Trattative

di biatris
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Situazioni complicate ***
Capitolo 3: *** Pensieri ***
Capitolo 4: *** Brutte sorprese ***
Capitolo 5: *** Confessioni ***
Capitolo 6: *** Prima trattativa ***
Capitolo 7: *** ferite ***
Capitolo 8: *** Seconda trattativa ***
Capitolo 9: *** Non è da te arrenderti ***
Capitolo 10: *** Ti fidi di me? ***
Capitolo 11: *** fortuna inaspettata ***
Capitolo 12: *** Brutte notizie ***
Capitolo 13: *** Ti voglio bene anch'io ***
Capitolo 14: *** Scomparsa ***
Capitolo 15: *** Abbiamo un problema, è evidente. ***
Capitolo 16: *** sedici anni ***
Capitolo 17: *** stanchezza? Vacanza! ***
Capitolo 18: *** vacanze e imprevisti ***
Capitolo 19: *** Nuove idee, vecchi amici ***
Capitolo 20: *** trattare, comunicare, provare ***
Capitolo 21: *** Guarigione ***
Capitolo 22: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


“Attivazione non prevista dello Stargate!” gracchiò l'altoparlante.

Sarebbe stata una giornata di ordinaria amministrazione, pensò il Colonnello Jack O'Neill, se due dei suoi uomini non fossero stati in missione con un'altra squadra.

Si recò velocemente alla sala dello Stargate.

“E' l'SG5, aprite l'iride!” sentì dire prima di vedere la familiare sagoma dello Stargate dar vita al passaggio subspaziale che congiungeva la Terra ad un pianeta di cui al momento non ricordava proprio il nome.

Vide il comandante dell'SG5 rientrare insieme alla sua squadra e a Daniel. Un attimo, pensò. Dove era finita Carter?

Alle sue spalle il generale Hammond dovette pensare la stessa cosa.

“Colonnello” salutò “Bentornati. Rapporto?”

L'interpellato, dopo un veloce saluto militare, parlò.

“Generale, il pianeta è alquanto primitivo, ma non ostile in linea generale. Abbiamo però constatato delle evidenti incomprensioni culturali. Il maggiore Carter è stata trattenuta proprio a causa di queste incomprensioni. Sembra che il fatto che sia una donna la ponga, ecco, in una condizione di inferiorità secondo i nativi. Non è permesso alle loro donne di viaggiare sole.”

Il Generale guardò i suoi uomini.

“Colonnello, mi sta dicendo che l'avete lasciata indietro sola perché non poò viaggiare sola?”

L'altro uomo sospirò.

“In realtà la nostra intenzione era di tornare a prenderla” spiegò “Con il Colonnello O'Neill”.

Jack guardò l'uomo perplesso.

“E...Perché mai proprio io?” chiese.

“Signore, quando al maggiore è stato chiesto chi fosse il suo accompagnatore lei ha risposto che non ne aveva. Questo ha suscitato l'insorgere dei locali. Il dottor Jackson ha allora avuto l'idea di dire che il compagno del maggiore fosse al momento impossibilitato ad essere lì. I locali ci hanno creduto, ma hanno preteso che venisse a prenderla.” spiegò il militare.

“E perché io?” chiese di nuovo Jack.

Solo allora Daniel, il dottor Jackson, come lo aveva definito il colonnello, parlò.

“Jack, è colpa mia. Devo aver fatto il tuo nome...”

Jack lo guardò perplesso.

“Daniel?” esclamò.

L'altro sospirò.

“Senti, non ho avuto molto tempo per pensare ad un nome e il primo che mi è venuto in mente era il tuo” ammise.

Jack lo fissò, si passò una mano sugli occhi, poi si rivolse al generale.

“Generale, a questo punto chiedo il permesso di tornare sul pianeta con la mia squadra a liberare il maggiore Carter” disse.

Il Generale Hammond annuì.

“Preparatevi, partirete fra due ore. Colonnello Jackobson, a rapporto nel mio ufficio tra un'ora.”

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Capitolo 2
*** Situazioni complicate ***


“Daniel! Che cavolo ti è venuto in mente!” chiese Jack non appena fu solo con l'amico.

“Jack, ero disperato! Non avevo idea di cosa dire e mi sei venuto in mente tu! E poi avevo paura che, se avessi detto che uno di noi era il compagno di Sam, avrebbero chiesto delle prove!” disse.

“Oh, certo” disse Jack “E invece se noi ora torniamo a prenderla e loro ci chiedono prove possiamo dargliele, vero?”

Daniel sospirò.

“Scusa” disse poi a voce più bassa passandosi una mano tra i capelli.

Jack guardò l'amico. Forse aveva esagerato.

“Ah, non preoccuparti, andremo a riprenderci Carter” disse poi “Non ho intenzione di lasciarla sola con dei...” cercò la parola “Primitivi maschilisti, ancora per molto.”

Daniel si sforzò di sorridere.

“Sapevo che avresti capito” disse.

Jack fece una smorfia, poi annuì.

Sperava solo di riportare a casa Carter ancora viva e possibilmente tutta intera. Non avrebbe sopportato di perderla, non ora che era entrata prepotentemente nella sua vita. Certo, lei non lo sapeva. Nessuno lo sapeva. Il lavoro nell'aeronautica e i rispettivi gradi non avrebbero permesso una relazione e Jack lo sapeva bene. Ma nulla poteva impedirgli di provare dei sentimenti.
Daniel guardò Jack. Sapeva che il legame che univa l'amico a Sam si era rafforzato molto e non avrebbe mai voluto mettere i due in una situazione complicata, ma non aveva avuto altre idee. E comunque alla fine l'idea non era stata sua, ma di Sam. E certo, era disperata, ma avrebbe potuto dire altro. O forse no.
E dopotutto le situazioni complicate erano all'ordine del giorno nel loro lavoro, si disse. Doveva farci l'abitudine.

 

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Capitolo 3
*** Pensieri ***


Sam si guardò intorno e sperò ancora una volta che arrivassero a salvarla il prima possibile. L'avevano lasciata sola per gran parte del tempo. Ogni tanto una donna del villaggio passava a portarle del cibo e dell'acqua e le chiedeva se andava tutto bene. Lei rispondeva sempre di sì. Cos'altro avrebbe dovuto dire? Era prigioniera su un altro pianeta solo in quanto donna e aspettava che qualcuno venisse a recuperarla spacciandosi per il suo compagno. E quel qualcuno sarebbe probabilmente stato il suo ufficiale superiore.

Ma lei stava bene, si disse. Era quello che si diceva sempre in fondo, pensò. Ne sarebbe uscita viva in qualche modo.

Si riscosse quando sentì delle voci.

Si affacciò all'apertura della capanna e cercò di capire cosa stesse succedendo.

Vide il capotribù parlare con degli uomini. Dovevano essere arrivati, si disse. Forse la sua disavventura sarebbe finita prima di quello che si aspettasse.

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Capitolo 4
*** Brutte sorprese ***


Jack avanzò verso quello che gli avevano indicato come il capotribù. Era un uomo anziano, ma ancora in forze.

“Bentornati visitatori” disse agli altri “Benvenuto. Lei deve essere il compagno della donna che era con loro” si rivolse poi a Jack.

Il colonnello annuì, non fidandosi della sua voce. Non sapeva se sarebbe riuscito a mentire così bene su una cosa del genere.

“La donna sta bene” disse allora l'uomo “Ci siamo assicurati che non le mancasse nulla”

“Posso vederla?” lo interruppe allora Jack.

L'uomo lo fissò, poi annuì.

“Seguitemi” disse.

L'uomo li accompagnò verso una capanna non molto distante e aprì la tenda che la chiudeva per far entrare Jack. Poi entrò con lui.

Sam era seduta su una specie di poltrona, ma era girata di spalle e non li vide entrare. Jack la chiamò.

“Sam” disse.

Non era sicuro di come dovesse coportarsi, ma di sicuro sarebbe parso strano se avesse chiamato sua moglie “Maggiore”. Sperò che lei capisse le sue intenzioni e stesse al gioco.

Sam si girò e, vedendo Jack, sorrise.

“Signore” disse.

Poteva andare peggio, si disse. Chiamare il proprio coniuge “Signore” era un segno di rispetto in certe culture primitive.

“Come stai?” le chiese.

Lei si morse il labbro. Lo faceva sempre quando era nervosa, si disse Jack.

“Sono prigioniera in quanto donna” disse poi causticamente“A parte questo sto bene”.

Jack sorrise. Si aspettava una risposta del genere.

“Ancora per poco. Sono venuta a portarti a casa” le disse.

Sam fece una smorfia e annuì.

“Mi spiace per l'inconveniente” disse.

Jack ghignò.

“Non preoccuparti. Diciamo che mi devi una battuta di pesca”.

Sam sorrise.

Dietro di loro il capotribù si avvicinò.

“Ora che ha visto che la sua sposa sta bene, possiamo iniziare le trattative...” disse.

“Le trattative?” chiese Jack.

L'uomo annuì.

“Sì, per farvela riavere” disse l'uomo.

Jack sospirò, ma si sforzò di rimanere calmo.

“Come sarebbe a dire trattative? Sono venuto da un'altra galassia per riprendermi Ca...Mia moglie, non ho intenzione di lasciarvela!” disse.

Sam si sforzò di non sorridere. Sentire Jack chiamarla “moglie” faceva uno strano effetto.

“Lei ha abbandonato questa donna, quindi avrebbe potuto essere libera. Degli uomini del nostro villaggio ne avevano già rivendicato il possesso, perciò, a meno che voi non possiate provare il vostro legame in qualche modo, dovrete sottoporvi alle trattative”.

Jack sospirò. Sapeva che doveva esserci una fregatura.

“Provare il legame come?” chiese allora.

“Nell'unico modo possibile” rispose il capotribù come fosse ovvio “Con la pietra del matrimonio”.

Jack guardò l'uomo. Poi guardò Sam che scosse la testa. Lei non ne sapeva nulla e questa storia puzzava di bruciato lontano un miglio.

“Pietra del matrimonio? Chiese Jack.

“La pietra del matrimonio è un artefatto che consente di sapere se l'unione fra due partner è veramente tale. Non si può mentire alla pietra del matrimonio perché non è umana. La ereditai da mio nonno, e lui dal suo. In origine si dice che sia stata costruita da chi costruì anche l'anello di pietra”.

Jack sospirò passandosi una mano tra i capelli. Se questa “pietra del matrimonio” era un artefatto degli antichi di sicuro mentirle doveva essere impossibile. Cominciava a vedere la fine della vicenda come qualcosa di più difficile del previsto.

“E se il risultato fosse che non siamo davvero...sposati?” chiese allora Jack.

L'uomo scosse la testa.

“In tal caso non rimarrebbero che le trattative” disse.

Jack annuì.

“E queste trattative in cosa consistono esattamente?” chiese allora Sam.

Il capotribù la fissò, poi guardò Jack. Evidentemente non era costume che una donna parlasse se non interpellata. Ma in effetti quello che Carter aveva chiesto sarebbe stata la sua domanda successiva.

“L'avrei chiesto io, ma mia...moglie ha ragione. Cosa sarebbero queste trattative?”

Il capotribù sorrise.

“Questo dipende dagli altri pretendenti. Alcuni si accontentano di una somma di denaro, altri pretendono un duello. Non possiamo saperlo adesso”.

Jack sospirò e annuì.

“Potrei parlare solo con lei?” chiese poi all'uomo.

Il capotribù li fissò, poi abbassò la testa in segno di assenso e li lasciò soli nella tenda.

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Capitolo 5
*** Confessioni ***


Jack guardò il suo secondo in comando ricevendo in cambio un'occhiata che, si disse, probabilmente rifletteva bene la propria.

“Stai bene?” chiese poi.

Sapeva di averle già posto quella domanda, ma sapeva anche che domande uguali in situazioni differenti potevano portare a risposte ben diverse.

“Sì” sospirò lei sedendosi su una seggiolina “Mi spiace averla fatta preoccupare, signore”.

Jack sorrise. Era tipico di Carter prendersi tutte le colpe. Ma non se la sentiva di incolparla. In fondo lui avrebbe fatto lo stesso.

“Senti, Carter” iniziò poi “Tu cosa ne pensi di queste...Come le hanno chiamate?”

“Trattative” disse lei.

“Trattative” ripeté Jack.

Il maggiore lo guardò perplessa. Cosa doveva pensare? Si chiese. Dopotutto non avevano molta scelta.

“Signore” disse poi “Io sarò prigioniera di questi uomini a meno che lei non, diciamo così, tratti per liberarmi. Non posso obbligarla, non lo farei ma, ma non posso negare che se lei dovesse tirarmi fuori da questa situazione sarei ben felice. Tuttavia se dovesse agire diversamente potrei capirla. Se per trattative si intendesse un duello, per esempio, credo che per lei sarebbe più saggio rifiutare. Dopotutto lei è il mio superiore.”

Jack fissò la donna che aveva davanti. Sam si stava mordendo il labbro, come faceva sempre quando era nervosa, e non lo guardava in faccia.

“Sam” la chiamò.

Lei alzò il viso.

Si fissarono per qualche secondo. Jack avrebbe voluto fare qualcosa, qualunque cosa, ma si ritrovò senza sapere come comportarsi.

“Ti tirerò fuori di qui, a qualunque costo” le disse.

Sam sorrise. Jack era l'unico che riusciva a strapparle sempre un sorriso, anche in situazioni disperate.

“Grazie, signore” disse poi.

Jack annuì. Poi le sfiorò un braccio con una mano. Avrebbe voluto prenderla per mano e fuggire da quella situazione ma, evidentemente, non era possibile.

“Vado a parlare con il capotribù. Tornerò appena possibile” le disse.

Sam annuì e Jack fece per uscire, ma venne fermato dalla voce del suo secondo.

“Colonnello” lo chiamò.

Si voltò verso di lei.

“Io...” iniziò la donna, ma poi si fermò “Nulla” disse.

Jack la fissò con sguardo indagatore.

“Tutto bene?” chiese poi.

“Sì” disse lei un po' troppo in fretta perché l'uomo le credesse.

“Carter” la chiamò “Cosa non va?” le chiese poi.

“Io...” iniziò. Si bloccò, poi riprese “Io credo di aver fatto un gran caos. Sì, insomma, è colpa mia se siamo in questa situazione” finì.

Jack sorrise.

“Sam” le disse “Tu sei in questa situazione perché sei una donna. Daniel ha detto a queste persone che tu sei mia moglie e loro vogliono che io provi che è vero. Non vedo come possa essere colpa tua!”

Sam scosse la testa.

“Daniel non ha detto nulla” sospirò “Sono stata io” ammise.

Il colonnello fissò il suo secondo in comando inclinando la testa.

“Tu?” chiese.

“Ho avuto paura” sospirò lei “E se avessi messo Daniel nella situazione di dover combattere un duello non creo sarebbe stato in grado. E, a parte lei e Teal'c, non mi veniva in mente nessun altro che fosse in grado di vincere un duello” ammise infine.

Jack strinse le labbra. Poi parlò.

“Questo non cambia nulla. Tu sei prigioniera solo in quanto donna e non è giusto. Ti tirerò fuori di qui” promise.

Sam guardò l'uomo, sorrise e annuì.

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Capitolo 6
*** Prima trattativa ***


Quando il colonnello O'Neill raggiunse gli altri uomini sullo spiazzo davanti alla capanna del capovillaggio l'uomo lo attendeva insieme ad altri due indigeni. I tre, non appena lo videro arrivare, gli si avvicinarono.

“Spero che sia soddisfatto del trattamento che abbiamo riservato alla sua donna” disse il capo.

“Oh, certo” rispose Jack “Se non fosse prigioniera di certo sarebbe una bella vacanza” disse ironico.

Daniel alle sue spalle lo chiamò. Di certo lui sarebbe stato più diplomatico.

Il capotribù sospirò.

“Mi spiace crearvi dei disagi, ma le nostre leggi sono immutabili da centinaia di anni. Cambiarle provocherebbe solo il caos” fu la spiegazione che diede.

Jack riuscì a rimanere in silenzio solo con grande sforzo e grazie alla mano di Daniel sulla sua spalla che gli ricordava che la vita di Carter era in pericolo.

“Bene” disse l'indigeno allora “Loro sono i due uomini che hanno rivendicato la mano della vostra donna. Possiamo quindi dare inizio alle trattative già da subito, in modo tale da sfruttare le ore di luce che ci restano da qui al calar del sole.”

Jack annuì.

I tre uomini si sedettero attorno ad un fuoco. Jack, Daniel e Teal'c furono invitati a fare lo stesso.

“Partiremo da Amannac” disse il capo indicando l'uomo alla sua destra “In quanto è stato il primo a rivendicare la donna.”

Guardò l'uomo alla sua destra.

“Amannac” chiamò “Quali sono le tue pretese?”

