Just the way you are

di Signorina Granger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cecil & Isla ***
Capitolo 2: *** Hooland & Rose ***
Capitolo 3: *** Seth & Kate ***
Capitolo 4: *** Joseph ***



Capitolo 1
*** Cecil & Isla ***


Cecil & Isla 
 
Isla Robertson  IMG_4888e Cecil Krueger  IMG_4889

"Wow... è davvero enorme." 
Isla strabuzzò gli occhi mentre si guardava intorno, osservando il grande giardino della tenuta della famiglia del fidanzato, che annuì mentre passeggiavano, tenendosi per mano:

"Non mi lamento. Vieni, ti faccio vedere la parte migliore." 
"Ovvero?" 
"La scuderia!" 
"IO NON CI SALGO SU UN CAVALLO!" 
"Su, ti tengo io passerotto, l'altra volta sei sopravvissuta, mi pare." 

Cecil rivolse un sorrisetto alla ragazza che invece sbuffò, borbottando che lei aveva chiuso con gli equini. Era andata a trovarlo per conoscere la sua famiglia, non certo per andare a fare una cavalcata. 

"Allora, ti piace qui?" 
"A parte i cavalli sì, molto. Dev'essere stato bello per te crescere qui, per me invece forse sarebbe strano, abituata a New York." 
"Io, al contrario, non credo che riuscirei mai a vivere in una città del genere... troppo caotica, troppa gente, troppa confusione. Sono abituato alla campagna." 

Cecil fece spallucce, mettendole un braccio intorno alle spalle per stringerla a sè prima di restare in silenzio per qualche istante, mentre entrambi pensavano a quanto di rado riuscissero a vedersi. 
"Senti, Isla... ti va di restare qui per un periodo? Magari fino alla fine dell'estate. Mi piacerebbe stare di più con te." 

"Lo so... ma perché sei nato inglese?"
"E perché tu sei nata yankee? È un sì, comunque?"
"Penso di sì, Fox."


                                                                  *


Isla Robertson venne svegliata dall’insistente suoneria – che probabilmente mai odiò come in quel momento – del suo cellulare, abbandonato sul comodino accanto al letto. 
Sbuffando debolmente la ragazza aprì gli occhi, allungando mollemente un braccio per prendere il telefono mentre accanto a lei Cecil mugugnava qualcosa, probabilmente svegliato a sua volta dalla suoneria.

“Pronto?”   Isla rispose con voce impastata, trattenendosi dal prendere l’interlocutore ad insulti solo perché si trattava di sua madre. 
“Sì mamma, tutto bene… ti dimentichi sempre del fuso orario.” 

Isla roteò gli occhi, cercando di muoversi ma senza risultati visto che il braccio del ragazzo le cingeva la vita con decisione, impedendole di spostarsi anche solo di un millimetro.

Dopo qualche istante il ragazzo fece, tuttavia, scivolare il braccio dalla vita di Isla, che stava ancora parlottando a bassa voce al telefono. 
Si stava facendo dire dalla madre come stessero il padre e i fratelli quando rivolse un’occhiata torva in direzione di Cecil, che le si era avvicinato per depositarle qualche bacio sul collo.

“Piantala! No mamma, non dicevo a te.”   Di fronte all’occhiata della ragazza però Cecil sfoggiò un sorrisetto divertito, continuando a baciarla mentre con una mano le sfiorava delicatamente la vita e la curva dei fianchi da sopra il lenzuolo, accarezzando il suo profilo.

Isla sbuffò, allontanandolo leggermente e ordinandogli silenziosamente di smetterla, anche se ovviamente lui non la ascoltò, continuando a cercare di non ridere.
“Mamma, ti richiamo più tardi, c’è un’interferenza causata da un emerito cretino.”
L’americana aveva appena messo fine alla telefonata quando si voltò verso il fidanzato, scoccandogli un’occhiata assassina:

“LA VUOI SMETTERE?” 
“Che ho fatto?”   Cecil sollevò leggermente le sopracciglia, fingendosi perplesso mentre lei sbuffava sonoramente:
“Sono al telefono con mia madre e tu non riesci a tenere a posto le mani?” 
“Ops… Scusa passerotto.” 

Cecil sorrise, chinandosi nuovamente su di lei per lasciarle un bacio a stampo sulle labbra e poi sul resto del viso prima di scendere sul collo, sollevandole leggermente la maglietta del pigiama con una mano per accarezzarle il ventre piatto mentre Isla sospirava leggermente:

“Non puoi averla sempre vinta tu facendo così, Fox.” 
“Certo che posso… posso e lo faccio.” 



*



"Posso chiederti perché continui a sorridere? Non vorrei sembrarti paranoica, ma sento che c'è qualcosa di strano. Mi devi forse dire qualcosa?" 

Isla inarcò un sopracciglio, osservando il ragazzo seduto di fronte a lei, oltre al piccolo tavolo ricoperto dalla tovaglia color champagne ricamata dove stavano cenando. 
Cecil sfoggiò un piccolo sorriso, allungando una mano per metterla su quella della ragazza mentre la guardava quasi con una nota divertita negli occhi castani:

"Non proprio... Perché me lo chiedi?" 
"Non lo so, non hai parlato molto stasera, sembra che tu stia pensando ad altro. Va tutto bene?" 
"Sì tesoro, non preoccuparti... magari entro la fine della serata andrà anche meglio." 

Cecil sorrise e Isla non rispose, limitandosi a rivolgergli un'occhiata scettica mentre il cameriere le appoggiava davanti il piatto con il dessert. 
E poco dopo, quando trovò qualcosa di strano dentro il suo tortino al cioccolato, il sorrisetto di Cecil finì con l'allargarsi:

"Che accidenti... c'è qualcosa dentro." 
"Ah si?" 

Isla annuì, aggrottando la fronte con leggera confusione. Quando estrasse dal dolce il piccolo oggetto che si era incastrato nella sua forchetta Cecil si sporse sul tavolo, prendendolo senza nemmeno darle il tempo di aprire bocca: un attimo dopo l'aveva già pulito dal cioccolato con un rapido "gratta e netta" non verbale, e Isla si ritrovò a sgranare gli occhi di fronte all'anello di platino con solitario che il ragazzo teneva tra le dita, sorridendole:

"Sai una cosa? Forse infondo ho davvero qualcosa da dirti... o da chiederti." 


*


Isla teneva gli occhi scuri fissi sullo specchio, osservando il suo riflesso con cipiglio quasi critico. 
Si portò le mani sui fianchi, girandosi leggermente e continuando ad osservare il suo riflesso prima di sobbalzare nel sentire una voce tremendamente familiare:

"Isla, dove sei? Sono tornato prima, ti va di andare a fare un giro?" 
"FERMO, NON ENTRARE!" 

L'americana quasi si lanciò verso la porta, affrettandosi a chiuderla a chiave dall'interno mentre sentiva il fidanzato fermarcisi davanti, parlando con evidente sorpresa:

"Perché?" 
"Perché ho il vestito da sposa addosso, volevo provarlo, e ovviamente non mi puoi vedere! Che cosa vi insegnano ad Hogwarts?" 

La ragazza sbuffò leggermente, affrettandosi a portare le mani sulla lampo per toglierselo e rimetterlo nella custodia, al sicuro dagli occhi curiosi di Cecil. 

"Ah, capisco... come vuoi, allora vado di sotto. Pensi di farcela a cambiarti in tempi umani o uscirai dalla camera domani mattina?" 
"Fox, smettila di stressarmi, è una cosa importante!" 


                                                                   *


Rose Williams, quando vide una delle sue più care amiche dall'altro lato della strada, le rivolse un sorriso e un cenno con la mano, cercando di attirare la sua attenzione. 
Per fortuna Isla la vide e quando ebbe attraversato la strada, camminando come suo solito su un paio di décolletté, questa volta nere e spuntate, la raggiunse e prese posto di fronte a lei, sospirando e appoggiando la borsa sulla sedia vuota più vicina:

"Ciao Rosie, scusa il ritardo... ma non so che mi succede ultimamente, sono sempre stanca e mi sono appisolata! Strano, io non sono mai stata pigra." 
"Sono felice di vederti, quando siete tornati dalla luna di miele io ero già partita per le vacanze con Hool... Tutto bene, comunque?" 

"Sì, tutto bene, sono molto felice." 
Isla sorrise, guardando l'amica da dietro le lenti scure degli occhiali da sole. Rose ricambiò il sorriso, sinceramente felice di sentirglielo dire, o almeno finchè l'americana non sbuffò, allungando una mano per prendere un grissino dal cestino del pane:

"Si, insomma, anche se sto ingrassando. Sono andata a correre come una matta, eppure non serve a niente!" 
"Davvero? ... Isla, sicura di stare... semplicemente ingrassando?" 

"Che vuoi dire?"   Isla inarcò un sopracciglio, spezzando il grissino a metà per poi addentarlo senza staccare gli occhi scuri dell'amica, che parlò con un piccolo sorriso stampato sul volto:
"Sì, insomma... hai detto che sei stanca di recente, no? Hai considerato l'ipotesi di essere in dolce attesa?"   A quelle parole Isla sgranò gli occhi e un campanello d'allarme si accese nella sua testa... in effetti il ciclo era in ritardo di una settimana.... Possibile?

"Incinta? No! Non sono incinta! ... credo. ODDIO, SONO INCINTA?" 
"Isla, non ti agitare, siete sposati, immagino che voleste avere dei bambini, no?" 
"Si, insomma... Ma siamo sposati da meno di due mesi, non ne abbiamo mai parlato... Non so come potrebbe prenderla! Ok, devo stare calma, non devo fare conclusioni affrettate... non è detto, giusto? Farò il test, ma non è sicuro. Dio, perché ho già la sensazione che tu abbia ragione?" 

Isla gemette, mettendosi le mani nei capelli castani mentre Rose invece sorrideva leggermente, cercando di non ridacchiare di fronte alla reazione tanto spontanea dell'amica. 


*


“Sei incinta?” 
Cecil sbarrò gli occhi, guardando la moglie con sincera sorpresa: poco prima lei gli aveva detto di avere una cosa importante da dirgli, di ascoltarla e di sedersi… e lui aveva obbedito, sempre più confuso nel cogliere un considerevole nervosismo nell’atteggiamento di Isla. 

L’americana annuì leggermente, continuando a torturarsi le mani mentre lo guardava con una nota di incertezza, continuando a chiedersi se sarebbe stato felice o meno per la notizia. 

Cecil, dopo un attimo di esitazione dovuto alla sorpresa, piegò le labbra sottili in un largo sorriso, alzandosi di scatto e prendendola per mano per costringerla ad imitarlo prima di abbracciarla:

“È meraviglioso! Perché hai usato quel tono, pensavo che fosse qualcosa di grave!” 
“Beh, non sapevo se saresti stato felice di saperlo… siamo sposati da poco, io ho 23 anni e tu 22…” 

Isla inarcò un sopracciglio, parlando con leggero scetticissimo mentre il ragazzo al contrario sorrise, scuotendo leggermente il capo:

“Che importa, prima iniziamo a costruire una famiglia, meglio è. Ti amo, passerotto.” 

Cecil sorrise, prendendole il viso tra le mani prima di baciarla, stringendola a sé.


*


“Cecil, devo andare al lavoro… perché mi stai trascinando di nuovo qui?” 

Cecil Krueger sorrise dolcemente alla moglie, entrando nuovamente nella loro camera da letto tenendola per le spalle e costringendola a camminare:

“Oggi dovranno contare su una Legilimens in meno al Ministero, temo, tu da qui non ti muovi.” 
“Ma devo andare assolutamente, ho un caso importante!” 

Isla sbuffò debolmente, voltandosi verso il marito che però scosse il capo, ignorando le sue lamentele mentre si fermava accanto al loro letto:

“Scordatelo, stai troppo male.” 
“Non è vero, sto benissimo.” 
“Sei pallida come un lenzuolo, hai passato la notte a vomitare e quando mi sono svegliato ti ho trovata in bagno, stesa sul pavimento e quasi priva di sensi! Oggi non ti muovi da qui, Isla… coraggio, per una volta fà come ti dico.” 

La moglie sbuffò, borbottando che era incinta di tre mesi e mezzo e lui già cominciava a starle addosso mentre s’infilava, di malavoglia, di nuovo sotto le coperte. 

“Ammettilo, anche tu sai di stare troppo male per andare al lavoro, sei solo troppo orgogliosa per darmi ragione.” 
“Cecil, smettila di usare quel tono supponente e sparisci, altrimenti me ne vado e ci rivediamo direttamente in sala parto.” 


Isla incrociò le braccia al petto, scoccandogli un’occhiata torva mentre il marito, per tutta risposta, si chinava per darle un bacio sulla fronte per poi uscire dalla camera… ma era appena arrivato in corridoio quando sentì la voce dell’americana chiamarlo:

“… Cecil?” 
“Sì?” 
“… mi porti dei cereali? Oggi inizia anche l’ultima stagione di Scandal, la guarderò facendo colazione.”

L’ex Corvonero roteò gli occhi ma non ebbe la forza di rifiutarsi, anche perché suo padre gli aveva già raccomandato di cercare di evitare di contraddire una donna in dolce attesa, specialmente se era un tipetto come Isla. 


“Certo tesoro…” 


*


Le labbra di Cecil si distesero in un enorme sorriso mentre, seduto accanto alla culla della figlia, faceva dondolare leggermente dei sonagli sopra la bambina, guardandola ridere e tendendo le minuscole mani per cercare di afferrarli, scalpitando i piccoli piedi. 

“Ciao, cucciola!” 

“Non ti ho mai visto sorridere come sorridi a lei… sembri proprio un perfetto cretino.” 
“Ti ringrazio, sempre in vena di complimenti… La mamma è una cattivona, lo sai Iris?” 


