La Storia

di Jaco
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima della Partenza ***
Capitolo 2: *** Il Giorno Dell'Inizio Dell'inferno ***
Capitolo 3: *** La Caserma delle Meraviglie ***
Capitolo 4: *** La Cena ***
Capitolo 5: *** La Prima Notte Fuori Casa ***
Capitolo 6: *** Parole e Pensieri ***
Capitolo 7: *** A.A.A CERCASI LAVORO ***
Capitolo 8: *** Incubi ***
Capitolo 9: *** La Lettera ***
Capitolo 10: *** Ricordi ***
Capitolo 11: *** Pronti... ***



Capitolo 1
*** Prima della Partenza ***


Nel periodo della guerra non si hanno molte speranze: fame e pestilenze dominano i villaggi facendo più stragi di qualunque esercito e l'impero ha bisogno di sostegno sia economico che umano per poter sostenere alla guerra, costringendo le famiglie, anche se in decadenza e povertà, a offrire uomini, giovani e ragazzi da mandare nelle caserme, che mettono a disposizione pur di non vederli soffrire di fame. Oltretutto queste ultime vengono schiavizzate da famiglie più nobili che le sfruttano per il lavoro nei campi riducendole in condizioni ancor più precarie, senza che lo stato possa infierire su questa situazione, sia perché impegnato in altri obblighi sia perché perderebbe un grande sostegno economico. Famiglie borghesi, infine, hanno l'obbligo di alternare le donazioni a seconda delle necessità statali; questa volta toccava alla milizia. Molti ragazzi vennero offerti e mandati nelle caserme dopo saluti difficili e pianti eterni da parte di tutti i parenti più vicini che nei giorni prima aiutarono i giovani ai preparativi delle valigie con le cose che gli sarebbero potute servire.

Nonostante tutti i buoni rapporti che ci potevano essere tra i cittadini e le varie casate borghesi e nobili, vi erano comunque dei contrasti, tra cui quello che vede coinvolte le famiglie dei Veldevan e Gurd, rispettivamente famiglia nobile e borghese. Anche se la seconda era una semplice famiglia della media borghesia appartenente ai mercanti, hanno sempre avuto una grande influenza politica e decisionale, cosa che di sicuro dava fastidio e filo da torcere a tutti. Tra le ultime generazioni della famiglia vi è Jacob, un ragazzo 17enne da poco e che di lì a pochi giorni avrebbe incominciato il suo addestramento alla caserma militare. È un ragazzo sveglio, intelligente e attento agli avvenimenti e ai cambiamenti, come del resto lo è per tutti quelli che gli stanno attorno. Non è molto atletico o molto attivo fisicamente, di fatti è di corporatura tanto esile che fa pensare che non riesca a reggere qualcuno un po' più pesante di lui; nonostante ciò è determinato e ostinato come pochi: se vuole qualcosa fa di tutto pur di ottenerlo. È un corridore con molta resistenza e gambe molto forti. Ha degli occhi azzurri che risaltano nella sua carnagione non molto scura, un naso a punta proporzionato al volto non molto spigoloso, ma neanche rotondo, con un mento a punta e una bocca con labbra sottili di un colorito uguale a quello della carnagione. Assomiglia molto alla madre, come aspetto, e come carattere al padre: calmi e pacati, molto gentili e altruisti, che si scatenano quando non sono d'accordo con qualcuno: delle belve che non si riescono a placare; una cosa insomma, che li contraddistingue sicuramente dagli altri.

In quei giorni "preparatori" alla partenza, che seguivano anche il compleanno del ragazzo, entrambi i genitori sistemarono tutto quello che sarebbe tornato utile al figlio affinché potesse stare più a suo agio per il resto della vita, consapevoli che, nonostante la loro fierezza di lui, che sarebbe potuto morire in uno degli allenamenti (che, secondo esperienza del padre, potevano essere estremi) o in guerra, dopo il compimento della sua maggiore età. Gli prepararono una stuoia e una coperta; delle pietre focaie, avvolte prima ognuna singolarmente in un panno e poi assieme, per far sì che, in caso di strofinamento tra loro, non dessero fuoco a tutto il resto e, infine, una piuma e una boccetta d'inchiostro nero per far sapere se era ancora vivo e se stava bene ogni mese, con la garanzia che avrebbe ricevuto altrettante risposte. Tutto ciò venne infilato dentro uno zaino che anche il padre usò nel periodo della guerra.

Quelle notti, il ragazzo le volle passare insieme all'amata: Mia Veldevan. Sapeva bene che era discendente della famiglia che maggiormente la odiava, ma a lui non interessava: la amava e nessuno glie lo potava impedire. Si trovavano sempre in un luogo appartato, sufficientemente lontano da casa affinché non potessero essere visti dai genitori, fingendo a questi ultimi di uscire per fare una passeggiata per pensare o per rilassarsi. Erano gli ultimi giorni che gli rimanevano per poterla incontrare prima di partire, per rivederla un’ultima volta prima di non incontrare più quegli occhi per chissà quanto tempo: perciò ne approfittarono. Parlavano di ogni cosa stesi sull'erba della collina: dalle stelle al destino, dall'odio all'amore, finendo sempre col parlar di loro, di come si sono conosciuti e di tutte le cose, belle o brutte, che hanno passato prima e dopo il loro fidanzamento. Parlavano fino a tardi e si facevano compagnia anche nel viaggio di ritorno, lasciandosi con un "Ti amo... Buonanotte amore. Ci vediamo domani" seguito sempre da un bacio, fino a quel giorno: al giorno della partenza. Arrivati a casa e preparati per andare a dormire, guardavano fuori dalla finestra per pensarsi ancora un po'.

La storia è molto complicata e piena di particolarità e dettagli. È partito da quando avevano 14 anni, nella piazza principale della città vicina durante una manifestazione contro nuove tasse. Lui, all’età molto impulsivo, si fece subito notate dalle guardie che lo presero per portarlo nelle segrete; essendo in mezzo alla folla, tutti osservarono la scena, con tentativi vani di ribellione. La ragazza, non indifferente, si fece largo tra la folla e si piazzò nel mezzo del percorso degli ufficiali che, a tal arroganza, lasciarono il ragazzo per rimpiazzarlo con lei, senza alcun tipo di protesta. Nella serata Jacob riuscì a identificare la piccola cella in cui era stata rinchiusa.

<< Ehi, ciao. Sono quello di stamattina. Perché ti sei messa in mezzo? Avresti potuto provare a insultarli e scappare verso la cattedrale, se proprio volevi aiutarmi. >>

<< E perché tu ti sei fatto notare? Saresti potuto non andare alla manifestazione o scappare anche tu. >>

<< Beh… non pensavo che mi avessero visto! >>

<< Se se… anche io dicevo che non mi avrebbero preso. Come mai sei qui? Per farmi compagnia o per vedermi un’altra volta oggi? >>

<< Sia per farti compagnia, che per vederti un’altra volta. >>

<< Pure per ringraziarmi o quello bisogna richiederlo? >>

<< Se proprio desideri posso chiedertelo, altrimenti lo uso in altre occasioni. >>

<< Sappi comunque che è sempre gradito... se posso chiedere: chi sei? >>

<< Jacob dei Gurd. Tu? >> disse allungando la mano e provando a sporgersi il più possibile dalla grata.

<< Mia Veldevan. >> anch’essa gli porge la mano, sulla quale riceve un bacio come da codice cavalleresco. “Che dolce… sarà dei Gurd ma è un vero galantuomo…”

<< Ti devo dire comunque che sei una bella ragazza. >>

<< Grazie, messer Jacob. >> rise. << Ora ascolta, è meglio che te ne vai perché se ti vede mio padre uccide prima te e poi me, quindi muoviti. Sembri un bravo ragazzo; vediamoci sta sera nel parco dietro il fabbro. >>

<< Questo cos’è, un appuntamento? >>

<< In un certo senso… >> nello stesso momento si sentì il rumore metallico di quando si aprono le sbarre dell'entrata al corridoio e dei passi che si avvicinavano sempre più. Il ragazzo, per non farsi vedere, si nascose dietro il muro. Entrarono due guardie seguite a ruota da una terza persona, probabilmente il padre. Quest'ultimo non mostrò alcuna espressione, né di tristezza per l'accaduto né, tanto meno, di felicità.

<< Ciao Mia >> pronunciò l'uomo << Tutto bene? >>

<< Sì padre, voi? >>

<< Anche io grazie. Ora vieni, torniamo a casa. >> e intanto che si incamminano verso l'uscita Jacob la guardò confermando i suoi pensieri: “Che bello… avrò il mio primo appuntamento! E poi dai, è carina…”

Da quel giorno non si stancarono mai più uno dell'altro e stettero insieme il più possibile, quando riuscivano a vedersi senza essere beccati. L’amicizia durò per un anno e mezzo, poi si evolse in relazione segreta.

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Capitolo 2
*** Il Giorno Dell'Inizio Dell'inferno ***


Arrivò purtroppo il giorno in cui Jacob dovette partire per andare in caserma e iniziare la sua nuova vita, il suo addestramento che non si sa se lo avrebbe portato alla sopravvivenza o alla morte: non lo sapeva nessuno. Era costretto e non poteva farci nulla. La legge lo obbligava, lui come tutti gli altri ragazzi di quella sfortunata generazione.

Prima di andare, tutti quanti in famiglia lo aiutarono a prepararsi, dal fratello 13enne ai nonni. Si mise una maglia di cotta, formata da tanti anellini di acciaio ben uniti fra loro; sopra si vestì con una maglia alla quale applicarono una spilla con impresso lo stemma della famiglia; si infilò poi dei pantaloni marroni lunghi e degli stivali appartenenti al nonno. Suo padre, nell'aiutarlo a mettersi lo zaino, gli parlò con un tono di voce che sembrava avere un po' di tristezza dentro, ma anche tanta calma e serietà.

<< Figlio mio, sappiamo entrambi che la guerra è brutta, ma di questo non ci deve importare nulla. Non ci rivedremo più per molto tempo, se non mai più, ma sappi che tua madre ed io ti abbiamo sempre voluto bene. Per dimostrartelo, vogliamo donarti questo... >> e avvicinandosi a passo lento ad una mensola, prese uno stiletto, la cui lama era inserita in una fondina in pelle scura tutta ornata di decorazioni dorate << ...sì, è il mio stiletto che ho usato anche io in battaglia; ho ucciso molti soldati con questo e ho sparso troppo sangue dietro di me, ma ora voglio che sia tu il suo possessore, sperando che non lo utilizzerai mai con lo scopo di uccidere. >> Detto questo, glie lo porse.

