Tintarella di luna

di lunatique
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tra Choco Krave e braccia intorpidite ***
Capitolo 2: *** Macchesseimatta? ***
Capitolo 3: *** Il Kings ***



Capitolo 1
*** Tra Choco Krave e braccia intorpidite ***


1. Tra Choco Krave e braccia intorpidite


01 Luglio 2017, ore 08:30, casa De Cesari, Roma

 
L’estate è la stagione più strana tra le quattro. Da sempre il periodo dell’anno più atteso da tutti, adulti e piccini, studenti e lavoratori, quello da cui ci si aspetta un po’ di relax dopo un anno di stress accumulato,  ma anche divertimento, avventure e nuove scoperte.
È come se cercassimo di infilare le esperienze che potrebbero occupare una vita in quei tre mesetti di sole; e allora diventa una corsa continua, un tour de force, una sfida contro il tempo che passa e contro l’autunno che arriva minaccioso.
Per Eva l’estate era, da che ne aveva memoria, esattamente questo: una sfida contro il tempo. Perché la fuori c’era un modo che l’aspettava e lei non si accontentava di passare qualche giornata al mare con gli amici, o di rilassarsi in balcone con la nonna, tra una briscola e l’altra. Aveva tutto l’inverno per leggere libri sdraiata su un letto o per “rincoglionirsi” – come diceva la madre – davanti alla TV.
Lei voleva ridere fino a sentirsi male, vivere un amore degno di quelli raccontati da Jane Austen e vedere con i suoi stessi occhi tutti i panorami dipinti da Monet. Potete quindi dedurre facilmente che le aspettative per la sua estate non erano alte e spesso irrealizzabili, di più.
Da piccola aveva sempre trascorso i mesi di Luglio e Agosto nel paesino originario della nonna, nel basso Lazio. Si divertiva a passare il tempo tra gli scorci antichi e la natura di quel luogo a giocare a nascondino, e con i suoi cugini e gli altri bambini del posto avevano formato una combriccola niente male. C’era qualcosa di poetico, secondo Eva, nelle immense distese verdi che si ammiravano dalla casetta arroccata della nonna paterna, e nel vecchio cedro che si faceva spazio tra gli orticelli, protagonista delle decine e decine di storie di fantasmi raccontate dai più anziani del paese. Crescendo però, si sa, le cose cambiano. Nel corso della sua pre-adolescenza molte amicizie andarono perse, altre si allentarono notevolmente e lei ed il fratello Pietro smisero di far visita a quel posto se non in rare occasioni, presi da altre priorità.
«Ancora così stai? Muoviti, pigrona!» Carola e la sua chioma nero pece fecero irruzione in cucina, interrompendo i suoi pensieri e facendola quasi strozzare con una cucchiaiata di latte e cereali.
Eva buttò un’occhiata veloce al vecchio orologio appeso sopra l’ingresso, «ma fono folo le otto e messa» rispose con la bocca ancora piena di Kellogg’s Choco Krave, che resero le sue parole quasi incomprensibili a qualsiasi essere umano ma non alle orecchie, ormai allenate, della sua amica.
«Io ho già fatto colazione, una doccia, depilata, sistemato le ultime cose in valigia ed ora sono qui; e tu?»
«Ed io ho mangiato i Choco Krave.»
«E tu hai mangiato i Choco Krave» ripeté la mora, una non sottile nota di esasperazione nella voce squillante, «sbrigati!»
«Okay okay…» Eva alzò le mani come in segno di resa, finendo in fretta quello che rimaneva della sua colazione «…nazista» commentò tra un boccone e l’altro a denti stretti.
Lei e Carola sono amiche da quando ne hanno memoria e le loro madri le portavano a giocare nella piazzetta davanti casa. Abitano nello stesso palazzo, con quattro piani tra i loro appartamenti ma questo non gli impedisce certo di passare le loro giornate sempre insieme, l’una a casa dell’altra. Praticamente Eva considera Carola come la sorella che non ha mai avuto, e Carola quella con cui scambierebbe volentieri la vipera che si ritrova.
Questa sarebbe stata la loro prima vacanza insieme ed in completa autonomia, nella casa al mare di Carola sulle magnifiche coste abruzzesi.
La rossa non ci mise molto a prepararsi, anche perché aveva alle calcagna un segugio – Carola – che non le dava tregua. Una rinfrescata per svegliarsi meglio e si vestì con quello che si era preparata il giorno prima; un accenno di mascara e rossetto rigorosamente rosso – che, come diceva lei, fa sempre la sua porca figura – et voilà, era pronta per iniziare la sua estate nel migliore dei modi.
Trascinò i bagagli con fatica fino al portone del palazzo, dove la Signora Romano le aspettava nella sua Ford Focus che, un tempo – e prima di incontrare la numerosa e caciarona famiglia Romano – si raccontava fosse addirittura di un bianco brillante.
«Buongiorno ragazze!» Le salutò con un sorrisone la donna, mentre loro prendevano posto nei sedili dietro. «Pronte?»
«Prontissime!» Squittì Eva, che non stava più nella pelle.
«Carola hai preso tutto vero? Non farmi fare avanti e indietro venti volte perché magari hai dimenticato le tue amate borse di Primad…»
«Sì ma’» cantilenò la figlia, scocciata «ho tutto quanto, ne sono sicura.»
Rita sorrise come solo una mamma sa fare alle ragazze riflesse nello specchietto retrovisore «va bene, partiamo allora.»
 
