Changeless - Storia di un Capofazione

di Sacapuntas
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima a saltare ***
Capitolo 2: *** Il suo nome ***
Capitolo 3: *** In piedi, Jonathan! ***
Capitolo 4: *** La classifica ***
Capitolo 5: *** Acchiappa bandiera ***
Capitolo 6: *** Nelle mani del diavolo ***
Capitolo 7: *** Il Giorno delle Visite ***
Capitolo 8: *** Scenario della Paura ***
Capitolo 9: *** Non sospetteranno niente ***
Capitolo 10: *** La festa ***
Capitolo 11: *** Una macchina complicata ***
Capitolo 12: *** Ezekiel Pedrad ***
Capitolo 13: *** Il tatuaggio di Elizabeth ***
Capitolo 14: *** Riunione di famiglia ***
Capitolo 15: *** Che vi piaccia o no ***
Capitolo 16: *** L'esca ***
Capitolo 17: *** Pulviscolo ***
Capitolo 18: *** Il clown triste ***
Capitolo 19: *** Lo spettacolo è finito ***



Capitolo 1
*** Prima a saltare ***


Capitolo 1 - Prima a saltare




"Abbiamo appena saltato, volete farci saltare di nuovo?"

Una voce maschile si solleva dalla piccola folla di iniziati alle mie spalle. Qui, sul cornicione che sovrasta l'entrata della Fazione degli Intrepidi, il tempo sembra fermarsi. Ogni singolo rumore che mi circonda svanisce, sovrastato dal fresco vento primaverile che fende l'aria e fa schioccare le parti più larghe del mio vestiario. Mi ritrovo a fissare il baratro ai miei piedi. Poveri imbecilli, posso sentire la paura crescere in loro, mentre si chiedono cosa ci possa essere alla fine di questo pozzo apparentemente senza fondo. Non posso fare a meno di ricordare che io, un anno prima, non avevo paura. Certo, mi aveva spiazzato l'idea di saltare nel vuoto, un salto di almeno trenta metri, ma almeno non ho fatto la figura del pisciasotto come Quattro, che era così irrigidito dal terrore che ha saltato per ultimo. Lui sì che aveva paura, ma io no. Eric Coulter non ha paura di nulla. Abbozzo un sorriso, provocato da quel ricordo che adesso sembra così lontano.

Mi volto, facendo attenzione a non perdere l'equilibrio. Una risata mi gorgoglia in gola nel vedere le facce pallide dei ragazzi di fronte a me. La maggior parte di loro, oltre agli iniziati interni -quelli nati fra gli Intrepidi-, sono sempre Eruditi, o Candidi. Immagino che la vita in quelle Fazioni continui ad essere davvero noiosa, tutte quelle regole, tutte quelle restrizioni... E so di cosa parlo. Ricordo che nella mia ex-fazione mi sentivo un pesce fuor d'acqua, come se fossi intrappolato in quei vestiti azzurri e non avessi la possibilità di uscirne. Il giorno della Cerimonia della Scelta, rammento, mi sentivo un Eric nuovo, più libero, finalmente padrone di se stesso. Il ragazzo che ha parlato ora si nasconde dietro una ragazza bassa e magra, che a stento riesce a coprire la sua figura tozza e imponente. Mi soffermo pochi istanti sul volto dell'iniziata e aggrotto la fronte. È l'unica, fra la trentina di iniziati, ad avere uno sguardo fermo, preparato. Subito mi concentro sui suoi vestiti e riconosco subito, dai pantaloni neri e dalla camicia bianca, che appartiene alla Fazione dei Candidi. I capelli mossi le ricadono lunghi sulle spalle, e sembra che il vento sia così intimorito dal suo sguardo da non azzardarsi a smuoverli. Ha la faccia piccola, e i lineamenti del viso troppo morbidi, per uno sguardo così tagliente.

"Io sono Eric, uno dei vostri Capifazione" mi presento, spostando controvoglia lo sguardo da lei "Se volete essere dei veri Intrepidi, questa è l'entrata. E se non avete il coraggio di saltare... Be', allora non appartenete a questa Fazione"
"Cosa c'è alla fine?" chiede un ragazzo alto dalla pelle scura, un Erudito, "Tipo... Qualcuno è pronto a prenderci o ci schianteremo?"
"Forse. O forse no" sfioro l'iniziata Candida con lo sguardo, è rimasta impassibile "In ogni caso, qualcuno deve saltare per primo. Chi sarà il coraggioso?"

Un silenzio di tomba cala fra gli iniziati, perfino quelli interni ammutoliscono. Tutto il chiacchericcio incessante di pochi secondi fa si è annullato, ora c'è chi guarda a terra imbarazzato, e chi studia le facce degli altri aspettandosi una reazione. Non c'è da sorprendersi, nessuno è così stupido da offrirsi volontario e saltellare allegramente fino al cornicione; anzi, forse è la tensione a precedere il salto che rende il mio lavoro da Capofazione così interessante e appagante. Quando io ero fra gli iniziati, e un altro Capofazione era al mio posto sul cornicione, io ero uno dei pochi a guardare dritto davanti a me. Non mi interessavano le facce degli altri, io studiavo la situazione e forse mi sarei proposto, se quel pagliaccio di Zeke non si fosse staccato dalla folla per mettersi in mostra e saltare per primo -poi, com'era giusto che fosse, la sua entrata trionfale è stata rovinata da una patetica caduta dovuta a una mancanza di equilibrio-. Il ragazzo di colore Erudito è uno di quelli che guarda a terra, mentre il primo a parlare è ancora nascosto dietro la piccola Candida. Sposto lo sguardo sugli iniziati interni. Hanno quasi tutti piercing, i capelli dei colori più strambi, i vestiti neri e quasi minacciosi, ma ora il loro comportamento spavaldo e i loro sorrisi sfacciati sono spariti, lavati via dalla paura. Mi giro a sinistra, e guardo dall'alto gli altri Capifazione che mi fissano divertiti, so a cosa stanno pensando. Sono patetici. Ma non mi sento di dare loro ragione. Sarebbe patetico se qualcuno, come Ezekiel, facesse di tutto per mettersi in mostra e sbandierare un coraggio che non hanno. La loro sarebbe determinazione passeggera. Il coraggio e la determinazione sono due cose completamente diverse.

"Vado io" una voce profonda, ma allo stesso tempo delicata, si fa spazio nella calca. Vedo l'espressione dei leader mutare quando la piccola Candida si stacca dalla folla come un uccello che lascia il nido. Ha le gambe corte, ma il passo sicuro di chi sa cosa lo aspetta. Solo ora la chioma bruna si muove, con un movimento simile alle onde del mare. Qualcuno fa dei commenti, mentre gli iniziati interni ridacchiano e la fissano di sottecchi. La guardo. Sembra così difficile da smuovere che subito mi ritrovo a chiedermi cosa diavolo ci possa essere nel suo scenario della paura, cos'è che può mai terrorizzare la Prima a Saltare? Con un salto scendo dal cornicione e, con un gesto teatrale, mi sposto per farle spazio. Ora che è abbastanza vicina da sentire il suo odore, mi accorgo che ha un profumo pungente, che non sono sicuro mi piaccia. Quando passa, i suoi occhi si posano sui miei, sfiorandomi come le ali di una falena. Ha gli occhi grandi, che però non riescono a contenere tutte le sfumature di marrone delle sue iridi. Potrebbe anche sembrare minacciosa, se fosse più alta. Non può superare il metro e sessanta. Ma allora come fa a mettere così in soggezione solo con lo sguardo?

I Candidi non sono particolarmente temerari, infatti la maggior parte di loro non supera l'iniziazione, e finisce per essere un Escluso. Lei mi incuriosisce, non solo perchè è una trasfazione, ma perchè la sua voce si è erta senza esitazione da una folla silenziosa. Ora che è sul cornicione, ha lo sguardo meno fermo, ma non meno sicuro. È determinata, ma ha il coraggio di saltare nel vuoto più totale? 
Sicuramente non ha paura del buio, penso, altrimenti non si fionderebbe in una voragine scura come questa.
Mi volto, fingendo indifferenza, per guardare il ragazzo grande e grosso che fino a poco prima si nascondeva dietro di lei, anch'egli un Candido. Non riesco a non dargli torto, la sola postura dell'iniziata trasmette coraggio e fermezza. Mi chiedo come i due possano essere amici, ammesso che una ragazza come lei abbia degli amici. I Candidi non hanno la fama di essere persone socievoli. La Candida guarda giù, e mi sembra di scorgere uno spasmo nella sua mascella serrata. Ha paura? No, è solo intimorita.

"Occhio a non scompigliarti i capelli, principessa!" urla un ragazzo alto ma snello, un Intrepido dai capelli biondi e una miriade di piercing all'orecchio sinistro, che provoca l'ilarità di tutti, specialmente fra gli iniziati interni. Attraversato da un insano spirito protettivo nei confronti della ragazza, mi preparo a rispondergli, ma un rumore sordo alle mie spalle mi fa voltare di scatto. È già saltata?, mi chiedo in preda alla sopresa. No, l'iniziata è ancora lì, e il rumore che ho sentito poco prima era quello delle sue scarpe sul cornicione, quando si era girata per guardare in faccia l'Intrepido. Il suo volto ora è completamente diverso, le sue sopracciglia sottili sono inarcate all'insù e le sue labbra -prima serrate in un'espressione severa- sono schiuse in un sorriso di scherno. Posso avvertire la sicurezza che le corre delle vene solo dal suo sguardo, ora fisso sull'iniziato che l'ha derisa.

"Mi dispiace" dice lei, la voce ferma che tradisce un certo divertimento "Non mi ero resa conto che volessi saltare tu per primo!"

Trattengo una risata. Non potrebbe essere che una Candida, con una lingua così tagliente. Gli inziati ridono e quelli interni si piegano e battono le mani, dando pacche sulle spalle all'Intrepido vittima della frecciatina, che ora ha la faccia completamente rossa e lo sguardo in fiamme. La Capofazione accanto a me sibila inspirando l'aria fredda, alludendo al sarcasmo della ragazza, pungente come il suo profumo. Una Pacifica -l'unica, a quanto vedo- dalla struttura corpacciuta e dai capelli color rame, la guarda con ammirazione, la bocca semi aperta piegata in un sorriso timido. Per paura di avere un'espressione simile, distolgo lo sguardo dalla Candida e mi concentro sul ragazzo.

"Vuoi saltare tu per primo?" continua imperterrita lei, vedendo che l'Intrepido si era rimpicciolito per la vergogna. Il ragazzo dai riccioli biondi non si muove, le braccia incrociate sul petto e gli occhi verdi fissi sulla piccola Candida, che ora staziona con una posa trionfante sul cornicione dell'edificio. I suoi compagni ridono ancora più rumorosamente all'ennesima provocazione, ed in me nasce la paura per l'incolumita della ragazza dalla battuta sempre pronta. Mi guarda ed io le faccio un cenno con la testa, invitandola a saltare e mettere fine a quella discussione. Mi fa molto strano ammettere che, da qualche parte, cresce in me la stima nei suoi confronti. È piccola, esile, potrebbe benissimo essere presa di mira e, in quel caso, non durerebbe neanche un istante, non in questa Fazione. Ho quasi la certezza, in realtà, che quell'Intrepido si vendicherà non appena ne avrà l'occasione, probabilmente in un incontro corpo a corpo durante l'iniziazione.

Le mie labbra si storcono involontariamente in una smorfia, non voglio che accada. Non perchè mi piaccia lei, ovviamente, ma perchè ho come l'impressione che il suo unico punto forte siano le parole, non la lotta. Me la immagino già, tremolante sul ring, con quei suoi occhi scuri spalancati, pieni di paura, mentre solleva senza convinzione gli avambracci, scimmiottando un'improbabile posizione di difesa. E in un batter d'occhio la vedo a terra in posizione fetale, il viso tumefatto per i troppi colpi e il sangue che le gorgoglia in gola. Poi alzo lo sguardo, e vedo la sua espressione irremovibile, così diversa da quella dei miei pensieri. 
Sento che qualcuno fra gli iniziati sussulta. La piccola Candida si lancia in avanti e l'unico suono che esce dalla sua bocca è un gridolino sommesso che solo io, probabilmente, sento in quanto il più vicino. Dovrei essere spaventato da un gesto così rapido, così deciso, ma rimango immobile, so che sul fondo della voragine ci sarà una rete ad accogliere il corpo della Candida in tutta la sua piccolezza. Ora mi rendo conto, lei ha sia coraggio che determinazione.
E subito la curiosità mi brucia dentro, ardente come le fiamme che simboleggiano la Fazione degli Intrepidi.
Voglio sapere il suo nome, e lo voglio sentir dire da lei, che non ha ancora idea dell'audacia che sprigionerà una volta pronunciato.
Voglio sapere il nome della Prima a Saltare.




Angolo dell'autrice:

Ciao a tutti! Non so mai cosa scrivere in questo
angolo, quindi sarò breve dicendo che sono
davvero contenta di poter scrivere questa
fanfiction, essendo innamorata della serie e dei libri.
La fanfic è ambientata un anno dopo l'iniziazione di 
Eric e Quattro, un anno prima l'arrivo di Tris.
Il personaggio di Eric mi ha colpito sin da subito,
specialmente nei film, per questo motivo ho deciso
che mi troverei più a mio agio a descrivere questo
Eric come quello interpretato da Jai Courtney nel
franchise.
Vi auguro una buona lettura e spero che siate entusiasti
almeno la metà di quanto lo sono io!
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** Il suo nome ***


Capitolo 2 - Il suo nome






Una volta saltati tutti gli inziati -l'ultima era la boffice Pacifica dai capelli ramati- mi affretto a seguirli, la curiosità che ancora divampa nel mio stomaco. Mi do lo slancio dal cornicione e cado nella voragine. Chissà cos'ha provato lei, quando ha sentito l'aria scombinarle con veemenza i capelli, quando ad un tratto non ha più sentito il terreno sotto i piedi e si è librata in aria con agilità. Mi chiedo se abbia avuto paura, d'altronde non aveva la più pallida idea di che cosa la aspettasse sul fondo. E se avesse pensato che sarebbe morta? Che fosse soltanto una prova per vedere se ci fosse qualcuno di così spericolato da gettarsi nel vuoto a capofitto? Forse avrà pensato, dopo vari secondi immersa nel buio di questo pozzo oscuro, "È fatta, non c'è nulla alla fine" e le sarà passata la vita in avanti, la sua ex-Fazione, la sua famiglia, finchè i suoi ricordi non sono stati smorzati dal brusco impatto con la rete. Si sarà spaventata? Avrà riso della pericolosità della sua azione? Io no, non risi per niente. Rimasi immobile e dolorante, mentre le mani callose di Max si tendevano verso di me. Rifiutai il suo aiuto, ricordo, e con un grugnito mi sollevai da solo e atterrai sulla pedana di legno. Penso che Max ce l'abbia ancora con me per lo sguardo truce che gli lanciai dopo.

Colpisco la rete senza emettere un gemito. Mi sollevo sui gomiti e mi guardo intorno, Quattro e Lauren stanno sparendo dietro un angolo del tunnel che conduce al Pozzo, seguiti dagli iniziati. Il fantasma delle loro grida di esultanza rieccheggia da una parete rocciosa all'altra, mentre i loro passi risuonano in lontananza. Vedremo se saranno così felici, quando comincerà il primo modulo di addestramento. Atterro con un tonfo sulla pedana, sollevando una nuvoletta di povere. Li seguo a distanza di sicurezza, frenando il desiderio di dare qualche pacca sulla spalla agli iniziati. Non posso mostrarmi così flessibile già il primo giorno, devono imparare ad essere coraggiosi. Non compatiti. E neanche gratificati. Devono essere modellati in uno stampo duro come il pavimento di pietra che sto calpestando in questo momento. Devono diventare impassibili, forti. Intrepidi.
Di spalle, ora che non sono più concentrato sui loro volti terrorizzati, riconosco meglio i loro vestiti, anche se la luce azzurrognola proveniente da piccole lampadine ai lati delle pareti mi ostacola la vista. Riesco comunque a indentificare il gruppo di iniziati nella sua complessità. Ci sono sedici interni -ci sono solo due ragazze fra di loro-, che ora si stanno sussurrando qualcosa  di divertente, perchè ridono e si portano le mani alla bocca per soffocare il loro divertimento. Cinque Eruditi, uno dei quali il ragazzo alto dalla pelle scura, tutti maschi. Due Candidi, il fifone alto e dalle spalle larghe, i capelli corti e neri che continua a lanciare occhiate preoccupate al gruppo di interni e lei, la Prima a Saltare che sta ora consolando la Pacifica, accarezzandole la spalla con una mano piccola ma decisa. Se la sta tranquillizzando, penso, starà mentendo. Una Pacifica, per di più con quella corporatura, sarà sbalzata fuori dalla Fazione in un istante. Ma i Candidi non mentono, non possono mentire, non è nella loro natura. I suoi capelli le arrivano a metà schiena, e quando gira lo sguardo per curiosare intorno, ondeggiano con un ritmo ipnotizzante simile corpo sinuoso di un serpente.

Sono così preso a scrutarla con indiscrezione, che non mi accorgo che il Candido accanto a lei mi sta fissando. Si piega per sussurrarle qualcosa all'orecchio -la supera di almeno trenta centimetri-, senza staccarmi gli occhi tremolanti di dosso. Vorrei distogliere lo sguardo, ma sono troppo curioso di sapere che effetto le fa sapere che è costantemente osservata, squadrata, studiata. Come previsto, lei si volta, e nel momento in cui lo fa i suoi capelli fluttuano al di sopra della sua spalla destra per poi ricaderle morbidi sulla clavicola. Non ho paura del suo sguardo, non è una gelida Candida come gli altri. Lei ha un lato scherzoso, sarcastico. Lei è come me, come tante altre persone, ed io non ho paura di nessuno. Ora che la sua testa è leggermente voltata verso di me, i suoi occhi sembrano quasi vivaci, ma le sopracciglia sono aggrottate, dando al suo sguardo un'espressione infastidita. Lo sostengo finchè il Candido accanto a lei non le prende il gomito e le mormora qualcosa, lei lo sfiora con lo sguardo per un istante, prima di guardarmi ancora. Roteo gli occhi al cielo e concentro la mia attenzione a ciò che succede davanti a me, come se lei non mi avesse mai guardato.