<< Padre, madre... anche io vi ho voluto molto bene e chiedo perdono se non ve ne ho mai mostrato o se molte volte vi ho disubbidito. Vi ringrazio per il vostro dono e sinceramente, non saprei proprio come ricambiarvi. >> abbassò lo sguardo con una lacrima che gli solcava il viso, e dopo aver sospirato abbracciò entrambi in un'unica stretta eterna. Successivamente abbracciò i nonni, e poi il fratello, alla quale disse: << Stammi bene Ryan, non cacciarti nei casini e stai alla larga da quei bastardi. Stai attento quando esci, soprattutto quando sei solo. >>

<< Anche tu stammi bene fratellone, sei il migliore… Allenati come si deve e soprattutto, torna a casa... >> allora Ryan lo abbracciò piangendo e singhiozzando.

<< Hey, sii forte, non piangere. Starò via molti anni e lo sai anche tu che posso morire, non ne escludo le probabilità. Ma vivrò per te e diventerò talmente tanto bravo e famoso che si sentirà dire solo il mio nome. Lo farò per te, piccola peste; solo per te... >> mentre disse questo sorrise e, dopo aver chiuso gli occhi, gli scese un'altra lacrima, che stavolta asciugò.

Dopo un lungo abbraccio, i due si sciolsero e Jacob diede un bacio sulla fronte al fratello, stropicciandogli poi un po' i capelli. Si alzò e si girò velocemente in direzione della porta a testa bassa, verso la quale andò a passo svelto; non voleva vedere i volti dei famigliari per non iniziare a piangere a dirotto. Aprì la porta e uscì; nella strada per andare verso la caserma a Cornag, distante molti chilometri, incontrò dei suoi amici che gli fecero e gli faranno compagnia. Sempre lungo la strada, non molto distante dalla sua meta, si senti chiamare per nome da una voce proveniente dalla sua destra che si faceva sempre più nitida e riconoscibile: vide Mia che correva verso di lui.

<< Jacob, aspetta... >> disse rallentando il passo.

<< Mia, che cosa ci fai qui? >> le chiese andandole incontro.

<< Sono venuta a salutarti prima che tu parta o che tu muoia, e poi, volevo vederti un'ultima volta... >> rispose arrossendo e guardando verso il basso.

Sorridendo, lui se la portò vicino, mentre lei si lasciava trascinare, e la baciò. Fu un bacio, anche se di breve durata, intenso e molto significativo.

<< Così va bene? >> chiese.

<< Ora va molto meglio. >> disse lei appoggiando la sua fronte a quella del ragazzo. << Questo è un saluto, non un addio... non morire! E tieni d’occhio quel coglione di mio fratello. >> e detto ciò ella iniziò a piangere, con lacrime che scendevano come cascate sulle sue guance. Il ragazzo la baciò ancora.

<< Prometto di non morire; su Cato non garantisco. >>

<< Va bene lo stesso… mi importa di te soprattutto. >>

Si staccarono e Mia stette in piedi ferma, continuando a piangere e salutando con la mano sinistra Jacob. Lui, mentre indietreggiava, ricambiò il saluto, per poi girarsi e raggiungere gli amici di corsa che già erano distanti un centinaio di metri. Appena li raggiunse, allentando il passo, senti una domanda che capì che era rivolta a lui.

<< Sai che anche se sopravvivi, i suoi non le permetteranno mai di sposarti, vero? >>

<< Sì, ne sono consapevole. Nonostante questo non mi interessa. Io ci tengo e farò di tutto pur di riuscire a sposarla, anche sfidare suo padre o ucciderlo addirittura. >> rispose orgoglioso delle sue parole.

<< Contento tu… >>

Arrivati alla caserma, dopo circa due ore e quaranta, due soldati, addetti al controllo del portone, li fermarono e chiesero di loro; risposero che erano lì per l'addestramento e uno alla volta dissero il proprio nome intanto che le guardie guardavano nell'elenco che avevano sotto mano. Quando ebbero finito, gli diedero il permesso di entrare, aprendogli anche il portone. Entrati, si stupirono della bellezza delle statue presenti ai lati del viale che proseguiva dritto per circa 200 metri, per poi aprirsi e diventare una grande piazza, riempita già di molta gente, tra cui qualche genitore, probabilmente. Queste statue raffiguravano i vari Dei, ma anche grandi re, raffigurati con onorevoli pose; erano intervallate da alberi che venivano curati con grande abilità. Notarono poi, entrati sulla piazza alla fine del viale, che si sviluppavano una serie di entrate, dentro la quale, probabilmente, c'erano i vari settori di addestramento. Il loro stupore venne interrotto quando Jacob si sentì nominare, da una voce non bella, non apprezzata, odiata, disprezzata; era la voce di Cato, fratello di Mia e primogenito dei Veldevan. Si odiavano a morte come l’odio che c’è tra le rispettive famiglie.

<< Oh oh, chi si vede: Jacob, il primogenito della famiglia dei Gurd: “la famiglia che discende dai Re” ... sei venuto per morire? >>

<< Potrei dirti lo stesso dato che anche tu sei qui. >>

<< Ma almeno mi so difendere, a differenza di qualcuno. >>

<< Siamo di fatti qui per addestrarci, per migliorare, non siamo nati imparati. >>

<< Qualcuno però ci riuscirà prima e meglio di altri; oltretutto c'è sempre qualcuno che anche se si impegna e si addestra non migliora affatto. >>

<< Vuoi proprio istigarmi subito alle armi, Cato? Lo sai che odio le risse senza essermi riscaldato, ma se proprio devi fai pure con comodo... >> disse voltandosi verso di lui << ...guarda mi tolgo anche lo zaino. >>

<< No, assolutamente, voglio solo sapere il motivo per cui sei qui; noi non ci saremmo mai aspettati che venissi anche tu, sapendo che la tua stirpe discende dai Re. >>

<< Beh, purtroppo sono qua, e mi dispiace anche a me, anche io preferivo stare a casa, ma non posso farci nulla. >> disse, facendo spallucce.

<< Ah ok, d'altronde hai ragione, la tua presenza non cambia nulla nell'esercito: moriresti di paura, se non di fatica >> lo istigò, seguito da un coro di risate dei compagni.

<< Certo, ma morirò dopo di te, questo è sicuro. >> gli disse chinando la testa da un lato, gesto seguito da un altro coro di risate.

<< Non mi taglierai la gola tu, però! >> disse iniziando ad alzare il tono della voce.

<< Infatti, lo farà o la mia spada o quella di qualcun altro; anzi no, meglio una freccia in testa, diventeresti più bello secondo me. >> disse.

<< Ah sì? Vediamo se allora questo può migliorare la tua faccia. >> disse arrossendo di rabbia, dopo che si fu avvicinato al coetaneo e provando a dargli un pugno. Quest’ultimo si spostò prontamente, mandando il colpo all’aria. L’avversario, in risposta al suo gesto ricevette lo stesso trattamento: un pugno in pieno volto che lo fece cadere a terra, arrossandogli e gonfiando la guancia di più rispetto a quello che già era.

<< Così impari a fare lo sbruffone, signor “ma almeno mi so difendere”. >>. Nello stesso tempo arrivarono tre guardie, vedendo la folla di ragazzi.

<< Voi due basta, non è il momento è il luogo adatto per queste risse e controversie tra di voi. Fatelo quando avete del tempo libero o quando sarete all'altro mondo. >> disse una delle tre, intanto che le altre due portavano Cato in infermeria. << Chi ha iniziato? >>

<< Lui istigandomi, se non mi crede chieda ai testimoni qui intorno. >>

<< Mm, va bene, ma che non si ripeta, porto entrambi dal Superiore e vi farò sbattere al confine senza addestramento. >>

Chinato il capo in segno di scuse e di accettazione, Jacob si stupì nel vedere che attorno a loro si era creata una folla di quasi tutti i ragazzi, forse tutta la caserma e per questo si vergognò non poco; non volle mostrarne i segni, fingendo un comportamento il più naturale possibile per evitare qualsiasi sospetto. Si voltò verso un corridoio che sembrava aprirsi tra la folla, nella quale passò un uomo sui trenta, che si fermò al centro del cerchio formatosi attorno all'evento appena terminato.

<< Lo so che siete impazienti di giocare a far la guerra, ma trattenevi, non sono ancora incominciati gli addestramenti e già vi sentite pronti? Calmatevi! Vi ha già avvisato una volta la guardia, non voglio avvisarvi la seconda io che sono beghe dopo >> ammonì l'uomo andandosene in un momento di silenzio tombale che restò per parecchi minuti, per poi interrompersi. In quel momento, Jacob si sentiva osservato e al centro dell'attenzione.

Dopo circa mezzora l'uomo che prima ammonì il giovane, attirò nuovamente l'attenzione su di sé salendo su un piedistallo in legno, affiancato da quelli che sembravano strateghi di guerra, o comunque esperti dell’argomento e sulle tecniche di combattimento. Era alto e robusto, con una barba incolta e capelli lunghi tendenti al marrone. La sua voce era forte e si sentiva bene in tutta la piazza: << Benvenuti alla caserma. Io sono il generale Miguel e coloro che vedete affianco a me sono quelli che vi addestreranno e vi insegneranno delle tecniche di combattimento affinché in guerra possiate dare il meglio di voi, senza farvela addosso. Resterete qui fino al compimento della maggiore età, per poi essere arruolati nell'esercito, sempre se sopravvivrete e se sarete pronti. Ora vi chiamerò ad uno ad uno assegnandovi a costoro... >> indicando gli uomini al suo fianco << ...vi unirete e cose a seguire che vi verranno dette nel corso della giornata. >>

Come detto nel discorso fece, e Jacob venne assegnato a quello che è stato il miglior stratega militare, secondo quel che sapeva: Jebe lo Stratega, che fece vincere agli uomini la guerra contro i nani delle Ande Oscure. Jacob, appena raggiunto l’addestratore, gli si presentò allungandogli la mano e salutando con un cordiale buongiorno. << Buongiorno. Ora vieni con me che faremo un giro per la caserma, cosi la inizierai a conoscere per poterti muovere meglio. >>

Titubante, Jacob gli rispose: << Va bene Maestro. >>

<< I tuoi genitori sono qui presenti? >> gli chiese.

<< No. >>

<< Li hai salutati come si deve? >>

<< Sì maestro. >>

<< Ok, allora andiamo. >> disse sorridendo al diciassettenne.

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Capitolo 3
*** La Caserma delle Meraviglie ***


<< Intanto di dico una cosa molto semplice: qui non è come a casa che non si fa niente. O lavori o sei fregato, quindi impegnati, perché appena avrai 20 anni nessuno ti proteggerà in guerra, anzi, inizia a pararti il culo da solo già da adesso. Oltretutto inizia subito a impegnarti, non daremo molto facilmente seconde possibilità. >>

Jacob, incantato a guardare il circondario già parzialmente visto in precedenza, non badò subito alla affermazione. Non pensava che la caserma potesse essere così grande, immensa, sconfinata; pensava fosse, invece, molto più piccola e molto più spartana, del tipo che ci fosse soltanto una zona al centro nella quale ci si addestrava con le varie attrezzature, armi e tecniche ed edifici laterali e secondari come l’ufficio del generale.

