Le pagine della mia storia... L'inchiostro delle loro vite di Soul of the Crow (/viewuser.php?uid=192026)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The first page: the night of the Apocalypse ***
Capitolo 2: *** The second page: red-clad young girl ***
Capitolo 3: *** The third page: through the night until dawn ***
Capitolo 4: *** The fourth page: inhabitant of the other shore ***
Capitolo 5: *** The fifth page: the world engulfed in the mist ***
Capitolo 6: *** The sixth page: meetings and partings ***
Capitolo 7: *** The seventh page: red apple and sea blue ***
Capitolo 1 *** The first page: the night of the Apocalypse ***
The
first page: the night of the Apocalypse
Buio…
Tenebre…
Oscurità…
In ogni momento, che sia
una mattina luminosa oppure la notte più scura, uno
spiraglio di buio rimane ovunque… Nell’ombra di un
albero su un marciapiede o in un vicolo ben nascosto dai grattacieli
più alti ed altro ancora, ma tutti questi piccoli pezzi
d’oscurità alla fine sono insulsi,
insignificanti…
Perché?
Perché rimangono sempre negli stessi posti, ogni singolo
giorno che passa… O forse perché hanno il
semplice difetto di essere unicamente quello che sono. Nulla di
più, nulla di meno.
Quale è un
esempio di “buio” che ha significato allora?
È qualcosa di più importante, ma facile o
difficile da gestire allo stesso tempo: le emozioni delle persone.
Ne esistono di positive,
come felicità, gioia, coraggio, spensieratezza, le quali
possiedono però un opposto, una corrispondente negativa:
tristezza, odio, paura, angoscia… C’è
chi le mostra tutte quante alla luce del Sole senza avere timore, ma
molte persone non vogliono mostrare alcuna forma
d’insicurezza di fronte agli altri, soprattutto di coloro che
ti stanno più vicino. Si prova ad essere forti, a non farsi
spaventare, a non farsi intimorire, ma è tutto inutile: si
può solo dissimulare la propria ansia, la propria
infelicità, poiché tutte queste emozioni
negative, la “Notte” di ogni persona,
l’altra faccia della medaglia, rimane sempre.
Resterà celata a tutti, meno che a noi stessi, ma su una
cosa si può stare sicuri: tornerà…
Quando meno ce lo aspettiamo.
Certo, non si
è mai troppo contenti di avere paura o essere arrabbiati per
qualcosa, ma tutti questi sentimenti, che siano positivi e negativi,
belli o brutti, che vorremmo avere o di cui ci piacerebbe sbarazzarci,
sono sicuramente tutti importanti. È una caratteristica che
ha sempre distinto le persone, rendendole diverse da oggetti inanimati
o animali guidati da semplici istinti di sopravvivenza ed
autoconservazione, e che non dovrebbero mai perdere o
sacrificare… Per nessun motivo.
Già…
Gli “esseri
umani” ... “Loro”
… Non tutti uguali ma nemmeno troppo diversi: non
è raro infatti che, su molti aspetti, si dimostrino deboli,
insignificanti, avidi ed assetati di gloria e potere, ma ognuno di loro
vive la propria vita, attimo per attimo, senza mai sprecarsi.
Come
li invidiava…
Già, quel
sentimento dolceamaro che si prova quando si vuole una
qualità altrui solo per sé, uniti ad una punta di
aspro disprezzo per chi invece possiede già quelle
caratteristiche. Riflettendoci un attimo è quasi ironico:
lei invidia qualcun altro… “Invidiare”
… Non è certamente nulla di bello, ma
è sempre un’emozione… Quando lei non
dovrebbe già più doverne provare.
Non
da quella fatidica notte… Non dall’incontro con
quell’essere che ha cancellato ciò che
aveva… Non dopo che una seconda entità le ha
tolto anche quel poco che le era rimasto…
Proprio
vero che nella vita non si può mai essere sicuri di nulla.
Gli umani credono di
essere gli unici ad esistere, ad avere una qualche importanza nel loro
piccolo mondo, ma è proprio in questo che si sbagliano di
grosso: altre creature si annidavano nell’ombra, in attesa
del momento buono per emergere e far sentire che
c’erano… Da dove provengono? Dalle diverse fedi,
che appartengano alla religione o al semplice occulto, che hanno spinto
gli umani a credere che in qualcosa che loro non possono vedere o
raggiungere, se non quando sarà giunta l’ora del
loro giudizio. Sta ad ognuno decidere se avere fiducia che i loro credo
si avverino oppure rimangano semplici dicerie senza fondamento.
Se si fermava un attimo
a ripensarci, lei non aveva mai creduto tanto all’esistenza
di entità ultraterrene (divinità, spiriti o
simili per intenderci), almeno finché non vide una di quelle
leggende divenire realtà davanti ai suoi occhi. Quella
leggenda possedeva diversi colori, che lei non era riuscita a
dimenticare… e che tuttora odiava.
Quel mito era di colore rosso,
come i gigli ragno dello stesso colore che fiorivano nel suo giardino
in tarda estate… Bianco
argentato, come la Luna che in quel momento illuminava un
cielo blu rannuvolato… E nero,
come le tenebre generate dai sentimenti più malvagi che
possano esistere… Non aveva né un buon profumo
né un bell’aspetto, ed aveva potuto confermare che
non fosse animato da buoni propositi: quell’essere
è stato l’inizio della sua sventura, di un cammino
lungo pochissimi anni che l’ha portata
dov’è ora, una strada che ha avuto inizio quando
una seconda persona l’ha aiutata a non essere spazzata via,
ma che in cambio le ha portato via qualcosa di fin troppo
importante…
Quella che era la
vittima di allora è andata avanti, in attesa del momento
adatto per rincontrare chi la aveva rovinata, ma anche aspettando
qualcosa che potesse distrarla da quella situazione di
tranquillità andatasi a creare… Non che la calma
le dispiacesse, ma c’era dell’anomalo in quel
momento: quella quiete era qualcosa di stagnante, come
l’acqua di un lago rimasta troppo tempo senza pioggia o vento
a incresparla un po’. Era qualcosa di forzato…
Oppressivo… E lei non ce la faceva più.
Chi è lei?
Lei era qualcuno che
sapeva cosa fosse diventata, ma ormai non era più troppo
convinta di sapere chi era,
che tra l’altro sono due cose diverse; tuttavia, erano
accadute così tante cose in troppo poco tempo che
nell’immediato non si era proprio capacitata di cosa era
successo, ma non è il momento di ripensare al passato che
pareva divertirsi a tornare a visitarla ogni anno nella stessa notte in
cui avvenne il fatto. Forse cosa le è successo
verrà raccontato più in là, anche
perché ora non è il momento adatto eppure si
tratta di una parte irrinunciabile del poco o nulla che le rimane.
Per il momento,
è sufficiente sapere che si trattava di qualcuno che si
è ritrovato schiacciato da quella assurda calma, nella quale
era sprofondato anche il luogo in cui si trovava: quello spazio
immenso, immerso nel buio e normalmente privo di qualsiasi cosa che non
fosse acqua limpida e pulita, ospitava ora un’unica figura,
longilinea e candida come la neve. Non un’imperfezione su
quella pelle bianca, se non un piccolo neo sotto un occhio ancora
chiuso; sospesi sulla superficie di quello specchio liquido e
trasparente, vi erano ciocche castane che parevano ondeggiare ed
allungarsi ad ogni lieve increspatura dell’acqua come tante
braccia che si alzano verso il cielo verso un punto indefinito.
Non vi era niente capace
di turbare quella persona, quella giovane ragazza. Niente…
Tranne
questo.
Da un punto imprecisato
si sentirono urla che invocavano un aiuto che non sarebbe mai giunto,
mentre i clacson incontrollati degli autoveicoli, schianti e rimbombi
insopportabili alle orecchie di lei ruppero il silenzio solenne che
aveva avvolto quella stanza nelle sue spire come un serpente velenoso
dal morso fatale… Probabilmente l’essere stati
morsi da un serpente sarebbe stato qualcosa di più rapido e
migliore di quello che stava succedendo di fuori; in ogni caso, lei non
ne sarebbe stata condizionata perché ormai perfino il veleno
di un cobra non la avrebbe ammazzata.
Ancora intrappolata
dagli ultimi residui di tranquillità che aleggiavano in quel
luogo, come dimentica del caos che si stava quasi sicuramente
scatenando di fuori, la figura aprì con una lentezza
impossibile gli occhi, mostrando due zaffiri che ora osservavano
pigramente il cielo: si aspettava di vederlo color blu mare e
d’argento lunare, ma purtroppo per lei non era
così perché era stato macchiato da screziature rosso sangue;
un movimento lieve nell’acqua, quanto il vorticare di una
piuma che si posava per terra, e numerosi gigli ragno rossi comparvero
sopra la sua testa, andando a macchiare quello specchio trasparente
illuminato dall’astro notturno ed i capelli di lei.
Era
arrivato il momento…
Alzò
pacatamente un braccio, con attenzione, quasi con timore che un
movimento troppo brusco potesse rovinare ulteriormente la quiete
già dissipatasi, e lasciando che uno dei fiori si posasse
sulla sua mano, mentre ella stessa si alzava, sempre lentamente, quasi
a non voler lasciare il posto dove prima dormiva placidamente. Al
contatto dell’aria fredda della notte con la sua pelle nuda e
umida, la ragazza rabbrividì leggermente, avvicinando alle
proprie labbra il fiore che ora reggeva con entrambe le mani: chiuse
gli occhi, sfiorando con tenerezza quei petali sottili che tanto aveva
amato e detestato durante la sua breve vita; nel mentre di quel gesto
innocente, un velo dell’acqua in cui prima era immersa si
sollevò, andando a circondare il corpo di lei in una spirale
trasparente. Il tempo di un battito di ciglia e l’acqua non
c’era più, sostituita da un telo sottile a coprire
le magre forme della ragazza alla Luna che la aveva osservata per tutte
quelle lunghe ore. Intanto, una voce si fece largo nel silenzio, o
piuttosto nella mente di lei:
- “L’ora
è giunta, signorina”. –
Una voce fresca e
pulita, come una brezza mattutina, appartenente ad un ragazzo. Nessun
intento nascosto o gioia di farsi sentire: c’era solo per
informarla.
- Lo so. Ora che ho
scontato la mia sospensione è finita, mi devo dare da fare.
–
Le sembrò di
udire l’altra voce sogghignare prima di risponderle:
- “Esattamente.
E… - la frase rimase sospesa a metà,
ma la castana non se ne curò troppo perché in
quel momento diversi dei fiori poggiatisi sull’acqua si
sollevarono e, spinti da una strana corrente ventosa, andarono ad
attorniare l’occupante della stanza che, inaspettatamente, si
ritrovò con la vita bloccata da due braccia di una sorta di
fumo rossastro e petali. Una delle mani però la
lasciò subito, solo per prenderle dalle mani il fiore rosso
e avvicinandolo nuovamente al viso di lei:
- “Quale notte migliore
di questa potevano darti per ricominciare?”
– ricominciò la voce maschile.
La ragazza non gli
prestò troppa attenzione (perché ascoltarlo se
aveva già intuito che volesse dirle?), troppo intenta ad
osservare il fiore che le aveva avvicinato: i petali si stava
lentamente scolorando, come se quel fumo che ne stesse assorbendo il
colore. In pochi attimi, un bianco puro aveva preso posto su quei
petali, facendo accigliare gli zaffiri e convincendo la ragazza a
volgere lo sguardo al cielo:
- “Mh. Sono passati
quattro anni e questi colori ti fanno ancora questo effetto? Intendi
farmi annoiare?" - se prima non vi era ombra
d’emozione nella voce, ora si notava una nota
d’irritazione mista a scherno.
La castana si
lasciò scappare una risatina e provò a girarsi
leggermente, non sorpresa di trovare una figura della stessa materia di
cui erano fatte le braccia.
- Credevo non ti
dispiacesse vedermi turbata per qualcosa. Non è una delle
cose per cui quelli come te vivono in fondo? - rispose lei sarcastica.
In realtà non aveva tanto voglia di quei giochetti
(là fuori poteva già essere accaduto qualcosa
d’interessante e non voleva perderselo dopo quei lunghi mesi
di sospensione), ma era l’unico modo per affrontare quello
che da quattro anni era diventato il suo partner.
- “Può anche
darsi. E tu farai bene a ricordarti il nostro accordo. Non sono
diventato il tuo compagno per niente”. - era
incredibile: bastava poco o niente per fargli perdere un po’
le staffe, ma si ripeté che non andava bene: aveva capito
che stava pensando. O lei teneva la mente chiusa a chiave con tanto di
lucchetto, o lui avrebbe fatto molto peggio.
- Certo che non mi sono
dimenticata, ma mi auguro che anche tu sia di parola: nemmeno io ho
deciso di diventare tua compagna senza nulla in cambio. –
liberato un braccio, provò a dare una gomitata al fumo
dietro di lei, il quale si scompose subito e la lasciò
libera:
- Ora però
dobbiamo andare. Ho idea che stia succedendo qualcosa di grosso
là fuori. - s’incamminò quindi verso
l’uscita della stanza, ma le braccia di fumo la avvolsero
ancora e stavolta non era semplicemente per immobilizzarla: era
qualcosa di più languido e possessivo, quasi
ansioso…
- “Oppure possiamo
restarcene qui ancora un po’. È da quando i tuoi
superiori ti hanno sospesa che non sento le urla convulse degli
umani… - un sospiro di piacere proruppe dalla
voce maschile, mentre fuori i rumori si facevano sempre più
forti ed incessanti:
- “è sempre
bello vedere quegli insulsi esseri andare incontro ad un tormento. E
credo proprio che questa volta ci sarà davvero da
divertirsi… Almeno quanto lo è stato
l’ultimo lavoro”. –
Lei però
emise uno sbuffo scocciato e, con un po’ più di
fatica, si liberò nuovamente dalla presa e
s’incamminò quanto più velocemente
verso una porta che la condusse in un piccolo spogliatoio; una volta
lì, con uno schiocco di dita il telo da bagno non
c’era più, sostituito dai suoi “abiti da
lavoro”: si trattava di un kimono bianco che però
le arrivava non alle caviglie ma a metà coscia, tenuto
stretto in vita da una fascia rossa che si chiudeva sulla schiena con
un grosso fiocco. Inoltre, il kimono le lasciava scoperte le spalle,
che però rimanevano celate da una maglia nera. Per terminare
con la parte superiore, aveva un girocollo rosso scuro e un nastro
dello stesso colore tra i capelli; per la parte inferiore, teneva una
semplice gonna di seta nera le arrivava fino alle ginocchia e, per
completare il tutto, calze rosse e sandali con tanti lacci bianchi. I
gigli ragno non la avevano abbandonata ancora: erano presenti in
diversi colori sulle varie parti del vestito, neri sul kimono, rossi
sulla gonna e bianchi sulla fascia legata in vita.
Poco dopo la figura di
fumo, passando dalla fessura sotto la porta, entrò nella
piccola camera:
- “Hai dimenticato
qualcosa di là”. – detto
ciò, allungò un braccio per posare sul laccio per
capelli della ragazza il giglio ragno bianco che le aveva sottratto
prima.
- “Ih ih. Fai spesso i
capricci perché quei colori non li puoi vedere, ma continui
a metterli? O sei strana, o ti comporti proprio come una
bambina”. -
Lei non lo
calcolò minimamente ed uscì, ritrovandosi in un
lungo corridoio, ma per quanto velocemente potesse camminare, il fumo
non la lasciava nemmeno un minuto:
- Ufff… Che
altro vuoi? Sai bene come funziona con me! O mi aiuti o te ne resti
comodamente qua, tanto non credo che per te faccia differenza.
– rispose scocciata lei, cercando però di darsi un
minimo di tono. Non poteva di certo scoppiare per qualcosa che accadeva
ogni singola volta che ricevevano un incarico.
- “Primo:
m’importa molto di quello che ti succede, anche
perché se muori io mi ritroverò con un pugno di
mosche tra le mani. Secondo: sappiamo entrambi che non riusciresti a
fare chissà cosa là fuori senza il mio aiuto.
Certo, per svolgere il tuo lavoro normalmente potresti, ma non per
portare avanti la tua piccola questione personale”.
– la castana continuava a ripetersi nuovamente di non dare
corda alle sue parole, anche se spesso quello si comportava come i
primi giorni in cui si erano conosciuti: irritante come non sapeva
più cosa fino al midollo. A volte si chiedeva davvero chi
fosse l’adulto tra loro due, ma all’altro non
sarebbe comunque importato questo.
Si girò verso
il suo interlocutore (perché ormai era chiaro che la voce
nella sua testa proveniva da quella massa informe rossa), ma prima che
potesse anche solo fiatare, lui le mise un dito davanti alle labbra e
le avvicinò un foglio di carta scritto al volto:
- “E terzo, per ordine
d’importanza naturalmente: dove credi di poter andare senza
nemmeno sapere il dove ed il quando succederà quel che
sai?” – rispose lui sarcastico come al
solito.
Lei allora
sospirò sconfitta e, scacciando la mano di lui che aveva
vicino alle labbra, allungò la propria per prendere il
foglio, quell’oggetto sottile, delicato e nostalgico:
profumava di casa, ma anche del lavoro che ora doveva compiere. Per un
motivo che non seppe spiegarsi, s’intristì nel
leggere quell’unica frase, ma scosse la testa per scacciare
quel pensiero e, girandosi nuovamente, riprese a camminare, sussurrando:
- Come to me, my sword.
–
Udita la frase, il fumo
si avvicinò nuovamente, stavolta avviluppandosi intorno ad
un punto della fascia rossa, scomparendo sotto l’indumento.
Il foglio era
già stato lasciato andare, dimenticato da colei che ormai
sapeva dove andare: il primo luogo che avrebbe visitato dopo quei
lunghi mesi di tedio.
Orfanotrofio
Hyakuya. Ore 24.00. 25-26 Dicembre 2012.
Angolo
dell’autrice
Come prima
cosa, piacere di conoscervi: sono nuova del fandom, ma non di EFP. Mi
chiamo Crow. Lo so che avrei fatto meglio a non scrivere subito quel
capitolo visto le grandi modifiche che ho dovuto fare, ma ho in mente
questo tentativo da un po’ e intendo provare a portarlo a
termine (impegni permettendo ovviamente). Salvo imprevisti, dovrei
riuscire a postare almeno una volta ogni 2 settimane (nei casi peggiori
s’intende, ma si vedrà).
I personaggi
comparsi qui sono due miei OC, ma non preoccupatevi perché
compariranno anche i nostri protagonisti di Owari no Seraph. Premetto
che ci saranno vari salti temporali sia in avanti che indietro, ma
certe cose mi perderei troppo a spiegarle in dettaglio.
Fatte queste
premesse, vi saluto.
Alla prossima
pagina della storia.
Crow
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** The second page: red-clad young girl ***
The
second page: red-clad young girl
25
Dicembre 2012…
La
notte della nascita del Messia…
La
notte dell’avvento della sua ira
sull’uomo…
La
notte in cui l’umanità sarebbe stata
distrutta…
La
notte in cui un nuovo mondo sarebbe risorto dalle ceneri di quello
vecchio…
Tutte quante pure e
semplici definizioni per un unico grande evento che credeva non si
sarebbe mai verificato: troppi continuavano a predicare che un giorno
tale situazione si sarebbe realizzata, solo per costruire attorno a
sé una propria cerchia di fedeli e portare avanti le proprie
convinzioni, fingendosi all’altezza di quelli che per alcuni
erano i veri profeti… I veri rami portanti della loro fede.
Un’altra
persona ha ripetuto quelle parole, una persona che quattro anni prima
era un umano come tutti gli altri… O che almeno avrebbe
potuto esserlo: per colpa di altri aveva visto strappato dalle proprie
mani ciò che contava, prendendo poi la malaugurata decisione
di acquisire più potere per riottenerlo; questo suo
desiderio è però presto sfociato in qualcosa di
ben più insano, ma non per colpa sua, bensì per
qualcosa che si agitava dentro di lei sin dalla sua nascita e che era
riuscito a prendere il sopravvento sulla parte buona nel corso di pochi
anni.
Che cos’era?
Odio… Tristezza… Rabbia… Voglia di
rivalsa… Ribellione…
Fosse stato
così semplice, ma in tal caso sarebbe stato possibile fare
ancora qualcosa per quella persona prima che fosse troppo
tardi… Troppo tardi prima che un’altra persona
compiesse un gesto ancora più sbagliato… Troppo
tardi perché i destini di altri virarono verso
un’unica direzione possibile, ma non è su di loro
che ci si concentrerà adesso. Più avanti magari,
quando la ragazza dei gigli ragno li dovrà rincontrare,
perché succederà certamente…
- Dimmi un po’. Tu
conosci la leggenda dell’Unmei no Akai ito? – disse
una bambina tutta allegra quel giorno, mentre sorseggiava del buon
tè offertole dalla ragazza che era lì con lei.
-
“Il filo rosso del destino” dici? Sì, me
l’ha raccontata una volta mia madre. –
- Anche
per me è stata mia mamma a raccontarla! Ih ih. –
-
Perché hai nominato quella storiella? –
-
Perché no? Non ci credi? –
-
No. Come hai detto tu, è solo una leggenda… E poi
ho visto quel che mi basta per smettere di credere in queste cose.
–
- Umpf.-
-
Ah ah. Adesso però non fare il broncio, dai. È
uno spreco su una ragazzina tanto dolce e carina come te. –
- Vale lo
stesso anche per te. È strano non vederti con quel sorriso
ebete stampato in faccia, anche se si vede benissimo che qualcosa non
va. –
-
Davvero? Mh… -
-
… -
-
Allora? –
- Che
cosa? –
-
Come mai hai tirato fuori questa storia? -
- Ah
già! Quella leggenda dice che un filo rosso lega 2 anime
gemelle per il mignolo della mano sinistra, no? La mamma
però mi ha detto che secondo lei quel filo è
importante anche per un altro motivo: anche se dovrebbe collegarti solo
ad una persona, nella vita si incontrano altre persone che poi
diventano importanti per te, e quelle persone poi le rincontri
ancora… Senza doverti separare da loro ancora per troppo
tempo. –
-
… Sono parole molto belle… Ma me le stai dicendo
perché dovrai trasferirti e quindi non potremo
più rivederci per un po’ ? –
-
Sì. Un po’ mi dispiace andarmene, ma per adesso
non c’è scelta. Magari tra qualche anno
riuscirò a tornare qui a Shibuya, quando i miei non avranno
più troppi problemi col lavoro. –
-
Va bene allora. Ci rivediamo tra qualche anno allora! Vedi di non
dimenticarti di me però, eh? –
- Va bene
Onee-san. Promesso! -
La castana si
portò una mano davanti agli occhi, soffocando una lieve
risata che le scappò al ripensare a quel discorso forse un
po’ sciocco.
- “Se te lo ricordi
ancora vuol dire che qualcosina per te conta ancora. Ironico visto che
già da allora non eri più esattamente
normale.” – le disse la voce che la
aveva interrotta nella tranquillità di casa sua, ora
proveniente dalla fascia che portava in vita.
- Senti chi parla:
nemmeno tu corrispondi a quella definizione, anche se forse lo sei un
po’ più di me visto che non sei dovuto diventare
un miscuglio di progetti per il divertimento di alcune persone. - un
lieve grugnito da parte della voce maschile gli fece capire che per ora
la aveva vinta lei. Era diventato un po’ prevedibile dopo 4
anni di collaborazione, ma aveva ancora degli assi nella manica che
ogni tanto non tardava a mostrare. Non che quello fosse esattamente il
momento più adatto per pensarci…
- Allora? –
- “Eh?”
–
- Non mi hai ancora
consegnato l’altro foglio. Quello coi nomi. –
Nessuna parola, solo
parte del fumo rosso che componeva quella particolare forma del suo
partner fuoriuscì da sotto la fascia, accumulandosi in un
punto per formare una mano che le indicava un punto davanti a lei;
quando si decise finalmente a spostare gli occhi dal cielo pieno di fumo,
non comprese subito a cosa si riferiva il suo partner:
dall’enorme terrazzo di casa sua, poteva vedere quella che
fino a poche ore prima era una vivace cittadina ora rasa al suolo. I
grattacieli e gli altri edifici erano gravemente danneggiati, ancora in
preda alle fiamme come del resto tutto ciò che
c’era intorno; camion ed auto erano capovolti e parevano
ormai inutilizzabili, e le poche persone che riusciva a scorgere da
quella posizione erano piegate a terra, immobili e senza vita.
- Volevi soltanto farmi
godere la vista? Ti devo ricordare che ora abbiamo del lavoro da fare.
– tagliò corto lei.
La mano allora si mise
davanti ai suoi occhi, celandole la terribile vista di quello
spettacolo che era soltanto un piccolo stralcio di quello che il mondo
avrebbe subito da quel momento in poi, ma solo per toglierle qualcosa
che le impediva di vedere davvero:
- "Molto meglio ora!"
– esclamò soddisfatta la voce, mentre con la mano
di fumo reggeva due oggetti piccoli e tondi.
- "Non ti eri più tolta
le lenti a contatto da quando tu-sai-chi ti ha sospesa. Sai benissimo
che…" - una languida e leggera carezza sulla
guancia di lei, per poi avvicinarsi agli occhi:
- "... questi occhi
castano-rossicci mi piacciono molto di più. E adesso puoi
osservare bene quello che ti serve." - in effetti qualcosa
era cambiato, fin troppo tanto che la ragazza fu tentata a sfregarsi
gli occhi diverse volte per capire se ciò che aveva davanti
ora fosse vero: tutto quanto intorno a lei aveva perso i colori. Grigio
il cielo, grigio l’astro notturno ormai difficilmente
visibile a causa del fumo dovuto all’incendio, grigi i
palazzi distrutti dalle fiamme e grigi i cadaveri che giacevano
sparpagliati qua e là sulle strade.
