Le pagine della mia storia... L'inchiostro delle loro vite

di Soul of the Crow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The first page: the night of the Apocalypse ***
Capitolo 2: *** The second page: red-clad young girl ***
Capitolo 3: *** The third page: through the night until dawn ***
Capitolo 4: *** The fourth page: inhabitant of the other shore ***
Capitolo 5: *** The fifth page: the world engulfed in the mist ***
Capitolo 6: *** The sixth page: meetings and partings ***
Capitolo 7: *** The seventh page: red apple and sea blue ***



Capitolo 1
*** The first page: the night of the Apocalypse ***


The first page: the night of the Apocalypse




Buio…



Tenebre…



Oscurità…



In ogni momento, che sia una mattina luminosa oppure la notte più scura, uno spiraglio di buio rimane ovunque… Nell’ombra di un albero su un marciapiede o in un vicolo ben nascosto dai grattacieli più alti ed altro ancora, ma tutti questi piccoli pezzi d’oscurità alla fine sono insulsi, insignificanti…

Perché? Perché rimangono sempre negli stessi posti, ogni singolo giorno che passa… O forse perché hanno il semplice difetto di essere unicamente quello che sono. Nulla di più, nulla di meno.

Quale è un esempio di “buio” che ha significato allora? È qualcosa di più importante, ma facile o difficile da gestire allo stesso tempo: le emozioni delle persone.
Ne esistono di positive, come felicità, gioia, coraggio, spensieratezza, le quali possiedono però un opposto, una corrispondente negativa: tristezza, odio, paura, angoscia… C’è chi le mostra tutte quante alla luce del Sole senza avere timore, ma molte persone non vogliono mostrare alcuna forma d’insicurezza di fronte agli altri, soprattutto di coloro che ti stanno più vicino. Si prova ad essere forti, a non farsi spaventare, a non farsi intimorire, ma è tutto inutile: si può solo dissimulare la propria ansia, la propria infelicità, poiché tutte queste emozioni negative, la “Notte” di ogni persona, l’altra faccia della medaglia, rimane sempre. Resterà celata a tutti, meno che a noi stessi, ma su una cosa si può stare sicuri: tornerà… Quando meno ce lo aspettiamo.
Certo, non si è mai troppo contenti di avere paura o essere arrabbiati per qualcosa, ma tutti questi sentimenti, che siano positivi e negativi, belli o brutti, che vorremmo avere o di cui ci piacerebbe sbarazzarci, sono sicuramente tutti importanti. È una caratteristica che ha sempre distinto le persone, rendendole diverse da oggetti inanimati o animali guidati da semplici istinti di sopravvivenza ed autoconservazione, e che non dovrebbero mai perdere o sacrificare… Per nessun motivo.
Già… Gli “esseri umani” ... “Loro” … Non tutti uguali ma nemmeno troppo diversi: non è raro infatti che, su molti aspetti, si dimostrino deboli, insignificanti, avidi ed assetati di gloria e potere, ma ognuno di loro vive la propria vita, attimo per attimo, senza mai sprecarsi.


Come li invidiava…


Già, quel sentimento dolceamaro che si prova quando si vuole una qualità altrui solo per sé, uniti ad una punta di aspro disprezzo per chi invece possiede già quelle caratteristiche. Riflettendoci un attimo è quasi ironico: lei invidia qualcun altro… “Invidiare” … Non è certamente nulla di bello, ma è sempre un’emozione… Quando lei non dovrebbe già più doverne provare.


Non da quella fatidica notte… Non dall’incontro con quell’essere che ha cancellato ciò che aveva… Non dopo che una seconda entità le ha tolto anche quel poco che le era rimasto…

Proprio vero che nella vita non si può mai essere sicuri di nulla.


Gli umani credono di essere gli unici ad esistere, ad avere una qualche importanza nel loro piccolo mondo, ma è proprio in questo che si sbagliano di grosso: altre creature si annidavano nell’ombra, in attesa del momento buono per emergere e far sentire che c’erano… Da dove provengono? Dalle diverse fedi, che appartengano alla religione o al semplice occulto, che hanno spinto gli umani a credere che in qualcosa che loro non possono vedere o raggiungere, se non quando sarà giunta l’ora del loro giudizio. Sta ad ognuno decidere se avere fiducia che i loro credo si avverino oppure rimangano semplici dicerie senza fondamento.


Se si fermava un attimo a ripensarci, lei non aveva mai creduto tanto all’esistenza di entità ultraterrene (divinità, spiriti o simili per intenderci), almeno finché non vide una di quelle leggende divenire realtà davanti ai suoi occhi. Quella leggenda possedeva diversi colori, che lei non era riuscita a dimenticare… e che tuttora odiava. Quel mito era di colore rosso, come i gigli ragno dello stesso colore che fiorivano nel suo giardino in tarda estate… Bianco argentato, come la Luna che in quel momento illuminava un cielo blu rannuvolato… E nero, come le tenebre generate dai sentimenti più malvagi che possano esistere… Non aveva né un buon profumo né un bell’aspetto, ed aveva potuto confermare che non fosse animato da buoni propositi: quell’essere è stato l’inizio della sua sventura, di un cammino lungo pochissimi anni che l’ha portata dov’è ora, una strada che ha avuto inizio quando una seconda persona l’ha aiutata a non essere spazzata via, ma che in cambio le ha portato via qualcosa di fin troppo importante…
Quella che era la vittima di allora è andata avanti, in attesa del momento adatto per rincontrare chi la aveva rovinata, ma anche aspettando qualcosa che potesse distrarla da quella situazione di tranquillità andatasi a creare… Non che la calma le dispiacesse, ma c’era dell’anomalo in quel momento: quella quiete era qualcosa di stagnante, come l’acqua di un lago rimasta troppo tempo senza pioggia o vento a incresparla un po’. Era qualcosa di forzato… Oppressivo… E lei non ce la faceva più.


Chi è lei?


Lei era qualcuno che sapeva cosa fosse diventata, ma ormai non era più troppo convinta di sapere chi era, che tra l’altro sono due cose diverse; tuttavia, erano accadute così tante cose in troppo poco tempo che nell’immediato non si era proprio capacitata di cosa era successo, ma non è il momento di ripensare al passato che pareva divertirsi a tornare a visitarla ogni anno nella stessa notte in cui avvenne il fatto. Forse cosa le è successo verrà raccontato più in là, anche perché ora non è il momento adatto eppure si tratta di una parte irrinunciabile del poco o nulla che le rimane.
Per il momento, è sufficiente sapere che si trattava di qualcuno che si è ritrovato schiacciato da quella assurda calma, nella quale era sprofondato anche il luogo in cui si trovava: quello spazio immenso, immerso nel buio e normalmente privo di qualsiasi cosa che non fosse acqua limpida e pulita, ospitava ora un’unica figura, longilinea e candida come la neve. Non un’imperfezione su quella pelle bianca, se non un piccolo neo sotto un occhio ancora chiuso; sospesi sulla superficie di quello specchio liquido e trasparente, vi erano ciocche castane che parevano ondeggiare ed allungarsi ad ogni lieve increspatura dell’acqua come tante braccia che si alzano verso il cielo verso un punto indefinito.
Non vi era niente capace di turbare quella persona, quella giovane ragazza. Niente…


Tranne questo.


Da un punto imprecisato si sentirono urla che invocavano un aiuto che non sarebbe mai giunto, mentre i clacson incontrollati degli autoveicoli, schianti e rimbombi insopportabili alle orecchie di lei ruppero il silenzio solenne che aveva avvolto quella stanza nelle sue spire come un serpente velenoso dal morso fatale… Probabilmente l’essere stati morsi da un serpente sarebbe stato qualcosa di più rapido e migliore di quello che stava succedendo di fuori; in ogni caso, lei non ne sarebbe stata condizionata perché ormai perfino il veleno di un cobra non la avrebbe ammazzata.
Ancora intrappolata dagli ultimi residui di tranquillità che aleggiavano in quel luogo, come dimentica del caos che si stava quasi sicuramente scatenando di fuori, la figura aprì con una lentezza impossibile gli occhi, mostrando due zaffiri che ora osservavano pigramente il cielo: si aspettava di vederlo color blu mare e d’argento lunare, ma purtroppo per lei non era così perché era stato macchiato da screziature rosso sangue; un movimento lieve nell’acqua, quanto il vorticare di una piuma che si posava per terra, e numerosi gigli ragno rossi comparvero sopra la sua testa, andando a macchiare quello specchio trasparente illuminato dall’astro notturno ed i capelli di lei.


Era arrivato il momento…


Alzò pacatamente un braccio, con attenzione, quasi con timore che un movimento troppo brusco potesse rovinare ulteriormente la quiete già dissipatasi, e lasciando che uno dei fiori si posasse sulla sua mano, mentre ella stessa si alzava, sempre lentamente, quasi a non voler lasciare il posto dove prima dormiva placidamente. Al contatto dell’aria fredda della notte con la sua pelle nuda e umida, la ragazza rabbrividì leggermente, avvicinando alle proprie labbra il fiore che ora reggeva con entrambe le mani: chiuse gli occhi, sfiorando con tenerezza quei petali sottili che tanto aveva amato e detestato durante la sua breve vita; nel mentre di quel gesto innocente, un velo dell’acqua in cui prima era immersa si sollevò, andando a circondare il corpo di lei in una spirale trasparente. Il tempo di un battito di ciglia e l’acqua non c’era più, sostituita da un telo sottile a coprire le magre forme della ragazza alla Luna che la aveva osservata per tutte quelle lunghe ore. Intanto, una voce si fece largo nel silenzio, o piuttosto nella mente di lei:
- “L’ora è giunta, signorina”. –
Una voce fresca e pulita, come una brezza mattutina, appartenente ad un ragazzo. Nessun intento nascosto o gioia di farsi sentire: c’era solo per informarla.
- Lo so. Ora che ho scontato la mia sospensione è finita, mi devo dare da fare. –
Le sembrò di udire l’altra voce sogghignare prima di risponderle:
- “Esattamente. E… - la frase rimase sospesa a metà, ma la castana non se ne curò troppo perché in quel momento diversi dei fiori poggiatisi sull’acqua si sollevarono e, spinti da una strana corrente ventosa, andarono ad attorniare l’occupante della stanza che, inaspettatamente, si ritrovò con la vita bloccata da due braccia di una sorta di fumo rossastro e petali. Una delle mani però la lasciò subito, solo per prenderle dalle mani il fiore rosso e avvicinandolo nuovamente al viso di lei:
- “Quale notte migliore di questa potevano darti per ricominciare?” – ricominciò la voce maschile.
La ragazza non gli prestò troppa attenzione (perché ascoltarlo se aveva già intuito che volesse dirle?), troppo intenta ad osservare il fiore che le aveva avvicinato: i petali si stava lentamente scolorando, come se quel fumo che ne stesse assorbendo il colore. In pochi attimi, un bianco puro aveva preso posto su quei petali, facendo accigliare gli zaffiri e convincendo la ragazza a volgere lo sguardo al cielo:
- “Mh. Sono passati quattro anni e questi colori ti fanno ancora questo effetto? Intendi farmi annoiare?" - se prima non vi era ombra d’emozione nella voce, ora si notava una nota d’irritazione mista a scherno.
La castana si lasciò scappare una risatina e provò a girarsi leggermente, non sorpresa di trovare una figura della stessa materia di cui erano fatte le braccia.
- Credevo non ti dispiacesse vedermi turbata per qualcosa. Non è una delle cose per cui quelli come te vivono in fondo? - rispose lei sarcastica. In realtà non aveva tanto voglia di quei giochetti (là fuori poteva già essere accaduto qualcosa d’interessante e non voleva perderselo dopo quei lunghi mesi di sospensione), ma era l’unico modo per affrontare quello che da quattro anni era diventato il suo partner.
- “Può anche darsi. E tu farai bene a ricordarti il nostro accordo. Non sono diventato il tuo compagno per niente”. - era incredibile: bastava poco o niente per fargli perdere un po’ le staffe, ma si ripeté che non andava bene: aveva capito che stava pensando. O lei teneva la mente chiusa a chiave con tanto di lucchetto, o lui avrebbe fatto molto peggio.
- Certo che non mi sono dimenticata, ma mi auguro che anche tu sia di parola: nemmeno io ho deciso di diventare tua compagna senza nulla in cambio. – liberato un braccio, provò a dare una gomitata al fumo dietro di lei, il quale si scompose subito e la lasciò libera:
- Ora però dobbiamo andare. Ho idea che stia succedendo qualcosa di grosso là fuori. - s’incamminò quindi verso l’uscita della stanza, ma le braccia di fumo la avvolsero ancora e stavolta non era semplicemente per immobilizzarla: era qualcosa di più languido e possessivo, quasi ansioso…
- “Oppure possiamo restarcene qui ancora un po’. È da quando i tuoi superiori ti hanno sospesa che non sento le urla convulse degli umani… - un sospiro di piacere proruppe dalla voce maschile, mentre fuori i rumori si facevano sempre più forti ed incessanti:
- “è sempre bello vedere quegli insulsi esseri andare incontro ad un tormento. E credo proprio che questa volta ci sarà davvero da divertirsi… Almeno quanto lo è stato l’ultimo lavoro”. –
Lei però emise uno sbuffo scocciato e, con un po’ più di fatica, si liberò nuovamente dalla presa e s’incamminò quanto più velocemente verso una porta che la condusse in un piccolo spogliatoio; una volta lì, con uno schiocco di dita il telo da bagno non c’era più, sostituito dai suoi “abiti da lavoro”: si trattava di un kimono bianco che però le arrivava non alle caviglie ma a metà coscia, tenuto stretto in vita da una fascia rossa che si chiudeva sulla schiena con un grosso fiocco. Inoltre, il kimono le lasciava scoperte le spalle, che però rimanevano celate da una maglia nera. Per terminare con la parte superiore, aveva un girocollo rosso scuro e un nastro dello stesso colore tra i capelli; per la parte inferiore, teneva una semplice gonna di seta nera le arrivava fino alle ginocchia e, per completare il tutto, calze rosse e sandali con tanti lacci bianchi. I gigli ragno non la avevano abbandonata ancora: erano presenti in diversi colori sulle varie parti del vestito, neri sul kimono, rossi sulla gonna e bianchi sulla fascia legata in vita.
Poco dopo la figura di fumo, passando dalla fessura sotto la porta, entrò nella piccola camera:
- “Hai dimenticato qualcosa di là”. – detto ciò, allungò un braccio per posare sul laccio per capelli della ragazza il giglio ragno bianco che le aveva sottratto prima.
- “Ih ih. Fai spesso i capricci perché quei colori non li puoi vedere, ma continui a metterli? O sei strana, o ti comporti proprio come una bambina”. -
Lei non lo calcolò minimamente ed uscì, ritrovandosi in un lungo corridoio, ma per quanto velocemente potesse camminare, il fumo non la lasciava nemmeno un minuto:
- Ufff… Che altro vuoi? Sai bene come funziona con me! O mi aiuti o te ne resti comodamente qua, tanto non credo che per te faccia differenza. – rispose scocciata lei, cercando però di darsi un minimo di tono. Non poteva di certo scoppiare per qualcosa che accadeva ogni singola volta che ricevevano un incarico.
- “Primo: m’importa molto di quello che ti succede, anche perché se muori io mi ritroverò con un pugno di mosche tra le mani. Secondo: sappiamo entrambi che non riusciresti a fare chissà cosa là fuori senza il mio aiuto. Certo, per svolgere il tuo lavoro normalmente potresti, ma non per portare avanti la tua piccola questione personale”. – la castana continuava a ripetersi nuovamente di non dare corda alle sue parole, anche se spesso quello si comportava come i primi giorni in cui si erano conosciuti: irritante come non sapeva più cosa fino al midollo. A volte si chiedeva davvero chi fosse l’adulto tra loro due, ma all’altro non sarebbe comunque importato questo.
Si girò verso il suo interlocutore (perché ormai era chiaro che la voce nella sua testa proveniva da quella massa informe rossa), ma prima che potesse anche solo fiatare, lui le mise un dito davanti alle labbra e le avvicinò un foglio di carta scritto al volto:
- “E terzo, per ordine d’importanza naturalmente: dove credi di poter andare senza nemmeno sapere il dove ed il quando succederà quel che sai?” – rispose lui sarcastico come al solito.
Lei allora sospirò sconfitta e, scacciando la mano di lui che aveva vicino alle labbra, allungò la propria per prendere il foglio, quell’oggetto sottile, delicato e nostalgico: profumava di casa, ma anche del lavoro che ora doveva compiere. Per un motivo che non seppe spiegarsi, s’intristì nel leggere quell’unica frase, ma scosse la testa per scacciare quel pensiero e, girandosi nuovamente, riprese a camminare, sussurrando:
- Come to me, my sword. –
Udita la frase, il fumo si avvicinò nuovamente, stavolta avviluppandosi intorno ad un punto della fascia rossa, scomparendo sotto l’indumento.
Il foglio era già stato lasciato andare, dimenticato da colei che ormai sapeva dove andare: il primo luogo che avrebbe visitato dopo quei lunghi mesi di tedio.  


Orfanotrofio Hyakuya. Ore 24.00. 25-26 Dicembre 2012.




Angolo dell’autrice
Come prima cosa, piacere di conoscervi: sono nuova del fandom, ma non di EFP. Mi chiamo Crow. Lo so che avrei fatto meglio a non scrivere subito quel capitolo visto le grandi modifiche che ho dovuto fare, ma ho in mente questo tentativo da un po’ e intendo provare a portarlo a termine (impegni permettendo ovviamente). Salvo imprevisti, dovrei riuscire a postare almeno una volta ogni 2 settimane (nei casi peggiori s’intende, ma si vedrà).
I personaggi comparsi qui sono due miei OC, ma non preoccupatevi perché compariranno anche i nostri protagonisti di Owari no Seraph. Premetto che ci saranno vari salti temporali sia in avanti che indietro, ma certe cose mi perderei troppo a spiegarle in dettaglio.
Fatte queste premesse, vi saluto.
Alla prossima pagina della storia.
Crow

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Capitolo 2
*** The second page: red-clad young girl ***


The second page: red-clad young girl




25 Dicembre 2012…



La notte della nascita del Messia…



La notte dell’avvento della sua ira sull’uomo…



La notte in cui l’umanità sarebbe stata distrutta…



La notte in cui un nuovo mondo sarebbe risorto dalle ceneri di quello vecchio…



Tutte quante pure e semplici definizioni per un unico grande evento che credeva non si sarebbe mai verificato: troppi continuavano a predicare che un giorno tale situazione si sarebbe realizzata, solo per costruire attorno a sé una propria cerchia di fedeli e portare avanti le proprie convinzioni, fingendosi all’altezza di quelli che per alcuni erano i veri profeti… I veri rami portanti della loro fede.

Un’altra persona ha ripetuto quelle parole, una persona che quattro anni prima era un umano come tutti gli altri… O che almeno avrebbe potuto esserlo: per colpa di altri aveva visto strappato dalle proprie mani ciò che contava, prendendo poi la malaugurata decisione di acquisire più potere per riottenerlo; questo suo desiderio è però presto sfociato in qualcosa di ben più insano, ma non per colpa sua, bensì per qualcosa che si agitava dentro di lei sin dalla sua nascita e che era riuscito a prendere il sopravvento sulla parte buona nel corso di pochi anni.

Che cos’era? Odio… Tristezza… Rabbia… Voglia di rivalsa… Ribellione…

Fosse stato così semplice, ma in tal caso sarebbe stato possibile fare ancora qualcosa per quella persona prima che fosse troppo tardi… Troppo tardi prima che un’altra persona compiesse un gesto ancora più sbagliato… Troppo tardi perché i destini di altri virarono verso un’unica direzione possibile, ma non è su di loro che ci si concentrerà adesso. Più avanti magari, quando la ragazza dei gigli ragno li dovrà rincontrare, perché succederà certamente…  


 - Dimmi un po’. Tu conosci la leggenda dell’Unmei no Akai ito? – disse una bambina tutta allegra quel giorno, mentre sorseggiava del buon tè offertole dalla ragazza che era lì con lei.

 - “Il filo rosso del destino” dici? Sì, me l’ha raccontata una volta mia madre. –

- Anche per me è stata mia mamma a raccontarla! Ih ih. –

- Perché hai nominato quella storiella? –

- Perché no? Non ci credi? –

- No. Come hai detto tu, è solo una leggenda… E poi ho visto quel che mi basta per smettere di credere in queste cose. –

- Umpf.-

- Ah ah. Adesso però non fare il broncio, dai. È uno spreco su una ragazzina tanto dolce e carina come te. –

- Vale lo stesso anche per te. È strano non vederti con quel sorriso ebete stampato in faccia, anche se si vede benissimo che qualcosa non va. –

- Davvero? Mh… -  

- … -

- Allora? –

- Che cosa? –

- Come mai hai tirato fuori questa storia? -

- Ah già! Quella leggenda dice che un filo rosso lega 2 anime gemelle per il mignolo della mano sinistra, no? La mamma però mi ha detto che secondo lei quel filo è importante anche per un altro motivo: anche se dovrebbe collegarti solo ad una persona, nella vita si incontrano altre persone che poi diventano importanti per te, e quelle persone poi le rincontri ancora… Senza doverti separare da loro ancora per troppo tempo. –

- … Sono parole molto belle… Ma me le stai dicendo perché dovrai trasferirti e quindi non potremo più rivederci per un po’ ? –

- Sì. Un po’ mi dispiace andarmene, ma per adesso non c’è scelta. Magari tra qualche anno riuscirò a tornare qui a Shibuya, quando i miei non avranno più troppi problemi col lavoro. –

- Va bene allora. Ci rivediamo tra qualche anno allora! Vedi di non dimenticarti di me però, eh? –