Inizialmente visitarono la palestra, dove ci si poteva allenare i muscoli con dei pesi di varie misure, dai più leggeri ai più pesanti. Non era molto grande, ma avrebbero potuto restarci anche 50-60 uomini, se non di più.

<< Qui ci puoi venire quando vuoi, basta solo che mi avvisi. Ti consiglio di non fare molto esercizio con i pesi, essendo poco utili, dato che non penso che uno combatta con quelli, né in guerra né nelle risse con gli altri e tantomeno non puoi fare il figo con le donne: non ci sono. >> disse il Maestro.

Passarono poi alla sala armi. Nella parete di sinistra erano appesi dei ganci in ferro, su cui erano appoggiati coltelli, sciabole, asce e spade, sotto i quali, ben messi, c'erano delle piastrine su cui c'era scritto il nome dell'arma, e a vedere quei nomi, Jacob si chiese se quello fosse il nome che rappresentava la sua funzione o il compito che aveva svolto. Per i martelli e per gli archi era dedicata la parete opposta, quella a destra dell'entrata. Infine c'era un'intera parete molto ampia, dedicata agli scudi, da quelli più e meno decorati, da quelli in ferro o in legno duro, da quelli più tondi e ovali, adatti ai guerrieri, a quelli rettangolari, adatti, invece, per i lancieri. Erano bellissimi sia per Jacob che per Jebe.

<< Questa sala è più da esposizione che per scegliere la propria arma, capisco che sono belle, ma non sono per voi. Non per ora. Se sarai abbastanza bravo le potrai usare anche negli addestramenti, essendo un “riconoscimento” che abbiamo deciso di adottare. Secondo me faresti meglio a imparare i nomi delle spade e delle armi qui a sinistra, in questi periodi, ma se non lo vuoi fare ne sei libero, è solo un consiglio. >> spiegò Jebe all'allievo intento a guardare la varietà di armi che la caserma aveva a disposizione. Questa sala era facile da riconoscere, dato che era l'unica che aveva come entrata un arco, che era l'unico all'interno di tutta la struttura; inoltre, si poteva vedere dal fondo del viale, essendo non solo lì davanti, ma anche la sala con l’ingresso più grande e chiuso da un cancellino. Seguì la sala d'addestramento per gli arcieri, nella parte sinistra della piazza principale venendo dal sentiero. Era un piazzale a cielo aperto, pieno sia di classici bersagli tondi, a destra, a forma di uomo, nel centro e a sinistra a forma di animali, dal più piccolo uccello al più grande elefante.

<< All'inizio, nel primo mese, verremo una volta a settimana per verificare e imparare le basi dell'arco, poi, a seconda del tuo livello di abilità, vedrò cosa farti fare; quindi dipende da te. >>

Fu il turno poi della stanza per l'addestramento dei guerrieri. In questa erano presenti delle finestre che avevano la possibilità di oscurarsi con delle tende; subito Jacob chiese a cosa servissero. Il Maestro gli spiegò che erano utilizzate per un esercizio particolare che lui chiamava “Combattimento al buio”, proprio perché, chiudendo le tende, dentro la stanza scendeva un buio pesto, all'interno della quale si potevano sviluppare sia la vista che le tecniche.

<< Capito? >>

<< Sì Maestro. >> rispose entusiasmato Jacob.

<< Stesso discorso dell’altra sala: impegnati se vuoi fare il meno possibile, altrimenti se ti piace ci verremo più spesso. Ti anticipo già che le spade che si utilizzano sono leggermente diverse dalle classiche canne di bambù o bastoni che usavi da bambino, sono in ferro e anche se smussate fanno male comunque; preparati ad avere lividi per tutto il corpo. >>

Ora era il turno della sala per i futuri maghi, l'ultima sala che dovevano visitare. Il fatto di sapere che avrebbe potuto allenarsi anche in quella misteriosa e oscura pratica, emozionava un sacco Jacob, perché gli piaceva, molto, a tal punto che avrebbe voluto incontrare un druido che lo avrebbe istruito, anche se avesse dovuto fare dei sacrifici enormi.

<< Questa è l'ultima sala, la “Sala della Magia”. Qui ci verremo tre volte a settimana affinché tu riesca a imparare e padroneggiare la magia. Non voglio essere uno che fa deprimere la gente, però devo dirtelo: la magia io ti insegnerò solo alcuni incantesimi curativi, alcuni che ti faranno luce e robette del genere, poca roba insomma. >> disse. << Te ne insegnerò altri che ti potranno tornare utili in futuro, poi, se tu vorrai approfondire, dovrai farlo da solo. Non che voglia togliermi la responsabilità del compito assegnatomi, ma devi essere tu a sapere se hai abbastanza energia da poterli usare. Alcuni incantesimi ne utilizzano tanta e per questo possono essere anche mortali, altri invece sono cazzate. >>

<< Capisco Maestro, e ne comprendo le motivazioni; ma vorrei sapere: esistono dei manoscritti riguardanti la Magia, o almeno, con all'interno degli incantesimi? >>

<< Sì, ce li abbiamo noi in una stanza protetta. Non possono essere visti da nessuno, se non con l’autorizzazione del generale ed è dura ricevere un sì, anche se ci sono stati casi in cui ha acconsentito. >>

<< Ok, grazie Maestro. >>

<< Non c'è di che. >> rispose sorridendo.

Finito il giro per le varie stanze e sale, entrambi andarono nella piazza principale, dove altri allievi erano assieme ai loro addestratori. Loro si presero un angolo un po' isolato affinché non fossero disturbati dalle altre voci.

<< Allora? Cosa ne pensi della caserma come primo giorno? >> chiese incuriosito Jebe a Jacob.

<< Bella; non mi sarei aspettato che fosse così grande e che potesse avere una stanza per l'addestramento dei maghi. >> rispose con un tono che fece capire il suo entusiasmo.

<< Beh, è ricca di altre sorprese che non ti ho fatto vedere e che scoprirai col tempo. Il bagno, se ti può servire, è in una sala lungo tutti i corridoi dei dormitori, lo riconosci anche per la puzza. >>

Appena finito di parlare, quando tutti si radunarono (tra addestratori e ragazzi) il generale si mise sul piedistallo nuovamente; stavolta ebbe un tono più “pacato”, se così si poteva definire, e disse: << È ora di cena; per sta volta ve la offriamo noi, le prossime ve le pagherete voi. Tutti i vostri addestratori hanno fatto in modo che vi alleniate sei giorni a settimana, lasciandovi libero un giorno nella quale potrete o riposarvi o lavorare; verrete pagati, naturalmente, e sarete accompagnati, affinché non vi perdiate lungo la strada... >> disse in tono grave da far capire a tutti i ragazzi, che il suo “non vi perdiate” intendeva significare “non scappiate”. << I vostri addestratori vi accompagneranno alla mensa e vi siederete accanto a loro; finito li seguirete nuovamente verso la vostra stanza nella quale dormirete tutte le notti, da qui in poi. >> E così fecero.

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Capitolo 4
*** La Cena ***


Nell'andare verso la mensa, il ragazzo si unì al suo gruppo, seguito a ruota dagli addestratori che gli erano stati assegnati. Nessuno di loro mancava all'appello, c'erano tutti: Jacob, Alexix, Orlax, Borkof, Hensta e Merwel (questi ultimi due erano fratelli).

Parlavano di cosa avevano fatto e di cosa gli piaceva di più di tutta la caserma; ma la cosa che importava di più a Jacob, era sapere in che cosa si sarebbero allenati, tanto per sapere se avrebbe avuto qualche compagno.

<< Io pensavo di specializzarmi nelle arti magiche e nelle sciabole, mi piacciono troppo. E voi? >> chiese lui a tutto il gruppo.

<< Io come arciere; ci so fare e mi hanno sempre detto che me la cavo abbastanza bene, anche se devo migliorare un po'. >> rispose Orlax.

<< Nei martelli o nelle asce, sono interessanti anche quelle. >> disse Borkof.

<< Noi invece come maghi, così potremmo lavorare in coppia. >> rispose Hensta a nome proprio e del fratello.

Notando la timidezza del sesto componente del gruppo Jacob cercò di sollecitarlo << Alexix, tu ancora non ti sei ancora espresso su cosa ti piacerebbe fare. >> precedette Borkof.

<< Giusto, avanti, esprimiti anche tu! >>

<< Beh, io... io volevo specializzarmi nelle lance e nei coltelli... >> disse abbassando un po' la testa arrossita probabilmente di vergogna.

<< E di cosa ti vergogni? Sono belli anche quelli, e ognuno si deve sentire libero di specializzarsi dove meglio crede, a seconda sia di quello che gli piace sia di dove si ritiene di essere più capace. >> disse Merwel con un tono gentile e consolatorio.

<< Esatto. >> confermarono gli tutti altri a suo seguito.

<< Hanno ragione Alexix, secondogenito della famiglia dei Legnodì; non devi vergognarti difronte agli altri delle tue passioni. >> disse l'allenatore di Borkof, che sembrava avere una voce piena di saggezza, il quale gli mise una mano sulla spalla. A quelle parole, il volto di Alexix, ritornò ad essere di un colorito normale restando comunque abbassato per la probabile vergogna che aveva.

<< Siamo arrivati! Perché non risparmiate le chiacchiere e la voce per dopo, cosicché possiate parlare di più nella mensa? >> propose Genis, allenatore di Orlax. La proposta venne subito accettata, dopo che i ragazzi si guardarono in volto per un attimo, ringraziando colui che l'aveva fatta.

La mensa, vista esternamente, faceva pensare a un luogo “inospitale”, spartano e trasandato, con un continuo odore di chiuso e di marcio, pensiero bene o male condiviso da chi ci entrava per la prima volta. L'unico che sembrava indifferente, se non addirittura estasiato, era Borkof, poiché aveva sempre un appetito più grande del suo stomaco che gli permetteva di non guardare l'estetica del posto, ma alla cucina.

Appena entrati si videro subito i segni del disgusto di qualcuno, che per non sentire l'odore si chiudeva il naso. Era un odore forte, che però non sapeva di chiuso, ma faceva avere un po' di nausea comunque; forse era questione di abitudine. Questo odore era presente in ogni singolo angolo della mensa.

Questa aveva pareti in legno, travi per sostenere il tetto e colonne che le sorreggevano. Era pieno di tavoli e di panche; ad ogni postazione c'erano delle posate e un boccale, anch'esso in legno: sostanzialmente, escluso qualche piccolo particolare, tutto era in legno. A centro tavola c'erano come minimo due brocche di acqua, che aumentavano per i tavoli più grandi.

