Twilight Flames

di IsabelFlahertie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A prima vista ***
Capitolo 2: *** Dolce-salato ***
Capitolo 3: *** Fenomeno ***



Capitolo 1
*** A prima vista ***


1.

A prima vista

I personaggi di questa storia non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Stephenie Meyer.

 

Viaggio con mia madre verso l’aeroporto per una destinazione bislacca. È l’unica che posso permettermi, perciò mi sono riguardata dal fare storie quando mi è stata proposta. Tre mesi lontano da tutto e da tutti: non chiedo di meglio in questo particolare periodo della mia vita.

Mia madre ha ritrovato la stabilità, non solo economica, grazie a Phil, il giocatore di baseball per il quale ha perso la testa. Per permetterle di seguirlo nelle sue trasferte, ho preso la decisione di andare a vivere con mio padre Charlie, ispettore capo della cittadina di Forks. E questo nonostante la mia avversione per il luogo più piovoso del pianeta.

«Vedrai che sarà un’esperienza interessante, Bella» cerca di rassicurarmi mia madre mentre mi abbraccia, poco prima che chiamino il mio volo. «La Transilvania è un bel posto e comunque, come ti ho detto più volte, non sei obbligata. Puoi sempre rimanere a Phoenix e partire per Forks una volta finita la scuola».

«Voglio andarci» e in parte è vero. M’incuriosisce la prospettiva di studiare in Romania, dove terminerò l’anno scolastico. È una possibilità che la mia scuola dà agli studenti più meritevoli.

Meno allettante è invece il seguito. Dopo i tre mesi all’estero tornerò negli Stati Uniti per trasferirmi a Forks, da Charlie. Tuttavia mi sono ripromessa di farmi coraggio e di non tornare sui miei passi.

È la prima volta che viaggio da sola e l’adrenalina ha fatto presto a impossessarsi di me. Il mio posto in aereo è vicino all’oblò e sono intenta a fantasticare su come sarà osservare il mondo dalle nuvole, quando mi si avvicina un ragazzo dal fisico asciutto e i capelli rossicci e spettinati. Dal cenno spazientito che fa con la testa capisco che il mio bagaglio a mano sta occupando il suo posto, quello alla mia destra, così sposto lo zaino per permettergli di sedersi. Non mi rivolge la parola per tutto il viaggio, né mi degna mai di uno sguardo. Anzi, a dirla tutta non mangia o beve niente e, sospetto, non dorme affatto (a meno che non si sia appisolato durante il mio sonnellino). Probabilmente ha interesse a rimanere vigile per proteggere l’anello che porta alla mano sinistra, un anello dorato con al centro una pietra liscia di colore verde smeraldo. Ha tutta l’aria di essere molto prezioso, oltre che antico.

Ad ogni modo, sta di fatto che per tutto il volo si comporta come se non esistessi. Se ne sta rigido su se stesso, i muscoli del corpo in tensione come se non fosse in grado di rilassarsi. Un atteggiamento che mi lascerebbe del tutto indifferente, se non fosse per una cosa che mi ha dato fastidio. Un paio di volte – la prima quando mi sono alzata per andare alla toilette, la seconda quando mi sono allungata verso la hostess per prendere il vassoio del pranzo – ho avuto l’impressione che si scansasse. Non nel modo classico che si usa per permettere a un’altra persona di spostarsi con maggiore facilità o per aiutare qualcuno ad afferrare qualcosa, nel momento in cui questi si sporge in direzione di qualcun altro. Lui l’ha fatto con disgusto, come se avesse trattenuto il respiro per evitare di sentire l’odore sgradevole che emano. Mi sono annusata la maglietta e la punta dei capelli più volte, ma non ho notato nessun olezzo sospetto.

Di certo è un sollievo per lui quando l’aereo atterra, visto il modo in cui se ne scapicolla verso l’uscita. Poco male, non ci rivedremo mica!