Cecil si rivolse nuovamente alla bambina, allungando le braccia per prenderla con delicatezza e sistemandosela su una spalla prima di alzarsi, uscendo dalla camera per raggiungere la moglie in corridoio, che si stava infilando un paio di scarpe da ginnastica:

“Dove te ne vai?” 
“A correre… finalmente è nata, così posso tornare a lavorare e soprattutto smettere di essere grassa!” 
“Non eri grassa, eri incinta!” 

“Un modo gentile per dire “grassa”, in pratica… vado, ci vediamo dopo, dalle da mangiare verso le 6. Amore, dai un bacio alla mamma?” 

Isla sorrise, avvicinandosi a marito e figlia e guardando la bambina con gli occhi scuri carichi d’affetto, solleticandole leggermente i piedi coperti dal body rosa che indossava. 
Iris per tutta risposta rise appena, rivolgendo un largo sorriso sdentato alla madre prima di tendere le mani verso di lei, sporgersi leggermente e darle un piccolo bacio su una guancia. 


“E al tuo perfetto marito lo dai un bacio, Signora Krueger?”
“Non so, ci devo riflettere.” 

Isla sorrise, inarcando leggermente un sopracciglio mentre gli allacciava le braccia intorno al collo prima di baciarlo dolcemente, facendo ridacchiare la piccola Iris ancora stretta al padre. 


*


“Com’è che dicevo due anni fa mezzo fa? Che gioia aver partorito… si, certo, come no.” 

Isla sbuffò leggermente, sfiorandosi il pancione con le dita e implorando la bambina che portava in grembo di smetterla di scalciare. 
“Suvvia, non sei felice di avere, presto, un’altra cucciola che gira che per casa?” 

“Certo, ma per te è facile parlare, mica devi soffrire! E tua figlia sta facendo il tapis roulan dentro di me, ho idea, non sta mai ferma!” 

Cecil si morse il labbro, trattenendosi dal scoppiare a ridere mentre, tenendole delicatamente una mano sulla schiena, entrambi entravano in salotto. 
L’espressione tesa di Isla si sciolse come neve al sole, tuttavia, al vedere una bambina di due anni e mezzo e dai capelli rossicci seduta sul divano, che le rivolse un largo sorriso prima di abbandonare la sua bambola e scattare in piedi sui cuscini:

“Mamma!” 
“Ciao amore… Hai fatto la brava mentre ero a trovare la nonna?” 
“Sì. Quando arriva la mia sorellina?” 

Iris sorrise, allungando le mani per metterle sul pancione della madre, che sorrise con una dolcezza che probabilmente riservava soltanto a lei:

“Presto.” 
“Come si chiama?” 
“È un segreto.” 
“Ma io voglio saperlo!” 
“Lo saprai quando nascerà, allora.” 

“Papà, la mamma non vuole dirmelo!” 
“Scusa cucciola, ma sappiamo tutti chi comanda in questa casa…” 


*


“Buongiorno, fanciulle.” 

Cecil rivolse un sorriso alle sue più vecchie amiche, sedendo davanti a loro al piccolo tavolo del bar e lasciando il passeggino accanto a sé.
Kate sbuffò leggermente, facendo un rapido gesto con la mano come a volerlo invitare a tagliare corto:

“Lascia perdere i convenevoli Cecil, non siamo qui per chiacchierare.” 
“No, infatti, vogliamo vedere la bambina!” 


Keller annuì e Cecil sorrise, ruotando il passeggino in modo che le due amiche potessero vedere la bimba nata solo da poche settimane:

“D’accordo… ragazze, vi presento Chloè.”

Entrambe le ragazze si sporsero leggermente per vedere la bambina, sorridendo simultaneamente all’esserino imbacuccato che le guardava di rimando con interesse, un ciuffo ci capelli castani e grandi occhi scuri. 

“Che tenera! Non ti assomiglia per niente, però.” 
“No, ha preso da Isla… speriamo non anche il carattere, vero zuccherino?” 


Cecil sorrise, allungando una mano per dare un leggero pizzicotto sulla guancia della figlia, che gli rivolse un sorriso allegro mentre sia Kate che Keller ridacchiavano, immaginando chiaramente l’amico alle prese con una mini Isla oltre che quella che aveva sposato tre anni prima. 


*


“Dove sono le mie principesse?” 

“Papy!” 

Cecil Krueger sorrise, sfilandosi il mantello mentre Iris, di ormai quattro anni, gli correva incontro con i capelli rossi raccolti in due codine e una minuscola salopette di jeans addosso, seguita a breve distanza da Chloè, che aveva iniziato da poco a camminare.

“Ciao, cucciola.” Cecil sorrise alla figlia maggiore che gli aveva cinto le gambe con le braccia come al solito, accarezzandole i capelli rossi mentre anche la piccola di casa si fermava davanti a lui, il ciuccio in bocca e un piccolo abitino bianco estivo addosso:

“Chloè si appena è svegliata… perché dorme sempre, io voglio giocare con qualcuno!” 
“Tua sorella è piccola tesoro, dalle tempo… la mamma dov’è?” 


“Per fortuna ti ricordi di essere sposato, quando torni a casa saluti, in ordine: le bambine, il cane e alla fine ME!” 
Il tono acido della moglie attirò la sua attenzione mentre prendeva Chloè in braccio e Iris lo seguiva, attaccandosi alle sue gambe come una piccola scimmia.
“Non è vero… solo qualche volta.” 

Cecil si stampò un sorriso angelico sul volto mentre si avvicinava alla moglie, chinandosi per baciarla ma restando a bocca asciutta visto che Isla si era scostata, borbottando che la cena era pronta e che, se proprio voleva, avrebbe dovuto baciare il loro cane, Scotch.


“Ops… ragazze, la mamma è offesa, cosa facciamo adesso?” 
“Il solletico!” 

Iris sorrise allegramente e il padre la imitò, mentre invece Isla sgranò gli occhi con orrore, affrettandosi a fuggire in cucina:

“Non osate, state alla larga da me! CECIL, non pensarci neanche!” 


*


“Isla?” 
“Mh?” 


Cecil si voltò verso la moglie, stesa sul letto accanto a lui e impegnata leggere un qualche libro di Psicologia sul linguaggio corporeo. 

“Ti volevo… ringraziare, credo.” 
“Per cosa?” 
“Quando ti ho chiesto di sposarmi hai accettato e non hai esitato neanche per un attimo a trasferirti qui, in Inghilterra. Hai lasciato la tua famiglia e la tua casa soltanto per me, probabilmente è la più grande dichiarazione d’amore che tu mi abbia mai fatto, anche se non a parole… hai anche accettato di far studiare le bambine ad Hogwarts, la mia scuola. Grazie.” 

“Sai come la penso, i gesti valgono molto più delle parole… e poi posso comunque vedere spesso la mia famiglia, dopotutto a parte mia madre siamo tutti maghi. A sentire te, Rose e Hooland Hogwarts è fantastica, immagino che si troveranno bene.” 
“Lo so per certo… ma davvero, grazie per quello che hai fatto, era molto importante per me.” 

Cecil sorrise, avvicinandolesi per darle un bacio a stampo sulle labbra. 

“Lo so. Ma non è stato un grande problema, a causa della Dollhouse avevo già vissuto in Inghilterra due anni, mi ero già abituata al cibo penoso e al vostro orribile accento.” 
“Il nostro? È il vostro che non si può sentire, yankee! A parte il modo in cui dici Fox, lo adoro.” 

Cecil sorrise, chinandosi per baciarla nuovamente. Isla fece per staccarsi e dirgli che doveva assolutamente finire di leggere il capitolo, ma il marito la battè sul tempo, strappandole il libro dalle mani e lanciandolo senza tante cerimonie sul pavimento, continuando a baciarla. 


Isla fece per protestare ma poi decise di lasciar perdere, allacciandogli le braccia al collo e ripetendosi che avrebbe sempre potuto leggere più tardi. 


*


Iris (7) Image and video hosting by TinyPic Chloè (4) Image and video hosting by TinyPic e Isaak Krueger (2)Image and video hosting by TinyPic


Si era appena chiuso la porta alle spalle quando, come sempre, venne raggiunto dal suo cane e dalle sue due figlie, entrambe piuttosto sorridenti, in pigiama e felici di vederlo:

“Papy, perché ci hai messo tanto?” 
“Sono andato a trovare la zio Dom, fanciulle… La mamma?” 

“È di là, con Isaak.” 

Iris sorrise prima di girare sui tacchi e allontanarsi, raggiungendo nuovamente la madre in salotto. Il padre invece prese in braccio la secondogenita di quattro anni prima di seguire Iris, fermandosi poi sulla soglia del salotto:

Isla, seduta sul divano a gambe conserte e con un bambino in braccio, gli rivolse un sorriso mentre il marito rimetteva Chloè sul pavimento, permettendole di raggiungere la sorella maggiore sul divano per continuare a guardare i cartoni con lei. 

“Ciao… oggi siamo andati a fare shopping, vero ragazze? E ho preso dei pigiami nuovi per i bambini… ti piace? Isaak, saluta papà!” 

Isla sorrise, alzandosi tenendo il figlio più piccolo stretto in braccio, che per tutta risposta sorrise al padre, chiamandolo e tendendo le braccia verso di lui. 
Solo allora Cecil focalizzò l’attenzione sul pigiama del figlio, scoppiando a ridere subito dopo mentre si avvicinava per prenderlo in braccio:

“A quanto pare abbiamo un altro piccolo volpacchiotto in famiglia!” 


*


“Ma perché dobbiamo pulire le nostre camere?” 
“Perché tra poco arriveranno lo zio Hool e la zia Rose, e non vogliamo che pensino che viviamo in un porcile, vero? Su, al lavoro.” 

“Ma perché non ci aiuti con la magia? Si fa prima!” 
“Troppo comodo così… olio di gomito, fanciulle. Iris, perché sei piena di fango sugli stivali?” 

“Papà e io siamo andati a cavallo!” 

La bambina sorrise allegramente mentre la madre invece quasi rabbrividì, ordinandole di togliersi gli stivali per evitare di sporcare in giro mente, alle sue spalle, il piccolo di casa, Isaak, correva per il corridoio inseguendo l’elicottero giocattolo che il padre aveva incantato, facendolo volare davvero.


“Cecil, perché le hai insegnato a cavalcare? È piccola, può cadere e farsi male!” 
“Non preoccuparti yankee, ha un ottimo insegnante!” 

“Mamma, cosa vuol dire yankee?” 
“Niente Chloè, è solo un modo per dire “americana”.” 

“E cosa vuol dire?”   La bambina inarcò un sopracciglio, guardando la madre con curiosità mentre teneva tra le braccia le bambole che aveva lasciato disseminate per la sua camera. 
“Americano è chi è nato in America, come me, i nonni, la zia Olivia e lo zio Caleb. Voi invece siete inglesi, perché siete nati qui. Cecil, ma sei ancora in mutande? Vestiti, tra poco arrivano!” 

“Rilassati, ci metto un attimo!” 


Cecil roteò gli occhi, afferrando prontamente Isaak con una mano quando il bambino gli sfrecciò davanti, solleticandogli la pancia e facendolo ridacchiare. 

“Sono finita in una gabbia di matti…” 
“Ma come faresti senza di noi, passerotto?” 


Isla non rispose, limitandosi a sbuffare prima di dirgli di andare a vestirsi, allontanandosi per scendere al piano terra. Ma anche se non lo disse, sapevano entrambi che non sarebbe più riuscita a vivere senza i suoi piccoli volpacchiotti. 


*


“Comportati bene, ok? E scrivici per qualunque cosa… ti voglio bene.” 

Isla sospirò, dando un bacio sulla fronte della figlia prima di abbracciarla, stringendo con decisione la sua primogenita. 

“Lo farò, anche io ti voglio bene.”  Iris sollevò lo sguardo per rivolgerle un sorriso, tremendamente simile alla smorfia allegra che la strega vedeva da anni sul volto di qualcun altro. 


La ragazzina sciolse l’abbraccio per salutare anche il padre, mentre accanto a loro Isaak e Chloè continuavano a fare domande a raffica su Hogwarts, su come ci si arrivasse usando il treno, su dove e come fosse.

“Non lo so, io non ci sono mai stata… chiedete a vostro padre.” 


Quando Iris fu salita sul treno, sorridendo alla famiglia dal finestrino mentre li salutava con la mano un’ultima volta, Isla si rivolse al marito, parlando con tono quasi minaccioso:

“Sei assolutamente sicuro che sia un posto sicuro? Se le succede qualcosa ti uccido, Kruger.” 
“Rilassati mamma orsa, starà benissimo! Sono curioso, chissà in che Casa finirà… Divertiti, tesoro!” 
“Sì, ma non troppo, studia!” 



“Ci credi Fox? La nostra bambina va a scuola ad imparare a fare magie…” 
“Anche noi vogliamo imparare a fare magie!” 
“Neanche per idea, siete piccoli, voi restate a casa con me… maledizione, con una in meno mi sento già sola è vecchia!” 

“Oh Isla, chi l’avrebbe mai detto, sei una sentimentalona…” 
“Non è vero. Su, andiamo a casa.” 

Isla, preso Isaak per mano, si avviò verso la colonna che collegava il binario a King’s Cross, seguita subito dopo dal marito e da Chloè.


“Papà, perché stamattina la mamma era così triste?” 
“Perché le mancherà Iris, cucciola… ma tu fai finta di niente, a lei piace mostrarsi sempre forte.” 











………………………………………………………………………….
Angolo Autrice:

Buongiorno! 
Cominciamo la Raccolta con i vostri cari Foxla e progenie al seguito… quanti mi piace per il piccolo Isaak/volpacchiotto? XD Non anticipo su qualche coppia sarà la prossima, immagino che lo scoprirete presto. 