                                                                                                                ****

"Ci sono due moduli di addestramento. Il primo è fisico, spingerete il corpo fino al punto di rottura e imparerete a combattere."

Sono appoggiato alla parete del Pozzo mentre Quattro spiega agli iniziati ciò a cui dovranno andare incontro. Ora non sono più una mescolanza di azzurro, bianco e arancione. Ora sono tutti una tavolozza nera e rossa, il tema degli intrepidi. Sembrano già più sicuri di se stessi, con quegli indumenti di pelle addosso. Tranne il Candido. Si chiama Samuel, lo so perchè lui e la Pacifica -il suo nome è Alice, a quanto pare- si sono presentati in mensa poco prima, mentre la Candida mangiava silenziosamente il suo hamburger, lo sguardo basso sul piatto, le spalle ingobbite. Ogni tanto lanciava occhiate furtive verso il tavolo degli Intrepidi interni. A quel tavolo, Jonathan si esibiva in improbabili mosse di una disciplina inesistente, ondeggiando il coltello che teneva stretto nella mano sinistra. Vorrei sbagliarmi, ma sono quasi convinto che nel suo sguardo ci fosse tensione.
Quattro cammina avanti e indietro davanti agli iniziati, ora posti in fila. In questo schieramento, noto con più facilità -e con più piacere- che sono quasi tutti alti e poderosi, imponenti, persino la Pacifica -sul metro e settanta, poco meno-, che ora sembra più tranquilla.

"Il secondo è mentale, anche qui fino al punto di rottura. Affronterete le vostre paure e le vincerete, se loro non vinceranno voi. Ricordate che verrete addestrati separatamente dai figli degli Intrepidi, ma verrete valutati insieme. Dopo la valutazione, la classifica determinerà a quale lavoro passerete: comando, guardia della recinzione o servizio di sorveglianza degli Esclusi." recita Quattro, ho il sospetto che abbia imparato il discorso a memoria.
"Determinerà anche chi verrà eliminato" aggiungo, staccandomi dal muro e affiancandolo "Alla fine di ogni modulo gli iniziati più bassi in classifica ci abbandoneranno. Le vostre famiglie non vi riprenderanno, quindi... Diventerete Esclusi" concludo con un finto tono dispiaciuto.

Qualcuno borbotta in segno di protesta, ma nessuno osa aprire bocca. Scruto le espressioni perplesse degli iniziati, e ne sono talmente soddisfatto che mi scappa una risata dal naso, che assomiglia più a un sospiro che a una vera e propria manifestazione di divertimento. La Pacifica da una piccola sberla al braccio di Samuel, che sussulta e la fissa con curiosità. Alice gli farfuglia qualcosa e, dall'espressione infastidita del Candido dopo avermi rivolto un'occhiata veloce, capisco che stanno parlando di me. Stanno parlando male di me, mi correggo. Faccio vagare lo sguardo fino a trovare la piccola figura della Candida ancora-senza-nome, ma lei si sta guardando in giro con discrezione. Sta studiando le corporature dei suoi compagni di addestramento e i suoi occhi vacillano un istante quando si posano sull'Intrepido che aveva preso di mira sul cornicione. Da come gli interni gridavano in mensa, accogliendolo al loro tavolo, mi era parso di sentire il suo nome: Jonathan. Ora è sicuro, teme un incontro corpo a corpo contro di lui.
Sei tu a decidere, mi ricorda una voce nella mia testa, sei tu che accoppi gli sfidanti. Faccio come la Candida ed esamino attentamente gli altri iniziati, finchè il mio sguardo non si blocca sul ragazzo di colore Erudito. È alto, ha le spalle larghe, la corporatura possente. Potrebbe farcela. Ce la farà.
Combatterà contro Jonathan.

                                                                                                                ****

Ci metto un po' a scoprire il nome dell'Erudito, ma alla fine Quattro, cedendo al mio tono insistente, me lo rivela. Il suo nome da Erudito, prima di saltare, era Andrew Blackmount, ora solo Blackmount. "Carino", gli rispondo con indifferenza, fissando gli iniziati che si allenano correndo e tirando pugni ai pesanti sacchi da boxe. È un soprannome azzeccato, ridicolo, ma azzeccato, aggiungo dentro di me. Effettivamente, Andrew, con la sua corporatura massiccia e imponente, sembra proprio una Montagna Nera. Jonathan -non ho idea del suo cognome, non mi interessa neanche- sta tirando dei calci con la gamba sinistra al sacco, facendolo oscillare leggermente. Devo ammettere di essere leggermente sorpreso, sembra così esile, come se con una pacca potessi spezzargli la schiena, che quando tira un gancio al sacco, mi aspetto che stramazzi a terra con la mano rotta. Invece il bersaglio oscilla ancora più visibilmente. Nonostante ciò, Blackmount -è davvero strano chiamarlo così- lo supera di una decina di centimetri ed ha una corporatura molto più robusta.

I sacchi sono tutti allineati in fila, solo pochi iniziati -una decina circa- li stanno colpendo, gli altri hanno preferito correre per riscaldarsi. Tra questi ci sono l'Intrepido, l'Erudito, sei interni e la coppia di Candidi. Mi chiedo, involontariamente, se siano fratelli, perchè hanno entrambi i capelli scuri e gli occhi grandi.
La piccola Candida è la più bassa fra tutti -e anche l'unica ragazza-, e il suo volto si deforma in una smorfia di dolore ogni volta che tira un pugno al sacco. Sta sbagliando tecnica, è troppo rigida e a tratti anche troppo rilassata. La vedo studiare una posizione adatta, e si prepara per tirare un altro destro, ma i suoi occhi, prima incastonati in un'espressione severa, si aprono di più lasciando spazio ad uno sguardo esausto. Abbandona il braccio con cui stava per colpire sul sacco da boxe, il sinistro rilassato lungo il fianco, e appoggia la fronte sull'avambraccio destro. È stremata, non è adatta a sforzi fisici.
Samuel, dopo aver tirato un possente pugno -anche lui non deve essere male col combattimento, nonostante la sua indole timida- si volta verso destra e la sua espressione si addolcisce, le labbra storte in una smorfia comprensiva. Sta per avvicinarsi a lei, quando sento qualcuno gridare in loro direzione. Riconosco la voce stridula, è Jonathan.
Non mi rendo conto che ha pronunciato il suo nome perchè la Candida non cede alla provocazione dell'iniziato Intrepido, restando, ansimante, appoggiata al sacco, che non si sposta neanche sotto il suo peso.

"Ehi, Elizabeth!" grida lui, trascinando le parole, prolungando il suo nome come se fosse un insulto. Finalmente lei alza il capo, fissandolo con disprezzo mentre lui cerca di attirare la sua attenzione sventolando i braccio sinistro per aria. Ora che so il suo nome, la osservo, quasi sorpreso. Ha i lunghi capelli raccolti in una treccia che la fa sembrare ancora più piccola, una bambina, quasi, ma quando si volta verso Jonathan, ha uno sguardo minaccioso. Nessuna bambina ha degli occhi così espressivi.

Elizabeth. È così che si chiama la Prima a Saltare. Sono così fiero del fatto che non l'abbia cambiato, come Andrew, perchè ora so qual è il nome di origine che racchiude tutto quel coraggio, qual è il nome che le hanno dato i suoi genitori, senza sapere che sarebbe stata, un giorno, così impavida da affrontare quel salto nel vuoto. E ora sono anche sicuro che lei lo sappia. Lei sa che il suo nome, quest'anno, rimbomberà potente nei tunnel sotterranei di questa Fazione. Lo deve aver capito quando l'hanno accolta con schiamazzi e complimenti. "Prima a Saltare, Elizabeth!" avrà urlato Quattro, e lei, in quel preciso istante, si sarà sentita persino più forte di lui.
Elizabeth liquida Jonathan con un gesto della mano e torna al suo sacco da boxe, i suoi pugni, ora, sono di una forza strabiliante. La vedo che divampa, dietro i suoi occhi, la rabbia e la determinazione. Sono quasi convinto che stia immaginando di picchiare Jonathan, invece di un bersaglio pieno di sabbia.

"Sarai la Prima a Saltare anche dallo Strapiombo? Ironico! Finirai in fondo alla classifica e anche in fondo al dirupo!" grida l'intrepido, portandosi le mani alla bocca formando un megafono, in modo da far sentire a tutti quanti la sua provocazione. Ci è riuscito, perchè tutti hanno smesso di picchiare i loro sacchi, gli unici che si muovono sono gli iniziati che stanno correndo, ignari della tensione che sta serpeggiando fra di loro. Gli interni ridono e sento l'autostima di Jonathan crescere a dismisura, alimentata dalle risate roche dei suoi compagni. Gli altri, invece, fanno saettare lo sguardo da Elizabeth all'Intrepido, che ora la sta guardando con le sopracciglia chiare alzate. Guardo lei, la rabbia le sta montando dentro, ma la cela dietro un'espressione calcolatrice. Sfioro Quattro con lo sguardo, lui ricambia e alza le spalle come a dire "Non sono cose che mi riguardano". Certo che no, Eaton, tu non sei nei panni di Elizabeth, un nano da giardino circondato da giganti vestiti in nero.
La Candida si stacca dal sacco e cammina svelta verso Jonathan. Samuel, appena nota il suo movimento, farfuglia il suo nome e la blocca cingendole la vita con un braccio. Elizabeth gli rivolge un'occhiata furiosa -l'unica emozione che trapela dai suoi occhi quasi impassibili- e gli sibila qualcosa. Avverto Samuel, alto e possente, rimpicciolire sotto il suo sguardo. La ragazza si dirige di nuovo verso l'Intrepido, che ora volta lo sguardo con aria di superiorità, le braccia incrociate sul petto e la gambe divaricate, cercando appoggio da parte dei suoi compagni. Gli interni fischiano e biascicano un "uuhhh" di divertita sopresa quando Elizabeth è a poco meno di cinque metri da Jonathan. Lei li ignora, e si avvicina ancora di più.
"Sai cosa sta per fare, vero?" mi chiede Quattro, quasi annoiato, ma con un pizzico di curiosità nella voce che non riesce a nascondere.
"Sì" rispondo mentre mi stacco dal muro e mi avvicino agli iniziati "Lo sta per sfidare."





Angolo dell'autrice:
Buonasera -o buongiorno- a tutti! Approfitto di questo
spazio per ringraziare chiunque abbia visualizzato questa
fanfiction, e ringrazio in anticipo chi recensirà!

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Capitolo 3
*** In piedi, Jonathan! ***


Capitolo 3 - In piedi, Jonathan!





Mi avvicino con grandi falcate, ma Quattro non sembra intenzionato a seguirmi. Un pensiero si insinua nella mia testa, silenzioso e infido, senza che io lo voglia. Una volta arrivato lì, cosa dirò? Io sono Eric, il Capofazione spietato, nessuno mi prenderebbe sul serio se cercassi di mettere fine ad una rissa. Di solito è Quattro che fa quel genere di cose, per questo lui è considerato più accomodante. Penso che, per come mi vedono gli iniziati, si aspetterebbero che io mi piazzassi di fronte a loro e li spronassi a darsele di santa ragione. Ma io non voglio farlo, non adesso, almeno. Ma perchè lo stai facendo? Mi chiede una voce che solo io riesco ad udire. Lo sto facendo perchè non voglio che, sotto la mia custodia, gli iniziati si lancino in lotte clandestine. Stai mentendo. Non sto mentendo.
Ormai sono a due metri dai due sfidanti improvvisati, che sono uno di fronte all'altro, nessuno dei due osa dire qualcosa. Sposto lo sguardo, fissandolo prima su Jonathan, poi sulla piccola Candida che sembrerebbe voler incendiare il suo avversario con la forza della mente. Coraggio e determinazione sono due cose diverse. E negli occhi di Elizabeth, in questo momento, c'è solo coraggio. Perderà.
Non lo deve fare, o si ritroverà con la faccia gonfia e ingoiera il suo stesso sangue, come nella visione che ho avuto la prima volta che l'ho vista. Ora che sono così vicino, la mia mente lavora velocemente per formulare una frase in un tono non supplichevole, ma allo stesso tempo convincente. Jonathan non deve combattere. Non adesso, non contro Elizabeth. Appena si rendono conto della mia presenza, i due sfidanti hanno reazioni diverse. L'Intrepido sorride e allarga le braccia, chiamando il mio nome a voce alta come se fossi un amico che consce da tempo, mormora anche qualcos'altro, ma io sono concentrato sulla Candida, che non ha spostato lo sguardo per dedicarlo a me, e ora studia da capo a piedi in suo avversario. Ritorno a guardare Jonathan e faccio di tutto per assumere un'espressione gelida ma divertita, noncurante.

"Per quanto mi piacerebbe vedervi combattere, sempre ammesso che fra voi due ci possa essere, un combattimento..." comincio, l'Intrepido guarda con superiorità la ragazzina che ha di fronte. Ora anche il suo sguardo si sposta pigramente su di me, ed io vorrei solo fermarmi per assaporare la sua espressione offesa, ma controllata "Non potete combattere senza precauzioni, e di sicuro non se non siete sul ring. Vi suggerisco di..."
"E allora annuncia il combattimento" mi ero dimenticato quanto la voce della Candida fosse decisa. Gli interni sussultano e farfugliano qualcosa che non riesco a sentire, perchè sono paralizzato dalla sua risposta. "Sempre se il qui presente bagnabraghe non abbia paura di prenderle da una Candida."

Merda.
È l'unica cosa che la voce nella mia testa riesce a dire, ed io mi ritrovo a darle ragione. Non doveva andare così, Jonathan doveva prenderle da Blackmount, non darle a Elizabeth. Un interno si porta le mani alla bocca, formando un megafono per farsi sentire dai più lontani. "Venite, stanno per combattere!" urla, e tutti gli iniziati si fermano e si guardano con aria confusa. Gli interni acclamano il loro leader -Jonathan, a quanto sembra, pare occupare questa posizione fra loro-, ed il ragazzo alza il pugno sinistro esaltato. Non doveva andare così. Guardo Andrew -o Blackmount, dannazione-, che ha la fronte corrugata sugli occhi scuri, in un'espressione pensierosa e preoccupata. Mi ritrovo immobile, a pochi metri da loro due, mi sforzo di non mutare espressione e mantengo il mio sguardo indifferente. Vorrei poter dire qualcosa, urlare di fermarsi. Ma un altro pensiero serpeggia nella mia mente. Potrebbe essere divertente, o quantomeno le servirà da lezione. Parlo di Elizabeth, ovviamente, deve imparare a tenere la bocca chiusa e lo sguardo fisso sul suo sacco da boxe. Paradossalmente, mi sento male ad aver pensato una cosa simile. Quattro si è ora avvicinato e mi affianca, le braccia conserte e l'espressione seria di chi non sa cosa aspettarsi.

La piccola folla degli iniziati si è raggruppata attorno al campo da combattimento, una piattaforma sopraelevata coperta da uno spesso strato di polvere di gesso. Jonathan è il primo a salire sul ring, il sorriso beffardo, e alza le braccia, guardandosi intorno. Gli interni gridano il suo nome all'unisono, motivandolo e incitandolo a dare del suo meglio. O del suo peggio. "Jonathan! Jonathan! Jonathan!" strillano in un coro che di umano ha ben poco. Scuoto la testa, mentre Quattro annuisce. Stiamo pensando la stessa cosa, ovvero che è patetico. Sul lato destro del ring, ancora sul pavimento della palestra, c'è Samuel che sta trattenendo per un braccio la Candida, che lo fissa impassibile. Gli sta sibilando qualcosa, è arrabbiato. E anche preoccupato. Lo sarei anch'io, se una parte di me non fosse così curiosa dell'esito finale dello scontro. Lei si libera dalla sua stretta con un violento strattone e la sua unica risposta è uno sguardo ammonitore. Simpatico, penso, si sta preoccupando più lui, che la diretta interessata.
La calca urlante ammutolisce quando è il turno di Elizabeth di salire sul ring, l'andatura sciolta, sicura, proprio come è lei. Qualcuno fischia, ma lei lo ignora. Nei suoi occhi non c'è più paura, non c'è più quella luce tremolante che aveva in mensa. Nei suoi occhi c'è qualcosa che prima non c'era. Determinazione. Ed è in quel momento che Elizabeth mi ricorda uno di quei grandi felini. Sotto la luce bianca che sovrasta il ring, la sua chioma scura si abbellisce di qualche sfumatura di rosso, e sembra che i suoi grandi occhi non siano rivolti a nessun altro, se non a Jonathan, in una grande esplosione di marrone e bordeaux.

"Ritirati, ti conviene" la avverte lo sfidante Intrepido, alzando gli avambracci in posizione di difesa, lei fa lo stesso. Gli iniziati intorno a lui ridono. "Perchè ridurrò il tuo corpicino in poltiglia"
"Guarda il lato positivo, Jonathan" risponde, alzando un sopracciglio "È l'unico modo che hai per toccare il corpo di una ragazza."

