso, non togliendo lo sguardo dall'uomo a terra.

«Siete dei Custodi Grigi, vero?» Proseguì la ragazza, non accennando a mollare la presa. «Sono qui per aiutarvi, è il compito affidatomi dal Creatore.»

Aenor scoppiò a ridere. «Come hai detto?»

«Il Creatore mi ha parlato, devo venire con voi, aiutarvi a sconfiggere il Flagello.»

«Oh, allora è tutto a posto.» La prese in giro Aenor, allontanando però di poco la spada dall'uomo. «Le voci nella tua testa ti dicono di seguirci, prego, aggregati pure.»

«Sul serio?» Le chiese l'altra, sorpresa.

«No.»

Aenor si girò nuovamente verso l'uomo, sollevando la spada e conficcandogliela nel collo con forza. Si girò poi verso gli altri, estraendo la lama e puntandola verso di loro. «Voi siete i prossimi.» Annunciò, prima di caricarli roteando la spada con agilità e troncare un braccio di quello più vicino, che cadde a terra con un urlo assordante. Alistair tagliò la gola a quello che teneva prigioniero, mentre Falon ne azzannava un altro alla gamba. Alla fine, ne restò solo uno.

«Pietà! Pietà, vi prego!» Urlò terrorizzato, tenendosi le mani sopra la testa, le armi abbandonate a terra. «Non uccidetemi, non volevo nemmeno venirci, qui! Seguo solo gli ordini!»

Aenor lo tirò su afferrandolo per il colletto. «E allora avresti dovuto farti furbo, e scappare.»

«Vi prego, lasciatemi andare! Non dirò nulla a nessuno, lo giuro...»

«Di certo lui da solo non costituisce un pericolo.» Si intromise nuovamente la ragazza vestita da sorella della Chiesa.

«Correrà da Loghain nel momento stesso in cui lo lasceremo andare.» Ribattè Aenor, sollevando la spada per dargli il colpo di grazia. L'altra le urlò di nuovo di fermarsi, ma l'elfa la ignorò, staccando la testa dell'uomo con un colpo netto.

Pulì il sangue dalla lama con uno straccio preso da un tavolo, per poi voltarsi verso l'oste, estraendo altre cinque monete d'argento dalla sacca che portava alla cintura. «Per il disturbo.» Disse, lanciandogliele sul bancone e afferrando il sacco con le provviste che l'uomo aveva loro preparato, per poi uscire dalla taverna.

«Qualcuno parlerà.» Le disse Alistair mentre cercavano un posto dove mangiare qualcosa, appena fuori città. «La notizia non tarderà ad arrivare fino a Denerim.»

«Bene.» Ribattè Aenor, buttandosi a terra e rovistando nella sacca alla ricerca di un pezzo di carne secca. «Racconteranno anche di come li abbiamo massacrati, e questo terrà lontani i prossimi.»

«Non ci conterei troppo.» Commentò il ragazzo, sedendosi anche lui e prendendole la sacca, tirandone poi fuori un pezzo di pane e uno di formaggio.

Falon uggiolò, sentendosi ignorato.

«Qualcuno nutra il sacco di pulci, almeno sta zitto.» Disse Morrigan, seduta poco distante.

L'elfa diede al cane un osso con dei brandelli di carne ancora attaccati, che il mabari si mise a sgranocchiare di gusto di fianco a lei.

«Hai visto gli incarichi sulla Bacheca del Cantore?» Le chiese Alistair. «Davano una ricompensa di tre monete d'oro per chiunque avesse liberato la zona settentrionale dai ragni giganti.»

A quelle parole, Aenor rabbrividì, i ricordi della caverna che lei e Tamlen avevano esplorato ancora vividi. Odiava i ragni, non li aveva mai potuti sopportare, figuriamoci dopo quanto era accaduto. «Non ho intenzione di avvicinarmi a quei cosi.» Decretò.

«Beh, c'era anche una ricompensa per eliminare qualche bandito, verso il bivio per Redcliffe.» Continuò il ragazzo.

«Altri banditi?» Chiese lei con una smorfia. «Questo posto è sempre meglio.»

«Ci farebbero comodo altri soldi...» Cercò di convincerla l'altro.

«Lo fai solo per proteggere gli inutili abitanti di questo villaggio, Alistair, non prendiamoci in giro.» Disse Morrigan, intromettendosi nel discorso.

«E che ci sarebbe di male in questo?!» Ribattè offeso lui. «Solo perchè tu non hai mai provato emozioni, non significa che noialtri dobbiamo essere insensibili quanto te!»

Prima che potessero rimettersi a bisticciare, Aenor si alzò in piedi di scatto. «Va bene!» Sbottò, mettendoli entrambi a tacere. «Elimineremo questi banditi e prenderemo la ricompensa.»

Si diressero a nord, verso seguendo al riva del fiume e sbucando dietro ad un campo, già depredato di ogni cosa commestibile che vi crescesse un tempo.

«Dovrebbero essere da queste parti...?» Disse Alistair, guardandosi attorno e indicando una collina di fronte a loro. «Forse si nascondono lì dietro.»

«Fidati, appena vedranno tre avventurieri, ci piomberanno addosso in un attimo.» Gli assicurò Aenor con un mezzo sorriso.

Trovarono i banditi dopo nemmeno un'ora, quando vennero attaccati in quella che i malviventi credevano fosse un'astuta imboscata. Dopo un acceso scontro, l'ultimo di essi, il capo probabilmente, si buttò a terra, implorando pietà.

«Non credo proprio.» Disse Morrigan con un ghigno divertito, roteando il suo bastone magico e sparando un getto di scintille sull'uomo che, già ferito, collassò in preda agli spasmi.

Aenor gli frugò nelle tasche, recuperando alcune monete e una chiave. Il forziere, che trovarono nascosto dietro una roccia poco più avanti, conteneva un paio di gioielli dall'aria costosa, che avrebbero potuto vendere per ricavarne un buon gruzzoletto, e un pugnale dall'elsa decorata.

«Carino.» Commentò l'elfa, mettendoselo nella cintura. «Bene, direi di avviarci a prendere la nostra ricompensa...»

Sulla strada di ritorno per il villaggio, un folto gruppo di contadini tagliò loro la strada.

«Voi siete i Custodi Grigi.» Disse uno di quelli, armato di un coltellaccio da macellaio.

«Prendiamoli!» Urlò qualcun altro dal fondo del gruppo.

Aenor sollevò un sopracciglio, squadrandoli. Erano una dozzina di persone, forse un paio di più, indossavano vestiti da tutti i giorni ed erano armati solo di piccoli coltelli da lavoro o attrezzi per coltivare i campi. Si scambiò uno sguardo con Morrigan, divertita.

«Davvero pensate sia una buona idea?» Chiese loro a voce alta.

«Abbiamo appena fatto fuori dei banditi, poco più avanti, e praticamente non ci siamo fatti un graffio.» Rincarò la dose Alistair. «Fatevi da parte, non vale la pena morire per niente.»

«Non è niente di personale, ser!» Rispose un uomo anziano, che quasi non si reggeva in piedi. «La ricompensa che ha offerto Teyrn Loghain sfamerà tutte le nostre famiglie...»

Si fecero avanti in cinque, correndo verso di loro.

Aenor ne falciò via due con estrema facilità, roteando la spada intorno a sé e tagliando le loro carni prive di armatura come se fossero fatte di burro. Alistair ne aveva stordito uno con lo scudo, colpendone un altro con la spada: caddero entrambi a terra, privi di sensi ma vivi. L'ultimo venne attaccato dal mabari, che si gettò sulla gamba dell'uomo con un ringhio feroce, facendolo urlare di dolore e accasciare al suolo, cercando di liberarsi dalle mascelle potenti del mastino.

Alla vista della scena, gli altri si fermarono, intimoriti.

«Ultima possibilità.» Avvisò l'elfa minacciosa, la punta della spada tenuta alta verso di loro.

Quelli si scambiarono uno sguardo spaventato. Un paio di essi scapparono via verso il villaggio, ma l'uomo anziano che aveva parlato prima cacciò un urlo, zoppicando verso di loro, il coltello alzato.

Aenor scosse la testa, roteando l'arma e mirando al collo. Un tonfo sordo segnalò che il colpo era andato a segno, ma lei si era già avventata contro il successivo.

In pochi attimi, era finita.

Si guardarono attorno, in un lago di sangue. Alcuni gemevano di dolore, ma la maggior parte era morta o priva di conoscenza.

«Potevi anche non ucciderli.» Commentò Alistair, guardando i cadaveri con disgusto.

«Li avevo avvertiti.» Rispose secca l'elfa. Sputò per terra un grumo di sangue, pulendosi il labbro tagliato dove uno dei banditi di prima era riuscita a centrarla con una testata. «Stupidi shemlen.»

Mandarono Alistair a recuperare i soldi della taglia sui banditi, mente Morrigan e Aenor trovavano un posto dove accamparsi la notte.

Il ragazzo tornò dopo poco tempo, sedendosi accanto alla compagna e lanciandole il sacchetto con le monete appena recuperate. «Hai dato un'occhiata ai Trattati?» Le chiese. «Dovremmo decidere dove andare.»

«Credevo che volessi andare a Redcliffe.»

«Sì, beh, ma ci sono anche altri a cui potremmo chiedere aiuto. Elfi, nani... Magari c'è scritto qualcosa di utile su come effettivamente usare i Trattati.»

«E allora perchè non li hai guardati tu?» Ribattè lei, prendendo un sorso d'acqua.

«Li hai tu nella borsa. Pensavo li avessi tenuti per guardarteli con calma.»

“Oh, già”. Con tutto quello che era successo da quando li avevano trovati, si era dimenticata di averli tenuti in borsa e non averli nemmeno consegnati a Duncan. Li estrasse dalla tracolla, erano un po' stropicciati, ma la custodia in pelle sembrava resistente e impermeabile.

«Tieni.» Disse dandoli ad Alistair.

L'altro allungò la mano, sfogliandoli. «Hm, non c'è niente di utile, a parte che siamo in grado di chiedere soldati a chiunque, durante un Flagello. Potremmo pure invocare il diritto di coscrizione...»

«Scordatelo.» Lo interruppe Aenor con voce dura. Ancora le bruciava essere stata trascinata via dal suo clan, non avrebbe fatto la stessa cosa.

«Scusa. Mi ero dimenticato...» Alistair si grattò la nuca, a disagio. «Com'era? Il tuo clan, intendo.»

Aenor si alzò di scatto. Non le andava di parlarne. «Vado a riempire le borracce.» Disse, facendo segno a Falon di seguirla. Il mastino si alzò, seguendola scodinzolando verso il fiume.

Finirono per ripercorrere la città per intero, uscendo dalla parte opposta da cui erano arrivati. Una gabbia attirò la sua attenzione, era grossa, abbastanza da tenere un uomo al suo interno, ma non permettergli di stare seduto. Si avvicinò, incuriosita.

Da dietro le sbarre, un uomo più alto di qualsiasi altro lei avesse mai vista alzò lo sguardo, puntando un paio di occhi viola nei suoi. Era albino, dalla pelle scura e portava i capelli acconciati in treccine legate dietro la nuca in una coda di cavallo.

«Non sei una degli altri umani di questo villaggio.» Ruppe il silenzio quello. «Chi sei?»

«Aenor.» Rispose lei. «Sono un'elfa, dei Dalish.»

«E cosa ci fai qui, Aenor dei Dalish?» Le chiese di nuovo l'uomo. «Sei venuta a deridermi, e insultarmi come gli altri?»

L'elfa si avvicinò ulteriormente alla gabbia. «Perchè dovrei?» Il mabari annusò l'uomo, incuriosito. «Anzi, perchè sei stato chiuso qui dentro?»

«Ho ucciso dei contadini.» Rispose il prigioniero. «E sono stato condannato ad aspettare qui l'arrivo della Prole Oscura.»

Aenor soppesò la sua risposta. «Come mai li hai uccisi?»

L'altro sospirò, come se considerasse tutto ciò una grande scocciatura. «Sono stato preso dal panico, e quei contadini erano nelle vicinanze.»

«Sembra che tu sia più che in grado di usare una spada.»

«Lo sono. Perchè ti interessa?»

«Sono un Custode Grigio. Io e i miei compagni stiamo cercando di fermare il Flagello.» Spiegò lei.

«Ho sentito parlare dei Custodi Grigi. Sono stato mandato qui per indagare su questo Flagello e il mio compito era tornare dall'Arishok con delle risposte.»

Aenor non aveva idea di chi o cosa stesse parlando. «Chi?»

«L'Arishok, è come un re, per noi Qunari.»

“Qunari?!” Non ne aveva mai incontrato uno, ma erano rinomati guerrieri di forza straordinaria, temuti in tutti i paesi. La loro guerra contro il Tevinter andava avanti da centinaia di anni... Guardò il lucchetto della cella. Non sembrava ci fosse modo di romperlo facilmente.

«Chi ha le chiavi?» Gli chiese.

«La vecchia della Chiesa.»

L'elfa annuì, per poi allontanarsi in direzione della Chiesa. Avrebbe chiesto alla vecchia di darle le chiavi, con le buone o meno.

«Che avevi da confabulare con quel Qunari?» Le chiese una voce.

Si girò di scatto, portando istintivamente una mano dietro la schiena, afferrando la spada. Un uomo era di fronte a lei, i capelli neri e la barba curata tenuta corta, gli occhi che brillavano divertiti.

«Hei, non preoccuparti, non stavo andando a fare la spia!» Si affrettò a dire quello. «Nemmeno io ho tanto affetto per la Chiesa.»

«Ah sì? Buon per te.» Tagliò corto l'elfa, facendo per andarsene.

«Non ti darà mai le chiavi, lo sai vero?» La inseguì lui, affiancandola. «Ti conviene aprire il lucchetto adesso, senza che nessuno ti veda.»

Aenor si fermò, scocciata. «Non so scassinare una serratura, e a meno che tu non ti stia offrendo di farlo...» Gli fece chiaramente segno di levarsi di torno.

L'altro sfoderò un sorriso accattivante. «Ci sono altri modi per aprire quella gabbia.» Disse, facendole l'occhiolino. «Coraggio.»

Tornarono di fronte al Qunari, che li squadrò privo di espressione. «Cambiato idea?» Le disse.

Aenor incrociò le braccia, voltandosi verso lo scocciatore. «Allora?»

L'uomo le sorrise un'altra volta, prima di allungare entrambe le mani sulla serratura. Quelle brillarono come di luce propria, e uno spesso strato di ghiaccio comparve sul metallo.

«Prova a colpirlo, con tutta la forza che puoi.» Le disse, ignorando la sorpresa sul volto dell'elfa.

«Sei un mago!» Esclamò lei, portando nuovamente la mano dietro la schiena e afferrando la spada.

«E tu sei un Custode Grigio.» Ribattè lui, per nulla impressionato. «Vi ho visti, alla locanda. Avete bisogno di tutto l'aiuto possibile, con l'intero regno che vi crede traditori... persino di quello di noi maghi eretici.»

L'elfa rimase con la mano attorno all'elsa, incerta sul da farsi.

«Non dirò nulla, se tu farai lo stesso.» Proseguì l'uomo. «Ora, se ti dai una mossa...»

Aenor si decise a lasciare la presa sull'arma, chinandosi a prendere un sasso da terra e picchiandolo con tutta la forza che aveva sul lucchetto, che si ruppe al secondo colpo. Il Qunari, però, rimase all'interno, scrutando il mago con aria torva.

«Guarda che puoi anche uscire.» Gli disse quello. «Sei libero.»

«Mi sono fatto catturare di mia volontà.» Ribattè il Qunari. «E non mi fido dei maghi.»

L'uomo si strinse nelle spalle. «Credo mi metterò a piangere.»

«Invece di aspettare di morire dentro una gabbia, puoi aiutarci a fermare la Prole Oscura.» Disse Aenor al Qunari. «E se proprio ci tieni a morire, potrai farlo combattendo uno di quei mostri. Comuque, la scelta è tua, fai come vuoi.»

Quello sembrò rifletterci, ma poi chinò il capo. «Va bene, Aenor dei Dalish. Sono Sten.»

L'elfa annuì a sua volta. «Andiamo.»

«Beh, sembra che io abbia compiuto la mia buona azione della giornata.» Commentò l'uomo, grattandosi la barba. «Ora me ne vado. Buona fortuna nel salvare il mondo.»

«Lothering sarà presto invasa.» Lo fermò Aenor. «Faresti meglio ad andartene, finchè sei in tempo.» Gli consigliò, anche se era una cosa ovvia da dire.

L'altro alzò una mano, come a scacciare una mosca. «Tranquilla, me la caverò.» Le disse, voltandosi e iniziando ad allontanarsi. «Non è così semplice ammazzare noi Hawke!»

L'elfa scosse la testa. “Che tipo bizzarro”, pensò, mentre lei e il Qunari tornavano verso Alistair e Morrigan. «Ti servirà una spada.» Disse Aenor a Sten. «E un'armatura.»

«Già.» Rispose laconico l'altro.

«Abbiamo recuperato una buona spada, prima, in mano a dei briganti. Puoi prendere quella.»

«D'accordo.»

In silenzio, arrivarono dagli altri, per trovare che c'era qualcuno di sgradito.

La ragazza della taverna era seduta di fianco ad Alistair, ed erano impegnati in una fitta conversazione. Entrambi alzarono lo sguardo al loro arrivo, sorpresi della presenza del gigante albino.

«E lui chi è?!» Chiese Alistair, scattando in piedi.

«Lui è Sten.» Rispose Aenor. «Piuttosto, chi ha invitato la pazza?»

«Non guardare me. Di casi umani già ne abbiamo uno...» Si intromise Morrigan, guardando la ragazza dai capelli rossi con schifo malcelato.

«Hei!» La redarguì il ragazzo. «Se ci vuole dare una mano, perchè no?»

«Perchè parla con le voci nella sua testa, Alistair.» Rispose tagliente l'elfa.

La ragazza tossicchiò, schiarendosi la voce. «Non ho mai detto di parlare con delle voci.» Obiettò. «Il Creatore mi ha dato un compito, e io ho intenzione di seguirlo. Fatemi venire con voi.»

Aenor alzò la voce. «Scordatelo.»

«Sei una Dalish, vero?» Le chiese quella. «So che non credete nel Creatore, ma potrei esservi utile. Hai visto di cosa sono capace, posso tirare con l'arco, usare i pugnali, aprire lucchetti e cose del genere... Nessuno qui ha le mie stesse abilità. E non importa perchè lo faccio, l'importante è che io vi voglia aiutare, no?»

«Dai, Aenor, Leliana ha ragione!» Rincarò la dose Alistair, rivolgendole uno sguardo supplichevole.

«Perchè ti interessa tanto?» Sbottò l'elfa.

«Perchè nessuno parla mai con me, e magari lei mi spiegherà come chiacchierare con le voci nella mia testa, per scacciare a solitudine.» Rispose lui, cercando di fare lo spiritoso. «Anche tu hai reclutato lui, no?» Disse, indicando Sten, che nel frattempo era rimasto in piedi, in disparte e in silenzio.

L'elfa sospirò. «D'accordo. Ma non voglio sentire una singola parola sul Creatore, su missioni divine e quant'altro. E una volta arrivati a Redcliffe...» Si interruppe bruscamente. Non sapeva se fosse ancora dell'idea di andarsene, ma non poteva certo dirlo ad alta voce. «Una volta arrivati a Redcliffe, vedremo cosa fare dopo.» Concluse, prendendo il suo zaino e mettendoselo su una spalla. «Dobbiamo andare, comunque. Tra poco ci verranno a cercare.»

«Perchè, che altro hai fatto?» Le chiese Alistair, allarmato.

«Niente di che, ho solo liberato Sten, qui, da una gabbia dove la Chiesa lo aveva rinchiuso.»

Ignorando le accese proteste del ragazzo, fece segno a Morrigan di spegnere il fuoco.

«Ho portato un mulo.» Si intromise Leliana, indicando un animale che ruminava poco distante. «Ho pensato che fosse una buona idea, calcolando quante cose dovremmo portarci dietro durante il viaggio...»

«Anche questo te l'hanno suggerito le voci?» La sbeffeggiò Morrigan, avvicinandosi però all'animale per caricarlo delle sue cose.

Ben presto, furono di nuovo sulla Via Imperiale, svoltando a sinistra al crocevia, diretti a Redcliffe. Alistair provò a chiedere a Sten per quale motivo fosse stato incarcerato, ma il qunari continuò ad ignorarlo smaccatamente, il volto una maschera impassibile.















Note dell'Autrice: La breve comparsa di Hawke ci tenevo un sacco a metterla, adoro Garrett. E anche Leliana e Sten si aggiungono al gruppo. Ogni commento o critica, come sempre, è ben accetto! 

A chi interessasse, ho disegnato i vari protagonisti, trovate i link in fondo ai capitoli delle rispettivi Origini! :)

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Capitolo 10
*** Redcliffe ***


CAPITOLO DIECI: REDCLIFFE





 

Dopo un paio di giorni di viaggio, si accamparono per la notte nelle vicinanze del villaggio di Redcliffe, con l'intenzione di raggiungerlo la mattina seguente. Non avevano incontrato viaggiatori e, dalla collina su cui erano, il villaggio appariva silenzioso, soltanto alcune fioche luci erano accese. Il Lago Calenhad, dietro di esso, si estendeva a perdita d'occhio come una massa scura.

Era una notte buia, lo spesso strato di nuvole che li aveva accompagnati per tutto il giorno non accennava a diradarsi.

«Aenor, posso parlarti un attimo?» Chiese Alistair all'elfa, una volta che ebbero sistemato a terra i giacigli e Morrigan si stava occupando della zuppa.

La ragazza annuì, seguendolo fuori dal cerchio di luce proiettata dal falò.

«Che succede?»

Alistair sembrava incerto, spostava il peso da un piede all'altro e continuava a guardare poco oltre di lei. Chiaramente, non sapeva da dove cominciare, ma quello che stava per dirle era per lui importante.

«Sai che sono cresciuto a Redcliffe, no?» Di decise finalmente a parlare. «Arl Eamon mi ha cresciuto, fino a che non sono stato mandato dalla Chiesa per diventare un Templare...»

Aenor gli fece segno di continuare, non avendo idea di dove lui stesse andando a parare.

«Ecco, quello che non ti ho detto è che Aemon sapeva benissimo chi fossi e per quello mi ha tenuto con sé finché ha potuto. Mio padre...» Si fermò di nuovo, prendendo un profondo respiro. «Mio padre era Re Maric.» Rivelò abbassando lo sguardo sul terreno. Dopo qualche attimo, non ricevendo riscontro dall'elfa, la guardò di sottecchi. «Re Maric.» Ripeté.

La ragazza rimase qualche attimo a fissarlo, in silenzio.

«Quindi... Re Cailan era tuo fratello?» Gli chiese finalmente.

«Fratellastro, tecnicamente.»

Di nuovo il silenzio.

«Questo spiega l'idiozia di entrambi.» Disse Aenor, scrollando le spalle.

«Hei!» Esclamò Alistair, facendo una smorfia. «Non offendere la mia delicata sensibilità!»

«Quindi? Dovrebbe cambiare qualcosa?»

L'altro sembrò spiazzato dalla domanda. «Beh, non te lo volevo dire perchè... Di solito appena qualcuno scopre che sono il figlio bastardo di un Re, cominciano a trattarmi diversamente. Persino Duncan, per proteggermi, mi ha tenuto fuori dalla battaglia. Pensavo che-»

«Nah.» Lo interruppe Aenor. «Eri un umano scemo prima, resti un umano scemo adesso, non cambia da chi l'hai preso.»

«Grazie... credo. Non so se dovrei sentirmi offeso o rincuorato.»

«Altro da dirmi?» Chiese lei. «Non so, hai un drago come animale da compagnia, o un'arma segreta per sconfiggere l'Arcidemone... Sai, qualcosa di effettivamente utile a sapersi.»

Alistair scoppiò a ridere. «Se avessi un drago, credo che ormai l'avresti notato, no?» Scosse la testa, visibilmente sollevato. «Comunque ti farò sapere.»

Falon arrivò scodinzolando, un osso in bocca, probabilmente datogli da Morrigan per toglierselo di torno mentre lei cucinava. Il mabari si mise a terra a rosicchiarlo, guardando ogni tanto i due Custodi, intenti a fissare il villaggio sotto di loro.

«Sembra troppo tranquillo.» Commentò Alistair. «Me lo ricordavo più... vivace.»

«E non abbiamo incontrato nessuno sulla strada, per tutto il giorno.»

Rimasero in silenzio per un po', ognuno perso nei propri pensieri.

«Mi dispiace, che tu sia stata trascinata in tutto questo, sai?» Disse lui. «Deve essere stato orribile essere portata via dalla tua famiglia... Io ero felice quando Duncan è venuto a prendermi, la vita della Chiesa non faceva proprio per me. Ma capisco quello che provi.»

«No invece.» Lo interruppe lei. «Non puoi capirlo.» Strinse i pugni, il pensiero che volava alle rovine dove aveva perso Tamlen. Cosa ne poteva sapere?!

«Hai ragione, scusa. È che... Duncan ti ha salvato la vita, no? Mi ha raccontato di avere temporaneamente fermato la Corruzione, e di averti portato con sé per-»

«Non mi ha salvato la vita.» Ringhiò Aenor. «Mi ha costretta ad andare con lui ad Ostagar. E ora che è morto...» Si interruppe bruscamente.

«Ora che è morto...?» Ripetè Alistair. «Cosa intendi dire?»

«Ora che è morto, me ne posso anche andare.»

«Cosa?!» Sbottò Alistair, mettendosi quasi ad urlare. «Ma ti rendi conto di quello che stai dicendo?! Siamo gli unici rimasti, gli unici che possono fermare il Flagello! Non puoi andartene!» Si era alzato in piedi, fronteggiandola, rosso di rabbia. «Come puoi essere così egoista?!»

«E non è egoista trascinarmi in questo casino?!» Sbottò lei, mettendosi a gridare a sua volta. «Non volevo averci nulla a che fare, con tutto questo!»

«Hai giurato!»

«E chi mi costringerà a mantenerlo, eh? Tu?» Lo sfidò.

Falon aveva preso a uggiolare, allarmato.

Alistair indietreggiò, guardandola ferito. «Non...»

«La città!»

Leliana arrivò correndo verso di loro, l'arco a tracolla, gli occhi sbarrati. Guardò entrambi sorpresa.

«Che sta succedendo?» Chiese. Senza aspettare risposta, indicò qualcosa alle loro spalle. «Non abbiamo tempo, qualsiasi cosa sia. Guardate!»

Si voltarono: il villaggio sotto di loro era in fiamme, nuvole di fumo e scintille che si alzavano a brillare nella notte. Il vento cambiò direzione, portando verso di loro delle urla disperate. Falon abbassò le orecchie, ringhiando.

Rimasero per qualche secondo ancora a fronteggiarsi, poi Alistair scosse la testa, facendo due passi indietro. «Non è finita.» Disse, prima di fare cenno a Leliana e correre di nuovo verso l'accampamento.

Aenor rimase a fissarlo per qualche istante, poi si decise a fare lo stesso.

«Alistair e la pazza sono già corsi giù.» La avvisò Morrigan, una volta arrivata di fronte al falò. «Peccato, la cena era quasi pronta.» Indicò il pentolone, che ribolliva invitante.

«Cosa stiamo aspettando?» Chiese loro Sten, la grande spada a due mani che Aenor gli aveva procurato già pronta a falciare qualcuno.

L'elfa annuì, controllando i lacci che tenevano insieme la propria armatura. «Andiamo, prima che si facciano ammazzare.» Disse, per poi fare cenno a Falon di seguirla.

«Dobbiamo proprio?» Commentò Morrigan, scocciata, ma la seguì ugualmente.

Corsero giù per la collina. Il cielo era illuminato dalle fiamme provenienti da Redcliffe, che proiettavano ombre sinistre sul terreno.

Arrivati davanti alle porte del villaggio, uno spettacolo terrificante si parò loro davanti.

Almeno tre cadaveri, in fiamme, si voltarono verso di loro. Le orbite vuote, la carne morta che si inceneriva e cadeva a pezzi rivelando l'osso sottostante, le armi in pugno. Si scagliarono contro i nuovi arrivati.

Presa di sorpresa, Aenor fece un balzo indietro, per evitare di essere scottata dalle fiamme. Una saetta di elettricità colpì il suo aggressore, scaraventandolo indietro e dandole la possibilità di contrattaccare, colpendolo al fianco. Roteò su sé stessa, colpendo anche il secondo prima che potesse avvicinarsi a Morrigan. Vide Sten decapitare di netto il terzo, facendolo afflosciare a terra.

Un raspare sotto di lei la fece sobbalzare: uno dei cadaveri strisciava sul terreno schioccando le mascelle, trascinandosi solo sulle braccia, il busto troncato dal resto del corpo, le cui gambe giacevano inerti poco distante, il fuoco che lo stava consumando quasi interamente. Fece un salto indietro, imprecando.

La lama di Sten calò sulla testa del cadavere, silenziandolo in modo permanente.

«Cosa ci fanno qui questi cosi?!» Urlò Aenor a Morrigan.

«Cadaveri rianimati.» Rispose lei, osservandone uno da vicino. «Ci deve essere della magia oscura molto potente all'opera, per riuscire ad averne un esercito sufficiente ad attaccare l'intera città. Quasi sicuramente è opera di un demone.»

«Maghi.» Commentò Sten, disgustato. Entrambi non sembravano voler proseguire verso la città.

«Falon.» Chiamò Aenor, trattenendo il mabari. «Non attaccare se vedi il fuoco. E non mordere.» Ordinò. Non voleva che si bruciasse, e sperava che il cane fosse abbastanza intelligente da non ingerire niente di quei cadaveri.

«Voi fate come volete, ma io vado ad assicurarmi che Alistair non si faccia ammazzare.» Disse ai compagni, superandoli. Cercava di non pensare all'ultima volta che aveva affrontato dei cadaveri come quelli, concentrandosi sulla battaglia.

Gli altri due, dopo un attimo di esitazione, la seguirono di malavoglia. Ormai era troppo tardi per tirarsi indietro. Si fecero strada tra le fiamme e i cadaveri. Una decina di soldati stavano combattendo quelle creature, cercando di bloccare l'accesso al resto del villaggio.

«Verso la Chiesa!» Urlò loro Leliana, centrando con una freccia l'orbita vuota di un cadavere. «Hanno bisogno di rinforzi!»

Aenor vide Alistair precederli, buttando a terra un paio di cadaveri putrescenti usando il suo scudo e proseguendo oltre, lasciando che Sten e l'elfa li finissero. Superarono diverse barricate di fortuna, alcune di esse in fiamme, arrivando alla piazza principale. Il grosso dei soldati era posto a difesa della Chiesa, ma i nemici li superavano in gran numero. Si gettarono nella mischia, andando in aiuto dei soldati. Leliana li bersagliava con le sue frecce, mentre Morrigan lanciava incantesimi di supporto. Sten e Aenor caricarono, facendosi strada tra i cadaveri con potenti fendenti che spezzavano loro le ossa e li facevano caracollare a terra. Uno dei cadaveri si attaccò alla gamba di Aenor, cercando di azzannarle un polpaccio ma colpendo i gambali, che le evitarono qualsiasi ferita.

«Fenedhis lasa!» Sbraitò lei, staccandoselo di dosso con uno strattone e un colpo di spada. Distratta, non vide quello che sopraggiungeva dietro di lei. Sentì solo un colpo sulla schiena, protetta anch'essa dall'armatura, e vide Falon superarla con un balzo, ringhiando e buttando a terra il suo aggressore. Aenor girò su se stessa e corse in aiuto all'animale, recidendo la testa del cadavere.

Si premette una mano sul braccio, dove la lama nemica era riuscita a insinuarsi tra le giunture dell'armatura. Lo ritirò, guardandosi la mano sporca di sangue.

Imprecò nuovamente, affiancandosi a Sten, che nonostante fosse privo di armatura non batteva ciglio davanti alla massa di nemici che si fiondavano contro di loro.

Morrigan ne buttò a terra un piccolo gruppo con un incantesimo di telecinesi, permettendo ai soldati della città di finirli rapidamente.

Quando ebbero respinto l'ondata, si fermarono un attimo a prendere fiato. Aenor cercò di individuare Alistair, ma del Custode non c'era traccia.

«Siamo arrivati giusto in tempo.» Urlò Leliana, avvicinandosi a loro. «Non sono rimasti in molti a difendere il villaggio...»

«Vi ringraziamo del vostro aiuto, signori.» Disse loro un uomo di mezz'età, la folta barba che spuntava da sotto l'elmo, un arco lungo stretto in pugno. Aenor notò che stava finendo le frecce.

«Quando sono arrivati?» Gli chiese l'elfa.

«Al tramonto, come al solito.» Rispose l'altro. «Ormai è la quarta notte che ci attaccano. Ieri mattina è arrivata una ragazza, ci ha dato una mano ad organizzare le difese... Il fuoco è stata una buona idea, anche se all'inizio è più difficile colpirli, dopo un po' bruciano completamente e cadono giù.» Spiegò, indicando una pila di corpi carbonizzati accatastati contro le barricate.

«Ogni notte?» Chiese Leliana. «E avete scoperto perchè?»

L'altro scosse la testa. «No, sappiamo soltanto che vengono dal castello. E non abbiamo notizie da là sopra da quando è iniziato tutto.»

Prima che potessero rispondere, una nuova ondata di nemici apparve dietro le case, costringendoli a rimandare qualsiasi discorso a più tardi.

 

 

 

 

 

 

 

 

Elissa Cousland si tolse l'elmo con un gemito, lasciandolo cadere a terra. Un colpo alla testa l'aveva ammaccato in modo irrecuperabile, ferendola alla nuca. Spostò da una parte la treccia di capelli biondi, ora intrisi di sangue, guardandosi attorno mentre riprendeva fiato. Attorno a lei una massa di cadaveri, tra cui due soldati che erano stati travolti dal tetto crollato di una casa.

All'inizio i fuochi tra le barricate erano sembrati una buona idea, ma presto il fuoco si era propagato grazie ai cadaveri semoventi per tutta la città, appiccando piccoli incendi che si erano poi trasformati in roghi violenti a causa delle case costruite prevalentemente in legno altamente infiammabile. Erano riusciti a respingere le prime ondate all'imboccatura della città, ai piedi della collina, ma poi i cadaveri li avevano spinti a ritirarsi all'interno, e ora si combatteva in ogni vicolo, in ogni angolo, tutto pur di non permettere a quei mostri di entrare nella Chiesa, dove tutti gli abitanti del villaggio avevano cercato rifugio.

Il suo mabari balzò giù da una palafitta, scuotendosi il pelo bagnato.

«Biscotto!» Lo salutò lei sollevata. «Stammi vicino.» Ordinò al cane, vedendo avvicinarsi altri nemici. Sollevò di nuovo lo scudo, pronta ad un nuovo scontro.

Dietro di lei, sopraggiunse Ser Perth, la spada a due mani in pugno. «Lady Elissa, state bene?»

Elissa annuì, abbattendo con lo scudo uno dei cadaveri e finendolo con un preciso fendente al collo.

«Com'è la situazione nella piazza?» Gli urlò per sovrastare il frastuono.

«Sopravvivono.» Rispose il cavaliere, falciando un paio di nemici roteando la grande arma con maestria. Si voltò alle loro spalle, sgranando gli occhi. «Dannazione.» Imprecò stringendo l'elsa con più forza e digrignando i denti.

Elissa si girò a sua volta, sbiancando. Almeno una decina di cadaveri stavano correndo verso di loro, alcuni di essi avvolti dalle fiamme. Urlò, attirando la loro attenzione e facendo segno al cavaliere di seguirla, mentre si intrufolavano in un vicolo stretto che portava alla spiaggia, inseguiti.

«Non finiscono più!» Gemette, schivando a malapena un fendente al fianco, rotolando per terra da un lato. Biscotto corse in suo aiuto, buttando in acqua il cadavere e avventandosi su di esso sfruttando il fatto che le fiamme che lo avvolgevano si erano spente.

Un altro cadavere le fu subito addosso, lei gli sferrò un calcio, facendolo barcollare. Lo stivale prese fuoco, ma lei lo strofinò nella sabbia, rimettendosi poi in piedi e finendo la creatura. Poco lontano da lei, Ser Perth stava tenendo a bada altri quattro cadaveri. Andò ad aiutarlo, colpendo con lo scudo uno di essi, che si stava arrampicando sull'armatura del cavaliere.

Un altro la colpì alle spalle, facendole perdere l'equilibrio.

Finì in acqua, annaspando per non affogare sotto il peso dell'armatura. Qualcosa le afferrò la gamba, strattonandola. Scalciò in preda al panico, cercando di liberarsi e finendo con la testa sott'acqua. Un dolore al polpaccio la fece urlare e ingoiò l'acqua del lago, andando più a fondo.

Improvvisamente, la presa sulla gamba si affievolì, permettendole di fare leva sulle braccia per tirarsi fuori. Tossì violentemente, mettendosi in ginocchio tra i conati.

Biscotto le fu subito accanto, aiutandola ad uscire dall'acqua. Aggrappata all'animale, strisciò sul bagnasciuga. Tutti i cadaveri erano a terra, immobili.

Ser Perth giaceva poco distante, l'armatura strappatagli dal petto a rivelare uno squarcio da cui usciva sangue a fiotti.

«Ser...» Tossì Elissa, trascinandosi verso di lui. Cercò di premere sulla ferita, per limitare la fuoriuscita di sangue, ma era chiaro che non ci fosse nulla da fare. Il cavaliere rantolava, in preda agli spasmi di dolore.

«Bruciatemi.» Sussurrò alla ragazza. «Bru...» Sputò un grumo di sangue rosso vivo, accasciandosi a terra. Altri due spasmi e smise di muoversi.

Elissa sbattè il pugno per terra, impotente.

Altri cinque cadaveri in fiamme sbucarono da dietro una palizzata, correndo verso di lei.

Biscotto rimase al fianco della padrona, ringhiando disperato. Elissa si rese conto di aver perso la spada in acqua e strinse lo scudo, facendo leva su di esso per alzarsi in piedi.

La grande spada a due mani di Ser Perth giaceva a terra, ma Elssa non era in grado di usarla. In quel momento, non avrebbe avuto abbastanza forza nemmeno per un fendente solo.

Mise lo scudo davanti a sé, nascondendosi dietro di esso, pronta a caricare il primo cadavere.

Quello le si scagliò addosso, ma lei era pronta. Lo respinse con una spallata, buttandolo a terra e colpendolo alla testa con il bordo dello scudo, preso tra entrambe le mani. Il cranio si spaccò con uno schiocco, mentre il legno e il metallo spappolavano le cervella all'interno.

Il secondo cadavere venne abbattuto da Biscotto, che lo spinse a terra nella sabbia, guaendo quando il fuoco gli lambì la pelliccia. Prima che quello potesse rialzarsi, Elissa lo schiacciò come aveva fatto con l'altro. I due cadaveri più vicini le corsero addosso, non dandole il tempo di proteggersi.

Cadde a terra, battendo la testa sulla sabbia, tenendo lo scudo tra sé e i mostri.

Biscotto si scagliò contro uno di essi, cercando di liberarla, ma venne afferrato dal mostro e costretto a ritirarsi. Attaccò nuovamente, cercando di spingerlo in acqua.

Elissa nel frattempo sentiva la pelle bruciare sotto l'armatura resa rovente dalle fiamme sul cadavere. Quello si dimenava, cercando di azzannare il volto e le braccia. La ragazza si riparava dietro lo scudo, alzando le braccia davanti a sé, schiacciata sotto il peso di quel corpo. Sentì i bracciali cedere e i denti della creatura azzannarle l'avambraccio sinistro. Urlò, cercando di liberarsi. Non riuscendo più a tenere lo scudo, restò schiacciata sotto il cadavere ancora in fiamme, finendo ad un soffio dalle sue fauci spalancate.

Il fuoco invase il suo campo visivo. Urlò di nuovo, chiudendo gli occhi, in preda al dolore, sentendo il volto e le braccia in fiamme...

Di colpo cadde in acqua, il freddo che andava a lenirle il corpo ustionato.

Annaspò terrorizzata, non riusciva a respirare. Qualcuno la sollevò di peso.

Cercò di riconoscere il suo salvatore, ma aveva la vista annebbiata.

«Tranquilla, è finita.» Le disse qualcuno, mentre Elissa perdeva conoscenza.




 

Si svegliò nel buio più assoluto. Non riusciva a sentirsi la faccia o le braccia e muoversi le provocava un dolore lancinante. Doveva essere stesa su qualcosa di morbido, al chiuso. La notte era passata, dunque, se era lì significava che avevano vinto. Per il momento. Cercò di parlare, ma non uscì alcun suono.

Senza altra scelta, rimase supina ad aspettare l'arrivo di qualcuno.

Dopo un'attesa interminabile, sentì dei passi avvicinarsi.

«Sei sveglia?» Chiese una voce femminile che Elissa non riconobbe.

Riuscì a muovere le dita della mano destra, segnalando che sì, era sveglia.

«Bene. Ora bevi, ne hai bisogno.» Disse la voce. Sentì qualcosa di fresco premere sulla bocca, lasciando cadere delle gocce d'acqua che la ragazza deglutì avidamente. Ripeterono il processo un paio di volte, prima che la sua guaritrice si ritenesse soddisfatta.

«Non riuscirai a parlare per qualche giorno, credo.» Continuò lei. «Le lesioni interne erano lievi, però, sei stata molto fortunata. Alistair ha detto che avevi gli abiti zuppi d'acqua, per quello le fiamme non hanno fatto grandi danni.»

“Lesioni interne? Fiamme? Alistair?” Si chiese Elissa, ma non aveva modo di fare domande.

«Io sono Morrigan, comunque, mi hanno chiesto di rimanere qui a rimetterti in sesto.» Sentì le dita della donna toccarle le braccia. Soffiò di dolore. «Dovrò cambiarti le bende e metterti di nuovi gli unguenti. Purtroppo non conosco alcun incantesimo di guarigione, quindi dovrai fare affidamento solo sulle mie conoscenze delle erbe. Ti ho già salvato la vita, comunque, e non sei la mia prima paziente, quindi puoi stare tranquilla.»

“Tranquilla?!” Elissa avrebbe alzato gli occhi al cielo, se fosse stata in grado di farlo.

«Ora, posso continuare i trattamenti senza descriverti nulla, oppure posso spiegarti esattamente quello che ti è successo. Cosa preferisci? Muovi le dita due volte, se vuoi che ti spieghi.»

Elissa mosse debolmente la mano.

«Molto bene.»

La ragazza la sentì trafficare con oggetti vari, poi una fitta al braccio le segnalò che la donna le stava togliendo le bende che lo avvolgevano.

«Hai riportato ustioni su quasi tutta la parte superiore del corpo, prevalentemente sugli avambracci e sulla parte destra del viso.» Iniziò a spiegare la donna mentre lavorava. «Non sentirai molto dolore, per i primi giorni, poiché la maggior parte delle terminazioni nervose in superficie sono state toccate dal fuoco. Dovrai stare il più immobile possibile, senza parlare, preferibilmente.»

Le ripose il braccio sul letto, prendendole l'altro.

«Dovrai bere molto, e in nessun caso contestare le mie indicazioni. So quello che faccio e non accetto lamentele.» Le passò qualcosa di fresco sulla pelle, coprendola di nuovo con le bende. «Ora, la parte peggiore.»

“Peggio di così?” Si chiese Elissa, ansiosa.

«Le fiamme ti hanno raggiunto il viso. E sei stata fortunata che i capelli bagnati abbiano impedito loro di attecchire, tuttavia...»

“Tuttavia...?” La ragazza sentiva un nodo alla gola. Perché non riusciva a muovere gli occhi, o battere le palpebre? Perché le aveva coperto il volto?

«Ho dovuto farti un piccolo incantesimo di paralisi, limitato alla zona degli occhi, per evitare che tu possa peggiorare la situazione. Il bulbo oculare destro era parzialmente fuso, quindi ho dovuto operarti per rimuoverlo, evitando di causare emorragie interne e infezioni. Il sinistro non è stato toccato, ma come saprai, muovi entrambi gli occhi quando li giri, quindi ho immobilizzato entrambe le orbite con una paralisi temporanea. Gli unguenti che sto applicando sono...»

Mentre la donna continuava a parlare, Elissa giaceva in preda alla disperazione.

Cieca.

Aveva perso completamente un occhio.

La vista era fondamentale per un guerriero, era ciò che le permetteva di evitare di essere colpita, di individuare i punti deboli del nemico... Come avrebbe fatto ad avere la sua vendetta, conciata in quel modo? Avrebbe pianto, se non fosse stato per l'incantesimo della maga.

“Magia.”
Il fatto di essere nelle mani di una maga, che avrebbe potuto ucciderla da un momento all'altro con i suoi poteri, soltanto con uno schiocco di dita, non la metteva a suo agio. Tuttavia, la donna la stava curando, quindi doveva significare che per il momento non aveva cattive intenzioni nei suoi confronti...

Non c'era una maga quando era arrivata al villaggio.

Che il Circolo avesse sentito della situazione di Redcliffe e avesse mandato qualcuno ad aiutarli? E allora, perché mandare qualcuno che non conosceva incantesimi di guarigione?

Rabbrividì alla conclusione.

Quella doveva essere una dei maghi al di fuori del controllo della Chiesa, che erano scappati dal Circolo o non erano mai stati dentro di esso. Un'eretica.

Sentiva il battito cardiaco accelerare, mentre la maga era passata a svolgerle le bende intorno al capo, alzandole la testa con delicatezza ma con mano ferma.

Attraverso la palpebra chiusa, avvertì un poco di luce fioca, ma non riusciva ad aprire l'occhio. Si mosse, a disagio.

«Ti raccomando di restare ferma, rischierai soltanto di farti del male.»

Sentì che le spalmava l'unguento su gran parte del viso, per poi avvolgerlo in bende pulite. La fece poi alzare, tenendole la testa sollevata mentre le portava un bicchiere alle labbra.

«Vedi se riesci a mandarla giù.» Le disse, inclinandolo.

Elissa sentì l'acqua fresca scorrerle in gola, deglutendo a fatica. Lentamente, finì l'intero bicchiere, fermandosi solo un paio di volte a causa dei colpi di tosse.

«Dormi, se riesci. Tornerò a controllare tra un paio d'ore.»

Sentì Morrigan allontanarsi.

Nonostante tutto, cadde addormentata quasi subito, probabilmente grazie a qualcosa che la maga aveva messo nell'acqua.

Fece sogni confusi, pieni di volti, familiari e non, che danzavano avvolti dalle fiamme. Vide suo padre sorridere, muovendo le labbra dicendo qualcosa che Elissa non riusciva a sentire. Provò ad urlare, ma la voce le uscì in un rantolo roco, mentre il padre scompariva nel fuoco.

Si sentì annaspare, in cerca d'aria, ma il petto le bruciava e non riusciva a muoversi, il calore era insopportabile... Un uomo la sollevò da terra, portandola lontana dalle fiamme. «È finita.»

Cadde nel buio.












Bann Teagan stava ballando.

Aenor, di fronte ad una sequenza di capriole particolarmente male eseguita, si scambiò uno sguardo perplesso con Sten. Il Qunari scosse la testa, borbottando un “magia” che l'elfa non riuscì a sentire, ma lesse chiaramente nel labiale.

Il bambino in piedi di fianco ad Isolde battè le mani, deliziato. Il ghigno malvagio che sfoggiava stonava con i tratti delicati del viso. Alzò lo sguardo verso i nuovi arrivati.

«Madre?» Chiamò, con una voce cavernosa che non poteva in alcun modo appartenere ad un bambino di quell'età. «Sono questi coloro di cui mi hai parlato? Quelli che hanno fermato il mio esercito, mandato a riconquistare il mio villaggio?»

Isolde impallidì ulteriormente, voltandosi appena, come se non sopportasse l'idea di guardarlo. «Sì, Connor, sono loro...»

Aenor fece due passi avanti, tenendolo d'occhio, la spada tenuta saldamente tra le mani. Avevano combattuto innumerevoli cadaveri per arrivare fin lì, si sentiva la puzza di quei mostri addosso, la stanchezza che la pervadeva.

«E ora, quella cosa mi sta fissando.» Continuò Connor, ricambiando lo sguardo. «Cos'è, madre?»

«...è un'elfa, Connor.» Squittì la madre. «Ne abbiamo alcuni, qui al castello, ti ricordi...?»

Il ragazzino si illuminò in una smorfia malvagia. «Oh, sì! Mi ricordo! Ho fatto tagliare loro le orecchie e le ho date in pasto ai cani! Hanno masticato per ore!» Indicò Aenor con un dito. «Dovrei spedirla nei canili!»

«Provaci soltanto, demone.» Rispose Aenor, facendo un altro passo avanti.

«Aenor, fermati!» Le gridò Alistair. «È solo un bambino!»

«Un bambino posseduto con un esercito di cadaveri...» Bofonchiò lei, ma si fermò, limitandosi a guardare il ragazzino con astio. Come si sarebbero liberati del demone che lo possedeva?

«Connor, ti prego! Non... non fare del male a nessuno!» Lo supplicò Isolde.

Connor si portò una mano davanti al volto, sfregandosi gli occhi. «Mamma? Mamma, che... che sta succedendo? Dove sono?» Balbettò con voce flebile, guardandola smarrito.

Isolde si buttò in ginocchio, abbracciando il figlio. «Oh, sia ringraziato il Creatore! Connor! Connor, mi senti?»

Il bambino ebbe uno spasmo, liberandosi con uno strattone. «Stammi lontana, stupida donna! Mi stai annoiando!» Urlò imperioso.

«È reciproco...» Ribattè Aenor.

«Custode Grigio!» La apostrofò Isolde. «Vi prego, non fate male a mio figlio! Non ha colpe, non si rende conto di quello che sta facendo...»

«Di certo ne ha più di quelli che sono stati massacrati per colpa sua.» Disse l'elfa in tono asciutto.

«No! Vi prego, non è stato lui! Non voleva fare niente di tutto questo! È stato quel mago, quello che ha avvelenato Eamon... ha evocato lui il demone! Connor voleva soltanto aiutare suo padre...» Isolde scoppiò a piangere, scossa dai singhiozzi.

«L'accordo era onesto!» Tuonò Connor. «Padre è ancora vivo, come volevo. E ora è il mio turno di sedermi sul trono e inviare eserciti alla conquista del mondo! Nessuno può dirmi più cosa fare!»

Aenor squadrò il ragazzino. “Fastidioso.”

«Nessuno gli dice cosa fare, nessuno!» Cantilenò Bann Teagan con voce sciocca, ridendo.

«Fa' silenzio, zio!» Lo sgridò Connor, guardandolo minacciosamente. «Ti avevo avvertito di stare zitto, non è così?» Si volse di nuovo verso i nuovi arrivati, distendendo il volto contratto dalla rabbia. «Ma comportiamoci civilmente. Questa... elfa, riceverà l'udienza che cerca. Cosa volete?»

«Fermarti, ovviamente.» Rispose Aenor.

«Ah!» Esclamò Connor. «Sarò io a distruggervi, invece! Mi avete rovinato il divertimento, salvando quello stupido villaggio, ma ora me la pagherete!» Fece un gesto con la mano e Bann Teagan e i suoi uomini, almeno una dozzina, si alzarono improvvisamente in piedi, fronteggiando Aenor e i suoi compagni.

«Teagan, fatti da parte.» Provò a dire Alistair, ma l'uomo sembrò non sentirlo. Ridendo ancora come un folle, estrasse la spada, facendola cozzare contro lo scudo del Custode, che provò a disarmarlo.

«Ci risiamo.» Commentò Aenor, colpendo uno dei cavalieri in pieno petto e sbalzandolo all'indietro, cadendo con uno sferragliare metallico.

«Non uccideteli!» Urlò Alistair.

Aenor con la coda dell'occhio individuò Connor sgattaiolare via dalla stanza. Fece per inseguirlo, ma uno dei cavalieri posseduti le si parò davanti, costringendola a lasciar perdere.

Dopo uno scontro acceso, Teagan e i suoi uomini giacevano a terra, privi di sensi. Almeno tre erano in gravi condizioni, e uno di essi era chiaramente morto, la spada di Sten che gli aveva trapassato il cranio da parte a parte.

«Teagan! Teagan, stai bene?» Chiamò Isolde, precipitandosi al fianco dell'uomo. Sembrava così preoccupata, che Aenor si chiese se tra i due non ci fosse qualcosa.

L'uomo ci mise qualche istante a riprendere conoscenza, ma Alistair era riuscito a non ferirlo gravemente. Sbattè le palpebre un paio di volte. «Isolde?» Si mise faticosamente a sedere, aiutato dalla donna. «Sto... meglio. Mi sento di nuovo me stesso.»

«Andraste benedetta!» Sospirò la donna. «Non mi sarei mai perdonata se...» Lo abbracciò per un attimo, stringendolo a sé in preda ai singhiozzi. Si staccò poi dall'uomo, riportando la sua attenzione sui Custodi Grigi. «Vi prego, Connor non ha colpe. Deve esserci un modo per salvarlo, deve!»

Aenor si strinse nelle spalle. «Non vedo come...»

«Mi dispiace, mia signora. Ma Connor è diventato un abominio. Non è più vostro figlio.» Si intromise una voce. Si voltarono.

Jowan, il mago del sangue che avevano trovato nelle segrete e che Aenor aveva liberato, avanzava verso di loro, sul viso un'espressione affranta. L'uomo aveva promesso di trovare un modo per sistemare il danno che aveva combinato, ma l'elfa si era aspettata scappasse appena l'avessero lasciato solo. Evidentemente, non era stato così.

«Tu!» Sbraitò Isolde. «Tu hai fatto questo a mio figlio!»

«Non è vero!» Si difese il mago. «Non ho evocato nessun demone, ve l'ho detto! Per favore, dovete credermi, sono qui per aiutarvi...»

«Aiutarci?!» Urlò la donna, perdendo le staffe. «Mi hai tradita! Ti ho portato qui per aiutare mio figlio e tu in cambio hai avvelenato mio marito!»

«Questo è il mago di cui mi hai parlato?» Chiese Teagan. «Non era nelle segrete?»

«L'ho liberato.» Tagliò corto Aenor. «Ha detto che poteva aiutare e sembrava sincero.» Sfidò i due umani a ribattere, la spada ancora tra le mani. Mago del sangue o meno, non le importava, lasciare qualcuno a morire dentro una cella sbranato da quei mostri era inaccettabile. Sten avrebbe fatto la stessa fine e Aenor non aveva alcun rimorso per aver liberato entrambi dalle loro gabbie.

«Dopo tutto quello che ha fatto, dovrebbe essere giustiziato! Senza di lui, nulla di tutto questo...» Ribattè Isolde, gridando.

«E allora? Pure tu ci hai mentito. E tuo figlio ha evocato un demone che ha sterminato più della metà del villaggio di Redcliffe.» Sibilò l'elfa. «Comincio a tagliare teste a tutti?!» Alzò la spada, come a rafforzare il concetto.

La donna si ritrasse con un grido spaventato, mentre Teagan le si parava davanti con fare protettivo.

«Cerchiamo di mantenere la calma!» Si intromise Alistair, frapponendosi tra loro. «Per favore.»

«So cosa pensate di me, mia signora. Ho approfittato delle vostre paure, e... mi dispiace. Non pensavo si arrivasse a tanto.» Le disse Jowan, chinando il capo.

«Beh, allora, che aiuto puoi darci?» Gli chiese Teagan, ancora con un braccio davanti ad Isolde. «E se Connor è davvero diventato un Abominio...»

«L'avete visto anche voi, non è sempre quel demone! Mio figlio è ancora là dentro!» Si oppose la donna. «Vi prego, farei qualsiasi cosa per salvarlo...»

«Jowan.» Chiamò Aenor. «Suggerimenti?»

Il mago si schiarì la voce. «Il modo più semplice per distruggere il demone, sarebbe uccidere Connor. Però... c'è un'altra possibilità.» Sembrava riluttante ad esporre la sua idea.

«Forza, non abbiamo tempo da perdere.» Lo spronò l'elfa.

L'altro sospirò. «Un mago potrebbe confrontarsi con il demone nell'Oblio, senza uccidere Connor stesso.» Spiegò.

«Che intendi?» Chiese Aenor, senza capire.

«Il demone non è fisicamente dentro il bambino. L'ha avvicinato nell'Oblio, mentre stava sognando, ed è da lì che lo controlla. Possiamo usare la connessione tra di loro per trovarlo nell'Oblio, e ucciderlo lì.»

«Quindi, puoi entrare nell'Oblio e salvare mio figlio?» Lo interruppe Isolde.

Jowan scosse la testa. «No, ma posso permettere ad un altro mago di farlo. Normalmente, occorrerebbero diversi maghi e un'ingente quantità di lyrium, ma io... posso usare la magia del sangue.» Disse, abbassando lo sguardo sul pavimento.

«No, assolutamente no. Pessima idea!» Esclamò Alistair, intromettendosi. «Non se ne parla.»

«Ma se può salvare Connor...» Sussurrò Isolde.

«Non è tutto.» La interruppe Jowan. «Per il rituale, mi servirebbe la forza vitale di una persona. Tutta, la forza vitale. Un sacrificio.»

Calò il silenzio per qualche istante.

«Allora, prendi me.» Disse Isolde guardandolo negli occhi con decisione, la voce ferma. «Se serve a salvare mio figlio, farò qualsiasi cosa.»

«Isolde! Sei impazzita?» Esclamò Teagan. «Eamon non lo permetterebbe mai!»

«Non ci sono altre opzioni. Ho preso la mia decisione, Teagan.» Ribatté lei con fermezza.

«Magia del sangue! Come può un'altra malvagità sistemare le cose?!» Sbottò Alistair, pestando un piede per terra. «Due errori non danno una cosa giusta!»

Aenor rimase in silenzio, ponderando la decisione giusta. La scelta più facile sarebbe stata salire le scale al piano di sopra e uccidere il ragazzino, liberandosi di quel demone... Fece cenno all'altro Custode di seguirla, andando a chiudersi in una stanza adiacente alla sala.

«Non dirmi che stai anche solo considerando la sua proposta!» Sbraitò lui appena l'elfa chiuse la porta alle loro spalle. Era chiaramente furibondo.

«Non proprio.» Rispose lei. «Ha detto che soltanto un mago può entrare nell'Oblio.»

Alistair sembrò capire il problema. «Oh. Morrigan.»

«Già. Sono rimasta sorpresa anche solo di vederla combattere, ieri notte. E non era proprio entusiasta quando le abbiamo chiesto di restare a curare i feriti a Redcliffe. Non c'è modo di convincerla ad entrare nell'Oblio e perdere tempo con questo rituale, quando il modo più semplice sarebbe uccidere Connor qui ed ora.»

«Più semplice?!» La interruppe lui. «Stai parlando di uccidere un bambino!»

«Un bambino posseduto al comando di un armata di cadaveri!» Ribattè Aenor, alzando la voce. «Lo so che non è il massimo come opzione, ma non abbiamo molte alternative!»

«Deve esserci un altro modo!» Si mise ad urlare anche lui. «E poi cosa te ne frega, del villaggio o di Connor, te ne stavi andando in ogni caso, no? E allora vattene!»

«Che il Temibile Lupo ti ci porti!» Sbraitò Aenor in elfico. «Sto cercando di aiutarti, ma forse dovrei andarmene e vedere come te la cavi da solo!»

«Vai pure, nessuno ti ferma! Non sei degna di essere un Custode Grigio!»

«Detto da uno che non riesce a guardare più in là del suo naso!» Ribattè lei. «Credi che la vita sia facile, dannato principino?! Qui tutti ne hanno passate più di te, ma tu continui a lamentarti! Poverino, il bastardo abbandonato e cresciuto in un castello! Poverino, lui che è contento di essere un Custode Grigio e morire per salvare un paese di schifosi mostri che non esiterebbero a bruciarlo alla prima occasione! Datti una svegliata, idiota!»

Lui sgranò gli occhi, non sapendo come ribattere, livido di rabbia. «Come... Non è vero...»

«Voi umani mi disgustate.» Rincarò la dose Aenor. «Trattate i vostri inferiori come vermi, avete ucciso, schiavizzato e tradito il mio popolo, siete sempre in guerra tra di voi... Persino il vostro Creatore vi insegna a rinchiudere la vostra stessa gente in una torre o ucciderli senza un motivo valido oltre alla paura che prima o poi escano dal controllo mentale che avete su di loro e ve la facciano pagare! E tu, tu sei un dannato stupido pieno delle stronzate che la Chiesa ti ha messo in testa! Cosa farai se me ne vado, eh?! Lancerai una nuova Marcia Santa?!»

Rimasero a fronteggiarsi, Aenor che riprendeva fiato e Alistair che cercava come ribattere. Improvvisamente, il Custode si irrigidì, restando a bocca aperta.

«I maghi!» Esclamò.













Note dell'autrice: Sono sparita causa esami. Meno male che avevo qualche capitolo da parte da pubblicare, perchè per tre settimane mi è pesato pure rileggere tre righe, figuriamoci scrivere qualcosa. Ora si torna al lavoro però! 
Come al solito, commenti o critiche sono ben accetti. Cheers!

A chi interessasse, ho disegnato i vari protagonisti, trovate i link in fondo ai capitoli delle rispettivi Origini! :)

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Capitolo 11
*** Kinloch Hold I ***


CAPITOLO UNDICI: KINLOCH HOLD I



 





Aenor rimase a fissare Alistair, interdetta. Voleva prenderlo a schiaffi, urlargli contro, buttarlo a terra e andarsene per sempre. «Fenhedis lasa! I maghi, cosa?!»

Alistair alzò la mano per evitare che lei si rimettesse ad urlare. «I maghi. Quel mago del sangue ha detto che normalmente per il rituale servirebbero svariati maghi e un mucchio di lyrium, no?»

«Oh.» Realizzò finalmente l'elfa «Vuoi andare a chiedere aiuto ai maghi del Circolo?»

L'altro annuì vigorosamente. «Sì, la torre è dall'altra parte del lago. Ci arriveremmo in un paio di giorni.»

«E perché dovrebbero aiutarci?» Chiese lei.

«Ci appelleremo al Comandante dei Templari e al Primo Incantatore!» Rispose convinto Alistair. «Dovranno aiutarci, una volta saputo cosa sta succedendo qui. Inoltre, saremmo dovuti andare a Kinloch Hold prima o poi, a chiedere il supporto dei maghi contro il Flagello...» Si interruppe, guardandola storto. «Sempre che tu non te ne stia andando proprio adesso.»

Aenor sospirò, appoggiandosi al muro dietro di lei. «No, per il momento.» Disse finalmente dopo qualche istante. «Prima sistemiamo questa faccenda del demone, poi deciderò.»

Alistair scosse la testa. «Se è il massimo che posso ottenere, non chiederò di più. Tregua?» Le porse la mano, incerto.

Lei la afferrò dopo un attimo di esitazione, stringendola con poca convinzione. «Tregua.»

Tornarono nel salone, per esporre la loro idea.

«È troppo pericoloso.» Si oppose Isolde. «Anche se trovaste il modo per arrivare alla Torre, passeranno giorni prima che siate di ritorno. E non oso immaginare cosa possa succedere.»

«Non ci sono barche per attraversare il lago.» Spiegò loro Teagan. «Per evitare contatti con il Cicolo, la Chiesa proibisce tassativamente di avvicinarsi a Kinloch Hold.»

«Dovremo andarci a cavallo, allora.» Ribattè Alistair. «Confido che ce ne presterete un paio.»

Bann Teagan sospirò. «Siete sicuri che possa funzionare?»

Aenor lanciò uno sguardo interrogativo a Jowan. «Parteciperanno al rituale, se non è coinvolta della magia del sangue?»

Il mago si grattò la barba lunga, a disagio. «Credo... credo di sì.» Rispose infine.

«Allora è deciso.» Concluse Aenor. «Entro qualche giorno, saremo di ritorno con abbastanza maghi e lyrium da sistemare questa faccenda senza uccidere nessuno.»

«E cosa facciamo se il demone dovesse decidere di attaccare di nuovo il villaggio?» Chiese Teagan.

Alistair e Aenor si scambiarono un'occhiata.

«Sten e Leliana resteranno qui a dare una mano nel caso si rianimasse qualche cadavere. Mettete i vostri uomini a difesa dei cancelli del castello, per non lasciare che esca qualcosa. Dovremmo aver eliminato tutti i cadaveri qui dentro, ma non si può mai essere sicuri.» Ordinò l'elfa.

«Non resterò qui a fare la guardia ad una porta.» Dichiarò Sten, con un cipiglio corrucciato. Che era simile alla sua solita espressione, a dirla tutta.

«Preferisci seguirci in una torre abitata prevalentemente da maghi?» Gli chiese Aenor, sapendo già quale sarebbe stata la risposta. Il qunari imprecò qualcosa nella sua lingua, ma finì per cedere. La prese però da parte, puntando gli occhi viola in quelli verdi dell'elfa.

«Passerete al molo del Lago Calenhad, quello per la Torre dei maghi?» Le chiese.

Aenor annuì. «Credo proprio di sì, se è l'unico modo per entrare nella Torre.»

Il qunari non batteva nemmeno le palpebre. «La mia spada. L'ho persa da quelle parti.» Disse.

«Se per te è così importante, vedrò di cercarla.» Non capiva l'ossessione di Sten per la sua spada, ma gliene aveva parlato come se fosse una parte di lui, e dato che gli stava chiedendo di restare lì a proteggere un villaggio di cui al qunari non interessava niente, le pareva solo giusto spendere qualche momento a cercare una spada per rendere il favore al compagno. Sten le descrisse brevemente l'arma, ma era ovvio che non fosse ottimista.

«Non credo la troverai» Prima che l'elfa potesse dire altro, si allontanò corrucciato.

Si stavano preparando ad andarsene, quando Jowan sgusciò via dai due soldati che lo stavano tenendo d'occhio, correndo verso Aenor. I due fecero per sguainare subito le armi, allarmati, ma l'elfa alzò la mano, facendo segno di lasciarlo passare.

«Custode!» La chiamò il mago. «So di non essere nella posizione di chiedervi nulla, ma vi prego, ascoltatemi.» Dal tono angosciato, doveva chiaramente essere importante.

«Dimmi, ma fai in fretta.» Acconsentì lei.

«Quando sono scappato dalla Kinloch Hold, non ero da solo. Sono stato aiutato da un caro amico, e soltanto grazie a lui ce l'ho fatta a sfuggire ai Templari.» Spiegò Jowan. «Sono preoccupato che lo abbiano ucciso, o peggio, per colpa mia. Potresti... potresti scoprire cosa gli è successo?»

Aenor sbuffò. Ma certo, era ovvio che un tipo del genere non potesse essere scappato dalla Torre più sorvegliata del Ferelden senza un aiuto da qualcun altro. «Come si chiama?»

«Geralt. Geralt Amell.» Rispose il mago, inchinandosi profondamente. «Grazie mille, vi sono debitore.»



 

Uscirono dal castello, tornando verso il villaggio. Bann Teagan ordinò ad un suo cavaliere di dare ai due Custodi un paio di cavalli, sellati e pronti per il viaggio.

«Aspetta, voglio passare un attimo dalla Chiesa.» Le disse Alistair, prima di salire in groppa all'animale. Aenor sbuffò, ma lo seguì con riluttanza all'interno dell'edificio.

La navata principale era piena di persone, la maggior parte feriti, appoggiati su dei giacigli di fortuna e posti sotto le cure delle sorelle della Chiesa. Alistair si diresse con sicurezza verso una delle stanze laterali. L'elfa si sporse oltre la porta, sbirciando.

«Come sta?» Chiese Alistair a Morrigan, china su una paziente. Un mabari color miele, accanto a lei, lo guardò storto, ma non fece nient'altro per allontanarlo.

«Sopravviverà.» Rispose la maga. «Immagino che la situazione al castello sia risolta?»

«Non esattamente.» Rispose Aenor, entrando nella stanza. Una ragazza era sdraiata a terra, quasi interamente coperta da bende pulite, che evidentemente Morrigan le aveva appena cambiato.

«Stiamo andando a chiedere aiuto al Circolo dei maghi.» Spiegò Alistair.

Morrigan sollevò un sopracciglio. «Posso sapere come mai?»

«Non possiamo uccidere la persona posseduta dal demone, quindi servono dei maghi e del lyrium per fare un incantesimo che ci permetta di eliminare il demone senza ferire il suo contenitore.» Rispose l'elfa. «Un mago al castello ci ha detto che è possibile farlo.»

«Ah, ma certo. Capisco.» Annuì Morrigan con un sorrisetto. «Beh, buona fortuna allora. Non intendo seguirvi in quella gabbia per uccelli, quindi credo vi aspetterò qui.»

«Me lo aspettavo.» Commentò Alistair. «Sentiremo terribilmente la tua mancanza.»

Prima che potessero rimettersi a bisticciare, l'elfa lo trascinò via dalla stanza.

Salirono in sella ai cavalli, Falon che scodinzolava contento. Nemmeno a lui piaceva quel posto.

Si allontanarono in fretta dal villaggio, salendo su per la collina spingendo i cavalli al trotto, nonostante Aenor avesse qualche difficoltà a stare in sella. Non le era capitato spesso di cavalcare un animale, i Dalish usavano gli Halla prevalentemente per trainare le loro barche di legno attraverso le foreste. Continuarono a cavalcare finché il buio non rese impossibile vedere la strada davanti a loro, costringendoli ad accamparsi. Distrutti dalla privazione di sonno e stanchi dai combattimenti della notte prima e della giornata appena trascorsa, si limitarono ad accendere un piccolo fuoco e mangiare della carne secca presa al villaggio.

«Dovremmo fare dei turni di guardia.» Disse Alistair, scrutando l'oscurità attorno a loro.

Aenor annuì, dando una carezza leggera sulla testa di Falon, che si era addormentato prima ancora di finire la cena, russando piano. «Dormi pure, ti sveglio se ci sono problemi.» Era stanca morta, ma aveva la testa così piena di pensieri che non era certa di voler dormire. In più, il ragazzo sembrava davvero a pezzi, quindi sembrava la scelta migliore.

Alistair ringraziò bofonchiando, per poi stendersi e darle le spalle, coprendosi fino alle orecchie e rannicchiandosi su sé stesso. Dopo qualche minuto, l'elfa sentì il suo respiro regolarizzarsi e farsi più pesante. Alzò lo sguardo, verso il cielo carico di nubi. C'era aria di pioggia.

Dopo qualche ora, svegliò Alistair per darle il cambio. Falon dormiva ancora, uggiolando di tanto in tanto e facendo scattare le zampe, inquieto. Aenor si stese accanto all'animale, tirandosi la coperta sopra la testa e cercando di prendere sonno, un braccio attorno al mabari.

All'alba, ripresero il viaggio, intontiti ma decisi a raggiungere Lothering prima di sera. La mattina uggiosa si trasformò presto in una giornata di pioggia battente, rendendo la strada un pantano di fango scivoloso, rallentando i cavalli e inzuppandoli tutti fino alle ossa.

Falon si guardava attorno nervoso, restando vicino ai cavalli e scuotendo la pelliccia di tanto in tanto, infastidito dalla pioggia. Alistair e Aenor procedevano con i cappucci dei mantelli da viaggio tirati sopra la testa, in un vano tentativo di non infradiciarsi completamente. I cavalli sbuffavano dalle froge, sbandando recalcitranti.

Superato mezzogiorno, scesero faticosamente da una collina, conducendo al passo i cavalli giù dal pendio scivoloso. Un carro rovesciato al limitare della strada li fece mettere sull'attenti, mentre i cavalli si impennavano roteando gli occhi, nitrendo spaventati.

«Ma cosa-» Iniziò a dire Aenor, strizzando gli occhi sotto la pioggia.

Non fece in tempo a finire la frase, che un uomo sbucò da dietro il carro, urlando, inseguito da due hurlock armati. Alistair non perse tempo, spronando il cavallo e galoppando in aiuto dell'uomo, travolgendo i due mostri e schiacciandone uno sotto gli zoccoli dell'animale. L'altro lo uccise con un colpo di spada, preciso, alla testa.

«Cosa ci fai qui fuori?!» Chiese Aenor all'uomo che avevano salvato e che ora giaceva a terra, tremante e piangente. «Dovresti essere al sicuro, a Lothering!»

Quello la guardò terrorizzato, singhiozzando qualcosa che la ragazza non riuscì a capire. Alistair si intromise, scendendo da cavallo e inginocchiandosi nel fango accanto all'uomo.

«Sei salvo, ora, ti riportiamo al villaggio.» Gli disse, mettendogli una mano sulla spalla nel tentativo di rassicurarlo.

«No!» Gridò l'altro, lo sguardo folle. «Sono arrivati! Tutti morti!» Si divincolò dalla stretta del Custode, cercando di allontanarsi da loro e scivolando, schizzando tutto attorno.

I due ebbero un attimo di esitazione.

«La Prole Oscura?» Sussurrò Aenor. «Hanno...?»

Lo shem cadde carponi nel fango. Piangeva a dirotto, gli occhi sbarrati. «Tutti! Non c'è speranza, non possiamo salvarci! Sono qui, ci uccideranno!» Continuava a balbettare, senza prestare più attenzione ai due, concentrato com'era nel cercare di allontanarsi da lì.

L'elfa notò una ferita slabbrata sulla coscia dell'uomo, sembrava che qualcosa gli avesse strappato la carne con un morso. Fece segno ad Alistair di avvicinarsi, e insieme riuscirono a tenerlo fermo, mettendogli una mano davanti alla bocca per impedirgli di continuare ad urlare, temendo che potessero essere attaccati di nuovo.

Scostando il tessuto dei pantaloni, scoprirono che la pelle tutto attorno alla ferita era nerastra e imputridita. La Corruzione dei Prole Oscura stava già facendo effetto.

Aenor sospirò, estraendo il pugnale dalla cintura.

Alistair intercettò il gesto, fermandola con la mano. «No, aspetta...»

L'elfa lo ignorò e, approfittando del fatto che lo shem non opponeva quasi resistenza, gli piantò la lama nel petto, all'altezza del cuore. Quello sussultò, smettendo di lottare e accasciandosi a terra.

«Non c'era altro modo.» Disse lei in tono asciutto, alzandosi e tornando verso il cavallo, che continuava a muovere le orecchie e girare sul posto, inquieto. «Facciamo il giro largo per evitare il paese. Se sproniamo i cavalli al galoppo anche durante la notte, possiamo forse riuscire a mettere abbastanza distanza tra noi e la Prole Oscura.»

«E abbandoniamo tutta Lothering?» Le chiese Alistair, ancora a terra accanto al cadavere. Lo sguardo puntato agli occhi dell'uomo, ancora sgranati per la paura, le mani tremanti di rabbia.

«Abbiamo un compito, ed è quello di arrivare dai maghi a cercare aiuto per salvare Connor e Redcliffe. Se andiamo a Lothering, probabilmente non sopravvivremo alla notte.» Ribattè Aenor. «Abbiamo una speranza di evitare l'orda, ma dobbiamo sbrigarci.»

«Come fai ad esserne così sicura?» Disse Alistair, la voce ridotta ad un sussurro, appena udibile sotto la pioggia battente. «Così certa che lasciar morire tutte quelle persone sia la cosa giusta?»

Quelle parole la colpirono come un pugno allo stomaco, ma non lasciò trapelare niente. «Sono già tutti morti, Alistair, o lo saranno presto.» Girò il cavallo verso nord, verso le rive del Lago. Sentì l'altro alzarsi e rimontare in sella a sua volta. Senza attendere risposta, spronò il cavallo al galoppo, Falon al seguito.

Cavalcarono per tutto il resto del pomeriggio, evitando la strada principale. Incontrarono alcuni Prole Oscura solitari, a volte in piccoli gruppi di tre o quattro, ma riuscirono a cavarsela senza intoppi. Di sopravvissuti, nemmeno l'ombra.

Saliti sulla collina che li separava dal Lago Calenhad, poterono vedere Lothering, o ciò che ne restava: una nube di fumo nero si alzava dall'orizzonte, dove un tempo sorgeva il villaggio.

La ragazza guardò Alistair con la coda dell'occhio, vedendolo stringere le redini con forza, lo sguardo puntato verso la carneficina in lontananza. Sospirò, prima di spingere il cavallo giù per la collina. Dovevano allontanarsi il più possibile, prima che calassero le tenebre.

Il buio li costrinse a rallentare il passo. Scesero a condurre i cavalli a piedi, sperando che gli animali riacquistassero un po' le forze, affidandosi solo ad una piccola torcia che lanciava una luce flebile attorno a loro, sperando non fosse abbastanza da attrarre attenzioni pericolose.

Aenor continuava ad inciampare, mentre Falon dondolava la testa, affaticato. Alistair incespicava tra il fango e le radici, restando in un silenzio ostinato. I cavalli sbuffavano stanchi.

Arrivarono sulle sponde del lago mentre il cielo cominciava a schiarirsi. La pioggia non accennava a smettere, mentre i raggi del sole faticavano ad attraversare la spessa coltre di nubi nere. Costeggiarono la riva per tutto il giorno seguente, a volte a piedi, a volte a cavallo. Si fermarono per un paio d'ore a far riposare gli animali, gli occhi dei due Custudi che guizzavano colmi di apprensione in risposta ad ogni rumore attorno a loro.

Quando calò di nuovo la sera, erano troppo sfiniti per proseguire oltre. Si accamparono in un boschetto, cercando di ripararsi dalla pioggia e non osando accendere un fuoco. Mangiarono un altro poco di carne secca, masticando in silenzio. Nessuno dei due aveva voglia di parlare. Per tutto il giorno, non avevano incontrato anima viva.

La mattina dopo si misero in viaggio prima dell'alba, ansiosi di arrivare alla Torre, asciugarsi e avere un pasto caldo. La giornata passò senza eventi degni di nota, sotto la costante pioggia gelida.

Nel tardo pomeriggio videro alcune casette illuminate vicino all'acqua, segno che erano arrivati al piccolo molo che costituiva l'unico accesso consentito a Kinloch Hold.

Lo stalliere, rintanatosi sotto la tettoia di paglia con una fiasca di vino in mano a scaldarlo, li guardò sorpreso, sgranando gli occhi come se avesse visto due fantasmi. Gli lasciarono una moneta d'argento, consegnandogli i cavalli e entrando nella locanda accanto.

Si accasciarono sul tavolo più vicino al fuoco, togliendosi i vestiti fradici e appoggiandosi allo schienale di legno delle sedie, chiudendo gli occhi.

Dopo qualche minuto, arrivò l'oste a chiedere cosa volessero mangiare. Presero una zuppa calda, bollente, che sembrò bruciargli le budella mentre la mandavano giù affamati, chiedendone una seconda porzione.

«Andate alla Torre?» Chiese l'oste, portandogli di nuovo le ciotole ricolme.

Aenor annuì, afferrando il piatto e rimestandolo col cucchiaio, portandoselo poi alle labbra. Dopo quei giorni terribili, sembrava la zuppa più buona che avesse mai mangiato.

«Sono tre giorni che i Templari hanno sequestrato la barca a Kester, e non fanno avvicinare nessuno,» continuò l'uomo, «più del solito, intendo. Non vogliono neanche approvvigionamenti.»

Alistair grugnì di disperazione. «Perchè non può andare bene niente?» Si lamentò, appoggiandosi stancamente allo schienale della sedia. «Non ci meritiamo una pausa?»

Aenor non poteva che trovarsi d'accordo. Sospirò, guardando Falon che sgranocchiava l'osso di bue sotto al tavolo, contento di essere all'asciutto e ignaro di tutto.

«Cosa facciamo?» Le chiese Alistair con un sospiro affranto appena l'uomo si fu allontanato. «Non credo di avere la forza di mettermi a discutere con un templare proprio stasera.»

«Ti capisco.» Concordò Aenor, prendendo un altro cucchiaio di zuppa. «Qualsiasi cosa sia, può aspettare fino a domani.»

Presero una stanza. La sacca del denaro era sempre più leggera, ma i due erano troppo stanchi per contrattare sul prezzo esoso.

La stanza conteneva un grande letto matrimoniale, con due coperte calde e il fuoco acceso. Alistair arrossì violentemente, guardando il letto. Falon cercò di saltare sul materasso, ma Aenor lo bloccò per la collottola, indicandogli il pavimento. Il mabari uggiolò, cercando inutilmente di impietosirla, per poi andarsi ad acciambellare offeso davanti al camino.

«Dormirò per terra.» Esclamò il Custode, estraendo il proprio giaciglio umido dallo zaino e posizionandolo sul pavimento, abbastanza vicino al camino.

«Non fare lo stupido.» Lo apostrofò Aenor, estraendo le proprie coperte e mettendole ad asciugare, come il resto dello zaino, accanto al fuoco. «C'è un letto abbastanza grande per entrambi. Girati.»

Ignorò le proteste del ragazzo, che voltato verso il muro balbettava scemenze come suo solito. Si spogliò dei vestiti bagnati, appoggiandoli su una sedia e sperando che si asciugassero entro la mattina seguente, restando soltanto in intimo. Si infilò sotto le coperte, tirandosele a coprire le orecchie a punta. «Puoi dormire sopra la coperta.»


 

«Non si può andare alla Torre. Non importa che urgenza abbiate.»

I due Custodi squadrarono il templare di fronte a loro, con l'aria di chi non avrebbe accettato un no come risposta. Era un ragazzo più o meno dell'età di Alistair, non sarebbe stato difficile intimidirlo.

«Quell'armatura sembra pesante.» Commentò Aenor, indicandolo.

«Quindi?» Ribattè il templare.

Lei si strinse nelle spalle. «Sarà difficile riuscire a riemergere, con quella roba addosso. Una volta che ti avremo buttato in acqua, s'intende.»

Quello impallidì. «Cos-»

«Faresti meglio a collaborare.» Gli suggerì Alistair. «L'ho vista fare cose peggiori.»

Il templare sembrò considerare le proprie possibilità, mentre l'elfa, che a malapena gli arrivava alle spalle, lo guardava a braccia conserte, Falon che ringhiava minaccioso, pronto a balzare sullo shem.

«Io... Ho degli ordini, non è colpa mia...» Balbettò il templare, indietreggiando di qualche passo.

«Senti, risparmiati una nuotata e portaci alla Torre.» Disse il Custode.

Il templare capitolò. «D'accordo. Ma mi avete costretto, lo dirò al Comandante Gregoir.»

Aenor sbuffò. «Sicuro. Ora prendi i remi, shemlen, abbiamo perso già abbastanza tempo.» Lo superò spingendolo la parte, andando ad accomodarsi nella piccola barca. Falon uggiolò, esitando a lasciare la sicurezza della terraferma, ma con un pezzetto di carne secca come incentivo si andò ad accomodare ai piedi dei due Custodi.

La traversata fu più lenta del previsto, anche se erano in due a remare. Il templare non voleva in alcun modo rivelare loro cosa stesse succedendo, cosa avesse spinto l'Ordine a chiudere completamente Kinloch Hold da qualsiasi contatto esterno.

La torre del Circolo si ergeva minacciosa al centro del Lago Calenhad, una struttura altissima di pietra massiccia che sembrava toccare il cielo. Man mano che si avvicinavano ad essa, Aenor si ricordò di quanto era rimasta colpita dalle torri di Ostagar, che a confronto sembravano ormai delle nullità. La punta dell'edificio spariva tra le nuvole basse, e le poche finestre illuminate mandavano bagliori sinistri che si diffondevano nella nebbia circostante.

“Come fanno a vivere in un posto del genere?” Si chiese l'elfa. Rinchiusa lì, tra pietre e templari, avrebbe sicuramente scelto di buttarsi di sotto piuttosto che passarci la vita. Capiva perché maghi come Jowan facessero di tutto pur di scappare dalle grinfie del Circolo.

Arrivarono finalmente al molo costruito all'interno della torre. Ad attenderli, c'erano due templari, che li scortarono immediatamente dal Comandante, un uomo di mezza età di nome Gregoir, che troneggiava nella sua armatura enorme, la spada fiammeggiante dell'Ordine impressa sul pettorale. Stava parlando ad un gruppo sparuto di uomini, l'agitazione nell'aria era palpabile.

«Avevo dato l'ordine di non far attraversare il Lago a nessuno.» Li apostrofò vedendoli arrivare. «Chi siete, e cosa volete?»

«Siamo Custodi Grigi.» Rispose prontamente Alistair, precedendo Aenor per paura che l'elfa ne combinasse una delle sue.

«Ah. Si dice in giro che siate traditori.» Gregoir li squadrò dall'alto in basso. «Ma non mi importa, abbiamo questioni più importanti di cui occuparci, adesso. E la cosa non vi riguarda. Andatevene.»

«Non possiamo.» Ribattè Alistair. «In quanto Custodi Grigi, abbiamo il diritto di chiedere aiuto ai maghi del Circolo contro questo Flagello. Inoltre, Bann Teagan chiede aiuto per contrastare un demone che minaccia il villaggio di Redcliffe.»

«Ah, Teagan. L'ultima volta che ho controllato, era Arl Eamon a capo di Redcliffe.»

«L'Arl è malato. Il Circolo è l'unica possibilità per salvare il villaggio.»

Gregoir scosse la testa. «Mi dispiace. Ma non c'è nulla che possiamo fare per voi, né per Redcliffe, né per il Flagello. La situazione nella Torre è critica, e finché non arriverà il Diritto di Annullamento...»

«Il Diritto di Annullamento?!» Esclamò Alistair, allarmato.

«Cos'è?» Li interruppe Aenor. Dalle loro espressioni, sembrava una cosa grave.

«È ciò che dà ai templari l'autorità di neutralizzare il Circolo dei Maghi. In modo permanente.» Rispose il Comandante con tono greve. «Non è una decisione presa alla leggera, ci sono molti dei miei uomini ancora là dentro. Ma non c'è più nulla che possiamo fare, ormai.»

«Quindi la soluzione è radere al suolo questo posto?!» Ribattè Aenor, inorridita.

«La Torre è piena di Abomini e maghi del sangue, abbiamo perso già più di metà dei templari, non ho intenzione di perderne altri!» Dichiarò Gregoir. «Ho già mandato la richiesta a Denerim, entro un paio di giorni risolveremo questa faccenda, nell'unico modo possibile.»

«Ma abbiamo bisogno dei maghi!» Si oppose l'elfa. «E non possono essere morti tutti!»

«Come è possibile che abbiate perso il controllo della Torre?» Gli chiese Alistair.

«Qualche settimana fa, un mago del sangue è riuscito a scappare, aiutato da un altro, che abbiamo rinchiuso nelle prigioni in attesa di un processo, quando i maghi e i templari inviati ad Ostagar fossero tornati. Purtroppo, con il caos seguito alla battaglia e i pochi che sono tornati, la situazione ci è sfuggita di mano.» Spiegò il templare. «Giravano da tempo voci di alcuni maghi del sangue, ma non ci saremmo mai aspettati un gruppo così folto. Il Primo Incantatore ha indetto un'assemblea, per discutere della battaglia e dei provvedimenti da prendere contro il mago del sangue, ma non era neppure iniziato, che siamo stati sopraffatti da Abomini, incantesimi che volavano da entrambe le parti, io e i miei uomini proprio nel mezzo del putiferio. Non avevamo alcuna speranza. Sono a malapena riuscito a prendere una manciata di templari e chiudere le porte sigillandole dietro di noi, intrappolando tutte quelle creature all'interno.» Scosse la testa, affranto.

«Intrappolando gli abomini e con essi maghi e templari innocenti.» Commentò Alistair.

«Ormai, nessuno può essere sopravvissuto.» Ribattè Gregoir. «Non ci resta che attendere l'Annullamento.» Si voltò verso un templare, raggiungendolo e lasciando i due Custodi a decidere sul da farsi.

«Dobbiamo entrare lì dentro.» Disse Aenor. «Qualcuno di ancora vivo deve pur esserci.»

«L'hai sentito, no? Sarebbe un miracolo trovare qualcuno, e probabilmente sarebbe o posseduto o un mago del sangue.» Alistair si grattò la nuca, sospirando. «Non lo so, se hanno chiesto l'Annullamento...»

«Non dirmi che sei d'accordo con quello!»

L'altro la guardò sorpreso. «Da quando ti importa degli altri?»

«Non c'entra con quello che mi importa o meno, ci servono i maghi.» Rispose lei, sulla difensiva. «E pensi davvero che un mucchio di gente come Morrigan si sarebbe fatta ammazzare o possedere, senza provare a resistere?!»

«Credi davvero che ci siano dei sopravvissuti?»

Aenor si morse il labbro inferiore, abbassando lo sguardo su Falon, che li guardava con le orecchie basse. «Io vado dentro a controllare.» Dichiarò infine. «Tu fai come vuoi.»

Alistair rimase un attimo sorpreso, poi cedette. «Vorrà dire che andremo entrambi.» Si abbassò a dare una grattatina sul collo al mabari. «Non ti lascio entrare là da sola, e nonostante non sia un templare, ho qualche abilità che ci potrebbe tornare utile.»

«E se non dovessimo uscirne?»

Il ragazzo si strinse nelle spalle. «Magari l'Arcidemone deciderà di tornare a dormire.»

«L'arma segreta dei templari sono le pessime battute?»

«Dai, stavolta hai quasi riso.»

Tornarono da Gregoir. Non fu facile convincerlo a lasciarli entrare.

Aenor afferrò il Mabari, trattenendolo per la collottola. «No, Falon, tu resti qui.»

L'animale uggiolò, non volendo essere lasciato indietro.

«Niente storie.» Lo accarezzò dietro le orecchie. «Non stavolta.» Gli diede una pacca sul fianco, lasciandogli un ultimo pezzo di carne secca. Poi fece segno ai due templari di fronte alla grande porta di pietra, che spalancarono il passaggio.

«Non aprirò questa porta a meno di non sentire il Primo Incantatore in persona!» Ricordò loro Gregoir, mentre le porte si richiudevano dietro di loro, lasciandoli da soli ad affrontare qualsiasi cosa si celasse all'interno.



 

La prima cosa che li colpì, fu il puzzo dei cadaveri.

Percorsero un corridoio disseminato di corpi e detriti di vario genere, le armi in pugno. A rompere il silenzio, potevano udire dei rumori sinistri dal piano di sopra, ma le stanze intorno a loro erano deserte. Il corridoio finiva di fronte ad una porta di legno, chiusa.

Aenor appoggiò l'orecchio contro di essa, percependo all'interno come uno sciabordio d'acqua e delle voci agitate.

Fece segno ad Alistair di stare pronto, poi, insieme, sfondarono la porta con una spallata.

«Fermi lì!»

Una maga anziana stava puntando loro addosso il proprio bastone magico. I due Custodi strinsero le proprie armi, pronti a difendersi. Attorno a loro, una manciata di maghi adulti e qualche bambino.

La maga strizzò gli occhi, abbassando di poco il bastone. «Aspetta. Ti conosco. Eri ad Ostagar, vero?» Chiese ad Aenor.

L'elfa ci mise qualche secondo a ricordare. “La shem anziana che era vicino agli altri maghi, poco oltre i due templari all'accampamento.” «Sì. Siamo gli ultimi Custodi Grigi rimasti.»

«Siete maghi del sangue?» Chiese Alistair, pronto ad attaccare.

«Giovanotto. Credi che se lo fossimo non vi avremmo attaccato all'istante?» Rispose la maga, rilassandosi e riponendo il bastone dietro la schiena. «Come mai Gregoir vi ha fatto entrare?»

Aenor abbassò la propria arma. «Ha chiesto a Denerim il Diritto di Annullamento. L'abbiamo convinto a farci passare, sperando di trovare dei sopravvissuti. Abbiamo bisogno del vostro aiuto.»

«Arrivate tardi, mi dispiace dire. È molto probabile che noi siamo gli ultimi rimasti.»Lo sparuto gruppo sembrava provato. Indicò la porta dietro di sé, coperta da un incantesimo esteso su tutta la superficie, fonte dello sciabordio che Aenor aveva avvertito prima di entrare. «La barriera che ho posto a protezione di questa stanza si sta indebolendo nonostante i miei sforzi, e ho paura che tra non molto cadrà.»

«Dobbiamo raggiungere il Primo Incantatore. Solo così possiamo convincere Gregoir a riaprire le porte d'uscita.» Spiegò Aenor. «Qualcuno deve essere ancora vivo là sopra.»

«Vivo, magari, ma probabilmente posseduto.» Ribattè la maga. «Ma hai ragione, non possiamo perdere le speranze. Ora che siete arrivati, possiamo cercare di trovare dei sopravvissuti, e nel frattempo ripulire la torre da tutti i demoni che la infestano.»

«E loro?» Chiese Alistair, indicando i bambini. «Se fate cadere la barriera per farci passare, gli abomini avranno facile accesso a questo posto.»

«Vorrà dire che dovremo eliminare tutti quelli che incontreremo, così che non possano arrivarci.» La maga sembrava determinata. «Sono Wynne, comunque.»

I Custodi si presentarono a loro volta.

Wynne si volse verso la barriera che teneva sigillata la porta, agitando il bastone magico e facendola esplodere in una nuvola di fumo azzurro.

Le armi in pugno, si addentrarono nella stanza successiva.

Era un enorme biblioteca, con scaffali alti e ricolmi di libri. “Non pensavo potessero esistere tutti questi libri in un posto solo...” Pensò Aenor mentre si facevano strada tra le pile di carta e tavoli rovesciati, attenti a non fare troppo rumore.

Un respiro rantolante e strascicato proveniva da dietro l'angolo. L'elfa si affacciò con cautela: una creatura dalla forma umanoide, con testa e spalle più grandi del normale, come se fossero state fuse assieme, l'aspetto deforme e mostruoso, si stagliava sopra la sagoma di un templare morto.

L'elfa si ritirò dietro lo scaffale. Alistair le fece segno di seguirlo, e i due si lanciarono alla carica. Wynne lanciò un paio incantesimi di supporto e, per quanto l'abominio fosse orrendo e disgustoso, se ne liberarono in fretta. Anche i demoni, a quanto pareva, morivano con una lama ben piantata in petto. Subito ne spuntarono altri, che fecero la stessa fine. Erano veloci, e cercavano di azzannare e graffiare, non sembravano però in grado di usare la magia.

Superarono altri scaffali, quando un mostro fiammeggiante spuntò dal nulla.

«Fenedhis lasa!» Esclamò Aenor, terrorizzata. Fece un balzo indietro, per evitare una palla di fuoco lanciata dalla creatura.

Una barriera di ghiaccio si parò tra lei e il demone, dandole tempo di riprendersi. Wynne recitò un incantesimo breve, e i due guerrieri sentirono le proprie armi farsi più fredde, mentre le lame venivano ricoperte di ghiaccio. «Attaccate, ora!» Li spronò la maga.

Senza farselo ripetere, aggirarono la barriera e colpirono il mostro ai fianchi, affondando le spade nelle fiamme. La creatura si dissolse in una nuvola di vapore bollente, che li costrinse ad indietreggiare in fretta per evitare di ustionarsi. Fortunatamente, Wynne aveva lanciato su di loro una protezione contro le ferite minori.

«Quando muoiono, tendono ad esplodere.» Spiegò loro la maga. «Dovete scansarvi in tempo.»

«Affascinanti.» Commentò Alistair. Aenor rabbrividì, ma si costrinse a farsi coraggio e proseguire. Non si poteva più tornare indietro.


 

Affrontarono altri abomini e demoni, la maggior parte di essi fortunatamente non si rivelò troppo difficile da sconfiggere. Quando i due Custodi si ferivano, Wynne accorreva prontamente a rimetterli in sesto con un incantesimo di guarigione. Così facendo, riuscirono a superare l'immensa biblioteca.

Salite le scale che conducevano al piano superiore, si ritrovarono in una grande sala, completamente sgombra. Si avviarono verso il fondo della sala, quando l'elfa si accorse della presenza di qualcuno. Un respiro calmo, regolare, proveniente da dietro una colonna. Si diresse verso di esso, pronta a colpire, ma trovò un mago seduto a terra, lo sguardo vacuo.

Quello, accortosi della loro presenza, si alzò in piedi, scrutandoli con la massima calma.

«Vi prego di non entrare nel magazzino.» Disse. «È attualmente in uno stato non consono ad essere visitato, e non ho ancora potuto sistemarlo.»

«Owain!» Lo riconobbe Wynne. «Cosa ci fai ancora qui?»

«Ho provato ad andarmene, ma ho incontrato una barriera. Quindi sono tornato qui, ad occuparmi del magazzino, com'è mio dovere.»

«Avresti dovuto chiamarci, ti avrei aperto la porta!» Ribattè la maga.

L'altro rimase impassibile. «Il magazzino mi è familiare. Preferisco rimanere qui. Preferirei non morire. Preferirei che Niall avesse successo, e che ci salvasse tutti.»

«Chi?» Gli domandò Aenor. «E a fare cosa?»

«Niall. Lui e altri sono venuti a prendere la Litania di Adralla.»

Wynne annuì. «Per proteggersi dal controllo della mente. Capisco. Tutto questo è opera dei maghi del sangue. Jowan non era il solo, evidentemente.»

«Non hai visto cosa è successo?» Le chiese l'elfa.

«Non ero all'assemblea. Pochi di coloro che vi hanno partecipato sono riusciti ad uscirne. Niall era tra loro. Dobbiamo trovarlo.»

“Magia del sangue...” Sapeva per certo che Merrill utilizzava quel tipo di magia in alcuni dei suoi incantesimi, ma non era mai stata un pericolo per il resto del Clan. Nel Tevinter era però risaputo che fosse il tipo di magia predominante, e i Magister la usavano per uccidere, schiavizzare e dominare su tutto il paese. Era comprensibile che tutti ne avessero paura.

In una delle stanze, trovarono tre maghi, che usarono la magia del sangue per attaccarli. Alistair si parò di fronte ad Aenor, frapponendosi tra lei e i maghi. Quelli si immobilizzarono, guardando straniti i propri bastoni, che improvvisamente avevano smesso di brillare. Senza dargli tempo di riprendersi, il ragazzo ne buttò a terra uno con lo scudo, ferendo il secondo. Aenor trafisse il terzo in pieno petto, finendo quello a terra.

L'ultimo mago rimasto, una ragazza che doveva avere solo qualche anno più di loro, li pregò di risparmiarla, tenendosi il fianco ferito, le vesti già inzuppate di sangue.

«Perchè dovremmo?» Le chiese Aenor, sollevando la spada, pronta a darle il colpo di grazia.

«Vi prego!» Gemette l'altra, in preda al dolore. «So che non ne ho il diritto, ma risparmiatemi. Non volevamo tutto questo, cercavamo solo di essere liberi!»

L'elfa si fermò, colpita da quelle parole. Se fosse stata nella loro situazione, avrebbe fatto lo stesso, realizzò. Non importava con quale mezzo.

Abbassò la lama, appoggiando la punta a terra. «Proseguiamo.» Ordinò agli altri, lasciando la maga a terra, sorpresa di essere stata risparmiata. Ignorò le proteste di Alistair e Wynne.

 

Superarono altre stanze, venendo attaccati da altri demoni, abomini e parecchi cadaveri. Riuscirono in qualche modo a sconfiggerli tutti.

Si presero una pausa per raccogliere le forze, chiudendosi in una stanza. Un cadavere giaceva riverso sul pavimento. Mentre Wynne si occupava delle loro ferite, Aenor notò che il corpo a terra presentava solo una ferita alla gola, precisa ma troppo piccola per essere stata fatta da una delle spade dei templari. Si avvicinò per esaminarlo meglio. Era un mago, gli occhi sbarrati e le mani inzuppate dello stesso sangue che gli macchiava le vesti.

«Aenor?» La chiamò Alistair. «Che stai facendo?»

«Questo qui non è stato ucciso né da un templare né da un demone. Forse un mago del sangue...-»

«Non scherziamo!» La interruppe una voce. «Quei culi secchi in vestitino non avrebbero fatto un lavoro così pulito.»

Si girarono di scatto. Dall'armadio, ora aperto, emerse una figura. Era bassa e tozza, con una massa di capelli rossi, sporchi e spettinati. Il naso doveva essere stato rotto più volte, e sulla pelle spiccavano parecchie cicatrici, alcune più recenti di altre. Aveva un vistoso tatuaggio sulla guancia.

La nana li guardò sogghignando, due pugnali stretti nelle mani. «Meno male che c'è qualcun altro oltre a quei mostri.» Continuò. «Anche se non so quanto ci state con la testa, se siete ancora qui.»

«Cosa ci fa un nano qua dentro?!» Esclamarono gli altri tre, allarmati.

Quella sbuffò sonoramente. «Il peggiore affare della mia vita, a quanto pare. Il Carta mi ha spedito qui per contrabbandare del Lyrium a qualche templare dipendente, ma poi è scoppiato tutto questo bordello e mi sono dovuta nascondere là dentro per evitare di essere fatta a pezzi da quei cosi.» Rispose, indicando l'armadio dietro di sé. «Voi due, piuttosto, non sembrate dei maghi.»

Aenor scosse la testa. «Siamo qui per aiutare.»

«Dovete essere più scemi di quello che sembrate, allora.»

«Come hai fatto ad entrare?» La interruppe Wynne. «Nessuno può arrivare fin qui senza il permesso del Comandante Gregoir...»

La nana scoppiò a ridere sonoramente. «Dovete decisamente rivedere il vostro sistema di sicurezza. Quei templari non si accorgerebbero di un bronto nella sala da pranzo, nemmeno se gli scorreggiasse in faccia.» Lanciò in aria uno dei due coltelli, riacciuffandolo con abilità. «Allora, che avete intenzione di fare? Perché in quell'armadio si stava piuttosto stretti.»

«Strano, non devi occupare molto spazio.» Commentò Aenor.

L'altra le schioccò un'occhiataccia. «Oh, una battuta sull'altezza. Che originalità. Sperate di eliminare tutti quei mostri a colpi di insulti?»

Alistair ridacchiò. «Più o meno è il nostro piano per tutto.»

«Beh, io del Lyrium da vendere, e qui nessuno vuole più comprarlo.» La nana grugnì, indicando lo zaino che portava in spalla. «Mica avete novanta sovrane a portata di mano?»

«Lyrium?» Si illuminò Aenor. «Per il rituale di Connor ci serviva parecchio lyrium, no?»

«Hei, ottimo!» Esclamò la nana, battendosi una mano sulla coscia. «Fuori i soldi, prima.»

«Credi davvero che abbiamo novanta sovrane nella borsa?» Le chiese Alistair, allibito.

La nana scosse la testa, sbuffando. «Niente soldi, niente lyrium. Devo pur campare, no?»

«Aiutaci a risolvere questo disastro, accompagnaci fino a Redcliffe e ti pagheranno quello che vuoi.» Le propose l'elfa. «Oppure puoi rinchiuderti di nuovo nell'armadio e sperare per il meglio.»

L'altra sembrò considerare le proprie opzioni. «D'accordo. Ma il prezzo è appena raddoppiato. Per il disturbo. E vi conviene non prendermi per il culo.» Fece roteare di nuovo in aria il coltello.










Note dell'Autrice: eccomi con un altro capitolo. 
Spero che Brosca vi piaccia, perchè il prossimo capitolo è tutto suo! 

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Capitolo 12
*** Kinloch Hold II ***


CAPITOLO DODICI: KINLOCH HOLD II



 



«Sono arrivati i soldi da Orzammar, capo.»

Natia si voltò svogliatamente verso il nano, che procedeva a testa bassa verso di lei, attraversando la grande sala del palazzo. «Gli affari vanno a gonfie vele da quando gestisci tu il Carta, capo.»

“Capo”. La ragazza assaporò quelle parole, mentre beveva a grandi sorsi da un boccale di pregiata birra al miele, seduta ad un elegante tavolo di pietra.

Leske fece capolino dalla porta, un vassoio di carne profumata tra le braccia. «Tua sorella manda i suoi saluti, e quelli del nipotino.» La raggiunse, sedendosi di fianco a lei.

«Non ti manca Orzammar?» Gli chiese Natia, prendendo un po' di cibo. «E mia sorella, non puoi più vederla, qui in superficie.»

L'altro bevve un po' della sua birra, appoggiandosi allo schienale della sedia e sospirando appagato. «Cosa me ne frega di tua sorella, quando abbiamo più soldi di quanto riusciamo a contarne?» Le poggiò una mano sulla coscia. «E poi, ci sei tu qui, Salroka. Molto meglio di Rica.»

«Sì, come no...» Bevve il resto della birra, ignorandolo e portando la sua attenzione sulla stanza. Qualcosa non andava. La birra era troppo dolce, la carne avrebbe dovuto essere migliore di così, invece sembrava la solita sbobba. E la stanza sembrava un miscuglio tra una catapecchia di legno a Denerim e il palazzo di Beraht in pietra giù ad Orzammar. L'arredamento era pomposo e inutile, con statue di ogni tipo raffiguranti gli Antenati e i cani del Ferelden, ricoperti di oro e pietre preziose.

“Che spreco.” Pensò. Afferrò un pezzo di carne, mettendoselo in bocca. Sapeva di nug vecchio.

«Il contrabbando di Lyrium alla Torre è in ascesa, con tutti quei templari. E anche gli affari con Le Marche Libere vanno alla grande.» Continuò il nano che era entrato prima. Aveva estratto una pergamena e cominciato ad elencare numeri su numeri, tributi di tutti i distaccamenti del Carta nelle varie parti del Thedas.

“La Torre dei Maghi... Non era successo qualcosa?” Un flash di una creatura di fuoco le balenò in mente, facendola sobbalzare e versarsi addosso un po' di birra.

«Salroka.» La interruppe Leske, riportando la mano sulla sua gamba e facendola scorrere verso l'alto, con fare lascivo. «Che ne dici di lasciare perdere questi noiosi elenchi di denaro e darci a qualcosa di più interessante...?» Le chiese allusivo.

Lei si alzò in piedi di scatto, allontanandosi. “Da quando Leske trova i soldi noiosi? E cosa sta...”

«Salroka, che ti prende?» Cercò di calmarla lui. «Stavo solo pensando che sei bellissima, stasera.»

«Oh.» La verità la colpì in faccia come una pietra. «Niente di tutto questo è reale.» Si girò verso la parete di roccia, appoggiando la mano su di essa. Niente. Il suo senso della pietra le confermava che quella non era vera roccia.

«Natia...»

«Stà zitto, Leske.» Ordinò lei. «Come sono finita qui?»

«Diventando il capo del Carta, ovviamente!»

La ragazza estrasse i coltelli dalla cintura. Erano i suoi soliti pugnali, rozzi, affilati e segnati da innumerevoli scontri. «Credo me ne ricorderei, se avessi fatto una montagna di soldi. E invece, nulla.» Si lanciò contro la cosa che faceva finta di essere Leske, cogliendola di sorpresa e infilzandola al petto con entrambi i pugnali. «E nessuno mi chiamerebbe mai “bellissima”.»

La creatura cadde a terra con un gemito. L'altro nano le si lanciò addosso, ma fu uno scontro breve.

«Allora, come esco da qui?» Si chiese a voce alta Natia, guardandosi attorno e grattandosi il capo.

Uno strano piedistallo si ergeva sul fondo della stanza, accanto ad una grande arcata di quella che non era pietra. Si avvicinò ad esso. Sembrava sfrigolare. Lo toccò.

Sentì come uno strappo all'altezza della vita, mentre la stanza attorno a lei roteava vertiginosamente. Chiuse gli occhi, sforzandosi di non vomitare. In un attimo, era di nuovo ferma. Riaprì le palpebre.

Il paesaggio attorno a lei era offuscato, colonne e alberi si ergevano senza un senso logico da tutte le parti, a volte a testa in giù, a volte senza quasi poggiare sul terreno. Il pavimento era terra, ma non le dava la giusta sensazione. Poco distante, una figura vestita da mago la salutò con la mano.

«Chi sei?» Le chiese, una volta che lei si fu avvicinata.

«Qualcuno che vuole uscire da qui.» Rispose, i coltelli ancora stretti in mano nel caso quello decidesse di attaccarla. Con quei maghi, non si poteva mai sapere.

«Ah. È la tua prima volta nell'Oblio, immagino. I nani non sognano, non possiedono alcuna capacità magica. Forse è per questo che sei riuscita a liberarti prima dei tuoi compagni.»

«Niente di quello che hai appena detto ha senso.»

Il mago scosse la testa. «Scusa. Sono Niall. Sei caduta nel tranello del Demone della Pigrizia, come è successo ai tuoi compagni e a me. Il Demone intrappola tutti coloro che incontra, in modo che non possano, o non vogliano, liberarsi dall'illusione che lui costruisce loro attorno. Sei stata brava.»

«Non era molto realistico.» “Magari fosse stato tutto vero...” Pensò Natia.

«Ero convinto di esserne uscito anche io, ma mi sono ritrovato a girovagare per questo posto, senza riuscire ad andarmene.»

«Beh, io non ho intenzione di restarmene qui con le mani in mano.» Ribattè lei, risoluta. «Deve esserci un modo per uscire da questo posto.»

«Siamo nell'Oblio, il mondo oltre al Velo. Il posto abitato dai demoni. È praticamente impossibile.»

«I mostri che ho incontrato finora sono morti come chiunque altro.» Strinse i coltelli. «E noi nani siamo resistenti a tutte queste stronzate magiche.»

«In tal caso, ti dirò quello che ho scoperto. Vedi quel piedistallo, da cui sei arrivata?»

Natia annuì.

«Ne ho studiato le rune. Ognuna di esse rappresenta una delle isole del mondo creato dal Demone della Pigrizia. Lui stesso si trova nell'isola al centro, ma non puoi arrivarci finchè non avrai rimosso la barriera che si erge grazie alle isole tutt'attorno ad essa, e sconfitto i guardiani. E ci sono innumerevoli ostacoli che rendono impossibile il passaggio, fino a farti impazzire. Alcune volte, occorrerà attraversare portali come quello, per proseguire.» Indicò una macchia violacea e luminescente poco distante.

Alla ragazza girava la testa. «Isole, portali, guardiani, barriera, demone. Beh, se riesco a capirci qualcosa, tornerò a prenderti.»

«Un'ultima cosa!» La fermò Niall. «Ci sono altri sognatori, intrappolati tra le isole. Alcuni possono essere i tuoi compagni, altri si credono animali o creature diverse. Potrebbero darti una mano, se li incontri.»

«Sicuro, volevo tanto conversare con un bronto.» Borbottò la nana, dirigendosi verso il portale e attraversandolo. La vista le si oscurò per un attimo.

Il paesaggio era lo stesso del precedente. Camminò per un poco, vagando sperduta tra le collinette tutte uguali. Incontrò una delle creature fiammeggianti, ma riuscì a cavarsela. Quella esplose in una nuvola di fumo e scintille, rivelando un piccolo topo marrone, il muso alzato verso di lei.

«Grazie mille, ma per me è troppo tardi.» Disse l'animale.

Natia fece un salto indietro, allarmata. «Parli?!»

«E posso aiutarti. Uccidi Yevena, il demone che controlla questo posto. Prendi il mio potere, e salva gli altri rimasti intrappolati...»

«Che stai-?» Prima che potesse chiedere spiegazioni sul potere del topo, esso stramazzò a terra. «Fantastico.» Borbottò Natia, colpendolo leggermente col piede per verificare se fosse davvero morto. Appena la punta dello stivale toccò la pelliccia dell'animale, sentì una fitta allo stomaco.

“Per la Pietra!” Imprecò, scuotendo la testa. Una nuvola di fumo era comparsa dal nulla, facendola tossire. Doveva essere caduta a terra, perchè... Era troppo bassa. Decisamente bassa. Cercò di alzarsi in piedi, ma riuscì solo a sollevarsi di pochi centimetri. Mise a fuoco naso peloso, i baffi che vibravano frenetici. Sentiva le orecchie muoversi a captare ogni rumore, i peli ritti su tutto il corpo. Abbassò lo sguardo su un paio di zampine rosa, coperte di pelliccia rossiccia. Sentiva qualcosa muoversi e solleticarle la schiena.

“Oh, merda. È una coda quella?”

Mosse qualche passo incerto, tentando di guardarsi. Era un fottuto topo. Voleva urlare, ma riuscì ad emettere solo qualche squittio irritato. “Odio i maghi!”

Accanto a lei, un tunnel, della grandezza sufficiente a far passare un roditore di piccole dimensioni.



 

Andava sempre peggio. Era appena riuscita in qualche modo a capire come trasformarsi in topo e tornare normale senza troppe difficoltà, che un altro di quei pazzi le aveva dato fuoco.

Letteralmente.

Si ritrovò a correre in circolo, tentando di spegnere le fiamme che la avvolgevano interamente, bruciandola, il dolore che... “Hei, aspetta. Perchè non sento niente?”

Fermò la sua corsa, guardandosi le mani. Abbassò lo sguardo, girandosi su sé stessa. “Quel tipo aveva ragione. Sto completamente impazzendo.” Era completamente in fiamme, ma sembrava non farle alcun male.

Una creatura orrenda spalancò la porta accanto a lei, facendola sobbalzare. Alzò le mani per difendersi, non trovando i suoi coltelli...

Una palla di fuoco si schiantò contro il mostro, riducendolo in cenere. Sorpresa, si guardò nuovamente le mani, puntandole davanti a sé, come aveva visto fare ai maghi nella torre. Di nuovo, le fiamme che la avvolgevano si concentrarono vorticando attorno alle sue dita. Fece per spingerle via, facendo sì che la sfera di fuoco si schiantasse sulla parete vicina, esplodendo.

“Ora sì che si ragiona...” Pensò con un ghigno.

 


 

Il demone giaceva a terra, mezzo bruciacchiato e senza vita.

Natia si passò una mano sulla fronte, sudata. L'intera isola andava a fuoco. Le ricordava alcuni passaggi sotterranei ad Orzammar, quelli che passavano vicino alle colate di lava.

Scrocchiò il collo, muovendo la testa a destra e a sinistra. Tutte quelle trasformazioni la stavano distruggendo. Guardò il cadavere a terra. Ora non doveva far altro che trovare gli altri bloccati sulle isole minori, rappresentate dalle piccole rune ai lati del piedistallo, collegate alle rune più grandi che corrispondevano alle isole delle quali aveva appena sconfitto l'ultimo guardiano.

Ne afferrò una a caso, sentendo l'ormai familiare strappo alle viscere, chiudendo gli occhi. Un paio di volte aveva vomitato. Poi non è che proprio ci avesse fatto l'abitudine, ma almeno aveva imparato a tenere a bada lo stomaco. Oppure, più probabile, non aveva più nulla da rimettere.

Mise a fuoco il posto dove si trovava.

Era pieno di alberi, dall'aspetto minaccioso e terrificante. Rami carichi di foglie pendevano dappertutto, il terreno era coperto d'erba e radici, mentre dal nulla si alzavano fischi e ronzii.

Deglutì, rimpiangendo la torre in fiamme mentre proseguiva incerta tra la foresta.

Sentì delle voci ridacchiare, e ne seguì la provenienza fino ad una piccola radura. Quattro persone era radunato attorno ad un falò. Avvicinandosi, notò che erano elfi.

«Hei, tu, da dove arrivi?» Le chiese uno di loro, i capelli biondi che incorniciavano il viso delicato, sul quale spiccava un elaborato tatuaggio.

La ragazza che gli sedeva accanto, il capo appoggiato sulla sua spalla, aprì gli occhi.

Natia la riconobbe subito. «Ma certo, sei tu l'elfa che mi deve portare a Redcliffe!»

L'altra la guardò come se non capisse. «Redcliffe? Perchè dovrei tornare nel Ferelden?»

«Non starla a sentire, probabilmente si è persa e farnetica.» Si intromise l'elfo biondo.

«Sì, non c'è alcun motivo di andarsene da questa meravigliosa foresta.» Prese parola un'altra elfa, la quale portava un bastone magico sulle spalle. «Il Ferelden era un posto orribile, vero Tamlen?»

Il biondo annuì, stringendo a sé la compagna.

Natia ne aveva abbastanza. Si diresse verso di loro, corrucciata. «Ora basta, tutto questo non è reale, non te ne accorgi?» Afferrò per le spalle la Custode, scuotendola con violenza. «Muoviti e andiamocene da qui!»

Quella si divincolò con uno strattone, spingendola via. I compagni si alzarono in piedi, fronteggiando Natia, le armi in pugno.

La nana scosse la testa. «Non mi lasci altra scelta...»

Cominciò a crescere vertiginosamente, la pelle che si trasformava in pietra, gonfiandosi e superando gli elfi di almeno un paio di metri. Prese a ceffoni la maga, spedendola a terra prima che potesse lanciarle un incantesimo. Sentì le ossa sfracellarsi, mentre passava al successivo, un elfo che le si scaraventò addosso munito di spada e scudo. Senza farsi praticamente un graffio, lo afferrò per un braccio, facendolo volare oltre il falò e schiantarsi al limitare della radura. Quello non si rialzò.

Si girò a fronteggiare l'ultimo rimasto, pronta a tirargli un possente pugno, quando la Custode le si parò davanti, frapponendosi tra loro. «Ferma!»

«Spostati.» Le intimò Natia, la voce che usciva cavernosa e profonda.

«Toccalo e ti uccido!» La minacciò l'altra, la voce che tradiva il panico.

Natia sbuffò sonoramente. Afferò la spada che l'elfa le stava puntando addosso, strappandogliela di mano e lanciandola lontano. Poi, senza pensarci due volte, la spinse da parte, alzandola di peso e buttandola a terra. Quella rotolò su un fianco con un gemito, cercando di rimettersi in piedi.

Senza darle il tempo, Natia chiuse la mano, colpendo con un pugno granitico l'ultimo elfo, centrandolo in pieno petto.

«No! Tamlen!» Sentì l'altra gridare. Si rimise in piedi barcollando, guardandola con odio.

Si girò, ricambiando lo sguardo, impassibile. «Mi hai promesso dei soldi, e se devo prenderti a ceffoni per farti uscire da qui, non ho alcun problema nel farlo.» Prima che potesse raggiungerla, però, quella sparì in una nuvola di fumo.

“Le è andata bene.” Pensò Natia tornando alla sua normale forma nanica, mentre accanto a lei compariva un portale violaceo. Lo attraversò senza esitare, venendo trasportata accanto ad un altro piedistallo. Toccò un'altra runa.

Si ritrovò all'interno di un edificio. Illuminate soltanto dalle candele, che pendevano dal soffitto in giganteschi lampadari o poggiavano sui tavoli in elaborati candelabri, le stanze erano quasi interamente ricoperte di scaffali ricolmi di libri, riposti ordinatamente. Alcuni tomi giacevano aperti sopra dei tavolini di legno, affiancati da cataste di carta piena di annotazioni e disegni ordinati.

L'aria sapeva di cera e altri odori che Natia non riuscì ad identificare. Le girava la testa.

Proseguì superando altre due stanze, uguali alle precedenti, fino a ritrovarsi davanti ad una porta chiusa, in legno dorato. Dall'interno provenivano dei rumori.

Si appoggiò ad essa, premendo l'orecchio sul legno.

Qualcuno stava ansimando pesantemente. Sentì chiaramente due voci distinte, roche e nettamente maschili. “Uh-oh. Ci stanno dando dentro.”

Si alzò sulle punte, sbirciando dalla serratura. La curiosità era troppo forte.

Nonostante la luce fioca delle candele, la sua vista abituata all'assenza del Sole le fornì un panorama abbastanza dettagliato di quello che stava succedendo là dentro.

Due umani giacevano avvinghiati su un letto. Quello più alto, dai lunghi capelli rossi intrecciati e la barba lunga sfatta, premeva il compagno contro il cuscino, tenendolo saldamente sotto di sé, una mano tra i capelli mori dell'amante, l'altra a stringergli il fianco.

Brosca deglutì a vuoto, costringendosi ad allontanarsi dalla porta.

“Cazzo. Da quant'è che non faccio un po' di movimento?” Si chiese, la temperatura della stanza che sembrava essersi alzata improvvisamente. Inspirò profondamente. Che doveva fare, sfondare la porta e...? Sembrava terribilmente egoista e sgarbato. Inoltre, non aveva idea di chi fossero. Magari erano demoni che sapevano come divertirsi...

Scosse la testa. Uno dei due era chiaramente rimasto intrappolato lì dal Demone della Pigrizia, come l'elfa di prima e lei stessa.

“Forse avrei dovuto accettare la proposta del finto Leske.” Con una punta di invidia, afferrò una sedia e ci si appollaiò sopra con qualche difficoltà. Due bicchieri di vino erano posati sul tavolino di fronte a lei, una caraffa accanto ad essi.

Nell'altra stanza, i due non accennavano a smettere.

Sbuffò, riempendosi generosamente il bicchiere. Era dolciastro, non assomigliava a nulla che aveva mai assaggiato prima d'ora. Si concentrò sul vino, cercando di ignorare il resto.

Quando la porta si aprì di scatto, era ormai agli ultimi sorsi del terzo bicchiere.

L'uomo dai capelli rossi stava cercando di rassettarsi la tunica, strappata e insanguinata in più punti. Accortosi di lei, si fermò sorpreso. «Oh. Non sapevo ci fosse qualcun altro.»

Natia lo fissò divertita. «Intendi oltre al demone che ti stavi martellando?»

L'uomo ignorò il commento, prendendo l'altro bicchiere e versandosi tre dita di vino, che bevve lentamente. «Dovremmo andare.»

«E il demone?»

«Me ne sono occupato.» Appoggiò il bicchiere ormai vuoto sul tavolo. «Non sapevo ci fossero dei nani, nella torre. Come sei entrata?»

«C'è un piccolo tunnel, dietro al magazzino. Non si vede, se non si sa dove cercare.» Rispose lei, vantandosi. «Non serve usare la magia, è una porta meccanica che si apre dietro ad una libreria, attraverso un varco nel muro. Porta direttamente al molo sotto la torre.»

«Interessante.»

Se il mago pensava di andarsene dalla torre così facilmente, aveva una brutta notizia da dargli. «Ovviamente, devi essere abbastanza piccolo per passare dal tunnel, e infilarti in una delle casse dei rifornimenti ed essere trasportato sul lago dal barcaiolo assieme al resto delle provviste settimanali...»

«Capisco. Beh, dovrò trovare un altro modo per andarmene, allora.» Commentò l'altro, senza battere ciglio. Finì di abbottonarsi le vesti.

La nana lo guardò di sottecchi. «Quindi, sapevi dall'inizio che non era...?»

Il mago annuì.

«E non ti sei fatto alcun problema?»

L'uomo alzò un sopracciglio. «Fino a che punto ti sei goduta lo spettacolo, esattamente?»

«Abbastanza. Come ci sei finito qua dentro?» Gli chiese, sviando il discorso.

«Intrappolato come tutti gli altri. Ero nella torre, quando è scoppiato questo caos.» Il mago indicò un portale violetto che si era aperto davanti a loro. «L'uscita.»

«Ne ho attraversati talmente tanti oggi che non è proprio il caso di spiegarmelo, spilungone.»

«Ah. Quindi immagino tu sappia tutto riguardo l'Oblio e il movimento all'interno di una dimensione diversa da quella a cui siamo abituati, con leggi e-»

«So trasformarmi in un golem di pietra e prenderti a pugni, sai?»

Il mago ridacchiò. «D'accordo, fai strada.»

Attraversarono il portale, comparendo a fianco del piedistallo di prima.

«Ecco, ora dobbiamo solo scegliere una delle rune.» Gli spiegò Natia.

«Lo vedo. Ogni runa rappresenta un'isola nello spazio creato dal Demone. Tutti i collegamenti sono ora aperti...» Si interruppe, guardandola ammirato. «Hai davvero sconfitto tutti i guardiani?»

Natia gonfiò il petto, facendo roteare in aria uno dei coltelli e riafferrandolo al volo. «Ovvio. Se aspettavo che gente come te finisse di farsi gli affari propri...»

«Complimenti. Anche se deve essere dovuto in parte alla naturale resistenza alla magia della tua razza. Un nano nell'Oblio, succede estremamente di rado.»

“Niente male per una senzacasta, eh?” Pensò Natia, un ghigno tronfio stampato in faccia.

«Dobbiamo liberare anche gli altri.» La fermò il mago prima che lei potesse toccare la runa centrale. «Niall deve essere su una delle isole minori...»

«Niall?» Se lo ricordava, il mago che aveva incontrato all'inizio! «L'ho visto, mi ha spiegato lui come muovermi con i portali.» Toccò una delle rune, che li trasportò all'istante.

«Geralt?!» Esclamò sorpreso quello, vedendoli comparire. «Non... Come hai fatto a finire qui?»

«Beh, ero esattamente al centro del macello quando Uldred e i suoi hanno deciso di massacrare tutti. Sono riuscito a sgusciare via dopo che quel pazzo di Surana ha centrato uno dei Templari con una palla di fuoco. Non mi sono fermato finchè non ho trovato una stanza dove barricarmi. L'idea era di sfruttare la situazione per uscire dalla Torre, ma Owain mi ha riferito che avevano chiuso le porte esterne con una barriera magica.» Spiegò il mago dai capelli rossi. «Mi ha anche detto della tua missione per fermare tutti con la Litania di Adralla, quindi ho cercato di raggiungerti prima che facessi qualche scemenza. Ho fallito, evidentemente. Appena sono entrato nella sala il Demone della Pigrizia mi ha steso.»

“Non è l'unico ad averti steso...” Pensò Natia, trattenendo una risata.

«Scemenza?! Come se fossi stato io a cominciare tutto!» Gridò Niall, offeso.

«Vedo che pensi ancora che i templari abbiano ragione a tenerci qui dentro...»

«Quello che è successo ne è la prova!» Alzò la voce l'altro. «Quante persone devono ancora morire per causa nostra?!»

«Hanno forzato loro la mano.» Ribattè Geralt, gelido. «In ogni caso, non è il luogo adatto per discuterne. Dobbiamo affrontare il Demone della Pigrizia e andarcene da qui.»

Niall si fece, se possibile, ancora più pallido. «Non credo mi sia possibile.»

«Hei, qualsiasi cosa sia, ne potete parlare dopo!» Si intromise Natia. «Niall, possiamo farcela.»

Il mago rimase in silenzio, lo sguardo puntato su Geralt.

L'altro sospirò. «Da quanto sei qui?»

«Abbastanza da sapere di non poter più rientrare nel mio corpo.»

«Dannazione!» Sbottò Geralt, una scintilla magica che si sprigionò dal pugno chiuso. «Non potevi evitare di fare l'eroe?!»

«Senti chi parla...»

«Sono serio, Niall. Prima Anders, poi Jowan... sono stanco di perdere i miei amici.» Alzò lo sguardo, puntandolo sul cielo innaturalmente verdognolo.

«Mi dispiace. Pensavo di poter sistemare tutto. Almeno, tu hai una possibilità di uscire da qui.» Niall strinse il braccio dell'amico, costringendolo a guardarlo negli occhi. «Hei. Devi ancora trovare Jowan, no? Non puoi arrenderti così.»

«Ormai sarà nel Tevinter.»

«Beh, tu trovalo, e digli che è stato il peggiore stupido che mi sia capitato di incontrare.»

«Peggio di Surana?»

«Molto peggio. Ora andate, prima che sia troppo tardi anche per voi.» Gli diede una pacca sulla spalla, in segno d'incoraggiamento. «È passata prima un'elfa, sembrava furiosa. Le ho spiegato come muoversi tra le isole, e sembra che abbia liberato gli altri due intrappolati qui...»

Natia rimase sorpresa. «Oh. Quell'elfa.» “Essere presa a sberle deve averle fatto bene.”

I due maghi si strinsero la mano, un'ultima volta. Poi, Natia e Geralt si avvicinarono al piedistallo.




Vennero trasportati nel bel mezzo di un putiferio.

«Ce ne hai messo di tempo!» Le ringhiò contro l'elfa, parando con la spada il colpo di una creatura tutta bitorzoli, che doveva essere il Demone della Pigrizia.

“Senti chi parla...” voleva rispondere Natia, ma stava già cambiando forma.

Gli altri quattro guardarono sbalorditi la nana trasformarsi in un enorme Golem di pietra, caricando poi di peso il demone. Combinando le loro abilità, riuscirono ben presto a sopraffarlo.

Con un ultimo strattone alle budella, tornarono nel mondo reale, nella grande sala della Torre.

«Ugh.» Si lamentò Natia, seduta a terra a massaggiarsi le tempie. «Ne ho avuto abbastanza.» L'odore pungente del demone era ovunque.

Individuò Geralt chino sul corpo di Niall. Aveva un rotolo di pergamena in mano.

«Allontanati subito!» Urlò la maga anziana, il bastone puntato verso di lui. «Mago del Sangue!»

Gli altri due saltarono subito in piedi, le armi in pugno.

«Fermi!» Gridò loro Natia, rimettendosi faticosamente in piedi.

«Stanne fuori, contrabbandiera, sono affari del circolo!» Le intimò la vecchia, lanciando un incantesimo contro l'altro mago.

Geralt lo evitò per un soffio, lanciandosi dietro una colonna e nel contempo evocando una piccola barriera luminescente attorno a sé. «Non posso dire di essere lieto di vederti, Wynne!»

L'altra non perse tempo, roteando di nuovo il bastone sopra la testa.

Natia cercò di fermarla, lanciandosi contro di lei, ma era troppo lontana. «Aspetta!»

«Wynne, no!» Esclamò l'elfa, voltandosi su sé stessa e parandosi di fronte alla maga. «Prima spiegaci cosa sta succedendo. Ci ha aiutato, contro il demone, quindi perchè...?»

La maga non abbassò la propria arma, limitandosi a fermare l'incantesimo. «Tutto quanto è iniziato per colpa sua. È un mago del sangue, e doveva essere processato davanti ad un'Assemblea. Ma i suoi compagni hanno scatenato un esercito di demoni nella torre, permettendogli di fuggire.» Lanciò uno sguardo furente alla colonna dietro la quale era nascosto il mago. «Ma non questa volta, Amell!»

«Non ho niente a che fare con Uldred e i suoi!» Urlò Geralt, ma la donna sembrava non volerne sapere. Non fosse stato per l'elfa e Natia, che era corsa ad affiancarla, avrebbe fatto a pezzi l'intera sala pur di colpire il presunto mago del sangue.

«Se voleva scappare, perché non lo ha fatto?» Cercò di farla ragionare l'elfa. «Poteva andarsene, e invece ha scelto di darci una mano.»

«Perché da solo non riusciva a liberarsi dal demone!» Ribattè Wynne, cercando di spostarle. «Fatevi da parte, non avete idea di chi stiate difendendo! Ha preso la Litania di Adralla, in modo da distruggerla e assoggettarci tutti al suo volere.»

«Niall lo conosceva.» Si intromise Natia. «E gli ha parlato lui stesso di quella roba. Si è fidato!»

La vecchia non voleva saperne. «Ma certo che si è fidato, erano amici! Ha ingannato Niall, proprio come il resto di noi. È pericoloso, ha già aiutato un mago del sangue a fuggire.»

«L'avreste sottoposto al Rituale della Calma, se non fosse scappato da qui!» Ribattè Geralt, uscendo finalmente dal suo riparo. Aveva in mano un bastone magico, che brillava minaccioso.

«Rituale di che?!» Gli chiese la nana, cercando di guadagnare tempo. Le mancava potersi trasformare in un gigante roccioso. Avrebbe potuto prendere a calci tutti e farli ragionare.

«Gli avrebbero strappato ogni emozione! Sarebbe stato un servo di quei maledetti templari, ecco cosa gli avrebbero fatto se non l'avessi aiutato!» Urlò Geralt, lanciando tutto attorno a sé una pioggia di fiammelle roventi. «E voi vecchi non fate niente, lasciate che i templari si approfittino di noi maghi, senza poterci ribellare, rifiutare... Poi quando finalmente ne abbiamo abbastanza, ci tramutate in fottuti burattini!» Puntò loro contro il bastone, ma improvvisamente le fiamme si spensero. Si guardò attorno, per poi puntare lo sguardo allarmato in direzione di Alistair. «Tu!»

Il guerriero biondo, che per tutto il tempo era rimasto in silenzio e in disparte, alzò le mani. «Già, proprio io. Ora, se vogliamo tutti darci una calmata...»

«Maledetto templare!» Gli ringhiò contro Geralt, spezzando qualsiasi cosa avesse fatto l'altro per impedirgli di lanciare incantesimi. Il bastone tornò a ricoprirsi di fiamme vorticanti.

«Alistair, allontanati da lì!» Lo avvertì Wynne, approfittando del momento di distrazione di Natia e dell'elfa per lanciare un incantesimo di protezione verso il guerriero.

«Ora basta!» Urlò a pieni polmoni l'elfa. Diede una gomitata tra le costole alla vecchia, facendola piegare in due per il dolore e la sorpresa.

«Datevi una calmata.» Rincarò la dose Natia, avanzando impavida verso l'uomo. «Geralt, non fare stronzate. E tu.» Si girò nuovamente a fronteggiare la maga. «Lui è stato d'aiuto, proprio come te. E da quanto ho capito al piano di sopra ci sono un mucchio di altri culi secchi dalle mani scintillanti che non vedono l'ora di farci a pezzi.»

«Una sintesi accurata.» Commentò il guerriero. «Ma sì, concordo con lei.»

«Quindi,» Proseguì Natia, lanciandogli un'occhiataccia, «non è il caso di scannarci tra di noi. E se dice di non essere in combutta con gli altri, gli credo.»

«Oltretutto, condannarlo per aver evitato ad un amico una brutalità del genere, è da pazzi.» Disse l'efa. «Nessuno dovrebbe essere rinchiuso in un posto del genere.»

«Non potete fidarvi...» Cercò di ribattere Wynne, ma ormai la decisione era stata presa. In netta minoranza, rilassò le spalle, sistemandosi la veste e guardandoli con un cipiglio severo. «Ve ne pentirete, ve lo garantisco.»

L'elfa si avvicinò a Geralt. «Il tuo amico si chiama per caso Jowan?»

Quello si illuminò. «Come-?»

«L'abbiamo incontrato a Redcliffe. Nonostante abbia ammesso di essere un mago del sangue, sembrava sinceramente dispiaciuto di tutto quello che è successo lì, quindi sono disposta a darti il beneficio del dubbio. Torneremo là, una volta risolta questa faccenda. Puoi unirti a noi per il resto del viaggio. Ora, dammi quella roba.» Allungò una mano verso di lui, indicando la pergamena.

L'altro esitò un attimo, ma alla fine le porse il rotolo.«Spero che questo mi faccia guadagnare un po' di fiducia... E credo non ci sia modo di uscire da qui, per me, coi Templari a guardia della porta. Sono contento che Jowan sia vivo, però, puoi dirgli-»

«Qualunque cosa sia, glielo dirai tu stesso.» Lo interruppe l'elfa. «So esattamente come farti uscire da qui, fidati di me. Siamo Custodi Grigi, dopotutto.»

«Strano come continui a cambiare idea, Aenor.» La punzecchiò il guerriero, per poi voltarsi verso il mago, fissandolo dritto negli occhi. «Ora, se davvero non hai intenzione di assoggettarci tutti, sarà il caso di proseguire. Sempre che i tuoi amici al piano di sopra non ci facciano a pezzi.»

Nonostante la riluttanza dei due maghi a collaborare assieme, e dopo brevi presentazioni, si diressero verso le scalinate che portavano all'ultimo piano della Torre.

Prima di salire, si imbatterono in un templare rimasto intrappolato in una gabbia magica.

«Ancora?! Non funzionerà!» Urlò il prigioniero, gettandosi in ginocchio e unendo le mani come in preghiera. «Resisterò, demone!»

«Questo è quello che avete fatto, Amell. Sei fiero di te stesso?» Disse Wynne, rivolgendosi all'altro mago, che la guardò accigliato, avvicinandosi alla gabbia. «Cullen?»

Quello alzò lo sguardo, allarmato, sgranando gli occhi. «Tu! Demone, perché devo vederlo di nuovo?! Lui, lui ha causato tutto questo!» Urlò tenendosi la testa tra le mani.

«Siete tutti così convinti della mia colpevolezza, che non riesco nemmeno a dispiacermi della tua situazione.» Ribattè asciutto Geralt, squadrandolo impassibile.

«Uccidimi! Uccidimi e basta, smettila con questi giochi.» Il templare crollò a terra, il capo chino, supplicandolo. «Se è rimasto qualcosa di umano in voi, uccidetemi.»

«Credevo che i vostri templari fossero guerrieri formidabili... non sono colpita.» Commentò Natia, guardandolo. Aveva visto di meglio tra i bassifondi di Orzammar.

«Andatevene, demoni! Andatevene o uccidetemi!» Gridò il prigioniero, serrando gli occhi, le unghie che graffiavano le guance rigate di lacrime. Li riaprì dopo qualche istante, guardandoli spaesato. «Ma... ha sempre funzionato per ora...»

Geralt sollevò un sopracciglio. «Non siamo demoni, idiota.»

L'altro scosse la testa, la voce rotta. «E pensare che un tempo provavo pena per i maghi del Circolo. Ora...» Strinse i pugni, alzando lo sguardo verso il mago, carico d'odio. «Ora, non desidero altro che veniate tutti spazzati via dalla faccia del Thedas.»

Geralt non mosse un muscolo, ricambiando lo sguardo. «In quel caso, farai la stessa fine.»

«Ci sono dei sopravvissuti?» Chiese Aenor, interrompendoli.

Prima che il templare potesse rispondere, un urlo agghiacciante li fece sobbalzare. Rimasero impietriti ad ascoltare. Proveniva dal piano superiore.

«Abbiamo la nostra risposta.» Commentò Natia. «Ora, possiamo anche andarcene, tornare al piano terra, uscire da qui e mettere almeno un paio di giorni di marcia tra noi e qualsiasi cosa ci sia là sopra. Mi sembra l'unica idea sensata.»

L'elfa, seppur pallida come un cencio, sfoderò la grande spada a due mani che portava dietro la schiena. «Non se ne parla neanche.»

L'altro custode annuì, estraendo anche lui la propria arma. «Già, ci vuole ben altro che un esercito di abomini per farci scappare a gambe levate.»

Wynne strinse a sé il bastone magico, scoccando un'occhiata decisa al soffitto. «Il Primo Incantatore è ancora lì sopra, come alcuni dei maghi anziani. Dobbiamo fare di tutto per salvarli.»

Natia lanciò uno sguardo a Geralt, che tra tutti quei pazzi le sembrava, impensabile a dirlo parlando di un umano e per di più mago, il meno folle. Quello si strinse nelle spalle, indicando i due Custodi. «Se muore l'elfa, se ne va la mia unica possibilità di uscire da qui. Non ho altre alternative.»

La nana scosse la testa, incredula. «Lo sapevo che stare a contatto con il cielo e tutta l'aria che gira qua sopra, dovevano farvi male al cervello...» Estrasse i pugnali dalla cintura, puntandone uno in direzione dell'elfa. «Dopo questa cosa, voglio l'equivalente del mio peso in oro.»

L'altra scoppiò in una risatina nervosa. «Fortunatamente non sei un Qunari.»

«Non potete salvarli! Sono lì dentro da troppo tempo.» Si oppose il templare imprigionato, urlando. «Circondati da maghi del sangue, che... che... Saranno ormai degli Abomini, controllati dai demoni. Dovete ucciderli tutti, nessun mago del sangue o Abominio deve uscire dalla Torre. Partendo da lui!» Indicò Geralt, che fece un gesto di rabbia col bastone, facendo comparire delle piccole fiamme vorticanti attorno all'estremità.

«Muoviamoci a salire, prima che questo idiota mi dia un ulteriore motivo per dargli ragione.» Ringhiò il mago.

«Ci servono i maghi, e il Primo Incantatore. Fine della storia.» Dichiarò Aenor, voltando le spalle al templare e alle sue inutili proteste, mentre cominciava a salire le scale.

“Per la Pietra, come ci sono finita in questo casino?!” Pensò Natia. Le urla che provenivano dal piano di sopra erano terribili, le rimbombavano nelle orecchie, perforandole i timpani e facendole rizzare i capelli in testa. Se soltanto quel maledetto giorno non avesse deciso di intromettersi nelle Prove...

Spalancarono la porta, ritrovandosi di fronte ad una scena raccapricciante.

Un mago torreggiava su un altro uomo steso a terra, circondato da creature mostruose, torturandolo con saette magiche che facevano gridare di dolore il malcapitato.

«Cedi!» Urlò il mago, colpendo l'altro con una scossa più forte delle precedenti.

Le urla cessarono improvvisamente, l'umano a terra aveva smesso di contorcersi.

Con uno schiocco sinistro, la schiena dell'uomo si inarcò talmente tanto da spezzarsi, mentre si sollevava da terra, fluttuando ad un paio di metri dal pavimento in pietra, trasformandosi. In pochi istanti, ciò che restava era una creatura deforme e mostruosa, che andò ad affiancarsi obbediente alle altre.

Il mago si girò verso i nuovi arrivati, allargando le braccia in segno di benvenuto. «Ah, intrusi. Siete venuti per unirvi a noi?» La sua voce era un insieme di tonalità sovrapposte, come se ci fossero almeno due persone a parlare contemporaneamente. Lo sguardo vagò sul gruppo, allargandosi poi in un sorriso. «Ah, Amell. Mi chiedevo che fine avessi fatto. Surana e Jowan mi hanno sempre parlato così bene di te... Ma ti dirò la verità, secondo me sono sempre stati gelosi del tuo potere. Non importa, ora potrai esprimere il tuo vero potenziale, ti aiuterò a farlo...»

Natia lanciò uno sguardo preoccupato al mago dai capelli rossi. Quello stringeva il bastone magico con tanta forza da sbiancarsi le nocche, lo sguardo carico d'odio.

«Wynne.» Proseguì l'altro, apostrofando la maga. «Non mi aspettavo niente di meno, da una vecchia ostinata come te. Sarà un vero piacere spezzarti.»

«Non la passerai liscia, Uldred!» Rispose quella.

«Vedo che avete seriamente intenzione di opporvi all'inevitabile... Come volete. Renderà solo più dolce la mia vittoria.» Sibilò il mago, un ghigno mostruoso che gli si allargava sul volto, deformandolo.

Reclinò il capo all'indietro, mentre una luce accecante lo avvolgeva, costringendo i nuovi arrivati a coprirsi gli occhi. Natia rimase accecata per qualche istante, strizzando le palpebre. Un potente ruggito, come non aveva mai sentito prima, scosse la sala, facendo tremare il pavimento sotto di loro. Strinse spasmodicamente i pugnali, maledicendosi per essere finita in quella situazione. Perchè, perchè non era rimasta a Denerim, ad occuparsi di qualche normale furtarello in casa di qualche spilungone ricco sfondato?! 












Note dell'autrice: Natia è un tipo particolare, decisamente. Se la storia continua a piacervi, lasciate magari un commentino, anche se avete critiche o osservazioni, è sempre gradito ricevere dei pareri. :D

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Capitolo 13
*** Kinloch Hold III ***


CAPITOLO TREDICI: KINLOCH HOLD III






 

Geralt lanciò l'ennesima palla di fuoco contro Uldred, schivando appena in tempo uno degli Abomini che aveva tentato di prenderlo alle spalle.

Girò su se stesso, roteando il bastone magico e scagliando sulla creatura una runa di paralisi, che la fece immobilizzare. Un fendente ben assestato la tranciò in due, facendola crollare a terra.

Fece un cenno all'elfa, che lo superò senza ricambiare, tornando ad affrontare Uldred.

Natia, poco distante, stava trafficando con qualcosa nel suo zaino. Ne estrasse una boccetta che brillava sinistra, emanando bagliori verdastri.

«Levatevi!» Urlò poi in direzione dei due Custodi, che fecero appena in tempo ad indietreggiare, riuscendo ad evitare la nube tossica che si sprigionò nel momento stesso in cui il vetro si frantumò contro la pelle del mostro.

Geralt lanciò prontamente anche lui una serie di incantesimi di fuoco, che reagirono con il vapore velenoso esattamente come aveva sperato: la figura di Uldred venne avvolta in una tempesta di fiamme ruggenti, che si innalzavano fino all'alto soffitto della torre.

Non era però abbastanza. “Maledetto!” Sbottò Geralt, ansimando mentre riprendeva fiato. La creatura, seppure in fiamme e urlante, non voleva cedere.

I maghi anziani dietro di loro sussultarono, intrappolati in un fascio di luce violacea.

«La Litania!» Urlò, avvertendo Wynne di usare la pergamena.

L'altra non lo degnò di uno sguardo, mentre già recitava le parole della Litania di Adralla, che andarono a contrastare l'influenza che Uldred aveva sul Primo Incantatore e gli altri maghi prigionieri. Si contorcevano a terra, ma sembravano resistere.

La creatura che era stata Uldred urlò di rabbia, mentre le fiamme attorno ad essa andavano ad estinguersi. Con un ultimo sforzo, lanciò un incantesimo tutt'attorno a sé, che scosse l'intera sala e rischiò di spedire a terra Geralt e i suoi compagni.

Alistair si riparò dietro il suo scudo, cadendo su un ginocchio e digrignando i denti, il sangue che gli impregnava una gamba. Aenor, di fianco a lui, era appoggiata alla spada, pallida e ferita, ma non sembrava voler cedere.

Nonostante fossero dei ragazzini, Geralt ammirava il loro coraggio. Stavano rischiando la vita per un branco di sconosciuti, che oltretutto godevano di pessima fama.

Si asciugò il sudore dalla fronte, cercando di regolarizzare il respiro e raccogliere il mana necessario a lanciare un'altra serie di incantesimi. Di fianco a lui, Natia ansimava pesantemente.

«Hai altre bombe in quella borsa?» Le chiese.

La nana scosse la testa. «Già ne avevo due... Non pensavo di ritrovarmi in un casino del genere.»

Lui sogghignò, cercando di nascondere la delusione. Inscrisse tre rune di fuoco sul pavimento attorno alla creatura, mentre Wynne lanciava un paio di incantesimi di guarigione sul gruppo, ovviamente escludendolo. “Maledetta vecchiaccia...”

I due Custodi si scagliarono nuovamente contro Uldred e anche Brosca si unì a loro, colpendolo alle spalle e trafiggendolo coi suoi pugnali intrisi di veleno. Lo costrinsero ad indietreggiare fino a pestare una delle rune, che si attivò lanciando un bagliore accecante. Mentre i tre si tiravano indietro in tutta fretta, Wynne lanciò a sua volta una barriera attorno a loro, anche stavolta evitando di includere Geralt, che fu costretto ad alzarne una di suo pugno con le ultime energie rimastegli.

Il mostro esplose violentemente, attivando una reazione a catena con le altre due rune e rischiando di buttare giù l'intera sala.

Quando il vortice di fuoco sparì, di Uldred e i suoi scagnozzi non rimasero altro che brandelli di cenere fumante.

Il mago si appoggiò alla parete dietro di sé, sfinito, togliendosi qualche scintilla dalla barba. Ce l'avevano fatta. Guardò i resti di quelli che erano stati fino a qualche settimana prima suoi colleghi. Surana, ne era certo, era diventato uno di quegli Abomini. Sospirò, ricordandosi di quante volte l'elfo aveva studiato con loro. Niall, Surana, Anders, Jowan... per colpa dei templari, ogni persona a cui aveva mai tenuto era stata costretta a gesti estremi.

Gli occhi vagarono in direzione del Primo Incantatore, che si stava faticosamente rimettendo a sedere sul pavimento, scosso dai tremiti.

Sarebbe stato così facile ucciderli tutti. Punirli, per aver lasciato che i templari si approfittassero del resto dei maghi nella Torre per così tanto tempo... Erano loro i veri colpevoli. Che altro potevano fare, i maghi, per liberarsi da quel giogo così opprimente, se non ricorrere alla magia proibita? Jowan e gli altri avevano ceduto alle lusinghe di Uldred, che li aveva irretiti con promesse di libertà e inarrestabile potere. Ecco cosa rimaneva di quelle promesse: un mucchio di cadaveri. E ciò che era successo nella Torre avrebbe avuto ripercussioni nell'intero Thedas sotto il controllo della Chiesa. Una rivolta fallita, e i maghi sarebbero stati ancora più temuti e assoggettati di prima.

Si costrinse a distogliere lo sguardo da Irving, inghiottendo la rabbia che lo pervadeva. Doveva uscire da lì, ad ogni costo, e la Custode era l'unica che potesse aiutarlo. Uccidere Irving e Gregoir passava in secondo piano.

«State bene?» Sentì Alistair chiedere ai maghi a terra.

«Sì... un po' malconci, ma vivi. Ed è solo grazie a voi.» Rispose Irving, accettando l'aiuto del ragazzo e tirandosi in piedi a fatica. Lanciò uno sguardo in direzione di Geralt. «Amell.»

Cercando in tutti i modi di soffocare il suo istinto omicida, rispose con un cenno del capo.

«Irving, i due Custodi non capiscono la pericolosità di questo mago del sangue, non possiamo lasciarlo-» Si intromise Wynne, accorrendo anche lei a sorreggere l'anziano mago.

«Sono troppo stanco per questo, Wynne.» La fermò l'altro. «Lascerò che se ne occupino Gregoir e i suoi Templari.» Sembrava per lui difficile anche solo reggersi in piedi.

«Un “grazie di averci salvato il culo” sarebbe più gradito.» Commentò Natia, che si stava ripulendo dalla cenere i vestiti. «Stupidi vecchiacci spilungoni.» La sentì bofonchiare prima di passargli accanto e precederli verso la porta. «Allora, ci muoviamo o no?»

«Assolutamente.» Concordò Aenor, che si affrettò a raggiungerla. Fece cenno a Geralt di seguirli.

Perché quell'elfa si fosse presa in carico la sua situazione, non ne aveva idea. E non sapeva nemmeno cosa le avesse raccontato Jowan per convincerla che fosse una buona idea farlo uscire da lì e aiutare un mago del sangue scappato dalla torre, ma non era certo il momento di guardare in bocca al cavallo. O al Custode Grigio.

Scesero faticosamente le scale, sgombre da qualsiasi pericolo. Cullen, liberato dalla sua prigione di magia, rivolse loro uno sguardo di disprezzo misto a terrore, e li seguì a distanza di sicurezza fino all'uscita.

Raggiunsero il grande portone sigillato senza intoppi.

Aenor battè con violenza sulla porta. Dall'altro lato, si sentì uno scoppio di imprecazioni spaventate.

«Siamo noi, abbiamo il Primo Incantatore!» Urlò quella per tranquillizzare i templari.

«Provatecelo!»

Alistair accompagnò Irving fino alla porta. Quello si appoggiò alla pietra, confermando di essere veramente sé stesso.

Con riluttanza, Gregoir si risolse ad aprire. «Fate un passo falso e siete tutti morti!»

Geralt si lasciò precedere dai Custodi e dal Primo Incantatore, ma Wynne lo teneva sotto stretta sorveglianza, non lasciandolo allontanare da sé per più di un paio di metri.

Una creatura bassa e pelosa corse loro incontro, cercando di saltare addosso all'elfa, che si inginocchiò a terra per accarezzarla, mentre il mabari le leccava la faccia, felicissimo.

«Incredibile. Ce l'avete davvero fatta!» Commentò sorpreso il Comandante, guardando uscire il folto gruppo di persone. I bambini e i pochi maghi sopravvissuti che avevano recuperato al piano terra si guardavano intorno terrorizzati, mentre Cullen barcollò verso la sicurezza dei suoi compagni. Un paio di altri templari si affrettarono a soccorrerlo.

Gli occhi di Gregoir si posarono su Amell. «Tu!»

«Sembra che un mucchio di persone non siano contente di vedermi, ultimamente.» Ribattè lui.

«Razza di... Come osi fare lo spiritoso, dopo tutto quello che è successo per causa tua!?» Sbraitò Gregoir, estraendo la spada e facendo per lanciarsi su di lui. Geralt potè sentire l'effetto di almeno tre aure antimagia su di sé, che lo fecero barcollare, boccheggiando in cerca di aria. L'avrebbe sicuramente falciato, non fosse stato per Aenor, che gli si parò davanti, la spada a due mani ben stretta in pugno davanti a sé. Il mabari, di fianco a lei, ringhiava minaccioso, il pelo ritto.

«Non così in fretta, Comandante.»

«Togliti di mezzo, Custode Grigio.» Le ringhiò contro Gregoir. «Questo mago del sangue sarà giustiziato seduta stante.»

La maggior parte delle persone che Geralt conosceva si sarebbero fatte da parte in preda al panico, ma l'elfa si limitò a fare un passo indietro, le spalle rigide, frapponendosi tra il templare e il mago.

«Non se ne parla. Ho bisogno di maghi come lui, per combattere questo Flagello. E non ne restano molti.» Si oppose. «Invoco il Diritto di Coscrizione.»

Gregoir rimase per un attimo a bocca aperta, sorpreso. Ben presto, però, serrò la mascella in uno sguardo di puro odio. «No. Non lui.»

«E invece ho scelto proprio lui.» Ribattè Aenor. «Abbiamo i Trattati. I Custodi Grigi possono reclutare chiunque, e sono al di sopra della legge. Forse dovreste rinfrescarvi la memoria, Comandante.»

L'altro Custode guardò la compagna con aria preoccupata, ma confermò quanto detto.

Gregoir sembrò riflettere, senza abbassare abbassare il suo enorme spadone. L'elfa continuò a squadrarlo, risoluta. «Abbiamo appena ripulito l'intera torre da Abomini e veri maghi del sangue, per non parlare di demoni e templari posseduti. Credete davvero che una misera decina di altri templari possa essere un problema?»

“Sta... minacciando il Comandante dei Templari del Ferelden?!” Era pazza. Completamente pazza. Quella ragazzina si sarebbe fatta uccidere, e con lei sarebbero evaporate le sue speranze di uscire tutto intero da quel posto.

Con sua grande sorpresa, Gregoir abbassò l'arma.

«D'accordo, non voglio altri spargimenti di sangue. Non posso oppormi ai Trattati, ma sappiate che i Templari non sono soggetti ad essi. Non avrete alcun aiuto da noi.» Si rivolse direttamente a Geralt, che era ancora privo della propria magia. «E tu. Se ti rivedo, ti ammazzo, Custode Grigio o meno.»

«Non ho alcuna intenzione di tornare a salutare.» Gli assicurò il mago. Stava davvero succedendo? Era seriamente libero di uscire da lì? La parola “Coscrizione” gli rimbò nella mente.

“Oh. Cazzo.”

«Primo Incantatore Irving!» Prese parola Wynne, avanzando verso di loro. «Comandante Gregoir. Permettetemi di unirmi ai Custodi. Il Flagello minaccia l'intero Thedas, e avranno bisogno di un mago di cui fidarsi. Vi prego.»

«Wynne, ma come farai con i tuoi doveri nei confronti del Circolo?» Le chiese Irving.

L'altra si strinse nelle spalle. «Il Circolo che conoscevo è ormai distrutto. Forse è tempo di fare qualcosa di buono fuori da esso. So che a Redcliffe hanno bisogno di maghi esperti per fermare una grave faccenda, e voglio aiutare.»

Irving e Gregoir si scambiarono un'occhiata tesa. Il vecchio mago sospirò. «Se è questo che vuoi... Almeno un rappresentate dei maghi del Ferelden sarà all'altezza di questo nome.» Si rifiutava di guardare Amell, anche solo per un attimo.

Geralt gli scoccò un'occhiata velenosa, ma rimase zitto.

«Basteranno tre maghi per il rituale?» Chiese Alistair a Wynne.

«Con il quantitativo di lyrium giusto, sì.» Assicurò lei.

Per qualche attimo, la sala cadde nel totale silenzio.

«Beh, direi che possiamo levarci dalle palle!»

Tutti si voltarono verso Brosca, che fino a quel momento era rimasta, apparentemente invisibile, dietro ad Alistair.

«E tu come diavolo-?!» Sbottò Gregoir, ma prima che potesse finire la frase, la nana l'aveva già superato di qualche metro.

«La prossima volta vedrò di nascondere un Bronto in piena vista, probabilmente non noterete manco quello.» Commentò lei, facendo roteare in aria uno dei suoi coltellacci.

Geralt non potè trattenersi dal ridacchiare. Aenor scosse la testa, voltandosi poi verso di lui. «Andiamo, abbiamo perso già abbastanza tempo.»

«Pienamente d'accordo.» Convenne il mago.

Percorse i pochi passi che lo separavano dall'uscita della Torre. Superò il grande arco di pietra, mettendo piede fuori dalla Torre per la prima volta in tanti anni.

Inspirò l'aria umida del lago, cercando di vedere la riva dall'altra parte, immersa nell'oscurità della notte. Nemmeno una luce riusciva a fendere la nebbia che li avvolgeva.

«Allora?» Lo chiamò Natia, dandogli una pacca sul braccio. «Ti muovi o no?»

Geralt squadrò divertito. «Non sei una che sa godersi il momento, vero?»

L'altra ghignò in risposta. «Quando me ne sono andata da Orzammar, sarò rimasta delle ore a fissare quel maledetto nulla sopra le nostre teste.»

«Puoi capire come mi sento, allora.»

Lei scosse la massa di capelli aggrovigliati. «Nah, non credo proprio. Non avevo quell'espressione da coglione felice quando sono salita in superficie.»

Procedettero verso la barca, che era una bagnarola minuscola. Geralt, tanti anni prima, era stato portato alla Torre probabilmente con quella stessa imbarcazione. Non riusciva nemmeno a ricordarselo.

Dovettero fare due viaggi per riuscire a traghettare tutti dall'altra parte.

Lui, Aenor e il mabari salirono per primi, precedendo gli altri.


 

L'elfa era silenziosa, accarezzava l'animale con aria pensosa, mentre il mago si arrovellava sul significato di quanto era successo e cosa avrebbe comportato entrare nei Custodi Grigi. Aveva letto qualcosa a riguardo, ma non si era mai particolarmente interessato. Sapeva però che usavano un tipo di magia del sangue per legarsi alla Prole Oscura ed usare il potere di quei mostri contro di loro. Era a conoscenza del fatto che fossero considerati gli unici in grado di uccidere un Arcidemone e fermare così un Flagello, e che fossero guerrieri formidabili.

Trascorsero il viaggio immersi ognuno nei propri pensieri, il silenzio rotto soltanto dal rumore dell'acqua che sciabordava attorno a loro. Il freddo pungente lo faceva rabbrividire. Si era dimenticato di indossare soltanto una veste logora e malconcia, chiaramente insufficiente a proteggersi dal vento autunnale.

Scesi dalla barca, si sedettero sulla riva ad aspettare gli altri, dopo aver acceso un fuoco per tenersi al caldo. Il mabari si mise a scavare una piccola buca nella sabbia, per poi acciambellarsi ai piedi della padrona, soddisfatto.

«Non preoccuparti, non ti costringerò ad unirti veramente a noi.»

Geralt si riscosse, voltandosi a guardare l'elfa, sorpreso. Gli occhi di lei brillavano verdi nel buio, riflettendo la luce attorno a loro, com'era caratteristica degli elfi.

«Che intendi dire?»

Aenor sospirò. «Non ho mai voluto diventare un Custode. L'uomo che mi ha reclutata mi ha trascinata via dal mio Clan, costringendomi a sottopormi all'Iniziazione. Non farò la stessa cosa con qualcun altro.» Geralt notò che stava stringendo nella mano una piccola fiala.

«E allora perchè mi hai fatto uscire dalla Torre?» Le chiese.

La vide rimettere in tasca la fiala, indicando poi la torre alle loro spalle. «Non vorrei mai vivere in un posto come quello. Nessuno dovrebbe.»

«So che i Dalish non hanno Circoli, e i Clan sono guidati da una persona con poteri magici.»

«Sì. Il Guardiano o la Guardiana usa la sua magia per proteggere il Clan, e sceglie una Prima o un Primo come suo secondo, per addestrarli un giorno a prendere il suo posto. Sono gli unici maghi nel Clan, di solito. Se ne nascono altri, vengono mandati da altri Clan che magari non ne hanno, oppure possono scegliere se restare con il Clan o andarsene. Nessuno li uccide o imprigiona per quello che sono.»

«Non... non ne avete paura?»

«Non si ha tanto tempo per temere il proprio vicino, quando la tua razza è cacciata da ogni parte.» Rispose l'elfa in tono amaro. «Dobbiamo la nostra sicurezza ai Guardiani e ai loro Primi, non sopravvivremmo senza la loro magia. Ed è ciò che più ci lega a quello che il Popolo era un tempo.»

Geralt annuì, senza sapere bene cosa dire. Non aveva mai conosciuto un altro Dalish prima d'ora, e tutti gli elfi nella Torre non erano poi così diversi da lui. I Templari discriminavano i maghi, umani o elfi che fossero, senza grandi distinzioni. Almeno, a Kinloch Hold. Sicuramente, in altri Circoli era possibile che se la passassero peggio.

«In ogni caso, quando arriveremo a Redcliffe, e una volta compiuto il rituale, non sarai più un mio problema.» Concluse lei. «Ne ho abbastanza di problemi.»

