Arrivare a te

di Aryn2703
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un libro come famiglia ***
Capitolo 2: *** Romeo ***
Capitolo 3: *** Il sole e la luna ***
Capitolo 4: *** Lacrime ***
Capitolo 5: *** Invito al ballo ***
Capitolo 6: *** Promessa ***
Capitolo 7: *** Boccadoro ***
Capitolo 8: *** Dignità ***



Capitolo 1
*** Un libro come famiglia ***


<<…Ahimè! C’è più pericolo nei tuoi occhi che in venti delle loro spade: guardami solo con dolcezza e io sarò forte contro il loro odio. […] Meglio che il loro odio tolga la mia vita e non che la morte tardi senza il tuo amore.>>

“Quanto vorrei poter conoscere un ragazzo che mi parli in questo modo…”, erano queste le parole che frullavano nella mente di Gemma mentre leggeva Romeo e Giulietta di Shakespeare. Era un fresco giorno di primavera, l’aria fuori era frizzante e iniziavano a spuntare le prime margheritine nelle aiuole che costeggiavano la strada.

Il percorso da scuola a casa era lungo ma a Gemma non pesava farlo, aveva una strana passione: leggere ovunque lei fosse e in qualsiasi circostanza. Leggeva a casa, quando finiva di studiare; leggeva quando camminava verso la scuola o quando da scuola andava alla stazione, leggeva nella metro e nell’autobus, leggeva quando era felice e spensierata come quando le lacrime le offuscavano la vista e le bruciavano gli occhi.

Quando avrebbe voluto chiudersi in sé stessa, o scappare lontano dal mondo, lei prendeva un libro: affondava tutta sé stessa nelle storie cartacee; quasi si confondeva con il personaggio: Respirava, gioiva, piangeva con lui. Gemma amava tutti i libri indistintamente, ma ce n’era uno che adorava particolarmente. Un libro che sfogliava ogni giorno, assiduamente, testimoniato dall’usura delle pagine che quasi non si riuscivano più a leggere, ma lei non aveva bisogno di farlo! Conosceva ogni singola parola a memoria.

Quando il genere umano è attratto da qualcosa esso è solito bramarlo con forza. L’acquisizione dell’oggetto del desiderio è motivo di felicità e appagamento; è impossibile passare inosservati difronte al viso di un bambino che, per Natale, riceve il giocattolo da lui tanto desiderato; o difronte all’espressione dell’amante che scopre i suoi sentimenti essere ricambiati. Ma cosa succede quando non possiamo avere ciò a cui ambiamo con tanta passione? Che cosa comunicherà il volto del bambino che non ha ricevuto alcun dono, o la ruga di delusione che l’amante avrà dipinta in viso, dopo un rifiuto? Tristezza, amarezza forse. Eppure! Eppure la speranza continuerà a vivere in loro: magari quel giocattolo arriverà per il compleanno, magari capirà che è lui il ragazzo adatto a lei.

Gemma non desiderava alcun dono, né i sentimenti di qualcuno. Bramava intensamente qualcos’altro, una cosa che non si può comprare né lontanamente immaginare: Lei voleva entrare nella sua storia preferita, vivere quella realtà e immergersi in essa. Voleva vestire abiti lunghi, studiare le norme del galateo, imparare a danzare, conoscere prìncipi, duchi, cavalieri e diventare a sua volta una principessa.

Voleva conoscere i suoi personaggi preferiti, toccarli, parlargli, chiedergli chiarimenti sulla storia, -Sarebbe stato fantastico! Gli avrebbe insegnato tante cose e altrettante gliene avrebbero insegnate loro. Ma questo era, per la ragazza, un desiderio impossibile da realizzarsi. Non avrebbe mai conosciuto i rumori delle strade prive di automobili, i profumi della città, pura da ogni inquinamento.

Il suo desiderio era tanto anacronistico quanto utopistico, eppure! Eppure in lei viveva ancora una sorta di piccola, patetica, speranza. D’altronde, se all’uomo si toglie l’immaginazione e la fiducia nel domani, cosa gli resta? Così lei si immergeva ancora di più nei suoi sogni e più andava a fondo più le era difficile ritornare a galla.
La ragazza voleva entrare dentro la sua storia preferita: lei voleva vivere la storia di Romeo e Giulietta.

Ormai Gemma era arrivata a casa, il bus l’aveva lasciata giusto davanti la porta. Con scatto felino vi si fiondò, - Non vedeva l’ora di riabbracciare la madre che, dopo mesi di assenza per un viaggio di lavoro, era finalmente tornata a casa. Una volta varcata la soglia sentì l’inconfondibile profumo della madre; animata da più forte speranza si precipitò verso la cucina, esclamando: "Mamma, sono a cas-", ma la frase le morì in gola.

La cucina era vuota.

Gli occhi della ragazza caddero su di un post-it attaccato al frigorifero dove vi era scritto frettolosamente “Scusami mi hanno chiamata in ufficio per una questione urgente! Ti ho lasciato dei soldi per comprare la cena. Un bacio, Mamma”. Il volto di Gemma divenne improvvisamente scuro. Ormai avrebbe dovuta abituarsi all’assenza della madre eppure continuava a soffrirci volta per volta.

Da quando il marito era morto, la signora Fornali (la madre della ragazza) si era buttata totalmente, anima e corpo, dentro il lavoro così da non avere tempo da dedicare alla frustrazione e all’angoscia. La ragazza lo capiva ma non poteva accettarlo: anche lei ci stava male, anche a lei mancava il padre e avrebbe preferito piangere sulla spalla di sua madre piuttosto che sul cuscino, da sola. Fu proprio dalla morte del padre che Gemma iniziò a leggere così assiduamente. Essa scoprì come un racconto la poteva confortare, farla stare meglio.
I personaggi divennero la sua famiglia, i libri la sua casa. La ragazza si vergognava un po’ di questi suoi sentimenti: Come poteva considerare una famiglia un ammasso di fogli, rispetto ad una madre in carne ed ossa? Arrossì lievemente mentre si spogliava dall’uniforme scolastica: era arrabbiata, frustrata, delusa. Le lacrime le salirono facilmente agli occhi e da lì si buttarono a capofitto sulle sue guance. Tentò di asciugarle con il dorso della mano ma quelle continuarono a scendere.

Si buttò sul letto e aprì il suo adorato libro: forse le dolci parole di Romeo Montecchi l’avrebbero risollevata ma più girava le pagine più esse si inzuppavano di sentimenti negativi. Così Gemma, dopo aver pianto tutte le lacrime che aveva in corpo, si lasciò andare consolandosi con il dolce profumo delle pagine stampate.

Chissà qual era l’aspetto del suo amato Romeo: bello come lo immaginava? Biondo, oppure moro? E il colore dei suoi occhi quale sarà? Marroni, verdi, blu come il mare o celesti come il cielo? Il fatto che non avrebbe mai saputo la verità la faceva soffrire un po’, ma ormai si era abituata all’idea che il suo amore fosse impossibile. E poi c’era Giulietta. “Sarà sicuramente una bellissima ragazza”, pensò Gemma, “degna dell’amore di Romeo.”.

Covava una profonda invidia nei confronti di una ragazza che nemmeno esisteva, - “devo essere proprio disperata” si disse tra sé la lettrice.

Fu così che si addormentò. Un esile rumore di pioggia la destò di soprassalto; la finestra aperta sbatteva leggermente contro la parete, vittima del vento. Un brivido di freddo percorse la nuda schiena della giovane che, senza accorgersene, si era dimenticata di infilarsi la maglietta del pigiama.

Lentamente si alzò, i piedi nudi contro la fredda moquette le donarono una strana sensazione: un misto tra piacere e timore. Scattò verso la finestra e, con un gesto rapido, la chiuse. Si era fatto tardi: la luna, interamente piena, scintillava alta nel cielo. Un crampo allo stomaco fece ritornare alla realtà la giovane: non mangiava da quasi dodici ore e, se non si fosse sbrigata, non avrebbe trovato nessun locale aperto dove comprare qualcosa da mettere sotto i denti.

​Così si volse verso l’armadio e scelse dei vestiti essenziali, disadorni: un paio di jeans e un maglione di un colore verde scuro, simile a quello delle chiome dei pini nei boschi fitti. Non che il suo guardaroba contenesse vestiti particolari o alla moda: amava la semplicità e, più di questa, passare inosservata. Sovrappensiero lasciò la sua camera: si infilò un paio di converse, prese le chiavi di case e afferrò i pochi soldi che le aveva lasciato la madre; ignara della strana luminescenza che usciva da sotto la porta della sua stanza.

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Capitolo 2
*** Romeo ***


Gemma incominciò ad avanzare nel viale alberato su cui dava casa sua. La pioggia le picchiettava lievemente sui capelli e sulle spalle, aveva infatti dimenticato l’ombrello a casa. Lentamente si avvicinò ad una piccola rosticceria dalla quale proveniva un leggero profumo di pizza.

