Misunderstanding

di Frulli_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lavender House ***
Capitolo 2: *** London's Parade ***
Capitolo 3: *** Moonlight Sonata ***
Capitolo 4: *** How you could... ***
Capitolo 5: *** Christmas Carol ***
Capitolo 6: *** Romeo and Juliet ***
Capitolo 7: *** The Season ***
Capitolo 8: *** Friendship ***
Capitolo 9: *** Best Day Ever ***
Capitolo 10: *** Odi et amo ***
Capitolo 11: *** Wife and Husband ***
Capitolo 12: *** Love is not a Deal ***
Capitolo 13: *** Penelope's Shroud ***
Capitolo 14: *** (Not) Alone ***
Capitolo 15: *** Twice ***



Capitolo 1
*** Lavender House ***


1. Lavender House

27 Novembre 1805

 

«Dovremmo tornare a casa, Charlie. La mamma sarà in pensiero per noi» la voce di Cathleen ruppe il silenzio per la seconda volta in poco tempo. Sentì la sorella minore sbuffare, dietro di lei, mentre le sistemava in testa l'ennesima corona di foglie che aveva composto.
«Ma il sole è ancora alto in cielo, e non ci sono nubi! Torneremo non appena vedremo che il tempo sta cambiando, va bene?» la voce di Charlotte era così mielosa e supplichevole che Cathleen stava per cedere, ma lentamente si alzò scrollando foglie e fiori secchi dall'abito. Si strinse lo scialle di lana sulle spalle e scosse il capo.
«Meglio di no, cara. Meglio tornare ora. Sei appena guarita da un brutto raffreddore, non voglio che ti ammali di nuovo» annunciò Cathleen, con quel tono che non ammetteva repliche. Charlotte si alzò a sua volta, sbuffando e battendo appena i piedi.
«Sei insensibile»
«Lo so»
«Sei la mia sorella meno preferita!»
«So anche questo»
Charlotte la guardò dal basso prima di sorridere: «Sai che scherzo, vero?»
«Certo che lo so, io so tutto» precisò Cathleen, ridendo insieme alla sorella minore mentre si incamminavano verso casa.
Il percorso da Lavender House fino al loro posto segreto -null'altro che una betulla nel ben mezzo della campagna inglese- non era molto pericoloso nè tantomeno incidentato, ma Cathleen conosceva bene il tempo inglese: imprevedibile e capriccioso come una nobildonna, come diceva sempre suo padre. Inoltre non dovevano assolutamente approfittare della misericordia di quella giornata, straordinariamente calda e soleggiata per essere quasi fine Novembre.
Risalirono lentamente la collina davanti a loro, non senza scivolare ogni tanto o inciampare nei loro abiti, accaldate e sorridenti. Arrivate in cima alla collina, troneggiarono davanti al paesaggio davanti a loro: una piccola valle era disegnata sotto la collina, in un ambiente tipicamente di campagna: un ruscello, qualche albero di quercia e, in fondo, una tenuta circondata da cespugli di lavanda. Casa loro.
Lavender House non era nulla di straordinario, notò Cathleen ancora in cima alla collina: un cancello delimitava il suo ingresso, un piccolo viale accompagnava il visitatore verso l'ingresso principale della struttura, non eccessivamente grande ma tanto da ospitare una famiglia di cinque persone, più il resto della servitù. C'era sicuramente di meglio nel circondario, ma sua madre le aveva insegnato a non invidiare i beni altrui ed anzi a ringraziare Dio ogni giorno per la buona situazione in cui si trovava la sua famiglia.
Le campane della chiesa vicina batterono il mezzodì. Era decisamente ora di tornare a casa. Presero a discendere la collina: da quella posizione avrebbero impiegato meno di mezz'ora prima di tornare a casa, appena in tempo per il pranzo. Ma d'improvviso il cielo si fece cupo, e dal giorno passarono velocemente alla notte. Prese la mano della sorella, velocizzando il passo di entrambe.
«Forza Charlie, non battere la fiacca!» esclamò Cathleen, mentre già sentiva qualche goccia batterle sul cappellino che indossava. In meno di un minuto, sembrava che Dio stesse gettando secchiate di acqua sul suolo di Sua Maestà. In meno di tre minuti, erano fradice dalla testa ai piedi, gelate e tremanti.
«Te l'avevo detto che dovevamo tornare prima!» gridò Cathleen mentre trascinava la sorella che, in tutta risposta, perse l'equilibrio e cadde a terra, proprio sul ciglio della strada in fondo alla collina. Intravedeva già il cancello di casa, ma in quello stato il viaggio di ritorno sembrava eterno.
«Mi fa male la caviglia!» pianse Charlotte, seduta sul fango, mentre si reggeva la gamba sinistra con ambo le mani.
«Forza, ti aiuto io a camminare» annunciò Cathleen, tirandola su di peso. Sentì la schiena schioccare dolorante ma non ci fece caso, non in quel momento.
«Qualcuno arriva dalla strada!» gridò Charlotte, girando la testa oltre la spalla della sorella. Entrambe si ritrovarono a guardare una carrozza per quattro, aperta ma con la copertura alzata. Un uomo guidava i cavalli e si fermò quando vide le due. Era bagnato anche lui, come le sorelle, ma mostrava un sorriso vispo e allegro.
«Vi siete perse, signorine?» la voce era gentile e mielata.
«No, signore, stiamo tornando a casa! Lavender House» annunciò Cathleen, alzando la voce per cercare di superare il suono del tuoni e della pioggia. L'uomo la osservò, quasi stupito, quindi scese dalla carrozza e sollevò di peso Charlotte, facendola sedere sulla carrozza, al coperto. Aiutò a salire anche Cathleen, senza dire una parola, quindi avviò i cavalli a tutto spiano verso la tenuta dei Colborne.

«Mamma, arriva qualcuno» Emma staccò il naso dal freddo vetro della finestra e si girò di scatto verso Mrs Colborne, che subito la raggiunse.
«Sono loro! Presto, John, va ad aiutare quel gentiluomo che mi ha riportato le mie figlie sane e salve!» la voce acuta della padrona di casa rimbombò per tutto l'ampio ingresso, mentre i domestici aprivano il portone e soccorrevano le Miss.
«Lasciate, vi aiuto io» annunciò l'uomo in carrozza al domestico. Scese dalla carrozza e prese tra le braccia Charlotte, con la caviglia dolorante.
Cathleen scese veloce dalla carrozza e, sottobraccio ad Augustine, entrò al caldo nel salotto.
Nei minuti successivi ci fu un via-vai di domestici per la casa, che soccorrevano le due padroncine ora offrendo thè caldo, ora sistemando le coperte ed una fascia alla caviglia di Miss Charlotte. Quando finalmente ci fu più calma, il suo salvatore scese lentamente nel salotto dove era riunita la famiglia. Accettò volentieri una tazza di thè e si accomodò con gli abiti ancora bagnati, sorridendo con sicurezza. Nonostante tale apparente sicurezza, agli occhi delle donne di casa si dimostrò alquanto bizzarro e goffo. Vestiva in maniera elegante e costosa, ma sembrava quasi non riuscire ad indossare tale eleganza con altrettanta sobrietà. Piuttosto, l'idea era che volesse proprio ostentarla, nonostante zuppo dalla testa ai piedi. Aveva un volto delicato e bello, questo Cathleen doveva ammetterlo, la pelle curata di chi non aveva altro da fare, occhi celesti e capelli scuri, tenuti lunghi e chiusi in un laccetto di cuoio, anch'esso fradicio in quel momento.
«Vogliate accettare i miei più sentiti ringraziamenti, Mr...» fece per dire Mrs Colborne ma si fermò, non conoscendo il nome del gentiluomo.
«Barrington, per servirla Mrs Colborne» annunciò l'uomo, chinando il capo fin quasi a toccarsi le ginocchia.
Ad Emma sfuggì una risatina che Cathleen prontamente soffocò pestandole appena un piede. In piedi vicino al camino acceso, continuò a fissarlo con attenzione. Seppur provava per lui un'immensa gratitudine per aver salvato lei e Charlotte da una bronchite, doveva ammettere che non aveva un'aria alquanto...sveglia.
«Barrington? Non sarete forse il figlio di Sir Barrington?» chiese Mrs Colborone con una vena di curiosità nella voce.
«Il maggiore, per essere precisi, Mrs Colborne. So che mio padre e Mr Colborne sono molto amici. Non ho avuto l'onore di conoscere vostro marito, sono stato per molti anni ad abitare a Londra, sapete...» il vanto trasudava dalla voce di Mr Barrington.
«Oh si, Mr Colborne è molto legato a vostro padre! E ditemi...è vero che vostro fratello minore sta tornando?» chiese Mrs Colborne, sempre più curiosa.
Il sorriso sicuro di Mr Barrington s'incrinò appena in un'espressione di fastidio, Cathleen lo notò subito. «Si, Mrs Colborne, le voci sono giuste. Fra una settimana ci sarà il rientro della Royal Navy a Londra»
«La Royal Navy??» Emma per poco non fece cadere la sua tazza di thè dal tavolino.
«Emma, per amore del cielo...» sussurrò seccata Cathleen da quell'indole così romantica della sorella. Lei sapeva perfettamente, infatti, che per Emma chiunque fosse nella Royal Navy, o nell'esercito, o persino come mozzo, era di conseguenza meritevole di attenzioni.
«Si, Miss Colborne, la Royal Navy. Ma vi prego di non fantasticare troppo: mio fratello è un uomo duro e dal cuore arido, oltre che di pessima compagnia. E' via da ben sedici anni, e dubito che si ricordi anche solo come si balla o si saluta convenientemente delle giovani così avvenenti come voi signorine Colborne» spiegò Mr Barrington, sorridendo gentile e con un tono di voce carezzevole, come si fa con dei dolci animali domestici «Ed ora, se volete scusarmi, è meglio che torni a casa» annunciò. S'inchinò profondamente, goffo, quindi uscì dalla stanza accompagnato da domestico.
«Che strana gente...» ammise Mrs Colborne. «Sir Barrington è un uomo così affabile e garbato e sua moglie, che Dio l'abbia in gloria, era una vera gentildonna. Mi chiedo come sia possibile che da due persone così di buon cuore, escano dei figli così...strani» la lingua di Mrs Colborne era sempre affilata, aspetto che Charlotte aveva ripreso alla perfezione.
«Madre...!» Cathleen cercò di contenere il giudizio materno, seppur doveva ammettere che aveva pienamente ragione.
«Cosa avrò mai detto di male, cara? L'unico giovane di tutto il circondario è un goffo e spavaldo gentiluomo, mi chiedo come farete a trovare marito di questo passo! Fortunamente i Barrington hanno una rendita stellare, e protete forse non badare a queste facezie caratteriali. Vostra sorella Fanny è stata così fortunata a sposare Mr Appleby!» e, sospirando, la padrona di casa uscì dal salotto.
Quando, qualche minuto più tardi, Augustine l'aiutava a cambiarsi d'abito, Cathleen si ritrovò a pensare e fantasticare sul figlio minore di Sir Barrington. Lo doveva ammettere, a volte la vena romantica di Emma sembrava influenzarla, ma solo per fantasticherie da romanzi. Immaginava Mr Barrington come un ragazzino, basso e tarchiato, brutto e poco affabile, che non fa che parlare di strategie militari, mari e canzoni da porto. L'alito che sa di rhum. E una brutta cicatrice sulla guancia, ricordi di torbide battaglie in cui era capitato per caso e non per coraggio. Codardo? Si, lo immaginava poco eroico o molto pauroso. Soddisfatta di quella propria analisi personale e fantasiosa, si sedette vicino la finestra della propria camera, aprì il libro che leggeva la sera prima, e si tuffò nella sua lettura, ignorando il resto del mondo intorno a lei.

Il tempo sembrò volare, ed in men che non si dica Augustine bussò alla porta della camera, avvisando Cathleen che da lì a breve sarebbe stata servita la cena. Questo poteva significare solo una cosa: che suo padre era tornato a casa. Lasciò immediatamente le sue letture e scese di corsa le scale, diretta al salotto.
«Padre!»
«Oh, ecco la mia Cathleen. Allora, che guai avete combinato oggi tu e Charlotte?» la voce bonaria e divertita dal padre le fece intendere che sua madre aveva già fatto rapporto a Mr Colborne.
«Glielo avevo detto che dovevamo tornare prima, ma Charlotte insisteva nel rimanere...!» cercò di difendersi Cathleen, ma vedendo il sorriso paterno capì che non ce n'era necessità.
Qualche minuto dopo erano già accomodati nella sala da pranzo. Il profumo della zuppa si mescolava a quella della cenere del camino acceso, e del buon vino a cui suo padre non riusciva mai a rinunciare.
«Allora, padre, che notizie da Londra?» chiese emozionata Emma.
«Credo che tu lo sappia già, cara Emma. La Royal Navy sta arrivando in città: pare che ci sarà una grande parata per accogliere e festeggiare i nostri ragazzi per la vittoria contro Napoleone. Sir Barrington mi ha formalmente invitato a prendere parte ai festeggiamentim ed ha ovviamente esteso l'invito a tutta la famiglia. La parata ci sarà fra tre giorni, e la sera stessa Sir Barrington organizzerà una festa per presentare suo figlio»
Emma per poco non gridò dalla contentezza, facendo sorridere divertito il padre e sbuffare spazientita Cathleen.
«Dobbiamo per forza andarci, padre?» chiese quest'ultima.
«Certo che dobbiamo! Ci sono gli Ufficiali, non capisci?» Emma sospirò, sognante.
«Al di là delle fantasticherie di tua sorella, Cathy, credo proprio che dobbiamo. Sir Barrington ci tiene molto a presentarci suo figlio, che immagino voi non ricordiate. Quanti anni aveva quando Charles è partito per la Marina, mia cara?»
«Credo dieci, undici al massimo. Fanny era molto piccola, quindi è normale che voi non sappiate chi sia. E, a dire il vero, nemmeno io: voglio dire, adesso quanti anni avrà? Trenta? In tutto questo tempo una persona può cambiare. E a detta di Mr Barrington, suo fratello è cambiato decisamente in peggio»
«Non essere così sicura del parare altrui, mia cara. Lo sai che spesso i fratelli bisticciano, che siano grandi o piccini. Comunque sia, Sir Barrington ci tiene presentarcelo e io non intendo deludere un mio amico. Perciò dopodomani partiremo per Londra, staremo qualche giorno ospiti di Fanny, andremo a quella festa e poi torneremo a casa, e se l'esperienza sarà così pessima come pensi, cara Cathleen, ti dò il permesso di non uscire più dalla tua stanza».
Se Mrs Colborne aveva regalato a Charlotte la sua lingua tagliente, Mr Colborne a Cathleen aveva donato null'altro che il suo senso dell'umorismo. Cathleen sorrise divertita ed annuì, senza dire altro. Il resto della cena si svolse con serenità, ma una volta terminata il campanello della stanza di Charlotte suonò così tante volte da far disperare Augustine.
«Signore, la signorina Charlotte insiste nel voler scendere ed accompagnare la famiglia nella Music Room, per la sonata della signorina Cathleen» annunciò la giovane domestica, con aria disperata ma composta.
Robert Colborne sospirò, paziente. «Dì a mia figlia che non può camminare, Augustine»
«Glielo detto, signore, ma insiste. Dice che può essere presa...in braccio, e sdraiarsi su un divano della Music Room. Dice che se non verrà portata di sotto...» Augustine non disse altro, ma il padrone sbuffò una risatina.
«Che cosa, si ammazzerà?»
«Una cosa del genere, signore»
«Fosse la prima volta che lo giura...»
«Vostra figlia legge troppi romanzi, Mr Colborne» precisò Mrs Colborne.
«Chissà da chi ha ripreso...» commentò ironica Cathleen, lanciando un'occhiata a Emma.
«E va bene! John, da bravo, prendi quella disgraziata di mia figlia ed aiutala a dirigersi nella Music Room. Non mi perdonerebbe mai una cosa simile»
«Subito, signore» mormorò il maggiordomo, non proprio entusiasta mentre saliva le scale del piano di sopra.

«Sei la solita viziata»
«Non sono viziata, sono solo annoiata! E poi perchè dovrei perdermi Cathleen che suona? Adoro la musica!»
«Potevi risparmiartelo almeno questa sera, no?»
«Ssssh!» Mr Colborne fece zittire Emma e Charlotte mentre Cathleen prendeva posto al pianoforte. La Music Room di Lavender House non era enorme e ben fornita come quella delle magioni nobiliari, ma era intima e confortevole, ed era la stanza preferita di Mr Colborne. Aveva il pavimento di legno lucido, l'ideale per danzare, e le finestre ampie riflettevano la luce delle candele su enormi specchi posizionati sulla parete opposta, dando l'idea che la stanza fosse molto più ampia di quello che era realmente. Un pianoforte a coda era posizionato ad un lato più corto della sala, insieme ad un'arpa, un violino ed un violoncello, lo strumento del padre. Uno scaffale raccoglieva gli spartiti ed i libri di musica della famiglia. La stanza era priva di camino, il che la rendeva fredda durante quelle serate ma perfetta quando si riempiva di danzatori.
La servitù servì del thè alla famiglia e lasciò in uso delle coperte, nel caso le donne avessero sentito freddo, quindi si fecero da parte.
Cathleen sollevò gli occhi verso lo spartito poggiato avanti a sè: sapeva che non ne avrebbe avuto bisogno, ma la faceva stare tranquilla. Sorrise verso la sua famiglia, quindi cominciò a suonare. Le note allegre e calde di Mozart risuonarono subito nella sala perfettamente acustica per i suoni musicali, e l'aria di riscaldò di un'atmosfera vivace e allegra.
Tutti i membri della famiglia Colborne suonavano almeno uno strumento. Non certo per vanto o solo per educazione: la famiglia Colborne amava sinceramente la musica, in una maniera genuina e profondamente sensibile. Durante la Stagione londinese trascorrevano più tempo in teatri e ai concerti di quanto non trascorrano a casa. E Mr Colborne non sapeva quante volte aveva raccontato alle figlie quella volta che conobbe Mozart in persona, durante il suo Grand Tour a Vienna.
E tutto ciò era ovviamente sostenuto dal fatto che tutti, in quella famiglia, avessero un vero talento per la musica, ad eccezione di forse di Fanny. Cathleen, d'altronde, era un vero talento nel pianoforte ma discreta nel canto, l'opposto della giovane Charlotte. Ma al pianoforte nemmeno le mani soffuse di sua madre potevano batterla. Eseguiva con estrema abilità e velocità le composizioni più complesse di Mozart e Haydn, e lasciava poca speranza alle giovani inglesi che sprecavano ore solo per poter suonare alla perfezioni banali arie da campagna.
Se fosse nata maschio sarebbe stata una compositrice eccelsa, Mr Colborne lo diceva sempre. Ma a lei non importava esser nata femmina: era già perfetto così. Certo, se avesse potuto suonare Beethoven quella sera anzichè Mozart.
«Assolutamente no!» si oppose Mrs Colborne quando, finito l' "Allegretto con Brio" di Mozart, Cathleen fece tal proposta.
«Non essere sciocca» precisò Emma, prontamente.
«Non capisco tutto questo astio. Mr Beethoven è apprezzato in tutto il campo musicale»
«E' un uomo scontroso, volgare, burbero e cupo. E la sua musica ne è la dimostrazione! Quella Sonata al chiaro di luna, poi...»
«Padre, vi prego...» Cathleen si appellò al buon senso e gusto paterno, che quella volta però non giunse in suo aiuto.
«Perchè non ci suoni un pò di Haydn, cara? Domani potrai suonare Beethoven»
«Ma domani non ci sarà tempo, dovremmo andare a dormire presto per il viaggio per Londra!»
«Vorrà dire che suonerai Beethoven quando torneremo da Londra...»
Cathleen fissò il padre, sconsolata. Sospirò e riprese a suonare, Haydn questa volta.
«Suonare Beethoven in casa nostra, che assurdità...il vicinato potrebbe linciarci per una cosa simile...!» le esagerazioni e costernazioni di Mrs Colborne furono ben udibili dal resto della famiglia, ma nessuno ne fece più parola.

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Capitolo 2
*** London's Parade ***


Prima di iniziare: ciao a tutt*! Eccomi tornata con un secondo capitolo, non vedevate l'ora eh? Spero vi piaccia, sto cercando di inserire gradualmente i personaggi della storia senza buttarli nella mischia e non riconoscerli poi tra loro. Sto anche cercando di mantenere più possibile uno stile “austeniano” e di attenermi il più possibile alle regole sociali del periodo regency, quindi se c'è qualche svista fatemi pure sapere. Buona lettura!
P.S. Vi consiglio di ascoltare “Heart of Oak”, la marcia della marina britannica nel periodo regency...è d'ispirazione :D (eccovi il link → https://www.youtube.com/watch?v=4NXFCDgyanA)

 

2. London's Parade

29 Novembre 1805
 

Caro Edward,
siamo arrivati a Londra per la parata della Marina. Non credo che i miei sentimenti a riguardo possano cambiare. Nonostante la vita in campagna, in autunno, non sia esattamente eccitante, avrei preferito mille volte sedere in biblioteca e leggere piuttosto che assister a questa dimostrazione ostentata di finta virilità e forza fisica, come se la fortuna di un uomo dipendesse solamente da questo. E quel che è peggio, è che dopo la parata saremo ospiti dei Barrington. L'idea di ballare con uno o l'altro fratello Barrington mi mette in ansia. Nonostante ami ballare, preferirei farlo da sola piuttosto che con uno dei due...

«Cathy, andiamo!» la voce acuta di Fanny, la maggiore delle sorelle Colborne, si affacciò dal fondo delle scale.
Cathleen uscì dalla propria camera, che lì a Londra doveva condividere con Emma e Charlotte. Le case londinesi erano sì belle e lussuose, ma non brillavano certo per grandezza. Lei preferiva cento volte le ville di campagna.
«Al solito ritardo, mia cara»
«Scusate, padre»
«Non fa nulla, Sir Barrington ci ha prenotato dei posti a bordo parata, al riparo da eventuale pioggia. Ma per sicurezza, copritevi bene...non vorrete certo ammalarvi alla vigilia di una fantastica serata?» Mr Colborne era fatto apposta per fomentare le fantasie romantiche di Emma. Cathleen sbuffò mentre uscivano di casa, il cielo ingombro di nuvole nere. Un clima simile a quello che c'era nel suo cuore.
«Non capisco tanto astio, davvero Cathy» ammise Fanny mentre la carrozza coperta li conduceva in centro.
«Astio? Affatto. Semplicemente non mi piace osservare una parata militare: fa sembrare gli uomini una mandria di tori muscolosi, e noi giovani delle cacciatrici forsennate»
«Quanta esagerazione, cara. Quegli uomini hanno combattuto aspre battaglie, hanno vinto contro i francesi. Applaudirli è il minimo che possiamo fare» precisò Fanny, mentre sorrideva gelida verso Cathleen. Fanny somigliava in tutto e per tutto a Mrs Colborne: al contrario delle sue sorelle, snelle e aggraziate, lei aveva un corpo che la moda del momento a malapena riusciva a nascondere, capelli color dell'oro e la stessa aria saccente della loro cara madre. Essendo l'unica sposata e con un figlio, negli ultimi anni aveva fatto sua la presunzione di avere ragione riguardo pressoché ogni argomento.
Cathleen lasciò cadere il discorso: non voleva litigare con la sorella, dato che accadeva spesso e volentieri. Si ripetè in testa che Fanny era fatta così, come spesso le spiegava suo padre, e si limitò a sorridere appena e guardare fuori dal finestrino. Mano a mano che si avvicinavano al centro, la gente era sempre più numerosa. Una volta giunti, impiegarono ere prima di arrivare ai loro posti. Dovettero chiedere spazio per passare almeno cento volte, e rischiarono di cadere altrettante volte. Una volta giunti, Mrs Colborne si sistemò con nervosismo il cappello.
«Razza di gentaglia. Non si deve abitare in città se non si sa camminare come si conviene, no?»
«Avete perfettamente ragione, Mrs Colborne» Mr Jeremy Appleby fu l'ultimo a raggiungerli, si accomodò vicino a sua moglie e sorrise alla suocera.
«Oh caro Jeremy, mi chiedo come facciate voi e la mia dolce Fanny a vivere in questa città» ammise Mrs Colborne.
Mr Appleby si limitò a scrollare le spalle. Abitudine, disse. Solo una questione di abitudine.
Non passò molto tempo prima che due gentiluomini si avvicinarono a loro, salutandoli. Cathleen riconobbe subito Sir Barrington e suo figlio, Adam, colui cioè che aveva salvato Charlotte dal rompersi una gamba.
«Come sta Miss Charlotte, Robert?» chiese sir Barrington, passati i convenevoli.
«Grazie a vostro figlio bene, Edward. E' ovviamente rimasta a casa con la servitù. Sarebbe voluta venire, ma il medico glielo ha categoricamente vietato»
«Non stento a crederlo. Adam ha giurato che la caviglia di quella povera bambina era molto gonfia. Il riposo le farà bene»
«Vostro figlio è stato un vero eroe, sapere Sir Barrington?» precisò Mrs Colborne, sorridendo gioviale. Sir Barrington si limitò a sorridere. Era certamente più garbato e meno goffo del suo erede, ma non poteva essere definito un uomo di compagnia.
Uno squillo di trombe e tamburi rullanti annunciarono e anticiparono l'arrivo della parata. La musica della banda della Royal Navy si levò nell'aria di Londra, anticipata da applausi e grida del popolino. La città esplose in un aria di festa e di gioia, mentre le bandiere inglesi sventolavano fiere ovunque. A Cathleen il cuore le si riempì di orgoglio a vedere sventolare tutto quel patriottismo e amore per la propria patria, e nonostante quanto detto poco tempo prima con la sorella, doveva ammettere che quell'aria di festa e di gioia per un esercito di marinai non le faceva proprio male. Anzi, sembrava che tutti lì intorno avessero dimenticato i loro problemi per dedicarsi alla lode indefessa di quei giovani e vecchi marinai, che certo avevano patito ben più di una caviglia gonfia o un po' di pioggia nella campagna inglese.
La marina cominciò a sfilare, appena dopo la banda, con passo marziale e cadenzato, a tempo con la musica di tamburi, flauti e tamburi.
«Ecco, è lui! Mio figlio Charles!» la voce orgogliosa di Sir Barrington superò la musica e le grida di festa. Si alzarono istintivamente tutti in piedi, per affacciarsi a vedere l'uomo indicato dal nobile.
«Dove, Edward?» chiese Mr Colborne. D'altronde come biasimarlo? C'erano almeno mille marinai davanti a lui, a sfilare con quasi le medesime uniformi.
«Lì, vi dico, in prima fila! E' un Capitano di Vascello, sapete, è importante. Oh accidenti, è già passato...non fa nulla, ve lo presenterò stasera»
«Emma, per amore di Dio...se sporgi un altro po' il mento ti si staccherà la testa dal resto del corpo» brontolò Cathleen con sarcasmo, facendo ridere suo padre accanto a lei. Ma in cuor suo dava ragione ad Emma: era ormai curiosa di conoscere questo Mr Barrington quasi quanto lei. Cercò di guardare avanti, verso le cariche più alte della Marina, ma erano ormai lontani. Solo i cappelli a tricorno erano visibili, e le spade lucenti poggiate sulle spalle dei marinai. E mentre Emma sventolava il suo fazzoletto bianco a qualunque viso maschile si girasse verso di loro, Emma trascorse il resto della parata ad immaginare questo dannato Mr Barrington, ad applaudire e null'altro.
«Non tormentatevi troppo, Miss Cathleen» la voce di Adam Barrington la colse talmente di sorpresa che si girò di scatto verso di lui.
«Riguardo cosa di preciso, Mr Barrington?» chiese, confusa.
«Per non aver visto mio fratello...non vi perdete nulla di eccellente a dirla tutta» abbassò la voce nel dirlo, come temendo di essere udito da qualcun altro che non fosse stata lei stessa.
«Oh ma assolutamente, io non...» Cathleen non riuscì a cercare le giuste parole per spiegarsi. D'altronde Adam aveva ragione: perchè preoccuparsi di un uomo tutto ego e null'altro?
«Lo so, voi gentili signorine ammirate gli ufficiali, di qualunque campo o rango essi siano, ma vi assicuro che mio fratello è un uomo talmente noioso e arido da non meritare le vostre attenzioni, né ora, né stasera, né mai»
Cathleen si limitò a sorridere, un po' nervosa. Aveva la sensazione che quell'uomo volesse davvero convincerla di ciò. «Vi credo a riguardo, Mr Barrington. E voi credetemi quando vi assicuro che non ho nessuna intenzione di crucciarmi troppo circa vostro fratello»
«Eccellente! Sono più sollevato ora. Ed a proposito di questa sera, spero mi onorerete di un ballo»
«Certamente, Mr Barrington» dannata etichetta. Se fosse stata una sua scelta, avrebbe riso in faccia alla goffaggine di Adam Barrington. Ma chi era lei per potere decidere con chi ballare? Il giorno dopo avrebbe dovuto curarsi le ferite ai piedi, causate dai pestoni altrui.
«Eccellente, davvero! Vi ringrazio» Adam Barrington inchinò talmente tanto la schiena in avanti che, nel rialzarsi, cozzò con una o due persone dietro di lui. Chiese scusa, imbarazzato, e tornò al fianco di suo padre per il resto della lunga, chiassosa e patriottica parata.

Il tempo londinese aveva graziato i suoi ospiti. Non piovve né per la parata né per il resto del giorno, che le sorelle Colborne trascorsero tra gli ultimi acquisti e i preparativi della serata imminente.
«Cathleen, mi presteresti il tuo nastro bianco?» chiese Emma, mentre Augustine le sistemava i capelli.
«Si, ma bada a non rovinarlo, è il mio preferito» precisò Cathleen. Lei, dal canto suo, preferiva sistemarsi in un modo tutto suo e che le sue sorelle definivano “fuori moda”. Un modo di fare, tuttavia, che quelle prontamente non notavano ogni volta che la vedevano acconciarsi i capelli da sola: era un vero talento tra le giovani signorine di buona famiglia. Un'abilità unica ed una dote da non poco.
«Meglio le piume o i fiori?» chiese Fanny, entrando nella loro stanza.
«Piume. I fiori li userò io» precisò divertita Cathleen, osservando il riflesso della sorella dallo specchio.
«Come mai non usi i tuoi soliti nastri?»
«Perchè, appunto, sono soliti. Voglio sperimentare qualcosa di nuovo»
«Proprio quando dobbiamo conoscere il figlio di Sir Barrington, guarda caso» precisò sarcastica Fanny. Emma spalancò appena la bocca.
«Davvero ti interessa conoscerlo...?» chiese sconvolta quando Fanny uscì dalla stanza.
«Certo che no! Ancora ascolti nostra sorella, Emma? Non ho nessuna intenzione di intrattenermi con un uomo odioso e noioso, ma non ci sarà solo lui al ballo, no? Magari i fiori sono più graziosi delle piume. D'altronde Fanny non ha più bisogno di essere selettiva in pubblico» precisò Cathleen, abbassando la voce, e facendo ridere Emma.
Il tempo volò e quando cominciò a farsi buio le ragazze erano ancora in alto mare. Ma, una alla volta, scesero dalle scale verso l'ingresso principale.
«Lasciate che ve lo dica, Mr Colborne. Le vostre figlie sono una più graziosa dell'altra» ammise Mr Appleby, sorridendo poi a sua moglie.
«Avete ragione, Mr Appleby. E crescono così velocemente» ammise il padre delle ragazze, sorridendo alle due figlie nubili. Non erano di una bellezza estasiante, questo lo sapeva, ma ognuna di loro aveva un fascino particolare che, sì, agli uomini piaceva. Sperava solo che prima o poi qualcuno le sistemasse e non facesse più soffrire sua moglie di ansia nell'avere solo una figlia sposata su quattro che il buon Dio le aveva dato.
Durante il breve tragitto in carrozza che dalla dimora degli Appleby portava a quella dei Barrington, Cathleen si chiese se i complimenti di suo cognato e di suo padre fossero reali. Grazie alle luci delle strade, fuori, cercò di specchiarsi sul finestrino della carrozza.
Non poteva certo ritenersi bella. Aveva un viso ovale, allungato, un naso non propriamente piccolo e l'incarnato chiaro, non roseo. I capelli erano castano chiaro, ben lontani dal biondo oro di Fanny, e la bocca eccessivamente carnosa per lei. Gli occhi grandi e castani erano eredità paterna, e a suo parere era la parte del viso più bello. Per il resto del corpo, non poteva lamentarsi: raramente si ammalava e poteva sopportare lunghe passeggiate a piedi o a cavallo senza la minima spossatezza. Tutto sommato, si riteneva abbastanza nella media ma senza quella tipica bellezza che i romanzi tanto osannavano: bionda, angelicata, fugace. Era, tutt'altro, una presenza che si vedeva e si avvertiva. Aveva fascino, diceva suo padre. Con la sua parlantina, un'educazione sconfinata ed un'abilità camaleontica a nascondersi tra la gente, risultava alla fine quella più esposta a commenti e sguardi altrui.
Emma, d'altronde, era decisamente più bella di lei. Bassa e snella come Charlotte, aveva capelli biondi e morbidi, un viso gentile e un sorriso gentile e vispo così come gli occhi verdi. Gli stessi occhi ereditati da sua madre, una donna burrosa e bionda. Cathleen si distrasse facilmente da quelle sciocche constatazioni quando la carrozza si fermò, scendendo da essa dopo qualche secondo.
Barrington House era esattamente come ci si poteva aspettare una casa londinese che apparteneva a padroni ricchi e di buona famiglia. La facciata dava direttamente sulla strada cittadina, ma una volta entrati dentro sembrava di essere in un castello. Un enorme ingresso, con soffitti alti ed una scalinata a due braccia, occupava il grosso dello spazio, ad eccezione di un'area sottostante dove una folla di nobili e ricche famiglie attendeva l'inizio della festa. Abiti pregiati, stoffe e scialli esotici; piume, cappelli, gioielli, ed ancora profumi, odore di vino e del legno pregiato delle stanze e degli strumenti musicali. Tutto ciò riempiva la stanza e l'atmosfera, rendendola allegra ed elettrizzata. Cathleen, doveva ammetterlo, era proprio grata di quel che potevano permettersi, seppur non erano certo la famiglia reale. Ma tanto le bastava: la vita di campagna e, ogni tanto, qualche festa e qualche ballo ben organizzato.
«Cathy! Cathy, vieni! Non ci crederai» la voce di Emma la richiamò alla realtà. Si girò intorno, e si accorse solo in quel momento che era rimasta imbambolataall'ingresso, mentre il resto della sua famiglia stava già salendo le scale.
«Che c'è Emma...» mormorò Cathleen, già immaginando le mire della sorella: qualcuno troppo giovane o troppo vecchio per lei.
«Mr Barrington è assolutamente incapace di descrivere i propri cari, Cathy! Guarda dietro di me, in alto, vicino a Sir Barrington. L'uomo in divisa...» la voce di Emma era così eccitata che Cathleen istintivamente portò gli occhi in alto, incrociando prima il padrone di casa e poi l'uomo con cui discorreva serenamente.
Cathleen si sbagliava spesso sulle persone, ed ancor di più su come se le aspettava. Ma mai si era sbagliata come quella volta. Avevano, tutti loro, immaginato il Capitano Barrington nel peggiore dei modi, ed era esattamente l'opposto. Mentre salivano la scalinata, facendosi garbatamente largo tra la gente, ne incrociò lo sguardo almeno tre volte, ed altrettante volte Cathleen chinò lo sguardo verso le scale, fingendo di guardare dove stata mettendo i piedi. Aveva uno sguardo profondo e calmo, severo ma non irritante. Sembrava, anche da così lontano, il riflesso di un mare calmo e impietoso al tempo stesso.
«Mr Colborne, Mrs Colborne, Signorine Colborne...ho finalmente l'onore ed il piacere di presentarvi il Capitano Charles Barrington. Ha sconfitto Napoleone al fianco dell'Ammiraglio Nelson, lo ha assistito fino al momento della sua morte ed ha giusto oggi ricevuto una medaglia al servizio reso dal Re in persona»
«Chiamatemi pure Charles» si limitò a dire il gentiluomo, facendo ridere appena Mr Colborne.
«Capitano, voi siete troppo modesto. Quel che è giusto è giusto! Mi piacerebbe molto sapere qualche aneddoto del nostro compianto Ammiraglio. Mio fratello me ne ha molto parlato, nelle sue lettere. A proposito, dov'è?»
«Zio Jack è qui?» chiese d'improvviso Cathleen, osservando il padre e portando su di sé gli occhi. Deglutì, facendo finta di nulla.
«Assolutamente si, Miss Cathleen. Vostro zio è stato l'artefice di tutto ciò» e subito Sir Barrington indicò il figlio minore, che sorrise appena ma con garbo.
«Con tutto il rispetto per il Commodoro Colborne e per voi tutti, ma io sono l'artefice di tutto ciò» precisò Charles, facendo sorridere le ragazze.
«Beh, non indugiamo oltre signori, prego» e le porte in cima alle scale furono aperte dai valletti. Un'immensa Sala fu aperta agli invitati, ampia abbastanza da potersi sedere sulle sedie poste lungo i lati, per sorseggiare drink e riposarsi, o per ballare al centro di essa. Ad un lato della Sala, un piccolo palco era occupato dai musicisti che subito presero a suonare, e i valletti a servire limonate, acqua e vini.
Uomini e donne ben presto si separarono per i loro compiti: i primi a parlare di politica, le seconde di ciò che indossavano le invitate alla festa.«Allora, che ve ne pare? Vostro padre aveva ragione: mai fidarsi del parere dei fratelli! Il Capitano Barrington non sembra poi così male, no?» la voce acuta della madre riusciva a malapena a raggiungere le sue figlie, per quanto chiasso c'era lì intorno. Cathleen scrollò appena le spalle.
«Non saprei davvero, madre» ammise, cercando di essere il più convincente possibile. La verità era che sua madre aveva perfettamente ragione.
Con la scusa di prendere un bicchiere di limonata dal vassoio di un valletto, incrociò la figura del Capitano, in quel momento braccato da più uomini che, immaginava Cathleen, volevano sapere delle sue avventure. Come aveva potuto immaginarselo così lontano dalla realtà? Lo studiò, fingendo di bere.
Era un uomo alto e dalla corporatura snella e l'aria quasi regale. L'uniforme blu e dorata da Capitano gli stava a pennello, ed aveva un portamento marziale ma un'andatura elastica e slanciata, tipica di chi è nell'esercito, immaginò lei. La carnagione era leggermente bruna, per via del sole preso durante i suoi numerosi viaggi. Aveva capelli castani e corti, ben curati in un taglio marziale, ed occhi chiari seppur non poteva precisarne il colore: troppo lontana per poterlo notare. Parlava con sobrietà, senza sputare, e non aveva toccato alcool da che lo aveva visto entrare. Ogni tanto lo aveva visto girarsi intorno e aveva prontamente portato gli occhi altrove, per non farsi notare nel guardarlo. Era, tutto sommato, un uomo di aspetto gentile e garbato. Perchè Mr Barrington aveva detto parole così malevole su un uomo che, almeno in apparenza, pareva l'esatto contrario?
«Miss Cathleen?» qualcuno la chiamò, e il cuore se li strinse per la vergogna quando vide proprio Mr Barrington con la schiena completamente piegata in avanti, in un inchino esagerato, rivolto verso di lei.
«Si, Mr Barrington...?» chiese lei, in un filo di voce.
«Volete darmi la gioia e l'onore di ballare con me, come avete promesso stamane?» chiese l'uomo, la voce strozzata per via del suo troppo inchinarsi. Emma dietro di lei cercava a stento di trattenersi dal ridere e le punzecchiava la schiena.
Cathleen voleva sprofondarsi, e non sollevò gli occhi per paura di vedere tutta la sala ridere di lei.
«Certamente» si limitò a dire, veloce affinchè quella tortura finisse istantaneamente. Mr Barrington si rialzò, rosso in viso e sorridente, quindi le porse il braccio e la condusse al centro della sala. Le donne da un lato e gli uomini dall'altro, Cathleen mantenne gli occhi inchiodati sul pavimento di legno, tanta era la vergogna di dover ballare con l'uomo più goffo che l'Inghilterra avesse mai fatto nascere sul suo suolo. Sospirò, cercò di controllarsi, di fingere che andava tutto bene. Ci fu un ritardo della musica, e lei sperò quasi per un istante che la danza fosse stata annullata, ma poi i violini partirono ed il suo sogno si infranse. Le coppie partirono nella danza, volteggiando e incrociandosi fra di loro. Il contatto minimo faceva sospirare le dame verso i loro agognati cavalieri, tra sorrisi e ciglia sbattute al vento. In quanto a lei, si limitò ad avere il capo rivolto verso l'esterno della pista da ballo, sfiorando a malapena Mr Barrington, quello che bastava per non offenderlo.
«Vi state divertendo a casa mia, Miss Cathleen?» chiese lui, tra un volteggio e l'altro, dovendo ogni volta attendere di trovarsi al suo fianco per finire la frase.
«Molto» sillabò appena Cathleen, senza nemmeno guardarlo.
«Ne sono felice. Ne ero sicuro, a dirla tutta» precisò Mr Barrington, con tono incerto e piatto «se vorrete, al prossimo ballo...»
Mr Barrington non riuscì a terminare la sua frase dato che la danza, in quel momento, imponeva un intreccio e scambio delle coppie danzatrice. Cathleen tagliò diagonalmente verso il prossimo cavaliere, con una velocità ed una grazia che nascose la sua voglia di fuggire da Mr Barrington.
«Danzate divinamente, Miss Cathleen» si permise di dire il suo cavaliere.
Cathleen sollevò gli occhi da terra, finalmente, e quasi sussultò quando incrociò l'uniforme blu del suo cavaliere, ed infine il suo viso. Lo sguardo del Capitano Barrington si indurì di preoccupazione.
«Vi sentite poco bene, Miss?»
«Oh no, non...preoccupatevi. Deve essere il caldo»
«Si, temo che mio padre abbia esagerato con gli invitati»
«No, anzi! Beh forse, un po', ma...ma va bene così, a me piacciono i balli»
Avrebbe voluto mordersi la lingua e tagliarsela via. Come aveva potuto dire cose tanto stupide e banali? E poi perchè si era così spaventata e sconvolta della sua presenza? La festa era per lui, e diamine se aveva diritto di ballare in qualunque momento e con chiunque volesse.
«Siete davvero un Capitano della Marina Brittanica?» chiese, volendo subito e di nuovo tagliarsi la lingua. L'uomo non si fece beffe di lei, ma nemmeno sorrise. Aveva un'aria serena, equilibrata, ma né irritata né felice. Era alquanto difficile capirne i sentimenti, a dirla tutta.
«Sono abbastanza sicuro di si, Miss Cathleen»
«Si certo, ho detto davvero un'ovvietà. Deve essere il caldo»
«Siete perdonata, ovviamente Miss Cathleen»
Cathleen si ritenne soddisfatta di quella prima breve conversazione, e terminò il ballo in silenzio e senza giungere altro. Continuò a volteggiare intorno e al fianco del Capitano, sfiorandone appena il braccio o la mano, a seconda di quel che la danza imponeva, e incrociandone lo sguardo più volte, magnetico quanto incomprensibile. Ora capiva perfettamente Emma e i suoi sospiri romantici.
Le coppie che formavano la danza si separarono quando la musica finì, tra gli applausi di chi aveva ballato e di chi aveva solo guardato. Il Capitano s'inchinò con garbo, sorrise appena e se ne andò. Cathleen, dirigendosi verso le sorelle, venne prontamente raggiunta da Mr Barrington. Cominciava a scocciarsi davvero.
«Mrs Colborne, vostra figlia è una danzatrice eccellente!» ammise con estremo gaio, tanto da far sorridere la donna.
«Avete ragione, Mr Barrington. Non credo che in tutta Londra ci sia una danzatrice più capace ed elegante della mia Cathleen. Ma certo non posso negare che anche Emma ha una dote nel danzare che le è pari solo a quella di suonare l'arpa»
Gli occhi di Mr Barrington si spalancarono in un'espressione di estasi pura. «Oh, Miss Colborne, non sapevo che suonaste l'arpa. E' uno strumento assolutamente magnifico, lo ammetto»
«Non credete a quel che dice mia madre, Mr Barrington. Mia sorella Cathleen è cento volte meglio con il suo pianoforte» precisò Emma, nascondendo sotto i baffi un'aria di sfida e di divertimento, rivolti alla sorella.
«Miss Cathleen, non mi avevate detto che suonavate il pianoforte!» esclamò Mr Barrington.
«Non ce n'è stata occasione, signore» ammise schietta Cathleen, altra sua famosa “dote”.
«Certo, sì...ma credo che sia il caso di porre rimedio a questa incresciosa mancanza. Che ne dite se, quando andremo via da Londra, dessimo una serata di musica a Barrington Hall? Potremmo duettare a turno, e intrattenere i nostri ospiti. Nulla di così maestoso, ovviamente, una cosa più intima, per amici e veri intenditori. Che ne dite?»
«Che idea magnifica!» esclamò Emma con sincerità. Cathleen sorrise appena, annuendo: se c'era qualcosa su cui lei ed Emma andavano d'accordo era proprio la musica, che amavano a dismisura in egual maniera.
«E ditemi, vostro fratello minore suona anche lui?» chiese Mrs Colborne, curiosa.
«Temo di dovervi deludere, Mrs Colborne» la voce del Capitano sbucò dal nulla. Evidentemente per il chiasso generale non si erano accorti che il Capitano era proprio lì dietro di loro e stava in quel momento aggirando il gruppo, per portarsi davanti a loro. «Sono partito per la Marina che ero solo un bambino, e non ho avuto molto modo per allenarmi nella musica, seppur la ami immensamente e ne sia un modesto intenditore. Mio fratello, dal canto suo, ha un talento naturale nel canto e nel violino»
Mr Barrington sorrise, gonfiandosi come un tacchino, e guardò il fratello con aria di sufficienza, seppur fosse più basso di lui e di molto.
«Dunque non vi offenderete se le mie figlie dovessero duettare con vostro fratello?» chiese Mrs Colborne, con il suo tono indagatorio e garbato.
Il Capitano sorrise con garbo verso la donna, guardando a malapena le due figlie nubili. «Sarebbe per me solo un onore...»
«Eccellente! Allora fateci sapere quando sarete pronto ad ospitare a casa vostra tutti questi talenti, Mr Barrington» annunciò entusiasta Mrs Colborne.
«Sono sicuro quando dico che avverrà molto presto, Mrs, non temete» commentò l'altro, sorridendo e inchinandosi con fare goffo, quindi si licenziò dal gruppo, seguito dal fratello minore.
«Non credo che possano esistere al mondo due fratelli così diversi...» ammise Mrs Colborne, sorseggiando la sua acqua.
«Ti ringrazio per avermi messo in mezzo, Emma, come tuo solito» precisò secca Cathleen.
«Ma come, pensavo ti piacesse Mr Barrington» ammise Emma, con tono teatrale. Cathleen la fulminò e l'altra rise divertita, prima di sgranare appena gli occhi guardando oltre la spalla della sorella, dietro di lei.
«Guardate, c'è lo zio!» esclamò entusiasta, incamminandosi verso l'ingresso della Sala. Cathleen la seguì, con più calma ed evitando che tutti gli occhi dei presenti si posassero su quella riunione familiare. Emma non aveva davvero idea di cosa fosse il decoro.
Le due sorelle s'inchinarono appena al Commodoro, che ricambiò e poi sorrise.
«Le mie nipoti più belle!»
«Siamo le uniche nipote che hai, zio» ammise Emma, ridacchiando.
«E perchè dovrei escludere Fanny e Charlotte, mia cara? Ma d'altronde Fanny è ormai grande e cresciuta: sono finiti i tempi in cui la facevo sedere sulle mie ginocchia, così come facevo con tutte voi. Ed ora guardatevi: siete delle fanciulle bellissime ed in età da marito. Beati gli uomini che vi sposeranno!»
Cathleen sorrise divertita. Zio Jack era la bella copia di suo padre, semmai suo padre avesse avuto bisogno di una bella copia: un uomo di una certa età ma ancora avvenente, tanto che si vociferava che da giovane avesse fatto perdere la testa e mezza Londra. Era reputato un eroe da chiunque, un ottimo ballerino e violinista, una persona di buon cuore e ogni altro lato positivo che il buon Dio poteva donare ad un uomo. E in tutto ciò, era uno zio perfetto: divertente, affettuoso ed il migliore nello scegliere i regali per le proprie nipoti.
«Che cosa ci hai riportato questa volta, zio?» chiese infatti Emma, prontamente.
Lo zio sorrise e sospirò, teatrale «Oh cielo, credo di aver dimenticato di portarvi dei regali!»
«Ma lo dici ogni volta zio, non ci crediamo più» protestò Emma sorridente.
«Ah si eh? Beh questa volta l'ho dimenticato davvero. Mi spiace ragazze...» ammise l'uomo, diventando serio. Fu esilarante per lui notare i visi sconvolti delle nipoti, e rise divertito.
«Zio, sei il solito!» precisò Emma.
«E' vero, lo so, ma mi piace torturarvi un po'. Vi darò i vostri regali domani, che ne dite? Avremo tutto il tempo del mondo e voglio studiare bene le vostre reazioni quando vedrete cosa vi ho riportarti dalle Indie»
«Le Indie??» esclamò Cathleen con un filo di voce.
Lo zio annuì, tutto serio. «Si, sono stato lì giusto prima della battaglia di Trafalgar. E' da lì che l'Ammiraglio Nelson, Dio lo abbia in gloria, ha richiamato me ed il Capitano Barrington. Ad onor del vero, è stato lui ad aiutarmi a scegliere i vostri doni. E' bastato descrivere i vostri adorabili caratteri e subito è riuscito a trovare i giusti regali»
«Non ci credo» ammise Emma, sconvolta «Mr Barrington ha una reputazione così bassa di suo fratello che sembra quasi incapace di provare gusto o sentimenti»
Lo sguardo dello zio si indurì appena, prima di sospirare «Mia cara, ingenua Emma...a volte gli uomini fanno e dicono cose orribile e sbagliate solo per il gusto di farle, credimi. E credimi quando ti dico che il Capitano è tutto fuorchè una persona cattiva. E' come un figlio per me, e nonostante sia stato promosso ad un gradino più di me lo reputo un fedele amico e confidente» precisò, quietando gli spiriti delle nipoti.
«Ed ora, sarà meglio tornare alla festa, non voglio togliervi dalle grinfie di pretendenti alla vostra mano» annunciò ancora l'uomo, sorridendo e scortando le nipoti verso le danze ed il resto della festa.

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Capitolo 3
*** Moonlight Sonata ***


Prima di iniziare: bentornat*! Grazie mille del tempo che state dedicando alla lettura e recensione di questa storia, spero che continui a piacervi! Un capitolo all'insegna della musica, questo, e per questo vi consiglio di ascoltarne un po' durante la lettura, per lasciarvi ispirare :P io consiglio i compositori citati nel capitolo, ma capisco anche che la classica non piace a tutti, quindi date sfogo alla fantasia e alla musica che più vi piace! Buona lettura :D


3. Moonlight Sonata

3 Dicembre 1805

Caro Edward,
Siamo finalmente tornati a casa. Augustine sta ancora sistemando le mie cose, non vedevo l'ora di raccontarti tutto. Ho dovuto ricredermi, su tutto! Il Capitano Barrington, che era tutto fuorchè al centro delle mie attenzioni, si sta rivelando una sorpresa. Credo sia un brav'uomo, e garbato, ma è molto enigmatico...sembra come se voglia passare inosservato. Dopo la festa data in suo onore non l'ho più visto per tutto il soggiorno a Londra e nemmeno ha scritto qui a casa. Forse non vuole davvero fare la nostra conoscenza.
P.s. Zio Jack mi ha riportato una magnifica stola dalle Indie, è di un blu così denso che è perfetta per i miei abiti bianchi.
P.p.s Fanny è sempre più insopportabile. Verranno a stare qui per le feste natalizie e poi torneremo insieme a Londra. Perchè la Stagione non può svolgersi in campagna, anziché in quella rumorosa e maleodorante città? Non capirò mai queste regole.
Tua, Cathleen.