«Credevo ci fosse un Flagello da fermare.»

L'altra rimase in silenzio, rifiutandosi di spiegare cosa intendesse dire.

Sembrava che tra gli ultimi due Custodi del Ferelden le cose non andassero esattamente bene. Geralt sperava almeno di riuscire a servirsene abbastanza a lungo da riuscire a liberare Jowan da Redcliffe. Appena fossero stati entrambi liberi, sarebbero fuggiti verso il Tevinter, dove nessun templare avrebbe più potuto raggiungerli. E avrebbero messo più distanza possibile tra loro e quel Flagello, il che sembrava essere un'ottima idea.

Un rumore di ferraglia li fece sobbalzare. Si girarono di spalle, allarmati.

Un ometto anziano, vestito di stracci e dall'aspetto trasandato, stava cercando di raccogliere alcuni pezzi di metallo che gli erano caduti dalle mani.

L'elfa si alzò in piedi di scatto, svegliando il mabari, che rizzò il pelo e abbaiò in direzione dell'uomo. Quello mollò tutto quello che aveva in mano, terrorizzato, cercando di allontanarsi e inciampando sui propri piedi, finendo a terra con un tonfo e un'imprecazione di dolore.

«Maledetti orecchie a punta, ora avete anche i cani!?» Urlò, cercando di strisciare nel fango lontano da loro.

«Ma se hai fatto tutto da solo!» Ribattè Aenor, cercando di calmare il mabari.

«Non stavo facendo niente! Era lì per terra, non era di nessuno!» Urlò l'altro, cercando in tutta fretta di raccattare quante più cianfrusaglie possibili tra le braccia.

«Che è tutta quella roba?» Gli chiese l'elfa, avvicinandosi a guardare.

Geralt si chiese perchè diamine le interessasse.

L'uomo si guardò attorno, valutando le sue possibilità. Metà delle cose erano ancora a terra. «Questo posto me l'ha segnalato Faryn. Ha detto che potevano esserci degli oggetti di valore... e invece erano tutte palle! Ci era passato prima lui, lasciandomi solo qualche pezzo spaiato di armatura e strisce di cuoio. Se lo rivedo...!» Sbottò, agitando un pugno in aria. Gli mancava qualche dente, e sicuramente più di una rotella.

«E dove li hai trovati?» Insistette Aenor. «Perchè io sto cercando una spada Qunari, magari il tuo amico l'ha vista.»

«Qu-che?»

«Probabilmente era enorme e impossibile da maneggiare per chiunque.» Spiegò sbrigativa.

«Senti un po', orecchie a punta, io non ne so niente, né di spade né di cunei!» Si difese l'uomo. «E se c'erano spade, se l'è portate via Faryn per rivenderle, andava ad Orzammar quando ci ho parlato. Sono passate settimane, saranno belle che vendute da un pezzo. Quello stronzo.»

L'elfa sbuffò. L'uomo lo prese come un segnale per tagliare la corda.

«Perchè cerchi una spada Qunari?» Le chiese Geralt, non potendosi trattenere dal ridere dell'uomo che incespicava salendo sulla collinetta di fronte a loro, scivolando nel fango.

«Uno dei nostri compagni rimasto a Redcliffe, che è un Qunari, ha perso la sua spada qui intorno. Mi ha chiesto se potevo cercarla, ma credo sia ormai impossibile...»

«Ah. Compagnia interessante.» Cosa altro c'era da aspettarsi una volta arrivati a Redcliffe?

«Se te lo stai chiedendo, sì, abbiamo recuperato un guppo particolare.» Ribattè lei, con una punta di divertimento nella voce. «E Sten non è nemmeno il più strano. C'è una maga che non è mai stata al Circolo, e una pazza che crede di poter parlare con il suo Dio.»

«Un'eretica?» Questo sì che era interessante. «E non vi siete fatti problemi?»

«Ci ha aiutati parecchio, in una brutta situazione. E non ha fatto niente di male fino adesso, quindi non vedo perché dovremmo.»

«Nemmeno il templare ha avuto da ridire?»

«Alistair, dici?» L'elfa si girò verso di lui, gli occhi verdi che brillavano divertiti. «Non è un vero templare. Non gli piace granchè, è vero, ma credo si odierebbero anche se lei non fosse una maga.» Alzò il braccio, salutando qualcuno dietro di loro.

Geralt si girò a sua volta. Anche gli altri erano arrivati al molo. Wynne gli rivolse uno sguardo gelido. Il mago scrollò le spalle. Finchè tutti lo credevano una recluta dei Custodi Grigi, era intoccabile.

«Siamo riusciti a convincere i templari a darci un paio di cavalli in più, almeno arriveremo a Redcliffe in tre o quattro giorni.» Annunciò Alistair. «Sperando di non incontrare troppa Prole Oscura...»

Tutti gli sguardi si posarono istintivamente su Natia.

La nana ricambiò sfidandoli con un'occhiata di sdegno. «Che cazzo avete da guardare!?»

Quando però arrivarono di fronte alle stalle e i quattro cavalli furono portati fuori sullo spiazzo erboso, Brosca sembrò perdere tutta la sua grinta.

«Non... non ci salgo su quei cosi.»

Geralt ridacchiò. Era più bassa della zampa dei cavalli.

«Ti do una mano io.» Si offrì Alistair, tendendole una mano.

L'altra lo guardò sospettosa, esitando qualche attimo. «Se cado...»

«Non succederà. Sono piuttosto bravo a cavalcare.» Cercò di rassicurarla lui.

«Sì, certo, come no.» Ribattè Natia, ma si lasciò issare sul cavallo, reggendosi nervosamente alla sella. Il Custode sembrava avere detto la verità, perchè si issò con grazia e prese posto dietro alla nana, tenendo saldamente le briglie.

Geralt si girò a sua volta verso l'animale di fronte a lui. Cercando di ripetere i movimenti del ragazzo, infilò il piede nella staffa, arrampicandosi con difficoltà in sella. Il cavallo sbuffò dalle froge, ma non si mosse.

Anche Aenor e Wynne sembravano avere qualche difficoltà, ma riuscirono a partire.



 

Il villaggio di Lothering era stato distrutto, e la Prole Oscura vagava per quelle terre uccidendo tutto ciò che capitasse loro a tiro. La Corruzione di quelle creature, che Geralt prima d'ora aveva visto soltanto illustrate nei libri della biblioteca della torre, si posava su ogni cosa come una patina, appiccicosa, simile alla pelle di un serpente, soffocando e imputridendo tutto ciò che toccava. La terra attorno a loro ci avrebbe messo anni a tornare come prima, se mai il Flagello fosse stato fermato. La prima volta che un Hurlock si scagliò loro addosso, il mago si era ritrovato a fissare inorridito le sue fauci spaventose, il corpo putrescente e coperto da pezzi di metallo appuntiti, quasi dimenticandosi di lanciare un incantesimo per difendersi.

Tuttavia, quei mostri erano anch'essi vulnerabili alla magia, come chiunque altro.

Grazie al loro numero e alle abilità di ciascuno, arrivarono al castello di Arle Aemon nel tardo pomeriggio del quarto giorno dopo che erano partiti dal Kinlock Hold.

L'uomo che si presentò come Bann Teagan li accolse all'ingresso del castello.

«Ce l'avete fatta?» Chiese loro, lo sguardo ansioso.

Geralt si era fatto spiegare cosa fosse successo al villaggio, e si chiedeva se Jowan sapesse cosa stesse facendo. L'idea di mandare un mago a combattere il demone che possedeva Connor direttamente nell'Oblio era buona, ma il rituale era complicato. E i maghi a disposizione, calcolando anche l'eretica chiamata Morrigan, erano soltanto quattro.

Vennero accompagnati fino al salone principale, una grande stanza di pietra dove troneggiava un caminetto acceso. Statue di mabari in pietra, tipiche dell'architettura fereldiana, erano disseminate ovunque per il palazzo.

«Portate qui il mago del sangue.» Ordinò il Bann a due delle sue guardie. Quelle sparirono per qualche minuto, tornando con un uomo in vesti malconce e sporco di sangue.

«Jowan!»

L'altro alzò lo sguardo, illuminandosi. «Geralt...?»

Le guardie lo strattonarono, costringendolo a terra. «Sta zitto!» Gli intimò uno dei due.

Geralt sentiva montargli la rabbia, ma si costrinse a mantenere la calma. Si avvicinò cautamente all'amico. Chiaramente era stato rinchiuso in cella per parecchi giorni, subendo fame e torture.

«Mi dispiace, ho di nuovo rovinato tutto...» Bofonchiò il moro, guardandolo colpevole.

«Sistemeremo tutto. I Custodi mi hanno detto del rituale.» Cercò di rassicurarlo lui.

«Non posso credere che abbiano mandato te.»

Geralt si strinse nelle spalle. «È una lunga storia.»

«Non c'è tempo da perdere in chiacchiere.» Si intromise Bann Teagan. «Se siamo tutti pronti...» Fece un cenno a Natia, ma la nana strinse a sé il pesante zaino che portava sulle spalle. Per tutto il viaggio non se n'era separata un attimo.

«Mi spettano centottanta Sovrane per il disturbo, prima. O scordatevi il mio lyrium.»

«Ne hai già avute novanta!» Ribattè il Bann. «Molto più di quanto potessi aspettarti, contrabbandiera!»

«Ah, no» sul volto pieno di cicatrici della nana si allargò un ghigno divertito, «i Custodi qui me ne hanno promesse centottanta. Non uno di meno.»

«Veramente...» Provò a dire Alistair, ma vennero entrambi interrotti da Aenor.

«Quanto ci tieni alla vita di tuo nipote?» Chiese a Teagan. «Qualche Sovrana non sarà un problema, per uno che vive in un castello del genere.»

«Appunto.» Rincarò la dose Natia. «Fuori la grana, damerino.»

Geralt trovava la situazione completamente assurda. La nana era un membro del Carta, e il Bann avrebbe potuto spedirla in cella nel giro di un attimo, ma l'uomo non voleva andare contro il volere dei Custodi Grigi.

Teagan la guardò in tralice. «Centocinquanta. Ma se il rituale non funziona, ti farai bastare quello che hai già avuto. E sarà anche troppo.»

«Oh, sono sicura che i maghi qui faranno un ottimo lavoro!» Esclamò allegramente Natia, voltandosi verso Geralt e Jowan. «Vero?»

I due si scambiarono uno sguardo, annuendo poi in risposta.

«Chi entrerà nell'Oblio?» Chiese Geralt, prendendo il lyrium che Natia gli porgeva. Erano parecchi cristalli, abbastanza da completare il rituale senza intoppi. Il loro colore azzurro riluceva nella sacca di pelle, poteva sentirne il grande potere. L'idea di utilizzarli per lanciare incantesimi abbastanza potenti da stordire o uccidere tutti in quella stanza e permettere a lui e Jowan di uscire gli balenò per un momento in mente, ma la accantonò con riluttanza. La Custode si era fidata di lui, dopotutto. E in ogni caso, non era sicuro che sarebbero riusciti a fuggire, con tutti gli uomini di Redcliffe a sbarrare loro la strada.

Wynne si affrettò a strappargli di mano lo zaino contenente il lyrium, lanciandogli un'occhiataccia diffidente. «Dovrebbe andarci un mago di cui ci possiamo fidare. Mi offro volontaria.»

«Non sei specializzata in incantesimi offensivi, sarebbe un errore.» Ribattè lui, incrociando le braccia. «Abbiamo una sola possibilità, non possiamo permetterci di fallire.»

«Io non andrò.» Si intromise l'eretica, Morrigan. «Già ho accettato di prestare il mio aiuto per preparare il rituale, non ho intenzione di confrontarmi con la coscienza di uno stupido bambino.»

«Tranquilla, non rientravi nella lista di “maghi di cui ci si può fidare”.» Rimbeccò Alistair.

«Geralt?» Lo chiamò Aenor. «Puoi andarci tu, no?»

Il mago esitò un istante prima di rispondere. «Preferirei di no. Inoltre, sarebbe meglio ci andasse qualcuno che già conosce Connor. Sarà più facile muoversi nell'Oblio, il demone avrà ricreato uno spazio dove rinchiuderlo prendendo spunto dalla mente del bambino.» Posò lo sguardo su Jowan.

«Io?!» Esclamò quello. «Non so se sia il caso...»

«Assolutamente no!» Ruggì una donna, bionda e con un marcato accento Orlesiano, che fino a quel momento era rimasta zitta in disparte. Si fece avanti, uno sguardo omicida negli occhi. «Siamo finiti in questo disastro per colpa sua, non permetterò che-»

«Ho già detto che non c'entro niente con la possessione di Connor!» Provò a ribattere Jowan, ma la donna sembrava non ascoltarlo minimamente, in preda alla furia.

Geralt si frappose istintivamente tra lei e l'amico, stringendo il proprio bastone magico. «Ora basta. Jowan è il più indicato per risolvere la faccenda, che vi piaccia o meno. Ed è un mago capace, posso garantirvelo.» Guardò Aenor in cerca di aiuto. Da solo non poteva sperare di poter convincere il Bann e gli altri, ma se la Custode avesse messo una buona parola... Se Jowan avesse salvato con le proprie mani il bambino, ciò avrebbe considerevolmente aiutato la sua posizione. E magari sarebbe riuscito a convincerli di rimandarlo al Circolo con una scorta minima, così da riuscire a liberarlo e fuggire sulla via verso Kinloch Hold.

«Ne sei davvero capace?» Chiese l'elfa, rivolgendosi direttamente a Jowan.

L'altro esitò. «Sì. Permettetemi di rimediare.» Disse infine.

Aenor si scambiò uno sguardo con l'altro Custode Grigio, che annuì.

Bastò a convincere Bann Teagan.

Geralt dispose il lyrium attorno a Jowan, che tremava leggermente in preda all'ansia. «Hei. Ce la puoi fare.» Gli sussurrò, attento a non farsi sentire dagli altri.

«Non ne sono certo...» Ribattè l'altro, ma furono costretti a zittirsi quando Wynne e Morrigan si avvicinarono a loro.

Pronunciarono le parole del rituale, ripetendole finchè non sentirono l'energia dell'incantesimo sprigionarsi attorno a loro. I cristalli azzurri si frantumarono in innumerevoli crepe, da cui fuoriuscì una luce accecante. Geralt sentiva la magia scorrergli come un fiume in piena nelle vene, attraversarlo e fluire verso l'amico. Avvertiva anche l'energia dell'anziana maga, calma e determinata, e quella di Morrigan, irruenta e misteriosa. Chiuse gli occhi, lasciando che i tre flussi si unissero, vorticando attorno a loro, fondendosi fino a diventare un unico elemento.

Improvvisamente, si sentì svuotato da ogni energia, le forze che venivano meno, costringendolo a barcollare e aggrapparsi al suo bastone magico. Riaprì gli occhi. Le altre due maghe erano nella sua stessa situazione, temporaneamente senza poteri.

Jowan, in mezzo a loro, giaceva a terra privo di sensi.

Si inginocchiò accanto a lui, premendo una mano sul suo polso e sentendogli il battito.

«Ha funzionato?» Chiese Bann Teagan.

Geralt annuì, troppo stanco per parlare. Non restava loro altro da fare che aspettare.


 

Passarono almeno due ore, nelle quali tutti si facevano via via sempre più nervosi.

«Puoi smetterla?!» Ringhiò Aenor in direzione di Natia, che stava contando meticolosamente i suoi soldi, impilando le monete in ordinate file da dieci, facendole tintinnare. Era la sesta volta che le rimetteva nella borsa e le tirava fuori per ricontarle.

La nana la guardò di traverso, fermandosi per un poco. Appena l'elfa si fu girata, si rimise all'opera.

«E se non funzionasse?» Chiese Alistair a bassa voce.

«L'ultima cosa di cui abbiamo bisogno in questo momento...» Commentò Morrigan. Si era fatta portare una tazza di tè, che ora sorseggiava con calma, come se non avesse una singola preoccupazione nella vita.

Geralt ammirava il suo menefreghismo. Bevve due sorsi di tè amaro, ricontrollando che Jowan respirasse ancora. Un paio di volte l'amico aveva sussultato, mettendoli in allarme, ma da qualche minuto era assolutamente immobile. Sul suo viso pallido si erano formate gocce di sudore freddo, che andavano a mischiarsi con il sangue rappreso sulle ferite. Gli accarezzò una ciocca di capelli castani. “Apri gli occhi, maledizione!”

Ma l'altro non accennava a muoversi. Gli strinse una mano.

Finì il resto del tè in lunghe sorsate, tenendo la tazza con la mano libera, era ormai freddo. Odiava il tè freddo. Spesso, durante i pomeriggi infiniti nella torre passati a studiare, si dimenticava di berlo, lasciando la tazza a raffreddarsi sul tavolo, sommersa da libri e appunti. Costretto a riscaldarlo con un incantesimo, lo beveva poi controvoglia e lamentandosene, suscitando l'ilarità degli altri, che scommettevano su quante volte sarebbe stato costretto a riscaldare la teiera.

“Ne bevi troppo, ecco perchè non dormi mai la notte!” Gli ripeteva Niall, dopo l'ennesima volta che trovava Geralt semi addormentato nella biblioteca quando era ormai mattina. Di solito, accanto a lui c'era sempre Jowan, che si svegliava bofonchiando, la voce impastata dal sonno.

Non credeva di poter rimpiangere i momenti passati nella Torre, ma, con una fitta allo stomaco, si rese conto che era così. Seppur in gabbia, a volte erano stati davvero felici.

Come quando Anders aveva adottato di nascosto un gatto, e per giorni ogni volta che il biondo passava accanto a lui, Geralt veniva preso da una serie di starnuti. Jowan sosteneva che doveva essere allergico agli abitanti delle Anderfels, ma si era poi scoperto che era colpa del pelo di gatto.

Gatto che, prima di essere scoperto dai templari e cacciato, facendoli finire tutti in punizione, era riuscito a riempire di graffi tutti loro, al punto da destare sospetti di magia proibita e costringerli a girare con le maniche a coprire fino la punta delle dita in ogni momento della giornata.

Gli sembrò di avvertire un movimento, che lo distolse dai ricordi con un sussulto.

Abbassò lo sguardo sull'amico, mentre quello gli stringeva la mano, aprendo faticosamente gli occhi e sbattendo le palpebre un paio di volte.

«Hei...» Bofonchiò, lo sguardo stremato.

Geralt ricambiò la stretta, aiutandolo a mettersi seduto. «Ce l'hai fatta?»

L'altro annuì, liberandosi dalla presa dell'amico. «Non è stato facile, ma sì.»

La donna orlesiana, Isolde, corse al piano di sopra con un grido, andando a recuperare il figlio nelle sue camere. Teagan e quattro dei suoi uomini si affrettarono a seguirla, nell'eventualità che il rituale non avesse funzionato e Connor fosse ancora posseduto dal demone.

«Sembra che vi debba ringraziare.» Disse il Bann, tornando dopo qualche minuto. «Connor è di nuovo sé stesso, sebbene abbia ricordi confusi su quanto è accaduto.»

«Ed Arle Eamon?» Chiese Alistair.

«Ancora vivo.» Lo rassicurò Teagan.

«Connor aveva fatto un patto per mantenerlo in vita. Il demone ha impedito al veleno di diffondersi, mettendolo in uno stato di coma indotto magicamente.» Spiegò Jowan con voce flebile. «Dovrebbe rimanere stabile per ancora qualche tempo, ma non guarirà. Ed eventualmente...»

«Morirà, se non troviamo le Ceneri.» Ringhiò Teagan. «Non pensare che perché hai aiutato a salvare mio nipote, ci possiamo dimenticare di chi sia la colpa di tutto questo.»

«Jowan ha fatto il possibile per rimediare.» Si intromise Geralt. «Dovrà pur contare qualcosa.»

«Non lo abbiamo ancora giustiziato, è già abbastanza.»

«Ma-»

«Ora basta. Riportate il mago del sangue in cella. Se riusciremo a svegliare Aemon, sarà lui a decidere della sua sentenza. E se falliremo...» fece una pausa, squadrando il mago con disprezzo «farà la sua stessa fine.»

Geralt strinse istintivamente il braccio dell'amico, pronto a disintegrare con un incantesimo chiunque provasse ad avvicinarsi. «Dovete soltanto provarci...»

Le mani degli uomini di Redcliffe volarono prontamente alle armi.

«Geralt, no.»

Incontrò il suo sguardo. Jowan scosse la testa. «Non farlo. Non di nuovo. È stata tutta colpa mia, mi merito qualsiasi punizione decidano.»

«Jowan...»

«Per favore. Non voglio che ti uccidano per colpa mia.» Il moro si alzò in piedi a fatica, allungando le mani davanti a sé e lasciando che le guardie di Redcliffe gli chiudessero i polsi con delle manette di metallo pesante, piene di rune che gli impedivano di lanciare incantesimi.

Geralt si tirò in piedi anche lui, fronteggiando Bann Teagan. «Di quali ceneri stavate parlando?»

«L'Urna delle Sacre Ceneri. Si dice che possa curare qualsiasi male.» Rispose quello.

Una leggenda. La vita dell'uomo che amava dipendeva da un maledetto mito riguardante le ceneri di una donna morta secoli prima.

«Le troveremo.» Si intromise qualcuno.

Si girò, guardando il Custode, Alistair, avvicinarsi a Bann Teagan. «Ve lo prometto.»

«Beh, sembra proprio che abbiamo la nostra prossima meta...» Commentò Aenor, incrociando le braccia al petto. «Dopo una torre infestata di mostri, una divinità sarà un miglioramento.»

Geralt esitò un attimo. Se era l'unico modo per fare uscire Jowan da lì...

«Recupereremo quelle ceneri. Jowan si è arreso volontariamente, vi chiedo di tenerlo a mente nel frattempo che sarà rinchiuso.» Disse sperando che non sarebbero stati troppo duri con il prigioniero, assicurandosi il bastone magico sulle spalle. «Torneremo presto.»










Note dell'autrice: spero che la storia continui a piacervi. Mi farebbe piacere ricevere qualche feedback, ma sto diventando ripetitiva. Forse dovrei offrire Biscotti. Nel senso di temporanei affidi di mabari iper-affettuosi e con una gigantesca passione per gli snack. 

A presto! 

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Capitolo 14
*** Strada Imperiale verso Denerim ***


CAPITOLO QUATTORDICI: STRADA IMPERIALE VERSO DENERIM





 


«Come state?» Il ragazzo, Alistair, la guardava con aria preoccupata.

Elissa non sapeva cosa rispondere.

Erano seduti sotto il portico della Chiesa. Morrigan aveva detto che l'aria fresca poteva portarle giovamento, quindi tutti i giorni, da quando si era potuta alzare dal suo giaciglio di fortuna, aveva fatto un giro per il villaggio. La visuale limitata era un continuo impedimento, e per i primi giorni si era affidata a Biscotto per non sbattere contro oggetti o persone fuori dal suo campo visivo. Sperava che col tempo sarebbe stato più semplice. Almeno, era viva.

Si sistemò la benda di pelle che portava per coprire l'orbita vuota. Aveva sistemato i capelli in modo che cadessero sulla parte ustionata del volto, ma si rendeva conto che era impossibile nasconderlo.

«Vi devo ringraziare. Mi avete salvato la vita.»

Il ragazzo si grattò la nuca, abbassando lo sguardo. «Non è niente... e vi prego, datemi del tu. Vorrei solo essere arrivato prima. Mi dispiace.»

«Non dite-» Elissa si Iinterruppe, mordendosi un poco il labbro inferiore. «Non dire così. Non fossi arrivato tu, quelle creature mi avrebbero sicuramente uccisa. Ti sono debitrice.»

L'altro rimase in silenzio.

Lei non sapeva cosa dire. Si sentiva in imbarazzo a parlare con un perfetto sconosciuto a cui doveva la vita, e che per di più era ricercato da Teyrn Loghain in quanto traditore del regno.

Come poteva una persona così gentile, coraggiosa e di buon cuore, essere un assassino voltagabbana? Se era davvero un Custode Grigio, aveva abbandonato il loro Re nel momento del bisogno, lasciandolo in pasto alla Prole Oscura.

E allora, cosa ci faceva a Redcliffe?

«Ho sentito che avete salvato il villaggio.» Disse. Era curiosa sulle vere intenzioni dei due Custodi. L'elfa, una ragazzina scontrosa col volto tatuato che non l'aveva degnata di un secondo sguardo, le era sembrata molto lontana dalla figura di un eroe leggendario, come dovevano essere i Custodi Grigi. Al fianco si portava dietro un mabari dal pelo folto e nero come la notte, arruffato e più grande di qualsiasi mastino avesse mai visto nei cortili di Altura Perenne, selvaggio come la padrona. Biscotto aveva provato ad avvicinarsi, ma l'altro gli aveva ringhiato contro. Elissa si era assicurata che i due non si incrociassero di nuovo senza il suo controllo. Il suo mabari la seguiva come un'ombra ed obbediva ai suoi comandi, ma quello dell'elfa a volte gironzolava da solo nel villaggio.

Erano passati due giorni da quando avevano liberato Redcliffe dalla maledizione che gravava sul castello. A quanto pare, un demone aveva posseduto l'unico figlio ed erede dell'Arle, ed Alistair e l'altra Custode erano andati a chiedere aiuto al Circolo dei maghi per salvarlo. E ci erano riusciti.

Occorreva una grande dose di coraggio e nobiltà d'animo per rischiare la vita entrando in una torre di maghi sfuggiti al controllo dei templari. Affrontare maghi del sangue, Abomini e chissà che altro... Solo un eroe avrebbe affrontato un impresa del genere.

«Sì, non è stato facile. Purtroppo per guarire l'Arle servirà ben altro.» Rispose Alistair, pensoso. «Partiremo domani mattina per Denerim. Si dice che un pizzico delle Ceneri di Andraste possa guarire qualsiasi malattia o ferita...»

Elissa sospirò. Quella sì che sembrava un'impresa epica. Una di quelle su cui qualcuno, un giorno, avrebbe scritto libri e ballate. «Perché proprio Denerim?»

«Bann Teagan ha sentito dai suoi cavalieri che un certo Genitivi, uno studioso di storia e manufatti antichi, stava indagando sull'Urna delle Sacre Ceneri. Potrebbe aver scoperto qualcosa di utile.»

La ragazza si morse il labbro inferiore, incerta su cosa dire. «Non sarà poco sicuro per voi recarvi in città?» Dopotutto, erano ricercati dal reggente in persona, andare nella capitale del regno non poteva essere una buona idea.

Lo vide stringere i pugni, fino a farsi sbiancare le nocche. «Loghain... dovrà pagare per quello che ha fatto. Ma per il momento non possiamo affrontarlo, quindi entreremo in città di nascosto.»

Elissa scosse la testa. «Credi davvero che abbia tradito il Re?» Provò a ribattere. «Insomma, era quasi uno zio per lui, ed è un eroe di guerra...»

«È un traditore, ecco cos'è!» Sbottò Alistair.

Lei sobbalzò, allontanandosi istintivamente da lui. Biscotto, ai suoi piedi, percepì la paura della padrona, perché alzò le orecchie, puntando il muso verso il ragazzo, scoprendo i denti.

Il Custode si fece indietro a sua volta, alzando le mani. «Scusatemi!» Esclamò. «Non volevo spaventarvi. È che... ha raccontato a tutti che siamo dei traditori, quando è stato lui ad ignorare il segnale di scendere in battaglia. Ha portato via i suoi uomini, lasciando che il Re e tutti i Custodi Grigi venissero massacrati.»

Elissa non voleva crederci. «Sei sicuro sia andata così?»

L'altro abbassò lo sguardo. «Ero lì. Alla Torre di Ishal. Abbiamo acceso il segnale, io e Aenor. Lui non è mai sceso nella vallata.»

«Eri ad Ostagar?» Gli chiese, sorpresa. Aveva pensato che i due si fossero salvati perché lontani dalla battaglia. Come avevano fatto a sopravvivere, quando di coloro che erano stati alla fortezza, così pochi avevano fatto ritorno?

Il viso del fratello le balenò in mente, alimentato da una flebile speranza.

«Se vi dicessi che siamo stati salvati da un drago, che in realtà era una Strega delle Selve, mi dareste del pazzo?»

Lei sgranò gli occhi. «Morrigan?»

«Sua madre, per l'esattezza.» Alistair si incupì. Era chiaro che tra lui e la donna non corresse buon sangue. «Ma sì, è stata lei a tirarci fuori da lì. La Prole Oscura ci stava facendo a pezzi.»

Elissa scosse la testa. «Non ha senso. Perchè il Teyrn avrebbe voluto uccidere il Re?»

«Non ne ho idea. So solo che glielo chiederò, prima di mozzargli la testa.» Rispose lui, la rabbia che sgorgava dalle sue parole.

Teyrn Loghain. L'eroe che aveva scacciato gli Orlesiani, brillante stratega e grande guerriero. “Deve esserci un errore. Non può essere andata così.”

Nella piazza, intanto, un gruppetto di spettatori si era radunato in una piccola folla.

«Ti dico che non ne so niente!» Urlava un nano, agitando la propria ascia con fare minaccioso.

L'elfa tatuata lo affrontò spavalda, anche lei aveva sguainato la sua grande spada a due mani. «E allora facci dare un'occhiata a quel baule!»

«Come diavolo sai del baule, maledetta orecchie a punta!?»

Un altro nano, una ragazza dai capelli rossi, si avvicinò a loro. «Colpa mia.»

«Tu!» La apostrofò lui, rosso di rabbia. «Lo sapevo che non mi sarei dovuto portare a letto una dannata senzacasta!»

Elissa si mosse, a disagio. «Dovremmo intervenire?» Chiese ad Alistair, che stava osservando la scena. Notò che il ragazzo aveva un'espressione divertita.

«No, se la cavano benissimo da sole. Stiamo a goderci lo spettacolo.»

«Dacci la spada, Dwyn.» Minacciò l'elfa, mentre la nana faceva roteare in aria un coltello, che nella sua parabola riflettè la luce del sole sul metallo della lama.

«Scordatelo. Venite a prendervela.» Il nano, fatto cenno a due uomini dietro di lui, si scagliò con violenza contro di loro.

Le due erano pronte a difendersi. Nessuna delle parti mirava ad uccidere, ma fu il combattimento più sgraziato che Elissa avesse mai visto. La nana usava trucchetti di ogni genere per accecare e aggirare gli avversari, colpendoli alle spalle o raggiungendo i punti deboli scoperti dall'armatura, mentre l'elfa, seppur di costituzione minuta come il resto della sua razza, usava forza bruta e ogni altro mezzo a disposizione, come calci e simili.

In breve tempo, l'esito dello scontro fu ovvio. Dwyn era a terra, ammaccato e ansimante, la nana sopra di lui, uno dei coltelli premuto sulla sua gola. L'elfa nel frattempo teneva un piede saldamente premuto contro il petto di uno dei due uomini, la spada puntata contro il suo stomaco. Il secondo giaceva privo di sensi nella polvere.

«Vedo che ti piace proprio stare sotto.» Sentì dire alla nana.

L'altro si lasciò andare in una serie di ingiurie irripetibili, alcune nella lingua comune e altre in quella che era chiaramente la lingua dei nani. «Stramaledetta senzacasta! E va bene, prendetevela, quella fottuta spada! Tanto non me ne faccio niente, grande com'è!»

Le due, soddisfatte, si fecero indietro, permettendo all'uomo e al nano di alzarsi da terra. Il secondo fece un cenno del capo al primo, che corse in direzione delle case sulla riva del lago.

«Ve l'avevo detto che se la sarebbero cavata...» Alistair si girò a guardarla, scoppiando poi a ridere.

Elissa si girò a guardarlo, rendendosi conto solo dopo di avere probabilmente in volto un'espressione sconvolta. “Come fa a viaggiare con gente del genere?!” «Scusatemi, io...»

Il ragazzo alzò una mano. «Vi prego, datemi del tu, Lady Cousland.»

Lei si interruppe di nuovo, imbarazzata. «Scusami. Dicevo, non mi aspettavo che viaggiassi con una compagnia così... colorita?» Sperò di non averlo offeso.

L'altro ridacchiò di nuovo. «Sono assolutamente tremende, vero? E non avete visto niente. Ma ci si fa l'abitudine, credo. Spero, prima o poi. Perché ne ho di strada da fare con quelle, e non solo loro.» Scosse la testa, alzandosi in piedi e allungandole una mano per aiutarla.

Lei accettò di buon grado, anche se non era necessario.

Aveva le mani callose, nonostante fosse probabilmente più giovane di lei, forti e grandi. Mani di chi si allenava da una vita. Con una fitta al cuore, ricordò di come sua madre si disperava, pensando che le ore di combattimento con la spada e lo scudo avrebbero reso le mani della figlia come quelle di “un vecchio mercenario”. La costringeva sempre a metterle a bagno in oli profumati, per mantenerle morbide, massaggiandole dolcemente. Elissa lo aveva sempre trovato un po' una scocciatura, ma ora rimpiangeva quei momenti di affetto.

Intanto, la nana e l'altra Custode si erano accorti di loro e si stavano avvicinando.

«Piaciuto lo spettacolo?» Chiese loro la nana, rimettendo a posto i coltelli nella fodera appesa alla cintura. «Quello scemo di Dwyn è piuttosto bravo con un'arma, ma lo è ancora di più con l'altra spada, non so se capite co-»

«Natia!» La fermò l'elfa.

«Ah!» La nana si inchinò profondamente, un ghigno divertito stampato in faccia. «Scusatemi, vostra altitudine, ho la delicatezza di un bronto ubriaco.»

«Non fa niente.» Rispose a denti stretti Elissa, cercando di nascondere l'irritazione. Quelle due la stavano trattando come una principessina incapace. «Piuttosto, non credo di essermi presentata. Sono Elissa Cousland.» Tese loro la mano.

L'elfa la scrutò per un attimo, afferrandola poi con vigore. «Aenor Mahariel.» I tatuaggi che aveva sul viso, che la identificavano come una Dalish, erano di un verde profondo, che ricordava ad Elissa il fitto di una foresta. Aveva brillanti occhi verdi, quasi innaturali, come era comune tra gli elfi.

«Natia Brosca.» Si presentò la nana, buttandosi indietro una ciocca di capelli rossi ribelli. Li portava sciolti, pieni di nodi e arruffati. Sarebbero stati l'incubo peggiore di sua madre, pensò Elissa. Sulla guancia destra la nana aveva anche lei un tatuaggio, spesso e nero, a forma di S. Il naso era storto e incassato, come se fosse stato preso a pugni molte volte. Aveva piccole cicatrici sulla fronte, una sulla guancia destra che si estendeva quasi dall'orecchio al labbro, una sull'occhio e svariate più piccole sul naso e sul mento. I denti erano grandi e leggermente storti. La mano che le offriva era sporca di terra e chissà cos'altro, le unghie poco curate, come il resto del suo equipaggiamento. L'unica cosa che brillava erano i coltelli che portava nei foderi legati alla cintura, che chiaramente venivano puliti e affilati più volte al giorno.

Elissa strinse cortesemente la mano di Natia, sorprendendosi di quanto fosse forte.

Il nano che era stato sconfitto, Dwyn, le chiamò con un grugnito, una spada più grande di lui tra le mani. «Allora, la volete o no questa roba?!» Urlò loro.

«Ah, eccola finalmente!» Esclamò Aenor, prendendogliela di mano e roteandola faticosamente in aria. «Certo che pesa parecchio.»

«Sten sarà entusiasta.» Commentò Natia.

«Sicuro, salterà di gioia.»

I due custodi e la nana ridacchiarono. Elissa si sforzò di sorridere, senza capire il motivo di tanta ilarità.

«Come avete fatto a sapere che era lì?» Chiese il ragazzo.

Natia scoppiò a ridere fragorosamente. «Vuoi la versione dettagliata? Allora, avevo un certo prurito là sotto, quindi-»

«No, ho cambiato idea! Non è necessario saperlo!» Urlò Alistair, guardando allarmato in direzione di Elissa, paonazzo in volto.

Lei gonfiò il petto, indispettita. “Credono che mi sconvolga per qualche volgarità?”

La nana prese un respiro profondo. «Beh, in breve, sono finita a casa sua e mi ha fatto vedere tutta la sua collezione di spade. Di ogni forma e dimensione.» Ridacchiò di nuovo.

“Cosa ci sarà di così divertente...” Pensò Elissa, ma lasciò perdere. Forse non capiva il fascino delle battute volgari.

«Sarà meglio che andiate da Sten a dargli la spada, allora.» Le spronò Alistair, in un chiaro tentativo di levarsele di torno.

«Oh, certo, vi lasciamo da soli.» Rispose la nana, sogghignando. «Vedi di darti una mossa qui, spilungone, che domani si parte. Ultima notte!»

Senza smettere di ridacchiare, se ne andarono.

«Mi scuso per loro... Non so cosa dire.» Balbettò lui, scuotendo la testa.

“Come fa a sopportarle?!” Si chiese lei, incredula. «Sono sicuramente... bizzarre.»

«Se vogliamo chiamarle così.» Il ragazzo si grattò nuovamente la nuca, guardandosi attorno. «Credo sia più o meno ora di cena, dovrei tornare al castello e vedere se è tutto pronto...»

«Lasciatemi venire con voi.» Esclamò Elissa improvvisamente.

L'altro la guardò sorpreso, gli occhi sgranati. «Che-?»

«Non vi sarò di intralcio, lo giuro.» Lo pregò lei.

«Ma sarà pericoloso. E siamo ricercati in tutto il regno!» Ribattè Alistair. «Non capisco, perchè mai vorreste viaggiare con noi?»

La ragazza si morse il labbro. «L'ultima volta che mi si è presentata un'occasione del genere, sono rimasta a casa. E tutto è andato nel peggiore dei modi.» Come spiegarle che voleva rendersi utile, aiutarli nella loro missione per salvare il regno intero? Se davvero i Custodi Grigi erano gli unici a poter sconfiggere il Flagello, era suo dovere fare la propria parte. «Quello che fate, salverà il Ferelden. Voglio aiutarvi.»

Il ragazzo rimase a guardarla, come se stesse cercando le parole giuste per scaricarla. «Non... non prendetelo come un'offesa, vi prego, ma siete stata gravemente ferita. Sarà un viaggio pieno di pericoli, per arrivare anche solo a Denerim, e noi non siamo abbastanza per proteggervi.»

«Non voglio essere protetta!» Sbottò Elissa. «So che mi hai dovuto salvare, ma ti assicuro che sono in grado di usare una spada. E non me ne resterò qui ad aspettare con le mani in mano, devo fare qualcosa!» Lo guardò dritto negli occhi, cercando di fargli capire quanto fosse importante per lei. «Non dovrete trattarmi in modo diverso da chiunque altro, so cavarmela da sola.»

L'altro abbassò lo sguardo. «Non posso, mi dispiace. Siete l'ultima della linea dei Cousland, sarebbe troppo pericoloso portarvi con noi, non vi siete ancora ripresa.»

«Ma-»

«Vi prego di non insistere.» La interruppe lui senza guardarla, per poi voltarle le spalle. «Mi dispiace.»

Senza darle il tempo di replicare, si allontanò velocemente, lasciandola lì da sola, in mezzo alla piazza, a darsi della stupida.

Biscotto uggiolò, strofinando la testa contro la sua gamba. La ragazza si chinò ad accarezzarlo, la pelliccia era morbida al tatto e profumata, dopo il bagno che gli aveva fatto quella mattina. Le veniva da piangere.

Le lacrime ovviamente scesero da un solo lato del volto, mentre il destro restava in gran parte insensibile. Ciò la fece irritare ancora di più.

«Non finisce qui.» Disse al mabari, che la guardò sollevando un orecchio, senza capire cosa avesse in mente. Elissa si alzò di scatto, dirigendosi a grandi falcate verso il castello che sormontava il villaggio. Biscotto la seguiva trotterellando.

Evitò di incontrare i Custodi e i loro compagni, riuscendo a sgattaiolare nella piccola stanza che Bann Teagan le aveva assegnato, sfruttando il fatto che la maggior parte degli occupanti del palazzo erano riuniti nel salone per la cena.

Prese la spada e si sedette sul letto, estraendola dal fodero. La lama riluceva affilata.






 

Aenor diede un calcio ad un sasso sulla sua strada, guardandolo rimbalzare giù per la scarpata che stavano costeggiando.

«Allora, fino a quando resterai con noi?» Le chiese per la terza nel giro di un paio di giorni Alistair, sfoggiando un sorrisetto divertito. «Credevo non vedessi l'ora di andartene.»

«Piantala. E sta zitto, o potrei cambiare di nuovo idea.» Sbottò lei, superandolo a grandi falcate.

La verità era che aveva avuto incubi terribili, un drago enorme che comandava una sconfinata ora di Prole Oscura, ruggendo e sputando fuoco rovente su tutta la terra sotto di sé.

Si ricordava che Duncan e Alistair tempo prima avevano parlato di sogni ricorrenti ad ogni Custode Grigio, legati al sangue della Prole Oscura che ognuno di loro ingeriva durante l'Unione.

Credeva di poterli controllare, ma col passare dei giorni, e delle settimane, cominciava a temere che non fosse possibile. Con un brivido, si tirò su il cappuccio del mantello, coprendosi le orecchie infreddolite. Si strofinò le mani. “Questo maledetto freddo!”

Di solito il Clan, all'arrivo dell'autunno, si spostava in terre più calde.

Chissà dov'erano. Pensò alla Guardiana Marethari, e a come aveva permesso che Duncan la portasse via, senza opporsi. “Combatti per tutti noi”, erano state le ultime parole che le aveva rivolto. L'aveva odiata, addirittura più dello shem, per aver lasciato che accadesse. Per non aver cercato Tamlen immediatamente. Per non-

Scosse la testa. Era inutile pensarci, ormai era troppo tardi.

Si voltò, osservando il gruppo di persone che avevano radunato. Sembravano una carovana di pazzi.

Alistair le fece un cenno col capo, il suo sorrisetto scemo perennemente stampato in faccia, proprio come il suo regale fratellastro. Si era avvicinato a Wynne, e la donna sembrava stargli raccontando una delle sue storie. Leliana, poco distante, stava discutendo di qualcosa con Natia. L'umana teneva in mano qualcosa, ma Aenor non riusciva a vedere abbastanza bene da capire cosa fosse. Geralt, che a Redcliffe aveva trovato delle vesti più calde e adatte per il viaggio, camminava in silenzio a fianco di Morrigan, la quale sembrava apprezzare la compagnia di un altro mago.

Sten, poco distante da lei, procedeva in silenzio, la grande spada che gli avevano ritrovato sulle spalle. “Asala”, l'aveva chiamata.

«Significa qualcosa?» Gli chiese, avvicinandosi. «Il nome della tua spada, intendo.»

Lui si girò a guardarla solo per un attimo, impassibile. «Asala. Significa anima, nella lingua del Qun.» Rimase in silenzio. Farlo parlare era ogni volta un'impresa.

«Quindi, ogni Qunari ne ha una propria?»

L'altro sospirò profondamente, irritato da tutte quelle domande, che considerava chiaramente una perdita di tempo. «No. Questa spada è stata forgiata espressamente per me dall'Arishok, prima di essere inviato qui a raccogliere informazioni sul Flagello.»

«Capisco. È un'ottima spada, comunque. Non ho mai visto un metallo del genere.»

Sten sfoderò la lama, che era grande una volta e mezzo quella di Aenor. «Metallo blu. È così raro perché cade dal cielo, e in pochissimi riescono a forgiarlo per ottenerne un'arma.»

L'elfa la osservò ammirata. Le sarebbe piaciuto avere un'arma del genere, degna di un'eroina come quelle delle storie che si raccontavano attorno al fuoco.

Per il momento, tuttavia, doveva accontentarsi di quella che aveva recuperato a Lothering. Non aveva di cui lamentarsi, comunque, era una buona lama, di acciaio resistente, e abbastanza maneggevole anche per una persona di taglia minuta come lei.

«Magari un giorno me ne farò fare una anch'io.» Commentò, senza aspettarsi una risposta.

Il Qunari rimase in silenzio, rinfoderando la propria arma, impassibile come al solito.

Dopo qualche ora, decisero di accamparsi per la notte.

Mentre Morrigan si occupava della cena, Natia le ronzava attorno, osservando attentamente ogni ingrediente che la donna metteva nella zuppa che ribolliva nel pentolone.

«Se continui a infastidirmi, finirò per trattarti come quella stupida bestia.» La avvertì la maga, indicando con il mestolo Falon, che rosicchiava contento un osso, ignaro di tutto.

«Volevo solo capire cosa ci stessi mettendo dentro!» Si difese la nana, non accennando a muoversi.

«Ti farò una lista, se è sufficiente a farti levare di torno.»

Natia sbuffò sonoramente, ma si alzò da terra e andò a raggiungere Leliana, che la osservava ridacchiando poco lontano.

Aenor, che stava a guardia dell'accampamento, tornò a scrutare le ombre attorno a loro.
Non avevano incontrato troppa Prole Oscura, ma le strade erano praticamente deserte. Gli alberi si facevano più fitti, segno che tra poco avrebbero costeggiato la Foresta di Brecilian.

Appoggiò la schiena al tronco d'albero dietro di sé, passando il panno oleato che aveva in mano sulla lama della spada, sovrappensiero. Alistair aveva detto che i Trattati includevano anche gli elfi dei vari clan Dalish. Era quasi sicura che uno dei clan fosse lì da qualche parte, nella foresta. Avrebbero dovuto cercarli, potevano essere alleati preziosi.

Tuttavia, non era certa di voler trascinare altri della sua gente in quella follia.

«Aenor?»

Sentendosi chiamare, si voltò. Morrigan le porse una ciotola di zuppa bollente, che emanava un odore buonissimo. Lo stomaco le borbottò dalla fame.

«Grazie.»

«Potresti anche venire accanto al fuoco, sai?»

L'elfa sbuffò divertita. «Senti chi parla. Piazzi sempre la tenda il più lontano dagli altri.»

«Cosa c'entro adesso?» Ribattè la maga, gli occhi gialli che brillavano divertiti. «Non sono certo io l'impavida comandante di questo eterogeneo gruppo di sbandati.»

L'altra prese un sorso di zuppa, senza rispondere. Era buona, speziata al punto giusto e saporita.

«Fai come vuoi. Vado a controllare che Alistair non si metta a mangiare direttamente dalla pentola.»

Guardandola allontanarsi, l'elfa si chiese se effettivamente era lei a cui gli altri guardavano per guidarli in quell'impresa impossibile. Non era mai stata una leader, preferiva stare in disparte, per i fatti suoi, sgattaiolare via dai suoi impegni per vagare nella foresta, con Tamlen, alla ricerca di un po' di quiete lontano dagli occhi indiscreti del resto del Clan.

Non era in grado di decidere cosa fare di sé stessa, figurarsi se poteva guidare qualcuno.

Falon la raggiunse, accoccolandosi ai suoi piedi nel frattempo che lei finiva la zuppa. Gli altri si fecero via via più silenziosi, mentre la voce di Leliana si distingueva tra le altre, in uno dei suoi numerosi racconti.

Rimase ad ascoltare, di come i Magister del Tevinter entrarono nella Città Dorata del Creatore, rendendola impura e creando la Prima Corruzione.

La storia andava avanti, ma dopo un po' finì per sentire soltanto un brusio sommesso, mentre i rumori della radura attorno a loro prendevano il sopravvento. Un gufo passò fischiando da qualche parte sopra le loro teste, facendo alzare Falon, che puntò il muso verso l'alto, ringhiando sommessamente. Dei roditori si rincorrevano nel sottobosco poco lontano, spezzando alcuni rametti e facendo scricchiolare il tappeto di foglie secche.

Inspirò profondamente, cercando di tornare ai tempi in cui quei rumori significavano sicurezza.

 

Il giorno dopo, si rimisero in cammino all'alba.

«Pensi che potremmo trovarli?» le domandò Alistair, strofinandosi gli occhi con fare assonnato. «Hai detto che ci deve essere almeno un clan da quelle parti, no?»

Aenor annuì. «Credo di sì. Lasciamo sempre qualche segnale, in modo che altri elfi possano trovarci, se capitano nelle vicinanze. Non dovrebbe essere difficile trovarli.»

«Ci aiuteranno, vero?» Il ragazzo sembrava preoccupato di qualcosa. «Non sono tutti...»

«Come me, intendi?» Lo precedette lei, con una piccola smorfia. «Alcuni Clan sono più a contatto con gli umani, commerciano con i villaggi, cose così. Non aspettarti un caloroso benvenuto, comunque.»

L'altro ridacchiò. «Non me lo sarei mai sognato.»

«Hei, voi due.» Li chiamò Leliana. «Ci sono tracce di un carro. Fresche, sarà passato da un paio d'ore al massimo. Guardate.» Indicò una serie di solchi all'angolo della strada fangosa.

Il gruppo si mise subito all'erta. Non avevano incontrato nessuno da quando si erano allontanati da Redcliffe. Un carro carico di merci, o rifugiati, aveva di sicuro attirato attenzioni malevole.

Proseguirono, attenti ad ogni minimo movimento. Alistair procedeva in prima linea, mentre Aenor era in coda al gruppo. Non percepiva presenza di Prole Oscura e anche Alistair dichiarò che non sembravano essercene. Tuttavia, era possibile che, data la loro inesperienza, non fossero in grado di percepirla come i Custodi Grigi più esperti. Inoltre, con la grande quantità di quelle creature che ora vagavano in superficie, era più difficile distinguerne la presenza.

Improvvisamente, Alistair alzò il pugno chiuso, facendo segno che c'era qualcosa sulla strada.

Vide Leliana tendere il suo arco, mentre Morrigan e Geralt impugnavano i loro bastoni magici, cominciando ad incanalare energia e facendoli brillare minacciosamente.

Sfoderò a sua volta la spada, avanzando, Sten al suo fianco.

Le tracce delle ruote del carro erano chiaramente visibili sul terreno, la strada svoltava dietro ad una collinetta, impedendo loro la visuale.

«Posto perfetto per un'imboscata.» Commentò Brosca, comparendo dal nulla di fianco a lei.

«Leliana, Geralt, da quella parte.» Ordinò Aenor, indicando con un cenno la collinetta. «Non fatevi vedere. Se ci attaccano mentre siamo incastrati là dentro, buttategli addosso tutto quello che avete. Morrigan, riesci a salire dall'altro lato?»

«Non mi vedrà nessuno.» Le assicurò la Strega delle Selve, sorridendo malevola.

Mentre gli altri tre si arrampicavano sul ripido pendio, il resto proseguì lentamente lungo la strada.

«Aiuto!»

Un'umana sbucò da oltre la curva, correndo verso di loro. Era disarmata, vestita soltanto con una tunica strappata. Aveva il fiatone, uno sguardo di terrore nel volto. «Aiutatemi, ci hanno attaccati! Briganti!» Si aggrappò al braccio di Alistair, guardandolo supplicante. «Vi prego, i miei figli!»

Il gruppetto si scambiò un cenno d'assenso.

«Ma certo, cara.» Disse Wynne, assecondandola. «Non preoccuparti.»

Seguirono la donna oltre la collinetta. Un carro rovesciato impediva il passaggio, mentre lo stretto sentiero attraverso le due colline si snodava su per un'altura.

La donna corse in avanti, sparendo dietro al carro.

Aenor alzò lo sguardo verso la sua sinistra. Leliana, accucciata dietro una roccia, alzò le mani, ma l'elfa non riusciva a vedere fin là sopra.

«Dodici.» Grugnì Sten, facendo roteare minacciosamente Asala, fendendo l'aria con un fischio.

La Custode annuì.

Come previsto, alcune frecce sibilarono verso di loro, deviate però dalla barriera protettiva che Wynne aveva innalzato nel momento stesso in cui avevano iniziato a seguire la donna.

Tre figure in armatura sbucarono dal carro, le armi in pugno.

Aenor ne affrontò uno, facendo cozzare le lame con un clangore metallico. Con la coda dell'occhio, vide sopraggiungere Natia, che gli conficcò un coltello nella gamba, sotto l'armatura di cuoio. Quello urlò di dolore, permettendo all'elfa di roteare la propria spada e piantargliela nel petto. Un'esplosione assordante, seguita da grida disumane, segnalò che anche i maghi erano entrati in battaglia. Corse in aiuto di Alistair, che stava tenendo a bada uno shem in armatura pesante e allo stesso tempo la donna di prima, che aveva estratto due coltelli e si era lanciata contro il guerriero, approfittando del fatto che era impegnato a parare la mazza chiodata dell'altro assalitore.

Prima che potesse raggiungerlo, però, una freccia si conficcò tra le scapole della donna, facendola collassare a terra e dando la possibilità al Custode di concentrarsi su un solo nemico.

Aenor si diresse allora oltre il carro.

«Attenta!»

Prima che potesse rendersene conto, un'esplosione la sbalzò parecchi metri più in là. Atterrò sulla roccia, il fiato mozzo. “Fenedhis!” Imprecò, ma non le sembrava di avere nulla di rotto. Si tirò in piedi a fatica, notando un'aura luminescente attorno a sé. Wynne doveva essersi accorta in tempo della trappola esplosa. “Sono un'idiota.”

La spada le era caduta di mano. La individuò poco lontano, ma improvvisamente qualcuno la colpì alle spalle.

Sentì il metallo gelido farsi strada nella carne. Con un gemito, ruotò su sé stessa, fronteggiando inerme il suo assalitore.

Un elfo biondo, due pugnali in mano, si preparava a colpirla di nuovo.

«Addio, Custode.» Disse quello, mirando alla sua gola.

Aenor indietreggiò, presa dal panico, ma il colpo non arrivò mai.

L'elfo venne sbalzato da un lato, colpito da uno scudo massiccio.

La figura che l'aveva salvata sollevò di nuovo lo scudo di metallo, calandolo sull'elfo e lasciandolo privo di sensi. Si voltò poi verso di lei, facendole un cenno con la testa, per poi correre verso un arciere che aveva cercato di colpirla, la freccia che si era limitata a rimbalzare sullo spallaccio.

Aenor si premette la mano contro la ferita, ritirandola zuppa di sangue. Barcollò, la testa che le girava, finendo a terra.

Il clamore dello scontro si concluse di colpo, e qualcuno corse verso di lei. Si sentì sollevare il capo, venendo appoggiata su qualcosa di morbido.

«Wynne!» Urlo qualcuno, aveva la vista annebbiata.

Sentì un flusso fresco attraversarle il corpo, come se qualcuno l'avesse immersa in una pozza d'acqua. La ferita non pulsava più, ora sentiva solo un prurito insistente. La testa smise di girarle, e riuscì a rimettere a fuoco l'ambiente circostante.

«Aenor. Aenor, stai bene?!»

Il volto preoccupato di Alistair, chino su di lei, le occupava il campo visivo.

Si rese conto di avere la testa appoggiata sulle sue gambe. Cercò di alzarsi, ma un giramento la costrinse a rimanere immobile.

«Lascia che l'incantesimo finisca il suo effetto.» La avvertì Wynne, inginocchiata accanto a lei.

«Chi mi ha...?» Balbettò l'elfa, la voce impastata.

«Già ci conosciamo, Custode.» Rispose una voce conosciuta. La guerriera che l'aveva salvata si tolse l'elmo, liberando una treccia di capelli lunghi e biondi, che coprivano parzialmente il volto sfregiato. «Meno male sono arrivata in tempo.»

«Cousland?!» Esclamò sorpresa l'elfa. Non poteva credere di dovere la vita ad una damerina shemlen, per di più mezza cieca.

«Ve l'avevo detto che sapevo cavarmela.»

«Lady Elissa, mi scuso profondamente per avervi giudicata male... Volevo solo-» Iniziò Alistair, ma quella lo interruppe con un sorriso.

«Capisco perfettamente. Tuttavia, essendoci chiariti, verrò con voi.» Decretò.

Aenor si limitò ad un grugnito di fastidio. Era la terza volta che uno shem la salvava da morte certa. Stava diventando un'insopportabile abitudine.

«Grazie.» Disse tra i denti, riuscendo a mettersi seduta e allontanandosi un poco da Alistair. Il ragazzo scattò in piedi, aiutandola ad alzarsi.

«Hei, questo schifoso è ancora vivo.» Li chiamò Brosca.

La nana troneggiava sopra l'elfo biondo che aveva quasi ucciso Aenor, il coltello premuto sulla sua gola. «Che faccio?»

«Mi stupisce che ti sia fermata per chiedere.» Commentò Geralt, avvicinandosi a lei. «Potrebbe avere delle informazioni. Erano troppo capaci e ben organizzati per essere semplici briganti.»

«Sapeva che sono un Custode Grigio.» Confermò Aenor.

«Potrebbe averlo mandato Loghain?» Chiese Alistair, scrutandolo torvo.

«Leghiamolo e scopriamolo.»

Immobilizzarono l'elfo ferito, prima di lanciargli un piccolo incantesimo di guarigione. Quello sbattè le palpebre un paio di volte, incredulo.

«Non... mi aspettavo di svegliarmi.» Gracchiò. Aveva uno strano accento.

«Rispondi alle domande, o sarà l'ultima volta.» Lo minacciò Brosca, facendo roteare un coltello.

«Sicuro. Chiedete pure.» Acconsentì il prigioniero.

«Chi sei, e chi ti manda? Come sapevi che eravamo Custodi Grigi?»

«Mi chiamo Zevran Arainai, e sono stato mandato qui dai Corvi di Antiva, per portare a termine un contratto. Un uomo dall'aspetto simile ad un roditore, sgradevole direi, ci ha chiamati direttamente al palazzo reale di Denerim. Howe, mi pare si chiamasse.»

«Rendon Howe?!» Lo interruppe Elissa. Aenor notò che stava stringendo l'elsa della spada, la voce carica di odio.

«Proprio lui. Vi conoscete?»

«Ho un conto in sospeso con lui.» Rispose tra i denti la ragazza, ma tacque.

«Continua.» Lo spronò Natia, premendo la lama contro la sua gola. «E non dimenticarti niente.»

«Vi assicuro che non c'è alcun bisogno di minacciarmi. Il mio compito era uccidervi, non mantenere un segreto.» Disse l'elfo, cercando di sorridere. Incontrando una totale resistenza alle sue moine, si strinse nelle spalle e proseguì. «Dicevo, sono stato chiamato a Denerim da questo Howe. Mi ha portato a parlare con un altro signore, un tipo arcigno e taciturno, di mezz'età... Sembrava qualcuno di importante, ma non mi è mai stato rivelato il nome. Ha detto che dovevamo uccidere i due Custodi Grigi e mi ha congedato senza altre parole.»

«Loghain, sicuramente.» Commentò tetro Alistair.

«Non possiamo esserne sicuri.» Ribattè Elissa. «Il Teyrn non si abbasserebbe mai a collaborare con Howe, o ad assoldare degli assassini!»

«Perché fin'ora si è comportato da vero eroe.» Ringhiò Aenor, guardando l'elfo davanti a sé. «Non hai altro da dirci?»

Il prigioniero sorrise di nuovo. «Nulla che riguardi la presente faccenda, no, però-»

«Allora faremmo meglio a proseguire.» Lo interruppe lei, facendo segno a Natia di finirlo.

«Aspettate!» Urlò l'elfo, cercando di strisciare via dalla nana. «Potrei comunque esservi utile!»

«Perché non si lasciano mai uccidere in silenzio?» Sbottò Natia, fermando però la mano.

«Il contratto prevedeva di uccidervi. Non l'ho portato a termine, quindi non posso certo tornare dai Corvi, mi farebbero fuori ancora prima di arrivare alle porte di Antiva. E non ho alcun vincolo che mi leghi a quel Howe, o all'altro signore.»

«Ci stai dicendo che vuoi cambiare bandiera?» Disse Alistair, disgustato.

«Sto dicendo che potrei tornarvi utile. Sono piuttosto bravo a combattere, e so costruire trappole e creare veleni. Credo di aver dimostrato di essere abbastanza capace da riuscire quasi ad uccidere un Custode Grigio, no?»

Aenor gli tirò un calcio nel costato, facendolo gemere di dolore. «Se credi che questo possa contare a tuo favore...»

«Saremmo degli stupidi anche solo a darti il beneficio del dubbio.» Rincarò la dose Alistair. «Si vede con che facilità tradisci i tuoi compagni.»

«Beh, anche la lealtà ha i suoi limiti!» Provò a ribattere l'elfo. «Come posso accettare di farmi uccidere dai Corvi, solo per non essere riuscito a compiere una missione?»

Natia sbuffò. «Allora, che devo fare?»

«Uccidilo.» Rispose Aenor, assottigliando lo sguardo.

«Aspetta.» Si intromise Leliana. «Potrebbe avere ragione, ed esserci d'aiuto.»

«La smetti di cercare di convincermi a risparmiare tutti?!» Sbottò l'elfa, stanca delle continue insistenze dell'altra. Dalla prima volta che si erano incontrati, non aveva fatto altro che darle sui nervi, in continuazione. “Forse segretamente vuole ucciderci.”

«Vi assicuro che, se mi risparmierete la vita, saprò ricambiarvi il favore.» Giurò l'elfo prigioniero.

«Potremmo anche farlo.» Si intromise Geralt, grattandosi la barba con aria pensosa. «E tenerlo d'occhio. In caso, potremmo sempre decidere di sacrificarlo nel prossimo scontro.»

«Amell, se anche solo ci provi...» Si infervorò Wynne.

«Rilassati vecchia, era una battuta.»

«Peccato, mi avevi quasi convinta.» Ridacchiò Morrigan.

«Ora basta, mi avete stancato.» Aenor vide Natia sollevare il coltello, facendolo calare in direzione dell'elfo... piantandolo nel terreno a pochi millimetri dall'orecchio a punta del prigioniero. «Liberatelo o uccidetelo, basta che vi diate una cazzo di mossa.» Ringhiò, per poi recuperare il coltello e alzarsi. «Credevo avessimo fretta, spilungoni.»

Alla fine, dopo un'accesa discussione tra le parti, decisero di dare all'elfo una sola, singola possibilità di rendersi utile. 










Note dell'Autrice: il gruppo parte alla volta di una nuova quest. Gestire tutti questi personaggi è un'impresa, ma spero di star rendendo loro giustizia. Alcuni capitoli saranno divisi a metà come PoV, mentre altri saranno interamente dedicati ad un personaggio. 

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Capitolo 15
*** Foresta di Brecilian ***


 

CAPITOLO QUINDICI: FORESTA DI BRECILIAN






 

Natia osservò il ramoscello che Leliana le stava porgendo, provando a confrontarlo con gli altri due che teneva in mano.

«Allora, questo è Radice Mortale.» Disse dopo un'attenta analisi, sollevando il rametto sottile che aveva nella destra. «Fiori violacei, fa i frutti solo una volta all'anno, di colore rosso brillante, che possono causare vertigini e allucinazioni se ingeriti.»

«Esatto. Durante la stagione invernale perde i fiori, quindi è importante saperla distinguere dai semplici arbusti. Ne esistono due varianti principali: la prima, che è la più comune, è anche chiamata Radice Mortale dell'Arcanista, fu scoperta dall'Arconte Hadrianus, che osservò come crescesse sui corpi degli schiavi morti. La seconda, più rara, è la Radice Mortale della Pazzia, e deve il nome alla cortigiana Melusine, che si vendicò di un Magister e della sua famiglia servendola ad un sontuoso banchetto, in cui tutti furono presi da terribili allucinazioni e finirono per smembrarsi a vicenda.»

«Mi piace già.» Commentò la nana, gettando i ramoscelli inutili e tenendo invece la Radice. «Si usano quindi solo le foglie e i frutti?»

Leliana annuì. «Sì, le foglie sono spesse e ricche di linfa. I Chasind la usano da sempre per creare piccole allucinazioni nei loro rituali, ma in dosi più massicce può condurre alla pazzia, ed eventualmente alla morte, se distillata. È alla base della maggior parte dei veleni prodotti in superficie.»

«Noi usiamo solitamente un muschio, rossiccio, che cresce attorno ai canali dell'aria calda. È importante non toccarlo a mani nude, perché può causare pruriti e a volte bolle su tutta la pelle. Non ho idea di come si chiami, però, per noi è lo Scottadita.»

«Non sono mai stata ad Orzammar, deve essere affascinante stare sotto terra...» Disse Leliana. «Anche se ammetto sarei un po' a disagio, sapendo quante centinaia di metri di roccia mi separano dalla superficie.»

Natia sbuffò forte. “Umani.” «Io invece ancora non capisco come si possa stare all'esterno tutto questo tempo. Dal vostro maledetto cielo viene giù acqua, ghiaccio, e chissà cos'altro. Per non parlare del vento gelido e del Sole, che vi brucia gli occhi e la pelle. Molto meglio avere un tetto di pietra sopra la testa, è decisamente più sicuro. Non importa quanta cacca di nug ti stia attorno.»

«I nug!» Si illuminò l'altra. «Adoro quelle creaturine rosa, non sono adorabili?.»

«I nug?» Natia non capiva. Quella spilungona era strana forte. Nel sottosuolo, i nug erano ovunque, a volte i nobili, infastiditi, ordinavano una disinfestazione generale nella città, ma i roditori si riproducevano così in fretta che, anche se se ne salvavano giusto una manciata, nel giro di qualche anno i vicoli erano di nuovo invasi. Da qualche anno però erano inspiegabilmente diminuiti. “Che sia colpa anche quello della Prole Oscura?” Si chiese, ma sapeva che non avrebbe trovato una risposta. «So solo come cucinarli. Molto buoni. In effetti, qualunque cosa di diverso dal morire di fame ha un ottimo sapore.»

«Oh. Certo, capisco.» Si incupì l'altra, a disagio. «Scusami, non ci avevo pensato.»

Natia scrollò le spalle. «Non è mica colpa tua.»

Rimasero in silenzio per un po', mentre la nana toglieva meticolosamente tutte le foglie dalla Radice Mortale, infilandole una ad una nella sacchetta di pelle che portava al fianco.

Poco più avanti, i due Custodi erano impegnati a discutere con Geralt ed Elissa.

«Ma dobbiamo andare a Denerim!»

«Si tratterebbe solo di una deviazione, Geralt, e comunque dovremmo passarci prima o poi.»

«Dubito che sarà soltanto un “hei, ci serve il vostro aiuto, grazie mille della disponibilità, ci si vede!”.»

«Alistair, non sei d'aiuto.»

«Se sono tutti come lei, non abbiamo speranze.»

«Sta' zitta, principessina.»

Leliana sospirò. «Da stamattina non fanno altro che urlarsi dietro.»

Natia aggrottò le sopracciglia. «Io in quella foresta non ci metto piede.» Decretò, scrutando gli alberi alla loro destra. La strada principale costeggiava il limitare della Foresta di Brecilian, la vegetazione che si faceva via via più fitta e intricata man mano che uno vi si addentrava.

Quella mattina, Aenor aveva proposto di andare alla ricerca degli elfi Dalish, convinta che almeno uno dei Clan fosse attualmente accampato da quelle parti.

Geralt lo aveva immediatamente bollato come una perdita di tempo, e anche Elissa non sembrava proprio ansiosa di mettersi alla ricerca di un intero Clan di elfi ostili. Alistair cercava di mettere d'accordo le due parti, ma non stava facendo un gran lavoro.

«Sai, si dice che ci siano parecchie rovine abbandonate, nella foresta.» Disse Leliana.

«Se stai cercando un modo per convincermi...»

«No, non lo farei mai! Dico solo, pensa a tutti i tesori che potrebbero esserci nascosti.»

La nana sbuffò rumorosamente. «Sì, e anche branchi di lupi, Prole Oscura e chissà che altro.»

«Oh, cosa sento? Ha davvero paura di qualcosa!» Zevran, l'elfo che aveva cercato di ucciderli, spuntò allegramente accanto a loro, ridacchiando. Natia trovava il suo accento estremamente fastidioso, come se quello facesse apposta a darle sui nervi.

«Non ho paura proprio di un bel niente.» Ringhiò, una mano che volò sul manico del coltello infilato alla cintura. «Dico solo che non mi piace accamparmi tra alberi che oltretutto puzzano di cane bagnato.»

Falon, il mastino da guerra della Custode, uggiolò triste, sentendosi chiamato in causa.

«Ha perfettamente ragione, sacco di pulci.» Rincarò la dose Morrigan, che tuttavia allungò all'animale una piccola striscia di carne secca.

Il mabari abbaiò un paio di volte, per poi afferrare il bocconcino tra i denti, scodinzolando.

“Esattamente quanto sono intelligenti quei cosi?” Si chiese Natia, osservando l'animale. Sia Falon che Biscotto, nonostante fossero parecchio diversi, sembrava capissero più o meno tutto quello che si diceva loro. Il mabari dell'elfa ignorava però smaccatamente qualsiasi ordine che non venisse dalla padrona o da Morrigan, mentre quello di Elissa era meglio addestrato.

Il gruppetto più avanti non accennava a smettere.

«Abbiamo deciso che saremmo andati da Genitivi a Denerim, quindi perché prendere una deviazione, oltretutto non sappiamo nemmeno con precisione dove siano gli elfi!»

«Soltanto perché vuole riuscire a liberare il suo caro amico...» Commentò Natia sotto i baffi, calcando la voce sulle ultime due parole. «Ne è giusto un filo ossessionato.»

«Oh, io lo trovo così romantico!» Sussurrò Leliana, attenta a non farsi sentire dal mago in questione, che avrebbe cercato di dar loro fuoco se avesse intuito che stavano parlando di lui.

«Bah. A me sembra una stronzata.»

«Un cuore duro come la pietra!» Si intromise nuovamente Zevran, continuando però ad osservare il gruppetto davanti a loro.

A Natia non sfuggì lo sguardo che riservava ad uno in particolare.

«Scordatelo, bello, quello lì non si farà avvicinare manco per sbaglio.» Lo avvertì, trattenendo una risata. «Non hai proprio speranza.»

«Non ne sarei così sicuro. Non vedo il suo amico da nessuna parte, dopotutto. E un lungo viaggio del genere può rivelarsi solitario, da affrontare... Non tutti possono essere freddi come te, mia cara.»

La nana fece una smorfia schifata. «Chiamami di nuovo così e ti faccio saltare qualche dente. Così avrai ancora meno possibilità di infilarti nei suoi pantaloni.»

Leliana ridacchiò. «Se ci sentisse...»

«Ho preso la mia decisione!»

Sobbalzarono, zittendosi immediatamente.

Aenor guardava gli altri tre in cagnesco. «Se non siete d'accordo, proseguite da soli.» Senza aggiungere altro, allungò il passo, precedendoli di parecchi metri. Falon abbaiò una sola volta e trottò in avanti, affiancando la padrona, le orecchie ritte.

«Come se potessi...» Sentirono Geralt lamentarsi, ma la decisione era ormai presa.

Alistair scosse la testa, mentre Elissa si chiuse in un silenzio ostinato.

«Fantastico.» Borbottò Natia. Ovviamente entravano nella maledetta foresta. “Perché non me ne sono rimasta a Denerim?” Pensò per l'ennesima volta in quei giorni.

Non che si fosse rivelato un viaggio infruttuoso, come dimostrava la sacca piena di monete d'oro che tintinnavano nel suo zaino, al sicuro in fondo a tutto il contenuto. Erano così tanti soldi che le girava la testa solo a pensarci.

“Leske sverrebbe sul colpo, a vederle.” Pensò divertita. Nei tempi duri, si facevano bastare un paio di monete d'argento per un'intera settimana, nonostante i lavoretti per Beraht. Non era stato facile distinguersi da tutti gli altri disperati che avevano bisogno di entrare nel Carta, si erano dovuti guadagnare ogni singolo lavoro con le unghie e coi denti, e ci avevano messo anni. E, alla fine, Natia aveva sgozzato Beraht nel suo stesso palazzo. Poteva ancora sentire la soddisfazione che aveva provato in quel momento. Ora aveva talmente tanti soldi che avrebbe potuto riempire lo stomaco di tutti gli abitanti del Distretto della Polvere, addirittura per settimane!

E adesso rischiava di perdere tutto venendo mangiata da qualche lupo in una stramaledettissima foresta. Considerò l'idea di proseguire da sola fino a Denerim.

Il viaggio da Orzammar alla capitale del Ferelden era stato difficile, nonostante oltre a lei e al Principe c'erano stati anche Gorim e altri tre nani, abituati alla superficie. Mentre per andare a Kinloch Hold si era aggregata ad una carovana di mercanti, assoldati dal Carta per coprire i propri traffici loschi, che avevano poi proseguito per Redcliffe e Orlais.

«Sembra proprio che ci entrerai, in quella foresta.» Commentò Zevran, distraendola dai propri pensieri. Lei gli lanciò un'occhiataccia, che ebbe solo l'effetto di farlo sogghignare ancora di più.

“Stupido spilungone dalle orecchie a punta.”

Poco dopo mezzogiorno, svoltarono a destra verso il fitto del bosco.

La luce diventò verdognola, filtrata attraverso le foglie dei grandi alberi che incombevano su di loro, minacciosi e opprimenti. Il terreno si coprì di radici, seminascoste nel terreno.

Qualcosa le passò sfrecciando accanto all'orecchio, ronzando rumorosamente e facendola sobbalzare. “Insetti!” Pensò rabbiosamente, maledicendo tutto quel posto e tirando un calcio ad una delle radici. Sembrò di colpire della pietra. Imprecò ulteriormente.

Aenor, davanti a lei, avanzava leggera sul tappeto di foglie secche, l'andatura sicura e silenziosa. Falon annusava l'aria, poco distante dalla padrona, intento a captare tutti gli odori attorno a loro. Morrigan sembrava anche lei a proprio agio, mentre si guardava attorno alla ricerca di erbe da aggiungere alla sua sacchetta. Alistair, Elissa e Leliana guardavano verso il basso, attenti a non calpestare rami secchi, cercando di fare meno rumore possibile. Sten, impassibile come al solito, procedeva a passo spedito, incurante dei rami bassi che gli sfioravano il capo. Biscotto trotterellava col naso all'insù, andando avanti di qualche metro e poi tornando di nuovo dalla padrona.

Piano piano, Natia finì in fondo al gruppo.

«È difficile abituarsi, vero?» Le chiese Wynne, affiancandola. La donna, nonostante l'età avanzata, non sembrava particolarmente affaticata dalle ore di cammino.

L'altra scosse la testa. «Non voglio nemmeno provarci, ad abituarmi.» Scacciò un insetto che le si era posato sulla spalla. Quello si alzò in aria, ronzando stizzito, per poi posarsi di nuovo sulla sua testa. «Cazzo!» Sbotto lei, dandosi una manata in fronte.

Sentì uno “splat”. Non era stata una grande idea. Tentò di ripulirsi con la manica.

«Lascia perdere, è inutile.» La apostrofò Geralt. Anche lui stava faticosamente incespicando per il sottobosco, sfoggiando un'espressione esageratamente irritata e disgustata. «Sono ovunque.»

«Potevi sempre restartene alla Torre, Amell.» Ribattè Wynne tra i denti.

“L'ultima cosa di cui ho bisogno adesso, l'ennesimo bisticcio tra maghi.”

«Potresti sempre dare fuoco a tutto.» Suggerì Natia.

«Non mi tentare.»

«Dovreste cercare di apprezzare questo posto, invece.» Provò a convincerli l'anziana maga. «Questi alberi, possono avere anche centinaia di anni. Tutto ciò che ci circonda ha un'energia, è vivo. Gli animali stanno finendo di mettere da parte le ultime scorte, per affrontare il freddo rigido dei prossimi mesi, andranno in letargo per tutto l'inverno e si sveglieranno soltanto a primavera. Gli alberi stanno perdendo le ultime foglie, mentre gli insetti stanno compiendo i loro ultimi voli.»

«Potrebbero compierli da un'altra parte.» Bofonchiò Natia, per nulla impressionata.

«Capisco che sia molto diverso dal sottosuolo, ma anche la superficie ha le sue bellezze.» Ribatté la vecchia. «Prova a guardarti attorno.»

Natia, sbuffando, cercò di seguire il consiglio.

I tronchi erano coperti di muschio, l'aria era umida e fredda. Una serie di rumori non identificabili la facevano sobbalzare ogni volta.

Si scambiò uno sguardo con Geralt. Quello, distratto, inciampò in una radice e crollò a terra.

«Dannazione!» Imprecò il mago, rimettendosi in piedi e cercando di ripulirsi le vesti sporche. Si guardò le mani, leggermente sbucciate. «Dicevi?!» Sibilò all'altra maga, scoccandole un'occhiata velenosa.

Zevran gli si affiancò, porgendogli una mano. «Se hai bisogno di aiuto...»

«E levati!» Sbottò l'altro, spingendolo da parte e superandoli stizzito.

Natia scosse la testa, stando attenta a dove metteva i piedi.

Camminarono per ore. Dopo che fu calato il sole, i tre maghi fecero luce coi loro bastoni magici. Le ombre attorno a loro danzavano in modo innaturale, deformate e inquietanti.

Quando finalmente Aenor permise loro di accamparsi, Natia si lasciò cadere per terra, distrutta.

«Io proseguo ancora per un po', credo di aver visto delle tracce.» Sentì dire all'elfa.

Alistair si alzò in piedi di scatto, allarmato. «Ti accompagno.»

L'altra rifiutò categoricamente, facendo segno al suo mabari di seguirla. I due si allontanarono nel buio, sparendo velocemente alla vista.

Natia riuscì a stento a prendere sonno, circondata dai rumori sconosciuti della foresta. Vide l'elfa tornare appena un paio d'ore prima dell'alba.

Si girò dall'altra parte, maledicendo l'ennesimo ululato lontano, incapace di riaddormentarsi.

All'alba, si rimisero in cammino. Cominciò a piovere, cosa che trasformò il terreno in una trappola fangosa. Qualsiasi tipo di traccia stessero seguendo, pensò Natia, doveva essere scomparsa.

Il maltempo li accompagnò per tre giorni, nei quali il gruppo si faceva sempre più taciturno, il malcontento che si insinuava quanto l'acqua nei loro vestiti.

Starnutì per l'ennesima volta, rabbrividendo e cercando di avvolgersi ulteriormente nel mantello. Si avvicinò di soppiatto a Geralt, che teneva il bastone magico stretto tra le mani, un'aura dorata attorno a sé che emanava calore e lo riparava dalla maggior parte della pioggia.

«Quando pensi arriveremo?» Gli chiese, tirando su col naso.

«Non sarà mai abbastanza presto.» Borbottò lui, arricciando il naso e tirandosi indietro una ciocca di capelli rossicci dalla fronte.

«Possiamo accamparci qui, per oggi.» Decretò Aenor dopo qualche tempo, alzando la voce.

Aveva delle occhiaie pesanti sotto gli occhi, che risultavano più grandi sulle guance incavate. Come al solito, fece segno a Falon di seguirla, allontanandosi dal gruppo mentre gli altri preparavano il campo e accendevano un falò, approfittando del fatto che aveva momentaneamente smesso di piovere. Natia sapeva che l'elfa aveva a malapena chiuso occhio in quei giorni, tuttavia non ne conosceva il motivo, né le interessava. Anzi, a dirla tutta, ne era segretamente soddisfatta. Era tutta colpa sua se erano giorni che vagavano zuppi per quella foresta.

Alistair e Leliana confabulavano tra loro, abbastanza lontani perchè Natia non riuscisse a carpirne il discorso. Sembravano preoccupati.

«Sai, è possibile che gli elfi non ci siano, e che stiamo girando in tondo inutilmente.»

Alzò lo sguardo sul mago, che si era seduto su una roccia accanto a lei, intento a leggere un libro dall'aria pesante, la copertina di pelle nera. «Se dopo tutta questa fatica non incontriamo nemmeno un orecchie a punta, ucciderò qualcuno.» Gli disse.

«Ti darò una mano.»

Wynne si avvicinò loro con un bicchiere di legno, porgendolo alla nana. «È tutto il giorno che ti sento starnutire, dovresti bere qualcosa di caldo.» Le disse, ignorando smaccatamente l'altro mago.

Natia allungò la mano, annusando l'intruglio all'interno e tuttavia non riconoscendone alcun odore. Decise di sorseggiarlo, godendosi il tepore. Era amarognolo.

«Cosa pensi stia facendo?» Chiese, indicando con un cenno del capo il punto dove l'elfa era sparita nel fogliame.

La maga scosse la testa. «Il cammino di un Custode Grigio può essere difficile.» Disse enigmatica.

«Sicuro. Gradirei fosse meno bagnato, però.» Ribatté finendo di bere. Una ciocca di capelli le si era appiccicata in fronte. Si passò le dita tra i nodi, cercando di domarli.

Leliana le si avvicinò, lanciando un'ultima occhiata ad Alistair, che stava passando un panno oleato sulla propria spada, guardandosi attorno con espressione ansiosa.

«Vuoi una mano?» Le chiese, sedendosi accanto a lei. «Se vuoi sistemarteli, ti aiuto volentieri. Adoro fare i capelli, sai? Ad Orlais si sperimentano le acconciature più folli, ogni stagione tutte le signore fanno a gare per essere all'ultima moda.»

Natia, le dita incastrate in un nodo particolarmente ostinato, diede un inutile strattone. «Sono solo capelli.» Bofonchiò, rinunciandoci.

Il risultato era probabilmente una matassa che spuntava poco sopra la nuca.

Leliana scosse la testa, sorridendo. Estrasse dalla sua borsa una spazzola di legno.«Io credo che i capelli dicano molto di ciascuno di noi... Inoltre, così conciata ti finiscono sicuramente negli occhi, no?»

La nana fece un piccolo cenno d'assenso. «Come ti pare...»

L'altra, ricevuto il via libera, iniziò a passare delicatamente le mani tra i capelli dell'altra, separandone pazientemente le varie ciocche e districandole, usando sia le dita che la spazzola.

«Una primavera, andava di moda portare tra i capelli dei piccoli uccellini, che cinguettavano le melodie più dolci. Tutte le orlesiane più alla moda portavano grandi gabbie in testa, coi capelli arricciati attorno, ornati persino di fiori e frutti.» Iniziò a raccontare, mentre lavorava con agili movimenti delle dita le ciocche rossicce.

Natia la lasciò fare, era tutto sommato piacevole. Scoppiò a ridere, al pensiero di un mucchio di spilungone vestite d'oro e pennuti tra i capelli. «Davvero?»

«Assolutamente. Durò poco come tendenza, però: puoi immaginare le conseguenze di tenere sulla testa un paio di uccellini terrorizzati per svariate ore...»

«Proprio un'idea di merda.»

Risero entrambe.

«Sai, se ti facessi delle treccine, sarebbero molto più a posto. Si sporcherebbero di meno, oltretutto.» Le propose Leliana. «Se ti va, ovviamente.»

«D'accordo... se non ci aggiungi dei pennuti.» Acconsentì Natia, leggermente a disagio. Non aveva mai avuto tempo di pensare ai capelli, o a qualsiasi altro genere di vanità. Quando era stata l'ultima volta che qualcuno le aveva pettinato i capelli? Sua madre no di certo, forse Rica, quando erano bambine...

Mentre l'altra lavorava, raccontando aneddoti sulle follie della nobiltà di Orlais, i pensieri di Natia vagavano verso casa. Come se la stava passando sua sorella? Era poi riuscita ad accaparrarsi qualche nobile? Con Beraht fuori dai piedi, non credeva che nessuno potesse più avere motivo di prendersela con Rica, tuttavia una bella donna come lei attirava attenzioni sgradite nel Distretto della Polvere, e senza più la protezione del Carta... sperava vivamente che Leske stesse mantenendo la promessa di tenerla al sicuro, altrimenti gliele avrebbe suonate. Se e quando mai fosse riuscita a tornare ad Orzammar. Si morse l'interno della guancia, cercando di non pensarci. Era probabile che non avrebbe mai più rivisto nessuno dei due, che non avrebbe mai più attraversato le strade polverose e piene di sporco dei bassifondi, non avrebbe più bevuto birra scadente seduta con la schiena appoggiata ai canali dell'aria calda, l'odore di muschio e muffa nelle narici e la pancia che brontolava dalla fame, le pessime battute di Leske a riempire il silenzio attorno a loro.

«Finito!» Esclamò Leliana, mostrandole il suo riflesso in un piccolo specchio dalla cornice decorata.

Natia si osservò, una moltitudine di treccine sottili che le ricadevano ai lati del volto, in modo quasi ordinato. Ne bloccò alcune dietro un orecchio, continuando a guardarsi.

«Se non ti piace, posso ovviamente slegarteli...»

Scosse la testa. «No, sono...» “carini?” Non avrebbe mai pensato di usare un aggettivo del genere su sé stessa. «Grazie. Mi piacciono molto.»

«Ma figurati, è stato un piacere.» Sorrise l'altra. «Puoi ovviamente legarli in una coda, così si aggroviglieranno molto meno.»

Leske usava lo stesso sistema, pensò distrattamente Natia, facendo passare le dita tra le treccine. Certo, quelli dell'amico erano più dei tronchi di capelli aggrovigliati in qualche modo, ma il concetto era quello.

«La cena è pronta, ma se volete pure mettervi a fare impacchi profumati, ve la teniamo in caldo.» Le chiamò Morrigan, squadrandole divertita, un sopracciglio alzato.

Pure la cena sembrava annacquata e insipida, riflettendo il loro umore grigio. Mangiarono in silenzio, attenti ai rumori che provenivano dal bosco attorno a loro.

Natia aveva notato che gli umani si erano fatti sempre più tesi man mano che si addentravano nella foresta, e persino Sten sembrava essere più accigliato.

«Se non troviamo nulla nemmeno domani, proseguiremo dritti per Denerim, la strada principale da qui è a due giorni di marcia. Stiamo perdendo troppo tempo.» Ruppe finalmente il silenzio Alistair, appoggiando la ciotola sulle ginocchia, lo sguardo basso.

«Credi che si lascerà trascinare via?» Gli chiese Elissa, riferendosi ovviamente ad Aenor.

L'altro scosse la testa. «No, ma questa ricerca la sta facendo impazzire. Saranno giorni che non chiude occhio. Non troveremo nulla.»

«Non è da te essere così negativo.» Commentò Leliana, sbocconcellando con grazia un tozzo di pane. «Aenor dice di star seguendo delle tracce fresche.»

Elissa si guardò intorno, accigliata. «Sono le altre tracce che stiamo trovando, a preoccuparmi.»

Rimasero qualche istante in silenzio.

Natia non capiva di cosa stessero parlando. «In che senso?»

«Hai presente quelle impronte di lupo che abbiamo incontrato due giorni fa?» Le chiese Alistair.

La nana annuì. Come dimenticarsele, erano lunghe quasi quanto uno dei suoi coltelli...

«Nessun lupo ha delle zampe del genere.»

Deglutì a vuoto. «E allora...?»

«Nella foresta di Brecilian si narra esistano svariate creature selvagge, possedute da spiriti o vittime di maledizioni antiche. È possibile che i lupi qui intorno siano di natura magica.» Rispose Morrigan, che tuttavia non sembrava turbata dalla cosa. Certo, avere una madre ultracentenaria che sa trasformarsi in un drago, doveva cambiare il proprio punto di vista su un mucchio di cose...

«E cosa cazzo ci facciamo ancora qui in giro?!» Esclamò Brosca, incredula. «Se gli elfi sono abbastanza cretini da vivere in un posto del genere, non possono essere di grande aiuto.»

«Oppure sono già stati tutti uccisi e divorati dai lupi, o peggio, ed è per questo che stiamo girando a vuoto.» Commentò tetro Geralt, tirando su col naso. «Dovremmo essere già a Denerim.»

Alistair fissava preoccupato gli alberi, in silenzio.

«Tranquillo, la tua compagna è in gamba, e ha il passo leggero. Sa cavarsela.» cercò di rassicurarlo Wynne, la voce calma. Sembrava che nulla potesse turbarla. A parte i maghi del sangue.

Il Custode annuì distrattamente, poco convinto.

«Zitti.»

Si girarono di scatto.

Sten, che per tutto il tempo era rimasto in disparte e in silenzio, era scattato in piedi, sguainando la grande spada, lo sguardo puntato verso un albero mezzo caduto e interamente coperto di muschio e fogliame.

Tesero tutti le orecchie. Natia poteva sentire rimbombarle il cuore nel petto, ma non riusciva a distinguere alcun suono che fosse più minaccioso di altri.

«A destra!» Li avvertì Alistair, giusto qualche attimo prima che tre creature, estremamente grosse e pelose, piombassero loro addosso ringhiando.

Natia si sentì buttare a terra, prima ancora che potesse capire cosa fosse il proprio assalitore. L'impatto le tolse il respiro, e cercò di strisciare via tossendo, il fianco che le faceva male, una puzza di cane bagnato a riempire l'aria. Sentì Geralt e Morrigan urlare qualche incantesimo, mentre una luce azzurrina la circondava. Ringraziò mentalmente Wynne, riuscendo a rimettersi in piedi, il dolore al fianco che andava a scemare. Squadrò una delle creature, cercando di capirne i punti deboli.

Erano alti circa due metri, coperti di pelliccia, sembravano muoversi sia a quattro zampe che a due, avevano un aspetto molto più umanoide di qualsiasi lupo o cane avesse mai visto da quando era salita in superficie.

Una freccia le sibilò accanto all'orecchio, andandosi a piantare poco sotto la nuca di una delle bestie, che ringhiò di dolore.

Senza perdere altro tempo, si lanciò all'attacco, mirando alle zampe e recidendo i tendini, facendo tentennare la creatura, dando la possibilità a Sten di colpirla in pieno petto. Cadde a terra con un tonfo, ringhiando, le grandi fauci sbavanti e piene di denti aguzzi che si chiusero a pochi centimetri dalla faccia di Natia, che l'aveva schivata appena in tempo. Sten alzò la grande spada sopra la testa, inchiodando la creatura a terra e trapassandola da parte a parte, rompendo con un sonoro scrocchio la cassa toracica. Quella sussultò spasmodicamente un paio di volte, sputando sangue, gli occhi rossi e folli di rabbia, gli artigli che fendevano spasmodicamente l'aria.

Natia e Sten si scambiarono un cenno d'assenso, voltandosi verso gli altri: Alistair ed Elissa avevano accerchiato una delle bestie, che cercava inutilmente di trapassare i loro pesanti scudi, gli artigli che stridevano sul metallo. Morrigan la colpì con un dardo luminoso, facendole perdere l'equilibrio per un istante, mentre Alistair ne approfittava per colpire il mostro sotto la mascella, caricando un colpo potente con lo scudo per poi tirarsi indietro e lasciare che Elissa lo finisse, colpendolo al fianco e costringendolo in ginocchio, aiutata da Biscotto, per poi dare il colpo di grazia alla testa.

Un lampo di elettricità illuminò la radura, seguito da un ringhio furioso, mentre l'ultima creatura rimasta si dibatteva inutilmente a terra, dove brillava una delle rune di paralisi di Geralt, una freccia di Leliana che le spuntava dall'occhio, facendo schizzare sangue tutt'attorno. Sten gli piantò la spada tra le scapole, ruotandola con uno strattone e ponendo fine allo scontro.

«State tutti bene?» Chiese Wynne, lanciando un incantesimo di cura tutto attorno.

«Starei anche meglio se potessi appoggiare la testa su qualcosa di morbido...» Rispose allusivo Zevran, rimettendosi faticosamente in piedi dopo che uno dei mostri l'aveva colpito di striscio.

«Cosa diamine sono?!» Sbottò Elissa, la spada puntata su una delle creature.

Morrigan si avvicinò anche lei, dando un colpetto con il proprio bastone magico al cadavere, osservandolo con interesse. «Mi azzarderei a rispondere “lupi mannari”.» Si voltò verso Elissa, gli occhi gialli indecifrabili. «Li avrai incontrati, nelle tue letture.»

«Pensavo fossero vaneggiamenti di qualche scrittore fantasioso, o in ogni caso estinti.» Si difese lei.

«E invece sono piuttosto reali, quindi cosa ci facciamo ancora qui?!» Sbottò Natia, mettendosi quasi ad urlare. Ne aveva abbastanza di quel maledetto posto di merda, tra alberi, pioggia, fango, insetti e ora pure lupi rabbiosi e troppo cresciuti, usciti direttamente da qualche favola dell'orrore. «Andiamocene a Denerim, e alla malora con gli elfi!»

«Troppo tardi.»

Si girarono di scatto, allarmati.

Dal folto della foresta uscirono cinque elfi, gli occhi che brillavano sinistri, armati di archi e frecce che tenevano puntati verso di loro. Man mano che si avvicinarono al limitare del cerchio di luce lanciata dal falò, Natia potè distinguerne le fattezze.

Quattro somigliavano molto ad Aenor e come lei avevano il volto ricoperto di intricati tatuaggi, ma fu soprattutto la quinta che attirò l'attenzione della nana.

Portava abiti scuri, che si confondevano con la vegetazione, e la pelle era anch'essa scura, quasi nera, faceva risaltare ancora di più gli occhi, che rilucevano di un bianco innaturale, incorniciati da un ciuffo di capelli candidi che ricadeva da un lato della testa, mentre l'altro lato era rasato, lasciando in mostra una serie di cicatrici dall'aria recente, che le coprivano la maggior parte della pelle esposta come un ammasso di rovi biancastri.

«A quanto pare, questi shem sono più resistenti del solito.» Commentò un'elfa dai capelli biondi, lanciando loro uno sguardo sprezzante.

«Vedremo.» Rispose un altro, che tuttavia sembrava più preoccupato della foresta attorno a loro che del gruppo di umani.

«Veniamo in pace!» Provò a spiegare Alistair, facendo due passi avanti, le mani alzate davanti a sé. «Sono un Custode Grigio, siamo qui per cercare un'alleanza con gli elf-»

Prima che potesse completare la frase, una freccia si piantò dove un attimo dopo sarebbe stato il suo piede.

«Non un altro passo, umano.» Ringhiò l'elfa dalla pelle scura, incoccando nuovamente l'arco.

Elissa e Geralt agirono d'istinto, la prima portando la mano sull'elsa della spada, l'altro raccogliendo le energie ed emanando miriadi di scintille attorno a sé. Sten grugnì qualcosa in Qun, mentre il ringhiare di Biscotto riempiva l'aria. Natia, pronta allo scontro, strinse i coltelli che ancora rilucevano del sangue del lupo mannaro. Potè giurare di aver visto l'elfa sussultare, spaventata da qualcosa. Forse si erano resi conto che attaccare un gruppo così folto e ben equipaggiato, non era una grande idea.

«Fermi» Intimò loro Alistair. «Non abbiamo intenzioni ostili, credetemi.»

«Umani nella nostra foresta, e maghi, per di più.» Ribatté l'elfa. «Dovremmo ucciderli.»

«Calma, Kallian. Uccidere gli umani non porta mai a nulla di buono.» Ribattè un altro elfo, che sembrava più anziano.

«Si sono avvicinati troppo, Athras.»

«Mithra, dovremmo portarli dal Guardiano. Se è davvero un Custode Grigio...»

«Sono una minaccia!» Sbottò l'elfa dalla pelle scura, che doveva chiamarsi Kallian. Lanciò uno sguardo di puro odio verso di loro, che fece drizzare i capelli in testa a Natia, anche se non era rivolto a lei in particolare. «Ammazziamoli e facciamola finita.» Tese la corda dell'arco.

«Non così in fretta, orecchie piatte.»

Natia non era mai stata così contenta di vedere Aenor.

L'elfa, spuntata da chissà dove, era accompagnata da Falon, che ringhiava in direzione dei loro assalitori. Accanto a loro, un'altra elfa dal volto tatuato, che portava in mano un bastone da mago.

«Lanaya?!» Esclamò sorpresa Kallian. Gli altri sembrarono rilassarsi, abbassando un poco le armi.

«Lo shem dice il vero, sono Custodi Grigi. E chiunque violi il trattato di amicizia tra i Clan Dalish e i Custodi senza un ottimo motivo, verrà punito severamente.» Disse la maga, squadrando l'altra in modo severo, nonostante la giovane età. «Riponi le armi, Kallian, non sono tuoi nemici.» Le disse poi in tono più gentile. Si girò dopo verso Natia e gli altri. «Siete i benvenuti, seguitemi. Non dovremmo stare qui fuori.»

Non restò loro altro da fare che seguire l'elfa attraverso il bosco.

«Dovevi proprio sparire nel nulla?» Sentì Alistair chiedere ad Aenor.

«Ve la siete cavata, no?» Ribattè lei, per nulla toccata. «Non sono la tua balia.»

«Ero preoccupato. Sono giorni che sparisci, veniamo attaccati da lupi mannari e poi da elfi incazzati... tutti eravamo preoccupati.»

«Non vi avrebbero attaccati sul serio, erano in netta inferiorità numerica.»

«Dillo a quella là.» Si intromise Natia, indicando col capo Kallian, che non aveva smesso un attimo di tenerli sott'occhio, adirata. «Credo ci farebbe volentieri a pezzi a mani nude.»

Aenor sbuffò. «Che ci provi.»

Seguirono gli elfi fino al loro accampamento, situato tra alcune rovine di pietra. Colonne rovinate dal tempo e resti di quelle che dovevano essere state delle mura spuntavano qua e là dal terreno. I Dalish avevano montato svariate tende dall'aspetto robusto, postazioni da lavoro per cucinare, conciare le pelli o forgiare armi, mentre un grande falò troneggiava al centro dell'accampamento, alcune panche e tronchi levigati posti accanto ad esso. Vi erano anche grandi strutture di legno, che assomigliavano alle barche che aveva visto al porto di Denerim, soltanto più piccole e... sulla terraferma. Che ci facevano gli elfi con delle barche, nel bel mezzo di una foresta?

Nonostante quel posto avrebbe potuto accogliere alcune decine di persone, notò Natia, vennero accolti da uno sparuto gruppetto di elfi, i volti tatuati che esprimevano sorpresa e preoccupazione.

«Andaran atish'an.» Li salutò un elfo vestito con una lunga tunica e un bastone magico sulle spalle. «Vorrei potervi dare un benvenuto migliore.»

«Ma serannas, Guardiano.» Rispose Aenor, che con grande sorpresa di Natia, chinò leggermente il capo in segno di rispetto verso l'elfo più anziano. Evidentemente, doveva essere lui il capo.

«Fortunatamente, hai trovato i tuoi compagni prima che i miei irruenti cacciatori potessero respingerli fuori dal nostro territorio...» Proseguì lui, voltandosi poi a guardare Kallian e gli altri.

Mentre gli elfi tatuati accennarono gesti di scuse, Kallian ricambiò lo sguardo del Guardiano senza battere ciglio. «Erano intrusi, e noi abbiamo già abbastanza problemi.» Ribattè piccata.

Il Guardiano scosse la testa. «Problemi che forse i Custodi potranno aiutarci a risolvere.» Si girò verso i nuovi arrivati. «Come ho già detto alla vostra compagna, per il momento non ci è possibile tener fede ai Trattati. Una grave maledizione si è scagliata sul nostro Clan, e se le cose non cambieranno, non avremo nemmeno abbastanza cacciatori per difendere noi stessi.»

“Figuriamoci se anche loro non avevano qualche problema.” Pensò Natia, trattenendosi dall'imprecare ad alta voce. Sembrava proprio che tutte le disgrazie della superficie fossero spuntate fuori con l'avvicinarsi del Flagello. “Che seccatura.”

«Fatemi tirare ad indovinare, state parlando dei lupi mannari?» Chiese sarcastico Geralt, che sembrava di cattivo umore almeno quanto lei.

L'elfo sgranò gli occhi. «Li avete incontrati?»

«Poco prima che ci trovassero i tuoi cacciatori, sì, un vero peccato non siano arrivati prima per darci una mano.»

L'altro non sembrò minimamente toccato dalle accuse poco velate del mago. «Ho dato ordini precisi di evitare qualsiasi scontro con i lupi, non ho intenzione di perdere altri membri del mio Clan.»

«La situazione è così grave?» Chiese Alistair, facendosi un poco avanti.

Il Guardiano annuì. «Venite a vedere voi stessi.» Con un cenno, li condusse verso una serie di giacigli, su cui riposavano svariati elfi feriti, in condizioni più o meno gravi. Alcuni erano quasi interamente coperti di bende e impacchi.

«Siamo arrivati qui un mese fa, ma non ci aspettavamo un attacco del genere da parte dei lupi. La maggior parte dei miei cacciatori sono stati presi alla sprovvista, poiché avevamo sottovalutato le bestie e la loro sete di sangue.» Indicò un elfo che giaceva in preda alla febbre, le labbra che si muovevano mentre bofonchiava parole che Natia non riusciva a decifrare. «Anche con tutto il nostro sapere e la nostra magia, saremo costretti ad abbattere i nostri fratelli, per evitare che si trasformino a loro volta.»

«Non c'è modo di salvarli?» Chiese Elissa, la fronte aggrottata. Leliana, accanto a lei, sembrava condividere la sua preoccupazione.

Il Guardiano le rivolse uno sguardo sospettoso. «Un modo ci sarebbe, ma non sarà semplice.»

«Vi aiuteremo.»

Si girarono tutti a guardare Aenor. «Se c'è un modo per guarirli, non possiamo abbandonarli.» L'elfa aveva un'espressione determinata in volto, pronta a sfidare chiunque la stesse per contraddire.

“Ecco, sapevo che ci avrebbe fottuti.” Pensò Natia. Non vedeva l'ora di andarsene da lì, il più velocemente possibile, altro che salvare qualcuno...

«Aenor, possiamo parlarne un attimo?» Le chiese Alistair. Sembrava preoccupato quanto gli altri.

Il Guardiano parve capire che c'era qualche divergenza di opinioni nel gruppo. «Senza di voi, il mio Clan non ha speranze contro quelle belve rabbiose. Ma non posso costringervi, Custodi.» Detto questo, chinò leggermente la testa, permettendo loro di allontanarsi e discutere sul da farsi.

Natia guardò in cagnesco i suoi compagni di viaggio, le braccia incrociate sul petto. «Io non ci resto in questa foresta, dovessi pure andarmene da sola!» 










Note dell'Autrice: ed ecco che ricompare anche Kallian! Ormai il gruppo è quasi al completo...

Per chi volesse dare un'occhiata, ho ridisegnato Kallian dopo essere arrivata dai Dalish QUI

Come al solito, mi farebbe immenso piacere ricevere qualche commento, se la storia vi sta piacendo o se avete qualche critica o suggerimento. 
Dareth shiral, al prossimo capitolo! 

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Capitolo 16
*** Rovine di Brecilian ***


CAPITOLO SEDICI: ROVINE DI BRECILIAN



Kallian si rialzò a fatica, lanciando a terra i resti del suo arco, ormai inutilizzabile. Il drago, che ora giaceva a terra in un lago di sangue scuro, lo aveva spezzato con il suo peso.

«Poteva essere la tua schiena, ti è andata bene.»

Strinse i denti, incrociando lo sguardo di Aenor.

La Custode combatteva come se avesse puro fuoco in corpo, senza quasi curarsi di essere ferita, roteando la grande spada che portava sulle spalle come se fosse senza peso. Nell'enclave, anche solo possedere una spada spuntata e arrugginita era considerato un crimine e nessun elfo sano di mente avrebbe osato sfidare in maniera così plateale le guardie cittadine. Sua madre aveva corso un grandissimo rischio ad insegnarle a tirare con l'arco e ne aveva pagate care le conseguenze. Chissà cosa avrebbe detto, vedendo la figlia uccidere un drago al fianco di una cacciatrice Dalish.

«Giusto, dovrei essere entusiasta di essere rimasta praticamente disarmata.» Recuperò le poche frecce ancora utilizzabili dallo scontro e rimettendole nella faretra.

«Non è detto...»

Si girò, osservando l'elfo dall'accento di Antiva, Zevran, rovistare tra una pila di macerie, acciaio arrugginito e sporcizia non identificabile.

«Ah!» Esclamò trionfante lui, spostando con qualche difficoltà un masso che ostruiva un grande forziere. Kallian si affrettò a raggiungerlo, notando quello che aveva attirato l'attenzione dell'elfo: la punta di quello che doveva essere un arco spuntava da una spaccatura del legno. La serratura era stata rotta dalla caduta delle macerie, ma il contenuto sembrava essere rimasto intatto. Lo aprirono, estraendone un grande arco di legno chiaro, che nonostante fosse lì sotto da tempo immemore, pareva ancora in perfetto stato. Accarezzò l'impugnatura intagliata, ammirandone la fattura. La corda era ormai deteriorata, ma per fortuna lei ne aveva una di scorta.

«Falon'Din.» La Strega delle Selve le comparve a fianco, come dal nulla, facendola sobbalzare.

La guardò senza capire.

«Gli intagli, rappresentano il dio che guida il Popolo dopo la morte.» Spiegò la donna, indicando una figura stilizzata e allungata dalla forma vagamente elfica, che reggeva un bastone da pastore dall'estremità incurvata.

Kallian cercò di non far trasparire il disagio che la maga le metteva addosso. «Spiega perchè si sia mantenuto così a lungo qui sotto.» Disse a testa bassa, mentre con movimenti esperti annodava rapidamente la corda e ne saggiava l'efficienza. “Grazie al Creatore...” Pensò soddisfatta: aveva di nuovo un'arma.

«Muoviamoci.»

Annuì, seguendo Aenor che faceva strada attraverso il corridoio buio, il grande mabari nero dell'elfa che non si allontanava mai per più di un paio di metri dalla padrona. Aveva sempre avuto timore di quelle creature, così amate dai nobili, che spesso li aizzavano contro i loro servitori o semplici passanti così sfortunati da incrociare il loro cammino. Non li aveva mai visti però in battaglia, e doveva ammettere che Falon, così si chiamava, era stato di grande aiuto.

Affiancò Sten, il silenzioso Qunari che li accompagnava. Come fosse capitato a viaggiare con due Custodi Grigi era un mistero, ma del resto, tutta quella assurda compagnia lo era.

Sospirò.

Almeno, due maghi su tre avevano proseguito il loro viaggio verso Denerim, seguiti dagli umani. Era l'ennesima conferma che di loro non ci si poteva fidare. Dopo aver ascoltato tutto il racconto del Guardiano, avevano comunque deciso di abbandonare il Clan al proprio destino, andandosene alla capitale e lasciando soltanto Aenor, il Qunari e Zevran ad occuparsi della maledizione che minacciava di distruggerli. Anche la strega era rimasta, ma Kallian era sicura che fosse soltanto lì per il proprio tornaconto personale. Anche la strana nana tatuata era sembrata ansiosa di andarsene dalla foresta, ma, data la poca affinità della sua specie con la superficie, era comprensibile.

Tutto sommato, però, se la stavano cavando.

Nonostante avessero dovuto chiedere aiuto ad un centenario albero parlante, affrontato un paio di dozzine di lupi mannari, mandato all'Oblio un pazzo eremita che viveva nel fitto della foresta, incontrato alcuni Prole Oscura e attraversato un muro di nebbia magico per raggiungere le rovine, non avevano incontrato difficoltà insormontabili.

Il lupo bianco che li aveva attaccati era sicuramente Zannelucenti, di cui dovevano recuperare il cuore per spezzare la maledizione e salvare i Dalish che erano stati infettati. Con un brivido, scacciò l'immagine della povera Danyla, che aveva preferito morire piuttosto che sopravvivere come una di quelle creature rabbiose.

Si fecero strada attraverso un labirinto di corridoi e cunicoli in rovina.

Quando un fantasma dall'aspetto di un bambino elfico comparve di fronte a loro, cercarono di inseguirlo, venendo così attaccati da una serie di scheletri che fecero rizzare i capelli in testa a Kallian. In quel luogo maledetto dovevano sicuramente dimorare spiriti e maledizioni di ogni tipo.

«Mamae?» Chiese per l'ennesima volta il bambino, in lacrime.

Sentì Aenor rispondere qualcosa in elfico, ma non riuscì a capirne il significato.

Il fantasma sparì in una nuvola di fumo, mentre al suo posto comparì una creatura deforme, che fluttuava in aria, lo sguardo vacuo e le fauci spalancate in un grido acuto che le perforò le orecchie.

«Nulla di buono accade mai in rovine come queste.» Commentò Aenor una volta che furono riusciti a sconfiggere l'Orrore Arcano (così lo aveva chiamato la strega).

«Non può mancare molto.» Disse Kallian, asciugandosi il sudore dalla fronte. Quel posto stava fiaccando le sue resistenze. Creature magiche, maledizioni e fantasmi si nascondevano dietro ogni angolo e lei sembrava l'unica lì dentro a sobbalzare per ogni singolo rumore.

Infine, giunsero ad una pozza d'acqua poco profonda, scorgendo dall'altro lato una scalinata dall'aria pericolante, che scendeva in profondità.

Si scambiarono uno sguardo. La puzza dei lupi mannari si poteva avvertire fin là sopra, era chiaro che quello fosse uno degli accessi alla loro tana.

Scesero le scale, attenti non fare rumore.

Subito si resero conto di essere osservati. Falon abbassò le orecchie, in posizione di difesa alla destra di Aenor, che era in testa al gruppo. Sten proteggeva il fianco sinistro, mentre Morrigan stava nelle retrovie, il bastone alzato e pronto a lanciare uno dei suoi incantesimi. Tenendo la strega sempre sott'occhio (non le piaceva averla alle spalle), incoccò una freccia. Zevran, di fianco a lei, aveva un'espressione tesa, i capelli biondi appiccicati alla fronte a causa del sangue che gli colava da una ferita superficiale.

Come previsto, una mezza dozzina di lupi furono loro addosso, costringendoli ben presto ad una ritirata sulle scale. Da lì, con Aenor e Sten che mantenevano saldamente la posizione affrontando un lupo alla volta grazie allo spazio ristretto, Kallian riusciva a mirare perfettamente ai punti deboli delle bestie, che caddero una dopo l'altra sotto le sue frecce e gli incantesimi di Morrigan. Quando anche l'ultimo venne abbattuto da Sten con un potente colpo di spada, che recise la testa dell'animale di netto, si fecero strada nell'angusta stanza di pietra. Una porta di legno, marcio e graffiato, si ergeva di fronte a loro.

Senza troppi complimenti, Aenor la sfondò con un calcio. «Tanto, l'effetto sorpresa ce lo siamo scordato da un bel po'.» Ringhiò la Dalish, le nocche sbiancate da quanto stava stringendo la sua spada, pronta ad attaccare qualunque cosa si celasse lì dietro.

Kallian sentì Morrigan ridacchiare, ma era troppo tesa per trovare qualcosa di divertente in quella situazione. Attraversarono il varco, trovandosi in una grande stanza circolare, illuminata da una fioca luce che arrivava dall'alto.

Quattro lupi si ergevano al centro di essa, ma, invece che attaccare come Kallian si sarebbe aspettata, uno di essi si fece loro incontro, i denti scoperti. I suoi compagni ringhiarono rabbiosi, ma quello alzò una delle zampe anteriori, mettendoli a tacere.

«Fermi, fratelli miei.» Disse, con una voce roca e bestiale, per poi rivolgersi direttamente ai nuovi arrivati. «Intrusi. Non desideriamo altro spargimento di sangue. Siete disposti a parlare?»

«Parlare!» Sbottò Kallian, tendendo l'arco di fronte a sé e mirando all'occhio della creatura. «Dopo averci attaccati, osate chiedere di parlare?!»

«Dammi anche un solo motivo per cui dovrei sprecare fiato, bestia.» Ribattè Aenor, che non accennava ad abbassare la propria arma. Falon, accanto a lei, ringhiava in supporto della padrona.

«Sono stato mandato dalla Signora della Foresta a chiedervi un incontro.» Insistette il lupo. «Crede che i Dalish non vi abbiano detto tutto.»

Vide Aenor avanzare di un passo. «E ti aspetti che cadremo in un tranello così ovvio?»

«Non intende farvi del male, purchè voi non abbiate-»

Non riuscì a finire la frase, che una delle frecce di Kallian gli si piantò nell'occhio destro, conficcandosi fino all'impennaggio.

Con un urlo rabbioso, i lupi si scagliarono loro addosso, ma vennero colpiti da uno degli incantesimi di Morrigan, che li rallentò abbastanza da permettere ad Aenor e Sten di mettersi in una posizione avvantaggiata. La Dalish affondò l'elsa della spada nella gola esposta del lupo ferito, estraendola in un fiotto di sangue scuro che le si riversò sul pettorale dell'armatura leggera che indossava. Senza farci caso, oltrepassò il cadavere, aiutando Sten a ucciderne un altro.

Altri tre lupi sopraggiunsero a dare una mano ai compagni, ma furono sconfitti e uccisi.

Tra loro e Zannelucenti, soltanto un'altra porta di legno, che fece la fine della precedente.

«E così non volete sentire ragioni.» Li accolse una voce di donna, che rimbombò limpida nella caverna come una goccia che si propaga in cerchi concentrici in uno specchio d'acqua.

Dal buio, emerse una figura femminile, nuda fatta eccezione per i rampicanti verdi che le si erano aggrovigliati attorno, verdi in risalto sulla sua pelle traslucida e sovrannaturale.

«Mia signora!» Gemette una familiare voce ringhiante, chiaramente in agonia.

Kallian si voltò verso di essa, scorgendo con soddisfazione Passosvelto, che giaceva morente in una pozza di sangue che gli usciva da un grosso squarcio sulla zampa posteriore, provocatogli da Aenor nello scontro precedente al loro ingresso nelle rovine. Se era riuscito ad arrivare fin lì, era stato soltanto grazie all'intervento di Zannelucenti, che li aveva colti di sorpresa.

Non si sarebbero lasciati fregare un'altra volta.

«Non muoverti, amico mio. Le tue ferite sono già abbastanza gravi.» Lo ammonì la donna, per poi rivolgersi nuovamente a loro, facendo un gesto ad indicare i pochi lupi rimasti, che le si erano stretti intorno, a proteggerla. «Siete stati mandati qui alla cieca, eppure combattete con tanta furia.»

«Non siamo qui per perdere tempo in chiacchiere.» La interruppe Aenor. «Dicci dov'è Zannelucenti, e facciamola finita.»

I lupi mannari attorno alla donna si agitarono ancora di più, pronti a balzar loro addosso. I loro ringhi le facevano accapponare la pelle, ma erano così vicini al loro obbiettivo, che l'elfa quasi non provava più paura, sostituita da una furia cieca che la pervadeva.

«Chiaramente, è lei stessa Zannelucenti.» Disse Morrigan, indicando la donna.

«Dici bene, mortale.» Ammise quella. «E ognuno di loro, qui, morirebbe per salvarmi.»

I lupi ringhiarono la propria approvazione.

«Tuttavia,» Parlò ancora Zannelucenti, alzando una mano pallida per placare i ruggiti «non desidero che venga sparso altro sangue. Se proprio non volete ascoltare le mie parole, prendete il mio cuore, mortali, ma risparmiate queste povere anime maledette.»

«Mia signora!» Si oppose Passosvelto, riuscendo a strisciare di qualche metro verso di lei. «Non fatelo, vi prego!»

«Passosvelto, fa' silenzio.» Lo redarguì. «Non abbiamo altra scelta, siamo rimasti in pochi, ed è chiaro che possono sopraffarci. Chiedo solo pietà per coloro che combattono ogni giorno contro la propria natura di bestie selvagge, a loro imposta da qualcuno che non conosce perdono.»

«Che intendi dire?» Chiese Aenor.

Kallian le rivolse uno sguardo sorpreso. Avevano di fronte soltanto cinque lupi oltre a Zannelucenti, la vittoria era ormai loro, e lei sceglieva di parlare con quel mostro? «Che importa? Uccidiamoli e prendiamo il suo cuore, siamo qui per questo.» Ribattè irata.

La donna la guardò con i suoi occhi neri e inespressivi. «La tua anima è piena d'odio, e paura. Non dissimile da quella di Zathrian stesso. Capisco perché abbia trovato in te un'alleata così tenace.»

«Sta' zitta.» La ammonì Kallian, le mani che fremevano per lasciare andare la corda tesa dell'arco.

«Ma una vita dettata dalla vendetta può considerarsi vissuta?» Continuò Zannelucenti, imperterrita. «Per colpa di un crimine commesso generazioni fa, siamo ancora maledetti. È questo che credi gusto? Che le colpe di un solo gruppo di uomini appartengano all'intera specie?»

«Fa' silenzio!» Urlò Kallian, perdendo la pazienza e scoccando una freccia, che si andò a conficcare nello stomaco della donna. Quella si accasciò con un gemito, crollando in ginocchio.

Immediatamente, i lupi si lanciarono all'attacco.

Kallian incoccava e lanciava senza nemmeno mirare, presa com'era da un unico pensiero fisso: uccidere quella creatura. Quasi non fece caso ad una zampata che le sfiorò il fianco, i grandi artigli ricurvi che si chiudevano ad un soffio dalla sua gamba, mentre lei spiccava un balzo per superare uno dei cadaveri a terra e raggiungere Zannelucenti, che nel frattempo si contorceva tra i lamenti simili ad ululati, avvolto in una luce bianca.

Vide la donna, ora con il corpo che si era coperto di pelliccia bianca, il volto allungato in un muso lupino, alzare lo sguardo verso di lei, in un lamento animalesco.

«No!»

Venne colpita alle spalle da qualcosa, che le cadde rovinosamente addosso bloccandola al terreno. Si ritrovò schiacciata dal massiccio corpo di Passosvelto, il sangue del lupo mannaro ad imbrattarle le vesti, cercando di tenere le fauci della bestia lontane da sé. In un groviglio di artigli, pelo e sangue, cercò di liberarsi, l'arco le era caduto lontano e il coltello da caccia che portava alla cintura era irraggiungibile. I denti schioccarono a pochi millimetri dal suo naso, mentre il peso del lupo schiacciato contro il torace le toglieva il respiro, annebbiandole la vista.

“Creatore...”

Improvvisamente, la presa di Passosvelto si allentò, permettendole di raccogliere le ginocchia e spingerlo via da sé. Quello scivolò a terra senza opporre resistenza.

Notò un coltello conficcato nella giugulare del lupo, che ebbe qualche ultimo spasmo, sputando sangue in un ringhio gorgogliante.

Afferrò la mano di Zevran, che l'aiutò a rimettersi in piedi. Gli rivolse un cenno del capo, prima di focalizzare di nuovo la sua attenzione su Zannelucenti.

La creatura giaceva a terra, un lupo agonizzante accanto ad essa, la mano ad afferrare la pelliccia insanguinata del suo ultimo protettore.

Aenor troneggiava su di loro, zuppa di sangue dei nemici, reggendosi alla spada che poggiava a terra. «È finita.»

Kallian le si affiancò, estraendo il coltello dalla cintura.

«Così la vendetta di Zathrian ha fine, nel sangue.» Rantolò Zannelucenti, premendosi una mano sulla ferita. «Almeno, troveremo pace.»

«Ve lo meritate.» Ribattè Kallian.

«Forse è così.» La donna chiuse gli occhi, il volto che si distendeva lentamente. «Così tanto tempo...» Esalò l'ultimo respiro, mentre la mano che premeva contro il ventre scivolava a terra, priva di vita.

Rimasero per un attimo in silenzio, quando la voce di Zevran le riscosse. «Di che crimine parlava, secondo voi?»

«Non importa. Qualsiasi cosa fosse, la maledizione non colpirà più la nostra gente.» Rispose decisa Kallian, chinandosi sul cadavere, il coltello da caccia stretto in mano. Esitò un attimo, non sapendo da che parte cominciare.

La mano di Aenor si posò sulla sua. Incrociò lo sguardo dell'altra, facendosi poi da parte.

Con gesti esperti, la Dalish affondò il coltello nella carne della Signora della Foresta, estraendone con maestria il cuore e avvolgendolo in una pelle, che ripose in una sacca legata alla cintura.

«Andiamocene.»

 

Uscirono in superficie tramite un passaggio che si snodava attorno alle radici dei grandi alberi. Inspirando la brezza umida della foresta, Kallian chiuse gli occhi.

Avevano davvero fatto la cosa giusta?

«Avete ottenuto il cuore?»

Si voltarono di scatto, sorpresi di vedere Zathrian avvicinarsi a loro.

Aenor sollevò la sacca di pelle, annuendo. «Non vi fidavate?»

«Quello spirito e le sue bestie potevano essere ingannevoli.» Ribattè il Guardiano. «Volevo sincerarmi che non foste caduti nei loro tranelli.» Prese la sacca e controllò il contenuto, accennando un sorriso compiaciuto. «Questo salverà parecchie vite.»

Tornarono all'accampamento senza contrattempi.

Il Guardiano sparì nella sua tenda a lavorare per spezzare la maledizione sui cacciatori Dalish, mentre il gruppo venne accolto dagli altri elfi con gratitudine.

Li fecero accomodare attorno al falò principale, medicando loro le ferite e condividendo la cena.

Distrutta dalla stanchezza, Kallian si arrovellava su quanto era successo. Le parole di Zannelucenti le rimbombavano in mente. Scosse la testa, incapace di togliersi di dosso il disagio che le provocavano.

«Combatti bene, per essere un'orecchie piatte.»

Sollevò lo sguardo. Aenor, che nel frattempo si era data una ripulita, la guardava al di sopra della sua nuova arma, una grande spada donatale dagli elfi, probabilmente proveniente da qualche rovina.

«Credimi, è più leggera di quanto sembri.» Disse la Dalish intercettando il suo sguardo e sedendosi accanto a lei.

«Un'arma degna di un Custode Grigio.»

La sentì sospirare. «Già. Sembra proprio che non possa evitarlo.»

Si girò a guardarla, incuriosita. «Che intendi dire?»

Aenor si guardò attorno. Sembrava che ogni singolo metro dell'accampamento risvegliasse in lei qualcosa, che si nascondeva tumultuoso dietro agli occhi verdi della ragazza. La vide esitare qualche attimo, prima di estrarre qualcosa dalla tasca.

Sul palmo della mano, brillava una fialetta di vetro, piena di un liquido scuro. “Sangue?”

«Non fosse per questo, non sarei qui.» Cominciò a raccontare la Dalish. «Avevo un clan, come questo. Non me ne sarei mai andata via, se...» Si interruppe bruscamente, la voce rotta. Tirò su col naso. Kallian si accorse che aveva gli occhi lucidi. All'improvviso, si rese conto che l'altra non poteva avere più di diciassette, diciotto anni, e nonostante il ruolo di Custode che ricopriva, era pur sempre una ragazzina.

«Non devi per forza-»

«Te lo sto dicendo perché devi capire una cosa.» La interruppe Aenor, stringendo il pugno attorno alla fialetta che teneva in mano. «Non volevo essere un Custode, mi hanno trascinata via dalla mia gente, a forza, persino la Guardiana del mio Clan mi ha tradita, lasciando che un umano mi gettasse in mezzo a tutto questo casino. Che il Temibile Lupo se lo porti, quello poi ha anche tirato le cuoia.» Sbuffò, per poi guardarla dritto negli occhi. «Tu sapevi che è stato Zathrian a creare la maledizione, vero?»

Dopo un attimo di esitazione, Kallian annuì.

«Non so esattamente perché odi tanto gli umani, ma posso intuirlo. E capisco perché hai scelto di ucciderli tutti, invece che dare una possibilità a Zannelucenti di spiegarsi. Avresti potuto rompere la maledizione, ma non hai voluto farlo.»

«Disapprovi?» Le chiese Kallian.

Aenor scosse la testa. «Gli umani hanno ucciso i miei genitori. E la figlia di Zathrian, ciò che le è successo... Non provo pietà per coloro che discendono da delle bestie del genere.»

Sentì un peso sollevarsi dal suo stomaco. «Avrei dovuto dirtelo, ma avevo paura che... viaggiavi con degli umani, quando sei arrivata qui. E i Custodi Grigi di solito sono...»

«...eroici?» Le suggerì l'altra, scuotendo la testa. «Alistair avrebbe di sicuro cercato una soluzione pacifica. Lui sì che è un eroe uscito da qualche storia. Di quelli che finiscono uccisi per la propria stupidità.»

Rimasero in silenzio per qualche tempo, ascoltando il brusio dell'accampamento attorno a loro e lo scoppiettare delle braci del falò. Kallian rimuginava su quanto era successo in quelle settimane, da quella sfortunata mattina in cui avrebbe dovuto sposarsi. Come si era ripresa a fatica da quello che le avevano fatto Vaughan e il suo mago, gli sguardi di pietà, compassione e disgusto negli occhi dei suoi vicini nell'enclave, che l'avevano alla fine costretta a fuggire da quel posto, nella notte, senza salutare e sperando di non incrociare nessuno, alla ricerca di un mito. I Dalish, gli elfi liberi, coloro che non si facevano piegare da nessuno.

Eppure, aveva visto quanto anche loro potessero essere sopraffatti, costretti a fuggire dagli umani, a temere ogni singolo giorno di essere attaccati, spostandosi in continuazione senza mai trovare una dimora fissa. Erano così diversi dalle storie che le raccontava sua madre, erano...

In sottofondo, qualcuno iniziò ad intonare una canzone sulla caduta di Arlathan, le note dolci e malinconiche che riempivano l'aria. Osservò con la coda dell'occhio la ragazza accanto a lei, che fissava il fuoco senza vederlo, persa in chissà quale doloroso ricordo.

“Fragili.”

Era scappata lì per riprendersi la sua dignità, giurando che mai più avrebbe sottostato a dei padroni umani. Eppure, dopo il bagno di sangue che si era consumato quel giorno, non si sentiva meglio. Il vuoto che l'aveva spinta ad andarsene da casa era ancora lì.

«Partirete domani?» Chiese ad Aenor.

L'altra annuì. «Dobbiamo incontrarci poco fuori Denerim tra una settimana.»

«Verrò con te.»

Aenor si girò, sorpresa. «Credevo ti trovassi bene qui.»

Kallian ascoltò un'altra strofa della canzone, l'amaro in bocca. «Mi hanno accolta, ma non sono una di loro. E non sono nemmeno più una semplice elfa dell'enclave che lavora al mercato, sperando di avere abbastanza soldi per comprarmi una casa decente e ottenere un buon matrimonio.» Si sfilò l'arco che aveva trovato nelle rovine, accarezzandone il legno levigato. «Non so cosa fare di me stessa, ma se posso essere d'aiuto nel fermare il Flagello, farò la mia parte.»

Aenor, che era rimasta ad ascoltare in silenzio, accennò un sorriso. «Ti toccherà viaggiare con parecchi umani. E maghi.»

«Sopporterò.» Promise. «A patto che non mi infastidiscano.»

«Oh, stai pur tranquilla, il più fastidioso qui è l'Antivano.» La rassicurò l'altra, indicando Zevran con un cenno del capo, che nel frattempo era occupatissimo a parlottare con una coppia di giovani elfi che sembravano sconvolti da qualsiasi cosa stesse loro raccontando.

Melava inan enasal

ir su aravel tu elvaral

u na emma abelas

in elgar sa vir mana

in tu setheneran din emma na

 

lath sulevin

lath aravel ena

arla ven tu vir mahvir

melana 'nehn

enasal ir sa lethalin”

Kallian ascoltava la canzone, senza riuscire a carpirne tutte le parole.

«Il tempo era allora una benedizione, ma i lunghi viaggi sono più ardui quando si è da soli. Prendi forza dai tempi passati, ma non perderti in luoghi non più tuoi. Sii determinato nel momento del bisogno, un domani apparirà la strada verso casa e il tempo sarà di nuovo fonte di gioia.» Sentì Aenor recitare con voce solenne.

La ringraziò con un cenno del capo, mentre il coro di elfi andava avanti nella loro litania, ascoltando passo passo la traduzione dell'altra.

Le parve di vedere qualcosa muoversi tra gli alberi, ma quando riuscì a mettere a fuoco la foresta attorno a loro, oltre la zona delimitata dalla luce del falò, non c'era nessuno. La sensazione di essere osservata però non si affievolì, ma rimase come un insetto ronzante a punzecchiarle la nuca.

Il canto del Clan si spense in una nota vibrante che sembrò rimbombare per tutta Brecilian, accompagnandola nel loro viaggio per i giorni a seguire.

 





 

“Maledizione!” Imprecò mentalmente Geralt, evitando per un soffio una delle enormi corna dell'ogre. I Prole Oscura li avevano colti di sorpresa, appena usciti dalla foresta. La strada principale svoltava fiancheggiando un ripido dirupo, e non erano stati in grado di evitare un manipolo di Hurlock e Genlock, che li aveva ora chiusi a tenaglia.

Alistair ed Elissa se l'erano cavata abbastanza bene a tenere a bada gli assalitori in quello spazio ristretto, fino a quando, dalla scarpata sopra di loro, non era sopraggiunto un ogre, le fauci grondanti sangue e gli artigli pronti a smembrare chiunque gli fosse capitato a tiro. Sfortunatamente, quel qualcuno era attualmente lui.

Il mago cercò rifugio appiattendosi contro la parete rocciosa, il terrore di scivolare di sotto grande quasi quello di essere fatto a pezzi dal mostro.

«Abbassati!»

Fece appena in tempo a scansarsi, che un incantesimo lanciato da Wynne si schiantò come un pugno di pietra sul gigante, colpendolo alla testa e facendolo barcollare. Alistair, approfittando di quella momentanea debolezza, si lanciò nuovamente all'attacco, spostando con un poderoso colpo del suo scudo il braccio del mostro, mentre con la spada lo trafiggeva nel bassoventre. Sangue violaceo schizzò dalla ferita, che andò ad imbrattare l'armatura ammaccata del guerriero.

L'ogre ringhiò imbufalito, caricando con le corna il Custode. Non fosse stato per l'intervento di Natia, che gli lanciò imprecando uno dei suoi coltelli dritto in un occhio, lo avrebbe sicuramente calpestato e ridotto in poltiglia. Ferito di nuovo, il mostro caracollò in avanti, tuttavia la strada verso di loro era ormai libera, Alistair che giaceva stordito a terra.

Geralt lanciò prontamente una serie di rune di paralisi, nella speranza di rallentarlo abbastanza e permettere ad Elissa, che stava mantenendo la retroguardia assieme alla nana, di raggiungerli.

Non fu sufficiente.

L'ogre venne sì rallentato, ma i genlock che lo seguivano, spronati alla carica e riacquistato il proprio vigore alla vista del Custode caduto, si fiondarono loro addosso.

«Biscotto, vai da Alistair!» Sentì Elissa urlare. Il mabari si scagliò contro il genlock più vicino, buttandolo a terra e superandolo poi con un balzo. Afferrò il Custode per un braccio, i denti che facevano presa sull'armatura, trascinandolo al riparo dietro una piccola sporgenza. Si avventò poi su un genlock che aveva osato avvicinarsi troppo, gettandolo giù dal dirupo.

Digrignando i denti per lo sforzo, il mago raccolse le ultime energie rimaste, evocando una palla di fuoco rovente che colpì i tre prole oscura di fronte a sé, riuscendo per un caso fortuito a gettarne di sotto due. Il terzo gli era quasi addosso, quando una freccia di Leliana gli si conficcò in gola, facendolo barcollare in avanti e crollargli ai piedi con un orrendo gorgoglio.

Finalmente, Elissa lo superò correndo, andando a caricare con lo scudo l'ogre che si stava rialzando, stordendolo di nuovo e spingendo la spada nella nuca del mostro fino all'elsa. La ragazza era coperta di sangue, la benda che solitamente portava sull'orbita vuota penzolava al lato della testa e i capelli ridotti ad una sciolta massa scarmigliata le davano l'aria di un personaggio di qualche libro. Si girò a chiamare il suo mabari, e Biscotto abbaiò in risposta, gettandosi di peso contro un genlock e buttandolo giù dal dirupo.

«Sembra che siano-»

Leliana non fece in tempo a finire la frase, che uno strillo acuto, disumano, perforò loro i timpani. Si voltarono, soltanto per vedere Wynne crollare a terra, uno shriek spuntato dal nulla alle sue spalle.

«No!» Urlò l'arciera, mirando alla creatura e colpendola di striscio ad una delle zampe posteriori. Quella non fece altro che infuriarsi ulteriormente, lanciandosi contro la ragazza. Geralt riuscì soltanto a spedirle contro una saetta, che la scalfì a malapena, bruciandola appena e rallentandola, ma non abbastanza da impedirle di gettare a terra Leliana.

Sentì Elissa gridare qualcosa, ma la guerriera era troppo lontana, la spada ancora conficcata nel cadavere dell'ogre...

Lo sriek urlò di nuovo, stavolta di dolore.

Sbalordito, Geralt vide l'elsa di uno dei pugnali di Leliana spuntare dal fianco del prole oscura. Quello rotolò via dalla sua preda, indietreggiando ferito e ringhiando.

Biscotto gli fu addosso, scaraventandolo oltre il precipizio.

Geralt si girò su se stesso, controllando se ci fossero altri prole oscura, senza più forze. Si concesse un sospiro di sollievo: sembravano aver sconfitto l'ultimo.

«Wynne!»

«Wynne, svegliati!»

Elissa e Leliana erano chine sul corpo immobile della vecchia.

Il mago si ritrovò a sperare che fosse morta. Almeno, non avrebbe dovuto più subirsi i suoi continui sguardi di disapprovazione.

Con suo grande stupore, ma soprattutto disappunto, attorno alla maga si propagò un lampo di luce azzurrina, e con un sussulto, la vecchia riaprì gli occhi, tossendo.

“La mia solita fortuna.” Sbuffò, appoggiandosi al bastone magico e limitandosi a lanciare un'occhiataccia alle due ragazze, che stavano stringendo Wynne in un abbraccio sollevato.

«Ero certa che... ma com'è possibile?» Chiese la Cousland, staccandosi e permettendole di respirare.

La maga scosse la testa, sembrava sorpresa quanto loro.

«Sto bene anch'io, non vi preoccupate...» Gracchiò Alistair, raggiungendole barcollando leggermente e usando la spada come stampella.

Geralt vide Elissa arrossire violentemente, ma forse era soltanto la foga della battaglia.

La ragazza corse subito a sorreggerlo, rinfoderando la spada e passando il braccio del Custode sopra la propria spalla. «Siediti, sei ferito!»

L'altro si guardò intensamente i piedi, evitando di poggiare tutto il peso su di lei. «Solo un po' ammaccato...» balbettò.

Il mago roteò gli occhi al cielo.

«Mi ricordano qualcuno.» Commentò una voce fastidiosa.

Posò lo sguardo sulla smorfia divertita di Natia. «Non dire idiozie.»

«Ma cosa c'entri, parlavo di qualcun altro...» Lo condì via la nana, ripulendo i coltellacci dal sangue e rinfoderandoli con cura nella cintura, andando poi a recuperare il piccolo coltello da lancio dal cadavere dell'ogre.



 

Raggiunsero Denerim due giorni dopo, stanchi morti e non desiderando altro che dormire su un letto degno di tal nome. In un atto di inaspettata generosità, Natia aveva offerto loro delle stanze, così da riacquistare le forze e guarire dalle ferite.

Geralt non era mai stato in una città così caotica, e si chiese cosa dovessero essere Val Royeaux e Minrathous, che notoriamente erano molto più popolate della capitale del Ferelden. Il mercato era affollato e pieno di mercanti che urlavano per pubblicizzare i propri prodotti, gente che si aggirava in cerca di affari, mendicanti, ubriaconi, nobili altezzosi e semplici perdigiorno.

Senza che neanche se ne accorgesse, un ragazzino smunto e sporco lo urtò correndo, rischiando di mandarlo a terra. Prima che potesse anche solo insultarlo, Natia lo aveva già afferrato per la cintura dei pantaloni, spedendolo sull'acciottolato con un calcio nel sedere e bloccandogli i movimenti premendo lo stivale sul suo petto. Geralt notò sgomento che in mano teneva il suo grimorio nero.

«Se vuoi fare un buon lavoro, evita di fare il coglione.» Lo redarguì aspramente, strappandogli di mano il libro. Il poveretto stava per farsela sotto, quando lei lo lasciò andare. Si rialzò in un lampo, mettendosi a correre e sparendo in uno dei vicoli secondari.

«Manco i borseggiatori sapete fare...» Sentì la nana commentare, scuotendo la testa.

Geralt si limitò a ridacchiare, riprendendosi il grimorio. «Ho soltanto un paio di libri e tre monete di rame in tasca, ha scelto decisamente male chi derubare.»

«Ah, nessun problema, spilungone. Oggi offro io.»

Il mago inarcò un sopracciglio. «A cosa devo tutta questa generosità?»

L'altra sogghignò, una smorfia che le metteva ancora più in risalto il naso storto e le cicatrici che le solcavano il volto. «Mi hai mosso a pietà.»

Senza dare altre spiegazioni, oltrepassarono il quartiere del mercato e raggiunsero un ponte, che li portò sull'altra sponda del fiume Drakon, il grande corso d'acqua che divideva in due la città. Costeggiarono per parecchi minuti un'enorme palizzata di legno. Geralt notò che era pieno di guardie che ne controllavano il perimetro.

Senza fermarsi a guardare, proseguirono lungo una serie di intricate viuzze labirintiche, strette tra i palazzi di legno che sembravano essere spuntati senza un ordine preciso.

Finalmente, Natia si fermò bruscamente, le mani poggiate sui fianchi e un espressione trionfante in volto. «Siamo arrivati!»

Erano di fronte ad un edificio tenuto in uno stato migliore degli altri, con un insegna in legno smangiata dal tempo ma riverniciata di recente, che recava la scritta “La Perla” in caratteri storti. Come ad annunciare la funzione del luogo, alcuni uomini e donne in abiti succinti richiamavano l'attenzione di potenziali clienti.

«Mi... mi hai portato in un bordello.»

«Non in un bordello qualsiasi, ma nel migliore di tutto il Ferelden, spilungone.» Lo rimbeccò Natia, procedendo a grandi passi (per quanto le permettessero le gambe corte) oltre l'ingresso. A Geralt non restò altro che seguirla, più perplesso e divertito che effettivamente offeso.

«Spero tu sia venuta a saldare i debiti, Brosca.» Li accolse una donna pallida, i capelli raccolti in una treccia castana attorno alla testa e il vestito scollato che lasciava poco all'immaginazione.

«Sanga, Sanga... Ne dubitavi?» Natia tirò fuori dalla tasca quattro monete d'oro, che depositò sul bancone di legno, facendole tintinnare. La donna dall'altro lato sgranò gli occhi per la sorpresa, ma si affrettò ad afferrare il denaro, mordendolo con i denti per saggiarne l'autenticità.

Parve soddisfatta. Fece segno a qualcuno dietro di lei.

Un nano dalla folta barba scura si avvicinò loro strizzando l'occhio a Natia.

«Ti affido il mio amico, Sanga, trovagli un bello spilungone con cui divertirsi.»

Prima che Geralt potesse ribattere, la nana gli affibbiò una pacca sul culo, lo schiocco che rimbombò per la saletta, allontanandosi ridendo verso una delle stanze adiacenti.

«Allora, ti presento un po' i ragazzi?» Gli chiese la proprietaria del bordello, un sorriso cordiale in volto. «Per quella cifra, puoi pure sceglierne un paio e tenerteli tutta la giornata...»

Il mago tossicchiò, cercando una scusa per andarsene. In cosa lo aveva trascinato quella pazza...

«Per ora, vorrei soltanto qualcosa da bere.» Rispose, indicando una delle tante bottiglie che erano in esposizione sullo scaffale dietro al bancone. “Che figura ci faccio se scappo via come un lattante?!”

L'altra sospirò, con l'aria di chi la sapeva lunga, ma gli versò di buon grado un bicchiere di qualcosa che non era sicuramente vino, a giudicare dall'odore e dal colore. Geralt si sedette ad un tavolino in un angolo, sorseggiando qualunque cosa gli avessero propinato, incerto sul da farsi.

Forse avrebbe dovuto seguire gli altri.

Avevano trovato l'appartamento dello studioso, ma la porta era sprangata, con un cartello appeso che invitava i visitatori a passare dopo qualche giorno. Avevano quindi chiesto ai vicini di casa, e quelli avevano confermato che Genitivi non era stato visto da qualche tempo, tuttavia, il suo assistente a volte faceva visita all'appartamento. Il gruppo aveva quindi deciso di separarsi, andando alla ricerca di vettovaglie e altre utilità per affrontare il viaggio che li aspettava.

Mentre lui, preso da chissà quale demone della follia, si era lasciato portare a sua insaputa lì dentro.

Sospirò, maledicendo i rumori inequivocabili che echeggiavano nel salone, nonostante le porte chiuse, e affogando nell'alcol la sensazione di fastidio nelle vesti, che si faceva sempre più pressante.

«Non vorrai mica restartene qui tutto solo...» Lo ridestò una voce maschile, leggermente roca.

Sollevò lo sguardo dal bicchiere, posandolo sull'uomo che aveva di fronte. Era sicuramente di bell'aspetto, i capelli scuri portati poco sopra le spalle che si abbinavano al colorito olivastro dell'incarnato, il fisico tonico messo in risalto dalle vesti attillate e aperte sul petto. Il mago deglutì il suo liquore, cercando di mantenersi il più distaccato possibile, senza poter fare a meno di seguire con lo sguardo la sottile traccia di peluria che scendeva dagli addominali. «Grazie, ma non credo sia il caso.»

«Capisco. Non rifiuterai certo di bere in compagnia però, no?» Insistette l'uomo, sedendosi accanto a lui senza aspettare una risposta, un bicchiere di vino scuro nella mano curata, accavallando le gambe snelle. Aveva un filo di barba, probabilmente di appena due giorni.

Geralt non poté fare a meno di maledire Natia per l'ennesima volta. Lanciò uno sguardo alla porta d'ingresso, combattuto sul da farsi.

“Dopo essere andato a letto con un demone...”










Note dell'Autrice: rieccomi! La tesi mi sta uccidendo e non riesco a scrivere praticamente nulla, ho un altro paio di capitoli da parte, ma fino a febbraio pubblicherò a distanza di qualche settimana, perchè davvero non ho tempo e preferisco dedicarmi a questa storia con tutta me stessa una volta che sarò più tranquilla, ci tengo troppo per rischiare di rovinarla. 
Come sempre, ogni commento è ben accetto. Alla prossima! :)

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Capitolo 17
*** Denerim ***


CAPITOLO DICIASSETTE: DENERIM



 

Elissa non era mai stata nella capitale.

Dovette ammettere, suo malgrado, di essersi aspettata qualcosa di meglio. Le strade sterrate e polverose erano teatro di borseggiatori, mendicanti, mercanti e nobili di basso lignaggio, donne succinte in cerca di clienti e loschi individui che, armati di tutto punto, spadroneggiavano su chiunque. Delle guardie cittadine, le poche che avevano incontrato dovevano essere nulla più che ragazzini viziati e spaventati, perché nessuno di loro sembrava prestare la benché minima attenzione allo stato in cui versavano la città e la popolazione che dovevano proteggere.

Le voci dei venditori che promuovevano la loro merce riempiva l'aria, assieme alle grida di un gruppetto di bambini che giocava a rincorrersi, a volte scansando ma più spesso travolgendo i passanti distratti, attirandosi ingiurie e minacce di ogni tipo.

«È qui che vive tua sorella?» Chiese ad Alistair, che le camminava al fianco, il volto coperto parzialmente dal cappuccio del mantello. Era pur sempre ricercato, dopotutto.

Il ragazzo annuì, scrutando la fila di case di legno che avevano di fronte. “L'emporio di Wade”, recitava un cartello in caratteri dorati, indicando che quella era la fucina del famoso armaiolo. Elissa sospirò, pensando ai tempi in cui si sarebbe potuta permettere di entrare tranquillamente a dare un'occhiata e scegliere i prodotti migliori. Ora, nonostante il denaro che aveva dato loro Bann Teagan, ne avevano a malapena per comprare le vettovaglie necessarie e farsi dare una sistemata ad armi e armature. Di comprarne una nuova, soprattutto in quel posto, non c'era neanche da pensarci.

Oltrepassarono il negozio, fino a fermarsi di fronte ad una piccola casa in legno che recava i segni del tempo, due bambini che giocavano seduti sul gradino d'ingresso.

Alistair si avvicinò a loro, salutandoli con la mano. «Goldanna abita qui?» Chiese loro.

La bambina si tirò indietro, spaventata, mentre l'altro, che doveva avere un anno più di lei, gonfiò il petto in un tentativo infantile di intimidirli. «Che volete dalla mamma?!»

«Niente, siamo degli amici, vogliamo solo...»

«Bran, Bree!» Urlò una voce femminile dall'interno della casa. «Se sono clienti-»

La porta si spalancò di scatto, rivelando una donna dall'aspetto provato, i capelli ramati che incorniciavano un volto pallido e smunto, gli occhi castani cerchiati di occhiaie. Si passò le mani insaponate fino ai gomiti sul grembiule macchiato che indossava.

Alistair tossicchiò, imbarazzato. «Hem... salve.»

«Avete qualcosa da lavare? Sono tre monete di rame per cesto, e non fidatevi di quello che dice Natalya, quella aspetta solo di derubarvi...» Scrutò i visitatori, rendendosi conto che non erano probabilmente lì per farsi lavare i panni.

«Veramente, non siamo qui per... mi chiamo Alistair e, so che può sembrare pazzesco, ma...» Balbettò il ragazzo, preso dall'emozione. «Credo di essere vostro fratello.»

L'altra aggrottò le sopracciglia, incrociando le braccia davanti al petto. «Il mio che?»

Il Custode sembrò imbarazzarsi ancora di più. «Sì, insomma, siete Goldanna vero? Io-»

«Sentite un po', non so chi diamine siete o che cosa siate venuti a fare, ma non ho tempo da perdere con questi scherzi. Devo lavorare, io.» Lo interruppe bruscamente la donna, cercando di toglierseli di torno.

«Signora, per favore, ascoltatelo un attimo.» Provò ad intercedere Elissa, cercando di apparire meno intimidatoria possibile. Erano in fondo due estranei, armati di tutto punto, entrati in casa di una sconosciuta. Era normale che la donna fosse diffidente.

Alistair sembrò farsi coraggio. «Sentite, nostra madre lavorava al castello di Redcliffe prima di morire, vero? Lei-»

«Tu!» Esclamò la donna, sgranando gli occhi. «Lo sapevo! Mi avevano detto che il bambino era morto con mia madre, ma sapevo che mentivano!» Avanzò di qualche passo verso Alistair, come per guardarlo meglio.

«Avevano...? Chi è stato a dirvelo?»

«Quelli del castello! Gli avevo detto di chi era il bambino, ma loro mi hanno detto di stare zitta, dandomi una moneta d'oro e mandandomi via!»

“Di chi...?” Elissa non capiva. Alistair le aveva raccontato di essere cresciuto a Redcliffe, di non aver mai conosciuto suo padre e di com'era morta sua madre, ma che l'identità di suo padre fosse così importante da proteggere...

Il ragazzo si grattò la nuca, imbarazzato. «Mi dispiace, non lo sapevo... Il bambino, non era morto. Sono vivo.»

L'altra sbuffò, tirandosi indietro una ciocca di capelli e squadrandolo furente. «E dovrebbe interessarmi?!» Sbottò, avanzando un altro poco e puntandogli il dito contro il pettorale dell'armatura, fronteggiandolo. «Hai ucciso mia madre! E io sono finita ad arrabattarmi per tirare a campare! Quella moneta non è durata, e quando sono tornata, mi hanno cacciata via!»

Alistair indietreggiò, sorpreso dalla furia della sorella. «Io...» Balbettò cercando di calmarla, ma l'altra sembrava furiosa.

Elissa provò a prendere parola. «Per favore, calmatevi, non è stata colpa di Alistair se-»

«E tu chi saresti, eh?!» Le si scagliò addosso Goldanna. «Una sgualdrina dietro alle sue ricchezze?»

La Cousland trasalì, non aspettandosi una reazione del genere.

«Con quella faccia che ti ritrovi, deve essere uno stupido per aver scelto te!»

«Hei!» Si indignò Alistair, spingendo via la sorella e frapponendosi tra lei ed Elissa, il braccio alzato a trattenere Goldanna. «Non parlarle in quel modo, non sai nulla di lei!»

Quella sbuffò, arricciando il naso in una smorfia. «Forse sei stato tu allora. Come il tuo regale padre si è approfittato di mia madre. E tu me l'hai tolta, spedendomi nella polvere a morire di fame! Avrei dovuto dirlo a tutti, ma sono stata un'idiota!»

«Dire cosa?!» Alzò la voce Elissa. Stava perdendo la pazienza, quella donna era insopportabile, ma soprattutto, c'era chiaramente qualcosa che Alistair le aveva taciuto riguardo la sua discendenza.

«Che è il figlio di Re Maric, ecco cosa!» Sbraitò Goldanna, sbattendo un piede a terra.

“...Che?”

Maric. Maric Theirin. Maric il Salvatore, Maric l'uomo che aveva liberato il Ferelden dall'occupazione di Orlais decenni prima, Maric l'eroe di cui tutti avevano sentito parlare. Possibile che Alistair fosse...

Si girò, sconvolta, verso il ragazzo in questione. I capelli biondi, il naso definito, la mascella squadrata e la fronte ampia... Improvvisamente, la realizzazione la colpì come una sberla. Assomigliava così tanto ai ritratti del defunto Re Maric.

L'altro aveva abbassato lo sguardo, rosso in viso, il ciuffo di capelli biondi a coprirgli gli occhi.

«Elissa, mi dispiace, avrei dovuto...»

«Non ci si può fidare di loro!» Proseguì Goldanna, rincarando la dose. «Per quanto mi riguarda, non ho nulla in comune con te, non ho fratelli, io!»

Alistair sollevò di nuovo lo sguardo, supplicante, in direzione prima di Elissa, poi della sorella.

«Io volevo solo...»

«Se proprio vuoi renderti utile, puoi ripagarmi di aver ucciso mia madre! È solo colpa tua se sono in questa condizione, e se non puoi renderti utile, allora sparisci. Ho cinque bocche da sfamare, io.» Il tono di voce della donna era così pregno di cattiveria, che Elissa si risvegliò dalla sorpresa.

Squadrò la donna, inspirando a fondo. «Alistair, andiamocene.»

L'altro si girò verso di lei, in cerca di aiuto. «Non potremmo darle qualcosa?»

Elissa lanciò uno sguardo di disgusto a Goldanna, i cui occhi si erano illuminati appena il ragazzo aveva parlato di soldi. Aprì la piccola sacca di pelle che portava al fianco, estraendone una manciata di monete d'argento. Le gettò a terra, ai piedi della donna, afferrando poi Alistair per un braccio e uscendo dalla porta, trascinandoselo dietro senza un'altra parola.

Il Custode non oppose resistenza. Attraversarono a grandi falcate la via, fermandosi solo dopo parecchie decine di metri, di fronte a quella che doveva essere la Chiesa.

«Elissa, lasciatemi spiegare.» La trattenne Alistair per un braccio.

Lei si girò di scatto, fronteggiandolo, gli occhi che le pungevano.

«Avrei voluto dirvelo, ma-»

«Ma cosa, Alistair?» Lo affrontò lei. «Non ti fidavi di me? Te ne vergognavi?»

«No, non volevo che...»

«Non importa, quel che è fatto è fatto.» Tagliò corto lei, voltandosi e dandogli le spalle. «Gli altri ci staranno aspettando, abbiamo già perso abbastanza tempo.»

«Elissa, vi prego, mi dispiace...»

Ferita, si allontanò a grandi passi, senza nemmeno controllare di essere seguita. Tirò su col naso, cercando di ricacciare indietro le lacrime. Perché non si era fidato di lei abbastanza da raccontarle chi era suo padre? Credeva forse che lei lo avrebbe tradito, venduto a qualcuno? A Teryn Loghain, forse? La considerava davvero capace di una simile bassezza?

Furente, imboccò un vicolo laterale, cercando di ritornare verso la casa di Fratello Genitivi, dove avrebbero dovuto trovarsi con gli altri.

Probabilmente l'altra Custode sapeva tutto. E anche Morrigan, ora capiva il senso di alcune delle frecciatine che la strega aveva indirizzato al ragazzo. Si fidava davvero così poco di lei, da rivelare una coda del genere prima ad una Strega delle Selve che a lei?

Si morse il labbro, sentendo le lacrime rigarle una guancia.

Lei gli aveva raccontato tutto, di Fergus, dei suoi genitori e di come Howe avesse massacrato la sua famiglia, si era confidata con lui e ora scopriva che le aveva taciuto una cosa così importante per tutto quel tempo.

Era così immersa nei propri pensieri, che quasi andò a sbattere contro qualcuno.

«Ah, chi abbiamo qui?» Chiese un uomo dall'aspetto mal curato, la bocca aperta in una smorfia divertita che lasciava intravedere dei denti marci e traballanti. Puzzava di alcol.

«Scusatemi, non vi avevo visto.» Disse lei, cercando di evitarlo e proseguire per la sua strada.

Un altro uomo, spuntato dal nulla, le si parò davanti, un coltello in mano. «Non dovresti girare tutta sola, ragazza.»

«Già, potresti incontrare qualche brutto ceffo.» Proseguì una terza voce.

Elissa si girò di scatto, trovandosi accerchiata. Furente, estrasse la propria spada, puntandogliela contro. «Andatevene, non ve lo ripeterò una seconda volta.»

I tre scoppiarono a ridere. «La puttana ha carattere!» Esclamò uno, estraendo a sua volta un paio di coltelli, lo sguardo annebbiato dall'alcol.

Senza aspettare altro, la ragazza si gettò su di lui, disarmandolo con un colpo di scudo e spedendolo a terra privo di sensi, dopo averlo centrato sulla testa con il pomolo della spada.

Gli altri due restarono immobili per la sorpresa, ma dopo poco si avventarono contro di lei, cercando di raggiungere i punti non protetti dalla sua armatura. Lei ne spedì uno a terra con un calcio, ma qualcuno la spintonò a terra.

Cadde rotolando da un lato, maledicendo di non essersi portata dietro Biscotto. Lo aveva affidato a Leliana e Wynne, temendo che potesse spaventare la sorella di Alistair e non volevo causare incidenti. Era stata un'idiota. Scorse le orecchie a punta del nuovo assalitore, un elfo magrolino, affiancato da altri quattro. L'uomo che aveva spedito a terra si stava rialzando.

«Elissa!»

Alistair sopraggiunse di corsa, caricandolo di peso e spedendolo nuovamente a mangiare la polvere, la spada che roteava già in direzione degli elfi. Uno di essi prese la mira con l'arco che teneva in mano, costringendo il guerriero ad alzare lo scudo per parare la freccia.

Sfruttando l'effetto sorpresa, il Custode si affiancò ad Elissa, allungandole una mano e aiutandola ad alzarsi.

«State bene?»

Lei annuì, indicando la loro destra. «Ce ne sono altri due in quel vicolo. Arcieri, credo.»

«Merda.»

Si misero schiena contro schiena, affrontando gli assalitori.

«Dateci tutto quello che avete e, dopo aver finito con lei, vi lasceremo andare...» Ghignò uno di loro, leccandosi le labbra in modo osceno, gli occhi fissi su Elissa. «Se farà la brava.»

Lei cercò di prendere tempo, mentre ideava una via di fuga. «Abbiamo combattuto i Prole Oscura, credete davvero di poterci sopraffare?» Se avessero eliminato i tre che sbarravano la via alle loro spalle, avrebbero potuto tornare verso il mercato. Dubitava che li avrebbero seguiti.

Fece segno ad Alistair, che sembrò capire. «Vi guardo le spalle.»

La ragazza annuì, per poi correre in direzione dei tre che si frapponevano tra loro e la salvezza, Alistair che retrocedeva con lo scudo alzato, parando le frecce che venivano lanciate contro di loro. Fortunatamente, non sembravano ben addestrati e la loro mira non era delle migliori.

Elissa falciò con la spada un elfo pelato, mentre con lo scudo parava la lama di un uomo con una folta barba rossiccia. Quello, dal nulla, tirò fuori un altro coltello, che sferzò l'aria ad un palmo dal naso della ragazza, approfittando della sua visuale limitata. Riuscendo a schivarlo per un soffio, fece un balzo di lato, avvertendo Alistair ingaggiare qualcuno dietro di lei.

Una freccia le si conficcò nello spallaccio. Alzò lo scudo giusto in tempo per pararne un'altra, che rimbalzò con un clangore metallico.

Sentì uno scalpiccio e strinse la propria spada, preparandosi al peggio, quando un urlo agghiacciante la fece trasalire. Una fontana di sangue schizzò dal cadavere di uno degli elfi che li stavano rincorrendo, che crollò a terra. Dietro di lui, una gigantesca ascia da guerra sollevata sopra la testa, si stagliava un nano, l'armatura imbrattata di rosso. Roteò l'arma, piantandola in pieno petto ad un altro elfo, sbalzandolo via. Con uno strattone, liberò l'ascia dal corpo, scrutando i rimanenti criminali, che lo guardavano atterriti.

«Ora sarebbe un buon momento per levarsi dalle pietre.»

Quelli non se lo fecero ripetere due volte, fuggendo a gambe levate senza guardarsi indietro.

Elissa rimase sbigottita a guardare il nano ripulire la propria ascia con cura, passando un panno sulla lama intrisa di sangue. «Vi ringraziamo per l'aiuto.»

L'altro scrollò le spalle. «Qualcuno deve pur tenere alto il nome della guardia cittadina di questa terribilie città, no?» Rispose, finendo il lavoro e gettando il panno a terra, per poi fissarsi l'ascia dietro alle spalle. «È chiaro che siete visitatori, o non vi sareste addentrati in questo quartiere. Da quando hanno chiuso l'Enclave, qui intorno pullula di feccia di ogni genere. Di solito strapazzano gli elfi, ma a quanto pare ora stanno ripiegando sui passanti.» Si inchinò leggermente nella loro direzione, la mano destra chiusa a pugno contro il petto. «Il mio nome è Duran. Permettetemi di chiedervi dove siete diretti, posso accompagnarvi e fare in modo che non si ripeta.»

Elissa fece a sua volta una piccola riverenza. «Sono Elissa, e lui è Alistair. Siamo diretti alla casa di Fratello Genitivi.»

Il nano scosse la testa, per niente sorpreso. «Anche voi alla ricerca dell'Urna, quindi?»

«Sono passati altri cavalieri da Redcliffe?» Gli chiese Alistair, curioso.

«Oh, sì. Ma Genitivi non torna in città da un po', e a quelli non è restato altro che andarsene in tutta fretta da qualche altra parte, inseguendo una leggenda.» Rispose il nano, facendo loro segno di seguirlo. Si incamminarono dietro di lui, percorrendo alcune intricate vie secondarie e sbucando poco dietro alla casa dello studioso.

Biscotto, vedendo arrivare la padrona, le corse incontro scodinzolando felice. Leliana e Wynne li salutarono, sorprese di vedere il nano con loro. Di Natia e Geralt, nessuna traccia. Sperò che non si fossero andati a cacciare in qualche guaio.

«Bel mabari.» Commentò il nano, osservando l'animale con occhio critico. «Non se ne vedono tanti in giro così, deve essere stato addestrato bene.»

«Com'è andata con Goldanna?» Chiese loro Leliana, preoccupata.

Elissa e Alistair si scambiarono uno sguardo, incerti su cosa rispondere.

L'arciera sembrò capire che era meglio non indagare oltre, perché si affrettò a cambiare discorso. «Abbiamo visto l'assistente di Genitivi entrare qui qualche minuto fa, non si è accorto di noi.»

Alistair annuì. «Ottimo, allora entriamo a chiedere se sa qualcosa.»

Entrarono tutti insieme, Duran compreso.

L'interno della casa era pieno zeppo di librerie coperte di tomi voluminosi e pieni di polvere, un lungo tavolo di legno era anch'esso ricoperto di carte e tre sedie erano l'unico arredo.

«Chi siete?!» Esclamò un uomo, sorpreso di vederli entrare. «Questa è la casa di-»

«Fratello Genitivi, lo sappiamo.» Lo interruppe Leliana. «Stiamo cercando proprio lui.»

L'altro si guardò attorno, chiaramente a disagio. «Non c'è.»

«Sappiamo anche questo, ma è una faccenda importante.» Disse Elissa, osservando la quantità di libri nella stanza. Le pareva strano che l'assistente non si fosse messo a spolverarli con cura, alcuni di essi sembravano particolarmente antichi e di valore.

«Se siete qui per l'Urna, è soltanto una leggenda.» Rispose l'assistente, a disagio. «Come ho già detto a tutti quelli che sono passati di qui alla sua ricerca, non ci sono prove della sua esistenza, e Genitivi è partito per delle ricerche non ho idea dove.»

«Possiamo dare un'occhiata alle sue carte?» Cercò di convincerlo Elissa. «Magari troveremo qualcosa di utile.»

«Assolutamente no!» Gridò l'altro, abbassando poi il tono di voce. «Mi dispiace, ma le ricerche di Genitivi sono private, non posso lasciarvi-» Sbiancò, lo sguardo puntato su Biscotto, che latrava e grattava il legno di una porta chiusa. «Smettila subito!»