Un tempo la proprietaria era una vecchia signora sugli ottanta, gentile e sorridente, che le regalava spesso delle caramelle ogni qualvolta andava a comprare qualcosa: probabilmente sapeva che mangiava spesso sola dunque le faceva pena. Era una donna gentile, dal collo e le gambe tozze. Aveva due braccia forti e possenti e delle mani maschili adatte a preparare e stirare la pasta per le sue pietanze; odorava di farina e il suo grembiule, un vecchio pezzo di stoffa sgualcito su cui un tempo vi era scritto “regina della cucina”, era costantemente chiazzato di salsa e olio.

Quest’inverno la vecchia della rosticceria era morta, lasciando in eredità ai figli l’antica rosticceria. Essi però non avevano nessuna intenzione di passare la loro vita con grembiuli sporchi e a fare nottate per preparare impasti: vendettero il locale a dei forestieri e si trasferirono in un’altra città, completamente indifferenti all’amore che la madre nutriva per esso.

Adesso la rosticceria era gestita da una magra signora dal viso tirato, la sua bocca sempre piegata in un gesto di disapprovazione, e da suo marito, un uomo dall’aria burbera e di poche parole.
Quando Gemma entrò nel caldo locale la donna la guardò con i suoi soliti occhi pieni di disprezzo e, con fare freddo e distaccato, disse: <>, con un lieve accento veneziano. “Non sono una ragazzina, ho sedici anni!” avrebbe voluto risponderle la ragazza, ma invece chinò il capo e pronunciò un’esile: <>.
Il signore e la signora Bertolini, questo era il nome dei proprietari del locale, avevano un figlio di sei anni: un bambino grasso e viziato, come mai Gemma ne aveva conosciuti, dagli ispidi capelli color paglia e avente due occhietti marroni tondi, porcini, dall’aria costantemente annoiata.
Questo bambino grassottello stava correndo freneticamente attorno al tavolo in cui era seduta Gemma, intenta a mangiare una focaccia al pomodoro. Il sapore non era buono come di quelle che faceva la vecchia fornaia, ma la fame era così forte che non vi prestò particolare attenzione. La ragazza dovette fare un grande sforzo per non imprecare contro quel bambino chiassoso: amava il silenzio, soprattutto mentre desinava.

Le rimanevano ormai solo pochi bocconi per finire la sua cena quando una voce, piccola e straordinariamente lontana, le sussurrò all’orecchio “torna a casa!”.
La giovane sussultò sulla sedia. Si guardò intorno ma l’unico suono che udiva era lo schiamazzare di quel moccioso irritante. Presa da un istintivo impulso di correre verso casa, Gemma pagò frettolosamente la focaccia e si incamminò per il viale.
“Torna a casa! Torna a casa!”
La voce non finiva più di parlarle all’orecchio, adesso più forte di prima. Il cuore le martellava in gola e, presa da improvviso panico, si mise quasi a correre, sotto la pioggia, verso la sua dimora.

“Torna a casa! Torna a casa! Torna a casa!”
“Sto tornando!” avrebbe voluto urlare Gemma, ma la voce non le usciva dalla bocca, troppo intenta a prendere fiato a causa della corsa. Il marciapiede era di marmo, liscio e levigato, terribilmente scivoloso a causa della pioggia. La giovane era quasi arrivata davanti il portone d’ingresso quando cadde a terra: il peso del suo corpo tutto sulle mani che, in gesto di difesa, si erano mosse meccanicamente. Le palme le dolevano terribilmente a causa dell’urto e il suo maglione era così fradicio che poté sentire l’acqua scivolare lungo la curva dei seni. Gemma rabbrividì, si rialzò e corse ad aprire la porta.
Una volta dentro la voce si era improvvisamente ammutolita, ma non poté dire altrettanto del suo stato d’animo: qualcosa le diceva che doveva recarsi nella sua stanza, immediatamente.

Si avvicinò all’uscio della camera da letto cautamente, con passo felpato. Stava per aprire la porta quando d’improvviso si bloccò: aveva finalmente notato il fascio di luce che usciva dalla fessura in basso. “Che ci siano i ladri?” La ragazza dovette fare un grande sforzo per respirare normalmente; prese nel salone uno degli attrezzi lunghi di ferro che servono per accendere il fuoco nel caminetto e si portò di nuovo davanti la sua stanza: appoggiò la mano destra sul pomello, lentamente lo girò e con un unico movimento scaraventò la porta verso l’interno della stanza, brandendo rumorosamente l’affare di ferro con la mano sinistra.
Luci, ombre, suoni, silenzio.                                                                                                                   
Un’onda di emozioni pervase totalmente la ragazza, che lasciò cadere l’inutile arma. Cosa stava accadendo? C’erano voci che le parlavano, versi di animali, il volto di suo padre, lettere che volavano.
Poi tutto buio.

 “Scusatemi… Signorina, vi sentite bene? Signorina…”; Gemma sentiva una voce dolce che le parlava. Piano piano si destò, la luce del sole le ferì i luminosi occhi verdi. La ragazza iniziò a distinguere le ombre attorno a sé: Un giovane più o meno della sua età la stava guardando preoccupato. “Chi è? Che ci fa qui nella mia stanza?” Man mano che si riprendeva i suoi sensi si risvegliavano, iniziò a sentire diversi timbri di voce, rumori di animali e di ruote che sfrigolavano con la terra battuta.

Non era nella sua stanza, non era nella sua città, non era nel suo tempo.

Spinta dall’istinto di conservazione Gemma si raggomitolò su sé stessa, impaurita dalla visione che le si presentava davanti. Stava forse sognando? Da dove venivano tutti quei cavalli e perché non c’erano automobili?
La prima cosa che, pateticamente, la ragazza pensò fu che si trovava su un set cinematografico ma respinse immediatamente quell’idea: non c’erano telecamere né cameramen né luci artificiali né microfoni.

Il ragazzo continuava a rivolgerle la parola farfugliando suoni che Gemma non riusciva né voleva sentire.

Tutto cambiò nel momento in cui il ragazzo appoggiò la mano destra sulla sua spalla per scuoterla: la ragazza sentì un calore improvviso pervaderle il petto; di colpo tutte le paure che provava si allontanarono: c’erano soltanto lei e quel tocco gentile.
Lentamente iniziò ad allungare le gambe e a girarsi, il giovane era ancora lì che la guardava; con voce fioca pronunciò in un soffio: “Chi sei?”

Il ragazzo gentilmente le sorrise: “Il mio nome è Romeo, Romeo Montecchi”.

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Capitolo 3
*** Il sole e la luna ***


Incredula si alzò, osservando con occhi sgranati tutto ciò che la circondava. Fu allora che si ricordò, come un fulmine a ciel sereno, del fascio di luce comparso nella sua stanza: Era entrata dentro la storia di Romeo e Giulietta.
Ed è in quel momento che la ragazza si accorse che tutti le stavano fissando i vestiti: Indossava un paio di pantaloni e questo, per la società del 1600, era uno scandalo. Presa dal panico, Gemma iniziò a guardarsi attorno, e se l’avessero arrestata e bruciata viva? I suoi pensieri si affollavano sempre di più nella sua mente, quando il giovane si tolse il lungo mantello e lo avvolse attorno a lei, con un sorriso dolce.
Stanca e confusa, Gemma si lasciò condurre dal giovane in un giardinetto lì vicino. Anche lì era primavera e le aiuole erano inondate di variopinti fiori che sprigionavano con intensità diverse fragranze. Finalmente seduta, la ragazza cominciò a guardare il suo salvatore: Era alto, ben impostato, non magrissimo, ma in carne e aveva la carnagione chiara. Il viso era ovale, ben modellato, aveva i capelli castano-biondo e una fronte spaziosa, un naso delicato e delle labbra rosse, avide di baci e di passione. Il suo sorriso era facile e dolce, carico di ottimismo e di purezza. I suoi occhi erano la cosa più straordinaria: blu come il mare e limpidi come il cielo; due occhi pieni di gentilezza, che gli conferivano un’aria d’intelligenza e buffa al tempo stesso. Un’altra cosa che colpì Gemma furono le sue mani: sottili e morbide a testimonianza della nobiltà delle sue origini.
“Di grazia, posso sapere come vi chiamate, fanciulla dispersa?” chiese il giovane, con voce soave e ancora un po’ puerile. “Il mio nome è Gemma Fornali”.                                                                                  
                                                                                         ***
Era ormai l’ora di cena, il sole era tramontato lasciando spazio alle stelle e alla luna scintillante. L’aria fresca primaverile iniziava a colorarsi del fumo che usciva dai comignoli: in ogni casa ci si apprestava a preparare la cena.
Allora Romeo prese la parola: “Signorina Gemma, sarei onorato se accettaste di venire a casa mia per la cena. Vi saranno dati abiti consoni alla nostra città, così non dovrete temere più nulla”.
Gemma non riusciva a capire perché il giovane fosse così premuroso con lei, ma nonostante tutto accettò. D’altronde, che cos’altro avrebbe potuto fare? Dove sarebbe potuta andare?
La casa di Romeo era molto grande, circondata da un grande giardino tempestato di rose di ogni colore e fragranza. La sala principale era illuminata a festa ed era piena di gentiluomini e gentildonne vestiti con abiti di finissima seta. Gemma era sbigottita di fronte a cotanta sfarzosità, ma il suo entusiasmo durò ben poco, poiché una voce sprezzante disse alle sue spalle: “E questa giovane stracciona chi sarebbe?”. Gemma si sentì tremare la terra sotto i piedi, avrebbe voluto scomparire tanta la vergogna. Non avrebbe dovuto accettare l’invito!
“Madre, vi prego, portate rispetto per questa giovane fanciulla. Si è sentita male e io l’ho soccorsa. Vi chiedo umilmente di accettarla come nostra ospite e di riservarle ogni riguardo”. La ragazza non riusciva a crederci, Romeo la stava difendendo davanti a sua madre! “Oh dolce Romeo” pensò, “sei un’anima pura, così come ti avevo immaginato!”.
La signora Montecchi impallidì per l’indignazione e stava per rispondere qualcosa, quando arrivò il padre di Romeo, un uomo dal viso gentile, a placare la discussione: <>. Gemma non ebbe neanche il tempo di cogliere il significato delle parole del signor Montecchi, che si sentì afferrare da dietro: una decina di donne di servizio la stavano trascinando in una stanza.