L'uomo guardò il capo, poi Jack e di nuovo il capo.

“Chiedo la mano della donna o in alternativa un duello a mano libera” disse “Niente armi” specificò poi “E nessun colpo proibito.”

Jack fissò Daniel e Teal'c. Poteva andare peggio, si disse. Almeno a mani nude aveva la possibilità di uscirne vivo.

“Accetto il duello” disse Jack senza nemmeno pensare. Non che ne avesse bisogno...

Il capotribù annuì e si alzò. Così fecero gli altri.

Si recarono dietro la capanna del capo, dove vi era uno spiazzo cintato che, a ben vedere, sembrava proprio predisposto per un duello di quel tipo.

Era una radura spoglia. Al suo interno non c'era erba, solo sabbia, e non erano presenti ostacoli sul terreno.

“Questo sarà il campo di battaglia” disse infatti il capo “Tutti i colpi a mani nude saranno permessi. Non sono permesse armi. Il vincitore deciderà cosa fare del perdente.”

Jack deglutì. Aveva una sola scelta: la vittoria.

“Stiamo per iniziare” disse ancora il capo “Ma prima fate entrare la donna. È corretto che veda gli uomini che combattono per il suo onore.”

Jack quasi sorrise pensando all'espressione “onore” riferita al suo secondo. Di certo lei non aveva bisogno di qualcuno che ne difendesse l'onore, si disse.

I suoi pensieri furono interrotti dall'entrata in scena della donna.

Il colonnello la fissò.

Era vestita con un semplice abito azzurro che dovevano averle dato le donne del villaggio e Jack non poté fare a meno di pensare che anche così era bellissima.

Si riscosse.

“Quando siete pronti possiamo incominciare” disse il capo guardando i due combattenti. Entrambi annuirono.

“Vinca il migliore” disse l'uomo.

Jack sospirò. Avrebbe dovuto essere il migliore, si disse poco prima di schivare un pugno sferrato dal suo avversario e volto a colpirlo in pieno viso.

Fissò l'uomo. Era più imponente di lui, il che non era facile dal momento che il colonnello O'Neill misurava quasi un metro e novanta, ma era meno agile. Avrebbe dovuto puntare su quello.

L'uomo cercò poi di colpirlo con un gancio destro, ma lo sfiorò solo di striscio. Il mancato colpo permise a Jack di contrattaccare, ma anch'egli non centrò completamente il bersaglio.

Diversi colpi andarono a vuoto, finché l'indigeno non riuscì a far sbilanciare Jack, che cadde a terra evitando per poco che l'uomo lo immobilizzasse. Si scostò, ma una mano afferrò la sua caviglia riportandolo a terra. Nella caduta un braccio riportò delle escoriazioni.

Si girò e si trovò l'uomo sopra di sé. Cercò di scostarsi, ma invano. L'uomo sembrava troppo forte.

Doveva farsi venire un'idea, pensò.

Ma certo, si disse. Quale migliore idea che quella di fingersi sconfitto?

Incassò un colpo allo stomaco senza protestare, poi un altro, rimanendo completamente passivo. L'uomo si fermò. Lo fissò.

Jack era sdraiato a terra immobile. Un rivolo di sangue scendeva lungo il suo braccio.

L'indigeno si alzò credendo di aver riportato una facile vittoria. L'avversario non era più in grado di combattere, ma voleva esserne sicuro.

Quella fu la sua rovina.

Nel momento in cui l'uomo afferrò la caviglia del colonnello, lui afferrò il piede dell'avversario trascinandolo a terra.

Si alzò e lo immobilizzò sotto di sé. Infine lo fissò.

“Potrei ucciderti anche subito” disse Jack “Ma non è mia intenzione. Rinuncia a lei.”

L'uomo, ormai impossibilitato a muoversi, lo fissò.

“Rinuncia!” disse più forte Jack.

“Rinuncio” sospirò l'altro con un filo di voce prima che il colonnello lo lasciasse andare.

Jack si allontanò velocemente dall'uomo. Poi si voltò.

Il capotribù osservava la scena.

“Il nostro ospite vince il duello” decretò “Le pretese di Amannac vengono a cadere. La donna non passerà sotto la sua protezione”

Jack sospirò. Uno era andato. Guardò Daniel sorridente e Teal'c, il quale fece un cenno con la testa ad indicare il suo compiacimento per la vittoria.

Poi guardò il suo secondo in comando. Sam era immobile. Avrebbe voluto sapere a cosa stesse pensando. Fece per avvicinarsi alla donna, ma lei fu più veloce e gli corse incontro, per quanto il suo vestito le permettesse di muoversi agilmente.

Quando lo raggiunse Jack si trovò inaspettatamente circondato dalle braccia del suo secondo. Per un attimo rimase immobile, inerme, incapace di decidere cosa fare. Poi lei si allontanò leggermente.

Jack la fissò perplesso, ma lei non sembrò cogliere il cambiamento. Prese invece il suo braccio, che ancora sanguinava, tra le sue mani.

“Oddio, Jack, è colpa mia. Mi spiace così tanto” disse piano “Dobbiamo medicarlo...”

Jack si riscosse. Lo aveva chiamato Jack. Lo faceva così raramente.

“Carter” chiamò.

“Vieni, Daniel dovrebbe avere qualcosa, dell'acqua ossigenata...” disse lei senza dar segno di aver sentito.

“Sam” la chiamò più forte e lei si fermò.

“Sam, sto bene” le disse “Daniel mi medicherà dopo. Ora però credo che i nostri indigeni qui attorno non saranno felici di vedere che tu ti sei sottratta alle loro cure.”

Il maggiore guardò il suo superiore. Poi si guardò intorno. Effettivamente ora si trovava in mezzo all'arena dove non avrbbero nemmeno potut entrare le donne. Nessuno era riuscita a fermarla, ma lei nemmeno se ne era accorta.

Jack la fissò e sorrise. Sam ricambiò.

“Grazie, signore” disse.

“Dovere” rispose lui “Ora vai, prima che mi tocchi ricominciare tutto da capo.”

Sam annuì, poi si guardò intorno e uscì con calma dall'arena tornando al fianco del capotribù, che la riaccompagnò dopo poco alla sua capanna.

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Capitolo 7
*** ferite ***


Daniel disinfettò il braccio di Jack nonostante le proteste di quest'ultimo. Poi lo bendò.

“Ecco, dovrebbe guarire in qualche giorno” disse poi “Spero solo che non faccia infezione.”

Jack annuì.

“Grazie Daniel” rispose.

“Colonnello, dovrebbe riposarsi ora” intervenne allora Teal'c.

Jack lo fissò e annuì.

“Quando sarà il prossimo duello?” chiese allora rivolto a Daniel.

L'altro scosse le spalle.

“Non ne ho idea” disse “Probabilmente domani. E poi non è nemmeno detto che si tratti di un duello” aggiunse.

Jack sbuffò.

“Qualunque cosa sia spero che si faccia il prima possibile. Non posso fare a meno di sentirmi in colpa vedendo Carter prigioniera” sentenziò.

Daniel lo fissò.

“Jack, non è prigioniera” disse “Semplicemente per questa cultura il suo posto è...”

Jack non lo lasciò finire.

“Non me ne frega niente della loro cultura Daniel!” sbottò “Carter è prigioniera là dentro e noi dobbiamo tirarla fuori di lì!”

Daniel fissò l'amico interdetto. Non aveva una risposta da dargli.

“Bene” disse quindi “Direi che quindi ora tu vai a riposarti e io cerco di capire quando sarà la prossima trattativa.”

Il colonnello annuì. Poi si diresse alla capanna che gli indigein avevano loro offerto, si sdraiò sul letto e si addormentò.

 

Si svegliò sentendo la voce di Daniel che lo chiamava.

“Buongiorno” disse “Quanto tempo è passato?”

“Direi almeno sedici ore.” rispose l'amico “La tua ferita ha fatto infezione e quando me ne sono accorto ho preferito lasciarti dormire.”

“Carter?” chiese allora Jack.

“Lei sta bene. Ho chiesto di vederla stamattina. Era preoccupata per te.” spiegò Daniel.

Jack fissò Daniel.

“Per me?” chiese.

“Parlavi nel sonno” spiegò Daniel “O meglio, urlavi. Non riuscivo a capire perché finché non ho visto il tuo braccio.”

Solo allora Jack notò che il braccio non era più fasciato ed era di un poco sano color giallo. Il colonnello lo fissò e provò a muoverlo. Faceva male e molto, ma probabilmente se Daniel non lo avesse slegato avrebbero pensato che fosse solo una normale ferita.

“Pensavo di disinfettartelo e pulirlo, ma non mi sono azzardato a farlo mentre dormivi” disse Daniel.

Jack fece una smorfia. Probabilmente Daniel aveva fatto bene. Conoscendosi si sarebbe svegliato e avrebbe cercato di fargli del male, molto male.

Si alzò.

“Dove stai andando?” chiese Daniel.

“Da Carter” rispose Jack, come se fosse evidente.

“Da Sam?” chiese Daniel.

Jack annuì. A volte gli sembrava di parlare con un bambino un po' lento di comprendonio.

“Sì Daniel, da Sam. Conosci qualcun'altro in grado di sistemare una ferita così?” disse.

“Oh...Certo” rispose l'amico un po' stupito.

A volte Daniel si chiedeva se Jack avrebbe mai ammesso la sua dipendenza da Sam. Certo, anche lui faceva affidamento su di lei per un sacco di cose, ma Jack le avrebbe affidato la sua vita senza esitare.

 

Daniel seguì Jack nella capanna dove avrebbero trovato Sam. Entrarono domandando permesso.

Non c'erano rumori, sembrava che nessuno fosse all'interno. Solo quando furono entrati scorsero la familiare sagoma del maggiore sdraiata su un letto di paglia. Si avvicinarono.

“Carter?” chiamò Jack.

La donna non sembrò sentirlo.

Jack allungò una mano e le toccò un braccio.

“Carter!” chiamò più forte.

Questa volta Sam aprì gli occhi.

“Colonnello” disse ancora assonnata.

“Ciao Carter. Come stai?” chiese poi.

Sam sorrise.

“Stavo dormendo” disse.

“Questo lo avevo visto” sorrise Jack “Ero venuto a chiederti un favore.”

Sam si sedette sul letto.

“Qualcosa non va colonnello?” chiese.

Lui allungò il braccio e alzò la manica dell'uniforme mostrandole la ferita infetta.

Sam sospirò.

“Wow” disse storcendo il naso “Speravo non accadesse...”

Jack fece un cenno.

“Non dirlo a me...” commentò “Cosa possiamo fare?” chiese poi.

Sam scosse la testa.

“Non ne ho idea. Posso provare a disinfettarlo e pulirlo. Farà male, ma possiamo sperare che guarisca prima.”

“Fallo” ordinò Jack.

Sam lo fissò. Credeva di aver capito male.

“Colonnello?” chiese.

“Carter, non mi pare di avere scelta” chiarì lui “Fra non so quanto ci sarà un'altro duello, trattativa o come cavolo li chiamano qui. Non ho intenzione di farmi sconfiggere da un'infezione e lasciarti in pasto a questi sciagurati.”

Sam lo fissò e sorrise, poi si morse il labbro.

“Benissimo” disse “Venga qui. Daniel, dammi del disinfettante. È nella tasca anteriore della borsa nel primo scomparto dello zaino. E della garza.”

Daniel si affrettò ad obbedire.

“Colonnello, si sieda” disse poi Sam.

Jack fece come detto, poi le porse il braccio.

La prima cosa che pensò non appena la donna lo prese tra le sue mani fu di aver commesso un grave errore.

Sam lo guardò, poi prese il disinfettante e lo passò sulla ferita. Jack sussultò. Faceva male, ma si sforzò di non dire nulla. Mentre lavorava sul braccio del superiore il maggiore cercò di intrattenere una conversazione. Sarebbe stato più facile se lui non avesse pensato a cosa stava facendo. Jack, allo stesso modo, tentò di non pensare alla ferita. Ci riuscì solo finché un dolore atroce non lo fece gridare mentre cercava di liberare la mano dalla presa di Carter.

“Sam!Per la miseria, lasciami!” gridò.

La donna cercò di tenere fermo il braccio.

“Stia fermo colonnello! Se fa così non riuscirò mai a medicarla!” rispose, con un po' troppa veemenza per essere una che si rivolge al suo superiore.

Jack strappò il braccio dalle mani della donna.

“Non riuscirai comunque! Mi stai facendo male!” le urlò contro.

Sam lo fissò. Non pensava di avergli fatto così male. Dovette ricacciare indietro le lacrime che spingevano per uscire.

Jack ricambiò lo sguardo. Stettero occhi negli occhi per qualche secondo. Non avrebbe voluto urlarle contro, pensò Jack, ma il dolore era stato troppo forte. Sospirò.

“Mi scusi colonnello” disse poi Sam quando Jack si fu calmato.

“Non preoccuparti, continua” ansimò lui.

Sam fece del suo meglio per finire il prima possibile e solo quando il braccio le sembrò pulito lo lasciò.

Jack la fissò, poi fissò il proprio braccio.

“Grazie Carter” disse.

Sam sorrise.

“Dovere” rispose “E poi in fondo siete qui per me.”

Jack la guardò e sorrise.

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Capitolo 8
*** Seconda trattativa ***


 
Il giorno successivo il capotribù si recò a prendere Jack proprio mentre questi stava uscendo dalla capanna dove erano alloggiati. L’uomo accompagnò Jack, Daniel e Teal’c ad un’altra capanna. All’interno vi trovarono un uomo piuttosto minuto. Jack pensò che se questi avesse chiesto un duello non sarebbe stato difficile vincere, ma aveva la netta impressione che ci fosse qualcosa che non andava.
“Lui è Caam” disse il capotribù presentando l’indigeno che, come poterono notare, era poco più di un ragazzo.
“Piacere” disse ironico Jack guadagnandosi un’occhiata da parte di Daniel.
“Caam rivendica la possessione di tua moglie tramite una trattativa che consisterà in una gara” spiegò il capovillaggio.
Jack fissò l’uomo. Un gara poteva starci. Ma una gara di cosa? Si chiese.
“Il primo di voi che raggiungerà la sommità della montagna sacra otterrà la donna” disse ancora l’uomo più anziano.
Jack lo ascoltò.
“La montagna sacra?” chiese poi.
L’uomo annuì.
“Seguitemi” fece segno.
Jack, Teal’c e Daniel seguirono l’uomo e lo sfidante all’esterno. Si avvicinarono ad una parete rocciosa ripidissima.
“Questo è il Monte sacro. Solitamente la gente sale dal sentiero che parte dall’altro lato della montagna. In questa sfida dovrete scalare la montagna per raggiungerne la sommità. Il primo che arriverà in cima diventerà il custode della donna che chiamate Samantha” spiegò l’uomo.
Jack sospirò. Poteva andare peggio, pensò. Certo, non sarebbe stato facile raggiungere la cima di quella montagna, ma ce l’avrebbe fatta. Non che avesse molte alternative, si disse, non poteva lasciare Carter in mano a quella gente.
“La sfida inizierà quando entrambi sarete pronti” disse il capotribù “Allora manderò a chiamare la donna. E’ giusto che anche lei assista alla trattativa.”
Jack fissò l’altro uomo.
“Io sono pronto” disse.
L’altro uomo annuì.
“Mandatela a chiamare” disse allora il più vecchio.
 
Quando Sam vide arrivare due corpulenti uomini si preoccupò, ma non poté fare altro che sentire cosa avevano da dire.
“Gli uomini la attendono per la seconda sfida” le dissero “Ci segua”
Lei fece come detto e uscì dietro di loro.
Quando vide da lontano Jack sospirò di sollievo. Era in piedi e sembrava stare bene.
Si avvicinarono.
“Gli uomini sono pronti alla trattativa” disse il capovillaggio “In quanto oggetto della trattativa questa donna è ammessa a seguire il rituale. Scaleranno la Montagna Sacra. Il primo a raggiungere la sommità otterrà la custodia della donna”
Sam sospirò. Se Jack doveva scalare quella montagna con il braccio che si ritrovava avevano poche speranze, si disse. Sapeva che non avrebbe mollato, ma ce l’avrebbe fatta?
 
