Celia – The Heart, The Pain, Her Strenght

di RickyChance98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sola ***
Capitolo 2: *** Chiunque si sarebbe inchinato, Chiunque avrebbe avuto paura ***
Capitolo 3: *** Lo spettro dei sogni ***
Capitolo 4: *** Piano Di Fuga ***
Capitolo 5: *** In cerca di risposte ***
Capitolo 6: *** In trappola ***
Capitolo 7: *** Lo scrigno misterioso ***
Capitolo 8: *** La profezia ***
Capitolo 9: *** Occhio non vede, Cuore che duole ***
Capitolo 10: *** Il potere della spada ***
Capitolo 11: *** Ciò che siamo ***
Capitolo 12: *** Il tempo dei giochi è concluso ***
Capitolo 13: *** Cambia il tuo domani ***



Capitolo 1
*** Sola ***


EPISODE I - Sola

C’era una volta, in un’epoca lontana ormai dimenticata, una bellissima bambina dai capelli color oro e gli occhi color argento. La sua voce era la più dolce mai sentita in tutto il regno e la sua grazia nel danzare era ancora più meravigliosa. Ella si chiamava Charlotte ed era la figlia di re Nelmo. Charlotte aveva una sorella malata, Celia, che non godeva neanche della metà dei privilegi della sorella e passava le sue giornate girovagando per il castello sola e abbandonata dalla sua stessa famiglia. A causa della malattia non aveva i capelli e, al contrario della sorella, non sapeva né leggere, né cantare, né tanto meno danzare. Il vecchio aveva perso l’amata moglie Cora dopo il parto di quest’ultima anni or sono e negli occhi dell’adorata figlia Charlotte rivedeva sempre quelli della donna che aveva sposato. Negli occhi di Celia, invece, non vedeva altro che gli occhi morenti di Cora che lo abbondavano per sempre.
 
Con il passare degli anni l’oscurità crebbe nel cuore un tempo innocente di Charlotte, che divenne presuntuosa di tutti i suoi straordinari pregi e cattiva con chiunque fosse un gradino sotto di lei, compresa la povera Celia. Le attenzioni che il reame le dava, i doni che riceveva e le enormi ricchezze che aveva non erano abbastanza e voleva sempre di più. La sorella era ben diversa, e crescendo il suo cuore divenne puro e gentile. Ad esserle amica era un’anziana servitrice del palazzo, Juanita, che col tempo riuscì ad insegnarle a leggere e a cantare. Per quanto non avesse la bellezza ed il talento della sorella, Celia riuscì a trovare la felicità, una felicità che Charlotte non aveva provato mai. Nel vedere la sorella talmente gioiosa pur non avendo niente, in Charlotte crebbe anche la bestia dell’invidia. Il male che si stava radicando nell’anima della ragazzina ebbe presto delle conseguenze.
 
Una notte Charlotte, dopo essere stata pettinata e profumata dalle sue servitrici personali, ricevette una visita tanto inaspettata quanto terrorizzante. Era il demone Balzeff, un essere mostruoso e oscuro che girava nei reami di tutti i mondi alla ricerca di anime tristi e oscure da corrompere per poi servirsene diabolicamente. Charlotte restò inizialmente paralizzata dalla paura, ma in breve tempo le parole di quell’essere ebbero un potere persuasivo nella sua mente, così ascoltò quello che aveva da dire.
“Io so cosa stai cercando. So quello che ti manca per arrivare finalmente alla perfezione. Io posso darti quella perfezione che stai cercando. Sarai la regina del regno, non solo tutti si inchineranno a te, loro avranno paura”.
La ragazza fu rapita dalle oscure frasi di Balzeff. Oscurità, potere, paura. I suoi occhi si illuminavano, mentre il suo cuore diventava sempre più scuro.
“Perché loro abbiano paura, tu non dovrai avere paura di niente. Devi cedere completamente all’oscurità. Dovrai quindi compiere l’atto più maligno di tutti: togliere la vita a un’anima pura.” – continuò quella cosa.
Charlotte si disse pronta e capì subito chi sarebbe stata la vittima.  Il demone la congedò sparendo nel nulla, promettendole di tornare la notte successiva alla stessa ora per completare il rito.
 
Il pomeriggio successivo Celia stava aiutando Juanita a spolverare la biblioteca. Grazie alle lezioni della donna, oramai, Celia leggeva e cantava molto bene e nonostante la malattia non desse segni di miglioramento, il suo viso diveniva ogni giorno più bello e splendente. Per il suo quindicesimo compleanno Januita le aveva regalato una parrucca di folti capelli rossi, il colore della chioma della madre. Purtroppo la indossava raramente, se il padre l’avesse vista l’avrebbe tenuta rinchiusa nella sua piccola cameretta per chissà quante settimane. Januita parlava spesso alla ragazza della madre. Cora era una donna bellissima e forte, dallo stesso animo gentile di Celia.
“Vorrei vederla davanti a me. Anche solo una volta, per pochi secondi. Vederla, dirle che mi manca anche se non l’ho mai conosciuta” – diceva Celia poggiando la testa sulle spalle di Januita.
“La vedrai. Un giorno la vedrai e lei vedrà te, te lo prometto” – rispondeva la donna accarezzandole il viso.
 
Nascosta dietro a uno scaffale che le spiava, vi era Charlotte. Il suo cuore era ancora combattuto, dentro di lei vi era ancora una parte buona che cercava invano di prevalere su  quella malvagia. Nel vedere un’amicizia così forte tra Celia e Juanita, un legame sincero che lei non aveva con nessuno, le salì una rabbia che non poté controllare. Le due sentirono un rumore, la ragazza dovette quindi uscire alla scoperta.
“Buongiorno, Celia. Buongiorno Juanita.”
“Buongiorno, cara. C’è qualcosa che posso fare per voi?” – chiese gentilmente la servitrice.
“Non c’è nulla, vorrei solamente scambiare quattro chiacchiere con mia sorella.” – rispose con un sorriso finto Charlotte.
“Vi lascio sole, allora” – disse Juanita uscendo dalla grande biblioteca.
“Deve essere pesante parlare con lei…” – sussurrò seccata Charlotte, sedendosi sopra un lungo tavolo al centro della stanza.
“Non lo è. E’ la migliore amica che una persona possa desiderare. Ma non so se tu puoi capire…”
“Oh, posso invece. Se non lo avessi notato io ho tutto. Tutto ciò che tu non avrai mai. Ma, comunque, non sono venuta qui per litigare. Sono venuta per darti una chance di una vita migliore. Le sorelle si aiutano fra loro, no? Devi andartene da questo castello, da questo regno. Ricominciare da qualche parte al di fuori della mia vita.”
“Io sono come una prigioniera in questo castello, non posso fuggire. E anche se potessi non abbandonerei Juanita qua. Se sei venuta per cacciarmi da qui, puoi anche andartene, io non vado da nessuna parte.” – replicò in maniera determinata Celia.
“Benissimo, allora. Ah, bella parrucca, piacerà a nostro padre” – concluse Charlotte allontanandosi.
Non appena si chiuse la porta Celia tirò un sospiro di sollievo. In cuore suo sapeva che presto sarebbe dovuta andare via. Non era certo quello il suo posto nel mondo. Ma sapeva che non era il momento. Lei e Juanita si erano promesse che, quando lo sarebbe stato, sarebbero fuggite per cercare quel posto e ricominciare.
 
Quella sera Celia si era fermata fino a sera tarda in biblioteca per finire il libro che stava leggendo. Da quando aveva imparato si era innamorata follemente di libri, storie e romanzi che leggeva e rileggeva fino a quando non ne era sazia. Prima di rientrare nella sua stanza, passò come ogni sera in quella di Juanita per darle la buonanotte. Bussò ma nessuno rispose, aprì quindi la porta ma non vide nessuno. “Avrà fatto tardi in cucina…”, penso fra sé e sé Celia. Non appena stava per varcare fuori dalla porta, percepì una lieve voce che si lamentava. Rientrò nella stanza e quello che vide al di là del letto la lasciò imperterrita. Distesa morente vi era la povera Juanita, che perdeva da sangue a causa di una brutta ferita. Celia le si buttò addosso disperata, urlando e chiedendo aiuto.
“No, no, Juanita, no! Rimani sveglia! Chi è stato? Chi ha fatto questo, chi?!”
“Amore, ti voglio… bene, mi disp…iace”
“Ti prego non andartene, tu sei la mia migliore amica, ti prego…”
“Promettimi che… promettimi”
Celia poggiò il suo viso vicino a quello di Juanita. Le lacrime bagnavano il viso della donna in fin di vita.
“…che troverai quel posto, quel posto nel mondo. Lo trov… senza di me, ti preg”
Juanita non riuscì a finire la frase che cadde nel sonno più profondo di tutti. I singhiozzi di Celia diventarono un pianto ancora più forte e disperato.
A un certo punto nella stanza entrò Charlotte, sorpresa di ciò che era successo.
“Che, che cosa è successo? Che cosa hai fatto, Celia?”
Celia si girò verso di lei: “Sei stata tu. Sei stata tu, ammettilo!”. Corse verso di lei e le si gettò addosso urlandole contro.
Decine di persone si avvicinarono alla stanza, compreso il re. “Che cosa sta succedendo qui?” – chiese l’uomo. Non appena vide Celia che picchiava la figlia adorata chiamò subito le guardie. “Portatela via!”. Due guardie presero Celia e la legarono. Re Nelmo entrò nella stanza e vide quella terribile scena.
“Cos’è successo? Chi è stato?” – disse, alzando il tono di voce.
“Papà, è stata Celia. L’ho vista, era sporca di sangue e poi ha cercato di uccidere me!” – rispose immediatamente Charlotte.
“Un omicidio nel mio castello… l’atto più impuro di tutti… Portatela via, prenderemo provvedimenti serissimi!” – ordinò il vecchio alle guardie che tenevano ferma la povera innocente, che non riuscì a smettere di piangere e gridare.
Nessuno quella notte riuscì a chiudere occhio. Nemmeno Charlotte, che ovviamente non mancò al suo macabro appuntamento.
“Tu l’hai fatto. Ho fatto bene a scommettere su di te…” – disse Balzeff sbucando dal nulla.
“Sì! Io ho ucciso quella donna, ho ucciso un’anima pura.”
“Il tuo animo è oscuro come deve essere. Non hai ucciso solo lei, hai distrutto l’anima di tua sorella.”
“Dimmi… cosa devo fare ora, Maestro?” – questa fu la domanda di Charlotte. Per lei era troppo tardi. La piccola parte buona che viveva in lei era definitivamente morta e adesso solo oscurità e male regnavano nel suo cuore, nero come la pece.
 
Nonostante non avesse niente, Celia era felice. Aveva un’amica, aveva un’anima gentile. Dal niente aveva creato tutto ciò che le serviva. Ma da un momento all’altro quel tutto era distrutto, e adesso era sola per davvero. Sola, ma non meno forte di prima. 

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Capitolo 2
*** Chiunque si sarebbe inchinato, Chiunque avrebbe avuto paura ***


EPISODE II: Chiunque si sarebbe inchinato, chiunque avrebbe avuto paura

Erano passati due giorni da quella terribile notte. Celia era stata rinchiusa in una cella piccola e buia nei tetri sotterranei  del castello e mai era riuscita a prendere sonno. Riusciva solo a pensare alla terribile fine di Juanita, qualcosa che non si meritava. E se avesse potuto evitarlo? Se non avesse finito di leggere quel maledetto libro quella sera? Magari sarebbe riuscito a evitarlo, sarebbe riuscita a salvarla. Questi pensieri la uccidevano. Ma ciò che la uccideva ancora di più era che era considerata lei stessa l’artefice. Lei, la sua migliore amica. Adesso cosa sarebbe successo? Come avrebbe potuto trovare il suo posto nel mondo senza di lei? Tirò un lungo sospiro e per un attimo trovò un minimo di calma interiore. Proprio in quel momento, però, sentì il portone che si apriva e il rumore di pesanti passi che si avvicinavano. Era Re Nelmo accompagnato da due guardie personali. L’uomo si affacciò alla cella con uno sguardo gelido. Celia aveva ancora il viso umido e lo ricambiò.
Sei la vergogna della mia famiglia. Nulla del genere era mai avvenuto nel mio palazzo.” – disse con un tono sprezzante.
“Non sono stata io, padre. Lei era la mia famiglia, l’amavo tanto.” – replicò singhiozzante la ragazza, senza sforzarsi, consapevole del fatto che non le avrebbe creduto mai e poi mai.
“… e pure bugiarda! Ho trovato questa nella tua stanza…” – l’uomo le fece vedere la parrucca rossa che stava impugnando – “Questi sono i suoi capelli, come osi! Rovini la sua immagine, infanghi il suo ricordo. Non sarai mai come lei, ricordalo!”.
Celia, con le lacrime agli occhi, cercò di prendergliela dalle mani, gridando: “Ti prego dammela, era un regalo!”.
Il vecchio indietreggiò e continuò: “Regalo? Beh, il primo e ultimo che riceverai…”. Si fece passare la torcia di fuoco che impugnava una delle guardie e diede fuoco alla parrucca davanti agli occhi della povera Celia.
“Hai già arredato la tua nuova stanza? Sarà casa tua per il resto dei tuoi giorni. Addio.” – concluse il padre, abbandonandola.
Celia guardò con aria di sconfitta i capelli inceneriti al di là della cella, poi appoggiò la spalle al muro umido di quella sudicia prigione, lasciando scorrere le lacrime di un dolore che non avrebbe mai dimenticato.
 
