Scende la pioggia

di not_clivford
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Un lieve venticello autunnale iniziava a riversarsi per le vie della caotica Miami, creando spifferi sgradevoli e facendo volare i cappelli di qualche signore anziano che passeggiava tranquillamente sul lungomare, inebriando la città di un leggero odore salmastro trasportato dal mare freddo di ottobre. A poco a poco, l'odore che da sempre precedeva l'arrivo della pioggia, sostituì, quasi voracemente, quell'aspro odore di salsedine che pungeva l'olfatto sensibile dei ragazzi che, chini sui libri, rimpiangevano i mesi passati su quella spiaggia con gli amici.

La pioggia iniziò dolcemente a cadere, bagnando le strade affollate e i cappotti inamidati degli uomini d'affari che si apprestavano ad aprire gli ombrelli per ripararsi dall'acqua piovana che, lentamente, iniziava a diventare sempre più fitta.

Alexis guardava distratta le gocce d'acqua infrangersi contro il vetro della finestra che, dall'ufficio di Mrs. Green, dava su una strada affollata. La ragazza aveva smesso di ascoltare la donna da qualche minuto, sperando di passare inosservata.

«Alexis...» la richiamò paziente la psicologa togliendosi gli occhiali squadrati «Se continui a fare così, mi rendi impossibile aiutarti»

La ragazza dagli occhi irrealmente viola spostò la sua attenzione verso la signora sulla cinquantina che la guardava pietosa.

«Usa un aggettivo per descriverti» cercò di spronarla Mrs. Green.

«Insicura» rispose, quasi in un sussurro, la ragazza, temendo di venir rimproverata per il fatto che, nei precedenti mesi, aveva dato sempre quella risposta.

La psicologa fece una smorfia quasi impercettibile che poteva essere notata solo da un attento osservatore.

«Puoi definirmi "insicura"?» chiese poi.

Alexis si portò le ginocchia al petto, avvolgendole con le braccia, prima di rispondere.

«Ho paura delle mie azioni e dei miei pensieri, ho paura di come appaio alla gente e di quello che pensano su di me. Evito gli altri perché non so come comportarmi...» spiegò come sempre, dicendo le stesse parole pronunciate la settima prima.

«Ascoltami, Alexis...non possiamo continuare così» esordì leggermente piccata la signora «Se non provi ad andare oltre questo tuo blocco emotivo...io divento totalmente inutile »

La ragazza non fece in tempo a replicare che un suono breve e leggero si diffuse per la stanza segnalando la fine della seduta. Mrs. Green sospirò prima di alzarsi, seguendo Alexis che l'aveva preceduta, andando incontro all'uomo che, ormai da mesi, finanziava quelle visite periodiche.

Alexis gli passò di fianco prendendogli le chiavi della macchina dalla tasca della giacca e infilandosi gli auricolari nelle orecchie, lasciando che la musica potesse esternarla dalla realtà.

«Allora?» chiese speranzoso l'uomo «È cambiato qualcosa?»

La donna scosse la testa dispiaciuta.

«Mi dispiace, ma non sembra voler collaborare. Le consiglierei di interrompere queste sedute; sono passati tre mesi e non sembra essere interessata ad aprirsi»

«Cosa pensa sia giusto fare, quindi?»

La donna guardò la porta dalla quale la ragazza era frettolosamente uscita, capendo che non le importava di quegli incontri e che quella situazione non la stava agevolando in un alcun modo.

«Aspettare» rispose sicura la donna «E sperare in un colpo di fulmine»

 

~~~

HEY EVERYBODY! 

Hola todos!

Avrei dovuto iniziare una longfic sulla Percabeth, ma ho iniziato questa storia "originale" per testare un nuovo metodo di scrittura, la trama sarà abbastanza banale e scontata, ma mi interessa più lo stile di scrittura, quindi evitate di recensire lamentandovi dell'originalità della trama.

So, enjoy the story!

 

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Il suono di una chitarra classica suonata dolcemente iniziò a spargersi per la stanza, creando un'atmosfera di pace e tranquillità. Le corde pizzicate leggermente vibravano, creando come uno scudo protettivo intorno al ragazzo. Il ticchettio regolare del metronomo veniva quasi sovrastato da quella dolce melodia, che sembrava complice di un incantesimo in grado di calmare anche lo spirito più turbato.
Il signor Jones se ne stava tranquillo sulla porta, osservando il ragazzo completamente rilassato ed a suo agio, facendosi trasportare dalla musica. Mr. Jones quasi non si accorse che il figlio aveva smesso di suonare, rimanendo ancora pochi secondi con gli occhi chiusi e le mani in tasca.
«Papà?» lo richiamò il ragazzo dagli occhi blu come il mare più profondo «Ti senti bene?»
«Sto bene, tranquillo» rispose sorridendo Mr. Jones «Sono arrivati, ti aspettano giù»
Thomas sorrise sistemando accuratamente la chitarra nella sua custodia, potendo osservare, dalla finestra in fronte a sé, la pioggia cadere tempestosa sulle strade di Miami, bagnando gli ombrelli dei passanti e i vestiti dei bambini che correvano sotto l'acqua incuranti dei genitori che, preoccupati, li inseguivano preoccupati con un ombrello più colorato di quelli monotoni dei pendolari che li circondavano.
Thomas si infilò un beanie scuro e una sciarpa anch'essa scura, prendendo al volo la giacca nera regalatogli per il natale precedente dal padre. Scese velocemente le scale per poi buttare momentaneamente la giacca sul divano, ricevendo un'occhiata ammonitrice da parte della madre.
«Chris, Jack!» esclamò dirigendosi verso i cugini di poco più grandi di lui «Quanto tempo!»
Salutò velocemente i gemelli per poi abbracciare la zia dietro di loro, prendendole il trolley di mano e trasportandoglielo all'interno della stanza.
«Thomas, accompagna i tuoi cugini nelle loro stanze» ordinò la signora Jones, iniziando una lunga conversazione con la cognata.
«Vengono qui da più di tre anni, sanno bene dove sono le camere degli ospiti» tentò di protestare il giovane «Potremmo fare un giro fuori...»
«Con quella pioggia?» intervenne il signor Jones con un sorriso di scherno a stirargli le labbra sottili «Non penso sia conveniente...»
«Ma papà-»
«È arrivata la chitarra vero?» lo interruppe l'uomo «Puoi tranquillamente andare a prenderla senza nascondercelo. Sapevamo già da tempo che ne avevi ordinata un'altra, vai tranquillo!»
Thomas non riuscì a trattenere un sorriso euforico (e forse anche un po' pazzo). Poteva venir considerato un ragazzo ossessionato dalle chitarre (circa ogni due mesi ne acquistava una) ma in realtà era solo appassionato e gli piaceva collezionare i modelli più famosi e più strampalati delle chitarre.
«Sei il migliore!» esclamò colpendo giocosamente il braccio del padre «Chris, Jack, andiamo, vi porto a fare un giro!»
E così dicendo prese al volo la giacca e uscì di volata di casa, rientrando pochi istanti dopi per prendere l'ombrello.
Jack e Chris non l'avevano seguito, ma lui se ne accorse solo quando, dopo qualche metro, sbattè contro qualcosa. O meglio, qualcuno.
«Guarda dove vai deficiente!» esclamò una ragazza infradiciata da capo a piedi lanciandogli un'occhiataccia.
«Scusami, non era mia intenzione...»
«E ci mancherebbe anche!» lo interruppe lei seccata.
«...Lascia che ti aiuti»
«No, grazie» rispose con uno sbuffo la ragazza dai capelli castani, rialzandosi poi da sola «Ora se non ti dispiace sono in ritardo di mezz'ora, quindi fatti da parte» continuò incamminandosi.
«Aspetta» la chiamò Thomas «Non so nemmeno il tuo nome!»
La ragazza si fermò, pensandoci qualche secondo, per poi rispondere: «Alexis»
«Io sono Thomas» rispose a voce alta. Le sue parole però non arrivarono al destinatario, portate via dal vento leggero, complice di molte parole non capite e litigi dimenticati, e dallo scroscio violento della pioggia che sembrava non voler smettere di cadere, rendendo quel pomeriggio autunnale una sceneggiatura perfetta per una scena strappalacrime di un classico film d'amore.
Thomas si riscosse pensando alla scena appena vissuta, sorridendo per quanto gli era sembrata assurda.
Mezz'ora e molteplici scartoffie dopo, Thomas stringeva tra le mani una Fender Stratocaster nuova di zecca, ovviamente il modello di Jimi Hendrix, tirata a lucido e pronta all'uso. Quel gioiellino gli era costato non poco, ma mentre la riponeva nell'apposita custodia rigida dall'interno di velluto rosso (pagata più di quel che si aspettava), pensò che erano 986$ spesi bene.
Dopo aver trovato un modo di portare tutta la roba acquistata ed aver scelto un plettro decorativo - 0.7, come piaceva a lui - regalatogli dal venditore si apprestò a tornare a casa.
La pioggia stava terminando lentamente di scendere, lasciando un'impronta momentanea del suo passaggio, lasciando che l'odore di umido potesse sopraffare definitivamente quello del mare salmastro.
Quando rientrò, goffamente, in casa cercò di salire il più velocemente possibile in camera sua per evitare la solita domanda: "Quanto hai speso?". Il Fato quel giorno non sembrava essere dalla sua parte perché, quando iniziò a montare gli accessori acquistati a parte - un gancio da muro (che non avrebbe mai utilizzato per una Fender ma solo per una Gibson), un supporto per chitarra e, perché no?, un altro pedale da aggiungere alla sua pedaliera - i suoi cugini fecero il loro ingresso in camera sua.
«Fender Stratocaster di Jimi Hendrix, ottima scelta, suona molto bene» commentò Jack, il gemello che si intendeva di musica e sound, in quanto possedesse uno studio di registrazione privato.
«Non ho intenzione di suonarla» affermò sicuro di sé Thomas.
«Hai speso 2.000$ per una chitarra da esposizione?!» chiese incredulo Chris.
«Tecnicamente ne ho spesi solo 986. Più 225$ per gli accessori. Mi trovo meglio a suonare le Gibson. Ah, e non si dice da esposizione, ma da collezione»
La famiglia Jones era molto ricca, ma nonostante ciò il ragazzo si ostinava a lavorare in un bar molto popolare della zona come barman, strabiliando gli altri ragazzi con trucchi scenografici fantastici.
I gemelli si guardarono negli occhi per poi spostare lo sguardo da Thomas alle chitarre esposte nella stanza.
«Cugino, tu hai bisogno di aiuto» commentò Chris
«E anche tanto» concluse Jack scoppiando in una risata che coinvolse anche gli altri due, mettendo un pizzico di vivacità in quella triste e piovosa giornata d'autunno che, di persone tristi e scontrose, ne aveva viste fin troppe.
 

~~~

HEY EVERYBODY!

Sono abituata a scrivere capitoli chilometrici ma questo è venuto cortissimo, scusate! Può sembrare inconcludente e fatto male ma, come ha già detto, sto provando.

Dunque, Thomas è pieno di soldi ed ha una famigliola felice, è pieno di chitarre (ma perchè invidio sempre i miei personaggi?!!) e sembra un po' pazzo, ma state tranquilli che già dal prossimo capitolo sarà diverso.

Il prezzo medio di una Fender Stratocaster fatta come quella di Jimi è quello, mi sono informata, ma la versione più figa di tutte con chissà che roba costa 2.000$, ma ce ne sono forse tre in tutto mondo. E poi spendere 2.000$ per una chitarra elettrica mi sembra esagerato.

Sto scrivendo troppo, è meglio se la finisco altrimenti vado avanti a parlarvi di tutta la mia vita.

Adìos (no non studio spagnolo)

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


La voce di Billie Joe Armstrong risuonò per la stanza cosparsa di poster sulle note di Wake me up when september ends, ricevendo come risposta dei mugolii di disapprovazione incomprensibili. Alexis sbuffò sonoramente quando la canzone si interruppe, decidendosi ad uscire da quel caldo rifugio di coperte forse esagerato per la reale temperatura esterna. Rabbrividì al contatto dei suoi piedi scalzi con il freddo pavimento, per poi trascinarsi contro la sua volontà nella piccola cucina dell'altrettanto piccolo trilocale nel quale viveva con suo padre. Dopo una veloce colazione, e almeno mezz'ora passata in bagno a prepararsi, uscì di casa, lasciando la teiera con l'acqua per suo padre su un fornello spento.
Alexis si avviò verso la fermata del bus che, da qualche anno, prendeva ogni mattina per andare a scuola. Puntualmente esso era pieno e trovare un posto a sedere era pressoché impossibile. Giunta alla fermata si unì ai suoi compagni di viaggio; gli unici suoi amici che prendevano il bus delle 7:08 con lei.
«Ashton vero che ci passi i compiti di chimica?» chiese George, per gli amici Joe.
«C'erano compiti di chimica?!»
«Si Ash, ogni settimana da almeno due anni abbiamo compiti di chimica »
«Oh no! Il prof mi ucciderà!»
«Ash, sei il cocco del prof, non ti rimprovererà nemmeno» intervenne Alexis «Piuttosto, invece di preoccuparti di queste cazzate, inizia a preoccuparti di entrare per primo in quel bus e prendere quattro posti»
«Lasciate ogni speranza o voi che cercate di sedervi...» mormorò Nathan, rimasto zitto fino a quel momento, mentre i quattro ragazzi correvano verso le porte del bus.
 
•••
 
Quella mattina stava andando fin troppo bene secondo Alexis. Era riuscita a trovare posto sul bus (cosa mai successa in quasi tre anni), l'ora di chimica era stata sospesa per l'assenza del docente, la prof. di letteratura inglese si era dimenticata di interrogarla ed era riuscita a prendere C- in un test di matematica. Insomma, stava andando tutto bene. Troppo bene.
Alla quarta ora infatti fu presentato un ragazzo nuovo, che avrebbe frequentato i corsi nella loro classe. Tutto normale se non si considera che il ragazzo era lo stesso con il quale si era scontrata il giorno prima e che lei sarebbe dovuta essere il suo tutor per il primo mese. Per un motivo a lei sconosciuto quel Thomas, così l'aveva presentato il professore, le stava estremamente antipatico. E poi Alexis era la persona meno indicata per fare da tutor. I suoi voti non superavano la C, era scontrosa, volgare ed era andata in presidenza così tante volte da conoscere tutta la vita privata della segretaria e del simpatico preside. L'unica attività scolastica in cui andava bene era musica. Per lei la musica era un modo per poter esprimere tutto ciò che, a parole, non sarebbe riuscita a dire. Le permetteva di provare emozioni e di condividerle con gli altri, senza preoccuparsi di quello che pensavano. Con la musica riusciva ad essere sé stessa, riusciva a sfogarsi e a farsi capire.
•••
 
«Allora» disse Thomas «Com'è la mensa qui?»
Alexis guardò Thomas negli occhi e si fermò nel corridoio improvvisamente, facendo fermare anche il ragazzo.
«Non ci posso credere!» esclamò la ragazza guardandolo meglio negli occhi.
«Cosa?!» chiese allarmato Thomas
«Tu hai gli occhi blu!»
«E te ne sei accorta solo ora?!»
«Si, perché?» chiese piccata Alexis riprendendo a camminare verso la mensa.
«Ci siamo visti ieri e abbiamo passato tutta la mattinata insieme»
«Non faccio caso a queste cose»
«Allora perché sei impazzita vedendo i miei occhi?»
La ragazza sorrise senza rispondere alla domanda per poi lasciare Thomas all'ingresso della mensa e andare velocemente al tavolo al quale era solita ritrovarsi con i suoi amici. Seduti ad esso vi trovò la neo-coppia formata da Alexandra e Andrea.
«Hey Alex!» salutò la ragazza dagli occhi viola.
«Ciao Alex! Come va, Alex?» rispose l'altra trattenendo le risate mentre il ragazzo alzava gli occhi al cielo.
«Bene Alex! Non sai cosa mi è capitato oggi, Alex!»
«Dimmi tutto, Alex»
Le due ragazze scoppiarono a ridere, incapaci di trattenersi. Per anni avevano continuato con quella scenetta e ormai non c'era persona in tutta Miami che non le avesse mai sentite. Più di una volta erano state prese per pazze, ma a loro non importava; era un gesto che le legava da molti anni e mai avrebbero smesso di dirselo a vicenda.
«Ok, no» disse Alexandra smettendo di ridere, lasciando comunque che un sorriso le illuminasse il volto «Cosa è successo?»
«L'ho trovato»
La ragazza si irrigidì di fianco ad Andrea, guardando sconvolta l'amica.
«Non puoi essere seria»
«È più alto di me, ha i capelli ambrati e...»
Alexandra scattò in piedi per poi esclamare, insieme ad Alexis: «OCCHI BLU!!»
Il ragazzo prese per la manica un povero ragazzino che stava passando vicino a loro per poi chiedergli, con aria estremamente seria: «Conosci un manicomio poco costoso?»
Inutile dire che il ragazzino sconosciuto se la diede a gambe.
«Rimane un piccolo problema» esordì Alexis sedendosi finalmente sulla panchina «È il tipico figlio di papà ed è il ragazzo con cui mi sono scontrata ieri. Ah e sono ancora cotta di Michael»

 

~~~

HEY EVERYBODY!

Ed ecco il secondo capitolo! Ci ho messo un po' a postarlo, scusate, ma ero convinta di averlo già pubblicato.

In questo capitolo si può capire chi sia la vera "pazza" della storia.

Lo scambio di battute tra le due ragazze, ossia la parte in cui continuano a dirsi "Alex" è ispirata a una cosa che io una mia amica facciamo, con la differrenza che diciamo "Ale" anziché "Alex".

Ashton non è Ashton Irwin e Michael non è Michael Clifford o Michael Jackson; non sono ispirati a celebrità.

Mi sono dimenticata di dire che potete trovare questa storia anche su Wattpad con il medesimo nome, il mio profilo, per chi fosse interessato, è AlexPell3.

P.S. La fissazione di Alexis per gli occhi blu è anche una mia fissazione, e in questa storia metterò alcune parti in cui parlerò indirettamente di me.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


La giornata di Thomas era iniziata bene, ma era inevitabilmente finita per diventare assurda.

Era arrivato nella scuola nuova in perfetto anticipo, il preside gli aveva spiegato la routine giornaliera e gli erano stati illustrati i programmi extra-scolastici. Poi era stato affidato ad una ragazza come tutor. Una ragazza psicopatica. Inizialmente le era sembrata normale, era la ragazza con la quale si era scontrato il giorno prima, scontrosa, con pochi amici e una media incerta; la tipica ragazza che veniva considerata "ribelle" e che disprezzava la società. Poi erano arrivati alla mensa e aveva iniziato a fargli paura. Quel commento sui suoi occhi lo aveva lasciato perplesso (erano stati insieme fino a quell'ora, possibile non avesse notato le sue caratteristiche fisiche?) per non parlare di come lo aveva lasciato al suo destino sulla porta della mensa. La aveva vista andare verso una sua amica e urlare qualcosa di assurdo, notando il ragazzo seduto con loro alzare gli occhi al cielo più volte.

«Hey amico, hai intenzione di stare lì sulla porta fino alla fine dell'ora?» una voce lo riscosse dai suoi pensieri e lo fece voltare, notando un ragazzo poco più basso di lui con gli occhi verde scuro e i capelli castani.

«Oh scusami» disse poi Thomas spostandosi.

«Non preoccuparti» rassicurò l'altro sorridendo «Tu devi essere nuovo, giusto? Non hai dove sederti?»

Thomas annuì, stando in religioso silenzio, senza sapere cosa dire.

«Bene, vieni con me, ti presento un po' di gente» continuò l'altro avvolgendogli un braccio intorno alle spalle per poi accompagnarlo, o a dir meglio, trascinarlo, verso il tavolo al quale era seduta Alexis, la sua "tutor", e i ragazzi che aveva già notato prima.

«Io sono Michael comunque» disse il moro

«Thomas» replicò l'altro.

 

•••

 

«Odio essere ripetitiva, ma stai scherzando?!!» esclamò Alexandra lanciando uno sguardo omicida all'amica.

Alexis roteò gli occhi, per poi replicare: «Manco ti avessi detto che mi piace lo spacciatore del liceo! È solo Michael!»

«Ti devo ricordare quanto ha fatto lo stronzo?» replicò Alexandra facendo una smorfia di disgusto.

Alexis non riuscì a rispondere per le rime, in quanti il diretto interessato arrivò al loro tavolo proprio in quel momento, affiancato da Thomas.

«Buongiorno ciurma!» esclamò il moro sedendosi.

Seguì un coro di "Ciao Mike" da parte dei tre ragazzi, mentre Thomas se ne stava zitto.

«Ragazzi, lui è Thomas»

«Lo so» si lasciò sfuggire Alexis fissando, di tanto in tanto, Michael «Sono la sua tutor» spiegò vedendo gli sguardi confusi dei suoi amici.

«Io sono Alexandra»

«Io Andrea»

Thomas rispose ad entrambi stringendo loro la mano.

«Io vado, ci si vede» disse Alexis subito dopo mettendosi lo zaino in spalla.

«Come, non mangi?» chiese perplesso Thomas.

«Non voglio morire avvelenata» rispose sorridente la ragazza «Mio cugino gestisce un bar qua vicino; non mi fa mai pagare e hai dei panini divini»

La ragazza se ne andò lasciando gli altri ragazzi.

«Ti sconsiglio vivamente di prendere la pasta o qualsiasi alimento di origine italiana» disse Andrea vedendo Thomas alzarsi dal tavolo «Non sanno neanche fare una pasta con il sugo decente»

«Sempre a criticare il cibo americano...» intervenne sbuffando Alexandra.

«Usano il ketchup al posto del sugo! Cosa dovrei dire da italiano espatriato?!»

Thomas decise di andare a prendere da mangiare, lasciando che i due ragazzi - che poté facilmente reputare fidanzati - continuassero a bisticciare.

Alexandra, dopo aver finito di discutere con Andrea, si accertò che Thomas fosse lontano dal loro tavolo per parlare con Michael.

«Non provare ad avvicinarti ad Alexis»

Il ragazzo la guardò alzando un sopracciglio e, dopo aver ingoiato la forchettata di insalata che stava mangiando - rigorosamente portata da casa - le chiese: «Come?»

«Sai benissimo cosa voglio dire. Stalle lontano»

«Se lei pende dalle mie labbra non posso farci niente» replicò Michael, consapevole della cotta che Alexis aveva per lui sin dalla terza media.

«Ma ti ascolti?!» esclamò Alexandra con i nervi a fior di pelle «Sei cambiato drasticamente, non fai altro che portarti a letto tutte le ragazze della scuola per poi fare finta di non conoscerle. Per non parlare di quello che le hai fatto l'anno scorso!»

«Non pensavo le avrebbe dato fastidio!» borbottò contrariato Michael prendendo un'altra forchettata di insalata.

«No, non le darebbe mai fastidio sapere che il ragazzo che pensa di amare da quattro anni esca con la sua peggior nemica!» ironizzò la ragazza.

«Ragazzi, smettetela» intervenne Andrea con il suo solito atteggiamento tranquillo e per niente turbato. Alexandra non l'aveva mai visto arrabbiato e inizialmente pensava si facesse di canne dalla mattina alla sera.

«Non risolverete niente litigando» continuò il ragazzo «È la vita di Alexis, non potete fare scelte al suo posto. Ha 16 anni, è in grado di fare le decisioni più giuste.»

«Ma se è il cuore a scegliere al posto del cervello?» chiese, calmandosi, la sua ragazza.

«In quel caso non potresti fare niente nemmeno tu»

«Burro o salsa tartara?» intervenne Michael «Questo è il vero dilemma!»

«Ma cosa cazzo c'entra?!» sbottò Alexandra.

«Volevo sembrare intelligente...»

«Zakk Wylde aiutami tu...»

«E poi non stai facendo la dieta?» intervenne Andrea rivolgendosi al moro.

«Oh. È vero...» Michael abbassò lo sguardo sulla sua insalata per poi spostarlo sull'invitante bistecca nel piatto di Thomas, appena tornato «Ma chi me l'ha fatto fare...»

 

•••

 

«Oh mio Dio, questa è appena diventata il mio nuovo sfondo del cellulare» esclamò Alexis sedendosi in un tavolo appartato al quale la stava aspettando il cugino.

«Sempre molto normale mi dicono»

«Michael Clifford ha appena pubblicato una foto fantastica, non rompere» rispose lei osservando affamata la cotoletta nel piatto davanti a sé «Niente panini?»

«Sono arrivato ad un compromesso con il capo» rispose Dylan facendo spallucce «Ma se non la mangi ti porto un misero panino al prosciutto»

«No, no, va benissimo così»

Dylan e Alexis erano molto legati e, all'occhio disinteressato di uno sconosciuto, parevano quasi fratello e sorella.

Il ragazzo aveva 21 anni, i capelli biondi e gli occhi castani. Era alto e slanciato, con un fisico abbastanza muscoloso da attirare un buon pubblico femminile in adulazione.

«Com'è andata oggi?» chiese il ragazzo come ormai faceva da qualche anno a quella parte.

«Hanno deciso di farmi fare la tutor per questo ragazzo nuovo»

«Tu? Una tutor?» chiese cercando di trattenere le risate Dylan «Sei la persona meno paziente del mondo e p-»

«Dyl?» chiese preoccupata Alexis quando il cugino si interruppe, facendo scomparire il sorriso che gli incorniciava il volto fino a pochi secondi prima. La ragazza seguì il suo sguardo, notandolo fisso su un'altra ragazza. Quest'ultima era una persona minuta; magra e bassina - o almeno così sembrava da lontano - con degli occhiali da vista neri a coprirle gli occhi apparentemente castani e i capelli, anch'essi castani, raccolti in una coda alta. Aveva un orecchino nero a spirale e - questo Alexis non poté dirlo con certezza - un anellino di metallo al labbro. Indossava una felpa bordeaux di almeno una taglia in più e dei jeans scuri, il tutto contornato da un paio di All Star nere sgualcite.

«Cugina, devo conoscerla» esordì il ragazzo lisciandosi la camicia nera e stringendo bene il grembiule che portava alla vita.

«E lasceresti da sola una povera sedicenne indifesa?»

«Fai kick-boxing da otto anni, sei capace di difenderti da sola» replicò il ragazzo avviandosi verso la ragazza che aveva attirato la sua attenzione.

«Ma...DYLAN!»

Il suono della voce di Alexis si perse tra le mura del locale, ignorata ancora una volta, come già era successo molte volte, troppe volte, la maggior parte di esse con un riscontro negativo, che portò, assieme ad altre vicende da dimenticare, a quegli appuntamenti periodici con Mrs. Green.

 

 

 