Capendo di non poter obiettare, la ragazza si lasciò lavare, asciugare e pettinare. Le donne erano tutte molto indaffarate a renderla presentabile, una di esse inorridì davanti le unghie mangiucchiate della ragazza, la quale arrossì per l’imbarazzo: rosicarsi le unghie era il suo vizio peggiore.
Ad un tratto arrivò un’altra donna di servizio, la quale reggeva uno splendido vestito di seta verde, luminoso come gli occhi di Gemma. La ragazza aveva sempre sognato di indossare un vestito come quello e si sentì venir meno per l’emozione.
Indossato il vestito e acconciati i capelli a gigliola, legati con un finissimo fermaglio con incastonate delle pietre di smeraldo, Gemma fu condotta verso la sala dei ricevimenti.

Man mano che scendeva le scale, percepiva lo sguardo di tutti i presenti rivolto su di lei: in quel momento si sentiva davvero bellissima.
Arrivata alla fine delle scale, Romeo la raggiunse, raggiante in volto. Il suo bellissimo sorriso fece abbassare lo sguardo di Gemma, imbarazzata.
“Siete bellissima, signorina Gemma” sussurrò il ragazzo, mentre sfiorava con le dolci labbra la mano di Gemma.

In quel momento arrivò un maggiordomo, annunciando l’inizio della cena.
Gemma non aveva mai visto così tante pietanze messe insieme, c’erano tacchini, polli arrosto e quant’altro. Ogni genere di contorno e di frutta! Dopo essersi saziati, Romeo invitò Gemma a fare una passeggiata nel giardino.

Usciti fuori, i due giovani si sedettero su di un muretto, ammirando la luna.
“Non trovate che la luna sia fantastica stasera, signorina Gemma?” disse Romeo, senza staccare gli occhi da quel disco argenteo; “Si, è davvero fantastica…” rispose Gemma, e con esitazione aggiunse “Romeo… Vi prego, datemi del Tu, mi sentirei molto più a mio agio e chiamatemi semplicemente Gemma se non v’è di disturbo…” Romeo, dopo un attimo di sorpresa sorrise: “Va bene, come vuoi tu… Gemma”. I ragazzi si guardarono e sorrisero, felici di passare insieme quella serata.
“Romeo… In che anno ci troviamo?” chiese Gemma.
“siamo nel 1610, perché?”.
 -“ è la terra che gira attorno al sole, o il sole che gira attorno alla terra?” domandò la ragazza,
-“Che domande” rispose Romeo, “ovviamente è il sole che gira attorno alla terra, anche se in questo periodo ho sentito molto parlare di un uomo, un certo Galileo Galilei, il quale afferma il contrario… Un pazzo.”
-“E se ti dicessi che quello non è un pazzo? Che ha ragione, ed è la terra a girare attorno al sole?”
Romeo guardò Gemma sbigottito: “Dimostramelo.”
Gemma sorrise, felice della curiosità del ragazzo: “portami due arance, un foglio di carta e una penna!” Il ragazzo parve un po’ spaesato inizialmente, ma alla fine le portò tutto: “ ecco, qui c’è tutto quello che mi hai chiesto… Per penna intendevi una piuma d’oca e l’inchiostro non è vero?” Gemma non poté fare a meno di ridere, aveva dimenticato che in quel tempo non esistevano ancora le penne biro! “beh..” rispose la ragazza, “è la prima volta che provo a scrivere in questo modo, ma vedrò di cavarmela”. Fu così che Gemma spiegò, mimando il movimento con le arance e disegnando la traiettoria nel foglio di carta, come la terra subisce un moto di rotazione e di rivoluzione. Romeo guardava con occhi sgranati le arance e il foglio pieno di macchie d’inchiostro che la giovane gli mostrava. “Galileo quindi avrebbe intuito tutto questo?” chiese Romeo sconcertato, “No…” rispose Gemma, “non lui da solo, ma anche altri matematici, come ad esempio Keplero! Il quale simpatizza per Galilei”.

Romeo mirava affascinato la luna, immaginando come essa ruoti attorno alla terra, senza accorgersi dell’aria turbata nel volto di Gemma. “Romeo” Lo chiamò la ragazza “Tu… sei innamorato di qualcuno?” Il giovane arrossì un poco alla domanda, e rispose “Prima pensavo di essere follemente innamorato di una giovane… Il suo nome è Rosalina, la quale mi ha rifiutato tante e tante volte… Ma adesso non soffro più le pene d’amore poiché ho incontrato una giovane per cui penso di provare qualcosa di forte”
-“ E dove hai conosciuto questa fanciulla?” Romeo sembrava molto imbarazzato e a voce bassa rispose “beh l’ho conosciuta propriamente ad una festa…”. In quel momento Gemma avrebbe voluto che la luna le cadesse contro. Tutto tornava, il suo dolce Romeo aveva già conosciuto Giulietta al ballo dei Capuleti. Il suo destino era ormai segnato, sarebbe morto per amore.
La ragazza avrebbe voluto piangere per la tristezza, ma trattenendosi, chiese con voce tremante “Qual è il suo nome?” Romeo stava per risponderle, quando arrivò un servitore ad annunciare ai giovani che il dolce era servito in tavola.
Messi a sedere, gli invitati incominciarono a gustare il dolce. Gemma, con il cuore in gola, perse appetito dopo il primo assaggio.
                                                                                        
Finito il dolce, Romeo portò Gemma in una stanza, non troppo grande, con il soffitto alto e in legno. La camera era piena di strumenti musicali tipici di quel tempo: Cornetti, oboi, violoncelli barocchi, lire da gamba, alcuni chalumelau, diversi tipi di flauti.  Al centro della stanza campeggiava un bellissimo clavicembalo, dipinto di un rosso scarlatto e decorato con motivi floreali e vegetali. Gemma, ancora triste, si sedette al clavicembalo, ed intonò “Ai giochi addio”, composizione di Nino Rota per il film Romeo e Giulietta di Zeffirelli.
“Questa melodia è dolce e malinconica a tempo stesso… Chi è il compositore?” Chiese Romeo, incuriosito.
“Il compositore si chiama Nino Rota, ma dubito che lo conoscerai mai” Rispose Gemma.
“A cosa s’ispirò questo Nino Rota, scrivendo tale bellezza?”. Gemma sorrise malinconica, Romeo non avrebbe mai conosciuto i geni come Bach, Mozart, Beethoven… “Si ispirò alla storia di un ragazzo ed una ragazza i quali si innamorano a prima vista. Ma le loro famiglie sono acerrimi nemici e non accettarono il loro amore. Alla fine i due giovani si uccidono con la speranza che almeno nella morte sarebbero potuti stare insieme”.

 “E’ una storia molto triste” affermò Romeo, “Credo che anche io, per amore, arriverei ad uccidermi”. Udite queste parole Gemma non poté trattenersi, si alzò e, chiedendo il permesso, si ritirò nella camera assegnatela.
Anche se distrutta dalle mille emozioni vissute quel giorno, la giovane non riuscì a chiudere occhio tutta la notte.
Inondato il cuscino delle sue lacrime, maturò un’idea.
Alle prime luci dell’alba lasciò la lussuosa casa Montecchi, con il viso ancora rigato di lacrime.

