Dentro le nostre anime

di MarlboroRosse_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Penso che ciascuno di noi nasconda un segreto, in una parte remota del nostro stomaco. Qualcosa che rivela una parte della nostra vita. Forse tutto.
Una paura, un amore, un’esperienza, un lato nascosto. Ma è pur sempre un segreto, una cosa che sappiamo solo noi, con cui dobbiamo convivere ogni giorno, accettando che ci abbia reso ciò che siamo. Anche in senso positivo, a volte.
Se lo dicessimo a qualcuno, allora sarebbe come barare; non ci apparterrebbe più.
Ammettiamolo, non sempre abbiamo voluto tacere. Forse lo abbiamo deciso perché qualcuno ci sembrava degno di scrutarci dentro. Alla fine è questo: conoscere un po’ più a fondo una persona. Il problema è che non tutti sanno ascoltare. La maggior parte sentono e basta, per poi ripetere il genere di parole che hai già sentito e di cui non hai bisogno.
Viviamo nella superficialità ormai. Nessuno di noi si preoccupa di chiedersi perché la gente si torce le mani quando è nervosa o fuma se sa che fa male.
L’uomo è vuoto dentro. Immerso nella tecnologia, nella società, nel suo completo egoismo.
Dietro ogni individuo c’è una mente capace di elaborare e prendere decisioni, di sbagliare, anche di fare del bene. Alcuni sono persino dei sensitivi; lo capiscono da sé quando qualcosa non va. Altri sono così bravi che sentono ciò che succederà in futuro. Magari quelli che guardiamo di sfuggita salendo sulla metro, mentre scendono diretti chissà dove. Anche loro dormono, mangiano, pensano, si preoccupano. Cose normali, insomma. Ma cosa ne sappiamo noi della loro vita? Forse in quel momento stanno per fare l’errore che li segnerà, o stanno semplicemente rientrando a casa. Eppure non ci fermiamo mai a pensare se stiano bene o no, cosa possano avere in testa o nel cuore. Perché tutti quanti almeno una volta siamo egoisti e la maggior parte delle volte ce ne infischiamo.
Un caso comune è quando incontriamo un mendicante. Qualcuno ha il buon senso di donargli qualcosa, altri si limitano a fissarlo con disprezzo, a  ignorare le sue richieste come fosse trasparente. Perché di persone così ce ne sono troppe. Perché nella miseria altrimenti finiremmo noi, dicono.
Siamo sempre pronti a puntare il dito, come fosse un’arma capace di ferire. Spesso ne approfittiamo, sembra quasi un bisogno. E persino questo è un segreto, perché nessuno ammetterebbe mai di essere ignobile o ingiusto. Nel profondo però, sappiamo tutti come siamo realmente, di cosa siamo capaci.
Ci guardiamo intorno, facciamo la stessa strada mille volte per tornare a casa. Eppure ci saranno un sacco di cose che pensiamo di aver visto e invece non abbiamo notato. Mille vie di fuga e la soluzione è proprio lì, sotto il nostro naso, solo che abbiamo la testa altrove per accorgercene. Costruiamo il presente per un futuro migliore, sprechiamo mille occasioni, abbiamo l’opportunità di fare qualcosa e invece ce ne stiamo con le mani in mano. Diciamo  di voler migliorare ma aspettiamo che le cose degenerino per capire che dovevamo agire prima.
Eppure sta a noi.
Le scelte, gli impulsi, il futuro. Persino il destino, che ti sbatte dentro le situazioni più complesse proprio quando pensi che non potrebbe andare peggio di così. O al contrario, quando ti abitui al fatto che tutto stia filando liscio.
Sta a noi trovare una scappatoia, scoprire le carte e sapercele giocare, costruire la nostra esistenza e prenderci le nostre responsabilità. Sorprenderci.
Spetta a noi trovare la persona giusta con cui condividere il segreto della nostra vita, il mistero che tanto ci angoscia o caratterizza. Nel dubbio, si può anche farne a meno: chi sceglie di stare da solo, è consapevole che è per il proprio bene.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Nora
Andarmene dal luogo in cui sono nata è sempre stato uno dei miei principali scopi, fin da quando ero bambina.
L'Oregon non mi é mai piaciuto. L'inverno sembra non avere mai fine e io detesto il freddo che in certi giorni ti trapassa la carne, le labbra screpolate e le continue piogge che colpiscono quando meno te lo aspetti. Sono più da estati calde e giornate afose, ho avuto una gran sfortuna.
La California è tutt'altro. Le spiagge e le palme che costeggiano le strade, il surf, i ragazzi abbronzati, Malibu, Hollywood. Lo so perchè ci andavo sempre in vacanza: questo prima che i miei genitori trovassero un lavoro che occupasse tutto il loro  tempo, possibile e immaginabile. Le poche ore che passano a casa le impiegano facendo gli straordinari; mia madre a trovare slogan per campagne pubblicitarie, mentre mio padre facendo il disegnatore di fumetti è sempre rinchiuso in quello che lui ha ribattezzato come "studio privato". (In verità è solo un ripostiglio pieno di scatoloni e cianfrusaglie varie.)