Il mabari si voltò verso la padrona, abbaiando un paio di volte, per poi tornare con il muso ad annusare la porta.

«Devo chiederti di aprire quella porta.» Disse Elissa in tono minaccioso. Biscotto doveva aver trovato qualcosa di importante, o non avrebbe agito in quel modo.

L'assistente sudava freddo, ma rimase irremovibile.

A quel punto, si intromise anche Duran. «Apriamo quella porta. Ordini della Guardia Cittadina.» Attraversò la stanza e aprì la porta con un calcio. Quella si scardinò con uno schianto.

Dall'interno, li colpì una zaffata nauseabonda. Puzzo di cadavere.

Alistair agì immediatamente, colpendo l'assistente con un pugno e spedendolo a terra prima ancora che egli potesse fare qualcosa, privo di sensi.

«Credo che questo sia il vero assistente...» Disse Leliana, riemergendo dalla stanza con la manica premuta sul naso, indicando il cadavere alle sue spalle. «Ed è morto da un bel po', direi almeno due settimane.»

«Dannazione.» Sospirò Duran, grattandosi la barba. «Avremmo dovuto sospettare qualcosa...»

«Deve esserci un indizio, da qualche parte.» Si impuntò Elissa, avvicinandosi alle carte sparse sul tavolo. Gli altri fecero lo stesso, sfogliando i libri e le pergamene. Leliana richiuse la porta, sperando di contenere la puzza.

«Hei, guardate qui!»

Tutti si strinsero attorno ad Elissa, che teneva un taccuino di pelle dall'aria vissuta in mano. Lo sfogliò velocemente, fino a trovare quello che cercava. «“Il villaggio di Haven può essere un buon punto da dove iniziare.”» Lesse. Girò la pagina, dove Genitivi aveva disegnato una rudimentale mappa del luogo citato. «Non mi ricordo di averne mai sentito parlare...»

«E questo lo rende ancora più sospetto.» Disse Leliana, prendendole il diario. «Vale sicuramente la pena dare un'occhiata. Magari il nostro finto assistente può dirci qualcosa...»

Afferrarono di peso l'impostore, legandolo ad una sedia e facendolo rinvenire con un ceffone. Quello sgranò gli occhi, cercando inutilmente di liberarsi. Strattonò le corde, per poi rivolgere loro uno sguardo folle. «Non ci arriverete mai!» Urlò.

Fu un attimo.

Le mani del prigioniero brillarono in un lampo, ma Alistair, che aveva avvertito il flusso magico molto prima degli altri, era già scattato. Il mago non fece in tempo a lanciare la palla di fuoco, che la spada del guerriero gli si conficcò nello sterno, facendolo sussultare.

«Bel lavoro.» Si congratulò il nano in tono sarcastico. «Ora non ci dirà più nulla.»

«Meglio che lasciare che ci uccidesse tutti!» Si difese il Custode, liberando la spada con un gesto stizzito. «Tanto, sappiamo già di dover andare in questo Haven, no?»

«Prima di tutto, andiamocene da qui, questa puzza mi sta facendo star male.» Li interruppe Elissa, uscendo all'aria aperta in tutta fretta.




Decisero di tornare alla locanda dove soggiornavano, in attesa che anche Geralt e Natia li raggiungessero. Al bancone, trovarono tre soldati della guardia cittadina, ragazzini che non avevano nemmeno vent'anni, intenti a bere e guardare con insistenza il didietro della cameriera.

Duran si diresse a passo spedito verso di loro, la grande ascia sulle spalle. Nonostante la bassa statura, Elissa pensò che il nano sembrava emanare un'aura di rispetto, che metteva in soggezione chiunque gli capitasse a tiro o avesse la sfortuna di metterglisi tra i piedi.

«Andate dal Sergente Kylon e avvertitelo che c'è stato un omicidio a casa di Fratello Genitivi. Il colpevole è il cadavere legato alla sedia di fronte al camino.» Disse loro.

I tre lo guardarono con disprezzo. «E vacci tu, allora, nano.» Ribattè uno.

Duran non sembrò curarsi del tono del ragazzo. Si accarezzò la barba con fare pensoso. «Conterò fino a tre, poi spedirò i vostri culi secchi da fannulloni ai vostri padri, dicendo che questa città ha bisogno di uomini, e non di ragazzine in gonnella. Ma preferirei non farlo.» Li squadrò uno per uno, il tono gelido a calcare ogni singola parola. «Sarebbe un insulto verso tutte le ragazzine in gonnella, che vi farebbero la pelle senza sudare nemmeno una goccia.»

I tre si guardarono, incerti sul da farsi. «Ma il Sergente ci ha detto di controllare la locanda...» Provò a tirarsene fuori uno di loro, mentre gli altri annuivano con enfasi.

«Ah, non preoccupatevi, ho la situazione sotto controllo.» Li rassicurò Duran. «Uno.»

«E se ci chiede di spostare i cadaveri...?»

«Siete tre giovani in gamba, troverete il modo.» Il nano portò una mano sul manico dell'ascia bipenne, minaccioso. «Due.»

«Va bene, va bene!» Urlò uno dei tre, prima di buttare a terra il bicchiere con fare stizzito e dirigersi a grandi passi verso l'uscita. I suoi compagni si affrettarono a seguirlo, uno di essi portandosi dietro il proprio boccale mezzo pieno.

«Fortuna che li avevo fatti pagare in anticipo.» Commentò la cameriera, le braccia appoggiate sui fianchi, un sorriso divertito sul volto mentre si girava verso il nano e gli altri. «Duran, sempre al lavoro vedo. Il solito?» Fece loro segno di accomodarsi.

In breve, furono tutti seduti intorno ad un tavolo, di fronte ad una pinta di birra schiumosa.

«Allora, anche voi alla ricerca dell'Urna. Un bel gruppo, devo dire.» Prese parola il nano.

Elissa lo osservava di sottecchi. C'era qualcosa, nel suo modo di parlare e di muoversi, di relazionarsi con le persone che gli stavano accanto, che era diverso dalla maggior parte dei nani che aveva conosciuto finora. Per non parlare della differenza abissale che correva tra lui e Natia.

«Già. Vogliamo salvare Arle Eamon, e l'Urna è la sua unica possibilità.» Rispose Alistair.

«E credete di trovarla ad... Haven?»

«Almeno sembra un buon punto da dove iniziare.» Elissa prese un sorso di birra, storcendo il naso. Era amara e le fece prudere la gola. Tossì, allungando la mano e prendendo un pezzo di pane per mandarla giù. Sentì le risate del nano, che era già a più di metà della propria.

«Il Bannorn continua ad opporre resistenza.» Sentì dire ad un uomo seduto al tavolo dietro di loro. Allungò le orecchie, magari poteva scoprire qualcosa di interessante. «Bann Telmen rifiuta di sottomettersi al Reggente.»

«Dovremmo unirci a combattere il vero nemico, non ammazzarci tra noi.» Ribatté un altro. «La Prole Oscura vaga distruggendo le nostre terre, e noi litighiamo per una corona.»

«E Teryn Loghain non ascolta le nostre richieste!» Si infuriò una donna. «I nostri bannorn sono ridotti a macerie fumanti, ma la sua unica preoccupazione è combattere i rivoltosi e pattugliare i confini Orlesiani!»

Ad Elissa quelle voci non erano nuove. Si girò di soppiatto, attenta a non farsi vedere. Riconobbe all'istante Leonas Bryland, vecchio amico di suo padre. Anche i volti dell'altro uomo e della donna le parevano familiari.

«Questa guerra civile deve finire.» Proseguì Bryland. «Pensate a cosa è successo ai Cousland...»

«Leonas!» Lo rimproverò la donna. «Ci sono molte orecchie qui, non è prudente.»

Elissa fremeva. Strinse il boccale, cercando in tutti i modi di calmarsi. La donna aveva ragione, non era il momento di rivelare che qualcuno dei Cousland fosse sopravvissuto al massacro. Tuttavia, non era giusto. Howe aveva in qualche modo messo a tacere tutto l'accaduto, mettendo in giro voci secondo le quali i Cousland stessero progettando un colpo di stato, approfittando del Flagello e della debolezza della Corona, per instaurare uno di loro sul trono. La ragazza voleva credere che la gente non desse credito a sciocchezze del genere, ma Teyrn Loghain in persona aveva garantito ad Howe il controllo di Altura Perenne. Che il Teryn non sapesse cosa fosse davvero successo, e si fosse fidato di Howe perché necessitava di avere un alleato forte al suo fianco?

Ciò non giustificava comunque il totale menefreghismo dimostrato da Loghain per l'accaduto. Certo, aveva altro a cui pensare, come metà dei bannorn in rivolta e il Flagello, eppure i Cousland erano la seconda famiglia più importante nel Ferelden dopo i Theirin.

Che Alistair avesse ragione? Il pensiero che Loghain non fosse l'eroe che aveva sempre creduto, le ronzava in mente da un po'. Nulla di quanto aveva scoperto verteva in favore del Teyrn, anzi, più passava il tempo con i Custodi, più sentiva di quanto stava accadendo in tutto il paese, più le sue convinzioni si affievolivano, lasciando spazio al dubbio.

Subito dopo il massacro della sua famiglia, era andata da Arl Eamon in cerca di aiuto, perché la supportasse nella sua testimonianza contro Howe una volta che fosse andata a denunciare il traditore a Denerim, da Loghain. Ma l'Arle era stato avvelenato da quel mago del sangue, e se davvero il mandante era stato il Teyrn di Gwaren...

Anche Alistair, tuttavia, le aveva mentito, pensò, rimuginando su quanto scoperto quel giorno.

In tasca, aveva ancora la lettera che le aveva dato quell'elfo alla locanda di Redcliffe, che ordinava di tenere sotto controllo il castello. Non recava alcuna firma, ma l'elfo, interrogato, aveva finalmente rivelato di essere stato assoldato da qualcuno al servizio di Howe.

Sospirò, incerta sul da farsi. I suoi pensieri vennero però interrotti dalla porta della locanda, che si spalancò di colpo, lasciando entrare due persone che stavano discutendo animatamente.

«Resta il fatto che ho pagato per niente, spilungone!»

«Nessuno ti aveva chiesto nulla, barilotta!»

«Sei patetico! Manco una sana scopata riesci a farti!»

«E tu non pensi ad altro che a quello e ai soldi!»

Elissa intercettò lo sguardo di Alistair, affranta.

«Vedo che vi è tornato il buon umore.» Ridacchiò Leliana, facendo segno ai nuovi arrivati di sedersi. Natia e Geralt, che si guardavano in cagnesco, si avvicinarono controvoglia.

«Brosca?!»

Duran si era bloccato, gli occhi spalancati per la sorpresa, il boccale a mezz'aria. «Cosa ci fai qua?»

Natia gli lanciò uno sguardo irritato, sbuffando sonoramente e sedendosi senza troppi complimenti di fianco a Leliana. «Hei.» Salutò il nano.

«Vi conoscete?» Chiese allora l'arciera, incuriosita.

«Potrei chiedervi la stessa cosa.» Ribattè Duran con un sorriso, finendo la sua birra. «In breve, ce ne siamo andati da Orzammar insieme, a causa di una serie di coincidenze.»

Elissa stentava a crederlo. I due non potevano essere più diversi.

«Allora, avete scoperto qualcosa?» Chiese loro Geralt, dopo aver ordinato un calice di vino.

«Abbiamo il diario di Genitivi, che crede che l'Urna sia ad Haven.» Rispose Elissa, estraendo dalla tasca il taccuino e porgendolo al mago. Quello lo sfogliò con interesse.

«Oggi dovrebbero arrivare anche gli altri.» Commentò Alistair. Sembrava preoccupato. Da quando avevano lasciato Aenor, Morrigan, Sten e Zevran nella Foresta di Brecilian, il ragazzo era costantemente in apprensione, come se si aspettasse di non vederli più. Certo, data l'abilità di attaccar briga e mettersi nei guai dell'altra Custode, Elissa avrebbe avuto lo stesso pensiero, non fosse stata assolutamente certa che il pessimo carattere dell'elfa si accompagnava alla sua bravura con la spada. Per non parlare di Morrigan e del Qunari. Quei lupi non sarebbero stati un problema.

«Che stiamo aspettando, allora?» Li incalzò Brosca.

Tutti si girarono a guardarla, attoniti.

«Perchè, vieni anche tu?» Le chiese Alistair, basito.

L'altra fece spallucce, buttando giù la birra in pochi, lunghi sorsi. Ruttò sonoramente. «Stiamo cercando delle ceneri di una tizia morta da secoli, scommetto che troveremo un sacco di altra roba di valore.» Rispose, pulendosi la bocca con la manica. «Oltretutto, dopo aver fallito miseramente nel contrabbandare quel lyrium, ed essermi tenuta tutti i soldi di Teagan, non posso proprio tornare dal Carta come se niente fosse, no?»

Elissa non sapeva se esserne contenta o meno. Certo, Natia sapeva essere una preziosa alleata fuori e dentro il combattimento, ma non era assolutamente sicura che la nana non si stesse aggregando nuovamente al gruppo solo per rubare e rivendere le Ceneri.

«Siete una compagnia interessante.» Commentò Duran, accarezzandosi la barba. Sembrava sovrappensiero.

Elissa gettò uno sguardo al tavolo dietro di lei, dove i bann continuavano a parlottare sotto voce, lamentandosi degli scarsi risultati delle loro udienze da Loghain e di come da soli non riuscissero a difendersi dalla Prole Oscura. A quanto pareva, alcuni di loro avevano intenzione di tornare nel Bannorn.

Certo, salvare Arl Eamon era una nobile causa, e l'appoggio di Redcliffe sarebbe stato fondamentale per combattere il Flagello, eppure... non aveva anche un obbligo nei confronti del popolo, e dei bann un tempo alleati con la sua famiglia?

Cosa avrebbe fatto Bryce Cousland, in quelle circostanze?

Elissa si era spesso trovata a chiedersi quella domanda, ma non aveva finora trovato una risposta convincente. Suo padre era sempre sembrato certo di ogni sua decisione, così sicuro di sé, dedito alla famiglia, al popolo, alla corona... Sospirò, spingendo lontano da sé il boccale.

Fermare il Flagello era importante, ma non poteva mettere da parte la sua famiglia. I suoi genitori, Oriana, Oren... e Fergus, probabilmente morto ad Ostagar, forse proprio a causa di Loghain, che a detta dei Custodi era fuggito dal campo di battaglia lasciando tutti quegli uomini coraggiosi ad essere massacrati. Howe non poteva restare impunito, e lei doveva conoscere la verità su Loghain.

Forse, aiutando i bann che si opponevano al reggente, avrebbe avuto abbastanza potere per farsi ascoltare dal Teryn, che non avrebbe potuto fare altro che condannare Howe per quanto accaduto. E se nel frattempo avesse trovato conferma della colpevolezza di Loghain...




Rimase in silenzio per il resto del pasto, ascoltando distrattamente le chiacchiere del resto del gruppo, che dopo aver finito si diresse verso le porte della città, uscendo da Denerim e dirigendosi alla piccola locanda al crocevia, dove dovevano incontrarsi con Aenor e gli altri.

Duran li aveva seguiti, con la scusa che avrebbero viaggiato più sicuri, e poi, era curioso di conoscere con che razza di gente stesse andando in giro una tipa come Natia.

Arrivarono alla loro destinazione poco prima di metà pomeriggio, scoprendo che gli altri erano già arrivati. Con sgomento, Elissa notò l'elfa aggressiva che avevano incontrato nella foresta, che li guardava avvicinarsi con aria torva accanto alla Custode.

«Era anche ora.» Li accolse Aenor, alzando una mano. Falon, accanto a lei, abbaiò un paio di volte, per poi lanciarsi a peso morto su Alistair, rischiando di buttarlo a terra mentre cercava di leccargli la faccia.

Il Custode scoppiò a ridere, tentando di allontanare il mabari. «Allora ce l'avete fatta!»

«Ovviamente. Serve più di qualche palla di pelo per farci fuori.» Rispose lei, richiamando Falon. Si girò verso l'altra elfa, che li squadrava chiaramente a disagio, facendole un cenno col capo.

Quella strinse il grande arco di legno chiaro che teneva in mano. «Ho deciso di aiutarvi.» Sembrò sfidare ognuno di loro a replicare.

«Sempre più affascinanti.» Commentò Duran, rompendo la tensione. «Persino per dei Custodi Grigi.»

Elissa si sentì gelare il sangue nelle vene, girandosi a guardare il nano, atterrita. Chi altri sapeva?

Aenor scattò immediatamente ad afferrare la sua spada, che puntò contro di lui. «Chi cazzo sei tu?!» Ringhiò, pronta ad attaccare.

Anche gli altri si erano mossi subito, guardandosi attorno per controllare di non essere stati seguiti. L'unica che era rimasta immobile, e che anzi li guardava divertita, era Natia.

Duran però non sembrava affatto turbato, accarezzandosi la barba e scrutando l'elfa arrabbiata di fronte a lui come se fosse un curioso caso da studiare. «Permettetemi di presentarmi per bene.» Tirò fuori dal colletto dell'armatura una collana di metallo, a cui era appeso un anello d'oro massiccio, che recava una sorta di sigillo. «Sono in realtà Duran Aeducan, secondo figlio di Endrin Aeducan, defunto Re di Orzammar.»

Elissa capì improvvisamente il perché dei modi strani del nano, che da subito l'avevano incuriosita ed affascinata. Quello non era una semplice guardia cittadina, bensì qualcuno cresciuto nella nobiltà, addestrato per il comando.

«Era ora che glielo dicessi, sua altezzosità.» Sbuffò Natia, incrociando le braccia al petto. «Sempre al centro dell'attenzione.»

L'altro le sorrise di rimando, divertito. «Volevo prima capire di che pasta erano fatti questi Custodi.»

«Come l'avevate capito?» Chiese Alistair, confuso.

«Avevo dei sospetti, assomigli parecchio ai cartelli che sono sparsi per tutta Denerim, non so se te ne sei accorto, ma sei piuttosto famoso. E quando ho visto l'elfa...» Rispose, indicando Aenor. «Mi è bastato fare due conti.»

«Dunque? Che intenzioni avete?» Gli chiese Elissa.

«Non ho alcun interesse nel denunciarvi, se è questo che temete...» Li rassicurò Duran. «I Custodi Grigi sono sempre stati tenuti in alta considerazione ad Orzammar. Penso invece che potremmo aiutarci a vicenda.»

«Aiutarci...?» Ripetè Aenor, che aveva però abbassato la propria arma.

Il nano si accarezzò nuovamente la barba. «Vedete, sono attualmente accusato di fratricidio del legittimo erede al trono di Orzammar, per colpa di quel bastardo traditore di mio fratello Bhelen, il quale ora è in lizza per diventare il prossimo re. Capite bene che non posso permetterglielo.» Iniziò a spiegare, girandosi tra le mani l'anello col sigillo. «Voi siete gli ultimi Custodi rimasti nel Ferelden, a quanto si dice, e i nani sono il migliore alleato che potreste mai trovare contro i Prole Oscura. Mentre voi con la testa tra le nuvole li combattete solo durante i Flagelli, per noi è la quotidianità, il nostro esercito è specializzato contro quei mostri.»

«D'accordo, ma come puoi esserci utile, se ti hanno cacciato?» Ribattè Aenor.

L'altro sorrise. «Non tutti sono convinti della mia colpevolezza. E parecchi nani di superficie, e le nobili casate che commerciano con loro, sono stufi delle vessazioni continue da parte dell'Assemblea e di chiunque sieda sul trono. Non me ne sono rimasto con la pietra in mano, ma da quando me ne sono andato, ho cercato alleanze in chiunque potesse essermi utile. Ma non posso tornare ad Orzammar di persona, altrimenti verrei probabilmente giustiziato sul posto. Tuttavia, se tornassi accompagnato da dei Custodi Grigi... Nemmeno Bhelen avrebbe il coraggio di colpirmi, non prima di avermi concesso un processo di fronte a tutti i Deshyr. Inoltre,» proseguì, portando lo sguardo su Alistair «si dice in giro che tu sia il figlio bastardo di Maric Theirin. E il suo unico erede di sangue, ormai.»

Alistair sembrò sbiancare. «Non... Anche se sono suo figlio, non ho alcuna pretesa al trono.»

«In ogni caso, i nani diedero grande aiuto a Maric contro gli Orlesiani. Potresti ricambiare il favore.»

Il Custode sembrò rifletterci su.

«Prima o poi dovremo comunque andare a chiedere aiuto ad Orzammar.» Disse Aenor, sovrappensiero.

«E rischiare di far arrabbiare ulteriormente i nani accompagnando il fratello condannato del prossimo re?» Ribattè Alistair, incerto sul da farsi.

«Ciò che dice Duran è vero, Alistair.» Si intromise Wynne, che era stata in silenzio per tutto quel tempo. «Senza l'aiuto dei nani, avremmo perso la città di Gwaren.»

«Ha ragione.» Confermò Elissa. «La Legione dei Morti combattè valorosamente al nostro fianco.»

«E quando Re Maric fu ricevuto ad Orzammar da mio padre, gli vennero attribuiti tutti gli onori del caso.» Proseguì Duran. «Mio padre è morto sapendo di aver sbagliato a credere a quello schifoso di Bhelen, e che sono innocente. Ne ho le prove. Mi serve solo un passaggio sicuro dentro Orzammar, non vi chiedo altro.»

Dopo qualche attimo di silenzio, Alistair annuì. «D'accordo. Ma non possiamo promettervi nulla.» Capitolò. «E comunque, per prima cosa dobbiamo trovare l'Urna delle Sacre Ceneri, la nostra priorità è guarire Arle Eamon e riunire i nobili contro Loghain.»

Duran chinò il capo. «Conoscendo la nostra politica, è facile che la faida ad Orzammar vada avanti per mesi. E capisco quanto sia importante per voi la vostra missione.» Si girò a guardare Elissa. «Anche se vedo che qualche nobile già l'avete convinto.»

Lei trasalì.

«Non è difficile capire che non siete una semplice guerriera, Lady... ?»

«Cousland.» Si trovò a rispondere Elissa. Dopotutto, il nano si era confidato con loro, perché non avrebbe dovuto fare altrettanto?

«Cousland, Cousland... Ho sentito cosa è successo alla vostra famiglia, le mie condoglianze.»

«Probabilmente non avete sentito tutta la storia, Rendon Howe ha messo in giro un mucchio di menzogne.» Rispose tra i denti Elissa. I discorsi dei bann alla taverna le ronzavano ancora in mente. Era ormai chiaro ciò che doveva fare.

«Allora, non dovremmo andare ad Haven?» Li interruppe Geralt, che per tutto il tempo era rimasto in disparte, non curandosi affatto dei discorsi sulla politica e sulle alleanze.

Elissa gli lanciò un'occhiataccia. Non sopportava il perenne tono di superiorità del mago.

«Geralt ha ragione.» Disse Aenor. «Troviamo quelle maledette ceneri, e finiamola con 'sta storia.»

«Niente di più facile...» Commentò Alistair, che tuttavia stava sorridendo.

La Cousland sentì una stretta allo stomaco mentre guardava i due Custodi, ma si riscosse in fretta. Ora, o mai più. «Io vi devo lasciare.» Annunciò.

Si girarono a guardarla, sorpresi.

«Come?» Chiese Alistair. «Cosa intendete dire?»

Elissa si costrinse a sembrare più decisa di quanto in realtà fosse. «Ho sentito dei bann alla taverna parlare della guerra civile. Non possiamo sconfiggere il Flagello se non lo affrontiamo uniti, e per farlo, ci serve l'esercito al completo. E le azioni di Howe e Loghain hanno sollevato parecchie ribellioni, ma i bann minori non possono sopravvivere contro un attacco congiunto delle forze reali, di Gwaren e Altura Perenne.» Le fece male ammettere che ora il castello della sua famiglia, i territori adiacenti ad esso e tutto il suo esercito, erano del suo peggior nemico. «Andrò a dare una mano a Bann Telmen, che era alleato di mio padre.»

«Ma... dobbiamo andare a cercare l'Urna!» Provò a contestarla Alistair. «Non ti importa?»

La ragazza gli lanciò uno sguardo ferito. Come poteva pensare che non le importasse?! Avrebbe preferito accompagnarli alla ricerca delle Sacre Ceneri della Sposa del Creatore, ovviamente, ma, come aveva imparato negli anni, molto spesso ciò che voleva fare non coincideva con i suoi doveri. E la sua fedeltà andava innanzitutto ai suoi doveri di ultima erede della famiglia Cousland. «Mi dispiace, vorrei accompagnarvi, ma non posso. Devo farlo, per la mia famiglia.»

Alistair chinò il capo, nascondendo il volto e girandosi di spalle. «Vi auguro buona fortuna, allora.»

Elissa intercettò lo sguardo di Aenor, che la osservava, indecifrabile, il capo chinato leggermente di lato, come a studiarla. Alzò il mento in segno di sfida, ma l'elfa rimase impassibile.

Senza aspettare che qualcuno la seguisse, fece segno a Biscotto che era ora di andare, dirigendosi a passo spedito verso le stalle dove avevano lasciato i cavalli qualche giorno prima.

Ricacciò indietro la voglia di piangere. In fondo, nessuno di loro le doveva niente, avevano il Flagello a cui pensare, non poteva aspettarsi che l'aiutassero. Eppure, per un solo, singolo attimo, ci aveva sperato.

 

Dopo due ore di cavalcata a passo spedito, sentì uno scalpiccio di zoccoli dietro di lei. Si girò allarmata, la spada in pugno, per poi fermarsi a mezz'aria, gli occhi sgranati.

Alistair, il ciuffo di capelli biondi schiacciati sulla fronte dal vento, sopraggiungeva al galoppo. Alzò una mano per salutarla, un sorriso incerto sul volto. Seduto in sella dietro di lui, le mani ad afferrare spasmodicamente il supporto di cuoio, c'era Duran, sudato e dal colorito grigiastro.

Li seguiva Morrigan, che cavalcava con grazia, i capelli che fluttuavano dietro di lei e il bastone da maga fissato saldamente sulle spalle.

«Alistair, cosa...?» Chiese Elissa, non riuscendo a capire. Biscotto scodinzolava felice accanto a lei.

«Aenor e gli altri se la caveranno, a trovare l'Urna.» Rispose il Custode dopo averla affiancata. «Aiutare i bann contro Loghain, radunare un esercito per affrontare la Prole Oscura... è ugualmente importante. Avevate ragione, quando parlavate di responsabilità. Non sarò un nobile, ma il compito dei Custodi Grigi è proteggere la popolazione, ed è ciò che intendo fare.» Abbassò lo sguardo, le guance improvvisamente arrossite. «Se mi permetterete di venire con voi, ovviamente.»

Elissa sentì un tuffo allo stomaco, certa di essere arrossita a sua volta. «Ma certo. Ti sono grata.» Riuscì a dire, accennando un sorriso. «Sei sicuro di voler abbandonare la ricerca dell'Urna, però?»

«Sono certo che Aenor riuscirà a trovarla, in qualche modo. Mal che vada, può arrabbiarsi così tanto da far scendere nuovamente Andraste in persona a darle un po' di ceneri nuove.»

La ragazza scosse la testa, non riuscendo a trattenere una risata. «Leliana ne sarebbe entusiasta.» 











Note dell'Autrice: eccomi di ritorno! Il gruppo ora si divide, vedremo cosa combineranno, ci sono delle sorprese in arrivo. 
I capitoli verranno pubblicati a distanza di qualche settimana tra loro, almeno fino a metà febbraio, causa laurea imminente della sottoscritta. 
Ringrazio chi segue e recensisce, e anche chi legge e basta. Come al solito, ogni commento è bene accetto. Buon anno nuovo e alla prossima!

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Capitolo 18
*** Haven ***


CAPITOLO DICIOTTO: HAVEN



 

La salita per il villaggio di Haven era coperta di neve e ghiaccio, che rendevano scivolose le scale di pietra rovinate dal tempo.

Aenor si strinse nel cappuccio di pelliccia di lupo, le mani fredde nonostante i guanti imbottiti di pelo che indossava. Fortunatamente, avevano incontrato un mercante di pelli sulla strada, che in cambio di qualche moneta aveva venduto loro tutto l'occorrente per tenersi al caldo. Sorprendentemente, Kallian aveva in pochi giorni cucito loro, con l'aiuto esperto di Wynne, dei comodi mantelli, che isolavano dal freddo ma allo stesso tempo permettevano di muoversi agilmente in combattimento.

Alla Custode era toccata una pelliccia di lupo grigio, l'unico la cui testa era ancora attaccata a fungere da cappuccio, le zampe che si chiudevano davanti a proteggerla dal vento. Le aveva ricordato le storie che venivano raccontate su Fen'Harel, il dio degli inganni, Colui che caccia in solitudine, Portatore degli Incubi. Come se dovesse preoccuparsi di avere altri incubi.

Ogni notte era sempre peggio, l'Arcidemone ruggiva, riversando distruzione sul mondo al comando del suo esercito di Prole Oscura, facendola svegliare la notte di soprassalto, sudata, col respiro affannoso e gli occhi che dardeggiavano verso il limitare del campo.

Senza Alistair, era ancora più difficile.

Sebbene lo credesse ancora un idiota per la maggior parte del tempo, avere qualcuno con cui condividere quella maledizione le aveva sempre dato un minimo di conforto, sapere di non essere da sola ad affrontare la minaccia dell'Arcidemone. Era stata una sciocca a credere di potersene andare, tornare dal Clan, ovunque fossero, e fare finta che non fosse successo nulla.

Saltò una cunetta di neve, agilmente, controllando che il pendio accanto a loro fosse libero da sentinelle. Tutto era fermo, congelato dal freddo, nel silenzio più assoluto, rotto soltanto dalle imprecazioni soffocate di Natia e Geralt, che a volte inciampavano sul ghiaccio rischiando di finire a terra.

Duncan non le aveva detto nulla, quando l'aveva portata via dal Clan. Solo in seguito, scambiando qualche parola con Alistair, aveva capito la realtà delle cose: la Corruzione nel suo sangue era solo temporaneamente rallentata, ma, alla fine, la avrebbe condotta alla morte. Tutti i Custodi Grigi, giunti ad un certo punto, si addentravano nelle Vie Profonde sottoterra, per finire gloriosamente i propri giorni a combattere la Prole Oscura. Proprio un bell'affare, quello in cui l'aveva cacciata Duncan. Il maledetto shem l'aveva trascinata via raccontandole un mucchio di palle, e si era poi permesso di crepare, lui e tutto il suo ordine, lasciando due ragazzini ad occuparsi di tutto quanto.

Sbuffò, arrampicandosi per gli ultimi metri su per il pendio raggiungendo Falon, che sembrava rinvigorito dal clima gelido. Il mabari aveva la folta pelliccia nera coperta di fiocchi di neve, ma non sembrava esserne infastidito, anzi, trottava sulla superficie ghiacciata, il naso puntato a terra a seguire le tracce di chissà cosa.

Leliana la raggiunse, scuotendo il proprio cappuccio di lana dalla neve che vi era caduta sopra. «Dovremmo essere quasi arrivati.»

Aenor annuì.

«Strano non aver incontrato nessuno, non ti pare?» Proseguì la donna, guardandosi attorno, l'arco tenuto saldamente in mano.

Kallian, che era stata silenziosa per la maggior parte del viaggio, si strinse nella sua pelliccia, indicando qualcosa sulle loro teste. «Guardate.»

Del fumo grigio si alzava oltre l'ultima scalinata, segno che doveva esserci una casa abitata.

«Ditemi che è l'ultima.» Ansimò Natia, avvolta quasi completamente da qualsiasi cosa le potesse tenere caldo, il naso storto che spuntava paonazzo tra il cappuccio e il bavero, indicando la scala.

Wynne, accanto a lei, procedeva affaticata. «Un pasto caldo non sarebbe male, in effetti.»

Aenor era preoccupata per l'anziana maga. Le avevano detto come era stata quasi uccisa dalla Prole Oscura. La maga aveva raccontato loro dello spirito che la proteggeva, e che, già due volte, l'aveva riportata in vita. La Custode temeva che il viaggio fosse per lei troppo pesante, ma Wynne aveva sorpreso tutti, riprendendosi come se nulla fosse successo, combattendo con la stessa grinta di quando la avevano incontrata nella Torre.

Zevran e Geralt stavano in coda, il primo che stava raccontando chissà quale storia al secondo, che sembrava più attento al terreno sotto ai propri piedi che alle chiacchiere dell'elfo. Sten, che chiudeva la fila, sembrava essere l'unico a non patire né il freddo né la fatica.

Salirono gli ultimi metri quasi di corsa, ansiosi di ripararsi dalla nevicata che si faceva sempre più forte. Raggiunta la cima, videro un uomo correre verso di loro, un arco in mano pronto a scoccare.

«Altolà!» Urlò loro.

Leliana alzò una mano in segno di saluto, non lasciando mai la presa sul suo arco. «Una buona giornata a voi, signore! Siamo viaggiatori, cerchiamo riparo al villaggio di Haven.»

Quello li squadrò arcigno, la postura rigida pronta all'attacco. «Siamo un piccolo villaggio sulle montagne, come sapete di noi?»

«Un viandante che abbiamo incontrato a due giorni da qui ci ha raccontato di voi, dicendo che avremmo potuto trovare un pasto caldo e un tetto sopra la testa.» Cercò di convincerlo lei.

L'uomo non sembrava soddisfatto, ma abbassò l'arma. «Potete stare fino a domani mattina nella locanda, dove troverete da comprare cibo e vettovaglie. Non abbiamo nulla di valore da scambiare, stranieri, e non apprezziamo i visitatori.» Indicò loro la casa di pietra e legno, il camino sopra il tetto che lasciava uscire il fumo grigio che avevano visto in precedenza.

Ringraziarono, avviandosi verso di essa, con la sensazione di essere tenuti d'occhio.

Il proprietario della locanda era altrettanto ospitale. Sgranò gli occhi, rischiando quasi di far cadere il boccale di birra che stava pulendo con uno straccio. «E voi chi siete?»

«Semplici viandanti.» Rispose Aenor, togliendosi il cappuccio gelato e godendosi il tepore che proveniva dal caminetto scoppiettante. «Ci hanno detto che potete ripararci qui per la notte.»

L'altro li squadrò come se gli avessero chiesto un'assurdità, ma mantenne un contegno. «Se i vostri soldi sono buoni. Ma badate di non andare in giro, ci teniamo alla nostra riservatezza.»

«L'avevamo intuito.» Commentò Geralt, stizzito, guardandosi intorno. «Questa è la prima locanda che incontro dove non sono contenti di vedere dei clienti...»

«Gli stranieri portano solo guai.» Ribatté il proprietario, sbattendo il boccale vuoto sul bancone. Poi, come rendendosi conto di aver esagerato, si sforzò in una mezza smorfia che doveva essere un sorriso. «Cosa posso portarvi? Non abbiamo camere, ma il salone è abbastanza grande per accamparvi qui, accanto al fuoco.»

«Qualsiasi piatto caldo abbiate andrà benissimo, e ci accontenteremo delle panche per dormire.» Lo rassicurò Leliana in tono diplomatico.

Si accomodarono sulle scomode panche di legno, mentre il locandiere serviva loro una zuppa di carne fumante e del pane duro, accompagnato da boccali di birra.

Alla richiesta di Kallian di portar loro dell'acqua, li guardò stranito, ma obbedì senza contestare, per poi rimanere a fissarli di sottecchi dietro al bancone, intento a pulire boccali e facendo avanti e indietro dalla cucina.

Nonostante fosse una sala abbastanza ampia da ospitare una trentina di persone, il locale era deserto. Aenor vide Natia e Kallian guardarsi attorno, chiaramente a disagio.

Quella situazione non piaceva neanche a lei. Sicuramente, nascondevano qualcosa sull'Urna, ma andare in giro a chiedere di essa o di Fratello Genitivi poteva essere un errore fatale.

«Dovremmo andare a dare un'occhiata al resto del villaggio.» Le sussurrò Leliana, dietro al suo boccale, attenta a non farsi sentire dal proprietario. «Non mi piace questo posto.»

La Custode annuì, prendendo una cucchiaiata di zuppa e godendosi il tepore. Falon, seduto ai suoi piedi, sbocconcellava un osso di bue, le orecchie all'indietro, inquieto.

Finirono di mangiare lentamente, senza che nessuno entrasse nella locanda.

«Come mai è così tranquillo?» Chiese ad un certo punto Natia al proprietario, che sembrava essersi ripresa dal freddo. «Non ho mai visto una locanda tanto deserta.»

Quello si strinse nelle spalle. «Padre Eirik sta officiando una funzione, oggi, sono tutti alla chiesa.»

«Padre?» Ripeté Leliana, stranita. «Avete un uomo che si occupa dei riti?»

«Da sempre è stato così, qui ad Haven.» Rispose l'altro, sulla difensiva. «Abbiamo la nostra tradizione, qui, non come voi delle valli.»

Aenor non capiva il perché di tanta curiosità. Donne, uomini, che cosa importava chi pregasse un dio che non rispondeva e un'umana morta sul rogo secoli prima? Scrollò le spalle, raccogliendo gli ultimi residui di zuppa col pane, intercettando però lo sguardo che si scambiarono Leliana e Kallian. Anche Wynne sembrava tesa.

Si alzò in piedi, rimettendosi il cappuccio in testa. «Falon, andiamo.» Disse al mabari, che scattò prontamente in piedi.

«Dove credete di andare?!» Saltò su il locandiere, allarmato. «Sta ancora nevicando, dico...»

L'elfa indicò il cane. «Deve fare una passeggiata. Sempre che non vogliate che faccia i propri bisogni qui...»

«Per carità!» Rispose quello. «Ma non ficcanasate in giro!»

Aenor si strinse nelle spalle, raggiungendo a grandi passi la porta e uscendo.

«Ti accompagno!» Le urlò dietro Kallian, inseguendola.

Il vento freddo le fece rabbrividire, mentre si facevano spazio tra i cumuli di neve che si andavano a formare. Un bimbo, in mezzo alla piazza, le fissava incuriosito, un bastoncino di legno in mano.

Lo salutarono, cercando di sembrare meno minacciose possibile. «Ciao.» Dissero, avvicinandosi con un sorriso stampato in volto. «Non hai freddo?»

Il bambino, che stava recitando una cantilena, si interruppe di colpo. «Cosa ci fate qui? Gli abitanti delle valli non dovrebbero stare qui.» Le squadrò, chinando leggermente il capo. «Siete elfe.»

«Già.» Rispose Aenor, scoprendo un orecchio a punta.

«Non avevo mai incontrato degli elfi, prima d'ora.» Continuò quello. «Ma sono già venuti dei visitatori, ultimamente. Devono essersene andati però, non li ho più visti.»

«Chi erano?» Chiese Kallian.

«Degli uomini in armatura.» La sua attenzione cadde al lungo coltello da caccia che l'elfa portava al fianco. Lo indicò. «È molto bello. Forse Padre Eirik me lo farà tenere.»

Inaspettatamente, l'altra se lo sfilò dalla cintura, porgendoglielo. «Stai attento a non farti male.» Lo avvisò, lanciando uno sguardo preoccupato ad Aenor, che annuì.

Quel villaggio stava decisamente nascondendo qualcosa.

Falon si mise ad annusare il bambino, che si trasse indietro, spaventato. «Che vuole?»

«Solo fare amicizia.» Cercò di rassicurarlo la Custode. «Probabilmente sente odore di cibo.» Indicò una sacchetta di pelle che il bambino portava alla cintura, e che il mabari stava puntando. Qualunque cosa ci fosse là dentro, però, non era sicuramente cibo. Da come Falon teneva coda e orecchie, il contenuto della sacca era abbastanza da allarmarlo.

Il bambino fece una smorfia birichina, aprendo la sacca e infilandoci una mano. Ne estrasse qualcosa, che mostrò loro con aria soddisfatta. «Non c'è mica più carne, qui sopra.»

Fissarono inorridite ciò che era, chiaramente, un dito umano, le ossa bianche ripulite e levigate.

«Dove... dove l'hai trovato?» Riuscì a chiedere Aenor.

L'altro indicò la montagna alle loro spalle. «Là.» Richiuse la mano, scuotendo il dito di fronte a loro. «Porta fortuna. Ma non ditelo a nessuno, è un segreto.» Fece per infilarsi alla cintura il coltello, ma Aenor lo bloccò.

«Quello potrebbe farti male.» Gli disse, afferrando saldamente il manico. «Padre Eirik non vorrà di sicuro che tu ti tagli. Chiediamo a lui se puoi tenerlo, va bene?»

Il bambino incrociò le braccia al petto, offeso. «Ma adesso sono tutti in chiesa.»

«Allora aspettiamo che abbia finito, e poi andremo a parlarci.»

Sembrò convincerlo. «La chiesa è di là.» Indicò il bambino verso l'ennesima salita ripida e piena di ghiaccio. «Però fino a sera saranno lì dentro.» Diede loro le spalle e si allontanò verso una casa dall'aria disabitata.

«Credi che quel dito sia di uno dei Cavalieri di Redcliffe?» Le chiese Kallian, una volta che furono di nuovo sole.

«O di Fratello Genitivi.» Rispose tetra Aenor, guardandosi attorno. Nonostante non ci fosse nessuno in vista, aveva la netta sensazione di essere osservata. «L'unica cosa che sappiamo è che ancora non è tornato nessuno da qui. E da qualche parte sotto la montagna c'è una pila di ossa.»

«Quindi, che facciamo?»

«Stanotte.» Decise la Custode. «Almeno, cerchiamo di farci una dormita al caldo, poi stordiamo l'oste, e ci facciamo strada fino alla chiesa. Questo Padre Eirik avrà sicuramente le risposte che cerchiamo.»

Tornarono alla locanda.

Geralt stava leggendo il suo librone dall'aria pesante, la copertina nera di pelle consumata dal tempo. Sembrava rapito dalle pagine, le labbra che si muovevano leggermente. Natia, accanto a lui, stava passando un panno oleato su ciascuno dei suoi coltelli, che aveva messo in bella mostra sul tavolo, prendendo di tanto in tanto un sorso di birra. L'oste, vedendole arrivare, tornò sul retro, l'aria di uno che aveva sicuramente sbirciato dalla finestra per tutto quel tempo.

«Trovato niente?» Chiese loro Leliana a bassa voce.

«Siamo praticamente certe che abbiano ucciso e nascosto i cavalieri di Redcliffe che sono arrivati fin qui.» Rispose Kallian, sorseggiando dell'acqua. Non beveva mai alcol.

Aenor, che pian piano si stava abituando alla birra, storse il naso, sentendo le bollicine frizzarle in gola. «Abbiamo parlato con un bambino, ci ha detto che sono passati degli uomini in armatura, che poi sono spariti nel nulla. Inoltre, abbiamo trovato delle ossa umane, e pensiamo ce ne siano altre.» Decise di omettere come avessero trovato i resti, la faccenda era abbastanza inquietante già così.

«Qual è il piano?» Chiese Zevran, che, ignorato da Geralt, si era seduto accanto a Leliana.

«Aspettiamo stanotte e ci intrufoliamo nella chiesa. Dobbiamo costringere questo Padre Eirik a dirci la verità, ma adesso troveremmo l'intero villaggio là dentro.»

Wynne annuì, guardando la Custode. «E nel frattempo, possiamo recuperare qualche ora di sonno.»

Aenor si concentrò sulla birra, a disagio. La maga si preoccupava troppo. Le aveva preparato un infuso per cercare di farla dormire meglio, nonostante gli incubi, ma non era servito a nulla. Non c'era niente da fare, se non arrendersi all'evidenza, non avrebbe più dormito una notte serena. E l'Arcidemone non era l'unico che infestata i suoi sogni: le rovine che aveva scoperto con Tamlen erano un labirinto dove continuava, notte dopo notte, a perdersi, urlando il nome del compagno, trovando specchi maledetti dietro ogni angolo, inseguendo un'ombra che non riusciva mai a raggiungere, nonostante corresse fino a non avere più fiato.

Finì di bere la sua birra a lunghi sorsi, cercando di non pensare a quanto fosse amara. Quella era l'unica cosa che la aiutasse a distendere i nervi, che rendeva un po' più sopportabile la situazione.

«Io cerco di dormire un po'.» Annunciò, andandosi a sdraiare su una delle panche all'angolo del salone, usando il mantello come cuscino. Sentì Falon accoccolarsi sotto di lei, il respiro del cane che si faceva man mano più pesante, fino a trasformarsi in un russare sommesso. Chiuse gli occhi.

 




Stesero l'oste con un colpo alla testa, legandolo e imbavagliandolo. Trasportatolo sul retro, fecero una macabra scoperta: l'armatura di uno dei Cavalieri di Redcliffe giaceva in un angolo, le chiazze di sangue ancora ben visibili su di essa. Non avevano esitato quindi a tagliare la gola dell'uomo, rovistando tra le sue cose alla ricerca di soldi, vettovaglie e qualsiasi cosa potesse tornare loro utile. Persino Leliana non aveva fatto le sue solite storie sulla pietà e la carità.

Aenor trovò degli stivali di pelle in un baule, ma non erano della sua taglia. Zevran, che nel frattempo stava controllando che nessuno avesse notato il trambusto nella locanda, si sporse a guardarli. «Non è che per caso sono della mia misura?»

La Custode glieli lanciò. Afferrandoli al volo, l'Antivano li esaminò con cura. Aenor potè giurare di averlo visto annusare il cuoio, prima di indossarli lentamente. «Ah, perfetti. Mi ricordano casa.» Esclamò l'elfo, facendo qualche passo e ammirandosi i piedi.

«Sei un tipo strano.» Commentò Natia, che aveva svaligiato qualsiasi cosa potesse tornare loro utile, dai soldi alle poche armi che il locandiere teneva nel magazzino.

Zevran ridacchiò, girandosi nuovamente alla finestra. «Un giorno ti racconterò di Antiva, amica mia, e ne sentirai nostalgia pur non essendoci mai stata.»

«Se puzza anche la metà di quegli stivali, mi sa che non è poi tanto diversa da dove vengo io...»

Geralt fece loro segno di tacere. Lui e Wynne si scambiarono un cenno d'intesa, muovendo i propri bastoni in direzione delle tre guardie che erano appostate nel buio della piazza, a controllare che non uscissero. Evidentemente gli abitanti avevano deciso di non sfidarli a viso aperto, nella speranza che i visitatori se ne andassero una volta arrivata l'alba.

Wynne fece comparire una runa di paralisi sotto le guardie, le quali non ebbero nemmeno il tempo di rendersi conto di ciò che stava succedendo, che Geralt lanciò loro addosso un incantesimo di sonno, facendoli cadere a terra privi di sensi, il rumore attutito dai cumuli di neve che cadeva fitta.

«Via libera.» Annunciò Zevran, controllando che non ci fosse nessun altro.

Approfittando dell'ora tarda e della neve che rendeva difficoltosa la visuale, si fecero strada fino al boschetto che costeggiava il villaggio, salendo il ripido pendio accanto alla scalinata. Evitarono così altre quattro guardie, armate di archi e spade corte.

Incespicando a fatica, percorsero lentamente la strada che li separava dalla chiesa sulla cima della montagna. Altre due guardie erano appostate all'ingresso, ma vennero eliminate con un tiro preciso delle due arciere.

Spalancata la porta, si trovarono di fronte un uomo sulla sessantina, che si girò allarmato, facendo segno ad altri cinque di proteggerlo. Quelli si affrettarono a sguainare le armi.

«Cosa ci fate qui?!» Intimò loro l'uomo, afferrando un bastone da mago.

Aenor rimpianse l'assenza di Alistair, il suo addestramento da templare faceva sempre comodo.

«Stiamo cercando Fratello Genitivi. Sappiamo che avete ucciso tutti i Cavalieri che sono passati di qui, abbiamo trovato i loro resti.»

«E cosa se ne fa un'elfa dei resti di Andraste?» Chiese Padre Eirik.

“Me lo chiedo anch'io.” Pensò la Custode, ma senza perdersi in altre chiacchiere, fece segno agli altri di attaccare.

Dopo un breve ma acceso scontro, i nemici giacevano a terra uccisi, il cadavere del prete che presentava un enorme squarcio sul petto, regalo della spada di Aenor. Frugando nelle sue tasche, trovò un medaglione dalla forma bizzarra.

«Hei, qui c'è qualcosa!» Li chiamò Brosca, picchiettando la parete di fronte a sé.

La Custode si avvicinò, notando uno strano simbolo inciso nella pietra, identico a quello sul medaglione. Lo appoggiò al muro, facendoli combaciare e sentendo un meccanismo all'interno scattare con un cigolio.

La parete si spostò di lato, rivelando una stanza segreta. Un uomo, legato sul pavimento, si girò di scatto verso di loro, grugnendo concitatamente sotto il bavaglio.

Leliana corse a liberarlo, aiutandolo a mettersi a sedere. L'uomo rivelò di essere proprio Fratello Genitivi, e di essere arrivato nel villaggio di Haven settimane prima, quando era stato stordito e imprigionato da dei fanatici di uno strano culto di Andraste. Dopo che Wynne ebbe curato le sue ferite, l'uomo insistette nel condurli immediatamente verso il tempio dove, era certo, erano conservate le Ceneri.

 




«Un gioco da ragazzi!»

Con stupore, Aenor osservò Natia mettersi al lavoro sulle serrature. Anche dove Leliana non avrebbe potuto fare nulla, la nana sembrava in grado di scassinare qualsiasi porta o forziere.

«Quando si è abituati alle serrature forgiate dai nani, le vostre sono uno scherzo.» Si vantò, facendo scattare il meccanismo all'interno e spalancando la porta davanti a loro.

Si fecero strada attraverso il cunicolo coperto di ghiaccio, il freddo pungente nelle ossa. Avevano lasciato Genitivi all'ingresso, e si erano addentrati tra i corridoi, trovando parecchi fanatici dello strano culto di Haven, che sembravano vivere lì, spiegando in parte perché il villaggio fosse tanto deserto. Come se non bastasse, scoprirono, i sotterranei del tempio brulicavano di draghi di medie e piccole dimensioni, che i fanatici sembravano addestrare e riverire.

Una svolta sbagliata li portò a scontrarsi con tre dragoni, uscendone ammaccati e sfiniti. Kallian le diede una mano a scuoiare i corpi, riuscendo a prendere abbastanza materiale da farsi un paio di armature, una volta usciti da lì e trovato un fabbro in grado di forgiare con quel materiale prezioso.

Fasciandosi qualche graffio e lasciando che Wynne si occupasse del resto, tornarono sui propri passi, percorrendo altri innumerevoli corridoi. Falon, ad un certo punto, drizzò le orecchie, annusando l'aria con la coda ritta.

«Aria fresca?» Gli chiese Aenor. Quello abbaiò una sola volta, affermativo.

«Era ora.» Gemette Geralt, che si reggeva affaticato al proprio bastone magico. Sembrava sempre che Wynne evitasse di curare del tutto le sue ferite. «Se queste Ceneri sono un'invenzione, giuro che butterò giù questo maledetto tempio dalle fondamenta.»

«Non oseresti.» Lo minacciò l'altra maga con lo sguardo. «Urna o no, questo luogo è ricco di storia, il suo valore è inestimabile.»

«Sicuro.» Concordò Natia. «Per questo stiamo mettendo al sicuro tutte le sue ricchezze...» Indicò la sacca sempre più pesante che si portava sulle spalle.

Aenor scosse la testa. Sembrava che la nana fosse decisa a portarsi via tutto ciò che non era inchiodato a terra o semplicemente più grande di lei.

«C'è qualcuno.» Annunciò Leliana, sporgendosi per guardare oltre una parete di roccia. «Una grande sala, e almeno quindici persone. Due maghi, forse tre.»

«Devono essere gli ultimi.» Commentò Kallian, affiancandola. «Per il Creatore, quanti altri folli può tenere, questo posto?»

Aenor trattenne un gesto di stizza. Sentire un elfo rivolgersi al dio degli umani, che assurdità. Avevano tolto loro tutto, la loro lingua, la religione, la dignità. “E io sono qui a salvare uno di loro.”

Tamlen avrebbe pensato che fosse impazzita. E forse lo era. Stava tradendo tutto ciò in cui aveva sempre creduto, viaggiando con degli shem, condividendo con loro la fatica e il riposo, cominciando persino a considerarli... compagni? “Elgar'nan, in che cosa mi sono cacciata!”

Allungò il passo, ansiosa di spaccare qualche altro cranio. Almeno, quello poteva farlo senza doverci pensare troppo.

Fece segno a Sten di seguirla, mentre gli altri restavano leggermente indietro, per non permettere ai nemici di circondarli. Erano in svantaggio in quanto a posizione e numero.

«Intrusi!» Li apostrofò un uomo in armatura pesante, la folta barba castana piena di ghiaccioli. «Avete profanato un luogo sacro, e ucciso i nostri fratelli! Ora basta! Ditemi, cosa ci fate qui?»

«Cerchiamo le Ceneri, e voi ci siete tra i piedi.» Ringhiò Aenor, pronta all'attacco.

«Avete fatto tutto questo per una vecchia reliquia?» L'uomo digrignò i denti. «Sappiate questo, intrusi: la profetessa Andraste ha sconfitto la morte stessa, tornando dai suoi fedeli in una forma ancora più splendente di quanto possiate immaginare! Nemmeno l'Impero del Tevinter potrebbe fermarla, adesso, cosa sperate di fare voi?»

Prima che potesse rispondere a tono a quel mucchio di scemenze, la voce di Kallian riempì la sala. «Sono solo calunnie!» La vide avanzare, l'arco teso puntato sull'uomo. «Bestemmie, vaneggiamenti di un pazzo!»

Leliana, accanto a lei, annuì. «Di qualsiasi cosa stia parlando, non può essere Andraste.»

«Chissenefrega di cosa e dove sia Andraste!» Ringhiò Geralt dal fondo della sala. «Liberiamoci di loro e andiamo a prendere quelle ceneri, se almeno esistono.»

«Certo che esistono!» Alzò la voce il capo dei fanatici, per sovrastare i nuovi arrivati. «Ma perché preoccuparci delle ceneri, quando serviamo Andraste rinata in tutta la Sua gloria?»

«Andraste è morta.» Ribattè Leliana. «E voi siete solo dei folli.» Lanciò una delle sue frecce, che andò a conficcarsi nell'ascella dell'uomo, dove l'armatura lasciava scoperta la semplice stoffa sottostante. Quello indietreggiò, incespicando, ma gli altri furono loro addosso in un attimo.

Lo scontro fu violento.

Uno dei maghi guarì in fretta la ferita del capo, permettendogli di roteare l'enorme ascia da guerra e rischiare di staccare di netto un braccio ad Aenor, che rotolò su un fianco, frapponendo la spada tra sé e il nemico. Sentì una freccia rimbalzare sull'armatura massiccia dell'uomo, venendo costretta a schivare un altro terribile colpo. Un clangore metallico segnalò che Sten era corso a darle una mano, dandole il tempo di saltare in piedi. Uno dei maghi la colpì di striscio con un incantesimo, annebbiandole la vista. Strizzò gli occhi, faticando ad individuare il guerriero di fronte a sé, armato di spada e scudo. Indietreggiò, girandogli attorno, aspettando che l'incantesimo finisse il suo effetto. Falon si scagliò contro di lui, tenendolo occupato. Un'esplosione di fiamme segnalò che Geralt aveva eliminato l'ultimo mago nemico, mettendo così fine all'incantesimo di disorientamento su Aenor, che riuscì a sconfiggere l'uomo di fronte a sé, aiutata dal mabari. Si girò per tornare da Sten, notando che il Qunari era ferito ad un fianco, il sangue che colava da uno squarcio nell'armatura. La Custode colpì il capo dei fanatici alle spalle, costringendolo a portare su di lei l'attenzione e allontanandolo dal compagno.

«Wynne!» Chiamò l'attenzione della maga, che era già all'opera. Una luce azzurra avvolse il Qunari, che grugnì di sollievo.

Intanto, uno dei coltelli di Natia si conficcò tra le giunture dell'armatura del capo, che, distratto, non seppe parare il colpo di spada di Aenor, che gli andò a recidere quasi completamente il braccio destro. L'ascia cadde a terra, mentre l'uomo urlava di dolore, ormai in ginocchio.

Neutralizzatolo, Aenor andò ad aiutare Kallian e Leliana, che erano state ingaggiate in mischia dagli ultimi due fanatici.

Quando anche quelli furono a terra, tirarono tutti un sospiro di sollievo.

Purtroppo, non era finita.

Il capo dei fanatici, afferrato un corno decorato che portava legato alla cintura, l'aveva suonato tre volte, fino a restare senza fiato, accasciandosi morente a terra. Quando una saetta magica lo raggiunse, era troppo tardi.

Un potente ruggito riempì l'aria, scuotendo la terra. Aenor incrociò lo sguardo atterrito di Natia, che sembrava essere impallidita fino a raggiungere il colore del ghiaccio attorno a loro. Falon uggiolò di terrore, la coda tra le gambe e le orecchie basse. Guardò la Custode, in cerca di sostegno.

«Ditemi che non dobbiamo andare lì fuori.» Gracchiò Zevran, mettendosi a sedere a fatica, il volto terreo. Wynne, china su di lui, cercava di sistemargli la gamba, che aveva assunto una posizione innaturale. Aenor guardò Sten, che sembrava essersi ripreso dalla ferita, ma si teneva una mano sul fianco. La maga li aveva curati più volte, in quella giornata, e ormai era costretta a risparmiare le forze. Qualunque cosa avessero dovuto affrontare là fuori, non potevano contare soltanto su di lei per sopravvivere.

«Possiamo aspettare che se ne vada.» Propose Natia, indicando l'uscita, un lungo corridoio chiuso con due enormi battenti di ferro, dietro i quali si sentiva un rumore di artigli sulla pietra.

D'un tratto, il portone tremò, colpito con forza da qualcosa, che causò la caduta di una miriade di piccole stalattiti dal soffitto della sala in cui si trovavano.

«Non credo che abbia intenzione di andarsene.» Commentò tetro Geralt. «E quella cosa è tra noi e le Ceneri. Avete sentito il folle, no? Esistono davvero.» Afferrò con forza il suo bastone, che riluceva minaccioso, fino a farsi sbiancare le nocche. «Troviamo quell'Urna, cazzo.»

Aenor annuì. Aveva promesso ad Alistair che avrebbe portato le Ceneri a Redcliffe, e il ragazzo si era fidato di lei. Non potevano tornare indietro a mani vuote.

Nel peggiore dei casi, sarebbero morti tutti e lei non avrebbe più avuto incubi sull'Arcidemone.

Si appoggiò la grande spada su una spalla, fissandoli uno per uno. «Zevran, ce la fai a camminare?» Chiese all'elfo, che scosse la testa.

«Abbastanza per fare una passeggiata, forse. Ma non per affrontare quella cosa.» Rispose.

«Potrei riprovare a sistemarlo.» Ribattè Wynne, posando di nuovo le mani su di lui. L'elfo però si scostò da lei, allontanandola. «Non è grave, dovresti risparmiare il mana per dopo. Credo che ne avrete più bisogno di me. Ci metterò su un impiastro curativo.»

«D'accordo. Ma non ti lasceremo al freddo.» Disse Geralt, prima di prendere alcune torce appese nella sala e accatastarle accanto all'Antivano. «Se si spegne, è finita male. E dovrai trovare il modo di uscire da qui e tornare a Redcliffe, ad avvisare che abbiamo trovato quelle maledette Ceneri.» Ordinò dopo aver acceso un fuoco, che scoppiettava senza tuttavia consumare il legno. Lo guardò intensamente, con aria minacciosa. «E non ti azzardare a tradirci.»

Zevran accennò un sorriso. «Non oserei. Ma non è detto che riesca ad uscire da qui.»

«Non sarà necessario.» Si intromise Leliana. «Torneremo dopo aver trovato l'Urna, Zevran, aspettaci pure.»

Si incamminarono nel corridoio. Il grattare alla porta era temporaneamente cessato, ma i ruggiti non avevano fatto altro che intensificarsi, seguiti da quelle che erano chiaramente getti di fuoco.

«Io e Sten lo teniamo occupato.» Spiegò Aenor, sperando di apparire sicura di sé e sperando che gli altri non notassero quanto stava tremando. «Leliana, mi servi al fianco di Natia, a colpire i suoi punti ciechi. Kallian, Wynne, Geralt, lanciategli addosso tutto quello che avete.»

Leliana annuì, riponendo l'arco dietro alle spalle ed estraendo i due pugnali.

Prima che potessero uscire, Aenor sentì la mano di Sten sulla spalla. Si voltò, incontrando gli occhi viola del Qunari. Per un attimo, le sembrò che volesse dirle qualcosa, poi l'altro riportò l'attenzione sulla porta di fronte a loro, entrambe le mani a stringere Asala.

“Che Andruil ci protegga.” Pensò Aenor, prima di spalancare le porte.

Un enorme drago, molto più grande di qualsiasi cosa avessero mai visto prima, si stagliava davanti a loro, le fauci spalancate a produrre una fiammata che si alzò per parecchi metri verso il cielo.

La Custode costrinse le proprie gambe a muoversi, nonostante fossero improvvisamente immobili e pesanti come la pietra. Si lanciò a zigzag verso il drago, Sten al suo fianco, nella speranza di distrarlo e permettere agli altri di mettersi in posizione di vantaggio.

La creatura cercò di spazzarli via con una zampata, ma i due guerrieri riuscirono ad evitarla, saltando di lato e dividendosi, mettendosi uno a sinistra e l'altra a destra.

Il drago ruggì, ma sembrava non voler ancora sputare fuoco, perché si limitò a schioccare le fauci, provando ad azzannare i suoi assalitori. Distratto, mise la zampa su una runa di paralisi lanciata da Geralt, che lo bloccò al terreno. Tentò di liberarsi, lanciando un grido assordante che li avrebbe sicuramente storditi, non fosse stato per Wynne, che li aveva avvolti giusto in tempo con un incantesimo di protezione. Aenor mirò alla zampa bloccata a terra, usando tutto il proprio peso per calare la spada verticalmente sulle squame dure come pietra della bestia. Quella si girò di scatto, e prima che la Custode potesse capire cosa fosse accaduto, si ritrovò a sbattere la schiena su qualcosa di duro, che le mozzò il respiro.

Si accasciò a terra, sputando un grumo scuro. Cercando di rimettersi in piedi, si pulì la bocca con il dorso della mano, osservando la macchia di sangue sulla neve candida. Si toccò il collo, sentendo un liquido viscido scenderle giù per la schiena. Uno degli artigli del drago doveva averla colpita di striscio. Falon, corso immediatamente accanto a lei, ringhiava protettivo. Provò a muovere la spalla, constatando che era una ferita superficiale e rimettendosi in piedi, ignorando il bruciore pulsante e afferrando saldamente la propria spada. Fece segno al mabari di seguirla.

Vide Natia affondare uno dei suoi coltellacci intrisi di veleno in una delle zampe posteriori del drago, per poi schivare a malapena la coda irta di punte, che voleva spazzarla via. Una saetta colpì il muso della bestia, distogliendola dalla nana mentre ruggiva tutto il suo furore. Una freccia gli si conficcò tra le squame più sottili della gola, seguita in rapida successione da un'altra, che andò però a perdersi nel vuoto, in quanto la creatura si era girata di scatto.

Aenor schivò di lato, mentre il drago sputava un getto di fuoco di fronte a sé, avvolgendo Sten e Leliana, che non avevano fatto in tempo a spostarsi. La Custode raccolse le forze e si gettò contro la zampa anteriore precedentemente ferita, Falon che distraeva il drago saltando agilmente davanti a lui e tenendo la testa della bestia lontana dalla padrona. Con un gemito, riuscì a conficcare la spada in profondità, girando l'elsa ed estraendola di nuovo, un getto di sangue bollente che uscì fumante dallo squarcio.

Il drago lanciò un ruggito lancinante, lasciando perdere il mastino e girandosi di scatto. Aenor si trovò a dover saltare su una delle zampe, aggrappandosi ad una delle punte d'osso del drago. Quello cercò di scrollarsela di dosso, scuotendosi un paio di volte. Sentendo l'elfa che resisteva, spiegò le ali, dando un colpo poderoso con esse e staccandosi da terra.

Aenor vide il terreno allontanarsi di botto, e non le rimase altro che tenersi atterrita agli spuntoni del drago, che decise di ruotare su se stesso. Il mondo si capovolse un paio di volte, mentre le dita intirizzite dalla fatica e dal freddo lasciavano la presa.

Si ritrovò a cadere nel vuoto. Chiuse gli occhi.

La sua caduta si arrestò di botto. Riaprì le palpebre, appena in tempo per cadere con un tonfo a terra, una luce verde che la circondava. Sgomenta, vide Sten e Leliana, un po' bruciacchiati e feriti ma ancora in piedi, mentre Natia estraeva qualcosa dalla borsa, che lanciò contro alla creatura non appena essa si posò nuovamente a terra, urlando di tenersi indietro.

Un'esplosione di fumo viola si propagò tutto intorno, per poi esplodere in un inferno di fiamme una volta che il drago provò a soffiare di nuovo fuoco. Ruggì nuovamente, per poi stendere le ali e balzare in direzione della nana.

Natia si gettò di lato, scivolando sul ghiaccio e venendo colpita da uno dei rostri sulla coda. Non si rialzò. Aenor scattò a distrarre il drago, che puntava a finire il lavoro. Falon al suo fianco, roteò la spada con forza, scacciandolo dalla nana e costringendolo ad arretrare. Le fauci della creatura si chiusero di scatto sulla spada, strappandogliela di mano e lanciandola lontano.

La Custode rimase lì, disarmata di fronte al drago, il terrore che la paralizzava.

Sten la spinse di lato con una spallata, facendola cadere a terra ed evitando per un soffio che le mascelle del mostro si chiudessero attorno a lei.

Osservò rapita il Qunari, che nonostante le ferite profonde che riportava, sembrava combattere con la stessa determinazione e forza di sempre.

«Wynne!» Ruggì il guerriero, cercando di tenere occupato il drago per permettere alla maga di lanciare i suoi incantesimi curativi.

Aenor si girò verso Natia, portata in salvo da Kallian che la trascinava di peso. Una fioca luce turchina avvolse la nana, tuttavia non bastò a farla rinvenire, ma si limitò ad arrestarle la fuoriuscita di sangue dalla ferita al fianco.

La Custode cercò di ritrovare la sua spada, ma scoprì che era oramai inutilizzabile: la lama era spaccata poco sopra l'elsa.

Le restava soltanto il pugnale che portava alla cintura, ma dubitava potesse essere di qualche aiuto.

Il drago sembrava più furioso che mai. Con una zampata, spedì a terra Sten, che si accasciò con un grugnito di dolore. Cercò di rialzarsi un paio di volte, appoggiandosi ad Asala, per poi rimettersi in piedi traballante, il pettorale dell'armatura ridotto a brandelli che rivelava una profonda ferita sottostante. Il drago l'avrebbe sicuramente ucciso, non fosse stato per una freccia, che andò a conficcarsi in uno dei due occhi fiammeggianti.

Urlò di dolore, scagliandosi contro l'arciera.

Kallian non fece in tempo a spostarsi, che venne sollevata di peso da una delle zampe, che la sballottò un paio di volte, per poi scagliarla a terra.

Una pozza di sangue scuro si allargò sotto di lei, imbrattando la neve.

Leliana la raggiunse incespicando, fendendo l'aria tra lei e il drago con i suoi pugnali, in un vano tentativo di allontanarlo. Wynne urlava qualche incantesimo, ma non sortì l'effetto sperato.

Aenor stava già correndo verso di loro. Saltò sulla coda del drago, come tempo prima aveva fatto con l'Ogre sulla torre di Ishal, il pugnale stretto in mano. Si fece strada verso la testa della creatura, che si scuoteva furiosamente per togliersela di dosso, paralizzata a terra da una delle rune di Geralt. La Custode si issò faticosamente fino alla base del collo, sollevando il pugnale e conficcandolo con un balzo alla base della testa. Sentì le squame cedere, il ruggito del drago che riempì l'aria.

Sorrise, trionfante.

Una scossa più forte delle altre la sbalzò lontano. Atterrò sul terreno ghiacciato con uno schiocco sinistro. Rotolò di lato, mettendo a fuoco il proprio braccio sinistro, che restava inerte nonostante cercasse di muoverlo. Facendo leva sul destro, cercò di rimettersi in piedi, ma crollò nuovamente a terra subito dopo, le gambe malferme, la nausea che la attanagliava.

Sten era a terra poco distante da lei. Falon, uggiolando, zoppicava nella sua direzione, ferito ad una delle zampe posteriori, la pelliccia impregnata di sangue e neve cremisi. Leliana, Wynne e Geralt erano gli ultimi rimasti in piedi. La maga era china su Kallian, ma doveva aver esaurito il mana.

Leliana, recuperato l'arco, teneva a distanza il drago, aiutata da Geralt.

Il mago, esausto, lasciò cadere a terra il proprio bastone magico, dopo aver lanciato una nuova runa di paralisi sul mostro. Mosse le labbra, dicendo qualcosa che l'elfa non riuscì a capire.

Lo vide estrarre un pugnale dalle vesti, per poi affondarlo nel palmo della propria mano.

Un'aura sanguigna avvolse la sua figura, mentre innumerevoli tentacoli bruni si propagavano attorno a lui, andando in direzione di Wynne.

Atterrita, Aenor non poté far altro che guardare la maga venire trafitta e crollare a terra.

“Magia del sangue.”











Nota dell'Autrice: e con questo, scopro una delle mie carte, lasciandovi con un cliffhanger (o almeno, ci provo). 
Come sempre, ogni commento è ben accetto. Al prossimo capitolo! :D

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Capitolo 19
*** Tempio di Haven ***


CAPITOLO DICIANNOVE: TEMPIO DI HAVEN



 

Quella dannata bestia stava per ammazzarli tutti.

Al limite delle proprie forze, Geralt lanciò un'altra runa di paralisi contro il drago, sperando che Aenor riuscisse ad ucciderlo. La guardò arrampicarsi sul collo della bestia, per poi piantargli il coltello alla base della nuca.

Per un attimo era sembrato avesse funzionato, ma il drago si era rivoltato, più furioso che mai, spedendo a terra l'elfa.

Imprecò, urlando a Wynne di fare qualcosa. Era ora che la vecchia chiedesse una mano al suo amico spirito, se non voleva finissero tutti ammazzati. Ma la maga sembrava aver esaurito le energie magiche, perché non riuscì nemmeno a lanciare un solo, piccolo incantesimo di cura sulla Custode. Il Qunari non si muoveva più, e anche Natia e Kallian erano fuori gioco. Persino quell'ammasso di pelo del mabari non era quasi più in grado di reggersi in piedi.

Mirò al muso del drago, lanciandogli addosso una pioggia di scintille, digrignando i denti per lo sforzo. Non ce l'avrebbero fatta. Non stavolta, non senza...

Non poteva.

Eppure, se fossero morti lì, non avrebbero recuperato le Ceneri. E Jowan sarebbe stato giustiziato.

Se avessero saputo la verità, tuttavia, Geralt sarebbe probabilmente morto in ogni caso.

Il drago si volse verso di lui, gli occhi due braci ardenti, feroci. Avanzò lentamente verso di lui, come se si stesse pregustando il momento in cui l'avrebbe fatto a pezzi.

Il mago provò a rallentarlo, lanciando un'ultima runa di paralisi di fronte a sé, aspettando che una delle grosse zampe squamose ci finisse sopra, prima di gettare a terra il proprio bastone da mago.

«Se ne vuoi un pezzo, dovrai fare di meglio.» Scoprì i denti in un ghigno, estraendo dalle vesti un piccolo coltello dalla lama affilata. Wynne era a pochi metri di distanza, di spalle, rivolta verso il drago. “Per le fiammeggianti palle del Creatore, vecchia, renditi utile.”

Quasi non sentì il coltello recidergli il palmo della mano destra, mentre un'ondata di nuova, dirompente energia lo travolgeva, oscurandogli per un attimo la vista.

Inarcò la schiena, serrando la mascella, costringendo il potere del sangue ad obbedirgli. Tentacoli di magia lo pervadevano, innalzandosi attorno a sé, in attesa di un suo comando.

Mise a fuoco la vecchia, la magia che cantava nelle sue orecchie, il demone che lottava per prendere possesso della sua mente, oltrepassare il velo che lo separava dal mondo. Gioì quando sentì il potere di Wynne aggiungersi al proprio, scagliando tutta la sua sete di sangue su un singolo obbiettivo.

Il drago venne all'improvviso dilaniato da decine di ferite, avvolto da un intrico cremisi di tentacoli di magia, che squarciarono e strapparono le squame come se fossero di carta.

Una luce abbagliante si liberò dal corpo dell'anziana maga, mentre il drago ruggiva in agonia. Attinse a quella nuova esplosione di energia, assorbendone tuttavia soltanto una parte, lasciando che il resto fluisse verso i compagni a terra, convergendola sul drago ormai morente per dargli il colpo di grazia.

Con un lamento assordante, la creatura si dimenò in preda agli spasmi, per poi spaccarsi dall'interno in uno schiocco di ossa frantumate e tessuti lacerati, cadendo a terra e sollevando una fontana di sangue bollente, che si riversò a terra fumante, sciogliendo la neve in una fanghiglia rossastra.

Geralt sentì le gambe cedere sotto il proprio peso, ritrovandosi carponi, senza più forze. Chiuse gli occhi, tremando per il freddo e la stanchezza, sedendosi a terra.

Ce l'aveva fatta.

Poteva ancora sentire la frenesia che si era impossessata di lui, gli artigli del demone graffiargli lo sterno facendo appello alla sua sete di potere ma, per il momento, era finita.

«Cosa hai fatto?!» Gli urlò Leliana, costringendo a riaprire le palpebre nonostante la stanchezza, l'arco puntato contro di lui anche se non aveva più frecce. Aveva il viso rosso di rabbia, gli occhi sgranati di paura. Lo colpì di striscio con una delle estremità dell'arma, ferendogli una guancia. Sentì il sangue caldo scendergli sul petto, ma non riusciva a percepire alcun dolore. Abbassò lo sguardo sulla propria mano, la ferita che imbrattava il terreno.

Avrebbe dovuto aspettarselo. Aveva appena salvato i fondelli di tutti loro, e questo era quello che otteneva.

«Leliana, smettila.»

Si girarono entrambi.

Aenor, reggendosi il braccio, lo fissava accigliata.

Geralt ricambiò lo sguardo. Aveva sperato che almeno lei potesse capire... “Illuso.”

L'elfa gli si inginocchiò davanti, finché i quei brillanti occhi verdi non furono al suo livello, le sopracciglia corrucciate, le narici che fremevano di rabbia.

Non vide neanche arrivare lo schiaffo. Lo schiocco che gli risuonava ancora nelle orecchie, si portò la mano sana alla guancia, che ora pulsava dolorosamente.

«Sei un coglione.» Disse lei, digrignando i denti. Lo colpì di nuovo, sull'altra guancia. «Bugiardo!»

Geralt rimase immobile, aspettandosi un altro colpo. Invece, la Custode si rialzò in piedi, ringhiando qualcosa in elfico. «Potevi dirmelo, e fare qualcosa prima che fossimo fatti a pezzi.» Si voltò a dargli le spalle. «Leliana, dammi una mano a controllare che siano tutti vivi.»

L'arciera gli lanciò un'ultima occhiata sprezzante, per poi andare a raggiungere Kallian, che giaceva ancora a terra, immobile. La vide chinarsi sull'elfa con un sospiro di sollievo.

«È viva. Le ferite si sono rimarginate, ma è ancora incosciente.»

Aenor nel frattempo stava controllando Wynne. Per la prima volta in tutto quel tempo, Geralt sperò che la vecchia ce l'avesse fatta. La sua situazione era abbastanza brutta senza che dovesse aggiungere anche un omicidio alla lista.

Con suo grande sollievo, la maga si mise a sedere, sorreggendosi all'elfa. «Amell, che hai fatto?» Gracchiò con un filo di voce.

Si strinse nelle spalle. «Sembra che io abbia appena ucciso un alto drago.»

La vecchia stava probabilmente per replicare, ma venne colpita da un attacco di tosse. Geralt ne approfittò per alzarsi in piedi, traballante, e andare a controllare gli altri. Raccolse il proprio bastone magico, superando Sten che si stava svegliando, il mabari che gli leccava il volto abbaiando felice e scodinzolando. Raggiunse Natia, trovandola intenta a fissare il cielo, un espressione da ebete stampata in volto.

«Hei, spilungone.» Accennò un movimento con la mano, da terra.

«Hei, barilotta.»

«Devo proprio alzarmi? Non credo di farcela. Sto comoda, però.» Indicò le nuvole sopra di loro. «Ancora non capisco com'è che non cadiamo in cielo.»

Non riuscì a trattenere un sorrisetto stanco. «Brosca, sei tremendamente melodrammatica. Muoviti, stai congelando e il freddo fa dire al tuo cervello un mucchio di stronzate.»

«Non so manco cosa significa, “melodatica”. Ma non fa nemmeno tanto freddo...»

Geralt alzò gli occhi al cielo, chinandosi per afferrarla e tirandola su di peso con uno sforzo immane. «Per essere così piccola, pesi come un Qunari!» Grugnì, maledicendo lo zaino pieno di roba che l'altra portava sulle spalle. «Forza, appoggiati e non cadere di nuovo.»

Natia gli si aggrappò al braccio sano, sbattendo le palpebre in un ghigno stupido. «Che c'è, vuoi fare nuove esperienze?» Barcollò in avanti, ridacchiando da sola.

«Il pensiero non mi sfiorerebbe l'anticamera del cervello neanche nelle peggiori sbronze.»

Non ascoltò nemmeno la risposta, distratto da una voce familiare provenire dal fondo del pendio. «Ce l'avete fatta!»

Zevran procedeva verso di loro zoppicando, reggendosi su quello che doveva essere uno dei bastoni dei maghi che avevano sconfitto nelle rovine del tempio. «Pensavo foste morti, il fuoco...» Si fermò a riprendere fiato, ricominciando poi a salire più in fretta. «Si era spento. Avevi detto-»

«Avevo altro a cui pensare, come un drago assassino.» Lo interruppe Geralt, che nonostante tutto era contento di vederlo. Si girò verso Aenor, che evitò il suo sguardo mentre aiutava Wynne a salire gli ultimi metri che li separavano dall'altro tempio su per la montagna.

«Ripariamoci là dentro.» La sentì dire. Leliana e Sten, che trasportavano Kallian di peso, annuirono.




 

Ci misero quella che sembrò un'eternità, ma finalmente oltrepassarono il pesante portone di metallo del tempio, che si chiuse alle loro spalle, lasciando fuori il vento gelido.

Il grande salone in cui si trovavano era illuminato da torce, di natura magica, che emanavano un calore rassicurante. Otto grandi colonne di pietra intagliata sorreggevano un alto soffitto a volta.

«Benvenuti, pellegrini.»

Una figura umana, che indossava un'armatura di metallo splendente e un elmo alato, si fece loro incontro, allargando le braccia e chinando leggermente il capo.

Si immobilizzarono, temendo un altro attacco.

«Non abbiate timore.» Cercò di rassicurarli la figura. «Sono il Guardiano di questo luogo, incaricato di proteggere l'Urna delle Sacre Ceneri.» Li squadrò uno per uno, sorridendo benevolo. «Avete affrontato il drago, e vi siete fatti onore uccidendolo. Ho atteso per molti anni qualcuno che facesse visita a questo luogo, per rendere grazia alla Sposa del Creatore. Ma per ora, riposatevi, le prove per poter arrivare all'Urna sono ancora molte.»

«...Prove?» Gemette Geralt, non riuscendo a trattenersi. «Abbiamo sconfitto un drago, non è sufficiente?»

Il Guardiano gli rivolse uno sguardo severo. «Il drago era una creatura terribile, e vi ringrazio di aver liberato questo luogo dalla sua presenza. Ma ai pellegrini è richiesto di essere degni di arrivare al cospetto dei resti mortali di Andraste, e ciò non ha nulla a che fare con la forza fisica.»

«Alcuni di noi sono gravemente feriti.» Disse Leliana, fronteggiando il Guardiano. «Puoi aiutarci?»

Quello scosse la testa. «Non è mio compito. Ma le Ceneri possiedono grandi doti curative, e soltanto un pizzico di esse può salvare la vostra compagna.» Indicò con un cenno del capo Kallian, che giaceva immobile stesa sul pavimento, il mantello di Leliana avvolto attorno al corpo a tenerla più al caldo. «Morirà, senza di esse.»

«E allora fateci passare.»

Geralt sgranò gli occhi. L'arciera stringeva il pugno in una morsa spasmodica, l'altra mano che reggeva l'arco, lo sguardo puntato contro il Guardiano. «Fateci passare, e permetteteci di prendere un po' delle Ceneri.»

«Le Prove sono difficili, e voi siete stanchi.» Ribattè il Guardiano.

Aenor raggiunse l'altra donna, il piccolo pugnale in mano. «Leliana ha ragione. Non abbiamo tempo da perdere.» Sembrava reggersi in piedi grazie alla sola forza di volontà, minuta com'era al cospetto del Guardiano imponente, disarmata e ancora tremante di freddo.

Si affiancò a loro, automaticamente. Incrociò le braccia al petto, senza aggiungere altro.

Anche Sten li raggiunse, impassibile come sempre. «Facci passare.»

Lo Spirito annuì solennemente, per poi posare lo sguardo su Leliana. «Sei certa delle tue decisioni, come lo sei riguardo alle tue visioni. Sostieni che il Creatore ti parli, paragonandoti ad Andraste stessa. In Orlais, eri qualcuno, ma in un piccolo monastero del Ferelden, eri soltanto una di tante iniziate, quindi hai deciso di renderti speciale, diversa, raccontandoti una menzogna. Anche adesso, mostri preoccupazione per la vita della tua compagna, è forse una facciata, fatta per metterti in mostra? Ti piace così tanto essere al centro dell'attenzione?»

La donna trasalì, sentendosi rivolgere quelle parole, ma se durante il discorso del Guardiano si era incupita, dopo poco si aprì in un sorriso gentile. «No, affatto. So in cosa credo, e non lo faccio per mettermi in mostra. E ho cari i miei compagni, senza secondi fini.»

Lo Spirito annuì, rivolgendosi poi a Geralt. «Tu sei tormentato dai sensi di colpa, per non aver potuto salvare la persona che ami.» Gli occhi luminescenti sembravano trafiggergli l'anima, e il mago distolse lo sguardo, interrompendo l'interrogatorio.

«I miei problemi non ti riguardano, Spirito, ma sappi che sono pronto a fare qualsiasi cosa, per ottenere ciò che voglio.» Quello sembrò non voler obbiettare, passando poi a Sten.

«Sei venuto qui con il compito di osservare, ma hai ucciso una famiglia intera nella tua cieca furia. Ritieni di aver fallito il Qun, permettendo di essere visto in quello stato?»

Il Qunari rimase in silenzio, per poi raddrizzare le spalle. «Non ho mai negato di aver fallito.» Rispose a testa alta.

«E infine, Custode Grigio.» Si rivolse per ultima ad Aenor, che ricambiò lo sguardo, le braccia rigidamente incrociate al petto. «Pensi ancora a come avresti potuto impedire ciò che è accaduto in quelle rovine, se avessi fatto di più...»

«Se le cose fossero andate diversamente, non saremmo qui a parlarne.» Tagliò corto l'elfa, la voce che tremava leggermente. «Non ho altra scelta che andare fino in fondo.»

Parve soddisfatto delle loro risposte, perché si spostò di lato, liberando il passaggio verso la sala successiva, una grande porta che si apriva di scatto di fronte a loro.

Lanciarono un'occhiata ai compagni rimasti indietro. Wynne li salutò con un cenno stanco del capo, mentre Brosca si era appisolata, la schiena poggiata contro una colonna. Falon corse accanto alla padrona, che lo accarezzò sulla testa, prima di oltrepassare la soglia con lui, seguita da Leliana e Sten. Geralt si avviò per ultimo.

«Fate in fretta.» Sentì Zevran avvertirli, chino sull'elfa a terra, prima che i battenti si chiudessero dietro di loro.

Si ritrovarono in un salone enorme. Lungo le pareti, otto figure spettrali fissavano il vuoto, incuranti delle loro presenze. Quando si avvicinarono alla prima, una giovane ragazza dal volto allegro, quella rivolse loro un sorriso cordiale. «Può essere portata dalla più piccola allodola, ma non necessariamente da un uomo forte. Di cosa sto parlando?»

Geralt sbuffò stizzito. Erano arrivati fin lì per rispondere a degli stupidi indovinelli?

Leliana si fece avanti, la risposta già sulle labbra. «Una melodia.»

«Risposta esatta!» Gioì lo spirito. «Ero la migliore amica di Andraste, da piccola, e cantavamo sempre. Ella celebrava la bellezza della vita e tutti coloro che la ascoltavano si riempivano di gioia. Si dice che lo stesso Creatore sia rimasto colpito dalla melodia di Andraste, e da allora lei non ha più cantato di cose semplici.» Il sorriso si spense, mentre la figura svaniva in uno sbuffo di luce, che andò a raggiungere il portone sul fondo della sala.

«Quindi, dobbiamo rispondere agli indovinelli sulla vita di Andraste, per continuare?» Chiese Aenor. L'elfa Dalish aveva tutti i motivi per essere preoccupata, pensò Geralt, probabilmente non aveva nemmeno idea di cosa fosse il Cantico della Luce. “Beata lei...”

Fortunatamente per loro, gli indovinelli furono abbastanza semplici, ed erano anche slegati dalla conoscenza della Chiesa. Quando incontrarono l'elfo che aveva combattuto al fianco della Profetessa, per dare una casa al suo popolo, Aenor aveva ringhiato qualcosa in elfico, ma non si era curata di dar loro una spiegazione. Leliana e Geralt seppero rispondere a tutti i quesiti, e senza difficoltà passarono alla sala successiva.

Appena varcata la soglia, Geralt fu attraversato da una scarica di energia, che per un attimo gli oscurò la vista. Sbattè le palpebre, incredulo: di fronte a lui, Jowan sorrideva divertito.

«Piaciuti gli indovinelli?»

Per un attimo ci aveva quasi sperato. Chiaramente, questa era un'altra delle prove.

«Sbaglio, o non eri tu quello affezionato alla Chiesa? Ad una parte in particolare, più che altro.» Rispose tagliente, la voce di quella stronzetta petulante ancora impressa nelle orecchie.

Lo spettro ridacchiò. «Sono Jowan, come sono parte della Prova e parte di te. So cosa stai pensando. Ancora non ti sei perdonato per come sono andate le cose, credi che avresti potuto fare di più...» Si avvicinò a lui, andando a posare una mano sulla sua guancia. «Hai rischiato la vita e la libertà per me, e continui a farlo. Non lo merito.»

Geralt gli allontanò la mano con uno schiaffo, indietreggiando. «Non sei reale. Stai ripetendo solo quello che la Prova pensa che mi voglia sentir dire.»

«La Prova legge dentro di te, Geralt.» Ribattè lo spirito, che tuttavia non cercò nuovamente di avvicinarsi. «Hai paura che non ricambi i tuoi sentimenti, nonostante tutto quello che fai per me. Che hai sempre fatto. E se dovessi rifiutarti...»

Sentì una vampata di magia ribollirgli dentro, pronta a liberarsi. Ne aveva abbastanza. Chiunque fosse lo spirito che si stava prendendo gioco di lui, impicciandosi nei suoi affari, doveva sparire.

Prima che potesse però ridurre quella cosa ad una nuvola di fumo, il finto Jowan sparì nel nulla. Al suo posto, Geralt sentì qualcosa premergli sul palmo della mano destra, stretta a pugno. Un ciondolo, con un piccolo specchio incastonato all'interno. Osservandolo meglio, gli parve di cogliere un'ombra di un sorriso su un volto che conosceva bene, ma durò un attimo.

Con un moto di stizza, si cacciò in tasta l'oggetto, voltandosi verso i propri compagni: gli altri tre sembravano non essersi accorti di nulla, persi nei propri pensieri. La Custode gli dava le spalle. «Muoviamoci.» La sentì dire dopo aver tirato su col naso, senza voltarsi.

Chi avesse incontrato, per turbarla a quel modo, il mago non lo sapeva. Sperò soltanto che non avesse distratto l'elfa dal loro obbiettivo.

I suoi timori si rivelarono infondati.

Quando si ritrovarono a combattere contro le copie di loro stessi, Aenor, nonostante fosse armata soltanto del suo ridicolo coltello da caccia, si batté come una furia. Sembrava che la Prova l'avesse soltanto rafforzata nello spirito.

Superarono un altro enigma, che richiese la collaborazione di tutti per riuscire ad attraversare un ponte magico che compariva e scompariva a seconda degli interruttori che si premevano sui lati della stanza. L'elfa si era coraggiosamente avventurata sulle piattaforme sospese, e non sembrò battere ciglio per tutto il tempo in cui Leliana e Geralt discutevano su come muoversi.

Superata anche l'ultima Prova, raggiunsero l'ultima sala, illuminata da un'imponente muro di fiamme, alte fino al soffitto, il cui calore poteva essere sentito dall'ingresso.

Di fronte a loro, un altare. Aenor si chinò ad osservarlo, indicando loro una targa con delle incisioni. «Qualcuno può decifrare?» Chiese scrutando accigliata il fuoco.

«È lingua corrente.» Lesse il mago dopo essersi avvicinato. «Liberati dagli ornamenti della vita terrena e copriti con la grazia dello spirito. Re e schiavo, signore e mendicante; rinasci sotto lo sguardo del Creatore.» Si girò a guardare il resto del gruppo, incredulo. «Ci sta chiedendo di spogliarci, o sbaglio?»

«Sei impazzito?!» Sbottò la Custode. «Non ha senso, hai letto male.»

Le indicò la targa. «Se tu leggi qualcosa di diverso...»

La vide storcere la bocca, incrociando rigidamente le braccia al petto.

«Non fare complimenti.»

«Non so leggere, va bene?!» Gli ringhiò contro, facendolo sobbalzare. Gli diede le spalle, sganciandosi poi il mantello dalle spalle. «Masal din'an, shem!»

Geralt si sentì di nuovo in colpa. La Custode gli aveva dato fiducia fin da quando si erano incontrati alla Torre, ed era la seconda volta quel giorno che la deludeva. “Come potevo immaginare che non sapesse leggere?!” Pensò stizzito, voltandosi anche lui e trafficando con gli alamari delle vesti. “E se avessi detto a qualcuno che so usare la magia del sangue, mi avrebbero ucciso sul posto.” C'erano ancora grosse probabilità che, una volta prese le Ceneri, lo avrebbero giustiziato senza pensarci su due volte. E con il suo carattere di merda aveva fatto nuovamente arrabbiare una delle due persone lì che avrebbero potuto votare contro la sua esecuzione. Sempre che Natia non si fosse lasciata corrompere dalla taglia sui maghi del sangue che avrebbe potuto riscuotere ai templari. Poteva vedere quel bastardo di Gregoir gongolare di fronte alla sua testa recisa in bella mostra nella Torre.

Lasciò cadere a terra gli ultimi indumenti, restando solo in biancheria intima.

Non potè evitare di far cadere lo sguardo sugli altri. Leliana aveva un fisico snello e atletico, tuttavia aggraziato, che rivelava molto del suo passato da barda. Sten era una montagna di muscoli, come si poteva facilmente immaginare, alcune cicatrici vecchie e recenti a testimonianza dei suoi innumerevoli combattimenti.

Ma fu Aenor a lasciarlo più sorpreso, anche se avrebbe dovuto aspettarselo, data l'abilità con cui l'elfa mulinava la sua enorme spada a due mani nonostante il peso dell'arma e il fisico all'apparenza minuto, ma più muscoloso di quanto desse a credere sotto l'armatura che portava di solito.

Distolse lo sguardo il più in fretta possibile, non volendo causare ulteriori incidenti.

«Diamoci una mossa.» La sentì dire, prima di dirigersi a passi decisi verso le fiamme e oltrepassarle. Sparì dall'altra parte, seguita dal mabari, apparentemente incolumi.

“Se finissi arrostito, sarebbe il colmo.” Pensò prima di fare lo stesso, chiudendo gli occhi.

Il calore era paragonabile a quello di un bagno caldo. Si affrettò ad uscirne, nel caso Andraste cambiasse improvvisamente idea su di lui. Una volta che tutti e cinque ebbero superato il fuoco, il Guardiano fece nuovamente la sua comparsa.

«Avete superato la Prova, percorso il sentiero di Andraste e, come lei, siete stati purificati. Avete dimostrato il vostro valore, pellegrini.» Annunciò in tono solenne. «Avvicinatevi alle Sacre Ceneri.»

“Finalmente!” Gioì il mago, salendo quasi di corsa le scale che portavano all'altare sopra di loro, da dove una gigantesca statua di Andraste li guardava dall'alto in basso, una fiammella che scoppiettava vivace nella mano sinistra. Ai suoi piedi, un'urna d'oro riccamente decorata. La Custode, senza esitazione, sollevò il coperchio.

Geralt si lasciò sfuggire un risolino, la tensione che si allentava alla vista delle ceneri nel vaso. «Abbiamo trovato la reliquia più importante nella storia della Chiesa, e siamo in mutande.»

Leliana gli scoccò uno sguardo di disapprovazione, ma poté giurare di averle visto uno degli angoli della bocca sollevarsi leggermente. Si inginocchiò a terra, una mano poggiata sull'orlo delle vesti della statua, in una muta preghiera.

«Che funzionino, almeno.» Sbuffò Aenor, prima di prenderne una piccola manciata e infilarla in una sacchetta di pelle, l'unica cosa che aveva tenuto in mano dopo essersi tolta l'armatura. Si voltò verso Leliana, ancora assorta. «Finito?»

L'altra annuì, rialzandosi con dignità nonostante fosse poco più che in mutande. «Non avrei mai pensato di vedere le Ceneri... Ma ora dobbiamo tornare dagli altri, Kallian ha bisogno di noi.»

Il fuoco dietro di loro era sparito, e poterono così rivestirsi, per poi tornare grazie ad una porta laterale e uno stretto corridoio, alla sala dove avevano lasciato i loro compagni.

Leliana corse subito al fianco di Kallian, il sacchetto con le Ceneri in una mano, la testa dell'elfa poggiata sulle ginocchia.

«Funzionerà giusto?» Le chiese Aenor, dubbiosa.

«Ma certo.» Ribatté Leliana. «Dopo tutto quello che abbiamo visto finora, non puoi essere ancora scettica.» Mise la mano nel sacchetto, estraendone un pizzico di Ceneri e passandole sulla fronte dell'elfa a terra, mormorando quello che Geralt identificò come un pezzo del Cantico della Luce. Vide Wynne, accanto a lei, chinare il capo pregando a sua volta.

Attesero per quella che parve un'eternità, quando ad un tratto, con un risucchio d'aria, Kallian aprì gli occhi di scatto, allarmata. «Il drago!»

«Calmati, sei al sicuro.» Cercò di tranquillizzarla Leliana. «Il drago è morto, e abbiamo trovato le Ceneri. Sei salva.»

L'altra sbattè un paio di volte le palpebre, come a cercare di capire cosa stesse succedendo. «Come... Avete usato le Ceneri su di me?»

«Eri ferita gravemente, non c'era altro modo.» Rispose l'arciera. «Ti riprenderai in fretta.»

Rendendosi improvvisamente conto della sua posizione, Kallian cercò di tirarsi su, barcollando e finendo per terra un'altra volta. Cercando di nascondere l'imbarazzo, sussurrò qualche parola di ringraziamento.

«Non fare sforzi eccessivi, devi risparmiare le energie.» La ammonì Wynne, aiutandola a mettersi a sedere e facendola appoggiare alla colonna dietro di lei. «C'è mancato poco.»

«Come avete fatto ad uccidere il drago?» Chiese l'elfa, guardandosi attorno.

Geralt cercò per quanto possibile di apparire inespressivo. Eccolo, il momento decisivo. L'avrebbero probabilmente ucciso. E tante grazie per aver salvato loro la pelle. Gli occhi di tutti erano puntati su di lui. Wynne e Sten non gli riservavano altro che disprezzo, ma forse nello sguardo corrucciato di Leliana c'era un pizzico di incertezza.

«Amell, hai usato la magia del sangue.» Gracchiò la vecchia maga, stringendo il proprio bastone.

Geralt roteò gli occhi al cielo. «Sei sempre stata brava ad affermare l'ovvio.» Non aveva abbastanza mana da riuscire a sopraffarli tutti, questo lo sapeva. Ma almeno, dovevano starlo ad ascoltare. «Non ho mai usato la mia magia per ferire altri, ed era l'unico modo per tirarci fuori vivi da quella bestia. Se non avessi sfruttato il suo spirito guardiano, la magia che può sprigionare, in questo momento non saremmo qui a parlarne. E sì, sono un mago del sangue, come ha intelligentemente fatto notare la vecchia, come ci si sente ad essere in debito con un Maleficar?»

«Il fatto che fossimo in pericolo di vita non ti giustifica!» Sbottò Wynne. «Eri già un Maleficar, Irving avrebbe dovuto darmi retta e non farti sottoporre al Tormento. E invece hai trascinato tutti nella tua follia, distruggendo il circolo assieme ai tuoi compagni!»

«Irving è un idiota, ma non confondermi con Uldred e i suoi!»

«Ah no? E il tuo caro amico, Jowan? Hai convinto anche lui a scendere a patti coi demoni, o è stato il contrario?»

«Tieni Jowan fuori da questa storia!» Ruggì imbufalito Geralt, una pioggia di scintille che si diramò attorno a sé. «Sempre sotto il giogo della Chiesa, costretti a sottostare a leggi assurde e ridicole! Per quanto ancora ci devono privare della nostra libertà, della nostra anima, prima che tutti voi vi rendiate conto che è il momento di dire basta?!»

«Il Circolo ci protegge, Amell, da noi stessi e dal mondo esterno!»

«E chi stava proteggendo la Chiesa, quando ha mandato tuo figlio ancora in fasce a Lydes?!»

La maga si zittì di colpo. Geralt capì di aver toccato un tasto dolente.

«Ora basta.»

Si voltò di scatto verso Aenor, che avanzava verso di lui, il coltello in mano, Sten al suo fianco. Indietreggiò di qualche passo. Se persino lei voleva giustiziarlo...

«Aspettate!» Si intromise Natia. «Siete impazziti?! Ci ha salvato il culo!»

«I Maleficar sono pericolosi, vano eliminati.» Rincarò la dose Kallian, guardandolo in cagnesco.

Aenor lo fronteggiò, gli arrivava a malapena al mento, ma poteva sentire la determinazione della Custode. Geralt sbattè la schiena contro il muro. “Maledizione.”

«C'è qualcos'altro che ci stai tenendo nascosto?»

Si limitò a fare no con la testa.

«Bene. Allora direi che la questione è chiusa.»

Incredulo, la vide rinfoderare l'arma, voltandosi verso i suoi compagni. «Natia è l'unica che ha detto qualcosa di sensato tra di voi: Geralt ci ha salvato la vita. Wynne, capisco che i suoi metodi sono stati abbastanza drastici, ma almeno siamo tutti vivi.»

«Abbastanza drastici?» Ripetè incredula la vecchia. «Hai idea di che pericolo corri ad accompagnarti ad un Maleficar?!»

L'elfa scoppiò a ridere. «Una delle mie più care amiche, e la Prima del mio Clan, usa la magia del sangue. E non mi ha mai fatto del male. Così anche Geralt. La tua Chiesa ha ordinato innumerevoli stragi della mia gente, quindi non venirmi a parlare di pericoli e non dirmi di chi devo fidarmi. Perchè se devo scegliere, starò sempre dalla parte di chi viene cacciato.»

«Hai visto cosa hanno combinato i maghi del sangue alla Torre.» Provò a ribattere Wynne.

«Ho anche visto Geralt combattere al nostro fianco, contro di loro. E Jowan cercare di rimediare al disastro che aveva combinato con Connor.» Si mise al fianco del mago, sfidando chiunque altro a darle contro. «Lui resta. Se non vi va bene, una volta tornati a Redcliffe siete liberi di andarvene.»

Sten la fissava accigliato, più del solito. «Non possiamo fidarci di un mago così pericoloso.»

«Sten. Ho preso la mia decisione.»

Il Qunari non accennava a ritirarsi. «Hai detto di voler fermare il Flagello, ma siamo venuti fin qui perdendo un sacco di tempo, e ancora non ho visto nulla che possa assicurarmi che tu sia in grado di affrontare l'Arcidemone.» Con grande sorpresa di tutti, sfoderò a sua volta un pugnale. «E ora vuoi andare contro il buonsenso risparmiando un abominio. Per il Qun, non posso permettertelo.»

La Custode estrasse nuovamente la propria arma. «Non farlo.» Falon, schizzato accanto a lei, uggiolava in direzione del Qunari, come a cercare di dissuaderlo.

«Stanne fuori, non c'entri.» Disse lui al mabari.

«Sten. Per l'ultima volta. Lascia perdere.» Lo ammonì l'elfa che si stava chiaramente arrabbiando.

«Aenor...» Si intromise Geralt, prendendo finalmente la parola, sorpreso dalle azioni della Custode. Non avrebbe mai creduto che per la seconda volta si sarebbe frapposta tra lui e la morte certa, per di più dopo tutto quello che aveva scoperto.

«Sta' zitto. Non muovere nemmeno un dito, non farai altro che dargli un altro motivo per volerti morto.» Stringeva il coltello con determinazione, nonostante fosse quasi la metà dell'enorme Qunari, che troneggiava di fronte a lei. «Hai deciso di seguirmi, e fin adesso vi ho condotti con ottimi risultati. Abbiamo l'aiuto dei maghi e quello dei Dalish, e grazie a questa “perdita di tempo”, pure Redcliffe scenderà in guerra dalla nostra parte. Se credi di poter fare di meglio, fatti sotto.»

Rimasero qualche istante a fissarsi, lo sguardo di Sten indecifrabile come al solito.

Improvvisamente, il Qunari scosse la testa, rinfoderando il pugnale. «Hai coraggio, e sei ferma nelle tue decisioni, anche quelle sbagliate.» Disse, allungando una mano verso la ragazza. «Non credo sarà sufficiente a fermare il Flagello, ma sei degna di essere seguita. Hai ragione, in fondo abbiamo fatto qualche progresso. E ti aiuterò, anche se non condivido ogni tua azione.»

La Custode rimase qualche secondo interdetta. Infilò poi il pugnale nella cintura, stringendo la mano che Sten le porgeva. «Grazie della fiducia, Sten.»

Il Qunari annuì solennemente, lanciando un ultimo sguardo a Geralt. «Se usi i tuoi incantesimi su di me, mago, ti schiaccio come un moscerino prima che tu possa solo agitare di nuovo quel bastone.»

Geralt deglutì, cercando di non sembrare intimorito. «Capito.»

«Aenor, sei sicura?» Chiese Kallian alla Custode, scrutando torva il mago. Quando l'altra annuì, si strinse nelle spalle, sottostando alla decisione ma mettendo in chiaro che non la condivideva. Anche Leliana non sembrava entusiasta, ma si limitò ad annuire.

«Beh, anche questa volta te la sei cavata.» Gli disse invece Natia, facendo un gesto di vittoria.

«Sarebbe stato effettivamente un peccato perdere un alleato così capace.» Commentò Zevran con un gran sorriso. «Ora, dobbiamo solo pensare a come scendere da questa montagna, consegnare le Ceneri e farci una dormita di almeno una settimana.»




 

Trascorsero la notte accampati nel tempio, e il mattino seguente scesero acciaccati verso l'ingresso delle rovine. Sulla strada, Aenor e Sten recuperarono delle spade appartenute ai fanatici del culto di Haven. Wynne si teneva in un ostinato e furente silenzio, marciando con forza ritrovata in testa al gruppo, chiaramente ansiosa di andarsene. Kallian si teneva ancora più a distanza del solito, e Geralt poteva sentire costantemente il suo sguardo sulla nuca, che lo teneva d'occhio ad ogni passo.

«Avete trovato l'Urna?» Chiese loro Genitivi, vedendoli arrivare dopo due giorni che si erano separati. Lo studioso zoppicò loro incontro, in trepidante attesa di sapere cosa fosse successo.

Aenor indicò la sacchetta di cuoio alla cintura. «Già.»

«Meraviglioso!» Si illuminò l'uomo. «Per il Creatore, non sono degno di guardarle... Come è stato, avvicinarsi all'Urna, intendo?»

La Custode si strinse nelle spalle. «Niente di che.»

“Tralasciando il fatto che fossimo tutti in mutande davanti alle ceneri magiche di una donna morta da secoli.” Pensò Geralt, trattenendosi dallo scoppiare a ridere.

Decisamente, aveva di che essere allegro. Era un'altra volta sopravvissuto, nonostante tutto. E stavano portando le Ceneri a Redcliffe, quindi avrebbe rivisto Jowan e chiesto all'Arle di liberarlo. A pensarci, lo stomaco si attorcigliava un poco su se stesso dall'ansia. Quello che aveva detto il finto Jowan della Prova era vero, in fondo. E se dopo tutto quello che aveva fatto, l'avesse rifiutato? Se lo avesse addirittura allontanato in malo modo? Non pretendeva che potesse ricambiare i suoi sentimenti, ovviamente, forse era quindi meglio non farne menzione alcuna. Ma se davvero avessero avuto la possibilità di viaggiare insieme, era certo di non poter tenere segreto per sempre quello che provava.




 

Quando si lasciarono finalmente il tempio alle spalle, evitando per ovvi motivi il villaggio di Haven, il gruppo sembrò riacquistare un poco di buonumore. La neve si faceva sempre più rada man mano che scendevano a valle, ma l'aria gelida segnalava che l'inizio dell'inverno non era lontano. Fece rapidamente qualche calcolo: dovevano mancare tre settimane al solstizio. Si guardò attorno, imprimendosi nella mente gli alberi spogli e i sempreverde dalle piccole foglie aguzze, i sassi ricoperti di muschio, il terreno ghiacciato. Un uccello cantava da qualche parte una melodia, a cui presto si aggiunsero altri cinguettii.

Nonostante tutto, l'aria aperta non era così male, pensò respirando a pieni polmoni.

Uno starnuto lo riportò alla realtà dei fatti. Posò lo sguardo su Natia, completamente avvolta in strati di vestiti e sciarpe varie.

«Che hai da guardare, spilungone?»

Scosse la testa, accennando un sorriso.

«Qualcuno è di buon umore, vedo.» Commentò Zevran divertito.

«Essere risparmiato da morte certa ti dà una nuova prospettiva sulle cose. Ma tu questo lo sapevi già, vero?» Ribattè il mago, non riuscendo a sembrare acido come al solito.

«Come darti torto...»

«Hei, c'è qualcuno laggiù!»

Raggiunsero in fretta Kallian, che stava indicando un piccolo falò in fondo alla strada sotto di loro.

«Quante persone?» Le chiese Aenor, la mano già sulla spada.

«Uno solo.»

«Potrebbe essere un'imboscata...» Si intromise Leliana, accigliata. «Andiamoci cauti.»

Si avvicinarono lentamente, scendendo per il pendio senza essere visti. Quando l'uomo si vide comparire di fronte Sten ed Aenor, sussultò di paura.

«Chi siete?!» Squittì con marcato accento orlesiano. «Non ho nulla di valore, ve lo giuro!»

«Calmo, non siamo qui per derubarti.» Cercò di tranquillizzarlo la Custode.

«Cosa ci fa un Orlesiano disperso tra i monti, con un carro inutilizzabile?» Si incuriosì Geralt, indicando il carretto di legno appoggiato ai lati della strada, privo di bestia da tiro.

L'uomo sospirò affranto. «Quel maledetto animale è fuggito di nuovo, e il mio assistente è andato a cercarlo. Non me ne va bene una, con questo Flagello gli affari vanno a rotoli...»

«Ci sono problemi maggiori che non essere ricchi, in tempi come questi!» Lo redarguì Leliana.

«Sicuro, signora, ma io ho speso un bel gruzzolo in Jader, per un bastone del comando. Ci si può comandare un golem, mi disse il nano che me l'ha venduto, ma io non potrei mai trovarne uno...»

«Vieni al punto.» Lo incalzò Aenor.

“Se questo omuncolo ha davvero un bastone del comando per un Golem...” Possibile che fossero così fortunati?

«Beh, non sono certo che funzioni veramente, ma il nano ha detto di averlo comprato dal precedente proprietario del golem. E ve lo venderei ad un prezzo stracciato, sicuro!»

«Golem, eh?» Disse Natia. Sembrava particolarmente interessata. Dopotutto, erano costruiti dai nani nei tempi antichi. La tecnologia era però andata perduta da tempo. «E dove ne troviamo uno da comandare col tuo magico aggeggio?»

Il mercante stiracchiò un sorriso colpevole. «Beh, il golem dovrebbe essere in un villaggio a sud di qui, Honnleath, ma è stato attaccato dalla Prole Oscura giorni fa. Volevo farci un salto, ma sono dovuto fuggire sulle montagne prima che mi notassero... Ma voi, voi sembrate un gruppo in grado di cavarvela, e sicuramente un golem potrebbe farvi comodo!» Li guardò speranzoso.

Natia sbuffò, rovistando nella sua sacca di monete.

«Oh, non è necessario!» Si affrettò a fermarla l'uomo. «Lo avrei buttato via, ma l'ho pagato fin troppo per gettarlo semplicemente in un fosso. Almeno, così lo userete voi. E nessun bandito potrà scambiarlo per una gemma e attaccarmi.» Estrasse dalla tasca un piccolo bastone in pietra verde, lungo una quindicina di centimetri. Natia lo afferrò, esaminandolo con attenzione per poi infilarselo nella cintura.

«Se davvero può controllare un golem, ho fatto l'affare migliore della mia vita.» Commentò mentre si allontanavano, proseguendo sulla strada. «E non ho nemmeno sborsato una moneta di rame.»

«Non hai sentito mentre raccontava del villaggio invaso di Prole Oscura?» Le chiese Geralt.

La vide sogghignare. «Hei, Custode! Sembra un lavoretto perfetto per gente come noi, no?»

L'elfa scoppiò a ridere, di una risata genuina, lasciando tutti un po' stupefatti. Accadeva di rado. «Non è che ci stai prendendo troppo gusto?»

La nana si strinse nelle spalle. «Se continua ad essere un buon investimento, perché no...»

«Quanti a favore per liberare un villaggio dai Prole Oscura, e già che ci siamo ottenere un golem con cui sfasciare le corna del prossimo Ogre che incontriamo?» Chiese la Custode, lanciando uno sguardo a Geralt. «Una breve deviazione, sei con noi?»

Il mago annuì. Per quanto volesse raggiungere il più in fretta possibile Redcliffe, tutti sembravano entusiasti all'idea di raggiungere Honnleath, chi per salvare il villaggio e chi per il golem. In ogni caso, l'idea di vederne uno dal vivo lo stuzzicava parecchio. «Che stiamo aspettando?»












Note dell'Autrice: ed ecco che anche gli avvenimenti di Haven giungono al termine. Sono stati due capitoli abbastanza difficili da scrivere, soprattutto quest'ultimo, ma sono piuttosto soddisfatta del risultato. La magia del sangue di Geralt non verrà accantonata, la spaccatura nel gruppo c'è e sarà difficile per loro da gestire. 
Fatemi sapere cosa ne pensate, alla prossima! 

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Capitolo 20
*** Bannorn ***


 

CAPITOLO VENTI: BANNORN



 





Elissa si asciugò il sudore dalla fronte. Lo scontro sembrava essersi concluso in loro favore. Si voltò verso Alistair, che le sorrise nonostante la stanchezza.

«Gli uomini di Howe sono fuggiti come i codardi che sono, Lady Cousland.»

Arle Leonas Bryland era un combattente formidabile. Era stato un vecchio compagno d'arme di suo padre, e quando aveva visto la figlia di Bryce Cousland correre in suo aiuto contro gli uomini di Amaranthine, quasi non aveva creduto ai propri occhi.

«Siamo soltanto all'inizio, purtroppo.» Bann Alfstanna Eremon sopraggiunse alle loro spalle, ripulendo le daghe corte che usava con maestria in combattimento. «Bann Ceorlic ha mandato i rinforzi ad Howe, è sempre stato il cane fedele di Loghain, e da quando quei due si sono alleati...» Scosse la testa. «Ancora fatico a credere a quello che hanno fatto a Bann Grainne.»

«Che l'Eroe della battaglia di River Dane potesse fare una cosa del genere, non se lo aspettava nessuno.» Confermò Arle Bryland. «Howe è diventato un mostro, e Loghain sembra essere uscito di senno. Questo Flagello non è l'unica cosa a star distruggendo il Ferelden.»

Elissa annuì, sovrappensiero. Bann Grainne aveva rifiutato di pagare le tasse a Loghain, chiamandolo usurpatore. In risposta, il Teyrn di Gwaren l'aveva fatta massacrare dalle sue truppe, che avevano raso al suolo il castello e saccheggiato le sue terre.

Dopo che Loghain si era autoproclamato Reggente, il Bannorn si era spaccato in molteplici fronti: alcuni supportavano il nuovo sovrano, altri vi si opponevano, altri ancora avevano approfittato della guerra civile e del Flagello per invadere i territori dei bann vicini con cui si contendevano da decenni qualche pezzo di terra.

Il risultato era evidente: la Prole Oscura avanzava inarrestabile, distruggendo tutto ciò che incontrava, senza che i lord e lady del Ferelden riuscissero a trovare un accordo per combattere insieme.

Bann Telmen, nelle cui terre si trovavano attualmente, aveva chiesto aiuto contro la Prole Oscura, ma i soldati di Loghain, dopo aver respinto l'invasione di quei mostri, si erano rivoltati contro gli uomini di Telmen, con il chiaro intento di punire il Bann per essersi dichiarato contro Loghain. Arle Bryland e Bann Eremon erano corsi in aiuto di Telmen, ma Arle Howe e Bann Ceorlic si erano schierati a favore del reggente. Ovviamente i loro nemici non si azzardavano a combattere di persona, mandando avanti i propri soldati e nascondendosi al sicuro nei loro palazzi a Denerim, sotto la protezione di Loghain.

Elissa era ormai convinta che il Teyrn di Gwaren fosse impazzito, e che Alistair ed Aenor avessero detto la verità: se era capace di spaccare in due il paese, non era difficile credere che avesse lasciato morire Re Cailan per prendersi il trono lui stesso.

«Arle Bryland!» Si girarono. Un messaggero a cavallo frenò davanti a loro, gli zoccoli che alzarono una nube di polvere. «Mio signore, un messaggio da Teyrn Howe.»

Elissa a stento mantenne la calma, sentendo quell'assassino venire chiamato col titolo di Bryce Cousland. Bryland afferrò la pergamena che il messo gli porgeva, rompendo il sigillo. Corrugò la fronte.

«Rendon Howe ci intima di cessare le ostilità e consegnargli la traditrice Elissa Cousland, in cambio risparmierà le nostre vite.» Sputò per terra. «Che il Creatore lo fulmini, questa bestia non ha nulla da invidiare alla Prole Oscura.»

Elissa fece per prendere la pergamena, ma l'uomo cercò di scostarsi. «Lady Cousland, non c'è bisogno che leggiate tali scempiaggini...»

«Non saranno certo i suoi insulti volgari a sconvolgermi, Arle Bryland, non dopo quello che ha fatto alla mia famiglia.» Insistette, leggendo la grafia minuta e spigolosa dell'uomo. «“Quando la testa di quella puttana decorerà le mura del mio palazzo ad Altura Perenne, potrete considerarvi perdonati per il vostro tradimento”.»

«Elissa...»

Alistair le mise una mano sulla spalla. Il suo tocco sembrò risvegliarla. Si accorse di star sgretolando la pergamena nella mano stretta a pugno. Posò lo sguardo sul messaggero, che la guardava terreo, le ginocchia tremanti. Avanzò verso di lui.

«Porta un messaggio da parte mia al tuo signore. Digli che l'ultima dei Cousland lo vedrà giustiziato per i suoi crimini, non importa quanto si creda al sicuro, di quante guardie si circondi o di quanti assassini mandi ad uccidermi. Ha i giorni contati: che li passi pentendosi delle sue azioni, perché ne dovrà rispondere sia a me che al Creatore.»

L'uomo si fece se possibile ancora più piccolo, annuendo.

«E che sappia che nessuno dei presenti si schiererà mai con un traditore!» Aggiunse Arle Bryland.

«Mare del Risveglio e i bannorn meridionali stanno con i Cousland.» Confermò Bann Eremon.

Al messaggero non restò altro che rimontare a cavallo e correre via.

Tornarono all'accampamento. Mentre Bryland ed Eremon andavano a parlare con i propri ufficiali, Elissa ed Alistair andarono a sedersi in un angolo tranquillo, una ciotola di zuppa calda tra le mani.

«Anche oggi ce la siamo vista brutta.» Commentò il Custode. «Avete avuto ragione a venire qui, dovevamo fare la nostra parte.»

La ragazza portò alle labbra il cucchiaio, ripensando agli ultimi giorni. Erano ormai un paio di settimane che combattevano senza tregua, vincendo ogni scontro. Per ora, di Prole Oscura non avevano dato problemi, ma dopo la distruzione di Lothering vagavano in piccoli branchi per tutto il Bannorn. Il Custode era formidabile in combattimento, sia contro quei mostri che contro i soldati nemici, essendo dotato di più forza e resistenza di chiunque altro sul campo di battaglia.

Capiva come, anni prima, un manipolo di Custodi fosse quasi riuscito a detronizzare Re Arland.

«Grazie per avermi seguita.» Gli disse per l'ennesima volta. «Da sola non so se ce l'avrei fatta.»

Alistair scoppiò a ridere. «State scherzando? Siete inarrestabile, per questo Howe si è rintanato tremante a Denerim.»

«Oh, forse è l'influenza di Morrigan. Se si trasforma di nuovo in un ragno...»

Il Custode si lasciò sfuggire un verso di disgusto. «Non me lo ricordate! Mi sono preso un accidente, ma cosa le è venuto in mente?! Potevo restarci secco.»

«Però ha funzionato.» Dovette ammettere Elissa. «Sono rimasti talmente sconvolti da lasciar cadere le armi e fuggire a gambe levate.»

Alistair scosse la testa, rabbrividendo vistosamente. «Sarei scappato anche io.»

«Persino il principe Aeducan ha tentennato per un attimo.» Ridacchiò lei, tornando a mangiare.

«Secondo te, perché ci ha seguiti?» Gli chiese dopo un po'. «Morrigan. Non mi pare sia interessata alle sorti del paese, quindi...»

«Non ne ho idea. Credo sia perché si diverte immensamente a torturarmi con la sua presenza.»

«Potrebbe essere un motivo.»

Tornò il silenzio. Ormai il tramonto stava terminando, il cielo era sempre più scuro.

«Elissa?»

Si voltò verso il ragazzo, che si era alzato in piedi. Nonostante la poca luce, sembrava arrossito.

«Potete perdonarmi per non avervi rivelato subito la mia identità?» Chiese infine Alistair, tutto d'un fiato. «Non intendevo offendervi, o mancarvi di rispetto... Volevo solo-»

«Alistair.»

«Sì?»

«Ti ho perdonato nel momento in cui hai deciso di venire con me.»

Il ragazzo si portò una mano ai capelli, scompigliandosi il ciuffo sugli occhi. «Davvero? Perchè sono stato uno stupido, e avrei dovuto dirvelo prima...»

«Sì, lo siete stato. E sì, avreste dovuto.» Annuì Elissa. L'aveva perdonato, certo, ma ancora le bruciava che fosse stata l'ultima a sapere che fosse figlio di Re Maric. «Non capisco perché me l'hai tenuto nascosto. Tutti lo sapevano, tranne me.»

Il Custode si lasciò sfuggire un sospiro. Dopo una breve pausa, finalmente rispose. «Avevo paura che mi trattaste diversamente. Con gli altri è diverso, ma voi siete una Cousland, e...»

«Temevi forse che ti avrei usato per metterti sul trono e riprendermi Altura Perenne?»

Scosse la testa. «Tutto l'opposto, in verità. Non sono un re e non lo sarò mai, non importa chi era mio padre. Cailan era completamente diverso, sapeva guidare interi eserciti e regnare come un Theirin. Io non sono fatto per comandare nessuno, sono soltanto un Custode Grigio, e neanche tanto bravo. Dopo tutto quello che è successo, mi sono fatto da parte per lasciare prendere le decisioni ad una nuova recluta. Sono un totale disastro e...» Deglutì, guardandosi le scarpe, rosso in volto. «Non volevo deludervi ulteriormente.»

Elissa rimase ad ascoltarlo, incredula. Era davvero convinto di essere un tale fallimento?

«Ma ti ascolti quando parli?!» Lo redarguì, le parole che le uscivano di getto, incontrollabili. «Sei uno degli ultimi due Custodi Grigi in tutto il Ferelden. Sei scampato alla battaglia di Ostagar, sconfiggendo tutti i Prole Oscura nella Torre di Ishal e facendo il tuo dovere, non importa quali fossero le difficoltà. Sei corso a salvare una perfetta sconosciuta da una dozzina di cadaveri posseduti, senza paura, soltanto perché era la cosa giusta da fare, per poi farti strada nel palazzo infestato dell'Arle e, addirittura, hai ripulito l'intera torre dei maghi dagli abomini che ne avevano preso il controllo. Il tutto, viaggiando con una compagna nient'affatto collaborativa e un'eretica alla quale piace vessarvi di continuo per il puro gusto di infastidirvi, ricercato da mezzo paese e con una taglia sulla testa di qualche centinaio di Sovrane. “Soltanto un Custode Grigio”? I Custodi sono eroi, Alistair, e tutto quello che avete fatto finora lo conferma.»

Si rese conto di essersi alzata in piedi, fronteggiandolo. Si morse il labbro, imbarazzata, ma proseguì. «E potresti essere figlio del più umile dei braccianti come di Andraste in persona, non sarai mai e poi mai una delusione.» Pochi centimetri li separavano l'uno dall'altra. «Non per me.»

Il Custode era rimasto sorpreso e confuso dalle parole dell'altra, senza sapere cosa rispondere.

Elissa, che ripensandoci in seguito mai avrebbe pensato di esserne capace, azzerò la distanza tra loro, prendendogli le mani tra le proprie. «Se non vuoi essere un Theirin, non esserlo. Sii soltanto Alistair, il Custode Grigio. Ma non lascerò che tu ti sminuisca così.»

«Elissa...»

Si alzò sulle punte, tirando il ragazzo a sé e posando le labbra sulle sue. Fu un attimo, e si sfiorarono appena, prima che si allontanasse di scatto, rossa in volto. Si girò per evitare il suo sguardo, incerta se scappare in tutta fretta e sperare di far finta di niente il giorno dopo. Cosa le era saltato in mente? Baciare così un uomo, un Custode Grigio per giunta! Si sarebbe seppellita dalla vergogna, se avesse potuto. Cosa avrebbe pensato di lei, ora? Sicuramente...

Sentì la mano del Custode raggiungere di nuovo la sua, l'altra a posarsi sulla guancia, dove il fuoco aveva lasciato vistose cicatrici. Elissa cercò di scostarsi, aveva fatto una follia, come poteva pensare che tra loro due potesse nascere qualcosa? C'erano altre cose in ballo, molto più importanti che un capriccio da bambina...

Quando le labbra di lui incontrarono le sue, ogni pensiero venne spazzato via.

Esisteva soltanto Alistair, che la stringeva tra le braccia forti. Il ragazzo che le aveva coraggiosamente salvato la vita e con il quale aveva combattuto per settimane. Per un attimo, il Custode Grigio e Lady Cousland cessarono di esistere, lasciando solo Alistair ed Elissa.

Il momento passò in fretta.

Elissa si liberò a malincuore dalla sua stretta. «Non possiamo. Mi dispiace. Sai che non possiamo.»

Alistair cercò di fermarla, ma lei era già lontana, una morsa dolorosa che le stringeva lo stomaco.





 

 

Duran Aeducan non era mai stato un tipo particolarmente mattiniero, ma l'essere tornato su un campo di battaglia, dopo settimane passate nella patetica guardia cittadina di Denerim, la fatica di un vero combattimento, il sangue che brillava sulla sua ascia e il riposo dopo una lunga giornata campale, erano un dono della Pietra.

Se davvero Bann Ceorlic stava mandando rinforzi alle truppe di Loghain, però, l'esercito sparpagliato dei Custodi e dei Bann dalla loro parte si sarebbe trovato in difficoltà. D'altronde, la Prole Oscura era dilagata ovunque in superficie, e gli umani stavano facendo del loro meglio per arginarla, pur avendo una guerra civile in corso.

Il principe, mentre sorseggiava la prima di molte birre della giornata, non poteva fare a meno di pensare a tutte le volte che aveva combattuto quei mostri nelle Vie Profonde, a fianco dei migliori soldati che Orzammar avesse mai avuto. Persino gli screzi con Trian sulle strategie da adottare lo rendevano malinconico, seppur in quei momenti avrebbe mandato volentieri alla polvere il fratello maggiore. Una spiacevole stretta allo stomaco gli fece storcere la bocca, come ogni volta che i pensieri finivano per vagare verso casa.

Rilesse per l'ennesima volta la lettera che aveva ricevuto la settimana prima dalla matriarca della famiglia Helmi, una delle più importanti ad Orzammar. La donna sembrava aver creduto alla sua innocenza, ed era propensa a supportarlo contro Bhelen, ma soltanto se Duran avesse giurato di prendere in moglie la figlia maggiore di Lady Helmi, Adal.

Il principe sorrise, ricordando come Adal si era rivelata un'avversaria formidabile durante quelle disastrose Prove che Brosca aveva disonorato. Non gli sarebbe dispiaciuto averla come compagna, erano stati spesso fianco a fianco contro la Prole Oscura, nelle Vie Profonde: era una donna arguta e dalla mente straordinariamente aperta al cambiamento per appartenere ad una delle casate nobiliari più antiche e importanti. Anche il fatto che fosse di bell'aspetto era una cosa buona. Trian avrebbe dovuto sposare la sorella minore di Adal, Jaylia, ed era comprensibile che Lady Helmi non avesse rinunciato all'idea di mettere una delle sue figlie sul trono, soprattutto dopo quello che stava combinando Bhelen con una senzacasta.

Accompagnando i Custodi ad Orzammar, avrebbe goduto di abbastanza protezione da superare le guardie all'ingresso, probabilmente al soldo di Bhelen, e riuscire a sgattaiolare nel palazzo di Harrowmont prima che il fratello riuscisse ad organizzare la sua cattura. Da lì, sapeva di avere l'appoggio di Pyral Harrowmont, che era stato il più caro amico di suo padre, e aveva di persona consegnato la lettera del defunto Re Endrin al messaggero che l'aveva portata fino a Duran.

Il Lord era convinto della colpevolezza di Bhelen nell'omicidio di Trian, e lasciava intendere in una delle sue lettere che era molto probabile che fosse stato sempre Bhelen ad avvelenare il Re, lasciandolo poi credere morto di dolore per la perdita dei due figli maggiori. Se era davvero così, Duran aveva da vendicare anche il padre.

Lord Harrowmont aveva radunato una buona parte dei nobili sotto il proprio nome, tenendo nascosto loro il fatto che fosse in contatto con l'esiliato Principe Aeducan. Soltanto Lady Helmi era a conoscenza della verità.

Duran, però, sapeva di non poter contare soltanto su Harrowmont e la casata Helmi, per avere il trono che gli spettava di diritto e, cosa ancora più importante, la sua vendetta.

Si era così messo in contatto con le famiglie più ricche della superficie, come i Tethras e i Davri, raccogliendo favore anche tra le famiglie nobili di Orzammar che avevano stretti contatti con la superficie tramite la Gilda dei Mercanti, come i Dace, i Bemot e i Meino. Aspettava ancora risposta da Kal-Sharock, ma dubitava che dopo il modo in cui erano stati sempre trattati dai regnanti di Orzammar, si sarebbero fatti sfuggire l'occasione di avere un Aeducan sul trono che fosse favorevole alla riapertura dei commerci tra le due città, trattandoli da pari.

Non credeva che suo padre avrebbe approvato scendere a patti con chi chiedeva che Orzammar si aprisse al resto del mondo e coloro che volevano più diritti per le caste minori, ma negli ultimi anni coloro che si opponevano ai valori che erano stati cardine della società nanica per tutti quei secoli, come l'isolazionismo e il rigido sistema delle caste, erano aumentati esponenzialmente, anche se fondamentalmente per motivi economici. D'altronde, Re Endrin era tornato alla Pietra, e Duran non era certo suo padre.

Dopo aver trascorso mesi in superficie, gli era chiaro che le cose dovessero cambiare, ad Orzammar. L'impero che esisteva una volta era perduto, forse per sempre, e continuando così la situazione poteva soltanto peggiorare: la Prole Oscura doveva essere ricacciata indietro, gli antichi Thaig perduti riconquistati, e per farlo occorreva trascinare l'Assemblea verso una nuova linea politica, di apertura alle caste inferiori e alla superficie.

Non si era mai interessato alle alleanze e tradimenti all'interno dell'Assemblea dei Deshyr, preferendo sempre restare sul campo a combattere, un mestiere più trasparente e più semplice, dove il nemico non si nascondeva dietro una maschera di parole e salamelecchi, ma si affrontava a viso aperto, dove gli scontri non venivano vinti a dibattiti, ma con il duro colpo di una lama ben affilata.

Duran non sapeva se sarebbe stato all'altezza del trono che era stato di suo padre e di così tanti Aeducan prima di lui, ma sicuramente era una scelta migliore di Bhelen. E suo fratello doveva pagare per quanto aveva fatto.

Morrigan, uscita dalla sua tenda in quel momento, lo distrasse dai suoi pensieri.

«Buongiorno.» La salutò, senza aspettarsi granchè come risposta. La maga stava sempre sulle sue, tranne quando si trattava di prendere in giro il Custode Grigio, in quei casi dava il peggio, o il meglio, di sé.

«Buongiorno a voi.» Rispose lei. «Noto che non è mai troppo presto per iniziare a bere.»

Duran sorrise tra sé e sè, versandosi un altro boccale di birra per mandare giù il pane e burro della colazione. «Noi nani abbiamo una dieta rigorosa.»

«Uno si chiederebbe come facciate a non crollare a terra al primo affondo, da quanto bevete.»

La osservò camminare verso di lui, sembrava quasi fluttuasse, gli occhi gialli puntati su di lui. Gli ricordava un ragno, capace di ipnotizzare le prede e condurle a sé senza che nemmeno se ne accorgessero, balzando su di esse quando era troppo tardi. Scosse la testa. «Sarà che siamo abbastanza vicini alla terra da non sbilanciarci troppo.» Forse, il paragone col ragno gli era venuto in mente a causa delle trasformazioni della donna. Sentì i peli della barba prudergli, l'immagine del gigantesco ragno che era apparso sul campo di battaglia al posto della maga ben impresso in mente.

Morrigan si limitò ad accennare un sorriso divertito, assomigliando sempre di più ad un predatore. Lanciò uno sguardo in direzione delle tende di Alistair e di Lady Cousland, facendo un cenno col capo. «Chi arriva...»

Il Custode si stava ancora stropicciando gli occhi, cerchiati da occhiaie profonde.

«I piccioncini non hanno dormito?» Gli chiese velenosamente la maga.

L'altro si limitò a lanciarle un'occhiataccia, stringendo i pugni e superandoli, salutando appena Duran con un cenno e qualche parola bofonchiata.

Il nano si girò interrogativamente verso l'altra. «Che è successo tra quei due?»

«Oh, non vi siete accorto della tensione? Ieri sera il prode Custode è stato colpito al cuore e ora si sta leccando le ferite, dopo aver sicuramente pianto tutta la notte abbracciato al cuscino.»

«Non sarete andata ad origliare le loro conversazioni, spero.»

Morrigan alzò le spalle. «Non si può nemmeno fare una passeggiata la notte senza essere disturbati dai problemi altrui.»

«Proprio vero...» Le diede corda Duran, che non aveva alcuna intenzione di lasciarsi coinvolgere in qualsiasi cosa la maga stesse tramando. Ne aveva già piena la barba di gente del genere.

Tuttavia, persino lui, che non si era mai interessato a faccende di cuore proprie o altrui, non aveva potuto evitare di notare una certa elettricità tra i due ragazzi. Qualsiasi cosa fosse successo tra Lady Cousland e il Custode, avrebbe potuto rovinare tutto ciò per cui stavano lavorando.

Scosse la testa, sperando che avessero abbastanza buon senso da non distrarsi dalle faccende realmente importanti.

Si diresse quindi verso il padiglione principale, dove i vari Bann avrebbero deciso la strategia per la giornata.

«Principe Aeducan.»

Arl Bryland sembrava non aver chiuso occhio. Cattive notizie.

«Sono arrivati i rinforzi da Ceorlic?» Chiese Duran, gettando uno sguardo alla mappa sul grande tavolo di legno, sulla quale diverse miniature segnalavano le varie truppe.

«Sì, e Howe sembra aver trovato nuovi rifornimenti.» L'uomo si grattò la testa, accigliato, rigirandosi un segnalino di legno tra le mani.

Bann Eremon sbuffò. «Abbiamo ancora la superiorità numerica.»

L'altro annuì. «Loghain è un maestro di strategie militari, e Howe, seppure sia una serpe, è un veterano di guerra. Li conosco abbastanza da sapere che avranno qualche asso nella manica, e ci rivolteranno contro i nostri numeri.»

«Non glielo permetteremo.»

Si girarono tutti, per accogliere Lady Cousland. L'unico occhio era leggermente arrossato, e sembrava più pallida del solito, la cicatrice rossastra su gran parte del volto ancora più in rilievo. «I nostri avversari non sono gli unici ad essere esperti di strategie, miei signori. Abbiamo qui veterani della Guerra di Liberazione, e un comandante dell'esercito di Orzammar. Sono certa che troveremo un modo per vincere questo scontro.» Li squadrò tutti, uno per uno, come a sfidarli di contraddirla.

Bann Eremon sbattè la mano sul tavolo, aprendosi in un sorriso determinato. «Ben detto!»

Ben presto, erano tutti riuniti attorno al tavolo, cercando di anticipare le mosse dei loro nemici e tutti i possibili modi per contrattaccare, aggirarli, intrappolarli e sconfiggerli.

 

Il campo di battaglia era cosparso di corpi, per la maggior parte dei nemici.

Duran, seduto a terra, fissava le foglie verdi dei grandi alberi sopra di sè, troppo stanco per alzarsi. La cavalleria di Arl Bryland aveva ricacciato indietro gli uomini di Loghain fino alla gola creata dal fiume Drakon, dove gli arcieri di Bann Eremon avevano bersagliato i nemici costringendoli alla ritirata sempre più precipitosa verso la foresta ad Est di South Reach. Lì, dove il terreno era stato riempito di trappole, erano finiti in un'imboscata da parte delle truppe affidate a Lady Cousland, che aveva segnato l'esito positivo della battaglia. I pochi sopravvissuti si erano sparpagliati per il bosco, in un vano tentativo di scampare al massacro.

«Sembra che ce l'abbiamo fatta.»

Si girò a guardare la Cousland, l'armatura sporca di sangue nemico, che zoppicava leggermente. Annuì, troppo stanco per intavolare un discorso.

«Credo possiamo ripartire per Redcliffe in un paio di giorni, giusto il tempo di rimetterci in sesto. Dubito che Loghain, Howe e Ceorlic riescano a radunare un altro esercito abbastanza grosso da darci problemi.» Proseguì lei, sedendosi di fianco al principe.

«Direi che ce ne hanno dati abbastanza.»

L'altra annuì. «L'Eroe di River Dane ha fatto il meglio che poteva, credo, date le esigue risorse che aveva. Se non avessimo anticipato l'arrivo da ovest delle truppe di Howe...»

«Siete stata brava, a reagire così tempestivamente.»

La ragazza sorrise triste. «Ho passato anni a studiare le tattiche usate nella Guerra di Liberazione. Teyrn Loghain è un genio militare, e considerando le sue umili origini... è straordinario ciò che è riuscito a fare per Re Maric.» Si interruppe bruscamente. «Ancora non riesco a credere che...» Sospirò, lasciando la frase in sospeso.

«Mi sembra di capire che eravate una sua ammiratrice.»

«Mio padre raccontava a me e mio fratello innumerevoli storie sulla guerra, di come lui e Howe fossero scampati al massacro di White River, e l'onore che Re Maric fece loro conferendo ad entrambi una medaglia al valore per il loro coraggio e lealtà...» Digrignò i denti. «Lealtà. Mio padre ha rischiato la vita per quello schifoso, ma questo non ha impedito ad Howe di massacrare tutta la nostra famiglia. Come Teyrn Loghain possa essere alleato di un essere così spregevole-» Era rossa in viso, furente. Scosse la testa, chiudendo l'occhio. «Mi dispiace, non intendevo tediarvi con i miei discorsi. È stata una lunga giornata, e sarete stanco quanto me.»

Duran la capiva. Nessuno lì intorno poteva capirla meglio di lui. «So come vi sentite. Il tradimento da parte di chi consideriamo fidato, è la cosa peggiore.»

«E il non poter fare nulla a riguardo, è tremendo. Vorrei trascinare quel verme in giudizio di fronte a tutto il Bannorn, fargliela pagare per quello che ha fatto, ma sono io quella che viene marchiata come traditrice e ricercata in tutto il paese, mentre quel verme se ne sta a Denerim, protetto dalle sue guardie e con il benestare dell'uomo che doveva essere l'Eroe del Ferelden e che si è rivelato invece un-» Sbuffò, accarezzando la testa del mabari, che si era messo a pisolare ai suoi piedi. «Nient'altro che l'ennesimo traditore.»

«Avrete la vostra vendetta, Lady Cousland. Siete troppo caparbia per non riuscirci.» La assecondò Duran. «Come io avrò la mia.»

«Cosa farete, una volta di fronte a vostro fratello?»

“Lo guarderò supplicare per la sua vita, per poi piantargli la mia ascia nel cranio, così a fondo che non lo riconoscerebbe neanche nostra madre.” «Lo giustizierò di fronte all'Assemblea.»

L'altra annuì. Il mabari intanto si era girato a pancia in su, annusando l'aria, le zampe che si muovevano in una corsa a mezz'aria. La ragazza si chinò a coccolarlo, tranquillizzandolo. «Chissà cosa sta sognando...»

«I cani sognano?» Le chiese, provando ad immaginare cosa si provasse. I nani erano talmente lontani dall'Oblio, che neanche sapevano cosa significasse sognare. I pochi umani con cui aveva parlato, lo descrivevano come un mondo di illusioni dove era difficile ambientarsi, ma avevano ricordi confusi una volta svegli. Sapeva che i maghi dovevano affrontare i demoni nell'Oblio, ma non aveva idea di cosa fossero o come accadesse. Chissà cosa vedeva Morrigan, quando dormiva.

«Spero di sì.» Rispose lei. «Magari sogna di svuotare la dispensa di casa, e la vecchia Nan che lo sgrida per poi dargli un pezzo di prosciutto.»

Duran sorrise, osservando l'animale che russava beato. Sarebbe stato bello tornare a casa, prima di tutto quel disastro, anche solo per qualche ora, anche solo in un'illusione.

Chiuse gli occhi per qualche istante, cercando di richiamare la sensazione di avere centinaia di metri di solida roccia sopra la testa, le pietre levigate del palazzo dei suoi padri attorno a sé, un boccale di birra al miele in mano e il profumo della carne arrosto provenire dalla grande sala dei banchetti.

«Elissa?»

Si voltarono, destati dai propri pensieri. Alistair, ancora coperto di fango e sangue, sembrava avere una notizia importante. Reggeva un pezzo di pergamena stropicciata in mano, che sembrava turbarlo profondamente.

«Hanno trovato un uomo che diceva di appartenere alla guardia personale di Re Cailan.» Esordì, mostrando quella che si rivelò essere una sorta di mappa, tracciata frettolosamente e con mano tremante. «Ad Ostagar, il Re gli aveva affidato le chiavi del suo forziere privato, con dei documenti importanti. Non sono mai stati recuperati.»

«Quindi? Credi che ci serviranno contro Teyrn Loghain?» Gli chiese Lady Cousland, alzatasi in piedi.

«Ha accennato qualcosa su delle lettere da Orlais, ma è morto prima che potessimo saperne di più o provare a salvarlo. Era prigioniero nelle segrete di Bann Loren, ma quando ha saputo che l'esercito che si opponeva a Loghain era nelle vicinanze, è riuscito a fuggire... Purtroppo, si è ritrovato in mezzo alla battaglia.»

«Lettere da Orlais?» Si intromise Duran. «Potrebbero spiegare perché Loghain si sia rivoltato contro il vostro Re.»

«L'odio verso Orlais è giustificato da quasi un secolo di occupazione.» Commentò la ragazza. «In molti non vedevano di buon occhio l'ingresso dei Chevaliers orlesiani nel nostro territorio, nemmeno per combattere un Flagello. Loghain era solo il portavoce più importante di quel dissenso, mio padre aveva anch'egli molti dubbi a riguardo.»

«In ogni caso, potrebbe valere la pena andare a controllare se quei documenti sono ancora lì.» Propose il Custode.

L'altra annuì, sembrava sovrappensiero.

«Spiegatemi perché dovreste tornare in quel luogo.»

Morrigan, comparsa dal nulla, li squadrava con aria critica, la testa leggermente inclinata da un lato, gli occhi gialli che brillavano nella fioca luce del tramonto.

«Stavi origliando come al solito?» Le chiese acido Alistair, incrociando le braccia.

«Credimi, non fate discorsi così interessanti che valga la pena ascoltare. Tuttavia, ero di passaggio e non ho potuto farne a meno. Che utilità possono avere dei documenti tra un re morto e un'imperatrice lontana?»

«Possono costituire un'altra prova sulla colpevolezza di Loghain. Darebbero un altro motivo per il quale avrebbe voluto morto Re Cailan.» Rispose Lady Cousland.

«E come potremmo servircene? Credi che la situazione si risolverà semplicemente discutendone?»

L'altra strinse i pugni. «È una possibilità. Fortunatamente, siamo nel Ferelden, e non in mezzo a selvaggi che non conoscono altri modi per risolvere un conflitto che mozzare teste ai propri avversari.»

“Non c'è dubbio, ma nella maggior parte dei casi, mozzare teste è la soluzione più rapida, che risparmia tremende emicranie.” Pensò Duran, ma lasciò perdere. Dopotutto, erano affari degli umani, come lui avrebbe gestito le cose non contava. Ad Orzammar la politica degli umani sarebbe sembrata un gioco da bambini, a confronto degli intricati piani dei Deshyr. In ogni caso, avere delle prove concrete per screditare qualcuno di fronte ai nobili non era mai una cattiva idea.

Morrigan sembrò trovare tutto molto divertente, ma lasciò cadere la discussione. «Allora, che stiamo aspettando?»

«Prima dobbiamo tornare a Redcliffe.» Disse Alistair. «Se Aenor e gli altri sono riusciti a trovare le Ceneri, guariremo Arl Eamon. Il suo supporto è fondamentale per spodestare Loghain e radunare un esercito contro i Prole Oscura.»

«Arl Bryland e Bann Eremon ci hanno assicurato il loro supporto.» Confermò Lady Cousland. «E con loro altri bann minori. Terranno a bada quei mostri per quanto possibile, e si schiereranno con noi quando affronteremo Loghain. Non ci resta che guarire Arle Eamon e rimettere il legittimo sovrano di Orzammar sul trono, e fermeremo questa guerra civile e la Prole Oscura.»

“Legittimo sovrano?” Suonava bene, doveva ammetterlo. Forse avrebbe dovuto spiegare loro che, anche se normalmente l'Assemblea sceglieva il successore al trono tra gli eredi del defunto Re, non c'erano legittimi sovrani di niente, ad Orzammar, almeno finchè non venivano incoronati dai Deshyr... ma non c'era fretta.

«Quindi, tornerete a Redcliffe con noi?» Chiese il Custode, una nota di sorpresa nella voce. «Pensavo voleste restare con i Bann.»

Lady Cousland sembrò evitare lo sguardo del ragazzo. «Qui abbiamo fatto il nostro dovere, se la sapranno cavare benissimo anche senza di me. La vostra missione è di massima importanza, invece. Se vogliamo fermare la Prole Oscura e riunificare il Paese, i vostri trattati sono la nostra unica speranza.»

«Che nobiltà d'animo!» Si intromise Morrigan. «Potrei quasi commuovermi.»

Alistair le rivolse una smorfia. «Servirebbe un cuore, o almeno un paio di sentimenti umani.»

«Così mi ferisci, Alistair.»

Duran si trattenne dall'imprecare gli Antenati. Quei due bisticciavano come ragazzini. “In fondo, sono ragazzini.”

Scosse la testa, sfiduciato. Generazioni dei migliori guerrieri di Orzammar non erano riusciti a contenere il devastante avanzare della Prole Oscura, e ora il futuro del Ferelden, minacciato da un Flagello, era in mano ad un paio di Custodi Grigi appena abbozzati nella Pietra...


 

 

Custodi Grigi che, nonostante la giovane età, sapevano cavarsela.

Non sapeva se fosse più sorpreso del fatto che la ragazzina fosse riuscita a recuperare le Ceneri della loro profetessa bruciata, o che suddette Ceneri esistessero davvero e che avessero addirittura poteri magici.

Erano lì riuniti, nel grande salone dell'Arle di Redcliffe, in trepidante attesa che la reliquia facesse il suo dovere. Alcuni erano scettici, ma la maggior parte degli umani, come i creduloni che erano, asserivano di avere massima fiducia nel Creatore e in Andraste.

Duran aveva i suoi dubbi su entrambi, ma coloro che erano tornati da Haven avevano raccontato storie incredibili, tra cui l'aver sconfitto un drago, superato delle prove magiche, debellato un culto di fanatici e recuperato le Ceneri, con cui avevano curato l'elfa dal pessimo carattere dalle ferite terribili che aveva riportato durante lo scontro col drago.

Su come fossero riusciti a sconfiggere la bestia, però, non avevano fatto parola.

“Il Qunari l'ha spaventato a morte”, aveva risposto Brosca, il solito ghigno strafottente stampato sul volto, prima di tornare ad infastidire il golem di pietra che avevano trovato sulla strada. Duran era rimasto a guardarlo imbambolato, finchè quello, anzi, quella, lo aveva apostrofato chiamandolo “cosetto molliccio”, mandandolo su tutte le furie. Shale, così si chiamava quell'ammasso di pietre e acidità, evidentemente doveva essere un golem riuscito particolarmente male. Soprattutto dato che andava così d'accordo con Brosca.

Quando Alistair ed Aenor tornarono nel salone, tutti restarono col fiato sospeso.

“Arle Eamon è sveglio.” Annunciò il Custode. “Per il momento è ancora debole, ma si riprenderà in fretta.”

Esplosero esclamazioni di gioia, mentre gli uomini di Redcliffe si scambiavano gesti di vittoria e si congratulavano con l'elfa per aver salvato il loro Arle. Quella li liquidò in poche parole, chiamando il grande mabari nero e allontanandosi con esso. Il mago dai capelli rossi, Geralt, lì seguì poco dopo, evitando di incrociare lo sguardo degli altri.

Era chiaramente successo qualcosa di cui nessuno voleva parlare.

Duran notò il disprezzo dipinto sul volto della maga più anziana, che si ritrasse sulla difensiva al passaggio del mago più giovane, stringendo il proprio bastone.

Anche l'arciera e l'altra elfa sembravano turbate, ma non abbastanza da interrompere la fitta conversazione che stavano affrontando. Essere riportata in sesto dalle ceneri magiche della moglie del tuo dio doveva pur avere qualche effetto...









Note dell'Autrice: sono tornata! La tesi mi sta uccidendo, ma la laurea è finalmente alle porte e sono riuscita a rivedere un poco questo capitolo, prima di pubblicarlo. Devo ammettere che non mi soddisfa appieno, non sono brava a scrivere di politica nè di battaglie, quindi mi sono ritrovata in una situazione un po' al di sopra delle mie capacità. La ship tra Alistair ed Elissa era telefonatissima, ma per ora sono due imbranatoni coi sensi di colpa sul dovere e l'onore. Diamo loro un po' di tempo. 
Per quando riguarda Duran, mi dispiace tantissimo non dargli lo spazio che merita, mi sembra sempre che manchi qualcosa nei suoi capitoli, ma non ho ancora ben capito cosa. Spero di risolvere i miei e suoi problemi ad Orzammar, perché dovrò dare il meglio di me in quei capitoli. 
Che dire, grazie ai lettori, sia coloro che recensiscono sia i silenziosi, per essere arrivati fin qui. Spero di non deludervi e che mi seguirete fino alla fine. 
That's all folks, al prossimo capitolo, sperando che gli aggiornamenti tornino ad essere regolari una volta che mi sarò riappropriata del mio tempo.

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Capitolo 21
*** Redcliffe ***


CAPITOLO VENTUNO: REDCLIFFE



 

Era difficile capire chi si sentisse più a disagio, lì dentro.

Shale, l'imponente golem dal pessimo carattere che avevano recuperato non senza parecchi sforzi, attirava particolarmente l'attenzione dei passanti, sistematasi in mezzo al salone del castello di Redcliffe. Natia ancora non aveva digerito il fatto che il bastone del comando si fosse rivelato una fregatura, ma Shale aveva comunque acconsentito a seguirli. Certo, avrebbe gradito essere trasportata in spalla invece che farsi una settimana e passa coi piedi doloranti, ma la prima volta che aveva visto il golem fracassare il cranio di un Prole Oscura, aveva deciso che non era poi così un cattivo affare.

Kallian sembrava aver preso la decisione di far pesare ad ogni singolo servitore del castello il fatto di farsi comandare dagli umani e ad ogni umano scoccava occhiatacce risentite per aver anche solo incrociato il suo cammino, vagando inquieta per le vie del villaggio, facendo di tutto per evitare il castello.

Geralt, che per tutto quel tempo non aveva fatto altro che fremere dalla voglia di rivedere il suo mago, ora sembrava avere improvvisamente le gambe di pietra. Certo non aiutava il fatto che ormai tutto il gruppo era a conoscenza del suo essere un mago del sangue, cosa che gli umani, a quanto pareva, trovavano terribile a tal punto da preferire morire ammazzati da un drago, piuttosto che dovere la vita ad una magia del genere. Stupidi come cacca di nug...

Natia entrò nella taverna affollata, individuandolo seduto ad un tavolo. Si avvicinò di soppiatto, facendo sobbalzare il mago.

«Che c'è adesso?» Si girò torvo, un calice di vino ormai vuoto in mano.

«Sono già due giorni che rimandi, non dovresti andare a parlare con qualcuno?»

«Non dovresti farti gli affari tuoi?»

Natia ridacchiò. «E che gusto ci sarebbe... Comunque, senza di me non combineresti niente. Non so proprio come hai fatto fino adesso a battere la pietra, sei imbarazzante.» Si sedette di fianco a lui, strappandogli il libro che stava leggendo da sotto il naso e sventolandoglielo davanti. «Qua dentro non c'è niente che possa aiutarti a conquistare il tuo mago, quindi vedi di darti una mossa.» Geralt cercò di riprendersi il libro, ma lei fu più veloce, infilandoselo nell'ampia tasca della giacca. «Resterà qui con me finchè non sarai andato a parlarci.»

«Si può sapere perché ti interessa tanto?!» Sbottò l'altro.

«Perchè sei assolutamente ridicolo. Una scopata non può che farti bene. E dato che è stato in cella per settimane, probabilmente non si rifiuterà di essere sbattuto al muro-»

«Stai zitta!» Il mago sbattè il pugno sul tavolo, scattando verso di lei. «Non osare parlare di lui in questo modo!»

Natia rimase un attimo spiazzata, ma non lo diede a vedere. «Oh, scusa, non volevo offendere il vostro grande amore... Solo ribadire che, se l'ultima scopata l'hai fatta con un demone che gli assomigliava, hai dei problemi belli grossi.»

«Ti avverto, Brosca, per l'ultima volta...»

Alzò le mani in segno di resa. «D'accordo, spilungone, ci rinuncio. Ma poi non venire a lamentarti da me.» Tamburellò le dita sulla grossa copertina del libro che gli aveva rubato, saltando giù dalla sedia e allontanandosi senza fretta.

Girato l'angolo, si appiattì contro la parete, lasciando passare qualche minuto, prima di scoccare un'occhiata al salone della taverna. Il mago era rimasto a fissare il bicchiere ormai vuoto, sempre più accigliato.

Possibile che si stesse cagando sotto così tanto, alla sola idea di andare a parlare con Jowan?

Decise, dato che non aveva assolutamente nulla di meglio da fare, di tenerlo d'occhio. Si appostò dietro la legnaia, in attesa che quello uscisse.

Passò almeno un'ora, ma finalmente vide la chioma rossa dell'uomo spuntare dalla porta. Dall'andatura, doveva aver bevuto almeno un altro paio di bicchieri.

Lo seguì di nascosto fino al castello, attenta a non farsi notare, fino ad un ingresso secondario.

Senza fare alcun rumore, dopo qualche minuto si infilò anche lei nella porta, acquattandosi nella penombra e scendendo le scale che portavano ai sotterranei. Le torce erano quasi tutte spente e non c'erano guardie in giro, segno che nessuno si aspettava qualche visitatore.

Sentì due voci maschili dal fondo del corridoio, e si appiattì ulteriormente contro il muro di pietra, il fiato sospeso mentre percorreva gli ultimi metri e si nascondeva dietro una serie di barili.

Origliare le era sempre riuscito benissimo. Era un ottimo modo per scoprire segreti di ogni genere, e nei bassifondi le aveva spesso permesso di racimolarsi da vivere, senza per una volta dover spaccare qualche dente per farsi rivelare dove i rivali di Beraht tenessero la roba che contrabbandavano.

«... lo convincerò a lasciarti andare, fidati di me. Gli ho riportato quelle Ceneri, no?»

«E se non bastasse? Sono stato io ad avvelenarlo, mi sorprende che non mi abbia già giustiziato!»

Sentì un colpo metallico. Immaginò che Geralt stesse prendendo a pugni le sbarre della cella.

«Non glielo permetterò. Dovessi buttare giù questo cazzo di castello dalle fondamenta, ti tirerò fuori da qui, Jowan.»

Ci fu qualche istante di silenzio. Natia si sporse oltre la botte di legno dietro la quale si nascondeva. Grazie ai suoi occhi abituati all'oscurità, poté vedere chiaramente Geralt chino sulle sbarre della cella, le mani che stringevano il metallo.

«Mi dispiace. Mi sono fatto ingannare e ho rovinato tutto, come al solito.» Natia pensò che davvero Jowan non faceva altro che lagnarsi. Cosa avesse di tanto speciale, proprio non capiva. «Non voglio che tu ti metta nei guai per me, non di nuovo. Se l'Arle ha detto che non mi libererà...»

«Cambierà idea. Deve farlo.»

«Geralt...»

«Non capisci!» Natia sussultò, tornando per un attimo a nascondersi dietro il barile. «Ho... ormai non posso tornare indietro. Ho già fatto di tutto, e la Custode si fida di me. Mi aiuterà a convincere Aemon, e appena ti libereranno scapperemo nel Tevinter.»

«E il Flagello?»

«Alla malora il Flagello e il maledetto Ferelden!»

“Fantastico.” Pensò Natia, stizzita. “Quindi ha intenzione di tagliare la corda.”

«Pensi che riusciremmo a varcare il confine? Noi due da soli? Con i Templari a darci la caccia, mezza Redcliffe e due Custodi Grigi?»

Geralt sussurrò qualcosa in risposta, ma Natia non riuscì ad afferrare bene le parole. Si sporse di nuovo da dietro la botte. “E diglielo, testa di pietra!”

«Non credi dovremmo fare la nostra parte, per fermare questo Flagello?» Chiese Jowan.

L'altro sembrò riflettere a lungo, prima di dare una risposta, la voce a malapena udibile. «Non se significa rischiare la nostra vita.»

«Mi hai salvato già due volte, amico mio, e non credo proprio di meritarmelo... Quella volta alla Torre, se solo fossimo scappati con Anders...» Sospirò. «Io sono rimasto, per Lily, ma tu, tu saresti potuto andartene. Perchè non l'hai fatto?»

“Ecco, forse ci siamo. Muoviti, spilungone!”

Passarono parecchi istanti. Natia immaginò Geralt arricciarsi le trecce della barba attorno alle dita, come era solito fare quando era teso.

«Non volevo lasciarti solo.»

“Diglielo!”

«Ma saresti potuto essere già lontano, ancora prima che i Templari portassero il tuo Filatterio a Denerim!» “Fai qualcosa!” «Perchè non-»

«Perché ci tengo a te!» Sbottò finalmente. Jowan si zittì. «E non ti avrei mai lasciato, nemmeno quando stavi dietro a quella vacca!»

«Non parlare di lei così!»

«Ti ha solo usato, e tu le se andato dietro come un idiota!»

“Oh, no, perché ora stanno litigando?!”

«Non- non è vero! Si fidava di me, ma...»

«Ma?! Ma cosa, Jowan?!» Ora stava praticamente urlando. «Alla vista di un po' di magia del sangue, si è rimangiata tutto. Sarebbe rimasta a guardare Gregoir ucciderti, senza battere ciglio!»

«Non puoi saperlo!» Ribattè l'altro, urlando anche lui. «È finita ad Aeonar per colpa mia!»

«Che marcisca, ad Aeonar. Lei e l'intera Chiesa, i Templari e tutti gli altri!»

«Perchè fai così?!»

«Perché ti amo, cazzo!»

“Oh, merda.”

Scese il silenzio. Un terribile, denso silenzio, come polvere in uno stretto cunicolo di roccia.

Dopo qualche istante, Jowan sembrò riprendersi un poco dalla sorpresa. «Geralt, io non...»

Prima che potesse articolare il resto della frase, l'altro gli voltò le spalle, andandosene quasi di corsa. Fortunatamente, non si accorse di Natia, passando a pochi centimetri dalla botte ma superandola di gran carriera.

Rimase impietrita, ascoltando Jowan chiamare l'altro a gran voce, in cerca di spiegazioni.

Una parte di lei sarebbe voluta andare dal prigioniero e prenderlo a calci per essere il più grosso, stupido cretino dalla testa piena di cacca di nug dell'intero Ferelden, ma l'altra avrebbe voluto trascinare Geralt indietro con lo stesso trattamento e fargli affrontare la situazione.

Rimase quindi ad arrovellarsi sulla questione, finché alla fine decise che, nonostante tenesse al compagno di viaggio, in fondo non erano fatti suoi.

“E poi, ha detto di volersene andare appena liberato il suo grande amore, no? Può pure andarsene alla polvere, lui e quell'altro.” Pensò risentita, risalendo le scale senza fare rumore, per poi uscire all'aria aperta e tornare in direzione della taverna, la gola secca e un sacco di pensieri a martellarle in testa.

Aveva proprio bisogno di una birra.

Entrata, trovò Wynne ed Aenor sedute ad un tavolino, impegnate in un'animata discussione a bassa voce. La maga sembrava furiosa, e Natia non dovette sforzarsi per immaginarne la causa. Prese in considerazione l'idea di uscire e andarsene di gran carriera prima di trovarsi in mezzo all'ennesima faida, ma ormai era lì...

Prima che potesse raggiungerle, l'anziana si alzò in piedi, afferrando il proprio bastone magico appoggiato alla parete e dirigendosi verso l'uscita, scura in volto.

Natia accennò un saluto, ma l'altra la notò a malapena, sbattendo la porta.

La nana incrociò lo sguardo della Custode, che le rivolse un cenno stanco.

Sbuffò. Perché non potevano, per una sola volta, tenersi i loro problemi senza buttarli addosso a lei?

Ordinò un paio di boccali grandi di birra scura, prendendo posto accanto all'elfa.

«Per la Pietra, che giornata, eh.»

L'altra manco le rispose, intenta a scavare con il pugnale un solco nel tavolo di legno.

«Così rischia di spuntarsi.»

Ancora nulla.

«Immagino che Wynne sia ancora furiosa per la storia di Geralt, eh?»

L'elfa alzò finalmente lo sguardo, puntandole addosso i suoi brillanti occhi verdi. «Vuoi qualcosa, o sei qui soltanto per infastidirmi?»

“Alla Pietra pure con te, allora!” Avrebbe voluto rispondere Natia, ma deglutì e cercò di sorridere, sperando che sembrasse un'espressione amichevole e non un ringhio. In quel momento, arrivò la cameriera. «Veramente, volevo sapere come stavi. Vi ho viste litigare e... insomma, pensavo la faccenda fosse risolta.» Afferrò un boccale, sperando che l'elfa facesse altrettanto e non le rovesciasse invece addosso dell'ottima birra.