Buona giornata, 
Signorina Granger 

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Capitolo 2
*** Hooland & Rose ***


Hooland & Rose 

 
Rose Williams Image and video hosting by TinyPice Hooland MagnusImage and video hosting by TinyPic

“Rose… aspetta.” 

Hooland reclinò leggermente la testa, staccandosi dalla ragazza che era finita sopra di lui e appoggiando il capo sul cuscino mentre Rose lo guardava senza dire nulla, quasi leggermente confusa.

Il Tassorosso sospirò leggermente, esitando prima di parlare e continuando a sfiorarle la vita con le dita:

“Non lo dobbiamo fare per forza, se non vuoi. Non sono Craig, non ti forzerei mai.” 
Sentendo quelle parole un piccolo sorriso si fece largo sul volto di Rose, che annuì leggermente mentre gli sfiorava il viso con una mano:

“Lo so. È proprio questo il punto, Hool…” 


Hooland non riuscì a non sorridere alle parole di Rose, che annullò di nuovo la distanza che li separava appoggiando le labbra sulle sue. E questa volta il ragazzo non si ritrasse.


*


“Finitela di farvi gli occhi dolci una buona volta! Mi sento il terzo incomodo!” 

Julian sbuffò, colpendo leggermente Hooland sulla spalla con il suo pallone da pallavolo mentre Rose rideva leggermente, sorridendo all’amico:

“Non dire sciocchezze Julian… siamo felicissimi di poter stare con te di nuovo, ci sei mancato.” 
“Beh…” 

Hooland sorrise, lanciando di nuovo la palla all’amico mentre Julian gli rivolse un’occhiata torva, seduto all’ombra di un albero sul prato accanto ai due, nella campagna che circondava la casa di Rose. 

“Piantala Hool, ti è mancato eccome.” 

“Tranquilla Rosie… lo so benissimo. Ora, facciamo una partita se avete finito di fare i piccioncini?” 


*
 

“Che cosa prendi?” 
“Un cappuccino.” 

“Ok… torno subito.” 

Hooland le sorrise e Rose ricambiò, guardandolo allontanarsi dal tavolo per andare a prendere da bere. L’ex Tassorosso si sfilò la sciarpa, appoggiandola sullo schienale della propria sedia e godendosi con sollievo il piacevole tepore, molto diverso dal freddo pungente che aveva avvolto mezza Inghilterra.


La ragazza, mentre aspettava il fidanzato, iniziò a tamburellare leggermente le dita sul ripiano del tavolo, guardandosi intorno per ammazzare il tempo. 
Stava facendo vagare lo sguardo sulle persone che la circondavano quando si sentì quasi raggelare, irrigidendosi. 

Gli occhi azzurri della ragazza si catalizzarono su una figura piuttosto familiare, e anche se non riusciva a vederlo completamente in faccia non ci mise molto a riconoscerlo. 
Jason Craig era a dieci metri da lei, di profilo, e non sembrava essersi accorto della sua ex ragazza. 

Da quanto tempo non lo vedeva? Dall’ultimo giorno di scuola. L’immagine di Julian e Hooland che lo picchiavano alla stazione era ancora perfettamente impressa nella sua mente, così come il viaggio sul treno per tornare a casa. Le sembrava di sentire ancora il sollievo provato in quello scompartimento, seduta accanto ad Hooland e godendosi il suo abbraccio. 

“Sei felice, Rosie? È finita, finalmente.” 


Sì, era finita… non lo aveva più visto, complici anche i due anni passati alla Dollhouse. 



L’ex Tassorosso deglutì, affrettandosi a distogliere lo sguardo. Poco dopo Hooland la raggiunse, appoggiando davanti a lei la sua tazza fumante prima di sedersi, sorridendole:

“Ecco a lei, signorina… perché quella faccia?” 
“Niente.” 

Rose scosse il capo, evitando di guardarlo e concentrandosi invece sulla tazza che aveva davanti, cercando di ignorare lo sguardo confuso del ragazzo:

“Sei sicura? Che cosa è successo in cinque minuti?” 
“Te l’ho detto, non c’è niente che non va.” 

Rose scosse leggermente il capo prima di portarsi la tazza alle labbra, non avendo nessuna voglia di dire al ragazzo di aver visto Jason. L’ultima volta in cui Hooland se l’era trovato davanti gli aveva rotto il naso e non era affatto sicura di come avrebbe reagito rivedendolo. 

Il Tassorosso non disse niente ma, per niente convinto dalle sue parole, continuò ad osservarla con attenzione, certo che qualcosa non andasse. 
Ma cosa poteva aver cambiato l’umore della ragazza nei pochi minuti che aveva impiegato per ordinare i caffè? 

Dopo pochi secondi Rose aveva già vuotato la sua tazza e, Hooland se ne accorse subito, tamburellava le dita sul tavolo con leggero nervosismo, quasi come se morisse dalla voglia di andarsene.

“Hai fretta?” 
“Io… no, vorrei solo andare.” 
“Perché?” 

“Hool per favore, possiamo parlarne dopo?” 

Rose sospirò, sollevando finalmente lo sguardo per rivolgergli un’occhiata quasi implorante, confondendolo ancora di più: perché voleva uscire da lì in fretta e furia? 

Stava iniziando a chiedersi se non avesse visto qualcuno di sgradevole quando una voce, familiare ma che non riconobbe subito visto che non la sentiva da tempo, fece voltare entrambi di scatto:

“Rose?” 

Sentendo quella voce Rose s’irrigidì istintivamente, voltandosi con riluttanza verso la sua fonte e posando così gli occhi sul volto di Jason Craig, esitando prima di rispondere con tono neutro:

“Ciao.” 
Anche Hooland si voltò e la ragazza lo vide chiaramente sgranare gli occhi con sincera sorpresa prima di farsi insolitamente serio, serrando la mascella senza proferire parola. 

L’ex Corvonero era in piedi, doveva averla vista mentre si alzava per uscire visti che aveva già il cappotto addosso. Per un attimo nessuno dei tre disse nulla, mentre Jason faceva saettare lo sguardo dalla ragazza per posarlo su Hooland, senza dire niente. 

Probabilmente nemmeno lui aveva dimenticato quando gli aveva rotto il naso.


Anche se erano passati quasi quattro anni Rose ricordava bene la considerevole gelosia che, al tempo, Jason aveva provato nei confronti di Hooland, forse intuendo per primo che tra loro c’era qualcosa che andava oltre l’amicizia. Probabilmente in quel momento, mentre spostava lo sguardo da uno all’altro, intuì di non essersi mai sbagliato del tutto. 

“Beh… ci vediamo.” 

Il ragazzo si dileguò rapidamente, rivolgendo un fugace cenno a Rose prima di allontanarsi, infilandosi le mani in tasca. Per un attimo la Tassorosso lo seguì con lo sguardo, chiedendosi se fosse cambiato o meno, mentre invece Hooland riportò gli occhi su di lei, sbuffando leggermente:

“Ci credo che volevi andartene… Speravo di non dover più vedere la sua faccia. Tutto bene, Rosie?” 

Allungò una mano per prendere quella della ragazza, che annuì e abbozzò un piccolo sorriso:

“Sì. Ormai è passato. Però su una cosa non si era sbagliato… è sempre stato geloso di te, forse aveva intuito tutto già prima di noi.” 
“Beh, anche se è un viscido coglione ci sarà un motivo se il Cappello lo ha piazzato tra i Corvonero, no?” 


*


Inclinò leggermente il capo, osservando il suo riflesso nello specchio con aria critica mentre, alle sue spalle, sua madre e le sue sorelle erano sedute sul divanetto e stavano commentando l’abito che indossava.

“A me non piace la gonna… secondo me più stretta sarebbe meglio.” 
“Ma no, con il fisico di Rose sta meglio la gonna a trapezio!” 


La strega roteò gli occhi, lanciando una fugace occhiata alla madre, a Roxanne e a Ruby, di ormai 18 e 13 anni. 
In teoria era lei a dover scegliere, ma quelle tre si stavano dando alla pazza gioia con i commenti. 
Stava per far notare alle tre che era il SUO matrimonio e non il loro quando l’inconfondibile rumore dei tacchi a spillo sul pavimento la distrasse, portandola a voltarsi e a sorridere alla familiare ragazza che stava camminando dritta verso di lei, la borsa a trapezio tenuta sull’incavo del gomito e una sorridente bambina per mano.

“Eccoci! Scusate il ritardo, ma Iris stava facendo il sonnellino.” 

Isla sorrise, sfilandosi gli occhiali da sole per sistemarseli tra i capelli mentre abbassava lo sguardo sulla figlia di un anno, che sorrise prima di avvicinarsi alla “zia” in piedi sulla pedana, allungando le manine verso di lei per essere presa in braccio:

“Non preoccuparti Isla… ciao, tesoruccio!” 

Rose sorrise, chinandosi per sollevarla e stamparle un bacio su una guancia, accarezzandole i capelli rossi. 

“Isla, sono felice di vederti, ho bisogno del tuo parere… che dici, ti piace?” 
“Lo adoro. Ti sta benissimo, Hooland interromperà la cerimonia per dirti quanto tu abbia fatto un’ottima scelta quando si sarà ripreso dallo shock.” 


Isla sorrise, sedendo su una poltroncina mentre Rose rimetteva Iris sul pavimento, permettendole di sgambettare dalla madre e sistemarsi sulle sue ginocchia, accoccolandosi sul suo petto con aria beata. 

Rose si voltò di nuovo verso lo specchio, osservandosi con addosso il vestito bianco senza spalline e dalla vaporosa gonna di tulle. 
Riusciva perfettamente ad immaginare Hooland farle la predica all’altare se non avesse scelto un vestito di suo gusto… ma probabilmente Isla aveva ragione, quello gli sarebbe piaciuto. 

“D’accordo… mi fido di te Isla, se Hool disapprova lo manderò da te. Ora… scegliamo le scarpe!” 



*


Si svegliò con un sorriso praticamente già pronto ad incurvarle le labbra rosee e sottili, felice e rilassata. Gli occhi azzurri di Rose Williams – Magnus, ormai – vagarono dalla finestra lasciata socchiusa che faceva entrare luce nella stanza al lato sinistro del grande letto matrimoniale, vuoto. 

Non riuscì a trattenere una piccola risata nel guardarsi i piedi nudi che spuntavano dal lenzuolo che la copriva parzialmente, decisamente distanti dalla sponda del letto… Hooland aveva allungato il letto la sera prima, sbuffando e sostenendo che fosse sempre un’impresa trovare un letto abbastanza grande per la sua altezza. 


“Buongiorno. Perché ridi?” 
“Niente, pensavo ad una cosa… Mi hai portato la colazione?”   Il sorriso di Rose si allargò nel vedere Hooland entrare nella camera da letto, sorridendole e tenendo un vassoio in mano.

“Tu per me l’hai preparata milioni di volte Rosie, questa volta volevo ricambiare.” 

Appoggiò il vassoio carico sul materasso, sporgendosi verso di lei per darle un bacio tra i capelli prima di stringerla a sé, sorridendole:

“Grazie Hool…” 
“Non mi devi ringraziare Signora Magnus, se non l’avessi fatto che marito meraviglioso potrò mai essere in futuro? Adoro chiamarti Signora Magnus, penso che lo ripeterò all’infinito… Potrei anche farti uno striscione e appenderlo fuori di casa.” 

Hooland sorrise e la ragazza ricambiò, annuendo mentre gli accarezzava i capelli castani:

“Purtroppo so che sei serio e lo faresti tranquillamente… Ma ti amo anche per questo.” 


*



“Hool?” 

“Mh?” 
“È tardi, spegni il computer... hai solo fatto una pausa per cenare, sei rimasto chiuso qui dentro tutto il giorno.” 

Hooland annuì sospirando leggermente e passandosi una mano sul viso mentre alle sue spalle Rose gli massaggiava leggermente le spalle, parlando con dolcezza. 

“Lo so… ho quasi finito, scusa se sono un po’ assente in questi giorni.” 
“Lo dico per te, sarai stanco… e poi ti si rovineranno gli occhi passando tutte queste ore davanti ad uno schermo Hooland, te lo ripeto da anni!” 

“Lo dicevano anche i mie genitori, ma ti assicuro che ci vedo benissimo.” 
“Come vuoi… non insisto. Vado a letto.” 

Rose si chinò, baciandolo dolcemente su una guancia prima di allontanarsi, dirigendosi verso la porta dello studio del marito. Non uscì però subito dalla stanza, esitando sulla soglia e voltandosi verso di lui, parlando con tono vago:

“Hool… Ti ricordi quel completino che mi hai regalato circa quattro anni fa, quando eravamo nella Dollhouse?” 
“Intendi quella volta in cui sei diventata bordeaux e sei scappata via imbarazzatissima? Certo.” 

“Già… Lo indosso adesso. Ma se devi lavorare, certo…” 

Rose si strinse nelle spalle, parlando con aria grave mentre usciva dalla stanza con nonchalance e Hooland, sentendo quelle parole, smetteva di prestare attenzione al computer che aveva davanti, irrigidendosi prima di scattare in piedi e seguirla quasi di corsa fuori dalla stanza, sentendola ridacchiare con aria divertita mentre la inseguiva salendo le scale. 


Dopotutto il lavoro poteva anche aspettare. 


*



“Ti devo dire una cosa!” 
“Anche io!” 


Rose sedette di fronte ad Isla con un enorme sorriso stampato sul volto, così come la sua amica. 

“Ok… parli prima tu o prima io?” 
“È uguale… comincia tu.” 