Sollevò gli occhi dalla scrivania verso la finestra avanti a sé, quindi lentamente si alzò avvicinandosi ad essa, ad osservare il paesaggio che si apriva oltre i cancelli di casa. La collina, da cui qualche giorno prima Charlotte era caduta, era inondata dalla pioggia che batteva furiosamente. L'erba era di un verde smeraldo, ma schiacciata e annacquata tanto da formare pozzanghere e ruscelletti ogni dove. Il cielo era cupo e coperto, e nonostante fosse appena passata l'ora della colazione sembrava notte fonda.
Rabbrividì istantaneamente e si strinse nel suo scialle di lana, quindi si sedette alla finestra e sorrise tra sé: adorava starsene in casa, al caldo e al sicuro, mentre fuori imperversava il mal tempo. Le sue sorelle la prendevano per pazza: come poteva preferire il freddo e l'inverno al caldo e all'estate? C'ero almeno cento buone ragioni per non darle retta, e di certo lei non poteva negare i benefici di una calda stagione. Ma il freddo la faceva sentire protetta e al sicuro...se ovviamente era dentro casa, e d'altronde dove sarebbe dovuta andare nel ben mezzo di quel temporale? Non si sarebbe avventurata fuori nemmeno se ci fosse stato l'uomo più bello e ricco d'Inghilterra ad aspettarla.
«Cathleen, corri!» la voce eccitata di Emma la raggiunse dall'ingresso.
Mal volentieri, Cathleen si alzò e scese di sotto, raggiungendo la sorella, la madre e Charlotte in salotto. Era tutte e tre visibilmente entusiaste.
«Che succede?» la curiosità si accese involontariamente. Mrs Colborne le porse una lettera, un po' bagnata e malconcia, ma bel leggibile. Lesse ad alta voce.

Gentile Mr Colborne,
è con piacere che vi invito ad una serata di musica presso Barrington House, fra due giorni. I nostri invitati saranno deliziati dalla musica delle vostre amabili figlie, oltre che da giocate a carte e piacevoli chiacchiere. Una serata in compagnia dei nostri più cari amici, tra cui oltre alla vostra rispettabile famiglia sono compresi gli Egerton, gli Herbert e Philipps.
Arrivederci a presto,
Mr Barrington.

«Oh madre vi prego posso venire anch'io??» Charlotte per poco non si inginocchiò ai piedi di Mrs Colborne.
«Assolutamente no, cara. Sei ancora troppo giovane, non hai ancora fatto il tuo debutto in società. Sarebbe davvero sconveniente»
«Ma i Philipps hanno una figlia della mia stessa età, e lei ci andrà ne sono sicura!» protestò Charlotte, quasi in lacrime.
«Sciocchezze...»
«Madre...» s'intromise calma Cathleen «potremmo sempre informarci chi andrà o meno alla serata. D'altronde non è una serata ufficiale...sarebbe ingiusto levare a Charlie il piacere di una bella serata invernale»
Mrs Colborne la fissò, quindi sospirò. «E va bene, immagino che potrò informarmi con Mrs Philipps. Ma comportatevi tutte bene!»
«Oh ditelo a Cathy, madre, è lei quella che è arrossita leggendo la lettera» la voce di Emma si fece avanti di nuovo, ridacchiando.
«Emma!»
«Che c'è, non è vero? Anche se non ho ben capito se ti piace Mr Barrington o suo fratello»
«Nessuno dei due! Taci, dico, o giuro che rovinerò la serata suonando Beethoven»
«Cathleen, te lo proibisco! Ci saranno tutte le buone famiglie della zona, e persino gli Egerton! No, assolutamente, deve essere una serata perfetta. Dobbiamo prepararci fin da ora!» la voce della madre echeggiò per tutta la sala e per entrambi i giorni che li separavano dalla grande serata, come l'aveva rinominata lei. La serata ideale per trovare marito.
«Madre, chi sono gli Egerton?» chiese questa durante il lungo viaggio in carrozza. Partirono nel primo pomeriggio, dato che Barrington House era lontana dalla loro dimora, abbastanza per poter trascorrere tre noiose ore in carrozza.
«Sono una facoltosa famiglia che abita a pochi minuti da noi, cara. In verità Mrs Egerton lo è, suo marito...beh, diciamo che è un brav'uomo. Un tipo burbero, credo che l'ultima volta che abbia fatto una festa a casa sua sia stato quando sua moglie ancora non si ammalava. Quanti anni fa di preciso, Mr Colborne?»
«Almeno dieci anni» precisò l'altro. Cathleen notò un lieve imbarazzo nello sguardo paterno, il che era alquanto strano. Ma non ci fece molto caso, e tornò sulla madre.
«Hanno figli?»
«Oh si due, ma sono ancora più strani del padre se possibile. La figlia, povera cara, è cagionevole di salute ed in avanti con l'età. Il figlio, beh...non so nemmeno se sia ancora vivo»
«Che cosa volete dire?»
«Voglio dire che è via da così tanti anni che non so nemmeno dove sia o cosa faccia. La versione ufficiale è che è partito per il Grand Tour per non tornare mai più, ma a mio parere è stato cacciato dal padre. Certo, essendo l'unico figlio maschio la questione dell'eredità sarebbe difficile da gestire, a meno che certo il figlio non ci rinunci, e lì allora passerebbe tutto al fratello o ai nipoti di Mr Egerton. Ma certo non è affar nostro» Mrs Colborne era esperta di economia ed eredità più del loro notaio. Il tempo di parlare di affari ed erano arrivati a Barrington House, .


L'aria di festa poteva sentirsi fin dai giardini, illuminati con fiaccole e candele ovunque. Paggi e domestici sistemavano i cavalli delle carrozze ed accoglievano gli ospiti con calici di vino o limonata appena all'ingresso della casa, prima di essere scortati nella Music Room, che Cathleen constatò essere almeno il doppio di quella di Lavender House, oltre che molto più fornita e calda. Aveva il cuore a mille, lo sentiva martellare nel petto, e non aveva idea del perchè. Forse la curiosità verso le cose nuove? Forse si.
«Mr Colborne, Mrs Colborne» la voce di Mr Barrington li accolse tra inchini e mielosi complimenti. A seguire furono salutati da Sir Barrington e dal Capitano, e presentati anche al resto degli invitati che non conoscevano.
Charlotte si appartò subito con Evelyn, la figlia dei Philipps, per giocare a carte e fantasticare come normale in quella fase della vita.
«Signorine Colborne e Mrs Colborne, posso presentarvi un caro amico della nostra famiglia? Mr Egerton, da questa parte» Mr Barrington sventolò appena una mano, attirando l'attenzione di un uomo alto e slanciato, ben vestito e che conversava pacatamente con il capitano. Si avvicinarono mentre l'ospite sconosciuto di voltava verso di loro. Cathleen per poco non tornò indietro di fretta: l'uomo aveva un'aria lugubre e seria, rigida e fredda. Gli occhi azzurri non trasmettevano alcun calore, così come il viso ovale e dalla marcata mascella, pallido come un fantasma. Capelli rossi, tenuti corti e ordinati, ed un sorriso appena accennato, forzato.
«Mrs Colborne, signorine Colborne, ho l'onore di presentarvi Mr Arthur Egerton, appena tornato dai suoi innumerevoli giri per il mondo. Mr Egerton, loro sono Mrs Colborne, Miss Colborne e Miss Cathleen»
«Siete solo stasera, Mr Egerton? Immaginavo di trovare vostro padre qui» ammise sincera Mrs Colborne.
«Temo non sia possibile, Mrs Colborne. Purtroppo mio padre è venuto a mancare quattro giorni fa»
Mrs Colborne per poco non ebbe un mancamento. «Ma...ma cosa dite Mr Egerton, io...non sapevo certo che fosse malato...»
«Non dovete crucciarvi, Mrs Colborne, poiché pressoché nessuno lo sapeva. Mio padre era un uomo riservato, non amava crogiolarsi nella pietà altrui. Io stesso sono venuto a sapere della sua malattia solo qualche mese fa, quando mi ha scritto il nostro medico, chiedendomi di tornare per salutarlo un'ultima volta»
Se Cathleen avesse dovuto etichettare il tono dell'uomo, gli aggettivi che avrebbe usato non erano certo “struggente” o “triste”. Mr Egerton era calmo e freddo, e la sua voce apatica e priva di alcuna enfasi. Sembrava stesse parlando di un perfetto sconosciuto, e non di suo padre.
«Capisco, Mr Egerton...vogliate ricevere allora le mie più sincere condoglianze, vostro padre era un brav'uomo»
«Vi ringrazio, Mrs Colborne»
Cathleen vide sua madre in estrema difficoltà, quindi la prese sotto braccio e sorrise verso Mr Barrington.
«Signore, quando cominceremo a suonare?»
«Oh Miss Cathleen, vedo che siete impaziente. Ebbene, il tempo di far accomodare i miei invitati e possiamo iniziare. Signore e signori! Prego, possiamo accomodarci e godere della fantastica musica che verrà suonata questa sera. Chi vuole cominciare per prima?»
«Emma, cara, vuoi cominciare tu? Emma...?» Cathleen richiamò la sorella, imbambolata a guardare Mr Egerton, girato di spalle.
«Come si può essere così insensibili...?» mormorò la più sensibile delle sorelle Colborne.
«Emma, cara, ti prego...lascia stare, perchè non ci suoni qualcosa con la tua arpa? Io ti accompagno»
Emma annuì appena, e furono entrambe accolte da un applauso quando si avvicinarono ai loro strumenti. Cathleen si sedette, volgendosi verso i propri genitori. Il padre le sorrideva fiero, sua madre le lanciava occhiate minacciose. “Niente Beethoven” sembrava che stesse dicendo. Nel tornare a guardare il pianoforte a cui era seduta, incrociò lo sguardo del Capitano Barrington, che le sorrise appena. Era seduto su un divanetto, e sembrava estremamente rigido e a disagio.
Le note familiari del Canone di Pachelbel risuonarono in tutta la stanza. Mrs Colborne si rilassò: qualcosa di classico, oggettivamente bello e che tutti amavano. L'arpa era la protagonista dell'aria ed il pianoforte accompagnava con gentilezza l'andamento della melodia. La musica trasmetteva una pace ed una calma immensa, una gioia che aveva ispirato poesie e storie d'amore senza fine e senza tempo.
Quando la musica finì, partì il secondo applauso e le due sorelle si alzarono e s'inchinarono.
«Brave!» esclamò Mr Barrington in italiano, applaudendo entusiasta. Si avvicinò quindi alle due sorelle, sussurrando qualcosa prima di accompagnare a sedere Cathleen e tornare verso Emma, rimasta seduta al suo posto.
«Signore e signori, spero che la prossima esecuzione vi piaccia, anche se certo non posso equipararmi alla bravure delle Miss Colborne insieme» annunciò melenso Mr Barrington. Poco dopo, le note di Haydn riempirono l'aria in una “Serenata” delicata ed allegra, in un duetto di violino ed arpa.
Cathleen rimase seduta per qualche minuto prima di alzarsi e, lentamente, dirigersi verso Mr Egerton. Sì, doveva sapere qualcosa di più di quello strano uomo.
«Vi piace la musica, Mr Egerton?»
«Miss Cathleen...» la salutò lui, rispondendo al sussurro altrui «sono un discreto intenditore ma sì, la amo molto»
«Vi piace ciò che state ascoltando?»
«Discretamente»
«Discretamente?»
«Sì. Mr Barrington è un violinista mediocre e vostra sorella non è da meno»
Cathleen aprì appena la bocca, sconvolta. Come poteva essere così rude e insensibile?
«Mia sorella è un'ottima arpista»
«E' evidente che abbiamo pareri discordanti. E' un'arpista mediocre, ho ascoltato di meglio in giro per l'Europa. Mai sentito di Miss Helsen?»
«Non ho avuto il piacere...»
«E' un'arpista di Vienna, credo la migliore in assoluto. Beethoven in persona le ha scritto una lettera per esaltarne la sua bravura. Credete che vostra sorella si meriti una lettera di un compositore?»
«Forse non da Beethoven, ma alla stagione londinese è richiesta e amata da tutti. Non dovreste barcamenarvi in giudizi così negativi quando parlate di persone che non conoscete» le parole le uscirono da sole, senza che nemmeno ci pensasse. Si stava innervosendo.
«Mi avete chiesto un parere ed io l'ho dato, Miss Cathleen. Mi spiace avervi offeso, ma è ciò che penso»
Cathleen non potè dargli torto. Era stata lei a chiedergli un parere, ma certo non avrebbe immaginato così tanta schiettezza. Sembrava una persona completamente priva di filtri sociali, una necessità in quelle classi. Persino lei, che amava la sincerità, ne doveva fare un uso spropositato. Emma aveva appena finito di suonare e l'applaudì con particolare fervore, lanciando occhiate a Mr Egerton che si limitò a battere le mani un paio di volte.
Il resto della serata passò senza ulteriori intoppi, tra performance musicali, partite a carte e piacevoli conversazioni. Cathleen cercò di evitare Mr Egerton il più possibile.
«Vi dico di sì, madre, ha esplicitamente detto che Emma è un'arpista mediocre» sussurrò Cathleen seduta ad un divano, insieme alla madre.
«Che uomo poco garbato, dire così di una ragazza per bene. Lo dico sempre che la sincerità d'animo non porta a nulla di buono. Ma cerca di capirlo, cara, ha appena perso il padre...»
«Non sembra che stia proprio soffrendo, madre»
«Beh devo darti ragione, ma non te la prendere troppo. Non avremo nulla a che vedere con lui, dopo questa serata...anzi, mi sembra strano che sia stato invitato e che addirittura Mr Colborne ci stia parlando» precisò la madre, fissando il marito parlare con il burbero Mr Egerton. Che stesse chiedendo spiegazioni dell'offesa arrecata alla figlia?
«Uh, guarda cara, arriva il Capitano..» annunciò la madre, guardando oltre la spalla della figlia. Fecero appena in tempo a sistemarsi un poco gli abiti, prima che l'uomo si fermasse davanti a loro, chinando appena il capo. Aveva una posa rigida e marziale, e il suo viso non era affatto rilassato, seppur cercava di non darlo a vedere.
«Mrs Colborne, Miss Cathleen...posso invitarvi ad una piacevole partita a carte?» chiese con garbo.
«Oh Capitano non ve la prendete ma ho un lieve mal di testa e giocare a carte non farebbe che aumentarlo. Ma mia figlia è libera di venire se le fa piacere» precisò subito Mrs Colborne, e lanciò un'occhiata a Cathleen, che accettò volentieri.
Il Capitano sorrise appena, gentile, quindi le porse il braccio e la scortò verso il tavolo. Aggirarono tutto il perimetro dell'ampia sala, ritardando l'arrivo al tavolo.
«State bene, Miss Colborne? Avete un'aria pensierosa...»
«Oh si, perdonatemi Capitano, sto benissimo. Pensavo solo che a volte le parole feriscono più di una spada...»
Il Capitano si fermò, serio. «Qualcuno vi ha offeso, Miss Cathleen?»
Cathleen sorrise a tanta prodigalità. «No nella maniera più assoluta, Capitano. Non personalmente insomma, ma qualcuno ritiene...mediocre, l'esibizione di mia sorella Emma»
Il Capitano riprese a camminare con lei sottobraccio, sospirando appena. «Non dovete prendervela, Miss Cathleen. Mr Egerton ha appena perso suo padre, deve sistemare la madre e la sorella, forse addirittura tornare qui in Inghilterra contro la sua volontà. Un'idea che non credo lo alletti, dato quanto tempo è via da casa. Avrà parlato senza pensare»
«Il fatto che abbiate indovinato chi era il mittente di tale commento mi fa pensare che ne abbiate già conosciuto la sua...sincerità»
«Diciamo che ha avuto da ridire circa la marina britannica...»
Cathleen sorrise appena. Forse il Capitano aveva ragione, non doveva prendersela così tanto. Perchè rovinare la serata alla sorella e agli altri invitati per un commento di uno sconosciuto che non aveva nulla a che fare con lei?
Il suo accompagnatore riprese a parlare: «Vostro zio non è qui stasera, mi sarebbe piaciuto giocare con lui a carte. Non che mi dispiaccia la vostra! Beh nel senso di mera compagnia serale, ovviamente...» Cathleen notò con piacere che il Capitano era abilissimo nel ficcarsi in situazioni imbarazzanti, e che quella rigidità marziale ogni tanto si rompeva, così rise appena.
«Vi ho compreso, non preoccupatevi Capitano. Comunque no, non è potuto venire, ha un terribile raffreddore. E' rimasto a casa nostra, accudito dalla nostra servitù»
Il Capitano sorrise appena tra sé e non disse null'altro, arrivando finalmente al tavolo da gioco.
«Signore e signori, possiamo unirci?»
«Oh Capitano, Miss Cathleen, prego accomodatevi!» esclamò gentile Mrs Philipps. Al tavolo c'erano anche Mr Herbert, un uomo poco avvenente ma gentile, e sua moglie, una donna esattamente il contrario di sua madre: pacata e sobria.
Il gioco iniziò e vide ben presto il Capitano vincitore di pressoché tutte le mani.
«Che Dio vi benedica, Capitano, ci state stracciando! Almeno lasciate modo alle nostre donne di vincere» commentò ridendo Mr Herbert, seguito a ruota dal resto degli invitati al tavolo.
«Perdonatemi, Mr Herbert...su una nave giocare a carte è una delle poche cose che si può fare» ammise il Capitano, con sincero imbarazzo.
«Non state ad ascoltare mio marito, Capitano. Ma sapete come si dice? “Sfortunate al gioco, fortunate in amore”» annunciò Mrs Herbert, lanciando un'occhiata a Cathleen che prontamente arrossì.
«Dunque io sono condannato a non sposarmi mai» ammise il Capitano, con ironia.
«Oh assolutamente no! Sfido chiunque giovane nubile a non invaghirsi di un uomo gentile e garbato come voi, e con una carriera eroica alle spalle come l'avete voi!»
«Esagerate, Mrs Herbert. Faccio solo il mio dovere, tutto qua. D'altronde mio fratello maggiore ha diritto di sposarsi prima di me, quindi finchè egli non si sposerà ho tutto il tempo di giocare a carte» annunciò il Capitano, con tale sincerità da far ridere i giocatori al tavolo, ad eccezione di Cathleen ovviamente.
«Oh non ho mai sopportato queste regole, ve lo dico sinceramente.»
«Vi ripeto: per ora non me ne preoccupo. Sono qui solo in licenza, e potrei partire da un momento all'altro. Non vorrei mai promettere nulla ad una giovane per bene e poi non mantenere la parola»
«Dite sul serio?» Cathleen chiese istintivamente, attirando su di sé le attenzioni altrui. Deglutì, nel panico, fissando un incuriosito Charles. «Voglio dire...davvero potreste partire? Pensavo che la guerra contro Napoleone fosse vinta e terminata»
«Lo è, infatti, ma per terra ha ancora la supremazia, e nessuno ci dice che voglia ritentare una vittoria per mare. Non si può mai sapere, con quell'uomo. Ho chiesto una licenza dato che non tornavo a casa da quasi dieci anni, cercherò di restare per tutto il tempo stabilito ma se avranno bisogno di me dovrò partire»
«Che vita avventurosa avete, Capitano»
«Imprevedibile direi, Mrs Herbert»
«E non contate di ritirarvi prima o poi?»
«Certamente, quando mi sposerò mi ritirerò. Ma prima di allora, la mia unica sposa è la marina»
«Avete una passione ed un amore verso la patria che raramente ho visto in tutta la mia vita, Capitano, lasciatevelo dire...»
«Io la chiamo dedizione, Mr Herbert» si limitò a dire il Capitano, sorridendo appena.
Cathleen lo osservò un attimo, senza fortunatamente incrociarne lo sguardo, prima di vagare appena per la stanza ed incontrare la figura del padre che discorreva, di nuovo, con Mr Egerton, ed anche in maniera animata. Si accigliò appena, senza riuscire a nasconderlo tant'è che i giocatori si rigirarono a loro volta, con garbo.
«Uh, la sala si sta riscaldando» commentò Mrs Herbert ironica, ridacchiando.
Cathleen si limitò a sorridere appena, senza dire nulla.
«Non preoccupatevi Miss Cathleen. Staranno parlando sicuramente di politica, quanto è vero che sono un uomo» precisò con sicurezza Mr Herbert, rassicurando Cathleen la quale sembrò rilassarsi e riprese a giocare. Tuttavia aveva uno strano presentimento, come un qualcosa che doveva accadere, qualcosa che avrebbe messo sotto sopra la sua vita. Il presentimento durò per tutta la serata e fino a quando, all'alba, finalmente si sdraiò nel suo letto, addormentandosi. Non ne parlò con nessuno, fingendo che andasse tutto bene, ma prima di addormentarsi si promise che l'indomani avrebbe indagato.

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Capitolo 4
*** How you could... ***


Prima di iniziare: salve a tutt*! Siamo giunti al quarto capitolo, le cose cominciano a farsi “serie”. Arrivano nuovi personaggi, nuove notizie, e caratteri sempre più complicati! Spero che vi piaccia, come al solito, e se sì fatemelo sapere con una bella recensione! (anche se non vi piace, ovviamente =P) Enjoy!

 

4. How you could...

8 Dicembre 1805


L'inverno aveva risparmiato quella mattinata da pioggia e tempeste. Il sole era alto e caldo nel cielo, e poteva udire persino qualche uccellino cantare, tra i rami secchi degli alberi. Sentiva odore di erba bagnata e di muschio, e l'aria frizzante le riempiva dolcemente i polmoni, depurandoli.
Respirò pienamente, stringendosi poi lo scialle di lana sulle spalle, mentre camminava per il giardino della propria casa. Era circondata dall'odore dolce e pungente delle lavande, una distesa di viola acceso che si stendeva ad occhio nudo, ovunque di girasse.

Dolce e pungente. Sorrise tra sé. Suo padre spesso la definiva così, come una lavanda: pungente in apparenza, nel carattere e nelle parole, ma dolce nell'indole. Sua madre diceva, a sua volta, che Cathleen aveva un'abilità innata nel nascondersi alla vista altrui, come un camaleonte, ma che in opposizione aveva troppo genuinità nel dimostrare i propri sentimenti. Un equilibrio strano ma efficace: non era sognatrice come Emma, ma nemmeno fredda come Fanny. Non menefreghista delle regole come suo padre, ma nemmeno troppo attenta ad esse come sua madre. E, per giunta, in vent'anni di giovane vita non era mai stata innamorata o invaghita di nessuno, né tantomeno era stata chiesta in moglie. Forse spaventava i pretendenti perchè troppo sincera?
“Che strano”, pensò. “Non mi sono mai innamorata di nessuno, possibile?” Certo, escludendo il Capitano Barrington, tutti gli uomini erano per lei indegni: troppo stupidi come Mr Barrington o troppo egoisti e cattivi come Mr Egerton.
Arrossì, senza nemmeno accorgersene, pensando all'eccezione che si era imposta. Il Capitano. Era tutto sommato un uomo garbato e gentile, eppure a volte era così rigido, pensoso. Non era certo come Mr Egerton, la sua figura trasudava serenità, eppure a volte sembrava essere a disagio con il resto del mondo, così lunatico. Doveva smetterla di arrovellarsi così tanto su quell'uomo, non poteva immaginare niente di più di quel che vedeva.
«Miss Cathleen, state bene?» la voce di Augustine la distrasse. Si girò, osservando la sua accompagnatrice. Le sorrise.
«Sì, cara Augustine, sto bene»
«Se volete rientrare non avete che da chiedere, Miss»
«No, grazie. Augustine?»
«Si, Miss?»
«Voi siete mai stata innamorata?»
Augustine si fermò di colpo ed arrossì. Cathleen capì che quello era proprio un bel “si”, seppur la faccia della sua domestica era quasi terrorizzata.
«P-perchè me lo chiedete?»
Cathleen andò a sedersi su una panchina di pietra lì vicino, sospirando.
«Perchè non lo sono mai stata, e non so cosa si prova. Cosa si prova?»
Le fece segno di sedersi, e la giovane ragazza ubbidì, sospirando. Si sistemò la gonna nera, arricciando la bocca. Era una bella ragazza, Cathleen doveva ammetterlo. Non ci aveva mai fatto caso.
«Beh...alcuni dicono che senti le farfalle nello stomaco, ma io non sento nulla. Senti però come un fuoco, nel corpo, quando lui è nei paraggi. Ed anche se provi a tenerti occupata il giorno, pensi a lui in continuazione. Passeggi e pensi come sarebbe bello avere la sua compagnia. Fantastichi sul matrimonio, sull'avere bambini insieme. Non riesci a distrarti un secondo dal suo pensiero, e quando finalmente lo vedi non sai cosa dire, e qualunque cosa dici o fai è ridicola...»
Cathleen deglutì. Era in guai seri.
«Ti ringrazio Augustine, molto esaustiva. Posso chiederti di chi sei innamorata?»
Augustine sprofondò nel suo rossore. «I-io, Miss? Io di nessuno!»
«E allora queste cose come le sai, se non vivendole in prima persona?»
«Me le hanno raccontate»
Augustine non era capace di mentire, Cathy lo sapeva, ma rispettò il suo riserbo.
«Cathy! Cathy, vieni presto!» la voce dello zio risuonò nel giardino di lavanda. Passi veloci e nevrotici mentre le veniva incontro, fino a fermarsi sgranando appena gli occhi vedendo insieme le due ragazze.
Augustine s'inchinò svelta, rimanendo a capo chino quasi tutto il tempo.
«Zio, cosa è successo?» chiese Cathleen, incurante della sua domestica.
«Tuo padre...Emma...» lo zio aveva il fiatone ma disse le parole bastanti a far correre sua nipote verso l'interno della casa.

«Come hai potuto?!» gridò tra le lacrime Emma, seduta su un divanetto del salotto.
Cathleen fece appena in tempo a vedere tale scena, sul ciglio della porta. Sua sorella in lacrime, Charlotte pallida come un cencio, la madre che sorrideva soddisfatta e suo padre, mortificato mentre si asciugava il sudore dalla fronte, seduto su una poltrona.
«Emma, per amore di Dio, non essere esagerata. Hai sempre detto che volevi sposarti...» mormorò il padre.
Cathleen sospirò di sollievo, per un attimo. Allora era solo quello il problema, un matrimonio? Per un attimo aveva temuto il peggio. Ma poi si fermò, pensosa: Emma sognava davvero un matrimonio, e finalmente c'era riuscita. Che cosa la spingeva a disperarsi così tanto? A meno che, certo...
«Padre...» Cathleen si avvicinò a Mr Colborne, titubante «Padre, a chi l'avete promessa...?» lo sussurrò quasi, e suo padre la guardò con aria colpevole. Non disse nulla, porgendole quel che sembrava un atto notarile.
Con il cuore in gola, lesse velocemente fino ad arrivare al nome indicato. Non era il Capitano Barrington, fortunatamente, ma qualcuno di molto peggio.
«Mr Egerton?» chiese ad alta voce, perplessa. I pianti di Emma aumentarono.
«Non bastava farmi nascere come seconda, no! Doveva anche darmi in sposa ad un uomo freddo, malvagio, sgarbato e vecchio!»
«Padre, ma come...perchè...»
Il padre sospirò, paziente. «Come hai saputo ieri sera, Cathleen, Sir Egerton era malato da tempo. Nessuno lo sapeva, in principio nemmeno io. Ma un giorno di qualche mese fa mi invitò nella sua magione, spiegandomi la situazione e chiedendomi un...favore. Aveva un solo figlio, disse, ormai fuori casa da troppo tempo. Voleva che tornasse e che si prendesse l'impegno di gestire la tenuta, i terreni e la sua famiglia, ma aveva timore che il figlio rifiutasse, prendendo solo la sua parte di eredità e lasciando sua madre e sua sorella sole e senza casa. Così nel suo testamento ha aggiunto una clausola, e cioè che sarebbe diventato suo erede solo se fosse rimasto qui, prendendosi cura della sua tenuta. E l'unico modo, a livello legale, di tenere un uomo saldato al terreno, è di farlo sposare. Io e Sir Egerton eravamo buoni amici, al pari che con Sir Barrington. Quest'ultimo non aveva figlie femmine e così ha chiesto a me, ed io ovviamente gli ho proposto Emma in quanto maggiore rispetto a te»
«Ecco perchè parlavi tanto animatamente con lui l'altra sera...» mormorò Cathleen ed il padre le annuì appena. Sospirò e si sedette vicino ad Emma, tentando di abbracciarla, ma quella la spinse via e si alzò.
«Avrebbe dovuto scegliere te!»
«Io? Ma Emma, lo sai che si va per ordine, se avessi potuto alleviarti questo dolore lo avrei fatto volentieri» precisò triste Cathleen.
«Oh certo, che colpa ne ha la povera, perfetta, intelligente Cathy!» Emma era fuori di sé, perchè mai si sarebbe sognata di offendere la sua cara sorella.
«Emma, so che sei disperata, ma magari Mr Egerton rinuncerà all'eredità no?»
«Taci!»
«ORA BASTA!» la voce di Mr Colborne tuonò come mai prima di quel momento. Tutto cadde nel silenzio ed Emma smise persino di piangere, deglutendo a fatica. «Smettila di comportarti come una ragazzina, Emma! Sei una donna, sei stata scelta per diventare membro di una famiglia ricca e facoltosa, sarai una Lady ed avrai un futuro sicuro, dovresti solo esserne fiera! Ed ora fuori di qui, tutte e due!»
Emma corse via dalla sala, ed i suoi pianti risuonarono per tutta la casa finchè non furono attutiti dalla porta della camera chiusa.
«Madre...» Cathleen richiamò Mrs Colborne lungo i corridoi.
«Tua sorella è la solita drammatica, Cathleen. Mr Egerton non è poi così male...»
«Ma se ieri sera voi avete detto che...»
«Oh Cathleen, un conto è essere sgarbati, un conto è essere un cattivo marito. Emma sognava il matrimonio d'amore, ma dove può portare una cosa simile? Solo alla povertà. Deve ritenersi fortunata»

Cathleen ritornò mesta in giardino, sospirando, la testa in subbuglio. Sollevò la testa verso la finestra della camera di Emma e la vide, affacciata in giardino, prima di ritrarsi nervosa alla sua vista. Ma che colpa ne aveva, lei, se non era stata scelta per sposare Mr Egerton? Le spiaceva per lei, ma nessuno aveva mai alimentato le sue speranze romantiche. Lei, d'altra parte, sapeva perfettamente che avrebbe sposato uno sconosciuto e non se ne lamentava. Mr e Mrs Colborne non avevamo mai visto l'alto quando furono promessi, e si conobbero il giorno stesso del matrimonio. Eppure non conosceva una coppia che più si voleva bene e si rispettava. Forse non si amavano come Romeo e Giulietta, ma che importava?
Tornò nel suo nascondino, la sua panchina di pietra, e vide suo zio seduto lì, da solo.
«Oh, Cathy...ho sentito le grida di mio fratello»
«Non l'avevo mai visto così arrabbiato»
«Non è arrabbiato, cara, è solo triste nel vedere Emma in lacrime. Immagino che, da padre, non sia molto bello»
«Emma esagera, zio. Mr Egerton non sarà proprio un damerino, ma sono sicura che è un brav'uomo o nostro padre non l'avrebbe promessa a lui»
«Ne sono sicuro anch'io»
«E poi, Mr Egerton può sempre rifiutare l'eredità paterna no? Dicono sia un uomo di mondo, dubito voglia starsene qui a vita»
Zio Jack sorrise appena. «Non saprei, ma se rifiutasse un'eredità simile ed il titolo nobiliare sarebbe solo un folle»
Non aveva tutti i torti, Cathleen lo sapeva. Sospirò, arrovellandosi il cervello nel capire come risolvere quella situazione, quando vide arrivare Augustine.
«Miss Cathleen, corrispondenza per voi» annunciò la giovane, porgendole una lettera chiusa. Cathleen la prese e l'aprì: non era Edward, la sua calligrafia era ben diversa.

Cara Miss Colborne,
Voi non mi conoscete ma io, in un certo qual senso, conosco bene voi. Mi chiamo Elizabeth Barrington, e sono la nipote di Sir Barrington. Mio zio ed i miei cugini mi hanno parlato molto bene di voi, di come siate una giovane per bene, intelligente e dal talento musicale innato.

Sono arrivata ieri a Barrington House e mi chiedevo dunque se mi fareste l'onore di venire a pranzo presso la casa di mio zio, affinchè possiamo finalmente conoscerci di persona e, sono sicura, diventare amiche. Con noi ci sarà anche Mrs Herbert.
Vostra,
Elizabeth.
«Buone notizie, cara?» chiese zio Jack, sorridendo.
Cathleen si alzò, stringendo la lettera al petto.
«Ottime, ottime davvero zio!»

«A pranzo fino a Barrington House? Non se ne parla, è troppo lontano» precisò secca Mrs Colborne ripiegando la lettera di Elizabeth.
«Oh madre vi prego! Se parto subito arriverò in tempo per pranzo e, subito dopo, ripartirò ed arriverò a casa prima del tramonto!»
«Assolutamente no, Cathleen. Non puoi andare in giro da sola»
«Ma ci sarà anche Mrs Herbert con noi, e qualcuno della servitù potrebbe accompagnarmi col calesse, andremo più veloci di una carrozza. Cosa mai potrebbe accadermi in una strada di campagna? Vi farò avvisare non appena arriverò a Barrington House»
«Non vedo perchè no, Mrs Colborne. D'altronde la nostra Cathy è grande abbastanza per farsi delle nuove e convenienti amicizie...» intervenne Mr Colborne da dietro il giornale.
«E sia...ma non dare disturbo più del dovuto!»
Così Cathleen fece preparare il calesse e fu accompagnata a Barrington House. Durante il tragitto, tra un'occhiata ed un altro al tempo incerto, Cathleen ebbe tempo di pensare a perchè era così felice ed emozionata di andare a quell'incontro.
Certamente era per via di Miss Elizabeth: era molto curiosa di conoscerla, la immaginava come una persona adorabile, bella e solare. Ed in più, il fatto che avesse ricevuto così tanti pareri positivi le faceva onore e piacere. E qui arrivava al vero motivo: il Capitano aveva parlato bene di lei. Durante le poche volte che si erano incontrati, non si era mai sbilanciato in sorrisi, complimenti o attenzioni, eppure evidentemente aveva smosso il suo interesse. Sperava di incontrarlo in un ambiente informale e intimo, dove poterlo conoscere meglio. In più, pensò, avrebbe potuto chiedere a loro un parere su Mr Egerton e capire se sarebbe o meno rimasto a casa o sarebbe ripartito per l'Europa.
Il tempo di pensare a tutto ciò ed era già arrivata a Barrington House. Scese dal calesse con calma, quindi si fece annunciare. Prima di entrare, sentì una goccia caderle sulla spalla.
«Miss Elizabeth, Miss Cathleen è qui» annuncio il paggio, dopo aver percorso scale e corridoi. Entrò in un salotto che era totalmente diverso dalla Music Room dove era stata qualche sera prima.
Era una stanza circolare, con delle colonne sottili e greche lungo il perimetro. Dei divanetti e delle poltrone erano posizione al centro, insieme ad alcuni tavolini. Un pianoforte a muro era posato in un angolo. Un camino acceso riscaldava l'ambiente, e le ampie vetrate davano su un immenso giardino all'italiana. Un tavolo tondo era già apparecchiato per il pranzo. Sedute ad un divano sedevano la familiare Mrs Herbert, che le sorrise con garbo, ed una giovane a lei sconosciuta.
«Miss Cathleen! Benvenuta» annunciò questa, alzandosi ed andandole incontro. S'inchino appena, come fece anche Cathleen. Miss Elizabeth era proprio come Cathy se l'era immaginata, e cioè bella oltre ogni dire. Era sicuramente più giovane di lei, dato che mostrava ancora i tratti tipici dell'infanzia, con dolci gote rosate, grandi occhi azzurri ed un'aria innocente. I capelli, biondo oro, erano raccolti in una delicata acconciatura alla greca, con la treccia a mò di corona attorno al capo. L'abito di mussolina bianca la rendeva una vera e propria dea.
«Miss Elizabeth, vi ringrazio per l'invito»
«Oh grazie a voi per aver accettato! Sapete, quando vengo in visita da mio zio non c'è mai nessuno con cui avere compagnia, e giusto ieri ho avuto il piacere di conoscere Mrs Herbert, che così gentilmente si è offerta di diventare mia guida e di partecipare al nostro piccolo pranzo. Limonata?»
«Sì, grazie. Mrs Herbert, come state?»
«Oh molto bene cara, vi ringrazio! E voi?»
«Molto bene» precisò Cathleen, ringraziando poi Elizabeth della limonata e sorseggiandola. «Dove abitate, Miss Elizabeth?»
«A Londra, Miss Cathleen, ma in questo periodo la città è invivibile. Troppo sporco e troppi fumi. Siccome mio padre mi obbliga a rimanere in città per la Stagione, allora il resto dell'anno di solito lo occupo in campagna. Solitamente è Lady Spencer la mia “madrina”, ma purtroppo la Lady è gravemente malata quest'anno e così ho deciso di venire a trovare mio zio e i miei cugini, che di solito vedo direttamente alla Stagione. In verità Charles non lo vedevo da...beh, mai» ammise ridacchiando «l'ho sempre visto dai ritratti, e così lui. Per noi è come conoscerci da principio, e ci sentiamo già come fratello e sorella. Voi conoscete mio cugino, no? Non trovate sia un uomo garbato e perbene?»
Cathleen sorrise, incerta. «Non lo conosco così bene da poterlo giudicare in maniera certa e sicura, ma posso dirvi che, per quel che ho visto, è un uomo assolutamente rispettabile, intelligente e morigerato» Morigerato? Si vergognò di quel che aveva detto, sembrava stesse parlando di un pastore.
Mrs Herbert rise con garbo. «Non siete una che si sbilancia troppo, vero Miss Cathleen? Io trovo il Capitano Barrington semplicemente...perfetto! Se non fosse che sono felicemente sposata e che il Capitano ha almeno vent'anni meno di me, mi metterei di nuovo sulla piazza!»
Entrambe le signorine risero per i modi schietti della signora, ma Cathy ripensò al perchè era lì.
«Oh, Mrs Herbert, voi che conoscete tutti qui nei paraggi...che cosa sapete dirmi di Mr Egerton?»
«Oh, vedo che vi piacciono gli uomini complicati, Miss Cathleen!»
«Oh no, affatto! E' che l'altra sera ho visto mio padre parlarci animatamente, e lui si rifiuta di dirmi perchè» mentì Cathleen «voi avete idea di cosa stessero parlando?»
«Nessuna idea, cara, ma gli Egerton è gente strana quanto ricca e facoltosa. Un tempo, quando Mrs Egerton era in salute e in forze, Egerton House era il centro di ogni evento mondano, ci venivano persino da Londra! Feste, balli, banchetti, concerti...era un tripudio di bellezza e cultura. Ma poi Mrs Egerton si ammalò e pare, dico pare, che accadde qualcosa tra padre e figlio. Io ho sempre sospettato che il giovane Arthur avesse avuto una scappatella andata a male, se mi intendete, e piuttosto che stare al “giogo” paterno ha rinunciato all'eredità e si è dedicato ai viaggi in giro per l'Europa. Da quel giorno, tutto è andato allo fascio: Mrs Egerton è peggiorata e sua figlia sembra aver ereditato da lei la sua stessa salute cagionevole. Il personale fu ridotto all'osso, metà della tenuta è ormai in rovina e nessuno si avvicina più a loro, a parte forse Mr Barrington e vostro padre. Non per cattiveria, intendete bene, ma Sir Egerton nell'ultimo periodo era diventato estremamente allergico alla gente, se mi capite»
«E pensate che suo figlio sia come lui?»
«Beh, come si dice...la mela non cade mai tanto lontana dall'albero, no? Mr Egerton è schietto e sincero come suo padre, ed ha un chè di...crudo, nell'etichettare le persone»
«Ma pensate che possa rimanere a lungo?»
«Non saprei, cara. Certo è che ora che Sir Egerton è morto, che Dio lo abbia in gloria, l'erede della tenuta, dei terreni, del titolo e quant'altro...è lui. E se lui rifiuta tutto questo ben di Dio, dovrà vendere la tenuta e questo significa buttare fuori di casa madre e sorella. Ditemi voi se c'è un uomo così crudele da fare una cosa simile alla sua famiglia!»
«No, non c'è, o almeno credo...» ammise Cathleen, pensierosa. Era la fine dunque: Emma doveva sposare Mr Egerton.
«Miss Cathleen, tutto bene? Vi vedo triste» ammise Elizabeth, preoccupata. Cathleen sorrise.
«No, cara Miss Elizabeth, affatto. Ditemi, voi suonate?»
«Con discreta bravura, Miss, il pianoforte. I miei cugini, invece, dicono che voi suonate divinamente»
«I vostri cugini esagerano, Miss Elizabeth, ma mi piacerebbe suonare molto a quattro mani con voi»
«Ma che splendida idea, signorine! Presto allora, che aspettate, al pianoforte!» esclamò entusiasta Mrs Herbert. Le due ragazze, sorridenti, andarono a sedersi al pianoforte, dando il profilo all'ingresso del salotto, chiuso comunque onde evitare di essere disturbate.
Presero a intonare, tramite i tasti dello strumenti e le loro quattro affusolate mani, una melodia delicata e serena, che rasserenò subito l'animo di Cathleen, distraendola da oscuri problemi. Mrs Herbert applaudì alla fine di quella performance e di almeno altre due, dove la bravura di entrambe le giovani sbocciò naturalmente, quasi equiparandosi. Miss Elizabeth aveva quel tocco di incertezza in più che contraddistingue le giovinette alle prime armi con le performance “pubbliche”, a cui Cathy era più abituata.
«Bravissime, davvero! Miss Cathleen, avete una tecnica eccelsa! E voi Miss Elizabeth, con quanta grazia suonate!» Mrs Herbert era sinceramente estasiata. Le giovani si alzarono dagli sgabelli, sorridendo felici. Fu solo in quel momento che si accorsero dei fratelli Barrington fermi alla porta. Mr Barrington era sorridente e andò loro incontro, applaudendo; quanto al Capitano, era in piedi e rigido come uno stoccafisso, che fissava le due ragazze quasi senza ritegno, affatto discreto. Teso, a disagio.
«Charles, Adam, santo cielo come siete ridotti! Ma dove siete stati?» chiese Elizabeth, notando gli stivali sporchi di fango dei due.
«Oh, cara cugina, mai fidarsi del tempo inglese e dei fratelli minori. Charles ha insistito così tanto nell'andare a caccia che, non solo siamo sporchi e infangati, ma siamo anche tornati a mani vuote!» rispose Mr Barrington. «Miss Cathleen, non sapevo foste qui...perdonate il nostro stato»
«Oh si, Adam, Miss Cathleen è venuta a trovarmi per pranzo insieme a Mrs Herbert, ma ora è impossibile tornare indietro, vero?»
«Assolutamente, piove a dirotto» Cathleen si girò istintivamente verso le vetrate: fuori pioveva così forte che non si vedeva oltre la vetrata, la nebbia fitta copriva tutto.
«Come sospettavo. Pensavo di cenare tutti insieme, cosa ne dite cugini? Miss Cathleen?»
«Io...beh, va bene, certo. Purchè prima ci fosse modo di avvisare mia madre che rimarrò a cena qui»
«Ed anche a dormire, ovviamente! Non preoccupatevi, manderò un paggio non appena la pioggia si quieterà» promise Elizabeth, sorridendo.
«Stasera voglio assolutamente suonare di nuovo con voi, Miss Cathleen, se me lo permettete» annunciò Adam entusiasta, prendendola sotto braccio.
«Con piacere, Mr Barrington» annunciò Cathleen, incerta mentre poggiava la mano sul suo braccio. Si volse un istante indietro, verso Mrs Herbert, ma in verità cercava solo il Capitano, di spalle e fermo a guardare fuori dalla vetrata.
Il pomeriggio passò senza intoppi, tra una conversazione, una lettura ed una partita a carte. La cena venne servita nel salone a fianco, ed era presente anche Sir Barrington, quella sera particolarmente eloquente e garbato. Una volta avvisata sua madre, Cathleen si rilassò completamente godendosi l'altrui compagnia. Intrattenne i suoi ospitanti con più sonate e arie, da sola o accompagnata dal violino di Mr Barrington. Cercò spesso lo sguardo del Capitano, con discrezione, ma questi era sempre distratto, ora a parlare con la cugina, ora col padre, ora con Mrs Herbert. E per il tempo che era ora di coricarsi, Cathleen si ritrovò a pensare che durante la cena le aveva rivolto la parola solo quando necessario.
Sdraiandosi nel suo letto cercò di capire perchè il Capitano era così indisponente. Si girò e rigirò tra le coperte, senza trovare risposta a quella domanda né tantomeno la pace necessaria per dormire. Quando la pendola nel corridoio battè per l'ennesima volta aprì gli occhi, la mente ancora vigile, e si accorse che il sole penetrava dalle pesanti tende.
Era l'alba, e non aveva chiuso occhio.

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Capitolo 5
*** Christmas Carol ***


5. Christmas Carol

 

20 Dicembre 1805

Dal giorno del pranzo a Barrington House fino alle vacanze natalizie non passò molto tempo, tempo che Cathleen trascorse senza vedere mai il Capitano. Avrebbe potuto pensare che fosse stato richiamato alle armi se suo padre non l'avesse informata che tutti e quattro i Barrington avrebbero trascorso Natale da loro, e così anche gli Herbert e gli Egerton. “Mrs e Miss Egerton sono malate, verrà solo Sir Egerton” precisò il padre. Oltre a loro, ovviamente, le maggiori famiglie principali. In totale, sarebbero stati circa venticinque presenti al pranzo di Natale, un numero considerevole.
I preparativi per Natale erano cominciati, e la tenuta si riempì di gioia, canti natalizi, addobbi e odore di vin santo e pudding. Alcuni invitati sarebbero rimasti pochi giorni, altri come sua sorella Fanny fino all'Epifania. E da quel giorno, avrebbe contato i giorni mancanti per l'inizio della Stagione, con la speranza che il Capitano non vi partecipasse. Voleva dimenticarlo. Lui la stava evitando, era chiaro: non amava forse la sua compagnia, o scoperta la sua indole non ne era rimasto interessato. Avrebbe trascorso con lui e la sua famiglia il Natale, evitandolo il più possibile, e poi non lo avrebbe rivisto più.
In quel momento doveva concentrarsi sulla sua famiglia, che aveva bisogno di lei. Ad Emma era passata la crisi emotiva: non piangeva più. Non era felice come un tempo e parlava a malapena con il padre, il chè era un male per tutti, ma almeno non strillavano. Cathleen le sarebbe stata vicina fino al suo matrimonio ed anche successivamente, durante il periodo della Stagione, dove avrebbe partecipato come Lady Egerton. Cathleen fu stupita di sentire che Sir Egerton sarebbe rimasto nella contea, ma d'altronde Mrs Herbert l'aveva previsto. Al loro prossimo incontro le avrebbe chiesto la sua teoria, dato che i suoi genitori non si sbilanciavano in proposito.
E poi, a Natale sarebbe tornato Edward. Era così felice, finalmente poteva rivederlo! Chissà com'era cambiato, poi.
«Cathleen?» Emma entrò nella sua stanza, distraendola da tutti quei pensieri.
Si volse di scatto: era la prima volta dopo settimane che la sorella le rivolgeva la parola. Aveva un pacco tra le braccia, abbastanza grande e piatto da contenere...un abito.
«Si, cara? Hai comprato l'abito per Natale?»
«E' l'abito per Natale, si, ma non l'ho comprato io...» ammise la sorella, cacciando un sorrisetto.
Cathleen si accigliò. Un dono? E di chi? A meno che...
«Emma...Sir Egerton ha...?»
«Già...»
Cathleen sgranò gli occhi, sconvolta. Sir Egerton era abile nel provare gusto estetico e di regalare qualcosa ad una persona?
«Oh santo cielo!» esclamò alla fine Cathleen, abbracciando la sorella. Prese quindi il pacco e lesse il biglietto che vi era posato sopra.

Se siamo costretti a ballare insieme durante il giorno di Natale, che almeno possiate essere la più bella tra le invitate. E di mio gusto.
Sir Egerton.

«Però...che romantico» ammise Cathleen ironica, prima di aprire il pacco. Rimase senza fiato: estrasse dalla scatola l'abito, fissandolo e guardando poi la sorella. Se il biglietto allegato era insolente e appena sufficiente, l'abito era magnifico oltre ogni dire.
Era stoffa francese, quello lo si vedeva a occhio nudo, e della miglior qualità e fattura. Era già di per sé un miracolo, con i legami bellici tra Francia e Inghilterra; mussola bianca, con un prezioso ricamo che dallo scollo tondo scendeva fino all'orlo, perfettamente simmetrico e verticale, per poi ricoprire tutto il bordo dello strascico a coda, che poteva essere prontamente legato al polso per le danze; maniche corte a sbuffo, un ricamo a corda sotto al seno e guanti di preziosa seta rossa chiudevano in bellezza quella meraviglia.
«Emma, è...»
«Assolutamente splendido» ammise la sorella, sincera. Cathleen osservò la sorella, sorridendo.
«Forse non è così male...» commentò mesta Emma. «Forse mi sbaglio»
«Forse ci sbagliamo tutti, cara. Non sarebbe la prima volta» sorrise Cathleen, sincera. Nel bene e nel male, si era spesso sbagliata.
«Non mi illudo, comunque sia. Potrebbe essere stata mera gentilezza, la sua. Non mi illudo assolutamente circa il nostro futuro rapporto»
«Ti ricordi cosa ci diceva sempre Eloise? Lei ha assistito alle nozze tra i nostri genitori: mamma piangeva e papà era nel panico. Si conobbero all'altare. Hanno litigato, pianto, si sono morsi la lingua più volte, ed ora guardali! Tu sei ancora più fortunata, hai modo di conoscere il tuo sposo prima di maritarti, così sai già cosa ti aspetta, nel bene e nel male. Credo tu sia davvero fortunata» Cathleen sorrise, ed era sincera nel dirlo.
Emma le sorrise a sua volta, abbracciandola forte. «Potrò contare su di te, se ne ho bisogno?»
«Certo, mia dolce Emma» precisò la sorella, ridacchiando.