Nel frattempo Charlotte aveva appena concluso il suo allenamento di danza classica. Non appena fu sola, apparve all’improvviso il perfido Balzeff.
Charlotte non aveva più alcun timore di quel mostro, non aveva più paura di niente. “Cosa posso fare per te, Maestro?” – gli chiese la ragazza.
“Sono qui per passare alla fase successiva. Ho qualcosa per te” – dal nulla Balzeff fece apparire uno bellissimo scettro nero con ricami d’oro. “Questo è lo scettro del male. L’oscurità è potere, e il tuo potere vivrà dentro questo bastone magico. Grazie ad esso potrai usufruire della magia più oscura che esista”.
La ragazza lo impugnò immediatamente, sorridendo. L’essere la bloccò: “Lo scettro dovrà essere alimentato. Dovrai compiere azioni malvagie, se lo scettro non è alimentato il potere si esaurisce e tu tornerai ad essere debole e inutile.”
La ragazza rimase in silenzio per qualche secondo, ma non mollò la presa dell’oggetto magico. Accettò il dono della creatura: “Non fallirò”.
Non appena tenne lo scettro con entrambe le mani, accadde qualcosa di oscuro e magico: una nube si alzò sulla donna, e lo scettro si illuminò di una luce buia e tetra. I suoi capelli brillanti assunsero delle chiome grigie e nere, la sua pelle candida divenne pallida come quella di un cadavere. La ragazza, accecata dalla sete di potere, godette nel vedersi allo specchio così maestosa e potente. Chiunque si sarebbe inchinato, chiunque avrebbe avuto paura.
 
Celia teneva la testa fra le ginocchia. La visita del padre l’aveva distrutta e adesso i pensieri che le frullavano in testa erano ancora più di prima. In quel momento sentì un rumore familiare che si avvicinava alla sua cella. Non appena lo vide riuscì a sorridere per la prima volta da giorni: “Oh, Piffy sei tu non ci credo!”, esclamò non appena il suo coniglietto entrò dalle sbarre. La bestiola si lasciò prendere e abbracciare dalla sua padrona. “Sei arrivato fin qui, hai superato tutte le guardie! Sei il più coraggioso di tutti!” – disse baciandolo sul musetto. Piffy era uno dei pochi amici che le rimanevano e la sua visita le aveva ridato una piccola gioia in tutta quella disperazione. Quell’attimo di spensieratezza, tuttavia, durò ben poco. Da lontano Celia, udì infatti Charlotte, pronta a farle visita per la prima volta. La donna portava con una mano l’oscuro scettro, con l’altra un vassoio con alcuni viveri non troppo invitanti. Piffy si nascose subito dietro la schiena di Celia, che invece era pronta ad affrontarla.
“Che cosa vuoi?” – le chiese, abbastanza turbata dal suo nuovo aspetto.
“Ti porto da mangiare, sorella cara.” – le rispose, ponendole il vassoio da sotto. Celia con una manata lo cacciò via, rovesciando i cibi sul pavimento.
“Che stupida, miserabile!” – gridò Charlotte “Mangerai gli insetti della tua lurida cella!”.
“Digiunerò volentieri piuttosto che mangiare qualcosa che mi porti tu” – disse sfrontata Celia.
“Puoi benissimo morire di fame dopo quello che hai fatto.”
“Come puoi averla uccisa? Come? Guardati, sei diventata un mostro!”
“Dovresti guardarti da sola, tesoro. Sei sola, sei uno straccio vivente! Sei sporca e vivi in una cella per aver ucciso una povera inserviente! Vuoi dirmi che non l’hai uccisa tu? Puoi dirlo fino alla morte, nessuno ti crederà mai. E io invece sono dall’altra parte, ho tutto. Tutto!” – disse sprezzante Charlotte alla sorella.
Celia tornò nell’angolo della cella ignorando la sorella, che intanto si allontanava.
Piffy tornò davanti all’amica, che non riuscì a trattenere le lacrime. Charlotte le aveva praticamente ammesso che era stata lei! Che aveva fatto tutto questo per farla soffrire e ci stava riuscendo dannatamente bene. Le ore passarono, così come le lacrime. Celia si addormentò, così come Piffy che appoggiò il tenero musetto in braccio all’amichetta.
 
Il mattino successivo Celia e Piffy furono svegliati di soprassalto dal chicchirichì di un gallo. Dalla minuscola finestrella della cella entravano lucenti raggi di sole che illuminavano il viso della ragazza. Intanto i due cominciarono a sentire fame, Celia si pentì parzialmente di aver rifiutato il cibo della sorella. Quanto avrebbero dovuto aspettare, adesso, per avere un pasto decente? Proprio in quel momento di riflessione, Celia notò che la cella accanto alla sua era occupata da qualcuno. Riuscì a scorgere un buco nel muro che collegava le due celle, avvicinò quindi la bocca ad esso e cercò di farsi sentire.
“Hey, ps! C’è qualcuno qui?” – Celia non ricevette risposta. Riprovò altre due volte ma non fu più fortunata. Chiunque fosse il suo vicino di cella non voleva farsi sentire.
“Ho fame! Non è che avresti da qualcosa da mangiare?” – provò a chiedere senza aspettative di risposta la ragazza.
Pochi minuti dopo dal buco una timida mano le porse un pezzo di pane. “Ti ringrazio, sei molto gentile!” – disse subito Celia, ma neanche stavolta l’individuo silenzioso si degnò di rispondere.
Celia, senza pensarci due volte, addentò la pagnotta. Le sembrò la pietanza più buona del mondo. In quell’istante un senso di malinconia le si piombò addosso. Juanita era una fantastica cuoca e i suoi biscotti erano la fine del mondo. Erano solite a leggere e a chiacchiere le sere d’estate gustandosi quei dolcetti fino alla nausea. Quelli erano momenti felici, momenti che non sarebbero tornati mai più. Cercò di trattenere le lacrime e si sforzò di tornare alla realtà. Cominciò a pensare a un modo per far parlare chiunque si trovasse in quella cella. Poi avrebbero studiato una via di fuga. Era ancora confusa, ma una cosa la sapeva: quelli sarebbero stati i suoi primi ma anche i suoi ultimi giorni in quella lurida cella

(continua...)

 

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Capitolo 3
*** Lo spettro dei sogni ***


EPISODE III: Lo spettro dei sogni

“Celia, è ora di alzarti!” – disse Juanita aprendo le tende della cameretta, facendo entrare una fortissima luce all’interno della stanza.
“Oggi abbiamo un bel programma di cose da fare, eh?” – continuò la donna, avvicinandosi a Celia, che rifiutava di svegliarsi.
“Ancora 10 minuti, ti prego!” – la supplicò Celia, abbracciata al suo cuscino.
“Beh, vorrà dire che questi deliziosi biscotti al cioccolato finiranno nella pancia di qualcun altro…”
“Aspetta, aspettami Juanita!” – Celia si svegliò e si alzò ridendo. Stava per prendere un biscotto quando d’improvviso si immobilizzò. Aveva uno sguardo terrorizzato. “Tesoro, stai bene? Sono i biscotti? Sono crudi?” – chiese Juanita mentre cominciava a sistemarle il letto.
Celia cominciò a piangere e corse ad abbracciare la donna. “Juanita, sei viva! Ho fatto un sogno terribile, mi ricordo solo adesso! Tu venivi uccisa ed io rinchiusa nelle segrete del castello!”. La donna si sentì preoccupata dalle parole della ragazza, che intanto piangeva a dirotto sul suo grembiule.
“Celia, ti prego, siediti qui vicino a me” – le chiese Juanita sedendosi sul lettino – “c’è una cosa che devi sapere”.
“Che cosa? Dimmi pure!” – disse la ragazza asciugandosi le lacrime con la manica del pigiama.
“Quello che mi hai raccontato… quello che hai visto, che hai vissuto. Non era un sogno. Era la realtà. Il sogno purtroppo è questo qui”.
“Cosa? Di cosa stai parlando? Guarda, è tutto reale, TU sei reale!” – esclamò immediatamente Celia, turbata dalla dichiarazione.
“Celia, tesoro mio, fidati di me, l’hai sempre fatto. La mia anima è ancora presente su questa terra non so per quale ragione, ma io sono morta! La mia vita purtroppo è finita, sono qui per salvare la tua!”.
“Adesso, basta, devi smetterla!” – Celia era confusa, disperata.
Juanita si alzò e aprì la porta della camera: il nero assoluto. Non c’era nessun castello, e la stanza sembrava immersa nel vuoto.
“Tu sei la persona più forte che abbia mai conosciuto. Devi affrontare la realtà, e io non ti abbandonerò. Non l’ho mai fatto e non lo farò adesso che ne hai bisogno più che mai!” – continuò la donna avvicinandosi alla ragazza.
Celia la fissò in silenzio per qualche secondo, poi prese in mano un paio di forbicine sul tavolo conficcandosele nel braccio più volte.
“Smettila, Celia, no, resta con me, resta con me!” – disse Juanita soccorrendola.
 
Celia aprì gli occhi. Era sudata e affannosa. Si era illusa che quel sogno potesse essere la realtà, ma in cuore suo sapeva che non era così.  Passò il resto della giornata pensando e ripensando alle parole della sua amica. Era Juanita, era proprio lei! L’avrebbe aiutata, in qualche modo, a salvarsi dalla quella terribile situazione. Decise quindi che quella sera si sarebbe riaddormentata alla ricerca di quel sogno, stavolta consapevole di quale fosse la realtà.
 
Non appena tornò lucida, riuscì a udire una voce che sembrava la chiamasse. E se fosse il suo compagno di cella? Si era finalmente deciso a rivolgerle la parola, pensò Celia fra sé e sé.
“Ti senti bene?” – la voce chiese. Era una voce molto dolce, sembrava un bambino. “Ti ho sentita gridare, mi sono preoccupato!” – continuò.
“Era solo un sogno, uno di quelli brutti! Piuttosto come stai tu? Ce l’hai una lingua allora…” – gli replicò Celia.
“Certo che ce l’ho! Mia madre mi ha sempre insegnato a non fidarmi di chi non conosco.”
“E adesso mi conosci?”
“No, ma correrò il rischio!”
Celia rimase un attimo in silenzio, poi gli chiese: “Tu perché sei qui?”.
“Io e mia madre siamo poveri, viviamo in un capanno lontano dal castello. Lei fila  e cerca di vendere qualcosina al villaggio. Un giorno delle guardie mi hanno beccato a rubare delle mele al mercato. Le avevo messe nella sacca della mia mamma, solo che ci hanno beccati! Ora pensano tutti che sia una ladra! Mi hanno rinchiuso qui, purtroppo non ho nessuna idea di dove si trovi ora…” – gli raccontò il bimbo trattenendo i singhiozzi.
“E’ una storia triste, mi dispiace… Però posso prometterti che, se mi aiuti, io ti aiuterò a trovare la tua mamma!”
“Non possiamo andare da nessuna parte, non vedi?”
“Se siamo entrati, possiamo uscire. Il modo c’è, basta solo trovarlo!” – gli rispose determinata la ragazza.
“E come lo troviamo?”
“Penso di avere qualche idea… ti dirò il mio piano domattina, devo fare un’importante dormita prima!”
Il bambino non riuscì a trattenere una lieve risata.
“Fidati! Nel mio sogno c’è qualcuno che può aiutarci. O almeno spero! Quello che so è che presto usciremo da qui, … ehm ancora non conosco il tuo nome!” – continuò Celia.
“Theo. E’ il mio nome! Il tuo?”
“Bel nome, Theo! Il mio è Celia.”
 
Re Nelmo intanto, al castello, stava cominciando i preparativi per il ballo dedicato alla figlia Charlotte. Ella, infatti, avrebbe compiuto la maggiore età pochi giorni dopo. Intento a chiederle le sue preferenze in merito al cibo e agli invitati, egli si stava dirigendo verso la sua cameretta.
L’uomo arrivò davanti alla porta, bussò: “Mia adorata, desidero parlarti di alcune cose”. La porta era aperta, l’uomo diede un’occhiata all’interno ma non vide nessuno. Non appena girò lo sguardo per tornare indietro, gli apparve all’improvviso Charlotte.
“Santi numi! Charlotte… ma che hai combinato?” – l’uomo parve turbato dal nuovo aspetto della figlia.
“Padre. Non mi trovi bellissima?”
“Ma certo, sei solo… diversa!”
“Oh, non immagini quanto mi piaccia questa parola. Io non voglio essere come tutti gli altri, voglio sentirmi unica…”
“Oh lo sei, tesoro mio… ma dimmi, hai deciso qualcosa per la festa?”
“Mi affido a te, padre adorato. Che siano tutti invitati, ricchi e poveri, belli e brutti. Voglio che tutti mi vedano e tutti capiscano chi sarà la loro futura regina.”
“Tanto bella, tanto determinata, figlia mia. Sono certo che sarai una splendida regina”, disse il re accarezzandole il viso.
 
Nel frattempo calò la sera sul villaggio di Rallahes, questo era il suo nome. Celia era pronta per dormire, pronta per rivedere Juanita. Era certa di trovarla lì, e stavolta l’avrebbe ascoltata per avere il suo aiuto. Ma prima l’avrebbe abbracciata come mai aveva fatto prima.
“Buonanotte, Theo.” – disse la ragazza avvicinando la bocca al buco.
“Buonanotte! In bocca al lupo” – gli rispose il suo nuovo amico Theo.
 