Quando il capovillaggio diede il via alla trattativa Jack si apprestò a scalare la montagna. Sapeva che con il braccio ferito non aveva molte possibilità. L’altro uomo era molto più leggero e giovane, ma non poteva lasciare Sam in mano sua.
Si aggrappò alla parete con le mani e i piedi, ma non appena fece per salire si rese conto che così non sarebbe andato da nessuna parte. La prima cosa che fece fu togliere le scarpe. Probabilmente non era la mossa migliore, ma con gli anfibi dell’uniforme non aveva abbastanza presa. Riprovò a salire e notò che, effettivamente, aveva una presa migliore. Avanzò di alcuni metri, ma notò che l’altro uomo era già diversi metri sopra di lui.
Il braccio pulsava, faceva male, ma doveva farcela.
Ad un certo punto scivolò. Perse l’appiglio con un braccio. Si trovò aggrappato soltanto con il braccio ferito. Tentò di ricomporsi, ma inutilmente. Non ce l’avrebbe fatta, si disse.
Mancavano ancora diversi metri e l’altro uomo era sopra di lui.
Fece di tutto per non cadere nel vuoto. Pensò a Sam. Se fosse caduto lei sarebbe caduta nelle mani di quell’uomo. Magari sarebbe stata felice, si disse. Dopotutto era un uomo giovane e sicuramente Carter meritava di essere felice. Guardò in basso. Lei era lì, la testa alzata ad osservare.
Il braccio faceva molto male, non lo sentiva quasi più, e la testa iniziava a girare. Cercò di fare un altro passo, ma non ci riuscì.
Sentì l’urlo di Sam sotto di lui proprio mentre perdeva la presa.

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Capitolo 9
*** Non è da te arrenderti ***


 
Sam si ritrovò ad urlare senza nemmeno accorgersene. Vide la scena come al rallentatore. Vide Jack cadere e l’altro uomo raggiungere la vetta. Vide gli uomini del villaggio avvicinarsi al colonnello e cercare di soccorrerlo. Non ci sarebbero riusciti, pensò Sam, erano un popolo troppo primitivo dal punto di vista medico. Se Jack non fosse stato soccorso subito sarebbe morto, si disse. Fece per fiondarsi su di lui, ma si sentì trattenere da due forti braccia. Era Teal’c. Cercò inutilmente di liberarsi.
“Teal’c lasciami! Devo andare da lui! Morirà!” urlò.
Teal’c non la lasciò.
“Maggiore Carter, io non la posso lasciare. In queste condizioni non so cosa potrebbe fare” disse, riflessivo come sempre.
Sam continuò a cercare di liberarsi per un po’, poi si arrese. In quel momento tutte le emozioni vennero a galla con un pianto a dirotto.
Si sentiva in colpa. Se erano finiti in quella situazione era solo colpa sua. E ora cosa avrebbero potuto fare?
 
Daniel intanto aveva seguito gli uomini del villaggio in una capanna dove avevano portato Jack, che al momento stava sdraiato incosciente sopra un letto di paglia.
Alcuni uomini stavano pulendo le sue ferite tra cui, Daniel se ne stupì, l’uomo che lo aveva sfidato. Il dottore si avvicinò.
“Ci dispiace per il suo amico” disse il capovillaggio.
Daniel annuì. Non aveva la forza di parlare.
“Solitamente le trattative non portano mai feriti o morti. Sono anni che non abbiamo altro che morti naturali nel villaggio” spiegò l’uomo ancora.
Daniel sospirò. Sperava che non ne avrebbero avuti nemmeno questa volta.
“Ora cosa succederà?” chiese lo scienziato quando ritrovò la forza di parlare.
L’uomo più anziano scosse la testa.
“Teoricamente il vostro amico ha perso la sfida. La donna ora è di proprietà di Caam. Sta a lui decidere cosa farne.”
Daniel annuì. Non poteva credere di perdere in un solo colpo Sam e Jack.
“E se prendessi io il posto di Jack?” chiese poi.
L’altro uomo scosse la testa.
“Temo non sia possibile” spiegò “L’unico uomo che può rivendicare il possesso di una donna è il suo legittimo sposo”
Daniel annuì. Immaginava una cosa simile, ma ci aveva sperato lo stesso.
“A Sam è permesso entrare qui?” chiese poi.
Il capovillaggio scosse le spalle.
“Questo dipende da cosa deciderà Caam” disse.
 
Sam si asciugò le lacrime che le rigavano le guance senza però riuscire a smettere di singhiozzare. Per tutto il tempo Teal’c le era stato vicino.
Si guardò intorno e solo allora si rese conto dell’uomo che si trovava accanto a loro.
“Mi scusi” disse.
L’altro la fissò.
“Non devi scusarti” disse poi “Io sono Caam.”
Solo allora Sam lo riconobbe. Era l’uomo che aveva rivendicato il suo possesso. Il suo nuovo marito, si disse.
“Samantha” disse lei “Ma credo tu lo sappia già”
L’altro annuì.
“Mi spiace per quello che è successo al tuo…” l’uomo si interruppe “al vostro uomo. Non era mia intenzione”
Sam annuì.
“Io non sarò mai tua” disse decisa.
L’altro uomo la fissò, sospirò, annuì.
“Capisco” disse.
“Posso vederlo?” chiese allora Sam.
L’altro uomo acconsentì e la accompagnò nella capanna dove stavano curando Jack.
Sam lo fissò. Sembrava così indifeso su quel letto. Sperò che si riprendesse il prima possibile. il suo cervello non riusciva nemmeno a concepire un mondo senza di lui.
Si avvicinò.
Come se lui avesse percepito la sua presenza lo vide aprire gli occhi.
“Sam” disse a voce così bassa che pensò di esserselo immaginato.
La donna, con le lacrime agli occhi, cercò di sorridere.
“Come sta?” chiese.
Jack la fissò.
“Fa male” disse solo.
Sam deglutì.
“Dove?” chiese.
“Tutto” rispose lui “Mi spiace”
Sam si asciugò velocemente una lacrima che le colò sulla guancia.
“È colpa mia” disse.
Jack la fissò.
“No” la contraddì “Tu non potevi farci nulla.”
Sam scosse la testa.
“Io avrei dovuto…”
“Sam” la richiamò lui.
Lei lo fissò.
“Non ti avrei lasciato a quell’uomo per nulla al mondo. Tu meritavi questo e molto di più”
Il maggiore si asciugò ancora una volta le lacrime.
“Jack, io…” si bloccò. Avrebbe voluto dire tantissime cose, ma non ci riuscì.
“Sono stanco” disse l’uomo.
Sam annuì.
“Dormi” disse piano.
Fece per uscire. Poi si voltò e tornò verso di lui. Gli sfiorò una guancia, la più sana delle due, con una mano. Si fissarono.
“Ne usciremo anche questa volta” disse lei.
Jack annuì
“Lo so. Non è da te arrenderti, mai.” Disse.
 Poi chiuse gli occhi.

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Capitolo 10
*** Ti fidi di me? ***


Quando Sam uscì dalla capanna Caam la stava aspettando. Si fissarono.
“Come sta?” chiese poi l’uomo.
“Come vuoi che stia?” rispose Sam stizzita “E’ caduto da un’altezza considerevole, non ti aspetterai che stia bene!”
L’indigeno sospirò.
“Scusa” disse.
Sam lo guardò.
“Non credo che riuscirò mai ad accettare l’idea di diventare tua moglie” spiegò.
L’altro annuì.
“Questo lo vedo” disse “Ma non creo che ormai potremo farci molto.”
Sam scosse la testa.
“Non posso credere che sia successo davvero” disse più parlando a sé stessa che all’altro.
Caam stette in piedi vicino a lei per un po’ in silenzio, poi parlò.
“Va’ da lui. Se hai fame ti farò portare qualcosa” disse.
Sam lo fissò e annuì, poi tornò all’interno della capanna.
 
Daniel sedeva su una sedia nella capanna del capovillaggio.
“E’ impossibile che non esista un modo per poter cambiare le cose!” disse.
“Se ci fosse stato ve ne avrei parlato prima” disse l’altro uomo “A parte la pietra del matrimonio e le trattative, non c’è niente che possa determinare la validità di un matrimonio.”
Teal’c fissò l’indigeno perplesso.
“Se la pietra del matrimonio provasse che il Colonnello O’Neill e il Maggiore Carter sono sposati tutto tornerebbe come prima?” chiese poi.
L’uomo annuì.
Teal’c fissò Daniel, che però scosse la testa.
“Teal’c, se non dovessero risultare sposati non so cosa potrebbe accadere” disse poi lo scienziato.
Il Jaffa fissò lo fissò.
“Al momento non credo ci sia una scelta” disse poi.
“Al momento la nostra priorità dovrebbe essere la salute di Jack” rispose Daniel “Che però è steso su quel letto! E l’unica che ha conoscenze mediche è Carter, che è prigioniera qui!”
Raramente Daniel alzava la voce, ma la frustrazione si faceva sentire.
“Possiamo parlare con il colonnello O’Neill?” chiese allora Teal’c.
Il capovillaggio annuì.
“Se è cosciente non ho nulla in contrario.”
I tre si recarono nella capanna dove veniva tenuto Jack. Era sdraiato, ma non avrebbero saputo dire se fosse cosciente oppure no. Dopo poco però aprì gli occhi.
“Dov’è Sam?” chiese.
“È in casa di Caam, l’uomo che ti ha…Che ha vinto la trattativa” spiegò Daniel.
Jack annuì.
“Chiedile perdono da parte mia” disse allora.
Daniel scosse la testa.
“Non credo che lei voglia le tue scuse. E al massimo potrai fargliele tu quando starai bene. Ora ascoltami.”
Jack lo fissò.
“Dimmi” disse con un filo di voce.
“Qui sostengono che l’unico modo per provare che tu e Sam siete marito e moglie sia la pietra del matrimonio. Ora, io non so cosa sia questa pietra, ma se è un artefatto degli antichi potrebbe avere non so quali poteri. Magari è perfino in grado di guarirti. E magari capirà che tu tieni a lei e dirà che siete sposati anche solo per salvare Sam.”
“Danny” lo fermò Jack “Vieni al punto”
Daniel sorrise. Certe cose non cambiavano mai.
“Ti va di sottoporti al rito?” chiese allora.
Jack ci pensò un secondo, poi rispose.
“Non vedo molte alternative” disse “E se questo è l’unico modo per riportare indietro Sam lo farò”
Daniel annuì.
“Sapevo che lo avresti detto” disse.
“Danny” lo chiamò ancora una volta Jack.
“Sì?” rispose lui.
“Qual è la fregatura?” chiese allora Jack.
Daniel ci pensò, poi
“Dovresti convincere Sam…” disse poi “Lei si sente responsabile della tua condizione, non credo voglia acconsentire.”
Jack sospirò.
“Mandamela” disse solo.
 
Cinque minuti dopo Sam entrava nella capanna dove si trovava il suo superiore.
“Colonnello, come sta?” chiese appena lo vide.
“Diciamo che sono stato meglio” cercò di scherzare lui.
Sam sorrise. Su quello non aveva dubbi.
“Mi voleva vedere?” chiese poi.
“Ho parlato con Daniel. Dice che l’unico modo che abbiamo per riportarti indietro è la pietra del matrimonio” disse.
Sam scosse la testa.
“Mi pare avessimo concordato che non era fattibile”
Jack sorrise forzatamente.
“Le condizioni sono cambiate” disse “E poi scoprire cos’è questa benedetta pietra ci sarebbe utile” disse.
“Ne è sicuro, signore?” chiese Sam.
Jack allora le prese una mano, che lei inutilmente cercò di ritrarre.
“Sam” la chiamò lui.
Si fissarono per un istante.
“Sam, non abbiamo scelta mi pare” le disse “Io ti affiderei la mia vita. Tu ti fidi di me?” le chiese.
Sam lo guardò negli occhi. Quegli occhi esprimevano una fiducia incontrastata. Non poteva fare diversamente.
“Va bene” disse allora “Vada per la pietra”
 

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Capitolo 11
*** fortuna inaspettata ***


“Siete sicuri?” chiese il capovillaggio ancora una volta a Sam e Jack.
“Lo siamo” disse Jack convinto.
“Sete consapevoli che nel caso in cui la pietra del matrimonio non dovesse provare il vostro legame come veritiero potrebbero esserci spiacevoli conseguenze?” domandò ancora l’uomo.
Sam sospirò.
“Non credo possano esserci conseguenze peggiori che vivere una vita da prigioniera, schiava di qualcuno che odio” disse poi.
L’uomo più anziano la fissò, poi annuì.
Anche Jack la fissò. Non era da Sam usare parole così forti. Ma forse quell’esperienza la stava segnando più di quanto lui potesse sospettare.
“Portate la pietra” disse allora il capovillaggio.
Due uomini entrarono poco dopo nella capanna dove si trovavano Sam, Jack, il capovillaggio, Daniel, Teal’c e pochi altri. Portavano un oggetto di forma circolare dello spessore di circa un centimetro e di colore arancione. Sam fissò Jack, che la sentì irrigidirsi nonostante lo spazio che li separava.
“Tutto bene?” le chiese.
La donna deglutì, poi annuì.
“Sam?” la chiamò.
“È un artefatto Goaul’d” sussurrò lei.
Jack la fissò.
“Non credo” le disse piano “Probabilmente i Goaul’d si sono impossessati di questa tecnologia, ma non credo possano averla creata”
Sam scosse la testa.
“Comunque sia è appartenuto a qualcuno di loro, posso sentirlo” disse ancora.
Jack annuì. Sperava che la faccenda della pietra del matrimonio finisse in fretta, ma a quanto pare non doveva essere così.
“Allungate le mani” disse il capovillaggio interrompendo i pensieri di Jack.
Sam fissò l’uomo, poi Jack, che cercò di sorriderle incoraggiante, per quanto anch’egli temeva il responso della pietra, e infine allungò la mano.
Il capovillaggio le posò la pietra sul palmo della mano.
Sam la fissò. Per il momento sembrava tutto normale.
“Dovete unire le vostre mani” disse allora l’uomo “Metti la tua sopra la pietra”.
Jack allungò la propria sopra la mano di Sam.
Il contatto tra la pelle della donna e la sua lo colse di sorpresa. Sam era fredda. La fissò. Inizialmente nulla sembrò succedere. Probabilmente l’artefatto non era altro che un amuleto.
Fu solo dopo qualche secondo che qualcosa accadde. Jack non sentì altro che un lieve pizzicore al braccio ferito. Non si sarebbe nemmeno accorto di ciò che stava accadendo se non fosse stato per il repentino cambio di espressione di Sam.
Fece per allontanarsi, ma non fu possibile. Era come se le loro mani fossero fuse in un unico arto. E mentre la ferita che segnava il suo braccio si rimarginava, il volto di Sam indicava sempre più sofferenza.
“Sam” la chiamò, ma fu inutile. Lei non sembrava sentire.
“Sam!” urlò più forte e solo allora lei sembrò riscuotersi.
“Jack” disse tra i denti.
Lui la fissò.
“Cerca di staccare la tua mano” le disse.
Sam scosse la testa.
“Non posso” disse solo.
“Sam!” urlò lui “Provaci ti prego!”
La donna chiuse gli occhi. Fu solo un istante, dopodiché tutto finì e Jack si trovò in piedi, perfettamente sano, mentre davanti a lui Sam si accasciava al suolo inerte.
Si inginocchiò davanti alla donna, mentre Daniel e Teal’c accorrevano in aiuto.
“Sam, ti prego, apri gli occhi” sussurrò Jack dandole dei leggeri colpi sul viso.
Il capovillaggio fissava la scena incerto. Jack lo fissò.
“Mi aiuti!” urlò.
L’uomo si inginocchiò accanto a lui.
“Certo. Vi aiuterei, ma non so cosa potrei fare. Una cosa del genere non era mai capitata…”
Jack sospirò.
“Wow, siamo i primi anche questa volta! Che onore!” disse sarcastico.
In quel momento Sam aprì gli occhi.
Fissò Jack, Daniel e Teal’c.
“Cosa mi succede?” chiese poi.
Daniel scosse la testa.
“Bella domanda. Come ti senti?” chiese.
“Ho dolori ovunque, ma credo di poter sopravvivere” disse.
Jack si passò una mano sugli occhi.
“Sam, fammi vedere il tuo braccio” disse poi.
Lei lo fissò interrogativa, poi capì.
“Io…” fece per parlare, poi sospirò e alzò la manica dell’uniforme. Un taglio solcava il suo braccio destro.
“Sembra che questa maledetta pietra abbia trasferito le mie ferite su di lei” disse Jack “O sbaglio?”
Teal’c fissò il colonnello.
“Non sbaglia O’Neill” disse “Il maggiore Carter ora ha le sue ferite.”
Il capovillaggio fissò i due confuso.
“Non credevo potesse succedere” disse.
“Succedere cosa esattamente?” chiese allora Daniel.
“È un transfer” spiegò l’uomo “Si dice che la pietra del matrimonio fosse usata dai nostri antenati come strumento per guarire. Si dice che se fra le due persone il legame è vero esse possano sfruttare questo potere e il più forte dei due possa sobbarcarsi la sofferenza dell’altro. Normalmente l’uomo può sobbarcare il dolore della donna, non credevo potesse succedere il contrario” concluse poi.
Jack sospirò.
“Probabilmente questo è dovuto ai resti del simbionte che il maggiore Carter porta con sé” disse allora Teal’c “L’oggetto deve aver percepito la capacità del simbionte di guarire il corpo, pensando quindi che fisicamente il più forte tra i due fosse lei.”
Daniel guardò prima Jack, poi Teal’c e Sam.
“La spiegazione ha un senso” disse poi.
Jack annuì.
“Può anche avere senso, ma come ne veniamo fuori?” chiese allora.
Il capovillaggio lo fissò.
“Sul vostro pianeta avete la possibilità di curare la vostra donna, giusto?” chiese.
Jack annuì.
“Sì, ma mi pare che lei sia vostra prigioniera al momento…” disse cinicamente.
L’uomo lo fissò.
“La pietra del matrimonio non avrebbe permesso uno scambio di questo tipo se il vostro legame non fosse stato autentico” disse poi “Credo sia possibile per voi tornare al vostro pianeta ormai.”
Jack fissò l’uomo esterrefatto. Era così preso dalle condizioni di Sam che non aveva nemmeno pensato a cosa implicassero quegli avvenimenti. Daniel fissò Jack e scosse la testa. Intanto che le cose stavano così era meglio approfittare di quell’insperato momento di fortuna.
Pima che qualcuno cambiasse idea Jack fissò la donna, poi si avvicinò e le passò un braccio attorno alla schiena.
“Vieni, andiamo a casa” disse aiutandola ad alzarsi.

