Scary City

di Crissy_Chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dimenticare fa male. ***
Capitolo 2: *** Le iridi bianche fanno paura. ***
Capitolo 3: *** I cerchi da evocazione non si tracciano mai da soli. ***
Capitolo 4: *** Al lupo! ***
Capitolo 5: *** La pecora nera della famiglia. ***
Capitolo 6: *** I lupi mannari si cacciano facilmente. ***
Capitolo 7: *** Come dieci anni fa. ***
Capitolo 8: *** Incubi e tradimenti. ***
Capitolo 9: *** Se sai maneggiare una spada, sei un ottimo cacciatore. ***
Capitolo 10: *** Davvero i tritoni vivono a Brighton? ***



Capitolo 1
*** Dimenticare fa male. ***






1
 




«Non ci posso credere... ti sei addormentato di nuovo per terra, razza di figlio degenere!» una donna stava in piedi davanti a lui, con le mani sui fianchi e le sopracciglia nere aggrottate.

Ma che ...?” Non aprì subito gli occhi. Dovette aspettare una manciata di secondi per capire quello che stava succedendo o, più che altro, rendersi conto del punto esatto in cui si trovava sulla faccia della Terra.

Schiuse gli occhi, ma un raggio di sole, troppo forte per i suoi gusti, glieli serrò. Sbatté le palpebre più volte, abituandosi alla luce e realizzò di trovarsi in camera sua. Notò delle ciabatte rosso scuro a pochi centimetri dal viso e diresse lentamente lo sguardo verso l’alto, incrociando due occhi verdi e furibondi che lo guardavano in cagnesco. «Mamma...» borbottò. Aprì bocca per dire altro, ma la stanchezza prevalse e la richiuse.

La donna alzò un sopracciglio. I secondi, o forse addirittura minuti, passarono silenziosi. Impaziente e con i pugni stretti sui fianchi, cominciò a battere ritmicamente un piede contro il pavimento in parquet. «Se continui a spingere il viso a fare quelle pieghe innaturali, ti verranno tante rughe» la incalzò il ragazzo, mentre tentava di issarsi su a sedere. Lei lo guardò storto, offesa, ed incrociò le braccia restando immobile.

Deve aver dormito di nuovo sul pavimento, come da piccolo. Un braccio addormentato gli impediva di sostenersi e, per non cadere, fece affidamento ai piedi del letto, appoggiandovi la schiena. Sentì freddo e si rese conto di essersi appisolato senza coperta, ancora. Intorno a lui giacevano mucchi di vestiti accatastati e oggetti alla rinfusa. Se non fosse stato per il disordine, il parquet in legno scuro ne sarebbe stato altamente felice.

La madre emise un sonoro sospiro e chiuse gli occhi con fare di rassegnazione. Gli occhi blu scuro del ragazzo ricaddero sui capelli neri e lucenti della madre, si spostarono sul suo viso, molto curato, dalla pelle candida. L’avrebbero potuta quasi scambiare per uno di quei vampiri di Twilight se non avesse avuto quelle guance rosse, che davano vitalità.

«La colazione è pronta, datti una mossa» il suo tono era apparentemente freddo e distaccato ma, chiunque la conoscesse, sapeva che dietro si nascondeva un certo affetto e calore materno.

Il ragazzo fece una smorfia e si distese sul pavimento supino, sbuffando.

«Come desideri» la donna lasciò la stanza, chiudendosi dolcemente la porta alle spalle.

Dorian sbadigliò. Si strofinò gli occhi per una manciata di secondi e si alzò in piedi, cercando di riprendere l’equilibrio. Dato il dolore alla zona lombare, dedusse che quella notte aveva dormito davvero poco e male, molto male. Fece una smorfia ripensandoci.

La sua stanza era molto semplice, un letto abbastanza grande per due persone, anche se ci dormiva soltanto lui, un armadio in acero di fronte al letto, una tavolo in stile vittoriano che usava come scrivania e che sua madre aveva ripescato in uno strano negozio di antiquariato, una sedia girevole e i poster dei Muse. Alle finestre erano state messe delle tende semitrasparenti color carminio, che rimaveano immobili.

Una musichetta appena percettibile cominciò ad invadere la stanza. Dorian inarcò un sopracciglio, cercando di capirne la provenienza. La versione strumentale di The Real Slim Shady si fece sempre più intensa. “Il cellulare” pensò tranquillo. “Il cellulare!” si agitò e, realizzando la situazione, si lanciò in ginocchio per terra. Camminò a carponi fino alla pila di vestiti e vi rovistò poco garbatamente, gettandosi indietro gli indumenti che capitavano a tiro. Circa a metà del mucchio, prese un paio di jeans sbiaditi e ripescò il cellulare dalla tasca posteriore. Lo mise all’orecchio e premette un bottone a caso, sperando con tutto il cuore che fosse quello che avrebbe avviato la chiamata.

«Sì?» non controllò il numero.

«Finalmente» rispose una voce femminile e Dorian si rilassò, era il pulsante giusto. Si sentivano ruggiti e rumori strani in lontananza. Aggrottò la fronte.

«Idiota!» sbraitò la ragazza dall’altro capo del telefono. Sparo.

Ma che... ” Dorian sgranò gli occhi sorpreso. «Eve!» la chiamò, la calma stava svanendo lentamente.

«Ti sei dimenticato di oggi!» lo sgridò. Un altro sparo.

«Dimenticato cos...» fece una pausa, come se fosse arrivata l'illuminazione divina anche per lui e mimò un “Oh no” con le labbra. «Sto arrivando!» col telefono ancora all’orecchio, si alzò di scatto, rischiando di scivolare. Andò verso l’armadio e ne aprì un'anta: era vuoto, se non per qualche calzino appeso a caso. Schioccò la lingua e si diresse verso il mucchio di vestiti, recuperando una maglietta a caso e i jeans sbiaditi di prima. Li buttò sul letto, si tolse la maglia del pigiama e la scaraventò a terra, infilandosi la t-shirt nera con la stampa dei Guns N’ Roses e liberandosi dei pantaloni del pigiama.

«Fai presto, essere!» Eve chiuse la chiamata e Dorian corse velocemente giù per le scale, cercando di infilarsi i jeans e rischiando di cadere in avanti più volte. “Merda!” all’ultimo gradino si era visto la fronte impalata contro l’attaccapanni del corridoio.

Con passo felpato, arrivò in cucina. Sul tavolo rotondo di legno al centro della stanza c’era una tovaglia bianca di pizzo e in mezzo, sopra un centrino blu scuro, c'era il cesto con i croissants appena sfornati dalla madre di Dorian. La sorella, capelli castani corti fino alle spalle, sopracciglia nere alte e grandi occhi ambrati, scrutava curiosa il fratello. Indossava una camicetta rossa larga sbottonata sul petto e, mantenendo lo sguardo su Dorian, affondò i denti in un croissant.

Il ragazzo si guardò intorno alla ricerca di qualcosa da mangiare al volo e quando adocchiò la cesta di pandolce, sorrise sghembo. La madre gli dava la schiena, intenta a versare del latte in un bicchiere sul pianerottolo della cucina, vicino ai fornelli. Diversamente da prima, aveva i capelli corvini legati in uno chignon disordinato e tenuto su da un bastoncino bianco. Prima che lei potesse fermarlo o dirgli qualcosa, il ragazzo corse verso l’ingresso. «Oggi è sabato! Non rimani a fare colazione?» domandò a voce alta, in modo da farsi sentire.

La risposta che ottenne fu lo sbattere della porta. Sospirò, andando verso il tavolo con il bicchiere. “Adolescenti” pensò tra sé e sé. La sorella emise un risolino simile allo squittio di un roditore e finì di mangiare il pandolce.

Dorian uscì dalla porta verde scuro di casa, scese i gradini davanti e sé e girò automaticamente alla sua sinistra. Attraversò una piccola porzione di giardino e si diresse verso il portone avorio del garage. Per fortuna era già aperto ed evitò, quindi, di rientrare in casa per prendere le chiavi e dare spiegazioni alla madre.

Entrò, scansando agilmente alcuni oggetti di falegnameria che suo padre aveva agganciato al soffitto e raggiungendo la parete in fondo, su cui era adagiata la sua mountain bike blu che, con uno scatto, staccò dal muro, montandoci sopra.

Come caspita ho potuto dimenticarmene?” si rimproverò da solo, imprecando più volte. Uscì dal garage pedalando e attraversò la sua via. Quasi tutte le case erano di mattoni stile inglese, con ampie finestre al piano terra. Dorian pedalava furiosamente veloce e aveva attraversato tre isolati. Deviò direzione con impeto e si inoltrò in un sentiero di terra battuta. Il vento non era forte, ma dava una sensazione di freddo sulla pelle umida di sudore per lo sforzo.

Il cielo era sereno, con alcune nuvole candide e il sole gli picchiava contro. Quando l’aria smetteva di soffiare ne sentiva il caldo e si maledisse per aver dimenticato gli occhiali da sole. Percorse un sentiero molto lungo, ai cui lati c’era del terreno riservato alla semina su cui giacevano delle balle di fieno immobili. A un certo punto si aprì un bivio: uno portava verso campi incolti e colline, l’altro verso un bosco molto fitto.

Si fermò e gli venne un brivido. Il bosco in questione era quello che si trovava nel cuore della città, ed era noto per le sue attività paranormali. L’articolo della settimana scorsa sul giornale locale citava uno dei tanti casi: una bambina, secondo due testimoni oculari, stava tranquillamente giocando con la palla facendola rimbalzare davanti a sé, quando, improvvisamente, il giocattolo deviò la traiettoria, rimbalzando da solo verso il bosco come se fosse stato attirato da un magnere. La bambina, pensando fosse stato il vento, la rincorse entrando nella selva, senza però uscirne. I genitori erano tutt'ora disperati.

Mia sorella conosceva quella bambina, gli aveva fatto da baby-sitter” gli si accapponò la pelle al pensiero. Deglutì e mise un piede sul pedale destro, alzato rispetto all’altro. Sospirò e premette il piede facendo partire la bici, scomparendo nella fitta boscaglia.



 

Salve salvino! Eccomi qui con una nuova storia.
Ringrazio voi reduci di questo capitolo! Grazie per essere arrivati fino a qui!!! Colgo l'occasione per dire che ho iniziato a scrivere questo racconto qualche anno fa, ma mai contenta del risultato, ho lasciato perdere. L'ho ripreso in mano di recente e ho cercato, ripeto, ho cercato, di affinare la mia tecnica di scrittura e renderlo più leggibile, si spera ahahah ;)

Mi presento per quelli che non mi conoscono, sono Cristina e ho una fantasia infinita. Ho parecchie idee e una tastiera del computer che prima o poi prenderò fuoco dalla velocità con cui scrivo.
Ma a parte i dettagli. Per favore recensite! Le vostre critiche mi aiutano a formarmi e a crescere, sono importantissime per me!
Datemi i vostri pareriii *voce da fantasma*. Plizzz...
Al prossimo capitolo :)

Cri

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Capitolo 2
*** Le iridi bianche fanno paura. ***





 

2





Gli alberi attorno al sentiero erano prevalentemente querce, molto alte. La luce filtrava tra le foglie e ogni tanto un usignolo volava da un ramo all’altro. Dorian proseguì per un po’, inoltrandosi sempre più in fondo. Pedalando, la vegetazione si faceva più fitta e socchiuse gli occhi cercando di vedere dove stesse andando.

All'improvviso Dorian spuntò fuori da un cespuglio e venne colpito da una luce molto forte. Frenò di colpo e mise il piede a terra. Ci vollero un paio di secondi per riprendere la vista e rendersi conto di trovarsi al centro della selva. Lo spazio aperto era circondato dalle querce, disposte simmetricamente in ordine. Il corvino alzò lo sguardo e intravide il cielo azzurro e il sole che picchiava forte. Sembrava quasi la visione di un oculo.

Scese dalla bici lasciandola a terra. Guardò avanti e proseguì verso una vecchia casa disabitata che si ergeva in mezzo allo spazio. L’abitazione era molto rovinata, l’intonaco grigio era per metà caduto e mancavano varie ante alle finestre. Si fermò davanti ai gradini che portavano a una grande porta di legno scuro, quella d’ingresso.

La guardò a lungo: era stranamente intatta e quasi nuova e divisa in quattro compartimenti, in ciascuno dei quali era intagliato nel legno uno stemma che non aveva mai visto prima di allora.

Curioso” pensò.

Stava per mettere piede sul primo gradino, quando il silenzio venne squartato da un grido di terrore disumano. Dorian impietrì e spalancò gli occhi. Ebbe un nodo allo stomaco e buttò fuori l’aria, mettendosi poi a correre sui gradini. Spinse più e più volte la porta, ma non si apriva. Caricò e vi si lanciò contro di spalla, mettendoci tutta la forza che aveva in corpo.

La porta si aprì verso l’interno e Dorian perse quasi l'equilibrio. Uno sgradevole odore di morte gli impregnò le narici, facendogli venire il voltastomaco. Non aveva mai sentito un odore tanto rancido. Tossì e dovette bloccare i conati di vomito che minacciavano di far uscire fuori la sua colazione.

Si fece coraggio proseguendo nell’atrio della casa, ma inciampò contro qualcosa, cadendo rovinosamente col viso a terra e gemendo di dolore.

Si portò la mano sul naso dolente ed aprì gli occhi, ritrovandosene contro altri due eccessivamente spalancati, dalle iridi bianche. Gli si mozzò il fiato per la macabra sorpresa ma, vedendoli fermi, riuscì a tranquilizzarsi.

Fece perno sugli avambracci per tirarsi su, portando le ginocchia al petto. Vicino a lui giaceva una donna, i cui pochi capelli che le rimanevano in testa erano di un grigio sbiadito. La bocca spalancata mostrava le due arcate dentali: alcuni denti mancavano e quelli rimasti erano ingialliti ed ammaccati. I vestiti che portava, gonna e maglione, erano strappati e sporchi di terra mista a sangue.