Mi sarei sorpreso soltanto se Elizabeth non avesse fatto una battuta del genere. L'angolo della bocca di Quattro ha un guizzo, mentre tutti gli iniziati urlano, esaltati dalla risposta tagliente della Candida. Sa dove colpire, con le parole, ma dubito che sarà tanto brava con i pugni. Il momento che precede la prima mossa è il più emozionante, quel momento di tensione durante il quale gli sfidanti si girano intorno, studiando i movimenti del corpo dell'altro. Mi rendo conto che Jonathan la guarda e basta, Elizabeth lo osserva. C'è una differenza abissale fra le due cose. Rinasce in me lo spirito sadico che hanno sempre criticato, voglio vedere questo scontro, voglio che si facciano male, voglio scoprire chi rimarrà in piedi. Poi però ripenso al sacco da boxe, alla sua immobilità sotto i colpi della ragazza Candida, e mi ritrovo ancora una volta ad osservare la sua corporatura. Jonathan non è molto alto, probabilmente la Pacifica è alta quanto lui -se non poco di meno-, se Elizabeth lo colpisse alle gambe e lo facesse cadere potrebbe approfittare del suo momento di smarrimento per assestargli un calcio al fianco, e sarebbe già un enorme traguardo per lei, per guadagnarsi il rispetto che, lo vedo dai suoi occhi, tanto brama.
E all'improvviso sono impaziente, impaziente di vedere qualcuno sanguinare copiosamente, e forse voglio che sia proprio Elizabeth. O forse dovrei solo spegnere i pensieri e osservare il guizzo che ha il braccio sinistro di Jonathan, che si lancia in avanti per tirarle in pugno in piena faccia. La folla sussulta e gli interni schiamazzano, vedo il volto di Alice e di Samuel che perdono colore. Un sorriso mi si allarga sulle labbra, sto per avere la mia tanto attesa violenza.
Poi spalanco gli occhi, perchè Elizabeth non è più al suo posto, ma alle spalle del suo avversario. Il suo movimento è stato così agile che non ho visto neanche la sua treccia muoversi. Guardo Quattro di sottecchi, anche lui è impressionato, ma non vuole darlo a vedere. Con una forza e una precisione che non le avrei mai attribuito, la piccola Candida alza la gamba destra e colpisce la schiena di Jonathan, che si lascia sfuggire un grugnito di dolore e barcolla in avanti.
Sì, Elizabeth ha entrambi, coraggio e determinazione.

L'Intrepido si volta, furioso, i riccioli biondi gli ricadono sulla fronte sudata e la sua espressione strafottente ha lasciato spazio al volto della rabbia, vuole farla a pezzi, lo sento. Lo sentono tutti. Improvvisamente l'atmosfera si fa pesante, in questa palestra, e tutti capiscono che non è più un gioco, che non è più una sfida lanciata tanto per, ora tutti capiscono che il primo modulo dell'iniziazione è cominciato, e la classifica sta per accogliere i suoi nuovi partecipanti. Hanno tutti capito che ormai per Jonathan è una questione di orgoglio, per Elizabeth, invece... Non è nulla. Gli interni hanno le bocche serrate, gli occhi che guizzano da un lottatore ad un altro. "Sempre ammesso che fra voi due ci possa essere, un combattimento", avevo detto appena dieci minuti prima. Stavo alludendo alla piccolezza della Candida, alla sua incapacità e alla sua inesperienza. Ma ora la vedo, sul ring, con gli avambracci all'altezza del viso, che studia i movimenti di Jonathan. I suoi occhi si posano sui piedi dell'Intrepido e, incuriosito, vi faccio posare anche i miei. L'iniziato fra un passo avanti prima di attaccare per tirare un pugno, mentre un impercettibile fremito gli attraversa il polpaccio sinistro quando sta per dare un calcio. La sua attenzione, noto, si concentra esclusivamente sulla parte sinistra del corpo dell'avversario, non fa neanche caso al fatto che potrebbe soprenderla con un destro. Aggrotto la fronte.

È mancino, mi dico, fissandolo come se fosse la prima volta che vedo un ragazzo come lui, e lei l'ha capito. Ripenso a quando lui, poco prima, ha cercato di attirare la sua attenzione ondeggiando la mano sinistra per aria, mentre la chiamava a gran voce; quando, colpendo il sacco, tirava pugni e calci col sinistro. Lo ha sempre tenuto d'occhio, anche in mensa, quando gesticolava col coltello, e persino poco prima di combattere, quando ha alzato il pugno sinistro in aria, nel momento in cui gli altri lo acclamavano. Ne ha avuto la conferma quando Jonathan ha tentato di colpirla sferrando quel colpo. Elizabeth ha notato tutte queste cose, ed io non ci ho nemmeno lontanamente pensato. Elizabeth bramava di picchiarlo sin da quando Jonathan le ha rivolto la parola sul cornicione.
E sembra che tutte queste cose se le ricordi anche lei, perchè qualcosa esplode nella piccola Candida, che con uno slancio fulmineo -seriamente, come ci riesce?- lo delizia con un violento pugno alla gola. L'ha colpito con le nocche, è stata brava. Jonathan annaspa e si piega in due e Elizabeth ne approfitta per prenderlo dai capelli e assestargli poderose ginocchiate in pieno volto. Una, due, tre, quattro. Non ha intenzione di fermarsi, ma deve, l'incontro potrebbe considerarsi finito già ora. Con uno strattone lo lascia cadere di peso sul pavimento del ring e lui, accasciandosi, solleva una grande quantità di polvere che sembra nascondere la sua figura snella.

"In piedi, Jonathan!" sento gridare, e per un momento penso sia Quattro, ma mi soprendo quando scopro che la voce è proprio quella della Candida. Jonathan si appoggia sui gomiti, sta tremando, si gira e sputa sangue. Prima che possa fare un qualsiasi movimento, Elizabeth gli tira un calcio all'altezza dello stomaco, poi un altro. "In piedi!" continua a dire, ma non c'è una sola sfumatura di rabbia della sua voce. Determinazione, mi ripeto.
Gli sferra un altro calcio in faccia, quando tira indietro il piede per assestargliene un quarto, le punte sono sporche di sangue scuro. Vedo Quattro scattare in sua direzione e non faccio in tempo a fermarlo. In ogni caso, lo scontro può -deve- considerarsi terminato, anche perchè Jonathan non si muove più e non emette neanche un rantolo sotto i colpi della ragazza. Quattro l'afferra per le spalle e la solleva, allontanandola dal corpo inerme dell'Intrepido. Lui mi guarda, guarda l'iniziato sanguinante e poi riguarda me, e mi comunica con lo sguardo: "Eric, mi dai una mano o devo fare tutto io?". Salgo sul ring e mi accovaccio accanto a Jonathan e gli do dei colpetti alla guancia,ma l'iniziato non risponde.

"È svenuto" rido, sgrandando gli occhi "Steso da una Candida!"
Quattro mi lancia un'occhiataccia, le braccia ancora appoggiate sulle spalle della ragazza. Faccio scivolare lo sguardo su di lei, sorrido involontariamente. Penso di essere fiero di Elizabeth, e non mi piace. Quattro congeda tutti gli altri, invitandoli a tornare al dormitorio, e ci vuole qualche secondo prima che gli iniziati, ancora con lo sguardo fisso sul corpo esangue di Jonathan, eseguano l'ordine. Mi alzo e mi dirigo verso l'altro lato del ring, dove Elizabeth sta parlando con il suo istruttore. Il suo "parlare", in realtà, corrisponde a vaghi cenni del capo e qualche mugugno di affermazione. Quattro poggia una mano sulla spalla della ragazza e la spinge delicatamente in direzione del dormitorio, lei annuisce e scende dal campo, non prima di aver lanciato un'ultima occhiata a Jonathan. Mi passa accanto, e quando è vicina sento il suo profumo di sangue e di sudore incollato ai vestiti. Non mi guarda neanche, eppure vorrei vedere come sono mutati i suoi occhi in questo momento. Il primo scontro è sempre il più difficile e, paradossalmente, non lo puoi dimenticare -in alcuni casi, non vuoi neanche, e ho come l'impressione che Elizabeth non voglia-. Mi supera e scompare alle mie spalle, non mi volto per guardarla.

"Steso da una Candida?" ripete Quattro, una volta che Elizabeth si è allontanata. Mi guarda dritto negli occhi ed io sostengo il suo sguardo. "Quel ragazzo deve andare immediatamente in infermeria, Eric."
"Sono sicuro che si riprenderà, è solo svenuto, Eaton" lo provoco, so quanto non sopporti essere chiamato per cognome. Gli ricorda suo padre, l'unico uomo capace di pietrificare il leggendario Quattro dalla paura. I suoi muscoli sono attraversati da uno spasmo. In questo momento mi sento forte, proprio come quando Elizabeth riesce a ferire qualcuno con le parole. Ma Quattro non risponde e mi fissa, chiude gli occhi per un istante e quando li riapre ha lo sguardo calmo.
"Il punto è che non avrebbero dovuto combattere" dice lui lentamente, e capisco che sta cercando di ignorare la mia provocazione.
"Oh, andiamo" gli do una pacca sulla spalla "Non mentire dicendo che non ti sei divertito"
"È stato divertente finchè lo sfidante non è svenuto. Ma tu non sembravi..." si blocca per guardare oltre le mie spalle, aggrottando la fronte.

Aggrotto anch'io la fronte, incuriosito dal suo sguardo. Sento il rumore di un corpo che si trascina sul terreno del ring e, ancor prima di voltarmi, immagino Jonathan con la faccia gonfia e i denti rotti che protende il braccio verso di me per chiedere aiuto. Immagino di intimargli di alzarsi da solo, e di non fare tante storie per qualche botta ricevuta. Immagino di ricordargli che è un Intrepido, e che se si lasciasse abbattere già dal primo incontro sarebbe la vergogna degli interni. Ma quando mi giro vedo soltanto la Candida che, con un braccio intorno alla vita dell'Intrepido e un altro intorno al collo per sorreggerlo, strascica il suo corpo pieno di lividi fino alla fine del ring. Quattro sospira, non so se sia divertito da quel gesto, ma si dirige verso Elizabeth e, dallo sguardo che mi lancia da sopra la spalla, capisco che vuole che lo segua.
Jonathan è esile, ma per la ragazza è comunque troppo pesante. Nonostante ciò, non lo lascia andare e ogni tanto gli rivolge qualche domanda alla quale non riceve risposta.

"Lascia stare, ci penso io" la rassicura Quattro, sfilandole il corpo da sotto le braccia, per lui Jonathan non è che un ramoscello rinsecchito, e non fa fatica a sorreggerlo. "Lo porto in infermeria"
"Sono stata io a ridurlo così. Devo venire." afferma lei con sicurezza, sostenendo lo sguardo freddo dell'istruttore.
"No" dal tono di voce di Quattro, questa sembra quasi una domanda "Non devi, torna al dormitorio, vai a farti una doccia e rilassati"

Elizabeth sta per ribattere, la sua bocca si schiude, ma la richiude immediatamente e annuisce con lentezza. Quattro si allontana, il corpo di Jonathan abbandonato completamente a lui. Ed io mi ritrovo spaesato perchè sono rimasto a fissare la Prima a Saltare, e lei non sembra una tipa a cui piaccia essere fissata a lungo, come ha dimostrato quando, nel tunnel che conduceva al Pozzo, mi ha lanciato quell'occhiata. Sono tentato di farle mille domande, di chiederle come ha fatto a metterlo al tappeto con così poche mosse, ma l'imbarazzo mi sale dallo stomaco. E non perchè lei è una ragazza, ma perchè ricordo che io il mio primo incontro l'ho perso, l'ho perso contro il Rigido, che è stato capace di farmi saltare un dente, forse anche due. Nessuna sconfitta è mai stata così umiliante, anche perchè da quel giorno non ho più perso, perchè ero -e lo sono ancora- determinato e mi allenavo anche di notte.
È solo quando lei sbatte le palpebre che mi accorgo che anche lei mi sta guardando, accigliata. L'hai fatto di nuovo, Eric, che diavolo! Da quanto la sto guardando? E perchè lei non vuole essere guardata? Ora che è vicina, studio meglio il suo viso. Mi accorgo solo ora che ha il naso piccolo e tondeggiante, e che se non avesse quell'espressione tanto severa dimostrerebbe almeno due anni di meno. Ha le labbra screpolate e un neo sotto il labbro inferiore. Ha un volto molto particolare, se ora chiudessi gli occhi potrei ricostruirlo senza esitazione. Invece li tengo fissi su di lei, sapendo che le dà fastidio.

"La Prima a Saltare" rompo il silenzio e assumo un tono di finta ammirazione, scandendo le parole. Non reagendo, mi acciglio anch'io, mantenendo un tono divertito "Una Candida non logorroica... Che stranezza"
"Un Intrepido che non si fa i fatti suoi" assottiglia lo sguardo e inclina la testa "Che stranezza."
"Sempre sulla difensiva" le faccio notare, anche se le sue parole mi colpiscono sottili come schegge "Sappi che questo incontro non vale nulla, Jonathan è un pallone gonfiato. Be'... Sgonfiato, in realtà, considerando che è svenuto. Non era un avversario difficile da battere, prova a fare mosse come quelle con uno come Blackmount e vedrai gli Esclusi farti ciao ciao con la manina. Dovrai allenarti molto di più se vorrai rimanere in questa Fazione, e soprattutto migliorare la postura quando colpisci il sacco."
"Cos'ha la mia postura che non va?" il suo sguardo, ora, non è minaccioso ma incuriosito.
"Che ti importa?" chiedo allontanandomi da lei, lanciandola con un'espressione confusa in volto "Devo farmi i fatti miei, non è forse così?"

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Capitolo 4
*** La classifica ***


Capitolo 4 - La classifica





Sono passati quattro giorni dallo scontro fra Jonathan ed Elizabeth. L'iniziato si è ripreso ed ora si tiene a distanza da sicurezza da lei, noto un comportamento molto più mite da parte sue, adesso, suppongo che per lui dev'essere stata un'umiliazione insopportabile. Qualche interno ha cercato di stringere amicizia con Elizabeth, ma lei non è una tipa socievole e preferisce avere intorno solo Alice e Samuel, che fino a tre giorni fa non facevano altro che complimentarsi con lei per la sua bravura sul ring. In realtà, in questi giorni non s'è parlato d'altro, la notizia della piccola Candida che ha battuto un interno è sulla bocca di tutti. In mensa, se guardavi nella direzione giusta, potevi vedere gli iniziati interni che la indicavano con la testa bassa, e che Jonathan non si azzardava più a sollevare lo sguardo su di lei. Ogni tanto il suo nome veniva mormorato e lei se ne accorgeva, ma lasciava fare, lasciava che gli altri temessero la Piccola Candida.
 Elizabeth, ho scoperto, non eccelle nello sparare, voglio dire, non manca mai il bersaglio, ma non centra punti vitali; per qualche strana ragione, invece, se la cava abbastanza bene con il lancio dei coltelli. Molti suoi compagni iniziati avevano paura di lei, avevano paura di essere accoltellati, per sbaglio o accidentalmente, da uno dei suoi pugnali volanti che, però, hanno sempre centrato il bersaglio. Quando ho messo fra le mani di tutti gli iniziati tre coltelli e sono arrivato a lei, Elizabeth ha sollevato distrattamente lo sguardo verso di me ed io non ho potuto fare a meno di pensare che, anche quando non lo fa apposta, il suo sguardo è più affilato delle lame che lancia.

Ora siamo in mensa e lei è seduta al tavolo con il Candido e la Pacifica, ma non ha più lo sguardo spaventato del primo giorno, è impassibile, come se al mondo esistesse soltando il purè di patate che sta punzecchiando con la forchetta. È tranquilla, anche se sa benissimo che giorno è oggi. Oggi viene rivelata la classifica e lei non sembra curarsene. Io, questa notte di un anno fa, non chiusi occhio. La vedo indugiare un attimo con la forchetta e improvvisamente solleva lo sguardo, riabbassandolo immediatamente quando vede che la sto fissando. Non so come sentirmi, ora. Stupido, perchè si è accorta che avevo lo sguardo su di lei già da prima, o lusingato, perchè il suo ha cercato immediatamente il mio appena alzata la testa? Non ho tempo di pensarci, perchè Quattro richiama tutti gli iniziati e li fa alzare, invitandoli a seguirlo in palestra, dove mostrerà loro la classifica. Mi alzo subito e lo raggiungo, non voglio che il Rigido mi rimproveri ancora, come se ne avesse l'autorità. Ci dirigiamo in palestra, seguiti dagli iniziati.

Non appena mi rendo conto che non manca nessuno all'appello e che tutti sono davanti a me con espressioni ansiose. Sono su una pedana leggermente sopraelevata, e da qui posso godermi la tensione che serpeggia in questa palestra. Con un gesto veloce scopro la lavagna dal telo che la ricopriva, rivelando le posizioni degli iniziati, e qualcuno trattiene il respiro.
"Cos'è questa classifica, vi chiederete? Questa è la vostra vita. Prenderete punti ogni giorno." spiego, studiando le loro espressioni "Se alla fine del modulo in vostro nome è sotto la linea rossa, siete fuori."
Sento qualcuno tirare un sospiro di sollievo e qualcuno mormorare contrariato. Elizabeth sussulta, ma non capisco perchè, su 24 iniziati lei si è classificata nona, preceduta da Samuel e seguita da Jonathan. Poi capisco che non sta guardando il suo nome, del suo non se ne frega nulla, lei sta guardando quello di Alice, classificata al diciannovesimo posto, il primo appena sotto la linea. Alice è sbiancata, Samuel le poggia una mano sulle spalla, sussurrandole qualcosa, ma lei non sta ascoltando. Si allontana ed esce dalla palestra, probabilmente diretta al dormitorio. Solo ora Elizabeth nota il suo posto in classifica e, a giudicare dal suo mezzo sorriso, ne è soddisfatta. Sorrido anch'io, e faccio finta che non sia dovuto alla sua allegria contagiosa. Samuel le cinge la vita con un braccio -il Candido, ora, ha già una muscolatura più evidente- e le bacia ridendo la tempia. Il mio sorriso svanisce, alla vista di quella manifestazione d'affetto. Dopo questi giorni, mi ero convinto che fossero fratelli, guardandoli come scherzavano fra loro e come giocavano a Sfide. Ora, invece, mi rendo conto di come Samuel la guarda, come si guarda un regalo che non vedi l'ora di scartare.