So che non è bello fare delle preferenze, ma ammiro più lui. Ho sempre amato la sua personalità stravagante ed espansiva, il modo in cui ti coinvolge. A vederlo da fuori non si direbbe; ha più l'aria di un uomo d'affari, con le sue giacche eleganti e le sue camicie ben stirate. I mocassini che usa nel weekend e la faccia da ragazzino hanno sempre stonato con la sua doppia personalità.
Proprio adesso, guardandolo dal sedile posteriore mi rendo conto che molti cercano di sembrare ciò che non sono. Probabilmente lo fa per fare piacere al suo capo, per dimostrargli che anche lui può essere una persona senza senso dell’umorismo, che si reca semplicemente a lavoro tutto incravattato, con un caffè in una mano e la cartella nell’altra. Questo perchè non molti conoscono i Clowns Smile, il gruppo di animatori di cui un tempo faceva parte insieme ai suoi amici del liceo. Difficile da ammettere, di questo un po’ me ne vergogno.
Mia madre è il contrario: l'aspetto è formale, a volte troppo elegante. Non ha molta fantasia ed è poco creativa, io non ho mai capito perché non si licenzia invece di lambiccarsi ogni giorno. Non la pagano nemmeno molto, nonostante impieghi settimane prima di farsi venire un'idea degna di aspettativa, ciò mi é sempre sembrato eccessivo. Forse anche lei lo fa per dimostrare qualcosa ai suoi genitori, che può far carriera come sua sorella che dirige un'importante agenzia di moda: La New Faces. O magari non vuole diventare come mia zia Anne, invece.
Io nei miei diciotto anni di vita non ho mai sentito la necessità di sorprendere qualcuno e comunque non ho un bel rapporto con nessuno dei tanti. Con mia zia non parlo mai e lo si può dedurre anche dal mio abbigliamento, per i miei genitori si può dire lo stesso. A volte sembro invisibile, sono così impegnati con le loro faccende che passerei facilmente per un fantasma.
Odiavo tutto questo. La Western Oregon University, la gente, il ricordo della mia adolescenza e la mia reputazione. Ma poi  successe che mia madre ebbe una promozione, e la sede in cui lavorava si trasferì a Saint Louis. Non pensavo che questo cambiamento sarebbe risultato più fruttifero e soprattutto positivo per noi. Andare ad abitare così lontano sarebbe stata un'impresa ma prima o poi avremmo dovuto farlo, casa nostra era diventata troppo scomoda. Crescendo ho iniziato a manifestare l'esigenza di avere una stanza davvero mia, con una rete internet, degli scaffali, un muro dove poter attaccare poster e delle finestre vere. Non una soffitta, per intenderci. Penso che anche mio padre volesse lo stesso, e poi un bagno in più non sarebbe stato male.
Inutile dire che abbiamo fatto i bagagli appena l'opportunitá si é presentata, e io ho detto addio a tutto quello che avevo, pioggia e "amici" compresi. L'idea non mi dispiacque affatto.
E così, anche se la California era una delle mie migliori aspettative, ho dovuto accontentarmi della Pennsylvania e arrendermi al fatto che non avrei mai incontrato Leonardo DiCaprio o Johnny Depp.
Ragion per cui adesso mi trovo qui, davanti a un edificio dall'aspetto un po' malandato. La facciata in legno, le imposte scure, il portico con un terrazzo ampio che a guardarlo bene ha bisogno di essere ristrutturato. Lo abbiamo comprato perché era in vendita a un prezzo stracciato per via di un omicidio che è stato commesso qualche anno fa. Un po' inquietante, ma non potevamo permetterci altro. C'è un giardino immenso in cui alludo subito al progetto di una piscina, ma subito dopo penso che non sarà mai animata da musica e ragazzi come si vede sempre nei film. Sospiro e guardo i miei, almeno loro sembrano entusiasti del nuovo cambiamento.  E anch'io lo sarei se sapessi da dove iniziare.
Mio padre si avvicina all'uscio e inserisce la chiave nella serratura arruginita. La porta scricchiola quando la apre e una falena svolazza via infastidita dal chiarore del giorno. Ho la nausea, chissà quanti insetti ci saranno.
Dentro non é come l'avevo immaginata, cioè vecchia, raccapricciante e piena di ragnatele. Sembra abbastanza nuova e i pochi mobili rimasti sono tutti coperti da un telo. La luce che proviene dalle ampie finestre filtra l'aria e rende ben visibile la polvere che si è accumulata in tutto questo tempo. Alla mia sinistra c'è la cucina e più  a destra delle scale portano al secondo piano.
《Coraggio Nora, scegli una camera.》mi intima mia madre. Annuisco e mi avvio di sopra. Salendo sto attenta che nel frattempo qualche gradino non ceda e non mi catapulti in qualche scantinato macabro. Sono troppo paranoica, ma questa casa sembra più terrificante di quanto in realtà non sia se penso a ciò che accadde anni fa.
Mi accorgo che la scala si interrompe qui, ma da fuori mi sembrava ci fosse anche una soffitta. Davanti a me ci sono quattro porte. Apro quella in fondo e vi trovo un bagno. Ci sono tre camere e da questo deduco che gli ex inquilini avevano due figli: le reti dei letti sono ancora qui, complete di materasso. Non c'è molto a parte due scrivanie e un armadio a muro. Mi vengono i brividi se penso a come devono essersi sentiti. Riesco ad immaginare cosa hanno pensato in quel momento, l’istante in cui è finito tutto.