Distolse inorridito lo sguardo dal cadavere e chiuse gli occhi. Scosse la testa cercando di togliersi dalla mente l’immagine appena vista e si incamminò con passo incerto attraverso la hall. Oltre al corpo di prima, più avanti, ce n’erano altri tre uno sopra l’altro e alla vista di questi si tappò il naso d’istinto.

Cominciò a correre veloce. Il pavimento del corridoio che stava attraversando era coperto da un tappeto di raso rosso e circa una ventina di dipinti erano attaccati alle pareti, disposti parallelamente uno di fronte all’altro. Ritraevano persone serie tra cui uomini, donne e bambini. Era molto strano che i quadri fossero puliti e i muri grondassero di sangue e interiora. Dorian bloccò un'altro conato di vomito.

Appena uscito dalla hall entrò in un’ampia camerata. Era illuminata da un candelabro a tre bracci posto in mezzo alla stanza e attorno, sul parquet di legno, era stato disegnato un enorme cerchio rosso, all’interno del quale le linee rette tracciate formavano una stella a cinque punte. Sulla circonferenza del cerchio c'erano varie scritte, forse ideogrammi di una lingua antica, che il corvino non conosceva.

Aggrottò la fronte. «Un’evocazione... » la voce gli morì in gola ed il battito cardiaco accelerò per la paura.

Stella a cinque punte inscritta a un cerchio… era il simbolo di Satana. Cercò di non pestare i segni rossi sul parquet e salì le scale dietro il candelabro. Cominciarono a sentirsi spari a raffica.

Dorian fu percorso da un brivido lungo la spina dorsale ed affrettò il passo, anche se una parte di lui voleva assolutamente tornare a casa a mangiare un cornetto, nonostante la voglia di vomitare.

Corse, ma sembrava che gli scalini non finissero più. Salì l’ultimo gradino e guardò verso il basso: il pavimento luccicava per via di un strano liquido che lo ricopriva. Il ragazzo osservò meglio e notò che c’era un lago di sangue.

«Oh, ma che ca-».

Non finì la frase e fece un passo indietro, cercando di non affondare le scarpe da ginnastica nel rosso.

L’odore di morte si stava facendo ancora più intenso e cominciava a non sopportarlo più. Portò un braccio sul naso e sulla bocca e voltò la testa da tutte le parti, in cerca di una parte di parquet ancora pulita. Niente da fare.

Sospirò, camminando con cautela e cercando di non sporcarsi ulteriormente o scivolare. La pozza conduceva davanti a una porta di legno scuro trasandata, lasciata semiaperta.

Giunto davanti all’uscio, come per magia, le urla e gli spari cessarono. Dopo un po' il silenzio si fece assordante. Deglutendo rumorosamente, spinse con cautela la porta, che emise un scricchiolio sinistro.

In mezzo alla stanza c’era una ragazza, magra e dalla pelle troppo bianca. I lunghi capelli rossi sfavillanti le ricadevano lisci sulla schiena. Indossava una canotta, dei jeans e delle scarpe da tennis neri. Respirava a fatica e Dorian notò che era ricoperta dalla testa ai piedi di piccole chiazze di sangue e i vestiti erano leggermente strappati.

Guardò ai piedi della rossa notando la moltitudine di corpi deturpati e accatastati uno sopra l’altro. La ragazza si voltò di scatto verso di lui, restando immobile. I suoi grandi occhi gialli avevano una pupilla spaventosamente allungata, simile a quella di un gatto.

Inarcò un sopracciglio, roteando sull’indice il grilletto della pistola nera che aveva con sé.

«Sei in ritardo» la sua voce era spaventosamente tranquilla e bassa, ma piacevole da sentire. «Oh, ti prego, non vomitare» fece una smorfia, vedendo il viso pallido di Dorian.

Il corvino rimase a bocca aperta, senza dire una parola. Lei chiuse gli occhi per una manciata di secondi e, riaprendoli, si tinsero di nocciola, facendo ritornare la pupilla normalmente rotonda. Lui la guardò attentamente, affascinato.

«M-Mi dispiace, Evelyn» bofonchiò. Non si sarebbe mai abituato alla sua trasformazione.

«Hai una guancia che sanguina» gli disse tranquillamente, piegando la testa da un lato. Abbassò l’avambraccio e strinse la pistola nel palmo.

Dorian sgranò gli occhi e si portò istintivamente una mano sulla gota. Sentì qualcosa di umido ed abbassò il braccio, guardando velocemente il palmo.

Sangue.

Chiuse gli occhi, cercando di resistere all’impulso di tossire per il ribrezzo. Cavolo, quella mattina aveva provato così tante emozioni che credeva di non riuscire più ad arrivare a fine giornata tutto intero o psicologicamente sano.

Sussultò. Mentre teneva gli occhi chiusi, la rossa gli si era avvicinata silenziosamente come un gatto. Aprì gli occhi blu e incontrò quelli nocciola di Evelyn.

«Non sei ferito, sarà il sangue di una di queste fecce» indicò i corpi inermi intorno a lei e sorrise compiaciuta, dandogli le spalle e tornando in mezzo alla stanza.

 


Salve popolo! Eccomi qui con un nuovo capitolo :)
Ho introdotto la nostra Evelyn, la seconda protagonista. Interessanti i suoi occhi, eh? ;)
Spero vi sia piaciuto e vi ringrazio di essere arrivati fino a qui! Recensite, per favore!!!
Alla prossima :)

Cri

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Capitolo 3
*** I cerchi da evocazione non si tracciano mai da soli. ***






3





«Saranno qui a momenti, dobbiamo cercare di ripulire tutto il macello che abbiamo fatto» si stiracchiò portando le braccia in alto.

Dorian cacciò le mani nella tasca dei jeans e si guardò intorno. «Che tu hai fatto» puntualizzò, dirigendosi verso il centro della stanza, evitando corpi o arti.

La rossa si limitò a guardarlo male aggrottando la fronte, poi si avvicinò a una delle tante finestre della camera. Quando la aprì, una ventata di aria pura invase la stanza e l’odore putrido e metallico di morte cominciò a dissolversi.
A Dorian sembrò di respirare per la prima volta ossigeno fresco.

Analizzò attentamente i corpi ammassati sul pavimento, che era effettivamente un macello.

“Venti? No... trenta, quaranta? Cristo...”.

«Cinquantadue» disse seccamente la rossa.

Dorian si voltò verso la ragazza. «C-Come?».

«I demoni zombie che ho ucciso. Cinquantadue» ripeté.

Il corvino si limitò ad annuire con la testa. Poi si bloccò e la guardò a bocca aperta. Aveva capito i suoi pensieri?

Eve si girò verso di lui, lo sguardo indecifrabile. «È qui» disse, fissando poi la porta alle spalle del ragazzo.

«Chi?».

La rossa osservò la pistola e fece una smorfia. Era scarica

«Finito!».

Una voce allegra maschile fece sussultare Dorian. Il corvino si voltò di scatto e vide un ragazzo sorridente, poco più basso di lui e dai capelli biondo sabbia, stare in piedi sulla soglia della porta.

«Jo» salutò freddamente Evelyn, controllando la sua pistola, nel caso avesse ricevuto ammaccature o graffi. Era una vecchia Smith&Wesson degli anni settanta, grigia luccicante. Le guancette avevano rappresentati, in rilievo, tre serpenti intenti ad intrecciare un pugnale, su sfondo rosso.

Dorian guardò confuso il ragazzo, poi Evelyn e poi nuovamente il ragazzo. Il biondo stava ancora sorridendo, aveva gli occhi azzurri e i capelli lunghi tirati indietro da una fascetta nera.

«Ehilà!» fece un cenno con la mano.

Evelyn lo fissò, sospirando. «Ti sembra di aver finito tutto?» indicò i corpi nella stanza.

Il biondo diventò serio per una frazione di secondo e dal pavimento in legno scomparvero tutti i corpi.

“Ma quando...?” Dorian si guardò intorno, sconcertato e Jo si sfregò le mani, calde e rosse.

«Come hai fatto?» mormorò il corvino, guardando il biondo con occhi sgranati.

«Magia, nulla di speciale» sorrise. «Me l’ha insegnata Evelyn» si girò verso di lei.

La rossa arricciò il naso infastidita. Odiava quando qualcuno si rivolgeva a lei col suo nome intero.

Si avviò verso la porta ed invitò gli altri due ad uscire dalla stanza. «Qui abbiamo finito, resta da fare il raduno».

Dorian se lo chiedeva da sempre. Come ci era finito in questa situazione? Non poteva avere una vita normale come tutti gli altri ragazzi della sua età?

Doveva sorbirsi il nauseabondo odore di demoni morti, una ragazza dai capelli rossi scorbutica senza una minima espressione facciale e un ragazzo che sembrava si fosse inserito del cemento a presa rapida sotto la pelle aspettando sorridendo mentre questo si asciugava?  

Ah già, era il suo destino. Così aveva detto Eve. Però un attimo. Come aveva fatto a convincerlo a subire questa sottospecie di suicidio psicologico?

Aggrottò la fronte.

«A cosa stai pensando, Dorian?» l’innocente domanda di Evelyn lo distolse dai suoi pensieri.

«A niente... sto solo ripensando a quella volta in cui mi hai trascinato sulla cattiva strada» commentò ironico.

Eve colse al volo la battuta, poi mimò un “oh” con le labbra e ghignò. «Non ero consapevole di aver compiuto un’azione così cattiva» scherzò, accennando un mezzo sorriso.

Era la prima volta che la vedeva incurvare le labbra all’insù. La fissò per qualche secondo. Era...stranamente attraente. Scosse la testa e assunse un’aria seria, aprendo bocca per ribattere.

«Dovevo» lo precedette, grave in volto.

Il corvino alzò gli occhi al cielo e sbuffò. Rispondeva così ogni volta, non dava mai spiegazioni.

Jo era sceso intanto al piano di sotto, il cerchio con la stella satanica non era ancora scomparso. «Cavolo» il biondo si inginocchiò per guardare meglio il disegno e fece un sonoro fischio di ammirazione.

Dorian ed Evelyn scesero velocemente le scale, raggiungendolo. Si misero uno a destra e l’altro a sinistra del ragazzo.

Il corvino deglutì, l’unica fonte di luce nella stanza era il candelabro al centro.

«Un vero professionista» commentò Jo sorridendo, iniziando a scorrere le dita sul liquido rosso con cui era stato tracciato. Dorian aveva alcuni sospetti su che cosa avesse potuto essere.

«Perché pensi sia stato un professionista?» chiese. Spostò gli occhi dal cerchio su Jo. Sembrava quasi contento che qualcuno gli avesse posto quella domanda. Evelyn sbuffò stancamente e incrociò le braccia al petto.

«Osserva bene i bordi, non ci sono sbavature» indicò il bordo interno e poi esterno del cerchio, perfettamente rotondo. «Poi guarda la stella, i lati sono tutti uguali e incredibilmente dritti».

Il corvino alzò le sopracciglia, non l’aveva notato. Ridusse gli occhi a una fessura e mise a fuoco le scritte all’esterno del cerchio, ma non ne capì il significato. «Eve, sei stata tu?» chiese ancora accigliato, guardando il simbolo.

«Uhm?» si girò verso di lui.

«Sei stata tu a disegnarlo?».

«No».

«Non sei stata tu?» intervenne Jo serio. Si alzò in piedi e guardò Eve.

La rossa inarcò un sopracciglio. «No» rispose nuovamente.

«Non sei stata tu?» prese Eve per le spalle e la scosse leggermente.

«Ti ho appena detto di no, testa di cavolo!» sbottò, scrollandosi di dosso il mago.

Dorian guardava la scena in silenzio. Perché Jo si era scaldato tanto?

«P-Pensavo l’avessi fatto tu!» si giustificò la rossa. «Credevo ti stessi lodando da solo quando hai detto “un vero professionista”!».

Jo rimase senza parole, a bocca aperta anche lui.

«Un momento, se non è stato nessuno dei due» Dorian esitò un attimo prima di continuare. «Allora, chi è l'artefice?» deglutì rumorosamente.

Prevalse il silenzio. I tre ragazzi si guardarono a vicenda negli occhi.
Non erano soli, a quanto pare.

La porta d’ingresso si chiuse di scatto, con un colpo secco e fece sussultare tutti e tre.

«Hey, questa cosa non mi piace» Dorian indietreggiò.

La temperatura della stanza si abbassò in un baleno e il pavimento cominciò a ghiacciare. Sembrava quasi la scena dei Dissennatori che fanno visita per la prima volta a Harry Potter, sul treno per Hogwarts.

«La pista di pattinaggio no!» si lamentò Jo, cercando di non scivolare.

«Ti sembra il momento?» lo rimproverò la rossa.

Le fiammelle del candelabro si consumarono e il cerchio emise una luce pulsante e verdastra.

«Questa cosa non mi piace» ripeté.

Il corvino cominciò a sudare freddo, il suo battito cardiaco stava accelerando, e gli stava quasi scoppiando il cuore in petto.

Anche Jo ed Evelyn si allontanarono dal simbolo. Le scritte intorno ad esso si alzarono di qualche centimetro dal pavimento.

“Ma che...”.

Cominciarono a roteare in aria sempre più veloce, formando un grosso vortice d’aria e producendo un rumore insopportabile.

«Non ho ordinato io il ventilatore!» urlò Jo, aggrappandosi al corrimano delle scale per non essere scaraventato via, il vento era molto violento.

«Stai zitto!» gridò la rossa, intenta a tenere fermi i capelli che le invadendo il viso.

Dorian guardò il vortice con gli occhi sgranati, mai visto niente del genere. Scivolò all’indietro finendo contro qualcosa di solido, su cui sbatté la testa. Si portò una mano sulla nuca dolorante, girandosi di scatto ed osservò l’oggetto alle sue spalle, un vecchio comodino ottocentesco. Ci si aggrappò in qualche modo e chiuse gli occhi, pregando che tutto finisse al più presto.