 
Il viaggio fu più lungo di quello che Eva si aspettasse, o forse era l’ansia dell’attesa che le faceva vivere i secondi come minuti ed i minuti come ore. A sua discolpa però, Roma – coste abruzzesi via macchina non si percorreva certo in un battito di ciglia.
Durante tutto il tragitto le due amiche cantarono insieme le canzoni che passavano alla radio, scherzarono e cercarono di ammazzare il tempo in ogni modo. Fino a quando, stanca, Carola poggiò la testa qualche secondo sulla spalla della rossa finendo per cadere inevitabilmente tra le braccia di Morfeo. Eva sentiva il braccio intorpidirsi sotto il peso della sua testa – e fidatevi che pesava, la madre le diceva sempre che era fatta di coccio – ma decise di non svegliarla per non rimanere vittima della sua ira funesta. Stava con l’altro braccio poggiato sulla portiera ed in silenzio religioso a guardare distrattamente gli alberi che gli sfrecciavano vicino, quando finalmente riconobbe un’immensa distesa cristallina illuminata dai raggi del sole già alto in cielo: il mare. Era un buon segno, no? Significava che ormai erano arrivate e che si trattasse solo di girare gli ultimi angoli e percorrere le ultime stradine, vero?
Eva non poteva crederci e senza pensarci due volte diede una gomitata sulle costole dell’amica, per svegliarla.
«Ma cosa cazzo…»
«Il mare Caro, il mare!»
Carola si stropicciò gli occhi un paio di volte per poter metter meglio a fuoco ciò che la circondava, «e mi hai svegliato per questo? Non hai mai visto il mare in vita tua?»
«Claro que sì; ma significa che siamo arrivate, zuccona.»
«Ah» fu l’arguta risposta dell’altra, accompagnata da un’espressione da pesce lesso, «Ah!» Esclamò una seconda volta, come se finalmente le rotelline del suo cervello avessero ripreso a girare nel verso giusto, e si mise anche lei con la punta del naso a patitina attaccata al finestrino, a contemplare il panorama.
Fu questione di minuti e la Signora Romano parcheggiò in una via a pochi passi dal mare dove si trovavano una serie di villette a schiera, tutte ben tenute. Le ragazze scesero dalla macchina riordinando le loro cose e trascinandole verso i cancelletti marroni di una villa rosa pesca, con un piccolo giardino che la precedeva.
«Benvenuta a Casa Romano» Carola aprì le braccia in un gesto teatrale, facendo cadere malamente le borse che teneva in mano e rimase lì impalata al centro di quello che doveva essere il salotto – immenso, pensò Eva – della casa. L’arredamento era molto più moderno di ciò che si era immaginata durante le ore precedenti, mantenuto tutto sul crema e sfumature varie. L’unico punto di colore che saltava all’occhio erano i due divani posti ad L, rosso fuoco, addobbati da cuscinetti con stampe eccentriche.
«Mostra la casa ad Eva, invece di fare la scema.» Disse Rita dando una pacca sul sedere alla figlia come era solita fare, superandola e sparendo in cucina per posare lo stretto necessario che aveva portato per non morire di fame il primo giorno.
Carola obbedì, entrando nei panni di una perfetta guida turistica – che non era –.
La villa era a due piani: di sotto vi era un grande spazio che comprendeva salotto e tutto ciò che ci si può trovare, ed una lunga tavolata in legno con un cesto di vimini vuoto abbandonato nel mezzo. La cucina era separata dal resto da una porta scorrevole ed aveva, sul muro di sinistra, un altro piccolo tavolino adatto a quattro persone.
Dal salotto si accedeva anche ad una scala marmorea che portava al piano superiore, dove vi erano tre camere di diverse dimensioni: una con un letto matrimoniale, dei genitori, un’altra più piccolina e che presentava oggetti che Eva identificò come femminili – molto probabilmente di Carola e della sorella Letizia – e l’ultima con tre letti, che dovevano appartenere per forza a Cristiano, Saverio ed Alessio, i tre fratelli maggiori. Le ultime due stanze consistevano in bagni di discrete dimensioni, il primo con vasca ad angolo mentre il secondo aveva solo una semplice doccetta e sanitari.
Le ragazze sistemarono le loro cose nella camera solitamente destinata a Carola e Letizia che, in un batter d’occhio, si riempì di vestiti, trucchi, scarpe, orecchini e gingillini vari; dopodiché scesero al piano inferiore dove la madre aveva già preparato un piatto ti pasta al sugo ed un po’ di insalata per tutte e tre, dato che tra una cosa e l’altra si era fatta ora di pranzo ed i loro stomaci cominciavano ad accusare la fame.
«Credo di aver sistemato tutto» Rita si fermò davanti alla macchina, infilando la chiave per sbloccarla «vi ho lasciato un po’ di pasta nelle credenze, latte e qualche scatoletta di tonno.»
«Grazie mille Rita.»
«Grazie mami, fa buon viaggio.»
«Ah ed i numeri di emergenza sono su un foglietto appeso al frigorifero»
«Lo so» disse Carola, aprendole la portiera.
«Ah e ricordatevi di chiudere il gas dopo che avete cucinato»
«Certo.»
«Ah e se succede qualcosa ho già parlato con la Signora Anna e mi ha dett…»
«Sì abbiamo tutto sotto controllo, non hai niente di cui preoccuparti!» La interruppe la figlia, roteando gli occhi al cielo.
«D’accordo» la donna le guardò come si guarda un bambino che ha appena imparato a camminare, stringendole poi in una morsa soffocante abbraccio con tanto di bacio schioccante sulla fronte.
«Divertitevi ragazze.»
La videro entrare nella macchina e sparire in fondo al vialetto, prima di tornare dentro casa.
«E adesso? Che si fa?» Domandò Eva mentre si richiudeva la porta alle spalle. Carola le rivolse uno sguardo che aveva un nonsoché di sadico, ed un sorriso che non era da meno.
«E adesso comincia l'estate.»