Elizabeth incrocia il mio sguardo, è la terza volta, ormai, che capisce che la guardo in continuazione. Ma io non la guardo come la guarda Samuel, io la guardo perchè è particolare ed ogni suo comportamento è un mistero che sono deciso a svelare. Invece di stringersi ancora di più a lui, come farebbe una qualsiasi altra ragazza in una situazione del genere, dà solo una leggera carezza alla mano del Candido e poi si scosta. Leggo il suo labbiale, gli sta dicendo: "Vado a controllare Alice" e sta indicando col pollice la porta d'uscita. Si dirige fuori dalla palestra a passo svelto e, poco prima di voltare l'angolo e sparire dal mio campo visivo, si volta e mi guarda ed io, dall'alto della mia pedana, vedo che gli angoli delle sue labbra si curvano all'insù.

                                                                                                           ***

Mi sveglio di soprassalto, il collo sudato e gli occhi spalancati nel buio. Stavolta, c'era Amar nei miei sogni, il mio istruttore di quando ero un iniziato. Un anno fa, lo accusai di essere un Divergente e, da quando si è lanciato nello Strapiombo, ricorre spesso nei miei incubi più oscuri. Ho fatto la cosa giusta, me lo ripeto sempre. Sin da quando ero piccolo mi hanno sempre detto che i Divergenti erano un pericolo per la società, perchè erano capaci di fare cose orribili. Quattro ha sospettato sin da subito che c'entrassi io con la sua morte, ma io ho dovuto negare. Non avrei mai ammesso che l'avevo fatto perchè mi sentivo minacciato da Amar -e anche perchè sapevo quanto Eaton tenesse a lui-. Nei miei incubi, Amar mi incatena ad un muro e mi costringe a guardarlo negli occhi, perchè vuole che osservi la sua faccia deformata, divisa a metà dall'impatto contro gli scogli dello Strapiombo. Vuole che veda cosa gli ho fatto.

Vado nel bagno del mio appartamento e mi sciacquo la faccia e  il collo, asciugandomi senza fretta con una salvietta di carta. Senza neanche guardarmi allo specchio -abitudine che non ho mai avuto-, esco dal bagno e afferro gli scarponi ed una bottiglietta d'acqua mezza piena. Mi infilo una canotta nera ed esco dal mio appartamento. Non mi riaddormenterò più, tanto vale sfruttare questo tempo in qualcosa di utile. I miei passi rieccheggiano nei tunnel sotterranei ed io non riesco ad immaginare un suono più piacevole. I corridoi di questa struttura, quando non sono ricolmi di Intrepidi urlanti, ospitano il silenzio più totale. Sono queste le piccole cose che impari ad apprezzare quando vivi in una Fazione chiassosa e violenta. Il suono dei miei scarponi sulla pietra si confondono ben presto con un altro rumore familiare, rumore di pugni scagliati con violenza sul sacco da boxe. Ora che sono vicino all'entrata della palestra, mi sporgo infastidito per vedere il volto di colui che dovrò rimandare nel dormitorio per godere della più totale solitudine della sala.
Ma quando mi sporgo riconosco la sua figura esile, dai fianchi larghi e dalla vita stretta, ed i capelli bruni che ora sono raccolti in una coda alta che le ricade sulla schiena. Elizabeth si sta allenando a tirare pugni contro il sacco di sabbia, indossa una canotta rossa e pantaloncini neri che le arrivano poco sopra il ginocchio. Mi avvicino e non so neanche perchè lo faccio, potrei benissimo limitarmi a dirle di andarsene, ma subentra il mio spirito di istruttore, e non posso fare a meno di voler correggere la sua postura troppo rigida. Lei si gira, avendo sentito i miei passi, e penso di averla deconcentrata -o intimorita- perchè si ferma e mi guarda con gli occhi pronti, come quando doveva affrontare Jonathan sul ring. Mi affianco al sacco, e la fisso così a lungo che per un secondo mi sembra di affogare nei suoi occhi, che con questa luce così forte hanno il colore del tramonto d'estate.

"Perchè ti sei fermata?" chiedo con voce gelida, aspettandomi che lei ricominci a colpire il sacco.
"Perchè ci sei tu" mi risponde senza batter ciglio, e capisco che nella sua affermazione non c'è tenerezza. Intede dire -in modo particolarmente palese- che avrebbe preferito stare da sola. È la prima volta, dopo tanto tempo, che la sento parlare, mi ero quasi dimenticato della sua voce.
"Stai assumendo una postura sbagliata" decido di dirglielo, perchè la sua prontezza nel rispondere mi fa uno strano effetto.
"Tu dici?" mormora, ma intanto assume di nuovo la posizione iniziale: gambe divaricate, avambracci sollevati a coprire il volto, troppo rigida.
"Non esporre così tanto l'addome, potrebbero colpirti. Prova a spostarti di lato, ruota il bacino." suggerisco, e lei segue il mio consiglio, ancora troppo rigida.
"Va bene così?" chiede, nella sua voce c'è una curiosità ed un'attesa che prima non c'era.
"Dimmelo tu. Colpisci il sacco." lei lo fa, una volta, due, tre, senza fermarsi. Solo quando si blocca noto l'escoriazioni sulle sue nocche, chissà da quanto si allena.
"Sai..." comincia lei, rivolgendomi uno sguardo curioso e tagliente "Penso che sarebbe più chiaro se tirassi pugni a qualcuno in carne ed ossa, invece che al sacco."
Ho capito bene? Mi sta chiedendo di combattere con lei?
"Non combatterò contro te, Elizabeth." le dico "Io sono un avversario più forte di Jonathan."
"Ma io non voglio combattere davvero" spiega, le sue labbra si curvano inaspettatamente in un sorriso "Non voglio colpirti, voglio che mi spieghi passo dopo passo dove sbaglio. Sarebbe sicuramente più di aiuto."
"Va bene" mormoro, mentre nella mia testa rimbomba ancora la frase "Non voglio colpirti".

Mi posiziono davanti a lei sul ring, e le do dei comandi che lei esegue senza batter ciglio. Io non ci riuscirei, odio sentirmi dare dei comandi ed odio eserguirlo, ad essere sinceri... La paura dell'obbedienza è uno dei miei ostacoli del mio scenario della paura. Ancora. Troppo. Rigida. Glielo faccio notare, e lei rilassa i muscoli delle spalle, ora i tendini del collo non sono tesi come prima.
"Ora lo sei troppo poco, e non tenere la testa così bassa" l'avverto, e lei prova a trovare un equilibrio fra l'essere rigida e l'essere rilassata, invano. In un attimo i miei piedi si muovono involontariamente verso di lei. Fermati, idiota, così la terrorizzi! grida la vocina della mia testa. Ed anche adesso mi ritrovo a fissarla, pur sapendo che a lei non piace essere osservata, ma perchè io non riesco a farne a meno? Perchè è molto carina, mi rispondo da solo, ma mi rifiuto anche solo di immaginare una cosa del genere.
Ora sono davanti a lei e abbasso lo sguardo sulle sue spalle, vi ci poggio le mani e le sposto leggermente più in alto e più oblique, la prendo per i polsi e sistemo anche la sua idea di "posizione di difesa", ponendo gli avambracci uno all'altezza del petto ed uno della faccia, perpendicolari fra loro. Il prossimo movimento che devo fare mi blocca, so che devo farlo, ma da una parte non ne sono sicuro. La prendo per i fianchi con troppo impeto e lei sussulta, sollevando i suoi enormi occhi sui miei. Rimango così per istanti brevi, mentre le mie mani indugiano sui suoi fianchi e lei mi guarda in quel modo che non riesco ad interpretare. Mi rendo conto senza volerlo che c'è solo la stoffa grigia della sua canotta a separare le mie mani dai suoi fianchi nudi. Mi immagino di tirarla a me e annullare la distanza fra di noi, togliendole quell'inutile indumento di dosso.

"Eric?" mi chiama, appoggiando le mani sui miei polsi, la voce che tradisce un certo timore. Vuole che le tolga le mani di dosso, ed io mi sento un cretino.
Le sistemo rapidamente la postura ruotando il suo bacino parallelamente alle spalle. So che dovrei fare un'ultima cosa, ma la sua reazione di poco prima mi fa dubitare della mia sicurezza.. Non lo fare. Ma devo, lei mi ha chiesto di aiutarla. Ti ha anche fatto capire che non vuole che la tocchi. Sarò veloce. Le prendo il volto fra le mani e con i pollici le spingo il mento in alto.
"Non tenere la testa così bassa" le ripeto, lei si schiarisce la voce ed annuisce leggermente.

Sospiro, non ci posso credere: è ancora troppo rigida. "Dannazione, Elizabeth, perchè sei così tesa?" chiedo senza aspettarmi una vera e propria risposta.
"Perchè ci sei tu" mi dice, ed io vorrei solo fare finta di non averlo sentito davvero. È la stessa risposta che mi ha dato poco prima, ma ora non intende un tu generale. Ora intende tu in quanto Eric.
"Be', non dovresti esserlo" dico dopo essermi schiarito io la voce "Sono il tuo istruttore ed è il mio compito migliorare le tue tecniche di combattimento."
"Lo so" risponde laconica, lo sguardo spento che manca di quella vivacità di poco prima.
"Ti alleni spesso di notte?" chiedo, sinceramente curioso, non mi sembra di aver mai sentito rumori di pugni durante le ore piccole.
"Ogni notte, in realtà" risponde, le sue gambe ritornano in posizione normale e abbassa gli avambracci. Non vuole più allenarsi. Perchè l'hai spaventata. Non l'ho spaventata, è una Candida, me l'avrebbe detto.
"Perchè?" mi viene spontaneo chiedere, e non posso fare a meno di notare che, nonostante ci provi, il mio tono rimane sempre severo, gelido, quasi infastidito, anche quando cerco di non esserlo, tipo adesso.
"Alice ha molta difficoltà, voglio migliorare così posso aiutarla. Non si farebbe mai aiutare da te." aggiunge distrattamente mentre prende un asciugamano e si asciuga le tempie sudate. Mi offre un sorso dalla sua bottiglietta d'acqua, ma io rifiuto, ancora confuso dalle sue ultime parole.
"In che senso, non si farebbe aiutare da me?" chiedo aggrottando la fronte. Lei mi guarda come se avessi fatto la domanda più ovvia del mondo.
"Perchè fai paura, naturalmente" risponde guardandomi e facendo spallucce. Ecco la Candida che è in lei, spontanea e senza peli sulla lingua. A questa risposta, un'altra domanda mi scivola fuori dalla bocca e non faccio in tempo a fermarla.
"E faccio paura anche a te?" chiedo, e ringrazio internamente il mio tono perennemente gelido, senza il quale questa sarebbe sembrata una domanda disperata.

Lei mette giù la bottiglietta, guardandola aggrottando le sopracciglia. Ha sempre quell'espressione severa, chissà a che diavolo pensa tutto il tempo per lasciarsi andare così poche volte. Tamburella con le dita sulla plastica e guarda in basso, la bocca storta in una smorfia: non è imbarazzata, ci sta pensando davvero. Poche volte mi è capitato di osservare un Candido che pensa, ed ora che ce l'ho davanti non riesco a non rimanerne incatato. È come guardare l'interno di un orologio, con gli ingranaggi che ruotano veloci, è affascinante, perchè al contempo stesso è forse l'unica volta che vedo Elizabeth essere una persona, con un lato umano, che una macchina calcolatrice impegnata a studiare gli altri.
Alza la testa lentamente e la sua coda ondeggia quasi impercettibilmente dietro la sua nuca. Schiude le labbra e sbatte le palpebre un paio di volte, prima di serrarle di nuovo. Ha quest'abitudine, come se anche all'ultimo secondo potesse cambiare idea su quello da dire. Ho imparato anch'io a osservare le persone, ma per ora mi sono soffermato solo su di Elizabeth, perchè così come lei è determinata a studiare gli altri per scoprire i loro punti deboli -o i loro punti forza-, lo voglio fare anch'io. La sua voce è decisa e limpida, non tradisce nessuna emozione, se non lo decide lei.

"Sì, Eric, tu mi fai paura" dice tutto d'un fiato, e quell'affermazione mi colpisce come un pugno allo stomaco, perchè so che le persone si allontanano quando qualcosa le spaventa, ed io non voglio che anche lei si allontani. Non dimostro la delusione e mi limito ad inarcare il sopracciglio, sento il piercing tendersi sotto la pelle. Però lei non è scoraggiata dal mio sguardo e azzarda ad aggiungere "Ma solo quando non ti dimostri per chi sei davvero"
La guardo e mi avvicino, sperando che il mio sguardo freddo la intimorisca, ma non perchè voglio spaventare lei, ma perchè voglio che venga scoraggiata quella sua parte curiosa. Non può studiare me, non ne ha l'autorità. Lei non indietreggia, in realtà non si muove neanche, e alza il mento man mano che mi avvicino in modo da sorreggere il mio sguardo. Vorrei ridere, perchè mi arriva all'altezza del petto e dalla sua espressione penso che se ne sia accorta.
"Perchè immagino che mi conosci così bene da sapere chi sono davvero" mormoro, ed un sorriso poco convinto si forma sulle mie labbra. Lei risponde ridendo in maniera appena percettibile, come se le avessi raccontato una bugia. E non si deve mai mentire ad un Candido, specialmente ad uno come lei.

"In mensa non siedi mai con gli altri e mangi da solo, in un angolo dove nessuno di può notare. Non guardi mai nel tuo piatto ma scruti chiunque ti passi accanto e chiunque ti circondi. Quando qualcosa cattura la tua attenzione aggrotti la fronte e assottigli gli occhi, ma li riapri leggermente quando qualcosa ti turba, tipo la presenza di Quattro. Sei ambidestro, perchè impugni la forchetta con la sinistra ma quando hai scritto i nostri nomi sulla lavagna hai usato la mano destra. Non ti piace il chiasso perchè non sei mai presente alle feste notturne degli Intrepidi, ma non sopporti il tuo appartamento, probabilmente perchè legato a ricordi spiacevoli, perchè girovaghi per i corridoi o vieni qui in palestra. E non ti piace il purè di patate." conclude, e l'ultima affermazione mi sorprende talmente tanto che spalanco gli occhi "Potrei continuare all'infinito, ma dalla tua espressione capisco che non vuoi. Ti osservo molto, sai, e lo fai anche tu con me."
"Io non ti osservo" rispondo infastidito e incrocio le braccia sul petto, cercando di sembrare più minaccioso. Mi sto amaramente rendendo conto che ho sottovalutato questa ragazza molto più del dovuto. Ripenso a quando, in mensa, i nostri sguardi si erano incrociati per pochi secondi, e solo ora capisco che lei voleva studiarmi tanto quanto lo volevo io. L'unico problema è che lei c'è riuscita, io no.
"Hai parlato troppo veloce. E hai incrociato le braccia, ora non hai una postura rilassata perchè sei a disagio." continua imperterrita, sembra una macchina fredda, ora "Stai mentendo."
"L'allenamento per oggi è finito" chiudo l'argomento, sta scoprendo troppe cose per i miei gusti "Torna al dormitorio, Candida."
"Stai cercando di sminuirmi per sentirti meno vulnerabile." mi ignora, ma raccoglie lo stesso le sue cose da terra e si prepara per uscire dalla palestra "Ma non dovresti. Nessuno è invincibile."
"Tu sì, a quanto pare." mormoro infastidito, quasi ringhiando.
"Io?" ride lei, il suo sguardo è mutato in un secondo, ora è anche più gelido del mio "Perchè immagino che mi conosci così bene da sapere chi sono davvero"

Lei mi supera e mi urta una spalla nel dirigersi verso il dormitorio. Mi ritrovo da solo nella palestra, rimuginando su quello che mi ha detto, su tutte quelle cose -fastidiosamente vere- che ha capito da me semplicemente osservandomi per pochi giorni. Io, invece, in questi pochi giorni ho capito soltanto che è più intelligente di quanto sembra, e che gli altri iniziati dovrebbero temerla, perchè può prevedere qualsiasi loro mossa con una breve occhiata. La guardo allontanarsi lentamente, rimpicciolendosi nell'enorme palestra, la coda che oscilla come il pendolo di un orologio impazzito. Vorrei gridarle dietro, dirle di tornare e di spiegarmi come riesce a capire tutte quelle cose, ma mi blocco subito perchè è ora che capisco il significato della sua ultima frase. Era una sfida, Elizabeth mi ha appena sfidato e posso immaginare il ghigno divertito che ha in questo momento. Ed io so esattamente come fare, ma per quello dovrò aspettare il secondo modulo di addestramento. 

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Capitolo 5
*** Acchiappa bandiera ***


Capitolo 5 - Acchiappa bandiera





"Hai qualche problema con me, Candida?" sta sbraitando Jonathan, rosso in viso come non l'avevo mai visto.

È notte e noi siamo sul treno diretto verso la periferia della città, lo sferragliare del convoglio è l'unico rumore udibile, oltre al respiro animalesco dell'Intrepido furioso. Oggi si dedicheranno ad un gioco a squadre simile ad acchiappa bandiera, armi e proiettili neurostimulatori come uniche varianti. Quando ho chiamato Jonathan nella mia squadra subito dopo Elizabeth, lei ha alzato gli occhi al cielo esasperata e l'iniziato l'ha notato subito.
In realtà, l'hanno notato tutti, perchè, dal loro combattimento, ogni volta che viene pronunciato il nome dell'Intrepido si voltano quasi automaticamente verso la Candida per vedere la sua reazione, e viceversa. Adesso c'è tensione nel vagone degli iniziati, ed io e Quattro ci scambiamo uno sguardo divertito. Senza farmi notare da lui, faccio come gli altri e fisso la ragazzina ostentando indifferenza. È in piedi appoggiata contro la parete di metallo, le braccia conserte e lo sguardo quasi sorpreso: dopo tanti giorni che Jonathan non le rivolgeva la parola, non si aspettava che rispondesse davvero alla sua palese provocazione.