Il pranzo di Natale arrivò in fretta, secondo le speranze di Cathleen. Era il suo periodo preferito dell'anno. Le decorazioni, il vischio e gli addobbi, i canti, il ceppo acceso nel camino. E poi ancora il cibo, l'intimo tepore che si creava in casa contro la neve che scende copiosa, e le chiacchiere e i balli con amici e parenti...era tutto magico a Natale.
Attendevano i loro ospiti nel salotto antecedente la Sala pranzo. Lei e le sorelle avevano abbellito il salotto con addobbi dorati e rossi, inframezzati con edera e vischio, e rami di pino e abete. Il ceppo bruciava fiero nel grande camino, illuminando e riscaldando l'atmosfera. Vino caldo era già pronto per essere servito e bevuto. Erano già presenti tutti loro, la famiglia di Fanny e Zio Jack. Cathleen lanciò un'occhiata a Emma: era bellissima. Aveva ovviamente indossato l'abito regalatole dal suo promesso, oltre che un delicato girocollo d'oro, ed i capelli erano arricciati e tenuti dietro la nuca con nastri bianchi a richiamare l'abito. Aveva un sorriso trasognato e nervoso, mentre guardava il proprio riflesso sulla finestra davanti a lei.
Cathleen fece altrettanto: come suo solito aveva sistemato i capelli da sola, privandosi degli odiosi tirabaci che tanto andavano di moda. I ricci naturali che aveva erano stati pettinati morbidamente dietro la nuca ed una fascia di seta gialla avvolgeva il capo due volte, a mò di corona greca. L'abito che indossava era di mussola e seta, d'oro scuro, con uno scollo ampio sulle schiena, a V, e tondo sul davanti. La gonna dritta e semplice, le maniche a sbuffo ed una fascia sotto al seno. Non indossava i guanti, come la maggior parte delle donne presenti, ma aveva in mano solo un ventaglio bianco. Era agitata, per svariati motivi: per Edward, per il Capitano, per Mr Egerton ed Emma, per le possibili imbarazzanti attenzioni di Mr Barrington...
«Eccolo, è arrivato!» annunciò felice Charlotte, osservando fuori dalla finestra. Una carrozza si stava fermando davanti all'ingresso, ed i servitori stavano già scaricando i bauli e aprendo la portiera. Cathleen non stava più nella pelle e si precipitò fuori, al freddo e sotto la neve, correndo verso il ragazzo ben vestito che era appena sceso dalla carrozza.
«Cathleen!»
«Edward!» gridò la giovane, ridendo ed abbracciandolo. Il fratello rise, ricambiando l'abbraccio e sollevandola da terra. Si abbracciarono a lungo finchè non arrivò anche Emma e Charlotte, fuori, ad abbracciare il loro caro fratello maggiore.
«Oh le mie bellissime sorelle! Guardate come siete cresciute!» esclamò felice, prendendole per mano mentre rientravano dentro. Salutò con cortesia suo padre e baciò la mano alla madre.
«Bentornato a casa, Edward»
«Vi ringrazio, padre. Madre, siete raggiante. Fanny, sorella mia, come stai? Mr Appleby è un piacere rivedervi, e questo giovanotto deve essere il piccolo Daniel, guarda come sei cresciuto!»
Il clima di festa aumentò con la presenza di Edward, l'unico figlio maschio e primogenito dei Colborne, che era stato via per studi nella lontana Vienna. Era da lui che, tramite corrispondenza, Cathleen aveva imparato un po' di tedesco, oltre a sapere già l'italiano per i suoi studi musicali. Superati i convenevoli, Edward e Cathleen si sedettero in un angolo per parlare: avevano un legame forte e indissolubile, e spesso per strada venivano scambiati per amanti.
«Allora, com'è andata in Austria?»
«Oh bene, molto bene. E tu come sei stata qui a casa?»
«Annoiata, anche se non troppo. Lo sai che Emma si è fidanzata, vero?»
«Sì, nostro padre mi ha accennato qualcosa per lettera. Il figlio di Sir Egerton, vero? Che tipo è?»
«Proprio lui. Beh direi...enigmatico. Ha offeso Emma dicendo che è una discreta artista, ma poi qualche giorno fa le ha fatto recapitare un abito costoso e pregiato, solo per indossarlo stasera...»
«Che vuoi farci, gli uomini sono complicati. Ed a proposito, credo proprio sia arrivato» annunciò Edward, osservando un uomo all'ingresso del salotto salutare con rispetto Mr e Mrs Colborne, e poi baciare la mano ad Emma.
«Buonasera a tutti, e Buon Natale»
«Buon Natale a voi, Sir Egerton. Avete visto quanto è bella Emma questa sera?» chiese Mrs Colborne, raggiante.
Sir Egerton non sorrise, limitandosi a guardare la sua fidanzata. «Incantevole» disse solo, come se costretto a dire quelle parole da una lama puntata alla schiena.
Poco dopo arrivarono anche gli Herbert ed infine fu il turno dei Barrington e delle restanti famiglie.
«Scusa l'attesa, Robert, e Buon Natale» annunciò Sir Barrington, abbracciando l'amico.
«Nessun problema, Buon Natale anche a te» rispose Mr Colborne, prima di salutare i suoi figli e presentarsi a Miss Elizabeth.
«Voi dovete essere Miss Barrington, incantato. Cathleen mi ha parlato molto di voi»
«E spero con parole solo positive, Mr Colborne» precisò lei, sorridendo gentile. Era semplicemente magnifica, di una bellezza perfetta e rara. Cathleen si sentì improvvisamente brutta e insignificante, ma quando sollevò gli occhi sul Capitano Barrington le sembrò quasi di cambiare idea: le stava sorridendo. Non con dolcezza o intima attenzione, ma almeno non faceva finta che non esistesse.
«Miss Cathleen, Buon Natale. Siete incantevole, se posso permettermi» annunciò Mr Barrington, superando il fratello minore ed avanzando verso di lei, per il baciamano. Cathleen si limitò a sorridere, cercando Charles con lo sguardo: era già altrove, che chiacchierava con Edward.
«Vi ringrazio, Mr Barrington, e Buon Natale anche a voi»
La governante annunciò che il pranzo era pronto, e così gli invitati e i padroni di casa si spostarono nella Sala da pranzo. La lunga tavola era sistemata con una tovaglia bianca, stoviglie dorate, candelabri accesi e decorati con vischio ed edera. Le sorelle Colborne e le domestiche avevano fatto un lavoro eccellente, nella sala si respirava un ambiente intimo e festoso. Mr Colborne invitò tutti i domestici nella sala per il brindisi usuale. Si scambiarono poi tutti gli auguri ed infine si accomodarono, cominciando a mangiare. Cathleen capitò tra Edward e Fanny, mentre davanti a lei c'erano Mr Barrington e Mr Appleby, proprio di fronte a sua moglie. Mr Barrington era un paio di sedie alla sua destra, fra Miss Elizabeth e Sir Egerton. Cercava di evitare lo sguardo del Capitano, e così fece anche lui. Non era astio, il suo, ma imbarazzo: ancora ricordava quegli sguardi tristi e freddi del giovane, quando la vide a casa sua per il pranzo con Miss Elizabeth. In quei giorni si era arrovellata su dove avesse sbagliato e, alla fine, si decise che lei non aveva colpe. Forse Mr Barrington aveva ragione: forse suo fratello minore era davvero così freddo e falso. Il solo pensiero le faceva sanguinare il cuore, ma i fatti d'altronde quasi confermavano quella tesi.
«Vostro padre mi diceva che avete studiato a Vienna, Mr Colborne. Come vi siete trovato?» chiese Mr Barrington a Edward.
«Molto bene, a dirla tutta. Due anni sono volati, ed è stata un'esperienza magnifica. Vienna è una città piena di cultura, di vitalità e iniziative»
«E ditemi, le donne sono belle così come si dice?»
«Oh si, le signorine sono raffinate e belle oltre ogni dire, ma se fossi tornato con una viennese mio padre mi avrebbe diseredato» precisò Edward, facendo ridere gli invitati. Il presto del pranzo proseguì senza intoppi, tra svariati pasti, brindisi e chiacchiere. Poi, dopo la torta, si trasferirono tutti nella Music Room, per danze e canzoni.

«Miss Elizabeth, Cathleen mi ha detto che suonate divinamente il piano. Sarebbe un onore per noi aprire le danze con una vostra melodia» annunciò Mrs Colborne, mentre si accomodava ad un divano.
Elizabeth chinò il capo. «Con estremo piacere, Mrs Colborne» rispose, accomodandosi al piano. Altri due giovani, fratello e sorella, l'accompagnarono con arpa e violino rendendo la musica veloce e l'aria nella sala festosa. Cathleen si ritrovò a battere le mani, felice, e quando si guardò attorno si accorse che il Capitano era proprio lì al suo fianco. Le coppie si stavano formando già per il secondo ballo, ma non ci fu richiesta alcuna dall'uomo, in piedi e impettito al suo fianco. Cathleen deglutì appena, non sapendo cosa fare, ma si fece coraggio.
«Non ballate stasera, Capitano?»
«No, Miss Cathleen.»
«Sarebbe scortese non farlo la sera di Natale, non trovate?»
«Non sono abituato a fare ciò che non voglio»
La sua risposta fu tanto sincera quanto crudele. Mentre cercava di sorridere, sentiva il labbro tremare ed il cuore sanguinare, di nuovo. Si allontanò, senza tradire una certa fretta, e si andò quasi a scontrare con Edward che la fissò, con dolcezza.
«Ti va di ballare, sorellina?» chiese, baciandole la mano.
Cathleen sbuffò appena una risata, senza il coraggio di guardare il Capitano, di nuovo, e quel suo secco diniego.
«Con molto piacere» mormorò lei, posizionandosi davanti al fratello. Il reel cominciò e si costrinse a ridere e sorridere, fingere di divertirsi e di non guardare verso il Capitano. Che cosa aveva fatto di così male per meritarsi tanta indifferenza?
Gli applausi annunciarono la fine della danza e lei si unì all'allegria generale.
«Miss Cathleen, vi prego, suonate voi!» annunciò Mr Barrington, conducendola sottobraccio al pianoforte. La fece accomodare con un baciamano, sorridendo garbato. Le attenzioni di Adam erano esattamente l'opposto di Charles, che sembrava allontanarsi da lei come la peste. Non ci fece caso, cercò di fingere che andasse tutto bene: era Natale, e niente avrebbe rovinato quella festa.
Cominciò a suonare un reel allegro e festoso, e sorrise nel vedere Edward ballare con la piccola Charlotte, e persino suo padre e sua madre. Rise, divertita, e rimase a lungo con gli occhi sui tasti, seppur non ne avesse bisogno. Sentì qualcuno avvicinarsi e sollevò gli occhi sul Capitano. Sorrise appena, con garbo. Le mani tremarono appena e la melodia ne risentì per un secondo appena, prima di riprendere con sicurezza
«State cercando di distrarmi, Capitano?» chiese, cercando di ironizzare e fingere che stesse bene.
«Sono venuto solo a chiedervi un ballo con me, una volta finito di suonare, Miss Cathleen»
«Non sono una bambina da accontentare, Capitano. Se non avete voglia di ballare non posso certo costringervi, né voglio» la sua voce uscì più gelida di quel che avrebbe voluto.
«Insisto...» precisò il Capitano. Cathleen si sentiva il suo sguardo addosso.
Sollevò gli occhi su di lui, mentre continuava a suonare. «Molto bene...» si limitò a dire. Soddisfatto, senza dire nulla il Capitano si allontanò.
Cathleen suonò altri due reel, di seguito, ed alla fine la gente era stremata e gridava un lento. Stava mettendo il Capitano alla prova, voleva vedere se era davvero così deciso a ballare con lei, se era paziente ad aspettare. Lo ritrovò in piedi vicino ad una colonna, davanti a lei, che attendeva, rigido. Così Cathleen si alzò dal piano, lasciando posto a qualcun altro, e si avvicinò al Capitano.
Fece un inchino, e lui fece altrettanto, quindi si portarono al centro della sala. La danza cominciò, e le coppie presero a volteggiare nella sala. Cathleen notò con la coda dell'occhio Egerton ed Emma ballare con loro, scambiandosi vaghi sguardi e sorrisi. Il Capitano sfiorava ora la sua vita ora le sue mani, come il ballo imponeva, e la fissava senza dire nulla.
«Come mai questo cambiamento di idea, Capitano?»
«Sono stato molto scortese nei vostri confronti»
«Lo siete stato, infatti» le parole uscirono senza filtri dalla bocca di Cathleen, ed il Capitano sorrise appena, divertito.
«Siete senza pietà, Miss Cathleen»
«Lo sono solo quando mi viene fatto un torto»
«Spero che possiate perdonate la mia crudele sincerità. Sono sedici anni che vivo per mare, l'ultima volta che ho danzato con una giovane donna è stato dieci anni fa, ed era mia cugina» ammise il Capitano, sincero, tra una giravolta e l'altra «posso sembrarvi marziale, rigido, a disagio...e lo sono, infatti. E sgarbato oltre ogni limite. Ma non posso farvi un torto, e spero quindi che possiate perdonarmi. Miss Cathleen...» il Capitano prese la mano della giovane, fermando la danza mentre gli altri ballerini continuavano. Rimasero fermi al centro, loro due, con il Capitano che stringeva tra le proprie la mano altrui «...vi prego di perdonarmi per queste malinteso che ho creato, e che possiate cambiare la vostra opinione su di me»
Cathleen non aveva mai visto tanta sincerità. Evidentemente il Capitano era un uomo da sentimenti privi di filtri sociali, o quasi. Il ballo terminò ed il Capitano le offrì il braccio, scortandola verso il bordo della pista.
«Siete perdonato, Capitano Barrington»
«Vi ringrazio, Miss.»
«A proposito, Capitano, ancora non vi ho ringraziato per la magnifica stola indiana»
Il Capitano era in evidente imbarazzo.
«Dunque vostro zio vi ha detto...»
«Per l'appunto. E dovete avere un gusto sopraffino, avendo scelto per me ed Emma qualcosa che ci sta a pennello, e senza averci mai viste o conosciute. Posso chiedervi come avete fatto?»
«Per vostra sorella è stato semplice: il Commodoro l'ha descritta come un'assidua lettrice di romanzi, eterna sognatrice romantica. Voi siete stata più difficile, lo ammetto»
Cathleen sorrise divertita. «Non oso immaginare cosa abbia detto di me zio Jack»
«In verità ha tessuto lodi a non finire. Ma non riuscivo a inquadrarvi, a capire il vostro reale carattere, a immaginarvi. Così ho scelto il blu, il colore dell'oceano profondo e misterioso»
«E le vostre aspettative sono crollate quando mi avete conosciuta?» chiese Cathleen, schietta. Il Capitano si fermò, chinando il capo.
«Nient'affatto, Miss. Ora scusate, con permesso...» e senza dire altro se ne andò. Il suo tono non era certo di quel che diceva, Cathleen se ne accorse, ma ormai si stava abituando all'enigmaticità del Capitano, alla sua lunaticità.

Si guardò attorno e sorrise nel vedere Elizabeth, che le veniva incontro e le strinse poi le mani.
«Oh cara Miss Cathleen, siete l'unica che è riuscita a far smuovere mio cugino Charles! Dite, siete una maga per caso?»
Cathy rise appena. «Affatto, Miss Elizabeth. Vi state divertendo?»
«Assolutamente si, è una festa magnifica! Spero che questa nostra amicizia e intimità non finisca mai, Miss Cathleen. Spero che dopo queste vacanze non vi dimentichiate di me»
«E come potrei, Miss? Mi siete così cara» rispose Cathleen con sincero slancio.
«E' quello che speravo! Vi disturberò per una passeggiata allora, anche dopo l'Epifania, se il tempo sarà clemente»
«Accetto volentieri, adoro passeggiare. Spero solo non piova proprio quel giorno»
«Lo spero anche io, Miss Cathleen! Ma ditemi...che ne pensate di mio cugino?» chiese Elizabeth, prendendola sottobraccio mentre camminavano per la sala affollata. Cathleen sorrise appena, senza pensarci, e sollevò gli occhi avanti a lei per cercarlo: era in piedi che chiacchierava con Edward, ed entrambi la guardarono e sorrisero, chi più chi meno.
«E' un brav'uomo»
«Si, questo lo avete già detto. Ma davvero, dico. Vi piace la sua compagnia?»
«Difficile dirlo, mia cara Elizabeth, ho speso ben poco tempo con lui, troppo poco per poterlo definire di buona compagnia...ma sono sicura sia così»
«Oh io non ne sarei certa» ammise l'altra, ridacchiando. «D'altronde povero Charles, ha lasciato la società a dieci anni ed è tornato raramente nel giro dei successivi vent'anni, a malapena due volte. Come possiamo pretendere da lui maniere e modi da dandy? In quanto ad Adam, beh...forse lo è troppo»
Cathleen cominciava ad adorare Elizabeth: era schietta e sincera come lei, il suo affetto era reale quanto i suoi pensieri.
«In quanto a vostro fratello, devo ammettere che è proprio un bel giovine. E' fidanzato?»
«No, Miss Elizabeth, non ancora. Deve ancora trovare la donna che ama»
«Davvero?»
«Oh si. E' una clausola, diciamo, tra lui e mio padre, e cioè che avrebbe ereditato e gestito tutta la tenuta secondo il desiderio di mio padre, anche dopo la sua morte, e in cambio lui avrebbe sposato chiunque volesse, ovviamente con il giusto senno. Mio fratello e le mie sorelle sono tentati a credere che un matrimonio d'amore sia la miglior cosa»
«E voi non siete di questo parere?»
Cathy sollevò appena le spalle. «Non saprei davvero, Miss. Non generalmente: un matrimonio è un contratto, no? E non tutti si amano in principio, ma il sentimento matura col passare del tempo. I matrimoni d'amore portano solo danni, delusioni. Mia sorella Emma desiderava un matrimonio d'amore, ma è rimasta...diciamo delusa» mormorò, fissando Emma che riposava seduta mentre Egerton era dall'altro lato della sala «mai avere ampie aspettative quando si nasce donne, lo dice sempre mia madre»
«E nel caso fortuito in cui il promesso è quello di cui siamo innamorate? O che la persona di cui siamo innamorate è anche il perfetto partito per noi?» chiese Elizabeth, sorridendo.
Cathy sorrise: «In tal caso, mia cara Miss, dovremmo ritenerci solo che benedette da Dio» precisò, divertita.

 

Per finire: bentornat* di nuovo a questo capitolo! C'è aria di festa natalizia, ed io come Cathleen adoro il Natale, mi sono divertita tantissimo a cercare informazioni sul Natale regency ed a scrivere questo capitolo! Spero sia piaciuto anche a voi, fatemelo sapere con una recensione! Al prossimo capitolo!

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Capitolo 6
*** Romeo and Juliet ***


6. Romeo and Juliet

 

I giorni e le settimane scorrevano veloci e senza pietà. Proprio in quel pomeriggio soleggiato e caldo, eccessivamente caldo per essere Febbraio, Emma e sua madre erano andate a Bath per prendere le stoffe per l'abito da sposa. Fanny era andata con lei, mentre suo padre si era recato da Sir Egerton, per definire gli ultimi dettagli dell'accordo matrimoniale.
«Ho saputo che Sir Egerton ha ottenuto la licenza speciale» sentenziò Cathleen, seduta su una poltrona del salotto mentre cercava di ricamare un fazzoletto, senza grandi risultati.
«E' così, la sua posizione gli dà vantaggi che noi forse non avremo mai. Santo cielo, ora dovremmo chiamare nostra sorella...Lady Egerton?» rispose Edward, seduto vicino al camino, il naso chiuso per via del raffreddore.
«Immagino di si...» ammise Cathleen, sorpresa. Non ci aveva mai pensato «Spero solo che la gioia di avere un titolo nobiliare sia pari ad avere un marito simile»
«Non fare la drammatica, Cathy. E' brav'uomo, ricco, di ottima posizione. Emma compierà ventuno anni a breve, mamma già temeva il peggio»
«Mamma teme il peggio anche per Charlie, che non ha compiuto nemmeno tredici anni» e sorrise divertita verso Charlotte, sdraiata su una poltrona vicina che contava, spensierata, i fiori dipinti sul soffitto affrescato.
«Cathy, ti prego, leggimi qualcosa di Shakespeare. Tieni, prendi questa edizione, da brava. Ho lasciato il segno sull'ultima pagina letta» mormorò Edward, prima di starnutire sonoramente. Come ogni volta che tornava da Vienna, suo fratello si ammalava. Il cambio climatico era rovinoso per la sua pur forte salute.
Sospirando, Cathleen posò il ricamo, prese il libro e cominciò a leggere. Ormai sapeva quelle parole a memoria, le conosceva a menadito. E così mentre leggeva potè pensare. Pensò che non vedeva il Capitano dal giorno di Natale, cioè quindi da quasi un mese. E mentre Miss Elizabeth le aveva fatto visita più volte, ricambiandola, e si erano ripromesse di vedersi ancora, il Capitano era sparito. “Impegni a casa” si scusava sempre Elizabeth, e Cathleen non chiedeva più ormai. Dopo un mese, poteva dire con assoluta certezza che il Capitano non abitava nel suo cuore e nella sua mente. Anzi, a stento di ricordava ormai com'era fatto! Sognarlo? Niente affatto. E la sua stola? Dimenticata nel baule, in fondo a tutto. Sì, pensò, poteva ritenersi soddisfatta: la sua logica aveva prevalso sul cuore.
« “Se l'amore ti si dimostra acerbo, mostrati tu acerbo con l'amore. Pungi l'amore per averti punto...e riuscirai così a domarlo”» recitò Cathleen, senza poca enfasi, ma alla fine si bloccò e sospirò, lentamente, senza nemmeno accorgersene.
Edward e Charlotte si guardarono, perplessi.
«Cathy, tutto bene?» chiese alla fine la bambina, osservando la sorella.
«Come? Oh si certo!» esclamò Cathleen, con un tono eccessivamente allegro, che nascondeva qualcosa.
«Problemi di cuore, Cathy?» chiese Edward ironico. La sorelle gli sorrise.
«Ma no, Eddie, ovvio che no. Ero distratta, tutto qui...» e riprese a leggere. Mercutio aveva ragione: l'amore andava anticipato, lottato e domato. Bisognava pungere prima di venir punti. La sua lettura dovette interrompersi ancora quando qualcuno bussò lievemente alla porta.
«Si?» chiese Edward. Un paggio entrò.
«Mr Colborne, sono arrivati Miss Barrington e il Capitano Barrington» annunciò quello.
A Cathleen per poco non cadde il libro dalle mani. A giudicare dal nodo alla gola che aveva, la sua logica aveva funzionato pochissimo. Edward le lanciò un'occhiata, quindi sorrise all'arrivo di Elizabeth e del cugino.
«Miss Elizabeth, Capitano...che bella sorpresa! Prego, accomodatevi. Scusate il mio pessimo stato: il clima inglese mi rovina ogni volta»
«Vi ringrazio, Mr Colborne, e non vergognatevi: anch'io non sono molto simpatico al clima della madrepatria» precisò il Capitano, mostrando un sorriso gentile e ironico. Si limitò a guardare Cathleen, studiandola come una creatura curiosa ed esotica.
«Siamo venuti per chiedere a voi e Miss Cathleen di unirvi a noi per una passeggiata, Mr Colborne, ma se non ve la sentite faremo un altro giorno» annunciò cordiale Elizabeth, andando a salutare subito Cathleen.
«Una passeggiata? Con questo freddo?» chiese Cathy.
«Oh non lasciatevi spaventare dal calendario, Miss. Fuori c'è un sole splendente e, seppur l'aria è fresca, un cappotto pesante ed un cappello basteranno, ve lo prometto! Questo inverno è spaventosamente caldo invero, ma tant'è. Voi, Mr Colborne, vi unite a noi?» chiese Elizabeth.
«Io? Oh assolutamente, mi spiace Miss. Purtroppo sono malato, e temo che l'aria invernale non mi farebbe bene a questo stadio iniziale della malattia. Ma mia sorella è liberissima di venire, le do il permesso, purchè torni prima che si faccia buio»
Cathleen si girò verso Edward, che le fece un occhiolino. Possibile che era così evidente?
«Posso andare anche io? Ti prego Edward!» esclamò Charlotte.
«Non se ne parla nemmeno. Ti ricordi l'ultima volta che hai passeggiato, vero? Vuoi farti salvare da tutti i Barrington della Contea?» chiese Edward ironico, facendo sorridere i due cugini, in attesa.
«Allora, Cathleen, verrete con noi?» chiese Elizabeth, sorridente.
«Il tempo di cambiarmi» annunciò Cathleen, cercando di frenare il suo entusiasmo. Andò a cambiarsi in fretta e furia e, pochi minuti dopo, era fuori dal vialetto di Lavender House, diretta verso l'aperta campagna in compagnia di Elizabeth e Charles Barrington.

Elizabeth aveva ragione: fuori sembrava una giornata primaverile. Il sole brillava alto nel cielo, schiarendo e facendo brillare gli alberi secchi e le foglie autunnali, che scricchiolavano sotto i loro piedi. Il ruscello lì vicino borbottava felice, trasportando pesci ed acqua fredda e limpida. Tutto intorno a loro sembrava brillare per i raggi caldi del sole. Era semplicemente un'atmosfera magnifica.
Cathleen passeggiava ora al fianco di Elizabeth ora al fianco di entrambi, chiacchierando e ridendo. Vide, gradualmente, il Capitano sciogliersi in un'ambiente più familiare e a lui congeniale: era ridente, ironico, molto socievole e rilassato. Cathleen capì solo in quel momento come, sedici anni lontani dalla società, abbiano potuto formare un uomo così giovane eppure così pieno di esperienze. Un uomo non più abituato alle etichette e alle formalità, che odiava balli e feste quasi quanto adorava passeggiare.
«Cavalcate, Miss Cathleen?» fu la domanda che il curioso giovane le porse, mentre passeggiava al fianco suo e delle cugina.
«Oh si, adoro i cavalli. Mia madre reputa sia da contadine, ma io lo adoro...mio zio mi ha insegnato a cavalcare all'amazzone» precisò lei, sussurrandolo quasi.
Elizabeth sgranò gli occhi ed il Capitano rise appena, divertito.
«Dite sul serio, Miss Cathleen?» chiese Elizabeth, stupefatta.
«La cosa non mi sorprende affatto, il Commodoro ha sempre parlato di voi nipoti come se foste loro figlie. E credo sia decisamente più “emarginato” di Mr Colborne. Non che sia una colpa di vostro padre! Lui cerca solo di proteggervi...» il Capitano si era di nuovo impelagato in frasi a doppio taglio.
Cathleen sorrise divertita «Mio zio e mio padre si vogliono molto bene, non credo di aver mai visto due fratelli amarsi così tanto. Ma ovviamente mio zio fa lo zio e mio padre...fa il padre. Sono due educazioni diverse. Mio zio ci vizia in regali, divertimenti e passatempi, mio padre pensa al nostro futuro»
«E' giusto che sia così, certo. Vorrei davvero essere circondata da così tante sorelle e fratelli» ammise Elizabeth, sospirando.
«Siete figlia unica?»
«No, ma è come se lo fossi. Ho un fratello più grande, troppo per poter ascoltare le mie lamentele. Così trascorro quasi tutto il tempo da sola con la mia Betsie, d'inverno alla Stagione e d'estate qui dai miei cugini» e sorrise dolce verso il Capitano, che le circondò fraternamente le spalle.
«Sei sempre la benvenuta da noi, Elizabeth. E poi questa Stagione avrete Miss Cathleen con voi, no?» precisò lui, sorridendo gentile.
Il cuore di Cathleen si sciolse, così come il suo sorriso. «Verrete anche voi a Londra? Noi arriveremo per Febbraio o Marzo, dopo che Emma si è sistemata per il matrimonio insomma»
I sorrisi di Elizabeth e Charles crollarono. «No...noi andremo a Bath per la stagione» sussurrò Elizabeth.
«Oh» riuscì solo a dire Cathleen. Avrebbe trascorso mesi e mesi lontana da loro, senza contare che Charles poteva partire da un momento all'altro per la Marina. Che notizia terribile!
«Sono sicura che potrò convincere mio padre ad andare a Bath, anziché Londra. E' dal mio debutto che andiamo lì, ormai conosciamo tutto e tutti...se non ho trovato marito lì, è evidente che dobbiamo cambiare posto» precisò Cathleen ironica, facendo ridere Elizabeth e sorridere divertito il Capitano.
«Oh, la scarpa...voi andate avanti» annunciò Elizabeth, chinandosi per sistemarsi.
Il Capitano così porse il braccio a Cathleen, continuando la loro passeggiata.
«Mi chiedevo, Miss...se al nostro ritorno dalla Stagione vi piacerebbe andare a fare una cavalcata insieme. Abbiamo una piccola villa, di nostra proprietà, che sto facendo sistemare per il mio ritiro dalla Marina. Mi piacerebbe mostrarvela, un parere femminile è sempre ben accetto. Ovviamente con noi verrà anche Elizabeth, non temete»
«Avete intenzione di ritirarvi presto?» chiese Cathleen, maledicendosi. Era sicura di aver fatto percepire la speranza di una risposta positiva.
«Dipende...se avrò o meno dei validi motivi» rispose lui, osservandola appena.
Cathleen lo guardò per qualche secondo, prima di rispondere semplicemente: «Verrò volentieri a cavallo per visitare la vostra tenuta, certo. Anche se manca ancora molto tempo, potevate chiedermelo una volta finita la Stagione»
«Preferisco sempre avvantaggiarmi. Almeno posso pensare che vi rivedrò sicuramente in estate» rispose il giovane, fermandosi e sorridendole con garbo. Cathleen fece altrettanto, incerta. Non sapeva come reagire, come prendere le sue attenzioni. L'ultima volta l'aveva sgarbatamente rifiutata per danzare, ora la invitata a cavalcare con quattro mesi di anticipo. Era solo cortesia, la sua, o seria attenzione? Non era mai stata corteggiata, né innamorata, cosa poteva saperne lei?
«Miss Cathleen, io...»
«Eccomi!» interruppe allegra Elizabeth, prendendo il braccio di Cathleen, che sorrise sollevata. Non avrebbe potuto sopportare ancora le attenzioni del giovane senza sapere come comportarsi. Continuarono la loro passeggiata, tornando poi a Lavender House ancor prima che sua madre potesse accorgersi della sua assenza.

 

20 Febbraio 1806

I giorni passarono velocemente e il matrimonio era ormai alle porte. A Cathleen sembrò assurdo quando quella mattina, svegliandosi, si ritrovò a pensare che di lì a poche ore si sarebbe sposata sua sorella. Mrs Colborne era ad un passo dal cielo: metà delle sue figlie erano sposate e, contando che Charlotte non era ancora in età, poteva ritenersi più che soddisfatta.
«Ora manchi solo tu, Cathy, ma non preoccuparti...a Londra questa volta troveremo qualcuno!» esclamò entusiasta mentre osservava la domestica rammendare il suo cappello da cerimonia. La casa era, al solito, un via-vai di domestici frettolosi ed indaffarati.
Cathleen accarezzò distratta un nastro bianco poggiato sul tavolo e sospirò. Si era dimenticata di Londra. Ora che sapeva che Charles Barrington sarebbe stato a Bath, a miglia lontana da lei...Ma forse era meglio così: forse era lei che si stava immaginando tutto, forse il Capitano era solo un uomo burbero che stava cercando di essere gentile con una giovane di buona famiglia, tutto qua.
«Madre...dobbiamo per forza andare a Londra?»
Mrs Colborne bloccò il suo incedere frettoloso e fissò Cathleen, come se non capisse quel che aveva chiesto. «In che senso, cara?»
«Nel senso...per forza Londra?»
«E dove altrimenti!»
«Beh, ci sarebbe Bath. E' alla moda, d'èlite, e ci sono i bagni termali e...»
«Ed è piccola. Non abbiamo una casa lì, e tua sorella Fanny andrebbe su tutte le furie se le dicessimo che non andremo da lei per Pasqua. Dì Cathy, che ti succede oggi?»
«Niente madre, sono solo...distratta, per il matrimonio»
Mrs Colborne sorrise, rasserenandosi. «Oh certo cara, capisco. Perchè non vai ad aiutare Emma con i capelli? C'è ancora tanto da fare» e tornò a girovagare elettrica per la casa.
Cathleen salì in camera di Emma con il miglior sorriso che poteva mostrarle, e la ritrovò a fissarsi allo specchio, spaventata. Indossava un bellissimo abito di seta e mussola gialla, con inserti bianchi. Era incantevole, una fata. I capelli biondi sembravano dorare di vita propria, la pelle candida e splendente, gli occhi azzurri velati di lacrime.
«Emma...» mormorò, stringendole dolcemente le spalle.
«Ho paura...»
«Lo so, cara, ma vedrai che andrà tutto bene. E poi fra poco ci raggiungerai a Londra, no? Staremo insieme, e vedrai...piano piano lo conoscerai e...»
«Non hai capito, Cathy. Ho paura per stanotte...»
«Ah, tu dici per...ah» nell'imbarazzo generico, Cathy le si sedette al fianco e l'abbraccio. «E' una cosa naturale, Emma, non devi preoccuparti. Durerà solo un istante, e poi...b-beh magari lui è anche più, come dire...esperto? O forse è troppo ubriaco e dormirà in camera sua. Qualunque cosa accada, Emma, ricordati che non sei la prima né l'ultima, capiterà a tutte noi. Sii forte, vedrai che andrà tutto bene...» la strinse forte a sé, come se fosse una bambina. A volte sembrava proprio così: Emma una bambina e Cathy la sua mamma. La sorella maggiore aveva un animo sensibile e docile, fin troppo per i suoi gusti, ma d'altronde era sempre stata così e non poteva farci nulla. Aveva sempre pensato che quell'indole calma di Emma le si sarebbe ritorta contro, e fu proprio così. Non poteva fare altro che incoraggiarla e renderla più razionale ed ottimista.
«Forza, o ti sgualcisco questo bell'abito!» annunciò poco dopo, la voce commossa «Ti sistemo bene le trecce, mh?»
«Si grazie, Augustine oggi è distratta oltre ogni dire»
«C'è molto da fare oggi, capiscila»
«Sì, ma non credo sia quello...secondo me ha pene d'amore»
Cathy sorrise. «Dici? Beh non ci sarebbe nulla di male. Ha più o meno la nostra età, ed è una bella ragazza, no?»
«Sarà...» mormorò Emma, perdendosi di nuovo nelle sue fantasie.

Sollevò lentamente il viso verso il proprio riflesso. Era il suo giorno, doveva sposarsi di lì a poche ore, e l'unica cosa che pensava era... “Scappa”.
Rimase docile tra le mani del servo che gli sistemava le maniche della giacca, mentre si fissava ancora ed ancora, cercando di capire come fosse finito là. Perchè, a quell'ora, non era in qualche grande città europea, a bere vino e partecipare a famosi circoli letterari, o nei caffè a discorrere con grandi menti e graziose fanciulle. Come suo padre aveva potuto legarlo ad un accordo simile: o tua madre o la tua libertà. Rinunciare alla seconda per proteggere la prima, rinunciare al suo futuro per quello che suo padre aveva deciso per lui. Era sempre stato così: era l'unico figlio maschio, era l'erede, il primogenito...c'erano alte aspettative su di lui. E poi ebbe la brillante idea di innamorarsi della figlia di uno dei suoi fittavoli e, quel che peggio, lei rimase incinta. Ci fu uno scandalo, sua madre peggiorò in salute e suo padre, non sapendo come gestire quel figlio così testardo, lo mandò via, a studiare a Parigi. Finiti gli studi ed iniziata la guerra, Arthur decise di non tornare affatto a casa, e di non avere una casa fissa. Avrebbe viaggiato, grazie ai soldi che suo padre gli mandava mensilmente, pur di tenerselo lontano da casa. Che cosa gli aveva fatto cambiare idea? Non c'entrava nulla l'eredità: poteva far sposare sua sorella al primo che capitava, o dare il titolo a qualche suo cugino o zio. Invece ha voluto proprio lui. L'ennesima ripicca, l'ennesima ingiustizia. Obbligarlo a fare ciò che il padre voleva, cancellando ogni sua scelta personale. E quel che peggio anche sposato ad una estranea ben più giovane di lui. Che cosa aveva fatto di male quella povera ragazza per meritarsi uno come lui? Come avrebbe potuto fare una famiglia in una simile situazione?
Mandò via il servo e si stropicciò più volte il viso, prima di poggiare le mani sulla scrivania. Incassò la testa nelle spalle e fissò il proprio riflesso. Il riflesso di chi non aveva chiesto nulla di quel che stava subendo.

Il matrimonio si svolse senza intoppi. Il sole era alto nel cielo, e la funzione si svolse nella parrocchia di campagna. Gli invitati erano pochi, ma abbastanza da creare chiasso quando gli sposi uscirono dalla cappella e, insieme al corteo, si diressero tutti insieme alla Sala delle Cerimonie di Egerton House, dove il banchetto fu subito inaugurato. Poco dopo il pasto gli sposi aprirono le danze, seguiti a ruota da altri invitati.
Emma era raggiante, nonostante tutto. Aveva le gote rosse, il risultato di sin troppi brindisi, e persino Sir Egerton elargiva sorrisi. Danzavano, parlavano e ringraziavano gli invitati. Cathleen si appartò, guardando la sorella da lontano. Emma la notò, poco dopo, e le sorrise mormorandole un “grazie” a fior di labbra. Cathleen sorrise e, di rimando, le mandò un fugace bacio con la mano.
«Vostra sorella è la sposa più bella che abbia mai visto» annunciò una voce, apparsa letteralmente vicino a lei. Si girò di scatto, inquadrando la figura di Elizabeth. Le sorrise gentile.
«Oh perdonate, vi ho spaventato Miss Cathleen?»
«No affatto, ero sovrappensiero e non vi ho sentito arrivare. Credo che sia un talento di famiglia»
Elizabeth rise appena, con garbo. «Ed anche voi oggi siete bellissima, i colori chiari vi donano moltissimo!»
«Oh vi ringrazio» precisò Cathleen, fissandosi l'abito. Indossava una mussola pregiata color del cielo, con maniche a sbuffo ed un breve strascico. Dal canto suo, Miss Elizabeth era sempre di una bellezza celestiale, col suo abito bianco candido e i capelli d'oro intrecciati tra loro. A dirla tutta, si stupì di come fosse ancora nubile.
«E' anche una bella giornata, per essere fine febbraio»
«Sì, avete ragione, questo inverno ci sta regalando grandi sorprese. Speriamo che l'estate non sia troppo fredda, o dovremmo cominciare a invertire il nostro abbigliamento, Miss Elizabeth»
«Oh vi prego, Miss Cathleen, datemi pure del tu e sorvolate l'etichetta, che dite?»
«Dico che è un'ottima idea, mia cara Elizabeth» annunciò Cathy, stringendole le mani e sorridendo «sono così triste di non poter venire con voi a Bath»
«Dunque è deciso? Andrete tutti a Londra?»
«Purtroppo sì, temo che non ci siano alternative. Mia sorella Fanny abita a Londra, e sarebbe scortese da parte nostra rifiutare il suo invito...anche se la Stagione londinese ormai mi annoia: troppa gente. Mia madre è convinta che questa volta mi troverà un marito, ma senza nuove conoscenze come farà?» rise appena Cathy, divertita.
«Oh Cathleen, io sono sicura che chiunque non vi noti sia ceco! Siete una giovane così bella e intelligente, a modo, fuori dall'ordinario! Fossi un uomo, non vi lascerei andare tanto facilmente»
«Beh è evidente che gli uomini hanno priorità diverse rispetto a noi donne. Loro vogliono mogli ubbidienti, sottomesse, calme, cortesi. Intelligenti ma non troppo, belle ma non troppo, ricche ma non troppo»
«Avete una così bassa reputazione di noi uomini?» chiese una voce dietro di loro. Le si gelo il sangue, mentre si girava indietro a guardare il Capitano nella sua divisa luccicante e le medaglie che brillavano alla luce delle candele.
«Oh cugino, siete insolente sapete? Spiare le conversazioni tra donne è maleducazione»
«Non origliavo, Elizabeth. Ma non ho potuto esimermi dal difendere il mio genere»
«E come vorresti difenderlo, Charles?»
«Dicendo che uomini e donne sono diversi, in tutto e per tutto. E che esistono anche eccezioni, di varia natura. Non tutte voi cercate il marito per soldi, non tutti noi cerchiamo la moglie per avere una serva»
«E allora per cosa?» precisò Cathleen, sbuffando divertita.
«Per amare, ad esempio. Per trovare un'amica e una complice, per costruire una vita serena, nel rispetto di chi ci sta affianco»
«L'amore, Capitano...è un sentimento labile, di poca durata. Il tempo di una stagione, anche meno, e va via come un colpo di spugna. E' debole, è fragile, e non ha lunga vita. Il matrimonio si fa con la fiducia e il rispetto, sì, ma non con l'amore. L'amore è relegato ai libri che legge mia sorella Emma»
«Cielo, Cathleen, che opinione severa avete dell'amore. Mi fa pensare che siate rimasta scottata!» precisò Elizabeth, sorpresa.
«Affatto, mia cara Elizabeth. Come dice Mercutio, in Romeo e Giulietta: “Pungi l'amore per non essere punto, e riuscirai a domarlo”. Io anticipo le mosse di un avversario ingiusto e forte. Che cosa accadrebbe, se due amati si innamorassero ma non potessero sposarsi, come Romeo e Giulietta? Sarebbero tristi a vita, rovinandosi l'esistenza. Io cerco di anticipare solo le loro mosse»
«Parlate con freddezza, Miss Cathleen...»
«Infatti, Capitano. Vuol dire che sono riuscita nel mio intento»
«E dunque date per scontato che non accadrà mai? Che non vi innamorerete mai?»
«Questo solo Dio può dirlo, ovviamente. Io farò del mio meglio per evitarlo» precisò tagliente Cathleen.
«Charles, caro cugino, non biasimare Miss Cathleen. D'altronde noi donne siamo più inclini ad amare di chiunque altro, Miss Cathleen vuole solo risparmiarsi una pena d'amore»
«Non biasimo certo Miss Cathleen, ma l'amore non è solo pianto amaro e disperazione. Con buona fortuna, l'amore può essere coronato, e può accompagnare per sempre una coppia sposata»
«Ed ecco qua...un uomo e una donna così eccezionali da confermare la regola. Mi chiedo come faremo a Bath senza i vostri battibecchi» commentò Elizabeth, facendo appena ridere Cathy e Charles.
«Miss Cathleen!» la voce spaventosamente familiare di Mr Barrinton li raggiunse. Chinarono il capo l'un l'altra «Miss Cathleen, mi permettete di ballare con voi?»
Cathleen deglutì, cercando aiuto dagli altri. Elizabeth la sorrise appena, come se volesse incoraggiarla, e il Capitano sembrava fosse diventato di marmo, quindi senza una parola andò via. Per l'ennesima volta si sentì abbandonata, era evidente che il Capitano si comportava solo con garbo verso di lei, e non con intenzioni serie. Altrimenti avrebbe distratto il fratello, o propostole di ballare con lui all'inizio della serata.
«Volentieri, Mr Barrington» annunciò infine, senza alcuna enfasi.
La giornata proseguì fino a sera inoltrata, tra balli e chiacchiere, musiche e fiumi di alcool. Quando gli sposi furono accompagnati in camera da letto Cathleen, da brava sorella nubile, accompagnò Emma insieme a sua madre e alle altre giovinette della serata. Ebbe così modo di evitare Barrington, avendoci ballato solo una volta. Ma cosa avrebbe pensato il Capitano a vederla ballare sempre col fratello? Si maledì, di nuovo: il Capitano non avrebbe detto proprio nulla, non aveva certo interesse ad offendersi per un ballo in più tra lei e il fratello. Perchè avrebbe dovuto, dopo quella sua filippica contro l'amore? Se c'era qualche probabilità che piaceva al Capitano, dopo quel discorso era sicuramente tutto svanito.

 

Per finire: Ed eccoci al sesto capitolo! Sì, il titolo è ovviamente molto ironico: è ispirato alla citazione che Cathleen offre sull'amore, da cui secondo lei bisogna difendersi anziché lasciarsi andare. Come biasimarla? Romeo e Giulietta sono la dimostrazione che l'amore a volte può anche uccidere :P E dall'altra abbiamo Emma ed Arthur, novelli sposi, che tutto sono tranne che Romeo e Giulietta :P Spero, come sempre, che anche questo sesto capitolo e vi do appuntamento al settimo! Un bacio!

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Capitolo 7
*** The Season ***


7. The Season
 

Superato il matrimonio, le settimane successive furono tutto un via-vai di domestici che preparavano i bagagli per una famiglia intera. Cathleen trascorreva le sue giornate in biblioteca, o nella Music Room, lontano dai preparativi e da tutto il resto.
Cinque mesi. Cinque lunghissimi mesi a Londra, e nemmeno la presenza del Re avrebbe potuto alleviare la sua pena. Tutto ciò che aveva enunciato al matrimonio della sorella le si stava ritorcendo contro. Si stava innamorando, lo sapeva, e se quei cinque mesi erano vitali per dimenticarsi di lui, dall'altra parte non sapeva come avrebbe potuto sopravvivere all'idea di stare così lontano, o addirittura di non rivederlo mai più.
Sbuffò, lasciando cadere il libro che tentava di leggere sulla scrivania. Venne annunciata la colazione del giorno e quasi trascinandosi arrivò nella sala: non aveva fame, e da giorni.
“Non mi sento molto bene” era stata la scusa del momento, ma sapeva che Edward non ci aveva mai creduto. L'aveva lasciata fare, senza dire o chiedere nulla, e di questo lo ringraziava.
«Mrs Colborne, c'è posta da parte di Mrs Appleby» annunciò Augustine, consegnando una lettera su un vassoio d'argento a sua madre, una volta sedute al tavolo. Cathleen fissò le sue uova nel piatto, fingendo di mangiarle.
«Oh, che peccato...il piccolo Daniel ha un terribile mal di gola, il medico dice che non è nulla di grave ma che...oh, accidenti, non ci voleva. Mr Colborne, Fanny per la Stagione ha bisogno di bagni termali per il piccolo Daniel, quindi trascorreranno il tempo a Bath, hanno preso un appartamento, saranno lì per Pasqua. Chiede se ci uniremo anche noi»
Cathleen aveva sentito solo fino a “bagni termali”. Aveva cercato di fingere, ma la forchetta le sfuggì dalla mano per la sorpresa. Dio la stava assistendo, era inutile negarlo!
«Oh, povero Danny. Beh, perchè no? Non torniamo a Bath da molte stagioni, ci farà bene cambiare aria. E poi Edward ha ancora della tosse, farà bene anche a lui un po' di terme. Faranno bene a tutti noi»
«Certo caro. Non credete sia il caso di avvisare Emma? Così potrà venire anche lei con noi»
«Posso andare io, padre?» chiese prontamente Cathleen, raggiante.
«Non vedo perchè no. Ma torna per pranzo, siamo intesi?»
«Certo!» gridò Cathleen mentre già volava in camera per cambiarsi.

Nonostante la temperatura fuori non fosse così estrema, dentro quel palazzo vigeva il gelo più assoluto. Si sentiva in trappola in una caverna di ghiaccio e freddezza. E se c'era qualcosa che poteva fare, in quei giorni, era solo suonare la sua adorata arpa. Era una delle clausole del contratto: l'aveva fatto specificare a suo padre, la sua unica precisazione a quella situazione di cui non si dava meriti o colpe. E ogni volta che suonava, e capitava spesso durante il giorno, suo marito semplicemente spariva. O era dall'altro capo della tenuta, abbandonata a se stessa, fredda e buia, oppure partiva per affari. Sua madre e sorella erano la loro unica compagnia. La madre non faceva che ripeterle che suo figlio era un bravo ragazzo, che era stato indurito dalle esperienze della vita. Ma quali esperienze? Parlarne con lui era fuori questione: a malapena la salutava la mattina per la colazione, e la buonanotte poteva sognarsela. Anche la prima notte di nozze, beh...se ne vergognava, ma non era capitato proprio nulla: suo marito aveva bevuto troppo per fare il suo dovere, e gli altri giorni era sempre assente. La fortuna ha voluto che, in quella caverna di gelo, abbia trovato una valida alleata: la sua domestica personale, Adeline, che ha prontamente macchiato le lenzuola matrimoniali, la mattina dopo, facendo pensare a tutti che il loro dovere era stato svolto.
«Lady Egerton» qualcuno era entrato nella Music Room, buia e nera «C'è sua sorella, Miss Cathleen Colborne»
A momenti non faceva cadere la sua arpa e, una volta che Cathleen entrò e il paggio richiuse la porta, le corse incontro abbracciandola forte.
«Oh, Emma, cara...come stai? Ti vedo pallida. Ma perchè sei così al buio?» il tono ed il viso di Cathleen erano preoccupati.
Lei cercò di sorridere e la fece sedere al suo fianco. «Non preoccuparti, sto bene, è solo il freddo. In quanto al resto, beh...Cathy, le cose vanno male» e si sfogò con lei a lungo e bassa voce, evitando che orecchie indiscrete potessero sentirla. Cathleen la ascoltò, paziente.
«Oh Emma...vedrai è solo un periodo. Tuo marito ha trascorso quasi tutta la sua vita da solo, senza doversi preoccupare della cura della casa o men che meno di altre parole. Perchè non gli chiedi di poterti occupare tu della casa? D'altronde sua madre e sua sorella sono malate e deboli, chi dovrebbe farlo se non sua moglie? Comincia dalle piccole cose, gradualmente...rendila confortevole alla vista. E poi magari per il vostro ritorno alla Stagione potrai anche fare qualche piccolo ballo e...»
«Cathy, non credo che Sir Egerton voglia venire alla Stagione»
«Cosa??» era una notizia sconvolgente. TUTTI andavano alla Stagione, anche le coppie sposate, quelle anziane, quelle promesse. Come poteva pensare una cosa simile?
«Sì, dice che ha troppo da fare e che non mi lascerà da sola»
«Beh, se ha da fare ti lascerà comunque sola, Emma! Ma che assurdità...dover rinunciare a stare con la tua famiglia per lui? Non esiste»
«Ma ormai è lui la mia famiglia, Cathy...» mormorò Emma, sull'orlo delle lacrime. Lacrime che per troppi giorni aveva pianto.
Cathy scosse il capo e le accarezzò una guancia. «Papà non lo permetterà mai, non ti lasceremo sola mentre lui se la svigna»
Qualcuno bussò ancora: di nuovo il paggio.
«Lady Egerton, Miss Colborne...Sir Egerton» annunciò, e lasciò posto al suo padrone con un profondo inchino.
Cathleen s'inchinò e non potè fare a meno di notare quanto fossero rigide quelle etichette: davvero un marito doveva annunciarsi pubblicamente alla moglie?
«Miss Cathleen, ben trovata. Non sapevo sareste venuta...» annunciò serio il giovane. Era senz'altro di bell'aspetto, un aspetto che era celato dietro una maschera di serietà, freddezza e insensibilità.
«Sir Egerton, perdonate la visita improvvisa. Ero venuta ad annunciare a mia sorella che, per la Stagione, c'è stato un piccolo cambio di programma: anziché Londra andremo a Bath. Voi sarete ovviamente dei nostri, vero?»
Arthur fissò a lungo la cognata, senza dire molto. «Come sicuramente vi avrà già detto mia moglie, ho molto da fare con la tenuta, la morte di mio padre mi hanno caricato di pesi che certo non mi sono cercato...» precisò lui, fissando e alludendo indubbiamente a Emma.
«Ma...»
«TUTTAVIA» precisò l'uomo, alzando appena la voce per l'irritazione di essere stato interrotto «questa notizia giunge fausta: i miei impegni saranno spesso a Bath, quindi potremmo trasferirci lì per la Stagione, così nelle mie giornate assenti mia moglie non sarà sola, ma custodita dai suoi familiari»
Cathleen sorrise raggiante verso Emma, che accennò un sorriso debole. «Oh che splendida notizia, Sir Egerton, vi ringrazio!»
Arthur accennò quel che doveva essere un sorriso garbato, e si rivelò essere solo una smorfia di pieno disappunto, quindi uscì dalla stanza senza null'altro aggiungere.
Emma sospirò, lasciandosi cadere sul divano.
«Non sei contenta Emma? Non sarai sola» le chiese Cathy, preoccupata.
Emma le strinse le mano, baciandole. «Oh mia dolce Cathleen, tu sia davvero benedetta. Sono felice, certamente, ma mi chiedo quando comincerò ad abituarmi. Non ci sarà sempre la Stagione, non ci sarete sempre voi a difendermi e farmi compagnia...»
«I migliori matrimoni cominciano sempre così, Emma, non devi preoccuparti. Ti abituerai a lui, e lui a te. Ma ora bando alle ciance! Ordina ai domestici di preparare tutto, cambiati e andiamo a prenderci un bel thè!» annunciò Cathy, ridendo.
Emma sorrise, seguendola euforica. Le mancava la spensieratezza di Cathy, e le chiese perdono così tante volte per i suoi pianti amari e le sue accuse, che presto fu ora del pranzo e, col cuore ricolmo di gioia e speranza, la salutò consapevole che l'avrebbe rivista presto...a Bath.

 

31 Marzo 1806

«Oh Cathleen, ancora non capisco come abbiamo potuto frequentare Londra per così tanti anni, e non essere mai venuti qui a Bath! E' così...elegante, e divertente!»
Cathleen sospirò, paziente, all'ennesimo identico commento della madre, mentre passeggiavano per la città. Era una settimana ormai che i Colborne erano arrivati a Bath. Erano stati nelle Upper Rooms, nelle Pumper Rooms, ai concerti, ai balli...e dei Barrington nemmeno l'ombra. Cominciava ad avere una certa ansia, e certo non poteva chiedere a suo padre se avesse notizie del suo amico: sarebbe stato troppo evidente il suo interesse. No, doveva aspettare con pazienza. Prima o poi sarebbero arrivati, era meglio prepararsi alla situazione.
Entrò nel negozio di cappelli e nastri ed aiutò pazientemente sua madre a scegliere tra un turbante indiano ed un cappello con le piume, spingendola verso il secondo. Si soffermò a fissare il turbante, con nostalgia. Le ricordava la stola indiana che aveva con sé, proprio in quel momento, e chi l'aveva scelta con tanta accurata scelta.
«Miss Cathleen!» una voce familiare e sorpresa, felice, la colse alle spalle. Si girò di scatto, e lei e Miss Elizabeth si abbracciarono sorridenti, incuranti che fossero in un luogo pubblico.
«Miss Cathleen ma cosa ci fate qui a Bath?» chiese Elizabeth, sorpresa e confusa.
«Il mio nipote caro e mio fratello hanno bisogno delle terme, così abbiamo scelto Bath anziché Londra per quest'anno. Volevo farvi una sorpresa, mia cara Elizabeth, ma dopo non avervi visto per una settimana ho temuto il peggio...»
«Invero siamo arrivati giusto ieri sera. Mio zio ha avuto un contrattempo...» l'imbarazzo era evidente sul volto di Elizabeth, e l'educazione di Cathleen la frenò nel chiederle cosa fosse capitato.
«Non fa nulla, ormai siete qui, è questo che conta. Sarete a teatro questa sera?» chiese, speranzosa.
«Oh certo, come potremmo perderci Shakespeare? E dopo andremo nelle Upper Room, spero verrete anche voi»
«Ma certamente. Allora ci vediamo questa sera» annunciò Cathleen, abbracciando di nuovo l'amica. L'affetto che provava per quella ragazza era ormai pari all'affetto che provava per le sue sorelle. E, salutata Elizabeth un'ultima volta, aiutò sua madre con molto più piacere, non vedendo l'ora di rivedere il Capitano, finalmente.