Aenor sospirò, allungando una mano e annusando con sospetto il contenuto del boccale. Sembrò cedere, assaggiandone un po' e storcendo la bocca.

«Ci fai l'abitudine, fidati, almeno questa è roba buona.»

«Magari fosse quello il problema...»

La guardò bene. Sembrava stravolta, gli occhi cerchiati di nero e il volto più pallido del solito. Rimase in silenzio, sperando che l'altra si spiegasse meglio, ma sembrava non averne alcuna intenzione. Restarono sedute per un po' a bere, Natia che ordinò un altro boccale mentre l'altra non era nemmeno a metà.

Ad un certo punto, Aenor ruppe il silenzio. «A volte credo che dovrei semplicemente lasciar perdere.» Aveva lo sguardo perso nel vuoto. «Tutto sta andando a rotoli. Non volevo nemmeno diventare un Custode, e...» Bevve dei lunghi sorsi, arricciando il naso. Quando appoggiò il boccale sul tavolo, era vuoto. «Non avrei dovuto lasciare il mio Clan. Probabilmente Duncan avrebbe trovato qualcun altro da reclutare, qualcuno di più bravo, e tutti questi casini non sarebbero successi. Alistair sarebbe stato zitto, Leliana pure, e Wynne non avrebbe avuto motivo di...» Si zittì di nuovo, gli occhi lucidi. «Dirthara-ma, mi sta bene, a viaggiare con tutti questi shem.»

«Non stai andando così male, sai? L'hai detto tu stessa, a Sten.»

«E a che serve, se poi ogni volta devo combattere per avere la loro fiducia?»

Natia ci pensò su un po', non sapendo cosa rispondere. «Non so, non credo che nessuno si sia mai fidato di me al punto di seguirmi senza fare storie. Sarà perché tutti la pensano a loro modo, e non puoi sempre convincerli a fare quello che vuoi tu. Però te la stai cavando bene.»

«Dillo a Wynne, che vuole andarsene. O ad Alistair, che è furioso perché ho lasciato che un mago del sangue viaggiasse con noi. O quella spocchiosa di Elissa, che dall'alto della sua nobiltà non fa altro che-» Sbattè il boccale vuoto sul tavolo, facendo segno alla cameriera di riempirlo. «Fenedhis lasa, vogliono tornare ad Ostagar.»

«Come mai?»

«Dicono che potrebbero esserci dei documenti importanti contro Loghain. Prima spariscono nel Bannorn, e ora perdono tempo dietro ad una pila di carta.»

«Magari può esserci davvero qualcosa di valore.»

Le rivolse uno sguardo astioso. «Oh, certo, dimenticavo che tu sei qui solo per riempirti le tasche. Fai pure, aggregati anche tu, sono certa che non gli dispiacerà avere qualcuno che gli guidi l'Aravel mentre loro-»

«Hei, datti una calmata!» La fermò Natia. «Non sei l'unica ad avere problemi qui, sai? E se non ti va bene guidarli, se sei così certa che andartene sia meglio... Allora vattene. Cosa ti trattiene? Tornatene al tuo clan, vaga per i boschi, fatti una scopata, ma smettila di piangerti addosso!»

Afferrò il boccale di birra e uscì a grandi passi dalla locanda, furente.

 

Raggiunse Shale, che si era sistemata al riparo dagli uccelli sotto una tettoia, intenta a fissare il villaggio sotto di loro.

«Li odio tutti.» Ringhiò, sedendosi su una cassa di legno e bevendo un sorso di birra.

«Ah, stavo giusto pensando la stessa cosa.»

«Non siete le uniche.»

Natia sobbalzò, voltandosi di scatto, giusto in tempo per vedere Morrigan comparire in uno sbuffo di fumo violaceo.

«Da dove cazzo spunti, tu?!» Sbottò, cercando di nascondere senza successo la sorpresa.

«Credo che tu abbia qualcosa che mi appartiene.»

La guardò senza capire.

La strega indicò con un dito la tasca della giacca, da cui spuntava il voluminoso tomo che aveva sequestrato a Geralt poco prima. «Quello.»

Natia lo estrasse dalla tasca, rigirandoselo in mano e osservandolo meglio. Era grosso, dalla copertina nera segnata dal tempo. «E perché dovrebbe essere tuo?»

«Non esattamente mio, ma di mia madre.»

Qualcosa non tornava. «Perchè non te ne sei accorta prima?»

«Prima dimmi, dove l'hai trovato?»

Scrollò le spalle, evasiva. «In giro.»

«Credevo voi fuorilegge foste bravi a mentire. Mi sbagliavo, evidentemente.» Fece un passo verso di lei, cercando di prenderle il libro.

Natia si ritrasse istintivamente, sulla difensiva. «Era alla torre.»

«E ovviamente ne sei entrata in possesso soltanto ora, altrimenti me ne sarei accorta prima.» Commentò Morrigan. «Ce l'aveva Geralt, dico bene? In qualche modo deve essere riuscito a nascondermelo, forse un'illusione magica... non importa, adesso dammelo.»

«Non ci penso neanche. Poi se la prenderebbe con me, e anche se sono resistente alla magia, non ci tengo ad avere una palla di fuoco su per il culo.»

La strega roteò gli occhi al cielo. «Non essere ridicola, probabilmente ce l'ha da settimane, quel topo di biblioteca avrà ormai memorizzato ogni sua parte. Voglio solo darci un'occhiata, ma se proprio ci tieni, andrò a chiederglielo di persona. Sono certa che non lo disturberò affatto, dopo quello che è successo con il suo amico...»

La nana represse l'istinto di piantarle un coltello nella gamba. «Stavi origliando?!»

L'altra non si scompose minimamente, anzi, sembrava divertirsi. «Non sei l'unica capace di nascondersi, sai? E di sicuro i miei metodi sono più efficaci. Nessuno fa caso ad un piccolo ragno che cammina sul muro...»

Ferita nell'orgoglio, non sapeva cosa ribattere. «Almeno io non rischio di essere spiaccicata con uno stivale.» Bofonchiò arrabbiata.

«Allora, vuoi darmi quel grimorio o devo andargli a peggiorare la giornata?»

Natia capitolò, sbuffando e porgendole il libro.

«Grazie, mi hai risparmiato un'altra scocciatura.» Gli occhi gialli della donna brillavano di bramosia, mentre sfogliava velocemente le pagine consunte. «Mh, interessante...» Dopo averle rivolto un cenno di saluto, se ne andò in fretta, il naso incollato alle pagine.

La nana si sedette nuovamente sulla cassa di legno. «Mi ucciderà.»

Shale, che per tutto il tempo era rimasta completamente disinteressata, emise un suono vibrante, come di pietre che sfregavano. «Non è difficile, uccidere voi cosetti mollicci.»

Le lanciò un'occhiataccia. Era una risatina, quella?

«Guarda, un piccione!» Urlò, indicando un punto alle spalle del golem.

Shale si girò di scatto, sbattendo gli enormi piedi per terra e facendo tremare il terreno, compresa la cassa su cui era seduta l'altra. «Dove?! Maledetti uccelli, li schiaccio tutti!»

Natia scoppiò a ridere, lanciandole il boccale di birra in testa e colpendo uno spuntone roccioso. «Proprio lì, zucca di pietra.»

 




 

«Kallian?»

L'elfa sbuffò, guardandola dall'alto in basso, le gambe a penzoloni dal tetto del mulino. Osservò Leliana arrampicarsi agilmente sulle travi di legno, raggiungendola in poco tempo e sedendole accanto, il respiro un poco affannoso.

«Ti ho cercata dappertutto, sai?»

Grugnì una risposta, spostando lo sguardo sul Lago Calenhad, le cui acque riflettevano la poca luce del sole che filtrava tra le nuvole scure.

Leliana rimase in silenzio, ad osservare il panorama con lei. Dopo qualche minuto, la curiosità ebbe la meglio sull'elfa.

«Perché mi cercavi?»

«Non è ovvio? Ero preoccupata. Da ieri non ti si vede in giro, e pensavo...»

«Che avessi ucciso qualche nobile spocchioso?»

La donna scoppiò a ridere. «Sì, qualcosa del genere.»

«Potrei anche farlo, se stiamo qui ancora a lungo.»

«Personalmente, vorrei farmi almeno un altro paio di bagni caldi e profumati, prima di andarmene.»

Kallian sbuffò di nuovo, per niente sorpresa. «Ci sono cose più importanti dell'igiene, in questo momento, tipo fermare un Flagello.»

«Sicuro, ma nessuno ha mai detto che dobbiamo affrontare l'Arcidemone puzzando come caproni.»

L'elfa sollevò un sopracciglio, guardandola dritta negli occhi. «Siamo nel Ferelden, non hai notato che puzziamo sempre come caproni?»

Leliana rimase un attimo spiazzata, per poi sollevare l'angolo della bocca. «Era una battuta? Davvero?»

«Mh, avrei detto “cani bagnati”, in quel caso.»

«Oh, una battuta e una frecciatina su Orlais. Tipico del Ferelden.»

Kallian sollevò le spalle, lasciandosi sfuggire un sorrisetto. Si accarezzò la nuca, dove una nuova cicatrice spiccava tra le vecchie, a ricordarle del drago che l'aveva quasi uccisa. Sovrappensiero, passò i polpastrelli sulla piccola protuberanza ossea, ancora incredula di essere viva.

«Ti fa male?»

Scosse la testa.

«Ho pregato che funzionasse, ero così spaventata... Ma il Creatore non ci ha abbandonati, non del tutto. Le Ceneri-»

«Perché?»

Leliana aggrottò le sopracciglia. «Che intendi dire?»

«Le Ceneri. Mi hanno riportata in vita.» Come spiegarle la sensazione di inadeguatezza dell'essere lì in quel momento, viva e in grado di muoversi, parlare...

«Il Creatore ti ha salvata perché ha un piano per te, Kallian.» Rispose semplicemente l'altra, come se fosse la cosa più naturale del mondo che il Creatore, che non si curava degli affari dei mortali, si fosse scomodato a salvare una nullità come lei.

Kallian si morse il labbro inferiore, passando la lingua sulle cicatrici. Non era la prima volta che scampava a morte certa. Valendrian le aveva raccontato di come l'avevano data per spacciata, vista la gravità delle ferite magiche e fisiche che le avevano procurato Vaughan e il suo mago. E nonostante tutto, si era svegliata, era pian piano guarita, anche grazie al Guardiano Zathrian e alla sua conoscenza delle erbe curative. Ma essere salvata una seconda volta, dopo aver combattuto un drago, dalle Ceneri della Profetessa in persona...

Era davvero troppo pensare, anche solo per un attimo, di esserne degna.

Scosse la testa. «È assurdo. Il Creatore non si cura di noi, lo dice il Cantico. E Andraste non perderebbe certo il suo tempo con...»

Leliana le afferrò una mano, tenendola tra le sue, morbide e profumate. «Non voglio arrogarmi il privilegio di sapere cosa passa per la mente del Creatore, ma è chiaro che abbia qualcosa in serbo per te. Altrimenti, non ti avrebbe aiutata a guarire dopo quello che ti è successo, sia prima che arrivassi dai Dalish, che ad Haven. Sei speciale, Kallian.»

L'elfa fece per ritrarre la mano, ma all'ultimo ci ripensò. «Davvero hai delle visioni?»

L'altra annuì. «So che sembrano tutte storie, raccontate per attirare l'attenzione... ma prima di incontrare i Custodi, il Creatore mi ha mandato un segno.» Allungò le gambe nel vuoto, sollevando lo sguardo verso le nubi cariche di neve sopra di loro, facendo un respiro profondo. «Ero sull'orlo di un altissimo precipizio, e guardavo impotente mentre l'oscurità inglobava ogni cosa. Quando anche l'ultimo raggio di luce era svanito, ho urlato, ma non riuscivo ad emettere alcun suono. Allora mi sono sentita sollevare, e una forza misteriosa, ma al contempo rassicurante, mi ha spinta a gettarmi nell'abisso.»

«E se fosse stato soltanto un sogno? O un demone che voleva ingannarti?»

Leliana scosse la testa, un sorriso sicuro sul volto. «Mi sono svegliata, e ho provato un desiderio impellente di andare nel giardino dietro il monastero. C'era un cespuglio di rose, che tutte sapevamo fosse ormai morto da tempo: era grigio, rinsecchito e contorto su sé stesso, la pianta più brutta che avessi mai visto. E invece, quel giorno, quando andai a guardarlo... tra i rovi secchi, c'era una singola rosa, bellissima e profumata, i petali morbidi e perfetti.»

Kallian si grattò il moncone di orecchio. «E pensi che sia stato il Creatore, a mandarti visioni sul Flagello e una rosa per avere speranza?»

«Chi altri avrebbe potuto dirmi così chiaramente che dovevo andarmene da lì, lasciare la vita del monastero e andare a cercare coloro che avrebbero fermato il Flagello?»

«Un sogno e una rosa, non mi sembrano indicazioni molto chiare.»

«Tutto accade per un motivo.»

«Sono quasi morta, due volte. Mi servirebbe una spiegazione più chiara di qualche fiore.» Grugnì l'elfa, guardandosi le punte dei piedi.

Leliana sembrò incerta sul da farsi, ma dopo un attimo di pausa, si azzardò a fare la sua domanda. «Posso chiedere cosa ti è successo? Non nei dettagli, ma...»

Kallian inspirò la brezza gelida, incerta se raccontarle o meno l'accaduto. Leliana le piaceva, per essere un' umana, non l'aveva mai vista trattare gli altri con cattiveria o superiorità, anzi, era sempre la prima ad aiutare, se ce n'era bisogno. E l'immagine della donna, terrorizzata, che urlava il suo nome sulla cima della montagna del tempio di Haven, dopo che era stata mandata a terra dal drago... Il volto di Leliana era stata l'ultima cosa che aveva visto prima di perdersi nell'oscurità, e la prima quando aveva riaperto gli occhi.

«Dovevo sposarmi.» Iniziò a raccontare, quasi un sussurro. Gli eventi di quel giorno impressi indelebilmente nella sua mente, sul suo corpo, come se li rivivesse ogni giorno. «Nelaros, si chiama, era arrivato da Altura Perenne con la promessa sposa di mio cugino. Era un buon partito, e mio padre mi aveva dato l'abito di mia madre, l'avevo riadattato, era bellissimo. E l'intera Enclave era in festa, il Vhenadahl addobbato con decine di fiocchi, lanterne e fiori... Poi sono arrivati loro.» Digrignò i denti, l'odio verso Vaughan e i suoi che tornava a galla, mai sopito. «Il figlio dell'Arle di Denerim e alcuni suoi uomini. Ci hanno trascinate via, me, mia cugina e altre ragazze, prive di sensi, e nessuno ha fatto niente. Non uno degli abitanti dell'Enclave ha alzato un dito per impedirglielo. Non l'Hahren, non mio padre, nemmeno i miei vicini di casa, o il ragazzo che lavorava affianco a me al mercato. Nessuno, tranne mio cugino Soris e Nelaros, ha rischiato la vita per noi. Ho fatto quello che dovevo, per permettere a Shianni e alle altre di uscirne vive...» Finì per perdere la voce. Sentiva gli occhi pizzicarle, ma non sapeva se era rabbia, dolore o vergogna. Non era stata abbastanza forte. Avrebbe potuto uccidere Vaughan e i suoi, se fosse stata forte come Aenor, come una vera elfa, e non una schiava degli umani. Aveva fatto del suo meglio, sacrificandosi per gli altri, ma alla fine non le avevano nemmeno concesso la grazia di ucciderla, lasciandola a convivere con la vergogna di quanto aveva dovuto subire.

Se era davvero stato il Creatore a salvarla, aveva un sadico senso dell'umorismo.

Sentì Leliana farsi più vicina, appoggiando la spalla alla sua, le mani ancora intrecciate.

«Mi dispiace, non avrei dovuto chiedere.»

Scosse la testa. «Non importa.»

Rimasero lì, sedute sul tetto del mulino, in silenzio.

Cominciarono a cadere piccoli fiocchi di neve, che appoggiandosi a terra formarono una sottile coltre bianca. Kallian rabbrividì, stringendosi nel mantello di pelliccia. Forse era il caso di rientrare, ma...

«È bellissima, non trovi?»

Si girò verso Leliana, che aveva allungato una mano verso l'alto, come ad afferrare i fiocchi. Sembrava rapita, un ampio sorriso sul volto.

Non rispose, limitandosi a guardare il lago. Chissà se si sarebbe ghiacciato, a tal punto da poterci camminare sopra. Aveva sentito che poteva succedere, in inverno.

Uno starnuto la colse di sorpresa, rompendo la pace. «Sarà meglio ripararci, prima di congelare.» Disse, tirando su le gambe e cercando l'appoggio che aveva usato per salire.

 

In breve tempo, raggiunsero di nuovo il castello. Kallian scoccò alle mura uno sguardo astioso, ma entrò senza fare storie. Il freddo era un ottimo motivo per ingoiare l'orgoglio e l'odio verso la nobiltà umana, per una volta. E il bagno caldo menzionato da Leliana non era una cattiva idea...

«Allora, ci vediamo dopo a cena?» Le chiese l'altra.

L'elfa annuì, salutandola. Salì in camera e prese i due grandi secchi che serviva a riempire la vasca.

Andò in direzione del pozzo, rifiutandosi di chiedere aiuto ai servitori del castello. Con qualche difficoltà, iniziò a far girare la manovella per far scendere il secchio, che era già rigida per il ghiaccio. Riuscì a calarlo, mettendosi con tutta la forza a tirarlo su. Le spalle che le dolevano, riempì metà del primo secchio. Sbuffò, riportandolo sul fondo. A metà strada, sudava e ansimava come un mantice.

«Vuoi una mano?»

Sobbalzò e per poco non si lasciò sfuggire la presa.

Alistair, il cappuccio del mantello pieno di neve, afferrò la manovella, la mano proprio accanto alla sua. Combatté l'istinto di ritrarsi di scatto. «Ce la faccio da sola.» Ringhiò per lo sforzo.

«Guarda che se congeli, mi toccherà rompere il ghiaccio.» Si mise a ridacchiare da solo.

Kallian sbuffò, irritata dalle battute del Custode. «Se vuoi aiutarmi, stà zitto e gira, shem.»

Insieme, riuscirono in breve tempo a riempire entrambi i secchi.

«Ora puoi anche andare.»

Il ragazzo rimase a fissarla. «Sono parecchie scale.»

«Non sarà un problema.»

«Insisto.»

L'elfa valutò l'opzione di ucciderlo e gettare il cadavere nel pozzo. Purtroppo, dubitava di riuscire anche solo a colpirlo, dato il male terribile che aveva alle braccia dopo tutta la fatica. «D'accordo.» Cedette infine, tirandone su uno e lasciando che Alistair prendesse l'altro.

Attraversarono il cortile, quando dei rumori metallici attirarono la loro attenzione.

Aenor, incurante della neve e del freddo, mulinava una grossa spada a due mani contro Sten, che sembrava anche lui assolutamente a suo agio. I due erano talmente assorti nel combattimento, che non si accorsero di essere osservati.

«Mi preoccupa, sai?»

Kallian non rispose, ipnotizzata dalle movenze della Dalish. Nonostante il Qunari fosse chiaramente più bravo, l'elfa minuta riusciva comunque a tenergli testa.

«Non so cosa le passi per la testa.» Continuò imperterrito Alistair. «E credo sia sempre peggio.»

Si volse verso il Custode, sorpresa. Tornando da Haven, le era sembrata di umore molto migliore rispetto a quando avevano iniziato a viaggiare insieme. E le Ceneri avevano funzionato, quindi...

«Non dorme, mangia a malapena... E la cosa peggiore è che non si lascia aiutare. So che essere un Custode Grigio è difficile, tra i sogni e la Corruzione, per questo cerco di convincerla a dirmi cosa la turba, ma continua a chiudermi fuori.» Fissava Aenor con sguardo triste. «Se solo capissi cos'è che non va, potrei cercare di fare qualcosa...»

L'altra scosse la testa. «Credo non ci sia nulla che tu possa fare.» Non sapeva neanche lei cosa fosse esattamente successo alla Dalish, ma era chiaro che aveva ricordi dolorosi legati al suo Clan. 

Alistair riportò l'attenzione su di lei. «Magari con te si può confidare, no?»

«Perchè siamo entrambe elfe?» Ribattè piccata. «Non funziona così.»

Il Custode diventò rosso in volto. «No, non intendevo... Perchè sembra averti preso in simpatia. O almeno, non ti ignora o disprezza apertamente. E sei una delle poche persone con cui lo fa.»

«Parla anche con Geralt e Morrigan, se per questo. O Natia e Sten.»

Il ragazzo si grattò la nuca, a disagio. «Sì, beh, non è che posso andare da Morrigan o gli altri a...» Si zittì, sospirando. «Tienila solo d'occhio, d'accordo? Ho paura che si faccia del male. Solo questo, per favore.»

Kallian osservò la Custode parare con l'elsa della spada un potente fendente alla testa, girando su se stessa e cercando di disarmare Sten, facendogli perdere per un attimo l'equilibrio. «Credo sappia cavarsela da sola.»

«Proprio questo mi preoccupa...»

Lasciarono Aenor ad allenarsi, attraversando il cortile e salendo le scale che portavano alle camere degli ospiti. Arrivati di fronte alla camera che Kallian condivideva con l'altra elfa, Alistair lasciò a terra il secchio d'acqua, salutandola.

Lei si limitò ad un cenno col capo, ripensando a quanto detto dal ragazzo.

Mentre aspettava che l'acqua si scaldasse, di fronte al camino accesso, guardò verso il cortile, dove i due si stavano ancora allenando. La neve ormai cadeva fitta, rendendole difficile individuarli.

Dopo un po', richiuse le imposte, godendosi il tepore della stanza.

Si spogliò lentamente, togliendosi i vari strati di pelliccia, armatura e abiti.

Prese i due secchi e li versò nella vasca, riempendola ed immergendovisi dentro. Il vapore le avvolgeva il corpo, mentre l'acqua calda le ammorbidiva la pelle. Si appoggiò al bordo, chiudendo gli occhi. Era una sensazione bellissima, il bagno caldo.

Pochissime volte nella sua vita era riuscita a farne uno, e mai dopo la morte di sua madre.

Scacciò i ricordi, cercando di svuotare la mente. Si ritrovò suo malgrado a canticchiare una ninnananna che Adaia le cantava sempre. Le parole le tornarono in mente, e forse non se le ricordava nemmeno correttamente, ma il ritornello era semplice.

Non temere, mia bambina,

Dovunque andrai,

Ascoltami.

Il pettine che scioglieva i nodi, districando gentilmente la massa di capelli ricci.

A casa ti guiderò.

Le mani profumate della mamma sapevano di gelsomino, con il quale si acconciava la chioma, così simile alla sua.

A casa ti guiderò.

Il suo sorriso, mentre la sollevava dalla vasca, abbracciandola e avvolgendola nell'asciugamano, il gelsomino che riempiva l'aria.

A casa ti guiderò.

Si morse il labbro inferiore, una lacrima che scendeva solitaria sulla guancia, incapace di fermarla. Tirò su col naso. Chissà cosa avrebbe pensato, se avesse saputo che la sua bambina era stata riportata in vita per ben due volte. Forse era proprio la madre che vegliava su di lei. I morti risiedevano al fianco del Creatore, anche gli elfi, sostenevano alcuni, quindi era possibile che lo avesse pregato di guarirla.

Ma in quel caso, non avrebbe potuto semplicemente evitare che si trovasse ad un passo dalla morte? Nella Sua infinita potenza, il Creatore aveva voltato le spalle ai mortali, colpevoli di aver intaccato la Città d'Oro, e indegni della Sua protezione. E aveva scelto di salvare proprio lei, nonostante Egli si fosse allontanato dal mondo?

Avrebbe voluto avere la sicurezza di Leliana. Sembrava così certa delle sue visioni, che Kallian quasi ci credeva. Com'era possibile mentire con tanta passione, dopotutto? Le sue parole sembravano vere, ciò che aveva visto poteva davvero essere un avvertimento e al contempo un modo per incoraggiarli ad avere ancora speranza, nonostante tutto quello che stava accadendo.

Eppure...

Immerse la testa sott'acqua, sapendo già che non avrebbe mai trovato una risposta alle sue domande.











Note dell'Autrice: eccomi di ritorno. Sto progettando di aggiornare più spesso, ma per il momento non credo di riuscire a tornare ai bei tempi del capitolo settimanale. 
Qualche considerazione sul capitolo: Natia si sente come se tutti le stessero accollando i propri problemi, e non sopporta tutti i giri che Geralt e Aenor stanno facendo, la sua politica è "hai un problema, affrontalo a testa bassa", quindi comincia a non sopportarli più. Dai, Natia, resisti ancora un po'. 
Per quanto riguarda Kallian, si sta pian piano ammorbidendo un pochino, grazie alla terza possibilità che le hanno dato le Ceneri. Il processo è lungo e ha ancora tanta strada da fare, ma per il momento il fatto che non abbia cercato di uccidere mezza Redcliffe è già un grosso miglioramento. 
La canzone che canta alla fine è "Mir Da'len Somniar", una ninnananna Dalish. Ho pensato che fosse improbabile che gli elfi di città la conoscessero in elvhen, ma che invece la tramandassero nella sua versione in lingua comune. 
Come al solito, ogni commento è ben accetto. Al prossimo capitolo! :D

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Capitolo 22
*** In viaggio verso Ostagar ***


CAPITOLO VENTIDUE: IN VIAGGIO VERSO OSTAGAR


 

 

Finì di nuovo a terra, il sedere dolorante.

Sten, immobile di fronte a lei, non accennava a darle una mano.

Aenor si rialzò a fatica, ogni muscolo del corpo che bruciava, stringendo la spada e rimettendosi in posizione di guardia. «Di nuovo.»

Il Qunari sollevò leggermente un sopracciglio, scagliandosi su di lei senza neanche un attimo di preavviso. Non si fece cogliere impreparata, e le lame tornarono a cozzare furiose in uno scontro senza esclusione di colpi.

La luce era ormai ridotta al campo d'azione delle torce poste attorno al cortile. Gli occhi dell'elfa, come quelli dei felini, erano avvantaggiati dalla penombra, mettendola quasi alla pari dell'avversario compensando i suoi difetti tecnici.

Riuscì, dopo un intero pomeriggio passato in difesa, a mandarlo finalmente a terra.

«Ben fatto.» Commentò il Qunari senza scomporsi, rialzandosi e spazzolandosi la neve dai calzoni.

«Non abbastanza.»

«Stai facendo progressi.»

Era vero, ma sarebbe bastato? Sospirò, rinfoderando la spada. «Domani mattina partiamo per Ostagar, non so cosa troveremo.»

«Sarà un buon allenamento in previsione dell'Arcidemone.»

L'elfa sentì un brivido lungo la schiena all'idea di affrontare il drago dei suoi incubi. «Spero che riusciremo a radunare un esercito in grado di affrontare tutti quei Prole Oscura, o non riusciremo a raggiungere l'Arcidemone nemmeno per sbaglio.»

Tornata alle proprie stanze, che divideva con Kallian, si sciacquò in fretta con l'acqua a malapena tiepida, cambiandosi poi in abiti più asciutti. I servitori avevano provato a lasciar loro dei morbidi vestiti di stoffa foderata in pelliccia, dall'aspetto ricco e poco pratico, le maniche larghe e le scollature alla moda. Erano stati snobbati da entrambe le elfe, che avevano preferito optare per dei pantaloni di pelle morbida, camice larghe e giacche di lana pesante.

Il trambusto proveniente dalla sala dove gli occupanti del castello cenavano, era udibile fin dall'altra parte del cortile. Represse una smorfia stizzita, entrando e sedendosi alla sinistra di Alistair. Il ragazzo era tutto intento a raccontare ad Elissa quella che doveva credere una storia spassosissima.

«E quindi, Duncan è arrivato, erano tutti ubriachi fradici e svenuti, mentre lui continuava a bere!»

La Cousland si lasciò sfuggire una risata, moderata, la mano davanti alla bocca, attenta alle buone maniere da nobile.

Aenor roteò gli occhi, avvicinandosi un vassoio con della carne fumante e mettendosene nel piatto una generosa porzione. Si poteva dire tutto di quel posto, ma la cucina era fantastica, soprattutto a confronto di quello che mangiavano in viaggio, nonostante Morrigan ci si mettesse d'impegno.

Non che lo avrebbe mai ammesso di fronte a qualcuno, ovvio.

«Aenor!» Esclamò l'altro Custode, voltandosi a guardarla, finalmente accortosi della sua presenza. «Temevamo fossi ancora lì fuori con Sten, sotto la neve.»

«Evidentemente no.» Rispose, bofonchiando a bocca piena.

«Vi state allenando molto.» Cercò di fare conversazione Elissa, un sorriso forzato sul volto. L'elfa non rispose, scrollando le spalle.

Gli altri due si scambiarono un rapido sguardo.

Alistair tossicchiò, schiarendosi la gola. «Aemon mi ha riferito che sei andata a negoziare il rilascio del mago del sangue, Jowan.»

«Non ho negoziato un bel niente. Gli ho detto che siamo stati noi a salvargli la vita, quindi ci deve un favore. Senza Geralt saremmo morti tutti su quella montagna.»

«Se scoprisse la verità...»

Finalmente, Aenor sollevò lo sguardo, gli occhi verdi ridotti a fessure. «E come potrebbe venirlo a sapere?»

Alistair si ritrasse istintivamente indietro, sollevando entrambe le mani. «Non voglio andare a fare la spia, e nemmeno tornare sull'argomento. Ho deciso di cederti il comando, e non ho il diritto di dirti cosa devi fare. Solo, se forzi troppo la mano con l'Arle potrebbe venirlo a sapere da qualcun altro. E a quel punto saremmo tutti nei guai, Geralt per primo.»

Aenor scoccò un'occhiata velenosa ad Elissa. «Nessuno dirà niente.»

La Cousland sospirò con aria di superiorità. «Non è mia intenzione, Custode, potete fidarvi di me.»

“Sì, come no...” Pensò l'elfa, ma lasciò cadere la questione. Discuterne di fronte a tutti, con l'Arle a pochi metri di distanza, non era una buona idea. «In ogni caso, ha giurato di rilasciare Jowan una volta tornati da Orzammar.» Se non avesse rispettato l'accordo, Aenor non si sarebbe presa la briga di fermare Geralt dal rimandare a dormire l'Arle, questa volta in modo permanente.

Alistair si grattò un orecchio, indicando con un cenno del capo l'arle di Redcliffe. «Bann Teagan sostiene che tu abbia usato espressioni piuttosto colorite, per convincere Arle Aemon.»

«Scusa se non ho imparato a parlare bene come una brava dama di corte.» Ringhiò Aenor. «Avevo capito di essere stata reclutata per la mia spada, non sapevo dovessimo convincere l'Arcidemone a lasciar perdere il Ferelden a suon di inchini e belle parole.»

L'altro Custode si lasciò sfuggire un risolino, ma restava teso. «Dobbiamo fare attenzione. Aemon ci serve, senza di lui molti dei nobili non ci seguiranno. E la diplomazia sarà fondamentale ad Orzammar.»

«Da come ne parla Duran, sembra che un'ascia piantata in testa sia un modo altrettanto buono per convincere i nani a collaborare.»

Elissa sospirò platealmente. «Quello che Alistair sta cercando di dire-»

Aenor si alzò di scatto, facendo sobbalzare tutti. «So benissimo cosa vuole dire, grazie tante.» Disse tra i denti, girando i tacchi e andandosene a grandi falcate, la rabbia che le montava dentro.

La neve vorticava furiosamente, rendendole difficile attraversare il cortile mentre usciva dal castello. Quasi correndo, si avviò verso la taverna del paese, lo stomaco ancora vuoto.

Era proprio tipico di quella biondina del cazzo, mettersi in mezzo in affari che non la riguardavano, soltanto per sfoggiare la sua nobiltà. Come se potesse ancora sfoggiare qualcosa, con la faccia che si ritrovava.

La taverna era affollata come al solito. Sbirciando dalla finestra, adocchiò Kallian, Leliana, Zevran e i due nani seduti ad un tavolo, accanto al camino. Se fosse entrata, sarebbe stata costretta a sedersi con loro, e non aveva molta voglia di fare altra conversazione. Rimase impalata di fronte all'ingresso, incerta sul da farsi. Alla fine, optò per entrare lo stesso.

«Aenor? Pensavamo fossi al castello.» La salutò Leliana, facendole spazio.

La Custode scosse la testa. «Preferisco stare lontana da tutta quella spocchia.»

«Ah, come ti capisco!» Commentò Natia, facendo segno alla locandiera di portare un'altra ciotola di zuppa di carne. «Purtroppo, sembra che la nobiltà ci perseguiti anche qui.»

«Brosca, ti ricordo che sono esattamente qui accanto.»

Natia ghignò, alzando il boccale in direzione di Duran. «Appunto.»

La Custode si estraniò dalla conversazione, cenando in silenzio. L'indomani sarebbero partiti per Ostagar, c'era poco da stare allegri, la Prole Oscura aveva invaso le Selve. Avrebbero viaggiato in un piccolo gruppo, per evitare di attirare troppo l'attenzione. Alistair aveva suggerito di andarci senza Aenor, in modo che se fossero stati sopraffatti dalla Prole Oscura, non sarebbero morti gli unici due Custodi del Ferelden. L'idea non era male, ma se l'alternativa era restare a Redcliffe a far niente, piuttosto avrebbe rischiato di farsi impalare dalle corna di un Ogre.

«Aenor?» La voce di Zevran la riscosse dai suoi pensieri. «Morrigan ti stava cercando, oggi pomeriggio. Chiede di raggiungerla sotto al mulino, appena hai il tempo.»

L'elfa annuì. «Immagino non abbia dato spiegazioni...»

Leliana ridacchiò, annuendo.

«Beh, allora vado.» Finì di bere la propria birra in lunghi sorsi, sentendo l'alcol frizzarle in testa. Uscì leggermente instabile sulle gambe, ma il vento freddo la riportò subito in sé.

La strada per il mulino era ripida e coperta di ghiaccio, fortunatamente almeno il buio non era un problema. Risalì il pendio della collina, mettendosi poi al riparo contro il muro dell'edificio, aspettando la Strega delle Selve.

«Era ora. Sono qui da almeno due ore.»

In uno sbuffo di fumo, comparve Morrigan, un cipiglio seccato sul volto e un libro in mano. Aenor lo riconobbe subito, era quello che Geralt aveva letto così ossessivamente per tutto quel tempo.

«Devo chiederti un favore.» Iniziò la donna, aprendo la porta di legno accanto a loro e facendole segno di entrare. Si sedettero su una pila di casse vuote, al riparo dal gelo. Con un incantesimo, la maga accese l'unica torcia appesa al muro.

L'elfa raccolse le gambe contro il petto, cercando di scaldarsi, le braccia attorno alle ginocchia. «Strano che tu abbia bisogno di chiedere favori.»

«Purtroppo, mi vedo costretta in questa situazione a chiedere aiuto, in quanto mi è impossibile risolvere questo particolare problema da sola.» Le mostrò il libro, poggiandoselo sul grembo. «Penso tu sappia chi ce l'avesse, ma non è questo l'importante, adesso. Non è di proprietà del Circolo, bensì era stato sottratto a mia madre tempo fa. Ne sono venuta in possesso da un paio di giorni, ma ho avuto modo di studiarlo nei dettagli.»

«Quindi?»

«Quindi, ciò che ho trovato mi preoccupa.» Gli occhi gialli della strega brillavano nella penombra, le ombre gettate dalla fiammella che danzavano attorno a loro. «A quanto pare, nel grimorio è contenuto il segreto della lunga vita di mia madre.»

Aenor si mosse sulla cassa, a disagio. Asha'bellanar, “la donna dai molti anni”, era temuta e rispettata dal suo Clan e dagli altri Dalish, famosa per essere vendicativa e capricciosa, propensa tanto ad uccidere quanto ad aiutare coloro che si recavano a chiederle aiuto. Scoprire i segreti di una persona così potente, non poteva portare a nulla di buono. Tuttavia, la cosa sembrava turbare parecchio Morrigan, quindi decise di dare alla compagna di viaggio una possibilità.

«Nelle storie, si è sempre parlato di molte Streghe delle Selve, figlie di Flemeth. Tuttavia, non ne ho mai incontrata una, e ora capisco perché, è legato al segreto della sua immortalità: una volta che il suo corpo non è più in grado di ospitare la sua anima, tenuta probabilmente in vita da un demone a cui si è legata secoli fa, prende possesso di una delle sue figlie, addestrata in anticipo nelle arti magiche.» Fece una pausa, la rabbia impressa sul volto. «Non ho intenzione di aspettare inerme che mi usi come contenitore.»

La Custode non sapeva cosa rispondere. Che Asha'bellanar usasse della magia sconosciuta per restare in vita così a lungo era ovvio, ma che si potesse spingere al punto di possedere il corpo delle sue stesse figlie... era un pensiero spaventoso. «Vuoi che la uccida, prima che lei uccida te.»

Morrigan si voltò verso di lei, annuendo. «Non ho altra scelta che chiedere a te. Ne avete già sconfitto uno, ma mia madre è molto più forte di qualsiasi Alto Drago, quando è in quella forma. Ritengo siate in grado di batterla, ma dovrete andarci preparati, e sarà uno scontro difficile.»

«Perchè dovremmo rischiare la pelle per te?»

Le labbra della strega si sollevarono in una smorfia divertita. «Mi aspettavo una risposta del genere. Dopotutto, non mi sono fatta molti amici.»

«Non solo, sia io che Alistair dobbiamo la vita ad Asha'bellanar. Ucciderla non mi sembra il miglior modo per ripagare il nostro debito.»

Morrigan scoppiò a ridere, una risata fredda, che risuonò tetra tra le pareti spoglie. «Credi davvero che vi abbia salvati senza un secondo fine?»

Aenor scosse la testa. «No, ma questo non cambia la realtà dei fatti.»

«Non penso che riuscireste ad ucciderla in modo definitivo, in ogni caso. Quello che voglio è renderla inoffensiva abbastanza a lungo da ottenere il suo vero grimorio, che tiene in un baule della sua capanna nelle Selve, studiarne il contenuto e trovare un modo per contrastarla.»

La Custode sospirò, non sapendosi decidere. «Mi stai chiedendo molto. E anche se riuscissi a convincere me, dubito che gli altri acconsentirebbero a rischiare la vita per te, senza alcuna ricompensa.»

«Potrei dare al mago alcune pagine copiate dal grimorio, e insegnargli l'arte del cambiare forma. Mi sono rifiutata già due volte di spiegargli i rudimenti, quando me l'ha chiesto. Ritengo sia un premio più che adeguato.»

«Può darsi che il topo di biblioteca accetti, ma gli altri?»

«Sono certa che ti inventerai qualcosa. Anche se ho sentito che le squame e le ossa di drago sono ottime per costruire armi ed armature. Con quello che avete già raccolto dal drago di Haven, più i resti di Flemeth...»

Aenor fece una smorfia. «Mi stai proponendo di indossare le ossa di tua madre?»

«Potresti sempre venderle.»

«Sarebbe inutile chiederti di andare a parlarci, vero?»

«Strano che sia tu a proporlo.» Morrigan inarcò un sopracciglio. «Che faresti nella mia situazione?»

«Non credo di riuscire ad immaginarmi in una situazione del genere...»

La donna si alzò di scatto dalla cassa di legno, spolverandosi le vesti e mettendosi in testa il cappuccio del mantello. «Bene, io ti ho chiesto quello che volevo. Ora sta a te decidere come agire. Buona serata, Custode.»

Aenor la guardò uscire nella tormenta, richiudendo la porta dietro di sé.

Non poteva uccidere Asha'bellanar. Aveva salvato loro la vita, dopotutto. Senza contare che era una strega potentissima e ultracentenaria, probabilmente immortale, che sapeva trasformarsi in un enorme drago assassino. E Aenor non aveva alcuna intenzione di affrontarne un altro.




 

Partirono alle prime luci dell'alba, diretti ad Ostagar. Ci misero giorni per avvistare il limitare delle Selve Korkari, e l'imponente fortezza in rovina che si stagliava all'orizzonte.

La luce andava scemando e l'aria pungente della notte si insinuava sotto i vestiti mentre procedevano a passo spedito.

Aenor procedeva in testa al gruppo, mentre Alistair chiudeva la fila, in modo da percepire in anticipo eventuali attacchi da parte della Prole Oscura. Duran, la grande ascia in spalla, sembrava non vedere l'ora di combattere contro quei mostri, mentre Geralt si limitava a camminare a testa bassa, chiaramente di cattivo umore.

Elissa, Biscotto al fianco, proteggeva il fianco sinistro, mentre Sten camminava alla loro destra.

Non era stato difficile convincere Natia, Zevran e Shale a restare a Redcliffe, mentre Aenor aveva praticamente dovuto ordinare a Kallian di restare al villaggio, non sapendo quanto si fosse effettivamente ripresa dalle ferite riportate ad Haven. Leliana si era offerta di tenerla d'occhio e Morrigan li aveva salutati senza fare una piega.

«Grazie per averci seguito.» Disse Aenor a Wynne, rallentando l'andatura per affiancarsi all'anziana maga.

La donna annuì, un cipiglio severo in volto. «Possiamo anche non pensarla allo stesso modo, ma il compito che vi è stato affidato è troppo importante, e avrete bisogno anche del mio aiuto per portarlo a termine.»

«Ho detto a Geralt di non usare mai più la sua magia contro uno di noi, non c'è motivo di preoccuparsi.» Cercò di rassicurarla la Custode. Wynne le piaceva, nonostante tutto: era affezionata al Circolo e aveva una visione assurda della Chiesa e della magia, ma le ricordava un po' la Guardiana Marethari. Anche con lei Aenor non era mai andata troppo d'accordo, e spesso aveva notato la Guardiana e Merrill discutere animatamente sulle pratiche della Prima.

Lo sguardo dell'anziana maga si assottigliò un poco, mentre con la coda dell'occhio sbirciava alle proprie spalle Geralt, che non sembrava prestare attenzione a ciò che stava succedendo. «Se dovesse metterci in pericolo, Sten ed Alistair sapranno renderlo inoffensivo.»

«Non ce ne sarà bisogno. Ho fiducia in lui.» Ribatté fermamente Aenor, chiudendo la conversazione. Non voleva tornare a litigare.

Prima che Wynne potesse risponderle, Falon arrivò correndo verso di loro, le orecchie basse. Si precipitò verso Aenor, affiancandola con fare protettivo.

«Sei tornato, finalmente.» Lo salutò l'elfa, grattando il mabari dietro un orecchio. «Direi che possiamo accamparci, per oggi.»

«Sicura?» Chiese Alistair. «Abbiamo ancora un'oretta di luce, credo.»

Aenor scosse la testa. «Non mi fido a proseguire oltre, siamo ormai quasi alle Selve...»

«Ha ragione. Anche se potete avvertire la Prole Oscura con più chiarezza di noialtri, quei mostri ci vedono perfettamente anche al buio. Di notte siamo prede fin troppo facili.» Disse Duran guardandosi attorno, la mano che accarezzava la lama dell'ascia. «Per questo le Vie Profonde sono così pericolose.»

«Spero di non doverci entrare ancora per molto tempo.» Ribattè tetro Alistair.

Trovarono un riparo sotto gli alberi, scavando nella neve e spostandola in modo da fare spazio ai giacigli per la notte. Non si fidarono ad accendere un fuoco, ma pescarono tra le provviste che avevano negli zaini.

Stanchi, si sistemarono in fretta per la notte.

Sentì piano piano gli altri appisolarsi. Duran russava sommessamente, mentre Alistair parlottava nel sonno. Geralt era immobile, dando le spalle al resto del gruppo. Qualcosa non andava in lui, da giorni, ma il mago aveva evitato qualsiasi domanda. Elissa era appoggiata a Biscotto, le zampe che si muovevano leggermente come se stesse scavando. Persino Wynne dormiva profondamente, provata dai giorni di marcia.

Falon si era sistemato ai piedi di Aenor, ma sembrava anche lui incapace di prendere sonno. La Custode scrutava il buio attorno a loro, inquieta. Si voltò: Sten, ad una ventina di metri da lei, montava la guardia, lo sguardo puntato in direzione opposta alla sua. Il Qunari sembrò accorgersi di essere osservato, perché girò la testa, facendole segno che era tutto tranquillo.

Le Selve erano immobili, una calma innaturale aleggiava su di loro: raramente si sentiva un grido di qualche rapace notturno, mentre il ronzio degli insetti aveva un qualcosa di sinistro, come distorto.

Cercando di scacciare il senso di inquietudine che le attanagliava lo stomaco, si avvolse ulteriormente nel mantello di pelliccia, massaggiandosi le orecchie infreddolite. Il mabari sollevò la testa, premendo il muso sul suo braccio.

Passò un braccio attorno al collo dell'animale, accarezzando il pelo ruvido con le dita. Chiuse gli occhi per un attimo, la stanchezza che prendeva il sopravvento...

Un ruggito terribile le rimbombò nelle orecchie. Riaprì gli occhi con un sussulto, terrorizzata, l'immagine dell'Arcidemone vivida di fronte a sé. Si tirò in piedi di scatto, afferrando la spada accanto a sé.

«Cosa-»

Un orrendo stridìo le perforò i timpani, e prima che il resto del gruppo potesse accorgersene, cinque Shriek comparvero dal nulla, gettandosi su di loro con zanne e artigli affilati.

Aenor si gettò di peso contro il più vicino, dando a Wynne il tempo di mettersi in piedi ed afferrare il proprio bastone magico. La lama calò sulla testa del mostro, tranciando la carne e recidendo gran parte del collo. Ignorando il fiotto di sangue scuro sull'armatura, finì il nemico con un ultimo fendente, gettando di lato il corpo e preparandosi ad affrontare il successivo, andando in aiuto di Geralt e Sten, che ne stavano affrontando due.

Vide Duran fare a pezzi uno Shriek, mentre Wynne lanciava una barriera di protezione sull'intero gruppo. Alistair ed Elissa ne eliminarono un altro.

«Maledizione, sono spuntati dal nulla!» Esclamò il Custode, guardandosi attorno allarmato. «State tutti bene?»

Aenor stava per rispondere, quando un movimento alle sue spalle catturò la sua attenzione. La creatura si ritrasse verso il fitto della foresta.

Senza nemmeno pensarci un attimo, l'elfa si lanciò all'inseguimento. Saltò agilmente sulle grosse radici di un albero, ricoperte di ghiaccio e neve, Falon che correva accanto a lei.

«Prendilo!» Ordinò secca al mabari, che la superò con un balzo.

Un tonfo e un gemito di dolore, segnalarono che il mastino aveva atterrato la sua preda.

Quando li raggiunse, rimase pietrificata.

«Vhenan...»

Le ginocchia picchiarono dolorosamente sul terreno ghiacciato, incapaci di reggerla in piedi. Di fronte a lei, schiacciata sotto il peso delle zampe del mabari, una figura dagli inequivocabili occhi azzurri la fissava implorante. Nonostante la pelle fosse butterata e macchiata, di un colorito violaceo e malato, Aenor avrebbe riconosciuto quella voce ovunque.

«Tamlen...»

Falon sembrò capire, liberando la sua preda.

«Vhenan, non guardarmi...» Parlava come se non vi fosse più abituato, il suono che ne usciva era raschiante, persino gli occhi azzurri avevano perso la loro luce, ma era lui.

Paralizzata, sentì le lacrime scenderle lungo il viso, incapace di fermarle. «Come...» farfugliò, allungando una mano verso di lui.

Tamlen si ritrasse, come spaventato, strisciando nella neve. «Non... non avvicinarti!»

Aenor non capiva. Sbattè le palpebre, barcollando in avanti, afferrandogli la mano. Era scheletrica, la pelle squamosa, così simile a quella dei Prole Oscura, ma non la lasciò andare.

«No! No!» Cercò di dibattersi l'altro, ma la presa della Custode era d'acciaio. «Lasciami, sono un mostro!» Gettò un grido disumano, in preda al panico. «La canzone, vuole che ti uccida!»

Lei cercava di immobilizzarlo, ma era sorprendentemente forte.

«Non posso zittirla! La sento, nella mia testa...»

«Tamlen, ti prego, possiamo aiutarti-»

«No! No, niente aiuto! È troppo tardi!» Con uno strattone, le fece perdere l'equilibrio, riuscendo a liberarsi. Indietreggiò carponi, ma un getto di luce lo immobilizzò all'istante.

«Aenor, sta' attenta!»

La Custode si girò di scatto. Geralt, il respiro affannoso per aver corso, teneva il bastone magico puntato verso di loro.

«Fermo, non fargli del male!» Urlò terrorizzata lei, frapponendosi tra Tamlen e il mago. «Lo conosco!»

«Chiunque fosse, ora è un ghoul, un servo della Prole Oscura.» Ribatté l'uomo, ma abbassò leggermente l'arma. «Mi dispiace.»

«No, deve esserci qualcosa che possiamo fare...»

«È troppo tardi.» Si voltò di nuovo verso Tamlen. Accanto a lui, Alistair, leggermente chino sull'elfo, scosse la testa. «La corruzione si è ormai impossessata di lui. L'unica cosa da fare è-»

Aenor si ritrovò in piedi, afferrando il bavero del Custode. «Non osare!» Ringhiò, fuori di sé. «Non dirlo neanche! Possiamo curarlo, come Duncan ha fatto con me!»

«Aenor...»

«Sta zitto!»

Lo schiocco del ceffone rimbombò tutto attorno. Alistair si portò una mano alla guancia, dove il guanto metallico di Aenor l'aveva ferito. Gli occhi color nocciola di lui fissi nei suoi, pieni di tristezza. La ragazza sollevò l'altra mano, per colpirlo di nuovo, ma rimase immobile, stringendola a pugno. Si morse un labbro, le lacrime che scendevano copiose. «Deve esserci un modo. Vi prego.»

«Anche con il rituale dei Custodi, Alistair ha ragione, è troppo tardi.»

«Qualche magia, qualche... Non posso...»

«Vhenan.»

Lo sguardo appannato si posò su Tamlen. Immobilizzato dalla runa di Geralt, sbattè le palpebre. «Vhenan, non ce la faccio più. Aiutami.»

Strisciò verso di lui, afferrandogli il volto con entrambe le mani, tremando come una foglia. «Dimmi cosa posso fare.»

Conosceva già la risposta. Tamlen sorrise, triste, mentre con la mano copriva la sua. «Ma ghilana mir din'an, ma vhenan. Lasciami andare.»

«È stata tutta colpa mia.» Singhiozzò. «Se non avessimo trovato quello specchio, se ti avessi fermato...»

«La colpa è mia. Ti prego, aiutami finché sono ancora me stesso.»

«Se solo fossi tornata a cercarti prima-»

La strinse con delicatezza. «Sono solo felice di averti portata fuori da quelle rovine, vhenan. Mi dispiace di non averti ascoltato.»

Aenor appoggiò la fronte alla sua, mentre con la mano libera afferrava il pugnale da caccia e, tremante, appoggiava la punta contro il suo petto, all'altezza del cuore.

«Ar lath ma, vhenan. E grazie.»

Si accasciò contro di lei, mentre il sangue colava su entrambi, inzuppandole le vesti e l'armatura. Lo strinse forte, fino a farsi male, scossa dai singhiozzi.

“Che Falon'Din mi guidi presto da te.”

Reggeva il corpo di Tamlen tra le braccia. I sussulti cessarono, il freddo che le entrava nelle ossa. Sentì a un tratto qualcuno che le sistemava un mantello attorno alle spalle.

«Non possiamo stare qui, è pericoloso.»

Alistair.

Tirò su col naso, la voce che faticava ad uscire. «E allora andate.»

«Mi dispiace. Ma è stata la cosa giusta da fare, non c'era altro modo...»

Non rispose. Come poteva essere giusto? Tamlen l'aveva cercata per tutto quel tempo e lei non aveva potuto fare niente per aiutarlo. Era ancora viva solo grazie a lui. Voleva soltanto farla finita, non aveva più forze.

«Alzati.» Le intimò Geralt. «Non puoi fare più nulla per lui, a parte dargli una sepoltura dignitosa. Se restiamo qui verremo fatti a pezzi, e non avrai la possibilità di uccidere quel maledetto Arcidemone.»

L'Arcidemone. Se lo avesse ucciso, avrebbe impedito che molti altri facessero la stessa fine, infettati dalla Corruzione. Lo specchio era ormai distrutto, se avessero fermato il Flagello...

«Non ho un seme di albero.» Balbettò dopo una lunga pausa. L'acero, era il preferito di Tamlen. Con le sue foglie rosse, e il dolce nettare che il ragazzo amava tanto raccogliere dalla corteccia. «Non posso lasciarlo qui, devo...» Si rialzò in piedi, sollevando il corpo, così leggero, troppo, per essere appartenuto all'elfo con cui cacciava nei boschi solo qualche mese prima. Incespicò in avanti, e fu solo grazie ad Alistair che non crollò a terra.

Trovarono poco lontano un grande albero coi rami spioventi, che sfioravano il laghetto gelato sotto di esso.

Aenor si inginocchiò accanto ad esso, facendo scivolare il corpo di Tamlen tra le radici con dolcezza. Gli chiuse gli occhi, accarezzandogli un'ultima volta la guancia. Prese il coltello e si tagliò una ciocca di capelli corvini, ponendogliela tra le mani gelide. «Che Falon'Din mi guidi da te, quando sarà il mio turno.» Disse in elfico, prima di fare un cenno a Geralt.

Il mago batté il bastone magico per terra terra e Tamlen cominciò a sprofondare nel terreno, che si richiuse sopra il corpo in volute di pietra, fino a che non sparì completamente, inghiottito sotto le radici contorte del grande salice.

«Tornate dagli altri. Ho... bisogno di un momento.»

Il mago annuì, girando i tacchi e andandosene.

Alistair rimase qualche secondo immobile accanto a lei, incerto se lasciarla sola o meno. «Qualcuno dovrebbe restare, se venissi attaccata...»

Aenor non aveva nemmeno la forza di ribattere. Lasciò che le si sedesse accanto, le lacrime che non accennavano a fermarsi. Sentì il muso umido di Falon premere sulla sua mano, e passò un braccio attorno al dorso del mabari, nascondendosi nella sua pelliccia.





 

L'alba li trovò già in viaggio.

Nessuno aveva chiuso occhio dopo quanto accaduto, così riuscirono ad arrivare alle porte della fortezza di Ostagar in breve tempo.

Aenor camminava in testa al gruppo, insensibile al vento e alla neve che aveva ricominciato a cadere.

«Le mura sono crollate.» Sentì Alistair commentare. «Sarà più facile entrare da quella parte, basterà nasconderci tra gli alberi.»

«Non hanno una vista molto sviluppata, contano soprattutto sull'olfatto e sull'udito.» Confermò Duran, mentre avanzavano circospetti verso il luogo dove avrebbe dovuto esserci la chiave sepolta tra le macerie. «Dovremo essere fuori di qui entro sera.»

«Eccolo, è quello.» Indicò Wynne, puntando il dito verso una pila di pietre cadute ai piedi di una statua spezzata a metà.

Recuperata la chiave, si guardarono attorno.

«Non pensavo sarei mai tornata qui.» Commentò Wynne.

«Gli credevo, sai?» Disse Alistair, chinatosi ad afferrare qualcosa sul terreno. «Che avremmo sbaragliato il nemico in una gloriosa battaglia...» Si fermò ad osservarlo.

Aenor si voltò verso di lui. Uno scudo giaceva infranto, lo stemma coi due grifoni rampanti macchiato di sangue rappreso.

«Non tutto è perduto, Alistair.»

«Sì, ma avrei voluto che Duncan fosse qui con noi.»

Duncan. Al solo sentire quel nome, Aenor poteva sentire l'astio montarle dentro. Se solo si fosse impegnato di più a cercare Tamlen, magari ora sarebbe stato lì con lei, un altro Custode Grigio.

Prima che potesse ribattere, avvertì della Prole Oscura avvicinarsi.

Alistair sfoderò la sua arma, e tutti si affrettarono ad imitarlo.

Lo scontro che seguì fu breve. Evidentemente, erano rimasti soltanto piccoli gruppi di Prole Oscura a guardia della fortezza: il grosso delle forze dell'Arcidemone era impegnato a distruggere l'intero paese, sparpagliandosi per il territorio.

«Guardate.»

Si voltò verso Alistair, che indicava il cadavere di un Hurlock. «Quella. È l'armatura di Re Cailean.»

Gli spallacci erano contusi e le fibbie ormai logore e consunte, il pettorale squarciato al punto che soltanto una parte delle insegne reali era ancora visibile, ma non vi erano dubbi.

«Dobbiamo trovare quelle lettere, Alistair.» Cercò di spronarlo Elissa.

Il Custode annuì, senza però muoversi, lo sguardo puntato a terra. «È sbagliato, che sia qui. Insozzato dalla prole oscura. Era suo

«Non è stato il primo re a cadere in battaglia e non sarà l'ultimo.» Si intromise Wynne.

«Lo so ma...»

Aenor osservò Elissa avvicinarsi al ragazzo alzando una mano come per sfiorargli il braccio. Improvvisamente, la Cousland sembrò ripensarci, fermandosi a poco da lui, il braccio che ricadeva lungo il fianco.

Il Custode sembrò non accorgersene. «Andiamo.»

Trovarono il forziere di Cailan tra i resti del padiglione reale. Recuperati i documenti, non ebbero nemmeno il tempo di sfogliarli che vennero attaccati nuovamente.

Respinsero i nemici fino al ponte sullo strapiombo che collegava l'accampamento alla torre di Ishal.

Aenor aveva ancora impressa a fuoco quella notte, come probabilmente anche Alistair e Wynne. Le fiamme che ruggivano alte fino al cielo, la Prole Oscura spuntata dal nulla in numero soverchiante, i cadaveri, la puzza di bruciato, le mura che venivano buttate giù, le urla, il fumo.

Ora, la coltre neve bianca copriva tutto, i loro passi ovattati l'unico suono udibile, le macerie e i pochi resti a testimoniare quella disastrosa battaglia.

L'elfa si ricordava di come era rimasta senza parole a guardare la vallata sotto di loro, la prima volta che aveva attraversato il ponte che collegava le due parti della fortezza.

Ora, però, a mozzare il respiro a tutti era uno spettacolo decisamente più brutale: su una rozza croce di legni marci, giaceva appeso un uomo, nudo, il cadavere deturpato e ormai deforme dai colpi ricevuti, il torace squarciato e banchetto per i corvi, orrendi uccelli neri e malati dal contatto con la Prole Oscura. Ciò che restava di Re Cailan Theirin.

Soltanto uno sciocco, tradito dalla sua stessa famiglia, morto per colpa dei suoi sogni da bambino.

Aenor non lo degnò di un secondo sguardo, ma scelse di dare il tempo ad Alistair di assimilare la cosa. Era pur sempre il suo fratellastro, anche se a stento si erano conosciuti...

Con la coda dell'occhio, vide un movimento all'estremità opposta del ponte.

Un Genlock agitava un bastone sopra la testa.

Gli scheletri accanto a loro cominciarono a sussultare, rimettendosi in piedi traballanti e fiondandosi su di loro. Li respinsero, cercando di avanzare verso la Torre di Ishal.

«Sono troppi!» Urlò Geralt ad un certo punto, colpendone un paio con una palla di fuoco e mandandoli in frantumi di cenere. Dietro ce n'erano altri. «Dobbiamo liberarci del necromante!»

Corsero a perdifiato fino alla torre, buttando giù la porta con un pugno di pietra di Wynne.

Inseguirono il Genlock per tutti i sotterranei della torre, combattendo i cadaveri rianimati giusto lo stretto necessario, preferendo intrappolarli tra i piani e farli cadere tra le voragini nel pavimento, le ossa che andavano in frantumi quando toccavano il terreno.

Finalmente usciti, si ritrovarono sul campo di battaglia, quello dove erano morti così tanti Custodi Grigi e il Re in persona, con la maggior parte della sua guardia.

Un enorme cadavere spiccava tra gli altri: ciò che restava di un Ogre, il più grosso che avessero mai visto, una spada e un pugnale che gli spuntavano dal petto, incastrati nella cassa toracica. Il Genlock necromante mosse nuovamente il suo bastone. L'Ogre sussultò, gli enormi artigli a fendere l'aria.

«Oh no che non lo fai!»

Una runa di paralisi immobilizzò il Genlock sul posto, impedendogli di ultimare l'incantesimo.

Aenor lo caricò di peso, mozzandogli di netto la testa. Soddisfatta, rinfoderò la spada, ringraziando Geralt con un cenno.

«Abbiamo quei documenti, ora andiamo a seppellire quell'idiota di un Re.»

Ricevette in risposta sguardi spiazzati.

«Veramente, gli Andrastiani bruciano i loro morti...» riuscì a dire il mago.

L'elfa scrollò le spalle. «Ai morti non cambia niente.»

«Alistair?»

Elissa guardava l'altro Custode con preoccupazione.

Il ragazzo si era arrampicato con difficoltà sul cadavere dell'Ogre e aveva estratto le due lame che spuntavano dalla bestia. Scese con un salto, mostrandole al resto del gruppo. «Erano di Duncan.»

«Pensi che ci possa essere anche il suo corpo, qui?» Chiese titubante Elissa.

L'altro si guardò attorno, gli occhi lucidi. «Non credo. In ogni caso, non possiamo attardarci troppo, non avrebbe voluto ci mettessimo in pericolo per una cosa del genere.»

Inaspettatamente, fu Duran ad avvicinarsi a lui, annuendo solennemente. «I Custodi Grigi muoiono da soli, circondati dalla Prole Oscura. Si è fatto onore, ad uccidere un Ogre come quello. Porta con te la sua spada, nelle battaglie future.»

Alistair abbassò il capo, accarezzando con la punta delle dita l'acciaio rosso della lama. Tolse quindi la propria dal fodero, sostituendola con quella di Duncan. Dopo un attimo di esitazione, porse il pugnale ad Aenor. «So che non l'hai ancora perdonato per averti reso un Custode Grigio, ma è una buona arma, e avrebbe voluto restasse coi Custodi.»

L'elfa rimase sorpresa. Era sicura che stesse piangendo, invece negli occhi dell'altro c'era solo una ferma determinazione, e fu quella che la spinse ad accettare il pugnale, nonostante tutto.

«Ora torniamo dal Re.»

Aenor annuì, seguendolo.



















Note dell'Autrice: non c'è una gioia manco per sbaglio. Questo capitolo è stato particolarmene difficile da scrivere, e ancora non ne sono pienamente soddisfatta. La scena con Tamlen mi ha sempre fatta piangere, nel gioco, e riportarla qui... non è stato piacevole, ecco. 
"Ma ghilana mir din'an" significa "guidami verso la morte"
"Ar lath ma" è un modo di dire "ti amo"
Falon'din è il dio dei morti nel pantheon elfico, che guida le anime nell'aldilà.

Come al solito, i commenti sono ben accetti. 

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Capitolo 23
*** Selve Korkari ***



CAPITOLO VENTITRÈ: SELVE KORKARI




 

 

Posero la salma del Re sul terreno ghiacciato.

«Mi dispiace che non possiamo preparare una pira, come si conviene.» Alistair fissava il fratellastro, il volto in ombra. «D'altra parte, se accendessimo un fuoco, ci sarebbero addosso in un attimo.» Si allontanò di qualche passo dal corpo, mentre Wynne picchiava tre volte il bastone a terra.

Una serie di cerchi concentrici si aprirono sul terreno, inghiottendo Re Cailan Theirin tra le pietre dell'antica fortezza di Ostagar.

«Quando avremo sconfitto l'Arcidemone, torneremo qui e gli daremo un funerale degno di un Re. Per il momento, questo terrà la Prole Oscura lontana.» Disse solennemente la maga.

“Quando.”

Elissa a malapena riusciva a trattenere lo sconforto che l'aveva pervasa non appena si erano avvicinati alla fortezza. Un esercito di migliaia di uomini era stato spazzato via come foglie, come avrebbero fatto loro a vincere, con un paese diviso dalla guerra civile e così tanti soldati morti?

Fergus. Fergus era stato ucciso in quel luogo, e ora probabilmente giaceva assieme agli altri cadaveri, o peggio, era stato trascinato nelle gallerie sottoterra da quei mostri, cadavere anonimo fra migliaia di altri. Suo fratello, l'unica famiglia che, scappata da Altura Perenne, credeva ancora di avere. Ora, guardando la vallata disseminata di morte sotto di loro, ne era certa: non lo avrebbe mai più rivisto.

Biscotto le strofinò il naso umido contro la mano.

«Lo so. Manca anche a me.»

Si rimisero in viaggio.

 

Prima che calasse il buio, erano riusciti ad allontanarsi a sufficienza da Ostagar per accamparsi. Memori della notte precedente, stabilirono dei turni di guardia di tre alla volta.

Mentre mangiavano le provviste contenute negli zaini, Elissa estrasse i documenti trovati nel forziere del Re. Erano tre lettere, di cui una appariva particolarmente stropicciata.

«Questa è dall'Imperatrice Celene Valmont di Orlais.»

«L'imperatrice?» Esclamò Alistair.

«Stando a quanto dice, i suoi Chevaliers sarebbero dovuti arrivare, accompagnati dai Custodi Grigi di Orlais.»

«Tipico degli Orlesiani, non mantenere le promesse!» Sbottò il ragazzo. «Scommetto che vedrebbero volentieri il Ferelden distrutto, pur di cercare di accaparrarsene almeno un pezzo.»

Elissa, per quanto avesse anche lei i suoi dubbi, scosse la testa. «Sembra sinceramente intenzionata ad un'alleanza con Re Cailan.»

Il Custode afferrò la lettera, rileggendola più volte, incredulo. «Forse hai ragione...»

«C'è dell'altro.» Lesse lei, prendendo la seconda pergamena. «Questa è di Arle Eamon.»

«L'Arle non è mai arrivato con le sue forze ad Ostagar, il Re scelse di non aspettare tanto a lungo.» Si intromise Wynne, avvicinandosi a loro. «Teyrn Loghain e tutti i suoi consiglieri erano contrari, ovviamente, ma il Re era coraggioso quanto avventato.»

«Non parla soltanto della battaglia, ma della sua preoccupazione per l'assenza di un erede, nel caso il Ferelden fosse rimasto senza un Re.» La Cousland porse agli altri due il foglio. «Suggerisce di mettere da parte la regina Anora, e parla di una discussione già avvenuta tra lui e il Re a riguardo.»

«Loghain deve aver letto questa roba, e avrà pensato di ucciderlo per evitarlo!»

«Non è tutto, Alistair.» Gli allungò l'ultima lettera, un'altra missiva da parte dell'Imperatrice Celene, scritta in tono sospettosamente informale.

Calò il silenzio, mentre gli altri due leggevano le parole scritte in inchiostro dorato, i caratteri pomposi e svolazzanti.

«Credo che l'Imperatrice avesse un piano ben preciso, su come annettere il Ferelden all'Impero.» Commentò Elissa, il disgusto palese nel suo tono. «Loghain deve aver messo le mani sulle lettere, tirato le somme e deciso di impedire a Cailan di distruggere tutto ciò per cui lui e Re Maric avevano lottato.»

«Uccidendo suo nipote, il suo Re!» Sbottò Alistair, facendo sobbalzare tutti.

Elissa non si scompose. «Un uomo che stava per ripudiare sua figlia, in nome di un'alleanza con il peggior nemico del nostro paese. Un alleanza che avrebbe posto sul trono di Re Maric Theirin il frutto di un matrimonio con una Valmont di Orlais.»

«Lo stai difendendo!»

«Nient'affatto!» Perse la pazienza lei. «Sto solo dicendo che ora capisco il motivo del suo tradimento! Non l'avrà fatto a cuor leggero, Alistair, era pur sempre il figlio del suo migliore amico.»

«Proprio un bell'amico! E continui a difenderlo!»

La ragazza represse l'istinto di sbattere il piede per terra, alzandosi di scatto, furente. «Non hai capito un accidente.» Si andò a sedere al lato opposto del campo, dando le spalle al Custode.

Duran non le disse nulla, ma le porse una fiaschetta di pelle, con l'aria di chi la sapeva lunga.

Lei si sorprese ad accettare, ringraziandolo.

«Figurati, ne abbiamo tutti bisogno.»

Ne prese un sorso. Il liquido le scese rovente per la gola, scatenandole un attacco di tosse. «Ma che è?» Riuscì a bofonchiare dopo aver ripreso faticosamente fiato.

«Lava di Hirol. Incredibile come in superficie si possa trovare più facilmente che ad Orzammar...»

Elissa si affrettò a restituirgli la fiaschetta, giurando solennemente a sé stessa che non avrebbe mai più accettato da bere dalla fiaschetta di un nano.

«Allora, tra te e il Custode?»

Lanciò uno sguardo risentito alle proprie spalle. «Non volevo litigare.»

«Spesso per chiarirsi serve urlare almeno un po'...»

«Non è esattamente nel mio stile.»

«L'avevo notato.» Il nano fece tre lunghi sorsi dalla fiaschetta, senza battere ciglio. «Sai, a volte bisogna rompere della roccia per vedere la vena di argento.»

Lo guardò confusa.

«Quello che intendo dire, è che il ragazzo ha un gran bisogno di darsi una svegliata. Vede solo quello che vuole lui, e si comporta come un bronto, correndo dritto per la sua strada a conclusioni affrettate, senza ascoltare i pareri altrui.»

«È anche sotto un'enorme responsabilità...»

«Sicuro. E il fatto che quei due non vadano d'accordo praticamente su nulla, non semplifica certamente loro la vita. Ma dovrebbero entrambi smussarsi dalle loro posizioni, soprattutto se vogliono davvero guidare un esercito contro il Flagello.»

Elissa annuì. Duran aveva ragione, ma in fondo, chi tra di loro avrebbe saputo gestire una tale responsabilità? Sulle spalle di due poco più che ragazzini, gravava il peso di un'intera nazione. Sentì una stretta allo stomaco, seguita dal senso di colpa. Alistair aveva già così tanto a cui pensare, e lei aveva peggiorato la situazione mettendocisi in mezzo, lasciandosi prendere dai sentimenti.

Da quando era scappata dopo averlo baciato, nei primi giorni il comportamento del ragazzo era stato più freddo e distaccato, ma piano piano era tornato ad essere il solito Alistair, anche se qualcosa tra loro sembrava irrimediabilmente cambiato.

«Vorrei solo...» Si strinse nel mantello, cercando le parole giuste, invano. Scosse la testa.

Duran annuì, come se avesse capito, senza aggiungere altro. «Beh, direi che vado a chiudere gli occhi, domani avremo un'altra bella marcia nella neve.» Annunciò, un filo di disgusto nel guardarsi attorno. Era chiaro come l'inverno non lo esaltasse.

Elissa rimase da sola a contemplare le selve attorno a loro, sovrappensiero.

«Un tè caldo?»

Alzò lo sguardo su Wynne, un bicchiere fumante in mano. Annuì, riconoscente, mentre la maga le si sedeva accanto.

«Le tue considerazioni su Loghain sono fondate, sai? Solo, l'odio di Alistair verso il reggente non lo fa ragionare. Ha perso una figura importante per lui, ad Ostagar, e le cicatrici sono troppo fresche.»

«Duncan... com'era?» Chiese Elissa, curiosa sull'uomo che aveva reso Alistair un Custode.

«L'ho conosciuto appena, quindi non saprei dare un vero giudizio, ma era una persona onorevole, ligio al dovere. Ha cercato di convincere il Re a scendere in battaglia con prudenza, a non dar retta alle vecchie storie di eroi e grifoni, ma i giovani sono imprudenti e sconsiderati.»

«Aenor ha menzionato come sia stata coscritta a forza nei Custodi Grigi.»

«Sì, è nelle capacità di un Custode il poter arruolare chiunque tra le loro fila, dai semplici popolani a re e regine. Non è un metodo che usano spesso, come puoi facilmente immaginare, ma quando trovano qualcuno con delle abilità particolari che potrebbero portare grandi benefici all'Ordine, sono in grado di superare qualsiasi altra legge e coscrivere anche contro la volontà del reclutato.»

«Sembra orribile.» Rispose la ragazza dopo una breve pausa. Essere portati via a forza dalla propria casa, costretti ad affrontare quei mostri per il resto della vita... «Alistair mi ha detto che Duncan aveva usato il Diritto di Coscrizione per portarlo via ai Templari, contro il volere della Venerata Madre e del Comandante. Però lui era contento di lasciare quella vita.»

«Purtroppo, c'è più bisogno di eroi di quanti si offrano volontari, di questi tempi, e i comandanti devono fare delle scelte difficili, in caso di necessità.» Disse Wynne. «E un Custode, come un re e molti altri in posizione di prestigio, non possono permettersi il lusso di cedere ai sentimenti.»

Elissa sentì le guance imporporarsi. Sperò che nella fioca luce delle piccole fiammelle bluastre accese dai maghi, non si notasse. «Lo so.»

«Sono stata giovane anche io, un tempo, anche se non si direbbe. So com'è facile innamorarsi di qualcuno, anche quando tutta la nostra ragione ci suggerisce il contrario. Il cuore è capriccioso, ma in molti casi è necessario imbrigliarlo.» Parlava come se stesse rimuginando su qualcosa, accaduto molto tempo prima. Elissa sapeva che le relazioni nei Circoli erano viste di cattivo occhio, ma non si era mai interessata al punto di chiedere direttamente ai diretti interessati, complice anche il fatto che a ben pochi maghi veniva concessa la libertà di andarsene in giro. Erano pericolosi, se lasciati fuori dal vigile controllo dei Templari, e il mago del sangue che viaggiava con loro ne era la prova lampante.

«Vi siete mai innamorata di qualcuno al punto da immaginare per un attimo una vita diversa? Da voler scappare, anche solo per un poco, alla realtà?»

La maga sorrise con dolcezza, uno sguardo melanconico negli occhi. «Tanto tempo fa, quando ero giovane e avventata.»

«Siete ancora un po' avventata, a viaggiare con noi.»

Wynne ridacchiò, riprendendo il racconto. «Come saprete, le relazioni tra maghi non sono incoraggiate, men che meno il matrimonio, perché produrrebbero molto probabilmente figli con capacità magiche. E qualunque figlio di maghi residenti in un Circolo, viene cresciuto dalla Chiesa e, se a sua volta in grado di usare la magia, mandato in un Cirolo diverso.»

Realizzò finalmente ciò che doveva essere successo. «Vi è stato portato via, quindi.»

La maga annuì. «Era per il suo bene, ma il padre cercò di dissuadermi, sollevò un polverone per mandare il bambino alla famiglia di sua sorella, almeno per i primi anni...»

«Era un mago?»

«No, non era un mago. E forse ciò rese ancora più difficile gli anni a seguire. Dopo essere stato allontanato per un anno dalla Torre, tornò un uomo diverso, più freddo. Non credo mi abbia mai perdonata di non aver lottato per il nostro bambino, ma sapevo che era la scelta giusta. Ne sono ancora convinta.»

Cadde il silenzio. Elissa non riusciva nemmeno ad immaginare quanta forza di volontà servisse a lasciar andare il proprio figlio, a non rivederlo più, sapendolo nelle mani di sconosciuti. «Non vi siete più sentiti?»

Wynne scosse la testa. «A che servirebbe? Gli arrecherei soltanto altro dolore, adesso è anche lui un Incantatore Anziano di un prestigioso Circolo, non c'è bisogno di aprire vecchie ferite.»

La ragazza si morse la lingua per non ribattere. Non era giusto, magari il figlio avrebbe voluto sapere qualcosa sulle proprie origini. Sapere di avere una famiglia, da qualche parte. Tuttavia, non erano affari suoi, e la maga sembrava soffrire abbastanza senza che lei ci mettesse del proprio.

«So che vi sembra assurdo ed egoista da parte mia.»

Elissa scosse la testa. «Non sta a me intromettermi nei vostri affari.»

La maga ridacchiò. «Siete così educata! Ai miei tempi, avrei fatto fuoco e fiamme, a sentirmi fare la ramanzina da una vecchia rompiscatole.»

«Non dite così!»

Risero entrambe.

«Ho notato gli sguardi tra voi ed Alistair.» Proseguì l'anziana. «E, se posso permettermi, credo stiate facendo la cosa giusta. Avete entrambi troppe responsabilità, e troppo grandi, per potervi permettere di innamorarvi a cuor leggero.»

Elissa distolse lo sguardo, bevendo ciò che restava del tè caldo. «E se non volessi fare sempre la cosa giusta?» Ripensò alle labbra morbide di Alistair, alla sua schiena forte, alle braccia muscolose che l'avevano stretta per un attimo, il suo profumo...

«So che può sembrare spietato da parte mia, ma l'amore è un lusso che nessuno di voi può permettersi. L'amore è egoista, e impone di scegliere l'altro sopra qualsiasi cosa. Occupa la mente e il cuore, impedendo di concentrarsi sui propri doveri. Potreste trovarvi davanti a delle scelte difficili, e sarà molto più arduo se uno di voi due fosse coinvolto personalmente.»

Le parole erano dure, ma Elissa sapeva che era la verità. La maga voleva solo proteggerli, finchè erano ancora in tempo, dal finire in una situazione simile a quella che era capitata a lei.

«Questo è solo il mio consiglio, però.» Concluse Wynne amaramente. «La scelta finale sta a voi, ma mi sembri abbastanza matura da capire i pericoli che correte.»

«Avete ragione.» Ammise a malincuore la ragazza. «Se fossimo stati due persone diverse, magari in tempi di pace...» Scosse la testa. «No, cosa dico. Ho sempre saputo che mi sarei sposata con qualcuno di nobili origini, e un Custode Grigio non sarebbe mai stato preso in considerazione, nemmeno se figlio illegittimo del Re. E nella mia attuale situazione, sono l'ultima dei Cousland. Spetta a me portare avanti il nome della mia famiglia, e riprendermi ciò che è mio. Alistair ha un compito importante, ma l'Arcidemone non è il solo che minaccia il Ferelden, e il miglior modo per stabilire un'alleanza tra le casate nobiliari, è sempre stato il matrimonio.» Realizzò con sgomento quanto assomigliasse alla madre, in quel momento. Aveva sempre sognato di sposarsi per amore, con un figlio di qualche nobile casata alleata, in una grande festa dove il padre l'avrebbe accompagnata dal futuro marito con un sorriso sul volto, attorniati dalle famiglie di entrambi.

Ora, ciò che probabilmente l'aspettava era un matrimonio basato sulla convenienza, mentre l'uomo che amava, anche nell'eventualità che fosse sopravvissuto al Flagello, sarebbe partito per chissà dove al servizio dei Custodi Grigi, senza poterlo vedere mai più.

Con un nodo alla gola, si voltò verso Alistair, che ignaro di tutto si era messo a dormire, praticamente sepolto sotto la coperta in cui si era avvolto, russando leggermente. «È la cosa giusta da fare.» Ripetè, più a sé stessa che a Wynne.

«Vi ho sgridato abbastanza per stasera, andrò a riposarmi.»

Guardò la maga allontanarsi. Presto, calò il silenzio.

Dall'altra parte del campo, incrociò lo sguardo di Aenor, gli occhi verdi dell'elfa che riflettevano la luce delle fiammelle magiche. Sten, che era di guardia con loro, era di spalle, immobile.

Un fruscio la fece sobbalzare, ma dalle fronde degli alberi si librò in volo un uccello, scheletrico e dall'aspetto malaticcio.

Sperò che la notte passasse in fretta, non vedeva l'ora di allontanarsi dalle selve.


Il giorno dopo, partirono all'alba, sperando entro sera di raggiungere la strada maestra per Redcliffe.

Verso mezzogiorno, Aenor annunciò che avrebbe preso una deviazione.

«Sei impazzita?» Esclamò sgomento Alistair.

«Devo occuparmi di una cosa.» Fu l'unica risposta che riuscirono a cavarle, e l'elfa fu irremovibile. A nulla servirono i tentativi dell'altro Custode di farla ragionare, sembrava che le selve infestate di Prole Oscura non la preoccupassero affatto. Permise soltanto a Geralt e Sten di accompagnarla e, dopo aver annunciato che li avrebbe raggiunti a Redcliffe entro breve, si allontanò senza salutare.

«Avrei dovuto fermarla.»

«Alistair, per l'ennesima volta, non c'era nulla che tu potessi fare.»

«Avrei potuto prenderla di peso e trascinarla fino a Redcliffe.»

Elissa represse l'istinto di alzare gli occhi al cielo. «Ti avrebbe probabilmente staccato un braccio. A morsi. Per non parlare di Falon.»

Il Custode emise un gemito affranto. «Si caccerà in qualche guaio. Non la vedremo più. Probabilmente sta pensando di affrontare l'Arcidemone a testa bassa.»

«Alistair, abbi un po' di fiducia. Se l'è cavata piuttosto bene, ad Haven.» Cercò di confortarlo Wynne.

«Oh, non dire che ti senti bene sapendola in viaggio con un Qunari dagli istinti assassini e un mago del sangue!»

«Per quanto mi dispiaccia ammetterlo, sembra che con quei due vada d'accordo. E poi, le hai ceduto tu il comando, non ricordi?» Lo rimbeccò la maga.

«E anche se non l'avesse fatto, dubito che Aenor si sarebbe fatta dare ordini da qualcuno...» Bofonchiò Elissa, a voce abbastanza alta perché i suoi compagni di viaggio potessero sentirla.

Duran ridacchiò, completamente estraneo alla loro preoccupazione. «Da quanto ho potuto vedere, la ragazza è in gamba. Smettetela di preoccuparvi.»

«È solo che non capisco dove sia andata! Cosa ci può essere nelle Selve di così importante?»

«Magari c'è qualche rovina elfica, o cose così.»

Il Custode le rivolse uno sguardo scettico. «Sì, l'archeologia mi sembra un valido motivo per mettere in secondo piano il Flagello.»

Elissa si strinse nelle spalle. «Qualsiasi cosa sia, ormai è inutile, è andata. E tornerà, come fa ogni volta.»

Alistair borbottò qualcosa, cupo, ma lasciò cadere la conversazione.






 

 

«Mi stai dicendo che vuoi andare a trovare una strega ultracentenaria e potenzialmente immortale, e chiederle cortesemente di lasciar perdere i suoi piani di vita eterna, consegnandoti pure il suo grimorio?» Chiese, sgomento.

Aenor sbuffò sonoramente. «Già.»

«Ti rendi conto che è una follia, vero?»

«Senti un po', nessuno ti ha chiesto di venire. Ci potevo andare anche da sola, ma voi avete insistito ad accompagnarmi. Quindi, se non ti sta bene, puoi ancora raggiungere gli altri. Altrimenti, prendi esempio da Sten e fai un po' di silenzio. Siamo in un bosco pieno di Prole Oscura, non nella sala da pranzo della tua torre.» Replicò acida.

«Con quelli là da solo non ci viaggio.» Bofonchiò Geralt. Era un'idea folle. Flemeth, quella Flemeth, li avrebbe fatti violentemente a pezzi senza nemmeno fargli finire la prima frase. E anche nella migliore delle ipotesi, se fosse stato vero che dopo la battaglia di Ostagar si era presa la briga di salvare i due Custodi, in ogni caso avrebbe fatto a pezzi lui e il Qunari.

Non che gli importasse granchè del silenzioso e ostile compagno di viaggio, anzi, in una qualsiasi altra situazione ne avrebbe accolto l'esecuzione con sollievo e, perché no, soddisfazione, ma nel bel mezzo delle Selve Korkari, circondati da Prole Oscura, streghe mitologiche, pozze di fango profonde metri e animali putrescenti dalle spropositate dimensioni, riconosceva l'utilità di una spada in più nel gruppo. Seppur tenuta da un fanatico sotto lavaggio del cervello del Qun, che odiava la magia e tutti i maghi anche solo con un minimo di iniziativa personale.

«E comunque, fallo per il grimorio.»

Se fosse stato possibile per gli umani, avrebbe drizzato le orecchie. «Intendi dire che posso darci un'occhiata?»

L'altra annuì. «Ovvio. Prima che ti scopra Morrigan, certo, ma dato che non mi fido completamente di lei, voglio che tu scopra cosa hanno in mente lei e sua madre.»

Il vero grimorio di Flemeth?! Già soltanto quel diario che aveva studiato per settimane era stato interessantissimo, ma mettere le mani sul vero e proprio libro di incantesimi... al solo pensiero gli formicolavano le dita. Chissà quali incantesimi antichi, e ovviamente proibiti dalla Chiesa, avrebbe potuto imparare. Non avrebbe nemmeno dovuto chiedere di nuovo a Morrigan di insegnargli a cambiare forma. E magari avrebbe trovato un'altrettanto valida alternativa alla magia del sangue, o qualcosa che lo aiutasse a respingere i demoni che ogni notte lo insidiavano fastidiosamente.

«Non emozionarti troppo, topo di biblioteca.»

«Mi sorprende tu sappia cos'è una biblioteca.» Ribattè piccato. Anche alla torre, dove tutti erano più o meno degli studiosi accaniti, spesso si erano presi gioco di lui per aver passato troppe ore sui libri, fino ad addormentarsi su qualche grosso tomo sui tavoli della biblioteca. Certo, dopo che aveva dato “accidentalmente” fuoco alle vesti di qualche spiritosone, avevano smesso in fretta di infastidire sia lui che i suoi amici.

«L'ho sentito dire da Alistair.»

«Comunque, grazie.» Borbottò Geralt. «Di avere fiducia più in me che in Morrigan, dico.»

«Normalmente non mi fiderei di nessuno dei due, ma ti ho salvato il culo più volte, e tu hai ancora bisogno di me, quindi credo di essere abbastanza al sicuro.» Spiegò candidamente. «E nessuno sano di mente si fiderebbe ciecamente di Morrigan, per quanto mi stia simpatica.»

«State facendo troppo fracasso.» Li rimbeccò il Qunari, dopo ore di silenzio. «I Prole Oscura dovrebbero essere sordi, per non sentire il vostro battibeccare.»

Aveva ragione.

Procedettero senza una parola per il resto del pomeriggio, finchè la luce non andò a svanire. Geralt stava perdendo ormai le speranze di una sosta, quando Aenor si bloccò di colpo.

Falon, accanto a lei, puntava il naso all'insù.

Si avvicinò un poco, facendosi luce con il bastone magico. Era un teschio di corvo, due piume attaccate alla base, che penzolava dal ramo di un albero.

«Dimmi che è un segno di benvenuto in uso tra i selvaggi.»

Ennesimo sbuffo. «Segnala che ci stiamo avvicinando. Statemi vicino, il sentiero passa accanto alle paludi.» Senza aggiungere altro, si incamminò con sicurezza alla sinistra dell'albero, dove puntava il becco del corvo.

Proseguirono per un po', l'elfa che faceva strada tra i teschi appesi, che diventavano man mano sempre più inquietanti. Gli ultimi erano chiaramente umani. Ad un certo punto, dopo una curva, videro una luce riflettersi sulla superficie dell'acquitrino.

«Non so se preferisco i teschi spolpati o la capanna nelle paludi...»

«Per uno che non vedeva l'ora di uscire dalla sua gabbia, sei piuttosto pesante, toposhem.»

«Sai, una volta ho incontrato un topo che sapeva parlare. Era in realtà un demone, ovviamente, eravamo nell'Oblio, ma sapeva un sacco di cose e mi ha persino aiutato, prima di cercare di impossessarsi del mio corpo. Quindi ho deciso che non lo prenderò come un insulto.»

L'altra rispose soltanto con una risatina, prima di tornare immediatamente seria. «Ora, fate parlare me. Non ho idea di come reagirà.»

“Male.” Suppose Geralt. E che razza di avvertimento era, far parlare lei? “E io che temevo che il Qunari si sarebbe messo a a dar prova delle sue doti canore come un menestrello orlesiano!”

A quanto pare, la strega doveva essersi accorta dell'arrivo dei visitatori, perché una figura si stagliava nella nebbia, la sagoma scura per via della luce dalla finestra alle sue spalle.

Quando si avvicinarono ulteriormente, Geralt dovette trattenersi dall'imprecare. “Quella dovrebbe essere Flemeth?!” Pensò, confrontando la donna in abito di pelle e armatura leggera, la generosa scollatura che si apriva su dei seni certamente non da vecchia, i capelli raccolti in quattro spuntoni sulla testa a ricordare un drago, con l'immagine di una vecchia come Wynne.

Vide Falon irrigidirsi, le orecchie tirate indietro per la paura.

«Ah, vedo che la Custode fa ritorno dalla vecchia Asha'bellanar.» Li salutò la strega, un sorriso feroce in volto. «Hai intenzione di parlare civilmente, o preferisci passare direttamente alle armi?»

«Ara seranna-ma, Asha'bellanaris. Veniamo in pace, per il momento. Ho delle domande da porvi, e un favore da chiedervi.»

Gli angoli della bocca della donna si piegarono ulteriormente, facendogli venire la pelle d'oca. «Allora entra, Aenor dei Dalish. Siete i benvenuti.»

Una volta dentro la capanna, dovette ammettere di essersi aspettato di più. Non era altro che una semplice casetta di legno, con molte erbe appese a seccare e un pentolone posto sulle braci scoppiettanti.

«Accomodatevi, avevo giusto preparato per qualche ospite.»

Nessuno si prese la briga di chiedere come facesse a saperlo. Magari, pensò Geralt, li aveva seguiti per tutto quel tempo, persino ad Ostagar, sottoforma di qualche animale.

Annusò la zuppa, circospetto, ma appena vide Aenor tracannarla di gusto, si convinse che non c'era nulla da temere, almeno dalla cena. Era infatti un semplice intruglio di verdure, che però servì a scaldargli le membra e riempirgli lo stomaco. Mangiò di gusto, lieto finalmente di avere qualcosa di diverso dalla carne secca, pane e formaggio.

Notò che Sten invece non stava toccando cibo, rifiutandosi di riempirsi la ciotola di zuppa e di toccare persino l'acqua offerta loro.

Falon, ai piedi della Custode, rosicchiava una carcassa di qualche bestia indefinibile.

«Morrigan dice che il segreto per la vostra lunga vita sia impossessarvi del corpo delle vostre figlie.»

Quasi si strozzò con la zuppa. Tossì, cercando di riprendere fiato, maledicendo la totale mancanza di tatto dell'elfa.

Flemeth scoppiò a ridere, un suono che gli fece accapponare la pelle. «Davvero? E come sarebbe giunta a questa conclusione?»

«Abbiamo trovato dei vostri scritti nella torre dei maghi.»

“L'ho trovato io, quel libro”. Pensò puntigliosamente Geralt. Era stato lui ad approfittare di quello scompiglio per sgattaiolare nello studio di quel vecchio odioso del Primo Incantatore Irving e sgraffignare tutto ciò che poteva essere utile.

«Ah, quindi era a Kinloch Hold? Immagino che sia stato tu allora a trovarlo. Curioso, un mago del sangue che proviene dal Circolo, pensavo li avessero uccisi tutti ultimamente...»

Deglutì a vuoto, gli occhi gialli della strega fissi nei suoi. Annuì, senza sapere bene cosa fare. Non sembrava tuttavia ostile, quanto divertita.

«Non tutti.» Rispose con la gola secca.

«Evidentemente... Così la cara Morrigan ci ha messo le mani sopra, ha tirato le sue conclusioni, e trovato un galoppino che facesse il lavoro sporco per lei.» Proseguì Flemeth. «Sei qui per uccidermi, Custode, eppure dici di venire in pace.»

Aenor ripose il cucchiaio nella ciotola ormai vuota, sul volto un'espressione decisa. «Sono in debito di vita con voi, per quanto questo mi dia fastidio. Non sono venuta per uccidere, ma per parlare.»

«Ah, ma ti dà fastidio l'essere in debito, o l'essere in vita?» Ridacchiò la strega. «Hai uno sguardo diverso dall'ultima volta che i nostri cammini si sono incontrati, Custode, ma l'ombra nei tuoi occhi è la stessa.»

L'elfa non rispose.

Geralt l'osservò meglio, lo stomaco che si stringeva. Era preoccupazione, quella che provava?

«Beh, sei venuta fin qui, chiedi ciò che vuoi. Ma non garantisco le risposte che cerchi.»

Seguì una pausa, durante la quale il mago si affrettò a bere il resto della zuppa, temendo che a breve sarebbero stati cacciati o trasformati in segnaletica palustre di dubbio gusto.

«Non credo possiate davvero impossessarvi del corpo di Morrigan.» Cominciò Aenor. «E sapevate perfettamente dov'era il vostro libro, non credo vi sfugga niente di così importante. E credo anche che abbiate previsto che Morrigan venisse a sapere del rituale, volevate solo sapere come avrebbe reagito. Anzi,» si corresse «come io avrei reagito.»

«Ah, ti credi così importante?» La sbeffeggiò la strega.

L'elfa rimase impassibile. «Abbastanza da essere una degli unici due Custodi Grigi che avete salvato dal massacro. È ovvio che vi serviamo, altrimenti non avreste alzato un dito.»

«Magari me ne serve soltanto uno.»

Fu la volta di Aenor di ridere. «Alistair? Non saprebbe trovare il proprio piede nello stivale, la maggior parte del tempo. Non vi aspetterete riesca a sconfiggere l'Arcidemone e tutto il suo esercito da solo.»

Flemeth sembrava soddisfatta. «Sembra che siamo giunte ad un punto di stallo, quindi, Custode. Ora, spetta a te. Cosa hai intenzione di fare? Credere a Morrigan, e aiutare la tua compagna di viaggio a sbarazzarsi di sua madre? Oppure farle credere di avermi ucciso, prendere il grimorio e andartene per la tua strada ad adempiere al tuo compito?»

«Non posso lasciarvi vivere senza delle risposte certe. E voi non potete permettervi di uccidermi.»

«Risposte, è questo che vuoi? Non c'è nulla di certo in questa vita, mia cara.»

«Non mi confonderete a parole. Parliamo chiaramente, o potranno esserci soltanto due risultati: il primo, voi mi uccidete e il vostro piano salta, il secondo, vi uccidiamo noi, e voi perdete un sacco di tempo a tornare in vita.» La guardò dritta negli occhi. «Perchè sono certa abbiate qualche altro modo per sopravvivere, a parte usare Morrigan.»

La strega chinò la testa da un lato, un lieve sorriso ad arricciarle le labbra. «Predatrice, se i Dalish avessero avuto tutti il tuo spirito, forse le vostre terre sarebbero ancora vostre. E sia, parleremo chiaramente.» Si voltò verso Geralt e Sten, gli occhi ridotti a fessure. «Ma i nostri discorsi non sono per le orecchie di tutti. Forza, andate a prendere un po' d'aria fresca e nuova legna per il fuoco, e forse vi permetterò di soggiornare anche per la notte.»

Il mago si alzò di scatto, costringendosi ad uscire dalla capanna, nonostante la curiosità si fosse impossessata di lui come i tarli nel legno. Chissà di cosa avrebbero discusso.

Poteva solo sperare che Aenor gli riferisse almeno un poco della conversazione.

«Dici che ne uscirà?» Chiese mentre andavano sul retro della capanna, dove c'era la legnaia.

Il Qunari gli rivolse uno sguardo indecifrabile, senza degnarlo di una risposta.

«Scusa, se sono preoccupato per l'incolumità della Custode e nostra, siamo solo al cospetto di una strega antica e potente di cui si narra da secoli.»

«Assurdo come nessuno se ne sia ancora occupato, dopo secoli.» Ribattè Sten. «Voi del Sud...» Non finì la frase, ma il disprezzo nella sua voce diceva tutto. Chiaramente, niente di quella situazione gli andava a genio. Probabilmente avrebbe di gran lunga preferito attaccare la strega senza nemmeno farla parlare, alla maniera di quei rozzi selvaggi dei Qunari. Molto simili ai Templari, in effetti.

Rabbrividì al solo pensiero di un Qunari Templare. Certi livelli di fanatismo e bigottismo non avrebbero mai dovuto incontrarsi.

Passò almeno un'ora, nella quale Geralt accese un piccolo fuoco per tenersi al caldo confidando nel fatto che nessuna creatura si sarebbe mai avvicinata a quel luogo, Prole Oscura o meno, quando la porta della capanna si aprì di nuovo.

«Entrate pure.» Li accolse Flemeth.

Il mago si avvicinò furtivamente, temendo cosa avrebbe trovato all'interno. Tirò un sospiro di sollievo vedendo Aenor seduta accanto al fuoco, un grosso libro nero di pelle rilegato in oro sul grembo. Dovette frenare l'entusiasmo, staccando a forza gli occhi dal pesante tomo, tanta era la voglia di fiondarsi a leggerlo.

«Restate pure qui per la notte, ma all'alba ve ne andrete. E posso garantirti, Custode, che sarà l'ultima volta che mi vedrai.»

Geralt ebbe l'orribile sensazione che lo sguardo di Flemeth si fosse posato un attimo di troppo di su sé, ma scacciò il presentimento, tirando fuori dallo zaino il giaciglio per la notte.

Come avrebbe potuto addormentarsi, con l'idea di avere quel grimorio a pochi passi da sé, era un mistero.

 

La mattina seguente, Flemeth non si trovava da nessuna parte.

Raccolsero in fretta le proprie cose, ansiosi di andarsene da lì, e ripercorsero il sentiero tra gli acquitrini. Solo quando furono a qualche ora di distanza dalla capanna e dagli inquietanti teschi di segnalazione, Geralt osò proferire parola.

«Allora, che vi siete dette?»

«Non molto, e ancor meno che ti riguardi in prima persona. Ma ti conviene sbrigarti, se vuoi leggere questo prima di arrivare a Redcliffe.» Estrasse il grimorio dallo zaino, consegnandoglielo. «Morrigan non verrà a sapere niente, ma tu avvertimi se trovi qualcosa di strano.»

Geralt annuì, fremendo di eccitazione. Non cercò neanche di sapere di più sulla conversazione che avevano avuto le due, rimandando tutte le domande che gli ronzavano in testa a dopo aver letto il libro. Sfogliò velocemente le pagine, il cuore che gli batteva dall'emozione vedendo tutte quelle formule scritte nella grafia minuta e ordinata che aveva imparato a leggere alla perfezione.

Inciampò su una radice sporgente, rischiando di caracollare a terra.

Aenor, afferratolo per un braccio, lo guardò in tralice. «Evita di distrarti mentre stiamo ancora camminando, toposhem.»

Riluttante, ripose il grimorio nello zaino. Non vedeva l'ora di accamparsi per la notte, magari avrebbe chiesto di avere più tempo, rallentando il loro viaggio verso Redcliffe...

Una morsa allo stomaco gli ricordò quanto si era reso ridicolo con Jowan, e della possibilità che l'amico non volesse mai più vederlo. Il fatto di essere l'unico che poteva tirarlo fuori dalle prigioni dell'Arle, e che quindi Jowan avesse bisogno di lui per sopravvivere, era una ben magra consolazione.

Era stato un grandissimo idiota. Come aveva potuto sbottare in quel modo, esponendosi in maniera così imbarazzante?

Per anni aveva rimuginato sul modo migliore di rivelare i propri sentimenti all'amico, ma nessuno di quelli includeva dargli dell'idiota e uscirsene con un “ti amo, cazzo!”, per poi scapparsene via come un ragazzino. “Che imbarazzo...”

Chissà cosa ne pensava Jowan. Avrebbe lasciato perdere, fingendo che nulla fosse successo, per poi andarsene per la sua strada appena libero? Oppure l'avrebbe affrontato di petto, dandogli del bastardo, credendo magari che avesse orchestrato un piano per far spedire quella vacca dell'iniziata ad Aeonar e togliersela di torno, per poi avere Jowan tutto per sé una volta scappati dalla torre?

Forse si stava facendo troppe paranoie.

Se lo conosceva bene, avrebbe chiesto spiegazioni un paio di volte e basta, o ancora meglio avrebbe fatto cadere per sempre la questione, restando a disagio in sua presenza e approfittando della prima occasione per svignarsela...

Sospirò affranto, rischiando di inciampare per l'ennesima volta.













Note dell'Autrice: eccomi con un nuovo capitolo. Ultimamente sono in un periodo ispirato e relativamente libero da impegni, quindi sto macinando pagine. Chissà per quanto durerà l'idillio... 
Qualche considerazione: il discorso di Wynne è un po' quello che fa al/la Custode nel gioco, qui però ad Elissa, perchè nonostante non rischi la vita in prima linea contro il Flagello, i suoi doveri non sono da meno. Anche se l'attrazione tra lei ed Alistair c'è ed è difficile per entrambi da gestire.
La storia del figlio di Wynne è trattata meglio nei libri, ma come molti penso che il padre fosse l'ora Comandante Templare Gregoir. Chissà... 
Per quanto riguarda come Aenor ha affrontato la faccenda di Morrigan e Flemeth, sono rimasta per giorni a pensare ad una soluzione e credo che avendo il clan Sabrae una relazione speciale con Flemeth, potesse essere possibile farle parlare in modo quasi civile, invece che risolvere a mazzate o voltare le spalle a Morrigan.
Dal prossimo capitolo si torna ad Orzammar, quindi stay tuned! 

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Capitolo 24
*** Orzammar - Distretto dei Diamanti ***


CAPITOLO VENTIQUATTRO: ORZAMMAR - DISTRETTO DEI DIAMANTI

 


 

 

«Troveremo il passo ostruito dalla neve, se continuiamo così.»

«Dai, sua altezzosità, non essere così ottimista.»

Aggrottò le sopracciglia, rendendosi conto soltanto dopo che l'altra, sotto il cappuccio di pelo, non avrebbe mai e poi mai potuto vedere il suo sguardo di rimprovero. Decise di ignorarla. Le sue forze erano tutte concentrate nel non affondare nei cumuli di neve che gli arrivavano quasi alla cintola, maledicendo per l'ennesima volta la superficie.

Una volta ottenuto il suo trono e aiutato il Ferelden ad occuparsi del Flagello, non avrebbe più rimesso piede all'esterno, giurò a sé stesso.

La strada che di solito percorrevano i carri era stata chiusa, e un posto di blocco del regno dei nani regolava il passaggio verso l'entrata principale di Orzammar. La città, a quanto avevano saputo dalle dicerie sulla strada, era in preda al caos, i sostenitori di Bhelen che terrorizzavano e spadroneggiavano per i distretti mentre le forze di Harrowmont faticavano a mantenere la pace.

Avevano deciso di evitare la strada principale, lasciando i cavalli nell'ultimo villaggio umano alle pendici dei monti, per poi farsi strada a piedi sui sentieri dei contrabbandieri e dei pastori, in modo che suo fratello non venisse avvisato in anticipo del suo arrivo dalle vedette poste di guardia.

Avrebbe marciato attraverso l'ingresso principale e raggiunto la tenuta di Harrowmont, scortato da due Custodi Grigi, sfidando chiunque a fermarlo. Nemmeno quel tezpadam* di Bhelen avrebbe osato uccidere dei Custodi Grigi, in pieno giorno, nel Distretto dei Diamanti. “E se fosse così stupido da provarci ugualmente, non sarebbe un problema.”

Si guardò attorno, compiaciuto dalla compagnia con cui viaggiava: oltre ai due Custodi, Lady Cousland era una guerriera esperta, per non parlare del letale Qunari, mentre le frecce di Leliana non mancavano mai il loro bersaglio. Persino Brosca era un'arma segreta formidabile: nessuno si sarebbe mai aspettato nulla da una marchiata, ma Duran ricordava perfettamente quanto la nana lo avesse messo in difficoltà alle Prove e da allora Natia era solo migliorata. Su Zevran e Kallian, non aveva ancora un giudizio preciso. Era vero che l'assassino fosse bravo con coltelli e veleni, ma la sua testa sembrava aver preso troppa aria, mentre per quanto riguardava l'elfa dalle strane cicatrici, non aveva ancora capito cosa la stesse spingendo a viaggiare con loro. I tre maghi erano invece un'incognita: se da una parte i nani erano più resistenti alla magia, dall'altro non ne sapevano quasi nulla, quindi potevano essere sorpresi facilmente.

«Quanto esattamente sotto terra è Orzammar?»

Quasi scoppiò a ridere alla vista dell'espressione preoccupata dell'elfa. «Abbastanza da far sembrare tutta questa neve un brutto sogno, Custode.»

Non sembrava affatto tranquilla.

«Guarda che avere della solida roccia sopra la testa è molto più sicuro che non averla.»

«Non secondo la mia esperienza.»

Incuriosito, provò a carpire qualche informazione in più. Del resto, non avevano molto altro da fare, a parte continuare a camminare.

«Non mi piacciono gli spazi chiusi, soprattutto se frequentati da fanatici e ragni giganti.»

Scoppiò a ridere. «Posso garantirti che almeno in città non ci saranno ragni più grossi del mio pugno, sui fanatici non credo di poter dire la stessa cosa.»

«Avete anche voi un culto che venera i draghi?»

«No, Custode, noi non veneriamo dei o profetesse come voi in superficie. L'unica cosa che conta sottoterra è la Pietra.»

«La Pietra?»

Come spiegarle? Come far capire ad un abitante della superficie, con la testa fra le nuvole, l'anima della terra, il cuore vivo e pulsante del mondo?

«La Pietra è ciò che ci protegge. Essa ci nutre e ci guida, offrendoci gemme e metalli preziosi. Siamo nati dalla Pietra, e alla Pietra torniamo una volta morti, per guidare le nuove generazioni.»

«Non tutti.»

Si voltarono entrambi.

«Brosca, non mi pare il caso.» Ammonì la compagna.

La senzacasta si esibì in uno dei suoi migliori ghigni. «Oh, certo, vendiamo Orzammar come la più splendente delle gemme! Non c'è assolutamente nulla che non va nel sistema delle caste.»

«Si chiama tradizione, Brosca, ci sono cose che non si possono cambiare con un colpo di piccone.» Si trattenne dall'aggiungere altro. Certo, Natia adesso sembrava una tipa abbastanza a posto, e nessuno sulla superficie faceva caso ai suoi tatuaggi, ma i marchiati come lei, giù ad Orzammar, erano a malapena tollerati. E per ottimi motivi, spesso.

«Bella tradizione di merda. Come sputare sulla superficie, nonostante il commercio viva grazie a quella e ai nani che hanno scelto di vivere là sopra.»

«Hei, frenate gli halla, non vi seguo!» Sbottò la Custode, alzando la voce abbastanza da sovrastarli. «Spiegatevi meglio. Se dobbiamo andare ad Orzammar, devo saperne di più.»

Duran si grattò la barba. Ad un'esterna, il rigido sistema di caste sarebbe suonato come una follia, soprattutto per una abituata a vivere nei boschi senza fissa dimora.

«Glielo spiego io, sua altezzosità.» Si offrì Brosca. «In breve, i nobili delle caste alte stanno nel loro distretto dorato, quelli che lavorano stanno nel distretto comune, e tutti noi che siamo nati sbagliati possiamo o strisciare sotto un sasso a morire di fame, oppure sfornare carne da macello per i nobili e i guerrieri, da mandare a morire nelle Vie Profonde. Bel posto, eh!»

Aenor Mahariel dei Custodi Grigi era ammutolita dallo sgomento.

«La situazione non è come la descrive...» Provò a ribattere Duran, irritato dalla descrizione della sua amata città. «Il sistema delle Caste funziona, mantiene il controllo e dà a tutti un ruolo nella società. Se i criminali sono tali, non è colpa del sistema.»

«Quindi, siamo tutti criminali dalla nascita?»

«Brosca, per l'ultima volta, non-»

«Ma è terribile!» Li interruppe la Custode. «Come fate a vivere in un posto simile?! E a volerci tornare, poi, Natia!»

Effettivamente, realizzò Duran, non aveva senso che Brosca volesse far ritorno ad Orzammar. Era ancora una criminale ricercata, con nulla da guadagnare e tutto da perdere.

Guardò la senzacasta, in attesa di una risposta.

«Non è così terribile. Ci si arrangia, se sei abbastanza bravo.» Bofonchiò quella. «E poi, già che viaggio con voi, potrò dare un'occhiata a mia sorella. L'ho lasciata a quel cretino di Leske, ma non mi fido per niente.»

«Brosca, se ti scoprono verrai mutilata e decapitata.»

Gli lanciò uno sguardo di sfida. «Credi che non lo so?»

«Dico solo che-»

«Tu vedi di mettere il tuo culo su quel trono, che a sopravvivere me la sono sempre cavata benissimo da sola.» Tagliò corto l'altra, facendo dietrofront e andando in coda al gruppo.

«Sembra un posto orribile.»

Sospirò, non sapendo cosa rispondere all'elfa. «Descritta così, Orzammar ti deve sembrare un incubo. E non ha detto niente dei continui giochi di potere dei nobili, e della rivalità tra le caste... Però, Custode, Orzammar è più di qualche assemblea di politici e zuffe nelle strade. La nostra civiltà risale a migliaia di anni fa, ai tempi del più grande impero che voi della superficie possiate immaginare. Le nostre città erano ricche e il commercio fiorente, e le strade sotterranee sotterranee correvano dal Tevinter al Ferelden, dall'Orlais alle Marche Libere, spingendosi ancora oltre.»

«Ma adesso resta solo Orzammar?»

Duran annuì. «Più o meno. Il primo Flagello colpì noi per primi, e fummo costretti ad abbandonare gran parte del nostro impero, per poi chiudere le Vie Profonde definitivamente. Da lì in poi, abbiamo perso sempre più terreno.»

«Ma non siete guerrieri formidabili, specializzati contro la Prole Oscura?»

Il principe quasi sorrise, di fronte all'ingenuità di quella domanda. «Mi piace pensare che lo siamo, eccome, ma la verità è che siamo rimasti in pochi, troppo pochi, per poter contrattaccare in modo efficace. Il nostro esercito non ha abbastanza guerrieri, e così anche la Legione dei Morti. Ad Orzammar nascono sempre meno bambini da addestrare al combattimento, mentre la Prole Oscura sembra non avere fine.»

«E la gente come Natia può unirsi all'esercito o alla Legione?»

«Soltanto alla Legione. È una delle poche cose permesse loro dalla legge. Ma coloro che lo fanno sono in pochi, e di solito perché non hanno altra scelta: gente condannata all'esilio, o membri di qualche casata in rovina, tutti coloro che in genere non hanno più nulla da perdere. Persino dei disperati come i senzacasta non fanno la fila per unirsi ad un esercito di morti.»

«Non ha alcun senso. Perchè non farli lavorare come tutti gli altri?»

Duran si grattò la barba. «È complicato da spiegare, ma non sarebbe possibile. Ci sono delle leggi che impediscono ai senzacasta come lei di maneggiare armi o farli lavorare al fianco dei minatori, o dei fabbri, o dei semplici lavoratori manuali. Sarebbe degradante per coloro che fanno un vanto del lavoro della propria casta.»

«Ma almeno non resterebbero nel Carta a rubare e contrabbandare.» Ribattè Aenor.

Il nano si strinse nelle spalle. «Per il momento è questa la tradizione.»

«Farai qualcosa per cambiarla, vero? Una volta diventato Re.»

Scrutò negli occhi inquisitori dell'elfa. Poteva quasi sentire la rabbia che la ragazzina aveva dentro, ma non aveva delle risposte per lei. «Sicuramente cambierò delle cose, ma Orzammar è come un vecchio bronto ostinato, difficile da portare al pascolo tra gallerie che non conosce.»

«E allora va legato e trascinato, se è una creatura troppo stupida per capire quale sia la cosa giusta da fare.»

Gli venne da ridere, immaginandosi l'intera Assemblea dei Deshyr ad essere legata e pungolata fino ad accettare i senzacasta come cittadini normali. «Credo occorrerà un po' più di diplomazia.»

Fu il turno della Custode di sorridere. «Credevo preferissi il metodo “ascia sulla faccia”.»

«Se uccidessi l'intera Assemblea, avrei una rivolta tra le mani, ma stai pure certa che la mia ascia avrà il suo da fare, una volta che avrò di fronte quello schifoso traditore di mio fratello.»

Al solo pensiero di spaccare il cranio di Bhelen e vedere il sangue scorrere tra le pietre levigate del Palazzo Reale, gli formicolavano le mani.

«Sarò felice di dare una mano.»






Camminarono per altri tre giorni, durante i quali la neve non accennava a smettere. Lady Cousland sosteneva che quello fosse uno degli inverni più freddi degli ultimi anni, sicuramente il più nevoso.

«Pensa che culo.» Aveva commentato Brosca.

Una volta superato il Passo di Gherlen, avevano proseguito quasi di corsa, temendo di restare bloccati nella neve e congelare. Di grande aiuto era stato il mago, che con i suoi incantesimi di fuoco era riuscito a mantenere tutti abbastanza al caldo, impedendo l'intorpidimento degli arti.

Shale si era divertita un mondo, commentando che i cosetti molli non erano stati creati per le intemperie, e gloriandosi dei cristalli di ghiaccio le si erano posati sulle gemme che spuntavano dal suo corpo, creando riflessi multicolori sulla sua superficie rocciosa.

Un paio di volte, Alistair e Natia avevano urlato “uccello!” a squarciagola, soltanto per il gusto di vederla sobbalzare e agitare gli enormi pugni verso il cielo, come a sfidare i pennuti a colpirla.

Finalmente, arrivati in vista delle grandi porte che segnavano l'ingresso alla città, tutti tirarono un sospiro di sollievo.

Avvicinandosi, trovarono una moltitudine di tende e carri accampati ai piedi della montagna.

«Che sta succedendo?» Chiese il Custode, guardandosi attorno perplesso.

«Chiaramente, si stanno godendo l'aria aperta in un luogo paradisiaco.» Rispose acidamente Morrigan. «Le porte della città sono chiuse, ricordi?»

«Questa povera gente sarà venuta qui per commerciare con la città, ma sono rimasti bloccati dalla neve, senza poter entrare ad Orzammar o tornare indietro.» Disse Leliana, la preoccupazione chiara nel tono di voce. «Come possono lasciarli fuori con un tempo del genere?»

«Oh, non è sicuramente la cosa peggiore che l'Assemblea ha mai fatto.» Ribattè Brosca, e Duran non potè che darle ragione.

«Brosca, sarebbe il caso di camuffarti in qualche modo.»

«Subito!» Esclamò lei, chinandosi e afferrando una manciata di terra vicina ad uno dei falò degli accampati. Se la spalmò vigorosamente sul viso e sui capelli, per poi passare agli indumenti. In un paio di minuti, era irriconoscibile da qualsiasi altro nano senzacasta.

«Sei sicura che basti?» Le chiese Geralt, perplesso.

La nana sogghignò, i denti storti che facevano capolino dal labbro sporco di terra. «Quegli altezzosi non mi degneranno di un secondo sguardo, soprattutto di fianco al nostro Principe che fa il suo ritorno trionfale.»

«La città è chiusa fino a che l'Assemblea non eleggerà il nuovo Re!» Sentirono qualcuno gridare. «E che sia l'ultima volta che ve lo ripeto, umani!»

Si diressero verso le urla, provenienti da un piccolo gruppo di gente che litigava davanti alle porte.

«Forse non mi sono spiegato bene, nano!» Urlò un uomo in armatura, le insegne di Denerim chiare sul mantello e l'armatura. «Mi manda Re Loghain in persona!»

«Stai arrugginendo il tuo tempo, straniero.»

«Re Loghain richiede l'alleanza dei deshyr, o lord, o come diamine chiamate quelli dell'Assemblea! E sono il suo messaggero, quindi fatemi entrare!»

Il nano di guardia fece un gesto stizzito. «Potresti essere pure la dama di compagnia del tuo Re, per quanto di interessa, Orzammar non farà entrare nessun altro estraneo, non prima di aver risolto il problema della successione al trono!»

«Credo di poter essere utile, in tal caso.» Li interruppe Duran, gonfiando il petto e scrutando direttamente negli occhi la guardia. «Atrast Vala. Sono il Principe Duran Aeducan, e questi sono i miei compagni, tra cui due Custodi Grigi. E un golem.»

La guardia sbiancò sotto tutta la barba incrostata di ghiaccio, sgranando gli occhi, la mascella che cadeva aperta e incapace di emettere alcun suono.

«Sì, come no, e io sono l'Imperatrice di Orlais!» Lo sbeffeggiò il messaggero di Loghain. «Aspetta, Custodi Grigi? Golem?!»

«Eccoci!» Esclamò Alistair, sbeffeggiandolo.

Shale alzò la mano rocciosa. «Hei, molliccetti.»

«Sono stati i Custodi ad uccidere Re Cailan! Sono nemici giurati di Re Loghain!»

«Silenzio!» Tuonò la guardia cercando di ricomporsi, mentre altri due nani accorrevano al suo fianco, i volti terrei. «Principe Aeducan, siete ancora accusato di fratricidio ed essere fuggito dalla vostra cella mesi fa non depone a vostro favore. Non importa quanti golem e Custodi vi portiate al seguito.»

«Ne sono a conoscenza.» Ribattè Duran. «Tuttavia, i Custodi Grigi hanno un importante compito da svolgere, per il quale serve un Re di Orzammar. E io non vedo l'ora di scambiare due parole con mio fratello e l'Assemblea.»

La guardia assottigliò lo sguardo, posandolo su ognuno di loro. Chiaramente stava calcolando le sue scarse probabilità di riuscire ad arrestarlo e portarlo davanti ai Deshyr.

«Nel nome di Loghain, pretendo che questi traditori vengano uccisi seduta stante!» Sbraitò il messaggero, che non prendeva di buon grado l'essere ignorato.

«Provateci pure.» Li sfidò Duran, sorridendo sprezzante. «Noi siamo in tredici, senza contare i due mabari qui, che vi strapperebbero la faccia prima che riusciate anche solo ad estrarre le lame.» Si rivolse poi alle guardie. «Non voglio spargimenti di sangue inutili, ne è già stato versato abbastanza. Fateci passare.»

«Come possiamo sapere che sono dei veri Custodi?» Chiese uno di loro.

Alistair estrasse prontamente i Trattati dallo zaino, porgendoglieli.

Il sigillo reale di Orzammar bastò a convincerli della veridicità dei documenti. Il capo storse la bocca, cedendo. «Solo l'Assemblea può occuparsene. E va bene, entrate. Ma fareste bene a correre, Principe, perché nel momento stesso in cui si saprà del vostro arrivo, la vostra testa varrà una fortuna.»

“Ci conto.” Pensò Duran, ma si limitò ad annuire.

«Non così in fretta!»

Si voltarono, mentre il messaggero di Loghain e i suoi due compagni sfoderavano le armi. Duran si grattò la barba con fare pensoso. «Il freddo deve avervi gelato la testa, per essere così stupidi...»

I due Custodi, accanto a lui, si limitarono a portare le mani alle armi, senza però estrarle. Il mabari nero dell'elfa ringhiava minaccioso, un suono da far accapponare la pelle.

«Conterò fino a cinque, e poi sarete morti.» Annunciò la Custode.

«Non credere di passarla liscia!»

«Uno.»

«...sono il messaggero ufficiale di Re Loghain, se sapesse ciò che state facendo-»

«Due.»

«Non osereste!»

«Tre...»

I due scagnozzi girarono i tacchi e fuggirono precipitosamente giù per la scalinata, lasciando il messaggero da solo ad affrontare l'intero gruppo. Quello, impallidendo ulteriormente, non potè far altro che seguirli, urlando minacce a vuoto verso i Custodi e i nani.

«Ottimo, direi che possiamo andare.» Esclamò Alistair, sorridendo.

«Oh, non vedo l'ora di farmi un bagno caldo...»

«A me basta non dover vedere Alistair anche solo per un paio d'ore.»

«Ho sentito che i nani hanno una biblioteca chiamata Modellatorio...»

«E ti pareva che il toposhem non pensava subito ai libri!»

«Almeno qui non ci sono pennuti.»

Il chiacchiericcio dei compagni divenne un ronzio indistinto, mentre entrava nella grande Sala degli Eroi che conteneva le statue dei Campioni, i migliori del loro popolo. Si era sempre sentito un po' in soggezione sotto alla maestosità di quelle statue, ma quel giorno sentì ancora di più il peso di quegli sguardi. Come ad ammonirlo di sistemare le cose, di non lasciare che l'omicidio di suo fratello e suo padre restasse nell'ombra di un bugiardo.

I nani attorno a loro si zittivano man mano che attraversavano la sala, i loro sguardi puntati sui nuovi arrivati. Alla vista di Shale, si levarono molte esclamazioni sorprese.

«Fratricida.» Sentì sussurrare a qualcuno.

Una donna gli sorrise incoraggiante, accennando un inchino.

Uscirono nel Distretto Comune, dove vennero fermati da un'altra guardia cittadina. Stavolta, Duran la riconobbe: era un nano di mezz'età, più abituato a voltarsi dall'altra parte per arrivare al boccale di fine turno che a fare il proprio lavoro per ristabilire l'ordine.

«Per la Pietra!» Esclamò quello, venendo loro incontro. «Il fratricida! E un golem!»

«Principe.» Lo corresse tra i denti lui. «E ti consiglio di farti da parte. Ci sono due Custodi Grigi con me, e i nostri compagni sono tutti valorosi guerrieri, golem compreso.»

«Certo, nasconditi pure dietro una massa di teste tra le nuvole e un finto golem di pietra, ma non cambia ciò che sei: un assassino del proprio sangue!»

Dovette appellarsi a tutta la sua calma per non rispondergli a tono. Gettò uno sguardo in direzione della strada che conduceva al Distretto dei Diamanti, dalla quale stava arrivando un fornito gruppo di soldati, le insegne di Pyral Harrowmont bene in vista.

«Principe Duran Aeducan, siamo venuti a scortarvi fino alla tenuta, ma vedo che siete già in ottima compagnia.» Lo salutò il capo dei nuovi arrivati.

«Dulin!» Esclamò Duran, felice di vedere il Secondo di Lord Harromont. L'altro aveva più o meno la sua età, ed era al servizio del Lord da solo tre anni, nei quali si era però rivelato di grande aiuto. «Arrivi giusto in tempo.»

«Vorrei riempirvi di domande, mio Principe, ma per ora la mia curiosità dovrà attendere: togliamoci dalla strada, prima che Bhelen mandi tutte le sue forze ad uccidervi.»

Duran annuì, facendo cenno agli altri di seguirlo.

Salirono al Distretto dei Diamanti, che dominava l'intera città dall'alto, i palazzi di pietra levigata e decorata, il soffitto retto da colonne e arcate su cui erano poste centinaia di torce, che assieme ai canali di lava illuminavano Orzammar notte e giorno.

Si fecero strada tra i nobili allibiti. Persino i banditori, che non stavano mai zitti, erano ammutoliti.

«Un'entrata trionfale.» Commentò il Custode con una risatina nervosa.

«Tutti questi cosetti bassi tra i piedi mi infastidiscono.»

«Facci l'abitudine, Shale.»

«Facile per te, sei una cosetta piuttosto bassa pure tu, elfa.»

«Hei! Non è vero!»

«Smettetela!»

Kallian e Shale si zittirono immediatamente sotto lo sguardo severo di Wynne. Duran le fu grato, non era proprio il momento di bisticciare per niente. Accanto a lui, la Custode era silenziosa, il naso puntato verso terra, le orecchie che fremevano e la mano sull'elsa del pugnale di ferro rosso che avevano recuperato ad Ostagar.

«Non c'è da preoccuparsi, siamo quasi arrivati.»

L'altra si limitò ad annuire, senza tuttavia alzare lo sguardo. Duran la capiva, si ricordava perfettamente come lui e Brosca erano rimasti ore nel terrore di guardare il cielo, la prima volta che erano saliti in superficie.

«Brosca, non-» Si girò in cerca della senzacasta, ma non riuscì a trovarla. Si fermò di colpo, guardandosi attorno.

«Ha detto che aveva delle cose da fare e si è defilata, quando ancora eravamo nella sala con le statue giganti...» Spiegò il mago, scrollando le spalle.

«E non hai pensato di avvertirci prima?!» Lo riprese Wynne, sbattendo il proprio bastone a terra.

L'altro la guardò con sufficienza. «Era palese non volesse essere seguita.»

«Non rischia di mettersi in qualche guaio?» Disse Leliana, che era rimasta incantata con il naso all'insù per tutto il tempo.

«Oh, credo che se la sappia cavare egregiamente.» Cercò di rassicurarla l'elfo di Antiva. «In fondo, questa è casa sua.»

«Ma è ricercata!» Ribattè l'arciera, che sembrava sul punto di fare dietrofront e andare a cercare la compagna.

«Non c'è niente che possiamo fare per il momento.» Commentò Lady Cousland. «Se vorrà tornare, sarà lei a farsi trovare. Non ci resta che proseguire.» Anche lei era chiaramente a disagio lì sotto, ma da come si guardava intorno, sembrava anche curiosa di esplorare la città.

«Concordo. Muoviamoci.» Decise Duran. Se Brosca era sparita per i fatti propri, significava che aveva delle faccende da sbrigare, e nel suo ambito immaginava che avere un branco di estranei alti e in armature splendenti fosse soltanto di intralcio.

Fortunatamente, la tenuta degli Harrowmont era una delle più vicine alla scalinata verso il Distretto Comune, e ci misero soltanto qualche minuto ad entrare nell'imponente palazzo di pietra levigata. Una volta che le porte si furono chiuse dietro di loro, Duran si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. Erano, per il momento, al sicuro.

«Principe Duran!»

Lord Pyral Harrowmont sembrava più vecchio di come se lo ricordava: barba e capelli erano di un bianco candido e sulla fronte erano comparse delle stempiature importanti, gli occhi erano cerchiati e stanchi, ma felici di vederlo.

«Lord Harowmont!» Lo salutò, chinando leggermente il capo e andandogli incontro.

L'abbraccio fu vigoroso, segno che il vecchio Deshyr era ancora fatto di roccia.

«Arrivi al momento giusto, Principe. La situazione non potrebbe essere peggiore per Orzammar, ma offre molte opportunità per noi.» Scrutò i suoi compagni di viaggio, sgranando gli occhi. «Quello è un golem!»

«Il golem ha un nome, ed è Shale.» Ribatté il diretto interessato, le mani sui fianchi.

«Per la Pietra, come avete fatto a procurarvene uno funzionante?» Continuò il lord, girando attorno a Shale, gli occhi spalancati.

«A dire il vero, è stato trovato in un villaggio di umani, e il bastone del comando non funziona più. Ha accettato di seguirci di sua spontanea volontà.» Spiegò in breve Duran. «E questi sono i due Custodi di cui vi ho parlato nelle mie lettere, Aenor Mahariel e Alistair, figlio di Maric Theirin.»

«Ah, la somiglianza è notevole!» Esclamò l'altro, guardando Alistair con interesse. «I capelli biondi, quel naso importante, la mascella scolpita... Sì, tutto suo padre!»

Il Custode tossicchiò, in evidente disagio. «Veramente, sono solo un figlio illegittimo...»

«E l'unico, in ogni caso!» Proseguì imperterrito Harrowmont. «Ma ora vedo che siete stanchi, sarà stata dura in superficie, mi dicono che faccia freddo in questo periodo dell'anno... Orick, accompagna i nostri ospiti alle loro stanze!»

Il maggiordomo accorse in tutta fretta, inchinandosi profondamente. «Principe Aeducan, siamo tutti lieti di vedervi sano e salvo. Prego, onorevoli ospiti, seguitemi.»

Gli altri si scambiarono sguardi incerti, ma Duran annuì, facendo loro segno di andare. «Ci vediamo più tardi a cena.» Li salutò.

«Sicuro non vogliate riposare almeno un poco?» Gli chiese il Lord, una volta che gli altri furono scortati verso l'ala degli ospiti.

Duran scosse la testa. «Ho aspettato anche troppo, è ora di battere il ferro finché è caldo.»

L'altro annuì, facendo segno di seguirlo. Superarono la sala dei banchetti, entrando nello studiolo del Lord. Una figura femminile era già seduta all'interno, una grossa ascia bipenne in grembo.

«Finalmente siete arrivato, cominciavo a pensare che foste caduto in cielo.»

Adal Helmi. I capelli castani erano un po' più lunghi di come li ricordava, ma l'espressione sicura di sé che incorniciavano era la stessa di sempre. Indossava come al solito la sua armatura, pratica e poco appariscente per gli standard della nobiltà, segnata da numerose battaglie dalle quali era uscita vittoriosa. «Lady Helmi, mi fa piacere vedervi.»

«Ci mancherebbe.» Si alzò in piedi, spostando l'ascia da una mano all'altra. «Ve l'ho tenuta affilata, avrete del gran lavoro da fare, a breve.»

Duran strinse il manico dell'arma, facendo scorrere le dita fino al sigillo dorato impresso sul dorso della lama. Il primo Aeducan sembrava incoraggiarlo a riportare la sua casata alla gloria di un tempo, prendendo la corona che gli spettava di diritto. Si aprì in un sorriso. «Già.»

Si accomodarono intorno al tavolo di pietra.

«La situazione è questa. L'Assemblea è spaccata più o meno in due, e questo significa che Bhelen ha già perso terreno da quando siete dovuto fuggire in superficie. Se aveste affrontato il processo ai tempi, sareste sicuramente stato condannato alle Vie Profonde, ma dopo la morte di vostro padre, che gli Antenati accolgano con favore Re Endrin, in molti sono convinti che vostro fratello sia colpevole, sia dell'omicidio del Principe Trian, sia di aver usato del veleno per liberarsi del Re.» Spiegò Harrowmont, le dita che tamburellavano sulla pietra. «Dobbiamo sfruttare questa instabilità politica e mettere voi sul trono, ma prima dobbiamo ripulirvi dalle accuse sul vostro conto.»

«Il vostro arrivo avrà alzato un gran polverone, in tutti i distretti.» Si congratulò Lady Helmi, battendosi una mano sulla coscia. «Scommetto che Bhelen sarà impazzito di rabbia, a sapervi sano e salvo al fianco di due Custodi e un golem.»

Duran poteva quasi vedersi davanti il fratello perdere le staffe alla notizia. Sorrise. «Era quello l'intento. Ma ora, dobbiamo rendere pubblico il testamento di mio padre contenuto nella lettera che mi ha mandato, e chiarire una volta per tutte quanto successo nelle Vie Profonde.»

«Non così in fretta, mio Principe.» Lo interruppe Harrowmont. «L'altra metà dell'Assemblea è ancora convinta della vostra colpevolezza, e vi serve un voto quasi unanime per poter avere la corona di Orzammar.»

Sbuffò. «Un voto unanime? Facile quanto diventare un Campione...»

Vide i due scambiarsi uno sguardo complice.

«Non avrete mica intenzione di farmi diventare Campione, vero...?»

Adal Helmi esplose in una risata così fragorosa da rischiare di perdere l'equilibrio sulla sedia.

Anche Harrowmont ridacchiò, scuotendo la testa. «No, mio Principe, vi dovrete accontentare di essere Re, per ora.»

«Sarebbe proprio da vedere!» Esclamò Lady Helmi, le lacrime agli occhi. «Immaginate la faccia di Bhelen mentre perde le elezioni contro suo fratello, appena fatto Campione!»

Duran li guardò torvo. «Allora, che avete in mente?»

La nana si alzò a prendere un boccale, spillando un po' di birra contenuta in una piccola botte a lato della stanza. «Avete presente la spedizione della Campionessa Branka di due anni fa?»

Il principe annuì. Chi non era a conoscenza di Branka, che aveva guidato la sua intera casata nelle Vie Profonde, alla ricerca dell'Incudine del Vuoto? La stessa incudine forgiata da Caridin in persona, che si diceva essere in grado di forgiare un'armata di golem, con cui i nani avrebbero guidato un nuovo attacco alla Prole Oscura, ripulendo le Vie Profonde e rifondando il loro grande impero di un tempo.

Ovviamente, erano tutte favole a cui credevano soltanto i pazzi e i bambini: l'Incudine del Vuoto era andata perduta più di mille anni prima con il suo creatore, e le Vie Profonde brulicavano di Prole Oscura che impediva di riconquistare i thaig perduti.

«Beh, si dice in giro che Branka avesse una pista valida. E pensiamo sia sulla buona strada.»

Si alzò a sua volta per versarsi da bere. Annusò l'odore di miele che saliva dalla birra scura, chiudendo per un attimo gli occhi. “Quanto mi era mancato questo posto!” «Sono arrivate notizie da Branka in persona?»

Harrowmont scosse la testa. «No, ma sono giunte voci che abbia raggiunto il Passo di Caridin.»

«Esploratori o semplici dicerie?»

Lady Helmi finì di bere la sua birra, prendendosi del tempo per rispondere. «Entrambi. Ma avere il supporto del primo Campione in quattro generazioni... ecco, quello farebbe saltare l'intera Assemblea dalla nostra parte.»

Duran sbattè il boccale sul tavolo, irritato. «Mi state proponendo di andare nelle Vie Profonde a farmi ammazzare, in cerca di una pazza sparita due anni fa dietro ad una leggenda?»

«Quella pazza, come la chiamate, è rispettata e venerata dall'intera città.» Ribattè Harrowmont.

«Ma se preferite rischiare di essere dichiarato colpevole, e perdere le elezioni assieme alla vostra testa, fate pure, la scelta è vostra.» Rimbeccò Adal Helmi, appoggiandosi al muro alle sue spalle.

Duran li squadrò a lungo, come a capire se lo stessero prendendo in giro.

Harrowmont non avrebbe apprezzato di scoprire come si fosse messo d'accordo con le casate che commerciavano in superficie, e a ciascuna di esse aveva dato ordini precisi di non far trapelare informazioni. Così come alle famiglie di mercanti che vivevano con la testa tra le nuvole, i senzacasta grazie ai quali Orzammar poteva ancora contare su un'economia stabile. Lord Pyral si considerava un brav'uomo, ma era troppo all'antica, troppo legato alle tradizioni, e avrebbe tolto il proprio supporto a Duran se avesse scoperto delle sue idee progressiste.

E il principe aveva bisogno anche della fetta tradizionale di Deshyr, se voleva ottenere un voto quasi unanime nell'Assemblea e ottenere la giustizia che meritava.

Sospirò. Non c'era altro da fare che accettare.

«E va bene, se dovessi tornare con Branka, avrei il supporto dell'intera Assemblea?»

Sia Harrowmont che Lady Helmi annuirono.

«Sempre che non siano tutte voci e che lei non sia morta già da un pezzo.»

«Lady Helmi, siete un raggio di sole.»

La donna lo guardò confusa. «Troppo tempo sulla superficie, mio Principe?»

Duran ridacchiò. «Usano delle espressioni affascinanti a volte, devo ammetterlo.»

«Dopo tutti questi mesi passati al Sole, spero che il vostro Senso della Pietra sia rimasto lo stesso di un tempo, mio Principe, perché per avventurarvi nelle Vie Profonde ne avrete bisogno.» Commentò tetro Harrowmont, che non ci trovava niente di divertente.

Mesi. Erano passati quasi sei mesi da quando era fuggito da Orzammar. Sembrava un'eternità, e al tempo stesso un granello di polvere.

«Trovare Branka non è l'unica cosa che potete fare per guadagnarvi il favore della città, però.» Aggiunse Lady Helmi.

Harrowmont le lanciò uno sguardo corrucciato. «Ne abbiamo già parlato, sarebbe troppo pericoloso.»

«Non col gruppo variopinto che si porta dietro...»

«Che state macchinando?»

Lord Pyral sospirò. «Ci sarebbero altri problemi, in città, seppur di minore importanza paragonati al non avere un re, l'essere sull'orlo di una guerra civile e l'aver perso la nostra Campionessa nelle Vie Profonde...»

«Come il Carta.» Concluse Adal Helmi. «Quei topi di polvere si stanno spingendo troppo in là, e adesso vagano per i quartieri comuni come se fossero casa loro. Terrorizzano mercanti onesti, arrivando persino ad infangare membri delle caste più alte.»

Duran aggrottò le sopracciglia, prendendo altra birra. «Pensavo che il capo del Carta fosse morto e sepolto da mesi.»

Fu il turno degli altri due di restare sorpresi. «Beraht? Quel verme è stato fatto fuori in una lotta al potere, e adesso c'è qualcuno di ben peggiore al comando. Hanno approfittato della confusione creata dalla morte del Re e in pochi mesi hanno ampliato a dismisura la loro influenza.» Lord Harrowmont abbassò la voce fino a ridurla ad un sussurro. «Si mormora che siano arrivati fino al Disretto dei Diamanti.»

«Aiutati da Bhelen ovviamente!» Sbottò Lady Helmi. «In fondo, una senzacasta ha appena sfornato suo figlio, figuriamoci se non è invischiato in qualche modo col Carta!»

Il cuore di Duran perse un battito.

«Cosa?» Riuscì a balbettare, riprendendosi dallo stupore.

«Bhelen, ha avuto un figlio con una senzacasta.» Spiegò Harrowmont. «Piuttosto carina, o così dicono, gli ha partorito settimana scorsa un bel maschietto in salute, anche se nato prematuro.»

Bhelen, suo fratello Bhelen, aveva un figlio. Ciò faceva di lui uno zio. Gli si strinse lo stomaco, una spiacevole sensazione che si attorcigliava nelle sue interiora.

«E ha avuto la faccia tosta di chiamarlo Endrin.» Sputò Lady Helmi. «Quel bastardo.»

La stretta allo stomaco scomparve improvvisamente, sostituita da una furia cieca, una rabbia rovente che gli fece rizzare ogni pelo sul corpo. Come osava quel lurido, sporco assassino traditore, dare al figlio il nome di loro padre, il re che aveva ucciso?

«Vorrei dire che ne sono sorpreso, ma mentirei.» Ringhiò dopo aver riconquistato un po' di calma. «Tipico di Bhelen, sfruttare una cosa del genere per ingraziarsi il favore dei Deshyr.»

«E dice di volersela sposare!»

Quello lo lasciò effettivamente sorpreso. «Ne siete sicuri?»

Harrowmont si aprì in una smorfia di disgusto. «Vuole aprire un dialogo coi senzacasta. Una cosa imperdonabile, distruggerà tutte le nostre tradizioni se non lo fermiamo prima!»

Duran e Lady Helmi si scambiarono un fuggevole sguardo, troppo rapidi perché l'altro se ne accorgesse. Annuirono, fingendosi d'accordo.

«Mi occuperò anche del Carta, quindi. I miei compagni possono essere di grande aiuto, e avere due Custodi dalla mia parte, a risolvere finalmente il problema del crimine organizzato nella città, può solo aumentare i miei voti.» Decise il principe. Finì la propria birra, per poi massaggiarsi il collo con fare stanco. «Ora scusate, ma il lungo viaggio mi ha sfinito e vorrei riposare un poco prima di cena, e darmi una ripulita.»

Lady Helmi e Lord Harrowmont annuirono, alzandosi a loro volta e accompagnandolo fuori dallo studio.

Prima che girasse l'angolo verso le camere degli ospiti, la nana gli afferrò gentilmente il gomito. «Sapete, pensavo che avreste proposto di affrontare Bhelen in un duello, per ristabilire il vostro onore. Devo ammettere di essere un filo delusa.»

Duran sorrise, soppesando la grande ascia, lieto di averla di nuovo tra le mani. «Non è ancora detto che non lo faccia, Lady Helmi. Sarebbe forse la soluzione più rapida.»

«Sono lieta che abbiate acquisito un po' di senso per la politica in questi mesi, mio Principe.»

Se ne andò senza aspettare risposta.

Duran non potè evitare di far vagare per un attimo lo sguardo sui suoi fianchi che si allontanavano.

















Note dell'Autrice: ad Orzammar la situazione politica è diversa e la tratterò in modo più personale rispetto al gioco, che mi è sembrato sempre poco costruito sulle origini del nano nobile e comune, a favore di un'impostazione uguale per tutte le origini. Mi infastidisce come non si possa fare nulla per cambiare le cose, neanche da principe, ma dato che qui Duran non è un Custode Grigio, e soprattutto non è mai stato condannato dall'Assemblea (in quanto il processo è stato semplicemente messo in pausa, sia perchè è scappato prima sia perchè Bhelen non aveva in realtà abbastanza Deshyr a favore di un voto unanime contro il fratello), Duran è troppo benvoluto in Città per essere considerato da tutti un fratricida. Il suo nome non è stato rimosso dal Modellatorio e quindi è ancora in lizza per il trono, anche grazie al fatto che ha passato mesi ad ingraziarsi alleanze e stringere patti sia con la fazione dei tradizionalisti sia con i progressisti. 
Il prossimo capitolo è tutto di Natia, per mostrare l'altro lato di Orzammar.
In tutti i capitoli dedicati ad Orzammar saranno loro i veri protagonisti, come è giusto che sia, ma anche gli altri personaggi avranno il loro spazio e il proprio sviluppo.

Per chi volesse dare un'occhiata, ho ridisegnato Kallian com'è ora QUI. Le cicatrici a forma di fulmine non sono a volte sbrillucicose come quelle di Fenris, ma sono leggermente luminescenti tutto il tempo, e l'unica cosa che le danno è un gran prurito. Niente superpoteri, mi spiace per te Kallian!

Al prossimo capitolo!

*Tezpadam è la parola nanica per "Deepstalker" o "cacciatore oscuro". Usato anche come insulto.
 

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Capitolo 25
*** Orzammar - Città della Polvere ***


CAPITOLO VENTICINQUE: 
ORZAMMAR - CITTÀ DELLA POLVERE




 

Natia procedeva spedita, le vie della città ancora perfettamente impresse nella mente nonostante tutti i mesi che erano passati.

Quasi sei.

Era un sacco di tempo, calcolando tutto quello che aveva combinato. Era scappata da una sentenza di morte, aveva affrontato un viaggio terribile verso la capitale umana, si era trovata senza lavoro, senza soldi e senza conoscenze in una città estranea e ostile. Si era poi ricollegata al Carta che operava a Denerim, e dopo qualche lavoretto noioso era stata spedita alla torre dei maghi. Da lì, le sue fortune monetarie erano aumentate di parecchio, così come le sue sfortune in tutto il resto. Non si capacitava di come quel branco di pazzi attirasse così tante sventure, da orde di Prole Oscura a fanatici adoratori di draghi a maghi impazziti che evocavano demoni. Per non parlare di assassini da città lontane, lupi mannari e un re che li accusava di tradimento e li aveva resi ricercati in tutto il paese.

Decisamente, non erano una compagnia da frequentare alla leggera.

Tuttavia, doveva ammettere erano stati i mesi più divertenti della sua vita. Non importava quanto la Custode fosse una crepa in culo, o quanto Geralt fosse un topo di biblioteca imbranato. Persino quello stupido di Alistair era piacevole e a volte anche il Qunari, se preso a piccole dosi, si rivelava un buon compagno di viaggio. E la cucina di Morrigan era la cosa più buona che avesse mangiato in tutta la sua vita, mentre le canzoni di Leliana riuscivano a rallegrare anche la più faticosa delle giornate.

Ora, mentre camminava tra le vie affollate del mercato, con tutti quei bastardi a guardarla come se fosse una cacca di nug sotto le loro suole, sputando veleno e insulti al suo passaggio, sentiva di rimpiangere almeno un poco la superficie. Là sopra, almeno, era una nana come tutti gli altri.

“Qui sotto, sono il solito straccio.”

Svoltò verso il Distretto della Polvere, passando davanti al Tapster, la taverna dove, quando si sentivano ricchi, lei e Leske prendevano la birra più economica che quel posto aveva per sentirsi, anche solo per qualche minuto, dei normali avventori.

Prima di tornare alla polvere e al fango dei bassifondi, per tagliare la gola a qualcuno o ad estorcere denaro a qualcun altro.

Leske. Chissà come stava.

Aveva pensato di scrivergli una lettera, ma non sapeva scrivere tanto bene, e non era certa Leske sapesse leggere più di qualche semplice parola. E poi, mettersi in contatto con lui l'avrebbe soltanto danneggiato, facendolo finire nei guai col Carta. Di sicuro, nessuno lì sotto si era dimenticato di come fosse stato ucciso Beraht.

Natia si chiese chi fosse ora il capo del Carta.

Per un attimo, immaginò Leske a gestire la faccenda, ma accantonò il pensiero ridicolo con una risata sommessa. No, molto probabilmente c'era qualche ex sottoposto di Beraht, qualcuno che stava già ai tempi in alto nella catena del comando.

Firtag, o Bhesh. Oppure Durik. Magari addirittura Jarvia...

Controllò che nessuno fosse in vista, e si infilò in un vicolo, la puzza dello scarico delle case vicine che aleggiava nauseabonda. Si tolse lo zaino, infilandoci dentro dei pezzi di armatura che non riteneva indispensabili. Se fosse entrata nei bassifondi armata di tutto punto e con uno zaino pieno, non avrebbe percorso nemmeno i primi venti metri.

Si arrampicò su un tubo dell'aria e, con qualche difficoltà, guardò giù dall'imboccatura. Non c'erano scale, né sembrava che sarebbe stato possibile raggiungere il fondo e risalire.

Soddisfatta, avvolse lo zaino nel proprio giaciglio, in modo da non far rompere niente all'interno, e lo fece cadere di sotto con un lieve tonfo attutito.

“Chiederò a Geralt di tirarmelo su con qualche suo trucchetto, dopo.” Pensò mentre si allontanava, controllando che il mantello, gli stivali e il resto dei vestiti fossero abbastanza sporchi e rovinati per non dare nell'occhio.

Percorse le scale dissestate che portavano alla Città della Polvere. Il suo umore scese man mano che si avventurava tra i vicoli bui e maleodoranti, mentre l'ansia saliva vertiginosamente.

Se non avesse trovato Rica?

“Potrebbe essere morta.”

Le vie familiari, i mendicanti magri come scheletri che a malapena avevano la forza di alzare lo sguardo, sperando in una moneta o un tozzo di pane, nella carità di chi stava messo meno peggio di loro. Una nana praticamente nuda era affacciata all'uscio di una casa diroccata, mettendo in mostra il corpo denutrito, le forme quasi inesistenti. Due ubriachi russavano riversi nel proprio vomito. O era uno solo a dormire? Natia non volle fermarsi a controllare se respirasse ancora. Svoltò l'angolo che portava alla piazza con la fontana, un triste rigolo d'acqua, ma l'unica che fosse pulita pulita, almeno la maggior parte dei giorni. Un pazzo straparlava di demoni e mostri, venuti a prenderlo dagli abissi della terra, mentre una madre cullava un mucchio di stracci, i suoi singhiozzi appena udibili, gli occhi cerchiati di nero e le guance scavate dalla fame.

“O peggio, potrebbe essere ancora qui.”

Proseguì senza posare lo sguardo su nessuno di loro, se incrociavi gli occhi era finita, sarebbe stata circondata dalla miseria di quel posto, trascinata di nuovo nella polvere e nel fango.

La sua vecchia casa era poco lontana, superate le rovine del grande edificio che era crollato almeno cinquant'anni prima. La maggior parte delle pietre erano state portate via e riutilizzate, ma erano rimaste le fondamenta e qualcos'altro troppo friabile ormai per essere utile.

Il tugurio, dall'esterno, era esattamente come se lo ricordava. Un concentrato di tristezza, anonimo e identico a tutte le altre baracche che lo circondavano.

Natia Brosca non era mai stata famosa per la sua pazienza, ma sapeva quando doveva aspettare. Quello era uno di quei momenti.

Voltò le spalle alla casa, addentrandosi nel vicolo adiacente. Una serie di casse vuote di legno marcio erano impilate in modo disordinato una sull'altra. Ne spostò un paio, sedendocisi sopra, tenendo d'occhio la porta della casa dove un tempo aveva abitato.

Sicuramente, qualcuno ne sarebbe venuto fuori.

Sua madre in cerca di alcolici scadenti, o Rica, bella e profumata per fare visita a qualche nobile.






 

Passarono le ore, ma la porta rimase chiusa. Dalle assi alle finestre, non usciva nessuna luce. Che fossero uscite entrambe? No, più probabile che Rica fosse da qualche parte, e che la loro inutile madre fosse svenuta sul pavimento, lasciando spegnere l'unica candela che avevano in casa.

Un rumore dietro di lei la fece sobbalzare, le mani che volarono all'elsa dei pugnali.

Un topo bianco e spelacchiato schizzò via dal muro della casa di fianco, perdendosi nel canale di scarico sotto di loro.

Natia riprese a respirare.

Decise di andare a dare un'occhiata più da vicino. Fece il giro largo, arrivando alle spalle della casa, e spostò un'asse che sapeva essere traballante. Riuscì quindi ad infilare il braccio nella fessura creatasi, staccando rapidamente gli altri chiodi dalle rimanenti assi, attenta a non farli cadere a terra. Non sembrava esserci nessuno in casa. Si sporse di nuovo a controllare, prima di infilarsi completamente all'interno e atterrare morbidamente sul pavimento di pietra sconnessa.

Si guardò attorno. Il raggio di luce che entrava dalla finestra illuminava le nuvole di polvere che fluttuavano quasi immobili in aria. La stanza sapeva di muffa e di chiuso, come se qualcuno non aprisse le finestre da settimane. Addosso alle pareti e per tutta la stanza erano disseminate casse di legno chiuse con pesanti lucchetti.

Natia riconobbe il simbolo del Carta in un attimo.

Avevano trasformato casa sua in un magazzino? Che ne avevano fatto quindi di Rica e sua madre?

Andò d'impulso a controllare la rientranza nel muro, quella vicino alla tinozza di pietra. Spostò le due pietre e... niente, vuoto.

Ricordava chiaramente di averci messo le trenta monete d'argento che lei e Leske avevano ricavato dalla vendita delle pepite di lyrium. Nessuno sapeva di quel nascondiglio a parte Leske stesso. Forse lo aveva detto a Rica, che le aveva spese. Oppure sua madre aveva sviluppato un naso in grado di annusare i soldi nelle vicinanze, oltre che l'alcol.

Si sedette per terra, improvvisamente stanca.

“Cosa sto facendo qui?” Si chiese, chiudendo gli occhi. La sua famiglia non era più lì da un pezzo, e non aveva idea di come indagare su di loro senza farsi scoprire dal Carta. Si appoggiò al muro, pulendolo in un punto con la manica della giacca. Delle rozze incisioni andavano a formare un disegno, due sorelle che si tenevano per mano indossando ricchi abiti e vistosi gioielli. O almeno, era quello che si ricordava di aver disegnato a quattro anni, il coltello in mano e un intero pomeriggio passato chiusa in casa con la madre assente, i morsi della fame che la attanagliavano mentre aspettava che Rica tornasse con del cibo.

Quando la madre aveva visto, giorni dopo, quello che aveva fatto, le aveva tirato uno schiaffo, rompendole tre denti. Meno male che erano ancora quelli da latte, ai tempi.

Bella infanzia di merda.

Si tirò in piedi, già stufa di quel posto. Stava per uscire di nuovo dalla finestra, quando qualcuno fece scattare la serratura della porta.

Acquattandosi dietro ad una pila di casse, sbirciò nella poca luce verso il nuovo arrivato. Era solo, più giovane di lei, la barba ancora rada tipica di un ragazzino.

Aspettò che richiudesse la porta, lasciandolo avvicinare.

Quando il ragazzo oltrepassò la soglia della stanza, gli piombò alle spalle, mettendogli una mano sulla bocca e puntandogli un coltello alla gola con l'altra.

Quello lanciò un grido che venne però soffocato.

«Stai zitto o ti ammazzo.» Minacciò lei, incidendogli leggermente la pelle e stillando qualche goccia di sangue, per mettere in chiaro che facesse sul serio.

L'altro annuì, quindi gli tolse la mano dalla bocca.

«Dove sono le due donne che vivevano qui?»

«Non lo so, mi hanno solo detto di andare a recuperare delle armi!»

«Chi te l'ha chiesto?»

«Mi uccideranno se parlo!»

Natia spinse ulteriormente nella carne. «Ti uccido io qua ed ora, se non canti.»

Il ragazzo tremava come un cencio. Quando sentì qualcosa picchettare contro il pavimento, Natia stentò a crederci: il pivello se l'era fatta sotto.

«Quando c'ero io, i membri del Carta erano più tosti.» Digrignò i denti, schifata, trascinando l'idiota lontano dalla pozza maleodorante. Sua madre si sarebbe messa ad urlare, e Rica avrebbe arricciato il naso, andando a prendere uno straccio.

Lo sbattè contro il muro, facendogli picchiare la testa contro la roccia. «Allora, muoviti.»

«Tu...»

«Sì sono io, ora rispondi.»

«... tu, chi sei?»

Quasi le caddero le braccia. «Come chi sono?!» Sibilò furiosa, tirandogli un calcio sul ginocchio e facendolo cadere a terra. «Sono la padrona di casa e quella che ha sgozzato Beraht come un fottuto nug nel suo stesso palazzo!»

«... Brosca?»

«Finalmente, pivello.»

L'altro la guardava sbattendo le palpebre, una smorfia di dolore sul volto sorpreso. «Jarvia pensava che eri in superficie. Quando sa che sei qui, ti uccide di sicuro!»

«Jarvia, hai detto?» Jarvia. Una degli scagnozzi migliori di Beraht. Si ricordava perfettamente di come aveva deriso lei e Leske, quando erano stati catturati e messi in cella in attesa di essere puniti per aver rovinato le scommesse alle Prove. Era una nana abbastanza spietata da poter gestire il Carta, ed era stata abbastanza vicina a Beraht da aver imparato a comandare.

«Chi credi che ci sia al capo del Carta, adesso?» Squittì il nano, tremando come un nug sul punto di essere sgozzato. «C'è ancora una taglia sulla tua testa, dieci Sovrane!»

“Soltanto dieci?!” Si offese Natia. Avrebbe potuto pagarsi sei volte tanto. «E mia sorella? Che è successo a Rica?»

L'altro scosse la testa. «Non l'abbiamo toccata, nessuno può! Da quando è rimasta incinta vive ai piani alti, e nessuno l'ha più vista qui sotto!»

Confusa, la nana aggrottò le sopracciglia, colpendolo tra le costole con il manico del coltello. «Di che stai parlando? È riuscita a farsi mettere incinta da qualche nobile?»

Il nano sgranò gli occhi. «Non lo sai? È la concubina del Principe Bhelen in persona, il futuro Re di Orzammar! Gli ha dato un maschio settimana scorsa!»

Natia sbattè le palpebre più volte, cercando di capire. Sua sorella. Rica. Sua sorella Rica concubina di un Principe.

Realizzò qualche attimo dopo il casino.

«Cazzo!» Urlò colpendo il muro.

«Merda!» 

«Merda!» 

Urtò contro la pietra tagliente, facendosi male. Si guardò le mani, erano zuppe di sangue. Sollevò lo sguardo da terra, notando con orrore che non aveva colpito solo il muro.

Il cadavere dello scagnozzo del Carta era a terra in una pozza scura, sobbalzando in preda alle convulsioni, un profondo taglio sul collo da cui schizzavano fiotti di sangue.

«Merda!» Si chinò a cercare di fermare il sangue, premendo in qualche modo contro la ferita, inzuppandosi anche lei. «Non puoi morire, devi dirmi-»

Dopo un ultimo sussulto, il corpo rimase immobile.

«Antenati di merda!» Ringhiò Natia, dando un calcio al cadavere.

Bel casino davvero. E adesso che doveva fare? Andare a dire agli altri che sua sorella abitava al palazzo del rivale di Duran, che aveva dato un figlio maschio all'assassino di suo padre e suo fratello? Stentava a credere che avrebbe cambiato qualcosa. Duran non avrebbe abbandonato i suoi propositi di vendetta, e lei non poteva tradire Rica e toglierle l'unica cosa bella che le fosse capitata in una vita intera.

“Aspetta, sei mesi!”

Mentre frugava nelle tasche del malcapitato cadavere, fece rapidamente un calcolo. Com'era possibile che Rica avesse già partorito il figlio di Bhelen, se quando Natia era partita sei mesi prima Beraht era ancora convinto che non avesse trovato un protettore?

Sei mesi erano decisamente troppo poco per avere un figlio.

Trovò tre monete di rame, un pezzo di stoffa con inciso un disegno e un osso molto piccolo. Avvicinò quest'ultimo alla luce, riconoscendo un dito umano, la cui ultima falange era stata intagliata in modo da sembrare una chiave. L'ultima parte era attaccata ad un piccolo anello di ferro. Notò dei segni rossastri sulle ossa.

Doveva aprire qualcosa, forse l'ingresso al Carta.

Chissà se era rimasto lo stesso, o se qualcuno si era preso la briga di chiudere i passaggi a lei noti e aprirne di nuovi, con la rinnovata gestione dell'organizzazione.

Non credeva che Jarvia si fosse presa la briga di ristrutturare, non sembrava nel suo stile spendere soldi in segretezza invece che investirli in altra forza lavoro e maggiori carichi da contrabbandare.

Si grattò la testa, incerta su come nascondere il corpo. Dopo poco avrebbe cominciato a puzzare, ma non poteva trascinarlo via da lì senza allarmare l'intero quartiere nel giro di pochi attimi. Sollevarlo e farlo uscire dalla finestra era fuori discussione, e comunque sul pavimento c'era abbastanza sangue da poter essere scambiato per un macello.

Decise, a malincuore, di lasciarlo lì. Avrebbero pensato che fosse stato attaccato da un altro membro del Carta o, cosa improbabile, che un esterno si fosse introdotto per rubare dal magazzino e fosse stato colto sul fatto, uccidendo l'unico testimone.

Se il pivello aveva detto la verità, Rica e la madre non correvano alcun pericolo dal Carta, anche se Jarvia si fosse insospettita.

Si mise ad esaminare le casse, confrontando i segni con quello sul pezzo di stoffa trovato, fermandosi di fronte ad un baule dall'aria pesante. Era uno dei pochi chiusi con un lucchetto, e di buona fattura per giunta. Trafficò coi sui attrezzi da scasso, facendo scattare il meccanismo dopo qualche tentativo. Il baule si aprì, rivelando delle bombe.

Erano piccole, tenute in boccette di terracotta alla maniera dei nani, i tappi di argilla a tenerle sigillate. I simboli su di esse ne rivelavano il contenuto: fiamme, veleno, semplice fumo.

Tornò dal cadavere, prendendone la sacca e scoprendo che era vuota.

“Questo pivello si sarebbe fatto saltare in aria, e con lui mezzo quartiere.” Sbuffò riempendo la sacca di bombe, posizionandole con cura avvolte in una coperta lurida trovata su uno scaffale. Una volta messe dentro le sei bombe di fuoco, le dieci boccette di veleno e i quattro fumogeni, si dedicò alle altre casse.

Scartò subito quelle marce. Là dentro non era stato messo nulla, troppo pericoloso: in caso di trasloco rapido, si sarebbero sfondate e il contenuto sarebbe rotolato via per le strade, se non esploso. Passò a controllare quelle anonime, gli occhi che riprendevano pian piano familiarità col buio. Mesi sulla superficie le avevano rovinato la vista.

Doveva fare in fretta. Se Jarvia aveva mandato il pivello a prendere qualcosa, non vedendolo tornare si sarebbe insospettita. Scovò velocemente una cassa di coltelli, nascosti dentro del vasellame, un paio di barre di metallo lucido e...

Tre armature.

Sorrise trionfante. Si tolse in fretta la propria, mettendo anch'essa nello zaino, e indossò i pezzi che le andavano bene di quelle nelle casse. Il petto le andava un po' stretto, e i guanti un po' larghi, ma almeno non erano zuppi di sangue. Richiuse velocemente le casse, ne aprì un paio a caso scoprendo altra paccottiglia inutile e si diresse verso la finestra. Prima di uscire, si voltò per un ultimo sguardo.

“Che postaccio.” Pensò con una punta di affetto, prima di sgusciare tra le travi e uscire nel vicolo.

Vagò per i bassifondi senza una meta precisa.

Con il resto del gruppo nel Distretto dei Diamanti, non c'era verso di poterli raggiungere. Sbuffò, lo stomaco che brontolava. Ormai doveva essere quasi notte.

Una zaffata di nug allo spiedo le fece torcere le budella affamate. Ne seguì la provenienza, trovandosi di fronte ad un piccolo falò, tre persone sedute accanto ad esso, un nug al centro.

«Hei, hai del denaro?» Le chiese uno dei tre, un ragazzino senza tre denti davanti. Doveva avere non più di dieci anni. Il vecchio e la donna si voltarono a guardarla, sulla difensiva.

Natia annuì, mostrando dieci monete di rame. «Bastano per un boccone?»

La donna malconcia seduta a terra allungò una mano, prendendo le monete e mordendole. «Sì, beh, c'è cibo per tutti oggi.» Natia non riuscì a riconoscerla, aveva il visto troppo sporco e troppo in ombra per capire chi fosse, ma aveva un che di familiare.

Il nug era tutto pelle ed ossa, ma gli altri tre rosicchiarono pure le cartilagini, succhiando il midollo e sgranocchiando persino le zampe.

«Com'è che sei qui a mangiare con noi?» Le chiese il vecchio, interrompendo il suo succhiare il poco grasso del nug e sputacchiando saliva. Aveva un paio di incisivi e qualche altro dente sparso, neri e traballanti.