Il mulinello nella stanza si fece sempre più ampio e intenso. Dorian cercò di opporre resistenza reggendosi con più forza al mobile, ma il vento fu così violento che alzò tutti e tre in aria schiacciandoli contro il soffitto. Il corvino sfiorò appena il candelabro di cristallo. Il colpo gli fece male alla schiena e strinse i denti per il dolore.

«Ferma quella cazzo di cosa laggiù, Jo!» sibilò Evelyn in preda al dolore. Questa aveva malamente sbattuto la spalla.

«Ci sto provando!» si agitò il biondo.

«Mi sento male...» disse con un fil di voce Dorian.

«Tieni a bada lo stomaco, Evans!» gli urlò Evelyn.

La tromba d’aria cessò bruscamente e i tre caddero rovinosamente contro il pavimento. Eve sbatté nuovamente la spalla ferita e i due ragazzi atterrarono di faccia.

Rimasero fermi per una manciata di minuti in silenzio, gemendo.

ll biondo si tirò su a sedere. «Dopo questa...» incrociò le gambe e si portò una mano sulla fronte «...voglio un aumento da parte del Consiglio, come minimo» fece una smorfia di dolore, gli faceva male ogni fibra del corpo.

«Chiudi il becco...» mormorò Evelyn, stesa a pancia in giù, incapace di muoversi.

«Sempre gentile e premurosa» la incalzò Jo.

Dorian si girò lentamente a pancia in su e girò la testa dalla parte della ragazza. Per sua sorpresa lo stava fissando.

«In forma?» scherzò lui.

La rossa schioccò pigramente la lingua. «Fottiti»

Il corvino le sorrise.

«Ho scoperto la natura del mulinello d’aria!» urlò Jo, ormai lontano da loro due.

Dorian alzò leggermente la testa guardandosi intorno, ma il mago era sparito. «Dove sei?» chiese a voce alta. La rossa si issò a sedere, cercando di non lamentarsi per le fitte alla spalla.

«All’ingresso!».

«Dove diavolo la trova tutta quell’energia?» si lamentò il corvino, alzandosi in piedi. Guardò Evelyn e le porse una mano. Lei la afferrò saldamente e si alzò da terra

«È fredda» osservò Dorian, alludendo alla mano pallida della rossa.

«Non farci caso» commentò lei con tono freddo e distaccato.

Il ragazzo sospirò divertito e si incamminarono verso la porta d’ingresso, raggiungendo Jo.



 


Hello!
La mia mente ha appena finito di sfornare il capitolo alle 23.54 di questo giorno ;)
Spero vi sia piaciuto! Grazie di essere arrivato fino a questo punto, davvero!!
Ho introdotto il nostro mago Jo, il vero nome non si conosce, ma io lo svelerò nei prossimi capitoli, giustamente ;)
Alla prossima, gente! Recensite, recensite e recensite!! Fatemi sapere la vostra per favore!!

Cri

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Capitolo 4
*** Al lupo! ***






4




 

«Senti, damerino, non mi pagano abbastanza per assumere una donna delle pulizie, quindi vedi di far sparire quel maledetto cerchio» bofonchiò Evelyn, raggiungendo Jo.

Dorian era rimasto leggermente indietro. «Allora, chi è stato?» domandò, fermandosi sulla soglia accanto alla rossa.

Il biondo era seduto sugli scalini dell’ingresso e indicò un corpo, disteso supino a pochi metri da loro. «Lui».

Era un uomo, sulla quarantina. Indossava una lunga tunica color panna in stile indiano.

«Ma…» Dorian sgranò gli occhi per la sorpresa. «Io non l’ho visto quando sono passato!»

«Lo so». Jo si alzò in piedi. «Non potevi. Ora lo vedete perché sono io che ve l’ho permesso. Aveva attivato una barriera che lo rendeva invisibile» scese i gradini e si avvicinò al corpo. «Ma io ho bloccato temporaneamente i suoi poteri».

Evelyn mise a fuoco il corpo per poterlo identificare. «Aquilus…» mormorò. «È ricercato dal Consiglio per alto tradimento».

Dorian si avvicinò, curioso. «Ѐ morto?».

«No. L’ho semplicemente stordito» Jo lo girò da un lato e fece apparire un paio di manette attorno ai suoi polsi.

«Chiamo i piani alti?» domandò Evelyn.

Il mago fece di no con la testa. Schioccò le dita e Aquilus scomparve. «Ce l’ho appena mandato io» sorrise.

La rossa alzò gli occhi al cielo e sbuffò. Odiava quei denti perfetti.

Dorian si schiarì la voce. «Allora» cominciò a dire, incrociando le braccia al petto. «Il raduno?».

Cacciava mostri e demoni da parecchi anni, ma non era mai stato convocato per un raduno. Non sapeva nemmeno come si doveva svolgere.

Evelyn si girò verso Dorian, puntando suoi grandi occhi nocciola verso di lui. «Se fossi arrivato prima, forse avremmo evitato di perdere tempo a uccidere i mostri di Aquilus».

Dorian deglutì, spendo come una candela immersa nell’acqua. «Chiedo scusa…» riuscì a dire.

Jo schioccò la lingua. «Eddai, Eve! Gli umani hanno bisogno del sonno».

«Ti assicuro che la mia metà umana non richiede più di tre ore di riposo» lo zittì.

I tre si avviarono in silenzio dentro la casa ed Evelyn chiuse la porta alle sue spalle, dirigendosi in cucina. Anche se l’aspetto esteriore dell’abitazione era malridotto, l’arredo risultava perfettamente integro e moderno.

Eve si lasciò cadere di peso su una sedia di legno attorno al tavolo rettangolare al centro della stanza e appoggiò i gomiti sulla superficie, prendendosi il viso tra le mani. Jo restò in piedi, appoggiando la schiena contro il forno e Dorian sedette di fronte alla ragazza.

«Dobbiamo aspettare Juliet e il dottor Alvarez» disse Jo.

«Loro possono permettersi di arrivare in ritardo e io no?» protestò il corvino.

La rossa alzò lo sguardo, minacciosa. «Hanno appena finito una missione, coglione».

Dorian si morse le labbra e tacque. Pessima mossa lamentarsi con il capo. Davvero pessima.

Tossì per schiarirsi la voce. «Allora… mi dite in che cosa consiste questo raduno?» incrociò le braccia sul tavolo.

«Come già sai, noi siamo pedine del Consiglio. Però allo stesso tempo siamo anche dei pezzi grossi, perché senza di noi non possono campare» pronunciò Evelyn. «Io, Jo, te, Juliet e Alvarez siamo a capo delle cinque razze principali sulla terra» si appoggiò allo schienale e mise i piedi sul tavolo. «Io rappresento le streghe, Jo i maghi, tu gli umani, Juliet le fate e Alvarez i mostri»

Dorian annuì.
Lui era stato convocato come rappresentante della sua specie a tredici anni, prendendo il posto di suo padre. Era così giovane e spaventato all’epoca. E lo era anche in quel momento, ovviamente.

«Convochiamo il raduno quando dei potenti fuggitivi, tipo Aquilus, sono in libertà. Così decidiamo come collaborare».

«Ma ora che abbiamo catturato Aquilus, direi che il consiglio è un po’ inutile…» inarcò un sopracciglio.

«Non ti hanno insegnato a stare zitto e ascoltare?» lo rimproverò la rossa. «I traditori sono otto. Noi ne abbiamo catturato uno e ne rimangono sette. Direi che il raduno è utile, eccome».

Il quel momento il parquet scricchiolò, qualcuno li stava raggiungendo. Un forte odore di pino fresco arrivò alle narici di Dorian e sulla soglia della cucina apparve una ragazza, molto bassa. Indossava un vestito blu largo con le spalline sottili, aveva i capelli lunghi e biondi come l’oro che le ricadevano a onde sulla schiena e gli occhi celesti guardavano curiosi i tre ragazzi.

Alle sue spalle c’era un uomo robusto e molto più alto della bionda. Indossava un camice bianco da dottore, portava un paio di occhiali neri da lettura e i capelli scuri a spazzola.

«Oh salve, signori, accomodatevi» sorrise calorosamente Jo.

Dorian non li aveva mai visti in vita sua, ma immaginava chi potessero essere: Juliet e Alvarez.

I due presero posto intorno al tavolo e la fata si sistemò il vestito, sorridendo a Dorian. «Credo di non aver mai incontrato di persona il rappresentante degli umani, è un onore» disse, tendendo un braccio verso di lui. «Juliet Hill» si presentò.

Strinse la mano della ragazza in maniera impacciata e sorrise di rimando. «Dorian» disse. «Dorian Evans».

«Lo so» la fata gli fece l’occhiolino.

«Dottor Gil Alvarez» il rappresentante dei mostri fece un cenno con la testa e Dorian inchinò il capo in segno di saluto.

Evelyn tolse i piedi dal tavolo e si mise comoda sulla sedia. «Ottimo, visto che avete fatto le presentazioni, possiamo iniziare» disse con il solito tono piatto e incolore. «Jo» chiamò.

Il mago posò lo sguardo su Evelyn e annuì. «Giusto» fece apparire dei fogli tra le sue mani, si avvicinò ai presenti e li posò al centro.

Dorian li analizzò con minuzia. Erano le foto dei ricercati, con una lunga didascalia sotto di esse. Notò anche quello di Aquilus.

«I fuggitivi…» mormorò Juliet.

«Esatto» annuì Eve. «Tra questi ci sono due fate, un lupo mannaro, una sirena, un mago, una strega e un umano».

Umano? Anche loro potevano essere ricercati dal Consiglio?
Quindi Dorian e suo padre non erano gli unici a conoscenza delle altre razze. C’era anche qualcun altro.

«Immagino vogliate sapere come dividere la caccia» ipotizzò Alvarez, con una leggera punta di divertimento.

«Esattamente» asserì il mago. «Ognuno si prende la propria razza?».

«Io direi di pensare più alle debolezze della specie. Si sa che i lupi mannari sono sensibili all’argento, che solo un umano può maneggiare» disse Juliet, che guardò Dorian.

Il ragazzo deglutì. Già si immaginava la scena: lui, sbranato vivo da quel mostro in un tentato corpo a corpo.

«Mentre le sirene odiano le streghe» fece Eve.

«Ho capito» pronunciò Alvarez. «Dobbiamo distribuire i fuggitivi per trarla a nostro favore».

Gli altri annuirono. «Diciamo che possiamo fare così».

Jo fece apparire un foglio bianco e una penna. Si mise a scrivere e mostrò il risultato ai presenti.

«Delle fate possiamo occuparcene io e Alvarez, l’umano e la sirena sono perfetti per Evelyn, la strega può essere tranquillamente catturata da Juliet e rimane il lupo mannaro per Dorian» finì la frase con un sorriso e distribuì i fascicoli dei fuggitivi ai corrispondenti cacciatori. «Su ogni foglio ci sono dati anagrafici, ultime apparizioni e altre informazioni sul soggetto» illustrò.

Dorian lesse il proprio pezzo di carta e lesse con attenzione: Rufus Spell, lupo mannaro, trentaseienne, ex membro del consiglio, accusato di pluriomicidio e alto tradimento.

Rabbrividì alla parola “pluriomicidio”.

Merda, doveva vedersela con un killer spietato.


 


Buondì! Eccomi con un nuovo capitolo per questa storia :)
Facciamo un piccolo riassunto dei personaggi appena introdotti:

Dorian Evans --> protagonista / membro del consiglio / umano
Evelyn Grey --> co-protagonista / membro del consiglio / strega
Jo (cognome sconosciuto) --> membro del consiglio / mago
Dottor Gil Alvarez --> membro del consiglio / rappresentante mostri (si scoprirà in seguito la razza)
Juliet Hill --> membro del consiglio / fata

Spero vi sia piaciuto! Recensite, lasciate il vostro zampino, fate quello che volete, insomma!
Alla prossima ;)

 

Cri

 

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Capitolo 5
*** La pecora nera della famiglia. ***





5




 

Eve scrutò i presenti con i suoi occhi nocciola. «Domande? Dubbi? Perplessità?» chiese.

I quattro fecero di no con la testa.

«Ottimo» sorrise forzatamente e tornò seria.

Alvarez si alzò dalla sedia e si lisciò il camice bianco. «Se abbiamo finito, io mi congedo, ho un paziente da operare tra mezz’ora» salutò con un cenno del capo e sparì.

Dorian sgranò gli occhi. «Operare?».

Evelyn lo fulminò con lo sguardo. «Puoi smetterla di fare domande?».

Juliet ridacchiò a quella scena. «Esattamente, il nostro Gil è un chirurgo del torace» spiegò. «Mentre io sono maestra d’asilo» sorrise timidamente.

Dorian restò affascinato dalla bionda e, ovviamente, anche dal fatto che una fata e un mostro si prendessero cura degli esseri umani.

La categoria di Alvarez, i mostri, era molto ampia. Il corvino lì imparò in ordine alfabetico come gli aveva insegnato il padre: banshee, demoni maggiori, gnomi, lupi mannari, sirene e vampiri.

Il fatto per cui queste creature non venivano considerate razze a parte come le fate, le streghe, i maghi e gli umani, stava nel loro aspetto: la vera forma dei mostri, come suggerito dalla parola stessa, è mostruosa e ben diversa da quella umana.

Jo fece sparire i fogli dal tavolo ed Eve ne approfittò per appoggiarvi nuovamente i piedi. Quella mattina aveva combattuto per due ore consecutive e ce l’aveva a morte con Dorian per essere arrivato in ritardo. E giusto in quel momento lo stava fissando male.

«Cosa?» chiese lui.

La rossa inarcò un sopracciglio. «Riuscirai a fare il culo a quel lupo mannaro?».

«Sbaglio, o sei preoccupata per me?».

Evelyn schioccò la lingua, scocciata. «Evita di rispondere alle mie domande con altre domande».

«Perché?» sgranò gli occhi.