~~~

 

HEY EVERYBODY!

 

Scusate per l'enorme ritardo ma ho avuto problemi con il pc e non potevo aggiornare con il cellulare.

ANYWAY

Michael è odiato da Alexandra ma qual è il vero motivo dell'odio della ragazza?

Io lo so muahahah.

Se lo indovinate vi do un biscotto.

Dylan non è Stiles. Però è figo uguale. E questi angoli autrice stanno diventando inutili.

Cercherò di pubblicare il prossimo capitolo il prima possibile ma, capitemi, ho tre verifiche e due interrogazioni questa settima, quindi se ci metto 841852 anni ad aggiornare è perchè sono morta.

Ricordo che mi trovate anche su Wattpad come @AlexPell3.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


La settimana passò velocemente e senza troppi problemi. Le lezioni di chitarra di Alexis andavano per il meglio e aveva meno crisi durante il giorno. Suo padre però, aveva voluto aumentare le visite da Mrs. Green, perciò, mercoledì, si era inaspettatamente trovata in quell'opprimente studio per ripetere la sessione precedente. Alexis aveva sentito la psicologa parlare con il padre definendo la ragazza un caso "perso e difficilmente recuperabile". Aveva sempre odiato la sua psicologa in quanto non aveva il minimo tatto nel comunicare con lei, ma non aveva ancora avuto il coraggio di dirlo a suo padre. Mr. Smith aveva fatto molti sacrifici per la figlia e lei non se la sentiva di caricarlo di altri problemi.

«Ti passiamo a prendere noi» esordì la voce di Alexandra attraverso il telefono «E non osare dire che non stai bene!»

Alexis sbuffò sonoramente prima di rispondere all'amica.

«Oh andiamo, sai che non voglio venirci!»

«Non mi interessa se non vuoi venirci. Tu mi aiuterai a scegliere un costume per il ballo di Halloween. E ne prenderai uno anche tu»

«Vorrei farti notare che uno, sarà tra un mese, e due, non so nemmeno con chi andarci, al ballo»

«Troveremo qualcuno»

«Come mio cugino. Ma lui non studia più al liceo. E adesso si vede con una»

Alexis sentì l'amica sbuffare rumorosamente prima di salutarla e chiudere la chiamata. Odiava le feste, specialmente quelle liceali dove la parole d'ordine era "alcool", ma ogni volta Alexandra la trascinava con sé, senza preoccuparsi minimamente del fatto che non fosse fidanzata e non avesse un accompagnatore. La ragazza pensava solo fosse un buon pretesto per far socializzare l'amica dagli occhi viola che, a quanto pare, la rendevano cieca, non facendole notare la fila di pretendenti che si portava appresso.

Dopo pochi minuti dalla fine della telefonata, il citofono di casa Smith suonò, annunciando l'arrivo di Alexandra. Alexis si affrettò a raccattare l'essenziale e a buttarlo nella sua borsa, per poi uscire di casa chiudendo a chiave la porta.

«Ciao!» salutò sorridente Alexis. Il suo sorriso, però, morì quando si avvicinò alla macchina notando altri due ragazzi, oltre ad Andrea, all'interno del veicolo.

«Perché ci sono anche loro?» chiese arricciando il naso in una smorfia di disapprovazione.

«Da adesso fanno parte del gruppo. Almeno, Thomas fa parte della comitiva. Non so cosa c'entra Michael» rispose la ragazza al suo fianco.

«Semplice, Michael è amico di Thomas che a sua volta è nostro amico. Se Thomas fa parte della comitiva ne fa parte anche Mike. E poi sta simpatico a tutti, non vedo quale sia il problema» spiegò Andrea alzando la voce per farsi sentire dal posto del guidatore.

Alexis non commentò, limitandosi a sedersi tra Thomas e Alexandra, la quale, dopo aver alzato gli occhi al cielo, borbottò qualcosa di disapprovazione nei confronti dell'arrivo di Michael nel loro gruppo di amici. Certo, il ragazzo era già un loro amico, ma non era ancora stato considerato parte del gruppo degli amici stretti, fino a quel giorno formato solo da Alexis, Andrea e Alexandra.

 

•••

 

«Quindi...come avete intenzione di vestirvi?» chiese a disagio Thomas osservando i migliaia di vestiti presenti nel negozio.

Lui, le ragazze, proprio non riusciva a capirle. Aveva visto suoi amici diventare matti per cercare di capire le proprie fidanzate; inoltre aveva sempre paura di dire qualcosa di sbagliato. Non riusciva a capire perché, nell'adolescenza, le ragazze volessero consumarsi e disperarsi per portarsi a letto i ragazzi più belli dell'istituto, soddisfando solo bisogni carnali e non morali. Ma in fondo, che ne sapeva lui dell'amore; lui era il ragazzo carino e dolce, quello dalle mille capacità e il migliore amico di tutti, non aveva mai provato il vero amore.

«Io mi vesto da single asociale con problemi relazionali» commentò con scarso entusiasmo Alexis, curiosando nel vasto assortimento di camicie a quadri.

«Traduco per voi comuni mortali» esordì Alexandra alzando gli occhi al cielo «Vuole vestirsi come ogni singolo giorno e stare in un angolino a leggere. E lascia giù quelle camicie a quadri, per Dio!»

Alexis mise su la sua migliore faccia da cane bastonato, ma l'amica fu irremovibile e la trascinò via dal reparto.

«Oh Dio, ho trovato i vestiti perfetti!» urlò la ragazza più vivace passandosi una mano nel ciuffo tinto di rosso «Jack Skeletron e Sposa cadavere! Amooreee!»

«Lascia fare al mago dei cosplay, non guardare questi ignobili costumi!» replicò Andrea.

«Si hai ragione. I costumi li fai meglio tu...» replicò Alexandra schioccando un bacio sulle labbra del proprio ragazzo.

«E allora perché mi avete trascinata qui?!!» chiese esasperata Alexis.

«Calmati Lexis» disse calmo e leggermente divertito Michael poggiando una mano sulla spalla della ragazza, la quale arrossì drasticamente.

Thomas, da buon osservatore qual era, notò anche un velo di tristezza negli occhi quando, il ragazzo vicino a lei, pronunciò il suo soprannome. Capì immediatamente che c'era qualcosa che non andava, ma non osò chiedere, pensando fosse una questione troppo personale.

«Ti ci porto io al ballo» continuò con nonchalance ricevendo un'occhiata di fuoco da parte di Alexandra ed un sguardo incredulo da parte di Alexis.

«Dici sul serio?!»

«Dici sul serio?!»

Le reazioni delle due ragazze, come facilmente immaginabile, furono esattamente l'opposto, tanto che Michael si ritrovò a fare un passo indietro e ad alzare le mani in segno di resa.

Alexis guardava con la bocca spalancata e uno sguardo incredulo il ragazzo davanti a sé non riuscendo a spiccicare mezza parola.

Alexandra, d'altro canto, sembrava intenzionata ad uccidere il Michael a mani nude, incurante della mano di Andrea posata sulla sua spalla.

«Stai aspettando che un cavaliere ti accompagni al ballo e io sto cercando una dama da accompagnare» spiegò molto tranquillamente Michael tenendo lo sguardo fisso su Alexis «E penso che un vestito da sposa cadavere ti possa donare molto»

 

 

 

~~~

HEY EVERYBODY! 

Capitolo nuovo dopo troppo tempo, I know.

Penso che questa storia andrà avanti molto lentamente perchè ho poco tempo per scrivere.

Passiamo alle belle notizie: VERIFICA DI TEDESCO SPOSTATA DI UNA SETTIMANAAAAAAA

Ok no.

Ci tengo a precisare che Alexis non ama suo cugino e non ha nessuna intenzione di fare incesti su incesti.

Questo capitolo è molto corto ma ho preferito dividerlo dal prossimo (no non l'ho ancora scritto) in primis perchè avrei molto più tempo per aggiornare e poi perchè sarebbe venuto veramente troppo lungo.

Cercati nomi per le ship, se non avete niente da fare.

See ya soon!

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Dire che Alexis era euforica sarebbe stato dire poco. L'invito di Michael l'aveva fatta impazzire, tanto che era diventata leggermente logorroica ed espansiva. Tartassava Alexandra, la quale cercava inutilmente di farle declinare l'invito del ragazzo, chiedendole come sarebbe stato meglio comportarsi.

«E se mi dovesse chiedere di ballare? Io non so ballare, potrebbe mollarmi lì da sola e non rivolgermi più la parola oppure...» aveva iniziato Alexis torturandosi una ciocca di capelli sfuggita alla coda.

«Alex, ti prego, smettila! Andrà tutto bene, se Michael osa solo pensare di lasciarti ancora da sola ad una festa scolastica me ne occuperò personalmente» la interruppe Alexandra spazientita.

«No che poi magari gli rovini il suo bel faccino...»

«Alexis smettila» la interruppe Dylan poggiando un piatto davanti a ciascuna ragazza «Mangia e non preoccuparti di Mike. Con permesso, vado a conquistare la mia bella donzella» terminò poi dirigendosi verso Chrystal, la ragazza della quale si era infatuato.

«E se dovessi ingrassare e non entrare più nel costume?!!»

«Non abbandonarmi con tua cugina Dyl!» esclamò disperata Alexandra guardando Alexis, la quale stava a sua volta osservando indecisa la bistecca nel suo piatto, cercando di capire quante calorie avrebbe acquisito con quel pranzo e se l'avrebbe fatta ingrassare.

 

•••

 

Dylan andò a passo deciso verso la ragazza dai capelli castani che, da una settimana a quella parte, aveva attirato tutta la sua attenzione.

«Ciao» salutò cordialmente il giovane «Posso portarti qualcosa?»

La ragazza alzò lo sguardo dall'enorme libro che stava leggendo arrossendo leggermente.

«Un cappuccino, per favore...» rispose in un sussurro balbettando un poco.

«Arriva subito»

Dylan andò velocemente dietro al bancone del bar per preparare velocemente un cappuccino, accertandosi di aggiungere la giusta quantità di latte e un velo di cannella in polvere.

«Grazie» disse sorridente Chrystal «Come facevi a sapere che mi piace la cannella? Non piace a nessuno...»

«Mi sembravi un tipo da cannella» rispose Dylan facendo spallucce.

«Non sarò Emma Swann, ma apprezzo lo stesso, grazie mille»

Stettero qualche minuto in silenzio prima che il ragazzo prese il coraggio per iniziare a parlare.

«Senti, so che non ci conosciamo e che molto probabilmente adesso sembrerò un ragazzo che vuole solo farti visitare il suo letto ma...ti andrebbe di vederci un giorno?»

La ragazza rise di gusto notando l'imbarazzo del cameriere davanti a sé, ed annuì, accettando la sua proposta.

Chrystal lesse il bigliettino che le aveva lasciato Dylan, vedendo il suo nominativo e un suo recapito telefonico.

(410) 503-0369

Dylan Martin

 

•••

 

«Allora Alexis, come ti senti?» chiese, come di consueto, Mrs. Green.

«Bene! Cioè, male, non lo so. Secondo lei, per il vestito da sposa cadavere, è meglio mettere anche il trucco con tutte le cicatrici o non mettere niente? Perché, sa, devo baciare un ragazzo e non so, potrebbe dargli fastidio...» rispose la ragazza tutto d'un fiato.

«Cos'è successo, Alexis? Ti vedo...meglio del solito...»

«Michael sarà il mio accompagnatore al ballo di Halloween! Ed è fantastico, sono al settimo cielo! Le devo confessare che io odio queste sedute, ma soprattutto odio lei e quel suo atteggiamento da psicologa seria che in realtà non è...»

Le parole erano uscite di getto senza un filtro, ma stranamente Alexis non se ne pentì.

«Come, scusa?» chiese sconcertata la psicologa.

«Ha capito benissimo» rispose la ragazza alzandosi dal lettino «Non ha il minimo tatto, non le interessa realmente come mi sento e di sicuro non le interessa aiutarmi. Le interessano solo i soldi»

Detto ciò Alexis uscì da quella stanza opprimente lasciando la psicologa confusa e senza parole.

Una volta fuori dall'edificio Alexis tentò di chiamare suo padre ma, come sempre, la segreteria telefonica sostituì la voce del suo genitore, così si avviò verso il parcheggio lì vicino dove aveva lasciato il suo motorino con il quale era arrivata fin là.

«Alexis?»

La ragazza si sentì chiamata da qualcuno alle sue spalle, proprio quando una leggera pioggerellina iniziava a scendere dal cielo bagnando la felpa di Alexis.

«Thomas! Che fai da queste parti?» chiese vedendo il ragazzo dietro di sé mentre apriva il suo ombrellino.

«Beh, ci abito...» rispose tranquillamente lui indicando una villa a dir poco enorme «Tu invece?»

«Un giro» mentì lei facendo spallucce. Nessuno, a parte suo padre, sapeva delle sue visite dalla psicologa, e di certo non l'avrebbe detto a un ragazzo appena conosciuto, anche se sembrava essere un bravo ragazzo.

«Abiti anche tu da queste parti?» chiese Thomas affiancando Alexis, la quale si stava incamminando verso il parcheggio.

«Oh, no...» rispose lei «...Abito a circa dieci minuti in macchina da qui. Stavo giusto prendendo il motorino per tornare a casa...»

Improvvisamente il cellulare di Alexis squillò facendo fermare i due.

«È mio padre» disse con una smorfia «Devo andare; ci vediamo domani a scuola»

Thomas salutò l'amica e rimase a guardarla mentre si allontanava. Per qualche motivo a lui sconosciuto, sapeva che lei non era lì a fare un giro e che gli aveva mentito, ma non sapeva per quale motivo.

«Papà?» chiese la ragazza portandosi il cellulare all'orecchio.

«Alexis, mi hai chiamato?» chiese di rimando il signor Smith.

«Ah, ehm, si ecco...» balbettò Alexis senza sapere se dirgli l'accaduto attraverso il dispositivo o faccia a faccia «...avrei bisogno di parlarti...sei a casa?»

«Si, sono a casa, sono appena arrivato...» rispose preoccupato il padre della ragazza.

Erano rare le occasioni in cui i due si ritrovavano a parlare e, solitamente, gli argomenti trattati non erano mai felici.

Pochi minuti più tardi, Alexis si trovava davanti alla porta di casa sua completamente fradicia, in quanto la pioggia, in quei dieci minuti, era aumentata drasticamente d'intensità, diventando un temporale coi fiocchi.

La ragazza starnutì mentre entrava nella sua dimora, attirando l'attenzione di Mr. Smith che, chino sul pc, stava sistemando alcune cose per lavoro.

«Alexis? Sei tu?» chiese il signore alzandosi dal tavolo del soggiorno.

«Chi se non io» rispose la ragazza sbuffando.

«Stai bene? Sei malata?» continuò preoccupato il padre.

«Sto bene papà, non preoccuparti...» rassicurò lei togliendosi la felpa fradicia. Non si era portata dietro il cappotto, in quanto, una volta uscita di casa, il sole brillava nel cielo, scaldando leggermente quel pomeriggio autunnale.

«Di cosa dovevi parlarmi?» chiese l'uomo sedendosi sul divano di pelle bianco.

«Ecco...» iniziò la ragazza balbettando «...penso che tu ti sia accorto che le visite dalla signora Green non stanno funzionando e...»

«... Vuoi cambiare psicologo?» chiese Mr. Smith terminando la frase della figlia, la quale annuì facendo apparire una smorfia dispiaciuta sul viso del padre.

«Cosa...ha che non va la signora Green?»

«Beh ecco...» iniziò a spiegare la ragazza prendendo posto sul divano di fianco a Mr. Smith «...non riesco a confidarle quello che vorrei. Ho bisogno di qualcuno che possa capirmi davvero, e che non sia sempre lì a guardarmi con quello sguardo che ti fa capire che sei senza speranze...»

L'uomo annuì comprensivo per poi congedarsi, dicendo alla figlia: «Per adesso vedrò di sospendere le sedute; cercherò un altro psicologo...»

Alexis sospirò frustrata, non riuscendo a trovare un modo per passare del tempo con suo padre.

Voleva indietro quell'uomo che un tempo metteva tutto in secondo piano per occuparsi della sua famiglia, voleva indietro quell'uomo che il weekend se ne usciva con una gita in montagna o una giornata al mare, con quei suoi travestimenti buffi che facevano ridere la bambina e facevano alzare gli occhi al cielo alla fidanzata.

Voleva indietro suo padre, il padre che era prima dell'incidente con sua madre.

 

~~~

HEY EVERYBODY! 

Capitolo un po' strano e ENORMEMENTE IN RITARDO. Ma ormai cosa ve lo dico a fare?

EMMA SWANN E HENRY. SI'. AMO OUAT. E SE ME LO SPOILERATE VI SPOILERO LA FAMIGLIA. (sono ancora alla prima stagione)

Il numero di telefono è fatto come quelli americani, il prefisso è quello di Miami, ma NON È UN NUMERO VERO. Se ci tenete a spendere soldi, provate pure a chiamare.

Perdonate la mie sclerate ma ho appena finito di leggere Roses per la quinta volta. Tragic.

Avete scoperto il nome intero di Dylan.

Non fatemi spiegare il nesso che c'è tra il suo nome e il suo cognome. Capitelo. Non lo spiegherò

See ya!

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Thomas bussò piano alla porta di legno scura sulla quale campeggiava la scritta "Aula di Musica".

Una voce profonda gli diede il permesso di entrare e, sistemandosi bene la tracolla, entrò nella classe timoroso.

