Bad Idea

di Nasty_Gal
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Il sole. ***
Capitolo 3: *** Quindi dimmelo. ***
Capitolo 4: *** Nasconditi. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Will leave you in the morning

But find you in the day.

-In My Vein

 

Prologo.

Subito sorrise. Aspettare i suoi messaggi era, per Aurora, un passatempo molto importante, in quanto ha sempre creduto che ogni parola uscita dalla mente di Livia fosse chissà quale intelligentissima affermazione.

Non poteva ancora sapere quanto ne fosse innamorata.

Aurora, ancora non sapeva di amare Livia, in quanto non sapeva neanche di poter provare amore per qualcuno- sopratutto una donna-.

Comunque, quando non era impegnata a leggere, Aurora pensava a lei, pensava ai suoi capelli neri come il carbone, raccolti in una coda disordinata, ai sui occhi, del colore della resina, che parecchie volte si era ritrovata a voler fissare, come se fossero una fonte di energia, l'unica che la potesse- o volesse- tenere in vita.

Molte volte si chiese il motivo per il quale cercasse sempre quegli occhi, quelle parole, sillabate tanto perfettamente da sembrare irreali, quel sorriso, che poche volte è riuscita a scorgere sul volto della causa di tutti quei problemi, susseguiti sempre da un' unione ancora più consistente.

 

Molte volte, Aurora, ha sognato quella splendida persona, quella fonte di incredibile bellezza, con l'innocenza di chi ha sempre nascosto l'evidenza.

L'ha sognata sorridere, l'ha sognata parlare, raccontare storie d' avventura al chiaro di luna, su una spiaggia, con un fuoco caldo pronto ad avvolgere entrambe le anime di quelle due ragazze, inaspettatamente ingenue, completamente innamorate l'una dell'altra, anche se con qualche difficoltà a comprenderlo.

 

Livia, all'inizio, credeva che Aurora fosse una persona terribilmente sola, senza un motivo di vivere, senza qualcuno ad aiutarla. Non sbagliava. La prima volta che la vide, trovò soltanto una marea di capelli biondo cenere ricadere, per quanto possibile perché abbastanza corti, su un viso occupato principalmente da grandi occhiali dalla montatura nera, con dall'altra parte due occhi verdi, verdi come neanche la giada saprebbe essere, completamente vuoti. Senza che alcuna emozione trapelasse, sempre che ce ne fosse stata prima del loro primo incontro. Quasi provava pena per quell'anima, disordinata, piena di pensieri inespressi ed emozioni represse, tanto da chiedersi quale fosse il motivo di quel totale distacco dal mondo, tanto da volerla aiutare.

Livia, la prima volta che vide Aurora, si promise che l'avrebbe aiutata, che avrebbe fatto di tutto pur di farle vivere una bella vita. E ci riuscì.

 

Esse si conobbero davvero il 13 maggio 2017, ad una festa di compleanno. Aurora arrivò per prima e dopo pochi minuti vide entrare Livia nella casa -dove la festa si svolse-, avvolta da qualcosa di misterioso, ricoperta, inconsapevolmente, da qualcosa che presto avrebbe legato le loro vite, senza la possibilità di tagliare i fili a cui esse erano legate. Quello che non sapeva era che da quel giorno, avrebbe potuto provare emozioni, di quelle vere, di quelle nate per essere vissute, nel bene e nel male. Non sapeva che, oltre ad avere vicino una persona che presto sarebbe diventata così importante, aveva di fronte l'apoteosi della bellezza, la fantasia più totale.

Lei non lo sapeva. Non sapeva quello che sarebbe successo. Nessuno lo sapeva. Se l'avesse potuto avrebbe cortesemente evitato di fare amicizia con quella ragazza, da un nome più buffo che bello, con una voce che ricordava poesia. Però non lo sapeva e si è lasciata andare alla sua prima vera emozione. Amore.

 

Da quel momento, non smisero mai di pensarsi a vicenda, comunque negando che ci fosse qualcosa di più, forse perché non erano ancora pronte, o forse perché avevano paura che tutto potesse venire distrutto, da un sentimento non reciproco o falso.