Decido di stabilizzarmi nella stanza vicino al bagno perchè si affaccia sul retro, che reputo più allettante della vista sulle altre case. Mi guardo intorno e sospiro. Finalmente per me è arrivata la possibilità di ricominciare da capo e sembrare una persona diversa. Migliore, forse. Non posso sprecare questa opportunità.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Anonymous pov
L'unica cosa che abbiamo in comune io e mia sorella è che entrambi siamo testardi. Se ci fissiamo su qualcosa è difficile farci cambiare idea. Per il resto, due caratteri completamente differenti. Non ci assomigliamo nemmeno fisicamente, se qualcuno non ci conoscesse non immaginerebbe neppure che siamo parenti.
Ho sempre avuto la piena decisione sulle sue azioni perché sono il fratello più grande. Non sopporto l'idea che a sedici anni sia così bella e così attorniata da ragazzi. Ricconi viziati, con le loro porsche nere e le loro Vans costose, tutte comprate con il prestigioso stipendio del padre.
Noi non abbiamo molto da permetterci, è giá tanto che viviamo sotto un tetto. Di questo lei non se n'è mai curata; spende continuamente soldi in vestiti che indossa una sola volta solo per accaparrarsi il più figo dell'istituto. Vuole sentirsi desiderata e le piace essere al centro dell'attenzione. A casa è la figlia perfetta; anche se non ha un buon rendito scolastico è la loro preferita. Non riesco a spiegarmi come fa.
La osservavo sempre atteggiarsi davanti alle sue amiche, quel suo comportamento da superiore che poi in più delle altre non aveva niente. I capelli pettinati e la divisa scolastica rigorosamente stirata. Forse voleva dimostrare di essere diversa agli occhi degli altri, ma com'era davvero lo sapevo solo io. Mi accorgevo di quando stava male per qualcuno che alla fine la rifiutava, e mi trattenevo a stento dal prenderlo a pugni anche se continuava a ripetere che non le importava. Manteneva una specie di corazza. La sentivo certe notti singhiozzare dalla sua camera e la mattina da struccata le occhiaie si vedevano di più. In quel momento era una persona diversa. Sembrava la bambina con cui giocavo da piccolo, quella che mi preparava il the aspettandosi che lo bevessi. Ma ora era diventata come le sue coetanee. La odiavo per questo, soprattutto per la freddezza che si era creata tra noi, per come mi evitava a casa da un po' di tempo. Ma infondo è normale per tutti gli adolescenti attraversare periodi così, solo che stava durando troppo. Non ne capivo il perchè, probabilmente crescere comportava questo.
I quattro anni di differenza che avevamo non mi facevano sentire tanto diverso da lei. Mi sentivo ancora parte di quegli sfigati che frequentavano il college, l'ultimo in famiglia.
Rosalie e John sembravano pensarla come me. Non so perché non sono mai riuscito a chiamarli "mamma" e "papà", l'ho sempre trovato strano. Loro non si sono mai fatti troppi scrupoli, perciò andava bene così.
La droga, i debiti da pagare, il brutto giro che frequentavo; nulla di anormale per un ragazzo di ventuno anni, soprattutto in questa città. Se non vendi anche l'anima, non sei nessuno. Capii come girava dopo un po' di tempo che frequentavo questa scuola, ma finalmente ero riuscito a trovare una posizione e farmi rispettare. Anch'io ero diventato uno di quelli di cui "devi avere paura" solo a guardarlo, però non mi sentivo affatto così, mi vedevo fuori posto. Purtroppo se non ti inserisci bene in questa societá vieni tagliato fuori, e così anche se non ne andavo fiero dovetti accontentarmi.
Mio padre dopo aver perso il lavoro iniziò a spendere quel poco che mia madre guadagnava giocando a poker. Ciascuno di noi aveva una dipendenza: il gioco, la popolarità, la droga. Mi chiedevo quale fosse peggio ma anche qui io rientravo tra le principali delusioni.
Per farla breve, odiavo la mia vita. Il motivo principale era non poter raggiungere il mio sogno. Nessuno, a parte lei, sapeva che avrei voluto studiare astronomia. Certo, era impossibile. I libri costavano troppo così come gli strumenti, ma questa passione non si é mai spenta. Ho iniziato a leggere qualcosa nella biblioteca della scuola durante le ore buche, non sarei mai diventato un astronomo ma conoscere lo spazio sembrava interessante. Mio padre voleva che diventassi un avvocato, migliore di quello che era stato lui, io di imparare tutte quelle cose non ne volevo sapere. Forse è per questo che non mi sopportavano e non facevano altro che stressarmi. "Cosa ne sará del tuo futuro?" "Devi avere un lavoro stabile, al giorno d'oggi. Devi fare carriera e per riuscirci devi studiare." Ripetevano sempre le stesse cose, e io ne avevo abbastanza.


Poi successe l'inevitabile.
Anche se convivevo con loro, dormivamo, mangiavamo insieme, cose che fa una normale famiglia insomma, non me ne sentivo realmente parte. E forse questo spiega il rapporto che avevamo.
《Come fai a sapere tutte queste cose?》mi chiese un giorno. Aveva appena compiuto diciassette anni, e le stavano da incanto: si vedeva che era diventata una donna.