- Va bene Onee-san. Promesso! -


La castana si portò una mano davanti agli occhi, soffocando una lieve risata che le scappò al ripensare a quel discorso forse un po’ sciocco.
- “Se te lo ricordi ancora vuol dire che qualcosina per te conta ancora. Ironico visto che già da allora non eri più esattamente normale.” – le disse la voce che la aveva interrotta nella tranquillità di casa sua, ora proveniente dalla fascia che portava in vita.
- Senti chi parla: nemmeno tu corrispondi a quella definizione, anche se forse lo sei un po’ più di me visto che non sei dovuto diventare un miscuglio di progetti per il divertimento di alcune persone. - un lieve grugnito da parte della voce maschile gli fece capire che per ora la aveva vinta lei. Era diventato un po’ prevedibile dopo 4 anni di collaborazione, ma aveva ancora degli assi nella manica che ogni tanto non tardava a mostrare. Non che quello fosse esattamente il momento più adatto per pensarci…
- Allora? –
- “Eh?”
- Non mi hai ancora consegnato l’altro foglio. Quello coi nomi. –
Nessuna parola, solo parte del fumo rosso che componeva quella particolare forma del suo partner fuoriuscì da sotto la fascia, accumulandosi in un punto per formare una mano che le indicava un punto davanti a lei; quando si decise finalmente a spostare gli occhi dal cielo pieno di fumo, non comprese subito a cosa si riferiva il suo partner: dall’enorme terrazzo di casa sua, poteva vedere quella che fino a poche ore prima era una vivace cittadina ora rasa al suolo. I grattacieli e gli altri edifici erano gravemente danneggiati, ancora in preda alle fiamme come del resto tutto ciò che c’era intorno; camion ed auto erano capovolti e parevano ormai inutilizzabili, e le poche persone che riusciva a scorgere da quella posizione erano piegate a terra, immobili e senza vita.
- Volevi soltanto farmi godere la vista? Ti devo ricordare che ora abbiamo del lavoro da fare. – tagliò corto lei.
La mano allora si mise davanti ai suoi occhi, celandole la terribile vista di quello spettacolo che era soltanto un piccolo stralcio di quello che il mondo avrebbe subito da quel momento in poi, ma solo per toglierle qualcosa che le impediva di vedere davvero:
- "Molto meglio ora!" – esclamò soddisfatta la voce, mentre con la mano di fumo reggeva due oggetti piccoli e tondi.
- "Non ti eri più tolta le lenti a contatto da quando tu-sai-chi ti ha sospesa. Sai benissimo che…" - una languida e leggera carezza sulla guancia di lei, per poi avvicinarsi agli occhi:
- "... questi occhi castano-rossicci mi piacciono molto di più. E adesso puoi osservare bene quello che ti serve." - in effetti qualcosa era cambiato, fin troppo tanto che la ragazza fu tentata a sfregarsi gli occhi diverse volte per capire se ciò che aveva davanti ora fosse vero: tutto quanto intorno a lei aveva perso i colori. Grigio il cielo, grigio l’astro notturno ormai difficilmente visibile a causa del fumo dovuto all’incendio, grigi i palazzi distrutti dalle fiamme e grigi i cadaveri che giacevano sparpagliati qua e là sulle strade.
Era questo che poteva vedere con quei maledetti occhi da quando non era più normale, ma aveva dimenticato quanto fosse spiacevole e noioso: le lenti a contatto speciali le avevano permesso di tornare a vedere i colori, oltre a nascondere la sua nuova identità. Forse era l’unico regalo davvero sentito da parte di chi la aveva salvata e allo stesso tempo rovinata anni prima.
- “Se hai finito di guardare il vuoto, sposta lo sguardo su quei pezzi di carne morta.” – disse nuovamente la voce e lei obbedì: spostò lo sguardo verso un corpo ai piedi di un palo della luce piegato in due, notando che sopra di lui era comparso un nome con un numero “0” subito al di sotto che svanì subito insieme al nome. Chiunque egli fosse ormai era morto, ma comunque non le importava chissà quanto: non lo conosceva e poi se ne sarebbe subito occupati qualcun altro.
- Questo non cambia la mia domanda. Dove è l’altro foglio? - diretta e precisa come sempre. Non gli dispiaceva, ma non si sarebbe di certo fatto mettere i piedi in testa da una ragazzina.
- “A che serve? Puoi vedere i nomi dei cadaveri là sotto. Basterà raggiungere la destinazione e il gioco sarà fatto.” - ribatté lui noncurante.
La ragazza sospirò, per poi tornare a guardare davanti a sé e vedere le centinaia di nomi e durate vitali disseminate qua e là (che come nel primo caso sparirono subito dopo che le lesse) nel paesaggio ai suoi piedi. Sorrise lievemente sollevata:
- Quella persona non è tra quelle che mi sono state assegnate per stasera, vero? - chiese timorosa di sapere la risposta. Il giorno in cui era stata pronunciata la profezia sulla fine del mondo c’era anche lei, ma tutto ciò che si ricordava ora era che gli adulti sarebbero stati i primi a morire perché i più segnati dalla lussuria. Tutti gli umani sopra i 13 anni sarebbero morti… E la sua Onee-san di anni ne aveva già compiuti 16.
Passarono diversi minuti in cui solo lo scoppiettio delle fiamme indicava che il tempo non si era fermato dal momento in cui la domanda era stata posta, ma ad un certo punto la voce decise di farsi sentire ancora:
- “… No. Non ho visto il suo nome tra quelli che ci sono stati affidati per l’incarico di oggi. E poi non lo hai detto te scusa?” -
- Che cosa? -
- “Ufff… Che non ti sembrava una ragazza tanto incapace. Se è così dovrebbe essere ancora tutta intera… E poi ti ricordo che fa parte della famiglia nemica della nostra organizzazione, sempre se ne sarà rimasto ancora qualcosa dopo oggi.”
- Molto bene. - rise lei, felice di quella notizia. Se è fortunata, rincontrerà ancora quella ragazza, e con molta probabilità gli altri della sua ormai ex organizzazione –almeno loro, ne era convinta, non erano certo degli sprovveduti- . Fino ad allora…
- è ora di ricominciare il lavoro allora. - annunciò stavolta senza troppo entusiasmo, tanto che a sentirla il suo compagno si sorprese dalla facilità e velocità con cui cambiasse umore, seppure quei quattro anni insieme gli avessero permesso di capire un po’ di cose in più sul suo conto.
Intanto, lei era salita sulla ringhiera del terrazzo e stava per lanciarsi nel vuoto quando…
- “Ferma lì!” - l’intromissione improvvisa la sorprese al punto da farle perdere l’equilibrio e farla cadere nuovamente sul pavimento del terrazzo.
- Cosa c’è adesso!? Non eri tu quello che voleva mettersi all’opera? - protestò lei, massaggiandosi il fondoschiena dolorante.
- “Ed ecco che rientra in scena la cara signorina che dovrebbe imparare a prestare più attenzione! C’è qualcun altro oltre a noi e i nostri attuali colleghi!” – le comunicò ironico, quasi a rimproverarle qualcosa di talmente ovvio che avrebbe potuto notare anche lei.
Un momento… Con “qualcun altro” non intendeva forse…
Si alzò di scatto e si affacciò, trovando conferma ai suoi dubbi: figure in mantelli scuri erano comparse all’improvviso e si stavano facendo strada in mezzo a fuoco, distruzione e cadaveri. Su di loro non riusciva a vedere nome o durata vitale, perciò potevano essere solo…
- “Ora ci sono proprio tutti… Umani… Vampiri… E infine…” - la ragazza alzò gli occhi al cielo, notando varie figure coperte da mantelli scuri e stracciati che fluttuavano sulla città come un branco di uccelli rapaci pronti a calare sulle loro prede: i corpi… O meglio, “quello che giaceva al loro interno”.
- Gli shinigami. Com’è possibile però che non riesca a vedere le durate vitali dei succhia-sangue laggiù? –
- “Non saprei. Sarà perché quei tipi normalmente non possono morire, di conseguenza non dovrebbero riuscire a vedere nemmeno te, anche se tu non sei ancora diventata un Triste Mietitore completo”
- E tu non sei contento che sia così? - domandò curiosa e sorridente, cosciente che lui la poteva anche vedere pur non potendola guardare in quel momento.
- “E me lo chiedi!? Se diventi uno di quei cosi fluttuanti poi sarò io quello nei guai, e sai anche perché!” – ribatté arrabbiato, per poi avvolgere la compagna con fumo rosso che si trasformò in un mantello color rubino fin troppo lungo per lei.
- Sì sì come ti pare. Adesso però andiamo: il lavoro ci chiama. – prese quindi la rincorsa, balzò sulla ringhiera e si lanciò nel vuoto, ma non precipitò che per qualche metro prima che parte del mantello si trasformò in due ali rosse con piume affilate:
- Addirittura le ali adesso? Da quando riesci a farlo? -
- “Ti ricordo che durante la sospensione hai voluto usare comunque i tuoi nuovi poteri per risolvere quella faccenda, che tra l’altro non solo non hai combinato nulla di buono, ma il tuo corpo è stato corrotto ancora di più dalla nuova forza che hai acquisito: queste ali sono il risultato di impedire che fossi consumata completamente”. – disse la voce che ora proveniva dalle ali, segno che per crearle aveva dovuto utilizzare la maggior parte della sua energia, mentre i due continuavano a volare sulla città senza che gli altri shinigami od i vampiri si preoccupassero per loro.
Chissà, magari sarebbe filato tutto liscio per il primo lavoro dopo la sospensione…


Un quarto d’ora dopo, a mezzanotte precisa come aveva detto il primo foglio, i due erano arrivati a destinazione. Quel piccolo edificio, magari pieno di colori accesi e vivaci rispetto al paesaggio intorno (e che lei non poteva vedere per colpa di quegli occhi maledetti) prima poteva essere stato benissimo pieno di bambini spensierati che giocavano qua e là, ma in quel momento preciso era diventato l’ennesimo ammasso grigio in quella città e per quello che aveva potuto vedere uno dei pochi luoghi rimasti intoccati da esplosioni od incendi di qualche tipo. Chiunque fossero gli obiettivi non potevano di certo scappare, chiunque fossero ormai erano già morti…
- E io adesso mi trovo qua per dare loro ciò che si meritano… - pensò lei, mentre s’incamminava verso il secondo piano: non poteva vederla ancora, ma la sua prima “cliente” era molto vicina. Era da un po’ che non sentiva l’odore di un’anima di una vita ormai giunta al termine… Le pareva odore di carta ingiallita e lasciata troppo a lungo ad ammuffire in uno scantinato umido: in poche parole, “vecchia e disgustosa”. Più un’anima era corrotta, più quell’odore peggiorava, ma si disse che era meglio così. Non la entusiasmava il pensiero di vedere la fine o mietere lei stessa la vita di un bambino piccolo, che magari non aveva fatto nulla di male e la sua vita stava per incontrare una fine prematura a causa di uno sfortunato incidente.
- “Oh! Il tuo primo lavoro consisteva nel raccogliere anime di bambini? Sai che noia!” - s’intromise la voce maschile nel silenzio dell’orfanotrofio. Lei passò sopra quell’ultimo commento e gli intimò subito di far silenzio: poteva ancora esserci qualcuno lì, anche se a giudicare dall’odore che sentiva era più probabile che gli umani fossero già tutti morti. E se un vampiro od un alto shinigami si fosse messo in mezzo… Beh, avrebbe ottenuto ciò che si meritava.
Immersa nei suoi pensieri, raggiunse quella che doveva essere una sala dei giochi a giudicare dai giocattoli e peluche sui mobili e sul pavimento ed i disegni attaccati ai muri; solo due persone erano lì: la ragazza e il cadavere di una donna dai capelli corti e scuri, vestita in camicia, pantaloni ed un grembiule, stesa a pancia in giù sul pavimento.
Si avvicinò con cautela, più per abitudine che per timore che le succedesse qualcosa: non vedeva più nome e durata vitale della donna, e anche se fosse stata viva non avrebbe potuto nuocerle in alcun modo. La fece rotolare di fianco, facendola stendere sulla schiena, poi i suoi occhi brillarono di rosso: da essi partì una lieve scia luminosa che percorse le guance e il collo fino ad arrivare al petto, per poi diramarsi verso il braccio destro fino alla mano che s’illuminò dello stesso colore. Lentamente avvicinò l’arto all’altezza del cuore della donna e, dove una mano normale si sarebbe semplicemente poggiata, la sua mano luminosa entrò nel petto della donna, estraendola poco dopo insieme ad un oggetto che riluceva lievemente di un colore indefinito; dopo pochi secondi, quella sfera splendente “esplose”, trasformandosi letteralmente in pagine completamente scritte e rovinate.


- Ricorda sempre: l’aspetto con cui si presenta l’Anima riflette come quella persona ha vissuto. Se le Pagine che descrivono le loro vite sono completamente rovinate, se emanano un odore insopportabile, allora è praticamente inutile stare a leggere il contenuto. –

- E se quell’anima meritasse invece di essere salvata e non persa? -

- è per questo che quelli come noi sono stati creati. Il mio era un semplice consiglio su cosa fare nel caso ti trovassi di fronte ad esseri tanto corrotti, e noi shinigami ce li siamo sempre trovati di fronte; se volessi leggere comunque i fatti che hanno caratterizzato le loro vite, nulla te lo potrebbe impedire: dopotutto, è nostro compito dare questo primo giudizio su di loro, raccogliendo quelle pagine qui, in attesa del giorno in cui saranno giudicate veramente. -


Quella era una delle conversazioni che aveva avuto con la sua salvatrice, e seppure non ne approvasse completamente la linea di pensiero, non aveva nemmeno tutti i torti: nel leggere il contenuto di quelle pagine, non riusciva a trovare un elemento che potesse permettere a quell’anima di essere salvata… Non dopo aver letto poche parole…

Hyakuya Sect

- “Allora una delle sedi è qua. Andiamo a dare un’occhiata?” – chiese la voce.
La sua partner scosse la testa in segno di dissenso, mentre finiva di leggere l’ultima pagina; non era necessario dal momento che durante il “lavoro” che si era assegnata da sé durante la sospensione aveva avuto modo di vedere cosa erano capaci quegli esseri che a stento si potevano definire umani: riuscivano a far sembrare meno depravati persino i membri dell’organizzazione di cui faceva parte prima di diventare una shinigami, e ce ne voleva per arrivare a quei livelli! Durante la sospensione, lei e il suo partner avevano visitato segretamente diverse altre delle strutture del Hyakuya Sect, scoprendo poi che anche altri shinigami erano stati mandati lì per ben altri motivi che per pura curiosità personale (elemento che tra l’altro caratterizzava una percentuale praticamente esigua).
Rabbrividì al ricordo di cosa vide là dentro, tornando alla realtà ed alle Pagine che ancora teneva in mano; la mano destra brillò nuovamente per un attimo, mentre il testo cominciava a muoversi prima di lasciare le Pagine e cominciare a ruotare intorno alla mano della ragazza:
- Until the day of your judgement, you will stay in the Spirit World. Then, you will depart for your final destination. [1] –
Parole pronunciate in modo solenne, come se il compito cruciale del vero giudizio spettasse a lei, mentre quelle lettere si levarono in aria senza essere fermate dalle pareti o da nient’altro sul loro cammino, dirette verso la loro destinazione provvisoria.
La ragazza allora si mise ad osservare l’ambiente intorno a lei, quando notò le finestre rotte ed i pezzi di vetro abbandonati sul pavimento: qualcuno la aveva preceduta, ma chiunque fosse non aveva lasciato tracce. E a giudicare da quando aveva letto dalle Pagine della Storia della direttrice dell’orfanotrofio, non era stato qualcuno ad ammazzarla, ma qualcosa… Era un po’ ironico a pensarci. Tutti credono che la fine del mondo arrivi in un modo talmente violento che si fa almeno in tempo a vedere l’inizio del disastro prima di andare all’altro mondo: che siano alluvioni, terremoti od uragani, almeno si può vedere i primi risultati. Ed invece l’apocalisse è arrivata in un modo che nessuno avrebbe potuto fermare… Ora aveva capito a che si riferiva la profezia che aveva sentito pronunciare quel giorno: un virus letale si era diffuso lì a Tokyo e nel resto del mondo, non risparmiando nessuno se non gli umani più giovani di 13 anni. E anche se qualcuno di loro fosse sopravvissuto, sarebbero presto entrati in gioco altri elementi che avrebbero testato la capacità degli umani di sopravvivere in quel nuovo e crudele mondo.
- Quella là l’ha fatto apposta: mi ha affidato quest’incarico per indurmi ad indagare su tutta questa faccenda. -
- “E tu intendi darle corda o che altro?”
Lei annuì vigorosamente al nulla
- Certamente, altrimenti non potremo essere sicuri che manterrà la sua parte dell’accordo, e di conseguenza io non potrò mantenere la promessa fatta con te. -
- “E ti conviene non rompere il nostro di accordo: sei al corrente di cosa farò in tal caso, soprattutto se davanti a me comparirà uno dei tuoi piccoli ex colleghi, se sono ancora tutti interi s’intende.” – le ricordò lui intimidatorio, ma lei se ne uscì con una risata.
- Andiamo allora? I ricordi di quella donna mi hanno fatto capire un po’ di cose, e al momento è meglio che stiamo incollati ai vampiri: quei succhia-sangue hanno portato via un paio di persone che mi servono per mantenere gli accordi con tu-sai-chi. -
A quelle parole le ali rosse ricomparvero sulla sua schiena, ma prima che potesse uscire da lì e riprendere il volo sentì un ruggito in lontananza: a quanto pare il suo partner si era dimenticato di nominare il quarto ospite della prima notte della fine del mondo.
- Shall we go, Yuri? [2] –
- “Come desidera, signorina Kaguya”. -



[1] : “Fino al giorno del tuo giudizio, tu resterai nel Mondo degli Spiriti. In seguito, partirai verso la tua destinazione finale”. (Fonte: google traduttore)

[2] : “Andiamo, Yuri?” (Fonte: google traduttore)



Angolo dell’autrice
Rieccomi qua. Per me si avvicinano gli esami quindi non ho molto tempo per scrivere, ma ora andiamo con ordine: finalmente si conoscono i nomi dei miei due OC Yuri (finora soltanto fumo rosso, ma è qualcosa di più) e Kaguya (una shinigami ancora incompleta). Dettagli su di loro verranno svelati man mano che si andrà avanti, e spero non saranno motivo di noia. So che è un capitolo un po’ lungo, ma alcune parti avrei avuto problemi a separarle…

Ora, se qualcuno ha letto Death Note, potrebbe aver riconosciuto un particolare di Kaguya: gli occhi dello shinigami che permettono di vedere nome e durata vitale di un individuo. È passato un po’ da quando ho letto il manga e non mi ricordo eventuali dettagli, ma immagino che nome e durata vitale spariscano una volta che un individuo è morto dato che non servirebbe a niente conoscerli.

Le parti scritte con caratteri diversi sono dei flashback di Kaguya e che verranno ripresi più avanti.

Altro dettaglio: come nel capitolo precedente, Kaguya ha detto una frase in lingua inglese. Ha detto “Vieni a me, mia spada”. Nel rileggerlo ho visto che non ho messo la nota per la traduzione, ma provvederò subito. È una sua caratteristica che si ripeterà ancora.
Spero che vi siate goduti il capitolo e che magari vogliate lasciarmi un piccolo commento.
Alla prossima pagina della storia.
Crow

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Capitolo 3
*** The third page: through the night until dawn ***


The third page: through the night until dawn


L’Anima…

La prova che una persona è realmente vissuta…

Le gioie che l’hanno colmata ed i dolori che ha sopportato…

Le virtù ed i peccati commessi prima della venuta del sonno eterno…

Era qualcosa di davvero misterioso, molto più di qualunque oggetto fisico concepito dalla mente umana che ha continuato ad evolversi nei secoli, e che allo stesso tempo non poteva trovare per sé una definizione completa e corretta: nessuna è uguale ad un’altra, così come ogni persona è diversa da un’altra.
Ognuno ha una sua identità, qualcosa che gli permette di capire chi è e cosa vuole fare, e che nell’arco della vita entra a contatto con persone ed eventi che la rendono unica rispetto alle altre. Nel bene o nel male, l’identità è ciò di cui nessuno può fare a meno: senza di essa, ognuno perderebbe un’importante parte di sé, sentendosi così spaesato e insicuro di fronte alle porte del mondo che gli si sono improvvisamente chiuse intorno.
Detto questo, un individuo può benissimo accantonare consciamente o meno la memoria di cattive azioni compiute e simulare di non ricordarsele, ma quegli atti rimarranno per sempre immortalati in quel registro chiamato “Anima”, in attesa di essere giudicato dopo la morte per far sì che quella persona possa raggiungere il suo posto nell’aldilà.

Per gli shinigami, raccogliere le Anime serve però a qualcos’altro, un motivo forse più egoistico ma fin troppo importante per loro: ogni volta che una persona moriva, poteva esserne nata un’altra da qualche altra parte. Per ogni inizio c’era anche una fine, così come per ogni nuovo nato sarebbe arrivata la morte un giorno; un fatto più che risaputo, ma una materia molto delicata per un Triste Mietitore: la loro “specie” (perché la maggior parte di loro era guidata dal semplice istinto… Dalla semplice necessità di svolgere quel lavoro di “raccoglitori di anime” per poter sopravvivere… La maggior parte di loro non era diversa da un branco di animali che cacciavano prede più piccole e deboli… Nulla di più e nulla di meno) ha avuto origine in tempi che ormai nessuno ricorda più, da particolari categorie di umani che dopo la morte sin sono ritrovati catapultati in un’altra realtà, privi delle loro precedenti identità e con nuovi ruoli da portare avanti. Credevano di poter vivere senza dover entrare più in contatto col mondo che si era dimenticato di loro, ma non era così: la verità è che loro erano come parassiti. Non potevano vivere senza gli umani, o meglio, senza le Anime…

Potrebbe essere difficile crederlo, ma il meccanismo della vita e della morte ad un certo punto aveva generato una sorta di equilibrio tra il numero di persone che nascevano e quelle che morivano, o più precisamente tra il valore delle vite che hanno origine e quelle ormai spente. Chi o cosa abbia stabilito tali criteri è rimasto tuttora un mistero, ma le cose stavano così: se un certo numero di persone od una che ha avuto un particolare valore per il mondo moriva, un numero di anime corrispondenti al valore di quelle perdute veniva generato; analogamente, se un’anima in qualche modo riuscisse a sfuggire alla morte, altrettante che corrispondono a quel valore andrebbero incontro ad una fine prematura.

Nascita e morte erano piatti di una bilancia in perfetto equilibrio, la quale si serviva degli shinigami per mantenere la propria stabilità e, nel caso tale condizione fosse minata in qualche modo, avrebbero dovuto porre rimedio in ogni modo possibile e senza alcuna eccezione. Non era raro che in questi casi particolari alcuni di loro finissero per scomparire, ma non faceva molta differenza: se una persona rappresentava una potenziale acquisizione tra le schiere dei Tristi Mietitori, si procedeva in modo da cancellare ogni singola traccia della sua esistenza da umano; l’essere dimenticati da amici, parenti e conoscenti era una parte di questa nuova condizione. Che dire, non si può ricevere qualcosa senza ottenerne un’altra, cioè la perdita di ciò che sei stato come umano in cambio dei poteri di cui può disporre uno shinigami; molti di essi però non si rendevano conto della gravità della perdita: come è già stato detto, la maggior parte di loro non è diversa da un branco di animali guidati dal puro istinto, in cui la perdita di un componente comportava un rimpiazzo con un elemento altrettanto valido.
Era così che avevano sempre funzionato le cose…

- è quasi un peccato che io non sia come loro, altrimenti alcune cose sarebbero un po’ più semplici. - si lamentò mentalmente Kaguya, mentre sorvolava quelli che erano diventati dei resti malandati della città. Malgrado le ali fossero un altro elemento tipico degli shinigami (seppure Yuri le avesse alterate anche solo d’aspetto per rallentare la corruzione del suo corpo da parte dei poteri di Mietitore), era la loro volontà che permetteva di usarle (altrimenti sarebbero state un elemento decorativo piuttosto ingombrante) e lei cominciava a sentirsi piuttosto stanca; questo perché chi l’ha salvata dalla morte l’ha trasformata in un particolare tipo di Triste Mietitore che, a differenza di quelli che ormai erano disseminati ovunque in città a raccogliere le Anime che scomparivano subito dopo dentro i loro mantelli scuri, percepiva stimoli fisici in modo non troppo differente da un umano. Non era l’unica messa in quello stato, ma il più delle volte si si ripeteva che era meglio così: sapeva cosa erano di preciso quelli coi mantelli scuri, e non l’idea di ridursi in quelle condizioni la allettava meno di trovarsi davanti cibo ammuffito ed essere costretta a mangiarlo.

In ogni caso, era veramente stanca e la testa cominciava pure a farle male; erano passate circa quattro ore da quando aveva lasciato l’orfanotrofio, durante le quali una pioggia acida aveva cominciato a cadere, spegnendo le fiamme e danneggiando a sua volta quello che era rimasto in piedi dopo l’incendio, ma non aveva ancora trovato la fonte del ruggito: per un attimo aveva creduto di esserselo immaginata a causa dell’emicrania, ma poi lo sentì altre 5 volte e decise di continuare per la strada; sfortunatamente, a parte lo scenario post-apocalittico e la presenza dei suoi “colleghi Mietitori”, non c’era nient’altro che potesse rendere quel posto ancora più anormale di quanto non lo fosse già…
Che avesse sbagliato strada? Che dovesse continuare col suo compito? Ma non aveva altri indizi oltre al primo foglio che Yuri le aveva mostrato…
- “Stiamo andando nella direzione giusta. Ed è inutile continuare col lavoro: dovremmo aver terminato dopo il tuo primo giretto turistico ed essere tornati indietro all’orfanotrofio per recuperare gli “avanzi”. Te lo dicevo io che quel posto aveva una piccola base sotterranea di ricerca!” – rispose il partner alla sua insicurezza, chiedendo poi perplesso:
- “E poi non intendevi seguire i succhia-sangue? Stiamo andando da tutt’altra parte! Chiunque stai cercando di preciso sarà già stato ucciso o portato via da quei tipi.” – sentendo quelle parole, lei scosse energicamente la testa:
- Non può essere! Tu-sai-chi ha detto che li avrei trovati e così sarà! - quasi urlò alla poca fede dell’altro, anche se non lo poteva vedere adesso.
Dopo aver cercato di rimettersi a posto il cappuccio e le ciocche bagnate e scompigliate (con scarsi risultati data la pioggia fitta), si diede un paio di schiaffi leggeri per sfuggire ad un sonno che voleva ma non poteva concedersi ancora e per distrarsi dal gelo che ormai sentiva fino alle ossa.  
- “Se fossi diventata uno di quei cosi…” – una scia di fumo rosso uscì di nuovo dalla fascia rossa per indicare le figure incappucciate sotto di loro:
- “Questo problema non lo avresti più.”
Se lo avesse avuto davanti e possibilmente non sotto forma di nebbiolina rossastra, gli avrebbe dato volentieri un pugno. Ma che pensava quello!?
- E io ti ricordo che tu finirai ancora peggio di come stiamo ora se ciò dovesse succedere. – disse senza poter fare a meno di scherzarci un po’ sopra e lasciarsi andare ad un risolino, riuscendo a guadagnare uno sbuffo scocciato da parte dell’altro. Che non osasse dimenticarsi che in quel gioco erano in due a partecipare, e nessuno di loro voleva e tantomeno amava perdere.
- “Sì sì come… Kaguya attenta! Stai per…” - un rumore interruppe la sua frase a metà, e con “rumore” s’intende la sua partner che si era distratta quello che bastava per non accorgersi di stare volando verso un aereo che era caduto schiantandosi contro una delle ali del mezzo di trasporto, sbattendo molto forte la testa. Non si era fatta chissà cosa essendo un Triste Mietitore, ma un bel bernoccolo non glielo avrebbe tolto nessuno, ovviamente per la felicità di Yuri che scoppiò a ridere alla sbadataggine della sua collega e ritirando le ali rosse, facendo cadere la castana sull’abitacolo del mezzo di trasporto con un tonfo.
- Ahi ahi ahi… - si lamentò lei massaggiandosi il capo e appuntandosi mentalmente di non mettersi a chiacchierare nuovamente con Yuri in volo se voleva risparmiarsi certe figure.
Si rialzò lentamente, ma dopo pochi passi (durante i quali era ancora disorientata per la “brutta sorpresa” di poco prima) scivolò dall’abitacolo dell’aereo per atterrare sul duro asfalto; provò a rimettersi nuovamente in piedi, quando qualcos’altro catturò la sua attenzione: come all’orfanotrofio Hyakuya, anche lì c’era quell’odore… Quello di carta di libri… Tuttavia, era chiaramente diverso da quello che aveva percepito in precedenza. Era molto forte, segno che l’Anima da cui proveniva era molto vicina, ma era quasi… piacevole: non era pungente e non sembrava portare con sé il fetore di muffa o tarme. Doveva ammettere che era abbastanza invitante: avrebbe avuto lo stesso effetto di un dolce davanti ad un bambino goloso, e per gli shinigami non esisteva nulla di più irresistibile dell’odore di quel particolare tipo di Anime (quelle più pure e giovani, cioè quelle che non finivano spesso tra le loro grinfie, ed era meglio così).  