Un uomo sorridente, dai capelli castani e gli occhi scuri, sulla quarantina, lo squadrò cercando un qualche segno di familiarità, pensando se aveva davanti a sé uno studente nuovo o un ragazzo che aveva saltato molte lezioni.

«Tu saresti?» chiese il professore aggrottando le spesse sopracciglia.

«Jones» rispose il ragazzo tenendo saldamente la custodia della chitarra nella mano sinistra «Thomas Jones. Sono nuovo»

Sentendo quelle parole l'uomo sembrò illuminarsi.

«Oh giusto, mi avevano avvisato del tuo arrivo! Perdonami, sono leggermente smemorato» aggiunse poi ridacchiando leggermente «Io sono Mr. Brown, unico insegnante di musica. Insegno pianoforte, chitarra, percussioni e flauto dolce, anche se ogni studente è libero di imparare da sé. Stavo giusto spiegando i nuovi procedimenti e il nuovo svolgimento delle lezioni; adesso accomodati pure...»

Thomas scrutò la classe alla ricerca di un posto dove sedersi e, dopo pochi minuti, notò Alexis seduta in un banco piuttosto isolato; di fianco a lei, il posto era libero. Appena si sedette salutò l'amica con un gesto della mano, ricambiato subito dopo.

«Allora ragazzi» riprese a parlare il professor Brown «Il preside ha finalmente dettato le nuove condizioni e, devo ammetterlo, sono abbastanza colpito dalle sue decisioni. La scuola ha deciso di puntare molto sul settore musicale e ha ingaggiato un altro professore che, ad essere sincero, non ho mai visto. Mi è stato detto che è un insegnante di percussioni e arriva da Boston...bah...i tipi di Boston sono tutti troppo sicuri di sé...»

«Professore?» una voce sconosciuta interruppe Mr. Brown «Devo andare...sono le 16:30...»

A parlare era stata una ragazza dagli ambigui capelli tinti di varie sfumature di rosa e lilla, con vari tatuaggi sulle braccia e un piercing nero al sopracciglio sinistro.

«Certo Edwards, vai pure» acconsentì il professore porgendo alla ragazza, quando ella gli passò davanti, una copia del foglio che stava leggendo «Comunque, stavo dicendo: d'ora in poi dovremo fare tre rientri a settimana, uno in cui si tratterà di teoria musicale, uno in cui si cureranno i comportamenti all'interno di un orchestra e uno in cui si farà pratica. Quest'ultimo deve durare minimo due ore. Smith, ti dispiacerebbe mostrare a Jones le aule in cui si svolgeranno le nostre lezioni?»

Alexis annuì per poi alzarsi, seguita da Thomas, raccogliere le sue cose ed uscire dalla classe in silenzio mentre Mr. Brown chiedeva agli studenti rimanenti di prepararsi per l'interrogazione pratica.

«Non ti facevo musicista» esordì la ragazza mentre passavano davanti a delle porte più scure di quelle delle aule ai livelli inferiori della scuola. Avevano tutte una targhetta che segnalava le lezioni che si sarebbero svolte in quelle stanze. I ragazzi si trovavano al quarto e ultimo piano della sede principale, quello più moderno e con uno stile più metropolitano degli altri; i pavimenti erano fatti in parquet grigio e le pareti erano pitturate di un candido bianco, mentre le porte e gli infissi delle finestre erano in legno scuro, molto probabilmente ebano. Inoltre l'ufficio del preside era stato spostato in quel piano quando la scuola era stata alzata solo pochi anni prima.

«Questa è l'aula di chitarra» disse Alexis fermandosi e aprendo una porta sulla quale era incisa, vicino alla targhetta che esponeva la scritta "Aula di chitarra", una chitarra acustica stilizzata.

Il primo impatto con l'interno della classe fu, per Thomas, scioccante. La stanza aveva un pavimento fatto di piastrelle in marmo nero e le pareti bianche erano tappezzate di poster e vinili di famosi chitarristi e gruppi che andavano dal Rock classico dei Beatles, all'Heavy Metal degli Iron Maiden, per finire con il Punk Rock dei Green Day. Dei banchi con delle scritte nere raffiguranti testi di canzoni e citazioni erano sistemati sulla destra della stanza; un piccolo rialzo bianco, in contrasto con il pavimento scuro, era stato messo circa al centro della stanza e, intorno ad esso, erano state disposte, come a simulare una piccola orchestra, diverse sedie davanti alle quale erano stati messi dei poggiapiedi e dei leggii rigorosamente neri; un impianto di amplificazione era stato messo sulla sinistra della stanza, coperto da un telo nero che evitava che la polvere danneggiasse il mixer; infine, una lunga vetrata occupava il fondo della stanza illuminandola.

«Wow...» esalò Thomas «...questo posto è...assurdo!»

«Lo so» intervenne sorridendo Alexis «Fa sempre questo effetto. Le altre aule non sono da meno ma...diciamo che ogni musicista pensa che la sua classe sia la migliore»

Thomas guardò dall'alto Alexis sorridendo furbescamente e guardandosi intorno un'ultima volta prima di decidersi ad uscire.

«È da tanto che studi musica?» chiese Thomas mentre la ragazza lo accompagnava di fronte ad un'altra classe, questa con la targhetta che esibiva la scritta "Aula d'orchestra".

«Più o meno sei anni, credo» rispose lei aprendo la porta in legno.

L'aula d'orchestra era semplicemente enorme e divisa in due parti: una era sistemata come un'orchestra classica, mentre nell'altra c'era un palco ben arrangiato, con luci e altre macchine per gli effetti speciali. La parte dell'orchestra aveva cinque file di sedie disposte a semicerchio intorno al piedistallo del direttore d'orchestra e poi saliva verso l'alto con tre gradoni abbastanza grossi sui quali erano sistemate le altre sedie. Ogni sedia aveva davanti a sé un leggio nero e, a seconda dello strumento suonato, diversi tipi di accessori. Sui gradoni più alti erano state sistemate alcune percussioni, come una grancassa, un vibrafono e una marimba. Un maestoso pianoforte a coda era stato posizionato sulla destra dell'orchestra e alcuni microfoni affiancavano i leggii più vicini alla postazione del direttore. Il design interno di pavimenti e pareti era uguale a quello dei corridoi; parquet grigio e pareti bianche immacolate.

«Devo fare i complimenti agli architetti di questo piano» esordì Thomas girando su sé stesso «Ogni aula è magnifica!»

«Lo so» commentò orgogliosa Alexis «E pensa che molto probabilmente quest'estate restaureranno tutta la sede! Comunque, dato che sono le quattro e mezza del pomeriggio e fino alle cinque e mezza non possiamo andarcene, direi che potremmo usufruire dell'aula di chitarra...»

«Mi sembra un'ottima idea!» esclamò il ragazzo mettendo un braccio intorno alle spalle della ragazza di fianco a sé.

 

•••

 

«E poi è bastato avere davanti lo spartito intero per rendersi conto che, leggendolo al contrario, si riusciva a fare la canzone successiva a quella!» esclamò Thomas facendo scoppiare a ridere Alexis, la quale smise di suonare la sua fedele Eko Ranger 6 BLK. Il ragazzo accordò la sua Yamaha F310 in Drop D mentre continuava a raccontare aneddoti sulle diverse scuole di musica che aveva frequentato.

«C'era quella volta poi, quando avevo un insegnante fissato con le diverse accordature della chitarra. Non c'è stata canzone da studiare per la quale potevi tenere l'accordatura base» spiegò iniziando a suonare accordi casuali «Certo, erano belle, ma non ti insegnavano niente, a parte accordare e scordare la chitarra!»

Alexis rise ancora mentre, quasi senza accorgersene, iniziava a suonare la prima parte di "Hey Everybody!".

«Che canzone è?» chiese Thomas sorridendo.

«Oh, no, niente...» rispose balbettando la ragazza «...solo una canzone di una delle mie band preferite...»

«Carina. Hai una chitarra elettrica a casa?» continuò il ragazzo.

«Magari! È già tanto se ho questa...»

La campanella suonò non lasciando il tempo ad Alexis di terminare la frase, ma non se ne curò più di tanto.

«Ci si vede domani a scuola» salutò Thomas dopo aver ritirato la sua chitarra.

«A domani» disse di rimando la ragazza finendo di ritirare i suoi quaderni nello zaino.

Appena finì di ritirare tutto, Alexis, uscì dall'aula spegnendo la luce, dirigendosi poi verso l'ascensore, ché di fare quattro piani di scale proprio non le andava.

«Smith? Alexis, sei tu?» una voce profonda richiamò la ragazza proprio mentre stava entrando nell'ascensore facendola sbuffare.

«Si, sono io» rispose notando la figura del professore di musica avanzare verso di lei.

«Perfetto, ho bisogno di parlare con te; saresti libera adesso?»

«Ecco, io...» iniziò la ragazza pensando all'impegno che aveva già in programma per quel pomeriggio «...ho una commissione urgente da sbrigare. Se vuole possiamo parlare domani...»

Alexis non aveva proprio voglia di fermarsi a parlare con il professore di cose che nemmeno le sarebbero interessate, ma oltre a quello aveva già programmata la prima visita dallo psicologo nuovo - trovato in tempo record -e di certo non poteva annullare tutto per un problema di Mr. Brown, per quanto fosse uno dei suoi insegnanti preferiti.

«Oh, beh, si, certo! Domani andrà benissimo!» balbettò tornando sui suoi passi, blaterando qualcosa sul dare degli spartiti a qualche ragazzo del corso di percussioni.

Alexis aveva sempre visto Mr. Brown come un uomo che non era ancora del tutto cresciuto, ma che comunque dimostrava di essere molto saggio. Quei suoi modi impacciati facevano ridere la ragazza, che ogni lezione doveva ricordare al professore quello che doveva fare o doveva fermarlo quando iniziava a parlare. Egli era infatti leggermente logorroico e spesso, partendo da una nota sbagliata, riusciva ad arrivare a raccontarti del suo zio svedese che coltivava pomodori in Nuova Zelanda.

La ragazza entrò finalmente nell'ascensore rispondendo al cellulare che, proprio in quel momento, aveva deciso di iniziare a squillare, annunciando una chiamata in arrivo da suo padre.

 

•••

 

La ragazza entrò titubante nella stanza a lei nuova. Aveva un pavimento piastrellato e delle pareti blu pastello; una grande vetrata illuminava la stanza, davanti ad essa una grossa scrivania in legno d'acero conferiva un senso di professionalità alla stanza, mentre un divano in pelle bianca e una poltrona del medesimo colore erano state messe vicine ad una sedia in plastica azzurrina.

Un uomo, giovane, probabilmente sui trent'anni, dai capelli biondi, stava seduto dietro la scrivania annotando qualcosa su un quaderno e, quando Alexis si schiarì la voce, alzò la testa mostrando due occhi neri come la pece.

«Hai una visita?» chiese sorridendo l'uomo.

«Si, dovrebbe aver prenotato mio padre» rispose la ragazza annuendo «Sono Smith. Alexis Smith»

«Oh, si, giusto. Accomodati pure, arrivo tra due minuti»

La ragazza si sedette, leggermente a disagio, sul divano, attendendo che lo psicologo la raggiungesse.

«Dunque Alexis, cosa...» iniziò l'uomo, interrompendosi dandosi uno schiaffo sulla fronte «Giusto, perdonami, non mi sono presentato; io sono Jack West, ma chiamami pure Jack» continuò porgendo una mano ad Alexis che si affrettò a stringerla timidamente.

«Non perderò tempo a dirti quando mi sono laureato o quante laure ho, non penso ti interessi, quindi passiamo subito al dunque: cosa ti ha portato a venire da me?» chiese mettendosi gli occhiali sistemati nel taschino della sua giacca.

«Ho insultato la mia psicologa precedente»

«Perspicace» commentò Jack scoppiando a ridere «Ma dimmi, perché hai iniziato ad andare dalla psicologa?»

Alexis stette in silenzio giocando con il bordo della camicia a quadri, non avendo intenzione di dire qualcosa riguardo alla morte della madre.

«Capisco: è il primo incontro, non ti fidi ancora di me» esordì Jack facendo una smorfia «Che musica ascolti?»

La ragazza alzò di scatto la testa sullo psicologo guardandolo perplessa.

«C-come?» chiese incredula.

«Non penso che tu abbia intenzione di spiegarmi quale trauma psicologico hai avuto» spiegò tranquillamente Jack «Perciò, anziché perdere tempo aspettando che tu ti decida ad aprirti con me, faccio un po' di conversazione»

«Mi piacciono quasi tutti i tipi di musica, a parte il rap e il reggae... »

«Che band ascolti? I One Direction o...»

«Oh no, per carità» esclamò lei interrompendolo «Tutto tranne Justin Bieber, i One Direction o quella gente lì... Certo, ascolto anche i 5 Seconds Of Summer, ma sono un caso»

«E... che gruppi ascolti in generale?» chiese l'uomo tagliendosi gli occhiali

«Beh, sicuramente i Green Day, poi ci sono i Bon Jovi, i Nirvana, i Blink-182 e gli AC/DC...» snocciolò la ragazza facendo ridere leggermente Jack «...però ascolto altri molti artisti; questi sono solo i miei preferiti»

«E dimmi» chiese lui interrompendola «A scuola come va? Hai qualche problema?»

«No» rispose tranquillamente Alexis con un'alzata di spalle «Non mi interessa quello che pensano gli altri. Ho pochi amici, ma mi bastano»

I due passarono a chiacchierare come due vecchi amici che non si vedevano da molto tempo, senza accennare minimamente ai motivi che avevano spinto Alexis ad andare da uno psicologo. Dopo quello che alla ragazza parve pochissimo tempo, una strana suoneria si diffuse per la stanza, facendo sospirare Jack.

«Il nostro tempo è finito» spiegò lo psicologo «Tuo padre dovrebbe aver prenotato anche per mercoledì e venerdì. Se te la senti, io ti aspetto per parlare»

Alexis annuì sorridente per poi uscire dalla stanza, trovando suo padre, fuori, su una sedia d'aspetto, ad attenderla nervoso, smanettando con il suo cellulare.

«Tutto a posto? Stai bene? È andato tutto bene?» chiese subito nervoso.

«Papà, va tutto bene. Grazie

Mr. Smith sorrise, tornando tranquillo, mettendo un braccio intorno alle spalle della figlia, con fare protettivo, accompagnandola fuori dalla palazzina soddisfatto.

 

~~~

HEY EVERYBODY!

Indovinate chi è in ritardo di 628839477 secoli?

Si, esatto: Montolivo e Thiago Motta. Ma quello è un altro tipo di ritardo.

ANYWAY

Ho finito questo capitolo dopo quell'aborto di partita tra Italia e Liechtenstein, con ancora da studiare per tre verifiche e due interrogazioni e l'ho pubblicato ora MA VA BENE.

UCCIDETEMI.

Voglio precisare una cosa sul tempo della storia: siamo ad ottobre, il prologo e il primo capitolo sono ambientati di martedì, quando Mike chiede ad Alexis di andare al ballo con lui è sabato, mentre questo capitolo è ambientato di Lunedì.

Altra precisazione: per "alzare la scuola" si intende aggiungere un piano in più.

Se qualcosa non vi è chiaro fatemelo sapere, che se non verrà spiegato in futuro nella storia mi preoccuperò di chiarire quel fatto in questi disagianti angoli autrice.

Per oggi vi abbandono, spero di riuscire a pubblicare il prossimo capitolo in poco tempo.

See ya!

P.s. questa gran figata qua sotto è un pavimento in piastrelle di marmo nero

Risultati immagini per piastrelle in marmo nero

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


«Allora Alexis» la voce di Jack raggiunse la ragazza, mentre lui si sedeva sulla sedia di fronte a lei «Come va?»

«Bene, direi»

«Ti vedo più sicura dell'altra volta» disse lo psicologo sorridendo «Ti senti pronta?»

Alexis ebbe un fremito; i ricordi facevano ancora male, ma non aveva intenzione di tenersi ancora tutto dentro.

«Non sei obbligata-»

«No, non c'è nessun problema» lo interruppe la ragazza, iniziando poi a raccontare. Raccontò di tutto quelle che successe dopo i suoi dieci anni. Raccontò, non dettagliatamente, tutto quello che si ricordava, a volte fermandosi per non scoppiare a piangere. E infine, raccontò quello che era successo solo quattro mesi prima.

Jack ascoltava la ragazza preoccupato, senza metterle fretta, aspettando che lei trovasse il tempo di dirgli tutto.

Quando Alexis finì di parlare, con gli occhi un po' gonfi e lo sguardo un po' perso, lo psicologo stette in silenzio, aspettando che la ragazza si calmasse.

«È cambiato qualcosa fino ad oggi?» chiese cauto Jack.

«È solo peggiorato...va tutto peggio...» mormorò Alexis puntando lo sguardo fuori dalla finestra.

Pioveva.

Nonostante la località, quell'ottobre pioveva più del solito, cosa che scombussolava la ragazza, portandola indietro nel tempo.

Jack non parlava, ma ad Alexis non importava, anzi, per lei era meglio così. Stettero in quella situazione per un po' di tempo, fino a quando la famigliare sveglia suonò.

«Cercheremo di far andare tutto per il meglio» disse cauto Jack, mettendo poi una mano sulla spalla della ragazza, la quale annuì indossando il cappotto.

Alexis uscì dall'edificio tirandosi su il cappuccio, incamminandosi poi verso casa. Era lontano il suo palazzo, eppure era costretta ad andarci a piedi, in quanto suo padre non era potuto a venirla a prendere e lei non era arrivata lì con il suo motorino.

Ad un certo punto una Mercedes nera le si affiancò, facendola fermare, mentre il finestrino del passeggero si abbassava rivelando la testa bionda di Thomas.

«Hey, Le - Alex» salutò, correggendosi, il ragazzo «Vuoi un passaggio?»

La ragazza ci pensò su un po', rifiutando poi la proposta dell'amico.

«Guarda che non ci sono problemi, sul serio»

«Ok...» si limitò a rispondere Alexis aspettando che Thomas uscisse dall'auto per farla entrare.

«Dove ti portiamo?» chiese il ragazzo alla guida.

«Sulla 29esima» rispose Alexis sedendosi meglio sul sedile dell'auto.

Sui sedili anteriori erano seduti due ragazzi, sicuramente più grandi di lei, entrambi dai capelli castani molto scuri. Non riuscì a vedere gli occhi di nessuno dei due fino a quando il ragazzo seduto sul sedile del passeggero non si voltò, mostrando due occhi blu leggermente più chiari di quelli di Thomas.

«Cosa ci facevi così lontana dalla 29esima sotto la pioggia?» chiese il ragazzo.

«Jack...» lo ammonì Thomas a disagio.

«Ero a...a casa di mio zio» mentì Alexis, spostando poi lo sguardo fuori dal finestrino.

«Ed è successo qualcosa?» chiese il ragazzo alla guida limitandosi a dare una veloce occhiata allo specchietto retrovisore.

«Ragazzi» intervenne Thomas non lasciando ad Alexis il tempo di rispondere «Non pensate che forse non le va di parlare dei fatti suoi a gente che non conosce?»

«Hai ragione» rispose Jack «Io sono Jackson Stones e lui è Christian, sempre di pietra» ironizzò poi.

«Siamo i cugini di Thomas» continuò Christian

«E siamo gemelli»

«Purtroppo»

«Tu invece sei?»

«Alexis Smith» rispose la ragazza «Sono in classe con Thomas»

«Bene Alexis» disse soddisfatto Jack «Ora: è successo qualcosa?»

Alla domanda del gemello seguì un facepalm di Thomas e una risata di Chris che, curioso come il fratello, voleva saperne di più su Alexis.

«Ragazzi, per-»

«Mio zio è un oculista» inventò velocemente la ragazza «Dovevo fare una visita ma lui ha lo studio aperto a quest'ora, quindi...non poteva chiudere»

I ragazzi passarono il resto del tempo a parlare del più e del meno, discutendo di argomenti più o meno seri.

Alexis scoprì di più sui cugini di Thomas, e, ad essere sincera, venne a conoscenza di altre curiosità sul ragazzo seduto affianco a lei. Per esempio: seppe che tutti e tre avevano legami particolari con la musica, in quanto Thomas, oltre ad essere un eccellente chitarrista, fosse anche un collezionista di chitarre; Jackson - o Jack, come preferiva essere chiamato - aveva uno studio di registrazione e si occupava di far conoscere al mondo band e musicisti emergenti; infine Christian si dilettava nello studio del pianoforte e ogni tanto aiutava Jack con le registrazioni.

Appena la macchina svoltò sulla 29esima strada, Alexis si affrettò a guardare fuori dal finestrino e a far fermare Chris davanti al suo palazzo.

«Grazie del passaggio» salutò educatamente la ragazza.

«È stato un piacere» rispose il gemello alla guida mentre Alexis apriva la portiera.

«Ci vediamo domani» salutò per ultimo Thomas quando la ragazza chiuse la portiera.

 

•••

 

«Ha problemi familiari?»

«Cosa?» chiese Thomas, non avendo capito la domanda del cugino, facendolo ridacchiare.

«Alexis, la ragazza che abbiamo appena accompagnato, ha problemi familiari?» chiese nuovamente Jack.

«Non ne ho idea»

«Ci vai in classe insieme, possibile che tu non lo sappia?»

«No Chris, non lo so» sbottò Thomas «Non vado da qualcuno che a malapena conosco a chiedergli se ha problemi famigliari»

Il silenzio riempì la vettura, lasciando i ragazzi soli con i loro pensieri, fino a quando Chris non annunciò che erano arrivati a casa loro.

Thomas salì velocemente le scale, chiudendosi nella sua stanza dalle pareti blu, ripensando alla preoccupazione di Jack. Aveva notato che Alexis aveva pianto, o che, comunque, qualcosa di sgradevole le era successo. Era solito vederla a scuola indossando sorrisi di circostanza e comportandosi in modo normale, ma la notava, a volte, rilasciare sospiri frustrati o guardarsi in giro con sguardi preoccupati e sicuramente non felici. Non che Thomas si perdesse a fissarla, ma ormai era abituato a cogliere anche il più minimo dei particolari, quello che sfuggirebbe anche a un professionista. Esaminando bene tutti quei piccoli gesti effettivamente, pensò il ragazzo, si poteva pensare che ci fosse qualcosa che non andasse. Ad esempio: non voleva essere chiamata "Lexis", non parlava della sua famiglia e in più quel pomeriggio sembrava avesse tentato di evitare la domanda di Jack inventandosi qualcosa sul momento.

«Hey mitico» esordì Chris entrando nella stanza di Thomas, il quale si alzò dal letto posando il libro che stava leggendo.

«Cosa c'è Chris?» chiese il ragazzo sbadigliando.

«La cena è pronta» rispose il cugino «E poi Alexis ha lasciato questa in macchina» spiegò porgendo una sciarpa nera a Thomas.

«Okay...e quindi?»

«Stai scherzando vero?»

Il più giovane guardò confuso Chris che, con la sciarpa nera in mano, aspettava una reazione da parte del cugino.

«Riportagliela...no?»

«Lo farò domani a scuola» rispose Thomas, poggiando l'indumento sul suo comodino.

 

•••

 

Alexis si guardò indietro un'ultima volta, vedendo la macchina del cugino di Thomas allontanarsi. Si aggiustò gli occhiali mentre cercava le chiavi di casa nel cappotto bagnato. Il cappuccio della felpa fradicio, tirato su a coprirle la testa, le dava fastidio, ma non se ne preoccupava più di tanto. Un'imprecazione le sfuggì dalle labbra quando le chiavi le caddero sul tappetino di gomma nero posto davanti alla porta d'ingresso del condominio. Sapeva che Jackson aveva capito che qualcosa non andava; dopotutto, quali genitori lasciano fare così tanta strada sotto la pioggia alla propria figlia?

Quali genitori...

Alexis si era più volte chiesta se suo padre o sua madre le volessero veramente bene. Si era sempre considerata un classico esempio di ragazza cresciuta troppo in fretta, una ragazza che non aveva niente a cui appoggiarsi, una ragazza invisibile.

 

Who am I?

Who am I when I don't know myself?

Who am I? Who am I?

Invisible

 

Entrò in quel piccolo appartamento sulla 29esima con le guance rigate dalle lacrime e il corpo scosso dai singhiozzi. Chiuse la porta vi si appoggiò, lasciandosi poi cadere lentamente per terra, senza fare niente per fermare il pianto incontrollato. Non era un problema nascondere tutto, per quella volta, suo padre non era in casa, ma non poteva fargliene una colpa. Non c'era quasi mai, doveva assicurarsi di portare sulla tavola un pasto caldo, doveva assicurarsi di poter pagare l'affitto e di poter far continuare gli studi ad Alexis. Aveva provato più volte a convincerlo ad aiutarlo, a convincerlo di essere in grado di poter lavorare nel fine settimana in un bar o in un negozio, ma non ci era riuscita.

Spesso sentiva i suoi amici lamentarsi delle punizioni inflitte dai loro padri, o ragazze che si lamentavano di come le proprie madri non si facessero mai i gli affari loro, ma Alexis... Alexis non desiderava altro. Desiderava un padre che la sgridava ogni volta che tornava a casa con un voto basso, desiderava una madre che l'accompagnasse a fare shopping e che la stressasse per comprare un abito orribile che mai avrebbe indossato. Ma tutto ciò non era realizzabile, perché sua madre non c'era, e suo padre...era come se non ci fosse mai.

 

