Kaleidoscope

di CrashCrashBurn
(/viewuser.php?uid=451381)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** All I Can Think About Is You ***
Capitolo 2: *** Miracles (Someone Special) ***



Capitolo 1
*** All I Can Think About Is You ***


All I Can Think About Is You
 


Fish fell out of water 
Bird stuck on the ground 
Chaos giving orders 
Everything is upside down 
The whole world on a flight path 
I wonder where they'll go, ah 
Trouble's on the outside, I know

 

« Grazie a lei, buona giornata, arrivederci! »
Vincent Moreau prese la banconota che la mano rugosa gli stava offrendo e la infilò con cura nel portafoglio, non riuscendo a nascondere un sorrisetto compiaciuto. Anche questa volta i suoi venti euro se li era intascati, e tutto per merito di quel borioso settantenne che ora si allontanava soddisfatto con il disegno in mano.
“Chissà cosa ci trovano nel farsi ritrarre, non lo capirò mai” si disse il ragazzo, come ogni volta. Secondo Vincent desiderare un ritratto di sé era, infatti, la massima espressione dell’egocentrismo: a chi mai può saltare in mente di appendere la propria faccia in camera da letto? Soltanto ad un nobile, oppure ad uno di quei megalomani che mettono un selfie come sfondo del cellulare.
Vincent scacciò quel pensiero. Tanto il disegno era una delle sue più grandi passioni, ed era anche l'unica attività piacevole che fosse in grado di portargli un minimo guadagno. Insomma, sempre meglio che consegnare le pizze come ormai faceva da due mesi quattro sere a settimana. Ciononostante avrebbe preferito fare soldi vendendo qualcos'altro oltre che ai ritratti dei turisti. Ad esempio una delle sue tele esposte su quattro cavalletti dietro alla postazione da disegno. Capolavori. O almeno, secondo lui lo erano. Da sinistra verso destra si poteva osservare un pastello di una veduta futuristica, due acquerelli di fenicotteri a quattro zampe, e infine lui, il più bello e il più sottovalutato: un dipinto ad olio 80x40 nei toni del blu e dell'arancione, che come soggetti principali ritraeva dei pesci -probabilmente salmoni- che non solo saltavano fuori dall'acqua di un fiume, ma spiccavano proprio il volo, grazie a delle enormi ali variopinte che spuntavano attraverso le scaglie dai riflessi perlati. In riva al fiume un uccello con le pinne osservava sconsolato i pesci, probabilmente perchè si erano appropriati delle sue piume, costringendolo così a rimanere inchiodato al suolo.
A differenza degli altri tre, quest'ultimo dipinto non riusciva a catturare nemmeno lo sguardo più distratto. Quanta ignoranza i passanti di Montmartre. Certo, non si poteva dire che i soggetti delle tele di Vincent fossero ordinari e di facile interpretazione, ma nel mondo è davvero rimasto qualcosa di normale? Ormai tutto girava al contrario di come doveva, e la sua arte doveva in qualche modo adeguarsi. L’arte era anche un mezzo per esprimere il caos che dominava la sua vita e i dubbi che ormai da lungo tempo lo assillavano: era davvero un fallito, come suo padre spesso lo chiamava quasi dimenticandosi del suo nome reale? Giurisprudenza non lo attirava minimamente, mai e poi mai avrebbe intrapreso quel percorso di studi. Eppure il signor Moreau sembrava portare rispetto solo per gli avvocati. Forse, invece, avrebbe dovuto ascoltare i consigli di sua sorella Marie.
« Hai un talento talmente grande… perché non lo sfrutti iscrivendoti all’accademia di belle arti, anziché continuare a disegnare per strada? Non sprecare un’opportunità così importante solo perché hai paura di osare e di dare una svolta alla tua vita. »
 
But now, all I can think about is you 
All I can think about is you 
If all that i’m on earth to do 
Is solo, then what a lone poor shoe 
I want to walk in a two