Era questo che poteva
vedere con quei maledetti occhi da quando non era più
normale, ma aveva dimenticato quanto fosse spiacevole e noioso: le
lenti a contatto speciali le avevano permesso di tornare a vedere i
colori, oltre a nascondere la sua nuova identità. Forse era
l’unico regalo davvero sentito da parte di chi la aveva
salvata e allo stesso tempo rovinata anni prima.
- “Se hai finito di
guardare il vuoto, sposta lo sguardo su quei pezzi di carne
morta.” – disse nuovamente la voce e
lei obbedì: spostò lo sguardo verso un corpo ai
piedi di un palo della luce piegato in due, notando che sopra di lui
era comparso un nome con un numero “0” subito al di
sotto che svanì subito insieme al nome. Chiunque egli fosse
ormai era morto, ma comunque non le importava chissà quanto:
non lo conosceva e poi se ne sarebbe subito occupati qualcun altro.
- Questo non cambia la
mia domanda. Dove è l’altro foglio? - diretta e
precisa come sempre. Non gli dispiaceva, ma non si sarebbe di certo
fatto mettere i piedi in testa da una ragazzina.
- “A che serve? Puoi
vedere i nomi dei cadaveri là sotto. Basterà
raggiungere la destinazione e il gioco sarà fatto.”
- ribatté lui noncurante.
La ragazza
sospirò, per poi tornare a guardare davanti a sé
e vedere le centinaia di nomi e durate vitali disseminate qua e
là (che come nel primo caso sparirono subito dopo che le
lesse) nel paesaggio ai suoi piedi. Sorrise lievemente sollevata:
- Quella persona non
è tra quelle che mi sono state assegnate per stasera, vero?
- chiese timorosa di sapere la risposta. Il giorno in cui era stata
pronunciata la profezia sulla fine del mondo c’era anche lei,
ma tutto ciò che si ricordava ora era che gli adulti
sarebbero stati i primi a morire perché i più
segnati dalla lussuria. Tutti gli umani sopra i 13 anni sarebbero
morti… E la sua Onee-san di anni ne aveva già
compiuti 16.
Passarono diversi minuti
in cui solo lo scoppiettio delle fiamme indicava che il tempo non si
era fermato dal momento in cui la domanda era stata posta, ma ad un
certo punto la voce decise di farsi sentire ancora:
- “… No. Non
ho visto il suo nome tra quelli che ci sono stati affidati per
l’incarico di oggi. E poi non lo hai detto te
scusa?” -
- Che cosa? -
- “Ufff… Che
non ti sembrava una ragazza tanto incapace. Se è
così dovrebbe essere ancora tutta intera… E poi
ti ricordo che fa parte della famiglia nemica della nostra
organizzazione, sempre se ne sarà rimasto ancora qualcosa
dopo oggi.” –
- Molto bene. - rise
lei, felice di quella notizia. Se è fortunata,
rincontrerà ancora quella ragazza, e con molta
probabilità gli altri della sua ormai ex organizzazione
–almeno loro, ne era convinta, non erano certo degli
sprovveduti- . Fino ad allora…
- è ora di
ricominciare il lavoro allora. - annunciò stavolta senza
troppo entusiasmo, tanto che a sentirla il suo compagno si sorprese
dalla facilità e velocità con cui cambiasse
umore, seppure quei quattro anni insieme gli avessero permesso di
capire un po’ di cose in più sul suo conto.
Intanto, lei era salita
sulla ringhiera del terrazzo e stava per lanciarsi nel vuoto
quando…
- “Ferma
lì!” - l’intromissione
improvvisa la sorprese al punto da farle perdere l’equilibrio
e farla cadere nuovamente sul pavimento del terrazzo.
- Cosa
c’è adesso!? Non eri tu quello che voleva mettersi
all’opera? - protestò lei, massaggiandosi il
fondoschiena dolorante.
- “Ed ecco che rientra
in scena la cara signorina che dovrebbe imparare a prestare
più attenzione! C’è qualcun altro oltre
a noi e i nostri attuali colleghi!” –
le comunicò ironico, quasi a rimproverarle qualcosa di
talmente ovvio che avrebbe potuto notare anche lei.
Un momento…
Con “qualcun altro” non intendeva forse…
Si alzò di
scatto e si affacciò, trovando conferma ai suoi dubbi:
figure in mantelli scuri erano comparse all’improvviso e si
stavano facendo strada in mezzo a fuoco, distruzione e cadaveri. Su di
loro non riusciva a vedere nome o durata vitale, perciò
potevano essere solo…
- “Ora ci sono proprio
tutti… Umani… Vampiri… E
infine…” - la ragazza alzò
gli occhi al cielo, notando varie figure coperte da mantelli scuri e
stracciati che fluttuavano sulla città come un branco di
uccelli rapaci pronti a calare sulle loro prede: i corpi… O
meglio, “quello che giaceva al loro interno”.
- Gli shinigami.
Com’è possibile però che non riesca a
vedere le durate vitali dei succhia-sangue laggiù?
–
- “Non saprei.
Sarà perché quei tipi normalmente non possono
morire, di conseguenza non dovrebbero riuscire a vedere nemmeno te,
anche se tu non sei ancora diventata un Triste Mietitore
completo” –
- E tu non sei contento
che sia così? - domandò curiosa e sorridente,
cosciente che lui la poteva anche vedere pur non potendola guardare in
quel momento.
- “E me lo chiedi!? Se diventi uno
di quei cosi fluttuanti poi sarò io quello nei guai, e sai
anche perché!” –
ribatté arrabbiato, per poi avvolgere la compagna con fumo
rosso che si trasformò in un mantello color rubino fin
troppo lungo per lei.
- Sì
sì come ti pare. Adesso però andiamo: il lavoro
ci chiama. – prese quindi la rincorsa, balzò sulla
ringhiera e si lanciò nel vuoto, ma non precipitò
che per qualche metro prima che parte del mantello si
trasformò in due ali rosse con piume affilate:
- Addirittura le ali
adesso? Da quando riesci a farlo? -
- “Ti ricordo che
durante la sospensione hai voluto usare comunque i tuoi nuovi poteri
per risolvere quella faccenda, che tra l’altro non solo non
hai combinato nulla di buono, ma il tuo corpo è stato
corrotto ancora di più dalla nuova forza che hai acquisito:
queste ali sono il risultato di impedire che fossi consumata
completamente”. – disse la voce che
ora proveniva dalle ali, segno che per crearle aveva dovuto utilizzare
la maggior parte della sua energia, mentre i due continuavano a volare
sulla città senza che gli altri shinigami od i vampiri si
preoccupassero per loro.
Chissà,
magari sarebbe filato tutto liscio per il primo lavoro dopo la
sospensione…
Un quarto
d’ora dopo, a mezzanotte precisa come aveva detto il primo
foglio, i due erano arrivati a destinazione. Quel piccolo edificio,
magari pieno di colori accesi e vivaci rispetto al paesaggio intorno (e
che lei non poteva vedere per colpa di quegli occhi maledetti) prima
poteva essere stato benissimo pieno di bambini spensierati che
giocavano qua e là, ma in quel momento preciso era diventato
l’ennesimo ammasso grigio in quella città e per
quello che aveva potuto vedere uno dei pochi luoghi rimasti intoccati
da esplosioni od incendi di qualche tipo. Chiunque fossero gli
obiettivi non potevano di certo scappare, chiunque fossero ormai erano
già morti…
- E io adesso mi trovo
qua per dare loro ciò che si meritano… -
pensò lei, mentre s’incamminava verso il secondo
piano: non poteva vederla ancora, ma la sua prima
“cliente” era molto vicina. Era da un po’
che non sentiva l’odore di un’anima di una vita
ormai giunta al termine… Le pareva odore di carta ingiallita
e lasciata troppo a lungo ad ammuffire in uno scantinato umido: in
poche parole, “vecchia e disgustosa”.
Più un’anima era corrotta, più
quell’odore peggiorava, ma si disse che era meglio
così. Non la entusiasmava il pensiero di vedere la fine o
mietere lei stessa la vita di un bambino piccolo, che magari non aveva
fatto nulla di male e la sua vita stava per incontrare una fine
prematura a causa di uno sfortunato incidente.
- “Oh! Il tuo primo
lavoro consisteva nel raccogliere anime di bambini? Sai che
noia!” - s’intromise la voce maschile
nel silenzio dell’orfanotrofio. Lei passò sopra
quell’ultimo commento e gli intimò subito di far
silenzio: poteva ancora esserci qualcuno lì, anche se a
giudicare dall’odore che sentiva era più probabile
che gli umani fossero già tutti morti. E se un vampiro od un
alto shinigami si fosse messo in mezzo… Beh, avrebbe
ottenuto ciò che si meritava.
Immersa nei suoi
pensieri, raggiunse quella che doveva essere una sala dei giochi a
giudicare dai giocattoli e peluche sui mobili e sul pavimento ed i
disegni attaccati ai muri; solo due persone erano lì: la
ragazza e il cadavere di una donna dai capelli corti e scuri, vestita
in camicia, pantaloni ed un grembiule, stesa a pancia in giù
sul pavimento.
Si avvicinò
con cautela, più per abitudine che per timore che le
succedesse qualcosa: non vedeva più nome e durata vitale
della donna, e anche se fosse stata viva non avrebbe potuto nuocerle in
alcun modo. La fece rotolare di fianco, facendola stendere sulla
schiena, poi i suoi occhi brillarono di rosso: da essi partì
una lieve scia luminosa che percorse le guance e il collo fino ad
arrivare al petto, per poi diramarsi verso il braccio destro fino alla
mano che s’illuminò dello stesso colore.
Lentamente avvicinò l’arto all’altezza
del cuore della donna e, dove una mano normale si sarebbe semplicemente
poggiata, la sua mano luminosa entrò nel petto della donna,
estraendola poco dopo insieme ad un oggetto che riluceva lievemente di
un colore indefinito; dopo pochi secondi, quella sfera splendente
“esplose”, trasformandosi letteralmente in pagine
completamente scritte e rovinate.
- Ricorda
sempre: l’aspetto con cui si presenta l’Anima
riflette come quella persona ha vissuto. Se le Pagine che descrivono le
loro vite sono completamente rovinate, se emanano un odore
insopportabile, allora è praticamente inutile stare a
leggere il contenuto. –
-
E se quell’anima meritasse invece di essere salvata e non
persa? -
-
è per questo che quelli come noi sono stati creati. Il mio
era un semplice consiglio su cosa fare nel caso ti trovassi di fronte
ad esseri tanto corrotti, e noi shinigami ce li siamo sempre trovati di
fronte; se volessi leggere comunque i fatti che hanno caratterizzato le
loro vite, nulla te lo potrebbe impedire: dopotutto, è
nostro compito dare questo primo giudizio su di loro, raccogliendo
quelle pagine qui, in attesa del giorno in cui saranno giudicate
veramente. -
Quella era una delle
conversazioni che aveva avuto con la sua salvatrice, e seppure non ne
approvasse completamente la linea di pensiero, non aveva nemmeno tutti
i torti: nel leggere il contenuto di quelle pagine, non riusciva a
trovare un elemento che potesse permettere a quell’anima di
essere salvata… Non dopo aver letto poche parole…
Hyakuya Sect
- “Allora una delle sedi
è qua. Andiamo a dare un’occhiata?” –
chiese la voce.
La sua partner scosse la
testa in segno di dissenso, mentre finiva di leggere l’ultima
pagina; non era necessario dal momento che durante il
“lavoro” che si era assegnata da sé
durante la sospensione aveva avuto modo di vedere cosa erano capaci
quegli esseri che a stento si potevano definire umani: riuscivano a far
sembrare meno depravati persino i membri dell’organizzazione
di cui faceva parte prima di diventare una shinigami, e ce ne voleva
per arrivare a quei livelli! Durante la sospensione, lei e il suo
partner avevano visitato segretamente diverse altre delle strutture del
Hyakuya Sect, scoprendo poi che anche altri shinigami erano stati
mandati lì per ben altri motivi che per pura
curiosità personale (elemento che tra l’altro
caratterizzava una percentuale praticamente esigua).
Rabbrividì al
ricordo di cosa vide là dentro, tornando alla
realtà ed alle Pagine che ancora teneva in mano; la mano
destra brillò nuovamente per un attimo, mentre il testo
cominciava a muoversi prima di lasciare le Pagine e cominciare a
ruotare intorno alla mano della ragazza:
- Until the day of your judgement,
you will stay in the Spirit World. Then, you will depart for your final
destination. [1] –
Parole pronunciate in
modo solenne, come se il compito cruciale del vero giudizio spettasse a
lei, mentre quelle lettere si levarono in aria senza essere fermate
dalle pareti o da nient’altro sul loro cammino, dirette verso
la loro destinazione provvisoria.
La ragazza allora si
mise ad osservare l’ambiente intorno a lei, quando
notò le finestre rotte ed i pezzi di vetro abbandonati sul
pavimento: qualcuno la aveva preceduta, ma chiunque fosse non aveva
lasciato tracce. E a giudicare da quando aveva letto dalle Pagine della
Storia della direttrice dell’orfanotrofio, non era stato
qualcuno ad ammazzarla, ma qualcosa… Era un po’
ironico a pensarci. Tutti credono che la fine del mondo arrivi in un
modo talmente violento che si fa almeno in tempo a vedere
l’inizio del disastro prima di andare all’altro
mondo: che siano alluvioni, terremoti od uragani, almeno si
può vedere i primi risultati. Ed invece
l’apocalisse è arrivata in un modo che nessuno
avrebbe potuto fermare… Ora aveva capito a che si riferiva
la profezia che aveva sentito pronunciare quel giorno: un virus letale
si era diffuso lì a Tokyo e nel resto del mondo, non
risparmiando nessuno se non gli umani più giovani di 13
anni. E anche se qualcuno di loro fosse sopravvissuto, sarebbero presto
entrati in gioco altri elementi che avrebbero testato la
capacità degli umani di sopravvivere in quel nuovo e crudele
mondo.
- Quella là
l’ha fatto apposta: mi ha affidato quest’incarico
per indurmi ad indagare su tutta questa faccenda. -
- “E tu intendi darle
corda o che altro?” –
Lei annuì
vigorosamente al nulla
- Certamente, altrimenti
non potremo essere sicuri che manterrà la sua parte
dell’accordo, e di conseguenza io non potrò
mantenere la promessa fatta con te. -
- “E ti conviene non
rompere il nostro di accordo: sei al corrente di cosa farò
in tal caso, soprattutto se davanti a me comparirà uno dei
tuoi piccoli ex colleghi, se sono ancora tutti interi
s’intende.” – le
ricordò lui intimidatorio, ma lei se ne uscì con
una risata.
- Andiamo allora? I
ricordi di quella donna mi hanno fatto capire un po’ di cose,
e al momento è meglio che stiamo incollati ai vampiri: quei
succhia-sangue hanno portato via un paio di persone che mi servono per
mantenere gli accordi con tu-sai-chi. -
A quelle parole le ali
rosse ricomparvero sulla sua schiena, ma prima che potesse uscire da
lì e riprendere il volo sentì un ruggito in
lontananza: a quanto pare il suo partner si era dimenticato di nominare
il quarto ospite della prima notte della fine del mondo.
- Shall we go, Yuri? [2]
–
- “Come desidera,
signorina Kaguya”. -
[1] : “Fino al
giorno del tuo giudizio, tu resterai nel Mondo degli Spiriti. In
seguito, partirai verso la tua destinazione finale”. (Fonte:
google traduttore)
[2] :
“Andiamo, Yuri?” (Fonte: google traduttore)
Angolo
dell’autrice
Rieccomi qua.
Per me si avvicinano gli esami quindi non ho molto tempo per scrivere,
ma ora andiamo con ordine: finalmente si conoscono i nomi dei miei due
OC Yuri (finora soltanto fumo rosso, ma è qualcosa di
più) e Kaguya (una shinigami ancora incompleta). Dettagli su
di loro verranno svelati man mano che si andrà avanti, e
spero non saranno motivo di noia. So che è un capitolo un
po’ lungo, ma alcune parti avrei avuto problemi a
separarle…
Ora, se
qualcuno ha letto Death Note, potrebbe aver riconosciuto un particolare
di Kaguya: gli occhi dello shinigami che permettono di vedere nome e
durata vitale di un individuo. È passato un po’ da
quando ho letto il manga e non mi ricordo eventuali dettagli, ma
immagino che nome e durata vitale spariscano una volta che un individuo
è morto dato che non servirebbe a niente conoscerli.
Le parti
scritte con caratteri diversi sono dei flashback di Kaguya e che
verranno ripresi più avanti.
Altro
dettaglio: come nel capitolo precedente, Kaguya ha detto una frase in
lingua inglese. Ha detto “Vieni a me, mia spada”.
Nel rileggerlo ho visto che non ho messo la nota per la traduzione, ma
provvederò subito. È una sua caratteristica che
si ripeterà ancora.
Spero che vi
siate goduti il capitolo e che magari vogliate lasciarmi un piccolo
commento.
Alla prossima
pagina della storia.
Crow
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** The third page: through the night until dawn ***
The
third page: through the night until dawn
L’Anima…
La
prova che una persona è realmente vissuta…
Le
gioie che l’hanno colmata ed i dolori che ha
sopportato…
Le
virtù ed i peccati commessi prima della venuta del sonno
eterno…
Era qualcosa di davvero
misterioso, molto più di qualunque oggetto fisico concepito
dalla mente umana che ha continuato ad evolversi nei secoli, e che allo
stesso tempo non poteva trovare per sé una definizione
completa e corretta: nessuna è uguale ad un’altra,
così come ogni persona è diversa da
un’altra.
Ognuno ha una sua
identità, qualcosa che gli permette di capire chi
è e cosa vuole fare, e che nell’arco della vita
entra a contatto con persone ed eventi che la rendono unica rispetto
alle altre. Nel bene o nel male, l’identità
è ciò di cui nessuno può fare a meno:
senza di essa, ognuno perderebbe un’importante parte di
sé, sentendosi così spaesato e insicuro di fronte
alle porte del mondo che gli si sono improvvisamente chiuse intorno.
Detto questo, un
individuo può benissimo accantonare consciamente o meno la
memoria di cattive azioni compiute e simulare di non ricordarsele, ma
quegli atti rimarranno per sempre immortalati in quel registro chiamato
“Anima”, in attesa di essere giudicato dopo la
morte per far sì che quella persona possa raggiungere il suo
posto nell’aldilà.
Per gli shinigami,
raccogliere le Anime serve però a qualcos’altro,
un motivo forse più egoistico ma fin troppo importante per
loro: ogni volta che una persona moriva, poteva esserne nata
un’altra da qualche altra parte. Per ogni inizio
c’era anche una fine, così come per ogni nuovo
nato sarebbe arrivata la morte un giorno; un fatto più che
risaputo, ma una materia molto delicata per un Triste Mietitore: la
loro “specie” (perché la maggior parte
di loro era guidata dal semplice istinto…
Dalla semplice necessità
di svolgere quel lavoro di “raccoglitori di anime”
per poter sopravvivere…
La maggior parte di loro non era diversa da un branco di animali che
cacciavano prede più piccole e deboli… Nulla di
più e nulla di meno) ha avuto origine in tempi che ormai
nessuno ricorda più, da particolari categorie di umani che
dopo la morte sin sono ritrovati catapultati in un’altra
realtà, privi delle loro precedenti identità e
con nuovi ruoli da portare avanti. Credevano di poter vivere senza
dover entrare più in contatto col mondo che si era
dimenticato di loro, ma non era così: la verità
è che loro erano come parassiti. Non potevano vivere senza
gli umani, o meglio, senza le Anime…
Potrebbe essere
difficile crederlo, ma il meccanismo della vita e della morte ad un
certo punto aveva generato una sorta di equilibrio tra il numero di
persone che nascevano e quelle che morivano, o più
precisamente tra il valore delle vite che hanno origine e quelle ormai
spente. Chi o cosa abbia stabilito tali criteri è rimasto
tuttora un mistero, ma le cose stavano così: se un certo
numero di persone od una che ha avuto un particolare valore per il
mondo moriva, un numero di anime corrispondenti al valore di quelle
perdute veniva generato; analogamente, se un’anima in qualche
modo riuscisse a sfuggire alla morte, altrettante che corrispondono a
quel valore andrebbero incontro ad una fine prematura.
Nascita e morte erano
piatti di una bilancia in perfetto equilibrio, la quale si serviva
degli shinigami per mantenere la propria stabilità e, nel
caso tale condizione fosse minata in qualche modo, avrebbero dovuto
porre rimedio in ogni
modo possibile e senza alcuna eccezione. Non era raro che
in questi casi particolari alcuni di loro finissero per scomparire, ma
non faceva molta differenza: se una persona rappresentava una
potenziale acquisizione tra le schiere dei Tristi Mietitori, si
procedeva in modo da cancellare ogni singola traccia della sua
esistenza da umano; l’essere dimenticati da amici, parenti e
conoscenti era una parte di questa nuova condizione. Che dire, non si
può ricevere qualcosa senza ottenerne un’altra,
cioè la perdita di ciò che sei stato come umano
in cambio dei poteri di cui può disporre uno shinigami;
molti di essi però non si rendevano conto della
gravità della perdita: come è già
stato detto, la maggior parte di loro non è diversa da un
branco di animali guidati dal puro istinto, in cui la perdita di un
componente comportava un rimpiazzo con un elemento altrettanto valido.
Era così che
avevano sempre funzionato le cose…
- è quasi un
peccato che io non sia come loro, altrimenti alcune cose sarebbero un
po’ più semplici. - si lamentò
mentalmente Kaguya, mentre sorvolava quelli che erano diventati dei
resti malandati della città. Malgrado le ali fossero un
altro elemento tipico degli shinigami (seppure Yuri le avesse alterate
anche solo d’aspetto per rallentare la corruzione del suo
corpo da parte dei poteri di Mietitore), era la loro volontà
che permetteva di usarle (altrimenti sarebbero state un elemento
decorativo piuttosto ingombrante) e lei cominciava a sentirsi piuttosto
stanca; questo perché chi l’ha salvata dalla morte
l’ha trasformata in un particolare tipo di Triste Mietitore
che, a differenza di quelli che ormai erano disseminati ovunque in
città a raccogliere le Anime che scomparivano subito dopo dentro i loro
mantelli scuri, percepiva stimoli fisici in modo non troppo differente
da un umano. Non era l’unica messa in quello stato, ma il
più delle volte si si ripeteva che era meglio
così: sapeva cosa erano di preciso quelli coi mantelli
scuri, e non l’idea di ridursi in quelle condizioni la
allettava meno di trovarsi davanti cibo ammuffito ed essere costretta a
mangiarlo.
In ogni caso, era
veramente stanca e la testa cominciava pure a farle male; erano passate
circa quattro ore da quando aveva lasciato l’orfanotrofio,
durante le quali una pioggia acida aveva cominciato a cadere, spegnendo
le fiamme e danneggiando a sua volta quello che era rimasto in piedi
dopo l’incendio, ma non aveva ancora trovato la fonte del
ruggito: per un attimo aveva creduto di esserselo immaginata a causa
dell’emicrania, ma poi lo sentì altre 5 volte e
decise di continuare per la strada; sfortunatamente, a parte lo
scenario post-apocalittico e la presenza dei suoi “colleghi
Mietitori”, non c’era nient’altro che
potesse rendere quel posto ancora più anormale di quanto non
lo fosse già…
Che avesse sbagliato
strada? Che dovesse continuare col suo compito? Ma non aveva altri
indizi oltre al primo foglio che Yuri le aveva mostrato…
- “Stiamo andando nella
direzione giusta. Ed è inutile continuare col lavoro:
dovremmo aver terminato dopo il tuo primo giretto turistico ed essere
tornati indietro all’orfanotrofio per recuperare gli
“avanzi”. Te lo dicevo io che quel posto aveva una
piccola base sotterranea di ricerca!”
– rispose il partner alla sua insicurezza, chiedendo poi
perplesso:
- “E poi non intendevi
seguire i succhia-sangue? Stiamo andando da tutt’altra parte!
Chiunque stai cercando di preciso sarà già stato
ucciso o portato via da quei tipi.” –
sentendo quelle parole, lei scosse energicamente la testa:
- Non può
essere! Tu-sai-chi ha detto che li avrei trovati e così
sarà! - quasi urlò alla poca fede
dell’altro, anche se non lo poteva vedere adesso.
Dopo aver cercato di
rimettersi a posto il cappuccio e le ciocche bagnate e scompigliate
(con scarsi risultati data la pioggia fitta), si diede un paio di
schiaffi leggeri per sfuggire ad un sonno che voleva ma non poteva
concedersi ancora e per distrarsi dal gelo che ormai sentiva fino alle
ossa.
- “Se fossi diventata
uno di quei cosi…” – una
scia di fumo rosso uscì di nuovo dalla fascia rossa per
indicare le figure incappucciate sotto di loro:
- “Questo problema non
lo avresti più.” –
Se lo avesse avuto
davanti e possibilmente non sotto forma di nebbiolina rossastra, gli
avrebbe dato volentieri un pugno. Ma che pensava quello!?
- E io ti ricordo che tu
finirai ancora peggio di come stiamo ora se ciò dovesse
succedere. – disse senza poter fare a meno di scherzarci un
po’ sopra e lasciarsi andare ad un risolino, riuscendo a
guadagnare uno sbuffo scocciato da parte dell’altro. Che non
osasse dimenticarsi che in quel gioco erano in due a partecipare, e
nessuno di loro voleva e tantomeno amava perdere.
- “Sì
sì come… Kaguya attenta! Stai
per…” - un rumore interruppe la sua
frase a metà, e con “rumore”
s’intende la sua partner che si era distratta quello che
bastava per non accorgersi di stare volando verso un aereo che era
caduto schiantandosi contro una delle ali del mezzo di trasporto,
sbattendo molto forte la testa. Non si era fatta chissà cosa
essendo un Triste Mietitore, ma un bel bernoccolo non glielo avrebbe
tolto nessuno, ovviamente per la felicità di Yuri che
scoppiò a ridere alla sbadataggine della sua collega e
ritirando le ali rosse, facendo cadere la castana
sull’abitacolo del mezzo di trasporto con un tonfo.