 


SPAZIO AUTRICE
Questa è la mia prima storia e ci tengo molto, perchè ci sono dettagli presi dalla mia vera vita, inoltre io mi chiamo Aurora e la mia beta (sono_un_lamacorno) si chiama Livia. Vi consiglio di recensire questo prologo, così che io possa sempre migliorare e creare dei capitoli sempre più belli.
Non ho un giorno specifico della settimana in cui caricare i capitoli per adesso, ma presto, quando finirà la scuola e quando prenderò la mano a scrivere, vedrò di trovare un giorno fisso.

-Neste! (alla prossima, in norvegese)
 

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Capitolo 2
*** Il sole. ***


1. Il sole

 

Inconsciamente sapevo che c'era come un muro, che mi separava da qualsiasi emozione.

In realtà, non ho mai fatto niente affinché questo cessasse di esserci.

In realtà, c'era una cosa.

L'unica in grado di farmi provare quanto di più simile ad un sentimento. Era il sole che tramonta.

Ogni sera, prima che la incontrassi, mi sedevo sul davanzale della finestra, a guardare gli ultimi momenti di vita del sole, fino a quando anche l'ultimo raggio non fosse scomparso oltre l'orizzonte.

Questo mi riusciva bene, stare seduta su quel marmo bianco e freddo, con gli occhiali sul naso, a guardare l'infinita distesa di pianura che circonda la mia casa, guardando la scomparsa, per così dire, di quella stella che illumina le giornate di tutti.

Inizialmente non ne conoscevo il motivo, per il quale fossi così interessata ad esso, in quel momento preciso; e adesso, posso dire che guardandolo, avrei provato rabbia, in quanto non avrei sopportato l'idea di esserne così dipendente. Senza volere, già in quei momenti cercavo di aggrapparmi a qualcosa che mi rendesse più umana, più libera.

 

Mia sorella, Sara, organizzò una festa per i suoi diciotto anni e il giorno prima che questa si verificasse, mi avvertì. Me lo disse intorno alle dieci di sera, quando ero ancora sul davanzale. Quel giorno in particolare rimasi ad osservare il cielo più del previsto, infatti il sole, e lo ricordo bene, tramontò alle otto e venti di sera.

Risposi con un tono distaccato, come sempre, e lei, ormai abituata al mio carattere, uscì dalla stanza in silenzio. Credo che smise di provare rabbia, nel sentire le mie risposte molto distaccate, già quand'era piccola.

 

Come se la mia totale mancanza di felicità nella mia vita non bastasse, soffrivo anche di insonnia. Quella notte dormii poche ore e rimasi, nelle restanti, a guardare il soffitto, senza che alcun pensiero mi riempisse il cervello, così decisi che avrei potuto fare una passeggiata.

Esiste un parco, a circa un quarto d'ora da casa mia, in cui vado spesso a leggere. Lì non ci va mai nessuno, per via dei rumori inquietanti che gli alberi producono, per l'erba sempre secca, rendendo quel luogo molto tetro e spaventoso, per alcuni. Ci rimasi tutto il giorno, fino alle sei del pomeriggio, quando sono dovuta tornare a casa per aiutare Sara con i preparativi della festa. Il giorno prima mi chiese se l'avessi voluta aiutare ma non stavo ascoltando le sue parole e le risposi che l'avrei fatto, così le ho dovuto dare una mano. Verso le otto iniziarono ad arrivare i primi invitati e, quando mi accorsi dell'ora, andai in camera per il mio solito appuntamento con il sole. Circa mezz'ora dopo tornai al piano terra, dove si svolse la festa, e mi sedetti sul divano, con una bottiglia di birra in mano.

 

Intanto ripensai al libro che avevo appena finito di leggere al parco. Il libro parlava di una ragazza che si innamora di un ragazzo e che, dopo aver scoperto un oscuro segreto riguardo ad esso, scappa con lui, per impedire che il loro amore venisse ostacolato da una donna che cercava di uccidere il ragazzo. Per mia sfortuna, o fortuna, lo trovai noioso, senza una trama logica, senza dei personaggi principali degni di essere chiamati tali. Forse lo trovai noioso perché non riuscivo ancora a capire cosa volesse dire per qualcuno amare ed essere amato.