 
Rimuginando sulle parole di Marie, Vincent iniziò a mettere via i pennelli: i turisti parevano essersi volatilizzati, tanto valeva tornare a casa. Fu proprio in quel momento che una figura femminile spuntò dal vicolo collaterale e a passi lenti attraversò la strada. Vincent credeva che da un momento all’altro avrebbe svoltato, invece la donna si avvicinò proprio alla sua esposizione di quadri. Iniziò ad osservarli, uno ad uno. Era una bella ragazza, ed era anche più giovane di quanto sembrasse da lontano, notò l’artista. Di carnagione chiara, teneva i capelli biondi legati in una treccia, e gli occhi erano grandi, anche se da quella distanza non riusciva a scorgerne bene il colore. La ragazza pareva ispezionare ogni dettaglio dei dipinti e, quando si fermò di fronte a lui, il cuore di Vincent saltò un battito. Dopo secondi e secondi di silenzio, decise di dire la prima cosa che gli veniva in mente.
« Posso aiutarti? »
“Mio Dio, che domanda idiota.” si pentì immediatamente Vincent. Adesso si sentiva come uno di quegli irritanti commessi dei negozi d’abbigliamento.
La ragazza si voltò, e il movimento della sua testa fece scivolare la treccia dietro alla schiena.
« In verità vorrei solo farti i complimenti per questo…  - disse, indicando con il mento il dipinto dei pesci volanti - a che movimento ti sei ispirato? Surrealismo, transavanguardia? »
Vincent rimase impietrito. Innanzitutto per lo stupore nel vedere due occhi così grandi (che aveva scoperto essere color nocciola), perché da vicino lo erano davvero molto. In secondo luogo per il fatto che si fosse interessata a quel dipinto, proprio a lui. E, infine, perché si sentiva realmente ignorante a non conoscere nemmeno uno dei termini utilizzati dalla ragazza per definire il suo stile.
“Dì qualcosa, dì qualcosa Vincent, coraggio…”
« Grazie! Ehm… ad essere sincero nessuno di questi. Credo. Voglio dire, è l’arte di Vincent. Movimento Vincent potrebbe andare bene? »
Si pentì nuovamente di ciò che aveva detto.
“Ci mancava solo la battuta da latte alle ginocchia. Adesso si capisce perché con le donne mi è sempre andata male.”
Inaspettatamente, lei sorrise. Un sorriso bellissimo, radioso.
« Scusami -iniziò- è la solita malsana abitudine di voler etichettare ogni cosa. Spesso anche ogni persona. E purtroppo a volte ci casco anche io. »
Ci fu qualche secondo di silenzio in cui il ragazzo pensò disperatamente a qualcosa da aggiungere, ma la giovane continuò.
« In ogni caso, deduco che tu ti chiami Vincent. »
« Esatto. Io invece sto parlando con… »
« Corinne. Che si complimenta di nuovo con te per questa bella tela, Vincent. Adoro i colori che hai usato, ma ancor di più la scena che hai rappresentato. Così… reale, nella sua stranezza. Quante volte capita di sentirsi come quest’uccello, piantato lì, a terra, incapace di volare via. Comunque la smetto subito, non credo ti interessino minimamente i miei discorsi filosofici esistenziali. »
Sorrise di nuovo, e fu come il sole nel bel mezzo di una grandinata. Anche Vincent sorrise: il sorriso più sincero della giornata.
« Grazie, grazie davvero. Comunque non ti ho mai visto da queste parti, o sbaglio? »
« Non vengo molto spesso. Solo quando salta una lezione in università e non ho voglia di tornare subito a casa. Ogni tanto passeggiare da soli fa bene, e poi ho sempre amato Montmartre. Ora però devo scappare, ho alcune spese da fare. Per mia madre, sai… ciao, Vincent! »
« Ciao, Corinne! »
Corinne si allontanò, con la borsa di cuoio e la treccia bionda che ciondolavano alla cadenza dei suoi passi.
Vincent prese le sue cose, deciso a tornare a casa. Lasciò tutto il materiale in camera e si mise a guardare la tv per qualche ora. Si preparò un caffè e un tramezzino, poi si lavò, si rivestì e si diresse verso la pizzeria d’asporto dove lavorava. E mentre faceva ognuna di queste cose, gli occhi di lei si riflettevano ovunque guardasse.
Tutto quello a cui riusciva a pensare era Corinne. Solo Corinne.
 
It's all I can 
It's all I can 
It's all I can 
It's all I can do 
It's all I can do 

 
Tornando verso casa dopo il lavoro, Vincent si mise a riflettere, in qualche modo ispirato dalle luci notturne della strada che scorreva sotto alle ruote del motorino.
Certo che era peggio di un ragazzino in piena crisi adolescenziale. Come aveva potuto prendersi una sbandata simile per una sconosciuta che non avrebbe rivisto mai più? Okay, forse mai più no, nella vita tutto è possibile, e poi bastava solo sperare che qualche suo professore universitario rimanesse assente, così lei avrebbe deciso di farsi il suo giretto a Montmartre, e… tac. Sì, ma anche se fosse? I suoi dipinti (quattro in croce) li aveva visti tutti, quindi non c’era nemmeno la scusa per attaccare bottone. Doveva togliersela dalla testa. Sì, definitivamente.
Si fermò a un semaforo. Nell’attesa della luce verde, si mise a guardare la vetrina di un negozio, illuminata da dentro. Su un parallelepipedo in plexiglass erano esposte alcune borsette da donna: quella centrale era una tracolla in cuoio.
“Proprio come la sua…”
Non ce la poteva fare. Del resto, come si fa ad allontanare dalla propria vita qualcuno che ti capisce così a fondo?
 