Celia si ritrovò nel vuoto. Le sembrò di volare, quando a un certo punto attorno a lei cominciò a materializzarsi la sua stanzetta, la stessa del sogno precedente.
“Sei tornata!” – Juanita era già lì ad aspettarla. Corse ad abbracciarla, Celia ricambiò stringendola forte.
“Mi dispiace, non credevo potesse essere vero!” – disse la ragazza.
“Oh, tesoro. Non scusarti, deve essere tanto dura per te!” – la consolò la donna – “Vorrei abbracciarti e parlarti per tutta la notte, ma non c’è tempo da perdere! Ho una cosa per te…”.
Juanita le porse un bellissimo scrigno d’oro.
“E’ bellissimo, Juanita! Che cos’è? Quest’oggetto può davvero aiutarmi?” – chiese.
“Oh, tesoro, quest’oggetto potrà fare molto di più! Tieni, aprilo…” – la donna fece apparire come per magia una grossa chiave nera e la avvicinò alla ragazza.
“Grazie, Juanita.” – Celia aveva impugnato la chiave e l’aveva infilata nel buco della serratura dello scrigno. Stava per aprire quel misterioso oggetto quando sentì bussare alla porta.
“Che strano, Juanita. Com’è possibile?” – domandò alla donna.
“Questo, cara, è il mondo dei sogni. I sogni di tutte le persone speciali dell’universo. E tu sei una di quelle!” – la convinse Juanita.
I colpi alla porta non cessarono. Cominciarono ad avere un ordine, un ritmo ripetuto più e più volte. Celia a un certo punto fece cadere lo scrigno a terra ancora chiuso, con la chiave inserita.
“Tu non sei Juanita.” – affermò Celia allontanandosi dalla donna e avvicinandosi alla porta.
“Ma come puoi dire una cosa del genere? Tesoro mio, l’unica cosa che voglio è aiutarti!”
“Io so chi c’è dietro quella porta. Ha usato il nostro codice segreto… Tu non sei Juanita!”
Celia aprì senza paura la porta e davanti a lei si ritrovò Juanita. La vera Juanita.
“Sei tu!” – esclamò abbracciandola senza esitazione, stavolta.
“Oh amore mio, mi dispiace tanto! Ho cercato di raggiungerti, sta lontano da quella cosa!” – gridò la donna, mettendosi davanti alla ragazza.
“Benissimo. E tu dovevi arrivare proprio adesso?” – la falsa Juanita si innalzò dal suolo tramutandosi in una demone di colore viola dal corpo ricoperto di spine.
“Torna al tuo pisolino eterno, vecchia!” – gridò la demone alla donna.
In quel momento il pavimento si mutò in una superficie di sabbie mobili che stava risucchiando Juanita e la povera Celia.
“Celia, ascoltami bene!”
“Ma cosa ci sta succedendo, ho paura!”
“Questo è solo un sogno, non devi avere paura! Ascolta queste parole… lei ti sta proteggendo, lei ti guarda e tu guardi lei! Ricorda, lei ti guarda e tu guardi lei!”
Celia la guardò in silenzio. Stava piangendo ed era confusa. Il volto di Juanita le sorrise per un’ultima volta, poi la vide affondare nel vuoto. E così anche lei, poco prima di svegliarsi e lanciare un forte urlo che risuonò in tutti i sotterranei delle prigioni.

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Capitolo 4
*** Piano Di Fuga ***


EPISODE IV: Piano di fuga

Era ancora notte e Celia tremava come una foglia. Quel sogno l’aveva terrorizzata e non si era resa conto di cosa fosse realmente successo. L’urlo aveva svegliato anche Theo, che chiedeva senza ricevere risposta cosa l’avesse spaventata così tanto. Celia rimase a fissare il vuoto fino all’alba, senza chiudere più occhio. Il chicchirichì di un gallo la spaventò, riportandola finalmente alla realtà.
“Celia! Vuoi dirmi cos’è successo??” – chiese Theo bussando sulla parete umida che li separava.
“C’era… c’era qualcosa di brutto…” – balbettò la ragazza.
“Che cosa? Che cosa hai visto nel tuo sogno, Celia?”
“Il male. Ho visto il male” – rispose con sicurezza, con la mente pienamente lucida.
Theo ascoltò il resto della storia. Celia gli raccontò del misterioso scrigno che stava per aprire, di quel demone donna mostruoso che aveva le sembianze di Juanita. Gli raccontò poi di come la vera Juanita sia venuta in suo soccorso e di come il sogno sia finito terribilmente.
“Quindi per adesso siamo rinchiusi qui?” – disse singhiozzando il bambino.
Celia rimase in silenzio per qualche secondo, poi le ultime parole di Juanita cominciarono a girarle in testa. “Lei ti guarda e tu guardi lei”, pensò e ripensò a quale potesse essere il significato di quel messaggio.
“No Theo. Usciremo presto da qui, te lo garantisco. L’aiuto che ho ricevuto, credo, è per quello che dovremo affrontare dopo.”
“Ho paura, Celia. Comincio ad avere tanta paura…”
Celia riuscì a far passare la mano all’interno del buco della parete. Il bambino avvicinò la sua manina e se le strinsero in segno di amicizia. Una nuova grande amicizia.
 
Nel frattempo in un luogo tetro e oscuro qualcosa di viscido e viola si stava trascinando. Quella visione disgustosa si tramutò nell’essere spaventoso del sogno di Celia.
“Sei arrivata, Kavira. Dammi un buon motivo per non incenerirti” – disse il demone Balzeff, che la stava aspettando.
“Sono stata smascherata, mio signore. La ragazza è sveglia. Molto sveglia.”
“Sarebbe questa la tua giustificazione? Forse non è la ragazza sveglia, ma tu stupida.” – la rimproverò.
“E’ arrivata la donna morta in suo soccorso. E’ entrata nel mondo dei sogni, ha raggirato il sistema.” – rispose la demone Kavira.
“Vorresti dirmi che lo spirito di una vecchia morta ha rovinato i tuoi piani?”
“Vorrei dire che quella donna non era una semplice inserviente. Spostarsi nel mondo dei sogni non è da tutti.”
“Beh, sappi che la tua missione è ancora la stessa. Sai cosa fare, e se fossi in te questa volta non fallirei.”
“Non fallirò. Mio signore”.
 
Nei sotterranei delle prigioni intanto risuonava continuamente il rumore di un sassolino lanciato e rilanciato contro il muro. Era Celia. Aveva la schiena appoggiata alle parete e lo sguardo assente. Il barlume di speranza rimasto in lei stava per svanire. Che cosa poteva fare? Non aveva più alcun aiuto, e la priorità era uscire da quella dannata cella. Per quanto si sforzasse, però, la sua mente non riusciva a trovare nessuna soluzione al problema.
In quel momento due guardie stavano attraversando il lungo corridoio. L’eco delle parole che pronunciavano permetteva a Celia di ascoltare tutto il loro discorso.
“E’ domani.”
“Ma non era dopodomani?”
“Ti sto dicendo che è domani. E siamo anche di turno sull’entrata principale. Quante bottiglie ti sei già fatto fuori, Zach? Cerca di svegliarti”
“Perché, c’è un periodo della giornata in cui non siamo di turno?”
“Parla piano. E non lamentarti! Hanno invitato tutto il villaggio per la cerimonia di compleanno di domani di Charlotte. Ci sarà un’importante annuncio.”
Celia pensò fra sé e sé che se doveva andarsene da quella prigione, doveva farlo durante quell’evento. Gli occhi sarebbero stati tutti sulla cerimonia, poteva farcela. Il problema, ahimè, rimaneva lo stesso. Come?
In quel momento notò il tenero Piffy che sonnecchiava appoggiando la testolina su un sassolino. Sorrise, poi le venne un’idea. Non era una grande idea, ma era senz’altro la migliore che le fosse venuta quel giorno.
 
Calò la sera e Celia aveva dato inizio al suo piano. Aveva intenzione di recuperare il mazzo di chiavi della guardia, per poi liberare lei e Theo e andare a indagare sull’indizio datole da Juanita. C’erano tante cose da sistemare, Celia non aveva infatti dimenticato la promessa fatta a Theo: l’avrebbe aiutato a ritrovare la sua mamma. Tutto questo grazie al coraggioso Piffy che, da bravo destriero, avrebbe corso per i sotterranei, addentato il mazzo di chiavi penzolante dal cinturone dalla guardia di servizio ronfante e sarebbe corso a porgergliele. Purtroppo, però, le cose non andarono come previsto.
La tenera creatura, entusiasta di poter aiutare la sua migliore amica, non si fece pregare e cominciò a correre su per il corridoio. Come prevedibile, la guardia era seduta sul tavolo completamente addormentato e ignaro di ciò che stesse per succedere. Piffy si fece coraggio e con una zampata fece scivolare le chiavi per terra. Il rumore non fu fatale: la guardia russò, appoggiando la testa su un braccio. Il coniglietto mise il mazzo di chiavi sul collo e riprese la corsa per tornare dall’amata padrona.
 
Celia aspettava nervosa. Era preoccupata, aveva comunque messo in pericolo un suo amico, e in quei minuti si chiedeva continuamente se quella fosse stata la mossa giusta. I pensieri si fermarono all’improvviso non appena vide le chiavi balzare davanti alla sua cella.
“Ce l’hai fatta, sei fantastico!” – Celia, sorridente, prese subito le chiavi e si alzò in piedi. Poi vide che Piffy non arrivava. Cercò di affacciarsi dalle sbarre e vide tutto ciò che non voleva che succedesse. Piffy era stato colpito da una freccia. La ferita sembrava superficiale, ma l’animaletto era svenuto. Celia in quel momento si sentì morire dentro e si pentì amaramente di aver fatto quella scelta. Sentì una sentinella avvicinarsi.
“Sveglia, idiota! C’è una bestia che gironzola!”
La guardia che dormiva si svegliò di soprassalto: “Ehi, cosa, che succede?”
“Ma è un coniglio… che ci fa qui questo povero coniglietto? Dovrebbe essere… in cucina!” – l’uomo raccolse la creatura incosciente dal pavimento.
“No, ti prego! E’ mio amico, lascialo andare! Lascia che lo curi, ti prego!” – urlò Celia a gran voce, allungando il braccio dalle sbarre più che poteva.
La guardia sembrò ignorarla. Celia si ritrovò nel panico. Aveva le chiavi, poteva aprire quella dannata cella e salvare il suo amico. Ma non poteva, le guardie erano due ed erano forti, lei era una ed era a corto di forze. Urlò ancora, cercando di catturare la sua attenzione.
“Ti prego, torna qui! Dove lo stai portando?”
La guardia si girò: “Non preoccuparti, lo portiamo al calduccio, nella fornace!”
Anche Theo, che stava ascoltando impaurito, cominciò a gridare.
“Celia, dobbiamo fare qualcosa!”
Celia chiuse gli occhi e cercò di ritrovare la calma e la concentrazione.
“Ok Theo, io ho le chiavi. Aspetto che esca, poi ce lo andiamo a riprendere.”
Aprì la sua cella poi, controllando che l’altra guardia si fosse riaddormentata, aprì quella di Theo. Finalmente si videro negli occhi, per la prima volta. Non furono sorpresi, tuttavia. Oramai era come se si conoscessero da anni. Si abbracciarono, poi Celia lo guardò negli occhi: “Fidati di me, Theo. Ce la faremo. Vieni, da questa parte. So dove andare”.

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Capitolo 5
*** In cerca di risposte ***


EPISODE V – In cerca di risposte

Misero della paglia e dei sassi sotto il lenzuolo per simulare che stessero dormendo, poi uscirono di soppiatto dal corridoio delle prigioni. Prima o poi le guardie avrebbero scoperto che erano fuggiti, ma almeno per quella notte sarebbero stati tranquilli.
“Dove andiamo, Celia? Potrebbero esserci uomini cattivi ovunque!” – si preoccupò Theo, tenendo per mano l’amica.
“Conosco un passaggio segreto che percorre quasi tutto il castello! Nessuno ci vedrà, saremo come dei fantasmi!”
Theo sorrise e i due ripresero a correre. I due si ritrovarono davanti a una buia e stretta scalinata che portava al piano terra del castello. Dovevano per forza salire se volevano raggiungere quel passaggio segreto, e il dubbio di Celia a quel punto riguardava come distrarre le sentinelle che avrebbero incontrato una volta saliti. Non se ne preoccupò troppo. Avrebbe agito d’istinto, ogni secondo era prezioso e poteva essere fatale per il piccolo Piffy.
Percorsi quei tetri scalini, il nuovo ostacolo era il grosso portone di legno che collegava i sotterranei delle prigioni al castello. Celia prese il grosso mazzo di chiavi e cominciò a cercare quella giusta.
“Celia, ti prego sbrigati! Sento dei passi!” – sussurrò Theo. Due guardie infatti stavano facendo un giro di controllo proprio in quel momento.
“Ci sono quasi!” – in realtà mancavano ancora numerose chiavi da provare, ma la ragazza cercò di non farsi prendere dal panico.
“Stanno arrivando!”
TLAC! La porta era finalmente aperta, Theo così si fece in avanti per proseguire ma Celia lo bloccò. “Che succede?” – le chiese. “Ci serve un modo per distrarre chiunque troveremo al di là.” Theo prese un sassolino che trovò proprio sotto la sua scarpa e la passò all’amica. “Sarà perfetto!” – in quello stesso istante Celia aprì la porta e lanciò quella pietra il più lontano possibile. Proprio al lato del portone vi erano due sentinelle appostate. Non appena sentirono il rumore, corsero subito per andare a controllare. A quel punto Celia prese il braccio di Theo e corsero il più velocemente possibile senza emettere nemmeno un respiro. Si nascosero dietro a una parete, assicurandosi che nessuno li avesse visti o sentiti.
“E’ stato pazzesco! E adesso dove andiamo?” – chiese sorridendo di euforia Theo, che stava quasi cominciando a divertirsi.
“Ssshh! Possono sentirci! Ascolta… adesso correremo verso quella pianta all’angolo del salone. Lì dietro c’è una piccola porticina, è quello il nostro passaggio segreto!”
“Perfetto, andiamo!” – Theo cominciò a correre verso la pianta, senza nemmeno  assicurarsi di non essere visto.
“Fai piano!” – Celia gli corse dietro. La ragazza, per quanto corresse velocemente senza emettere rumore, sembrava fluttuasse sul pavimento.
 
“Sparita!” – La demone Kavira si era nel frattempo materializzata nella prigione di Celia. Non ci mise tanto a scoprire che sotto quel lenzuolo polveroso vi erano solo terra e rocce. Tra le mani stringeva quel misterioso scrigno. Qualunque cosa fosse, aveva una grande importante per lei e Balzeff. Cercò di fiutare qualche indizio su dove potesse essersi cacciata, riuscì quindi a intercettare il suo odore ancora fresco e iniziò a seguirlo.
 
Theo e Celia erano nascosti. Dentro quel piccolo tunnel segreto nessuno poteva vederli, potevano girare liberamente in quasi tutte le ali di castello senza rischiare di essere scoperti.
“Mi raccomando, fai piano!”
“Dove andiamo, Celia?”
“Ci dirigiamo verso le cucine, Piffy sarà lì!”
La galleria diventava ad ogni metro più piccola e stretta e Celia era cresciuta troppo dall’ultima volta che aveva attraversato quel condotto.
“Non ci passo, qui si fa più stretto! Le cucine sono in fondo al condotto!”
“Non preoccuparti, io ci passo benissimo! Posso salvarlo!”
“Pensi di farcela?”
“Te lo prometto, ci riuscirò!”
Celia sorrise all’amico: “Grazie! Finirai direttamente nel magazzino dei viveri, da piccola mi ci nascondevo per mangiare le ciambelle!”
“Tutto chiaro, tu che farai?”
“Devo controllare una cosa… ti spiegherò tutto dopo! Ti raggiungerò io, tu non farti scoprire!”.
Celia e Theo si erano appena trovati e dovevano già separarsi. Theo avrebbe cercato di salvare Piffy, Celia sarebbe andata in cerca di risposte. La ragazza fece dietrofront, facendo un ultimo cenno di saluto all’amico.
 