 

Spazio Autrice
Buongiorno ed eccomi ritrovata con questa nuova storia senza impegno ne pretese, solo una piccola cosuccia che mi è venuta in mente.
In questo primo capitolo non succede molto ma era necessario farlo così per potervi introdurre al meglio Eva e la sua amica Carola e quello che sarebbero andate ad "affronte".
Spero comunque sia stato di vostro gradimento, sarei più che felice di sapere cosa ne pensate in una recensione qui sotto, sia nel bene che nel male.
Alla prossima, tanti bacini xxx
 
 

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Capitolo 2
*** Macchesseimatta? ***


2. Macchesseimatta? 

02 Luglio 2017, ore 9:20, da qualche parte in Abruzzo
 
 
«Che differenza c’è tra latte scremato e latte intero?» Carola guardò dubbiosa le due bottiglie che teneva in mano mente una piccola rughetta le se andava a formare tra le sopracciglia inarcate.
«Scremato? Perché solitamente ha la crema?» Eva si avvicinò incuriosita all’amica, portandosi dietro il carrello della spesa ancora tutto da riempire.
«Li prendiamo entrambi» alzò le spalle la prima, buttandole in maniera poco raffinata nel carrello.
Avevano deciso che andare a fare spesa fosse una priorità quando, quella mattina, al momento di fare colazione alla rossa quasi non venne una crisi isterica.
 
«Carola!» Urlò Eva, come se un serial killer le stesse puntando una pistola contro. L’amica, spaventata ed ancora con lo spazzolino in bocca, scese giù dalle scale e raggiunse la cucina a grandi falcate.
«Che succede?!»
«Non abbiamo i cereali.»
Carola era sicura che se solo avesse avuto una mazza a portata di mano in quel momento ci avrebbe fatto le polpette con la sua amica; ma purtroppo i sogni non sempre si avverano.
«Bevi il latte senza, allora.»
Non l’avesse mai detto.
«Macchesseimatta?!» La rossa strabuzzò gli occhi, tirando fuori un accento degno dei peggior coatti del Quarticciolo. «Non se ne parla proprio, oggi io e te usciamo a fare spesa.»
 