“Va bene. Sono di nuovo incinta! Per Iris abbiamo scelto i miei fratelli, ma questa volta vuoi fare da madrina?” 
“… mi prendi in giro? Ti volevo dire la stessa cosa!” 


*


“Sono tornato…” 
“Ciao… È quasi pronto.” 

Hooland raggiunse la soglia della cucina, fermandosi ad osservare la moglie ferma davanti ai fornelli mentre si sfilava il cappotto. 
Rose si voltò verso di lui per un attimo, rivolgendogli un fugace sorriso prima di tornare a concentrarsi sulla cena che stava preparando. 

Fu Hooland ad avvicinarlesi, sorridendo mentre la guardava di spalle, con i capelli raccolti sulla nuca in modo un po’ disordinato, i jeans e una felpa verde oliva con la zip  che le stava decisamente grande addosso. 
La raggiunse e l’abbracciò da dietro, appoggiando con delicatezza le mani sul suo ventre, ormai leggermente arrotondato. 

“Come state? Sei stata bene oggi?” 
“Sì, solo un po’ di nausea stamattina.” 

“Sai… adoro quando ti metti i miei vestiti, sei bellissima.” 
“Più che altro le tue felpe sono piuttosto comode Hool, specialmente adesso.” 

“La cosa irritante è che questo verde sta meglio a te che a me, maledizione!” 


Rose rise, alzando lo sguardo per sorridergli mentre il marito ricambiava, lasciandole un fugace bacio sul collo prima di allontanarsi, andando a sbirciare cosa stava preparando. 

“Che cosa si mangia?” 
“Ho pensato che avremmo potuto fare una serata schifezze. Ho una voglia matta di patatine fritte affogate nella maionese…” 

“Comincio a mal sopportare le tue voglie assurde, l’altro ieri mi hai costretto ad andarti a comprare quel maledetto succo di mela! Non capirò mai come fai a farmi fare tutto ciò che vuoi solo sbattendo le ciglia.” 
“Considera che se sarà femmina saremo in due ad avere quel dono, ho idea.” 


*


Sorrise quasi senza volerlo, sfiorando con un dito la guancia paffuta della bambina che teneva tra le braccia, profondamente addormentata. 
Era stato ben lieto di passare la serata da solo con la sua “piccola batuffolina”, giocando con lei e coccolandola tantissimo.


Seduto sul divano del salotto aspettava che Rose tornasse dal turno al San Mungo, tenendo la figlia di sei mesi tra le braccia e osservandola con affetto, ammirando la sua piccola testa, appoggiata contro di lui, e la sua minuscola mano, che riusciva a malapena a stringergli un solo dito, abbandonata contro il suo petto.


Quando sentì la porta aprirsi e poi chiudersi sorrise senza nemmeno alzare lo sguardo dalla figlia, chinandosi leggermente per darle un bacio sulla fronte. 

“Ciao… dorme?” 
“Ciao. Sì, è crollata poco fa. Come è andata?” 

Hooland alzò lo sguardo dalla bambina per rivolgersi alla moglie, che sorrise mentre gli si avvicinava senza far rumore, facendo attenzione a non svegliarla. 

Rose sedette accanto a lui dopo essersi sfilata le scarpe, sorridendo teneramente a sua volta alla bambina prima di parlare a bassa voce:

“È un po’ dura tornare al lavoro e non stare con lei tutto il giorno, ma mi piace rendermi utile… e poi per adesso ho il part-time. È così carina.” 

“Lo so che è dura per te, mamma chioccia… comunque sì, è adorabile.” 

Hooland annuì, guardando la bimba con affetto prima di baciarla nuovamente sulla fronte.


“Sai, potrei anche iniziare ad essere gelosa, a me non li dai tutti quei baci!” 
“Suvvia Rosie, non ti ho certo rimpiazzata… vieni qui.” 


*


“Scusi… sto cercando Rose Magnus. È mia moglie.” 
“Stanza 57.” 

“Grazie.” 


Hooland quasi corse verso le scale, allontanandosi dalla reception con il cuore in gola. Aveva ricevuto un gufo da Julian poco prima e, leggendo che Rose si era sentita male mentre erano insieme e che l’aveva portata in ospedale, aveva abbandonato il lavoro su due piedi per correre da lei. 


Il mago attraversò la corsia senza nemmeno rallentare il passo, rischiando di travolgere qualche Infermeria o visitatore per raggiungere la stanza di Rose, ansioso di vederla e sapere come stesse. 


La porta era socchiusa e la spalancò senza neanche bussare, rilassandosi notevolmente quando vide che la moglie era sveglia e sembrava stare bene, seduta sul letto mentre Julian si era seduto accanto a lei su una sedia e la piccola Heather di ormai due anni sonnecchiava nel suo passeggino con il ciuccio in bocca. 

“Rose? Stai bene? Cosa è successo?” 

Julian si voltò verso di lui, sorridendogli come a volerlo tranquillizzare mentre Rose faceva altrettanto:

“Ciao Hool… non preoccuparti, sto meglio. Ho detto a Julian che non serviva disturbarti…” 
“Certo che serviva, altrimenti dopo mi avrebbe ucciso! Vi lascio soli.” 

Julian si alzò, superando l’amico e dandogli una pacca sulla spalla prima di uscire dalla stanza, lasciando i coniugi soli. Hooland andò a sedersi accanto a lei, sulla sedia lasciata vuota dall’amico, e le prese le mani tra le sue, guardandola con leggera apprensione:

“Sicura di stare bene? Cos’è successo?” 
“Sono svenuta e Julian si è subito allarmato, niente di grave.” 

“Si tratta solo di questo? Meno male, mi sono preoccupato.” 
“Per questo avrei preferito evitare di contattarti! Davvero, sto bene, tra poco mi cambio e potrò tornare a casa con Heather.” 

Rose sorrise, esitando per un attimo prima di parlare nuovamente:

“In realtà… stando a quello che mi hanno detto, sono afflitta dalla più auspicabile delle malattie.” 

Per un attimo Hooland non disse niente, limitandosi a guardarla con leggera confusione, chiedendosi qualche malattia potesse essere definita “auspicabile”. Solo quando vide che Rose non la smetteva di sorridere capì, strabuzzando gli occhi:

“Sei… aspetti un bambino?” 
“Te lo volevo dire in un altro modo, ma ormai non serve a niente aspettare… Sei felice?” 

Rose lo guardò con gli occhi azzurri carichi di gioia, quasi luccicanti mentre non la smetteva di sorridere. E Hooland non poté far altro che annuire, sporgendosi leggermente per baciarla e abbracciarla.

“Certo che sono felice… volevamo averne un altro, no? Julian lo sa?” 
“Si, glie l’hanno detto poco fa per tranquillizzarlo.” 

“Fantastico, spero che sia un maschio questa volta, vado a dirgli di prepararsi a fare da padrino!” 

Hooland sorrise prima di alzarsi, quasi saltellando verso la porta per raggiungere l’amico nel corridoio, lasciando la moglie sola e sorridente. 
Rose si voltò verso la figlia, allungando una mano per sfiorarle il viso:

“Tu che dici? Tra poco saremo invase da un altro casinista?” 


*


Hooland si fermò sulla soglia della stanza, restando immobile e impegnato ad osservare la scena che aveva davanti con aria imbambolata: Rose era già a letto, con un libro per i nomi in mano e Heather accoccolata accanto a lei, addormentata con il minuscolo pigiama che lui stesso le aveva comprato e il capo appoggiato al pancione della madre, che le accarezzava distrattamente i capelli castano chiaro. 

Il Tassorosso sorrise, entrando nella stanza senza far rumore e prendendo quasi con un gesto automatico la macchina fotografica che teneva sempre appoggiata sulla cassettiera, scattando una foto alle due. 

“Perché la foto?” 
“Sai che mi piace la fotografia… una foto racchiude un piccolo, fugace momento bellissimo per sempre. E siete troppo adorabili per non immortalare la scena.” 

Hooland sorrise prima di lasciare la macchina al suo posto e raggiungere la moglie, sdraiandosi sul suo lato del letto per prenderla delicatamente tra le braccia:

“Allora… pensato a qualche nome? Tutti ci stanno stressando per saperlo, la tua famiglia, Isla e Fox, Julian, i miei genitori…” 
“Lo so, ho comprato questo libro apposta! In effetti avrei una cosa da chiederti… ti andrebbe bene se scegliessimo anche per lui un nome con la H?” 

“Perché proprio la H?” 
“Beh… Io e i miei fratelli abbiamo tutti nomi con la R, nella mia famiglia è una specie di tradizione. E visto che per lei abbiamo scelto Heather…” 
“D’accordo, è una cosa carina, e poi l’H è anche la mia iniziale… ma temo che non ci sia molta scelta per nomi maschili, con questa lettera.” 

“Harry ti piace?” 
“No, poi tutti pensano sempre subito ad Harry Potter… Henry?” 

“Henry Magnus… sì, mi piace, suona bene.” 


Rose sorrise, annuendo mentre si sfiorava il pancione con le dita, imitata dal marito:

“Non vedo l’ora di tenerlo tra le braccia… e di comprargli un sacco di vestititini!” 
“Hool, gli hai già comprato un numero spropositato di body! Per non parlare di tutto quello che compri a Heather…” 

“È più forte di me Rosie, i vestiti per i bambini sono così teneri… per non parlare di quelle minuscole scarpette!” 
“Lo so, tra poco oltre alla scarpiera per i tuoi innumerevoli stivali e scarpe da barca estive dovremo iniziare a farne una anche per lei… la nostra cabina armadio esploderebbe se non usassimo la magia per farci stare più roba!” 

“Siamo maghi tesoro, approfittiamone!” 


*


“Hool, TIENILA!” 
“Tranquilla Rosie, la tengo… il nostro campione si diverte, a quanto pare.” 


Hooland sorrise mentre, procedendo al passo in mezzo al prato mentre teneva la figlia di tre anni e mezzo davanti a lui sulla sella, tenendola stretta con un braccio. 

Accanto a loro Rose, in groppa ad una cavallo sauro, procedeva alla stessa andatura con i capelli sciolti sulle spalle e il piccolo Henry che sorrideva con aria allegra, infilato nel marsupio che la madre teneva allacciato sulla schiena come un piccolo zainetto. 

“Papy, anche io voglio andare senza cappello come voi!” 
“Si chiama cap amore, e sei troppo piccola, lo devi portare fino ai 18 anni.” 

“Ma uffa!” 

Heather sbuffò debolmente, colpendosi il piccolo caschetto nero che indossava con aria contrariata mentre il padre invece sorrideva, non riuscendo e non trovare la sua piccola adorabile nelle vesti di amazzone. 

“Non dire così, sei fantastica con gli stivaletti, i pantaloni a vita alta e la magliettina! Ti manca solo il frustino e saresti perfetta…” 
“Posso averlo?” 

“Non esiste, sei piccola, rischi di farti male!” 


Rose rivolse un’occhiata in tralice al marito, ordinandogli di non comprare alla figlia un mini-frustino. 

Poco dopo la famiglia arrivò in prossimità della scuderia e della casa dove Rose era cresciuta, fermandosi a pochi metri dall’edificio:

“D’accordo cucciola, tour finito… tieni le redini.” 

Hooland scivolò dalla groppa del cavallo in un battito di ciglia, rivolgendo poi un sorriso alla figlia prima di prenderla e metterla a sua volta con i piedi per terra. 

“Quando sarò grande andrò da sola!” 
“Ovviamente… vai a raccontarlo ai nonni.” 

Hooland le sfilò il cap e Heather annuì, proprio mentre la voce della madre di Rose li raggiungeva, annunciando che il pranzo era pronto.

“Nonno, sono andata a cavallo con papà! Posso avere un puledrino da accudire come la mamma quando era piccola?” 


“Hool, puoi portare tu i cavalli dentro? Io vado ad aiutare mia madre.” 
“Certo cucciola… Campione, ti sei divertito?” 

Hooland sorrise, accarezzando i capelli castani del figlio che sorrise di rimando, scalpitando i piedi che penzolavano dal marsupio. 

“Ho idea che avremo una famigliola di cavallerizzi un giorno…” 
“Basta solo che Heather non faccia come me quando ero piccola e metta il cap.” 


*


“Chloè e Heather sono nate nello stesso anno, così come Henry e Isaak… piuttosto ironico, ma questa volta, Rose, temo che Isla non ti farà compagnia.” 

Cecil sorrise, accarezzando la spalla di Isla con le dita, seduti vicini sul divanetto color champagne di fronte a Rose e Hooland, a casa di quest’ultimi. 

“Decisamene, tre sono più che abbastanza… Maschio o femmina?” 

“Seconda femmina. E abbiamo già scelto il nome questa volta.” 

Rose sorrise quasi con aria soddisfatta mentre Iris, Heather, Chloè, Henry e Isaak stavano giocando in camera di Heather al piano di sopra, rispettivamente di 8, 5 e 3 anni.

Hooland invece si voltò verso la moglie, rivolgendole un’occhiata vagamente confusa:

“Davvero? E da quando?” 
“Lo so da quando mi hanno detto il sesso… quando ero incinta di Henry chiesi ad Hool di scegliere un nome con la H, volevo che avessero tutti nomi con la stessa iniziale come me i miei fratelli… E ho già un’idea per lei. Holly!

“Perché proprio Holly?” 

“Come Holly Golightly!” 

Isla sorrise, quasi illuminandosi e rispondendo prima di Rose, che annuì:

“Esattamente… Colazione da Tiffany!” 

“Adoro quel film, l’ho visto con mia madre quando ero piccola e da quel momento volevo andare a fare colazione davanti alle vetrine di Tiffany tutti i sabato, quando lei non lavorava!” 
“Sul serio? Questa mi mancava… E scommetto che eri già testarda come un mulo, Isla.” 

“Naturale Fox, testardi si nasce, non si diventa.” 