La cucina, in una stanza affianco alla mensa, era più piccola e piena di pentole di rame, di scaffali su cui erano appoggiati cibi o anche verdure essiccate, ed era sempre testimone di un viavai di "camerieri" che portavano le pietanze in tavola, normalmente, povere e piuttosto semplici, del tipo: zuppa di verdure e carne.

  I ragazzi si sedettero in un tavolo con dodici posti, il numero giusto per loro e per i loro addestratori, che agganciarono subito con lo sguardo appena entrati nel grande salone prima che qualcun altro glie lo potesse rubare. Si disposero in maniera che gli uni stessero da un lato e gli altri dal lato opposto.

<< Mica male! Già da come si presenta la tavola mi viene da dire che cibo deve essere buono! >> esclamò Borkof provocando le risa di tutta la compagnia.

<< Potrebbero però dare del profumo per presentarsi ancora meglio. >> dichiarò Hensta.

<< Hai ragione. >> confermò Merwel.

<< Allora ragazzi, come è andata la giornata? >> chiese poco dopo l'istruttore di Alexix con un tono di curiosità. Il suo sguardo passò sui volti di tutti i ragazzi in attesa di una risposta.

<< Bene Maestro. >> risposero in coro.

<< Bene. Io, come tutti i presenti della tavolata, siamo contenti e speriamo che continui ad essere così, anche se è solo il primo giorno. >> spiegò con tono di speranza.

<< Lo sarà! >> confermò Orlax battendo un pugno sul tavolo, che ebbe come reazione un sorriso da parte dell'istruttore.

Poco dopo quel breve scambio di parole, iniziarono a passare i camerieri con dei canesti di pane probabilmente appena sfornato, deducibile dal fatto che fumava ancora. Un pezzo finì sotto i denti di Borkof appena il canesto toccò il tavolo, che oltretutto gli era difronte.

<< Buono! Che pane è questo, Maestro? >> chiese ancora masticando un boccone.

<< È un pane che fa il vecchio fornaio qui difronte, lo fa da sempre e sfama tutta la città, essendo anche l'unico. Non ha mai avuto eredi e cerca un aiutante che possa prendere il suo posto appena lui non avrà più le forze o verrà a mancare. >>

<< È uno dei posti in cui si può lavorare? >> Gli venne posto da Jacob.

<< Certo, faresti un favore sia a lui che a te: ti guadagni i soldi per mangiare e gli dai una mano: magari hai anche la fortuna di ereditare il forno. >> Rispose Jebe.

Non riuscì a chiedere altro, che il ragazzo venne interrotto dal piatto che un cameriere gli mise sotto il naso. L'odore assomigliava a quello della zuppa che lui odiava: di zucca. Non la riusciva a mangiare, non perché ne fosse allergico o per l'odore, che gli piaceva anche, ma era per il sapore. Allora, spostò la ciotola più avanti, guardandola a distanza, allargandosi coi gomiti, e appoggiando la testa sugli avambracci e vagando con la mente in ricordi e pensieri.

<< Cosa c'è che non va ragazzo? >> gli chiese Genis.

<< Niente Maestro, è solo che non mangio la zuppa di zucca e che un po’ ricorda i vaghi tentativi di mia madre di farmela piacere... >>

<< Ah ok. Tranquillo, non è niente; ti rifarai con la prossima portata! >> lo spronò. E infatti fu così: la portata successiva era carne, molto saporita e condita come si deve, secondo i gusti di Borkof. Probabilmente era un cinghiale dei boschi di Baldor, in direzione Nord-Est, vicino alle montagne.

Mentre mangiavano, con il servizio del bis di carne per chi lo voleva, la compagnia parlò di tutto e di più, anche di leggende e miti, narrandosi per un po' delle storie eroiche. Anche finita la cena continuarono restando seduti sulle panche. Si divertirono molto quella sera, persino gli addestratori, che non erano abituati a questo. Quando finirono lentamente gli argomenti, si alzarono dirigendosi verso l'edificio nella quale c'erano le stanze in cui avrebbero dormito ognuno singolarmente, o per chi voleva, su richiesta, col proprio addestratore o fratello (nel caso di Hensta e Merwel). Jacob fu uno di questi. Lo fece per sentirsi più al sicuro e in compagnia in quella bolgia di pazzi, dato che a casa lui e suo fratello dormivano nella stessa stanza; era anche un modo per sentirsi a casa.

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Capitolo 5
*** La Prima Notte Fuori Casa ***


La camera non era molto grande, ma lo era abbastanza per loro. Aveva un letto attaccato alla parete da un lato corto vicino ad un angolo della stanza; dei ganci attaccati alla porta, per poterci appendere dei vestiti; un piccolo tavolo e uno sgabello di fronte al letto che, come Jacob aveva intenzione di fare, sarebbe stato utilizzato per scrivere le lettere alla famiglia; un tavolo più grande al centro della stanza con qualche sedia attorno e una cassa che, probabilmente, la si sarebbe utilizzata per metterci il vestiario di guerra o le armi. Ancora il giovane non ci avrebbe messo quel tipo di cose, non ancora almeno, ma ci avrebbe infilato lo zaino, per nasconderlo da occhi indiscreti. Ne tirò fuori la stuoia e la coperta per la notte, e lo stiletto del padre, che pensò che sarebbe stato meglio se da lì in avanti se lo fosse sempre portato dietro, attaccato alla cintura in pelle che aveva. Non si poteva fidare di nessuno, specialmente in quei tempi, in cui doveva vedere ogni giorno quel farabutto di Cato Veldevan, che chissà cosa gli poteva fare dopo la batosta della mattina.

Entrati, Jacob non si stupì della piccolezza della stanza e del suo scarso arredamento, ma comunque apprezzava l’illuminazione con candele e lampade ad olio appese al soffitto e l’ordine che comunque c’era; si vede che ci tenevano un po' agli allievi e a un minimo della loro comodità, forse meno all’estetica.

"Allora Jacob, questa è la tua stanza; comportati bene con il tuo Maestro se vuoi essere ricambiato, altrimenti sei fuori dai giochi fin dall'inizio." pensò avanzando nella camera e guardandosi attorno con lo sguardo.

<< Jacob, dove preferisci dormire te? >> si sentì chiedere dalla voce del Maestro sempre più vicino, il quale entrò poco dopo.

<< Dormo per terra, lei dorma pure sul letto nella sua comodità. >>

Stupito per la risposta si fermò << Sicuro? Perché se vuoi dormire te sul letto puoi fare tranquillamente, non ho nessun problema. >>

<< Sono sicuro. Mi so adattare molto facilmente; e poi se un futuro dovessi andare in guerra e dormire per terra almeno ci sono abituato; poi porto rispetto nei suoi confronti, quindi le lascio a lei le comodità. >> spiegò Jacob guardando in volto Jebe.

<< Ok, come preferisci, non ho problemi neanche io ad adattarmi al materasso. Grazie. >> disse sorridendo e avvicinandosi al letto, al quale ci appoggiò lo zaino.

<< Prego. >>

Dopo di che, seguirono lunghi minuti di silenzio che non finivano più, dove entrambi si sistemarono, Jacob la coperta e la stuoia e Jebe il letto; nel mentre quest’ultimo notò che il giovane portava alla cintura lo stiletto e chiese: << Chi te lo ha dato? >>

<< Cosa Maestro? >>

<< Lo stiletto che hai alla cinta. >>

<< Mio padre, faceva parte dell'esercito e aveva questo, che ha voluto dare a me. >> rispose.

<< Posso vederlo? >>

<< Certo, ecco qui. >> e fece per estrarlo dalla fondina.

Rigirandoselo nelle mani, l’adulto guardò tutte le decorazioni impresse sopra la lama con occhi scrupolosi e affascinati concludendo con parole tipo: << Veramente bello, davvero. Fai i complimenti a tuo padre, quando scriverai la lettera. >>

<< Certo Maestro! >> disse riprendendo lo stiletto per poi rinfoderarlo con cura.

<< Non è che mi vuoi uccidere? Mi posso fidare? >>

<< Assolutamente, come le ho detto prima: porto rispetto nei suoi confronti. >>

<< Sarà meglio, se no ti avrei perseguitato col mi spirito e vedevi tu come combattevi in guerra: non avresti neanche dormito. A proposito, domani incominceremo facendo l'addestramento per i guerrieri, ed è meglio che andiamo a letto; anche perché è tardi! >> spronò il Maestro all'allievo.

<< Ok, Maestro, buonanotte. Si tenga pure il suo spirito, io non lo voglio avere con me per sempre se non solo per consiglio. >>

<< Buonanotte. >> fece spegnendo le lampade con un lieve soffio.

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Capitolo 6
*** Parole e Pensieri ***


Il sole si alzò e Jacob venne svegliato da piccole e dolci scosse che Jebe gli dava con la mano mentre lo chiamava: << Jacob, sveglia... andiamo; alzati che la giornata inizia, e anche noi dobbiamo iniziare tutti i nostri addestramenti. >> gli diceva con voce dolce e gentile di una madre.

Il ragazzo, ancora assonnato e con gli occhi semichiusi, si sedette sul bordo con tutta la calma del momento scrollandosi la coperta di dosso. Si alzò in piedi e allungò le braccia per svegliarle e sgranchirle, cosa che ripeté anche per le gambe. Gli doleva un po' la schiena e per questo se la massaggiò con la mano sinistra.

<< Preparati che andiamo a mangiare alla locanda del “Vecchio Orso”, poi andremo alla caserma e inizieremo a fare teoria sul combattimento e alcune strategie. >>

<< Va bene. Dove si trova la locanda che ha nominato? >> chiese sbadigliando.

<< Si trova nel centro di Cornag, vicino allo spiazzo nella parte sud-est della città. Ma non preoccuparti, ci metteremo poco ad arrivarci. >> e detto questo, Jebe uscì fuori dalla porta aspettando l'allievo che si preparava. Appena quest'ultimo ebbe finito poterono incamminarsi verso la locanda a passo lungo; ci impiegarono circa quindici minuti ad arrivare e li passarono in completo silenzio, ascoltando il rumore dei loro passi sulla sabbia rossastra dei viali. Entrarono e si sedettero al banco, dove c'era un oste con una barba lunga, sul colore giallo zaffiro, pelato in testa e con un naso grande. Questo si girò verso di loro mentre asciugava un boccale di birra con uno straccio pulito.

<< Buongiorno >> disse facendo un piccolo inchino al Maestro in segno di rispetto << cosa posso servirvi oggi? >>

<< Le solite cose, Werlo, le solite cose... >> rispose.

<< E lei ragazzotto? Cosa vuole? >> chiese guardando il giovane.

<< Ehm... la cosa migliore che ha per fare colazione, grazie. >>

<< Ok, arrivano subito!! >> esclamò l'uomo, che poco dopo servì le cose richieste. << Hey ragazzotto, come ti chiami? >> chiese sorridendo.