Quella sera, a teatro, c'era come al solito tutta Bath presente. Tutta quella da bene, ovviamente. Strascichi di sera, cappelli con piume variopinte, frac e giacche, bastoni, gioielli in bella mostra, l'odore del gin che aleggiava nell'aria insieme al vivace chiacchiericcio di nobili e ricchi uomini e donne dell'alta società. Il padre era riuscito a prenotare una loggia a destra del palco, e proprio vicino ad esso. “Una vera fortuna, gli Smith hanno deciso all'ultimo di andare a Londra, e così la loggia si è liberata...davvero una bella fortuna”.
Stavano salendo lungo le scale che li avrebbe portati ai loro posti, e Cathleen non faceva che girarsi verso il basso, per cercare di vedere Elizabeth e Charles. Ma di loro nemmeno l'ombra. Continuò a guardare senza ritegno, sicuro che in quella calca nessuno si sarebbe domandato perchè una ragazza di diciotto anni si guardava intorno con tanta foga. Ma si sbagliava, ovviamente...
«Cerchi qualcuno?» la voce del fratello la voce girare verso di lui, che sorrideva divertito.
«Miss Elizabeth» borbottò lei, arrossendo.
«Solo Miss Elizabeth?» chiese ancora Edward, prendendola sottobraccio.
«Certo, chi altri?»
«Non saprei. Certo è che non si cerca un'amica con tutta questa foga. Io cercherei più la mia amata, così»
«Non essere ridicolo, Eddie, io non cerco nessuno di amato...»
«Puoi fingere con i nostri genitori, Cathy, ma non puoi fingere con me, non sono stupido...e sono stato diciottenne anche io» precisò calmo.
Cathleen non rispose, si limitò a sbuffare come se suo fratello stesse dicendo un'assurdità dopo l'altra. D'altronde lei era quella razionale e sicura di sé, quella che non ha mai sospirato per nessuno. Persino Fanny, in tutta la sua freddezza, fu innamorata un tempo...o almeno così diceva sempre suo fratello.
«E' Mr Barrington?» insistette ancora Edward.
«Cielo, no!» esclamò Cathleen sconvolta. Come poteva piacerle un giovane tanto scialbo?
«Meno male. Allora è Charles»
Cathleen non rispose, colpita dritta al cuore al solo sentirne parlare.
«Il Capitano Barrington è solo...» fece per difendersi lei, senza trovarne tempo.
«...solo il cugino di Miss Elizabeth, si. E io sono nato ieri. Bada bene, Cathy: lungi da me allontanarti da questa idea. Charles è un brav'uomo, è divertente, intelligente...ma attenzione, potresti bruciarti. Lui è il secondogenito, e finchè Mr Barrington non si sposa, voi dovrete aspettare. Sei disposta a farlo?»
«Cosa? Io...noi, non siamo...Eddie per amore di Dio, basta con questi discorsi!» sussurrò lei sconvolta. La verità è che aveva sognato il loro matrimonio almeno ogni notte, e persino ad occhi aperti. Ma Eddie aveva ragione: dovevano aspettare. Senza contare che lui poteva essere richiamato dalla Marina anche domani, morire per mare e non tornare mai più.
Si sedette alla sua poltroncina, lasciando gli uomini in piedi, almeno per quel momento. Guardò avanti a sé e, prima che le luci si affievolirono, intravide la sagoma di Elizabeth nella loggia davanti a loro. Le sorrise di rimando, ma di Charles nemmeno l'ombra.
Il sipario si aprì, facendo applaudire con garbo gli spettatori. Gli attori inscenarono degnamente una delle sue opere di Shakespeare preferite, “Come vi piace”. Rosalinda, l'eroina della storia, aveva ispirato la sua vita per molto tempo: una donna non sottomessa al potere dell'amore, che anzi si prende gioco di esso, e che alla fine cede all'uomo che con più volontà, insistenza e tempo l'ha corteggiata, tenendosela così com'è, senza volerla cambiare. Era questo che voleva lei, da Charles? Tempo e volontà per essere corteggiata? O sposarsi senza cambiare la propria indole, senza diventare improvvisamente un'altra donna, ubbidiente e senza cervello?
Si dimenticò quasi del tutto del Capitano finchè non ci fu il primo intervallo, e i servitori del teatro presero a riaccendere tutte le luci della sala, piena di un brusio generale di approvazione. Lei sollevò istintivamente gli occhi verso la loggia di Elizabeth e, con un tuffo al cuore, vide solamente la sua amica e suo zio. Dei due cugini nemmeno l'ombra. Com'era possibile?
«Oh padre, guardate, quello non è Sir Barrington?»
«Sir Barrington, dici? Oh si, è Robert, è proprio lui. Dopo la serata andremo a salutarlo»
«Ma non vedo i suoi figli, come mai?» insistette Edward, curioso.
«Oh non so, Edward. In verità ieri nella Card Room ho sentito che i due hanno litigato seriamente, e che Adam sia scappato a Londra e Charles sia rimasto a Barrington House. Ma sono solamente supposizioni, non appena vedrò Robert gli chiederò conferma. Ora zitto, ricomincia lo spettacolo...»
Edward si girò nel buio verso Cathleen e le sorrise appena scrollando le spalle. La sorella gli sorrise appena, con il cuore pieno di angoscia. Un litigio tra fratelli non era mai bello, ma in tal caso aveva persino allontanato Charles da Bath, dove lei finalmente poteva trascorrere la sua Stagione. Ma che senso aveva, senza il capitano? Si sentì in colpa: c'era comunque Elizabeth, e si sentiva legata a quella giovane. Era un'amica ideale: sincera, genuina, affettuosa e leale. Avrebbe potuto forse confessarsi a lei, chiedendole aiuto? Sì, si rispose con determinazione. Avrebbe chiesto aiuto a Elizabeth.

La sera stessa, quando dal teatro si ritrovarono nelle Upper Rooms, andò subito incontro a Elizabeth stringendole con dolcezza le mani. Prese a passeggiare con lei per la sala principale, e per quanto possibile: ogni stanza dell'edificio era stracolma, ma era l'ideale per confidarsi senza essere udite.
«Non ballate, Cathleen?»
«Oh no, non stasera, mia cara amica. Non ne ho molta voglia...»
«Forse perchè non c'è il vostro cavaliere preferito?»
Cathleen arrossì, ancora, incapace di celare i propri sentimenti. Lei non aveva mai arrossito in vita sua, ed ultimamente non faceva che reagire in tal maniera.
Elizabeth ridacchiò, divertita.
«Vi prendete gioco di me, Elizabeth?»
«Oh come potrei, mia dolce Cathleen! Sono solo curiosa e felice. Chi è il fortunato innamorato?»
«Non credo che nessuno sia innamorato di me, Elizabeth, né tantomeno io di lui. Interesse, mettiamola così»
«Qualcuno che conosco?»
«Direi di sì»
Elizabeth si impensierì, sorridendo appena. «Il figlio di Mr Herbert?»
«Buon Dio, no! Un giovane tanto bello quanto stupido. No, Elizabeth...» Cathleen si fermò, appartandosi con lei. Seria, sospirò in ansia. «No, è...oh Dio, ho paura nel confidarvelo. Promettetemi che non disapproverete»
«A meno che non sia qualcuno di brutto e vile, come potrei?»
«Giusto. Ebbene, è...il Capitano, vostro cugino»
Tra le due cadde un silenzio glaciale. Elizabeth fissò Cathleen come se l'avesse pugnalata, e lentamente le lasciò le mani.
«Oh Dio, non approvate...» sussurrò a voce roca Cathleen. Lo sguardo di Elizabeth era triste, deluso...non poteva sopportare un'espressione del genere. «Elizabeth, io non...»
«Pensavo fossimo sincere amiche...»
«E lo siamo! Questo non cambia nulla!»
«Voi mi avete solo usata, per essere più vicina a mio cugino. Io...pensavo fossimo amiche...» ripetè di nuovo la povera Elizabeth.
A Cathleen si spezzò il cuore di nuovo, e in maniera peggiore di prima. Deludere un'amica era la cosa più brutta che qualcuno potesse sopportare, e la povera Cathleen lo capì in quel momento. Sull'orlo delle lacrime, cercò di inseguire Elizabeth, come un innamorato insegue la sua dama.
«Elizabeth, ti prego...! Fermati, non è come pensi tu, io...» cercò di spiegarsi, invano. La giovane sparì tra la folla, forse annunciando allo zio che avrebbe rincasato in quel momento per un mal di testa improvviso.

Il viaggio in carrozza di ritorno dalle Upper Rooms fu triste e silenzioso. Dormivano tutti, ad eccezione di lei ed Edward, che la fissava con insistenza.
«Cathy...sorella mia, che hai?» chiese alla fine, con tono apprensivo.
«Nulla»
«Quell'aria triste non è “nulla”. Sei preoccupata per...beh, lui?» sibilò Edward.
Cathleen sbuffò. «Non nominarlo nemmeno, stasera è stata la mia rovina»
«Qualcuno lo ha scoperto?»
«Si, Elizabeth, glielo detto io...pensavo di potermi confidare, ma invece lei ha pensato che io la stessi usando per arrivare a lui»
«E' solo un malinteso tra amiche, Cathy, può capitare. Domattina va da lei e spiegale la situazione, sono sicuro che capirà» precisò con calma Edward.
Cathleen sollevò gli occhi verso il fratello, e sorrise appena.
«Grazie, Ed...» mormorò, tendendogli la mano.
Il fratello la strinse prontamente e le sorrise con gioia.
«Non c'è di che, Cathy, non c'è di che...»

 

Per finire: bentornat*! Perdonate il mio ritardo nel pubblicare questo capitolo, ma spero che l'attesa ne sia valsa la pena :D che dire? Cominciamo a inserire un po' di pepe qui e lì! Elizabeth e Cathleen hanno litigato (e a chi non capita di litigare con un'amica?), il Capitano non si sa che fine abbia fatto ed Emma fra poco tenta il suicidio con un marito simile, ahah! Scherzi a parte, spero che vi sia piaciuto anche questo capitolo, a presto (giuro) per il prossimo!

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Capitolo 8
*** Friendship ***


8. Friendship

 

La notte seguente non riuscì a prendere sonno, rigirandosi mille volte nel letto, a pensare a ciò che doveva fare. Alla fine, fece ciò che Edward le aveva consigliato: andare da lei e spiegarle il malinteso.
Si alzò molto presto, fece una colazione abbondante, si preparò ed uscì per Bath, in compagnia della sola Augustine. Entrarono in un negozio di nastri e ne comprò due, entrambi di seta blu, quindi si affrettò a passo veloce e sicuro verso l'appartamento dei Barrington. Teneva i nastri saldi nella mano, e macinava miglia come un cavallo spedito.
«Miss Cathleen...» la richiamò ansante Augustine, che a stento le stava dietro.
«Non ora, Augustine, andiamo»
«Miss Cathleen!» la richiamò di nuovo Augustine, fermandosi ansante. Le indicò davanti a loro una giovane che la chiamava a gran voce. Non si era proprio accorta che Elizabeth le stava venendo incontro. Si fermarono, una davanti l'altra, entrambe tenendo tra le mani gli stessi nastri, comprati probabilmente nello stesso negozio con qualche minuto di differenza.
Fecero per parlare nello stesso momento, reagendo solo con una risata ed un abbraccio caloroso.
«Oh Cathleen, mi dispiace tanto davvero, io...»
«No Elizabeth ascoltami, per favore. Sono io ad essere dispiaciuta e a scusarmi. E' vero, ho usato la tua conoscenza iniziale anche per approfondire quella con il Capitano, ma non solo. Ero sinceramente interessata a conoscerti, e da quando l'ho fatto la mia vita è migliore. Tu, sei migliore di me Elizabeth: sei l'amica, la moglie e la sorella che tutti vorrebbero. E se mi ritieni indegna della tua amicizia, sono d'accordo con te! Non avrei dovuto approfittarmi della tua dolcezza...»
La giovane la fissò, con dolcezza. «E io allora non ti ho usato, per farmi amicizie in un posto dove non conoscevo nessuno? E forse chissà, anche io avrei fatto lo stesso con te no? Ho esagerato ieri sera, e me ne dispiace. Il fatto che tu stessi venendo da me, mi dimostra solo che la tua amicizia è sincera. A me questo basta. Camminiamo?»
Cathleen sorrise raggiante e la prese sottobraccio, seguite da Augustine.
«Ho notizie da Charles» annunciò l'amica, facendo sorridere con imbarazzo l'altra. «Oh non temere Cathleen, il tuo segreto è al sicuro con me. Sono più che felice...Certo, l'ultimo discorso affrontato con lui mi ha lasciato perplessa.»
«Quel che ho detto lo pensavo, Elizabeth: l'amore a volte rovina, e può rovinare anche me, se il Capitano non..ricambiasse. Ma l'amore è stato più veloce di me nel pungermi, ed ora devo sottomettermi a tale sentimento. Dunque tu non hai nulla in contrario?»
«Certo che no, perchè dovrei? Dicevo, ho delle notizie. Ti ricordi ieri sera quando ti dissi che mio zio aveva avuto un ritardo nella partenza? Ebbene...Charles e Adam hanno litigato furiosamente. Pare, da quel che ho sentito dalle domestiche, che zio Robert abbia richiesto Charles in licenza non solo per una visita di piacere, ma perchè voglia che sia lui, una volta morto, a gestire la tenuta e soprattutto a ereditare il titolo! Pare che Adam non sia un abile amministratore, e che abbia fatto perdere già molti soldi a zio Robert. Beh, quando Adam è venuto a saperlo è andato su tutte le furie, ed è corso a Londra. Charles è deluso e amareggiato, d'altronde non vuole né ereditare né tantomeno litigare con la sua famiglia, ed è dovuto rimanere a Barrington House per placare lo zio e i suoi avvocati, ed evitare un disastro. Tuttavia...» finalmente Elizabeth riprese fiato «zio Robert ha ricevuto una lettera stamattina da Charles, in cui dice che finalmente può venire a Bath per godersi la Stagione. Lui non sa che tu sei qui, perciò...» precisò, sorridendo eccitata.
Cathleen sorrise appena, preoccupata tuttavia da quanto udito. «Dici che Mr Barrington può reclamare i suoi diritti di erede?»
«Se zio Robert decide di passare titoli e eredità a Charles, Adam non può fare nulla. Ma sinceramente dubito accada: Charles non vuole nulla di tutto ciò, anche se ho sempre sospettato che Adam fosse geloso di lui. Ma vedremo il da farsi. Piuttosto, hai sentito? Ho detto che Charles non sa che sei qui»
«E dunque?»
«E dunque?? Cielo, Cathleen, ma non li leggi i romanzi? Dobbiamo fare in modo che vi incontriate, in un posto appartato e romantico! Tu credi che lui...?»
«Oh non ne ho idea, e per favore non creare nessuna situazione imbarazzante. Io non sono per le romanticherie, e credo nemmeno lui. Ammesso e non concesso, cara Elizabeth, che lui provi per me qualcosa di più della semplice cortesia»
«Sono sicura di si»
«E come lo sai, di preciso?» chiese Cathleen, ironica.
«Lo percepisco! Charles non è un tipo da gesti teatrali, hai ragione, ma lo vedo da come ti guarda, ti parla...sembra voglia scavarti nell'anima. E' così romantica, questa storia segreta!»
Cathleen ridacchiò. «Mi ricordi Emma quando fai così. E guarda lei che cosa ha dovuto fare: sposare un uomo che odia e non ama, lei che voleva un matrimonio d'amore!»
«Beh l'amore arriverà, sono sicura. Ma ora basta passeggiare, fa freddo, perchè non pranzi da noi?»

Mancavano meno di quindici giorni a Pasqua, e quindi alla Stagione vera e propria, e del Capitano nemmeno l'ombra. Altri quattro mesi a Bath, senza il Capitano, non avrebbe potuto sopportarli. Dal lunedì al venerdì mattina l'intera famiglia si spostava nelle terme romane, per godere dei benefici naturali dell'acqua e dell'aria. Ma quel sabato, Charlotte non ne volle sapere di andare alle terme.
«Mi annoio!» si lamentò, battendo i piedi davanti ai genitori.
«Lo so, Charlie, ma non c'è scelta. Andiamo tutti e certo non ti lasceremo qua da sola, ti pare?» precisò suo padre, calmo.
«Potrei rimanere io con Charlie, padre» propose Cathleen «mi sono dimenticata che ero stata invitata a colazione da Miss Elizabeth, e Charlie potrebbe venire con me»
Il padre la fissò per qualche istante, quindi sospirò. «Voi, mie care figlie, mi porterete alla pazzia» brontolò Mr Colborne mentre la figlia minore lo abbracciava felice. Così l'accordo era che la famiglia sarebbe andata via e Cathy e Charlie sarebbe rimaste a casa, a patto che con loro ci fosse sempre Augustine e che avrebbero usato la carrozza con il cocchiere per andarsene in giro.
«Davvero andremo a colazione dai Barrington?» chiese Charlotte, mentre sventolavano la mano nel salutare la famiglia che andava via.
«Secondo te?»
Charlie rise intuendo il piccolo tranello teso a loro padre, quindi rientrarono dentro l'appartamento. Trascorsero la mattinata a mangiare dolci, suonare il pianoforte, cantare e giocare a nascondino. Per qualche ora, Cathleen dimenticò ogni sua ansia e preoccupazione. Le risate delle due sorelle risuonavano per i corridoi e le scale della casa, mentre i domestici avevano il loro bel da fare. Erano così intente a giocare e ridere che non si accorsero che qualcuno aveva bussato alla porta.
«Arrivo, Charlie, arrivo...» annunciò Cathleen con un tono cattivo, ridendo come una strega malefica. Sentì la sorella minore ridacchiare lungo un corridoio e la inseguì lentamente, dandole il vantaggio di nascondersi a dovere. Un vantaggio così ampio che alla fine non riuscì davvero a trovarla. Sapeva nascondersi bene quella peste! Aprì di scatto una porta, ritrovandosi nella biblioteca. Sentì dei passi, provenire dalla porta opposta, e subito si nascose tra uno scaffale e l'altro, tra l'odore di polvere e di libri. Trattenne il fiato, troppo ansante per passare inosservato. Qualcuno si stava avvicinando, così leggero e lento che poteva essere solo Charlie. Sorrise tra sé, divertita, quando la sorellina si tradì con un'asse del legno che scricchiolò al suo peso. Era vicina, proprio dietro di lei...
«Ti ho preso, Charlie!» gridò trionfante Cathleen, ma ciò che aveva afferrato con la propria mano destra così saldamente non era l'abito di Charlotte, ma una giacca verde smeraldo da uomo. Portò gli occhi in basso, notando stivali di pelle lucidi, e risalì poi lentamente in su, incrociando due occhi verdi ed un sorriso delizioso. A quella distanza, poteva vedere persino i riflessi celesti dei suoi occhi, i dettagli della sua cicatrice sulla guancia, poteva sentire il profumo di colonia, e respirare la stessa aria...
Deglutì, non riuscendo a distaccarsi da quello sguardo che la ricambiava con tanta insistenza.
«Siamo arrivati già a questa confidenza, Miss Cathleen?» chiese il Capitano Barrington, sinceramente divertito, in un tono tuttavia basso e garbato.
Cathleen mollò immediatamente la presa prima di chinare rispettosa il capo. Avrebbe voluto buttarsi dalla prima finestra disponibile.
«C-Capitano Barrington, mi dispiace...n-no, Charlie è Charlotte, mia sorella! Giocavo con lei a...cioè non che io giochi davvero! Faccio finta»
«Certo, immagino. Una donna anziana come voi non può certo permettersi giochi così infantili» precisò lui, prendendola in giro.
«Trovata!» gridò Charlotte dietro Cathleen, facendole il solletico. Risero divertite, prima che Cathleen abbracciasse la sorellina.
«Charlotte, lui è il Capitano Charles Barrington. Capitano, questa dispettosa è mia sorella Charlotte, detta Charlie»
«Miss Charlotte...»
«Siete voi che siete stato nelle Indie con Zio Jack?» chiese subito Charlie, senza far attendere la sua curiosità.
«In persona»
«E come sono?»
«Beh...grandi, calde, chiassose» precisò l'altro, sorridendo divertito. Poi si chinò verso Charlotte, in tono confidenziale «Sono magnifiche...» sussurrò, facendo brillare gli occhi a Charlie.
Cathleen sorrise, quindi tornò sul Capitano. «Vostra cugina mi aveva detto che sareste arrivato la settimana scorsa...»
«Oh si, avrei dovuto, ma ho avuto...un po' di contrattempi, sono arrivato giusto ieri sera, ma era troppo tardi per venire nelle Upper Room. Così ho atteso stamane per uscire, volevo personalmente rendere omaggio a Mr Colborne, ma la domestica mi ha detto che in casa c'eravate solo voi e Miss Charlotte, e mi ha dato il permesso di salire...» spiegò brevemente l'uomo, garbato, le mani dietro la schiena.
«Cathy è stata in ansia tutta la settimana, sapete? A malapena mangiava!» precisò ingenuamente Charlotte, gridando poi per la pestata che Cathleen le rifilò.
«Non...è vero, ovviamente. Beh nel senso che Miss Elizabeth mi aveva detto dei vostri problemi con Mr Barrington e..» cercò di vanverare qualcosa, ma il Capitano sorrise divertito.
«Non sapete dirle le bugie, lo sapete?» domandò schietto. Cathleen deglutì, senza dire altro. «Ma vi capisco, anche io facevo il conto alla rovescia per venire qui a Bath...per la nostra passeggiata, ricordate?»
«Oh beh certo, la mia ansia era votata ovviamente per la nostra passeggiata. E' stato un tempo così bello, in questa settimana, che mi domandavo sempre quando avremmo potuto passeggiare per la campagna di Bath» Cathleen mentì spudoratamente, e sperò solo che il giovane ci cascasse.
«Ora che siete qui a Bath con noi, potremmo anticipare i tempi»
«Posso venire anche io, Capitano?» chiese innocente Charlotte.
«Zitta tu, sei troppo piccola!» borbottò Cathleen «e ora va di sotto e dì ad Augustine di prepararmi del thè. Volete del thè, Capitano?»
«Oh no, grazie, ho delle commissioni da fare. In verità, Miss Cathleen» annunciò il Capitano, fermandosi vicino una finestra «avrei da chiedervi una cosa già che sono qui, se non è troppo audace la mia richiesta..»
Cathleen ebbe un tuffo al cuore. Deglutì. Era davvero così audace, appena arrivato a Bath?
«Dite pure, Capitano...» lo incoraggiò, con calma.
«Ecco, vedete, volevo chiedervi...sì insomma, se al Gala del Teatro Reale mi fareste l'onore di accompagnarvi all'ingresso e nelle danze di apertura.» annunciò lui, serio, a capo chino.
Cathleen avrebbe voluto ridere, ma si limitò a sorridere. Tutto questo chiasso per un ballo? Eppure era stato gentile e attento nel chiederglielo con così tanta premura e rispetto.
«Sarebbe un piacere per me, Capitano» annunciò con dolcezza, porgendo la mano. Il Capitano rialzò il capo e sorrise raggiante, baciandole poi il dorso della mano mentre la guardava negli occhi. Sembrò un istante eterno, quello in cui si sorrisero e si guardarono con profonda intimità, prima del congedo del Capitano.
Il Gala del Teatro Reale. Se n'era persino dimenticata, tanto aveva trascorso il tempo ad aspettare il suo arrivo. Rimase lì, in biblioteca, con il thè che nel salotto si freddava, a ripensare al suo profumo, al suo sguardo, a quei dettagli così intimi che non aveva mai visto prima di allora...oh il suo sorriso. Avrebbe potuto combattere guerre e battaglie per quella bocca, per quello sguardo. L'amore, quello che lei aveva punto con tanto sgarbo, ora aveva risposto alla sua mossa con più decisione, e l'aveva colpita dritta al cuore. Le sfuggì una leggera risata, seppur non sapeva se fosse un singhiozzo in realtà. Cathleen Colborne innamorata. Chi l'avrebbe detto?
«Charles...Charles...» sussurrò appena, portando le mani davanti alla bocca, come se potessero far echeggiare quel nome ed imprimerlo nell'aria una volta per tutte.

 

«Pensate, il Royal Theatre di Bath è il primo teatro reale costruito fuori Londra. Ha una sala principale immensa, ed è dotata di una Hall altrettanto grande e persino di una Sala da Ballo»
«Ci sarà il Re stasera, caro?»
«Oh no di certo, mia cara Mrs Colborne. Il Re purtroppo è ormai preda della follia, è suo figlio George ad amministrare tutto. Stasera ci saranno lui e la Regina madre»
Davanti al nuovo edificio neoclassico c'era un via-vai continuo di carrozze e cavalli, paggi, gentiluomini e gentildonne, e persino aristocratici venuti a Bath solo per vedere e salutare il Principe e la Regina, che ovviamente ancora non arrivavano. I paggi conducevano e indicavano cortesemente la Sala da ballo, dove era stato montato anche un piccolo palco e due seggi per i sovrani.
La famiglia Colborne si fermò nella Hall, in attesa dei Barrington, che arrivarono poco dopo di loro. Sir Barrington indossava un prezioso completo in seta e velluto, nero e bianco; Elizabeth era splendida nel suo abito candido, con un leggero strascico ed in nastri intrecciati tra i capelli biondi. Le sorrise: sembrava un angelo. Poi sollevò gli occhi, ed il suo sorriso tremò appena: il Capitano indossava la sua divisa della Marina, le medaglie luccicavano alle luci della sala, così come le mostrine ed i bottoni d'oro. Calzoni di seta bianca, stivali neri tirati a lucido ed una camicia bianca sotto la livrea blu della marina. Nessuna arma, come ordinava la legge in presenza della Famiglia Reale, ed i capelli biondi sistemati dietro la nuca. Le sorrise con garbo, rimanendo dietro Elizabeth.
«Chiudi la bocca, Cathy, e mangerai molte mosche stasera» le sussurrò Edward nell'orecchio, passando dietro di lei. Cathleen si svegliò da quello stato di incanto e si ricompose, avvicinandosi.
«Cathleen, cara amica mia, siete splendida!» annunciò questa, stringendole con affetto le mani.
«Mia dolce Elizabeth, siete troppo gentile. Voi siete di gran lunga più bella ed elegante di me»
«Possiamo stare qui ore a discuterne, Cathleen, ma non mi smuoverò dalla mia posizione!» precisò lei, decisa, prima di guardare oltre Cathleen, verso Edward a cui sorrise.
«Siete pronti, giovinotti?» annunciò Mr Colborne, elegante nel suo completo bianco e verde. E così Fanny prese sottobraccio Jeremy suo marito, Emma fece altrettanto con Sir Egerton, entrambi magnifici quanto inabili a sorridere in quel momento. Edward prese sottobraccio Elizabeth, come concordato ieri sera con il fratello: un invito singolo del Capitano sarebbe stato sospetto e così Elizabeth ed Edward, per coprire loro due, avrebbero passato la serata insieme, quasi sempre.
«Miss Cathleen, prego...» annunciò il Capitano, porgendole il braccio e sorridendo con gentilezza.
«Grazie..» mormorò lei, nel caos generale. Eppure, una volta poggiata la mano sul suo braccio, capì che nulla poteva nuocerle, o renderla triste o arrabbiata. Charles Barrington trasmetteva calma, decisione e serenità, e istantaneamente smise di tremare o agitarsi.
Entrarono nella grande Sala da ballo del Teatro, occupando principalmente i lati ed il perimetro della magnifica sala.

Dopo l'arrivo dei Reali ed il discorso inaugurale, si aprirono le danze con il ballo tra il Principe e la Regina stessa, un fatto assai inusuale ma che nessuno ovviamente osò contraddire. Tutti ben presto fecero compagnia ai Reali che, dopo il primo ballo, andarono via lasciando modo ai loro sudditi di divertirsi come meglio credevano. Il Capitano chiese subito un ballo a Cathleen, e ballò con lei per quattro volte consecutive, destando ovviamente l'attenzione di Mrs Colborne.
«Dì, Mr Colborne, avevate visto quanto balla bene il Capitano? Certo meglio di suo fratello»
«Indubbiamente, cara»
«Ed è così garbato, gentile, e intelligente...a quanto ammonta la sua rendita?»
«Una villa in campagna e duemila sterline l'anno scarse, mia cara. Suo fratello erediterà le restanti diecimila, oltre che le due case ed ovviamente il titolo di Baronetto»
«Accidenti...non ci voleva proprio. Povera Cathleen..»
«Perchè dite così, madre?» s'intromise Edward, seduto lì vicino in un momento di pausa dai balli, mentre Elizabeth parlava con altre due giovani donne.
«Beh...certo non può sposare un uomo così povero: la sua rendita è minore della nostra! Mr Barrington, certo...»
«Converrete con me, madre, che Mr Barrington è certamente un buon partito per una donna, ma un pessimo partito per Cathleen»
«Oh sciocchezze, Edward. Una rendita di ottomila sterline l'anno rende tutto più allegro. Ma queste sono solo teorie e supposizioni, ovviamente. Mr Barrington non si è fatto ancora avanti, anche se spero che lo faccia presto»
«E a quel punto, mia cara, dovremmo capire se siamo o meno dei bravi genitori...» mormorò mesto Mr Colborne, sospirando mentre si dirigeva altrove.
Cathleen, dal canto suo, non si accorse di nulla troppo presa a danzare. Sorrideva al Capitano, ed egli faceva altrettanto. Per i primi due balli restarono in silenzio, guardandosi e sorridendosi; poi, al terzo ballo lento, finalmente il Capitano aprì bocca.
«Vi trovate bene qui a Bath, Miss Cathleen? Vi piace?»
«Oh si moltissimo, Capitano. Le Pump Rooms sono fantastiche, ma sinceramente...preferisco più passeggiare, o andare a teatro e ai concerti»
«A proposito, fra qualche giorno ci sarà un concerto di Bach, ci andrete?»
«Ovviamente, si! Io adoro Bach, Haydn e...Beethoven»
Il Capitano fece un giro su se stesso e la osservò, colpito. «Voi suonate Beethoven?»
«Con discreta bravura, si. Ritengo che le sue composizioni siano cariche di passione, di sacralità e di profanità allo stesso tempo»
«Sono completamente d'accordo con voi. Io adoro le sue Sonate, ma certo le sue sinfonie sono qualcosa di...indescrivibile»
«Lo so! Mia madre mi vieta di suonarlo quando è lei presente, lo ritiene un...beh, non saprei come definirlo con garbo»
Il Capitano sorrise. «Ho capito bene, ma d'altronde come biasimarla? La sua generazione è quella di Mozart, ed un po' lo è anche la mia»
«Oh suvvia non siete così vecchio, Capitano, non piangetevi addosso. Mozart è indubbiamente perfetto, ma...non so, non mi trasmette quel sentimento profondo che mi trasmette Beethoven. Bach, ad esempio, è differente da...»
«Per chi si reputa una guerriera che combatte l'amore, siete piuttosto appassionata di sentimenti, Miss Cathleen» commentò il Capitano, interrompendola. Cathleen tacque: touchè. Il ballo imponeva un incrocio di coppie e potè riprendere il discorso solo quando tornò dal Capitano.
«L'amore è diverso dalla passione per la musica»
«Dite? Io credo che Beethoven invece vi sia così congeniale proprio perchè, oltre ad essere tecnicamente un genio, è legato alla passione e all'amore molto più di altri compositori. E' il primo, forse l'unico fino ad ora, a trasmettere amore e passione attraverso la musica»
Cathleen tacque di nuovo. Le sue opinioni erano inopinabili. Si limitò a sorridere, alquanto divertita, e non disse altro. Si girò appena intorno, cercando Edward ed Elizabeth: stavano danzando due coppie lontano da lei, chiacchierando e sorridendosi a vicenda. Che stava nascendo qualcosa fra loro due? Si guardò ancora intorno, con discrezione, per trovare Emma ma non la trovò, non subito...

«Vi ho già detto che non ho voglia di ballare, Emma» brontolò glaciale Sir Egerton, in un angolo della sala mentre beveva il suo vino.
«Ma siamo all'inizio della serata, volete davvero lasciarmi qui in piedi tutta la serata?»
«Potete sempre sedervi. O ballare con qualcun altro»
«Sapete che è sconveniente che una donna sposata balli con qualcuno che non sia suo marito...»
«Non so come aiutarvi, allora» precisò lui secco.
Emma sospirò, allontanandosi dal marito con sgarbo. Sorseggiò la sua limonata, stanca. Stanca di aspettare, di attendere che lui potesse rivolgerle un sorriso, una cortesia, un complimento. Indossava gli abiti più belli e pregiati, dono di Arthur, eppure non sapeva nemmeno dirle quanto bene le donassero. Era solo apparenza: importava solo che Sir Egerton avesse una moglie degna di tale nome. Voleva piangere, ma non poteva lì, e comunque sia non aveva più lacrime: le aveva già piante tutte in quei primi due mesi di matrimonio, che erano già un inferno. La totale indifferenza del marito era peggio di qualunque altra cosa. Non la tradiva, la rispettava come moglie, non le faceva mancare nulla. “Tanto basta!” aveva commentato felice sua madre. Ma il sentimento? L'amore? La passione? Quando sarebbero arrivati? Visitava le sue camere sporadicamente, faceva il suo dovere ed andava via. Non era nemmeno sicura che fosse incinta, tanto era la fretta di andare via, di toccarla il meno possibile. Si girò indietro, lo guardò parlare con altri due uomini. Non mostrava interesse nemmeno per altre donne, e nemmeno per nessun'altra cosa e persona esistente in quel dannato mondo: era una statua di marmo, con un cuore di pietra.
«Lady Egerton?» qualcuno la chiamò. Doveva ancora abituarsi a quel titolo, le stava così stretto. Si girò, notando un bel giovane dai profondi occhi neri, capelli biondi e lunghi, e l'aria e l'aspetto di un artista.
«Lady Egerton, è un onore finalmente fare la vostra conoscenza. La vostra bellezza e grazia vi precedono. Mi chiamo James Norton, sono un pittore e ritrattista» annunciò il giovane, baciandole con garbo la mano. Le sorrise, ed il cuore di Emma si sciolse: qualcuno finalmente le riservava della gentilezza!
«Mr Norton, piacere di fare la vostra conoscenza. Vi state divertendo?»
«Immensamente, milady, voi?»
«Abbastanza..» mentì Emma, in maniera tanto spudorata che il giovane se ne accorse.
«In tutta sincerità, milady, un marito che non dà attenzioni a sua moglie non merita sua la compagnia»
Emma sorrise appena, senza dire nulla. Ma sapeva che aveva perfettamente ragione. Sollevò gli occhi verso Arthur, e lo vide arrivare alle spalle di Mr Norton, con il suo solito cipiglio serio.
«Buonasera, Mr...» fece per dire, non sapendo chi fosse l'uomo in sua compagnia.
«Norton, Sir Egerton, onorato di fare la vostra conoscenza. Perdonate la sfrontatezza, ma nella mia carriera di pittore non credo di aver mai visto una milady tanto elegante e regale»
Arthur si girò lentamente verso Emma, e l'unica reazione che ebbe fu un lieve tremolio delle ciglia che sbattevano sugli occhi, quindi tornò sul pittore.
«Grazie.» si limitò a dire, senza enfasi.
«Mi chiedevo, milord, se avevo il permesso di poter ritrarre Lady Egerton durante il vostro soggiorno a Bath. Ho dipinto molte duchesse e marchese, potete ovviamente chiedere in giro...e sarà un'ottima occasione, per voi, per radunare i vostri amici e discorrere di arte e pittura»
«E chi vi dice che voglia fare baldoria a casa mia?» chiese freddo Arthur. Sentiva lo sguardo di Emma trapassarlo, e così dopo interminabili secondi sospirò. «Molto bene, venite fra due giorni presso il nostro appartamento, informatevi su dove alloggiamo: io mi informerò su quanto avete detto, e sul prezzo» precisò secco Arthur, prima di eclissarsi di nuovo. Un ritratto! Emma non stava più nella pelle. Dimenticò ogni problema e screzio, e non fece altro che sorridere felice per tutta la serata. Un ritratto le avrebbe dato l'opportunità di divertirsi, di invitare chi voleva e soprattutto di sentirsi un po' coccolata, cosa che da moglie era solamente un miraggio.

 

Per finire: eccoci arrivati all'ottavo capitolo! Grandi novità, si fa per dire :) Elizabeth e Cathleen hanno fatto pace, il Capitano si sta facendo lentamente avanti, mooolto lentamente, e per Emma appare finalmente una luce in quella tenebra chiamata “matrimonio” :P riuscirà l'arte a riunire le nostre coppie in amore? :) lo scopriremo al prossimo capitolo (o forse no)!

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Capitolo 9
*** Best Day Ever ***


9. Best Day Ever
 

Emma camminava lungo i corridoi luminosi dell'appartamento a Bath, dando indicazioni al personale circa il da farsi per la serata imminente. Aveva dovuto attendere la fine delle feste pasquali e l'inizio della vera e propria Stagione, per potersi dedicare alla pittura. Un'arte che, secondo i pastori, era troppo “leggera” per essere eseguita in Quaresima. Sospirò, scuotendo il capo. Quella sera ci sarebbe stata la prima seduta del quadro ed avrebbe invitato la sua famiglia, gli Herbert e i Barrington. Aveva notato un certo interesse di Cathleen per quella famiglia, per Miss Elizabeth ed il Capitano soprattutto. Sorrise tra sé, mesta: era felice per sua sorella, ma la invidiava allo stesso tempo. Lei poteva dimostrare apertamente l'interesse per l'uomo che amava, seppur sapeva che sua sorella non l'avrebbe mai fatto. E con un po' di fortuna l'avrebbe potuto anche sposare. E lei invece? L'eterna romantica Emma, che sognava ad occhi aperti, rinchiusa in un matrimonio mai voluto e con un marito freddo e indifferente. Lo stesso uomo che aveva affittato un appartamento grande abbastanza da poter stare lontani e incrociarsi il meno possibile, come le disse apertamente prima della Stagione. La sua piccola vendetta per averlo “costretto” a portarla con sé.
Sospirò, ma decise che nulla avrebbe dovuto turbarla quel giorno. La seduta per il quadro l'avrebbe occupata per tutto il giorno ed anche per i successivi...così forse il tempo sarebbe passato velocemente. Scese lentamente le scale che portavano al piano terra, prese a camminare lungo l'ampio corridoio alla fine del quale c'era la piccola Music Room. Rallentò il passo, sentendo qualcuno camminare proprio in quell'ultima stanza. Sollevò gli occhi verso il pendolo nell'ingresso: non potevano essere i domestici, le ore delle pulizie era passato da molto. Curiosa, si avvicinò lentamente facendo meno rumore possibile. Portò l'orecchio alla porta semichiusa e trattenne il fiato, cercando di capire chi fosse. Non sapeva se sua cognata suonasse qualche strumento, ma non l'aveva mai vista lì...
Sgranò appena gli occhi quando sentì qualcuno sedersi e, dopo pochi secondi, le note di un violoncello spargersi nella sala. La suite n.1 di Bach vibrava nell'aria magnificamente, e d'istinto i suoi occhi si riempirono di lacrime. Chiunque stesse suonando, lo stava facendo con una passione, una tecnica ed un ardore mai sentiti prima. Socchiuse gli occhi e due lacrime le scivolarono lungo le guance. Sentire della musica che non veniva dalla sua arpa, e che risuonava in quell'ambiente glaciale, non faceva che farle esplodere il cuore di gioia. Ingoiò a forza la lacrime che le scivolavano lungo la gola. La musica riusciva a darle un tale sollievo, ogni volta, e quella particolare melodia era come un balsamo per la sua anima ferita. Si fece coraggio, aprendo un altro po' la porta.
Un uomo era seduto al centro della sala, su una sedia e dava le spalle all'ingresso. Oscillava appena al ritmo della magnifica melodia che sapeva ricreare con lo strumento che aveva con sé. Aveva la testa china sul violoncello, i capelli rossi erano scompigliati, e impiegò qualche istante per capire che era solamente...suo marito. Trattenne il fiato e sgranò gli occhi, senza parole. Arthur suonava il violoncello? Non lo sapeva nemmeno. Ed a quanto pare sapeva farlo benissimo. Non riusciva a capacitarsi di come un uomo così freddo e apatico potesse suonare con tanto ardore. Con lo sguardo sorpreso rimase a fissare la figura davanti a sé finchè questi, forse notando il suo riflesso nello specchio posto sulla parete opposta, alzò del tutto lo sguardo, stonò e interruppe di colpo la melodia, facendo incassare le spalle a Emma. Arthur si alzò e si girò di scatto, lo sguardo stravolto e i capelli scompigliati. Non lo aveva mai visto con un'espressione disegnata sul volto, e impiegò qualche istante a capire quella che stava addosso: sorpresa, mista a senso di colpa.
Il marito deglutì e lentamente poggiò il violoncello contro la sedia, quindi rimase a fissare la moglie.
«Io...» fece per dire, ed Emma capì che stava cercando una scusa plausibile per motivare la sua presenza in quella stanza.
«Non sapevo suonaste il violoncello» commentò lei, con calma, entrando del tutto e accostando la porta. Arthur la fissava, lei faceva altrettanto. Forse era la prima volta in due mesi che i loro occhi si erano davvero incrociati, davvero riconosciuti come carne e ossa e non come ombre che vivevano nella stessa casa, come se la musica avesse creato un ponte tra di loro.
«Si...sin da bambino» rispose lui, la voce insicura, senza quella solita freddezza e sicurezza che lo contraddistingueva. Rimase lì dov'era, a fissarla, con l'aria smarrita di chi non sapesse come reagire. Rimasero a lungo in silenzio, a studiarsi. «So che è la vostra stanza questa, ma pensavo eravate via e...»
«Nessuna stanza è mia. Siamo sposati, e avete il diritto di usarla come ce l'ho io. Se volete suonare, non dovete farlo di nascosto» precisò subito Emma, con tono calmo e tranquillo, senza quella lagna perenne che, doveva confessarlo, aveva inscenato per tutti quei giorni.
Arthur deglutì di nuovo, osservandola. «Mi spiace sia andata così..»
Emma sapeva benissimo a cosa si riferiva, e sorrise appena. «Lo so...»
«Lo avrei evitato, lo sapete. Ma non potevo lasciare che mia madre e mia sorella...»
«Lo so, davvero. Va bene così...» precisò Emma, sorridendogli appena.
Arthur sospirò, cercando di ricomporsi. Avanzò, e istintivamente Emma si spostò dall'ingresso, rimanendo di lato. Ma quando Arthur stava per aprire la porta lei lo sorprese, e si sorprese, poggiando la mano sulla maniglia e bloccando così la sua uscita. Il giovane poggiò gli occhi su di lei, e lei fece altrettanto, incapace di dire nulla. Era così bello, quando non mostrava tutto quell'odio verso di lei. Gli occhi, privi della solita freddezza, erano di un magnifico celeste, limpido e calmo. La mascella forte, i tratti decisi del viso, le labbra chiuse in una piega incerta.
«Arthur...suonate con me» una richiesta la sua, seppur potesse sembrare una preghiera. I loro volti erano così vicini che poteva respirarne la stessa aria, e lo sguardo del marito sembrava sciolto in una sorta di intimità, che la musica e la sorpresa aveva creato fra di loro. Emma lasciò la maniglia, dandogli modo di decidere. Passarono secondi eterni.
«Io...ho da fare» rispose appena Arthur, prima di aprire di scatto la porta ed uscire di casa come una furia, come se dovesse scappare da lì.
Emma deglutì, poggiando la testa al muro. Aveva esagerato, ma aveva visto qualcosa nel marito: umanità. O forse addirittura affetto? No, forse affetto era dire troppo. Senso di colpa, quello si, per una giovane di dieci anni meno di lui che non aveva voluto quella vita, come lui d'altronde. Forse non sarebbero mai stati innamorati, ma da quel giorno c'era una possibilità su cento che Arthur non facesse più finta della sua esistenza.

La sera l'appartamento degli Egerton si riempì di allegria e chiacchiere come forse mai era capitato.
Si girò, nervosa, verso la grande tela, i colori e i pennelli che erano poggiati al centro della stanza. Secondo la richiesta di Mr Norton, Emma era vestita come una dea greca: indossava un abito bianco, più simile ad una tunica, priva di ricami e con una fascia dorata sotto al seno. I capelli erano raccolti dietro la nuca, con qualche boccolo che sbucava dall'acconciatura, ed una doppia fascia d'oro a chiuderla. Davanti alla tela era stato sistemato un divanetto romano rosso, qualche tessuto a trama romana ed una ghirlanda d'alloro. Il pittore, vedendola entrare, le sorrise e le baciò ambo le mani con garbo e adorazione.
«Lady Egerton, siete un miraggio! Venite, lasciate che vi aiuti. Non dovete temere, vi dirò io esattamente cosa dovete fare, mh? L'importante è che siate rilassata e ferma, potete parlare ovviamente ma non muovervi. Se avete bisogno di riposare, basta che me lo diciate. Va bene?» spiegò il pittore con gentilezza quasi paterna, mentre la faceva accomodare.
Emma annuì incerta e sorrise. «Va bene, siete molto gentile Mr Norton»
«Oh è solo il mio lavoro, milady. Ecco, sedete qui. Molto bene, potete sdraiare le gambe, come le antiche statue greche? Perfetto! Ora un braccio sullo schienale, a reggervi, ed una mano che scivola sul fianco e va a prendere la corona...eccellente! Siete comoda? Bene, possiamo cominciare. Signore, signori, da questo momento per favore un tono meno sostenuto. L'artista compone...» annunciò infine Norton, inchinandosi prima di cominciare la sua opera.
Emma era emozionata e nervosa allo stesso tempo. Era molto comoda, ed era chiaro che Norton fosse molto abile, ma se fosse venuta male? Quella tela era enorme, sarebbe uscito un bel ritratto? Lei era abituata a disegnare e dipingere su fogli ben più piccoli, ma si affidava totalmente a lui. La prima parte della serata trascorse senza intoppi, con Emma che parlava ora con le sorelle ora con Mrs Herbert, sempre da quella posizione e senza chiacchierare troppo. E solo alla prima pausa, dopo un'ora, si accorse che Arthur non c'era. Si alzò, confusa, e Cathleen le andò incontro sorridendole.
«Oh Dio Emma, sembri una dea greca! Sei fantastica! Non guardare il ritratto, ma stai venendo benissimo! Ma dimmi...dov'è Arthur?»
«E'...nello studio, sta svolgendo affari importanti»
Cathleen le sorrise appena: avevano entrambe il magico dono di non saper dire le bugie. «Non ne hai idea, vero?»
«No...Piuttosto, dimmi del ritorno di questo Mr Barrington. Ieri non ho potuto vederlo con i miei occhi. E' vero che è arrivato da Londra?»
«Si, è stato imbarazzante. Eravamo al concerto di Bach ed è arrivato nel ben mezzo della serata, ha salutato e si è seduto vicino a me, ignorando suo padre e suo fratello. Non capisco davvero...»
«Ma quei problemi tra loro, sono stati risolti?»
«A giudicare dal suo viso rilassato, direi di sì, anche se non saprei in che maniera. So solo che quando c'è lui di mezzo, il Capitano mi evita palesemente...»
«Come mai tutto questo interesse per il Capitano, Cathy?» chiese Emma sorridendo divertita.
Cathleen sorrise appena ma non fece in tempo a dire nulla, il pittore richiamò la Lady al suo dovere di modella e, nello stesso momento, arrivò Arthur con la sua solita freddezza e indifferenza. Emma sospirò appena: doveva arrendersi, suo marito non poteva cambiare da un momento ad un altro.
La seconda pausa stentò ad arrivare, o così sembrò ad Emma. Finalmente potè alzarsi e muoversi, rilassando un po' la muscolatura. Immaginava che più tempo si stava ferme più era lunga l'attesa. Ma non era solo quello: era lo sguardo di Mr Norton, la metteva una certa soggezione, forse per via del fatto che uno sguardo maschile così intenso e deciso non lo aveva mai visto addosso ad una donna, o forse perchè sapeva che Arthur la stava guardando, magari con occhi nuovi.
«Oh Lady Egerton, il vostro ritratto vi fa a malapena onore, siete magnifica» annunciò Elizabeth, sorridendole garbata.
«Vi ringrazio, Miss Elizabeth. E spero che la vostra amicizia stia facendo del bene alla nostra fredda e imperturbabile Cathleen, vero cara?» precisò Emma, sorridendo verso Cathleen.
«Lady Egerton» qualcuno la richiamò, ed Emma si ritrovò presto suo marito a fissarla ed attenderla, in un angolo del salotto.
«Chiedo scusa» annunciò con garbo alle donne, quindi si avvicinò al marito con Mr Norton a pochi passi da loro, che ne seguiva le movenze. Entrambi la osservavano in maniera totalmente diversa: il pittore come una dea da venerare, suo marito come un'estranea da doversi tenere in casa.
«Lady Egerton, Mr Norton mi ha fatto osservare che...potremmo, a ritratto finito, presentarlo durante una serata con altri nostri...amici. In tal modo noi gli faremo pubblicità con altri eventuali clienti e lui ci farà uno sconto sul ritratto. Cosa ne dite?»
Emma fissò il marito, sconvolta. Davvero le stava chiedendo disposizioni su una serata con altra gente, davvero stava valutando con lei una scelta da fare? Negli ultimi tre mesi aveva disposto delle loro vite come più credeva, senza preoccuparsi di lei o della sua opinione.
«Credo che...sia un'ottima idea»
«Bene, è deciso allora» annunciò Arthur, impassibile. Emma notò un lieve tremolio delle palpebre e, quando fece per andarsene, il marito la seguì appena.
«Vi piace?»
Emma si fermò, girandosi verso di lui.
«Chi?» chiese, confusa.
«Mr Norton, vi piace? Come pittore, intendo..»
«Beh...non saprei, ancora non vedo la sua opera terminata, e non mi intendo molto di arte figurativa. Siete voi l'artista dei mille mondi, siete voi che reputate gli artisti...discretamente bravi, giudicate voi e fatemi sapere» rispose Emma, tornando dalle sue sorelle. Sorrise tra sé, divertita: aveva avuto la sua piccola vendetta. Si girò appena indietro, verso il marito, il tempo di notare la sua faccia attonita e incapace di reagire. Soddisfatta, tornò al suo posto e lasciò che Mr Norton operasse per il resto della serata.

 

25 Aprile 1806

«Tua sorella era incantevole l'altra sera, ed è stata una serata fantastica! Mr Norton ha doti artistiche eccellenti e zio Robert ha già chiesto di ritrarre se stesso»
«Oh grazie, Elizabeth, anche se temo che Emma non fosse proprio felice. Il giorno dopo sono andata a prendere il thè da lei e pare che abbia litigato furiosamente con Arthur. Lui l'accusa di avere un comportamento immortale con Mr Norton...»
«No!»
«Che razza di idiota» brontolò Edward al suo fianco, facendo sorridere Charles.
«Già, è assurdo vero? Non credo di aver mai visto una moglie tanto fedele quanto Emma, lei sarebbe incapace di ogni tradimento! Eppure Arthur la pensa così, ed ora non si parlano. Non che prima lo facessero, ma Emma non fa che piangere, non so come consolarla povera cara...»
«Visto, Miss Cathleen? Se vostra sorella si foste sposata per amore, suo marito non l'avrebbe accusata di queste sciocchezze ed avrebbe risolto tutto con fiducia e volontà»
«Davvero, Capitano? Devo per caso ricordarvi cosa l'amore e la gelosia ha creato ad Otello?» chiese Cathleen sarcastica, girandosi verso il Capitano.
«Touchè...»
«Devi ammetterlo, Charles: Cathleen ha una mente brillante e una lingua tagliente!»
«Ammetto, confermo e sottoscrivo, mia cara cugina» precisò lui, facendo ridere tutti e tre.
Era una splendida mattinata: la primavera era ufficialmente arrivata. Le giornate calde e soleggiate si susseguivano senza sosta, e gli adulti non facevano che meravigliarsi di tale evento. “Mai vissuti così tanti giorni senza pioggia!” non faceva che dire Mrs Colborne. “Di questo passo l'estate sarà secca ed il raccolto povero” ripeteva a sua volta Mr Colborne, preoccupato. Ma Cathleen, doveva ammetterlo, preferiva più passeggiare con sicurezza che pensare al raccolto. Suo padre era del parere opposto e, piuttosto che lasciarle andare da sole a passeggiare, mandò Edward e Charles con loro, anticipando così la loro famosa “ricognizione” alla villa in ristrutturazione del Capitano.
Quel giorno Cathleen indossava uno splendido abito da passeggio di mussola bianca, con una fascia di seta color ciano sotto al seno, un cappello da passeggio con una piuma sopra e, dulcis in fundo, la famosa stola di cashmere indiano, dello stesso colore di fascia e cappello. Aveva scelto il meglio, perchè quella mattinata voleva sembrare come la più bella di tutte le ragazze inglesi, seppur sapeva che le sue doti erano intellettuali e non fisiche. Il Capitano l'avrebbe capito?
«Charles, hai avuto un'idea splendida: è una giornata così bella che cavalcare sarebbe stato un peccato. Così impiegheremo più tempo ma ci potremmo godere meglio la campagna: ho bisogno di qualche soggetto d'ispirazione per il mio prossimo quadro»
«Vorrei avere la tua dote artistica, Elizabeth, davvero» ammise Cathleen «il massimo che so fare con matite e colori è un albero, ed anche molto lontano da uno reale»
Elizabeth ridacchiò. «Non dire sciocchezze, ognuno di noi è bravo in qualcosa. Io a disegnare, tu a suonare, Charles a...»
«...ad accompagnare le fanciulle nelle passeggiate?» suggerì ironico il cugino, facendo di nuovo ridere le due ragazze. Cathleen non poteva essere più felice. Adorava l'indole sincera del Capitano, libero da etichette e ruoli imposti dalla società. Un uomo cresciuto nel mare e sulle navi, abituato a compagnie genuine e prive di fronzoli, dove tutti sono fratelli e tutti si spalleggiano...come potrebbe, tale uomo, abituarsi di nuovo e con tanta velocità alla vita mondana, a cui lei è abituata solo per obbligo? E non potè fare a meno di notare che era se stesso solo in assenza di Mr Barrington.
Arrivarono alla villa prima del previsto, freschi e pieni di energie, con una leggera brezza primaverile che ristorava la pelle arsa dal calore. Era una villa di modeste dimensioni, ma solo comparata a Barrington House. Era comunque più grande della dimora dei Colborne, con un ampio giardino, alte siepi e alberi frondosi. Poteva contare almeno dieci finestre per entrambi i piani. Era proprio una gran bella casa, e si vedevano gli utensili degli operai che la stavano sistemando e curando.
«Una villa davvero molto bella, Charles, mi congratulo con voi» annunciò Edward, con lo sguardo verso la struttura ed il braccio ancora stretto a quello di Elizabeth.
«Vi ringrazio, Edward. Sarà pronta per il prossimo inverno, se tutto va bene» annunciò fiero il Capitano. «Vi farei entrare, ma il pavimento è pericolante e non c'è alcun comfort, se non qualche mobile buttato qui e lì.»
«Oh è splendida Charles! Già ti vedo, con tua moglie e i tuoi figli a giocare in giardino, o magari durante qualche festa vicino quel bel laghetto laggiù» commentò sognante Elizabeth, lanciando poi un'occhiata a Cathleen.
Questa si sentì arrossire ma fece finta di nulla. «Molto bella davvero, Capitano, dovete esserne fiero»
«Oh lo sono. Se tutto va bene con la prossima Stagione verrò a stare qui in maniera definitiva, anche se un po' mi spiace non abitare vicino a mio padre. Sta invecchiando, ormai, ed ha bisogno di noi»
«Beh c'è sempre Mr Barrington, no?» chiese istintivamente Cathleen, osservando il sorriso sparire dal volto del giovane.
«Adam, Miss Cathleen, è...come il clima inglese. Capriccioso, mutevole, incerto. Un giorno è sereno e felice, il giorno dopo lancia è scontroso e intrattabile. Non credo che si sia mai davvero affezionato a me, o a nostro padre: lui era molto legato a nostra padre, come tutti noi d'altronde, e la sua morte lo ha seriamente destabilizzato. Ma sì, è un brav'uomo e sono sicuro che si prenderà cura di nostro padre con amore sincero» terminò il Capitano, convincendo più se stesso che altri.
«Proseguiamo?» propose Edward, cercando di rompere quell'atmosfera un po' triste e seria che si era formata attorno a loro.
«Oh si, volentieri...è ancora presto e il sole è ancora alto» annunciò Elizabeth, entusiasta.