Ed ora eccole lì, in un supermercato a qualche minuto da casa loro a discutere su quale latte comprare e quale detersivo per piatti fosse più buono – alla fine optarono saggiamente per il più economico, tanto di detersivi non ne capivano nulla –.
Mentre proseguivano il loro giro tra gli scaffali e raccoglievano le ultime cose, Eva urtò per sbaglio con il carrello quello di un’altra persona davanti ai surgelati, finendo inevitabilmente per colpirla ad un fianco.
«Oh, mi dispiace.» Si affrettò a dire a quella che sembrava essere una ragazza più o meno della sua età solo che molto più alta, non che fosse tanto difficile superare il suo quasi metro e sessanta.
«E sta più attenta a dove cammini!» La attaccò questa come si si trattasse di una catastrofe, rivolgendole uno sguardo infastidito con i suoi occhi dal taglio felino.
Eva decise di proseguire per la sua strada e non controbattere davanti ai modi maleducati della ragazza, per evitare una patetica sceneggiata all’italiana. Carola, che nel frattempo aveva assistito alla scena tenendo una busta di piselli surgelati in mano, si affiancò all’amica e buttò quest’ultimi insieme all’altra roba presa.
«Che ignorante.» Se ne uscì quando furono abbastanza lontane da non farsi sentire. La rossa rispose con un gesto della mano che voleva lasciar intendere un “eh, che ci vuoi fare?” e si diresse verso le casse.
Pagarono la loro spesa, portando le buste piene fino a casa dove organizzarono il tutto tra credenze, frigorifero e scaffali vari.
Ormai era quasi ora di pranzo e le due amiche non vedevano l’ora di potersi fare il primo bagno dell’estate, quindi decisero di dirigersi verso la spiaggia e mangiare in un chioschetto lì. Il loro stabilimento, che era quello solitamente scelto dalla famiglia Romano, si chiamava La Piraña. Offriva un campo da beach volley, bar, piccolo ristorante ed uno spazio per bagni, spogliatoi e cabine, per non parlare dei caratteristici ombrelloni a righe gialle e bianche.
Eva e Carola si presero due lettini ed un ombrellone, posando tutte le loro cose sotto di esso.
«Certo che il sole a quest’ora incoccia proprio.» Si lamentò la mora togliendosi la sua tutina e rimanendo solo con un costume verde acqua addosso, cominciando a spostare i lettini in posizioni strategiche per far si che l’ombra riuscisse a coprire entrambe.
Finalmente poterono godersi il loro meritato riposo, dopo la mattinata burrascosa che avevano avuto. Eva stava stesa a pancia in su con il suo costumino a due pezzi, nero sotto e fuxia di sopra, i capelli raccolti in una cipolla disordinata e gli occhi chiusi, sperando di schiacciare un bel pisolino.
Si stava lasciando cullare dal rumore del mare mosso dal vento, dalle risate dei bambini che si schizzavano a riva e dalle chiacchiere delle madri che li controllavano dai loro lettini, quando…
«Attenzione!» Sentì una voce maschile urlare alla sua destra, ma non fece in tempo ad aprire gli occhi e capire cosa stesse succedendo che sentì un dolore lancinante al naso.
Si mise seduta, notando l’oggetto che l’aveva appena colpita cascare ai suoi piedi: una palla bianca di quelle usate nella pallavolo.
«Ti sei fatta male?»
Eva alzò lo sguardo puntandolo sul ragazzo che le veniva incontro preoccupato: capelli marroni tirati lievemente all’insù, occhi grandi dello stesso colore e naso alla francese. Carino come se ne vedevano tanti per le strade di Roma, ma certo non da togliere il fiato.
«No grazie, sto bene» rispose tenendosi il naso con una mano, e asciugandosi gli occhi che si erano automaticamente inumiditi.
«Fa vedere» rispose lui, perplesso, prendendosi la libertà di scostarle la mano dal viso e alzarle il mento per poter controllare meglio se ci fossero tracce di sangue o meno.
«Tutto a posto.» Constatò, riprendendosi la palla.
«Quello che avevo già detto io.» Fece notare Eva, leggermente infastidita dalla confidenza che quel ragazzo si era preso.
Lui abbozzò un sorrisino sghembo e «scusa, starò più attento», dopodiché si rigirò verso i suoi amici che lo aspettavano. La rossa sperò in un augurio di buon proseguimento della giornata e poi chi s’è visto s’è visto, ma il ragazzo non demordeva e lasciarla in pace non era tra i suoi piani, a quanto pare.