<< Jacob, primogenito dei Gurd di Lemek >> rispose dopo aver bevuto un poco.

<< Che?!?! Hai detto primogenito dei Gurd di Lemek? >> disse guardandolo a bocca aperta e occhi sgranati.

<< Sì, perché? >> gli venne da chiedere all'oste, seguito da uno sguardo a Jebe, come se volesse capire se era una cosa da poco o una cosa preoccupante.

<< Come perché? Siete la famiglia che “Discende dai Re” e anche quella più conosciuta! Non era mai venuto nessuno prima di te in questa locanda! >> disse con voce piena di entusiasmo e frenesia, intanto guardava il ragazzo come se non credesse a quello che gli era appena stato detto.

<< Oh... >> fece abbassando gli occhi verso la colazione << Non mi era mai capitato; dalle mie parti invece siamo come una normale famiglia nobile. >>

<< Qua invece no! Tutto diverso. Però ora mi devo calmare! >> si impose l'uomo ricomponendosi. << Scusa per l'entusiasmo ragazzo, ma... insomma... >> si scusò.

<< Capisco; stia tranquillo buon uomo, è perdonato. >> e detto ciò mangiò un pezzo di cibo.

<< Comunque, cosa ci fai qui a Cornag? >>

<< È per l'addestramento alla caserma, obbligatorio per la nostra generazione. >> rispose a malincuore.

<< I Gurd però possono non parteciparvi, se vogliono. >> disse borbottando.

<< Lo so, ma sono più i miei che mi fanno partecipare per una questione di onore, da come mi hanno detto. >>

<< Oh... Comprendo la tua situazione ragazzo, anche mio nonno voleva che facessi il fabbro come lui nella sua bottega, ma a me non piaceva, non volevo fabbricare armi per separare persone, le volevo unire con un buon boccale di birra; e quindi... >> in tono serio. Con ciò si girò e rincominciò ad asciugare in modo sicuro, con le mani di chi faceva quel lavoro da anni, i boccali e i piatti lavati e puliti. Questi, a differenza di quelli della mensa della sera prima, erano in un legno lucido e decorati da immagini di festa o situazioni gioiose, colorati e, addirittura, rifiniti da un piccolo bordo argentato ai bordi. "Sono davvero belli; chissà quanto gli saranno costati..." pensò il Jacob.

Quando entrambi finirono la colazione si alzarono e, salutando cortesemente l'oste pagato a misura per la colazione preparata, uscirono per dirigersi verso la caserma a passo più spedito. Arrivati si diressero nella stanza del Generale a chiedere un permesso per poter rimanere all’esterno della caserma, ottenuto subito dopo la richiesta.

<< Intanto che parliamo camminiamo un po’, male che va ci fermeremo da qualche parte a riposare. Ti avviso che solitamente non ripeto le cose due volte, ma capisco che a volte può essere difficile o mal spiegato, quindi chiedi. Iniziamo coi tipi di combattimento, che come puoi capire sono principalmente quello corpo a corpo e quello a distanza, che richiede l'utilizzo di lance, archi o coltelli da lancio e se vuoi anche la magia. Partiamo da quello corpo a corpo... >> e allora cominciò a spiegare venendo interrotto ogni tanto da domande. Continuò fino a pranzo, riprendendo appena finito e terminando la lezione la sera, poco prima della cena.

<< ... e con questo abbiamo finito, per oggi. C'è qualcosa che non hai capito? >>

<< No, tutto chiaro. >>

<< Ok, adesso torniamo in dormitorio, poi se ti vuoi dare una lavata dimmelo; dopo andremo a mangiare nella sala di ieri sera, se vuoi andare con gli altri, oppure andiamo alla locanda di oggi. Ti propongo poi di andare a letto prima, domani pensavo di camminare un po’ per Cornag e trovarti qualcosa da fare nel giorno libero. >>

<< Ok. >> e così si fece. Quella sera, infine, decisero di andare alla locanda, ove lungo la strada incontrarono uno dei fratelli Wargh, più esattamente Hensta, che appena vide Jacob, accorse verso di lui salutandoli.

<< Hensta, cosa ci fai da queste parti? >> chiese il coetaneo.

<< Vado a mangiare alla locanda del “Vecchio Orso”, il mio istruttore mi aspetta lì. >> rispose subito l'altro.

<< Dov'è Merwel? Normalmente gira sempre con te. >> chiese in modo stupito Jebe.

<< Ha preferito andare alla mensa della caserma con gli altri. Alla fine nella scelta della categoria abbiamo scelto cose diverse, ma nonostante ciò abbiamo un addestratore in comune ad altri per la parte teorica iniziale, poi dopo ognuno verrà smistato in un gruppo della sua categoria. Non sembra male come cosa, anche se potevano farlo fin dall’inizio secondo me. >>

<< Lo hanno fatto perché così tutti erano allo stesso livello, per non avere fallanze. >>

<< Ok. Andate anche voi alla locanda? >>

Annuendo Jebe lo invitò ad unirsi a loro nel viaggio di andata, proposta che venne accettata volentieri. Nel tragitto parlarono abbastanza, come anche nella locanda e nel ritorno; in queste ultime due c'era anche Bundara, l'insegnante che Hensta avrebbe avuto dopo lo smistamento, che in serata lo ha voluto accompagnare. Alla fine della serata, i quattro si separarono e si diressero nelle proprie camere nel dormitorio e, successivamente, nei propri letti. Fu per Jacob una bella serata, dato che riuscì a rivedere uno dei suoi amici, ma questo è uno di cinque compagni.

<< Com'è andata sta sera? >>

<< Bene, mi ha fatto piacere rivedere Hensta; però mi mancano anche gli altri... >> rispose il ragazzo con voce triste << però dai, è solo il primo giorno. >>

<< Ti capisco ragazzo, lo so bene anche io che la vita qui è difficile già per il fatto che devi lasciare la famiglia, ma ti assicuro una cosa! Quando inizi a sapere qualcosa sul combattimento, ti garantisco che la guerra diventerà la tua compagna e famiglia per la vita e tutto il resto diventa meno importante. Farà sempre piacere rivedere i compagni e la famiglia di nascita, ma purtroppo prima o poi questi potrebbero non esserci più. Bisogna farci il callo inizialmente al pensiero, ma vedrai che ti ci abituerai andando avanti. Te lo dice uno che in guerra ci è stato e che nonostante lo scioglimento dall'incarico e tutti gli onori ricevuti continua ad esserci in mezzo indirettamente e continua a vedere gente che va e che viene, che esce da qui e ritorna per sostituire un addestratore, ma anche che esce e qui non ci ritorna affatto; nella più bella delle ipotesi è con la famiglia, ma nella peggiore è morto in guerra. Può avere questo destino uno che viene qui e purtroppo continueranno a vedersi ragazzi come te che seguiranno questo percorso. >>

<< Ma io non voglio che la mia famiglia diventi meno importante. >> si lamentò Jacob.

<< Lo so... Ma questa è la vita della guerra. Lo diventerà anche se rimarrà sempre nel pensiero e nel cuore. >> A quel punto Jacob abbassò lo sguardo a terra e iniziò a riflettere su cosa avrebbe potuto fare per evitare che questo potesse accadere, ma invano; non riuscì a trovare risposta.

<< Ora basta pensarci; andiamo a dormire. >> lo spronò gentilmente il Maestro.

<< Va bene… buonanotte. >> e così fece, entrò in camera e, immerso nei suoi tristi pensieri e stanco, si addormentò non molto dopo.

<< Buonanotte. >>

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Capitolo 7
*** A.A.A CERCASI LAVORO ***


La mattina seguente, dopo essersi svegliati e vestiti, si misero in cammino per riuscire ad aver successo nell’intento di Jebe, che avrebbe aiutato l'allievo a trovare un mestiere abbastanza remunerativo tale da fargli guadagnare sufficienti spiccioli per pagarsi il cibo e per mantenersi la sua futura armatura. Per incominciare chiesero al fornaio nominato due sere prima alla mensa.

Rimaneva sul lato opposto dell’edificio in legno che accoglieva ogni giorno soldati e molti cittadini della città che cercavano un pasto, seppur semplice, economico. Era una struttura tutta in mattoni con un tetto piatto, che ospitava un camino quadrato dal quale usciva il fumo della legna che ardeva cuocendo il buon pane caldo e croccante. Aveva due finestrelle alte dalle quali usciva una lieve nebbiolina che faceva capire il caldo che ci sarebbe stato all’interno; la porta era in legno ed era sempre aperta quando il fornaio era al lavoro. Lo spazio interno era organizzato in scaffali che ospitavano il pane sfornato, a sua volta diviso a seconda del tipo e dei giorni che aveva: due, tre o più; quello più duro e meno recente era più in basso e solo poche persone lo prendevano, magari chi aveva degli animali o chi aveva meno monete da dare; c’era un bancale in legno senza decorazioni in un angolo, affiancato da un grande forno largo ad occhio 4 o 5 metri, alto 1 metro e mezzo (compreso il muretto alto sì e no 50 centimetri), con sopra quella che sembrava una scatola per le monete.

Al centro del forno che osservava e muoveva il pane con lunghe pale in ferro, c’era il signor Mardom; appena si sentì chiamare sì voltò mostrando le sue non profonde rughe del viso. Portava capelli brizzolati con la riga al centro e lunghi ai lati, basette lunghe e pizzetto centrale; aveva un naso acquino e sguardo severo che si allentò quando vide il caro amico << Jebe, da quanto tempo! >> quasi urlando appoggiò la pala al muro andando per abbracciarlo << Come stai? >>

<< Bene Mardom, tu ti vedo sempre in forma. >>

<< Ah di, con un lavoro così in cui devi impastare dalla mattina alla sera tenendo d’occhio anche la cottura… >>

<< Ti capisco bene, come sta andando il forno? >>

<< Come sempre, quelli che sono sempre venuti continuano a venire ma dei nuovi pochi.  Proposito dei nuovi, lui chi è? >>

<< È un allievo che cercava un lavoro, hai bisogno? >>

<< Piacere, Mardom, tu sei? >>

<< Jacob, dei Gurd di Lemek. >>

<< Osta però, non mi hai mica detto che era un allievo speciale. Ti dico: se cerchi lavoro hai chiesto a qualcuno che ha già trovato l’aiuto che cercavo: sono due ragazzi come te: uno viene tutto un giorno e poi alla sera, negli altri giorni, l’altra viene tutti i giorni e ogni tanto la sera dopo mangiato a preparare l’impasto. Purtroppo mi tocca dirti che non ho più posti disponibili. >> disse intanto che riprese la pala di prima e tirò fuori del pane pronto.

<< Posso chiedere come si chiamano i ragazzi? >>

<< Se la memoria non mi inganna si chiamano Borkof e Jehena: un ragazzo e una ragazza. >> intanto che mise altro pane a cuocere.