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Capitolo 12
*** Brutte notizie ***


Jack attraversò lo Stargate portando con sé Sam.
Quando arrivarono dall’altra parte la dottoressa Fraser li aspettava con una barella. Jack mise la donna sopra di essa.
“Colonnello” chiamò in quel momento il generale Hammond.
Jack si girò.
“Generale” salutò sull’attenti.
“Riposo” disse allora l’uomo “Come sta?” chiese poi indicando Sam.
“Sembra che per uno strano effetto di…” guardò Daniel per avere un aiuto nella spiegazione.
“Transfer” disse Daniel “Il transfer ha trasferito le ferite di Jack su Sam perché ha percepito il simbionte di Jolinar. Pensava che il corpo di Sam potesse guarire le ferite.”
Il generale Hammond fissò Jack perplesso.
“Ferite?” chiese.
“Generale, chiedo il permesso di seguire Carter in infermeria. Quando saprò che starà bene la aggiornerò.”
Hammond capì che non avrebbe ottenuto nulla in quel momento dal colonnello, così acconsentì.
“Certo. La aspetto tra un’ora in sala riunioni.”
L’altro annuì, poi si diresse velocemente all’infermeria.
 
Quando entrò Sam era sdraiata su un lettino immobile. Quando lo vide entrare sorrise.
“Ciao, come stai?” le chiese Jack.
“Mi sento uno schifo” rispose lei “Ma Janet dice che non sono in pericolo di vita.”
Jack annuì.
“Meriti un po’ di riposo” disse solo “Io starò qui.”
Sam annuì, poi si voltò su un fianco e sospirò.
“Spero che tutto questo finisca presto” sospirò.
Jack si avvicinò leggermente e le toccò i capelli.
“Finirà, te lo prometto” sussurrò.
Sam lo fissò, annuì e sorrise. Poi chiuse gli occhi per riposarsi ancora un po’.
Quando Jack fu certo che dormisse si allontanò dalla stanza per cercare la dottoressa Fraser.
La donna quando lo vide arrivare nella stanza adiacente quella dove si trovava Sam alzò la testa dal foglio che stava leggendo.
“Colonnello” salutò.
Jack fece un cenno.
“Quelli sono gli esami di Sam?” chiese.
La dottoressa annuì pensierosa.
“Sì. Ho ottenuto i risultati ora e, se devo essere sincera, non mi piacciono per nulla.”
Jack corrucciò la fronte. Janet non era una da prendere le cose alla leggera, ma nemmeno una donna che vedeva tutto in maniera pessimistica.
“C’è qualcosa che non va?” chiese allora Jack.
La donna ti sfregò la fronte, poi rispose.
“Visitando Sam avrei detto che era solo un po’ stanca. La ferita sul braccio sembrava guaribile in poco tempo e le altre ferite non mi parevano gravi. Qui però abbiamo una concentrazione di Naquadah nel sangue di diverse volte superiore a quella che Sam dovrebbe avere. Non so se dipenda dal manufatto che avete usato, ma sicuramente a lei non fa bene. Dovrò farle altri esami, ma se la concentrazione dovesse salire ancora potrebbe diventare pericolosa per lei e…” la donna si bloccò.
Jack deglutì. Sentiva di sapere già cosa dovesse dire la donna, ma il suo cervello si rifiutava di realizzare questa possibilità.
“E?” chiese allora.
“E potrebbe morire, signore” concluse la dottoressa Fraser con un sospiro.
Jack la fissò. Deglutì, poi annuì.
“Sam non lo sa, vero?” chiese poi.
Janet scosse la testa.
“No. Non avevo ancora i risultati delle analisi quando ho parlato con lei. Lei è il primo a saperlo. Avrei avvisato il generale Hammond, ma quando l’ho vista entrare stavo leggendo io per prima i risultati.”
Jack si morse il labbro inferiore. Sapeva che la dottoressa e Sam erano amiche ed anche per lei non doveva essere facile accettare la cosa.
“Capisco” le disse.
La donna sorrise tristemente.
“Farò ancora alcuni esami. Poi parlerò con Hammond.”
Jack fissò la donna. Avrebbe voluto dirle di non preoccuparsi, ma la verità era che perfino lui aveva paura, un’immensa paura, di perdere Sam.
“Janet” la chiamò.
La donna lo fissò. Sapeva che il fatto che usasse il suo nome significava che era passato dalla modalità superiore a quella di amico.
“Andrà tutto bene” le disse “Riavremo la nostra Sam”.
Janet si chiese se stava cercando di consolare lei oppure sé stesso.

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Capitolo 13
*** Ti voglio bene anch'io ***


Quando la dottoressa Fraser ebbe riesaminato gli esami di Sam chiamò Jack e il generale Hammond per discuterne. La sua espressione non faceva presagire nulla di buono.
Jack la fissò, poi chiese “Cosa sta succedendo a Carter?”
La donna fissò prima lui, poi il generale, che annuì.
“Ho rifatto tutti gli esami ed è come sospettavo. La quantità di Naquadah nel sangue del maggiore Carter sta continuando a salire. Se continuerà così i dolori a poco a poco aumenteranno e poi” si fermò un attimo “Poi il maggiore morirà.”
Jack si passò una mano sul viso.
“Non è possibile, maledizione, ci deve essere una soluzione!” si innervosì.
Il generale Hammond, conoscendo il forte legame che univa i suoi due sottoposti, non si stupì della risposta del colonnello e non disse nulla per rimproverarlo.
“Colonnello, la dottoressa Fraser sta facendo di tutto per aiutare il maggiore Carter” disse invece “E sono sicura che riuscirà a trovare una soluzione. Noi intanto faremo quanto possibile per contattare i Tok’ra, i Nox e tutti i nostri alleati che potrebbero in qualche modo darci una mano in questa situazione.”
Il colonnello guardò il generale e annuì poco convinto.
L’altro uomo sospirò. Sapeva che in situazioni del genere potevano solo affidarsi alla fortuna, ma non poteva essere sicuro che in questo caso qualcuno fosse in grado di aiutarli.
“Jack” lo chiamò.
Jack alzò la testa verso il generale.
“Sam è una donna forte, ce la farà” disse il più anziano dei due.
Jack annuì poco convinto.
“Non riesco nemmeno ad immaginare l’SG1 senza di lei” disse poi in un sussurro.
Hammond lo fissò.
“Faremo il possibile e anche l’impossibile” disse “Ma ho bisogno di tutto il vostro aiuto.”
Jack annuì.
“Lo avrà, generale. Non dubiti” rispose.
 
“I Nox non rispondono, gli Asgard sono troppo lontani da questa galassia in questo momento e i Tok’ra sono tutti in missione compreso il padre di Carter” disse Jack con tono di rassegnazione.
Il generale Hammond sospirò.
“Non c’è nessun altro in grado di aiutarci?” chiese allora al colonnello.
Daniel intervenne.
“Nessuno che al momento non sia occupato in una guerra o troppo lontano da questa galassia” disse.
“Gli abitanti del pianeta dove siete stati non avevano una cura per queste situazioni?” chiese allora il generale.
“No” rispose Daniel “Loro sostengono che non sia mai capitato prima. E comunque si tratta di un popolo abbastanza primitivo. Deve pensare che tenevano Sam prigioniera solo perché era una donna.”
Hammond annuì.
“Non posso sopportare di veder morire la figlia si Jackob senza nemmeno poterlo avvisare” disse “Provate a richiamare i Tok’ra.”
Daniel annuì.
“Andrò io. Ci riproverò.” Disse prima di uscire velocemente dall’ufficio del generale lasciandolo solo con Teal’c e il colonnello O’Neill.
Il generale guardò il suo sottoposto. Poteva solo immaginare come si sentiva in quel momento. Se lui stava provando solo un decimo del dolore di Jack per lui doveva essere terribile.
“Vorrei poter dire che andrà tutto bene, ma non penso di crederci nemmeno io” disse allora.
Jack annuì.
“Sapeva che Sam” si fermò “No, nulla.”
Il generale lo fissò.
“Ne abbiamo passate così tante insieme” disse allora Jack passandosi una mano sul viso “Non posso credere che domani potrei non rivederla.”
Il generale annuì.
“Immagino. Ma non fasciamoci la testa prima di essercela rotta” disse “So che sarà difficile trovare qualcuno che ci aiuti, ma non posso credere che sia impossibile.”
Jack annuì.
“Posso andare da lei, signore?” chiese poi.
“Se la dottoressa Fraser è d’accordo per me non c’è nessun problema” rispose l’uomo.
Jack annuì.
“L’ha fatto per me” sussurrò.
“L’avrebbe fatto per chiunque, colonnello. Conosco Sam da quando era una bambina e posso assicurarle che non ho mai incontrato qualcuno di più testardo, ma nemmeno di più generoso di lei” rispose l’uomo.
Jack annuì, poi uscì dalla stanza.
 
Quando entrò nella camera di Sam la donna stava dormendo. Jack stette un attimo a guardarla, poi si sedette sulla sedia che era posizionata di fianco al letto.
Lei aprì gli occhi dopo poco.
“Come stai?” le chiese.
Sam scosse leggermente la testa.
“Da schifo” ammise “Mi sento come se mi fosse passato sopra un trattore.”
Jack sorrise. Sapeva quanto Sam odiasse farsi vedere debole, ma sapeva anche che nella situazione in cui si trovavano cadevano tutte le maschere.
“Starai meglio, troveremo una cura” le disse, senza nemmeno crederci lui.
“Jack” lo chiamò.
Lui la fissò. Erano rarissime le volte in cui le aveva sentito pronunciare il suo nome.
“Sam?” chiese.
“Sai meglio di me che non è vero” gli disse, poi si fermò per tossire “Visto che morirò potresti dirmi la verità per questa volta.”
Jack sorrise. Poi si alzò per risedersi sul letto di Sam
“Sam, ascoltami” le disse.
La donna lo fissò senza battere ciglio.
“Io non so come ne verrai fuori. Non so nemmeno quando ad essere sinceri, ma so che tu tornerai come eri prima. Uscirai da questa situazione, Sam. Usciremo da questa situazione. Insieme, come abbiamo sempre fatto” le disse.
“Jack” lo chiamò lei, ma lui la fermò.
“Shhhh, Sam” sussurrò “Ascoltami. Non posso nemmeno pensare all’SG1 senza di te” le disse “E non posso tollerare che tu ti sia sacrificata per salvare me. A dire la verità non potrei tollerare che tu ti sacrificassi per nessuno in particolare, ma men che meno per me. Perché non avrebbe senso e perché…Perché no.” concluse “Quindi adesso tu stai qui sdraiata mentre io, Danny e Teal’c cerchiamo un modo per tirarti fuori di qui, ok?”
Sam fissò l’uomo davanti a lei. Sapeva che quello che aveva ammesso era stato per lui un enorme sforzo. Sorrise.
“Ok” disse alla fine.
Jack sorrise in risposta.
“Ok” disse “Quindi io…Vado” disse poi “Passo di qui più tardi.”
Sam annuì.
“Ah, Jack” chiamò poi.
Lui si voltò.
“Ti voglio bene anch’io” disse Sam mordendosi le labbra.
Jack sorrise sospirando. Quella donna lo metteva sempre in crisi. E ora cosa doveva rispondere?
La fissò, sospirò un’altra volta, poi annui e uscì dalla stanza.

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Capitolo 14
*** Scomparsa ***


Erano passate diverse ore da quando era uscito dalla camera di Sam e aveva provato, insieme a Daniel e Teal’c, a contattare invano i popoli che pensavano potessero essere loro di aiuto.
“Attivazione dello Stargate non programmata!” si sentì dire dall’altoparlante.
Come da prassi Jack si recò alla sala d’imbarco. Quando però ci arrivò l’allarme era già cessato.
“Aprite l’iride!” sentì dire dal Generale Hammond “Sono i Tok’ra!”
Il sergente addetto all’iride fece come detto. Poco dopo comparve attraverso lo Stargate la familiare sagoma di Jackob Carter.
“Jackob” salutò il generale Hammond “Vorrei averti chiamato in condizioni migliori.”
“Come sta Sam?” chiese il Tok’ra con impazienza.
“È molto debilitata. Noi non abbiamo le conoscenze per poterla aiutare. Speravamo che voi poteste fare qualcosa.” Spiegò Hammond velocemente.
Jackob annuì.
“Portatemi da lei” disse.
Il generale e il colonnello O’Neill fecero strada al nuovo arrivato.
Quando entrarono nella stanza di Sam vennero accolti dalla dottoressa Fraser.
“Sam dorme” disse “Spero non vogliate disturbarla.”
Il generale Hammond, sapendo quanto la donna tenesse alla salute dei suoi pazienti, fece spazio a Jackob.
“Abbiamo rintracciato il padre del capitano. Volevamo solo permettergli di vedere sua figlia.”
La dottoressa fissò Jackb, poi annuì.
“Spero voi Tok’ra possiate fare qualcosa per lei” disse all’uomo “Noi abbiamo fatto tutto il possibile.”
L’uomo annuì, poi entrò nella stanza.
 
Quando Sam sentì qualcuno entrare nella stanza fece per aprire gli occhi, ma si sentiva debolissima.
“Jack?” chiese in un soffio.
Jackob sorrise. Sapeva che Jack era stato tutto quel tempo al fianco di sua figlia. Una volta non avrebbe visto di buon occhio quella relazione, ma i tempi erano cambiati.
“Ciao Sam” salutò.
“Papà” disse allora lei.
L’uomo si avvicinò, così che lei potesse vederlo senza fare sforzi.
“Come stai?” le chiese l’uomo.
“Sono stata meglio” sussurrò lei.
Jakob annuì.
“Puoi aiutarmi?” chiese subito dopo Sam.
Jackob sospirò. Avrebbe voluto poterle dire di sì senza pensarci due volte, ma la verità era che non ne era sicuro.
“Non lo so, Sam” disse quindi optando per la verità.
Conosceva bene sua figlia e sapeva che non si sarebbe fatta abbindolare da una bugia.
“Farò il possibile per scoprire cosa è successo con quell’oggetto” disse “Ma ci vorrà del tempo.”
Sam fissò il padre.
“Purtroppo non credo di averne molto” disse debolmente.
Jackob sorrise.
“Ora riposa, farò il possibile” le disse.
Sam annuì, poi cadde di nuovo in un sonno profondo.
 