*


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Heather e Henry stavano facendo merenda, mentre lei era in piedi davanti al lavello, incantando i piatti perché si lavassero da soli. Da piccola aveva sempre aiutato sua madre nelle pulizie, ma con la magia era sicuramente tutta un’altra cosa. 

La strega alzò gli occhi dalle stoviglie sentendo il familiare rumore del motore di una moto, voltandosi verso la finestra per sbirciare: sorrise appena quando vide una moto decisamente nota fermarsi accanto all’auto e Hooland sfilarsi il casco, facendo poi altrettanto con il minuscolo caschetto rosa che aveva preso per la piccola Holly quando la portava con sé. 

Poco dopo sentì la porta dell’ingresso aprirsi e la voce della figlia minore la chiamò, correndo in cucina per raggiungere mamma e fratelli:

“Mamy!” 
“Ciao, tesoro… vuoi fare merenda?” 

Rose lasciò perdere i piatti per concentrarsi sulla bambina, che le si avvicinò quasi di corsa per abbracciarla, mentre Heather e Henry reclamavano un’altra fetta di pane e Nutella. 

“Sì. Papino è venuto a prendermi prima all’asilo oggi.” 
“Davvero? E dove siete stati finora?” 

Rose si accigliò leggermente, confusa: Hooland non le aveva detto che sarebbe andato a prendere Holly dopo pranzo… dove avevano passato le precedenti tre ore?

“Siamo andati a fare siopping!”   Holly sorrise, parlando quasi con tono solenne – anche se sbagliò il termine – mentre Hooland faceva la sua comparsa in cucina, salutando allegramente i figli più grandi e la moglie. 

“Hool! Siete andati a fare compere?” 
“Non essere gelosa Rosie, ho preso qualcosa anche per te!” 

La donna roteò gli occhi mentre Henry ridacchiava e Heather chiedeva se ci fosse qualcosa anche per lei. 

“Non cambierai mai, sei senza speranza…” 
“Andiamo cucciola, ci sono i saldi! Guarda cosa ho preso per Holly!” 


Il marito tirò fuori – non capì mai per bene da dove – un piccolo cappello di paglia adornato con qualche fiore sui toni del rosa, infilandolo in testa alla bambina di quattro anni, che sfoggiò un sorriso allegro. 

“Guarda quant’è carina!” 
“Senza dubbio… Ha persino i boccoli naturali, questa fortunella, i miei sono dei dannati spaghetti!” 


“Mamma, possiamo altro pane?” 
“Sì, ora ve lo preparo…” 

“Secondo me li vizi Rose, prepari sempre quello che vogliono!” 
“TU li vizi comprando un mucchio di vestiti, IO cucinando, siamo pari.” 


*

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“La zia Roxy sta per arrivare, mi raccomando… comportatevi bene.” 
Hooland si sistemò distrattamente il bavero della giacca che indossava, rivolgendosi ai tre figli seduti sul tappeto del salotto, impegnati a giocare.

Holly alzò lo sguardo, sorridendogli prima di parlare:

“Dove andate, papino?” 
“Porto la mamma in un posto… ma è una sorpresa.” 
“E non ce lo puoi dire?” 

“No, perché poi magari voi lingue lunghe glielo riferite!” 

Heather sbuffò leggermente mentre il padre si rivolse alla figlia minore, lanciandole un’occhiata eloquente:

“Pasticcino, niente sguardo implorante, non attacca.” 
“Ok…” 


“Di che parlate? Hai finalmente deciso di dire dove vuoi andare?” 

Sentendo la voce della madre e il rumore dei tacchi sul parquet i tre bambini si voltarono, così come Hooland. Heather rivolse un enorme sorriso alla madre, mentre invece la piccola bocca carnosa di Holly si dischiuse, formando una “o” ammirata. 

“Mamy, sei bellissima!” 
“Grazie cucciola… Fate i bravi con la zia, ok?”

Rose sorrise ai figli, accarezzando i capelli lisci di Henry con le dita sottili e curate prima di prendere la pochette nera rigida e avvicinarsi al marito, che le sorrise facendo scivolare un braccio intorno alla sua vita, depositando un bacio sulla sua tempia:

“Hanno ragione, sei bellissima.” 
“Grazie. Ma ho paura di non essere adatta al contesto, perché non mi hai detto dove andiamo?” 

“Beh, ti volevo fare una sorpresa… ma a questo punto te lo dico: ti porto nel mio posto preferito, a teatro.” 


*


“Comportatevi bene!” 
“Studiate!” 
“Se qualcosa non va scriveteci!” 
“Non combinate guai!” 

“Si, mamma.” 

Chloè Krueger e Heather Magnus sbuffarono leggermente, parlando in coro di fronte alle rispettive madri, mentre Henry e Isaak se la ridevano in un angolo e Iris sorrideva con aria divertita, ricordando quando quelle moine era spettate a lei, tre anni prima. 

“Tranquilla mamma, controllerò io Chloè.” 
“Brava la mia ragazza.” 
“Ehy, non voglio che mi controlli! Papà, dille qualcosa!” 



“Mi mancherai tantissimo. Dammi un abbraccio.”   

Rose sospirò, stringendo la figlia più grande in un abbraccio mentre, alle sue spalle, Hooland teneva Holly per mano e Henry era accanto ad Isaak. 

“Anche tu mamma… ma vedrai, starò benissimo, dici sempre che Hogwarts è fantastica. E poi ci sono Chloè, Iris e i miei cugini.” 
“Certo che Hogwarts è fantastica, ti divertirai moltissimo. Scrivici ogni tanto, ok?” 

Rose sorrise teneramente, sfiorando il viso della figlia con una mano mentre Heather annuiva, sorridendole con gli occhi azzurri luccicanti prima di abbracciare il padre.

“Mi mancherai, scricciolo… fai la brava.” 
“Certo. Ciao Holly!” 

Heather rivolse un sorriso alla sorellina, che invece le rivolse un’occhiata quasi malinconica:

“Quando torni?” 
“Tra pochi mesi ci vediamo, vedrai, passano in fretta. Lo so, sarà terribile per te giocare con Henry, ma cerca di sopravvivere.” 



“Sono curioso… dici che seguirà le nostre orme e sarà una Tassorosso anche lei?” 
“Chi può dirlo, vedremo immagino.” 

Rose si strinse nelle spalle, salutando figlia e figlioccia con la mano mentre salivano sul treno insieme ad Iris. 


“Ciao papà, ciao ragazzi… ci vediamo a Natale!” 

Heather sorrise, salutando la famiglia con un cenno mentre Rose la guardava quasi con aria malinconica, guadagnandosi un sorriso consolatorio da parte dell’amica:

“Lo so, con i primi è difficile… vedrai, con Henry sarà più facile.” 
“Oddio, tra tre anni anche il mio bambino va a scuola! Mi sento vecchia!” 

“Vecchia un cavolo, hai 37 anni, se sei vecchia tu cosa dovrei dire che ne ho 38?” 
“Mamma, non sono un bambino!” 
“Hai otto anni, quindi lo sei eccome. Coraggio, andiamo a casa, ho fatto tre torte… ne volete una fetta?” 

“Beh, se proprio insisti…” 
Cecil sfoggiò un sorriso decisamente allegro, imitato dal figlio mentre Isla si accigliò leggermente, prendendo l’amica sottobraccio:

“Volentieri, ma perché tre?” 
“Ieri non riusciva a dormire per l’ansia e si è messa a cucinare come sempre, la conosci.” 

Hooland scosse il capo con disapprovazione, ricordando quando si era svegliato nel cuore della notte e l’aveva trovata ad impastare in cucina. 

“Smettila Hool, mi sembra che tu gradisca questo mio modo di sfogare la tensione, visto che ogni volta dei ben lieto di mangiare quello che preparo!” 
“Non solo io, i miei soci mi danno una mano… vero ragazzi?” 


Il Tassorosso sorrise, rivolgendosi ai due figli che annuirono con aria allegra mentre Henry trotterellava accanto a Cecil e Holly lo teneva stretto per mano, con addosso un abitino color carta da zucchero con una cinturina bianca, più cerchietto e scarpette in tinta. 

“Io voglio la torta al cioccolato!” 
“Va bene batuffolina, ce la dividiamo…” 

“Anche io la voglio!” 
“Anche io!” 

“Rose, spero che tu ne abbia fatte due al cioccolato e non una, qui è reclamata a gran voce.” 
“Hool, per l’ultima volta, non sono una pasticceria!” 









…………………………………………………………………………
Angolo Autrice:

Ed ecco anche la OS sui nostri amati Roland... spero che vi sia piaciuta, ovviamente la prossima sarà su Seth e Kate. 

A presto, 
Signorina Granger


 

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Capitolo 3
*** Seth & Kate ***


Seth & Kate 
 
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“Seth, dovresti respirare.” 
“Lo so. Sono tranquillissimo, infatti.” 

“Non mi sembra proprio… Rilassati, conosci già Nick, dopotutto. I miei genitori ti adoreranno, ok?” 

Kate alzò lo sguardo sul ragazzo che le camminava accanto, rivolgendogli un sorriso incoraggiante mentre Seth annuiva, tormentandosi leggermente il colletto della camicia a quadretti blu e bianchi mentre teneva gli occhi fissi sulla casa della ragazza, alla quale si stavano avvicinando.

“Spero che tu abbia ragione…” 
“Certo che ho ragione, gli ho già parlato di te molte volte, anche quando eravamo a scuola. Andrà tutto bene, mio padre non ti mangerà mica!” 

“Voglio solo piacere ai tuoi genitori, Katie.” 
“E gli piacerai. Piaci a me, perché con loro dovrebbe essere diverso?” 

Seth si limitò ad annuire, evitando di rispondere mentre, insieme alla ragazza, si fermava sotto al portico della casa. Kate però non suonò subito il campanello, prendendogli il viso con una mano per far sì che si voltasse verso di lei e baciarlo, alzandosi in punta di piedi. 

“Rilassati, ok?” 

Il Grifondoro annuì al mormorio della Corvonero, che gli sorrise con dolcezza mentre la porta si apriva, e Nicholas faceva la sua comparsa sulla soglia: 

“Ah, eccovi qui. Mamma e papà sono in salotto, Kate… ciao Seth.”
“Nicholas…” 
“Nervoso?” 
“Un pochino.” 

Il moro annuì leggermente, entrando in casa e lasciando che il biondo gli chiudesse la porta alle spalle prima di sorridere quasi con aria divertita, dandogli una pacca sulla spalla prima di superarlo:

“Rilassati, Katie ha passato l’ultimo anno di scuola a parlare bene di te alla mamma… penso proprio che gli piacerai.” 


*


Seth teneva gli occhi fissi sullo schermo della TV, senza realmente vederla. Era stata Kate a fargli scoprire quell’aggeggio Babbano e da allora avevano visto una quantità infinita di film, per i quali la ragazza sembrava nutrire una vera passione.

Eppure quella sera non stava prestando particolare attenzione alla storia che gli scorreva davanti agli chi, continuando a pensare a quello che avrebbe voluto chiedere alla ragazza che, seduta sul divano accanto a lui, si era accoccolata sul suo petto con un pail a coprirle le gambe. 

“Hai l’aria assorta… non ti piace?”  
“No, scusa… sto pensando ad altro.” 

“A cosa?” 
Kate inarcò un sopracciglio, sollevandosi leggermente e dimenticandosi momentaneamente del film e dei suoi protagonisti mentre osservava il ragazzo con aria indagatrice:

“Ho una cosa per te.” 

Seth sospirò, ripetendosi che ormai era tardi per cambiare idea e tirarsi indietro, doveva semplicemente chiederglielo. Vide la ragazza osservarlo con curiosità mentre si sporgeva leggermente, prendendo la piccola scatola quadrata che aveva lasciato sul tavolino sistemato davanti al divano per poi porgerla alla ragazza. 

“Tieni. C’è una cosa che vorrei chiederti, ci penso da un po’ ormai’.” 
“Dimmi.” 
Seth per un settimo non rispose, facendole semplicemente cenno di aprire la scatola prima di continuare a parlare, con leggera titubanza:

“Quando non ci sei mi manchi, può suonare stupido ma vorrei stare sempre con te… Sei la persona più importante della mia vita, Kate. Perciò, mi chiedevo… vorresti trasferirti qui?” 

La Corvonero strabuzzò gli occhi nel trovarsi davanti un mazzo di chiavi, sollevando subito dopo lo sguardo sul ragazzo per poi parlare con una nota di sorpresa nella voce:
 
“Vivere insieme?” 
“Non devi rispondere subito, ci puoi pensare per un po’ se vuoi, so che è un passo considerevole ma…”

Kate lo zittì appoggiandogli un dito sulle labbra prima di sorridere, annuendo:

“Certo che voglio, Seth. Non ho nessuna voglia di rifletterci, abbiamo già perso due anni dopotutto, non voglio perdere altro tempo.” 
“Su questo sono d’accordo. Non voglio stare senza di te un altro minuto, Kate Bennet. Anche se immagino che vivere insieme vorrà dire sorbirmi questo genere di film piuttosto spesso…” 

“Ehy! Non dire niente contro Harry ti presento Sally, è uno dei miei film preferiti!” 
“Ma non ha senso, perché due tizi dovrebbero metterci dieci anni a capire di amarsi e confessarselo?” 

“Beh, ti ricordo che tu ci hai messo due anni, ergo non fare la predica!” 


*


“Ora che abbiamo superato i soliti convenevoli, Seth… mi dici perché mi hai chiesto di vederci?” 
“Devo avere per forza un motivo specifico per voler vedere un vecchio amico?” 
 