《Nel tempo libero studio.》
《E i soldi chi te li da per comprare i libri? Non li ruberai mica.》si irriggidì.
《Ma no.》Feci una finta risata. 《 Vado alla biblioteca del campus, così non devo pagare nulla.》
Sembrò sollevata dalla mia risposta. Ah, se avesse saputo di tutti i debiti che avevo da saldare. Avrei voluto dirglielo, ma poi avrebbe cambiato idea, non si sarebbe più fidata.
Le feci cenno di seguirmi. Si alzò dal letto su cui era seduta a gambe incrociate e uscì nel balcone dietro di me. Il Babydoll le copriva a malapena metà coscia e io facevo l’impossibile per non indugiare troppo.
《La costellazione dell'Orsa Maggiore.》Indicai con il dito un punto vago nel cielo. 《 Le sue sette stelle principali formano il Grande Carro. Lo vedi?》cercai di essere più preciso. Lei annuì attenta alla mia spiegazione, mentre il chiarore della luna le faceva risplendere il volto.
《Secondo il mito, la Grande Orsa rappresenta uno dei grandi amori di Zeus, la ninfa Callisto consacrata alla dea Artemide. Zeus le si avvicinò nelle sembianze di Artemide stessa e la sedusse. Dall’avventura con Zeus, Callisto ebbe un figlio, Arcade. Per questo Era, la moglie di Zeus, trasformò Callisto in un’orsa. Dopo 15 anni, Arcade durante una battuta di caccia incontrò per caso l’orsa e la stava per uccidere quando Zeus intervenne mandando sulla Terra un turbine che portò entrambi in cielo. Callisto divenne la costellazione dell’Orsa Maggiore ed Arcade quella dell’Orsa Minore.》la guardai. 《Per sempre.》
《Oh.》Disse, ma non sembrava mi stesse realmente ascoltando, mi osservava in modo strano. Per un attimo postai lo sguardo sulla veste ma subito lo riportai su di lei. In quei giorni tra di noi si era creata una strana situazione e parecchi momenti imbarazzanti. 
《Aspetta, non muoverti.》le dissi prima di tornare dentro. Presi dal cassetto un pacchetto e tornai fuori. 
《Cos'è?》domandò curiosa.
《Il tuo regalo di compleanno. Sono in ritardo ma finora non avevo trovato niente di adatto. Poi ho visto questa.》aprii lo scatolino e le mostrai il contenuto: una collana con un diamante bianco.
《Diamine. Quanto ti è costata?》
Le feci cenno di stare zitta. Non aveva importanza il prezzo né come avessi fatto a pagarla.
《Non potevo permettere che qualcun'altra la indossasse.》
La presi per le spalle e delicatamente la feci girare. Alzò i capelli in modo da permettermi di legarla al collo. Sentii il suo profumo invadermi le narici. Poi la ammirai, ed era come l'avevo immaginata. Perfetta, addosso a lei.
《Rappresenta una stella, quale vuoi tu. Così quando guarderai il cielo dovrai pensarmi per forza.》Sorrisi.
《Roy...》Il mio nome suonava così strano pronunciato dalla sua bocca.
《Che cosa? 》
《Lo sai anche tu, vero?》Si fece seria. Non era stata esplicita nella domanda, ma avevo capito. Lo sapevo meglio di lei, che non potevamo davvero essere fratelli. Con un dito le accarezzai lo zigomo e lei si abbandonò al mio tocco socchiudendo appena gli occhi. Quando li riaprì, mi ero già appropriato delle sue labbra.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Nora
Il camion dei trasporti é arrivato qualche ora fa e tutti gli scatoloni, la maggior parte contenenti roba mia, sono ancora ammucchiati davanti alla porta d'ingresso rendendo  difficile il passaggio. Mia madre continua a richiamarmi invitandomi a disfarli, ma io non ho proprio voglia. È giá tanto se ieri ho fatto il letto e sistemato alcuni vestiti nell'armadio, ovviamente dopo aver pulito la stanza. Sono troppo puntigliosa per queste cose, detesto la sporcizia.
Mio padre si è messo alla ricerca di un nuovo lavoro, ma non ha ancora ricevuto notizie. In questa città la vedo difficile ma non voglio essere pessimista.
Sistemo il portatile sulla scrivania davanti alla finestra e tiro fuori i miei libri dalla valigia, che ripongo sullo scaffale in alto. Traslocare é la cosa che odio di più, troppo faticoso.
Sono in questa casa da meno di dodici ore e già non la sopporto. Ci sono ragni ovunque, polvere, mobili da sistemare e soprattutto è fredda come un igloo. I miei hanno detto che tra poche ore dovrebbe arrivare un tecnico che ripari i riscaldamenti, ma ne dubito. Il nostro quartiere è parecchio lontano dal centro. Sbuffo e indosso il primo maglione che trovo in valigia. L’unica cosa positiva è che finora non ho avvistato ratti o lo spettro di uno degli ex inquilini. Come gli è venuto in mente di trasferirci proprio qui?