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Capitolo 4
*** Lacrime ***


Romeo era molto agitato, Gemma era come volatilizzata, non riusciva a trovarla da nessuna parte. Nella mente del giovane continuavano a girare le parole della madre “Hai visto? Quella poco di buono non ha fatto altro che approfittare della nostra ricchezza! Si è riempita la pancia a sazietà e ora se n’è andata senza neanche ringraziarci!” Forse aveva ragione, chissà! Perché si prendeva tanta pena per lei? Il giovane non riusciva a capirlo, ma sentiva che un forte legame lo univa a lei. E poi Romeo non riusciva a togliersi dalla mente quei fantastici occhi verdi, così dolci e sapienti.
Con un balzo Romeo saltò sul cavallo e andò a cercare la fanciulla per le vie della città.
Intanto Gemma vagabondava senza una meta ben precisa, la notte prima aveva avuto un’idea ma adesso, ragionandoci con più lucidità, le sembrava sempre più assurda: poteva andare a Genova e incontrare il grande Galileo Galilei, offrirgli il suo sapere e, perché no, vivere a casa sua offrendosi di fare le pulizie. Non aveva però considerato diversi fattori tra cui come vi sarebbe arrivata, dato che a quel tempo quelle distanze si facevano a piedi, come sarebbe sopravvissuta a tutti quei chilometri senza né cibo né acqua e, soprattutto, non era sicuro per una ragazza gironzolare da sola sia per la città che per la campagna.
Pensava a tutti questi problemi cercando una soluzione, quando improvvisamente si scontrò con qualcuno.
“Mi scus-.. Scusatemi”, Mormorò la ragazza, mantenendo lo sguardo fisso a terra, “non vi avevo visto”. Fece per continuare per la propria strada quando quella persona la afferrò per un braccio e la sbatté contro il muro di una casa vicina. Presa dallo spavento, Gemma gettò un urlo, cercando di divincolarsi, ma quello le tappò la bocca con la mano, così forte da farle male.
“Tu… come ti permetti ad intralciare la mia strada? Quando io cammino per la città la gente si sposta per farmi passare perché io sono un Lord e ho la precedenza. Che razza di ragazzina impertinente sei?” l’uomo parlava in questo modo e intanto continuava a tenerla ferma sulla parete, Gemma non riusciva a capire chi fosse e quanti anni avesse perché indossava il cappuccio di un mantello verde scuro calato fin sopra gli occhi. Presa dal panico, cercò ancora una volta di scappare dalla sua presa ma quello, con la sua mano grande, oltre a tapparle la bocca le tappava anche il naso.
Non riusciva più a respirare, sentiva la forza delle sue gambe venirle meno. La vista le si appannò sempre di più e piano, dentro di sé pregò intensamente “Romeo, salvami… salvami!”
Fu in quell’istante che l’aggressore cadde di lato con violenza: era stato spinto con forza da un cavallo in corsa. Presa dal sollievo, Gemma si girò verso il suo salvatore: era lui. Sapeva che sarebbe venuto e che l’avrebbe soccorsa!
Romeo scese da cavallo in modo elegante, si precipitò dalla ragazza e con sguardo preoccupato le chiese se stava bene. Gemma annuì, ancora in uno stato di trance.
“Oh ma chi si vede… Romeo Montecchi! Chi avrebbe mai detto che avrei incontrato il mio caro migliore amico ad un così presto orario.”

L’uomo che aveva attaccato Gemma si stava alzando lentamente, il mantello macchiato di fango e alcune gocce di sangue.
Adesso la ragazza poteva vedere bene l’uomo: sembrava un ragazzo di diciassette anni, alto, snello. Il cappuccio che prima copriva il suo volto, adesso lasciava mostrare dei capelli neri, mossi, lunghi fin sotto le orecchie, che facevano intravedere due occhi neri allungati, profondi e fieri. Il naso era ben modellato e le labbra sottili si piegavano in una smorfia che esprimeva sarcasmo e un po’ di fastidio.
Nel complesso si poteva dire che fosse un ragazzo dai tratti molto particolari e affascinanti.

Guardandolo una seconda volta, Gemma notò che il ragazzo indossava solo un paio di pantaloni neri e dei sandali: il lungo mantello verde copriva a stento il tronco nudo del ragazzo, perfettamente scolpito e proporzionato.
“Tebaldo...” Grugnì Romeo, in un misto di fastidio e disprezzo.

Gemma rimase sbigottita nel constatare che proprio quel ragazzo fosse il famoso Tebaldo. Lei se l’era sempre immaginato come una persona arrogante e piena di sé, ma non credeva che lo fosse al punto da aggredire una fanciulla per una ragione simile!
“Vedo che non vi siete dimenticato il mio nome”, disse Tebaldo ridendo, iniziando a zoppicare.
Gemma fece per aiutarlo ma Romeo la trattenne: “No. Lascialo stare. Questa persona è pericolosa.” A quel punto mise le mani sulle spalle della ragazza e guardandola negli occhi disse “Gemma promettimi che non avrai MAI nulla a che fare con lui. Promettimelo per favore”

La giovane riusciva a percepire la preoccupazione profonda che si nascondeva dietro agli occhi di Romeo così, nonostante non ne fosse convinta del tutto, lo promise.
Tebaldo, intanto, li guardava sorpreso: “Montecchi, conoscete questa tipa? E le date pure del Tu?! Per dimenticare la vostra amata Rosalia ormai vi consolate con le sgualdri-.” Non riuscì a completare la frase che Romeo lo mandò a terra con un pugno sotto al mento. “Non osate parlare in questo modo di Gemma un’altra volta o ve la farò pagare in modo che non lo dimenticherete facilmente.”.

Tebaldo divenne serio e con occhi privi di espressione disse “Vediamo di cosa siete capace” Romeo fece per reagire quando Gemma ricordò che, nel libro, il Montecchi uccideva il Capuleti a fil di spada dopo che questi aveva assassinato il suo amato amico Mercuzio. E se questo fosse proprio quel momento? In fin dei conti la sua entrata nella storia aveva influito sulla stessa, cambiando inevitabilmente alcuni eventi, dunque il motivo di tale omicidio poteva essere cambiato ed essere diventato proprio lei. “Se non sono riuscita ad arrivare in tempo per salvare Romeo, almeno devo salvare la vita di Tebaldo” è con questo pensiero che si mise in mezzo tra i due e gridò “Smettetela voi due! Cosa siete, dei bambini? Se vi odiate tanto basta ignorarsi no? Fate ognuno la vostra vita e vedrete che camperete cent’anni!” Le guance della ragazza si erano tinte di un leggero colore rosso: aveva tirato fuori tutta la grinta e la sua determinazione. I due ragazzi la guardavano sbigottiti, Romeo lasciò andare le falde del mantello del nemico e fece per andarsene “Per stavolta la chiudiamo qua, ma vi avverto: non avvicinatevi più a lei. Gemma, seguimi”

Il ragazzo biondo prese la mano della ragazza, ancora titubante, tirandola con sé. “Andiamo, voglio farti conoscere due mie amici molto cari, ti piaceranno vedrai!”
Gemma sapeva di chi stava parlando: il cugino Benvolio Montecchi e l’amico Mercuzio, nipote del principe di Verona.
Mentre seguiva Romeo, la giovane si girò un’ultima volta verso Tebaldo: era seduto a terra, il suo sguardo posato su di loro ma gli occhi assenti.
Una lacrima rigava il suo bel volto, bagnando i mossi capelli neri.

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Capitolo 5
*** Invito al ballo ***


Per essere una giornata primaverile faceva molto caldo, la strada non asfaltata brillava di un intenso colore bianco a causa della riflessione dei raggi solari; tutta questa luce feriva gli occhi di Gemma che, intanto, non faceva altro che pensare a quella lacrima.
Il Tebaldo immaginato da Gemma era fiero, portava a testa alta il nome Capuleti ed era più temuto che rispettato. Questa idea rispecchiava la realtà fino ad un certo punto: perché, infatti, quella lacrima? Il “suo” Tebaldo non sarebbe rimasto a terra, si sarebbe alzato per far vedere che niente può abbattere un Capuleti. Il suo Tebaldo non avrebbe mai pianto davanti al nemico.

Questi pensieri si rincorrevano nella testa della ragazza, che intanto non sentiva il richiamo di Romeo.
“Gemma, mi senti? Gemma!”
“Scusa Romeo, ero sovrappensiero… con tutta questa luce poi non riesco a tenere gli occhi aperti, ci vorrebbero degli occhiali da sole.”
“Occhiali da sole?” ripeté il ragazzo, perplesso: non ne aveva mai visto un paio.
“Ah nulla nulla, fai finta che non abbia detto niente”

Romeo teneva ancora il braccio di Gemma, una volta arrivati in una piazza egli legò il cavallo ed entrambi cercarono rifugio sotto ad un albero.
“Romeo! Che novità è mai questa? Siete arrivato voi prima di me e vostro cugino”
Gemma si girò ed ecco che si trovò davanti altri due protagonisti da lei tanto amati: Mercuzio e Benvolio.

“Miei amati amici vi aspettavo con ansia. Voglio farvi conoscere una persona che mi è molto cara spero possiate trattarla con sincerità e rispetto.”
È con queste parole che Romeo mostrò ai due giovani Gemma, la quale, colta di sorpresa, arrossì immediatamente e abbozzò un inchino. Iniziò a scervellarsi pensando “saranno a disagio adesso, faranno tante domande su chi io sia e forse gli diranno di non fidarsi di me, in fondo sono un’estranea.” Ma le sue paure si dissolsero immediatamente quando i due ragazzi, dopo un primo attimo di sorpresa, iniziarono a presentarsi e a fare graziosi commenti così da metterla a proprio agio.
Mercuzio e Benvolio erano proprio come lei li aveva immaginati: due giovani dalla battuta facile e dal perenne sorriso stampato in faccia.