«Senti… che ne dici di venire a giocare con noi?» Buttò lì, giocherellando con la palla che teneva in mano, «e può unirsi anche la tua amica, ovviamente.» E nel dirlo accennò verso Carola.
«Cerchi di farti perdonare?»
«Una mezza specie.»
La rossa ci pensò un attimo, poi annuì «d’accordo.»
Sì alzò dalla sdraio, trascinandosi dietro la sua amica che si lamentava e puntava i piedi per terra come i bambini capriciosi, desiderando di rimanere ancora un po’ sulla sdraio e potersi rilassare.
Una volta arrivati vicino alla rete, Eva poté finalmente vedere le facce degli altri giocatori: erano in quattro, oltre che al tipo della pallonata, due maschi e due femmine. Tra i primi, uno in particolare era estremamente bello e sembrava avere qualche anno in più di loro, forse anche per la sua altezza.
“Mi ci vorrebbe una scaletta solo per sistemargli quel ciuffo ribelle” pensò Eva, mentre lo scrutava. L’altro anche non era niente male. Con quei capelli biondi ed i riccioli morbidi portati un po’ lunghi come i surfisti nei film americani, certo non passava inosservato.
Le si gelò il sangue quando riconobbe la figura alta che aspettava a braccia conserte e con uno sguardo annoiato, dall’altra parte della rete: era la ragazza che aveva scontrato qualche ora prima al supermercato.
Sembrò notarla anche Carola perché si avvicinò al suo orecchio sussurrando «hai visto chi c’è?»
«La giraffona.»
La mora cercò di trattenere una risata a quelle parole, nascondendo il viso tra i capelli.
«Noi stiamo con loro.» Disse Eva per smorzare il silenzio che si era venuto a creare tra i presenti, ammiccando verso lo stangone che sfoderò un sorriso gentile.
Il monco invece, come l’aveva ribattezzato la rossa nella sua testa – non sapendo il suo vero nome –, si andò a mettere nel campo occupato dalle altre due ragazze.
La partita cominciò e, nemmeno dieci secondi che i loro avversari fecero punto. La giraffona era brava, da quello che aveva potuto vedere. Sicuramente aveva praticato pallavolo negli anni precedenti, e a giudicare da come fosse allenata forse non aveva ancora smesso.
Eva invece diceva d’esser negata con le palle – cosa che suscitava sempre una risatina tra i suoi amici – e preferiva di gran lunga sport più fisici, come le arti marziali.
Aveva praticato Judo da piccola, poi crescendo passò al Kung Fu che adorava più di qualsiasi altra cosa al mondo, ma purtroppo per vari motivi che non starò qui ad elencarvi dovette abbandonare. Da poco aveva cominciato a frequentare invece una palestra di pugilato, non artistico e preciso come il Kung Fu ma di sicuro le permetteva di sfogarsi a fine giornata.
Nonostante questo sapeva essere molto competitiva quando qualcuno la istigava e, con gli elementi presenti nell’altra squadra, non aveva nessunissima intenzione di perdere.
Per tutto il tempo il monco non fece altro che stuzzicarla, sottolineando i suoi errori con commenti poco carini – “ammazza che mezzasega che sei” – e mirando le schiacciate verso la sua direzione giusto per vederla affannarsi nel riuscire a deviarle senza rompersi il naso. Passarono quelle che ad Eva sembrarono secondi e a Carola, che sognava ancora il suo lettino, anni. Finalmente erano arrivati al verdetto finale: 20 a 20, e chi fa punto porta a casa la vittoria.
Toccava al monco battere, cosa che fece con un’estrema precisione. Ci fu uno scambio per qualche secondo, quando finalmente lo stangone riuscì ad alzare la palla ed Eva ne approfittò per librarsi in aria e schiacciare, facendo punto.
Ci fu un momento di silenzio tombale, seguito poi da urla di esultazione provenienti dalla squadra vincitrice.
«Ora possiamo andare?» Carola che con la mente stava già gustando il suo succo di ananas sotto i raggi del sole.
Eva annuì e si girò, iniziando ad incamminarsi verso il loro ombrellone.
«Non sei così tanto mezza sega, però!»
Una voce maschile urlò, costringendola a rigirarsi.
«Dubiti troppo delle mie doti!»
In risposta ricevette una risata cristallina, «Io sono Diego comunque, Diego Carisi!»
«Eva De Cesari!» E proseguì per la sua strada, scomparendo tra la gente.