~~~

HEY EVERYBODY!!

Ritardo.

Lo so.

Non sto neanche qui a spiegarvi perché ci ho messo così tanto ad aggiornare, anche perchè non penso vi interessi.

ANYWAY

Questo capitolo all'inizio mi faceva schifo, ma poi ho pensato: "Hey posso rendere tutto più triste!"

Comunque non avete ancora visto cosa sono in grado di fare....

Iniziate a preoccuparvi fra un po' di capitoli.

La parte finale di Alexis ha un significato abbastanza importante con la storia e si collegherà ad altri fatti molto importanti più avanti. Inoltre spero che possa far ragionare meglio alcuni di voi.

See ya!

P.s. MA QUANTO È MENTALMENTE DISTURBANTE LA 6° STAGIONE DI TEEN WOLF?!

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Thomas entrò di corsa in classe, dando un'ultima occhiata al suo orologio da polso. Si rese conto di essere riuscito ad arrivare per tempo, quindi, con decisamente molta più calma, si avvicinò al suo banco, notando come quello affianco fosse vuoto. Vagò velocemente con lo sguardo per la classe alla ricerca di Alexis, senza però riuscire a trovarla. Si tolse il giubbotto lanciando una breve occhiata alla sciarpa nera dell'amica, rilasciando un sospiro di rassegnazione. Si sedette al suo posto togliendosi il cappotto, proprio mentre il professore entrava in classe facendo zittire tutti gli alunni.

«Bonjour, ragazzi»

Al saluto del professore seguì un coro poco convinto di "bonjour" da parte degli alunni.

«Sedetevi pure» istruì calmo il professor Antoine «Alors, oggi interrogazione. C'è qualche volontario?» chiese poi non ricevendo, come previsto, risposta alcuna.

«Bien, vorrà dire che estrarrò io» disse poi con una smorfia contrariata, scorrendo un dito sull'elenco della classe «Thomas, Alexis, Jesse e Michael. Venite voi»

«Ehm, professore?» chiamò Thomas alzandosi «Alexis è assente»

«Oh, mon dieu!» esclamò seccato il professore «Alexandra, vieni tu al posto suo»

Il professor Antoine era un tipo particolare. Francese, con una gran carriera alle spalle e una bellissima famiglia, insegnava la sua lingua natale alla Miami Beach Senior High School ormai da tempo memore. Era perlopiù simpatico, ma durante verifiche e interrogazioni diventava un demone mandato da satana per distribuire F- a tutta la classe. Si faceva chimare Antoine - nessuno lo aveva mai chiamato per cognome - odiava le formalità, ma quando doveva mettersi in mostra davanti al Preside, non esitava a mostrare il suo lato da generale. Alcuni suoi alunni lo chiamavano così, Generale Antoine, ma non gli interessava più di tanto.

Proprio mentre il professore stava per porgere a Thomas la domanda, spalancò la porta, in modo poco elegante, il professor Brown.

«Ciao Antoine!» salutò il buon vecchio professore di musica «Disturbo?»

«Sto int-»

«Oh fantastico!» lo interruppe il professor Brown «Ti rubo un attimo Thomas, va bene?»

«Veramente lo st-»

«Ottimo! Vieni ragazzo»

La classe scoppiò a ridere mentre il professor Antoine, esasperato, scuoteva la testa.

«Se vuole vengo oggi pomeriggio per l'interrogazione...»

«Non preoccuparti Thomas» rispose Antoine «Vai pure, ci vediamo settimana prossima»

Il ragazzo uscì dalla classe guardandosi intorno, vedendo il professor Brown aspettarlo sorridente.

«Aveva bisogno di me?» chiese Thomas infilandosi le mani in tasca.

«Ti ho appena salvato da un'interrogazione, non sei felice?» replicò preoccupato il professore.

«Ma avevo studiato, sapevo quasi tutto...»

«Vedi? "Quasi"!» esultò Brown «Ti avrebbe sicuramente chiesto l'unica cosa che non sapevi. Noi professori abbiamo un fiuto fantastico per questo tipo di cose!»

Thomas lo guardò con una faccia perplessa, non sapendo come replicare, così, il professor Brown, gli spiegò brevemente - per quanto il suo essere logorroico glielo permettesse - del progetto al quale stava pensando da un po' di tempo. Stava organizzando un concerto per Natale e voleva far suonare, oltre a un brano di ensemble, alcuni brani individuali.

«Tu e Alexis potreste fare un brano insieme!» esclamò vittorioso, alla fine del suo discorso, il professor Brown.

«È una bella idea» concordò Thomas «Ma, ecco, non saprei quando poter provare insieme a lei»

«Oh, non preoccuparti di quello: ho già pensato a tutto io» rassicurò Brown «Ora vieni, ho bisogno di aiuto con un po' di faccende»

«Ma le lezioni...»

«Puoi saltarle tranquillamente, hai dei voti ottimi. Ora va' a prendere la tua roba, io ti aspetto nell'aula di musica»

Thomas rientrò timidamente in classe, dirigendosi subito verso il suo banco.

«Hai intenzione di continuare la lezione?» chiese il professor Antoine.

«Il professore ha richiesto la mia presenza per alcune faccende scolastiche, mi dispiace... »

«Vai, veloce» lo interruppe Antoine «Prima che cambi idea e ti faccia fare una verifica a sorpresa»

Senza replicare, il ragazzo, più confuso che mai, uscì dalla classe dirigendosi verso l'ascensore. Proprio mentre le porte si stavano aprendo, Thomas vide Alexis, con un pessimo aspetto, camminare nella sua direzione.

«Lexis?»

«Non chiamarmi "Lexis"» la voce scontrosa della ragazza rifletteva perfettamente il suo aspetto.

«Sei in ritardo»

«È arrivato Mister Ovvietà! Sono consapevole di essere in ritardo. Non sarei neanche voluta venire...»

«E allora perché sei qui?» chiese Thomas mettendosi in mezzo alle porte dell'ascensore per non farle chiudere.

«Ho già fatto troppe assenze per questo quadrimestre e non voglio ripetere l'anno»

«Antoine sta interrogando» spiegò velocemente il ragazzo guardando il corridoio «Saresti interrogata, ma se vuoi puoi venire con me da Brown: sono sicuro che non ti segnerà assente»

Alexis lo ringraziò ed entrò in ascensore con lui, appoggiandosi poi alle pareti del moderno ascensore chiudendo gli occhi. Quando il campanello suonò brevemente, annunciando l'apertura delle porte, uscí seguendo Thomas, diretto all'aula di musica. Appena i due ragazzi entrarono nella classe, il professor Brown li accolse calorosamente.

«Oh, Alexis, felice che tu ci abbia raggiunti!»

La ragazza, molto stancamente, si tolse il cappotto, sedendosi poi su una delle sedie poste vicino ai banchi. Appoggiò la testa sulla mano puntando lo sguardo nel vuoto, facendo preoccupare Thomas che, con la coda dell'occhio, notò il comportamento strano dell'amica.

«Sei sicura di stare bene?» chiese avvicinandosi al banco, mentre il professor Brown guardava qualcosa sul suo pc.

«Sono solo stanca Thomas, non preoccuparti» rispose lei, aggiungendo poi, con la voce bassa e quasi impercettibile: «Anche perché saresti il primo...»

Il ragazzo riuscì a sentire più che bene quel sussurro, ma si trattenne dal fare domande che avrebbero potuto infastidire Alexis. Si rivolse quindi al professore, tenendo comunque d'occhio la ragazza.

«Allora, questo è il brano» spiegò Brown mostrando uno spartito sullo schermo del suo Mac a Thomas «Teoricamente sarebbe a tre voci, ma si può facilmente trasportare in un duetto. Dimmi tu se preferisci modificarlo per conto tuo o con me»

Il ragazzo, non sapendo realmente quale fosse la scelta migliore, lanciò un ultimo sguardo ad Alexis che, con il capo appoggiato sulle proprie braccia incrociate sul tavolo, riposava.

«Beh, due teste sono sicuramente meglio di una e penso che lei abbia dell'altro lavoro da fare. Quindi, se non le dispiace, andrei a lavorare nell'aula di chitarra con Alexis»

A sentire il suo nome, la ragazza, si tirò su di scatto, guardandosi intorno con uno sguardo perso ed innocente che fece sorridere Thomas. Il professor Brown, dal canto suo, era rimasto abbastanza stupito, ma accettò comunque la richiesta dell'alunno.

Pochi minuti dopo essersi messi d'accordo con il professore, i due ragazzi si avviarono verso l'aula di chitarra. Thomas usò le chiavi precedentemente fornitegli da Brown per aprire la porta e, dopo essersi assicurato la tracolla del PC datogli dallo stesso professore, il quale riponeva molta fiducia nel suo allievo, entrò nella stanza.

Alexis prese le chiavi da Thomas, avvicinandosi all'armadio, intenta ad aprirlo per vedere se c'era qualcosa che sarebbe potuta tornare utile a loro due per la riadattazione del brano.

«Che stai facendo?» chiese il ragazzo appendendo il suo giubbotto a un appendino attaccato al muro.

«Prendo le chitarre»

«Ma...non sei stanca?» chiese ancora lui perplesso facendo alzare gli occhi al cielo ad Alexis.

«Si, ma hai deciso di avere bisogno del mio aiuto quindi starò sveglia»

«Oh no no, mi hai frainteso» la interruppe Thomas «Ho chiesto che mi aiutassi tu per evitare che Mr Brown ti affidasse qualche faccenda» spiegò passandosi una mano fra i capelli «Speravo che stando con me ti saresti potuta riposare. Io me la posso cavare anche da solo»

Alexis rimase interdetta, soppesando le parole di Thomas. Era rimasta sorpresa dal fatto che un ragazzo che a malapena la conosceva, teneva alla sua salute. Insomma, lei non si era mai mostrata molto gentile con lui, al contrario, ma a quanto pare non gli importava.

«G-grazie...ma veramente... »

«No, non scusarti» la interruppe nuovamente «So cosa vuol dire passare la notte in bianco per degli incubi e...sul serio, non c'è nessun problema. Hai bisogno di riposarti»

La ragazza abbassò lo sguardo sul pavimento, pensando a quello che le aveva appena detto Thomas. Pochi, quasi nessuno, si erano preoccupati di quello che pensasse, di cosa la turbasse, ma a quanto pare lui sapeva esattamente come ci si doveva sentire in quei momenti. Forse anche lui si era messo nei suoi panni un tempo, e ora mascherava il tutto mostrando la sua vita (quasi) perfetta.

In quei pochi istanti, Alexis capì molte cose. Ma soprattutto, capì che fra loro due si era appena creato un legame molto particolare.

 

 

~~~

HEY EVERYBODY!

 

Allora, questo capitolo è incredibilmente corto e noioso, e vi chiedo scusa, ma dovevo finirlo così altrimenti non avrebbe avuto senso.

Qualcosa bolle in pentola tra i nostri due protagonisti!

State tranquilli che Alexis andrà ancora al ballo con Michael.

Questa scena finale ha un senso e un ruolo abbastanza importante, in quanto Alexis non si era mai "esposta" così tanto con qualcuno e, come è facilmente intuibile, non ha mai avuto qualcuno con cui parlarne, ma non voglio spoilerarvi troppo.

(Perdonatemi per il ritardo ancora una volta pleaseeeeee)

See ya!

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


«La terza voce è abbastanza inutile, dimmi tu se preferisci toglierla definitivamente o distribuirla fra le altre due voci» disse Thomas guardando di sfuggita Alexis, spostando poi lo sguardo sullo schermo del computer.

La ragazza, seduta scompostamente su una sedia con le gambe appoggiate a un banco davanti a sé, stava guardando attentamente i fogli stampati nei quali avevano appuntato momentaneamente una bozza del brano definitivo.

«Potremmo mettere qualche basso giusto per fare un minimo di base, oltre a mantere l'accompagnamento» spiegò Alexis guardando altri fogli sparsi «Altrimenti sembrerebbe solo una melodia ripetuta»

Si alzò in piedi raggiungendo Thomas, il quale stava modificando il brano usando un programma apposito sul pc.

«Poi puoi modificare qualche parte nella melodia principale della prima voce e trasportare qualche battuta nella seconda voce»

Thomas la guardò perplesso, smettendo per un momento di smanettare con il computer.

«In che senso?»

Alexis alzò gli occhi al cielo, prendendo poi alcuni fogli pentagrammati e iniziando a scriverci furiosamente sopra.

Il ragazzo alzò ancora una volta lo sguardo, guardando divertito l'amica.

Svariati minuti e imprecazioni dopo, Alexis si alzò trionfante dalla sedia, tenendo stretti in mano i fogli appena scritti. Mostrò il lavoro a Thomas che, velocemente, cercò di interpretare la scrittura disordinata dell'amica.

«Mmh, no aspetta» disse a un certo punto «Trasportando questa parte all'ottava superiore devi tenere conto delle dissonanze» spiegò mostrando alla ragazza la parte sbagliata «Qui non puoi tenere l'accordo in Db, devi guardare la seconda voce che passa da un Db a un Eb e cambiare la prima voce di conseguenza»

I due ragazzi passarono le ore successive a sistemare e migliorare la versione editata da Alexis, correggendo alcuni errori e aggiungendo bervi melodie per arricchire il brano.

«Che ore sono?» chiese a lavoro ultimato la ragazza sbadigliando.

«Mezzogiorno meno un quarto» rispose Thomas stiracchiandosi «Abbiamo ancora tempo per stampare tutto e darlo a Brown»

«Oh, fantastico. Vado in segreteria»

«No lascia stare» la interruppe il ragazzo «Vado io, non ti preoccupare» e detto ciò, prese il computer in mano, e se ne andò lasciando Alexis perplessa.

La ragazza decise quindi di sistemare le sue cose nella tracolla, prendere il suo giubbotto di pelle e avviarsi verso la mensa, prendendo l'ascensore. Quando esso arrivò però, Alexis fece un passo senza entrare nell'ascensore. Guardò alle sue spalle, pensando che avrebbe potuto prendere le cose di Thomas e portargliele, ma poi scacciò quel pensiero dalla testa ed entrò nell'ascensore. Non passarono che pochi secondi che la ragazza, leggermente stizzita, uscì da esso borbottando.

«Doveva proprio capitarmi il compagno gentile e simpatico» si lamentò entrando nell'aula di chitarra «Non poteva capitarmene uno antipatico ed egoista!»

Sistemò accuratamente le cose che Thomas aveva lasciato sparse per l'aula nel suo zaino. Controllò di aver preso tutto, poi, sempre borbottando, uscì dalla stanza assicurandosi di chiudere la porta a chiave. Passò velocemente nell'aula di musica, dove stava ancora il professore Brown, e gli consegnò le chiavi, incamminandosi poi nuovamente verso l'ascensore.

Appena fuori da esso Alexis vide venirle incontro Thomas, con un tre pacchi di fogli sotto braccio.

«Oh grazie, mi hai portato lo zaino»

«Spero di non aver dimenticato niente» disse la ragazza dandoglielo.

I due si avviarono verso la mensa, senza riuscire ad avviare una conversazione senza che essa venisse stroncata all'inizio da uno dei due.

La mensa era semi-vuota, ma i due non si meravigliarono dato che la campanella doveva ancora suonare ponendo fine alla giornata scolastica. Si sedettero ad un tavolo occupandolo, attendendo poi l'arrivo dei loro amici che, da lì a poco, sarebbero usciti dalle loro aule. Alexis appoggiò la testa sul palmo della sua mano destra, tenendo nella mano sinistra una matita per appuntare varie note sullo spartito davanti a sé, vedendo poi Thomas fare lo stesso. La ragazza tentò di resistere qualche minuto, ma la stanchezza era troppa, e dopo poco tempo si addormentò appoggiando la testa sul tavolo.

Thomas, dopo aver alzato il capo per controllare a che punto fosse l'amica, non si sorprese di trovarla con gli occhi chiusi a dormire. Le tolse delicatamente la matita dalla mano cercando di non svegliarla, proprio mentre la campanella si decideva a suonare. Notando come Alexis non si fosse minimamente accorta del rumore che in poco in tempo si era sparso per l'edificio, ritirò le cose della ragazza nella sua tracolla per poi mettere a posto le proprie.

Pochi minuti dopo Alexandra, Andrea e Michael arrivarono in mensa dirigendosi verso il tavolo dove c'erano gli altri ragazzi.

«Perchè non siete venuti a lezione per tutto il giorno?» chiese la ragazza dai capelli rossi sedendosi vicino all'amica addormentata.

«Brown aveva bisogno di noi per il concerto di Natale» spiegò Thomas «Abbiamo finito pochi minuti fa»

«Deve essere stato divertente...» commentò Michael facendo cenno con la testa verso Alexis

«Sì, è stato abbastanza noioso» confermò Thomas facendo spallucce «Ma lei ha detto di non aver dormito stanotte, quindi sta-»

«Svegliati, bella addormentata sugli spartiti!» strillò Alexandra interrompendo Thomas e scrollando Alexis vivacemente.

«Stavo cercando di farla riposare...» disse il ragazzo precedentemente interrotto terminando la frase che prima aveva cercato di dire.

Alexis sobbalzò, guardandosi intorno spaventata.

«Ma che cazzo di problemi hai?!» urlò infuriata la ragazza alla sua migliore amica dopo aver compreso cosa fosse appena accaduto «Ti sembra il modo di svegliare una persona che ha dormito sì e no 2 ore?!»

Guardò furiosamente tutti i ragazzi seduti al tavolo per poi prendere le sue cose e andarsene.

«Le passerà» spiegò tranquillamente Alexandra vedendo l'espressione sconvolta di Thomas «Non è la prima volta che fa questa scenata»

 

•••

 

«Cappuccino al cioccolato con poco latte freddo e un velo di cannella» esordì sorridente Dylan poggiando la tazza con la bevanda di fronte a Chrystal.

«In tazza grande riscaldata» precisò la ragazza mentre Dylan si sedeva di fronte a lei ridendo.

«Allora, come va?» chiese il giovane barista.

«Non protebbe andare meglio, soprattutto perché sono arrivati i libri che avevo ordinato. Però se fossi in te andrei a vedere cos'ha tua cugina»

«Perchè?» chiese allarmato Dylan voltandosi, potendo vedere la sua parente sedersi infuriata ad un tavolino «Oh no»

«Che cos'ha?» domandò curiosa e allo stesso tempo preoccupata Chrystal.

«Incubi. Non ha dormito stanotte. E fidati se ti dico che è meglio starle lontani in occasioni come queste» spiegò il ragazzo alzandosi «Mi dispiace, devo andare...»

«Non preoccuparti; non c'è nessun problema»

Dylan si strinse il grembiule avviandosi verso il tavolo al quale stava seduta la cugina.

«Hey Alexis» salutò lui «Che ti porto?»

«Quello che ti pare, anche se un sonnifero sarebbe perfetto» borbottò seccata la ragazza.

«Vuoi parlarne?»

Alexis distolse lo sguardo che si fece improvvisamente triste, sentendo le lacrime pungerle gli occhi. Si prese la testa fra le mani cercando di non piangere mentre Dylan la abbracciava cercando di consolarla.

«Ieri avevo la seduta con Jack» mormorò la ragazza accoccolandosi al petto del cugino «Gli ho detto tutto... stanotte però ne ho pagato le conseguenze... pensavo che sarei riuscita a sopportare tutto, ma mi sbagliavo»

Le lacrime ormai scendevano copiose dagli occhi della ragazza che, da qualche minuto, stava abbracciata a Dylan. Inutile dire che la fame le era passata, anzi, a dirla tutta, quel giorno proprio non aveva voglia di mangiare.

 