Quell’odore proveniva da non molto lontano da lì e, spinta dalla curiosità di vedere se quel qualcuno se la fosse cavata o se dovesse raggiungere le migliaia di morti di quella sera, si allontanò dall’aereo distrutto con tutti i cadaveri ormai prosciugati dalle Anime, non diversi da quelli che ormai erano presenti in tutta la città; s’imbatté in altri corpi dopo pochi minuti, ma notò che erano diversi da quelli che aveva visto finora: nomi e le durate vitali erano ancora lì, segno che nessuno era ancora passato a raccogliere quelle Anime (cosa strana visto che ormai gli altri Mietitori dovrebbero aver concluso il “rastrellamento” considerando in quanti erano arrivati nel Mondo Umano quella sera), ma ciò che stupiva la ragazza era il fatto che sembrava che qualcuno avesse passato una gomma sopra quei 2 dati, ormai tanto sbiaditi da risultare quasi irriconoscibili.
- “Che è successo a questi qua?” – aveva chiesto Yuri, finalmente serio dopo i lunghi minuti di risate successivi allo scontro tra la testa della sua partner e l’ala dell’aereo. Era abbastanza certa che non si riferisse allo stato in cui erano i cadaveri, ma a ciò che vedeva lei: spesso dimenticava che ciò che lei scrutava con gli occhi era tutto ciò che lui poteva vedere.
- Colpa del virus. - rispose lapidaria lei, avvicinandosi al cadavere più vicino appartenente ad un uomo sulla cinquantina a detta sua. Il numero che indicava la durata vitale era chiaramente uno zero, ma non riusciva comunque a leggere il nome. Anche gli altri erano in uno stato pessimo.
- “Eh!? Ora sono curioso. Com’è possibile che abbia fatto un macello del genere?”
Stentava a crederlo anche lei che tale situazione si potesse verificare: le era stato riferito di questa eventualità, ma doveva trattarsi di casi più unici che rari considerando le descrizioni sbrigative che le erano state fornite.
- Sai che l’anima contiene tutte le informazioni riguardo una persona no? Beh, sembra che ogni tanto avvengano casi in cui anche delle condizioni fisiche lasciano il segno; la mia ipotesi è che il virus abbia infettato queste persone molto rapidamente e le abbia danneggiate al punto che le Pagine non sono riuscite a registrare l’informazione completa riguardo le circostanze della morte prima che il conto alla rovescia si azzerasse.
In pratica, sono tutti morti in modo talmente rapido che l’anima non è riuscita a “registrare” l’evento in tempo reale e, nel tentativo di farlo, ha danneggiato altre informazioni che aveva annotato in precedenza, incluso il nome delle vittime. Non è un danno irreparabile, ma temo che una volta tornati avremo parecchie “riparazioni” da effettuare. - spiegò con un ultimo sospiro di rassegnazione per aver deciso di esplorare la città e trovare l’origine del ruggito invece di cercare subito i vampiri.
Ora che ci pensava, come avrebbe capito chi erano di preciso le persone che doveva aiutare? Quella là non si era di certo persa nei dettagli quando le stava spiegando la sua parte del loro accordo… Va beh, immaginava che le avrebbe riconosciute in qualche modo. Per ora, era il caso di raccogliere anche quelle Anime che gli altri incappucciati sembravano aver ignorato per quanto erano messe male.
Quando prese l’ultima nei paraggi, notò in lontananza un altro nome ed una durata vitale ancora ben distinguibili:
- Mmm… “Su… Me… Ra… Gi Ha… Ru… To… 0”. Molto bene. - si disse, avvicinandosi al nome che aveva visto.
Si avvicinò ancora di più, accorgendosi che il nome aveva origine da quello che pareva essere un bambino rimasto schiacciato all’interno di un auto (in effetti, aveva sentito che il virus non avrebbe ucciso chi aveva dai 13 anni in giù, ma non era escluso che quella notte sarebbero potuti capitare incidenti come quello), ma quando stava per recuperare l’Anima, percepì distintamente la strada tremare sotto i suoi piedi finché da una strada secondaria si fece avanti il motivo che la aveva convinta a non andare subito all’inseguimento dei succhia-sangue. La castana rimase sorpresa di vedere nuovamente quei mostri, perché in altro modo non era possibile definirli, tanto era difficile anche solo capire cosa fossero: una creatura con diverse gambe di colore verdastro che sorreggevano un corpo nero e bianco e una bocca con diversi denti aguzzi all’altezza di quello che doveva essere l’addome. A completare il tutto c’erano 2 lunghe zampe nere con chele bianche… Ed una di quelle era sollevata in aria e stava per colpirla!
Kaguya si lanciò di lato, rialzandosi dopo una capriola per poi al sesto piano di un edificio lì vicino, entrando nella struttura da una spaccatura nella parete. Sospirò sollevata per essere riuscita a sfuggire all’attacco, ma presto scoprì che allontanarsi era stata una pessima mossa… A parte la spaccatura creata dall’enorme chela, il mostro non la seguì più (con la stazza che si ritrovava, le sembrava strano riuscisse a muoversi così in fretta, figurarsi a saltare), perché non era lei ad interessargli davvero: con le chele aveva infatti cominciato a rompere l’auto per recuperare il corpo del bambino, tenendolo imprigionato nella sua morsa e portandolo verso la bocca sull’addome.
La shinigami allora saltò giù dalla sua postazione e si avvicinò di corsa al mostro, la mano destra vicina alla fascia dove fumo e petali rossi si stavano accumulando, ma ormai era tardi: il prigioniero della chela scomparve oltre la bocca dai denti aguzzi della creatura, e quest’ultima si allontanò a grandi passi da lì una volta consumata la sua (le saliva un conato di vomito anche solo a ripensarci) “cena”… E l’odore di carta che aveva sentito prima fece la stessa fine. Un’anima pura e giovane era stata appena spazzata via senza che lei potesse fare nulla… Un’anima che poteva ancora avere un futuro davanti a sé… Un’anima che aveva ancora davanti a sé infinite possibilità e scelte… Un’anima che aveva incontrato la sua fine troppo presto…
- Perché… Perché è dovuto succedere ancora… - si rimproverò mentalmente lei mentre una lacrima cominciava a percorrerle il viso. Con la mano ancora libera si toccò il viso, percependo la scia umida sulla guancia… Ma che le prendeva ora? Non aveva più pianto da quando…

- … Perché? –

- Eh? –

- Come mai sei qui? –

- C-Che cosa? N-non so d-di che parli… -

- … Com’è possibile? Come… Come fai a non ricordarti di me…? –

- Io… Mi spiace ma… -

- Perché… Perché… Rispondimi! Perché!? –

Quella volta era stato un suo errore: chi aveva visto realmente e chi credeva di avere davanti non potevano essere la stessa, malgrado la singolare somiglianza. Ricordava ancora bene quel giorno… Quello del suo primo compito come shinigami… Quando Yuri non era ancora con lei…
Aveva quasi dimenticato quella bambina… Con una lama in mano… Circondata da sangue e morte… Esattamente come lei quando era ancora umana. Come ci era finita lì non le interessava saperlo, ma si augurava che fosse scampata a ciò che stava vedendo ora: un mondo in cui non era rimasto nulla se non i colori che aveva cominciato ad odiare da quando la sua di vita era stata stravolta.
- Ehi Yuri… - mormorò lei, mentre il fumo rosso cominciava ad acquisire forma e consistenza nella sua mano.
- “Mh? Cosa c’è? Vuoi condividere con me le tue ultime parole?” – sghignazzò lievemente, perché già sapeva come sarebbe andata a finire lo “scontro” tra loro e quel mostro che ora si stava allontanando in cerca di altre prede: già li avevano incontrati tempo prima ed avevano appreso che mangiavano solo umani. Non gli interessavano creature che non lo fossero.
- Ah ah. Molto divertente. Comunque, ti ricordi che cosa mi hai detto prima che partissimo stasera? - nel mentre, il fumo si era avvolto sul suo arto, per poi dissolversi in pochi sbuffi per lasciare nella mano della castana una katana infoderata.
Da parte del partner, Kaguya non ottenne risposta se non un semplice suono che indicava che Yuri aveva risposto affermativamente alla sua domanda.
- Mi hai chiesto come mai continuassi ad indossare questi colori seppure ti avessi detto di non sopportarne la vista. - passò la mano dalla guancia alla manica del kimono:
- Bianco come la Luna in cielo nelle sere in cui giocavo prima di rientrare in casa… - la mano si spostò quindi alla gonna, godendosi la sensazione di seta tra le dita:
- Nero come i capelli di mia madre… - chiuse un attimo gli occhi, ripensando ad uno dei pochi volti che aveva avuto importanza nella sua vita e che sperava non svanisse mai dai suoi ricordi, qualsiasi cosa dovesse succederle; la mano risalì il suo corpo per andare al girocollo:
- Rosso come quei fiori… Quei gigli ragno che sbocciavano in tarda estate nel giardino della villa… - infine, l’arto trovò la sua gemella sull’arma, liberandola dal fodero e lasciando che la lama rilucesse alla pallida luce del Sole che stava sorgendo all’orizzonte, per poi puntarla contro il mostro che aveva davanti.
- Quei colori erano il mio mondo… Una vita tranquilla che è stata distrutta troppo presto... Non li odio perché mi ricordano ciò che ora non sono più, ma perché qualcuno ha minacciato di far cambiare completamente significato a qualcosa che amavo… E questo non glielo perdonerò mai! Quel maledetto vampiro… Anzi, chiunque si trovi là fuori, non sarà mai all’altezza della mia determinazione! – affermò lei con rabbia e decisione, facendo ghignare soddisfatto il partner mentre sulla lama cominciava a disegnarsi incisioni simili ai gigli ragno cari ad entrambi:
- “è per questo che hai accettato l’accordo con tu-sai-chi allora… Un ragionamento semplice per una mente semplice”. - la schernì senza però riuscire a metterci troppa serietà nelle sue parole, mentre fumo e petali rossi cominciavano a roteare intorno alla ragazza, eseguendo una danza che presto avrebbe trovato un accompagnamento musicale… Ovviamente nelle grida di sconfitta di quel Cavaliere dell’Apocalisse.
- “Va beh… Spero che almeno tu non mi faccia annoiare”. –
- E io mi auguro che tu sappia ancora come si combatte. Non ti sarai arrugginito durante la sospensione? – rise lei, prendendo una rapida rincorsa e saltando, trovandosi ormai a pochi metri di distanza dal mostro suo bersaglio:
- “Umpf. Come se questi cosi senza cervello possano competere con me! Devi solo dare l’ordine e assisterai ad uno spettacolo che sarà valsa la pena stare solo a raccogliere anime tutta la notte.” -
Un ultimo salto e fu sopra di lui:
- Then strike it, Red Lily! [1] – gridò lei per poi tagliare a metà il mostro, ma il colpo sembrò attraversarlo semplicemente, manco fosse stato trasparente perché non riportò alcun danno e non arrestò nemmeno la sua corsa; Kaguya si allontanò a sua volta e ripose la katana che si trasformò nuovamente in fumo rosso per riprendere il suo posto sotto la fascia, ghignando e leccandosi le labbra per quello che avrebbe visto da lì a poco. Era un po’ che non ammirava gli effetti del potere di Yuri…
Dopo secondi che le sembrarono infiniti, il Cavaliere dell’Apocalisse si ritrovò sollevato in aria da raffiche di vento che portavano con sé una miriade di petali rossi che si avvicinarono sempre più, prima appiccicandosi solamente, arrivando però a penetrare nella corazza fino a creare tagli da cui cominciarono ad uscire fiotti di sangue; poco dopo, anche il resto del corpo cadde in pezzi, prima le zampe, poi l’addome ed infine la testa che si sgretolarono fino a diventare polvere. A terra era rimasto solo il liquido rosso e ora in aria i petali mortali che lo avevano ferito danzavano elegantemente, seguendo il vento che ora era brezza gentile.
La ragazza portò una mano avanti che raccolse alcuni petali, ma a differenza del Cavaliere dell’Apocalisse, non ne rimase ferita e sorrise lievemente:
- è bellissimo. È splendido Yuri. –
- “Ti avevo detto che ne sarebbe valsa la pena. E ora cerchiamo i succhia-sangue prima che… Oh oh”
Stava per domandargli quale fosse il problema quando davanti a lei vide ciò che non le avrebbe permesso di continuare la sua ricerca: una sfera luminosa si stava avvicinando sempre più rapidamente a loro, balzando su e giù a zig zag prima di fermarsi davanti alla shinigami. Attenuato il bagliore, la sfera si rivelò essere un piccolo coniglio bianco dagli occhi di un innaturale colore violetto; la castana mise le mani a coppa per farlo salire, seppure quell’animaletto fosse così piccolo da poter restare comodamente su una sola delle sue mani, e in quegli occhi del colore delle ametiste più brillanti, la ragazza capii che non potevano dilungarsi ulteriormente in quel posto.
- Ufff… è già ora di andare immagino. - farfugliò lei, concedendosi un ultimo attimo per guardare in lontananza nella speranza di scorgere qualcosa, qualsiasi cosa che le permettesse di avere un punto di partenza per la prossima volta che fosse giunta nel Mondo Umano, con suo dispiacere, non riuscì a notare nulla di utile. Solo gli altri Tristi Mietitori che scomparivano uno per uno in cielo per tornare al loro mondo.
Tornò quindi a guardare il coniglio che emise una luce abbagliante violetta; quando essa si affievolì, della shinigami non c’era più traccia. Solo un giglio ragno rosso abbandonato in quel punto a testimoniare il suo passaggio.



[1]: “Allora colpiscilo, Red Lily!” (Fonte: google traduttore)



Angolo dell’autrice
Ora avete avuto un esempio della forza di Kaguya, ma lei non sarà comunque l’unico shinigami rimasto coinvolto in questa situazione. Beh, diciamo che il suo arrivo ha cambiato un po’ di cose per i Tristi Mietitori, ma qualche dettaglio in più lo vedremo nel prossimo capitolo.

Probabilmente si è già capito, ma Yuri è un demone simile a quelli rinchiusi nelle armi maledette usate dai soldati della JIDA. Il suo nome ha lo stesso significato del nome dell’arma in cui è rinchiuso (“Yuri” in giapponese e “Lily” in inglese significano entrambi “giglio”. Dato che “Red Lily” è il nome vero e proprio dell’arma, ho preferito non tradurlo), ma il suo nome è stata una scelta di Kaguya. Già che siamo in tema, il nome di lei significa “Notte splendente”.

Passando ad altro, il coniglio che ha visto non era lì a caso: qualcuno si è accorto che è rimasta più del dovuto e ha usato un animale creato coi suoi poteri per richiamarla. Chi si vedrà più in là.
Spero che vi siate goduti il capitolo e che magari vogliate lasciarmi un piccolo commento.
Alla prossima pagina della storia.
Crow

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Capitolo 4
*** The fourth page: inhabitant of the other shore ***


The fourth page: inhabitant of the other shore



L’Aldilà…


Il luogo di non ritorno…


Il posto in cui si giunge dopo la morte…


Dove le vite terminate si devono dirigere per non spezzare un delicato equilibrio…


È risaputo come la vita, l’unica che viene data ad ognuno e che mai si può riavere indietro una volta persa, solitamente si svolge: una persona nasce, cresce, accumula sempre più esperienze, viene a contatto con altri individui o fatti che possono danneggiarla od arricchirla, sempre cosciente che un giorno la propria fiammella vitale dovrà estinguersi come quelle degli altri individui intorno a lei. Nessuna vita dura per sempre, per cui l’ideale sarebbe che ognuno abbia la possibilità di spendere i propri attimi come meglio ritiene… Almeno per chi può permetterselo, prima che il tempo a disposizione scada…

Ma cosa succede dopo? La domanda che molti si sono posti, un quesito piuttosto vago per una risposta che lo è altrettanto: la “vita dopo la morte”. Un concetto potenzialmente soggettivo, ma la sua più comune definizione rispecchia il concetto di “giusta retribuzione”: ognuno ottiene ciò che si merita nell’aldilà, cioè numerose sofferenze per coloro che hanno seguito una cattiva condotta durante la loro vita terrena, ed un riposo nella beatitudine eterna per i buoni ed i giusti. Da qui sono scaturite le idee sulla presunta esistenza di “Paradiso” e “Inferno”, di questi luoghi di pace e di castigo per i defunti, ma anche qui il discorso viene preso con le pinze, sia perché ognuno ha le sue idee di “ricompensa” e “punizione”, sia perché non tutti credono che l’anima raggiunga una qualche destinazione dopo la morte, e magari giunta lì dover sopportare altri tormenti oltre a quelli che ha dovuto subire in vita… Solo quest’idea non è molto allettante…

Malgrado si tratti di una caratteristica presente in varie fedi religiose, l’unico appiglio a cui ci si può aggrappare quando la scienza e la ragione non sanno trovare spiegazione, le eccezioni ci sono sempre, e questo è solo uno dei tanti contesti che lo dimostra: per quello che pensava Kaguya, dopo la morte c’era soltanto il nulla. Come poteva affermarlo con certezza? Beh, l’aveva visto coi propri occhi: nei suoi ultimi attimi di vita, quando il rosso del sangue, il bianco argenteo della Luna ed il nero fumo erano gli unici elementi che ancora riusciva a distinguere, ricordava bene di aver chiuso gli occhi. Li aveva aperti nuovamente dopo un tempo che non era certa saper quantificare, ma si era domandata subito se li avesse davvero aperti… Poiché intorno a lei vi era solo uno spazio nero e sconfinato. Poteva essere benissimo il cielo notturno che ancora la stava sovrastando, ma dovette scartare subito l’ipotesi perché sotto di sé non c’era il freddo suolo erboso, un tempo verde brillante e che poi divenne color cremisi per il sangue versato da lei e da altri quella sera, ma le sembrava di stare fluttuando perché non avvertiva nulla di solido contro la sua schiena, quando si ricordava benissimo di essere caduta a terra a causa di una ferita; sbattere più volte le palpebre o sfregarsi gli occhi per esserne certa non aveva cambiato molto le cose, ed il gesto in sé si era rivelato in compenso una fatica tremenda: movimenti prima veloci e naturali lì costavano uno sforzo immenso, tanto che per muovere anche solo la mano di qualche millimetro dalla sua posizione vicina al fianco, in quello che si ricordava essere stato un vano tentativo di bloccare il sangue che era uscito a fiotti da un lungo taglio, aveva dovuto fare appello a tutte le forze che pian piano la stavano abbandonando. Anche l’udito aveva cominciato a giocarle scherzi: i suoni che riusciva ancora a percepire ora le parevano troppo lontani, come se lei stessa fosse stata avvolta da strati di morbida ovatta che rendevano i rumori sempre più indistinguibili finchè non cessavano… O come se stesse per sprofondare in un lungo sonno… Persino gli odori erano sempre più flebili, ma si era detta che forse era meglio così: aveva vissuto in un modo che non era nemmeno certa poterlo definire “vita”, tanto che perfino quella notte di sangue che aveva interrotto quella quiete stagnante, quell’ultima sera che allora non sapeva avrebbe trascorso da viva, le era parsa una liberazione. Almeno nel nulla nessuno la avrebbe potuta disturbare, nessuno la avrebbe potuta costringere a fare cose orribili, nessuno la avrebbe tenuta chiusa in una gabbia… Certo, aveva sperato di non morire, di poter semplicemente approfittare della confusione per allontanarsi, ma quella notte d’estate, la notte del suo settimo compleanno, si era conclusa nel peggiore dei modi.
Quello spazio vuoto doveva essere la sua destinazione dopo quei sette anni trascorsi in quella che era stata più una prigione che una casa, un posto in cui la porta era sempre aperta, ma stare dentro o fuori non faceva differenza poiché qualcuno avrebbe sempre tenuto sotto controllo la avrebbe sempre tenuto sotto controllo… Lei, la marionetta incapace di muoversi ed esprimersi senza la guida di un padrone… Di un burattinaio…

Le cose sarebbero dovute andare così certo, ma a quanto pare qualcuno aveva pensato ad una strada ben diversa per lei: in quello spazio monotono dove niente e nessuno avrebbe dovuto disturbarla, qualcosa era riuscito ad intromettersi, a farsi strada in quel vuoto, fino a raggiungere la sé stessa che allora voleva farla finita.
Come quando aveva creduto di stare sognando di vedere solo nero davanti a sé, si era ripetuta lo stesso quando vide una fioca luce lilla avvicinarsi sempre più a lei, ma aveva reso chiaro fin da subito che quell’intrusa era più di quello che appariva: una volta giunta davanti ai suoi occhi, quel colore divenne sempre più vivido, e mentre si diffondevano odori di pioggia, di fiori, di erbe medicinali, di pagine di volumi antichi ed altri nuovi, che non c’entravano nulla gli uni con gli altri, che caratterizzavano una persona che a quel tempo non conosceva ancora, la Kaguya di allora si era ridestata dallo stato di torpore in cui era caduta quando anche una voce di bambina, soave e leggera come il tintinnio di campanelli, si fece sentire dalla luce violetta:


- Ah ah! Allora qua c’era ancora qualcuno! –

- ? –

- Non stai tanto bene vero? Sei tutta sporca di sangue… –

- … -

- Non mi rispondi? Guarda che lo so che mi senti! Ehi! –

- … -

- Umpf! E va bene… Senti, mi basta che rispondi e poi me ne vado ok? Perché non te ne sei andata via subito? Era pericoloso rimanere lì. –

- … I… I-… -

- Eh? Che cosa? –

- … I-Io… N… No… -

- Mh? Non volevi? Come mai? –

- … -

- Ancora il gioco del silenzio? Non puoi fare così! –

- Io… Vi-… Vive… Re… Lì… No… N-Non… Non… C-… Ce… La… F-… Face… Più… -

- Non ce la facevi più a stare lì? Non mi hai comunque risposto! Se proprio non volevi, come mai sei rimasta dov’eri? Non dirmi che volevi fare la fine degli altri che erano lì!? –

- … I-Io… -

- Pfff… Lascia stare. Sei proprio testarda sai. Però sei proprio sicura che vuoi che le cose finiscano così? Proprio adesso?