“Ci sono novità Jackob?” chiese Jack.
Da quando il Tok’ra era arrivato aveva lavorato per tutto il tempo nel laboratorio di Sam sull’oggetto alieno, escludendo ovviamente le brevi visite alla figlia.
Jackob sospirò.
“Al momento temo di non esservi di grande aiuto” disse “Questo oggetto sembra un artefatto degli antichi, e come tale è molto più complicato del previsto. Per ora non credo nemmeno di sapervi dire come funziona.”
Jack si passò una mano sulla faccia. Se nemmeno i Tok’ra potevano fare qualcosa per Sam, la situazione diventava davvero critica.
In quell’istante uno dei telefoni interni della base squillò. Era il telefono sulla scrivania di Sam. Rispose Jack.
“Pronto?” disse.
“Jack, sono Daniel” rispose la voce dall’altro capo del telefono “Sono in infermeria. Vieni subito.”
Jack lasciò tutto quello che stava facendo e, dopo una veloce occhiata a Jackob, i due raggiunsero l’infermeria.
La dottoressa Fraser, Daniel e Teal’c li aspettavano.
“Come sta?” chiese Jack preoccupato.
Janet scosse la testa.
“Non bene. Al momento è in coma farmacologico. Il dolore sarebbe troppo forte da sopportare per lei.”
Jack annuì. La fissò e si avvicinò.
Le toccò un braccio. Vederla così, attaccata ai macchinari, lo distruggeva.
“Si salverà, vero?” chiese più a sé stesso che agli altri.
La dottoressa Fraser sospirò.
“Non lo so” ammise.
Jack annuì. Stettero lì tutti per un po’, poi Jackob tornò allo studio dell’oggetto, così come Daniel e Teal’c.
Quando Jack rimase solo prese la mano di Sam. Sospirò. Avrebbe voluto dirle qualcosa, sentire di nuovo il suo sorriso, parlarle, e invece lei era lì attaccata a tutte quelle macchine.
Spesso aveva visto nei film persone in fin di vita, e in tutti i casi chi stava loro accanto aveva portato alla luce i propri sentimenti, ma lui non ci riusciva. Che senso aveva parlarle se nemmeno sapeva se lei lo avesse sentito?
Asciugò una lacrima sfuggita dai suoi occhi.
Fu in quell’istante che sentì il “bip” delle macchine che tenevano in vita Sam diventare irregolare.
La dottoressa Fraser arrivò in un lampo.
“Colonnello, cosa è successo?” chiese.
“Nulla. Un momento prima era viva, poi…”
“Si sposti” lo fermò lei “Defibrillatore!” disse poi alle infermiere che erano comparse insieme a lei.
Una delle donne prese il defibrillatore. Poi più nulla. Sam non c’era più.

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Capitolo 15
*** Abbiamo un problema, è evidente. ***


Non c’era più. Non era morta. Era scomparsa. Sparita.
Jack guardò la dottoressa.
“Colonnello?” chiese la donna “Ha visto anche lei?”
Jack annuì perplesso.
In quel momento il generale Hammond entrava nella stanza.
“Dov’è il maggiore Carter?” chiese.
Jack fissò il proprio superiore.
“Non lo sappiamo” disse.
Hammond lo guardò incredulo.
“Come sarebbe a dire non lo sappiamo?” chiese “Dove l’avete portata?”
La dottoressa Fraser scosse la testa.
“E’ scomparsa” disse solo.
L’uomo la fissò. Poi fissò il colonnello e infine il letto vuoto.
“Colonnello, ha idea di chi possa averla portata via?” chiese poi.
“No” ammise Jack “Ma di sicuro non sono stati gli Asgard. Quando loro prelevano una persona si vede un lampo di luce ed è tutto molto veloce. Qui è scomparsa nel nulla, come se si stesse disintegrando.”
Il generale Hammond annuì.
“Perquisite comunque la base, ma dubito che troverete qualcosa. Intanto cerchiamo di capire chi può aver fatto questo.”
 
Sam si guardò intorno. Era stesa su una specie di letto, ma non era quello dell’infermeria.
“Ciao” disse qualcuno.
Guardò il proprietario della voce. Sembrava un ragazzino.
“Ciao” salutò “Chi sei?”
“Mi chiamo Yuji. Sono tuo amico, non temere” Disse quello.
“Ciao Yuji. Cosa ci faccio qui?” chiese allora il maggiore.
“Tu stavi male” disse il ragazzo.
“Io…Sì.” Concordò lei “Come lo sai?”
“Ti ho vista” spiegò lui “Tu hai usato la mia pietra.”
Sam lo fissò confusa.
“La pietra del matrimonio?” chiese allora.
L’altro annuì.
“E’ la mia pietra di nascita. Ognuno degli abitanti del mio paese ne ha una. Io ho perso la mia anni fa.”
Sam lo fissò
“Tu sei un ragazzino…” disse.
“Non tutto è come sembra” sorrise lui “Ho centosedici anni.”
Sam spalancò gli occhi.
“Oh. Non si direbbe” commentò.
L’altro rise.
“Puoi farmi tornare dai miei amici?” chiese allora Sam.
Il ragazzo annuì.
“Posso farlo” disse “Ma credo che ci saranno degli inconvenienti.”
Sam sospirò. Mai che le cose andassero nel verso giusto una volta.
“Quali sarebbero questi inconvenienti?” chiese allora.
Il ragazzino la fissò.
“Vedi io posso guarire le persone, ma non posso farle resuscitare dalla morte. Purtroppo quando ti ho portata qui tu eri molto più vicina alla morte che alla vita, il che significa che probabilmente non posso riportarti al tuo stato normale. L’unica cosa he posso fare è portarti ad uno stadio precedente” spiegò.
Sam aggrottò la fronte. Non le era molto chiaro cosa avesse voluto dire il piccoletto, ma non lasciava presagire nulla di buono.
“Stadio precedente?” chiese.
Lui sorrise.
“Voi le chiamate età” disse.
Sam lo guardò.
“Età? Mi stai dicendo che mi faresti ritornare una bambina?” chiese.
Yuji sorrise.
“Non una bambina. Lo stadio di bambino è molto precedente al tuo stadio attuale. Credo che gli umani chiamino lo stadio precedente all’età adulta “adolescenza”.
Sam lo fissò scioccata.
“Ok. Mettiamo che tu mi faccia tornare. Tornerei adolescente?” chiese quindi.
L’altro annuì.
“Non per sempre” specificò.
Sam non capiva. Cosa voleva dire “non per sempre?” Aggrottò la fronte e l’altro dovette accorgersi della sua perplessità.
“Torneresti adolescente, ma la tua crescita sarebbe accelerata almeno nel primo periodo. In qualche anno potresti tornare alla tua età normale e allora si arresterebbe tutto il processo” spiegò Yuji.
Sam sospirò ancora un po’ confusa.
“Ok” disse “Tu mi fai tornare in vita a sedici anni, poi io invecchio velocemente e quando la mia età coinciderà con la mia vera età tutto sarà tornato normale, giusto?” chiese.
L’altro annuì.
Sam ci pensò un attimo. Non aveva mai vissuto la sua vera adolescenza, troppo presa ad essere la bambina prodigio che tutti si aspettavano. Forse questa volta valeva la pena di approfittare dell’opportunità offertale.
“Quanto tempo ci impiegherai a guarirmi?” chiese allora.
“Samantha, sei già guarita” sorrise lui “Ora, se tu mi dirai che vuoi, potrai tornare a casa.”
Sam si fissò effettivamente si sentiva bene. Guardò Yuji e annuì.
“Ti ringrazio dell’opportunità” sorrise.
“Di nulla, Samantha” disse lui sorridendo.
“Una cosa” lo fermò allora Sam.
“Dimmi” rispose lui.
“Tu…La tua razza vive qui? Chi siete?” chiese allora.
“La mia razza vive molto lontano da qui” disse il ragazzino “Quando anche la tua razza sarà cresciuta sono sicuro che ci rincontreremo.” 
Sam capì che non avrebbe saputo di più, perciò sorrise e annuì.
“Grazie Yuji. Sappi che se vuoi io sarò ben lieta di continuare ad essere tua amica” disse solo.
Lui fece un cenno con la testa. Dopodiché lei non percepì più nulla.
 
Jack stava ripercorrendo la strada a ritroso per tornare in infermeria. Teneva la testa bassa. Si sentiva vuoto. Sam non poteva essere scomparsa, non poteva crederci.
“Signore” si sentì chiamare.
Jack si fermò bruscamente. Quella era indubbiamente, e inesplicabilmente, la voce di Sam. Si girò, trovandosi davanti una ragazzina.
Avrà avuto non più di sedici anni, bionda, occhi azzurri. Un attimo, pensò Jack, occhi azzurri. Quegli occhi potevano appartenere solo ad una persona.
“Sam?” chiese sospettoso.
Lei lo fissò e sorrise.
“Sono io” disse sospirando.
Jack era incapace di pronunciare qualunque parola. Quella non poteva essere la sua Sam!!!Aveva non più di sedici anni!!!
“Ok, abbiamo un problema, è evidente” disse Jack.

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Capitolo 16
*** sedici anni ***


Jack e Sam entrarono in infermeria insieme.
La Dottoressa Fraser stava discutendo con il generale Hammond.
“Dottoressa, non può essere scomparsa!” diceva l’uomo.
“Generale, sa meglio di me quante cose strane sono capitate all’SG1! Sam è…”
Sam interruppe la donna prima che potesse finire.
“Non sono scomparsa” disse.
I due ufficiali che si trovavano in infermeria si voltarono.
Una ragazza, che poteva avere all’incirca sedici anni, li guardava. Al suo fianco c’era il Colonnello O’Neill.
“Colonnello, mi può spiegare cosa sta succedendo? Chi è questa ragazzina?” chiese il generale.
“Generale, so che sembra poco credibile, ma è Sam” rispose Jack.
L’uomo la fissò.
“Signore” arrossì lei.
Hammond sospirò.
“Colonnello, si aspetta che le creda?” chiese allora l’uomo più anziano.
“Mi faccia fare tutti gli esami” intervenne la dottoressa Fraser “Se questa ragazza è Sam il suo DNA ce lo confermerà.”
Sam guardò la dottoressa e amica riconoscente.
“Mi sembra una buona idea” disse poi.
“Ok, ha la mia autorizzazione” acconsentì l’uomo “Ma poi voglio sapere dal maggiore, se è davvero lei, cosa è successo.”
Sam annuì.
“Certo, Signore” rispose.
Jack la guardò e sorrise. Gli faceva uno strano effetto vedere quella ragazzina di quindici anni comportarsi allo stesso modo della sua Sam.
“Posso rimanere?” chiese alla dottoressa.
La donna annuì.
“Se Sam non ha nulla in contrario sì. Per ora farò solo un prelievo di sangue. Poi le farò una visita completa.”
Sam guardò Jack, che le sorrise. Arrossì.
“Non c’è bisogno che lei rimanga” disse.
L’uomo scosse le spalle.
“Non ho di meglio da fare” le disse “Inoltre così mi racconterai cosa ti è successo.”
Sam annuì. Le cose erano successe talmente in fretta che non si era nemmeno accorta di non aver detto a nessuno come era arrivata lì in quello stato.
Mentre la dottoressa faceva il prelievo ed esaminava Sam, lei mise il suo ufficiale superiore al corrente di tutto quello che era successo.
“Vuoi dirmi che questa forma di vita aliena ti ha riportato in vita a sedici anni, ma ti farà invecchiare prima?” chiese alla fine.
“Solo finché non tornerò alla mia età normale” confermò lei “Poi la cosa si arresterà e vivrò una vita come tutti.”
Jack sospirò. Le cose potevano rivelarsi più complicate del previsto.
“Sam, tu hai idea di quale sia la tua età attuale?” le chiese allora.
Lei scosse la testa.
“No. So che sono tornata un’adolescente. Non mi sono ancora vista allo specchio, ma credo di avere tra i quindici e i diciotto anni, no?”
Jack sorrise.
“Io te ne darei al massimo sedici” le disse, poi le prese un braccio “Vieni un attimo.”
La fece alzare, nonostante le proteste della dottoressa che non aveva ancora finito la visita, e la portò nel primo bagno che trovò.
“Ecco” le disse mettendola davanti ad uno specchio.
Sam si fissò. Rivide la se stessa di sedici anni guardarla allo specchio. Quando aveva avuto sedici anni non si era mai piaciuta, ma ora era diverso. Forse avere di nuovo sedici anni era un’opportunità.
“Wow” disse infine “Credo che tu abbia ragione. Avrò all’incirca sedici anni”
Jack non mancò di notare che gli aveva dato del tu.
“Sam, tu ricordi tutto quello che è successo prima?” le chiese.
Lei annuì.
“Sì. A quanto pare solo il mio corpo è stato riportato indietro” rispose.
Jack sospirò.
“Capisco” disse.
Tornati in infermeria la dottoressa finì gli esami.
Dopodiché i due si spostarono in sala briefing dove Sam raccontò al generale e a Daniel e Teal’c, che erano intanto arrivati, la sua versione dei fatti.
Poco dopo entrò la dottoressa, che confermò l’identità di Sam.
“Grazie dottore” disse Hammond. Poi si rivolse a Sam.
“Maggiore, lei capirà che non posso reintrodurla nell’SG1” iniziò.
“Ma generale!” risposero insieme Sam, Jack, Daniel e Teal’c.
“Niente ma” disse l’uomo “Già quando il maggiore era adulta sono sorti dei problemi, problemi per i quali ora ci troviamo in questo stato, vi immaginate cosa succederebbe se io mandassi in missione un’adolescente?”
Jack fissò Sam.
“A parte smuovere gli ormoni di tutti i maschi in circolazione non credo che Carter porterebbe dei problemi” disse.
Sam arrossì. Cosa gli veniva in mente di fare un commento di quel tipo?
“Colonnello!” lo richiamò.
Jack sorrise, poi tornò serio.
“A parte gli scherzi, Sam, tu ricordi tutto, vero?” chiese.
Lei annuì.
“Non vedo il problema allora” disse Jack.
“Il problema è che a sedici anni una ragazza dovrebbe andare a scuola, non rischiare la vita ogni giorno” disse il generale.
“Con tutto il permesso generale, avrò sedici anni per molto meno di un anno a quanto pare, non potrei iscrivermi in una scuola nemmeno volendo” ribatté Sam.
L’uomo sospirò.
“Già” ammise “Ma non la farò tornare comunque in missione prima che sia tornata adulta. La questione è chiusa.”
Sam sospirò.
“Certo, signore” disse prima di alzarsi e uscire dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.
 
All’interno della stanza Jack guardava il generale Hammond con disapprovazione.
“Colonnello, so che non è d’accordo” disse il più vecchio dei due uomini “Ma non posso permettere che il maggiore rischi la vita in queste condizioni.”
Jack annuì. Professionalmente lo capiva, avrebbe fatto lo stesso.
“Certo” disse. Poi fissò l’uomo.
“Chiedo il permesso di andare da lei”
Il generale annuì.
“Permesso accordato” acconsentì “E…Jack” lo chiamò poi.
Si fermò. Quando il generale lo chiamava per nome era segno che avevano abbandonato per un attimo i panni di superiore e subordinato.
“So che Sam sarà scossa e arrabbiata. Provi a farla ragionare e a confortarla un po’.”
Jack annuì, poi uscì dalla sala recandosi alla stanza della donna.
 
Bussò. Dopo poco qualcuno aprì dall’interno. Entrò e trovò Sam seduta sul letto.
“Ciao” la salutò.
Lei fece una smorfia che, probabilmente, nelle sue intenzioni doveva essere un sorriso.
“Come stai?” le chiese.
Lei alzò le spalle.
Jack si andò a sedere al suo fianco.
“Sono arrabbiata perché in fondo so che Hammond ha maledettamente ragione. In queste condizioni sarei solo un impiccio” disse Sam.
Jack scosse la testa.
“Tu non sei mai un impiccio” la smentì.
Sam sorrise.
“Ho sedici anni” gli fece notare.
“Oh, me ne sono accorto, non temere” le disse.
Sam rise.
“E’ una critica al mio aspetto da sedicenne?” chiese poi.
“No!” la contraddì lui subito “Anzi…Sei una bellissima sedicenne” disse.
Sam arrossì.
Si fissarono un secondo.
“Credo solo di aver bisogno di un po’ di tempo per abituarmi a questa nuova te” disse poi Jack più tranquillo.
Sam annuì.
“Certo, capisco” disse.
Jack la fissò. Non poteva vederla così triste. Era già insopportabile quando Sam era adulta, ma ora che era adolescente quella donna scatenava in lui istinti quasi primordiali.
“Vieni qui” le disse trascinandola in un abbraccio.
La strinse per interminabili minuti. Due lacrime rigarono le guance di Sam. Quando fu più calma lo fissò.
“Mi spiace” disse.
Jack le accarezzò le guance asciugandole le lacrime.
“Tranquilla” sussurrò.
Lei annuì.
“Sai, eri bellissima già a sedici anni” le disse poi a bassa voce.
Sam arrossì furiosamente. Non era pronta ad una cosa del genere. Sembrava che questi sedici anni fossero tornati con tutti i loro ormoni annessi.
“Jack” disse piano.
Lui sorrise.
“Shhh, tranquilla” le disse ancora prendendola un’altra volta tra le braccia.
Stettero in quella posizione per diverso tempo, finché Jack non si accorse che Sam si era addormentata.
La fece sdraiare e la coprì con una coperta che si trovava ai piedi del letto. Poi la fissò. Si avvicinò, le baciò la fronte ed uscì dalla stanza.