“A giudicare dal tuo strano comportamento fino ad ora… direi di sì.”    Hooland si strinse nelle spalle, sorridendo all’amico con aria divertita:

“Ha a che fare con Kate?” 
“… sì. Vedo già una luce illuminartisi negli occhi, Hool.” 
“Che ci vuoi fare, ho seguito le vicissitudini di Seth innamorato di Kate Bennet a scuola e poi l’assurdo triangolo amoroso nella Casa… ormai sono un’esperto in materia. Dimmi pure.” 

“Non ti voglio chiedere consigli Hool, in quel caso avrei chiamato Gin, o Rose. No, ti volevo dire… voglio chiederle di sposarmi. Secondo te è troppo presto?” 

“Beh, anche Fox e Isla si sono sposati, poco tempo fa. E voi vi conoscete da ben prima rispetto a loro quindi no, non penso che sia troppo presto.” 


Hooland si strinse nelle spalle e Seth annuì, ripetendosi che l’amico aveva ragione. Ma continuava a chiedersi se Kate non l’avrebbe pensata diversamente. 

“Secondo te lo pensa anche lei?” 
“Penso di sì. Non credo ti direbbe di no Seth, vivete insieme da un po’ ormai… se non volesse costruire qualcosa con te non si sarebbe trasferita a casa tua, non pensi?” 
 
“Immagino di no. Tu e Rosie invece? Come vanno le cose?” 

A quella domanda Hooland sfoggiò un sorriso, e Seth poté quasi giurare di avergli visto gli occhi azzurri luccicare per un attimo. Nel corso degli anni li aveva spesso visti spenti, annoiati, disinteressati come se stesse pensando ad altro, a chissà che cosa… ma mai quando si parlava di Rose Williams.

“Bene.” 
“Solo bene?” 
“Che cosa vuoi che ti dica Seth, lei è fantastica, sono molto felice. Ma credo di voler aspettare un po’ per il “grande passo”, abbiamo solo 22 anni e stiamo insieme da due.” 
“Come se non sapessimo tutti che finirete per sempre felici e contenti con una ciurma di marmocchi… speriamo prendano dalla madre.” 

Seth sorrise, ridacchiando quando l’amico gli lanciò contro la cartina della bustina di zucchero. 


*


“Seth, mi stai ascoltando?” 
“No.” 
 
Di fronte alla candida ammissione del fidanzato Kate sbuffò, abbandonandosi contro lo schienale della sedia e smettendo di raccontare cosa avesse fatto nell’arco della giornata.

Seth però non si scompose, esitando per un attimo prima di parlare nuovamente, continuando a guardarla dritto negli occhi verdi:

“Non ti sto ascoltando, Katie, perché sto pensando ad una cosa.” 
“Davvero? A cosa, sentiamo.” 
“Sto pensando che sarebbe proprio il caso che ci sposassimo.” 

Seth parlò senza battere ciglio mentre invece Kate sgranò gli occhi, guardandolo come se fosse certa di aver sentito male:

“Come?” 
“Katie…” 

Seth si alzò per fare il giro del tavolo e raggiungerla, inginocchiarsi davanti a lei e prenderle le mani tra le sue, ritrovandosi quasi alla sua stessa altezza visti i numerosi centimetri che li dividevano:

“Ti ho detto molte volte che sei la persona più importante della mia vita. Quando ho perso la mia famiglia ero a pezzi, per mesi sono stato quasi depresso… mi sentivo meglio solo quando parlavo con te e mi sorridevi. E poi, quando ci siamo messi insieme, sono tornato a sorridere anche io. Sei stata la mia unica fonte di felicità dopo quella notte per un intero anno, e credo sia così anche adesso… forse è presto, ma voglio stare con te per sempre.” 
 
Kate, continuando a guardarlo negli occhi eterocromatici, aprì la bocca per dire qualcosa ma poi la richiuse, faticando e mettere insieme una frase o anche solo un pensiero sensato, troppo impegnata a concentrarsi sul fatto che le avesse chiesto di sposarlo e alla sua confessione.


“Io… Sì. Ti amo Seth, voglio stare con te.” 

Seth sfoggiò un largo sorrise, stendendo finalmente la tensione accumulata per tutta la giornata prima di sfoggiare una smorfia, sbuffando debolmente:

“Merda… mi sono scordato di darti l’anello.” 
“E chi se ne importa…” 

Kate rise appena, prendendogli il viso tra le mani prima di baciarlo, sentendolo sorridere sulle sue labbra mentre l’abbracciava.


*


“Adoro quelle scarpe…” 
 
Kate sospirò, fissando con insistenza i sandali con il tacco a spillo color cremisi intrecciati mentre, accanto a lei, Erin si lasciò sfuggire una piccola risata, guardando l’amica attraversò gli occhiali da sole che indossava:

“Non pensi di averne abbastanza, Kate? La tua scarpiera è in procinto di esplodere.” 
“Ma proprio tu parli? Tanto per cominciare, LaFont, queste décolleté bianche non le ho mai viste prima, immagino siano nuove.” 

“Beccata… ok, lasciamo perdere. Ma invece di comprare scarpe non dovremmo andare a prendere le bomboniere, Kate?” 
“Le scarpe non sono mai abbastanza Erin, pensavo che su questo fossimo d’accordo… su, andiamo a farci un giretto dentro, voglio assolutamente provarle.” 

“D’accordo, io proverò quei sandali gioiello blu notte allora.” 
“Scusa, dicevi sul non comprare scarpe? Sei il toro che dice cornuto all’asino…” 


Kate roteò gli occhi, prendendo l’amica a braccetto prima di entrare nel negozio, ignorando la risata della bionda. 


*


“Sei bellissima.”
“Grazie.”  

Kate sorrise e Nicholas ricambiò, sfiorandole i capelli castani prima di darle un bacio sulla fronte, mentre a pochi metri di distanza Keller ed Erin parlottavano a mezza voce, sistemandosi distrattamente le lunghe gonne in chiffon dei vestiti blu che indossavano.

“Pronta?” 
“Assolutamente… Seth è all’altare?” 
“Naturalmente, è lì che ti aspetta… vagamente nervoso, ho idea. Sono molto felice per te, sorellina, sono sicuro che con lui lo sarai e avrete una splendida vita.” 

“Da quando sei così poetico Nick?” 
“Solo per oggi, non illuderti.” 

Nicholas sorrise e la sorella ricambiò, abbracciandolo un’ultima volta prima di dirgli qualcosa a bassa voce:

“È un sollievo che tu “approvi”, se tu non pensassi che è una buona idea sposarlo forse sarei molto più nervosa.” 
“Non devi esserlo, ne avete superate parecchie e siete ancora insieme… se siete riusciti a passare oltre a due anni di separazione forzata e l’annullamento, credo che difficilmente qualcosa potrà dividervi, in futuro.” 


Kate sorrise al fratello, sperando che non si sbagliasse prima di voltarsi verso le amiche, sorridendo:

“Ragazze? Sono pronta… direi che abbiamo fatto aspettare lo sposo abbastanza. Che fine ha fatto papà?” 
“Sarà di là in lacrime perché la sua bambina si sposa, ora te lo chiamo.” 



Seth sospirò, tenendo le mani dietro la schiena mentre si voltava, lanciando una fugace occhiata all’ingresso della chiesa come per controllare se Kate stesse entrando o meno. 
Nel farlo gli occhi scivolarono sulle prime file di panchine, individuando la famiglia di suo padre e poi, ovviamente, Ginevra e Rose sedute vicine, che gli sorridevano. 

A poca distanza scorse anche Cecil e Isla, che sfoggiava un considerevole pancione, seduti uno accanto all’altra mentre il Corvonero teneva un braccio sulle spalle della moglie, sorridendole e dicendole qualcosa a bassa voce. 


Era felice, lo era davvero… ma non poteva fare a meno di pensare ai suoi genitori e ai suoi fratelli, a quanto sentisse la loro mancanza, specialmente in quel momento. 

“Tutto bene?” 
“Sì, certo.”   Seth annuì distrattamente alle parole di Hooland, voltandosi nuovamente verso l’altare mentre l’amico gli rivolgeva un sorriso, parlando quasi con leggera soddisfazione:

“I miei complimenti mio caro Seth, oggi sei impeccabile.” 
“In caso contrario mi avresti fatto la paternale, quindi…” 

Seth si voltò di nuovo solo quando sentì le familiari note della marcia nuziale, non riuscendo a non sorridere quando vide Kate in abito bianco. 
Certo, purtroppo quel giorno non aveva la sua famiglia al suo fianco… ma da quel giorno ci sarebbe sempre stata lei.


*


“Kate, va tutto bene? Sei lì dentro da mezz’ora!” 

Kate quasi non sentì la voce del marito, e nemmeno i colpi sulla porta del bagno dove si era chiusa qualche minuto prima. Continuò a tenere gli occhi fissi sul piccolo “+” che aveva davanti, come stava facendo da diversi minuti con aria imbambolata, come a volersi riprendere, prima di sorridere, alzarsi e spalancare la porta con un gesto deciso.

Si trovò davanti un Seth vagamente perplesso, che le rivolse un’occhiata incerta nel vederla sorridere allegramente prima di parlare:

“Sono incinta!” 
“Eh?” 
“Incinta. Aspetto un figlio! Cosa c’è di difficile?” 

“Da quanto lo sai?” 
“Da adesso!”   Kate sorrise, sollevando il test che teneva in mano prima di abbracciarlo di slancio, allacciandogli le braccia al collo.
Seth ricambiò la stretta solo dopo un istante, elaborando quello che aveva appena sentito mentre la parola “bambino” continuava a vorticargli in testa.

“Sei felice?” 
“Credo di sì. Cioè… non me l’aspettavo…” Seth sbattè le palpebre, rilassandosi però leggermente di fronte al sorriso della moglie, che sollevò una mano per accarezzargli i capelli castani:

“Lo so, un po’ spaventa… ma sono sicura che sarai un padre meraviglioso.” 
“Lo spero.” 

Seth annuì, allacciando le braccia intorno alla sua vita prima di stringerla a sé. Sentí la testa di Kate poggiarci sul suo petto e sorrise appena, accarezzandole i capelli: non sapeva se la moglie avesse ragione, ma di certo avrebbe fatto in modo che nessuno gli portasse via la famiglia che era riuscito a costruirsi.


*


“Qual è il nome?” 

Di fronte alla domanda dell’infermiera Seth esitò, lanciando un’occhiata incerta alla moglie ma soprattutto alla bambina nata da meno di mezz’ora che la ragazza teneva tra le braccia. 

In effetti avevano discusso a lungo sotto quel punto di vista, ma alla fine aveva concordato che avrebbero preso una decisione definitiva solo quando la bambina sarebbe nata. 

Tuttavia Kate rispose con tono fermo senza nemmeno consultarlo, come se avesse già preso la sua decisione a riguardo:

“Rebecka. Rebecka Sarah Redclaw.” 

Seth strabuzzò gli occhi, sinceramente sorpreso da quella riposta mentre metteva una mano sulla spalla della moglie, parlando a bassa voce:

“Sei sicura?” 
“Sicurissima.”   Kate si voltò verso di lui, sorridendogli prima di lasciargli un fugace bacio a stampo sulle labbra e tornare a coccolare la bambina che teneva tra le braccia, sorridendole. 
Anche le labbra di Seth si inclinarono in un sorriso, infinitamente grato alla moglie per quella scelta e allungando una mano per sfiorare la guancia della bambina con un dito, quasi stentando a credere di avere davanti la sua bambina. 

La sua bambina, che portava i nomi di sua madre e di sua sorella. 
La sua bambina che, ne era sicuro, non avrebbe mai smesso di proteggere… come non era riuscito a fare con le donne di cui portava il nome. 


*


“Avanti, non è difficile. Papà.” 
“Mamma.” 
“Ma perché dici solo mamma?!” 

Seth sbuffò, maledicendo mentalmente la solidarietà femminile mentre invece Rebecka rise leggermente, battendo le piccole mani mentre lo guardava con gli occhi verdi luccicanti. 

“Guarda che non c’è niente da ridere!”   Di fronte al tono e alla faccia seria del padre la bambina di pochi mesi smise subito di ridere, guardandolo quasi a mo’ di scuse e facendolo così sospirare, pulendole la piccola bocca con il bavaglino prima di toglierglielo e sfilarla dal seggiolone, sistemandosela in braccio. 

“Va bene, scusa… però potresti impegnarti di più invece di ripetere sempre “mamma”! Cosa c’è, a papà non vuoi bene?” 

Per tutta risposta Rebecka gli rivolse un piccolo sorriso sdentato, allungando le mani per toccargli il viso e dargli un bacio su una guancia, facendolo sbuffare leggermente:

“Ruffiana!” 


Quando, pochi minuti dopo, Kate entrò in cucina si ritrovò a sorridere di fronte al marito che, tenendo la figlia in braccio, le stava facendo il solletico, scatenando l’ilarità della bambina. 

“Vedo che vi divertite… ha mangiato?” 
“Come un lupo.” 

Seth sorrise, lasciando un bacio sulla testa della figlia mentre la bambina puntava gli occhi sulla madre, illuminandosi solo vedendola e allungando le braccia verso di lei:

“Mamma!” 
“Ah, vedo che ti sei dimenticata di me in fretta. Ecco, vai dalla mamma.” 

Seth lasciò la figlia tra le braccia della moglie, che sorrise alla bambina prima di darle un bacio, accarezzandole i capelli castani:

“Dici che erediterà il tuo stesso “sono”?” 
“Chi può dirlo, ma penso di sì. La DeWitt l’aveva bloccato, ma quando ho recuperato la memoria e la personalità, con il tempo, sono riuscito a recuperare la capacità di trasformarmi. Magari avremo anche un’altra piccola lupetta in casa, come tutti i Redclaw.” 