Continuarono la passeggiata camminando dritti davanti a loro, inoltrandosi in un piccolo bosco di conifere e betulle, in un paesaggio assolutamente magnifico e incredibile. I raggi del sole filtravano tra i rami privi di foglie, creando giochi di ombre nel sottobosco e illudendoli di un'oscurità che in verità non c'era. Per una mezz'ora abbondante continuarono a chiacchierare e scherzare, ed i sorrisi e le risate di tutti e quattro risuonavano ovunque. Cathleen rise divertita quando Elizabeth ed Edward presero a rincorrersi tra le betulle ed a nascondersi nella semi oscurità del bosco. I gridolini di Elizabeth risuonavano ovunque, facendo volare via stormi di uccelli. Il Capitano sorrideva divertito, mentre con garbo accompagnava Cathleen lungo la passeggiata. La ragazza non ricordava di aver vissuto un giorno migliore di quello.
«Vi manca il mare e la Marina, Capitano?» chiese, camminando al suo fianco mentre Elizabeh ed Edward si attardavano dietro di loro.
«Non eccessivamente, Miss Cathleen. Il mare è bello e ne sarò sempre innamorato, ma la guerra non lo è, affatto: mi sono arruolato perchè ero troppo giovane e non capivo, ma se potessi scegliere, sinceramente, farei il pastore»
«Il pastore?» ripetè Cathleen, ridacchiando.
«Non pensate che possa essere bravo nelle omelie, vero?» chiese ironico Charles. «Scherzi da parte, Miss Cathleen, non potrei chiedere di più: ormai ho trent'anni, ho raggiunto la più alta carica che mi si possa consentire, ed è ora di lasciare spazio a giovani molto più bravi di me»
«Davvero vi reputate così vecchio? Mio fratello Edward ha solo due anni meno di voi» precisò Cathleen, ridacchiando.
«Ma lui è molto più giovanile di me. Parla molte lingue, ha visitato molti posti, ha conosciuto ogni tipo di culture. Io sono vissuto lontano dal mondo, in una società a parte...a volte tornare nella terraferma è come nascere, ogni volta, da capo: imparare di nuovo tutto. Guardate com'è sincero di sentimenti nei confronti di mia cugina? Come sa fingere o meno? Io ne sono incapace. Una volta da bambino mi innamorai di una domestica, e mio padre andò su tutte le furie, mi scoprì mentre cercavo di abbracciarla. Adam invece è sempre stato più furbo, ed ha avuto le sue occasioni»
«Sapete» precisò Cathleen, sussurrando «credo che alla mia domestica, Augustine, stia accadendo la stessa cosa. Credo che sia innamorata di qualcuno di rango superiore a lei»
Charles sorride, gentile. «Sono sicuro che riuscirà a sposare l'uomo che ama»
«E come?» chiese di colpo Cathleen, fermandosi «l'amore, Capitano, è un sentimento crudele che non conosce rango sociale, lo stesso rango che noi ci imponiamo da secoli.»
Il Capitano si fermò, osservandola. Era terribilmente serio. «Non potete essere davvero così fredda e crudele, Miss Cathleen...L'amore è un sentimento antico, c'è sempre stato nella vita umana, ed ha sempre trionfato in un modo o nell'altro, voi come donna dovreste saperlo meglio di me. Non ho imparato molto di sentimenti nella mia vita da marinaio, ma so esattamente cos'è l'affetto: per i propri amici, per i propri sottoposti, per chi si ama. Si vogliono custodire da ogni male e da ogni tristezza, e voi parlate di crudeltà. Sì, l'amore è crudele, a volte è anche spietato. Ma come si potrebbe vivere senza amore?»
Cathleen si sentì mortificata. La delusione nel viso altrui era palese. Chinò il capo, non riuscendo a reggerne lo sguardo. Chiuse gli occhi, cercando di respirare, quindi si voltò e riprese a camminare senza dire nulla. Tornarono indietro. Cathleen camminava avanti, il Capitano indietro. Lo sentiva calpestare le foglie e l'erba secca, lo sentiva sospirare e brontolare cose fra sé.
«Torniamo a Bath?» chiese Edward, con Elizabeth stretta forte al suo braccio. Cathleen si sentì morire più di prima, incolpandosi della sua lingua lunga.
«Certo...»

Ripresero a camminare, sempre in coppia, con Edward ed Elizabeth davanti a loro di qualche metro: camminare da sola con Charles, dopo aver litigato con lui, sarebbe stata una tortura. Come poteva essere stata così fredda e crudele, come aveva potuto dire quelle cose, se lei stessa era innamorata di lui? Come poteva la mente dire una cosa ed il cuore un'altra? Avrebbe voluto chiedere scusa ed abbracciarlo, ma il suo orgoglio la costrinse a continuare a camminare, ad essere certa di quel che aveva detto.
Il cuore si rabbuiò, ed il cielo fece lo stesso. Il sole sparì di colpo, e le nuvole si ammucchiarono una sull'altra, nere e cariche d'acqua. In breve tempo, la pioggia colpì tutta la campagna inglese, senza pietà. Il desiderio di Mr Colborne si era realizzato finalmente, ma nel momento certo meno opportuno.
«Dobbiamo velocizzarci!» gridò Edward davanti a loro, cercando di coprirsi gli occhi con una mano, e tenendo quella di Elizabeth con l'altra. Cathleen poteva vederlo e sentirlo a malapena, tanto la pioggia era fitta.
«Proseguiamo finchè possiamo, Bath non è lontana!» gridò di rimando Charles.
Cathleen continuò a camminare, sempre più in difficoltà, tra il fango che arrivava fino alle ginocchia. Rischiò di inciampare due volte e si rialzò da sola, senza l'aiuto di nessuno. “Quel che semini raccogli”, lo diceva sempre suo padre. E quella pioggia le sembrava una punizione troppo piccola per come aveva parlato all'uomo che amava.
Lanciò un grido spezzato dal fiato corto quando vide un fulmine illuminare tutta la valle e colpire un albero, che prese fuoco e si spezzò. Arretrò spaventata ed inciampò sulla gonna appesantita dall'acqua e dal fango. Cadde rovinosamente a terra, fradicia fin nel midollo, tremante. Socchiuse gli occhi, non aveva più le forze per rialzarsi di nuovo. Poi sentì due mani che di peso la sollevavano, rimettendola in piedi.
«Ce la fate?» gridò il Capitano, cercando di superare il suono frastornante dei tuoni e della pioggia.
Cathleen annuì, confusa, quindi il Capitano la prese per mano e la trascinò con sé, mentre la tempesta più forte e lunga degli ultimi cinquant'anni si abbatteva su di loro.
«Ripariamoci là!» gridò ancora il Capitano, una volta raggiunti Elizabeth ed Edward. Cathleen sollevò gli occhi e intravide, tra la fitta pioggia, la villa in ristrutturazione. Non fece rimostranze, si lasciò guidare mansueta e docile. Sentiva troppo freddo ovunque, era bagnata fin nel midollo ed era consapevole che forse aveva anche la febbre, ma non si lamentò.
Il Capitano aprì con forza il portone principale, quindi fece passare prima Cathleen ed Elizabeth, poi Edward ed infine si richiuse il portone alle spalle. Dentro era buio, umido e freddo, ma almeno la pioggia lì non poteva entrare. Grondavano acqua e lasciavano pozze ad ogni passo, senza contare che pesavano il doppio con tutti quei tessuti bagnati. Li fece entrare in una sala in disuso, senza mobili ad eccezione di un divano rovinato ed un baule, una piccola catasta di legna, un camino spento, e utensili edili qui e là. Il Capitano spiegò qualcosa in proposito ai lavoratori, che usavano quella sala ed una stanza accanto come ambiente per mangiare e riposarsi. Cathleen rimase in piedi, immobile e incapace di attivarsi mentre il giovane accendeva il fuoco, chino a terra.
«Cathleen» Elizabeth la richiamò, svegliandola da quel torpore «Stai bene, cara?»
«Ha la febbre, Beth» la informò calmo il Capitano, mentre lentamente il fuoco si alimentava nel camino. Edward si fermò a fissare la sorella, preoccupato «In quel baule nell'angolo ci sono degli abiti asciutti da uomo, andate nella stanza a fianco e cambiatevi, dovete mettervi qualcosa di asciutto»
«E voi?» chiese Elizabeth preoccupata.
«Noi possiamo farne a meno» rispose Edward, sorridendo incoraggiante. Consegnò alla ragazza due camice e due pantaloni, quindi la giovane guidò Cathleen nella stanza affiancò. Si spogliò e si rivestì per prima, poi aiutò Cathleen a fare altrettanto. Era congelata, forse anche per via della caduta nel fango, o per una questione fisica. Cercò di collaborare nel cambiarsi, ma aveva la mente ben poco lucida per farlo.
Ritornarono nella sala, imbarazzate per via di quegli abiti maschili, e si avvicinarono automaticamente al fuoco acceso. Edward porse loro della salsiccia essiccata, probabilmente la colazione dei muratori, e il Capitano buttò sulle giovani una coperta vecchia ma asciutta e calda.
Cathleen sollevò gli occhi languidi di febbre su di lui: indossava ancora gli abiti bagnati e infangati, ma le sembrava così bello...
«Oh Cathy, guardati...mamma andrà su tutte le furie» mormorò Edward, accarezzandole la schiena.
«Sto bene, Eddie, davvero...» mormorò Cathleen, cominciando a riprendersi davvero. Aveva male a tutte le ossa, si sentiva la febbre addosso ma cercò di non darlo a vedere. Di essere coraggiosa.
«Perchè non vi sdraiate?» chiese il Capitano «staremo noi a guardia, poi appena passata la tempesta andremo a chiamare qualcuno per portarvi indietro»
«Sto bene» precisò ancora Cathleen.
«Io...» mormorò appena Elizabeth, tendendo una mano verso Edward che prontamente l'aiutò e si fece aiutare a sdraiarsi. Tacquero tutti, lasciando che i tuoni e la tempesta si abbattessero senza pietà sulla villa, sbattendo le persiane e buttando il vento nella stanza. Passarono svariati minuti in silenzio, poi Cathleen girò la testa indietro: Edward ed Elizabeth si erano addormentati, uno addosso all'altro.
«E' stata mia l'idea della passeggiata, non avrei dovuto portarvi così lontani dalla città» mormorò il Capitano dopo un lungo momento di silenzio, sistemandole appena la coperta lasciatale da Elizabeth.
«Non ditelo, Capitano...non ci avete costretto» mormorò Cathleen, battendo i denti.
«Lo so, ma vostro padre mi reputa responsabile per voi fanciulle, non dovevo fidarmi del clima inglese»
«Non ci pensate, ora, Capitano. Riscaldatevi e...» non riuscì a dire null'altro, batteva troppo i denti. Si tirò su la coperta e tese le mani tremanti verso le fiamme del fuoco.
«Ma guardatevi, state tremando. Venite, ecco, poggiate la testa qui, vi sostengo io...» mormorò incerto il Capitano, indeciso tra l'imbarazzo e il desiderio di aiutarla.
Cathleen non si lamentò nemmeno, lasciò andare la testa, troppo pesante per essere sostenuta da sola, sulla spalla del giovane.
«Mi dispiace avervi attaccato, prima...» mormorò Cathleen «non pensavo quel che dicevo»
«Nemmeno io. Beh sì, a dirla tutta, ma avrei dovuto esprimermi meglio, Miss»
«Cathleen...solo Cathleen...» mormorò Cathleen, gli occhi socchiusi. Non riusciva più a tenere gli occhi aperti. L'odore di Charles le era entrato nella testa, come quel giorno nella biblioteca a Bath. Aprì lentamente gli occhi e li sollevò verso il suo viso, tirato in un'espressione preoccupata.
«Solo Cathleen...» ripetè Charles, con calma. Si zittirono, lasciando parlare il crepitio del fuoco e la tempesta che si abbatteva fuori.
Sentì il suo braccio attorno alle sue spalle e lentamente il tremolio sparì. Forse era la febbre, forse il freddo, forse la paura di tuoni e fulmini che si abbattevano fuori, ma alla fine Cathleen lasciò da parte etichetta, regole sociali e quant'altro. Si rilassò, stringendosi lentamente a lui. Ne cercò la mano, che il giovane prontamente strinse, con delicatezza. Ne baciò il palmo con la bocca, e Cathleen rimase in contemplazione di quel piccolo e fedele gesto. Non era un semplice baciamano, era un bacio sincero, di adorazione. La bocca del giovane si muoveva con dolcezza sulla pelle della propria mano, baciandone ogni millimetro prima di portarsela al petto. Sotto le proprie dita, poteva sentire il cuore del Capitano palpitare vivace. Arrossì Cathleen, vagamente consapevole che stavano condividendo più di quello che due novelli sposi potevano condividere, ma non le importava: aveva il cuore palpitante solo a respirare la sua aria, ed un laccio invisibile aveva indissolubilmente e definitivamente legato i loro due cuori, lì dentro lo sterno. E più provava a spostarsi da lui, più la stringeva saldamente, accarezzandole ora la mano ed ora la spalla.
Fu l'ultima cosa che sentì, prima di chiudere gli occhi, ma fece in tempo a pensare che sì...quello era definitivamente il miglior giorno della sua vita.

 

Per finire: ebbene sì, io non ho nulla da fare la domenica e così pubblico il nono capitolo, eheh! E' senza dubbio, per ora, il mio capitolo preferito: siamo arrivati ad un punto di svolta. Entrambe le coppie si stanno rivelando, e denudando (non fisicamente, su!). Arthur ha ceduto alla musica e proprio quest'arte sta legando lentamente lui e la moglie; Charles e Cathleen, dall'altra parte, hanno litigato per la prima volta ed hanno condiviso una situazione estrema, per i tempi, dove l'etichetta sociale non conta più: si sono un po' dichiarati, diciamolo, perchè nel 1800 condividere abbracci e contatto fisico, in generale, era permesso solo a marito e moglie praticamente :D
Bene, spero sia piaciuto anche a voi, fatemelo sapere e ci vediamo al decimo capitolo! Besos :D

 

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Capitolo 10
*** Odi et amo ***


10. Odi et amo

 

«Augustine, porta il thè in camera di Miss Cathleen» ordinò pacatamente la cuoca, mentre girava la zuppa nella pentola di rame, appesa sul fuoco.
«Subito» annunciò scattante Augustine. Avevano passato tutti dei momenti concitati nei giorni precedenti, quando Miss Cathleen era tornata dalla passeggiata in uno stato delirante, con la febbre altissima. Mr Colborne non era stato da meno e così anche miss Elizabeth, a Barrington House. L'unico tornato incolume dalla tempesta fu il Capitano Barrington, che si assunse l'incarico di andare a piedi a Bath, avvisare e tornare con i rinforzi per recuperare i suoi sfortunati compagni di viaggio.
Salì lentamente le scale, ringraziando Dio per aver fatto guarire tutti e tre. Miss Cathleen aveva trascorso notti più critiche rispetto agli altri, ma la sua forza di volontà era infinita, e così potevano finalmente tutti tirare un sospiro di sollievo.
«Augustine?» qualcuno la richiamò, con garbo. Il Commodoro Jack Colborne apparve davanti a lei.
«Si, signore...» mormorò la ragazza, chinando il capo. Il vassoio tra le mani le tremò appena, tanta era l'agitazione.
«Come sta mia nipote?»
«Il medico dice che deve ancora riposare, ma che sta molto meglio e che oggi potrà anche alzarsi dal letto, se lo desidera»
«Una bellissima notizia davvero, grazie per avermelo detto»
«Dovere, signore» mormorò la giovane cameriera, facendo per superarlo e tirare dritto. Il giovane uomo la trattenne con garbo, stringendole appena il braccio con la sua mano. Augustine arrossì.
«Hai pensato alla mia proposta...?» le sussurrò, con dolcezza e gli occhi vibranti di speranza.
«Non ancora, e non potrei comunque. Non posso deluderli così, Mr Colborne andrebbe su tutte le furie. Se dovesse scoprirmi, io...non oso nemmeno pensarci» precisò, spaventata.
«Augustine, guardami» il suo ordine non passò inosservato. Augustine sollevò gli occhi su quelli azzurri dell'uomo «Non devi vergognarti, né avere paura di mio fratello. Lui...lo sistemerò io, tu devi solo dirmi se accetti o meno, mh? E' semplicissimo: o si, o no. Va bene?»
«Va bene...» mormorò Augustine, sorridendo appena. Jack sorrise di rimando, dolcemente, quindi la lasciò andare e si diresse altrove.
Augustine sospirò, con il cuore a mille. Cercò di non pensare al fratello del suo signore, e a passo svelto si diresse verso la porta di Miss Cathleen, bussando prima di entrare.

«Un così caro ragazzo, vi dico! Viene a trovarla ogni giorno, le legge dei libri, conversano e sono sicura che quando Cathy se la sentirà andranno anche a passeggio insieme! Davvero un caro ragazzo...»
Cathleen si svegliò dal suo pesante sonno mattutino con la voce stridula della madre. Aprì lentamente gli occhi, e notò subito il Dottor Parson che riponeva i suoi strumenti nella borsa, l'aria annoiata nel sentire l'ennesimo identico resoconto da Mrs Colborne, in piedi in fondo al letto mentre guardava trasognata oltre la finestra della camera. Cathleen si girò di lato, vide Augustine entrare proprio in quel momento con il thè, poi sorrise con dolcezza nel vedere Emma seduta al suo fianco, con l'aria serena ma preoccupata.
«Emma...» mormorò appena, la voce impastata dal sonno e dalla stanchezza che aveva addosso.
«Oh Cathy, è così bello vederti meglio! Ho avuto così tanta paura per te» ammise la sorella, stringendole la mano.
«Oh sciocchezze, qualche giorno di febbre non ha mai fatto male a nessuno. Il Capitano ha chiamato il miglior medico di Bath per lei, sai? E quando la tempesta era finita è venuto a piedi fin qui, avvisandoci, ed è tornato a piedi per altre due volte, per non rallentare i soccorsi per loro tre. Che eroe! Viene a trovarla ogni giorno, sai Emma?»
«Sì madre lo so, l'ho visto anche io. Certo, si è davvero prodigato bene per la nostra Cathy...» precisò Emma, sorridendo divertita alla sorella, che sorrise con dolcezza. Era troppo stanca per combattere e nascondere i suoi sentimenti. Nei giorni precedenti era stata anche incapace di parlare ed il Capitano si limitava ad assisterla mentre mangiava, a leggerle qualche opera di Shakespeare o a raccontarle quanto Elizabeth fosse in pena per lei. Ma quel giorno si sentiva più in forze, e mangiò tutta la colazione, e così anche il pranzo. Si lasciò lavare e vestire da Augustine, senza opporsi a nulla. Ma era quasi ora del thè quando le tre donne si accorsero che il Capitano ancora non faceva loro visita.
«Che strano» mormorò Mrs Colborne.
«Non ti crucciare, mia cara, sono sicuro che il Capitano ha i suoi motivi per ritardare» precisò calmo Mr Colborne, senza staccare gli occhi dal suo giornale.
«Motivi, dite. Sono sicura che nessun motivo è abbastanza valido per far attendere delle signore per bene» precisò Mrs Colborne, impettita.
Cathleen sospirò, quindi lentamente fece per alzarsi. Le girava un po' la testa, ma passò subito.
«Dove vai, cara?»
«A suonare, madre, mi distraggo un pò»
«Ti accompagno» si propose subito Emma, ma Cathleen sorrise e scosse il capo.
«Non serve, davvero Emma. Sto bene, sono in forze...non devo nemmeno salire le scale»
«Va bene...ma verrò a controllarti tra poco» precisò la sorella maggiore, sorridendole appena.
Cathleen fece altrettanto, quindi lentamente si avviò verso la sala da musica. Si sentiva la testa leggera e che le girava appena ma, pian piano, riuscì ad arrivare nella sala senza grandi problemi. Lasciò la porta semi-aperta, nel caso avesse bisogno di qualcuno ed anche per rassicurare i familiari, quindi si avvicinò al pianoforte. Cosa suonare?
Si sedette e cominciò a premere qualche tasto, distratta, con la testa che pulsava. Forse era meglio lasciar stare la musica. Rimase lì, seduta davanti la tastiera, a ripensare finalmente al Capitano e alla giornata vissuta in campagna. Sospirò, ritenendosi una stupida ad averlo aggredito con così tanta violenza. Perchè la sua testa ancora si ribellava al cuore?

Qualcuno bussò alla porta ed alzò così il viso verso l'ingresso.
«Avanti» annunciò pacata, e sorrise entusiasta quando vide lo zio Jack sulla soglia della porta.
«Zio!» esclamò felice, andandogli incontro.
«Oh la mia piccola Cathy...che cosa ti è capitato?» chiese l'uomo, abbracciandola con dolcezza.
Cathleen si godette quel gesto così caldo e rassicurante, quindi gli raccontò brevemente la sua piccola avventura.
«Cose che capitano, qui in Inghilterra. Mai fidarsi del tempo inglese, e d'altronde il nostro Capitano non poteva esserne così sicuro: non è certo un uomo di terra, e a lui due secchiate d'acqua non fanno nulla. Ma a due boccioli delicati come te e Miss Elizabeth...»
«Zio, non dirmi che provi affetto per la mia amica» chiese Cathy insolente.
«Affetto? Ah! La tua ironia è lodevole, Cathy»
«Dico sul serio, zio...perchè non ti sei mai sposato?» chiese Cathy, curiosa e seria.
«Perchè ho sposato il mare, ed il mare è un amante che non perdona. Tradito una volta, tradito per sempre. Ero giovane, ed ho sì avuto delle infatuazioni, ma nulla che potesse fermarmi. Il mare è un richiamo troppo forte, Cathy...non affezionarti troppo, lo dico per il tuo bene» mormorò lui, abbracciandola delicatamente.
«Ma io..» cercò di opporsi l'altra, senza riuscirci.
«Non parlare, vi ho visto entrambi. Ma d'altronde è logico: siete due giovani con una mente sveglia, e sareste perfetti insieme. La dedizione con cui Charles è venuto a trovarti è unica, solo un giovane come lui può prendere tanto a carico le sue scelte e conseguenze. Ma a volte i doveri ci portano lontano dal cuore, e...e allora non si può far nulla per, come dire...»
«Zio...» Cathy lo interruppe, con uno strano presentimento addosso «ti riferisci a qualcosa di preciso?»
Jack sorrise e le baciò la fronte. «No, cara, non ascoltare questo vecchio zio. Vieni, andiamo a prendere il thè, sono sicuro che tua madre mi darà una versione del tutto diversa della tua avventura» annunciò ironico, porgendole il braccio ed uscendo così dalla sala.
Ma una volta arrivati alle soglie del salotto, entrambi poterono riconoscere facilmente la voce familiare di Sir Barrington.
«Ah, Miss Cathleen!» esclamò sorridente il baronetto, e i suoi due figli si alzarono di scatto.
«Miss Cathleen...è una gioia vedervi in buona salute finalmente» annunciò il Capitano, chinando il capo. Quando lo risollevò, Cathleen lo stava ancora fissando ma presto si riprese e chinò a sua volta il capo. Il disagio e l'imbarazzo tra i due era palpabile, o almeno da entrambe le parti: avevano vissuto qualcosa di sconveniente e contro ogni regola sociale, ma consapevoli e coscienti. Si erano abbracciati, e toccati con una naturalezza che Cathleen ricordava vividamente ogni giorno.
«Sir Barrington, Mr Barrington, Capitano...vi ringrazio per la vostra visita. Sto molto meglio, si, e posso affermare con una certa coscienza di essere guarita del tutto. Miss Elizabeth sta bene?»
«Oh si, Elizabeth sta benissimo, ha avuto anche lei la febbre ma sta guarendo velocemente. Auspica di rivedervi al più presto. Bene! Immagino che possiamo andare» annunciò Sir Barrington «Mrs Colborne, è stato un piacere come sempre, a rivederla una di queste sere. Signorine...» salutò con garbo tutti, quindi fece per avviarsi verso l'ingresso.
«Mr Colborne, Mrs Colborne, signorine...Miss Cathleen, a presto» fece eco il Capitano, in evidente imbarazzo, quindi seguì il padre verso l'uscita. Mr Barrington, stranamente taciturno, salutò a malapena i presenti nel salotto e scoccò un'occhiata a Cathleen. Per un istante, le sembrò di aver percepito un odio profondo nei suoi confronti.
Cathleen arricciò le sopracciglia e fissò interrogativa il resto della famiglia, che sorrideva come se fosse Natale.
«Cathleen, siediti cara, tuo padre deve parlarti» annunciò Mrs Colborne. Cathleen si sedette vicino al padre, tremante.
«Sarò breve, Cathy: Sir Barrington ed il Capitano sono venuti per chiedermi se Charles potesse ufficialmente corteggiarti, e se avessi nulla in contrario. Io non ce l'ho, ma la mia domanda è: tu sei contraria a questo corteggiamento?»
Cathleen arrossì violentemente: non credeva alle sue parole. Scosse appena il capo, fissando imbambolata il padre.
«Molto bene, immaginavo. Passerete dunque le successive due settimane a conoscervi, ovviamente sarete sempre in compagnia di qualcuno, ed alla fine di queste due settimane Charles mi chiederà la tua mano. Dalla battaglia di Trafalgar ha preso una discreta somma di denaro come premio per le sue gesta, e seppur non sia il primogenito lo reputo degno di te»
«Ma la Marina...»
«Ha già mandato le sue dimissioni ufficiali alla Marina, il giorno dopo che siete tornati dalla passeggiata. Deve solo attendere la lettera ufficiale, ma non ci sono motivi per un rifiuto. Sir Barrington ha già promesso Adam in matrimonio, e una volta sposato potrete sposarvi anche voi due. Diciamo che per il prossimo Natale sarai la futura Mrs Barrington» annunciò il padre, sorridendo appena.
«Io ho come il presentimento che Mr Barrington non sia felice di questo matrimonio. Chissà che ti voleva per sè» precisò Emma, ridacchiando.
«Sicuramente un matrimonio con l'erede era più vantaggioso» precisò Mrs Colborne.
«Madre!» esclamò sconvolta Cathleen «non potrei mai sposare un uomo come Mr Barrington»
«Non c'è pericolo che questo accada, cara: Mr Barrington è promesso ad una Duchessa da quando è nato, stanno solo attendendo che la promessa sposa sia...abbastanza matura» precisò Edward.
Cathleen si mise a fissare qualche istante la pioggia che batteva contro la finestra del salotto, e giustificò il rosso delle sue gote con la vicinanza del fuoco. Si portò lentamente una mano alla bocca, prima di scoppiare a ridere, felice, gli occhi velati di lacrime.
Il padre rise insieme a lei, accarezzandole poi una guancia: «Santo cielo, sei davvero innamorata Cathy...» mormorò, incredulo.
«Una fortuna di queste capita una volta ogni cento anni!» esclamò Mrs Colborne, che aveva subito cambiato idea riguardo Mr Barrington. Il comportamento del Capitano verso di lei aveva in fin dei conti allontanato per sempre l'idea di Mrs Colborne di vedere sua figlia sposata al maggiore dei due fratelli.

 

La pendola nel salotto battè le cinque. Si erano presentati nella sala con qualche minuto d'anticipo, come se entrambi volessero sbrigare quella faccenda il prima possibile, non certo come se non vedessero l'ora di sedersi nello stesso tavolino. Era Maggio già da qualche giorno, ma non aveva smesso mai di piovere da quando Cathleen e gli altri ebbero quel piccolo incidente in campagna, una settimana prima.
Arthur era diventato più taciturno e indifferente di prima, se possibile, dopo la presentazione del ritratto di Emma ai loro amici e familiari. Eppure alla serata di presentazione tutti avevano apprezzato l'arte del pittore e la bravura della modella. Avevano tutti socializzato e ballato, suonato e mangiato in compagnia. E lui se n'era stato lì, in un angolo, come una timida fanciulla al suo primo ballo, senza mai chiedere a sua moglie di danzare.
Lo fissò qualche istante, mentre leggeva il giornale e sorseggiava il thè. Aveva l'aria crucciata, le rughe della fronte incavate nella pelle come un segno indelebile dei pensieri che gli arrovellavano la mente. Gli occhi erano di un bel celeste, di quello che Mr Norton usava per i fiori delle dee greche. Era puro e candido, ma la sua indole lo aveva tramutato in un celeste sporco, macchiato dal grigiore del suo cuore. Vestiva bene e poteva risultare un bell'uomo, anche colto e forse addirittura intelligente, ma aveva un unico difetto: un cuore di pietra.
«Tua sorella sta meglio?» chiese Arthur d'improvviso, la voce apatica.
«Si, sta molto meglio. Credo che a breve potrà tornare anche alle serate della Stagione. Sir Barrington ed il Capitano sono andati a trovare lei ed i miei genitori, qualche giorno fa, e quest'ultimo ha chiesto ufficialmente di corteggiare mia sorella. Pare che entro la fine dell'anno si sposeranno, il Capitano ha inviato la lettera di dimissioni dalla Marina...» spiegò Emma, sorridendo appena.
Arthur non sollevò gli occhi dal giornale, sospirò appena.
«Povero pazzo»
«Perchè?»
«Rinunciare alla vita da mare per un tetto sopra la testa, stupide serate e inutili feste»
«Le feste servono, Arthur. E' così che si socializza, è così che si mantengono i rapporti con gli amici ed i vicini, perchè quando poi servirà a noi qualcosa...nessuno ci aiuterà»
«A me non serve nulla»
«A me serve compagnia»
«Ti comprerò un cane» brontolò secco Arthur, senza guardarla.
Emma sospirò, e per un attimo non riuscì a vedere la sua tazza di thè, tanto gli occhi erano pieni di lacrime. Perchè era così ottuso, apatico e indifferente? Perchè non poteva farla felice una volta ogni tanto, come tutti i mariti?
«E comunque il Capitano non la sposa per le stupide feste, ma perchè l'ama. Sai, quel sentimento che smuove il cuore»
«Ti ricordo che io un cuore non ce l'ho, mi è stato cavato il giorno che ti ho dovuto sposare» lapidario, definitivo.
Emma tornò al suo thè, in silenzio, senza nemmeno più guardare per sbaglio il marito. La tensione potevano percepirla entrambi, lei lo sapeva, ed era solo una tensione carica di indifferenza, rimorsi, colpe, rabbia. Odio? Forse. Probabile.
«E' arrivato Mr Norton» annunciò il paggio, una volta entrato nella sala. L'aria si gelò ed il tempo sembrò fermarsi. Arthur guardò interrogativo il paggio, ma si distese in un'espressione di durezza quando Emma chiese al servo di far accomodare Mr Norton in salotto.
«Non sapevo che stessimo ancora facendo affari con quell'uomo» precisò Arthur.
«Non stiamo facendo affari, ma arte. Dovresti saperlo meglio di me.»
«E deve per forza fare arte con te, quell'avaro?»
Arthur ripiegò il giornale, la sua mascella si indurì tanto che temette si stesse spaccando i denti.
«Ti dà fastidio...» non era una domanda quella di Emma, ma una pura constatazione. Ormai sapeva riconoscere le espressioni negative dell'uomo.
Questi sbuffò, divertito. «E perchè mai dovrebbe?»
«Perchè dipinge tua moglie, e trascorre con lei molto più tempo di quanto tu abbia fatto da quando sei sposato» precisò Emma, senza che nemmeno potesse controllare le parole che diceva. Se ne pentì subito.
Arthur si alzò, con la sua aria indifferente. «Il mio compito non è farti compagnia, ma camparti. Se vuoi trascorrere tempo con quel pittore da quattro soldi, fai pure.»
«Io vorrei trascorrere tempo con mio marito»
«Ma io non voglio trascorrerlo con te, ho ben altro da fare»
Emma si zittì, lasciandosi sfuggire un sorriso amaro. Facevano così da mesi, non litigavano nemmeno. Almeno un litigio sarebbe stato un sintomo di attaccamento. Invece la loro indifferenza annullava ogni sentimento verso l'altro. Si alzò, posando il tovagliolo sul tavolo. Lasciò lì tutti i biscotti e i dolci preparati per lei, con la nausea nello stomaco e la testa che girava, le capitava spesso negli ultimi tempi quando litigava con Arthur. Ebbe la sensazione che anche Arthur avrebbe voluto dire tutto tranne che quelle parole, anche solo per non inasprire ancora di più i rapporti tra loro.
«Emma...»
Emma si avvicinò all'uscita ma il marito la anticipò, più agile, e bloccò la porta. Cercò di ricacciare indietro le lacrime mentre il marito la fissava ancora con quell'espressione, quella che non sapeva decifrare. Si guardarono a lungo, senza dirsi nulla, mentre si fissavano e studiavano reciprocamente. Alla fine Arthur aprì la porta. Non sapeva perchè non uscì subito da quella dannata stanza. Perse tempo, secondi preziosi a fissare suo marito mentre Mr Norton di sopra l'attendeva. E invece se ne stava lì, incerta, finchè alla fine non si avviò a passo deciso verso le proprie camere, per prepararsi.

«Mr Norton» annunciò Emma, una volta varcata la soglia della porta del salotto. Trovò subito il viso familiare del pittore, che le venne incontro.
«Lady Egerton, siete radiosa! Questo abito avorio vi dona in maniera divina! Ho grandi progetti per oggi, grandi! Proprio mentre vi aspettavo, è venuto qui vostro marito sapete? E indovinate che mi ha proposto: un quadro di coppia! Romantico, non trovate?»
Tacque, senza parole. Che cosa aveva cambiato l'animo di Arthur in così poco tempo? Non ebbe modo di rispondersi, dato che lo guardò varcare la soglia nel suo completo migliore.
«Lady, Sir...prego, accomodatevi. In piedi se vi aggrada, non temete Lady Egerton faremo pause più frequenti per non stancarvi. Molto bene, Sir Egerton potete porvi un passo indietro rispetto a vostra moglie, alla sua sinistra? Molte grazie. Ed ora prendete la sua mano destra con la vostra sinistra, perfetto! Bene, ed ora...fermi»
Emma rimase rigida per la prima mezz'ora della posa. Un contatto così intimo con il marito non l'aveva mai vissuto, forse nemmeno la loro prima notte di nozze. Poteva sentirne lo sguardo addosso, poteva sentirne il calore, la pelle morbida della mano, la sua presenza che si imponeva. Più alto ed atletico, si stagliava dietro di lei come una colonna sicura. Ma più trascorreva il tempo e più si rilassava e si abituava a quel contatto, a quella presenza e vicinanza. Ogni tanto sollevava il viso verso di lui, e la maggior parte delle volte ne incrociò lo sguardo, a volte persino un sorriso.
Mr Norton sembrava colto da continua ispirazione, ed i suoi pennelli e colori davano forma facilmente e velocemente mentre borbottava entusiasta.
Passarono le prime due ore senza che nessuno dei tre se ne accorse, ma alla fine Emma dovette chiedere di fermarsi: aveva lo stomaco sotto sopra e la testa che girava pericolosamente. Si accomodò lentamente su un divano, senza dire niente al marito, e salutò Mr Norton che avvisò sarebbe tornato domani per proseguire l'opera.
«Stai bene? Vuoi che ti faccia portare dell'acqua?» le chiese Arthur, sedendosi al suo fianco e accarezzandole appena la guancia col dorso delle dita.
«No, non preoccuparti, avevo solo bisogno di riposarmi» si limitò a dire Emma. Osservò il marito al suo fianco, e lentamente si strinsero la mano.
«Sei più bella del solito, con questo vestito...» mormorò Arthur, senza sorridere ma fissandola. Emma gli sorrise con dolcezza e strinse la mano un po' di più.
Si sentiva strana, come più leggera, come se stesse per svenire, con le ginocchia tremanti. Era così che ci si sentiva da innamorati?
«Perchè hai voluto fare il quadro con me...?» gli chiese, osservandolo.
Arthur tacque ma lei gli strinse di più la mano. “Dimmelo” diceva quel gesto.
«Ero geloso»
Emma sorrise, trionfante.
«Mi doveva solo dipingere»
«Ti doveva guardare...»
«Beh si, per dipingere le cose bisogna guardarle...»
«Tu non sei una cosa, sei mia moglie. E nessuno ti guarda senza il mio permesso. Lui questo permesso non l'ha»
Emma stentava a credere che l'udito le funzionasse ancora. Chi era quell'uomo che aveva davanti?
Arthur le accarezzò di nuovo la guancia, con dolcezza. «Emma...»
«Si...?»
«Io...» il giovane deglutì, si avvicinò a lei incerto. Emma non si ritrasse, non era come le altre rare volte che l'aveva cercata, di notte, per ubbidire al loro ruolo di marito e moglie. Arthur la voleva, lo capiva. Entrambi stavano tremando, incerti come due foglie gettate nel vento. Arthur chiuse istintivamente gli occhi, e così anche lei. Sentiva già il sapore delle sue labbra ancora prima che toccassero le sue, ma non fece in tempo a tastarne la morbidezza.
Gridò quando una fitta di dolore le attraversò il ventre, piegandola in due. Ritrasse le mani, portandole attorno al busto.
«Emma!» esclamò allarmato Arthur, sostenendola. Emma non riuscì a rispondere. Teneva gli occhi chiusi e gemeva di dolore, poggiata al marito e le mani strette al ventre. Arthur fece per sollevarla e vide il candore dell'abito macchiarsi velocemente di sangue, all'altezza dell'inguine. Il terrore lo assalì. Corse a suonare la campana per la servitù come un forsennato, quindi la prese di peso e corse verso la camera da letto, gridando a chiunque incontrasse di chiamare un medico.

Una pioggia torrenziale si abbatté su Bath nel pomeriggio, e la famiglia Colborne arrivò nell'appartamento di Emma bagnati come pulcini. Mr Colborne, Charlotte ed Edward erano rimasti in salotto, tesi e preoccupati, ma Mrs Colborne, Fanny e Cathleen salirono velocemente su per le scale, verso la camera da letto. Non bussarono alla porta, ma attesero pazienti che Arthur uscì silenzioso da essa.
«Grazie per essere venute, Emma ha bisogno di voi più che mai...» mormorò, una volta richiusa la porta. Era pallido come un fantasma, il viso teso ed i capelli rossi scompigliati.
«Che cosa è successo, Arthur?» chiese Cathleen, senza fronzoli.
«Era incinta...ha perso il bambino» sibilò Arthur, chinando il capo.
«Oh, povera Emma...» ammise Fanny, portandosi una mano alla bocca.
«Il dottore dice che nei primi tre mesi della gravidanza è comune perdere il bambino. Non mi aveva detto nulla, ma credo che lei avesse qualche sospetto. Come biasimarla, d'altronde? Sono stato un marito assente, e quando presente ero distratto da qualunque cosa che non fosse lei. E' tutta colpa mia...se fossi stato più gentile e presente...» Arthur nascose il volto tra le mani, e Mrs Colborne gli diede due pacche sulla spalla, con garbo.
«Non dite sciocchezze, Arthur, non si perde un figlio per le disattenzioni di un marito. A volte è davvero normale e comune, soprattutto quando si è giovani e inesperte come Emma. Ora le ci vuole solo molto riposo e poi riproverete, con calma»
Arthur annuì. «Il medico ci ha consigliato di tornare a casa non appena è abbastanza in forze. L'aria di campagna le farà bene. Potete vederla, se volete, ma uno alla volta. Io vado di sotto...» e lentamente scese le scale, affranto.
«Povero caro...» ammise Mrs Colborne, entrando per prima nella camera di Emma.
«Povero caro un accidente. E' tutta colpa sua...» brontolò Fanny, una volta che la madre si richiuse la porta alle spalle.
«Fanny...»
«Che c'è? Non è così? E' uno scontroso, iracondo, lunatico, sgarbato...come poteva pretendere che Emma vivesse tranquilla e serena con lui?»
«Forse non sapeva come dimostrarle affetto, forse non volevano litigare così tanto. Ma a volte è più facile che impegnarsi nel costruire una solida relazione»
«E tu che ne sai, mh?» brontolò rigida Fanny.
«Nulla, Fanny. Si è semplicemente ritrovata con un marito che non voleva, e Arthur con una moglie che non aveva chiesto»
«Tutte le coppie sono così»
«Ma non tutti siamo uguali. Forse, tramite questa brutta esperienza, tutto migliorerà» e lo sperava davvero e con tutta se stessa.
Dopo il turno della madre fu quello di Fanny e, infine, il suo. Entrò lentamente nella stanza, illuminata dal grigiore della tempesta che c'era fuori. Sul comodino qualcuno avevo messo un vaso di fiori, i suoi libri preferiti e qualche dolcetto rimasto intatto.
Emma era sdraiata sul letto, ben coperta, i capelli biondi chiusi in una treccia che poggiava sulla spalla, e lo sguardo girato verso le finestre. Era pallida e spenta, priva di alcuna espressione.
«Emma...» mormorò con dolcezza il suo nome, sedendole al fianco e stringendole la mano.
«Sta ancora piovendo fuori...» mormorò la sorella, la voce roca per aver parlato poco.
Cathleen le baciò il dorso della mano. «Mia piccola Emma...»
«Mi piace la pioggia...»
«Emma...»
Emma non rispose, chiuse lentamente gli occhi e tacque, senza dire nient'altro. Tacquero entrambe. Cathleen la fissò a lungo, poi lentamente aggirò il letto, si tolse le scarpe e si sdraiò sul letto, al suo fianco, abbracciandola. Le baciò i capelli, si strinse a lei.
«Andrà tutto bene, te lo prometto. Andrà tutto bene. Quando te la sentirai, torneremo a casa. Basta con la stagione, basta con questa città...torniamo a casa nostra, staremo sempre insieme, e passerà, passerà tutto...»
Emma tacque, ancora. Si lasciò abbracciare e, lentamente, si addormentò.

 

Per finire: ben trovat*! Un capitolo con uno snodo importante! Finalmente le nostre coppie si stanno sbrogliando: Charles ha rinunciato alla Marina per amore di Cathy, e ringraziando il cielo la madre si è tolta la fissa per Adam ahah! Emma, che finalmente stava per sciogliere il gelido marito, purtroppo scopre di essere incinta e di aver abortito nello stesso momento. Nel 1800 era molto comune, come lo era fino a qualche decennio fa, ma immagino che fosse comunque un momento terribile per una donna e per una coppia. Chissà che questa gravidanza persa non aiuti la coppia a riunirsi. Spero che vi sia piaciuto questo capitolo, fatemelo sapere e alla prossima! :D

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Capitolo 11
*** Wife and Husband ***


11. Wife and Husband
 

 

20 Giugno 1806

Camminava lentamente tra i corridoi di Barrington House. Era Giugno inoltrato ed era passato quasi un mese dal loro ritorno da Bath. Era fisicamente in forze, ma la testa era ricolma di pensieri, domande, dubbi.
Arthur le era stato accanto, mai come in quel periodo. La perdita di un figlio aveva avvicinato uno all'altra, lentamente e con discrezione. Da un sorriso ad una parola in confidenza. Aveva trascorso le ultime settimane seduta in giardino, incapace di fare nulla, di pensare a nulla. Solo al quel bambino perso, a quella macchia rosso vivo sulle lenzuola che veniva portate via, a quel dolore che avrebbe dovuto subire al parto, e non abortendo. Ed era stata tutta colpa sua, del suo essere testarda, debole, lamentosa come una bambina. Avrebbe dovuto avvisare Arthur del suo sospetto di essere incinta...per quell'ora forse avrebbero ancora loro figlio, e i loro sentimenti sarebbero stati più forti. O forse no?
Non aveva la forza di pensare a tutto ciò: sua madre le aveva detto che doveva andare avanti, tornare a essere se stessa, provare di nuovo. Che a tutte le donne capita, che era capitato anche a lei, da giovane, prima di avere Edward. Ma come poteva provare di nuovo, come se fosse un semplice esercizio tecnico di solfeggio? Era complicato, e lei ed Arthur ancora non si toccavano dall'ultima volta: per odio prima, per senso di colpa poi.
«Arthur?» chiamò appena, senza alzare troppo la voce. Parlava di rado e urlava ancora meno. In quanto ai sorrisi, lo sapeva, erano più rari di un miracolo. Era trasformata, il matrimonio e la perdita del bambino l'avevano completamente cambiata.
Arthur non rispose, così continuò il suo incedere lungo il corridoio illuminato dalle candele, per combattere il buio che era sceso appena dopo il vespro di quella estiva quanto fresca giornata. Si strinse mollemente lo scialle sulle spalle, i capelli in disordine e con addosso lo stesso abito del giorno precedente. Sentì qualche suono, come di uno strumento che veniva accordato, e si bloccò con il sangue gelato nelle vene.
Arthur stava suonando nella Music Room. Deglutì a fatica: non entrava in quella stanza da mesi ormai Ebbe un fremito alle mani, come se cercassero di spingerla ad entrare, come se la pregassero.
Si fece coraggio, quindi lentamente avanzò ed aprì la porta della Sala. Vide subito Arthur, chino verso uno scaffale pieno di spartiti, che cercava con insistenza.
«Cerchi qualcosa?» gli chiese, facendolo sobbalzare dalla paura. Emma sorrise appena e così fece anche il marito.
«Dì un po', vuoi farmi venire un malore vero? Non ti biasimo» mormorò Arthur, sarcastico.
Emma si avvicinò, sorridendo appena. «Giammai, mio caro marito. Cosa cerchi?» rispose con altrettanto sarcasmo, avvicinandosi. Evitò volutamente di inquadrare nel proprio sguardo la sua arpa, poggiata lì al centro della stanza, a prendere solo polvere.
«Oh nulla, solo qualcosa da suonare, per passatempo. Consigli?»
«Non saprei...» mormorò Emma, lanciando un'occhiata agli spartiti. Le mani ebbero un secondo fremito che dovette nascondere, stringendo lo scialle sulle spalle. Lo sguardo cadde inesorabilmente sulla sua arpa ed ebbe un brivido lungo la schiena, che la fece sorridere appena, con rammarico.
«Ebbene?» insistette suo marito, indicandole gli spartiti. Emma si avvicinò, incerta, prese a sfogliarli, quindi sollevò il viso al cielo, presa da una folgorazione improvvisa.
«Perchè non suoni L'arrivo della Regina di Saba?»
«Uh, Handel, ottima scelta. Certo, come solista è un po' impegnativo...non trovi? Se solo trovassi un accompagnamento...» mormorò, con tono teatrale.
«Arthur, io non...» sussurrò incerta Emma, deglutendo.
«Oh avanti, Emma, non dirmi che non ti manca la tua arpa. E a me manca, quindi devi per forza suonare» precisò Arthur, sorridendo divertito e porgendole una mano. Impiegò molto, ma alla fine Emma la strinse con garbo e si lasciò guidare lentamente verso lo sgabello davanti l'arpa. Osservò lo strumento, impolverato e rigido come un povero vecchio, senza più cure.
Si sedette, sistemò l'arpa e poggiò le mani sulle corde tese, in vibrante attesa. Socchiuse gli occhi, le palpebre tremavano appena, e alla fine guardò il marito alla sua destra, il violoncello in posizione.
«Non ce la faccio...» mormorò Emma, gli occhi che si riempivano di lacrime.
Arthur sorrise, annuendo. «Ce la fai, Emma, ce la faremo insieme. Forza, suonami Handel...per favore»
Emma deglutì a fatica, quindi osservò le dita e le corde. Le pizzicò, con incertezza e, dopo poche note, stonò miseramente. Arretrò appena con le dita ma il marito la fissava ancora, con calma.
«Non stai suonando col cuore, Emma. Chiudi gli occhi, e lasciati guidare da esso, lasciati guidare dalla musica. La musica salva ogni afflizione e turbamento, lo sai meglio di me. Forza...» la incoraggiò, con garbo.
Emma chiuse lentamente gli occhi, quindi ricominciò da capo. Prima incerta, poi sempre più sicura, le note si spalancavano radiose e leggiadre come musica divina e celestiale, risuonando in tutta la Music Room. Non c'era più nulla intorno a lei, non c'erano più pensieri nella sua testa, né dolore nel suo cuore. Muoveva appena il capo, a quel ritmo celestiale, mentre davanti alla sua fantasia si apriva il corteo festante che accoglieva la Regina di Saba alla dimora di Salomone, tra cori e danze. Le dita pizzicavano con maestria e scioltezza le corde, come se avessero una propria memoria, come se avessero ritrovato da sole quella strada da molto tempo abbandonata ma mai dimenticata del tutto. Quando le ultime corde furono pizzicate, Emma poggiò appena la testa contro il proprio strumento e sorrise, aprendo gli occhi.
«Ci sei mancata, Emma» mormorò Arthur, che fino ad allora l'aveva accompagnata con il violoncello.
La giovane sorrise di più, osservando il marito, e non riuscì ad evitare il pensiero che, sorridente e calmo, era di una bellezza disarmante. Arrossì appena a quel pensiero e cercò di distrarsi, ma scoppiò quasi a ridere quando Arthur imbracciò il violoncello, come una chitarra, con la fascia laterale poggiata sulla sua coscia.
«Ma cosa fai?»
«Ho intenzione di invitare dei vecchi amici a suonare un concerto di Boccherini, qui a casa nostra, se e quando a te sarà gradito, cara. E così pensavo di rinfrescarmi la memoria, mi aiuti?» rispose Arthur, guardandola con sfida.
Emma rise appena, scuotendo la testa, quindi sistemò di nuovo l'arpa e fissò Arthur, in attesa che cominciasse a suonare.
La serata proseguì con quasi tutto il repertorio di Boccherini, che cercarono modestamente di riprodurre con solo un'arpa e un violoncello. I loro cuori non piangevano più e nemmeno i loro occhi. Al contrario, le bocche erano aperte alle risate allegre e gli occhi lacrimanti di divertimento. Arthur espresse tutto il suo folle e divertente stile musicale, ed Emma si lasciò coinvolgere e influenzare. Suonarono come due bambini, cantandolo a squarciagola.