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Capitolo 17
*** stanchezza? Vacanza! ***


I giorni successivi per Sam furono piuttosto stressanti. Fare esami in infermeria non le piaceva nemmeno da adulta, ma ora era insopportabile. La infastidiva dover mostrare quel corpo da adolescente che sentiva così poco suo.
Quando Jack arrivò all’entrata dell’infermeria la vide uscire di corsa urlando.
“Non sono una cavia da laboratorio!” stava dicendo a una Janet Fraser ormai esasperata.
Jack la fermò trattenendola per un braccio.
“Sam?” chiamò.
Lei lo fissò.
“Signore?” chiese.
“Vorrei parlarti” le disse in tono tranquillo. Non voleva che lei si mettesse sulla difensiva prima ancora di iniziare il discorso.
Sam lo fissò, poi annuì e seguì il suo superiore, che si diresse verso la sua stanza.
“Ho visto che hai qualche problema con la Dottoressa Fraser” le disse.
Sam scosse la testa e sospirò.
“Già mi infastidiva fare esami prima. Ora è ancora peggio. Non posso sopportare di dovermi mostrare…” si guardò “Così!” concluse poi.
Jack sorrise.
“Sam, qual è il problema a mostrarsi così?” chiese.
Lei scosse la testa.
“E’ che sono così…così…” come faceva a spiegarlo? “Così adolescente!” concluse.
Jack sorrise. Poteva solo immaginare quanto Sam si sentisse confusa.
“Sam, io capisco che tu non sappia come comportarti, nemmeno io lo so in effetti, ma Janet lo fa per il tuo bene. E poi non capisco cosa ci sia da nascondere del tuo corpo. Sei una sedicenne, una bellissima sedicenne aggiungerei, non vedo perché dovresti farti dei complessi.”
Sam lo fissò e sorrise. Jack sapeva sempre come risollevarle il morale.
“Ti va uno spuntino?” le chiese poi.
Lei accettò, così andarono insieme verso la sala mensa.
 
Durante le due successive settimane furono molti i casi in cui Jack si trovò a dover calmare una Sam in preda ad uno scatto d’ira o ad una crisi di panico.
La capiva. Rinchiusa dentro la base le sembrava che i giorni non passassero mai. Aveva ripreso a fare il suo lavoro di ricerca, ma le esplorazioni con l’SG1 le mancavano tantissimo.
Quella mattina, era domenica, Jack si presentò alla sua porta alle 8.00, vestito di tutto punto. Sam aprì la camera ancora in pigiama, e quando realizzò che davanti a sé aveva il suo superiore arrossì imbarazzata.
“Colonnello” disse.
“Sam” sorrise lui “Pensavo che, visto che è domenica, potessimo andare a farci un giro in paese, io, tu e gli altri. Tu che ne pensi?”
Sam lo fissò. Da quando era capitato tutto non era mai uscita dalla base. Ci pensò un secondo. In fondo non aveva nulla da perdere.
“Ci sto” sorrise.
 
Se Jack avesse saputo come sarebbe stato fare un giro in paese con una Sam sedicenne di sicuro non lo avrebbe proposto. Escludendo i vari tentativi di approccio degli adolescenti maschi del luogo, di cui di certo non poteva incolpare la sua sottoposta, portare in giro una ragazza adolescente comportava tutta una serie di fermate in vari negozi, commenti ai passanti che pretendevano una risposta e cambi repentini di idee che Jack, Daniel e Teal’c non avevano previsto.
Quando i quattro tornarono alla base sembrava che l’unica non sfinita fosse proprio Sam. Tuttavia Jack notò che qualcosa in lei era diverso.
“Sam, tutto bene?” le chiese quando furono rimasti soli.
“Sì, perché?” rispose lei.
“Nulla, ti vedevo diversa” confessò Jack.
Sam ci pensò fissandolo un attimo.
“Mi sento bene. Fisicamente dico. Non credo di avere particolari problemi. Anzi, forse meglio dei giorni scorsi” ammise.
Jack la fissò, poi annuì.
“Me lo diresti se qualcosa non andasse?” chiese.
Sam si morse il labbro inferiore, poi rispose.
“Siamo fortunati, non c’è niente che non va” sorrise.
Jack scosse la testa ridendo a sua volta.
 
Quella sera stessa però qualcosa preoccupò i componenti dell’SG1. Fu Daniel il primo ad accorgersene.
“Dov’è Sam?” chiese a cena.
“Pensavo fosse con te Daniel Jackson, oppure con il colonnello O’Neill” disse Teal’c.
“Jack?” chiese allora Daniel.
“Magari è stanca” rispose Jack.
Non voleva far vedere ai suoi uomini che era preoccupato, ma sapeva che sarebbe stato inutile, lo avrebbero notato comunque.
“Dopo la cena vado a vedere in camera” disse.
 
Quando Jack bussò alla camera di Sam nessuno rispose. Riprovò. Nulla. Solo alla terza volta qualcuno aprì.
“Colonnello” disse una Sam in pantaloncini e maglietta che doveva essersi appena svegliata.
“Scusa, ti ho svegliata?” chiese Jack per cortesia.
Sam scosse la testa.
“Mi ero appisolata, venga” lo invitò ad entrare.
Jack entrò. Si sedettero sul letto.
Fu allora che Jack notò qualcosa a cui prima non aveva fatto caso.
“Sei cresciuta” sussurrò.
Sam lo fissò.
“Scusa, non volevo” disse lui.
“Dici davvero?” chiese allora lei.
Il colonnello annuì.
“Non me ne ero accorto fino ad oggi, ma rispetto a quando ti ho trovata sei sicuramente cambiata” le disse.
Sam sospirò.
“Questo spiegherebbe tante cose” ammise.
Jack la fissò.
“Mi seno sempre molto stanca ultimamente. Non credo di riuscire a portare avanti il mio lavoro in laboratorio ancora per molto. Prima credevo che fosse soltanto perché mi annoiavo a stare sola tutto il giorno, ma credo che ci sia dell’altro” confessò.
Jack sospirò. Sapeva che qualcosa non andava.
“Oggi mi sembravi in forma” le disse.
“Lo ero” confermò lei “Mi sentivo davvero bene finché sono stata fuori dalla base.”
Jack ci pensò un secondo, poi parlò.
“Sam, so che non ti piace farti visitare e farti vedere in questo stato, per quanto io non capisca che cosa tu voglia nascondere” disse facendola arrossire “Ma non credi che sia il caso di permettere a Janet di fare qualche analisi in più?”
Sam ci pensò, poi acconsentì.
“Va bene.”
 
Due ore dopo Janet Fraser si trovava con il maggiore Carter, il colonnello O’Neill, Teal’c, Daniel e il generale Hammond nella sala riunioni della base del programma Stargate.
“Generale, credo che il processo di invecchiamento accelerato che sta subendo il corpo del maggiore richieda troppe energie rispetto a quante il suo corpo è disposto a fornirgliene. Ora, non possiamo rischiare che il corpo del maggiore collassi, quindi suggerisco una cura di integratori che ho già fornito al maggiore e il massimo riposo” spiegò la dottoressa Fraser ai presenti.
“Dottoressa, ritiene che l’allontanamento del maggiore dal suo laboratorio possa apportare dei benefici?” chiese allora il generale.
La donna ci pensò, poi annuì.
“A livello fisico sicuramente. Il lavoro, per quanto mentale possa essere, stanca. Suggerirei una bella vacanza.”
Il generale annuì.
“Maggiore, si consideri in vacanza finché non si sentirà meglio” disse l’uomo.
Sam lo fissò.
“Generale, io non posso. Devo ancora fare…” stava per iniziare a protestare, ma fu fermata dal superiore.
“E’ un ordine, maggiore” disse Hammond.
Sam sospirò, poi annuì.
“Sì, signore” disse.
 
Dieci minuti dopo Jack si trovò a rincorrere una Sam infuriata che si dirigeva ai suoi alloggi.
“Maggiore!” chiamò invano “Sam!”
La ragazza si fermò solo quando arrivò alla sua camera.
Jack la raggiunse.
“Sam, posso parlarti senza che tu mi urli addosso?” le chiese.
Lei sorrise un po’ colpevole, poi annuì.
“Venga dentro” disse indicando la porta.
Entrarono e si sedettero sul letto. Stettero un attimo in silenzio, finché lei non sbottò.
“Mi sento inutile, perfettamente inutile” disse.
Jack scosse la testa.
“Sam, prendila così. Hai un po’ di vacanza arretrata, sei stanca e puoi approfittarne” cercò di consolarla.
Lei lo fissò.
“Non penso che riuscirei a godermi una vacanza in questo stato” disse.
Jack la fissò. Un’idea gli era balenata in mente. Forse poteva aiutarla.
“Perché no?” esclamò “Potremmo andare a pescare insieme. In fondo non è qualcosa di faticoso, potremmo rilassarci e anche divertirci…”
Sam fissò il suo superiore. Aveva parlato al plurale. Gli stava offrendo di andare con lui in vacanza.
In fondo, pensò, in queste condizioni non aveva molta scelta. L’alternativa era stare rintanata in casa a dormire tutto il giorno.
“Non accetto un no come risposta” disse Jack con fare sornione.
Sam sorrise.
“Per questa volta temo abbia vinto lei, colonnello” disse.
Jack rise, poi le scompigliò i capelli.
“Ti aspetto tra mezz’ora all’ascensore. Vestiti comodi, mi raccomando” le disse.
Sam annuì.
Quando la porta si chiuse dietro Jack, Sam si buttò sul letto. Aveva appena accettato di andare in vacanza con il suo superiore. Non sapeva se esserne contenta o darsi dell’idiota. E non vedeva l’ora di tornare nel suo normale e vecchio corpo.

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Capitolo 18
*** vacanze e imprevisti ***


Partirono non appena furono pronti e Sam si addormentò poco dopo sul sedile del passeggero. Jack la guardò. Sembrava così innocente nelle vesti di un’adolescente che aveva quasi vergogna a fare pensieri impuri su di lei. Continuò a guidare e quando furono arrivati alla sua casetta in riva al lago circondata da boschi si fermò.
“Sam” chiamò scuotendola leggermente per svegliarla.
La ragazza aprì gli occhi e si guardò intorno.
“Siamo già arrivati?” chiese.
“Hai dormito per ore, mia bella addormentata…” rise Jack.
Sam lo fissò.
“Davvero? Ma che ore sono?” chiese allora.
“E’ ora di cena” sorrise l’uomo “Vieni, entriamo”
I due entrarono in casa. Era parecchio che Jack non utilizzava la sua casa in campagna, perciò era necessario fare un po’ di pulizia, ma avrebbero rimandato.
“Ho portato qualcosa da mangiare per stasera. Domani possiamo andare a pescare e mangeremo pesce” disse Jack.
Il giorno seguente Sam si svegliò di soprassalto. Dov’era? E cosa ci faceva lei in quel posto? Si guardò attorno e solo allora iniziò a ricordare. Jack, la proposta della vacanza, il fatto che dovevano andare a pescare.
Guardò l’orologio e si alzò. Era ancora presto, ma era sicura che Jack fosse già in piedi. Uscì dalla camera da letto e raggiunse la cucina, dove trovò il colonnello intento a preparare del caffè.
“Buongiorno!” salutò ancora assonnata.
“Buongiorno Sam” la salutò l’uomo sorridendo.
Le faceva sempre uno strano effetto quando lui la chiamava per nome.
“Caffè?” le chiese poi lui.
Sam annuì. Non era mai di molte parole prima del caffè.
Fecero colazione in silenzio. Quando ebbero finito fu Jack a parlare.
“Bene, vai a prepararti. Stamattina ci aspetta una mattinata di relax e pesca!” disse contento.
Sam sorrise. Sembrava un bambino a cui avevano appena comprato del gelato.
“Va bene” disse “Ci impiegherò solo cinque minuti.”
 
Mezz’ora più tardi erano seduti su due sedie di plastica in riva al laghetto a due passi dalla casa di Jack. Sam non aveva mai pescato, ma dubitava che fosse qualcosa che le sarebbe potuto piacere. Tuttavia vedere l'uomo così entusiasta la rendeva felice.
Stettero in riva al lago per un po’ in silenzio. Fu Jack a romperlo.
“Quanto pensi che ci vorrà?” le chiese.
Sam non capì, lo guardò confusa.
“A tornare adulta, cioè, come prima intendo” le disse.
Sam scosse la testa.
“Non ne ho idea. Spero non più di un paio d’anni” disse.
Jack annuì. Se era frustrante per lui vederla in quelle condizioni poteva solo immaginare come si sentisse lei. La fissò. Poi sorrise.
“Pensala così, per come sei al momento puoi fare un sacco di cose per cui saresti processata da una corte marziale in altri momenti…”
Sam lo fissò, poi ricambiò il sorriso.
“Ha ragione” disse.
Le era venuta in mente una cosa proprio in quel momento. Si alzò, poi chiamò Jack.
“Cosa è stato?” chiese.
L’uomo la fissò.
“Vieni, di lì, verso il lago!” disse lei indicando la riva.
Si avvicinarono entrambi e fu proprio quando erano ormai sulla riva che con uno spintone inatteso Sam fece perdere l’equilibrio a Jack, che finì dritto nel lago.
Quando un Jack infuriato sbucò dall’acqua non ebbe nemmeno il coraggio di dire nulla. Sam rideva di gusto in riva al lago. Era bellissima, pensò l’uomo. Sorrise.
“Sei tremenda!” disse.
Sam continuò a ridere.
“Scusa, non ho resistito” disse.
Jack scosse la testa.
“Almeno adesso aiutami ad uscire” disse allungando la mano verso di lei.
 Sam lo fissò diffidente, ma alla fine si convinse ad aiutarlo. Mai scelta fu più sbagliata. In meno di un secondo si trovò in acqua.
Si fissarono e scoppiarono a ridere come due bambini.
“Sei terribile” disse Sam.
Jack scosse la testa.
“Hai iniziato tu” obiettò.
Sam sbuffò schizzandolo, il che diede inizio ad una battaglia acquatica.
Dopo mezz’ora finalmente si decisero ad uscire dall’acqua.
Fu solo quando furono entrambi di nuovo sulla riva che Jack si accorse dell’enorme errore che aveva fatto a trascinarla in acqua con sé. I vestiti di Sam le si erano incollati addosso e la maglia bianca che Sam portava non nascondeva quasi per nulla ciò che era al di sotto.
Rimase incantato a fissarla finché non si accorse che lei lo stava chiamando.
“Jack, Jack, colonnello!” disse Sam.
“Sì, scusa, mi ero distratto” disse lui, sperando che lei non si fosse accorta di nulla.
“Dicevo che forse dovremmo andare a cambiarci. Non credo che prendermi un’influenza sa la cosa migliore nelle mie condizioni…”
Jack sorrise. Sam aveva ovviamente ragione.
“Certo, andiamo” disse.
 
Dopo essersi cambiati, essere usciti di nuovo e aver aspettato due ore buone finalmente i due erano riusciti a pescare cibo sufficiente per un buon pranzo. Jack cucinò mentre Sam si riposava sul divano. Non voleva che lei si stancasse troppo, non nelle sue condizioni. Quando ebbe finito di cucinare la trovò appisolata. Le si avvicinò e lei s svegliò.
“Mi scusi colonnello, non volevo” disse.
“Sam , sei in vacanza… E non darmi del lei” rispose Jack.
Sam sorrise.
“E ora vieni a mangiare, non vorrai deperirmi…” la prese in giro.
 
La loro vacanza procedette senza intoppi per qualche giorno. Jack sapeva che Sam si stancava facilmente, così stava attento che lei si nutrisse in modo equilibrato e che si riposasse abbastanza. Aveva anche notato che lei era leggermente cresciuta. Lei probabilmente non se ne rendeva nemmeno conto, ma si poteva notare un cambiamento in gran parte dei suoi atteggiamenti oltre che nel suo fisico. Era più adulta, avrebbe potuto dire, e Jack ne era contento.
Poi all’improvviso dopo quasi una settimana Jack si avvide che qualcosa non andava.
Sam non si alzava mai tardi e faceva sempre colazione con lui. Era uno dei loro riti. Pensò che fosse stanca e decise di lasciarla dormire. Quando però a mezzogiorno lei ancora non era comparsa bussò alla stanza per cercarla. Nessuno rispose e lui aprì. Sam era sdraiata sul letto ad occhi chiusi. Ma non era la Sam adolescente, era la sua Sam.
Si avvicinò e la scosse leggermente chiamandola. Lei aprì gli occhi.
Jack sospirò di sollievo.
“Sam! Mi hai fatto prendere uno spavento!” le disse.
Lei lo fissò.
“Jack, cosa succede?” chiese con voce debole.
“E’ quasi mezzogiorno” disse lui “Ero preoccupato. E poi ti trovo così.”
Sam lo fissò.
“Così come?” chiese.
“Sei tornata come prima, Sam. Sei cresciuta.” Le spiegò.
La donna lo fissò.
“Non è normale. Sono stanca. Torniamo a casa, voglio vedere Janet” disse.
Jack annuì. Se Sam arrivava a voler vedere il dottore era evidente che qualcosa non andasse.
“Aspettami cinque minuti. Sistemerò tutto e poi partiamo, ok?” le disse.
Sam annuì. Parlare le richiedeva troppo sforzo.
 