 

Rinunciai quasi subito a quella attività e decisi che sarebbe stato meglio pensare ad altro. Rimasi lì, senza un pensiero preciso, per un quarto d'ora, fino a quando non entrò. Nella grande stanza, resa più luminosa dalle pareti gialle, lei, che attirò immediatamente la mia attenzione. Questo perché sin dal primo momento, vidi una luce strana, innaturale, nei suoi occhi. Quella luce, seppur a me sconosciuta, aveva qualcosa che riusciva a catturarmi, qualcosa paragonabile ad una magia o più realisticamente, ad un velo oro appoggiato leggero sul dipinto più bello mai fatto dal pittore più bravo.

Ignorò tutti. Si capiva benissimo che non era andata a quella festa perché ci voleva andare. Arrivò con un paio di sue amiche, che, da quello che sentii, avrebbero voluto che si divertisse. Lasciò perdere la loro compagnia quasi subito e vidi che rimase a guardare il telefono e solo dopo si decise a sedersi, così arrivò al divano su cui ero seduta e dopo avermi appena notata si mise dal lato opposto continuando a guardare il telefono. Poi, forse per curiosità, forse per noia, puntò, ma solo per un secondo, il suo sguardo su di me.

 

Era curiosa. Si vedeva che stava cercando di capire dove mi avesse già vista. Di sicuro non mi ha mai incontrata a scuola perché l'ho finita un anno prima mentre lei doveva ancora fare l'ultimo, ma io, come lei, sapevo di averla già incontrata.

Poi me lo chiese.

-Ci siamo già viste?-

-Non so- Risposi.

Ero sicura che se l'avessi incontrata prima di quel momento mi sarei sicuramente ricordata di lei, ma proprio non riuscivo a trovare un ricordo da poter associare ad un primo incontro.

 

Decisi, e lei fece lo stesso, di smettere di pensarci più, così, si presentò.

-Livia, piacere-. E mi tese la mano.

-Aurora.-. E io non le porsi la mano.

Rimase pochi secondi a guardarmi e a cercare di capire se l' espressione che avevo era di indifferenza nei suoi confronti o in quelli di tutto il resto.

Non so cosa pensò.

 

In quel momento mi accorsi, però, che le si era alzata un po' la manica della maglia e, al di sotto, si potevano notare alcuni segni dritti e sottili, dovuti a precedenti ferite, forse, ormai cicatrizzati.

Inizialmente pensai solo che si fosse fatta male tempo prima, senza pormi il dubbio che avesse dei problemi a gestire le emozioni...

Ma se solo fossi stata più attenta, sarei arrivata prima a capire la verità, e così, magari, avrei potuto evitare quello che successe poco tempo dopo.

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Quindi dimmelo. ***


2. Quindi dimmelo.

 

Mi convinse semplicemente dicendomi che dalla spiaggia il tramonto sarebbe stato diverso.

Mi disse che avrebbe accettato che non provassi emozioni, ma che avrebbe ugualmente provato a farmele provare. Me lo aveva promesso, e quella fu l'unica volta che qualcuno mi promise qualcosa.

 

Il modo con il quale me lo propose, mi fece immediatamente capire che non era stupida, perché mi disse che non avevo alcun motivo per rifiutare. Effettivamente aveva ragione, ma non perché credeva che trovassi allettante quella proposta, piuttosto per il semplice motivo che, non provando niente, non avrei potuto rifiutare la proposta, o avrei mostrato il rifiuto.

 

Il giorno dopo, quando avvisai Sara che sarei uscita, lei mi fece molte domande quali: dove andassi, con chi e come questa persona fosse riuscita a convincermi. Risposi qualcosa tipo:- Non lo so, vado e basta. Non è niente.-

In quel momento era la verità. Non era ancora niente. Allora non capivo l'importanza che quel tramonto in spiaggia avrebbe avuto per me.

 

Il giorno dopo, quindi la data prevista per l'incontro, andai circa un'ora prima che il sole tramontasse.

Lei arrivò quasi contemporaneamente a me e mi salutò, poi iniziò una conversazione, che da subito sbloccò qualcosa in me, come il primo lucchetto di mille della prima porta di cento che mi avrebbero portata ad essere umana.

 

-Ciao Aurora-

-Livia.-

-Non pensavo che saresti venuta- e me lo disse come se fosse una battuta. Forse lo era, ma neanche adesso la riesco a capire.

-Perché non avrei dovuto farlo?-

-No, niente, pensavo a voce alta- E non aveva comunque risposto alla mia domanda. Questo me lo ricordai, forse meglio di qualunque altra cosa successa quel giorno.