Da Bucarest per arrivare a Bistrita, la città che mi ospiterà durante la trasferta, devo prendere un secondo volo. Appena il taxi mi ferma davanti alla scuola, vengo indirizzata nell’ufficio della preside, la signorina Dumitrescu, una donna di mezza età smilza e bassina che mi accoglie in maniera cordiale e affabile. «Prima di lei è arrivato un altro studente americano. Ne stiamo aspettando ancora quattro, giungeranno in serata» m’informa, mentre mi accompagna ai dormitori dell’ultimo piano, dove c’è la stanza che occuperò per i prossimi tre mesi. «So che molti di voi trovino strano il fatto che ospitiamo gli studenti del Progetto di Scambio all’interno dell’istituto, ma noi qui abbiamo una lunga tradizione in questo senso e ci piace farvi sentire a casa. Certo, qualora alcuni desiderino affittare un appartamento, sono liberi di farlo».

«Comprendo bene, signorina Dumitrescu» mi costringo ad affermare. La verità è che non capisco come si possa rinunciare alla comodità di abitare nello stesso posto dove si svolgeranno le lezioni. Ho letto il regolamento e, al di fuori degli orari di scuola, siamo praticamente liberi di uscire e rientrare quando ci pare. 

«Benvenuta al Liceu Mihai Eminescu, Isabella Swan» mi augura infine, prima di sparire per permettermi di sistemarmi in camera.

La stanza non è molto grande, a occhio calcolerei una quindicina di metri quadrati. Ha tutto quello che mi occorre: un letto, un armadio, una scrivania e una sedia. L’arredamento è piuttosto spartano, niente tendine alle finestre o tappeto ai piedi del letto, né fronzoli che pendono qua e là.

Sto mettendo sotto carica lo smartphone per telefonare a mia madre, quando sento sbattere la porta dirimpetto alla mia. Socchiudo leggermente l’uscio per dare una sbirciatina e mi paralizzo nel rivedere il ragazzo dai capelli rossicci, quello poco cordiale che sedeva vicino a me in aereo.

Lui pare sbiancare alla mia vista e mi rivolge la stessa espressione che farei io se vedessi un fantasma. Infastidito, attraversa il corridoio ad ampie falcate e, prima che raggiunga la scalinata, lo sento mormorare un distinto: «Non ci voleva proprio!».

È un comportamento inammissibile, senza alcuna giustificazione. Sono così indignata che tento di seguirlo per chiedergli che problema ha, ma non riesco a incrociarlo in nessuno dei tre piani inferiori. Pare essersi volatilizzato. Arrivo sfinita al piano terra e, proprio quando sono davanti all’ufficio di presidenza, sento la signorina Dumitrescu parlare con qualcuno: «Doveva pensarci prima di arrivare qui, ora le sarà difficile trovare una casa d’affitto entro domani. Per il momento le conviene restare da noi e intanto cerchi. Appena avrà trovato, potrà andarsene».

«Molte grazie lo stesso» dice il suo interlocutore.

Vedo la maniglia della porta abbassarsi e faccio per girarmi e tornarmene svelta in camera mia. Va a finire che inciampo su me stessa e, nel tentativo di rimanere in equilibrio, perdo del tempo prezioso. Succede così che vedo uscire fuori dall’ufficio il ragazzo scorbutico. Mi fulmina con uno sguardo assassino e io mi sento raggelare il sangue nelle vene.

D’istinto, l’occhio mi cade sulla mano con cui sta chiudendo la porta, attratta dal brillio della pietruzza verde incastonata in quel suo antico anello. La cosa non gli sfugge e con un gesto repentino nasconde la mano nella tasca dei pantaloni, come un bambino sorpreso con le mani nel barattolo della marmellata.

Gira i tacchi e si dilegua.

Io me ne torno in camera, stanca e delusa che la mia avventura sia iniziata con il piede sbagliato.