Celia conosceva quei condotti come il palmo della sua mano. Era ancora notte, ma quella notte le avrebbe dato delle importanti risposte sul suo passato e sul suo futuro, cercò dunque di distogliere per un attimo i pensieri dal povero Piffy che ormai era certa fosse in buone mani, concentrandosi totalmente sulla sua ricerca. Sulle pareti polverose c’erano ancora i suoi disegni realizzati col gesso che le permettevano di orientarsi. Una lacrima malinconica scese dal viso della ragazza. Era stata Juanita a confidarle di questi passaggi segreti. Era stata lei anche a darle quel gessetto, consigliandole di mettere delle indicazioni per non rischiare di perdesi in quel labirinto. Immersa nei pensieri, non si era neanche resa conto che era già arrivata a destinazione. Aprì una piccola porticina e, uscendo da essa, si ritrovò sepolta da decine e decine di eleganti abiti da cerimonia. Diede un ulteriore spintone e uscì da un maestoso armadio. Celia sapeva bene dove si trovava. Quella era la camera della sua mamma; amava entrarci spesso per sentirne il profumo dai suoi abiti, ammirare le sue grandi doti artistiche nei suoi disegni. Alcune notti dormiva anche nel suo letto, certa che nessuno sarebbe mai potuto entrare. Il re l’aveva vietato.
Passò ancora qualche minuto senza agire, poi prese da un tavolino al centro della stanza una grossa candela e l’accese. Le parole di Juanita dovevano per forza c’entrare con sua madre, la risposta era in quella stanza, Celia ne era sicura. Fece un giro completo della camera, poi alzò gli occhi e d’un tratto tutto ebbe senso…..

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Capitolo 6
*** In trappola ***


EPISODE VI – In trappola

Theo nel frattempo era arrivato nel magazzino delle cucine. Vide un sacco pieno di pane e altre leccornie. Ebbe per qualche istante l’acquolina in bocca, poi la sua mente tornò alla missione di salvataggio. Aprì un grosso portone che dava alla cucine reali.
“Hey, Piffy! Riesci a sentirmi?” – chiese. Per fortuna la stanza era deserta, cominciò quindi a darsi da fare, cercando in ogni angolo una traccia dell’animaletto. Doveva trovarlo, l’aveva promesso alla sua amica.
Aveva cercato in ogni sacco, in ogni cesto. Piffy non era lì! E se invece se ne fossero sbarazzato in un altro modo? Magari era già troppo tardi… Proprio in quel momento la porta si aprì; Theo, senza ragionare e preso dal panico, si nascose dietro la fornace.
“Lo metto qui?” – chiese una guardia stringendo in mano un piccolo sacco.
“Lascialo dove ti pare, torniamo ai nostri compiti” – rispose un’altra, che aspettava fuori.
La guardia fece come gli venne detto, e andò via. La stanza era di nuovo vuota, Theo corse quindi subito a vedere se dentro quel sacco ci fosse proprio il povero Piffy. Prima che riuscisse ad aprirlo, sbucò da fuori il musetto della creatura.
“Sei tu, ce l’hai fatta!” – esclamò il ragazzino. “Oh, sei ferito! Aspetta, cerco qualcosa per aiutarti!” – girandosi, però, Theo inciampò, scontrandosi contro decine di mestoli d’argento appesi proprio dietro di lui. Il boato risuonò in tutte le cucine e a Theo si gelò il sangue. Pochi istanti dopo sentì il rumore di passi pesanti che si avvicinavano, seguiti dal “Click” della porta che si apriva davanti ai suoi occhi spaventati.
 
Celia nel frattempo fissava ciò che credeva fosse la soluzione all’enigmatica frase rivelatole da Juanita. Al centro della stanza, sopra il caminetto, vi era un grande e bellissimo quadro che raffigurava la sua bellissima mamma. Aveva guardato e ammirato quel dipinto moltissime volte. Cora aveva un sguardo sereno, e Celia da piccola aveva sempre avuto l’impressione che da lì la mamma la guardasse e vegliasse su di lei. Pensò subito che la risposta che cercava potesse trovarsi dietro al quadro. Avvicinò una sedia e cercò di sollevare il dipinto, ma dietro di esso vi era solo la parete. Non c’era altro, Celia non riusciva a capire. Guardò l’affresco da ogni prospettiva, toccò addirittura la parete sperando in un qualche passaggio segreto.
Poi le venne un’idea. E se i suoi occhi non guardassero un punto qualunque? Andò alla parte opposta della stanza, cercò il punto che la donna sembrava fissare da quel vecchio quadro. Vi era un piccolo scaffale con dei libri. Erano i suoi preferiti, e li voleva tenere vicini a sé. Celia cercò un indizio, tastò ogni libro e toccò ogni angolo del mobile. Ma purtroppo era ancora lontana da ciò che doveva sapere.
“Che cosa sto cercando?” – si chiese, sospirando lentamente. I suoi occhi si posarono poi sull’unico libro che ancora non aveva esaminato. Era esattamente al centro di quello scaffale.
“Ti ho trovato!” – Celia prese il libro ma nulla si mosse e niente successe. Pochi istanti dopo dal libro cadde qualcosa. Celia si spaventò, poi si chinò e vide una misteriosa piccola chiave. Un mistero si era risolto ma un altro se ne era creato.
Si guardò intorno, ammirando anche il quadro posto sopra lo scaffale. Raffigurava un paesaggio notturno e stellato. Avvicinò la sedia e si arrampicò al di sopra dello scaffale, avvicinandosi al dipinto. Le rimaneva un’unica possibilità per risolvere quel mistero.
 
Il piccolo Theo era spaventato a morte. Non aveva avuto neanche il tempo di nascondersi. Aveva preso il piccolo Piffy e si era inginocchiato dietro ad un bancone. La porta intanto era aperta ma Theo non riusciva a sentire nulla. Cautamente, quindi, cercò di capire se fosse effettivamente entrato qualcuno ma la stanza era ancora vuota. Si alzo e tirò un sospiro di sollievo, ignaro del fatto che qualcuno o qualcosa in realtà fosse entrato.
 
“Ci siamo!” – esclamò Celia. La ragazza aveva sollevato il quadro, notando una porticina che era riuscita ad aprire con la chiave trovata nascosta in quel libro. Non perse altro tempo ed entrò. Celia si ritrovò in un lungo e piccolo cunicolo che la stava portando chissà dove. Il cunicolo diveniva a ogni metro sempre più largo e sempre più alto e, in breve tempo, poteva camminare normalmente. 
Alla fine della galleria Celia poteva intravedere uno spiffero di luce provenire da dietro una porta. La risposta a tutto ciò che cercava non poteva che essere lì.
D’un tratto però la pareti cominciarono inspiegabilmente a restringersi, era stata azionata un trappola! Celia cominciò a correre così velocemente che il cuore sembrava le stesse per uscire dal petto, eppure più correva e più la porta alla fine del cunicolo sembrava allontanarsi. Allo stesso modo le pareti si restringevano sempre di più e Celia stava per rimanere schiacciata da quei muri. La ragazza non demorse e allungò la mano, in quel momento capì che stava vivendo un’allucinazione: si fermo, sospirò e chiuse gli occhi. Pochi istanti dopo li riaprì e Celia era esattamente davanti alla porta che nascondeva quella misteriosa luce, e le pareti erano dove dovevano essere. Ella stava per aprire il portone quando una voce familiare la chiamò da dietro le spalle.
“Io non lo farei se fossi in te” – Era Kavira, che teneva per il collo il povero e spaventato Theo, che nel frattempo stringeva a sé Piffy.
“Sei tu, quella del mio sogno! Che cosa vuoi da me? Chi sei?” – Celia era spaventata per i suoi amici, non avrebbe certo rischiato la loro vita per scoprire le verità che cercava.

“Tu non dovresti essere qui, e se adesso vuoi salvare i tuoi amici dovrai venire con me” – la minacciò Kavira.

(...)

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Capitolo 7
*** Lo scrigno misterioso ***


EPISODE VII – Lo scrigno misterioso

ANNI E ANNI OR SONO NEL REGNO LONTANO E SCONOSCIUTO DI THELMSTONE…
“Mani di burro! Continua, dove sarebbe la forza nelle tue braccia??” – gridò Kavira. La donna prima di tramutarsi in un’oscura forza maligna era il capitano che guidava le truppe del suo esercito in battaglia. Era una leader ed una combattente, ammirata dal popolo e da tutto il reame. Ma qualcosa da lì a poco sarebbe cambiato…
Il sole splendeva su quel villaggio costruito su una grande montagna e, come ogni mattina per diverse ore, Kavira stava addestrando i suoi soldati.
“Potete avere i muscoli di ferro e la mente di un dio, non sarà questo a fare di voi dei grandi combattenti. Ma come effettivamente agirete di fronte al nemico e all’ostacolo da superare.” – Kavira strinse arco e frecce per dare ai suoi soldati una dimostrazione, poi continuò – “Per questo dovete sferrare ogni colpo come se fosse l’ultimo, come se fosse quello decisivo!” – esclamò, puntando una freccia e c’entrando perfettamente il bersaglio.
“Non fermatevi, la guerra non è lontana e non è ammessa la sconfitta. Né ora né mai.” – concluse la donna lasciando le truppe in esercizio.
 
Kavira si trovava adesso a casa. Nonostante fosse un personaggio importante nel suo regno e rivestisse un ruolo prestigioso, viveva da sola in un posto piccolo e umile. Ella si era lasciata alle spalle un passato triste, con l’uccisione in battaglia di suo marito, l’unico uomo che abbia mai amato. Da quel momento decise che avrebbe combattuto fino alle fine per onorarlo.
“Hai superato le mie aspettative, non c’è che dire” – una voce strana richiamò l’attenzione di Kavira.
“Chi ha parlato? Chi è entrato in casa mia?” – chiese la donna, prendendo cautamente un pugnale a portata di mano.
“Puoi  stare tranquilla, sono solo un amico. O almeno lo diventerò…” – A parlare era Balzeff, il demone maligno.
Kavira vide l’essere che l’aspettava nella sua cucina. Nel vederlo non riuscì a trattenere un senso di disagio e timore. “Che cosa sei? Fuori di qui!”
”Io mi metterei comodo, se fossi in te, e ascolterei quello che ho da dire… ah, e poserei quel pugnale, consapevole del fatto che non può procurarmi un singolo graffio, neanche del solletico.” – disse in maniera lenta e tranquilla Balzeff.
Kavira non volle attaccare, posò il pugnale e si sedette.
“Molto bene, vedo che ci capiamo! E’ un primo passo.”
“Sto ascoltando, dimmi chi sei e perché ti trovi sotto il mio tetto”
“Sono qui perché è da diverso tempo che ti osservo e sento che tu sei proprio quello che sto cercando. Tu, donna, hai il fuoco nell’anima. Non ti fermi davanti a niente, ma proprio per questo sei apatica e quindi facile da abbindolare…”
”Analisi sbagliata, mostro, io non sono così facile da ingannare. Non saresti dovuto venire qui.”
“E invece sono qui, e non me ne andrò per adesso. Perché se c’è una cosa che posso garantirti è che entro il calar di sole di questa giornata tu non ti ricorderai mai di questo incontro e sarai sottomessa a me, per l’eternità.” – la minacciò il demone.
Kavira non riuscì a trattenere una lieve risata. “E come credi di fare? Perché sai, non manca così tanto al tramonto e io modestamente non credo avrò problemi dal difendermi da te.”
“Beh, oggi ti è andata bene perché non devi sfidarmi. Dovrai però difenderti da qualcos’altro…” – Balzeff in quell’esatto momento fece comparire lo scrigno misterioso, e con lui la grossa chiave necessaria per aprirlo.
La donna fissò l’oggetto per qualche istante. “Ti aspetti che lo apra?”
“Non me lo aspetto, per me l’hai praticamente già fatto.”
“Perché non lo apri tu?”
“Perché funzioni devi aprirlo proprio tu. Impugnerai questa chiave e lo aprirai.” – le spiegò Balzeff.
Kavira fissò la creatura, poi si girò di scatto per riprendere quel pugnale ma nello stesso istante in cui si rigirò per lanciarlo tutto cambiò: Kavira si ritrovò da sola in una buia foresta che non aveva mai visto prima. Era tutto molto surreale, e nonostante il suo carattere forte e determinato, non poteva nascondere la paura che stava provando in quel momento.
Kavira non capiva dove si trovasse, quella foresta sembrava mutasse continuamente; pensò di essersi addormentata e di stare solamente facendo un brutto sogno, poi però sentì una voce familiare lì vicino.
“Kavira, sono qui! Ti prego aiutami!”
“Nio? Nio, Sei tu??” – A Kavira sembrava la voce del defunto marito, risentirla dopo tanto tempo la fece agitare ancora di più.
“Sono qui, ho bisogno di te!” – la chiamava.
La donna cominciò a correre, si girò e rigirò, poi lo vide: Nio era davvero lì, rinchiuso in una cella.
“Nio, cosa ci fai qui? Cos’è questo posto?” – gli chiese. La donna non era più consapevole di cosa fosse realtà e di cosa non lo fosse.
“Io non lo so, amore mio! Ma devi liberarmi, sta per succedere qualcosa di brutto!”
Kavira cercò con la forza della sue braccia di rompere quelle grate che la separavano dal suo amato, ma senza risultati.
“Dietro di te, Kavira! E’ quel mostro che mi tiene prigioniero!” – gridò all’improvviso Nio. La donna si girò e vide qualcosa di disumano che in quel momento si stava avvicinando verso di lei. Quel mostro era grosso almeno il doppio di lei e stringeva un bastone pieno di chiodi appuntiti. Kavira raccolse un robusto pezzo di legno a portata di mano e si preparò a combattere. Mentre esaminava il suo avversario vide una chiave che penzolava dal cinturone di quella cosa: voleva liberare il suo amato e riabbracciarlo.
Kavira sferrò il primo attacco e cercò di colpire il mostro alle gambe, che però rispose con una manata che fece volare qualche metro più in là la donna. Kavira prese la rincorsa e gli saltò addosso, cercando di ferirlo sulla faccia. A quel punto lui la tirò per i capelli e poi per il collo, tentando di strangolarla. La donna non demorse, e si ricordò di avere ancora addosso il pugnale di prima. Cercò di afferrarlo e lo lanciò dritto sulla testa di quella spaventosa creatura, che cadde a terra morta.
“Ce l’hai fatta, Kavira!” – esclamò l’uomo.
Kavira gli sorrise, poi prese la chiave di quel guardiano e corse subito alla cella, infilò la chiave nella serratura e aprì.
In quell’esatto istante tuttavia la foresta scomparve, Nio si tramutò nell’oscura figura di Balzeff e la cella nello scrigno misterioso di prima. Kavira era stata ingannata e il demone aveva vinto, proprio come era aveva predetto poco prima.
“No! Maledetto, che cosa hai fatto!” – urlò la donna. Lo scrigno era ormai aperto e un nube nera e densa stava fuoriuscendo da esso.
Kavira cercò di girarsi e scappare ma si sentiva come paralizzata. La nube la stava a poco a poco ricoprendo e in quel momento la donna si sentì sconfitta e ingannata. La nube tornò poi dentro lo scrigno, che Balzeff riprese e fece scomparire. Davanti al demone adesso ve ne era un altro: Kavira non era più la stessa, quella donna era morta.
“Chi sei tu?” – le chiese Balzeff.
“Io sono tua.” – rispose
Proprio in quel momento il sole tramontò e la missione di Balzeff era conclusa.
 