«Arthur, ti prego basta ridere, non riesco nemmeno...a camminare!» esclamò Emma, cercando di camminare piano data l'ora tarda: molti servitori erano andati sicuramente a dormire, se non tutti. Stavano risalendo nella zona notte della casa, sottobraccio come due ubriaconi, seppur l'unica ebbrezza provata era quella data dalla felicità.
«Io? Guarda che io non sto facendo nulla, sei tu che hai cercato di suonare il violoncello. Assolutamente disdicevole, Lady Egerton...» borbottò Arthur, facendo scoppiare Emma in una sonora risata, seguita a ruota dal marito. Si bloccarono di colpo, nel movimento e nel ridere, quando una porta si spalancò e videro un'assonnata cameriera, in vestaglia e candela in mano, sul ciglio della porta.
«Tutto bene, signori...?» rantolò quella, assonnata ma allarmata probabilmente dal chiasso.
«Si, certo Josephine, puoi andare a dormire. Buonanotte...» annunciò serio e gelido Arthur, com'era solito fare. Quando Josephine richiuse la porta, marito e moglie si dovettero tappare entrambe le bocche con le mani per evitare che le loro risate si sentissero fino a Bath. Corsero fino alla zona notte padronale e lì si fermarono davanti a due porte: le loro camere separate. Si zittirono entrambi, probabilmente colti dallo stesso dubbio.
«Bene...allora buonanotte» annunciò Arthur dopo secondi interminabili.
«Si, certo...buonanotte Arthur» rispose Emma, girandosi verso il marito il quale, castamente, le baciò una guancia e poi, con calma, entrò nella sua stanza.
Emma fece altrettanto, facendo silenzio: qualcuno della servitù aveva acceso le candele dentro la camera ma nonostante quello l'oscurità l'opprimeva. Si appoggiò alla porta con la schiena, fissando il buio nella stanza, quella stanza doveva aveva pianto per mesi, prima per un matrimonio infelice, poi per un figlio mai nato. Aveva senso stare ancora lì? Voleva davvero stare lì, soprattutto? Deglutì, si sedette sul bordo del letto. Si spogliò, infilandosi poi la veste da notte. Si sciolse i capelli, lasciando che una cascata di onde dorate ricadessero sulla schiena. Sbadigliò, data l'ora tarda, e provò a sdraiarsi sotto le gelide coperte. Fissò a lungo il baldacchino del proprio letto, sentendo la pendola contare i secondi, i minuti...
«Basta» borbottò alla fine, esasperata. Si alzò quasi avesse dei bracieri bollenti nel letto, prese il porta candela, si gettò lo scialle sulle spalle ed uscì dalla stanza: il silenzio e l'oscurità la invasero in pieno. Si avvicinò lentamente alla porta del marito, poggiò l'orecchio contro il legno: non sentiva nessun rumore. Deglutì, ma si fece coraggio e lentamente aprì la porta, sgattaiolando dentro prima di chiudersi la porta alle spalle. Non era mai stata lì dentro, in tutti quei mesi di matrimonio: era sempre Arthur a farle visita, mai il contrario. Arrossì a quel pensiero ma si fece coraggio e si avvicinò.
«Emma?» la voce impastata di sonno del marito non celava affatto la sua sorpresa.
«Io...non riesco a dormire in quella stanza» ammise candidamente lei, a bassa voce. Arthur si tirò su immediatamente. La luce della candela ne illuminava appena il torace nudo, i capelli rossi disordinati e l'aria confusa.
«Vuoi...dormire qui?» propose lui, osservandola.
«Potrei, certo...se non ti reco disturbo» rispose la moglie, avvicinandosi incerta.
«Basta che non russi...» commentò ironico Arthur, scivolando di lato e facendole spazio. Emma ridacchiò appena, rilassandosi immediatamente. Si tolse lo scialle e poggiò la candela sul comodino, poi s'infilò sotto le coperte calde e accoglienti. Tremò appena, incerta se fosse il freddo e il nervosismo.
«Emma?»
«Si?»
«Mi spiace sia andata così...» il tono del marito era serio ma sincero.
«Lo so, Arthur. Non lo abbiamo scelto noi, ci è stato imposto. Ma vedrai che ce la faremo»
«Per notti intere pensavo a cosa fare, ma lasciare l'Inghilterra significava venderela tenuta: non abbiamo più parenti, né prossimi né lontani, e avrei dovuto cacciare mia madre e mia sorella da casa loro, dove sono nate e vissute. Non potevo farlo, ma allo stesso tempo odiavo mio padre per avermi fatto tornare di forza, se solo me lo avesse chiesto...»
«Cosa è successo tra voi due?»
«Beh da bambino ero una gran testa calda, ne combinavo di tutti i colori, mio padre s'infuriava con me ogni giorno. Quando avevo sedici anni mi innamorai di una popolana e, quel che è peggio...lei rimase incinta»
Emma si girò di scatto, fissando il marito nella penombra.
«Ero uno sciocco, te l'ho detto. Mio padre quasi morì di crepacuore quel giorno. Mi cacciò via, mi mandò a studiare in Europa gridando che mai avrei rimesso piedi in casa sua. In quanto alla ragazza, purtroppo...» si fermò ma Emma capì comunque.
«E non vi vedeste mai più, tu e tuo padre?»
«No, mai. Mia madre e mia sorella mi scrivevano mensilmente, ed io rispondevo loro con stizza nei primi mesi, con rimorso nei successivi. Mi dicevano che col passare del tempo mio padre si era pentito della scelta ma che, orgoglioso com'era, non mi avrebbe mai richiamato. Ed io ero troppo orgoglioso per tornare in ginocchio. Immagino che questo sia stato il suo modo di farmi tornare a casa, dalla mia famiglia»
Emma tacque, osservandolo in silenzio.
«Pensavo di essere stata io la vittima di questo matrimonio, ma ora comincio a pensare che sei tu...»
Arthur sorrise appena, mestamente. «Lo siamo entrambi, Emma. Siamo stati anche due sciocchi, ma credo che...sì, credo che nostro figlio ci abbia fatto avvicinare, per la prima volta in tutti questi mesi»
Emma sorrise di nuovo, triste. Sentì la mano di Arthur, calda, stringersi alla sua più fredda. La prese delicatamente e la portò alla bocca baciandola.
«Andrà tutto bene, Emma, te lo prometto. Mi prenderò cura di te, in ogni tua necessità, e cercherò di amarti e onorarti, finchè morte non ci separi. E avverrà molto presto, se continuiamo a suonare Boccherini»
La giovane rise divertita e strinse forte la mano del marito.
«Lo farò anche io: cercherò di essere una brava moglie, di assisterti, onorarti e...e amarti. Ma devo confessarti una cosa...»
«Cosa...» sussurrò Arthur, serio.
«Io russo davvero...»
Scoppiarono entrambi a ridere, nascondendosi sotto le coperte per evitare di svegliare tutta Egerton House.




Era uno splendido pomeriggio di Giugno, il sole era alto nel cielo e l'abbigliamento estivo era stato rinfrescato e indossato prima del previsto, data l'estate calda. Era stato organizzato un magnifico pic-nic nel giardino dei Barrington per festeggiare l'ingresso dell'estate e l'inizio del raccolto, e molti vicini erano stati invitati. I più giovani stavano giocando a cricket nel prato adiacente, mentre le coppie già sposate passeggiavano o chiacchieravano all'ombra delle bianche tende, davanti ad una bella tazza di thè pomeridiano.
Cathleen e Charles camminavano per la grande tenuta dei Barrington, tenuti a vista dagli adulti della compagnia come l'etichetta imponeva ma, a conti fatti, nessuno aveva intenzione di disturbare corteggiatore e corteggiata. Cathleen poteva sentire suo fratello e Mr Barrington discutere animatamente per un punteggio non dato mentre giocavano a cricket.
«Vi ho mai mostrato il ruscello della tenuta? C'è un ponticello in pietra, sopra, dove da piccolo mi piaceva molto pescare. Non temente, non è lontano, non ci coglierà la tempesta questa volta» annunciò di punto in bianco il Capitano, sorridendo appena.
«Certamente, andiamo» rispose sorridente Cathleen.
La residenza dei Barrington era grande, con innumerevoli stanze e centinaia di servitori, ma il suo giardino era il più grande della zona in assoluto. La parte più vicina alla residenza riprendeva la moda del giardino italiano, con siepi, statue greche e fontane, un gazebo in pietra ed un vasto prato; più in lontananza, c'era un labirinto circolare fatto di alte siepi, un ruscello con un ponte di pietra, e persino un piccolo bosco per la caccia. Una piccola comunità di scoiattoli gironzolavano allegri per gli acri della tenuta, e si poteva vedere persino qualche falco pellegrino sorvolare la zona di caccia.
Dalla residenza al ruscello non c'era molta distanza, impiegarono meno di mezz'ora, giusto il tempo per far arrossire le gote di Cathleen per il calore e la fatica della camminata.
«Eccoci qua» annunciò il Capitano, indicando il piccolo e romantico ponticello di pietra che attraversava il ruscello, gorgogliante e cristallino. Cathleen salì sul ponte per prima, lentamente, avendo tempo di godersi quel momento: il sole rifletteva sull'acqua trasparente, le rondini cantavano allegre e intorno a loro c'era solo pace e tranquillità. Sorrise al Capitano, vicino a lei, e poggiò le mani sulla balaustra.
«E' davvero un posto incantevole...»
«E' vero. Da piccolo venivo spesso qui, con mia madre o mio nonno. Pescavamo, cantavamo,..poi, da adulto e quando ero in licenza, mi sono recato qui con frequenza per trovare pace e conforto dai problemi che assillano solo i grandi, e fortunamente mai i bambini»
Cathleen sorrise, annuendo appena. Rimasero vicini, uno accanto all'altro e in silenzio, a lungo.Il vento estivo le smuoveva appena l'abito di mussola bianca e qualche ciocca di capelli che sfuggivano insolenti alla capigliatura.
«Miss Cathleen...?» chiamò improvvisamente il Capitano.
«Si?»
«Io...ho da dirvi una cosa»
«Ditemi pure, Capitano» l'etichetta le imponeva garbo e discrezione, ma in quel momento avrebbe voluto gridare al giovane di sbrigarsi a parlare perchè aveva atteso fin troppo.
«Ebbene...Immagino sappiate già della mia richiesta a vostro padre, quello di poter trascorrere del tempo con voi, per conoscervi. Sapete anche, immagino, della mia lettera di dimissioni alla Marina. Ho sempre pensato che se avessi mai lasciato la mia carriera militare sarebbe stato per una donna intelligente, forte, una mia pari...e quella donna siete voi, Miss Cathleen» annunciò serio il giovane, prendendole poi le mani «non sono bravo con le parole, ma credo di avervi già dimostrato con i fatti che mi siete cara. Spero di non offendervi con queste parole, ma in caso contrario basta una vostra parola e mi fermerò»
Cathleen lo fissava senza dire nulla, totalmente in balìa delle sue parole. Non era una dichiarazione romantica e appassionata come nei romanzi che aveva letto, ma era la sua dichiarazione...solo per lei. Sorrise al Capitano, stringendo le sue mani.
«Continuate pure, Capitano, vi ascolto...» mormorò Cathleen, tradendo l'emozione nella sua voce.
«Ebbene...» annunciò il giovane, e si inginocchiò lentamente davanti alla giovane, la quale sorrise ancora di più, emozionata «Miss Cathleen, volete sposarmi?»
«Sì» rispose subito Cathleen, annuendo «mille volte sì, temevo non me l'avreste mai chiesto!» esclamò alla fine Cathleen, sollevata e sorridendo tremante.
Il Capitano si alzò di scatto, sorridendo raggiante e stringendole ancora le mani, emozionati come due bambini. Si guardarono a lungo, ridendo e sorridendo senza ragione alcuna. Ma lì la ragione non aveva proprio senso, lo sapevano entrambi.


«Forza, siediti e raccontami tutto. Voglio sapere ogni dettaglio!» mormorò Emma eccitata, facendo sedere la sorella davanti al camino. Charlotte e Mrs Colborne erano già sedute e in attesa, mentre Mr Colborne ed Edward erano in un angolo del salotto a leggere, seppur Cathleen avesse giurato di aver colto il padre di sorpresa, un paio di volte, guardare verso di loro con la coda dell'occhio.
«Non c'è nulla da raccontare, Emma. Stavamo passeggiando per il parco, mi ha mostrato quel grazioso ponticello che hanno vicino al bosco, e...mi ha chiesto se volevo sposarlo. E io ho detto sì»
Charlotte sospirò sognante, e così fece anche Emma.
«Oh cara sono così contenta che finalmente il Capitano si sia fatto avanti! Certo, avrei preferito suo fratello, ma...»
«Mr Barrington? Dite madre, siete fuori di senno?»
«Emma, non parlare così a tua madre»
«Scusate padre, ma sono sinceramente sorpresa. Come può nostra madre preferire un uomo tanto insulso, iracondo e poco attraente a suo fratello, che ne è l'esatto opposto?»
«Credo che la sua rendita lo faccia rendere un uomo perfetto agli occhi di tua madre»
«Che assurdità, una rendita perfetta non rende un uomo migliore...» precisò Emma seria.
«Come Sir Egerton?» disse candidamente Charlotte.
Emma diventò paonazza ma fulminò subito la sorella minore. Tutti si accorsero di come avesse difeso, seppur non a parole, l'opinione del marito, ma nessuno disse nulla.
«Fatto sta» riprese Mrs Colborne «che dovrai aspettare per sposarti, Cathy. Non potete sposarvi se prima non lo farà Mr Barrington»
«Lo so, ma Sir Barrington ha assicurato che entro la fine dell'estate Mr Barrington si sposerà, ed allora potremmo sposarci anche noi» commentò prontamente Cathleen. Sir Barrington aveva tenuto molto a rassicurare lei e Mr Colborne riguardo tale faccenda, firmando anche un pre-contratto dove si impegnavano a rispettare la parola data entro i termini previsti.
«Allora è tutto sistemato, no? Presto dovremmo andare dalla sarta per farti un vestito» annunciò entusiasta Mrs Colborne.
Cathleen ascoltò con piacere le chiacchiere matrimoniali di Emma e della madre, seppur non faceva altro che pensare a come poteva essere diventare Mrs Barrington, la moglie del Capitano.






L'estate, quell'anno, era molto calda e allo stesso tempo molto piovosa. Un equilibrio leggero e a volte instabile, come ogni cosa lì in quella bucolica campagna inglese. Quel giorno, quel primo giorno di Luglio, il sole era alto nel cielo e nulla poteva davvero rabbuiare la mente di Cathleen. Era seduta su una panchina in legno nel suo giardino di lavande, e ad occhi chiusi poteva sentire il calore intenso del sole sul viso. Stormi di uccelli si muovevano nell'aria, creando fantasiosi disegni, ed un profumo intenso di lavanda permeava tutto intorno a lei.
Sentì dei passi sul ciottolato ma non se ne curò, non finchè non riconobbe quella colonia così stuzzichevole e familiare.
«Charles!» esclamò felice, aprendo di scatto gli occhi. Si alzò, andando ad abbracciare il suo adorato Charles, che ricambiò con slancio il suo gesto. Le baciò la fronte con delicatezza, ma aveva sul viso un'espressione tesa, contrita. Cathleen sapeva che qualcosa lo crucciava.
«Cosa c'è?» chiese subito, e Charles sorrise appena.
«Ormai conosci i miei sentimenti meglio di me»
«Sono un'ottima osservatrice»
«E' vero. Ebbene...c'è qualcosa che debbo dirti. Una infausta notizia, invero, che non avevo calcolato» ammise sincero e schietto come solo il Capitano sapeva essere.
Cathleen deglutì ma si lasciò guidare dalla sicurezza di Charles, con cui si sedette sulla panchina.
«Il matrimonio è stato annullato?» chiese lei, temendo il peggio.
Charles sorrise appena, sfiorandole la guancia in una carezza. «No, mia dolce Cathleen. Ma ho ricevuto questa» e dalla tasca estrasse una lettera, sgualcita ma con il timbro rotto ben in evidenza: l'emblema della Marina. Deglutì, osservando Charles che si limitò a ricambiare lo sguardo. Doveva leggere. Aprì lentamente la lettera, con mani incerte, e lesse il contenuto della lettera. Il cuore si fermò qualche istante.
«Ma come, io...non capisco» ammise Cathleen, confusa.
«Nemmeno io, ma credo che la mia lettera di dimissione non è mai stata pervenuta, a volte le lettere vanno perdute, non sarebbe la prima volta. E così la Marina, non sapendo delle mie dimissioni, mi ha richiamato per un breve viaggio»
«Ma devi partire per forza?» chiese Cathleen, sentendo già gli occhi umidi e la voce tremante.
«Temo di si, mia dolce Cathleen, il dovere mi chiama un'ultima volta. Non devi temere: è solo un viaggio di ricognizione, è molto usuale dopo una grande vittoria navale. Starò via per un mese a malapena: partirò fra un paio di giorni e tornerò prima della raccolta del grano, e a quel punto...» si fermò, sorridendole con dolcezza «diventeremo marito e moglie»
Cathleen sospirò, porgendogli la lettera. Deglutì e fissò il cielo sereno sopra di lei.
«So che ti sto chiedendo tanto, Cathleen, a te e alla tua famiglia. Per questo devo chiederti di rispondere con sincerità alla domanda che sto per porti: mi aspetterai?»
Cathleen lo guardò di scatto e sorrise, prendendogli una mano.
«Certo che ti aspetterò, Charles, dovessi aspettare l'eternità»
«Spero che sia meno di un'eternità, potrei stufarmi di vedere solo il mare e non i tuoi occhi» rispose leggero Charles, facendola sorridere. Si zittirono, maturando lentamente l'idea della lontananza fisica e mentale per così tanto tempo. Non dissero nulla per molto tempo, poi Charle lentamente si sdraiò sulla panchina, posando la testa sulle gambe della sua amata. Cathleen gli sorrise, guardandolo dall'alto, e gli accarezzò dolcemente i capelli castani; notò qualche capello grigio sparso sulla nuca e sorrise appena, divertita.
«Cosa ridi?» chiese lui, sorridente.
«Hai i capelli bianchi»
«Verranno presto anche a te, non temere»
«Oh beh, potrò sempre tingerli o usare qualche vaporosa parrucca»
«Come quella di mia nonna, con le pulci dentro?»
«Cielo, Charles, sei disgustoso!» esclamò lei, ridendo divertita.
Il silenzio tornò di nuovo, un dolce vento estivo si alzò sopra di loro trasportando un intenso odore di lavanda. Charles portò di nuovo gli occhi su Cathleen, sorridendo.
«Ecco, io e te siamo come la lavanda: sempreverde, rende il suo cespuglio profumato e vigoroso. Nè la neve né la siccità può procurarle danno, e si staglia forte davanti ad ogni avversità. Noi saremo così Cathleen, te lo prometto: questo viaggio non ci scalfirà né ci allontanerà. Sarà solo più bello quando ci rivedremo, e quando accadrà vorrà dire che mancherà poco prima di sposarci»
Cathleen sorrise per tutto il tempo, prima di annuire. «Come la lavanda, va bene. Ma torna presto, Capitano»
«Sarà fatto, Ammiraglio...» mormorò Charles, baciandole la mano che stringeva.




Se ne stava in piedi, in cima alla scalinata di Barrington House, mentre i paggi finivano di caricare la carrozza.
Charles indossava la sua divisa della Marina, la stessa che aveva quando lo aveva visto per la prima volta, quella che probabilmente aiutò a farla innamorare di lui. Quel portamento regale, d'altri tempi, il modo in cui portava con orgoglio quelle mostrine e quelle medaglie, il modo in cui i bottoni dorati della giacca brillavano. Il suo viso era teso mentre parlava a suo padre, che sembrava invecchiato improvvisamente.
Charles abbracciò il padre con affetto, sorridendogli e mormorando qualcosa. Sollevò gli occhi verso la scalinata, Cathleen seguì il suo sguardo e si girò dietro di lei. Adam era in cima alla scalinata di marmo, serio e tetro come un'ombra. Sollevò appena il mento verso il fratello, a mò di saluto, quindi rientrò nel palazzo. Molti scambiarono quel gesto come imbarazzo nel lasciarsi andare ad un addio doloroso dal fratello, ma Cathleen ebbe di nuovo la sensazione che Adam guardasse il fratello con occhi colmi di risentimento. Perchè tutto quell'astio?
Si distrasse quando Sir Barrington salì lentamente le scale, incrociandone gli occhi: aveva due grosse lacrime che gli solcavano le guance, ed il cuore di Cathleen si fece piccolo. Gli sorrise appena, con dolcezza, quindi scese la scalinata sollevando appena l'abito azzurro. Si avvicinò a Charles, che attendeva impettito ma lo sguardo sereno e rilassato. Per qualche secondo non riuscirono a dirsi nulla, ma alla fine fu Charles a muoversi, prendendo la mano della giovane e baciandola con affetto.
«A presto, mia dolce Cathleen. Ricorda la tua promessa»
«Scrivere una breve sonata al pianoforte?»
«Esatto. Il tempo di finire la composizione ed io sarò tornato, pronto ad ascoltarla»
Cathleen sorrise, stringendo forte la sua mano. «Sta attento. E torna presto»
«Lo farò» mormorò Charles, quindi aprì la porta della carrozza e salì, richiudendola.
Cathleen estrasse qualcosa dalla tasca dell'abito e la consegnò della sua mano.
«Lo sai che non sono molto brava...mi ha aiutato Elizabeth a farlo»
Charles osservò il fazzoletto bianco, ricamato ai bordi e con sopra le doppie consonanti “C. C.”
«Le tue iniziali?»
«Le nostre iniziali» precisò lei, sorridendo dolcemente. Charles le strinse di nuovo la mano, infilando il fazzoletto nella tasca sul petto della giacca.
«Lo custodirò come il più prezioso dei miei tesori. A presto, mia dolce Cathleen»
«A presto, Charles...»
Il Capitano sorrise, quindi sventolò la mano verso chi era rimasto la scalinata, ed infine la carrozza partì veloce, diretta a Londra.



Per finire: bentornat* a tutt*! Come si dice? Una storia d'amore non è bella abbastanza se non ci ostacoli di mezzo, e qui ce n'è uno bello grosso :P Finalmente Charles si è deciso ed ha chiesto a Cathleen di sposarlo, ma subito dopo deve partire per una maledetta lettera non arrivata, che strano vero? Eppure deve partire, lasciando solo momentaneamente la sua amata. In quanto ad Emma e Arthur, invece, si riavvicinano sentilmentalmente grazie soprattutto al loro amore per la musica «3 Che altro dirvi? Spero vi sia piaciuto questo capitolo, fatemelo sapere e al prossimo capitolo! Ne vedrete delle belle (o brutte?) :)

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Capitolo 12
*** Love is not a Deal ***


12. Love in not a Deal
 
 
25 Luglio 1806
Sollevò lentamente il capo, portando gli occhi sul riflesso che lo specchio le restituiva. Cercò di sorridere, ed il sorriso teso rimase poggiato lì qualche istante, prima di lasciar posto ad un'aria triste.
Le mancava Charles, e non sapeva come aveva fatto tutto quel tempo, prima di conoscerlo, a vivere senza la sua presenza. Deglutì, sistemandosi un boccolo dietro la piuma bianca sulla testa.
Aveva un presentimento, come se ci fosse qualcosa di strano. Di storto, di...segreto. Si svegliava in continuazione, di notte, in preda ai peggiori incubi, e nemmeno la valeriana del dottor Parson riusciva a placarla. Sognava sempre che qualcosa di orribile accadeva a Charles e, ogni volta, era sempre a causa di suo fratello...di Adam. Deglutì di nuovo, sentendo una morsa allo stomaco: preoccupazione, misto a senso di colpa. Sapeva che le sue preoccupazioni erano normali, dato che Charles era in mare da quasi un mese, e che gli incubi erano le sue paure che si manifestavano. Ma possibile che in un mese ancora non attraccavano in un porto per poterle spedire una lettera, e farle sapere che stava bene? Una parte malefica di sé le sussurrava nell'occhio che era fuggito, che non c'era nessuna barca da prendere a Londra e che l'aveva abbandonata...ma sapeva che non era così, che era solo la sua paura a parlare. Doveva seguire il consiglio di Emma: calmarsi, vivere giorno per giorno, tenere la mente occupata con i preparativi del matrimonio ed il tempo sarebbe passato più velocemente.
Qualcuno bussò alla porta. «Sei pronta?»
«Si» annunciò Cathleen, alzandosi «arrivo»
«Dai Cathy, tutti gli ospiti sono arrivati. Stai bene?» le chiese Emma, una volta aperta la porta. Lady Egerton era a dir poco radiosa, ed i tempi della sua indisposizione sembravano lontani. Indossava un bellissimo abito rosso passione, con ricami bianchi così come i guanti di seta che le arrivavano al gomito. I capelli biondi erano acconciati alla moda, tenuti da una piuma rossa, ed aveva un incarnato chiaro ma in ottima salute. I suoi occhi celesti, poi, erano a dir poco radiosi.
La sorella la prese sottobraccio e la condusse ai piani inferiori, dove cominciavano ad arrivare voci e chiacchiericci dalla sala della musica.
«Cerca di non pensarci, mh? Andrà tutto bene, sono sicura che presto dovrò asciugarmi lacrime d'emozione per vederti indossare l'abito nuziale» le sussurrò la sorella, prima di entrare nella Sala. Per l'occasione, era stato allestito un piccolo palco dove un quintetto d'archi accordava gli strumenti. C'erano almeno quaranta persone in attesa, chi sedute e chi in piedi intente alle ultime chiacchiere prima dell'inizio del concerto.
«Siete incantevole, cognata»
Si girò di scatto, notando la criniera rossa di Sir Egerton, e gli sorrise divertita.
«Vi ringrazio, Sir, anche voi state molto bene con questo completo blu»
«Un'idea di vostra sorella»
«Lo immaginavo, lei adora il blu»
Arthur sorrise alla giovane, porgendole il braccio. Cathleen accettò volentieri, dandogli un'occhiata: Arthur era cambiato molto negli ultimi mesi, o forse aveva solo rivelato la sua vera indole, calma e serena, facendo decadere ogni maschera e artifizio.
«Sapere, Miss Cathleen, questo concerto è anche un po' per voi. Vorrei essere perdonato per il mio pessimo carattere»
Cathleen sorrise, un po' sorpresa in cuor suo. «Nessun perdono deve esservi dato, Sir, perchè non mi avete arrecato particolare danno: amo la schiettezza, a dirla tutta, seppur la vostra sia stata indubbiamente, come dire...»
«Rude?»
Cathleen sorrise appena, divertita, facendo sorridere il cognato. «Siete perdonato, comunque sia» precisò.
Arthur sorrise fermandosi davanti la prima fila di sedie «Spero che vi divertiate, miss. Avrei voluto che ci fosse stato anche il Capitano Barrington, l'ultima volta abbiamo lasciato in sospeso un discorso che vorrei riprendere al più presto»
«E al più presto sarà, Sir» precisò Cathleen calma, sorridendo.
«Ne sono sicuro, non dovete preoccuparvi. Il Capitano è famoso per la sua bravura e il suo coraggio, non avete nulla da temere» rispose calmo Arthur «con permesso...»
Cathleen sorrise salutandolo quindi si sedette in prima fila, nella sedia più vicino al corridoio creato dalle postazioni. Pian piano si sedettero tutti: al suo fianco sua madre e suo padre, mentre Arthur ed Emma dall'altra parte della sala, sempre in prima fila. Si sorrisero, entusiasti, e non potè fare a meno di fantasticare qualche minuto prima del concerto su come sarebbe stata la vita con Charles: il loro primo ballo da sposati, la prima festa, il primo figlio, il primo nipote...
«Signore e signori, benvenuti. Questa sera il nostro modesto quintetto cercherà di allientarvi riproducendo le migliori opere del grande maestro Luigi Boccherini. Buon divertimento a tutti...»
Il primo violino si accomodò dopo la breve introduzione, seguita da un timido applauso, quindi dopo qualche istante le note allegre del quintetto si librarono nell'aria. Cathleen si girò un istante indietro, alla sua destra: Sir Barrinton e Mr Barrington erano seduti due file dietro di lei, vicini, e fissavano il quintetto suonare. Mr Barrington aveva un'aria un po' tesa e intravide le sue mani torturarsi a vicenda. Tornò a guardare il quintetto con i dubbi che l'assalivano: perchè era nervoso? Stava aspettando qualcuno? Poi pensò, con stupida ovvietà, che lui era il fratello del Capitano: era preoccupato, come lo era anche lei. E si sa, pensò, che le donne sanno gestire meglio le emozioni e le preoccupazioni. Si tranquillizzò e si godette il concerto. Rilassò la schiena contro lo schienale, sorrise verso la madre e osservò la maestria dei musicisti nello strofinare l'archetto contro le corde. Uno strumento difficile, il violino, il suo maestro di musica provò a insegnarglielo quando era bambina senza grandi risultati. No, lei era sempre stata innamorata del pianoforte, era quello il suo strumento del cuore. Si volse appena verso Emma ed Arthur, intravide le loro mani intrecciate e sorrise con dolcezza, tornando alla musica.
Passarono i minuti, passarono le sonate, gli applausi, le presentazioni dei pezzi man mano che venivano suonati. Passarono velocemente, era indubbio. A volte si sentiva la porta aprirsi, con i passi che offrivano champagne, limonata, vino o acqua, cercando di interrompere il meno possibile la performance. Per questo motivo Cathleen non si voltò quando sentì il portone aprirsi per l'ennesima volta. Il quintetto stava suonando una magnifica melodia dal colorito romantico, ed era persa a fantasticare sulle sue note. Per questo non si accorse nemmeno di Mr Barrington che borbottava qualcosa a qualcuno, per poi alzarsi ed uscire. E nemmeno di Sir Barrington che lo seguì subito dopo, uscendo dalla stanza.
Si resero conto della loro mancanza solo quando sentirono un grido, straziante e doloroso, e poi un tonfo. Il quintettò s'interruppe di colpo, stonando le ultime note che rimbombarono nell'aria insieme al chiacchiericcio allarmato dei presenti, che si girarono verso l'ingresso della Sala. Il presentimento risalì, inevitabile...il cuore accellerò, ineluttabile.
«Vado a vedere cosa è successo» annunciò serio Mr Colborne, seguito subito da Sir Egerton. Le donne rimasero in sala, e nel marasma della folla Cathleen non poteva certo vedere, da lì, Sir Barrington riverso a terra, con il dottor Parson che cercava di farlo rinvenire. Nè Mr Barrington poggiato al muro, gli occhi spalancati verso il vuoto. No, lei fissava la trama complicata del pavimento sotto i suoi piedi. Aveva le mani sudate, e la calma la stava abbandonando.
«Cathleen...»
Alzò gli occhi solo quando suo padre la chiamò, gli occhi velati di lacrime. Aveva una lettera in mano, stropicciata.
«Oh cara, mi dispiace...» sussurrò il padre, cercando di avanzare.
La sua mente voleva gridare, se avesse potuto. Gridare che cosa, di preciso, dispiaceva al padre. Di precisare quel suo dispiacere, ed il soggetto del dispiacere. Ma il cuore...oh il cuore lo sapeva benissimo, il cuore non aveva bisogno di spiegazioni. Lo sentì, dentro il suo sterno, cedere. Spezzarsi, come la corda di un tasto del pianoforte, quando viene usato troppo...si spezza, inesorabilmente, rompendo l'armonia. Le gambe cedettero, sembrarono rompersi anch'esse, e in un momento di lucidità arretrò, sedendosi sul bordo della sedia. Portò la mano alla bocca, aveva la sensazione di dover vomitare. Non davanti a tutti, pensò, non davanti a tutti.
Ma la sua gola non ascoltò le sue preghiere, e ricacciò qualcosa, dal corpo, che però uscì dagli occhi e dalla bocca. Lacrime e un rantolo. Un grido mescolato ad un pianto. L'orrore misto al dolore. Sollevò gli occhi verso suo padre, la causa di quel cuore rotto. Non riusciva a guardarlo bene, aveva la vista offuscata. Sentì qualcosa scivolare sulla sua guancia, una lacrima salata le cadde in bocca. Ne assaggiò il sapore, sapeva che avrebbe dovuto familiarizzare con quel sapore.
Non fece in tempo a dire nulla, perchè la vista si annerì del tutto. I suoni, lentamente, si allontanarono. Cadde in una pace e un silenzio piacevole. Lasciò andare la coscienza, la ragione, e chiuse gli occhi...sperando di averli chiusi per sempre.

Gli occhi erano pesanti, le palpebre molli. La luce del sole filtrava prepotente oltre le ciglia, e impiegò qualche istante ad abituarsi ad essa prima di poter aprire del tutto gli occhi, frastornata. Era sdraiata su un letto, e l'aria poco familiare delle pareti le fece intuire che non era a casa sua, ma con ogni probabilità a Egerton House. Questo le riportò subito alla mente quanto accaduto la sera prima, ed un pensiero ineluttabile sgorgò dalla sua mente.
Charles era morto.
Deglutì nella gola secca e cercò di schiarirsela. Sentì un fruscio nella stanza, girò la testa verso Emma che sembrava svegliarsi da un sonno profondo, lì seduta sulla sedia. Assonnata, solo dopo qualche secondo notò che Cathleen era sveglia e subito le si avvicinò.
«Cathy, come stai...»
«Acqua...» rantolò l'altra, non riuscendo a parlare. Cercò di mettersi un po' a sedere nel letto e bevve con urgenza l'acqua fresca che le porse la sorella. Poi, con calma, guardò oltre la finestra ed infine la sorella che la fissava con aria mortificata.
«Voglio leggere la lettera»
«Cathy non credo sia una bella idea»
«Voglio leggerla, Emma, ora»
La sorella fissò Cathleen qualche istante, quindi sospirò ed uscì dalla stanza rientrando qualche minuto dopo. Aveva tra le mani una lettera spiegazzata, ma ben leggibile. Cathleen la prese tra le mani tremanti, poi cominciò a leggere:
Rispettabile Sir Barrington,
è con grande dispiacere che le annunciamo il grave naufragio della Victoria, la nave di suo figlio, lungo le coste della Francia. La nave è stata colta da una tempesta improvvisa ed è affondata. Il mare ancora non ci restiuisce i corpi dei valorosi marinai e ufficiali che hanno combattuto per la Patria. Non le diamo false speranze, Sir Barrington...vostro figlio era un capitano valoroso e...”
Cathleen interruppe la lettura, poggiando il foglio sul letto. Le lacrime scivolarono sul viso e caddero sulle lenzuola senza che lo avesse comandato. Pianse, gridò, urlò tutto il suo odio a Dio e ai Santi. Pianse tutto ciò che aveva in corpo, pianse ciò che non poteva nemmeno immaginare o esprimere a parole. Quel giorno nessuno venne risparmiato da quel pianto doloroso e forte, da quella tristezza incolmabile, da quel cuore spaccato a metà, rovinato da una lettera non pervenuta.

«Non possiamo fare nulla per lei?» chiese Edward, osservando Elizabeth al suo fianco. Passeggiavano per la campagna, con bastoni e soprabiti leggeri. Era una giornata splendida, ma nulla poteva convincere la sua cara sorella a portare il viso fuori da Lavender House. Erano passati dieci giorni dall'annuncio della morte del capitano, e Cathleen non sembrava lontanamente essersi ristabilita. La sentiva piangere, di notte, nelle sue stanze. Nulla poteva consolarla, nulla poteva distrarla dal pensiero assordante che il suo amato promesso non c'era più.
«Purtroppo no, Edward, solo il tempo potrà lenire quel tipo di ferite. Ferite che io sono colpevole di aver creato. Ho fornito il coltello adatto per crearle...»
«Di cosa parlate, Miss?»
«Oh Mr Edward...l'amore è una faccenda complicata. E' il sentimento più potente al mondo, capace di farti scalare montagne o di farti deperire di dolore. Perchè credete che nessuno assennato si sposi per amore? Perchè ecco poi cosa succede. Io dovevo evitarlo, non si sarebbero dovuti frequentare, non avrei dovuto incoraggiarla...l'ho capito da subito che si amavano, eppure una parte stolta di me ha pensato che almeno la mia cara Cathleen si sarebbe potuta sposare con chi voleva. E invece le ho rovinato la vita...»
«Non credo che sia giusto incolparvi, Miss Elizabeth, per cose che non avete fatto. Avete invece dato una bellissima speranza a Cathleen, l'idea di sposarsi con chi volesse...lei, così fredda e razionale, era una gioia vederla arrossire in sua presenza. Mi mancherà molto il Capitano, era un giovane eccezionale. So che vostro zio ha avuto un brutto colpo alla notizia della sua morte...»
«Non vuole parlare con nessuno, nemmeno con Adam. Dicono che nella notte gridi il nome di Charles ed accusi Adam di averlo assassinato. Si rifiuta di mangiare, di bere...anche lui immagino si incolpi di qualcosa. Fino ad ora non mi ero mai pentita di nessuna scelta, Mr Edward, ma dannato il giorno che la incoraggiai a frequentare il mio povero cugino...»
«Miss vi prego non dite così. Cathleen è forte, supererà questo momento. E quando sarà pronta, potrà anche sposarsi con qualcun altro»
«Oh come vorrei che fosse così! Ma Charles era un uomo eccezionale, e io...» Elizabeth fermò il passo e la frase, con la voce tremante. Si asciugò velocemente una lacrima. Edward la fissava senza parole, come qualunque uomo davanti una donna sciolta in pianto.
«Miss Elizabeth, vi prego, non piangete...» mormorò, accarezzandole un braccio. Elizabeth, in risposta, si gettò fra le sue braccia, singhiozzando in silenzio. Edward lentamente la strinse a sé, cercando di consolarla.
«Suvvia, Miss, suvvia...» mormorò il giovane. Elizabeth sollevò lentamente il viso rigato di lacrime ed Edward gliele asciugò con delicatezza. Si scambiarono un lungo sguardo, carico di desiderio e interesse, ma di distrassero di colpo con il nitrito furioso di un cavallo e il rumore frenetico di zoccoli. Si girarono indietro, ammirando il cavaliere che galoppava solitario verso di loro. Si staccarono subito da quell'abbraccio, imbarazzati.
«Zio Jack» salutò Edward, sorridendo appena.
«Eddie...sono corso appena ho potuto, ero a Londra per conto della Marina e non potevo proprio...»
«Non preoccuparti, zio, sei assolutamente perdonato. Porti novità?» chiese Edward, guardandolo dal basso.
«Sì, dovrei parlare con tuo padre. In privato, è una questione piuttosto...urgente» precisò Jack, osservando serio il nipote.
«Papà è in casa, zio, credo che sia nel suo studio»
«Di cosa dovrà parlare tuo zio con tanta urgenza?» chiese Elizabeth una volta rimasti soli, con la figura del Commodoro che si allontanava verso Lavender House.
«Non ne ho idea, ma spero siano belle notizie...basta infauste novità»

Il tasto premuto rimandò un suono cupo e basso che, rimbomando nella music room, sembrava ricordare l'eco fiammeggiante dell'Inferno. Premette qualche altro tasto a caso, prima di chiudere la tastiera e posare i gomiti sul coperchio.
Nemmeno la musica le dava più conforto, perchè solo al pensiero di quella sonata che avrebbe dovuto comporre per lui le dita si irrigidivano e le lacrime si scioglievano. Quante lacrime ancora doveva piangere prima che la sua anima si svuotasse del tutto? Sollevò gli occhi intorno a sé, ricordando le serata tra amici e familiari a suonare allegre melodie; a quella volta che Emma suonò l'arpa, con grande dispezzo di Arthur. A come ballarono, sopra quelle assi di legno. Poteva ancora sentire il contatto della sua mano con quella di Charles, il suo profumo di colonia, il suo sorriso...
Le lacrime rotolarono di nuovo sul viso, posandosi sul coperchio della tastiera. La tristezza era come un mantello, il dolore come un abito, ormai erano parte di se stessa e nulla avrebbe potuto cambiare lo stato delle cose.
«Cathleen!» qualcuno gridò il suo nome lungo i corridoi. Fece appena in tempo ad asciugarsi le lacrime che la porta si aprì, mostrando Emma. Era pallida ed aveva un'espressione di terrore quasi.
«Che succede...» chiese Cathleen, alzandosi.
«Papà, Zio Jack, stanno...litigando, urlando. Ti prego vieni a fermarli, forse a te daranno ascolto!»
Cathleen sembrò acquisire tutte le sue forze ed energie, e in uno scatto veloce si gettò a capofitto sul corridoio, correndo accanto alla sorella verso lo studio del padre. Più si avvicinava e più poteva sentire le urla furibonde del padre e dello zio: non li aveva mai sentiti urlare così tanto.
«Sei un traditore del mio sangue! Sei una feccia umana! Maledetto il giorno che nostra madre ti partorì!»
«Sei tu il traditore, tu! Hai il cuore di pietra e l'anima di piombo! Non sai vedere la sofferenza nelle persone!»
«Ora basta» annunciò il padre, paonazzo. Afferrò Jack per la collottola ed altrettanto fece lo zio. Mrs Colborne gridò e fece come per svenire, sorretta subito dagli inservienti, incapaci di muoversi. Augustine era pietrificata, le lacrime le rigavano il volto.
«Basta, BASTA!» gridò Cathleen con tutta l'aria che aveva nei polmoni. Fu così anomalo sentire la sua voce, e gridare per di più, che tutti si bloccarono e si girarono verso di lei. Jack e Mr Colborne si staccarono subito, allarmati.
«Cosa ci fai qui, cara, non devi avere altri pensieri»
«L'unico mio pensiero è che Charles sia morto, padre, non credo che un litigio tra fratelli mi aiuti a non pensarci, ma grazie comunque. Ora mi volete dire qual è il problema?»
Jack deglutì, mortificato. Suo zio era un uomo alto e muscoloso, con un aspetto massiccio e che nemmeno dimostrava i suoi quarant'anni, ma in quel momento sembrava solo un bambino.
«Tuo zio è impazzito»
«Bene, l'avevo intuito dalle vostre grida. Perchè, di preciso?»
«Vuole sposare una ragazza di ceto inferiore»
«Non vedo cosa ci sia di male, a dirla tutta»
«Cathleen, tu ora rifletti solo con l'anima spezzata dal dolore, ma capirai da te che non è una cosa fattibile. La ragazza in questione è una...domestica, è povera, priva di ogni dote o proprietà. E se Jack non la smette, lo cancello dall'eredità di nostro padre»
«Non puoi farlo, e lo sai»
«Piuttosto vado in prigione!»
«Zio Jack non è un ragazzino, padre....sa perfettamente a cosa va incontro. Se, a discapito di tutto ciò, è ancora deciso a sposarla, non possiamo farci nulla»
Mr Colborne guardò sua figlia come se fosse una completa straniera, ma Jack le sorrise riconoscente. Cathleen girò i tacchi ed uscì dallo studio, continuando a sentire i due fratelli borbottare uno contro l'altro.
«Miss Cathleen»
Cathleen si girò, fermandosi a guardare Augustine che le veniva incontro, affiancandola.
«Augustine, dimmi tutto»
«Posso fare qualcosa per voi, Miss?»
«No ti ringrazio, Augustine, credo che andrò un po' a dormire...»
«Miss Cathleen...»
«Si?»
«Grazie..»
Cathleen si fermò, girandosi lentamente verso la giovane domestica. Sorrise, l'altra, osservandola con ammirazione. Ma certo, pensò Cathleen, doveva essere per forza lei.
«Augustine, sei tu che zio Jack...?»
La giovane domestica annuì, arrossendo. Cathleen, istintivamente, fece una cosa che non faceva da tempo: sorrise. Strinse forte Augustine, che rise appena, sorpresa da quell'improvviso gesto.
«Vieni, devi raccontarmi tutto» mormorò Cathleen, guidandola verso la propria camera. Una volta sole, si sedette vicino al camino e fece segno ad Augustine di fare altrettanto. La domestica deglutì e si accomodò, rigida. Cathleen pensò solo in quel momento che le domestiche non si sedevano mai nelle stanze padronali, ma le sorrise gentile.
«Allora, raccontami! Non ci credo che zio Jack si è innamorato, lui...intramontabile scapolo! Come è successo? Da quanto dura?» chiese, curiosa. Le si era accesa una fiamma, in quel suo cuore rotto, che la faceva palpitare come se in quella storia fosse lei la protagonista.
«Beh, in verità è molto...voglio dire, noi non abbiamo assolutamente mai...» cominciò Augustine, arrossendo di nuovo.
«Ma certo cara, non intendevo mica quello. Dicevo da quando avete scoperto di essere...interessati uno all'altra?»
«Oh beh, direi da quando sono arrivata qui, tre anni fa»
«Tre anni?» ripetè Cathleen, sorpresa.
«Si, suppongo di sì. Lui dice che lo ha colpito subito la mia intelligenza, i modi di fare, come rispondevo a tono ma con garbo...si vedeva, dice lui, che non ero figlia di contadini»
«Che mestiere fa tuo padre?»
«Libraio, Miss. Ho imparato a leggere ancora prima di camminare. Cominciammo a conoscerci proprio tramite i libri: io consigliavo qualche libro, e lui faceva altrettanto. Poi siamo diventati amici, trascorreva molto tempo con me quando tornava dai suoi viaggi...e poi si è dichiarato»
Cathleen arrossì insieme alla ragazza, ed entrambe sorrisero.
«Ti ha chiesto di sposarlo?»
Augustine annuì. «L'ho fatto aspettare quasi un anno prima di dargli una risposta. Sapevo che avrebbe litigato col padrone, non volevo deludervi, non volevo rovinare la pace di questa famiglia...non volevo, ma...»
«Ma al cuor non si comanda, Augustine. Hai fatto bene a dire di sì. Ma ora...come vivrete?»
Augustine chinò il capo. «E' la parte con cui mi sento più in colpa. Io non possiedo nulla, non ho dote né nulla, ha ragione vostro padre. Jack dovrà caricarsi ogni spesa, ma ringraziando Dio ha la sua rendita da Commodoro e vostro nonno gli lasciò un modesto appartamento a Londra, quanto basta per vivere bene. Io mi sarei accontentata anche di una stramberga, ma vostro zio? Lui è abituato alla servitù, al personale, ai grandi giardini...»
«Mio zio è abituato al mare, Augustine, e alle navi. Case galleggianti e rollanti, stanze minuscole e certamente privi di giardini. Non credo che per lui sia un peso enorme, nonostante tutto...»
Augustine sorrise gentile. «Se posso permettermi, Miss, vi ringrazio profondamente: siete l'unica che ci date una mano, e capisco perfettamente chi non lo fa. Per quanto mi riguarda, potrete venire a trovarci a Londra ogni volta che volete...sarò felice di rivedervi, Miss»
«Chiamami Cathleen, e diamoci del tu. Fra poco tempo sarai mia...zia» precisò Cathleen, ridacchiando.
«Solo per voi e per noi due, Miss, ma siamo d'accordo» annunciò Augustine, alzandosi lentamente «ora è meglio che vada a lavorare, finchè abiterò qui è questo il mio compito»
«Aspetta, voglio darti qualcosa» annunciò Cathleen, avvicinandosi alla sua scrivania. Rovistò dentro i cassetti, infilò qualcosa dentro un sacchetto nero, quindi lo porse a Augustine, sorridendo.
«Oh no Miss, non posso accettare vi prego» precisò la ragazza, alzando appena le mani.
«Non sai nemmeno cosa sono, apri»
Augustine aprì, spalancando appena la bocca. Porse il sacchetto a Cathleen, subito, come se fosse veleno.
«A maggior ragione non posso davvero accettare, miss, vi prego...»
«Ascolta» mormorò Cathleen, stringendo la mano della giovane intorno al sacchetto «non voglio che li indossi, voglio che li vendi. Io sono anni che non li indosso, per me sono troppo pomposi. Ma se tu li vendi, potrai sicuramente comprarti un nuovo guardaroba e mettere da parte dei soldi per i tempi più bui. Non accetto un no, quindi prendili e basta»
Augustine la fissò, gli occhi velati di lacrime. Abbracciò Cathleen di getto, stringendo il sacchetto a sé.
«Che Dio ve ne renda, Miss, davvero. Grazie mille, dal profondo del mio cuore»
Cathleen sorrise mentre l'altra usciva e si affacciò alla finestra, verso il giardino di lavande. Una fitta al cuore, a quei ricordi di Charles che ormai la accompagnavano ogni giorno. Fissò il cielo sereno, e sorrise tra sé. Sapeva che Charles sarebbe stato fiero di lei, e questo la rendeva felice, almeno un po', in cuor suo.


La mattina seguente, qualche ora dopo l'alba, gli inservienti caricavano i bauli sulla carrozza che avrebbe portato Jack ed Augustine a Londra, per sempre. Cathleen si sistemò lo scialle sulle spalle, cercando di non pensare al freddo che faceva in quella mattinata. Si guardò attorno, ed intravide suo padre alla finestra che fissava la coppia prima di sparire dietro la tenda. Emma, Edward e Charlotte erano con lei, gli unici che salutarono la coppia novella.
«Papà cambierà idea, zio, vedrai» commentò Cathleen, sorridendo appena verso l'uomo.
«Oh non preoccuparti se non gli passerà, Cathy...conosco mio fratello, non me la farà passare liscia. Ma non posso farci nulla, non posso fare finta, ci ho provato ma...è stato tutto inutile» ammise Jack, prendendo sotto braccio Augustine.
Cathleen la osservò qualche istante, sorridendo: indossava un semplice e delizioso abito bianco, con un cappellino di vimini ed un nastro verde chiuso sotto al mento. Aveva dei grandi occhi castani ed i capelli biondi sbucavano appena da sotto il cappellino. Sorrideva a Jack e lo guardava con occhi brillanti. Probabilmente era così che anche lei guardava Charles, pensò.
«Miss Cathleen...» fece per dire l'ex-domestica.
«Solo Cathleen, ricordi?»
«Si...giusto. Cathleen, grazie mille ancora per quello che avete fatto per noi, io...non so come sdebitarmi»
«Nessun debito, Augustine, fra qualche settimana faremo parte della stessa famiglia»
«Perchè non vieni al matrimonio, Cathy? Sarà a fine settembre se tutto va bene, il tempo di sistemare la casa: per ora Augustine starà da una sua cugina» propose lo zio.
Cathleen rimase qualche istante a pensare, poi sorrise appena. «Credo di potercela fare»
Augustine sorrise, abbracciandola. «Sarà magnifico avere qualcuno allo sposalizio»
«Bene, allora è deciso, ci vediamo fra qualche mese. Arrivederci, Cathy, e grazie ancora» annunciò Jack, abbracciandola «mi dispiace...» sussurrò poi al suo orecchio, sincero, stringendola ancora di più.
Cathleen ricambiò con trasporto l'abbraccio dello zio, ricacciando indietro le lacrime. Sorrise, anche quando la carrozza si allontanò dalla tenuta. Sventolò il suo fazzoletto, prima di rientrare in casa, la testa ricolma di pensieri, dubbi e angoscie.