«Ma allora lo fai apposta» fece per alzarsi dalla sedia, ma Jo la trattenne per una spalla.

«Ehi, calma Grey» rise. A Evelyn bastava poco per andare in escandescenza e Dorian era il migliore nel campo.

«Ad ogni modo ha ragione. Sei sicuro di potercela fare? È la tua prima vera missione» domandò serio.

Non lo sapeva nemmeno lui. Certo, aveva ucciso parecchi demoni, ma questo era diverso. Fece per aprire bocca e risponde.

«Si farà ammazzare» lo precedette Evelyn.

Dorian le lanciò un’occhiataccia. «Miss invincibile non si fida a quanto pare».

Jo sospirò e guardò Juliet. «Scusali, fanno sempre così» si giustificò. Ma la fata sorrise, apparentemente divertita.

«Li trovo adorabili» disse, alzandosi dalla sedia. «Bene, mi sa che vado anche io, ci si vede nella città dorata» salutò, andandosene.

La città dorata era il luogo d’origine dei mostri, delle fate, delle streghe e dei maghi, e si poteva considerare un universo simile alla terra.
Da dove viveva Dorian ci si poteva accedere tramite una porta nascosta dalla magia nella casa abbandonata.

«Ed ora che siamo rimasti solo noi tre, spiegami perché cazzo sei arrivato in ritardo» fece Eve.

Il corvino voltò la testa verso di lei. «E che importanza ha adesso? Li hai sconfitti, non è abbastanza?» protestò.

«Ci ho rimesso i vestiti, Dorian!».

La guardò. In effetti la canotta e i jeans erano bucati e zuppi di sangue. Deglutì, ripensando alla pozza nel corridoio.

«E per non bastare ho la pistola scarica» buttò l’arma sul tavolo, che emise un rumore metallico.

«Ma non puoi semplicement-».

«No! Non posso!» lo interruppe.

Dorian increspò le labbra. Odiava quel suo modo di fare.

Jo prese il posto in cui si era precedentemente seduto Alvarez e guardò Dorian. «Tu sai perché questa città si chiama Scary City?» domandò al corvino.

Il ragazzo puntò gli occhi verdi su quelli blu del mago e scosse la testa. «No…».

«Male» sorrise il mago.. «Riguarda la formazione del Consiglio».

Dorian aggrottò la fronte. Jo era riuscito a catturargli l’attenzione.

Il biondo sorrise compiaciuto e aggiunse: «Ѐ una storia antica, preparati» si mise a gambe incrociate sulla sedia. Un raggio di sole lo illuminava per metà. Era davvero un bel ragazzo, atletico, muscoloso, potente e magico. Non capiva perché Evelyn non provasse attrazione per lui.

«Tutto iniziò mille anni fa, quando il Governo di allora fondò questa città attorno alla selva in cui siamo ora, chiamandola Cordial City».

«Città cordiale?».

Jo annuì. «A quei tempi non esistevano le cinque razze predilette. E nemmeno i ribelli. Tutti vivevano in armonia l’uno con l’altra».

Evelyn incrociò le braccia al petto, ascoltando la storia.

«Cento anni dopo fece apparizione il primo ribelle, la strega Wanda».

«Quella Wanda?» Dorian ricordò vagamente di aver letto il nome su uno dei fogli che aveva fatto apparire Jo.

«Esattamente» annuì il mago. «Può non sembrare, ma Juliet le dà la caccia da allora».

Il corvino poggiò i gomiti sul tavolo e si prese il viso tra le mani. «Vuoi dire che lei è una fata antica?».

«Molto antica. Quando senti parlare di “la strega e la fata”, stai pur certo che si riferiscono a Wanda e a Juliet».

«Erano amiche» intervenne Eve. «Ma Wanda voleva avere molto più potere».

«Per questo è diventata una ribelle?» chiese Dorian.

«Esatto. Uccise quasi metà dei cittadini di allora, mangiando i loro cuori» disse Jo.

Il corvino fece una smorfia di disgusto, pensando alla scena. «Ma… perché?».

«Venne a conoscenza del Libro Hamar».

«Ovvero il libro “geniale”, quello che il Governo aveva bandito perché troppo violento» spiegò Eve. «La strega riuscì a diventare immortale e nessuno fu in grado di ucciderla, finché un mago davvero potente, Alfrothul, non la imprigionò sotto forma di statua».

«Alfrothul, “il sole”. Me ne hanno già parlato, è…».

«Mio nonno» sorrise Jo. «Fu il primo rappresentante dei maghi».

Dorian sgranò gli occhi. «Stavo per dire che è stato il primo rappresentante dei maghi, ma non immaginavo fosse tuo parente!»

«La nostra stirpe è abbastanza grande» rise Jo.

«A proposito di stirpe… Harriet Evans è qualcuno che conosci?» domandò Eve.

Dorian corrugò la fronte e la guardò stranito. «Ѐ… mia sorella… come mai?».

«Nessun motivo in particolare» disse freddamente la rossa, il viso inespressivo.

Il corvino non osò indagare oltre. Ogni volta la ragazza lo metteva a tacere malamente. Sospirò e si alzò dalla sedia. «Devo raggiungere mio padre in ufficio, ci vediamo domani».

«A domani» salutò calorosamente Jo. Eve fece un cenno con il capo e Dorian sparì dalla cucina, raggiungendo la sua bici.

«Fammi ricomparire i fascicoli dei ribelli che devo cacciare» ordinò la rossa.

Il mago la guardò in silenzio per un paio di secondi, sorpreso. Poi schioccò le dita e i fogli si materializzarono davanti alla strega.

«Grazie» fece per scorrere i fogli e leggere, poi si bloccò ed alzò lo sguardo. «Puoi andare».

Jo si morse le labbra e si alzò dalla sedia. «Va bene, vado» si avvicinò alla porta. «Sto andando!» disse, sparendo nell’atrio. «VADO SUL SERIO!» annunciò a gran voce.

«VAI!» gli urlò contro la rossa, sentendo la risata allegra di Jo. Evelyn sospirò e si lasciò cadere sullo schienale, prendendo in mano un fascicolo in particolare.

Su di esso c’era scritto Harriet Evans, umana, diciassette, accusata di tradimento, persecuzioni, trattamento crudele, omicidio e torture.

 

 


Buonsalve a tutti! :)
Eccomi qui con un nuovo capitolo per questa storia! Abbastanza inquietante la faccenda di Harriet, la sorella di Dorian, vero? Chissà cosa succederà nei prossimi capitoli... non lo so nemmeno io ahah.
Ah, ho trovato per caso quest'attrice, Elçin Sangu, che rispecchia perfettamente la descrizione di Evelyn.
Vi posto qui una sua foto, tanto per darvi l'idea :)



Presto troverò anche quei gnocconi di Dorian e di Jo, ve lo assicuro! Non demordo.

Ringrazio chi segue questa storia, chi l'ha inserita tra i preferiti o tra i ricordati e vi ringrazio per le recensioni! Accendono la speranza in me ;)
Alla prossima!!

Cri

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Capitolo 6
*** I lupi mannari si cacciano facilmente. ***






6




 

«Papà, hai mai cacciato un lupo mannaro?».

L’uomo dai capelli grigi alzò la testa dal suo computer. «Abbassa la voce, Dorian! Anche i muri hanno le orecchie» bisbigliò.

Il corvino si portò le mani alla bocca e ammutolì. «Scusa».

Il padre sospirò. «Nuovo incarico?» domandò, tornando a digitare sulla tastiera.

«Primo, a dire il vero. E sono leggermente come dire… fottuto in partenza».

L’altro si mise a ridere di gusto. «Se sai usare i mezzi giusti, abbatti anche un troll, Dorian».

«E quali sarebbero questi mezzi giusti?».

«Vai a casa, nel terzo cassetto della scrivania nel mio studio ho un libro che potrebbe fare al caso tuo» alzò velocemente gli occhi su di lui e gli sorrise, tornando poi a scrivere. «A te piace studiare, no?».

Dorian si morse il labbro e annuì. «Grazie papà, ci vediamo per cena» gli voltò le spalle e uscì dal suo ufficio.

Fuori il tempo era ancora bello, il sole picchiava forte come quella mattina e le nuvole non volevano saperne di apparire. Dorian tolse la bici che aveva adagiato al muro dell’ingresso della ditta e si avviò verso casa.

 

Non poteva credere ai suoi occhi, seduta sugli scalini davanti alla porta d’ingresso della sua abitazione, c’era Evelyn.

Fermò la bici proprio davanti a lei. «Eve! Che ci fai qui?» domandò col fiato corto, dopo la pedalata.

Lei alzò gli occhi nocciola e lo guardò apatica. «Ho deciso di fare una visita al mio grande amico Dorian, cosa c’è di male?» fece, con tono piatto.

Il corvino corrugò la fronte e schiuse le labbra. «Ti stai auto invitando per pranzare?».

Evelyn fece un sorriso fintissimo e il ragazzo sospirò, facendole cenno con la testa di seguirla mentre riponeva la bicicletta nel suo garage.

«Mia madre non è abituata a vedermi portare ragazze in casa» disse, intanto che raggiungevano l’entrata. «Non sei la mia fidanzata… Quindi che le dico?».

«Che sono la tua ragazza, così non fa storie».

Dorian sgranò gli occhi. «Ma non sai nulla di me!».

«E allora? Dille che ci stiamo frequentando da poco… Inventati qualcosa, che ne so io» disse, roteando gli occhi per aria.

Dorian incrociò le braccia al petto e la fissò serio, prima di aprire la porta. «Mi spieghi perché sei qui? Non fai mai qualcosa senza motivo».

Evelyn sbuffò e scrollò le spalle. «Ti fidi di me, per questa volta?».

«Non ne vedo il motivo. Vuoi tenermi d’occhio? Te lo ha detto Jo?».

«No! Dorian, dimmi che ti fidi di me» disse seria.

Per un momento la trovò leggermente agitata, ma non diede troppo peso alla cosa. «Mi fido di te».

La rossa si morse il labbro e bloccò un sorriso. «Grazie».

Il ragazzo infilò le chiavi nella serratura, che scattò, e spinse la porta facendola entrare prima di lui. «Se vuoi ti presto delle ciabatte, così non spargi il fango del bosco in giro» si tolse le sue scarpe da ginnastica e le adagiò su un ripiano basso.

«Oh, grazie». Evelyn lo imitò, mettendo le converse accanto alle calzature di Dorian.

«Mamma, sono a casa!» gridò il corvino, mentre avanzava in salotto affiancato da Eve.

«Meno male, ora hai deciso di rivolgermi la parola… oh ciao!» la donna si bloccò, vedendo la bella ragazza accanto a suo figlio.

«Evelyn» sorrise lei, porgendole la mano.

La donna le strinse la mano e rimase a bocca aperta, mentre la osservava. «Che nome delizioso, vieni pure! Dor, non mi ha detto che avremmo avuto ospiti per pranzo» disse dolcemente, ma fulminandolo con lo sguardo.

Lui si grattò la testa imbarazzato. In effetti nemmeno lui lo sapeva. «Mamma, lei è-».

«La sua ragazza» lo anticipò la rossa. «Ci siamo conosciuti da poco, ma lui non vedeva l’ora di presentarmi» sorrise cordialmente, facendo la finta delicata.

«C-Come ha detto lei» le fece eco il ragazzo.

«Ragazza? Ma è fantastico! Dorian, potevi dirmelo prima! Tra poco arriva anche tua sorella, sarà felicissima» sorrise la donna, sprizzando gioia da tutti i pori. Si avviò verso il pianerottolo della cucina e prese quattro piatti.

Evelyn si fece seria alla parola “sorella”, infondo era lì per quello, giusto?

«Esattamente da quanto state insieme?».

La strega tornò a fingere un’espressione felice. «Da un paio di settimane, amore a prima vista» rispose, guardandolo.

Lui ricambiò lo sguardo, leggermente agitato. Odiava mentire a sua madre.

«Esattamente, a lavoro» disse senza pensarci.

Evelyn alzò un sopracciglio, non conosceva il suo lavoro!

«Oh, quindi anche tu disegni fumetti, che brava» la donna aveva dato loro le spalle.

La rossa gli tirò un lieve pugno sul braccio e Dorian evitò di gridare, limitandosi ad aprire la bocca e a massaggiarsi la parte dolente.

«Mi piace molto creare» disse lei, fissandolo ancora male.

La madre portò in tavola i piatti e sistemò le posate intorno. «Spero ti piaccia lo stufato» le sorrise.

«Certamente» confermò. Lei e Dorian si sedettero attorno al tavolo.

La porta d'ingresso si aprì e una ragazza dai capelli corti fino alle spalle apparve sulla soglia. Harriet si bloccò quando vide Evelyn.

«Sister, ti presento Evelyn» Dorian la indicò con la testa. «Evelyn, ti presento Harriet, la mia adorata sorella minore».

La brunetta sorrise sinceramente. «Hai la ragazza adesso?» si avvicinò ai due e allungò una mano verso Eve. «Piacere» disse allegramente.

«Piacere mio» fece la strega, fingendo calma. Quanto avrebbe voluto catturarla in quel preciso istante.

Harriet sedette accanto a Dorian e gli diede un sonoro bacio sulla guancia. «Guarda che ho preso» tirò fuori dalla borsa un cubo di rubik e glielo porse. «So che ti diverti a risolverli».

Gli occhi del fratello si illuminarono. A quanto pare aveva colpito nel segno. «Lo risolvo questa sera» lo prese dalle sua mani e ne studiò tutte le angolazioni. «Oh, questo è semplice» disse trionfante, con aria di superiorità.

La sorella si girò verso la strega e le sorrise. «Evelyn, giusto?». La rossa annuì. «Devi sapere che mio fratello è ,molto patito di queste cose, oltre che dell’astronomia e della fisica. Stai attenta» lo prese in giro.

La strega rise, guardando il corvino con finto sguardo dolce. «Mi ha conquistata per questo» appoggiò la testa sulla spalla del corvino, che si irrigidì. Con un movimento automatico, le diede un bacio sulla testa. «Grazie tesoro» le sorrise.