- ? –

- Ah già scusami, stavolta non mi sono spiegata io… Allora, da dove potrei iniziare… -

- Ugh… *cough*! *cough*! –

- Noooo! Così non va! Se continui così te ne andrai via prima che finisca, uffa! Ok, ho capito: ti spiegherò tutto quanto più tardi! Ora solo le cose importanti: io so chi sei, o meglio “cosa” sei di preciso. Quelle persone con cui vivevi sono state cattive con te vero? –

- Eh? C-… Co… Come… F… -

- Come lo so? Diciamo che ho un “lavoro” un po’ strano. Comunque sia, ho visto cosa ti hanno fatto e ti hanno fatto molto male. Quindi, che ne dici di fare così? Io realizzerò il desiderio che aveva mentre eri chiusa in quella “gabbia”, e tu in cambio ne esaudirai uno mio. –

- P... P-… Perché… I… -

- Perché lo sto chiedendo proprio a te? O perché lo sto chiedendo a qualcuno che incontro per la prima volta? Ti ho già detto che ti osservavo da un po’, no? E adesso rispondimi: sì o no? E niente gioco del silenzio stavolta! –

- T-Tu… Chi… -

- Chi sono? Basta con le domande e rispondimi! –

- … -

- Mmm… Ok, ho capito… Se me l’hai chiesto, vuol dire che un po’ ti interessa. Allora, chi sono io… Beh, dimmi una cosa... Tu hai mai sentito parlare dei Tristi Mietitori o Shinigami? –

- …! T-Tu… A-All… Se-Sei… M… -

- Esatto! Io sono la Morte e sono venuta a farti visita. Molto piacere Kaguya Akagi! E ora che mi sono presentata, stringiamoci la mano e diamo inizio alla tua nuova vita! –


Alla fine quella shinigami non voleva affatto farle una proposta: voleva soltanto chiederle il permesso per poter portare avanti un suo piccolo progetto.
Kaguya aveva comunque accettato, stringendo la sua mano piccola e pallida con una altrettanto minuscola e bianca, l’una madida e puzzolente di sangue e l’altra candida ma comunque macchiata di ciò che le Anime viste col passare dei secoli le avevano lasciato addosso, un qualcosa che non sapeva identificare e che poi ha imparato a conoscere, così come aveva appreso che la voce spensierata, un po’ scontrosa e fastidiosa di quella bambina celava qualcosa di più complesso; tuttavia, prima di iniziare la sua nuova vita, pensò di aver trovato conferma a ciò che aveva sempre creduto prima di morire: Paradiso ed Inferno erano solo invenzioni poste dall’uomo perché non pensasse al vuoto nero e sconfinato in cui si sarebbe ritrovato quando avrebbe chiuso gli occhi per l’ultima volta, quando non avrebbe potuto più alzare lo sguardo per poter salutare la mattina seguente.
Inoltre, scoprì che quel discorso non valeva solo per gli umani: tutti i Tristi Mietitori che avevano conservato ragione e ricordi della loro vita terrena, coloro che avevano avuto la possibilità di scorgere anche solo per pochi attimi quel nulla assoluto, ritenevano quasi ridicola l’esistenza di luoghi di riposo o sofferenza eterni dopo la morte, forse perché loro in un certo senso hanno avuto la possibilità di vedere una delle possibili strade che aspettavano coloro a cui il cuore aveva smesso di battere… O forse perché avevano ora la possibilità di raccontare ciò agli umani e porre fine alla loro ignoranza in materia; in fondo non esisteva alcun divieto che imponeva di mantenere il segreto della loro esistenza, ma era altrettanto risaputa l’inutilità di tale azione: solo particolari categorie di umani li potevano vedere, quelli che erano prossimi alla morte o che avevano appena visto qualcuno morire in primis. E malgrado tali situazioni si verificassero di continuo tra i comuni mortali, nessuno si azzardava a raccontare ciò che avevano visto: figurarsi se la gente andava a raccontare di misteriose figure con mantello e cappuccio vicino al letto di morte di un loro caro!
E in ogni caso, l’avvento della modernità aveva fatto presto diradare la fede che certe entità esistessero, seppure gli shinigami siano rimasti soggetti piuttosto popolari tra gli umani e che addirittura spopolassero in programmi televisivi o libri. Anche qui i personaggi presentati avevano poco o nulla in comune con Kaguya o gli altri Tristi Mietitori, quindi nessuno di loro rischiava di avere la propria identità messa allo scoperto.

La castana credeva solo a ciò che vedeva coi propri occhi, per cui da bambina non aveva mai creduto molto alle figure collegate all’Aldilà che rappresentavano l’argomento più importante nelle conversazioni all’interno della villa; per quanto fosse piccola prima di diventare una shinigami, e malgrado i tentativi di parenti e servitori nello sfruttare quello che per loro era un prodigio, uno di quelli che nascevano una volta ogni mille anni, lei voleva restare il più lontano possibile da quelle che per lei erano solo mostri. Anche se all’inizio si era rifiutata, compiuti i quattro anni tutti persero la pazienza e le sbatterono con forza in faccia quella che era la realtà che ora viveva, quella di un mondo in cui gli esseri che tanto rinnegava potevano essere dietro l’angolo; inoltre, gli anni da Triste Mietitore l’hanno portata a non credere nell’esistenza di una qualche entità superiore che ha già deciso tutto o comunque qualcuno che dall’alto stesse guardando tutto per punire le vittime di ingiustizie: aveva visto persone che erano riuscite a scampare alla fine scritta nelle Pagine, che fosse per merito loro o per un qualche incidente di percorso non importava tanto. Peccato che quelle persone abbiano comunque incontrato la loro fine molto presto… Altra cosa che aveva imparato: alla Morte puoi scappare una volta, ma alla seconda non sarai altrettanto fortunato. Chi ha orecchie per intendere intenda.
Ogni volta che ripensava ai tempi indietro, dai suoi anni da umana fino all’incontro con la shinigami di luce color lavanda, si accorgeva di quanto questi fossero solo memorie che si stavano diradando sempre più… Solo parole e voci erano ben impresse nella sua testa, azioni e volti sbiadivano poco alla volta… Certo, anche da Triste Mietitore ne aveva passate un po’ per arrivare dove era ora, ma sia lei che Yuri avevano concluso che la sua testa era stata rivoltata al punto che fare affidamento sulla sua memoria non rappresentava una buona soluzione in ogni situazione: tra quello che le aveva fatto la sua famiglia e quello che era successo dopo la sua morte, che fosse stata lei a relegare i brutti ricordi in un angolino della sua mente o che c’entrasse una qualche causa di forza maggiore, la sua memoria era come una pagina strappata in frammenti minuscoli e fradici d’acqua. Potevi metterli gli uni vicino agli altri, ma vedi a stento ciò che contenevano: in pratica, era messa troppo male.
Se qualcuno le avesse chiesto di parlare della notte in cui era morta ad esempio, si sarebbe dovuto accontentare di spiegazioni molto approssimate e confuse: non saprebbe più come descrivere ciò che aveva provato allora e che Yuri la costringeva a rivivere ogni anniversario da quella che era stata la notte della sua morte, ma continuava a ripetersi che andava bene così fintanto che si ricordava ancora i punti salienti dell’evento che la spronava tuttora a proseguire nel cammino che aveva scelto e nella promessa fatta con la “Morte”, così come le idee che si era costruita da quando aveva cominciato quel lavoro.
Quel Triste Mietitore le ha dato un motivo per esaudire ciò che lei stessa ha chiesto in cambio, e il ritrovamento della katana Red Lily due anni dopo le ha restituito i frammenti dei ricordi della sua vita precedente; non aveva molto in mano, ma in qualche modo avrebbe fatto. Queste erano le uniche basi su cui poteva fare affidamento.


Nel mentre dei suoi pensieri, la notte di Natale sulla Terra era già finita, ma a differenza del tempo che scorre incurante di ciò che succede al mondo, la distruzione segnata dalla notte dell’Apocalisse si era fatta sentire… In quella città… In quella nazione… In ogni angolo del pianeta… E così anche nel mondo dei Tristi Mietitori.
In quel momento, Kaguya non si trovava in nessuno di quei posti: si trovava in un luogo di transizione necessario per tornare al suo attuale mondo d’appartenenza, un mare sconfinato e scuro, perennemente avvolto in una fitta nebbia, leggermente mosso da onde; lei viaggiava su una gondola di un materiale rigido, simile a comune pietra che si può trovare in fondo ad un qualunque corso d’acqua, ma in realtà imbevuta di un potere infuso in essa dalle acque di quello stesso pezzo d’Aldilà che rendeva possibile ciò. Sulla barca vi erano cesellature che disegnavano intricati arabeschi e alla prua era fissata una lanterna che emetteva un debole bagliore rossiccio, il suo “documento d’identità” per quando sarebbe giunta alla riva con le Anime che aveva raccolto, ora semplici sfere, ognuna di esse circondata dalle parole contenute nelle Pagine delle loro vite, rinchiuse in piccoli contenitori ovoidali –anch’essi rossi nel suo caso- di un materiale trasparente, tenute sigillate da un potere simile a quello presente nella barca per evitare che si disperdessero prima di arrivare a destinazione; non servivano remi poiché una corrente spingeva tutte le barche verso l’unico punto d’arrivo possibile.
La castana si disse che poteva finalmente rilassarsi un po’, mentre lasciava la schiena inclinarsi leggermente all’indietro senza però arrivare a poggiarla contro la poppa della barca; chiuse gli occhi e volse il volto al cielo, come a volersi lasciare accarezzare da una brezza che però in quel luogo non poteva soffiare.
- “La signorina sa che non può permettersi di riposare ancora vero?” – ecco, come al solito c’era qualcuno che non la lasciava in pace. Ella lasciò andare un sospiro, ma non fece altro: non riaprì gli occhi ne si rimise in posizione corretta per sedersi.
- “I tuoi colleghi non esattamente sani di mente sono proprio sopra le nostre teste. Sai che potrebbero attaccarci per avere il nostro carico?” – ribadì lui con più decisione, un po’ perché non gli piaceva essere ignorato così, in parte preoccupato che gli shinigami coi mantelli grigi tendevano a rubare le anime dalle barche. Erano fatti così: se non gli bastava un pasto, cercavano subito di più anche se dovevano rubare… E quel mare sfortunatamente era il loro territorio: la nebbia non era altro che un aggrumolato di quei Mietitori, per cui era opportuno prestare la dovuta attenzione perché i naviganti non perdessero di vista il frutto di una giornata di lavoro. Certo, si trattava comunque di defunti, ma avrebbe dovuto affrontare più noie se si fosse verificato quell’imprevisto.
- Non ti preoccupare. Da quando sono stati introdotti quei nuovi recipienti, potremo stare semplicemente a goderci il viaggio: sono fatti perché quei mantelli svolazzanti non possano percepire le onde d’energia provenienti dalle anime. E ora lasciami in pace che voglio stare un po’ tranquilla prima di dover affrontare quelli là! – gli impose fermamente, tornando sorridente al dolce silenzio di quel posto, senza grida di umani, ruggiti dei Mietitori senza cervello in cerca di cibo/anime… Niente, soltanto il dolce suono delle onde di quel mare che cullavano l’imbarcazione ed un invito muto per la navigante ad abbandonarsi realmente nell’atmosfera di quello scenario.
Era tutto perfetto in quel momento ed intendeva goderselo fino a quando non sarebbe dovuta scendere a terra… Peccato che, come per quando era morta, sembrava che non tutti lì fossero d’accordo con lei… E no, stavolta non si trattava di Yuri.
- Ehi! – urlava una voce che, a giudicare da quanto era affievolita, chiunque avesse parlato aveva dovuto alzare il volume al massimo per farsi sentire anche da chi aveva un udito speciale come una shinigami al pari di Kaguya. Era una voce di ragazza, questo ne era certa, ma non riuscì subito a capire chi era finchè non sentì la stessa parola gridata altre tre volte. Allora si decise finalmente a riaprire gli occhi e rimettersi seduta diritta, sporgendosi leggermente dalla gondola solo per notare altre due imbarcazioni identiche, tranne per le lanterne che avevano a prua, l’una gialla chiara e l’altra gialla bruna quasi arancione; avvistate, mormorò un “meno male” tra sé e sé: se non altro, non si trattava di nessuno che rappresentava fonte di preoccupazione per lei.
Le due barche accostarono ad entrambi i lati quella della castana, la quale si ritrovò avvolta in un abbraccio che però aveva rischiato di far cadere entrambi dalle rispettive imbarcazioni, ritrovandosi in faccia una chioma bionda e delle lacrime di gioia ad inzupparle il kimono:
- Signorina Kaguya! Mi è mancata così tanto! Perché non ci ha detto che la sospensione finiva oggi? Avremmo potuto fare la strada di ritorno insieme come al solito! – si lamentò la ragazza che prima aveva urlato, mentre Kaguya cercava di liberarsi da quella stretta che sembrava una morsa. Adorava quella ragazza, ma non voleva finire di nuovo sospesa per un giorno di più, stavolta per problemi di salute: quell’abbraccio sembrava volesse spaccarle la schiena e le braccia.
- Lasciala andare. Capisco che sei contenta di rivederla, ma cerca di darti un minimo di contegno. Anche se siamo lontani dalla Terra, siamo ancora in orario lavorativo! E poi chi ti ha dato il permesso di chiamarla col suo vero nome!? - un’altra voce, stavolta quella di un ragazzo, anche lui conosciuto dalla castana, e in occasioni come quella era ben felice di sentirlo.
Sentì un “Pfff” scocciato da parte della ragazza che la stava ancora abbracciando, la quale si scostò lentamente, assaporando ogni attimo in cui ancora stringeva la sua superiore, prima di ritornare seduta nella sua imbarcazione: era un’adolescente dai capelli biondi scuri raccolti in una coda alta, occhi color miele ed un fisico formoso dalla pelle chiara, e il suo abbigliamento –che consisteva in una canotta lunga scollata color crema che recava il disegno di un albero stilizzato color arancione scuro, pantaloncini color arancione chiaro ed infradito bianche- serviva a sottolinearlo ulteriormente. Portava un mantello di un colore tra l’arancione chiaro ed il bruno ed una collana con un coccio di ambra.
La castana era stata più volte gelosa di quel fisico, lei che era sempre stata magra in picco, ma in fondo non era ancora del tutto un Mietitore: forse sarebbe cresciuta un altro po’…
- Amber, Topaz ha ragione. Qui non dovresti chiamarmi così. Ricordi che vi ho detto di non dire a nessuno il vostro nome? Così vale anche per me. Vi ho già spiegato cosa devo fare e non mi serve che qualcuno si metta in mezzo senza che sia necessario. E poi… -
- Sì sì, questa la so: “Conoscere il nome significa conoscere tutto. Tenevi ben strette le vostre identità e le vostre vite, perché se ne perdete il controllo gli altri ne approfitteranno e basta”. Non sono stupida, me lo ricordo, ma non mi piace che siamo rimasti separati così tanto senza avere sue notizie! Com’è stato l’esilio forzato sulla Terra poi? Voglio i dettagli! – Ed eccola che tornava alla carica: era piuttosto energica per una appena tornata da una lunga giornata di lavoro, ma era altrettanto facile che la loro non fosse stata tanto impegnativa come la sua.
- Anche il signor Yuri! Non è giusto che la tenga tutta per sé! - aggiunse poi seccata, tornando a stringere Kaguya malgrado il divieto impostole in precedenza.
- Non chiamarlo così! Se continua a chiamare in quel modo e con quel tono il nostro capo, è solo colpa tua Amber! Dovresti chiamarla signorina Ruby se proprio devi. – la corresse nuovamente il ragazzo, e finalmente la castana si girò a guardare il suo altro sottoposto: un ragazzo intorno all’età di Amber, dai capelli bruni corti e occhi dello stesso colore, che indossava una camicia bianca con maniche tirate su fino ai gomiti e lasciata leggermente aperta all’altezza del petto, lasciando intravedere la pelle lievemente abbronzata, pantaloni di jeans neri e scarpe da ginnastica bianche. Come Amber, anche lui portava un mantello giallo più dorato che bruno ed una collana con un coccio, ma il suo era un pezzo di topazio.
- Uffa Alan, non mi lasci mai fare nulla! E poi te l’ho detto: io per voi sono Marie! Non accetto di essere chiamata Amber! – ribattè la bionda arrabbiata, tenendo sempre più stretta Kaguya finchè l’altro non si attivò per cercare di liberare la sua superiore dalla collega bionda, tentando al contempo di rimanere in equilibrio sulla barca senza far cadere loro stessi od il carico mentre tutte e tre le imbarcazioni non accennava a rallentare, impresa alquanto ardua considerando l’ostinazione di Amber a non lasciar andare la presa.
Il tutto andò avanti per diversi minuti, con Yuri che osservava silenzioso e divertito i tre, finchè la sua padrona non smise di dibattersi nella morsa della bionda per fissare un punto in lontananza, ove la nebbia era meno fitta.
- Siamo arrivati… - un sussurro, e gli altri due allora si fermarono e ripresero posto sulle loro barche che man mano che si avvicinavano a riva si riempivano di luce e si sollevavano dalla superficie del mare, per poi cominciare a dirigersi verso la destinazione finale: il punto dove li aspettava il lavoro più lungo e che li avrebbe tenuti sicuramente lontani dal mondo degli umani per parecchio tempo, considerando in che stato si trovava ora quest’ultimo.
- Ah già, mi ero dimenticato. – Kaguya si voltò verso Topaz, alla sua destra, il quale si stava sporgendo dal suo mezzo per darle qualcosa che teneva stretto in mano, qualcosa che aveva una corda; la castana allungò la sua katana perché legasse lì la corda, trovando avvolta all’elsa una collana con un cristallo di rubino a forma di goccia.
Sorrise lievemente, prendendo il dono e rimettendoselo al collo: ecco perché Yuri non glielo aveva dato prima di cominciare il lavoro quella notte. Non lo aveva mai avuto lui sin dall’inizio.
- Bentornata signorina Ruby. – le disse il ragazzo insieme ad Amber, e la castana sorrise di gratitudine ad entrambi. Ora si ricominciava e aveva la sensazione che le cose si sarebbero fatte interessanti da lì in poi.
- I’m home, my dear Shards[1]. – con quelle ultime parole che riempirono di felicità il cuore degli altri due Shinigami, i tre continuarono il viaggio circondati da quella che ora era una lieve foschia mattutina.



[1]: “Sono a casa, miei cari Shards” (Fonte: google traduttore)



Angolo dell’autrice
Capitolo 4 finalmente: ci sto impiegando più di quel che credevo, ma non voglio commettere l’errore che ho fatto col primo capitolo.

Oltre al nome completo di Kaguya (“Akagi” ha diversi significati da quello che ho visto in Internet, ma basti sapere che contiene la parola “Aka” che significa “rosso), vediamo finalmente altri Tristi Mietitori. Come è stato reso evidente, ogni shinigami ha, oltre al suo vecchio nome da umano che viene tenuto segreto a tutti normalmente, il nome della pietra che portano al collo:
- Kaguya: Ruby
- Alan: Topaz
- Marie: Amber

Nella frase in inglese, Kaguya ha chiamato Amber/Maria e Topaz/Alan “Shards”: letteralmente significa “cocci”, ma terrò la parola “Shards” perché appartengono come Kaguya ad una particolare categoria di Tristi Mietitori che dovrei spiegare nel prossimo capitolo se tutto va bene.
Spero che vi siate goduti il capitolo e che magari vogliate lasciarmi un piccolo commento.
Alla prossima pagina della storia.
Crow

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Capitolo 5
*** The fifth page: the world engulfed in the mist ***


The fifth page: the world engulfed in the mist



Il tempo…


Un fiume che continua a scorrere in un unico senso…


Qualcosa che non si cura di quello che succede nel resto del mondo…


Una frontiera che l’uomo non ha mai saputo controllare…


Non si sa quante volte siano state usate queste definizioni, né tantomeno se ne esistano altre, ma quello tra il tempo ed un corso d’acqua è forse uno dei paragoni più adatti che siano mai stati ideati: una corrente che continua a seguire un determinato percorso, impossibile da confinare in un piccolo ruscello ma allo stesso tempo troppo diverso dall’andamento delle onde del mare… Che prosegue per un sentiero pieno di ostacoli, riuscendo a superarli ugualmente… Anche deviarlo sarebbe fatica sprecata, poiché tornerà comunque a ripercorrere la strada che seguiva in precedenza… Perché non esiste barriera che non possa oltrepassare.
Eh già, il tempo è sempre stato un elemento che ha accompagnato la Terra sin dalle sue origini, e l’unico vero protagonista di ogni vicenda verificatasi: da quando non era caratterizzata che da sconfinati oceani, un unico grande territorio ed esseri talmente piccoli da essere invisibili ad occhio nudo, fino ad arrivare ai tempi più recenti ove esseri umani, animali e la tecnologia hanno preso il posto dei loro antenati preistorici nella maggior parte del mondo; tuttavia, questo onnipresente compagno si è rivelato fin dall’inizio inavvicinabile alle creature che ha visto crescere ed evolvere lentamente, attraverso innumerevoli anni che ci si disturba ancora a contare.
L’uomo però, come ogni nuova cosa, ha mostrato subito un interesse anche verso tale frontiera, dai tempi antichi in cui si limitava semplicemente a calcolare il susseguirsi di giorni, mesi, anni e stagioni per poter svolgere attività come l’agricoltura, sino ad arrivare ad usare questi metodi di conta anche per registrare vicende, usi e costumi più o meno importanti che si susseguivano, permettendo di tramandarli dalla forma orale, soggetta a variazioni ogni qualvolta la memoria giocava un brutto scherzo, alla ben più definita forma scritta… Perché rimanessero nella memoria per lungo tempo… Perché non fossero dimenticati… Semplicemente perché alcuni avevano avuto un impatto talmente grande che il loro ripetersi avrebbe causato ulteriori preoccupazioni dove le ferite non si erano ancora del tutto rimarginate, ad esempio le guerre che, più che nel periodo in cui si sono svolte, hanno causato disordini al loro termine: nazioni devastate o distrutte, alleanze più fittizie che concrete, persone strappate alla loro quotidianità e catapultati in un mondo in cui ogni tuo giorno poteva benissimo essere l’ultimo e la consapevolezza che nessuno si sarebbe più curato di te una volta che saresti morto (ferito da un’arma, da una malattia o da qualsiasi cosa ti possa capitare in giorni, mesi ed anni instabili come quelli), sopravvissuti che hanno perso il loro posto nel mondo dopo aver visto quelle crudeltà coi loro occhi ed incapaci di tornare a quella che una volta per loro era la normalità… Perché tutti lo sapevano che niente sarebbe stato più come prima: era impossibile restare indifferenti di fronte ad eventi del genere, specie se si è costretti a viverli, e le ferite che generano non potranno mai guarire del tutto: una cicatrice resterà sempre a ricordare ciò che è successo, e se la memoria gioca lo scherzo di farti dimenticare ciò che ha provocato quel taglio, ci sarà qualcosa o qualcuno che lo impedirà.
Tuttavia, sembra che le persone non riescano a capire la lezione: guidate dalle emozioni peggiori miste a contorti riflessi di quelle che potevano essere state “buone intenzioni”, continuano sempre a commettere gli stessi errori… E col progresso che si è manifestato attraverso i secoli, gli effetti dei loro sbagli non si limitano a diffondersi a posti immediatamente vicini alla fonte, ma riescono a raggiungere luoghi sempre più lontani fino a coinvolgere cose o persone che potrebbero benissimo non avere commesso azioni per alimentare quel fuoco.
In un certo senso era meglio che l’uomo non sia mai riuscito a controllare la frontiera del tempo: dopo la terra, le foreste, gli oceani, il cielo e lo spazio extra-atmosferico, attraversabili o almeno raggiungibili grazie ai mezzi che la tecnologia ed il progresso sono riusciti a fornire, gli umani potrebbero pensare che sarebbe possibile arrivare a controllare il tempo e poter visitare le epoche precedenti a quella attuale usando speciali macchinari come descrivono i libri di fantascienza, magari cercando di cambiare eventi già accaduti per farli andare come avrebbero voluto loro, ma quello fortunatamente resta ancora uno scenario più fantastico che reale.