Dall'ultima volta che ho parlato con Elizabeth in palestra sono passati cinque giorni, ed io in questi giorni l'ho studiata attentamente come lei ha fatto con me. Ho imparato soltanto che adora i vestiti di Samuel o comunque vestiti più grandi di qualche taglia, e che ama il purè di patate. Non mi ha più rivolto la parola, dopo quella notte; penso che mi stia lasciando il tempo per assimilare più informazioni possibili su di lei. Sta di fatto che, ora che so che anche lei ha una leggera ossessione con me, faccio molta attenzione quando alzo lo sguardo per osservarla, dall'altro lato della mensa, e sfrutto la posizione dei suoi capelli per capire in che direzione sta guardando.
Un giorno ho deciso di rendere tutto più interessante e darle fastidio, scombussolando il suo studio delle mie abitudini. Quando sono entrato in mensa mi sono subito affrettato a prendere un piatto di purè -anche se ne detesto il sapore e la consistenza- e mi sono seduto al tavolo con gli altri leader della Fazione, posizionandomi proprio accanto a Quattro, che quel giorno era capitato casualmente ad un tavolo che non condivideva con gli iniziati. Quando ho fatto finta di voltarmi verso l'entrata della mensa, ho cercato il suo sguardo e la sua espressione è stata più soddisfacente di quanto non potessi immaginare.
Aveva la forchetta conficcata nel suo hamburger ed era immobile, gli occhi accesi di rabbia e confusione perchè non mi ero comportato come aveva previsto. Era come vedere una macchina che si rompeva.
Le ho sorriso in modo provocante, alzando appena l'angolo delle labbra, e la forchetta le si è piegata in mano, tanto la stava stringendo forte. Samuel le aveva accarezzato i capelli preoccupato, ma lei non lo aveva allontanato come avrebbe fatto di solito. La sua espressione era sempre la stessa, furiosa e offesa, ma sapevo che l'aveva fatto apposta a lasciarsi toccare da lui. Credo che quella notte in palestra, quando stava elencando tutte le sue considerazioni su di me, abbia volutamente omesso il fatto che non sopporto Samuel perchè le sta troppo vicino.

"Fra i due sei tu quello che sembra avere qualche problema. Parecchi, a dirla tutta." la voce di Elizabeth mi riporta alla realtà. Ha una postura sciolta e un sorriso rilassato, come se gli avesse appena fatto un complimento. "E posso elencarteli, se vuoi, non mi sembri tanto sveglio da individuarli da solo."
Penso che gli interni siano ormai dalla parte di Elizabeth, perchè li vedo come reagiscono quando fa un'altra delle sue battute pungenti. Si guardano bene, però, dal farlo notare a Jonathan, anche se non vedo quale importanza può avere lui per tutti loro, dal momento che è stato umiliato più e più volte, a questo punto.
Quattro trattiene una risata e nei suoi occhi vedo che anche lui, come me, non si sarebbe aspettato una risposta diversa da una ragazza come lei. Aggrotto la fronte.
Elizabeth, cercando di evitarmi il più possibile per non compromettere la mia attenta osservazione nei suoi confronti, ha passato molto tempo con lui. Voglio dire, Quattro non è un tipo da battute divertenti e amicizie durature, ed Elizabeth non sembra voler scambiare con lui più di due chiacchere riguardanti il suo allenamento. Ma quando parlano di attacchi e strategie mi ritorna in mente quando l'ho presa per i fianchi, in palestra, e non riesco a sopportare l'idea che lo possa fare anche lui, e pensare le stesse cose che ho pensato io. Non perchè sia geloso, ovvio che no, ma perchè non voglio che interferisca con la nostra sfida.
E che cazzo, è una cosa che riguarda noi due.
Mi risveglio dai miei pensieri solo quando sento i passi di Jonathan che, dall'altra parte del vagone, si sta avvicinando ad Elizabeth facendo rumore con gli scarponi sul pavimento metallico del treno.

"Non ti avvicinare, Jonathan." scandisce lei, con un tono di voce estremamente tranquillo, una frase del genere dovrebbe essere intrisa di terrore, invece sul suo volto aleggia un'espressione divertita "Mi sono stancata di farti del male."
"Ed io mi sono stancato delle tue battute, Candida, prova a rispondere così un'altra volta ed io..." sibila l'Intrepido, avvicinandosi minaccioso e puntando il dito indice contro di lei.
La sta guardando negli occhi ed io mi affretto a capire la sua prossima mossa, guardo la scena come se il tempo si fosse fermato. La ragazza ha la mascella serrata, adesso, ma perchè? Perchè non sopporta essere fissata. Giusto. E vuole fargli capire che non deve guardarla. Lei deve avere lo stesso sguardo che ho io, uno sguardo indagatore e attento, perchè vedo come sta studiando i passi di Jonathan e la sua andatura decisamente poco rilassata. Cosa farei io, se qualcuno mi stesse minacciando e volessi farlo smettere? Dolore fisico, mi rispondo automaticamente, è facile per me trovare risposte se penso che lei ragioni come ragiono io.
Come potrei fare male a Jonathan, ma non troppo eccessivamente, per non dare spettacolo davanti a tutti? Perchè sì, ho imparato che a Elizabeth non piace essere al centro dell'attenzione, ma penso che in questo momento sia a conoscenza del fatto che tutti la stanno guardando e che tutta l'attenzione è invece concentrata proprio sulla sua piccola figura. Il suo sguardo sfiora quasi impercettibilmente il dito indice dell'Intrepido, che sta ancora avanzando verso di lei. La imito e ora so perchè si è soffermata proprio su quel particolare: Jonathan le sta puntando contro l'indice della mano sinistra e, ora che sa che lui è mancino, ho capito quale sarà la sua prossima mossa.

Elizabeth gli intima di nuovo di allontanarsi interrompendo la minaccia di Jonathan a mezz'aria: ancora una volta, non c'è timore nella sua voce, sembra più un consiglio amichevole. Jonathan sbraita qualcos'altro, ma quando si avvicina in maniera pericolosa, la Candida si muove velocemente e gli afferra il dito avvolgendolo in una mano e, con forza e sicurezza, ruota il polso e chiude il pugno.
Si sente soltanto un lieve crack, quando l'osso del dito di Jonathan si spezza, facendolo cadere in ginocchio a terra -sospetto che sia più per la sorpresa che per il dolore-. Seguono i suoi rantoli animaleschi. L'ha fatto apposta, sa che non è bravo a tirare pugni con il destro, ed ora il ragazzo sarà costretto ad imparare. Oppure a gemere di dolore ogni volta, ricordandosi di questo momento. Ricordo quando Elizabeth aveva sopportato tutto il peso dell'Intrepido pur di portarlo in infermeria, trascinandosi affaticata attraverso il ring. Ora, invece, di quel comportamento così altruista non c'è ombra, nei suoi occhi non c'è neanche soddisfazione. Stranamente, mi trovo a pensare che sta esagerando. Mi interpongo fra i due, soprattutto perchè Jonathan ora si è alzato e sta guardando con occhi lucidi e rabbiosi la ragazza da sopra le mie spalle. Mi volto verso di lei, incendiandola con lo sguardo.

"Calma i tuoi bollenti spiriti, Candida, o dimentichi che l'invalido è nella nostra stessa squadra?" chiedo, sputando le parole come veleno. Lei mi guarda e non dice una parola, i suoi occhi sono pieni di nulla, e con questa luce non sembrano emanare quella vivacità che mi aveva colpito qualche giorno fa. Le sue iridi ora sono così scure da sembrare nere.
Lancia un ultimo sguardo a Jonathan e ritorna in fondo al vagone, scomparendo in un angolo male illuminato dove la Pacifica -capitata nella squadra di Quattro- la sta fissando a bocca aperta. Elizabeth non la guarda neanche e si siede a pochi metri di distanza da lei, incrociando le gambe e posando con noncuranza i gomiti sulle ginocchia. Qualcuno stempera immediatamente la tensione con qualche battuta, e l'atmosfera si fa meno pesante. Quattro spiega le regole del gioco, mostrando le armi e le bandiere luminose, quella della mia squadra è di un accecante verde fluo.
Un movimento nella penombra alla mia sinistra cattura la mia attenzione, e voltandomi con discrezione vedo la massiccia figura di Samuel inginocchiarsi accanto a quella piccola di Elizabeth. Le sta sussurrando qualcosa in modo che nessuno lo possa sentire, e la risposta della ragazza è un debole movimento della testa. Ha i capelli sciolti che le ricadono sulle spalle e Samuel glieli scompiglia affettuosamente con il palmo della mano dopo averle mormorato qualcosa. Elizabeth risponde con un sorriso sincero.
Il Convoglio rallenta e intimo i miei iniziati di scendere dal treno, il primo a saltare è Jonathan,che ora ha una stecca di legno e qualche benda improvvisata che gli fascia il dito -non possiamo certo tornare indietro per medicarlo come si deve-, seguito da Blackmount, quattro Eruditi di cui ignoro il nome e cinque interni. L'ultima a saltare dal treno in corsa è Elizabeth, che non sembra essere particolarmente attenta a quello che succede intorno a lei.
La vedo ruzzolare sul fianco destro, atterrando sull'erba rinsecchita con un rantolo sommesso e, dopo aver ironicamente augurato buona fortuna a Quattro e alla sua squadra, la seguo. Quando sono sicuro che nessuno mi stia osservando (neanche gli iniziati della mia squadra, che si sono allontanati con la bandiera in mano), mi avvicino ad Elizabeth e mi accovaccio sui talloni per avere gli occhi all'altezza dei suoi. Quando mi guarda, scorgo nelle sue iridi una sfumatura di vulnerabilità che brilla alla debole luce della luna.

"Bel salto." commento ridendo, lei non sembra concedermi la sua attenzione. Ora è seduta sull'erba secca e una smorfia di dolore le attraversa il volto. Aggrotto di nuovo la fronte. "Stai bene?"
"Ti ricordi quando ho combattuto contro Vivienne, l'interna? È riuscita a mollarmi un pugno sul fianco. Non riesco a fare movimenti troppo ampi con il braccio destro. Bene, sono atterrata proprio con quello. Quindi no, Eric, non sto bene." risponde leggermente divertita mentre si alza a fatica, i pantaloni neri sporchi di terra.
"Almeno hai vinto." considero alzandomi a mia volta, ma lei non sembra aver ascoltato, perchè dopo un rapido sguardo di rimprovero -ma come ha osato?- si allontana da me, zoppiccando leggermente verso la luce verde fluo della bandiera.

                                                                                                             ***    

Sono seduto dietro una barriera di casse di legno, mentre i proiettili fischiano sopra la mia testa, illuminando i dintorni con le loro deboli luci bluastre. Questo doveva essere un cantiere, una volta, ma ora è abbandonato e gli Intrepidi lo usano per i giochi di squadra come quello a cui stiamo partecipando adesso. Mi affaccio con cautela, schivando all'ultimo secondo un dardo, e vedo Samuel, nella squadra di Quattro, accasciato a un muro, la gamba ferita dal mio proiettile distesa sul pavimento di cemento. Un sorriso soddisfatto mi compare sulle labbra, ma si deforma subito in una smorfia di dolore quando sento qualcosa pungermi la spalla. In un improvviso spasmo di sofferenza, urto con la schiena su una cassa e il proiettile penetra ancora più in profondità.
Quando mi volto, furioso, per vedere il responsabile, l'unica cosa che scorgo è una corta chioma ramata sparire dal mio campo visivo. La Pacifica. Cerco di togliere il dardo, ma si è conficcato in modo impossibile nella carne, ed ora ad ogni movimento una fitta mi attraversa la schiena come una scossa. Ma ora non importa più, perchè quella cicciona stramaledetta sta sventolando la bandiera della mia squadra, che era accuratamente nascosta in una betoniera vuota. Il gioco è finito e dopo poco meno di un'ora la squadra di Quattro ha vinto.
Vedo che Elizabeth abbraccia Alice, congratulandosi con lei per la vittoria. "Voglio aiutarla a migliorare" le sue parole mi rimbombano in testa, e dal suo sorriso soddisfatto capisco che anche lei sta pensando la stessa cosa. La Pacifica, in questi giorni, ha scalato la classifica e si è classificata al dodicesimo posto, parecchio sopra la linea rossa, ed una vampata di rabbia mi percorre quando realizzo che il merito non è mio, o del mio efficace metodo di allenamento, il merito è della Candida che ora l'ha presa per le spalle e continua a sorriderle.

La squadra vincitrice festeggia nel modo degli Intrepidi -in realtà, anche qualche iniziato della mia squadra si imbuca unendosi alla folla urlante- e schizzano via, correndo verso l'imponente grattacielo, l'Hancock, per lanciarsi nel vuoto con la zip-line. Sta di fatto che nel vagone per ritornare alla Fazione siamo rimasti in sei: due Eruditi, impegnati in una conversazione fra di loro, Quattro -che non ha intenzione di salire fin sull'edificio per festeggiare assieme alla sua squadra-, io, Samuel e, inaspettatamente, Elizabeth. Ha una ferita all'altezza delle scapole dalla quale esce un sottile rivolo di sangue che le macchia la giacca nera, rendendola ancora più scura. Ma lei non sembra notarlo, perchè sta sorridendo al Candido e gli sta mormorando qualcosa che ardo dalla curiosità di sentire.
Quando mi sposto con noncuranza per allungarmi verso di loro, la schiena brucia e mi ricordo di avere il dardo neurostimulatore ancora conficcato all'altezza della scapola. Mi scappa un gemito che soltanto Quattro ed Elizabeth sembrano aver sentito. Mi guarda di sfuggita e mi studia per capire dove sia ferito, ma io distolgo subito lo sguado. Odio quando mi fissa con quegli occhi calcolatori, come se per lei fossi solo una macchina e volesse capirne il funzionamento.
"Ti hanno colpito?" chiede improvvisamente Quattro, alzando la voce per farsi sentire da tutti i presenti, che interrompono le loro conversazioni e si girano verso di me in attesa di una risposta.
"No, Rigido." rispondo tagliente, e mi gusto la sua espressione spaventata e oltraggiata allo stesso tempo "Sono in forma smagliante."


                                                                                                             ***    

Quando ci avviciniamo alla nostra destinazione e il convoglio rallenta, capisco che saltare sarà più difficile del previsto. Vedo l'erba schizzare davanti ai miei occhi e non mi è mai sembrata così lontana come in questo momento. Immagino di cadere di spalla e bloccarmi per terra, mentre Quattro mi guarda con aria di superiorità. No, non voglio che accada, e per dimostrare la mia finta sicurezza, decido proprio di saltare per primo. Prendo lo slancio e mi getto oltre il portellone, sento gli occhi di tutti addosso.
Mi libro in aria e sento l'aria notturna riempirmi i polmoni e il vento freddo della primavera sferzare i miei vestiti. Per un istante penso che le mie preoccupazioni si avvereranno, perchè nella foga del momento mi sono dato troppa spinta e, per attutire la caduta, dovrei ammorbidire l'impatto proprio con la spalla. Invece atterro con le gambe e continuo a correre per qualche metro per non perdere l'equilibrio; ora, come se non bastasse, i tendini dei polpacci bruciano, attraversate da un intenso dolore dovuto al brusco impatto.
Samuel è il secondo a saltare ed io non posso fare a meno di lanciargli un'occhiata incendiaria, poi seguono i due Eruditi e i Quattro, che ha una mano appoggiata sulla spalla sinistra di Elizabeth -saltata prima di lui- e le sta dicendo qualcosa di importante, a giudicare dal suo sguardo fermo e impassibile. La Candida lo guarda attenta, assimilando ogni parola che il suo istruttore le sta dicendo. Sento qualcosa bollirmi nello stomaco e mi volto, mantenendo lo sguardo fisso davanti a me, deciso ad ignorare ciò che sta succedendo alle mie spalle.

Entriamo nella residenza e subito ci sparpagliamo, Quattro si dirige quasi immediatamente al centro di controllo. I due Eruditi propongono a Samuel di andare in mensa a bere qualcosa e lui accetta quasi subito, dopo un cenno affermativo della Candida accanto a lui. "Non ti preoccupare, sto bene, vai pure" gli sta dicendo, sfoggiando un sorriso contagioso. Senza neanche rivolgere loro una parola, mi affretto subito ad andare verso il mio appartamento, la schiena che brucia a causa del proiettile. La farò pagare a quella Pacifica del cazzo, ma al momento opportuno. Potrei farla combattere contro Blackmount o, ancora meglio, contro Jonathan. Il secondo modulo di addestramento, quello mentale, comincierà fra poco più di una settimana, quindi ho tempo a sufficienza per studiare una strategia che mi permetta di rendere quell'incontro una pura casualità.
"Dov'è che sei stato colpito?" chiede una voce stridula alle mie spalle, riportandomi alla realtà. Mi volto lentamente, e non mi sorprendo quando vedo una piccola figura dalla folta chioma bruna che mi raggiunge e si affianca a me.
"Cosa ti fa pensare che mi abbiano colpito?" chiedo, cercando di sembrare quanto più calmo possibile, ma la sua reazione seguente mi fa sentire meno sicuro.
"Non sono stupida, Eric." risponde dopo una breve risata priva di divertimento. Il modo in cui pronuncia il mio nome, senza paura o timore, mi fa uno strano effetto. Mi guarda, gli occhi scuri ora ricolmi di trepidante attesa, ed io ne sono così ipnotizzato che quasi mi dimentico di risponderle.
"Alla schiena." mi arrendo, accompagnando quella risposta con un sospiro infastidito "Ma si è conficcato nella carne, non penso uscirà più." mi lascio sfuggire.