«Già, Jarvia non ha trovato qualcosa da farti fare?» Rincarò la donna, voltandosi verso il fuoco per guardarla accusatoria.

Natia realizzò finalmente chi fosse. Nadezda, uno dei membri del Carta di Beraht che di solito gestiva le consegne per la città. Era un corriere in gamba quando se n'era andata, come si era ridotta così? Decise di indagare, la donna sembrava avere informazioni sul Carta, e magari sapeva dove fosse Leske.

«Che ti è successo alle gambe?» Chiese, modulando la voce perché fosse più roca. Per il momento l'altra non sembrava averla riconosciuta. Era cambiata davvero così tanto, o si erano già dimenticati di lei, nonostante la taglia sulla sua testa?

Nadezda sputò per terra. «Maledette guardie. Stavo facendo una consegna, quando ci hanno beccati. Il mio compagno aveva abbastanza monete da farli chiudere un occhio, quindi se la sono presa con me. Mi hanno rotto le ginocchia e costretta in ginocchio nello sterco finchè non le ferite non erano così infette da non poterci fare più nulla.» Si indicò le gambe, piegate in una posizione innaturale, delle protuberanze che spuntavano dalle giunture. «Non sono mai guarite per bene, e il Carta mi ha scaricata. Jarvia non se ne fa nulla degli storpi.»

Tipico del Carta. Uno scagnozzo non più in grado di essere utile veniva scaricato all'istante, data la grande quantità di nuove reclute che non vedevano l'ora di mettersi alla prova. «Mi dispiace.»

Nadezda si strinse nelle spalle. «Cose che capitano. Almeno mi è andata meglio di chiunque tu abbia incontrato, eh?» Commentò, facendo un cenno col capo agli stivali di Natia, sporchi di sangue rappreso, terra e chissà cos'altro. «Un lavoro come un altro, vero?»

Natia si mosse, a disagio ma non dandolo a vedere. Estrasse uno dei suoi coltelli, mettendosi a pulirsi le unghie, fingendo indifferenza. «Bisogna pur mangiare.»

«Quant'è vera la Pietra!» Concordò la donna. «Anche perché, con quella faccia non potresti accalappiare manco un cuoco, dai retta a me.»

La ragazza storse la bocca in un ghigno compiaciuto. «Non è mai stato il mio intento. Troppe botte da piccola.»

«Ah, non tutte possiamo essere fortunate come Rica Brosca!»

Le pizzicarono i capelli in testa, chiusi nelle treccine. «Sì, ha trovato la vena d'oro, quella...»

L'altra annuì. «Dopo quello che è successo con sua sorella, pensavo l'avrebbero fatta a pezzi, e invece il giorno dopo si è trasferita ai piani alti, pensa un po'! Non ci ha messo un attimo a riprendersi.» Tirò su col naso, pulendosi con la mano lurida e ricominciando a succhiare la mascella del nug, tutti i denti ancora attaccati. «Almeno non dobbiamo più subirci le urla di quella pazza di sua madre, adesso sarà a sbronzarsi di birra al miele e vino dalla superficie...»

«Beata lei.» Le diede corda Natia. Era fortunata che, a parte i capelli rossi, non avesse preso molto in comune dalla madre, e che la sorella fosse così diversa da lei, avendo un altro padre. Forse era anche merito delle numerose cicatrici e nasi rotti...

«Ah, ma qui la vita prosegue come al solito, anche meglio a dire la verità. Da quando è morto il re le guardie sono sempre impegnate da qualche parte e siamo diventati il terrore dei mercanti!» Esclamò il ragazzino, gli occhi che brillavano di orgoglio.

Natia era ammirata. Persino Beraht si imponeva dei limiti, ma la nuova gestione era quasi sfacciata. «Certo, solo alcuni di noi...» Lo rimbeccò Nadezda, tirandogli uno scappellotto. «Ti hanno già beccato due volte a rubare dalle bancarelle, non fare altre cazzate.»

«Ora devo andare.» Tagliò corto Natia. Ringraziò per il boccone e, ancora affamata, si allontanò dal gruppo. Le sembrò che gli occhi della donna la seguissero per più del necessario, sentendoli puntati sulla nuca per tutto il tragitto prima di svoltare l'angolo.

Frugò nello zaino, prendendone un poco di carne secca e sgranocchiandola cercando di non dare nell'occhio. Uscì verso i vecchi condotti di areazione, dove lei e Leske erano soliti passare il proprio tempo libero a bere alcol scadente e fantasticare sull'avere montagne di soldi.

«Ora che le ho, non ti trovo.» Borbottò, infilandosi in un tubo abbastanza largo e salendo su una scala a pioli, attenta a dove metteva i piedi. Si issò in cima, uscendo da uno squarcio nel metallo e sedendosi sopra una roccia. Era praticamente al buio, ma poteva vedere gran parte della città della polvere da lassù, una distesa di catapecchie e rovine di pietra risalenti a troppe centinaia di anni prima. Finì di mangiare la propria cena, bevendo poi un po' dalla fiaschetta che teneva alla cintura, osservando le luci delle case spegnersi man mano che si faceva sempre più tardi, finchè non rimase soltanto la luce dei canali di lava in fondo alle caverne.

Sistemò lo zaino accanto a sé, stendendosi sulla nuda roccia, il mantello appallottolato come un cuscino. Lì era praticamente invisibile, nessuno l'avrebbe disturbata. Era uno dei loro posti preferiti per cercare un po' di solitudine e svago...

Chiuse gli occhi, sperando che le venisse sonno in fretta.



 

 

Si svegliò di soprassalto, le urla che arrivavano dalla strada fin lassù a farla scattare in piedi, pronta a difendersi. Ci mise qualche secondo a realizzare di non essere in pericolo di vita.

Tornare là sotto le aveva risvegliato tutti i suoi istinti di sopravvivenza, che aveva imparato a tenere a bada viaggiando con un folto gruppo di compagni.

Respirò profondamente, cercando di capire cosa stesse succedendo. Era mattina, sicuramente. C'era più luce, tutti i fuochi erano accesi.

Fece vagare lo sguardo in direzione della piazza con la fontana. Un folto gruppo di persone stava urlando, ma era troppo lontana. Raccattò in fretta lo zaino e si coprì col mantello, stando bene attenta a rimettersi della polvere sulla faccia e i capelli. Soddisfatta, si infilò nel tubo di areazione, scendendo nel vicolo sottostante.

«Troverò chi ha rubato la nostra roba, e la pagherà cara!»

“Karshol” lo riconobbe Natia. Era uno degli scagnozzi di Beraht e ora serviva Jarvia.

«Se qualcuno ha informazioni, si faccia avanti adesso! Venti pezzi d'argento a chi mi porta un nome, cinque se avete almeno una descrizione!»

«Quel pazzo che si è permesso di rubare al Carta, avrà vita breve...» commentò qualcuno tra la folla. Alcuni annuirono, altri stavano già pregustando il denaro.

«Con l'oro o col sangue, il Carta prende sempre la sua parte.» Recitò un altro, scuotendo la testa. «Vorrei non essere stato ubriaco perso, ieri sera, magari vedevo qualcosa e stanotte mi pagavo qualche bella ragazza. O birra migliore.»

«Non ti basterebbero trenta pezzi d'argento, con quell'alito!»

Era il momento di ritirarsi. Osservò meglio gli altri uomini del Carta che erano con Karshol, imprimendosi le loro facce nella memoria, per poi girare i tacchi e andarsene con calma.

Fece la strada più lunga verso i quartieri comuni, prendendo svolte inutili e tornando spesso indietro. Quando arrivò al mercato, era mattina inoltrata. Lanciò un'occhiata al grande orologio a pesi, collegato alla clessidra di sabbia che troneggiava al centro della piazza. Quasi mezzogiorno.

Orologi come quello erano l'unico modo per contare il tempo sottoterra, e ce n'erano di diverse fatture e dimensioni, ma tutti funzionavano più o meno allo stesso modo: una clessidra di sabbia calcolava lo scorrere dell'ora e quando la sabbia passava tutta sul fondo, un meccanismo la ribaltava di nuovo a testa in giù, facendo scattare in avanti un'asticella che segnava i vari giri su un tabellone circolare. Orologi del genere erano posti in giro per la città e nelle case, in versione più piccola, mentre aveva sentito dire che nel Distretto dei Diamanti si usava polvere d'oro e gemme preziose. Avrebbe dovuto chiedere a Duran se fosse vero.

Girovagò per un poco, il peso dello zaino pieno zeppo che cominciava a farsi sentire, quando finalmente individuò qualcuno di familiare.

«Hei, spilungone!» Sibilò, avvicinandosi di soppiatto e facendo saltare il mago sul posto. Una scarica elettrica fece schioccare l'aria, ma lei era già scattata indietro.

«Sei impazzita?!» Sbottò Geralt, portandosi una mano al petto con fare drammatico. «Potevo ucciderti. Non farlo più.»

«Seh, uccidermi, come no.» Lo sbeffeggiò lei. «Allora, mi dovresti fare un favore.»

«Sparisci nel nulla, ricompari il giorno dopo e mi chiedi pure di aiutarti?»

«Gli amici fanno così, no?»

Lo vide sogghignare. «Non mi era giunta voce fossimo addirittura amici.»

Natia schioccò la lingua. «Dato che non hai esattamente la fila, accontentati.»

«Hei, dov'eri finita?» Trillò Leliana, un ampio sorriso sul volto. «Ti stavamo cercando, eravamo preoccupati.»

Kallian, accanto a lei, accennò un sorriso, che le storse la cicatrice sul labbro. «Ciao.»

Zevran la salutò allegramente, un sasso luccicante in mano e un sorriso tutto denti.

«In giro.» Rispose evasiva lei alzando la mano. «Che ne dite di pranzare decentemente? Conosco un posto niente male.»

«Il Tapster?»

Natia guardò il mago, sorpresa. «Come fai a ricordartelo?»

«Gli amici prestano attenzione, sai.»

Ridacchiò. «Allora muoviamoci a recuperare la mia roba, che poi vi faccio fare un giro alcolico di tutte le birre del Tapster. Ah, spero abbiate spazio nei vostri zaini...»

«Non sono una carrucola.» Si lamentò Geralt mentre con un incantesimo sollevava lo zaino pieno di roba di Brosca. «Vedi di non abituartici.»

Lei lo ignorò, costringendoli a dividere il contenuto della refurtiva tra di loro, in modo che non dessero nell'occhio con borse troppo piene.

Quando arrivarono alla taverna, la cameriera le si parò davanti, squadrandola con disgusto.

«Non serviamo senzacasta, qui.»

«Non è certo il modo di accogliere un cliente!» La redarguì Leliana, incrociando le braccia e mettendosi al suo fianco. Natia ghignò in direzione dell'altra nana, beandosi della sua espressione sorpresa.

«Veniamo dalla superficie, però se questi ti fanno schifo, andremo a spenderli da un'altra parte.»

Le mise in mano dieci monete d'oro.

Alla cameriera quasi venne un colpo. Sbiancò di botto, chinando il capo e affrettandosi a balbettare qualche scusa. «Prego, da questa parte.»

Li condusse ad un tavolo di pietra in fondo al locale, al riparo da occhi indiscreti. Mentre attraversavano il salone, era chiaro che tutti sapessero perfettamente chi erano. D'altronde, un gruppo di spilungoni, tra cui un mago e un'elfa particolarmente appariscenti, non potevano passare inosservati.

«Sono quelli che accompagnavano i Custodi Grigi ieri...»

«Ho sentito che si sono schierati con il Principe Duran Aeducan...»

«... non è mica più un principe, quello!»

«Ha ammazzato suo fratello!»

«Ma no, è stato incastrato da Bhelen!»

Natia ridacchiò. «Siamo la notizia del giorno.»

«Ed è solo l'inizio...» Borbottò Geralt, prendendo posto al tavolo.

Sotto consiglio di Natia, ordinarono un giro di tutte le migliori birre del locale.

Kallian storse il naso. «Io prendo dell'acqua.»

«E dai, almeno per questa volta!»

L'elfa scosse la testa. «Non mi piace l'alcol.»

«Non sai che ti stai perdendo!» Esclamò Natia, annusando una delle birre e scolandosene almeno metà tutto d'un fiato. Ruttò sonoramente, sbattendo il boccale sul tavolo. «Ah, era da sempre che volevo farlo.»

«Essere assolutamente rivoltante? Lo fai più o meno tutti i giorni, tranquilla.»

Era troppo felice per ribattere, quindi scelse di ignorare il commento del mago. Se Leske l'avesse saputo... aveva tutto il Tapster al proprio servizio, bastava sventolare qualche moneta della sua borsa! “Ah, il meraviglioso odore del denaro!” Pensò soddisfatta, inspirando a pieni polmoni.

«Effettivamente, è molto buona.» Dichiarò Leliana, sorseggiando graziosamente dal suo boccale. «Leggere note fruttate, un forte sentore di botte di coccio e il miele che ne addolcisce l'aroma...»

Zevran ridacchiò, sollevando il boccale. «Abbiamo un'intenditrice!»

«Oh, non mi permetterei mai di sostenerlo.» Scosse la testa la donna, le guance leggermente colorite di rosa. «Kallian, sei sicura di non voler assaggiare?»

L'altra rispose negativamente. «Scusate, non mi piace proprio.»

«Una scelta salutare.» Acconsentì l'Orlesiana.

Natia tracannò il proprio boccale, prendendone un altro di birra scura. «Ne lasci di più per noi!»

«Sei riuscita a trovare tua sorella?» Le chiese a tradimento Geralt, facendole quasi andare di traverso la bevanda.

Tossì più volte, cercando di non farla uscire dal naso. «No, non vive più lì.» Rispose evasiva.

L'altro la fissò, assottigliando gli occhi.

«Non voglio parlarne, d'accordo?» Sbottò lei sulla difensiva. «Siamo qui per bere, non per risolvere i nostri problemi familiari. Altrimenti ti avrei chiesto perché non sei andato a parlare con Jowan prima di partire.»

Fu il turno di Geralt di tossire, a disagio. Riportò lo sguardo nel boccale. «Già, siamo qui per bere.»

Ben presto ordinarono un altro giro, mentre gli altri la aggiornavano su quanto successo il giorno prima al Distretto dei Diamanti.

«Quel Hawwormont non mi convince.» Sentenziò Zevran. «Troppo impegnato a far fare agli altri tutto il lavoro e a prendersene il merito.»

«Abituatici, qui ad Orzammar fanno tutti così.»

«Mi ricorda molto Orlais, tutte queste macchinazioni politiche, sembra il Gioco...»

«O Antiva.» Ridacchiò l'elfo. «Gli omicidi sembrano all'ordine del giorno.»

«Quindi, vogliono andare a recuperare la Campionessa Branca nelle Vie Profonde?» Chiese Natia sovrappensiero. Non aveva alcuna intenzione di infilarsi là sotto, gli incontri con la Prole Oscura in superficie le erano bastati. «Mi sembra un suicidio.»

Geralt si strinse nelle spalle. «Sarà, ma sono convinti che sia l'unico modo per ottenere l'unanimità dell'Assemblea.»

«Tipico di quei culi di pietra, cercare di risolvere i loro problemi andando a cercare una pazza sparita chissà dove da anni.»

«Però hanno un'enorme biblioteca. Se non avessimo dovuto venire a cercarti, starei già leggendone la metà in questo stesso momento.»

«Spilungone, tu hai un gran bisogno di scopare.» Afferrò un altro boccale dal vassoio, mettendoglielo davanti. «E di bere. A fiumi. Non uscirai di qui in grado di leggere, te lo dico io.»

«Ah, questa potrebbe essere divertente!» Esclamò lascivamente Zevran, lanciando uno sguardo al mago che lasciava ben poco all'immaginazione.

Geralt, stranamente, non provò nemmeno a ribattere, attaccandosi al boccale.

«Whoah, piano, o non uscirai nemmeno camminando!»

Risero tutti. Persino Kallian si era rilassata, mentre sbocconcellava del nug ai licheni. Leliana prese un po' di salsa dalla tazzina e la versò sopra la porzione di carne dell'elfa, che la guardò interrogativa.

«Assaggia, fidati di me.»

L'altra seguì il consiglio, sgranando gli occhi per la sorpresa. «Mhf, è buonissimo!» Biascicò, masticando di gusto e prendendone dell'altro.

Risero di nuovo, facendo lo stesso.

Natia li osservava di sottecchi, divertita. Proprio un bel cambiamento dall'ultima volta che era stata al Tapster.

Si chiese per l'ennesima volta cosa stesse facendo Leske.












Note dell'Autrice: ah, Orzammar, che luogo paradisiaco! Natia ha uno sguardo molto diverso rispetto a Duran, mi piace mostrare i due lati della città, così come l'evoluzione che entrambi hanno avuto da quando sono fuggiti in superficie... Avranno il loro bel daffare a sistemare tutti i casini che si ritrovano. 

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Capitolo 26
*** Orzammar - Distretto dei Diamanti ***


CAPITOLO VENTISEI:

ORZAMMAR – DISTRETTO DEI DIAMANTI
 


 

 

«Quindi ogni nano della superficie deve avere dei tatuaggi quando scende qui sotto?» Chiese Zevran, indicando il marchio a forma di S che Natia aveva sulla guancia destra, proprio sotto l'occhio.

L'argomento dei tatuaggi dei senzacasta sembrava interessarlo particolarmente.

La nana annuì, bevendo la sua birra. «Così i culi di pietra possono riconoscere meglio su chi sputare. Noi veniamo marchiati alla nascita, ed è indelebile, ma quelli della superficie che scendono qui di solito usano inchiostro lavabile, in modo da tornare là sopra ad essere come tutti gli altri.»

Geralt prese un altro po' di nug, aggiungendoci una salsa dolce di dubbia provenienza e accompagnandolo con l'ennesimo boccale di birra. Aveva la testa che girava leggermente, ma scelse di non preoccuparsene. «A me sembra che questo posto faccia schifo per viverci.»

Natia scoppiò a ridere di gusto. «Sì, immagino che per voi spilungoni sembra così...»

L'Antivano ridacchiò anche lui. «Il nostro mago non ha tutti i torti, però... come mai volevi tanto tornarci?»

«Tu vorresti tornare ad Antiva, no?» Ribattè la nana.

Zevran si portò una mano al petto, in un gesto esasperato di offesa. «Non starai certo mettendo a confronto il gioiello del mare del nord con...» indicò l'ambiente intorno a loro. «Insomma, non dubito che vivere sottoterra tra Prole Oscura, polvere e gemme preziose possa essere affascinante, e il vostro modo di gestire i rivali in politica mi ricorda molto il nostro, ma insomma...»

«Beh, detto da un assassino che è stato comprato come schiavo ed addestrato alla sottile arte dell'omicidio e delle belle parole, scusa se non ti credo granchè.» Ribattè Natia piccata. «E poi, hai un feticismo per gli stivali puzzolenti.»

Geralt quasi si strozzò col nug, tossendo per riprendere fiato e smettere di ridere. «In che senso?»

«Ah, la nostra amica si riferisce al mio amore per la pelle lavorata!»

«Stivali puzzolenti.»

«Pelle? Perchè proprio la pelle?» Chiese il mago, incuriosito.

L'elfo gli sorrise ammiccante. «Ad Antiva, la mia stanza era proprio sopra una conceria. Facevano stivali dall'aria morbida e confortevole, giacche ricamate e pantaloni di tutti i generi... l'odore saliva fino alla mia finestra, portato dalla brezza marina, e mi dava il buongiorno tutte le mattine.»

Geralt storse la bocca. «Immagino il fetore.»

L'altro ridacchiò. «Ci si fa l'abitudine, come in molti altri casi si impara ad apprezzare le cose più strane...»

«Ora mi dirai che apprezzi l'odore di pesce marcio, solo perché ti ricorda il mare?»

«Oh, il mare non è l'unica cosa che mi viene in mente, pensando alla mia città. L'aria di Antiva sa di salsedine, di pelle, di pesce lasciato a seccare, ma anche di spezie, sangue e sesso...»

Il tono lascivo dell'elfo mandò una serie di brividi lungo la sua spina dorsale. Geralt si rifugiò nuovamente nell'alcol.

«Ora capisco perché ti manca!» Esclamò Natia divertita, alzando il proprio boccale e brindando in direzione di Zevran. «Dovresti dare lezioni a questo qui, l'ultima volta che l'ho portato a divertirsi se n'è scappato come un verginello.»

Diede una pacca sulla spalla a Geralt, che le lanciò un'occhiataccia inviperita. «Solo perché so controllare i miei istinti e tenermi addosso i pantaloni, non significa che sia un “verginello”.»

Leliana ridacchiò composta, mentre Kallian si limitava a far vagare lo sguardo da tutt'altra parte, chiaramente disinteressata al loro battibeccare.

«Controllare i tuoi istinti?» Lo sbeffeggiò la nana. «Sapete cosa stava facendo la prima volta che l'ho visto?»

«Brosca, ti avverto...»

«Stava martellando un de-»

«NATIA!» Le lanciò una scarica elettrica, abbastanza forte da creare uno schiocco che risuonò per tutta la sala, la sedia che si rovesciò a terra, la nana che rideva di gusto.

«D'accordo, spilungone, ho capito!» Alzò le mani, ancora a terra, in segno di resa.

L'intera sala si era girata a fissarli, gli sguardi di aperta disapprovazione e disgusto puntati su di loro. Geralt deglutì a vuoto, abbassando la mano e interrompendo il flusso di energia, cercando di riprendere la calma. Si sentiva le guance in fiamme.

Quella volta col demone era stato un momento di debolezza, ma... dovette ammettere che, nell'eventualità che una situazione del genere si fosse riproposta senza conseguenze di possessioni, avrebbe fatto lo stesso. Si ricordava come il demone del desiderio avesse preso le esatte sembianze di Jowan, replicandone la voce, il filo di barba sfatta da qualche giorno, il fisico magro, le mani affusolate più avvezze a girare le pagine dei libri che a maneggiare oggetti pesanti, il-

Scosse la testa, cercando di nascondersi nel boccale.

Lo sguardo di Zevran puntato su di sè non gli facilitava il compito.

 

 

Uscirono dal Tapster che era ormai notte inoltrata.

Non che fosse chiaro, stando chiusi là sotto senza la luce del sole, ma avevano trascorso tutto il tempo a chiacchierare, lasciando che il pranzo cedesse il posto alla cena, bevendo e mangiando fino a scoppiare.

Bevendo, soprattutto.

La testa gli girava, e mentre Leliana e Kallian andavano a dare un'occhiata a dei cristalli luccicanti esposti su una bancarella del mercato, Natia raccontava loro esilaranti storie riguardanti un capo del Carta, un lavoro andato particolarmente bene o altri aneddoti della sua vita. Si lasciò convincere a provare del lichene in pasta, che masticato dava un effetto simile a quello del lyrium, probabilmente perché cresceva accanto alle vene del prezioso metallo, di cui prendeva il colore.

Il risultato fu che, una volta finito di gironzolare tra la merce esposta, a stento ricordava come si salisse al distretto dei nobili.

La guardia posta all'ingresso del piano superiore, dove erano alloggiati al palazzo di Harrowmont, li squadrò con disgusto.

«Dove credete di andare?»

«Siamo qui con i Custodi Grigi.» Rispose Kallian, che era l'unica perfettamente sobria. Persino Leliana aveva le guance imporporate e continuava a ridacchiare.

Il nano li scrutò uno ad uno, scuotendo il capo. «Non fate baccano o vi rinchiudo tutti in cella.»

Natia lo superò con una smorfia, che le distorse tutta la faccia e strappò ai suoi compagni l'ennesima risata. Geralt si appoggiò al muro mentre salivano le scale, la testa che girava furiosamente.

«Tutto bene?» Gli chiese Zevran, la mano appoggiata sulla sua schiena, sbiascicando un po' le parole. Non tolse la mano mentre Geralt saliva lo scalino successivo, facendola scivolare più in basso. Il suo sorriso ammiccante traballava alla luce delle lampade.

Riuscirono a raggiungere il palazzo di Harrowmont con solo un paio di deviazioni. Incontrarono un nano ubriaco fradicio, che vedendoli arrivare emise un rutto poderoso, svenendo per terra dal ridere.

Lo superarono, il puzzo di alcol che gli aleggiava addosso, la barba rossiccia incrostata di schiuma di birra, i capelli scarmigliati.

«Non sono mai stata qui, sapete?» Disse loro Natia, portandoli ad ammirare dall'alto il resto della città. Sotto di loro, il quartiere comune e, ancora più in basso, qualche piccola luce sparsa dove dovevano essere i bassifondi.

Con un ghigno, la nana sputò dalla balaustra.

«Ficcatevelo in culo!»

Scoppiò a ridere di gusto, contagiando anche gli altri.

Geralt agitò la mano nel vuoto, creando una serie di piccole gocce d'acqua che caddero nel vuoto sotto di loro.

«Fine come al solito, eh, spilungone!»

Due nane particolarmente svestite, appoggiate al muro di un portico, attirarono la sua attenzione. Le indicò, biascicando qualcosa a Natia.

«Quelle? Sono in cerca di un nobile a cui dare un figlio maschio.» Rispose lei. «Con un maschio, prenderebbero la casta del padre e vivrebbero da ricche per tutta la vita!»

«Questo sistema di caste è orribile.» Disse Leliana, infervorata. «Duran deve fare qualcosa.»

Le dita dell'Orlesiana, appoggiata alla balaustra, sfioravano quelle dell'elfa, che tuttavia non sembrava infastidita dalla cosa.

Si girò a guardare Zevran, ma non appariva sorpreso.

Proseguirono fino al palazzo di Harrowmont, raccogliendo sguardi in tralice e commenti a mezza voce da tutti i nani che incontrarono.

«Stiamo disturbando la quiete.» Commentò Zevran.

«Oh, che peccato!» Ghignò Natia.

Le guardie poste di fronte al palazzo di Harrowmont li lasciarono passare senza dire niente, ma non cercarono di nascondere il proprio disappunto.

Arrivati di fronte al corridoio che conduceva alle loro stanze, Natia si esibì in un traballante inchino, sul punto di cadere. «Beh, è stato un piacere.»

Kallian la afferrò delicatamente per un braccio, impedendole di cozzare contro il muro. «Buonanotte.»

Leliana ridacchiò, aprendo la porta per la camera che divideva con Kallian e Natia e scortandole dentro. «A domani, voi due.»

«Spero tu non sia così stanco da volermi abbandonare tutto solo...» Mugolò Zevran una volta che furono rimasti soli.

«Abbiamo la stessa camera, non vai a dormire da solo.» Bofonchiò il mago.

«Non credo di essere in vena di dormire...» Gli accarezzò lascivamente la barba, spedendogli immediatamente il sangue verso il basso.

La testa gli girava. Si pentì di aver bevuto così tanto. Si allontanò di scatto, barcollando un poco, riuscendo a raggiungere la porta della loro stanza e aprirla di scatto. «Zevran, non-»

Non riuscì neanche a finire la frase che l'elfo richiuse la porta dietro di loro, appoggiandovisi contro. «In effetti, potremmo fare tante altre cose molto più divertenti.»

Quando l'elfo ammiccò, un accenno di lingua che compariva a leccare il labbro superiore, Geralt ebbe una chiara immagine di come altro potesse rendersi utile, quella lingua. La stanza aveva preso a girare e i pantaloni gli erano terribilmente stretti.

Da quanto non...?

Zevran era chiaramente conscio dell'effetto che aveva su di lui, perché prese ad aprirsi la maglia, impiegandoci un tempo esasperatamente lungo.

“Per le palle del Creatore!”

Lo afferrò per il colletto, traendolo a sé. «Stai tirando la corda.»

Il profumo dell'elfo lo colpì a tradimento, inebriandolo.

«E spezziamola allora, cosa stiamo aspettando?» Rispose quello, facendo scivolare la mano verso il basso, accarezzandogli il petto e gli addominali, posandosi sulla protuberanza nei pantaloni. «Direi che anche qualcun altro è stufo dei giochetti...»

Una scarica elettrostatica fece vibrare l'aria intorno a loro nell'attimo in cui le dita dell'elfo lo massaggiarono, strappandogli un gemito di frustrazione, mentre le ultime resistenze lo abbandonavano. Zevran ridacchiò.

Geralt grugnì, spingendolo contro il muro, impossessandosi della sua bocca e soffocando la risatina dell'altro, togliendogli in fretta la maglia.

L'elfo lo stuzzicò, giocando con la sua lingua e spingendolo via da sé, inspiegabilmente forte per essere così minuto. Lo condusse verso il letto, armeggiando con gli alamari delle sue vesti, lasciandolo a torso nudo.

Un brivido di freddo ed eccitazione lo scosse, l'alcol che lo rendeva leggero, libero. Spinse l'elfo sul letto, salendo a cavalcioni sopra di lui. L'altro fece per alzarsi, ma Geralt liberò una scintilla dalle proprie dita, spedendolo sui morbidi cuscini con gemito.

Gli occhi marroni dell'elfo puntati nei suoi, la pelle scura, così diversa da-

Digrignò i denti, afferrando i capelli dell'altro, tornando a baciarlo con prepotenza. Lo sentì armeggiare con i lacci dei propri indumenti, e fu libero a sua volta.

Come dal nulla, l'elfo tirò fuori da una tasca una boccetta, leccandosi le labbra. Il tatuaggio a lato del viso sembrava danzare sulla pelle color caramello.

Il corpo di Zevran era praticamente glabro, liscio al tatto, asciutto e muscoloso. I tatuaggi scendevano lungo la schiena, aggrovigliandosi fino a mezza coscia.

Con un gesto della mano spense le candele, voltando l'altro di spalle.

I capelli erano sottili, del colore sbagliato e troppo lunghi...

Li strinse tra le dita fino a farlo gemere, spingendolo contro i cuscini, soffocando quella voce che non era quella giusta.

Lo preparò in fretta, la boccetta di olio che cadeva a terra, infrangendosi in mille pezzi, le dita affusolate dell'elfo ad accompagnare le proprie.

Entrò in lui con facilità, cercando di ignorare quanto si sentisse sbagliato.

«Più forte.»

Lo zittì con una mano, chiudendo gli occhi, il volto di Jowan impresso in mente, il suo corpo, il suo profumo, la sua voce...

Aveva il respiro affannoso. Portò la mano sull'erezione del compagno.

Le spinte si fecero più erratiche. Una scarica di scintille illuminò per un attimo la stanza.

“Jowan...”

Si abbandonò sul compagno, sfinito, rotolando da un lato.


 

 

Si sentiva una merda.

Di fronte alla terza tazza di tè nero, bollente e amaro come piaceva a lui, il mal di testa che sembrava spaccargli a metà il cervello e lo stomaco aggrovigliato da nausea e sensi di colpa, prese per un attimo in considerazione l'idea di sbattere la testa contro il muro. Almeno c'era una vaga possibilità che si sarebbe dimenticato quanto accaduto la notte prima.

Aveva ignorato il buongiorno di Zevran, che si era alzato come se niente fosse, lavandosi e vestendosi per poi uscire dalla stanza.

Geralt era rimasto a letto, sepolto sotto le coperte, fingendo di dormire. Anche se l'elfo molto probabilmente se n'era accorto.

«Hei, tutto bene?»

Alzò lo sguardo. Leliana lo guardava preoccupato. I capelli perfettamente a posto, della sera prima non restavano altro che un filo di occhiaie sull'incarnato pallido.

Annuì poco convinto.

«Se è per il mal di testa, Wynne fa un infuso eccezionale. Posso andare a chiederne un po' per te...»

«Non credo che il suo problema sia il mal di testa!» Fece il suo ingresso Natia, dandogli una pacca sulle spalle e sedendogli di fronte. «Allora, che ci racconti?»

Le rivolse un'occhiata astiosa che ebbe l'unico effetto di farla ridere, mentre si serviva dal vassoio della colazione.

«Con quei capelli, non faresti paura a nessuno, manco se usi la tua magia del sangue.»

«Natia!» La rimproverò Leliana, guardandosi attorno allarmata.

«Tranquilla, qui nessuno sa manco cosa significa...»

«Beati loro.» Kallian si sedette di fianco a Natia, sbadigliando vistosamente. «Non ho dormito niente, tutto quel cibo mi è rimasto sullo stomaco.»

«Vuoi del tè?» Le offrì Geralt, sperando di guadagnare qualche punto.

L'altra annuì dopo qualche attimo di incertezza, lasciando che il mago prendesse una ciotola d'acqua, la scaldasse con un po' di magia e ci mettesse dentro le foglie.

Una volta pronto, fissò la tazza con aria circospetta, annusandone il profumo.

«Non è veleno, giuro.»

«Grazie.» Rispose asciutta l'elfa, prendendone un sorso.

«Ce n'è pure per me?»

Si voltarono. Aenor arrivava stropicciandosi gli occhi, i capelli ancora in disordine, gli occhi cerchiati di nero. Si accasciò sulla panca, appoggiando la testa sul tavolo di pietra.

«Ti chiederei come hai passato la serata, ma credo che la risposta sarebbe meno divertente della nostra.» La salutò Natia, porgendole un boccale pieno di birra.

L'altra non annusò nemmeno per controllare cosa fosse, bevendone un sorso e tossendo disgustata. «Ma di prima mattina?!»

«Ormai è quasi mezzogiorno, altro che mattina...» Ribattè la nana ridacchiando. Si riprese il boccale, prendendone qualche generoso sorso.

Geralt sospirò, preparando un tè anche alla Custode. Quella storse la bocca, aggiungendoci tre cucchiai di sciroppo di licheni. Il mago quasi si sentì offeso che stesse rovinando il sapore delle foglie con quella robaccia dolcissima, ma lasciò perdere. L'elfa sembrava avere avuto una nottata disastrosa, quasi quanto la propria.

«Quei cazzo di culi di pietra hanno discusso tutta notte.»

Natia rise, divertita dal sentirla usare i suoi soprannomi per i nobili. «Che avete deciso?»

«A quanto pare, dovremmo andare a spaccare qualche osso in una stupida arena, e poi risolvere il problema della criminalità nella Città della Polvere.» Biascicò l'elfa. «E, se siamo ancora tutti interi, scendere ulteriormente sottoterra alla ricerca di una pazza che è sparita due anni fa a cercare un modo per creare altri golem.»

«Quindi vogliono davvero andare a cercare Branka?» Chiese Leliana, sbocconcellando un dolcetto.

«Piuttosto, sua altezzosità crede sia facile eliminare l'intero Carta?»

Geralt sospirò. Voleva soltanto avere una mattinata tranquilla, era troppo da chiedere?

«Domani ce ne andiamo all'arena, oggi annunciano che i Custodi Grigi parteciperanno agli scontri a favore del Principe Duran Aeducan.» Aenor non sembrava molto convinta della cosa.

«Bene, sappiamo già chi scenderà in campo?» Le chiese Natia interessata.

«Io, Alistair, Shale e...»

«Combatterò anche io, ovviamente.»

Si voltarono sorpresi. Duran, la barba curata e la nuova armatura lucidata a puntino, li salutò con un cenno del capo. «Non si dica che non combatto le mie battaglie.»

«Non sarà pericoloso?» Si preoccupò Leliana. «Dopotutto, sareste un facile bersaglio per i sicari di vostro fratello...»

Il principe scosse la testa. «No, ormai Bhelen non può permettersi di uccidermi di fronte a tutti. Anzi, se avesse un minimo di fegato scenderebbe in campo contro di me, ma so già che non sarò così fortunato...»

Geralt aggrottò le sopracciglia. «Non c'era un processo sulla vostra testa? Avete già risolto con l'Assemblea?»

Duran rise di gusto. «No, per niente.» Prese anche lui della birra, sedendosi al tavolo. «Ogni processo e altra questione sono stati rimandati a dopo che Orzammar avrà eletto un Re. E quando ieri Lord Harrowmont ha ritirato la propria candidatura a favore della mia, rigirando i propri voti a me... Bhelen non aveva nemmeno abbastanza seggi per rinchiudermi in cella, figuriamoci condannarmi a morte.» Si aprì in un sorriso divertito. «Avreste dovuto vedere con che faccia ha dichiarato che avremmo risolto l'omicidio di nostro fratello conquistando la corona... pensavo si sarebbe usurato, da quanto digrignava i denti.»

Natia sbuffò. «Ecco, avessimo potuto risolvere quel piccolo incidente alle Prove nello stesso modo, ora ci sarei io a capo del Carta...»

«Brosca, proprio di questo ti volevo parlare.»

L'altra rimase sorpresa col boccone a mezz'aria. «Mhf?»

«Qualcuno dovrebbe sistemare questa Jarvia, e nessuno meglio di te qui conosce il Carta, i suoi punti deboli e tutti i passaggi segreti per entrare nel loro covo...»

«Non se ne parla.»

Il principe cambiò subito espressione. «Non è negoziabile. Dovrai fare la tua parte, e in cambio otterrai una ricompensa quando verrò eletto Re.»

Natia, con sommo stupore di tutti, si alzò in piedi. «Mi spiace, ma non posso. Non posso aiutarti contro Bhelen.»

Geralt intercettò la rabbia proveniente dal principe e cercò di intromettersi. «Natia, siamo venuti qui apposta no?»

L'altra scosse la testa, un'espressione tesa sul volto. «Non posso fargli questo.»

«Brosca, per gli Antenati, si può sapere cosa stai farneticando?!» Sbottò Duran. «Credevo di averti dalla mia parte, e adesso decidi di appoggiare quello schifoso di mio fratello?! Che ti ha promesso, soldi? Il Carta? Un titolo nobiliare?!»

Anche lei alzò la voce. «Non è quello!»

«E allora cosa, di dargli anche tu un figlio, come quella senzacasta che si è portata dietro-»

«È mia sorella!» Urlò la nana, sbattendo una mano sul tavolo e facendo volare a terra il piatto, che si schiantò sul pavimento andando in frantumi. «Cazzo!»

Scese il silenzio. Un raggelato, orribile silenzio.

Geralt non sapeva cosa dire. Incrociò lo sguardo di Kallian, che fissava Natia con occhi sgranati. Aenor era rimasta con la tazza di tè a mezz'aria, lo sguardo fisso sui due.

Duran chiuse gli occhi, prendendo un respiro profondo e poi un altro.

«Natia, sono certa che nessuno volesse metterti contro tua sorella... Il Principe semplicemente non ne era a conoscenza.»

Leliana, come al solito, sembrava salvare la situazione sapendo sempre cosa dire.

«Beh, adesso lo sa. E non posso farle rispedire nella polvere, non posso.» Grugnì Natia, lo sguardo puntato a terra.

Il principe sembrava aver ripreso l'uso delle parole. «Brosca, avresti potuto dirmelo prima.»

«Sarebbe cambiato qualcosa?»

Facendo sobbalzare tutti, Duran si avvicinò di scatto all'altra, costringendolo a guardarlo negli occhi. «Pensavo che ormai avessi capito di poterti fidare di almeno un culo di pietra, no?»

Natia cercò di distogliere lo sguardo.

«Pensi davvero che possa spedire mio nipote e la sua famiglia nei bassifondi, o peggio?» Proseguì Duran. «Rispondimi, per gli antenati!»

«Non lo so, va bene?!» Sbottò l'altra, divincolandosi e facendo qualche passo indietro. «Prima di salire in superficie non te n'è mai fregato un cazzo di noialtri, eravamo soltanto feccia! Me lo ricordo, sai, come mi hai trattata in cella. O quando tu e il tuo amico Gorim mi avete ignorato per la maggior parte del viaggio verso Denerim!»

«Non-»

«Tuo nipote?! Probabilmente non è altro che carne da macello per te, soltanto un altro da mandare nelle Vie Profonde a morire, vestito con una bella armatura e addestrato ad uccidere! L'unico modo che abbiamo per farci notare da voi è sfornarvi dei maschi, e ti chiedi perché non mi fido?!»

Duran lasciò passare qualche attimo. «Hai finito?»

La nana lo guardò, furibonda. Geralt notò che aveva gli occhi lucidi. «No.»

«Urlami addosso quanto ti pare, accusami pure di essere nato figlio di re, di essere un maledetto culo di pietra, di appoggiare il sistema delle caste ed essere un privilegiato. Avanti, forza, fallo.» La sfidò a continuare. «Ma non accusarmi, mai, di essere un assassino o di volere il male della mia famiglia.»

Natia tirò su col naso. «Non è la tua famiglia.»

«Il bambino è figlio di mio fratello. Sangue del mio sangue.»

«Tu odi tuo fratello!»

«Non cambia il fatto che il bambino sia innocente dei crimini del padre. Che razza di mostro credi che sia?»

La nana abbassò di nuovo lo sguardo, fissandosi i piedi. «Non potevo saperlo.»

«Potevi chiedere. Potevi fidarti di me.»

Geralt la capiva. Fidarsi di qualcuno appartenente ad un ceto sociale così alto da non essere nemmeno degna di guardarlo? Qualcuno che rappresentava l'intero sistema di abusi e soprusi? Non c'era da stupirsi se Natia non gli avesse confidato della sorella.

«Una volta che otterrò il mio trono, il piccolo Endrin resterà un principe, e tua sorella continuerà a vivere a palazzo. È un Aeducan, e come tale verrà trattato, non come carne da macello. Avrà gli stessi diritti di qualsiasi mio figlio, lo giuro sulla Pietra.»

«Rica non ci crederà.»

«Vai a parlarci, allora.»

Natia sollevò lo sguardo facendo una smorfia. «Credi che mi faranno entrare a palazzo così, semplicemente chiedendo?»

«Ci saranno dei momenti in cui esce di casa. Le faremo recapitare un messaggio da parte di un uomo fidato, qualcuno che Bhelen non conosce, e vi incontrerete nel Quartiere Comune.»

Dopo qualche attimo, Natia annuì. «Cosa vuoi in cambio?»

Duran sospirò. «Non lo chiedo in cambio, ma come favore. Mi serve il tuo aiuto per risolvere la faccenda del Carta, e nessuno meglio di te può farcela. Non sei obbligata però, e potrai incontrare ugualmente tua sorella anche se rifiuti.»

«No, lo faccio.» Ribattè Natia. «Mi stai chiedendo di uccidere Jarvia, no? Posso farlo. Cazzo, ho un conto in sospeso con quella stronza.»

«Ne sono contento.»

«Però,» proseguì lei «se mi stai prendendo per il culo, ti uccido.»

Il principe sorrise, annuendo. «D'accordo.»

«Affare fatto.»

Si strinsero la mano.

«Ora, immagino che voi dovete venire con me!»

Geralt sobbalzò, gli occhi della nana puntati addosso. Sembrava essersi ripresa completamente, il momento di debolezza passato per sempre.

«Dobbiamo proprio?»

«Non puoi passare tutto il tempo al Modellatorio, spilungone.»

«Per le mutande fiammeggianti di Andraste...» Borbottò, annuendo suo malgrado. «E va bene.»

«Ottimo, allora Natia, Geralt, Kallian, Leliana e Zevran andranno ad occuparsi del Carta.» Proclamò Duran.

L'umore di Geralt sprofondò ulteriormente a sentir nominare l'elfo.

«Perchè non mandare anche Morrigan e Sten?» Chiese la Custode, preoccupata. «Potrebbero aver bisogno di una mano in più.»

Natia scosse la testa. «Nah, ce la caveremo. Poi, Sten non passerebbe nella metà delle gallerie, e sinceramente mi sento più a mio agio senza una strega ragno gigante al fianco.»

«Per non parlare del fatto che potremmo avere noi bisogno di supporto.» Disse Duran. «Non credo di dover temere niente da mio fratello nell'Arena, ma meglio essere previdenti...»




Il resto del pomeriggio Geralt scelse di passarlo al Modellatorio. Si immerse nel silenzio, ignorando gli sguardi curiosi e alle volte ostili dei nani che andavano e venivano. Vagò per gli scaffali, sfogliando pagine di libri vecchissimi riguardando la storia dell'impero perduto, le rune che usavano per incantare armi e armature, finché trovò quello che stava cercando: una decina di trattati, tutti sulla Prole Oscura e la Corruzione portata da essa.

Quando il Modellatore arrivò ad avvisarlo che era l'ora di chiudere, si rese conto di non aver toccato cibo per tutto il pomeriggio. A malincuore si alzò dalla sedia. Aveva raccolto preziose informazioni, certo, ma non aveva trovato ciò che stava cercando.

Avviandosi verso l'uscita, incontrò Shale, che stava discutendo con un assistente.

«Deve esserci un modo per ritrovare la mia memoria!»

«Mi dispiace, ma la maggior parte dei testi sui Golem sono questi che vedi qui. Se non hai trovato niente, significa che non c'è un modo.»

«Sciocchezze!» Tuonò la creatura, incrociando le braccia, i cristalli sulla schiena che brillavano minacciosamente. «Mi hanno creato qui, devo pur avere un passato.»

«Ecco perché hanno inventato i bastoni del comando, quando hanno creato i golem...» Sentì bisbigliare un altro nano, vestito in maniera elegante. I baffi erano intrecciati con la lunga barba, e guardava Shale con un misto di fastidio e interesse scientifico. «Golem, dovresti parlare coi tuoi simili, magari sanno qualcosa.»

«Quelle statue prive di un pensiero proprio?! Vuoi farti schiacciare come un piccione, minuscola creatura molliccia e arrogante?!»

Geralt non aveva alcuna intenzione di mettersi in mezzo, soprattutto contando quanto il Golem detestasse tutti i maghi, ma i nani attorno a loro cominciavano a spazientirsi e non voleva chiamassero le guardie. «Shale, non credo sia il caso di fare una scenata...»

«Meglio per il mago rosso stare fuori dagli affari che non lo riguardano!»

Il mago sospirò, il mal di testa che ancora lo attanagliava. «Se ti rispediscono in superficie, rimarrai da solo, senza risposte e circondato da pennuti con l'intestino volubile.»

Il golem sembrò rifletterci un attimo. Senza rispondere, girò su sé stesso, uscendo dal Modellatorio a passi pesanti.

«Grazie per esservene occupato, straniero.» Si rivolse a lui l'assistente. «Di golem ne sono rimasti pochissimi ad Orzammar, ma nessuno è così problematico...»

Geralt scosse la testa. «A volte sa essere molto utile, ma è un po' una testa calda. Per quanto possa essere calda quella zucca di pietra che si ritrova.»

Il nano non sembrò divertito dalla battuta, quindi il mago si affrettò a levare le tende.

Si ritrovò a vagare per le strade del Distretto dei Diamanti, tornando alla balconata accanto alle scale che portavano al piano di sotto, ammirando la vista.

Gli mancava l'aria fresca, quel posto gli ricordava troppo la torre. Opprimente, senza via di fuga e con guardie in ogni dove pronte ad attaccare per qualsiasi futile motivo.

«Hei, spilungone, non vorrai buttarti di sotto.»

«No, barilotta, sto aspettando che si apra un buco nel soffitto.»

«Per la Pietra, vuoi farli cadere tutti in cielo?»

Sorrise. La nana si tolse il cappuccio, liberando le treccine sottili che le imbrigliavano i capelli rossi. Si era data una lavata e sembrava quasi presentabile. «Ancora credi di poter cadere in cielo?»

«Io no, ma loro sì.» Rispose, indicando la massa di luci sotto di loro.

Geralt non sapeva se chiederle com'era andata con sua sorella. Rimasero un po' in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri.

«Rica mi ha detto che posso anche smettere di considerarla mia sorella.»

Si voltò a guardarla. Il tono di voce era piatto, il viso contratto in una smorfia.

«Mi dispiace.»

Natia si strinse nelle spalle. «Me lo aspettavo. Ma mi sarei almeno meritata un sorriso, un abbraccio... Ancora prima che sapesse che sto dalla parte di sua altezzosità, mi ha guardata come se fossi un ghoul.»

«Non era contenta di saperti viva?»

«Forse per un attimo. Poi si è ricordata di come io abbia disonorato le Prove e molto probabilmente liberato il fratello omicida del suo amato e perfetto principe Bhelen. Avrei dovuto spiegarle la situazione prima di partire, ma ho come l'impressione che sarebbe stato inutile.» Sbuffò. «Era già incinta, sai? Me l'ha detto. Non voleva che Beraht lo sapesse, per non lasciarlo troppo deluso nel caso fosse stata una femmina.»

«Sarebbe stato così grave?»

«Un'altra bocca da sfamare, mia sorella diventata inutile e Beraht furibondo per non essere riuscito ad entrare nel palazzo reale? Sì, parecchio grave.» Si grattò la nuca, facendo penzolare la mano dalla balaustra. «Speravo almeno fosse un poco riconoscente per aver ammazzato quella merda di Beraht, ma non è stata neanche capace di ringraziarmi, incolpandomi del fatto che lei e nostra madre sono dovute fuggire immediatamente, cercando la protezione di Bhelen.»

«Crede davvero che sia una brava persona? Nonostante tutte le accuse contro di lui?»

«Le ha fatto il lavaggio del cervello. Crede che sia il meglio che c'è, un principe pieno d'onore e gloria che aspetta solo di diventare re per salvare Orzammar e risollevarci dalla polvere.» Natia sputò nel vuoto. «Tutte stronzate.»

«Magari se provassi a spiegarle-»

«Non c'è niente da spiegarle!» Ringhiò l'altra. «Non mi vuole più parlare. Ha detto chiaramente che se provassi anche solo ad avvicinarla, mi denuncerebbe alle guardie. Preferirebbe mettere la sua stessa sorella a morte piuttosto che vedere che razza di persona di merda è Bhelen.»

«Se lo ama...»

«Quanto puoi essere stupido?!»

Geralt si zittì, offeso.

«Non c'è posto per l'amore, qui sotto. Se sei polvere, muori polvere, a meno che non ti riesce di farti mettere incinta da un culo di pietra e, per botta di fortuna, dargli un maschio. E comunque sarai soltanto la madre di un principino, sotto tutti i bei vestiti e gioielli, sei sempre uno straccio vecchio pronto ad essere rimpiazzato da qualcun'altra.» Si voltò a guardarlo, aveva gli occhi rossi e gonfi. «Deve essere bello poter sognare un amore come nelle canzoni, ma qui impari fin troppo presto che non sono altro che stronzate.»

Il mago non sapeva cosa rispondere. Era l'amara, dura realtà dei bassifondi, oppure Natia stava ripetendo quelle parole soltanto per auto-convincersi di non potersi aspettare nulla di meglio?

Prima che potesse ribattere, la nana gli voltò le spalle, andandosene verso il palazzo di Harrowmont. «Dormi, che domani abbiamo da fare.»

Rimase lì, imbambolato come un deficiente.

«Ti ha dato una bella strigliata, eh.»

Alzò gli occhi al cielo. Non aveva bisogno di altre scenate...

«Sai, mi è già capitato che qualcuno mi evitasse dopo una bollente notte di passione, ma mai quando ero costretto a viaggiarci assieme.»

«Non ti ho-»

L'elfo sorrise, l'aria di chi la sapeva lunga. «Credi che non sappia riconoscere quando il cuore di qualcuno appartiene ad un altro?»

Geralt si appoggiò con la schiena alla balaustra. «Sono stato uno stronzo. Mi dispiace.»

«Ah, amico mio, non fingiamo che non abbia cercato di sedurti per settimane... In verità, ti avevo messo gli occhi addosso fin da quando era ancora mio obbiettivo uccidervi tutti.» Ridacchiò l'Antivano. «Mi ricordo che avevo pensato “se sopravvive, potrei persino curargli le ferite”...»

«Come no, non avevi alcuna possibilità fin dall'inizio.»

L'elfo ammiccò. «Forse, ma sono noto per tentare imprese impossibili.»

«Non può andare avanti. Questa cosa. Tra noi due.»

«Me ne sono accorto. Anche se si può a stento dire che ci sia qualcosa...»

Stava per ribattere, quando l'altro sollevò una mano.

«Lasciamo finire. Sto solo dicendo che il sesso può essere un divertimento fine a sé stesso, ed è così che mi piace considerarlo. Tuttavia, dato che la cosa ti mette chiaramente a disagio, e non ho alcuna intenzione di mettermi in competizione con il tuo amato Jowan, in quanto so che ho già perso in partenza... Dico solo che è stata una bella nottata, e se fosse per me lo rifarei, ma se ti crea problemi me ne starò da parte ed eviterò persino di rivolgerti la parola.»

«Non c'è bisogno di essere così estremi.» Ribattè Geralt. «Solo, non avrei dovuto cedere.» “O almeno, evitare di pensare a Jowan in quel momento...”

«Ah, ma almeno mi sono tolto lo sfizio.» Rise Zevran. «Posso quindi proporre una semplice amicizia, mettendoci alle spalle tutto questo imbarazzante trascorso?»

Geralt riflettè per qualche attimo. L'elfo non gli stava antipatico, era divertente ascoltarlo blaterare, e aveva una visione affascinante del mondo. Certo, c'era da combattere contro il fastidioso accento e le continue allusioni sessuali, ma...

«Possiamo fare un tentativo.»

Gli tese la mano.

L'altro ammiccò per un attimo, afferrandola. «Ad una proficua amicizia!»

Il mago annuì, incerto.

«Ora, secondo te, tra la nostra cara sorella della Chiesa e una certa elfa...»









Note dell'Autrice: ecco che la tensione tra Geralt e Zevran si è finalmente risolta. Non mi è mai passato per la testa di farli finire in una relazione romantica, ma una scena come questa ce l'avevo in mente da un po'. Uno, perchè Zevran non si sarebbe mai fatto scappare uno gnocco del genere, due, perchè anche il nostro Geralt ha momenti di debolezza, tre, perchè se il mago fosse rimasto ad aspettare Jowan per il resto della sua vita, sarebbe davvero arrivato come un "verginello" fino alla fine dei suoi giorni. Invece, sia nella Torre prima che succedesse tutto il macello che poi in viaggio, alle volte gli capita di cedere. Perchè ok l'amore, ma c'è un limite a tutto e non è detto che non possa avere altre relazioni nel frattempo. Solo, ora che Jowan è rinchiuso in una cella, lui si sente terribilmente in colpa, soprattutto dopo essersi dichiarato in quel modo disastroso. Natia trova la faccenda estremamente divertente, soprattutto dopo quanto successo invece al bordello di Denerim. Che non l'avesse fatto bere abbastanza, oppure era solo l'idea di farlo con qualcuno pagato per e non di sua volontà? Chissà... In ogni caso, Zevran e Geralt si sono tolti il cosiddetto prurito, e da qui può nascere invece un'amicizia basata su qualcosa di più che semplice attrazione fisica. Mi piacerebbe esplorare il personaggio di Zevran al di là della sfera sessuale e romantica.

Per quanto riguarda il rapporto tra Natia e Duran... Ovviamente lei non si è fidata del principe, ha passato la vita ad odiare tutti quelli come lui e a vederli come avversari e diretti responsabili della sua condizione di emarginata dei bassifondi. Certo è che Duran si aspettava un minimo di fiducia dopo tutto questo tempo, senza rendersi conto che per il momento non ha fatto granchè per meritarsela. Il tentativo di riavvicinare le sorelle e dare comunque la possibilità a Rica e al bambino di continuare a vivere a palazzo gli ha dato un po' di punti, ma Natia ancora non è completamente convinta. E soprattutto, dovrà schierarsi apertamente con il Carta, contro la sua famiglia e contro tutto ciò che ha sempre considerato come parte di sè, per favorire quello che fino a qualche mese prima era un odiato oppressore dal culo di pietra. La reazione di Rica quando si supporta Harrowmont, per chi non avesse mai giocato ad Origins come un nano popolano, è una delle peggiori di sempre.
Per quanto riguarda Duran, non si sognerebbe mai di prendersela con un bambino innocente, indipendentemente dal fatto che sia suo nipote o meno, figuriamoci in questo caso, quando la famiglia e l'onore sono la cosa che gli sta più a cuore.
Ah, nel gioco non si specifica mai quanto tempo passi tra il reclutamento da parte di Duncan e il ritorno ad Ostagar, ma è certo che non possano essere nove mesi e passa, quindi per rendere plausibile il bambino ho modificato qualcosa. 

Al prossimo capitolo!

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Capitolo 27
*** Orzammar - Arena delle Prove ***


CAPITOLO VENTISETTE:
ORZAMMAR – ARENA DELLE PROVE




 

«Siete sicuro?» Chiese per l'ennesima Aenor.

Il Principe annuì, l'aria di chi non vedeva l'ora di gettarsi nella mischia.

L'arena delle prove era enorme e gremita fino quasi a scoppiare. La folla rumoreggiava eccitata sugli spalti, mentre gli ultimi arrivati prendevano posto, la tensione palpabile. La notizia che il Principe Duran Aeducan, accusato di fratricidio e ora in lizza per il trono del padre al posto di Lord Harrowmont, avrebbe partecipato alle Prove, si era sparsa ovunque per la città, attirando un numero così alto di spettatori che alcuni si erano dovuti sistemare su sedili improvvisati, mentre molti altri erano rimasti in piedi. Nessuno voleva perdersi quello che sarebbe stato lo scontro dell'anno.

L'elfa si sentiva a disagio, in mezzo a tutta quella gente.

Già l'idea di essere sottoterra, con centinaia di metri di roccia sopra la testa, non la entusiasmava molto. Inoltre, ovunque si voltasse c'erano nani indaffarati, gente che lavorava, che camminava velocemente tra le vie della città, che si riuniva in piccoli gruppetti ad ascoltare i banditori o a discutere delle ultime notizie, nani che squadravano i nuovi arrivati come intrusi, altri che li salutavano curiosi.

Aenor, non abituata a trovarsi in mezzo a così tante persone, si sentiva costantemente in allarme. E ora, dalla terrazza che dava sull'Arena, poteva percepire su di sé lo sguardo di parecchie centinaia di persone. Rabbrividì.

«Piotin sarà un osso duro. Quando sarà il vostro momento, concentratevi sul suo secondo e sugli altri due. Di mio cugino me ne occuperò di persona.» Spiegò Duran.

«Sarete ancora in grado di affrontarlo da solo?» Gli chiese Elissa, preoccupata.

Il nano si accarezzò la barba, raccolta in tre grosse trecce in modo che non gli fosse d'impiccio. «Per chi mi avete preso, Lady Cousland?» Ribattè divertito, un sorriso feroce sul volto.

Aveva lo sguardo rivolto alla pedana situata dalla parte opposta dell'arena, dove Bhelen sedeva su uno scranno di pietra.

Duran sollevò leggermente l'ascia in quella direzione. «A breve, fratello.»

«Questa è una Prova gloriosa, combattuta sotto i vigili occhi dei Campioni di Orzammar, per onorare la memoria di Re Endrin!»

Il principe scese le scale che conducevano alla fossa dell'Arena, lentamente, tutti gli occhi puntati su di lui. La folla rumoreggiava eccitata.

«Credi che Bhelen tenterà qualcosa?» Sentì Alistair chiedere a Wynne.

«Lo terremo d'occhio noi, non preoccupatevi.» Rispose la maga, la mano ferma sul suo bastone magico. «Anche se non penso oserà disonorare le Prove di fronte a tutta la città.»

«Se è anche solo la metà di quello che ci ha raccontato il Principe Duran, mi aspetterei di tutto.» Ribattè Elissa in tono tetro.

«Il primo scontro è tra Seweryn, della Casta dei Guerrieri, ricordato per aver sconfitto suo padre proprio qui, alla sola età di dodici anni, e il Principe Duran Aeducan, accusato dell'omicidio del suo stesso fratello e che ora compete per il trono di Orzammar!»

La folla esplose, tra chi supportava l'uno o l'altro Aeducan.

Lo scontro fu breve e privo di sorprese. Per quanto Seweryn potesse essere bravo con la spada e lo scudo, l'ascia bipenne del principe, dopo alcuni potenti colpi, gli spezzò lo scudo a metà, disarmandolo in breve tempo e spedendolo a terra con un tonfo sordo.

Tra il pubblico si levarono grida ammirate, ma gli insulti erano ancora molti.

Il secondo scontro fu un poco più entusiasmante: dovette combattere contro due avversari, una guerriera e un nano armato di due pugnali, che sembrarono metterlo alle strette per un attimo, salvo poi essere sconfitti anche loro.

«Guardate Bhelen.» Ridacchiò Alistair. «Sembra aver appena mangiato un limone intero.»

Aenor aguzzò lo sguardo, ma non riusciva a mettere a fuoco il volto del Principe. La postura era però rigida, e aveva smesso di bere.

Dopo una breve pausa, in cui Duran si limitò ad appoggiare l'ascia a terra, lo sguardo puntato sul fratello, fu il turno degli altri due scontri, che si conclusero più o meno come i precedenti.


 

«Un sorso di birra è tutto quello che mi serve, grazie.» Si scostò il Principe, rifiutando le cure di Wynne. «Non è altro che un'ammaccatura.»

«Per affrontare vostro cugino dovreste essere al meglio...» Provò a ribattere Elissa.

«Bhelen ci sta guardando.» La interruppe Aenor, indicandolo con un cenno del capo. «Così come l'intera arena. Se lo vedono accettare delle cure, da una maga per di più, perderebbe credibilità.»

«Proprio così.» Annuì Duran. «Ero un comandante dell'esercito di Orzammar, e presto sarò il loro re. Non si dica che non posso sopportare qualche graffio.»

«Pochi di voi cosetti mollicci ci riesce.» Commentò Shale.

«Quindi ora tocca a noi.»

Aenor si girò verso Alistair. «Guardiamoci le spalle. Non possiamo permetterci di farci uccidere qui sotto. Shale, tu tieni occupato il suo secondo, quello con l'armatura rossa. Noi due ci liberiamo prima del balestriere e dell'altro guerriero.»

«Mentre io mi occuperò di mio cugino.» Concluse il Principe con sguardo feroce. «Muoviamoci.»

Vide Elissa avvicinarsi ad Alistair e sussurrargli qualcosa.

Mentre scendeva le scale, i gradini stretti e ripidi, il rombo della folla le faceva rimbombare le orecchie. Aenor strinse i denti, calandosi l'elmo sulla testa e cercando di mantenere il respiro regolare.
Da quanto aveva visto negli scontri precedenti, Piotin e i suoi erano guerrieri formidabili.

Questo rendeva ancora più importante che il trono passasse a Duran, che avrebbe garantito l'appoggio dell'esercito di Orzammar contro l'Arcidemone.

Dovevano vincere.

«Questa è una Prova gloriosa, combattuta sotto i vigili occhi dei Campioni di Orzammar, per onorare la memoria di Re Endrin! Restano solo due guerrieri!» Tuonò il Maestro delle Prove. «Combattendo per il suo reale cugino Bhelen, Piotin Aeducan ha condotto i suoi uomini alla vittoria in ogni scontro!»

Fece il suo ingresso un nano, i capelli e la barba tagliati praticamente a zero. Indossava un'armatura possente, lo stemma della casata di appartenenza bene in vista nonostante le macchie di sangue che l'avevano sporcata dagli scontri precedenti. “Detiene il maggior numero di decapitazioni nell'Arena”, aveva detto Duran. Aenor, mentre l'avversario roteava nell'aria la sua grande ascia bipenne, non stentava a crederci.

«A sfidarlo per riabilitare il proprio nome, il Principe Duran Aeducan! A combattere con lui ci sono i due Custodi Grigi, Aenor Mahariel e Alistair Theirin, e il Golem Shale!»

Si fecero avanti. Aenor notò che anche Alistair era nervoso: il ragazzo continuava a far saettare lo sguardo attorno a loro, sugli spalti. Erano al centro dell'attenzione, più di quanto non lo fossero prima.

«Combatti bene, ma gli Antenati non ti perdoneranno per quello che hai fatto a Trian. E nemmeno io.» Ringhiò Piotin in direzione del cugino.

Duran sollevò il mento in segno di sfida. «Fatti avanti.»

Alistair si parò davanti a lei, lo scudo alzato a deviare un quadrello diretto alla sua testa. La punta di metallo rimbalzò sullo scudo con uno schiocco.

L'altro guerriero si scagliò su di loro, costringendo l'elfa a parare il colpo di una delle due spade corte che il nano brandiva. La seconda fischiò ad un soffio dal suo fianco, graffiando la sporgenza dell'armatura. Roteò su sé stessa, caricando a sua volta e facendolo indietreggiare.

Un tonfo sordo annunciò che il pugno di Shale era andato a segno.

Il Secondo di Piotin, un nano armato di ascia da guerra e scudo, caracollò a terra. Con grande sorpresa dei Custodi, e della platea che urlò ammirata, si rialzò barcollando, scuotendo la testa e rimettendosi in posizione.

Shale grugnì divertito. «Il cosetto molliccio sta per essere spiaccicato.»

Aenor stava per ricordare al golem di non uccidere, a meno che non fosse strettamente necessario, ma venne interrotta da un altro quadrello, che le passò a qualche millimetro dall'orecchio.

«Fen'Harel ma halam!» Sibilò, deviando un affondo con l'elsa della spada e, sfruttando il momentaneo sbilanciamento del guerriero davanti a lei, fece un passo alla propria sinistra, facendo scivolare la spada verso il basso e caricando un colpo sotto l'ascella del nano.

La lama si infilò tra le giunte dell'armatura, lasciando una striatura rossa nell'aria.

L'avversario grugnì di dolore, perdendo una delle due armi, il braccio ormai inutilizzabile. Indietreggiò inconsciamente verso il compagno, che nel frattempo aveva abbandonato la balestra per due accette e stava tenendo testa all'altro Custode, sfruttando la velocità e la differenza di statura a proprio favore.

Aenor si affrettò a finire lo scontro, roteando la spada e disarmando il guerriero, prima di spostarsi di lato, lasciando spazio ad Alistair per caricarlo con lo scudo e spedirlo a terra privo di sensi.

Caricò in avanti, abbassandosi e mirando alla testa dell'altro con un fendente, che venne bloccato da entrambe le lame dell'avversario.

Il nano ghignò di scherno, mentre lei cercava inutilmente di liberare la propria arma.

«Custode Grigio, una ragazzina?» La sbeffeggiò.

L'elfa imprecò a denti stretti, mantenendo le armi ingaggiate quel tanto che bastò ad Alistair per colpirlo alla testa.

Il tonfo metallico venne completamente coperto dal boato della folla.

Il rumore le fece rizzare i capelli in testa, le orecchie a punta che fremevano. Si voltò, raggelandosi alla vista di Shale, in mezzo all'arena, il Secondo di Piotin tenuto per gambe e braccia sopra la testa.

Le si mozzò il fiato.

«Shale-»

Il gemito di Alistair venne soffocato dal rumore di ossa che si spezzavano, mentre il golem allargava le braccia e lanciava i resti del guerriero dall'altra parte dell'arena. Le gambe del nano volarono sulla prima fila di spettatori, inondandoli di sangue, mentre la metà superiore atterrò a pochi metri da lei.

«Fragilino.» Commentò Shale, un ghigno feroce stampato sui suoi lineamenti di pietra, il sangue che aveva imbrattato i cristalli sul suo corpo, che ora rilucevano ancora più sinistri.

Aenor avvertì un sapore amaro in bocca, gli occhi sgranati fissi sulla testa del nano, contorta in un urlo di dolore.

La folla urlava, estasiata da tanta violenza. L'elfa si appoggiò alla spada, costringendosi a chiudere gli occhi.

Sputò per terra, allontanandosi leggermente instabile sulle gambe.

Fece vagare lo sguardo verso Duran e Piotin, che sembravano non essersi accorti di niente.

Il Principe si era tolto l'elmo, che giaceva ammaccato in mezzo all'arena, e ricambiava con furia i colpi del cugino, che sfoggiava una rientranza nell'armatura, la quale doveva per forza dargli problemi a muoversi.

Nessuno dei due accennava a dare terreno all'altro.

Piotin sembrò per un attimo avere la meglio, riuscendo a sbilanciare Duran e fargli perdere l'equilibrio. Il Principe cadde a terra nella polvere, l'ascia bipenne sfuggitagli dalle mani. L'arma del cugino calò su di lui, mirando alla testa.

 


 

 

Duran rotolò di lato, evitando per un soffio l'ascia dell'avversario, che si conficcò nel terreno con un tonfo sordo. La folla urlò di nuovo, un brusio indistinto al limitare della sua attenzione.

Sentì il cugino armeggiare per risollevare la propria arma e sfruttò il momento per allontanarsi ancora di più, facendo leva sulle gambe per sollevarsi in piedi.

La sua ascia era rimasta qualche metro indietro. Si guardò attorno, frenetico, scattando a recuperare l'arma del Secondo di Piotin, lì vicino.

Non ebbe il tempo di sollevarla che dovette balzare di nuovo di lato, la lama dell'avversario che fischiava, gli spettatori che esultavano al massacro.

Sentì una delle cinghie del pettorale sganciarsi, mentre la lama di Piotin gli graffiava la carne. Digrignò i denti.

“Superficiale.” Si impose di non cedere, le gambe che gli dolevano. Forse avrebbe dovuto accettare l'offerta della maga, almeno per riprendere le forze...

Strinse le mani attorno all'ascia di Roschek, il Secondo di Piotin, riparandosi dal colpo successivo e ricambiando con la stessa ferocia. Costrinse il cugino ad indietreggiare di qualche passo.

Si scambiarono una nuova serie di attacchi, che lasciarono entrambi sfiniti.

Piotin aveva il fiatone, un rivolo si sangue a scendergli dalla gamba, che trascinava a forza. Sembrava stare in piedi per la sola forza di volontà. Lasciò che si allontanasse di qualche metro.

Il cugino si tolse l'elmo, respirando forte. «Non hai perso la tua abilità.» Ringhiò riprendendo fiato.

«Nemmeno tu.» Ricambiò Duran, lieto di quella breve pausa.

Attorno a loro, i due Custodi e il Golem.

Piotin li indicò con un cenno del capo. «Perché non gli ordini di attaccarmi?»

Il Principe scosse il capo. «Questo scontro è fra te e me, nessun altro.»

«Credi di convincermi che in te sia rimasto un briciolo di onore, cugino?»

«Non ho bisogno di convincere proprio nessuno.»

L'avversario annuì, gettando a terra il proprio elmo e calciandolo a rotolare lontano.

Caricarono di nuovo.

L'arma di Roscheck non era all'altezza di quella di Piotin, né tanto meno di quella che Adal Helmi aveva conservato per Duran con tanta cura. Messo nuovamente alle strette, la sollevò per deviare la lama dell'avversario dalla sua testa: l'arma si ruppe a metà, lasciandolo a contrastare i colpi dell'altro soltanto con il manico.

Roteò l'ormai bastone di metallo con una mano, spostando il peso per darsi più slancio e colpire l'avversario al ginocchio della gamba offesa. Piotin barcollò all'indietro con un'imprecazione, perdendo l'equilibrio. Duran scattò in avanti, sollevando l'estremità del manico che terminava con una piccola lama.

Si sentì cadere in avanti, un dolore lancinante al fianco.

Sbattè il mento sulla roccia, tagliandosi il respiro. Annaspando, portò una mano verso l'impennaggio della freccia che spuntava proprio dove Piotin aveva tagliato le cinghie del pettorale.

Si guardò la mano sporca di sangue, mentre con l'altra cercava di trarsi nuovamente in piedi.

Sentì Alistair accorrere al suo fianco, lo scudo alzato a proteggerlo.

La folla urlava all'oltraggio, mentre il Maestro delle Prove cercava di richiamare alla calma.

Sollevò lo sguardo, la Custode gli stava urlando qualcosa da sopra le spalle, la spada puntata verso Piotin, minacciosa.

Cercò di girarsi, di dire qualcosa, ma aveva la bocca impastata, la testa che gli girava. “Veleno?”

Non era stato il cugino a colpirlo, e sapeva che Piotin Aeducan non si sarebbe mai abbassato ad un simile disonore.

Bhelen, quindi. Avrebbe dovuto aspettarselo, quel codardo traditore.

Un bagliore azzurro lo avvolse improvvisamente. Si sentì come se lo avessero buttato dentro ad una vasca di acqua gelida, mentre l'incantesimo curativo di Wynne faceva il suo effetto, richiudendogli lentamente le ferite. Voleva urlarle che avrebbe soltanto rallentato il veleno, ma non ne aveva la forza...

Qualcosa esplose attorno a loro, seguito da urla di panico mentre il fumo si propagava tutto attorno a loro, invadendo l'Arena. Tossì, imponendosi di rimettersi in piedi, strisciando sul terreno.

Afferrò qualcosa, riconoscendola subito. Era la sua ascia.

Utilizzandola per aiutarsi a sostenersi, si portò una mano alla bocca, cercando di filtrare il fumo acido, gli occhi che gli bruciavano.

Con la coda dell'occhio, individuò un movimento dietro di sé, lo scintillio di un pugnale diretto alla sua schiena. Si voltò per fermarlo, ma Alistair fu più veloce, spedendo l'aggressore per terra con un fendente che lo tagliò dalla clavicola al fianco opposto.

Non fece in tempo a ringraziare, che dovette difendersi nuovamente da un altro nano comparso dal nulla, i coltellacci che tagliavano l'aria con un fischio sinistro.

«Creatore, chi sono questi?!» Tossì Alistair, sollevando lo scudo per proteggersi da un altro quadrello, che rimbalzò via. Teneva il braccio della spada premuto sul viso, a coprire naso e bocca.

«Carta.» Grugnì Duran, spedendo il nano che aveva di fronte nella polvere e conficcandogli l'ascia nel petto. La staccò dal cadavere, causando una fontana di sangue che zampillò da esso, cercando di parlare il meno possibile.

Un altro assassino gli si fece incontro, stavolta brandendo una spada corta e uno scudo improvvisato. Indietreggiò tossendo, sentendo le braccia intorpidirsi per via del veleno. Con un sussulto, cozzò contro la spalla di un altro nano. Deviò istintivamente di lato, mentre quello si scagliava verso di lui, sollevando l'arma...

E conficcandola nel cranio del suo assalitore.

«Sembra siamo stati interrotti.»

«Piotin?!»

Tossì di nuovo, incerto sulle intenzioni del cugino. Insieme si liberarono di altri tre nani.

Quando il fumo si fu diradato, a terra vi erano una dozzina di cadaveri.

«Combattenti, le Prove sono interrotte!» Annunciò il Maestro delle Prove. «I responsabili verranno puniti aspramente, per il momento siete tutti pregati di uscire in file ordinate, mentre le guardie cittadine eseguiranno i controlli!»

Duran caracollò in avanti, non sentendo più le gambe. Sarebbe caduto nuovamente a terra, non fosse stato per il cugino, che lo afferrò per un soffio. «Non abbiamo finito, noi due.» Disse prima di allontanarsi diretto all'uscita dell'Arena, un'espressione indecifrabile in volto.

Alistair sopraggiunse di corsa, aiutandolo a stare in piedi. «State bene?»

Il Principe scosse la testa. «No, la freccia era intrisa di veleno.»

Il Custode sbiancò. «Wynne saprà cosa fare.»

Duran annuì, troppo stanco per ribattere. Guardò in direzione del palco reale, da dove Bhelen aveva assistito agli scontri. Gli sembrò di vederlo scagliare qualcosa per terra, furibondo.

“Sono ancora vivo, fratellino. Per ora.”

Si sforzò di mantenersi cosciente per tutto il tragitto fino alla tenuta di Lord Harrowmont. Gli incantesimi di Wynne rallentavano il veleno, ma non erano in grado di fermarlo completamente.

Quando finalmente si adagiò sul letto della sua stanza, si concesse un gemito di dolore.

«Toglietegli l'armatura.» Ordinò la maga, mentre Alistair armeggiava freneticamente con le cinghie.

Duran abbassò lo sguardo sulla ferita lasciata dal quadrello avvelenato. Era grigiastra, con tentacoli scuri che andavano a diramarsi verso il resto del corpo.

«Ditemi che conoscete un antidoto.» Grugnì, imponendosi di non mostrare emozioni.

L'espressione di Wynne fu sufficiente a rispondergli di no.

«Forse Natia...»

«Nell'eventualità in cui tornasse viva, non farebbe sicuramente in tempo a dirci di che sostanza si tratta.»

«E allora suggerisci qualcosa di utile, strega!» Sbottò Alistair, chiaramente in panico. «Non hai un'erba miracolosa nascosta in quella sacca?»

Sentì Morrigan sogghignare. «Non ce ne sarà bisogno.»

La sdonna si chinò a raccogliere qualcosa da terra, mostrandola agli altri.

«Non mi dire che sei stata tu!» Sobbalzò il Custode alla vista della fialetta. Il liquido scuro al suo interno brillava minaccioso.

«Credimi, idiota, se avessi voluto uccidere qualcuno, saresti stato la mia prima vittima, e non avrei certo usato del veleno.» Ribattè Morrigan. «È caduto a terra quando l'avete spogliato.»

«Com'è possibile...?»

«Piotin.» Tossì Duran, il respiro affaticato. Doveva essere stato per forza il cugino, quando l'aveva afferrato prima di andarsene. Ma se era in combutta con Bhelen, perché salvargli la vita?

«Morrigan, Wynne, riuscite a creare un antidoto con quello?»

«Sì, Alistair, non sarà difficile. Sempre che sia lo stesso veleno.» Rispose Wynne.

«È la nostra unica possibilità.»




 

 

«Ce la farà?» Chiese Aenor vedendo Alistair uscire dalla stanza e venire verso di loro.

L'altro Custode scosse la testa. «Non ne ho idea. Morrigan e Wynne stanno lavorando ad un antidoto, e se non è abbastanza eccezionale che quelle due lavorino insieme...»

«Sono certa si riprenderà.» Ribattè fiduciosa Elissa. «È in ottime mani.»

«Siamo stati degli stupidi.» Sbottò Aenor, sedendosi su una panca di pietra nel corridoio. «Era ovvio che Bhelen avrebbe provato a fare qualcosa, ma Duran era troppo pieno di sé per-»

«Bada a come parli, Custode.»

Si voltarono. Adal Helmi, che indossava l'armatura leggera con il simbolo della propria casata impresso nel metallo, sopraggiungeva a testa alta. «Come sta?»

«Stiamo lavorando ad un antidoto.» Rispose Alistair.

La nana annuì. «Bene.»

«Quando l'Assemblea saprà di questa cosa-»

«Lo sanno già.» Lo interruppe Lady Helmi. «Tutta la città è a conoscenza dello sfrontato piano del Carta di minacciare la monarchia, cercando di eliminare un pretendente al trono e il guerriero migliore dell'altro.»

«Cosa?!»

Aenor non poteva credere alle proprie orecchie. «Com'è possibile che si bevano queste stronzate?»

La nana si strinse nelle spalle. «Bhelen non ha perso tempo. Ha tenuto un discorso dal palazzo reale, dichiarando guerra a Jarvia e al resto del Carta, dando la colpa alle deplorevoli condizioni in cui vigono i bassifondi e condannando pesantemente l'interruzione delle Prove e coloro che hanno disonorato la tradizione di Orzammar.»

«E qualcuno ci ha creduto?» Ribattè Elissa, spazientita.

«O ci hanno creduto, o sono stati pagati per ripetere le sue storielle. In ogni caso, poco importa, non abbiamo prove che dietro l'attacco di fosse lui.»

«Forse però abbiamo un testimone.»

Si voltarono tutti verso Alistair.

«Il Principe pensa che suo cugino gli abbia infilato in tasca una fiala del veleno usato contro di lui.»

«Perchè Piotin avrebbe dovuto tradire Bhelen?» Si sorprese Lady Helmi, appoggiandosi al muro con la schiena. «Non ha senso, è stato uno dei primi a schierarsi a suo favore.»

«Forse si è reso conto di che pezzo di merda sia...» Suggerì Aenor.

«Proverò a mettermi in contatto con lui, se è così. In ogni caso, dobbiamo prima assicurarci che le cure abbiano effetto...» Lanciò uno sguardo preoccupato alla porta. Sembrava sincera.

«Dovreste andare da lui.» Le disse Elissa, un sorriso incoraggiante sul volto. «Sono sicura gli farebbe piacere.»

La nana sembrava titubante. «Ci sono un sacco di cose di cui devo occuparmi, e non sarei di alcun aiuto lì dentro...»

Anche Alistair sorrise. «A volte anche solo una compagnia amica può fare molto.»

La nana annuì e senza aggiungere altro entrò nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle.

«Se non sopravvive, dubito riusciremo ad avere il supporto di Orzammar.» Ruppe il silenzio Aenor dopo qualche minuto.

«Harrowmont potrebbe ricandidarsi...» Provò a ribattere Alistair, ma lasciò la frase cadere nel vuoto. Tutti e tre sapevano quanto il loro piano dipendesse dal Principe Duran.

«Non dobbiamo preoccuparci. Morrigan e Wynne sanno il fatto loro.» Cercò di rassicurarli Elissa, ma nella sua voce si notava chiaramente la preoccupazione.

Se Duran fosse morto, sarebbero dovuti tornare in superficie, e anche velocemente. Se Bhelen aveva osato una simile mossa, nulla assicurava che non avrebbe cercato di uccidere i Custodi e i loro compagni.

Aenor sentì una fitta di preoccupazione allo stomaco, pensando agli altri che in quel momento dovevano essere al covo del Carta. Erano separati, vulnerabili. Se non fossero tornati...

Sbuffò forte dalle narici, cercando di rimuovere il pensiero dalla sua testa.

«Stavo pensando.» Esordì Alistair dopo un po', schiarendosi la voce. «Qualora sopravvivesse, dovremmo andare a cercare Branka per le Vie Profonde, no?»

«Una cosa alla volta, Alistair.»

«No, stammi a sentire, Aenor. È importante. Ti devo chiedere una cosa.»

L'elfa sollevò lo sguardo, puntandolo in quello dell'altro.

«Devo chiederti di restare qui.»

La Custode aggrottò le sopracciglia. «Non mi pare il momento di fare lo spiritoso.»

«Dammi retta!» Alzò la voce l'altro. «Le Vie Profonde brulicano di Prole Oscura e si estendono per migliaia di chilometri in tutte le direzioni, correndo sotto l'intero Thedas, probabilmente. Questa Branka potrebbe essere ovunque.»

«Quindi?» Chiese a denti stretti lei.

«Quindi,» proseguì il ragazzo, deglutendo a vuoto «potremmo non tornare mai. E siamo gli ultimi due Custodi Grigi del Ferelden, non possiamo permetterci di restare intrappolati entrambi là sotto.»

«Mi stai chiedendo di restare al sicuro qui?» Si offese lei. «Pensavo dovessimo guardarci le spalle a vicenda.»

«Non è quello! Abbiamo delle responsabilità, senza di noi l'Arcidemone distruggerà incontrastato il Ferelden, e chissà quante persone moriranno!»

«E come credi che possa cambiare la situazione, io da sola?!»

«Sei un Custode Grigio!» Si alzò in piedi lui, spazientito. «Tutti ti rispettano e ti seguono come il loro leader. Se non torno dalle Vie Pronfonde, devi andare a Redcliffe, Arle Eamon ed Elissa ti aiuteranno a radunare un esercito contro Loghain e l'Arcidemone.»

Cadde il silenzio.

«Perché dovresti andarci tu?» Replicò con un filo di voce Aenor. «Io sono inutile come stratega, e non sono la figlia di un re. Aemon preferirebbe che tornassi tu, non io. E saresti molto più utile al Ferelden di me, sia come guerriero che come Custode che...» Si voltò verso Elissa, in cerca di aiuto, ma la ragazza aveva lo sguardo puntato su Alistair, le braccia incrociate davanti al petto.

«Elissa, puoi lasciarci un attimo?» Chiese flebilmente il Custode.

L'altra annuì, il volto tirato. «Vi lascio parlare.»

Rimasti soli, Alistair le si sedette accanto. «L'ho capito, sai?»

Aenor evitò il suo sguardo, traendosi indietro. «Non so di che parli.»

Il ragazzo sospirò. «Mi dispiace che Duncan ti abbia trascinato in tutta questa storia, e credimi, mi dispiace tantissimo per quello che è successo al tuo amico.»

«Cosa c'entra adesso Tamlen-»

«Natia mi ha detto del sogno in cui ti aveva intrappolato il Demone della Pigrizia, nella Torre.»

«Non vedo come-»

«Lasciami finire, per favore.» La interruppe lui, posandole una mano sul braccio. La sua stretta era ferma, ma gentile allo stesso tempo. Aenor voleva liberarsi, ma lo lasciò fare. «Ho visto come combatti. Come se non avessi niente da perdere, perché credi di aver già perso tutti. Il tuo non è coraggio, è istinto suicida.»

L'elfa aprì la bocca per replicare, ma non ne venne fuori nulla.

«Se entri là sotto, non ne uscirai. E non posso permetterlo. La tua Guardiana non ti ha lasciata morire e Tamlen non avrebbe voluto che ti facessi uccidere senza motivo.»

«Stai zitto. Non sai niente di Tamlen.» Sentiva montarle su rabbia, e l'angoscia che lui avesse capito come si sentiva. Il dolore nel riaprire una ferita mai rimarginata, la vergogna di essere esposta alla verità.

«Credi che avrebbe voluto che morissi anche tu?» Ribatté Alistair, stringendola ancora di più. «Ti ha tirato fuori da quelle rovine perché voleva che tu vivessi, Aenor!»

«Moriremo comunque tra qualche anno, la Corruzione ci ucciderà entrambi, Alistair. Perché prendersela tanto in caso io muoia?»

L'altro ci mise qualche secondo a rispondere. «Perché da solo non ce la faccio. Senza di te non avremmo avuto dalla nostra parte gli elfi e forse nemmeno i maghi del circolo. Non avremmo preso le Ceneri di Andraste, ed Aemon sarebbe morto. Posso non condividere tutto ciò che hai fatto, ma dobbiamo andare avanti assieme. Perché se non lo facciamo noi, decine di migliaia di persone moriranno.» Fece una lunga pausa. «Non c'è nessun altro.» Disse semplicemente. «Non sai quante volte mi sono maledetto per non essere sceso in battaglia con Duncan, per non essere morto al posto suo. Si sarebbe salvato un vero Custode Grigio, e non un idiota come me. Ma Duncan è morto e ci siamo solo noi due, e lui avrebbe voluto vederci combattere fino all'ultimo.»

Aenor avrebbe voluto rivelargli ciò che aveva appreso da Flemeth, perché Asha'bellanar li aveva salvati, ma rimase in silenzio. Non era il momento.

Si limitò ad abbassare lo sguardo, mentre un sospiro profondo le sfuggiva dalle labbra. «D'accordo. Resterò qui, ma vedi di tornare.»

«Oh.» Esclamò sorpreso lui. «Non credevo sarebbe stato così facile.»

Lo guardò in tralice. «Se non torni, sappi che l'Arcidemone raderà al suolo tutto, in quanto da sola non ho praticamente alcuna possibilità di farcela.»

Alistair le rivolse un sorriso smagliante. «Ecco perché ho intenzione di tornare. Non è facile liberarsi di me, e scommetto che nemmeno i Prole Oscura mi vogliono, là sotto.»

Aenor ridacchiò. «Potrebbero venire pagati da Morrigan per levarti di torno.»

«Chi dovrei pagare, esattamente?»

Si voltarono di scatto. La strega delle Selve sembrava soddisfatta, uscendo dalla stanza di Duran. Si avvicinò a loro, prendendo la caraffa dell'acqua e versandosene un boccale intero.

Ai loro sguardi interrogativi, rispose con un cenno affermativo. «Abbiamo trovato l'antidoto. Ho dato fondo a praticamente tutta la mia riserva di erbe, ma quella cornacchia sa il fatto suo quando si parla di intrugli curativi. Il nano è fuori pericolo, almeno per il momento.»

Tirarono un sospiro di sollievo.

«Grazie, Morrigan.»

La strega sollevò un sopracciglio, divertita. «Se non avessimo trovato un antidoto, sarebbe stata una grossa scocciatura, no?»

 




 

Duran si sentiva la testa esplodere e le budella aggrovigliate al contrario.

«Il senso di nausea passerà, per il mal di testa potrebbero volerci un paio di giorni. Ma presto sarete di nuovo in piedi.» Gli comunicò Wynne.

La maga aveva un aspetto stanco, ma sembrava soddisfatta. Lei e Morrigan avevano trovato in fretta il modo di creare un antidoto e grazie alla loro abilità, Duran aveva rapidamente ripreso il controllo dei suoi arti.

Doveva ammettere di aver temuto per qualche momento che fosse finita, che Bhelen avesse vinto. Si diede dell'idiota per aver sottovalutato il fratello.

«Siete stato un incosciente.» Rincarò la dose Lady Helmi. «Un incosciente pieno di sé.»

Non potè far altro che darle ragione. «Avrei dovuto darvi retta.»

«Non me ne faccio niente di aver ragione, avreste dovuto ascoltare me e Lord Harrowmont, e i vostri compagni. Se Bhelen vi avesse ucciso...»

«Oh, state per confessarmi il vostro amore eterno?»

La nana gli scoccò un'occhiata furiosa. «La mia casata sarebbe finita nella polvere! Così come le mie possibilità di diventare regina, e non ho alcuna intenzione di lasciarvi rovinare tutto!»

Duran ridacchiò divertito. «Ecco, ora vi riconosco.»

Il volto di Lady Helmi si addolcì un poco. La donna era rimasta al suo fianco per ore, aspettando che l'antidoto facesse effetto, senza proferire una parola finché Wynne e Morrigan non lo avevano dichiarato fuori pericolo. Duran poteva giurare di aver visto del genuino sollievo nei suoi occhi, prima che venisse rapidamente nascosto sotto la scorza da politica che Adal Helmi sfoggiava di solito. «Vi è andata bene.»

«Avreste trovato il modo di cavarvela, ne sono sicuro.»

La vide stringere il pugno attorno alle coperte del suo letto. «No, avrei convinto la strega a trasformarsi in un insetto, introdursi di soppiatto in camera di Bhelen e ucciderlo nel sonno.»

Lo disse con una tale serietà da convincerlo che non stesse affatto scherzando.

«Mi era mancata la vostra audacia.»

«Avete ancora intenzione di inoltrarvi nelle Vie Profonde?» Gli chiese dopo un po'.

Il Principe annuì. «Devo farlo. L'Assemblea ha bisogno che un Campione li prenda a calci nel didietro per decidersi ad eleggermi e a prosciogliermi dalle accuse. E sarò io stesso ad andare a prendere Branka, così non ci sarà più alcun dubbio su chi sia il più meritevole di quella corona.»

«Potreste non tornare.»

Le sorrise, cercando di apparire più sicuro di quello che non fosse. «Ho due Custodi Grigi con me, e un Golem. Hai visto cosa ha combinato nell'Arena? Riesce a tenere testa ad un Ogre, da solo.»

Lady Helmi sorrise a sua volta. «Ho visto. Credo che neanche le decapitazioni più spettacolari di Piotin abbiano mai suscitato una tale ovazione. A proposito di Piotin...»

«Non ho idea di che intenzioni abbia. È sempre stato un guerriero onorevole, ma una testa calda. Bhelen l'avrà riempito di menzogne su come è morto nostro fratello.»

«Ha sempre avuto un grande rispetto per il Principe Trian...» Riflettè Lady Helmi. «Ricordo che alla notizia sembrava devastato. Era il suo Secondo, dopo tutto.»

«“Le corna del mio esercito”, lo chiamava mio fratello. E pochi guerrieri gli sanno tenere testa, lo ammetto. È stato un bel ferro da battere, oggi, e non sono certo che se lo scontro fosse continuato, sarebbe finito in mio favore.» Ammise lui sovrappensiero. «Lo voglio dalla mia parte. Se è stato davvero lui a mettermi il veleno in tasca, mi ha salvato la vita.»

Lady Helmi fece una smorfia. «È troppo poco per supporre sia dalla nostra parte.»

Duran annuì, eppure ci sperava. «Almeno è qualcosa. Riuscireste a mettervi in contatto con lui?»

«Manderò uno dei miei uomini più fidati stasera stessa, appena la terra si sarà calmata.»

«Dei senzacasta che attaccano le Prove... non penso sia mai successa una cosa del genere. È addirittura peggio di quando Brosca ha partecipato sotto mentite spoglie.»

«Quella Brosca... vi fidate davvero di lei?» Gli chiese, abbassando ulteriormente il tono di voce. «Non solo è una marchiata, ma è anche la sorella della concubina di Bhelen. Avrebbe tutti i motivi per tradirvi a favore di vostro fratello.»

Il Principe soppesò la risposta. «Non posso dire che mi fido ciecamente, ma abbastanza da crederle. Sembrava sincera quando ha deciso di aiutarmi, nonostante sua sorella.»

«E le credete?»

Duran sospirò, affondando ulteriormente nei morbidi cuscini. «Non ho altra scelta. Mi serve qualcuno che conosca bene il Carta, e Natia fa al caso mio. Se deciderà di tradirmi... beh, non c'è niente che possa fare per impedirglielo, ma credo che non lo farà. Tutti i nostri compagni stanno dalla mia parte, e ci è più affezionata di quanto lasci a vedere.»

Lady Helmi lo squadrò incredula. «Riponete molta fiducia nei vostri nuovi amici.»

«Siete sempre molto diretta, è una cosa che ho sempre rispettato di voi, Lady Adal.» Sorrise Duran. «Ma vi chiedo di fidarvi di me. Ho viaggiato abbastanza a lungo con i Custodi da reputarli degni del loro nome, e avere me sul trono è ormai la loro unica possibilità di ottenere il supporto di Orzammar contro il Flagello che sta distruggendo la superficie.» La donna non sembrava tuttavia molto convinta. «E per quanto riguarda Natia Brosca...» proseguì Duran «vi sembrerà strano sentirmelo dire, ma ha anche lei un po' di onore, nascosto sotto quel brutto naso e il pessimo carattere.»

«Se vi sbagliate...»

«Sono certo che in questo momento si staranno occupando del Carta esattamente come previsto.»
















Note dell'Autrice: e qui Bhelen si rivela più infido di quanto Duran credesse. Tutta le vicende di Orzammar si stanno distaccando sempre di più dal "canone" della Bioware, perchè non mi hanno mai lasciata pienamente soddisfatta... Alla prossima! 

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Capitolo 28
*** Orzammar - Covo del Carta ***


CAPITOLO VENTOTTO:

ORZAMMAR – COVO DEL CARTA





 

 

Kallian quasi rimpiangeva l'enclave.

Mentre camminavano per quelle strade polverose, di fianco ad enormi macerie di edifici vecchi di chissà quanti secoli, non poteva fare a meno di confrontare la città della povere con la sua vecchia casa.

«Hei, spilungoni!» Li chiamò qualcuno da un vicolo, ma seguirono le istruzioni di Natia, proseguendo senza voltarsi verso l'ennesimo edificio in rovina.

L'aria stantia portava un puzzo nauseabondo, e i rigagnoli ai lati delle stradine sterrate non miglioravano la situazione.

«È normale che non si respiri?» Chiese, leggermente preoccupata. Sentiva la testa pesante e le membra affaticate.

«Qui i condotti dell'aria funzionano male e non vengono puliti da decenni.» Spiegò Natia con un'alzata di spalle. «È normale all'inizio sentirsi più deboli, ma ci farete in fretta l'abitudine. Fate piccoli respiri e regolari, aiuta.»

«Preferirei non respirare affatto, dato il fetore.» Commentò il mago, storcendo il naso e stando ben attento a dove metteva i piedi. Si era lamentato dal primo istante che erano scesi sottoterra, e nei bassifondi il suo umore e i suoi commenti erano arrivati al limite della sopportazione.

Kallian gli lanciò un'occhiataccia, sbuffando e superandolo per affiancarsi alla nana. «Dove dovrebbe essere questo ingresso secondario?»

«Poco più avanti. Certo, avremmo potuto usare quello principale grazie a questo» sventolò in aria le ossa di un piccolo dito nanico «ma anche a sapere la parola d'ordine, ho come l'impressione che il nostro variegato gruppo avrebbe attirato qualche sospetto.»

«Avremmo potuto fare un tentativo per convincerli a lasciarci passare...» Suggerì Zevran, che non sembrava particolarmente colpito dall'ambiente attorno a loro. L'elfa si ritrovò a chiedersi per l'ennesima volta che razza di avventure avesse vissuto l'altro, per trovare sempre una nota ironica a qualsiasi cosa gli capitasse.

«Sai, non credo le tue abilità con quel tipo di spada possano tornarci utili con gli uomini di Jarvia...» Commentò allusivamente la nana.

«Oh, dici? Eppure sono famoso per essere riuscito a convincere i tipi più ostici...»

Leliana accennò una risatina divertita, ma Kallian sentì che era nervosa, quasi quanto lei stessa.

«Tutto bene?» Le chiese la donna con un sussurro.

Annuì. «È solo che non vedo l'ora di tornare in superficie.»

«Stasera vorrei provare gli olii profumati che ho chiesto a Wynne nella la vasca da bagno...»

Voltò lo sguardo dalla parte opposta, grattandosi il moncone di orecchio, a disagio. «Non so se sia il caso di sprecare tutta questa acqua, no?» Si sentiva come se le sfuggisse qualcosa, tra tutte le attenzioni che Leliana le riservava.

«Oh, per che cosa dovresti usare quegli olii?» Si inserì Zevran, ammiccante.

Kallian si sentì le guance in fiamme, sotto lo sguardo indagatore dell'altro. «Per la pelle, no?»

«Zevran, se vuoi li prestiamo anche a te.» Rispose Leliana. «Ho un balsamo che ti farà sembrare la pelle un petalo di rosa.»

«Sembra meraviglioso...»

«Vi sembra il momento di discutere su roba del genere?!» Li zittì Geralt con un sibilo.

«Scusa se ci teniamo alla cura del corpo...»

«Credo farebbero bene anche a te.»

Kallian sospirò. Per una volta, era d'accordo col mago. Non le sembrava affatto il caso di cincischiare su quale fiore fosse migliore per i capelli, soprattutto quando l'aria era carica dell'esatto opposto.

Si scostò da Leliana, la mano sempre tenuta sull'arco, gli occhi puntati su Natia.

Dopo un altro paio di svolte, dovettero calarsi in uno dei vecchi tubi di areazione, pieno di muffe, insetti e ruggine.

«Sei sicura che ci passo?» Chiese Geralt, preoccupato, sporgendosi per guardare di sotto. Nonostante non fosse della stazza di Sten e Alistair, era comunque alto e abbastanza muscoloso da rischiare di rimanere incastrato.

«Nel caso rimanessi a metà, puoi farlo saltare in aria, no?»

Prima che il mago elaborasse una risposta, Natia si sporse a sua volta, aggrappandosi ad una scala a pioli ormai quasi totalmente arrugginita e calandosi senza esitazione.

«Non lo farò mai più!» Annunciò disgustato il mago, una volta uscito anche lui dal tubo. Era ricoperto di polvere, muschio e chissà cos'altro, sul volto un'aria che presagiva vendetta.

«Silenzio.» Ordinò Natia, indicando un muro di solida roccia a pochi passi da loro. Si sedette a terra, spostando delle pietre con le mani, finché non sembrò trovare quello che cercava.

«Ah!» Esclamò trionfante. «Non hanno chiuso il passaggio, a quanto pare.» Sollevò quello che sembrava un gancio di metallo, che poi inserì in una feritoia nel muro. Spinse, ma non ottenne più di qualche cigolio. «Datemi una mano, dannazione.»

Si affrettarono a raggiungerla. Con l'aiuto di tutti, riuscirono a far scorrere la parete all'interno della roccia, rivelando un passaggio segreto.

«Ingegnoso.» Commentò Zevran. «Dimmi che porta ad un tesoro, e hai fatto la mia giornata.»

«Fidati, avremo tempo di svaligiare l'intero covo appena finito con Jarvia.» Rispose Natia, che si stava già infilando all'interno.

L'aria era ancora più rarefatta, ma almeno non puzzava più così tanto.

La nana procedeva in testa al gruppo, attenta ad ogni minimo dettaglio in cerca di trappole o qualsiasi altra cosa che potesse informare il Carta del loro arrivo.

Il tunnel si diramava in molteplici cunicoli, alcuni troppo stretti per chiunque tranne un nano a carponi, altri di almeno un paio di metri di altezza. Natia sembrava orientarsi senza problemi, e Kallian si chiese se fosse quello il senso della Pietra di cui i nani si vantavano tanto. L'abilità di orientarsi ovunque sottoterra, nonostante l'assenza di punti di riferimento visibili.

Improvvisamente, la vide sollevare il pugno, ordinando loro di fermarsi.

«Leliana, dammi una mano.»

L'arciera si avvicinò prontamente, attenta a dove metteva i piedi. Armeggiarono per qualche secondo con qualcosa nascosto tra le crepe nel terreno.

Un meccanismo scattò con un tonfo sordo, e una leva spuntò fuori dalla parete. Proseguirono.

Evitarono altre trappole, alcune semplici fili tesi che Natia riconobbe all'istante, altre più complesse come quelle a pressione, che richiesero l'aiuto di Leliana per essere rese innocue.

All'ennesima svolta, Leliana estrasse l'arco, voltandosi verso Kallian, l'indice portato alle labbra.

L'elfa annuì, la propria arma già pronta. Poco avanti a loro, appoggiato ad una cassa, stava un nano in armatura leggera, poco più che qualche pezzo di cuoio a coprire i punti vitali.

Due frecce sibilarono nel buio, trapassandoli senza difficoltà.

Il nano crollò a terra con un gemito, soffocando nel suo stesso sangue.

Più avanti, altri due fecero la stessa fine.

In breve, si ritrovarono di fronte ad una porta di pietra. Natia si avvicinò ad osservare la serratura da vicino, scuotendo la testa. «Mi ci vorrà un po'.»

Si mise ad armeggiare con due grimaldelli, l'orecchio appoggiato alla superficie, mentre il resto del gruppo si guardava attorno, le mani sulle armi, nervosi.

«State pronti.» Sussurrò la nana, prima di aprire la porta.

Un soffio di gelo li colse impreparati, mentre dal pavimento si propagava uno spesso strato di ghiaccio che andò a bloccarli sul posto.

«Geralt!»

«Pensavo sapessi disattivare le trappole, barilotta!»

Il mago roteò brevemente il suo bastone, e una pioggia di fiammelle si propagò tutto intorno a lui e sul pavimento, andando a sciogliere il ghiaccio.

«Credo che le rune siano al di fuori delle sue possibilità...»

Un'elfa incappucciata comparve da dietro una parete, affiancata da due Qunari e tre nani.

«E tu chi cazzo...» Cominciò Natia, ma venne interrotta da un'altra tempesta di neve, che le congelò le parole in gola.

“Odio la magia.” Imprecò Kallian mentre si gettava d'istinto dietro una pila di casse, proteggendosi dal vento. Rabbrividendo, si sporse per un attimo e mirò al ginocchio di uno dei Qunari.

Il grugnito di dolore le confermò di aver colpito il bersaglio. Una scarica di scintille schioccò contro l'altro, facendolo rimbalzare all'indietro e cozzare contro il muro di pietra.

Incoccò di nuovo, mirando questa volta all'altezza del cuore.

La propria freccia deviò sulla spalla, ma quella di Leliana centrò il bersaglio. Il qunari cadde a terra senza più rialzarsi.

Con la coda dell'occhio, individuò un movimento alla sua destra. Allarmata, si buttò di lato, rischiando di scivolare sul ghiaccio. Uno dei nani si era fatto strada tra le casse, approfittando della sua distrazione. Brandiva due accette, mulinandole con maestria ad un soffio da lei.

Rotolò di nuovo, evitando miracolosamente le lame, riparandosi dietro una cassa, cercando di incoccare l'arco. Lasciò andare la corda, colpendolo di striscio al fianco. Parò il colpo successivo con il legnoferro dell'arco, grata che fosse così resistente. Il nano, nonostante il fisico minuto, era più forte di lei. Schivò alla propria sinistra, facendo scivolare l'arco con sé, arretrando finchè non sentì la roccia dietro di sé. Approfittò della nuova serie di attacchi per spostarsi di scatto e afferrare una delle frecce nella faretra, sentendo una delle lame raschiare contro la sua armatura e sbattere contro il muro.

Strinse l'asta di legno, per poi conficcare la punta con forza nel collo dell'assalitore. Quello urlò di dolore mentre lei faceva leva sul muro per avere più forza. Lo spinse via, gettandolo a terra e lasciandolo in una pozza di sangue, mentre incoccava un'altra freccia.

Leliana aveva abbandonato l'arco per i due pugnali che portava alla cintura. Mentre evitava con agilità gli affondi del nano di fronte a lei, sembrava danzasse.

Dietro di loro, la maga aveva approfittato del fatto che Geralt fosse stato distratto dal secondo Qunari per roteare nuovamente il proprio bastone sopra la testa, l'aria attorno a lei che si riempiva di cristalli di ghiaccio.

“Non credo proprio!”

La freccia la colpì tra i seni, trapassando la veste leggera e interrompendo a metà l'incantesimo. La maga abbassò lo sguardo sull'impennaggio che le spuntava dal petto, prima di cadere all'indietro con un tonfo.

Una scarica di elettricità e un forte odore di bruciato annunciarono che Geralt si era liberato del Qunari.

«E così se ne va anche il nostro effetto sorpresa...» Si lamentò Natia, ripulendo i pugnali dal sangue di un nano a terra. Tornò di corsa alla porta, richiudendola di scatto. «Hei, spilungone, credi di poter fare qualcosa per questa?»

Geralt annuì, puntandovi contro il bastone magico e aggrottando le sopracciglia. La serratura si fuse completamente, mentre il metallo fuso andava a spandersi fino al muro, sigillando l'ingresso.

«Dovrebbe tenere.» Si dichiarò soddisfatto il mago.

Kallian si appoggiò ad una cassa, cercando di riprendere fiato. Si passò una mano sulla coscia, scoprendola viscida di sangue. «Merda.»

«Tutto bene?» Si preoccupò subito Leliana.

L'elfa scrollò le spalle. «È solo un graffio. Mi spiace per i pantaloni, dovrò cucirli, e la macchia...»

L'altra donna ridacchiò, estraendo una benda dalla piccola borsa del pronto soccorso che teneva attaccata alla cintura. «Penso sia il minimo dei problemi. E se lo dico io...»

Legatasi stretta la fasciatura, si rialzò in piedi. «D'accordo, andiamo.»

Natia scrutava il corridoio, sospettosamente vuoto.

«Non dovrebbero esserci già addosso?» Le domandò Zevran, che non si era nemmeno preso la briga di pulire le spade corte dal sangue.

«Non è da Jarvia. Sa esattamente che la stiamo cercando, quindi si limita a stare ferma dov'è. Stiamo andando dritti dritti verso la sua trappola, e non c'è altro che possiamo fare.»

«Beh, allora che aspettiamo?»










 

La porta non era nemmeno chiusa a chiave.

“Razza di stronza piena di sé.” Pensò Natia, sfondandola con un calcio. Al diavolo la sorpresa, se l'erano giocata da un pezzo ormai.

Si sorprese che non cercassero di ucciderla sul posto. Invece, entrò incolume nella sala di quello che era stato un tempo il covo di Beraht. Stupidamente, lo sguardo analizzò brevemente il mobilio circostante.

«Non hai nemmeno ristrutturato?»

Venne accolta con un applauso forzato.

Jarvia, seduta sullo scranno di pietra appartenuto al suo predecessore, la fissava come un ragno, gli occhi puntati sulla preda intrappolata nella ragnatela.

«Leske aveva ragione, a quanto pare.»

Quelle parole la colpirono come un pugno in piena faccia. Aprì la bocca per ribattere, ma il cervello si rifiutava di formulare una risposta completa.

«Dovresti darmi più fiducia, capo. L'avevo detto che nessun altro sapeva del nascondiglio nel muro.»

Chiuse gli occhi per un secondo, lo stomaco attorcigliato al suono di quella voce familiare. «Leske.»

«Hei, salroka.»

Non era cambiato di una virgola. La stessa barba sfatta, i capelli raccolti in spesse trecce attaccate alla testa, l'aria di chi aveva appena finito di bere o azzuffarsi, o forse entrambe le cose.

Non era nemmeno arrabbiata. Sbuffò forte, cercando di trovare le parole giuste. «'Fanculo.»

«Mi aspettavo qualcosa di meglio, dati i vostri trascorsi, ma evidentemente l'aria della superficie ti ha reso più stupida, Brosca.» Commentò Jarvia sghignazzando. «Così stupida che sei tornata qui sotto, e per di più hai osato sfidarmi qui, in casa mia. Credevi davvero di potermi soffiare il posto?»

Natia quasi scoppiò a ridere. «Soffiarti il-?»

«Ma non importa, ora che sei qui potrò ringraziarti come si deve per avermi tolto di mezzo Beraht.» Proseguì Jarvia, imperterrita. «E per avermi dato la possibilità di conoscere meglio Leske, ovviamente... non è bravo soltanto con quei coltelli, ma tu lo sai bene, vero?»

Le prudevano le mani. Lanciò un'occhiata al resto della sala. Dieci, forse dodici nemici. E quello che doveva essere il suo migliore amico, ovviamente. Decise di tenerli impegnati, mentre con una mano dietro la schiena tentava di fare segno a Geralt e agli altri. «Quindi sei stato tu a prenderti i miei trenta pezzi d'argento.»

Leske si strinse nelle spalle. «Tu non te ne facevi niente.»

«Spero almeno siano stati ben spesi.»

«Oh, non sarebbero stati nemmeno sufficienti a pagarsi una seconda possibilità con me. D'altra parte, si è messo subito al lavoro... o pensavi che gli scavatori se li fosse procurati da solo?»

«Sei andato da lei a chiedere aiuto?!» Esclamò Natia, sorpresa e disgustata allo stesso tempo.

«Grazie al tuo amico avevo una montagna di soldi, da chi potevo andare?!» Si difese l'altro. «Ho fatto l'unica cosa che potevo. E ha funzionato, ma tu sei stata così stupida da tornartene qua sotto.»

«Oh, certo, e immagino che tra le uniche cose che potevi fare c'era anche l'abbassarti i pantaloni.» Commentò acida. Una leggera scarica elettrostatica sulla punta delle dita la avvisò che Geralt aspettava solo un suo segnale. Lanciò un silenzioso appello alla Pietra sperando avesse capito.

Leske si ritrasse sulla difensiva. «Tu te ne sei scappata là sopra, ma io qui ci devo vivere. Forse te ne sei dimenticata, ma non ci sono molte altre opzioni.»

«Ma fammi il favore!» Li interruppe nuovamente Jarvia. «Come se non eri entusiasta di seguire ogni mio ordine, solo per il fatto di poter essere il mio Secondo!» Incrociò lo sguardo tagliente di Natia, aprendosi in un ghigno ammiccante. «Ogni. Mio. Ordine. Taglia qualche mano, rompi qualche cranio, mettiti in ginocchio e-»

Non sopportando un'altra parola, Natia diede il segnale.

Un'esplosione di fiamme inondò la loro destra, arrostendo sul colpo almeno quattro nani, che furono troppo lenti a spostarsi.

Jarvia scattò dietro allo scranno, facendo cenno ai suoi di attaccare.

Una mezza dozzina di quadrelli si piantarono dove un attimo prima c'era Natia, ma la nana era già scattata in avanti, rifugiandosi dietro una colonna di pietra, i pugnali ben saldi tra le mani, un solo obbiettivo in mente.

Meccanicamente, sgozzò lo scagnozzo più vicino, buttandosi da un lato per evitare una scarica elettrica che spedì un altro degli uomini di Jarvia dall'altra parte della sala. Approfittando del momento, corse verso l'altra donna.

Due nani le si pararono davanti, ma a stento ci fece caso.

Affondare, lacerare, schivare, colpire di nuovo.

Non si fermò neanche per assicurarsi che fossero morti.

«Quella bella armatura sarà mia, una volta che avrò finito con te.» Ringhiò Jarvia, quando incrociarono le lame. Le sue due accette erano di buona qualità, ma Natia sapeva che poche cose potevano rivaleggiare con la silverite di cui erano fatti i suoi pugnali.

Si scambiarono una serie di colpi furiosi, ignare di tutto ciò che le circondava, consce solo della sete di sangue. Riuscì a ferire la sua avversaria di striscio, tagliando con facilità il cuoio che le proteggeva le braccia, poco sotto lo spallaccio. Stava per affondare la lama sotto l'ascella, quando venne colpita alle spalle, perdendo l'equilibrio. Jarvia ne approfittò all'istante, caricando un colpo dritto al petto.

Non fosse stato per il metallo, che attutì l'impatto impedendo alla lama di entrarle nella carne, sarebbe stata la fine.

Invece, il pettorale di acciaio rosso prese gran parte del danno, incrinandosi all'interno e mozzandole il fiato. Si ritrovò a terra, incapace di respirare.

Nel panico, strattonò le cinghie che la stringevano in vita, la vista che si annebbiava. Con un ultimo sforzo, si liberò dall'armatura ormai inutile, tagliando le ultime due strisce di cuoio con il pugnale. Si girò sul fianco, rimettendosi in piedi a fatica. Jarvia si stava rialzando faticosamente, un cratere fumante a pochi metri da lei.

Ringraziò mentalmente Geralt, prima di rigettarsi nella mischia nella direzione della nemica.

La raggiunse di corsa, caricando un colpo che andò a conficcarsi nella spalla, mentre Jarvia scattava di lato, evitando una ferita fatale, mirando a sua volta alla testa con l'accetta tenuta nel braccio sano, costringendo Natia a parare con entrambe le lame. L'altra accetta, seppur con meno forza, si schiantò ad un centimetro dalla sua testa, mandando in frantumi una cassa di legno che esplose in mille pezzi.

Senza darle tregua, la incalzò nuovamente, infilandosi tra le giunte dell'armatura e ferendola al fianco. Con un ghigno di vittoria, osservò il braccio ferito di Jarvia avere uno spasmo e far cadere una delle due accette a terra.

«Schifosa bastarda.» Ringhiò il capo del Carta, attaccandola di nuovo, il veleno che Natia aveva applicato sui suoi pugnali che cominciava a fare effetto.

«Come se non hai fatto lo stesso...» Rispose con una smorfia, spedendola a terra con un calcio e facendole perdere anche l'altra arma. Si gettò su di lei, trapassandole una gamba e inchiodando uno dei pugnali fino all'elsa, beandosi delle urla di dolore dell'altra. Stava per affondare il colpo di grazia, quando qualcuno la caricò di peso, buttandola a terra.

Finì con la schiena contro i resti taglienti di qualcosa. Sentì i cocci penetrarle nella schiena e digrignò i denti dal dolore.

«Non posso lasciartelo fare, salroka.»

«Vaffanculo, Leske, maledetto bronto!»

La teneva immobilizzata a terra, le braccia che le bloccavano i polsi sopra la testa, impedendole i movimenti. Era sempre stato più forte di lei. Cercò di divincolarsi, inutilmente.

«Smettila di lottare, salroka.»

Incrociò il suo sguardo e non riuscì a leggervi assolutamente niente. In preda alla furia, raccolse una gamba e gli mollò una ginocchiata sulle palle. L'altro crollò a terra con un grugnito.

«Non!»

Si tirò in piedi di scatto, afferrando il pugnale rimastole.

«Osare!»

Era sotto di lei, inerme.

«Chiamarmi!»

Leske chiuse gli occhi, voltandosi leggermente di lato, offrendole la gola.

«Salroka!»

Sentiva le guance in fiamme, le lacrime che le pungevano gli occhi. Il coltello piantato a pochi centimetri dalla sua faccia, incastrato tra le pietre del pavimento, vibrava per l'impatto, ancora stretto in pugno.

«Natia-»

Chiuse la mano libera a pugno, caricando con tutta la forza che aveva rimasta.

Sentì il “crack” delle ossa rompersi e il grido di dolore. Si rialzò, furente, squadrandolo dall'alto in basso. Era patetico, l'aveva tradita e si era portato a letto una delle persone peggiori di tutta Orzammar.

Ma lì sotto, sapeva bene, ognuno se la cavava come poteva.

Lo scontro era concluso e, a parte le urla di dolore di Jarvia, che sbraitava come un nug al macello contro di lei e i suoi compagni, non si sentiva un granello di sabbia.

Tese una mano verso il nano a terra, che aveva smesso di dimenarsi e ora si teneva il naso sanguinante, imprecando.

«Ora siamo pari.»

Leske la afferrò con la mano libera, rimettendosi in piedi barcollante. La guardò confuso, la faccia impiastricciata di sangue. «Davvero?»

Natia sogghignò. «Questo era per essertela martellata.»

«E per averti quasi ucciso?»

Scoppiò a ridere. «Per piacere. Pensi davvero che questa ridicola imboscata sarebbe riuscita a fermarci? Dico, l'hai visto con che razza di spilungoni giro?»

«Avrei dovuto immaginarlo...»

Si avvicinarono a Jarvia, che era tenuta sotto controllo da Kallian e Zevran.

«Leske, brutto schifoso traditore...!» Urlò la nana a terra, cercando di ribellarsi. Come unico risultato, ottenne che lo squarcio sulla coscia si aprì ulteriormente, troncandole il resto degli insulti in un urlo di dolore.

Natia si inginocchiò accanto a lei. «Sai, Jarvia, hai fatto proprio un bel lavoro.» Era sincera. Mai il Carta ad Orzammar era stato così potente, almeno a memoria di nano. «Purtroppo ti è andata male, ma hei, capita.» Afferrò il manico del pugnale, ruotandolo con ferocia per poi strapparlo via.

Un fiotto di sangue zampillò dalla ferita, assieme ad altre urla e insulti indecifrabili.

«Sì, il veleno che sto usando brucia parecchio, se lo sommi a quel brutto taglio... direi che non ti resta molto tempo.»

«Schifosa... marchiata... feccia!»

Allargò ulteriormente il ghigno, divertita. «È esattamente quello che dicono tutti. Continuate a sottovalutarmi, pezzi di merda, e questo è quello che vi capita.»

Le aprì un altro squarcio, sulla gola, uguale a quello che aveva inflitto mesi prima a Beraht.

Si rialzò, compiaciuta di sé stessa. Geralt, di fianco a lei, osservava il cadavere con lo stesso interesse di quando sfogliava le pagine di uno dei suoi libri.

«Complimenti. Quasi un'opera d'arte.»

«Oh, stai zitto, spilungone.» Si voltò verso Leske. «Le chiavi della tesoreria. Ora.»

«Non me lo devi ripetere due volte, Salroka.» Si affrettò lui, chinandosi a frugare nelle tasche di Jarvia. Ne estrasse una chiave dorata. «Da questa parte...»

Mentre lo seguivano verso il fondo della sala, Zevran si schiarì la voce. «Siamo sicuri di fidarci?»

Natia non si voltò nemmeno. «Non è il primo assassino che risparmiamo, no?» Ribattè divertita.

«Ah, mi ferisci...» 

Aperto l'enorme baule, Natia si lasciò scappare un fischio di ammirazione. Oltre ad una pila di monete d'oro e d'argento, c'erano almeno due dozzine di pepite di lyrium. Schioccò la lingua, facendo segno agli altri di aprire gli zaini.

«Ve l'avevo detto che avremmo trovato-» La sua attenzione venne catturata da un paio di rotoli di pergamena, accuratamente tenuti in una custodia di pelle. Cosa poteva esserci di tanto importante da tenerli chiusi lì dentro? Li afferrò senza esitazione.

«Per le palle sabbiose degli Antenati...»

«Che hai trovato?» Chiese subito Geralt, incuriosito. Si sporse a dare un'occhiata.

«A quanto pare, abbiamo le prove che Bhelen ha organizzato l'omicidio di suo fratello con Beraht.» Annunciò Natia al resto del gruppo. «E nell'altra...»

Fu Leske ad anticiparla. «L'altra chiede a Jarvia di organizzare l'attacco alle Prove di oggi.»

Ci mise un attimo a capire. «Attacco alle Prove?!»

«Bhelen ci ha pagati una bella somma per far fuori suo fratello oggi.» Accennò una risatina. «Mi sa che con questa mi sono giocato il perdono, eh...»

Natia si trattenne a stento dal mollargli un altro cazzotto.

Fu Leliana la prima a reagire. «Dobbiamo sbrigarci. Saranno passate ore, se sono riusciti ad ucciderlo... No, non è il caso di pensarci.»

«Ma se l'hanno fatto,» concluse la frase Kallian «ci restano solo due opzioni: scappare in superficie a gambe levate, o sperare che questi documenti bastino ad Harowmont per screditare Bhelen di fronte all'Assemblea.»

«Diranno che sono un falso. Non conoscete abbastanza quei culi di pietra.» Ribattè Natia. «No, quel cretino non può morire. Tutta questa fatica per niente? Non glielo permetto.»

Aprì lo zaino, cacciandoci dentro le due pergamene arrotolate con cura e quante più monete e pepite riuscisse a contenere. Insieme, vuotarono rapidamente il baule.

«L'uscita più vicina al Distretto dei Diamanti?» Chiese a Leske, che la guardò sorpreso.

«Allora stai veramente dal Principe, eh?»

Non lo degnò di una risposta, mentre si inoltravano nuovamente in una serie di cunicoli e scale.

Dopo un po', Natia calcolò che dovevano essere all'altezza del Quartiere Comune. Leske si fermò improvvisamente, il corridoio che avevano seguito un finto vicolo cieco, un meccanismo nascosto ad aprire il passaggio. Lo riconobbe dopo qualche istante.

«Ha cambiato gestione.» Commentò ammirata. Il negozio che un tempo era stato una delle sedi legali di Beraht era ora adibito alla vendita di armi e armature. Il proprietario del negozio, alla vista del gruppo, sbiancò di terrore.

«Tranquillo, abbiamo appena eliminato Jarvia ma non ti faremo niente.» Lo liquidò in fretta, uscendo a grandi falcate dal negozio.

Intercettò lo sguardo di una ragazzina dai capelli rossi, seminascosta dall'altra parte del bancone. La salutò con la mano.

La piazza del mercato era ancora più frenetica del solito, con un grande via vai di gente attorno al ponte che conduceva all'Arena. Non era buon segno. Guardò l'orologio, era ormai notte. Erano stati là sotto un'eternità.

«Si dice che fosse veleno...»

«Bhelen non avrebbe mai...»

«Se l'è cercata...»

«Stava vincendo...»

«Avete visto come quel Golem-!»

«Diamoci una mossa.» Percorsero la strada fino alla porta per il Distretto dei Diamanti quasi di corsa.

«Fermi lì!» Li apostrofarono le guardie. «Dobbiamo perquisirvi.»

«Non abbiamo tempo da perdere, siamo con i Custodi.» Rispose sbrigativamente Leliana. Persino lei stava perdendo la pazienza.

Le guardie non sembrarono voler sentire ragioni. Scoccarono a lei e Leske un'occhiata carica di sospetto, facendo qualche passo verso di loro. Prima che Natia potesse stendere il primo con una testata, vennero fermati da una voce.

«Fermi, sono con il Principe Duran e i Custodi, garantisco io per loro!»

Dulin Forender, il Secondo di Harromont, sembrava starli aspettando da un po'. Corse loro incontro, mentre le guardie si facevano da parte riluttanti per farli passare.

«Come sta?» Chiese immediatamente Leliana, mentre procedevano spediti verso il palazzo.

«Quindi avete saputo... è vivo e fuori pericolo.» Si guardò attorno, circospetto. «Voi...?»

«Jarvia è stata sistemata.»

L'altro annuì, ma a Natia non sfuggì lo sguardo che rivolse a Leske. Non poteva biasimarlo.

Entrati nel palazzo di Harrowmont, la tensione era palpabile.

«Ce l'avete fatta.» Li saluto Aenor, accennando un sorriso stanco.

«Già, è stata una passeggiata.» Rispose Natia.

«Un amico tuo?» Chiese Alistair, indicando Leske, che si teneva ancora una mano premuta contro il naso sanguinante, chiaramente a disagio tra tutti quegli spilungoni.

Lei annuì. «Come sta?»

«Wynne e Morrigan sono riusciti a fermare il veleno. Ora sta riposando, ma dovrebbe rimettersi in un paio di giorni.»

Tirò un sospiro di sollievo, appoggiandosi al muro.

«Magari il tuo amico vorrà farsi dare un occhio da Wynne?» Propose Elissa.

“Sempre così gentile con tutti...” Natia si chiese se lo sarebbe stata anche conoscendo tutta la storia.

«Credo abbia altro da fare, no?»

Alistair scosse la testa. «No, è andata a riposare nella sua stanza qualche ora fa...»

«Kallian, dovresti mettere un impacco sulla gamba!» Esclamò Leliana. Natia ridacchiò, vedendo l'elfa sbuffare sonoramente e sedersi di fronte ad un vassoio di cibo.

«Prima mi riempio lo stomaco.» Decretò, addentando uno spiedino.

Prese Leske per un braccio e lo trascinò verso le camere da letto. Quella di Wynne era in fondo al corridoio, nella zona più calda dell'edificio. Bussò piano alla porta. Se stava dormendo, non c'era motivo di svegliarla.

«Avanti.»

«Sono Natia, ma ho portato qualcuno...» Si affacciò, temendo di metterla a disagio. La maga era seduta al tavolo di pietra, tra le mani un oggetto che brillava leggermente. Al loro ingresso, lo infilò nelle tasche.

«Ah, sembra che non ci sia un attimo di pausa.» Li salutò, alzandosi in piedi. «E tu chi saresti, giovanotto?»

Quello, al sentirsi chiamare “giovanotto”, fece una smorfia poco carina. «Leske.»

«C'è un motivo per cui Natia ti ha rotto il naso, Leske?»

La nana scoppiò a ridere, ammirata dall'intuito dell'altra. «Se l'è meritato.»

«Hm, capisco.» Sorrise divertita la maga. Sollevò la mano, mettendogliela a qualche centimetro dal volto. Una luce azzurrina si propagò tutto attorno, mentre con uno schiocco il naso tornava al suo posto, anche se un pochino storto. «Vedi di non rifarlo, giovanotto. La prossima volta credo non si limiterà al naso...»

L'altro si toccò la faccia, confuso. Annuì poco convinto, gli occhi puntati sulle mani della donna. «Grazie, credo.»

Natia gli diede una gomitata. «Grazie, Wynne. Scusa se ti abbiamo disturbato...»

«Oh, non fa niente. Non riuscivo a dormire in ogni caso.» Rispose enigmatica l'anziana.

«Se c'è qualcosa che posso fare...»

L'altra scosse la testa. «No, ma apprezzo lo stesso. Ora andate, credo abbiate parecchie questioni in sospeso di cui discutere, vero?»

Ammiccò verso di loro, prima di accompagnarli alla porta.

«Sono tutti così inquietanti, i maghi?» Chiese Leske, una volta che furono soli. Continuava a tastarsi il naso, incredulo.

Natia sogghignò. «Questi sono a posto. Dovevi vedere quelli alla torre dei maghi... si sono trasformati in mostri orrendi, posseduti da dei demoni tipo, uccidendo dei maghi e controllando mentalmente tutti... Ne abbiamo combattuto uno più grosso di un Ogre!»

«Hai visto un Ogre?!»

Rise di gusto, sorprendendosi di sé stessa. «Più di uno. E abbiamo ucciso un drago, con ali, bocca sputafuoco e tutto.»

Leske scosse la testa. «Ora capisco quando hai detto che Jarvia non aveva mezza possibilità...»

Cadde il silenzio.

«Non sono arrabbiata con te, sai.» Disse, appoggiandosi alla parete. «Ho passato mesi a preoccuparmi di come stavi, ma non c'era niente che potevo fare.»

Leske sorrise debolmente. «E io che pensavo ti fossi dimenticata di me appena salita in superficie... o caduta in cielo.»

«Mi sa che quella birra dal Tapster non te la potrai bere.»

«Dopo oggi, credo mi andrebbe bene restare astemio per... un mese.»

«Stronzate. Non tireresti tre giorni.»

Rimasero di nuovo senza sapere cosa dirsi.

«Credevo mi avresti ucciso.» Ruppe il silenzio Leske. «Pensavo che... insomma, te la saresti presa più di così. Sono stato io a scoprire quel ragazzino morto a casa tua, poi ho visto che avevi spostato le pietre del nascondiglio vicino alla vasca e ho fatto due più due.»

«E sei corso a dirlo a Jarvia.»

Si strinse nelle spalle. «Non potevo esserne certo, ma col ritorno del Principe, c'era una minima possibilità...»

«Hai fatto quello che dovevi.»

«Natia...»

Sbuffò, premendogli una mano sulla bocca. «Chiudiamola qui. Quel che è fatto è fatto, e non ha senso scavarci sotto.» Si avvicinò ulteriormente a lui, fino ad azzerare la distanza tra loro.

Le labbra di Leske erano rovinate, secche, la barba sfatta pungente. Sapeva di sudore, di sangue e di Città della Polvere. Di birra scadente, di muffa e di casa.

Non fu un bacio delicato. Gli morse le labbra, sfogando tutto il tumulto che provava, incapace di esprimerlo altrimenti.

Lo trascinò verso uno stanzino che sapeva vuoto, chiudendolo a chiave con uno scatto, spingendo il compagno contro il muro.

Leske si mosse velocemente a toglierle la maglia. Sollevando le braccia, Natia si lasciò sfuggire un gemito di dolore. I tagli sulla schiena, se n'era dimenticata, ora bruciavano e prudevano.

«Scusa, a proposito.» Ridacchiò lui, stringendole i fianchi, le dita sporche del suo sangue.

«Solo un graffio.» Tagliò corto lei, liberandolo con facilità dalla sua armatura, le varie parti che cadevano a terra sferragliando. «Vedi di farti perdonare.» Lo baciò di nuovo con foga, la schiena appoggiata alla parete di pietra liscia del palazzo, lì, nel mezzo del Distretto dei Diamanti. Si chiese come diamine c'erano finiti.

Come tutto fosse cambiato, ma nel frattempo loro non fossero poi così diversi.

Il respiro affannoso, gli passò una mano tra i capelli, stringendo tra le dita le trecce così familiari.

«Mi sei mancato, salroka.»














Note dell'autrice: Una gioia! Natia si merita tutto il bene del mondo, non vedevo l'ora di scrivere questo capitolo. Non mi è mai andato giù come la Bioware costringa ad uccidere Leske. Puoi risparmiare gente di ogni tipo e non lui? Suvvia! La prima parte del capitolo è tutta di Kallian, che ha improvvisamente rivalutato l'Enclave. C'è sempre chi sta peggio, insomma. Tra lei e Leliana sta nascendo qualcosa, ma non ha ancora capito bene cosa... 
Alla prossima, si parte per le Vie Profonde!

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Capitolo 29
*** Vie Profonde - Trincee dei Morti ***


CAPITOLO VENTINOVE:

VIE PROFONDE – TRINCEE DEI MORTI





 

Il loro nuovo compagno di viaggio emise un lungo e incredibilmente sonoro rutto.

«Ricordatemi perché ce lo stiamo portando dietro...»

Elissa lanciò ad Alistair uno sguardo di disapprovazione, mentre il nano si grattava il fondoschiena fingendosi ignaro. «Diccelo tu, piuttosto. Devo ricordarti che è stata una tua idea?»

Il Custode si strinse nelle spalle. «Mi sono sbagliato. È stato un terribile errore.»

«Sono contenta che tu te ne sia accorto.»

Si voltò verso di lei con una strizzata d'occhio. «Mi farò perdonare.»

La ragazza non potè fare a meno di sorridere in rimando, imbarazzata. Scostò lo sguardo, lieta che la presenza dell'altro potesse distrarla un po' dall'ambiente circostante.

Le Vie Profonde erano peggio di quanto si fosse immaginata.

Un tempo dovevano essere state magnifiche, grandi tunnel di pietra scolpita e levigata che collegavano insediamenti nel sottosuolo, correndo forse per l'intero Thedas. Ora, di quel grande e fiero impero, non restava altro che qualche indicazione incisa nella pietra, ormai quasi irriconoscibile, statue ed edifici in rovina.

«Siamo vicini.» Annunciò il Principe, la voce ferma. Pareva essersi ripreso perfettamente dal veleno e, nonostante i consigli di Wynne, aveva aspettato solo tre giorni prima di partire alla ricerca di Branka. L'imboscata che Blehen aveva organizzato alle Prove lo aveva reso ancora più determinato a vendicarsi del fratello.

«Hmpf, era ora... stavo cominciando a pensare che stessimo girando in tondo.» Ribattè Oghren. «Credevo che le mappe di Branka fossero più chiare...»

«Probabilmente ti sembra di girare su te stesso, da quanto sei ubriaco.»

«Incredibile, ma sono di nuovo d'accordo con la strega.»

Il nano non sembrò minimamente offeso, ma anzi, lanciò a Morrigan un'occhiata ammiccante. «So che il tuo finto disprezzo nasconde molto di più...»

«Un istinto omicida?» Rimbeccò lei, stringendo il proprio bastone magico con più forza. «Tieni bene a mente il mio avvertimento, nano, perché se ti becco un'altra volta a guardare dove non ti compete...» un'aura violacea si propagò minacciosamente attorno a lei. Non c'era bisogno di aggiungere altro.

L'altro sogghignò per l'ennesima volta, ma lasciò cadere l'argomento.

«Hei, guardate là.» Li chiamò Natia, indicando qualcosa di fronte a loro.

Avvicinandosi, notarono che era un cadavere di Hurlock. Più avanti giacevano altri corpi, quasi tutti di Prole Oscura. Due erano nani: indossavano armature massicce, sulle quali era inciso un simbolo di un elmo nanico, che spiccava chiaro sull'acciaio grigio scuro.

«La Legione dei Morti.» Spiegò Duran, indicandolo. «Devono essere passati di qui di recente, un paio di giorni al massimo.»

«Beh ci hanno facilitato il lavoro, si direbbe.» Commentò Oghren, accennando ai cadaveri di Prole Oscura che giacevano tutt'attorno. «Sai che scocciatura altriment-»

Natia lo zittì con una gomitata, indicando qualcosa che si muoveva nell'ombra, ad una ventina di metri da loro.

Elissa strizzò gli occhi, poco abituata a tutta quell'oscurità. Sembrava una figura umanoide.

Leliana estrasse il suo arco, pronta a colpire, ma la nana scosse la testa. Si avvicinò alla creatura lentamente, una mano tesa ad indicare di non avere cattive intenzioni.

L'altra, dietro la schiena, era saldamente stretta attorno ad uno dei suoi pugnali.

«Hei, non vogliamo farti del male.» La sentì dire.

Quello, qualsiasi cosa fosse, scappò a gambe levate.

Natia scattò dietro di lui, facendo segno agli altri di seguirla.

Si inoltrarono in una serie di cunicoli labirintici, e avrebbero perso sicuramente la strada non fosse stato per l'abilità dei nani di orientarsi là sotto. Elissa era strabiliata dal loro “senso della pietra”.

Si ritrovarono in una caverna dal soffitto basso, i segni di un vecchio accampamento tutto intorno.

«No! Siete venuti a prendere la mia roba!»

Il lamento era rauco, quasi animalesco. Ricordava una qualche creatura ferita. Quello che era stato un tempo un nano, era in piedi su una sporgenza rocciosa, un piccolo pugnale sbeccato in mano. La faccia era butterata e violacea, coperta dalla Corruzione della Prole Oscura, così come le mani e quel poco che si poteva notare delle braccia e del collo. Era ingobbito e teneva la testa inclinata da un lato, squadrandoli allucinato.

«No, non vogliamo rubarti niente!» Ribattè Natia cercando di convincerlo, il pugnale sempre ben stretto in mano nel caso quello decidesse di attaccare. «Vogliamo solo farti qualche domanda.»

«Siete venuti a rubare! Trovatevi roba vostra!»

«Questo è andato, non ci servirà a nulla.» Commentò Oghren, guardandolo con un misto di pietà e disgusto. «Quando si perdono qui sotto, impazziscono. Vivono di scarti e finiscono per mangiare qualsiasi cosa trovino.»

Duran scosse il capo. «Come Prole Oscura. Oghren, pensi sia questo l'accampamento di Branka?»

L'altro annuì, aggirandosi tra i resti. «Riconosco i segni sulle pietre e sembra abbastanza vecchio da essere loro. Non è della Legione dei Morti, questo è certo.»

«Ruck ha trovato cose, sono di Ruck!» Ringhiò il povero pazzo, agitando in aria il pugnale. «Farete tornare quelli scuri, e vi rosicchieranno le ossa! Non ruberete le mie pietre scintillanti, non ruberete i miei vermi!»

«Hei!» Si intromise Alistair. Estrasse una piccola moneta di rame, che si pose sul palmo della mano. «Vuoi qualcosa di scintillante, no? Facciamo cambio allora.»

Quello sembrò immobilizzarsi, come ipnotizzato dalla moneta. Abbassò l'arma, protendendosi verso il Custode.

«Alistair...» Lo chiamò preoccupata Elissa, ma l'altro le sorrise rassicurante.

«Non mi farà niente. Vero Ruck? È così che ti chiami, no, Ruck?»

Il nano annuì spasmodicamente, tendendo una mano verso di lui. Alistair gli diede la moneta, che Ruck ammirò estasiato.

«Ruck? Puoi dirci da quanto tempo sei qui?» Proseguì il Custode, rovistando alla ricerca di un'altra moneta di rame, che mise davanti al naso dell'altro.

«Cinque... no, sei... troppo tempo, Ruck non ricorda. Fa male ricordare. La luce, una volta che hai mangiato, una volta che hai il buio dentro...» Si sporse per afferrare l'altra moneta, quando sgranò improvvisamente gli occhi. «Tu! Tu lo sai, Ruck lo vede. Vede il buio dentro di te.»

Elissa sentì accapponarsi la pelle. «Cosa intende...?»

«La Corruzione.» Rispose il Cusode in tono piatto. «Fa parte del rituale dei Custodi. Non- non dovrei nemmeno dirlo, ma non ha senso nasconderlo, quindi tanto vale.»

Lei spostò lo sguardo su Ruck, il gelo che si faceva strada nelle sue ossa.

Era quello che aspettava tutti i Custodi? Un giorno Alistair si sarebbe ritrovato in quelle condizioni, perso il lume della ragione, ridotto ad un guscio della persona che era?

«Dove sono i Prole Oscura adesso, Ruck?» Proseguì il ragazzo, dandole le spalle. Allungò al nano una terza monetina scintillante.

«Gioia. Molta gioia quando si è svegliato. Ruck voleva andare a vedere la sua bellezza, ma Ruck è un codardo. A Sud, sono andati, lui li ha chiamati, tutti i suoi figli. Ora non chiama più.» Balbettò qualcos'altro di incomprensibile, afferrando la moneta di rame e cacciandosela in tasca.

«Ruck, possiamo dare un'occhiata a quello che hai trovato qui?» Chiese cauto, tendendogliene un'altra.

Il nano annuì circospetto, prendendo anche quella ed indicando un cumulo di oggetti sparsi poco lontano. «Ruck trova. Tante pietre scintillanti. Amico dare monete per pietre?»

Duran e Oghren si avvicinarono alla catasta, cominciando ad analizzarla. Dentro un baule ormai quasi distrutto, trovarono un diario, le pagine erose e a stento leggibili.

«Riconosco la calligrafia, l'ha scritto Branka!» Esultò il secondo. «“Ho scoperto oggi che l'Incudine del Vuoto non è stata creata ad Orthan Thaig. Andremo a Sud, oltre le Trincee dei Morti.”»

«Antenati.» Grugnì l'altro. «Le Trincee dei Morti brulicano di quei maledetti, non passeremo mai. Nemmeno quelli della Legione sono abbastanza folli da tentare di riprendersi la fortezza.»

«Hei, dammi un segnale e ce ne andiamo in un attimo, altezzosità.» Commentò tetra Natia. «Non è che siamo qui per te, eh.»

«Se Branka è andata da quella parte, avrà trovato un modo per passare.» Si ostinò Oghren.

«Oppure troveremo noi i loro cadaveri...»

«Se l'Incudine del Vuoto è oltre queste Trincee, è là che andremo.»

Si voltarono tutti verso Shale. Fino a quel momento, il golem aveva parlato pochissimo, sembrando più di cattivo umore del solito.

«Voglio riavere i miei ricordi. E qualche Prole Oscura non basterà a fermarmi.»

Elissa si strinse nelle spalle. Erano in ballo, occorreva ballare. Se fossero risaliti ad Orzammar senza Branka, non sarebbe stato sufficiente per far eleggere Duran, e loro non avrebbero avuto il sostegno dei nani contro il Flagello. Non avevano altra scelta che andare avanti. Intercettò lo sguardo di Leliana, che sembrava rassegnata quanto lei.

«Queste Trincee dei Morti... che sono esattamente?» Chiese Alistair. Sembrava aver paura della risposta.

«La vecchia fortezza di Bownammar. La Legione dei Morti se l'è contesa con la Prole Oscura per così tante volte che si è perso il conto, ma quei mostri se la sono ripresa per l'ultima volta diciassette anni fa. Si disse qualcosa su un Flagello in arrivo, e a quanto pare avevano ragione.» Rispose Oghren, sistemandosi l'ascia tra le ampie spalle. Era sovrappensiero, la preoccupazione che gli si leggeva in volto.

«Troveremo Branka, ne sono sicura.» Gli disse Elissa, cercando di rassicurarlo.

«Oh, non è questo che mi preoccupa, ma la sua reazione quando mi vedrà. Non era esattamente un matrimonio felice.»

“Sì beh, ci ero arrivata. Altrimenti non ti avrebbe mollato ad Orzammar portandosi dietro tutti gli altri...” Preferì non dire altro, lanciando un'occhiata di sottecchi ad Alistair.



 

«Non se ne parla.»

«Elissa, per favore...»

Incrociò le braccia al petto, squadrandolo con aria decisa. «No, non ti lascio andare lì sotto da solo. Potresti aver bisogno di me.»

«Il Ferelden ha bisogno di te! E se dovessi morire-»

«Non prendiamoci in giro. Il Ferelden ha bisogno più di te che di me, io non sono né un Custode Grigio, né il figlio di Maric Theirin. Se il paese dovesse scegliere, non sarei nemmeno contemplata.» Lo vide aprire la bocca per ribattere. Gli afferrò una mano, con forza. «Mi hai seguito quando sono andata a combattere al fianco dei Bann contro Loghain e i suoi, rischiando la vita per qualcosa che non era compito di un Custode. Lascia che faccia lo stesso.»

«Non è la stessa cosa!»

«Sì invece.» Si ostinò lei. «Mettere Duran sul trono è importante, ed è l'unico modo che abbiamo per ottenere il supporto dei nani contro il Flagello che minaccia il nostro paese. Ed è mio dovere, come Teyrna di Altura Perenne, e come abitante del Ferelden, fare tutto ciò che è in mio potere per fermare i Prole Oscura.»

«Le Vie Profonde sono il luogo più pericoloso del Thedas. Non solo brulicano di Prole Oscura, ma anche ragni giganti, Cacciatori Oscuri, Corruzione e chissà cos'altro troveremo, per non parlare del fatto che si estendono per miglia e miglia e noi non abbiamo un'idea precisa di dove andare! Potremmo non tornare più.»

Lo guardò dritto negli occhi color nocciola. «Faremo in modo di tornare, allora.»

«Elissa...» La supplicò, ma lasciò che il resto della frase si perdesse nel nulla.

«Alistair. Verrò con te, il caso è chiuso.»



 

Si fermarono a guardare la fortezza di Bownammar: quello che chissà quanti secoli prima doveva essere stato un baluardo contro la Prole Oscura ora era poco più di uno scheletro fatiscente, le mura crollate in più punti, le torri di guardia sventrate e ormai inutili.

Un ruggito terribile si sollevò dal crepaccio che avevano costeggiato per gran parte della giornata.

Si buttarono a terra, strisciando al sicuro dietro una roccia a pochi metri dallo strapiombo.

Elissa non resistette alla curiosità. Si trascinò fino al baratro, guardando di sotto.

Le morirono le parole in gola.

Uno sterminato esercito di Prole Oscura marciava sul fondo della gola, qualche centinaio di metri sotto di loro, così lontani e in numero talmente grande da non riuscire a distinguerne la specie. Sopra di loro, gli artigli che facevano presa sulla pietra del ponte...

«L'Arcidemone.»

Dovevano davvero affrontare quel mostro? L'enorme drago che si stagliava davanti a loro sembrava impossibile da sconfiggere, anche avendo un esercito intero.

«Antenati...»

«A confronto, quello ad Haven era una passeggiata.»

Si voltò verso Alistair. Il Custode non battè ciglio, lo sguardo fisso verso il drago. «Non dobbiamo farci vedere. Aspettiamo che se ne vadano e poi proseguiamo.»

Si trassero di nuovo indietro, cercando un po' di rifugio dietro ad un cumulo di rocce, lieti che i Prole Oscura e l'Arcidemone non riuscissero ad avvertire la loro presenza.

Il frastuono dell'esercito sotto di loro continuò per ore ed ore, e anche quando se ne furono finalmente andati, il rombo continuava a perseguitarli. Il morale a terra, raggiunsero la fortezza avvicinandosi al ponte.

«Guardate là. La Legione!» Indicò loro Duran, un sorriso stampato in volto.

Un folto gruppo di nani in armatura pesante era accampato poco distante dalle mura.

Li raggiunsero quasi di corsa, lieti di vedere qualche faccia amica.

«Atrast Vala.» Li salutò quello che doveva essere il comandante. «Cosa ci fate qua sotto?»

«Atrast Vala, legionario. Siamo qui per cercare la Campionessa Branka.» Rispose Duran.

«Ah! Tanto vale cercare l'Incudine del Vuoto e una vena di Lyrium infinita!» Rise quello. «Fatemi indovinare, quei culi di pietra nell'Assemblea non riescono a decidersi su qualcosa, e adesso chiedono l'aiuto di qualcuno più in alto di loro?»

«Più o meno... Re Endrin è morto e l'Assemblea non riesce a decidersi sul suo successore.»

Tra gli uomini della Legione si alzarono commenti sorpresi. Da quanto erano là sotto senza notizie dalla città?

«Che la Pietra gli sia lieve. Aveva tre figli, no? Uno dei tre l'avevo incontrato, Trian mi pare si chiamasse... Avevamo guidato una spedizione insieme all'esercito in un Thaig abbandonato, una decina di anni fa.»

«Morto anche lui. Assassinato dal fratello minore. Stiamo cercando Branka perché ci aiuti a mettere sul trono qualcuno di degno. Qualcuno che effettivamente faccia del bene al regno.»

«Questa è buona. L'ultima volta che un re si è preoccupato di come stessero tutti i suoi sudditi, e non solo qualche culo di pietra levigata, era forse ai tempi del primo Aeducan... Ma venite, accantoniamo la politica, qui sotto non conta niente.»

Condivisero le provviste con quelli della Legione. La carne di nug, conservata in modo ingegnoso per durare molti mesi anche sottoterra in condizioni precarie, e dei grumi di licheni e muschio disidratati erano l'unica cosa da mettere sotto ai denti, accompagnati da birra polverosa e acqua.

Elissa era rimasta sorpresa dalla presenza di alcune piccole fontane situate nei due Thaig che avevano attraversato, da cui usciva acqua pura grazie a delle gemme incantate. Erano così riusciti a fare abbastanza scorte da non doversi preoccupare per un po'.

«Stiamo cercando di riprenderci il ponte.» Spiegò il comandante della Legione, Karol. «Quei bastardi hanno piazzato sentinelle ovunque, siamo accampati qui da giorni. L'avete visto l'Arcidemone, vero?»

Annuirono.

«Ecco, ora che se li è portati via dovremmo farcela. Siete diretti dall'altra parte, vi toccherà darci una mano.»

«Assieme abbiamo più possibilità di farcela.» Convenne Duran.

«Le abbiamo davvero?» Sentì Natia bofonchiare. Era seduta accanto a Leliana, e mangiava con scarso entusiasmo. L'arciera non era di umore migliore.

«A quanto sostiene Oghren, dovremmo essere vicini.»

«Siamo davvero sicuri di volerci fidare di quell'ubriacone?» Commentò acidamente Morrigan.

«Non abbiamo molte scelte, ormai.»

«Elissa ha ragione.» Si intromise Wynne. Il viaggio la stava affaticando, ma non si era ancora lamentata, mostrando una forza d'animo e volontà rari. «È inutile preoccuparsene.»

Si misero a dormire poco dopo, ognuno perso nei propri pensieri.

Elissa, raggomitolata nel suo giaciglio, non riusciva a togliersi dalla testa il ruggito dell'Arcidemone.

 




Dopo un sonno agitato, in cui Alistair si trasformava in Ruck e l'Arcidemone distruggeva la grande cattedrale nella piazza di Denerim, la furia del combattimento le alleggerì la mente.

Il Custode sembrava fare di tutto per proteggerla, combattendo spalla a spalla con lei. Ormai avevano consolidato uno stile che permetteva ad entrambi di dare il meglio, colpendo i nemici e parando i colpi a vicenda, in una coordinazione quasi perfetta.

Certo, le mancava avere Biscotto al fianco.

Aveva lasciato il mabari assieme a Falon, al palazzo di Harrowmont. “Le vie Profonde non sono fatte per un mastino da guerra, per quanto ben addestrato possa essere” aveva detto Duran, e a quanto pare aveva ragione.

Combattere senza di lui non era esattamente semplice, dato che l'occhio mancante di Elissa le causava un grosso punto cieco che di solito era coperto da Biscotto, ma Alistair era ormai abituato e si posizionava sempre dove lei non arrivava.

Girò su sé stessa, colpendo con lo scudo un Genlock e spedendolo a terra, mentre Alistair caricava di peso un Hurlock, finendolo poco dopo.

Un urlo di vittoria si levò dalle file dei nani poco avanti a loro.

Vide Karol e Oghren scambiarsi un cenno d'intesa, mentre spalla contro spalla affrontavano gli ultimi Prole Oscura rimasti. Duran stava liberando l'ascia dal cranio dell'Ogre che avevano appena ucciso, una smorfia affaticata ma trionfante in volto.

Conclusosi lo scontro, Wynne curò loro le ferite. Fortunatamente, nessuno era rimasto ucciso, anche grazie agli incantesimi provvidenziali della maga.

«Era da tanto che non perdevo uno dei miei uomini in battaglia.» Commentò Karol, una volta che si furono ripuliti. «Vi accompagneremo dall'altra parte della Fortezza.»

Duran chinò il capo. «Ve ne siamo grati.»

Si fecero strada tra infiniti corridoi e saloni. Le loro forze combinate sbaragliarono senza troppe difficoltà ogni Prole Oscura che incontrarono, riuscendo nel giro di un paio di giorni a raggiungere il lato Ovest della Fortezza di Bownammar. Lì, la Legione dei Morti rimase a presidiare il ponte, mentre il loro piccolo gruppo proseguì dall'altra parte.

L'architettura si fece più modesta. Superarono diverse case abbandonate, la maggior parte ricoperte da uno spesso strato di Corruzione. L'aria si faceva più pesante man mano che si inoltravano attraverso le gallerie.

«Hei, la sentite anche voi?»

Natia, che camminava alla sua destra, si era fermata di colpo, una mano all'orecchio.

«Il primo giorno arrivano e ci catturano,

Il secondo giorno ci picchiano e ci mangiano...»

«Cosa cavolo...»

Afferrò istintivamente il braccio di Alistair. La voce era umana, ma rauca, innaturale.

Il Custode le strinse la mano, in un inutile tentativo di rassicurarla. L'aria puzzava terribilmente, l'odore che si aggrappava alla gola, rendendo difficile respirare.

«Il quinto giorno tocca a una fanciulla di sparire nel nulla...

Il sesto giorno di sognare cerchiamo, ma le sue grida son tutto ciò che sentiamo...

Il settimo giorno lei crebbe, quando in bocca li ebbe.»

Si stavano avvicinando a chiunque stesse cantilenando quell'orrore. Il corridoio che stavano seguendo svoltò a destra, il pavimento reso scivoloso dalla Corruzione.

«L'ottavo giorno violentata l'hanno, e noi tutti insieme li odiammo.

Il nono giorno lei sogghignò e quelli della sua stirpe divorò.»

Aprirono una porta, ritrovandosi in una sala.

Il puzzo di cadaveri era tremendo, unito a quello dei Prole Oscura. Un nano era raggomitolato tra una pila di sporcizia, intento a rovistare tra quelle che sembravano ossa. Si voltò verso di loro, gli occhi velati da una patina chiara. Era una donna, le fattezze deformi e butterate. Aprì la bocca, concludendo la sua canzone.

«E la sua fame non è mai saziata, ora che la bestia lei è diventata.»

Rimasero impietriti a fissarla.

Quella abbassò subito lo sguardo, le mani strette in grembo, voltandosi dall'altra parte.

«No, estranei. Umani. No, ai pasti portano solo la stirpe e quelli del clan. Sono crudele con me stessa. Sogno di volti nuovi, porte aperte. La libertà è amara illusione.»

Oghren lanciò un'imprecazione. «Hespith?»

L'altra sembrò non sentirlo nemmeno.

«La Corruzione le ha fatto questo...?» Balbettò Leliana, facendo qualche passo verso di lei.

«Corruzione!» La nana si voltò nuovamente, di scatto. «Gli uomini, loro sono impazziti, le loro ferite in putrefazione. Marciano in testa, i primi a morire... non noi. Non Laryn. Noi non veniamo squartate, ma nutrite. Amici, sangue, bile e...» Scosse la testa, raggomitolandosi su sé stessa. «Ho desiderato che Laryn fosse la prima. Così che mi risparmiassero. Ma ho dovuto guardare. Il cambiamento. Come ha fatto Branka a sopportarlo?»

Oghren si avvicinò a lei di qualche passo. «Hespith, dov'è Branka?»

«Non parlare di lei!» Sibilò l'altra. «Ero il suo capitano... non l'ho fermata. La sua amante, ma non posso perdonarla... non dopo quello che ha fatto. Per quello che è diventata.»

«Cosa ha fatto Branka? Hespith, dimmi cosa ha fatto!» Insistette il nano, ma quella scosse la testa, strisciando via, farneticando.

Prima che potesse afferrarla e costringerla a parlare, Duran afferrò Oghren per il braccio, scuotendo la testa. «È inutile. Proseguiamo, la troveremo.»

«Se l'è successo qualcosa...»

«Mi preoccupa più quello che ha fatto agli altri.» Commentò tetra Natia, cercando di tenersi a debita distanza dal cumulo di ossa. «Andiamocene.»

Shale li superò senza voltarsi, aprendo la porta successiva. «No. L'Incudine è qui da qualche parte. Se voi cosetti mollicci non avete abbastanza pietre da proseguire, fate pure.»

Duran sospirò. «Ha ragione.»

Elissa si scambiò uno sguardo preoccupato con Alistair, ma seguì il resto del gruppo senza ribattere. Natia fu l'ultima a varcare la soglia, evidentemente non voleva restare da sola con Hespith.

Dopo qualche rapido incontro con altri Prole Oscura, si ritrovarono di nuovo a percorrere delle gallerie nella roccia.

Il cunicolo scendeva in profondità, di Branka nessuna traccia. La patina di Corruzione era sempre più spessa, bloccando interi passaggi laterali.

Svoltarono un'ultima volta a sinistra.

L'orrore di quello che c'era ad aspettarli li avrebbe perseguitati per anni.

Una creatura deforme, enorme e ripugnante, occupava gran parte della grotta. Sul suo corpo spiccavano numerosi seni gonfi e putrescenti, mentre il volto aveva perso la sua umanità, ridotto a poco più che una bocca irta di denti affilati e due occhietti incavati. Numerosi tentacoli partivano da sotto il suo corpo, sparpagliandosi per il terreno.

Avvertita la loro presenza, la creatura lanciò un grido acuto, scagliando su di loro i tentacoli mentre alcuni Prole Oscura accorrevano in suo soccorso.

 




«È finita. Ce l'abbiamo fatta.»

Elissa afferrò la mano tesa di Alistair, riuscendo faticosamente a rimettersi in piedi. Il corpo della creatura giaceva finalmente immobile.

La ragazza stese la gamba, controllando che l'impacco curativo stesse al suo posto sotto al fasciatura.

Wynne nel frattempo era china su Oghren, che digrignava i denti mentre la donna gli estraeva la lama di un genlock dal fianco, lanciando un altro incantesimo curativo.

«Una madre della nidiata.» Grugnì Duran, massaggiandosi il braccio ferito. «Maledizione...»

«Lo sapevi?» Chiese Natia, che stava ripulendo i suoi pugnali.

L'altro annuì. «L'esercito le incontra estremamente di rado. Siamo stati fortunati a sopravvivere.»

Appena furono in grado di proseguire, si allontanarono più in fretta che poterono da quel luogo. Elissa aveva perso il conto di quanti giorni fossero passati, da quando avevano lasciato la città. Due settimane, tre? Tutto le sembrava un confuso susseguirsi di Prole Oscura, notti infestate dagli incubi, interminabili cunicoli e creature ripugnanti nascoste dietro ogni angolo.

Seguirono un percorso che sembrava avere meno tracce della Corruzione. Il suolo era praticamente sgombro dalla patina viscosa, che si limitava a posarsi soltanto in piccole macchie alle pareti.

Finalmente, si accamparono vicino ad un antico condotto di areazione che sembrava funzionare meglio degli altri. Ringraziò il Creatore per l'aria carica di ossigeno, che in alcuni punti era stato talmente scarso da rendere pesante il respiro, almeno agli umani del gruppo.

Alistair le si sedette accanto, aprendo lo zaino ed estraendone della carne secca. «Elissa?»

«Sto bene.»

«Non sembra. Se c'è qualcosa che posso fare...»

Scosse la testa, serrando l'occhio. Non doveva cedere. «No, va tutto bene.»

Sentì il tuo tocco delicato sulla spalla. Si chinò istintivamente verso di lui, appoggiando la guancia sulla sua mano. Inspirò profondamente, cercando di calmarsi.

Poteva sentire il battito del suo cuore, regolare.

La Corruzione era dentro di lui, come in tutti i Custodi, allora com'era possibile che fosse così tranquillo, sapendo che prima o poi sarebbe finito là sotto a morire?

«Non permetterei mai che ti succeda qualcosa di simile, lo sai vero?» Le disse, cingendole le spalle.

Elissa si morse il labbro inferiore. «Non è per me che ho paura.»

Alistair sembrò irrigidirsi, ridacchiando forzatamente. «Intendi... beh, se hai paura che diventi come quella cosa, non credo di avere gli attributi necessari.»

Lei non finse nemmeno di sorridere. «Sai cosa voglio dire.»

L'altro sospirò profondamente, appoggiandosi alla parete dietro di loro. «I Custodi non vivono a lungo, la Corruzione dentro di noi dopo un po' ci porta ad impazzire, e andiamo a morire nelle Vie Profonde prima di perdere del tutto la ragione.»

«Non pensavo fosse così...»

«Ci vogliono anni, però.» La interruppe lui. «Alcuni vivono oltre trent'anni prima di sentire la propria Chiamata, soprattutto quelli che hanno avuto l'Unione da giovani.»

«Ma è inevitabile.»

Ci mise un po' a risponderle, ma alla fine annuì. «Non c'è una Cura. Le nostre abilità ci rendono gli unici a poterli combattere, ma è una condanna a morte.»

«Perché lo fate?» Domandò allora lei, le unghie conficcate nei palmi delle mani strette a pugno. «Non... sapendo quello che vi aspetta, come fate a-»

«Non ce lo dicono subito, ecco perché. All'inizio sei convinto di unirti ad un Ordine di eroi, e quando ti svelano i dettagli, beh, è un po' tardi per tirarti indietro.» Accennò un sorriso triste. «E comunque non cambia quello che siamo, o quanto ci sia bisogno di noi. Senza Custodi, non ci sarebbe nessuno in grado di fermare la Prole Oscura. E molti soldati muoiono comunque prima del loro tempo, in battaglia o di malattia, quindi alla fine cambia poco.»

«Cambia tutto invece!» Si oppose lei, alzando la voce. «Non è la stessa cosa!»

«Ma è necessario.»

Elissa lo ammirava. Come si poteva dedicare la propria intera vita ad una interminabile guerra contro quei mostri, sapendo che anche nella vittoria non c'era modo di scampare alla morte?

Si sentì una codarda. «Lo so. Solo, non-»

La verità era che non voleva perderlo. Aveva cercato di dimenticare quel bacio, di pensare ai mille motivi per i quali loro due, insieme, non fossero una buona idea. Era egoista da parte sua mettere in primo piano i suoi sentimenti, sopra i loro doveri verso il Ferelden e il Flagello.

Si perse per un attimo nei suoi occhi color nocciola, esitante.

Quando le loro labbra si toccarono, incerte, decise che per una volta voleva essere egoista.

Alistair la strinse a sé, cingendola tra le braccia, come se oltre a loro non ci fosse nient'altro. Non importava che fossero una Teyrna e un Custode Grigio, una sopravvissuta e il bastardo del Re, due ragazzi persi nelle Vie Profonde, due comandanti col destino di un paese sulle spalle.

Lo sentì ritrarsi un poco.

«Siete sicura?»

Potevano combattere il Flagello, salvare il Ferelden e al contempo scegliere di amarsi.