 


 
↠ Spazio Autrice
Eccoci qua con questo secondo capitolo in cui vediamo finalmente Eva e Carola interagire con nuovi personaggi, che sia urtando il loro carrello o sfidandoli a pallavolo.
Cosa pensate di questo Diego Carisi e della sua gang del bosco? Fatemi sapere i vostri pareri in una piccola recensione, se vi va.
A prestissimo, tanti bacini xxx

 

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Capitolo 3
*** Il Kings ***


3. Il Kings
 


05 Luglio 2017, ore 16:07, da qualche parte in Abruzzo
 
 
Eva passeggiava avanti e indietro davanti al portico di casa, le braccia incrociate sotto il seno coperto solo da una maglietta nera troppo grande per la sua esile figura. Il sole alto in cielo illuminava le foglie del sempreverde a pochi passi da lei, creando un’illusione di ombre su buona parte del giardinetto. Passeggiava, calciava di tanto in tanto qualche ramoscello che le capitava a tiro, e pensava.
«Se continui così finirai per scavarti una fossa.» Carola stava seduta su una delle sedie del tavolo da giardino, i piedi poggiati su di esso a godersi la sua Peroni fresca di frigorifero.
«Se continui così finirai per giocarti il fegato.» Le rispose a tono Eva, accennando alla bevanda che teneva tra le mani nonostante fossero solo le quattro del pomeriggio.
Erano passati ormai cinque giorni dal loro arrivo e quattro dall’incontro in spiaggia con quel gruppo di ragazzi della quale non sapeva neanche i nomi. E di questi in giro nemmeno l’ombra, nemmeno per sbaglio. In compenso però Eva pensò di aver trovato una nuova amica.
«Carola!» La figura slanciata di una biondina che controllava la buca delle lettere nella villetta accanto attirò l’attenzione delle amiche. Indossava solo una larga maglietta bianca macchiata da qualche scritta, sotto un costumino verde che si legava in due fiocchetti sui fianchi stretti. Nonostante avesse due ciuffetti ai lati della testa che le conferivano un’aria fanciullesca, Eva pensò dovesse avere un paio di anni in più di loro.
«Non sapevo fossi tornata.»
La corvina si alzò dalla sua posizione stravaccata per avvicinarsi alla bassa ringhiera che separava le ville e poter abbracciare la sua amica, «Jo! Che piacere vederti!» E le schioccò un bacio che sapeva di Peroni sullo zigomo.
«Ma guarda come sei cresciuta, piccoletta!» La bionda le scompigliò i capelli già spettinati con fare materno, rivolgendole un sorriso frizzante, «vedo che ti sei portata un’amica.»
Eva, sentitasi chiamata in causa, si presentò alzando la mano destra a mezz’aria che non tardò ad essere stretta.
«Eva De Cesari, piacere di conoscerti.»
«Il piacere è mio! Sono Adele ma se vuoi andare d’accordo con me chiamami Jolene.»
La rossa apprese solo dopo, da Carola, che la scelta del nome era un tributo alla canzone Jolene di Dolly Patron, una delle preferite della ragazza. A presentazioni fatte Jolene chiese alle due di entrare per una tazza di thè o del caffè a casa sua, invito che loro accettarono di buongrado.
L’abitazione, munita di giardino antecedente come tutte le villette di quella via, era più piccola di quella dei Romano ma comunque accogliente e si estendeva tutta su un solo piano. L’arredamento era semplice e minimale, si spostava tra i toni del bianco e del legno chiaro e alla parete vi erano appesi una schiera di quadri ritraenti natura morta, paesaggi e persone di ogni tipo. Eva si accomodò al tavolo posto al centro del salottino, di fronte alla sedia che aveva occupato la sua amica, mentre Jolene spariva dietro la porta della cucina per andare a preparare loro i caffè – macchiato e con un cucchiaino di zucchero per Carola e rigorosamente amaro per Eva –.
«È carino qui» commentò la rossa appena furono sole, «e ci vive da sola?»
«Già. Si è trasferita qui a 18 anni, due estati fa» le spiegò Carola, «per un periodo ha vissuto insieme al ragazzo Lorenzo, ma poi credo abbiano rotto perché non l’ho più visto in giro.»
Non passò molto che la figura slanciata di Jolene fece capolino dalla cucina, interrompendo la loro conversazione.
«Ecco qui i vostri caffè, signorine» e prese posto sulla sedia vuota, rannicchiando le gambe magroline al petto e tenendo stretta la sua tazza di thè caldo, nonostante facessero trenta gradi e passa. Eva buttò giù in un sorso il contenuto del suo bicchierino, sentendo il sapore amore del caffè riscaldargli la gola, mentre le altre due presero ad aggiornarsi sulle loro vite.
Jolene raccontò di quanto stesse andando forte la sua musica, che cantava e suonava spesso in piccoli pub o ad eventi in spiaggia e questo per lei era un gran traguardo che non si sarebbe aspettata di raggiungere in così breve tempo. Carola parlò dell’esito positivo della sua pagella, soddisfatta dei suoi eccellenti e sudati voti in greco e letteratura italiana, dell’ansia degli esami che avrebbe dovuto affrontare l’anno successivo e per finire del suo ex ragazzo Daniele, che con quell’aria da maturo ma il cervello da bambino più le stava lontano meglio era.
«E tu invece, Eva? Hai già trovato il tuo Adamo?» La bionda la fece risvegliare dallo stato di trance in cui era entrata mentre giocherellava con le doppie punte di una ciocca di capelli. Stava per rispondere ma Carola la batté sul tempo.
«Oh lei è un’accalappia ragazzi» incrociò le gambe e sfoderò uno sguardo di chi la sapeva lunga «ha fatto breccia nel cuore di un giovine aitante, ma questa testa dura non è interessata.»
Ed un calcio sotto il tavolo da parte della diretta interessata non tardò ad arrivare.
«E com’è?»
«Irritante» si affrettò a dire la rossa, come per difendersi. Lanciò uno sguardo sagace all’amica che annuì alzando le mani «su questo non posso darle torto, ci ha spudoratamente provato con lei.»
Jolene aveva lo sguardo che le brillava per l’eccitazione da gossip «e l’hai rivisto?»
«No» Eva deluse le sue aspettative, scrollando le spalle «lui e la sua gang del bosco sembrano essersi volatilizzati.»
Seguì a quelle parole un momento di silenzio che la più grande spezzò dopo aver riflettuto qualche secondo «se non sbaglio stasera il Kings è aperto. Se vuoi cercare il tuo principe ranocchio ti consiglio di iniziare da lì.»
«Non se ne parla.» Eva si girò di scatto verso Carola, precedendo qualsiasi cosa stesse per dire perché ormai conosceva l’amica come le sue tasche.
 