NEL PRESENTE, INTANTO, A RALLAHES…
“Lascia stare i miei amici!” – esclamò Celia.
“Non sarà fatto loro alcun male, te lo prometto. Noi vogliamo te.” – le rispose Kavira.
“Noi? Di chi stiamo parlando?” – il mistero si infittiva, Celia sembrava non capirci più nulla. Il mondo in cui aveva vissuto fino ad ora era diventato tutto d’un tratto un’assurdità.
“Lascia che te lo mostri.” – Kavira fece comparire lo scrigno misterioso, inconsapevole che lo stesso scrigno anni e anni prima aveva distrutto la sua stessa vita, rendendola schiava dell’oscurità e del male.
“Che cos’è?” – chiese la ragazza impaurita.
“Quello che salverà i tuoi amici, dovrai aprirlo con questa chiave.”
“Non aprirlo, Celia!” – urlò Theo. Kavira colpì il ragazzino, facendolo cadere a terra.
“No! Non fargli del male! Dammi quella chiave!”
Celia impugnò la chiave e le si gelò il sangue, cosa poteva fare? All’improvviso Theo colpì la demone in testa con una pietra che, gridando, fece scivolare a terra l’oggetto.
“Via!” – Celia approfittò della situazione per aprire la stanza delle risposte alle sue spalle; con una mano stringeva ancora la chiave e con l’altra raccolse Piffy, tramortito sul pavimento. I tre entrarono nella stanza lucente e la richiusero con forza. Non appena si girarono videro qualcosa di totalmente inaspettato…

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Capitolo 8
*** La profezia ***


EPISODE VIII – La profezia

Maledetta, torna qui!” – urlò Kavira, sbattendo le braccia sulla porta che le si era appena chiusa in faccia – “AH!” – urlò subito dopo. Quella stanza era piena di luce, luce del bene, l’esatto opposto di ciò che rappresentava lei o il suo maestro. Qualsiasi cosa ci fosse lì dentro poteva ferirli, se non annientarli.
“Hai fallito.” – apparve Balzeff poco distante da Kavira.
“Maestro, quella bastarda ha preso la chiave! Mi hanno sopraffatta! Non riesco ad entrare lì, c’è qualcosa che mi blocca!” – cercò di giustificarsi.
“Lascia che ti spieghi” – Balzeff tirò fuori una spada incantata e l’avvicinò alla porta. La spada sembrò assorbire un po’ della luce di quella stanza.
“Ecco.” – Balzeff piantò la spada nel petto della demone-allieva.
“NO!” – urlò la donna, il cui corpo cominciò a sgretolarsi dissolvendosi nell’aria a poco a poco.
“La luce annulla l’oscurità, ed io ora annullo te per i tuoi fallimenti.”
La luce entrata nel corpo della donna, tuttavia, risvegliò l’animo umano presente in lei anni e anni addietro. 
“Non vincerai mai!” – la donna spostò la lama colpendo il mostro sulla faccia, procurandogli una ferita mai più rimarginabile. Balzeff, rimanendo impassibile, la colpì nuovamente e a quel punto Kavira si dissolse totalmente.
“Mi deludono sempre” – disse fra sé e sé Balzeff, scomparendo da lì.
 
Nel frattempo Charlotte era nella sua stanza. Dal suo incontro con Balzeff molte cose erano cambiate e la ragazza si stava ormai abituando al suo animo oscuro.
“E’ arrivato il momento di agire.” – dietro di lei apparve Balzeff.
Charlotte si spaventò: “Si, ma potresti bussare la prossima volta?” – gli chiese.
“Rammenta ciò che ti ho detto: lo scettro deve essere alimentato. Se non vuoi tornare ad essere debole e inutile devi agire, e questo è il momento.” – le spiegò.
“Cosa c’è da fare, maestro?”
“Giustiziare i guardiani delle segrete potrebbe essere un buon inizio. Tua sorella è fuggita. Proprio così, Celia è evasa, e con lei un altro prigioniero.”
“Com’è successo??” – urlò Charlotte, prendendo un vaso di porcellana, per poi lanciarlo contro il muro, frantumandolo in mille pezzi.
“E’ ancora nel castello, ti condurrò da lei. Dovrai finire tu il lavoro.” – Balzeff fece riapparire lo scrigno misterioso.
“Che cos’è?” – chiese Charlotte.
“Questo scrigno contiene il male primordiale. Distrugge il bene nell’anima più pura e la condanna per l’eternità.”
“Cosa succederebbe se lo usassi su di me?”
“Saresti mia schiava, per sempre succube all’oscurità. Ma la tua anima non è mai stata pura, un tale potere oscuro non sarebbe alla tua portata. Io utilizzo lo scrigno sulle anime più pure per condannarle all’oscurità, ed è ciò che farò con Celia.”
”Perché devo farlo io, allora?”
“Un’antica profezia dice che Celia è la reincarnazione della luce suprema. Il suo è il cuore più puro e buono di tutti i tempi. Nessuno può distruggermi, nessuno tranne lei. Può farlo semplicemente guardandomi negli occhi.”
“Non credevo avessi un punto debole.”
“Con la distruzione di questa luce non ne avrò più.”
 
Ci siamo. Celia e i suoi amici erano entrati nella stanza lucente. Piffy si riparò fra le braccia di Theo, che a sua volta tentò di coprirsi gli occhi. Celia, invece, non ne ebbe bisogno, anzi, cercò di avvicinarsi al centro della stanza. Esattamente lì vi era una bellissima spada di un argento brillante, sospesa a mezz’aria. La ragazza impugnò la spada e in quell’istante ebbe una visione che le avrebbe cambiato la vita. Le apparve Cora, sua madre. Celia non poteva credere ai suoi occhi.
“Ciao, mia amata figlia. Se adesso sei qui è perché il male è entrato nella tua vita. Ti senti impaurita, fragile, impotente. E quello che ti sto per dire non sarà semplice da accettare. Questa è la spada lucente del bene, forgiata da delle fate buone moltissimi anni fa. Questa spada viaggia fra i mondi alla ricerca del cuore più puro, l’anima più buona, destinata a sconfiggere il male e l’oscurità per proteggere gli innocenti. Le fate vennero da me quando ancora tu non eri stata procreata e mi affidarono la spada. Sei tu la prescelta, Celia, questa spada appartiene a te. Proteggila e lei proteggerà te! Avrei tante cose da dirti, un giorno ci riuniremo. Te lo prometto, figlia mia.” – L’immagine della donna sparì nell’aria e  Celia rimase ferma e in silenzio per diversi secondi. 
“Che cosa hai visto Celia? Cos’è successo?” – le chiese Theo.
“Era mia madre. Io sono la prescelta…” – rispose spaesata Celia.
“Prescelta? Di cosa stai parlando?” – le chiese ancora il ragazzino.
“Non lo so… ma io non voglio esserlo, non voglio questa responsabilità. Non sono in grado di proteggere me stessa, figuriamoci gli altri!”
“Stai calma adesso! Spiegami bene cos’hai v…” – Theo venne bloccato da un forte rumore, qualcosa stava per buttare giù la porta.
Oh no!” – gridò Celia, presto qua dietro! Celia fece nascondere i suoi amici dietro ad una colonna, mentre lei si appostò al centro della stanza pronta ad affrontare quel pericolo.
La porta venne definitivamente scacciata via, lasciando intravedere la minacciosa figura di Charlotte.
“Cosa si festeggia qui? Non sono stata invitata e oggi è la mia di festa. Sono alquanto offesa.” – disse.
“Fuori di qui, sorella. Questo non è il tuo posto.”
“Questo è il mio castello, ogni posto è il mio. Comunque… ho una cosa per te.” – Charlotte fece vedere lo scrigno.
“Ma che cosa c’è in quello scrigno? Perché vogliono tutti che lo apra?”
“Scoprilo.” – le rispose prontamente Charlotte.
Celia con l’altra mano teneva ancora la chiave, la guardò e si avvicinò alla sorella.
“E va bene allora.”
Theo si alzò di scatto: “No, non arrenderti così!”.
“Ma chi abbiamo qui?” – Charlotte con lo scettro oscuro lo immobilizzò – “Forza, fallo.”
Celia guardò preoccupata l’amico, infilando senza pensarci la chiave nella serratura e girandola. Lo scrigno era aperto. Celia era paralizzata e la nube stava fuoriuscendo dal suo contenitore, sotto gli occhi di Charlotte che guardava estasiata ciò che stava accadendo.

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Capitolo 9
*** Occhio non vede, Cuore che duole ***


EPISODE IX – Occhio non vede, cuore che duole

QUINDICI ANNI PRIMA, NEL CASTELLO DEL REGNO…
“Attenta, Charlotte! I fiori non sono dei giocattoli, vivono proprio come noi” – Cora e la figlia Charlotte stavano passeggiando tra i giardini del castello.
“Se ascolti attentamente li puoi addirittura sentire respirare!” – disse la donna, sentendo il profumo di una rosa. La piccola Charlotte sorrise, e prese per mano la madre. Le due continuarono a camminare, fino a quando un’alta e particolare figura femminile si appostò davanti a loro.
“Mi scusi, chi è lei? Non è autorizzata a stare qui.” – le disse Cora.
La donna, dal fisico scheletrico, gli occhi verdi e il viso allungato, sorrise alla bambina, poi guardò la donna.
“Piccola, torna a casa a giocare. Io torno subito.” – chiese la madre alla bambina.
“Scusatemi, non volevo disturbarvi, ma devo raccontarle una storia. Il mio nome è Falya.” – si presentò.
“Cora.” – rispose, dandole la mano – “Sto ascoltando”.
Falya così con l’indice toccò la fronte della donna: “Sarà più facile mostrarglielo”.
Gli occhi di Cora si chiusero e una visione nella sua mente ebbe inizio. Una visione che mostrava una spada magica e il suo potere, e poi la nascita di una bambina e del suo compito. Non appena Cora aprì gli occhi Falya teneva la spada lucente del bene, e gliela porse.
“E’ la spada della visione… quella bambina sarà mia?” – chiese Cora a quella figura.
Falya annuì. “Ma non sarà una semplice bambina. Le profezie vedono la reincarnazione della luce suprema in lei, ciò fa di lei la prescelta e la legittima nuova proprietaria di questa spada, la spada lucente del bene”.
Cora si sentì disorientata, dopo qualche istante prese in mano la spada.
“Chi sei tu veramente?” – chiese a Falya.
“Noi? Siamo fate.” – Falya si girò e cinque fiori posti dietro di lei si tramutarono in altre cinque bellissime fate, eleganti e alte come lei.
“E adesso seguimi, c’è del lavoro da fare.” – concluse Falya.
 
PRESENTE – Rallahes
La nuvola oscura aveva cominciato a ricoprire il corpo di Celia, che però impugnava ancora la spada lucente del bene. Il suo potere riuscì a respingere la nube, scacciandola e rimettendola dove si trovava prima. Lo scrigno cadde così a terra, sotto lo sguardo furioso della sorella.
Maledetta!” – Charlotte cercò di colpirla con il suo scettro, ma Celia bloccò l’attacco con la sua nuova arma magica, replicando “Ti prego, adesso basta!”.
“Sono io a dire basta.” – Charlotte usò il suo scettro e indirizzò un flusso di magia oscura verso gli occhi della sorella, che cercò di proteggersi con la spada, arrivando però troppo tardi.
“I miei occhi, no!” – Celia fece cadere a terra la spada, e si coprì gli occhi con le mani – “Mi bruciano, perché mi hai fatto questo!”.
Charlotte sorrise con aria di trionfo. Celia si mise a terra piangente, con una mano si toccava ancora gli occhi e non capiva cosa stesse succedendo.
“Come potrai difenderti adesso?” – Charlotte si accostò accanto a lei. Poi cercò di prendere la spada, ma il suo potere benigno la respinse.
“Vattene! Sei maligna!” – esclamò la ragazza.
“Quello che volevo, tanto, l’ho ottenuto” – commentò, poi riprese lo scrigno e andò via.
Theo, finalmente libero, corse dalla sua amica.
“Celia, Celia! Che cosa ti ha fatto?”
“Io-io non lo so!” – Celia levò la mano dalla vista e cercò di guardare Theo. I suoi occhi erano completamente bianchi.
“Theo? Theo, dove sei? Non riesco a vederti, è tutto buio!”
“Sono qui, davanti a te! Qui!”
“Non ti vedo. Io sono cieca.” – realizzò Celia.
 