《Nora, vieni a pranzare. 》Mi chiamano dal piano di sotto e io entusiasta mi catapulto nel corridoio. Amo mangiare, è la mia unica consolazione in certi momenti. Scendendo le scale però non sento l’odore che mi aspettavo. Per la verità, c’è lo stesso tanfo di chiuso che c’era da quando abbiamo messo piede in questa casa. Entro in cucina e guardo rapidamente il tavolo. Nel piatto c’è dell’insalata mista e del sushi che devono aver comprato nel negozio infondo alla strada.
《Sul serio? 》 Chiedo abbattuta.
《Il gas non funziona, tesoro.  Per oggi dobbiamo accontentarci. 》 Mi spiega mia madre. Eppure sanno che odio il pesce. O almeno, dovrebbero.
 
Resto chiusa in camera mia per tutto il pomeriggio, convivendo con l’ansia del primo giorno in una nuova scuola. Decido di fare delle ricerche su internet. Non abbiamo visto delle foto, né controllato se è in buone condizioni o se lo standard sia alto, mi ci sono iscritta e basta, dovrò almeno sapere dove si trova.
Digito su Google “Saint Louis University School” e attendo che la pagina carichi.
In primo piano mi appare il logo: la sagoma dell’edificio verde su fondo grigio. Originale.
Scorro più in basso dove trovo tutte le informazioni, quali telefono, indirizzo, numero iscritti, fondazione. Annoto qualcosa e poi clicco sulle immagini. Non sembra male, è circondato da un cortile, la facciata è quasi interamente in vetro e davanti c’è un parcheggio per le auto.
Guardo gli interni: la mensa è enorme e assomiglia al Mc Donald’s, le scale sono munite di ringhiere trasparenti così come la maggior parte dei parapetti. Sembra un enorme centro commerciale, con corridoi che si intrecciano e vanno in tutte le direzioni. Mi chiedo come farò ad orientarmi.
Ad un tratto sento un tonfo provenire da sopra e sobbalzo. Chiudo il portatile e prendo la forbice che c’è nel cassetto, se dovesse essere un assassino avrò qualcosa con cui difendermi. Un altro tonfo. Scatto in piedi e mi guardo intorno. I miei genitori non sono nemmeno in casa, non possono essere stati loro. Magari è davvero lo spirito dei vecchi inqulini, perciò mi maledico all’istante di aver pensato quelle cose prima. Il cuore mi batte forte e quando qualcosa atterra sul davanzale della finestra lancio un grido. Ci metto qualche secondo a realizzare che è solo un gatto. Abbasso la guardia e lascio andare un sospiro di sollievo, lui mi guarda accigliato e poi balza sul ramo dell’albero. Mi lascio cadere sul letto. Mi sto facendo troppe paranoie, il sovrannaturale non esiste.
 
L’indomani avendo dimenticato di puntare la sveglia mi alzo che è già tardi.
Non sono abituata a truccarmi, sarà una perdita di tempo in meno. Mi guardo allo specchio e vedo la stessa Nora di due anni fa, gli stessi lineamenti, occhi grandi e labbra sottili, lunghi capelli e pelle scura. Ho cambiato vita, magari dovrei provare anche con  me stessa.
《Cambiare. 》Lo ripeto a voce alta perché mi sembra impossibile. Mi lavo ed esco dal bagno, sorbendo il rimprovero di mia madre nel vedermi ancora in asciugamano a quest’ora. Scelgo accuratamente qualcosa da mettere, do una sistemata ai capelli e scendo in cucina. Prendo un bicchiere di spremuta, e poi guardo l’orologio sopra il frigorifero: ho ancora cinque minuti, sono in perfetto orario. Mi compiaccio mentalmente fin quando non arriva mio padre a farmi sentire un’incapace.
《Potevi almeno preparare dell’altra spremuta invece di berla tutta, sai che non possiamo cucinare nulla. 》Dice ancora in pigiama.
Alzo gli occhi al cielo. 《Non ho tempo, ti ricordo che devo andare a scuola. E poi nel frigo c’è del latte. 》Rispondo in tono freddo prima di uscire dalla stanza, facendolo restare interdetto. Non può farlo lui dato che resterà tutto il giorno a casa? A volte sembra che il genitore qui sia io.
Dopo una mezz’ora buona, mia madre riesce a trovare l’indirizzo del college, e io la saluto blaterando un semplice “ciao” prima di scendere dalla macchina. Non voglio che si offra di accompagnarmi dentro.  Considerando che la campanella è appena suonata sono in ritardo, ci metterò un po’ prima di passare in segreteria.
Guardo l’enorme facciata uguale a come l’ho vista nelle foto e faccio un respiro profondo prima di varcare l’enorme portone. Dovrei essere nervosa, invece non lo sono. Penso che non potrà mai andare peggio che nella mia vecchia scuola, è questo che mi incoraggia.
 
《Qual è il suo nome? 》Mi chiede una donna di mezza età, grassa e con un orripilante pelo sul mento. E’ seduta dietro al bancone della segreteria e tiene in mano un grosso raccoglitore ad anelli con la copertina verde. Ci ho messo un po’ a trovarla, ma per fortuna nell’androne c’era un cartello che indicava la direzione giusta.
《Nora Anderson.》Dico impaziente mentre osservo l’orologio dietro di lei. Ci sono tavoli colmi di carte e un altro dipendente, che però non riesco a vedere in viso perché è di spalle.