La madre li guardò nostalgico e con occhi sognanti. «Ricordate me e John i primi mesi…».

«Mamma non cominciare, ho fame!» protestò Harriet.

«Giusto, giusto» la donna riempì i loro piatti con lo stufato e si mise seduta tra la figlia ed Evelyn.

Il pranzo proseguì tranquillamente, con la madre che faceva domande continue alla finta coppia e i due che rispondeva con cose improbabili ma molto veritiere.

«Davvero ottimo, signora Evans» si complimentò la strega.

La donna arrossì lievemente. «Onorata nel sentirtelo dire» si alzò e iniziò a sparecchiare.

«Porto Eve nello studio, papà ha detto di avere un libro per me» la informò il figlio, alzandosi in piedi.

«Va bene, ma non distruggere il disordine di tuo padre, sai che poi non riesce più ad orientarsi».

«Lo so, lo so» sospirò e fece cenno alla rossa di seguirlo. Salirono le scale e aprirono le prima porta alla loro sinistra.

Lo studio in questione era molto ampio, intorno erano state messe delle librerie riempite fino all’ultimo e c'era una grossa scrivania nera attaccata alla parete di fronte a loro, con una poltroncina girevole di pelle. Sparsi quà e là c’erano infiniti fogli stampati o scritti a mano.

Ecco in cosa consisteva il disordine di cui parlava la madre di Dorian.

«Disordini fantastici e come trovarli» commentò Eve.

Dorian rise. «Mio padre è un po’ particolare» si avvicinò alla scrivania. «Attenta a non pestare i fogli!».

«Ma stai zitto» rispose la rossa, evitando le carte e raggiungendolo.

Il corvino aprì il terzo cassetto, come gli aveva detto suo padre, e constatò che dentro c'era un grosso libro dalla copertina verde, mezzo consumato. «Quindi è questo?» inarcò un sopracciglio.

«Beh, che aspetti? Prendilo».

Dorian tolse il libro dal cassetto e lo appoggiò sulla scrivania, aprendolo a caso. Le pagine erano molto gialle e odoravano di vecchio. I caratteri su di esse erano antichi. «Rune?» azzardò.

Eve si avvicinò, guardando attentamente. «Rune celtiche» constatò. «Le conosco a malapena» sbuffò, incrociando le braccia al petto.

Il corvino strizzò leggermente gli occhi e si concentrò sui simboli. Nella sua mente accadde qualcosa di straordinario. Le lettere dell’alfabeto si sovrapposero sulle rune, finché non le sostituirono completamente sul foglio, rendendo leggibili le parole.

«Eve!» sgranò gli occhi. Ormai tutte le pagine erano chiare al ragazzo. «Guarda, le rune sono scomparse!».

La strega scosse la testa. «Dove? Io le vedo ancora».

«Ma… prima…» guardò Eve, poi il libro. Solo lui le vedeva? «Non vedi nessun cambiamento?».

«Ehm, no. Dovrei?».

Dorian non rispose. Chiuse il libro e lesse il titolo. «“Caccia al lupo mannaro”».

«Come?».

«“Caccia al lupo mannaro”!» ripeté, a voce più alta.

«Adesso sai leggere le rune?» chiese confusa, indicando il volume.

«I simboli sono stati sostituiti con le lettere dell'alfabeto!».

Evelyn lo guardò in silenzio, un misto tra sconcerto e confusione. «Cioè tu ora non vedi più le rune, ma vedi delle parole che riesci a leggere?»,

Il corvino annuì. «Esattamente».

«Wow» fece un cenno di ammirazione con il capo, inclinandolo di lato.

«Ma non lo so neanche io perché!». Dorian allungò il libro verso di lei. «Prova a tenerlo in mano» suggerì.

La rossa lo prese, guardandone la copertina per un paio di secondi. «Ehm… dovrebbe succedere qualcosa ora?» alzò lo sguardo su di lui.

«F-Forse non funziona perché sei un strega?»

«Hey!».

«No, no, mi riferisco alla tua razza!».

Lei lo guardò di traverso, poi tornò ad osservare il libro. Era rimasto come prima.

Come caspita aveva fatto Dorian a visualizzare le parole con le normali lettere dell’alfabeto?

«O mi stai nascondendo di essere un mago antico che conosce la magia nera, o qui c’è qualcosa che non va…» arricciò il naso.

«Eve, io non-».

«Ragazzi, vi disturbo?».

I due si girarono verso la porta dello studio. Harriet stava in piedi sulla soglia, sorridente e con un vassoio in mano. «Mamma mi ha mandata per darvi questi» lo porse a Dorian.

Evelyn deglutì. Da quanto era lì, stava origliando?
La tentazione di buttarla a terra e immobilizzarla era forte, soprattutto perché aveva a che fare con un’assassina.

«Ehi, grazie Har!» disse allegro Dorian, prendendolo dalle mani della sorella. «BiCotto?» chiese, con il cibo tra le fauci.

«No, grazie». La rossa assunse una finto sorriso. Quella ragazza la innervosiva.

«Bene, allora vado». Harriet salutò con la mano, voltando loro le spalle.

Evelyn tornò alla sua espressione inquietante e fissò la ragazza finché non scomparve sulle scale.

«Uhm, adoVo i dolFi di mam’» lodò Dorian, con la bocca piena.

«E non parlare con me quando stai masticando, che cazzo» sbottò la rossa, tirandogli uno scappellotto in testa.

Il ragazzo deglutì il boccone e si portò una mano alla nuca. «Ahi! Mi hai fatto male!».

«Taci».

 
 


Ave!

Chiedo venia per l'assenza, ma era il mio turno al pronto soccorso e ho fatto in tempo ad aggiornare soltanto le altre mie storie, scusate!
Comunque, eccomi qui! Il padre del nostro protagonista ha dato un enorme aiuto con questo libro. Sarà in grado di saperlo utilizzare al meglio? E soprattutto, come mai soltanto lui riesce a visualizzarlo nella sua lingua?
Mah, non lo so neanche io ahahah, mi inventerò qualcosa ;)

Detto questo, ringrazio tutti per le recensioni, i seguiti e i preferiti!!
Vi aspetto al prossimo capitolo :)

Cri

 

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Capitolo 7
*** Come dieci anni fa. ***






7




 

Jo stava camminando da almeno mezz’ora. Era nella Città Dorata, la sua terra di origine. E visto che in quel luogo la magia dei maghi era limitata, non poteva teletrasportarsi.

Il sentiero che stava percorrendo era lastricato e attorno erano state piantate delle siepi abbastanza alte da coprirgli la visuale. Sembrava di essere in un labirinto.

Una volta giunto a capo del viottolo, alzò lo sguardo. Davanti a lui si ergeva un enorme duomo con numerose guglie, circondato da un prato molto curato. La costruzione era il quartier generale del Consiglio, dove rappresentanti di tutto il mondo si riunivano periodicamente per aggiornarsi a vicenda.

Il mago avanzò, oltrepassando l’enorme portone d’ingresso sorvegliato da guardie armate fino ai denti. L’interno era ampio e poco decorato e c’era un atrio al centro del quale saliva una rampa di scale biforcuta, a Y.

Iniziò a percorrere la scala principale, poi prese quella alla sua destra. Il corridoio che attraversò aveva i muri tappezzati di quadri e ritratti di antichi membri del consiglio, un po’ come la vecchia casa nel bosco. Il tappeto su cui camminava era rosso carminio e sentiva i suoi passi sprofondare su di esso.

Fece un altro paio di scale e attraversò altri corridoi, finché non arrivò davanti a una porta di legno scuro divisa in quattro compartimenti. In ciascuno di essi era intagliato uno stemma: il leone era quello dei mostri, la foglia di quercia delle fate, il fuoco fatuo delle streghe e la stella a cinque punte dei maghi.

La porta si aprì automaticamente, come se avesse intuito la presenza di Jo. Il biondo si ritrovò in mezzo a una grandissima sala luminosa, al centro della quale era stato messo un lungo tavolo di legno in stile gotico, circondato da numerose sedie su cui sedevano persone vestite di nero.

Jo avanzò con non poca ansia, finché un gruppo di guardie non gli sbarrarono la strada.

Una donna anziana si alzò in piedi, riducendo gli occhi a una fessura per mettere a fuoco l’immagine del ragazzo. «Lasciatelo passare, è il figlio di Dystopia» tuonò.

Le lance incrociate che lo avevano fermato si alzarono, permettendogli il passaggio. Avanzò fino al tavolo, dove lo attendeva una sedia vuota come capotavola. Deglutì in silenzio, mentre il suo cuore accelerava ad ogni passo che faceva.

Era la prima volta che sostituiva suo padre in un’assemblea dei Maggiori, i pezzi grossi del Consiglio. E provava un bel po’ di ansia, non poteva nasconderlo.

La donna, rimasta in piedi, puntò gli occhi viola su di lui. «Aggiornamenti?» chiese, sedendosi con eleganza.

Jo la imitò, prendendo posto. «Abbiamo catturato Aquilius» la sua voce risultò più tranquilla del dovuto e ne fu grato. «Ve l’ho inviato personalmente».

«Lo abbiamo ricevuto» confermò un uomo dalla testa calva. Su una tempia sinistra aveva tatuato un grosso cerchio alchemico.

La donna dagli occhi viola annuì. «È stato rinchiuso nelle celle sotterranee».

«Che avete deciso di farne della base a Scary City?» chiese il mago.

La domanda scatenò un mormorio generale, represso dal colpo di tosse forzato della donna. «Zitti, per l’amor del cielo!» ordinò. Le sue iridi si spostarono su Jo. «La base di Scary City è sorvegliata da cinque validi rappresentanti, che hanno catturato il più antico dei maghi ancora in vita» sentenziò.

«Quindi?» la affrontò il biondo.

«Quindi rimarrà come base attiva, fino a nuovo ordine» alzò il mento, con superiorità.

Jo sospirò, contento. Molto tempo prima avevano minacciato di farla chiudere perché fin troppa gente umana, che non era a conoscenza delle cinque razze, aveva rischiato di entrarci. Ma la cattura di Aquilius aveva fatto guadagnare loro molti punti.

L’assemblea dei Maggiori continuò per le successive due ore, finché un suono di corno celtico non segnò la fine. I presenti si alzarono uscendo dalla sala e conversando allegramente tra di loro.

Jo scattò in piedi per ultimo e fece per andarsene, ma la donna dagli occhi viola lo fermò con una mano sulla spalla.

Il mago si voltò verso di lei e la vide sorridere, guardandolo con uno sguardo diverso, più dolce. «Come sta mia figlia?» domandò.

A Jo ci vollero un paio di secondi per fare mente locale.
Evelyn, si stava riferendo a Evelyn.
«Molto bene, signora Grey» disse allegramente.

«Ѐ da un po’ che non mi scrive» sospirò.

«Sà com’è fatta, non parla molto nemmeno con noi» rise.

La donna sorrise. «Vi sono arrivati i fascicoli del Consiglio?».

Il mago annuì. «A Evelyn tocca occuparsi di una sirena e di un umano».

«Un umano? Strano, non si vedono ribelli umani da parecchi secoli…» disse preoccupata. «E la sirena? Per caso si tratta di Nepgen?»

«Non lo so signora… non ho letto tutti i fascicoli» si portò una mano alla nuca, rammaricato.

«Va bene. In ogni caso salutamela, dille che sua madre le vuole bene» sorrise e si congedò.

Jo la guardò andarsene con una certa malinconia. Sua madre era morta molto tempo prima, si era quasi scordato del suo viso e della sua voce. Suo padre, Dystopia, lo aveva fatto crescere da sua nonna, senza occuparsene personalmente.

Sospirò ed uscì dalla sala.

 

 

Evelyn sedeva sulla comoda poltroncina girevole dello studio a casa di Dorian. Il corvino aveva iniziato a leggere alcune righe del libro.

«“I lupi mannari hanno la possibilità di rigenerarsi rapidamente”» lesse.

«Sì, va bene. Questo lo so anche io…» disse annoiata.

«Sto leggendo per me stesso, puoi per favore smetterla di commentare ogni frase che leggo?» lo guardò male.

La strega alzò gli occhi al cielo.

«Grazie». Dorian tornò con lo sguardo sul libro. «“Il punto debole dei lupi mannari è sicuramente il fuoco”»

«Davvero?» commentò ironica.

«Evelyn…».

La ragazza ridacchiò divertita. Aveva una risata davvero carina, si sentì quasi fortunato ad averla sentita.

«“Se si vuole uccidere un licantropo con una pallottola d'argento, è necessario che prima essa venga benedetta con una cerimonia. L'argento che si è usato per fondere la pallottola, deve esser stato ottenuto da un crocifisso o dall'immagine della Madonna. Il colpo dovrà essere diretto al cuore o alla testa.”».

«Perchè, fanno crocifissi in argento ai giorni d’oggi?».

Dorian fece spallucce. «E poi che significa “dall'immagine della Madonna?”».

«Non chiederlo a me, saputello».

«“Buona efficacia ha anche l'aconito”» lesse il ragazzo.

«La wolfsbane, il veleno dei lupi» spiegò Evelyn, incrociando le braccia al petto e  mettendosi comoda sullo schienale della sedia.

«Si trova facilmente?».

Evelyn inspirò, pensandoci. «Si trova sulle Alpi, sui Carpazi, sui monti Balcani, in Corsica, sui Pirenei, in Gran Bretagna e in Scandinavia. Ma essendo molto tossica, è difficile negoziare con chi la coltiva».

«Magari se spieghiamo la situazio-».

«Ma certo, tu vai lì e dici “Mi scusi, ma avrei bisogno di un po’ di aconito per uccidere un lupo mannaro, non è che può darmene un vivaio?”»

«Spiritosa come sempre…» sbuffò il corvino, tornando con gli occhi sul libro.

«Realista più che altro».

«E allora che proponi?».