Elissa annuì accennando un sorriso, accarezzandogli la guancia. Gli era cresciuta la barba, in quei giorni. «Stiamo facendo una scelta terribilmente irresponsabile.»

«Dici?» La baciò di nuovo, ridacchiando.

Rimasero abbracciati tutta la notte. Per la prima volta da quando erano scesi là sotto, Elissa si sentiva tranquilla, al sicuro. Raggomitolata contro il suo petto, trascorse una notte senza sogni.




 

«Allora...»

Natia ammiccava nella sua direzione, mentre Leliana soffocò una risatina composta, una mano davanti alle labbra.

Elissa scosse la testa, sentendo le guance arrossire. «Smettetela.»

«L'ho visto alzarsi in tutta fretta... credo che abbia dovuto lucidare la spada di prima mattina.»

«Natia!»

«Heh, agli uomini succede sempre, di che vi sorprendete?»

Leliana le lanciò uno sguardo di somma disapprovazione, che la nana ignorò smaccatamente.

«Vi prego di tacere per sempre, non credo che il mio stomaco possa sopportare oltre.» Commentò Morrigan schifata. «Ho sentito più che abbastanza.»

L'arciera accennò un sorrisetto divertito. «Girano parecchie storie sulla prestanza dei Custodi Grigi, sai Morrigan?»

La strega emise un verso disgustato, sbattendo il suo bastone magico contro il terreno. «Basta!»

Elissa cercò di non ridere, lasciando che la superassero e affiancandosi a Wynne.

«Temo di non aver mantenuto le mie promesse.»

La maga, che inizialmente le aveva rivolto un cipiglio severo, sembrava essersi addolcita. «Forse mi sbagliavo, su voi due.»

«Che intendete?»

«Da quello che vedo, riuscite a trovare la forza l'una nell'altro, e siete entrambi abbastanza responsabili da capire in cosa vi state addentrando, le difficoltà davanti a voi.» Indicò con un cenno del capo Alistair, poco più avanti, che parlava con Duran e Oghren. «Non lo vedevo così contento da un po'. E in un luogo come questo, per giunta.»

«Ho deciso che non voglio rinunciarci. Per ora, non chiedo altro.» Disse Elissa, la voce ferma. «Se verrà il momento, se la situazione richiederà una scelta, sono fiduciosa che entrambi metteremo al primo posto il bene del paese.»

Wynne sembrò soddisfatta dalla risposta.

Camminarono per tutto il resto della giornata. La Corruzione sembrava essere praticamente sparita dai cunicoli.

Elissa si ritrovò ad ammirare le venature di Lyrium che zigzagavano sulla roccia. I licheni che crescevano accanto ad esse erano anche loro luminescenti, dal colore leggermente bluastro.

Vide Natia raccoglierne alcuni, tagliando le radici con un coltello e infilandoseli attentamente in borsa.

«A che servono?» Chiese Leliana, indicandoli.

«Oh, hanno varie proprietà. Tra cui fare uscire di testa, una volta distillati.»

Morrigan ne tagliò un po' a sua volta, osservandoli da vicino. «Sono allucinogeni, quindi.»

La nana annuì. «Se li mastichi così come sono, ti sballano. In senso buono. Valgono un sacco, se li sai vendere alle persone giuste.» Ne prese degli altri.

«Brosca, non mi sembra il caso di perder tempo dietro a-»

I rimproveri del Principe si persero nel vuoto, quando una trappola scattò a pochi passi da loro, piantando una serie di quadrelli nel terreno.

«Vi avverto, dopo tutto questo tempo, la mia tolleranza del galateo è alquanto limitata.»

Una nana in armatura pesante, graffiata e rattoppata in più punti, li squadrava da sopra un'altura. Il volto era stanco e segnato, ma non sembrava portare segni della Corruzione.

Oghren sembrò illuminarsi. «Rasatemi la schiena e datemi dell'elfo! Branka!»

Branka squadrò il marito con disgusto malcelato. «Sapevo che prima o poi avresti trovato il modo di arrivare fin qui... spero che troverai la strada del ritorno più facilmente.» Si rivolse poi agli altri. «E voi? Mercenari assoldati da qualche signore di bassa lega, o siete semplicemente gli unici a sopportare l'alito di Oghren?»

«Porta rispetto, donna! Stai parlando ad un Custode Grigio e ad un Aeducan!» La rimproverò lui.

«Ah.» Il suo sguardo si posò su Duran. «Quindi Endrin deve essere morto. Non mi sorprenderebbe, aveva già un piede nella fossa quando sono partita.»

«Mio padre è stato assassinato.» Ribattè freddamente il Principe. «Ed Orzammar ha bisogno di un Re. C'è un Flagello da fermare.»

Branka non sembrava impressionata. «Orzammar non ha bisogno di un Re. Un Re non servirà a frenare la Prole Oscura. Ne abbiamo avuto uno per quaranta generazioni, e guardate quanto bene ci ha fatto. Vi dirò quello che ho detto a tutti quelli che mi hanno chiesto di metterli sul trono: non mi interessa un accidente, possono dare la corona anche ad un nug ubriaco, per quanto mi riguarda. Il nostro vero protettore, la nostra unica arma, è in mano alla stessa Prole Oscura che dovrebbe contrastare! L'Incudine del Vuoto, il mezzo per forgiare l'esercito di golem che era l'invidia del mondo passato, ciò che ha impedito al primo Arcidemone di vincere, è qui da qualche parte. Così vicina che posso sentirla!»

«Qualcuno ha perso la testa...» Sentì Morrigan bisbigliare. Non se la sentiva di darle torto.

«Se l'Incudine è vicina, perché la cosetta molliccia perde tempo?» Chiese Shale, facendosi avanti.

Branka fissò il golem, sorpresa. Passò in fretta. «Il labirinto costruito da Caridin in persona. L'Incudine si trova dall'altra parte. Io e i miei abbiamo cercato di svelarne i segreti, ma abbiamo fallito. Non mi resta nessun altro da mandare oltre le porte.»

«Hai sacrificato l'intera casata per questa follia?!» Le urlò Oghren, cercando di raggiungerla.

«Volete la mia collaborazione per questa elezione, immagino. Aiutatemi a trovare l'Incudine, prima.»

«Sei ossessionata, Branka, l'Incudine ti ha cambiata!»

L'altra non lo degnò di un secondo sguardo, prima di inoltrarsi nella galleria di fronte a loro. «Sono il vostro Campione.»

Si scambiarono uno sguardo incerto.

Oghren strinse i pugni. «Non la lascio andare da sola. Ci sarà un modo per farla ragionare.»

Duran annuì. «Abbiamo bisogno di lei. E può darsi che abbia ragione, l'Incudine sarebbe un'arma potente contro il Flagello.»

«Per creare altri schiavi?» Ringhiò Shale, i cristalli sulla sua schiena che brillavano minacciosi.

«Nessuno ha parlato di schiavi.» Cercò di calmarla Natia. «Magari crearne altri come te.»

«Sì, con un esercito del genere tutti i piccioni non avrebbero scampo...» Commentò Morrigan. «Muoviamoci, o la pazza ci seminerà.»















Note dell'Autrice: e siamo quasi arrivati alla fine dei capitoli dedicati ad Orzammar! Ultimamente c'è un sacco di romance nell'aria. "Una cosa che amo del Flagello, è come unisce la gente..." ;)

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Capitolo 30
*** Vie Profonde - Incudine del Vuoto ***


 

CAPITOLO TRENTA:

VIE PROFONDE – INCUDINE DEL VUOTO


 

 

L'immensa caverna in cui sbucarono era uno spettacolo.

Colate di lava si gettavano nello strapiombo attorno a loro, illuminando l'ambiente di una luce rossastra e facendo sembrare l'intera sala in fiamme. Sei golem, tre per lato, erano posti a guardia dell'ingresso, mentre due grandi stele in pietra nera levigata troneggiavano alla loro sinistra.

Un enorme golem, molto più grosso degli altri, sembrava aspettarli.

«Mi chiamo Caridin.» Parlò quello. «Un tempo, più di quanto non voglia ricordare, ero un Campione dei nani di Orzammar.»

«Caridin? Il fabbro Campione? Vivo?» La voce di Shale tremava un poco.

Duran sbattè le palpebre un paio di volte, incredulo. Com'era possibile?

«Ah, ecco una voce che riconosco! Shayle, della casata Cadash, fatevi avanti.»

«Voi... conoscete il mio nome? Mi avete forgiato voi? Siete stato voi ad assegnarmi il mio nome?»

Caridin chinò leggermente il capo, sollevando le immense spalle. «Avete già dimenticato. È passato così tanto tempo...» Emise quello che doveva essere un sospiro, che uscì in volute di vapore dal suo corpo di pietra. «Io vi ho plasmata nel golem che siete ora, Shayle, ma prima eravate una nana. Proprio come me. La migliore guerriera al servizio di re Valtor, e l'unica ad essersi offerta volontaria.»

«L'unica... una nana?!» Balbettò Shale, confusa.

Caridin annuì. «Io vi ho deposta sull'Incudine del Vuoto, e vi ho dato la forma che possedete ora.»

«L'Incudine del Vuoto... è ciò che stiamo cercando...»

Duran faceva fatica a processare le informazioni. Se Shale era davvero stata una nana prima, se Caridin stesso ora era un golem...

«I Golem. Non erano costrutti.»

Si rese conto di averlo detto ad alta voce. Il golem più grande annuì di nuovo, prima di ricominciare a parlare.

«Se cercate l'Incudine, ascoltate la mia storia, o sarete condannati a riviverla. Sono stato reso famoso per aver creato l'Incudine del Vuoto, che mi ha permesso di forgiare un soldato di pietra o acciaio, flessibile e intelligente come qualunque altro soldato. Riuniti in un esercito, erano invincibili. Ma non ho mai rivelato quale fosse il prezzo da pagare: nessun fabbro, per quanto abile, ha il potere di creare la vita. Per darla ai miei golem, l'ho dovuta prendere altrove.»

«Fammi indovinare. Prima avete chiesto dei volontari, e poi avete cominciato a costringere la gente a sottoporsi.» Lo interruppe Natia a denti stretti.

Caridin chinò il capo. «Così volle il re. Non era soddisfatto dei volontari. Presto da questo luogo cominciò a scorrere un fiume di sangue. Finché non ne ebbi abbastanza. Quando mi opposi, però, Valtor mise anche me sull'Incudine.»

«E ora vogliono rimetterla in funzione... mi chiedo chi saranno i primi a pagarne le conseguenze.»

Lo sguardo di Natia lo trafisse come uno dei suoi affilatissimi pugnali.

Duran non poteva darle torto. Nel caso l'Incudine del Vuoto fosse stata rivelata al mondo, alcuni forse si sarebbero offerti, ma la maggior parte sarebbe stata gente senza nulla da perdere. Senzacasta, gente come Natia. E nel caso non si fossero offerti volontari nemmeno gli abitanti dei bassifondi, quanto ci avrebbe messo l'Assemblea a decidere per loro, ad imporgli uno scopo finalmente utile alla società?

«Ho cercato per secoli di distruggerla, ma non ci sono riuscito. Un golem non può toccarla.» Spiegò Caridin. «Pensate bene a ciò che significherebbe riportarla in città.»

Dei passi sopraggiunsero di corsa. Si voltarono, allarmati.

Branka, il volto rosso per la fatica, aveva gli occhi che brillavano di cupidigia, folli. «No, l'Incudine è mia! Non mi permetterò di distruggerla!»

«Shayle. Già una volta mi hai aiutato a proteggerla da chi voleva sfruttarla, aiutami a distruggere l'Incudine del Vuoto una volta per tutte.»

Shale scosse la testa. «Non ricordo nulla di tutto ciò. Dite che abbiamo combattuto... avete usato la verga di controllo per costringerci a farlo?»

«No! Distrussi tutte le verghe, ma forse i miei apprendisti riuscirono a crearne di nuove, non lo so. Ma in ogni caso, non gli manca che l'Incudine per creare tutti gli schiavi che gli occorrono!» La voce ridotta in preghiera, agitò un enorme pugno davanti a sé, battendoselo sul petto di metallo. «Voi! Vi prego, aiutatemi a distruggerla. Non permettete che assoggetti altri anime!»

Duran stava per aprire bocca, quando Branka lo interruppe urlando. «Non dategli retta! È rimasto intrappolato qui per mille anni a ribollire nella sua stessa follia, aiutatemi a prendere l'Incudine e avrete un esercito come non si è mai visto!»

«Ma a quale prezzo?!» Ribattè Natia ringhiando, le proprie armi già in mano.

«Natia ha ragione, non possiamo permetterlo.» Disse Elissa, schierandosi dalla parte della senzacasta, le braccia incrociate sul petto.

Alistair sospirò, annuendo. «Per quanto un esercito di golem possa esserci tremendamente utile contro i Prole Oscura, sarebbe una cosa mostruosa.»

Wynne e Leliana annuirono, mentre Morrigan sbuffò sonoramente, ma sembrava anche lei d'accordo.

Oghren cercò di far ragionare la moglie, facendo qualche passo verso di lei. «Branka, sei impazzita? Ti sei ossessionata a tal punto da non capire cosa hai perso in questa tua follia?!»

Ma Branka non lo ascoltò. Si voltò invece verso Duran, allargando le braccia. «Guardati attorno. È questo l'aspetto che dovrebbe avere il nostro impero? Gallerie in rovina piene di Prole Oscura? L'incudine ci riporterà alla nostra gloria! Potresti essere il re di un nuovo impero!»

Era pazza. Completamente pazza. Certo, un esercito di golem avrebbe reso più facile il riprendersi gli antichi Thaig perduti, ma il prezzo da pagare era troppo alto.

Il Principe scosse la testa. «Sono d'accordo. Va distrutta. Se voglio essere re, dovrò fare meglio dei miei predecessori.»

Caridin si inchinò profondamente. «Grazie. La vostra compassione mi riempie di vergogna.»

«No! Non ve lo permetterò!»

Prima che potessero fermarla, Branka era già partita all'attacco. Oghren tentò di fermarla, cercando di convincerla che non ne valeva la pena di morire per quello, ma era ormai irremovibile.

La nana estrasse una verga di comando, costringendo tre dei golem presenti ad attaccare Caridin.

Lo scontro fu violento. I golem erano difficili da abbattere, e anche un solo dei loro potenti colpi poteva rivelarsi fatale.

Si ritrovò fianco a fianco con Natia, mentre Branka cercava di superarli per colpire Caridin, immobilizzato.

La Campionessa era un'ottima combattente, e riuscì per un po' a metterli in difficoltà, anche grazie al fatto che i due non erano ben coordinati. Un affondo della sua mazza calò in direzione della senzacasta e Duran non ci pensò un attimo a frapporsi tra lei e l'arma.

Sentì il metallo cozzare contro la sua armatura robusta, che risuonò stordendolo. Barcollò all'indietro, ma riuscì a bloccare con entrambe le mani il manico dell'arma dell'avversaria, strattonandola in avanti. Il metallo gli graffiò il fianco, recidendo le giunte di cuoio nel mentre che si incastrava tra le placche metalliche. La Campionessa lasciò andare la mazza, preparandosi a colpirlo alla testa con lo scudo.

Cadde all'indietro con un tonfo, la vista oscurata per un attimo.

Quando riuscì a rialzarsi, dolorante, Natia stava respingendo i colpi di Branka, ora armata solo del suo scudo.

Corse in avanti per aiutarla, ma un altro golem gli sbarrò la strada. Evitò per un soffio un pugno roccioso, schivando di lato e colpendo con l'ascia la giuntura del gomito, spezzando la pietra. Un raggio gelido ricoprì metà del golem di ghiaccio, mentre Alistair lo caricò di corsa con lo scudo, mandando gran parte della pietra in frantumi.

Un urlo tonante li fece voltare: Shale e Branka stavano combattendo furiosamente sull'orlo della gola, un fiume di lava bollente sotto di loro.

Branka sembrò per un attimo avere la meglio, riuscendo a colpire il golem alle gambe con il suo scudo e mandandolo in ginocchio, ma Natia sopraggiunse alle sue spalle, conficcandole uno dei pugnali nella spalla.

La Campionessa urlò di dolore, voltandosi a fronteggiarla. La colpì con lo scudo, facendola barcollare all'indietro, verso il precipizio.

La vide perdere l'equilibrio.

«Natia!» Urlarono in coro, scattando in avanti mentre quella spariva oltre il precipizio.

Shale ringhiò di rabbia, ignorando la gamba offesa e scattando in avanti per sollevare Branka di peso. La prese per un braccio, sollevandola sopra la testa e lanciandola di sotto.

Fu il turno di Oghren di urlare, mentre guardava la moglie precipitare nella lava bollente, incapace di salvarla.

«Alistair, dammi una mano!»

Duran si voltò verso Wynne, allarmato.

La maga aveva il volto contratto dallo sforzo, entrambe le mani che stringevano spasmodicamente il bastone magico.

«Hei, spilungoni, tiratemi su!» Esclamò una voce familiare. Natia, incolume ma terrorizzata, fluttuava a qualche metro dal bordo del baratro.

Alistair si sporse ad afferrarle la mano, aiutando la maga a trarla in salvo.

«Mai più. Mai più.» Balbettò lei, una volta che fu strisciata al sicuro. Tremava come un granello di sabbia.

«Sei dura da ammazzare, Brosca.» Sorrise Duran, tendendole la mano. La aiutò a rialzarsi.

Gli sorrise a sua volta, incerta, i denti storti in bella mostra.

Era sinceramente sollevato che fosse ancora viva.

Si sorprese di se stesso. Chi l'avrebbe mai detto, il principe Duran Aeducan e una senzacasta che si salvano la vita a vicenda, alla pari.

Beh, quasi alla pari.

Si voltarono verso Caridin, che si era avvicinato ad Oghren, in ginocchio.

«Un'altra vita persa per colpa della mia invenzione. Vorrei che la storia non ne fosse mai venuta a conoscenza.»

Oghren battè i pugni per terra. «Stupida! Ho sempre saputo che la sua ossessione per quella maledetta cosa l'avrebbe uccisa.»

«Come mai non è stata in grado di disattivarmi, come ha fatto con te?» Chiese Shale all'altro golem, che scosse la testa.

«Non lo so. Hai subito delle modifiche, Shale? Tanto per cominciare, ti ricordo più grossa.»

«Una volta ho avuto come padrone un mago. Ha fatto degli esperimenti su di me, prima che lo uccidessi. Poi sono rimasta paralizzata.»

«La paralisi accadeva sempre dopo la morte del padrone. Ma sei sempre stata forte, Shale, mi fa piacere che hai ritrovato il libero arbitrio. Ma ora, è il momento di distruggere l'Incudine.»

Duran si fece avanti. «Aspettate.»

«Non intendo cambiare idea.» Lo fermò Caridin sulla difensiva.

Scosse la testa. «E io non voglio impedirvelo. Ma ho bisogno di qualcosa che convinca i Deshyr ad eleggermi re. Ad avere l'unanimità dell'Assemblea contro quel fratricida di mio fratello.»

«Ah. Vedo che Orzammar non è cambiata in tutti questi anni.» Il golem sospirò di nuovo. «E va bene. Per l'aiuto che mi avete dato, batterò il martello sull'Incudine un'ultima volta, per forgiare una corona che sbaraglierà ogni dubbio sulla vostra ascesa al trono.»

E così fece.

La corona che il Campione forgiò per lui era di splendida fattura, come non se ne vedevano da secoli. Il metallo era lavorato assieme al lyrum e all'oro, nella forma ricordava un elmo nanico, mentre alla sommità presentava invece delle decorazioni che replicavano le torri della città di Orzammar, simbolo dell'impero dei nani. Era decorato con decine di rubini, che brillavano come il sangue alla luce della lava.

Duran esitò un attimo prima di prenderla tra le mani, ammirando la straordinaria maestria con la quale era stata creata. «Grazie. Giuro che sarò un re migliore di quello che hai conosciuto.»

Caridin annuì solennemente. «Avete già dimostrato di esserlo.»

Fu il loro turno. Assieme ad Alistair ed Oghren, sollevarono l'Incudine del Vuoto, portandola fino all'orlo del precipizio e lasciando che venisse inghiottita dalla lava.

«È fatta.» Commentò Caridin. «Avete la mia eterna gratitudine. Atrast nal tunsha.»

Il golem si voltò un'ultima volta verso di loro, prima di lasciarsi cadere di sotto.

«Che tu possa sempre trovare la tua via nell'oscurità.» Ripeté il Principe.

 

 

«Lord dell'Assemblea, vi richiamo all'ordine!» Urlò il Lord Siniscalco per l'ennesima volta.

Non aveva mai visto l'Assemblea dei Deshyr così in subbuglio. Nemmeno quando era tornato dalla superficie per affrontarli la prima volta i toni erano stati così accesi.

«Sono io l'unico erede degno di mio padre, chiedo che questo fratricida sia messo a morte!» Tuonò Bhelen, indicandolo.

«Non sono io il vero fratricida, qui, e lo sappiamo tutti.» Ribattè Duran, sforzandosi di mantenere un tono pacato. Perdere le staffe si sarebbe rivelato controproducente. «E ne ho anche le prove.»

Fece cenno al Modellatore, portato apposta per confutare la validità dei documenti.

Quello si schiarì la voce, leggendo a tutti ciò che Natia e gli altri avevano trovato nel covo del Carta.

«L'unica cosa che suppone la mia partecipazione ad entrambi gli attacchi, sia contro mio fratello Trian che alle Prove, è il sigillo della casata Aeducan!» Si oppose Bhelen. «E Duran ne possiede uno uguale! Chi può dire che non abbia finto di essere attaccato alle Prove, solo per accusarmi di aver infangato le nostre tradizioni?»

«Giusto!» Urlò qualcuno dalla sua parte. Alcuni annuirono vigorosamente.

«E allora cosa mi dici della lettera di nostro padre? Anche quella è un falso? Porta il sigillo del re in persona!»

Lo vide stringere i denti. «Nostro padre delirava dal dolore. Non sono altro che vaneggiamenti.»

«“Ho visto chi è davvero Bhelen. E quando l'ho scoperto, ho realizzato di essere stato uno sciocco. Perchè solo uno sciocco si strapperebbe il cuore dal petto, dandolo alle fiamme soltanto per salvare le apparenze. Non ho mai creduto nella tua colpevolezza. Ho lasciato che ti arrestassero per paura che un'indagine nell'omicidio di Trian portasse la nostra casata alla rovina in uno scandalo agli occhi dei Deshyr, che costasse alla nostra casata il trono. Ma non ho salvato nulla: ho mandato il mio ultimo figlio a morire, costringendolo a fuggire in superficie. Perdonami se puoi.”» Ripetè le ultime parole del padre alla lettera, ormai imparate a memoria da tutte le volte che aveva letto quella pergamena. «L'ho perdonato. Ho sempre amato e rispettato mio padre, anche quando ha lasciato che tutti voi mi condannaste per un crimine che non avevo, e non avrei mai, commesso. Si rese conto di che razza di persona fosse Bhelen, e mi mandò questa lettera, nella speranza che sistemassi le cose. Che non lasciassi la corona, il futuro del nostro regno, nelle mani di un criminale, un assassino, un bugiardo e un avvelenatore!»

L'Assemblea esplose di nuovo, costringendo il Siniscalco ad urlare per far tornare il silenzio.

«Ho dimostrato il mio onore nelle Prove, vincendo tutti gli scontri onestamente.» Proseguì Duran, alzando la voce. «E Bhelen, troppo codardo per affrontarmi a viso aperto, ha preferito tramare con il Carta per togliermi di mezzo, anche a costo di uccidere uno dei suoi uomini migliori nella mischia.» Indicò il cugino, Piotin, che sedeva composto alla sinistra di Bhelen. Quello rimase impassibile.

«Il Carta, che spadroneggiava per l'intera città, arrivando perfino ad estendere la sua influenza qui, nel Distretto dei Diamanti! E ancora Bhelen si rifiutava di affrontare il problema. Ma i miei uomini l'hanno risolto.»

«Tra i tuoi uomini c'è la senzacasta che ha disonorato le Prove!» Urlò qualcuno.

Duran accusò il colpo. «È vero. E senza di lei, chiusa nella cella accanto alla mia, non sarei mai riuscito a sfuggire ad una morte ingiusta, alla quale tutti voi mi avreste condannato senza nemmeno concedermi un giusto processo!»

«Siete in combutta coi senzacasta!»

«Ormai siete un nano di superficie!»

Non si lasciò intimidire. «Quella stessa senzacasta, mi ha salvato la vita poche settimane fa, nelle Vie Profonde. Assieme a lei e ai Custodi Grigi, abbiamo combattuto al fianco della Legione dei Morti fino alle mura Ovest di Bownammar, sconfiggendo orde di Prole Oscura e ritrovando l'Incudine del Vuoto e lo stesso Campione Caridin, che la forgiò mille anni fa!»

Cadde il silenzio. La tensione era palpabile, l'intera Assemblea pendeva dalle sue labbra.

«Re Valtor costrinse centinaia di nani a sottoporsi alla forgiatura in golem, privandoli della volontà e delle loro anime. Ho scelto di non seguire la follia della Campionessa Branka, partita per ritrovare l'Incudine: Branka ha sacrificato la sua intera casata per quell'arma, e non potevo permettere che una simile tragedia si ripetesse. Ho scelto di distruggere l'Incudine del Vuoto, seguendo la volontà di colui che l'aveva forgiata. In cambio, Caridin stesso mi ha donato la corona del prossimo re di Orzammar.» Sollevò l'oggetto in modo che tutti potessero vederlo, passandolo poi di mano in mano fino al Lord Siniscalco. «Reca il sigillo della casata Ortan, e il mio nome sopra.»

«La tua scelta ci ha condannati tutti!» Ribattè Bhelen. «Con l'Incudine ed un esercito di golem, avremo potuto riprenderci tutto quello che è nostro, sbaragliare la Prole Oscura!»

«Vorresti davvero schiavizzare i tuoi sudditi, fratello? Credi sia giusto fondare il prossimo impero nel sangue di centinaia di nani?»

Sapeva ormai di avere gran parte dell'Assemblea dalla sua parte. Era il momento di usare i suoi sostenitori politici.

«Per anni Orzammar si è chiusa nell'isolazionismo. È giusto mantenere le tradizioni, ma il progresso avanza, che lo vogliamo o meno. Non vi chiedo di cambiare, ma di migliorarci. Tutti noi, dal primo all'ultimo. Sono cresciuto come un soldato, e conosco l'onestà della battaglia, il cameratismo tra compagni, la fiducia che ognuno di noi ripone in coloro con i quali scende sul campo.» Puntò il dito contro suo fratello. «Bhelen non si è mai distinto in battaglia, e fino alla morte di nostro fratello Trian si è sempre mosso nell'ombra della politica, tra patti e sotterfugi. È giunto il momento di scegliere.» Allargò le braccia, teatralmente, lo sguardo che si posava su ciascuna fila di Deshyr. «Chi volete sul trono di Orzammar? A chi affiderete il nostro futuro?»

La maggior parte degli astanti si alzò in piedi all'unisono, invocando il suo nome.

Pyral Harrowmont, Denek Helmi, Anwer Dace. Bemot, Meino, Vollney, Astyth, Ivo e molti altri mostrarono il loro supporto al Principe Duran Aeducan, battendo ritmicamente i propri bastoni sul pavimento di pietra levigata.

Bhelen aveva ormai perso. In netta inferiorità, lo vide agitarsi sul suo scranno.

Il Lord Siniscalco parlò allora di nuovo, afferrando la corona forgiata da Caridin e alzandola sopra la testa, facendo segno a Duran di avvicinarsi. «L'Assemblea ha scelto.»

Si inginocchiò di fronte a lui, il cuore che gli martellava in petto.

“Padre, ce l'ho fatta.”

«Che i Ricordi vi giudichino degno, primo tra i Lord delle casate, re di Orzammar.» Gli pose la corona sul capo, il peso di essa un monito per tutto ciò che si stava prendendo in carica.

«Re Duran Aeducan!»

Dal frastuono che si levò in seguito, emerse una voce che ben conosceva.

«No, non lo accetto!»

Bhelen, l'ascia stretta fra le mani, era arrivato a pochi passi da lui, Piotin e Vartag Gavorn al suo fianco.

«La decisione è presa.» Ribattè il Siniscalco.

«Io sono il candidato migliore, sarò io il re!»

Duran, che non aveva nemmeno con sè la sua arma, non si trasse indietro. «Bhelen, accetta la sconfitta con dignità. Hai perso e pagherai per tutto quello che hai fatto.»

«Hai ucciso nostro fratello Trian, non-»

Prima che potesse finire la frase, crollò a terra. Piotin, sopra di lui, la propria ascia sollevata, lo squadrò con disgusto. «Hai finito di insozzare il nome di Trian Aeducan.»

«Tu! Traditore!» Sbraitò Bhelen, cercando di rimettersi in piedi.

Duran superò Gavorn, rimasto spiazzato, troneggiando sul fratello. «Confessa.»

Quello sputò per terra. «Quel mucchio di escrementi di nug non sarebbe stato un buon re, tronfio come un bronto e altrettanto stupido. E tu, tu non sarai da meno. No, io sarei stato un ottimo sovrano, avrei portato il regno allo splendore! Ma nessuno calcola mai il fratello minore, il più piccolo dei tre. Ero solo il galoppino di Trian, lo sciocco fratellino che non era degno di scendere in battaglia con te! Ho ingannato tutti, incastrandoti per il suo omicidio!»

«Non tutti. Non nostro padre.»

Lo guardò carico d'odio. «Nostro padre era uno sciocco, ed è morto come tale.»

Guardò quello che un tempo era stato il suo fratellino. Ora, il nano che aveva davanti non aveva più nulla del bambino che restava per ore ad ascoltare i racconti di guerra del padre, del ragazzino che pregava i fratelli di portarlo a combattere con loro.

«Ti abbiamo sempre dovuto proteggere, Bhelen, perché eri debole. Ma sì, è vero, ti abbiamo sottovalutato. Non pensavo fossi capace di tanta viltà.»

«Non osare-»

«Silenzio.» Gli intimò Duran con un sibilo. «Bhelen Aeducan, sei colpevole dell'omicidio del Principe Trian Aeducan e di quello del Re Endrin Aeducan. Hai complottato con dei criminali e disonorato le nostre tradizioni. Io, Duran Aeducan, Re di Orzammar, di fronte all'intera Assemblea qui riunita, ti condanno a morte.»

Pyral Harrowmont gli passò la sua ascia.

Mentre Bhelen farneticava parole cariche d'odio e l'Assemblea cadeva nel silenzio, sollevò la propria arma, incontrando per l'ultima volta lo sguardo del fratello.

Un tonfo sordo e la sua amara vendetta fu compiuta.




«Abbiamo un mese per radunare il più grande esercito che sia salito in superficie da centinaia di anni. Diamoci una mossa.»

Lord Dace annuì vigorosamente. «Saremo pronti, maestà.» Girò sui tacchi e uscì dalla sala.

Duran stese le gambe nel tentativo di mettersi più comodo. Lo scranno di suo padre era più scomodo di quanto pensasse. “Governare non è mai semplice, e il trono deve ricordacelo”, diceva sempre re Endrin.

«Piotin.» Chiamò il cugino, che con un cenno si avvicinò a lui. «Hai combattuto per anni al fianco di mio fratello Trian, e sei uno dei più valorosi guerrieri di Orzammar. Ti devo la vita. Accetti di essere il mio Secondo?»

Piotin Aeducan si inginocchiò, chinando il capo. «È un onore.»

Gli fece segno di alzarsi. «No, l'onore è mio.» Scese dallo scranno, stringendogli con vigore il braccio. In quel momento, la porta si spalancò di nuovo, lasciando entrare i Custodi Grigi.

«Re Duran.» Lo salutarono, chinando leggermente il capo e accennando un sorriso.

Sorrise a sua volta. «Vi devo ringraziare, Custodi. Con il vostro appoggio, sono riuscito ad avere la corona di mio padre.»

«Credo ce l'avreste fatta anche senza il nostro aiuto...»

Accettò il complimento di Alistair, ma scosse il capo. «Ciononostante, avete guadagnato il supporto di Orzammar. Combatteremo al vostro fianco con tutte le nostre forze, salvo quelle che servono a mantenere sicuri i cancelli per le Vie Profonde.»

«Ve ne siamo grati.»

«Quali sono i vostri piani, ora?»

«Torneremo a Redcliffe, Arle Eamon avrà radunato i suoi uomini. Partiremo quindi per Denerim, per affrontare Loghain e chiudere questa storia una volta per tutte.»

Il Custode sembrava abbastanza sicuro di sé. Sperò di rivederli, che lo scontro con Loghain si risolvesse nel migliore dei modi per l'intero Ferelden. Alistair era in cerca di vendetta.

«Bene, allora non mi resta altro da fare che affrontare l'ultima questione della giornata...»

Beh, in effetti, la penultima. Ma la cena con Lady Adal non era, per una volta, una faccenda politica.






 

«Natia Brosca, Rica Brosca, potete entrare.»

Natia guardò di sottecchi la sorella, che per tutto quel tempo non le aveva rivolto la parola. Rica se ne stava in disparte, appollaiata su una delle scomode panche di pietra della sala d'attesa del palazzo, il piccolo Endrin in braccio.

Stufa di essere ignorata, si diresse a grandi passi verso la sala del trono.

Duran sedeva con la sua stupidamente grossa corona in testa, l'armatura nuova portava il simbolo della casata Aeducan impresso sul pettorale e sugli spallacci. Sotto al barba curata e intrecciata, lo vide sorridere, al contrario delle espressioni serie e vagamente disgustate del resto dei nani che li circondavano. Alla sua destra, su un trono più piccolo, sedeva Adal Helmi, mentre in piedi alla sua sinistra, la grande ascia a due mani saldamente poggiata a terra e lo sguardo impassibile, c'era Piotin Aeducan.

«Vostra altezza.» Lo salutò accennando una smorfia a sua volta, ignorando gli altri. «Vedo che vi siete ricordato della vostra promessa...»

«Farò molto di più, Brosca.» Fece cenno alle due di avvicinarsi. «Rica, posso vedere il bambino?»

La maggiore delle due si strinse istintivamente il piccolo al petto. Natia si dovette costringere a non sbuffare sonoramente. «Rica, datti una mossa.»

Incerta, la vide salire i tre gradini che portavano allo scranno, allungando il fagottino quel tanto che bastava a far scorgere la testolina bionda da sotto le coperte in cui era avvolto.

Duran si sporse appena, rispettando la distanza richiesta da Rica. «Gli assomiglia.»

Sentì la sorella trasalire. Stava per farsi avanti, quando il re riprese a parlare.

«Ha l'aspetto di un principe, e il sangue di una lunga stirpe di re.» Posò la mano sul capo del bambino, che aprì gli occhi e balbettò qualcosa. «Finchè non avrò un figlio mio, Endrin Aeducan sarà considerato il mio erede. Se la Pietra sarà così generosa da dare altri principi alla mia casata, sangue del mio sangue, il figlio di mio fratello sarà tenuto in uguale considerazione.» Il bimbo, ormai sveglio, allungò una mano fino a sfiorargli la punta della barba. Lo sguardo del re si addolcì ulteriormente, posandosi poi sulla madre. «Ci sarà sempre un posto per voi tra queste mura e nella nostra famiglia, Rica Brosca.»

Rica cadde in ginocchio, il capo chino. Natia sapeva che stava piangendo. «Grazie, Maestà.» Ad un cenno di Duran, si fece di nuovo indietro, tornando verso il fondo della sala.

«Per quanto riguarda te, Natia.» La chiamò il re, alzandosi finalmente in piedi. «Credo che un riconoscimento di qualche tipo sia d'obbligo.»

“Uh?” Lo guardò senza capire. Non si aspettava altro, erano questi i patti, no? Riconoscere il figlio di Rica, niente di più...

«Vieni pure avanti.»

Obbedì, confusa.

«In ginocchio.»

«Hei-»

Lo sentì sbuffare. «Per una volta, cerca di non essere testarda come un bronto.»

Il pavimento era freddo. Tutti gli occhi erano puntati su di lei, confusi quanto i propri.

«Natia Brosca, per avermi salvato la vita in quella cella, portandomi al sicuro in superficie, per aver combattuto valorosamente sia sopra che sottoterra e, non ultimo, aver affrontato con coraggio le difficoltà delle Vie Profonde e le sfide sostenute per distruggere l'Incudine del Vuoto...»

Detto così, sembrava quasi epico. In realtà, lei non aveva fatto altro che seguire il corso degli eventi, cercando di non restare sepolta sotto una frana e nel frattempo guadagnare qualcosa.

«Elevo te, la tua famiglia e tutti i tuoi discendenti allo status di Guerrieri.»

Si levò un brusio indistinto, ma Natia ci mise qualche secondo a capire. “Io?! Seriamente?!”

«Alzati, Natia della Casata Guerriera Brosca.»

Si ritrovò in piedi, spiazzata, chiedendosi come diamine fosse successo.

«Io non... non so cosa dire.»

Duran le afferrò l'avambraccio, stringendola per un attimo a sé. «Davvero? Sarebbe la prima volta.»

Gli sguardi di tutti i nobili esprimevano sorpresa mista a disgusto, ma si affrettarono a dissimularli al meglio che potevano: nessuno contrastava la parola del Re.

«Grazie.»

L'altro annuì. «Dovrai trovare un palazzo qui vicino, immagino. Non potrei sopportare di veder crescere mio nipote lontano da sua zia... e magari, chissà, un giorno i nostri figli impareranno a combattere insieme.»

“Figli?!” Si limitò a balbettare qualcosa che poteva sembrare un assenso.

Duran scoppiò a ridere. «Si vedrà. Per il momento, abbiamo una guerra davanti. Concentriamoci sul vincere.»

Vennero congedate con più salamelecchi e inchini di quanti ne potesse sopportare. Ovvero, anche solo uno. Sgattaiolarono in una delle sale del palazzo, dove Natia era stata ospitata con gli altri compagni dei Custodi.

«Grazie.»

Si voltò verso Rica, che finalmente sembrava volerla degnare di qualche parola. «Ah, quindi ora siamo a posto.»

La vide mordersi il labbro. «Mi dispiace, non avrei dovuto dirti quelle cose. Ero spaventata.»

Incrociò le braccia al petto, guardandola storto. «Ma ora che viene fuori che avevo ragione, e tuo figlio resta un principe, puoi ricominciare a parlarmi?»

«Natia...»

Alzò una mano, interrompendola. «No, Rica. Da te non me lo sarei mai aspettato. Da Leske, magari, da Jarvia, sicuro, per non parlare di nostra madre, che mi avrebbe volentieri venduto per due monete di rame e una bottiglia, se qualcuno si fosse mai offerto di comprarmi, ma da te no. Eri mia sorella. La persona di cui mi sono sempre fidata.»

«Sono ancora tua sorella!» Cercò di ribattere lei, ma Natia scosse la testa.

«No, non credo. L'hai detto tu stessa. Sei stata una stronza. Quindi, fai pure, trasferisciti qui e sfrutta la nostra nuova casta, vestiti con quanti più gioielli e stoffe preziose ti gira, ma per quanto mi riguarda, dovrai fare di meglio che rivolgermi la parola per riconquistare il mio affetto.»

«Come potevo fidarmi di te?!» Le chiese allora Rica. «Sei stata condannata a morte, sei fuggita in superficie senza salutarmi e poi torni, di punto in bianco, chiedendomi di tradire l'unica persona che mi stava proteggendo, nel nome di uno sconosciuto accusato di fratricidio? Come potevi pretendere che ti dessi retta!?»

Natia sotto sotto sapeva che la sorella aveva avuto i propri motivi, e nemmeno lei stessa si era fidata ciecamente di Duran, all'inizio. Tuttavia... alla fine lei aveva creduto nel Principe, nonostante tra i due non ci fosse alcun legame di sangue, e tutto il suo istinto da straccio le urlasse il contrario.

«Io ti ho protetta per anni. Da Beraht, da tutti quei buoni a nulla che ti ronzavano attorno, da sempre! Mi sono quasi fatta ammazzare per te, a soli sette anni, e l'avrei rifatto mille volte! Solo tu ed io, a sopravvivere nonostante tutto. Ma nel momento stesso in cui sei salita qua sopra ti sei sentita in dovere di sbattermi la porta in faccia e dirmi che non eravamo più sorelle.» Le parole di Rica quel giorno le bruciavano ancora in testa.

«Mi dispiace. Avevo paura per me, per il bambino.»

«Vaffanculo, volevi restare a palazzo ed essere madre di un principe.»

«Natia-»

«Non ho altro da dirti.»

Le voltò le spalle, uscendo dalla stanza. Percorse quasi di corsa il tragitto verso le scale che conducevano al piano inferiore, tagliando la piazza del mercato comune, per una volta completamente immune alle ingiurie, e infilandosi nella taverna affollata del Tapster.

Trovò gli altri seduti ad un grande tavolo in fondo alla sala.

«Hei, pensavo fossi con tua sorella.» La salutò Geralt, facendole spazio.

Natia si sedette pesantemente, sgraffignando il boccale di Alistair e ignorando le proteste del Custode, bevendo a lunghi sorsi. «Allora, quando si parte?»

La fissarono tutti sconcertati.

«Pensavo volessi restare qui.» Disse infine Leliana. «Hai finalmente un titolo e hai ritrovato la tua famiglia, perché vorresti tornare in superficie?»

Si strinse nelle spalle, sperando che non vedessero oltre la sua maschera di indifferenza. «Là sopra non è poi così male.»




«Quindi riparti davvero...?»

Le gambe strette al petto, evitò lo sguardo dell'amico, facendo vagare lo sguardo sulla Città della Polvere sotto di loro. «Già.»

«Pensavo che non ti piacesse la superficie.»

«Beh posso fare un sacco di altri soldi se-»

Leske scoppiò a ridere, forte. «Cazzate. Dillo che ti diverti a viaggiare con loro. Te lo si legge in faccia, salroka.»

Natia si grattò il naso, voltandosi verso di lui. «È così evidente?»

«Non sei mai riuscita a raccontarmela.»

«Puoi venire anche tu, sai?»

Rise di nuovo. «Vuoi davvero che ti faccia sfigurare di fronte ai tuoi nuovi amici?»

Gli diede un pugno sul braccio, forte abbastanza da farlo imprecare. «Idiota.»

«Sono serissimo. Non credo apprezzerebbero la mia compagnia.»

«Sopportano la mia, non vedo perchè-»

«Tu sei tutta un'altra vena, Natia. Sei sempre stata troppo scaltra e brillante per fare la tirapiedi di Beraht. In fondo ho sempre sospettato che ti saresti cacciata in qualche guaio enorme. Certo, non immaginavo che saresti addirittura diventata un culo di pietra...»

Gli tirò un altro pugno, più forte. «Dacci un taglio!»

«Ouch!» Si massaggiò il braccio offeso, ricambiando il colpo. «Ora che farai, mi taglierai la mano, o Natia della casata Brosca?»

«Vaffanculo!» Lo buttò a terra, trascinandolo all'indietro e rotolandosi nella polvere. Scoppiarono a ridere entrambi, azzuffandosi come ai vecchi tempi.

La mano di Leske le si posò sulla guancia, dove c'era il tatuaggio che la identificava come una senzacasta, un rifiuto della società, uno straccio per la polvere.

«Geralt mi ha chiesto se volevo cancellarlo.» Disse, la voce poco più di un sussurro, guardandolo dal basso. Si spostò una treccina di capelli rossi profumati.

«Il tuo amico mago?» Chiese l'altro, sorpreso. «Si può fare?»

Annuì. «Gli ho detto di no.»

«Tsk, la troppa aria ti ha soffiato il cervello.» Rotolò di fianco a lei, restando ad osservare il soffitto di pietra, sporco e pieno di muffa. «C'è chi pagherebbe tutto l'oro di Orzammar per levarselo e dimenticarsi anche solo per un po' di essere nato straccio.»

Dal tono, era chiaro parlasse anche di se stesso. Natia si sollevò a sedere, tirando le ginocchia al petto.

«Non voglio dimenticare niente. Sono nata e cresciuta qui, è parte di me. Chi sono adesso, chi sarò poi... è partito tutto da qua.»

«Non ti facevo così sentimentale.»

Sbuffò divertita. No, nemmeno lei. «Forse l'aria di sopra mi ha strapazzato la testa...»

Si sentì tirare verso il basso, Leske che aveva afferrato il colletto della sua giacca in morbida pelle. La baciò sulle labbra, stranamente delicato. «No, credo tu sia addirittura migliorata.»

“Cretino...” Pensò, ma lo lasciò fare. Sarebbe partita l'indomani, e chissà quando si sarebbero rivisti. Se si sarebbero rivisti.

Ignorò il nodo allo stomaco, perdendosi sotto al suo tocco, lasciandosi andare.










Note dell'Autrice: si concludono così le vicende di Orzammar. Duran ha il suo trono e la sua vendetta, anche se è meno soddisfacente di quanto si aspettasse. Uccidere il proprio fratello non è qualcosa che ha fatto a cuor leggero, nonostante tutto. Il rapporto tra Duran e Natia si è evoluto tantissimo in pochi mesi, fino a raggiungere un livello di stima reciproca che nessuno dei due si sarebbe mai sognato. Natia si è sentita tradita da Rica, per quanto dettole dalla sorella qualche settimana prima, e non sarà facile riallacciare i rapporti tra di loro. Se Duran ha ritrovato il suo posto, Natia è ora combattuta sul da farsi e per il momento sceglie di non abbandonare i suoi compagni, pur legata alle sue origini di straccio. 
A proposito, ho scelto di tradurre "duster" come "straccio", inteso come straccio per la polvere. Non ho idea di quale sia la traduzione ufficiale, ma questa mi sembrava appropriata. 
Saluti! :) 

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Capitolo 31
*** Redcliffe ***


CAPITOLO TRENTUNO:

REDCLIFFE


 


 

«Follia. Non posso credere che qualcuno voglia andare al Circolo di propria spontanea volontà.»

«Sai, per molti di noi il Circolo è stato una casa e un rifugio, invece che una prigione.»

Geralt si morse la lingua, prima di rispondere a tono alla vecchia. «Oh, certo, chi non vorrebbe condividere casa con dei bigotti assassini...»

Wynne scosse la testa, sospirando. «Immagino che questa conversazione non ci porterà da nessuna parte, come al solito.»

«Esattamente.»

«Resta il fatto che la giovane Dagna ci ha chiesto di consegnare questa lettera al Primo Incantatore, ed è esattamente quello che intendo fare.»

Il mago si gettò indietro i capelli, cercando di liberarli dalla neve che vi era rimasta impigliata, ripensando a quanto la ragazzina era sembrata entusiasta di andare a studiare a Kinloch Hold. Non pensava l'avrebbero rifiutata, nello stato in cui versava la torre in quel momento sarebbe stato da emeriti cretini, piuttosto che se ne sarebbe pentita subito. Che poi, cosa ci andava a fare un nano in una torre di maghi...

«Speri che le mettano al collo un guinzaglio simile al tuo, vecchia?»

Geralt sperò che il sussulto di sorpresa fosse passato inosservato, nascosto sotto dei finti colpi di tosse. «Morrigan.»

La strega delle Selve lo guardò dall'alto in basso, un sopracciglio alzato e un grosso tomo tra le mani, che il mago riconobbe all'istante: il vero grimorio di Flemeth.

«Non ho intenzione di perdere tempo con voi due.» Decise Wynne, prima di alzarsi e portare con sé quello che restava della sua cena, andando a raggiungere gli altri, radunati attorno al falò e intenti ad ascoltare una delle melodie di Leliana.

Morrigan si sedette accanto a Geralt, picchiettando le dita sulla rilegatura del libro. «Finalmente ti sei deciso a chiedere aiuto a qualcuno che ne sa più di te.»

Sbuffò. «Certo, come posso competere io, cresciuto tra libri magici provenienti da ogni dove, con te e il tuo addestramento nelle paludi?»

Non la scalfì nemmeno. Il sorrisetto divertito di Morrigan, se possibile, si aprì ancora di più. «Come se non avessi assaporato ogni singola riga di questo grimorio peggio di un bambino con le caramelle. A proposito, complimenti per aver rotto il sigillo, non male per un topo di biblioteca.»

Si strinse nelle spalle. «Rompere sigilli su libri non esattamente consentiti era il mio passatempo preferito.»

«Ma pensa... In ogni caso,» riprese abbassando il tono di voce fino a ridurlo in un sussurro, l'espressione che si faceva più seria «quello che mi hai chiesto non è possibile. C'è un modo per sfuggire a morte certa, ma per come stanno attualmente le cose, dubito che sarà facile convincerli. E comunque si tratta solo di una situazione... temporanea.»

«Non mi importa un accidenti di quel cretino, possiamo anche non salvarli entrambi.»

Morrigan si voltò verso il resto del gruppo, lo sguardo che vagava su ciascuno di loro. «Credi davvero lo lascerebbe fare?»

Geralt sapeva che la strega aveva ragione. Tacque.

«Temo sprecherai il tuo tempo, mago. Sempre che tu non ricorra a qualche trucchetto dei tuoi.»

Le afferrò il polso di scatto, serrando la presa. «Non mi permetterei mai.» Replicò in tono glaciale.

L'altra si liberò dalla sua stretta, aprendogli la mano con le lunghe dita affusolate, lentamente. «Nemmeno se significasse salvarle la vita?»

Prima che potesse rispondergli, si alzò e lo lasciò solo a rimuginare sui suoi pensieri.




 

Il castello di Redcliffe era ancora sepolto sotto la neve.

Nonostante fossero passati due mesi da quando erano partiti alla volta di Orzammar, nulla sembrava essere cambiato. Il cortile rimaneva mezzo distrutto, gli abitanti non avevano smesso di piangere i loro morti e Jowan si trovava ancora dietro le sbarre.

«Speravo almeno gli avessero dato una sistemazione decente.» Commentò aspro, salendo le scale che portavano allo studio dell'Arle.

Aenor, accanto a lui, era silenziosa.

«Insomma, è chiuso lì dentro da mesi. Non pensavo lo avrebbero trasferito negli appartamenti dell'Imperatrice di Orlais, ma anche uno stramaledetto stanzino delle scope sarebbe meglio di quella cella...» Sbattè il bastone magico sul gradino successivo, come a ribadire quanto appena detto.

«Se non rispetta i patti, possiamo minacciarlo di ficcarglielo nel culo, quel bastone.» Disse Aenor a denti stretti, la mano serrata sul coltello da caccia che portava alla cintura.

«Con palla di fuoco annessa?»

«Sicuro.»

Ridacchiò, immaginando la scena. Si ricompose però in fretta, erano arrivati.

La Custode bussò una volta alla porta, per poi entrare senza aspettare di essere invitata.

«Arle Aemon, dobbiamo parlare.»

L'Arle li stava probabilmente aspettando, ma mise frettolosamente da parte alcune carte, spostando una penna d'oca dall'aria pomposa. «Ah, Custode. Siete ancora convinta di volere il rilascio di quel mago del sangue, immagino.»

L'elfa annuì. «Siamo tornati da Orzammar con un esercito di nani. Ora consegnateci Jowan.»

Il vecchio li scrutò con attenzione, appoggiandosi allo schienale della sedia. «È un maleficar scappato dal Circolo, che mi ha avvelenato cercando di uccidermi.»

Con uno scatto, l'elfa sbattè la mano aperta sul tavolo di legno, facendoli sussultare entrambi. «Le chiavi della cella. Ora.»

A difesa dell'Arle, se era spaventato lo stava nascondendo bene. Si limitò a fissarla come un maestro osserva un bambino fare i capricci. «No.»

«Ha giurato-»

«Che l'avrei rilasciato, sì.» La interruppe Aemon, alzando una mano. «Ma non a voi. Verrà rispedito al Circolo, che se ne occuperà personalmente.»

«È come mandarlo al macello!» Ringhiò Geralt, sentendo il flusso magico sull'orlo di erompere. «Non potete lasciarlo in mano ai templari!»

«Geralt.» Lo ammonì Aenor, prima di tornare a puntare gli occhi verdi sull'Arle. «Avete due opzioni: o spedite Jowan con una scorta al Circolo, e io e i miei compagni lo liberiamo uccidendo i vostri uomini, oppure la smettete con queste stronzate e ce lo consegnate senza altre storie.»

L'Arle sgranò gli occhi. «Mi stai minacciando, nel mio stesso palazzo?»

La Custode alzò le spalle. «Già.»

Se non l'avesse vista già altre volte minacciare gente con molto più potere di lei, si sarebbe sorpreso anche lui. Ma dopo averla vista coperta del sangue di drago, ogre, più Prole Oscura di quanto riuscisse a tenere il conto e altri nemici vari, era Aemon quello che si sarebbe dovuto preoccupare.

«Alistair non sarebbe d'accordo.»

«Ho sconfitto un alto drago per trovare le Ceneri che vi hanno salvato la vita. Ed è anche grazie a me, oltre che a Jowan stesso, che vostro figlio non è stato accoppato come un abominio qualsiasi. Mi dovete ben più di una vita, shemlen.» Calcò sull'ultima parola, sputandola fuori, sfidando l'altro a darle contro.

Arle Eamon sembrò considerare le varie opzioni, ma alla fine capitolò. «E sia, prendetevelo. Ma i nostri debiti sono saldati.» Aprì un cassetto, dalla quale estrasse una singola chiave, una runa magica impressa su di essa.

Geralt si affrettò a prenderla, soppesandola nel palmo della mano, il cuore che batteva all'impazzata. Finalmente.

Ora, c'era da vedere come avrebbe reagito Jowan.

Scesero fino alle porte delle prigioni, quando l'elfa si fermò improvvisamente. «Credo ti lascerò andare da solo... vedi di non rovinare tutto.»

Potè giurare di averla vista fargli l'occhiolino, prima di sparire verso il cortile.

Inspirò profondamente. “Per le palle del Creatore, Geralt, datti una mossa!”

Il corridoio era angusto e poco illuminato, esattamente come l'aveva lasciato l'ultima volta. Chissà se c'erano ancora in giro pezzi della sua dignità, spiaccicati sul pavimento assieme a calcinacci e feci di ratto...

«C'è qualcuno?»

Emerse alla luce della torcia di fianco alle sbarre, le chiavi strette in pugno. «Hei.»

«Geralt! Ho sentito che erano arrivati i Custodi, speravo-» Si interruppe di colpo. «La Custode...?»

Sfoderò il suo migliore sorriso, sventolandogli le chiavi sotto al naso. «Puoi ringraziarci una volta fuori da qui.» La serratura scattò con un “clack” che rimbombò sulle pareti di pietra, la porta di metallo che si apriva con un cigolio. Si fece da parte con un leggero inchino. «Prego.»

Jowan non esitò un attimo, un sorriso incredulo in volto mentre finalmente varcava la soglia. Con grande stupore ed imbarazzo seguente, lo strinse in un breve abbraccio. «Grazie, Geralt. Ti devo la vita, di nuovo.»

Durò qualche attimo, giusto una manciata, ma avrebbe voluto stringerlo per tutta la giornata.

L'altro tossicchiò imbarazzato, dopo aver fatto qualche passo indietro, spostando il peso da un piede all'altro. «Quindi...»

«Quindi.»

Scoppiarono a ridere entrambi, a disagio.

“Lo sapevo. Ho rovinato tutto.” «Credo sia meglio prendere una stanza alla locanda, giù al villaggio. Almeno potrai darti una sistemata.» Propose Geralt, per poi zittirsi immediatamente, rendendosi conto di quanto potesse sembrare equivoco. «Intendo, prenderti. Una stanza. Insomma, una stanza tua, alla locanda.»

Jowan annuì. «Sì, una stanza e un bagno mi sembrano una splendida idea...»

Raggiunsero il cortile. Notò che l'amico zoppicava un poco, mentre con la mano sfiorava la neve che si era posata sul muro di cinta distrutto, facendo grandi respiri profondi. Chiuse gli occhi, un sorriso beato che gli compariva sul volto. «Non pensavo sarei mai uscito da lì. Non vivo, almeno.» Un tremito lo scosse per tutto il corpo. Geralt si diede dell'idiota: era pieno inverno e l'altro aveva soltanto delle vesti leggere, lacere e sporche, per proteggersi dal gelo.

Si tolse il proprio mantello foderato di pelliccia, tendendoglielo. «Mettitelo, o morirai comunque di freddo.» Bofonchiò cercando di darsi un tono.

«Ma tu poi?»

«Sei sempre stato tu quello freddoloso.» Sbuffò in risposta.

Le guardie di fronte al cancello li squadrarono con odio, ma li lasciarono passare indenni. Il breve tragitto fino al villaggio lo passarono in silenzio, Jowan che sembrava godersi il panorama e Geralt a domandarsi se si potesse morire di vergogna.

La locanda era affollata come al solito. Con la coda dell'occhio individuò Natia, Zevran, Leliana e Kallian, seduti ad un tavolo in fondo alla sala, fargli cenni di incoraggiamento.

«Ci... vediamo dopo allora?» Bofonchiò Jowan, dopo che la locandiera gli ebbe consegnato le chiavi della stanza e fatto cenno di seguirlo al piano di sopra.

Geralt annuì, la gola secca. «Sì, certo... a cena. Se hai fame. A- A dopo.»

Si sarebbe preso a schiaffi da solo.

Trascinò i piedi fino al tavolo dove erano seduti gli altri. Zevran gli fece spazio con un sospiro affranto.

«Avresti dovuto seguirlo.» Gli disse, allungandogli un bicchiere di vino.

«Stai scherzando spero.» Ribattè acido. «Avrebbe pensato-»

«Che fossi preoccupato per lui.» Si intromise Leliana, gentilmente. «Non dovresti farti così tanti problemi, sai. In fondo siete amici da una vita, no?»

«Amici un cazzo! Ho rovinato tutto e ora probabilmente non vede l'ora di trovare una scusa per liberarsi di un... di un...»

«Se stai per finire la frase con un insulto sulla tua sessualità, sappi che ti ritroverai un coltello nella gamba e sarà solo per il tuo bene.» Lo avvertì Zevran, minaccioso. «Ora, bevici su e poi vai a bussare a quella porta.»

Tracannò il vino, unica speranza di riuscire a sopportare quel supplizio. «E cosa dovrei dirgli?! “Sai, ti ho salvato ma non sei costretto a fingere di ricambiare i miei sentimenti, anzi, a riguardo, ero ubriaco e scherzavo, per favore dimenticati di tutta la conversazione”?»

Zevran e Leliana si scambiarono uno sguardo carico di disapprovazione.

Inaspettatamente, però, fu Kallian a prendere parola.

«Se non vi chiarite, resterai ad arrovellarti per sempre.»

«E credi sia facile chiarirsi?!»

Gli lanciò un'occhiataccia gelida. «Hai ucciso un alto drago, mago, non mi dirai che te la stai facendo sotto proprio adesso.»

Cercò l'aiuto di Natia, ma quella scosse la testa, alzando le mani in segno di resa. «Non guardare me, spilungone. Ti sto dicendo le stesse cose da un pezzo ma non mi ascolti mai, se proprio non vuoi darmi retta... è inutile battere un bronto zoppo.»

«Vi odio tutti.» Bofonchiò mentre Zevran gli versava un secondo bicchiere.



 

Tre bicchieri dopo e una gran dose di incoraggiamento da parte dei compagni, bussò alla porta, un vassoio di cibo e una caraffa di vino in mano. «Jowan?»

L'altro gli aprì la porta, degli abiti puliti addosso (come se li era procurati?) e i capelli bagnati a cadergli lunghi sulle spalle.

«Ah, non dovevi... grazie, mi hai risparmiato di scendere là sotto col mondo intero.» Gli sorrise grato, facendogli cenno di entrare e sedendosi sul letto. Era molto magro, i segni della prigionia prolungata che lo facevano apparire ancora più fragile. Geralt appoggiò il vassoio sull'unico tavolino nella stanza, spostandolo poi verso il letto e sedendosi sulla traballante sedia di legno.

«Figurati, ci sono passato anch'io. Più o meno.»

Jowan prese una delle due ciotole di zuppa calda, assaggiandone una generosa porzione. «Mhf, che buona... comunque, se è una sfida, per una volta credo di vincere io.»

Scosse la testa divertito, prendendo da mangiare a sua volta. «Non ci scommetterei.»

Versò del vino ad entrambi, mangiando con calma mentre l'altro sembrava voler spazzolare tutto prima che qualcuno glielo portasse via.

Rimase in silenzio, ad aspettare che Jowan finisse il suo piatto. Era un discorso importante, non poteva rischiare si strozzasse col cibo, no? Lo sguardo vagò per la stanza, soffermandosi per un attimo sulla piccola vasca. Notò che l'acqua era leggermente rossastra. “Sangue.” O le ferite non si erano mai rimarginate completamente, cosa alquanto improbabile, oppure le guardie si erano divertite a torturarlo, approfittando delle catene che gli impedivano di lanciare incantesimi.

Una volta che rimasero solo i calici di vino, si schiarì la gola. «Jowan... riguardo quello che ti ho detto l'ultima volta che ci siamo visti...»

«Geralt.»

Sollevò lo sguardo, sperando che la barba lunga e i capelli nascondessero il rossore sulle guance.

«Da quanto?»

Bevve altri due sorsi. «Almeno da... non lo so precisamente, penso di essermene reso conto quando stavamo studiando notte e giorno su quelle stupide rune della terza era.» Ammise in un sussurro.

L'altro sgranò gli occhi, facendo due conti. «Ma era almeno sette anni fa!? Non potevi-»

«Che dovevo fare?!» Sbottò allora Geralt, sulla difensiva. «Non sembravi renderti conto di niente, pensavo che fossi troppo concentrato sullo studio per pensare ad altro, e poi non partecipavi mai a nessuna conversazione sull'argomento...»

«Ma di che stai parlando, nessuno ha mai- Aspetta, gli altri lo sapevano?»

Si grattò la barba, a disagio. «Forse Niall. Anders sicuramente. Ma era troppo occupato a sbaciucchiarsi con Karl per-»

«Anders e Karl?!» Lo interruppe Jowan, sempre più sconvolto. «Ma non era il suo tutor?»

Geralt lo fissò basito. Non capiva se lo stesse prendendo per il culo o se fosse davvero stato, per tutti quegli anni, completamente ignaro di cosa gli stesse succedendo attorno. «Jowan. Seriamente. Credevi che sparissero ogni due per tre per andare a spolverare libri?»

Fu il turno dell'altro di arrossire violentemente. «Non- non pensavo... insomma, non credevo che fosse interessato a...»

«...» Come si poteva essere tanto distratti?! «Jowan. Non avevi la minima idea che a me e Anders piacessero gli uomini?» A quel punto, non era lui a dover imbarazzarsi. Chiunque con due occhi funzionanti se ne sarebbe accorto, per le chiappe del Creatore!

«Ecco, io... sei sempre stato popolare, non c'è niente di strano a parlare con qualcuno, che ne so se poi ci- insomma...»

Geralt, guardando l'amico arrossire e balbettare una serie di scemenze, scoppiò a ridere di gusto, fino a sentirsi le lacrime agli occhi e il male allo stomaco, ignorando le proteste offese dell'altro.

«Assurdo.» Cercò di calmarsi, riprendendo fiato, scostandosi i capelli dagli occhi e gettandoseli sulla spalla. «Completamente assurdo.»

«Hai finito di prendermi in giro?»

Lo guardò di sottecchi, ridacchiando di nuovo. «Creatore, no, non credo.»

Jowan sbuffò infastidito, appoggiando il bicchiere di vino e voltandosi offeso. «Oh, fantastico. Avvisami quando hai finito, intanto mi metto comodo.» Si stese sul letto, i capelli bagnati sparsi sulle coperte.

Geralt si concesse un breve attimo per godersi la vista, per poi allungare le gambe, dondolandosi leggermente sulla sedia, come faceva in biblioteca quella che sembrava una vita fa.

«Non ci siamo accorti di parecchie cose, eh.» Ruppe il silenzio dopo un po'. «Mi dispiace di averti spinto ad usare la magia del sangue.»

Jowan non accennò a muoversi. «Non è stata colpa tua. Sono un cretino, ero geloso di te e gli altri. Surana sembrava avere le risposte a tutto, Anders pianificava una fuga dopo l'altra ed era sempre così spericolato, mentre tu...» sospirò profondamente, lo sguardo puntato al soffitto. «Eri più portato di me in ogni cosa: nella magia, nello studio, nel fare amicizia con gli altri... se non ci fossi stato tu all'inizio a parlarmi, penso mi sarei gettato di sotto, appena arrivato.»

Geralt se lo ricordava benissimo. Era alla Torre già da un anno, quando Jowan era arrivato scortato da un templare, un bambino tremante di sei anni con la testa piena delle sciocchezze che i genitori e la Chiesa gli avevano rifilato prima di spedirlo in quella prigione. A cena, quella sera stessa, lo aveva invitato a sedersi con lui e Surana. Col tempo si erano aggiunti anche Anders e Niall, e i cinque erano poi diventati inseparabili... almeno fino a che non era arrivato Uldred.

«È stato Uldred a metterti in testa quest'idea?» Gli chiese, ripensando a quanto detto dal mago alla Torre, prima di trasformarsi completamente in abominio.

«No, credo lo pensassi già da un po'... e quando tu hai superato il Tormento, ho cominciato a chiedermi se mi avrebbero mai lasciato provare. Invece sono passate settimane, e mesi, e girava voce che Uldred potesse insegnare degli incantesimi che permettessero di sopravvivere al Tormento. Sono stato un idiota.»

«Ma aveva ragione.»

Jowan si tirò su, mettendosi a sedere con un'esclamazione sorpresa. «Che intendi?»

“Non ha senso continuare a mentirgli, no?” Premette il pollice sul piccolo coltello che portava alla cintura, facendo uscire qualche goccia di sangue. Il potere che fluiva dentro di sé, mostrò a Jowan la mano, mentre decine di tentacoli di magia rossastra vi si arrampicavano attorno. «È potente.»

L'amico sbiancò ulteriormente, sgranando gli occhi, incapace di staccarli dalla sua mano. «Geralt, cosa hai fatto?» Balbettò sconvolto.

«Ti ho battuto sul tempo anche in quello, credo.» Borbottò, chiudendo la mano a pugno e interrompendo il flusso. «Ero curioso, e ho finito per rubare qualche pergamena dal laboratorio di quella stupida di Leorah. Mettermi in contatto con un demone in grado di rispondere alle mie domande non è stato poi molto difficile.»

L'altro non rispose.

«Jowan...»

«Ce li hai anche tu dei difetti, quindi.»

Rimase spiazzato. «Ma che-»

«Cadi preda dei demoni come tutti noi.» Lo vide accennare un sorrisetto. «Non so decidere se sono deluso o divertito dalla cosa, amico mio.»

“Non hai idea di quanto possa cadere preda di alcuni demoni...” pensò a disagio, una chiara immagine del demone del desiderio che aveva cercato di intrappolarlo alla torre impressa bene in mente. Si strinse nelle spalle. «Non ho mai detto di essere perfetto.»

«Non hai nemmeno mai suggerito il contrario.» Lo prese in giro l'altro. «La Custode lo sa?»

«Non avessi usato il sangue di Wynne per salvare la pelle a tutti, saremmo stati divorati da un alto drago prima ancora di raggiungere quelle stupide Ceneri.»

«Wynne?! E sei ancora vivo per raccontarlo?»

Ridacchiò. «Non per sua concessione.»

«La Custode deve essere pazza. So che i Dalish hanno usanze diverse e la Chiesa non li riempie di stronzate, ma decidere di viaggiare non con uno, ma addirittura due maghi del sangue...» Jowan scosse la testa, sconcertato. Si passò una mano tra i capelli, che si stavano asciugando pian piano. «Dovrei tagliarmeli.»

«Ti stanno bene invece, sai?» Si lasciò sfuggire Geralt. «Magari giusto una spuntatina. Anche alla barba, già che ci siamo.»

«Mh, mi fido dell'esperto.»

«Ce la fai a rimetterti in un paio di giorni?» Sembrava così fragile... la strada verso Denerim non era sicura, avrebbero potuto essere attaccati da un momento all'altro, eppure Geralt confidava che con un gruppo così numeroso sarebbe riuscito a proteggerlo.

Jowan annuì, massaggiandosi i polsi feriti. «Se riuscissi a procurarmi un paio di impacchi... Non sono mai stato granchè con la magia curativa, non è il mio campo.»

Geralt recuperò la propria borsa, contenente qualche piccola fiala di lyrium e tre pacchetti di radice elfica trattata. «Non dirlo a me... ecco, tieni.»

Lo osservò spalmarsi l'unguento sulle mani, passandoselo poi sui polsi e attorno al collo. Si sbottonò la giacca, per poi inarcare la schiena cercando di raggiungere un punto tra le scapole. Grugnì di dolore, rinunciandoci. «Mi dai una mano?»

Pregando di non arrossire come un idiota, gli si sedette accanto. L'imbarazzo sparì immediatamente, appena vide la schiena dell'amico: era solcata da parecchie lacerazioni da frusta. Lo accarezzò delicatamente, cercando di spalmare l'impacco in maniera uniforme senza fargli male. «Alcuni sono recenti.»

Lo sentì irrigidirsi. «Non è poi così grave.»

«Jowan. Una sola parola e-»

«E cosa, Geralt? Andrai a bruciare vivo ogni singolo stronzo che si è mai approfittato di un mago incapace di reagire? Lascerai viva un quinto della popolazione del Ferelden, probabilmente.»

Non era giusto. Ma capiva perché non volesse fargli sollevare un altro polverone. «Magari solo le guardie.»

«Per favore, non fare niente.»

Sospirò, finendo di spalmargli l'unguento e cercando delle bende pulite nella borsa. «Come vuoi. Ma non succederà più, te lo giuro.» Gli fece sollevare le braccia, passandogli le strisce di stoffa intorno al torso e fissandole saldamente.

Si ritrovò a pochi centimetri dal suo volto.

«Geralt?»

«...»

«Posso baciarti?»

L'esclamazione di sorpresa gli morì in gola, sopraffatta da una serie di sentimenti che variavano dalla confusione all'euforia al dubbio di starsi sognando tutto. «Che?» Riuscì a balbettare, indietreggiando un poco e voltandosi fingendo di sistemare una benda.

Jowan deglutì vistosamente, grattandosi il dorso della mano. Era nervoso. «Sono settimane che ci penso. Insomma se-»

«Non devi farlo per forza.» Si affrettò a fermarlo Geralt, faticando a guardarlo negli occhi. «Non mi devi dare il contentino solo perché ti ho tirato fuori da lì...»

Sembrò offendersi. «Hei! Mi consideri davvero così stronzo?» Scosse la testa, mordicchiandosi il labbro inferiore già segnato. «È solo che... ci penso da quando mi hai- insomma, da quel giorno. Non ho mai pensato a te in quel modo, però sei la persona a cui tengo di più e magari... Sì, ecco, magari può funzionare. Oppure no, ma-»

Geralt rimase immobile, non sapendo assolutamente cosa fare mentre l'amico si avvicinava lentamente, sporgendosi in avanti finché le loro labbra non si sfiorarono. Istintivamente, inclinò leggermente la testa di lato, facilitandogli l'accesso. Jowan gli mise una mano sulla spalla, stringendolo delicatamente, sfregando il naso contro il suo. «La barba. Fa solletico, è strano...» sussurrò prima di approfondire il contatto, portando la mano dietro la nuca e stringendolo più a sé.

A quel punto, Geralt era quasi certo si trattasse di un altro demone, ma scelse di fregarsene in ogni caso, prendendo l'iniziativa. Schiuse le labbra, accarezzandogli con la lingua le sue e spingendolo ad accoglierlo, mentre saliva a sfiorargli una guancia, facendo scivolare le dita tra i capelli umidi.

Jowan si ritrasse un poco, interrompendo il contatto, passandosi il pollice sulle labbra.

Geralt si sentì sprofondare. “Non ha funzionato.” Stava quasi per alzarsi in piedi, quando l'altro lo tirò nuovamente a sé, sussurrandogli di continuare.

Non se lo fece ripetere due volte.

Lo baciò nuovamente, cercando di non essere troppo irruento, spostandosi poi verso l'orecchio e scendendo verso il collo. Jowan reclinò il capo, un gemito che gli sfuggiva dalle labbra, mentre le dita stringevano la stoffa delle vesti dell'altro. Gli accarezzò il petto, le mani dell'altro che armeggiavano con i suoi alamari, non riuscendo ad aprirli.

Si costrinse ad allontanarsi, guardandolo negli occhi, i capelli dell'altro intrecciati tra le dita. «Sei sicuro?»

Jowan aveva il fiato corto e le guance arrossate che spiccavano sulla pelle così pallida e sottile. Gli pose una mano sulla guancia, solleticandogli la barba, premendo il pollice sulle sue labbra. «Quante altre volte me lo chiederai?»

«Scusa se voglio essere certo che-»

Lo baciò di nuovo, stendendosi sul letto morbido e traendolo a sé, mettendo fine a qualsiasi altro dubbio potesse ronzargli in testa. Sentiva un rigonfiamento premere sulla sua coscia, ma nulla in confronto al fastidio che gli davano i propri pantaloni. Quando l'altro sollevò il bacino, reagendo istintivamente alle attenzioni che Geralt gli stava dedicando, sentì una scarica di energia pervaderli entrambi, liberando al contatto minuscole scintille. Si mise in ginocchio, aprendogli la cintura e abbassandogli i pantaloni fino alle caviglie.

Era uno spettacolo. Così esposto, la pelle nuda bisognosa di ogni suo tocco, la testa reclinata sul cuscino e coperta da un braccio a nascondere l'imbarazzo, le gambe socchiuse che non cercavano nemmeno di nascondere la sua eccitazione.

Geralt avrebbe voluto fargli ogni genere di cosa, ma si trattenne, sforzandosi di tenere a mente che era probabilmente la prima volta che Jowan si ritrovava così esposto, e probabilmente non solo con un uomo. Non aveva idea di quanto si fosse spinto in là con...

Scosse la testa, evitando di pensare a quella grassa vacca, salendo di nuovo sul letto a baciargli il petto mentre con la mano andava ad esplorare il bassoventre.



 

«Allora, come è andata?»

«Dalla faccia, immagino molto bene...»

Non poté evitare di sorridere mentre si accomodava sulla panca di legno fuori dalla locanda. Aveva smesso finalmente di nevicare e nonostante l'aria frizzante, era quasi piacevole stare seduti là fuori. Zevran, Natia e Aenor lo fissavano con insistenza, in attesa di sentire il resoconto delle sue prodezze. «È... andata alla grande.»

«Meglio che col demone, immagino.» Borbottò la nana prendendolo in giro e rifilandogli una gomitata tra le costole. «Voglio tutti i dettagli, spilungone.»

«Magari non proprio tutti...» Ribattè la Custode con una smorfia. «Ma sono contenta che vi siate chiariti, dopo tutta questa fatica.»

«Ah, ho sempre adorato far scoprire i piaceri del sesso ad uomini che si credevano interessati soltanto alle donne.» Si vantò Zevran, lo sguardo perso nei ricordi. «Quando li prendi per la prima volta-»

«Ecco, a questo proposito, chi dei due...?» Lo interruppe Natia, mettendosi a gambe incrociate sulla cassa di legno su cui era seduta, l'aria di chi era davvero interessato ad ogni dettaglio.

Geralt si sentì le guance in fiamme. «Non- non ho voluto esagerare. C'è stato solo qualche bacio e poco più...»

«Amico mio, hai la faccia di chi ha dato ben più di un bacetto.»

Sollevò le sopracciglia, ammiccando. «Non ho detto dove l'ho baciato.»

Natia e Zevran si lanciarono in esclamazioni di giubilo.

«Vedo che fargli portare dei vestiti puliti dalla cameriera non è servito a molto, se se li è tolti così in fretta...»

«Grazie comunque, Zev. Non ci avevo nemmeno pensato.»

«Solo perché lo pensavi direttamente nudo, appena uscito dalla vasca da bagno, le gocce d'acqua che scendevano fino a-»

«Whoah, troppe informazioni non richieste!» Li fermò immediatamente Aenor con una risata, estraendo dalle tasche una sorta di pipa dall'aspetto grezzo. «Renditi utile, mago, accendi qui.»

«Che?» Evocò una piccola fiammella, che l'elfa usò per accendersi da fumare. Geralt riconobbe subito l'odore, scoppiando a ridere. «Foglie di radice elfica! Ah, mi riporta indietro di anni...»

Chissà se c'erano ancora le vecchie scorte che avevano lasciato tra le pagine di alcuni libri della biblioteca, su alla Torre...

L'elfa inspirò profondamente, per poi passargliela. «Non hai idea di quanta fatica ho fatto per sistemarla, era rotta da un sacco.»

«Sì, si è scoperto che il vecchio fabbro se la cava non solo con i fondi delle bottiglie.» Ridacchiò Natia, che allungò una mano in direzione di Geralt, facendo segno di darsi una mossa.

Il mago assaporò il fumo arrivargli nei polmoni, per poi buttarlo fuori in piccoli cerchi concentrici.

«Non male...» La nana sembrò avere qualche difficoltà, perché tossì violentemente, dopo aver aspirato troppo. «Ugh, devo aver sbagliato qualcosa...»

«Non esagerare, mia piccola amica, devi assaporarlo prima sulla lingua, e poi farlo scendere già per la gola, senza esagerare, lentamente...»

«Zev, stiamo ancora parlando del fumo, vero?»

Le lanciò quella che sarebbe dovuta sembrare un'occhiata innocente. «Ma certo.»

Si ritrovò una gomitata nel fianco. «Non ho bisogno di lezioni, orecchie a punta.»

Stava per fare un altro tiro, quando un grido dal piano di sopra venne rapidamente seguito da un tonfo. Saltò in piedi, ritraendosi di scatto mentre il sangue imbrattava la neve sul terreno, il cadavere dell'uomo gettato di sotto a pochi metri da loro.

«Fenedhis lasa!» Sentì esclamare l'elfa, gli occhi puntati verso le finestre.

Dopo qualche secondo, dall'ultimo piano fece capolino Kallian, il volto tirato dalla preoccupazione. «È morto?»

Geralt sollevò un sopracciglio. «No, sta benissimo.»

«Non vede l'ora di rifarlo, dice che essere lanciato dal terzo piano sui sassi è un vero toccasana per le membra stanche!» Urlò in risposta Zevran, dandogli corda.

L'elfa borbottò qualcosa in rimando, probabilmente insulti.

«Morto è morto.» Decretò Natia, che come al solito non si era lasciata intimidire ed era andata ad esaminare il corpo. Rovistò nelle tasche e nella borsello di pelle alla cintura, sogghignando trionfante. «Chi trova tiene.»

«Non ti basta mai, eh...» Sospirò Geralt, scuotendo il capo con disapprovazione. «Sei tremenda.»

«Hei, chi è stato?!» Urlò un uomo, attirato dal trambusto, lo sguardo puntato sul corpo.

«Ha fatto tutto da solo...» Rispose prontamente Zevran. «L'abbiamo visto uscire da una delle finestre, probabilmente ubriaco da come ondeggiava, decantare un'ode alle tette di Andraste, brindare alla salute della Profetessa, perdere l'equilibrio e cadere di sotto. Una tragedia, davvero, sono certo fosse un promettente poeta. Si era soffermato così elegantemente sui rosei capezzoli della beata fanciulla, la sua voce simile a quella di un usignolo mentre scopriva i piaceri della-»

«Bestemmie! Per il Creatore, orecchie a punta, non insozzare il nome della Profetessa!» Sbottò l'uomo, sputando a terra sul cadavere e tornando da dove era venuto, suggerendo di rimuovere il cadavere e lasciarlo in pasto ai lupi.

«Che persone caritatevoli, questi fedeli...»

«Trovato qualcosa di utile?»

Kallian e Leliana, entrambe visibilmente scosse ma incolumi, sopraggiunsero in fretta per analizzare il corpo. «Era il capo.»

Natia allungò loro la borsa. «Il capo di chi?»

«Lui e altri tre hanno cercato di uccidere Leliana.» Tagliò corto l'elfa, rovistando freneticamente tra il contenuto ed estraendone un foglio. Lo passò a Leliana dopo averlo analizzato un attimo. «Denerim. È un edificio a Denerim.»

La donna aggrottò le sopracciglia delicate, stringendo la piccola pergamena con mano tremante. «È lei, sicuramente. Chi altri mi prenderebbe di mira?»

«Vi dispiace metterci al corrente di questo nuovo tentativo di assassinio, o preferite tenervi il segreto?» Sbottò Aenor guardandole in tralice.

Leliana sospirò, fermandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Immagino di dovervelo dire, hai ragione. Quando sono scappata da Orlais, sono stata incastrata dalla mia mentore, che mi ha accusata di un crimine di alto tradimento che in realtà era stata lei a commettere. A quanto pare ha saputo che sono viva e... sta cercando di rimediare.»

Kallian indicò il foglio. «Deve essere lì che si trova, adesso.»

«Beh, stiamo andando comunque a Denerim, no?» Disse Zevran, sorridendo. «Così potremo farle vedere come si comportano i veri assassini, non dei patetici imitatori.»

Geralt trattenne a stento una risata. «Spero tu non stia parlando di te stesso, Zev.»

«Così mi ferisci dritto al cuore, amico mio.»











Note dell'Autrice: rullo di tamburi, squillo di trombe e coro di angeli! Finalmente i nostri due maghi del sangue preferiti si sono chiariti. Ed era anche ora. Geralt si è arrovellato tutto il tempo sulla figuraccia fatta, ma anche Jowan ha avuto parecchio da pensare, e alla fine ha deciso di dare una possibilità ad una loro eventuale relazione. Per il momento è in fase esplorativa, diciamo. 
Amo questi due talmente tanto che ci ho disegnato su qualcosa (alla fine della storia tutti avranno un loro disegno comunque, devo solo trovare il tempo ahahahah) quindi eccoli   QUI  patati belli: 
Per il resto, Kallian e Leliana vanno a Denerim ognuna coi propri problemi. Nei prossimi capitoli l'elfa avrà parecchio da risolvere. Ciaossu~! 

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Capitolo 32
*** Denerim ***


CAPITOLO TRENTADUE:

DENERIM

 

 

«Come ha fatto a sapere dov'eri?» Chiese Kallian per l'ennesima volta mentre si preparavano per accamparsi, srotolando il giaciglio per dormire e posizionandolo accanto ad un tronco d'albero dall'aspetto robusto.

Leliana sospirò, sganciando la bisaccia dalla sella del cavallo e controllando che l'animale fosse ben legato. «Marjolaine ha sempre avuto un talento per rintracciare chiunque...» La vide stiracchiarsi, cercando di distendere la schiena.

Anche l'elfa era stanca, dopo ore di cavalcata. Arle Eamon viaggiava circondato dalla sua scorta di uomini, una ventina di guardie armate di tutto punto con lo stemma di Redcliffe bene impresso sulle armature nuove, abbastanza da convincerli ad utilizzare la Grande Via Imperiale senza aver paura di cadere in qualche imboscata. Un paio di volte si erano imbattuti in un gruppo di Prole Oscura, ma se ne erano liberati senza subire perdite, a parte uno dei soldati che, per evitare la carica di un Ogre, era inciampato rotolando giù per un'altura, fratturandosi una caviglia che Wynne aveva sistemato in un attimo.

Il numero di maghi era aumentato.

Kallian lanci un'occhiata in tralice all'ultimo arrivato, il mago del sangue che Aenor aveva fatto liberare dalle celle di Redcliffe: si vedeva lontano un miglio quanto fosse a disagio lì in mezzo, circondato da gente che lo voleva morto e dalla “natura ostile”, come l'aveva chiamata lui stesso, ma era pur sempre libero di girovagare. E lanciare incantesimi, nonostante gli fosse stato impedito di portare con sé un bastone magico, l'elfa sapeva che ai maghi non era necessario avere un'arma per uccidere o torturare qualcuno.

Fortunatamente, tra gli uomini dell'Arle e i loro compagni, Kallian era abbastanza certa che non avrebbe combinato niente. All'inizio aveva pensato che Geralt, ottenuta la liberazione dell'amico, avrebbe approfittato della prima occasione per tradirli e andarsene per la loro strada, ma così non era stato. Doveva ammettere che si era rivelato di grande aiuto in quei mesi, e nel caso in cui Loghain non fosse capitolato all'Incontro dei Popoli, avere un altro paio di maghi dalla loro non era poi una cattiva idea. Oltretutto, non era poi così antipatico, nonostante la sua magia proibita.

«Cosa pensi di fare, una volta che l'avrai di fronte?»

Leliana sospirò di nuovo, giocherellando con una ciocca di capelli rossi. Se la rigirò tra le dita affusolate, come faceva spesso quando rifletteva su un problema spinoso. «Non lo so.»

«Se ti ha mandato degli assassini, è pericolosa.»

«Mi stai dicendo che dovrei ucciderla.»

Kallian non si prese la briga di negare. «Sarebbe la soluzione più semplice. E definitiva.»

«Non credo mi volesse davvero morta.»

Sbuffò. «Me l'hai già detto, ma non vedo come commissionare l'assassinio di qualcuno non significhi volerlo morto.»

«È stata lei ad addestrarmi. Sa cosa sono in grado di fare, quattro uomini non mi sarebbero stati difficili da eliminare, anche da sola.»

«Quindi cosa proponi, bussare alla porta e vedere se ci offre un tè coi dolcetti?» Ribattè in tono tagliente l'elfa, lanciando un'occhiata astiosa agli alberi intorno a loro. «Anche in caso tu avessi ragione e fosse un invito ad andare da lei a Denerim... sarebbe sicuramente solo per ucciderti lei stessa. È chiaramente una trappola.»

La sentì ridacchiare. «Sei molto più preoccupata tu di me.»

Le rivolse uno sguardo incredulo. «Mi sorprende che tu non lo sia.»

«So che posso contare su di voi. Marjolaine e i suoi tranelli non mi spaventano.»

“Finchè non rischi di trovarti un coltello tra le costole...” pensò piccata Kallian, ma lasciò cadere l'argomento, sistemando il giaciglio per la notte. Dall'altra parte del campo, Morrigan e Natia stavano preparando la cena, mentre i due Custodi Grigi parlottavano in modo concitato con Arle Eamon ed Elissa.

«Credi davvero che i nobili lo appoggeranno? Come re, intendo.»

«Alistair?» La vide sorridere. «Sarebbe un buon re, anche se non se ne rende ancora conto.»

Kallian era scettica. «Sicura?»

«Come Custode ha dimostrato di essere onorevole, è un buon guerriero e non ha mai avuto la spocchia di qualcuno cresciuto per il comando, mentre si è sempre guadagnato quello che ha. E sembra avere il cuore al posto giusto, che è una rara cosa quando si parla di regnanti.» Fece una breve pausa, lo sguardo che vagava sul diretto interessato. «In più, credo che con qualcuno istruito ad essere una teyrna al suo fianco, possa prendere anche le decisioni più difficili.»

L'elfa pensava che Elissa potesse essere effettivamente una buona regina. «Avrebbe il sostegno di tutti i nobili che supportavano i Cousland.»

«Loghain ha fatto un terribile errore, a fidarsi di Howe. Lasciare in vita anche solo un testimone di quello che è accaduto ad Altura Perenne potrebbe rivoltargli contro gran parte dei bann.»

«L'unico modo per sconvolgerli è uccidere qualcuno dei loro...»

Sussultò, quando la mano di Leliana si posò sulla propria. Incontrò gli occhi azzurri dell'altra, fissi nei suoi. «Quello che vi è stato fatto da Vaughan è imperdonabile, ma non tutti sono così. L'hai visto, Elissa è una persona completamente diversa.»

Kallian ritrasse la mano, evitando il suo sguardo. «Non ricordo che l'Enclave di Altura Perenne avesse una gran reputazione.» Ribadì gelida. «A detta di alcuni, era peggio che a Denerim. Nelaros veniva da lì.»

«Il tuo...?»

«Già. Il mio non-marito.» Rispose in tono piatto. Strano come ormai non le facesse quasi più effetto parlare di quel giorno. C'era stata vergogna, rabbia, dolore. Ma ora, dopo mesi, aveva relegato tutte le emozioni in un angolo remoto della sua mente.

«Tornerai a salutare la tua famiglia?»

Sospirò. «Non lo so. Se... me ne sono andata in piena notte senza dire niente a nessuno. Mio padre ne sarà rimasto distrutto, perdermi una seconda volta... Ho paura che se torno, non vorrà più vedermi partire.»

«Una volta sconfitto il Flagello, nulla ti impedisce di restare...» Sembrò che Leliana volesse aggiungere qualcosa, ma si zittì in fretta, lasciando la frase in sospeso.

Stavolta fu Kallian a voltarsi verso di lei. «Non potrei mai tornare a vivere nell'Enclave. Non dopo quello che ho visto, quello che ho fatto. Non tornerò ad essere niente, ad abbassare lo sguardo quando un umano mi rivolge la parola, a scusarmi per errori che non ho commesso solo per via delle mie orecchie a punta.»

L'elfa sapeva che suo padre, Shianni e Soris non avrebbero capito. Le mancavano però, avrebbe voluto rivederli, far sapere loro che era viva, stava bene, si era ripresa. Che stava facendo qualcosa della vita che le era stata data, qualcosa di importante. Voleva che suo padre sapesse che sua figlia non era un' elfa qualsiasi, che era come la madre, una guerriera. «Vorrei rivederli.»

«Vuoi che ti accompagni?»

Rimase sorpresa dalla proposta. Tornare, armata di tutto punto e così diversa, sicura di sé nonostante tutti nell'Enclave sapessero cosa le era successo, e per di più accompagnata da un'umana...

Si sorprese ad annuire. «Mi farebbe piacere.»

L'altra sorrise, portandosi una ciocca dietro l'orecchio. «Saremo parecchio impegnate a Denerim, allora.»

Si stese contro la corteccia dell'albero, ignorando l'umidità e chiudendo gli occhi. «Già. Tu hai idea di cosa farai dopo?»

Leliana ci mise qualche secondo a rispondere. «Ho viaggiato in lungo e in largo da quando sono partita con i Custodi da Lothering... e pensare che quando fuggii nel Ferelden, credevo che le mie avventure fossero finite. Sono lieta di averli seguiti. E di avere incontrato te.»

«Credi che fosse nei piani del Creatore?» Chiese, sentendosi avvampare.

«Credo che Lui ci metta alla prova ogni giorno, e che tutto accada per un motivo. Se sono partita da Lothering, se il nostro viaggio ci ha unite verso uno scopo più grande di noi... sono contenta di aver seguito la mia visione.»

Doveva essere confortante, credere in un piano divino che desse un motivo a tutto quello che succedeva. Kallian era tentata di crederci anche lei, dopo quello che aveva visto in quei mesi.

«Io vorrei continuare a viaggiare.» Proseguì Leliana.

Guardò la donna, che sorrideva serena. «Non so se voglio affrontare altra morte.»

Si spostò impercettibilmente verso di lei, fino ad essere spalla contro spalla. Quel tocco la confortava, molto più di quanto si sentisse a proprio agio ad ammettere.

«Sai, l'orrore può trovarsi dappertutto, se si cerca abbastanza, ma la stessa cosa vale per la bellezza.» La guardò negli occhi, e l'elfa sentì un nodo alla gola. «C'è così tanto altro, là fuori, un mondo di avventure, e di storie che ancora devono essere raccontate. Voglio esserne parte.»

Le strinse di nuovo la mano. Il suo sorriso era caldo, accogliente. «Mi piacerebbe condividerle assieme.»

Si ritrovò a ricambiare quell'affetto, annuendo. «Non sembra male.»

Leliana si portò la mano al petto, ancora stringendo la sua. «È deciso allora. Tu ed io, in cerca di avventure e fortuna per il mondo!»

«Non troppe.» Borbottò Kallian, imbarazzata, intercettando lo sguardo divertito di Natia e Zevran, seduti poco lontano da loro. «Ne avremo abbastanza per un po'.»




 

La capitale era orribile.

Aenor, frastornata dalla quantità di gente che girovagava per il mercato, faticò a seguire gli altri verso la tenuta di Arle Eamon.

Avevano attraversato gli enormi cancelli, superando le mura di pietra che circondavano la città, inoltrandosi per la via principale che portava al centro. Vi erano negozi ovunque, mercanti che urlavano promuovendo le proprie merci, bambini che correvano infilandosi tra le gambe dei passanti, borseggiatori in attesa della prossima vittima, viaggiatori stanchi in cerca di riposo e svago, ricche signore in abiti ricamati che scrutavano con occhio critico le bancarelle dei mercanti più alla moda, mentre mendicanti e straccioni di ogni genere restavano appostati agli angoli delle vie, pregando per una moneta di rame o due che gli permettesse un pasto decente. Gli edifici, prevalentemente di legno, erano a più piani, alti e incastrati gli uni sugli altri in un labirinto angosciante.

Rabbrividì, rimpiangendo le foreste.

«Noi penso ce ne andremo alla locanda dell'altra volta...»

Si girò sorpresa verso Geralt, che per tutto il tempo era rimasto accanto a Jowan con fare protettivo. Gli uomini dell'Arle avevano continuato a lanciare occhiate omicide, mentre il loro signore li ignorava forzatamente, ma nessuno aveva osato sfidare il mago e la Custode.

Aenor annuì. «D'accordo, ma tenetevi reperibili.»

Natia, accanto ai due maghi, le fece cenno di stare tranquilla, mentre Zevran ridacchiava. «Li terremo d'occhio noi.»

Li guardò allontanarsi, fino a confondersi con la folla e sparire alla vista. Un po' li invidiava.

Il palazzo di Arle Eamon non distava molto dal mercato. Superato il cancello presidiato da un paio di guardie, tirò un sospiro di sollievo: il giardino all'interno era tranquillo, un pozzo di pietra e qualche statua di mabari le uniche presenze.

Accarezzò distrattamente la testa di Falon che, accanto a lei, teneva le orecchie basse, innervosito dal caos di quel posto.

La porta d'ingresso del palazzo si aprì di scatto, rivelando un gruppo di uomini in armatura.

Aenor ne riconobbe immediatamente uno, nonostante fossero passati mesi dall'ultima volta che l'aveva visto.

«Loghain.» Ringhiò Alistair, portando subito la mano all'elsa della spada.

Aemon fece loro segno di mantenere la calma. Non erano lì per spargere sangue, bensì per riunire la nobiltà dalla loro parte. E uccidere il reggente nel suo palazzo non li avrebbe aiutati.

«Howe!»

Aenor sobbalzò, mentre Elissa si faceva avanti, visibilmente furiosa. Al suo fianco, Biscotto ringhiava minacciosamente, pronto a scattare al primo ordine della padrona.

L'uomo che aveva puntato, un tipo di mezza età dall'aspetto viscido, i capelli grigi tenuti corti che incorniciavano un viso raggrinzito e un naso adunco, si contorse in una smorfia.

«Lady Cousland, vi rivolgerete a me come Arle di Amaranthine, di Denerim e Teyrn di Altura Perenne.» Persino la voce era sgradevole, viscida e piena di boria.

A quelle parole, la mano della donna ebbe un sussulto di rabbia, ma mantenne la posizione. «Possa il Creatore abbattermi prima che vi riconosca il titolo di mio padre, traditore.»

«Il dolore deve avervi fatta impazzire, Lady Cousland. Ciò che è successo alla vostra famiglia è stato un terribile incidente.» Ribattè Loghain, facendosi avanti. «Ciò spiegherebbe perché stiate prendendo le parti di un sobillatore come Arle Eamon e di un falso pretendente al trono di mia figlia.»

L'Arle lo fronteggiò impassibile, accanto ad Elissa. «Parlate di intrighi e macchinazioni, Teyrn Loghain, quando siete proprio voi a dividere il Ferelden.»

«Dividere? Non sono io quello che ha radunato i bann sotto le insegne di un bastarlo reale, Eamon!» Loghain lanciò uno sguardo sprezzante ad Alistair. Il ragazzo, accanto ad Aenor, sembrava star impiegando ogni sforzo per non caricarlo di peso e staccargli la testa sul posto. «Il Flagello è la vera minaccia, dovremmo affrontarlo uniti, sotto la legittima regina del Ferelden. La tua stessa sorella, la regina Rowan, ha combattuto con tutte le sue forze per salvare questo paese. E tu vorresti distruggerlo?»

Alla menzione di sua sorella, Aemon si irrigidì, incrociando le braccia al petto. «Non sono io a dividere il paese, Loghain, e questo lo sai.»

Aenor si sentì trapassare dallo sguardo del reggente. «Cailan aveva riposto la sua fiducia nei Custodi Grigi per salvarsi dalla Prole Oscura, e si è visto a quanto sono serviti.» Proseguì lui. «È il momento di pensare ai fatti e non di confidare nelle favolette per bambini.»

L'elfa sapeva che quanto appena detto dall'uomo non poteva essere più lontano dalla verità. Senza almeno un Custode Grigio, non avrebbero avuto nessuna speranza di salvarsi dalla Prole Oscura.

«Non posso perdonare quello che hai fatto, Loghain. Forse il Creatore può, ma non io.» Rispose gelido Aemon. «Il nostro popolo necessita di un re della stirpe dei Theirin. Sarò Alistair a guidarci verso la vittoria in questo Flagello.»

«Anche l'imperatore di Orlais pensava che non sarei riuscito a sconfiggerlo. E invece, guarda com'è andata. Aspettatevi la stessa compassione che ho avuto per lui, perché non c'è niente che non farei per il mio paese.»

Sembrava che ci credesse davvero. Seppur completamente pazzo, era chiaro anche ad Aenor che Loghain tenesse al Ferelden, anche al punto di portarlo alla rovina pur di seguire le proprie idee.

Il reggente fece segno ai suoi uomini di seguirlo, e a grandi passi uscirono dal cancello.

Sentì un tonfo, girandosi di scatto, allarmata.

Alistair, le nocche sbucciate contro pietra del muro accanto a sé, fissava il punto dov'erano spariti con odio viscerale. «Avrò la sua testa, fosse l'ultima cosa che faccio.»

Vide Elissa annuire, anche se si stavano riferendo a persone diverse.

Con la coda dell'occhio, la Custode vide una figura intrufolarsi all'interno del palazzo. Fece segno a Falon di catturarla.

«Ferma! Sto cercando aiuto!» Squittì quella una volta che fu immobilizzata, la schiena contro il muro. Aveva un forte accento orlesiano.

Aenor le strappò il cappuccio dalla testa, rivelando due orecchie a punta e tratti elfici. «Chi sei?»

«Mi chiamo Erlina, sono la dama di compagnia della regina Anora!» Squittì l'altra, terrorizzata.

«La regina...?»

«Aenor, lasciala parlare.»

Alistair le mise una mano sulla spalla, convincendola a lasciarla andare.

«Devo... consegnare un messaggio ad Arle Eamon e ai Custodi Grigi.» Erlina deglutì a vuoto, fissandoli spaventata. «Da parte della Regina.»

Alistair tese una mano, facendole segno di seguirli all'interno del palazzo. «Seguiteci allora, l'Arle è già entrato. Parleremo al sicuro da orecchie indiscrete.»

Salirono le scale che portavano allo studio dell'Arle, una grande stanza di pietra che ospitava un enorme scrivania di legno, un camino scoppiettante e abbastanza posto da discutere tranquillamente seduti delle questioni che li attendevano.

Dopo brevi presentazioni, Erlina si decise a spiegare il motivo della sua presenza.

«La regina, è preoccupata. Amava suo marito, no? E credeva che suo padre, il reggente, l'avrebbe protetto. Ma quando è tornato senza il re, dopo tutte le voci che giravano... Si è ritrovata in una posizione difficile. E ogni volta che chiedeva spiegazioni al padre, si sentiva rispondere di non preoccuparsi, lui evadeva ogni spiegazione. Così, la regina comincia a sospettare di non potersi fidare di suo padre. E Loghain è molto... discreto, no? Ma Arl Howe non lo è così tanto.»

Elissa si irrigidì a sentirlo nominare. «Ma sa essere peggio.»

L'elfa annuì vigorosamente. «La mia regina allora decide di andare da lui. Una visita al nuovo Arle di Denerim è cortesia, non desta sospetti... Chiede spiegazioni, su quanto successo ad Ostagar, ma anche sugli avvenimenti di Altura Perenne.» Si torceva le mani, in apprensione. «L'ha insultata in ogni modo, chiamandola “traditrice” tra le altre cose, e l'ha rinchiusa in una camera per gli ospiti!»

«Quindi? Le guardie reali dovrebbero andare a liberarla.» Ribattè Alistair. «Non vedo come ci riguardi.»

«Se vedessero arrivare gli uomini del palazzo, la ucciderebbero all'istante!»

«Loghain non permetterebbe ad Howe di uccidere sua figlia.» Commentò Elissa con sicurezza. «Ma potrebbe essere tutto un piano per fingere che sia morta. Darci la colpa fino all'Incontro dei Popoli, accusarci di aver tolto di mezzo la Regina per mettere sul trono Alistair.»

Erlina annuì di nuovo. «Loghain non vuole sua figlia morta, ma Howe... ho paura che possa ucciderla comunque, e accusare voi. Quell'uomo, la sua ambizione non ha fine.»

«Credimi, so di cosa parli. L'ho sperimentata io stessa.» Elissa si rivolse quindi ad Aemon e ai due Custodi. «Dobbiamo tirarla fuori da lì.»

Aenor contrasse la bocca in una smorfia. «Dobbiamo proprio?»

«Se la liberiamo, sarà in debito con noi.» Si intromise Alistair con fare pensoso. «E la sua voce può convincere molti indecisi all'Incontro dei Popoli. »

«E se quanto sappiamo da quelle lettere è vero... Non avrebbe molte alternative.» Concluse Elissa, scambiandosi un rapido sguardo con Aemon.

La Custode sbuffò. Ovviamente, non erano arrivati da neanche un paio d'ore che già avevano un problema da risolvere. «Fenedhis lasa... e va bene. Qual è il piano?»

Fu Elissa a risponderle. «Ci intrufoleremo nel palazzo.» Guardò Erlina in cerca di aiuto. «Hai modo di farci entrare di nascosto?»

L'elfa annuì. «Howe ha assunto molte nuove guardie ultimamente, posso facilmente procurarvi un paio di uniformi.»

«Perfetto, e una volta che saremo dentro-»

«No Alistair, tu resterai qui.» Si oppose Elissa, zittendolo. «Non possiamo permetterci che ti scoprano e ti uccidano. Sei la sola ragione che ci ha permesso di indire un Incontro dei Popoli, senza di te avremo lavorato invano per mesi.»

Il ragazzo aggrottò le sopracciglia. «No, non se ne parla. Vengo con voi, è pericoloso.»

«Proprio per questo farai come ti ha detto.» Si ritrovò a dire Aenor, dando ragione ad Elissa.

Anche Aemon pareva pensare fosse un buon piano. Al Custode non restò altro da fare che capitolare, minacciando di fare irruzione da solo nel palazzo nel caso fossero state catturate.




 

Kallian cercò di sistemarsi nuovamente l'elmo sulla testa, in modo che non le schiacciasse la punta dell'orecchio ancora intatto. Erano stati forgiati per un umano, quindi le andavano grandi sulla fronte e stretti sui lati. Anche Aenor sembrava infastidita, ma non lo dava a vedere.

Geralt, il bastone da mago comodamente trasformato in un ramoscello, si muoveva impacciato nell'armatura, chiaramente non abituato a tutto quel peso. Fortunatamente era più in forma della maggior parte dei maghi, o probabilmente non sarebbe riuscito nemmeno a fare qualche passo.

Elissa, dietro di loro, procedeva in silenzio. La tensione era palpabile.

Il palazzo era cambiato molto poco da l'ultima volta che era stata lì dentro, e ricordava perfettamente dov'erano le camere dell'Arle.

La regina, rinchiusa in una delle stanze degli ospiti, li aveva spediti alla ricerca del mago che aveva imposto il sigillo sulla porta e che probabilmente era al fianco di Howe lì da qualche parte. Geralt aveva inutilmente provato a rompere il sigillo, decretando infine che l'unico modo di aprire la porta era impossessarsi della chiave con la runa magica usata per chiuderla.

Trovarono le stanze dell'Arle deserte, a parte dei documenti che portavano il sigillo dei Custodi.

«E ti pareva...» Commentò Aenor con uno sbuffo, lanciando un'occhiata alla porta dietro di loro, che conduceva ad una serie di scale verso i piani inferiori. «Sotterranei?»

Kallian deglutì a vuoto, annuendo.

La porta non era nemmeno chiusa. Scesero per degli scalini ripidi e stretti, solo parzialmente illuminati dalle torce.

La prima sala che incontrarono ospitava delle piccole celle a muro, a malapena grandi a sufficienza per ospitare un uomo. L'unica guardia, accanto ad una di esse, si voltò allarmata sentendoli arrivare, ma prima che potesse emettere un suono, un braccio nudo scattò fuori dalle sbarre, afferrandolo per il collo e strattonandolo all'indietro.

Il suono del cranio contro il metallo rimbombò sulle pareti di pietra, mentre il prigioniero recuperava le chiavi della cella, appese alla cintura del cadavere, e si liberava in pochi istanti.

«Aspettavo un'occasione del genere da mesi.» Commentò, la spada della guardia in mano, pronto ad attaccare. Dall'accento sembrava orlesiano, ma non ne era sicura. Indossava soltanto un perizoma lacero, ma il fisico sottostante, sebbene provato da mesi di prigionia, lasciava intendere che fosse ben addestrato al combattimento.

«Hei, calmo, non stiamo con Howe.» Lo fermò subito Aenor, alzando le mani davanti a sé e togliendosi l'elmo.

L'uomo restò per un attimo spiazzato, ma annuì, abbassando l'arma. «Sono Riordan, dei Custodi Grigi di Jader, ma nato e cresciuto ad Altura Perenne. Chi devo ringraziare...?»

«Aenor, dei Custodi Grigi. Ed Elissa Cousland.» Rispose asciutta la dalish. «Come ha fatto Howe a catturarti?»

L'altro rispose con una smorfia. «Finta ospitalità e un calice avvelenato... ma ho piacere di incontrare una dei pochi Custodi rimasti.» Spostò lo sguardo su Elissa. «Le mie condoglianze per quanto accaduto alla vostra famiglia, mia signora. Ricordo Altura Perenne e la vostra famiglia con affetto.»

Lei chinò un poco il capo. «Il responsabile verrà punito come merita, Custode, ma grazie per le vostre parole. Ce la fate a combattere?»

Quello scosse la testa. «Ho paura che mesi di prigionia mi abbiano indebolito troppo.»

«Vai alla tenuta di Arle Eamon, l'altro Custode, Alistair, si trova lì.» Disse Aenor.

L'uomo annuì, prima di chinarsi sul cadavere della guardia e cominciare a spogliarlo dell'armatura. La Custode fece cenno agli altri di proseguire. Percorsero un altro corridoio buio, che sbucava in una stanza più grande e illuminata, quattro uomini armati di guardia.

Non riuscirono ad ingannarli e dovettero quindi combattere.

Superarono così gran parte dei corridoi. Kallian era davvero lieta che il mago fosse venuto con loro, da sole sarebbe stato difficile sconfiggerli tutti.

Ad un certo punto, sentirono grida di aiuto provenire da una delle porte laterali.

Sbarazzatisi delle guardie, trovarono un uomo legato ad un'asse, mani e piedi in trazione grazie a due ruote che venivano girate tramite una manovella.

«Aiutatemi! Non lasciatemi qui, liberatemi! È un ordine!»

Chiaramente, era un nobile.

Kallian gli si avvicinò, squadrandolo dall'alto in basso con disgusto. «Non mi pare il modo di chiedere aiuto, shem.»

L'altro le rivolse quello che doveva essere uno sguardo di superiorità, ma che da quella posizione sembrava un patetico tentativo di riacquistare almeno un pizzico di dignità. «Taglia quelle corde, orecchie a punta! Tsk, non posso credere che mio padre mi abbia tenuto così a lungo qui dentro per poi mandare una stupida elfa a tirarmi fuori...»

Kallian tamburellò sul legno, considerando di lasciarlo lì ancora un po'. «Non ho proprio idea di chi sia tuo padre, ma se credeva di rinchiuderti qua sotto per farti imparare le buone maniere, pare abbia fallito miseramente.»

Prima che potesse rispondere con altri insulti, sopraggiunse Elissa.

«Oswyn?»

Il prigioniero sembrò illuminarsi. «Lady Elissa! Oh, meno male. Dite alla vostra serva di liberarmi-»

«Vedo che mesi di prigionia non vi hanno fatto imparare niente.» Lo interruppe gelida lei, tagliando però le corde che lo legavano. «Senza queste due elfe, sareste rimasto a marcire qui dentro per sempre. Siete fortunato che vostro padre, Bann Sighard, occupi un ruolo di rilievo per il nostro paese.»

Oswyn si mise in pedi a fatica, barcollando. Scrutò le due elfe con supponenza, prima di bofonchiare un ringraziamento che suonava assolutamente falso. Si inchinò poi nuovamente verso Elissa. «Parlerò con mio padre, appena uscito da qui. Picco del Drago e i suoi uomini sono dalla vostra parte, mia signora. Mio padre non aveva idea con quali serpi si fosse schierato.»

«Ce la fate a raggiungere l'uscita? Potrete confondervi con le guardie e tentare di uscire dall'ingresso di servizio.»

L'altro annuì. «Vi ringrazio.»

A Kallian non sfuggì che sembrava essersi rivolto solo e soltanto ad Elissa.

«Non fosse stato per suo padre, l'avrei lasciato lì sopra molto volentieri.» Commentò piccata.

Aenor sfiorò con le dita la manovella del meccanismo di tortura, sovrappensiero. «Già.»

Proseguirono attraverso una porta alla loro sinistra, che li condusse verso altre celle. Una voce cantilenante rimbombava tra le pareti di pietra, portandoli ad investigare.

«Creatore abbi pietà del tuo fedele servitore. Concedimi un posto al tuo fianco, le fiamme della tua purezza.»

«Questa tiritera mi sa di templare.» Commentò acido Geralt, sbattendo stizzito il bastone da mago sul pavimento. «Non dovremo liberare anche lui, spero.»

E infatti, proprio di un templare si trattava.

«Oh Andraste, sposa del Creatore, abbi pietà di me!» Esclamò appena li vide. «Alfstanna, sei tu, sorellina?»

Il mago scoppiò a ridere, un suono crudele. «No, non credo, templare.»

«Come fai a capirlo?» Chiese Kallian, incuriosita.

Lo vide sollevare le spalle. «Posso avvertire il lyrum dentro di lui. Anzi, l'assenza di lyrium, per essere precisi. È in astinenza da parecchio.»

«Sono Irminric Eremon, cavaliere dell'Ordine dei Templari.» Si presentò l'uomo. Notò che tremava leggermente. «Non siete uomini di Howe.»

«No, infatti.»

«Eremon? Siete il fratello di Bann Alfstanna Eremon?» Si intromise Elissa, avvicinandosi alle sbarre. «Geralt, tiralo fuori da qui.»

Il mago però non si mosse. «Non vogliamo chiedere come sia finito qua sotto?»

«Che importa, sua sorella-»

«Ero stato incaricato di dare la caccia ad maleficar scappato dal Circolo.» Rispose il templare, precedendoli. «Creatore, ho fallito, e non ho impedito che usasse la sua magia del sangue per compiere atti atroci. L'ho rintracciato a Redcliffe ma...»

Aenor sbuffò sonoramente. «Fammi indovinare, sta parlando di Jowan.»

Geralt annuì. Kallian portò istintivamente una mano verso l'arco, nel caso il mago decidesse di uccidere l'uomo indifeso.

«Sì, così si chiamava. Era riuscito a distruggere il suo filatterio, e quindi rendere più difficile l'inseguimento. Ero da solo, quando gli uomini del Teyrn mi hanno attaccato, imprigionandomi.»

«Dovremmo quindi esserne dispiaciuti?» Sibilò Geralt, scintille minacciose che si levavano attorno al suo bastone magico.

Aenor si frappose con un rapido movimento tra lui e il prigioniero. «Geralt. Jowan è ormai al sicuro, questa vendetta non ha senso.»

La guardò con aria di sfida, e per un attimo Kallian temette che i due sarebbero venuti allo scontro. Alla fine, però, il mago capitolò abbassando il bastone.

«E va bene, Aenor.»

Il templare non sembrava riconoscente, guardandoli con aria persa. «Siete reali, quindi? Non demoni usciti dai miei sogni?»

«Vostra sorella vi sta cercando. Non si è rassegnata alle voci sulla vostra morte. Vi libereremo e potrete andare da lei.» Rispose Elissa, cercando di convincerlo.

Scosse il capo. «Solo il Creatore può liberarmi dalla vergogna del mio fallimento.» Sollevò la mano destra, dove un piccolo anello dorato spiccava sul dito medio, togliendoselo e consegnandolo alla ragazza. «Portatelo ad Alfstanna. Ditele di pregare per me...»

Prima che potessero ribattere, era già caduto in ginocchio, farneticando pezzi sconnessi del Cantico della Luce.

I quattro si scambiarono un'occhiata perplessa.

«Se non vuole essere liberato dalla sua prigione di sensi di colpa, sono lieto di accontentarlo.» Decretò Geralt, prima di dirigersi a passo spedito verso il corridoio.

Dopo un altro breve scontro, si ritrovarono in una stanza più ampia delle altre, con quattro celle anguste per lato. La puzza acre si aggrappava alla gola, e le torce alle pareti erano quasi tutte spente.

Un uomo dalla barba lunga e gli occhi incavati, spettrali, giaceva raggomitolato in una di esse. Sembrò non notarli nemmeno. Avvicinandosi, Kallian lo sentì borbottare qualcosa, la voce troppo bassa per distinguerne tutte le parole.

«... ritirarsi, siamo scappati, le urla...» lanciò un gemito terrorizzato, coprendosi le orecchie e barcollando avanti e indietro, gli occhi folli e spalancati.

«State sprecando il vostro fiato, quel pazzo non sa nemmeno che siete lì.»

Sobbalzò istintivamente, il terrore che le raggelava le membra. Quella voce, l'avrebbe riconosciuta ovunque. Strinse spasmodicamente l'arco tra le mani, il legnoferro che sembrava tremare quanto lei.

Anche gli altri si erano girati di scatto, ed Elissa stava già andando a controllare. «Chi-?»

«Allontanatevi da quella cella.» La fermò, afferrandola per un braccio. Mandando una silenziosa preghiera al Creatore, sperò di non dare a vedere il turbine di emozioni che la stavano inondando.

Entrò nel cono di luce proiettato dalla torcia appesa accanto alle sbarre della cella.

Vaughan Kendells, figlio del defunto Arle di Denerim, ricambiò il suo sguardo con un'espressione sorpresa.

«Non ci credo. La puttana dalle orecchie a punta!» Il ghigno crudele, nonostante il viso fosse scavato e sfoggiasse una barba non curata, era lo stesso che infestava i suoi incubi. «Tirami fuori da qui, è un ordine.»

L'uomo sobbalzò, quando lei afferrò con uno scatto una delle sbarre di ferro, sentendo una furia cieca impossessarsi di lei.

«È lui?»

Nemmeno si voltò. Annuì in risposta alla domanda di Aenor, non staccando gli occhi dall'altro.

La dalish si avvicinò, appoggiandosi al muro di pietra.

«Liberatemi immediatamente, maledetti ratti!» Latrò Vaughan, strattonando le sbarre della cella. «Ve lo ordino, sono l'Arle di Denerim!»

Voleva ucciderlo.

Vedere scorrere il suo sangue sul pavimento, godersi il momento in cui la vita avrebbe abbandonato quegli occhi crudeli, non prima di averlo fatto soffrire come lei aveva sofferto. L'avrebbe fatto urlare, implorare di porre fine a quel tormento. Ma sarebbe stata misericordiosa, a differenza sua. L'avrebbe accontentato, alla fine.

«Geralt.»

Il mago si fece avanti, affiancandola. Guardò il prigioniero con un misto di disgusto e curiosità. «Conosco almeno una decina di modi per farlo soffrire in modo orrendo, se può aiutarti.»

Scosse la testa. «Lui è mio.» Indicò la serratura, che il mago ruppe con un semplice incantesimo solo sfiorandola con le dita. La porta si aprì verso l'esterno, mentre Vaughan si rannicchiava contro la parete, ora terrorizzato.

«Tu! Tu sei umano! Ti darò dei soldi, un sacco di soldi!» Il suo sguardo si soffermò poi su Elissa, riconoscendola. «Cousland!»

Kallian si girò di scatto verso di lei, pronta ad uccidere l'uomo all'istante se l'altra avesse anche solo suggerito di risparmiarlo. Non importava quanto aiuto potesse dare loro all'Incontro dei Popoli, Vaughan non sarebbe uscito vivo da lì, dovesse pure sfidare la Cousland per averlo.

Elissa, tuttavia, incrociò le braccia al petto. «Non avete idea di quanto mi dispiaccia vedervi vivo e in salute, Vaughan.» Calcò sul nome con disgusto, sputandolo tra i denti.

L'altro strabuzzò gli occhi senza capire, cercando inutilmente un modo di salvarsi. «Potrò testimoniare contro Howe! Mi ha rinchiuso qui dentro, dando la colpa agli elfi e alla loro maledetta ribellione! Non- non posso morire, sono l'Arle di Denerim!»

“Ribellione?”
Quelle parole non avevano senso.

«Cosa intendi per ribellione?!» Sibilò, afferrandolo per il colletto e strattonandolo contro il muro.

Vaughan si contorse in un altro ghigno, sputando per terra. «A qualcuno non è andato a genio che tu fossi una gran puttana, elfa. Hanno provato a ribellarsi, volevano parlare con il re in persona...» Si passò la lingua sui denti in un gesto osceno. «Ne abbiamo ammazzati a decine come cani, prima di rinchiuderli là dentro... chissà se alla fine hanno dato fuoco all'Enclave come avevo sugg-»

Solo quando sentì lo schiocco si rese conto di averlo colpito, fratturandogli la mascella.

L'uomo cadde a terra con un urlo, sputando sangue sulle pietre.

«Puttana, ti farò-»

Non seppero mai cose le avrebbe fatto.

Kallian alzò l'arco di legnoferro, calandolo sulla testa di Vaughan con tutta la forza che aveva, facendolo scivolare ancora di più sul pavimento. Sollevò di nuovo l'arma, colpendolo con furia, più e più volte, fino a che non smise di contorcersi, e ancora, tempestandolo di calci, il suono delle ossa rotte una gioia per le sue orecchie.

Stremata, appoggiò una delle estremità dell'arco a terra, fissando il cadavere ormai irriconoscibile.

Una mano le si posò delicatamente sulla spalla.

«Hei. È finita.»

L'uomo che l'aveva torturata, stuprata, privata della sua dignità, che le aveva tolto ogni briciolo di voglia di vivere, senza nemmeno garantirle una morte che le avrebbe concesso la libertà da quei ricordi, giaceva morto ai suoi piedi, macellato come una bestia.

Sentì come se un enorme macigno fosse stato rimosso dalla sua anima.

Annuì, afferrando la mano di Aenor e stringendola.

Era libera. Libera di andare avanti.

Voltò le spalle al cadavere, ripulendosi sommariamente il volto dal sangue con la manica, stringendo nuovamente l'arco a sé, il decoro di Falon'Din impresso sull'impugnatura che premeva contro il suo palmo.













Note dell'Autrice: oh, Vaughan, non mi stancherò mai di ammazzarti come la bestia schifosa che sei. "Like dogs, Shianni..." 
Che dire, Kallian si è presa una grande vendetta, e anche se la vera rivincita deve ancora arrivare, è stata una grossa soddisfazione e le ha dato una sorta di "chiusura" su quanto successo. E parlando di rivincite... non vediamo tutti l'ora di rincontrare Howe, giusto?
Al prossimo capitolo! :D 

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Capitolo 33
*** Denerim - Palazzo dell'Arle ***


CAPITOLO TRENTATRÈ:

DENERIM – PALAZZO DELL'ARLE



 

 

«Ma guarda, la Custode e l'ultima dei Cousland.»

Rendon Howe sorrideva, un ghigno di scherno sul volto, mentre le sue guardie tenevano lei e Aenor sotto tiro.

Elissa si sforzò di mantenere la calma, lo scudo alzato davanti a sé, pronta a difendersi. «Howe.»

«Mi sorprende che Aemon possa avervi mandato nel mio palazzo a massacrare me e le mie guardie, ma ho sempre pensato che fossi una puttana ostinata, ragazzina. Strano che tu sia arrivata fin qui, il tuo patetico padre deve averti insegnato meglio di quanto non sapesse fare lui stesso.»

Sentì il sangue salirle alle tempie. Come osava menzionare Bryce Cousland, l'uomo che lo aveva chiamato amico per così tanti anni e che non aveva esitato a massacrare nella notte?

«Ma non preoccuparti, presto sarai riunita alla tua famiglia.»

«Pagherai per quello che hai fatto, Howe.» Sputò lei, pronta ad attaccare, quasi incurante delle guardie tutt'attorno.

L'altro scoppiò a ridere, il suono che rimbombava per la stanza. «I tuoi genitori sono morti in ginocchio, pregandomi di risparmiare te e tuo fratello, che sta marcendo nel fango ad Ostagar. Per non parlare di quella puttana antivana di sua moglie e del loro marmocchio, oh, quanto mi sono divertito ad appenderli in bella mostra sulle mura del mio nuovo castello...» Schioccò la lingua, guardandola con scherno. «E tutto ciò che rimane della antica e nobile casata dei Cousland è una patetica ragazzina che si nasconde dietro un bastardo reale, due marionette nelle mani di Aemon.»

Ignorando disperatamente l'odio che la pervadeva, Elissa respirò profondamente, inviando una silenziosa preghiera al Creatore perché rendesse salda la sua mano. «Se avessi un briciolo di onore, Howe, ti batteresti con me in un duello leale. Solo tu ed io. Niente magia, niente guardie del corpo.»

Rise di nuovo, indicando gli uomini attorno a sé, che la schernirono a loro volta. «E perché dovrei mettermi in pericolo, quando sei caduta dritta dritta tra le mie grinfie? No, l'unica cosa che voglio è la tua testa, sarà una splendida decorazione per le mie mura!»

Fece segno ai suoi uomini di attaccare.

Una freccia si conficcò con uno schiocco nello scudo che Elissa aveva sollevato prontamente, nascondendocisi dietro. Aenor, accanto a lei, aveva girato su sé stessa, scostandosi verso destra. Attraverso il varco creatosi, arrivò una palla di fuoco rovente, che colpì in pieno petto uno degli arcieri di Howe. Geralt, dal corridoio, lanciò un'esclamazione di vittoria, mentre si preparava a lanciare un altro incantesimo.

Elissa non perse tempo. Lo scudo alto di fronte a sé, caricò verso Howe, che si era nascosto dietro uno dei suoi uomini. La Cousland ingaggiò prontamente la guardia, armata di uno spadone alto quasi quanto lei. Sfruttando il fatto che fosse più rapida di lui, riuscì dopo qualche attimo a sbilanciarlo, colpendolo al fianco con lo scudo e calando la propria arma tra le giunte del fianco.

Trapassò la carne da una parte all'altra. Quello cadde in ginocchio, e lei non si preoccupò nemmeno di finirlo, concentrata com'era a raggiungere il suo obbiettivo.

Howe era sbiancato, le due spade corte strette in mano, ma non perse terreno. Si gettò su di lei con furia, mentre una scheggia di ghiaccio le passava ad un soffio dal capo, il freddo che le congelò per un attimo il respiro.

Il mago nemico doveva essere lo stesso che aveva rinchiuso la regina Anora dietro la porta sigillata.

Una freccia lo distrasse da lei, dandole l'opportunità di incrociare le lame con Howe.

Con la coda dell'occhio, vide Kallian incoccare rapidamente di nuovo, il volto teso dalla rabbia.

Rendon Howe non era mai stato un combattente particolarmente forte, ma era scaltro e sembrava riuscire a raggiungere tutti i suoi punti scoperti.

Elissa maledisse per l'ennesima volta il suo occhio mancante, mentre sentiva la lama dell'avversario reciderle lo spallaccio e penetrare sotto la cotta di maglia leggera.

Si tirò indietro con un gemito, mentre Aenor correva in suo soccorso, mettendosi alla sua destra e tenendo a bada altri due uomini.

La ferita bruciava, probabile segno che la lama era stata intrisa di veleno, ma non sembrava letale.

Pregò che non fosse mortale, che le desse abbastanza tempo per sconfiggerlo. Ruotò la spalla, cercando di capire l'entità del danno: sembrava superficiale.

Un urlo d'orrore si levò dall'altro lato della stanza, mentre la temperatura calava vertiginosamente. Si sentì rizzare i capelli in testa, mentre tentacoli di magia oscura si sollevavano dai quattro cadaveri a terra. Una delle due guardie che rimanevano in piedi venne colta dagli spasmi, mentre Geralt urlava loro di spostarsi.

Elissa fece appena in tempo a proteggere lei ed Aenor con lo scudo, che l'uomo esplose dall'interno, una cascata di sangue nero e interiora che andò a imbrattare tutto nel giro di qualche metro.

Howe gridò di sorpresa e terrore, schivandone la maggior parte, ma il suo mago e l'ultima guardia non furono così fortunati. A contatto con la loro pelle, il sangue del compagno esploso cominciò a corroderli tra urla di dolore e suppliche di risparmiarli. Il tutto durò pochi secondi.

Elissa, lo stomaco rivoltato alla vista di quell'orrore, si costrinse a non guardare.

«Così ti accompagni a maleficar, oltre che a traditori.» Gracchiò Howe, cercando di ricomporsi. «Una volta che si saprà in giro, in quanti vorranno ancora appoggiarti, mi chiedo...»

«Lo vedremo.»

Si scontrarono di nuovo, ormai gli unici rimasti a combattere.

L'uomo non era equipaggiato né addestrato a sostenere un duello così a lungo, e ben presto l'età ebbe il sopravvento. I suoi affondi si fecero meno precisi, più deboli, mentre Elissa, che aveva puntato a sfiancarlo, stringeva i denti tentando disperatamente di non cedere al veleno che le faceva formicolare il braccio come se vi stessero piantando migliaia di schegge di vetro.

Una minima distrazione di Howe, e uno dei pugnali gli sfuggì di mano, andando a perdersi a parecchi metri di distanza. Elissa caricò con tutta la forza rimasta, bloccandogli l'altro braccio al muro e inchiodandolo sul posto.

«È finita, Howe, arrenditi.»

Le sputò in faccia. «Scordatelo.»

Prima che potesse rendersene conto, una freccia si conficcò nella mano dell'uomo, un piccolo coltello da lancio spuntato dal nulla che cadeva a terra con un tonfo.

Lo guardò con disprezzo, prima di tirargli una testata sfruttando l'elmo di metallo che portava sul capo, beandosi del suono prodotto dal rompersi del setto nasale.

L'altro si accasciò con un grugnito di dolore, tenendosi il volto sanguinante.

«Puttana, maledetta puttana!» Ringhiò cercando di strisciare via, lo sguardo che vagava alla disperata ricerca di aiuto, invano. Le guardie e il mago erano ormai in una pozza di melma che non aveva quasi più niente di umano.

Lo buttò a terra con un calcio, premendolo contro il pavimento.

«Bryce Cousland.» Gli sferrò un calcio nelle costole.

«Eleanor Cousland.» Lo colpì di nuovo, al fianco, mentre quello strisciava, patetico, farfugliando.

«Oriana Cousland.» Howe si tirò carponi, le dita che annaspavano sulla pietra, graffiandosi le unghie sporche di sangue.

Elissa lo raggiunse in due passi, spingendolo di nuovo a terra con violenza. «Oren Cousland!» Girò il tacco degli stivali sulla sua spina dorsale, spostando in avanti tutto il peso finchè non lo sentì urlare di dolore. «Voglio che tu riveda i loro volti, schifoso bastardo. Tienili bene impressi nella tua mente, perché il Creatore ti punirà per ogni singolo crimine che hai commesso, ma prima sarò io a giudicarti.»

Lo sentì ridere, un gorgogliare immondo che usciva dal suo volto tumefatto. «Piena di sé, come tutta la sua famiglia.» Sputò un grumo di sangue e denti, cercando di guardarla in faccia. «Per anni mi avete guardato dall'alto in basso, ma vi ho ammazzati tutti come porci bastardi.»

«Quasi tutti.» Replicò furente.

«E allora falla finita, ragazzina. Almeno dimostri più fegato di tuo padre.»

Alzò la spada, le due felci intrecciate simbolo della sua Casata che rilucevano sull'elsa nonostante fosse imbrattata di sangue.

Un uomo si giudica dalle azioni che compie, cucciola, non dal nome che porta.”

Le parole di Bryce Cousland le risuonarono improvvisamente nella mente, fermando la sua mano. Avrebbe voluto che sua figlia uccidesse un uomo ormai a terra, macellandolo nella sua stessa dimora, senza ottenere la prova dei suoi crimini?

Si morse il labbro, combattuta tra la sua sete di vendetta e ciò che sapeva giusto fare.

No, avrebbero usato quell'omicidio contro di lei, per screditarla davanti ai bann, presentarla come una bruta accecata dall'odio.

Howe doveva pagare, ma non era quello il modo.

Abbassò la spada, inspirando profondamente quell'aria che sapeva di morte.

«Evidentemente mi sbagliavo, sei tale e quale.»

Guardò l'uomo a terra con disgusto. «È il complimento migliore che mi possano fare.»

Si voltò verso Aenor e gli altri. «Se lo uccidiamo qui, non faremo altro che rafforzare la posizione di Loghain, che ci sta presentando come traditori assetati di sangue. Dobbiamo prenderlo prigioniero.»

La Custode aggrottò le sopracciglia, il tatuaggio sul viso appena visibile sotto tutto il sangue nemico. A vederla in quel momento, le balenarono in mente tutte le storie sui dalish con cui era cresciuta, che li dipingevano come selvaggi che non volevano altro che uccidere ogni umano che capitava loro a tiro. E nonostante tutto, tra loro si era formata un'intesa, anche se nessuna delle due l'aveva particolarmente cercata.

Aenor abbassò leggermente il capo, annuendo. «D'accordo. Ma come facciamo a farlo uscire da qui? Abbiamo anche la Regina da liberare.»

«Che il Creatore mi perdoni, ma credo di avere la soluzione ai nostri problemi.»

Non voleva credere a quello che stava per fare, ma si voltò verso Geralt, che si stava attorcigliando la barba tra le dita con aria indifferente.

«Puoi davvero controllare la mente delle persone, con la tua magia?»

Il mago schioccò la lingua con fare sorpreso, un atteggiamento che le ricordò per un istante Natia. «Tsk tsk tsk... Non starai davvero considerando l'aiuto di un maleficar e le sue arti proibite, vero? Proprio tu, così devota al Creatore e alla sua Sposa?» Le sue parole erano talmente cariche di sarcasmo che lei quasi si pentì di aver parlato.

Si fece forza, annuendo. «E invece è proprio quello che ti sto chiedendo.»

Il ghigno del mago si allargò ancora di più. «Frequentare cattive compagnie ti allontanerà dalla beatitudine, Lady Cousland.» Si avvicinò ad Howe, che lo guardò atterrito.

«No... uccidetemi e basta, non-»

«Oh, sarà divertente.» Commentò Geralt, chinandosi su di lui. Passò l'indice sulla guancia dell'uomo, imbrattandosi la mano del suo sangue. Poi, girato il bastone, si tagliò leggermente sulla lama che spiccava all'estremità inferiore di esso. «Non l'ho mai fatto prima d'ora, devo ammettere che è emozionante.»

Tentacoli di magia oscura si avvilupparono intorno alle sue dita, propagandosi poi tutto attorno a lui e andando ad avvinghiarsi attorno al corpo di Howe, che si dimenò in preda al panico, cercando di fuggire, Elissa che lo teneva ancora saldamente premuto a terra.

Svanirono come erano arrivati, lo sguardo dell'uomo ora vacuo e privo di espressione. Aveva smesso di dimenarsi e di emettere qualsiasi altro suono.

Ci fu silenzio per qualche attimo.

Fu Kallian a romperlo per prima. Evitando accuratamente di guardare nella loro direzione, sventolò davanti a sé una grossa chiave su cui riluceva debolmente una runa azzurrina. «Se avete finito di... fare qualsiasi cosa abbiate fatto, possiamo andarcene.»

Elissa annuì debolmente, cercando di non pensare a quello che aveva appena permesso. La magia del sangue era proibita, il Creatore non perdonava chi ne faceva uso, e i maghi del Tevinter avevano scatenato il Primo Flagello a causa di essa. Eppure, era l'unico modo per riuscire a portare Howe fuori da lì, tenerlo prigioniero finché non lo avessero fatto confessare i suoi crimini di fronte all'intero Incontro dei Popoli.

E allora perché si sentiva così sporca?

Aenor e Geralt sollevarono Howe di peso, senza che quello emettesse un suono.



 

La porta si aprì con uno scatto, il sigillo posto sulla serratura spezzato senza difficoltà. Dalla stanza emerse una donna, più minuta di lei, che indossava un'armatura leggera da guardia del palazzo.

«Vi ringrazio.» Disse la Regina Anora, accennando una riverenza. Il suo sguardo si soffermò su Howe, immobile come una marionetta. «È...?»

«Non c'è tempo per spiegare, Vostra Altezza, dobbiamo uscire da qui il più in fretta possibile.» Tagliò corto Elissa, ansiosa di andarsene da quel luogo. Da un momento all'altro potevano essere scoperti.

La Regina annuì, continuando però a lanciare occhiate sospettose all'uomo. Geralt aveva nascosto il bastone da mago, ma era chiaro che ci fosse sotto qualcosa di losco.

Sentirono del trambusto provenire dal salone accanto, mentre molti uomini gridavano concitati. Elissa si appiattì contro la parete del corridoio, sbirciando verso l'ingresso principale.

Una decina di uomini armati di tutto punto sembrava avessero fatto irruzione nel palazzo. Ne riconobbe una in particolare, che aveva accompagnato Loghain al palazzo di Aemon.

«Ser Cauthrien.»

Si voltò verso Anora. Pareva preoccupata.

«Sono venuti per noi.»

Sapeva già cosa doveva fare.

«Portate la regina e Howe fuori da qui. Aenor...»

La Custode annuì, senza nemmeno prendersi la briga di estrarre la spada.

Kallian le guardò senza capire. «No, aspettate, che-»

«Kallian, devi fidarti di me.» La interruppe la dalish, lo sguardo deciso puntato negli occhi quasi bianchi dell'altra. «L'Incontro dei Popoli è più importante. Aemon saprà cosa fare.»

«Ma-»

Fu Geralt a fermarla, afferrandole la manica della giacca. Lei si liberò con uno strattone, guardandolo in cagnesco. «Se le uccidono-!»

«Non succederà. Ora andiamo.»

Elissa non mancò di notare lo scambio di sguardi che si scambiarono il mago e la Custode, prima che se ne andassero nella direzione opposta, verso l'uscita di servizio.

Si incamminarono verso l'ingresso principale, fianco a fianco, togliendosi l'elmo dalla testa.

«Ferme!»

Ser Cauthrien, la spada puntata verso di loro, fece segno ai suoi uomini di circondarle.

«Nel nome di Teyrn Loghain, reggente del Ferelden, vi ordino di deporre le armi e consegnarvi alla giustizia!» Intimò loro. «Siete accusate di esservi introdotte nel palazzo dell'Arle e di averlo ucciso.»

Non era vero, ma per il momento avrebbero dovuto farlo credere. In ogni caso, al piano di sotto i corpi erano così scempiati dalla magia proibita di Geralt da non essere riconoscibili. Howe avrebbe potuto tranquillamente essere un'altra delle vittime del loro passaggio.

Portò una mano alla cintola, sganciando il fodero della spada e lasciando cadere a terra anche lo scudo, restando disarmata di fronte ai nemici. La Custode, dopo un breve attimo di esitazione, fece lo stesso.

«Prendetele.»

Venne strattonata e legata da un paio di uomini, portata fuori come una criminale.

Vide Aenor cercare di opporre resistenza e venire stordita con un colpo alla testa. Scelse di seguire docilmente gli ordini, cercando di capire dove la stessero portando.



 

Forte Drakon.

Le prigioni più temute del Ferelden, e loro erano proprio nell'ala più sorvegliata della fortezza. C'era un solo modo in cui i prigionieri uscivano da lì, si diceva, ed era in uno dei carretti che trasportavano i cadaveri verso le fosse comuni fuori dalle mura.

L'avevano spogliata, lasciandole solo una veste di tessuto grezzo, ruvida al tatto e troppo leggera per proteggersi dal freddo. Avevano anche chiamato un guaritore, che le aveva rozzamente fasciato la ferita che le aveva procurato Howe. Fortunatamente il veleno si era scoperto non essere letale, dandole solo un costante prurito e un senso di nausea per qualche ora, mentre la parte offesa riprendeva lentamente sensibilità.

La Custode, forse perché aveva inizialmente cercato di opporsi agli strattoni delle guardie che cercavano di immobilizzarla, forse perché era accusata di tradimento del re oppure semplicemente solo per il fatto di essere un'elfa, aveva ricevuto un trattamento ben peggiore: sedeva in un angolo, le ginocchia al petto, il volto pieno di lividi e il labbro tumefatto da uno schiaffo particolarmente forte, la veste strappata lasciava intravedere lividi su tutto il corpo, qualche macchia di sangue rappreso qua e là.

Appena una guardia si avvicinò a portar loro dell'acqua, l'elfa ringhiò qualcosa nella sua lingua.

«Che cazzo hai detto, eh, orecchie a punta?!»

La vide tirarsi in piedi, stringendo i denti per ignorare il dolore, e avvicinarsi alle sbarre sfidandolo a fare lo stesso.

«Nova Fen'Harel pala masa sule'din.» Scandì le parole una per una, sputando veleno in ognuna di esse. All'uomo, pur non capendo cosa stesse dicendo, bastò il tono.

«Vuoi dell'acqua, razza di selvaggia? Prendila!» Lanciò la caraffa che portava in mano, rovesciandola addosso alla Custode. Prima che potesse però rendersi conto di essersi avvicinato troppo, l'elfa lo aveva già afferrato per il polso, strattonandolo verso di sé e facendogli sbattere la faccia sul metallo, torcendogli il braccio dietro alla schiena mentre quello cercava di divincolarsi fino a che non risuonò uno schiocco di ossa rotte.

Le urla dell'uomo furono silenziate in fretta, mentre frugava tra le tasche alla ricerca delle chiavi. Dopo qualche secondo, lanciò una serie di imprecazioni sia nella sua lingua che in quella comune.

«Non ci sono chiavi né armi, vero?» Sospirò Elissa, che per un attimo aveva sperato di uscire da lì.

Aenor si risedette a terra, affranta. Diede un calcio al cadavere dell'uomo. «Dannazione.»

«Cosa gli hai detto? Prima, alla guardia.»

L'altra fece una smorfia. «Qualcosa che includeva il suo culo, Fen'harel il dio dell'inganno e una morte orribile.»

«Ah.» Le venne da ridere, ma delle urla provenienti da qualche altra cella vicino alla loro le fecero subito passare il momento di ilarità. Osservò in silenzio le catene sopra le loro teste, il muro imbrattato da schizzi di sangue, su di esso una scritta, incisa con mano tremante sulla pietra: “Andraste abbi pietà”. Sembrava vecchia. Chissà quanti erano passati lì prima di loro.

La pesante porta di metallo si spalancò di nuovo con un cigolio, lasciando entrare nella sala un piccolo gruppetto di uomini armati.

«Lasciateci.»

Riconobbe istantaneamente quella voce. Si alzò in piedi, cercando di darsi un contegno.

«Teyrn Loghain.»

L'uomo, un cipiglio severo sul volto maturo, chinò impercettibilmente il capo. «Lady Elissa Cousland.» Lo sguardo si posò poi sulla Custode e sul cadavere a terra, assottigliando gli occhi con disprezzo. «Vedo che la scia di sangue che vi portate dietro non sembra avere fine, Custode.»

«Non l'avrei fatto se non ci avessi dichiarato traditori e rinchiuso qua dentro, Loghain.»

«E cosa sareste, sentiamo.» Era imponente, Elissa gli arrivava appena alle spalle, l'armatura massiccia che lo faceva sembrare ancora più minaccioso, la spada sulle spalle, il naso importante e la mascella squadrata, incorniciati da due ciocche di capelli scuri a malapena striati di bianco. Eppure, il reggente sembrava stanco. «Avete spaccato il Ferelden in una guerra civile, radunato un esercito per combattermi e sviato l'attenzione dal vero nemico, il Flagello.»

Elissa rimase basita. «Credete davvero che siamo stati noi a dividere il paese?!» Ribattè incredula. «Siete stato voi a lasciar morire Re Cailan senza fare niente, dando la colpa ai Custodi Grigi! E sempre voi avete supportato un assassino che ha sterminato la mia famiglia, attaccato i bann che non si sono schierati in vostro favore, rapito i loro figli torturandoli per mesi! Per non parlare del fatto che avete mandato un mago del sangue ad assassinare Arle Eamon!»

Loghain non battè ciglio di fronte ai suoi crimini.

«L'Eroe del Fiume Dane, il salvatore del Ferelden, colui che ha sbaragliato l'Impero di Orlais.» Non poteva credere di avere di fronte a sé l'eroe della sua infanzia, l'uomo che aveva sempre sognato di incontrare. «Che delusione.»

«Non parlarmi come se sapessi qualcosa, ragazza.» Ribattè lui in uno scatto d'ira, il volto contratto. «Cailan si era fidato dei Custodi e delle loro sciocchezze al punto di voler combattere una battaglia che non poteva vincere! Non è stato un tradimento il mio, ma l'unico modo per salvare i miei uomini e ciò che restava dell'esercito del Ferelden.»

«Non-»

«Non eravate lì, Lady Cousland, cosa ne potete sapere voi, quindi? I Custodi vi avranno probabilmente raccontato di una grande e gloriosa battaglia, ma non è stato altro che un massacro.»

Elissa si voltò verso Aenor, in cerca di supporto, ma l'elfa aveva gli occhi verdi puntati su Loghain.

«No, invece, lo è stato eccome.»

Entrambi gli umani restarono sorpresi da quelle parole.

«Persino Duncan non credeva che Cailan ce l'avrebbe fatta, ma quello stupido idiota del vostro re sembrava non sentire ragioni. Forse col triplo degli uomini avrebbe potuto farcela, ma non così. Qualcuno, come per esempio il suo consigliere più fidato, avrebbe potuto dirglielo.» Concluse velenosamente.

«Credi davvero che mi desse retta? Ho amato Maric come un fratello, ma Cailan era avventato, pieno di sé e pronto a sbeffeggiare qualunque avvertimento. L'ho scongiurato di non scendere in prima linea, di aspettare un chiaro esito della battaglia prima di mettersi in pericolo di vita.»

«Come quando gli avete suggerito di non chiamare in aiuto gli Chevaliers di Orlais?»

Loghain la guardò sorpreso.

«Proprio così, Teyrn, sappiamo che Cailan era in contatto con l'Imperatrice Celene. E che le truppe Orlesiane sono state ricacciate indietro dal confine, senza che potessero aiutarci.»

«Strano che sia proprio una Cousland a parlare così, quando vostro padre Bryce fu tra i primi a schierarsi contro gli occupanti Orlesiani e la loro dittatura, rischiando di morire in battaglia al Fiume Bianco!» Si infervorò l'uomo. «Se avessi permesso agli Chevaliers di entrare indisturbati nel nostro territorio, chi ci avrebbe garantito che non sarebbero rimasti, una volta sconfitta la Prole Oscura? Perché l'Imperatrice vorrebbe mai aiutarci, se non per approfittare della nostra momentanea debolezza per annetterci nuovamente come provincia?!»

«Sapete benissimo perché, Loghain.»

«Sentiamo. Cosa ne pensa un'elfa dalish, delle sottili manovre politiche di uno dei più grandi imperi della storia?»

Aenor scosse la testa. «È vero, di politica non ne so niente. E avete ragione, una ragazzina che ha sempre vissuto nei boschi e che non sa nemmeno leggere nè scrivere è difficile abbia un parere sulle macchinazioni di voi potenti, ma la mia non è una supposizione fantasiosa. Abbiamo alcune delle lettere scambiate tra Cailan e l'imperatrice.»

Loghain storse la bocca, le narici che fremevano all'oltraggio.

«Vostra figlia dopo cinque anni di matrimonio non aveva ancora dato un erede al trono, e date le voci che giravano sulla sua incapacità di averne-»

«Menzogne!»

Elissa andò in aiuto della Custode. «Da quelle lettere si evince facilmente che re Cailan avesse un rapporto molto più stretto con l'Imperatrice di quanto fosse necessario tra due regnanti. Avete avuto paura che ripudiasse vostra figlia, credendo alle voci che la dichiarano sterile, per l'Imperatrice Celene.»

Sapeva di aver fatto centro. Loghain era furente, punto sul vivo.

«Avrebbe consegnato il Ferelden a quella serpe, distruggendo tutto ciò per cui io e Maric abbiamo dato tutto. E mia figlia sarebbe stata messa da parte come una roba vecchia di cui disfarsi, lei, che è sempre stata l'unica dei due in grado di gestire questo paese!»

«Quindi l'avete ucciso, lo ammettete!»

«Ho semplicemente lasciato che la sua stupidità avesse la meglio. Non mi ha portato alcuna gioia saperlo morto, credetemi. Ma ciò che ho fatto è stato per il bene del mio paese.»

Sembrava davvero convinto di quanto stava dicendo. Se fosse follia, paranoia o un demone a parlare per lui, Elissa non ne aveva idea, ma quello che aveva di fronte non era più un eroe, coraggioso e valoroso, ma un uomo come tutti gli altri, preda delle proprie paure e del proprio ego al punto di non riconoscere gli errori ed orrori commessi.

«Mettete da parte il vostro orgoglio, Teyrn Loghain, ed arrendetevi.» Provò a convincerlo. «Mentre perdiamo tempo e vite a combatterci tra di noi, la Prole Oscura avanza inesorabile. Uniamoci contro il vero nemico.»

«E credete davvero che, anche nell'ipotesi in cui io decida di cedere, il bastardo di Maric potrebbe arrivare a risparmiarmi? No, non gli basterà avere una tregua per combattere i Prole Oscura, glielo si legge negli occhi: vuole vendetta, e solo il sangue potrà soddisfarlo.» Scosse la testa, avvicinandosi a lei fino quasi a sfiorare le sbarre metalliche della cella con la fronte. «Sappiamo entrambi che non è adatto al comando, sarebbe un pessimo re. Forse è per quello che avete scelto di supportarlo, in modo da avere un burattino nelle vostre mani, malleabile e disposto a seguire ogni vostro ordine.»

Elissa sentì lo stomaco sprofondare. Era davvero quella l'idea che molti si erano fatti della loro relazione? Pensavano davvero che lei fosse un'approfittatrice del genere?

«Sapete, avremmo potuto essere alleati, noi due.» Proseguì Loghain, la voce ormai un basso sussurro. «Non aveste scelto la parte sbagliata, una mente brillante come la vostra avrebbe potuto essere un ottimo strumento contro il Flagello ed Orlais.»

Il sangue le salì immediatamente alla testa, ribollendo. «Il vostro alleato più fedele ha sterminato la mia famiglia a sangue freddo e voi parlate di alleanza?!»

Si trasse indietro di scatto, lanciando ad entrambe uno sguardo gelido. «Non ha importanza quello che credete, ormai non uscirete più da qui.» Diede loro le spalle, procedendo verso la porta chiusa, la mano che esitò un attimo sul metallo. «Per quanto può contare, Lady Cousland, non è stato sotto mio ordine quello che Howe ha fatto alla vostra famiglia.»

Prima che Elissa potesse urlargli dietro qualcosa, aprì la porta quel tanto che bastava a passare e la richiuse alle proprie spalle.

«Non ha funzionato.»

Si voltò verso Aenor, scivolando di nuovo a terra ed appoggiandosi alle sbarre con la schiena. «No.»

«Credi davvero ci lasceranno qui a marcire?»

Scosse la testa, non ne aveva idea. «L'Incontro dei Popoli è tra una settimana. Sono certa che Alistair ed Arle Eamon possano vincerlo anche senza di noi.»

«Hai molta fiducia in Alistair...»

Sollevò un sopracciglio, sorpresa. «Perchè, tu no?» Sapeva che tra i due Custodi non era sempre corso buon sangue, ma negli ultimi tempi sembrava che avessero trovato un'intesa e che fossero giunti, se non proprio ad un rapporto di amicizia, almeno ad uno di stima reciproca.

Aenor si sedette anche lei, le ginocchia strette al petto, la veste malconcia che copriva a malapena il corpo asciutto, nient'affatto minuto per essere un'elfa. «Fino a qualche mese fa non voleva che nessuno lo considerasse di sangue reale, e non ha mai detto di voler essere re.»

«Non vuol dire che non sarebbe un buon regnante, in caso di necessità. Anzi.»

«Sarebbe davvero capace di essere un buon re? Anche senza il tuo aiuto, o quello di Aemon?»

I dubbi dell'elfa erano fondati. Tutti i nobili si chiedevano la stessa cosa, e in molti si erano decisi a supportare la loro causa soltanto dopo aver saputo della relazione tra lei ed il Custode. Seppur all'inizio Elissa aveva creduto di star facendo un torto ai suoi doveri, e che avrebbero rischiato di minacciare tutto quello per cui stavano combattendo, si era poi resa conto che in molti guardavano a loro come il futuro del paese, ma soprattutto a lei. Nessuno aveva molta fiducia in Alistair, un bastardo spuntato dal nulla e con un addestramento da templare prima e da Custode Grigio poi, mentre il nome dei Cousland era rispettato in tutto il paese: Elissa veniva da una famiglia antica, che risaliva a due età prima dei Theirin stessi, suo padre aveva combattuto coraggiosamente per Re Maric, anni prima, schierandosi contro l'occupazione di Orlais. Bryce Cousland era stato benvoluto da tutti, tra i sudditi come tra la nobiltà, che ora vedeva in Elissa un'alternativa alla Regina Anora che, seppur Loghain fosse un eroe di guerra, era di umili origini.

«Alistair può non aver ricevuto un'educazione adeguata, ma non è uno sciocco. Non ha molta fiducia in sé stesso e preferisce seguire le indicazioni di chi crede più preparato, ma ciò conferma solo la sua umiltà. Cailan era a detta di molti un buon re, ma era troppo pieno di sé per seguire i consigli di chi ne sapeva più di lui, troppo accecato dall'orgoglio per ammettere di non essere in grado di pensare a tutto.»

«Era un idiota, altroché...»

Sorrise divertita. La Custode era sempre così diretta. «Alistair non ha abbastanza fiducia in sé stesso da darsi una possibilità. Crede di non essere mai all'altezza, nel proporre una strategia di attacco come nel gestire una situazione diplomatica, fino all'eventualità di sedere sul trono di suo padre. E forse è proprio per questo che ha le potenzialità di diventare un ottimo sovrano, attento ai propri doveri e alle necessità del suo paese senza essere accecato da fantasie di onori e gloria. Anche se la maggior parte dei nobili ancora non se ne rende conto, e nemmeno lui stesso.»

Aenor sbuffò. «Ti concedo che è un po' migliorato da quando l'ho conosciuto... si è dato una svegliata.»

«So che non andate d'accordo, ma-»

«Non è che non andiamo d'accordo, è che fin dal primo momento ci siamo detestati apertamente.» Ribattè l'elfa, ridacchiando nonostante tutto. «Era così fiero di essere un Custode Grigio, non aspettava altro che avere anche lui una bella armatura con i grifoni incisi sopra. E non riusciva a capire come Duncan, il suo adorato Duncan, avesse reclutato una stronza che aspettava solo un'occasione per svignarsela nei boschi e abbandonarli al loro stupido destino.»

«Volevi davvero andartene?»

«Alistair non ti ha raccontato niente?»

Arrossì. «Qualcosa. Ma non credo tu volessi seriamente-»

L'altra la fermò subito. «Me ne volevo andare eccome. Duncan mi ha trascinata ad Ostagar minacciando di legarmi come un mulo ostinato, ma appena mi lasciò in pace un attimo dopo l'Unione, pensai subito che sarei sparita durante la battaglia.»

«Ma non l'hai fatto, no?»

«Sono quasi morta, quindi no. Poi, quando eravamo a casa di Morrigan e sua madre, ho pensato “appena sto meglio, via di qua!”, ma alla fine mi sono lasciata trascinare a Lothering, e poi a Redcliffe... e una volta lì, con cadaveri rianimati e bambini posseduti, non potevo lasciare quello scemo di Alistair da solo in mezzo a tutto quel pasticcio, no?» Cercò di scostarsi i capelli dagli occhi, intrecciandoli dietro le orecchie. «Alla fine ho capito che non c'era modo di uscirne. L'Arcidemone me lo ricorda ogni notte.»

Elissa ebbe un impercettibile sussulto. «Sono così terribili?» Ogni volta che sentiva Alistair agitarsi nel sonno, cercava di non farglielo pesare, sistemandogli gentilmente le coperte o mormorandogli qualcosa nel tentativo di calmarlo. Inevitabilmente, al risveglio il ragazzo evitava qualsiasi accenno all'accaduto e sviava il discorso con una delle sue solite battute.

L'altra annuì, in silenzio, lo sguardo che vagava attorno a loro.

Da qualche parte, un prigioniero aveva ricominciato ad urlare, le grida strazianti che si propagavano per il Forte nonostante le spesse mura. Rabbrividì, cercando di non pensare a cosa le attendeva. Loghain era stato un uomo d'onore, non si sarebbe mai abbassato a torturarle... vero?

Era un uomo diverso quello che aveva visto, non l'eroe di cui raccontavano i suoi libri, il coraggioso e geniale stratega che si era messo in pericolo per il proprio paese e per il suo migliore amico nonostante non fosse che un semplice contadino e sfidando l'Imperatore di Orlais e tutti i suoi Chevaliers senza perdersi mai d'animo.

Ripensò a quanto raccontato da Alistair della battaglia ad Ostagar. All'odio che lo animava quando parlava di Loghain, lo sguardo omicida che aveva rivolto all'uomo quando se l'era trovato davanti il giorno prima.

«Loghain ha ragione su una cosa.»

Aenor la guardò incuriosita, il capo leggermente reclinato da un lato.

«Alistair è in cerca di vendetta. Non sarà soddisfatto finchè non avrà la testa di Loghain, anche se questo dovesse farci perdere alleati.»

«Perchè ti interessa?»

Elissa si mordicchiò un labbro, riflettendo sul da farsi. «Nel caso vincessimo il favore dell'Incontro dei Popoli, Loghain sarà costretto a capitolare. Ed Alistair chiederà la sua esecuzione, se non di essere lui stesso ad ucciderlo.»

«E lasciamoglielo fare, allora.»

Strinse i pugni. Stava davvero mettendo una buona parola per quell'uomo?

«In molti ancora lo considerano un eroe. E lo è stato, anche se ora non sembra. Deve pagare per ciò che ha fatto, ma credo sia fermamente convinto di aver agito nei migliori interessi del nostro paese. Ed è un brillante comandante, uno stratega spietato e un ottimo combattente. Sarebbe uno spreco ucciderlo e perderemmo il supporto di molti nobili che ancora seguono lui e sua figlia, la regina. Per non parlare dell'immagine che daremmo alla gente comune: il nuovo re, nemmeno ancora incoronato, che giustizia sommariamente l'eroe del popolo, il generale di umili origini terrore di Orlais.»

Aenon non rispose subito, sembrava riflettere. «Lo ammiravi molto, vero?» Chiese dopo un po'.

Elissa si sentì sprofondare. «Io e molti altri, siamo cresciuti tra i racconti della Guerra di Liberazione. Mi ricordo che con mio fratello e mio padre giocavamo spesso a inscenare le grandi battaglie, inseguendoci con spade di legno e scacciando gli invasori.» Sentì gli occhi inumidirsi, al ricordo di quelle giornate passate all'aperto con la sua famiglia, Lady Eleanor che fingeva disapprovazione nascondendo il sorriso dietro ad un cipiglio di disappunto, Fergus che, più grande di lei, le insegnava i primi affondi, suo padre che la sollevava in aria, chiamandola eroina del Ferelden dopo che avevano combattuto per ore contro malvagi oppressori immaginari.

«Sai che Alistair ti odierebbe per sempre se chiedessi di risparmiarlo.»

Annuì. Ne era ben consapevole, e ciò rendeva tutto molto più difficile.

Persino lei, che si considerava una persona onorevole, era scesa a compiere bassezze che non avrebbe creduto mai di poter approvare, tanto meno commettere. E nel palazzo dell'Arle di Denerim vi erano le prove, lo stesso Rendon Howe era in quel momento probabilmente tenuto come un burattino alla mercè del mago. Elissa sapeva che avrebbe dovuto sentirsi in colpa, pregare il Creatore e Andraste Benedetta di perdonarla per quell'atto spregevole, ma non era così: aveva fatto ciò che era necessario per un obbiettivo più grande.

Teyrn Loghain aveva probabilmente pensato la stessa cosa.






















Note dell'Autrice: vi aspettavate la testa di Howe rompersi come un uovo, eh? E invece... 
Elissa non sì è lasciata accecare dall'odio, la sua vendetta sarà servita fredda e sarà utile alla loro causa, non soltanto alla propria soddisfazione personale.
Loghain invece è difficilissimo da interpretare, spero di avergli reso giustizia. 
Tra Elissa ed Aenor alla fine, nonostante siano così diverse e la dalish all'inizio la disprezzasse apertamente, si è creato un rapporto di stima reciproca, simile a quello tra i due Custodi. Vediamo dove porterà. 
Geralt ha invece avuto la possibilità di divertirsi a sperimentare nuovi incantesimi, probabilmente non vedeva l'ora. *Kallian Greatly Disapproves* ma si fida abbastanza di Aenor da non discutere. Al prossimo capitolo! :D  

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Capitolo 34
*** Forte Drakon ***


CAPITOLO TRENTAQUATTRO:

DENERIM – FORTE DRAKON




 

Si incamminò a passo lento verso la porta indicata loro dalla guardia, attenta a non alzare lo sguardo, la testa bassa, cercando di non tradire il proprio nervosismo.

«Ah, mi ricorda i vecchi tempi.»

Lanciò uno sguardo di rimprovero a Zevran che, accanto a lei, sembrava assolutamente a proprio agio in quegli abiti macchiati di sangue e terra, il volto rilassato. Intercettandola, le strizzò l'occhio.

Insieme spinsero il carretto di legno nella sala successiva.

Un uomo era appeso per i polsi ad una delle numerose coppie di catene che pendevano dal soffitto, gli occhi spalancati e vuoti, un rivolo di sangue a colargli dall'angolo della bocca.

Kallian si accorse di starlo fissando troppo a lungo quando una delle guardie le tirò uno scappellotto sulla nuca, rimproverandola. «Quello è ancora vivo, orecchie a punta, non ti riguarda!»

«Anche se non per molto!» Rise un altro uomo, punzecchiando con una lancia il prigioniero appeso, che si lamentò a malapena nonostante la lama avesse fatto scorrere un po' di sangue.

«Oh, Creatore, guida queste povere anime a te, attraverso il Velo fino ad accoglierle al tuo fianco...»

«Sorella, questi sono i primi di molti oggi, cerchiamo di fare il rito abbreviato.»

Leliana li ignorò, sembrava avere tutte le intenzioni di recitare l'intero Cantico dei Defunti. Kallian si chiese quanto di quella sceneggiata fosse in realtà un vero desiderio di mandare in un luogo migliore le anime di quei poveretti morti là dentro. Lei e Zevran caricarono con uno sforzo i due cadaveri sul carretto, mentre Leliana, che indossava delle vesti clericali nelle quali si trovava assolutamente a proprio agio, continuava nella sua preghiera.

Le due guardie si stufarono in fretta, pungolando il prigioniero appeso e domandandosi cosa avrebbero servito per pranzo nelle baracche.

Concluso il Cantico, Leliana fece segno che era ora di proseguire.

Portarono il carretto dei morti nella sala successiva, inoltrandosi sempre di più nella fortezza.

Ogni suo istinto le stava urlando di scappare a gambe levate da quel luogo di morte, ma era l'unico modo per tirare fuori di lì Aenor ed Elissa. Arle Eamon non credeva che Loghain sarebbe arrivato ad ucciderle, ma non potevano essere certi, quindi avevano ideato un piano di salvataggio.

Una donna agonizzante lanciava le ultime grida di dolore, supplicando i suoi carcerieri di ucciderla. Kallian cercava di costringersi a non guardare, ma non poté evitarlo: l'avevano spogliata e legata ad un palo, facendo i turni per frustarle la schiena con una serie di lacci di cuoio. Gli schiocchi si facevano sempre più forti, mentre le urla andavano scemando.