Kaguya era grata che le cose stessero così per il momento, dato che giocare con qualcosa che è fuori dalla tua portata non aveva mai giovato a nessuno, e se anche fosse stato così, una seconda volta non eri fortunato come la prima; questo valeva sia per i fatti piccoli che quelli un po’ più rilevanti: dai suoi anni come figlia unica della famiglia Akagi, comprese fin da subito che parenti e servitori si stavano imbattendo in un’impresa troppo grande per loro, ma era un progetto che per essere portato avanti necessitava di risorse e denaro, così finirono per coinvolgerla non appena provò una volta a fuggire di nascosto dalla villa; la classifica situazione del tipo “O fai come ti diciamo noi, o per te le cose si metteranno male come mai nella vita”. Le cose per lei peggiorarono una volta compiuti quattro anni, e ripensandoci era piuttosto sollevata di essere riuscita a far passare più tempo di quello che credeva; certo, quattro anni non sono neanche tanti, ma per lei ogni giorno sembrava talmente lungo da non finire mai. Spesso non si accorgeva di quanto tempo passava, così passavano giorni e settimane senza che se ne rendesse veramente conto, con quello che doveva subire anche prima di prendere parte attiva agli “affari di famiglia” e che ogni singolo giorno si ripeteva.
Tornando però alle cose importanti, i veri problemi per lei cominciavano quando aveva da poco compiuto i quattro anni: la pura curiosità di bambina che la aveva spinta più di una volta a sbriciare nei sotterranei della residenza, fortunatamente senza essere mai scoperta, tanto tutti quanti erano troppo presi dagli avvenimenti che si susseguivano in quelle stanze oscure; tuttavia, ogni giorno sapeva di stare facendo le stesse cose del precedente, senza che cambiasse nulla, e l’unica volta che la sua curiosità la portò ad immaginare cosa ci potesse essere fuori da quella che sarebbe sembrata a tutti un’enorme casa vittoriana circondata da un vasto prato di gigli ragno rossi –suoi unici silenti compagni nelle notti a cavallo tra estate ed autunno in quegli anni da incubo- . Quando ci ripensava, si malediceva di non aver pensato che ci fosse qualcos’altro là fuori che impedisse l’arrivo di visitatori indesiderati da fuori, poiché non appena superò quella barriera di quella che avrebbe scoperto poi essere energia demoniaca, un potere proibito alle persone e tuttavia affine a quello che avrebbe scoperto scorrere anche nelle sue vene per colpa degli esperimenti degli Akagi su di lei, i servitori la ritrovarono in pochissimo tempo, senza lasciarle avere nemmeno un assaggio del mondo esterno…
Non rammentava di preciso cosa aveva provato nel momento in cui la avevano trascinata a casa; rabbia non le sembrava dato che chiunque si trovasse a villa Akagi non meritava più nemmeno quella; paura nemmeno, la considerava quasi una costante in quel posto… Forse era pura e semplice rassegnazione: sapeva che non la avrebbe passata liscia per quella storia, vero, ma anche per una cosa che le dissero... Che era inutile che uscisse… Che l’unica posto in cui poteva stare una come lei era quello… Che ciò a cui sarebbe stata sottoposta glielo avrebbe fatto capire…
E durante quel breve discorso del padre, tutto ciò che caratterizzava la villa, urla soffocate o assordanti umane che non, rumori di macchinari di cui non era sicura dell’uso, rimbombi che sembrava volessero rompere qualsiasi parete o finestra che li contenesse per far capire al mondo di fuori che qualcosa stava accadendo in quella residenza tagliata fuori dal mondo, non le era mai sembrato più reale che in quel momento…



Con un mormorio dettato da stanchezza per la giornata trascorsa e frustrazione per ricordarsi solo le parti peggiori della sua vita terrena, tutti quanti ulteriori particolari che Yuri le faceva rivivere nei sogni, cercando di ricomporre un passato quanto più coerente possibile coi frammenti dei suoi ricordi, Kaguya si rimise nuovamente seduta composta dopo essersi accorta di aver nuovamente chiuso gli occhi ed inclinato la schiena verso la poppa della gondola; accanto a lei, Amber visibilmente preoccupata coi capelli scompigliati a causa dell’umida nebbia –l’unico elemento climatico presente in quel pezzo d’aldilà- e della velocità con cui si spostavano grazie alla magia contenuta nelle barche e Topaz che si limitava a guardare verso di lei senza una particolare espressione, ma la castana scosse la testa e fece un gesto con una mano, facendo capire loro che non era nulla di troppo importante di cui parlare.  
I due Shards allora, movimenti ed espressioni visibilmente meno tesi di prima, ritornarono a guardare l’orizzonte dove la nebbia si diradava sempre più per lasciare intravedere delle sagome in lontananza che si rivelarono essere piccole abitazioni vagamente somiglianti a quelle dei borghi medievali europei che Kaguya aveva visto soltanto nei libri, prima sparsi qua e là in una radura sovrastata da un cielo terso con ancora qualche spruzzo di nebbiolina, andando a formare via via gruppi sempre più ampi che racchiudevano strade, piazzole ed arcate fino a fermarsi nei pressi di una cinta di mura posta su un rilievo montuoso che proteggeva un fitto gruppo di case simili a quelle già incontrate, interrotte ogni tanto da strade, monumenti indistinguibili dall’altezza a cui si trovavano, giardini e molto altro ancora; volgendo lo sguardo oltre quelle file di edifici, vi era un ulteriore muraglia che racchiudeva una vasta piazza con soltanto quattro abitazioni poste sui lati della piazza quadrata, una fontana al centro di quest’ultima, una cattedrale con il campanile ed un enorme arco di pietra dalla parte opposta alla chiesa. Tutti questi elementi, artificiali e non, avevano una caratteristica in comune che li distingueva da quelli presenti fuori dalle mura: dove prima regnavano il bianco ed il grigio incontrastato nella terra, nelle case e nel cielo, su quel monte la nebbia era meno fitta e lasciava intravedere un pezzo di cielo sfumato di azzurro chiaro, così come i giardini erano macchiati di verde di ogni tonalità, e ciascun edificio aveva sfumature di tinta unita, la stessa del colore della gemma del Triste Mietitore che vi viveva, un aspetto più lucido e cristallino delle volgari pietre non raffinate…
Ecco dove vivevano Kaguya e gli altri shinigami che avevano conservato la ragione: la cittadella immersa nella nebbia, la capitale della foschia, l’unico spruzzo di colore in quel mondo di tonalità neutre, Chróma[1].


Una volta arrivati proprio sopra la piazza, le barche si fermarono sempre più lentamente fino ad arrestarsi a pochi metri da terra; i tre si scambiarono uno sguardo e saltarono giù dalle rispettive imbarcazioni, mentre queste s’illuminavano ad intermittenza di un colore indefinito, segno dell’ennesima trasformazione che stavano per subire: dai lati della barca spuntarono strutture luminose e non più consistenti della nebbia, mentre la poppa si distendeva e divideva in parti simili a lunghe code e la prua diventava più grande e incurvava leggermente davanti per formare un becco. Quelli che i tre shinigami avevano davanti ora non erano più le gondole che avevano usato per raggiungere la cittadella, ma creature alate meccanizzate e impregnate di magia, atti al trasporto delle anime fino alla cima della torre del campanile dove sarebbero state giudicate, e difatti le tre macchine si alzarono subito in volo con un verso simile al gracchiare dei corvi senza prestare attenzione ai tre shinigami, librandosi in aria fino ad arrivare ad una destinazione che non potevano scorgere.
Kaguya si prese un attimo per guardarsi intorno, rendendosi conto che nulla era cambiato in quell’angolino della capitale: gli stessi mattoni chiari spigolosi e rovinati a pavimentare la piazza, la stessa fontana dalla quale non zampillava nemmeno una goccia d’acqua, gli stessi vasi posti appena fuori dalle case, dalla cattedrale ed intorno alla fontana che però non riuscivano a dare molto colore a quel posto in cui i colori neutri che si trovavano fuori dalla città dominavano, le stesse abitazioni simili a quelle dentro e fuori dalla capitale solo un po’ più grandi, e un enorme arco dalla parte opposta alla cattedrale per dirigersi nella zona circondata dalle cinta di mura più esterne… Non era cambiato nulla lì… Era tutto come lo aveva lasciato in seguito alla sospensione… Beh, in fondo è anche questo lo scherzo che fanno le pietre: non cambiano mai a meno che qualcuno non le intacchi, e di certo nessuno aveva mai avuto il pensiero di cambiare quell’immensa scultura che era quell’angolo di aldilà.
- “E tu che credevi che qualcosa fosse cambiato. Come ci si sente a vedere le proprie aspettative bruciate, signorina?” – fece Yuri col suo solito tono provocatorio. Non poteva dire che le fosse mancato non sentirlo più da quando si trovavano ancora sulla barca, ma le sembrava strano fosse rimasto buono per tutto il viaggio… Si ripeté che non importava molto, anche perché la giornata lavorativa che non era ancora finita le avrebbe risparmiato di ascoltarlo tutto il tempo.
Scosse quindi la testa come a scacciare l’eco della voce del demone dalla sua testa, per poi voltarsi verso i due Shards, trovandoli nuovamente a fissarla con le stesse facce preoccupate e tristi che aveva notato durante il viaggio:
- Che cosa avete? È successo qualcosa di male? – chiese preoccupata. Credeva che stessero così perché la avevano vista con la testa altrove durante il viaggio, ma può darsi che non si trattasse di quello se quelle espressioni erano tornate sui loro volti.
Amber sembrò sobbalzare lievemente alla domanda e abbassò subito lo sguardo sul pavimento; Topaz invece chiuse per un attimo gli occhi e si portò una mano alla fronte, come se stesse pensando alle parole giuste da dire, per poi annuire lievemente:
- Signorina Ruby, le chiedo di non pensare male di noi per questo. Non intendevamo tenervelo nascosto, ma… - ed ecco che la tensione si fece di nuovo strada sul volto del ragazzo, accigliandogli lo sguardo che aveva improvvisamente rivolto a terra e facendogli mordere il labbro per impedirgli di parlare.
La castana sbatté gli occhi, sorpresa per non dire sconcertata: non era decisamente da Topaz esitare così nel risponderle. Certo, nel poco tempo che erano rimasti insieme prima della sua sospensione, Ruby aveva capito che il ragazzo era decisamente più composto della allegra e spensierata Amber, ma come la sua collega Shard non aveva mai avuto peli sulla lingua quando si rivolgeva al loro superiore. Non aveva mai mostrato timore di esprimere ciò che pensava, così come era sempre stato schietto anche durante le critiche, che fosse ai suoi compagni di lavoro o la stessa Ruby, e per questo Kaguya gliene era grata: dopo quei sette anni di bugie nella villa, le piaceva trovare persone che erano sincere almeno da quel punto di vista. Preferiva chi era schietto con gli altri, naturalmente tenendo conto delle buone maniere; per questo vedere il ragazzo così esitante era estremamente inusuale.
- Signorina, la verità è che… Le famiglie Kihara e Momoi… -
- Non è rimasto nessuno. – completò Amber lapidaria, un tono che non si addiceva alla personalità solare che era solita far vedere al suo superiore, ma finalmente libera dal silenzio che la stava divorando da prima che trovassero Ruby nel mezzo del mare di quel tratto d’Aldilà.
Era ora che la Shard dell’ambra la stava guardando, ma Kaguya non era affatto contenta di vederla così: aveva gli occhi lucidi e le tremavano le labbra, così come il resto del corpo, mentre una mano si teneva un lembo del mantello, come a cercare qualcosa a cui aggrapparsi per paura… Paura di cosa poi? Che perdesse le staffe per una semplice brutta notizia od inconveniente?
- Ci… Ci aveva detto di farle sapere cosa fosse successo loro… Noi… Noi li abbiamo visti… Gli eredi di quelle famiglie… Erano nei luoghi che ci aveva indicato… Quando siamo arrivati lì però… - non riusciva a smettere di singhiozzare e lacrimare, gli occhi certamente rossi malgrado la frangetta ribelle cercasse di tenerli celati, e già da quello Kaguya poté immaginare che cosa aveva visto.
Si avvicinò lentamente alla Shard, che ora aveva le mani a coprirsi la faccia, a fermare inutilmente le lacrime e troppo assorta nel dolore per capire quello che stava succedendo; al contrario, Topaz sembrava essersi scosso da quel silenzio che lo aveva preso quando aveva cominciato a parlare e scattò sull’attenti, raggiungendo ad ampi passi la collega, intimorito e dubbioso per quello che forse poteva stare per fare Ruby, la quale però si limitò a sorridergli gentilmente e mise le mani sulle spalle della bionda, ringraziando mentalmente che la loro statura era più o meno la stessa o avrebbe fatto fatica anche solo a compiere quei piccoli gesti –oltre ad aggiungere l’ennesimo complesso alla castana riguardante il suo fisico- :
- Mari, stai tranquilla. È tutto a posto. – le sussurrò dolcemente la castana, ma la bionda si tolse le mani dalla faccia ormai rossa di pianto e scosse energicamente la testa:
- No, non lo è! Lei ci ha detto di sorvegliarli, e invece noi… Noi… - ecco che altre lacrime si apprestavano a prendere il posto di quelle che avevano già bagnato il volto della ragazza, ma Kaguya continuò a sorriderle, asciugando alcune delle gocce salate con la lunga manica del kimono.
- Lo so, lo so. Vi avevo detto di tenerli d’occhio. Se ti sei ridotta così, vuol dire che è successo qualcosa che sapevate non mi sarebbe piaciuto sentire o che non è piaciuto a voi, vero? – si voltò quindi verso lo Shard del topazio che accennò un “sì” con la testa, il movimento privo di tensione ed ansia ora che aveva visto che il loro superiore non intendeva fare nulla alla collega.
Ruby intanto aveva spostato una mano a carezzare i capelli biondi dell’altra shinigami:
- è tutto a posto. Se ti sconvolge così tanto dirmelo, non devi sforzarti a parlare. Mi farò raccontare tutto dagli altri Jewels. Sicuramente anche loro hanno avuto parecchio da fare stanotte. – baciò la guancia della ragazza e fece cenno a Topaz di avvicinarsi, per poi spingere delicatamente la bionda verso di lui.
- Alan, sii gentile e riaccompagnala a casa. Ha bisogno di riposare un po’ e calmarsi. Questa notte non sarà stata facile per nessuno, e non preoccupatevi per il lavoro: spiegherò tutto io agli altri. –
Lui mormorò un “Con permesso” quasi inudito dalla castana, per poi mettere una mano sulla spalla di Amber e condurla verso l’arco nella piazza, verso la cinta di mura esterna che accoglieva le case dove vivevano gli Shards; Kaguya li osservò allontanarsi finchè non scomparvero oltre l’arcata di pietra, per poi dirigersi verso la fontana dove era presente acqua stagnante; si slegò quindi la collana col piccolo rubino che Topaz le aveva restituito, tenendola stretta mentre immergeva la pietra nell’acqua.
- “Attraverso il mare… Ove i peccatori vanno a purificarsi…
Attraverso la terra… Ove le vittime ingiuste mettono le radici…
Attraverso il cielo… Ove chi non ha mai avuto nulla si è rifugiato…
Una pietra è tornata… Ad occupare il suo posto nel portagioie della padrona…
Un gioiello ha fatto ritorno… Per portare avanti il suo ruolo insieme ai suoi fratelli…
Un cristallo che splenderà fino a quando non si spezzerà… Tornando nella buia teca…
Dal colore rosso di sangue e vita… Il rubino.” -
Dopo aver recitato quel mantra sottovoce, l’acqua cominciò ad incresparsi leggermente malgrado l’assenza di vento o altri zampilli di liquido trasparente, mentre dal punto in cui era immerso il ciondolo partivano rune rosse che fecero un giro completo intorno al centro della fontana, quando la luce andò poi a circondare la shinigami che, senza rumore o testimoni ad osservare, si trasformò in un fascio luminoso rosso che finì nell’acqua, senza lasciare tracce della sua presenza nella piazza.


Una volta dissipatosi il bagliore colorato, Kaguya si ritrovò al buio, all’inizio di un lungo corridoio di pietra illuminato di quando in quando da lanterne di un colore indefinito appese alla parete da pioli di cristallo.
Ne prese quindi una per illuminare il suo cammino, i passi che riecheggiavano su quelle pietre che costituivano tutto ciò che esisteva in quell’angolo di Aldilà, in mezzo a quell’atmosfera gelida che la luce delle lanterne non riscaldava, anzi rendeva ancora più fredda e tetra, fino a quando il sentiero non si divise in cinque gallerie: a partire da sinistra, una con lanterne verdi acqua, la seguente con lucerne blu oltremare, poi le stesse bianche che la avevano guidata fin lì, dopo ancora rosso sangue, ed infine… Viola, il colore della penitenza in alcune tradizioni religiose dell’Occidente, ma anche il simbolo di tutto ciò che legato alla fantasia, ai sogni, alla magia, all’arcano… La tonalità del cambiamento, di saggezza ed umiltà, di chi vuole sentirsi libero dalle proprie catene e comunicare agli altri ma che ha allo stesso tempo bisogno d’affetto od aiuto perché diffidente, tendente alla razionalità e tuttavia non del tutto pronto a lasciar andare fantasie innocenti. Eh già, era decisamente il colore più adatto a quella persona.
Niente a che fare col suo: il rosso era il colore dell’energia, della passione, della forza, della sicurezza, della fiducia in sé stessi, della voglia di affermarsi, vincere, primeggiare, essere autonomi… Tutte cose che lei non aveva mai avuto e che a tredici anni ancora non riusciva a capire. Si chiedeva con quale criterio ad uno shinigami fosse affidato una pietra quando cominciava a svolgere i suoi doveri. Lei non si sentiva di essere ciò che quel minerale avrebbe dovuto rappresentare…
Si diresse quindi nel corridoio più a destra, illuminato dalle luci violette, quando la voce di Yuri, diventato taciturno da quando erano tornati in quel mondo, si fece nuovamente sentire:
- “è la direzione sbagliata. Gli altri ti staranno aspettando nella sala principale.” – la informò, facendo fermare la ragazza.
- E io ti ricordo che tu-sai-chi ci ha mandato uno dei suoi piccoli messaggeri. Non lo possiamo ignorare. – riprese quindi a camminare, per poi completare la frase:
- E poi, Sapphire e Berillium impareranno ad essere un po’ più comprensivi: per il gruppo di Shards sotto il mio controllo è stata sicuramente una giornata lunga. –
- “Mmm… Vero, dimenticavo che ci sono tante nuove reclute oltre a Topaz ed Amber. Peccato che con lei non mi diverto, si spaventa troppo facilmente. Non c’è gusto a giocare con una preda che si lascia sconvolgere da qualche goccia di sangue, perché sicuramente avrà visto anche questo. Piuttosto, come mai la diretta interessata non si è dimostrata triste o che altro alla notizia? Credevo ti importasse dei bambini Kihara e Momoi. O forse restare troppo tempo in quella casa o qua in mezzo agli shinigami ti ha fatto diventare più chiusa di un’ostrica?"
Ruby allora prese la katana, gettandola a terra con forza e schiacciando il fodero:
- Il fatto che non mi sono sentita chissà come è perché quei due li ho solo visti pochissime volte quando venivano portati a villa Akagi per essere sottoposti ad esperimenti e altrettante volte li ho visti durante il lavoro prima di essere uccisa. Avevo fiducia nelle loro capacità di sopravvivere, ma mi sono sbagliata, tutto qua. Sono durati meno del previsto, e a quest’ora è facile che i loro Cursed Gears siano andati perduti. – premette ancora più a fondo il piede sulla spada:
- E vedi di cambiare tono quando mi parli. E cosa altrettanto importante… Non osare più parlare di Amber in quel modo. Ha visto qualcosa che sicuramente non le ha fatto alcun bene, e l’unica cosa che sei capace di fare te è sputare sentenze. Nessuno di noi qua è come te, vedi di impararlo una buona volta. – terminò lei con un tono che non ammetteva repliche, per poi raccogliere da terra l’arma e proseguire, stavolta indisturbata -che Yuri avesse imparato la lezione non era certo. Quasi sicuramente sarebbe tornato alla carica alla prima occasione- fino a quando non arrivò nei pressi di una stalagmite violacea, posando a terra la lanterna e tastando lo spuntone di roccia, che al contatto con la sua mano la ritrasformò in luce rossastra che passò attraverso il cristallo, catapultandola nel giro di pochi secondi dove voleva: una stanza da letto, il muro violetto occupato da mensole ed altri mobili che contenevano bambole con pezzi cuciti malamente insieme, animali di peluche –soprattutto conigli- e libricini, per terra un tappeto color viola scuro interrotto qua e là da morbidi cuscini color lavanda, davanti a lei un grande letto a baldacchino anch’esso nei toni del resto dell’arredamento. Le tende erano tirate, quindi la sua occupante stava certamente riposando; si avvicinò lentamente, attenta a non inciampare sui cuscini sparsi ovunque e, giunta in prossimità del giaciglio, scostò le tende quello che bastava per vedere su quel letto una bambina di cinque o sei anni, i capelli viola tipici di chi era Triste Mietitore da molto tempo ed aveva assorbito quasi tutto il potere della sua pietra dentro di sé, la pelle candida come la neve e gli occhi chiusi; il resto del suo corpo era tenuto nascosto dalle lenzuola che si abbassavano ed alzavano al movimento del respiro della bambina addormentata, solo le braccia lasciate fuori a stringere un uccello di peluche. Esatto, “addormentata”: come Kaguya, apparteneva ad una categoria di shinigami che, oltre ad avere conservato la ragione, possedeva un corpo che aveva mantenuto la maggior parte delle funzioni di quando era umana.
A dispetto delle apparenze, quella bambina non era quello che appariva: era una dei Jewels, una che possedeva il potere di una delle pietre cardinali dell’antichità e più potente degli Shards, colei che occupava il posto di comando sugli shinigami e la giudice delle anime che giungevano lì. E tra l’altro, colei che la aveva tirata fuori dal vuoto che aveva visto quando era morta…
- A quanto pare però anche lei può stancarsi. Non si sposta quasi mai da qui, ma non ha nemmeno uno dei compiti più semplici. – ridacchiò la castana, rimettendo a posto la tenda e facendo per lasciare la stanza per lasciare la bambina dormire, non prima di averle schioccato un bacio sulla fronte e lasciarle un sussurro “Good night and sweet dreams[2]”, ma qualcuno non era della stessa idea.
- C’era da immaginarselo che saresti passata qui, Ruby… - la diretta interessata si girò verso la direzione dalla quale proveniva quella voce maschile un po’ burbera, che si rivelò appartenere ad un uomo seduto al tavolo di pietra non lontano dal letto, proprio vicino all’unica finestra della stanza lasciata aperta; quell’uomo dall’aspetto più vicino ai quaranta che ai trenta era vestito in una giacca nera con ricami argentei, in cui i lunghi capelli raccolti in una coda sembravano fondersi fino a toccare il pavimento, pantaloni color grigio perla che fasciavano le gambe l’una accavallata sull’altra, stivali neri e guanti dello stesso colore che in quel momento reggevano un bicchiere d’acqua.
Doveva ammettere che si era quasi scordata della presenza di quel cane da guardia di Obsidian, e non poteva dire che le piacesse rivederlo: malgrado fosse uno Shard, era il servitore personale della shinigami addormentata ed una sorta di braccio destro per lei; inoltre, era uno dei Mietitori più competenti che avevano ed era stato presente quando lei, Sapphire e Berillium erano stati “reclutati” tra le schiere degli shinigami, gli attuali Jewels insieme alla bambina dai capelli violetti. Malgrado fosse tecnicamente un gradino inferiore a loro nella gerarchia, era comunque più esperto… E sembrava che questo gli facesse avere il diritto di parlare loro come preferiva e col tono che voleva. Ecco cosa non le piaceva, oltre al fatto che ripeteva sempre loro come eseguire questo o quell’altro compito quando lui stesso non era uscito dalla cittadella per non si sa quanto tempo!
Senza farsi notare, emise un sospiro per provare a non farsi prendere dall’ansia e si rivolse ad Obsidian:
- La principessina mi ha chiamata. Chi sono io per declinare un invito? – lo disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo, ma rimaneva il fatto che avrebbe di gran lunga preferito non avere quel mastino nero intorno.
- Allora persino una che non è ancora diventata del tutto una shinigami ha almeno la decenza di ascoltare un superiore… Questo mi tranquillizza. – lei in risposta strinse i pugni, irritata dal sentire uno che quasi le sembrava una versione più dark di Yuri. Peccato che questo qua doveva per forza averlo davanti per sentirlo parlare, non sentire una voce in testa e basta.
- Ebbene, che cosa aveva di così urgente la principessina da informarmi? Me lo dirai te non è vero? Anche perché non credo sia carino svegliare una dolce bambina per qualcosa di così futile. – sottolineò lei, ma non ottenne risposta immediata finchè dei fogli non le furono come schiacciati contro lo stomaco con una forza tale da farla piegare in due; con un soffio scocciato verso un Obsidian che ora le era di fronte e la sovrastava con la sua altezza, lei diede un’occhiata ai documenti, spalancando gli occhi per la sorpresa.
Chi l’avrebbe detto che sarebbe tornata al lavoro e che avrebbe pure ricevuto una ricompensa in una sola volta!?
- La principessa Amethyst voleva semplicemente affidarti tuo prossimo incarico. Le date di morte di queste due persone sono tra quattro anni. Fino ad allora, tu non ti muoverai dal mondo degli shinigami e rimarrai da sola a sistemare le anime danneggiate, mentre i tuoi Shards verranno mandati ad addestrarsi con quelli di Berillium. Che non accada più che lascino che le loro emozioni s’intromettano nella raccolta delle anime, soprattutto in occasioni come queste. E ora sparisci! – a quelle ultime tre parole sussurrate, lei si ritrasformò in luce rossa e fu risucchiata nuovamente dal cristallo che la fece tornare nel corridoio di pietra con un tonfo per terra.
Avrebbe voluto gridargli contro di non trattarla così e non parlare dei loro colleghi come se potessero fare un lavoro come osservare le morti degli altri, raccogliere le anime e restare indifferenti davanti a tutto ogni singola volta, ma quello lì la aveva già sbattuta fuori; il suo sguardo ritornò ai fogli che non aveva ancora lasciato andare, notando le foto di una bambina dai capelli biondi e gli occhi color ciano ed un bambino dai capelli neri e gli occhi verdi smeraldini.
- Mikaela e Yuichiro Hyakuya eh… Allora siete voi due quelli di cui parlava la principessina. Eh eh! – si rialzò subito, raccogliendo la lanterna nel frattempo e saltellò via di buon umore perché la sua ricerca personale poteva ricominciare, ma si paralizzò ad un pensiero.
- E come pensano che faccia a sistemare da sola le anime di milioni di persone!? – si lamentò ad alta voce, mentre Yuri nella katana sghignazzava silenziosamente.



[1]: “Chróma” significa “Colore” in Greco (fonte: google traduttore)

[2]: “Buonanotte e fai bei sogni” (fonte: google traduttore)



Angolo dell’autrice
è uscito parecchio lungo stavolta, ma volevo inserire i nostri cari Hyakuya quanto prima, così eccoci qua.
Ora sappiamo qualcosina di più del mondo degli shinigami, l’esistenza di una scala gerarchica (Coi Jewels che sono le gemme cardinali dell’antichità, cioè ametista, rubino, zaffiro e berillio di cui sono comparsi i nomi finora, e gli Shards, cioè gli shinigami che presiedono le altre gemme, ma li ho divisi tra i Jewels basandomi su somiglianze nei colori più che altro) e anche l’identità della benefattrice di Kaguya.