Vincent arrivò a casa e prese di corsa tempere e pennelli. Iniziò a creare, e quando si alzò dallo sgabello il sole stava già sorgendo.



Everything is falling all around you 
It’s all I can do 
All I can think about is you 
It’s all I can 
All I can think about is you 

 
Trascorsero tre settimane di routine, tra pizze da consegnare e turisti impazienti di ottenere il loro viso riprodotto su carta. Quel giorno Vincent stava ritraendo una donna di mezza età dai tratti orientali, quando sentì una presenza alle sue spalle. Si voltò, lasciando scorrere lo sguardo dal basso verso l’alto. Borsa di cuoio, sorriso, occhi grandi, capelli biondi.
Lei.
« Ehi! » Esclamò la ragazza
« Corinne! -esclamò lui, non riuscendo a nascondere la sorpresa- finisco qui e… »
« Tranquillo, non ho fretta! » assicurò, sedendosi su un muretto alle sue spalle.
Vincent accelerò, la matita che quasi disegnava da sola e il cuore di un bambino felice. Dopo una ventina di minuti terminò il lavoro, e la signora si allontanò, non prima di aver pagato il ragazzo con un ventino e con una serie di inchini riconoscenti.
« E così sei tornata… » disse, rivolto alla ragazza che ora si stava alzando per avvicinarsi a lui.
« Sì. Mentre disegnavi volevo guardare le tue cose, ma ho aspettato fino ad ora perché mi sembrava di sbirciare in casa d’altri senza permesso. »
« Tranquilla, la porta è aperta per te -fece l’occhiolino- anche se non c’è nulla di nuovo da vedere. O forse sì…»
Corinne gli lanciò uno sguardo interrogativo, poi capì. A fianco dei quattro dipinti precedenti se ne era aggiunto uno mai notato prima. Si avvicinò curiosa per vedere.
E non potè credere ai suoi occhi.
Sfondo nero. Al centro un simbolo, sicuramente il Fiore Della Vita, che comprendeva tutti i colori dell’arcobaleno e occupava gran parte della tela. E, nel cuore di esso, una figura stilizzata: una donna, della quale era riconoscibile una familiare treccia bionda e una borsa in cuoio.
Corinne si voltò di nuovo, incredula.
« Vincent, io… »
« Non sono abituato ad assegnare un titolo alle mie cose -la interruppe lui- ma credo che questa volta farò un’eccezione… »
Girò con delicatezza il cavalletto, prese un pennarello indelebile e si chinò per scrivere qualcosa in corsivo sul retro della tela:



Love is the only thing left that’s true
 


Corinne lo guardò a lungo. Infine sorrise. Arcobaleno nella neve. 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Miracles (Someone Special) ***


Miracles (Someone Special)
 
 
-1983-
 

My father said never give up son                                                                                                                          
Just look how good Cassius become                                                                                                                  
Muhammad, Mahatma and Nelson                                                                                                                              
Not scared to be strong

 
 
Il signor Anthony Martin sorseggiava caffè, con la schiena appoggiata al lavello della cucina e lo sguardo rivolto verso la finestra. Nel giardino di casa c’era, infatti, il figlioletto Christopher, alle prese con la sua ultima fissazione da alcune settimane: i salti. Generalmente saltava sul letto, nelle pozzanghere, giù dalle sedie. Quel pomeriggio invece era lì, accucciato sotto il canestro giocattolo che gli avevano regalato a Natale. Il volto teso per la concentrazione, la bocca che si schiudeva in un “tre, due, uno”. Al termine del countdown si spingeva su quelle gambine esili e saltava, tentando di toccare la rete con la mano.
Niente da fare.
Ventunesimo tentativo, Anthony li aveva contati. Ma ancora niente da fare.
La spinta non era mai abbastanza forte, le dita acciuffavano soltanto aria e il bambino tornava con i piedi per terra, lanciando uno sguardo d’odio alla rete. Provò un’altra volta, poi allontanò un sasso con un calcio e si sedette nel prato. Il signor Martin uscì dalla porta-finestra del soggiorno, raggiungendolo.
«Cerchi di toccare la rete con la mano?»
Christopher, non appena udita la voce del papà, si voltò di scatto.
«Sì. Ma tanto non ci riesco.»
«Non è vero che non ci riesci, devi solo provarci di nuovo.»
«L’ho fatto un sacco di volte.»
«Lo devi fare ancora.»
Anthony si sedette accanto a lui.
«Dave salta sempre altissimo -disse tristemente Christopher, gli occhi fissi sui fili d’erba che stava strappando- è bravo a fare tutto, lui. Pensa che suo fratello grande gli ha anche lasciato provare lo skate.»
Suo padre sorrise al pensiero di uno skateboard nelle mani del figlio, quel bambino che non riusciva nemmeno a camminare senza inciampare nei suoi stessi piedi.
«Voglio fargli vedere che anche io so fare dei bei salti -continuò- così la smette di prendermi in giro. Ma non sono capace, quindi mi prenderà in giro lo stesso.»
Il signor Martin fece finta di non notare gli occhi lucidi del bambino, e nemmeno la voce che si era spezzata nel pronunciare quell’ultima frase. Era timido, il suo Chris, ma anche tremendamente orgoglioso, e non voleva essere visto mentre piangeva.
 