«Grazie cara» mormorò Emma stanca, mentre la domestica le toglieva il soprabito dalle spalle. Poggiò la borsetta e il cappello sul tavolo all'ingresso, quindi risalì stanca le scale, un passo alla volta.
«Dov'è Sir Egerton?» chiese ad una domestica di passaggio.
«Nel suo studio, milady»
Ovviamente, dove poteva essere? O a caccia, o nello studio a far quadrare conti e fare affari. Si diresse lentamente verso lo studio ma rallentò, sentendo una voce maschile oltre a quella di Arthur. Bussò, prima di entrare.
«Oh Emma, vieni pure» annunciò Arthur sorridente. Emma sorrise verso il marito e verso quello che presto riconobbe come Mr Barrington, vestito da lutto.
«Mr Barrington, ben rivisto...vogliate accettare in ritardo le mie più sincere condoglianze. Come sta Sir Barrington?»
«Vi ringrazio Lady Egerton. Purtroppo mio padre non sta molto bene: la morte di Charles è stato un duro colpo per tutti, soprattutto per lui. E' allettato da giorni, si rifiuta di mangiare. Temo il peggio, a essere sinceri. E' per questo che sono venuto a chiedere aiuto di Sir Egerton. Ora...con permesso, temo di dover tornare a casa. Buona giornata» annunciò il giovane impettito, prima di fare un profondo inchino ed uscire dalla stanza.
Emma lanciò un'occhiata al marito, senza dire nulla finchè non vide dalla finestra la figura di Mr Barrington andare via in carrozza.
«Che tipo strano...» ammise Emma, girandosi lentamente verso Arthur.
«Pienamente d'accordo» precisò Arthur, togliendosi gli occhiali di vetro e posandoli sulla scrivania. Spostò indietro la sedia su cui sedeva, e fece cenno alla moglie di sedersi sopra le sue gambe.
Emma sorrise appena ed obbedì con piacere, posando un braccio intorno al collo del marito. Gli schioccò un bacio sulla guancia, con dolcezza, quindi gli accarezzò appena i capelli rosso acceso.
«Cosa ti ha chiesto?» chiese, curiosa.
Arthur si passò una mano sui capelli, sospirando. «Mi ha detto che...vuole vendere la parte dell'eredità di suo fratello»
Emma sgranò appena gli occhi. «Cosa? A Meno di un mese dalla sua morte? Che gesto spregevole...»
Arthur scrollò le spalle. «E' quel che ho pensato anche io. Ma mi ha mostrato la cessione di tutti i beni dei Barrington a lui come unico erede, c'è la firma di suo padre. Mi ha chiesto se ero interessato a qualcosa o se conosco qualcuno interessato. Personalmente ho risposto di no, ma che gli avrei fatto sapere se c'era qualcuno di interessato. Certo è che è strana come cosa. Anche per queste questioni, di solito, si aspettano almeno sei mesi. Ed in più hai sentito l'odore di alcol che aveva addosso?»
Emma annuì, quindi fissò il marito, assottigliando gli occhi. «Tu...credi che abbia modificato di proposito le carte?»
«Non sarebbe nemmeno difficile, se suo padre sta male come dice. Basta avergli detto che stava firmando un qualsiasi contratto o atto notarile, senza specificare a cosa stava dando il benestare. Non so, non mi convince...Sir Barrington è sempre stato più affezzionato a Charles, questo lo sapevano tutti...credo che ora Mr Barrington si stia vendicando»
«Non posso credere che un figlio e un fratello sia capace di ciò...ma poi che senso ha vendere quelle proprietà? Può darle in gestione, cederle a qualche parente...e poi non ha bisogno di soldi, fra qualche mese sposerà una contessa o qualcosa di simile no?»
Arthur scosse il capo. «E' saltato tutto, mi ha detto. Non so quale sia il motivo, ma pare che la contessa si sia rifiutata di sposarlo dopo l'ultimo loro incontro. Chissà cosa diavolo sarà successo, a me quel tizio non è mai piaciuto...Parliamo d'altro, dai. Come sta Cathleen?»
«Come sempre, e cioè non molto bene. Questa cosa tra zio Jack ed Augustine l'ha distratta almeno per qualche ora. Mi ha detto di averle dato dei suoi gioielli per venderli e guadagnare qualche soldo, ma se ho capito che gioielli erano...ci si farà un guardaroba nuovo come minimo. Zio Jack ci ha invitato al loro matrimonio, vorrei andarci. Dici che sarebbe disdicevole?»
«Disdicevole? Davvero t'importa del parere degli altri? Chi se ne frega, se hai piacere ad andarci ci andiamo. E poi tuo zio mi è sempre stato simpatico, non mi farò frenare dal parere altrui»
Emma sorrise. «Hai ragione. Credo che farà bene a tutti qualche giorno di vacanza a Londra, zio Jack ha convinto anche Cathleen. Sperando che per settembre stia meglio...»
«Vedrai che col tempo andrà sempre meglio. Certo...mi dispiace davvero, Charles era davvero un brav'uomo. Non c'è possibilità che sia naufragato da qualche parte, vero?»
Emma scrollò le spalle, triste. «Non ci sono giunte notizie da nessuna parte del continente, dopo due settimane ormai si sarebbe saputo. Purtroppo non vogliamo darci false speranze, né tantomeno darle a Cathleen. Prima lo dimentica meglio sarà»
Arthur strinse la mano della moglie, baciandole la guancia. «Non oso immaginare come possa sentirsi Cathleen. Perdere la persona che più ami al mondo, tornare a vivere soli...non so cosa potrei fare se tu...» non finì la frase, trovandosi Emma avvinghiata a lui in un abbraccio.
«Io non vado da nessuna parte, Arthur. Sono qui con te» mormorò Emma, stringendosi a lui. Sorrise Arthur, annuendo. Si guardarono a lungo, accarezzandosi il viso o i capelli. Incerto, Arthur sfiorò con il pollice la bocca della moglie che, senza nemmeno pensarci, schiuse appena le labbra. Arthur le sorrise appena, imbambolato a guardare la bocca della moglie che, qualche istante dopo, baciò con delicatezza. Aveva una bocca morbida, un sapore delizioso, e non potè fare a meno di continuare a baciarla. La strinse a sé, ne accarezzò la schiena, le guance, i capelli. L'uomo si fermò a guardarla un solo istante prima che la passione lo trascinasse del tutto dentro la moglie, con desiderio e foga, in un gesto intimo e primordiale: l'uomo e la donna uniti in un solo corpo.



Per finire: tadaaaaaan! I colpi di scena qui non finiscono mai, ormai dovreste saperlo :P non uccidetemi, ho pensato a tutto non temete :P Fatemi sapere di cosa ve ne pare anche di questo capitolo, spero vi sia piaciuto, e al prossimo! <3

 

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Capitolo 13
*** Penelope's Shroud ***


13. Penelope's Shroud
 
25 agosto 1806
Non riusciva a muovere un passo in avanti, non uno di più. Era come se i suoi piedi, così come il suo cuore, si rifiutassero di varcare quella soglia. La porta era aperta e la stanza poteva guardarla da lì riuscendo a percepirne l'odore, i dettagli, persino le venature del pavimento. Quante volte lo aveva calpestato? Eppure ora il suo corpo si rifiutava di avanzare. Per paura, perchè il dolore era troppo forte, troppo per essere sopportato senza che ne aggiungesse altro. Posò lentamente gli occhi sul suo pianoforte a corda: era lucido e lindo solo perchè suo padre aveva ordinato così, ma la coda era chiusa e così anche la tastiera. Deglutì, ricacciando indietro le lacrime.
«Mi spiace...» sussurrò tra sé, portando le mani alla bocca. Chinò il capo, sentendo quella sensazione, familiare...quel vuoto, quel peso nel petto, quella sensazione di non poter respirare, di non poter vivere oltre. Quante volte, nelle ultime due settimane, aveva pensato al suicidio? La verità era che era troppo debole per quell'estremo gesto, o che forse uccidersi sarebbe stato troppo facile perchè non avrebbe dovuto sopportare ulteriormente quel vuoto. Eppure non era costretta, lo sapeva, non era nemmeno una vedova. Ma era inconsolabile, e mai avrebbe sposato qualcun altro. Se non poteva avere Charles, non avrebbe avuto nessun altro.
«Cathleen» Emma la chiamò, dall'altra parte del corridoio. Cathleen si asciugò velocemente gli occhi e si girò, sorridendo. Emma intuì il suo stato d'animo e non disse nulla a riguardo.
«Edward sta per partire, se vuoi salutarlo» annunciò solamente.
Cathleen annuì, raggiungendola ed uscendo con lei dalla tenuta. Il terzo addio nel giro di un mese: cominciava quasi ad odiarli, gli addii.
Edward era in piedi vicino la carrozza che veniva caricata. Vicino a lui c'era Elizabeth con cui parlava fittamente.
«Solo un baule, Edward?» chiese Emma, curiosa di vedere l'unico bagaglio caricato sulla carrozza.
«Starò via solo due mesi...quante cose devo portarmi? Non sono mica una donna» precisò il fratello, ridacchiando «Forza, facciamo alla svelta...Arrivederci Emma, mi raccomando a te. E salutami Sir Egerton»
«Sarà fatto» rispose Emma, abbracciando il fratello.
«Cathleen...vieni qui» annunciò Edward, andando a stringere la sorella a sé.
«Devi proprio partire?» chiese Cathleen tra le sue braccia, stringendolo forte a sé.
«Tornerò prima del previsto, Cathy, non preoccuparti. E' l'ultimo viaggio, poi...cercherò di sistemarmi» mormorò Edward, lanciando un'occhiata ad Elizabeth.
«Anche Charles disse così, ma non è più tornato» precisò Cathleen, mesta, fissando il fratello. Questi le baciò le guance con dolcezza.
«Tornerò, ti scriverò ogni settimana, anche ogni giorno se vuoi. Tornerò così veloce che vorrai subito rispedirmi via. E poi andremo al matrimonio dello zio Jack, va bene?»
«Va bene...» rispose Cathleen, cercando di sorridere.
Edward, salutati tutti, salì sulla carrozza e partì, lasciandosi alle spalle la sua casa Natale.
«Miss Elizabeth, perchè non rimanete con noi per pranzo? Mio marito è via per affari, e io e Cathleen ci annoiamo. Potremmo mangiare insieme e fare poi una bella partita a carte, o leggere qualcosa, cosa ne pensate? Pare che oggi pomeriggio pioverà»
«Volentieri Lady Egerton! Cathleen, tu cosa ne pensi?» chiese Elizabeth, prendendo l'amica sotto braccio.
Cathleen le sorrise, baciandole la guancia: «Penso che senza voi due sarei persa. Va bene, purchè mi abbracciate ogni volta che ve lo chiederò» e ridacchiando divertite mentre rientravano nella tenuta.

«Come sta Sir Barrington, Miss Elizabeth?» chiese Cathleen una volta entrata nel salotto.
«Non bene, temo...mangia poco e niente, si rifiuta di alzarsi, di parlare con le persone...vede solo Adam, e a malapena»
Emma deglutì, mentre si accomodava al tavolo da carte. Cathleen si sedette a sua volta, notando tuttavia lo sguardo della sorella.
«Tutto bene, Emma?»
«Sì, certo, tutto bene...»
«Emma, conosco quella faccia...devi dire qualcosa»
«No, è che...qualche giorno fa è venuto Mr Barrington, a casa nostra...per parlare con Arthur di affari ma io non credo che sia una buona idea dirlo, non vorrei offendervi...»
«Lady Egerton, davvero, mi tratto così poco con mio cugino Adam che a malapena ci incrociamo per casa. Parlate apertamente, se c'è qualcosa che vi cruccia»
«Parla Emma, dì pure ciò che devi» la incoraggiò Cathleen, seria.
«Ebbene, non è molto insomma. E' che pare, e dico pare...che Mr Barrington voglia vendere le proprietà di suo fratello»
Cathleen ed Elizabeth si guardarono, interdette.
«Ma...non può farlo, quelle proprietà possono essere vendute solo dallo zio, ci serve un...»
«Un atto notarile, già. Arthur dice che ce l'ha, che glielo ha mostrato. C'è la firma di vostro zio, dove dichiara che tutti i beni dei Barrington passano a lui. Voleva vendere le proprietà del Capitano ad Arthur, che ha ovviamente rifiutato. A me questa faccenda...non mi quadra»
«E' impossibile, non può essere. Zio non è capace nemmeno di tenersi in piedi, figuriamoci leggere un atto e firmarlo»
Cathleen deglutì, osservando l'amica, poi sua sorella. Il silenzio cadde nella stanza.
«No, non può essere...Adam non può essere stato capace di una cosa simile» ammise alla fine Elizabeth, intuendo ciò che le altre due pensavano.
«Non sarebbe il primo, comunque» precisò Emma.
«Se è così, mi sentirà. Ne va dell'onore della famiglia, del ricordo di Charles, di...di tutto, non può averlo fatto»
«No» precisò subito Cathleen, seria. Emma vide il suo sguardo: la sua mente stava elaborando qualcosa. «No, a noi non dirà nulla: siamo solo delle donne, ci accuserà di essere ancora travolte dal dolore del lutto. No, aspettiamo che torni Edward, ne parleremo con lui. Nel frattempo...osserviamo le sue mosse. Emma, facci sapere se Arthur viene a sapere qualcos'altro, mh?»
«Sì, certo...»
«Non venderà facilmente, non deve vendere un cappello, ma terre e proprietà, non lo farà in men che non si dica. Ci vorrà tempo»
«Ma io ancora non capisco il perchè...perchè venderle? Potrebbe lasciarle a qualche parente, o lasciarle in gestione ad altre famiglie. Non ha bisogno di soldi, non ha bisogno di vendere...» mormorò Elizabeth, pensosa.
Qualcuno bussò alla porta. «Miss Cathleen, perdonate...c'è Mr Barrington per voi» annunciò il paggio.
Le tre ragazze si osservarono, perplesse.
«Miss Cathleen...cosa devo dire a Mr Barrington?» chiese di nuovo il paggio, notando che la risposta tardava ad arrivare.
«Digli pure che arrivo subito, di aspettarmi in salotto» annunciò Cathleen, alzandosi lentamente.
«Che cosa vorrà?» chiese confusa Elizabeth.
«Scommetto che vuole chiederti in sposa» precisò seria Emma. Cathleen e l'amica la guardarono sconvolte ma Emma scrollò le spalle «E' una cosa parecchio comune, nel caso le donne diventino vedove prima o dopo un matrimonio, che siano i parenti di chi muore a prendersi cura della giovane»
«Non può credere davvero che io possa accettare»
«E poi Adam è già promesso»
«Non...esattamente» specificò Emma, sospirando «Arthur mi ha detto che il fidanzamento è stato rotto dopo l'ultimo incontro tra lui e la contessina, deve essere successo qualcosa perchè lei è uscita dalla camera gridando e si rifiuta anche solo di rivolgergli la parola»
«Santo cielo, non lo sapevo...»
«Bene, se davvero vuole farlo...avrà la risposta che merita» precisò secca Cathleen, uscendo poi dalla stanza, diretta in salotto.

Avanzava verso il salotto con una certa sicurezza, lì tra quelle mura familiari, che la accarezzavano e abbracciavano con dolcezza. Lì nulla di male poteva capitarle. Entrò nel salotto, vedendo subito Mr Barrington alla finestra voltarsi di scatto e venirle incontro, baciandole la mano.
«Miss Cathleen, grazie per avermi ricevuto»
«Grazie a voi per essere venuto a trovarmi»
«Sapete che non siete costretta ad indossare il lutto, vero?» chiese il giovane, sedendosi sul divano.
Cathleen lo fissò, interdetta. «Lo ben so, Mr Barrington, ma voglio indossarlo lo stesso. L'uomo che amo è morto, mi sembra il minimo...»
«Ah l'amore, Miss Cathleen...che sentimento speciale e strambo» annunciò Adam, facendole segno di sedersi. Cathleen lo seguì, accomodandosi il più lontano possibile dal giovane che fissava come uno straniero. Che si comportava in casa propria come fosse una sua proprietà.
«Non c'è nulla di strambo nell'amore, Mr Barrington, credetemi»
«Eppure non sono di questo parere. Vi ricordate del nostro primo incontro? Vi dissi da subito che mio fratello Charles era un uomo sgarbato, scortese...e voi? Ve ne siete innamorata! L'amore non ripaga quasi mai con la stessa moneta. Mentre io guardavo voi e mio fratello innamorarvi uno dell'altra, la mia anima moriva lentamente al pensiero di non potervi avervi per me, voi...la donna che ho salvato da una tempesta ma che lei stessa mi ha salvato da una vita di eccessi e...»
«Vi fermo subito, Mr Barrington» precisò Cathleen, alzandosi «non so per quale motivo siate venuto fin qui, ma temo riceverete una risposta negativa»
«Oh, Miss Cathleen» la interruppe Mr Barrington, alzandosi a sua volta e sorridendo gentile «voi siete sconvolta dalla morte di mio fratello, lo comprendo perfettamente. Ma quando tutto ciò passerà, quando il lutto si sarà affievolito...chi vi prenderà con voi? Chi altro potrebbe prendersi cura di una donna vedova ancor prima di sposarsi?»
«Non credo sia affar vostro, Mr Barrington. Ho ancora una famiglia, nel caso non ve ne siate accorto. Nessuno mi lascerà sola»
«Ma voi siete già sola, Miss Cathleen, solo che ancora non ve ne siete accorta...» precisò ovvio Mr Barrington.
Lo schiaffo arrivò con sorpresa e violenza sulla guancia, spostando il capo di lato. La mano di Cathleen rimase alzata per qualche istante, prima che lo sguardo della giovane si portò su di lui, fissandolo con quanto più odio possibile.
«Non vi permetto di parlarmi in questo modo, in casa mia. Siete solo un'anima nera, Mr Barrington, che si approfitta della morte del fratello e della malattia del padre per sistemare i suoi affari come più crede. Non potrei mai e poi mai sposarvi, piuttosto rimarrò zitella per il resto del miei giorni»
Mr Barrington la fissava, sconvolto, senza aver ancora maturato l'idea di esser stato picchiato da una donna. Sorrise, massaggiandosi la guancia.
«Lo vedremo, Miss Cathleen, lo vedremo...» mormorò, uscendo dal salotto.
 
5 settembre 1806
Arthur scoppiò a ridere, divertito, mentre camminava sottobraccio con la moglie. «Ogni volta che mi racconti questa storia, rido sempre Emma»
«Tu ridi, ma è una cosa gravissima! Potrebbero esserci guai seri con i Barrington!» esclamò preoccupata Emma, ansante per via del passeggiare incerto lungo la campagna intorno a Egerton House. Era una magnifica mattinata estiva ed avevano entrambi abbastanza tempo per godere di un pò tempo insieme.
«Ma quali problemi seri, Emma! Sir Barrington è a letto da settimane e figurati se Mr Barrington ha abbastanza coraggio da andare a riferire a qualcuno che è stato picchiato da una donna. E poi è successo due settimane fa no? Ormai è fatta» precisò il marito, ridendo divertito «Certo che Cathleen ha coraggio da vendere»
«O è semplicemente molto innamorata. Per lei è stato un affronto: non tanto per la richiesta, ma per il modo in un cui è stata posta. E da chi. E' passato appena un mese dalla morte del fratello, e lui già si adopera per sistemare gli affari della famiglia come meglio crede. Non è normale, è assolutamente da...insensibili»
«Hai ragione, ovviamente. Ma in parte Mr Barrington ha ragione: passato il dolore, dovrà davvero pensare a cosa fare del suo futuro»
«Mio padre non la farà mai sposare con obbligo. Cathleen non è come me, non ubbidisce tanto volentieri»
«Eppure mi è stato riferito che alla notizia del tuo matrimonio hai gridato a Dio tutta la tua rabbia...» precisò Arthur, ridendo sotto i baffi.
Emma arrossì, continuando ad avanzare «E d'altronde chi avrebbe voluto sposarti di sua spontanea volontà?»
«Hai ragione...» ammise Arthur, scrollando le spalle. Emma si fermò ed andò ad abbracciare il marito, circondandogli il busto e posando la testa sul suo petto.
«Non ti conoscevo, Arthur, non conoscevo nemmeno me stessa. Ora non saprei stare senza di te» mormorò Emma «Dai, andiamo lassù!» esclamò poi di colpo, indicando una quercia in cima ad una collinetta.
Avanzarono lungo la breve salita, il sole batteva feroce sulle loro teste, e a nulla valse il cappellino di paglia di Emma. Cominciò a girarle la testa, il passo si fece incerto, la vista di annebbiò. La mano in quella di Arthur scivolò, posandosi a terra insieme alla gemella. In ginocchio, chiamò il marito poco prima di perdere coscienza.
«Emma!» esclamò allarmato Arthur, prendendola subito in braccio. Ritornò indietro, a passo svelto, sotto il sole cocente, con la fatica di caricarsi un corpo a peso morto tra le braccia. Ma proseguì, chiamando a gran voce una volta arrivati in prossimità della villa.
«Chiamate il medico!» gridò, furioso, facendosi aprire man a mano le porte.
Posò Emma sul letto matrimoniale, sfilandole lui stesso il cappellino, le scarpe e sbottonandole appena il colletto dell'abito celeste, per farla respirare meglio. Controllava ogni minuto il respiro e si assicurava che non fosse eccessivamente caldo o freddo nella stanza.
«Dottore» annunciò, allarmato, andando incontro all'uomo una volta che questi arrivò.
«Buongiorno. Aspetti pure fuori, Sir Egerton, prego» rispose il dottore, con garbo.
Arthur si chiuse la porta alle spalle e si sedette, sospirando. Ci erano già capitati, era come avere un déjà-vu: le stesse modalità, gli stessi tempi.
«Ti prego fa che stia bene..» mormorò l'uomo, intrecciando le dita al petto e chiudendo gli occhi. Rimase così per tutto il tempo della lunga visita, finchè dolcemente una domestica lo richiamò, facendogli segno di avvicinarsi. Arthur entrò in camera, notando subito due cose: che il dottore non c'era più -doveva esser andato via mentre lui era in attesa- e che Emma era sveglia e che gli sorrideva dolcemente.
«Emma...» mormorò Arthur, sedendosi al suo fianco. Le strinse le mani, baciandole «Come stai?»
«Bene. Il medico ha detto che sei stato qua fuori tutto il tempo, e che mi hai riportato fin qui da solo...»
Arthur sorrise appena, senza dire altro. «Faceva troppo caldo, vero? E' stata colpa mia...»
«No Arthur, ascoltami...» fece per dire Emma, ma Arthur sospirò.
«No, Emma, sono indifendibile! Faceva troppo caldo, non avrei dovuto portarti fuori, avrei dovuto...»
«Arthur sono incinta...»
«...avrei dovuto chiederti di leggere, piuttosto che...aspetta, cosa?» chiese finalmente Arthur, capendo ciò che aveva sentito pochi secondi prima.
Emma sorrise, divertita. «Ho detto che sono incinta, Arthur...»
«Sei incinta?»
«Sì, abbastanza incinta» precisò lei, ironica. Arthur scoppiò a ridere e l'abbracciò, gridando di gioia.
«Mia moglie è incinta! Mia moglie è incinta!» urlò spalancando la porta della camera.
«Ecco, ora lo sa tutta la contea» commentò Emma, divertita.
«Deve saperlo! Organizziamo una festa e diciamolo a tutti!» Arthur era fuori di sé dalla gioia.
Emma trattenne il suo entusiasmo, prendendogli la mano. «Io...vorrei aspettare, se non ti spiace. Sono ancora agli inizi, e il medico mi ha detto di aspettare almeno altri due mesi, prima di poterlo affermare con certezza. Insomma, dopo l'ultima volta io preferisco...»
Arthur si sedette sul letto, baciandola e ridimensionandosi. «Certo, hai ragione...va bene, faremo a modo tuo. Non una parola allora, ma dopo faremo una festa della durata di una settimana» precisò l'uomo, sorridendo.
«Va bene»
«Emma?»
«Si?»
«Ti amo...» sussurrò Arthur accarezzandole il viso.
Emma sorrise raggiante, stringendogli la mano. «Anche io ti amo...»
 
8 Settembre 1806
«Cathy...andiamo a fare le corone di fiori sotto la betulla?»
Cathleen sollevò lentamente il capo dal suo libro, fissando la sorella minore. Deglutì, cercò di sorridere, incerta.
«Ti prego, Cathy! Non usciamo da giorni, e da quando è cominciata l'estate ancora non ne componiamo nemmeno una! Fra poco l'estate finisce!»
«Va bene va bene, basta che la smetti con questa lamentela» precisò subito Cathleen, alzandosi. La verità è che a Charlotte non poteva proprio dire di no. Si prepararono e in tutta fretta uscirono, risalendo la collina sotto il sole pomeridiano, caldo e gentile. Risero lungo la strada tra le barzellette inventate di Charlotte e gli aneddoti passati della loro infanzia. Arrivarono sotto l'albero e si lasciarono cadere sull'erba fresca, cominciando poi a intrecciare i fiori raccolto lungo il percorso.
«Il giallo ed il rosa stanno bene insieme?» chiese Cathleen, in dubbio, mostrando i due fiori alla sorella minore.
«Certo che si!» esclamò entusiasta Charlotte, che posò una corona di fiori tra lei e Cathleen, che fece per prenderla.
«Non è per te! Questa è per te...» precisò Charlotte, mettendosi alle sue spalle e sistemandole un'altra corona sul capo, sciogliendole i capelli e accarezzandoli, come faceva sempre.
«E allora quella corona è per te?» chiese Cathleen, rilassandosi.
«No, è per Charles» rispose Charlotte, lasciando Cathleen senza parole. Si zittì qualche secondo, non sapendo cosa dire: nessuno aveva detto a Charlotte cosa fosse successo quella sera ad Egerton House, ma erano tutti convinti che la bambina fosse più intelligente di loro e che non avesse bisogno di spiegazioni.
«Charlotte, ascolta...»
«Lo so, Cathy, non serve che me lo spieghi. Ma il fatto che non sia qui non significa che non sia davvero qui. Fu la stessa cosa con la nonna Beth, ricordi? Papà mi spiegò che le persone, prima o poi, tornano da Dio Onnipotente che è nei cieli, perchè sono troppo importanti per stare qui e soffrire. Allora Dio li premia riprendendoli con sé, ma lascia a noi sempre il loro ricordo, la loro presenza. Fa in modo che non possiamo mai dimenticarci di loro, ed è come se fossero con noi per sempre. E' vero?»
«E' vero...» mormorò Cathleen, con la voce rotta.
«Appunto. E allora siccome sono sicura che Charles sarebbe venuto volentieri con noi, oggi, ho preparato una corona anche per lui. Dici che gli starà bene?» Charlotte la fissò, asciugandole le lacrime.
Cathleen rise appena, lasciandosi anche sfuggire un singhiozzo. «Dico che gli starà benissimo, il giallo è così virile...» mormorò, ridendo insieme alla sorella. Si abbracciarono, con forza e dolcezza, e Cathleen baciò Charlotte fino allo sfinimento, sfogandosi con lei e ringraziandola così di quella vicinanza che solo i bambini, con la loro ingenuità, possono dare a chi è afflitto da un dolore così grande da essere a malapena sopportabile.
«Cathleen!» qualcuno la chiamò a gran voce, da Lavender House. Si alzarono di scatto, e solo quando asciugò bene le lacrime Cathleen potè vedere la figura di suo padre incedere lungo la collina, raggiungendole. Gli andarono incontro.
«Tutto bene padre?»
«Oh si, cara...Charlotte, tua madre ti vuole» annunciò Mr Colborne. Charlotte fissò un istante i due, quindi sbuffando ridiscese la collina, diretta a casa.
«Tutto bene?» chiese di nuovo Cathleen, fissando il padre ansante.
«Sì, devo...parlarti, di una cosa» annunciò Mr Colborne, riprendendo fiato.
«Ebbene parlate, ma riposatevi prima»
«No, sto bene...vieni, passeggiamo un pò» annunciò l'uomo, prendendo la figlia sotto braccio. Passeggiarono in silenzio per un breve tratto, prima che il padre riprendesse parola «Sai...oggi mi è venuto a trovare Mr Barrington...» cominciò.
Cathleen fece per aprire bocca ma il padre sollevò appena la mano, intimandole di aspettare. «Dopo i vari convenevoli, mi ha mostrato un atto ufficiale»
«Lo conosco già quell'atto»
«Non è quello che conosci tu, credimi» precisò l'uomo, serio «anni fa, che dico anni fa...decenni fa, quando sposai tua madre, mio padre morì poco dopo. Io ero secondogenito e mio fratello maggiore ebbe la brillante idea di dilapidare la sua intera eredità, suicidandosi poco dopo. In pochi giorni, mi ritrovai senza dimora per me e mia moglie, con solo una piccola somma di denaro dove poter affittare una stanza d'albergo...»
«Padre non lo sapevo...» ammise Cathleen, sconvolta.
«Nessuno lo sa, cara, solo tua madre. A quei tempi ero distrutto: la mia famiglia era distrutta, i miei genitori si rivoltavano nella tomba e mio fratello aveva distrutto tutto, tutto ciò che i nostri avi avevano costruito con sacrificio e dedizione, vendendo la nostra casa, le proprietà, tutto...così mi venne in soccorso Sir Barrington: noi siamo cresciuti insieme, come fratelli, e lo reputo parente più di molti altri che, in difficoltà, non mi aiutarono. Sir Barrington mi donò una dimora estiva della sua famiglia, proprio vicino alla sua, dove avrei dovuto solo comprare qualche mobile. Era un ottimo inizio, e gli dissi che con le entrate delle terre gli avrei ripagato tutto. Lui non ne volle sapere, e nell'atto notarile che firmammo non c'era nessuna clausola, nulla che potesse dire a qualcuno che questa non era casa mia...»
«Padre...qual è il problema...?»
«Il problema...è che le donazioni di grosse dimore, a quei tempi, erano vietate. Non si poteva, e basta. Così decidemmo di metterla in co-proprietà tra le due famiglie, finchè non sarebbe stato il momento in cui poteva donarla completamente a me. La co-proprietà appartiene al sessanta per cento alla famiglia donatrice e quaranta per cento a chi la riceve e vi abita. Lavender House, anni fa, passò in eredità a Charles ma Sir Barrington mi assicurò che Charles non l'avrebbe mai richiesta, essendo sempre per mare ed avendo una villa molto più grande in cui abitare, una volta tornato a casa. Ma ora...»
«Ma ora le proprietà di Charles sono passate ad Adam...» terminò Cathleen, fissando il padre e fermandosi. Un pensiero, malsano, si affacciò lentamente nella sua testa, strisciando come un serpente velenoso...
«Vuole...vuole cacciarci di casa?» chiese, fissando il padre.
Mr Colborne deglutì, chinando il capo.
«Non può farlo»
«Purtroppo può, avendo la percentuale maggiore. Ho firmato io quel maledetto atto, e Sir Barrington non è in grado di porre rimedio, è fuori di senno ormai...»
«Ma non può!» gridò furiosa Cathleen, fissando il padre. Ne studiò la reazione, ed aveva un'aria colpevole, come se stesse per aggiungere dell'altro.
«Cosa non mi state dicendo, padre?»
«C'è...una soluzione. Ma non dobbiamo accettare, sono ricatti belli e buoni, se suo padre fosse in forze lo bastonerebbe!» mormorò Mr Colborne, ricurvo sul peso delle sue azioni.
«Padre...quale soluzione» chiese decisa Cathleen.
«Mr Barrington ha affermato che potrebbe far modificare l'atto, facendolo firmare dal padre, se...se potesse far parte della nostra famiglia»
Cathleen tacque, afferrando lentamente la richiesta di Mr Barrington. Sbuffò, quasi divertita.
«Ma certo...deve vendicarsi. Deve ottenere ciò che vuole e deve farlo tramite il ricatto, subdolo com'è. Non può semplicemente arrendersi, no...»
«Non devi preoccuparti, Cathleen» annunciò Mr Colborne, stringendo le braccia della figlia «non ti farò sposare quell'uomo, non voglio che tu lo sposi, nella maniera più assoluta! Parlerò con Sir Barrington, troveremo una soluzione, possiamo stare da tua sorella a Londra, e...»
«No, padre, digli pure che lo sposerò» annunciò decisa Cathleen.
Mr Colborne fissò la figlia, sconvolto. «No, Cathleen, non possiamo cedere al suo ricatto, lo hai detto anche tu. Non ti lascerò sposare un uomo così...»
«E chi dice che dovrò sposarlo?» chiese Cathleen, sorridendo. «Ho detto solo di dirgli che lo sposerò. Digli che accetto la sua richiesta, ma che voglio aspettare il ritorno di Edward dal suo viaggio a Dublino. Non potrà negarmi questo, è l'unica richiesta che faccio»
«E che cosa otterrai con questo rimandare?»
«Il tempo necessario per smascherare le sue malefatte, padre» precisò Cathleen, scendendo la collina a grandi passi.
Ora aveva una ragione di vita: doveva vendicare la morte di Charles, doveva vendicare i Barrington dalla presenza di un essere così malefico come Mr Barrington.



Per finire: bentrovat*! Siamo quasi alla fine, manca poco prima della resa dei conti: Adam si è rivelato per quel che è davvero, e non perde molto tempo a piangere suo fratello. E Cathleen ed Emma non vi sembrano, per diversi motivi, due versioni di Elena che sfascia e ricompone la sua tela, per guadagnare tempo? :)
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, fatemelo sapere come sempre, e al prossimo!

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Capitolo 14
*** (Not) Alone ***


14. (Not) Alone
 
25 Settembre 1806
Cara Cathleen,
ti ho scritto appena ho potuto. Sai bene che non sono assolutamente d'accordo sul gioco che stai giocando con Adam. Se è vero quel che dice nostro padre, e ciò che ha scoperto Emma, non è un gentiluomo. So che vuoi solo la verità e la giustizia, ma non la otterrai infilandoti in casa sua. E' troppo pericoloso, rompi il fidanzamento anche se ufficiale, faremo in modo di andare a Londra e ricominciare tutto da capo, Sir Egerton ci aiuterà, o Fanny. Ti prego, non fare cose avventate...almeno incontriamoci al matrimonio di zio Jack senza avere denunce sulle nostre teste.
Con affetto,
Edward.

Cathleen appallottolò la carta da lettera e la buttò tra le fiamme del camino acceso. Si alzò, avvicinandosi alla finestra. La pioggia fuori batteva incessante da giorni, tanto che era stato impossibile svolgere le normali visite tra vicinato: non si vedeva a più di un metro dal proprio naso. Si coprì le spalle con lo scialle, sospirando. L'ultima volta che aveva visto una pioggia simile era con Charles, e si erano quasi baciati. Come sentiva il rimorso di non averlo fatto prima, speranzosa che si sarebbero legati per sempre! Si pentì di essere stata troppo lenta, incerta, troppo in attesa: avrebbero dovuto fare come Jack ed Augustine, dichiararsi e sposarsi senza attesa. Loro avevano atteso troppo, per rispettare le regole, l'etichetta...e a cosa aveva portato? A labbra secche e vuote.
Sospirò ancora ed uscì lentamente dal salotto, la testa ricolma di dubbi, pensieri. Domande. La prima fra tutte era: perchè Mr. Barrington odiava così tanto Charles? Che cosa lo aveva reso la persona che era in quel momento, così odioso, invidioso? Forse, pensò, lo era sempre stato...d'altronde loro che sapevano di quel giovane? Era vicini, certo, ma per tanti anni Adam aveva vissuto lontano da casa e, a quel che diceva suo padre, visitando raramente il padre. Perché?
C'erano troppi perchè, troppe domande che necessitavano di una risposta, ma la priorità assoluta era smascherarlo. E per farlo, pensò mentre camminava, c'era solo un modo: doveva introdursi in camera sua e frugare tra i suoi documenti, doveva esserci qualcosa, magari un diario, una corrispondenza...qualcosa che facesse intuire le sue vere intuizioni. E poi...c'era qualcos'altro. Un pensiero, stupido e senza speranza, si era fatto largo nella sua testa: l'idea che Charles fosse ancora vivo.
Edward diceva che era normale, quando si vive un lutto: sperare che i tuoi cari siano ancora in vita. Eppure per lei era quasi una certezza, un presentimento così forte che non poteva non ascoltare. D'altronde il suo istinto non l'aveva mai presa in giro: aveva sempre avuto l'idea che Mr Barrington odiasse lei e Charles, ed il suo comportamento ne era la riprova. Ma come poteva essere così sicura che Charles fosse vivo, come poteva dimostrarlo? Forse Edward aveva ragione, forse era solo la sua fantasia. Ma almeno poteva salvare ancora la sua famiglia, quella dei Barrington e liberare tutti da quell'essere orribile. Per farlo, stava rischiando tutto: di essere scoperta, infangata, persino denunciata. Stava mettendo a rischio tutti e tutto, e per questo serviva tanta pazienza, calma e astuzia, oltre che una piccola mano.
Quella di Elizabeth, ad esempio. Da dentro la tenuta dei Barrington lei poteva, in assenza di Adam, rovistare e chiedere al personale. Le aveva dato qualche giorno di tempo per informarsi ma poi il maltempo aveva fatto il suo corso, rallentando tutto ma dando possibilità a Elizabeth di potersi informare meglio, seppur con Adam sotto lo stesso tetto.
Si fermò, troppo presa dai suoi pensieri per accorgersi di un raggio che la stava abbagliando, lì nel mezzo del corridoio. Si volse verso la finestra ampia, venendo inondata dalla luce abbagliante del sole che illuminava la campagna bagnata. La rugiada crollava docile dalle foglie e dall'erba brillante, gli uccellini si potevano già sentir festeggiare lontani la fine della pioggia.
«Rosy, prepara il mio soprabito e il calesse, vado a Barrington House!» gridò da in cima le scale verso una domestica, correndo poi in camera a prepararsi.

«Non aspettavo una tua visita oggi, Cathleen. Sentivi la mia mancanza?»
Cathleen si limitò a sorridere più che poteva mentre la domestica le toglieva il soprabito dalle spalle. Sentiva ancora addosso il freddo della giornata autunnale e, nonostante fosse dentro casa, non riusciva ancora a togliersi quella sensazione di risentimento e odio che le trasmetteva l'uomo che aveva davanti a sé.
«Dove vai?» si limitò a chiedergli, vedendolo vestito di tutto punto.
«Come ho detto, non aspettavo una tua visita. Mi sto recando a Londra, per affari, starò via qualche giorno...se vuoi possiamo vederci direttamente lì, per il matrimonio di tuo zio. Ovviamente non contare la mia presenza a quella sceneggiata, ma se vuoi andarci va pure...» precisò Adam, fissandola prima di avvicinarsi.
Cathleen istintivamente porse la guancia, dove si poggiò un umido bacio. Sorrise, l'uomo, divertito da quelle ritrosie.
«Fra qualche settimana non avrai tutte queste remore, Cathleen, credimi» salutò così Mr Barrington, uscendo di casa e salendo veloce in carrozza, diretto a Londra.
Cathleen si pulì la guancia con il dorso della mano, schifata. Se pensava davvero di sposarla, si sbagliava di grosso. Doveva solo trovare qualcosa prima della data, e compromettere così il fidanzamento oltre che la reputazione generale di quell'uomo spregevole.
Mentre la domestica la scortava nel salotto dove la stava aspettando Elizabeth, non fece che chiedersi, come aveva fatto poche ore prima, come un uomo come Sir Barrington poteva avere due figli così diversi, opposti, con un'indole così antitetica.
«Cathleen!» esclamò la voce familiare di Elizabeth, che la fece tornare con i piedi per terra. Le andò incontro, sorridente, e l'abbracciò a lungo. Di quei gesti che parlavano più di ogni parola, che era più di un semplice abbraccio: era un incoraggiamento, un affetto senza eguali. Si sorrisero, e solo in quel momento Cathleen si accorse di una terza figura presente lì nel salotto, insieme a loro. Una giovane ben vestita, di statura regale, appena sovrappeso, la cui poca bellezza veniva comparata con l'eleganza e il garbo che emanava anche solo standosene lì seduta sul divanetto.
«Oh, Cathleen, dimenticavo quasi...lascia che ti presenti la Contessa Stuart. Contessa, lei è Miss Cathleen Colborne, una mia cara amica»
«Incantata, Contessa»
«Miss Cathleen, è un piacere conoscervi. Miss Elizabeth mi ha parlato molto di voi, sono appena arrivata e mi sono...beh, nascosta qui, non volevo vedere quell'essere...ma per Miss Elizabeth questo ed altro»
Cathleen ed Elizabeth si sorrisero appena, senza dire nulla, e si sedettero mentre una domestica versava il thè.
«Ho visto Adam, sta andando a Londra»
Elizabeth annuì. «Va almeno una volta al mese per una settimana. Questo mese ha dovuto rimandare per il maltempo, ma non vedeva l'ora»
«Non vedeva l'ora? Ma ha detto che andava per urgenti affari» rispose innocente Cathleen. Si pentì della sua risposta non appena sentì la risatina divertita della Contessa.
«Senza offesa, Miss Cathleen, ma Mr Barrington i suoi affari li ha altrove, non negli studi di avvocati e notai. Il vostro fidanzato beve, ed anche molto. Gioca d'azzardo, va nei bordelli, nelle fumerie...il Capitano Barrington, pace all'anima sua, ha cercato più volte di riportarlo sulla buona strada ma quel giovane è nato storto e non può certo morire diversamente. Non temete» aggiunse poi, vedendo l'aria mesta di Cathleen «so del vostro piano, Miss Elizabeth me lo ha esposto, e spero vivamente che ci riuscirete. Anzi, se posso aiutarvi...»
«Forse potete, Contessa» precisò Cathleen, osservandola «dicendoci perchè avete annullato il matrimonio»
La mascella poco delicata della Contessa si contrasse. La giovane sospirò appena quindi strinse fra sé le labbra sottili. «Mr Barrington ha tentato di approfittare della mia disponibilità amichevole per una un po' più carnale, Miss»
Cathleen aprì appena la bocca, involontariamente sorpresa. «Ha cercato di...?»
«Sì» precisò secca la giovane «come potete immaginare è stata una cosa orribile. Mio padre ha evitato il disastro, per la lunga amicizia con Sir Barrington, e non ha esposto quell'uomo alla gogna...cosa che io avrei fatto volentieri, anche a costo di infangarmi la reputazione a vita. Loro hanno preferito mettere tutto a tacere, annullando il fidanzamento»
«Mi sento così in colpa, avremmo dovuto capire prima che razza di persona era...» ammise sincera Elizabeth, chinando il capo.
«Non potevate saperlo, Miss Elizabeth, sinceramente...sa abilmente mascherare la sua indole, quando vuole, e lo ha fatto per molti anni. In mancanza di qualcuno che lo freni è incapace di capire cosa sia meglio per lui o per la famiglia. Ora, con permesso...sarà meglio andare via prima che torni il temporale. Buona fortuna per la vostra...missione» annunciò la contessa, alzandosi.
«Vi accompagno, Contessa. Cathleen, arrivo subito» annunciò prontamente Elizabeth, uscendo insieme a lei.

Cathleen rimase da sola, in compagnia solo del ticchettio del pendolo. Lo fissò in quel suo certo e sicuro dondolare, rimase in ascolto del suono continuo. Chiuse appena gli occhi, sorridendo appena fra sé: il suono ricordava quello del pendolo che avevano nella music room di Lavender House. Casa sua, che rischiava di venirle tolta. Avrebbe fatto di tutto per la sua famiglia, per la casa dove lei e le sue sorelle erano nate, dove possedeva i più cari ricordi...dove possedeva i ricordi di Charles, di Elizabeth...
«Vincerò io» mormorò tra sé, alzandosi di scatto. Uscì dal salotto, incapace di starsene lì in attesa. Avrebbe cominciato a cercare senza Elizabeth, non c'era molto tempo: se non c'era nulla lì, dovevano cercare in qualche altro posto. Conosceva appena quella dimora, e dovette farsi indicare più volte la zona notte dalle domestiche.
Camminava lentamente lungo il corridoio, nell'ampia zona con più di quaranta stanze. Le controllò tutte, e la maggior parte erano vuote, in disuso, in attesa di essere occupate dai rari ospiti della tenuta.
«Maledizione...» brontolò tra sé, pentendosi di non aver aspettato pazientemente Elizabeth. Passò davanti l'ennesima stanza chiusa e si fermò, tornando indietro. C'era qualcosa in quella porta socchiusa che l'attirava. Un odore, familiare...
Deglutì a vuoto e lentamente aprì la porta della camera da letto dove si ritrovò catapultata in qualche mese addietro. Il letto era appena sfatto nelle sue lenzuola pregiate, come se qualcuno c'avesse dormito recentemente, su un cuscino c'era ancora il segno di una testa. Un appendi abiti sosteneva ancora un soprabito da uomo, a terra degli stivali infangati.
Le gambe non rispondevano, come sempre, alla sua richiesta di uscire immediatamente da lì. Ed anzi non solo non ubbidirono, ma si mossero di loro spontanea volontà verso la scrivania lì alla sua destra. Gli occhi si posarono su una boccetta di colonia da uomo. Le mani imitarono le gambe, e nonostante Cathleen ordinava loro di non prendere la boccetta, quelle non l'ascoltarono e l'afferrarono, aprendola sotto il suo naso che, costretto, respirò quel profumo.
La boccetta cadde a terra, frantumandosi e sprigionando in tutta la stanza l'odore dolce e pungente della colonia. Cathleen crollò in ginocchio, vicino la chiazza di profumo, portandosi le mani al viso e cercando di nascondere a Dio le lacrime che sgorgavano dagli occhi. Eppure sperava che erano terminate, quelle dannate lacrime. Invece la colonia aveva riaperto una ferita che a malapena di stava chiudendo, con uno sforzo enorme. Sforzo inutile davanti alla sfacciata realtà sbattutale in faccia. Singhiozzando poggiò la testa sul materasso del letto, sulle lenzuola mai più toccate. Non sentì nemmeno Elizabeth entrare di colpo nella stanza, abbracciandola e inginocchiandosi vicino a lei.
«Oh Cathleen, ti avrei evitato questa stanza. Perché non mi hai aspettato, testarda, perchè...» mormorò in lacrime l'amica, abbracciandola forte.
Cathleen ne respirò il profumo, cercando di non pensare più a quella dannata colonia che la perseguitava ancor prima di vederla dentro quella boccetta. Si alzarono lentamente, Elizabeth la spinse fuori dalla camera con dolcezza, richiudendo la porta.
«Lo zio ha voluto che non venisse toccato nulla...»
«Mi dispiace, non volevo entrarci...stavo cercando quella di Adam...» mormorò Cathleen cercando di asciugarsi le lacrime, aiutata dall'amica.
«Lo so, mia dolce Cathleen, lo so...ma vieni, la stanza di Adam è qui vicina. Vuoi ancora scoprire che cosa sta tramando vero? Concentriamoci su questo, per un po' lasciamo da parte il dolore, ti prego...»
Cathleen annuì, calmandosi. La vista della camera del suo adorato promesso l'aveva destabilizzata, anche perchè non si aspettava di entrare nella sua stanza, troppo tardi per poterla condividere con lui.
Avanzarono lungo il corridoio, aprendo una porta qualche metro più in là: era completamente diversa rispetto alla prima, più spartana e semplice. Questa aveva un divanetto romano in fondo alla stanza, un letto matrimoniale a baldacchino, un paio di scrivanie, almeno tre bauli e altrettanti specchi, posti in diverse angolazioni. I carboni nel camino erano ancora caldi, le lenzuola sfatte. Sulla toeletta c'era una quantità di lozioni e creme da far invidia alla più attenta dama di corte. Scosse la testa Cathleen, affranta: l'ennesima riconferma di quanto i due fratelli fossero diversi.
«Forza, mettiamoci a cercare» mormorò Elizabeth, chiudendo piano la porta. Presero a scandagliare mattone per mattone la stanza del giovane: sotto i cuscini e il materasso, nei vari cassetti, nei bauli, tra i vestiti e le tasche, dietro gli specchi, cercando persino degli spazi vuoti sotto le assi di legno. La ricerca fu lunga ed estenuante, e non diede nessun risultato.
«Maledizione, non è possibile!» brontolò Cathleen, allentando il colletto dell'abito, accaldata.
«Non diamoci per vinte, Cathleen. C'è ancora un'altra stanza da visitare» precisò Elizabeth, sistemandosi i capelli. Si avvicinò ad uno degli specchi, spingendolo delicatamente su un lato della cornice. Quello cedette alla spinta della giovane, girando appena su se stesso e mostrando un passaggio verso una seconda stanza. Cathleen spalancò appena la bocca, sorpresa, ed Elizabeth sorrise prima di varcare la zona segreta.
«Barrington House è una tenuta antica e chi la costruì era un appassionato di passaggi segreti. Adam si è sempre vantato di avere una stanza segreta in camera sua e, una volta, gliela vidi aprire con la porta della stanza aperta. Che stolto...»
Cathleen varcò la soglia della stanza segreta: al suo interno c'era solo una scrivania con una sedia, uno scaffale ricolmo di carte, un braciere freddo e tanto, tanto alcool.
«Dio santo, ma cosa diavolo fa qui...?» mormorò Cathleen, cominciando a rovistare senza smuovere troppo le carte.
«Non lo so, è la prima volta che ci entro. Dio, come siamo stati ciechi Cathleen...avremmo dovuto capire che razza di uomo era, se solo Charles...»
«Charles non c'è, Elizabeth, quindi sta a noi smascherarlo. Tiene in pugno tutti, e crede di tenere in pugno anche noi...è questo il nostro vantaggio. Trovato qualcosa?»
«No nulla. Tu?»
«No. Eppure tutte queste carte, e niente che ci porti a qualcosa di ambiguo? Maledizione» brontolò, mettendo al suo posto un tomo preso dallo scaffale. Sospirò, guardandosi intorno. Era impossibile, non aveva potuto nascondere tutto! Dove teneva gli atti, i documenti ufficiali?
«Forse li porta sempre con sé, magari ora sono in viaggio con lui verso Londra...» ipotizzò Elizabeth, affranta.
«Forse. Ma deve esserci qualcosa qui, un indizio che ci porti a capire cosa sta combinando davvero...»
«Non sembra esserci nulla. Deve aver bruciato tutto» ammise Elizabeth, facendo per uscire dalla stanza. Cathleen la seguì ma si bloccò di colpo sulla soglia.
«Cathleen, che c'è?»
«Cosa hai detto? Che deve aver bruciato tutto?»
«Si beh, insomma...cancellato le tracce»
«No no, tu hai detto “bruciato”, Elizabeth. Vieni!» mormorò Cathleen tornando indietro. Si avvicinò al braciere freddo della stanza segreta. Frugò appena tra la cenere, il viso delle fanciulle chino sui rimasugli di un fuoco acceso per riscaldare l'ambiente.
«Ferma!» gridò quasi Elizabeth, bloccando il polso dell'amica. Rovistò delicatamente nella cenere quindi estrasse qualcosa: un pezzetto di carta pergamena, bruciata e annerita ai bordi.
«Cos'è?»
«Deve essere un pezzo di qualche lettera. Ma guarda bene: non riconosci quel disegno?»
Cathleen aguzzò la vista, cercando di immaginare il disegno, lì su quel pezzetto, finito e completo. Deglutì a vuoto, fissando Elizabeth quando capì.
«Oh mio Dio...»
«E' lo stemma della Marina.»
Le due ragazze presero con sé il pezzo ed uscirono di corsa da lì, richiudendo tutto e rimettendo tutto in ordine.

«Cosa accidenti significa?» chiese Elizabeth a bassa voce, camminando svelta per i corridoi.
«Solo una cosa. Che la lettera di dimissioni di Charles non è mai arrivata a destinazione»
«Cosa? No aspetta Cathleen, non può essere...»
«Certo che può essere! Ascoltami...» mormorò Cathleen, richiudendo dietro di sé la porta del salotto, guidando poi l'amica vicino al camino, sedendosi sul divano «Charles mi disse che aveva dato ad Adam stesso la lettera da spedire alla Marina, e..»
«Ma non potrebbe essere la lettera che la Marina ha mandato a Charles per richiamarlo?»
«No, perchè quella lettera io l'ho vista con i miei stessi occhi, me la fece vedere Charles prima di partire, e la portava con sé il giorno della sua partenza. Non può essere nemmeno la lettera della Marina dove ci hanno comunicato del naufragio, perchè...»
«...perchè quella ce l'ha lo zio, sempre con sé, ed impedisce a chiunque di prenderla» terminò Elizabeth, fissando Cathleen. Si portò le mani sul viso, sospirando «Oh mio Dio, Adam, che cosa hai fatto...»
«Ha fatto ciò che voleva. Quando Charles è venuto qui in licenza ha ripetuto più di una volta che non sapeva quanto sarebbe rimasto, che prima o poi si sarebbe sistemato ma che la Marina poteva chiamarlo in ogni momento. Ha semplicemente evitato di consegnare la sua lettera di dimissioni alla Marina: a lui bastava attendere solo il momento in cui sarebbe stato richiamato, e così tutto sarebbe tornato come prima. Certo non poteva prevederne la morte, per lui è stato un colpo di fortuna...»
«...così ha potuto ereditare tutto ciò che era rimasto dei Barrington, dilapidandolo, proprio come mio fratello» una voce maschile le raggiunse, facendole sobbalzare di sorpresa. Cathleen si girò verso la porta d'ingresso, osservando sorpresa la figura del padre, in piedi sulla soglia.
«Padre...cosa ci fate qui?»
«Cerco di non fare ulteriori sbagli, Cathleen» mormorò Mr. Colborne, andandole incontro «ho fatto molti sbagli nella mia vita, cara, ed uno di questi è stato quello di non ascoltarti, per molte volte. Sono venuto qui per fare ammenda, ed aiutare un amico in difficoltà: Sir Barrington ha bisogno di me e lo aiuterò, per quel che posso. Ho anche scritto a tuo zio Jack: verrò al suo matrimonio»
Cathleen sorrise raggiante e corse ad abbracciarlo, felice.
Mr Colborne ricambiò il sorriso e l'abbraccio, poi tornò serio. «Ho capito perfettamente a che gioco sta giocando Adam, ma si sbaglia di grosso se pensa di poterci imbrogliare di nuovo. Charles sarà pure caduto nella sua trappola, ma certo non ci cadremo noi. Lui non poteva sapere che razza di fratello avesse, ma noi ora sì. E lo fermeremo, a costo di perdere tutto ciò che abbiamo. Miss Elizabeth, vostro zio è per me come un fratello, sento il dovere di aiutare la vostra famiglia come solo un parente farebbe. Mi date il permesso di visitarlo nelle sue stanze, cercando di dargli ristoro?»
«Tutto il permesso che volete, Mr Colborne, siete e sarete sempre il benvenuto a Barrington House» precisò Elizabeth, sincera.
«Bene, allora signorine...con permesso, ho un amico a cui far visita» precisò Mr Colborne, sorridente, uscendo dal salotto.
Elizabeth e Cathleen si guardarono, sorridendo dopo tanti pensieri e tante preoccupazioni.
«Non siamo sole, Cathy, non siamo sole...» le mormorò Elizabeth, abbracciandola.
Cathleen sorrise, sollevata. La sua amica aveva ragione: non erano sole a combattere contro quel mostro. Avrebbero vendicato la morte di Charles, avrebbero salvato i Barrington e i Colborne dalla rovina e forse, un giorno, Cathleen sarebbe tornata ad essere felice.
 