《Qui non c’è nessuna Nora Henderson. 》Chiude il libro e mi guarda con sufficienza, invitandomi ad uscire.
Anderson, non Henderson. 》Scandisco bene le parole e cerco di mantenere un tono calmo.
Alza un sopracciglio e controlla nuovamente tra le pagine. 《No, nemmeno. 》
《Cosa? 》Sbuffo.
《Non sei iscritta. Cosa non hai capito? 》
《E’ impossibile. Ho mandato la richiesta due mesi fa. Via email. Non potrebbe controllare meglio?》
《Ascolta, ragazzina. Non ho tempo da perdere. In questo elenco non risulta il tuo nome. Cosa posso farci io? Va’ a lamentarti dal rettore. 》Risponde nel modo più sgarbato possibile.
《Grandioso. Grazie mille. 》Dico in tono acido prima di voltarle le spalle e uscire dalla stanza.
《Vecchia incallita.》Borbotto a voce alta.
《Aspetti! 》mi urla una voce maschile. Mi giro e vedo un ragazzo dietro al bancone che potrebbe avere non più di venticinque anni. Mi indico con sguardo interrogativo. 《Si, lei.  Ho trovato la sua iscrizione. Era stata messa per sbaglio tra quelle del primo anno, ma lei andrà al…》guarda per qualche secondo la pagina che tiene in mano. 《Ultimo anno, dico bene? 》
《Si. 》mi avvicino interdetta e lui mi porge il foglio, soffermandosi per un attimo sulla pagina.
《Ha due cognomi? 》
《Già. 》Rispondo a disagio. 《Me ne dimentico sempre.》mento.
Sembra non farci caso.《Dovrebbe finire di compilare questa pagina e mettere una firma qui. 》
Faccio come mi ha detto e poi mi consegna l’orario scolastico più una piantina della scuola.          《Potrebbe servirle, qui è parecchio grande. Benvenuta alla Louis University School. O più semplicemente al LUS.》Sorride. Lo ringrazio e prima di uscire mostro un’espressione compiaciuta a quella cafona della segretaria.
 
I corridoi sono deserti perché le lezioni sono già iniziate da un pezzo. Per fortuna, almeno non farò la figura della sfigata che non capisce dove andare pur avendo la mappa dell’edificio in mano.
Cerco di capire da che lato guardarla, e poi finalmente riesco a trovare il punto esatto in cui mi trovo. La prima lezione suonerà a momenti, sarebbe inutile andarci. Mi dirigo allora verso la caffetteria che si trova proprio in questo andito e mi siedo a uno dei tavoli ad aspettare. Nel frattempo studio il percorso che dovrò fare. Osservo i tavoli ben disposti, tutti verdi con le sedie grigie, le tende e il pavimento a scacchi coordinati. Mi sta venendo la nausea, ma per fortuna almeno le pareti sono bianche. Con i bordi verdi. Alzo gli occhi al cielo, e quando li riabbasso noto un ragazzo che mi sta fissando dall’altro lato della stanza. Invece di fare finta di niente, continuo a guardarlo con sfida. Cosa vuole?  Il contatto visivo sta durando troppo. Dai miei studi deduco che il soggetto voglia imporre superiorità o addirittura una minaccia. Per fortuna si decide a parlare.
《Sei nuova? 》mi chiede per niente a disagio. In effetti non ha l’aria di essere timido. E’ adagiato sulla sedia come se si trovasse su una poltrona, ha i capelli castani tirati su, e da qui riesco ad intravedere il luccichio di un orecchino. La cosa strana è che non indossa l’uniforme.
《Anche tu sei nuovo? 》Chiedo senza riflettere.
Assottiglia lo sguardo. 《Ti ho fatto una domanda. 》
《Be’, anch’io. 》E poi cosa gli importa? Mi avvolgo i capelli attorno al dito nervosa.
《Pensi di essere divertente? 》Adesso assume una posizione composta.
《Affatto. 》Sorrido e vedo che il suo sguardo si addolcisce un attimo.
《Comunque no, non sono nuovo. 》Fa lui, e la campanella suona prima che qualcuno dei due possa aggiungere altro. Raccolgo le mie cose e prima che sia uscita aggiunge: 《Ci si vede. E…Ah!》Mi richiama. 《Hai una chewingum appiccicata al sedere.》
Imbarazzata cerco a tentoni con la mano e mi accorgo con orrore che non scherzava.
 
《Ti ringrazio della tua osservazione, ma avresti potuto risparmiartela. 》dico acida prima di sparire dalla sua vista. Non solo per la figuraccia, ma perché non voglio  socializzare con nessun tipo strano. Soprattutto se era intento a guardarmi il sedere.
 
 
Il professore di storia è un uomo che dimostra meno di trent’anni, tanto che lo avevo scambiato per un alunno. Sembra parecchio imbranato, ed è insicuro quando parla. Dei ricci castani gli ricadono sulla fronte, e indossa una camicia abbottonata fin troppo stretta con dei pantaloni da imprenditore d’affari. Il tutto non si addice alla sua immagine, sembra che qualcuno gli abbia imposto questa vita.