- Ahi ahi
ahi… - si lamentò lei massaggiandosi il capo e
appuntandosi mentalmente di non mettersi a chiacchierare nuovamente con
Yuri in volo se voleva risparmiarsi certe figure.
Si rialzò
lentamente, ma dopo pochi passi (durante i quali era ancora
disorientata per la “brutta sorpresa” di poco
prima) scivolò dall’abitacolo dell’aereo
per atterrare sul duro asfalto; provò a rimettersi
nuovamente in piedi, quando qualcos’altro catturò
la sua attenzione: come all’orfanotrofio Hyakuya, anche
lì c’era quell’odore… Quello di carta di libri…
Tuttavia, era chiaramente diverso da quello che aveva percepito in
precedenza. Era molto forte, segno che l’Anima da cui
proveniva era molto vicina, ma era quasi… piacevole: non era
pungente e non sembrava portare con sé il fetore di muffa o
tarme. Doveva ammettere che era abbastanza invitante: avrebbe avuto lo
stesso effetto di un dolce davanti ad un bambino goloso, e per gli
shinigami non esisteva nulla di più irresistibile
dell’odore di quel particolare tipo di Anime (quelle
più pure e giovani, cioè quelle che non finivano
spesso tra le loro grinfie, ed era meglio così).
Quell’odore
proveniva da non molto lontano da lì e, spinta dalla
curiosità di vedere se quel qualcuno se la fosse cavata o se
dovesse raggiungere le migliaia di morti di quella sera, si
allontanò dall’aereo distrutto con tutti i
cadaveri ormai prosciugati dalle Anime, non diversi da quelli che ormai
erano presenti in tutta la città;
s’imbatté in altri corpi dopo pochi minuti, ma
notò che erano diversi
da quelli che aveva visto finora: nomi e le durate vitali erano ancora
lì, segno che nessuno era ancora passato a raccogliere
quelle Anime (cosa strana visto che ormai gli altri Mietitori
dovrebbero aver concluso il “rastrellamento”
considerando in quanti erano arrivati nel Mondo Umano quella sera), ma
ciò che stupiva la ragazza era il fatto che sembrava che
qualcuno avesse passato una gomma sopra quei 2 dati, ormai tanto
sbiaditi da risultare quasi irriconoscibili.
- “Che è
successo a questi qua?” – aveva
chiesto Yuri, finalmente serio dopo i lunghi minuti di risate
successivi allo scontro tra la testa della sua partner e
l’ala dell’aereo. Era abbastanza certa che non si
riferisse allo stato in cui erano i cadaveri, ma a ciò che
vedeva lei: spesso dimenticava che ciò che lei scrutava con
gli occhi era tutto ciò che lui poteva vedere.
- Colpa del virus. -
rispose lapidaria lei, avvicinandosi al cadavere più vicino
appartenente ad un uomo sulla cinquantina a detta sua. Il numero che
indicava la durata vitale era chiaramente uno zero, ma non riusciva
comunque a leggere il nome. Anche gli altri erano in uno stato pessimo.
- “Eh!? Ora sono
curioso. Com’è possibile che abbia fatto un
macello del genere?” –
Stentava a crederlo
anche lei che tale situazione si potesse verificare: le era stato
riferito di questa eventualità, ma doveva trattarsi di casi
più unici che rari considerando le descrizioni sbrigative
che le erano state fornite.
- Sai che
l’anima contiene tutte le informazioni riguardo una persona
no? Beh, sembra che ogni tanto avvengano casi in cui anche delle
condizioni fisiche lasciano il segno; la mia ipotesi è che
il virus abbia infettato queste persone molto rapidamente e le abbia
danneggiate al punto che le Pagine non sono riuscite a registrare
l’informazione completa riguardo le circostanze della morte
prima che il conto alla rovescia si azzerasse.
In pratica, sono tutti
morti in modo talmente rapido che l’anima non è
riuscita a “registrare” l’evento in tempo
reale e, nel tentativo di farlo, ha danneggiato altre informazioni che
aveva annotato in precedenza, incluso il nome delle vittime. Non
è un danno irreparabile, ma temo che una volta tornati
avremo parecchie “riparazioni” da effettuare. -
spiegò con un ultimo sospiro di rassegnazione per aver
deciso di esplorare la città e trovare l’origine
del ruggito invece di cercare subito i vampiri.
Ora che ci pensava, come
avrebbe capito chi erano di preciso le persone che doveva aiutare?
Quella là non si era di certo persa nei dettagli quando le
stava spiegando la sua parte del loro accordo… Va beh,
immaginava che le avrebbe riconosciute in qualche modo. Per ora, era il
caso di raccogliere anche quelle Anime che gli altri incappucciati
sembravano aver ignorato per quanto erano messe male.
Quando prese
l’ultima nei paraggi, notò in lontananza un altro
nome ed una durata vitale ancora ben distinguibili:
- Mmm…
“Su… Me… Ra… Gi
Ha… Ru… To… 0”. Molto bene.
- si disse, avvicinandosi al nome che aveva visto.
Si avvicinò
ancora di più, accorgendosi che il nome aveva origine da
quello che pareva essere un bambino rimasto schiacciato
all’interno di un auto (in effetti, aveva sentito che il
virus non avrebbe ucciso chi aveva dai 13 anni in giù, ma
non era escluso che quella notte sarebbero potuti capitare incidenti
come quello), ma quando stava per recuperare l’Anima,
percepì distintamente la strada tremare sotto i suoi piedi
finché da una strada secondaria si fece avanti il motivo che
la aveva convinta a non andare subito all’inseguimento dei
succhia-sangue. La castana rimase sorpresa di vedere nuovamente quei
mostri, perché in altro modo non era possibile definirli,
tanto era difficile anche solo capire cosa fossero: una creatura con
diverse gambe di colore verdastro che sorreggevano un corpo nero e
bianco e una bocca con diversi denti aguzzi all’altezza di
quello che doveva essere l’addome. A completare il tutto
c’erano 2 lunghe zampe nere con chele bianche… Ed
una di quelle era sollevata in aria e stava per colpirla!
Kaguya si
lanciò di lato, rialzandosi dopo una capriola per poi al
sesto piano di un edificio lì vicino, entrando nella
struttura da una spaccatura nella parete. Sospirò sollevata
per essere riuscita a sfuggire all’attacco, ma presto
scoprì che allontanarsi era stata una pessima
mossa… A parte la spaccatura creata dall’enorme
chela, il mostro non la seguì più (con la stazza
che si ritrovava, le sembrava strano riuscisse a muoversi
così in fretta, figurarsi a saltare), perché non
era lei ad interessargli davvero: con le chele aveva infatti cominciato
a rompere l’auto per recuperare il corpo del bambino,
tenendolo imprigionato nella sua morsa e portandolo verso la bocca
sull’addome.
La shinigami allora
saltò giù dalla sua postazione e si
avvicinò di corsa al mostro, la mano destra vicina alla
fascia dove fumo e petali rossi si stavano accumulando, ma ormai era
tardi: il prigioniero della chela scomparve oltre la bocca dai denti
aguzzi della creatura, e quest’ultima si allontanò
a grandi passi da lì una volta consumata la sua (le saliva
un conato di vomito anche solo a ripensarci)
“cena”… E l’odore di carta che
aveva sentito prima fece la stessa fine. Un’anima pura e
giovane era stata appena spazzata via senza che lei potesse fare
nulla… Un’anima che poteva ancora avere un futuro
davanti a sé… Un’anima che aveva ancora
davanti a sé infinite possibilità e
scelte… Un’anima che aveva incontrato la sua fine
troppo presto…
-
Perché… Perché è dovuto
succedere ancora… - si rimproverò mentalmente lei
mentre una lacrima cominciava a percorrerle il viso. Con la mano ancora
libera si toccò il viso, percependo la scia umida sulla
guancia… Ma che le prendeva ora? Non aveva più
pianto da quando…
-
… Perché? –
-
Eh? –
-
Come mai sei qui? –
-
C-Che cosa? N-non so d-di che parli… -
-
… Com’è possibile? Come…
Come fai a non ricordarti di me…? –
-
Io… Mi spiace ma… -
-
Perché… Perché… Rispondimi!
Perché!? –
Quella volta era stato
un suo errore: chi aveva visto realmente e chi credeva di avere davanti
non potevano essere la stessa, malgrado la singolare somiglianza.
Ricordava ancora bene quel
giorno… Quello del suo primo compito come
shinigami… Quando Yuri non era ancora con lei…
Aveva quasi dimenticato
quella bambina… Con una lama in mano… Circondata
da sangue e morte… Esattamente come lei quando era ancora
umana. Come ci era finita lì non le interessava saperlo, ma
si augurava che fosse scampata a ciò che stava vedendo ora:
un mondo in cui non era rimasto nulla se non i colori che aveva
cominciato ad odiare da quando la sua di vita era stata stravolta.
- Ehi Yuri… -
mormorò lei, mentre il fumo rosso cominciava ad acquisire
forma e consistenza nella sua mano.
- “Mh? Cosa
c’è? Vuoi condividere con me le tue ultime
parole?” – sghignazzò
lievemente, perché già sapeva come sarebbe andata
a finire lo “scontro” tra loro e quel mostro che
ora si stava allontanando in cerca di altre prede: già li
avevano incontrati tempo prima ed avevano appreso che mangiavano solo
umani. Non gli interessavano creature che non lo fossero.
- Ah ah. Molto
divertente. Comunque, ti ricordi che cosa mi hai detto prima che
partissimo stasera? - nel mentre, il fumo si era avvolto sul suo arto,
per poi dissolversi in pochi sbuffi per lasciare nella mano della
castana una katana infoderata.
Da parte del partner,
Kaguya non ottenne risposta se non un semplice suono che indicava che
Yuri aveva risposto affermativamente alla sua domanda.
- Mi hai chiesto come
mai continuassi ad indossare questi colori seppure ti avessi detto di
non sopportarne la vista. - passò la mano dalla guancia alla
manica del kimono:
- Bianco come la
Luna in cielo nelle sere in cui giocavo prima di rientrare in
casa… - la mano si spostò quindi alla gonna,
godendosi la sensazione di seta tra le dita:
- Nero come i capelli
di mia madre… - chiuse un attimo gli occhi, ripensando ad
uno dei pochi volti che aveva avuto importanza nella sua vita e che
sperava non svanisse mai dai suoi ricordi, qualsiasi cosa dovesse
succederle; la mano risalì il suo corpo per andare al
girocollo:
- Rosso come quei
fiori… Quei gigli ragno che sbocciavano in tarda estate nel
giardino della villa… - infine, l’arto
trovò la sua gemella sull’arma, liberandola dal
fodero e lasciando che la lama rilucesse alla pallida luce del Sole che
stava sorgendo all’orizzonte, per poi puntarla contro il
mostro che aveva davanti.
- Quei colori erano il
mio mondo… Una vita tranquilla che è stata
distrutta troppo presto... Non li odio perché mi ricordano
ciò che ora non sono più, ma perché
qualcuno ha minacciato di far cambiare completamente significato a
qualcosa che amavo… E questo non glielo perdonerò
mai! Quel maledetto vampiro… Anzi, chiunque si trovi
là fuori, non sarà mai all’altezza
della mia determinazione! – affermò lei con rabbia
e decisione, facendo ghignare soddisfatto il partner mentre sulla lama
cominciava a disegnarsi incisioni simili ai gigli ragno cari ad
entrambi:
- “è per
questo che hai accettato l’accordo con tu-sai-chi
allora… Un ragionamento semplice per una mente
semplice”. - la schernì senza
però riuscire a metterci troppa serietà nelle sue
parole, mentre fumo e petali rossi cominciavano a roteare intorno alla
ragazza, eseguendo una danza che presto avrebbe trovato un
accompagnamento musicale… Ovviamente nelle grida di
sconfitta di quel Cavaliere dell’Apocalisse.
- “Va beh…
Spero che almeno tu non mi faccia annoiare”.
–
- E io mi auguro che tu
sappia ancora come si combatte. Non ti sarai arrugginito durante la
sospensione? – rise lei, prendendo una rapida rincorsa e
saltando, trovandosi ormai a pochi metri di distanza dal mostro suo
bersaglio:
- “Umpf. Come se questi
cosi senza cervello possano competere con me! Devi solo dare
l’ordine e assisterai ad uno spettacolo che sarà
valsa la pena stare solo a raccogliere anime tutta la notte.”
-
Un ultimo salto e fu
sopra di lui:
- Then strike it, Red
Lily! [1] – gridò lei per poi tagliare a
metà il mostro, ma il colpo sembrò attraversarlo
semplicemente, manco fosse stato trasparente perché non
riportò alcun danno e non arrestò nemmeno la sua
corsa; Kaguya si allontanò a sua volta e ripose la katana
che si trasformò nuovamente in fumo rosso per riprendere il
suo posto sotto la fascia, ghignando e leccandosi le labbra per quello
che avrebbe visto da lì a poco. Era un po’ che non
ammirava gli effetti del potere di Yuri…
Dopo secondi che le
sembrarono infiniti, il Cavaliere dell’Apocalisse si
ritrovò sollevato in aria da raffiche di vento che portavano
con sé una miriade di petali rossi che si avvicinarono
sempre più, prima appiccicandosi solamente, arrivando
però a penetrare nella corazza fino a creare tagli da cui
cominciarono ad uscire fiotti di sangue; poco dopo, anche il resto del
corpo cadde in pezzi, prima le zampe, poi l’addome ed infine
la testa che si sgretolarono fino a diventare polvere. A terra era
rimasto solo il liquido rosso e ora in aria i petali mortali che lo
avevano ferito danzavano elegantemente, seguendo il vento che ora era
brezza gentile.
La ragazza
portò una mano avanti che raccolse alcuni petali, ma a
differenza del Cavaliere dell’Apocalisse, non ne rimase
ferita e sorrise lievemente:
- è
bellissimo. È splendido Yuri. –
- “Ti avevo detto che ne
sarebbe valsa la pena. E ora cerchiamo i succhia-sangue prima
che… Oh oh” –
Stava per domandargli
quale fosse il problema quando davanti a lei vide ciò che
non le avrebbe permesso di continuare la sua ricerca: una sfera
luminosa si stava avvicinando sempre più rapidamente a loro,
balzando su e giù a zig zag prima di fermarsi davanti alla
shinigami. Attenuato il bagliore, la sfera si rivelò essere
un piccolo coniglio bianco dagli occhi di un innaturale colore
violetto; la castana mise le mani a coppa per farlo salire, seppure
quell’animaletto fosse così piccolo da poter
restare comodamente su una sola delle sue mani, e in quegli occhi del
colore delle ametiste più brillanti, la ragazza capii che
non potevano dilungarsi ulteriormente in quel posto.
- Ufff…
è già ora di andare immagino. -
farfugliò lei, concedendosi un ultimo attimo per guardare in
lontananza nella speranza di scorgere qualcosa, qualsiasi cosa che le
permettesse di avere un punto di partenza per la prossima volta che
fosse giunta nel Mondo Umano, con suo dispiacere, non riuscì
a notare nulla di utile. Solo gli altri Tristi Mietitori che
scomparivano uno per uno in cielo per tornare al loro mondo.
Tornò quindi
a guardare il coniglio che emise una luce abbagliante violetta; quando
essa si affievolì, della shinigami non c’era
più traccia. Solo un giglio ragno rosso abbandonato in quel
punto a testimoniare il suo passaggio.
[1]: “Allora
colpiscilo, Red Lily!” (Fonte: google traduttore)
Angolo
dell’autrice
Ora avete
avuto un esempio della forza di Kaguya, ma lei non sarà
comunque l’unico shinigami rimasto coinvolto in questa
situazione. Beh, diciamo che il suo arrivo ha cambiato un po’
di cose per i Tristi Mietitori, ma qualche dettaglio in più
lo vedremo nel prossimo capitolo.
Probabilmente
si è già capito, ma Yuri è un demone
simile a quelli rinchiusi nelle armi maledette usate dai soldati della
JIDA. Il suo nome ha lo stesso significato del nome dell’arma
in cui è rinchiuso (“Yuri” in giapponese
e “Lily” in inglese significano entrambi
“giglio”. Dato che “Red Lily”
è il nome vero e proprio dell’arma, ho preferito
non tradurlo), ma il suo nome è stata una scelta di Kaguya.
Già che siamo in tema, il nome di lei significa
“Notte splendente”.
Passando ad
altro, il coniglio che ha visto non era lì a caso: qualcuno
si è accorto che è rimasta più del
dovuto e ha usato un animale creato coi suoi poteri per richiamarla.
Chi si vedrà più in là.
Spero che vi
siate goduti il capitolo e che magari vogliate lasciarmi un piccolo
commento.
Alla prossima
pagina della storia.
Crow
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** The fourth page: inhabitant of the other shore ***
The
fourth page: inhabitant of the other shore
L’Aldilà…
Il
luogo di non ritorno…
Il
posto in cui si giunge dopo la morte…
Dove
le vite terminate si devono dirigere per non spezzare un delicato
equilibrio…
È risaputo
come la vita, l’unica
che viene data ad ognuno e che mai
si può riavere indietro una volta persa, solitamente si
svolge: una persona nasce, cresce, accumula sempre più
esperienze, viene a contatto con altri individui o fatti che possono
danneggiarla od arricchirla, sempre cosciente che un giorno la propria
fiammella vitale dovrà estinguersi come quelle degli altri
individui intorno a lei. Nessuna vita dura per sempre, per cui
l’ideale sarebbe che ognuno abbia la possibilità
di spendere i propri attimi come meglio ritiene… Almeno per
chi può permetterselo, prima che il tempo a disposizione
scada…
Ma cosa succede dopo? La domanda
che molti si sono posti, un quesito piuttosto vago per una risposta che
lo è altrettanto: la “vita dopo la
morte”. Un concetto potenzialmente soggettivo, ma la sua
più comune definizione rispecchia il concetto di
“giusta retribuzione”: ognuno ottiene
ciò che si merita nell’aldilà,
cioè numerose sofferenze per coloro che hanno seguito una
cattiva condotta durante la loro vita terrena, ed un riposo nella
beatitudine eterna per i buoni ed i giusti. Da qui sono scaturite le
idee sulla presunta esistenza di “Paradiso” e
“Inferno”, di questi luoghi di pace e di castigo
per i defunti, ma anche qui il discorso viene preso con le pinze, sia
perché ognuno ha le sue idee di
“ricompensa” e “punizione”, sia
perché non tutti credono che l’anima raggiunga una
qualche destinazione dopo la morte, e magari giunta lì dover
sopportare altri tormenti oltre a quelli che ha dovuto subire in
vita… Solo quest’idea non è molto
allettante…
Malgrado si tratti di
una caratteristica presente in varie fedi religiose, l’unico
appiglio a cui ci si può aggrappare quando la scienza e la
ragione non sanno trovare spiegazione, le eccezioni ci sono sempre, e
questo è solo uno dei tanti contesti che lo dimostra: per
quello che pensava Kaguya, dopo la morte c’era soltanto il nulla. Come poteva
affermarlo con certezza? Beh, l’aveva visto coi propri occhi:
nei suoi ultimi attimi di vita, quando il rosso del sangue, il bianco
argenteo della Luna ed il nero fumo erano gli unici elementi che ancora
riusciva a distinguere, ricordava bene di aver chiuso gli occhi. Li
aveva aperti nuovamente dopo un tempo che non era certa saper
quantificare, ma si era domandata subito se li avesse davvero
aperti… Poiché intorno a lei vi era solo uno
spazio nero e sconfinato. Poteva essere benissimo il cielo notturno che
ancora la stava sovrastando, ma dovette scartare subito
l’ipotesi perché sotto di sé non
c’era il freddo suolo erboso, un tempo verde brillante e che
poi divenne color cremisi per il sangue versato da lei e da altri
quella sera, ma le sembrava di stare fluttuando perché non
avvertiva nulla di solido contro la sua schiena, quando si ricordava
benissimo di essere caduta a terra a causa di una ferita; sbattere
più volte le palpebre o sfregarsi gli occhi per esserne
certa non aveva cambiato molto le cose, ed il gesto in sé si
era rivelato in compenso una fatica tremenda: movimenti prima veloci e
naturali lì costavano uno sforzo immenso, tanto che per
muovere anche solo la mano di qualche millimetro dalla sua posizione
vicina al fianco, in quello che si ricordava essere stato un vano
tentativo di bloccare il sangue che era uscito a fiotti da un lungo
taglio, aveva dovuto fare appello a tutte le forze che pian piano la
stavano abbandonando. Anche l’udito aveva cominciato a
giocarle scherzi: i suoni che riusciva ancora a percepire ora le
parevano troppo lontani, come se lei stessa fosse stata avvolta da
strati di morbida ovatta che rendevano i rumori sempre più
indistinguibili finchè non cessavano… O come se
stesse per sprofondare in un lungo sonno… Persino gli odori
erano sempre più flebili, ma si era detta che forse era
meglio così: aveva vissuto in un modo che non era nemmeno
certa poterlo definire “vita”, tanto che perfino
quella notte di sangue che aveva interrotto quella quiete stagnante,
quell’ultima sera che allora non sapeva avrebbe trascorso da
viva, le era parsa una liberazione. Almeno nel nulla nessuno la avrebbe
potuta disturbare, nessuno la avrebbe potuta costringere a fare cose
orribili, nessuno la avrebbe tenuta chiusa in una gabbia…
Certo, aveva sperato di non morire, di poter semplicemente approfittare
della confusione per allontanarsi, ma quella notte d’estate,
la notte del suo settimo compleanno, si era conclusa nel peggiore dei
modi.
Quello spazio vuoto
doveva essere la sua destinazione dopo quei sette anni trascorsi in
quella che era stata più una prigione che una casa, un posto
in cui la porta era sempre aperta, ma stare dentro o fuori non faceva
differenza poiché qualcuno avrebbe sempre tenuto sotto
controllo la avrebbe sempre tenuto sotto controllo… Lei, la
marionetta incapace di muoversi ed esprimersi senza la guida di un
padrone… Di un burattinaio…
Le cose sarebbero dovute
andare così certo, ma a quanto pare qualcuno aveva pensato
ad una strada ben diversa per lei: in quello spazio monotono dove
niente e nessuno avrebbe dovuto disturbarla, qualcosa era riuscito ad
intromettersi, a farsi strada in quel vuoto, fino a raggiungere la
sé stessa che allora voleva farla finita.
Come quando aveva
creduto di stare sognando di vedere solo nero davanti a sé,
si era ripetuta lo stesso quando vide una fioca luce lilla
avvicinarsi sempre più a lei, ma aveva reso chiaro fin da
subito che quell’intrusa era più di quello che
appariva: una volta giunta davanti ai suoi occhi, quel colore divenne
sempre più vivido, e mentre si diffondevano odori di
pioggia, di fiori, di erbe medicinali, di pagine di volumi antichi ed
altri nuovi, che non c’entravano nulla gli uni con gli altri,
che caratterizzavano una persona che a quel tempo non conosceva ancora,
la Kaguya di allora si era ridestata dallo stato di torpore in cui era
caduta quando anche una voce di bambina, soave e leggera come il
tintinnio di campanelli, si fece sentire dalla luce violetta:
-
Ah ah! Allora qua c’era ancora qualcuno! –
- ?
–
-
Non stai tanto bene vero? Sei tutta sporca di sangue…
–
-
… -
-
Non mi rispondi? Guarda che lo so che mi senti! Ehi! –
-
… -
-
Umpf! E va bene… Senti, mi basta che rispondi e poi me ne
vado ok? Perché non te ne sei andata via subito? Era
pericoloso rimanere lì. –
-
… I… I-… -
-
Eh? Che cosa? –
-
… I-Io… N… No… -
-
Mh? Non volevi? Come mai? –
-
… -
-
Ancora il gioco del silenzio? Non puoi fare così! –
-
Io… Vi-… Vive… Re…
Lì… No… N-Non…
Non… C-… Ce… La…
F-… Face… Più… -
-
Non ce la facevi più a stare lì? Non mi hai
comunque risposto! Se proprio non volevi, come mai sei rimasta
dov’eri? Non dirmi che volevi fare la fine degli altri che
erano lì!? –
-
… I-Io… -
-
Pfff… Lascia stare. Sei proprio testarda sai.
Però sei proprio sicura che vuoi che le cose finiscano
così? Proprio adesso?
- ?
–
-
Ah già scusami, stavolta non mi sono spiegata io…
Allora, da dove potrei iniziare… -
-
Ugh… *cough*! *cough*! –
-
Noooo! Così non va! Se continui così te ne andrai
via prima che finisca, uffa! Ok, ho capito: ti spiegherò
tutto quanto più tardi! Ora solo le cose importanti: io so
chi sei, o meglio “cosa” sei di preciso. Quelle
persone con cui vivevi sono state cattive con te vero? –
- Eh?
C-… Co… Come… F… -
-
Come lo so? Diciamo che ho un “lavoro” un
po’ strano. Comunque sia, ho visto cosa ti hanno fatto e ti
hanno fatto molto male. Quindi, che ne dici di fare così? Io
realizzerò il desiderio che aveva mentre eri chiusa in
quella “gabbia”, e tu in cambio ne esaudirai uno
mio. –
- P...
P-… Perché… I… -
-
Perché lo sto chiedendo proprio a te? O perché lo
sto chiedendo a qualcuno che incontro per la prima volta? Ti ho
già detto che ti osservavo da un po’, no? E adesso
rispondimi: sì o no? E niente gioco del silenzio stavolta!
–
-
T-Tu… Chi… -
-
Chi sono? Basta con le domande e rispondimi! –
-
… -
-
Mmm… Ok, ho capito… Se me l’hai
chiesto, vuol dire che un po’ ti interessa. Allora, chi sono
io… Beh, dimmi una cosa... Tu hai mai sentito parlare dei
Tristi Mietitori o Shinigami? –
-
…! T-Tu… A-All… Se-Sei…
M… -
- Esatto!