Strinse i pugni, digrignando i denti.

Leliana, accanto a lei, indossava una maschera impassibile, ma la postura era rigida. Quel posto stava risvegliando memorie spiacevoli anche a lei. Le sfiorò una mano, come per caso, le dita che si intrecciavano per un attimo.

«Da questa parte.»

Superarono alcune gabbie sospese, raggiungendo un tavolo di legno su cui era legato gambe e braccia il cadavere di un elfo.

I lineamenti erano quasi irriconoscibili, ma Kallian poteva giurare di averlo visto all'Enclave, forse aveva lavorato al porto, prima di finire là dentro.

Con mano tremante, cominciò a tagliare le corde.

Zevran finì in fretta di liberare le gambe, andando a darle una mano con le braccia. Spostarono poi il corpo sul carretto di legno.

Fecero per proseguire, quando uno dei carcerieri li fermò con un fischio.

«Hei, restate qua ancora un attimo, abbiamo quasi finito!» Diede un altro colpo di frusta, più forte degli altri. La donna aveva ormai perso i sensi, la schiena dilaniata.

L'altro uomo sputò per terra. «Bah, portatela via, se non urla più non c'è nemmeno gusto.»

La poveretta respirava ancora, seppur a fatica. Kallian si chinò su di lei, la rabbia che la pervadeva. Non era giusto. Animali. No, neanche le bestie avrebbero potuto trovare divertimento in una barbarie simile. Tagliò i lacci che legavano la donna al palo, quella che le cadde tra le braccia, inzuppandole le vesti di sangue. Si ritrasse istintivamente, la mano con il coltello bloccata a mezz'aria.

Zevran le corse in aiuto, prendendole il corpo tra le braccia e sporcandosi anche lui, conficcando la lama all'altezza del cuore della donna, lo sguardo che non tradiva la minima incertezza.

Kallian, mentre continuavano il lavoro, si ritrovò ad invidiare il suo apparente menefreghismo. Sembrava che nulla lo potesse mai turbare.

Leliana nel frattempo recitava le parole del Cantico, cercando un Creatore anche lì, dove sembrava che persino la Profetessa Andraste non avrebbe saputo trovare la pietà di perdonare quegli uomini.

Non erano nemmeno a metà della preghiera, che le guardie che li avevano accompagnati fin lì si erano già stufati di far loro da balie.

«Beh, avete capito qual è l'andazzo, ora ripulite le altre sale e quando siete pieni levatevi dai coglioni. Noi abbiamo di meglio da fare.»

Andandosene, uno di loro le diede una pacca sul fondoschiena, scoppiando a ridere mentre si lanciava occhiate ammiccanti col compagno. «Chissà se riusciamo ad andare alla Perla dopo pranzo... questa qua è brutta come la peste ma ha un culo sodo come una mela!»

«Ah, mi fai venire un languorino...»

Le ci volle tutto il suo autocontrollo per mantenere la calma e non tagliar loro la gola. Ci sarebbe voluto un attimo, ma anche un solo urlo e la loro copertura sarebbe saltata, facendo fallire il piano e rischiando di uccidere la Custode e la Cousland.

Inspirò profondamente, pentendosene subito dopo quando la puzza che pervadeva quel luogo le riempì le narici, grattandole il cervello.

Strinse i denti.

Leliana continuò a recitare il Cantico finché anche i due carcerieri con la frusta ebbero perso interesse.


 

Il carretto era ormai quasi pieno.

La puzza di morte, sangue e altro era terribile.

«E pensa che due giorni fa è arrivato Loghain in persona!»

«Davvero? E che ci faceva qua il reggente?»

Caricarono l'ultimo corpo, le orecchie tese ad ascoltare i due uomini.

«Devi proprio tirarti la testa fuori dal culo, Cowen, dove sei stato fino adesso? È venuto per la Custode e quella traditrice della ragazza Cousland, per chi sennò?»

«Stai scherzando? Non ci credo!»

«Ti dico che le ho viste con i miei occhi! Mervis gli ha portato dell'acqua e l'elfa l'ha ammazzato staccandogli la testa!»

«Sciocchezze, credi veramente che-»

«Te lo giuro sulle tette di Andraste, ha usato uno dei suoi trucchi da selvaggia, si è trasformata, gli artigli lunghi come una zanna di mabari, e ha strappato la testa di Mervis senza manco dargli il tempo di urlare!»

L'altro sputò per terra. «Puoi giurare anche sulle tette di quella trippona di tua madre, non ci credo. Ne ho ammazzati abbastanza di elfi per sapere che non hanno artigli...»

«Ma è un'elfa speciale, questa! Una selvaggia dei boschi, e Custode Grigio poi!» Insistette il primo. «Glielo vedi negli occhi che è una macchina di morte, se non ci credi, vacci di persona! Ti farà a pezzi come Mervis, altrochè...»

«Sì, voglio proprio vederla questa... credo che ci andrò, solo per poterti dare una pacca sul muso quando scoprirò che sono tutte stronzate!»

Kallian guardò in direzione di Zevran, scambiandosi un cenno d'intesa. Seguirono l'uomo con discrezione fuori in corridoio, fingendo dover sistemare uno dei cadaveri che sporgeva dal carretto, finchè quello non fece scattare la serratura della pesante porta di metallo che li separava dalle celle dove erano tenute Aenor ed Elissa.

Prima che potesse richiudere la porta, Kallian gli scivolò accanto, arrivandogli alle spalle e recidendogli la gola con il piccolo coltello affilato.

L'uomo cadde a terra con un gorgoglio, annaspando nel tentativo di chiudersi la ferita. Lei non lo degnò di un secondo sguardo, mentre scandagliava la stanza alla ricerca di altre guardie. Una, di schiena, si girò di scatto verso di lei, allarmata.

Non fece in tempo ad estrarre la spada, che il pugnale di Zevran gli si conficcò poco sotto il mento. Spinsero il carretto all'interno, quel tanto che bastava a richiudere la porta.

«Era ora!» Li salutò Aenor con un sorriso, appoggiata alle sbarre della cella. Indossava una veste lacera e sporca di sangue ed era chiaro dai lividi sul viso e sul resto del corpo che fosse stata colpita.

Elissa, invece, sembrava incolume seppur infreddolita. «Speravo che vi sareste inventati qualcosa...»

«Non sarà piacevole.» Rispose Kallian con una smorfia, nel frattempo che Leliana armeggiava con la serratura della cella. Nessuna delle guardie sembrava avere le chiavi, segno che quelle due da lì non avrebbero dovuto uscire in alcun caso.

La Custode sbuffò sonoramente. «Strano, fino adesso è stata una passeggiata.»

«Mh, quando servirebbe Natia...» Dopo un paio di tentativi a vuoto, finalmente il meccanismo scattò, rompendo il chiavistello all'interno.

Aenor zoppicava leggermente, anche se cercava di non darlo a vedere. Sul volto di entrambe c'era lo stesso sguardo disgustato, mentre Zevran illustrava loro il piano.

«Allora, infilatevi là sotto. Nessuno guarda mai tra una pila di cadaveri, e una volta usciti indisturbati da qui, potremo lanciare questi poveracci in qualche fossa e tornare dall'Arle a farci un, se posso dirlo necessario, bagno profumato.»

Elissa arricciò il naso. «Non c'è davvero altro modo...?»

Kallian, che si stava spazientendo, si ritrovò ad alzare la voce. «Con le facce che vi ritrovate, qualsiasi altro camuffamento sarebbe stato inutile. Coraggio, muoviamoci.»

La Cousland prese coraggio per prima, avvicinandosi al carretto con aria di chi avrebbe preferito tornare in cella.

Leliana sembrò ricordarsi qualcosa all'ultimo, mettendogli in mano un paio di piccolissimi involti di stoffa. «Infilateli nelle narici, sono imbevuti di olii. Aiuteranno contro...» Accennò un inutile gesto di scuse.

Aenor scosse la testa, infilandosi le pezzuole nel naso e sollevando un paio di corpi. Kallian e Zevran corsero ad aiutarle, controllando che non si vedessero né i tatuaggi della Custode né la cicatrice sul volto di Elissa, che le rendevano riconoscibili quasi all'istante. Una volta soddisfatti, aspettarono il cenno di Leliana, che controllava il corridoio aspettando di avere via libera.

La strada del ritorno, col carretto pieno e il cuore che batteva all'impazzata, sembrò ancora più lenta.

Vedendoli faticare sotto tutto quel peso, Leliana si offrì un paio di volte di dar loro una mano, ma entrambi gli elfi furono categorici.

«Se vedessero una Sorella della Chiesa aiutare due servi elfici, si insospettirebbero subito.»

Le guardie non li degnarono di uno sguardo mentre percorrevano a ritroso i corridoi, le urla e i pianti dei prigionieri ora relegati in un angolo della mente mentre procedevano verso l'uscita di servizio, un passaggio angusto che portava all'esterno della fortezza e seguiva una stradina sconnessa, grande abbastanza per un singolo carro, che correva lungo tutto il lato occidentale delle mura della città, fino alla porta Ovest.

Cercando di muoversi il più velocemente possibile, superarono il posto di guardia davanti alle mura senza problemi, dirigendosi verso le fosse comuni, situate poco al di fuori di Denerim.

Appena furono certi di non avere nessuno a tenerli d'occhio, fecero rotolare tre corpi giù dal carretto, liberando le due fuggiasche.

Elissa si reggeva a stento sulle gambe malferme. Barcollò per qualche metro, prima di rimettere l'intero contenuto del suo stomaco all'angolo della strada. «Per il Creatore, non... mai più!»

«Fenedhis l-»

La Custode sarebbe caduta a terra se non ci fosse stato Zevran a sorreggerla. Le diede qualche colpetto di incoraggiamento sulle spalle, aspettando che prendesse un po' d'aria.

«Un piano splendidamente riuscito, non fosse per l'aroma...»




 

«Non ho alcuna intenzione di dare il mio supporto ad Alistair, se è questo che mi state chiedendo.»

Anora, come quasi tutti gli shem con qualche titolo nobiliare, si era rivelata una grandissima stronza.

Aenor si trattenne dal mollarle un ceffone. Quella donna le dava sui nervi e la conosceva da appena un'ora. Si ritrovò a pensare che, appena qualche mese prima, non si sarebbe fatta alcun problema ad insultarla e a mandarla recuperare la sua corona nel sedere di Fen'Harel.

Ora, suo malgrado, ingoiò il rospo: stavano cercando di essere diplomatici e, anche se per il momento avevano fallito, Aemon credeva che Anora non fosse poi così impossibile da convincere.

«Siate ragionevole.» Riprovò Elissa. «Abbiamo dalla nostra parte abbastanza bann da vincere questo Incontro dei Popoli, anche senza il vostro supporto. E a quel punto, rimarrete senza niente.»

«Mi state dicendo che dovrei cedere il trono soltanto perché rischio di perderlo?» Si accigliò la Regina. «Non rinuncio a ciò che è mio di diritto, soprattutto in favore di un ragazzino che non è nemmeno certo di volere il comando, figuriamoci esserne in grado.»

«Strano, che proprio voi parlate di essere in grado di fare qualcosa o meno... tipo, che so, essere in grado di avere figli, degli eredi al trono.»

Aenor si godette con soddisfazione il cipiglio di Anora trasformarsi in un'espressione di sorpresa e timore. Sicuramente si stava chiedendo come fossero così certe di quella accusa, come potessero mai avere le prove della sua sterilità.

Non le avevano, infatti. La Custode aveva corso un rischio a tirare in ballo quella diceria, ma sembrava averci preso.

La regina cercò di ricomporsi in fretta, un lieve rossore a comparirle sulle guance pallide. «Non... non so dove abbiate preso questa informazione, ma vi assicuro che-»

«La nostra guaritrice, Wynne, è una maga del Circolo esperta in molti campi. Le è bastato starvi vicina qualche minuto, mentre controllava la vostra salute dopo che siete arrivata qua dal palazzo di Howe, per capire che le dicerie erano vere.»

Anora digrignò i denti, la mascella rigida e contratta mentre cercava freneticamente di escogitare un discorso che la riportasse ad una posizione di potere. Prima che potesse riuscirci, Elissa la interruppe di nuovo.

«E se siete davvero preoccupata per il Ferelden, credendo che Alistair non possa essere un buon sovrano, sappiate che non governerà da solo.»

«Oh, ma certo, sono secoli che i Cousland non vedono l'ora di mettere le mani sulla corona-»

«Devo ricordarvi che vostro padre non ha alcun titolo nobiliare nel sangue? Discendete da umili contadini, Lady Anora, e per quanto Teyrn Loghain Mac Tir possa essersi distinto in battaglia e abbia acquisito ogni onore, una volta strappatigli i suoi titoli, finirete nella polvere.»

La regina squadrò entrambe per un lungo momento. «Quindi, mi state offrendo una scappatoia?»

«Un compromesso.» Ribattè Elissa. «Voi rinunciate a qualsiasi pretesa al trono, e in cambio vi tenete il titolo e i possedimenti di vostro padre. Teyrna di Gwaren, sareste comunque rispettata e tenuta in grande considerazione.»

Anora sembrò considerare la proposta. «Se siete così tanto sicura che Alistair possa vincere, perché volete anche il mio aiuto? Contro mio padre, per giunta.»

Elissa sospirò. «Siete una donna forte, Lady Anora, e le donne forti in posizione di potere sono sempre malviste.»

«Allora supportate me come regina, vi assicuro che non ho bisogno di un re al mio fianco per governare al meglio questo paese. Chi credete che gestisse davvero il Ferelden, Cailan? Era un brav'uomo, ma uno sciocco. E come sciocco è morto.»

Aenor un po' la ammirava. Certo, non l'avrebbe mai ammesso nemmeno sotto tortura, ma quella stronza lo era abbastanza da tenere testa a tutta quella gente come Aemon e gli altri bann, ed era abbastanza subdola e pragmatica che sarebbe stata anche una buona regina, probabilmente, se non ci fosse stata un'alternativa migliore per tutti, proprio sotto mano.

«Non dubito delle vostre capacità, ed è per questo che siamo qui a discutere di un'alleanza e non là fuori a risolvere la successione al trono come un branco di cani che si azzannano.» Ribattè Elissa, incrociando le braccia al petto. «Ma sapete benissimo che la consorte di un re defunto non può competere contro il sangue dei Theirin.»

«Sempre che Alistair sia davvero il bastardo che sostiene di essere...» Commentò piccata Anora.

Elissa non cedette di un millimetro, e se il commento l'aveva fatta indispettire, non ne diede segno. «I Cousland sono la seconda famiglia più potente del Ferelden, secondi solo ai Theirin e ancora più antichi di questi. Se la linea di Calenhad dovesse estinguersi, la mia famiglia sarebbe la preferita al trono in ogni caso.»

Anora abbassò le spalle, lasciando andare un sospiro. «Fatemici pensare.»

La Cousland annuì. «L'Incontro dei Popoli è fra tre giorni, spero che per allora avremo raggiunto un compromesso ragionevole.» Fece per girarsi e andarsene, quando la regina parlò di nuovo.

«Mio padre.»

Si voltarono entrambe.

«È un eroe di guerra. Amato dal suo popolo. Lo risparmierete?»

Non risposero.

«Alistair vorrà la sua esecuzione, ho visto con quanta ferocia lo odia. Se volete un compromesso, questa è una delle condizioni.»

Elissa se ne andò senza dare risposta. Aenor intercettò lo sguardo della regina, chinando leggermente il capo.



 

Riordan aveva detto loro dove trovare il magazzino dei Custodi Grigi, poco distante dalla grande piazza del mercato, oltre la locanda dove soggiornavano Geralt e gli altri.

Avevano superato Le Meraviglie del Thedas, dove un inquietante mago privo di emozioni aveva loro chiesto cifre spropositate per ogni singolo oggetto che aveva attirato la loro attenzione.

«Meno male che l'avete distratto a sufficienza...»

Si voltarono tutti verso Natia, che sogghignava soddisfatta facendo roteare in aria un rubino grosso quasi quanto il suo pugno.

«Che c'è? Come se non avessi mai rubato niente prima d'ora!» Si difese, facendo spallucce ed ignorando gli sguardi di disapprovazione. «Poi, Shale adora questa roba. E se hai un golem gigante nei paraggi, conviene tenerlo di buon umore.»

«Sì, sono certo che l'hai fatto proprio per il tuo buon cuore.» Commentò Geralt divertito.

Zevran ridacchiò. «Ah, se solo il suo cuore fosse grande anche la metà delle sue tasche...»

«Hei! Smettetela!»

Sten espresse il suo disappunto scuotendo leggermente il capo. «Rischiare di essere scoperta, solo per rubare un misero suppellettile...»

«Quello era più cieco di un Cacciatore Oscuro, non mi avrebbe vista rubare un Bronto al mercato.» Ribattè offesa la nana mentre gli altri la prendevano in giro.

Persino Jowan, che pareva sentirsi costantemente fuori luogo (e un po' lo era), si concesse un risolino divertito.

Aenor roteò platealmente gli occhi, ma il continuo battibeccare la metteva di buon umore. «Coraggio, dovremmo essere quasi arrivati.»

Si fermarono davanti ad un edificio anonimo e in disuso, la grossa serratura arrugginita che oppose una strenua resistenza quando Natia si mise a scassinarla. Finalmente, con uno scatto secco ed un cigolio, la porta sì aprì rivelando un magazzino dall'aria assolutamente ordinaria.

«Sicura che sia un nascondiglio segreto dei Custodi?» Commentò Natia, visibilmente delusa. «Mi aspettavo...»

«Qualcosa di meglio di un paio di bauli ammuffiti e armi arrugginite?» Le diede man forte Zevran, scuotendo la testa con disapprovazione.

Geralt si chinò ad osservare un'armatura logora appesa ad un manichino. «Io ho trovato un ragno, conta qualcosa?»

«Io ne ho trovati tre. Di cui uno bello grosso.»

«Jowan, perché deve essere sempre una gara con te?»

«Stavo solo-»

«Hei, piccioncini, smettetela di discutere su chi ce l'ha più lungo e concentratevi.»

«Su cosa, barilotta, il nulla eterno?»

La Custode li ignorò, dirigendosi a passo sicuro verso gli scaffali pieni di bottiglie polverose sul fondo della sala. «Natia, stavolta ti ho battuta.»

Con la mano, cercò il meccanismo segreto di cui aveva parlato Riordan, tirando la leva e facendo slittare di lato il mobile su dei binari nascosti nel pavimento, rivelando una stanza segreta. Si voltò verso gli altri, improvvisando un inchino. «Prego, non complimentatevi troppo.»

Appena entrata, Natia fischiò rumorosamente. «Niente male!»

Una serie di armature polverose, il simbolo dei Custodi Grigi ben visibile sugli spallacci e pettorali, faceva bella mostra di sé sui alcuni piedistalli. Dall'altro lato della stanza vi erano svariate spade, scudi, alcune asce e martelli da guerra, tutte con il grifone impresso sopra.

Aenor si avvicinò alle armature, ammirandole la qualità. Una in particolare attirò la sua attenzione: era minuta, più o meno della sua taglia, il pettorale in silverite con appena un piccolo graffio in corrispondenza di una delle due teste del grifone impresso al centro. Come spallaccio, un altro grifone, più dettagliato. La stoffa della giacca blu presentava alcune piccole borchie metalliche e, polvere a parte, non sembrava stata toccata dal tempo e dalle tarme. Le scaglie che scendevano a proteggere la parte inferiore del busto fino alle ginocchia erano ancora lucide sotto lo strato di polvere, e così anche le placche sovrapposte che dalla cintura proteggevano fianchi e cosce. La sfiorò con le dita, domandandosi a chi fosse appartenuta prima di finire là sotto.

«Sembra della tua taglia.»

Si voltò, incontrando il sorrisetto di Zevran. «Cosa aspetti a provarla?»

Annuì, lasciando che le desse una mano a chiudere le fibbie del pettorale e dei gambali. Alla fine, si guardò nel riflesso polveroso di uno scudo.

«Fossi nell'Arcidemone, me la farei sotto.»

Sbuffò. «Avremmo dovuto pensarci prima. Bastava un cambio di guardaroba...»

Un fracasso di oggetti metallici che cadevano a terra la fece voltare di soprassalto, temendo un attacco. In realtà, si trattava soltanto di Geralt, che aveva rovesciato un intero scaffale di armi nel tentativo di raggiungere il suo obbiettivo: un bastone metallico con una punta affilata sul fondo, una serie di decori minacciosi sull'asta che terminava con una sfera trasparente, tenuta ferma da un intrico di rovi. Appena il mago lo agitò, testandolo, la sfera si illuminò di un rosso intenso, la temperatura attorno a loro che saliva improvvisamente.

«Ah, questo sì mi piace.» Commentò soddisfatto.

«Beh, se questo finto Custode può scegliere cosa portarsi a casa, allora non me ne andrò senza uno di questi.» Annunciò Natia, sollevando un paio di pugnali dall'aria affilatissima.

Zevran sgranò gli occhi con cupidigia, prendendone un paio anche lui e soppesandoli in mano. «Silverite... ottima scelta, amica mia, ci faranno parecchio comodo.»

Aenor fece segno di procedere come volevano. «Prendete pure tutto ciò che ci può servire. Se avessimo un Custode per ogni arma che c'è qua dentro, tutti i nostri problemi sarebbero risolti.» Si avvicinò ad una serie di spade, testandone il filo e l'equilibrio.

Quando stava per prenderne una, Sten le si avvicinò scuotendo il capo. «No, non sono all'altezza del compito che devi affrontare.

Sbuffò indispettita, allargando le braccia per indicare tutta quella roba. «Lo so che non sono come la tua Asala, Sten, ma se questo è quello che offre l'aravel, dovremo accontentarci, non credi?»

Il Qunari rimase impassibile, non accennando a mollare la presa sul suo braccio. Indicò gli altri tre con un cenno del capo. «Forse per loro, sì. Ma tu sei un Comandante, ci vuole più di una semplice spada comune, per il tuo ruolo.»

«Non-»

«Ti chiedo di fidarti di me come io ho scelto di fidarmi di te, Custode.»

La replica le morì in gola. Annuì, anche se non aveva la minima idea del perché quella storia delle spade fosse così importante per Sten, né come lui pensasse di risolvere il problema dell'assenza di un'arma adeguata per affrontare l'Arcidemone.

Mentre gli altri riempivano alcune sacche con armi ed armature che potevano essere interessanti per gli altri del gruppo, Geralt stilò in fretta una lista approssimativa degli oggetti utili, da consegnare ad Arle Eamon in modo da rifornire l'esercito che stavano radunando. Di Custodi non ce n'erano altri, tanto valeva utilizzare del buon acciaio contro i Prole Oscura invece che lasciarlo lì ad impolverarsi.

Stavano per uscire, quando un grosso scudo appeso alla parete attirò l'attenzione di Aenor.

Si avvicinò ad osservarlo, facendosi aiutare da Sten a tirarlo giù.

«È di ottima fattura.»

Si voltò verso il Qunari, sorpresa che l'avesse ammesso. «Magari ad Alistair tonerà comodo.» Avvolse anche quello in un sacco, mettendoselo sulle spalle.

Tornarono verso il mercato. I due maghi andarono a curiosare ad una bancarella che vendeva libri antichi, mentre Natia saltellò affamata ad assaggiare degli spiedini alla brace che un uomo di mezza età decantava a voce altissima, tenendo nel frattempo a bada uno stormo di bambini con l'acquolina in bocca e le mani sudice.

La folla di gente la frastornava, ma cercò di non farci troppo caso. Sten, al suo fianco e stoico come al solito, le infondeva un po' di sicurezza. Si calò ulteriormente il cappuccio sulla testa, per evitare che qualcuno la riconoscesse, ma nessuno sembrava fare caso ad un'elfa in abiti comuni, scambiandola per uno dei tanti servitori che svolgevano le commissioni dei padroni in città.

Stavano tornando al palazzo di Aemon, quando Sten le poggiò una mano sulla spalla, fermandola. Indicò con un cenno l'insegna di legno sopra uno dei negozi che stavano costeggiando, L'Emporio di Wade, il più famoso fabbro del Ferelden e conosciuto persino oltre i confini.

Elissa si era più volte lamentata durante quei mesi di non potersi permettere una nuova armatura proveniente da quel negozio, ma aveva finalmente smesso dopo che Aemon ne aveva commissionata una sia per lei che per Alistair.

Aenor aveva rifiutato, non credendo che valesse la pena spendere tutti quei soldi per un'armatura forgiata da qualche shem, seppur bravo che fosse.

Invece, Sten le chiese di aspettare fuori un attimo, mentre entrava nel negozio. Ne uscì qualche minuto dopo, una spada tra le braccia.

Prima che potesse chiedere qualcosa, le allungò l'arma, permettendole di ammirare la bellezza del fodero, di cuoio e metallo, semplicemente decorato con delle foglie che si attorcigliavano tra loro.

L'elsa della spada era di silverite, al centro spiccava il grifone rampante dei Custodi Grigi, mentre il pomolo aveva la forma di un teschio di drago.

Era chiaramente un'arma di splendida fattura, anche senza vedere la lama. Rimase senza parole.

«Sten, non so come-»

L'altro scosse la testa. «Asala. La spada che porto è stata forgiata apposta per le mie mani nel momento in cui sono entrato a far parte del Beresaad. Tu mi hai aiutato a ritrovarla, e te ne sono grato.» Fece scorrere la lama fuori dal fodero di qualche centimetro, lasciando che Aenor potesse ammirare come i raggi del sole riflettessero sul metallo, di un grigio azzurrato come non aveva mai visto prima. «Ho pensato di ricambiare come potevo.»

La Custode la prese in mano, notando che non era così pesante come temeva, viste le dimensioni. Sfoderò completamente la spada, restando sbalordita. Sul piatto della lama, una serie di venature azzurre e bianche correvano intrecciandosi tra loro, a contrasto con il grigio chiaro del resto.

«Sten... grazie. È meravigliosa.»

Il Qunari annuì, guardandola negli occhi con ancora maggiore serietà del solito. «Il compito che ti attende è al di sopra delle capacità di chiunque altro qui, ma credo che tu possa farcela, Custode. Non avrei mai pensato di trovare qualcuno degno del mio rispetto e della mia ammirazione, soprattutto una donna elfo in abiti da guerriero, ma sono lieto di essermi sbagliato.» Portò lo sguardo sulla spada per un attimo, tornando poi su di lei. «È metallo caduto dal cielo. Ne ho trovato un po' sulla strada verso Orzammar, quando ci siamo accampati vicino al passo. È lo stesso usato per creare le spade del Beresaad, come Asala.»

L'importanza di quel gesto la colpì anche se non capiva ancora il funzionamento della società Qunari, o le loro complicate usanze e gerarchie. Donandole quella spada, non le stava semplicemente regalando un'arma, ma molto, molto di più.

«Farò del mio meglio per esserne all'altezza, Sten.» Riuscì a dire, rinfoderandola.

L'altro annuì di nuovo. «Quando tornerò a casa, racconterò all'Arishok del tuo valore, Aenor dei Dalish e dei Custodi Grigi. Così, quando i Qunari scenderanno in guerra per conquistare il Ferelden, sapranno a cosa stanno andando incontro.»

Sorrise. «Non vorrei rincontrarti come nemico in battaglia, Sten.»

Il Qunari sembrò accigliarsi. «Dopo tutto questo, non credo ci incontreremo di nuovo, Kadan.» Rispose enigmatico, prima di precederla verso la tenuta di Arle Eamon.



 

«Alistair?»

Il ragazzo le rispose da dietro alla porta, aprendola dopo qualche istante.

«Sì?» Era visibilmente inquieto, gli occhi cerchiati di scuro e la barba sfatta di qualche giorno. Aenor si chiese come mai Elissa non gli avesse ancora detto qualcosa a riguardo. Forse, preferiva gli uomini un po' incolti.

«Siamo andati a controllare nel deposito segreto che ci ha segnalato Riordan... ho trovato qualcosa.» Si tolse la sacca dalle spalle, estraendone lo scudo con il simbolo dei Custodi Grigi.

Alistair sgranò gli occhi, afferrandolo dopo qualche istante di sorpresa e ammirandolo a bocca aperta. «Sai cos'è questo?» Le chiese, girandolo sul retro e passando insistentemente le dita su qualcosa, un sorriso che gli compariva sul volto.

«Uno scudo dei Custodi Grigi.» Rispose lei, alzando le spalle. «Ho pensato che poteva piacerti, anche se probabilmente Aemon te ne avrà forniti almeno un paio-»

«No, Aenor, non è un semplice scudo.» La interruppe lui, voltando l'oggetto affinché lei potesse vederne il retro, picchiettando su una scritta incisa nel metallo.

Stava per ribattere per l'ennesima volta di non saper leggere, quando Alistair si decise finalmente a spiegarsi.

«“Duncan, comandante dei Custodi Grigi del Ferelden”.» Lesse a voce alta, il sorriso che se possibile si faceva ancora più ampio, nonostante gli occhi lucidi. «Probabilmente non se ne faceva nulla dato il suo stile di combattimento, ma doveva essere stato un dono cerimoniale, per quando è stato promosso a comandante. Non lo aveva nemmeno con sé quando-» si interruppe bruscamente, stringendo il bordo dello scudo fino a farsi sbiancare le nocche «ad Ostagar.»

Aenor si strinse nelle spalle, a disagio. Non voleva che si mettesse a frignare di nuovo. «Beh, così oltre che alla spada, hai pure il suo scudo...»

«Grazie. Davvero.» Tirò su col naso, grattandosi la punta in imbarazzo. «So che l'hai detestato ma... per me è stato come un padre. Molto più di quello naturale, di cui ora sembra debba vantarmi in lungo e in largo.» Sembrava volesse aggiungere qualcosa, ma richiuse la bocca, incerto.

«Odio ancora Duncan e non smetterò mai, ma ciò non significa che tu non possa volergli bene. E comunque è un buono scudo, ecco.» Tagliò corto lei, sperando di poter sgattaiolare via in fretta. Era a disagio da sola con lui, con tutto quello che gli stava nascondendo e il difficile compito che entrambi avevano di fronte.

«Pensi che possa davvero essere un buon re?» Le chiese a bruciapelo.

Sorpresa, indietreggiò di un passo, lo sguardo fisso sulle punte dei piedi. «Che ne so io delle vostre politiche da shem? Peggio di quel cretino del tuo fratellastro non puoi essere, comunque.»

Riuscì a strappargli una risatina nervosa.

«E comunque, ci sarà una fila di gente pronta a consigliarti cosa fare, dove andare e come comportarti, scommetto che tra qualche mese non vedrai l'ora di fare di testa tua.»

«Sì, sia Aemon che Elissa sembrano più che in grado di-» sembrò incupirsi di nuovo. «Potremmo non sopravvivere. Con Riordan, siamo solo tre Custodi Grigi, e l'Arcidemone, l'hai visto...»

Aenor si costrinse ad assumere un'espressione beffarda. «Tre è sempre più di due, cos'è tutto questo pessimismo? Manca poco e poi il più grosso pericolo che affronterai saranno i diplomatici di Orlais e le loro zuppe di rana.»

Scoppiò a ridere. «Dopo la cucina di Morrigan, non mi spaventa più niente!»

«Se ti sente, finirai nella prossima cena.»

«Zuppa di Alistair, mh, suona bene.»

«Sicuro. Saprà di pessime battute e calzini sudati.»

«Hei!»

Risero entrambi.

«Pensare che fino a poco tempo fa sembravamo costantemente sul punto di accoltellarci...»

L'elfa sollevò un sopracciglio. «Sì, beh, non ho del tutto cambiato idea.»

Alistair tornò serio. «Grazie. Di essere rimasta, intendo. So che non è stato facile, dopo Tamlen e tutto il resto...»

Una morsa di ferro le stritolò lo stomaco a sentire quel nome, ma si sforzò di non cedere. «No, non lo sai, ma grazie lo stesso. E comunque, sareste stati in un guaio bello grosso, non potevo proprio girare l'aravel e andarmene.»

«Ma hai più volte minacciato di farlo.»

Sogghignò. «Mi diverto a torturarti, shemlen.»

Il ragazzo sorrise a sua volta. «Insensibile orecchie a punta.» Sembrò notare solo in quel momento la spada che la ragazza portava sulle spalle. «Nuova?»

Aenor la sfoderò con cautela, mostrandogliela compiaciuta. «È un regalo di Sten. Metallo caduto dal cielo, come la sua Asala.»

Alistair se la rigirò tra le mani per qualche istante, ammirato, prima di riconsegnarla. «Deve significare molto, dato quanto ci tenesse alla sua.»

«Già.»

«Una volta sconfitto l'Arcidemone... cosa farai?»

La domanda la colse completamente impreparata. «Non... non ne ho idea. Vediamo di non perderci troppo a pensare al futuro. Per ora, voglio dormire un paio d'ore, cenare e poi riuscire ad entrare all'Enclave senza che ci scoprano, perché non ci tengo a finire di nuovo a Forte Drakon.» Cercò di non dare a vedere il proprio nervosismo, mentre rinfoderava la spada e riapriva la porta.

«Allora a dopo.»

«Sì, ci si vede.»














Note dell'Autrice: Kallian, Zevran e Leliana hanno trovato un modo veramente scomodo e disgustoso per tirarle fuori da lì...
Tra Aenor e Sten si è creato un rapporto di forte rispetto reciproco, e mi sembrava opportuno che, dopo che lei gli ha recuperato Asala, lui ricambiasse il favore con una spada degna di affrontare l'Arcidemone. Mentre tra Aenor ed Alistair... le cose non sono mai andate molto bene, ma la tregua tra i due sembra essersi solidificata, per ora. 
Alla prossima! :D

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Capitolo 35
*** Denerim - La Perla ***


CAPITOLO TRENTACINQUE:

DENERIM – LA PERLA


 

 

«E questa, amici miei, è la principale attrazione di Denerim!»

Natia sogghignò, guardando la mascella di Oghren cadere a terra mentre con fare plateale entravano alla Perla. Il bordello era affollato come al solito, con un gruppetto di persone intente a discutere animatamente di fronte al bancone e alcuni clienti che esaminavano la mercanzia in esposizione, mentre una coppia di elfe dava il benvenuto ai nuovi arrivati.

«Heh, se avessi saputo di questo posto, me ne sarei andato da Orzammar molto prima!» Esclamò il nano sorridendo da un orecchio all'altro, lo sguardo che viaggiava sui seni prosperosi delle due.

Zevran annuì sornione. «Il primo giro te lo offriamo noi, è sempre un piacere far scoprire cose nuove.» Si voltò verso gli altri due, che sembravano quantomai fuori posto. «Allora, volete restarvene lì sulla porta per sempre?»

Geralt aggrottò le sopracciglia, facendo qualche passo verso di loro ma restando sul chi va là come se da un momento all'altro qualche puttana potesse togliersi il reggiseno e rivelare sotto di esso un'armatura da templare. «Come siate riusciti a portarmi di nuovo qui, non riesco proprio a spiegarmelo...»

Jowan, ancora più spaesato di quando avevano visitato il mercato, si guardava attorno come se non avesse mai visto prima una persona svestita. Magari, riflettè Natia, non aveva mai visto una donna nuda, e Geralt era stato il primo in assoluto a-

«Hei, posso letteralmente sentire le tue elucubrazioni mentali da qui, barilotta.»

Cercò di assumere l'espressione più offesa che le riuscisse. «Non ho idea di cosa-»

«Smettila di sogghignare così tanto, allora.»

Gli fece una linguaccia, superandoli entrambi e accostandosi al bancone, dove uno spilungone di bell'aspetto stava impilando una serie di bicchieri giusto per fare scena. «La roba più forte che hai, non si bada a spese oggi!»

Quello sollevò un sopracciglio elegante, accennando un sorrisetto mentre la nana appoggiava una piccola borsa di monete sul bancone, aprendola. «Vedo.» Si voltò a cercare tra gli scaffali pieni di bottiglie, mentre con le dita affusolate sfiorava le targhette. «Ah, eccolo.»

Senza nemmeno chiedere, riempì cinque bicchieri di un liquore quasi azzurro.

Jowan li scrutò con curiosità. «Cosa...?»

Gli rifilò una pacca sul fondoschiena, facendolo sobbalzare. «Bevi e basta, culosecco. È comunque meglio di qualsiasi cosa ti abbiano mai rifilato.»

Zevran, che stava già chiacchierando amabilmente con le elfe che li avevano accolti all'ingresso, si avvicinò loro ammiccando in direzione di Geralt. «Quasi.» Prese il bicchiere, sorseggiandolo lentamente mentre si guardava attorno.

«Ah, spero sia il primo di molti!» Esclamò Oghren, afferrandone due e scolandoseli in un attimo.

Natia sbuffò sonoramente, prendendo il proprio e buttandolo giù senza fare troppi complimenti, allungando l'ultimo verso il mago, che lo prese senza nemmeno guardare cosa fosse, troppo impegnato a guardare il piccolo gruppo di uomini radunati intorno a qualcosa. O meglio, qualcuno.

«Basta coi giochetti, vogliamo i nostri soldi!»

Erano in cinque, indossavano abiti leggermente sgualciti e armature di cuoio. Della donna al centro, Natia poteva vedere soltanto una massa di capelli neri e le else delle spade corte sulla schiena.

Una risata femminile riempì l'aria. «Forse non vi è chiaro con chi state parlando... ma vi darò una possibilità di andarvene sulle vostre gambe.»

I cinque non sembrarono gradire la risposta, perché portarono subito le mani alle armi.

«Razza di sgualdrina, ti insegnamo noi a non rispettare i patti!»

Natia sgranò gli occhi, seguendo affascinata i movimenti fluidi della donna mentre quella schivava il primo affondo, eseguendo una mezza rotazione da un lato e facendo finire uno degli assalitori addosso al compagno, mentre lei estraeva le proprie lame e colpiva col pomolo la tempia dell'uomo più vicino. Due erano già a terra e un terzo li seguì a breve, un taglio dietro al ginocchio che gli impediva di rialzarsi, la donna che si risollevava agilmente dopo aver evitato con eleganza un fendente alla testa, piroettando su sé stessa e abbattendo anche il quarto uomo, colpendolo esattamente sullo sterno e mozzandogli il respiro, spedendolo sul tappeto a rantolare per un po' d'aria. L'ultimo rimasto, uno spilungone pelato con un'accetta smussata stretta tra le mani dalle nocche sbiancate, sudava freddo.

La donna si fermò ad un soffio dalla sua gola, la lama che riluceva sinistra quasi a contatto con la pelle delicata. «Ora, se foste così furbi da levarvi dai piedi e non tornare ad infastidirmi...»

Non se lo fecero ripetere due volte. Aiutandosi a vicenda, strisciarono via terrorizzati, urlando imprecazioni ed insulti.

«E ringraziate pure che ho preso solo i vostri soldi, incapaci!» Urlò loro dietro lei, che non sembrava nemmeno affaticata. Si voltò poi verso i suoi spettatori, ammiccando mentre si sistemava la camicia bianca dallo scollo generoso e le maniche larghe, il fazzoletto che le teneva i capelli leggermente sceso da un lato e nemmeno un graffio sulla pelle bruna.

Oghren, incantato, le lanciò un fischio di approvazione.

Lei non sembrò farci caso. «Allora, intendete almeno offrirmi da bere, dopo esservi goduti lo spettacolo...?» Il suo sguardo sembrò posarsi su uno di loro in particolare.

«Ah, Isabela, che coincidenza!»

Natia si voltò verso Zevran, sorpresa. «La conosci?»

La donna, Isabela, si avvicinò squadrando sorniona l'elfo. «Ci conosciamo eccome. Ti ricordi mio marito, Zev?»

L'altro sfoggiò uno dei suoi sorrisi migliori. «Oh, suvvia Isabela, alla fine ti è andata bene no? Capitano di una nave, addirittura!»

«Non mi lamento.» Indicò gli altri con un cenno, incuriosita. «Viaggi con compagnie interessanti.»

«Ah, permettimi di presentarti i miei nuovi amici.»

Dopo un breve scambio di nomi, Natia non ce la faceva davvero più.

«Sei brava a combattere.»

Isabela accarezzò con la mano una delle sue spade corte. «Sì, anche se lo scempio che hai appena visto non è stato granchè come scontro. Quei bruti erano fin troppo prevedibili.»

«Sei veloce a sfruttare i punti deboli degli altri, però, quello è chiaro.»

Ci fu come un guizzo negli occhi scuri dell'altra. «Abbiamo un'intenditrice?» Chiese, accennando ai coltelli che Natia portava alla cintura.

La nana fece spallucce. «Abbastanza da tenermi in vita.»

«Ah, la nostra amica è modesta.» Si intromise Zevran. «Ha combattuto con un alto drago, sai?»

«Ma senti senti... questa dovete proprio raccontarmela.» Puntò poi gli occhi su Geralt, che in tutto ciò era rimasto in disparte con Jowan, attento a qualsiasi suo movimento ogni volta che una delle ragazze del locale si azzardava anche solo a passare di lì.

Natia poteva percepire la sua gelosia da un metro e mezzo.

«Lascia perdere, quello è un caso disperato.» Si intromise Oghren, lisciandosi i baffi e guardandola come se fosse un nug in crosta ricoperto di miele.

Una leggera smorfia si disegnò sul bel volto della donna, che decide di ignorarlo, tornando a parlare con Natia. «Potremmo imparare qualcosa in una sfida, non credi?»

L'idea la stuzzicava. «Cosa hai in mente?»

«Se mi sconfiggi a carte, potremmo improvvisare un duello e dare qualcosa da guardare ai nostri amici qui... Mai sentito parlare di Grazia Malevola?»

«...» Forse l'aveva sentito nominare in qualche taverna di superficie, ma di certo non era un gioco conosciuto giù ad Orzammar. «Veramente no.»

L'altra prese una sedia e si sedette ad un piccolo tavolo rotondo, accavallando le gambe mentre faceva segno all'uomo dietro al bancone di portarle altro da bere. «Peccato. Credo non ci sia un modo migliore di conoscere qualcuno quanto una partita a carte...»

«Io ci so giocare.»

Si voltarono entrambe verso Geralt, sorprese.

«Che c'è, non c'è molto da fare quando sei rinchiuso in una torre!» Si difese lui, prendendo posto di fronte ad Isabela. «Se vinco io, l'offerta resta. Voglio proprio vedervi combattere. Amichevolmente, si intende.»

La donna estrasse dal nulla un mazzo di carte dall'aspetto vissuto. «Se vinci tu, splendore, avrai ben più di un combattimento come spettacolo privato...»

Zevran ridacchiò ma non aggiunse altro, prendendo posto per godersi la sfida.

Natia si scambiò un'occhiata con Jowan, domandandosi se Geralt facesse davvero sul serio, ma l'altro mago sembrava perfettamente calmo.

La sfida durò poco più di dieci turni, quando Isabela pescò dal mazzo centrale una carta quasi completamente nera. «Ah, l'angelo della morte. Fine dei giochi, mostriamo le carte!»

Geralt, che per tutto il tempo era rimasto completamente impassibile, si esibì in un ghigno trionfante, che si allargò ulteriormente di fronte alla sorpresa dell'altra.

«Hmpf. Sembra che sia stata sconfitta.» Ammise lei, imbronciandosi. «Poco male, una sfida con la nostra amica non mi dispiace affatto.» Finì anche il secondo bicchiere, alzandosi poi e facendo segno a Natia di seguirla all'esterno, precedendoli verso la porta.

La nana, ancora confusa riguardo al funzionamento del gioco, vide Jowan avvicinarsi all'altro mago, un sorrisetto divertito stampato sul volto. «Vedo che non hai perso i tuoi trucchetti.»

Geralt si strinse innocentemente nelle spalle. «Non ho assolutamente idea di cosa stai parlando.»

Anche Zevran sembrava essersi goduto la sfida. «In fondo, sapevo già quanto fossi esperto con quelle mani...»

Il diretto interessato arrossì di colpo, mentre Jowan, dopo un attimo di smarrimento, sgranò gli occhi puntati sull'antivano. «Voi due...?»

Natia si morse la lingua, sul punto di raccontargli come l'elfo non fosse stata la peggiore scelta di compagnia di Geralt, ma decise di stare zitta. Non ci teneva a ritrovarsi una palla di fuoco su per il culo. Si limitò a scuotere la testa, cercando di sembrare completamente ignara di tutto e seguendo Isabela fuori dall'edificio.



 

Schivò a destra, sfruttando la differenza di altezza e fendendo l'aria tenendo i pugnali quasi rasoterra, mirando alle gambe della donna. Quella si allontanò quel tanto che bastava a farla sbilanciare, ma Natia si riprese in fretta, parando con uno dei coltelli e mirando con l'altro al ventre dell'avversaria, che girò su sé stessa piroettando aggraziata.

Quando sentì un bruciore improvviso alla guancia, non poteva credere di essere stata colpita. Si riprese in fretta, passandosi il dorso della mano sul volto e aspettando di essere attaccata di nuovo. Isabela le si fece incontro fintando alla sua sinistra, ma Natia intercettò la sua mossa e andò a colpirla al fianco. La prese solo di striscio, ferendola al braccio mentre l'altra si allontanava in una nuvola di capelli corvini.

«Sei brava!»

Sogghignò, il sangue che le colava sulle labbra. «Pure tu non sei male.»

Stavano per scontrarsi di nuovo, quando una freccia sibilò a pochi millimetri dai loro piedi, seguita da un urlo allarmato. Si voltarono di scatto.

«Che-?»

«Ah, Zevran. È diventato così facile coglierti di sorpresa?»

Un umano in armatura leggera, il fisico asciutto e due spade corte sguainate, saltò giù da uno dei edifici di legno che costeggiavano il vicolo, scrutandoli da una tettoia. «Mi deludi, amico mio.»

Zevran fece un passo avanti verso di lui, le mani che volavano alle proprie armi. «Taliesin.»

L'altro sorrise crudele. «Speravo di trovarti con i tuoi nuovi compagni, i Custodi Grigi, ma a quanto pare dovrò accontentarmi.» Lanciò a Natia e agli altri uno sguardo di sufficienza, storcendo il naso.

La nana si sentì fremere di rabbia. Nessuno, nessuno poteva più guardarla in quel modo e continuare a campare indisturbato.

«Credevo avessi gusti migliori... anche se hai sempre avuto un debole per capelli rossi, non sei ancora riuscito a dimenticarti Rinna, vero?»

Al sentire il nome della ragazza che amava e che era stato ingannato ad uccidere due anni prima, Zevran irrigidì la mascella, squadrandolo con disprezzo. «Taliesin. Non tornerò dai Corvi, se è per questo che sei qui.»

«Oh, ma non mi sognerei mai di farti questo regalo senza nulla in cambio...» L'uomo scosse la testa, puntando una spada verso di loro. «Uccidine un paio e forse ti permetterò di darmi una mano ad ammazzare i Custodi, così da spartirci la ricompensa.»

«E io che pensavo che i Corvi fossero furbi.»

Si voltarono tutti verso Geralt che, probabilmente, stava solo aspettando il momento giusto per far piovere una bomba di fuoco sugli assassini. «Credi davvero che tu e cosa, altri... sei cretini, possiate costituire una minaccia sufficiente?» Scambiò uno sguardo con Zevran, che scosse la testa.

«Taliesin, dagli retta. Non vale la pena morire inutilmente per un incarico impossibile.»

Il Corvo storse la bocca. «Ti sei rammollito. Tutto per un bel faccino?»

Fu il turno di Zevran di mostrarsi dispiaciuto. «No, amico mio. Ci sono cose altrettanto importanti di una buona scopata, nella vita. Mi dispiace solo che tu morirai senza conoscerle.»

Sembrava che Geralt avesse atteso proprio l'esatto secondo in cui l'elfo aveva finito di parlare per scagliare una tempesta di fuoco e fiamme su Taliesin e i suoi uomini.

L'uomo fu abbastanza veloce da saltare giù dalla tettoia e rotolare nella polvere per evitare di essere arrostito, ma due dei suoi compagni non furono così fortunati. Le loro urla strazianti si propagarono per il vicolo mentre venivano arsi vivi.

Una luce azzurrina circondò Natia e gli altri, mentre anche Jowan si univa al combattimento.

«Heh, ora ci si diverte!» Esclamò Oghren trionfante, l'ascia da guerra già in mano mentre caricava uno dei Corvi abbastanza sfortunato da essere saltato giù troppo vicino al nano. Venne falciato via ancora prima di ritrovare l'equilibrio, il tronco separato a metà in una fontana di sangue, l'armatura di cuoio leggero inutile contro l'acciaio rosso meticolosamente affilato.

Natia si lanciò di lato, pugnalando alla coscia un elfo calatosi dal tetto, mentre Isabela lo finiva conficcandogli una delle spade nella gola. Spalla a spalla, affrontarono gli ultimi due. Il primo durò giusto un paio di affondi e il secondo venne colpito da una scarica elettrica che lo paralizzò giusto gli istanti necessari per essere trapassato da parte a parte da entrambe.

La nana si scambiò un cenno di assenso con Jowan, mentre si voltavano ad osservare il combattimento tra Zevran e Taliesin. Geralt incanalò nuovamente energia, l'aria attorno a lui che sfrigolava, ma l'elfo sembrava voler affrontare il suo vecchio amico da solo.

«Non intromettetevi, per favore. Questa faccenda la risolveremo ad armi pari.»

Entrambi avevano uno stile impeccabile, schivavano e colpivano fendendo l'aria, le lame che sibilavano ad un nulla dall'altro senza tuttavia riuscire a scalfirlo.

Un paio di volte Zevran riuscì a toccare l'avversario, ma la spada corta si limitò a tagliare il cuoio dell'armatura o a graffiare il metallo, Taliesin che eludeva i colpi all'ultimo istante.

Dopo qualche minuto, entrambi avevano il fiato corto ma erano praticamente illesi. Le loro armi erano probabilmente intrise dello stesso veleno, quindi anche un solo graffio avrebbe potuto decretare il vincitore dello scontro.

Se soltanto Isabela non si fosse intromessa.

Alla terza volta che Taliesin le passava a tiro, troppo concentrato su Zevran per notarla, la donna gli conficcò entrambe le spade nelle scapole, infilando le lame nell'apertura sulle spalle dell'armatura e facendole uscire dall'altra parte, trapassando i polmoni e facendolo stramazzare a terra in un rantolo di sangue che andò ad imbrattare la strada di terra battuta.

«Questo è per aver ammazzato mio marito prima che lo facessi io, Zev.» Si giustificò lei, estraendo le spade e ripulendole dal sangue ignorando le proteste dell'elfo.

«Isabela, sei crudele.»

Natia non potè trattenersi dal ridacchiare ammirata.

La donna rinfoderò le spade, guardando con occhio critico i cadaveri a terra. «Direi che faremmo meglio a toglierci di torno, tutto questo trambusto avrà sicuramente attirato l'attenzione e, non so voi, ma io non ci tengo ad avere le guardie col fiato sul collo.»

«Oh, vorrei avere il suo di fiato sul collo...» Commentò Oghren, seguendo con lo sguardo le anche ondeggianti della piratessa mentre quella si allontanava nella direzione opposta, dopo aver fatto loro cenno di accompagnarla.

Natia lanciò un'occhiata in direzione di Zevran, chino sul corpo di Taliesin. «Tutto bene?» Sapeva cosa si provava a stare nella sua stessa situazione, o almeno quasi. Ci era andata vicino con Leske.

L'elfo dopo qualche secondo annuì. «Sì, avrei solo...» Sospirò, scuotendo il capo. «Ah, è inutile rimuginarci sopra, no?»

Geralt gli si avvicinò lentamente, una mano sulla sua spalla. «Non c'è niente di male, invece.»

«È solo che... avrei voluto non rincontrarlo più. Forse se fosse andato direttamente dai Custodi, non avrei dovuto ucciderlo io stesso.» Voltò il capo, cercando di non guardare il corpo a terra. «Era un buon amico, un tempo.»

«Hai cercato di salvarlo, non è colpa tua se non ti ha ascoltato.» Ribattè il mago, stringendo la presa sulla sua spalla. «Si è condannato da solo.»

«Lo so. Ma non lo rende più facile.»

Zevran si liberò lentamente dalla stretta del mago, allontanandosi di qualche passo.

«Zev...»

L'elfo si voltò di nuovo verso di loro, accennando un sorriso forzato. «Vi raggiungo dopo, va bene? Ho... bisogno di un po' di tempo da solo.»

Annuirono, guardandolo sparire dietro un angolo in direzione del porto.

Fu Natia la prima a parlare. «Credi che...?»

Geralt fece spallucce. «Tornerà quando ne avrà voglia.»

Jowan, accanto a lui, gli si fece più vicino. Alla nana non sfuggì come le loro mani si intrecciarono per un attimo, prima di seguire Isabela lungo il vicolo e tornare alla Perla.






 

L'edificio segnato sulla mappa che avevano trovato in tasca ai sicari mandati da Marjolaine si affacciava su una delle vie principali, proprio dietro alla piazza del mercato.

Kallian, Leliana e Wynne rimasero per un attimo ad osservare la zona, temendo un'imboscata. Nulla appariva fuori dall'ordinario e per questo erano ancora più sospettose.

«Se non entriamo, rimarremo qui per sempre.» Si decise Leliana. Bussò tre volte sul portone di legno e, trovandolo aperto, varcò la soglia.

Le altre due si affrettarono a seguirla all'interno.

La saletta era arredata con gusto raffinato, con mazzi di fiori ovunque e tende di tessuto pregiato con ricami in filo dorato. Due guardie Qunari, in armature tirate a lucido, le squadrarono dall'alto in basso puntando contro di loro le lance.

«La vostra signora ci sta aspettando.» Disse Leliana, la voce che non tradiva alcuna emozione, la postura rilassata soltanto una messinscena. Kallian sapeva quanto aveva rimuginato su quell'incontro e ora era il momento della resa dei conti.

«Oh, Leliana...» La porta di fronte a loro si spalancò lasciando uscire una donna e costringendo le guardie a spostarsi di lato, mettendosi sull'attenti. Indossava un ricco abito ricamato e pesante, di fattura orlesiana, che avrebbe fatto impallidire molte nobili fereldiane. «Dovrai scusarmi per l'ambiente e le terribili maniere, sto cercando di fare il possibile, ma questo posto puzza costantemente di cane bagnato e già tre volte hanno cercato di fare effrazione, questi elfi sono peggio di quelli che abbiamo ad Orlais...» Il suo sguardo si posò con sorpresa sul gruppetto, focalizzandosi su Kallian, che aveva portato istintivamente la mano al coltello. «Ah, mi dispiace, non volevo ovviamente offendere.»

«Marjolaine. Potrei dire che è un piacere rivederti, ma entrambe sappiamo fin troppo bene riconoscere una bugia.» Rispose freddamente Leliana.

«Volete accomodarvi, o dobbiamo risolvere questa faccenda come dei selvaggi?»

Leliana rimase immobile. «Intendi come mandare dei sicari ad uccidermi?»

Marjolaine si esibì in una risata che non aveva nulla di autentico. «Mia cara Leliana, se avessi voluto ucciderti, stanne certa, saresti morta. No, sapevo che contro tre, quattro uomini, non avresti avuto alcun problema. Dopotutto, ti ho addestrata io...» Fece loro segno di seguirla in salotto.

Riluttanti, si accomodarono su un divanetto dai cuscini gonfi e morbidi. La padrona di casa fece segno ad una servitrice elfica, quasi invisibile nell'ombra con i suoi abiti scuri, di portare qualcosa per i loro ospiti. «Del tè, magari qualcosa da mangiare... Leliana, hai ancora una preferenza per le tortine al limone, immagino.»

Rimasero in silenzio ad aspettare che venisse servito il tè.

Decisamente, non era come l'era immaginato.

Kallian aveva pensato di risolvere la faccenda con una freccia ben piantata nel cuore di Marjolaine come ringraziamento per i suoi sicari, ma a quanto pareva Leliana aveva idee diverse.

La serva portò un vassoio con tazze e teiera fumante, accompagnati da una serie di piatti composti uno sull'altro pieni di dolcetti. Marjolaine, le gambe graziosamente intrecciate, li indicò con un cenno elegante della mano. «Prego, non fate complimenti. Sono preparati come ad Orlais, in questo posto non sono capaci di fare proprio niente come si deve...» Quando le tre ospiti rimasero perfettamente immobili, però, fece un sorrisetto divertito. «Non sono avvelenati, ve lo assicuro. Potete pure chiedere alla vostra maga di controllare.» Come per dimostrare che fosse effettivamente sicuro, afferrò un biscotto glassato di rosa e azzurro, portandoselo alle labbra e prendendone un assaggio. Kallian notò che nemmeno una briciola era andata a posarsi sulle sue vesti pregiate.

Deglutì, aspettando un segno da Leliana, che dopo un altro attimo di esitazione prese una tortina al limone.

Wynne, senza nemmeno che le fosse chiesto, lanciò un piccolo incantesimo che avvolse tutto il tavolino di fronte a loro di una luce verdognola, aggrottando la fronte, le rughe ancora più visibili. «Sì, non c'è veleno.» Confermò dopo un attimo, afferrando a sua volta un dolcetto mentre la serva elfica finiva di versare loro il tè. Masticò lentamente, un'espressione pensosa. «Ma ne ho assaggiate di migliori.»

Marjolaine prese delicatamente la tazza tra le dita, ignorando la frecciatina e portandosela alle labbra socchiudendo gli occhi. Accennò un sorriso. «Ah, riesce quasi a riportarmi ai vecchi tempi...»

«Quelli in cui mi hai incastrato per il tradimento che tu avevi commesso?» Replicò tagliente Leliana, accavallando le gambe e appoggiando la tortina al limone mangiata per metà. «Parliamoci chiaramente e senza giri di parole per una volta, Marjolaine. Cosa vuoi?»

Quella scosse la testa, sospirando. «Diretta, troppo diretta, mia Leliana... ti sei davvero dimenticata i miei insegnamenti?»

«Affatto. Ma non vale la pena usarli con te.»

L'espressione sul volto di Marjolaine cambiò drasticamente, la maschera di finta cortesia messa da parte in un battito di ciglia. «Molto bene. Semplicemente, non posso lasciarti in vita. Hai troppe informazioni che potresti usare contro di me.»

Leliana assottigliò lo sguardo, anche se la postura sembrava ancora rilassata, Kallian sapeva che in un attimo avrebbe potuto raggiungere il coltello tenuto nel corpetto, invisibile e letale. «Credi davvero che riusciresti ad uccidermi? Tu e i due energumeni là fuori?»

«Non dubito che le tue compagne siano in gamba, Leliana, ma tutti questi anni in un convento hanno lasciato il segno.»

«Mettimi alla prova, Marjolaine, e scoprirai che ti sbagli di grosso.»

«Ti ho osservata, sai?» Ignorò la minaccia la donna, sbocconcellando un altro pasticcino. «Quei vestiti grezzi, i capelli raccolti e crespi come un ragazzotto di campagna... mi chiedevo, cosa ci fa la mia Leliana in un luogo del genere, monotono e lontano dalla civiltà? Pensavo stessi tramando qualcosa, all'inizio, ma non mandavi nessuna lettera, pregavi e lavoravi la terra, a malapena parlavi con le tue compagne... furba, molto furba. Mi ero quasi illusa che avessi perso la ragione, quando sei partita all'improvviso.»

Leliana si esibì in una risata di scherno. «Pensi che me ne sia andata per te? Che- che avessi ancora qualche piano per vendicarmi? Svegliati, Marjolaine, il mondo non ruota attorno alla tua persona!» Scosse la testa, arricciando leggermente il labbro superiore, nello stesso modo in cui fissava le scarpe incrostate di fango dopo un'intera giornata di cammino, o il pane raffermo quando non potevano permettersi di accendere un fuoco per un pasto decente. «Sei ridicola. E paranoica.»

«Leliana ha di meglio a cui pensare.» Si sorprese a dire Kallian, appoggiando la tazza di tè a metà, che aveva sorseggiato godendosi lo scontro. «C'è un Flagello, se non te ne fossi accorta.»

Marjolaine assottigliò lo sguardo, puntandolo su di lei. «Oh, è questo che credi? Sei così ingenua da fidarti di ogni dolce parolina che esce da quelle labbra delicate?»

Senza sapere bene perché, Kallian si sentì avvampare.

«Ti sta usando. La guardi e cosa vedi, una ragazza innocente, un'amica, forse qualcosa di più...» Accavallò le gambe con un sorriso velenoso. «Sì, lo vedo come ti guarda. Sta giocando con te, e una volta che si sarà stufata ti abbandonerà così com'è comparsa.»

«Stai parlando di te stessa, Marjolaine, non di me!» Si intromise Leliana, furente. «Non sono come te e non lo sarò mai. Me ne sono andata per non fare la tua stessa fine.»

Marjolaine rise, crudele. «Oh, ma tu sei me, Leliana. Non puoi scappare dalla tua vera identità. Io ti conosco così bene, proprio perché siamo uguali. Sai perché eri così brava nel Gioco? Ti emozionava, godevi del potere che ti dava il manipolare gli altri.»

«E allora?» Replicò Kallian, interrompendola di nuovo, furente. «Anche se fosse, anche se davvero le mancasse la politica e i sotterfugi di Orlais, tu non faresti comunque più parte della sua vita. Hai perso quell'occasione anni fa quando l'hai tradita.»

«E pensi di potermi rimpiazzare nel suo cuore?» Sputò Marjolaine, squadrandola con disprezzo, lo stesso che aveva visto negli occhi di innumerevoli umani, nobili, ricchi, che si credevano superiori agli altri e per questo giustificati a trattarla come un cane. «Non sei altro che un patetico rimpiazzo, e lo sai bene. Come potrebbe, in fondo, affezionarsi ad una creatura ostile e spiacevole-»

Marjolaine abbassò lo sguardo sul vestito costoso, ora inzuppato di sangue vermiglio, portandosi la mano alla gola. Osservò le dita imbrattate, aprendo la bocca per parlare, gli occhi puntati su Leliana, il coltello stretto in pugno, accusatori. Le uscì solo un rantolo, mentre cercava di chiudere la ferita con le mani, stringendosi il collo, implorando aiuto.

Leliana, in piedi sopra di lei, la guardò con freddezza. «Ti voglio fuori dalla mia vita, Marjolaine, e sappiamo bene entrambe che questo è l'unico modo.»

L'altra stramazzò all'indietro sul divano, macchiando la stoffa pregiata, cessando dopo poco di muoversi.

Le guardie fecero irruzione qualche secondo più tardi, ma ormai Kallian aveva impugnato l'arco di legnoferro, lasciando andare la freccia già incoccata che si andò a conficcare nel ginocchio di uno dei due. L'altro venne gettato a terra da un pugno granitico evocato da Wynne, che andò a schiacciargli il busto contro la parete opposta con uno schiocco sinistro, mentre l'elfa finiva il primo con un'altra freccia.

Si voltarono verso Leliana, ma era ancora ferma, immobile sul corpo dell'altra donna.

Kallian incontrò lo sguardo di Wynne, che le fece cenno di andare da lei, un sorriso materno sotto i baffi. Non sapendo bene cosa fare, l'elfa le si avvicinò incerta. «Mi dispiace che...»

«Sono stata a Lothering per anni.» Disse lei, non staccando gli occhi dal divano. «E per tutto quel tempo, pensava ancora che mi sarei vendicata. Non-» Sospirò, posando lo sguardo sul coltello insanguinato. «Non mi ha mai veramente amata. Forse quando le ero utile, quando mi poteva usare come una pedina nei suoi giochi...»

«Non ti meritava.»

Finalmente alzò lo sguardo, incontrando il suo. Aveva gli occhi lucidi e le guance arrossate. «Quello che ti ha detto... mi dispiace, voglio che tu sappia che non era vero niente-» scosse la testa, facendo un passo indietro e allontanandosi da lei. «No, un'ombra di verità c'era. Io...» si morse il labbro, serrando le palpebre. «Da quando sono partita da Lothering, ho ritrovato la vecchia me stessa. Non vedo altra soluzione che la violenza. Provo soddisfazione nel togliere la vita agli altri. La foga del combattimento, il sangue dei miei nemici sulle mani- e se mi fossi sbagliata, se il Creatore non mi avesse mandato nessuna visione, se mi fossi inventata tutto solo per attirare l'attenzione, come ha detto il Guardiano delle Sacre Ceneri?»

Kallian le afferrò la mano col coltello, togliendolo delicatamente dalle sue dita. «Questo non è quello che sei.»

L'altra cercò di ritrarsi, ma l'elfa strinse la presa sulla sua mano, senza lasciarla andare. «Ma-»

«Tu sei molto più di un'assassina e una bugiarda, Leliana. Non sei Marjolaine. Il Creatore ti ha scelta per un motivo, perché sa che sei abbastanza forte da fare quello che va fatto, anche a costo di uccidere, mentire e manipolare. Ma so che sei una brava persona, l'hai dimostrato più volte.» Indicò il corpo dell'Orlesiana con un cenno del capo. «È stata lei a cercarti. Sai benissimo che non ti avrebbe fatta uscire da qui, era solo questione di tempo. Hai agito per prima, solo questo.»

«Magari avrei potuto trovare un altro modo. Ho perso la testa, quando...» Sospirò, lo sguardo basso. «Ti ho usata. Ho abusato della tua amicizia e-»

«Leliana.»

La costrinse a guardarla di nuovo. «Se non fosse stato per te, sarei ancora da qualche parte a cercare di vendicarmi di un fantasma. Mi hai salvato la vita, e non solo con le Ceneri.» Si morse un labbro, sentiva le guance in fiamme, ma continuò imperterrita nonostante tutto. «Non ti avessi incontrata, avrei perso la cosa migliore che mi sia mai capitata.»

Le strappò un sorriso.

«Andiamo, prima che qualcuno chiami le guardie.»

Leliana annuì, tenendole la mano e lasciandosi guidare verso la porta, senza degnare di un altro sguardo il corpo di Marjolaine.



 

Girovagarono a vuoto per le vie attorno al mercato, che si stava svuotando man mano che calava la sera, osservando le bancarelle. Leliana era silenziosa, immersa nei propri pensieri, Kallian e Wynne che cercavano di lasciarle il suo spazio. Quando si fermò ad osservare una serie di incensi e candele profumate, sollevandone una e annusandone l'aroma, la videro sorridere.

«Grazia di Andraste.» Inspirò nuovamente, socchiudendo gli occhi, prima di passarla all'elfa.

Kallian ne conosceva bene il profumo, era un fiore che cresceva spontaneamente tra i cespugli e perciò costava poco, essendo facile da trovare. Il profumo le riportò alla mente le giornate intere passate al mercato, poco lontano da lì, ad intrecciare bouquet e coroncine di fiori seguendo le richieste di qualche cliente.

«Quanto per questa?» Chiese, rivolta alla signora di mezza età dall'altra parte del banchetto.

«Cinque pezzi d'argento.»

Rovistò nella piccola borsa di pelle, posando le monete sul tavolino di legno. La signora le ringraziò regalando loro un paio di fiorellini profumati.

Leliana, la candela in mano, le sorrise nuovamente. «Non dovevi...»

Kallian scosse il capo, prendendo uno dei fiori e cercando di infilarlo tra i capelli di lei, sopra l'orecchio. «Figurati.» Si guardò attorno, mentre i mercanti iniziavano a raccogliere le varie merci e si preparavano alla chiusura. «Sai, lavoravo poco lontano da qui. Vendevo fiori ed erbe medicinali, soprattutto. Alle volte capitava che ci commissionassero grosse cerimonie, con bouquet stravaganti di ogni genere di fiori.»

«Doveva essere bello...»

Annuì. «Guadagnavo anche bene, abbastanza da pagare metà dell'affitto della casa.» Lo sguardo volò in direzione dell'Enclave, nascosto alla vista dietro ad una serie di edifici.

Leliana sospirò. «È quasi ora.»

Non voleva lasciarla da sola. «Possiamo rimandare a domani, se-»

«No. Dobbiamo sapere cosa sta succedendo. E poi, so quanto sia importante per te.»

«Anche tu sei importante per me.» Ribattè Kallian. Voleva aggiungere qualcosa, ma l'altra le pose una mano sulla spalla, cercando di rassicurarla.

«Sto bene, Kallian. Non ti preoccupare.»

«Ma-»

«Marjolaine se l'è cercata. Devo solo fare pace con me stessa e con il Creatore, ma hai già fatto tanto per aiutarmi. Ti ringrazio.»

Sapeva che la sua era solo una maschera, che doveva star soffrendo più di quanto non ammettesse. Annuì con riluttanza.

Il campanile della Chiesa suonò le sei, richiamando i fedeli per l'ultima funzione della giornata.

«Volete entrare anche solo per un attimo?» Propose Wynne, indicando il grande edificio con la vetrata colorata, le mura bianche che si stagliavano imponenti a contrasto con tutti quegli edifici di legno e pietra grezza.

L'interno della Chiesa era composto da una grande navata e due più piccole laterali. Delle panche di legno erano poste in tante file parallele, centinaia di candele illuminavano l'ambiente profumandolo di cera odorosa.

I fedeli entravano chinando il capo in segno di rispetto, alcuni addirittura inginocchiandosi di fronte all'imponente statua di Andraste che dava il benvenuto a coloro che varcavano la soglia, ergendosi dal lato opposto dell'ingresso. La Profetessa indossava la sua armatura splendente, e fasci di luce le adornavano il capo incoronato, segno della protezione dei Creatore. Il volto era duro e austero, puntato verso l'alto. Sul palmo della mano sinistra, una candela di cera rossa colava tra le dita come se fosse sangue, in ricordo del sacrificio compiuto, mentre la destra era tenuta salda attorno all'elsa della grande spada fiammeggiante.

Kallian si era sempre sentita in soggezione a guardare le statue della Profetessa, e solo poche volte le era stato concesso di entrare in quel luogo di culto, ma dopo aver sperimentato il Suo sacrificio sulla sua pelle, essendo salvata dalle Ceneri, non le sembrava più così lontana.

La Venerata Madre raggiunse l'altare, recitando le prime parole del Cantico della Luce. Il leggero brusio che aveva riempito la Chiesa cessò all'istante, sostituito da centinaia di voci che si univano a lei, diventando una sola.

«Stiamo affrontando un periodo difficile.» Annunciò l'anziana, una volta concluso con le parole di rito. «Il Flagello costituisce una minaccia sempre più grande, e la salvezza del nostro Paese è a rischio. Ma non disperate, poiché la Sposa del Creatore, la Benedetta Andraste, non ha abbandonato i suoi fedeli, ma immolandosi per loro ha donato una nuova speranza a questo mondo. Così, possiamo solo pregare affinché i nostri prodi mariti, figli e fratelli combattano questo Male, e con la luce della Sua potenza nel cuore, la loro mano resti salda di fronte alla morte.»

Si voltò verso la grande statua alle sue spalle, inchinandosi profondamente. Tutti fecero lo stesso.

Kallian, il capo chinato sulle le mani giunte e le ginocchia intorpidite sul pavimento di pietra fredda, sperò che Andraste e il Creatore fossero in ascolto.

«Non siamo soli.

Anche quando incespichiamo sul cammino,

con gli occhi chiusi, vediamo chiaramente

la Luce che ci circonda.»














 

Note dell'Autrice: Adoro Isabela! Non vedevo l'ora di farla comparire. Zevran ha rincontrato Taliesin e si è dimostrato un buon amico nei confronti di Geralt e Natia, nonostante tutto ciò che lo legava ai Corvi. Mentre per quanto riguarda Leliana, Kallian e Marjolaine... Leliana è estremamente protettiva nei confronti dell'elfa, e viceversa. Marjolaine non le avrebbe mai lasciate in pace, e oltretutto ha fatto il grosso errore di insultare Kallian, ricevendo ciò che si meritava. Ah, le soddisfazioni che mi danno queste due! Ah, il pezzo recitato nella Chiesa è tratto da un passo del Cantico della Luce, la traduzione non è affatto poetica purtroppo ma faccio ciò che posso.
Il prossimo capitolo arriverà tra un bel po', domani parto per un viaggio e passerò tre settimane senza computer. Ma serannas, riaggiornerò a fine agosto! 

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Capitolo 36
*** Denerim - Palazzo di Arle Aemon ***


 CAPITOLO TRENTASEI:

DENERIM – PALAZZO DI ARLE EAMON

 

«Biscotto, fermo!»

Il mabari, per niente disposto a seguire gli ordini, sfrecciò come un matto verso le cucine, terrorizzando i servitori e buttandone uno a gambe all'aria. L'elfo, picchiando la schiena contro il duro pavimento in pietra, lanciò un gemito di dolore che però silenziò immediatamente una volta che Elissa fu abbastanza vicina da essere a portata d'orecchio.

La Cousland gli allungò una mano, il fiatone per la corsa. «Mi dispiace, non volevo-»

L'elfo si fece subito rosso in volto, scuotendo il capo e facendo leva sulle braccia per tirarsi in piedi, scuotendo la testa senza osare nemmeno guardarla. «Lady Cousland, non dovete disturbarvi, mi dispiace di avervi intralciato...»

Provò a ribattere, ma l'elfo si stava già inchinando più volte, implorando il suo perdono per qualcosa di cui in realtà era lei la colpevole. O meglio, quel dispettoso maleducato di un mabari.

Inspirando forte dalle narici, inveì di nuovo contro Biscotto, che la fissava scodinzolando dall'altra parte del corridoio. «Dispiace a me, davvero!» Gridò riprendendo a correre, intimando al cane di fermarsi e affrontare le conseguenze del suo comportamento come un onorabile mastino da guerra.

Nella folle corsa, quasi non andò a sbattere contro Shale, immobile di fronte ad una finestra nella biblioteca del palazzo, intenta probabilmente a lanciare occhiate di fuoco a qualunque volatile si aggirasse nel cortile alla ricerca di cibo.

«La cosetta molliccia sembra essere-»

Non riuscì nemmeno a sentire l'intero commento, che Biscotto le sbucò alle spalle, prendendosi gioco di lei mentre sfruttava il suo punto cieco per passarle accanto abbaiando come un pazzo per il corridoio.

«Torna qui-!»

Evitò per un soffio di inciampare giù per una serie di scalini che conducevano alla sala da pranzo. Con sommo orrore, non poté far altro che guardare il mabari gettarsi sul tavolo, fortunatamente sgombro fatta eccezione per qualche caraffa e candelabro spento, percorrere l'intera stanza e gettarsi verso la porta di servizio. Un'elfa minuta cacciò un urlo di terrore, lanciando in aria il cesto di vimini che portava tra le braccia: una pioggia di uova, pane e formaggi si schiantò a terra, mentre il mabari afferrava contento una pagnotta e riprendeva a correre, ignorando lo scivolone che la padrona fece a causa dei resti delle uova.

Si ritrovò a battere per terra il fondoschiena, lanciando un'imprecazione molto poco signorile.

«Per le palle del Creatore, Biscotto, quando ti prendo sei finito!» Urlò al nulla, afferrando un pezzo di pane e tirandolo dietro al cane che l'aveva seminata di nuovo.

«Mia signora...»

L'elfa era in una condizione pietosa. Due delle uova le si erano rotte in testa e l'abito ceruleo era ormai un tripudio di macchie.

Elissa si vergognò immensamente. «È... stato un incidente. Mi dispiace. Quel cane-»

La serva, con sua grande sorpresa, scoppiò a ridere. La fissò basita, mentre quella si teneva la pancia dalle risate, battendo una mano per terra. «È terribile!»

«Non-»

L'elfa cercò di ricomporsi, passandosi la manica sulla fronte, i capelli grondanti uova appiccicati alla fronte. «Erano per la torta di oggi...» Ridacchiò di nuovo, scuotendo il capo. «E io che pensavo che tutti i mabari fossero addestrati!»

Elissa ridacchiò a sua volta, più per vergogna che altro. Cosa avrebbe detto Eleanor Cousland, a vedere quello sfacelo? «Diciamo che se fosse educato alla società quanto lo è al combattimento...»

«Vi conviene prenderlo in fretta, mia Signora. Prima che distrugga l'intero palazzo.»

Mentre si rialzava a fatica, tendendo una mano all'elfa che accettò di buon grado l'aiuto, Elissa si domandò per un attimo se, segretamente, l'altra non vedesse l'ora di vedere l'intero edificio nel caos più totale. Forse lei non era addetta alle pulizie, oppure la divertiva semplicemente l'idea che per una volta un disastro del genere fosse completamente riconducibile ad una nobile umana.

Dopo aver ripreso un po' di fiato e calmato le fitte alla milza, si avventurò sui gradini, determinata più che mai ad acciuffare la bestiaccia.

Strinse in mano un pezzo di formaggio, di quelli che piacevano al cane, mentre svoltava circospetta verso le camere padronali al piano superiore, attenta a non fare rumore.

Sentiva chiaramente un uggiolare provenire da qualche parte lì attorno.

Avanzò di soppiatto, fino a che non sentì un abbaiare alla sua destra. Con un urlo di vittoria, si infilò nella stanza alla sua destra, la porta spalancata.

«Preso, razza di-»

«Elissa?!»

La vittoria le morì in gola, Alistair che la fissava con espressione sorpresa e confusa. «Io...» Cercò di ricomporsi e darsi un tono, ma la situazione le era sfuggita di mano. Era probabilmente sudata, scompigliata, con i vestiti in disordine (e possibilmente recanti tracce di uova e formaggio) e l'aria da pazza. Si zittì imbarazzata.

Il ragazzo, chino su uno scodinzolante Biscotto, cominciò dapprima a ridacchiare, poi proruppe in una fragorosa risata incredula.

Elissa pregò con tutto il cuore di poter sprofondare nel pavimento e non riemergere mai più. Alistair continuava però a scompisciarsi, al punto da farla sbuffare indispettita.

«Hai finito?»

L'altro tentò di ricomporsi, inspirando profondamente. Sembrava aver finito, quando esplose di nuovo in una risatina, cercando di asciugarsi le lacrime agli occhi senza smettere di fissarla. «No.»

«Beh, avvisami quando ne hai abbastanza.»

«È solo che...» Scosse la testa, facendo qualche respiro ad occhi chiusi. «Creatore, cosa stavate combinando voi due?»

La ragazza portò le mani sui fianchi, squadrando il mabari con aria accusatoria. «Quello lì,» spiegò ignorando i falsissimi uggiolii mortificati di Biscotto «si rifiuta di fare il bagno.»

Vide Alistair sussultare, le guance che si riempivano d'aria mentre il viso si contorceva in una smorfia ridicola nel tentativo, fallimentare, di non scoppiare a ridere di nuovo.

Il mabari, dal canto suo, si rotolò sulla schiena, fissandola a zampe all'aria con aria supplichevole.

Elissa incrociò le braccia al petto, sfidando entrambi a continuare a prendersi gioco di lei. «Bene, perfetto, molto maturo da parte vostra.»

«Elissa. È un cane, cosa ti aspettavi?»

«Che dopo quattro anni, abbia imparato a sopportare un bagno almeno ogni sei mesi!»

Biscotto si nascose il muso tra le zampe anteriori, uggiolando pietosamente.

La Cousland si chinò a toccargli la punta del naso con l'indice puntato. «Non mi freghi, razza di-»

Il mabari spostò una delle zampe quel tanto che bastava a lanciarle un'occhiata implorante, gli occhi grandi e dilatati a cui non riusciva a resistere. Capitolò anche quella volta.

«E va bene, puzzone, ma sappi che la sfida è soltanto rimandata.»

Biscotto saltò su immediatamente abbaiando una sola volta la sua felicità, e dopo averle rubato il pezzo di formaggio dalle mani se ne saltellò via scodinzolante, lasciandoli soli.

Elissa lo guardò andarsene con un sospiro. «Quel... Ugh.»

Alistair la guardava divertito. «Siete molto legati.»

«È stato un regalo di mio fratello. Quando è arrivato, nostra madre temeva avrebbe distrutto il castello, e non aveva tutti i torti...»

«Oh, coraggio, di solito segue i comandi alla lettera. Sono sorpreso che si sia ribellato così.»

Lei sorrise, persa nei ricordi. «Ogni volta che dovevamo fargli il bagno era come un gioco. Io e Fergus lo inseguivamo per tutto il castello, e spesso i servitori e qualcuno degli uomini di mio padre si univano a noi nel tentativo di chiuderlo in trappola con tranelli e bocconcini prelibati... una volta ha fatto ruzzolare la vecchia Nan giù dalle scale, pensavamo di averla persa ma si è subito rialzata, inveendo contro “quella maledetta bestiaccia pulciosa”, era dura da-» si zittì all'improvviso, il cadavere della vecchia balia sul pavimento intriso di sangue ancora fresco in mente.

«Beh, sembra che Biscotto sia sempre in gran forma.» Scherzò Alistair, cercando di distoglierla dai brutti pensieri. «Non credo che noi due da soli riusciremo a prenderlo, non per oggi almeno.»

«Dovremo rimandare a domani, allora.»

«Che c'è, vuoi fare una bella impressione ai lord dell'Incontro con un mabari pulito e profumato?»

Elissa sogghignò. «Quale modo migliore di ingraziarsi il Ferelden che con un mabari?»

«Non fa una piega.» Le diede ragione lui. «Anche se personalmente preferisco la padrona.» Si sporse un poco verso di lei, allungando una mano per sfiorarle una delle tante ciocche di capelli che erano volate fuori posto durante quel folle inseguimento.

Lei cercò di fermarlo, era dopotutto in condizioni pietose. «Alistair-»

I loro nasi si sfiorarono per un attimo, mentre il Custode si lasciava sfuggire una risatina. «Ti ho vista in condizioni peggiori. E poi, sei sempre splendida.» Tracciò con la mano il profilo della sua mascella, sollevandole delicatamente il mento.

Elissa dischiuse le labbra di riflesso, accogliendolo contro le sue e dimenticandosi immediatamente delle sue condizioni poco signorili.

Esplorarono l'uno la bocca dell'altro, mentre con la mano lui le andava a sciogliere ciò che restava dello chignon sul capo, liberando i capelli in una massa bionda e riccia che le arrivava alla vita. Lei gli andò a circondare le spalle, approfondendo il contatto.

Quando Alistair scese a slacciarle i primi due alamari della giacca, Elissa si irrigidì d'istinto. Il Custode lo notò immediatamente, fermandosi e allontanandosi di scatto, rosso in volto. «Io-»

La Cousland si morse il labbro inferiore, combattuta. Se fossero andati avanti...

Fece due passi verso la porta, afferrando la maniglia e chiudendola con uno scatto sordo.

Si portò le mani al colletto, sganciandoli lentamente ad uno ad uno, i tentativi di scusarsi dell'altro che si zittirono in fretta. Senza osare guardarlo, si sfilò la giacca dalle spalle, lasciandola cadere a terra e restando con la camicia di lino leggera. Avanzò poi verso il ragazzo, riazzerando la distanza tra loro e tornando a baciarlo, prima delicatamente, poi con più passione.

La giacca di lui fece velocemente la stessa fine, mentre Elissa esplorava quel torace scolpito con i polpastrelli, l'altra mano saldamente tenuta contro la sua nuca mentre lui armeggiava con i laccetti della sua camicia, liberandole i seni prosperosi di solito costretti in armature o giacche dal taglio maschile. Sentiva chiaramente una pressione contro la sua coscia.

Il ragazzo interruppe improvvisamente il bacio per guardarla imbarazzato. «Elissa...»

Sapeva di essere arrossita a sua volta. «No, Alistair, nemmeno io.»

L'altro sembrò molto sollevato. «Ci speravo. Sai, tra l'addestramento come Templare e il periodo da recluta tra i Custodi Grigi, non ho esattamente avuto il tempo di-»

«Alistair?»

«Sì?»

Premette un dito sulle sue labbra, scuotendo leggermente il capo. «Sta' zitto.»

Il Custode annuì due volte, accennando un sorrisetto divertito. La strinse di nuovo a sé, mentre lei lo aiutava a sfilarle la camicia, spingendolo lentamente verso il letto. Si ritrovò per un attimo sopra di lui, le ginocchia che affondavano tra le pellicce, per poi lasciare di buon grado che lui invertisse le posizioni, i capelli che si spargevano sui cuscini.

Scese a baciarle il collo, mentre le mani scendevano a sfiorarle i seni, impacciate. Si accorse di non avere più la benda di cuoio sull'occhio quando le labbra di lui le sfiorarono lo zigomo ustionato. Cercò di voltarsi, ma lui passò a lasciare una scia di piccoli baci delicati dal naso alla mascella, facendola sciogliere sotto il suo tocco.

«Non mi importa, sei bellissima.»

Le sfuggì una lacrima dall'occhio sano, aprendosi in un sorriso imbarazzato mentre lui la esplorava lentamente, quasi con venerazione.

 

Rimasero abbracciati sotto le coperte, nudi, intenti ad ascoltare l'una il respiro dell'altro.

Elissa, il capo appoggiato al petto del Custode, osservava il filo di barba sul mento di lui. «A cosa pensi?» Gli chiese, notando come Alistair stesse fissando il vuoto.

Lui la strinse ancora più a sé. «Al fatto che, in tutto questo disastro, non mi sarei mai aspettato di trovare qualcuno così speciale.»

Ridacchiò, dandogli un buffetto sul ciuffo di capelli biondi che gli ricadeva sugli occhi. «Non esageriamo...»

L'altro scosse la testa. «Sono serio. Io-» Si zittì mordendosi l'interno della guancia, rosso in volto, lo sguardo puntato al soffitto.

Elissa lo pungolò con un dito, spronandolo a continuare. Alla sua incapacità di finire la frase, sbuffò divertita. «Ti amo anch'io, Alistair.»

Rimasero un poco in silenzio, abbracciati. La Cousland si stava per addormentare, quando il ragazzo si lasciò sfuggire una risatina.

«Questo dovrebbe finalmente mettere a tacere tutti quanti...»

Lei sbuffò sonoramente, girandosi per mettersi più comoda pur restando appoggiata a lui. «Sì, voglio proprio vedere chi si metteranno a prendere in giro Zevran e Natia ora che hanno perso le loro vittime preferite.»

«Forse Aenor.»

Lo guardò sorpresa. «Alistair...»

L'altro sgranò gli occhi. «Dici che-?»

Scosse la testa, sospirando. «Lascia perdere...»

 



 

Aenor si calò il cappuccio sulla testa, controllando che la spada fosse ben nascosta sotto il mantello, le vie della città ormai quasi deserte fatta eccezione per alcune figure che scivolavano furtive nella penombra data dalle poche luci rimaste.

Il muro che circondava l'Enclave era di pietra grezza, in molti punti fatiscente. Trovarono in fretta il punto giusto, privo di luci e con le pietre abbastanza sporgenti da fornire numerosi appigli: con sicurezza, la Dalish iniziò ad arrampicarsi, issandosi rapidamente in cima senza alcuno sforzo, aiutata anche dagli abiti leggeri e anni d'esperienza sugli alberi.

L'Enclave appariva disabitata e quasi completamente immersa nel buio.

Aspettò che Kallian e Zevran la raggiungessero, per poi calarsi di sotto tra i vicoli sudici, l'aria pesante che le faceva prudere il naso e arricciarlo con disgusto. Se non le era piaciuto il resto della capitale, i bassifondi dove vivevano gli elfi erano decisamente peggio. E pensare che un tempo quegli orecchie piatte avevano avuto antenati ad Arlathan.

Seguirono Kallian verso la piazza principale, dove un grande albero troneggiava coi rami carichi di ornamenti di vario genere. Vhenadahl, così lo chiamavano gli abitanti dell'Enclave. Aenor pensò che fosse strano come, avendo dimenticato la propria cultura elfica, se ne fossero inventati una nuova. Storse la bocca quando scorse un piccolo stendardo di stoffa recante le insegne della Chiesa Andrastiana.

Kallian non degnò di uno sguardo l'albero del Popolo, puntando una vita laterale che svoltava dietro una catapecchia di legno marcio. Delle grida li fecero sobbalzare e li costrinsero a nascondersi appiattendosi contro le travi ammuffite: una coppia di elfi ubriachi li superò senza accorgersi di niente, barcollando e reggendosi traballanti a vicenda. Uno dei due inciampò, trascinando con sé il compagno contro una pila di casse di legno accatastate e rovesciandole quasi tutte, strisciando poi via nel fango sbiascicando bestemmie.

Vide l'altra elfa scuotere il capo con disapprovazione, prima di uscire dal suo nascondiglio e riprendere a camminare.

Distratta, Aenor le andò quasi addosso quando lei si fermò all'improvviso davanti ad un edificio, la porta di legno un tempo dipinta di azzurro e ora scrostata e sporca, un chiavistello che penzolava inutilizzabile.

«È questa?» Chiese, cercando di non far trasparire il proprio disappunto su come l'altra fosse vissuta in quel luogo deprimente.

Kallian annuì, prima di appoggiare una mano sul legno della porta, l'altra stretta attorno al coltello che portava alla cintura, sguainandolo piano.

Aenor fece altrettanto, ammirando di nuovo la leggerezza e manovrabilità dello spadone donatole da Sten. Zevran, dietro di loro, era già pronto ad affrontare qualsiasi cosa si celasse all'interno della casa.

La porta si aprì lentamente con un cigolio, le vecchie travi del pavimento che scricchiolavano sotto il loro peso. Con una punta di invidia, notò che Zevran era l'unico che sembrava fluttuare sopra il pavimento senza produrre alcun rumore.

All'interno era buio pesto: si erano mossi a tentoni per un paio di metri, quando qualcuno dall'altra parte della stanza si gettò loro addosso in un patetico tentativo di coglierli di sorpresa.

Non era nemmeno a metà della stanza, che l'Antivano era già scattato in avanti. Seguì un gemito soffocato e un tonfo, mentre l'elfo immobilizzava l'assalitore contro il pavimento.

«Lasciami subito, bastardo!»

«... sono stato chiamato peggio.»

Dopo un attimo di esitazione, Kallian si lasciò sfuggire un'imprecazione. Aenor la sentì armeggiare con qualcosa e dopo pochi istanti una luce si propagò per tutta la stanza da un piccolo cristallo luminoso, gentile concessione di Geralt.

Premuta a terra, il peso di Zevran ad impedirle ogni movimento e il braccio che stringeva ancora una bottiglia spaccata a metà piegato dietro la schiena, c'era un' elfa dai capelli rossi, lo sguardo furente puntato sull'Antivano e il volto paonazzo quanto le orecchie a punta mentre si dimenava cercando di liberarsi.

«Shianni?!»

Sentendosi chiamare, quella si voltò sorpresa verso Kallian, sgranando gli occhi come se avesse visto un demone. Quella si fiondò accanto a loro, chinandosi sulla ragazza e facendo mollare la presa a Zevran. «Shianni, sono io.»

L'altra balbettò qualcosa, prima di afferrare la mano che l'altra le porgeva e tirarsi in piedi, la bottiglia che cadeva a terra con un tonfo. La abbracciò stretta a sé, nascondendo il volto, scossa dai singhiozzi.

Rimasero così qualche secondo, Kallian in evidente imbarazzo mentre la stringeva, dandole delle piccole pacche sulla spalla per rassicurarla.

D'un tratto, Shianni si staccò da lei con uno spintone, il volto rigato di lacrime e uno sguardo accusatorio. «Dov'eri?!»

Kallian provò a risponderle, ma l'altra la spintonò di nuovo.

«Dove cavolo eri?! Sei sparita nel nulla, in piena notte!»

«Lasciami spiegare-»

«Ti davamo per morta!» Tirò rumorosamente su col naso, ripulendosi col dorso della mano. «Cyrion era sconvolto, e Soris...» Si interruppe di nuovo, scuotendo la testa con rabbia.

«Shianni, dov'è mio padre?» La incalzò Kallian, una nota di panico nella voce.

Aenor, avvicinandosi alle due, notò che l'altra puzzava di vino.

Shianni scosse la testa, evitando lo sguardo dell'altra. «Non sono tornati. Nè lui, né l'hahren, nemmeno Nelaros...»

Kallian la strinse per le spalle, costringendola ad alzare il volto. «Cosa stai dicendo, che significa?»

«I Guaritori, si fanno chiamare così, sono comparsi poco dopo l'epurazione, appena l'epidemia ha cominciato a diffondersi-»

«Epurazione? Epidemia?»

L'altra scosse la testa. «C'è così tanto che non sai, cugina... dopo che te ne sei andata, abbiamo provato a protestare con il Reggente, e il nuovo Arle. Ma Howe si rivelato peggio di Kendells, hanno mandato un sacco di guardie e ammazzato un mucchio di gente innocente. Poi, alcuni di noi hanno cominciato ad ammalarsi, tosse e febbre, quando sono comparsi i guaritori abbiamo pensato “per fortuna, il Creatore ci assiste ancora” ma ben presto...» si morse un labbro, singhiozzando. «Nessuno di quelli che hanno messo in quarantena è mai più uscito, e non importa a nessuno fuori dall'Enclave, sembra che si ammalino solo gli elfi, quindi hanno sigillato le porte e ci hanno abbandonati qui.»

«Questi “guaritori”... chi sono?» Si intromise Aenor, aggrottando le sopracciglia. Aveva visto abbastanza maghi all'opera, e quella storia della quarantena puzzava da chilometri.

Shianni si voltò sorpresa verso di lei, lo sguardo che vagava sul Vallaslin. «Sei una Dalish, vero?» Le chiese, indicando il tatuaggio. «Pensavo foste solo leggende...»

Kallian la scosse delicatamente. «Shianni, arriva al punto, ti prego. Chi sono i guaritori?»

Quella riportò l'attenzione sulla cugina. «Vengono dal Tevinter... non so molto, hanno bastoni da mago e vesti strane, parlano di un'epidemia ma la maggior parte della gente che hanno rinchiuso in quarantena sembrava perfettamente sana. Nelaros e Cyrion erano andati ad investigare la scomparsa dell'hahren...»

«Dobbiamo entrare lì dentro, allora.»

Sgranò gli occhi. «Potreste non uscire! Potrebbero usare della magia del sangue, o-»

Aenor inarcò un sopracciglio. «Abbiamo affrontato di peggio.»

Kallian annuì, dandole ragione.

La cugina, spaventata, la fissò intensamente. «Cosa ti è successo...?»

«Ci sarà tutto il tempo per raccontartelo meglio, Shianni, ma adesso non abbiamo tempo. Lei è Aenor, è una degli unici due Custodi Grigi rimasti. Risolveremo tutto.»

«E io sono Zevran, dei Corvi di Antiva. O almeno, lo ero.» Si intromise l'elfo sentendosi escluso, afferrando delicatamente la mano della ragazza e accennando un baciamano. «Mi scuso per prima, ma dovrai ammettere che cercare di picchiare qualcuno con una bottiglia non è il modo migliore per iniziare una-»

«Zev, resta concentrato per favore.»

Le rivolse uno sguardo scioccato. «Custode, così mi offendi... Sono sempre concentrato.»

Aenor roteò gli occhi al soffitto. «Coraggio, andiamo a trovare il modo di entrare in questa clinica.»

L'Antivano alzò una mano. «Potrei suggerire un approccio migliore che caricare la porta a testa bassa...?»

 

Mentre aspettavano l'alba, Shianni e Kallian che si erano ritirate in un angolo della casa ad aggiornarsi su quanto successo ad entrambe in quei mesi, Aenor restò sola con Zevran.

L'elfo stava passando un panno oleato su una delle lame, silenzioso e perso nei propri pensieri.

«Stai bene?»

L'altro si limitò ad accennare un sorriso forzato. «Sto sempre bene, no, Custode?»

«Non sono cieca, ho notato che sei un po'...»

«Diverso dal solito?» La precedette lui con una smorfia. «Cercherei di essere più solare, ma il luogo non è dei più adatti a farmi tornare il buonumore.»

«Se è successo qualcosa...»

Zevran sollevò una mano, interrompendola. «Non c'è nulla che mi impedisca di portare a termine la nostra missione qui, se è questo che ti preoccupa. Puoi stare tranquilla.»

Aenor sentì una fitta di irritazione salire addosso. «Che Fen'Harel se la prenda, la missione, ti ho chiesto come stai tu, non se sei in grado di fare il tuo lavoro. Sono due cose diverse.»

L'altro inarcò le sopracciglia. «Scusa. Non pensavo ti interessasse davvero.»

«Mi credi davvero così insensibile?»

«No, solo non siamo mai andati molto d'accordo, ecco tutto. Mi pare strano che improvvisamente tu mi stia chiedendo come ho passato la giornata.»

La Dalish scrollò le spalle. «Se non vuoi dirmelo, d'accordo. Mi sembravi troppo silenzioso, e ho pensato fosse successo qualcosa. Anche se non siamo esattamente migliori amici, mi preoccupo ugualmente per i miei compagni, sai.» Ribattè offesa sulla difensiva.

Zevran sorrise, e questa volta sembrava genuino. «Allora mi scuso. Diciamo che ho... incontrato un vecchio amico. E non è andata come volevo.»

Aenor non aveva idea di cosa stesse parlando, ma non voleva essere troppo invadente. Lasciò che passasse qualche secondo, e sembrava che l'altro avesse abbandonato la conversazione, quando prese di nuovo la parola.

«I Corvi non lasciano mai che qualcuno li tradisca andandosene. E quando ho fallito ad uccidere te ed Alistair, l'unica opzione che avevano era mandare qualcuno a finire il lavoro. Devono aver scoperto che ero ancora vivo e hanno mandato qualcuno che mi conoscesse bene.» Appoggiò la testa contro il muro, lo sguardo che vagava per la stanza. «Taliesin, lui... era come mio fratello. Siamo cresciuti insieme, ci siamo allenati insieme, lavoravamo spesso in coppia. Oggi ha provato a convincermi a tornare ad Antiva con lui, dopo avervi finalmente uccisi, sarebbe tornato tutto come prima, mi ha detto.»

«Ma hai rifiutato.»

«Ho capito che non volevo tornare ad obbedire ai loro ordini. La libertà non è niente male, ho imparato ad apprezzarla. E in più, mi trovo bene con voi.» Ridacchiò da solo, scuotendo il capo. «Soprattutto con alcuni.»

«Anche Geralt sembra apprezzare la tua compagnia.»

Rise di nuovo. «Anche se non abbastanza! Ah, ma non importa, è bello avere un amico. E anche Natia non è male, abbiamo parecchi gusti in comune... Mi mancheranno, una volta finita questa storia, quando tutti andremo per la nostra strada.»

Lo guardò incuriosita. «Che hai intenzione di fare, una volta sconfitto l'Arcidemone?»

«Mh, si vedrà... viaggerò per un po', credo. Dovrò riabituarmi alla solitudine...»

Aenor annuì, senza sapere bene cosa dire. «Grazie, sai. Ci è andata bene, che abbiano mandato te a cercare di ucciderci.»

«Assolutamente. Avessero mandato qualcuno di meno affascinante, magari non sarebbe stato così fortunato come me.»

Fu il turno di Aenor di ridacchiare. «Sicuramente.»

«Sai, mia madre era una Dalish.»

Si voltò a guardarlo, sorpresa. «Davvero?»

«Credi che ti mentirei su mia madre?»

«No, solo che-» Scosse la testa. «Non avevi detto che era una prostituta?»

«Una cosa non esclude necessariamente l'altra, cara Custode.» Le lanciò un'occhiata divertita. «Si innamorò di un elfo di città e quello morì un paio d'anni dopo che si erano trasferiti ad Antiva...»

«Aveva lasciato il suo Clan per lui?»

Annuì. «L'amore fa fare cose pazze, vero? Purtroppo, le lasciò solo una montagna di debiti da pagare e poche scelte su come saldarli. Morì qualche mese dopo avermi partorito, comunque, quindi non me la ricordo molto.»

«Mi dispiace.»

«Non c'è nulla di cui dispiacersi. Non cambierei niente, mi hanno reso la persona che sono. Solo... oggi mi sento un po' melanconico. Mi riprenderò presto e tornerò ad essere il solito chiacchierone irritante, non preoccuparti.»

La ragazza sbuffò sonoramente. «E io che credevo avrei avuto almeno un paio di giorni di tregua...»

 

Con il mattino, l'Enclave cominciò a svegliarsi.

Alcuni elfi si affaccendavano in giro, ma per lo più erano concentrati nella piazza principale, dove sotto i grandi rami del Vhenadahl si creava una piccola folla di gente, alcuni che si reggevano a malapena in piedi ed altri che invece accennavano soltanto qualche sporadico colpo di tosse.

Aenor pensò che doveva essere una semplice influenza, come spesso venivano colpiti i membri del Clan, ma l'essere tutti ammassati in quello spazio ristretto e l'inverno particolarmente freddo appena finito, dovevano aver aumentato il contagio. Inoltre, dubitava che ci fosse qualcuno in grado di praticare magia curativa. Pensò per un attimo a Marethari, a quante volte la aveva aiutata a riprendersi dalle più disparate inconvenienze. La nostalgia le strinse lo stomaco, quindi cercò di concentrarsi su qualcos'altro.

Kallian stringeva il coltello che portava alla cintura come se ne andasse della sua vita, mentre lanciava sguardi furenti ai maghi di fronte alla clinica.

Soris, il fratello di Shianni, le picchiettò su una spalla, distraendola. «Sei davvero una Dalish?»

Aenor sbuffò. «Già.»

«E anche un Custode Grigio!» Sussurrò quello ammirato, ignorando completamente quanto fosse inopportuna quella conversazione in un momento del genere. «Non avrei mai pensato che un eroe delle leggende sarebbe arrivato ad aiutarci!»

Sospirò di nuovo. Si sentiva molto poco eroica, ma non era il caso di dirglielo. In fondo, sapeva quante storie assurde si raccontassero gli orecchie piatte riguardo al Popolo, e ci sarebbero voluti giorni per spiegargli la realtà dei fatti.

Studiò con occhio critico l'edificio di fronte a loro: due maghi, in abiti appariscenti chiaramente del Tevinter, i cappucci e le maniche larghe decorate con motivi intricati e fili d'oro, analizzavano gli elfi che si accalcavano in fila in cerca di cure, scegliendo chi mandare in quarantena e chi no.

Aenor notò che alcuni di quelli che entravano sembravano perfettamente in salute.

«Hanno sfruttato il panico causato da questa cosiddetta epidemia, così appena uno starnutisce, corre da loro e quelli...» Kallian lasciò in sospeso la frase. Chissà cosa succedeva, in quarantena.

«La porta sul retro è presidiata solo da un paio di guardie, nessun mago.»

Zevran, comparso dal nulla alle loro spalle, indicò un vicolo laterale.

«Allora andiamo a scoprire dove li portano.» Disse Kallian, voltandosi poi verso Shianni. «Credi di poter creare un diversivo per un po'?»

Quella rispose con una smorfia divertita. «Sono sempre stata bravissima a fare scenate, no?»

Detto ciò, si diresse a passo sicuro verso il centro della fila, puntando un dito accusatore contro uno dei due maghi. «Voi! Ci state solo ingannando, dove sono tutti quelli che dovreste aver curato?»

L'uomo storse la bocca, sbattendo per terra il bastone. «Ancora tu?!»

Qualcuno degli elfi in coda gli diede corda. «Sì, Shianni, torna dalle tue bottiglie!»

«Stai cercando di farci ammazzare?!»

«Ma non capite che è una trappola?!» Si ostinò lei, rossa in volto.

Un'elfa con in braccio un bambino molto piccolo che piagnucolava piano, le diede uno spintone nel tentativo di spostarla ed avvicinarsi di più al mago. «Solo perché ci vuole del tempo, non vuol dire che non ci stiano curando!»

«Hanno preso l'hahren! E nessuno di voi si insospettisce di niente...»

Il bambino scoppiò a piangere disperato, mentre tra la folla si alzava un brusio che si trasformò rapidamente in un gran tafferuglio, i maghi che richiamavano qualcuno all'interno della clinica per placare gli animi e ristabilire l'ordine. Nessuno prestò attenzione ad Aenor e gli altri due mentre svicolavano sul retro.

«Per una volta, sono felice che Shianni sia una tale attaccabrighe...» commentò Soris grattandosi un orecchio e accennando una risatina.

Le due guardie erano ancora dove aveva detto Zevran. L'Antivano si piegò su se stesso, fingendo un potente attacco di tosse e caracollando su uno dei due, che lo afferrò appena in tempo.

«Hei, orecchie a punta, vedi di-»

Non riuscì a finire la frase che si ritrovò un coltello tra le costole. Le gambe improvvisamente molli, si accasciò al suolo. Aenor caricò l'altro, le lame che cozzavano violentemente, ma in breve lo scontro impari si concluse a favore della ragazza. Gli frugò poi tra le tasche, trovando la chiave per la porta e lanciandole a Soris, che li fissava sgomento.

«Apri e poi nasconditi subito.» Lo avvisò Kallian, incoccando una freccia.

La porta si spalancò cigolando e il mago all'interno ebbe appena il tempo di voltarsi che una freccia gli spuntava già dalla gola, mozzandogli l'esclamazione di sorpresa.

Aenor si gettò sulla guardia più vicina, armata di due spade corte. Schivò un affondo spostandosi di lato, parando il secondo colpo alla testa con l'elsa. Piroettò su sé stessa e ruotò il polso, riuscendo a disarmare l'avversario. Poco dopo, il compagno fece la stessa fine sotto una delle daghe di Zevran.

Due elfi terrorizzati, tenuti legati con una corda dal mago, urlarono di dolore quando quello usò la lama affilata sul proprio bastone per squarciare loro l'addome. La temperatura della stanza si abbassò vertiginosamente, mentre il mago utilizzava il potere del sangue per scatenare una violenta tormenta di ghiaccio.

«Kallian!» Urlò Aenor, sentendo il ghiaccio immobilizzarle una gamba al pavimento e le membra intorpidirsi.

Una freccia le sibilò accanto all'orecchio, in direzione del mago, ma rimbalzò sulla barriera invisibile eretta da quest'ultimo.

La Dalish aveva ormai il ghiaccio quasi al torso. Strattonò disperatamente la gamba destra in un goffo tentativo di liberarsi. Il mago alzò il bastone sopra la testa, roteandolo, per poi puntarlo contro l'arciera, la tormenta di neve che infuriava attorno a loro mentre accumulava il mana.

Lanciò una serie di schegge di ghiaccio, un attimo prima che una nube di fumo gli esplodesse addosso.

Successe tutto in pochi istanti.

L'incantesimo del mago fu interrotta dai colpi di tosse, mentre si afferrava la gola cercando di riprendere fiato.

Soris, rimasto indietro e quindi incolume, si accasciò a terra con un gemito, scattato in avanti a proteggere la cugina. Kallian lanciò un grido soffocato, correndo verso di lui. Zevran, dopo aver lanciato la bomba fumogena, col piccolo coltello che aveva in mano mirò al mago ora privo di difese, centrandolo al petto poco sotto al cuore.

Aenor sentì la morsa di ghiaccio allentarsi e andare in frantumi. Finalmente libera, si affrettò a chiudere la porta principale della clinica, temendo che altri facessero irruzione dopo aver sentito il fracasso. Tese le orecchie, ma le urla concitate provenienti dall'esterno non erano ancora cessate e i Tevinter là fuori sembravano ignari di tutto.

«Sei uno stupido!»

Kallian, china su Soris, lo stava aiutando a rimettersi faticosamente in piedi, ferito ma non in modo grave. 
















Note dell'Autrice: eccomi di ritorno dopo la lunga assenza (lunga, insomma, vabbeh)! Alistair ed Elissa finalmente si sono dati una mossa (che Biscotto avesse ideato tutto? Mai fidarsi dello sguardo innocente dei mabari...). Mentre per quanto riguarda la parte all'Enclave... beh, Aenor si sta facendo un'idea di come vivano gli orecchie piatte, e dovrà affrontare tutti i pregiudizi che ha su di loro. Per Kallian è un brutto rientro a casa, vedremo nel prossimo capitolo come se la caverà. 
Nel frattempo, posto qualcosina che avevo fatto tempo fa a tema Alistair x Elissa, per chi fosse interessato, QUI (checcarini che sono).
Alla prossima! :D

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Capitolo 37
*** Denerim - Enclave Elfica ***


 CAPITOLO TRENTASETTE:

DENERIM – ENCLAVE ELFICA



 

 

«Sei uno stupido!»

Strinse il cugino, anche se avrebbe voluto rimproverarlo più aspramente per lo spavento che le aveva fatto prendere. Quando si era messo in mezzo tra lei e l'incantesimo ed era caduto a terra, per un orribile attimo Kallian lo aveva dato per spacciato.

Soris si contorse in una smorfia, cercando di sorriderle in modo rassicurante, senza riuscirci molto. «Non posso sempre lasciar fare tutto a te...»

«Ha ragione, potevi rimetterci la pelle.»

Si voltarono sorpresi verso Aenor, che lo squadrava corrucciata dall'alto in basso.

«Ma-» provò a ribattere lui, venendo però zittito all'istante.

«Ammazzare schiavisti non è un lavoro per orecchie piatte.»

Kallian le lanciò un'occhiataccia offesa. «Ci sono “orecchie piatte”, come ci chiami tu, perfettamente in grado di cavarsela da soli.»

L'altra inclinò leggermente il capo da un lato. «Per ora, ne ho incontrata soltanto una.»

«Solo perché voi Dalish vi preoccupate di voi stessi e di nessun altro.» Sbottò, incapace di tenersi dentro tutto quello che pensava da mesi. «Soris è stato coraggioso.»

Aenor non sembrò affatto impressionata. «Rischiava di restarci secco. Il coraggio da solo non basta, diventa stupidità.»

Stava per ribattere, quando Zevran si intromise tra loro, le mani alzate. «Per quanto questa discussione possa portare a conclusioni interessanti per entrambe le parti, non abbiamo tempo. Se non è in grado di proseguire, che resti qui di guardia alla porta, una volta che ci saremo sbarazzati di quelli là fuori non dovremmo avere altri problemi.»

Kallian avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma si morse la lingua limitandosi a lanciare uno sguardo furente alla Dalish. «Se uccidiamo i due maghi là fuori, si scatenerà il putiferio.»

«Preferisci che rientrino e ci attacchino alle spalle?» La sfidò l'altra. «Se sono abbastanza polli da cadere in un tranello del genere, fidandosi delle cure di maghi del Tevinter, dubito che gli orecchie piatte possano darci qualche problema anche nel caso in cui ci attaccassero per aver eliminato i loro preziosi guaritori.»

«Non siamo qui per mandarli al macello!» Ringhiò Kallian, perdendo la pazienza e stringendo l'arco tra le mani. «Come puoi pensare una cosa del genere sulla tua stessa gente?!»

«Non sono la mia gente, credevo di averlo messo ben in chiaro.» Disse l'altra, gelida. «Sono dei vigliacchi, dei cani ammaestrati dai loro padroni umani, che probabilmente si stanno lanciando da soli nelle braccia degli schiavisti.»

«Non osare-»

«Perchè te la prendi tanto?!» La interruppe la Dalish, sprezzante. «Lo pensi anche tu, in fondo. Te ne sei andata e sei tornata qui soltanto perché dovevi. E te ne guardi bene dal restare, inorridisci al solo pensiero di inchinarti di fronte al primo shem che ti passa davanti. Non sei più una di loro.» Indicò la porta chiusa, dalla quale proveniva un vociare degli elfi radunatisi nella piazza sotto al Vhenadahl.

Quelle parole la colpirono come una doccia fredda.

C'era un fondo di verità in esse, ma era davvero così cambiata, nel giro di pochi mesi?

«Se davvero ci disprezzi così tanto, nessuno ti costringe a restare, vattene pure. Sono sicura che vincerete lo stesso il maledetto Incontro dei Popoli, tanto a nessuno di quei nobili importa un accidente di noi. E da quanto ho visto fin'ora, voi Dalish non siete diversi!» Vide Aenor stringere i denti ma la ignorò, la rabbia covata per anni contro “i veri elfi” che usciva finalmente allo scoperto. «Vi nascondete nei boschi, spostandovi di continuo per paura degli umani e restando attaccati a quel poco che vi resta dei tempi antichi, non curandovi dei reali problemi dei vostri simili e fingendovi tanto superiori, quando in realtà non siete altro che dei codardi e dei perditempo, troppo impegnati a-!»

Il pugno che le arrivò dritto in faccia non la sorprese minimamente.

Lo zigomo che pulsava dolorosamente, la fissò con disprezzo, immobile. «Come volevo dimostrare.»

Le diede le spalle, dirigendosi a passo sostenuto verso la finestra, lanciando poi uno sguardo alla piazza gremita di elfi. Erano la sua gente, era cresciuta in quel luogo, in mezzo a loro, eppure... perché ora le sembravano degli estranei?

«Ora sono scoperti.» Le disse Zevran, sopraggiungendole silenziosamente alle spalle e indicando i due maghi all'esterno, che davano loro le spalle. Sembrava voler ignorare l'intera conversazione appena avvenuta, mentre lanciava in aria il piccolo coltello, riacchiappandolo al volo. «A meno che tu non voglia correre il rischio di farci cogliere alle spalle, questo è il momento buono per sbarazzarcene.»

Parlava solo a lei. Era a lei che stava chiedendo come procedere, non alla Custode. Il compito di decidere come risolvere quella situazione era suo, e suo soltanto.

Annuì. Non potevano permettere ai maghi di sopravvivere. Sperò soltanto che la folla si disperdesse nel panico e che ognuno di essi si andasse a nascondere a casa propria, invece di decidere proprio in quel momento di tirare fuori il coraggio e attaccare gli assalitori sconosciuti nella clinica.

Inviò una silenziosa preghiera al Creatore mentre incoccava una freccia e la lasciava andare, il mago colpito che crollava a terra ferito mortalmente, l'impennaggio che spuntava tra le scapole.

L'altro fece appena in tempo ad accorgersi dell'attacco, che il coltello di Zevran gli fece fare la stessa fine, mozzandogli un urlo in gola.

Dopo un lunghissimo attimo di sgomento, in piazza si scatenò il putiferio.

Grida spaventate, gente che scappava in tutte le direzioni temendo di essere sotto tiro mentre due guardie armate tentavano di individuare i colpevoli, facendo però la fine dei maghi.

Ben presto, l'unica rimasta sotto i grandi rami del Vhenadahl, accucciata tra le radici e il tronco, era proprio Shianni. Fece loro un cenno con la mano, anche se sapevano che non poteva vederli.

Kallian si voltò quindi verso il cugino, che nel frattempo si stava fasciando le ferite con delle strisce di stoffa strappate dalle tende. «Soris, tu resta qui. Se qualcuno cerca di entrare, nasconditi e fai finta di essere qui da prima dell'attacco, come qualsiasi altro elfo portato qua dentro. Noi andiamo a recuperare mio padre e gli altri.»

Lui annuì, pallido in volto. «Mi dispiace di non poter essere di aiuto, Kallian... sono inutile come al solito.»

Scosse la testa. «Se non ti fossi messo in mezzo, forse sarei morta. Hai fatto più che abbastanza, ma ora riposati. Torneremo tra poco.»

Senza aspettare che Aenor la seguisse, ancora arrabbiata con lei, si inoltrò nel corridoio in fondo alla parete ovest della stanza. Notò con la coda dell'occhio che la dalish, dopo un attimo di esitazione, decise di seguirla sbuffando.

Uscirono in un cortile fangoso, proseguendo in silenzio verso un altro edificio, ancora più fatiscente di quelli che lo circondavano, il legno marcio che cigolava sotto i loro passi.

Conosceva quel luogo, vi erano molti piccolissimi appartamenti in affitto, spesso composti da una sola stanza condivisa da un'intera famiglia, sporchi e angusti.

Il corridoio era deserto, fatta eccezione per una serie di risate sguaiate che provenivano da dietro una porta di legno socchiusa.

Appoggiò la fronte sulla superficie, attenta a non fare rumore: all'interno, cinque uomini armati con lo stemma della guardia cittadina sul petto brindavano ubriachi. «Ai soldi facili!»

Sentì il sangue pomparle nelle orecchie, la rabbia che non la abbandonò nemmeno quando quelli furono a terra, agonizzanti, gli occhi sbarrati di terrore, la birra scura sparsa sul pavimento a mischiarsi con il sangue scarlatto.

Si approfittavano di loro, della loro incapacità di ribellarsi, sfruttando come dopo secoli di sottomissione gli elfi non avessero più la forza di opporsi ai loro carnefici.

Proseguirono.

Attraversarono una serie di corridoi angusti, l'aria malsana che si aggrappava alle narici, la puzza di muffa e polvere che rendeva difficile respirare. Le uniche persone che incontrarono furono una piccola famiglia di elfi malridotti, quasi immobili se non per i piccoli colpi di tosse, talmente pallidi da sembrare morti.

«Torneremo ad aiutarvi.» Sussurrò Kallian, lasciando loro la piccola fiaschetta d'acqua pulita che portava al fianco. La madre la prese con mano tremante, gracchiando un debole ringraziamento.

Seguirono alcune tracce di sangue fino ai sotterranei, dove grazie alla prontezza di Zevran riuscirono a disattivare una fila di trappole letali.

«Principianti...» sogghignò l'Antivano «mi sorprende che-»

«Ma bene. Questi qui mi sembrano fin troppo in forma, ragazzi, quei cretini fereldiani non sanno fare proprio nulla.»

Ad accoglierli, vestita di un'armatura leggera e un grosso arco in mano, vi era un'elfa, le orecchie a punta ben visibili anche sotto il cappuccio di chiara fattura del Tevinter. Scoccò loro un'occhiata inquisitrice, soppesandoli, prima di aprirsi in una smorfia di bramosia. «Oh, riconosco questi tatuaggi... sarà divertente vedere una selvaggia dei boschi al servizio di qualche Magister fortunato.»

Kallian, l'arco già pronto e puntato su di lei, si sentì avvampare. «Sei un'elfa anche tu, come puoi-?!»

La risata dell'altra sovrastò le sue parole, mentre gli altri uomini si univano al momento di ilarità. «Ma fammi il piacere. Credi davvero che abbia qualcosa in comune con questi conigli?» La sbeffeggiò, il ghigno che si allargava ulteriormente, malevolo. «Sono una leale servitrice del Circolo di Minrathous, solo questo conta. Mentre questi patetici rifiuti non possono che essere schiavi, è nella loro natura.»

«Schifosa bastarda traditrice.»

Kallian si girò sorpresa verso Aenor, che aggiunse qualcosa in elfico che non riuscì ad afferrare, tuttavia bastava lo sguardo sanguinario della dalish per interpretarlo.

La spada nuova già sguainata, che riluceva sinistra nella debole luce delle torce appese al muro, squadrava l'altra con aperto disgusto. «Saranno anche dei vigliacchi, ma se c'è qualcosa di peggio di un coniglio, è sicuramente un dannato schiavista.»

L'elfa del Tevinter non si lasciò intimidire. «Non sono una sciocca, vedo che potreste darmi del filo da torcere. Se mi lasciate andare-»

Fu il turno di Kallian di interromperla. «Se credi che ti lasceremmo andare sulle tue gambe, ti sbagli di grosso.» Lasciò andare la freccia, che però rimbalzò sullo spallaccio dell'altra, spostatasi appena in tempo.

Fu uno scontro violento, ma alla fine riuscirono a prevalere sugli schiavisti.

Proseguirono dunque per il corridoio di fronte a loro, che andava avanti per centinaia di metri, senza rivolgersi la parola. Kallian era segretamente contenta che Aenor fosse rimasta e che, nonostante tutto, prendesse le difese degli elfi dell'Enclave. Non ne fece tuttavia parola, temendo di tornare a discutere. Non era il momento adatto.

Dalla distanza percorsa, immaginò che dovevano essere da qualche parte sotto uno dei magazzini del porto, il luogo perfetto per far uscire carichi di schiavi senza che nessuno vedesse o sospettasse nulla di losco.




 

Acquattati contro la porta del magazzino, delle stoffe bagnate premute su naso e bocca, si scambiarono un cenno d'assenso, prima di lanciare le bombe fumogene all'interno.

L'esplosione di gas, non tossico (non sapevano se ci fossero anche elfi prigionieri all'interno), colse il mago nemico e i suoi sgherri di sorpresa, mentre cercavano di mettersi al riparo in preda a violenti colpi di tosse.

Quando un incantesimo riuscì a spazzare via il fumo, già due guardie su cinque giacevano a terra morte.

«Maledetti cani selvaggi!» Inveì il mago, evocando una tempesta di fuoco attorno a sé. Uno dei suoi uomini non fu abbastanza rapido a scostarsi e venne arso vivo tra terribili urla, mentre i due rimasti si affrettavano a scagliarsi contro Aenor e Zevran.

Kallian, nascosta dietro una pila di casse di legno sopra le scale, al sicuro dalle fiamme, bersagliava il mago con le sue frecce, che però rimbalzavano sulla barriera protettiva.

Una palla di fuoco esplose contro le casse, sbalzandola via.

Picchiò la testa contro il muro di pietra, la vista che le si annebbiò per qualche istante. Strisciò al sicuro, tastandosi la nuca e sentendo del sangue scenderle giù per la schiena. Imprecò tra i denti, arrancando tra le fiamme e i detriti, cercando l'arco a tentoni.

Il legnoferro era resistente al calore e fortunatamente non sembrava aver subito danni. Lo stesso non si poteva dire delle frecce, la faretra che giaceva a terra poco distante, metà dei dardi ormai inutilizzabili.

Maledisse per l'ennesima volta la magia, incoccando e mirando ad uno dei due uomini ancora in piedi. La freccia centrò il bersaglio, che cadde a terra con un gemito, ferito ma vivo.

Con orrore, vide il mago colpire Zevran con un incantesimo e spedirlo dalla parte opposta del magazzino. L'elfo crollò a terra come un sacco di patate, immobile, mentre l'uomo portava la sua attenzione verso il sottoposto ferito.

Quello urlò qualcosa, ma l'altro sollevò il bastone e glielo piantò con forza nel petto, trapassandolo da parte a parte.

Tentacoli di magia del sangue si alzarono tutt'attorno a loro, danzando minacciosi contro Aenor.

La Dalish, impegnata contro l'ultimo scagnozzo, parò un colpo magico con lo spadone, che sembrò illuminarsi per un attimo al contatto mentre l'elfa indietreggiava un attimo, incalzata su più fronti.

“Creatore, falla resistere ancora un po'!” Pregò Kallian, cercando di strisciare invisibile dietro il parapetto delle scale, per avere una visuale migliore del mago mentre al piano di sotto la Custode schivava al pelo gli attacchi combinati dei due.

Quando la lama dell'uomo superò la guardia dell'elfa, Kallian trattenne il fiato, ma la Dalish approfittò del momentaneo sbilanciamento per incastrare la lama nemica tra il proprio braccio e il fianco, digrignando i denti per il dolore mentre la spada le feriva la carne, tirandogli una ginocchiata e disarmandolo.

Roteò lo spadone, mozzandogli di netto la testa in un ultimo sforzo, prima di caracollare in avanti e quasi cadere a terra, la mano premuta contro il fianco sanguinante.

Il mago si lasciò sfuggire un'esclamazione di vittoria, alzando nuovamente il bastone per immobilizzare la Custode. Kallian fremeva in attesa del momento giusto.

«Teyrn Loghain aveva accennato che razza di scocciatura fossi...» Ansimava leggermente mentre si avvicinava ad Aenor, un ghigno malevolo sul volto. Doveva aver usato parecchia energia, ma non sembrava cedere. «Certo, mi aspettavo qualcosa di più di tre patetici elfi, non sei altro che una ragazzina.» Si leccò i denti in un gesto osceno. «Sei proprio un bel bottino, mi chiedo quanto pagherebbero i Magister per averti...»

La toccò con la punta del bastone magico, generando una scarica elettrica che si propagò per tutto il corpo dell'elfa, facendola urlare di dolore tra gli spasmi.

Kallian ignorò gli artigli di terrore che sembravano graffiarle lo sterno, scacciando il ricordo, aspettando -eccolo- il momento giusto. La barriera venne per un attimo abbassata.

Da quella distanza, le era impossibile sbagliare.

La freccia trapassò la spalla dell'uomo, mandando un sussulto per il braccio che reggeva il bastone e facendolo cadere a terra interropendo l'incantesimo.

Una seconda freccia si conficcò poco più al centro della schiena, mozzandogli l'imprecazione di dolore e facendolo accasciare sul pavimento.

Scese le scale di corsa, accertandosi che Aenor riuscisse a stare in piedi e fronteggiando poi il mago.

«Dove sono tutti?!»

Quello sputò un grumo di sangue a terra, senza rispondere.

Kallian sollevò l'arco e lo colpì alla mascella, forte, rompendogli qualche dente. «Parla!»

L'uomo tossì violentemente, allontanandosi strisciando verso Aenor. «Custode!» Gracchiò terrorizzato, le unghie che graffiavano le assi di legno. «Custode, posso aiutarvi. Risparmiatemi, vi renderò potente, molto potente! Permettetemi di sacrificare gli schiavi e-»

La Dalish, che si reggeva a stento puntellandosi sullo spadone, lo guardò con disprezzo, ringhiando qualcosa in elfico. «Se avessi voluto sconfiggere il Flagello sacrificando innocenti, l'avrei chiesto al mio, di mago del sangue.» Spostò poi lo sguardo su Kallian, ignorando i rantoli dell'altro. «Questo è tutto tuo. Vado a controllare che Zevran respiri.» Le disse, allontanandosi zoppicando vistosamente, la mano premuta sul fianco a fermare l'emorragia.

Sola di fronte allo schiavista, Kallian si piegò sulle ginocchia, il volto di fronte al suo. «È stato Loghain a permettervelo?»

Il mago del Tevinter ghignò. «Loghain, Howe, Minrathous... cosa cambia chi vende e compra dei ratti come voi?»

Lo afferrò per il bavero, strattonandolo fino a farlo urlare di dolore. «Dove. Li. Avete. Portati!» Scandì ogni colpo, furente, stringendo la presa fino a farlo diventare paonazzo. Lo lasciò poi cadere sul pavimento, annaspando per un po' d'aria. «Rispondimi!»

«Kirkwall, e da lì Minrathous.» Rantolò quello. «Non rivedrai più i tuoi amichetti...»

Gli conficcò il coltello nella nuca, ruotando l'impugnatura. Il corpo venne scosso dagli spasmi, poi divenne immobile.

Non poteva essere. Se solo fosse arrivata prima, suo padre...

«Kallian!»

Si voltò, allarmata, temendo un altro attacco.

Aenor e Zevran, sorreggendosi faticosamente a vicenda, malconci ma entrambi in piedi, le indicarono una porta chiusa, dietro la quale si sentiva un vociare concitato.

Corse in quella direzione, spalancandola con un calcio e rompendo il chiavistello arrugginito.

Perse un battito, quando il suo sguardo incontrò quello familiare del padre.

Cyrion, tenuto stipato dentro una gabbia assieme ad una ventina di altri elfi, si sporse verso di lei, urlandole qualcosa che non riuscì a capire, tanta era l'emozione di vederlo sano e salvo.

Si affrettò a liberarli, sciogliendosi poi in un pianto liberatorio una volta che si ritrovò tra le sue braccia, nascondendo il volto sulla sua spalla. «Mi sei mancato, papà...»




 

«Avevano decisamente bisogno di un vero guaritore...»

Kallian annuì, mentre la fila di elfi avanzava lentamente. Wynne e Morrigan avevano preso in mano la situazione dell'Enclave, riaprendo la finta clinica e distribuendo intrugli e incantesimi curativi a chiunque ne avesse bisogno.

«Arle Eamon è stato gentile a forzare la riapertura dell'Enclave...»

Scoccò a Leliana un'occhiata scettica. «Non credo che gliene freghi granché in realtà, sta probabilmente solo cercando di mettere sé stesso, Alistair ed Elissa in buona luce. Una volta che i patti di Loghain con gli schiavisti del Tevinter verranno resi noti, ne emergeranno come paladini dei più deboli.» Osservò due bambini rincorrere un gatto spelacchiato tra i vicoli fangosi, l'animale che riuscì a mettersi in salvo su una tettoia, soffiando come un matto mentre i due iniziavano a ridere. «Tutto ciò senza muovere effettivamente un dito.»

«Domani tutta questa storia sarà finalmente conclusa.» Cercò di rassicurarla Leliana, picchiettandole dolcemente sul braccio con le dita.

Kallian non credeva che le cose sarebbero cambiate molto per l'Enclave, ma sperava che Elissa ed Alistair si rivelassero regnanti migliori dei precedenti, attenti ai problemi persino dei più poveri che abitavano i ghetti della capitale.

Di sicuro non si sarebbero mai abbassati a compiere atrocità come lo schiavismo, ma la servitù a cui erano sottoposti la maggior parte degli elfi che vivevano a Denerim era, a detta di molti, altrettanto terribile.

Sentì qualche goccia di pioggia caderle sul naso. Alzò lo sguardo, verso le nuvole grigie che annunciavano temporale.

«Kallian, Lady Leliana, volete rientrare?» Le chiamò Cyrion dalla soglia di casa, sorridendo. «Ho messo su l'acqua per il tè.»

La figlia annuì, alzandosi in piedi e stringendosi nel mantello di pelliccia calda.

«Mi chiami soltanto Leliana, per favore.» Sorrise l'altra entrando, togliendosi una ciocca umida di capelli rossi dalla fronte.

«Vi prego allora di darmi del tu, Leliana.»

Kallian scosse la testa, trattenendosi dallo scoppiare a ridere. Si avvicinò al bollitore sul fuoco, prendendo delle foglie e lasciandole macerare nell'acqua qualche minuto per poi versare il tè in tre tazze, accorgendosi che il padre aveva tirato fuori per l'occasione il servizio buono.

Che in realtà consisteva nelle uniche tre tazze coordinate che avevano.

Passò il polpastrello sulla piccola sbeccatura sul bordo, risalente a tanti anni prima.

Cyrion sembrò evocare dal nulla una piccola scatola, chiusa con un fiocco azzurro, che aprì con un largo sorriso rivelando i biscotti secchi che le piacevano tanto.

«Alarith ti saluta e ringrazia per l'ennesima volta mandando questi.» Disse alla figlia, assaggiandone uno e chiudendo gli occhi mentre se lo gustava.

Leliana ne prese uno a sua volta, intingendolo graziosamente nel tè mentre si guardava attorno. Kallian si sentì improvvisamente un poco in imbarazzo, consapevole che, anche se per gli standard dell'Enclave casa propria era calda ed accogliente, agli occhi dell'altra doveva risultare poco più di un tugurio. Eppure, l'altra non sembrava farci caso, sorseggiando apparentemente a proprio agio il tè dalla tazza rovinata dal tempo.

Ad un certo punto, suo padre si alzò di nuovo, diretto nell'altra stanza. Lo sentì rovistare alla ricerca di qualcosa, tornando poi con un pacco avvolto nella stoffa tra le braccia.

«Prima che tu te ne vada un'altra volta, Kallian, c'è qualcosa che avrei dovuto darti anni fa...» le disse Cyrion, porgendole l'involto.

Si sporse, appoggiando la tazza sul tavolino di legno traballante e afferrandolo. Lo aprì delicatamente, incuriosita, estraendone una daga corta, il manico che presentava intricate decorazioni floreali. Liberò la lama dal fodero, ancora affilata e lucente.

La riconobbe subito.

«Papà...» Le morirono le parole in gola, sopraffatta dalla malinconia.

«Adaia voleva che la avessi tu.» Le disse carezzandole i capelli, un sorriso triste sul volto. «Forse se non avessi atteso così tanto per dartela, se non avessi avuto paura che ti potessi cacciare in qualche guaio, avresti potuto...» Sospirò, incapace di finire il discorso. «In ogni caso, ora è tua. Ti devo la vita, e come me gran parte dell'Enclave. E poi, Zanna era destinata a gente più coraggiosa di me.»

Kallian si alzò di scatto, abbracciandolo impacciata, stringendolo. Era più magro di come se lo ricordava, i capelli grigi ormai quasi bianchi nonostante fossero passati solo pochi mesi dall'ultima volta che si erano visti. «Grazie, papà.» Avrebbe voluto aggiungere qualcosa, dirgli che non era stata colpa sua, in alcun modo, che anche con un'armeria intera le cose non avrebbero potuto andare diversamente, che nonostante tutto lo stava superando, che le dispiaceva essersene andata di notte come una ladra facendolo preoccupare, ma le parole si rifiutavano di uscire, e allora cercò di trasmettere tutto ciò che provava in quell'abbraccio. «Ti voglio bene.»

«Anche io, bambina mia.» Le sussurrò, dandole un bacio sui capelli. «Come vorrei che Adaia potesse vederti adesso...» Scosse la testa, sorridendole nonostante la commozione. «Ora finiamo di bere il tè, prima che si raffreddi. E prima che la nostra ospite si senta in imbarazzo.»

Leliana stava osservando la daga, incuriosita. Si voltò verso di loro, indicandola. «Avete detto... Adaia?»

Kallian realizzò solo in quell'istante che non aveva mai chiamato sua madre per nome di fronte all'altra. Annuì.

«Ho conosciuto un'Adaia, quando sono stata a Denerim per la prima volta, sei anni fa...»

L'elfa sgranò gli occhi, sentendo una morsa allo stomaco.

«Era stata rinchiusa nelle celle dell'Arle-»

Cyrion scosse la testa. «Non è possibile, mia moglie è morta dieci anni fa.»

Leliana aggrottò le sopracciglia, mordendosi il labbro. «Mi dispiace, pensavo- Eppure ora che ci penso assomigliava molto a Kallian, e il nome non è così comune...»

Cadde il silenzio. L'elfo, pallido come un cencio, si avvicinò a Leliana, guardandola negli occhi. «Siete sicura? Poteva davvero essere ancora viva, dopo quattro anni...?»

«Aveva detto di essere stata rinchiusa per molto tempo, e... Oh Creatore, l'avranno accusata degli omicidi che io ho commesso per scappare-!»

Kallian si alzò di scatto, il cuore che le martellava nel petto, la testa che girava mentre un senso di nausea le attanagliava le budella. Le mancava l'aria.

La pioggia le inzuppò i vestiti, mentre si avvicinava al grande albero al centro della piazza. Si aggrappò alla corteccia del Vhenadahl, temendo di cadere, appoggiandovisi. Inspirò a fondo, cercando di calmarsi. Piano piano, l'attacco di panico cessò così com'era arrivato.

Si sedette per terra nel fango, le gambe molli, i capelli grondanti d'acqua sotto la pioggia battente.

«Kallian?»

Alzò lo sguardo.

Leliana, zuppa quanto lei, i capelli appiccicati al volto e gli stivali infangati, si inginocchiò accanto a lei, sfiorandole una spalla. «Stai bene?»

Era sempre così perfetta, com'era possibile?

Annuì. «Mi dispiace, sono-» Scosse la testa sospirando, non riuscendo a spiegarsi. «Finirai per ammalarti per colpa mia, sotto questa pioggia.»

«Non mi importa. Volevo... scusarmi.»

Si morse un labbro fino a farsi male. «Non c'è niente di cui scusarti. Non è stata colpa tua.»

«Avrei potuto controllare che uscisse sana e salva, o-»

Si alzò in piedi di scatto, voleva andarsene da quel luogo. Tornare a girovagare per il Ferelden, lasciarsi alle spalle tutto quel maledetto dolore. Aveva ritrovato suo padre soltanto per ricordarsi di come sua madre le era stata strappata in maniera così ingiusta.

«Sai, non l'ho conosciuta molto, Adaia, ma era coraggiosa. Come te.»

Kallian si sentì arrossire. Scosse la testa. «Non me la ricordo molto. Solo qualche cosa, il resto è perso per sempre. E ora...»

«Mi dispiace.»

Si strinse nelle spalle, rabbrividendo per il freddo. «Anche a me. Ma non è colpa tua, credevamo fosse morta da tempo. Vorrei solo...» “Averla vista un'ultima volta. Poterle chiedere scusa.” Tirò su col naso, le lacrime che si mischiavano alle gocce di pioggia.

Leliana, inaspettatamente, la abbracciò, stringendola a sé e riparandola sotto il mantello. «Lo so.»

La capiva, entrambe avevano perso così tanto. Si lasciò andare in quella stretta, tornando pian piano a respirare normalmente, i battiti che si facevano più lenti.

Si accorse di essere a pochi centimetri dal suo volto. Poteva contarle le lentiggini sul naso mentre Leliana le sorrideva debolmente, sentire il suo profumo nonostante il fango che le circondava.

Kallian si sporse verso di lei, poggiando le labbra su quelle morbide dell'altra.

Era così diverso dal baciare un uomo, più delicato e allo stesso tempo sensuale, inebriante mentre la stringeva a sé approfondendo il contatto.

«Temevo non ricambiassi.» Le disse Leliana quando si allontanarono un poco, l'una persa negli occhi dell'altra, spostandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio sano. «Non volevo...»

L'elfa accennò un sorriso imbarazzato. «Non ero certa neanche io. Ti ho fatta aspettare parecchio.»

Leliana la baciò di nuovo. «Avrei aspettato fino alla prossima era, per te.»




 

«Quindi...»

«Quindi.»

Evitarono di guardarsi, incerti su cosa dirsi.

Kallian osservò senza interesse uno scarafaggio arrampicarsi sul muro dello spaccio di Alarith, seduta su una botte di legno sotto il portico.

Nelaros, dal canto suo, sembrava ugualmente a corto di parole. «Ti devo la vita per la seconda volta.» Disse finalmente. «Senza di te, sarei già su una nave diretta in Tevinter.»

«Ho fatto solo il mio dovere.» Ribattè lei, a disagio. «Mi dispiace solo di essere arrivata troppo tardi, l'Hahren...»

«Hai fatto tutto il possibile.» La interruppe lui. «Se non fossi arrivata tu, nessun altro qui avrebbe alzato un dito.»

«Tu ci hai provato.»

«E guarda dove sono finito.» Scosse la testa, sospirando. «Non ho la stoffa per maneggiare le armi, sono bravo soltanto a forgiarle.»

Kallian voleva ribattere, dirgli che sicuramente ci sarebbero stati altri a ribellarsi, a combattere loro oppressori, ma tacque. In fondo, sapeva che lui aveva ragione. E doveva riconoscere anche che come guerriero, Nelaros faceva abbastanza pena. Non era nemmeno colpa sua, ogni elfo trovato con un'arma poteva essere giustiziato all'istante dalle guardie, figuriamoci se qualcuno si sarebbe azzardato ad allenarsi a combattere.

Solo lei, che aveva avuto una madre proveniente da un Clan Dalish, aveva ricevuto qualche insegnamento su come tirare con l'arco e ferire con un pugnale. Adaia si era sempre preoccupata che sua figlia fosse in grado di difendersi da sola se necessario, e ciò l'aveva portata ad essere rinchiusa ed uccisa nei sotterranei dell'Arle. Tutto per niente, visto come era finita poi al loro matrimonio...

“No,” si corresse “alla fine aveva ragione. Ho imparato dai miei errori e ne sono uscita più forte.”

Sapeva badare a sé stessa, e camminava a testa alta tra gli umani. Non era più un'elfa dell'Enclave, troppo impaurita e priva di speranza per farsi valere.

«Resterai qui?» Le chiese Nelaros, distraendola dai suoi pensieri.

Scosse la testa. «No, appena l'Incontro dei Popoli sarà risolto e il Flagello sconfitto, partirò di nuovo.»

«Potremmo riprovarci, sai?» Propose lui, arrossendo. «So che il nostro matrimonio non è stato mai finito, e certo ne abbiamo passate parecchie, soprattutto tu, ma... Sei una persona speciale, Kallian, e non mi dispiacerebbe averti accanto.»

Sorrise. «No, Nelaros. Non potrebbe più funzionare.»

Restò deluso. «È per quello che è successo con Kendells?»

Lei si morsicchiò il labbro, sovrappensiero. «No, o almeno, non soltanto. Non mi aspetto che tu riesca a capire, ma... non sono più la ragazza che si stava per sposare, né il corpo senza voglia di vivere che hanno scovato in un vicolo dopo essere stata gettata via da Vaughan come spazzatura, e nemmeno la creatura piena di rabbia che è andata alla ricerca degli eroi che vivevano nei boschi per vendicarsi e uccidere tutti gli umani.» L'altro la guardava confuso. Kallian si strinse nelle spalle. «Ho viaggiato con persone di ogni genere e... ho scoperto una me stessa che non pensavo di poter essere, ho conosciuto anche qualcuno di speciale. Non posso rinunciarci. Non voglio.»

Nelaros si grattò la fronte. «Non ci ho capito molto, ma... sei felice?»

Lei annuì.

«Allora mi basta questo. Sono contento per te, davvero. Anche se...» sembrava incerto se chiederle o meno qualcosa. Alla fine, sembrò decidersi. «È vero di te e l'umana, quindi?»

Kallian si accigliò un attimo, incuriosita. «Come...?»

«Ho sentito tuo padre e Shianni spettegolare. Shianni, soprattutto. Parla sempre a voce alta e-»

L'elfa scoppiò a ridere. «Sì, ho presente. Comunque sì, Leliana ed io siamo molto legate.» Lo fissò negli occhi, curiosa. «Ti crea problemi?»

L'altro sorrise. «No, affatto.» Appoggiò la schiena contro il muro, lo sguardo che vagava sulla piazza. «Sono un tipo troppo noioso per una persona speciale come te. Ma sono contento di conoscerti.»

«Non sei affatto noioso, Nelaros. E sono sicura che troverai qualcuna perfetta per te.» Si rese conto di quanto suonassero scontate quelle parole nel momento stesso in cui le pronunciò. «Dico davvero.»

L'elfo inarcò un sopracciglio. «Grazie. Beh, in ogni caso non avrei abbastanza soldi per tornare all'Enclave di Altura Perenne, nemmeno se lo volessi. Quindi, resterò qui a cercarmi un lavoro. Con il Flagello e tutto, ci sarà qualcuno che ha bisogno di un apprendista fabbro, no? E chissà, magari troverò un buon partito, anche se non sarà mai alla tua altezza.»

Kallian rise di nuovo. «Sarà sicuramente più bella.»

«Non ho mai pensato che tu non lo fossi, nemmeno per un istante.»

Sapeva che probabilmente stava mentendo, ma non le importava. Le cicatrici che aveva addosso erano parte della persona che era, ormai. Quello che contava, era che si stavano rimarginando, e con esse anche i brutti ricordi.

«Potrei mettere una buona parola per te con i futuri re e regina del Ferelden.» Propose, cambiando argomento. «Ti pagherebbero bene, direttamente dalle casse reali.»

«Li conosci davvero?»

Annuì. «Sono brave persone.»

Nelaros non sembrava troppo convinto. «Ad Altura Perenne, non c'era una grande considerazione dei Cousland nell'Enclave. Non si curavano minimamente di noi, e le guardie cittadine spadroneggiavano tanto quanto qua.»

«Elissa è diversa.» Si sorprese a prendere le difese dell'altra. «E Alistair sarà un re molto migliore del suo fratellastro, ne sono sicura.»

«Hai molta fiducia in loro, per essere due umani.»

Kallian si strinse nelle spalle. «Mia madre diceva sempre che non tutti gli umani erano cattive persone. Solo persone. E ciascuno è diverso.» Sorrise al ricordo, quando da bambina ribatteva che non ci credeva, non poteva essere vero. «Alla fine aveva ragione.»























Note dell'Autrice: e anche la situazione all'Enclave è stata risolta. Kallian e Leliana si sono finalmente dichiarate, e l'elfa ha scoperto qualcosa in più sulla madre. Si è finalmente messa in pace con sè stessa, dopo tanto tempo, ed è pronta ad affrontare qualsiasi cosa le si prospetti di fronte. Ovviamente, con Leliana al fianco. 
L'Incontro dei Popoli è alle porte, finalmente la resa dei conti è vicina.
Stavo aspettando di pubblicare questo capitolo per postare QUESTO che avevo disegnato tempo fa.
Al prossimo capitolo e grazie a chi sta seguendo questa storia, siamo quasi alla fine! <3 

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Capitolo 38
*** Incontro dei Popoli ***


CAPITOLO TRENTOTTO:

INCONTRO DEI POPOLI



 

Si attorcigliò attorno alle dita il laccetto di cuoio che reggeva la benda che portava sull'occhio, in preda al nervosismo, prima di allacciarlo stretto dietro la testa. Controllò per l'ennesima volta che i capelli fossero al loro posto, le ciocche bionde e ricce meticolosamente fissate nell'elaborata acconciatura che già cominciava a darle mal di testa. Non vi era più abituata.

Si sentì una sciocca. Avevano tutti problemi più grossi dei capelli fuori posto, eppure eccola lì a preoccuparsi del proprio aspetto.

Sua madre sarebbe stata fiera di lei per un attimo, poi le avrebbe suggerito di piantarla e aprire quella porta.

Alistair, accanto a lei, le strinse per un attimo la mano. Spalancarono insieme i battenti di legno massiccio, decorati con intagli di scene di caccia, facendosi poi largo tra la folla di nobili radunatisi a Forte Drakon. Era un gran cambiamento dall'ultima volta che era stata lì, soprattutto considerando come ne era dovuta uscire. Biscotto, pulito e profumato dopo un necessario bagno, si teneva attaccato alla sua gamba, le orecchie basse.

«Teyrn Loghain vorrebbe farci rinnegare le nostre tradizioni, il nostro onore, per le sue paure immotivate!» Alzò lo sguardo su Arle Aemon, che dall'alto della sua balconata si stava già appellando ai bann e arle attorno a loro. Aenor, in assoluto silenzio appoggiata alla parete dietro di lui, fissava un punto indefinito sul soffitto con apparente disinteresse. «Ci ha portati a questo, e dovremmo ancora fidarci di lui? Vorrebbe farci sacrificare tutto ciò che amiamo del nostro paese, nella sua folle idea di salvarlo!»

Alcuni applaudirono, ma la maggior parte si erano voltati verso lei ed Alistair, aprendosi in due ali al loro passaggio mentre salivano sulla scalinata che portava al palchetto dove stava Aemon.

Loghain si alzò dal suo scranno, l'armatura massiccia che lo rendeva ancora più imponente. «Un discorso accorato, Aemon, peccato tu non riesca a convincere nessuno.» Il suo sguardo trapassò Elissa come una scheggia di ghiaccio, ma la ragazza si impose di sostenere la sfida, rimanendo impassibile. «Tutti noi sappiamo che questo ragazzino non è altro che un fantoccio, manovrabile a piacimento vostro e da questa donna assetata di potere!»

Un paio batterono le mani, dandogli manforte e schernendola malevoli.

«Quanto vi ha pagati Orlais per mettere in ginocchio il nostro paese e porre sul trono la nostra futura disfatta?» La incalzò Loghain, sovrastando il vociare. «Quando l'Imperatrice deciderà di riprendersi il Ferelden, dovrà mandare le sue truppe o sarete voi stessi a consegnarglielo senza farle muovere un dito? Ditemi, Lady Cousland, qual è il prezzo del Ferelden e del vostro onore?»

Tutti gli sguardi erano puntati su di lei.

Elissa non battè ciglio, ricambiandoli uno ad uno mentre si appoggiava alla balconata in modo che tutti potessero udirla.

«Miei signori e signore, bann, arle e teyrn,» iniziò schiarendosi la voce, sperando di non dare a vedere il proprio nervosismo, «mentre perdiamo tempo a discutere su chi debba sedere su un trono, il Flagello distrugge il nostro paese, uccide il nostro popolo e saccheggia le nostre città, insozza i nostri campi e contamina la nostra terra. Ben presto, non avremo più un Ferelden da governare!»

«Le terre del Sud sono ormai distrutte!» Vociò un uomo.

«Sì, Lady Cousland ha ragione. E i rifugiati che cercano tutti giorni riparo nelle nostre terre più a Nord ne sono una prova!» Bann Alfstanna Eremon le rivolse un cenno di incoraggiamento, mentre in molti davano loro ragione.

«E di chi dovrebbe essere la colpa, sentiamo!» Ribattè Loghain, per niente preoccupato. «Avete spaccato in due questo paese, non accettando di sottomettervi alla Corona.»

«Proprio voi parlate di dividere il paese!» Si infervorò Elissa, alzando la voce. «Avete dato il vostro supporto a quel vile traditore di Howe dopo che aveva sterminato la mia famiglia con l'inganno e avete mandato un mago del sangue ad avvelenare Arle Eamon!»

«Ciò che è accaduto alla vostra famiglia è stato un terribile incidente, Lady Cousland, un incendio scatenato dall'inettitudine della vostra servitù-»

«Non osate!» Lo sovrastò Elissa, stentoria. «Non osate insozzare il nome della mia casata e di mio padre, Bryce Cousland, ripetendo le menzogne di quel vile Howe!»

«Ah!» Scoppiò a ridere Loghain, trionfante. «Peccato proprio che Teyrn Rendon Howe non sia qui a difendersi dalle vostre accuse, oggi, visto come l'avete massacrato nel suo stesso palazzo pochi giorni fa. Parlate di magia, Lady Elissa, eppure ciò che è stato trovato dalle guardie in quel sotterraneo era una scena a dir poco raccapricciante.»

Elissa inarcò il sopracciglio, facendo un cenno con la mano verso il fondo della sala. «Chiediamo al diretto interessato, allora. Massacrato? Non credo proprio, Teyrn Loghain, non mi abbasserei mai a certi livelli.»

Due guardie in armatura, il volto coperto dall'elmo scintillante, scortarono Rendon Howe al centro della sala. L'uomo camminava a testa bassa, digrignando i denti e strattonando le catene che gli impedivano di muovere liberamente gambe e braccia.

Si alzarono esclamazioni di sorpresa generale.

Elissa aveva contato gli attimi che mancavano all'esecuzione di Howe dal momento stesso in cui l'avevano fatto prigioniero. «Arle Rendon Howe, raccontate a tutti come abbiate trucidato la mia famiglia a sangue freddo e di come abbiate preso prigioniero Bann Oswyn Sighard torturandolo per mesi.»

L'uomo in catene rabbrividì vistosamente, storcendo la bocca in una smorfia sofferente.

Agli occhi degli spettatori, poteva sembrare rabbia, ma Elissa sapeva che l'uomo stava semplicemente cercando di liberarsi dai tentacoli di magia del sangue che lo tenevano sotto stretto controllo, burattino nelle mani dei due maghi nascosti sotto l'armatura.

«Ho aspettato che gli uomini di Bryce Cousland partissero per Ostagar.» Cominciò a raccontare Howe in tono aspro. «Se avesse avuto tutte le sue forze a proteggerlo, non ce l'avrei mai fatta. Una volta che suo figlio se n'era andato portandosi dietro il grosso delle loro truppe, lasciando solo Bryce con la moglie e la sua maledetta figlia... ho ordinato ai miei uomini di attaccare. Abbiamo messo a ferro e fuoco il castello, stanandoli uno ad uno. Ho sgozzato Bryce io stesso, lo sognavo da anni, finalmente la mia vendetta, la mia possibilità di dimostrare quanto fossi migliore di quell'idiota borioso. E avrebbe funzionato, se lei-» guardò Elissa con odio, trapassandola da parte a parte, per un attimo, un brevissimo attimo, libero dalla presa dell'incantesimo di Geralt, «non mi fosse sfuggita.»

La ragazza strinse i denti, sostenendo il suo sguardo, le urla di quella notte impresse in modo indelebile nella sua mente. Biscotto, accanto a lei, ringhiava in direzione del prigioniero, assetato di sangue quanto la padrona. Ma dovevano aspettare. Gli accarezzò la pelliccia sul collo, calmandolo.

«Avete sentito che razza di mostro sia l'uomo in cui Teyrn Loghain ha riposto la sua fiducia per aiutarlo nei suoi loschi piani. E non è finita.»

«Loschi piani?!» Ribattè Loghain con una risata fredda. «Howe era assetato di potere, lo è sempre stato, ma io non c'entro nulla con quanto successo ai Cousland, non ne sapevo niente.» Guardò l'altro come se fosse un insetto particolarmente brutto sotto la suola della scarpa. «Se lo avessi saputo, non ci avrei avuto nulla a che fare.»

Alcuni annuirono, la loro fiducia nell'Eroe di River Dane ancora salda.

Howe, però, non si sarebbe lasciato mettere da parte così facilmente. Da voltafaccia qual era, Elissa contava che avrebbe fatto tutto il lavoro per lei, e non restò delusa.

«Vi ho protetto!» Urlò con la sua voce nasale, un dito accusatore puntato tremante contro l'altro. «Sighard, sapeva che avevate ordinato ai vostri uomini di tagliare la corda, ad Ostagar! Gli ho impedito di raccontarlo in giro, perché avrebbe minato al vostro potere, l'ho rinchiuso per voi!»

Si levarono esclamazioni di sorpresa, mentre Bann Sighard annuiva addolorato. «Molte delle cose fatte a mio figlio sono al di là delle abilità di qualsiasi guaritore... I responsabili dovranno pagare!»

«Ostagar era una battaglia persa in partenza, sono stati i Custodi Grigi ad ingannare re Cailan, facendogli credere di poter vincere con le loro storie di fantasia!» Tuonò Loghain, cercando di ristabilire l'ordine. «Chi di voi era lì può confermarlo.»

Con grande sorpresa di tutti, fu Alistair a prendere la parola. «Io c'ero.» Disse, stringendo nervosamente la balaustra di legno. «Il mio fratellastro, Re Cailan, era convinto di poter vincere, è vero. Ma Duncan, il comandante dei Custodi Grigi, lo aveva esortato più volte ad essere prudente, sconsigliandogli di scendere in battaglia nelle prime file, dove combattono i Custodi.» Fece un cenno col capo in direzione di Loghain. «Eravate voi il suo consigliere più fidato, oltre che essere il suo generale migliore e la persona di cui più si fidava, non era compito vostro tenerlo in vita?»

«I Custodi Grigi erano in combutta con Orlais sin dal primo momento!»

«Certo, e il piano era proprio quello di farci massacrare tutti.» Ribattè Alistair sarcastico. «Ha funzionato benissimo.»

«Non abbastanza evidentemente!» Ringhiò il Teyrn. «Non accetto di essere preso in giro da un ragazzino. E già che stiamo discutendo dei vostri crimini, Custodi, che ne avete fatto di mia figlia, la legittima Regina?!»

«Penso che anche qui Howe abbia qualcosa da dire.» Si intromise Elissa. Una delle guardie pungolò il prigioniero nel costato, facendolo gemere di dolore. Non oppose resistenza. «La Regina Anora era giunta a palazzo facendo domande scomode, sulla battaglia di Ostagar e sulla morte di suo marito, Re Cailan...»

«E voi, per proteggere voi stesso e mio padre, mi avete rinchiusa e minacciata di morte!»

La Regina Anora fece il suo trionfale ingresso, mentre in molti si lasciavano scappare esclamazioni sorprese. Elissa pregò che mantenesse la parola data. «Se non fosse stato per Lady Cousland e la Custode Mahariel, sarei morta.»

«Anora.» La salutò Loghain, chinando il capo con espressione addolorata. «Allora le menzogne di questi sobillatori hanno ingannato anche te. Mi dispiace, avrei voluto proteggerti.»

«Penso di poter proteggermi da sola, padre, e di saper riconoscere la verità.» Ribattè lei gelida. Scrutò la sala, impettita, sfidando chiunque a parlare contro la Regina. «L'uomo che vedete di fronte a voi non è più l'eroe che tutti voi conoscete, colui che ci ha liberato dal dominio di Orlais. Quest'uomo ha vigliaccamente ritirato le sue truppe al momento del bisogno, mentre il vostro re combatteva coraggiosamente al fianco dei Custodi Grigi contro la Prole Oscura. Quest'uomo si è impadronito del trono di Cailan quando il suo cadavere era ancora caldo, rinchiudendomi a palazzo per evitare che raccontassi la verità!»

«Lord e Lady del Ferelden!» Cercò di riportare la platea dalla propria parte Loghain. «Il nostro paese è caduto in mani nemiche innumerevoli volte, e altrettante abbiamo combattuto per riprendercelo! Ho fatto quello che andava fatto, per mantenere unito il Ferelden, forte contro i suoi nemici che si trovano proprio qui, in mezzo a noi!»

«Credete davvero che Arle Eamon, fratello della defunta Regina Rowan, stia complottando per impossessarsi del trono e venderlo ad Orlais? È per questo che l'avete fatto avvelenare da un mago del sangue?» Lo interruppe Elissa, incrociando le braccia sul petto.

Scese il silenzio.

La Reverenda Madre, un'anziana signora nelle vesti riccamente decorate della Chiesa Andrastiana di cui era la più alta carica del Ferelden, era come congelata in una smorfia di muto orrore.

«Non so di cosa stiate-» provò a difendersi Loghain, ma venne interrotto.

«Mio fratello racconta una storia molto diversa, Teyrn Loghain.» Si alzò in piedi Bann Aflstanna Eremon, colpendo con un pugno la balaustra di legno su cui era appoggiata, il colpo che risuonò secco per la sala. «Alcuni vostri uomini lo hanno attaccato mentre era in missione per conto dei Templari. Doveva stanare e riportare al Circolo un mago del sangue fuggito dalla Torre. La Custode e Lady Cousland l'hanno trovato solo qualche giorno fa, rinchiuso nelle celle del vostro tirapiedi Howe.»

Il prigioniero annuì, rabbrividendo vistosamente. «Loghain voleva impedire che Arle Eamon interferisse con la sua presa al potere. Il mago del sangue ha accettato di avvelenarlo in cambio della propria libertà.»

«Teyrn Loghain!» Gracchiò la Reverenda Madre, oltraggiata. «Immischiarsi negli affari della Chiesa e dei suoi Templari è un grave crimine, per non parlare del collaborare con un mago del sangue! La Chiesa prenderà provvedimenti, non possiamo soprassedere.»

Il Teyrn scrollò le spalle, ma doveva rendersi conto di star perdendo molto del suo sostegno iniziale. «Intanto, i miei sospetti su Aemon erano fondati, non ha fatto altro che cercare di indebolire il paese da quando è stato guarito.»

«Avete gettato voi legna sul fuoco della guerra civile!» Urlò qualcuno dal fondo della sala.

«Il conflitto ha diviso il nostro esercito, rendendoci preda della Prole Oscura!»

«I vostri crimini sono indifendibili, Teyrn Loghain.» Prese parola Arle Eamon, ristabilendo l'ordine. «Per paura di una remota invasione di Orlais, vi rifiutate di affrontare il problema che sta proprio davanti ai vostri occhi, ovvero il Flagello.»

«Non ci si può fidare di Orlais!» Ribattè l'altro, quasi urlando.

Aemon estrasse una delle lettere che avevano trovato ad Ostagar, sollevandola sopra la testa. «Questo è un documento della corrispondenza tra Re Cailan e l'Imperatrice Celene di Orlais, in cui entrambi i regnanti riconoscevano l'importanza di fermare il Flagello e, per farlo, firmavano un trattato di aiuto reciproco. Cailan voleva far passare degli Chevalier nei nostri confini, perché ci aiutassero nella battaglia di Ostagar, ma voi-» puntò un dito accusatorio contro Loghain «avete preferito ricacciarli indietro, piuttosto che averli a fianco come alleati.»

Il Reggente contrasse la mascella. «Quanto vi ha pagato l'Imperatrice per disseminare queste menzogne, Aemon?»

«Potrei farvi una domanda molto simile, Teyrn Loghain.» Si intromise Elissa, in mano una pergamena che sfoggiava il sigillo di ceralacca dell'Impero del Tevinter, trovato sul corpo del mago che Aenor e gli altri avevano ucciso nell'Enclave. «Se non sapessi già con esattezza quanto vi hanno dato gli schiavisti del Tevinter per permettergli di rifornirsi di schiavi dall'Enclave elfica di Denerim!»

In sala si levarono altre esclamazioni di oltraggio e sorpresa.

«Non c'è modo di salvare l'Enclave, in ogni caso!» Ribattè Loghain. «I danni della rivolta non sono ancora stati riparati, ci sono corpi che marciscono in mezzo alla strada, un'epidemia che infuria tra i vicoli sudici, non vi manderei il mio peggior nemico. Non c'è modo di difendere il quartiere, nel caso la Prole Oscura dovesse arrivare a minacciare la capitale. A dispetto di quello che potete pensare, ho fatto solo il mio dovere. Mi dispiace per gli elfi, ma mi devo occupare prima di tutto dei cittadini del Ferelden.»

«La schiavitù è stata abolita dalla Profetessa Andraste!»

«È inaccettabile, non pagano le tasse anche gli elfi, come qualsiasi altro cittadino umano?» Riprese parola Bann Sighard, sollevando parecchi cenni d'assenso.

Elissa diede loro man forte. «Avete venduto delle persone incapaci di difendersi ad un impero governato da maghi del sangue senza scrupoli, gli stessi che hanno ucciso la Sposa del Creatore su una pira e hanno scatenato il Primo Flagello, soltanto per finanziare la vostra guerra civile.»

«Ho dovuto fare una scelta, per proteggere il mio paese. E non intendo chiedere scusa!» Si ostinò il Teyrn, che stava definitivamente perdendo le staffe assieme al consenso della platea.