«Quando torna Jo, glielo chiediamo».

Dorian era seduto per terra, circondato dai fogli di suo padre. Alcuni erano dei conti fatti per l’azienda, altri erano scritti in varie lingue sconosciute al ragazzo.

«“La fusione del metallo, deve realizzarsi la prima notte di novilunio del mese”».

«Ah, questo non lo sapevo» disse sinceramente la strega.

«Allora vedi che il libro non è così inutile come credi?» la incalzò.

«Sono ancora giovane, ho molto da imparare» ribatté la ragazza con superiorità.

Il corvino sogghignò e tornò a leggere. «“Per proteggersi bisogna nascondersi in un campo di segale”».

La rossa sgranò gli occhi. «Qui compaiono delle informazioni che non conosco».

«“Sono allergici al biancospino”».

La rossa annuì, interessata.

«Oh, senti questa, “Stare in un incrocio li confonde”».

«Davvero?» rise la rossa.

«Chi non si trova in difficoltà a scegliere quale delle quattro strade prendere?» scherzò il ragazzo con teatralità.

Evelyn aprì bocca, senza emettere suono. Sembrava stupita.

Dorian corrugò la fronte. «Eve?».

«Ecco perché la mia amica evitava sempre di passare gli incroci!» esclamò dopo un po’, puntando il dito contro di lui.

«Avevi un'amica licantropo?».

«Certo, andavamo a scuola insieme» spiegò, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Dorian rise, posando gli occhi sulle pagine ingiallite. «Pensi che ce la possa fare?» domandò preoccupato.

«Ce la farai, Dorian» rispose senza la minima esitazione, guardandolo  inespressiva e severa come al solito.

«Cosa te lo fa dire?» osò chiedere il ragazzo, incrociando il suo sguardo.

«Settimo senso da strega».

Dorian inarcò un sopracciglio. «La preveggenza?».

«Ma no… quelle sono stupide leggende infondate. Le streghe non possono prevedere il futuro».

«Allora cos’è il settimo senso, scusami?».

«Non è qualcosa, ma una sensazione che non riesci a spiegare. Un po’ come il vostro sesto senso, ma superiore».

«Che risposta esauriente».

«Non mi smentisco mai».

Dorian aveva conosciuto Evelyn dieci anni prima. Entrambi ne avevano tredici e i loro genitori li avevano portati nella Città Dorata. Il padre del ragazzo le aveva presentato la strega come sua tutrice, ma il corvino rise, sostenendo che fosse troppo giovane per poterlo comandare. Come si può giustamente pensare, Evelyn lo fece zittire, imponendo il suo carattere forte già dal primo incontro.

«Ad ogni modo, vado. Devo sbrigare alcune faccende con la sirena che devo cacciare» lo informò la strega, alzandosi dalla poltrona.

«E l’umano?».

«Quale mano?».

«Il secondo ribelle che devi catturare, l’umano. Hai scoperto chi è?».

La rossa esitò un attimo, ma poi aprì bocca per parlare. «No, non l’ho ancora scoperto. Ma mi rifarò» mentì, incamminandosi verso la porta dello studio. «Intanto tu vedi di non farti uccidere» voltò la testa verso di lui.

Per un secondo parve preoccupata. Il suo viso severo si alleggerì, mostrandosi diverso, più femminile, più giovanile.
Dorian restò stranamente affascinato. La conosceva da parecchio tempo, ma lei non aveva mai mostrato il suo lato tenero o vulnerabile.

Il ragazzo incurvò le labbra in un sorriso sincero. «Non lo farò».

La strega gli voltò le spalle e scomparve nel corridoio, mentre Dorian prendeva appunti su quello che leggeva dal libro.

In cuor suo sperava di poter catturare il lupo mannaro per far felice Evelyn, più che suo padre o il consiglio.


 


Hello world!

Eccomi con un nuovo capitolo, fresco di scrittura :)
Spero sia stato di vostro gradimento!! Ho cercato di inserire anche una piccola parte della Città Dorata, introducendo la misteriosa madre di Eve e un altro bizzarro membro dei Maggiori con il tatuaggio in testa. I prossimi capitoli ne introdurrò altri, sperando di risultare il più chiara possibile ahah.
Spero di vedervi anche nei prossimi capitoli!!

Cri
 

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Capitolo 8
*** Incubi e tradimenti. ***






8




 

Evelyn si trovava in mezzo a un campo di grano, era piccola, aveva sei anni. Le spighe le solleticavano i palmi mentre correva felice.

«Mamma!» gridò allegramente.

Una donna dai capelli rossi come il sole al tramonto alzò la testa sorridendo. Era seduta su una coperta da picnic, intenta a leggere un grosso libro dalla copertina bianca.

«Tesoro mio!» la piccola Evelyn si buttò tra le sue braccia. «Dove sei stata?» chiese dolcemente, baciandole la fronte.

«Ho visto una farfalla blu!» i suoi occhi gialli brillarono di gioia.

«Immagino sia stata molto bella» accarezzò la testa rossa della figlia.

«Sì! Era grande così» alzò le sue piccole manine e indicò l’ipotetica grandezza dell’insetto.

«Grandissima, allora» sorrise.

«Già!» batté i piedi soddisfatta, mentre il vestitino azzurro svolazzava seguendo l’andamento del vento.

La donna voltò improvvisamente la testa, scrutando attentamente l’orizzonte. Si alzò in piedi col volto pieno di terrore.

«Mamma?»

«Tesoro, non muoverti» cercò di nascondere il tremolio della sua voce.

Poco più in là era scoppiato un incendio. Gli alberi avevano preso fuoco e le fiamme si stavano diffondendo. «Ricordi quando mamma ti ha detto di essere sempre forte?» si inginocchiò per arrivare all’altezza di Evelyn e la guardò negli occhi.  

«Mamma…»

La donna le baciò la fronte e le sorrise. «Vai da Marie»

«Non voglio!» gonfiò le guance.

«Eve, piccola mia… degli uomini molto brutti mi stanno cercando e io devo andare da loro. Ci vedremo presto» si alzò in piedi.

La piccola si aggrappò all’orlo del suo vestito. «Ma Marie non mi prepara i panini con la marmellata» piagnucolò.

«Glielo farò presente» rise debolmente. «Ora vai. Ti amo, figlia mia» le mise i palmi sulle guancie rosse e, prima che potesse teletrasportarla a casa della sua amica, il sangue schizzò sul viso paffuto di Evelyn.

La rossa si alzò di scatto, sedendo sul letto.

Aveva le tempie sudate e il fiato corto. Era da parecchio tempo che non faceva quell’incubo. Si portò una mano sugli occhi e rimase immobile. Quella fu l’ultima volta che vide sua madre ancora viva, per una bambina di sei anni era sicuramente un evento molto traumatico. Se Marie non fosse arrivata in tempo, anche lei avrebbe fatto la sua stessa fine.

Buttò la testa sul cuscino e guardò il soffitto. Le pale del ventilatore erano immobili e illuminate parzialmente dalla luce che filtrava attraverso la finestra. Il suo sguardo deviò sui fogli che aveva appoggiato la sera prima sul comodino.

Allungo il braccio e li prese. “Harriet Evans”. Sembrava una ragazza così normale all’apparenza... eppure era ricercata dal Consiglio. Sbuffò e si strofinò gli occhi ambrati.

Lesse anche l’altro dossier, sulla sirena. «“Pearl”?» alzò un sopracciglio. «Che nome di merda» sogghignò.

La creatura che doveva cacciare era una sirena del Mare del Nord che si era appropriata di molti territori dei mostri marini della Manica, il canale naturale che bagna l’Inghilterra del Sud e la Francia del Nord.

Evelyn non era mai andata d’accordo con le sirene. L’ultima volta che aveva chiesto un favore a loro ci aveva rimesso i capelli. Se non fosse stato per la magia di Jo a quest’ora li avrebbe corti fino alle spalle.

Si tolse le coperte di dosso e scese dal letto. Indossava una camicia da notte cortissima, che le lasciava scoperte le gambe lunghe e snelle. Si avvicinò allo specchio e analizzò il suo riflesso. Aveva due occhiaie profonde e violacee, oltre al viso stanco.

Quel brutto sogno le aveva tolto tutte le forze che aveva in corpo.

 

 

«Mollami!».

«Neanche per sogno». Jo stringeva con le braccia una ragazza dai capelli castani. «Hai tradito il Consiglio, è giusto che paghi per quello che hai fatto».

La fata digrignò i denti. «Per un paio di informazioni in cambio di una vita serena?» si dimenò.

Il mago aumentò la presa e la trascinò con forza nel salotto. «Portami una sedia dalla cucina» ordinò a Dorian.

Il corvino si bloccò a guardare la ragazza. Era di una bellezza unica, che solo le fate possedevano. Aveva gli occhi di un verde acceso e le orecchie a punta spuntavano tra i capelli bruni.

«Dorian! Che aspetti?».

Il ragazzo scosse la testa e corse in cucina.

«Novellino?» commentò la fata.

«Non ti riguarda» Jo la fulminò con lo sguardo.

Dorian tornò con la sedia, che mise contro il muro. «Va bene questa?».

«Benissimo» il mago vi buttò sopra la ragazza e fece apparire una corda attorno al suo corpo.

«Mi stanno stringendo troppo!»,

«Smettila di lamentarti» la zittì.

«Non dovresti essere così severo con una ragazza…» Dorian aggrottò la fronte.

«È una ribelle» si fece grave in volto.  

«Che uomo senza pietà» la fata gli lanciò uno sguardo malizioso.

«Taci» la ammonì.

Il corvino non aveva mai visto quel lato di Jo. Solitamente era un ragazzo molto pacato e gentile, ma in quel momento parve quasi odiare la fata che aveva di fronte.

«Dimmi perché hai consegnato quelle informazioni nelle mani di Atlec!» sbatté il pugno contro la parete dietro la ragazza, a pochi centimetri dal suo viso. La fata sgranò gli occhi e si irrigidì.

«Hey!» Dorian si avvicinò per fermarlo. «Perché sei così violento con lei?».

«Stai da parte, Evans» non distolse lo sguardo dalla ribelle. «Questa è una faccenda tra me e Morganne».

Il corvino non osò ribattere. Abbassò le mani e rimase in silenzio.

«Jo…» disse con fil di voce la fata. «Per favore, ascoltami».

«Perché. Hai. Consegnato. Quelle. Informazioni?» scandì ogni parola, guardandola crudelmente negli occhi.

«Mi stavano seguendo, Jo!».

«Non è un buon motivo per tradire il Consiglio!» gridò.

«Per te esiste sempre e solo il Consiglio! Nient’altro!».

Il corvino posava lo sguardo ora su Jo, ora su Morganne. Sembrava il litigio di una vecchia coppia sposata.

«Perché è una priorità!» si giustificò.

«Jonathan, mi volevano uccidere!» lo sguardo della fata era pieno di terrore.

Il mago indietreggiò. «Chi è che voleva ucciderti?» corrugò la fronte.

«Loro, i ribelli».

«E per quale motivo? Cosa ne avrebbero tratto di buono dal tuo omicidio?» commentò ironico.

Sembrò delusa dalle sue parole. «Lo sai benissimo…».

«Morganne le Fay, questo non ti autorizza a tradire i tuoi stessi simili!» sbottò.

«Mi dispiace! Che altro devo fare?» cercò di andare avanti col corpo, ma le corde la tennero attaccata alla sedia.

«In prigione, ecco dove devi andare» lo sguardo gelido di Jo la fece ammutolire.

«Non ti sembra un po’ esagerato? Non ha ucciso nessuno… ».

«Ha violato i sistemi e rubato il Libro Bianco consegnandolo ad Atlec, Dorian» spiegò.

«Atlec?».

«Il capo dei ribelli, fratello della strega Wanda. Il Consiglio ha rischiato più volte di catturarlo, ma è sempre riuscito a scappare».

«E perché il libro Bianco è così importante?».

«Perché raccoglie tutte le magie bianche, semplice» rispose con sufficienza.

Stava per domandargli quali fossero queste “magie bianche”, ma Morganne si dimenò tra le corde.

«Non gli ho consegnato quel libro, ce l’ho ancora io!».

Jo voltò la testa di scatto. «Come?».

«Hai capito bene, ho consegnato loro una copia con le pagine vuote».

Il mago si avvicinò a lei. «Allora dimostramelo, non ti credo» socchiuse le palpebre, guardandola male.

«Il vero libro è sigillato nel mio anello, ci ho fatto fare un incantesimo» con la testa indicò le sue mani, legate dietro la schiena.

«Se non è la verità, ti consegnerò io stesso alle autorità» si inginocchiò e controllò le dita della fata. Sull’anulare della mano destra c’era veramente un anello dorato. Jo lo sfilò e lo mise davanti agli occhi.

«Visto? Non ho mentito» alzò un sopracciglio. «Ero sotto tiro, non avevo altra scelta. O consegnare il Libro, o morire senza testa».

Il biondo alzò gli occhi blu. «Morganne, tira fuori il libro» allungò il gioiello verso di lei.

La bruna abbassò la testa e sorrise. «Se prima non mi liberi mi sarà un po’ difficile».

«Oh, hai ragione» schioccò le dita e le corde scomparvero. Per ogni eventualità, le strinse un braccio attorno al collo, tenendola ferma.  

Morganne aveva la schiena premuta contro il suo petto. «Non ti fidi ancora di me?» mormorò.

«No» disse severo.

La fata sospirò e cominciò a pronunciare frasi in norvegese. L’anello tra le sue mani iniziò a brillare e, in un battito di ciglia, si trasformò nel Libro Bianco. «Eccolo»

Jo strabuzzò gli occhi, meravigliato. Non aveva mai avuto il permesso di toccare quel volume, suo padre glielo aveva espressamente vietato. «Aprilo» ordinò.

«Scaramantico fino all’ultimo» sogghignò. Aprì ad una pagina casuale. «Tieni, leggi».

«Leggi tu».