Io sono la Morte e sono venuta a farti visita. Molto piacere Kaguya
Akagi! E ora che mi sono presentata, stringiamoci la mano e diamo
inizio alla tua nuova vita! –
Alla fine quella
shinigami non voleva affatto farle una proposta: voleva soltanto
chiederle il permesso per poter portare avanti un suo piccolo progetto.
Kaguya aveva comunque
accettato, stringendo la sua mano piccola e pallida con una altrettanto
minuscola e bianca, l’una madida e puzzolente di sangue e
l’altra candida ma comunque macchiata di
ciò che le Anime viste col passare dei secoli le avevano
lasciato addosso, un qualcosa che non sapeva identificare e che poi ha
imparato a conoscere, così come aveva appreso che la voce
spensierata, un po’ scontrosa e fastidiosa di quella bambina
celava qualcosa di più complesso; tuttavia, prima di
iniziare la sua nuova vita, pensò di aver trovato conferma a
ciò che aveva sempre creduto prima di morire: Paradiso ed
Inferno erano solo invenzioni poste dall’uomo
perché non pensasse al vuoto nero e sconfinato in cui si
sarebbe ritrovato quando avrebbe chiuso gli occhi per
l’ultima volta, quando non avrebbe potuto più
alzare lo sguardo per poter salutare la mattina seguente.
Inoltre,
scoprì che quel discorso non valeva solo per gli umani:
tutti i Tristi Mietitori che avevano conservato ragione e ricordi della
loro vita terrena, coloro che avevano avuto la possibilità
di scorgere anche solo per pochi attimi quel nulla assoluto, ritenevano
quasi ridicola l’esistenza di luoghi di riposo o sofferenza
eterni dopo la morte, forse perché loro in un certo senso
hanno avuto la possibilità di vedere una delle possibili
strade che aspettavano coloro a cui il cuore aveva smesso di
battere… O forse perché avevano ora la
possibilità di raccontare ciò agli umani e porre
fine alla loro ignoranza in materia; in fondo non esisteva alcun
divieto che imponeva di mantenere il segreto della loro esistenza, ma
era altrettanto risaputa l’inutilità di tale
azione: solo particolari categorie di umani li potevano vedere, quelli
che erano prossimi alla morte o che avevano appena visto qualcuno
morire in primis. E malgrado tali situazioni si verificassero di
continuo tra i comuni mortali, nessuno si azzardava a raccontare
ciò che avevano visto: figurarsi se la gente andava a
raccontare di misteriose figure con mantello e cappuccio vicino al
letto di morte di un loro caro!
E in ogni caso,
l’avvento della modernità aveva fatto presto
diradare la fede che certe entità esistessero, seppure gli
shinigami siano rimasti soggetti piuttosto popolari tra gli umani e che
addirittura spopolassero in programmi televisivi o libri. Anche qui i
personaggi presentati avevano poco o nulla in comune con Kaguya o gli
altri Tristi Mietitori, quindi nessuno di loro rischiava di avere la
propria identità messa allo scoperto.
La castana credeva solo
a ciò che vedeva coi propri occhi, per cui da bambina non
aveva mai creduto molto alle figure collegate
all’Aldilà che rappresentavano
l’argomento più importante nelle conversazioni
all’interno della villa; per quanto fosse piccola prima di
diventare una shinigami, e malgrado i tentativi di parenti e servitori
nello sfruttare quello che per loro era un prodigio, uno di quelli che
nascevano una volta ogni mille anni, lei voleva restare il
più lontano possibile da quelle che per lei erano solo
mostri. Anche se all’inizio si era rifiutata, compiuti i
quattro anni tutti persero la pazienza e le sbatterono con forza in
faccia quella che era la realtà che ora viveva, quella di un
mondo in cui gli esseri che tanto rinnegava potevano essere dietro
l’angolo; inoltre, gli anni da Triste Mietitore
l’hanno portata a non credere nell’esistenza di una
qualche entità superiore che ha già deciso tutto
o comunque qualcuno che dall’alto stesse guardando tutto per
punire le vittime di ingiustizie: aveva visto persone che erano
riuscite a scampare alla fine scritta nelle Pagine, che fosse per
merito loro o per un qualche incidente di percorso non importava tanto.
Peccato che quelle persone abbiano comunque incontrato la loro fine
molto presto… Altra cosa che aveva imparato: alla Morte puoi
scappare una volta, ma alla seconda non sarai altrettanto fortunato.
Chi ha orecchie per intendere intenda.
Ogni volta che ripensava
ai tempi indietro, dai suoi anni da umana fino all’incontro
con la shinigami di luce color lavanda, si accorgeva di quanto questi
fossero solo memorie che si stavano diradando sempre
più… Solo parole e voci erano ben impresse nella
sua testa, azioni e volti sbiadivano poco alla volta… Certo,
anche da Triste Mietitore ne aveva passate un po’ per
arrivare dove era ora, ma sia lei che Yuri avevano concluso che la sua
testa era stata rivoltata al punto che fare affidamento sulla sua
memoria non rappresentava una buona soluzione in ogni situazione: tra
quello che le aveva fatto la sua famiglia e quello che era successo
dopo la sua morte, che fosse stata lei a relegare i brutti ricordi in
un angolino della sua mente o che c’entrasse una qualche
causa di forza maggiore, la sua memoria era come una pagina strappata
in frammenti minuscoli e fradici d’acqua. Potevi metterli gli
uni vicino agli altri, ma vedi a stento ciò che contenevano:
in pratica, era messa troppo male.
Se qualcuno le avesse
chiesto di parlare della notte in cui era morta ad esempio, si sarebbe
dovuto accontentare di spiegazioni molto approssimate e confuse: non
saprebbe più come descrivere ciò che aveva
provato allora e che Yuri la costringeva a rivivere ogni anniversario
da quella che era stata la notte della sua morte, ma continuava a
ripetersi che andava bene così fintanto che si ricordava
ancora i punti salienti dell’evento che la spronava tuttora a
proseguire nel cammino che aveva scelto e nella promessa fatta con la
“Morte”, così come le idee che si era
costruita da quando aveva cominciato quel lavoro.
Quel Triste Mietitore le
ha dato un motivo per esaudire ciò che lei stessa ha chiesto
in cambio, e il ritrovamento della katana Red Lily due anni dopo le ha
restituito i frammenti dei ricordi della sua vita precedente; non aveva
molto in mano, ma in qualche modo avrebbe fatto. Queste erano le uniche
basi su cui poteva fare affidamento.
Nel mentre dei suoi
pensieri, la notte di Natale sulla Terra era già finita, ma
a differenza del tempo che scorre incurante di ciò che
succede al mondo, la distruzione segnata dalla notte
dell’Apocalisse si era fatta sentire… In quella
città… In quella nazione… In ogni
angolo del pianeta… E così anche nel mondo dei
Tristi Mietitori.
In quel momento, Kaguya
non si trovava in nessuno di quei posti: si trovava in un luogo di
transizione necessario per tornare al suo attuale mondo
d’appartenenza, un mare sconfinato e scuro, perennemente
avvolto in una fitta nebbia, leggermente mosso da onde; lei viaggiava
su una gondola di un materiale rigido, simile a comune pietra che si
può trovare in fondo ad un qualunque corso
d’acqua, ma in realtà imbevuta di un potere infuso
in essa dalle acque di quello stesso pezzo
d’Aldilà che rendeva possibile ciò.
Sulla barca vi erano cesellature che disegnavano intricati arabeschi e
alla prua era fissata una lanterna che emetteva un debole bagliore
rossiccio, il suo “documento
d’identità” per quando sarebbe giunta
alla riva con le Anime che aveva raccolto, ora semplici sfere, ognuna
di esse circondata dalle parole contenute nelle Pagine delle loro vite,
rinchiuse in piccoli contenitori ovoidali
–anch’essi rossi nel suo caso- di un materiale
trasparente, tenute sigillate da un potere simile a quello presente
nella barca per evitare che si disperdessero prima di arrivare a
destinazione; non servivano remi poiché una corrente
spingeva tutte le barche verso l’unico punto
d’arrivo possibile.
La castana si disse che
poteva finalmente rilassarsi un po’, mentre lasciava la
schiena inclinarsi leggermente all’indietro senza
però arrivare a poggiarla contro la poppa della barca;
chiuse gli occhi e volse il volto al cielo, come a volersi lasciare
accarezzare da una brezza che però in quel luogo non poteva
soffiare.
- “La signorina sa che
non può permettersi di riposare ancora vero?”
– ecco, come al solito c’era qualcuno che non la
lasciava in pace. Ella lasciò andare un sospiro, ma non fece
altro: non riaprì gli occhi ne si rimise in posizione
corretta per sedersi.
- “I tuoi colleghi non
esattamente sani di mente sono proprio sopra le nostre teste. Sai che
potrebbero attaccarci per avere il nostro carico?”
– ribadì lui con più decisione, un
po’ perché non gli piaceva essere ignorato
così, in parte preoccupato che gli shinigami coi mantelli
grigi tendevano a rubare le anime dalle barche. Erano fatti
così: se non gli bastava un pasto, cercavano subito di
più anche se dovevano rubare… E quel mare
sfortunatamente era il loro territorio: la nebbia non era altro che un
aggrumolato di quei Mietitori, per cui era opportuno prestare la dovuta
attenzione perché i naviganti non perdessero di vista il
frutto di una giornata di lavoro. Certo, si trattava comunque di
defunti, ma avrebbe dovuto affrontare più noie se si fosse
verificato quell’imprevisto.
- Non ti preoccupare. Da
quando sono stati introdotti quei nuovi recipienti, potremo stare
semplicemente a goderci il viaggio: sono fatti perché quei
mantelli svolazzanti non possano percepire le onde d’energia
provenienti dalle anime. E ora lasciami in pace che voglio stare un
po’ tranquilla prima di dover affrontare quelli
là! – gli impose fermamente, tornando sorridente
al dolce silenzio di quel posto, senza grida di umani, ruggiti dei
Mietitori senza cervello in cerca di cibo/anime… Niente,
soltanto il dolce suono delle onde di quel mare che cullavano
l’imbarcazione ed un invito muto per la navigante ad
abbandonarsi realmente nell’atmosfera di quello scenario.
Era tutto perfetto in
quel momento ed intendeva goderselo fino a quando non sarebbe dovuta
scendere a terra… Peccato che, come per quando era morta,
sembrava che non tutti lì fossero d’accordo con
lei… E no, stavolta non si trattava di Yuri.
- Ehi! –
urlava una voce che, a giudicare da quanto era affievolita, chiunque
avesse parlato aveva dovuto alzare il volume al massimo per farsi
sentire anche da chi aveva un udito speciale come una shinigami al pari
di Kaguya. Era una voce di ragazza, questo ne era certa, ma non
riuscì subito a capire chi era finchè non
sentì la stessa parola gridata altre tre volte. Allora si
decise finalmente a riaprire gli occhi e rimettersi seduta diritta,
sporgendosi leggermente dalla gondola solo per notare altre due
imbarcazioni identiche, tranne per le lanterne che avevano a prua,
l’una gialla chiara e l’altra gialla bruna quasi
arancione; avvistate, mormorò un “meno
male” tra sé e sé: se non altro, non si
trattava di nessuno che rappresentava fonte di preoccupazione per lei.
Le due barche
accostarono ad entrambi i lati quella della castana, la quale si
ritrovò avvolta in un abbraccio che però aveva
rischiato di far cadere entrambi dalle rispettive imbarcazioni,
ritrovandosi in faccia una chioma bionda e delle lacrime di gioia ad
inzupparle il kimono:
- Signorina Kaguya! Mi
è mancata così tanto! Perché non ci ha
detto che la sospensione finiva oggi? Avremmo potuto fare la strada di
ritorno insieme come al solito! – si lamentò la
ragazza che prima aveva urlato, mentre Kaguya cercava di liberarsi da
quella stretta che sembrava una morsa. Adorava quella ragazza, ma non
voleva finire di nuovo sospesa per un giorno di più,
stavolta per problemi di salute: quell’abbraccio sembrava
volesse spaccarle la schiena e le braccia.
- Lasciala andare.
Capisco che sei contenta di rivederla, ma cerca di darti un minimo di
contegno. Anche se siamo lontani dalla Terra, siamo ancora in orario
lavorativo! E poi chi ti ha dato il permesso di chiamarla col suo vero
nome!? - un’altra voce, stavolta quella di un ragazzo, anche
lui conosciuto dalla castana, e in occasioni come quella era ben felice
di sentirlo.
Sentì un
“Pfff” scocciato da parte della ragazza che la
stava ancora abbracciando, la quale si scostò lentamente,
assaporando ogni attimo in cui ancora stringeva la sua superiore, prima
di ritornare seduta nella sua imbarcazione: era
un’adolescente dai capelli biondi scuri raccolti in una coda
alta, occhi color miele ed un fisico formoso dalla pelle chiara, e il
suo abbigliamento –che consisteva in una canotta lunga
scollata color crema che recava il disegno di un albero stilizzato
color arancione scuro, pantaloncini color arancione chiaro ed infradito
bianche- serviva a sottolinearlo ulteriormente. Portava un mantello di
un colore tra l’arancione chiaro ed il bruno ed una collana
con un coccio di ambra.
La castana era stata
più volte gelosa di quel fisico, lei che era sempre stata
magra in picco, ma in fondo non era ancora del tutto un Mietitore:
forse sarebbe cresciuta un altro po’…
- Amber, Topaz ha
ragione. Qui non dovresti chiamarmi così. Ricordi che vi ho
detto di non dire a nessuno il vostro nome? Così vale anche
per me. Vi ho già spiegato cosa devo fare e non mi serve che
qualcuno si metta in mezzo senza che sia necessario. E poi… -
- Sì
sì, questa la so: “Conoscere il nome significa
conoscere tutto. Tenevi ben strette le vostre identità e le
vostre vite, perché se ne perdete il controllo gli altri ne
approfitteranno e basta”. Non sono stupida, me lo ricordo, ma
non mi piace che siamo rimasti separati così tanto senza
avere sue notizie! Com’è stato l’esilio
forzato sulla Terra poi? Voglio i dettagli! – Ed eccola che
tornava alla carica: era piuttosto energica per una appena tornata da
una lunga giornata di lavoro, ma era altrettanto facile che la loro non
fosse stata tanto impegnativa come la sua.
- Anche il signor Yuri!
Non è giusto che la tenga tutta per sé! -
aggiunse poi seccata, tornando a stringere Kaguya malgrado il divieto
impostole in precedenza.
- Non chiamarlo
così! Se continua a chiamare in quel modo e con quel tono il
nostro capo, è solo colpa tua Amber! Dovresti chiamarla
signorina Ruby se proprio devi. – la corresse nuovamente il
ragazzo, e finalmente la castana si girò a guardare il suo
altro sottoposto: un ragazzo intorno all’età di
Amber, dai capelli bruni corti e occhi dello stesso colore, che
indossava una camicia bianca con maniche tirate su fino ai gomiti e
lasciata leggermente aperta all’altezza del petto, lasciando
intravedere la pelle lievemente abbronzata, pantaloni di jeans neri e
scarpe da ginnastica bianche. Come Amber, anche lui portava un mantello giallo più dorato che bruno ed una collana
con un coccio, ma il suo era un pezzo di topazio.
- Uffa Alan, non mi
lasci mai fare nulla! E poi te l’ho detto: io per voi sono
Marie! Non accetto di essere chiamata Amber! –
ribattè la bionda arrabbiata, tenendo sempre più
stretta Kaguya finchè l’altro non si
attivò per cercare di liberare la sua superiore dalla
collega bionda, tentando al contempo di rimanere in equilibrio sulla
barca senza far cadere loro stessi od il carico mentre tutte e tre le
imbarcazioni non accennava a rallentare, impresa alquanto ardua
considerando l’ostinazione di Amber a non lasciar andare la
presa.
Il tutto andò
avanti per diversi minuti, con Yuri che osservava silenzioso e
divertito i tre, finchè la sua padrona non smise di
dibattersi nella morsa della bionda per fissare un punto in lontananza,
ove la nebbia era meno fitta.
- Siamo
arrivati… - un sussurro, e gli altri due allora si fermarono
e ripresero posto sulle loro barche che man mano che si avvicinavano a
riva si riempivano di luce e si sollevavano dalla superficie del mare,
per poi cominciare a dirigersi verso la destinazione finale: il punto
dove li aspettava il lavoro più lungo e che li avrebbe
tenuti sicuramente lontani dal mondo degli umani per parecchio tempo,
considerando in che stato si trovava ora quest’ultimo.
- Ah già, mi
ero dimenticato. – Kaguya si voltò verso Topaz,
alla sua destra, il quale si stava sporgendo dal suo mezzo per darle
qualcosa che teneva stretto in mano, qualcosa che aveva una corda; la
castana allungò la sua katana perché legasse
lì la corda, trovando avvolta all’elsa una collana
con un cristallo di rubino a forma di goccia.
Sorrise lievemente,
prendendo il dono e rimettendoselo al collo: ecco perché
Yuri non glielo aveva dato prima di cominciare il lavoro quella notte.
Non lo aveva mai avuto lui sin dall’inizio.
- Bentornata signorina
Ruby. – le disse il ragazzo insieme ad Amber, e la castana
sorrise di gratitudine ad entrambi. Ora si ricominciava e aveva la
sensazione che le cose si sarebbero fatte interessanti da lì
in poi.
- I’m home, my
dear Shards[1]. – con quelle ultime parole che riempirono di
felicità il cuore degli altri due Shinigami, i tre
continuarono il viaggio circondati da quella che ora era una lieve
foschia mattutina.
[1]: “Sono a
casa, miei cari Shards” (Fonte: google traduttore)
Angolo
dell’autrice
Capitolo 4
finalmente: ci sto impiegando più di quel che credevo, ma
non voglio commettere l’errore che ho fatto col primo
capitolo.
Oltre al nome
completo di Kaguya (“Akagi” ha diversi significati
da quello che ho visto in Internet, ma basti sapere che contiene la
parola “Aka” che significa “rosso),
vediamo finalmente altri Tristi Mietitori. Come è stato reso
evidente, ogni shinigami ha, oltre al suo vecchio nome da umano che
viene tenuto segreto a tutti normalmente, il nome della pietra che
portano al collo:
- Kaguya: Ruby
- Alan: Topaz
- Marie: Amber
Nella frase in
inglese, Kaguya ha chiamato Amber/Maria e Topaz/Alan
“Shards”: letteralmente significa
“cocci”, ma terrò la parola
“Shards” perché appartengono come Kaguya
ad una particolare categoria di Tristi Mietitori che dovrei spiegare
nel prossimo capitolo se tutto va bene.
Spero che vi
siate goduti il capitolo e che magari vogliate lasciarmi un piccolo
commento.
Alla prossima
pagina della storia.
Crow
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** The fifth page: the world engulfed in the mist ***
The fifth
page: the world engulfed in the mist
Il tempo…
Un fiume che continua a
scorrere in un unico senso…
Qualcosa che non si cura
di quello che succede nel resto del mondo…
Una frontiera che
l’uomo non ha mai saputo controllare…
Non si sa quante volte siano state usate queste definizioni,
né tantomeno se ne esistano altre, ma quello tra il tempo ed
un corso d’acqua è forse uno dei paragoni
più adatti che siano mai stati ideati: una corrente che
continua a seguire un determinato percorso, impossibile da confinare in
un piccolo ruscello ma allo stesso tempo troppo diverso
dall’andamento delle onde del mare… Che prosegue
per un sentiero pieno di ostacoli, riuscendo a superarli
ugualmente… Anche deviarlo sarebbe fatica sprecata,
poiché tornerà comunque a ripercorrere la strada
che seguiva in precedenza… Perché non esiste
barriera che non possa oltrepassare.
Eh già, il tempo è sempre stato un elemento che
ha accompagnato la Terra sin dalle sue origini, e l’unico
vero protagonista di ogni vicenda verificatasi: da quando non era
caratterizzata che da sconfinati oceani, un unico grande territorio ed
esseri talmente piccoli da essere invisibili ad occhio nudo, fino ad
arrivare ai tempi più recenti ove esseri umani, animali e la
tecnologia hanno preso il posto dei loro antenati preistorici nella
maggior parte del mondo; tuttavia, questo onnipresente compagno si
è rivelato fin dall’inizio inavvicinabile alle
creature che ha visto crescere ed evolvere lentamente, attraverso
innumerevoli anni che ci si disturba ancora a contare.
L’uomo però, come ogni nuova cosa, ha mostrato
subito un interesse anche verso tale frontiera, dai tempi antichi in
cui si limitava semplicemente a calcolare il susseguirsi di giorni,
mesi, anni e stagioni per poter svolgere attività come
l’agricoltura, sino ad arrivare ad usare questi metodi di
conta anche per registrare vicende, usi e costumi più o meno
importanti che si susseguivano, permettendo di tramandarli dalla forma
orale, soggetta a variazioni ogni qualvolta la memoria giocava un
brutto scherzo, alla ben più definita forma
scritta… Perché rimanessero nella memoria per
lungo tempo… Perché non fossero
dimenticati… Semplicemente perché alcuni avevano
avuto un impatto talmente grande che il loro ripetersi avrebbe causato
ulteriori preoccupazioni dove le ferite non si erano ancora del tutto
rimarginate, ad esempio le guerre che, più che nel periodo
in cui si sono svolte, hanno causato disordini al loro termine: nazioni
devastate o distrutte, alleanze più fittizie che concrete,
persone strappate alla loro quotidianità e catapultati in un
mondo in cui ogni tuo giorno poteva benissimo essere l’ultimo
e la consapevolezza che nessuno si sarebbe più curato di te
una volta che saresti morto (ferito da un’arma, da una
malattia o da qualsiasi cosa ti possa capitare in giorni, mesi ed anni
instabili come quelli), sopravvissuti che hanno perso il loro posto nel
mondo dopo aver visto quelle crudeltà coi loro occhi ed
incapaci di tornare a quella che una volta per loro era la
normalità… Perché tutti lo sapevano
che niente sarebbe stato più come prima: era impossibile
restare indifferenti di fronte ad eventi del genere, specie se si
è costretti a viverli, e le ferite che generano non potranno
mai guarire del tutto: una cicatrice resterà sempre a
ricordare ciò che è successo, e se la memoria
gioca lo scherzo di farti dimenticare ciò che ha provocato
quel taglio, ci sarà qualcosa o qualcuno che lo
impedirà.
Tuttavia, sembra che le persone non riescano a capire la lezione:
guidate dalle emozioni peggiori miste a contorti riflessi di quelle che
potevano essere state “buone intenzioni”,
continuano sempre a commettere gli stessi errori… E col
progresso che si è manifestato attraverso i secoli, gli
effetti dei loro sbagli non si limitano a diffondersi a posti
immediatamente vicini alla fonte, ma riescono a raggiungere luoghi
sempre più lontani fino a coinvolgere cose o persone che
potrebbero benissimo non avere commesso azioni per alimentare quel
fuoco.
In un certo senso era meglio che l’uomo non sia mai riuscito
a controllare la frontiera del tempo: dopo la terra, le foreste, gli
oceani, il cielo e lo spazio extra-atmosferico, attraversabili o almeno
raggiungibili grazie ai mezzi che la tecnologia ed il progresso sono
riusciti a fornire, gli umani potrebbero pensare che sarebbe possibile
arrivare a controllare il tempo e poter visitare le epoche precedenti a
quella attuale usando speciali macchinari come descrivono i libri di
fantascienza, magari cercando di cambiare eventi già
accaduti per farli andare come avrebbero voluto loro, ma quello
fortunatamente resta ancora uno scenario più fantastico che
reale.
Kaguya era grata che le cose stessero così per il momento,
dato che giocare con qualcosa che è fuori dalla tua portata
non aveva mai giovato a nessuno, e se anche fosse stato
così, una seconda volta non eri fortunato come la prima;
questo valeva sia per i fatti piccoli che quelli un po’
più rilevanti: dai suoi anni come figlia unica della
famiglia Akagi, comprese fin da subito che parenti e servitori si
stavano imbattendo in un’impresa troppo grande per loro, ma
era un progetto che per essere portato avanti necessitava di risorse e
denaro, così finirono per coinvolgerla non appena
provò una volta a fuggire di nascosto dalla villa; la
classifica situazione del tipo “O fai come ti diciamo noi, o
per te le cose si metteranno male come mai nella vita”. Le
cose per lei peggiorarono una volta compiuti quattro anni, e
ripensandoci era piuttosto sollevata di essere riuscita a far passare
più tempo di quello che credeva; certo, quattro anni non
sono neanche tanti, ma per lei ogni giorno sembrava talmente lungo da
non finire mai. Spesso non si accorgeva di quanto tempo passava,
così passavano giorni e settimane senza che se ne rendesse
veramente conto, con quello che doveva subire anche prima di prendere
parte attiva agli “affari di famiglia” e che ogni
singolo giorno si ripeteva.