Charlotte, dopo aver mandato delle guardie a cattura i fuggitivi, tornò nella sua stanza, in attesa di vedere Balzeff.
“Non hai fatto ciò che ti ho chiesto” - le disse, apparendole all’improvviso alle sue spalle.
Charlotte si girò.
“No. Ho fatto di meglio. Le ho preso la vista, maestro. Potrai ucciderla!” – replicò.
“Tu non capisci. La luce è destinata a vincere, la profezia non lascia scampo. L’unico modo è tramutarla in oscurità, ingannare le leggi del destino e della magia.”
“Abbiamo comunque un punto a nostro favore. E stavolta non è stata lei a salvarsi ma la sua spada. E’ quella che deve essere tolta di mezzo, ho provato a prenderla, ma…” – Charlotte venne bloccata.
“Non puoi. Ma ho già in mente qualcosa per questo…” – disse Balzeff.
 
“Da questa parte!” – l’eco di una delle guardie risuonò nel corridoio segreto che portava alla stanza lucente. 
Celia era oramai rassegnata  a ciò che le era capitato e non provò nemmeno ad alzarsi.
“Celia, stanno arrivando! Stanno tornando a prenderci!” – esclamò il piccolo Theo.
“Theo, devi scappare!  Prendi Piffy e fuggite, nascondetevi! Io non posso più aiutarvi. Non posso più aiutare nessuno.”
“Celia, tu devi alzarti. Ti aiuterò io, ma non possiamo farci trovare qua! Ci uccideranno!” – cercò di convincerla.
Celia non ci vedeva più ma a sentire quelle parole capì che non poteva arrendersi proprio ora. Non quando i suoi amici erano più in pericolo che mai. Con una mano cercò la spada. Theo capì cosa stava cercando e gliela porse. Così Celia si alzò e disse: “Troviamo un modo per andare via da qui”.
 
I passi pesanti delle guardie si facevano sempre più vicini. Il posto in cui si trovavano sembrava un vicolo cieco ma un’altra via c’era, pensò Celia. C’è sempre.
 
“Toccate ogni angolo, ogni pietra, ogni cosa.” – disse Celia. I tre cominciarono a esaminare la stanza e a toccare ogni singolo dettaglio. Quella stanza era circolare e l’unico arredo era la spada, non c’era altro, o almeno all’apparenza.
 
Theo aveva cercato dappertutto e le guardie sembravano a pochi passi dall’entrata. “E’ finita”, pensò fra sé e sé. Ma non si arrese e continuò la ricerca.
Celia con le mani cercò sulle pareti, ma invano. Poi pensò all’arma che impugnava e capì che vi era un’unica cosa da fare.
Con una mano seguì le pareti fino ad arrivare all’entrata principale, poi indietreggiò, puntando la spada davanti a sè.
Theo si girò: “Celia, cosa stai facendo?? Stanno arrivando! Dobbiamo scappare!”.
“No, Theo. Non scapperemo. Li affronteremo.” – disse decisa la ragazza.
Theo, prese Piffy e se lo mise sulla spalla, poi raccolse delle pietre. “Facciamolo, allora”.
Le guardie stavano camminando velocemente e oramai si potevano intravedere.
“Quante sono?” – chiese Celia, sempre più timorosa.
“Sono… sono tante!” – rispose Theo, ancora più spaventato.
Salvaci tu” – si disse Celia pensando alla spada incantata, impugnandola ancora più forte. 

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Capitolo 10
*** Il potere della spada ***


EPISODE X – Il potere della spada

QUINDICI ANNI PRIMA, NEL CASTELLO DEL REGNO…
“Re Nelmo! Re Nelmo!” – esclamò una servitrice, correndo per il corridoio alla ricerca del re.
“Sono qui, Maria, dimmi!” – disse.
“Presto, venga! Il momento è arrivato!” – continuò Maria.
 
“Cora, presto, spinga! Ci siamo quasi!” – Alcune servitrici stavano aiutando la donna a partorire. Il dolore per ella era indicibile, e le forze stavano per abbandonarla per sempre.
“Non ci abbandoni adesso!” – Cora prese per mano una di loro: era Juanita.
“Cora, la prego!” – Juanita le disse, stringendole la mano.
“Mia cara, la bambina starà bene. Tu sai ciò che è da fare.” – disse Cora.
“Sì, mi hai spiegato, farò tutto ciò che sarà necessario!” – continuò Juanita.
“C’è una cosa però che non ti ho detto”
“Che cosa?”
“Io non sarò lì con te per lei. Non ci potrò essere.”
“Di cosa sta parlando??”
“Nella visione io non c’ero. Questo vuol dire solo una cosa… non sopravvivrò.”
“Cosa, no, non è possibile! Lei ce la farà!” – disse Juanita, aiutando le altre servitrici con il parto.
 
“Sono arrivato appena ho potuto!” – esclamò Re Nelmo, non appena entrò nella camera da letto accompagnato da Maria.
L’uomo si avvicinò al letto: “Come sta?”. Nessuna rispose, e tutto ciò che si sentì poco dopo fu il pianto di una bambina, una bambina speciale.
Juanita tornò da Cora, stringendole la mano.
“E’ bellissima!” – le disse. Cora strinse la mano della donna un’ultima volta, poi chiuse gli occhi.
“No, no! E’ proprio qui!” – Juanita esclamò piangendo, tenendo in braccio la piccola. Cora non era riuscita nemmeno a guardare la sua bambina negli occhi.
“NO!” – urlò Re Nelmo, che raggiunse l’amata spingendo una servitrice. Si inginocchiò e prese la sua mano, baciandola.
“Come hai potuto, no…” – disse piangendo.
Juanita strinse a sé la neonata piangente, poi notò sul comodino lì accanto un foglio su cui Cora, poco prima di morire, aveva scritto qualcosa.
“Ti voglio bene, Celia.”
Re Nelmo si alzò e guardò la bimba: “Non voglio vederla, portatela via…”.
“Ma signore, “ – cercò di insistere Juanita.
“Basta, andate tutte via, TUTTE!” – urlò l’uomo, avvicinandosi ancora una volta alla sua amata. In quel momento entrò Charlotte, la piccola non capiva cosa stesse succedendo.
“Mamma, cosa sta succedendo?” – chiese, innocente.
“Piccola cara, vieni qua…” – la chiamò Nelmo, abbracciandola e stringendola.
“La mamma non è più con noi. Lei… non stava bene. Vivrà nel ricordo di tutti noi, te lo prometto!” – le disse, asciugandosi le lacrime.
Le servitrici e Juanita intanto lasciarono la stanza.
“Non preoccuparti Celia, non sarai sola. Non lo sarai mai.” – disse alla piccola, dandole un bacio sulla fronte.
 
NEL PRESENTE, A RALLAHES…
“Eccole che arrivano!” – gridò Theo pronto a lanciare le pietre che aveva raccolto, mentre Piffy si proteggeva dietro a una sua gamba.
“Dovete soltanto provarci!” – esclamò Celia.
Le guardie entrarono nella stanza: “Eccoli! (…) Posate a terra le armi!” – disse una.
ANDATE VIA!” – urlò Celia, muovendo energicamente la spada all’aria.
Le guardie si fermarono per qualche secondo, poi alcune si misero a ridere.
“Forza, prendetel…” – una guardia venne bloccata non appena dalla spada lucente venne rilasciata una fortissima ondata di luce che li fece volare via di qualche metro.
Theo rimase a bocca aperta.
“Cosa-cosa è successo, Theo?” – chiese spaventata Celia. Il ragazzino le si avvicinò poggiandole una mano sulla spalla, esclamando “Ce l’hai fatta!”.
“Davvero??” – chiese sorpresa.
“Davvero, ora però dobbiamo andare!” – Theo raccolse Piffy, poi prese per mano Celia e corsero via.
 
I tre stavano correndo per il lungo corridoio segreto, quando all’improvviso davanti a loro i mattoni di pietra che ricoprivano la pavimentazione e le pareti si staccarono, riunendosi e formando degli spaventosi mostri di pietra.
“Cosa sta succedendo?” – chiese spaventata Celia.
“Non ne sono sicuro…” – rispose ancora più terrorizzato Theo, che provò a lanciare degli altri sassi a quelle strane creature appena formatosi, che però non davano alcun segno di cedimento.
“Theo, dimmi qualcosa!”.
“Torniamo indietro, sono dei mostri di pietra!” – rispose il ragazzino, prendendo per mano Celia, che però rimase ferma, affermando: “Possiamo farcela”.
Ripropose i movimenti della spada, la portò in alto e la mosse ancora più forte.
“…Allora?” – chiese all’amico.
“Corri!” – Theo rispose, riprendendo per mano l’amica (che stavolta non oppose resistenza) e tornando indietro da dove erano venuti.
“Non ha funzionato??”.
“Direi di no!”.
Mentre correvano davanti a loro ritrovarono le guardie stordite poco prima pronte ad attaccarli. Sembravano in trappola.
“Perché ci fermiamo??” – chiese Celia.
“Siamo bloccati!”.
Una guardia impugnò una spada e la lanciò contro uno dei mostri di pietra, distruggendolo.
“Co-cosa sta succedendo, Theo?”.
“Noi vogliamo aiutarvi” – rispose Nell, il capo del gruppo.
“Ma volevate ucciderci!” – commentò Theo.
“Non più, qualcosa è cambiato, quello che facevamo era crudele. Voi siete innocenti!” – proseguì l’uomo.
Celia e Theo sembravano non capirci più nulla.
“E adesso fatevi da parte, vi liberiamo il passaggio!” – Il gruppo di guardie si scontrò contro quelle creature, che in pochi istanti si trovarono frantumante per terra.
“Celia, cosa può volere significare tutto questo?” – chiese Theo.
“Questa spada…” – pensò ad alta voce Celia.
“Questa spada cosa?”
“E’ la spada! Non è un’arma, non lo è mai stata. Questa spada è una cura.” – continuò.
“Una cura per cosa?”
Una cura per il male.

(continua...)

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Capitolo 11
*** Ciò che siamo ***


EPISODE XI – Ciò che siamo

“Vorrei capire, Celia, ma proprio non riesco!” – disse Theo, grattandosi la testa.
“Non ne sono sicura… ma credo che questa spada distrugga l’oscurità nelle persone! In qualche modo la annulla!” – gli spiegò Celia.
Theo guardò la spada: “Wow… forte!” – esclamò sorpreso.
“Comunque, non possiamo restare qui, Cel! Quelle creature si stanno rigenerando!” – continuò Theo, mentre guardava le guardie che avevano ripreso a combattere contro i mostri di pietra.
“Dove altro possiamo andare?” – commentò Celia, ascoltando i rumori di lotta tra le guardie e quei mostri.
“Non so, forse…” Theo venne bloccato non appena vide qualcosa spuntare dal pavimento – “Cel, Cel, guarda qua!!”
Theo si girò: “Ops, si scusami, mi ero dimenticato!” – disse, riferendosi alla cecità dell’amica.
“Dalla terra… sta crescendo qualcosa, sembra una pianta!” - Da una fessura stava infatti crescendo un fiore.
“Non è certo la cosa più strana che abbia visto oggi” – aggiunse Theo, sorridendo.
Il fiore sbocciò, ma non si smise di crescere e in pochi istanti si trasformò in una figura femminile.
“Ciao, tesori. Mi chiamo Falya!” – Era lei, la fata.
“Ok, questo però è strano…” -  si corresse.
“Falya? Chi sei, da dove spunti?” – chiese Celia, sorpresa da questa nuova strana presenza.
“Non c’è molto tempo, devo portarvi via da qui!” – disse la donna.
“E loro? Stanno combattendo per noi!” – esclamò la ragazza.
“Non preoccuparti, avranno una mano!” – rispose Falya, e in quell’istante nacquero numerosi altri fiori che si tramutarono in altre bellissime fate.
“Presto, datemi la vostra mano!” – Falya strinse la mano a Celia e a Theo (che nel frattempo accudiva il piccolo Piffy, che si era addormentato).
I quattro scomparvero magicamente, mentre le altre fate affiancarono Nell e il resto delle guardie buone per contrastare quelle forze maligne.
 
“SPARITI.” – urlò Balzeff, facendo volare una sedia contro il muro, frantumandola.
“Spariti? Come sarebbe a dire?” – chiese Charlotte.
“Qualcosa è intervenuto… qualcuno… non li sento più, non sono più in questo dannato castello.” – disse il demone.
“Chi può essere stato?”
“Avrei una mia idea, ma non c’è più tempo per parlare. Bisogna contrattaccare. E se la memoria non mi inganna, oggi, c’è un compleanno da festeggiare… Sarà una grande festa, immagino…” – commentò Balzeff, guardando Charlotte.
“La più grande che si sia mai vista qui dentro…” – rispose la ragazza.
“Beh, allora faremo in modo che gli abitanti del villaggio la ricordino per sempre!” – esclamò Balzeff, sorridendo diabolicamente.
 
“Dove ci troviamo?” – chiese Celia, muovendo il viso cercando di scrutare rumori o odori che potessero aiutarla ad orientarsi.
“Cel, se lo sapessi io ti risponderei…” – disse Theo, ammirando il posto in cui si erano magicamente trasferiti. Si trovavano sopra un bellissimo prato fiorito che sembrava non avere fine. Dal nulla cominciarono a crescere dal terreno dei rami, fino a formare una bellissima casa, davanti agli occhi increduli di Theo.
“Non abbiate paura” – li rassicurò Falya – “Qua siete al sicuro”.
“Come hai fatto? E’ magia??” – chiese ancora incredulo il ragazzino.
“E’ molto di più” – rispose la fata, poggiando la sua mano sul petto del bambino – “Magia è un termine riduttivo, non devi credere in lei per farlo, devi credere in te stesso”.
“Vuoi dire che posso farlo anch.” – Theo venne bloccato da Celia.
“Allontanati da lui.” – Celia puntò la spada contro la donna.
“Cel, che cosa fai??” – chiese Theo, abbassandogliela subito.
“Non sappiamo chi sia, Theo, non ci possiamo fidare. E io non posso nemmeno guardarla negli occhi!” – rispose sospettosa la ragazza.
“Celia, lo so che non è facile, ma devi fidarti. So quant’è difficile questo momento, ma se c’è una cosa che posso prometterti è che presto i tuoi occhi saranno guariti e tu potrai ricominciare una nuova vita.” – cercò di convincerla Falya.
Celia rimase in silenzio.
“Cel, dai, ci ha salvati!” – continuò Theo, toccandole la spalla.
“Questo è da vedere.” – commentò lei.
“Celia, non c’è molto tempo, ma se c’è qualcosa che posso fare per convincerti che sono, che noi, siamo dalla vostra parte, dimmi pure.” – disse Falya.
“Beh, sì, qualcosa c’è. Raccontami tutto. Io sono confusa, non ci capisco più niente. Ho bisogno di sapere chi sei tu, chi era mia madre e soprattutto chi sono io. Perché ormai non lo so più…” – disse, mentre le scendevano silenziose delle lacrime dagli occhi.
 