 
Now you could run and just say they’re right                                                                                    
No, I’ll never be no one in my whole life                                                                                                
Or you could turn and say no wait they’re wrong                                                                                 
And get to keep on dancing all life long

 
Lo prese per le spalle.
«Chris, ascoltami bene. Sai qual è la più grande soddisfazione per Dave? Vedere che ti arrendi. Perché tu non devi dargliela vinta. Continua a saltare, salta finchè non toccherai quella rete e lui capirà che ha sbagliato a prenderti in giro per tutto questo tempo.»
 

Yeah you could be someone special
You’ve got bright in your brains and lightning in your veins                                                                                             
You’ll go higher than they’ve ever gone                                                                                                   
In you I see someone special                                                                                                             
You’ve got fire in your eyes and when you realize                                                                             
You’ll go further than we’ve ever gone                                                                                            
Just turn it on

 
«Un giorno salterai più in alto di tutti, Chris. Non arrenderti mai.»
 
Sulla guancia di Chris comparve una lacrima che, suo malgrado, non era riuscito a trattenere. Inaspettatamente gettò le braccia al collo del padre. Rimasero così per qualche decina di secondi, in silenzio, aspettando che il respiro del bambino si facesse di nuovo regolare.
«Su, su. Adesso basta piangere. Lo vuoi il latte con i biscotti?»
Nel sentirlo annuire, Anthony esultò mentalmente gridando al miracolo: suo figlio non mangiava mai. “Magari è la volta che inizia a metter su un po’ di massa”, pensò.
«Dai, rientriamo dalla mamma.»
Si avviarono verso casa, mano nella mano.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-1996-
 
 
I paid my intuition, I couldn't afford tuition
My funds was insufficient, it felt like I'm in prison
Until I realized I had to set my mind free
I was trusting statistics more than I trust me
Get a degree, good job, 401k
But I'm trying to turn K's to M's, what does it take?
And maybe I could be the new Ali
Of music prolly
Instead of doing it just as a hobby
Like these boys told me to
I guess you either watch the show or you show and prove
Prove it to them or you prove it to yourself
But honestly it's better if you do it for yourself
 
 
 
 
Sfigato. Ecco cos’era. Uno sfigato. Chris si buttò sul letto della camera del College. Era nervoso, esasperato, stanco, arrabbiato con il mondo ma soprattutto con se stesso. Quella giornata era   iniziata male ed era terminata ancora peggio, precisamente con quella frase pronunciata da Martha.
 
 
«Chris, nulla di personale, te lo giuro, sei un ragazzo fantastico e mi è piaciuto molto uscire con te, però, ecco… non sono pronta per qualcosa di più grande. Sono molto confusa, è un periodo un po’ così per me, e sicuramente meriti una ragazza diversa che sappia fin da subito ciò che vuole. Mi dispiace, seriamente, io…»
 
Quell’odiosa vocina acuta risuonava ancora nella sua testa.
“Ma dillo apertamente che ti faccio schifo” pensò il ragazzo. Era sicuro che la famosa confusione della ragazza avesse anche un nome proprio: Albert Cooper, il belloccio dell’altro corso. Un palestrato con un sorriso a ventimila denti e dei ridicoli mocassini ai piedi.
 
Altro che confusione.
 
Chris lanciò uno sguardo sconsolato alla chitarra che al momento era appoggiata contro il muro della stanzetta.
“Finirò per sposare lei. Oppure Jonny.” 
Sorrise, immaginandosi un’eventuale vita coniugale con il suo migliore amico. Bollette da pagare, stanze da arredare, carrelli della spesa spinti in due come ogni melensa coppietta che si rispetti. Però non si doveva condividere solo il letto, ma anche il cioccolato. E beh, Chris non si sentiva pronto a compiere un passo così importante.
 