Quando la dottoressa Janet Fraser vide arrivare il colonnello O’Neill con in braccio Sam che era tornata alla sua età normale per poco non le venne un colpo.
“Colonnello! Che cosa è successo ancora?” chiese.
“Bella domanda!” rispose l’uomo “Stamattina mi sono svegliato, lei non si era alzata. A mezzogiorno sono andato a svegliarla perché ero preoccupato ed era così” spiegò.
Janet sospirò.
“La appoggi sul lettino” disse.
La dottoressa visitò il maggiore, ma non riscontrò nulla che non andava. Sembrava tutto normale a parte l’eccessiva stanchezza di Sam, che era cosciente solo a tratti.
Dopo aver informato anche il generale Hammond la donna non poté far altro che ufficializzare quanto aveva constatato.
“Generale, sembra che Sam sia tornata al suo stato normale, ma probabilmente questo ha prosciugato quasi tutte le sue energie. Ha assoluto bisogno di riposo” disse la dottoressa.
Il generale annuì. Almeno era tornato tutto come prima, stava già per dirsi, quando dovette ricredersi ancor una volta.
“Dottoressa Fraser, c’è urgente bisogno di lei in infermeria” disse uno degli ufficiali addetti alla custodia del maggiore Carter dopo averla raggiunta nell’ufficio del generale.
I due ufficiali superiori andarono insieme fino alla stanza dove si trovava Sam.
“Colonnello!” disse la donna vedendo Jack arrivare verso di lei “Cosa è successo?”
Jack sospirò.
“Venite voi a vedere” disse solo l’uomo.
 
Quando Janet entrò in infermeria la accolse di nuovo una Sam che ora poteva avere attorno ai vent’anni. Di sicuro stava meglio di prima, ma non aveva nulla a che fare con quella che avevano davanti mezz’ora prima.
“Janet, dimmi cosa mi sta succedendo, ti prego” disse la ragazza.
La dottoressa sospirò. Avrebbe proprio voluto saperlo.

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Capitolo 19
*** Nuove idee, vecchi amici ***


La dottoressa Fraser aveva già effettuato diversi esami, ma nulla si era rivelato utile a scoprire cosa stesse succedendo. Sam era seduta su un lettino in infermeria. Stava meglio, ma si sentiva ancora piuttosto debole.
“Sam, ti sei accorta di qualcosa di anomalo negli ultimi due giorni?” domandò Janet.
La donna scosse la testa.
“No. Sempre il solito. Mi sentivo un po’ stanca, ma questo già da prima. Sapevamo a cosa era dovuto, perciò non mi sono nemmeno preoccupata troppo” ammise.
La dottoressa annuì. La verità era che si sentiva estremamente inutile. Sapere di non poter fare nulla per un’amica che stava rischiando la vita la faceva sentire enormemente in colpa.
“Janet, mi chiedevo una cosa” disse poi Sam.
“Dimmi” la incoraggiò l’altra.
“Voi avete contattato i Tok’ra, giusto?” chiese il maggiore.
Janet annuì. Non capiva dove volesse andare a parare Sam.
“E i Nox, i Tollan e gli Asgard…” continuò la donna.
Janet la fissò.
“E nessuno di loro ha saputo dirci nulla” sottolineò “Almeno per il momento.”
Sam annuì.
“Lo so” confermò “E’ solo che non posso fare a meno di chiedermi se non abbiamo dimenticato una cosa fondamentale” disse poi.
La dottoressa era tutt’orecchi.
“Mi chiedevo…Perché non abbiamo mai pensato a contattare direttamente la razza di Yuji?” chiese Sam, più a sé stessa che all’altra.
Janet sospirò.
“Sam, hai detto tu stessa che, a parte il nome e il fatto che vengono da una galassia molto lontana, non sai nulla di più su questi alieni…”
Carter concordò.
“Hai ragione” disse “Però non posso smettere di pensare che in qualche modo potremmo rintracciarli.”
Janet scosse le spalle.
“Se un modo c’è, io di certo non sono la persona migliore con cui parlarne” sorrise “Mai pensato di chiedere a Daniel? In fondo è lui lo scienziato…”
Sam annuì. Avrebbe parlato con l’amico e insieme ne sarebbero usciti.
 
Daniel era nel suo laboratorio, come al solito. Sam lo raggiunse portandogli una tazza di caffè bollente, che posò sul tavolo dove l’amico stava lavorando.
“Ciao Danny!” salutò.
L’altro sorrise.
“Ciao Sam!” ricambiò “Cosa ti porta nel mio laboratorio?” chiese.
La donna ci pensò un secondo, poi cercò di spiegare la sua idea.
“Daniel, stavo pensando…Hai presente Yuji, l’alieno che mi ha riportata in vita…” iniziò.
Lo scienziato la ascoltava attentamente. Quando Sam arrivava nel suo studio così, all’improvviso di solito portava novità determinanti. Il fatto che fosse piombata lì chiedendo dell’alieno che l’aveva salvata lo preoccupava un po’.
“Sì. O meglio, so quello che hai raccontato tu” disse “Nulla di più.”
Sam annuì.
“Esatto! E’ proprio questo il punto! Nulla di più!” sottolineò.
Daniel non capiva.
“Noi abbiamo dato per scontato che dovessimo cercare qualcuno che ci aiutasse a risolvere questa situazione, ma se invece la strada fosse molto più semplice? Se noi dovessimo cercare la persona che ha creato questa situazione?” disse Sam.
Il dottore la fissò.
“Sam, ci sono centinaia di Stargate là fuori. Come pensi di riuscire a trovare quello che porta a quel popolo? Sempre che loro ne abbiano uno…”
Sam sospirò.
“A questo non avevo pensato” ammise “Però sono sicura che se escludessimo gli Stargate dei mondi già esplorati potremmo ridurre la ricerca…”
Daniel improvvisamente si illuminò.
“Certo!” disse “E se noi chiedessimo ai Tok’ra, ai Nox o agli Asgard le coordinate dei mondi da loro visitati…”
“Potremmo escludere anche quelli!” concluse Sam “Dal momento che loro ci hanno detto che non conoscono questa razza.”
Daniel annuì. Poteva essere un’idea, anche se dubitava che i loro alleati potessero, o volessero piuttosto, aiutarli. Sia i Tok’ra che i Nox erano piuttosto gelosi delle rispettive conoscenze, ma tanto valeva provare a contattarli.
 
Due ore dopo il comando Stargate si preparava a contattare i propri alleati, nella speranza di poter trovare una spiegazione a tutto quello che stava succedendo.
Come previsto i Tok’ra dissero di non poter aiutare i terrestri poiché i siti dove le spie Tok’ra erano state o si trovavano al momento erano segreti e non collezionati in un database, proprio con lo scopo di non diffondere notizie nel caso di una cattura da parte nemica.
Gli Asgard invece fornirono, tramite Thor, le coordinate di diversi pianeti appartenenti alla loro galassia, che sarebbero stati inseriti nel sistema per accelerare la ricerca.
I Nox furono gli ultimi a rispondere, ma allo stesso tempo la loro risposta fu la più soddisfacente.
Sam, Daniel, Jack e Teal’c stavano inserendo le coordinate dei pianeti visitati dagli Asgard, quando si sentì la ormai celebre frase
“Attivazione dello Stargate non autorizzata!”
I membri dell’SG1 si recarono velocemente alla sala di comando. Dopo pochi minuti Lya, la Nox che avevano incontrato sul pianeta Gaia, si palesò, non prima di aver fatto scomparire eventuali armi.
 Daniel le si avvicinò.
“Lya, è sempre un piacere vederti” le sorrise, ricambiato.
La donna salutò Jack e Teal’c con un cenno del capo. Poi guardò Sam.
“Samantha, mi spiace che tu sia in questa situazione” le disse “Faremo tutto quello che è in nostro potere per aiutarti.”
Sam sorrise. Sapeva che i Nox erano una popolazione straordinaria.
Jack allora, resosi conto che il Generale Hammond non aveva mai incontrato la Nox, decise, in qualità di ufficiale superiore, di fare le presentazioni.
“Lya, questo è il Generale George Hammond, il nostro superiore. Generale, Lya è una dei Nox che ci hanno aiutato in diverse occasioni.”
“Molto piacere” disse allora il generale “Venite pure, cerchiamo un posto più comodo dove parlare.”

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Capitolo 20
*** trattare, comunicare, provare ***


Quando Lya fu aggiornata sugli ultimi avvenimenti riguardanti Sam ci fu un attimo di silenzio. Poi la donna parlò.
“Non credo di potervi aiutare molto in questo momento. Come ho già detto non conosco il popolo di cui parlate. Posso darvi le coordinate dei pianeti dove siamo già stati, ma anche escludendo questi ne rimarrebbero molti altri” disse.
“Lo sappiamo” disse allora Daniel “Ma è anche l’unico modo che abbiamo per incominciare. Supponendo che il popolo che ha creato la pietra del matrimonio sia su un pianeta con uno Stargate e sperando di avere fortuna c’è qualche possibilità di ritrovarli…”
La donna annuì. Probabilmente doveva pensare che fossero tutti pazzi, si disse Daniel. Poi all’improvviso il suo sguardo cambiò.
“Lya, c’è qualcosa che non va?” chiese Sam.
“La pietra del matrimonio. L’avete con voi?” chiese.
Daniel scosse la testa.
“No. Quando l’abbiamo usata Sam stava per morire. Sinceramente non ho nemmeno pensato di tenerla sulla Terra. L’abbiamo rimandata indietro quando abbiamo visto che non ne venivamo a capo. E gli alieni ne sono stati ben felici. Non credo che ci permetterebbero di prenderla di nuovo” ammise.
La donna annuì.
“Ci sarebbe una possibilità di ritrovarla?” chiese.
Daniel  guardò il colonnello, che, a sua volta, guardò il generale.
“Se escludiamo il maggiore Carter dalla missione non penso ci siano grandi problemi a recuperarla” disse quest’ultimo.
“Generale, non credo che i nativi ci lascerebbero portare di nuovo con noi la pietra. Non dopo quello che è successo con Sam…” obiettò Daniel.
Lya fissò Daniel.
“Questo non è un problema. Posso venire io con voi” disse la donna.
Jack annuì.
“Bene. Generale, chiedo il permesso di partire subito”
Hammond stava già per acconsentire quando qualcuno si oppose.
“Generale! Voi vorreste tornare là senza di me!” esclamò.
Jack sospirò. Si chiedeva quanto ci avrebbe messo il cervello del suo bel secondo a processare l’informazione.
“Maggiore, lei è quasi morta l’ultima volta” sottolineò il generale Hammond.
“Siamo in questa situazione per colpa mia!” controbatté Sam.
Jack sospirò. Non si sarebbe arresa.
“Sam” la chiamò.
Lei si voltò.
“Pensaci bene. Hai già rischiato la vita una volta, non mi sembra il caso di riprovarci prima ancora di esserti rimessa del tutto…” le disse.
La donna si morse la lingua per non rispondere.
“Certo” disse solo “Generale, chiedo il permesso di tornare nel mio studio” si rivolse poi al superiore.
L’uomo le accordò il permesso e Sam si diresse all’uscita.
Quando se ne fu andata Jack guardò il generale.
“Capirà” disse “È solo arrabbiata perché le dà fastidio sentirsi debole. Dopo andrò a parlarle…”
Hammond annuì.
“Certo” concordò “Avete due ore prima della partenza.”
 
Dieci minuti dopo Jack bussava alla porta del laboratorio di Sam. Era inutile dal momento che era aperta, ma sapeva che in quel momento la donna non avrebbe preso bene una sua intrusione.
La vide alzare la testa e guardarlo.
“Posso?” le chiese.
Lei annuì.
“Temo che anche se le dicessi di no non cambierebbe nulla” sospirò.
Jack sorrise.
“Sam” la chiamò “So che sei arrabbiata perché non potrai venire con noi…”
“Non sono arrabbiata” obiettò lei.
L’uomo la fissò con un sopracciglio alzato.
“Ok, sono arrabbiata” acconsentì “Ma più di tutto mi sento impotente. Sono in questa situazione per causa mia e non posso fare nulla per risolverla. E io odio sentirmi impotente” concluse.
Il colonnello ci pensò un attimo, poi parlò.
“Non è colpa tua se sei in questa situazione e no, non interrompermi, non potevi farci nulla. È capitato a tutti noi prima o poi di trovarci a dover aspettare l’aiuto di altri e questa volta è toccato a te, così come altre volte è toccato a me. Non voglio che tu ti senta in colpa per qualcosa che non è colpa tua.”
Sam lo fissò. Jack aveva ragione, eppure questo non la faceva stare meglio.
“Vieni qui” le disse l’uomo avvicinandosi, per poi stringerla in un abbraccio.
Lei si lasciò trascinare in quella stretta che sapeva così tanto di sicurezza, di casa.
“Ti riporterò com’eri prima” le sussurrò Jack all’orecchio “Non preoccuparti. Torneremo in fretta. Te lo prometto.”
Il maggiore alzò la testa verso di lui. Si guardarono e forse per la prima volta da quando era iniziata tutta quella storia Sam si sentì sicura che tutto sarebbe finito per il meglio. In fondo Jack glielo aveva promesso, e lui era uno che le promesse sapeva mantenerle.
Jack, si disse, ormai per lei era normale riferirsi a lui in quei termini. E non avrebbe voluto tornare indietro, pensò fissandolo. Sì, si stavano ancora fissando.
Stettero in quella posizione, solo fissandosi, per un tempo che non avrebbero saputo quantificare. Così vicini da respirare la stessa aria. Ma quando erano arrivati così vicini?
Fu Jack a colmare la sottile linea d’aria che li separava, ma solo per un brevissimo istante. Poi si allontanò e uscì dalla stanza lasciando una Sam sola e piena di pensieri.
 
Quando i tre membri dell’SG1, accompagnati da Lya, partirono Sam li guardava dalla sala di comando Stargate. Avrebbe voluto esserci anche lei lì.
I quattro attraversarono il tunnel creato dallo Stargate e, quando si trovarono dall’altra parte, trovarono i membri del villaggio che avevano già conosciuto ad aspettarli.
“Daniel!” salutò il capovillaggio riconoscendo il dottor Jackson “Cosa vi porta al nostro Paese?” chiese prima di notare Lya “Lei non è una di voi…” disse poi.
Il colonnello O’Neill stava già per intromettersi nel discorso, ma un gesto di Daniel lo fece desistere. Sperò solo che l’amico sapesse cosa dire.
“No, Lya è una Nox, viene da un altro pianeta, ma è qui sotto la mia protezione” disse.
“E’ tua moglie quindi” asserì l’altro uomo.
Lya guardò Daniel e sorrise. Aveva parlato con lo scienziato che le aveva spiegato quale fosse il problema.
“Lo è” rispose lui “Ed è anche una donna molto intelligente. Abbiamo avuto un problema con la nostra amica Samantha e lei è qui per risolverlo” spiegò poi.
Il capovillaggio si accigliò, pensando che Daniel si riferisse ancora alla storia del matrimonio.
“Non preoccupatevi, sta bene” disse allora Daniel “È solo che la pietra del matrimonio deve aver avuto qualche effetto indesiderato su di lei, così speriamo di risolverlo riesaminando la pietra.”
L’uomo fissò il terrestre.
“Vorreste portarla con voi?” chiese “È impossibile. La pietra deve restare qui. Ve l’bbiamo già concesso una volta, ma è stata un’eccezione e…”
Jack stava già pensando di intervenire, ma Lya parlò prima di lui all’orecchio di Daniel, che annuì.
“Lya dice che le basterebbe vedere e toccare la pietra” spiegò.
Il capovillaggio annuì.
“Capisco. In tal caso ne parlerò con gli altri uomini del villaggio e vi farò sapere al più presto. Nel frattempo potreste essere nostri ospiti, seguitemi.”
 