“Hey Romeo”, esclamò Mercuzio “stasera i Capuleti danno una festa in maschera. Che ne dite se ci imbucassimo e ci divertissimo un po’?”

Un brivido gelido percosse la schiena di Gemma.

“Sembra divertente! Io ci sto.” Affermò Benvolio, “ovviamente signorina voi siete la benvenuta ad unirvi.”
“No”, disse Romeo “se dovesse complicarsi la situazione e iniziare un duello non voglio che Gemma rimanga coinvolta. Se andiamo lei starà a casa al sicuro.”
Gli amici fecero cenno di approvazione con il capo ma Gemma era come pietrificata, “No…”, sussurrò “No, Romeo, no.”
“Cosa no?” chiese il giovane.
“Non puoi andare. Romeo non puoi andare. Ascoltami, so quello che dico, non devi andare a quella festa per nessun motivo al mondo.”

Romeo la guardò stranito, quasi con disappunto: “Gemma è la mia vita, se decido di andare, vado.”
 
“Me è proprio andando che la perderai la vita!” avrebbe voluto urlargli, ma sapeva che dire qualsiasi cosa sarebbe stato inutile e lei sarebbe sembrata una pazza.
“Allora se proprio vuoi andare vengo anch’io.”
“Ho già detto di no, è pericoloso.”
“Non mi interessa, io vengo comunque.”

Romeo fece per controbattere ma gli occhi azzurri di lui incontrarono quelli verdi di lei e, vedendo la sua determinazione, non poté fare altro che accettare.

“Ho ancora una speranza”, pensò Gemma “Forse riesco ancora a non farli incontrare.”
Dopo aver passato parte della giornata insieme, i ragazzi si incamminarono verso casa. Mercuzio, per stuzzicare Romeo, chiese: “Che ne è della vostra amata Rosalia?”
A questa domanda Benvolio alzò lo sguardo verso il cugino che disinteressato rispose “Non provo più nulla per lei. Ho capito che era soltanto una cotta passeggera.”
 Gemma allora non poté non notare il sospiro di sollievo di Benvolio, il quale strinse al petto un fazzoletto bianco profumato in cui in basso a destra era ricamata una graziosa R in rosa antico.


Romeo e Gemma fecero ritorno alla residenza Montecchi.
La ragazza si aspettava che la madre di lui la mandasse via seduta stante, quella, invece, appena vide il figlio gli corse incontro e abbracciandolo esclamò “Oh piccolo mio, sei scomparso così all’improvviso, mi hai fatto preoccupare tantissimo!”
Romeo, divincolandosi dalla stretta della madre, “Sì madre, perdonatemi… Ero preoccupato per la mia ospite. Vi prego, consentitemi di ospitarla in casa per qualche giorno. Ha perso la memoria e non ricorda né di dove sia né chi siano i suoi familiari. Vi prego!”

Ovviamente non era vero che Gemma aveva perso la memoria, ma di sicuro era meglio fingere una cosa simile piuttosto che spiegare che veniva dal futuro di un universo parallelo.

La signora Montecchi sembrò soffrire molto nel pronunciare “Va bene, come desideri…”
Era fatta, aveva il permesso di restare!

La ragazza non sapeva ancora cosa avrebbe fatto, di sicuro sarebbe rimasta incollata a Romeo. Secondo la storia, i due amanti si sarebbero conosciuti durante una danza.

Gemma non aveva idea di come vestirsi: era un ballo in maschera ma nel 1600 non c’erano tante alternative; non poteva mica indossare i panni di un’indiana o di una fata!
In quel momento entrò nella sua stanza Dorotea, una delle serve che l’aveva preparata la sera prima, alla quale Gemma chiese di procurarle un semplice abito da sera, nulla di particolare: non voleva attirare l’attenzione.

Il vestito che le portarono era tutto fuorché semplice: lungo fino alle caviglie, presentava un’ampia scollatura a barca con dei merletti bianchi. Il bustino, impreziosito da perline argentate, era anch’esso color argento, così come la gonna che scendeva largamente a sbuffo.
Le braccia erano nude e il collo le venne adornato con una collana tempestata da pietre di luna.
I capelli le vennero acconciati con una treccia che le girava attorno al capo: in mezzo alle ciocche inserirono alcune forcine arricchite da piccoli zirconi.

Gemma si guardava allo specchio senza riuscire a riconoscersi: con il giusto trucco e la giusta cura si trasformava completamente!
Dorotea le rivelò, non senza una certa cattiveria, che questi vestiti appartenevano ad una cugina Montecchi che, ormai, era diventata troppo grassa per entrarci. Gemma provò compassione per la povera donna e non sorrise affatto.

Nel frattempo arrivò Mercuzio, vestito da imperatore, accompagnato da Benvolio, vestito invece da menestrello.

Gemma non poté fare a meno di notare quanto quei due personaggi fossero buffi: Mercuzio basso e dal viso paffuto, occhi sempre allegri, battuta sempre pronta; Benvolio alto e un po’ goffo, aveva gli stessi colori di Romeo, ma meno vividi. Era comunque molto affascinante nel suo modo di fare, si vedeva che ci sapeva fare con le donna; forse era per quello che Rosalia aveva scelto lui al cugino.

Finalmente arrivò anche Romeo, raggiante in volto, vestito da pellegrino.

Dopo i soliti convenevoli, si incamminarono verso la casa dei Capuleti.
Il cuore di Gemma le martellava in petto.
Dentro quella casa non solo Romeo, ma anche Mercuzio, Giulietta e Tebaldo avrebbero segnato il loro destino di morte.

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Capitolo 6
*** Promessa ***


Arrivarono in casa Capuleti che la festa era già iniziata da un pezzo, nel giardino erano state poste delle lunghe tavolate piene di stuzzichini, carne aromatizzata, frutta secca e pasticcini.
L’aria era impregnata dell’odore di vino, ovunque gli invitati tenevano calici pieni conversando allegramente.

I quattro ragazzi decisero di inoltrarsi verso il cortile dalla quale proveniva una musica dal ritmo incalzante. Gemma stava vicina a Romeo, tutta quella confusione le faceva girare la testa: si sentiva come un pesce fuor d’acqua.

Sorpassato un colonnato di marmo lei la vide: Giulietta, in piedi vicino ad un’enorme anfora decorata, splendeva in tutta la sua bellezza: Aveva un viso perfetto, con occhi grandi verde acqua, un naso romano dritto e labbra carnose. I capelli intrecciati le cadeva fino alla vita, stretta.
Era leggermente più bassa di Gemma, notò la ragazza, ma aveva ancora quattordici e anni e, probabilmente, avrebbe messo su ancora qualche centimetro.
Se fosse vissuta fino a quel momento, ovviamente.

Il vestito di Giulietta era di un rosso corallo vivo, impreziosito da catenine e merletti d’oro.
Gemma fece per girarsi e portare via Romeo ma era troppo tardi: il viso di lui fissava con stupore, quasi reverenza, quella fanciulla esile. La giovane non aveva dubbi: si era innamorato.

“Romeo, che ne dici se andiamo a mangiare qualcosa, sembra ci siano…”, abbozzò Gemma, cercando di mantenere un tono calmo.
“Scusa Gemma, raggiungi gli altri, devo parlare con una persona”, disse Romeo mentre si incamminava verso l’innamorata.
“No Romeo, non puoi! Ti prego!”, esclamò Gemma bloccandogli il braccio, lo avrebbe bloccato con il suo stesso corpo se fosse stato necessario, ma il giovane si girò verso di lei e con occhi freddi sussurrò “Ne abbiamo già parlato, non puoi dirmi quello che posso o non posso fare”.

La povera rimase sbigottita dinnanzi a quelle parole: il dolce Romeo che lei conosceva non l’avrebbe mai guardata in quel modo.

Mercuzio le si accostò e sussurrò “Non crucciarti, il Montecchi è così… Tiene molto all’amicizia ma sa essere molto, troppo, egoista.”
Gemma capì che era vero e realizzò quanto lei, in realtà, non conoscesse davvero Romeo.
Si sentiva distrutta, la storia continuava a ripetersi e, forse, è perché non voleva essere cambiata.
Si allontanò da tutta quella folla, salì piano una grande scalinata che la portò fin dentro il palazzo. Lì, se non per qualche servo che correva da una parte all’altra, sembrava non ci fosse nessuno.
Con la coda dell’occhio Gemma vide una coppia intenta ad abbracciarsi forte, sembrava si stessero fondendo in un’unica persona. Gemma riconobbe il vestito da menestrello e decise di uscire fuori nel balcone così da lasciarli nel loro momento di intimità.
Il balcone dava proprio sul cortile: Romeo e Giulietta stavano ballando, come previsto.
Presa dallo sconforto, la ragazza si accasciò sul basolato e sentì gli occhi inumidirsi quando una voce pronunciò “Invece di tenere il viso fra le mani, alzate lo sguardo alla luna. Questa notte è fantastica”.