Comunque avete capito bene, Mika qua sarà una ragazza. Cercherò di tenere i personaggi quanto più IC possibile, poi quel che sarà sarà.
Spero che vi siate goduti il capitolo e che magari vogliate lasciarmi un piccolo commento.
Alla prossima pagina della storia.
Crow

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Capitolo 6
*** The sixth page: meetings and partings ***


The sixth page: meetings and partings


Quiete, calma e silenzio, interrotti unicamente dal ticchettio delle lancette di un orologio, uno che continua a scandire albe, giorni, tramonti, sere e notti di chi continuava a seguire la propria routine quotidiana, malgrado il cielo di quel mondo potesse essere sfumato unicamente d’azzurro chiarissimo e grigio nebbia… Non importava che il giorno si trasformasse in notte, o se l’estate avesse già ceduto il posto all’autunno, quel cielo sarebbe rimasto sempre e comunque lo stesso.
Anche lì il tempo andava avanti a scorrere, ma per chi ci abitava, ogni giorno era comunque uguale all’altro: fare sempre le stesse cose… Vedere sempre le stesse facce… E sapere che tali sarebbero rimaste finchè qualcosa non le avrebbe fatte sparire davvero…
Eh sì… Malgrado gli shinigami Jewels, coloro che racchiudono l’essenza delle pietre cardinali dell’antichità, e gli Shards, incarnazioni dell’energia delle altre pietre preziose, fossero riusciti a tenersi stretti ricordi, identità e corpi di quando erano umani, non vuol dire che tutto sia rimasto uguale una volta diventati Spiriti Mietitori: non importa che necessitassero ancora di mangiare, dormire, respirare e provassero ancora qualcosa di simile alle emozioni… i loro cuori non battevano più, i loro occhi non vedevano più i colori ma soltanto i giorni che mancavano ad una vita prima di spegnersi fintanto che restavano sulla Terra, i loro sensi erano più acuti per individuare eventuali ostacoli durante lo svolgimento dei loro incarichi, la loro forza maggiore per tranciare una vita che si era sottratta per pura fortuna alla triste mano della morte perché l’equilibrio tra vivi e morti restasse tale (o per salvare tale vita nel caso quella morte non fosse un “errore” nell’ordine degli eventi) e col tempo… Anche loro avrebbero perso quel poco che gli restava della loro “umanità”: più e più si facevano prendere dal ritmo di quel mondo, uguale ogni giorno e consci di non poter resuscitare come esseri umani o “passare dall’altra parte” come le anime che invece dovevano recuperare, e per sempre costretti ad osservare le vite umane spegnersi ed accendersi, ognuno di loro prima o dopo non solo aveva il proprio corpo smettere di invecchiare, ma diventava sempre più apatico ed insensibile di fronte alle morti che si ritrovava ad assistere. In fondo era questo che erano loro: semplici marionette nate solo per portare avanti uno scomodo lavoro che tutti credevano opera di chissà quale Dio… Delle semplici rotelle di un meccanismo che non si poteva arrestare… E come tali, avrebbero continuato ad arrugginirsi fino a diventare polvere, lasciando una nuova rotella a sostituirli per non compromettere l’intero processo.


Ecco di cosa era spaventata Kaguya. La sua benefattrice, la principessa Amethyst, la aveva avvertita insieme agli altri attuali Jewels di questo “pericolo”: quella sorta d’immortalità che avrebbero acquisito andando avanti era più simile ad una maledizione per loro, giunti in quel mondo per entrarne a farne parte come “recipienti” del potere delle pietre che portavano (prima semplici gemme, poi pietre imbevute di chissà quale potere che nessuno aveva ben capito da dove arrivasse o chi potesse averlo portato lì, fonti delle loro nuove abilità di shinigami e loro unici lascia-passare tra la Terra e il loro mondo e viceversa). Intanto però non era successo nulla di grave a nessuno di loro tre: Sapphire e Berillium erano un po’ più vecchi di lei quando erano morti, e anche se i loro corpi avevano già smesso di invecchiare quando il suo ancora non aveva fatto lo stesso, ancora bloccato all’età di quattordici anni quando ne aveva già compiuti diciotto (era incredibile che, in quasi quattro anni dall’Apocalisse, lei fosse invecchiata fisicamente di neanche due anni), nessuno di loro era ancora diventato un apatico pupazzetto; anche Amethyst e Obsidian, gli shinigami più anziani tra Jewels e Shards, parevano essere nella stessa situazione di Sapphire e Berillium, ma Kaguya aveva l’impressione che ci fosse qualcosa che non riuscisse a cogliere riguardo alcuni comportamenti della bambina alla guida di tutti i Mietitori e del suo rabbioso quanto fedele cane nero da guardia… Va bene, sinceramente non le importava di sapere cosa passasse per la testa a quel vecchio di mezz’età che non faceva altro che seguire Amethyst ovunque andasse e dare ordini a destra e a manca a tutti gli altri, ma non le sarebbe dispiaciuto riuscire a capire un po’ di più cosa pensasse la principessina, non perché ci tenesse ma perché ognuna di loro aveva il proprio tornaconto: Kaguya era diventata una shinigami perché Amethyst aveva voluto così, ottenendo il potere del Jewel e assumendo l’identità di “Ruby” per quasi dieci anni ormai, in modo da svolgere un incarico precluso per lei che non poteva allontanarsi dalla città Chroma; anche la Akagi aveva qualcosa da fare sulla Terra, oltre alla promessa fatta al demone della sua katana. Peccato che non potesse tenere d’occhio la bambina, ma era quasi sicura che si sarebbe trovata alle calcagna un segugio nero, pronto ad azzannarla alla prima mossa falsa, se solo ci avesse provato.
E poi in quel momento aveva qualcosa di più importante da fare, cioè rimettere a posto le ultime anime danneggiate: chiusa in quella biblioteca sotterranea, accessibile solo ai Jewels (e Obsidian per un’eccezione nota solo allo stesso e alla principessa) che prendevano il passaggio illuminato di rosso all’incrocio sotto la fontana della piazza della cattedrale Pneuma[1], Kaguya aveva passato quasi quattro anni a sistemare le parole scritte nelle Pagine di ogni anima che non era uscita illesa dalla notte dell’Apocalisse; bloccata su una sedia fluttuante grazie al potere di un cristallo magico posto sotto di essa, ad un tavolo anch’esso di pietra che aveva visto altri fare lavori simili al suo parecchi anni addietro, circondata da tomi sgualciti ed ingialliti che contenevano le informazioni sulle anime raccolte anche molti secoli prima, stava scrivendo su una lastra con una penna che lasciava tracce luminose sul freddo metallo, riempiendo il vuoto con minuscoli caratteri che sembravano ravvivare un po’ la lega opaca. Malgrado le parole sulle Pagine della vita di una persona andassero a riempire subito il rispettivo volume (come se fosse già deciso come, dove e quando uno dovrà morire) non appena lo Spirito Mietitore le faceva dirigere verso quel mondo, nessuno di quei libri alla fine era perfetto come doveva essere: parti cancellate, altre sbiadite, altre ancora riscritte sopra altre righe, pagine strappate od addirittura coperte di muffa come se fossero state lasciate lì a marcire per sempre in quella piccola fortezza letteraria, dove tutto ciò che affliggeva quelle Pagine erano i peccati e le virtù compiute dalle persone a cui appartenevano quelle anime, era ciò che l’Apocalisse aveva inferto a quegli umani, costringendo la castana a rinchiudersi in quel posto a “raccogliere i pezzi persi per strada” da quella tragedia.
Quasi quattro anni costretta a pasti frugali e notti quasi insonni, immersa nell’odore di vecchia carta e metallo, la luce dei cristalli incantati ed il ticchettio delle lancette di un vecchio orologio fluttuante sopra il tavolo, vietata dal vedere gli Shard suoi sottoposti o anche solo informarsi delle loro condizioni… E oltretutto, separata per l’ennesima volta dalla sua katana, maledetta dal potere di un demone dagli occhi vispi e tinti del sangue che aveva colorato il Natale dell’Apocalisse; piuttosto severa come punizione da parte della principessa, anche se il suo cane nero/maggiordomo/guardia del corpo Obsidian poteva benissimo averci messo il suo zampino: passandosi una mano tra i capelli per la stanchezza, cercando di sistemarsi le ciocche disordinate nel mentre, la mano della ragazza si muoveva lentamente per completare quelle ultime righe, lottando perché gli occhi più rossi che castani per la fatica restassero aperti e non prolungare ulteriormente la sua permanenza lì.
Con un sospiro di sollievo infine, la ragazza posò la penna e prese un libro nuovo dal tavolo, poggiandoci sopra la fine lastra metallica, la quale ebbe le lettere di un colore indefinito illuminarsi di rosso, segno che quell’anima era stata restaurata e sigillata e che attendeva di essere giudicata; Kaguya si sporse un poco dal suo posto a sedere mentre la sedia si abbassava, arrivando ad un’altezza per cui lei potesse scendere comodamente per terra, e mettere il tomo nell’unico posto vuoto lasciato in un grande scaffale intagliato nella pietra, fredda ed eterna come tutti quei libri che contenevano nelle loro pagine il peso di tutte le gioie e dolori, bellezze e orrori, buone azioni e atti vili che quelle anime si erano portate dietro una volta persi i corpi terreni.
In quel momento però non le andava di abbandonarsi a questi pensieri: voleva solo tornare a casa sua e farsi una bella dormita. Una volta sistematasi, sarebbe dovuta andare all’incontro con gli altri Jewel programmato per quel mese: se era fortunata, poteva finalmente aggiornarsi su quello che era successo durante il suo “forzato esilio”.
Alzando le braccia e sentendole scrocchiare per quando erano rimaste nella stessa posizione, così come le sue spalle, la castana fece per uscire dalla stanza quando notò sul tavolo qualcosa che stonava con la grigia monotonia di quel luogo: un piccolo cesto di vimini pieno di fiori.
La shinigami ne prese uno, districandolo dal groviglio in quel cesto, accarezzandone i petali morbidi e respirandone un lievissimo profumo, godendosi quella nota fresca che era propria della Terra, e non di quel mondo di pietra quanto lo erano ormai anche i suoi abitanti:
- Mmm… Pansies… So you know that I am still here, taking care of everything for you, my dear little princess. [2] – allontanò il fiore dal suo viso, tenendolo tra le mani con cura (seppure non con la stessa con cui trattava e che riservava ai gigli ragno cari a lei e Yuri), andando a rimetterlo insieme ai suoi compagni in quel cesto che portava con sé solo due tinte di colore oltre al verde delle numerose foglie:
- White and violet… That is so you. [3] – ridacchiò lei, ma quella breve risata serena che si concedeva da tre anni fu subito troncata dall’unico “intruso” in quel piccolo dono: un biglietto nero pece legato al nastro violetto sul manico del cesto, un invito, il bianco inciso in minuscoli caratteri corsivi sul nero, in quella che era l’unica lingua che aveva mai sentito al di fuori dell’inglese che aveva sentito pronunciare nella sua ormai terminata vita umana. Fece scorrere velocemente lo sguardo su quelle parole quasi invisibili in quel nero, stropicciandolo poi nella sua presa per resistere alla tentazione di strapparlo, e lasciandosi andare ad una risata stavolta più amareggiata e disperata in cui cercò almeno di soffocare la fatica e il tedio di quei tre anni:
- You damn watchdog… You sure know how to vex me. What else can you possibly want from me this time… [4] – prendendo con sè il cesto malamente e di fretta, facendo cadere alcuni boccioli e foglie lungo la strada e lasciando per terra il biglietto, la Akagi si incamminò velocemente verso l’uscita della biblioteca.
Ora l’incontro poteva aspettare un pò: una più che sgradita sorpresa sicuramente la aspettava a casa sua.



Dopo essere uscita dai sotterranei, Kaguya fece per dirigersi a casa sua, la più a Sud nella piazza e proprio vicina all’uscita per dirigersi alle abitazioni degli Shards, incoscia del fatto che fuori c’era già qualcuno ad aspettarla:
- Ah. Sei proprio tu. Bentornata! – la salutò una voce pacata che non si faceva problemi a nascondere una nota di felicità nel ritrovare una vecchia conoscente.
La castana, appena uscita dal passaggio vicino alla fontana e strizzando gli occhi per riabituarsi al chiarore del cielo così diverso dalle tenebre della biblioteca, si guardò un attimo intorno per capire da dove provenisse il suono che aveva sentito, trovando la fonte comodamente appoggiata al marmo della fontana: la figura alta di una donna sulla trentina, i corti capelli lisci rosso mattone con qualche ciocca nera qua e là, vestita in un lungo comodo cappotto invernale di una tonalità simili a quella dei capelli e stivali neri. Ella si mise quindi diritta, facendo vedere il mantello rosso mattone da shinigami nella mano destra, sorridendo a Ruby:
- Ciao Ruby, come va? Anzi, come stai Kaguya? Per me non cambia nulla. –
La Jewel si avvicinò quindi all’altra:
- Buongiorno a te Jasper. – un leggero inchino, uno sguardo che implicava delle scuse furono tutto ciò che potè rivolgerle, prima di un gesto per mostrare il cesto di viole del pensiero:
- Vorrei tanto trattenermi per una conversazione, ma sembra che la principessina mi abbia lasciato qualcosa a casa. È possibile per te aspettare un attimo? Altrimenti… -
Fu interrotta dall’altra che scosse la testa:
- Nessun problema. Per una volta sono già a posto col lavoro. Anche Topaz e Amber volevano venire a salutarla dopo che ci è stato detto che avrebbe finito di scontare la sua punizione oggi, ma sembra abbiano avuto un imprevisto… Al massimo ci sentiamo più tardi per incontrarci tutti quanti, va bene? – si voltò con un sorriso sereno, forse uno dei pochi che Ruby aveva visto sin dall’inizio della sua sospensione sulla Terra più di tre anni prima, e si incamminò verso l’arcata accanto alla residenza della castana; quest’ultima, con le mani tremanti e il passo non più fermo e deciso a causa dell’indecisione e del tempo passato sottoterra (durante il quale era già tanto se faceva tre passi senza sbattere contro un muro od uno scaffale), fece un paio di ampi passi (per quello che le era possibile in quel momento) e prese la mano della Shard, fermandola e tirandola leggermente verso casa sua; quest’ultima, che già aveva notato che la sua superiore non era proprio in forma, non se la sentì di lasciarla da sola (oltre ad aver intuito che la “sorpresa della principessa” potesse non essere qualcosa di piacevole) ed optò per accompagnarla, lasciandole la mano ma restandole vicina anche solo nel caso in cui l’altra cedesse un po’ sulle proprie gambe.
Arrivate alla porta, Jasper strinse nuovamente la mano della superiore non appena quest’ultima toccò la porta dell’abitazione, ove si formò subito un portale che le trascinò all’interno, in una stanza dai muri rossi e l’arredamento molto sobrio, consistente in un solo tavolo, alcune sedie e dei comò dai toni sul bianco ed il crema:
- è così allora che lui vuole che sia questo posto. - mormorò Kaguya.
Porte, lucchetti e finestre erano inutili in quel mondo, ove i cristalli infusi di magia erano portali verso dimensioni che manifestavano al loro interno ciò che il loro padrone volesse. Anche solo per quello, il fatto stesso che le poche città presenti in quel mondo avessero l’aspetto di antichi borghi europei era un fatto inconsistente, e nessuno aveva chiara idea della ragione dietro a ciò se una ne esisteva; tuttavia, ciò che era apparso in casa di Ruby non era quello che lei si aspettava di trovare: lei avrebbe voluto andare in camera sua, giusto il tempo per cambiarsi in abiti puliti, e magari dopo in cucina con Jasper davanti ad una tazza di caffè fumante per parlare del più e del meno o anche solo sapere di più di quello che era successo mentre lei non c’era, ed infine controllare cosa avesse lasciato lì la principessina. Peccato che quello che anche quei piccoli momenti di serenità erano fin troppo lussuosi per lei per poterseli concedere persino dopo un interminabile lavoro, poiché aveva davanti aveva rovinato le sue aspettative: davanti a lei vi era l’immagine quasi sputata di uno dei samurai che aveva visto nei libri da bambina nella villa, ma quei soldati erano considerati figure importanti quando erano ancora in auge, guerrieri che avevano deciso di dedicare sé stessi a proteggere la loro nazione ed il popolo contro i nemici, rischiando la loro vita che per questo poteva essere paragonata ad un fiore: ci voleva tanto tempo per coltivarla quanto molto poco ad estinguere tale vita per sempre; nell’uomo che aveva davanti a sé però, dal kimono bianco sormontato da pezzi d’armatura su addome ed avambracci, stivali e soprabito scuro tanto quanto i capelli legati nel codino alto, riusciva unicamente ad incuterle non un rispetto per chi possedeva una carica alta ed importante, ma il timore che gli altri shinigami avvertivano in lui, misto ad un più che mai vivido senso d’oppressione: non era un rispetto che era incitato in una folla semplicemente alla sola vista, ma uno imposto duramente su sottoposti mal disposti o su soldati che non intendevano più andare avanti per la propria strada, minacciati da una spada pronta ad essere sfoderata per tranciare le sottili vite dei poveri malcapitati che avevano perso la voglia di combattere. Eppure, qualcosa continuava a non convincerla, come la semplice maschera nera che celava la parte superiore del viso dell’uomo, lasciando intravedere solo gli occhi castani scuri: quella devozione forzata negli altri, quel senso di sottomissione che doveva instillare in loro… Gli serviva solo per darsi più importanza, in quanto unico Shard in mezzo a quattro Jewels, per stare attaccato ad una principessa bambina per motivi che sarebbero magari rimasti sempre ignoti a tutti, o gli serviva per qualcos’altro? Perché nascondersi dietro una maschera, anche solo letteralmente, se si incute quell’aria di superiorità rispetto agli altri? Cos’altro voleva mostrare? O forse… Non tanto mostrare agli altri, ma a sé stesso…? Era questa la prima impressione che gli aveva sempre dato il fedele cane da guardia di Amethyst, seppure lei non lo avrebbe mai osato dire a voce alta. Quell’uomo era fin troppo freddo e riservato nei confronti di tutti, oltre ad apparirle un filo orgoglioso: di certo non gli avrebbe fatto piacere che qualcuno “inferiore” a lui facesse certe congetture sul suo conto. Sembrava non volere che qualcuno vedesse oltre la maschera se davvero ne aveva una, e lei ovviamente non intendeva guadagnarsi un posto più in alto nella sua lista nera, quella della prima persona che avrebbe eliminato o fatto umiliare in un futuro molto vicino.
Quasi non se la sentì di rompere lo scambio di sguardi, ma diede comunque un’occhiata alla sua destra per vedere la reazione della sua collega: anche Jasper sembrava non essere non essere rimasta del tutto indifferente, e seppure non tremasse come Ruby, si mordeva il labbro e si spostò più vicina e davanti alla sua superiore come a dire che lei c’era qualsiasi cosa stesse per accadere.
Da un punto di vista completamente diverso, qualsiasi sensazione le incutesse il nuovo arrivato, per la padrona di casa significava solo una cosa: qualcuno doveva imparare a non introdursi in casa d’altri senza invito, anche se tecnicamente era stato lui a convocarla lì con quel biglietto al colore sinistro.
- So già cosa pensi Ruby… E non sono venuto qui per dare problemi. Non che abbia mai avuto cattive intenzioni nei tuoi confronti, ma… – si alzò con la stessa calma con cui aveva parlato, e nessuna arroganza che invece era solita udire nel suo tono. Che aveva quel giorno? O era solo lei che la aveva sempre figurato un vecchio burbero?
Al contrario del semplice atto di alzarsi dalla sedia, sul cui lato si era accomodato, facendo vedere nel mentre il mantello nero piegato accuratamente sul braccio destro e la katana infoderata al suo fianco sinistro, Obsidian scomparve subito dalla loro vista, il mantello ora in aria sopra le loro teste che si voltavano qua e là per capire dove fosse finito; nell’attimo di un respiro, egli si ritrovò a pochi centimetri da Ruby, rimasta bloccata contro il muro dal corpo dell’altro che le teneva la spalla ferma con una mano e l’altra a reggere la katana che ora le stava sfiorando pericolosamente la gola. Nessuna espressione sulle sue labbra, solo uno sguardo indecifrabile in quegli occhi che trasmettevano qualcosa che lei non riusciva a comprendere… Ma che aveva oggi quel cane nero?
Ad un certo punto, lui sospirò deluso, mollando la presa e voltandosi lievemente alla sua sinistra, ritrovandosi una fiala con un liquido fumante vicino alla sua tempia:
- Lasci andare la signorina Ruby. Le devo ricordare che qui è in casa sua, e non importa chi è lei, ma deve portare un minimo di rispetto alla padrona di casa. – gli sussurrò Jasper, sguardo fisso sul samurai nero che però ridacchiò leggermente a quel misero tentativo di minaccia, allontanandosi finalmente dalle due donne per rinfoderare la katana e riprendere il mantello che era finito a terra:
- Non ti preoccupare Jasper, o forse dovrei chiamarti “Petra Torri”? Volevo solo testare i suoi riflessi. Sembra che però abbia sbagliato nel rinchiuderla nella biblioteca: in una situazione come quella di poco fa, si sarebbe liberata senza troppi problemi normalmente. E senza la sua arma poi… Ho commesso un errore. Lo ammetto. Ora abbassa quella bottiglia di veleno. – la Shard del diaspro continuò ad osservarlo per un po’, cauta nel caso commettesse altri passi falsi, prima di riporre la fiala in una tasca interna del cappotto.
- Sono passato solo a consegnarti la nuova uniforme che Fluorite ha preparato per te. I tuoi vecchi abiti da lavoro era un po’ malconci a sentire lei. – si fece da parte, quello che bastava per mostrare un pacco rosso con un fiocco verde acqua sul tavolo, per poi voltarsi nuovamente verso le sue interlocutrici:
- Inoltre, ho già istruito i tuoi Shards sulla tua nuova missione. Stavolta dovrai accontentarti solo di Jasper, Topaz e Amber. Gli altri non sono ancora guariti dalla notte dell’Apocalisse: i Geodes [5] ed i mostri comparsi sulla Terra hanno dato loro non pochi problemi.
I dettagli su un possibile piano d’azione li lascio a te: confido che cercherai il percorso migliore nell’esecuzione della missione. – lei rispose con un’occhiata a metà tra la sorpresa e lo sconcerto, voltandosi poi inquieta verso Japser che si limitò ad annuire: Obsidian sapeva bene che gli incarichi speciali erano missioni particolari per lei e che coinvolgevano gli interessi di Amethyst. Perché le fa portare dietro i suoi colleghi quando non le era mai stato permesso fino a quel momento!?
- Ultima cosa… - ancora il tempo di un respiro e le fu alle spalle, e lei era troppo stanca: non sapeva se le stesse mostrando che doveva riposarsi perché così sarebbe stata una preda facile per i mostri che ora dimoravano il mondo degli umani, o si stesse semplicemente facendo beffe del suo stato.
- La tua destinazione è Sanguinem, la terza capitale dei vampiri, situata nei sotterranei di Kyoto in Giappone. Ci arriverai non appena uscirai da questa stanza, quindi ti consiglio di prepararti in fretta. – quando Ruby si girò, lui si inchinò lievemente e fece un cenno con la testa di cortesia a Jasper, per poi allontanarsi verso l’uscita, i suoi passi risonanti nella stanza vuota fermati solo da una domanda della castana:
- Come mai mi lasciate tutta questa libertà d’azione ora? Avete paura che mi sia stancata di come mi trattate e faccia qualcosa per farti passare quella tua mania di controllo? O forse è la principessa che ora ha paura? –
Un’occhiata fulminante le arrivò, tanto da scatenare nuovamente un tremore nelle gambe che cercò di contenere: non voleva mostrarsi indifesa davanti a quel tipo.
- Nessuno dei motivi che hai riferito. Prima di cominciare a giudicare le anime tuttavia, la principessa ha fatto una predizione sul tuo futuro Kaguya. –
Ora aveva la sua attenzione: oltre ad essere giudice delle anime, Amethyst aveva visioni del futuro. Il più delle volte erano però relative a particolari umani le cui morti non dovevano ancora avvenire ma che si stavano per verificare per qualche motivo; era molto raro che coinvolgessero un Triste Mietitore.
- Non me la ha voluta rivelare, così la ha scritta su un foglietto nella tua lingua madre. È in mezzo a quei fiori. – aggiunse indicando il cesto di viole del pensiero.
- Ripeto che non so cosa abbia visto, ma mi auguro che tu non le crei alcun tipo di problemi. Le anime di Mikaela e Yuichiro Hyakuya contengono qualcosa di molto importante per la principessa, e se non farai il tuo dovere, lei sarà costretta ancora a sporcarsi le mani ulteriormente nel vedere i peccati di quegli esseri sudici che gli umani sono diventati. – un evidente disprezzo nel suo tono di voce più una nota di preoccupazione, ma a chi era rivolta?
- Sarai pure stato un umano anche tu per essere finito qua tra gli shinigami no? Quando parli così, sembri quel vampiro che ha distrutto villa Akagi e la mia vita.
Sai che ti dico? Tu e la principessa mi avete raccolta quando sarei dovuta scomparire, quindi ora vi terrete il pacchetto completo, perché quest’ex assassina umana ed ora shinigami farà quello che vorrà con quelle anime. Contengono qualcosa di importante anche per me, e le falcerò solo quando vorrò io. –
Sentì Jasper riavvicinarsi a lei, tirando fuori ancora qualcosa dal suo cappotto: era la katana Red Lily, accuratamente lucidata.
- Grazie Jasper. Me l’hai custodita bene. –
- “Confermo. Quel cane pensava di fondere la spada e farmi dire tutto quello che sapevo del periodo che hai trascorso sulla Terra visto che tu sei rimasta zitta. Non credevo che lo avrei mai detto, ma questa volta ne devo una ai tuoi colleghi” – disse Yuri, la sua voce un conforto in quei pochi anni di separazione. Si preparò a sfoderare la katana, ma fu fermata da una mano di Obsidian per indicarle di stare ferma e che non c’era la necessità di alzare le armi in quel momento.
- Come ho già detto, stavolta potrai fare come credi. Alla fine, ognuno di noi ha a cuore solo i propri interessi: così come la principessa intende usarti, tu intendi usare noi. Fintanto che tu non ostacolerai il meccanismo, non mi dovrò sbarazzare del difetto che rappresenti. – Jasper fece per dirgli contro qualcosa, ma Ruby scosse la testa a dirle che non ne valeva la pena.
- Detto questo, ti auguro buon lavoro Ruby. Ci rivediamo fra tre mesi. – un passo ancora, ed il cane nero se ne andò, diretto verso la Jewel dell’ametista.
Japser lo imitò, ma la sua destinazione era Sanguinem, dove era certa avrebbe trovato presto Alan e Marie ad aspettarli.
Kaguya quindi aprì il pacchetto, trovandoci una canotta nera, shorts bianchi e calze rosse, posti sopra una giacca bianca con tanti gigli ragno rossi e un cappuccio con pelliccia nera, stivali bianchi con un fiocco nero, e il mantello rosso ripiegato accuratamente da una parte: ora era pronta a partire.  