Elissa sostenne lo sguardo dell'uomo senza battere ciglio. L'uomo che aveva ammirato più di ogni altro, che aveva sognato di incontrare sin da bambina, l'eroe a cui aveva aspirato per tutta la vita. Scosse la testa, profondamente delusa, riportando la sua attenzione sui nobili che aspettavano una conclusione a quell'incontro, poi su Howe, colpevole di aver distrutto la sua famiglia e, infine, incrociò lo sguardo dell'uomo che amava e che stava cercando di mettere sul trono con tutte le sue forze. Si schiarì nuovamente la gola.

«Lord e Lady del Ferelden, bann e arle del nostro meraviglioso e sofferente paese.» Iniziò, la voce ferma mentre cadeva un assoluto silenzio. «Teyrn Loghain non è più l'eroe su cui abbiamo sempre contato, il brillante stratega a cui dobbiamo la nostra libertà. Ha tradito il suo re, il figlio del suo migliore amico, il legittimo sovrano che aveva messo sul trono dopo quasi un secolo di occupazione straniera. Il periodo di pace gli è risultato inaccettabile e l'ha reso paranoico, di fronte alla reale minaccia del Flagello non ha saputo mettere da parte gli antichi dissapori, cadendo preda delle sue paure e rivoltandosi contro i valori stessi del nostro paese.»

In molti annuirono. Vide Arle Bryland farle un piccolo cenno di incoraggiamento, accanto a Bann Alfstanna Eremon.

«Ora, vi chiedo, volete davvero continuare ad affidarvi ad un uomo che è scappato di fronte al pericolo, abbandonando il proprio re e i propri uomini ad una morte atroce, che si è avvalso di vipere quali Howe come collaboratori del suo spregiudicato dominio, usurpato alla sua stessa figlia, un uomo che ha venduto il suo popolo in schiavitù e complottato con maghi del sangue per sbarazzarsi dei suoi rivali politici?»

«Sì, Lady Cousland ha ragione...»

«Loghain è un traditore!»

«Stolti, come possiamo difenderci senza l'Eroe di River Dane?!»

«Miei signori e signore, vi prego!» Li richiamò all'attenzione Anora. «Lady Cousland sta dicendo la verità. Datele ascolto. Per quando mi rincresca, mio padre non è più l'uomo adatto a guidarci in questi tempi difficili.»

«E allora perché non lasciare la corona alla regina?» Urlò qualcuno.

Elissa si sentì il cuore in gola. “Creatore, fa che non ci volti le spalle...”

Anora annuì gravemente. «Purtroppo, Bann Bryton, devo ammettere di non essere la candidata migliore per questo compito.» Sospirò vistosamente, accennando con grazia ad Alistair. «Di fronte a voi avete il figlio di Re Maric, sangue del suo sangue. La linea dei Theirin deve continuare, affinchè questo paese prosperi per altri secoli.»

Grata del suo intervento a loro favore, Elissa annuì, prendo parola a sua volta. «Alistair ha dimostrato più volte di avere quelle qualità che hanno permesso a Re Maric di unificare il Ferelden sotto un lungo periodo di pace. È un buon soldato, leale verso i suoi compagni e sempre pronto a scendere in campo per una giusta causa in difesa dei più deboli. È un guerriero esperto in battaglia e strategia, nonostante la giovane età, grazie al suo addestramento nell'Ordine dei Templari prima e come Custode Grigio poi. Ha il sangue dei Theirin nelle sue vene e se ne è sempre dimostrato degno, eppure abbastanza umile da accettare consigli là dove non ritiene di avere le conoscenze ed esperienze necessarie. Re Maric stesso era poco più di un ragazzo quando guidò il Ferelden contro gli oppressori di Orlais, unendo tutti i bann sotto il suo comando.

Fu Alistair ad intromettersi. Era pallido in volto, ma sfoggiava un'espressione determinata mentre prendeva la parola, appellandosi a tutti i volti puntati su di lui.

«So che molti di voi considerano la mia pretesa al trono una farsa, mia madre non era di nobili origini e su questo avete ragione. E tanti si staranno chiedendo come possa rinnegare la mia appartenenza all'Ordine dei Custodi Grigi per la corona di mio padre, ma il giorno della mia Unione ai Custodi ho fatto un giuramento, di fronte a me stesso e al Creatore: avrei protetto il mio paese ed il Thedas, ed è precisamente quello che intendo fare. Loghain ci ha portati sull'orlo della disfatta. Se sedermi sul trono significa avere la possibilità di sistemare le cose, portare il Ferelden alla vittoria contro il Flagello e ad un periodo di pace e prosperità, allora lo farò. E vi prometto che non sarò da solo in questa impresa, ma avrò bisogno del sostegno e del consiglio di ognuno di voi, perché se, come abbiamo visto, divisi siamo vulnerabili, è quando siamo uniti che il Ferelden dà il meglio di sé!»

Elissa lasciò qualche secondo alla platea perché le parole di Alistair facessero presa. «Voi tutti potete vedere la somiglianza di Alistair con suo padre. Ora, vi chiedo, appoggerete una seconda volta l'erede della nobile ed antica dinastia di Calenhad Theirin, per affrontare come un sol popolo la minaccia che incombe su tutti noi?»

La maggior parte dei presenti annuirono convinti, facendosi avanti uno dopo l'altro per mostrare il proprio supporto ad Alistair Theirin.

Loghain, ad ogni stoccata, digrignava i denti. Solo una manciata di bann si schierarono dalla sua parte, tra questi Bann Ceorlic.

«Traditori!» Tuonò il Teyrn livido in volto. «Chi di voi ha affrontato l'esercito di Orlais mentre gli Chevaliers saccheggiavano le vostre terre e stupravano le vostre mogli?» Indicò Aemon con il braccio. «Un tempo ti importava di questo paese, Aemon, e avresti combattuto al nostro fianco come tua sorella sfidò gli eserciti nemici. Ma ora sei troppo grasso e vecchio e cieco per vedere il pericolo che incombe su tutti noi!» Sfidò tutti gli uomini e donne che si erano schierati contro di lui, furioso. «Nessuno di voi ha il diritto di decidere della successione al trono di Maric! Nessuno di voi ha sanguinato più di me per questo paese, come osate giudicarmi?!»

«Adesso piantatela, Loghain.» Replicò aspramente Bann Leonas Bryland, adirandosi. «Ho combattuto al fianco di Bryce Cousland per il nostro amato defunto Re Maric, e così molti altri qui presenti, così come i loro padri e nonni. Non starò qui a guardare mentre ci arrecate offesa con il vostro orgoglio, sminuendo i nostri sforzi e i nostri cari periti in guerra. Non vi lasceremo distruggere il paese per cui abbiamo da sempre combattuto.»

Loghain, sotto gli occhi sconvolti di tutti i presenti, estrasse la spada, puntandola contro Alistair. «Vuoi davvero prenderti il trono e guidare questo paese?! Allora dimostrami di esserne capace, ragazzino!»

Il Custode rimase immobile per un lunghissimo secondo, chinando poi il capo in un cenno di assenso mentre sguainava a propria volta la spada. «Sarà un piacere.»

Elissa sentì il cuore saltarle un battito. Avrebbe voluto dirgli di stare attento, pregarlo di non lasciarsi sopraffare dalla rabbia e mantenere la calma, ma sapeva che Alistair da mesi non aspettava altro che poter scontrarsi con l'uomo che aveva ucciso tutti i Custodi Grigi e con loro il suo mentore, Duncan.

I due sfidanti si posizionarono al centro della sala, dove i nobili impazienti avevano liberato uno spazio abbastanza grande, restando a guardare col fiato sospeso.

Alistair e Loghain si girarono attorno per qualche secondo, studiando l'uno i movimenti dell'altro e cercando di analizzarne i punti deboli prima di attaccare.

Fu Loghain a fermarsi per primo, invitandolo a fare la prima mossa. «Fatti sotto, ragazzino.»

Nonostante la provocazione, Alistair mantenne la calma.

Lo scontro fu violento e dall'esito incerto: se dalla sua Alistair aveva più forza ed energia, Loghain era un combattente più esperto e spietato, che approfittava di ogni minima apertura nella guardia dell'altro.

Quando il Custode riuscì a sbilanciarlo, Elissa trattenne il fiato, ma il Teyrn si riprese all'ultimo, sorprendendolo con un fendente alla testa che si incastrò poco sotto lo spallaccio, tagliando via parte delle cinghie che lo sorreggevano e lasciando per un attimo vulnerabile l'altro, che si tirò indietro di scatto, ansimando, un rivolo di sangue che scendeva per il braccio.

Si allontanarono cercando di riprendere fiato.

Loghain sanguinava leggermente da un taglio sulla fronte e aveva il pettorale dell'armatura ammaccato verso l'interno, mentre Alistair, oltre alla spalla ferita, zoppicava un poco, cercando di non spostare il peso sulla gamba sinistra.

«Non male per un ragazzino ancora sporco di latte.» Lo sbeffeggiò il Teyrn, che tuttavia sembrava risentire dell'età.

Alistair si limitò a digrignare i denti, dalla sua l'energia dei Custodi Grigi che gli permetteva di resistere più a lungo. Lo attaccò di nuovo, e dopo una serie di scambi violenti, lo disarmò con un colpo dello scudo in pieno petto, che mozzò il fiato dell'avversario facendolo cadere a terra, la spada che andava a perdersi sul pavimento.

«Ah! A quanto pare mi sbagliavo. C'è un poco di Maric in te.» Rantolò Loghain, mettendosi faticosamente seduto.

La spada di nuovo sollevata, Alistair lo fissò con odio, pronto a dargli il colpo di grazia. «Lascia stare Maric, questo è per Duncan.»

Con un clangore assordante, la lama del Custode cozzò contro un'altra spada, sbucata dal nulla.

Aenor, sgusciata silenziosamente tra la folla durante il combattimento, ora si frapponeva tra Alistair e Loghain, impassibile. «Hai vinto Alistair, nessuno può negarlo. Ora rinfodera la spada.» Approfittò del momentaneo sgomento dell'altro per far scivolare la lama sulla sua e colpirlo di piatto, costringendolo ad allontanarsi dall'uomo a terra di qualche passo.

«Sei impazzita?!» Sbottò Alistair, stringendo spasmodicamente l'elsa, gli occhi sgranati. Si mise in posizione d'attacco, sollevando lo scudo. «Spostati, o lo farò io per te.»

L'elfa restò completamente immobile. «Invoco il Diritto di Coscrizione su quest'uomo.»

Alistair ci mise un attimo a processare quelle parole, nei suoi occhi sorpresa, delusione e, infine, rabbia. «No, non te lo permetto!»

Caricò con furia la compagna, che parò il colpo senza difficoltà, gli affondi dell'altro resi goffi dallo sforzo precedente, le ferite riportate e la furia cieca che lo impossessava. Aenor riusciva sempre a frapporsi tra lui e Loghain, ancora a terra.

«Come puoi difenderlo, dopo tutto quello che ci ha fatto?!» Sbraitò Alistair dopo uno scambio particolarmente violento, rosso in volto e col fiatone. «Ha ucciso Duncan, ci ha accusato dei suoi crimini, ci voleva tutti morti!»

«Ci serve, Alistair. Vivo.»

Il Custode cercò di disarmarla, e ci sarebbe forse riuscito non fosse stato per la gamba ferita, che lo sbilanciò durante l'affondo permettendo all'elfa di riprendere l'equilibrio e rispondere al colpo.

«Non puoi lasciarlo in vita! Non si merita di essere un Custode Grigio, non-!»

«È una punizione sufficiente per i suoi crimini.» Ribattè Aenor. «Inoltre, potrebbe non sopravvivere comunque.»

Elissa sentì una fitta al petto. Voleva dire qualcosa, mettersi in mezzo, evitare che le cose andassero in quel modo, proprio ora che i due Custodi sembravano aver trovato un punto d'incontro dopo tanto tempo. Eppure, l'elfa era stata categorica: se Alistair avesse dovuto odiare qualcuno, avrebbero fatto in modo che fosse soltanto Aenor.

Fortunatamente per loro, Anora era libera di correre in aiuto del padre. «La Custode Mahariel ha ragione!» Urlò, facendosi avanti tra la folla e affiancando l'elfa, mettendosi anche lei tra il padre ed Alistair, che non accennava però ad abbassare le armi. «Mio padre può aver commesso degli errori, ma nessuno qui può negare il suo valore come soldato e stratega.»

Ci furono parecchi cenni d'assenso. In fondo, molti dei nobili lì presenti avevano combattuto al fianco dei Teyrn contro Orlais, oppure erano cresciuti con le storie sul suo coraggio. In pochi avrebbero voluto veder giustiziato l'Eroe di River Dane di fronte ai loro occhi.

«Lasciate che faccia ammenda dei suoi crimini unendosi all'Ordine dei Custodi Grigi. Permettetegli di combattere un'altra volta per la salvezza del Ferelden.»

«No, non lo accetto!» Si oppose Alistair, urlando, ma si stava rendendo conto di rischiare di perdere il consenso appena ottenuto. «Non-»

Elissa gli si avvicinò lentamente, afferrandogli un polso e stringendolo delicatamente. «Non iniziare il tuo regno andando contro i Trattati. Non ne vale la pena.» Gli sussurrò. «Abbiamo bisogno dei nobili per vincere questa guerra, e per mantenere la pace in futuro.»

Il ragazzo rimase immobile per qualche altro lunghissimo istante, esitando sul da farsi, gli occhi puntati in quelli verdi dell'elfa. «Se davvero vuoi reclutarlo, resti da sola. Non combatterò al fianco di traditori.»

Aenor sostenne il suo sguardo. «Fa come credi, non cambia la mia decisione di coscriverlo.»

Con una smorfia di disgusto, Alistair abbassò la spada. «Credevo fossi meglio di così. Evidentemente mi sbagliavo.» Voltò le spalle alla Custode e a Loghain, rinfoderando la lama. «Prenditelo pure e sparite dalla mia vista. Ho un esercito e una guerra da organizzare.»

Elissa intercettò il brevissimo cenno d'intesa che l'elfa le lanciò, prima di afferrare Loghain per un braccio e girare i tacchi, andandosene senza un'altra parola, sotto gli sguardi d'approvazione degli astanti.

A quel punto, c'era solo un'ultima questione di cui occuparsi.

Howe era inginocchiato a terra, Geralt e Jowan ben nascosti sotto le armature al suo fianco. Si diresse verso di loro, schiarendosi la voce e attirando nuovamente l'attenzione dei nobili.

«Miei signori e signore, resta soltanto una condanna da decidere. Rendon Howe, per i crimini commessi contro il Popolo, contro la Chiesa e contro la famiglia Cousland, chiedo all'assemblea qui

riunita la vostra esecuzione.»

Mentre Loghain aveva avuto dalla sua l'essere un eroe di guerra un tempo rispettato e amato da quasi tutti i nobili presenti, Rendon Howe non aveva la stessa fortuna. Praticamente all'unisono, il consenso le fu dato all'istante.

Elissa sguainò la propria spada, fremendo di aspettativa, mentre i due maghi si allontanavano dal prigioniero in ginocchio, spezzando l'incantesimo che gli ottenebrava la mente.

Aspettò che riprendesse le sue piene facoltà, prima di squadrarlo dall'alto in basso.

«Questo è per la mia famiglia, schifoso traditore.»

L'altro aprì la bocca per parlare, ma la lama gli tagliò di netto la testa alla base del collo, un colpo rapido e pulito, il sangue che schizzava andando a colare tra le assi del pavimento.

Elissa degnò di un solo, ultimo sguardo il corpo dell'uomo, percosso dagli spasmi, prima di dargli le spalle, finalmente saziata della sua vendetta.

Ora, doveva pensare a tutto il resto.

«Altura Perenne tornerà alla mia famiglia. Le terre e il castello di Amaranthine, prima degli Howe, passeranno sotto il diretto controllo della Corona fino a quando non ci metteremo in contatto con il figlio maggiore ed erede di Arle Rendon, Nathaniel Howe. Qualora fosse giudicato innocente dei crimini del padre, tornerà ad avere il dominio su Amaranthine. In caso contrario, la questione verrà riaperta una volta che il figlio minore, Thomas, raggiungerà la maggiore età e sarà dichiarato degno di fiducia. La città di Gwaren e i suoi territori resteranno sotto il dominio della Teyrna Anora Mac Tir. Temporaneamente, la città di Denerim passeranno direttamente sotto il governo del nostro nuovo sovrano.» Si voltò finalmente verso Alistair, ancora scuro in volto, chinando il capo e facendo una profonda riverenza.

Tutti i presenti la imitarono, mentre la Reverenda Madre alzava la corona che era stata di Cailan e Maric prima di lui sopra la testa, in modo che tutti potessero vederla.

L'anziana si avvicinò quindi ad Alistair, facendolo inginocchiare di fronte a lei.

«Miei Signori e Signore. Qui vi presento Alistair Theirin, il vostro indubitabile Re, al quale tutti voi in questo giorno dovrete rivolgere il vostro omaggio e il vostro servizio. Volete fare lo stesso?»

Tutti acclamarono.

«Promettete solennemente e giurate di governare il popolo del Ferelden secondo le nostre leggi e costumi?»

Alistair annuì. «Prometto di farlo.»

«Userete il vostro potere nella legge, nella giustizia e nella compassione in tutti i vostri giudizi? Vorrete voi con il vostro potere mantenere le leggi del Creatore e professare veramente il Cantico della Benedetta Andraste? »

«Nel nome del Creatore, lo prometto.»

Gli pose sul capo la pesante corona d'oro, adornata di cinque pietre preziose rozzamente tagliate che rilucevano scarlatte. «Nel nome del Creatore e di Andraste Benedetta, alzatevi allora, Alistair Theirin, Re del Ferelden.»














Note dell'Autrice: lo so, lo so, speravate nella morte di Loghain, eh? E invece no. A tutto c'è una spiegazione, non temete. Lo scontro con l'Arcidemone è ormai alle porte, e un vecchio amico tonerà a dare una mano. Al prossimo capitolo! 

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Capitolo 39
*** Denerim ***


CAPITOLO TRENTANOVE:

DENERIM



 

Loghain era sopravvissuto.

Aenor era quasi scoppiata a ridere, quando per un attimo lo avevano creduto morto, caduto a terra dopo aver bevuto il sangue di Prole Oscura. Che ironia sarebbe stata, aver perso Alistair per poi non guadagnare una nuova recluta.

Invece, per la fortuna almeno dei Custodi Grigi, l'uomo aveva riaperto gli occhi.

«Sei uno shem ostinato, te lo riconosco.» Gli disse mentre quello era a carponi sul pavimento, tossendo, il respiro affannoso.

Le rivolse un ghigno divertito. Sembrava aver ripreso fiato. «Non ho neanche la decenza di morire, eh...»

Gli porse una fiaschetta piena d'acqua, incrociando le braccia, appoggiata alla parete di roccia fredda. «Non credere che sia chissà quale onore. È una condanna a morte che dura anni, durante i quali, ogni notte, verrai perseguitato da incubi e voci nella testa, finché la Chiamata della Corruzione nel tuo sangue non sarà così forte da farti impazzire e cercare un'ultima via di fuga sottoterra, dove sparirai senza lasciare traccia, il tuo cadavere rosicchiato a dovere e abbandonato in un cunicolo senz'aria.» Fu il suo turno di ghignare, staccandosi dalla cintura una fiaschetta di birra che le aveva gentilmente regalato Natia qualche giorno prima, brindando alla loro salute. «Benvenuto nel nobile e antico Ordine dei Custodi Grigi, Loghain.»

L'uomo non rispose, limitandosi a scuotere la testa e grugnire qualcosa mentre si rimetteva faticosamente in piedi. Fece cozzare le due fiaschette con un sorriso amaro. «Ottimo.»

«C'era sicuramente un modo migliore per spiegarti tutto ciò, ma la nostra compagna è parecchio schietta.» Si intromise Riordan, che aveva officiato l'Unione. «Benvenuto nel nostro Ordine, Custode Grigio Loghain, che questa possa essere un'occasione per rimediare ai tuoi errori.»

«Tsk, sarà difficile rimediare ai danni che ho causato, Custode, ma avete vinto voi e questa è una punizione assai ironica, viste le circostanze che vi hanno fatto avere bisogno di me in primo luogo. Se quasi tutti i Custodi del Ferelden non fossero rimasti uccisi ad Ostagar, non avreste proposto di farmi unire a voi e sarei stato decapitato da quel bamboccio-»

«È stato un peccato perdere Alistair.» Lo interruppe di nuovo Riordan. «Ma non ha voluto scendere a compromessi e rispetto la decisione di Aenor.»

Aenor lanciò uno sguardo sprezzante a Loghain. «Se risparmiarlo e farlo unire a noi era l'unico modo per levarselo di torno, l'avrei proposto dall'inizio...» La bugia le scivolò via con facilità, ma le lasciò l'amaro in bocca. «Ora, veniamo al motivo per cui ci serviva così tanto un altro Custode, Riordan.»

Quello annuì. «Ciò che sto per dirvi è segreto, e non dovrà uscire da questa stanza. Solo i Custodi Grigi anziani ne sono a conoscenza. Si dice che non c'è modo di sconfiggere un Flagello senza di noi, ed è più vero di quello che pensiate. Il sangue dei Prole Oscura, che assumiamo durante la nostra Unione, non ci dona soltanto abilità ed energie utili a combatterli: l'Arcidemone non è altro che un alto drago, e come tale può essere ucciso. Tuttavia, se il colpo finale non è dato con un Custode presente al momento, la sua essenza corrotta si sposterebbe semplicemente nel Prole Oscura più vicino. L'unico modo per porre fine a questo Flagello è che sia uno di noi Custodi Grigi ad uccidere l'Arcidemone, assorbendo la sua essenza grazie alla Corruzione nel nostro sangue.»

«Uccidendo anche il Custode.» Concluse Aenor in tono piatto, per nulla sorpresa.

Loghain battè le mani, fingendosi ammirato. «Ah! Ora capisco perché avete preferito me al bastardo di Maric. Farmi morire contro l'Arcidemone, è questo il piano, al vostro posto. Io sono sacrificabile, anzi, l'intero paese vorrebbe ricordarmi come l'Eroe che ero un tempo e a voi farebbe solo comodo, il vostro Ordine ne uscirebbe come il salvatore del Ferelden e allo stesso tempo come coloro che hanno permesso che il decaduto Teyrn Loghain Mac Tir riabilitasse il proprio nome in un ultimo, grande atto glorioso.»

Aenor si trattenne dallo scoppiargli a ridere in faccia. Gli scoccò un'occhiata in tralice, prendendo un altro sorso dalla fiaschetta.

«Vi sbagliate, Loghain. Preferirei essere io a compiere il sacrificio finale, in quanto sono il Custode più anziano e sento già che la mia Chiamata è vicina.» Lo contraddisse Riordan. «È usanza del nostro ordine che le cose vadano così, ma in questo caso abbiamo solo quattro, anzi, tre ormai, Custodi Grigi che possono farlo: dovete essere quindi a conoscenza di questa possibilità, che potreste venire chiamati a dare le vostre vite in sacrificio.»

«Non che mi resti molto altro.» Ribattè Loghain con una smorfia.

«Nella guerra, vittoria.» Recitò Riordan, annuendo. «Nella pace, vigilanza.»

«Nella morte, sacrificio.» Concluse Aenor.

Scese il silenzio, mentre tutti e tre riflettevano sul significato di quelle parole.



 

Era ormai notte fonda quando Aenor andò a bussare alla porta di Morrigan.

La Strega delle Selve era ancora sveglia, e non sembrava affatto sorpresa di quella visita. «Mi chiedevo se sarei dovuta venire io da te o se sarebbe successo il contrario...» La accolse, facendola entrare. Si sedettero entrambe sul letto, il fuoco del camino che scoppiettava allegramente, così in contrasto con la conversazione che stavano per avere.

«Nessuno sembra mai notare un piccolo ragno sopra le loro teste, vero?» Sorrise l'elfa, afferrando tra le mani la tazza di tè caldo che le porgeva l'altra. Ne prese un sorso, riconoscente.

Morrigan fece altrettanto, lo sguardo perso tra le fiamme. «Riordan ha vuotato il sacco, ma ho come l'impressione che tu sapessi già del grande e oscuro segreto dei Custodi Grigi.»

L'elfa annuì. «Non sono stata onesta con te, Morrigan, ma non sono l'unica che ha nascosto delle informazioni importanti, vero?»

La strega sogghignò. «Non è forse così che funziona il mondo?»

«Sembra di sì.» Prese un altro sorso dalla tazza, assaporando il tè speziato e addolcito con un cucchiaio di miele, come le piaceva tanto. Era una notte particolarmente fredda per essere ormai primavera. «Mi avevi chiesto il grimorio di tua madre. Che la uccidessi prima che lei potesse impossessarsi del tuo corpo. Non ho portato a termine entrambi i compiti.»

Morrigan rimase immobile, ma Aenor notò come stava stringendo la tazza, le nocche sbiancate.

«Dovevo la vita ad Asha'bellanar, così ho stretto un patto con lei: l'avrei lasciata in pace, in cambio del grimorio.»

Gli occhi gialli della donna guizzarono d'interesse, assottigliandosi. «Dovrei essere sorpresa del tradimento, Custode, ma non lo sono. Non da una Dalish così legata alle tradizioni del Popolo.»

«Non è tutto.» Aenor riavvicinò la tazza alle labbra, inspirandone l'aroma. «Mi ha fatto promettere due cose: la prima, è che ti avrei lasciato portare a termine il tuo compito.»

Ora era davvero stupita. Arricciò il labbro. «Compito?»

«Hai accettato di viaggiare con noi per un unico motivo: hai aspettato il momento esatto in cui saremmo venuti a conoscenza del modo per uccidere l'Arcidemone, e solo allora avresti fatto la tua offerta, presentandoti come il solo modo per sfuggire a morte certa. Concepire un figlio con un Custode Grigio, in modo che l'essenza dell'Antico Dio Corrotto, contenuta all'interno del corpo dell'Alto Drago, venga assorbita dal bambino e nel frattempo purificata dalla Corruzione.»

Mentre parlava, l'espressione dell'altra mutò dallo scetticismo, allo stupore e, infine, si aprì in un sorriso compiaciuto. «Mi hai risparmiato un sacco di spiegazioni difficili, Custode.» Appoggiò la tazza sul comodino, per poi guardarla intensamente negli occhi, giallo e verde che riflettevano la luce guizzante del camino. «Hai intenzione di mantenere la tua parola?»

Aenor annuì. «Non è saggio andare contro il volere di Asha'bellanar. Se è questo che vuoi, ovviamente.»

Morrigan scoppiò a ridere, sbeffeggiandola. «Non fingere che ti importi di me, a questo punto. Hai stretto un patto con mia madre a mie spese, sapendo che prima o poi ne risentirò. Se voglio o meno compiere il Rituale, non ti tange minimamente.»

L'elfa ribattè con una smorfia divertita. «Ne hai davvero molta paura, Morrigan. E non posso darti torno. Eppure, dovresti darmi più credito. In fondo, siamo state compagne di viaggio per qualche mese, non sono fatta di pietra.»

«Intendi dire che hai intenzione di mollare tutto e tornare ad ucciderla? Perchè solo in tal caso-»

«Asha'bellanar non può impossessarsi del tuo corpo, non senza il tuo permesso.» Vuotò il sacco Aenor, godendosi la sorpresa sul volto dell'altra. «La possessione deve essere intenzionale da entrambe le parti per funzionare.»

Morrigan si riprese in fretta. «E le hai creduto? Non ti facevo così ingenua.»

«Ho fatto due giuramenti, come ti ho detto. Il primo, è che ti avrei lasciato concepire un bambino con l'anima di un Antico Dio. Il secondo, era che non avrei fatto parola di questo dettaglio del suo incantesimo per prendere possesso del tuo corpo. È stata terribilmente specifica a riguardo.»

La strega fece un gesto stizzito con la mano. «E vuoi farmi credere che improvvisamente non ti interessa andare contro al volere della Donna dai Molti Anni? Pensi che cascherò così facilmente nel vostro tranello?»

L'elfa scrollò le spalle. «In verità, non è affar mio in entrambi i casi. Dovevo due vite a Flemeth, la mia e quella di Alistair. Dato che la mia ci sono buone probabilità che finisca entro breve in ogni caso, non mi interessa granchè preservarla. Puoi farci quello che vuoi con questa informazione, ma c'è sempre la possibilità che me l'abbia detto ben sapendo che te l'avrei riferito, prima o poi. Magari, aspetta soltanto un tuo passo falso.»

L'altra la guardò, interdetta.

«In ogni caso, la battaglia contro l'Arcidemone è alle porte e domani partiremo ad intercettare la Prole Oscura. Se vuoi procedere con il Rituale, ti conviene farlo stasera.»

«Rispondimi ad una cosa, Custode. Arruolare Loghain. L'hai fatto per proteggere Alistair?»

Finì in tre ultimi sorsi il tè, guardandola fisso. «Due pietre per un piccione, si dice così no?»

«Quello sciocco ci è cascato in pieno. Ti odierà per sempre, probabilmente.»

Accennò un sorriso. «Uno shemlen in più o in meno, non fa differenza.»

Morrigan sembrò trovare il tutto molto divertente, ma non replicò. «Allora, dovrei sedurre Loghain? Nonostante l'età, è ancora in forma e pieno di energie, inoltre la Corruzione non è in uno stadio così avanzato, perfetta perché il Rituale funzioni.»

«Troveremo il modo di convincerlo, allora.»

«Oh? Credi rifiuterebbe davvero di giacere con me una notte? Pochi uomini esiterebbero a farlo.»

Aenor sollevò un sopracciglio. «Lo conosciamo abbastanza bene da sapere che mostrargli due tette non servirà ad un bel niente, temo.»

Morrigan sospirò teatralmente. «Se fosse tutto così semplice...»

Aenor fece per andare, ma l'altra la fermò posandole una mano sulla spalla. «Aspetta. C'è qualcosa di cui vorrei parlarti.»

«È urgente?»

«Potresti... non avere altre occasioni.» Sembrava combattuta. «Dovresti parlare con il mago, Geralt. Ha analizzato il grimorio di mia madre da cima a fondo, così come probabilmente l'intera biblioteca di Orzammar, e credo di averlo visto persino chiedere a Wynne una mano.»

La guardò interdetta. Cosa c'entrava Geralt in quel momento?

«Sta cercando una cura.»

Chiuse gli occhi, sospirando. Non c'era una cura, era troppo tardi. «Che perdita di tempo.»

«Lui non la pensa così. Sta cercando di ripagarti in qualche modo, ma non ha ancora trovato come. Non credo che nemmeno mia madre fosse a conoscenza di un incantesimo simile. Per quanto ne sappiamo, non c'è modo di sfuggire alla Chiamata, la Corruzione non può essere curata.»

Aenor annuì. «Lo so.»



 

«Assolutamente no.»

L'una sostenne lo sguardo dell'altro in una sfida silenziosa. Loghain, nella nuova armatura lucida da Custode Grigio che avevano recuperato dal magazzino, troneggiava su di lei superandola di quasi due teste, ma Aenor non ci fece neanche caso.

«Potrei ordinartelo e basta, lo sai.»

Sembrò che l'uomo avesse morso un limone particolarmente aspro. «Ne sono consapevole.»

«Quindi, perché stiamo perdendo tempo?»

«Mi stai chiedendo di giacere con la Strega delle Selve e concepirci un figlio, solo per poterci salvare la vita. Quando ho già espresso la mia volontà di sacrificarmi un'ultima volta per proteggere il Ferelden. Perchè?»

Incrociò le braccia davanti al petto. «Non devo stare qui a spiegarmi, ma se proprio vuoi sentirti dare una motivazione qualunque... essere un Custode Grigio è una vita di merda. Non la augurerei a nessuno, ma tu, tu te la meriti.»

«Credevo che non ti interessasse nulla della politica degli umani-»

«Che Fen'Harel se la porti, la vostra politica!» Lo interruppe Aenor. «Se non avessi ammazzato ogni singolo Custode Grigio nel Paese, a parte me ed Alistair, io me ne sarei potuta andare all'inizio della battaglia.» “A cercare Tamlen. L'avrei trovato prima che-” Ricacciò indietro quei pensieri, non poteva permetterseli. Non in quel momento. «Ma no, ovviamente è andato tutto in malora e sono stata costretta a darmi da fare per rattoppare questo stupido paese, a scapito di qualsiasi cosa avessi di meglio da fare. Quindi, Loghain, no. Non avrai una facile via d'uscita dalla tua punizione.» Rise, anche se nulla di quella situazione era particolarmente divertente, a parte l'occhiata d'odio profondo che l'altro le rivolgeva. «Ti auguro moltissimi anni di onorato servizio, che probabilmente amerai comunque più di me.»

«Non-» Loghain digrignò i denti, gli occhi ridotti a fessure. Aenor pensò per un attimo che stesse per attaccarla, ma l'istante passò così com'era arrivato. «Dovrai ordinarmelo.»

Sbuffò. «Oh, farò di meglio. Se non accetti, chiamerò il mio amico Zevran, l'assassino dei Corvi di Antiva che hai assoldato per ucciderci, ricordi?» Certo che se lo ricordava. «Potrei chiedergli di fare una visitina a Gwaren. Anora è una bella donna per essere un'umana, sono certa che si divertirebbe un mondo con lei, prima di finire il lavoro.»

Si godette lo sgomento sul volto dell'altro, tramutato poi in ira. «Non oseresti!»

«Mettimi alla prova.» Ribattè. «Ho fatto cose ben più incredibili e, a detta di alcuni, spietate, che uccidere la figlia assetata di potere di un pazzo caduto in disgrazia. Ho ucciso un Alto Drago, trovato le Ceneri della vostra stupida Profetessa, massacrato un intero branco di lupi mannari, minacciato un Arle e mezzo ordine dei Templari, e ucciso più Prole Oscura di quanto riesca a contare. Anora sarebbe l'ultimo dei miei problemi.»

«Se solo provi a toccare mia figlia...» Loghain digrignò i denti, ma alla fine capitolò. «Lo farò, Custode, come mi hai ordinato. Non occorre che te la prenda con Anora.»

«Era quello che volevo sentirmi dire.»

«Sappi che la responsabilità sarà solo tua.»

L'elfa scrollò le spalle. Responsabilità più o responsabilità meno, erano alla resa dei conti.

Percepì come uno schiocco fuori dalla porta, suono che ormai aveva imparato ad associare alle trasformazioni di Morrigan. Senza dubbio, aveva origliato anche quella conversazione. La donna, come evocata, bussò alla porta lasciata aperta, per poi farsi strada all'interno senza aspettare di essere invitata.

«La diplomazia continua a non essere il tuo punto forte...» Ridacchiò la strega, divertita.

Aenor si strinse nelle spalle. «Ha funzionato, questo conta.» Diede loro le spalle, uscendo dalla stanza e incamminandosi verso il piano inferiore.





 

Duran si asciugò il sudore dalla fronte, controllando come stessero i suoi uomini. Tre erano rimasti feriti e uno non si era più rialzato dal potente manrovescio dell'Ogre, ma gli altri sembravano stare bene. Il sole faceva capolino tra le nuvole e tirava un'ara pungente, che gli faceva rizzare i peli della barba e prudere il naso.

«Per il culo rosa di un nug obeso, ne ho già piene le pietre di questo cielo!»

Scoppiò in una risata fragorosa, mentre guardava Leske, una mano sulla fronte a coprirsi gli occhi dall'unico raggio di sole presente, lamentarsi per l'ennesima volta di aver lasciato la sicurezza di Orzammar.

«Prima o poi ci fai l'abitudine.»

L'altro gli lanciò un'occhiata disperata. «Non ho alcuna intenzione di restarci così tanto!» Si diede una manata in fronte, inchinandosi poi così profondamente da rendere tutto assolutamente ridicolo. «Vostra Maestà, intendo.»

Sulle pessime maniere del senzacasta, ci aveva rinunciato da tempo. “Ex, senzacasta.” Natia e Rica lo consideravano di famiglia, quindi era più o meno entrato a far parte della neonata Casata Guerriera Brosca, e come tale era stato chiamato a servizio del suo Re in quello scontro con la Prole Oscura, su in superficie.

Ovviamente, nessuno dei nani con cui viaggiava era stato molto entusiasta di trovarsi senza un tetto di solida roccia sulla testa, ma alcuni, come Leske, la stavano prendendo particolarmente male: che fosse per semplice paura, come con quest'ultimo, oppure per bigottismo e schifo verso coloro che rinunciavano al proprio titolo per rifarsi una vita sotto il cielo aperto, come la maggior parte dei Lord che lo accompagnavano, il risultato era una cacofonia di lamentele continue.

«Sembra proprio che le informazioni dei Custodi fossero errate, Vostra Maestà.» Gli disse suo cugino Piotin, staccando la grande ascia dal cranio fracassato dell'Ogre a terra. «Non si stavano dirigendo a Redcliffe, ma a Denerim.»

«Quindi, gli scout degli elfi avevano ragione.» Commentò gravemente Wojeck Ivo.

Duran gli scoccò un'occhiataccia. Ancora non era completamente convinto della lealtà di Ivo, la sua famiglia si era schierata all'ultimo con lui, tradendo Bhelen quando proprio era chiaro che non avesse speranza di accaparrarsi il trono. Si ricordava perfettamente di come il fratello minore di Wojeck, Frandlin, avesse aiutato Bhelen ad incastrarlo per l'omicidio di Trian, dichiarando il falso e facendolo imprigionare dalle guardie. Era stato tentato di distruggere l'intera famiglia, ma Wojeck l'aveva supplicato di dargli un'ultima possibilità di salvare l'onore della sua casata, per quanto insignificante essa fosse agli occhi della maggior parte dell'Assemblea. Il nuovo re aveva accettato, ma non abbassava mai la guardia quando lo aveva intorno.

Si voltò verso Ilven, l'elfo dal viso tatuato che, in sella al suo halla bianco come la neve, era arrivato al galoppo per avvertirli del supposto cambio di piani dell'Orda. «Se non foste riusciti ad avvisarci, non avremmo mai fatto in tempo ad arrivare a Denerim.»

«Mancano ancora due giorni, Re del Sottoterra, non cantiamo vittoria troppo presto.» Rispose quello, contando le frecce che ancora gli rimanevano nella faretra. «Se dovessimo incappare nel grosso dell'Orda, con solo le vostre forze, saremmo spacciati.»

Duran scosse la testa. «Tutta questo ottimismo finirà per mettermi troppo di buon umore.» Fece segno al resto dell'esercito di rimettersi in cammino, mentre i feriti e il morto venivano trasportati su delle barelle. «Piuttosto, speriamo che il vostro compagno sia riuscito ad avvertire in tempo i Custodi.»

«Erano in due, sono certo che ce l'abbiano fatta.» Ribattè l'elfo, afferrando saldamente le redini dell'animale senza aggiungere altro.

Il re sospirò, mandando una preghiera alla Pietra affinchè le loro speranze si rivelassero vere. L'assedio della città di Denerim poteva avvenire da un momento all'altro, o essere già in corso. L'esercito che guidava era al meglio delle loro capacità, il più numeroso e ben equipaggiato che avesse messo piede fuori Orzammar a memoria di nano, e ne andava particolarmente fiero. Aveva incoraggiato ogni casata a non tirarsi indietro dall'impegno preso con i Custodi Grigi, e dove le parole non erano bastate, era passato a promesse e minacce finchè, alla fine, i suoi sforzi erano stati premiati: ad Orzammar erano rimasti nani sufficienti a proteggere i cancelli della città che davano sulle Vie Profonde e la Guardia Cittadina, che aveva il compito di mantenere l'ordine appena ristabilito. Per il resto, Orzammar affrontava unita il Flagello in superficie, sotto il comando del suo nuovo sovrano.

Sovrano che, di essere un'altra volta all'aria aperta, non era molto entusiasta.

Non che non apprezzasse la brezza che gli scompigliava la barba, o la indiscutibilmente curiosa geometria che sembrava regnare sugli alberi della foresta attorno a loro, ma il pensiero di tornare a casa, nel suo palazzo di mura spesse e alte colonne che sorreggevano il soffitto, tra le braccia della sua nuova moglie, lo spingeva a combattere contro quei mostri con maggiore vigore di quanto avesse mai fatto.

Aveva sempre amato la foga della battaglia, l'odore di sudore, polvere e sangue che inebriava lo spirito e annebbiava la mente, ma ora si ritrovava a pensare ad un bagno caldo per togliersi le tracce dello scontro, un pasto abbondante e della buona birra da bere in compagnia, le voci che riempivano la grande sala dei banchetti al palazzo reale, il letto che divideva con Adal Helmi e le sue labbra morbide.

“Trian avrebbe riso, dandomi del rammollito.”

Evitò di soffermarsi oltre sul pensiero dei fratelli, era una ferita ancora aperta, visualizzando invece il volto del nipotino Endrin, di Adal l'ultima notte che avevano passato insieme, il momento in cui lei gli aveva detto che, al suo ritorno, si sarebbero potuti mettere d'impegno per avere un figlio tutto loro.

Un altro principe, due eredi al trono che avrebbe dovuto addestrare al combattimento, educare alla diplomazia, agli intrighi che governavano ogni aspetto della vita di Orzammar, alla storia e alle tradizioni, ma anche e soprattutto alle nuove idee.

Endrin e il suo futuro figlio avrebbero avuto la migliore delle infanzie che si potesse desiderare, e sarebbero stati amati e omaggiati da tutta la città in egual modo, in modo che non si ripetessero gli stessi errori.

Li avrebbe tenuti d'occhio.

Lanciò un'occhiata a Leske, che poco distante da lui sembrava studiare attentamente un insetto posatosi sulla sua spalla. Con uno scatto repentino, lo schiacciò con una manata, ripulendosi poi sui pantaloni e prendendo un sorso di birra dalla fiaschetta, ruttando sonoramente.

Li avrebbe tenuti sotto strettissimo controllo.



 

Sentirono il ruggito dell'Arcidemone molto prima di riuscire a vedere le sue enormi ali spiegate, le fiammate azzurrine che illuminarono per qualche secondo la notte, accendendo il cielo in un incendio e facendo sprofondare il cuore di molti di loro.

«Devono... davvero combattere quella cosa?» Rantolò Leske, accanto a lui. Aveva gli occhi sgranati dal terrore, il volto terreo.

Il gigantesco drago si alzò in cielo, roteando un paio di volte sulla vallata, dirigendosi verso la città già a ferro e fuoco, al comando del più sterminato esercito di Prole Oscura che avessero mai visto.

Duran deglutì a vuoto, stringendo l'ascia sporca di sangue come se senza di essa rischiasse di precipitare in cielo da un momento all'altro. Contorse la bocca in una smorfia feroce. «Non sa ancora con chi ha a che fare.»

Diede il segnale di proseguire verso Denerim, pregando la Pietra con tutte le sue forze che il messaggero elfico fosse arrivato in tempo per avvertirli, che avessero avuto abbastanza margine da organizzare una difesa.

Caricarono, correndo a ritmo sostenuto, falciando qualunque mostro si parasse loro di fronte. Colti alle spalle, i Prole Oscura si ritrovarono chiusi tra le barricate erette dai soldati dei vari lord umani e l'esercito di Orzammar.

Un gigantesco Ogre si stagliava ruggendo in mezzo ad un gruppo di coraggiosi umani nelle armature di Redcliffe: Duran si fece strada tra i genlock e hurlock più piccoli, lasciandosi dietro una scia di morte, attorniato dai propri compagni. Raggiunse l'Ogre alle spalle, il punto debole del gigante a portata di lama: l'ascia bipenne si conficcò poco sopra la caviglia del mostro, tranciando carne e legamenti e costringendolo in ginocchio con un ruggito di agonia.

Stava per calare di nuovo la sua arma, quando uno shriek lo colse alle spalle, sbucando dal nulla e trovandolo impreparato. Frappose l'ascia tra sé e il mostro, cercando di tenersi lontano dalle affilatissime zanne e artigli velenosi, la creatura che urlava a tal punto che si sentiva scoppiare la testa. Strinse i denti, spingendola via verso Piotin, che era già pronto: il raccapricciante ululato venne bruscamente interrotto dall'ascia del cugino, ben piantata a fondo nel cranio.

Nel frattempo, i soldati di Redcliffe avevano abbattuto l'Ogre.

«Com'è la situazione?!» Urlò Duran ad uno di loro, avvicinandosi tra la massa di piccoli e robusti genlock che li separava.

«La città resiste!» Rispose quello, interrompendosi per colpire con lo scudo un Prole Oscura e finirlo con un affondo di spada. «Re Alistair e i Custodi hanno fermato l'avanzata contro le porte principali, ma una parte del muro è caduta e hanno cominciato ad entrare.»

Duran digrignò i denti. «Sembra siamo in ritardo.» Si voltò verso Piotin, annuendo. «Coraggio, non si dica che Orzammar si è tirata indietro!» Urlò poi al resto dell'esercito.

Dopo un'ondata di Prole Oscura, così numerosa da pensare che non potesse avere fine, riuscirono finalmente a raggiungere i cancelli della città.

Una guarnigione di umani ed elfi armati di archi faceva piovere frecce sui nemici, affiancati da qualche mago che, individuati i punti dove non c'erano alleati e la Prole Oscura era più numerosa, creava esplosioni o tormente di gelo, scatenando tempeste elettriche come se il cielo stesso si stesse squarciando in terribili schiocchi.

Una di esse arrivò molto vicina all'ala sinistra dell'esercito nanico, ma ebbe come unico effetto il bruciacchiare qualche barba. Duran ridacchiò tra sé e sé, staccando di netto la testa ad un genlock: poteva già sentirli lamentare della poca attenzione dei maghi, e tutto per qualche pelo.

Il nano alla sua destra venne colpito in pieno petto da un masso tre volte lui, che gli fracassò la cassa toracica mentre veniva lanciato a terra parecchi metri più indietro.

Si voltò imprecando, gettandosi di lato per evitare che l'Ogre riuscisse ad afferrarlo. Ruotò la sua ascia, mancando la zampa del mostro per un soffio. Cercò Piotin con lo sguardo, trovandolo a pochi metri da sé, intento a girare verso il punto cieco della creatura.

Doveva attirare la sua attenzione, dargli abbastanza tempo.

Un nugolo di frecce si piantò sulla schiena dell'Ogre, facendolo ruggire infuriato. Cercò il nemico più vicino a sé, raspando con le zampe posteriori il terreno, pronto a caricare.

Duran ebbe appena un attimo per rendersi conto di quello che stava per accadere, quando le corna affilate come rasoi tagliarono l'aria dove, un attimo prima, c'era stata la sua testa.

Finì a mangiare la terra, il contraccolpo assorbito dall'armatura che gli mozzava il respiro per un attimo, un nano sopra di sé. «Fottute palle putride di un bronto maleodorante, quel coso...!»

Sbattè gli occhi, cercando di mettere a fuoco la mano tesa di fronte a sé. «Forza, prima che ci riprovi!» Afferrò il braccio di Leske, tirandosi in piedi, l'Ogre appena dietro di loro che sputava a terra parte di un'armatura, che cadde a terra sferragliando in una pozza di sangue, lo stemma dei Dace spaccato a metà.

«Bastardo...» Ringhò Duran, caricandolo di peso, l'ascia sollevata.

Quello, come aveva previsto, scosse nuovamente la testa, pronto a caricarlo con le corna. Si abbassò più che potè, facendo ricadere l'arma e scivolando sulla terra resa viscida dal sangue e superandolo per un soffio, l'aria che fischiava nell'elmo. Grugnendo per lo sforzo, risollevò l'arma sopra di sé, conficcandogliela nel retro del ginocchio.

Vide Piotin caricarlo di peso, approfittando della distrazione del mostro. Si scostò appena in tempo per evitare di essere colpito dalla creatura che crollava a terra, Piotin sopra di lui a piantargli l'ascia in pieno petto. Accorse in sui aiuto, finendolo con un colpo tra le grosse corna ricurve. Gli artigli dell'Ogre si contrassero in un ultimo spasmo, poi rimasero immobili.

Tirò un sospiro di sollievo, scambiandosi un cenno d'intesa col cugino. Leske, dietro di loro, sorrideva soddisfatto come se l'avesse ucciso lui stesso da solo.

«Non ti montare troppo la testa, ragazzo, ce ne saranno molti altri.» Lo sbeffeggiò scoppiando fragorosamente a ridere quando il sorriso sulla bocca dell'altro si congelò all'istante, ma gli diede comunque una pacca di incoraggiamento sulla spalla.

Sembrava che avessero, almeno per il momento, fermato l'avanzata.

Riuscirono a passare oltre i cancelli, dopo che i maghi sulle mura ebbero sollevato una barriera protettiva per farli entrare, alle loro spalle un'ondata di frecce che ritardarono il raggruppamento dei Prole Oscura.

Duran si tolse l'elmo, cercando un po' d'aria. Gli girava la testa, il sangue che gli pompava nelle orecchie e lo faceva sentire vivo come non mai, l'adrenalina del momento che lasciava spazio alla stanchezza.

Vide da lontano delle figure familiari, tra cui una donna bionda che urlava un discorso d'incoraggiamento, l'armatura sporca di sangue e un cipiglio feroce sotto la benda che le copriva l'occhio destro. Al suo fianco, un enorme mabari color miele, pitturato con intricati disegni cremisi.

«Uomini del Ferelden!» Gridò Elissa, richiamando la loro attenzione. «La Prole Oscura ci supera in numero, ma non hanno il vostro valore, i nostri alleati! Fieri elfi Dalish, nobili guerrieri di Orzammar, potenti maghi del nostro Circolo! Qui, stanotte, verranno decise le sorti del nostro paese, del Thedas intero! Lascerete che il sacrificio dei vostri compagni caduti sia vano, che quei mostri distruggano le vostre terre e tutto ciò che amate?»

Un selvaggio boato si alzò dalla folla di guerrieri e maghi accalcati intorno alla pedana su cui era salita la ragazza.

«E allora combatteremo, come un solo popolo! Ho visto il coraggio di ognuno di voi e la vostra forza, stanotte la vittoria sarà nostra!»

Molti urlarono, alcuni batterono le armi sul terreno, incoraggiandosi a vicenda, sovrastando persino il ruggito lontano dell'Arcidemone, che volava in circolo sopra di loro, troppo in alto perché le frecce o gli incantesimi potessero sfiorarlo.

Elissa scese con un balzo dalla pedana, tra il favore della folla, avvicinandosi a lui.

«Ben trovata.» La salutò con un piccolo inchino.

L'altra rispose con una riverenza impacciata dall'armatura. «Sono lieta che siate arrivato in tempo.»

Biscotto, il mabari di lei, lo annusò tutto contento, prima di abbaiare due volte verso di lui.

Duran si chinò un attimo ad accarezzarlo sulla schiena. «Sembrate resistere. Ero preoccupato.»

La ragazza scosse la testa, sospirando. «Se non fossero arrivati i messaggeri elfici, la città sarebbe caduta al primo giorno. Dopo due giorni d'assedio, è crollato il muro settentrionale, il quartiere del mercato è in preda al caos. Stiamo cercando di riprendercelo, ma dicono siano arrivati fino all'Enclave. Sono arrivati persino i Templari a difendere la città accompagnando i maghi, il Comandante Gregoir è andato col grosso dei suoi uomini a riprendersi la piazza principale, ma è da mezzogiorno che non riceviamo notizie. Se perdiamo il ponte sul fiume Drakon, rimarremo intrappolati tra le due fasce dell'esercito nemico.» Lanciò uno sguardo verso la collina, dove Forte Drakon si ergeva maestoso, illuminato dalle fiamme della città sottostante e dalle luci sulle mura e torri di guardia.»

«Se qui avete la situazione sotto controllo, andrò coi miei uomini a riprenderci il Mercato.» Propose dopo averci pensato un poco. «Mi servono solo una manciata di arcieri e un paio di maghi. Se è rimasto qualche Templare, avranno bisogno di aiuto.»

Elissa aggrottò il sopracciglio. «Siete sicuro? Sono ormai due giorni che la Prole Oscura-»

Duran si esibì nel più strafottente dei sorrisi. «Ho persino parecchi guerrieri della Legione dei Morti, tra noi. All'alba, non sarà rimasto nemmeno uno di quei maledetti mostri.»

«E allora, che la Pietra e il Creatore vi assistano. Grazie mille.» Si inchinò nuovamente Elissa. «Il Ferelden non dimenticherà mai il vostro aiuto, Re Duran Aeducan.»

Leggermente in imbarazzo, il nano scosse la testa. «Sto solo ricambiando il favore...»

«Vostra Altezzosità!»

Saltò di sorpresa quando sentì una poderosa pacca sullo spallaccio. Si voltò sbuffando, Natia che lo salutava con uno smagliante sorriso tutto denti storti.

«Giusto in tempo per la festa?»

«Brosca, sei dannatamente resistente.» La salutò, stringendole il braccio con fare cameratesco. «Ho anche io una sorpresa...» Fece un cenno alle proprie spalle.

Natia, incuriosita, fece vagare lo sguardo verso il gruppetto di nani in armatura. Sgranò gli occhi per la sorpresa, la bocca spalancata in un sorriso incredulo mentre correva avanti, rischiando di buttare per terra Leske per l'impeto.

«Razza di stupido bronto!» Gli urlò, stringendolo a sé per un attimo. «Sei matto? Finirai ammazzato-»

L'altro tossicchiò imbarazzato, scuotendo la testa. «Non se prima cado in cielo...»

Natia scoppiò a ridere, stringendolo per le spalle. «Casata Brosca, verso la gloria!»

Gridarono convinti, intonando il ritornello di una canzonaccia da taverna dei bassifondi e finendo per sovrastare il chiacchiericcio stanco dei nani tutto attorno, che piano piano si unirono a loro nel cantare le gesta degli ubriaconi che avevano sconfitto l'invasione dei nug in un epica battaglia a suon di spiedi e strilli.

Si ritrovò, suo malgrado, a fischiettarne alcune strofe.

Riconobbe Oghren, la barba rossa insozzata di fango e sangue, venire verso di lui. «È bello vedere persino il re sul campo di battaglia.» Lo salutò, accennando un inchino. «Non pensavo sarebbero saliti così in tanti. Col pericolo di cadere in cielo e tutto, intendo.»

«E di restare senza casta, anche.» Commentò Duran, dando voce ai dubbi dell'altro. «Non è stato facile radunarli tutti, lo ammetto. Ma non sarò ricordato come un re debole, e non si dica che Orzammar si è risparmiata nell'aiutare i Custodi Grigi e i loro alleati umani.»

«Quindi immagino che tutti quanti siano stati ampiamente rassicurati di poter ritornare alle loro nobili magioni e soliti intrighi, una volta finita la battaglia.»

L'amarezza con cui lo disse era fin troppo palese. «Oghren. Sei un grande guerriero, e a parte un breve periodo lo hai dimostrato più volte. Sei il benvenuto, nel caso volessi tornare ad Orzammar.»

Con sua grande sorpresa, l'altro scosse la testa con una fragorosa risata. «Ah! Adesso che mi vedete spaccare crani di Prole Oscura come fossero argilla, vi manco eh? No, vostra altezza, può darsi che l'aria quassù mi abbia dato alla testa, ma resterò qui. Inoltre, ho una bella ragazza che mi aspetta sulle rive del Lago Calenhad. Immagino sappiate cosa intendo...» Gli strizzò l'occhio, prima di superarlo e rivolgersi ad Elissa. «Lady Cousland! Se qualcuno deve andare a riprendersi l'Enclave, Kallian e Leliana si sono già offerte. Le accompagnerò anche io, avranno bisogno di qualche muscolo in più.»

Elissa esitò un attimo, prima di acconsentire. «D'accordo. Magari Wynne può dare una mano, ci saranno molti feriti se gli edifici sono già crollati.»

«Andiamo anche noi.»

Duran si voltò di scatto, sorpreso di vedere Aenor in armatura da Custode Grigio, imbrattata di sangue e scura in volto, ma illesa. Teneva in mano una spada che emanava una leggera luce azzurrina attorno a sé. Falon, il grosso mabari dalla pelliccia nera come una galleria senza luce, la seguiva come un'ombra silenziosa. E dietro di lei...

«Per la Pietra. Teyrn Loghain.»

L'uomo lo squadrò con espressione arcigna. «Soltanto Custode Loghain, temo. La Custode ha pensato che reclutarmi fosse una punizione adeguata.»

Il re osservò con la coda dell'occhio Elissa per capire cosa ne pensasse, ma la ragazza non fece una piega. «Curioso. Ma nel momento del bisogno, si accetta ogni aiuto, immagino.»

«Ora che sono arrivate le forze di Orzammar, possiamo lasciarvi i cancelli principali e andare ad occuparci dell'Arcidemone.» Tagliò corto Aenor, lo sguardo puntato verso Forte Drakon. «Geralt?»

Accanto a lei, il mago dai capelli rossi annuì. «Sì, direi di non indugiare oltre.» Diede un'occhiata a qualcuno alle sue spalle, che Duran non conosceva, un uomo più o meno della stessa età con capelli corvini lunghi fino alle spalle, una barba corta e un bastone da mago sulle spalle, che annuì. Alla destra dei maghi, Zevran stava ripulendo i suoi coltelli con attenzione maniacale.

«Hei, non andatevene senza di noi!»

Natia, accortasi di loro, li aveva raggiunti trascinandosi dietro Leske.

Elissa e Duran si scambiarono un cenno d'assenso.

«Resteremo qui con abbastanza uomini da impedire che ne entrino altri.» Dichiarò la ragazza con voce ferma. «Buona fortuna.»

Alle sue spalle, Shale, il gigantesco golem, si aprì in un sorriso feroce nel suo volto pietroso. «Che si facciano sotto.»
























Note dell'Autrice: siamo agli sgoccioli. Alcuni segreti vengono svelati, la battaglia si è ormai scatenata e lo scontro finale con l'Arcidemone è proprio dietro l'angolo. Stay tuned, manca poco! :D

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Capitolo 40
*** Denerim - Quartieri bassi ***


CAPITOLO QUARANTA:

DENERIM - QUARTIERI BASSI
 

 


 

La piazza principale di Denerim era nel caos, alla totale mercè della Prole Oscura.

Molti degli edifici principali erano andati a fuoco e le fiamme attecchivano velocemente da una casa all'altra, essendo le costruzioni fatte quasi interamente di legno.

La maggior parte dei civili era riuscita a scappare in tempo verso il porto, prima che l'intero quartiere venisse chiuso e barricato per evitare che quei mostri riuscissero a prendere il ponte sul Drakon.

Superarono la barricata spazzando via l'Ogre che cercava di infrangerla, dando un poco di sollievo ai soldati di guardia.

«Se tutto va bene, questa sarà l'ultima volta che dovrai sopportarci, vecchia!» Sentì Geralt gridare, Wynne che lo ignorava continuando ad evocare granitici cazzottoni contro i Prole Oscura più vicini.

Natia ridacchiò tra sé e sé, stappando la bomba che aveva in mano e passandola a Zevran, che la lanciò più lontano che potè. Il gas, estremamente infiammabile, esplose grazie ai detriti roventi sull'acciottolato della piazza, arrostendo vivi una decina di quei bastardi tra urla d'agonia.

«Jowan!»

Il mago annuì, il bastone già alzato e puntato verso l'esplosione, che venne contenuta soltanto attorno ai mostri da una barriera protettiva.

Un ruggito assordante preannunciò l'arrivo di un folto gruppo di Genlock e Hurlock e almeno un paio di Ogre.

«Vi accompagniamo verso l'Enclave.» Annunciò Duran, indicando una via laterale che portava ai cancelli del quartiere elfico.

Aenor annuì, caricando poi di forza un Hurlock particolarmente alto e, aiutata da Falon, riuscendo a buttarlo a terra. Lo trapassò poi da parte a parte, gettandosi subito su un altro genlock.

Natia scosse la testa, ammirando l'energia dei Custodi. Anche Loghain, che aveva parecchi anni in più di loro, falciava nemici senza avere nemmeno il fiatone.

«Sono sempre più a disagio dalle compagnie che frequenti, Salroka.» Commentò Leske, mentre insieme affrontavano un Genlock, riuscendo ad accerchiarlo e finendolo in poche coltellate.

«E ancora non hai visto niente...»

L'Ogre più vicino era ormai a portata di tiro.

Staccò dalla cintura una delle fiaschette di coccio, togliendola dalla custodia e stappandola con cura.

«Hei, spilungone! Agli occhi!» Urlò verso Geralt indicando il gigante.

Il mago fece saettare la fiaschetta contro il muso della creatura, che venne circondato da uno sbuffo verde acido. Quando urlò di dolore per le ustioni comparse sulla pelle, inalò il resto, crollando carponi e dimenandosi tra gli spasmi. Duran, Sten e Aenor lo finirono in pochi colpi poderosi.

Sulla loro destra, sentirono un richiamo di aiuto.

Si guardò attorno. Due edifici più in là, un negozio stava per crollare, le fondamenta ormai avvolte dalle fiamme che salivano fino al cielo. Il vicolo sottostante era invaso dalle macerie, ma si udiva un debole lamento provenire da quella direzione.

Accanto a lei, solo Geralt, Jowan, Zevran e Leske sembravano essersene accorti.

«Tu resta qui.» Ordinò al nano, dandogli in mano altre due bombe acide. «Sei l'unico che le sa usare al meglio, dopo di me.»

Quello annuì, prendendole e legandosele alla cintura. «Ci rivediamo qua.»

Jowan fece loro strada, alzando intorno a loro una barriera protettiva. Zevran, i pugnali stretti in mano, avanzava con il volto coperto da un panno bagnato legato dietro la nuca. Natia era abituata alle alte temperature e il poco ossigeno, mentre Geralt sembrava non fare caso alle fiamme e al fumo.

«Hei! Da questa p-» La richiesta d'aiuto venne interrotta da un gemito di dolore.

Aumentarono il passo, accostandosi al portico pericolante. L'edificio era fortunatamente di soli due piani, ma non sarebbe resistito a lungo. Sotto di esso, due uomini in armatura pesante giacevano riversi a terra. Uno di essi presentava uno squarcio enorme sul pettorale di metallo chiaro, una pozza di sangue ormai vecchio sotto di lui.

Il secondo, accortosi del loro arrivo, cercò di strisciare nella loro direzione. Con un grugnito di dolore, sollevò il viso verso di loro.

Sgranò gli occhi, l'espressione di sollievo mutata improvvisamente in terrore e furia ciechi.

«Tu! Voi-» tossì un grumo di sangue, sputandolo per terra. Aveva una gamba maciullata, probabilmente sotto il peso di qualcosa di molto più grosso di lui, forse un Ogre.

«Oh, questa sì che è una piacevole sorpresa...» Gli occhi di Geralt brillavano alla luce delle fiamme, assottigliandosi mentre si apriva in un ghigno malevolo. «Comandante Gregoir.»

Natia si ricordò improvvisamente di dove l'aveva visto. Era lo stesso Templare che aveva minacciato di uccidere Geralt dopo che erano usciti dalla torre dei maghi, quello che Aenor aveva minacciato di fronte a tutti i suoi uomini.

«Il Creatore ha un maledetto senso dell'umorismo...» Gemette il Templare, sollevandosi su un gomito. Era uno spettacolo pietoso, il volto tirato dal dolore, pallido come un cencio e coperto di sangue dalla testa ai piedi, il moncherino di gamba che aveva lasciato una traccia scarlatta sull'acciottolato mezzo distrutto.

«Oh, il Creatore non ha niente a che vedere con questo.» Ribattè Geralt, facendosi avanti. Si chinò di fronte a lui, afferrandogli un ciuffo di capelli grigi e sollevandolo verso di sé con uno strattone. «Questa è proprio una gran botta di culo.»

«Geralt...»

Vide l'amico voltarsi di scatto verso Jowan, scoppiando in una risata. «Tranquillo, non può farci niente. È ormai mezzo morto. Oh, ma vorrebbe, vero?» Riportò la sua attenzione sull'uomo a terra, che stringeva i denti impossibilitato a divincolarsi. «Vorresti averci ammazzati quando ne avevi la possibilità, sì? Sei patetico.»

Gregoir respirava affannosamente. «Dannati... maghi... del sangue...»

L'edificio accanto a loro scrocchiò minacciosamente, segno che restava poco tempo prima che crollasse loro addosso.

«Se vuoi ucciderlo, amico, dovrai darti una mossa.» Commentò Zevran. Un genlock sbucò da una vietta laterale, correndogli incontro. Senza fare una piega, l'elfo ruotò su sé stesso, evitando la carica e piantandogli entrambe le lame nella schiena e facendolo stramazzare a terra.

«Ammazzami... e basta, Amell.» Rantolò il Templare, lanciando uno sguardo carico d'odio ad entrambi i maghi. «Voi... avrei dovuto...»

«Quasi metà dell'intero Circolo si dilettava con della magia proibita, ma voi branco di idioti non vi siete accorti di nulla finché non è stato troppo tardi. L'unico mago del sangue che abbiate scoperto in tempo è riuscito a fuggire e ve ne siete lasciati scappare anche un altro... Come ci si sente ad aver sprecato la propria vita, Comandante Gregoir?» Con un ghigno ancora più largo, passò l'indice della mano sinistra sulla guancia dell'uomo, raccogliendo un po' di sangue. Sotto gli occhi terrorizzati del Templare, venne avvolto da decine di tentacoli cremisi, che sollevarono Gregoir da terra, permettendo a Geralt di rimettersi in piedi e averlo alla sua altezza. «Voglio che mi guardi negli occhi, quando ti ammazzerò.»

In difesa del Comandante, tenne a freno la sua paura. Strinse la mascella, deglutendo a vuoto senza abbassare lo sguardo da quello del mago. «Fai quello che devi, schifoso-»

L'armatura si accartocciò su se stessa con uno schiocco nauseabondo, trapassata da innumerevoli colpi, annaffiandoli di sangue mentre il cadavere, ormai irriconoscibile, cadeva a terra con un tonfo.

A Natia non era sfuggita l'espressione spaventata negli occhi di Jowan. Un po' la condivideva, non aveva mai visto l'amico così spaventoso.

«Andiamo. Non c'è nessuno da poter salvare, qui.» Annunciò Geralt. Girò i tacchi e afferrò Jowan per una mano, tirandolo a sé, raggiante, qualcosa stretto in mano. Glielo sventolò sotto il naso, era una fialetta di vetro con all'interno del liquido scuro, che brillava ad intermittenza.

Jowan sembrò riconoscerlo all'istante. «Il tuo-?»

L'altro gli sfiorò le labbra, tirandolo a sé per un attimo, per poi sfoggiare un sorrisetto soddisfatto. «Filatterio, già. Quel bastardo non aveva ancora rinunciato a farmi fuori, a quanto pare.» Buttò a terra la fialetta, rompendola sotto la suola degli stivali. Per un attimo, tra le schegge di vetro si alzarono delle piccole volute di fumo scarlatte.

Si sentì improvvisamente uno schianto e metà dell'edificio accanto a loro cominciò ad inclinarsi all'indietro, macerie che cadevano tutt'attorno.

Jowan roteò il proprio bastone sopra la testa, frustando l'aria e innalzando una nuova barriera, evitando che parte del tetto li travolgesse nel suo crollo. «Avremo poi tutto il tempo per festeggiare, ora andiamo.» Disse, senza però abbandonare il sorriso che gli era spuntato sulle labbra. Degli striduli ruggiti di dolore annunciarono che dei Prole Oscura non erano stati così fortunati. Le fiamme lambivano la strada da entrambi i lati, ma rimbalzavano sulla protezione traslucida, che permise loro di tornare incolumi sulla piazza.

«Avete trovato sei sopravvissuti?» Chiese Wynne correndo verso di loro. Sembrava affaticata ma pronta a tutto.

Natia scosse la testa. «Nessuno. Solo un sacco di Prole Oscura, ma ce ne siamo occupati.»

«Sì, hanno avuto quello che si meritavano.» Le diede corda Zevran, strizzando l'occhiolino a Geralt con fare complice.

La maga assottigliò gli occhi e sembrava stesse per chiedere qualcosa, quando qualcuno urlò che c'era bisogno delle sue cure, per cui li lasciò perdere con un sospiro rassegnato.

Proseguirono facendosi strada tra la battaglia, le forze dei nani che aprivano un varco tra la Prole Oscura, aiutati da Wynne, Geralt, Jowan, Morrigan e altri due maghi del Circolo, mentre tra le file più interne qualche arciere tempestava di frecce i nemici.

Leske al suo fianco, spalla contro spalla, Natia riusciva ad eliminare qualunque mostro riuscisse ad eludere la prima fila di nani.

Ad un certo punto, una tempesta elettrica spazzò via l'intera ala destra dell'esercito nanico con uno schiocco terribile, spedendone almeno una dozzina a metri di distanza.

«Emissario!» Urlò Aenor, sollevando la spada.

Duran fece un cenno a Piotin di andare in aiuto dell'elfa.

Dal nulla, sbucarono altri due Ogre, che vennero fermati appena in tempo da un incantesimo combinato dei maghi, che li inchiodarono sul posto abbastanza a lungo da dare il tempo ai nani i abbatterli. Natia, estraendo le daghe dalla zampa di uno Shriek, lanciò uno sguardo verso l'Emissario. La creatura cercava di rallentare l'elfa e il Qunari con dei dardi magici, ma i due sembravano in grado di deviarli colpendoli con la lama delle spade, che brillava ogni volta che entrava in contatto con un incantesimo.

Natia si girò allarmata, ma Leske non c'era più. Girò su sé stessa, nel panico, non riuscendo a trovarlo tra quel caos di fiamme, scintille, sangue e arti mozzati.

Un pugno granitico stese definitivamente l'Ogre più vicino, mandandolo a terra con un tonfo, mentre l'Emissario veniva abbattuto da un colpo di Sten, che gli mozzò di netto la testa. Le scintille tutto attorno a loro svanirono all'istante, permettendo a Wynne di raggiungere i feriti.
Morrigan, nel frattempo, teneva a bada una mezza dozzina di Genlock tarchiati, bloccandoli a terra e risucchiando loro le energie, una nube violacea attorno a sé.

«Leske!» Urlò Natia, il cuore che le batteva a mille, schivando un Hurlock senza nemmeno darsi la pena di ucciderlo, un solo pensiero in testa, trovare il compagno. «Leske, maledizione-!»

«Natia! Siamo qui!»

Individuò la barba rossa di Oghren e la sua armatura massiccia, sembrava-

Corse loro incontro, il guerriero che sosteneva l'altro per un braccio. Leske aveva delle piccole bruciature su tutta l'armatura leggera ma, a parte qualche pelo bruciacchiato, sembrava a posto. «Salroka, tutto bene?»

Quello farfugliò qualcosa, annuendo.

«Leske...?»

«Sto bene...» Le indirizzò un sorriso incerto, tutto denti storti.

«Heh, il ragazzo qua ha preso una bella botta, ma non ha niente di rotto. Altrimenti non mi avrebbe mandato alla polvere quando ho provato a tirarlo su!» Scherzò Oghren, dandogli una scrollata. «Coraggio, bevi questo...» Gli allungò una fiaschetta, che Leske si portò sospettosamente alle labbra, storcendo all'inizio la bocca per poi fare due avide sorsate.

«È uno degli intrugli curativi di Wynne?» Chiese Natia, che si sentiva poco in forze. «Può fare bene anche a me...»

Aspettò che l'altro finisse di bere e ne assaggiò un poco. Appena il liquido toccò la lingua, si ritrovò a tossire, sorpresa. «Ma-»

«Birra speciale di Oghren, esatto!» Esclamò il nano, battendosi una mano sul pettorale dell'armatura. «Non c'è niente di meglio durante una battaglia! Bevi, Natia, bevi!»

La ragazza scosse la testa, ma fece come le veniva detto. Dopotutto, Oghren non aveva tutti i torti...

Rinfrancati, Leske finalmente in piedi, si riunirono al resto del gruppo. Sembrava che per il momento non ci fossero altri pericoli in giro.

«L'Enclave è da quella parte. Altri tre edifici e dovremmo esserci.» Sentì dire a Kallian.

«Hei, staranno bene.» Cercò di rassicurarla Natia. Capiva come dovesse sentirsi l'elfa, se ci fosse stata lei nella stessa situazione, se la Prole Oscura avesse invaso Città della Polvere... Pensò che, per come stavano le cose, non erano molto diverse. Nessun nano dei piani alti se ne sarebbe fregato dei bassifondi, come in quel caso in pochi si sarebbero preoccupati di salvare l'Enclave. Presenti esclusi e un altro paio di persone, tra cui la futura regina del Ferelden.

Sperò che a casa la situazione per i senzacasta come lei migliorasse, una volta tornati.

«Coraggio, abbiamo ancora del lavoro da fare, avanti!» Urlò Duran, richiamando i suoi uomini e spronandoli a proseguire.

Natia riconobbe le insegne della Legione dei Morti sulle armature di qualcuno dei nani al seguito, chiedendosi se sotto di esse vi erano dei volti tatuati come il proprio.

Un urlo assordante la risvegliò da quei pensieri.

Si voltarono tutti, allarmati.

Dall'alto, sopra i tetti, una dozzina di Shriek ululanti piombò su di loro, artigli e zanne protesi a dilaniare e uccidere.

«Coprite-!»

L'ordine di Duran venne sovrastato da un ruggito, mentre quattro Ogre caricavano dal fondo della via, provenienti dalla via principale dietro di loro. Erano affiancati da un numero soverchiante di Genlock e Hurlock e, alla loro testa, un Hurlock molto più alto degli altri, l'armatura massiccia inusuale per un Prole Oscura, roteava in gesto di sfida una grande ascia bipenne.

«Andate!» Ordinò di nuovo il re dei nani, in direzione dei Custodi e del gruppo che doveva raggiungere l'Enclave. «Ci pensiamo noi, non vi-» colpì uno shriek al ventre, spedendolo addosso all'ascia del suo secondo, che tranciò in due parti la creatura con un tonfo «non vi seguiranno.»

Sembrava che Leliana avesse qualcosa da ribattere, ma Aenor, dopo una breve attimo in cui staccò un arto ad uno Shriek ululante, annuì nella sua direzione.

«Sembra che ci abbiano raggiunti.» Biascicò Leske, ma Natia poteva vedere che stava sogghignando. Qualsiasi cosa ci fosse nella birra speciale, funzionava a meraviglia.

Oghren, di fronte a loro, si unì alla carica urlando e roteando il grosso maglio da guerra come fosse un fuscello, in preda alla foga della battaglia.

Geralt, arrivato alle spalle di Natia, colpì l'Ogre più grosso con un'esplosione di fiamme, buttandolo a terra e bloccandolo al suolo con una runa di paralisi. «Allora, barilotta, vedi di restare in vita.»

Leske, accanto a lei, riuscì ad azzoppare un Genlock, poi finito da una freccia. Natia annuì, nel frattempo che si sbarazzava di un altro Shriek congelato da un incantesimo di Jowan.

Quest'ultimo, però, scosse la testa. «Resto anche io.»

Geralt sgranò gli occhi, rischiando di sbilanciarsi mentre evitava per un soffio un Genlock che lo caricava a testa bassa. Senza nemmeno guardare il bersaglio, gli lanciò contro una palla di fuoco, sbalzandolo via e arrostendolo per bene. «Non se ne parla.»

L'altro mago sbattè il bastone a terra, dandogli le spalle, congelando un Hurlock a pochi metri da loro affinchè uno dei nani potesse mandarlo in frantumi col martello da guerra. «Hanno bisogno di supporto. Quei due idioti del Circolo non sanno-»

Geralt gli afferrò una spalla, strattonandolo e costringendolo a guardarlo negli occhi. «Cosa cazzo pensi di fare?! Potresti-»

«Finire ucciso. Lo so. E allora?» Ribattè Jowan con calma. «Stai andando ad affrontare l'Arcidemone, è quello il pericolo maggiore qui intorno.»

«Ma almeno potrei proteggerti!»

Jowan sospirò. «Esattamente per quello. No, Geralt. Resto qui. Se venissi con te sarei d'impiccio, finiresti per preoccuparti di me invece che fare di tutto per sconfiggere quel drago.»

Quello fece per ribattere, quando un cumulo di macerie volò sopra le loro teste, costringendolo a farlo esplodere e spedirlo lontano con una frustata del bastone. «No.»

«Geralt-»

«Non per essere di mezzo al vostro bisticciare, ma quel coso ci sta puntando!» Urlò Leske, il dito puntato sull'Ogre, la testa bassa e irta di corna che fiutava l'aria verso di loro.

Natia gettò uno sguardo al vicolo. L'edificio accanto era sul punto di crollare. Aenor, Loghain, Wynne, Morrigan, Leliana e Kallian erano già a metà strada verso l'Enclave, così come alcuni degli elfi e nani con loro. Tra essi, Oghren stava ancora ululando imprecazioni.

«Jowan, per l'ultima v-»

Il mago venne interrotto dall'altro, che premette le labbra sulle sue in un bacio appassionato. Senza che l'altro se ne rendesse contro, sbattè poi il bastone a terra, avvolgendo Geralt in una luce azzurrina e spedendolo dall'altro lato della strada, verso l'Enclave. «Ti amo!»

«Jowan!»

Si gettarono di lato per un pelo, evitando la carica dell'Ogre che andò a schiantarsi contro la casa già pericolante, che iniziò a collassare su sé stessa e sul mostro.

Gli insulti che lanciò Geralt, rimettendosi faticosamente in piedi e facendo per venire verso di loro, furono interrotti dall'edificio che cadeva tra i due capi del vicolo, tagliando fuori loro e, soprattutto, la Prole Oscura, dall'inseguirli oltre.

Natia rivolse a Jowan uno sguardo ammirato. «Però. Non pensavo si sarebbe fatto inculare così.»

Leske, per tutta risposta, scoppiò a ridere come un matto.

Il mago sembrò offendersi, ma non ebbero il tempo di mettersi a discutere.

Una pioggia di incantesimi e frecce tagliò la strada alla seconda ondata di Prole Oscura corsa in aiuto del Generale Hurlock che, dopo che anche l'ultimo Ogre venne abbattuto da Piotin e Duran in un formidabile attacco coordinato, si ritrovò da solo, facile preda per i nani della Legione dei Morti.









Kallian si voltò di scatto, allarmata.

L'edificio dietro di loro era crollato in una nuvola di fumo e fiamme, costringendola a coprirsi gli occhi e il volto, tossendo mentre cercava di vedere se gli altri ce l'avessero fatta.

«Stanno bene. Là!» Indicò Leliana un puntino davanti a loro. Dalla coltre, emerse un gruppetto sparuto di persone, tra cui Geralt e Sten. Il Qunari sembrava illeso e stava trascinando il mago di peso, mentre quello urlava furibondo contro qualcuno.

«Jowan, razza di maledetto-»

«Problemi di coppia, vedo...» Ridacchiò per un attimo Leliana scuotendo la testa, sollevata che stessero bene. Si voltò poi verso Wynne, che li guardava con disapprovazione.

«Sembra che nessuno sia stato investito dal crollo, ma siamo tagliati fuori.» Commentò la maga, leggermente curva sul bastone, gli occhi chiari che brillavano di determinazione. «Dobbiamo attraversare il ponte e impedire che i Prole Oscura devastino l'Enclave.»

Aenor, Falon al fianco, la grande spada che brillava di luce sinistra stretta tra le mani, fissava un punto sopra gli edifici in lontananza, dove le torri di Forte Drakon svettavano sopra i tetti delle case. Il ruggito dell'Arcidemone era ora più vicino, ma restava fuori portata persino dell'arciere più abile.

Kallian annuì. «Forza, allora, non abbiamo tempo da perdere.»

Avanzarono tra le vie deserte, le orecchie tese a cogliere qualsiasi movimento.

Incapparono in un paio di imboscate nemiche, ma riuscirono a contrastare i mostri senza troppi problemi. In breve, arrivarono sulle sponde del fiume Drakon. L'acqua che scorreva sotto di loro era scura, piena di detriti e altri resti galleggianti trasportati dalla corrente, un odore nauseabondo che si alzava tutt'attorno.

Il ponte era quasi in pezzi, il cadavere di un gigantesco Ogre giaceva riverso sulle pietre, innumerevoli frecce che a spuntargli dal corpo, circondato dai resti di qualche elfo e un paio di umani, assieme a parecchi Prole Oscura.

«Sembra che si siano difesi bene.»

Kallian rivolse a Loghain uno sguardo carico di disprezzo. Non gli poteva perdonare come aveva venduto la sua gente in schiavitù, ma Aenor le aveva assicurato che diventare Custodi Grigi fosse una punizione più che valida. Voleva crederci. «Già, un bel traguardo per della semplice carne da macello, vero?»

«Non volevo-»

«State zitti.» Sibilò Aenor, portandosi un dito alle labbra. Aveva le orecchie tese in ascolto.

Le parve di udire qualcosa sotto di loro, come un...

«Via!» Fece appena in tempo ad urlare, che il ponte venne colpito da una serie di schiocchi, l'elettricità che le faceva rizzare i capelli in testa.

Il ponte, già debole di suo, cominciò a crollare su sé stesso.

Vide Leliana incoccare una freccia mentre cominciava a correre, puntandola alla loro destra. Strizzò gli occhi, cercando di fare lo stesso mentre metteva a fuoco l'Emissario sopra uno dei tetti delle case. Le due frecce sibilarono verso di lui. Una si perse nella notte, ma l'altra centrò il bersaglio, interrompendo per un attimo le scariche elettriche.

Non si voltò, cercando rifugio dall'altra parte del fiume mentre l'acciottolato le franava sotto i piedi, tesa in una folle corsa. Spiccò un balzo, la balaustra che sprofondava in acqua sollevando grandi spruzzi, atterrando al sicuro e rotolando su un fianco, l'impatto che le mozzava il fiato. Strinse i denti, strisciando di lato e rimettendosi faticosamente in piedi, lo sguardo che istintivamente andava alla ricerca di Leliana. Si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, vendendola già in piedi e pronta a combattere, inzaccherata ma illesa.

Alle loro spalle si alzò come uno scroscio d'acqua, mentre Geralt e Wynne sollevavano i bastoni sopra la testa e sorreggevano quanto restava del ponte, permettendo anche ad Aenor, Oghren e Falon di attraversare incolumi.

Morrigan, nel frattempo, stava cercando di indebolire la barriera dell'Emissario. Riuscì a far crollare parte del tetto, costringendo il mostro ad interrompere ogni altro incantesimo per evitare di cadere da una dozzina di metri di altezza.

Quando quello si fermò a mezz'aria, due frecce lo sorpresero dritte al costato.

Cadde a terra con uno schianto sinistro, senza rialzarsi.

Si scambiarono uno sguardo d'intesa, prima di proseguire verso le mura.

Il portone che chiudeva l'Enclave era divelto e in pezzi, qualche cadavere schiacciato sotto le macerie. Il rigagnolo d'acqua putrida che scorreva intorno alle mura era rosso dal sangue, c'era puzza di carne bruciata nell'aria.

Kallian rabbrividì, cercando di non pensare a tutti gli elfi che vivevano lì.

Svoltarono l'angolo, Aenor ed Oghren in testa, Kallian e Wynne subito dietro di loro, pronte a fornire supporto. Si alzarono delle grida, provenienti dalla piazza del Vhenadahl. Corsero in quella direzione, le armi sguainate e pronte a difendersi.

Dei passi concitati li fecero sobbalzare, ma a venire loro incontro non furono altro che tre elfi. Una di essi aveva i capelli rossi legati in qualche treccina, sulle spalle un arco che Kallian riconobbe all'istante.

«Shianni!» Esclamò sollevata, correndo verso la cugina, tirando un sospiro di sollievo a vederla sana e salva. «Quello-?»

L'altra le porse l'arma, fiera di sé. «Sì, era il tuo. Ho pensato che era il momento di tirarlo fuori e fargliela vedere, a quei mostri, però sono troppi per noi...»

«Abbiamo alzato delle barricate alla porta a sud, ma stanno cedendo.» Si intromise un altro elfo che Kallian ricordava di aver visto lavorare al porto. «Ogni ora che passa sono sempre di più, abbiamo quasi finito le pietre e le frecce.»

«Questo è perché la metà vengono sprecate sul terreno.» Commentò il terzo, guardandolo in tralice.

Kallian annuì, ammirata. Non doveva essere stato facile per loro imbracciare le armi e combattere, poco avvezzi com'erano allo scontro. «Non importa, avete fatto il possibile. Siamo qui per aiutare, portateci alle barricate.»

Shianni e gli altri li condussero dall'altra parte della piazza, dove alcuni Shriek erano riusciti ad intrufolarsi e stavano mietendo vittime incontrastati. Se ne liberarono in breve tempo, riuscendo a salvare un paio di ragazzini che erano scappati arrampicandosi sul Vhenadahl.

«Scendete da lì!» Gli urlò Leliana, preoccupata. «Se scoppia un incendio, resterete intrappolati!»

I due scossero la testa. Una si teneva una mano premuta sulla caviglia, un rivolo di sangue scuro che scendeva giù per il piede nudo. Kallian pensò che la ragazzina non doveva avere più di dieci anni. Fece cenno a Wynne di tirarli giù da lì.

La maga, sollevando il bastone, cercò di rassicurarli con parole gentili prima di evocare un'aura verdina attorno a loro e sollevarli delicatamente dal ramo su cui erano rifugiati, planando lentamente a terra.

La bambina si accasciò tra le radici con un gemito, mentre Wynne si chinava su di lei, esaminando la ferita.

Con un tuffo al cuore, Kallian la vide corrugare la fronte, un'espressione triste che le si dipingeva sul volto. La maga si girò verso di loro, scuotendo la testa.

«Si è infettata.»

«Puoi curarla, vero?»

Era stato il ragazzino a parlare. Doveva avere quattro o cinque anni più dell'altra, avevano lo stesso naso e gli stessi capelli marroni. Stringeva la mano della bambina, gli occhi gonfi puntati in modo accusatorio contro la maga. «Hai guarito mamma dalla febbre, settimana scorsa. Fai lo stesso con Ayla. Devi. È mia sorella.»

Kallian si avvicinò a sua volta. La ferita era violacea, sangue scuro tutto attorno, i segni della Corruzione già in corso.

«Potremmo provare a rimuovere la gamba. Non è ancora arrivata ovunque...» Suggerì Leliana.

Il bambino parve sentirla, perché strinse a sé la sorella, protettivo. «No! Non-»

Kallian si ritrovò a prenderlo per le spalle, afferrandolo stretto e costringendola a guardarlo negli occhi. «Vuoi che muoia?»

Quello impallidì ulteriormente, cercando di sfuggire alla sua presa ma ottenendo soltanto che lei la rafforzasse ancora di più.

«Rispondimi. Vuoi che Ayla muoia?»

«...No-!»

«E allora questo è l'unico modo.» Si voltò verso Wynne, ancora china sulla bambina. «Puoi fare in modo che si interrompa per qualche ora? Almeno finché l'Enclave sarà sicuro?»

La maga annuì. «Posso congelare la gamba.» Abbassò la voce, fino a ridurla in un sussurro. «Andrà in gangrena, ma la diffusione della Corruzione verrà fermata finchè il ghiaccio non sarà sciolto, e per allora avremo già rimosso l'arto.»

«Qual è il problema?»

Si voltarono di scatto. Aenor, sporca di sangue dalla testa ai piedi nella sua armatura massiccia, si ergeva sopra un cadavere di Shriek appena ucciso. Venne verso di loro a passi larghi, la spada appoggiata sullo spallaccio destro. «Più aspettate, meno possibilità ci sono che funzioni.»

I bambini trasalirono, tirandosi indietro impauriti.

Wynne accarezzò i capelli della piccola, mormorandole qualcosa. L'altra aprì la bocca, ammirata, il naso all'insù, smettendo per un poco di piangere. Tirò su col naso, per poi annuire in direzione della maga. Senza aspettare una conferma dal fratello, l'anziana toccò la ferita con la punta del bastone, da cui fuoriuscirono degli sbuffi di vapore gelido che andarono ad abbracciare la caviglia, il piede e lo stinco, attorcigliandosi fino a poco sopra il ginocchio. La bimba si morse un labbro, i lacrimoni che scendevano di nuovo, evitando di guardare.

Il ragazzino, invece, le stringeva il braccio, osservando impotente il ghiaccio avvolgere la gamba della sorella fino a trasformarla in un blocco spesso una decina di centimetri.

«Funzionerà davvero?»

Wynne annuì. «Certamente, ma avrà bisogno di aiuto per tutto il resto.»

Aenor lo guardò dall'alto in basso, puntando gli occhi verdi in quelli del bambino. «Dovrai prenderti cura di tua sorella per sempre. Sei tu il fratello maggiore, è compito tuo.» C'era amarezza in quelle parole, e rimpianto. Kallian si chiese quante cose non sapesse sulla compagna, quanto del suo passato avesse tenuto loro nascosto. Non lo avrebbero probabilmente mai saputo...

Il bambino non rispose, ma tornò ad accucciarsi contro la sorella, stringendola a sè.

«Li portiamo noi al sicuro.» Si offrì uno dei due elfi che accompagnavano Shianni. Fino a quel momento si erano tenuti in disparte, impauriti alla vista degli incantesimi. «Dobbiamo ringraziarvi di nuovo, signora maga.» Si inchinarono entrambi profondamente di fronte a Wynne, che scosse la testa, facendo un gesto con la mano.

«Non ce n'è bisogno. Vi prego di tenerli al sicuro e controllare che non compaiano altri segni della Corruzione, in caso correte a chiamarmi. Li noterete subito, sono violacei e corrono lungo le vene in rilievo sulla pelle, mentre gli occhi si fanno sempre più bianchi.»

Entrambi annuirono, chinandosi poi a prendere in braccio la bambina. Il ragazzino si voltò verso di loro un'ultima volta, prima di seguirli di corsa verso una via laterale.

«Grazie, Wynne.» Disse Kallian, riconoscente, mentre a passo spedito percorrevano gli ultimi vicoli che li separavano dalle barricate. «Non tutti si sarebbero interessati tanto.»

«È mio preciso dovere aiutare chiunque in difficoltà.» Rispose la maga, aprendosi poi in un sorriso. «E anche se non lo fosse, l'avrei fatto comunque.»

«Davvero commovente, vecchia.» Si intromise Morrigan, spuntando dal nulla alle loro spalle. «Ora speriamo che questa perdita di tempo non ci sia costata l'intero quartiere, altrimenti averne salvata una non sarà servito a niente.»

«Morrigan!» La rimproverò Leliana, ma Kallian non ci fece caso. Era ormai abituata ai commenti acidi della strega, non le interessava minimamente quello che pensava.

Qualsiasi ulteriore discussione venne messa a tacere dalla vista che si parò loro davanti.

Delle barricate di legno e pietre, alte più o meno il doppio di una persona, si ergevano su tre file, i pali aguzzi puntati verso l'esterno. Erano ormai crollate su più punti e per la gran parte in fiamme, la prima fila ormai ridotta a brandelli e inutile. Sui palazzi adiacenti, alcuni elfi si sporgevano dalle finestre armati di sassi, secchi di liquidi bollenti e molti più archi e balestre di quanto si sarebbe mai aspettata.

«En'an'sal'en!» Li accolse un'elfa dal volto tatuato e i capelli biondi.

«Mithra?» Esclamò sorpresa Kallian, riconoscendo la cacciatrice del Clan dei Dalish.

«Li abbiamo aiutati a costruire barricate e difendere l'Enclave, ma dopo che i Prole Oscura hanno conquistato il Mercato e occupato il ponte a nord, siamo rimasti tagliati fuori. Le barricate della porta sud stanno reggendo, ma non dureranno a lungo.» Spiegò brevemente l'altra, rivolgendo poi uno sguardo alle loro spalle. «Immagino che voi veniate dal Mercato.»

«È di nuovo nostro, non dovete preoccuparvi. Però il ponte è in pezzi, non arriveranno aiuti da quella parte.» Rispose prontamente Aenor. «Dobbiamo arrivare alla fortezza.»

«Volete andare al castello?» Mithra scosse la testa, scrutando la cima della collina dove, in lontananza, si ergevano le torri di Forte Drakon. «Sì, ha senso... è l'unico posto abbastanza alto dove poter raggiungere il drago.»

Prima che potessero aggiungere altro, un masso gigantesco ed incandescente si schiantò poco lontano da loro, causando un'esplosione di calcinacci e travi di legno in fiamme, costringendoli a sparpagliarsi. Si rimise in piedi tossendo, il fianco che le faceva male. Sputò un grumo di sangue per terra, strizzando gli occhi che le lacrimavano per la polvere e il calore. L'Ogre doveva essere da qualche parte più avanti...

Un secondo schianto e venne spinta nuovamente da parte mentre le macerie la travolgevano, le orecchie che le pulsavano dal fracasso, le braccia sollevate sopra la testa. Dopo un attimo di sorpresa, in cui si sarebbe aspettata di restare schiacciata, si ritrovò accanto ad un'altra elfa.

«Tutto bene?» Le chiese Lanaya, la Prima del clan dei Dalish che l'avevano accolta nella foresta. Il bastone che brillava di una luce quasi accecante, la fissava preoccupata.

Riuscì ad annuire, riconoscente ma ancora un po' confusa.

«C'è un Emissario da qualche parte che continua ad alzare barriere protettive su quel gigante e il resto di loro, ma non riusciamo a raggiungerlo, con tutto quello che ci lanciano addosso alle barricate.» Spiegò la maga, indicando il mostro che ruggiva. «Credo si nasconda in quell'edificio. Là.» Indicò con la punta del bastone un complesso di tre piani, le finestre sbarrate dall'interno con delle assi di legno malconce, un intero piano andato già a fuoco. Kallian lo riconobbe all'istante: l'orfanotrofio.

Rabbrividì, sperando che fossero riusciti ad evacuarlo in tempo.

«Ci pensiamo noi.»

Si voltò stupita, Oghren e Leliana l'avevano raggiunta indenni.

Il nano sfondò con la grande ascia la porta sprangata dell'edificio, l'aria all'interno piena di polvere e fumo che rendeva difficile respirare.

«Ci avrà sentiti di sicuro...»

Kallian annuì, Leliana aveva ragione, ma non c'era tempo da perdere. Se volevano dare una possibilità a chi stava combattendo alle barricate e ai Custodi di raggiungere il Forte, dovevano occuparsi dell'Emissario.

I corridoi deserti erano illuminati soltanto dalla fioca luce che passava tra le assi alle finestre, che rendeva ancora più terribile la vista che dovevano sopportare: le pareti erano macchiate di sangue, il pavimento appiccicoso, ma non nessun cadavere.

Le stanze sembravano deserte anch'esse.

Salirono con attenzione le scale scricchiolanti. Kallian fermò gli altri due con un cenno. Le sembrava di udire qualcosa, come uno strisciare, dei flebili lamenti, schiocchi...

Con un urlo agghiacciante, qualcosa si lanciò su di loro fendendo l'aria. Oghren lo spedì prontamente contro il muro, tagliando in due l'aggressore all'altezza del costato. Le piccole mani continuarono a contorcersi per raggiungerli, mentre le mascelle del bambino schioccavano alla cieca, le orbite vuote e sanguinanti puntate verso di loro.

«Che cosa-»

Dall'alto ne scesero altri, piombando su di loro, cadendo a terra con un rumore di ossa spezzate e rialzandosi malconci, cadaveri rianimati al solo scopo di uccidere chiunque gli capitasse a tiro.

Leliana estrasse i pugnali, lo spazio ristretto che rendeva difficile usare l'arco. Kallian cercò di fare lo stesso, ma fu solo grazie ad Oghren che riuscirono ad evitare di essere fatti a pezzi. Il nano combatteva con foga, roteando l'ascia e falciando via quei mostri. Quando ne decapitò uno, il cadavere caracollò a terra, disfacendosi senza più muoversi.

Si ritrovarono col fiatone, gli occhi sgranati dall'orrore, circondati da una dozzina di corpi immobili, tutti appartenenti a bambini che non dovevano avere più di dieci anni.

Kallian dovette appoggiarsi al muro, lo stomaco attorcigliato su sé stesso, le veniva da vomitare.

«Che il Creatore li accolga al suo fianco...» Sentì Leliana pregare. Sperò che fosse così, mentre incespicavano sulle scale scivolose. Dal corridoio alla loro destra, proveniva una luce violacea e nauseabonda.

Senza dare il tempo all'Emissario di voltarsi, Oghren lo caricò di peso. Quello, concentrato com'era sul respingere l'ennesimo tentativo di uccidere l'Ogre da parte di coloro che combattevano alle barricate, si ritrovò a dover interrompere l'incantesimo sul gigante per proteggere sé stesso. Quando però l'ascia di Oghren, che lo incalzava in un corpo a corpo senza dargli tregua, spezzò in due il ritorto pezzo di metallo che usava come bastone magico, l'Emissario lanciò un urlo di rabbia, la barriera magica che andava in mille pezzi.

Con un tonfo, l'ascia del nano si conficcò a fondo nel suo cranio, facendo cadere il silenzio.

Urla di giubilo dalle barricate segnalarono che anche l'Ogre doveva essere stato abbattuto.

Leliana si asciugò il sudore dalla fronte. «Muoviamoci ad uscire da qui, prima che il fuoco-»

«Aspettatemi!»

Si voltarono di scatto, allarmati.

Una spettinatissima testolina bionda fece capolino dalla porta che dava sul corridoio. Era una bambina sui cinque anni, le piccole orecchie a punta e il volto completamente sporchi di fuliggine e sangue rappreso, un coltello insanguinato stretto in mano. «L'avete ucciso?»

Kallian, che aveva sollevato istintivamente l'arco, lo riabbassò dolcemente. Annuì. «Dobbiamo uscire da qui alla svelta. Stai bene?» Le tese la mano, constatando che non sembrava ferita. Doveva essersi nascosta bene da qualche parte, per non fare la stessa fine degli altri... al solo pensiero sentì di nuovo un conato di nausea.

«Quelli... gli altri...» La bambina le afferrò titubante la mano, lo sguardo puntato su qualcosa alla loro destra. Aveva gli occhi rossi e gonfi di lacrime.

Seguì il suo sguardo, irrigidendosi.

Un cadavere di un bimbo che non doveva avere più di tre anni, le mani scorticate fino alle nocche e con uno squarcio aperto sul ventre, giaceva a terra poco lontano da loro, un coltello identico a quello stretto nella mano della bambina piantato nell'orbita vuota.

«Mi ha attaccata, non volevo...»

Si inginocchiò di fronte a lei, costringendola a guardarla. «Va tutto bene.» Le strinse la mano che reggeva il coltello, sentendola tremare come una foglia. «Come ti chiami?»

«... Sera.»

«Sera, va tutto bene. Sei al sicuro adesso, era tutto un brutto incantesimo.»

La sollevò di peso, era così leggera, cercando di coprirle il volto mentre scendevano di corsa le scale e uscivano dall'edificio, il fuoco che li inseguiva, ormai libero da qualunque magia di contenimento doveva aver lanciato l'Emissario.

«Ce l'avete fatta!» Le salutò Lanaya, una volta che l'ebbero raggiunta al sicuro. Le barricate erano ormai tutte distrutte, ma senza aiuto magico i Prole Oscura erano in difficoltà contro gli elfi.

Kallian annuì, cercando con lo sguardo Aenor e gli altri.

Riuscì ad individuare solo Wynne, intenta a curare un ferito a pochi metri da loro.

«I Custodi sono già andati avanti.» Disse Lanaya, rispondendo alla sua tacita domanda. «Dopo che è caduto l'Ogre, la situazione sembrava abbastanza stabile che hanno deciso di lasciare a noi il resto. Hanno un compito più importante.»

Quindi, erano ormai distanti.

Sentì una fitta al petto, mordendosi la lingua mentre posava la bambina a terra.

«Andrà tutto bene.» Sentì Leliana circondarle le spalle con un braccio, cercando di rassicurarla.

«Stanno andando ad uccidere il drago?» Chiese Sera, tirandola per una manica.

Le parole sembravano non uscirle di bocca, quindi si limitò ad annuire.

Oghren sogghignò. «Quell'Arcidemone troverà pietra per i suoi denti.»



























Note dell'Autrice: sono tornata! Volevo dare un po' di spazio a tutti prima del gran finale e soprattutto era tempo per un piccolo cameo... Sera, nonostante si trovasse a Denerim durante il Flagello, non si ricorda l'Eroe del Ferelden, e io ho voluto dare una mia piccola versione sul perchè. Mentre Gregoir, beh, volevo togliermi questa grande soddisfazione e sono uscita dal canone. Non mi pento di nulla! 
Alla prossima e reggetevi forte! :D 

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Capitolo 41
*** Denerim - Città Alta ***


CAPITOLO QUARANTUNO:

DENERIM – CITTA' ALTA


 

Si lasciarono l'Enclave alle spalle, correndo a perdifiato su per le strette vie che portavano a Forte Drakon. Aenor sapeva che non avrebbero mai fatto in tempo. Riordan avrebbe dovuto aspettarli proprio sotto la fortezza, ma del Custode più anziano non vi era nemmeno l'ombra.

Un folto gruppo di Genlock cercò di tendere loro un'imboscata, ma furono abbastanza svegli da evitare di farsi circondare: Morrigan e Geralt a proteggere i fianchi pur restando al sicuro, Aenor, Sten e Loghain riuscirono a rompere la linea nemica e disperdere i Prole Oscura, uccidendoli uno ad uno. Quando Falon buttò a terra l'ultimo, permettendole di trapassarlo con la spada, si concesse un attimo per appoggiarsi contro il muro di pietre grezze lì accanto, tirando fiato.

«Manca poco.» Le disse Morrigan, porgendole dell'acqua che l'elfa accettò di buon grado. Ne bevve pochi lunghi sorsi, il liquido magicamente fresco che le scendeva lungo la gola che bruciava.

«Non sento più l'Arcidemone.»

L'altra condivideva la sua apprensione. Il drago si era limitato per tutto quel tempo a volare troppo alto perché chiunque di loro potesse anche solo sperare di raggiungerlo con frecce e incantesimi, soltanto occasionalmente piombando a sorpresa tra le loro linee e distruggendo palizzate e fortificazioni in una pioggia di fiamme, per poi sollevarsi di nuovo oltre la spessa coltre di nubi.

Il piano di Riordan era così semplice da sembrare stupidamente ottimista.

Attirare il drago verso la torre di Forte Drakon, il punto più alto della città. Da lì, i Custodi avrebbero dovuto attaccarlo mirando alle ali, in modo da costringerlo a terra e rendergli impossibile aiutare l'Orda.

Per il momento, i loro tentativi erano stati vani e l'Arcidemone si era tenuto a distanza di sicurezza.

«Dov'è quel cretino di un Orlesiano?» Commentò Loghain tra i denti, guardandosi attorno. «Mi aspettavo almeno qualcuno.» Un rivolo di sangue gli scendeva lungo il braccio sinistro, ma sembrava una ferita troppo superficiale per fermarlo.

«Sai che non è davvero Orlesiano...» Cercò di distrarlo Geralt, ma Aenor lo vide scrutare i cieli, inquieto, mentre si asciugava il sudore dalla fronte recuperando le energie.

«Parla come un Orlesiano, e tanto mi basta.» Ribattè Loghain. «Inoltre, non ho chiesto un tuo parere, mago.»

«Giusto, dimenticavo che per te siamo tutti assassini prezzolati.»

Aenor scoccò loro uno sguardo in tralice. «Non è il momento.»

«La Custode ha ragione.»

Si voltò sorpresa verso Sten. Era raro che il Qunari prendesse posizione durante quegli stupidi battibecchi, soprattutto in un momento del genere. Lo ringraziò con un cenno del capo, ordinando poi agli altri di rimettersi in marcia.

La scalinata verso il Forte era ripida, ma la strada principale era stata bloccata giorni prima per impedire ai Prole Oscura di conquistare la collina con facilità.

Si arrampicarono lentamente, anche troppo, ogni passo, ogni gradino che sembrava durare un'eternità, attorno a loro un silenzio angosciante.

Dov'era l'Arcidemone? Che Riordan ce l'avesse fatta?

Oppure...

No. Non doveva pensarci.

Falon ringhiò sommessamente, scoprendo le zanne affilate, la pelliccia irta sulla schiena.

Tese le orecchie. Un ticchettio metallico, ripetuto, continuo, tutto attorno a loro. Cercò di capirne la provenienza, inutilmente. Fece cenno agli altri di mettersi in ascolto. Qualunque cosa fosse, si faceva sempre più vicino.

«Cosa...?»

Si voltò di scatto, sollevando una mano per zittire Geralt, ma il braccio rimase bloccato a mezz'aria. Uno schiocco familiare, ma molto più forte di quanto avesse mai sentito, risuonò tra le mura, rimbombando tra le pietre levigate.

Sentì un brivido involontario scenderle giù per la spina dorsale.

Falon, ritiratosi contro la sua gamba, teneva la testa incassata tra le spalle, le orecchie basse e all'indietro. Aenor non l'aveva mai visto tremare di fronte a nulla.

Altri schiocchi. Più vicini, sempre più vicini.

Le parve di intravedere delle lunghe zampe calarsi sopra una tettoia, ad una ventina di metri da loro, un fruscio sinistro ad accompagnarle.

Da un vicolo alla loro destra, emerse una figura umana. Si trascinava lentamente, come se fosse ferita, un braccio che penzolava inerte mentre incespicava verso di loro, la testa ciondoloni.

«Non è dell'esercito reale...» sussurrò Morrigan, sollevando il bastone davanti a sé.

A quelle parole, la figura sollevò di scatto il volto, fissandoli con occhi vitrei, la bocca spalancata e sbavante. Per un lungo, lunghissimo attimo, non emise alcun suono.

Un attimo dopo si era lanciato contro di loro, artigli affilati al posto delle unghie che fendevano l'aria, un urlo lancinante che perforava i timpani.

Fu il caos.

Come dal nulla, spuntarono innumerevoli Ghoul, lanciandosi dai tetti alti e piombando a terra con degli schianti secchi, rialzandosi nonostante le ossa rotte e il sangue che spillava da squarci aperti, gettandosi addosso al gruppo come una sola creatura nella loro furia cieca. Come se non bastasse, erano accompagnati da enormi ragni putrescenti, più grossi di qualunque altro avessero mai visto, le zanne ricurve grondanti veleno denso e nero, le lunghe zampe pelose irte di spine.

Aenor non si accorse di stare urlando finchè non rimase senza fiato, la spada tenuta davanti a sé, un cieco terrore ad ottenebrarle la mente, ogni fibra del suo essere che le urlava di scappare da lì il più velocemente possibile. Non riusciva più a vedere i suoi compagni, l'adrenalina che le pulsava dolorosamente nelle vene mentre tranciava di netto il braccio di quella che un tempo era stata una donna, carne in putrefazione che cadeva a terra, zanne che si chiudevano sulla lama della spada, frammenti di ossa che esplodevano, e cervella, mentre il cadavere cadeva a terra e lei passava a difendersi dal successivo, un-

Un elfo. O almeno, quello che ne restava, la testa calva che rendeva ancora più evidenti le orecchie a punta, gli occhi lattiginosi e ciechi dalla Corruzione. Un vallaslin sul viso, così diverso dall'altro, eppure nella sua paura non poté che pensare a lui.

Quello che sarebbe diventato.

Quello che era diventato, e che sarebbe stato anche il proprio futuro, un giorno.

«Tamlen-»

Un'ondata di fuoco le mozzò le parole in gola, mentre tutto attorno a lei si scatenava l'inferno, una barriera cremisi a proteggerla dal calore.

«Aenor, da questa parte!»

Seguì la voce di Geralt, alla cieca, incespicando sui gradini mentre correva a perdifiato su per la collina. Falon comparve al suo fianco, spedendo lontano un altro ghoul e lanciandolo nelle fiamme che divampavano sotto di loro, aiutandola a raggiungere gli altri.

Dietro di lei si scatenò una tempesta elettrica, che andò ad aggiungersi alla pioggia di fuoco scatenata dall'altro mago, ponendo fine all'inseguimento.

Si rese conto di essere caduta a terra soltanto quando una mano entrò nel suo campo visivo, prendendola di peso per le spalle e tirandola in piedi. Incontrò gli occhi viola di Sten.

«Non puoi permetterti di mollare proprio ora.» Le disse il Qunari, stringendo la presa.

Aenor rimase a fissarlo, tremante, finchè lui non la lasciò andare. Le porse la sua spada, che non si era nemmeno accorta di aver lasciato cadere a terra. Riuscì a sussurrare un ringraziamento.

Sten annuì. «Forza. Siamo arrivati fin qui grazie a te. Non dimenticarlo.»

Chiuse gli occhi, inspirando a fondo, sentendo il peso della spada nelle mani. «Andiamo, allora.»

Grazie a Morrigan e Geralt, sembrava che i loro inseguitori avessero desistito o fossero stati uccisi tutti perché, quando le fiamme smisero di infuriare e le scintille si furono dissipate, tra i vicoli era calato nuovamente il silenzio.

Ad un tratto, un ruggito sembrò spaccare il cielo.

Alzarono lo sguardo, oltre i tetti dei palazzi, un'ombra gigantesca che si stagliava contro le nuvole illuminate dai fuochi della città.

Il drago si dimenava furiosamente su sé stesso in un vortice di fiamme e artigli, sferzando l'aria con la coda irta di spunzoni. Con uno schianto, si scagliò contro una delle torri del Forte, distruggendola e facendola accartocciare su sé stessa mentre la creatura tornava a sollevarsi, sempre più in alto.

Quando ormai era un puntino proprio sopra di loro, un lampo illuminò per un attimo il cielo. Ad Aenor sembrò di vedere qualcosa precipitare di sotto, ma era troppo buio per capire di cosa si trattasse. Sentirono però l'Arcidemone stridere di dolore mentre cadeva roteando, sbattendo inutilmente le ali e riuscendo a malapena ad evitare di fracassarsi su una delle torri, aggrappandosi con i lunghi artigli e dilaniando lo scheletro della fortezza, incapace di rialzarsi in volo. Vomitò una cascata di fiamme che distrussero tutto ciò che incontrarono.



 

Le luci di Forte Drakon erano tutte accese, la fortezza sotto attacco resisteva strenuamente.

Si fecero strada a colpi di spade e incantesimi fino alle grandi porte di metallo. Il passaggio secondario era proprio alla loro destra, si arrampicava lungo l'uscita di servizio delle cucine, per poi raggiungere la torre da dove l'Arcidemone ruggiva tutta la sua rabbia, ferito e intrappolato. Le guardie del castello, alla loro vista, parvero illuminarsi.

«Custodi!» Li chiamarono, cercando di attirare la loro attenzione.

Aenor fece qualche passo verso di loro, ma Morrigan la fermò per un braccio, strattonandola. «Non abbiamo tempo, la strada più breve-»

Si morse il labbro inferiore, analizzando la situazione. Un paio di grossi Ogre stavano scardinando le porte a pugni, mentre un folto gruppo di Hurlock e Genlock impedivano al resto delle guardie reali di arrivare ai giganti. Un Hurlock più grosso degli altri, in armatura completa ed elmo con due grandi corna ricurve, comandava l'attacco. La Custode calcolò che non dovevano avere più di qualche minuto, prima che la difesa degli umani crollasse.

Scosse il capo, incrociando lo sguardo di Loghain. Sapeva che anche l'altro era d'accordo, non potevano abbandonarli.

Fece cenno a Falon di seguirla, mentre Morrigan sbuffava maledicendo la perdita di tempo ma cominciava ad evocare un incantesimo di zona per indebolire il grosso della carica nemica. Geralt tagliò gli aiuti dalle retrovie con una muraglia di fiamme, mentre i due Custodi e Sten attaccavano dal lato, sfondando le linee avversarie e causando scompiglio tra la Prole Oscura.

Uno degli Ogre riuscì a scardinare mezzo portone, afferrandolo poi come un fuscello e schiantandolo contro le prime file dell'esercito umano.

Le guardie del palazzo vennero spazzate via come foglie, mentre il mostro ruggiva e sollevava di nuovo l'arma improvvisata, l'altro che caricava con le corna ritorte gli uomini sparpagliatisi.

«Geralt!» Urlò Aenor, indicando l'Ogre armato di portone, sperando che il mago riuscisse a fermarlo.

Lo sentì imprecare qualcosa, mentre tutto attorno a loro l'aria schioccava di elettricità. Una serie di rune comparvero sotto le zampe dei giganti, bloccandoli temporaneamente a terra. Il mago sbattè il bastone contro le pietre, mentre i due mostri ruggivano, impossibilitati a muoversi, dando il tempo ai soldati di attaccare. Una pioggia di frecce si riversò dall'alto delle mura, uno degli Ogre cadde a terra ma l'altro riuscì a rompere l'incantesimo, incornando il guerriero più vicino e sollevandolo da terra urlante, per poi lanciarlo a diversi metri di distanza come un sacco di patate.

Aenor, nel frattempo, aveva raggiunto l'Hurlock al comando.

Schivò il grande maglio ricoperto di lame taglienti, l'aria che sibilava ad un centimetro da sé, buttandosi a lato e incrociando le armi. La spada sembrò riverberare all'impatto, attutendo il colpo e sbalzando via il mostro, che indietreggiò per riprendere l'equilibrio. Loghain, sbucato alle sue spalle, lo colpì alla schiena, penetrando anche se di poco l'armatura.

Ferito, l'Hurlock ruggì di dolore, caricando l'uomo e dando le spalle all'elfa, che sfruttò l'attimo in cui la creatura alzò il maglio sopra la testa per colpire il punto scoperto sotto l'ascella, trapassandolo da parte a parte. Estrasse la lama con uno schizzo di sangue scuro, ma qualcosa la colpì di striscio, stridendo sull'armatura e facendole perdere il vantaggio.

Falon corse in suo aiuto, buttando a terra lo shriek e scattando subito indietro per evitare di essere ferito dagli artigli del mostro, girandogli attorno e distraendolo per permettere ad Aenor di finirlo staccandogli la testa di netto.

Loghain nel frattempo era alle prese con un paio di Genlock, spuntati a difendere il loro generale. Ne azzoppò uno ma non riuscì ad evitare di essere spinto di lato dall'altro, l'Hurlock che cercava di allontanarsi verso il resto dell'esercito ma veniva bloccato da una muraglia di scintille elettriche innalzata da Morrigan.

«Che Fen'harel vi si porti...» ringhiò Aenor, saltando un Genlock che le si parava davanti e raggiungendo di corsa il generale, colpendolo dove era già ferito e facendolo finalmente caracollare in avanti. Sollevò la spada per il colpo di grazia, abbassandola con quanta forza aveva in corpo e inchiodandolo a terra con un ultimo sussulto.

Lo spostamento d'aria successivo la fece ruzzolare sul pavimento, le orecchie che fischiavano dolorosamente.

Non aveva nemmeno sentito l'esplosione, la testa che girava vorticosamente. L'Emissario fluttuava a diversi metri da terra, sotto di lui quattro Ogre in armatura. Una barriera luminescente vorticava attorno ai mostri, permettendogli di attraversare indenni la tempesta elettrica scatenata da Morrigan. Una pioggia di fiamme segnalò che anche Geralt si era accorto del loro arrivo, ma anch'essa si rivelò inutile.

Le guardie reali serrarono i ranghi ma vennero spazzate via con qualche potente colpo degli Ogre. Un nugolo di frecce rimbalzò sulla barriera dell'Emissario, cadendo a terra con un ticchettio.

Aenor si ritrovò ad indietreggiare, spalla contro spalla con Loghain.

«Idee?» Gli chiese allarmata, pronta a vedere cara la pelle.

L'altro scosse la testa, la fronte corrucciata e lo sguardo puntato sull'Emissario.

Quello voltò la testa verso di loro, le orbite vuote e le fauci irte di denti aguzzi che si aprivano in un ghigno di vittoria. Mosse il bastone ed evocò una sfera grande il doppio delle loro teste, un vortice di oscurità che sfrecciò nella loro direzione.

Aenor reagì d'istinto, frapponendo la propria spada tra loro e l'incantesimo. Con un lampo accecante, il metallo si illuminò dall'elsa alla punta, tranciando di netto la sfera magica e neutralizzandola. L'Emissario emise un grido inviperito, mentre l'elfa guardava sorpresa le rune impresse sulla lama, che ora brillavano di luce propria.

Ghignò a sua volta.

«Fatti sotto, razza di-»

Uno degli Ogre alzò un enorme pugno, cercando di schiacciarla sul posto. Rotolò di lato, perdendo per un attimo di vista sia Loghain che l'Emissario mentre cercava di mettersi in salvo. Finì tra le zampe degli enormi mostri, cercando di schivare i colpi e nel frattempo ferirli in modo da buttarli a terra. Una scarica elettrica la sorprese impreparata. Urlò di dolore, il suo grido sommerso dai ruggiti rabbiosi degli Ogre, colpiti anch'essi dall'incantesimo dell'Emissario.

Si ritrovò in ginocchio, paralizzata.

All'improvviso, l'incantesimo venne spezzato. Riuscì di nuovo ad alzarsi, sentendo gli umani gridare qualcosa. Tese le orecchie, mentre risollevava la spada e caricava un potente colpo al ginocchio dell'Ogre più vicino, facendolo caracollare sul terreno.

«Il re, il re!»

“Alistair?”

Con un ringhio, saltò sul gigante caduto e conficcò con forza la lama nell'orbita destra del mostro, evitando per un soffio le fauci che schioccarono a pochi centimetri dalla sua gamba. La creatura sussultò mentre lei liberava l'arma con uno strattone, scendendo giù di nuovo e concentrandosi sul successivo.

«Aenor!»

Si voltò di scatto.

Nella sua nuova armatura dorata, sporco di sangue nemico dalla testa ai piedi ma apparentemente incolume, vi era Alistair. Lo scudo sollevato, stava parando i colpi di un Ogre più piccolo, accorso a difendere l'Emissario che ora giaceva a terra, incapace di lanciare altri incantesimi. La Custode conosceva bene l'aura antimagia che Alistair sapeva lanciare contro i maghi, ed era anche consapevole che non avevano molto tempo.

Sfruttò la rincorsa per scivolare tra lo scudo del re e il fendente dell'Ogre, così come avevano fatto in altri innumerevoli scontri combattuti fianco a fianco, risollevando la spada e calandola verso l'Emissario, che alzò inutilmente un braccio per proteggersi.

La lama tranciò carne, ossa e armatura come fossero burro, troncando in due il mostro dalla clavicola destra al bacino sinistro in una fontana di sangue.

Un ruggito seguito da un tonfo annunciò che anche Alistair si era liberato dell'Ogre.

Si girò verso di lui, le parole che non volevano saperne di uscirle.

Il ragazzo si sollevò per un attimo l'elmo, incontrando il suo sguardo. «Vai. Sali le scale a sinistra, l'Arcidemone è lassù.»

«Alistair...» Voleva dirgli che le dispiaceva. Che era stato l'unico modo per tenerlo al sicuro, che non credeva avrebbe mai accettato di partecipare al rituale di Morrigan, che non avrebbe permesso che si sacrificasse al posto suo. Avrebbe voluto dirgli che, nonostante tutto, sarebbe stato un ottimo re, come era stato un Custode Grigio migliore di lei. Richiuse la bocca, annuendo. Non c'era tempo.

«Grazie.»

«Vedi di tornare.» Le disse lui, accennando uno dei suoi sorrisi sciocchi. «Non ho ancora finito di arrabbiarmi con te.»

Aenor cercò di ricambiare il sorriso, ma Sten era già comparso al suo fianco, trascinandola via dalla battaglia e dentro la fortezza, superando il portone divelto e i cadaveri sul pavimento di pietra reso appiccicoso dal sangue.

Prima di iniziare a salire le scale, lanciò un ultimo sguardo verso di sé, un nodo alla gola, ma Alistair era ormai fuori portata.

Strinse i denti, Falon al suo fianco, Loghain che faceva loro strada su per la torre.



 

Avvertirono l'Arcidemone molto prima di arrivare sul tetto.

Come nei suoi incubi, più si avvicinavano più i bisbigli nella sua testa si trasformavano in urla, canti, una musica che rimbombava nelle sue vene e sulla quale le pareva di muoversi a tempo, una ragnatela da cui era impossibile liberarsi.

Sten sfondò la porta con un calcio e furono finalmente all'aperto.

L'aria era rovente, il drago, voltatosi verso di loro, aveva eruttato una fiammata arrivata a lambire le mura, arrossandole il volto e facendola lacrimare dal calore.

Inviò una preghiera ad Andruil, Dea della Caccia, mentre si sparpagliavano al sicuro dal fuoco.

Un lampo illuminò il cielo, mentre una voce conosciuta urlava loro di mettersi al riparo.

Il Primo Incantatore Irving, affiancato dal Guardiano Zathrian, scatenò una tempesta di fulmini e saette sull'Arcidemone, che si riparò dietro le grandi ali che respinsero l'incantesimo, riuscendo però a distrarlo dai nuovi arrivati.

«Dov'è Riordan?!» Chiese Aenor all'elfo, correndogli incontro.

L'altro scosse la testa, indicando con un cenno l'Arcidemone. «Siamo riusciti ad attirare il drago su una delle torri e a far arrivare il Custode sopra di esso. Gli ha reciso una delle ali, per questo non può andarsene. Tuttavia...» Lo sguardo cadde verso lo strapiombo a pochi metri da loro, le merlature della torre distrutte, assi e pietre che pendevano sul vuoto.

L'elfa si morse il labbro. Erano rimasti solo in due, quindi. “Tre, con Alistair all'ingresso della fortezza.” No, non doveva pensarci. Lei e Loghain sarebbero bastati. Dovevano bastare.

L'Arcidemone lanciò un ruggito assordante, che riuscì a interrompere la tempesta scatenata sulla sua testa. Si scagliò contro i soldati più vicini, azzannandone uno e stritolandolo tra le fauci, lanciando poi il cadavere giù dalla torre. Diresse i suoi occhi fiammeggianti verso di loro, in un chiaro segno di sfida, sollevandosi sulle zampe posteriori e fendendo l'aria con artigli lunghi quanto un uomo adulto. Dalle fauci emerse una vampata incandescente, che costrinse tutti ad indietreggiare di parecchi metri.

«Vi copriamo noi, Custodi.» Assicurò Zathrian e Aenor percepì all'istante una barriera protettiva alzarsi attorno a sé, facendola tornare in forze.

Strinse la spada, studiando i movimenti del drago alla ricerca dei suoi punti deboli.

Zoppicava leggermente, il sangue scuro che scendeva da un lungo squarcio sulla zampa posteriore sinistra. La coda era irta di punte e spazzava via ogni cosa alle sue spalle, ma c'erano almeno un paio di metri liberi tra la zampa ferita e la base della coda.

Sarebbero dovuti bastare, per ora.

Schivò una nuova fiammata, sfruttando la protezione della barriera magica, e scivolò sotto una zampata del drago, trovandosi sotto alla bestia. Quella scalciò all'indietro, costringendola a deviare, la lama che arrivò soltanto a scalfire le squame producendo un suono metallico.

Qualcosa però sembrò distrarlo, perché portò la sua attenzione davanti a sé, cercando di afferrarlo tra gli artigli. Non riuscendoci, si sollevò nuovamente sulle zampe posteriori, ruggendo e schiantandosi a terra con tutto il suo peso.

Sentì Falon abbaiare e schizzarle accanto mentre attirava di nuovo la bestia lontano dalla Custode, dandole l'opportunità di infilzare le piastre più molli sul ventre del drago.

La lama recise il fianco con più facilità di quanto si fosse aspettata, il sangue che zampillava scuro dalla ferita, schizzando a terra e fumando a contatto col freddo della notte.

Rotolò sul pavimento duro, evitando per un soffio un colpo di coda e raggiungendo la zampa ferita. Calò la spada con quanta forza aveva in corpo, conficcandola in profondità e facendo urlare di dolore la creatura.

Non ebbe il tempo di evitare la sferzata che la spedì in aria, mozzandole il respiro mentre precipitava a terra da parecchi metri di altezza.

La barriera magica attutì l'impatto. La vista annebbiata, stordita e disarmata, cercò di mettere a fuoco il mondo tutt'attorno. Uno shriek comparve improvvisamente nel suo campo visivo, ululante, ma venne prontamente decapitato da Sten, corso in suo aiuto. La aiutò a rialzarsi, porgendole una mano e tirandola in piedi.

Si voltarono di nuovo, affrontando fianco a fianco una dozzina di Shriek urlanti che erano riusciti ad arrampicarsi sulle mura, bava e veleno a colare da zanne e artigli ricurvi.

Una palla di fuoco ne sbalzò via almeno la metà, arrostendoli tra terribili gemiti e facendo perdere loro l'equilibrio per un attimo.

Geralt, dall'altra parte della torre, urlò qualcosa che non riuscirono ad afferrare, indicando un punto dietro di loro.

Si voltarono.

Una balista si ergeva ancora intatta ad un centinaio di metri da loro. Aenor incrociò lo sguardo del Qunari. «Sten. Sai utilizzarla?»

L'altro annuì.

L'elfa sapeva che, per una della sua stazza, anche solo attivare il meccanismo che portava all'indietro il dardo le sarebbe costato una fatica immane. «Cerca di mirare a lui e non a noi.» Gli disse, prima di scattare di nuovo verso l'Arcidemone, intenzionata a riprendersi la spada.

Schivò un paio di Shriek che le si pararono davanti, aiutata da Morrigan che li spedì lontano da lei con una serie di saette, uccidendoli sul colpo.

Nel frattempo, Geralt era riuscito ad immobilizzare due zampe del drago con le sue rune, che brillavano luminosissime sul terreno, la creatura che cercava di dimenarsi e distruggerle ad unghiate. Aenor accelerò il passo, evitando le zanne che schioccarono ad un passo dalla sua gamba e riuscendo ad afferrare l'elsa della spada, ancora conficcata saldamente nella carne. Strattonò via con forza la lama, che uscì nel momento stesso in cui una delle rune veniva spezzata. Il drago si impennò su sé stesso, trascinandola con sé e rischiando di colpirla con la coda.

Sentì la barriera magica infrangersi e contemporaneamente una fitta al fianco.

Rotolò via da quell'inferno, appena in tempo per vedere un dardo grosso quanto la sua spada incastrarsi alla base del collo della creatura, che si dimenò inutilmente cercando di toglierselo, riuscendo soltanto a spezzarlo a metà, la punta dentellata che scavava ancora più a fondo nella carne.

L'Arcidemone ruggì di nuovo, sollevandosi e sbattendo tutto il suo peso a terra.

Aenor si appiattì al suolo, la testa che le girava, strisciando verso Loghain che, nascosto dietro allo scudo alzato sopra di sé, le faceva segno di raggiungerlo.

Il drago tentò di schiacciarli entrambi, ma venne fermato nuovamente da una tempesta di neve che ne rallentò i movimenti, impedendogli di eruttare altre fiamme bloccandogli la testa in uno spesso strato di ghiaccio.

Fecero appena in tempo a ritirarsi, che il ghiaccio esplose in uno scoppio di schegge e vapore, il fuoco che tornava ad avvolgere il mostro. Un altro dardo della balista sfrecciò sopra di loro, conficcandosi nel fianco del drago e mozzandogli il fiato.

Quello si voltò furibondo verso la macchina, e al suo comando altri shriek sbucarono dal nulla, piombando su Sten da tutti i lati e costringendolo ad arretrare, abbandonando la balista che fu fatta a pezzi in pochi secondi.

Aenor avvertì un'energia avvolgerla e richiuderle la ferita sul fianco e individuò Zathrian seminascosto dietro una balaustra. Lo ringraziò con un cenno, prima di andare ad occuparsi di un altro paio di shriek.

Loghain nel frattempo stava tornando verso il drago, lo scudo a proteggerlo dai potenti fendenti che stridevano sul metallo levigato, gli artigli che non riuscivano a fare presa.

Ad un certo punto, un incantesimo fece esplodere un punto poco lontano da lui, costringendolo a spostare lo scudo per proteggersi dai detriti. L'Arcidemone ne approfittò per afferrare il metallo con la zampa anteriore, strattonandolo via e lanciandolo nel vuoto.

Il Custode, rimasto senza difesa, rotolò di lato, evitando per pura fortuna di essere colpito in pieno da un secondo incantesimo ma finendo per essere sbalzato via. Cadde impattando sul pavimento di roccia, urtando il ginocchio.

Aenor non esitò a correre in suo aiuto. Sollevò la spada come aveva fatto in precedenza, deviando l'incantesimo dell'Emissario e annullandolo con un lampo di luce, la spada che vibrava. Strinse i denti mentre una pioggia di frecce cadeva sull'Arcidemone, cercando di individuare l'Emissario.

Una sferzata incandescente segnalò che il primo a trovarlo era stato Geralt.

Il mago, il bastone alto sopra la testa, riuscì ad indebolire la barriera difensiva innalzata dalla creatura abbastanza perché l'incantesimo di Irving, poco distante, lo colpisse dritto al petto con una serie di scariche elettriche.

L'Emissario crollò a terra. Geralt scattò in avanti, sollevando la punta di metallo alla base del bastone e piantandogliela nel ventre.

Un'energia dirompente sembrò scuotere la torre dalle fondamenta, mentre innumerevoli tentacoli di magia scarlatta si alzavano tutt'attorno, trapassando ogni Prole Oscura che incontrarono prima di arrivare all'Arcidemone.

Il drago ruggì di dolore, ferito da centinaia di colpi mentre la magia lo avvolgeva in una nube.

Aenor si concesse di tirare fiato, per un attimo sembrò che avessero avuto la meglio, ma il drago emise un boato terribile. A quel suono, ogni Prole Oscura nei paraggi sembrò immobilizzarsi.

L'elfa sgranò gli occhi per l'orrore: lo Shriek che aveva di fronte si contorse per un attimo, la schiena che si spezzava con uno schiocco sinistro, prima di esplodere. Sangue, interiora e ossa si sparsero tutt'attorno, mentre tutti i mostri facevano la stessa fine.

Sentiva ogni fibra del suo corpo bruciarle come fuoco puro, costringendola a rannicchiarsi su sé stessa. Si strappò via l'elmo, portandosi una mano davanti agli occhi, trovandola sporca di sangue. L'orecchio destro era insensibile, l'altro riusciva a percepire delle urla, umane, ma non vedeva niente, la testa che le girava vorticosamente.

Aspettò che passasse, raggomitolata sul pavimento freddo, la vista che piano piano tornava, sfocata. Si rimise faticosamente in ginocchio.

Cercò di individuare Loghain. Era ancora in piedi, a differenza sua, ma sembrava provato. Tutto attorno a loro, i cadaveri dei Prole Oscura e degli uomini che si erano trovati troppo vicini a loro, corrosi dal sangue dei mostri.

Il drago si ergeva al centro dello spiazzo, ferito ma ancora sulle quattro zampe.

Si voltò alla ricerca di Zathrian, sperando in un suo incantesimo curativo, ma l'elfo giaceva in una pozza di sangue, sopraffatto dai Prole Oscura. Irving era accasciato contro la balaustra di pietra, lo sguardo che andava da Geralt all'Arcidemone, senza più forze, un grosso squarcio al ventre. Dei soldati che erano rimasti sulla torre, meno della metà erano sopravvissuti.

Falon zoppicò nella sua direzione, uggiolando, le orecchie basse, gravemente ferito.

«Stai qui.» Gli ordinò, rafforzando le proprie parole con un cenno secco della mano.

Il mabari scosse la testa, mostrando i denti mentre lanciava sguardi verso il drago.

«Falon. Vara

Uggiolò di nuovo, con più forza.

“Va' via, testone.”

Gli accarezzò per un attimo la pelliccia, ripetendo l'ordine, per poi stringere la spada che si era fatta immensamente pesante. Non aveva più la forza di correre, quindi si diresse a passo sostenuto verso il drago, che la guardava con occhi malvagi.

Un'altra ondata di Shriek sbucò dalle mura, ululando e seminando il panico tra i pochi umani rimasti. Vide Loghain, ormai senza scudo, tranciarne uno di slancio, cercando di arrivare all'Arcidemone, ma più ne eliminava altri ne comparivano, accerchiandolo da ogni lato. Sten, alla sua sinistra, reggeva la spada con un braccio solo, l'altro penzolava inutilizzabile, i fendenti sempre meno precisi, il volto contratto dallo sforzo.

Quando un paio di quei mostri le si pararono davanti, venendo spazzati via da un attacco combinato di Morrigan e Geralt, Aenor sospirò di sollievo.

I maghi cercarono di distrarre l'Arcidemone, colpendolo in più punti e accecandolo in modo da darle l'opportunità di avvicinarsi. Raggiunse Loghain, mettendosi dal lato opposto del drago, dove il dardo della balista dava un buon appiglio per arrampicarsi sul dorso del mostro.

Mentre l'altro lo teneva occupato, Aenor si fissò la spada alla schiena. Schivò un altro Shriek, abbattuto poi da una freccia dritta sul muso, e saltò sulla zampa del drago, allungandosi ad afferrare l'estremità del dardo.

Con un ruggito, la bestia cercò di scalciarla via, sollevandosi quel tanto che bastava perché lei riuscisse a puntare i piedi e fare forza sulle braccia. Raggiunse con uno sforzo immenso una delle punte dorsali della creatura, issandosi sulla groppa del drago.

Quello, accortosi di lei, cercò di rotolare su un fianco, ma così facendo finì per farsi trafiggere ancora più in profondità dal dardo già conficcato nel costato. Una pioggia di scintille lo colpì sul muso, mentre tre rune di paralisi comparivano sul terreno, impedendogli di scrollarsi di dosso l'elfa.

Aenor riuscì finalmente a raggiungere metà della schiena. Sollevò la spada, piantandola con forza nel collo della bestia, recidendo le squame e penetrando in profondità.

Un ruggito lancinante fece tremare l'aria, mentre sentiva di nuovo il sangue bruciarle nelle vene, stringendo i denti per impedirsi di mollare la presa. Alla cieca, ruotò l'elsa della spada, il grido del drago sempre più forte.

Con un'esplosione, le rune andarono in pezzi assieme a gran parte del pavimento.

L'Arcidemone si impennò sulle zampe posteriori, la sinistra che finalmente cedeva sotto tutto quel peso, crollando di lato.

Aenor non fece in tempo a spostarsi.

Ancora aggrappata alla spada, si ritrovò in un groviglio di ali e punte aguzze, il peso del drago sopra di sé, un dolore lancinante alla gamba che fece sparire tutto il resto. Senza mollare la presa, si accorse che il drago stava strisciando via, lontano dagli incantesimi, arrampicandosi con le zampe ancora funzionanti sulle pietre della torre accanto. Il terreno si allontanava sempre di più, mentre calcinacci e fiamme roteavano tutto attorno, il drago che si arrampicava sempre più in alto.

Avevano smesso di colpirlo con incantesimi, realizzò dopo qualche istante. Per non colpire anche lei.

Stupidi. Se fosse caduto di sotto...

Gettò uno sguardo nel vuoto, dove la battaglia infuriava a qualche centinaio di metri sotto di loro. Era pieno di Prole Oscura. Se avesse mollato la presa, se l'Arcidemone fosse morto senza un Custode Grigio nei paraggi, la sua essenza corrotta sarebbe semplicemente migrata al Prole Oscura più vicino. Avrebbero perso la battaglia, il paese intero. E se per pura sfortuna fosse caduto vicino ad Alistair...

Strinse i denti, serrando la presa sull'elsa della spada, i piedi puntati sulle punte del dorso, ignorando la gamba destra che aveva smesso di funzionare, i pantaloni zuppi di sangue.

Avanzò lentamente, allungandosi fino alla punta più avanti, verso il collo, tirandosi su e usando l'elsa della spada come appoggio per il piede sinistro. La gamba destra era ormai molle, inutile.

Il drago afferrò un appiglio che cedette sotto il suo peso.

Per un attimo, si ritrovò a penzolare nel vuoto, appesa soltanto per una mano, la spalla che si strappava con uno schiocco straziante.

Incrociò lo sguardo del drago, le fauci aperte attorno a sé. Rimase a fissarlo, impotente. Un altro appiglio crollò di sotto, facendo ribaltare nuovamente le posizioni mentre la bestia cercava in tutti i modi di non cadere di sotto.

Aenor si aggrappò ad uno spunzone di roccia. Il drago era sotto di lei, la spada ancora conficcata alla base del collo.

Puntó il piede sano contro la parete, premendosi sulle rocce e liberando una mano che andò a cercare la daga legata alla cintura.

La lama di Duncan, in acciaio rosso, brillava nella notte.

Sorrise, lasciandosi andare, mentre il drago apriva le fauci in un ultimo, disperato ruggito.

La daga affilata tranciò il muso della bestia, piantandosi a fondo nel cranio. Aenor sfruttò una delle grandi corna del drago per aggrapparsi ed estrarla di nuovo, colpendolo alla base della testa, dove le squame erano più morbide. La creatura strillò di dolore, scuotendo violentemente il capo ma riuscendo soltanto ad ottenere che la lama penetrasse sempre più a fondo.

Mollò la presa.

Precipitarono nel vuoto. Aenor, ancora attaccata alle corna, con un ultimo sforzo ruppe la runa che aveva fatto incidere sull'elsa della daga di Duncan.

L'esplosione si propagò all'interno del cranio del drago, troncandogli il ruggito in una serie di spasmi mentre vorticavano al suolo.

Si schiantarono contro qualcosa, interrompendo la caduta.

Aenor sentì uno schiocco, un violento lampo lampo di luce che l'accecava in un boato spaccatimpani, poi più nulla.



 

Sentiva un rivolo di sangue scenderle a lato della bocca, ma le braccia rifiutavano di muoversi.

Avvertì dei passi avvicinarsi a lei.

Qualcosa di bianco entrò nel suo campo visivo. Realizzò che erano capelli.

La estrassero a braccia da sotto il corpo del drago, con delicatezza. Sten la appoggiò a terra, la testa su qualcosa di morbido. Ricambiò il suo sguardo, confusa.

«Ce l'hai fatta, Kadan.»

«Aenor?!» Gridò qualcuno, una voce maschile. «Aenor! Per un attimo ho pensato-» Geralt si interruppe bruscamente, sgranando gli occhi. «No, non...»

Fu Sten a risvegliarlo dallo shock. «Curala, mago.»

L'altro balbettò qualcosa che l'elfa non riuscì a capire. Si sentiva come in una bolla, distante.

«E allora trova qualcuno che sappia farlo!»

Era davvero preoccupazione quella che sentiva nella voce di Sten? Riportò lo sguardo su di lui. Fissava il mago con odio, come se potesse incenerirlo con gli occhi.

Quello scosse la testa. «Zathrian e Irving... non faremo mai in tempo a...»

«Non è possibile.» Morrigan, comparsa alle loro spalle, teneva le braccia conserte sul petto. «Non riesci più a sentire nulla, vero Aenor?»

Ci penso su. Cercò di muovere un braccio, ma non rispondeva ai comandi. Ricordava un dolore tremendo alla gamba, che ora sembrava svanito. Dov'erano le sue gambe? Abbassò lo sguardo, sembravano ancora lì, Falon appoggiato sul suo grembo. Le leccò la faccia, delicato, uggiolando.

Aveva la gola secca. «No.» Riuscì a dire dopo un paio di tentativi andati a vuoto. Avrebbe voluto coccolarlo, passare le dita sulla pelliccia ispida.

«Nessun guaritore potrebbe farci niente.» Sentenziò Morrigan. «Mi dispiace.»

«No, deve esserci un modo per-»

«Geralt.» Lo zittì la strega, accennando nella sua direzione. «Sai che è così.»

«L'Arcidemone... è morto?» Chiese Aenor, leccandosi le labbra.

«Ce l'hai fatta, Custode...» Conosceva quella voce. Loghain. Le venne da ridere, un gorgoglio basso che la fece quasi strozzare con il suo stesso sangue.

«Senza di te, l'essenza del dio corrotto sarebbe finita in uno di quei Prole Oscura laggiù. Ci hai salvati tutti, Aenor.» Spiegò Morrigan, la voce quasi dolce.

«Oh.» Si sentì sollevata. Avevano sconfitto il Flagello. Non c'era nient'altro da fare. Nessuna battaglia, nessun'altra questione che necessitava il suo intervento. Il cielo sopra di loro era ancora coperto da una spessa coltre di nubi grige. Si ritrovò a sorridere.

«Potremmo fermare l'emorragia. Se trovassimo un modo per stabilizzarla, Wynne e il suo spirito potrebbero riuscire a...»

Puntò gli occhi in quelli blu del mago, che si zittì per la seconda volta. Sbattè le palpebre, cercando le parole giuste. Forse non ce n'erano. «Preferisco così. Non fa male.»

«Ma-»

«Hai sentito quello che ha detto, mago. Rispetteremo la sua decisione.» Le tolse una ciocca di capelli insanguinati dal viso. «Ti fa onore, Kadan.»

Falon le si accoccolò contro, il respiro regolare ad accompagnare i propri, sempre più difficoltosi.



Aenor...

Cercò di voltarsi, riconoscendo la voce, la vista che le si oscurava pian piano.

Galleggiava. Forse stava ancora cadendo.

C'era silenzio, tutto intorno.

Rumore di foglie secche calpestate in una giornata d'autunno. Un lupo ululava in lontananza.

Il cielo era nuvoloso, magari sarebbe scesa persino un po' di neve...

Una folata di aria fresca le fece prudere il naso, mentre si voltava verso il nuovo arrivato, ricambiando il sorriso dell'altro.

Ben ritrovata, Vhenan.





































Note dell'Autrice: lo so. Credetemi, ho avuto il magone per giorni mentre scrivevo i capitoli finali, ma andava fatto. Mi piange il cuore a salutare Aenor, ma in fondo desiderava riunirsi con il suo Tamlen da quando si è risvegliata senza di lui dopo aver trovato l'eluvian corrotto. Ha salvato il mondo, ora si merita un po' di pace. Al prossimo, ed ultimo, capitolo. 
 

"O Falon'Din
Friend to the Dead
Guide my feet, calm my soul,
Lead me to my rest."

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Capitolo 42
*** Epilogo ***


EPILOGO


 

«Amici miei, siamo qui riuniti per porgere i nostri rispetti e l'ultimo saluto alla Custode Grigia Aenor Mahariel.»

La voce di Alistair rimbombava nella piazza gremita di gente accorsa per le esequie. Lì, sotto le mura della Chiesa in parte crollata, le macerie accatastate ai lati per fare posto alle migliaia di persone provenienti da tutto il Ferelden, uomini, maghi, guerrieri, nani, elfi, tutti chinavano il capo mentre il nuovo re decantava le gesta eroiche dell'elfa che aveva salvato il paese intero.

«Ha dato la vita per fermare il Flagello, e il suo sacrificio non verrà dimenticato.»

Geralt non riusciva a staccare gli occhi dalla bara di legno dorato che conteneva il corpo della Custode. Appariva così fragile e minuta, in quella grande armatura splendente adornata dai grifoni rampanti dell'Ordine, che nulla aveva potuto contro i colpi dell'Arcidemone. Tra le braccia reggeva l'elmo alato dei comandanti dei Custodi Grigi. I lunghi capelli corvini erano stati pettinati e lasciati morbidi come un'aura attorno al capo, sul viso pallidissimo il tatuaggio spiccava come foglie verdi sotto il sole, gli occhi chiusi e l'ombra di un sorriso ancora sulle labbra.

Sembrava che da un momento all'altro potesse svegliarsi, alzarsi e chiedere cosa diamine ci facessero lì a perdere tempo. Si sarebbe infuriata, a vederli piangere così per lei. Dopotutto, era stata una sua scelta.

Si asciugò una lacrima che gli era sfuggita sulla guancia, grattandosi la barba per dissimulare. Jowan, accanto a sé, gli strinse delicatamente il braccio, facendosi più vicino.

Dall'altra parte, Natia borbottò qualcosa, in mano una fiaschetta ormai vuota. La vide pulirsi il volto con la manica della giacca, tirando su rumorosamente dal naso. «Maledizione.»

Alistair continuava a parlare, raccontando di quanto Aenor era stata un modello per tutti loro, del suo coraggio, di come aveva sempre affrontato le situazioni di petto. «Non si è mai tirata indietro di fronte a nulla, non importa quanto grande fosse il pericolo né quanto impossibile sembrasse il compito...» Strano, ora che era morta andava a raccontare solo cose buone. Nonostante tutte le discussioni che li avevano accompagnati per tutto il viaggio, ignorando persino l'ultima, la più grossa di tutte, accaduta proprio sotto gli occhi di tutti i nobili lì presenti che, almeno, avevano la decenza di tacere e chinare il capo.

Ripensò a quando era comparsa su alla torre, di come aveva sfidato ogni abominio e mago del sangue, come avesse scelto di fidarsi di lui, minacciando persino il comandante dei templari. L'aveva vista affrontare demoni, draghi e politici, senza mai chiedere aiuto a nessuno.

No, non era vero.

L'unica, singola volta in cui aveva avuto bisogno di lui, Geralt non era stato all'altezza: nelle Selve Korkari, quando avevano incontrato l'elfo tramutato in ghoul, Aenor lo aveva pregato di trovare una cura e lui, dall'alto di tutti i suoi studi arcani e la sua conoscenza magica, l'aveva delusa.

Aveva cercato di ripagarla in qualche modo, di trovare una cura, ma quella notte, quando la ragazza aveva bussato alla sua porta per dirgli di non perdere il suo tempo in futili ricerche, si era sentito nuovamente inutile.

Avrebbe dovuto saperlo. Accorgersi che erano settimane, mesi forse, che la Custode aveva accettato la propria morte, che non avrebbe fatto molto per evitarla.

Strinse i pugni. “Tamlen”, aveva sussurrato prima di spirare tra le braccia del Qunari, quel maledetto sorriso spuntatole sulle labbra quando le avevano detto che sì, il Flagello era stato sconfitto, ce l'aveva fatta. Aveva ancora impresso in mente l'ululato disperato di Falon, che ora sembrava essere sparito nel nulla. Aveva vegliato sul corpo della padrona per tre interi giorni, prima di svanire improvvisamente nella notte.

«Era una persona speciale e, nonostante non ci trovassimo sempre d'accordo, ha cambiato la vita di chiunque l'abbia conosciuta. Alcuni di noi erano suoi compagni, e amici. Avrei voluto...» Alistair si interruppe, la voce rotta, prendendo fiato. Accanto a lui, Elissa, un abito nero in segno di lutto sotto l'armatura di silverite lucida, gli sfiorò la mano. Il re sembrò riprendersi un poco. «Non desiderava diventare un Custode Grigio, ma l'Ordine non avrebbe mai potuto avere di meglio. In questo momento, stanno costruendo una sontuosa tomba alla fortezza di Weisshaupt, di fianco a quella di Garahel, ma abbiamo voluto renderle onore anche noi.» Chiamò con un cenno della mano Lanaya, nuova Guardiana del Clan dei dalish che avevano partecipato alla battaglia. Zathrian era morto sul tetto di quella torre, e Geralt stesso aveva visto i resti dell'elfo trasformarsi rapidamente in polvere ed essere spazzati via dal vento prima che i suoi riuscissero a dargli un ultimo saluto. Magia potente doveva averlo tenuto in vita tutti quegli anni, ma Lanaya, se era a conoscenza di qualcosa, non aveva rivelato nulla.

L'elfa si avvicinò fiera alla coppia reale, il bastone da maga ben stretto nella mano.

Alistair chinò il capo. «Purtroppo il Clan Sabrae, dal quale proveniva Aenor, è troppo lontano. Mi rivolgo a voi come farei a loro: so che tra i nostri popoli difficilmente potrà esserci pace, troppo sangue è corso da entrambe le parti, ma vorrei fare comunque un passo verso una coesistenza dalla quale beneficeremo entrambi. Verranno donate ai Dalish tutte le Terre Centrali a nord delle Selve Korkari, compresa la fortezza di Ostagar, da gestire come meglio riteniate.»

«Un gesto... inaspettato, Re Alistair.» Si sorprese Lanaya, accennando un inchino. «Accettiamo il vostro dono, e che sia l'inizio di una pace duratura.» Voltò il capo in direzione della bara, soffermandosi soltanto per un attimo sulla ragazza al suo interno. «Manderemo qualcuno ad avvisare il Clan Sabrae, nel frattempo ci occuperemo noi della sepoltura. Non bruciamo i nostri morti, come credo sappiate già.»

Alistair annuì. «Ve la affidiamo, com'è giusto che sia. Speriamo che sia in un posto migliore, e che abbia ritrovato la persona che amava.» Sorrise, triste. «E che sappia quanto le siamo grati per quello che ha fatto. Ognuno di noi.»

Geralt sentì qualcuno singhiozzare sommessamente alle sue spalle. Leliana aveva nascosto il volto sulla spalla di Kallian, mente l'elfa la stringeva in un abbraccio, anche lei con gli occhi lucidi.

Piano piano, alcuni tra coloro che si erano radunati a porgere l'ultimo saluto alla Custode si avvicinarono al corpo, depositando ai piedi della bara mazzi e corone di fiori di tutte le forme e colori, che ben presto riempirono la pedana.

La piazza cominciò a svuotarsi. Chi tornava a casa, chi andava ad affogare i propri pensieri nell'alcol e chi si recava alla messa per i caduti, organizzata subito dopo le esequie alla Custode nel cortile di ciò che restava della grande cattedrale di Denerim.

Un gruppo di guardie in armatura scintillante sollevarono la bara e la riportarono all'interno del palazzo reale, dove sarebbe stata preparata per il viaggio verso le Selve Korkari. Il Clan degli elfi era stato d'accordo con Alistair e Geralt: Aenor sarebbe stata seppellita nello stesso luogo dove avevano, mesi prima, fatto lo stesso con Tamlen. Le radici del grande salice avrebbero accolto entrambi e due nuovi semi sarebbero stati piantati nelle vicinanze.

Seguirono il feretro all'interno, fermandosi poi in un salone, il tavolo riccamente imbandito.

«Spero ci sia anche qualcosa da bere...» Borbottò Natia, andando alla ricerca di un boccale.

«Offre Oghren stasera, amici miei.» Sentenziò il nano, battendo la mano su una botte di legno scuro dall'aspetto poco raccomandabile. Lei non si fece alcun problema a bere direttamente dalla cannella, sotto le risate dell'altro.

«Penso ne prenderò un po' anche io.» Decretò Wynne, avvicinandosi ai due e porgendo ad Oghren il proprio boccale. «Il Creatore sa quanto ne abbiamo bisogno, in questo momento.»

Geralt scosse la testa, afferrando due calici di vino da un vassoio e tracannandone uno tutto d'un fiato, evitando lo sguardo preoccupato di Jowan puntato su di sè. «Sto bene.»

«No che non stai bene.» Ribatté l'altro, sorseggiando il suo vino. «Ed è perfettamente comprensibile, non dovresti-»

«Jowan. Davvero, sto bene.» Finì per scolarsi anche il secondo bicchiere, sperando di dimenticarsi anche solo per un po' il senso di colpa che da giorni gli attanagliava lo stomaco.

Il compagno sospirò, scrollando le spalle. «Sicuro. Lo vedo.»

Zevran, spuntato alle loro spalle, li abbracciò entrambi per un attimo. «Siamo tutti nella stessa situazione, amico, se può farti stare meglio.»

«In effetti, no.» Rispose sospirando. Avrebbe voluto spaccare qualcosa. Sarebbe stato bello avere la stessa calma di Sten, in quelle situazioni.

Il Qunari era partito subito dopo la fine della battaglia. Aveva portato il corpo di Aenor in braccio fino alla soglia del palazzo reale, depositandolo a terra soltanto quando era certo che nessuno si sarebbe sognato di toccarlo, sfidando chiunque a fiatare. Quando aveva annunciato che sarebbe tornato a Par Vollen per raccontare quanto aveva vissuto all'Arishok, nessuno era rimasto particolarmente sorpreso dell'assenza di emozioni nella sua voce. Soltanto Geralt aveva notato gli occhi leggermente lucidi del Qunari, quando Sten aveva chinato un'ultima volta il capo in direzione di Aenor, la mano destra chiusa a pugno all'altezza del cuore.

Anche Morrigan era scomparsa. Si ricordava di essersi voltato, poco dopo essere usciti da Forte Drakon, e averla intravista svoltare l'angolo e inoltrarsi in un vicolo secondario. Probabilmente non voleva essere seguita, per cui non ci aveva nemmeno provato.

La musica di un liuto lo distrasse dai ricordi, riportandolo alla realtà.

Leliana, la voce triste che intonava le prime strofe di una canzone, era in piedi accanto a Kallian, che suonava lo strumento musicale con mani esperte.

 

Il tuo tempo è giunto

e or siam colmi di tristezza

gli occhi stanchi han bisogno di riposo

il cuore è ormai grigio e lento

 

camminando nei sogni

troveremo la libertà

 

cantiamo, rallegriamoci

raccontiamoci storie

ridiamo, piangiamo

amiamoci un altro giorno ancora

 

Individuò Lanaya, si teneva in disparte sul fondo della sala. Sembrava conoscere la canzone, perché ne cantava sommessamente le strofe. Si avvicinò a lei, sperando di non disturbarla.

«Sai dov'è il Clan di Aenor, adesso?» Le chiese sottovoce.

L'elfa lo squadrò per un lungo istante, come per capire le sue intenzioni. Alla fine, annuì. «Kirkwall. Vi è una montagna sacra al Popolo, lì, la Guardiana Marethari deve officiarne i riti quest'anno.»

«Andrò io ad avvisarli.»

La vide sgranare gli occhi per la sorpresa. «Non è necessario, i miei cacciatori-»

Geralt serrò la mascella. «So che non sono un elfo e che probabilmente non sarò il benvenuto. Ma è l'unica cosa che posso fare per lei. Lasciami almeno questo.»

Dopo un altro lungo silenzio, Lanaya annuì. «Eri suo amico?»

«Spero mi considerasse tale.» Si ritrovò a rispondere. «Per me lo è stata.»

Sorprendentemente, l'elfa sorrise. «Mi ricordo l'ultimo incontro tra i Clan, cinque anni fa. La sua famiglia era appena stata uccisa da degli shemlen. Era così piena di rabbia...» Scosse il capo, facendo vagare lo sguardo sulla sala, soffermandosi su ognuno dei presenti. «Chi l'avrebbe mai detto.»

«Geralt?»

Elissa, dall'altra parte della sala, gli fece cenno di raggiungerla. Con un cenno di scuse, il mago si allontanò dalla Guardiana, avvicinandosi alla futura regina.

«Il Primo Incantatore Irving è sopravvissuto.» Gli disse, nascondendosi dietro il proprio calice di vino. «Date le voi che già circolano su di te, e le accuse che pendono su Jowan... vi consiglierei di non aspettare domattina per partire.» Biscotto, ai suoi piedi, rosicchiava un osso con aria soddisfatta.

Geralt sollevò un sopracciglio. «Abbiamo combattuto contro la Prole Oscura come chiunque altro, qui. Non meriteremmo almeno un-»

«Non possiamo certo premiarvi per aver fatto uso della magia del sangue.» Lo interruppe Elissa, scoccandogli un'occhiata che non ammetteva repliche. «Quello che posso fare è avvertirvi e darvi tutto il vantaggio necessario per sparire dalla circolazione. Ho chiesto personalmente di farmi consegnare il tuo filatterio, ma i templari che se ne occupano hanno risposto che era già stato prelevato dal Comandante Gregoir...» il mago trattenne il fiato, temendo una domanda scomoda. «Non ho intenzione di indagare oltre, tuttavia, qualcuno potrebbe farlo. Sarebbe meglio per tutti che per allora voi due foste già lontani.»

«Grazie.»

L'altra accennò un sorrisetto. «Non avrei mai pensato di dirlo, ma la vostra magia mi è stata fondamentale per smascherare i piani di Howe davanti all'Incontro dei Popoli. Non l'ho dimenticato.» Notando che Alistair si stava avvicinando verso di loro, si zittì subito, commentando qualcosa sul retrogusto fruttato delle uve nel vino e prendendo delicatamente tra le dita la mano del re, portandosela poi alle labbra.

Geralt si limitò a chinare leggermente il capo, allontanandosi alla svelta. Raggiunse Jowan, raccontandogli le novità.

«Quindi, partiamo?»

Si voltarono verso Zevran, che era rimasto ad ascoltarli appoggiato alla parete, un calice nella mano affusolata. «Potremmo esserci d'aiuto a vicenda. Io eviterei con facilità i Corvi e voi attirereste meno le attenzioni dei Templari... se mi volete come compagno di viaggio, ovviamente.»

Geralt trattenne una risata. «Non riesci proprio a stare lontano dai guai...»

«Sono il succo della vita, amico mio.» Gli strizzò l'occhio l'elfo.

Jowan sospirò. «E sia, ma stanze separate.» Geralt, sentendosi tirare per la manica, arrossì un poco. Ricambiò la stretta dell'altro, ridacchiando della gelosia del compagno, ricordandosi come per anni le situazioni fossero state invertite.

Zevran alzò le mani mostrando loro i palmi in segno di resa. «Credo proprio che mi dedicherò alle deliziose fanciulle dei Liberi Confini... Dicono siano avventurose quanto i pirati di quelle zone.»

«Dov'è che andate, senza salutare?»

Natia, le mani sui fianchi, li squadrava imbronciata.

«Senza dire “arrivederci” alla mia barilotta preferita? Da nessuna parte, ovvio.» Ribattè Geralt, fingendosi offeso. «Piuttosto, vedi di fare delle porte più alte, che quando verrò a trovarti non ho alcuna intenzione di sbattere la testa ad ogni passo.»

«Come se venissi davvero...»

«Il tuo scetticismo mi ferisce dritto al cuore.»

Gli diede un pugno sul braccio. «Guarda che adesso ci conto, spilungone.»

Sorrise. Gli sarebbe mancata.

Leliana e Kallian si erano avvicinate anche loro, incuriosite.

«Era una bella canzone.»

«In realtà, le parole originali sono in elfico...» Rispose Leliana, stringendosi al braccio dell'altra, gli occhi ancora lucidi. «Abbiamo pensato sarebbe stato bello che la capissero tutti.»

L'elfa annuì, il liuto ancora in braccio. «Non suonavo da un po', spero di non aver steccato troppo.»

La compagna le diede un bacio sulla guancia, sfiorandola appena. «Sei stata meravigliosa, come sempre.» L'altra si girò un poco, imbarazzata. «Allora, partite?»

I due maghi e Zevran annuirono.

«Noi pensavamo di viaggiare un po'. Magari tornare ad Orlais, ora che non corro più pericoli di essere intercettata da Marjolaine... potremmo andare persino a teatro!» Disse Leliana, eccitata all'idea di portare l'altra a conoscere l'Impero. «Se ti va, ovviamente.»

L'elfa annuì, convinta.

«Mentre voi sarete a divertirvi, a me spetterà il compito di gestire la nuova Casata Brosca e una valanga di soldi... per non parlare di alcuni piccoli progetti secondari che ho in mente.»

Si girarono a guardare Natia, confusi.

«Tipo?» Chiese Geralt, temendo una risposta.

L'altra sogghignò con l'aria di chi la sapeva lunga. «Vedrete, spilungoni, vedrete...»

Dall'altra parte della sala, un concerto di rutti si levò a sovrastare le voci di tutti. Leske ed Oghren si sganasciavano dalle risate sotto le occhiatacce di disapprovazione di Duran, Piotin e Gorim, che scuotevano la testa ostentando superiorità. Geralt poteva giurare, però, che il re stesse ridacchiando sotto i baffi.

Wynne, che lo aveva ignorato tutta la serata, sedeva accanto a Shale, un sorriso soddisfatto sul volto mentre chiacchierava amabilmente con Elissa ed Alistair. Sentendosi osservata, incrociò il suo sguardo. Con grande sorpresa del mago, l'espressione della maga non mutò nel solito disgusto, ma sembrò fargli un cenno di saluto, prima di riportare l'attenzione sul re che stava probabilmente raccontando una qualche rocambolesca avventura passata.

Si rese conto con una fitta allo stomaco di star cercando qualcun altro.

Con un sospiro, si passò una mano tra i capelli, afferrando un altro calice di vino.





 



 

 











Note dell'Autrice: siamo arrivati alla fine. Un viaggio che è durato un anno e mezzo di pianificazione e impegno e che si è trasformato in un progetto più grande che, se tutto va bene, proseguirà con nuovi e vecchi personaggi. 
Grazie a chi ha seguito questa storia, a chi è stato in qualche modo vicino ad Aenor, Geralt, Natia, Elissa, Kallian e Duran. 
Un ringraziamento speciale va Harry Fine, MorganaMF e The Mad Hatter, che con le loro recensioni mi hanno spronata a dare il mio meglio.

Dareth shiral


 

"We stand upon the precipice of change. The world fears the inevitable plummet into the abyss.
Watch for that moment… and when it comes, do not hesitate to leap.
It is only when you fall that you learn whether you can fly."

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