Seth sorrise, solleticando i piedi della bambina e facendola ridacchiare di conseguenza, guardandola con sincero affetto. 

“Basta che il suo papà le insegni a controllarlo e a non causare danni…” 
“Non è una cosa negativa, piccola… ho un modo per ridurre rapidamente in tanti piccoli pezzetti chiunque volesse farvi del male, come hanno fatto i miei zii paterni con la famiglia di mia madre anni fa. Non guardarmi così Kate, dico sul serio. Voi siete tutta la mia vita, non mi farò più portare via la mia famiglia.” 


*


Rebecka Sarah RedclawImage and video hosting by TinyPic
 


Si era svegliato, alzato e vestito in perfetto orario come sempre, ma quando si era avvicinato alla moglie per salutarla lei lo aveva preso un braccio, aprendo pigramente gli occhi per guardarlo con aria assonnata:

“Non puoi restare cinque minuti?” 
“Mi piacerebbe tanto tesoro, ma temo di dover andare…” 

“Andiamo, fa freddo, voglio il mio termosifone personale vicino.” 

Kate sbuffò debolmente e Seth sorrise, sporgendosi per darle un bacio su una guancia:

“Credimi, piacerebbe anche a me restare qui a farmi coccolare dalle mie donne, ma devo proprio andare. Ciao cucciola.” 

Il mago rivolse un tenero sorriso alla figlia di ormai due anni e mezzo che sonnecchiava accanto alla madre dopo essersi intrufolata nel letto matrimoniale qualche ora prima, mormorando che aveva freddo e voleva stare con loro. 


“D’accordo… vai. Noi ti aspettiamo qui.”

Le labbra di Kate si piegarono in un sorriso e Seth annuì, appoggiando con delicatezza una mano sul suo pancione prima di parlare a bassa voce, continuando a non staccare gli occhi dai suoi:

“Ci conto.” 


*


“Eccoci qui… è tanto che aspetti?” 
“No, non preoccuparti… Come stai? Ti trovo bene. Non hai portato Becky?” 

Cecil sorrise alla sua migliore amica, guardandola sedersi di fronte a lui per poi ricambiare il sorriso, sistemando accanto a lei il passeggino.

“Bene grazie. No, Becky al momento è a farsi coccolare e viziare dal suo amato zio Nick, mentre Seth lavora e io mi godo la maternità… Isla come sta?” 
“Incinta.” 

Cecil piegò le labbra in un sorriso e l’amica strabuzzò gli occhi, guardandolo con sincero stupore:

“Davvero? Beh, è meraviglioso! Dopotutto non c’è il due senza il tre, no?” 
“Vale anche per te e Seth?” 
“In realtà penso che due mi bastino… ho avuto una femmina e ora un maschietto, era ciò che volevamo.” 

“Ecco, già che ci sei… mi fai vedere l’ometto?” 

Kate rise e annuì, sfilando il figlio di un paio di mesi dal passeggino per metterselo in braccio e permettere all’amico di vederlo, sorridendogli:

“Derion, lui è lo zio Cecil… è un amico di mamma da un sacco di tempo. Non è adorabile?” 
“Sì, lo è… Come mai il nome “Derion Saul”? È molto particolare.” 

“Il padre di Seth si chiamava Derion, e suo fratello Saul… come per Becky.” 
“Capisco. È un bel gesto, da parte tua. Ci pensi? Abbiamo 27 anni, siamo entrambi sposati e con due figli, io ho appena saputo che ho il terzo in arrivo… avresti mai detto che sarebbe andata così, dieci anni fa, quando eravamo all’ultimo anno di scuola?” 

“Decisamente no. Ma sono felice della strada che ho intrapreso, e di certo anche tu.” 

Kate sorrise e Cecil ricambiò, annuendo prima che l’amica parlasse di nuovo:


“A questo proposito… ti ho chiesto di vederci per chiederti una cosa. Per Becky abbiamo scelto mio fratello, ma mi chiedevo se ti piacerebbe essere il padrino di Derion.” 


A quella domanda Cecil esitò per un attimo, sinceramente sorpreso, prima di piegare le labbra sottili in un sorriso e annuire:

“Certo, con piacere. Potrei chiederti di fare lo stesso con il nuovo arrivato, magari insieme a Keller.” 
“Con estremo piacere.” 


*


Derion Saul Redclaw Image and video hosting by TinyPic


“Ah, eccovi qua… quante buste. Avete svaligiato un intero negozio?”

“Non esattamente, solo un pochino…” 
“Ciao mamy!” 

Rebecka rivolse un gran sorriso alla madre mentre, tenendo la “zia Erin” per mano, camminava sul vialetto che portava all’ingresso di casa, dove la giovane strega aspettava tenendo per mano il piccolo Derion, di poco più di un anno.

“Ciao tesoro… ti sei divertita con la zia?” 
“Sì, abbiamo preso un sacco di cose!” 

La bambina annuì, sorridendo alla madre mentre le cingeva le gambe con le braccia e Kate, per tutta risposta, lanciò un’occhiata eloquente all’amica:

“Non avevo dubbi… Vuoi entrare?” 
“Volentieri. Ciao, ometto! Dammi un bacio.” 

Erin sorrise, chinandosi per abbracciare il bambino che le rivolse un gran sorriso, lasciandosi pizzicare le guance paffute. 

“La donna di ghiaccio che si innamora dei miei figli, chi l’avrebbe mai detto…” 
“Oh, piantala!” 


*


“Che cosa stai guardando?” 

Seth entrò nel salotto, avvicinandosi alla figlia di sei anni che teneva gli occhi fissi su una delle fotografie incorniciate e sistemate sopra al caminetto spento. 

“Quella foto. Chi sono quelle persone?” 
La bambina indicò forse la più vecchia che tenevano sopra al camino e Seth abbozzò un sorriso, avvicinandosi per prendere la cornice e fare segno alla figlia di sedersi sul divano. 

Rebecka obbedì e lui la raggiunse subito dopo, sedendosi accanto a lei per mostrarle meglio la foto:

“Beh… questo sono io. E questa è la mia famiglia, loro sono i miei genitori e questi i miei fratelli.” 
“La mamma mi ha detto che non li ho mai visti perché sono andati in cielo tanto tempo fa.” 

Seth annuì, sorridendo di fronte alla candida ammissione della figlia mentre le accarezzava i capelli castani, osservando la foto con un velo di malinconia. 

“Già… avevo 17 anni, andavo ancora a scuola. In questa foto dovrei averne 16, credo.” 

“Come si chiamano?” 
“La mia mamma Rebecka, il nonno Derion… e i miei fratelli Sarah e Saul.” 
“Come me e Derion.” 

Rebecka sorrise, alzando lo sguardo per incontrare quello del padre, che annuì e ricambiò il sorriso:

“Sì, io e la mamma vi abbiamo chiamati come loro.” 
“Ci hai chiamati come la tua famiglia perché ti mancano, papy?” 

“Sì cucciola… mi mancano moltissimo. Ma ora, per fortuna, ho voi e la mamma.” 










……………………………………………………………………………..
Angolo Autrice:

Ed ecco anche la OS su Seth e Kate, l’ultima coppia della storia… Tuttavia la Raccolta non è ancora finita, vi aspetta un’ultima OS ;) 

A presto! 
Signorina Granger 
PS. Se volete andarli a vedere, ho inserito i Banner per Carter, Erin ed Echo

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Capitolo 4
*** Joseph ***


Joseph 

 
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Joseph Richardson teneva gli occhi fissi sul vetro della finestra, osservando distrattamente le piccole gocce di pioggia due si abbattevano sul vetro per poi scivolare verso il basso, disegnando lentamente delle linee. 

Non aveva mai amato particolarmente la pioggia, quando c’era quel clima i suoi occhi azzurrissimi tendevano di più al grigio, assumendo quasi il colore del cielo coperto dalle nuvole. A Clare piacevano, però, i suoi occhi in quei momenti. 

Quando i suoi pensieri volarono sulla moglie il suo stomaco si strinse inesorabilmente in una morsa dolorosa, ma l’Auror deglutì, chiudendo gli occhi e cercando di scacciare l’immagine di quella bellissima ragazza bionda che gli sorrideva, mettendogli una mano sul viso prima di dirgli quanto le piacessero i suoi occhi. 

Anche a lui erano sempre piaciuti, i caldi e affettuosi occhi nocciola di Clare. Così diversi dai suoi, spesso molto freddi nei confronti di chi guardavano. 

Era così assorto che per qualche minuto nemmeno si accorse del pianto e degli strilli che provenivano dalla stanza accanto. Quando si riscosse l’Auror sospirò, alzandosi rapidamente dalla sedia di pelle per uscire dallo studio e raggiungere la loro – sua, si corresse subito mentalmente – camera da letto. 

“Scusa, tesoro…” 

Con un mormorio si avvicinò alla culla dove fino a poco prima sua figlia Diana aveva dormito placidamente, avvolta in un minuscolo body bianco. Ma ormai la bambina si era svegliata e richiamava attenzioni a gran voce. 

“Su, non piangere… ho capito, sono qui.” 

Finì col sorridere alla bambina che teneva tra le braccia, sfiorandole i capelli biondi mentre la piccola Diana muoveva le minuscole mani chiuse a pugno quasi come se stesse protestando per qualcosa. Forse perché ci aveva messo un po’ ad andare da lei? 


“Hai fame, vero?” 

Joseph sedette sul letto, tenendo la bambina – così piccola da riuscire a farlo usando solo una mano – per prendere il biberon che aveva lasciato sul comodino. Ci volle solo un attimo e un colpo di bacchetta per scaldare il latte e poi porse il biberon alla bambina, che subito smise di piangere e allungò le mani verso il suo tanto agognato spuntino. 

“Ecco. Va meglio, vero?” 

Era normale parlare così tanto con una bambina che di certo non capiva ciò che diceva? Forse nemmeno lo amava, troppo piccola persino per quello. 
Non sapeva se era normale o meno, ma non riusciva a farne a meno da quando l’aveva portata a casa dall’ospedale due settimane prima. Aveva soltanto lei, dopotutto, non riusciva a non parlare con nessuno. 

Guardò Diana rilassarsi e chiudere gli occhi azzurri con aria beata, tenendo mollemente il biberon con le mani mentre Joseph sorrideva, accarezzandole i capelli: aveva i suoi occhi, non quelli di Clare. Non sapeva se esserne felice o meno… forse sarebbe stato doloroso guardarli ogni giorno per il resto della sua vita, ma allo stesso tempo già gli mancavano tremendamente. 

Quando glie l’avevano messa tra le braccia per la prima volta e gli avevano chiesto il nome lui, ancora scosso e praticamente in lacrime, non aveva saputo cosa rispondere. Lui e Clare avevano deciso di chiamarla Diana e Melanie di secondo nome, ma per un attimo si chiese se non sarebbe stato meglio chiamarla come la madre… ma poi si era detto che l’avrebbe chiamata come sua moglie aveva deciso. 

Non aveva mai visto nessuno felice come Clare quando aveva superato i tre mesi di gravidanza e, facendo l’ecografia, era risultato tutto in perfetto ordine. Era riuscita ad avere un figlio, finalmente, ma era stato il suo stesso più grande desiderio ad ucciderla. 


Due settimane. 
E la voleva disperatamente indietro. 


*

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“Diana? Dove ti sei nascosta, piccola peste?” 

Joseph Richardson si appoggiò mollemente all’apertura del muro, studiando il salotto in cerca di una figurina avvolta in un body rosa. 

Sentì una vivace risata e sorrise, osservando il divano, certo che fosse lì dietro. 
Molti gli avevano chiesto se fosse in grado di badare a sua figlia subito dopo aver perso la moglie, ma lui si era rifiutato di lasciarla a qualcun altro, persino ai suoi stessi genitori. Di sicuro sarebbe stato difficile farlo da solo, di certo Clare sarebbe stata molto più materna di lui, ma era la sua bambina, sua e di Clare, non l’avrebbe mai lasciata a nessun altro. Aveva anche deciso di non andare al lavoro per i suoi primi mesi di vita, fino ad un anno di età, facendosi mandare tutto a casa per stare con lei. 

“Chissà dove si è nascosta…” 

Sbuffò debolmente, avvicinandosi al divano prima di lasciarcisi cadere sopra, sentendo ancora la risatina della figlia che pochi minuti prima era sfuggita alla sua presa, gattonando in giro per casa e giocando a nascondino. 

Dopo qualche istante l’uomo si voltò, abbassando lo sguardo e sorridendo alla bambina bionda che ricambiò, ridacchiando:

“Eccoti qui!” 

Diana fece per darsi alla fuga gattonando ma il padre fu molto più rapido, afferrandola prontamente per mettersela in grembo e farle il solletico. 

“Credevi di sfuggirmi, piccoletta? A papà non sfuggono neanche i criminali, figuriamoci una bambina piccola come te.” 

Sorrise nel guardare la bambina contorcersi e ridere a causa del suo tocco, e ancora una volta Joseph si ritrovò a chiedersi se fosse felice o meno di averla data vinta a sua moglie, quasi due anni prima, ad acconsentire a provare un’ultima volta ad avere un figlio. 

Se non l’avesse fatto Clare sarebbe stata ancora viva, ancora lì con lui. Ma allo stesso tempo non avrebbe avuto Diana. Non sapeva dire se preferisse riavere indietro la moglie o immaginare di tornare alla vita di prima senza la figlia. 

“Papà ti ama tanto, lo sai?” 
Smise di farle il solletico, prendendola delicatamente per la vita per poi sollevarla, guardandola dritta negli occhi molto simili ai suoi, solo decisamente più vivaci e spensierati. 

“E anche la mamma ti avrebbe amata tantissimo, Didi.” 


*


“Lo so che non è molto buono, ma devi mangiarlo.” 