Gemma sussultò e, girandosi, vide un ragazzo seduto sulla balaustra del balcone: la gamba sinistra era stirata, mentre la destra, piegata, offriva un appoggio alla sua mano, con la quale reggeva un rosa bianca. Il volto era coperto da una maschera argentata mentre i capelli mossi neri, pettinati d’un lato, cadevano morbidi dietro le orecchie, un po’ scompigliati.
Egli guardava intensamente la luna, sembrava le stesse rivolgendo una preghiera.

“Vorrei tanto fargli una foto”, pensò pateticamente Gemma.

“Come mai siete quassù, signore? Se posso chiedere…” abbozzò Gemma, il giovane scese dalla balaustra e, togliendosi la maschera, disse “Potrei farvi la stessa domanda, fanciulla. Ma per rispondervi: trovo queste feste noiose e per niente dilettevoli, la maggior parte di questa gente viene in casa nostra solo per mangiare e ubriacarsi, sono una massa di ignoranti che credono ancora sia il sole a girare attorno alla terra.”.

Gemma lo guardava con occhi sgranati, riconobbe gli occhi neri, tagliati verso l’alto, e pronunciò “Tebaldo”.

Tebaldo sorrise, un sorriso stanco e malinconico. Un’altra nota stonata rispetto all’idea che si era fatta dei personaggi di quel libro: Pensava che il Capuleti fosse un tipo festaiolo, sempre in prima linea quando si tratta di divertirsi.
Il Tebaldo davanti a lei, invece, sembrava perso in un limbo di tristezza, mentre gli occhi comunicavano una certa arguzia e curiosità. Non l’aveva ancora riconosciuta perché anche lei indossava una maschera.

Gemma proseguì: “Cosa avete detto riguardo il sole e la terra?”
E Tebaldo “Ho studiato abbastanza per sapere quello che dico, fidatevi. Ma una giovane come voi, in un vestito così bello, non dovrebbe stare qui ad ascoltare le mie lamentele. Andate a godervi la festa”.
“Tebaldo”, disse Gemma togliendosi la maschera, “Perché siete così triste? Cosa vi affligge?”

Il ragazzo sul momento non parve riconoscerla, si limitò ad osservarla intensamente negli occhi, sembrava stesse arrossendo ma, a causa del buio, la ragazza non poteva dirlo con certezza.
Fu così che, piano, il Capuleti iniziò a parlare, volgendo di nuovo lo sguardo alla luna: “Sono stanco, mia cara. Stanco di questa vita, stanco di portare un cognome dal peso troppo grande per le mie spalle, un cognome che mi impone di odiarne altri, di portarlo in alto con onore, di dover indossare la maschera di un essere prepotente.”
Mentre diceva così, scagliò a terra la maschera, che la ragazza si apprestò a recuperare.
Guardo giù dal balcone, Romeo teneva la mano di Giulietta. Gemma non aveva bisogno di sentire quello che si stavano dicendo, conosceva quelle frasi a memoria:

“Se con indegna mano profano questa tua santa reliquia (è il peccato di tutti i cuori pii), queste mie labbra, piene di rossore, al pari di contriti pellegrini, son pronte a render morbido quel tocco con un tenero bacio.”


Si girò di scatto, sapeva che da lì a qualche battuta i due si sarebbero baciati e non si sentiva pronta a vedere quella scena.

Chi era lei per evitare la storia d’amore più famosa al mondo? Sapeva che i due si amavano davvero, che era un sentimento profondo e sincero. Gemma provò vergogna per aver cercato di fermare Romeo e, di nuovo, i suoi occhi si riempirono di lacrime.

Tebaldo, intanto, la stava fissando. Gemma lo guardò e disse “Adesso capisco il perché di quella lacrima stamattina”. Il Capuleti rimase di stucco, la afferrò per le spalle e, guardandola bene, disse a denti stretti “Voi siete la ragazza di Montecchi, come ho fatto a non riconoscervi prima? Questo significa che anche quel lurido è qui. Cosa siete? Una spia? Dovrei uccidervi all’istante, e io che pensavo di aver trovato una ragazza vera, pronta ad ascoltarmi”.
Pronunciate queste parole fece per correre verso il cortile, così da raggiungere Romeo, ma Gemma lo bloccò cingendolo con le braccia.

“Come osate…” grugnì Tebaldo, ma Gemma urlò in risposta “Voi non siete così! L’avete detto voi stesso, questo orgoglio che provate non fa parte di voi, è mera finzione, perché dovete mentire a voi stesso? Vi prego, io vi rispetto per chi siete veramente”.

Tebaldo si bloccò. Era la prima volta che una ragazza gli parlava in questo modo e non poté fare a meno di rimanerne affascinato; si girò verso di lei e le carezzò la testa: sembrava un padrone che cercava di calmare il proprio cagnolino.

Gemma fu presa alla sprovvista da questo gesto, sentì le guance andarle a fuoco ma allo stesso tempo non riusciva a distogliere lo sguardo da quegli occhi neri penetranti.
Sentiva il viso di Tebaldo sempre più vicino, il cuore le batteva a mille, quando realizzò una cosa:
Il giorno dopo Romeo e Giulietta si sarebbero sposati, dopodiché Tebaldo avrebbe incontrato e ucciso Mercuzio, e, a sua volta, avrebbe perso la vita per mano del Montecchi.
Se non era riuscita ad impedire che sbocciasse l’amore tra i due protagonisti, per lo meno poteva evitarne la morte.

Fu così che la ragazza fece un passo indietro; Tebaldo sembrò ridestarsi da un sogno e, capendo che stava per baciare la ragazza, si girò di lato nascondendosi la bocca con la mano.
Gemma ne approfittò: “Tebaldo, vorrei chiedevi un favore. Sareste disposto a passare con me l’intera giornata di domani?”
Il giovane la guardò sconcertato poi, ripreso il controllo, le porse la rosa bianca che ancora reggeva nella mano: “Sarà un vero onore per me, Gemma.”.

La ragazza lo lasciò nel balcone con la promessa di vedersi presto il giorno dopo; aveva visto Benvolio scendere le scale e tornare giù: significava che era giunto il momento di tornare a casa.
Corse dunque via, con il cuore che le pulsava in petto, senza riuscire a dimenticare il volto del Capuleti così vicino al suo.

Nello stesso istante, dentro la casa, Tebaldo e Giulietta si guardavano le mani: avevano entrambi conosciuto il loro primo amore.

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Capitolo 7
*** Boccadoro ***


Mi scuso tantissimo per il ritardo con cui pubblico questo capitolo, purtroppo un trasloco ed alcuni esami mi hanno impedito di continuare a scrivere. Inoltre, come se non bastasse, sono senza wi-fi  in casa /ahah/ 
Spero che continuerete comunque a leggere l'avventura di Gemma e dei personaggi di Romeo e Giulietta, ci avviciniamo sempre di più alla parte clou! 
Aryn


Quattro figure si stagliavano nel buio della notte e ognuna di loro portava con sé emozioni e preoccupazioni. Romeo camminava leggermente più avanti rispetto agli altri, aveva le gote arrossate e sembrava non riuscire a contenere tutta la felicità che provava.

Gemma avrebbe voluto supportarlo e dirgli che era contenta per lui, che l’amore è un’esperienza fantastica capace di far piangere per la gioia. Ma come poteva dire questo alla persona che lei stessa pensava di amare? In realtà non era neanche sicura dei suoi sentimenti. Forse lo aveva idealizzato troppo come un essere perfetto dalla gentilezza sconfinata.

Eppure lui DOVEVA avere una gentilezza sovrumana: l’aveva accolta in casa sua senza mai farle alcuna domanda su chi fosse, su come fosse istruita pur essendo apparentemente una vagabonda, e lei, per questo, l’avrebbe ringraziato a vita. Sapeva che solo Romeo avrebbe potuto spiegarle il suo comportamento ed era arrivato il momento di parlarne.

Sentiva il petto stringersi per l’angoscia e intanto pensava alla promessa fatta con Tebaldo: in fondo lei non lo conosceva davvero. E se il Capuleti le avesse mentito? No, Gemma aveva percepito sincerità nella sua confessione.

Ad un tratto Mercuzio le si avvicinò: “Siete preoccupata, lo vedo. Siete anche voi innamorata di Romeo e non posso biasimarvi”.
Gemma lo guardò: “ –anche- ?”
Il ragazzo fece un gesto con la mano, come per scacciare un mosca.
“E’ molto popolare tra le giovani nobili (e anche tra quelle meno giovani, se posso permettermi), è capace di mandarle ai suoi piedi una per una per poi dimenticarsene una volta trovato un altro bersaglio”.