<< Uno lo conosco, l’altra no. Mi può salutare Borkof? >>

<< Certo; tu hai detto che ti chiami Jac... Jacob?! >>

<< Sì, Jacob, grazie. >>

<< Prego. Mi dispiace comunque per il lavoro, non ho più bisogno; diversamente ti farò sapere. >>

<< Non c’è problema, ancora è mattina presto e di lavori ce ne sono. Grazie a lei. >>

<< Ma di cosa, adesso se non vi dispiace ritorno al lavoro, se no mi si brucia tutto. >>

<< Stia tranquillo, le auguro una buona giornata signor Mardom. E grazie del favore. >>

<< Non c’è di che e grazie e altrettanto. >>

<< Ti saluto Mardom, ci vediamo un’altra volta, stammi bene. >> fece Jebe stringendo la mano all’amico.

<< Ciao Jebe. Buona giornata a entrambi e buona fortuna per il lavoro. >> allora i due uscirono dal forno lasciandoselo alle spalle. Si diressero allora verso la città nel continuo della missione.

Seguì il fabbro, dove vide Alexix e un altro ragazzo che era al lavoro nel martellare un ferro incandescente, magari una futura spada; Jacob allora pensò che non fosse il caso di disturbare né tantomeno di chiedere se ci fosse un posto libero: c’era già qualcuno. Passarono oltre e andarono in tante altre botteghe che non avevano bisogno o che magari avevano già trovato aiuto. Nel girare avevano incontrato altri che cercavano lavoro o che già lavoravano, ma non tutti della sua compagnia: forse non era il loro giorno libero.

Arrivati a sera ancora Jacob non era riuscito a trovare occupazione e, ormai deluso e rattristato, andò a mangiare con Jebe da Werlo, il locandiere del Vecchio Orso. Ci rimase soltanto lui a cui chiedere se necessitasse di un aiutante. Nel frattempo si fecero dare la cena.

<< Beh, mi farebbe comodo, ma dipende da lui se è disposto ad accettare la cifra che gli offro. >> disse con la sua faccia allegra e sorridente.

<< Ok, potrebbe dirmi quanto è disposto a pagare al giorno? >> si interessò Jacob nel modo più educato possibile, speranzoso della migliore offerta.

<< Vediamo... >> fece borbottando << ehm... venti... no... anzi sì, venti argenti al giorno, se lavora bene e con impegno, altrimenti potrebbero anche diminuire. >> fece a colui che gli pose la domanda; quest'ultimo ci ragionò sopra osservando il piatto e i vari punti del banco in legno, tutto levigato e liscio, dove si potevano anche vedere bene le venature del legno stesso.

<< Mi sembra un'offerta appropriata, per le mie attuali necessità, Mastro Werlo... >>

<< Posso intromettermi nella trattativa? >> chiese il Maestro seduto lì vicino.

<< Certo che sì. >> concesse il locandiere.

<< Vorrei sapere se è disposto a offrire da mangiare al ragazzo quando questi avrà fame senza farsi pagare. >>

<< Beh... io lo farei, ma questo comporterebbe, ovviamente, un abbassamento della paga a tredici argenti al giorno. >>

<< Scusateci un istante, buon uomo... >> e detto ciò portò Jacob vicino a se e a voce bassa e piena di autorità gli disse: << guarda, lui è anche onesto e ti consiglio vivacemente di accettare il lavoro, sono tredici argenti al giorno con pasti gratis, ma lo hai sentito anche tu: “se lavori bene e con impegno, altrimenti potrebbero anche diminuire”, quindi se accetti non fare cretinate e stupidaggini, serve serietà e disciplina. >>

<< Sarà così Maestro. >> promise << Allora, valutando la sua offerta accetto, non mi faccio scrupoli sull’imparare e lavorare come meglio posso. >>

<< Ottimo, finalmente qualcuno si rende disponibile ad aiutarmi. Puoi venire quando vuoi ragazzo, mi ricordo dei miei aiutanti, essendo tu il primo... >> e iniziò in una risata nella quale si dovette asciugare le lacrime. Questa battuta fece ridere anche Jacob, ma lui rise in silenzio, a differenza dell'oste dall'altra parte del banco in legno.

<< Grazie della sua disponibilità, Mastro Werlo. Ora, purtroppo, dobbiamo ritirarci che domani avremo una giornata lunga. >>

<< Certo, andate e buona nottata signori. >> fece l'uomo, augurio che venne ricambiato da entrambi. Dopo di che Jacob e il Maestro non andarono subito in caserma, ma girarono ancora per qualche altra locanda o posto in cui poteva essere utile un bracciante, senza però soddisfarli. Successivamente fecero ritorno in caserma per dormire.

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Capitolo 8
*** Incubi ***


La mattina dopo Jebe volle far fare un addestramento pratico sul combattimento corpo a corpo al giovane. Andato nella stanza delle attrezzature, diede al ragazzo una cotta di maglia più pesante di quella che quest'ultimo portava. Si diressero poi nella sala per l'allenamento e, tra l'immensa scelta di spade appese al muro, entrambi ne presero una portandosi in un posto che non fosse occupato da qualcuno.

<< Fammi vedere quello che sai fare, così mi rendo conto del tuo livello e domani faremo qualcosa per migliorare. >> e messi in una posizione d'attesa e il primo che avanzò fu Jacob, che brandiva la spada con due mani, e appena ne ebbe la possibilità, cercando di prendere alla sprovvista il Maestro, fece un fendente che venne bloccato. Provo poi un colpo obliquo da sinistra, che ebbe lo stesso effetto del precedente, e così a seguire un'altra serie di colpi. Continuarono per un paio di ore, fermandosi giusto il tempo di asciugarsi il sudore dalla fronte o per dirsi due parole sula tecnica e sui colpi. Si riposarono, poi, proprio quando il giovane stava caricando un colpo; si rilassò e piantò la spada nel terreno sabbioso. Entrambi, più Jebe che Jacob, avevano la fronte imperlata dal sudore per la fatica e la stanchezza.

L’uno seduto e l’altro appoggiato con le mani sulle ginocchia venne detto a Jacob << Ci sai fare con la spada, ma hai ancora qualche tecnica da affinare e movimenti da imparare che ti dovranno venire naturali. Ora riprendiamo e ricorda, non puntare alla testa, non con me. >> e così fecero, concludendo due ore prima di cena.

<< Ascolta, ho assolutamente bisogno di riposare! Non ce la faccio più per oggi! non ho più la tua età. >> disse Jebe mentre si reggeva, come prima, con le mani alle ginocchia, affannando e sudando. La spada era per terra affianco a lui.

<< Concordo, quanto ore abbiamo lavorato? >>

<< Secondo me… quattro ore. Però ti dico che domani salta, andremo sulla collina vicino al lago e ci metteremo a fare della coordinazione mentale e fisica, così ci riprenderemo un po'... >> ancora affannante. << Adesso andiamo a lavarci, che puzziamo come caproni... >>

Dopo essersi lavati nella vasca in ferro della camera fecero come da routine: andarono alla locanda per cenare e poi andarono a dormire; nonostante Jacob avesse delle domande, non le fece, motivo per cui passarono la serata in completo silenzio dandosi comunque la buonanotte e organizzando bene il giorno dopo.

Arrivato questo nonostante la stanchezza che si portava dietro dal giorno prima, Jacob si volle svegliare presto affinché potesse scrivere una lettera alla sua famiglia per far sapere che fosse ancora vivo e sano. Non ce la fece però ad alzarsi e rimase in una condizione di dormiveglia. Nell'andarlo a svegliare, Jebe, senti che il ragazzo diceva qualche parola, vide poi i suoi movimenti, che sembravano più degli scatti di paura. L’adolescente si svegliò alzando il busto di scatto e con la fronte imperlata di sudore.

<< É stata una cosa orribile... >> disse con un tono allo stesso tempo affannante e spaventato.

<< Cos'hai sognato Jacob? >>

<< Venivano uccisi, sotto i miei occhi... E io non potevo fare niente... Ero incatenato ad una colonna sulla quale... Era impresso uno strano simbolo... >>

<< Loro chi? >>

<< Mia madre, mio fratello... TUTTI!! >> e allora si portò la testa tra le gambe piangendo. Il Maestro lo avvicinò a sé e lo iniziò a consolare.

<< Ti ricordi che simbolo c'era impresso sulla colonna? >>

<< Non benissimo: sembrava una testa sopra ad una picca: un incubo... >>

<< Ora calmati, non gli accadrà nulla. Con tutta calma ora prepariamoci ok? >>

<< Ok. >> E andarono, dopo aver fatto colazione, nella collina per gli esercizi di coordinazione. La collina su cui si trovavano era abbastanza alta da potergli permettere la visione di tutta la città e del confine, dove tutti quelli che si arruolavano sarebbero andati a combattere nella guerra che si stava svolgendo già da due anni.

Il sole era alto in cielo e si sentiva il tepore che questo emanava in quella luminosa giornata di primavera. La collina era ricoperta di erba verde a volte interrotta da gruppi immensi di margherite e di altre varietà di fiori. Qua e là si trovava qualche albero con una chioma verde chiaro con qualche sfumatura più scura dell'ombra. Non sembravano alberi da frutto e di fatto non lo erano; davano l’impressione di formare cerchi concentrici sempre più piccoli, che lasciavano la cima del colle scoperta in un vasto spiazzo inerbito, dove i due.

<< Allora Jacob, non penso che faremo la fatica di ieri, forse un po’ di dolore lo proveremo, ma non la fatica. >> senza rispondere l’altro guardava in basso << Seppur mi piacciano gli allievi che ascoltano piuttosto che parlare preferirei che invece mi faccia qualche cenno e che mi guardi, sono esercizi in cui non bastano le parole. >>

<< Va bene Maestro. >>

<< Mm, mi fa piacere la tua collaborazione. Ora incominciamo: metti le braccia lungo i fianchi e allungale verso l’alto insieme piano. Congiungi le mani e non mollare, guardati in alto e porta il peso su una gamba. Muoviti piano, non aver fretta. >> ad ogni cosa seguiva il movimento dell’altro sempre con la lentezza che gli era stata chiesta. << Conta fino a quindici e poi cambia gamba. Bene, sai cosa? Quando ti metti su una gamba devi tenere il busto in linea, non stare storto. >>

<< È difficile. Sento i muscoli tirare oltretutto. >>

<< Fa lo stesso, pensa solo che tra un po’ finirai e che devi resistere. Pensa a quando combatterai per ore senza poter nemmeno andare a pisciare. >>

<< Va bene. >> continuarono con gli esercizi e quando erano finiti Jacob sperava di andare a mangiare, invece si sedettero per soffermarsi sulla mente. Restarono in quella posizione per circa una trentina di minuti.