La fata si morse il labbro. «Sono una fata. Solo un mago riesce a decifrarlo» voltò leggermente la testa, cercando il suo sguardo.

Jo sbuffò e lo prese dalle sue mani. «Va bene…» mollò la stretta. «Sei libera, lo farò presente al Consiglio».

Morganne si sistemò la maglietta scura. «Posso riavere il libro?».

Il biondo tirò indietro il volume. «No, verrà rimesso al suo posto».

«Ma i ribelli non lo sanno!» protestò. «Se ritorna al suo posto sarà rubato nuovamente!».

«Finché ci saremo noi non lo toccherà nessuno».

«Sempre il solito egocentrico».

«Questo non è egocentrismo, ma self confidence».

La fata gli lanciò un’occhiata torva e roteò gli occhi al cielo.

«Ehm…» Dorian si schiarì la voce. «Quindi? Cosa facciamo con il libro e con Morganne?».

I due si voltarono verso il corvino, che si sentì subito in soggezione. «Ce la porteremo a spasso in ogni missione, non la lascerò da sola nemmeno un secondo».

«Ma avevi detto che ero libera!».

«Per il Consiglio sei libera, per me no».

«Stronzo».

«Rimetti a posto questo» le consegnò il Libro Bianco.

Morganne lo strappò dalle sua mani e lo trasformò in anello.

«Molto bene» sorrise Jo.

«Che c’è, ora fai il benevolo?».

«Non sei più una minaccia, ma sei comunque sotto la mia tutela. Ricordati che ovunque andrai io lo saprò».

«Vai a fanculo» fece per uscire dal salotto.

«No, no. Tu resti qui».

La bruna si voltò lentamente e lo guardò male. «Scusami? Io ho una vita sociale da portare avanti».

«Hai detto che ti volevano uccidere o sbaglio?».

Morganne increspò le labbra, annuendo.

«Allora starai qui. Faremo una sorta di “protezione testimoni”».

«Qui? Possiamo?» Dorian lo guardò confuso.

«Abbiamo il permesso di chiudere i possibili fuggitivi in questo posto, possiamo tranquillamente».

«Prima o poi ti strapperò via la pelle dal viso, Jonathan» lo minacciò la fata, digrignando i denti.

«Non vedo l’ora» le sorrise raggiante il mago, sfidandola con lo sguardo.

“Jonathan”? Anche prima lo aveva chiamato così. Allora non era stato un errore, quella fata conosceva già Jo!

Gli era stato detto che i maghi non rivelavano mai il loro nome a nessuno, se non strettamente obbligati. Che Morganne fosse stato qualcuno di veramente importante per lui?

«Ah, Dorian?» lo chiamò il biondo.

Il ragazzo alzò la testa. «Cosa?».

«Avvisi tu Evelyn che ho catturato Morganne le Fay? Dille che è innocente, ma potrebbe rivelarsi una farsa, la tengo sott’occhio» prese la ragazza per un braccio.

«Ehy, non sono una merce!».

«Va bene, glielo dirò… » annuì il corvino. «Però un secondo… arriverà tra poco, perché non la informi direttamente tu?».

«Perché adesso ho da fare, ci vediamo stasera» fece un cenno col capo e sparì nel nulla assieme a Morganne, lasciando Dorian completamente solo.


 


Ciao a tutti!

Mi dispiace per il ritardo, ma non riuscivo ad andare avanti con il capitolo... chiedo venia!
In questo capitolo conosciamo Morganne le Fay, una fata molto antica. Sì, per chi lo avesse pensato, il nome è preso dalla Fata Morgana. Mi sono ispirata a lei :)
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimenti e vi ringrazio per seguire o aver messo tra i preferiti la mia storia!! Siete tutto per me <3
Vi aspetto al prossimo capitolo.

Cri

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Capitolo 9
*** Se sai maneggiare una spada, sei un ottimo cacciatore. ***






9




 

Il silenzio era opprimente. Era passata ormai un’ora da quando Jo e Morganne si erano teletrasportati chissà dove. Evelyn, poi, era come se si fosse volatilizzata dalla faccia della terra. Ma chi era lui, un povero coglione?

Sentì lo scricchiolio della porta d’ingresso e scattò involontariamente in piedi, come per scusarsi del proprio pensiero.

Evelyn varcò la soglia del salotto e si bloccò alla vista di Dorian. «E Jo?» chiese.

«Jo è… ah, Jo mi ha detto di dirti che ha preso Morganne non mi ricordo cosa e che torna stasera».

La ragazza alzò un sopracciglio. «Morganne le Fay?».

«Esatto, lei!» annuì il corvino.

«Beh, ottimo» la strega si tolse la felpa nera e la buttò sul divano. «Questo vuol dire che siamo rimasti soltanto io e te» mise i pugni sui fianchi.

Dorian la guardò confuso, sbattendo velocemente le palpebre.

«Ti insegno ad usare alcune armi, cretino» sbuffò.

«Oh, le armi, giusto».

La rossa roteò gli occhi e si diresse in cucina, aprendo una credenza di legno scuro. «È il momento di farti vedere dove teniamo la scorta di armi» disse.

Il corvino si avvicinò ad Evelyn, scrutando curioso l’armeria luccicante. «Ma scusa, perché non me lo avete mai detto in tutti questi anni?» chiese offeso.

«Perché non ce n’era bisogno» gli rispose con sufficienza. «Ora prendine una» si fece da parte.

«Sei sicura? Devo proprio? Magari potrei ritirarmi in casa e vivere una vita normale come-»

«Prendi un’arma».

«Ok» Dorian alzò le mani in segno di scusa e tirò fuori il primo oggetto che gli capitò a tiro: una spada con l’elsa ramata.

«Bene, cominciamo con l’artiglieria pesante» commentò Evelyn, prendendo a sua volta un’altra spada.

«Ma vuoi veramente combattere con questa roba?» il ragazzo guardò sconvolto la sua arma.

«Certo. Non è la prima volta che ne usi una, o sbaglio?».

«No, non sbagli… ma…».

«Dorian» Evelyn lo guardò negli occhi: quel giorno non aveva fatto l’incantesimo alle sue iridi, che erano di un bellissimo ambra dorato. La pupilla allungata, inoltre, la rendeva ancora più inquietante di quanto non lo fosse già di suo.

«Se vuoi battere quel lupo mannaro ti devi allenare. Non credo di chiederti molto».

Il corvino sospirò rassegnato e impugnò la spada, deciso. «Come vuoi».

La ragazza incurvò le labbra in un sorriso, poi si voltò e la sua coda di cavallo fendette l’aria.

«Vieni» ordinò e Dorian la seguì in silenzio senza protestare.

 

 

Morganne si sentì schiacciare la schiena contro qualcosa di freddo. Aveva gli occhi ancora chiusi e li riaprì soltanto quando sentì dell’aria calda sul collo.

Bastò poco per realizzare che il calore proveniva dal respiro di Jo, appoggiato con la testa nell’incavo della sua spalla. Teneva le braccia possenti ai lati della sua testa, in modo da tenerla ferma contro il muro per non farla scappare.

«Cosa c’è questa volta?» domandò con tono sprezzante la ragazza.

«Perché, Morganne, perché?» mugugnò Jo, con la voce ovattata.

«“Perché” cosa?».

Il biondo sospirò sonoramente. «Perché siamo arrivati fino a questo punto?».

La fata serrò la bocca e guardò il vuoto davanti a sé.

«Mo, andava tutto così… bene» sibilò il ragazzo.

«Non stava andando tutto bene, Jonathan» Morganne chiuse gli occhi. «Lo sai benissimo».

«Dammi una buona ragione per cui avresti tradito i tuoi amici!» il mago alzò la testa è batté i pugni contro il muro, puntando gli occhi in quelli verdi della bruna.

«Ho sempre odiato i tuoi modi violenti».

«Rispondimi, diamine!».

Morganne deglutì. «Te l’ho già detto, la mia vita era appesa ad un filo e loro erano le Moire che avrebbero potuto tagliarlo da un momento all’altro» spiegò con calma.

«Potevi rivolgerti a me…» guaì Jo.

«Non volevo rischiare di metterti in pericolo».

Il biondo sospirò ancora una volta. «Per te avrei sacrificato la mia vita, Mo» le disse con un fil di voce.

Quello sguardo abbattuto fece quasi piangere il cuore della fata. «Non dire cose di cui ti potresti pentire in futuro…».

«Noi eravamo una cosa perfetta, un team, due facce della stessa medaglia!».

«Non c’è più nessun “noi”, Jonathan» disse severa.

Il ragazzo schiuse le labbra e la guardò triste. «Avresti potuto essere tu la rappresentante delle fate».

«Ormai ho rifiutato, non c’è nulla da fare» alzò il mento.

«Ma perché?!».

«Perché sono uno spirito libero, Jo!» gridò Morganne, pentendosi subito delle sue parole.

Il biondo scosse la testa, guardando verso il basso. «Questo l’ho sempre saputo… tutti i figli della natura lo sono» alzò il viso e le sorrise debolmente, mollando la presa.

La fata, però, rimase immobile, anche se dentro di sé avrebbe voluto urlare con tutte le sue forze. Ma l’orgoglio deteneva ancora la supremazia sulla sua volontà.

«Ti ho amata, Morganne» il mago fece un passo indietro. «E non posso negarlo di farlo anche adesso».

«Jo-».

«Però è arrivato il momento di lasciarti andare» disse a malincuore. «Ricordati di tornare nella casa, sei ancora sotto la nostra protezione» le sorrise, prima di scomparire in un bagliore azzurro.

La ragazza aprì bocca per dire qualcosa, ma fu inutile, perché davanti a lei non c'era più nessuno. «Stupida e inutile presunzione…» mormorò, insultando sé stessa.

 

 

Evelyn scansò un colpo di Dorian. «Tua sorella si è comportata in modo strano ultimamente?» gli chiese, affannando.

Il corvino si spostò i capelli umidi dalla fronte, aggrottando la fronte. «No, perché?».

La rossa scosse la testa. «Nessun motivo in particolare» avanzò per attaccare il ragazzo, che riuscì a non farsi uccidere. Evelyn non si sentiva ancora pronta a rivelare a Dorian la vera natura di Harriet, cercava di tutelarlo ed anche di evitare spiacevoli inconvenienti.

«Se mi hai fatto una domanda, un motivo ci sarà» insistette il corvino, alzando la spada per bloccare un attacco della strega.

«Davvero, Dorian, nessun motivo».

Il ragazzo drizzò la schiena e abbassò l’arma, sospirando. «Sono stanco» farfugliò, più che altro per quei modi di fare sbrigativi della strega.

Evelyn ridusse le labbra a una linea sottile e acconsentì. «Facciamo una pausa» sistemò la spada nella fodera che aveva appoggiato contro la parete della casa e raggiunse Dorian.

«Come hanno fatto i cittadini di Scary City a dimenticarsi delle creature magiche?» le domandò improvvisamente il ragazzo. In realtà era qualcosa a cui aveva già pensato da tanto tempo, ma non aveva mai avuto occasione di chiedere.

La rossa alzò un sopracciglio. «È una lunga storia… un po’ te l’ha anche spiegata Jo» rispose con sufficienza.

«Beh, io ho tutto il tempo del mondo» ribatté il ragazzo, sedendosi a gambe incrociate sulle scalinate di fronte all’ingresso.

L’altra sbuffò spazientita e, controvoglia, lo imitò. «L’antica strega Wanda era riuscita ad attaccare l’allora “Cordial City”, indebolendo le difese del Consiglio che provò di tutto per catturarla»

«Ci riuscirono?».

«Non si sa come, ma ce la fecero, imprigionandola sotto forma di statua. La collocarono in mezzo alla città, così da essere tenuta d’occhio regolarmente».

«Qui dove adesso c’è la casa?».

Evelyn annuì. «Questo è un posto maledetto, infatti. Se non fosse stata per la magia di Jo, non avremmo mai potuto erigere questa casa».

«Ma sembra antica… ».

«E infatti lo è. Non farti ingannare dal suo aspetto, Jo ha tanti anni» rivelò. «Comunque, stavo dicendo? Ah sì, collocarono la statua nel centro della città. Dunque, alcuni abitanti se ne andarono altrove e, mentre il Consiglio era obbligato a vegliare Wanda, il Governo se ne lavò le mani».

«Il Governo era contro il Consiglio?».

La rossa sbarrò gli occhi spazientita.

«S-Scusa, continua…».

«Il Governo era composto soltanto da umani e no, non era contro il Consiglio. Ma dato che quest’ultimo era formato da esseri magici che potevano tranquillamente opprimere il potere della strega, il Governo decise di lasciare a loro il lavoro sporco».

Dorian annuì, interessato.

«Inizialmente, senza più le minacce della strega, i pochi cittadini rimasti nella città vissero felici e quasi contenti, finché, tre secoli dopo, successe il disastro».

«Wanda si liberò?».

Evelyn sospirò divertita. «No, non Wanda in sé, ma la sua statua fu rotta da un paio di bambini che giocavano a palla in questa zona. Abbastanza idioti, oserei dire».

«Cioè... noi stiamo passando attraverso una guerra civile per colpa di alcuni bambini dell’ottocento?!».

«Esattamente» annuì la ragazza. «La strega riuscì a fuggire nel bosco, maledicendo gli abitanti. Da allora, chiunque cercasse di catturarla, non faceva più ritorno. Oppure, se tornava, moriva nel giro di poche ore per il poco sangue che gli rimaneva in circolo. La città venne dunque chiamata "Scary City" e col tempo gli abitanti se ne dimenticarono. Ma ricordiamoci che la strega è immortale e detesta essere ignorata».

Dorian deglutì nervoso. Nella sua mente stava immaginando Wanda come una strega molto vecchia, ma davvero potente.

«Altre domande, mister?».

Il corvino scosse la testa. «No, grazie. Sei stata esauriente».

«Ottimo» Evelyn si alzò in piedi. «Mi chiedo che fine abbia fatto Jo» aggrottò la fronte, mettendo le mani sui fianchi.