 

 

 

NOTE

 

·       A Bistrita non figura nessun Liceu Mihai Eminescu. Ci sono delle scuole dedicate al poeta rumeno qua e là in Romania, tra cui il Mihai Eminescu National College a Bucarest, ma non a Bistrita. Questo istituto scolastico è una mia invenzione.

·       Se siete arrivati fino alla fine del capitolo, GRAZIE! Se ve la sentite di lasciare un commentino, una critica, un saluto, DOPPIAMENTE GRAZIE! Posterò il secondo capitolo sabato 26 agosto.

 

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Capitolo 2
*** Dolce-salato ***


2.

Dolce-salato

I personaggi di questa storia non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Stephenie Meyer.

 

Ieri sera ho dovuto mentire a mia madre. Le ho raccontato che ad accogliermi con calore non è stata solo la preside, ma anche i cinque ragazzi americani, aggiungendo di avere stretto amicizia con ognuno di loro.

La verità è che ho intravisto gli altri quattro mentre stavo rientrando con la cena da asporto, comprata a una tavola calda poco distante dalla scuola. Erano insieme alla signorina Dumitrescu che indicava loro le rispettive stanze. Ciò comporta il fatto che non abbiamo avuto modo di scambiarci neppure un saluto, ma dovevo tranquillizzare mia madre. Sarebbe stata capace di perderci il sonno, se le avessi parlato del ragazzo maleducato con cui mi toccherà seguire i corsi per l’intero trimestre. In questo modo non si darà pensiero.

Per quanto riguarda quel tipo, non ho nessuna intenzione di farmi rovinare il soggiorno in Romania da una persona che nemmeno conosco. Certo, volermene in quel modo solo perché il mio zaino era sul suo sedile in aereo, è da dementi. Ma non è compito mio occuparmi dei suoi problemi. Se ne sente il bisogno, fa sempre in tempo a consultare uno psicologo.

Percorro il grande viale ricoperto di sampietrini, quello vietato ai ciclomotori, quando intravedo una delle due ragazze americane poco più in là. Non fatico a riconoscerla, dal momento che ieri sera è stata l’unica a rivolgermi un cenno di cortesia mentre rientravo nella mia stanza. Rispetto all’altra studentessa è bassina, ma tanto graziosa e fluida nei movimenti, mi dà l’idea di un furetto.

Procede guardinga, quasi temesse di essere seguita. Nel momento in cui raggiungo il bar per fare colazione, si accorge di me. Non succede per caso, nel modo in cui gli occhi di una persona potrebbero incrociare quelli di un’altra. Lei avvertiva la mia presenza qui intorno, sapeva esattamente dove guardare per individuarmi. Mi rendo conto dell’assurdità del mio pensiero, eppure non posso fare a meno di crederlo.

Ha lo sguardo fisso su di me, come se mi avesse marcato per non perdermi di vista. Mi sforzo d’ignorarla concentrandomi sul mio covrigi, una ciambellina di pane dolce ricoperta di sale, ma mi riesce difficile con due pupille puntate addosso.

Decido allora che potrebbe essere una buona soluzione conoscerla, dovesse anche solo servirmi per attenuare l’imbarazzo che mi consuma.

Con un gesto della mano la invito a unirsi a me. Lei socchiude leggermente le palpebre premendosi i polpastrelli sulle tempie, come se per decidersi necessitasse di leggere nella sua mente. Una diffidenza che definirei esagerata. Dopo avere considerato la cosa, decreta per il no e si allontana in direzione del Liceu Eminescu.

Ho come la sensazione che non sarà facile andare d’accordo con i cinque ragazzi americani, visto che si tengono a debita distanza da me nemmeno fossi un’appestata.

In classe la situazione non migliora. Il mio compagno di banco è proprio il ragazzo dai capelli rossicci che, a guardarli bene, sotto i raggi del sole stamattina hanno dei riflessi bronzei.

Scopro che si chiama Edward Cullen e gli altri studenti americani giunti la sera del mio arrivo sono i suoi fratelli.