Il sole era intanto tornato a splendere su Rallahes, e all’alba le campane erano risuonate in tutto il villaggio per ricordare agli abitanti che quello non sarebbe stato un giorno qualunque. 
“Oggi è il tuo giorno, mio tesoro” – disse Re Nelmo, entrando nella camera di Charlotte.
“Padre! Entra pure, aspettavo proprio te.” – rispose, sorridendo.
“Buon compleanno, figlia mia” – le disse, baciandole la fronte e porgendole un dono da scartare.
“Padre… grazie, mi rendi già felicissima!” – disse, accettandolo e ricambiando il bacio.
Charlotte snodò il pacchetto e aprì la scatola. I suoi occhi si illuminarono quando vide ciò che le era stato regalato.
“Era di tua madre, e diverrà tuo quando sarai Regina. E sarai una splendida Regina”.
Charlotte prese la bellissima corona reale che le era stata regalata e la provò, specchiandosi e sorridendo poi al padre.
“Ti ringrazio. Oggi, come avete detto, è il mio grande giorno. Ma non è solo il giorno del mio compleanno, sarà anche il giorno della mia incoronazione. Non può certo funzionare un regno senza una re o una regina a guidarlo…” – disse Charlotte, alzandosi e dando le spalle al padre.
“Ma cara…”.
“Ssshh, non avete sentito la Regina?” – una voce spaventosa arrivò da dietro di lui. Nelmo si girò e rimase pietrificato dalla paura alla vista di Balzeff.
“Che cosa sta succedendo qua, Charlotte?” – chiese immobilizzato, non riuscendo a distogliere lo sguardo da quel demone.
“Nulla di vostro interesse padre, e adesso, se volete scusarmi, ho tante cose da fare” – gli rispose girandosi e uscendo dalla stanza, dalla quale pochi istanti dopo fuoriuscì un urlo che ripiombò in tutto il palazzo.

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Capitolo 12
*** Il tempo dei giochi è concluso ***


EPISODE XII – IL TEMPO DEI GIOCHI E’ CONCLUSO

 
Falya parlò a Celia. Le disse ciò che voleva sapere, dalla profezia, a come arrivò a sua madre e del ruolo ebbe nella sua vita, nonostante non fosse stata presente. Ma adesso toccava rispondere alla domanda che spaventava maggiormente la ragazza.
“E adesso? Non so cosa dovrei fare… io…” – chiese rassegnata Celia.
“Vorrei risponderti, vorrei fare ulteriore chiarezza in te, cara… ma non posso. Perché non lo so neanche io. I libri… le profezie… non fanno conoscere il futuro, ciò che è certo… è che tu puoi cambiarlo. Puoi far sì che un futuro ci sia in questo mondo”.
Celia sorrise: “Un futuro? Io che non ho neanche un presente? Per il mondo neanche esisto io!” – esclamò.
“E allora creati il tuo presente! Buttati, segui il tuo istinto! L’hai sempre fatto, anche se eri rinchiusa fra quattro mura, niente ti ha mai fermata. Mostrati al mondo, fa vedere a tutti che sei lì per loro!” – le disse Falya, accarezzandole il viso.
Celia rimase in silenzio pensierosa per qualche istante, poi si asciugò le lacrime. Era il momento di agire.
 
“Signorina Charlotte, dove volete che metta i dol.” – una servitrice si era avvicinata a Charlotte, portando un vassoio di dolcetti.
“Cara, sarebbe stato gentile da parte tua notare la corona che porto in testa.” – Charlotte, presa da uno scatto d’ira uso lo scettro maligno per fare inciampare la povera donna, facendo cadere per terra tutto il cibo.
“Vostra maestà la prossima volta andrà bene” – continuò sorridendo.
“Non disturbatevi a cucinare nient’altro, la festa non si terrà qui. Andrò io stessa al villaggio, farò vedere agli abitanti di questo lurido posto chi è la loro regina e a chi dovranno portare il massimo rispetto”.
 
NEL FRATTEMPO, NEL PORTALE MAGICO DELLE FATE…
“Io credo di essere pronta…” – disse Celia.
“Anch’io!” – aggiunse Theo, alzandosi in piedi e sorridendo.
“No. Non voglio che tu venga! Sto mettendo a rischio la mia vita, non voglio che tu metta a rischio la tua, non c’è né bisogno!” – lo contrastò Celia.
“Non puoi decidere tu per me. Voglio starti accanto e aiutarti!” – cercò di insistere il ragazzino. Falya avvicinò la mano sulla sua testa, e Theo all’improvviso cadde addormentato.
“Cosa gli hai fatto??” – chiese Celia spaventata.
“Non preoccuparti, dorme profondamente. Non possiamo mettere a rischio la sua vita, lui… è importante.” – le rispose, mentre Piffy gli si accucciò vicino.
SCRATCH!
La porta di quella bellissima casa fatata venne spalancata improvvisamente da una fata.
“FALYA! SONO QUI! LUI E’ QUI! Ci ha raggiunti al castello, ha ferito molte di noi e molte delle guardie! Ha usato una di noi per arrivare qui!” – disse terrorizzata. Non aveva neanche terminato la frase che un all’improvviso un ramo appuntito le aveva trafitto la schiena
“NO!” – urlò Falya.
“Devi andare!” – Falya mise la mano sopra la testa di Celia.
“CHE SUCCEDE??” – chiese spaventata.
“Tieni la spada, presto!” – le disse porgendogliela – “Ricorda, proteggi lei e lei proteggerà te!”.
“Ho paura!” – disse.
“Anche io, ma ce la faremo! Te lo prometto.” – Falya la fece scomparire, poi si girò.
 
“Ce la farete, eh? Falya… il tempo dei giochi è concluso, insetto” – Balzeff era alla porta.
“Ah sì? Sei arrivato tardi, sai?” – replicò Falya, capendo subito che non poteva essere nessun’altro se non lui.
“L’hai lasciata da sola, non durerà un granchè… non se fronteggerà la mia ultima risorsa…” – continuò lui, avvicinandosi lentamente.
“Sono sangue dello stesso sangue, pensi che sarà così difficile riportarla sulla giusta strada? Dimentichi il potere della spada!” – continuò lei, allontanandosi gradualmente.
“E tu dimentichi il mio potere, e quello dello scettro”.
“E tu, caro, non impari mai dai tuoi errori. Non si entra a casa mia senza permesso!” – esclamò Falya, alzando le braccia verso il cielo. In quel momento centinaia di rami si alzarono dal suolo e bloccarono Balzeff.
“Dici?” – una voce arrivò da dietro di lei. Un altro Balzeff la fece volare di diversi metri, mentre la proiezione ricoperta dai rami scomparve nel nulla.
Balzeff si avvicinò a Theo e a Piffy.
“Ma guarda un po’…”.
“ALLONTANATI!” – Falya urlò, alzandosi di scatto.
“Non preoccuparti, non li ucciderò. Ti darò il tempo di salvarli… e così facendo non ti intrometterai in affari che non ti riguardano”. – Balzeff rinchiuse i due amici in una clessidra impregnata di magia nera, per poi volatilizzarsi nel nulla.
“MALEDETTO!” – Falya corse verso la clessidra, la toccò ma venne respinta più in là. Nel frattempo la clessidra si stava riempiendo a poco a poco di un liquido nero, mettendo in pericolo la vita di Theo e del piccolo Piffy.
“FATE! Presto, venite qui!” – chiese aiuto la fata.
 
INTANTO CELIA, A RALLAHES…
Si era materializzata in dei boschi, nel villaggio del regno. La sua attuale cecità non le permetteva di orientarsi, e per di più non aveva mai oltrepassato le mura del castello. Aveva il cuore in gola, ed era terrorizzata per ciò che stava per succedere nel regno delle fate, preoccupata soprattutto per i suoi amici. Che cosa fare? Nascondersi? Chiedere aiuto? Di chi poteva fidarsi?
Passò qualche istante, poi una voce femminile più che familiare la chiamò.
“Celia! Celia! Mi senti?”.
“Chi-chi è?” – chiese.
“Sono qui.” – una mano la prese per le spalle.
“Io non ti vedo, sono… sono cieca.” – le spiegò Celia.
“Lo so, sta tranquilla. Mi ricordo bene come mi sono sentita…” – replicò la misteriosa ragazza.
“Cosa vorresti dire?” – le domandò.
“Io sono te. Sono Celia e vengo dal domani per avvisarti”.
“Che cosa… chi sei, vattene!” – Celia non credette alla ragazza, e cercò di fuggire.
“Ti prego, aspetta! Voglio aiutarti! Tu devi ascoltarmi, c’è una cosa che devi sapere!” – cercò di insistere la Celia adulta. Era una graziosa donna, e i suoi capelli erano rossi e folti.
“Che cosa? CHE COSA VUOI?”.
“C’è una cosa che devo cambiare dal mio passato. E per farlo SEI TU che devi cambiarla! Qualunque cosa succeda, NON DOVRAI PER NESSUNA RAGIONE (…).

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Capitolo 13
*** Cambia il tuo domani ***


EPISODE XIII – Cambia il tuo domani (ultimo capitolo, SECONDA STAGIONE COMING SOON)

 
“…qualunque cosa succeda, non dovrai per nessuna ragione salvarla.” – affermò la donna.
“Salvare chi? Di chi stai parlando??” – chiese Celia, sempre più confusa.
“Sai bene di chi sto parlando… tua sorella! Se pensi di poterla salvare ti sbagli… adesso puoi solo fidarti di me, io vengo da un futuro pericoloso che TU puoi cambiare! Sono qui per questo, ti prego!”.
“Come faccio a crederti? Avrei bisogno di una prova… di qualcosa, qualunque cosa!”.
“Prestami la spada. Se fossi qui con intenzioni negative mi respingerebbe, no? Hai già provato il suo potere”.
Celia era indecisa se darle o no quella spada, d’altronde quella era il suo unico mezzo di difesa! Decise comunque di passargliela.
“Ecco, vedi?” – la spada non smise brillare, anzi, emanò delle forti scintille non appena la Celia del domani la impugnò con entrambe le sue mani.
Celia riprese la sua spada, poi le chiese: “Se non devo salvarla, cosa dovrei fare?”.
“Dimentichi che hai un regno intero da salvare! Mi rimane poco tempo, presto, ti guiderò finché sarò qui!”.
 
Una carrozza seguita da decine di cavalieri a cavallo stava intanto scortando Charlotte al villaggio. Era giunto il momento per lei di proclamarsi la nuova regina. Gli abitanti di Rallahes non potevano certo immaginare l’imminente era di oscurità che li stava aspettando.
Trombe e campane continuavano a risuonare nel regno, per avvisarli dell’arrivo delle truppe reali.
 
“Le campane… siamo vicini?” – chiese Celia.
“Siamo arrivati!” – la Celia del domani rispose, poi notò che la sua immagine stava iniziando a dissolversi nell’aria.
Celia captò qualcosa: “Che sta succedendo?”.
“Devo dirti addio. Devo andare, devo tornare al mio tempo, sperando che qualcosa sia cambiato”.
“Che cosa c’è di tanto terribile nel tuo tempo?”.
“Sono arrivata fin qui per non fartelo scoprire. Da qui in poi ce la farai, sta tranquilla. E ricorda il mio avvertimento!”.
Le due ragazze si abbracciarono – “Addio”. – disse la donna, per poi dissolversi totalmente nel nulla.
 
NEL REGNO FATATO, INTANTO…
“Mettetecela tutta!” – gridò Falya che, insieme ad altre fate, stavano cercando di distruggere la clessidra maligna che stava intrappolando Theo e Piffy.
Nel frattempo il coniglietto si era svegliato, in quel momento una nube di magia di luce lo ricoprì.
“Pyfe!” – esclamò Falya, poi sorrise.
“Mamma!” – Il dolce coniglietto di poco prima era diventato un grazioso bambino .
“Pyfe, tesoro! Sono qui!” – Falya toccò la clessidra, e dall’interno Pyfe fece lo stesso. In quel momento la clessidra si disintegrò in polvere, e Pyfe e Theo erano finalmente liberi.
“Tesoro!” – Falya abbracciò il bambino. Nel frattempo Theo si era svegliato, ignaro dei rischi che aveva appena corso.
“Che cosa è successo? Dov’è Celia? Dov’è Piffy?” – Theo si strofinò gli occhi, poi si guardò intorno.
“Celia è dovuta andare, Theo. Piffy è proprio qui…” – Falya indicò il suo bambino, abbracciandolo poi ancora una volta.
“Cosa-co, com’è possibile?” – chiese stupito come non mai.
“Si chiama Pyfe, è mio figlio. Non mi era permesso tenerlo, così l’ho affidato a Celia… diciamo sotto un’altra forma. Ogni notte andavo da lui per ricordargli che io c’ero sempre, anche se non mi vedeva!” –
Pyfe pochi attimi dopo corse ad abbracciare Theo.
“Mi hai sempre protetto… grazie!”.
Theo ricambiò l’abbraccio e sorrise. Poi si ricordò di Celia: “Ma Celia! E’ da sola, dobbiamo aiutarla!”.
“Andiamo. Questo portale magico non è più sicuro per noi.” – disse Falya, radunò così le altre fate e lasciarono quel magico posto.
 