Passarono quasi due ore prima che il consiglio degli uomini si riunisse e desse un responso, ma alla fine Lya e Daniel furono autorizzati ad entrare nel santuario dove veniva conservata la pietra del matrimonio.
Lya si avvicinò in silenzio. Daniel sapeva che non avrebbe parlato se non fosse stata sicura di cosa fare. Poi però la vide prendere in mano la pietra e sorridere.
“Hai buone notizie?” si azzardò a chiedere lo scienziato.
Lya annuì.
“È un artefatto degli antichi” spiegò “credevo non ne esistessero più.”
Daniel la guardò perplesso.
“Ed è una buona notizia?” chiese.
“Lo è” confermò lei “Il popolo che Samantha ha incontrato probabilmente in qualche modo discende proprio dagli antichi, anche se non è detto che loro lo sappiano. Gli antichi usavano la pietra per molti scopi, tra cui per guarire e per comunicare. Spero solo che i loro discendenti usino ancora la pietra per comunicare.”
Daniel annuì. Lo sperava anche lui.
“Ho bisogno di portare la pietra all’aria aperta” disse ad un certo punto Lya.
“Non credo che sia possibile” scosse però la testa Daniel.
La donna sorrise.
“Non penso sia un problema per me”
Daniel la fissò un secondo.
“Oh” disse poi ricordandosi delle abilità di invisibilità Nox.
Non fece nemmeno in tempo a chiedere nulla, che già Lya era sparita. Poco dopo la vide ricomparire.
“Tutto bene?” chiese allora.
“Aspetteremo fuori, vieni. Spero solo che il messaggio arrivi in fretta” disse la donna prendendo per un braccio Daniel e portandolo fuori dalla tenda.
 
Era sera ormai e la situazione restava immutata. Jack era nervoso. Aveva promesso a Sam di riportarla come prima, ma non era affatto sicuro di riuscirci. Decise che era venuto il tempo di accettare l’ospitalità aliena e schiacciare un pisolino, ma dubitava che sarebbe riuscito a dormire più di qualche ora.
Poi qualcosa attirò la sua attenzione.
“Dov’è Lya?” chiese a Daniel.
Teal’c si girò.
“Era al mio fianco poco tempo fa” disse.
Daniel scosse la testa. Non aveva visto uscire la donna, ma dubitava che Jack l’avesse persa di vista un solo istante.
“Andiamo fuori” disse.
Quello che li accolse fu uno strano spettacolo. La Nox stava fluttuando a mezz’aria e con lei c’era un ragazzino che avrà avuto più o meno quindici anni. Di sicuro non era un Nox anch’egli, si disse Jack. I due sembravano avvolti da fasci di luce e, a quanto pareva, stavano parlando. Poi tutto cessò e Lya fu di nuovo al loro fianco.
“Quello che avete visto era Yuji” disse.
Jack la fissò.
“Sam ha detto che Yuji è un alieno di centovent’anni o giù di lì!” obiettò.
“Non tutto quello che appare è come sembra” sorrise Lya.
“E cosa ti ha detto Yuji?” chiese allora Daniel “Potrà aiutare Sam?”
Lya sorrise ancora una volta
“Ci proverà” disse.

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Capitolo 21
*** Guarigione ***


 
Bella notizia “ci proverà”, si era detto Jack. Forse avrebbero dovuto chiedere quando. Quegli alieni se la stavano prendendo un po’ troppo comoda. O forse era lui che era impaziente di riavere la sua Sam. Sam, chissà in quel momento cosa stava facendo. Sicuramente sarebbe stata nel suo laboratorio a studiare qualcosa. No, probabilmente Hammond gliel’avrebbe proibito e le avrebbe detto di riposarsi, ma lei non lo avrebbe fatto, perciò sarebbe stata nella sua stanza alla base a studiare. Lì nessuno poteva dirle niente.
Sospirò. Si chiese da quanto tempo poteva dire di conoscerla così bene. Non lo sapeva, ma probabilmente aveva iniziato a volerne sapere di più su di lei fin da quando l’aveva vista comparire nella sala conferenze della base di Cheyenne Mountain.
“Jack, Lya dice di uscire! È arrivato qualcuno!” Daniel interruppe i suoi pensieri.
“Qualcuno?” chiese allora.
“Sì, uno degli alieni! Non saprei dirti se sia quello che ha salvato Sam, ma…”
Jack non lo lasciò finire.
“Andiamo” disse uscendo dalla tenda dove alloggiavano.
 
Lya sedeva a gambe incrociate per terra e l’alieno stava proprio davanti a lei. Erano silenziosi, ma Jack era sicuro che stessero parlando tra loro. Si avvicinò seguito da Daniel e Teal’c.
“Quindi il nostro amico qui potrebbe aiutarci a riavere Sam?” chiese quando furono abbastanza vicini.
Daniel sospirò. Il modo di fare di Jack non sarebbe mai cambiato. Sperò solo che gli alieni non fossero permalosi.
“Tu devi essere Jack” esordì il ragazzino alieno che si trovava proprio di fronte ai tre.
Il colonnello O’Neill lo fissò stupito.
“Devo essere famoso…” disse.
L’altro rise.
“Samantha ha pensato molto a te prima di prendere una decisione” rispose poi “Piacere, io sono Yuji.”
“Ciao Yuji” parlò allora Daniel, evitando così a Jack l’ennesimo imbarazzo “Io sono Daniel, Jack, e lui è Teal’c. È un Jaffa, ma sta dalla nostra parte.”
Yuji li guardò, poi annuì.
“Sono stupito che siate riusciti a rintracciarmi, ma dopotutto bisogna ammettere che vi sapete scegliere bene gli amici” riprese l’alieno indicando la Nox “Lya dice che chiedete il mio aiuto per riavere Samantha come prima. la vostra amica quando è tornata sulla Terra sapeva quale sarebbe stato il problema. Le avevo detto che non sarei stato in grado di riportarla al suo stato normale, e in effetti riportarla allo stadio precedente è il massimo che sono riuscito a fare. Speravo si risolvesse tutto bene, ma evidentemente devono esserci stati dei problemi. Dite che la vostra amica era tornata normale per poi regredire di nuovo ad adolescente?” chiese.
Jack annuì.
“Esattamente. Diciamo che è regredita di nuovo, ma ora ha qualche anno in più” spiegò.
Yuji guardò i terrestri e annuì.
“Capisco” disse “Posso provare ad aiutarvi, ma non garantisco il successo. Probabilmente ora che la vostra amica è sana se provassi a riutilizzare lo stesso procedimento non credo otterrei risultati soddisfacenti. Tuttavia posso provare una variante. Come vi ho già detto però, non sono sicuro che funzioni.”
Jack guardò Daniel. Dopotutto tenere Sam in quelle condizioni era fuori discussione.
Inaspettatamente fu Teal’c a rompere il silenzio.
“E quali sarebbero gli inconvenienti per il maggiore Carter se il procedimento che userai non dovesse funzionare?” chiese.
Yuji lo fissò.
“Per quanto ne so potrebbe morire” disse “Ve l’ho detto, non ne ho idea.”
Jack sospirò. Non potevano prendere quella decisione senza parlare con Sam.
“Yuji, sarebbe un problema per te venire con noi sulla Terra? Dopotutto credo che il maggiore Carter dovrebbe avere il diritto di decidere da sola…” azzardò.
Il ragazzo annuì.
“Capisco. No, non è un problema. Potremmo partire ora ed essere lì in…Diciamo in otto secondi, su per giù.”
Daniel strabuzzò gli occhi.
“Otto secondi?” chiese.
Yuji annuì.
“Trasportare cinque persone non è una cosa facile, potrebbe richiedere qualche secondo in più” sorrise.
Jack ghignò.
“Ok” decretò “Gente, prepariamoci a partire!”
 
Non più di dieci secondi dopo il colonnello O’Neill, Daniel, teal’c, Lya e l’alieno Yuji erano alla base di Cheyenne Mountain davanti ad un attonito Generale Hammond, che se li vide comparire da un momento all’altro.
“Generale” salutò Jack.
L’uomo li fissò ancora allibito dall’apparizione.
“Capisco il suo scetticismo, ma siamo proprio noi. Il nostro amico qui, Yuji, sembra abbia la capacità di teletrasportarsi a milioni di chilometri di distanza, oltre a quella di guarire Sam…” disse O’Neill.
Hammond annuì. Si stava riprendendo dallo shock.
“Lei è il capo qui?” chiese Yuji.
“Sì, qui è tutto sotto il mio comando” riuscì a dire il generale. Ottimo, pensò poi, aveva ripreso il dono della parola.
“Potrei vedere Samantha?” chiese allora l’alieno.
Hammond fissò O’Neill, che annuì.
“Venga con me” disse poi facendo strada.
 
Sam era sola nel suo laboratorio che faceva esperimenti su un reattore Naquadah. Appena vide il Generale saltò sull’attenti.
“Riposo, maggiore… Venite” si rivolse poi agli altri.
“Samantha” salutò Yuji.
“Yuji!” disse allora lei “redevo di non rivederti mai più…”
L’altro annuì.
“Lo credevo anch’io, ma i tuoi amici sono perseveranti. Dicono che stai avendo qualche problema a tornare al tuo stato normale.”
Sam annuì. Definirlo “qualche” le sembrava riduttivo. Nelle ventiquattro ore precedenti era passata quattro volte dall’essere un’adolescente ad avere la sua età normale.
“Sai, credo di poterlo risolvere, ma c’è un problema” disse allora Yuji.
La donna lo fissò.
“Spiegati meglio” disse.
L’altro annuì e ricominciò a parlare.
“Potrei tentare un procedimento simile a quello per curarti. Dovrebbe riportarti al tuo stato normale, ma non posso assicurarti nulla perché non è mai stato tentato prima” spiegò Yuji “Inoltre non ho idea di quali potrebbero essere gli effetti collaterali. Potresti anche morire nel caso più grave.”
Sam ascoltò e annuì.
Avrebbe dovuto prendere quella decisione da sola. Eppure non le sembrava che ci fossero alternative. Rimanere in quella situazione non era un’opzione. Fissò negli occhi i suoi compagni dell’SG1. Daniel, che era come un fratello per lei e sapeva che l’avrebbe approvata qualunque strada avesse scelto. Teal’c, che aveva imparato a considerare un amico nonostante tutte le differenze culturali che li dividevano.
Poi fissò Jack. Non c’era bisogno di parole. Sapevano entrambi che una volta che fosse tornata al suo stato normale, se ci fosse tornata, avrebbero dovuto affrontare quello che c’era tra di loro. Ma lo sguardo di Jack le stava dicendo che avrebbero affrontato tutto insieme. La decisione era presa.
“Proviamo” disse guardando Yuji.
 
Poco tempo dopo Sam era in infermeria. Janet le era a fianco, nel caso avesse avuto bisogno di un aiuto medico. Si sdraiò su un lettino, Yuji al suo fianco. Poi fu tutto nero.
“Dove siamo?” chiese all’improvviso Sam trovandosi in uno spazio bianco.
“Dove eravamo l’altra volta. Quando ti risveglierai dovresti essere guarita” sorrise Yuji “O almeno, questo è quello che spero”
Sam annuì.
“Grazie mille” disse.
“E di cosa? Non sappiamo ancora se tu sia guarita” sottolineò l’alieno.
La donna pensò che aveva ragione, ma che non era molto probabile avere un’altra possibilità di ringraziare Yuji.
“Hai ragione, ma grazie del tentativo” concluse.
Lui fece un gesto del capo.
“Ora chiudi gli occhi, dovresti svegliarti” disse poi.
Sam fece come gli era stato detto e poco dopo riapriva gli occhi in infermeria.
 
“Maggiore, sta bene?” si sentì chiedere.
Doveva essere il Generale Hammond. Ma dove si trovava? Poi ricordò: Yugi, il tentativo. Doveva essere andata per il meglio.
Si guardò intorno. Jack, Daniel e Teal’c erano poco distanti insieme a Yuji e Lya. Probabilmente Janet li aveva allontanati. Eppure qualcosa non andava.
Provò a parlare, ma dalla sua bocca uscì solo un suono rauco. Tutto era come ovattato.
“Sam, stai bene?” chiese Janet.
Lei scosse la testa. Non riusciva ad emettere suono.
Janet le diede un bicchiere d’acqua e la fece bere. Sembrava andare un po’ meglio, ma continuava a sentirsi molto frastornata.
Jack si avvicinò e a nulla valsero i tentativi di Daniel di trattenerlo.
“Sam! Come stai?” chiese preoccupato.
Lei strizzò gli occhi. Si sentiva debole, ma non riusciva a spiegarsi.
“Fate qualcosa per l’amor del cielo!” sbottò Jack.
Janet sospirò.
“Colonnello, lo farei! Ma non ho idea di cosa fare!” disse.
Solo allora videro Lya avvicinarsi.
“Forse io posso aiutarvi” disse.
Jack la fissò, poi le fece spazio. La donna levitò a mezz’aria tenendo le braccia incrociate e, muovendole poi sopra il corpo di Sam, che a quel punto era di nuovo dormiente e immobile, si produsse in alcune formule che Jack non avrebbe saputo ripetere.
Dopo pochi minuti Lya tornò a terra.
“Ora Samantha dovrebbe stare bene. Si sveglierà tra poco” disse.
 
Il maggiore Carter aprì di nuovo gli occhi. Ormai queste scene le erano fin troppo familiari. Questa volta però si sentiva decisamente meglio.
“Maggiore, come sta?” chiese ancora una volta il generale Hammond.
Sam sorrise.
“Sto bene” disse finalmente “Sono solo un po’ stanca.”
Jack le si avvicinò.
“Quando ti sarai ripresa del tutto avrai tutto il tempo di riposarti. Mi devi ancora mezza vacanza!” le disse.
Sam rise. Nessuno sapeva sdrammatizzare come Jack.
Lo fissò. Chissà cosa pensava di lei, di loro avrebbero dovuto chiarirsi.
“Sam, stai già pensando troppo…” la prese in giro l’uomo “Riposati.”
Sam annuì. Forse aveva ragione.
“Certo” rispose mettendosi più comoda prima che la dottoressa Fraser cacciasse tutti dalla stanza, come disse lei “perché dovrete pure tornare a dire a quelli di quel pianeta che è andato tutto bene!”, ovvero nel linguaggio di tutti i giorni per lasciarle un po’ di tempo per riprendersi.

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Capitolo 22
*** Epilogo ***


Erano passati due giorni dalla sua guarigione e Sam ora si sentiva bene. La Dottoressa Fraser aveva voluto tenerla qualche giorno in osservazione, ma era sicura che tutto andasse bene. Dopotutto i Nox non erano molto più avanzati tecnologicamente e medicalmente?
In quei due giorni i suoi amici erano spesso passati a trovarla. Aveva fatto lunghe chiacchierate con Daniel sugli argomenti più diversi, aveva sentito da Teal’c tutti i più obiettivi aggiornamenti su quello che era successo alla base e perfino Cassandra, la figlia adottiva di Janet, era passata a trovarla.
Infine c’era lui. Jack le era stato accanto tutto il tempo, passando praticamente tutte le sue ore libere con lei. Eppure non avevano parlato. La loro interazione si limitava allo stare nella stessa stanza, comportandosi come avevano sempre fatto prima che succedesse tutto.
Quella mattina, dopo l’ennesima visita di Janet, Sam fu autorizzata ad uscire finalmente dall’infermeria.
 Si alzò dal letto su cui era seduta e guardò il proprio superiore.
“Credo che dovremmo parlare” disse allora.
Jack la fissò.
“Credi?” chiese.
Sam sorrise. Non si aspettava che le avrebbe reso le cose facili, conoscendolo.
“Io…Tu…Noi…” iniziò confusamente.
“Voi, essi” la prese in giro Jack “Conosci i pronomi!”
La donna sospirò. Ok, non si aspettava che gliele avrebbe rese così difficili.
“Sam” sospirò Jack.
Non riusciva nemmeno a guardarlo in faccia. Non sapeva cosa avrebbe potuto trovare nei suoi occhi.
Poi lo sentì avvicinarsi e alzarle il mento fino a guardarla negli occhi.
“Quando hai detto a quell’alieno che io ero tuo…” si bloccò. Era strano definirsi marito.
Che eravamo sposati” riprese poi “A cosa pensavi?”
Sam sorrise arrossendo. Non avrebbe saputo dirlo. Le faceva impressione pensare a come era iniziato tutto.
Jack sorrise.
“Lo rifaresti?” le chiese poi.
Solo in quel momento Sam si accorse di cosa le stava chiedendo. Le stava domandando se avrebbe ancora voluto essere sposata con lui. Sorrise.
“Questa volta vorrei poterlo dire senza pensare che sia solo una farsa per salvarmi la vita” rispose poi.
Jack annuì annullando velocemente la breve distanza che li separava per baciare la donna che ormai da tempo considerava la donna della sua vita.
Quando si staccarono da quel bacio che li lasciò senza fiato rimasero vicini, semplicemente a guardarsi.
“Sarà complicato” sospirò Sam “Noi, i nostri gradi militari…”
Il colonnello rise.
“Più complicato di una serie di trattative in cui ho quasi perso la vita o di un ringiovanimento forzato?”
La donna si unì a lui nella risata. Ok, forse potevano davvero riuscire a vivere la loro vita insieme dopotutto.
“Hai ragione. Vieni, andiamo dagli altri a festeggiare la mia guarigione” disse infine.
“E ad annunciare la notizia” aggiunse Jack.
Sam lo fissò.
“E ad annunciare la notizia” sorrise.

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