È lui stesso a prendere posto vicino a me. Durante l’intera lezione non fa che lanciarmi occhiate di continuo, ma non intende parlarmi in alcun modo o, per lo meno, non me lo fa capire.

Forse lui e i suoi amichetti hanno problemi a relazionarsi con chi non è come loro. Voglio dire, hanno lo stesso colorito perlaceo! Scommetto che provengono dalla medesima zona degli Stati Uniti, di quelle dove non si ha l’abitudine a interagire con i forestieri, perché magari ne arrivano pochi o per niente.

A fine lezione il professor Dragomir ci assegna un compito di letteratura da svolgere in coppia con il nostro attuale compagno di banco. Immagino gli sia costato molta fatica dirmi «Ciao!» prima di sparire.

Non è stato il massimo, ma tutto sommato posso considerarlo un inizio.

Sto per sistemare la mia roba in borsa e spostarmi nell’aula di scienze, quando mi accorgo di un foglio di carta ai miei piedi. Nel prenderlo mi rendo conto di quanto la carta sia consumata dal tempo, ho quasi paura di strapparla. Dispiego il foglio e, di primo acchito, mi pare una semplice piantina della Transilvania. I nomi dei luoghi sono scritti in una lingua che non conosco. Potrebbe somigliare al rumeno, forse è latino.

Sono certa che appartiene a quel ragazzo. Non c’era niente del genere quando sono arrivata. Me ne sarei accorta, visto che mi sono dovuta chinare per raccogliere la penna che mi era rotolata per terra.

Mi soffermo a osservare la piantina per un po’ e noto che in alcuni punti ci sono dei ghirigori fatti a matita, che io interpreto come delle fiammelle ma potrebbero rappresentare tutt’altro. Nell’angolo in alto a destra qualcuno ci ha disegnato un dragone alquanto particolareggiato. Ha le ali distese ed è sospeso da una croce, con la coda che arriva fino alla testa e il corpo diviso in due.

Il suono della campanella mi ricorda che sta per cominciare la lezione di scienze.

Ripiego con cura il foglietto e lo ripongo in una tasca della borsa. Glielo restituirò quando c’incontreremo per il compito del professor Dragomir.

 

 

 

NOTE

 

·       Se siete arrivati fino alla fine del capitolo, GRAZIE! Se ve la sentite di lasciare un commentino, una critica, un saluto, DOPPIAMENTE GRAZIE! Un ringraziamento speciale a dany60 e a trini Diaz per avere inserito la storia tra le preferite già al primo capitolo e a crystal777 per averla inserita tra le seguite.

·       Posterò il terzo capitolo giovedì 31 agosto.

 

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Capitolo 3
*** Fenomeno ***


3.

Fenomeno

I personaggi di questa storia non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Stephenie Meyer.

 

Edward non si è fatto vedere per tre giorni, in aula come nel corridoio dell’ultimo piano. Forse sta poco bene e ciò spiegherebbe come mai non stia uscendo dalla sua stanza neanche per mangiare, ma quando cerco d’indagare nessuno sa rispondermi. Dato il suo carattere schivo non mi meraviglio. Non è che si sia sforzato di allacciare un rapporto con qualcuno, gli unici con cui interagisce sono gli altri Cullen e neanche loro sono il massimo della cordialità. Ragion per cui, vedo di non insistere più del necessario.

Nel frattempo ho conosciuto altri studenti del Progetto di Scambio. Josephine Dupont e Miguel Molina sono i due con cui vado più d’accordo, sarà perché condividiamo la stessa passione per le letture impegnate e i covrigi. Miguel, in particolare, ha un debole per tutto ciò che riguarda la cultura popolare e non perde occasione per frequentare la gente dei luoghi che gli capita di visitare.

È merito suo se sabato sera andremo tutti e tre a un raduno folkloristico poco lontano da Bistrita. Ci saranno canti e balli del posto e assaggeremo la cucina tradizionale rumena.