~~~

HEY EVERYBODY!

Capitolo che finisce un po' di colpo, ma dato che dovevo andare un po' avanti con il tempo della narrazione, non avrebbe avuto senso unirlo al successivo.

Avanti, shippate un po' Alexis e Thomas daiii!

Chrystal e Dylan sono tornati but non ci saranno molti momenti con loro dato che non sono tra i personaggi principali.

Inoltre ho scoperto di aver fatto un errore assurdo, quindi dovrò cambiare l'età di entrambi.

Vi saluto che devo studiare roba a memoria e non ho fatto niente per 5 giorni.

See ya!

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Un'altra settimana era passata, ma Alexis sembrava essere peggiorata drasticamente. Aveva passato altre notti insonni, aveva saltato qualche giorno di scuola ma, nonostante ciò, non aveva mancato neanche una visita da Jack. Oramai si era affezionata al suo psicologo, tanto da considerarlo un po' come quello zio single e spensierato che viaggia per il mondo portando sempre regali ai nipoti.
Aveva ripreso in mano quel pacchetto di Marlboro Rosse che da mesi teneva nascosto in un cassetto del suo comodino e aveva ricominciato a fumare di tanto in tanto.
Si era messa d'accordo con il professor Brown e con Thomas per provare il brano che i due ragazzi avrebbero suonato per il concerto di natale e l'avevano già iniziato a studiare insieme, ma comunque non era riuscita a distrarsi da quello che accadeva nella sua testa.
«Dato che non sei Augustus Waters e non penso tu voglia fare qualche metafora, mi spieghi cosa te ne fai di un pacchetto di Marlboro Rosse?» chiese Alexandra guardando male la confezione di sigarette che la ragazza al suo fianco stavo tirando fuori dallo zaino.
«Le fumo, no?» rispose sarcasticamente Alexis prendendo un accendino dalla tasca posteriore dei jeans.
Alexandra sbuffò alzando gli occhi al cielo, per poi appoggiarsi al muro attendendo che l'amica finisse la sua sigaretta. 
Le due ragazze entrarono finalmente nel bar, sedendosi al solito posto mentre aspettavano che Dylan smettesse di flirtare con Chrystal.
«Ma tuo cugino non si è ancora deciso a chiederle di uscire?» chiese Alexandra prendendo il libretto  del menù.
«Che vuoi che ti dica?» rispose Alexis sbadigliando «Fa tanto il figo ma sotto sotto è timido»
«Ciao ragazze, che vi porto?» chiese il barista sopracitato dopo essersene andato dal tavolo di Chrystal.
«Un Cordon-bleu per me e un po' di coraggio per te» rispose Alexis sorridendo «Oh, e una porzione di patatine fritte con maionese»
Dylan aggrottò le sopracciglia per poi chiedere:«Perchè avrei bisogno di un po' di coraggio?»
«Perchè non hai ancora chiesto a Chrystal di uscire con te» spiegò Alexandra precedendo l'amica «e lei non aspetta altro»
«Come fai a sapere cosa vuole scusa?»
«Semplice» continuò la ragazza dai capelli rossi «Vi guardate allo stesso modo in cui si guardavano Alexis e Michael alla fine della seconda media»
I due cugini stavano guardando confusi Alexandra; il più grande perché non  aveva ancora capito il ragionamento della ragazza, la più piccola perché non capiva cosa la sua migliore amica volesse intendere con quel "Vi guardate allo stesso modo in cui si guardavano Alexis e Michael alla fine della seconda media".
«Alexis e Michael, in quel periodo avrebbero potuto instaurare uno dei fidanzamenti più belli e duraturi della scuola. Peccato solo che lei voleva che fosse stato Michael a fare il primo passo, cosa che non ha fatto perché troppo timido» spiegò velocemente Alexandra «Poi è arrivata quella troia di Amy che si è messa con lui per pochi mesi cambiandolo drasticamente e rendendolo ciò che è adesso»
«Cos'ha di male adesso Michael?» chiese offesa Alexis.
«Devo veramente stare qui a spiegartelo?»
«Ragazze, litigate dopo per favore» le interruppe Dylan «Vi porto quello che trovo»
Qualche minuto dopo le due amiche stavano terminando il loro pasto in silenzio - alla fine il barista aveva portato loro una bistecca di manzo a testa e una porzione di patatine con maionese - quando Alexis, dopo aver bevuto un sorso d'acqua, se ne uscì con un "Voglio tingermi i capelli"
«Cosa?» chiese Alexandra tossicchiando, nonostante non fosse del tutto contraria a quell'idea.
«Hai capito benissimo» rispose l'altra «Voglio tingermi i capelli»
«E...per quale motivo?»
«Così, mi va»
Alexandra stette qualche minuto a guardare l'amica in silenzio, per poi chiamare Dylan, il quale, dopo un'altra chiacchierata con Chrystal, si avvicinò al loro tavolo.
«Tua cugina vuole tingersi i capelli »
«COSA?!» esclamò il barista lanciando un'occhiata di fuoco alla sua parente «Tu non ti tingi un bel niente »
«E perché no, scusa?»
«Perchè poi ti si rovinano i capelli»
«Sai che me ne frega» disse Alexis sbuffando, prendendo per un braccio Alexandra e alzandosi, per poi trascinarla fuori dal bar salutando velocemente Dylan.
 
•••
 
«Ne sei sicura?»
«Non mi sto facendo un tatuaggio e non sto firmando un contratto che mi lega a vita ad un assassino In Afganistan»
«Si ma è comunque un cambiamento importante»
Alexis buttò a terra, quasi violentemente e con stizza, la sigaretta consumata per metà, guardando poi irritata l'amica.
«Alex, se hai intenzione di rompere i coglioni per il resto della giornata puoi anche chiamare il tuo fidanzatino perfetto del cazzo e tornartene a casa»
La ragazza dai capelli rossi chiuse gli occhi e fece un respiro profondo nel tentativo di calmarsi. Non se ne sarebbe di certo andata, era troppo testarda e orgogliosa per accontentare una semi-crisi isterica da parte della sua migliore amica.
«Alexis nonsoiltuosecondonome Smith» esordì con tono fermo riaprendo gli occhi «Ora tu la smetterai di fare l'adolescente incazzata con il mondo e ti toglierai questa fottuta maschera che da una settimana indossi perché hai veramente rotto le palle a tutti»
L'altra fece per andarsene, ma Alexandra la prese per un braccio fermandola. La ragazza notò, però, che l'amica aveva gli occhi lucidi e che si stava torturando il labbro inferiore mordendolo nervosamente, quindi Alexandra decise di lasciarla entrare nel negozio del suo parrucchiere di fiducia, ovviamente non dopo aver sbuffatto sonoramente.
 
•••
 
Alexis corse a prendere il suo telefono che stava squillando incessantemente, lanciandosi un'ultima occhiata allo specchio. Appena avvicinò il cellulare all'orecchio fu stordita dalla voce squillante di Alexandra.
«Alexandra, ma che cazz-»
«ALEX!» strillò la ragazza dai capelli rossi «Stasera, 21:35» disse poi chiudendo la chiamata.
Alexis non rimase minimamente toccata da quello che era appena successo, in parte perché non aveva ancora realizzato bene cosa era accaduto, in parte perché ormai era abituata a quegli scatti di pazzia che caratterizzavano la sua amica.
Passò tutto il pomeriggio a suonare la chitarra, ad ignorare suo padre e a leggere, cercando di evadere per poco da tutto quello che la circondava.
I suoi piani per quella serata improvvisata erano semplici e di sicuro non aveva intenzione di mettersi in tiro, cosa che tra l'altro non aveva mai fatto con piacere. Alexandra, però, la pensava in modo diverso, così si presentò a casa dell'amica alle 19:47 precise strillando e pensando di essere in ritardo. In un primo momento Alexis aveva optato per l'opzione "fai finta di non conoscerla", ma poi aveva dovuto cedere in quanto l'altra ragazza era molto più insistente di lei.
«Ti ho portato un vestito»
Alla parola "vestito" Alexis quasi si strozzò.
«Sì cara mia, hai capito bene» spiegò Alexandra ghignando «Andremo in un uno delle discoteche più belle di Miami Beach, non ho intenzione di farti venire vestita con dei pantaloni»
«Mi ricordi la parte in cui io accetto tutto ciò?» chiese la ragazza dagli occhi viola tremendamente seria, facendo però ridere l'amica.
Dopo circa un'ora Alexis stava facendo delle smorfie sofferenti di fronte allo specchio sul quale si rifletteva la sua figura. Alexandra aveva scelto per lei un vestito monospalla nero che arrivava fino al ginocchio, coperto da un giubbotto di pelle nero. La ragazza era stata irremovibile sulla scelta delle scarpe che erano nere con un tacco vertiginoso. Alexis aveva però deciso di portarsi dietro (di nascosto) un paio di All Star completamente nere, in quanto si vedeva già per terra numerose volte.
Dopo aver mangiato un panino a testa, le ragazze aspettarono impazientemente l'arrivo di Andrea, il quale arrivò a casa di Alexis alle 21:30 precise. In macchina, oltre all'italo-americano, c'era anche Michael, vestito con una camicia nera, un paio di jeans scuri e un giubbotto di pelle. Alexis non fece molta attenzione all'outfit di Andrea, in quanto si perse a fissare il ragazzo seduto affianco a sé che non faceva altro che mordersi continuamente il labbro inferiore, causandole non pochi problemi nel prestare attenzione a tutto quello che la circondava.
Una volta arrivati ed entrati nella discoteca, Alexis si fiondò in bagno per togliersi quelle trappole mortali che aveva ai piedi e mettersi delle comodissime scarpe basse.
Quando uscì dal bagno si mise a cercare i suoi amici che sembravano essere scomparsi nel nulla; decise quindi di avviarsi al bancone del bar per passare "felicemente" la serata da sola. Quando però il barista le si avvicinò finendo di preparare un drink, la ragazza notò due familiari occhi blu.
«Thomas?»
«Hey Alex!» salutò allegro il barman «Che ci fai da queste parti?»
«Potrei farti la stessa domanda»
Thomas si limitò a fare spallucce mentre tritava del ghiaccio, spiegandole che lavorava lì nel weekend per raccimolare qualche soldo e non dipendere totalmente dai suoi genitori.
«Tu invece?» chiese alla fine del breve racconto.
«Alexandra mi ha trascinata qui senza accettare repliche» disse Alexis «Il tempo di togliermi quelle trappole mortali che la gente chiama "scarpe col tacco" e ho già perso tutti di vista»
Thomas rise di gusto facendo qualche acrobazia con lo shaker per un gruppetto di ragazze che lo fissavano adoranti. Ne versò il contenuto colorato in un bicchiere e lo porse ad una di loro facendole l'occhiolino.
«Beh, fai conquiste!» osservò Alexis ghignando.
«Fa parte del lavoro, non ho assolutamente intenzione di uscire con quella, anche se mi ha dato il suo numero»
«Ti ha dato il tuo numero?» chiese la ragazza sbalordita «Non l'avevo nemmeno notato»
Thomas rise ancora mostrandole un bigliettino con un numero di cellulare, quasi illeggibile, scritto sopra, per poi accartocciarlo e buttarlo via.
«Diciamo che il mio capo non è molto d'accordo con il fatto che mi metta a parlare con degli amici» disse a un certo punto il ragazzo «Quindi eccoti un mojito, anche se non è il tuo preferito»
«Come...»
«Segreti da barman» la interruppe lui facendole un occhiolino, per poi andare a servire altri ragazzi.
Alexis stette qualche minuto da sola a osservare Thomas che, completamente a suo agio in quell'ambiente, serviva cocktail su cocktail, compiendo una serie di acrobazie. 
«Non hai intenzione di ballare?!»
Quella frase urlatale nell'orecchio la fece voltare, in modo tale da notare Alexandra leggermente brilla, seguita da un Andrea piuttosto sobrio e leggermente infastidito, per finire con un Michael ubriaco fradicio che non riusciva a sedersi sullo sgabello del bar.
«Ehi dolcezza» disse quest'ultimo ad Alexis «Te l'ho già detto che i capelli rossi ti stanno una faaaaaaaaavooola?» non fece neanche in tempo a finire di parlare che perse l'equilibrio e cadde rovinosamente per terra.
«Si può sapere che cosa avete fatto in neanche un'ora?» chiese la neo-rossa soffocando una risata.
«Mike ha bevuto, anche se forse sarebbe meglio dire rubato, una decina di drink a goccia, Alexandra ha bevuto due Caipiroska e io sono dovuto rimanere sobrio in quanto l'unico in possesso della patente» spiegò irritato Andrea.
«Barman, porta un giro di shottini!» urlò Alexandra sedendosi e agitandosi sulle gambe del suo ragazzo che subito si irrigidì diventando paonazzo. 
«È arrivata la cavalleria!» esclamò il barista posizionando quattro bicchierini in fila.
«Thomas? Che cazzo ci fai qui?» chiese la ragazza guardando male il suo compagno di classe.
«Ci lavoro» rispose lui con nonchalance versando la vodka.
«Io non bevo, sono l'autista» intervenne Andrea vedendo il ragazzo davanti a se prendere limone e sale.
«Infatti non è per te»
Thomas chiamò un altro barman chiedendogli di coprirlo, mentre lui si apprestava a brindare con gli altri ragazzi che, tranne Andrea, iniziarono finalmente a divertirsi anche grazie all'alcool che iniziava ad avere il suo effetto.
 

~~~

HEY EVERYBODY!

Sono passati cinque secoli dall'ultimo aggiornamento ma fa niente. Meglio non pensarci.
Questo capitolo mi è uscito un po' alla cazzo, per questo ci ho messo tanto, e non so nemmeno quanto senso ha. Insomma, dovevo trovare un modo per introdurre alcune informazioni e per non far passare molto tempo tra il precedente capitolo e quello del ballo.
Dopo il ballo ci saranno stacchi temporali mooooolto più lunghi e quindi dovrei riuscire a scrivere i capitoli più velocemente.
Chiamate al 45507 per donare un drink al povero Andrea che deve rimanere sobrio. 
#Pray4Andrea
Dal prossimo capitolo si Inizierà a parlare un po' più dettagliatamente del ballo, quindi restate connessi!
See ya!

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Alcuni ragazzi stavano improvvisando una band nell'aula d'orchestra e stavano cercando una canzone da suonare, ma non riuscivano a decidersi. Thomas e Michael facevano parte di quella band, insieme ad altri due ragazzi che Alexis non conosceva. Inizialmente volevano fare un brano degli AC/DC, ma il cantante aveva subito detto di non essere in grado di imitare la voce di Brian Johnson, e lì era iniziato un dibattito su chi fosse stato il miglior cantate del gruppo tra lui e Bon Scott. Il bassista aveva proposto The sound of silence dei Disturbed, ma non avevano il permesso di toccare il pianoforte, quindi l'idea fu subito bocciata.
Alexis propose quindi di suonare qualcosa dei Green Day e l'idea fu ben accolta, se non fosse per il fatto che i ragazzi non sapessero quale canzone suonare. 
Tre quarti d'ora dopo l'arrivo della "band" nell'aula, iniziarono finalmente a suonare, scegliendo Revolution Radio, una delle canzoni appena rilasciate dal gruppo americano. Alexis, nel frattempo, si era messa a studiare Nothing Else Matter e, quando alzò lo sguardo notando i ragazzi che si apprestavano a iniziare, si lasciò sfuggire un "Era anche ora!".
Michael si fece scrocchiare il collo e, dopo aver ricevuto un cenno d'assenso da parte di tutti gli altri ragazzi, diede il tempo, facendo iniziare la canzone.
Thomas si fece trovare pronto e, appena il batterista finì di dire "four", cominciò a suonare il riff iniziale.
Il chitarrista fu subito seguito dal bassista e infine dal cantante che, contrariamente a quanto ci si poteva aspettare, dimostrò di avere una voce niente male.
Thomas, di tanto in tanto, si aggiungeva come seconda voce, suonando con tranquillità la chitarra, al contrario di tutti quegli esaltati che pensano di essere degli Dèi solo perché sanno suonare gli accordi di Highway To Hell (che, per la cronaca, sono sempre gli stessi quattro o cinque ripetuti).
Alexis, attenta osservatrice come sempre, si mise a guardare attentamente sia Michael che Thomas, notando come quest'ultimo si mordesse leggermente la lingua ogni volta che doveva fare un passaggio complicato.
Michael invece aveva un'altro tipo di tic; faceva ciondolare la testa a tempo mentre con le labbra contava la scansione delle battute.
 
We will be seen but not be heard
We are the songs of the destroyed
We are, revolution radio
 
La canzone finì con l'accordo finale suonato da Thomas, facendo applaudire Alexis.
«Devo ammetterlo, mi avete stupita» commentò la ragazza alzandosi in piedi «Ora però devo andare, quindi mettete voi a posto tutto il casino che avete fatto» concluse poi alludendo a vari cavi sparsi vicino al palco e ingarbugliati fra di loro.
Alexis, in pochi minuti, fu fuori dalla scuola, con una sigaretta tra le labbra e le mani in tasca. Si avvicinò al suo motorino parcheggiato vicino al muro dell'istituto e ritirò la tracolla nel contenitore posteriore, togliendo il casco che ci aveva messo dentro. Si tolse la chitarra dalla spalla, sistemandola vicino a sé, e si appoggiò al muro prendendo il suo cellulare dalla tasca posteriore dei jeans, proprio mentre questo iniziava a squillare.
«Hey Lexis» 
La voce di Dylan la fece sorridere, mentre prendeva una tiro dalla sua Marlboro.
«Quanto ancora vi dovrò dire di non chiamarmi "Lexis"?» chiese sorridendo la ragazza.
«Tanto sai già che ti chiameremo così in qualunque caso» ribatté l'altro facendole alzare gli occhi al cielo «Comunque, ti ho chiamata per sapere se tu, Michael e Thomas foste liberi adesso
«No» rispose immediatamente Alexis «Io sto andando da Jack»
«Ancora? Non ci sei stata ieri?»
Un silenzio assordante seguì a quella domanda, con Alexis che terminava la sua sigaretta e Dylan che capiva quello che la cugina non voleva dirgli.
«Lexis. Quanto a settimana?»
«Cinque» sussurrò la ragazza lasciando che la sigaretta scivolasse via dalle sue dita cadendo per terra.
«E prima della ricaduta?»
«Due. Al massimo tre»
«Sono passate due settimane. Perché non me l'hai detto?»
«Io...scusa Dylan, io...» Alexis iniziò a singhiozzare, senza riuscire a trattenere le lacrime che le scendevano copiose dagli occhi. Si coprì la bocca con una mano cercando di soffocare un minimo il rumore del pianto, mentre Dylan, mortificato, cercava di tranquillizzare la cugina
«No, Lexis, non sono arrabbiato con te, stai tranquilla...»
«Non fa niente, Dyl, devo andare»
«Alex-»
La voce del ragazzo fu fatta tacere da Alexis che, semplicemente premendo un'icona sullo schermo del suo smartphone, aveva chiuso le porte ad un'altra persona.
Si lasciò cadere per terra, con le lacrime che si mescolavano alla pioggerellina leggera che aveva appena iniziato a cadere, cercando invano di calmarsi.
Michael uscì da scuola proprio in quel momento, alla ricerca di Alexis. Appena la vide per terra a piangere però, non le andò in contro. Si incamminò verso casa sua facendo finta di non averla vista, non volendo assolutamente sapere cosa le fosse successo.
La ragazza si alzò, pochi minuti dopo, da terra, tremante, con ancora le guance segnate dalle lacrime. Si rimise la chitarra sulle spalle e si infilò il casco, salendo poi sul motorino e mettendolo in moto.
Arrivò finalmente da Jack, accompagnata da quella pioggerellina leggera che non sembrava avere intenzione di infittirsi.
La ragazza entrò finalmente nello studio dello psicologo, facendo sorridere l'uomo al suo interno che, come sempre, stava seduto alla sua scrivania.
«Temevo che non saresti più venuta»
«Ho avuto...qualche problema?»
«Parliamone» propose Jack alzandosi «Ti va?»
Alexis annuì quasi impercettibilmente, sedendosi poi sul divanetto per spiegare al suo psicologo quello che era successo poco prima. Non parlarono solo di quello; lei gli spiegò anche di come non riuscisse più a passare molto tempo con i suoi amici e di come li stesse lentamente allontanando.
«Qualcuno di loro sa della tua situazione psicologica?»
«No. Nessuno di loro.» rispose Alexis scuotendo un poco la testa «Non riuscirei mai a dirglielo»
«Perchè non ci provi?» chiese Jack «Buttati. Non hai nulla da perdere, in fondo sono tuoi amici»
Continuarono a parlare di quello fino a quando la famigliare sveglia suonò e Alexis dovette andarsene.
Quando uscì dal palazzo poté notare come, le nuvole che prima coprivano il cielo, erano scomparse, mostrando il tiepido sole autunnale che faticava a trasmettere calore.
La ragazza spostò la sua attenzione al suo cellulare che teneva in mano, camminando col corpo leggermente storto per non far cadere la chitarra che teneva, grazie agli spallacci della custodia, sulla spalla sinistra. Non guardava dove stava andando, infatti si scontrò contro qualcosa, o qualcuno, questo non seppe dirlo fino a quando una mano la prese per il braccio evitandole di cadere. Sempre la stessa persona - che Alexis proprio non riusciva ad identificare - con un gesto fluido della mano libera, le afferrò saldamente l'altro braccio, facendole riprendere l'equilibrio. Quando si ristabilì, riuscì a mettere a fuoco la persona davanti a sé, riconoscendo in essa Thomas.
«Che ci fai qui?» chiese Alexis perplessa.
"Buffo come la mia risposta sia sempre la stessa" pensò Thomas prima di dire:«Potrei farti la stessa domanda»
«Io, ehm...» farfugliò la ragazza cercando inizialmente una scusa. Poi però ripensò alle parole di Jack.
"Buttati"
Alexis prese un respiro profondo, guardando di sottecchi Thomas che sorrideva in attesa di una sua risposta.
«Ero dallo psicologo. Jack West, non so se lo conosci» spiegò.
«Oh, sì, lo conosco» intervenne il ragazzo mantendo il sorriso sul volto «Ci stavo andando giusto ora»
Alexis rimase spiazzata da quelle parole.
E lei lo notò, notò come il suo sorriso non illuminava più i suoi occhi, notò come quest'ultimi non trasmettevano più la spensieratezza che lo caratterizzava. Ma soprattutto notò come il blu dei suoi occhi si fece più intenso e lì capì; capì come si stava sforzando di non pensare al passato mentre tratteneva le lacrime.
In quel momento capì quanto Thomas fosse forte, mentre lei rimaneva a crogiolarsi nel suo dolore senza pensare a chi le stava intorno.
«Ci vediamo domani a scuola?» chiese poi la ragazza evitando il suo sguardo.
«Si...» rispose lui con voce incrinata «...Ci vediamo domani...»
 