Lei mi fissa ed io faccio lo stesso, sono curioso di sapere la sua prossima risposta. Lei sembra vacillare, e mi sembra un'emozione così poco adatta a lei che aggrotto la fronte. Alla fine cede e, con un sorriso che non le ho mai visto sulle labbra -neanche quando si rivolgeva a Samuel- pronuncia delle parole che, devo ammetterlo, mi colpiscono.

"Io potrei togliertelo." dice tutto d'un fiato, dopo aver sbattuto le palpebre velocemente come fa spesso prima di parlare, il suo sguardo passa dalla mia ferita a me "Mi serve solo qualche benda e del disinfettante." aggiunge, distogliendo lo sguardo quando voltiamo l'angolo.
"Ho tutto nel mio appartamento, ma posso fare da solo, Elizabeth." sbuffo esasperato, e mi rendo conto che ho pronunciato il suo nome soltanto dalla sua espressione soddisfatta, probabilmente dovuta al fatto che non l'ho chiamata Candida.
"Riusciresti a tirare fuori un proiettile che non riesci neanche a vedere da dietro la schiena, disinfettare con cura la ferita e coprirla con le bende con sufficiente pressione?" commenta lei, divertita "Accidenti, Eric, sai fare un sacco di cose."
"Me lo sarei dovuto aspettare." borbotto alzando gli occhi al cielo, ma lei non risponde e sembra che la conversazione sia finita qui.

Realizzo solo dopo che sta accadento tutto sul serio, che sto portando Elizabeth nel mio appartamento, nell'appartamento che tanto odio perchè mi ricorda il posto dove mi sono rifugiato subito dopo la morte di Amar. E mi turba il fatto che lei lo sappia. Ma lei ora non sembra preoccupata che sta per condividere la stessa stanza con me, al contrario di come si è comportata in palestra, quando mi ha detto esplicitamente che era tesa perchè io ero accanto a lei.
Per la prima volta, non voglio portare una ragazza carina come lei nel mio appartamento. Non voglio perchè sono convinto che, anche se non lo sta dimostrando, abbia in qualche modo paura di me, altrimenti non mi avrebbe guardato in quel modo in palestra, quando l'ho presa per i fianchi. Era visibilmente agitata, agitata perchè mi ero avvicinato troppo a lei. Ed ora non voglio che pensi che la sto portando nella mia camera per un motivo diverso da quello prestabilito.
Deve solo rimuovere il proiettile. Poi se ne dovrà andare. Non fare cazzate, Eric. Ripeto queste parole con decisione finchè non arriviamo davanti alla porta.
La guardo con la coda dell'occhio mentre prendo le chiavi dell'appartamento e faccio scattare la serratura con una mandata, ,a sul suo viso non riesco a leggere nient'altro che concentrazione. 

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Capitolo 6
*** Nelle mani del diavolo ***


Capitolo 6 - Nelle mani del diavolo





Apro la porta di legno con un ampio movimento del braccio e faccio entrare Elizabeth, fissandola dall'alto mentre supera l'uscio della porta, per studiarne l'espressione.
"Benvenuta nella mia umile dimora." mormoro gelido. Lei sorride debolmente e quando passa il profumo dei suoi capelli, così diverso da quello che ho sentito l'ultima volta, mi sorprende e mi immobilizza per un secondo, la mano ancora appoggiata alla maniglia di metallo. Accendo l'interruttore e dalla lampada, che penzola in precario equilibrio dal soffitto, si irradia una luce giallastra che dovrebbe rendere il posto più accogliente. Lei si guarda intorno e osserva le pareti, e si sofferma su quella alla sua destra, dove il disegno della fiamma nera degli Intrepidi sovrasta il letto a una piazza e mezzo. Elizabeth sembra apprezzare il dipinto, a giudicare dal suo sorriso appena accennato, e le sue pupille si dilatano visibilmente, quasi nascondendo il colore delle sue iridi -che, con questa luce, appaiono di nuovo di un castano dorato-.
L'appartamento è una stanza quadrata dalle modeste dimensioni -circa venti metri quadri- ma, per gli standard degli Intrepidi, abituati a stanze piccole e dormitori, potrebbe benissimo essere considerata una suite di lusso.
Sulla parete destra, oltre al letto, c'è soltanto un comodino e, in un angolo, una sedia occupata da una montagna di vestiti. Sulla sinistra non c'è molto, solo la porta che conduce al bagno e un grande specchio dalla cornice in legno appeso sulla parete. Ho intenzione di far dipingere qualcosa, rallegrando almeno un po' l'atmosfera con qualche disegno elaborato. C'è anche un cucinino molto approssimato, sistemato sulla parete opposta a quella dove mi trovo adesso, ma lo uso raramente perchè ho il sospetto che sia difettoso. Mi tolgo la giacca e la lancio sulla sedia, l'impatto dell'indumento fa quasi crollare la torre di vestiti.
"Vado a prendere le bende." dico dirigendomi verso il bagno, poi mi volto e, con un finto inchino, aggiungo "Fai come se fossi a casa tua."
Entro e apro lo sportello sotto il lavandino, lo sforzo mi provoca un forte bruciore alla spalla. Nel cercare il necessario per fasciare e disinfettare la ferita, il mio sguardo si posa su un oggetto scintillante sul primo ripiano. Un paio di forbici di metallo in fondo allo scaffale riflettono la luce bianca del bagno, ed io mi chiedo come non le abbia mai notate prima d'ora. E che diamine, un paio di forbici appuntite fanno sempre comodo, dopotutto. Aggrotto le sopracciglia.
"Hai bisogno di forbici, per estrarre il dardo?" grido, senza staccare gli occhi dal ripiano, in modo che Elizabeth mi possa sentire dall'altra parte dell'appartamento. Un brivido mi percorre la spina dorsale, all'idea di avere un oggetto tanto acuminato che scava nella pelle.
"No, ho già tutto io." risponde lei a voce alta, la voce attutita dalle pareti.

Con l'occorrente in mano, chiudo lo sportello servendomi del tallone ed esco dal bagno, la fronte ancora più aggrottata dalla risposta di Elizabeth. "Ho già tutto io".
Quando distolgo gli occhi dalle garze che stringo fra le mani, la vedo, seduta sul bordo del letto, che gioca con un coltellino pieghevole fra le mani. Ha il manico color beige e varie decorazioni di metallo sui bordi. Devo avere un'espressione sorpresa, perchè lei alza lo sguardo e sorride divertita.
"E quello dove diavolo lo hai..."
"L'ho preso da un interno." spiega lei interrompendomi, poi ride "Ho iniziato una rissa, per questo, perchè il proprietario pensava che il responsabile del furto fosse Richard, l'Erudito con gli occhi verdi" aggiunge, vedendo la confusione che quel nome del tutto nuovo mi aveva acceso negli occhi "Non capisco perchè si sia scaldato tanto, però, non ha idea di come si usi."
"Tu sì?" chiedo con diffidenza, posando le bende e la boccetta di disinfettante verde sul comodino accanto al letto. Lei, in risposta, batte delicatamente la mano sulle coperte accanto a lei, invitandomi a sedere con un sorriso di sfida. Io mi siedo a gambe incrociate e le do le spalle, sfilandomi la maglietta da sopra la testa.
"Non guardare troppo a lungo, potresti bruciarti gli occhi." dico in tono beffardo, la sua risposta è una risata sommessa che assomiglia ad un respiro.
"Senti chi parla." mormora a bassa voce.
Vorrei ribattere, mentirle e ripetere che io non la osservo come fa lei con gli altri, ma una sensazione di calore si irradia sulla spalla, e poi fin nello stomaco. All'inizio penso che sia il senso di colpa, perchè stavo per mentire ad una Candida -stavo per mentire a lei, per la precisione-. Poi sento i suoi polpastrelli scivolarmi sulla schiena e sono colto da un'improvvisa sensazione di disagio. Non che nessuna ragazza mi abbia mai visto così, naturalmente, ma Elizabeth ha un tocco particolarmente singolare e immediatamente desidero rimettermi la maglietta. Nello specchio davanti a me, appeso alla parete opposta a quella del letto, la vedo studiare la lesione come se l'avesse fatto altre volte.

Sussulto quando mi sfiora la ferita, lei non ritira la mano ma mormora distrattamente quelle che sembrano essere scuse, concentrata sul foro del proiettile appena sotto la scapola sinistra. Lei emette un suono poco convincente, come se stesse valutando la gravità della ferita.
"Che dire, Alice ha fatto un bel danno." bisbiglia, nello specchio vedo riflessa la sua espressione aggrottata mentre afferra il disinfettante alle sue spalle.
"Come fai a sapere che è stata lei a spararmi?" sbotto e vorrei voltarmi verso di lei, ma un'improvvisa fitta mi fa abbandonare ogni tentativo. I nostri sguardi si incrociano, però, nello specchio di fronte a noi, la sua testa che spunta appena da dietro la mia spalla.
"Perchè le ho detto io di farlo, ovviamente." risponde senza staccare gli occhi dai miei, il suo respiro mi solletica la pelle. Ha la mano destra appoggiata alla mia schiena, circa all'altezza dei fianchi, con il coltellino ancora in mano, e la mano sinistra sulla spalla, con dei batuffoli imbevuti di disifettante fra le dita. Vede la mia espressione furiosa -per quanto ne so, non le ho mai rivolto uno sguardo simile- e riporta la sua attenzione sulla mia ferita.
"E perchè le avresti detto di fare una cosa del genere?" chiedo oltraggiato, la voce che tradisce una certa rabbia.
"Perchè sapevo che facendolo avrebbe creduto di più in se stessa, e che non avrebbe avuto più bisogno del mio aiuto. Ha sparato al Capo della squadra opposta, dopotutto, dev'essersi sentita invincibile." risponde, alzando le spalle "E poi, se non fosse stato per lei non saremmo qui." aggiunge con un sorriso che non riesco a decifrare.
Posa il coltellino sul materasso e chiude il flacone di disinfettante in modo che non si riversi sulle coperte.

Decido di ignorare quel che ha detto perchè non so come rispondere; effettivamente, non mi dispiace tutta questa situazione -tralasciando il dardo e tutto il resto-. Elizabeth nel mio letto, appoggiata alla mia schiena nuda. Se ora decidessi di girarmi e bloccarle i polsi sul materasso, non ci sentirebbe nessuno. Ma dubito che lo farei, considerato che potrei perdere anche quel minimo di contatto -visivo e non- che abbiamo. Nonostante tutto, credo che stare con lei mi basti. Non appena Elizabeth tampona la ferita con un batuffolo, però, mi pento subito di averlo pensato. Immediatamente la ferita comincia a bruciare come carboni ardenti sulla pelle ed io faccio di tutto pur di non farmi scappare neanche un gemito di dolore. Mi stringo le caviglie con le mani, cercando di pensare ad altro, tipo alla sua mano che ora è posata sul mio braccio destro e alla sua voce che sta mormorando parole di conforto. Il tuo tono gentile mi sorpende così tanto, soprattutto perchè non l'ho mai sentita parlare così, che mi rilasso immediatamente e la bruciatura mi sembra quasi sparita, come se ci avessero gettato dell'acqua fredda sopra.
Quando finisce di disinfettare, getta i batuffoli grondanti di sangue nel cestino dei rifiuti -sono contento che abbia avuto l'accortezza di non poggiarli sul letto- e mi lancia uno sguardo impensierito dallo specchio, poi prende il coltellino posato accanto a lei. Si toglie gli scarponi e si sistema meglio sul letto, inginocchiandosi dietro di me e divaricando le gambe in modo da essere più vicina, più precisa con la lama. Ora posso sentire la stoffa ruvida della sua maglietta premermi sulla base della schiena, ed averla così vicina mi rende nervoso, soprattutto perchè ha in mano un coltello, la cui punta è poggiata sulla mia pelle. Si schiarisce la voce e mi guarda di nuovo, ora ha uno sguardo rassicurante, fermo.

"Il proiettile è finito in profondità. Non ha danneggiato nulla, certo, ma sarà doloroso rimuoverlo." mi guarda ancora, come per accertarsi che abbia sentito "Molto doloroso." aggiunge.
"Come fai a sapere tutte queste cose?" non riesco a trattenermi dal chiederle, e la sua mano attorno al mio braccio destro si irrigidisce. Devo averle posto una domanda scomoda.
"Mia sorella si è trasferita agli Eruditi circa quattro anni fa." risponde secca, ma capisce che non è una spiegazione esauriente, allora continua dopo un breve sospiro "Quando sono andata a visitarla mi ha detto di aver scelto un particolare corso di medicina. E mi ha insegnato alcune cose." risponde vaga, scuotendo la testa in maniera quasi impercettibile. "Ma... Ora non mi vuole più vedere."
"Pensi che non verrà, nella Giornata delle Visite?" le chiedo, ricordando che quella giornata non è poi così lontana, mancano solamente due giorni, forse uno. Non ne ho idea.
Lei mi lancia uno sguardo tagliente attraverso lo specchio, ed è ora che riconosco l'Elizabeth che fino ad adesso ho avuto il piacere di osservare.
"La mia famiglia non verrà." mormora, come se fosse una cosa ovvia. Il suo sguardo si fa più cupo. "Quando hanno visto cos'avevo fatto, lasciare i Candidi, intendo... Non mi hanno più riconosciuto come loro figlia, immagino, era chiaro dalle loro espressioni. E quando mia sorella l'ha saputo... Be'... Lei non..." si blocca, i suoi occhi si riempiono di nuovo della stessa durezza che è solita rivolgere agli altri iniziati. È come se si fosse irrigidita in un secondo. "Sto per estrarre il proiettile. Non devi trattenerti dal lamentarti, se fa troppo male." conclude, e dal suo tono di voce capisco che l'argomento La fantastica famiglia di Elizabeth è chiuso.

Sto per risponderle che non ho bisogno di gridare, che ho tutto sotto controllo, quando la punta del coltello si insinua nella carne. A quel punto, per orgoglio, faccio di tutto per non gridare, l'unico suono che esce dalle mie labbra è un continuo sibilare e qualche grugnito palesemente sofferente. La mano di Elizabeth non è più sul mio braccio, e l'assenza del suo tocco delicato amplifica la disgustosa sensazione della lama che scava in profondità. Quando riesce a individuare il dardo, il neurostimolatore si muove sotto la carne e il dolore va crescendo sempre di più, soprattutto perchè si è conficcato obliquamente e lei non riesce a tirarlo fuori. Impreco, e a quel punto la mia mano scatta involontariamente e, in preda ad uno spasmo dovuto ad una fitta più forte delle altre, stringo la gamba di Elizabeth. Non mi rendo conto che la sto stringendo con troppa forza perchè lei non emette neanche un gemito, anche se dalla sua espressione riflessa nello specchio capisco che le sto facendo male.
Allento la presa e cerco di non concentrarmi su quello che sta facendo, ma sulla mia mano sulla sua gamba, e sul fatto che lei non si sia ritratta. Ero sicuro che lei non amasse il contatto fisico. Magari me l'ha lasciato fare perchè sa che ne ho bisogno per alleviare il dolore.
Hai bisogno di toccarle la gamba per stare meglio? No, chiaramente, così come ho stretto la sua gamba avrei potuto stringere le lenzuola o, di nuovo, le mie caviglie. E perchè non l'hai fatto, allora? Perchè non mi avrebbero dato lo stesso sollievo. Anche soltanto sapere che Elizabeth è dietro di me, concentrata a dedicarmi attenzioni che non avrei mai pensato di ricevere, mi fa sentire molto più rilassato. Apparte il coltello nella carne e la viscida sensazione del dardo che viene tirato fuori dalla spalla.

Quando Elizabeth termina, mi passa un altro batuffolo di disinfettante sulla ferita ed ora me la fascia con movimenti esperti di chi ha ripetuto quel gesto milioni di volte, facendo passare le bende da sotto il braccio per riavvolgerle poi sulla spalla parecchie volte. Ed io sono fiero di me stesso perchè, apparte averle stretto la gamba in una morsa letale, non ho dato altri segni della mia sofferenza. Forse la mia reputazione è ancora intatta, ma dovrò fare in modo di assicurarmi che quello che è successo in questa stanza rimanga in questa stanza. Non posso permettere agli altri iniziati -o a quello sbruffone di Quattro- di sapere quanto è successo. Mi volto verso di lei, perchè sono stanco di guardarla riflessa nello specchio. Ancora una volta mi ritrovo a osservarla, e noto che, anche se ora le si sono sviluppati i muscoli delle braccia e delle gambe, ha sempre lo stesso aspetto delicato ma tagliente che aveva sul cornicione, quando la vedevo soltanto come una Candida che parlava troppo. È ancora così che la vedo, ovviamente, nulla di più. Ne sei sicuro? Zitto, sono impegnato a guardarla.
Ha il volto pallido e le guance scavate, ma nei suoi grandi occhi, dietro quelle iridi scure e penetranti, brilla la sua solita curiosità e sete di conoscenza che ha anche quando non se ne rende conto.
"Tutto bene?" mi chiede spezzando il silenzio, ed io annuisco con troppa foga, staccando gli occhi dai suoi. Poi la mia attenzione si sposta sulla sua ferita, un foro appena visibile attraverso la maglietta nera. Lei segue il mio sguardo e scuote la testa. "No, io sto bene. È stato Samuel, ma io il mio dardo l'ho tolto subito." aggiunge sorridendo.
Samuel.
"Anche tu dovresti bendarti la ferita." osservo, ma il nome del Candido continua a ripetersi come una cantilena nella mia testa. Ha sparato ad Elizabeth. Ma tu hai sparato a lui. Be', è già un inizio.
"Lo farò in un secondo momento, magari non ce ne sarà neanche bisogno." farfuglia mentre si alza dal letto. Muovendosi produce uno spostamento d'aria fredda che mi fa rabbrividire, mentre continuo a fissare il fantasma della sua piccola figura che prima era seduta davanti a me.