Josephine è preoccupata perché ritiene di non avere niente di adatto da indossare, ma credo lo dica per abitudine. Ieri pomeriggio la biblioteca era out per le pulizie e siamo salite a studiare in camera sua. Ho potuto notare che entrambe le ante dell’armadio non si chiudono, per via dei troppi vestiti che spingono per straripare. È un particolare che difficilmente sfugge, persino a un occhio poco attento come il mio.

 Sto avviandomi verso l’aula di letteratura per avvertire il professor Dragomir d’aver perso per strada il mio compagno di studi, quando Edward mi compare davanti sgusciando da un angolo del corridoio.

«Ciao, Bella!» mi saluta, come se ci conoscessimo da una vita. «Non ci siamo più messi d’accordo per il compito».

Tempismo perfetto!

«Ho iniziato a lavorarci da sola» gli comunico, laconica.

Lui non nasconde una punta di delusione. «Non mi hai aspettato». Non è una domanda.

 «Be’, non è che tu mi abbia dimostrato di tenerci, no?».

«Scusa».

Mi fissa negli occhi restituendomi un’espressione mortificata, come se mi chiedesse di perdonargli un grosso sbaglio. In quella parola leggo la frustrazione che prova in questo momento, tra l’altro del tutto immotivata. Non si sta scusando per il compito di letteratura, c’è dell’altro.

«Non ho avuto l’occasione di presentarmi né di parlare con te, mi dispiace. Sono stati dei giorni un po’ difficili per me, anche se non posso metterti a parte dei motivi». Sciorina senza mai prendere il respiro.

Dal momento che non intendo indagare oltre, stabilisco di potermi accontentare della sua spiegazione, per quanto blanda.

«Può andar bene sabato?».

«Hai avuto una settimana intera per trovare un po’ di tempo da dedicare al compito e mi domandi se possiamo lavorarci nel fine settimana?».

«Hai da fare?».

«Trascorrerò la giornata di sabato con la mia amica Josephine a fare shopping in vista della serata, perciò…» lascio in sospeso la frase di proposito, lo ritengo abbastanza intelligente da trarre da solo le conclusioni.

«Avremo il tempo di rifarci, Bella. Ne sono convinto» conclude lui, prima di eclissarsi.

Non ho mai conosciuto un ragazzo tanto insolito in vita mia. Mi domando se non stia nascondendo qualcosa dietro la sua incostanza. E chissà se questo qualcosa ha a che fare con il foglio che ho trovato l’altro giorno in aula!

Ho provato a decifrare quelle parole a me sconosciute, ma a quanto pare sono scritte in una lingua che non esiste (o almeno è quanto mi risulta utilizzando il traduttore di Google). Ma forse sto solo diventando paranoica e le fiammelle disegnate sulla piantina sono esattamente ciò che sembrano. Quanto al disegno del dragone, qualcuno potrebbe averlo abbozzato colto da ispirazione artistica. Del resto, chi non ha mai scarabocchiato su un foglio?

Con questi pensieri, faccio dietrofront e corro a raggiungere Josephine e Miguel in biblioteca.

 

***

 

Ho atteso il mio primo fine settimana a Bistrita come un bambino aspetta di scartare i regali sotto l’albero di Natale.

Non sono il tipo che ama fare vita mondana, ma l’entusiasmo di Miguel per l’evento di stasera è contagioso. Negli ultimi due giorni non ha fatto che parlare di tzigani, danze gitane e prodotti tipici rumeni, snocciolando nomi impronunciabili di piatti che ora non vedo l’ora di assaggiare.

I miei due amici sono già di sotto quando chiudo la porta della stanza alle mie spalle, pronta per raggiungerli. A bloccarmi sul posto è la voce vellutata di Edward che pronuncia il mio nome. È in camera con una delle sorelle, sospetto la più piccola.