-Ok. Il tramonto è alle 19.25-

-Lo so, mi sono informata prima di venire qui- e queste parole furono qualcosa di inaspettato. Cioè, sì, è probabile che chiunque si sarebbe informato, per sapere a che ora arrivare per non perdersi il momento esatto, però il modo in cui lo disse, fu come se l'avesse fatto molto prima di quel giorno, come se si fosse preparata tutto.

Poi rimasi in silenzio. Mi sedetti sulla sabbia e così anche lei, al mio fianco.

Io non la guardavo e lei non guardava me.

Dopo qualche minuto di silenzio, mi chiese: -Come stai?-

Non c'è neanche bisogno di dire che non potevo rispondere a quella domanda, così non dissi niente.

-Sto per ripetere la stessa domanda, Come stai?-

Silenzio. Avrei potuto benissimo spiegare la mia situazione e avremmo risparmiato quel tempo, ma non lo feci.

Non lo feci, perché per la prima volta, qualcuno mi ha chiesto come io stessi. Credo che se non fosse stata lei a farlo, non le avrei dato quella importanza.

Poi, per la prima volta, si insinuò in me il dubbio. Qualcosa che feci fatica a riconoscere, ma che capii più o meno subito.

In quel momento, quella ragazza sconosciuta, mi fece provare il dubbio.

Perché?

Perché aveva qualcosa di diverso, qualcosa che scoprii troppo tardi.

 

-Senti, non ti sto chiedendo di disinnescare una bomba, anche se capisco che per te quello sarebbe stato più facile, ma ti sto chiedendo come ti senti. Più continui a stare zitta, più io continuerò a chiedertelo, quindi parla-

-Non so rispondere alla domanda- E non lo dissi con il mio solito tono impassibile, ma lo dissi con una voce molto flebile,una voce che non pensavo mi appartenesse.

-Perché proprio il tramonto?- Il giorno prima le accennai che la sera rimanevo a guardarlo, ma non mi aveva chiesto il motivo per cui lo facessi.

-Non lo so- Forse lo sapevo ma non volevo dirglielo o forse non avrei davvero saputo dare una risposta, o ancora, pensavo che non mi avrebbe capita. Non ricordo esattamente cosa mi spinse a rispondere così, ma quello che mi disse dopo lo ricordai bene.

-Sai, credo che tu lo sappia, nel profondo, ma non vuoi dirlo, non a me però, perché io per te non sono nessuno, quanto piuttosto a te stessa. Anche io non riuscirei ad accettare il motivo che ti spinge a guardare il tramonto tutti i giorni, se questo è molto triste-

-Non è un motivo triste- E si, lo dissi con un tono diverso, abbassai il volto nel farlo e lo dissi ad un volume leggermente più alto.

-Credo, invece, che sia un motivo triste e tu non lo vuoi accettare- Cerava di provocarmi, ma me ne accorsi in tempo. Forse però, se fossi stata più stupida, adesso non lo starei raccontando. Se non avessi capito subito le sue intenzioni, probabilmente sarei stata alle provocazioni e sarebbe stato tutto più facile.

Quindi risposi solo: - Non può essere un motivo triste. Per quanto abbia cercato di comprendere tale emozione, che nei libri viene descritta come una delle più forti fra tutte, non l'ho mai provata-

Rimase zitta. Aveva capito che avevo capito a mia volta quello che stava cercando di fare, però, come ho detto prima, in me si era insinuato, per la prima volta, il dubbio.

-Hai capito che non provo emozioni. Hai capito che ci potrebbe essere un modo per farmele provare e mi hai promesso che avresti provato a farlo. Ebbene, hai mantenuto la promessa. Se i miei studi al riguardo non sono sbagliati, quello che sento ora, per quanto minimo e quasi trasparente, è dubbio.

Infatti mi chiedo: Cosa ti ha spinta a volermi far provare delle emozioni?-

 




 

Okay. Ecco il secondo capitolo. Stranamente, è arrivato molto presto, e sono felice di questo.

Come avrete capito, Aurora sta raccontando la storia in un futuro abbastanza remoto. Non dico altro perché rischio di fare spoiler e so per certo che non è una bella cosa.

Spero che questa storia vi piaccia e sarebbe bello trovare una vostra recensione.

Non ho altro da aggiungere quindi vi saluto.

 

-Neste!