Joseph sbuffò, continuando a tenere il piccolo cucchiaio di plastica azzurra a mezz’aria, davanti al viso della figlia. Lei per tutta risposta si voltò, imbronciandosi e allungando una mano per indicare il suo piatto, con bistecca e patatine fritte. 

“Vorresti le patatine, eh mia cara? Eh no, è roba da grandi quella, dovrai aspettare un po’. Su, fai la brava.” 

Dovette forzare un po’ la mano ma riuscì ad imboccarla per altre due volte, infilandole in gola l’omogeneizzato. 

“Ma che brava… non era così difficile, vero?” 
Joseph sorrise alla figlia, che ricambiò mentre il padre si sporgeva per pulirle la bocca con il bavaglino. 

“Pa-pà.” 

L’Auror bloccò la mano a mezz’aria, osservando la bambina con tanto d’occhi:

“Che hai detto?” 
“Pa-pà.” 

Diana sorrise, guardandolo con gli occhi chiari luccicanti mentre il padre sorrideva di rimando:

“Sì, sono il tuo papà.” 

La prese in braccio, dandole un bacio su una guancia e facendola ridacchiare leggermente. Ovviamente sapeva che per lei erano solo due sillabe, che aveva sentito spesso quando lui le diceva di “mangiare la pappa”… ma non gli importava nemmeno, per quanto lo riguardava Diana aveva appena detto proprio “papà”.


*


“Didi… papà domani va al lavoro…” 
“In braccio.” 

Diana, gli occhi lucidi, allungò le piccole braccia pallide verso di lui mentre era in piedi nel suo lettino. L’aveva trovata in lacrime e aggrappata alle sbarre poco prima, quando si era svegliato di colpo sentendola strillare. 

“Va bene…” 

Sospirò, chinandosi per prendere in braccio la bambina di un anno e mezzo che aveva davanti, accarezzandole i capelli mentre girava sui tacchi, uscendo dalla sua cameretta per tornare in camera sua. 
Sapevano entrambi come sarebbero andate le cose, dopotutto… esattamente come la sua principessina voleva, ossia dormire con lui. 


“Ecco. Ma ora basta piangere, ok?” 

Diana annuì, sorridendo mentre il padre la sistemava al centro del grande letto prima di stendersi accanto a lei e, come al solito, la bambina andò ad accoccolarsi accanto a lui, lasciandosi abbracciare con aria soddisfatta. 


*


La Dollhouse
Cecily DeWitt 
Melanie 


Scosse leggermente il capo mentre apriva la porta di casa, ripetendosi di non pensarci più, almeno per quella sera, e di godersi Diana e basta. 
Ne discuteva con Richard da giorni ormai, di trasferirsi lì per un po’ per verificare se Melanie fosse davvero stata lì… senza contare che il Dipartimento cercava comunque di mettere le mani su quella fantomatica associazione da diverso tempo. 


“Buonasera, Signor Richardson.” 
L’Auror rispose debolmente al sorriso della ragazza che aveva di fronte mentre si sfilava il cappotto, abbandonandolo sul divano:

“Ciao Stacey… Diana come si è comportata oggi?” 
“Bravissima come sempre, anche se oggi pomeriggio ha avuto una crisi di pianto perché voleva il suo papà. Tesoro? Vieni, c’è papà.” 

La baby-sitter si voltò, sorridendo alla bambina che era ancora fuori dal campo visivo del padre, ma solo per qualche altro istante: poi Diana fece la sua comparsa, correndogli incontro e sorridendo. 

“Ciao Didi… ti sono mancato?”   Joseph sorrise, prendendola in braccio e lasciandole un bacio su una guancia, vagamente consapevole dello sguardo della ragazza su di sé. 

Richard continuava a prenderlo in giro, ridacchiando e sostenendo che la maggior parte delle donne restavano a guardarlo con aria imbambolata quando lo avevano davanti, ma lui continuava a sbuffare e a liquidare rapidamente quei discorsi.


“Non mi interessa, Rick.” 
“Joe, lo so che ti manca Clare, dico solo che…” 

“Non mi interessa. Al momento mi concentro sul lavoro e su mia figlia, nient’altro… avere una relazione è l’ultimo dei miei interessi.” 

Sì, anche dopo quasi due anni Clare gli mancava tremendamente… ma faceva una sorprendente fatica a dirlo ad alta voce, fin troppo orgoglioso persino per ammetterlo. 


*


“Papy? Perché non andiamo a trovare lo zio Rick al lavoro?” 
“Beh, cucciola… papà ha cambiato lavoro, di recente.” 

“Perché? Hai litigato con lo zio?” 
“No amore, avevo solo voglia di cambiare.” 

“Ok, ho capito.”    Diana annuì prima di voltarsi nuovamente, tornando a concentrarsi sulla TV e sul cartone che stavano guardando… Cenerentola, manco a dirlo. 

Joseph sorrise, accarezzandole i capelli mentre la bambina si era seduta accanto a lui, stringendo la sua bambola di pezza sottobraccio. 

“Anche io voglio una fata madrina!” 
“Davvero? Ma la fata madrina arriva solo dalle ragazze che non hanno i genitori piccola.” 

“Ma uffa!” 
“Se vuoi posso andare via, allora… Faccio le valige e parto.” 

L’ormai ex Auror inarcò un sopracciglio, facendo per alzarsi dal divano e cercando di non ridere di fronte all’espressione sgomenta della figlia, che lo afferrò per la camicia e lo implorò di non andare via, abbracciandolo. 

“Scherzavo cucciola, non vado proprio da nessuna parte senza di te.” 


*


“Diana, ascoltami. Non sto scherzando. Non devi mai più andare insieme a quelle persone, hai capito? Non devi andare con nessuno che non sia io, i nonni o qualche collega di papà, ok?” 


Diana annuì, guardandolo quasi con aria malinconica mentre il padre sospirava, inginocchiato davanti a lei nell’ingresso di casa. Gli venivano ancora i brividi pensando a quando, poco prima, l’aveva trovata nella Casa. 

“Scusa… sei arrabbiato con me?” 
“No. No, non sono arrabbiato con te Didi, papà ti vuole bene e non vuole che ti succeda niente.” 

Abbracciò la figlia e la bambina ricambiò la stretta, appoggiando la testa sulla sua spalla mentre Joseph le accarezzava le trecce, parlando a bassa voce:

“Ora devo tornare al lavoro… Questione di pochi minuti, ok? Devo parlare con la signora bionda. Torno subito.” 
“Va bene… poi guardiamo i cartoni?” 

“Certo. Vai a giocare adesso.” 

L’ex Auror annuì, dando una leggera spintarella alla bambina, che annuì prima di trotterellare via. 
Poco dopo Joseph uscì di casa per Smaterializzarsi, ma solo dopo aver sigillato la porta con la magia e aver aumentato gli incantesimi di protezione.

No, non gli avrebbe portato via anche sua figlia, dopo Melanie 


*


Era salito al piano di sopra per andare a chiamare Diana, dirle che era pronta la cena… non l’aveva trovata nella sua stanza, ma percorrendo il corridoio per controllare se fosse nel suo studio si era fermato di colpo accanto alla porta della sua camera da letto, gli occhi azzurrissimi fissi sulla bambina che si era inginocchiata accanto al letto matrimoniale, davanti al comodino dove teneva l’abat-jour, un paio di libri, la sveglia e soprattutto una fotografia incorniciata del giorno del suo matrimonio. 

Diana teneva gli occhi fissi proprio su quella foto, osservando il volto della madre che mai aveva visto dal vivo e quello di suo padre, di circa dieci anni più giovane rispetto a quello che conosceva e vedeva ogni giorno. 
Joseph non disse niente e nemmeno si mosse, non seppe perché ma voleva osservare la scena, vedere che cosa stesse facendo sua figlia. 

Diana non faceva mai molte domande su sua madre… era cresciuta senza di lei fino a quel momento, sembrava accettare di non avere un genitore per la maggior parte del tempo. Eppure in quel momento era lì, impegnata a studiare il volto sorridente e felice di sua madre. 

Dopo qualche istante la bambina si mosse, abbassando lo sguardo su qualcosa che teneva tra le mani ma che, da quella prospettiva, Joseph non riuscì a vedere. La vide semplicemente prendere in mano un piccolo pezzo di carta e sistemarlo sulla fotografia, incastrandolo nella cornice proprio in mezzo alla foto, tra le immagini sorridenti dei genitori. 

Poi la bambina si alzò, sorridendo quasi con aria soddisfatta prima di uscire trotterellando dalla stanza, rivolgendogli un sorriso:

“È pronto da mangiare papà? Ho fame.” 
“Sì, vai di sotto… io arrivo subito.” 

La guardò allontanarsi nel corridoio prima di entrare nella stanza, avvicinandosi al comodino per riuscire a vedere che cosa avesse sistemato sulla foto la figlia. 
Quando posò gli occhi sul piccolo disegno che la bambina aveva fatto sorrise, ma allo stesso tempo gli si inumidirono quasi gli occhi, cosa che non succedeva praticamente mai. 

In mezzo a lui e a Clare Diana aveva messo un piccolo pezzo di carta che ritraeva una bambina bionda con un vestitino azzurro addosso.


*


“Papy, perché tu fai le magie e io no?” 
“Beh, dovrai impararle andando a scuola, cucciola.” 

“Ma io ci vado già a scuola!”   Di fronte alla puntualizzazione della figlia Joseph sorrise, lanciando un’occhiata ai piatti che si stavano lavando magicamente da soli:

“Certo… ma quando sarai più grande andrai in una scuola speciale, dove imparerai a fare le magie. È un enorme castello come quello delle favole, penso che ti piacerà.” 
“E dov’è?” 
“A nord, in Scozia… è un po’ lontano da qui, ci si arriva in treno.” 

“Lontano? Quindi non ti vedrò tutti i giorni?” 
“No tesoro… vivrai lì e tornerai a casa per le vacanze, come ho fatto anche io.” 

Joseph guardò Diana, seduta al tavolo della cucina e impegnata a colorare, sgranare gli occhi con orrore prima di parlare di nuovo, scivolando giù dalla sedia:

“Allora non voglio andare a scuola! Voglio stare con te.” 
“Tesoro, ci andrai tra sei anni… cambierai idea.” 

“No invece. Non ci voglio andare!” 


L’Auror, allibito, guardò la figlia girare sui tacchi e correre fuori dalla stanza, sentendola salire le scale poco dopo. 
Non aveva mai pensato a quell’eventualità, in effetti, che lei non volesse andare ad Hogwarts… forse era sempre stato troppo attaccato alla sua unica figlia? 

Non che lui morisse dalla voglia di vederla andare ad Hogwarts, in effetti… e poco dopo si ritrovò nella camera della bambina, seduto accanto a lei per abbracciarla e assicurarle che sarebbero stati sempre insieme per molto altro tempo.


*


“Ok, ora devi andare… divertiti, ma cerca anche di impegnarti. E se qualcosa non va scrivimi, ok?” 

Diana annuì, sorridendo al padre che le stava sistemando il bavero della giacca, inginocchiato davanti a lei. Finalmente quel giorno era arrivato, aveva portato per la prima volta Diana a King’s Cross… ma non poteva certo dire di essere felice.

“D’accordo. Mi mancherai, papà.” 
“Mi mancherai anche tu Didi.” 

Joseph sospirò mentre l’abbracciava, non potendo fare a meno di pensare all’ultima volta in cui aveva salutato qualcuno in quella stazione. Aveva salutato sua sorella proprio lì, anni prima, e non l’aveva mai più rivista, non per davvero. 

Si ordinò mentalmente di non pensarci, che ormai Cecily DeWitt aveva smesso di rappresentare un problema già da sette anni. No, sua figlia sarebbe stata benissimo ad Hogwarts, ne era certo. 

“Secondo te in che Casa finirò papà?” 
“Non lo so… forse Tassorosso, come la mamma. Le somigli molto.” 

Diana sorrise quasi con orgoglio sentendosi dire quelle parole e Alpha ricambiò, ripensando a quando, la sera prima, la figlia si era infilata nel suo letto per dormire con lui come aveva fatto milioni di volte quando era piccola. 
Sì, gli sarebbe mancata tremendamente.



Pochi giorni dopo ebbe la conferma di non essersi sbagliato: Diana gli inviò una lettera, scrivendogli che era stata Smistata a Tassorosso, che il castello le piaceva moltissimo e che non vedeva l’ora di imparare a fare tutte le cose che gli aveva sempre visto fare fin da piccola. 

Joseph ripiegò quella lettera, mettendola nel cassetto della sua scrivania dove teneva ancora le ultime lettere che gli aveva scritto Melanie, insieme a qualche fotografia, sia della sorella che di Clare. Non si liberò mai del contenuto dell’intero cassetto. 











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Angolo Autrice: 


Nuova OS a tempo di record, ho sempre amato troppo Joseph per metterci molto a scrivere il suo capitolo. 
E con questa chiudo definitivamente la Raccolta ma anche Dollhouse, ancora un enorme grazie per avermi mandato questi OC e per aver seguito la storia, anche se come avrete notato Carter non compare nell’Epilogo e nemmeno in questi “capitoli extra”, anche Keller nelle OS è apparsa solo di sfuggita, questo perché le rispettive autrici non si fanno sentire da un bel po’ di tempo. 

Detto ciò, spero che quest’ultimo capitolo vi sia piaciuto… grazie per aver apprezzato il mio Joseph, sia come Auror ma anche come l’Alpha che vi ho inizialmente presentato. Anche se per me rimarrà Alberto, temo, come l’ha soprannominato Phebe fin da subito XD 

A chi partecipa ad altre mie storie a presto, per le altre ovviamente spero di incrociarvi di nuovo. 

A presto, 
Signorina Granger 

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