Lei si siede sul bordo del letto e si rimette gli scarponcini, io mi alzo per riporre il kit medico nello sportello del bagno. Per la prima volta da quando sono in questo appartamento, mi studio attentamente allo specchio, e sfioro con prudenza le bende, ruvide al tatto. È strano guardarsi allo specchio, sapere come ti vedono gli altri, come se tu fossi soltanto un corpo e non una mente imprigionata in un pugno di muscoli e nervi. Dev'essere per questo che i miei iniziati mi temono, perchè vedono soltanto le mie azioni, il mio sguardo freddo, l'espressione crudele stampata in faccia. Non vedono i miei pensieri. Non come Elizabeth. Lei riesce a vedere entrambi, in qualche modo.
Scuoto la testa ed esco sbuffando dal bagno, lei è in piedi vicino al comodino, lo sguardo attento puntato sul dipinto delle fiamme degli Intrepidi appena sopra il capezzale in legno del letto. I capelli sciolti le scendono sulla schiena come una cascata di castano, arancione e qualche ciocca appena visibile di rosso, e quando lei muove la testa sembra che i colori si ricompongano e si rimescolino in un fiume di nuove sfumature.
"È un disegno molto ricorrente in questa residenza." commenta lei con mitezza, quasi ovvietà "Ne hai uno anche sulla schiena." aggiunge come per spiegare quella sua osservazione. Subito mi riviene in mente quando mi ha ripercorso la scapola ferita con i polpastrelli. "Non ti preoccupare, il proiettile non ha preso il tatuaggio." mi rassicura, voltandosi verso di me. Ha lo sguardo tranquillo, come se stesse parlando ad un amico. Non mi ricordo l'ultima volta in cui qualcuno mi ha parlato come se fossi una persona, non come se fossi qualcuno da evitare a tutti i costi.
"Hai intenzione di fartene uno anche tu?" chiedo fingendo disinteresse mentre mi dirigo verso il lavello del cucinino. Apro la manovella dell'acqua fredda e il sangue tinge di rosa il marmo bianco. L'acqua funziona, almeno, penso sollevato.
"No." riponde lei, dopo averci pensato un po' "Non sono esattamente un'amante dei tatuaggi." aggiunge.
"Mh-hm" annuisco, asciugandomi le mani su uno straccio. Mi appoggio al bordo del lavandino e la guardo.

Quando il silenzio cala fra me ed Elizabeth, provo di tutto tranne imbarazzo. Provo curiosità, voglia di conoscere ogni suo oscuro segreto, tranquillità, a volte anche desiderio. Ma non è l'assenza di parole che mi mette a disagio, o sapere che non abbiamo argomenti di cui parlare per riempire il silenzio. Quando Elizabeth tace -cosa davvero insolita per una Candida- mi sento studiato, ed è come se non riuscissi a staccarmi i suoi occhi di dosso, come se fossero una seconda pelle. La sento che mi squadra, che individua ogni mio difetto, sento il suo sguardo che ripercorre ogni vena del mio corpo. Sento la sua presenza persino nel sangue. Mi sento giudicato anche quando respiro.
"Perchè ce l'hai tanto con Jonathan?" chiedo infine, sbottando infastidito. Lei se ne accorge e fa risalire gli occhi ai miei, ora non ha più quella scintilla di curiosità negli occhi. C'è di nuovo quella durezza che le pietrifica lo sguardo, facendolo sembrare più penetrante e minaccioso.
"Io non ce l'ho con lui." dice dopo aver sbattuto le palpebre un paio di volte, gli occhi fissi sui miei.
"Gli hai rotto un dito." le faccio notare con un lieve tono divertito. Sento un debole sorriso incurvarsi sulle mie labbra.
"Mi ha minacciato." risponde imitando la mia stessa espressione, ma nel suo sorriso non c'è divertimento come nel mio, è un sorriso tirato, sadico. Devo avercelo anch'io, molto spesso, come quando qualcuno si fa male o trova difficoltà nel fare qualcosa.
"E avevi paura?" chiedo, sorridendole in modo strafottente. So che la manda in bestia.
"No." erompe lei. Si volta di nuovo verso il dipinto nero delle fiamme sul muro. "Ma voglio che lui abbia paura di me. Pensavo che pestarlo a morte avrebbe contribuito a tenermelo lontano. Ma Jonathan ha questo costante desiderio di dimostrare la sua superiorità, anche quando sa che ormai non potrà più riacquistare la sua immagine da duro Intrepido. Più ha paura di me, più mi sta alla larga. Ma più si sente minacciato, più tenterà di ricostruire il suo orgoglio, e più mi starà col fiato sul collo. È un circolo vizioso che voglio interrompere."

Rimango senza parole, per come ha espresso con calma e decisione la sua osservazione su Jonathan, come se fosse un argomento di scuola ed io la stessi interrogando. Certo, sapevo anch'io che l'iniziato era tutto fumo e niente arrosto, ma dal momento che so che Elizabeth ne è a conoscenza perchè l'ha studiato, e non perchè l'ha sentito da qualcuno, adesso mi sembra di avere davanti qualcuno con poteri straordinari. E la cosa che mi spaventa di più è che nessuno, neanche il sottoscritto, riesce a conoscere bene una persona senza neanche averci scambiato più di due chiacchere -nel loro caso erano provocazioni- come fa lei. Chissà se è a conoscenza anche di questo. Mi stacco dal lavandino e cammino lentamente verso di lei, non voglio spaventarla, quindi cerco di sembrare il più sciolto possibile.
Catturo la sua attenzione, e i suoi occhi attenti si spostano dal muro a me, sfiorandomi come la brezza primaverile. Mi sento piccolo sotto il suo sguardo, ma freno l'impulso di bloccarmi e starle più lontano che posso, ricordandomi che sono il suo istruttore e che è lei che dovrebbe rabbrividire alla mia presenza. Però non lo fa. E continua a fissarmi con i suoi enormi occhi dorati.
"Voglio che mi rispondi in tutta sincerità, adesso." comincio, fermandomi davanti a lei con le braccia incrociate sul petto. Mi rendo conto solo ora che sono rimasto a petto nudp, e mi sento ancora più vulnerabile. Ma lei non sembra esserne turbata. "Sei una Candida, dopotutto, non è così?"
"Sono un'Intrepida." mi corregge, una luce che non ho mai visto prima le attraversa lo sguardo, conferendole un'espressione più minacciosa del solito. Eppure il suo volto sembra sempre lo stesso di sempre, passivo, neutro, vuoto. "Ma proverò ad essere sincera."
"Dal momento che sei così brava a studiare i comportamenti degli altri, e quindi anche del sottoscritto, voglio che tu mi dica una cosa. Dimmi cos'hai scoperto su di me." dico spostando gli occhi da lei alla porta alle sue spalle, come se mi costasse tutta la fatica del mondo guardarla negli occhi. Forse è così. "Oltre a quello che mi hai detto in palestra, certo. Quelle erano cose che si potevano cogliere anche con un'osservazione superficiale."
"Le mie osservazioni le tengo per me. Non c'è motivo per il quale dovrei condividerle con te, Eric." risponde secca, ed il mio sguardo si fa più freddo. Il suo più acceso.
"Non era una richiesta. Era un ordine." sibilo. Lei alza le sopracciglia, come se fosse sorpresa della mia presa di posizione. Esita qualche secondo, poi la sua fronte si aggrotta e comincia a parlare, sputando le parole come insulti.

"Tu hai queste manie di protagonismo che ti fanno credere di essere migliore di tutti quanti, sempre un gradino più in alto. Pensi che per essere un Capofazione serva soltanto essere crudeli e sbraitare ordini a chiunque. Temi chi è più forte di te e per questo te la prendi con chi cerca di evitarti, ad esempio con gli altri iniziati. Nutri per Quattro un sentimento di rabbia e invidia che cresce ogni volta che lo vedi, perchè sai che se Max prendesse lui al tuo posto, farebbe una scelta migliore. Vorresti essere come lui, ma una parte di te lo disprezza, perchè era un Abnegante, e guai a voler essere come un Rigido! E ora so che mangi da solo in mensa perchè temi il confronto con gli altri, perchè sai che c'è un'alta possibilità che qualcuno scopra che non sei l'irremovibile Intrepido che vorresti essere, perchè sai che c'è gente che merita e tu no, perchè sai che prendertela con iniziati smarriti ti fa sentire meglio e, in fondo, sai che dovresti vergognartene, ma non riesci. Non vuoi. E ho visto anche come guardi Samuel quando mi sta vicino, o l'occhiataccia che hai lanciato a Quattro sul treno. Ho come l'impressione che tu abbia paura che qualcuno possa cambiare la mia impressione su di te. E allora sappi, Eric, che io non ho bisogno che qualcuno mi faccia il lavaggio del cervello per avere un quadro generale di te o del tuo modo di essere, a differenza tua. "

Woah. L'unica espressione che riesco a formulare in questo momento. Elizabeth mi sta guardando con rabbia contenuta, ed il suo petto si alza e si abbassa secondo un ritmo irregolare, come se avesse fatto il giro della città in pochi secondi. Io non so che espressione ho in questo momento, sento solo la mia mascella serrata e le sopracciglia abbassate sugli occhi in un'espressione confusa ma attenta. Ma non so quali emozioni sto tradendo con lo sguardo. Sono sorpreso? Sì, parecchio anche. Vorrei che non avesse detto quelle cose? Probabilmente. Mi sento minacciato, ora che ho capito che Elizabeth mi ha inquadrato perfettamente? Questo non lo so.
Ho impiegato così tanto per costruirmi la mia rigida immagine da Capofazione severo e inflessibile, e poi è arrivata lei, che ha mandato tutto all'aria in meno di una settimana. E le sono bastate pochissime occhiate, come se fossi un enigma facile da risolvere. Non voglio essere facile da risolvere. Non voglio che pensi che io debba essere risolto. E sì, da una parte vorrei essere il suo rompicapo più complicato. Ma dall'altra non voglio essere solo questo.
Vorrei dire qualcosa in risposta, perchè lei mi sta guardando come se volesse leggermi nel pensiero di nuovo, ma io non voglio permetterglielo. Non posso. Rilasso lo sguardo, lasciando che sul mio volto si formi un irritante sorriso soddisfatto, e schiudo la bocca come fa sempre lei prima di dire qualcosa. Mi piego leggermente verso di lei, sperando di intimorirla almeno un po'. Ma so che non ci riuscirò mai. Elizabeth non ha paura di nulla.
"Okay." mormoro a voce bassa.
"Okay?" ripete lei, e nei suoi occhi luccica un'emozione simile alla rabbia, ma molto più pacata. Elizabeth non sembra una ragazza che si arrabbia per così poco, e se lo fa, lo sa nascondere alla perfezione.
"Sì, okay, puoi andare." aggiungo, vorrei essere calmo almeno la metà di quello che dimostro davvero, perchè dentro sento una vampata di collera che potrebbe scoppiare da un momento all'altro. Ma da fuori risulto impassibile, perchè non voglio che lei sappia che le sue parole hanno colpito nel segno.

Lei non risponde, si limita a girare su se stessa e dirigersi con impeto alla porta. La guardo andare via, e non cosa provare. Perchè da una parte vorrei che rimanesse nella mia stanza, dall'altra voglio che il suo sguardo attento stia più lontano possibile da me. Mi ha osservato abbastanza, e ora vorrei che mi guardasse non come se fossi un libro da imparare a memoria, ma come una persona. E mi fa strano ammetterlo, ma vorrei che mi guardasse come Samuel guarda lei, con quell'ardente desiderio, intenso e fremente, bramosia d'affetto, come se mi volesse conoscere, e non analizzare. Mi convinco che forse ho ancora una possibilità, ma poi vedo i suoi occhi quando raggiunge la soglia della porta. E mi rendo conto di aver ferito Elizabeth, e le mie speranze si sciolgono come neve al sole. Dall'unica emozione che i suoi occhi rivelano involontariamente capisco che tra noi è cambiato qualcosa, ma non so interpretare altro. Non sono attento come lei in questo genere di cose. So soltanto che ho scalfito una pietra che pensavo fosse irrigidita dal tempo, e ho provocato in lei qualcosa che, sono sicuro, non provava da un bel po'. Sento la rabbia montare nel mio stomaco e quando Elizabeth si chiude con decisione la porta alle spalle, la faccio uscire dal corpo sottoforma di violenza. Emetto un grugnito e colpisco il muro con un pugno, usando la parte laterale della mano per non trasformare lo sdegno in dolore, anche perchè non sarebbe il massimo chiedere ad Elizabeth di tornare per medicarmi ancora.
Quando le emozioni negative si placano, prendo una maglietta dal mucchio di indumenti abbandonati sulla sedia e me la infilo mentre mi accascio sul bordo del letto. Non sono più arrabbiato, ma ora ho paura perchè Elizabeth è a conoscenza di alcune cose su di me che io ho sudato per tenere nascoste, e non voglio che si venga a sapere in giro. Specialmente non voglio che Quattro sappia cosa penso di lui, ovvero che lo odio perchè so che è una persona migliore di quanto io non potrò mai essere.
Forse dovrei correrle dietro e ordinarle di tenere quelle informazioni per sè, ma penso che questo le rivelerebbe che ho paura di quello che potrebbe dire, e che quindi la spingesse a spifferare tutto a tutti. Eppure non mi sembra una ragazza del genere, non sembra una ragazza che si vendica per così poco. Poi, mi rendo conto, che io non so nulla di lei.
Forse, con Elizabeth, i miei segreti sono al sicuro. O forse li ho consegnati nelle mani del diavolo.  

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Capitolo 7
*** Il Giorno delle Visite ***


Capitolo 7 - Il Giorno delle Visite





Il Pozzo brulica di iniziati e delle loro famiglie, ed un coro di risate e chiacchericcio indistinto si solleva dal fondo della Residenza. L'ampio spiazzo sotto di me è abbondantemente illuminato dalla luce del sole, che filtra attraverso il soffitto di vetro soprastante. Dev'essere una bellissima giornata primaverile, là fuori, nonostante stanotte stessi congelando.
La prima iniziata che noto, più che per la sua stazza che per altro, è Alice, la Pacifica, che sta gesticolando cercando di spiegare qualcosa ad un uomo di mezza età, vestito con una camicia di flanella arancione sbottonata -dubito che riuscirebbe a chiuderla, con quel fisico- e jeans da lavoro sporchi di terra. È molto alto, con gli stessi lineamenti della figlia, che sul suo viso piccolo lo fanno assomigliare ad un roditore. Sua madre è una donna sorprendentemente magra e bassa, porta una maglietta leggera che un tempo doveva essere di colore rosa, e ha gli scuri capelli corti arruffati come un groviglio di lana nero sulla testa. La donna stringe la mano ad una bambina sui dieci anni, uguale al padre, che si guarda intorno spaventata, scuotendo i capelli a caschetto come se fossero una trottola impazzita.
Faccio vagare lo sguardo da una parte all'altra del Pozzo, cercando di pescare qualche volto conosciuto. Jonathan è in un angolo, un po' più distante dagli altri iniziati, e sta parlando con i suoi genitori, due Intrepidi dall'aria vagamente familiare. Sua madre, una bella donna dai capelli castani -con qualche ciocca di viola- alta e snella come il figlio, allunga una mano verso la sua guancia, dove ancora si vedono i lividi che il combattimento contro Elizabeth gli ha procurato. L'iniziato allontana la carezza della madre con un gesto abbastanza brusco della mano, ma questo non fa altro che mettere in evidenza la fasciatura che gli stringe l'indice sinistro, e sul volto della madre vedo apparire delusione e preoccupazione, miste in un'espressione fredda e distaccata.

Non molto lontano individuo Samuel, che è appoggiato al muro di pietra con le braccia incrociate. Sta parlando con qualcuno che riconosco come suo fratello, un ragazzo più alto e più magro di lui, le spalle larghe come quelle del fratello minore, e dai capelli biondo scuro che formano una massa informe di riccioli. Ha la mascella squadrata e i lineamenti marcati, e anche da qua in alto posso vedere che Samuel è invidioso del suo bell'aspetto. Il fratello, invece, non sembra esserne al corrente, neanche dopo aver visto delle ragazze Intrepide -e non- che lo fissavano come se se lo volessero divorare con gli occhi. Dovrà avere una ventina d'anni, e immediatamente il colore nero dei suoi vestiti cattura la mia attenzione. Suo fratello è un Intrepido, mi dico, e cerco di sforzarmi di ricordare il suo volto in palestra o nel centro di controllo. Dovrebbe chiamarsi Stephan, Steven, Simon, un nome del genere. Devo averlo visto qualche volta in mensa, oppure durante una delle tante feste che gli Intrepidi organizzano. Se fosse stata una persona importante, sicuramente, me ne sarei ricordato. Molto probabilmente mi ha parlato soltanto qualche volta l'anno scorso.
Potrei sforzarmi ancora di più, se una piccola macchia nera non avesse catturato la mia attenzione e avesse bloccato i miei pensieri.
Elizabeth sta girando l'angolo di uno dei tunnel che conducono al Pozzo, indossa una canotta nera che mette in risalto la muscolatura delle braccia e dei jeans scuri, tenuti su da una cintura dello stesso colore. Ha i capelli sciolti e l'espressione guardinga, e mi sorprendo a pensare che è davvero una bella ragazza, anche con quello sguardo avveduto che ha come stampato in viso in ogni occasione. Anche se è così piccola di statura (non sembra essere diventata più alta, solo più forte), con una semplice falcata riesce a far impallidire tutte le ragazze presenti nel Pozzo che, quando la notano, sono sia intimidite dal suo sguardo tagliente, sia invidiose dell'attenzione che riesce ad attirare senza volerlo.