Tornando però alle cose importanti, i veri problemi per lei
cominciavano quando aveva da poco compiuto i quattro anni: la pura
curiosità di bambina che la aveva spinta più di
una volta a sbriciare nei sotterranei della residenza, fortunatamente
senza essere mai scoperta, tanto tutti quanti erano troppo presi dagli
avvenimenti che si susseguivano in quelle stanze oscure; tuttavia, ogni
giorno sapeva di stare facendo le stesse cose del precedente, senza che
cambiasse nulla, e l’unica volta che la sua
curiosità la portò ad immaginare cosa ci potesse
essere fuori da quella che sarebbe sembrata a tutti un’enorme
casa vittoriana circondata da un vasto prato di gigli ragno rossi
–suoi unici silenti compagni nelle notti a cavallo tra estate
ed autunno in quegli anni da incubo- . Quando ci ripensava, si
malediceva di non aver pensato che ci fosse qualcos’altro
là fuori che impedisse l’arrivo di visitatori
indesiderati da fuori, poiché non appena superò
quella barriera di quella che avrebbe scoperto poi essere energia
demoniaca, un potere proibito alle persone e tuttavia affine a quello
che avrebbe scoperto scorrere anche nelle sue vene per colpa degli
esperimenti degli Akagi su di lei, i servitori la ritrovarono in
pochissimo tempo, senza lasciarle avere nemmeno un assaggio del mondo
esterno…
Non rammentava di preciso cosa aveva provato nel momento in cui la
avevano trascinata a casa; rabbia non le sembrava dato che chiunque si
trovasse a villa Akagi non meritava più nemmeno quella;
paura nemmeno, la considerava quasi una costante in quel
posto… Forse era pura e semplice rassegnazione:
sapeva che non la avrebbe passata liscia per quella storia, vero, ma
anche per una cosa che le dissero... Che era inutile che
uscisse… Che l’unica posto in cui poteva stare una
come lei era quello… Che ciò a cui sarebbe stata
sottoposta glielo avrebbe fatto capire…
E durante quel breve discorso del padre, tutto ciò che
caratterizzava la villa, urla soffocate o assordanti umane che non,
rumori di macchinari di cui non era sicura dell’uso, rimbombi
che sembrava volessero rompere qualsiasi parete o finestra che li
contenesse per far capire al mondo di fuori che qualcosa stava
accadendo in quella residenza tagliata fuori dal mondo, non le era mai
sembrato più reale che in quel momento…
Con un mormorio dettato da stanchezza per la giornata trascorsa e
frustrazione per ricordarsi solo le parti peggiori della sua vita
terrena, tutti quanti ulteriori particolari che Yuri le faceva rivivere
nei sogni, cercando di ricomporre un passato quanto più
coerente possibile coi frammenti dei suoi ricordi, Kaguya si rimise
nuovamente seduta composta dopo essersi accorta di aver nuovamente
chiuso gli occhi ed inclinato la schiena verso la poppa della gondola;
accanto a lei, Amber visibilmente preoccupata coi capelli scompigliati
a causa dell’umida nebbia –l’unico
elemento climatico presente in quel pezzo
d’aldilà- e della velocità con cui si
spostavano grazie alla magia contenuta nelle barche e Topaz che si
limitava a guardare verso di lei senza una particolare espressione, ma
la castana scosse la testa e fece un gesto con una mano, facendo capire
loro che non era nulla di troppo importante di cui parlare.
I due Shards allora, movimenti ed espressioni visibilmente meno tesi di
prima, ritornarono a guardare l’orizzonte dove la nebbia si
diradava sempre più per lasciare intravedere delle sagome in
lontananza che si rivelarono essere piccole abitazioni vagamente
somiglianti a quelle dei borghi medievali europei che Kaguya aveva
visto soltanto nei libri, prima sparsi qua e là in una
radura sovrastata da un cielo terso con ancora qualche spruzzo di
nebbiolina, andando a formare via via gruppi sempre più ampi
che racchiudevano strade, piazzole ed arcate fino a fermarsi nei pressi
di una cinta di mura posta su un rilievo montuoso che proteggeva un
fitto gruppo di case simili a quelle già incontrate,
interrotte ogni tanto da strade, monumenti indistinguibili
dall’altezza a cui si trovavano, giardini e molto altro
ancora; volgendo lo sguardo oltre quelle file di edifici, vi era un
ulteriore muraglia che racchiudeva una vasta piazza con soltanto
quattro abitazioni poste sui lati della piazza quadrata, una fontana al
centro di quest’ultima, una cattedrale con il campanile ed un
enorme arco di pietra dalla parte opposta alla chiesa. Tutti questi
elementi, artificiali e non, avevano una caratteristica in comune che
li distingueva da quelli presenti fuori dalle mura: dove prima
regnavano il bianco ed il grigio incontrastato nella terra, nelle case
e nel cielo, su quel monte la nebbia era meno fitta e lasciava
intravedere un pezzo di cielo sfumato di azzurro chiaro,
così come i giardini erano macchiati di verde di ogni
tonalità, e ciascun edificio aveva sfumature di tinta unita,
la stessa del colore della gemma del Triste Mietitore che vi viveva, un
aspetto più lucido e cristallino delle volgari pietre non
raffinate…
Ecco dove vivevano Kaguya e gli altri shinigami che avevano conservato
la ragione: la cittadella immersa nella nebbia, la capitale della
foschia, l’unico spruzzo di colore in quel mondo di
tonalità neutre, Chróma[1].
Una volta arrivati proprio sopra la piazza, le barche si fermarono
sempre più lentamente fino ad arrestarsi a pochi metri da
terra; i tre si scambiarono uno sguardo e saltarono giù
dalle rispettive imbarcazioni, mentre queste s’illuminavano
ad intermittenza di un colore indefinito, segno dell’ennesima
trasformazione che stavano per subire: dai lati della barca spuntarono
strutture luminose e non più consistenti della nebbia,
mentre la poppa si distendeva e divideva in parti simili a lunghe code
e la prua diventava più grande e incurvava leggermente
davanti per formare un becco. Quelli che i tre shinigami avevano
davanti ora non erano più le gondole che avevano usato per
raggiungere la cittadella, ma creature alate meccanizzate e impregnate
di magia, atti al trasporto delle anime fino alla cima della torre del
campanile dove sarebbero state giudicate, e difatti le tre macchine si
alzarono subito in volo con un verso simile al gracchiare dei corvi
senza prestare attenzione ai tre shinigami, librandosi in aria fino ad
arrivare ad una destinazione che non potevano scorgere.
Kaguya si prese un attimo per guardarsi intorno, rendendosi conto che
nulla era cambiato in quell’angolino della capitale: gli
stessi mattoni chiari spigolosi e rovinati a pavimentare la piazza, la
stessa fontana dalla quale non zampillava nemmeno una goccia
d’acqua, gli stessi vasi posti appena fuori dalle case, dalla
cattedrale ed intorno alla fontana che però non riuscivano a
dare molto colore a quel posto in cui i colori neutri che si trovavano
fuori dalla città dominavano, le stesse abitazioni simili a
quelle dentro e fuori dalla capitale solo un po’
più grandi, e un enorme arco dalla parte opposta alla
cattedrale per dirigersi nella zona circondata dalle cinta di mura
più esterne… Non era cambiato nulla
lì… Era tutto come lo aveva lasciato in seguito
alla sospensione… Beh, in fondo è anche questo lo
scherzo che fanno le pietre: non cambiano mai a meno che qualcuno non
le intacchi, e di certo nessuno aveva mai avuto il pensiero di cambiare
quell’immensa scultura che era quell’angolo di
aldilà.
- “E tu che
credevi che qualcosa fosse cambiato. Come ci si sente a vedere le
proprie aspettative bruciate, signorina?”
– fece Yuri col suo solito tono provocatorio. Non poteva dire
che le fosse mancato non sentirlo più da quando si trovavano
ancora sulla barca, ma le sembrava strano fosse rimasto buono per tutto
il viaggio… Si ripeté che non importava molto,
anche perché la giornata lavorativa che non era ancora
finita le avrebbe risparmiato di ascoltarlo tutto il tempo.
Scosse quindi la testa come a scacciare l’eco della voce del
demone dalla sua testa, per poi voltarsi verso i due Shards, trovandoli
nuovamente a fissarla con le stesse facce preoccupate e tristi che
aveva notato durante il viaggio:
- Che cosa avete? È successo qualcosa di male? –
chiese preoccupata. Credeva che stessero così
perché la avevano vista con la testa altrove durante il
viaggio, ma può darsi che non si trattasse di quello se
quelle espressioni erano tornate sui loro volti.
Amber sembrò sobbalzare lievemente alla domanda e
abbassò subito lo sguardo sul pavimento; Topaz invece chiuse
per un attimo gli occhi e si portò una mano alla fronte,
come se stesse pensando alle parole giuste da dire, per poi annuire
lievemente:
- Signorina Ruby, le chiedo di non pensare male di noi per questo. Non
intendevamo tenervelo nascosto, ma… - ed ecco che la
tensione si fece di nuovo strada sul volto del ragazzo, accigliandogli
lo sguardo che aveva improvvisamente rivolto a terra e facendogli
mordere il labbro per impedirgli di parlare.
La castana sbatté gli occhi, sorpresa per non dire
sconcertata: non era decisamente da Topaz esitare così nel
risponderle. Certo, nel poco tempo che erano rimasti insieme prima
della sua sospensione, Ruby aveva capito che il ragazzo era decisamente
più composto della allegra e spensierata Amber, ma come la
sua collega Shard non aveva mai avuto peli sulla lingua quando si
rivolgeva al loro superiore. Non aveva mai mostrato timore di esprimere
ciò che pensava, così come era sempre stato
schietto anche durante le critiche, che fosse ai suoi compagni di
lavoro o la stessa Ruby, e per questo Kaguya gliene era grata: dopo
quei sette anni di bugie nella villa, le piaceva trovare persone che
erano sincere almeno da quel punto di vista. Preferiva chi era schietto
con gli altri, naturalmente tenendo conto delle buone maniere; per
questo vedere il ragazzo così esitante era estremamente
inusuale.
- Signorina, la verità è che… Le
famiglie Kihara e Momoi… -
- Non è rimasto nessuno. – completò
Amber lapidaria, un tono che non si addiceva alla
personalità solare che era solita far vedere al suo
superiore, ma finalmente libera dal silenzio che la stava divorando da
prima che trovassero Ruby nel mezzo del mare di quel tratto
d’Aldilà.
Era ora che la Shard dell’ambra la stava guardando, ma Kaguya
non era affatto contenta di vederla così: aveva gli occhi
lucidi e le tremavano le labbra, così come il resto del
corpo, mentre una mano si teneva un lembo del mantello, come a cercare
qualcosa a cui aggrapparsi per paura… Paura di cosa poi? Che
perdesse le staffe per una semplice brutta notizia od inconveniente?
- Ci… Ci aveva detto di farle sapere cosa fosse successo
loro… Noi… Noi li abbiamo visti… Gli
eredi di quelle famiglie… Erano nei luoghi che ci aveva
indicato… Quando siamo arrivati lì
però… - non riusciva a smettere di singhiozzare e
lacrimare, gli occhi certamente rossi malgrado la frangetta ribelle
cercasse di tenerli celati, e già da quello Kaguya
poté immaginare che cosa aveva visto.
Si avvicinò lentamente alla Shard, che ora aveva le mani a
coprirsi la faccia, a fermare inutilmente le lacrime e troppo assorta
nel dolore per capire quello che stava succedendo; al contrario, Topaz
sembrava essersi scosso da quel silenzio che lo aveva preso quando
aveva cominciato a parlare e scattò sull’attenti,
raggiungendo ad ampi passi la collega, intimorito e dubbioso per quello
che forse poteva stare per fare Ruby, la quale però si
limitò a sorridergli gentilmente e mise le mani sulle spalle
della bionda, ringraziando mentalmente che la loro statura era
più o meno la stessa o avrebbe fatto fatica anche solo a
compiere quei piccoli gesti –oltre ad aggiungere
l’ennesimo complesso alla castana riguardante il suo fisico- :
- Mari, stai tranquilla. È tutto a posto. – le
sussurrò dolcemente la castana, ma la bionda si tolse le
mani dalla faccia ormai rossa di pianto e scosse energicamente la testa:
- No, non lo è! Lei ci ha detto di sorvegliarli, e invece
noi… Noi… - ecco che altre lacrime si
apprestavano a prendere il posto di quelle che avevano già
bagnato il volto della ragazza, ma Kaguya continuò a
sorriderle, asciugando alcune delle gocce salate con la lunga manica
del kimono.
- Lo so, lo so. Vi avevo detto di tenerli d’occhio. Se ti sei
ridotta così, vuol dire che è successo qualcosa
che sapevate non mi sarebbe piaciuto sentire o che non è
piaciuto a voi, vero? – si voltò quindi verso lo
Shard del topazio che accennò un
“sì” con la testa, il movimento privo di
tensione ed ansia ora che aveva visto che il loro superiore non
intendeva fare nulla alla collega.
Ruby intanto aveva spostato una mano a carezzare i capelli biondi
dell’altra shinigami:
- è tutto a posto. Se ti sconvolge così tanto
dirmelo, non devi sforzarti a parlare. Mi farò raccontare
tutto dagli altri Jewels. Sicuramente anche loro hanno avuto parecchio
da fare stanotte. – baciò la guancia della ragazza
e fece cenno a Topaz di avvicinarsi, per poi spingere delicatamente la
bionda verso di lui.
- Alan, sii gentile e riaccompagnala a casa. Ha bisogno di riposare un
po’ e calmarsi. Questa notte non sarà stata facile
per nessuno, e non preoccupatevi per il lavoro: spiegherò
tutto io agli altri. –
Lui mormorò un “Con permesso” quasi
inudito dalla castana, per poi mettere una mano sulla spalla di Amber e
condurla verso l’arco nella piazza, verso la cinta di mura
esterna che accoglieva le case dove vivevano gli Shards; Kaguya li
osservò allontanarsi finchè non scomparvero oltre
l’arcata di pietra, per poi dirigersi verso la fontana dove
era presente acqua stagnante; si slegò quindi la collana col
piccolo rubino che Topaz le aveva restituito, tenendola stretta mentre
immergeva la pietra nell’acqua.
- “Attraverso il mare… Ove i peccatori vanno a
purificarsi…
Attraverso la terra… Ove le vittime ingiuste mettono le
radici…
Attraverso il cielo… Ove chi non ha mai avuto nulla si
è rifugiato…
Una pietra è tornata… Ad occupare il suo posto
nel portagioie della padrona…
Un gioiello ha fatto ritorno… Per portare avanti il suo
ruolo insieme ai suoi fratelli…
Un cristallo che splenderà fino a quando non si
spezzerà… Tornando nella buia teca…
Dal colore rosso di sangue e vita… Il rubino.” -
Dopo aver recitato quel mantra sottovoce, l’acqua
cominciò ad incresparsi leggermente malgrado
l’assenza di vento o altri zampilli di liquido trasparente,
mentre dal punto in cui era immerso il ciondolo partivano rune rosse
che fecero un giro completo intorno al centro della fontana, quando la
luce andò poi a circondare la shinigami che, senza rumore o
testimoni ad osservare, si trasformò in un fascio luminoso
rosso che finì nell’acqua, senza lasciare tracce
della sua presenza nella piazza.
Una volta dissipatosi il bagliore colorato, Kaguya si
ritrovò al buio, all’inizio di un lungo corridoio
di pietra illuminato di quando in quando da lanterne di un colore
indefinito appese alla parete da pioli di cristallo.
Ne prese quindi una per illuminare il suo cammino, i passi che
riecheggiavano su quelle pietre che costituivano tutto ciò
che esisteva in quell’angolo di Aldilà, in mezzo a
quell’atmosfera gelida che la luce delle lanterne non
riscaldava, anzi rendeva ancora più fredda e tetra, fino a
quando il sentiero non si divise in cinque gallerie: a partire da
sinistra, una con lanterne verdi acqua, la seguente con lucerne blu
oltremare, poi le stesse bianche che la avevano guidata fin
lì, dopo ancora rosso sangue, ed infine… Viola, il colore
della penitenza in alcune tradizioni religiose
dell’Occidente, ma anche il simbolo di tutto ciò
che legato alla fantasia, ai sogni, alla magia,
all’arcano… La tonalità del
cambiamento, di saggezza ed umiltà, di chi vuole sentirsi
libero dalle proprie catene e comunicare agli altri ma che ha allo
stesso tempo bisogno d’affetto od aiuto perché
diffidente, tendente alla razionalità e tuttavia non del
tutto pronto a lasciar andare fantasie innocenti. Eh già,
era decisamente il colore più adatto a quella persona.
Niente a che fare col suo: il rosso era il colore
dell’energia, della passione, della forza, della sicurezza,
della fiducia in sé stessi, della voglia di affermarsi,
vincere, primeggiare, essere autonomi… Tutte cose che lei
non aveva mai avuto e che a tredici anni ancora non riusciva a capire.
Si chiedeva con quale criterio ad uno shinigami fosse affidato una
pietra quando cominciava a svolgere i suoi doveri. Lei non si sentiva
di essere ciò che quel minerale avrebbe dovuto
rappresentare…
Si diresse quindi nel corridoio più a destra, illuminato
dalle luci violette, quando la voce di Yuri, diventato taciturno da
quando erano tornati in quel mondo, si fece nuovamente sentire:
-
“è la direzione sbagliata. Gli altri ti staranno
aspettando nella sala principale.” –
la informò, facendo fermare la ragazza.
- E io ti ricordo che tu-sai-chi ci ha mandato uno dei suoi piccoli
messaggeri. Non lo possiamo ignorare. – riprese quindi a
camminare, per poi completare la frase:
- E poi, Sapphire e Berillium impareranno ad essere un po’
più comprensivi: per il gruppo di Shards sotto il mio
controllo è stata sicuramente una giornata lunga.
–
- “Mmm…
Vero, dimenticavo che ci sono tante nuove reclute oltre a Topaz ed
Amber. Peccato che con lei non mi diverto, si spaventa troppo
facilmente. Non c’è gusto a giocare con una preda
che si lascia sconvolgere da qualche goccia di sangue,
perché sicuramente avrà visto anche questo.
Piuttosto, come mai la diretta interessata non si è
dimostrata triste o che altro alla notizia? Credevo ti importasse dei
bambini Kihara e Momoi. O forse restare troppo tempo in quella casa o
qua in mezzo agli shinigami ti ha fatto diventare più chiusa
di un’ostrica?" –
Ruby allora prese la katana, gettandola a terra con forza e
schiacciando il fodero:
- Il fatto che non mi sono sentita chissà come è
perché quei due li ho solo visti pochissime volte quando
venivano portati a villa Akagi per essere sottoposti ad esperimenti e
altrettante volte li ho visti durante il lavoro prima di essere uccisa.
Avevo fiducia nelle loro capacità di sopravvivere, ma mi
sono sbagliata, tutto qua. Sono durati meno del previsto, e a
quest’ora è facile che i loro Cursed Gears siano
andati perduti. – premette ancora più a fondo il
piede sulla spada:
- E vedi di cambiare tono quando mi parli. E cosa altrettanto
importante… Non osare più parlare di Amber in
quel modo. Ha visto qualcosa che sicuramente non le ha fatto alcun
bene, e l’unica cosa che sei capace di fare te è
sputare sentenze. Nessuno di noi qua è come te, vedi di
impararlo una buona volta. – terminò lei con un
tono che non ammetteva repliche, per poi raccogliere da terra
l’arma e proseguire, stavolta indisturbata -che Yuri avesse
imparato la lezione non era certo. Quasi sicuramente sarebbe tornato
alla carica alla prima occasione- fino a quando non arrivò
nei pressi di una stalagmite violacea, posando a terra la lanterna e
tastando lo spuntone di roccia, che al contatto con la sua mano la
ritrasformò in luce rossastra che passò
attraverso il cristallo, catapultandola nel giro di pochi secondi dove
voleva: una stanza da letto, il muro violetto occupato da mensole ed
altri mobili che contenevano bambole con pezzi cuciti malamente
insieme, animali di peluche –soprattutto conigli- e
libricini, per terra un tappeto color viola scuro interrotto qua e
là da morbidi cuscini color lavanda, davanti a lei un grande
letto a baldacchino anch’esso nei toni del resto
dell’arredamento. Le tende erano tirate, quindi la sua
occupante stava certamente riposando; si avvicinò
lentamente, attenta a non inciampare sui cuscini sparsi ovunque e,
giunta in prossimità del giaciglio, scostò le
tende quello che bastava per vedere su quel letto una bambina di cinque
o sei anni, i capelli viola tipici di chi era Triste Mietitore da molto
tempo ed aveva assorbito quasi tutto il potere della sua pietra dentro
di sé, la pelle candida come la neve e gli occhi chiusi; il
resto del suo corpo era tenuto nascosto dalle lenzuola che si
abbassavano ed alzavano al movimento del respiro della bambina
addormentata, solo le braccia lasciate fuori a stringere un uccello di
peluche. Esatto, “addormentata”: come Kaguya,
apparteneva ad una categoria di shinigami che, oltre ad avere
conservato la ragione, possedeva un corpo che aveva mantenuto la
maggior parte delle funzioni di quando era umana.
A dispetto delle apparenze, quella bambina non era quello che appariva:
era una dei Jewels, una che possedeva il potere di una delle pietre
cardinali dell’antichità e più potente
degli Shards, colei che occupava il posto di comando sugli shinigami e
la giudice delle anime che giungevano lì. E tra
l’altro, colei che la aveva tirata fuori dal vuoto che aveva
visto quando era morta…
- A quanto pare però anche lei può stancarsi. Non
si sposta quasi mai da qui, ma non ha nemmeno uno dei compiti
più semplici. – ridacchiò la castana,
rimettendo a posto la tenda e facendo per lasciare la stanza per
lasciare la bambina dormire, non prima di averle schioccato un bacio
sulla fronte e lasciarle un sussurro “Good night and sweet
dreams[2]”, ma qualcuno non era della stessa idea.
- C’era da immaginarselo che saresti passata qui,
Ruby… - la diretta interessata si girò verso la
direzione dalla quale proveniva quella voce maschile un po’
burbera, che si rivelò appartenere ad un uomo seduto al
tavolo di pietra non lontano dal letto, proprio vicino
all’unica finestra della stanza lasciata aperta;
quell’uomo dall’aspetto più vicino ai
quaranta che ai trenta era vestito in una giacca nera con ricami
argentei, in cui i lunghi capelli raccolti in una coda sembravano
fondersi fino a toccare il pavimento, pantaloni color grigio perla che
fasciavano le gambe l’una accavallata sull’altra,
stivali neri e guanti dello stesso colore che in quel momento reggevano
un bicchiere d’acqua.
Doveva ammettere che si era quasi scordata della presenza di quel cane
da guardia di Obsidian, e non poteva dire che le piacesse rivederlo:
malgrado fosse uno Shard, era il servitore personale della shinigami
addormentata ed una sorta di braccio destro per lei; inoltre, era uno
dei Mietitori più competenti che avevano ed era stato
presente quando lei, Sapphire e Berillium erano stati
“reclutati” tra le schiere degli shinigami, gli
attuali Jewels insieme alla bambina dai capelli violetti. Malgrado
fosse tecnicamente un gradino inferiore a loro nella gerarchia, era
comunque più esperto… E sembrava che questo gli
facesse avere il diritto di parlare loro come preferiva e col tono che
voleva. Ecco cosa non le piaceva, oltre al fatto che ripeteva sempre
loro come eseguire questo o quell’altro compito quando lui
stesso non era uscito dalla cittadella per non si sa quanto tempo!
Senza farsi notare, emise un sospiro per provare a non farsi prendere
dall’ansia e si rivolse ad Obsidian:
- La principessina mi ha chiamata. Chi sono io per declinare un invito?
– lo disse come se fosse la cosa più ovvia del
mondo, ma rimaneva il fatto che avrebbe di gran lunga preferito non
avere quel mastino nero intorno.
- Allora persino una che non è ancora diventata del tutto
una shinigami ha almeno la decenza di ascoltare un
superiore… Questo mi tranquillizza. – lei in
risposta strinse i pugni, irritata dal sentire uno che quasi le
sembrava una versione più dark di Yuri. Peccato che questo
qua doveva per forza averlo davanti per sentirlo parlare, non sentire
una voce in testa e basta.
- Ebbene, che cosa aveva di così urgente la principessina da
informarmi? Me lo dirai te non è vero? Anche
perché non credo sia carino svegliare una dolce bambina per
qualcosa di così futile.
– sottolineò lei, ma non ottenne risposta
immediata finchè dei fogli non le furono come schiacciati
contro lo stomaco con una forza tale da farla piegare in due; con un
soffio scocciato verso un Obsidian che ora le era di fronte e la
sovrastava con la sua altezza, lei diede un’occhiata ai
documenti, spalancando gli occhi per la sorpresa.
Chi l’avrebbe detto che sarebbe tornata al lavoro e che
avrebbe pure ricevuto una ricompensa in una sola volta!?
- La principessa Amethyst voleva semplicemente affidarti tuo prossimo
incarico. Le date di morte di queste due persone sono tra quattro anni.
Fino ad allora, tu non ti muoverai dal mondo degli shinigami e rimarrai
da sola a sistemare le anime danneggiate, mentre i tuoi Shards verranno
mandati ad addestrarsi con quelli di Berillium. Che non accada
più che lascino che le loro emozioni
s’intromettano nella raccolta delle anime, soprattutto in
occasioni come queste. E ora sparisci! – a quelle ultime tre
parole sussurrate, lei si ritrasformò in luce rossa e fu
risucchiata nuovamente dal cristallo che la fece tornare nel corridoio
di pietra con un tonfo per terra.
Avrebbe voluto gridargli contro di non trattarla così e non
parlare dei loro colleghi come se potessero fare un lavoro come
osservare le morti degli altri, raccogliere le anime e restare
indifferenti davanti a tutto ogni singola volta, ma quello
lì la aveva già sbattuta fuori; il suo sguardo
ritornò ai fogli che non aveva ancora lasciato andare,
notando le foto di una bambina dai capelli biondi e gli occhi color
ciano ed un bambino dai capelli neri e gli occhi verdi smeraldini.
- Mikaela e Yuichiro Hyakuya eh… Allora siete voi due quelli
di cui parlava la principessina. Eh eh! – si
rialzò subito, raccogliendo la lanterna nel frattempo e
saltellò via di buon umore perché la sua ricerca
personale poteva ricominciare, ma si paralizzò ad un
pensiero.
- E come pensano che faccia a sistemare da sola le anime di milioni di
persone!? – si lamentò ad alta voce, mentre Yuri
nella katana sghignazzava silenziosamente.
[1]: “Chróma” significa
“Colore” in Greco (fonte: google traduttore)
[2]: “Buonanotte e fai bei sogni” (fonte: google
traduttore)
Angolo
dell’autrice
è uscito parecchio lungo stavolta, ma volevo inserire i
nostri cari Hyakuya quanto prima, così eccoci qua.