Mondo degli umani, Kyoto – Sanguinem, autunno dell’anno 2016.
Era da poco uscita dalla sua stanza, solo per ritrovarsi in una versione più buia e tetra della città di Chroma, seppure la somiglianza fosse solo vaga. Seppure si trattasse ancora di case tipiche di borghi antichi o al massimo risalenti ad un paio di secoli prima, le abitazioni erano in uno stato malandato, poco curato per la poca vernice sui muri, le ragnatele presenti ogni dove, la scarsa illuminazione data dai pochi lampioni presenti, la ruggine sui tubi presenti ovunque essendo la città collocata proprio sulle vecchie reti fognarie di Kyoto col loro odore acro e pungente, ed i topi che le sembrava scorgere in ogni vicolo stretto.
- Questo è senz’altro il quartiere della plebe… o meglio dei donatori di sangue. – constatò non sorpresa, sapendo bene come funzionavano le cose lì: dopo l’Apocalisse, solo i bambini dai tredici anni in giù si erano salvati dal virus, così i vampiri erano emersi dalle tenebre per tenere sotto la loro protezione qui bambini. Ovviamente, non li proteggevano affatto per pura bontà, ma per non vedere persa davanti ai loro occhi la loro unica fonte di cibo che era il sangue umano. Quegli stessi bambini dopo quasi quattro anni erano ora in città come quella, vestiti in uniformi bianche, scalzi e con targhette al collo di cui non riusciva a leggere cosa fosse scritto.
- Non sono diversi dal bestiame per loro. Niente di diverso da come una persona tratta mucche e pecore in fondo… - pensò lei, notando individui dagli occhi rossi scarlatti che camminavano per quelle strade, incappucciati ed avvolti nei loro mantelli, ad assicurare l’ordine nella città e sorvegliare i bambini: non sia mai che lascino animali senza sorveglianza; nel loro caso, che non si azzardino ad uscire dalla città se non volevano avere la gola tranciata in una manciata di secondi, tale era la forza che separava quelle creature dai comuni umani. Va beh, i Tristi Mietitori non dovrebbero avere problemi a gestire vampiri od umani, ma era meglio stare sempre sull’attenti nel caso si verificasse qualche problema: era in territorio nemico in quel momento e, malgrado il nascondiglio che aveva saputo essere preparato da Jasper la stava aspettando, preferiva girare un altro po’ per conoscere meglio il posto.
Quando passata qualche altra ora sentì il suono di una campana e vide che i bambini stavano rientrando nelle case malconce, fece anche lei per incamminarsi nel centro città per andare verso il nascondiglio, ma qualcosa (o meglio qualcuno) venne dritto verso di lei:
- Ahhhh!!!! Non li sopporto più questi succhiasangue! Io non sono un loro animaletto! – era un bambino di sì e no dodici anni credeva, dai ribelli capelli corvini delle notti prive di stelle e occhi smeraldini che le ricordarono i tessuti che Fluorite aveva menzionato essere del suo colore preferito. Era seccato a dir poco, camminava pesantemente e in fretta per tornare a casa, facendo imprecazioni che le parvero subito inappropriate per un bambino così piccolo.
- Yuu-chan! Calmati! Così andrai a… - la seconda era una bambina dai capelli biondi chiarissimi, pelle più pallida dell’altro bambino e occhi di uno splendido blu mare come quelli che aveva lei stessa prima di diventare shinigami. Non le pareva essere giapponese, ma ancora una volta con diverse etnie che si mischiano, chi lo poteva sapere.
Prima era preoccupata per quello che doveva essere l’amico, fermandosi solo quando lui sembrò andare a sbattere contro il vuoto che erano in realtà le gambe di Kaguya, finendo per cadere a terra e massaggiandosi la schiena ora dolente per la caduta.
La bambina fu subito al suo fianco, aiutandolo a rialzarsi, ma finendo involontariamente per alzare lo sguardo verso il volto della shinigami: come era possibile che potesse già vederla!? Una bambina così piccola!?
Le due continuarono a fissarsi finchè il bambino non le interruppe, cercando di mettersi davanti alla biondina senza non poco sforzo (Ruby era ferma e non c’era verso che un bambino la potesse smuovere da dove era) e agitando una mano davanti al viso dell’altra per scuoterla dai suoi pensieri:
- Ohi Mika! Ci sei!? Che ti prende!? – la biondina allora scosse la testa come ad essersi convinta di non aver visto nulla di strano, e allora prese per mano il bambino dai capelli scuri e lo trascinò con sé lontano da lì, non senza prima voltarsi un’ultima volta.
- Ih ih. Convinta di aver visto un fantasma mi sa… - si disse Kaguya rimettendosi in cammino e sorridendo.
Yuu e Mika… Yuichiro e Mikaela Hyakuya… Li aveva trovati proprio in fretta.
E poi la bambina la aveva vista… Qualcosa le diceva che per una volta la missione non la avrebbe annoiata.



[1]: “Pneuma” significa respiro, aria o soffio vitale in Greco (fonte: Wikipedia)

[2]: “Mmm… Viole del pensiero… Quindi sai che mi trovo ancora qui, ad occuparmi di tutto per conto tuo, mia cara piccola principessa” (fonte: Google traduttore)

[3]: “Viola e bianco… è proprio da te” (fonte: Google traduttore)

[4]: “Maledetto cane da guardia… Tu sai proprio come irritarmi. Cosa altro puoi volere da me questa volta…” (fonte: Google traduttore)

[5]: I “Geodes”/Geodi sono gli Shinigami coi mantelli scuri. A differenza di Shards e Jewels, non hanno volto od identità, rappresentano la maggior parte dei Tristi Mietitori presenti e, seppure partecipino alla raccolta delle anime, ne vengono subito privati perché non le divorino, causando problemi ad esempio nella registrazione dei morti.



Angolo dell’autrice
Rieccomi qui. Ormai il mio corso scolastico sta prendendo quasi tutto il mio tempo e ci tengo a non scrivere roba fatta male quindi eccomi qui.
Come promesso, Yu e Mika sono comparsi: cambierà qualcosa se Kaguya si metterà in mezzo oppure ciò che li attenderà a breve li separerà ancora?

Spero che vi siate goduti il capitolo e che magari vogliate lasciarmi un piccolo commento.
Alla prossima pagina della storia.
Crow

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Capitolo 7
*** The seventh page: red apple and sea blue ***


The seventh page:  red apple and sea blue


La nobiltà ed i suoi membri, di nascita più che di cuore… Il dovere verso i propri sottoposti che vanno protetti ed istruiti perché possano diventare forti e sopravvivere nel mondo intorno a loro, mettendo così le basi di quello che sarà il loro domani… Ce ne erano gran poche di persone così, e questa sembrava una cosa che la venuta dell’Apocalisse non aveva cambiato: non ci si cura più dei propri dipendenti, ma si preferisce perdersi nel lusso che si possiede e si continua ad accumulare beni a discapito di chi già crede in te e degli sconsiderati/prede facili che s’incontrano lungo il cammino. Se il mondo doveva andare avanti col meccanismo di scambio “dai e ricevi”, per l’alta società esisteva solo “tu mi dai tutto e nulla ottieni in cambio” … Per quanto marcia ed ingiusta fosse quella logica, fu proprio per questo che diventò predominante nel mondo che era la Terra prima dell’Apocalisse: chi è astuto e ingegnoso escogita ciò che più gli pare, anche senza curarsi dei mezzi, ed arriva allo scopo voluto; al contrario, se uno non è sveglio ma si vuole basare solo su impegno ed onestà, si ritroverà presto ad inginocchiarsi davanti alla dura e cruda realtà. Un’idea moralmente sbagliata, ma i fatti sono quello che sono.


Anche per gli shinigami c’era un discorso di “classi sociali”, seppure ciò che le divideva non erano le stesse differenze che separavano i nobili ed i poveri tra gli umani: i Tristi Mietitori erano divisi in tre categorie, le quali erano Geodes, Shards e Jewels.

Il “ceto” più basso erano i “Geodes”: non associati ad alcuna pietra preziosa, erano semplici mantelli scuri che, almeno a Kaguya, davano una sensazione di pesantezza ed oscurità che nemmeno Obsidian le aveva mai suscitato; erano gli umani che sulla Terra si erano suicidati e, ritornati come Tristi Mietitori, non avevano volto, corpo, nome o ricordi.
Tuttavia, si trattava appunto di “geodi”: fuori rocce senza valore ma all’interno rivestite di splendidi cristalli, questi stessi shinigami erano forse gli unici ad avere delle vie d’uscita dalla loro condizione: potevano divorare le anime degli esseri umani che stavano per morire, riassorbendo abbastanza energia da riguadagnare i ricordi. Con questo metodo, si potevano ottenere degli shinigami non dissimili dagli Shards, ma era qualcosa che i Jewels e gli altri Shards cercavano di impedire perché anime divorate da quelli erano comunque danneggiate, accumulando così Pagine della Vita che andavano riparate, oltre al fatto che i Geodes erano disposti a ferire altri umani e shinigami pur di ottenere il loro “pasto”; tuttavia, un Geode diventava così se non si era pentito di ciò che aveva fatto, che si trattasse delle cattive azioni commesse in vita o dell’atto di suicidarsi in sé. Avendo assorbito abbastanza energia dalle anime dei defunti da essersi ricordato almeno i peccati ed i motivi che hanno portato al suicidio, doveva agire come pseudo-Shard e raccogliere anime finchè non fossero passati 134 anni (il perché proprio quel numero nessuno lo sapeva) o finchè quello Shard non fosse arrivato ad occupare il posto che gli spettava, al termine dei quali diventava un’anima che veniva giudicata; se il Geode si era invece pentito di ciò che aveva fatto in vita, si trasformava direttamente in un’anima ed attendeva il giorno del suo giudizio.
Al contrario dei Geodes, Shards e Jewels erano costretti in quei ruoli: si diceva che “più in alto ti trovi nella società, più responsabilità e doveri ti ritrovi”, ed infatti per liberarsi potevano solo aspettare che qualcosa li cancellasse definitivamente.

Gli “Shards” erano shinigami che invece avevano conservato identità, personalità e ricordi di quando erano umani. Le loro erano “morti che non dovevano verificarsi” e, per descriverli bene, riusciva a pensare solo ad una vecchia frase dettale dalla principessa Amethyst: “Una persona ha solo un libro ed una penna a sua disposizione, e questi due strumenti non li potrà mai sostituire con altri durante la vita: quando l’uno esaurisce le pagine e l’altra l’inchiostro, allora si è davvero arrivati alla fine”. In sintesi, ognuno aveva una sola vita e poteva decidere cosa farne, seppure questa avesse già un limite definito; tuttavia, la Jewel dell’ametista aveva aggiunto che le “penne” dei futuri Shards si “rompevano”, facendo spargere tutto l’inchiostro sulle pagine che rimanevano. Tra le possibilità che avevano a disposizione, avevano fatto qualcosa (forse anche una roba da nulla) che aveva spezzato il corso che gli eventi dovevano seguire e cancellato gli altri percorsi che avevano davanti: di quel libri macchiati, ci si doveva sbarazzare.
La principessina aveva aggiunto che questi erano gli unici casi in cui Obsidian doveva mai intervenire: era lui che doveva falciare quelle vite che non erano andate nel verso che dovevano seguire, facendole diventare Shards, frammenti che potevano soltanto essere sbriciolati ancora di più. Per una colpa che nemmeno sapevano di avere, venivano tolti loro i ricordi che riguardavano le altre persone che avevano incontrato da umani, lasciando spazi vuoti che li avrebbero accompagnati nella loro solitudine.
Gli Shards custodivano il potere delle gemme che permetteva loro di avere accesso a diversi poteri e guarire più in fretta le loro ferite.

Infine, la casta più alta tra gli shinigami: i “Jewels”, coloro che racchiudevano in sé stessi il potere delle cinque pietre cardinali dell’antichità: ametista, berillio, diamante, rubino e zaffiro. Il loro era un gruppo un po’ particolare, in quanto erano loro stessi delle vere e proprie “distorsioni”: da quello che le aveva raccontato Obsidian, i Jewels sia attuali che precedenti erano tutte “persone che non si sapeva esistessero”: non era come sulla Terra che uno poteva far sparire le sue tracce sbarazzandosi dei propri documenti, no… Nel grande libro che raccontava ciò che doveva succedere sulla Terra, i Jewels erano persone che erano state “lasciate fuori” da tutto quanto, forse perché non avrebbero mai potuto influire sull’ordine degli eventi, od estromessi perché potevano rappresentarsi più problematici da gestire degli stessi Shards? In fondo, un gioiello si preferirebbe tenerselo per sé ed ammirarlo in una collezione privata, piuttosto che mostrarlo ad ignoranti che non ne comprendono il valore.
I Jewels non avevano una punizione da scontare, ma non potevano spostarsi dal mondo degli shinigami, soprattutto quando diventavano “completi”; inoltre, oltre ai poteri garantiti loro dalle gemme, potevano attingere di più alla fonte di quel potere per accrescere le proprie abilità senza il problema che smettessero d’invecchiare subito, cosa che gli Shards non potevano fare (un po’ di potere dalla gemma in più e avrebbero smesso di invecchiare subito). Inoltre, potevano stringere patti con demoni, come Kaguya era riuscita con Yuri, senza essere influenzati da questi ultimi.
Ognuno di loro comandava un gruppo di Shards:
•    La fazione viola era in carica delle predizioni, cioè le date e cause di morte delle persone, oltre che di eventuali irregolarità nell’ordine degli eventi. La stessa Amethyst si occupava del giudizio delle anime che entravano nel mondo degli shinigami e delle procedure necessarie per stipulare un patto con un demone.
•    La fazione verde dirigeva e controllava tutte le attività che si svolgevano fuori da Chroma: addestramento dei nuovi Shards, gestione dei Geodes, controllo e direzione delle attività (agricoltura, edilizia e simili) svolte dalle Raw Gems, anime particolari che non potevano diventare nessuna categoria di shinigami, reincarnati quindi in automi di gemme per svolgere i più svariati lavori. Berillium tuttavia aveva insistito che loro stessi partecipassero attivamente alle mansioni, e fintanto non aveva ottenuto lamentele dai suoi sottoposti.
•    La fazione bianca aveva i propri membri e compito sconosciuti, così come Diamond, il Jewel che tecnicamente era a capo di tutti gli shinigami.
•    La fazione rossa, comandata da Ruby, aveva come compito la raccolta delle anime umane e la gestione del personale da mandare in ogni parte del mondo umano in relazione al carico di lavoro.
•    La fazione blu era il ramo della ricerca: prima un semplice gruppo per la raccolta di informazioni sugli sviluppi sulla Terra per aiutare la fazione viola, ma con la guida di Sapphire, si era evoluta in una branca di sviluppo di strumenti per semplificare il lavoro di tutte le altre fazioni (Un esempio erano i contenitori ovoidali usati dagli shards del rubino in cui venivano tenute le anime per tutto la durata del trasporto dal mondo umano a quello degli shinigami).
Di qualsiasi problema a livello generale all’interno di una fazione, il Jewel ne era ritenuto responsabile e doveva risponderne assieme agli Shards sotto il suo comando; tuttavia, un qualsiasi errore commesso dal singolo che però non comprometteva i compiti assegnati, non sarebbe stato fatto ricadere sul gruppo in sé, ma il Jewel o lo Shard stesso dovrà risponderne personalmente: la massima pena prevista era l’esilio per qualche mese sulla Terra senza poteri di shinigami, ma dato che a gran pochi insegnava qualcosa sulle responsabilità di appartenere al sistema, si era preferito spostarsi su punizioni più mirate: Kaguya intanto era stata esiliata per mesi solo perché aveva interferito negli affari degli umani, causato la morte di persone che non erano ancora parte della lista dei morti, e stretto un patto con Yuri senza l’autorizzazione di Amethyst, ma non era cambiato nulla per lei… Almeno, progettava di non dare troppe noie alla principessina o un certo cane la avrebbe rinchiusa di nuovo in quella polverosa biblioteca.
Ora però c’era altro di cui preoccuparsi: quando Jasper tornava con novità sul da farsi!?
Kaguya tirò l’ennesimo lungo sospiro nell’osservare il pezzo di carta, trovato tra le viole del pensiero, su cui era riportata la predizione della principessa, facendo rigirare annoiata il foglietto tra le mani:
- Proprio vero che sono diventati un po’ troppo “ribelli” mentre io non c’ero… Solo perché oggi ero un po’ più stanca del solito, continuavo a traballare e alla fine sono caduta, ora Jasper mi ha obbligata a stare qua finché non mi sono riposata un po’… Ufff… - strinse ancora di più il foglio fino ad accartocciarlo:
- How dare SHE gave ME orders?! It should be the other way around! It is HER that has to listen to what I say! [1] – urlò irritata, ma ricordandosi dove era, si tappò subito la bocca e si allontanò strisciando dalla finestrella della minuscola stanza: da quel che le era stato detto, era l’attico della mansione di uno dei nobili di Sanguinem, ma era talmente malandato che si capiva non era stato usato da chissà quanto (ancora si chiedeva a che servissero tante stanze in una casa se dovevano essere lasciate a sé stesse. Che almeno qualcuno le ripulisse! Villa Akagi non era tanto più piccola, ma molte stanze erano destinate ai materiali di ricerca od ai servitori, ai quali non era permesso tornare a casa perché non rivelassero ciò che succedeva lì); da un lato sperava fossero riusciti a trovare qualcosa di più decente, in fondo le dimore dei nobili lì erano l’esatto contrario dei quartieri dei poveri/stalle del bestiame (bambini donatori di sangue), ricche dello sfarzo di colori più intensi ed accattivanti, il fasto dell’oro e delle gemme preziose (che però avevano tutto da invidiare a quelle del mondo degli shinigami: non lo ammetteva ad alta voce, ma quelle della Terra erano semplici pezzi di vetro al confronto, non importava che fossero autentiche o false), e lo sfoggio di quanto più si ha di pregiato (che fossero sete, mobili, strumenti, ecc. ); non credeva di certo di ritrovarsi in quella sottospecie di attico ormai inabitabile per i comuni mortali: quello che doveva essere un semplice studio, comodamente riempito da un divano, qualche piccolo scaffale con libri, un tavolo ed alcune sedie, ora era il covo di ragni ed insetti: i muri bianchi ora erano grigi, spogli e pieni di crepe e buchi, gli scaffali cadevano su sé stessi per quanto erano vecchi e non mantenuti, ed i libri erano illeggibili e ricoperti di muffa (Kaguya ridacchiò amaramente, comparando quelle pagine a tutte le anime corrotte che aveva visto ininterrottamente per tre anni); il divano pareva stato rattoppato in alcuni punti ed i cuscini sostituiti, ed il tavolo e le sedie avevano almeno le gambe riparate ed erano stati spolverati. Quelli sarebbero serviti se dovevano restare lì, e poi nessuno sarebbe venuto a dare loro la caccia: in primis, nessuno sapeva che i Tristi Mietitori esistevano, i vampiri erano esseri immortali quindi non potevano vederli, e chi avrebbe mai sospettato che la radice di un problema si nascondesse tranquillamente nella casa di un nobile?
- Signorina, ci scusi per l’attesa. Siamo tornati. – la voce di Alan/Topaz la tolse dai suoi pensieri, portandola a guardare verso la porta da dove era già emerso il volto del ragazzo: gli shinigami, almeno quelli completi, potevano passare attraverso muri e porte senza problemi. L’ultima volta che li aveva visti loro non riuscivano ancora (non senza rimanere incastrati all’interno di un muro), quindi poteva solo dire che…
- Eccoci Kaguya, ti abbiamo portato da mangiare! – un’altra voce, più allegra e squillante si fece sentire, ed una ragazza in tutta fretta spinse da parte Topaz per correre verso la Jewel:
- Amber! – le gridò contro lo Shard del Topazio, cercando di rimettersi in equilibrio dopo essere stato quasi spinto a terra, tentando al contempo di non far cadere il vassoio che teneva nella mano sinistra:
- Ti spiacerebbe fare un po’ più d’attenzione intorno a te?! E poi, smettila di fare così ogni volta che non vedi la signorina per tanto tempo! –
L’altra lo ignorò, stringendo a sé la castana e strofinandosi addosso a lei, manco fosse un gatto di casa che voleva le coccole dalla sua padrona.
- Pfff. – l’unico suono che emise poco dopo Ruby fu necessario per far staccare un po’ l’altra e farle notare l’espressione infastidita:
- So già che il mio fisico non è dei migliori, e te me lo sbatti letteralmente in faccia Amber… - farfugliò la Jewel, dando un’altra occhiata alla Shard: i suoi capelli non erano più biondi scuri, ma arancioni bruni (segno che era diventata un Triste Mietitore completo, avendo assorbito tutto il potere della pietra) e anche di fisico era cresciuta un po’… La Akagi maledisse mentalmente di essere per metà giapponese: possibile fosse destinata a rimanere piccola e magra in picco? E la sua crescita rallentata dai poteri di shinigami non la faceva sentire meglio…
Intanto, Marie/Amber si sistemò il cappello beige e le pieghe della lunga giacca arancione chiara, rimettendosi a schiena dritta e ginocchia sul pavimento (essendosi abbassata per abbracciare Kaguya che si era seduta per terra vicino alla finestra e non sul divano), rivolgendo un grande sorriso alla sua superiore:
- Hai comunque qualche anno meno di me, quindi non ti preoccupare che cresci ancora! E poi è meglio essere piccola e carina che diventare una stangona scontrosa come Galena! – disse soffocando la sua superiore in un altro abbraccio, staccandosi dopo qualche minuto per prendere il vassoio da Topaz, mostrando un piatto di zuppa di verdure, una pagnotta, una mela ed un bicchiere d’acqua. Coi pasti frugali che le erano stati concessi in quei tre anni, quel poco era molto più che sufficiente:
- Ora mangia qualcosa e rimettiti in forze che tra poco usciamo. –
Ruby fece per allungarsi e prendere il vassoio, ma Alan allungò una mano verso di lei:
- Non è meglio alzarsi? Il pavimento non è tra i posti migliori per sedersi a mangiare. –
Ruby però scosse la testa e prese il vassoio, posandolo a terra:
- è meglio che stare seduti sulle sedie di quella biblioteca per tre anni, credimi. E poi non intendo lamentarmi del posto, anche se d’ora in poi dovete stare attenti riguardo al cibo. –
Vedendo la faccia confusa dei due Shards, lei si rimise a spiegare:
- Questa è la dimora di uno dei nobili, ma si tratta comunque di vampiri, e loro non necessitano di cibo ma di sangue per sopravvivere. Quindi, perché credete sia possibile che siate riusciti a procurarmi da mangiare senza problemi? –
- Beh, era tutto quando in cucina e sembrava già tutto preparato. Non per noi ovviamente… E comunque il signor Yuri non è stato d’aiuto: abbiamo provato a chiedergli cosa ti sarebbe piaciuto, ma lui ci ha ignorati. – rispose Amber scocciata, mostrando la katana Red Lily che aveva preso alla Jewel, non senza le proteste dello stesso Yuri.
Kaguya intanto si era messa a mangiare un po’ di zuppa, sollevandosi al sapore del dado e al dolce delle verdure che sentiva, specie dopo essere stata abituata al cibo insipido preparatole da Obsidian. Se pensava che quel cane preparava da mangiare anche per Amethyst, Kaguya sentì pietà per la bambina, ma era facile che lo Shard dell’ossidiana le avesse solo voluto giocare un brutto tiro.
- Appunto. Per chi credi fosse già predisposto tutto? E poi… - si volse quindi verso lo Shard del topazio:
- Topaz, ti ricordi il nome del proprietario di quest’abitazione? –
Lui si portò una mano al mento in segno che stava pensando, impallidendo però quando credette di avere la risposta:
- è Ferid Bathory, se ho ben capito quando le guardie lo hanno visto rientrare questo pomeriggio. – all’annuire della sua superiore, il ragazzo continuò:
- Un vampiro a cui piace nutrirsi particolarmente del sangue di bambini, anche qui in città dove è vietato nutrirsi direttamente dagli umani e si deve fare affidamento su bottiglie di sangue distribuite periodicamente. Ora tutto ha senso… -
Amber continuò ad osservare i suoi due amici perplessa, poi il suo volto s’illuminò, segno che doveva aver capito a cosa si riferissero:
- Quindi quello lì… Non dirmi che si porta qua dei bambini per prendergli il sangue? Se è così, quel cibo era lì forse è lì per loro! E noi glielo abbiamo preso… Ma non potevamo nemmeno lasciare Kaguya senza mangiare dopo quello che ha passato per colpa del signor Obsidian. –  
Kaguya fece un cenno di sì con la testa sconsolata, passando l’ultimo tozzo di pane sul piatto per ripulirlo dai resti del pasto:
- Esatto. Da quel che ho potuto constatare, sopravvivere qui a Sanguinem è impossibile per quei bambini in condizioni normali: viene prelevato loro il sangue a tempi regolari, e sarebbe impossibile per loro recuperare forze solo con la spazzatura che gli rifilano i vampiri da mangiare. Il solo fatto che li fanno abitare in posti che sono una sfida alle norme sull’igiene è la prova che quei succhiasangue non si curano di loro.
Per tirare avanti, quei bambini devono fare carte false, cioè cercare aiuto tra quelli che li tengono in cattività, e qui ci sono nobili che sono disposti a far loro piccoli favori in cambio di quella goccia in più di sangue, come il tipo che vive sotto questo tetto. –
Marie sorrise e battè le mani:
- Complimenti Kaguya! Sei riuscita a capire tutto questo in così pochi giorni che siamo qua! –
- Ci riesce chiunque con un po’ d’attenzione Amber. E poi perché dai del “tu” alla signorina Ruby, che è la nostra diretta superiore, ma dai del “lei” al signor Obsidian? – la rimproverò Topaz, guadagnandosi una Shard dell’ambra che si rialzò imbronciata:
- Ti ho detto di chiamarmi Marie, non Amber! Kaguya è nostra amica, per forza le do del “tu”, ma il signor Obsidian mi fa paura e a me i cani non sono mai piaciuti! –
- Basta voi due! – li zittì la castana senza però riuscire a soffocare una risata alla scenetta, concedendosi un ultimo sorso di acqua gelida:
- Non è il momento per queste discussioni. Piuttosto, voi come vi sentite? – chiese preoccupata: nei tre anni che è stata assente, i suoi Shards erano stati mandati ad allenarsi con quelli di Berillium e, conoscendo l’altro Jewel, dubitava che li avrebbe ritrovati come li aveva lasciati. Berillium aveva addestrato anche lei prima che potesse scendere sulla Terra, ma ogni giorno le era sembrato una sfida alla sopravvivenza: il Jewel del berillio era noto per essere la violenza incarnata con tutti meno che gli altri Jewels, ed i suoi stessi Shards che ormai erano capaci di gestire e sopportare il suo comportamento. Con tutti gli altri, non passava giorno che non andasse a cacciarsi nei guai durante lavoro, in particolare coi Geodes che ogni volta cercava di farlo a pezzi, impresa quasi impossibile, ma Berillium non ne usciva comunque mai intero… L’età forse cominciava a fare effetto anche a lui. Non sembrava avere che poco più di vent’anni, ma le era stato riferito che tra non molto sarebbe stato più vicino ai quaranta che ai trenta.
- Ancora come al solito, però si preoccupano un po’ troppo Amethyst e i suoi Shards: non è che il fatto di “sparire non appena diventi un semplice ingranaggio nel meccanismo” o come lo chiamano loro succede subito. – disse noncurante Amber, rigirandosi una ciocca di capelli tra le dita.
- Vorrei tanto che il signor Berillium mettesse un po’ il freno ai suoi modi però: gli unici rimasti quasi indenni siamo noi, ma solo perché abbiamo usato tutto il potere delle pietre per diventare shinigami completi… Gli altri Shards della fazione rossa non si sono ancora ripresi del tutto. – spiegò Topaz, per poi aggiungere:
- Il signor Obsidian però era spesso presente come supervisore degli allenamenti: non appena ha visto come si evolveva la situazione, ha predisposto che alcuni Shards della fazione verde e lo stesso Berillium si facessero carico della nostra parte di lavoro mentre noi siamo qui a Sanguinem, e che assistessero i feriti fino alla guarigione. Non dobbiamo quindi preoccuparci di quello che succede fuori dalla città. –
Stavolta fu il turno di Kaguya di spalancare gli occhi sorpresa, ma si ricompose subito dopo e disse infastidita:
- Non parlare di lui con quel tono formale Topaz. Quello è uno Shard che non capisce quale è il suo posto, soprattutto perché è fin troppo poco attento a quello che succede fuori dalla fazione viola. Per l’unica volta in cui gli capita di essere attento nei confronti di qualcuno che non sia la signorina… Va beh. Rimanete sull’attenti, perché c’è da aspettarsi di tutto da lui. – si alzò poi, spolverandosi le calze e gli shorts, rimettendosi gli stivali che aveva lasciato ad un lato del divano.
Fece poi per avviarsi verso la porta, ma si fermò un attimo per rivolgersi ai due Shards:
- Cercate di non diventare subito apatici però. Mi servite intorno per quando mi annoio. – ghignò lei, guadagnandosi l’ennesima espressione imbronciata (ma adorabile lo ammetteva di Amber) ed una lieve risata da Topaz.
- Se non si vuole annoiare allora, le consiglio di seguirci. Abbiamo incontrato la signorina Jasper in cucina poco fa e ci ha detto che un ospite speciale è arrivato. –
Curiosa, Ruby fece cenno ai due Shards di guidarla per la magione.