~~~

HEY EVERYBODY!
Also, questo capitolo è muy corto but il prossimo dovrei pubblicarlo in meno tempo.
Ma perché ho scelto il linguistico?
Anyway
SI INSTAURANO LEGAMIIIIH
Cosa nasconde Thomas?
Perché Michael è così idiota?
Ah, queste domande difficili!
Tanto ci vorranno ancora un bel po' di capitoli prima che accada qualcosa nella storia, per adesso siamo ancora in una situazione iniziale (in senso figurato).
See ya!

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Michael fissò lo schermo del cellulare per diversi minuti, non riuscendo a decidersi a premere quel maledetto pulsante vicino al nome "Chris".
Sbuffò, scuotendo la testa, pensando a quanto fosse stupido nel farsi tutte quelle paranoie, e si decidette finalmente a chiamare il contatto.
«Mike! Da quanto tempo!»
«Ti ho già detto di non chiamarmi "Mike"» rispose il ragazzo dagli occhi verdi.
Una risata sguaiata raggiunse Michael che, piano a piano, iniziava ad essere sempre più nervoso.
«Chris, l'accordo deve saltare» disse il ragazzo con un tono fermo.
Un'altra risata, questa volta più breve e controllata, precedette l'intervento di Chris.
«Michael, Michael, Michael» iniziò con tono scherzoso «Sono io a dettare regole. Non puoi far saltare un accordo così, dal nulla, solo perché ti va»
«Non posso farlo, non ad Alexis. Sta già soffrendo troppo»
«Non mi interessa. Hai giocato con il fuoco e ora hai paura di scottarti. Non si fa così, Mike. Se infrangerai l'accordo, me la prenderò con tua sorella. E non sarò delicato»
«No!» urlò spaventato Michael «Non toccare mia sorella, lei non c'entra niente. Farò quello che mi hai chiesto...»
«Come pensavo...»
Chris chiuse la chiamata, non prima, però, di aver riso un'altra volta, mentre Michael si lasciava cadere sul pavimento della sua camera, abbandonando la testa contro il muro dietro di sé.
Una lacrima solitaria bagnava il suo viso.
 
•••
 
Alexis camminava con passo strascicato lungo il corridoio della scuola, con una voglia di vivere che faceva a gara con quella di Leopardi per vincere il premio di "Vita più depressa 2016".
Era talmente stanca e stufa e frustrata per quello che le stava accadendo da non guardare dove stava andando, finendo inevitabilmente per andare addosso a un ragazzo. Appena vide di chi si trattava, ovvero di Michael, arrossì scusandosi immediatamente.
«Non preoccuparti, va tutto bene»
Il ragazzo aveva uno sguardo fuggente; gli occhi saettavano a destra e a sinistra senza mai fermarsi a guardare quelli di Alexis. Aveva uno sguardo apparentemente folle, ma che in realtà esprimeva solo il più oscuro terrore.
La ragazza rimase leggermente colpita dal comportamento dell'amico, tanto da chiedergli se stesse bene almeno altre due volte.
La sua bocca rispose allo stesso modo entrambe le volte, ma i suoi occhi gridavano aiuto e cercavano di dire quello che le parole non volevano comunicare.
«Oggi pomeriggio sei libera?» chiese con voce tremante Michael «N-non abbiamo ancora i vestiti per il ballo e-e mi chiedevo s-se...»
«Sì, sono libera. Ci vediamo alle quattro al parco?»
Michael annuì, per poi quasi scappare dalla ragazza.
Le ore passavano, mentre i cinque amici affrontavano la giornata in modi diversi.
Michael riuscì ad intercettare Alexandra solo prima di pranzo, quando entrambi si stavano avviando in mensa. 
Afferrò il braccio della ragazza, tirandolo leggermente per intimarle di fermarsi.
Quando Alexandra si voltò per vedere chi fosse la persona che l'aveva fermata, quasi si spaventò nel vedere lo sguardo che le rivolse Michael.
«Dobbiamo parlare»
«Proprio adesso?» chiese Alexandra.
Michael annuì gravemente, per poi trascinarla fuori dalla scuola, nel cortile posteriore che era quasi sempre vuoto.
«Alexis sta male; sta molto, molto male.» iniziò lui camminando avanti e indietro «È da qualche giorno che la vedo: si isola, cerca un luogo nascosto e poi piange. Non so perché, ma non preannuncia niente di buono»
«Tu adesso me lo vieni a dire?! » esclamò adirata la ragazza «Da quanto va avanti?»
«Non lo so! Forse settimane! Ma-»
Alexandra interruppe Michael lamentandosi di non aver saputo prima cosa aveva la sua amica.
«Lasciami spiegare! Ho un problema con Chris»
Appena sentì quel nome, la ragazza impallidì e iniziò a sudare freddo, guardando Michael in attesa di risposte.
Lui le spiegò di come dovesse saldare un debito con la sua banda da molto tempo e gli disse cosa Chris voleva che facesse. Le comunicò anche che aveva cercato di fargli cambiare idea, ma non ci era riuscito.
«Alex, io...io non so cosa fare. Non voglio perderti; anche se non sei la mia sorella di sangue io ti voglio bene come se lo fossi»
«Dobbiamo trovare un modo Mike»
«È impossibile!» sbottò lui «Mi controlla! Mi tiene costantemente sotto controllo! Anche se riuscissi a tenere in salvo te e Alexis, cosa mi assicura che non faranno niente ai nostri genitori?»
Alexandra non disse niente, si limitò ad abbracciare Michael mentre quest'ultimo lasciava che le lacrime iniziassero a solcargli le guance.
«Sono una merda, sis. Sono una persona orribile»
«Troveremo un modo»
 
•••
 
Michael mosse le dita velocemente sullo schermo del suo cellulare scrivendo un semplice messaggio ad Alexis:

"Io sono qui. A che punto sei?"

Non fece in tempo a inviarlo, in quanto la ragazza gli si avvicinò in quel momento, così lui si mise il dispositivo in tasca e prestò tutta la sua attenzione all'amica, stando comunque all'erta.
«Ciao» salutò Alexis «Ti senti meglio?»
«Perchè?» chiese Michael perplesso.
«Non so, stamattina mi sembravi strano» rispose lei facendo spallucce.
Il ragazzo cercò una risposta adatta che giustificasse il suo comportamento, ma, non trovandola, non rispose, limitandosi a ghignare e a mettere un braccio intorno alle spalle della ragazza, per poi guidarla verso la sua macchina.
Michael aveva una macchina molto bella e costosa, come ci si poteva aspettare, nonostante girasse ancora con il foglio rosa.
«Stavo pensando» disse lui per spezzare il silenzio «Dato che Jack Skeletron e la sposa cadavere li faranno già i due piccioncini, che ne dici se...non so, facessimo qualcun altro?»
Alexis si era ritrovata ad accettare un po' controvoglia, ché di andare al ballo con un vestito banale non ne aveva proprio voglia. Eppure, ancora una volta, aveva pensato a quello che volevano gli altri anziché a quello che lei voleva realmente, facendo passare in secondo piano la sua, seppur piccola in quel caso, felicità. 
Erano arrivati in un negozio specializzato in costumi e cose simili, dove Michael sapeva di poter trovare vestiti di qualità, in quanto conosceva il proprietario.
Nicholas Reed, Nick per gli amici, era l'uomo che gestiva il negozio. Lavorava a Hollywood prima, lì faceva il costumista e, a volte il truccatore, prima di venir licenziato. Era un cascamorto, lo era sempre stato, e, lavorando con attrici esageratamente belle, aveva più volte ricevuto minacce di licenziamento per molestie sessuali. La goccia che fece traboccare il vaso fu la denuncia che ricevette da Jennifer Lawrence dopo averle detto qualche frase di troppo cercando di portarsela a letto.
«Mick, amico mio!» esclamò Nicholas allargando le braccia.
«Ehi Nick! Come butta?» 
«Vedo che ti sei trovato un bel bocconcino» commentò l'uomo facendo cenno con la testa verso Alexis.
Michael rise, avvolgendo le spalle della ragazza con un braccio, mentre lei arrossiva e puntava lo sguardo sul pavimento piastrellato.
«No, no, hai frainteso. Lei è solo un'amica... speciale» 
E l'occhiolino che le dedicò la fece sentire meglio, perché la fece sentire un po' importante, ma non la fece emozionare come pensava. Alexis aveva passato gli ultimi anni a pregare qualsiasi santo presente sulla Terra che il ragazzo di cui era innamorato le facesse un occhiolino o che la abbracciasse, ma ora che si era presentata l'occasione, lei non aveva sentito quello che sperava. Non aveva sentito quel brivido di cui aveva sentito parlare in quei numerosi romanzi rosa che si ostinava a leggere nonostante non fossero del suo genere.
«Comunque siamo qui per dei costumi per Halloween» spiegò Michael.
A sentire quelle parole Nick si illuminò, iniziando un tour del suo negozio e mostrando diversi costumi da coppia. L'uomo iniziò a snocciolare abbinamenti improponibili, aggiungendo anche, ogni tanto, aneddoti sulla sua "carriera" a Hollywood.
«Qualcosa di un po' più... ehm... classico?» chiese Michael imbarazzato.
Nick mostrò loro numerosi vestiti da vampiri, mostri di ogni genere, zombie e pirati. Ce n'era uno che assomigliava vagamente a quello di Capitan Uncino in Once Upon Time e Alexis stette a guardarlo per dieci minuti buoni.
«Mmh, non saprei» disse il ragazzo di fronte alla miriade di costumi che invadevano il negozio di Nick «Tu cosa ne pensi?»
Alexis scrollò le spalle guardando anche lei quello che stava osservando l'amico.
«Non so, vampiri?»
«Vada per i vampiri!» esclamò Michael facendosi dare i costumi dal venditore.
I due ragazzi andarono a provare i vestiti in alcuni camerini dal lato opposto del negozio, uscendo da essi pochi minuti dopo.
Ad Alexis non piaceva quel vestito, era scomoda e aveva l'impressione di apparire un po' troia conciata in quel modo, ma Michael era perfetto, ovviamente.
Si avviarono quindi alla cassa e il ragazzo non volle sentire ragioni, insistendo per pagare. Si affrettarono a uscire da quel negozio, un po' perché Nick pareva un pazzo psicopatico, un po' perché entrambi avevano diverse cose da fare e non avevano tempo da perdere. In particolare, Alexis aveva una visita da Jack e non poteva fare tardi, anche perché sapeva che quell'appuntamento sarebbe stato abbastanza tragico.
«Sabato sera ti vengo a prendere alle 9:00» disse Michael una volta giunti in macchina «Se vuoi vengo più tardi, magari hai bisogno di più tempo...»
«No, non preoccuparti» lo interruppe Alexis «Alle 9:00 andrà benissimo»
Il resto del viaggio lo passarono in silenzio, senza, considerarsi minimamente, almeno fino a quando il ragazzo non decise di mettere una mano sulla coscia dell'amica e iniziare ad accarezzarla lentamente.
A lei dava quasi fastidio quel movimento che la faceva arrossire, ma non cercò di opposrsi, facendo finta di niente.
«Siamo arrivati» disse a un certo punto Michael interrompendo quella dolce tortura «Ci vediamo sabato»
 
~~~

HEY EVERYBODY!

questo capitolo ha poco senso, ma va beh, serviva a far capire perché Michael si comporta così da stronzo eccetera.
E sì, finalmente nel prossimo ci sarà il ballo di halloween e non vedo l'ora di scriverlo.
Ovviamente non ci riuscirò mai perché ho un botto di verifiche ma va beh.
Adios, ci vediamo alla prossima.
See ya!

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Alexis si guardò allo specchio ancora una volta, ancora con una smorfia disgustata sul volto.
No, quel vestito non era proprio per lei, ma non poteva e non voleva dire di no a Michael, per questo ora si trovava lì, con Alexandra al suo fianco, cercando di sembrare il meno troia possibile.
E la sua amica l'aveva avvisata, le aveva detto di non farsi comandare dal ragazzo, ma, ancora, non poteva e non voleva. 
Insomma, era un ciclo continuo che si ripeteva, ma lei non voleva spezzarlo.
Si erano messi d'accordo con i ragazzi giusto il giorno prima: Andrea e Michael sarebbero andati a prendere le due ragazze a casa di Alexis, mentre Thomas si sarebbe fatto trovare direttamente a scuola. Nessuno aveva ancora capito se egli sarebbe andato da solo alla festa o se si sarebbe fatto trovare in compagnia di qualcuna.
Le paranoie di Alexis si fecero di nuovo vive a pochi minuti dall'arrivo dai ragazzi e, giustamente, aveva ragione di avercele. Insomma, l'ultima volta Michael l'aveva abbandonata da sola uscendo poi con un'altra e aveva una paura terribile che potesse accadere nuovamente una cosa del genere. Sì certo, questa volta c'era Alexandra con lei pronta a massacrare il fratello in caso avesse anche solo minimamente pensato di ripetere la storia, ma non si sentiva sicura ugualmente.
Il campanello suonò e Alexis iniziò ad agitarsi.
«No, non sono pronta» disse scuotendo la testa.
«Alex, andrà tutto bene, cosa vuoi che succeda?» intervenne Alexandra prendendo la sua borsa e aprendo la porta.
«N-non lo so, io... ho solo paura che vada tutto storto»
«Ehi, andrà tutto bene. Pensa solo a divertirti»
Alexis fece un respiro profondo e uscì finalmente di casa, cercando di sorridere e di far finta che stesse andando tutto bene.
Andrea gettò distrattamente il mozzicone della sigaretta per terra, avvicinandosi ad Alexandra per darle un bacio mozzafiato che la fece ridacchiare.
Michael si limitò a fare un sorriso e un cenno del capo verso la ragazza che avrebbe accompagnato.
Salirono tutti e quattro sull'auto dell'italo-americano che, come sempre, si ritrovò a fare da tassista. Appena scesero dalla macchina il rombo di un motore fece voltare loro e gli altri ragazzi che ancora non erano entrati nella palestra. Il trambusto proveniva da una Kawasaki Ninja nera pilotata da un individuo con un abito da sera e un casco, anch'essi rigorosamente neri. Appena il ragazzo si tolse il copricapo Alexis si stupì di vedere che egli era Thomas.
«Wow...» commentò Alexandra «E quella da dove l'hai tirata fuori?» chiese dopo che i quattro amici si erano avvicinati al motociclista.
«È di mio cugino» spiegò lui «Quell'idiota mi ha rubato la macchina, così io gli ho rubato la moto»
«Ma hai il patentino?» domandò Andrea.
«No»
 
•••
 
Come da pronostico, a quasi mezzanotte, Alexis si era ritrovata da sola in un angolo della palestra a sorseggiare, con scarso entusiasmo, il terzo drink della serata, che, strano a dirsi, non era un mojito, bensì un bloody mary. Sbuffò, forse per la centesima volta, mentre guardava la massa di studenti divertirsi in pista mentre le luci giocavano fra di loro.
Non passò che una manciata di minuti che Thomas, senza troppe cerimonie, si lasciò cadere sul divanetto posto affianco a quello sul quale era seduta Alexis.
«Non mi sembra che tu ti stia divertendo» disse di punto in bianco il ragazzo con voce strascicata, rivelando di essere tutt'altro che sobrio.
«Ottima osservazione Sherlock» ironizzò lei.
«Che fine ha fatto il tuo Dracula?»
«Probabilmente si starà facendo una... il che non sarebbe una novità»
Alexis, nonostante avesse ragione di credere alle sue parole, non sapeva che si stava enormemente sbagliando.
Il ragazzo in questione infatti era al bancone del bar a rimuginare sul suo long island che, con il ghiaccio che ormai si era quasi completamente sciolto, era divenuto imbevibile e annacquato. Aveva lasciato Alexis da sola più volte, per periodi di tempo diversi, perché sapeva che il primo passo per il piano di Chris, avrebbe dovuto farlo quello sera. Aveva usato le scuse più idiote e sapeva quello a cui lei aveva pensato. Si decise finalmente ad alzarsi, abbandonando il suo drink ormai imbevibile, per affrontare la situazione faccia a faccia. Quando finalmente intravide Alexis in lontananza che chiacchierava con Thomas, la mezzanotte scoccò e, come da programma, il DJ mise un lento e le coppie iniziarono a raggrupparsi al centro della pista. Mentre raggiungeva la ragazza Michael poté anche notare Andrea e Alexandra stretti l'uno all'altra.
«Mademoiselle, mi concede questo ballo?» chiese una volta giunto vicino alla sua dama che, senza alcuna esitazione, afferrò la mano del ragazzo e accettò il suo invito. 
I due raggiunsero il centro della palestra e, in men che non si dica, iniziarono a ballare dolcemente guardandosi negli occhi.
Michael mise le mani sui fianchi di Alexis, non prima di essersi accertato che la ragazza mettesse le proprie sulle sue spalle.
«Te l'hanno mai detto che sei bellissima?»
Quella frase l'aveva presa alla sprovvista e non poté evitare di arrossire, notando la vicinanza tra i loro corpi che andava via via diminuendo.
«N-no»
Michael appoggiò la sua fronte a quella della ragazza, consapevole dello sguardo di sua sorella che gli bruciava sulla schiena.
«Strano» constatò lui accarezzandole la guancia con le nocche «Perchè potrei stare ore ad ammirarti e non mi stancherei mai»
Fu questione di secondi che le labbra di Michael furono su quelle di Alexis, a muoversi lentamente, senza pretendere troppo.
La ragazza si era immaginata più e più volte quel bacio, ma di certo non si aspettava che qualcuno come Michael potesse essere così dolce. Lui aveva esitato prima di sfiorare con la lingua il labbro inferiore della ragazza, quasi temendo un rifiuto, che non arrivò.
Sembrava tutto così perfetto, tutto così dolce, solo che... Alexis non aveva provato nulla. Non se lo aspettava, insomma, aveva sognato quel momento da troppo tempo, ma non sentì niente.
Zero.
Le farfalle nello stomaco? Non le aveva sentite.
Quel senso di leggerezza che tutti descrivevano? Nemmeno.
E forse lì capì, capì che Michael era destinato a rimanere un sogno proibito, perché di sicuro, lei non si era immaginata niente del genere.
E lì capì soprattutto che ci sarebbe rimasta fregata, perché da quel momento forse si potevano considerare fidanzati, e lei non voleva una relazione del genere.
Non più.
 
~~~

HEY EVERYBODY!

SONO UNA PERSONA ORRIBILE, SCUSATEMI!
Era convinta al 102% di aver pubblicato il capitolo ma l'avevo messo solo su wattpad.
CHIEDO IMMENSAMENTE PERDONO!
Anyway,
Capitolo un po' corto strano ma SI SONO BACIATI.
È DA QUANDO HO SCRITTO IL PROLOGO CHE IN MENTE QUESTA SCENA E FINALMENTE HO POTUTO SCRIVERLA.
Anyway, cosa accadrà adesso?
Si metteranno insieme?
Ci sarà una friendzone?
Chi lo sa.
Non odiate Alexandra, ha i suoi motivi per fare quello che fa.
See ya!