Ora sappiamo qualcosina di più del mondo degli shinigami,
l’esistenza di una scala gerarchica (Coi Jewels che sono le
gemme cardinali dell’antichità, cioè
ametista, rubino, zaffiro e berillio di cui sono comparsi i nomi
finora, e gli Shards, cioè gli shinigami che presiedono le
altre gemme, ma li ho divisi tra i Jewels basandomi su somiglianze nei
colori più che altro) e anche
l’identità della benefattrice di Kaguya.
Comunque avete capito bene, Mika qua sarà una ragazza.
Cercherò di tenere i personaggi quanto più IC
possibile, poi quel che sarà sarà.
Spero che vi siate goduti il capitolo e che magari vogliate lasciarmi
un piccolo commento.
Alla prossima pagina della storia.
Crow
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** The sixth page: meetings and partings ***
The
sixth page: meetings and partings
Quiete, calma e silenzio, interrotti unicamente dal ticchettio delle
lancette di un orologio, uno che continua a scandire albe, giorni,
tramonti, sere e notti di chi continuava a seguire la propria routine
quotidiana, malgrado il cielo di quel mondo potesse essere sfumato
unicamente d’azzurro chiarissimo e grigio nebbia…
Non importava che il giorno si trasformasse in notte, o se
l’estate avesse già ceduto il posto
all’autunno, quel cielo sarebbe rimasto sempre e comunque lo
stesso.
Anche lì il tempo andava avanti a scorrere, ma per chi ci
abitava, ogni giorno era comunque uguale all’altro: fare
sempre le stesse cose… Vedere sempre le stesse
facce… E sapere che tali sarebbero rimaste finchè
qualcosa non le avrebbe fatte sparire davvero…
Eh sì… Malgrado gli shinigami Jewels, coloro che
racchiudono l’essenza delle pietre cardinali
dell’antichità, e gli Shards, incarnazioni
dell’energia delle altre pietre preziose, fossero riusciti a
tenersi stretti ricordi, identità e corpi di quando erano
umani, non vuol dire che tutto sia rimasto uguale una volta diventati
Spiriti Mietitori: non importa che necessitassero ancora di mangiare,
dormire, respirare e provassero ancora qualcosa di simile alle
emozioni… i loro cuori non battevano più, i loro
occhi non vedevano più i colori ma soltanto i giorni che
mancavano ad una vita prima di spegnersi fintanto che restavano sulla
Terra, i loro sensi erano più acuti per individuare
eventuali ostacoli durante lo svolgimento dei loro incarichi, la loro
forza maggiore per tranciare una vita che si era sottratta per pura
fortuna alla triste mano della morte perché
l’equilibrio tra vivi e morti restasse tale (o per salvare
tale vita nel caso quella morte non fosse un
“errore” nell’ordine degli eventi) e col
tempo… Anche loro avrebbero perso quel poco che gli restava
della loro “umanità”: più e
più si facevano prendere dal ritmo di quel mondo, uguale
ogni giorno e consci di non poter resuscitare come esseri umani o
“passare dall’altra parte” come le anime
che invece dovevano recuperare, e per sempre costretti ad osservare le
vite umane spegnersi ed accendersi, ognuno di loro prima o dopo non
solo aveva il proprio corpo smettere di invecchiare, ma diventava
sempre più apatico ed insensibile di fronte alle morti che
si ritrovava ad assistere. In fondo era questo che erano loro: semplici
marionette nate solo per portare avanti uno scomodo lavoro che tutti
credevano opera di chissà quale Dio… Delle
semplici rotelle di un meccanismo che non si poteva
arrestare… E come tali, avrebbero continuato ad arrugginirsi
fino a diventare polvere, lasciando una nuova rotella a sostituirli per
non compromettere l’intero processo.
Ecco di cosa era spaventata Kaguya. La sua benefattrice, la principessa
Amethyst, la aveva avvertita insieme agli altri attuali Jewels di
questo “pericolo”: quella sorta
d’immortalità che avrebbero acquisito andando
avanti era più simile ad una maledizione per loro, giunti in
quel mondo per entrarne a farne parte come
“recipienti” del potere delle pietre che portavano
(prima semplici gemme, poi pietre imbevute di chissà quale
potere che nessuno aveva ben capito da dove arrivasse o chi potesse
averlo portato lì, fonti delle loro nuove abilità
di shinigami e loro unici lascia-passare tra la Terra e il loro mondo e
viceversa). Intanto però non era successo nulla di grave a
nessuno di loro tre: Sapphire e Berillium erano un po’
più vecchi di lei quando erano morti, e anche se i loro
corpi avevano già smesso di invecchiare quando il suo ancora
non aveva fatto lo stesso, ancora bloccato all’età
di quattordici anni quando ne aveva già compiuti diciotto
(era incredibile che, in quasi quattro anni dall’Apocalisse,
lei fosse invecchiata fisicamente di neanche due anni), nessuno di loro
era ancora diventato un apatico pupazzetto; anche Amethyst e Obsidian,
gli shinigami più anziani tra Jewels e Shards, parevano
essere nella stessa situazione di Sapphire e Berillium, ma Kaguya aveva
l’impressione che ci fosse qualcosa che non riuscisse a
cogliere riguardo alcuni comportamenti della bambina alla guida di
tutti i Mietitori e del suo rabbioso quanto fedele cane nero da
guardia… Va bene, sinceramente non le importava di sapere
cosa passasse per la testa a quel vecchio di
mezz’età che non faceva altro che seguire Amethyst
ovunque andasse e dare ordini a destra e a manca a tutti gli altri, ma
non le sarebbe dispiaciuto riuscire a capire un po’ di
più cosa pensasse la principessina, non perché ci
tenesse ma perché ognuna di loro aveva il proprio
tornaconto: Kaguya era diventata una shinigami perché
Amethyst aveva voluto così, ottenendo il potere del Jewel e
assumendo l’identità di “Ruby”
per quasi dieci anni ormai, in modo da svolgere un incarico precluso
per lei che non poteva allontanarsi dalla città Chroma;
anche la Akagi aveva qualcosa da fare sulla Terra, oltre alla promessa
fatta al demone della sua katana. Peccato che non potesse tenere
d’occhio la bambina, ma era quasi sicura che si sarebbe
trovata alle calcagna un segugio nero, pronto ad azzannarla alla prima
mossa falsa, se solo ci avesse provato.
E poi in quel momento aveva qualcosa di più importante da
fare, cioè rimettere a posto le ultime anime danneggiate:
chiusa in quella biblioteca sotterranea, accessibile solo ai Jewels (e
Obsidian per un’eccezione nota solo allo stesso e alla
principessa) che prendevano il passaggio illuminato di rosso
all’incrocio sotto la fontana della piazza della cattedrale
Pneuma[1], Kaguya aveva passato quasi quattro anni a sistemare le
parole scritte nelle Pagine di ogni anima che non era uscita illesa
dalla notte dell’Apocalisse; bloccata su una sedia fluttuante
grazie al potere di un cristallo magico posto sotto di essa, ad un
tavolo anch’esso di pietra che aveva visto altri fare lavori
simili al suo parecchi anni addietro, circondata da tomi sgualciti ed
ingialliti che contenevano le informazioni sulle anime raccolte anche
molti secoli prima, stava scrivendo su una lastra con una penna che
lasciava tracce luminose sul freddo metallo, riempiendo il vuoto con
minuscoli caratteri che sembravano ravvivare un po’ la lega
opaca. Malgrado le parole sulle Pagine della vita di una persona
andassero a riempire subito il rispettivo volume (come se fosse
già deciso come, dove e quando uno dovrà morire)
non appena lo Spirito Mietitore le faceva dirigere verso quel mondo,
nessuno di quei libri alla fine era perfetto come doveva essere: parti
cancellate, altre sbiadite, altre ancora riscritte sopra altre righe,
pagine strappate od addirittura coperte di muffa come se fossero state
lasciate lì a marcire per sempre in quella piccola fortezza
letteraria, dove tutto ciò che affliggeva quelle Pagine
erano i peccati e le virtù compiute dalle persone a cui
appartenevano quelle anime, era ciò che
l’Apocalisse aveva inferto a quegli umani, costringendo la
castana a rinchiudersi in quel posto a “raccogliere i pezzi
persi per strada” da quella tragedia.
Quasi quattro anni costretta a pasti frugali e notti quasi insonni,
immersa nell’odore di vecchia carta e metallo, la luce dei
cristalli incantati ed il ticchettio delle lancette di un vecchio
orologio fluttuante sopra il tavolo, vietata dal vedere gli Shard suoi
sottoposti o anche solo informarsi delle loro condizioni… E
oltretutto, separata per l’ennesima volta dalla sua katana,
maledetta dal potere di un demone dagli occhi vispi e tinti del sangue
che aveva colorato il Natale dell’Apocalisse; piuttosto
severa come punizione da parte della principessa, anche se il suo cane
nero/maggiordomo/guardia del corpo Obsidian poteva benissimo averci
messo il suo zampino: passandosi una mano tra i capelli per la
stanchezza, cercando di sistemarsi le ciocche disordinate nel mentre,
la mano della ragazza si muoveva lentamente per completare quelle
ultime righe, lottando perché gli occhi più rossi
che castani per la fatica restassero aperti e non prolungare
ulteriormente la sua permanenza lì.
Con un sospiro di sollievo infine, la ragazza posò la penna
e prese un libro nuovo dal tavolo, poggiandoci sopra la fine lastra
metallica, la quale ebbe le lettere di un colore indefinito illuminarsi
di rosso, segno che quell’anima era stata restaurata e
sigillata e che attendeva di essere giudicata; Kaguya si sporse un poco
dal suo posto a sedere mentre la sedia si abbassava, arrivando ad
un’altezza per cui lei potesse scendere comodamente per
terra, e mettere il tomo nell’unico posto vuoto lasciato in
un grande scaffale intagliato nella pietra, fredda ed eterna come tutti
quei libri che contenevano nelle loro pagine il peso di tutte le gioie
e dolori, bellezze e orrori, buone azioni e atti vili che quelle anime
si erano portate dietro una volta persi i corpi terreni.
In quel momento però non le andava di abbandonarsi a questi
pensieri: voleva solo tornare a casa sua e farsi una bella dormita. Una
volta sistematasi, sarebbe dovuta andare all’incontro con gli
altri Jewel programmato per quel mese: se era fortunata, poteva
finalmente aggiornarsi su quello che era successo durante il suo
“forzato esilio”.
Alzando le braccia e sentendole scrocchiare per quando erano rimaste
nella stessa posizione, così come le sue spalle, la castana
fece per uscire dalla stanza quando notò sul tavolo qualcosa
che stonava con la grigia monotonia di quel luogo: un piccolo cesto di
vimini pieno di fiori.
La shinigami ne prese uno, districandolo dal groviglio in quel cesto,
accarezzandone i petali morbidi e respirandone un lievissimo profumo,
godendosi quella nota fresca che era propria della Terra, e non di quel
mondo di pietra quanto lo erano ormai anche i suoi abitanti:
- Mmm… Pansies… So you know that I am still here,
taking care of everything for you, my dear little princess. [2]
– allontanò il fiore dal suo viso, tenendolo tra
le mani con cura (seppure non con la stessa con cui trattava e che
riservava ai gigli ragno cari a lei e Yuri), andando a rimetterlo
insieme ai suoi compagni in quel cesto che portava con sé
solo due tinte di colore oltre al verde delle numerose foglie:
- White and violet… That is so you. [3] –
ridacchiò lei, ma quella breve risata serena che si
concedeva da tre anni fu subito troncata dall’unico
“intruso” in quel piccolo dono: un biglietto nero
pece legato al nastro violetto sul manico del cesto, un invito, il
bianco inciso in minuscoli caratteri corsivi sul nero, in quella che
era l’unica lingua che aveva mai sentito al di fuori
dell’inglese che aveva sentito pronunciare nella sua ormai
terminata vita umana. Fece scorrere velocemente lo sguardo su quelle
parole quasi invisibili in quel nero, stropicciandolo poi nella sua
presa per resistere alla tentazione di strapparlo, e lasciandosi andare
ad una risata stavolta più amareggiata e disperata in cui
cercò almeno di soffocare la fatica e il tedio di quei tre
anni:
- You damn watchdog… You sure know how to vex me. What else
can you possibly want from me this time… [4] –
prendendo con sè il cesto malamente e di fretta, facendo
cadere alcuni boccioli e foglie lungo la strada e lasciando per terra
il biglietto, la Akagi si incamminò velocemente verso
l’uscita della biblioteca.
Ora l’incontro poteva aspettare un pò: una
più che sgradita sorpresa sicuramente la aspettava a casa
sua.
Dopo essere uscita dai sotterranei, Kaguya fece per dirigersi a casa
sua, la più a Sud nella piazza e proprio vicina
all’uscita per dirigersi alle abitazioni degli Shards,
incoscia del fatto che fuori c’era già qualcuno ad
aspettarla:
- Ah. Sei proprio tu. Bentornata! – la salutò una
voce pacata che non si faceva problemi a nascondere una nota di
felicità nel ritrovare una vecchia conoscente.
La castana, appena uscita dal passaggio vicino alla fontana e
strizzando gli occhi per riabituarsi al chiarore del cielo
così diverso dalle tenebre della biblioteca, si
guardò un attimo intorno per capire da dove provenisse il
suono che aveva sentito, trovando la fonte comodamente appoggiata al
marmo della fontana: la figura alta di una donna sulla trentina, i
corti capelli lisci rosso mattone con qualche ciocca nera qua e
là, vestita in un lungo comodo cappotto invernale di una
tonalità simili a quella dei capelli e stivali neri. Ella si
mise quindi diritta, facendo vedere il mantello rosso mattone da
shinigami nella mano destra, sorridendo a Ruby:
- Ciao Ruby, come va? Anzi, come stai Kaguya? Per me non cambia nulla.
–
La Jewel si avvicinò quindi all’altra:
- Buongiorno a te Jasper. – un leggero inchino, uno sguardo
che implicava delle scuse furono tutto ciò che
potè rivolgerle, prima di un gesto per mostrare il cesto di
viole del pensiero:
- Vorrei tanto trattenermi per una conversazione, ma sembra che la
principessina mi abbia lasciato qualcosa a casa. È possibile
per te aspettare un attimo? Altrimenti… -
Fu interrotta dall’altra che scosse la testa:
- Nessun problema. Per una volta sono già a posto col
lavoro. Anche Topaz e Amber volevano venire a salutarla dopo che ci
è stato detto che avrebbe finito di scontare la sua
punizione oggi, ma sembra abbiano avuto un imprevisto… Al
massimo ci sentiamo più tardi per incontrarci tutti quanti,
va bene? – si voltò con un sorriso sereno, forse
uno dei pochi che Ruby aveva visto sin dall’inizio della sua
sospensione sulla Terra più di tre anni prima, e si
incamminò verso l’arcata accanto alla residenza
della castana; quest’ultima, con le mani tremanti e il passo
non più fermo e deciso a causa dell’indecisione e
del tempo passato sottoterra (durante il quale era già tanto
se faceva tre passi senza sbattere contro un muro od uno scaffale),
fece un paio di ampi passi (per quello che le era possibile in quel
momento) e prese la mano della Shard, fermandola e tirandola
leggermente verso casa sua; quest’ultima, che già
aveva notato che la sua superiore non era proprio in forma, non se la
sentì di lasciarla da sola (oltre ad aver intuito che la
“sorpresa della principessa” potesse non essere
qualcosa di piacevole) ed optò per accompagnarla,
lasciandole la mano ma restandole vicina anche solo nel caso in cui
l’altra cedesse un po’ sulle proprie gambe.
Arrivate alla porta, Jasper strinse nuovamente la mano della superiore
non appena quest’ultima toccò la porta
dell’abitazione, ove si formò subito un portale
che le trascinò all’interno, in una stanza dai
muri rossi e l’arredamento molto sobrio, consistente in un
solo tavolo, alcune sedie e dei comò dai toni sul bianco ed
il crema:
- è così allora che lui vuole che sia questo
posto. - mormorò Kaguya.
Porte, lucchetti e finestre erano inutili in quel mondo, ove i
cristalli infusi di magia erano portali verso dimensioni che
manifestavano al loro interno ciò che il loro padrone
volesse. Anche solo per quello, il fatto stesso che le poche
città presenti in quel mondo avessero l’aspetto di
antichi borghi europei era un fatto inconsistente, e nessuno aveva
chiara idea della ragione dietro a ciò se una ne esisteva;
tuttavia, ciò che era apparso in casa di Ruby non era quello
che lei si aspettava di trovare: lei avrebbe voluto andare in camera
sua, giusto il tempo per cambiarsi in abiti puliti, e magari dopo in
cucina con Jasper davanti ad una tazza di caffè fumante per
parlare del più e del meno o anche solo sapere di
più di quello che era successo mentre lei non
c’era, ed infine controllare cosa avesse lasciato
lì la principessina. Peccato che quello che anche quei
piccoli momenti di serenità erano fin troppo lussuosi per
lei per poterseli concedere persino dopo un interminabile lavoro,
poiché aveva davanti aveva rovinato le sue aspettative:
davanti a lei vi era l’immagine quasi sputata di uno dei
samurai che aveva visto nei libri da bambina nella villa, ma quei
soldati erano considerati figure importanti quando erano ancora in
auge, guerrieri che avevano deciso di dedicare sé stessi a
proteggere la loro nazione ed il popolo contro i nemici, rischiando la
loro vita che per questo poteva essere paragonata ad un fiore: ci
voleva tanto tempo per coltivarla quanto molto poco ad estinguere tale
vita per sempre; nell’uomo che aveva davanti a sé
però, dal kimono bianco sormontato da pezzi
d’armatura su addome ed avambracci, stivali e soprabito scuro
tanto quanto i capelli legati nel codino alto, riusciva unicamente ad
incuterle non un rispetto per chi possedeva una carica alta ed
importante, ma il timore che gli altri shinigami avvertivano in lui,
misto ad un più che mai vivido senso
d’oppressione: non era un rispetto che era incitato in una
folla semplicemente alla sola vista, ma uno imposto duramente su
sottoposti mal disposti o su soldati che non intendevano più
andare avanti per la propria strada, minacciati da una spada pronta ad
essere sfoderata per tranciare le sottili vite dei poveri malcapitati
che avevano perso la voglia di combattere. Eppure, qualcosa continuava
a non convincerla, come la semplice maschera nera che celava la parte
superiore del viso dell’uomo, lasciando intravedere solo gli
occhi castani scuri: quella devozione forzata negli altri, quel senso
di sottomissione che doveva instillare in loro… Gli serviva
solo per darsi più importanza, in quanto unico Shard in
mezzo a quattro Jewels, per stare attaccato ad una principessa bambina
per motivi che sarebbero magari rimasti sempre ignoti a tutti, o gli
serviva per qualcos’altro? Perché nascondersi
dietro una maschera, anche solo letteralmente, se si incute
quell’aria di superiorità rispetto agli altri?
Cos’altro voleva mostrare? O forse… Non tanto
mostrare agli altri, ma a sé stesso…? Era questa
la prima impressione che gli aveva sempre dato il fedele cane da
guardia di Amethyst, seppure lei non lo avrebbe mai osato dire a voce
alta. Quell’uomo era fin troppo freddo e riservato nei
confronti di tutti, oltre ad apparirle un filo orgoglioso: di certo non
gli avrebbe fatto piacere che qualcuno “inferiore”
a lui facesse certe congetture sul suo conto. Sembrava non volere che
qualcuno vedesse oltre la maschera se davvero ne aveva una, e lei
ovviamente non intendeva guadagnarsi un posto più in alto
nella sua lista nera, quella della prima persona che avrebbe eliminato
o fatto umiliare in un futuro molto vicino.
Quasi non se la sentì di rompere lo scambio di sguardi, ma
diede comunque un’occhiata alla sua destra per vedere la
reazione della sua collega: anche Jasper sembrava non essere non essere
rimasta del tutto indifferente, e seppure non tremasse come Ruby, si
mordeva il labbro e si spostò più vicina e
davanti alla sua superiore come a dire che lei c’era
qualsiasi cosa stesse per accadere.
Da un punto di vista completamente diverso, qualsiasi sensazione le
incutesse il nuovo arrivato, per la padrona di casa significava solo
una cosa: qualcuno doveva imparare a non introdursi in casa
d’altri senza invito, anche se tecnicamente era stato lui a
convocarla lì con quel biglietto al colore sinistro.
- So già cosa pensi Ruby… E non sono venuto qui
per dare problemi. Non che abbia mai avuto cattive intenzioni nei tuoi
confronti, ma… – si alzò con la stessa
calma con cui aveva parlato, e nessuna arroganza che invece era solita
udire nel suo tono. Che aveva quel giorno? O era solo lei che la aveva
sempre figurato un vecchio burbero?
Al contrario del semplice atto di alzarsi dalla sedia, sul cui lato si
era accomodato, facendo vedere nel mentre il mantello nero piegato
accuratamente sul braccio destro e la katana infoderata al suo fianco
sinistro, Obsidian scomparve subito dalla loro vista, il mantello ora
in aria sopra le loro teste che si voltavano qua e là per
capire dove fosse finito; nell’attimo di un respiro, egli si
ritrovò a pochi centimetri da Ruby, rimasta bloccata contro
il muro dal corpo dell’altro che le teneva la spalla ferma
con una mano e l’altra a reggere la katana che ora le stava
sfiorando pericolosamente la gola. Nessuna espressione sulle sue
labbra, solo uno sguardo indecifrabile in quegli occhi che
trasmettevano qualcosa che lei non riusciva a comprendere…
Ma che aveva oggi quel cane nero?
Ad un certo punto, lui sospirò deluso, mollando la presa e
voltandosi lievemente alla sua sinistra, ritrovandosi una fiala con un
liquido fumante vicino alla sua tempia:
- Lasci andare la signorina Ruby. Le devo ricordare che qui
è in casa sua, e non importa chi è lei, ma deve
portare un minimo di rispetto alla padrona di casa. – gli
sussurrò Jasper, sguardo fisso sul samurai nero che
però ridacchiò leggermente a quel misero
tentativo di minaccia, allontanandosi finalmente dalle due donne per
rinfoderare la katana e riprendere il mantello che era finito a terra:
- Non ti preoccupare Jasper, o forse dovrei chiamarti “Petra
Torri”? Volevo solo testare i suoi riflessi. Sembra che
però abbia sbagliato nel rinchiuderla nella biblioteca: in
una situazione come quella di poco fa, si sarebbe liberata senza troppi
problemi normalmente. E senza la sua arma poi… Ho commesso
un errore. Lo ammetto. Ora abbassa quella bottiglia di veleno.
– la Shard del diaspro continuò ad osservarlo per
un po’, cauta nel caso commettesse altri passi falsi, prima
di riporre la fiala in una tasca interna del cappotto.
- Sono passato solo a consegnarti la nuova uniforme che Fluorite ha
preparato per te. I tuoi vecchi abiti da lavoro era un po’
malconci a sentire lei. – si fece da parte, quello che
bastava per mostrare un pacco rosso con un fiocco verde acqua sul
tavolo, per poi voltarsi nuovamente verso le sue interlocutrici:
- Inoltre, ho già istruito i tuoi Shards sulla tua nuova
missione. Stavolta dovrai accontentarti solo di Jasper, Topaz e Amber.
Gli altri non sono ancora guariti dalla notte
dell’Apocalisse: i Geodes [5] ed i mostri comparsi sulla
Terra hanno dato loro non pochi problemi.
I dettagli su un possibile piano d’azione li lascio a te:
confido che cercherai il percorso migliore nell’esecuzione
della missione. – lei rispose con un’occhiata a
metà tra la sorpresa e lo sconcerto, voltandosi poi inquieta
verso Japser che si limitò ad annuire: Obsidian sapeva bene
che gli incarichi speciali erano missioni particolari per lei e che
coinvolgevano gli interessi di Amethyst. Perché le fa
portare dietro i suoi colleghi quando non le era mai stato permesso
fino a quel momento!?
- Ultima cosa… - ancora il tempo di un respiro e le fu alle
spalle, e lei era troppo stanca: non sapeva se le stesse mostrando che
doveva riposarsi perché così sarebbe stata una
preda facile per i mostri che ora dimoravano il mondo degli umani, o si
stesse semplicemente facendo beffe del suo stato.
- La tua destinazione è Sanguinem, la terza capitale dei
vampiri, situata nei sotterranei di Kyoto in Giappone. Ci arriverai non
appena uscirai da questa stanza, quindi ti consiglio di prepararti in
fretta. – quando Ruby si girò, lui si
inchinò lievemente e fece un cenno con la testa di cortesia
a Jasper, per poi allontanarsi verso l’uscita, i suoi passi
risonanti nella stanza vuota fermati solo da una domanda della castana:
- Come mai mi lasciate tutta questa libertà
d’azione ora? Avete paura che mi sia stancata di come mi
trattate e faccia qualcosa per farti passare quella tua mania di
controllo? O forse è la principessa che ora ha paura?
–
Un’occhiata fulminante le arrivò, tanto da
scatenare nuovamente un tremore nelle gambe che cercò di
contenere: non voleva mostrarsi indifesa davanti a quel tipo.
- Nessuno dei motivi che hai riferito. Prima di cominciare a giudicare
le anime tuttavia, la principessa ha fatto una predizione sul tuo
futuro Kaguya. –
Ora aveva la sua attenzione: oltre ad essere giudice delle anime,
Amethyst aveva visioni del futuro. Il più delle volte erano
però relative a particolari umani le cui morti non dovevano
ancora avvenire ma che si stavano per verificare per qualche motivo;
era molto raro che coinvolgessero un Triste Mietitore.
- Non me la ha voluta rivelare, così la ha scritta su un
foglietto nella tua lingua madre. È in mezzo a quei fiori.
– aggiunse indicando il cesto di viole del pensiero.