Il trio ritrovò la Shard del diaspro sulla soglia della cucina, nascosta vicino ad una colonna delle porte, spiando quello che succedeva all’interno:
- Ehi Petra, che fai… - le chiamò Marie, ricevendo solo un “shhh” da parte di Petra ed un cenno di avvicinarsi.
I nuovi arrivati fecero quanto detto, e videro una bambina bionda che stava mangiando un pasto come quello che aveva ricevuto Ruby:
- E quindi? È per caso lei uno dei bersagli? – domandò Alan
- Sì. Da quanto ho visto e da quello che le ha detto Bathory, sembra passare qua abbastanza spesso. E altra cosa: toglietevi le lenti a contatto. – ordinò loro Jasper
Fatto quanto detto, i tre notarono subito qualcosa di irregolare riguardo la bambina:
- “Nome: Mikaela Hyakuya” e qui tutto a posto, ma che ha il numero dei giorni rimasti!? – chiese stupita Maria, notando che il numero continuava a scendere e salire manco fosse una slot impazzita.
- Chissà... Qualcosa potrebbe ancora cambiare riguardo alla sua data di morte… O forse è solo una delle famose “interferenze” nell’ordine degli eventi di cui parlava Obsidian? – si domandò Ruby, gli occhi non intenzionati a staccarsi dalla bambina che intanto si era alzata (non senza prima prendere diversi altri alimenti con sé e metterli in una borsa) e si era avviata verso la porta, fermandosi però vicino a loro; tuttavia, scosse la testa e se ne andò via in fretta, per quanto glielo permetteva l’anemia: quel poco che aveva mangiato non le avrebbe fatto recuperare subito le forze, ma era chiaro non volesse stare sotto lo stesso tetto del nobile vampiro più del dovuto.
- è come l’altra volta… - mormorò la Jewel, facendo voltare gli Shards verso di lei:
- Che intende? L’ha già vista prima? – chiese Topaz, voltandosi ad osservare la bambina che stava sparendo nel corridoio illuminato dalla luce soffusa delle lampade che gettavano ombre sul rosso e l’oro che caratterizzavano muri e tappezzeria dell’abitazione.
- Sì, il primo giorno che sono arrivata qua: lei e l’altro bersaglio mi sono letteralmente finiti addosso, ma a differenza del suo amico che non sembra essersi accorto di me, lei è riuscita a vedermi. La storia che la sua morte è vicina dovrebbe essere vera, ma rimane il fatto che qualcosa sta interferendo o il numero dei giorni non si comporterebbe a quel modo. – dedusse la castana, cominciando a fare ampi passi per seguire la bambina:
- Io vado con lei. Voi intanto cercate informazioni su Ferid Bathory e gli altri vampiri: ho mandato un messaggio a Sapphire stamattina, quindi tra non appena potrà dovrebbe mandarvi qualcosa su cui effettuare qualche ricerca. Ci servirà se quei succhiasangue diventeranno un intralcio. – ordinò lei senza voltarsi, per poi scomparire nel corridoio.
Amber corse quindi sopra per le scale (poteva usare le ali e volare fino all’ultimo piano ed attraversare i muri senza problemi, ma era meglio evitare se c’erano bambini intorno che li potevano vedere), ma Topaz si fermò non appena si accorse che la Shard del diaspro non li stava seguendo.
- Dove sta andando, signorina Jasper? – domandò lui.
- In città, giusto a fare quello per cui siamo venuti qua. Solo perché ci siamo noi, non vuol dire che non manderanno i Geodes… E preferirei non dover avere ancora a che fare con loro. – affermò lei, toccandosi la spalla destra: c’era una cicatrice in quel punto, ricordo di uno dei suoi primi lavori come shinigami. Un Geode stava per divorare l’anima del bersaglio ed era cominciata una lotta quando lei si era messa in mezzo: non era ancora abbastanza esperta da gestire un confronto, così quando quel Geode aveva deciso di fare di lei il pasto del giorno, non aveva avuto scelta se non versargli addosso uno speciale liquido che aveva sì danneggiato il Geode abbastanza da farlo andare via, ma le aveva bruciato una spalla e lasciato un’escoriazione che non era mai guarita. Da allora cercava di evitarli, ma fortunatamente non le capitava spesso di incontrarli.
- Molto bene, capisco. Cerchi di fare attenzione allora. – le augurò lui; fece per avviarsi per le scale, quando fu l’altra a fermarlo:
- Solo una cosa: perché dai del “lei” a tutti meno che a Marie? –
Lo sentì soffiare infastidito prima di rispondere:
- Lei non è una persona a cui sono obbligato a portare rispetto. È solo una “Amber”. – rispose lui senza peli sulla lingua
- Ehi!!! – protestò la Shard dell’ambra dai piani superiori, facendo rincamminare Alan per raggiungerla e cominciare a lavorare.
Jasper si lasciò sfuggire una risata prima di uscire dalla magione:
- Ahahah. I ragazzi d’oggi… è bello vederli così vivaci. –


Nel giro di qualche minuto, Kaguya era già fuori dall’abitazione, intenta a rimanere pochi passi dietro la bambina; non aveva spiccicato una parola, ma non era nemmeno tanto convinta se questa Mikaela fosse riuscita davvero a vederli oppure avesse solo uno spiccato sesto senso, per cui si limitò a seguirla nei quartieri di Sanguinem, passando dalla parte dei ricchi alle case lasciate a loro stesse dei donatori di sangue che non erano troppo diversi dall’attico della magione Bathory: insetti, polvere e mancata cura erano gli unici a fare compagnia a chi ci viveva. Non le dispiaceva l’architettura tanto simile alla città Chroma e agli altri borghi del mondo degli shinigami, ma quella parte della città le sembrava invivibile… Come pensavano i vampiri di tenere a lungo lì quei bambini se li lasciavano in quei posti? Va bene stabilire subito una gerarchia se deve essercene una, ma questo è oltrepassare i limiti… O forse era lei troppo abituata ad un minimo di lusso a villa Akagi?
In ogni caso, il suo silenzio non durò per sempre perché arrivate nei pressi di un’arcata fatta di tubature vicino ad uno strapiombo, Mikaela cominciò a barcollare (come aveva fatto per molte volte durante la camminata) e il suo passo cedette, così Kaguya prese una rincorsa e la raggiunse con un paio di ampie falcate, afferrandola e togliendole la borsa che pesava non poco; la bambina dagli occhi blu leggermente oscurati a causa della stanchezza mise non poco a capire in che situazione si trovava: un’estranea vestita in modo insolito (chiaramente non una dei donatori di sangue anche perché sembrava troppo grande per esserlo) la stava tenendo stretta, la borsa col cibo preso dalla casa di Ferid in un’altra mano e quella che sembrava una spada legata ad una cintura. Il primo istinto fu rialzarsi ed andarsene da lì, ma si sentiva troppo debole; inoltre, il motivo per cui era andata da Ferid era per il contenuto della borsa e non poteva lasciarlo andare lì, ma gli occhi rossi della ragazza più grande sembravano suggerirle che rimanere non fosse nemmeno la cosa più saggia da fare. Indecisa sul da farsi, alla fine vide solo un’altra possibilità in quella situazione:
- P-per favore, mi… Mi lasci andare, signora vampira. – disse in preda ai tremori che più volte durante la camminata la avevano quasi fatta finire con la faccia a terra, o (peggio ancora) addosso a delle guardie vampire che di certo la avrebbero mandata via con una calcio, andando a far sprecare il contenuto della borsa.
La castana allora notò che stava stringendo troppo il braccio della bambina e che l’altra non aveva staccato lo sguardo dalla katana Red Lily; lasciò quindi andare delicatamente la presa sulla spalla ma senza mollarla completamente per non far finire a terra la biondina, rimuovendo intanto la spada dalla cintura che cadde per terra ancora infoderata; fatto questo, s’inginocchiò, guardandosi intorno per assicurarsi che nessuno le stesse osservando, e si rivolse nuovamente alla biondina:
- Quindi te riesci a vedermi? – le domandò, fissando gli occhi rosso castani da shinigami in quelli blu mare dell’altra, o forse quel colore era una tinta più sull’azzurro del cielo? Non ne era tanto sicura… Ma che stava andando a pensare?!
La bambina si limitò ad annuire confusa, gli occhi però non fissi in quelli dell’interlocutrice, ma sulla borsa:
- La rivuoi immagino. – allungò quindi la borsa, riportandola verso di sé quando Mikaela provò ad afferrarla, il tentativo la fece solo diventare meno stabile sui suoi stessi piedi.
Ruby prese quindi con la mano libera la katana, allungandola verso la bambina che si era come pietrificata, magari aspettandosi che la castana sguainasse la spada e minacciasse di usarla contro di lei Sospirò quindi irritata, e s’inginocchiò:
- è già la terza volta che succede, quindi immagino non sia un caso. Tanto per cominciare, io non sono una vampira, ma un’umana. – sentì Yuri ridere nella sua testa a quell’affermazione (“umana” era proprio qualcosa che non era da anni ormai, forse anche prima di diventare shinigami: non era chissà quanto convinta che una bambina che andasse in giro con l’obbligo di assassinare gente a sangue freddo corrispondesse alla comune definizione di “essere umano”).
- Io per ora vivo nel posto in cui sei andata oggi… So quello che fai lì. – la bambina spalancò gli occhi e guardò dietro di sé, imitando il gesto precedente di Kaguya per assicurarsi che nessuno ascoltasse.
- Non c’è nessuno qua, ma scommetto che il bambino con cui ti ho vista qualche giorno fa non sarebbe tanto contento. È ovvio che a nessuno piace restare in questa specie di discarica, ma era un po’ troppo agitato per uno che se ne starà fermo se sa che doni il sangue a quel nobile, per cui… - rimise la katana a terra per battere le mani, sforzando un sorriso convincente:
- Facciamo così: io non gli vado a dire quello che fai al tuo amico, “Yuu-chan” o comunque si chiami, e tu stai zitta riguardo al fatto che vivo nella stessa magione di quel tipo. - quella lieve minaccia era solo per vedere come reagiva, ma non ottenne alcuna reazione: Mikaela era ancora intenta a fissare la borsa del cibo, ora vicina ai piedi della ragazza più grande che si era inginocchiata poco prima; Kaguya quindi sospirò, le lanciò la sua spada, riprese in mano la borsa e e riprese a camminare:
- Allora? Dove vivi te? – le domandò, e la bambina sembrò riprendersi dallo stato di trance in cui era finita quando la spada le era finita in mano. Yuri si era già messo al lavoro sembrava…
- Se hai tanta paura che ti faccia del male, puoi tenere la mia katana finchè non arriviamo a casa tua. La borsa te la porto io: ho visto che fai fatica a reggerti in piedi, e una zuppa ed un tozzo di pane di certo non ti rimettono in forze. –
Mikaela allora la raggiunse lentamente ed insieme si avviarono verso i quartieri dei donatori di sangue dopo un’altra oretta buona di camminata; la biondina aveva minacciato di cadere un paio di volte, ma la shinigami era arrivata subito a sorreggerla. Si stava annoiando però di quel silenzio:
- Sei proprio un’ingenua sai. – la bambina quindi si paralizzò, voltandosi verso il Mietitore, anche stavolta più confusa che spaventata.
- Ti sei avvicinata ad un nobile malgrado il rischio che ne comporta. Ti sei avvicinata a me anche se ti ho detto che non sono una vampira quando avrebbe potuto benissimo essere una bugia. Hai tenuto la mia katana pur consapevole che me la posso riprendere quando voglio e tranciarti la gola. Sei coraggiosa… O forse solo molto sciocca… -
- Lo so. – mormorò lievemente l’altra. Finalmente una parola in cui non sembrava intimorita.
- Yuu-chan [2] è fatto così. Non gli piace stare qua, ma non abbiamo molta scelta: continua a dire che la farà pagare ai vampiri un giorno, ma non è possibile che un umano possa sconfiggere un vampiro. Possiamo solo continuare a vivere qua… Intanto io farò ciò che posso per supportare la mia famiglia. Anche se devo fare lavori sporchi per questo… -
- Per “famiglia” immagino altri bambini. Tutti gli adulti nel mondo sono morti. – si diede mentalmente della bugiarda: Yuri le aveva dato notizie interessanti. A quanto pare era stato utile che Obsidian lo avesse preso… O forse quel cane nero era diventato abbastanza gentile da lasciarle indizi per rendere il suo lavoro e le sue giornate più interessanti? E se quello che aveva sentito era vero, esistevano umani che potevano sconfiggere i vampiri… Peccato fossero a chilometri e chilometri da lì, oltre ad essere sicuramente in un posto più pulito ed illuminato.
- Mh mh. I miei fratelli e sorelle dell’orfanotrofio. Tra i vampiri, Ferid-sama [3] è un nobile. Se gli do il mio sangue in cambio, mi dà quello che voglio: è così che posso portare del cibo alla mia famiglia. Non riusciamo ad andare avanti chissà quanto con quello che ci danno i vampiri. –
- Non fatico a crederlo. Basta vedere anche solo il posto in cui abitate… -
- Per ora va bene così. –
- “Per ora” continui a ripetere. Vuol dire che tra un po’ non sarà più così? –
L’altra non rispose subito, rabbuiandosi un attimo, ma poi tornò subito a sorridere:
- Yuu-chan è convinto di poter battere i vampiri. A volte convince un po’ anche me di questo… Io intanto faccio solo da supporto: per andare avanti qua bisogna essere svegli. Lui non lo è molto a dire il vero, ma deve continuare a dare speranza ai nostri fratelli e sorelle e… Oh! Siamo arrivati! – una casetta ancora lasciata a sé stessa, uguale alle altre: Kaguya quindi lasciò a Mika la borsa e fece per andarsene, ma fu fermata dall’altra:
- Non la rivuoi? – le chiese, porgendole la katana, ma l’altra fece “no” con la testa:
- Ho idea che ci rivedremo presto. Puoi tenerla te fino ad allora, ma cerca di non farla vedere a Yuu-chan o gli verrà l’idea di usarla contro i succhiasangue. – estese quindi la mano verso la spada senza afferrarla, ma lasciando scorrere l’energia della pietra rossa nella sua mano per rimpicciolirla finchè non diventò grande quanto un coltello svizzero.
L’altra la guardò stupefatta e Kaguya ridacchiò:
- Che c’è? Non sai che le ragazze sono capaci di far magie quando vogliono? – ridacchiò lei.
Mika annuì tranquilla, ma quando fece per aprire la porta, fu fermata ancora dalla shinigami:
- Non vorrai mica entrare in quello stato spero. – constatò Kaguya, e la biondina subito capì a cosa l’altra si stava riferendo: il marchio lasciato dal morso di Ferid sicuramente era ancora lì. Presto si sarebbe formato un livido, e l’uniforme che i vampiri facevano indossare al bestiame lasciava scoperta spalle e collo quando bastava da lasciare il segno in bella vista.
- Stai ferma. – le ordinò il Triste Mietitore, mentre la sua mano sfiorava il segno del morso ed energia rossa scorreva sulla spalla della bambina. Pochi secondi dopo, Ruby tolse la mano, sorridendo tra sé e sé nel constatare che la spalla era di nuovo sana e candida.
- A posto ora. – lasciò quindi la borsa per terra e cominciò a frugare nella sua tasca; quando trovò che cercava, prese la mano libera di Mika e le diede ciò che aveva in tasca: la mela avanzata dal suo pranzo.
- Consideralo un grazie per la chiacchierata. – fece quindi un paio di saltelli indietro e s’incamminò:
- Alla prossima Mika-chan! Ci vediamo alla magione di Ferid! –
L’altra cercò di chiederle come conosceva il suo nome, ma Kaguya era già sparita, obbligata però a sentire Yuri che si lamentava: malgrado lui fosse sigillato nella spada, il loro contratto prevedeva che le loro menti rimanessero collegate anche nel malaugurato caso in cui fossero costretti a separarsi; per ora, lui era la sua garanzia che avrebbe rivisto quella bambina e che le potesse dare qualche informazione interessante su di lei: interferenza o meno, non aveva mai visto anime che si comportavano a quel modo.
- Mhmhmhmh ~ ♪ … Lalala ~ ♫ … I found you, my dear fairy with eyes of blue ♥. I bid you good night ~. Enjoy my treat and a nice chat with my little devilish friend. Fufufu ~ ♥ [4] -
Era un pò che non si sentiva così di buon umore da canticchiare: di certo il sogno che Mika avrebbe avuto quella notte sarebbe stato interessante e diverso dal solito.  



[1]: “Come osa LEI dare ordini a ME?! Dovrebbe essere il contrario! È LEI che dovrebbe ascoltare ciò che IO ho da dire!”  

[2]: “-chan” è un sufisso onorifico giapponese che corrisponderebbe ad un diminutivo del nome, ma è utilizzato sia tra adolescenti ed adulti per indicare amicizia e confidenza tra i due interlocutori. È usato in connotazioni meno strette tra le ragazze, mentre nelle coppie o tra parenti (più grandi nei confronti dei più piccoli) indica affettuosità od intimità, e tra soli ragazzi ha una connotazione ironica o deriva da una lunga amicizia.
(fonte: wikipedia-suffissi onorifici giapponesi)

[3]: “-sama” è un suffisso onorifico giapponese che è usato soprattutto per riferirsi a persone di grado più elevato rispetto a sé stessi od a persone che si ammirano.
(fonte: wikipedia-suffissi onorifici giapponesi)

[4]: “Mhmhmhmh ~ ♪ … Lalala ~ ♫ … Ti ho trovata, mia cara fatina dagli occhi blu ♥. Ti auguro buona notte ~. Goditi il mio regalo ed una buona chiacchierata col mio piccolo diabolico amico. Fufufu ~ ♥”


Angolo dell’autrice
Non ve lo aspettavate immagino, la shinigami che doveva solo spiarli va a finire per parlare con uno dei bersagli.
Aspettatevi altre scene con insieme a Mika e Yuu prima della rientrata in scena di Ferid.

Spero che vi siate goduti il capitolo e che magari vogliate lasciarmi un piccolo commento.
Alla prossima pagina della storia.
Crow

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