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Capitolo 4
*** Nasconditi. ***


3.Nasconditi.

 

quando le chiesi il motivo per il quale cercasse di aiutarmi, lei chiuse gli occhi e fece un espressione che soltanto ora, posso comprendere. Era triste.

Lei mi parlava ma quella tristezza non traspariva. O almeno, non fino a quando le feci quella domanda.

Devo ammettere che riusciva a mentire riguardo le proprie emozioni in modo impeccabile. Per quanto questo, adesso, possa farmi provare un immenso senso di colpa, non posso certo negare che le sue doti recitative, in quel campo, erano ottime.

Ancora non ero a conoscenza di alcuna informazione che la riguardasse e se avessi saputo prima, se fossi stata “normale” così da poter capire cosa stesse provando, forse ora non sarei profondamente pentita.

 

Restammo in silenzio per qualche minuto, fino a che non si decise a dire qualcosa.

-Non voglio parlare della motivazione che mi ha spinto a voler stare al tuo fianco, non ancora-

-Perché?- Una domanda fatta senza neanche pensare, come solo un bambino saprebbe fare.

-Perché non sei l'unica ad essere triste-

-Non sono triste.- Pensavo che avesse capito. Non potevo provare alcuna emozione, però continuava ad ostinarsi su quel particolare senza prove che potessero tenerlo in piedi. Questo è quello che mi dicevo, questo è quello che mi dissi per molto tempo, adesso so che aveva ragione, in fondo.

-Okay, non sei triste, ed io lo sono stata. Discorso chiuso.- Ed ecco la rabbia. Si sentiva chiaramente che non era a suo agio in quella situazione. Si sarebbe dovuta aspettare che le domandassi certe cose, che il discorso sarebbe ricaduto su quello, però venne comunque all'appuntamento.

Passammo il temo restante, compresa l'intera durata del tramonto e molti minuti a seguire, in silenzio. Lei era arrabbiata, ed era triste, e io non capivo cosa stesse succedendo.

Lei era ancora in silenzio.

-Pensavi che non sarei venuta?- Le dissi. Quella frase, che prima mise al posto di un normale saluto, mi restò impressa tutto il tempo. Pensava che non sarei andata all'appuntamento e si è stupita vedendomi.

-Cosa?- Probabilmente non si ricordava neanche più di quella semplice frase detta di sfuggita, così le dissi: -Prima, mi hai detto che non pensavi sarei venuta qui, oggi. Perché hai pensato questo?-

-Credevo che avresti preferito restare a casa a guardare il tramonto, invece di venire qui ed incontrarmi-

-Non avrebbe fatto differenza il luogo in cui avrei visto il tramonto, ovunque sia, con chiunque sia, non fa mai differenza- Tuttora non sono sicura di quello che successe in quel momento, ma credo di aver detto quelle parole, con un tono lievemente disperato, come se stessi implicitamente chiedendo aiuto.

Perché non mi importava di niente? Perché l'unica cosa che mi tenesse ancorata alla realtà era la semplice rotazione del pianeta ad un certo orario della sera? Perché ero così?

Tutte domande che mi sono posta molte volte nell'ultimo periodo e, per fortuna, sono riuscita a rispondere a tutte queste.

 

Quella sera ci lasciammo così, non un'altra parola o un saluto, niente.

Tornai a casa. Sara mi stava aspettando.

-Sei tornata! Come è andata? Avete parlato? Com'è stato?- Molte domande ad una velocità altissima. Si vede che mi vuole bene, me ne ha sempre voluto. In quel momento era così eccitata perché sperava che Livia avesse smosso qualcosa in me. L'ha fatto, in realtà. Ho sentito il dubbio, ho cercato di difendermi dicendo di non provare tristezza, le ho chiesto aiuto, dicendole che niente mi importava, e tutto questo, in meno di tre ore.

Non dissi tutte queste cose a Sara. Ero stanca. Mi sarei potuta risparmiare molto tempo che altrimenti avrei impiegato rispondendo ad inutili domande, così le dissi che non successe niente, anche se quello era, in realtà, l'inizio di tutto.

 

Andai a dormire e, stranamente, mi addormentai subito. L'insonnia mi ha sempre impedito di andare a dormire ad un orario decente, ma quella volta, caddi in un sonno profondo. Purtroppo però, quello che sognai fu devastante.

 

 

 

 

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