《Bene ragazzi, io mi chiamo Steve. Be’… forse dovreste chiamarmi Professor Steve. 》Balbetta. 《O Thompson. 》
Noto che tutti si guardano in modo strano, e lui si massaggia la nuca a disagio. 《Sostituirò il vostro insegnante per almeno un mese, che purtroppo ieri ha avuto uno spiacevole incidente. 》E poi senza dilungarsi troppo inizia la lezione. In verità è più una presentazione generale.
Mi sono seduta in terza fila, le ultime erano già occupate. Sono accanto alla finestra, da qui si vede tutto il retro dell’edificio. C’è un enorme campo da Basket pieno di posti vuoti. Nessuno sta giocando e gli alberi attorno si muovono troppo per via del vento. Forse avrei dovuto portare una giacca.
《Ma… ehi. 》 Improvvisamente si interrompe.  《Ho appena letto che tra di noi c’è una nuova iscritta. 》Mi sento avvampare.
《Non conosco nessuno di voi, perciò cortesemente potrebbe alzare la mano? 》
Tutti si girano a guardarmi come se fossi una cavia da esperimento. Il professor Thompson fa una breve risatina. 《Non ti chiederò di raccontarci della tua vita, so quanto possa essere imbarazzante. 》Probabilmente sta rievocando i vecchi tempi del liceo.
E’ proprio qui che si sbaglia. Prendo l’iniziativa e mi alzo in piedi. 《Scusate se non mi sono presentata, non sapevo da dove iniziare. Mi chiamo Nora Anderson, vengo dall’Oregon.》Mi fermo qualche secondo pensando a come proseguire. 《Mi sono trasferita perché la mia vecchia scuola, la Western, faceva schifo. Perciò se un giorno andrete a vivere lì, seguite il mio consiglio e non iscrivete i vostri figli. 》
Molti si mettono a ridere, compreso l’insegnante.
《Nora Anderson Calisi. 》Scandisce bene e qualcuno nelle ultime file sghignazza. 《Posso chiederti che origini hai? 》
Pensavo di averla scampata, ma non mi resta che rispondere. 《Mia madre è italiana, ha voluto che prendessi anche il suo cognome. 》
《Capisco. Grazie per la tua presentazione. 》Sorride e finalmente prosegue la lezione.
Sono sollevata che la mia entrata non sia stata imbarazzante come quelle che si vedono nei film, vale a dire “Benvenuta dicci come ti chiami e… oh guarda, c’è un posto libero accanto quel ragazzo sexy, mettiti pure accanto a lui”. Almeno ho deciso io dove sedermi e poi i banchi sono singoli, non avrei avuto comunque questo problema.
Ripenso alla mia vecchia scuola e mi rendo conto che ero proprio una sfigata. Tre anni fa non avrei mai pensato di fare una cosa simile, ma oggi mi è sembrato del tutto naturale. Questo colpo di scena deve aver dimostrato che sono una “tipa forte” e forse da adesso sarà così.
In più ho scoperto che essere al centro dell’attenzione mi piace.
 
Per quanto riguarda gli altri professori non si sono interessati molto alla questione nuova arrivata, già mi piace. Nella mia vecchia scuola veniva notata e massimizzata qualunque cavolata, non saresti potuto passare inosservato nemmeno se avessi avuto un mantello dell’invisibilità addosso. Un motivo in più per cui la odiavo.
L’ultima ora è la più noiosa, almeno per me: educazione fisica. Non che mi piaccia oziare, ma sono abbastanza timida per mettermi in mostra come la maggior parte delle ragazze che si credono Cheerleaders nate. Mi faccio coraggio e apro il portone della palestra interna. Osservo l’enorme gradinata, interamente vuota. Tutti i ragazzi sono riversati sul campo e giocano a pallavolo. L’insegnante, un tipo pelato e muscoloso, non fa altro che fischiare per richiamare la loro attenzione. Cosa dovrei fare, inserirmi nella squadra? Non conosco nessuno e non ho l’abbigliamento adatto.
《Scusa. 》Dice la voce di una ragazza dietro di me. Subito penso sia la classica eroina che arriva a socializzare con la nuova arrivata mentre si guarda intorno in cerca di una via di fuga, perciò mi giro con troppa foga.
《Si? 》Chiedo speranzosa. La ragazza davanti a me indossa un’uniforme bianca. Per fortuna, anche se il fiocco che le tiene la coda è verde.
《Dovrei passare, stai intralciando il passaggio. Se non hai voglia di fare niente magari potresti sederti. Guarda quanti posti liberi.》Indica le tribune.
Decido che sia meglio non litigare con nessuno almeno il primo giorno, e senza fare troppe storie faccio come mi ha detto. Scende le scale come se stesse sfilando sul Red Carpet e quando arriva dalle sue compagne bisbiglia qualcosa sottovoce, facendole ridere. Una di loro guarda verso di me ma lei le tira una gomitata.
Tipico, sparlano della ragazza sfigata.
Poco più in là scorgo qualcuno intento a leggere. Ormai ho capito, nessuno verrà in mio soccorso perciò mi faccio coraggio e mi avvicino.
《E’ proprio noioso, vero? 》
Sobbalza. 《Oh dio. 》
《Scusa, non volevo spaventarti. 》Faccio una risatina nervosa.