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Dylan si guardò un'altra volta allo specchio posto nella sua camera con una smorfia di disappunto. Era forse la quinta volta che si cambiava e il tempo a sua disposizione stava per finire. Era finalmente riuscito a chiedere a Chrystal di uscire, ma se ne stava quasi pentendo. Quella mattina si era svegliato e non era nemmeno riuscito a fare colazione a causa della morsa che gli attanagliava lo bocca dello stomaco. Quello non era il suo primo appuntamento, lei non era la prima ragazza con cui aveva intenzione di stare e aveva già vissuto quella situazione numerose volte, eppure mai aveva avuto così tanta paura di fare una figuraccia. Nemmeno al suo primo appuntamento o alla sua prima volta.
Lanciò un'altra occhiata all'orologio appeso al muro che segnava le quattro meno dieci del pomeriggio, poi si guardò ancora allo specchio e infine sospirò. Prese il giubbotto, il cellulare, le chiavi di casa e uscì dal suo appartamento sbattendo la porta e imprecando contro Chrystal, ché a lui sembrava troppo perfetta per essere vera. A volte la confrontava a Belle di "La Bella e la Bestia" in quanto stava sempre lì, china sui suoi libri a leggere, e sembrava essere troppo intelligente per una ragazza di poco più di vent'anni.
Con passo veloce raggiunse il parco ma, una volta arrivato al luogo nel quale si sarebbero dovuti incontrare, non vide Chrystal. Guardò l'orologio che segnava le quattro e cinque, scoprendo di essere leggermente in anticipo. Perlustrò con lo sguardo l'ambiente intorno a sé pensando al fatto che non sarebbe stato carino presentarsi a mani vuote, quando addocchiò una piccola casettina circondata da fiori e piante. Vi si fiondò guardandosi intorno, senza sapere bene cosa avrebbe potuto regalare a Chrystal.
Gli si avvicinò una signora minuta avanti con l'età, con un sorriso sincero sulle labbra e dei grossi occhiali rotondi, per chiedergli se potese essergli d'aiuto.
«Ehm, sì... » rispose Dylan a disagio «Ho un appuntamento con una ragazza tra una decina di minuti e mi chiedevo cosa potrei portarle»
«Ma certo! Un mazzolino da 10$ dovrebbe bastare» esclamò la signora andando dietro un bancone di legno sul quale stavano alcuni vasi di vetro e della carta decorativa.
«Dimmi: com'è questa ragazza?»
«Beh, ecco... lei ama leggere. È un po' timida e riservata ma allo stesso tempo simpatica e spiritosa...»
La fioraia lo interruppe dicendogli che sapeva già cosa faceva al caso suo. Dopo qualche minuto, durante il quale fece avanti e indietro nel negozietto, tornò da Dylan con uno splendido mazzo di rose bianche.
Il ragazzo pagò e quando, guardando il suo orologio, si accorse di essere in ritardo si fiondò fuori dal negozio, cercando con lo sguardo Chrystal. La vide, e per un attimo volle scappare il più lontano possibile. La vide che si guardava intorno imbarazzata, e pensò a quanta tenerezza le facesse. La vide mentre si sistemava, quasi compulsivamente, la gonna bianca che le arrivava fino alle ginocchia, indossata con un maglione color panna a collo alto, e non poté far a meno di sorridere, perchè ormai lo sapeva; lei sarebbe stata la sua luce nella notte più oscura.
Si decise quindi ad andare verso la ragazza con passo sicuro, subito dopo aver fatto un respiro profondo, ignorando il cellulare che gli vibrava incessantemente nella tasca della giacca di pelle.
 
•••
 
Alexis quasi non scagliò il cellulare contro il muro quando, dopo l'ennesimo tentativo, partì la segreteria telefonica.
 
"Ciao, sono Dylan Martin, probabilmente ora sto dormendo, lasciate un messaggio."
 
Guardò intensamente il dispositivo nelle sue mani e, dopo essersi ricordata quanto l'aveva pagato e dopo aver appurato che non aveva i soldi per comprarsene uno nuovo, si limitò a sbatterlo con violenza sul letto.
Si alzò dal suo giaciglio e prese a girare per la stanza, passandosi più volte le mani fra i capelli. Decise quindi di chiamare Alexandra, con la speranza che, almeno lei, le rispondesse. Dopo tre squilli, fortunatamente, l'assonnata voce della sua amica le rispose.
«Alex... siamo nel pieno della notte... cos'è successo?»
«Sono le quattro passate del pomeriggio.» disse Alexis «Ho assolutamente bisogno di parlare con qualcuno e Dylan non risponde; l'avrò chiamato una decina di volte ma parte sempre la segreteria, e io...»
«Ehi Alex, fermati. Tranquilla. Ora vengo da te e poi ne parliamo»
La neo-rossa annuì e poi chiuse la chiamata lasciandosi cadere sul divano. Non passarono che pochi minuti e il citofo suonò. Alexis si affrettò ad andare ad aprire e accolse con un abbraccio Alexandra. Una volta che le due si furono staccate dall'abbraccio, la padrona di casa guidò l'ospite in cucina, dove si mise a fare un té alla menta con la vecchia teiera che suo padre si era ostinato a conservare in ricordo di sua madre, dato che l'oggetto in questione era stato acquistato proprio dalla donna. Fu solo quando la bevanda venne versata in due grandi tazze che Alexis inziò a raccontare cos'era successo la sera prima.
Dopo il primo bacio ce ne furono altri e la ragazza aveva iniziato ad apprezzare il sapore delle labbra di Michael. Alexis raccontò di come avesse paura di quello che sarebbe successo una volta rivisto il ragazzo a scuola. Più che altro, la turbava il fatto che lui l'avesse chiamata numerose vollte quel giorno e, inoltre le aveva inviato un'incredibile moltitudine di messaaggi ai quali lei non aveva risposto.
«Quindi tu non...non hai provato niente?» chiese Alexandra «Com'è possibile?»
«Non ne ho la più pallida idea» fu la risposta quasi sconvolta di Alexis.
«Facciamo così: trova un modo per vederlo e cerca di capire bene sia cosa vuoi tu che quello che pensa di volere lui. So che poi farai la scelta giusta.»
«E se lui facesse finta che non sia successo nulla?» domandò la ragazza in preda al panico più totale «Era ubriaco; magari non si ricorda più niente! Forse il suo scopo era solo quello di portarmi a letto e non essendoci riuscito farà finta di conoscermi!»
«Se così fosse» la interuppe Alexandra «Non ti avrebbe chiamata un'infinità di volte o non avrebbe provato a contattarti, come minimo. Sei sempre stata la sua unica migliore amica femmina. Forse adesso ha capito di provare qualcosa per te. Provaci; buttati. Non può farti del male in nessun modo.»
Alexis credette veramente a quelle parole. Doveva riconoscere il fatto che l'amica, quando non faceva l'idiota metallara incazzata con il mondo, era molto saggia e disponibile, e inoltre cercava sempre di fare il meglio per lei. A volte, quando aveva una ricaduta, Alexis pensava di non meritarsela e la allontanava, pensando che fosse meglio così. Pensava che, così facendo, non l'avrebbe fatta soffrire. Quello che non sapeva era che in realtà, in quei periodi, Alexandra stava veramente male, perchè non poteva sopportare di vedere la sua migliore amica sull'orlo del baratro. Era un po' come se fossero parabatai: l'una non poteva stare senza l'altra e quando qualcuna fra loro due stava male, l'altra stava ancora peggio.
Da soli non si sopravvive e loro due, nel tempo, lo avevano imparato bene, anzi, fin troppo bene.
 
~~~

HEY EVERYBODY!
Avrei dovuto pubblicare prima questo capitolo, I know, ma ho dovuto studiare una settimana ininterrottamente per poi scoprire che la prof aveva sbagliato a mettermi il voto. 
E poi dicono che non si deve bestemmiare.
Tornando a parlare di cose che vi interessano relativamente, in questo capitolo ho voluto dare maggior spazio a Dylan perchè era da un po' che non ne parlavo e non mi sembrava giusto nei suoi confronti.
Per la situazione fra Alexis e Michael dovrete aspettare il prossimo capitolo, ma non disperate: non muore nessuno. Per ora.
See ya!
P.S. Guardatevi Haikyuu ché è troppo bello!

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Michael si aggirava per i corridoi della scuola guardandosi intorno, un sorriso soddisfatto ad incorniciargli il viso e gli occhi verdi che brillavano di felicità. Nonostante tutto quel positivismo, era però tormentato da un pensiero costante. Alexis. L'aveva cercata nei giorni precedenti contattandola più volte, e anche quel giorno l'aveva cercata per tutta la scuola, invano. Proprio dopo aver salutato Jeff, il capitano della squadra di baseball, aveva adocchiato la familiare chioma rossa appartenente alla ragazza da lui cercata, ma la campanella gli aveva impedito di andarle incontro per parlarle. Si diresse dunque verso la palestra dove, solo qualche giorno prima, aveva avuto luogo la festa di halloween. 
Nello spogliatoio maschile, come era sempre stato, regnava il caos più totale; tra l'odore di sudore e quello dei deodoranti spray che venivano spruzzati di continuo, i ragazzi del quinto anno, che avevano appena finito l'ora di educazione fisica, raccattavano le proprie cose ridendo e scherzando, per lasciare il posto a quelli del terzo.
Michael si avvicinò al suo armadietto e lo aprì, poi buttò il suo zaino per terra e iniziò a spogliarsi. Appena si infilò la maglietta della scuola sentì qualcuno dargli una pacca sulla schiena. Si girò con un sorriso sul volto, sapendo che il ragazzo dietro di lui era Justin, il capitano della squadra di nuoto.
«Allora Mick,» disse questo aprendo l'armadietto affianco al suo «Ti vedo bene in questi giorni. Hai combinato qualcosina alla festa dell'altro giorno?»
«Ma va'!» rispose Michael sedendosi sulla panca dietro di lui per allacciarsi le scarpe «Ho solo messo apposto un affare con un'amica»
«Ah, beh!» esclamò Justin con lo sguardo di uno che la sa lunga «Adesso è tutto più chiaro!»
«Ma smettila Jay! Non è successo nulla di che...»
«Come vuoi tu» rispose Justin e la conversazione finì lì.
Michael affrontò la lezione di educazione fisica senza il solito entusiasmo, infatti il coach lo richiamò più di una volta.
«Davis, sei capitano della squadra di calcio per un motivo, quindi vedi di darti una svegliata e smettila di bere tutto quello schifo che piace a voi giovani!»
Il ragazzo non rispose, limitandosi ad annuire, per poi concentrarsi sull'attività che stavano svolgendo. Il professore aveva deciso di fare un allenamento sulla pallavolo, che sarebbe anche stato divertente se non fosse stato per il fatto che aveva deciso di mettere quelli della squadra di pallavolo della scuola contro quelli che non ci avevano mai giocato. Nonostante non amasse la sport in questione, Michael ammirava il modo in cui i giocatori riuscivano a svolgere azioni di quel tipo ad una velocità assurda, decidendo cosa fare in una frazione di secondo. Fra i tanti club della scuola quello di pallavolo era il più forte e il più supportato dagli studenti; quella squadra, dopo l'arrivo di quattro nuovi studenti nel club, era riuscita a risollevare il proprio nome e quello della scuola, riuscendo a vincere, dopo molti anni, la finale del torneo autunnale.
«Asso facci una bella battuta»
La voce del capitano della squadra di pallavolo risvegliò Michael dai suoi pensieri, mentre il battitore si alzava il pallone in aria per compiere la sua giocata. Data l'inesperienza dei ragazzi nella squadra avversaria, egli mise a segno un ace diretto senza che gli altri potessero anche battere gli occhi.
«Michael» la voce di Thomas lo richiamò «Hai visto Alexis oggi?»
Il ragazzo dagli occhi verdi gli lanciò una breve occhiata prima di vedere il pallone passargli sopra e colpire il suolo segnando un altro punto.
«No, ma la stavo cercando» rispose rimettendosi in posizione «Vale lo stesso per te?»
«Yep» rispose l'altro prima di urlare "Corta!" e buttarsi sotto rete per prendere il pallone che aveva toccato il net. Michael, vicino a lui, colpì il pallone in bagger indirizzandolo verso Justin, il quale tentò, senza successo, di eseguire una schiacciata.
«Fa niente, tanto non ha importanza» continuò Thomas alzandosi da terra «Probabilmente la vedremo a pran-» il ragazzo si interruppe per cercare di colpire in qualche modo il pallone che, a una velocità considerevole, stava per atterrare dietro di lui. Il suo salvataggio sarebbe anche stato figo, se non avesse bloccato il pallone.
«Woops,» disse rendendosi conto di quello che aveva fatto «A quanto pare le vecchie abitudini non cambiano». La conversazione finì lì, così come la partita di pallavolo, e gli studenti si affrettarono a smontare la rete su ordine del professore. 
Thomas riuscì ad intercettare Michael solo una volta fuori dallo spogliatoio, e anche lì dovette alzare la voce più volte prima che l'amico si accorgesse di lui.
«Prima mi sono dimenticato di chiederti» disse sistemandosi la camicia «Di dire ad Alexis di chiamarmi il prima possibile»
«Certo, nessun problema»
Michael però era un po' infastidito da Thomas. Per qualche motivo si sentiva costretto a fingere ad andare d'accordo con il nuovo arrivato e, nonostante qualche volta non gli dava fastidio, la maggior parte del tempo si sentiva oppresso dalla sua presenza, come se solamente l'arrivo del ragazzo avesse oscurato Michael e il giudizio degli altri su di lui. Inoltre, il terrore che Thomas potesse allontanarlo dal resto del gruppo lo tormentava da un po' di tempo.
Appena suonò l'ultima campanella della giornata Michael si fiondò in mensa, sperando di riuscire a vedere Alexis. Appena la vide da sola le si avvicinò il più velocemente possibile sperando di non venir intercettetato da eventuali pericoli (vedi Alexandra).
«Hey Alex!» esclamò il ragazzo facendola sobbalzare.
«M-Michael... che ci fai qui?» chiese lei chiudendo il libro che stava leggendo.
«Dovevo parlarti. Dopo la festa non ci siamo più sentiti e... beh, ecco dovevo sapere se stavi bene»
Alexis spalancò gli occhi incredula, senza sapere come replicare. Michael gentile? E quando mai era successa una cosa del genere? E poi il modo in cui lui teneva gli occhi bassi come se avesse fatto qualcosa di sbagliato e se ne pentisse amaramente. Ma lui non aveva fatto niente di sbagliato...
«Io sto bene... è solo che... non sapevo cosa dirti e-»
Michael le si avvicinò di scatto e premette le sue labbra contro quelle della ragazza. Spostò la sua mano delicatamente dietro la testa della chitarrista e aspettò che lei reagisse.
Alexis, in primo luogo, spalancò gli occhi dalla sorpresa, ma poi si lasciò andare e ricambiò il bacio. Ancora non riusciva a provare nessun sentimento, ma tentò di bearsi delle morbide labbra di Michael che, come una dolce tortura, si muovevano lente sulle sue.
E poi si staccarono e si guardarono negli occhi per un periodo che parve interminabile. E no, non si parlarono, perché a volte le parole sono solo d'intralcio, superflue, e non riescono ad esprimere quello che invece un lungo silenzio può raccontare.
E in fondo non avevano bisogno di parlarsi; ormai avevano le risposte a quello che li tormentava da un paio di giorni.

 
~~~

HEY EVERYBODY!
I'M SOOO LATE.
Lo so. Ma sono stata presa in ostaggio da qualche Anime.
In questo capitolo importa solo la parte finale maaaa non potevo scrivere solo quello, quindi ho dovuto creare un po' di narrazione intorno.
Eeee no, Mike non è buono come sembra. Fidatevi.
Non so più che dire, quindi vi saluto :)
See ya!

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


«E quindi l'hai baciato?»
Alexis arrossì drasticamente distogliendo lo sguardo e puntandolo fuori dalla finestra.
«N-n-non l'ho baciato io...» rispose la ragazza «...è stato lui...»
La risata di Jack si sparse per la stanza come una gentile brezza di mezz'estate.
«Se tu hai ricambiato non è propriamente così  ma non ha senso stare qui a discutere» disse lo psicologo con un dolce sorriso ad incorniciargli il viso «Comunque non mi sembri molto felice di questo... fidanzamento? Posso chiamarlo così?»
Alexis scosse le spalle senza ben sapere cosa dire.
«Io, ecco, non lo so. Insomma, ho il terrore che lui mi scarti o mi usi, ma quando lo guardo negli occhi... non ho mai visto uno sguardo del genere da quando è cambiato, anni fa. Vedi, io sono la persona che gli è stata più vicina e l'ho visto cambiare, l'ho visto crescere. Lui... lui è cambiato drasticamente da quando è finita la terza media e... e, non so, è come se la parte dolce di lui fosse scomparsa»
«Scusa se ti interrompo» disse Jack con un filo di irritazione nella voce «Ma non dobbiamo parlare di lui adesso, okay? Concentriamoci su di te: di cosa hai veramente paura?»
«Che mi getti via.»
La risposta di Alexis arrivò senza la minima esitazione, senza ripensamenti, secca e dura. Non aveva paura di dirlo, almeno, non a Jack. A lui poteva dire tutto e lei lo sapeva. Lui avrebbe ascoltato e sarebbe rimasto, anche se era solo il suo lavoro.
Lo psicologo non disse niente, non perché non sapeva come replicare, ma perché sapeva che Alexis, in quel momento, doveva solo sfogarsi.
«Lui fa così. Se ne frega, semplicemente. Prima però non si comportava in questo modo. Era l'amico che tutti vorrebbero. Quello con cui parli fino a notte tarda, perché anche se siete entrambi stanchi non avete proprio voglia di ignorarvi a vicenda. Quello che ti abbraccia come il fratello maggiore che non hai mai avuto. Quello con cui esci solo per starci un po' insieme ignorando quei cellulari che ti fanno diventare un rincoglionito del cazzo che si esalta per niente. Quello che ti crea un solido posto in cui stare. Poi però abbiamo smesso di parlare tutta la notte. Poi lui ha smesso di abbracciarmi perché i suoi amici lo avrebbero giudicato uno sfigato. Poi ha smesso di uscire con me perché era stanco. E infine ha preso quel solido pavimento su cui mi aveva fatto stare e, piano piano, ha iniziato a rovinarlo, a sgretolarlo. E ora è come se stesse cercando di ricostruirlo, ma non so se ci voglia provare per sempre o arrendersi appena si renderà conto che è un lavoro troppo faticoso. E non so nemmeno se io posso aspettare le sue decisioni mentre barcollo sempre più verso il baratro.»
Brevi attimi di silenzio seguitarono allo sfogo di Alexis, interrotti a un certo punto da un leggero ed insicuro bussare.
Per qualche motivo, non sapeva bene il perché, la ragazza ricollegò quell'azione a Thomas. Sapeva che andava da Jack, ma non gli aveva chiesto niente a riguardo. C'era una porta fra di loro, ma lei era sicura che dietro di essa c'era Thomas. Era come un sesto senso.
«Un attimo solo» disse ad alta voce lo psicologo prima di tornare dalla sua "paziente" «Stai tranquilla Alex. Andrà tutto bene. Però, ecco, se vuoi un consiglio, trova qualcuno con cui parlarne. Che non sia io, ovviamente.»
Thomas, con il capo chino e le mani sudate che tentava inutilmente di asciugare sui suoi jeans, era preparato a tutto, tranne che a trovarsi davanti Alexis, appena la porta della studio di Jack si aprì. L'aveva incontrata mentre usciva dal palazzo, e sì, sapeva che lei faceva delle visite dal suo stesso psicologo, nonostante la ragazza non glielo avesse mai detto, ma, ecco, tovarsela così, faccia a faccia in un luogo del genere lo aveva completamente colto di sorpresa. Nessuno dei due parlò - anche se a Thomas parve di vedere Alexis esitare come per dire qualcosa - e dopo attimi di silenzio i due continuarono per le loro strade, uno entrando nello studio dello psicologo, l'altra uscendoci.
Alexis rimase ferma nel corridoio a pensare alle ultime parole di Jack. Trovare quel "qualcuno a cui parlarne" non era facile come poteva sembrare. Eppure allo stesso tempo la risposta ce l'aveva lì, davanti agli occhi, come un'illusione troppo realistica per sembrare un'idiozia. Aveva bisogno di pensare, in quel momento, pensare bene alla sua prossima mossa, così, una volta fuori dall'edificio, si avviò verso un parco che aveva da poco scoperto, a cinque minuti da lì.
 
•••
 
«Thomas!» esclamò raggiante Jack «È da un po' che non ci vediamo.»
«Veramente è passata solo una settimana...»
Lo psicologo sbuffò in modo ironico, accompagnando il gesto con le braccia che, una volta alzate, ricaddero lungo i suoi fianchi, per dare maggior enfasi.
Thomas, un sorriso non del tutto convinto sul volto, si avvicinò al divano e vi si fece cadere pesantemente, come se avesse appena corso la maratona di New York.
«Ho trovato con chi farlo» iniziò a bruciapelo «Ma non so se quella persona acconsentirà. E inoltre ho paura che questo gesto possa allontanarla da me, e anche se non siamo ancora amici stretti ho paura che mi allontani.»
«L'amore è una mancanza» fu la risposta di Jack «Ci sono vari tipi di amore, Eros e Agape ne sono due esempi, ma la cosa più importante è questa necessità di avere qualcuno al proprio fianco che ancora non c'è, è un desiderio di colmare un vuoto lasciato in passato. So che è esagerato parlare di amore in questo caso, ma tu Thomas, più di chiunque altro, hai bisogno veramente tanto di colmare questo vuoto. Non ne uscirai a pezzi, magari solo... Scheggiato? Però finché non ci provi non lo saprai mai. È il mio motto: buttati, ché intanto riuscirai a rialzarti e a combattere più forte di prima. In fondo si sa, no? Sbagliando si impara.»
Brevi attimi di silenzio seguitarono a quella riflessione dello psicologo. 
«Sicuro di non avere una laurea in filosofia?»
Jack rise di gusto, con una di quelle risate che dovrebbero vendere come antidepressivi, come una brezza di aria fresca in un torrido pomeriggio estivo.
Thomas gli doveva tutto; lo psicologo lo aveva aiutato ad uscire da una forte crisi interiore che lo tormentava quotidianamente e lo aveva aiutato ad alzare di nuovo la testa, nonostante qualche volta si svegliasse dal lato sbagliato del letto e di ragioni non ne voleva sentire.
«Ti ringrazio Jack, davvero»
«E smettila di dirlo ogni giorno che mi vergogno!» replicò l'uomo «Piuttosto, prova a parlare con quella tua amica di cui mi racconti ogni tanto!»
Thomas rispose sorridendo che l'avrebbe fatto - anche se non ne aveva realmente intenzione - poi uscì dallo studio rilassato e decisamente più calmo di quando vi era entrato. Tirò fuori il cellulare dalla tasca posteriore dei suoi jeans per controllare se qualcuno lo aveva cercato quando lui non poteva rispondere e trovò solo un messaggio da parte di Alexis.
 
Se puoi, vieni al parco quando hai finito.
 