<< Ora rimaniamo qui, guardami e dimmi cosa vedi. >> disse il Maestro in piedi di fronte a lui.

<< Vedo molta pazienza e gentilezza. >>

<< Bene, altro? >> gli chiese.

<< No. >>

<< Sbagliato, riprova. >>

<< Quando finiremo? >>

<< Quando ti concentrerai e mi dirai tutto quello che vedi. >> allora abbassata la testa per un semi-nervosismo continuò nella pratica appena iniziata.

<< Sensi di colpa per azioni non gradite. >>

<< Tipo? >>

<< Il mandare via qualcuno. Oltretutto sembra esserci una punta di paura e malinconia. >>

<< Bene; possiamo andare. >> e con occhi già più contenti, Jacob si alzò e seguì l’adulto che fece strada verso una locanda. << Adesso mangiamo e poi ci incontriamo con un addestratore. >>

<< Cosa mi insegnerà? >>

<< Arti magiche, però muoviamoci che non rimarrà qui tutto il giorno, sta notte deve essere in un’altra città per una riunione. >>

<< Intanto posso chiedere dove posso trovare un espresso per la posta? Oggi avevo intenzione di scrivere una lettera alla mia famiglia per far sapere qualcosa. >>

<< Lo puoi trovare vicino alla torre delle sentinelle all'ingresso ovest di Cornag. Ci puoi andare domani mattina, il pomeriggio non trovi nessuno che parta, puoi metterlo nella cassetta però considera che non partirà prima di un giorno. >> disse sorridendo.

<< Va bene comunque, mi interessa sapere solo dove si possono trovare. >>

<< Prego, ma adesso andiamo su. >>

<< Va bene. >>

Mangiarono e appena finito si alzarono per dirigersi all’avamposto a est. C’erano soldati che sorvegliavano le porte di ingresso della città e altre che controllavano le tende poco dietro. In una di queste, di pianta rettangolare, degli uomini discutevano attorno a un tavolo con sopra carte e mappe. Uno di questi, alzato lo sguardo, si avvicinò ai due a braccia aperte.

<< Chi si vede! Da quanto tempo... >> disse. Aveva una voce giovanile anche se dal volto non sembrava. Aveva dei capelli grigi che gli scendevano fino alle spalle; portava una barba curata attorno alle labbra che delineava i contorni del volto. Portava un mantello in pelle marrone agganciato alla cotta. Portava poi dei gambali in ferro appartenenti alla sua armatura molto decorata con delle incisioni di spade e scudi. Infine indossava degli stivali anch'essi in pelle senza però alcuna decorazione. Tutto questo faceva pensare che avesse una cinquantina d'anni, e nonostante l'età era molto attivo e in forma.

<< Eh già, da mesi oramai. >>

<< Giusto. Mi é arrivata la tua lettera e se non ricordo male mi chiedevi di aiutare un tuo allievo nell'addestramento sulla magia. >>

<< Sì, é proprio così. >> ammise <>

<< Non preoccuparti. Sono sempre disponibile ad aiutare un superiore. >>

<>

<< Lo so. Ma in ogni caso ti devo rispettare proprio per questo. >>

<< Torniamo a noi adesso. Mi serve che insegni a questo ragazzo le cose più importanti, partendo dalla teoria. Deve imparare gli incantesimi curativi e altri tipo quello che gli fa luce la notte ecc. >>

<< Va bene, se è questo quello che mi chiedi è quello che farò. >> fece dopo un'occhiata veloce a Jacob.

<< Grazie tante Elmer. >>

<< Prego. Piacere, Elmer, tu sei? >>

<< Piacere mio, Jacob, primogenito dei Gurd di Lemek. >>

<< Bene, ti dico che purtroppo non ti riesco ad insegnare niente prima di due giorni, ho altri impegni che mi tengono occupato. >>

<< Non è un problema; avremo altro da fare nel frattempo. >>

Fecero altre chiacchere fino a sera ed Elmer iniziò a parlare un po’ di sé e un po’ di quello che doveva fare, ma anche iniziò ad accennare qualcosa sulla magia; smisero quando una guardia si intromise per consegnare una lettera che convocava l’interlocutore alla città vicina, perciò si separarono.

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Capitolo 9
*** La Lettera ***


Dopo quell'incontro si diressero nella propria camera, dove il ragazzo rimase per tutto il pomeriggio a scrivere nel silenzio più totale la lettera da spedire alla famiglia; il Maestro invece uscì e si raccomandò di non muoversi da lì; sarebbe passato lui a prenderlo prima di andare a cena: andò a fare una passeggiata per lo spiazzo centrale di Cornag, dove si svolgeva settimanalmente il mercato cittadino. Non trovò nulla di interessante che potesse prendere, ma in compenso incontrò qualcuno dei ragazzi della compagnia di Jacob e ad ognuno fece l’invito di mangiare insieme alla locanda del Vecchio Orso insieme a loro e ai rispettivi addestratori. Qualcuno accettò, altri dissero che andavano da altre parti.

Era tutto organizzato senza far sapere niente al ragazzo, aveva i suoi motivi.

Nel frattempo quest’ultimo aveva concluso la lettera e la stava rileggendo per controllare eventuali errori. Il foglio conteneva queste parole:

"Cara famiglia,

Io sto alla perfezione e qua va tutto bene nonostante sia dura. Già il primo giorno, giustamente, ci hanno assegnato a quello che sarà il nostro punto di riferimento, il nostro addestratore da adesso fino alla nostra morte, a meno che non muoiano prima loro. Mi hanno abbinato a Jebe lo Stratega; lo so, mi devo ritenere molto fortunato ed è quello che ho fatto, ma sapete com'è, provo un po' di... non so... è come se mi facesse una specie di impressione mista a paura averlo come addestratore, ma in ogni caso sono felice.

Ho già trovato lavoro in una locanda del posto, nel centro città; è la locanda del "Vecchio Orso" e il locandiere è anche simpatico e avente buone intenzioni, o almeno, così mi è sembrato. Lavoro lì a 13 argenti al giorno con i pasti compresi: spero solo che non mi dia gli avanzi dei clienti: sono fiducioso.

La caserma è immensa e forse papà ne sa qualcosa, avendoci passato degli anni anche lui quando aveva la mia età. Ci sono delle sale enormi e diverse a seconda della specializzazione in cui vuoi allenarti: magia, guerriero o arciere. Jebe mi fa fare un addestramento su tutto anche se in dosaggi diversi e lasciandomi sempre un giorno in cui posso lavorare o riposarmi. Lo stesso discorso vale per la città stessa, anch'essa è enorme e ho scoperto che oltre alle bancarelle dei mercanti c'è anche un mercato settimanale dove tutti i migliori artigiani esibiscono i loro prodotti per venderli al popolo o ad altri artigiani; si svolge sempre nello spiazzo centrale di Cornag. È fantastico questo posto. Certo, mi mancate un sacco e specialmente i giochi che facevo con Ryan... Ditegli che mi manca...

La prima notte è passata bene, dormo per terra, mentre Jebe sul letto; come ho detto con lui: mi dovrò pur abituare a dormire scomodamente per la guerra. La seconda notte invece non è passata granché perché un incubo mi assillava, e tutt’ora lo fa. Mi sono comunque ripreso e spero con si verifichino più episodi del genere.

Spero che anche da voi stia andando tutto bene e che non ci siano problemi; come sta la nonna? E voi? Raccontatemi un po’ se volete scrivermi, attenderò con calma. Vi scriverò ogniqualvolta ho tempo e il calamaio inchiostro. Cercherò di scrivervi ogni mese, se non prima.

Ora devo andare. Vi voglio bene, il vostro Jacob."

Mentre scriveva ciò gli scese anche qualche lacrima che poi non riuscì a trattenere dopo che la imbustò. Pianse per qualche minuto evitando di bagnare il foglio appena imbustato. Lasciò, poi, un biglietto sulla scrivania per Jebe affinché sapesse dove stava andando e a fare cosa, assicurandogli che non ci avrebbe messo molto e che non si sarebbe cacciato nei guai.

Andò dove gli venne indicato il giorno stesso sperando sia di riuscire a trovarlo facilmente che di fare prima del Maestro. Purtroppo non fu così, se lo vide davanti all’ingresso della camera che era intento a leggere il biglietto che gli aveva lasciato e, nell’avvicinarsi si sentì dire: << Ti avevo detto di rimanere qui e che sarei passato io per uscire. >>

<< Speravo di far prima di lei, e poi non siamo molto distanti dalla torre delle sentinelle. >>

<< Fa lo stesso, ti avevo fatto comunque delle raccomandazioni. Ricordati che in guerra se non ubbidisci agli ordini del tuo superiore tu non andrai tanto in là; la prima te la abbuonano, la seconda ti chiudono in cella per un giorno e la terza non ti fanno andare in prima linea a coprire gli arcieri dai colpi nemici. Quindi ricordati questa cosa perché non hai tante possibilità. >>

<< Va bene Maestro, chiedo perdono. >>

<< Mm, sarà meglio; ora andiamo. >>

Allora andarono a spasso spedito a mangiare sempre da Werlo e, ignaro di tutto, Jacob si sorprese quando vide molti della sua compagnia seduti intorno a una tavolata con i rispettivi addestratori e boccali di birra pieni quasi fossero pronti a brindare qualcosa. Quando si sedettero tutti gli fecero gli auguri poiché proprio quel giorno era il suo compleanno; come si fossero ricordati o come lo avessero saputo non lo sa, ma era comunque felice del gesto. Una volta che il piatto della cena era pronta e servita a tutti alzarono i boccali e brindarono a lui e ai suoi 18 anni, 18 anni che, seppur siano festeggiati in caserma e lontano da casa, erano comunque compiuti in felicità. Gli dispiaceva solo non essere con Mia e non averla potuta vedere in quel giorno particolare; in compenso però Jebe gli consegnò due lettere a fine serata una volta che furono in camera: una era della famiglia e una dell’amata. Le era andate a prendere quella mattina Jebe prima di svegliarlo; le lesse intanto che era seduto nello scrittoio della camera con una candela affianco nel frattempo che il Maestro dormiva. Si commosse nel leggere entrambe e gli faceva piacere che lo avessero pensato e soprattutto che fossero arrivate al momento giusto.

Dopo quelle lacrime scese, il morale e la felicità al massimo si mise a dormire, promettendosi di rispondere a Mia della sua lettera: sarebbe stato un dispiacere scrivere ai genitori e non a lei: non ci aveva pensato prima.