«Te l’ho detto, è con Morganne».

«Sì, lo so, ma…» si strinse nelle spalle. «Niente, non ha importanza».

«Eve...» la chiamò Dorian. «Per caso quei due hanno una storia?».

La strega inclinò la testa di lato. «Sai che non lo so? Quando sono entrata nel Consiglio era lei che faceva da rappresentante alle fate, ma non ricordo altro».

«Davvero? Non lo è sempre stata Juliet?» sgranò gli occhi.

«No» ribadì Evelyn. «È successa una cosa complicata, che non ricordo. All’epoca avevo più o meno otto anni, quindi figuriamoci se una bambina così innocente possa comprendere i problemi politici del tempo» rise.

«In effetti» sogghignò Dorian.

La rossa si diresse verso l’ingresso. «Dai, vieni. Ti preparo un caffè».

Il corvino non se lo fece ripetere due volte e la raggiunse. «Che ti hanno fatto questa notte? Sei più gentile del solito…» osservò.

«Mi correggo: te lo rovesciò in testa il caffè»,

«No, no, stavo scherzando, stavo scherzando!» si agitò Dorian.



 


Ciao a tutti! :)

Mi dispiace di essere sparita ancora una volta, ma purtroppo le cose non si studiano da sole *si prende il viso stanco tra le manine*.

Cooomunque, eccomi tornata con un nuovo capitolo ;) Spero sia stato di vostro gradimento!
Qui scopriamo una piccola parte della vita passata di Morganne e di Jo. Chissà cosa sarà successo... non lo neanche io perché devo ancora provvedere alla stesura del capitolo 10 ahah.

Ad ogni modo, grazie infinite per le vostre recensioni e per i seguiti o preferiti!! Siete gentilissimi ;)
Alla prossima!

Cri

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Capitolo 10
*** Davvero i tritoni vivono a Brighton? ***






10




 

Dorian trangugiò il suo caffè e appoggiò la tazza sul tavolo di legno. «Hai risolto con la sirena?».

Evelyn alzò la testa, intenta a leggere una rivista di moda. «Uhm?».

«La sirena, quella che dovevi cacciare…».

«Sì, ho risolto».

«E…?».

«“E” cosa?».

«Che ne so… l’hai presa? L’hai trovata?».

«Oh, quello…» la strega abbassò la testa e tornò alla lettura. «Non l’ho presa, ho soltanto scoperto dove si sta nascondendo».

«E andari a catturarla?» Dorian finì la bevanda, alzandosi per mettere la tazzina nel lavandino.

«No. La attirerò qui».

Il ragazzo prese nuovamente posto sulla sedia opposta a quella di Evelyn. «E come vuoi fare?».

La rossa sbuffò sonoramente. «Mi dai un po’ di pace? Stamattina mi sono anche svegliata male» sospirò.

«Va bene, va bene. Non preoccuparti» Dorian strinse la labbra e incrociò le dita sul tavolo, stringendosi nelle spalle.

Eve continuò a leggere per un po’, finché non alzò lo sguardo e scrollò le spalle. «Voglio farle credere che il canale della Manica sia stato minacciato dai tritoni».

Dorian batté le palpebre, confuso. «Dalle lucertole d’acqua?».

«No, deficiente» la strega emise un sospiro di rassegnazione. «I tritoni sono delle creature marine, mezzi uomini e mezzi pesci».

«Come le sirene?».

«Diciamo che i tritoni sono le sirene al maschile».

«Wow, geniale come piano» sorrise il corvino, facendo spuntare una fossetta sulla guancia.

Eve girò una pagina della rivista, soffermandosi sulla foto di un cappotto. «Devo soltanto ricevere conferma dal loro capo»

«Chi è?».

«Un vecchio che odia i giovani».

«Ottimo» ridacchiò Dorian, stiracchiandosi sulla sedia.

La porta d’ingresso si aprì, facendo sussultare i due ragazzi che si voltarono nello stesso istante. Sulla soglia apparve Morganne, con l’aria abbattuta e affranta. Notando la presenza di Evelyn, la fata diventò paonazza e spalancò lentamente la bocca.

«Le Fay, è un piacere rivederti» sorrise malvagiamente la strega, concentrando nuovamente l’attenzione sul settimanale di moda. La bruna deglutì silenziosamente, attraversando la cucina e sistemandosi sulla sedia accanto a Dorian.

«Ciao…» farfugliò il ragazzo, cercando un contatto visivo con lei.

Morganne girò la testa e gli rivolse un sorriso tirato, mascherando l’agitazione con un atteggiamento austero da regina sprezzante.

«Novellino, ci incontriamo ancora».

Evelyn si inumidì le labbra screpolate, girando pagina. «Dov’è finito Jo?» chiese, senza interessarsene davvero.

La fata cercò di superare la sorpresa che le produsse quella domanda e puntò gli occhi sulla rossa. «Non lo so, è andato via senza dire niente».

«Capito» la strega richiuse la rivista e la appoggiò sul tavolo, prendendo la tazza del suo caffè ormai freddo.

Morganne si torturò nervosamente le dita. «Per quanto tempo dovrò starmene qui senza far nulla?».

Evelyn bevve un sorso della bevanda amara e fissò la ragazza, apatica. «Chi ti ha detto che te ne starai con le mani in mano?».

«Sono una prigioniera, deduco che sia un intralcio per voi».

«No, non lo sei. Anzi, puoi rivelarti molto utile».

Morganne rabbrividì. Il tono gelido di Evelyn non prometteva niente di buono. «Tipo?».

«Tipo aiutarmi a prendere una ribelle abbastanza scontrosa».

“La sirena…” pensò Dorain, scrutando attentamente le due ragazze.

«E se non volessi accettare?».

Evelyn incurvò le labbra in un sorriso sadico, quasi crudele. «Non vuoi finire rinchiusa nei sotterranei, vero?».

La fata chiuse gli occhi, ripensando a quel luogo buio e umido. «No, non voglio».

«Come immaginavo» ghignò la rossa, buttandò giù gli ultimi sorsi di caffè.

«Che… che vuoi fare, Eve?» domandò timidamente il corvino, intromettendosi nella discussione con un certo senso di inferiorità.

«Dobbiamo andare sul molo. Ci stanno aspettando alcuni alleati» la strega si alzò elegantemente dalla sedia, riponendo la tazzina nel lavandino, accanto a quella di Dorian. Schioccò le dita e queste si ripulirono del tutto, luccicando come se fossero nuove di zecca, poi armeggiò con le mani e le ripose nei sospensori di legno, voltandosi verso i due ragazzi.

«Ma non avevi detto che dovevi aspettare il consenso del vecchio tritone?» saltò su Dorian, confuso.

«La prassi dice questo. Ma io non seguo mai la prassi» Evelyn si avviò verso la porta della cucina, invitando anche gli altri a seguirla.

Morganne ormai aveva smesso di fare domande ed eseguì l’ordine, sistemando la mani dentro le tasche della felpa azzurra. Dorian riprese la giacca dalla sedia e corse impacciatamente verso di loro, tenendosi al passo.


 

Evelyn li teletrasportò vicino al vecchio e imponente molo di Brighton, a sud del Regno Unito. Fuori c’era caldo, ma la brezza marina donava ogni tanto un pizzico di freschezza. Camminarono tutti e tre sui ciottoli della spiaggia, cercando di non inciampare o affondare troppo i piedi nei sassi.

«Wow, non ero mai venuto qui…» osservò meravigliato Dorian, guardando a bocca aperta il grande pontile del Brighton Pier.

«Non farti ingannare dalla bellezza esteriore» lo avvisò Evelyn, procedendo a grandi falcate.

«Perché?» il corvino mise a fuoco la costruzione, notando che sul molo erano state messe alcune giostre.

«Perché dentro non è niente di speciale» rispose con sufficienza la strega, risalendo alcuni scalini che li portarono sul marciapiede.

«Dove stiamo andando? Il Palace non è da quella parte?» Morganne indicò il Pier alle loro spalle.

«No, dobbiamo raggiungere l’Afloat, la Donut Statue».

La fata guardò davanti a sé e scrutò una grande costruzione verdastra, a forma di ciambella. «Ah, ho capito» annuì.

I tre camminarono in silenzio, scansando alcune persone che facevano la loro corsetta pomeridiana. Scesero altri scalini e oltrepassarono un’insegna che su cui c’era scritto “Doughnut Groyne”, avvicinandosi alla statua di bronzo, resa verde dal tempo.

«Bene, seguitemi» intimò Evelyn, andando incontro all’Afloat e scomparendo al suo interno.

«Ma che… Eve?» Dorian si agitò, mettendo le mani sulla statua e cercando a tastoni un’entrata.

«Devi semplicemente attraversarla» rise Morganne, trapassando la Donut con semplicità.

«Ma io non so come si fa!» protestò il corvino, sconsolato.

Spuntò fuori un braccio di Evelyn che afferrò Dorian per il bavero della maglia e lo trascinò con poca grazia verso la ciambella. Il ragazzo strizzò gli occhi temendo una collisione diretta contro la statua, invece sentì soltanto una leggera pressione sulla pelle.

Riaprì le palpebre e si guardò intorno, ritrovandosi in una grotta umida che dava su un mare arigato e nero. «Dove siamo?» la sua voce riecheggiò tra le pareti cavernose, provocando un fragoroso rimbombo.

«Questa caverna è un ponte che collega il mondo degli umani e quello delle creature marine» spiegò Evelyn, avvicinandosi alla spiaggia.

«Abbiamo attraversato un portale?» chiese a voce alta Dorian, cercando di sovrastare il rumore delle onde.

«Esattamente» confermò Morganne. «Se ho capito bene, Evelyn vuole incontrare i tritoni guerrieri» si strinse nella felpa, cercando un po’ di calore.

Anche Dorian sentì freddo: quell’improvviso abbassamento di temperatura l’aveva leggermente scombussolato. «Vuoi dire quelle persone?» indicò un gruppo di uomini a torso nudo, ognuno dei quali reggeva in mano un lungo tridente dorato.

«Esattamente» la fata raggiunse il corvino e seguirono entrambi la strega, che avanzava verso i tritoni con passo deciso. Giunti di fronte a questi, Dorian non poté non notare la forma allungata dei loro occhi e la pelle bluastra, attraversata da diverse squame.

«Evelyn Rosaline Grey» sentenziò uno di loro, puntando le iridi grigie sulla rossa. «Accogliamo con onore la richiesta di un membro del Consiglio» inchinò la testa, in un gesto di umiltà e sottomissione.

La strega gli rivolse un’espressione indifferente. «Puoi anche parlare come mangi, Marlon, non sono chissà chi».

Il ragazzo sorrise, rivelando due file di denti fitti e affilati come aghi. Ma, nonostante quel dettaglio raccapricciante, la sua bellezza non sfigurava. «Accettiamo la tua proposta».

«Bene» sorrise debolmente la rossa. «Anche voi tritoni ne avete abbastanza di Pearl?».

I tritoni bisibgliarono tra loro e Marlon, il rappresentante, prese parola. «Ha seminato terrore tra le nostre genti, non possiamo più muoverci liberamente» la informò con tono di rammarico.

«Comprendo la situazione» sospirò la rossa. «La prenderò con le mie stesse mani, avete la mia parola».

A Dorian parve quasi che gli occhi di Evelyn potessero prendere fuoco da un momento all’altro, tanto era la sua determinazione. E non poté non trovare quel dettaglio maledettamente adorabile.

«Qual è il piano, quindi?» chiese Morganne, sbattendo i piedi sulla sabbia per riscaldarsi.

«I tritoni fingono una rivolta contro le truppe di Pearl, mentre noi ce ne staremo qui per aspettarla» si pronunciò Evelyn, incrociando le braccia al petto.

«Qui? Al freddo e al gelo?» commentò contrariata la fata. «Diventerò un fottuto ghiacciolo!».

«Almeno sarai più interessante».

Morganne lanciò un’occhiata torva alla strega e decise di non ribattere, per non darle soddisfazione. «Che ruolo abbiamo io e Dorian?»

Il corvino alzò la testa, sentendosi chiamato in causa.

«Voi due mi parerete il culo, ecco cosa farete».

«Fungiamo da spalla?» chiese il corvino con una smorfia.

«Esattamente» confermò la ragazza, spostando lo sguardo sul mare in tempesta. «Quando tempo ci resta?»

«Pochi minuti» rispose il tritone, stringendo saldamente il suo tridente. «Ce la farai?».

«Ho mai fallito?».

Marlon sorrise sghembo e scosse la testa. «Direi di no».

«Allora abbiate tutti fiducia in noi».

 

 



Buonsalve gente!

*scansa tutti gli oggetti che le vengono lanciati contro* Lo so, lo so, sono settimane che non aggiorno! Chiedo UMILMENTE scusa!!
Però mi rifarò con il prossimo capitolo, anche perché questo, messo insieme all'altro, risultava troppo lungo e perdeva d'effetto... chiedo ancora scusa!
che dire, abbiamo scoperto che esistono anche quei bonacci dei tritoni, ed Evelyn ne conosce pure uno! Che culattona che è ahaha.
Aggiornerò il più presto possibile, non temete :)
Ringrazio ancora chi ha la pazienza di recensire i miei obbrobri e un grazie speciale va a chi ha inserito la storia tra i preferiti, i seguiti o i ricordati! Senza di voi non saprei come fare ;)

Inserisco ancora la piccola lista dei personaggi incontrati finora, per dare una rinfrescata:

Dorian Evans --> protagonista / membro del consiglio / umano
Evelyn Grey -->  membro del consiglio / strega
Jo (Jonathan) --> membro del consiglio / mago
Dottor Gil Alvarez --> membro del consiglio / rappresentante mostri (si scoprirà in seguito la razza)
Juliet Hill--> membro del consiglio / fata
Morganne Le Fay --> ex membro del consiglio / fata
Marlon --> alleato del consiglio / tritone

Alla prossima!


Cri

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