《No, tranquilla. Non ti avevo sentita arrivare.  Comunque si, ma di solito impiego quest’ora per leggere. Tanto nessuno controlla se stai lavorando o meno. 》
《Be’, buono a sapersi. Però mi sarebbe piaciuto fare la Cheerleaders. 》
Chiude il libro e mi rivolge tutta la sua attenzione.《Non te lo consiglio. Clarissa è il capitano, ed è la più antipatica. Se ci fai caso la squadra è formata solo dalle ragazze snob. 》Mi giro verso di loro.
《E fighe.》
《Si, esatto. 》Ride.
《Tanto non lo avrei fatto comunque. 》
Mi guarda strano ma non si dilunga sull’argomento. 《Mi chiamo Aubrey. Potrei avere l’onore di sapere come ti chiami dato che hai interrotto la mia lettura? 》Lo dice scherzando.
《Nora. Vengo dall’Oregon. 》
《Wow, strano. Ecco perché hai la carnagione così chiara. Qui la temperatura è un po’ più alta. 》
《Già, infatti odio la pioggia. 》
《Punto in comune. 》Fa lei.
Più la guardo e più non capisco perché se ne stia qui tutta sola. Eppure è molto più bella di me, con i capelli rossicci e ondulati che le arrivano sotto le spalle.
《Ti va se andiamo a farci un giro? Abbiamo ancora un’ora. 》Mi chiede dopo essersi accorta che la sto fissando, e io acconsento.
Aubrey ne approfitta per offrirmi una visita dell’intero edificio. Ho anche scoperto che le matricole possono richiedere una guida a pagamento. Chi sarebbe così stupido?
《E questo è il laboratorio di botanica. Tutti i laboratori scientifici si trovano nel compartimento cinque, quelli di lingue nel sei, e di informatica nel sette. 》
La guardo accigliata.《Non credo che ricorderò qualcosa, al massimo dove si trovano i bagni. 》
Fa una risatina. 《Non preoccuparti, all’inizio è difficile per tutti. 》
Quando torniamo nell’ala Ovest dell’edificio, la campanella suona. Si offre di accompagnarmi fino a casa in modo che io non sia costretta a prendere il bus. E’ un’ottima comodità avere la macchina, ma purtroppo serve a mia madre. Non so se sia venuta apposta ad accompagnarmi o se realmente abita da queste parti, ma le sono comunque grata. La ringrazio prima di scendere mentre penso che forse non è così difficile farsi degli amici.  Basta solo non reputare tutta la gente uguale, anche se probabilmente alla fine lo è. Ma se pensiamo che al mondo ci sono miliardi di persone, qualcuno di diverso dovrà pur esistere per noi. No?

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Davis
Il vento tira forte cercando di spazzare via tutto, gli alberi cercano di resistere con i rami curvi che ondeggiano di qua e di là. Un po’ come succede quando la gente vuole ferirti e tu opponi resistenza. Tutto però continua, spesso attaccano con le parole, ti fanno sentire inutile e a volte non capisci nemmeno come sei arrivato a questo punto. Ci saranno persino momenti in cui dubiterai di te stesso, non ricorderai più il senso della tua vita. Vorrai scappare lontano, dove non ti conosce nessuno. Ci pensi, ma poi ti rendi conto che tutto ciò che hai costruito, le tue radici, sono qui. Nel posto che odi tanto. E allora cerchi di non spezzarti ad ogni tempesta, aspetti la quiete, che spunti l’arcobaleno anche se è solo un inutile fascio di luce.
Osservo la pioggia che cade violentemente sull’asfalto. Le nuvole grigie così lontane, eppure così minacciose.
Scommetto che anche i nuovi vicini sono in casa, perciò non posso mettere della musica o si accorgerebbero di me. Non voglio conoscerli, ma sarei curioso di vederli.
Non è il tempo adatto per uscire né per andare a lavoro, soprattutto perché non ho una macchina. Non ho molto, a parte questo piccolo appartamento. So che prima o poi dovrei cercarne uno migliore e andarmene da questo buco, ma il mio stipendio da barman non me lo permette. Nemmeno mi piace preparare cocktail, ma ho pensato sarebbe stato il modo più facile per sovrastare il dolore. Bere fino a dimenticarti di tutto, è una delle tante soluzioni. Ma se sai preparare roba buona, hai vinto tutto.
Digito il numero del locale e aspetto una risposta.
《Si, pronto? 》
Riconosco la voce all’istante. 《Peyton? Sono Davis.》In sottofondo si sente della musica sovrastata dal rumore di piatti e bicchieri.
《Ciao, qualche problema? Steve, cazzo. Attento con quei posacenere, sono di antiquariato.》
《Antiquariato? 》Rido.
《Non lo so, ma sono costati un mucchio di soldi. 》
《Ascolta, questa sera non posso venire. Sta piovendo a dirotto e non ci penso proprio a prendermi una polmonite. Sai che non ho la macchina.》Non so perché sto cercando così tante giustificazioni se so che non sarà un problema.
《Si, d’accordo. Ci vediamo quando finisco il turno? Per quell’ora avrà smesso.》
《Vengo da te a mezzanotte. 》E riattacco.
Infondo avere un rapporto di intimità con il tuo capo ha dei vantaggi.
Sorrido e guardo l’orologio per calcolare quante ore mancano. Non vedo l’ora di infilarmi tra le sue mutande e sentirle dire che mi ama. Sappiamo che non è così, ma rende tutto più eccitante.

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