«Ci vuole ancora molto?» I tacchi modesti della corvina riecheggiavano ad ogni suo passo mentre camminava sul marciapiede che costeggiava le spiagge.
«Siamo quasi arrivate.»
La rossa non sapeva davvero come avessero fatto a convincerla nonostante il suo palese disaccordo, ma Carola sapeva essere molto persuasiva quando ci si metteva, persino con un osso duro come lei. Avanzava mettendo un piede davanti all’altro con estrema attenzione per non rischiare di prendere una storta con le zeppe che indossava, regalo della cugina di qualche anno prima che non aveva quasi mai tirato fuori dalla scarpiera fino a quel momento.
Riusciva a sentire il profumo della salsedine da lì insieme al rumore del mare mischiato con quello della miriade di ragazzi e ragazze che passeggiavano per le strade, chi con un gelato chi con una birra in mano.
Il Kings si rivelò essere un bar sulla spiaggia tutto in stile hawaiano, con pista da ballo e tavolinetti sparsi qua e là, abbastanza per accogliere una discreta quantità di persone. C’era già un bel po’ di gente che assediava il bancone dove erano poggiati una schiera di drink dai colori sgargianti, alcune coppiette erano intente a ballare quella che alle orecchie di Eva suonò come musica latino americana che fece subito partire Carola per la tangente.
«Vai Caro!» Esclamò la rossa che si era accomodata al bancone, girandosi verso l’amica che aveva ormai conquistato tutti i presenti con le sue mosse sinuose frutto di anni di allenamento nella danza. Le altre due si presero da bere, un Cuba Libre per Eva ed un Long Island per Jolene.
«De Cesari!» Qualcuno alle sue spalle a chiamò, «che fai, mi segui?»
Al suo fianco comparve Diego ed il sorrisetto di chi sta sempre un passo avanti agli altri, che prese posto nello sgabello libero vicino a lei.
«Casomai il contrario.»
«Io non ho motivo di farlo.»
«Nemmeno io.»
«Allora sarà colpa del destino.»
La rossa allargò le labbra piene in un sorriso sghembo «o della sfiga, dipende dai punti di vista.»
Eva si era quasi dimenticata di Jolene che dopo aver finito il suo cocktail decise di alzarsi dallo sgabello di legno annunciando “vado a farmi una sigaretta”, schioccandole un bacio sulla guancia e scomparendo più in là verso la spiaggia libera.
Diego poggiò gli avambracci sul bancone e scosse la testa, guardando il vetro vuoto abbandonato davanti alla ragazza e ancora sporco di rossetto.
«Ti offro da bere, devo farmi perdonare per la pallonata.»
«Non l’avevi già fatto?» Eva inarcò il sopracciglio, storcendo la testa con aria confusa.
Il moro sembrava esaspero, alzò gli occhi al cielo e «ce la fai a non controbattere e dire solo un “sì grazie”?»
«Giammai!»
Ma lui finse di non averla sentita perché altrimenti non avrebbero mai smesso e fece in modo di farsi notare dal barista, ordinando per entrambi.
«Come mai Bloody Mary?» Domandò Eva incuriosita dopo aver sentito cosa aveva scelto per lei.
Per tutta risposta il ragazzo alzò le spalle «il tuo rossetto, mi ci ha fatto pensare.»
Eva strinse inconsciamente le labbra rosso fuoco tra loro, aprendole poi in un sorriso gentile che a Diego piacque molto.
«Avrei sempre voluto provarne uno.»
La musica frizzante che riempiva il luogo faceva girare la testa ad Eva più di quanto quel Bloody Mary ed il Cuba Libre avrebbero fatto da soli. Non era mai stata una grande bevitrice se messa a confronto della sua amica Carola che era solita arrivare alle feste già alticcia, ma un drink non si rifiuta mai soprattutto se offerto da un bel – per quanto fastidioso – “giovane aitante”. Anche Diego nonostante avesse il fegato più allenato del suo sentiva la testa pesargli più del solito, reduce aalle continue serate che diventavano nottate passate nei giorni precedenti in compagnia di Andrea e gli altri ragazzi del gruppo.