Londra, 29 Settembre 1806
Il ticchettio del pendolo nella stanza era l'unico suono che poteva sentire intorno a lei. L'aria era pregna del dolce odore di legno laccato, del velluto, delle pagine usurate degli spartiti. Si accomodò davanti lo strumento, aprendo la tastiera. Le ampie finestre filtravano la luce del sole che veniva da fuori, specchiandosi sul pavimento. Socchiuse gli occhi, posando le dita affusolate sui tasti. Prese a suonare lentamente, di terzina in terzina, assaporando ogni singolo suono che rimbombava dolcemente nella stanza. Senza fretta. Alle terzine si unirono altre note, altre dita, la melodia si fece incalzante, nello sottofondo la costante di un solo tasto, un solo suono a riprodurre quel ticchettio lento e inesorabile. Volente o meno, il tempo trascorreva intorno a lei. Le mani vivevano di vita e memoria propria, si muovevano lungo la tastiera senza attendere comandi dalla mente, né dal cuore. Sapevano esattamente cosa fare, seppur fosse una melodia del tutto nuova, scritta in nessuno spartito, solo nella sua testa. La melodia si fece più incalzante, veloce, liberatoria, triste e serena nello stesso tempo. Le alterazioni incalzavano senza pietà, donando alla melodia lineare una stonatura, come un sorriso con una piega della bocca verso il basso. Chiuse completamente gli occhi, inclinò indietro il capo, assaporando quella creazione che nasceva. Non si accorse dei passi che cozzavano contro il legno del pavimento, fermandosi sulla soglia della porta aperta.
«Cathleen» qualcuno la chiamò, così piano e pure così forte. Sembrava che la voce che la chiamava venisse direttamente dalla sua testa, rimbombando nelle orecchie. Sollevò le mani dalla tastiera eppure sembrava come se la musica continuasse a svilupparsi nell'aria. Si girò verso la figura alta e marziale che sostava sulla soglia. Non poteva vederne il volto -eppure era così chiaro nella stanza...- ma vedeva bene la sua divisa della Marina, le mostrine, le medaglie. Poteva quasi intuire la piega della sua bocca, volta in un sorriso gentile....
«Cathleen!» gridò Emma, scuotendola appena.
Aprì lentamente gli occhi, sentendo subito un dolore intenso al collo. Rabbrividì appena, sentendo immediatamente il freddo che filtrava dai finestrini chiusi della carrozza a quattro.
«Sparlavi...» commentò preoccupata Emma, osservandola.
Cathleen deglutì a vuoto, ancora incapace di parlare. Cercò di mettere a fuoco, velocemente, dov'era e chi era: si affacciò oltre la tenda del finestrino. Fuori la campagna si stava diradando, lasciando spazio a case e strade sterrate.
«Siamo a Londra, saremo a casa di zio Jack fra meno di mezz'ora. Hai freddo?» chiese Emma, dandole subito una coperta presa da sotto i divanetti. Cathleen si coprì le gambe, acclimatandosi. Sospirò ripensando al sogno stupendo che aveva fatto: era così reale che aveva potuto percepire il profumo di Charles. O forse era a causa della colonia rotta a Barrington House, aveva quel profumo che la perseguitava ovunque.
«Tutto bene?» chiese Elizabeth al suo fianco, rimasta in silenzio per tutto quel tempo.
«Sì...stavo sognando...» mormorò Cathleen con voce roca, sorridendo appena. Gli altri si scambiarono sguardi eloquenti mentre lei tornava a guardare fuori dal finestrino. Londra. Dove tutto era cominciato, e dove tutto sarebbe finito. Di lì a qualche giorno ci sarebbe stata la resa dei conti con Adam, aveva promesso a Edward di attendere il matrimonio di zio Jack, di attendere per decidere cosa dire al Barrington, e soprattutto come. Erano arrivati al capolinea, e non potevano tornare indietro.
«Adam ha ucciso Charles» annunciò dal nulla Cathleen, facendo quasi strozzare Arthur con l'acqua che stava bevendo.
«Cosa?» chiese perplessa Emma, fissando la sorella.
«Ho detto che Adam ha ucciso Charles. O quantomeno non ha impedito che non venisse ucciso. Ne abbiamo le prove»
Raccontò tutto alla coppia, tutte le parole dette, le storie nascoste, ed il pezzo di carta trovato nel braciere. Obiettò con piena razionalità alle perplessità della coppia, aiutata anche da Elizabeth.
«Non è esattamente...un omicidio» commentò alla fine Arthur «ma è sicuramente una cosa molto grave. Charles aveva chiesto personalmente ad Adam di spedire la lettera, perchè si fidava...e lui ha tradito la sua fiducia, non consegnando la lettera, omettendo di non averlo fatto e portando così Charles lontano da te. Certo non poteva prevedere che...»
«Che sarebbe morto?» precisò, realistica, Cathleen «no di certo. Ma le navi non sono fatte di un materiale divino, Arthur, si rompono. La vita può diventare morte in pochi secondi, in mare aperto. Questa volta è stato un naufragio, ma poteva ammalarsi, essere colpito da una cannonata o semplicemente scivolare in mare ed essere trascinato dalla corrente. Lo sapeva a cosa lo mandava incontro...»
«Credo tu abbia ragione. E poi tutto il suo comportamento è sospetto: sembra come se voglia sbarazzarsi di tutto e tutti» ammise Arthur, serio.
«Pensi davvero che sia capace di questo?» chiese dubbiosa la moglie.
«Emma» Cathleen richiamò seria la sorella, fissandola «quella sottospecie di uomo ha costretto nostro padre a dargli la mia mano, minacciandolo di cacciarlo dalla sua casa solo perchè io l'ho rifiutato. Credi davvero che si faccia problemi a non spedire una lettera di dimissioni di suo fratello?»
Emma fissò la sorella e sorrise appena, triste «Immagino di no»
«Appunto...»
«Che cosa hai intenzione di fare?»
«Quel che è giusto fare, Arthur. Dirgli che l'ho scoperto, che so esattamente cosa ha fatto e cosa vuole fare, che rompo il matrimonio e che non può cacciarci di casa. Nostro padre ha trascorso gli ultimi giorni con Sir Barrington, gli tiene compagnia per la maggior del tempo...hanno parlato molto, Sir Barrington sembra essere tornato in sé. O almeno in parte. Dice che gli dirà di Adam dopo il matrimonio, a cui parteciperà, per farlo stare tranquillo per qualche giorno»
«Pensi che Sir Barrington possa modificare il suo atto?»
«Penso che almeno dobbiamo provarci. Non dobbiamo cedere ai ricatti di quel mezzuomo» rispose seria Cathleen.
La carrozza si fermò con un lieve scossone. Non si accorsero di essere già arrivati, con il brusio della gente che li circondava. Arthur aiutò le tre giovani a scendere lentamente dalla vettura, mentre due paggi scaricavano i loro bauli.
«Ben arrivati finalmente!» esclamò entusiasta Edward, aprendo la porta del civico dove si era fermata la carrozza.
«Edward!» esclamarono in coro le due sorelle, andandolo ad abbracciare insieme, rimanendo così qualche secondo.
«Sir Egerton, ben rivisto...è andato bene il viaggio?»
«Molto bene, grazie, Mr Colborne» annunciò Arthur, stringendo la mano di Edward e sorridendo.
«Miss Elizabeth...spero non vi siate stancata...»
«Affatto, Mr Edward...è un piacere rivedervi» i toni dei due furono più sommessi, quasi imbarazzati. Cathleen sorrise di traverso a Emma, mentre entravano nell'appartamento di zio Jack. Una ventata d'amore era quello che le serviva, pensò, seppur non fosse il suo. L'avrebbe aiutata a non pensare, per qualche secondo, al suo amore perduto.


«E' stato un matrimonio splendido, non trovate?» commentò per l'ennesima volta Mrs Colborne, mentre sorseggiava il suo thè seduta al tavolino insieme alle tre figlie e a Miss Elizabeth. Erano in una stanza in disparte, dove in quel momento non era presente nessuno oltre a loro ovviamente. «certo, davvero poca gente...ma la cosa non mi stupisce. Augustine era incantevole nel suo abito rosa, e la cerimonia è stata deliziosa. Non trovate?»
«Si madre, troviamo...» brontolò Fanny, piccata e rigida come al solito.
Cathleen si limitò a sorridere, pensosa mentre fingeva di bere il suo thè. La verità era che aveva lo stomaco chiuso dalla sera prima, non appena era finito il matrimonio. Quella consapevolezza che il regolamento di conti era arrivato, come nei vecchi romanzi quando l'eroe e l'antagonista duellavano per la virtù della protagonista femminile. In quel caso, la situazione era leggermente diversa ma il senso uguale.
«Cathleen...» la richiamò appena Elizabeth, posandole la mano sulla sua.
Cathleen sorrise appena, ricambiata dall'amica: entrambe sapevano perfettamente cosa provava l'altra, dato che in quel tavolo erano le uniche due, oltre Emma, a sapere cosa sarebbe accaduto nei giorni successivi. Mr Colborne aveva espresso il desiderio di rivelare il piano alla moglie solo una volta che questo fosse stato svolto, “per evitarle un crollo di nervi”.
«Volevo...farvi una piccola comunicazione» annunciò di colpo Emma, attirando subito l'attenzione delle altre donne «volevo aspettare un altro po' per dirvelo, per sicurezza...il medico dice che è ancora presto per dirlo ma...»
«Emma...sei incinta?» chiese in un sussurro Mrs Colborne, osservandola.
«Sì madre...sono in dolce attesa» precisò la figlia, sorridendo dolcemente. Il gridolino felice di Mrs Colborne echeggiò appena nella stanza, e si limitò a stringere forte la mano della figlia, mostrando così la sua gioia a stento trattenuta dall'etichetta.
«Siamo felicissime per te, cara! Vero?» annunciò Fanny senza eccessiva enfasi, facendo annuire le altre giovani. Cathleen fissò qualche istante il ventre della sorella, aspettando quasi di vederlo colmo di una vita, e sorrise appena fra sé. Chissà quale gioia infinita doveva essere diventare madre...
«Oh Cathleen...» mormorò Emma, stringendole la mano «volevo aspettare per dirtelo, davvero...non volevo farti rattristare, ma non riuscivo a tenermi questo peso sul cuore»
«Rattristare, Emma, e perchè mai? Sono davvero felice, per te e per noi che presto saremo zie e nonne» rispose subito Cathleen, sorridendo sincera.
«Meno male...meno male davvero»
«State già pensando ai nomi, milady?» chiese curiosa Elizabeth.
«Non ancora, ma io e Arthur abbiamo raggiunto l'accordo che se maschio deciderà lui il nome, se femmina sarò io. Per quanto mi riguarda mi piace molto Margharet, o Rosaline»
«Nomi incantevoli, milady» precisò sincera la sua interlocutrice.
«Santo cielo...» mormorò Mrs Colborne, allarmata.
«Suvvia madre non siate esagerata, sono dei bei nomi» brontolò Cathleen, sospirando.
«No cara, non mi riferivo affatto ai nomi. C'è Edward...» annunciò la madre, facendo volgere tutto il tavolino verso l'ingresso della stanza. Cathleen intuì subito il tono preoccupato di Mrs Colborne: il fratello venne loro incontro pallido come un lenzuolo, con la giacca bagnata sulle spalle, come se avesse camminato per un breve tratto sotto la sottile pioggia, a piedi, e in mano recava una lettera chiusa leggermente stropicciata.
«Edward, santo cielo...sembra che tu abbia visto un fantasma» mormorò preoccupata Fanny, facendogli spazio tra lei e Cathleen.
«Perdonate se arrivo senza preavviso, ma...ci sono novità» annunciò tetro il giovane, osservando subito Emma, Elizabeth e Cathleen.
«Ebbene, parla Edward o ci farai morire di attesa» annunciò seria Mrs Colborne. Edward, a tale richiesta, sospirò e porse la lettera a Cathleen che la prese incerta.
«Che cos'è?»
«Una confessione, da parte di Mr Barrington»
Cathleen fissò sorpresa il fratello. Com'era possibile? Nemmeno nelle sue più rosee aspettative aveva sperato che Adam confessasse, eppure eccola lì tra le sue mani la prova lampante che quell'uomo era senza onore e coraggio.
«Di che confessione parli, caro? Spiegatemi»
«Per favore, solo un attimo madre...lasciate prima che Cathleen possa leggere» mormorò Emma, con gentilezza. Mrs Colborne fissò la figlia confusa, poi sospirò. Edward annuì a Cathleen, che aprì la lettera e cominciò a leggere.

Miss Cathleen,
vi scrivo questa breve confessione, consapevole che ormai avrete capito e compreso tutto. Come ho potuto pensare, d'altronde, di essere in presenza di una donna stupida? Voi non lo siete affatto. Avete sempre intuito l'astio che c'era tra me e mio fratello. Ero geloso di lui, lo sono sempre stato. Come Caino e Abele, noi eravamo i figli unici di mio padre. Io ero il maggiore, l'erede, eppure fin dalla nascita di Charles i miei genitori hanno preferito lui a me. Lui era più bello, più gentile, più intelligente, sorridente, garbato...come potevo, io, non essere geloso? Mi hanno messo in disparte, perchè non rientravo nei loro “canoni”, perchè ero diverso. Quando quello stolto di Charles decise, giovanissimo, di entrare in Marina...fu il giorno più bello della mia vita. Appena tredicenne, cercai di essere un ottimo sostituto per i miei genitori. Eppure i pianti di mia madre erano inconsolabili. Perchè voleva solo lui? Mi arresi, e qualche anno più tardi partii per Londra dove rimasi per anni...quale sarebbe stato lo scopo di tornare a casa, vivendo all'ombra di mio fratello? Almeno potevo sollevarmi con l'idea che ero l'unico erede dei Barrington, perchè il maggiore.
Quando Charles tornò in licenza e vi conobbe, sapevo già che vi avevo perso Cathleen: vedevo come lo guardavate, e non potevo che provare odio. Cercai di convincerlo che non lo ricambiavate, per questo quello stolto ha impiegato così tanto a chiedere la vostra mano, ma non è valso a nulla. Sapevo che mi aveva sconfitto: aveva conquistato l'ennesima mèta che io volevo conquistare. Nelle feste e nelle serate era lui la luce che brillava alta, io ero la sua ombra. E cosa potevo fare? Nulla.
Ma poi, quello stolto ha deciso di fidarsi di me: che ingenuo! Pensava davvero che avrei spedito le sue dimissioni alla Marina? Era l'unico modo per allontanarlo da voi: farlo tornare da dove era venuto. La Marina lo avrebbe tenuto lontano abbastanza per farvelo dimenticare, e così io vi avrei consolato e, poi, sposato. Saremo potuti essere così felici, Cathleen! Mi avreste salvato dai miei peccati, dai miei vizi...ma ho di nuovo sbagliato. Vi ho sottovalutato, ho sottovalutato il vostro amore per mio fratello. La notizia della sua morte è arrivata inaspettata, ero sinceramente sorpreso ma ho colto subito la palla al balzo, sistemando quel che da sempre era mio: mio padre, le nostre proprietà, e un giorno avrei conquistato anche voi. Ma, di nuovo, ho sottovalutato il potere che ha l'amore verso chi compiange qualcuno. Anche da morto continuava a perseguitarmi!
Ed allora eccomi qua...a chiedere scusa, a cercare di redimermi prima che sia troppo tardi. Chiedete scusa anche a mio padre, alla fine non si meritava questa sofferenza. Annullo il mio fidanzamento con voi, annullo ogni mia vendita o trattativa, lascio tutto a mio padre, di nuovo...senza figli, senza eredi, vivrà il resto dei suoi giorni circondato dalla polvere che avvolgerà Barrington House. E' così che deve essere.
Vi lascio, per sempre.
Adam.

Cathleen deglutì, sollevando lentamente il capo. Osservò eloquente il fratello, cercando una spiegazione a molte delle due parole. Passò la lettera alla madre, che lesse velocemente il contenuto. Irrigidì la mascella più e più volte, prima di riporre la lettera sul tavolino.
«Dunque è finita...» mormorò, osservando i figli.
«Voi sapevate dunque» commentò sorpreso Edward.
«Edward, caro, certo che sapevo...credi che tua madre sia forse sorda, o cieca? Posso non essere intelligente quanto voi, ma so esattamente cosa accade dentro casa mia»
«Bisogna mandare immediatamente una lettera a Barrington House» annunciò Cathleen, seria.
«L'ho già fatto, ho già avvisato nostro padre che avviserà a sua volta Sir Barrington»
«Molto bene. Ora andiamo a parlare con Mr Barrington, voglio che mi dica queste cose in faccia» annunciò la sorella, alzandosi.
«Cathleen...» la richiamò con calma Edward, asciugandosi la fronte «forse non hai letto bene la lettera»
«Certo che l'ho letta, ma Edward...»
«No, non hai letto bene Cathy» precisò il fratello fra i denti. Cathleen lo fissò interrogativa e riprese la lettera, rileggendo.
Aggrottò le sopracciglia, ed un presentimento lentamente si affacciò nel suo cuore. Senza figli, senza eredi...vi lascio, per sempre...
«Edward...prima che sia troppo tardi...»
«E' già troppo tardi, Cathy. Questa lettera è stata trovata in un'oppieria nei bassi fondi di Londra. Vicino c'era il corpo senza vita di Mr Barrington»
Cathleen tornò di scatto seduta, mentre sua madre si portava una mano alla bocca. Fissò la lettera, le ultime parole scritte da un essere umano. Aveva odiato profondamente Adam, aveva fatto cose terribili...eppure in quel momento non riusciva altro che provare pietà per un uomo che era nato e morto da solo, senza un amore sincero. Chi poteva biasimarlo per quella mancanza? Nessuno. Negli ultimi mesi aveva capito che l'amore era un sentimento complicato, a volte crudele.
Ripose la lettera nella tasca del mantello ed uscì dalle Upper Room, tornando a casa sotto la pioggia.




Per finire: bentornat*! La resa dei conti è arrivata in maniera inaspettata, Adam alla fine è un codardo, si era capito, anche se un po' di pena me la fa: chiunque crescerebbe così (o peggio) senza un minimo di affetto o di attenzione in famiglia. Tuttavia giustizia è stata fatta, almeno i Colborne non perderanno la casa. Cosa accadrà adesso? Lo scopriremo nel quindicesimo ed ultimo capitolo :) alla prossima!

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Capitolo 15
*** Twice ***


15. Twice
 
30 ottobre 1806
«Buonanotte Charlotte»
«Buonanotte Cathy»
Richiuse lentamente la porta della camera della sorella e, guidata dalla fioca luce della candela, entrò nella propria stanza. Ormai dormiva da sola da quando Emma si era sposata, era con lei che divideva una volta la camera da letto. Ora, tutto quello spazio era per lei. Si sedette alla scrivania, sistemando lo scialle sulle spalle e lasciando la candela accesa, la fiamma vivace che danzava nell'oscurità.
Doveva ancora scrivere il suo diario, non ne aveva avuto tempo per tutto il giorno. Non che avesse molto da scrivere, d'altronde: l'unica grande notizia della giornata, sorvolando le lamentele sul freddo infernale che faceva in questi giorni autunnali, era che Edward aveva chiesto la mano di Elizabeth e si erano fidanzati ufficialmente il giorno stesso. Avevano festeggiato a lungo, a casa dei Barrington, ed erano tornati da solo qualche ora, il tempo di cambiarsi e andare a letto.
C'era silenzio tra quelle calde e accoglienti mura. Casa sua. Solamente casa sua.
La notizia della morte di Adam non aveva colto tutti di sorpresa: girarono per giorni i pettegolezzi su di lui, e scoprì che non era affatto uno stinco di santo. Qualche domestica precisò che, secondo lei, non era morto nemmeno per l'oppio o l'alcol, ma per la sifilide. Vennero svolti i funerali, fu sepolto nella cappella di famiglia, vicino alla madre, e lentamente Sir Barrington riprese coscienza ed energie fisiche. La morte di Charles aveva per sempre intaccato il suo animo, non sorrideva più, non sarebbe mai tornato più lo stesso...ma almeno era vivo. Come lei, no? Non sarebbe mai tornata quella di prima, né tanto meno a sorridere, ma aveva qualcosa per cui vivere. Un nipote in arrivo, un altro già di tre anni, ed una cognata oltre che migliore amica. Una delle poche che poteva un po' allietare il suo umore.
Fissò la pagina bianca del diario dove aveva scritto solo la data odierna. Sbuffò, riponendo la piuma d'oca e l'inchiostro. Aveva troppo sonno per scrivere il diario, lo avrebbe fatto il giorno seguente: certo non poteva accadere nulla da quel momento fino a dopo la colazione. Portò la candela vicino al letto, appese lo scialle e s'infilò sotto le calde coperte, soffiando subito dopo sulla fiamma, cadendo nell'oscurità della notte.
Aveva lasciato la tenda della finestra aperta, come sempre da quando era morto Charles: non sopportava l'idea di essere completamente ovattata nel buio più totale, almeno la luna ogni tanto le faceva compagnia prima di addormentarsi, rischiando appena l'interno della camera. Chiuse gli occhi, aguzzando l'udito: suo padre tossì appena, nella stanza vicina, prima di sentirlo rigirare nel letto che cigolò lentamente. Nella camera adiacente, Charlotte prese subito a russare. Sorrise tra sé, divertita di come una ragazzina così piccola potesse russare così tanto.
Si girò di lato, rannicchiandosi. Chiuse gli occhi di nuovo, cominciando a pregare: dire le preghiere le fece venire sonno. E così, velocemente, scivolò in un sonno profondo e in sogni confusi e tormentati.


Il campanello dell'ingresso suonò così forte che la svegliò. Lo aveva percepito già nel suo incubo e le aveva quantomeno permesso di allontanarsi da quelle immagini così cupe. Si sedette lentamente sul letto, assonnata, confusa. Guardò fuori dalla finestra: non era lontanamente l'aurora, ma piena notte. Chi mai poteva essere a quell'ora? Sentì passi veloci e discorsi concitati, porte aperte e chiuse velocemente, la luce delle candele che filtrava da sotto la porta.
Il primo pensiero fu per Emma, ed allarmata dal letto, raccolse al volo pantofole e scialle ed uscì verso il corridoio.
«Padre, che succede?» chiese incrociando Mr Colborne in cima alle scale, quelle che si affacciavano sull'ingresso.
«Non lo so, Cathy, qualcuno ha bussato» mormorò l'uomo, la voce roca dal sonno. Proprio in quel momento una domestica, in veste da notte, cuffia e una candela in mano, andò ad aprire la porta d'ingresso. Ne entrò una figura che, sotto la luce delle candele, Cathleen riconobbe subito.
«Elizabeth! Santo cielo che succede?» chiese scendendo veloce le scale insieme al resto della famiglia.
La giovane amica aveva i capelli scompigliati, raccolti velocemente in una treccia; stivali ai piedi e, sopra di essi, una veste da notte ed un cappotto. Aveva il viso pallido, la pelle tirata, come se avesse visto la morte in persona.
«Elizabeth!» esclamò in sussurro Edward, arrivato solo in quel momento.
La giovane sorrise appena, osservandoli. «Mi spiace di avervi disturbato, non volevo, e scusate anche il mio pessimo abbigliamento...ma è importante, molto»
«Diteci tutto, miss, senza timori» annunciò Mr Colborne.
«Ebbene...è arrivata una carrozza a Barrington House, appena sceso il sole: dentro c'erano due giovani ragazzi che hanno fatto scendere un giovane, privo di sensi, irriconoscibile per via della barba e dei capelli così lunghi da sembrare un vecchio. I due giovani lo hanno trovato a Londra, vicino al porto, e gli è stato indicato il nostro indirizzo. Abbiamo chiamato subito il medico: il giovane è in situazione critica ma è vivo, ha perso molto peso e...»
«Elizabeth» la interruppe Cathleen, fissandola «chi è quel giovane...?»
L'amica deglutì, osservando tutti loro. «Non ne abbiamo la certezza, è così magro, è irriconoscibile, ma...»
«Ma...?»
«Ma prima di svenire, a questi due ragazzi ha detto di chiamarsi...Barrington, Charles Barrington»
Cathleen si portò una mano alla bocca, sedendosi lentamente su una sedia all'ingresso. Dalla bocca la mano si portò sulla fronte, come temendo di avere febbre e allucinazioni. Charles? Vivo?
«Portatemi subito stivali e cappotto» ordinò. Non c'era un minuto da perdere.


La domestica illuminava con un porta candele il corridoio buio che le avrebbe condotte alla stanza del loro visitatore.
«Il medico è andato via?»
«No Miss, è rimasto a dormire nella stanza adiacente, per ogni evenienza...per richiesta del padrone»
«Certo...» si limitò a dire Elizabeth, guardando poi Cathleen al suo fianco.
Da parte sua, Cathleen poteva solo che essere d'accordo con Sir Barrington: Charles o meno, quell'uomo aveva comunque bisogno di assistenza. Si fermarono davanti una porta chiusa, che venne aperta lentamente dalla domestica. Era illuminata da più candele, ma in modo da renderla sempre adatta ad un sereno riposo. Sir Barrington dormiva su una poltrona vicino ad un letto a baldacchino dove giaceva un uomo, supino, avvolto dalle coperte. Cathleen poteva sentire da lì l'odore di salsedine che lo avvolgeva, rendendo l'aria pesante. Era irriconoscibile: era talmente magro da potergli contare tutte le falangi della mani, ed il viso era ricoperto da una folta barba bionda che ricadeva sul petto, e lo stesso dicasi dei capelli incrostati di sale marino.
«Zio...» mormorò Elizabeth, svegliando dolcemente Sir Barrington.
«Mh..!» brontolò quello, svegliandosi di colpo, allarmato.
«Zio, sono io state tranquillo...sono tornata con Miss Cathleen, vuole vegliare anche lei un pò»
«Oh, Miss Cathleen...noi non siamo sicuri. Eppure dovrei riconoscerlo, è pur sempre mio figlio»
«Non ti crucciare zio. Ricordi? Domattina chiameremo il barbiere e gli daremo una sistemata, per ora il dottore ha detto di non toccarlo né tanto meno svegliarlo. Potrebbe aver contratto qualche malattia infettiva. Deve solo riposare» precisò Elizabeth rivolgendosi anche all'amica.
«Va bene...voglio solo avvicinarmi un pò» mormorò Cathleen, tenendosi stretto alle spalle il mantello.
Elizabeth annuì, senza dire nulla. L'amica avanzò lentamente verso il capezzale, timorosa. Il cuore a mille, le domande che affollavano la sua testa. La paura di un errore che le attorcigliava lo stomaco. Deglutì a vuoto, fermandosi davanti l'uomo.
Era in uno stato disumano: ovunque fosse stato, era chiaro che non mangiava da giorni, forse settimane. Il suo corpo scheletrico si sommava al suo stato selvaggio, come se i Barrington avessero ospitato un leone dentro casa loro. Eppure...c'era qualcosa, in quel viso nascosto, che...ma forse si sbagliava, forse voleva solo convincersi che fosse lui. Si girò verso gli altri due presenti e Sir Barrington si alzò, cedendole il posto e posandole sulle gambe la propria coperta.
«So quello che state pensando, Miss Cathleen...ma nel giro di tre mesi ho perso due figli. Se c'è anche solo una possibilità di riavere uno dei due, spererò affinché quell'unica possibilità sia quella giusta»
Cathleen sorrise, annuendo appena.
Si sistemarono dunque per la notte. Sir Barrington obbligò Elizabeth a tornare nelle sue stanze, aveva viaggiato in piena notte rischiando la vita per avvisare i Colborne, come minimo doveva riposarsi serenamente. Rimasero così Cathleen e Sir Barrington, ognuno sulla propria poltrona. Le domestiche a turno scortavano il medico nella stanza con una certa regolarità, all'incirca ogni ora. Ne controllava il polso, il respiro, la reattività oculare, e poi usciva...non c'era molto da fare, se non aspettare.
Cathleen fissò a lungo quella criniera scheletrica, ed alla fine non arrivò a nessuna soluzione: d'altronde se un padre non era riuscito a riconoscere un figlio, come poteva lei pretendere di riuscirci? Socchiuse lentamente gli occhi: si ricordò che lei stessa non aveva dormito la notte, ma aveva insistito nel rimanere nella stanza.
Sbadigliò più volte e quando cominciò a sentire Sir Barrington russare, si fece prendere anche lei la mano e inclinò indietro il capo, riposandosi. Chiuse gli occhi e in men che non si dica scivolò in un sonno profondo.
Quando si svegliò le sembrò che fosse passato solo qualche istante, ed invece l'aurora stava sorgendo. Si guardò intorno, confusa, facendo piano: Sir Barrington russava ancora. Non se ne accorse subito, ma solo dopo qualche istante percepì uno sguardo, addosso a lei. Lentamente si girò verso il capezzale e sobbalzò quasi nel vedere il volto dello sconosciuto rivolto verso di lei, gli occhi aperti nel guardarla. Incerta, non si mosse e continuò a guardarlo. Quegli occhi...poteva essere davvero lui?
«Charles...» sussurrò Cathleen, timorosa, come se stesse pronunciando un antico incantesimo. Quello, in tutta risposta, girò il viso dall'altra parte e chiuse gli occhi, come per riaddormentarsi.
«Oh buongiorno Miss Cathleen» annunciò con garbo il dottore, entrando nella stanza. Aveva due profonde occhiaie sotto gli occhi, ma un sorriso gentile.
«Buongiorno, dottore...» mormorò Sir Barrington, svegliato da quel lieve trambusto.
«Vediamo come sta il nostro ospite oggi, dunque...mh sì, la febbre è scesa. Ha energia da vendere questo giovanotto! Anche uno o due giorni e credo si sarà ristabilito del tutto, mi ha sentito signorino?» precisò il medico, osservando l'uomo che sembrava dormire «bene, ora controlliamo questa ferita»
«E' ferito?» chiese Cathleen, avvicinandosi.
«Sì, ha una profonda ferita che ha reciso, temo, un muscolo della coscia. Non ho dovuto amputare l'arto perchè la ferita non si è infettata, non chiedetemi perchè no. Ma temo che l'uso di questo braccio sia un po'...compromesso. Nulla di grave, se pensiamo a cosa abbia potuto passare. Serviranno almeno due mesi per ritrovare un peso ed una forma umana» precisò l'eloquente medico, controllando la ferita con accuratezza. Troppa, forse, dato che all'ennesimo tocco il ferito sobbalzò sul letto, cercando di divincolarsi.
«Fermo vi dico!» brontolò il medico.
«Sta fermo Charles, sii paziente» mormorò Sir Barrington.
«Aspettate, vi aiuto...» mormorò allarmata Cathleen. Aggirò il letto e cercò di bloccare lo sconosciuto, ritrovandosi così a guardarlo dritto negli occhi. Quegli occhi...
«Potete lasciarlo, Miss, grazie» annunciò il medico. Cathleen obbedì, rimanendo in piedi lì al suo fianco. Lo sconosciuto taceva e fissava Cathleen mentre il medico armeggiava, rifasciando la spalla. «Molto bene! Ora se volete scusarmi, io andrei a riposarmi come si deve. Ho chiesto alle domestiche di provare a dargli da mangiare, e più tardi a pulirlo e rasarlo come si deve. Se ci sono problemi, io sono nella stanza di fianco»
«Lasciate, faccio io» annunciò Cathleen alla domestica che portò la colazione su un vassoio. Sir Barrington annuì verso la domestica che, ubbidiente, lasciò il vassoio sul tavolo ed uscì.
«Miss Cathleen...non siete stanca?» chiese Sir Barrington osservandola.
«No Sir Barrington, davvero. Posso chiedervi solo la gentilezza di avvisare la mia famiglia?»
«Ma certo, sarà fatto. Vi faccio preparare anche una stanza, nel caso vogliate riposarvi più tardi. Tu fai il bravo e mangia tutto, chiaro?» aggiunse Sir Barrington rivolgendosi all'uomo, il quale si limitò a guardarlo e a spostare gli occhi verso il thè fumante.
Una volta rimasi soli, Cathleen e l'uomo si guardarono a lungo, studiandosi. Come a capire chi fosse la persona davanti a sé.
«Forza, dovete mangiare e bere un po'. Volete i biscotti o della frutta?» chiese alla fine Cathleen, interrompendo quel silenzio. L'uomo non rispose, ma la mano scheletrica e nodosa indicò appena il grappolo d'uva.
«E frutta sia. Ecco, vi preparo i chicchi» mormorò Cathleen, porgendogliene uno. L'uomo porse la mano ma la coordinazione non ebbe la meglio e, poco prima di metterselo in bocca, gli scivolò sulle lenzuola. S'incupì, socchiudendo gli occhi. Non serviva un medico per capire che era contrariato.
«Non vi preoccupate, guardate...vi aiuto» annunciò gentile Cathleen, imboccandolo lentamente. Impiegarono svariati minuti per mangiare solo qualche grappolo, la sua masticazione era lenta dopo tutti quei giorni di diguno. «Non dovete adirarvi con voi stesso...siete debole, magro e ferito, è normale che non abbiate le forze. Ma un po' alla volta riuscirete a riabituarvi...e tornerete in forze per mangiare da solo» gli spiegò, incoraggiandolo.
L'uomo non rispose ancora, si limitò a masticare l'uva lentamente. Dopo un altro paio di chicchi, indicò il thè e Cathleen prontamente lo aiutò. Trascorsero almeno un'ora a mangiare la colazione, in silenzio, ed il medico si complimentò con entrambi a mezzogiorno, quando vide che il ferito aveva mangiato metà colazione e metà del pranzo.
«Cathleen» la richiamò Elizabeth, sulla soglia della porta. La ragazza si asciugò le mani e le si avvicinò «perchè non vai a riposarti? Ti ho portato degli abiti più comodi, le domestiche hanno acceso il fuoco nella camera che ti hanno preparato. Vai a riposarti, adesso devono lavare e rasare Charles, non c'è b-...»
«Allora anche tu hai visto i suoi occhi, vero?» intervenne subito Cathleen, a bassa voce, lanciando un'occhiata al malato che riposava «è lui, vero?»
Elizabeth si lasciò sfuggire un sorriso, accarezzandole una guancia. «Credo proprio di sì...»
Cathleen sorrise, sentì gli occhi pizzicare per l'emozione. «E' lui, Elizabeth...è proprio lui...»
«Si si, è lui, è Charles! Ma ora va a riposarti, forza!» sussurrò decisa l'amica.


Quando Cathleen riaprì gli occhi era pomeriggio inoltrato. Si maledì per aver dormito oltre il previsto, ma poi rallentò la mente ed il corpo: Charles non dipendeva dalle sue cure, un'intera villa era a sua disposizione e se fosse successo qualcosa sicuramente Elizabeth l'avrebbe chiamata. Si vestì con calma, si sistemò i capelli, cercò di curarsi come meglio poteva. Mentre camminava lungo i corridoi si ritrovò a percepire il suo cuore accelerare, flebile, scostante...come se fosse la prima volta che vedeva Charles.
«Permesso...» mormorò, affacciandosi appena nella camera. Non c'era nessuno in quel momento, tranne chi occupava il letto, dormendo. Non c'era più odore di mare e salsedine, né di medicine e sangue, ma più di sapone e...lavande.
Gli occhi si riempirono di lacrime quando vide un mazzo di lavande sistemato sulla scrivania dell'ampia stanza. Le stesse lavande che lui aveva paragonato a loro due. Commossa si avvicinò al letto e dovette coprirsi la bocca col dorso della mano quando vide il viso sbarbato dell'uomo.
Era più magro di quel che aveva immaginato: aveva gli occhi infossati, le labbra disidratate, la pelle scarna, tirata sul cranio. Ma la barba era stata completamente rasata, i capelli lavati e tagliati in un taglio militare, come lui era solito portarli.
Era Charles.
Arretrò di qualche passo, correndo alla finestra e portando le mani a poggiarsi sul davanzale, per sostenersi. Pianse in silenzio, cercando di non fare troppo rumore, non riuscendo ad impedire alle spalle di scuotersi violentemente per i singhiozzi soffocati dalla bocca e dalle mani.
«Oh Cathleen...» mormorò la voce di Elizabeth, entrando in quel momento. L'abbracciò, piansero insieme, rimasero strette a lungo.
«L'ho sempre sperato, ma non ho mai osato immaginarlo davvero...darmi false speranze...è un miracolo...» mormorò Cathleen, tra le lacrime che non riusciva a placare.
Lentamente il pianto fece spazio alla gioia ed entrambe si girarono verso di lui, avvicinandosi. Lo osservavano, in piedi, studiandolo.
«E' dimagrito molto...» ammise Cathleen.
«Chissà cosa gli è capitato...»
«Dici che potrà usare la gamba di nuovo?»
«Almeno non è diventato demente, la testa funziona dice il medico»
«Meno male, almeno si ricorda di me...»
«Non che sia sempre stato una mente brillante, insomma» precisò Elizabeth ironica, facendo sorridere Cathleen.
«Guardate che vi sento...» brontolò Charles tra i denti, tenendo ancora gli occhi chiusi.
Cathleen e Elizabeth trattennero il fiato, prima di ridere: era una voce roca e impastata, ma era una voce. La sua voce.
Charles si girò lentamente ed aprì gli occhi, sorridendo debolmente. Cathleen sentì le lacrime salire di nuovo quando vide quel sorriso, quel sorriso che le era mancato per mesi, che non credeva avrebbe potuto rivedere. Si sedette al suo fianco, guardandolo a lungo. Cathleen scoppiò a ridere di colpo, seppur gli occhi si velassero ancora di lacrime.
«Ti credevo morto...»
«Anche io mi credevo morto...» mormorò Charles, stringendo debolmente la mano della giovane.
«L'importante è che tu sia reale, e non un sogno»
«Spero di non esserlo...» ammise ironico Charles, prima di tossire appena. Cathleen gli sistemò le coperte prima di posargli un bacio sulla fronte, delicato.
«Riposati ora, avremo tempo per parlare...» mormorò lei, osservandolo.


 
24 Dicembre 1806
I giorni passarono, e così anche le settimane ed i mesi. Entrò ufficialmente l'inverno, e fu uno dei più rigidi che Mr Colborne e Sir Barrington potessero ricordare con la loro affilata memoria. La neve si fece vedere più e più volte durante tutto il mese di Dicembre, sciolta poi dalle abbondanti piogge che invasero la campagna inglese. Le temperature fuori impedivano qualunque lavoro o attività, ma quando nevicava nessuno poteva resistere a schiacciare il naso contro le finestre, ad ammirare quel piccolo miracolo invernale. Per il Natale di quell'anno, data la ancora cagionevole salute di Charles e la solitudine che incombeva su Sir Barrington, i Colborne decisero di trascorrere qualche giorno a Barrington House, allargando l'invito anche a Fanny e agli Herbert.
Sir Barrington aveva organizzato tutto in grande: era così felice del ritorno del figlio che fece abbellire la tenuta con ghirlande, vischi e biancospini, ed ancora ceppi ad ogni camino principale delle stanze, cene e musiche danzanti. Non mancarono nemmeno dei momenti di profonda preghiera e di carità, visitando l'orfanotrofio di Bath a cui venne donata una somma considerevole.
In quanto a Charlotte, non poté badare a niente di tutto ciò: lei era troppo presa dalla neve che vedeva per la prima nella sua giovane vita. Fino a quella fredda Vigilia Mrs Colborne non le aveva dato il permesso di poter uscire ma, si sa, Natale fa avverare i piccoli miracoli.
«Madre, vi prego...almeno oggi posso uscire? Mi coprirò bene e starò fuori solo qualche minuto!» supplicò Charlotte, lamentevole.
«Assolutamente no, Charlotte. Non abbiamo bisogno che ti ammali il giorno della Vigilia: vorremmo passare un sereno Natale, e Sir Barrington non ha bisogno di distrazioni negative, né tanto meno il Capitano»
«Ma non mi ammalerò, sapete che sono di salute forte! E poi Charles verrebbe a giocare con me se potesse! Si alza e cammina assai bene, parla e ragiona come un cristiano e...»
«Charlotte...non esagerare» mormorò pacato Mr Colborne, facendole poi un occhiolino.
«Oh madre, vi prego!» esclamò in pena Charlotte, inginocchiandosi ai suoi piedi.
«Madre...» intervenne Emma, sorridendo «posso accompagnare io Charlotte fuori»
«Oh questa è buona! Una giovane incinta, che dovrebbe star attenta anche a camminare, che accompagna una ragazzina in mezzo al freddo e alla neve. Non se ne parla»
«E se andassimo tutti insieme fuori?» propose Edward, sorridente.
«Certo, potremmo sorvegliare meglio Charlie se siamo tutti fuori» precisò Cathleen.
Arthur sorrise all'idea, alzandosi: «Vado a prendere i soprabiti» annunciò entusiasta.
«La gravidanza sta facendo impazzire Sir Egerton?» chiese ironica Mrs Herbert «suvvia Mrs Colborne, che cosa vuole che accada con un po' di aria fredda? Fa bene ai polmoni! E poi oggi è la Vigilia di Natale...siamo tutti più buoni»
Mrs Colborne sospirò, prima di fissare Cathleen ed Edward. «Voi sarete responsabili della sicurezza e della salute delle vostre sorelle. Se uno di voi si ammala, vi chiudo dentro le vostre stanze e ci rimarrete fino alla prossima Stagione»
«Non siamo più bambini!» esclamò Edward divertito, infilandosi il cappotto e arrotolando una sciarpa di lana intorno al collo.
«No, ma sono sempre vostra madre» precisò secca Mrs Colborne, tornando alla sua partita di carte.
I ragazzi uscirono ridacchiando verso il giardino innevato. Charlotte ed Edward non persero tempo e cominciarono a mangiare e toccare la neve, ridendo come due bimbetti. Trascorsero la successiva mezz'ora a giocare a palle di neve, vedendo la squadra di Cathleen Emma ed Arthur miseramente sconfitta, tra le grida di vittoria di Charlotte Edward ed Elizabeth. Fu un momento assolutamente magico e felice, e nessuno per un attimo pensò ad Adam, ad un figlio perso, ai litigi, ai pianti, alle lacrime...era Natale, e niente poteva renderli tristi.
«Presa!» esclamò ridendo Edward colpendo in pieno viso Cathleen.
«Eddie!» gridò ridendo la sorella.
«Sei lenta, Cathy, troppo lenta!»
«Ora ti faccio vedere se sono io lenta...» brontolò Cathy, incamminandosi verso di lui. Era facile per gli uomini, senza quelle pesanti gonne! Alzò la testa, chiudendo gli occhi e aprendo la bocca, lasciando che i fiocchi di neve si posassero sulla lingua, sciogliendosi. Ridacchiò tra sé prima di riportare gli occhi davanti a sé. Nel farlo, incrociò una finestra della dimora dove erano ospiti. Aguzzò appena la vista, tra la fitta neve, e sorrise quando vide una figura affacciata.
Era Charles.
Sollevò appena la mano, salutandolo. Prontamente l'altro rispose, sorridendo. Indossava una camicia bianca sotto alla vestaglia, ed entrambi gli indumenti erano tornati a fasciare il corpo degnamente. Anche il viso si era ingrassato, senza più mostrare quegli occhi infossati e mesti, ma uno sguardo più brillante e allegro.
«Vieni Cathy!» gridò Charlotte. Cathy sorrise un'ultima volta a Charles, prima di raggiungere il resto del gruppo.
«Ti guarda con certi occhi innamorati...» le sussurrò sorridente Emma, che camminava dondolando, pesante per il suo ventre ricurvo.
«Credo che l'effetto sia dato dalla febbre...» precisò Cathleen ironica.
«Non dire sciocchezze Cathy, Charles sta benissimo. Deve solo trovare il coraggio di uscire dal suo guscio. Lo capisco benissimo...ci ho parlato sai? Proprio oggi. Spero di non aver fatto male...»
Cathleen si fermò di colpo, sotto la neve. «Che cosa ti ha detto?»
«Molto poco, in verità. Ho parlato io per lo più. Gli ho detto che so cosa prova, gli ho spiegato come mi sentivo quando ho perso il bambino, di come Arthur mi abbia aiutata a superare il momento. Gli ho consigliato di lasciare che sia tu ad aiutarlo a superare questo momento...spero mi ascolti»
«Grazie...» mormorò Cathleen, senza dire altro. Erano due mesi che Charles era chiuso nella sua camera: non era debole fisicamente. Il medico aveva assicurato che il corpo aveva ripreso peso ed energia, ed anche la ferita era guarita seppur avesse lasciato una gamba poco abile. Era nella testa il suo problema: non aveva ancora raccontato a pieno ciò che gli era accaduto e forse non lo avrebbero mai scoperto. L'idea di essere “menomato” e per colpa di suo fratello non lo faceva dormire sonni tranquilli. Non si perdonava di avergli creduto, di non averlo amato abbastanza. E così si era chiuso nella sua stanza, da cui non era mai uscito.


«Ho mangiato troppo» ammise colpevole Emma, camminando insieme agli altri invitati lungo i corridoi che dal salone conducevano alla stanza della musica. Avevano terminato da poco la cena e tutti accettarono volentieri la proposta di Charlotte di ascoltare della buona musica. E, con la scusa, avrebbero camminato e cercato di digerire la lauta cena.
«Non dire sciocchezze cara, ora devi mangiare per due, lo sai» precisò sorridente Mrs Colborne.
«Sarà così, ma riesco a malapena a camminare»
«Questo perchè sei grossa, Emma!» esclamò ridacchiando Charlotte, che correva agile per il corridoio e senza guardare bene dove andava. Gli invitati si persero in chiacchiere, fermandosi più volte lungo il corridoio, ed era Charlotte che li anticipava di svariati passi, spazientita dalla loro lentezza. Com'è tipico di quella età, Charlotte non aveva la calma di perdersi in chiacchiere. Voleva correre, esplorare, vedere, conoscere...
«Aia!» esclamò quando, persa nei suoi pensieri, andò a sbattere contro qualcosa.
«Attenta a dove andate, Miss Charlotte...» mormorò una voce maschile e gentile. Charlotte alzò lentamente gli occhi e sorrise verso il Capitano Barrington, abbracciandolo.
«Vi siete alzato finalmente! Ho così tante cose da farvi vedere e da chiedervi!»
«Ma davvero? Sono proprio curioso» rispose lui, con la solita dolcezza che lo contraddistingueva.
«Charlie, dove sei?» Cathleen alzò la voce per richiamare la sorellina. Charles sollevò istintivamente gli occhi oltre l'angolo, sentì un tonfo al cuore. Voleva tornarsene improvvisamente da dove era venuto: non poteva farsi vedere così dalla donna che amava. Fece per muovere il bastone indietro, per andarsene via, ma sentì la mano di Charlotte afferrare la sua. Guardò la bambina, che gli sorrise, e ricambiò deglutendo appena a vuoto.
«Charlie dove ti sei...»la domanda di Cathleen si perse nell'aria fredda quando girò l'angolo, ritrovandosi davanti Charles.
«Buonasera Cathleen...» annunciò incerto il giovane capitano, tenendo ancora la mano di Charlotte.
«Il Capitano è sceso a salutarci, hai visto Cathy?»
«Ho visto, si...Charlie torna subito da mamma, lo sai che non vuole che tu corra» precisò Cathleen, mandando via la sorellina. Fissò a lungo Charles, prima di sorridergli.
«Sei bellissima stasera...» commentò il giovane, sorridendo con garbo.
«Oh...grazie» rispose lei sovrappensiero, portando gli occhi sull'abito di velluto rosso e sui guanti di seta bianca. «Stiamo andando nella Music Room, per suonare qualcosa...ti va di unirti a noi?» chiese.
Charles sembrò soppesare la sua domanda, incerto, ma alla fine annuì appena e proseguì il passo verso la Music Room.
«Come ti senti...?» chiese timidamente Cathleen, camminandogli al fianco.
«Meglio...Non eri obbligata ad assistermi notte e giorno...»
«Lo so che non ero obbligata, ma volevo...ho impiegato giorni a capire se stavo o meno sognando, ogni mattina mi svegliava col terrore che fosse stato tutto un bellissimo sogno. Tutt'ora non...riesco a credere che tu sia vivo»
«Stento a crederci anche io. Mio padre mi ha raccontato di...Adam, dei ricatti. Di come stavi cercando di smascherarlo. Hai salvato praticamente la mia famiglia, Cathleen. Ti siamo debitori»
Cathleen si limitò a sorridere, fermandosi davanti alla porta della Music Room. «Affatto, io non ho fatto nulla. Ho solo trovato qualche prova, e mi ha aiutato molto Elizabeth. Tutto il resto...lo ha fatto Adam. Dovevo fare qualcosa per salvare la mia famiglia, per...salvare il tuo ricordo»
Charles la fissò, deglutendo a vuoto. Si limitò ad annuire, pacato, prima di entrare lentamente nella Music Moom. Non c'era nessuno, era evidente che volevano lasciarli buoni. Ma cosa poteva dire a Cathleen? “Sposami, sperando che tu non debba piangermi di nuovo”? “Sposami anche se sono zoppo”? Il bastone ticchettava lentamente mentre entrava nella stanza, e alla fine si accomodò su una poltrona. Cathleen lo superò accomodandosi al pianoforte con grazia, sistemando l'abito e posando poi le dita sui tasti, con eleganza. Charles si limitò a guardarla, in silenzio. Dio com'era bella...
Le note risuonarono nell'ampia sala della musica, e un ticchettio continuo, come un leit motiv, rimbombava tra le pareti. Ricordava molto il suono di un pendolo, del tempo che ineluttabile avanzava. Gli arpeggi si svilupparono attorno a quella nota singola e costante, creando voluttà musicali che si intrecciavano tra di loro. Charles chiuse lentamente gli occhi, assaporando ogni nota, ogni profumo. Quella melodia era in perenne bilico tra malinconia, tristezza e gioia incontenibile. Posò una mano sul morbido velluto della poltrona ed il suo cuore sobbalzò, accompagnato dalla musica.
Era a casa. Era al sicuro, era guarito, era forte. Aveva ritrovato suo padre, la sua famiglia, gli amici...e la donna che amava. E che cosa poteva ostacolarlo dal chiederle di sposarlo? Una gamba zoppa?
La musica si alzò in un crescendo di coraggio, gioia, una pura malinconia di tempi passati.
“Sposami, devi dirlo” pensò. “Sposami...sposami...forza, apri quella dannata bocca...”
«Sposami!» si rese conto di aver quasi gridato ed incassò le spalle quando sentì le note spegnersi nell'aria con una brutta stonatura. Aprì lentamente gli occhi e si ritrovò a guardare Cathleen, le mani ancora sui tasti, che lo fissava attonita. Si guardarono a lungo, prima di alzarsi contemporaneamente.
«Non ho capito...» mormorò Cathleen, il mento che tremò appena, incerto. Charles le si avvicinò, con calma, il bastone ad accompagnarlo. Si fermò davanti a lei, lasciò cadere il bastone e le strinse entrambe le mani, come per sostenersi a lei.
«Ho detto...di sposarmi. Tuttavia devo chiederti di non farmi inginocchiare, la gamba è piuttosto rigida e non credo che...»
«Si»
«che insomma...Si? Hai detto si?» s'interruppe Charles, sorridendo. Cathleen rise, emozionata, ed annuì. «Si nel senso che mi sposi o sì nel senso che-»
«Sì nel senso che ti sposo, Charles Barrington, certe volte sei davvero tonto» precisò Cathleen ridacchiando. Charles insieme a lei, gli occhi velati di lacrime. L'abbracciò con trasporto, ricambiato. Le accarezzò i capelli e ne respirò a lungo il profumo.
«Come la lavanda...» mormorò affondando il naso nella sua chioma.
«Come la lavanda...» ripetè Cathleen, accarezzandogli le braccia. Charles sollevò il capo e così fece anche Cathleen, guardandolo negli occhi. Quegli occhi che l'avevano fatta innamorare di lui, che aveva riconosciuto quando era ad un passo dalla morte, e che ora aveva ritrovato.
«Ti amo, Cathleen...» mormorò Charles, accarezzandole una guancia.
«Anche io...» sibilò Cathleen, sorridente. Charles si chinò verso di lei, suggellando quel patto d'amore con un bacio sulla bocca della sua amata. Rimasero così a lungo, intrecciati come due alberi che mai più si sarebbero separati.




Per finire: eccoci arrivati all'ultimo capitolo! Non so voi, ma io sono un po' triste ahaha! Come quando termino ogni storia, mi sembra di lasciare una sorta di figlio :P ed anche questa storia è finita, sperando che il finale sia stato di vostro gradimento! Credo che aggiungerò un piccolo epilogo dopo questo capitolo, giusto per fare un riassunto della situazione :) per chi fosse curioso, il pezzo suonato da Cathleen a Charles è il main theme del film “Interstellar” (la versione col piano): la adoro e ho trovato che fosse ideale per Cathleen!
Bene, direi che è tutto! Grazie ancora a tutti voi per avermi seguito, letto e recensito, e ci vediamo nella prossima storia, besos!

 

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