- Ripeto che non so cosa abbia visto, ma mi auguro che tu non le crei
alcun tipo di problemi. Le anime di Mikaela e Yuichiro Hyakuya
contengono qualcosa di molto importante per la principessa, e se non
farai il tuo dovere, lei sarà costretta ancora a sporcarsi
le mani ulteriormente nel vedere i peccati di quegli esseri sudici che
gli umani sono diventati. – un evidente disprezzo nel suo
tono di voce più una nota di preoccupazione, ma a chi era
rivolta?
- Sarai pure stato un umano anche tu per essere finito qua tra gli
shinigami no? Quando parli così, sembri quel vampiro che ha
distrutto villa Akagi e la mia vita.
Sai che ti dico? Tu e la principessa mi avete raccolta quando sarei
dovuta scomparire, quindi ora vi terrete il pacchetto completo,
perché quest’ex assassina umana ed ora shinigami
farà quello che vorrà con quelle anime.
Contengono qualcosa di importante anche per me, e le falcerò
solo quando vorrò io. –
Sentì Jasper riavvicinarsi a lei, tirando fuori ancora
qualcosa dal suo cappotto: era la katana Red Lily, accuratamente
lucidata.
- Grazie Jasper. Me l’hai custodita bene. –
- “Confermo.
Quel cane pensava di fondere la spada e farmi dire tutto quello che
sapevo del periodo che hai trascorso sulla Terra visto che tu sei
rimasta zitta. Non credevo che lo avrei mai detto, ma questa volta ne
devo una ai tuoi colleghi” – disse
Yuri, la sua voce un conforto in quei pochi anni di separazione. Si
preparò a sfoderare la katana, ma fu fermata da una mano di
Obsidian per indicarle di stare ferma e che non c’era la
necessità di alzare le armi in quel momento.
- Come ho già detto, stavolta potrai fare come credi. Alla
fine, ognuno di noi ha a cuore solo i propri interessi: così
come la principessa intende usarti, tu intendi usare noi. Fintanto che
tu non ostacolerai il meccanismo, non mi dovrò sbarazzare
del difetto che rappresenti. – Jasper fece per dirgli contro
qualcosa, ma Ruby scosse la testa a dirle che non ne valeva la pena.
- Detto questo, ti auguro buon lavoro Ruby. Ci rivediamo fra tre mesi.
– un passo ancora, ed il cane nero se ne andò,
diretto verso la Jewel dell’ametista.
Japser lo imitò, ma la sua destinazione era Sanguinem, dove
era certa avrebbe trovato presto Alan e Marie ad aspettarli.
Kaguya quindi aprì il pacchetto, trovandoci una canotta
nera, shorts bianchi e calze rosse, posti sopra una giacca bianca con
tanti gigli ragno rossi e un cappuccio con pelliccia nera, stivali
bianchi con un fiocco nero, e il mantello rosso ripiegato accuratamente
da una parte: ora era pronta a partire.
Mondo
degli umani, Kyoto – Sanguinem, autunno dell’anno
2016.
Era da poco uscita dalla sua stanza, solo per ritrovarsi in una
versione più buia e tetra della città di Chroma,
seppure la somiglianza fosse solo vaga. Seppure si trattasse ancora di
case tipiche di borghi antichi o al massimo risalenti ad un paio di
secoli prima, le abitazioni erano in uno stato malandato, poco curato
per la poca vernice sui muri, le ragnatele presenti ogni dove, la
scarsa illuminazione data dai pochi lampioni presenti, la ruggine sui
tubi presenti ovunque essendo la città collocata proprio
sulle vecchie reti fognarie di Kyoto col loro odore acro e pungente, ed
i topi che le sembrava scorgere in ogni vicolo stretto.
- Questo è senz’altro il quartiere della
plebe… o meglio dei donatori di sangue. –
constatò non sorpresa, sapendo bene come funzionavano le
cose lì: dopo l’Apocalisse, solo i bambini dai
tredici anni in giù si erano salvati dal virus,
così i vampiri erano emersi dalle tenebre per tenere sotto
la loro protezione qui bambini. Ovviamente, non li proteggevano affatto
per pura bontà, ma per non vedere persa davanti ai loro
occhi la loro unica fonte di cibo che era il sangue umano. Quegli
stessi bambini dopo quasi quattro anni erano ora in città
come quella, vestiti in uniformi bianche, scalzi e con targhette al
collo di cui non riusciva a leggere cosa fosse scritto.
- Non sono diversi dal bestiame per loro. Niente di diverso da come una
persona tratta mucche e pecore in fondo… - pensò
lei, notando individui dagli occhi rossi scarlatti che camminavano per
quelle strade, incappucciati ed avvolti nei loro mantelli, ad
assicurare l’ordine nella città e sorvegliare i
bambini: non sia mai che lascino animali senza sorveglianza; nel loro
caso, che non si azzardino ad uscire dalla città se non
volevano avere la gola tranciata in una manciata di secondi, tale era
la forza che separava quelle creature dai comuni umani. Va beh, i
Tristi Mietitori non dovrebbero avere problemi a gestire vampiri od
umani, ma era meglio stare sempre sull’attenti nel caso si
verificasse qualche problema: era in territorio nemico in quel momento
e, malgrado il nascondiglio che aveva saputo essere preparato da Jasper
la stava aspettando, preferiva girare un altro po’ per
conoscere meglio il posto.
Quando passata qualche altra ora sentì il suono di una
campana e vide che i bambini stavano rientrando nelle case malconce,
fece anche lei per incamminarsi nel centro città per andare
verso il nascondiglio, ma qualcosa (o meglio qualcuno) venne dritto
verso di lei:
- Ahhhh!!!! Non li sopporto più questi succhiasangue! Io non
sono un loro animaletto! – era un bambino di sì e
no dodici anni credeva, dai ribelli capelli corvini delle notti prive
di stelle e occhi smeraldini che le ricordarono i tessuti che Fluorite
aveva menzionato essere del suo colore preferito. Era seccato a dir
poco, camminava pesantemente e in fretta per tornare a casa, facendo
imprecazioni che le parvero subito inappropriate per un bambino
così piccolo.
- Yuu-chan! Calmati! Così andrai a… - la seconda
era una bambina dai capelli biondi chiarissimi, pelle più
pallida dell’altro bambino e occhi di uno splendido blu mare
come quelli che aveva lei stessa prima di diventare shinigami. Non le
pareva essere giapponese, ma ancora una volta con diverse etnie che si
mischiano, chi lo poteva sapere.
Prima era preoccupata per quello che doveva essere l’amico,
fermandosi solo quando lui sembrò andare a sbattere contro
il vuoto che erano in realtà le gambe di Kaguya, finendo per
cadere a terra e massaggiandosi la schiena ora dolente per la caduta.
La bambina fu subito al suo fianco, aiutandolo a rialzarsi, ma finendo
involontariamente per alzare lo sguardo verso il volto della shinigami:
come era possibile che potesse già vederla!? Una bambina
così piccola!?
Le due continuarono a fissarsi finchè il bambino non le
interruppe, cercando di mettersi davanti alla biondina senza non poco
sforzo (Ruby era ferma e non c’era verso che un bambino la
potesse smuovere da dove era) e agitando una mano davanti al viso
dell’altra per scuoterla dai suoi pensieri:
- Ohi Mika! Ci sei!? Che ti prende!? – la biondina allora
scosse la testa come ad essersi convinta di non aver visto nulla di
strano, e allora prese per mano il bambino dai capelli scuri e lo
trascinò con sé lontano da lì, non
senza prima voltarsi un’ultima volta.
- Ih ih. Convinta di aver visto un fantasma mi sa… - si
disse Kaguya rimettendosi in cammino e sorridendo.
Yuu e Mika… Yuichiro e Mikaela Hyakuya… Li aveva
trovati proprio in fretta.
E poi la bambina la aveva vista… Qualcosa le diceva che per
una volta la missione non la avrebbe annoiata.
[1]: “Pneuma” significa respiro, aria o soffio
vitale in Greco (fonte: Wikipedia)
[2]: “Mmm… Viole del pensiero… Quindi
sai che mi trovo ancora qui, ad occuparmi di tutto per conto tuo, mia
cara piccola principessa” (fonte: Google traduttore)
[3]: “Viola e bianco… è proprio da
te” (fonte: Google traduttore)
[4]: “Maledetto cane da guardia… Tu sai proprio
come irritarmi. Cosa altro puoi volere da me questa
volta…” (fonte: Google traduttore)
[5]: I “Geodes”/Geodi sono gli Shinigami coi
mantelli scuri. A differenza di Shards e Jewels, non hanno volto od
identità, rappresentano la maggior parte dei Tristi
Mietitori presenti e, seppure partecipino alla raccolta delle anime, ne
vengono subito privati perché non le divorino, causando
problemi ad esempio nella registrazione dei morti.
Angolo
dell’autrice
Rieccomi
qui. Ormai il mio corso scolastico sta prendendo quasi tutto il mio
tempo e ci tengo a non scrivere roba fatta male quindi eccomi qui.
Come
promesso, Yu e Mika sono comparsi: cambierà qualcosa se
Kaguya si metterà in mezzo oppure ciò che li
attenderà a breve li separerà ancora?
Spero
che vi siate goduti il capitolo e che magari vogliate lasciarmi un
piccolo commento.
Alla
prossima pagina della storia.
Crow
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** The seventh page: red apple and sea blue ***
The
seventh page: red apple and sea blue
La nobiltà ed i suoi membri, di nascita più che
di cuore… Il dovere verso i propri sottoposti che vanno
protetti ed istruiti perché possano diventare forti e
sopravvivere nel mondo intorno a loro, mettendo così le basi
di quello che sarà il loro domani… Ce ne erano
gran poche di persone così, e questa sembrava una cosa che
la venuta dell’Apocalisse non aveva cambiato: non ci si cura
più dei propri dipendenti, ma si preferisce perdersi nel
lusso che si possiede e si continua ad accumulare beni a discapito di
chi già crede in te e degli sconsiderati/prede facili che
s’incontrano lungo il cammino. Se il mondo doveva andare
avanti col meccanismo di scambio “dai e ricevi”,
per l’alta società esisteva solo “tu mi
dai tutto e nulla ottieni in cambio” … Per quanto
marcia ed ingiusta fosse quella logica, fu proprio per questo che
diventò predominante nel mondo che era la Terra prima
dell’Apocalisse: chi è astuto e ingegnoso escogita
ciò che più gli pare, anche senza curarsi dei
mezzi, ed arriva allo scopo voluto; al contrario, se uno non
è sveglio ma si vuole basare solo su impegno ed
onestà, si ritroverà presto ad inginocchiarsi
davanti alla dura e cruda realtà. Un’idea
moralmente sbagliata, ma i fatti sono quello che sono.
Anche per gli shinigami c’era un discorso di
“classi sociali”, seppure ciò che le
divideva non erano le stesse differenze che separavano i nobili ed i
poveri tra gli umani: i Tristi Mietitori erano divisi in tre categorie,
le quali erano Geodes, Shards e Jewels.
Il “ceto” più basso erano i
“Geodes”: non associati ad alcuna pietra preziosa,
erano semplici mantelli scuri che, almeno a Kaguya, davano una
sensazione di pesantezza ed oscurità che nemmeno Obsidian le
aveva mai suscitato; erano gli umani che sulla Terra si erano suicidati
e, ritornati come Tristi Mietitori, non avevano volto, corpo, nome o
ricordi.
Tuttavia, si trattava appunto di “geodi”: fuori
rocce senza valore ma all’interno rivestite di splendidi
cristalli, questi stessi shinigami erano forse gli unici ad avere delle
vie d’uscita dalla loro condizione: potevano divorare le
anime degli esseri umani che stavano per morire, riassorbendo
abbastanza energia da riguadagnare i ricordi. Con questo metodo, si
potevano ottenere degli shinigami non dissimili dagli Shards, ma era
qualcosa che i Jewels e gli altri Shards cercavano di impedire
perché anime divorate da quelli erano comunque danneggiate,
accumulando così Pagine della Vita che andavano riparate,
oltre al fatto che i Geodes erano disposti a ferire altri umani e
shinigami pur di ottenere il loro “pasto”;
tuttavia, un Geode diventava così se non si era pentito di
ciò che aveva fatto, che si trattasse delle cattive azioni
commesse in vita o dell’atto di suicidarsi in sé.
Avendo assorbito abbastanza energia dalle anime dei defunti da essersi
ricordato almeno i peccati ed i motivi che hanno portato al suicidio,
doveva agire come pseudo-Shard e raccogliere anime finchè
non fossero passati 134 anni (il perché proprio quel numero
nessuno lo sapeva) o finchè quello Shard non fosse arrivato
ad occupare il posto che gli spettava, al termine dei quali diventava
un’anima che veniva giudicata; se il Geode si era invece
pentito di ciò che aveva fatto in vita, si trasformava
direttamente in un’anima ed attendeva il giorno del suo
giudizio.
Al contrario dei Geodes, Shards e Jewels erano costretti in quei ruoli:
si diceva che “più in alto ti trovi nella
società, più responsabilità e doveri
ti ritrovi”, ed infatti per liberarsi potevano solo aspettare
che qualcosa li cancellasse definitivamente.
Gli “Shards” erano shinigami che invece avevano
conservato identità, personalità e ricordi di
quando erano umani. Le loro erano “morti che non dovevano
verificarsi” e, per descriverli bene, riusciva a pensare solo
ad una vecchia frase dettale dalla principessa Amethyst: “Una
persona ha solo un libro ed una penna a sua disposizione, e questi due
strumenti non li potrà mai sostituire con altri durante la
vita: quando l’uno esaurisce le pagine e l’altra
l’inchiostro, allora si è davvero arrivati alla
fine”. In sintesi, ognuno aveva una sola vita e poteva
decidere cosa farne, seppure questa avesse già un limite
definito; tuttavia, la Jewel dell’ametista aveva aggiunto che
le “penne” dei futuri Shards si
“rompevano”, facendo spargere tutto
l’inchiostro sulle pagine che rimanevano. Tra le
possibilità che avevano a disposizione, avevano fatto
qualcosa (forse anche una roba da nulla) che aveva spezzato il corso
che gli eventi dovevano seguire e cancellato gli altri percorsi che
avevano davanti: di quel libri macchiati, ci si doveva sbarazzare.
La principessina aveva aggiunto che questi erano gli unici casi in cui
Obsidian doveva mai intervenire: era lui che doveva falciare quelle
vite che non erano andate nel verso che dovevano seguire, facendole
diventare Shards, frammenti che potevano soltanto essere sbriciolati
ancora di più. Per una colpa che nemmeno sapevano di avere,
venivano tolti loro i ricordi che riguardavano le altre persone che
avevano incontrato da umani, lasciando spazi vuoti che li avrebbero
accompagnati nella loro solitudine.
Gli Shards custodivano il potere delle gemme che permetteva loro di
avere accesso a diversi poteri e guarire più in fretta le
loro ferite.
Infine, la casta più alta tra gli shinigami: i
“Jewels”, coloro che racchiudevano in sé
stessi il potere delle cinque pietre cardinali
dell’antichità: ametista, berillio, diamante,
rubino e zaffiro. Il loro era un gruppo un po’ particolare,
in quanto erano loro stessi delle vere e proprie
“distorsioni”: da quello che le aveva raccontato
Obsidian, i Jewels sia attuali che precedenti erano tutte
“persone che non si sapeva esistessero”: non era
come sulla Terra che uno poteva far sparire le sue tracce sbarazzandosi
dei propri documenti, no… Nel grande libro che raccontava
ciò che doveva succedere sulla Terra, i Jewels erano persone
che erano state “lasciate fuori” da tutto quanto,
forse perché non avrebbero mai potuto influire
sull’ordine degli eventi, od estromessi perché
potevano rappresentarsi più problematici da gestire degli
stessi Shards? In fondo, un gioiello si preferirebbe tenerselo per
sé ed ammirarlo in una collezione privata, piuttosto che
mostrarlo ad ignoranti che non ne comprendono il valore.
I Jewels non avevano una punizione da scontare, ma non potevano
spostarsi dal mondo degli shinigami, soprattutto quando diventavano
“completi”; inoltre, oltre ai poteri garantiti loro
dalle gemme, potevano attingere di più alla fonte di quel
potere per accrescere le proprie abilità senza il problema
che smettessero d’invecchiare subito, cosa che gli Shards non
potevano fare (un po’ di potere dalla gemma in più
e avrebbero smesso di invecchiare subito). Inoltre, potevano stringere
patti con demoni, come Kaguya era riuscita con Yuri, senza essere
influenzati da questi ultimi.
Ognuno di loro comandava un gruppo di Shards:
• La fazione viola era in carica
delle predizioni, cioè le date e cause di morte delle
persone, oltre che di eventuali irregolarità
nell’ordine degli eventi. La stessa Amethyst si occupava del
giudizio delle anime che entravano nel mondo degli shinigami e delle
procedure necessarie per stipulare un patto con un demone.
• La fazione verde dirigeva e
controllava tutte le attività che si svolgevano fuori da
Chroma: addestramento dei nuovi Shards, gestione dei Geodes, controllo
e direzione delle attività (agricoltura, edilizia e simili)
svolte dalle Raw Gems, anime particolari che non potevano diventare
nessuna categoria di shinigami, reincarnati quindi in automi di gemme
per svolgere i più svariati lavori. Berillium tuttavia aveva
insistito che loro stessi partecipassero attivamente alle mansioni, e
fintanto non aveva ottenuto lamentele dai suoi sottoposti.
• La fazione bianca aveva i
propri membri e compito sconosciuti, così come Diamond, il
Jewel che tecnicamente era a capo di tutti gli shinigami.
• La fazione rossa, comandata da
Ruby, aveva come compito la raccolta delle anime umane e la gestione
del personale da mandare in ogni parte del mondo umano in relazione al
carico di lavoro.
• La fazione blu era il ramo
della ricerca: prima un semplice gruppo per la raccolta di informazioni
sugli sviluppi sulla Terra per aiutare la fazione viola, ma con la
guida di Sapphire, si era evoluta in una branca di sviluppo di
strumenti per semplificare il lavoro di tutte le altre fazioni (Un
esempio erano i contenitori ovoidali usati dagli shards del rubino in
cui venivano tenute le anime per tutto la durata del trasporto dal
mondo umano a quello degli shinigami).
Di qualsiasi problema a livello generale all’interno di una
fazione, il Jewel ne era ritenuto responsabile e doveva risponderne
assieme agli Shards sotto il suo comando; tuttavia, un qualsiasi errore
commesso dal singolo che però non comprometteva i compiti
assegnati, non sarebbe stato fatto ricadere sul gruppo in
sé, ma il Jewel o lo Shard stesso dovrà
risponderne personalmente: la massima pena prevista era
l’esilio per qualche mese sulla Terra senza poteri di
shinigami, ma dato che a gran pochi insegnava qualcosa sulle
responsabilità di appartenere al sistema, si era preferito
spostarsi su punizioni più mirate: Kaguya intanto era stata
esiliata per mesi solo perché aveva interferito negli affari
degli umani, causato la morte di persone che non erano ancora parte
della lista dei morti, e stretto un patto con Yuri senza
l’autorizzazione di Amethyst, ma non era cambiato nulla per
lei… Almeno, progettava di non dare troppe noie alla
principessina o un certo cane la avrebbe rinchiusa di nuovo in quella
polverosa biblioteca.
Ora però c’era altro di cui preoccuparsi: quando
Jasper tornava con novità sul da farsi!?
Kaguya tirò l’ennesimo lungo sospiro
nell’osservare il pezzo di carta, trovato tra le viole del
pensiero, su cui era riportata la predizione della principessa, facendo
rigirare annoiata il foglietto tra le mani:
- Proprio vero che sono diventati un po’ troppo
“ribelli” mentre io non c’ero…
Solo perché oggi ero un po’ più stanca
del solito, continuavo a traballare e alla fine sono caduta, ora Jasper
mi ha obbligata a stare qua finché non mi sono riposata un
po’… Ufff… - strinse ancora di
più il foglio fino ad accartocciarlo:
- How dare SHE
gave ME
orders?! It should be the other way around! It is HER that has to
listen to what I say!
[1] – urlò irritata, ma ricordandosi dove era, si
tappò subito la bocca e si allontanò strisciando
dalla finestrella della minuscola stanza: da quel che le era stato
detto, era l’attico della mansione di uno dei nobili di
Sanguinem, ma era talmente malandato che si capiva non era stato usato
da chissà quanto (ancora si chiedeva a che servissero tante
stanze in una casa se dovevano essere lasciate a sé stesse.
Che almeno qualcuno le ripulisse! Villa Akagi non era tanto
più piccola, ma molte stanze erano destinate ai materiali di
ricerca od ai servitori, ai quali non era permesso tornare a casa
perché non rivelassero ciò che succedeva
lì); da un lato sperava fossero riusciti a trovare qualcosa
di più decente, in fondo le dimore dei nobili lì
erano l’esatto contrario dei quartieri dei poveri/stalle del
bestiame (bambini donatori di sangue), ricche dello sfarzo di colori
più intensi ed accattivanti, il fasto dell’oro e
delle gemme preziose (che però avevano tutto da invidiare a
quelle del mondo degli shinigami: non lo ammetteva ad alta voce, ma
quelle della Terra erano semplici pezzi di vetro al confronto, non
importava che fossero autentiche o false), e lo sfoggio di quanto
più si ha di pregiato (che fossero sete, mobili, strumenti,
ecc. ); non credeva di certo di ritrovarsi in quella sottospecie di
attico ormai inabitabile per i comuni mortali: quello che doveva essere
un semplice studio, comodamente riempito da un divano, qualche piccolo
scaffale con libri, un tavolo ed alcune sedie, ora era il covo di ragni
ed insetti: i muri bianchi ora erano grigi, spogli e pieni di crepe e
buchi, gli scaffali cadevano su sé stessi per quanto erano
vecchi e non mantenuti, ed i libri erano illeggibili e ricoperti di
muffa (Kaguya ridacchiò amaramente, comparando quelle pagine
a tutte le anime corrotte che aveva visto ininterrottamente per tre
anni); il divano pareva stato rattoppato in alcuni punti ed i cuscini
sostituiti, ed il tavolo e le sedie avevano almeno le gambe riparate ed
erano stati spolverati. Quelli sarebbero serviti se dovevano restare
lì, e poi nessuno sarebbe venuto a dare loro la caccia: in
primis, nessuno sapeva che i Tristi Mietitori esistevano, i vampiri
erano esseri immortali quindi non potevano vederli, e chi avrebbe mai
sospettato che la radice di un problema si nascondesse tranquillamente
nella casa di un nobile?
- Signorina, ci scusi per l’attesa. Siamo tornati.
– la voce di Alan/Topaz la tolse dai suoi pensieri,
portandola a guardare verso la porta da dove era già emerso
il volto del ragazzo: gli shinigami, almeno quelli completi, potevano
passare attraverso muri e porte senza problemi. L’ultima
volta che li aveva visti loro non riuscivano ancora (non senza rimanere
incastrati all’interno di un muro), quindi poteva solo dire
che…
- Eccoci Kaguya, ti abbiamo portato da mangiare! –
un’altra voce, più allegra e squillante si fece
sentire, ed una ragazza in tutta fretta spinse da parte Topaz per
correre verso la Jewel:
- Amber! – le gridò contro lo Shard del Topazio,
cercando di rimettersi in equilibrio dopo essere stato quasi spinto a
terra, tentando al contempo di non far cadere il vassoio che teneva
nella mano sinistra:
- Ti spiacerebbe fare un po’ più
d’attenzione intorno a te?! E poi, smettila di fare
così ogni volta che non vedi la signorina per tanto tempo!
–
L’altra lo ignorò, stringendo a sé la
castana e strofinandosi addosso a lei, manco fosse un gatto di casa che
voleva le coccole dalla sua padrona.
- Pfff. – l’unico suono che emise poco dopo Ruby fu
necessario per far staccare un po’ l’altra e farle
notare l’espressione infastidita:
- So già che il mio fisico non è dei migliori, e
te me lo sbatti letteralmente in faccia Amber… -
farfugliò la Jewel, dando un’altra occhiata alla
Shard: i suoi capelli non erano più biondi scuri, ma
arancioni bruni (segno che era diventata un Triste Mietitore completo,
avendo assorbito tutto il potere della pietra) e anche di fisico era
cresciuta un po’… La Akagi maledisse mentalmente
di essere per metà giapponese: possibile fosse destinata a
rimanere piccola e magra in picco? E la sua crescita rallentata dai
poteri di shinigami non la faceva sentire meglio…
Intanto, Marie/Amber si sistemò il cappello beige e le
pieghe della lunga giacca arancione chiara, rimettendosi a schiena
dritta e ginocchia sul pavimento (essendosi abbassata per abbracciare
Kaguya che si era seduta per terra vicino alla finestra e non sul
divano), rivolgendo un grande sorriso alla sua superiore:
- Hai comunque qualche anno meno di me, quindi non ti preoccupare che
cresci ancora! E poi è meglio essere piccola e carina che
diventare una stangona scontrosa come Galena! – disse
soffocando la sua superiore in un altro abbraccio, staccandosi dopo
qualche minuto per prendere il vassoio da Topaz, mostrando un piatto di
zuppa di verdure, una pagnotta, una mela ed un bicchiere
d’acqua. Coi pasti frugali che le erano stati concessi in
quei tre anni, quel poco era molto più che sufficiente:
- Ora mangia qualcosa e rimettiti in forze che tra poco usciamo.
–
Ruby fece per allungarsi e prendere il vassoio, ma Alan
allungò una mano verso di lei:
- Non è meglio alzarsi? Il pavimento non è tra i
posti migliori per sedersi a mangiare. –
Ruby però scosse la testa e prese il vassoio, posandolo a
terra:
- è meglio che stare seduti sulle sedie di quella biblioteca
per tre anni, credimi. E poi non intendo lamentarmi del posto, anche se
d’ora in poi dovete stare attenti riguardo al cibo.