E in allegato la sua posizione.
Esitò, Thomas, di fronte a quel messaggio, senza sapere bene cosa fare. Aveva incrociato quegli occhi viola quando la ragazza era uscita dallo studio e non vi aveva trovato altro che tristezza e un pizzico di delusione. Forse il giovane aveva solo paura di incontrarla, forse temeva di vederla distrutta in tanti piccoli pezzi senza poter fare niente, ma non poteva tirarsi indietro. No, non poteva dirle di no dopo averla vista nel suo peggior momento. Così aprì le mappe e, in meno di cinque minuti, raggiunse il parco. Ci mise altrettanto tempo a trovare la ragazza, ma quando la vide tentennò. Esitò perché non sapeva bene come approcciarsi a lei, ma alla fine fu proprio Alexis a richiamare la sua attenzione. Mentre si avvicinava, Thomas pensò che dovesse essere tornata a casa sua dato che aveva con sé la sua chitarra, e l'idea che lo avesse aspettato lì, da sola, un po' lo rincuorava.
«Ci hai messo meno tempo del previsto» disse lei dopo averlo salutato.
«Non avevamo molto di cui parlare in realtà» rispose il ragazzo sedendosi, un poco imbarazzato, di fianco all'amica. Passarono diversi minuti di silenzio prima che Alexis iniziasse a parlare.
«Posso chiederti cosa... cosa sono per te?».
Notando lo sguardo confuso di Thomas cercò di spiegare meglio quello che voleva sapere.
«Nel senso... ti fidi di me? Mi aiuteresti a... risolvere una questione personale di cui non riesco a parlarne con nessuno?»
«Ci siamo visti entrambi nei nostri massimi momenti di fragilità quindi penso di sì »
Alexis non era ancora sicura di volergli spiegare tutto il casino che aveva in testa così fece un'altra domanda; l'ultima.
«Se io lo fossi con te, potresti diventare per me come...un po' come Alexandra e il rapporto che c'è tra noi due? N-non così tanto stretto ma-»
«Non c'è nessun problema» la interruppe Thomas sorridendo «A meno che tu non voglia uccidere qualcuno, mi fido di te.»
Alexis sorrise sincera e, dopo essersi distesa sul manto erboso, iniziò a spiegare il suo problema con Michael. Teneva lo sguardo fisso tra le nuvole, le braccia incrociate dietro la testa, una gamba distesa e l'altra piegata, in una posa di totale tranquillità. 
Thomas aveva seguito il suo esempio, solo che era sdraiato a pancia in giù, un braccio gli reggeva il capo dritto e i suoi occhi, anziché fissare il cielo azzurro, guardavano la ragazza interessati.
Alexis un po' si sfogò e un po' si perse a raccontare ciò che di bello poteva esserci in quella situazione. Si scambiarono idee, consigli e attimi di tristezza, come se si conoscessero da una vita, e lei si sentì il cuore un po' più leggero. Quelle erano cose che non riusciva proprio a raccontare alla migliore amica, ma per qualche assurdo motivo raccontarle a Thomas lo trovava estremamente rassicurante. Anche lui parlò un po' di sé, del suo passato, senza staccare gli occhi dalla figura della ragazza.
Stava iniziando a fare buio su Miami, le nuvole si stavano facendo più scure e minacciose e il vento si era alzato scompigliando i capelli di Alexis, preannunciando un altro di quei temporali che quell'autunno non sembravano smettere mai.
Si salutarono e ognuno andò per la propria strada, un po' con la testa fra le nuvole e un po' con i piedi ancorati a terra, mentre piccole gocce d'acqua scendevano dal cielo leggere, bagnando i due ragazzi.
Alexis si voltò ancora una volta, scostandosi dal viso i capelli mossi dal vento, sperando forse d'incontrare nuovamente quegli occhi blu che quel pomeriggio l'avevano guardata con interesse, che l'avevano fatta sentire un poco più rilevante del solito e un po' meno invisibile, perché, anche se non lo avrebbe mai ammesso, quel pomeriggio era stata bene come non le accadeva da un bel po' di tempo, e il fatto che la causa della sua serenità fosse stato proprio Thomas era la sensazione più bella del mondo.
 
~~~

HEY EVERYBODY!

Sono una persona orribile perchè non pubblico il capitolo da mesi.
Come va? E' da tanto che non ci si sente.
Jack è un genio e francamente è il mio personaggio preferito, ma tralasciamo ciò.
Alexis e Thomas stanno diventando i best friends forevaaah ma non sta ppiù succedendo niente di che, quindi nel prossimo capitolo aspettatevi qualcosa di un po' "esaltante".

Non so quanto stia piacendo questa storia, ma intanto ringrazio coloro che la seguono capitolo per capitolo e che non mi hanno ancora uccisa per la mia puntualità.
See ya!

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


La routine giornaliera di Alexis, dopo essersi confidata con Thomas, iniziava ad essere sempre la stessa, stancante e ripetitiva. Si fermava tutti i pomeriggi della settimana a scuola, passava un'ora e mezza a lezione con il professor Brown, poi aveva mezz'ora di pausa, ed infine gli allenamenti di pallavolo il lunedì, il mercoledì e il giovedì, e quelli di pallamano il martedì, il mercoledì e il venerdì. Tutte quelle attività stavano sfiancando Alexis, ma non era una ragazza che si arrendeva facilmente. L'unico problema erano i compiti che le venivano assegnati, ma non li aveva mai fatti, quindi in realtà non aveva di che lamentarsi.
«Lexis!»
La voce di Thomas attirò l'attenzione della rossa che, sbadigliando, rispose al saluto dell'amico.
«Non stai lavorando un po' troppo? Durante le ore di matematica sei sempre lì per addormentarti...»
«Prima dormivo durante le ore di matematica. »
La risposta di Alexis lasciò un po' di stucco il ragazzo che, però, si riscosse subito ricordandosi quello che voleva dirle.
«Tra poco ci sarà l'esibizione per la festa del ringraziamento e dobbiamo ancora sistemare il nostro brano,» iniziò Thomas seguendo la compagna verso l'uscita della scuola «quindi, non so, quando sei libera possiamo vederci e ultimarlo»
I due si misero d'accordo in pochi minuti e poi andarono in direzioni opposte, senza troppi ripensamenti. In realtà Alexis ne ebbe uno, ma non riuscì a fermare Thomas che era già corso via sfuggendo dalla sua vista. Non ne fece un dramma la ragazza: si limitò a fare spallucce e a pensare che gli avrebbe fatto quella domanda il giorno seguente; intanto giorno più o giorno meno per lei non faceva differenza.
Fece una visita veloce a Dylan - che stava ancora flirtando con Chrystal anziché lavorare - giusto per rubargli un panino o qualcosa da mettere sotto i denti, e poi ritornò alla velocità della luce nell'Istituto, su per le scale, per assistere alla lezione di teoria musicale. Quella era l'ora di lezione che più odiava - dopo matematica, si intende - perché lei non si era mai preoccupata più di tanto quando suonava un brano. Sapeva le note presenti in un pentagramma, sapeva come suonarle, sapeva come suonare gli accordi di base e questo le bastava; di certo non si sarebbe mai messa a pensare a quali accordi formavano una canzone jazz. Sbuffò per l'ennesima volta, mentre Brown cercava di spiegare a un ragazzo del primo anno come trovare la tonalità di un brano, fissando poi con sguardo malinconico la sua chitarra che, protetta dalla custodia nera, sembrava non aspettare altro che venir suonata.
Una volta terminata anche la scarsa mezz'ora di pratica, Alexis sfrecciò alla velocità della luce giù per le scale, correndo per il corridoio, fino a quando non si scontrò contro il petto di Michael. Questi fece per aiutarla, ma lei si alzò da terra prima ancora che il ragazzo potesse anche solo formulare una domanda. Lo salutò velocemente, schiocchiandogli un sonoro bacio sulla guancia, per poi cercare di andarsene.
Peccato solo che Michael avesse i riflessi pronti e riuscì ad afferrare la manica della felpa della ragazza, evitandole di sfrecciare ancora via.
«Ehy Flash, frena un momento!» disse facendole fare una piroetta per farla voltare verso di sé «Va tutto bene? Continui a correre da una parte all'altra della scuola come una pazza. E poi non ci siamo neanche salutati stamattina»
Alexis non riusciva ancora a fare i conti con quello sguardo lascivo, né con l'imbarazzo che la coglieva ogni volta che le sue labbra assaporavano quelle del ragazzo. Fu un bacio lento, delicato, senza troppe preteste. I denti di Michael mordicchiarono quasi impercettibilmente il labbro inferiore di Alexis che appoggiò con prudenza la sua mano sul petto del ragazzo. Solo una manciata di centimetri vedeva Michael vincere in altezza, e ciò dava un po' fastidio alla rossa che aveva sempre desiderato qualcuno con cui scambiare un bacio a fior di labbra in punta di piedi, per poi poter appoggiare la testa sulla sua spalla o sul suo petto, in corrispondenza del cuore. Purtroppo per lei però, suo padre sfiorava i due metri di altezza e sua madre superava di poco il metro e settantacinque, quindi non avrebbe avuto alcuna possibilità di nascere bassa.
Scacciando quegli inutili pensieri, Alexis aprì lentamente gli occhi mentre, quasi con la stessa calma allontanava le proprie labbra da quelle dell'amato.
«Ora mi dici dove stavi andando, con tutta quella fretta?» chiese il ragazzo standole vicino.
«Ho gli allenamenti di pallavolo e se non sono lì dieci minuti prima dell'inizio il capitano mi uccide»
Una breve risata roca lasciò le labbra di Michael che bramavano ancora il contatto con quelle di Alexis.
«Allora mi sa che devo proprio lasciarti andare...»
Si distanziarono i due, ma quando lui vide la ragazza voltargli le spalle non poté resistere all'impulso di afferrare ancora una volta il suo braccio per farla voltare un'ultima volta verso di sé, e con slancio la baciò velocemente, prima di lasciarla dirigersi verso gli spogliatoi.
Il rosso tinteggiava le guance di Alexis, e quella sensazione di imbarazzo non sembrava volersene andare nemmeno una volta giunta al suo armadietto. Dopo essersi cambiata con calma, abbandonando per un attimo la fretta giornaliera, si diresse in palestra dove quasi tutte le sue compagne di squadra stavano iniziando a scaldarsi, mentre altre chiacchieravano del più e del meno.
«Ehi Alex!»
La ragazza si voltò verso Amethyst, l'esca della squadra, che l'aveva appena salutata e le rispose sorridente.
«Ciao Amy! Oggi non sei in ritardo, eh?»
«Non parlarmene...» le rispose l'altra «...mi fanno ancora male gli addominali da ieri!»
Le due risero mentre andavano a scaldarsi, iniziando a fare alcuni giri del campo.
Il loro allenatore aveva deciso, sotto richiesta del capitano, di lasciare loro una mezz'ora di tempo all'inizio di ogni allenamento per dare loro la possibilità di fare piccoli allenamenti individuali per trovare in ognuna di loro una specifica "arma" che, col passare del tempo, avrebbero potuto far diventare letale. Il coach, in questo modo, si limitava ad osservare le ragazze e la responsabilità ricadeva sul capitano, che non tollerava alcun tipo di distrazione. Un palla per poco non finì in faccia ad Alexis, seguita da una carrellata di scuse da parte di Clary che aveva appena provato, fallendo, a fare una float in salto.
«Sei in forma oggi?» chiese Amethyst una volta finito il riscaldamento.
«Oggi riusciremo a fare la nuova veloce, ne sono certa.»
Ciò detto Alexis si posizionò sotto rete, Amy prese una palla e andò in fondo al campo, preparandosi a schiacciare. Lanciò il pallone alto, verso la testa dell'alzatrice, prese la rincorsa e saltò. Peccato solo che l'alzata la superò di poco e non riuscì a schiacciare.
Alexis fece schiocchiare la lingua sul palato, seccata di non essere riuscita a servire il centrale; poi, senza dire niente, si rimise sotto rete mentre l'amica si riposizionava in fondo al campo, e aspettò che le arrivasse ancora il pallone per alzarlo. Alla fine della mezz'ora, delle quasi trenta giocate che avevano provato, la metà scarsa riuscì, e ciò abbassò un poco il loro morale, ma non le scoraggiò.
Finto l'allenamento Alexis prese le sue cose e uscì dalla palestra, dirigendosi verso il suo motorino, ma lungo il tragitto venne fermata, ancora, da Michael che quel giorno sembrava incredibilmente felice di vederla. Le rubò un lungo bacio che la lasciò senza fiato, prendendola un po' di sorpresa, a dire il vero, ma poi si staccò subito come se si fosse improvvisamente ricordato di qualcosa.
«Scusami, non ci ho pensato, ma sono sudato da fare schifo, magari ti dà fastidio»
Una leggera risata sfuggì dalle rosee labbra di Alexis, che si avvicinò a Michael abbracciandolo, ignorando la sua constatazione.
«Non preoccuparti, sono sudata anch'io... »
Il ragazzo allontanò un poco la sua fidanzata, giusto per riuscire a guardarla negli occhi e a perdersi in essi mentre le parlava.
«Stasera vieni a cena da me?»
«Non posso, mio padre ha bisogno di qualcuno a casa per non impazzire.» rispose la pallavolista «E poi devo studiare matematica per domani, non ne ho ancora avuto il tempo...»
Per un attimo Michael si rabbuiò, e Alexis un po' si sentì in colpa, ma il ragazzo non si arrendeva facilmente.
«Allora giovedì» disse accarezzandole il volto «O magari venerdì. Ti porto a cena da qualche parte. In uno di quei posti dove fanno suonare band e cantanti emergenti.»
E no, lei non seppe dirgli di no, anche se diede la colpa allo sguardo supplichevole del suo fidanzato. E sì, probabilmente si sarebbe pentita della sua scelta dato che avrebbe dovuto chiedere a suo padre altri soldi, ma in fondo, molto in fondo, voleva meritarsi anche lei quei piccoli attimi di felicità.

 
~~~

HEY EVERYBODY!

Mega ritardooooooooo
Ma vabbè, ormai è di routine.
Anyway, questo capitolo mi stava venendo lungo il doppio, infatti ho dovuto "spezzarlo" e ho tagliato alcune parti, per questo ci ho messo un po' a pubblicarlo.
Sì, insomma, la vita di Alexis è un po' una merda, ma ha un fidanzato e questo le basta (per ora).
Mi sono accorta di aver fatto un errore enorme nella scelta del nome della scuola, perciò ho dovuto cambiarla. Dovrei aver sistemato anche i capitoli precedenti, se dovessi aver dimenticato qualcosa lo sistemerò quando revisionerò la storia, ma se notate qualche "anomalia", il vostro aiuto sarà ben accetto.
Non mi perdo in chiacchiere anche perché sono quasi le due di notte e mi sto addormentando, quindi probabilmente questo capitolo fa schifo, ma ce ne faremo una ragione.
See ya!

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


«Ti dico che mi sembrava strano.» ripeté Alexis per l'ennesima volta «Insomma, perché mai dovrebbe volere un appuntamento con me a tutti i costi?»
Alexandra alzò gli occhi al cielo e sbuffò.
«Forse perché sei la sua ragazza?»
Alexis sporse il volto fuori dal box della doccia e guardò in cagnesco l'amica che la fissava annoiata.
«Non c'entra!» ripeté «Aveva tutto quel brio addosso, come se... come se... aaaah, dannazione, non so neanche io come!»
Lo scroscio dell'acqua si interruppe come Alexis allungò un braccio per prendere l'accappatoio che Alexandra le stava porgendo; poi, avvolta in esso, uscì dalla doccia portando così una nuovola di vapore.
«Ma come fai a farti la doccia così calda?» esclamò la rossa uscendo in fretta dal bagno.
Alexis non le rispose, e si diresse in camera sua per cambiarsi velocemente. Poi tornò in bagno e prese una spazzola per pettinarsi i capelli.
«Ti stai facendo troppe paranoie.» disse Alexandra con un tono di rimprovero «Quell'idiota sta provando per la prima volta la sensazione di stare in una relazione seria, lascia che faccia ciò un ragazzo dovrebbe fare con la sua fidanzata.»
Alexis riuscì a scorgere una nota di tristezza nella voce dell'amica, ma non riuscì a dire niente ché il citofono suonò facendole morire le parole in gola.
Alexandra borbottò un impacciato "Vado io", mentre Alexis prese a sistemare il bagno. Non aspettava nessuno a quell'ora, ma forse suo padre era tornato a casa prima. Si sorprese di trovare Thomas sull'uscio della porta.
«Jay? Che ci fai qui?» chiese Alexis dopo averlo salutato. Aveva iniziato a chiamarlo "Jay" dopo che lui si era dimenticato di scrivere il suo cognome intero in una verifica di inglese, limitandosi a mettere la prima lettera del suo cognome, dopo il nome, così le era venuto naturale iniziare a chiamarlo così, di tanto in tanto.
«Hai dimenticato questo da Brown.» rispose lui porgendole il suo portalistini con al suo interno vari spartiti.
«Ah, grazie non me n'ero accorta. Vuoi qualcosa da bere?»
«Beh, ecco, dovrei andare...»
«Siediti e non rompere le palle.» disse Alexandra dalla cucina «Ti farò assaggiare il tè che viene preparato secondi i metodi della famiglia Scott di generazione in generazione!»
«Manco fossi una degli Armstrong...» commentò Thomas a bassa voce.
«Che hai detto?»
«Niente! Oggi è proprio una bella giornata, eh?»
Alexandra lo guardò storto, per poi tornare alla preparazione del suo famoso tè. Alexis lo odiava, ma non glielo avrebbe mai detto.
«Stavo pensando» disse Thomas rompendo il silenzio che iniziava a diventare pesante «Già che ci siamo potremmo provare il nostro pezzo, no? Ho dietro lo chitarra...»
Alexis soffocò una risata.
«Te la porti sempre appresso? »
«Certo!»
I due risero, poi la ragazza andò a prendere la sua chitarra e si sistemò sul divano, di fianco a Thomas. Mentre lei la accordava, lui tirava fuori dalla sua borsa alcuni fogli, lasciando che uno gli cadesse per terra senza che lui potesse accorgersene.
«Ho fatto qualche modifica.» avvisò il ragazzo prima che i due iniziassero a suonare «Non è cambiato molto. In realtà ho solo cercato di dare un po' più di carattere alla seconda chitarra, facendola andare per qualche battuta sullo stesso piano della prima, niente di che...»
«Cerchi sempre di non lasciare indietro nessuno, vero?» disse Alexis, quasi sussurrando.
«Come?»
«Niente, lascia perdere.»
Come iniziarono a suonare, Alexandra urlò dalla cucina che il tè era pronto, ma non ricevette risposta da nessuno dei due. Col passare dei minuti, iniziò a spazientirsi un poco, così si decise a raggiungerli per dirgliene quattro, ma una volta arrivata in soggiorno non poté fare altro che ascoltare e ammirare i due ragazzi che stavano suonando. Aveva già sentito più di una volta uno studente della sua stessa scuola suonare qualcosa con qualsiasi strumento, ma non si era mai sentita così presa dalla musica come in quel momento. Alexis e Thomas, riuscivano a creare un'atmosfera magnifica, qualcosa di... indescrivibile. Era come se fossero stati fatti l'una per l'altro, come se fossero nati per suonare insieme, come se fossero due metà separate che, attraverso la musica, sono finalmente riuscite a ricongiungersi.
È Thomas il primo ad accorgersi di Alexandra, ma non accenna a interrompere la canzone. Ciononostante, è l'ultimo ad alzarsi, una volta finito il brano.
«Beh, bravi» si complimenta Alexandra «Bella canzone»
«No. No, per niente»
«Assolutamente no, ma grazie»
La ragazza di certo non si aspettava di venir riempita di ringraziamenti, ma, insomma, non era questa la reazione che si era immaginata.
Thomas, vedendo la sua espressione perplessa, scoppiò a ridere, per poi spiegarsi meglio che poté.
«Beh, vedi, adesso il suono non era pulito, le note erano staccate e c'erano altre cose da sistemare, ma il brano è completo. Ci sono alcuni passaggi da definire meglio e-»
«Sì, ok, va bene, non voglio sentire le vostre ipotesi da musicisti depressi. Bevete il tè, o si raffredderà»
Thomas prese la tazzina che gli porse Alexandra ringraziandola. 
Alexis gli lanciò un'occhiata che lui non riuscì ad interpretare, così, appena bevve il primo sorso, spalancò gli occhi, ricambiando lo sguardo dell'amica musicista.
«Allora? È o non è il miglior tè che hai mai bevuto?!» 
«Ehm, sì, è molto buono, davvero, complimenti!» rispose impacciato Thomas. Poi si rivolse ad Alexis «Posso usare il bagno?»
La ragazza rispose affermativamente e gli indicò la strada, poi cercò di bere il suo tè. Mentre si sforzava per non sputarlo addosso ad Alexandra - prima o poi le avrebbe dovuto dire che faceva veramente schifo - notò, con la coda dell'occhio, un foglio per terra, quello che, senza che nessuno lo notasse, era precedentemente caduto a Thomas. Alexis posò la tazzina sul tavolino posto di fronte al divano, sul quale stava ancora seduta, per prendere il foglio e vedere di cosa si trattasse. Era un foglio bianco, sul quale erano appuntate alcune note scritte con una calligrafia incomprensibile, e ogni tanto saltavano agli occhi dei piccoli pentagrammi con disegnate sopra cinque o sei note ciascuno. Il titolo "Studio No. 15" si leggeva chiaramente, al contrario del resto, e Alexis non ci mise molto a capire che era una canzone.
Alexandra provò a dare una sbirciatina ma non ci capise molto, così chiese all'amica:«Che è?»
«Una canzone» rispose Alexis «Ma non si capisce niente, è una calligrafia orribile»
Si sentì lo scroscio dell'acqua provenire dal bagno, così Alexis si affrettò a mettere al suo posto il foglio, che, il giorno dopo, dimenticò totalmente, e non ne ebbe più memoria fino a quando non sentì quella canzone venire suonata, molti mesi dopo.

 

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HEY EVERYBODY!

È settembre, sono ancora nella merda con i compiti, ma come promesso sono tornata!
Questo capitolo si svolge immediatamente dopo il precedente, dal punto di vista temporale.
Buuuuut anyway, Alexandra è un po' triste, ma ci vorrà ancora un po' prima di scoprire cosa le sta succedendo.
Thomas è un fanatico che si porta la chitarra anche mentre va al cesso, ma fottesega, a noi piace così.
niente, per oggi è tutto.
Ci vediamo al prossimo capitolo!
See ya!

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