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Capitolo 10
*** Ricordi ***


Seguirono giorni, che diventarono mesi, un po’ di monotonia senza che succedesse qualcosa di particolare, alternati tra felicità, noia, allenamenti, spiegazioni e di lavoro alla locanda: giorni lunghi, ma belli per i soldi che avrebbe guadagnato e per qualche persona che incontrava. Quelle volte che lavorava lo faceva tutto il giorno servendo, lavando e pulendo i tavoli, le stoviglie, i bicchieri e i piatti che sarebbero stati usati da altri clienti che, raramente, lasciavano un po’ di mancia agli osti. In quel giorno settimanale, a volte due, lavorava fino a notte inoltrata senza lamentarsi della stanchezza o della fatica e anche se avrebbe voluto tanto riposarsi la mattina dopo, rispettava gli orari con estrema puntualità nonostante gli occhi stanchi e gli sbadigli. I pasti che gli spettavano secondo contratto non erano male: molto meglio di quelli della mensa e per fortuna non erano gli avanzi dei clienti del giorno prima, come aveva sperato. Fino ad allora lavorò solo una quindicina di volte o poco più, ma fu felice quando, fatti due conti, si rese conto di aver guadagnato già due ori. Werlo continuava a meritare il suo rispetto che veniva ricambiato dal miglior pasto una o due volte al mese; tutti gli altri giorni era come se il ragazzo lavorasse, ovvero non si faceva pagare.

Il rapporto con Jebe migliorò a tal punto che iniziavano a darsi del tu. Quando aveva degli incubi l’altro era sempre lì a capire cosa potesse significare e a cosa avrebbe potuto portare, se tutto aveva un senso, un filo logico e un significato. Gli allenamenti proseguivano bene e secondo lui era anche migliorato molto da quattro mesi a quella parte, ma si parla di pratica. Nella teoria non era eccellente, anche se la magia riusciva meglio. Nella caserma ci passava un po’ di tempo, ma meno in confronto a quello che passava sulla collina con Jebe. Il fisico si rafforzò delineando in particolar modo il petto e le braccia; meno le gambe e l’addome, seppure anche quelle fossero più formose di prima. Riusciva a fare movimenti più veloci e potenti.

Ogni tanto incontrava quell’animale di Cato che cercava di provocarlo come il primo giorni, dopo il quale nessuno dei due si dimenticò il rimprovero e le minacce. Si tenevano tutto, nella prospettiva dell’occasione di non essere fermati o visti, anche se entrambi ardevano di voglia di rompersi i denti a suon di pugni l’un l’altro in quel momento. A proposito di Veldevan, quando aveva un momento libero scriveva una lettera a Mia, ricevendo risposte. Ovviamente le teneva nascoste allo sbruffone del fratello e quando andava a ritirarle o spedirle cercava di non farsi seguire o vedere. In quelle che riceveva e mandava c’erano un po’ sempre le solite cose, i saluti e i ti voglio bene che si ripetevano, nulla o poco che già non sapesse. Incominciò a scrivere meno sempre per la ciclica ripetizione di notizie, frasi e parole scritte da quella giallastra piuma che aveva e l’inchiostro nero dove la immergeva e toglieva.

Come le notizie e i gesti ripetitivi di quando scriveva, anche la vita di tutti i giorni continuava nella sua ordinarietà e quei giorni si susseguirono diventando mesi, che a loro volta diventarono anni. Raggiunse i 22 anni e purtroppo, anche se da tempo se lo aspettava, rimase da solo in caserma. Il gruppo si era sciolto fisicamente; il primo ad essere mandato al confine è stato Borkof, l’ultimo Alexix, partito due mesi prima. Hensta e Merwel sono stati mandati in un accampamento fuori dalle mura di cinta di un sobborgo di Ramgergo dove venivano mandati i feriti di guerra; Orlax invece fa da guardia all’ingresso di Cornag. Sperava di riuscire a rivederli prima e dopo la guerra, semmai fosse finita. Sperava anche di essere al confine con qualcuno dei coetanei, giusto per non sentirsi completamente solo.

Nel pensare agli amici gli vennero in mente tanti altri ricordi. Il primo fu di quando conobbe Hensta e Merwel al tempio, durante una venerazione. Si misero fuori, vicino all’entrata, e corsero avanti e indietro come fosse un’acchiapparella. Divennero subito amici e continuarono a frequentarsi. Qualche anno dopo, quando ne avevano ormai 15, conobbero gli altri ad una festa: Alexix era al centro della piazza che ballava con tutte quelle che gli capitavano sotto mano, probabilmente sotto effetto dell’alcol; Orlax si scolava pinte di birra come se niente fosse insieme ad altri, brindando e cantando, concludendo la serata in una sbronza atomica; Borkof invece era seduto in un tavolo vicino a Orlax, anch’esso circondato da coetanei, durante una sfida a chi mangiava più costine: ovviamente la vinse. Si ricorda anche di quella volta in cui entrarono di nascosto dal macellaio rubando salsicce, costine, braciole e tutta la carne che potevano portarsi dietro quattro ragazzi, in quanto Hensta e Merwel non parteciparono al furto; vennero però scoperti qualche giorno dopo e costretti a restituire il tutto, per quanto ne era rimasto, per il resto lavorarono in macelleria a gratis per ripagare la carne andata a male o non restituita. Ovviamente non poteva mancare quando cercarono di uscire dalla locanda di Cornag senza pagare: tutti fuggirono o cercavano di nascondersi mentre il locandiere non guardava; ancora una volta fallirono il tentativo. L’ultimo viaggio tra i ricordi di un’infanzia felice prima che venisse scosso da una mano sulla sua spalla fu il volto di Mia e quella volta che si conobbero a quella manifestazione.

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Capitolo 11
*** Pronti... ***


Si sentì scrollare e chiamare e rimase un po’ intontito in un primo momento; si voltò e vide Jebe con una faccia un po’ preoccupata e tesa.
<< Jacob svegliati! >> uno schiaffo colpì il viso del giovane lasciando solo un’impronta rossina << Jacob, muoviti, il comandante ti aspetta.>>
<< Ahia…. Potevi evitare lo schiaffo però. >>
<< Non ti svegliavi più dai tuoi pensieri. Ora alza il culo e muoviti, non dobbiamo aspettare. Ti vuole parlare. >>
<< Chi? >> come se poco prima non gli fosse stato detto nulla
<< Il comandante. Altre domande? Perché non è proprio il momento esatto per farle. >>
<< Scusa, non volevo innervosire. Cercavo di capire cos’è successo. >>
<< Vieni e basta, capirai quando arriviamo. Intanto ascolta: parla se interpellato e non provare a fargli notare che ha sbagliato: odia chi lo interrompe. Si onesto, non far cazzate e chiamalo signor generale. Consiglio: non far mai aspettare troppo un superiore. >> gli disse severo con il dito puntato.
<< Va bene. È una cosa grave? >> e senza rispondere i due continuarono a camminare andando verso la sala del comandante nella caserma. Difronte alla porta bussarono; in risposta essa venne aperta verso l’interno
<< Buongiorno. Come mai questo ritardo? >>
<< Contrattempi signor comandante. >>
<< Di che tipo non lo voglio sapere. Accomodatevi. >> aprendo la mano in gesto di accoglienza.
<< Grazie signore. >>
<< Tu da quello che mi è stato detto sei Jacob, primogenito dei Gurd di Lemek, giusto? >> guardando in faccia il ragazzo un po’ intimorito da quella figura a lui di molto superiore.
<< Si signor comandante. >> un po’ titubante.
<< Bene. Immagino che nessuno ti abbia detto il perché sei qui. >>
<< Esatto. >>
<< Te lo dico io allora. Tu hai detto, da qualche anno a questa parte, di fare degli incubi piuttosto macabri e il primo di questo è riguardava la morte della tua famiglia, dove tu non hai potuto fare niente perché incatenato ad una colonna con impresso sopra una picca con una testa o un simbolo simile, no? >>
<< Sì, è così. >>
<< Ok. Quel simbolo ha portato subito sospetti al tuo addestratore che prontamente ha riferito tutto, sia il singolo sogno che tutti gli altri incubi che hai fatto; penso che abbia riportato tutto quello che hai detto tu. Riflettendoci un po’, dopo tanti consigli con altri comandanti, generali, maghi e strateghi, abbiamo capito a che può appartenere lo stemma che hai visto e anche se potrebbero accadere cose come quelle sognate nel futuro. Evito di dire che dipende non solo dalla guerra o da te o dal successo delle missioni, questo si capisce. >>
<< Vorrei capire che altra utilità ho. >>
<< Devi riuscire a infiltrarti nel primo insediamento a est oltre confine, rubare i piani nella tenda principale, uccidere il tenente e tornare qui. L’obbiettivo secondario è non morire e se vuoi salvare qualche ostaggio, se c’è, e un po’ di oro. Parti all’alba, arriverai probabilmente verso sera in modo di essere coperto dall’oscurità, se non hai contrattempi di altro genere. >>
<< Sarò scortese, ma un po’ di preavviso lo avrei voluto. >> arrivò un ceffone sulla nuca da Jebe.
<< Cosa ti avevo detto prima? >>
<< Lascia fare. Ascolta, non sei stupido a quanto mi è sembrato di notare e sentire, ti dico solo che se te lo dicevo anche solo ieri sera tardi non sai mai se dentro questa sala o anche fuori dalla porta, ci sia qualche spia per ascoltare i nostri piani, o magari che sia già in viaggio per portare tutte le informazioni raccolte. Dal momento che siamo in guerra e non ti puoi fidare completamente di tutti quelli che ti circondano ho preferito aspettare, almeno per non far arrivare le spie in tempo all’insediamento, comprendi? >>
<< Sì comandante. >>
<< Bene, ora puoi andare, prepara la roba e sta sera presentati qui poco dopo l’imbrunire, faremo un po’ di chiacchere e sistemeremo le ultime cose. >>
<< Sì signore… >> e amareggiato uscì dalla sala accompagnato da due guardie. “Nonostante i modi ha comunque ragione. Chissà se sarò pronto… speriamo solo di non morire subito.” e nella tensione di chi non ha in mente che fare si dirige nel dormitorio a preparare tutto quello che gli sarebbe potuto servire di lì a qualche giorno. Pensò alla fortuna di aver imparato a cavalcare.
Nello zaino datogli dal padre ci mise come prima cosa una coperta, che eventualmente gli servirà, pensò, anche un po’ a camuffarsi con il terreno; prese le pietre focaie e qualche ramo che trovò nella cassapanca vicino al letto; per ultimo arrotolò la stuoia che infilò sopra tutto. Lo zaino lo appoggiò a terra vicino al letto con appoggiato sotto lo stiletto che avrebbe preso su la mattina, agganciandolo alla cintura insieme a qualche coltello comprato cinque mesi prima. Rimasto ancora del tempo prima che arrivasse ora di cena, si mise con inchiostro, penna e fogli a scrivere lettere. Sapeva che quel poco che aveva non serviva lasciarlo in eredità a qualcuno, però avvisò che semmai non fosse sopravvissuto moriva felice. Finì proprio nel momento in cui dovette uscire: andò a mangiare alla mensa, sapendo che facevano presto a portare i piatti.

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