–
Vedendo la faccia confusa dei due Shards, lei si rimise a spiegare:
- Questa è la dimora di uno dei nobili, ma si tratta
comunque di vampiri, e loro non necessitano di cibo ma di sangue per
sopravvivere. Quindi, perché credete sia possibile che siate
riusciti a procurarmi da mangiare senza problemi? –
- Beh, era tutto quando in cucina e sembrava già tutto
preparato. Non per noi ovviamente… E comunque il signor Yuri
non è stato d’aiuto: abbiamo provato a chiedergli
cosa ti sarebbe piaciuto, ma lui ci ha ignorati. – rispose
Amber scocciata, mostrando la katana Red Lily che aveva preso alla
Jewel, non senza le proteste dello stesso Yuri.
Kaguya intanto si era messa a mangiare un po’ di zuppa,
sollevandosi al sapore del dado e al dolce delle verdure che sentiva,
specie dopo essere stata abituata al cibo insipido preparatole da
Obsidian. Se pensava che quel cane preparava da mangiare anche per
Amethyst, Kaguya sentì pietà per la bambina, ma
era facile che lo Shard dell’ossidiana le avesse solo voluto
giocare un brutto tiro.
- Appunto. Per chi credi fosse già predisposto tutto? E
poi… - si volse quindi verso lo Shard del topazio:
- Topaz, ti ricordi il nome del proprietario di
quest’abitazione? –
Lui si portò una mano al mento in segno che stava pensando,
impallidendo però quando credette di avere la risposta:
- è Ferid Bathory, se ho ben capito quando le guardie lo
hanno visto rientrare questo pomeriggio. –
all’annuire della sua superiore, il ragazzo
continuò:
- Un vampiro a cui piace nutrirsi particolarmente del sangue di
bambini, anche qui in città dove è vietato
nutrirsi direttamente dagli umani e si deve fare affidamento su
bottiglie di sangue distribuite periodicamente. Ora tutto ha
senso… -
Amber continuò ad osservare i suoi due amici perplessa, poi
il suo volto s’illuminò, segno che doveva aver
capito a cosa si riferissero:
- Quindi quello lì… Non dirmi che si porta qua
dei bambini per prendergli il sangue? Se è così,
quel cibo era lì forse è lì per loro!
E noi glielo abbiamo preso… Ma non potevamo nemmeno lasciare
Kaguya senza mangiare dopo quello che ha passato per colpa del signor
Obsidian. –
Kaguya fece un cenno di sì con la testa sconsolata, passando
l’ultimo tozzo di pane sul piatto per ripulirlo dai resti del
pasto:
- Esatto. Da quel che ho potuto constatare, sopravvivere qui a
Sanguinem è impossibile per quei bambini in condizioni
normali: viene prelevato loro il sangue a tempi regolari, e sarebbe
impossibile per loro recuperare forze solo con la spazzatura che gli
rifilano i vampiri da mangiare. Il solo fatto che li fanno abitare in
posti che sono una sfida alle norme sull’igiene è
la prova che quei succhiasangue non si curano di loro.
Per tirare avanti, quei bambini devono fare carte false,
cioè cercare aiuto tra quelli che li tengono in
cattività, e qui ci sono nobili che sono disposti a far loro
piccoli favori in cambio di quella goccia in più di sangue,
come il tipo che vive sotto questo tetto. –
Marie sorrise e battè le mani:
- Complimenti Kaguya! Sei riuscita a capire tutto questo in
così pochi giorni che siamo qua! –
- Ci riesce chiunque con un po’ d’attenzione Amber.
E poi perché dai del “tu” alla signorina
Ruby, che è la nostra diretta superiore, ma dai del
“lei” al signor Obsidian? – la
rimproverò Topaz, guadagnandosi una Shard
dell’ambra che si rialzò imbronciata:
- Ti ho detto di chiamarmi Marie, non Amber! Kaguya è nostra
amica, per forza le do del “tu”, ma il signor
Obsidian mi fa paura e a me i cani non sono mai piaciuti! –
- Basta voi due! – li zittì la castana senza
però riuscire a soffocare una risata alla scenetta,
concedendosi un ultimo sorso di acqua gelida:
- Non è il momento per queste discussioni. Piuttosto, voi
come vi sentite? – chiese preoccupata: nei tre anni che
è stata assente, i suoi Shards erano stati mandati ad
allenarsi con quelli di Berillium e, conoscendo l’altro
Jewel, dubitava che li avrebbe ritrovati come li aveva lasciati.
Berillium aveva addestrato anche lei prima che potesse scendere sulla
Terra, ma ogni giorno le era sembrato una sfida alla sopravvivenza: il
Jewel del berillio era noto per essere la violenza incarnata con tutti
meno che gli altri Jewels, ed i suoi stessi Shards che ormai erano
capaci di gestire e sopportare il suo comportamento. Con tutti gli
altri, non passava giorno che non andasse a cacciarsi nei guai durante
lavoro, in particolare coi Geodes che ogni volta cercava di farlo a
pezzi, impresa quasi impossibile, ma Berillium non ne usciva comunque
mai intero… L’età forse cominciava a
fare effetto anche a lui. Non sembrava avere che poco più di
vent’anni, ma le era stato riferito che tra non molto sarebbe
stato più vicino ai quaranta che ai trenta.
- Ancora come al solito, però si preoccupano un
po’ troppo Amethyst e i suoi Shards: non è che il
fatto di “sparire non appena diventi un semplice ingranaggio
nel meccanismo” o come lo chiamano loro succede subito.
– disse noncurante Amber, rigirandosi una ciocca di capelli
tra le dita.
- Vorrei tanto che il signor Berillium mettesse un po’ il
freno ai suoi modi però: gli unici rimasti quasi indenni
siamo noi, ma solo perché abbiamo usato tutto il potere
delle pietre per diventare shinigami completi… Gli altri
Shards della fazione rossa non si sono ancora ripresi del tutto.
– spiegò Topaz, per poi aggiungere:
- Il signor Obsidian però era spesso presente come
supervisore degli allenamenti: non appena ha visto come si evolveva la
situazione, ha predisposto che alcuni Shards della fazione verde e lo
stesso Berillium si facessero carico della nostra parte di lavoro
mentre noi siamo qui a Sanguinem, e che assistessero i feriti fino alla
guarigione. Non dobbiamo quindi preoccuparci di quello che succede
fuori dalla città. –
Stavolta fu il turno di Kaguya di spalancare gli occhi sorpresa, ma si
ricompose subito dopo e disse infastidita:
- Non parlare di lui con quel tono formale Topaz. Quello è
uno Shard che non capisce quale è il suo posto, soprattutto
perché è fin troppo poco attento a quello che
succede fuori dalla fazione viola. Per l’unica volta in cui
gli capita di essere attento nei confronti di qualcuno che non sia la
signorina… Va beh. Rimanete sull’attenti,
perché c’è da aspettarsi di tutto da
lui. – si alzò poi, spolverandosi le calze e gli
shorts, rimettendosi gli stivali che aveva lasciato ad un lato del
divano.
Fece poi per avviarsi verso la porta, ma si fermò un attimo
per rivolgersi ai due Shards:
- Cercate di non diventare subito apatici però. Mi servite
intorno per quando mi annoio. – ghignò lei,
guadagnandosi l’ennesima espressione imbronciata (ma
adorabile lo ammetteva di Amber) ed una lieve risata da Topaz.
- Se non si vuole annoiare allora, le consiglio di seguirci. Abbiamo
incontrato la signorina Jasper in cucina poco fa e ci ha detto che un ospite speciale
è arrivato. –
Curiosa, Ruby fece cenno ai due Shards di guidarla per la magione.
Il trio ritrovò la Shard del diaspro sulla soglia della
cucina, nascosta vicino ad una colonna delle porte, spiando quello che
succedeva all’interno:
- Ehi Petra, che fai… - le chiamò Marie,
ricevendo solo un “shhh” da parte di Petra ed un
cenno di avvicinarsi.
I nuovi arrivati fecero quanto detto, e videro una bambina bionda che
stava mangiando un pasto come quello che aveva ricevuto Ruby:
- E quindi? È per caso lei uno dei bersagli? –
domandò Alan
- Sì. Da quanto ho visto e da quello che le ha detto
Bathory, sembra passare qua abbastanza spesso. E altra cosa: toglietevi
le lenti a contatto. – ordinò loro Jasper
Fatto quanto detto, i tre notarono subito qualcosa di irregolare
riguardo la bambina:
- “Nome: Mikaela Hyakuya” e qui tutto a posto, ma
che ha il numero dei giorni rimasti!? – chiese stupita Maria,
notando che il numero continuava a scendere e salire manco fosse una
slot impazzita.
- Chissà... Qualcosa potrebbe ancora cambiare riguardo alla
sua data di morte… O forse è solo una delle
famose “interferenze” nell’ordine degli
eventi di cui parlava Obsidian? – si domandò Ruby,
gli occhi non intenzionati a staccarsi dalla bambina che intanto si era
alzata (non senza prima prendere diversi altri alimenti con
sé e metterli in una borsa) e si era avviata verso la porta,
fermandosi però vicino a loro; tuttavia, scosse la testa e
se ne andò via in fretta, per quanto glielo permetteva
l’anemia: quel poco che aveva mangiato non le avrebbe fatto
recuperare subito le forze, ma era chiaro non volesse stare sotto lo
stesso tetto del nobile vampiro più del dovuto.
- è come l’altra volta… -
mormorò la Jewel, facendo voltare gli Shards verso di lei:
- Che intende? L’ha già vista prima? –
chiese Topaz, voltandosi ad osservare la bambina che stava sparendo nel
corridoio illuminato dalla luce soffusa delle lampade che gettavano
ombre sul rosso e l’oro che caratterizzavano muri e
tappezzeria dell’abitazione.
- Sì, il primo giorno che sono arrivata qua: lei e
l’altro bersaglio mi sono letteralmente finiti addosso, ma a
differenza del suo amico che non sembra essersi accorto di me, lei
è riuscita a vedermi. La storia che la sua morte
è vicina dovrebbe essere vera, ma rimane il fatto che
qualcosa sta interferendo o il numero dei giorni non si comporterebbe a
quel modo. – dedusse la castana, cominciando a fare ampi
passi per seguire la bambina:
- Io vado con lei. Voi intanto cercate informazioni su Ferid Bathory e
gli altri vampiri: ho mandato un messaggio a Sapphire stamattina,
quindi tra non appena potrà dovrebbe mandarvi qualcosa su
cui effettuare qualche ricerca. Ci servirà se quei
succhiasangue diventeranno un intralcio. – ordinò
lei senza voltarsi, per poi scomparire nel corridoio.
Amber corse quindi sopra per le scale (poteva usare le ali e volare
fino all’ultimo piano ed attraversare i muri senza problemi,
ma era meglio evitare se c’erano bambini intorno che li
potevano vedere), ma Topaz si fermò non appena si accorse
che la Shard del diaspro non li stava seguendo.
- Dove sta andando, signorina Jasper? – domandò
lui.
- In città, giusto a fare quello per cui siamo venuti qua.
Solo perché ci siamo noi, non vuol dire che non manderanno i
Geodes… E preferirei non dover avere ancora a che fare con
loro. – affermò lei, toccandosi la spalla destra:
c’era una cicatrice in quel punto, ricordo di uno dei suoi
primi lavori come shinigami. Un Geode stava per divorare
l’anima del bersaglio ed era cominciata una lotta quando lei
si era messa in mezzo: non era ancora abbastanza esperta da gestire un
confronto, così quando quel Geode aveva deciso di fare di
lei il pasto del giorno, non aveva avuto scelta se non versargli
addosso uno speciale liquido che aveva sì danneggiato il
Geode abbastanza da farlo andare via, ma le aveva bruciato una spalla e
lasciato un’escoriazione che non era mai guarita. Da allora
cercava di evitarli, ma fortunatamente non le capitava spesso di
incontrarli.
- Molto bene, capisco. Cerchi di fare attenzione allora. – le
augurò lui; fece per avviarsi per le scale, quando fu
l’altra a fermarlo:
- Solo una cosa: perché dai del “lei” a
tutti meno che a Marie? –
Lo sentì soffiare infastidito prima di rispondere:
- Lei non è una persona a cui sono obbligato a portare
rispetto. È solo una “Amber”.
– rispose lui senza peli sulla lingua
- Ehi!!! – protestò la Shard dell’ambra
dai piani superiori, facendo rincamminare Alan per raggiungerla e
cominciare a lavorare.
Jasper si lasciò sfuggire una risata prima di uscire dalla
magione:
- Ahahah. I ragazzi d’oggi… è bello
vederli così vivaci. –
Nel giro di qualche minuto, Kaguya era già fuori
dall’abitazione, intenta a rimanere pochi passi dietro la
bambina; non aveva spiccicato una parola, ma non era nemmeno tanto
convinta se questa Mikaela fosse riuscita davvero a vederli oppure
avesse solo uno spiccato sesto senso, per cui si limitò a
seguirla nei quartieri di Sanguinem, passando dalla parte dei ricchi
alle case lasciate a loro stesse dei donatori di sangue che non erano
troppo diversi dall’attico della magione Bathory: insetti,
polvere e mancata cura erano gli unici a fare compagnia a chi ci
viveva. Non le dispiaceva l’architettura tanto simile alla
città Chroma e agli altri borghi del mondo degli shinigami,
ma quella parte della città le sembrava
invivibile… Come pensavano i vampiri di tenere a lungo
lì quei bambini se li lasciavano in quei posti? Va bene
stabilire subito una gerarchia se deve essercene una, ma questo
è oltrepassare i limiti… O forse era lei troppo
abituata ad un minimo di lusso a villa Akagi?
In ogni caso, il suo silenzio non durò per sempre
perché arrivate nei pressi di un’arcata fatta di
tubature vicino ad uno strapiombo, Mikaela cominciò a
barcollare (come aveva fatto per molte volte durante la camminata) e il
suo passo cedette, così Kaguya prese una rincorsa e la
raggiunse con un paio di ampie falcate, afferrandola e togliendole la
borsa che pesava non poco; la bambina dagli occhi blu leggermente
oscurati a causa della stanchezza mise non poco a capire in che
situazione si trovava: un’estranea vestita in modo insolito
(chiaramente non una dei donatori di sangue anche perché
sembrava troppo grande per esserlo) la stava tenendo stretta, la borsa
col cibo preso dalla casa di Ferid in un’altra mano e quella
che sembrava una spada legata ad una cintura. Il primo istinto fu
rialzarsi ed andarsene da lì, ma si sentiva troppo debole;
inoltre, il motivo per cui era andata da Ferid era per il contenuto
della borsa e non poteva lasciarlo andare lì, ma gli occhi
rossi della ragazza più grande sembravano suggerirle che
rimanere non fosse nemmeno la cosa più saggia da fare.
Indecisa sul da farsi, alla fine vide solo un’altra
possibilità in quella situazione:
- P-per favore, mi… Mi lasci andare, signora vampira.
– disse in preda ai tremori che più volte durante
la camminata la avevano quasi fatta finire con la faccia a terra, o
(peggio ancora) addosso a delle guardie vampire che di certo la
avrebbero mandata via con una calcio, andando a far sprecare il
contenuto della borsa.
La castana allora notò che stava stringendo troppo il
braccio della bambina e che l’altra non aveva staccato lo
sguardo dalla katana Red Lily; lasciò quindi andare
delicatamente la presa sulla spalla ma senza mollarla completamente per
non far finire a terra la biondina, rimuovendo intanto la spada dalla
cintura che cadde per terra ancora infoderata; fatto questo,
s’inginocchiò, guardandosi intorno per assicurarsi
che nessuno le stesse osservando, e si rivolse nuovamente alla biondina:
- Quindi te riesci a vedermi? – le domandò,
fissando gli occhi rosso castani da shinigami in quelli blu mare
dell’altra, o forse quel colore era una tinta più
sull’azzurro del cielo? Non ne era tanto sicura…
Ma che stava andando a pensare?!
La bambina si limitò ad annuire confusa, gli occhi
però non fissi in quelli dell’interlocutrice, ma
sulla borsa:
- La rivuoi immagino. – allungò quindi la borsa,
riportandola verso di sé quando Mikaela provò ad
afferrarla, il tentativo la fece solo diventare meno stabile sui suoi
stessi piedi.
Ruby prese quindi con la mano libera la katana, allungandola verso la
bambina che si era come pietrificata, magari aspettandosi che la
castana sguainasse la spada e minacciasse di usarla contro di lei
Sospirò quindi irritata, e
s’inginocchiò:
- è già la terza volta che succede, quindi
immagino non sia un caso. Tanto per cominciare, io non sono una
vampira, ma un’umana. – sentì Yuri
ridere nella sua testa a quell’affermazione
(“umana” era proprio qualcosa che non era da anni
ormai, forse anche prima di diventare shinigami: non era
chissà quanto convinta che una bambina che andasse in giro
con l’obbligo di assassinare gente a sangue freddo
corrispondesse alla comune definizione di “essere
umano”).
- Io per ora vivo nel posto in cui sei andata oggi… So
quello che fai lì. – la bambina
spalancò gli occhi e guardò dietro di
sé, imitando il gesto precedente di Kaguya per assicurarsi
che nessuno ascoltasse.
- Non c’è nessuno qua, ma scommetto che il bambino
con cui ti ho vista qualche giorno fa non sarebbe tanto contento.
È ovvio che a nessuno piace restare in questa specie di
discarica, ma era un po’ troppo agitato per uno che se ne
starà fermo se sa che doni il sangue a quel nobile, per
cui… - rimise la katana a terra per battere le mani,
sforzando un sorriso convincente:
- Facciamo così: io non gli vado a dire quello che fai al
tuo amico, “Yuu-chan” o comunque si chiami, e tu
stai zitta riguardo al fatto che vivo nella stessa magione di quel
tipo. - quella lieve minaccia era solo per vedere come reagiva, ma non
ottenne alcuna reazione: Mikaela era ancora intenta a fissare la borsa
del cibo, ora vicina ai piedi della ragazza più grande che
si era inginocchiata poco prima; Kaguya quindi sospirò, le
lanciò la sua spada, riprese in mano la borsa e e riprese a
camminare:
- Allora? Dove vivi te? – le domandò, e la bambina
sembrò riprendersi dallo stato di trance in cui era finita
quando la spada le era finita in mano. Yuri si era già messo
al lavoro sembrava…
- Se hai tanta paura che ti faccia del male, puoi tenere la mia katana
finchè non arriviamo a casa tua. La borsa te la porto io: ho
visto che fai fatica a reggerti in piedi, e una zuppa ed un tozzo di
pane di certo non ti rimettono in forze. –
Mikaela allora la raggiunse lentamente ed insieme si avviarono verso i
quartieri dei donatori di sangue dopo un’altra oretta buona
di camminata; la biondina aveva minacciato di cadere un paio di volte,
ma la shinigami era arrivata subito a sorreggerla. Si stava annoiando
però di quel silenzio:
- Sei proprio un’ingenua sai. – la bambina quindi
si paralizzò, voltandosi verso il Mietitore, anche stavolta
più confusa che spaventata.
- Ti sei avvicinata ad un nobile malgrado il rischio che ne comporta.
Ti sei avvicinata a me anche se ti ho detto che non sono una vampira
quando avrebbe potuto benissimo essere una bugia. Hai tenuto la mia
katana pur consapevole che me la posso riprendere quando voglio e
tranciarti la gola. Sei coraggiosa… O forse solo molto
sciocca… -
- Lo so. – mormorò lievemente l’altra.
Finalmente una parola in cui non sembrava intimorita.
- Yuu-chan [2] è fatto così. Non gli piace stare
qua, ma non abbiamo molta scelta: continua a dire che la
farà pagare ai vampiri un giorno, ma non è
possibile che un umano possa sconfiggere un vampiro. Possiamo solo
continuare a vivere qua… Intanto io farò
ciò che posso per supportare la mia famiglia. Anche se devo
fare lavori sporchi per questo… -
- Per “famiglia” immagino altri bambini. Tutti gli
adulti nel mondo sono morti. – si diede mentalmente della
bugiarda: Yuri le aveva dato notizie interessanti. A quanto pare era
stato utile che Obsidian lo avesse preso… O forse quel cane
nero era diventato abbastanza gentile da lasciarle indizi per rendere
il suo lavoro e le sue giornate più interessanti? E se
quello che aveva sentito era vero, esistevano umani che potevano
sconfiggere i vampiri… Peccato fossero a chilometri e
chilometri da lì, oltre ad essere sicuramente in un posto
più pulito ed illuminato.
- Mh mh. I miei fratelli e sorelle dell’orfanotrofio. Tra i
vampiri, Ferid-sama [3] è un nobile. Se gli do il mio sangue
in cambio, mi dà quello che voglio: è
così che posso portare del cibo alla mia famiglia. Non
riusciamo ad andare avanti chissà quanto con quello che ci
danno i vampiri. –
- Non fatico a crederlo. Basta vedere anche solo il posto in cui
abitate… -
- Per ora va bene così. –
- “Per ora” continui a ripetere. Vuol dire che tra
un po’ non sarà più così?
–
L’altra non rispose subito, rabbuiandosi un attimo, ma poi
tornò subito a sorridere:
- Yuu-chan è convinto di poter battere i vampiri. A volte
convince un po’ anche me di questo… Io intanto
faccio solo da supporto: per andare avanti qua bisogna essere svegli.
Lui non lo è molto a dire il vero, ma deve continuare a dare
speranza ai nostri fratelli e sorelle e… Oh! Siamo arrivati!
– una casetta ancora lasciata a sé stessa, uguale
alle altre: Kaguya quindi lasciò a Mika la borsa e fece per
andarsene, ma fu fermata dall’altra:
- Non la rivuoi? – le chiese, porgendole la katana, ma
l’altra fece “no” con la testa:
- Ho idea che ci rivedremo presto. Puoi tenerla te fino ad allora, ma
cerca di non farla vedere a Yuu-chan o gli verrà
l’idea di usarla contro i succhiasangue. – estese
quindi la mano verso la spada senza afferrarla, ma lasciando scorrere
l’energia della pietra rossa nella sua mano per
rimpicciolirla finchè non diventò grande quanto
un coltello svizzero.
L’altra la guardò stupefatta e Kaguya
ridacchiò:
- Che c’è? Non sai che le ragazze sono capaci di
far magie quando vogliono? – ridacchiò lei.
Mika annuì tranquilla, ma quando fece per aprire la porta,
fu fermata ancora dalla shinigami:
- Non vorrai mica entrare in quello stato spero. –
constatò Kaguya, e la biondina subito capì a cosa
l’altra si stava riferendo: il marchio lasciato dal morso di
Ferid sicuramente era ancora lì. Presto si sarebbe formato
un livido, e l’uniforme che i vampiri facevano indossare al
bestiame lasciava scoperta spalle e collo quando bastava da lasciare il
segno in bella vista.
- Stai ferma. – le ordinò il Triste Mietitore,
mentre la sua mano sfiorava il segno del morso ed energia rossa
scorreva sulla spalla della bambina. Pochi secondi dopo, Ruby tolse la
mano, sorridendo tra sé e sé nel constatare che
la spalla era di nuovo sana e candida.
- A posto ora. – lasciò quindi la borsa per terra
e cominciò a frugare nella sua tasca; quando
trovò che cercava, prese la mano libera di Mika e le diede
ciò che aveva in tasca: la mela avanzata dal suo pranzo.
- Consideralo un grazie per la chiacchierata. – fece quindi
un paio di saltelli indietro e s’incamminò:
- Alla prossima Mika-chan! Ci vediamo alla magione di Ferid!
–
L’altra cercò di chiederle come conosceva il suo
nome, ma Kaguya era già sparita, obbligata però a
sentire Yuri che si lamentava: malgrado lui fosse sigillato nella
spada, il loro contratto prevedeva che le loro menti rimanessero
collegate anche nel malaugurato caso in cui fossero costretti a
separarsi; per ora, lui era la sua garanzia che avrebbe rivisto quella
bambina e che le potesse dare qualche informazione interessante su di
lei: interferenza o meno, non aveva mai visto anime che si comportavano
a quel modo.
- Mhmhmhmh ~ ♪ … Lalala ~ ♫ … I found you, my
dear fairy with eyes of blue ♥. I bid you good night ~.
Enjoy my treat and a nice chat with my little devilish friend. Fufufu ~
♥ [4] -
Era un pò che non si sentiva così di buon umore
da canticchiare: di certo il sogno che Mika avrebbe avuto quella notte
sarebbe stato interessante e diverso dal solito.
[1]: “Come osa LEI
dare ordini a ME?!
Dovrebbe essere il contrario! È LEI che dovrebbe
ascoltare ciò che IO
ho da dire!”
[2]: “-chan” è un sufisso onorifico
giapponese che corrisponderebbe ad un diminutivo del nome, ma
è utilizzato sia tra adolescenti ed adulti per indicare
amicizia e confidenza tra i due interlocutori. È usato in
connotazioni meno strette tra le ragazze, mentre nelle coppie o tra
parenti (più grandi nei confronti dei più
piccoli) indica affettuosità od intimità, e tra
soli ragazzi ha una connotazione ironica o deriva da una lunga
amicizia.
(fonte: wikipedia-suffissi onorifici giapponesi)
[3]: “-sama” è un suffisso onorifico
giapponese che è usato soprattutto per riferirsi a persone
di grado più elevato rispetto a sé stessi od a
persone che si ammirano.
(fonte: wikipedia-suffissi onorifici giapponesi)
[4]: “Mhmhmhmh ~ ♪ … Lalala ~ ♫ … Ti ho
trovata, mia cara fatina dagli occhi blu ♥. Ti auguro buona
notte ~. Goditi il mio regalo ed una buona chiacchierata col mio
piccolo diabolico amico. Fufufu ~ ♥”
Angolo
dell’autrice
Non ve lo aspettavate immagino, la shinigami che doveva solo spiarli va
a finire per parlare con uno dei bersagli.
Aspettatevi altre scene con insieme a Mika e Yuu prima della rientrata
in scena di Ferid.
Spero che vi siate goduti il capitolo e che magari vogliate lasciarmi
un piccolo commento.
Alla prossima pagina della storia.
Crow
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3423674
|