«Non ti sembra troppo affollato qui?» Ed affollato non lo era nemmeno più di tanto, ma anche solo il rumore dei bicchieri che battevano sul bancone ogni volta che venivano poggiati lo irritava.
«Stavo pensando la stessa cosa.»
Senza pensarci un secondo in più scese velocemente dal bancone e la rossa lo seguì a ruota in modo molto meno aggraziato del suo, e ci mise un po’ per ritrovare l’equilibrio sulle zeppe beige. Vedendola in difficoltà Diego le prese la mano e, con sua sorpresa, Eva non protestò minimamente a quel gesto, forse perché un appoggio in più dopo quei drink le serviva.
Proseguirono lentamente per la passerella che li portava alla riva perché nessuno gli correva dietro, e quando questa fu finita Eva decise che la sabbia era troppo instabile per lei in quel momento e liberò i suoi piedi da quegli aggeggi infernali che sarebbero finiti nel dimenticatoio una volta tornata a casa.
«Al diavolo!» Disse a denti stretti mentre se le sfilava dai piedi, tenendole tra le dita della mano libera.
«Attenta a non perderle, Cenerentola
«Già tanto se non le butto in mare.»
Si sedettero uno al fianco dell’altro sulla sabbia fredda, con il mare che tentava di raggiungerli a ritmi regolari ma non riuscì a bagnare i piedi nudi di lei e le Converse nere di lui. Diego non le lasciò la mano nemmeno un secondo nonostante stesse cominciando a sudare, quel gesto gli sembrava così giusto in quel momento e privo di malizia che rovinarlo sarebbe stato un vero peccato.
«Un centesimo per i tuoi pensieri.» Eva posò lo sguardo sulla metà del viso illuminata dalla mezzaluna che riusciva a vedere bene, in attesa di una risposta.
«In realtà non ne ho di particolari ora come ora; mi sto solo godendo il momento, ed il mare.»
«Si sta bene, concordo.» Lei annuì e ritornò a prestare attenzione alla distesa cristallina che brillava davanti ai loro occhi.
«E poi una compagnia migliore di questa non la trovi da nessuna parte.»
«Ora non ti montare la testa, Carisi
Dopo essersi scambiati sorrisi complici decisero di dar spazio alle domande che ronzavano nella testa di entrambi da ore.
«Qualcosa mi suggerisce che tu sia romana, Eva.»
«Qualcosa mi suggerisce che anche tu lo sia.»
«Già finite le superiori?»
«Mi manca un anno, scientifico.»
«Io classico. Dovrai essere una piccola scienziata, allora.»
«Mi piacciono solo molto i numeri. Non ti facevo mica un classicista, sai?»
«E cosa mi facevi?»
«Più uno da artistico.»
«Attenta che mi offendo.»
«Non era detto in modo negativo, stai sereno. Allora deduco ti piacciano le lingue morte.»
«L’italiano, più che altro. Ed ultimamente sto riscoprendo un amore nei confronti della letteratura latina.»
Eva, che in quell’anno tra Sallustio, Livio e Tacito ne aveva avuto fin sopra i capelli dei latini, storse in naso costellato di lentiggini in un’espressione buffa.
Durante le ore successive continuarono a parlare di scuola, dei loro amici, del tiro all’arco di Eva e del pianoforte di Diego che mancava alle sue dita come manca l’aria, di loro; fino a quando il vento non si fece più forte e loro si stesero sulla sabbia che si infilava da tutte le parti, guardandolo le stelle, poco prima di chiudere gli occhi.

 
Spazio Autrice
Buonasera e bentornati!
Finalmente mi sono decisa ad aggiornare e questo capitolo è stato un po' un parto per me, ma spero abbiate gradito comunque.
Vi ho introdotto un nuovo personaggio: Jolene. Mi è venuta in mente guardando il video di Malibu di Miley Cyrus e non potevo non inserirla.
Spero che il pezzo finale tra Diego ed Eva vi sia piaciuto e non scordatevi di lasciarmi le vostre opinioni, alla prossima!
Tanti bacini xx


 

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