“Rallahesiani, vi presentiamo la vostra nuova regina: Charlotte, figlia di Re Nelmo, deceduto per un male al cuore questa mattina al palazzo reale.” – affermò un valletto di corte di fronte alla folla che aveva ormai totalmente popolato la piazza principale di Rallahes.
Celia sentì il vociare del popolo, aguzzò l’udito e cercò di seguirlo. A un certo punto capì di essere uscita dai boschi e di stare camminando per i viali più esterni del villaggio. Rallahes era stata costruita su una collina e la maggior parte delle case era fatta di pietre e massi.
“Miei cittadini adorati. Onorerò il vostro re, diventando la regina migliore che possiate mai desiderare. Per questo, ho un primo bellissimo regalo per voi…” – Charlotte si fece passare da un valletto lo scrigno del male datole da Balzeff.
“Amici miei, io vi conosco bene. Non pensate che noi che viviamo nell’oro e nella ricchezza siamo migliori! Nessuno l’ha mai detto perché non è vero! Io oggi ho perso il mio amato padre. Lo amavo più di me stessa… e prima di lui ho perso mia madre quand’ero ancora una bambina” – parlava Charlotte al popolo, cercando di conquistare la loro benevolenza.
“Nulla può salvarci dalla malattia o dalla povertà. Nulla… tranne questo…” – Charlotte mise in mostra lo scrigno – “Qui, miei carissimi. Qui c’è la soluzione a tutti i vostri problemi! La fame, la salute, la povertà… sono tutte cose che non conteranno niente se vi affiderete a me e a quello che ho da offrirvi. E’ molto più facile mostrarvelo, ma per farlo ho bisogno di un volontario. Un rappresentante del popolo!” – spiegò Charlotte.
“Non vogliamo più soffrire!” – “Mi offro io!” – “Non ho più neanche un soldo!” – si poteva sentire dall’immenso vociare del popolo.
“Eccomi! Eccomi, mi offro io!” – un uomo vestito di stracci cercò di attirare l’attenzione della Regina.
“Portatelo davanti a me!” – Due guardie obbedirono a Charlotte e si fecero spazio tra la folla, portando il volontario davanti alla donna.
“Fra ben poco ogni sofferenza sarà svanita. Tutto cambierà!” – affermò Charlotte porgendo la diabolica chiave all’uomo.
“Apri lo scrigno” – continuò, sorridendo all’uomo.

Celia si era intanto immischiata alla folla e stava cercando di farsi strada e raggiungere il centro di quell’immensa piazza. Cercava di orientarsi capendo verso dove stavano guardando tutti. Ad un certo punto si sentì bloccata da tutte quelle persone presente, impossibilitata a proseguire.
“Vi prego, fatemi passare!” – ma veniva spintonata malamente.
A quel punto la ragazza perse la pazienza e puntò in alto al cielo la spada lucente del bene, urlando come mai aveva fatto prima: “BASTA!!”. Dalla spada fuoriuscì un potentissimo fascio di luce magica. In quel momento tutte le persone, spaventate, si inginocchiarono per terra e il rappresentate del popolo, che stava per aprire lo scrigno, si girò e fece cadere per sbaglio la chiave.
“Idiota!” – sussurrò Charlotte, per poi guardare Celia – “Guarda chi si fa vedere! Se sei qui per farmi gli auguri di compleanno sei in ritardo”.
Celia captò la direzione della voce della sorella e continuò lentamente ad avanzare: “Non sono qui per quello, Charlotte.”.
“E per cosa? Per essere giustiziata, allora? Cittadini cari, la qui presente è un’assassina, una fuggitiva… una delinquente che ha messo in pericolo il regno, il vostro regno!” – continuò Charlotte rivolgendosi ai cittadini di Rallahes.
“Non riuscirai a mettermeli contro!”.
“Dici? Non ci conterei troppo!” – commentò la Regina, chinandosi e raccogliendo la chiave e porgendola nuovamente all’uomo – “Apri lo scrigno, ORA!”.
“NO! Non dovete fidarvi! Diventerete degli schiavi!” – gridò Celia.
“Ma sono stati fino ad ora schiavi! Succubi alla povertà e alla malattia! E tutto ciò sparirà, con questo SPARIRA’ PER SEMPRE! APRI!”.
“Ora basta!” – Celia, agendo d’istinto, lanciò in direzione di Charlotte la spada lucente del bene. Charlotte cercò di difendersi con il suo scettro del male.
La spada colpì lo scettro, generando un fascio di luce che investì tutta la piazza. Lo scettro cadde a terra, rotto in tanti pezzetti, rilasciando l’oscurità in essa raccolta.
Charlotte si buttò a terra, non capendo cosa fosse successo. Il fascio di luce aveva colpito anche lei.
Celia si fece strada e raggiunse la sorella. “Che cosa… che cosa sono diventata?” – si chiese Charlotte, piangendo. Celia cercò la spada da terra e la impugnò nuovamente, pensando a quale potesse essere la mossa successiva.
“Lui tornerà… tornerà per me, io ho fallito! Devo rimediare!” – pensò Charlotte ad alta voce riferendosi a Balzeff, poi prese lo scrigno e con lui la chiave e corse via.
“No! Charlotte, aspetta!” – disse Celia. Cercò di seguirla e uscì dalla piazza ma inciampò su una roccia e cadde per terra, perdendo l’orientamento e successivamente i sensi.
 
Intanto Charlotte aveva rubato un cavallo da una stalla ed era uscita dal villaggio, dirigendosi verso Ainek, le imponenti montagne rocciose che si affacciavano alla Grande Acqua, ossia il mare. D’improvviso una nube coprì il sole e lampi e fulmini piombarono su tutto il territorio.
“Sta arrivando! Non fermarti, forza!” – gridò Charlotte, spronando il cavallo a cavalcare più velocemente.
 
“Celia! Celia, riesci a sentirmi?” – la chiamò Theo, cercando di farla rinvenire. La ragazza aprì gli occhi e accennò un sorriso quando sentì la voce dell’amico.
“Ti ho vista! Sei stata… wow!” – le disse Theo, aiutandola a rialzarsi.
“Theo… tu cosa ci fai qua? Dove sei?” – gli chiese Celia, cercandolo con le braccia. La ragazza poi aprì gli occhi e riuscì a intravedere il suo viso.
“Theo, Theo! Ti vedo!” – disse, sorridendo felice.
“Celia!” – esclamò Theo, abbracciandola calorosamente.
“Siamo tutti qua, e dobbiamo raggiungere tua sorella” – disse Falya, poi parlò a Theo e a Pyfe  – “Voi restate qua! A me e a Celia resta un’ultima cosa da fare…”.
 
Charlotte stava cavalcando più veloce che poteva, stringendo al petto lo scrigno e la sua chiave. Il vento le arrivava in faccia, e i fulmini stavano diventando sempre più forti. Il terreno improvvisamente cominciò a destabilizzarsi e delle crepe stavano affacciando in superficie. Del liquido nero cominciò a fuoriuscire da esse.
Charlotte si guardò alle spalle e capì che era stata quasi raggiunta: “Devi essere più veloce!”. Charlotte e il cavallo raggiunsero finalmente Ainek, la ragazza scese giù e mandò via il cavallo: “Vai, corri via da qui!”. Si affacciò poi dal dirupo: la Grande Acqua era in tempesta e il vento era più forte che mai.
“Che delusione… volevi essere temuta da tutti, guardati adesso… debole, sola e impotente!” – Balzeff l’aveva raggiunta e stava lentamente avanzando verso di lei – “La morte è anche troppo poco per te, ma sarà sufficiente!”.
“Sta lontano, non muoverti!” – Charlotte teneva in mano lo scrigno e la chiave – “Finiranno dove non potrai mai più raggiungerli!” – lo minacciò, intenta a buttarli in mezzo a quella tempesta.
“Restituisci ciò che non è tuo.” – disse Balzeff, sbattendo un piede sul terreno generando una crepa che circondò Charlotte – “O ci finirai tu là!”.
 
Falya stava intanto volando alla velocità della luce, tenendo stretta a sé Celia.
“Eccoli! Vedo mia sorella!” – esclamò Celia, vedendo in lontananza Charlotte, in punta a quel dirupo. In quel momento dal cielo oscuro spuntarono degli enormi uccellacci neri dalle grosse unghie e il becco appuntito. 
“Falya, attenta!” – La fata cercò di evitare quelle creature alate, che però cominciarono ad attaccare le sua ali.
“Atterraggio di emergenza, Celia!” – gridò Falya perdendo quota. In breve tempo la fata si scaraventò sul terreno, ma riuscì a salvare Celia con la sua magia bianca, facendola restare sospesa da terra per pochi centimetri.
Falya faceva fatica a rialzarsi, poi vide dall’altro le creature alate riavvicinarsi verso di loro: “Celia, corri! Prosegui!”.
“Posso aiutarti, no, aspetta!” – gridò Celia.
“No! Vai, vai! Non aspettarmi, corri!” – contrastò Falya, alzandosi a fatica e preparandosi ad affrontare quei mostri.
“VAI!”.
Celia cominciò così a correre in direzione di Charlotte e Balzeff, stringendo più forte che mai la sua spada.
 
Nel frattempo la parte di dirupo su cui era poggiata Charlotte stava per cedere.
“Restituiscilo, ORA!” – urlò Balzeff, pronto a uccidere la ragazza.
Charlotte, terrorizzata e confusa, lanciò di getto lo scrigno al demone e poi gli mostrò la chiave necessaria per aprirlo: “Questa te le vai a prendere da solo, MOSTRO!” – gridò, lanciandola più lontano che poteva nella Grande Acqua, in fermento come non mai.
Balzeff, colmo d’odio e ira, lanciò un urlo disumano che stava facendo crollare totalmente quel dirupo. Charlotte cadde giù da esso, riuscendo però ad aggrapparsi a una roccia.
 
Celia era a pochi metri da Balzeff, così gli lanciò addosso la spada lucente del bene. Questa lo colpì, ferendolo gravemente e facendolo girare di scatto.
Celia era lì, poco distante, di fronte a lui. I due si guardarono negli occhi.
“Ops.” – sussurrò Celia, fissandolo. Non aveva ancora mai visto quel mostro e si sentì paralizzata dalla paura.
Balzeff le corso contro furioso, consapevole tuttavia di ciò che era appena successo. Celia aveva recuperato il suo sguardo, ed esso sarebbe bastato per distruggerlo, proprio come diceva quella profezia. Il suo corpo cominciò infatti a sciogliersi nel liquido nero maligno che lo costituiva.
Celia, terrorizzata, si poteva proteggere con le sole braccia. Vide il mostro che le correva contro urlando, così chiuse gli occhi pregando che quel terribile momento finisse in fretta.
Pochi istanti dopo li riaprì e non c’era più nessuno, soltanto ciò che rimaneva del mostro che lei stessa aveva appena sconfitto per sempre.
Celia si guardò intorno spaventata, poi la sua mente tornò alla realtà non appena sentì la voce di Charlotte che chiamava aiuto.
“Celia! Sono qui!” – Celia si avvicinò al dirupo e vide Charlotte sospesa che rischiava di cadere e morire.
“Eccomi!” – gridò Celia. Stava per porgerle la mano e aiutarla a salvarsi quando in mente le ritornò l’importante avvertimento arrivatole dal futuro: non salvarla. Qualunque cosa succedesse non doveva salvarla.
Charlotte non era più maligna e meritava di essere salvata, oppure nel futuro sarebbe tornata su quella strada? Sennò perché la Celia del domani sarebbe tornata indietro per cambiare il domani?
“Celia, ti prego! Sto per cadere!” – gridava Charlotte cercando la mano della sorella.
Celia continuò a pensare a cosa fare, poi guardò gli occhi della sorella in pericolo e non ce la fece a ignorarla. Prese la sua mano e la tirò su usando tutta la forza che le rimaneva in corpo. Nonostante la morte di Balzeff, la tempesta non si era fermata e quel dirupo rischiava di crollare da un momento all’altro.
“Presto, andiamo via di qui!” – urlò Celia, tirando su Charlotte. Celia raccolse la sua spada, successivamente le due cominciarono a correre. Il terreno dietro di lui si stava sgretolando e il mare stava inghiottendo tutto ciò che incontrava. Lo scrigno non venne risparmiato e finì anche lui nella Grande Acqua.
Celia e Charlotte continuarono a correre, finché Celia non vide Falya ferita a terra.
“Falya! Presto, dobbiamo fuggire!”.
Falya aprì debolmente gli occhi: “Non posso… proseguire…”.
“No! Per favore, ce la puoi fare!” – cercò di insistere Celia, inginocchiandosi vicino a lei, piangendo.
“Andate… Celia, vivi!” – concluse Falya, terminando il suo viaggio della vita per sempre. La fata si dissolse nell’aria.
Celia si asciugò le lacrime poi riprese a correre con la sorella.
 
La tempesta poco dopo era conclusa, così come il vento ed i fulmini. A poco a poco il sole stava tornando a splendere. Celia e Charlotte erano distese e sfinite sull’erba, di fronte all’entrata del villaggio di Rallahes. I cittadini di Rallahes erano ancora sparsi per la piazza, confusi e spaventati. Theo e Pyfe aspettavano ansiosi il ritorno dei loro cari. Dall’entrata principale videro finalmente entrare Celia e Charlotte, che si sostenevano a vicenda. Theo corse verso di loro, mentre Pyfe rimase a fissare l’entrata, in attesa che anche la sua mamma rientrasse. Delle lacrime scesero dai suoi occhi, in qualche modo si rese conto che da quel giorno non l’avrebbe più vista e che non sarebbe più tornata per lui.
“Celia!” – Theo corse ad abbracciare la sua amica, che ricambiò calorosamente il gesto – “Ce l’hai fatta!”.
“Ce l’abbiamo fatta!” – affermò, guardando la sorella ritrovata e sorridendole. Poi abbracciò nuovamente Theo. In quel momento capì che non si sentiva più sola, e scoprì cosa voleva dire famiglia. Il futuro era incerto, ma di una cosa Celia era sicuro: il suo posto nel mondo era proprio quella famiglia che aveva scoperto di avere in quel momento. Potevano trovarsi in qualunque punto dell’universo, non sarebbe importato. Adesso avrebbe aiutato la sua città, cercando di ridarle una nuova luce. Avrebbe aiutato Theo a ritrovare la sua mamma. E poi avrebbe viaggiato, chissà.
Ciò che posso dirvi, per adesso, è che passarono anni felici per Celia e i suoi amici. Dieci, per l’esattezza, quando all’improvviso…

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