Gemma lo guardava a bocca aperta: “Mercuzio, come potete parlare così di un vostro amico?”.
“Non fraintendetemi, non per questi motivi io provo meno affetto per lui. Vi sto solo aprendo gli occhi su chi veramente è Romeo Montecchi.
Quando vi ho detto che è molto egoista non scherzavo: sembra essere nato per amare ed essere amato.
 Come un cavaliere che, alla ricerca del Santo Graal, pensa di averlo trovato ad ogni coppa dorata che incontra, così Romeo cerca quella persona che gli riempia il cuore, senza però riuscirci. Appena la torcia si spegne, ecco che è pronto ad accenderne una nuova non capendo quanto la sua interiore si stia deteriorando”.
Gemma lo interruppe: “Eppure non è vero che tutte cadono ai suoi piedi, Rosalia non l’ha fatto.”
Mercuzio voltò indietro il capo verso Benvolio, più indietro, che sorrideva rincorrendo i suoi pensieri.
“Non so cosa voi sappiate ma Rosalia è stata solo un capriccio di Romeo: lui sapeva benissimo dell’amore che suo cugino provava per lei e nonostante questo ha cercato di imporsi sulla povera che, alla fine, ha dovuto rifiutarlo in modo non molto cortese”.
“State mentendo”, disse Gemma alzando la voce.
A quel punto Mercuzio si irritò: “Non mi permetterei mai di mentirvi su una cosa simile, lo capite?! Vi ho già detto quanto io tengo a lui”
“Allora perché state dicendo queste cose orribili? Non posso credere che parlate così di chi ucciderebbe per la vostra vita”.

E queste parole erano vere, tremendamente vere. Se c’era una cosa di cui Gemma non dubitava era l’affetto che Romeo provava per i suoi amici.

“Lo so benissimo questo!”, sibilò Mercuzio cercando di trattenersi dall’urlare, era furioso. “Romeo è come un fratello per me, mi ha salvato dall’oblio della mia vita e mai, ripeto, MAI potrei fare qualcosa contro di lui! Tutto quello che voglio è aiutarlo, che a fianco a lui ci fosse una persona che gli riempisse quel dannato buco che si trova al posto del cuore!”.

Adesso Gemma piangeva, sapeva che ciò che diceva Mercuzio era vero.

Prese le sue mani e intanto dentro di sé pregava, “Scusatemi, non volevo darvi del bugiardo”


-  Oh Dio, ti prego-

“Mi dispiace così tanto”, singhiozzò, “Ma non sono io quella persona che può completarlo”

- Fa che Mercuzio viva –

“Lui l’ha già trovata”

- Che Romeo e Giulietta vivano –

E sono sicura che, stavolta, troverà la sua felicità”


- E che il loro amore possa durare per sempre –

Dopo essersi calmata Gemma si disse tra sé e sé: “Non avrei mai pensato che Romeo fosse un Boccadoro”.
“Cos’è un Bocca…doro?” Chiese Mercuzio corrugando la fronte.

La ragazza lo guardò stancamente e gli spiegò: “Boccadoro è un personaggio che, piuttosto di prendere i voti, si dedicò alla ricerca di un ricordo, un volto, che lo facesse sentire pieno, lasciandosi andare ad ogni sorta di vizio e peccato; al contrario di Narciso, caro amico chierico conosciuto da adolescente, dedito al rispetto della legge divina e alla sottomissione.
Ormai anziano, Boccadoro ritorna da Narciso e, in procinto di morte, gli rivela quanto lui non si fosse pentito della scelta di vita fatta, poiché la nostra esistenza assume un valore soltanto quando la viviamo per uno scopo da raggiungere.”

Mercuzio la guardava con occhi sgranati: “Dove avete sentito questa storia?”.
Gemma ebbe un attimo di esitazione “L’ho letta… E’ una storia di un autore di tedesco, Hermann Hesse.”
Mercuzio, ovviamente, non lo conosceva: Hermann Hesse sarebbe nato 200 anni dopo.

Gemma non sapeva se facesse bene a parlare di queste figure future: era effettivamente tornata indietro nel tempo o semplicemente entrata in una storia “a sé stante” che riproduceva l’ambiente del 1600?
La ragazza temeva molto l’effetto farfalla, forse con le sue parole stava cambiando tremendamente il futuro.

L’amico di Romeo la distolse da questi pensieri: “Voi… Mi avete aperto un mondo”.
Gemma rise: “E’ il potere della letteratura”.


Arrivò il Montecchi ad interrompere la discussione: “Di cosa discorrete?”
E Mercuzio: “Oh della vostra passione per chi indossa gonna e giarrettiera”
Il viso di Gemma avvampò: Se avesse dovuto descrivere quel ragazzo in due parole avrebbe detto “onesto e volgare”, non si tratteneva infatti dal fare commenti spinti e, a volte, volutamente cattivi. Era la personificazione della gioia dell’essere fresco, giovane e, soprattutto, libero.

Il Mercuzio che la ragazza aveva davanti era l’unico che fino a quel momento rispecchiava, in un modo o nell’altro, l’immagine che lei si era creata leggendo il libro.

Romeo sembrava offeso, rispose “Mercuzio, parlando in questo modo finirete per danneggiare voi stesso.
 Devi sapere, Gemma, che questo è un gentiluomo che ama sentirsi parlare e che in un minuto dice più parole di quante ne stia a sentire in un mese!”

Gemma aprì la bocca per rispondergli ma rimase muta. Quelle parole, quelle stesse parole, le avrebbe usate Romeo il giorno dopo parlando con la Balia di Giulietta.
Così il ragazzo proseguì: “Devo prendere un’altra strada a causa di alcuni affari: Mercuzio, Benvolio, siate così gentili di accompagnare Gemma a casa mia, ci vedremo domani.” E detto questo si incamminò.

Gemma sapeva benissimo che, in realtà, si stava dirigendo al cortile dei Capuleti dove vi sarebbe stata la famosa scena del balcone.
Dopo un muto sguardo di complicità con Mercuzio, Gemma scomparve nel buio sulle orme del suo amato protagonista.

Finalmente avrebbe sentito dal vivo quei versi da lei tanto amati.
 

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Capitolo 8
*** Dignità ***


Scalare il muro di cinta del giardino dei Capuleti fu un’impresa per Gemma considerando che indossava un abito lungo: avesse avuto un paio di converse e dei jeans sarebbe stato molto più facile.
Grazie all’ausilio di piante rampicanti riuscì ad arrivare fino in cima dopodiché iniziò a scendere dalla parte opposta.
Arrivata a metà strada, però, un ramo del rampicante cedette sotto il suo peso, spezzandosi. La giovane cadde verso il basso soffocando un piccolo grido.
Si aspettò di sbattere duramente contro il suolo pietroso quando due braccia forti la colsero al volo e la salvarono dalla caduta rovinosa: era Romeo.
Imbarazzata, Gemma poggiò i piedi a terra e fece per pronunciare qualcosa quando il ragazzo le sibilò piano: “Cosa ci fai qui? Torna immediatamente a casa.”
“Romeo cosa ci fai TU qui. Questa casa è un luogo di morte per te, non capisci quanto stai rischiando? Ti prego, torniamo a casa insieme.”

Romeo sembrava non ascoltarla, giratole le spalle si accovacciò sotto ad un albero che fungeva da riparo. Sembrava in attesa di qualcosa.
Al che Gemma, quasi con disperazione, andò vicino a lui: “Non conosci nulla di questa ragazza, perché ti stai spingendo così tanto per lei? Come puoi dire che sia davvero amore quello che provi? Forse è solo una cotta passeggera.” Gemma sapeva che non era così e, in fondo, si vergognava nel pronunciare queste parole. Ma che altro avrebbe potuto fare?
E Romeo: “Sai Gemma io nella mia vita ho pensato tante volte di essermi innamorato eppure stasera, per la prima volta, ho capito davvero cosa significa provare quella passione bruciante di cui poeti come Catullo tanto decantarono. Io so che è lei l’unica persona degna di custodire il mio cuore”.

La ragazza sentì una fitta al cuore: un misto di angoscia e gelosia la pervasero e gli occhi le si inumidirono. Allora disse “Alla festa a casa tua ieri sera… hai detto di provare qualcosa di forte per una persona conosciuta da poco. Se non era Giulietta allora di chi parlavi?”

Romeo abbassò il capo: Gemma non capiva se fosse imbarazzato, sembrava si vergognasse molto e cercava di evitare il suo sguardo. Alla fine disse: “Parlavo di te, Gemma”.

Una patetica speranza si accese nel cuore della giovane, quando Romeo continuò: “Quando ieri pomeriggio ti scorsi sulla strada, sola e impaurita, non so perché ma provai una strana sensazione. Sentivo l’urgenza di aiutarti, di starti accanto, di proteggerti, nonostante tu fossi una completa sconosciuta per me. E’ un qualcosa che, inizialmente, pensavo potesse essere amore ma, dopo stasera, ho capito che non è così. Per te provo un grandissimo affetto; non mi pento di averti aiutata e di averti accolta a casa mia, sento ancora il desiderio di starti accanto ma… ecco… non come un innamorato, ma più come un fratello, un custode.”