Quando si lascia la porta socchiusa, c’è sempre il rischio che qualcuno possa origliare.

«Deve essere lei, Alice. Si tratta di Bella, ne sono sicuro».

«Non posso garantirla io questa certezza, come pretendi di averla tu?».

«Io non riesco a sentirla, tu invece la percepisci. È lei per forza».

«La direzione è cambiata, Edward».

Mi avvicino di più all’uscio per non perdermi nemmeno una parola, ma mi sporgo troppo e la mia sbadataggine colpisce ancora. Capita che la porta si spalanca e io casco come un sacco di patate. «Ciao!» squittisco, tentando invano di cancellare l’imbarazzo con un mezzo sorriso.

Se gli sguardi potessero uccidere, gli occhi di Edward mi avrebbero trapassato da parte a parte in un secondo e in questo momento sarei defunta. Alice, al contrario, mi osserva con un misto di curiosità e compassione.

Cosa si stavano dicendo esattamente? E in che misura c’entro io?

Ho un elenco infinito di domande che mi frullano in testa, ma nell’istante stesso in cui mi rialzo il mio cervello riesce a elaborare solo la fuga.

Josephine e Miguel notano il mio affanno e mi domandano a più riprese se sto bene. Io insisto per entrare in auto e partire. Non vedo l’ora di distrarmi e dimenticare la tensione che si era creata in quella stanza. D’un tratto mi sono sentita come se Edward volesse attaccarmi. A farmi stare peggio è il rendermi conto che, se non ci fosse stata Alice, avrebbe potuto farlo.

L’evento folkloristico è in un’immensa radura in mezzo al verde, alla periferia di Bistrita. È quasi il crepuscolo quando arriviamo e il divertimento è già iniziato. Giocolieri e illusionisti tengono banco poco lontano dalla tavolata, dove è stato allestito un buffet luculliano.

Miguel fa segno a me e a Josephine di precederlo mentre lui parcheggia lì vicino. A quel punto non ho il tempo di rendermi conto di ciò che sta succedendo, né di capire come. Una Chevrolet perde del tutto il controllo e si dirige verso di noi come una furia impazzita. Io e Josephine rischiamo di rimanere schiacciate contro l’auto del nostro amico e d’istinto, senza mettermi a fare congetture su quanto sia fisicamente possibile o meno, allungo entrambe le braccia e con i palmi delle mani blocco la Chevrolet, trattenendola dal paraurti anteriore.

La folla si riversa da tutte le direzioni, nel vano tentativo di capire cos’è accaduto.

Josephine e Miguel mi guardano con l’occhio di chi ha appena avvistato una creatura aliena.

 

 

NOTE

 

·       Prima di tutto devo chiedere SCUSA a chi ha letto il secondo capitolo prima di mercoledì 30 agosto. Non mi ero resa conto di avere caricato il file della vecchia versione. Oltre al fatto che non avevo inserito il nome di Edward Cullen da nessuna parte, il cambiamento principale riguarda l’ultima parte, quando Bella trova il foglio con la piantina della Transilvania. Nella prima stesura non c’era il riferimento al dragone. Scusatemi, davvero! Ci starò più attenta.

·       Forse a qualcuno avrà dato fastidio non trovare nella scuola gli amici di Bella, come Jessica e Mike. Dal momento che Bella arriva in Romania con un progetto di scambio, non avrebbe avuto senso includere tutti i suoi amici di Forks anche qui. Mi è parso più normale inserire nella storia studenti provenienti da altri Paesi.

·       Se siete arrivati fino alla fine del capitolo, GRAZIE! Se ve la sentite di lasciare un commentino, una critica, un saluto, DOPPIAMENTE GRAZIE! Un ringraziamento speciale a alexa_cr81, everlark98 e malyegiro per avere inserito la storia tra le seguite.

·       Domani parto per le vacanze, quindi non avrò modo di aggiornare a breve. Posterò il quarto capitolo domenica 10 settembre.

 

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