Il buffo pensiero abbandonò sua mente, e il biondo fissò più intensamente lo strumento musicale. Era anche colpa sua se stava così. Poteva semplicemente studiare, laurearsi, trovare un lavoro, come praticamente ogni ragazzo inglese di ceto medio-alto. E invece no, non gli bastava: teneva un occhio sui libri di testo e l’altro, incondizionatamente, sulla musica. Era più forte di lui. Studiare storia gli piaceva, e anche tanto, eppure nel momento in cui pigiava quei tasti, pizzicava quelle corde, davanti ai suoi occhi comparivano molte più atmosfere, paesaggi, profumi, civiltà di quanto quelle parole d’inchiostro sapessero offrirgli. Anche cantare gli piaceva. Forse la sua voce era un po’ nasale, ma in tanti la apprezzavano comunque.
 
“La musica non ti dà il pane da portare a casa. Al massimo un ponte sotto cui dormire la notte. Strimpella al pub quando non hai nulla da fare, ma non cercare di farne un mestiere.” gli ripetevano i più cinici. Forse avevano ragione, ma era giusto vivere in base allo stipendio? Era giusto fare di ogni cosa un calcolo, una misura? Ovvio, non avrebbe mai voluto ritrovarsi disoccupato. Per diventare un artista di successo era necessario talento, fortuna e anche un pizzico di sfacciataggine. Era in possesso di questi tre requisiti? Probabilmente no.
 
“Ma dove voglio andare? Non riesco a farcela nemmeno con una ragazza, figuriamoci a tenerne cinquemila sotto un palco, che cantano a squarciagola le mie canzoni e urlano quando passo davanti a loro.”
Fu quello il suo ultimo pensiero, prima di cadere in un sonno profondo. I jeans ancora addosso, e un volume di cultura greca che lo osservava dalla scrivania.
 
 
 
 


-2017-
 
«Si va in scena» avvertì un operatore.
Chris Martin, Jonny Buckland, Guy Berryman e Will Champion annuirono in simultanea. Si avviarono nella loro consueta “passeggiata”, ovvero il percorso che dal backstage li avrebbe portati al palco. I loro passi erano accompagnati da fischiettii, dita scrocchiate, battutine demenziali. Sempre così. Tutti quarantenni ma con il cuore di adolescenti. Era quello il loro modo di essere seri.


In you I see someone special
Don't go to war with yourself
Just turn, just turn, just turn it on
And you can't go wrong
 
Giunti alla scaletta, salirono uno per volta. Chris, essendo sempre l’ultimo a mostrarsi al pubblico, guardava i suoi compagni sparire nella luce. Generalmente quel momento non aveva alcun pensiero a fare da sottofondo, perché Chris voleva solo raccogliere tutta la carica possibile per divertirsi e far divertire, nient’altro. Eppure quella volta andò in modo diverso. Davanti al frontman dei Coldplay si materializzarono alcune immagini. Non riusciva a captarle perfettamente, ma tutte gli donavano la stessa sensazione. Serenità. In quel vortice che la sua mente stava elaborando, riuscì a distinguere un palco: forse era quello su cui si sarebbe esibito di lì a poco, oppure uno delle decine che aveva già calcato nel corso della sua carriera. E si sentì fortunato. Sì, fortunato. Da anni faceva ciò che più amava insieme ai suoi migliori amici: in quanti avrebbero dato tutto per una vita del genere? Un’altra immagine si susseguì, inaspettatamente. Era una scena della sua infanzia, un ricordo che non riaffiorava da tempo, ormai. C’era lui, nel giardino della sua vecchia casa, abbracciato a suo padre. Forse piangeva. E poi una frase, una sola.
 
Un giorno salterai più in alto di tutti, Chris. Non arrenderti mai.
 
Era bello pensare che quella fissa per i salti non gli era passata nemmeno crescendo, ma era ancora più bello rendersi conto che no, non si era arreso.
 
La suggestiva intro di A Head Full Of Dreams lo riportò nel mondo reale. Doveva sbrigarsi. Salì gli ultimi gradini, rimase per qualche secondo nascosto per poi prendere la rincorsa.
 
Un giorno salterai più in alto di tutti, Chris.
 
Ed eccolo, il suo grande salto. E poi i colori, le urla, i sorrisi, le mani. E infine l’amore. Quello era ovunque.
 
 
Per te, papà.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3692910