Gemma non sapeva cosa rispondere, l’aveva spiazzata completamente. Se da un lato le sue parole la rendevano felice, dall’altro l’avevano pugnalata. Ripensò a tutte le volte che aveva riletto Romeo e Giulietta, con quanto affetto aveva accarezzato il nome di lui stampato sulle pagine, alle lacrime che aveva versato per la sua morte. Pensò che se in quel momento lei era lì era solo grazie all’amore che provava per lui; si sentì ferita e stupida, si era illusa di essere in grado di far innamorare di lei Romeo piuttosto che di Giulietta, si trovò patetica e, in un qualche modo, umiliata.

Romeo tese una­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­ mano verso di lei ma la ragazza la schiaffò via quasi senza accorgersene. Si alzò in piedi e iniziò a dirigersi verso il muro.
Le lacrime le segnavano il volto, aveva un vuoto al posto del cuore. Capì che non aveva alcun senso rimanere lì: le famose frasi della scena del balcone erano dedicate unicamente a Giulietta e lei non aveva alcun diritto di ascoltarle.

Fece per arrampicarsi quando, con voce rotta, si girò verso Romeo: “Ti ringrazio tantissimo per la sincerità con cui mi hai parlato, sappi che ti supporterò in ogni scelta e che ti devo molto perché è grazie a te e alle tue parole che sono riuscita a superare i momenti più difficili.”

Il Montecchi la guardava senza capire, ovviamente: non sarebbe mai venuto a conoscenza della solitudine della ragazza, dei suoi problemi con la madre, del vivere in un mondo così grande, impossibile da gestire, che la impauriva tanto da restringere il proprio campo a poche pagine di qualche libro. Le lacrime di Gemma traboccavano di questi sentimenti, dello stress e delle preoccupazioni che la lettrice si era ritrovata ad affrontare da quando si era catapultata nel 1600.

Romeo in quel momento la vedeva risplendere di una magica luce ambrata e i battiti del suo cuore aumentarono.
 
Gemma si riavvicinò a Romeo e, accarezzandogli i lisci capelli biondi, sorrise: “Promettimi solo che starai attento, che sarai uno scudo per Giulietta e che il vostro amore durerà in eterno”.
Le torce scoppiettavano attorno a loro, gli occhi della ragazza riflettevano le lingue di fuoco danzanti: Romeo si sentì trafitto dall’intenso sguardo di lei.
Gemma mosse un passo indietro, si asciugò le lacrime con il dorso della mano e lo salutò.

Dopodiché corse via, si arrampicò su per il muro e scomparve portandosi via tutti i colori del giardino, lasciando Romeo, solo e confuso, nel buio.
Sotto le scarpe da ballo il basolato rispondeva ad ogni passo con un tonfo sommesso. I palazzi di Verona, che di giorno mostravano un tenute color terracotta, nella notte sembrano grigi e cupi.
Gemma girovagava senza meta nei dintorni della casa Montecchi: non aveva voglia di rinchiudersi in quelle mura, farsi toccare da quelle serve e, peggio ancora, di intrattenere una discussione con la madre di Romeo; inoltre non aveva ancora pensato ad una giustificazione per il vestito sporco e sgualcito.
Era immersa nei suoi pensieri quando un canto attirò la sua attenzione; presa dalla curiosità decise di seguire quella voce la quale la portò ad un porticciolo allestito sulla sponda dell’Adige: una donna esile sedeva su un mucchio di sassi, vestiva con una semplice tunica marrone che scarsamente valorizzava le sue parti femminili, i capelli arruffati le cadevano sulle spalle donandole nel complesso un’aria trasandata.

La sua voce, però, era bellissima.

La figura non pronunciava alcuna parola, si limitava ad armonizzare diverse note fondendole insieme in un'unica malinconica melodia.

Gemma si avvicinò alla sconosciuta che, una volta averla notata, balzò immediatamente in piedi: “Perdonatemi signora, non volevo disturbare la vostra passeggiata.” Sembrava spaventata, molto.

Gemma si avvicinò ulteriormente ma quella fece un balzo all’indietro, “Vi prego, non dite a mio marito che stavo cantando, prometto che non lo farò mai più, ve lo assicuro, io…” La poverina stava tremando, Gemma, confusa, fece un passo indietro e disse tranquillamene “Non preoccupatevi, volevo solo dirvi che la vostra voce è bellissima.” La figura sembrava titubante, incominciò ad avvicinarsi alla lettrice finché non si trovò a due metri da lei.
Illuminata da un falò vicino, Gemma rimase sbigottita nel constatare che la donna era in realtà molto giovane, non superava i venticinque anni, e mostrava un pancione di 5 mesi. Quello che però la lasciò maggiormente perplessa fu il grande livido sul suo volto.
Gemma le si avvicinò cautamente, come si suole fare con i gattini randagi: “Cosa vi è successo? Chi è stato a colpirvi?” la giovane in un primo momento sembrò restìa a parlare ma poi, probabilmente per il bisogno di sfogarsi e perché mossa dalla preoccupazione che un’estranea le aveva mostrato, si lasciò cadere a terra e iniziò a piangere.
Fu così che la ragazza dalla bella voce raccontò a Gemma di chiamarsi Ida: era sposata da circa un anno con il proprietario di una panetteria, più grande di lei di molti anni ma non sapeva quanti perché non sapeva contare, inoltre non era mai andata a scuola e non aveva mai imparato a leggere.

Gemma le chiese del bambino e Ida rispose che sperava fosse un maschio: “Non vorrei mai che soffrisse le pene che ho patito io, muoio al solo pensiero.”

A queste parole Gemma si fece coraggio: “Ida quel livido te l’ha fatto tuo marito.”
Non era una domanda. Ida chinò il capo e non rispose: non confermò ma neanche negò l’affermazione; d’un tratto volse lo sguardo verso alcune barchette dondolanti: “Le donne sono una razza così sfortunata. Dio ci odia ed è per questo che non saremo mai felici.”

“Non è vero” disse Gemma guardandola negli occhi, “Le donne conquisteranno i loro diritti. Verrà un giorno in cui faranno gli stessi lavori degli uomini e verranno pagate tanto quanto loro.” Ida la guardava con occhi allucinati, ma quella continuò “Saranno libere di sposarsi o meno e, in caso affermativo, potranno scegliere da sé il loro partner. Assumeranno carichi importanti: saranno i capi di uomini sotto di lei, potranno studiare e diventare ciò che vogliono, anche presidente di uno stato! Inoltre ci saranno delle istituzioni che le proteggeranno, le salveranno dagli abusi e dai maltrattamenti da parte dei mariti.”

Le guance della ragazza dalla bella voce si erano dipinte di un tenue rossore “Gemma, come fate a crederlo davvero? Come fate ad esserne così sicura?”
“Perché lo so” rispose lei, “lo so per certo.”
“Voi… potete predire il futuro?”
Gemma le sorrise, “Oh amica mia, io SONO il futuro. “

Ida sembrò prenderlo come uno scherzo e rise a sua volta: “allora ditemi qualcos’altro sulle donne! Qualcosa che mi lascerà completamente a bocca aperta!”.
“Più di tutto quello che già vi ho detto?” Rispose Gemma divertita, “beh se ci tenete tanto… nel futuro le donne indosseranno i pantaloni!”
A questa rivelazione la giovane scoppiò a ridere forte “Questa poi! Signorina Gemma voi avete davvero troppa fantasia! Pantaloni?” e rise ancora, mostrando una dentatura storta.
Gemma la guardò con tenerezza: “Ida non tutti gli uomini sono malvagi. C’è chi apprezza la nostra natura e la difende. Un poeta scrisse
 
Per tutte le violenze consumate su di Lei,
per tutte le umiliazioni che ha subito,
 per il suo corpo che avete sfruttato,
per la sua intelligenza che avete calpestato,
per l'ignoranza in cui l'avete lasciata,
per la libertà che le avete negato,
per la bocca che le avete tappato,
 per le ali che le avete tagliato,

per tutto questo:
in piedi, Signori, davanti ad una Donna.

 
Come potete vedere c’è chi riconosce il nostro valore.”.
Ida non rideva più, la guardava con occhi lucidi e le prese la mano: “Vi ringrazio Gemma perché è merito vostro se dentro me ho trovato di nuovo la forza per continuare ad andare avanti: adesso so che se anche avrò una figlia, questa un giorno avrà a sua volta una bambina che, forse, vivrà in un mondo che non si approfitterà di lei.”

Disse queste parole e andò via, lasciando sola Gemma: lei, purtroppo, sapeva che sarebbero passate ancora tante generazioni prima che alla donna venisse riconosciuta la sua dignità.
Avrebbe voluto portare Ida con sé nel futuro: farle toccare con mano la verità che le aveva raccontato.

Tirò un lungo sospiro e si incamminò verso casa; non avrebbe mai più incontrato la giovane dalla bella voce né udito più il suo canto.

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