Cerca Samuel con lo sguardo, ma appena Stephan -sono abbastanza sicuro che sia questo il suo nome- la nota, interrompe la sua conversazione con il fratello e la chiama a gran voce. Elizabeth è visibilmente sopresa, ma la sua espressione non muta, se non per un sincero sorriso che si sta allargando sulle sue labbra. Stephan le fa segno di raggiungerlo, e la ragazza si guarda di nuovo intorno prima di avvicinarsi all'Intrepido. Non appena è abbastanza vicina, il ventenne se la stringe al petto e la solleva, scuotendola con affetto come se fosse un pupazzo di pezza. Elizabeth è presa così alla sprovvista che lancia un flebile gridolino di sorpresa. Vedo Samuel fulminare il fratello con lo sguardo e stringersi ancora di più nelle spalle, come se volesse sparire all'istante.
Stephan la posa a terra e apre le braccia ad indicare l'intera figura della ragazza, come a dire "Ma guardati, come sei cresciuta!", e vedo Elizabeth rivolgergli un sorriso imbarazzato in risposta. Stephan le mette un braccio intorno alle spalle, avvicinandola a se, e ritorna a parlare col fratello; probabilmente quella dimostrazione d'affetto così esplicita non dev'essere un gran problema per l'Intrepido come lo è per la piccola ragazza. O per Samuel.
Mi rendo conto che sto aggrottando la fronte e che ho la mascella serrata, prima di rendermi conto di una sensazione che non avevo mai provato prima d'ora. È come se qualcuno stesse scavando con una pala nel mio stomaco. E mi rendo conto troppo tardi che sono geloso di Elizabeth.
Ecco, l'ho detto, ma non lo ripeterò ancora. E la cosa che mi fa arrabbiare di più è che lei lo sa, ma non sembra più preoccuparsi di me. Non da quella sera nel mio appartamento, almeno. L'ho innervosita così tanto che ora sembra che per lei non sia mai esistito.
Ieri, in mensa, ho notato che non mi rivolgeva neanche uno sguardo distratto come faceva i primi giorni, impegnata com'era in una conversazione con Quattro e due altri Eruditi. Ed io, al contrario, la fissavo più spesso di prima. Da una parte mi sentivo sollevato, perchè non mi stava più studiando come una macchina, ma d'altra parte non approvavo la sua scelta di ignorarmi completamente. Forse non è una scelta, mi dico, probabilmente non ti vuole parlare più e basta.
Scaccio via quel pensiero.

Vedo le altre ragazze, mi pare di riconoscere Vivienne che parla con la sua compagna: sono le uniche ragazze fra gli iniziati, oltre a Elizabeth e Alice. Sembrano infastidite dal fatto che Stephan stia dedicando tutte le sue attenzioni alla piccola Candida senza troppe forme, invece di badare a loro due, che sono alte e hanno gambe chilometriche che farebbero impazzire qualsiasi Intrepido. Vivienne porta i capelli neri e corti che le arrivano poco sopra le spalle, incorniciando il suo viso tondo che ora ospita un'espressione accigliata. Mi pare che la sua compagna si chiami Maureen, una ragazza dalla pelle color miele e dai capelli lunghi con le punte tinte di bianco. Entrambe hanno un tatuaggio su un braccio, ma da questa distanza non riesco a riconoscerne la forma. Sembra una specie di corvo, oppure un cane deforme.
Colgo un movimento con la coda dell'occhio, e vedo che Elizabeth si è divincolata con discrezione e destrezza dall'abbraccio di Stephan, sotto lo sguardo compiaciuto di Samuel -e il mio-. Lei si avvicina al Candido e gli mormora qualcosa sottovoce, dopodichè gli accarezza la spalla e fa per andarsene, confondendosi fra la folla brulicante che invade il Pozzo, ma Stephan la trattiene per un braccio e le scompiglia i capelli con una mano, facendole risalire una risata dallo stomaco. Le dice qualcosa, ma lei si è già diretta altrove.

Elizabeth cerca qualcuno con lo sguardo dopo essersi allontanata, ed io seguo i suoi movimenti attenti, spostandomi su un lungo sentiero in rilievo scavato nella roccia che sovrasta il Pozzo. Non appena i suoi occhi si inchiodano su una figura maschile appoggiata al muro, scansa la gente senza perdere la sua espressione rattenuta e circospetta. Seguo la direzione che sta prendendo e vedo che sta puntando verso Quattro, che ora l'ha notata e si è staccato dalla parete. La rabbia mi avvampa le guance. Prima Stephan, ora il Rigido. Elizabeth gli afferra un braccio con aria ansiosa ma determinata, e gli sibila qualcosa che anche Quattro fa fatica a sentire. Lui la guarda con un'espressione quasi infastidita, ma dopo alza gli occhi al cielo e si dirige verso uno dei tanti tunnel, facendo cenno di seguirla. Penso che anche Samuel l'abbia notato, perchè ha lo sguardo duro volto nella loro direzione, ma lo distoglie subito per ritornare a concentrarsi su suo fratello, che continua a parlare ininterrotto. All'improvviso capisco di provare le stesse cose che sta provando Samuel adesso:  non voglio che Elizabeth passi troppo tempo con Quattro, specialmente dopo che ha deciso di non rivolgermi più la parola. Lui è fortunato, rifletto, almeno ha ancora la possibilità di parlarle.
Nonostante tutto, decido di non seguirli, perchè non voglio per quella Candida sia troppo esplicito cosa provo per lei. Forse perchè so che prima o poi lo scoprirà da sola,
forse perchè non lo so neanche io.

                                                                                                        ***

Do un ultimo, disperato, rabbioso, pugno al sacco da boxe, che oscilla sotto i colpi che sto tirando da oltre mezz'ora. Sono venuto qui perchè da una parte speravo di incontrarla, dall'altra perchè è da parecchio che non dormo la notte. Il non averla trovata qui mi ha quasi fatto venire voglia di andare nel suo dormitorio e svegliarla, portarla in un posto tranquillo e dirle che mi dispiace, che non avrei dovuto comportarmi così male con lei.
Ma poi mi ricordo che io sono Eric, sono lo spietato Capofazione che tutti evitano, e mi convinco che se avrà voglia di parlarmi, lo farà lei. Lo spero, almeno.
Ansimo e mi siedo per terra, afferrando l'asciugamano e passandomelo pigramente sul volto. Me lo tengo davanti agli occhi finchè il suo viso sorridente mentre parla con Samuel non scompare dalla mia mente. Vorrei poter stare così per sempre, con la stoffa che mi copre la vista, senza dover affrontare nulla. Ma sono già passati due giorni, e per Elizabeth non sono più neanche degno di uno sguardo. Non è un'esagerazione, ormai anche durante gli allenamenti si concentra più su se stessa che su quello che la circonda. Prima, si guardava in giro come se potesse essere assalita da un momento all'altro, ora, invece, tiene sempre gli occhi fissi sul sacco da boxe. Ha cominciato a chiudersi in se stessa, non parla più neanche con Samuel o Alice. In realtà continua a parlare con loro, ma non come prima. A dirla tutta, non sembra più Elizabeth senza quello sguardo curioso e pericolosamente vivace dei primi giorni, che ora è perennemente sostituito da uno duro, quasi angosciato.

Lascio cadere l'asciugamano sulle ginocchia, e quando lo scosto dagli occhi qualcosa cattura la mia attenzione. Un movimento inverosimilmente rapido, quasi impercettibile, del quale io riesco a scorgere soltanto la sagoma di qualcuno che schizza via per il corridoio parallelo alla palestra. E c'è solo un posto dove conduce quel tunnel: all'uscita d'emergenza, fuori dalla residenza degli Intrepidi.
Mi alzo di scatto e ignoro il dolore alla spalla che mi attraversa il corpo, mi fiondo fuori dalla palestra, ma il fuggitivo è già sparito, anche continuo a sentire i suoi passi in lontananza. Mi tolgo gli scarponi per non farmi sentire e mi lancio all'inseguimento di quella misteriosa figura, utilizzando il rumore delle scarpe di quel qualcuno sulla pietra del pavimento come punto di riferimeto. Nessuno scappa da qua, penso, non se ci sono io a supervisionare. Sento la maniglia antipanico dell'uscita d'emergenza che sbatte con il suo solito rumore assordante sul metallo della porta, e penso che chiunque stia cercando di fuggire abbia davvero una gran fretta. Svolto l'angolo che la porta non si è ancora chiusa del tutto, mi lancio con tutto il peso del corpo e la apro. La fredda aria notturna mi fa rabbrividire, ed il sudore sulle tempie dovuto all'allenamento di poco prima mi si congela sulla pelle.
In lontananza, vedo una piccola figura che corre via, agile come un gatto e decisa come un vero Intrepido. E so che solo una persona ha quel mix di qualità. "Elizabeth" mormoro, ed il suo nome mi si ghiaccia in gola quando sento lo sferragliare del treno che squarcia il silenzio della notte. Mi rimetto velocemente gli scarponi e la rincorro, il vento gelido che mi si incolla alla pelle come un velo invisibile. Mi sarei dovuto mettere qualcosa di più pesante, ma non è questo il momento di pensare a cose stupide come l'ipotetica polmonite che rischio di prendere. Ci separano una trentina di metri, ma io vedo comunque perfettamente i suoi capelli che fluttuano in aria e ondeggiano quando si muove velocemente, vedo la borsa che porta a tracolla e le colpisce il fianco quando corre. Ma dove diavolo sta andando?

Quando raggiunge la banchina del treno, la vedo fare uno scatto fulmineo per saltarci sopra e atterrare con tale leggiadrìa che mi chiedo chi gliel'abbia insegnato. Il treno è ancora lontano, ma posso sentire la terra tremare al suo passaggio. Faccio un ultimo sforzo disumano e atterro con molta meno delicatezza dietro di lei e, prima che se ne possa accorgere e quindi respingermi, la afferro con tutte e due le braccia per i fianchi e le blocco le braccia, impedendole qualsiasi movimento. Lei scalcia con decisione e cerca di liberarsi, ma dopo inutili tentativi si rilassa e sbuffa con un grugnito animalesco. Sarà anche agile e precisa, ma non può competere contro la forza bruta di chi si allena anche di notte. Allento la presa e lei si volta furiosa verso di me, i capelli arruffati e scompigliati dal vento.
"Sei impazzito?" ringhia con gli occhi spalancati, come se le avessi appena insultato tutta la sua stirpe, invece che impedirle di fare una bravata.
"Io!" rispondo con una risata che di divertente non ha nulla. Devo avere la sua stessa espressione esterrefatta. "Cos'hai intenzione di fare?"
"Cos'ho intenzione di fare io non sono fatti tuoi!" sbotta lei, dandomi una leggera spinta che non mi smuove neanche di un centimetro.
"E invece sì, cazzo, Elizabeth! Sono un Capofazione! Sei sotto la mia supervisione!" grido, cercando di sovrastare il rumore assordante del convoglio che ormai è a pochissimi metri da noi. Io sono fuori di me, ma lei non sembra darci troppo peso.

Elizabeth mi liquida con un gesto della mano e un verso infastidito, e si dà lo slancio. Afferra la maniglia ed entra in un vagone, sparendo nell'oscurità del treno prima che io la possa fermare. Quando mi rendo conto di quello che ha fatto, corro più veloce di quanto non credessi possibile e agguanto la maniglia, fredda e arrugginita, una terribile fitta di dolore mi attraversa il braccio sinistro. Con tutta la forza che mi è rimasta, mi getto di peso all'interno, cadendo sulle ginocchia. Ansimo, non sono abituato come Quattro a saltare sui treni, nè come gli altri iniziati, il mio lavoro si svolge per lo più all'interno della residenza. Mi alzo e vedo Elizabeth che si sta sedendo, con la schiena appoggiata ad una parete del vagone, la guardo ma lei non ricambia la mia occhiataccia, impegnata nella ricerca di qualcosa della sua borsa.
Mi fa male la spalla, lo sforzo per saltare ha sicuramente compromesso la velocità di guarigione della ferita. La Candida mi guarda preoccupata sentendo i miei rantoli di dolore che non riesco a nascondere, e mi invita a sedermi accanto a lei con un gesto della mano. All'inizio sono confuso, ma poi alzo gli occhi al cielo e faccio come mi ha detto. Mi lascio scivolare sul freddo pavimento strisciando la schiena contro parete, per limitare qualsiasi altro sforzo che mi provocherebbe ulteriori serie fitte dolorose. Mi passo una mano fra i capelli corti e la guardo, la luce della luna si riflette sul suo viso rendendolo ancora più pallido e mettendo in risalto le sue guance scavate. In questo chiarore, i suoi occhi sembrano argentati, più chiari che mai.
Elizabeth emette un verso soddisfatto e tira fuori dal borsone una palla informe di stoffa marrone. La srotola e me la porge.
"È una coperta." spiega, vedendo la mia espressione interrogativa e diffidente "Stai morendo di freddo, con quella canotta così leggera. Tieni, mettitela sulle spalle."

Accetto volentieri la coperta, ma la guardo di sottecchi quando si volta per cercare qualcos'altro nella borsa. Un sorriso appena accennato le si è formato sulle labbra, e ora gli angoli della sua bocca sono curvati all'insù. Mi lascio avvolgere dalla coperta di lana, godendomi il tepore che mi circonda la pelle. Sospiro, e lascio cadere la testa all'indietro, poggiandola sulla parete. Mi chiedo se lei non abbia freddo, ma poi la guardo e vedo che è tutto un fagotto di vestiti pesanti, quindi lascio perdere.
"Cosa ti è venuto in mente, Candida?" cerco di mantenere un tono freddo quanto l'aria che respiro.
"Vedrai." risponde laconica. Si volta verso di me, lo sguardo rilassato, senza quella sfumatura di rabbia che ogni tanto le accende gli occhi quando mi parla "Vuoi una mela?"
Sebbene stia morendo di fame, rifiuto l'offerta, ed il mio stomaco si lamenta appena lei dà un morso al frutto che ha in mano. Ho così tante domande da farle che mi scoppia la testa -soprattutto perchè ho l'amara impressione che risponderebbe solo alla metà di queste-, ma la mia mente si blocca quando, voltandomi verso di lei, vedo le sue labbra scivolare sulla croccante buccia della mela, inumidendosi. Sento immediatamente la gola secca e distolgo immediatamente lo sguardo, cercando di pensare a tutto tranne che alle sue labbra. Mi riviene in mente il suo evitarmi in mensa, o la sua assenza in palestra durante le ore notturne, o ancora il suo cambiamento radicale in questa settimana. E allora riprendo il controllo di me.
"Non mi parli per giorni e poi te ne esci con questo." commento con una punta di rabbia, indicando con il mento il vagone in cui ci troviamo.
"Per la cronaca, tu non facevi parte del mio questo." risponde lei, lanciando il torsolo di mela fuori dal vagone, tirandolo verso il portellone spalancato. Lo so, ormai non faccio più parte del tuo nulla.

Non sapendo come rispondere, sospiro e rimango in silenzio a fissare il paesaggio desolato della periferia che ci sta sfrecciando davanti. File e file di edifici diroccati sfilano accanto al convoglio, mentre ci avviciniamo sempre di più alla Recinzione. Mi alzo, perchè mi sembra che Elizabeth sia più distante del solito, e mi avvicino al portellone aperto con la coperta sulle spalle. Mi mantengo con il braccio sano sul bordo e cerco di scorgere segni di vita in quel luogo abbandonato. Il treno rallenta, il che mi dà la possibilità di vedere con più chiarezza nella penombra della periferia. In una casa dalla forma squadrata, attraverso una finestra priva di vetri, intravedo un bagliore arancione e, attorno ad esso, cinque figure accovacciate. Gli Esclusi. Sbuffo disgustato, non mi è mai piaciuto il loro comportamento da parassiti, ricevono cibo e vestiti anche non facendo nulla di utile per la società. E quegli Abneganti... Loro non fanno altro che aumentare il pericolo di una rivolta da parte di questi barboni. Un esercito di Rigidi e Incapaci, penso, che accoppiata perfetta.
Sento un tocco delicato sulla spalla, che scende per tutto il braccio sinistro. Pensando che sia la coperta che sta per scivolare sul pavimento, la afferro con un rapido gesto della mano, e mi sorprendo quando mi trovo a stringere le dita sottili della Candida. Mi ritiro immediatamente, senza guardarla, non voglio vedere la sua espressione in questo momento. Non mi ha parlato per giorni, non voglio che pensi che possa sistemare tutto con una carezza. E allora perchè l'hai seguita?
Non lo so.
Lo sai.
Non è vero.

"Stiamo per saltare." dice lei, stringendosi la borsa al petto "Tu non dovresti fare sforzi, per non gravare sulla spalla. Ma dal momento che sei qui, non hai altra scelta."
"Dimmi solo quando saltare." rispondo io gelido, a volte la sua preoccupazione eccessiva mi infastidisce.
"Salta quando salto io." si limita a spiegare, facendo spallucce. Mi guarda e sorride, ma io non ricambio.
Elizabeth si sistema la borsa sul fianco e fa qualche passo indietro. Appena gli edifici spariscono lasciando spazio ad un'immensa distesa di erba, lei si dà lo slancio e salta, rotolando agilmente sul terreno. Mi affretto a seguirla e, quando atterro, faccio in modo di cadere sul fianco destro invece che sulla spalla ferita.
Mi stringo nella coperta, qui fuori si gela. Cerco Elizabeth con lo sguardo e per un momento vedo soltanto fili d'erba e un grande albero in lontananza, e poi la vedo a qualche metro di distanza che si sta spazzolando i jeans scuri con le mani, immersa nell'oscurità.
La raggiungo e la guardo con le sopracciglia alzate, come per chiedere spiegazioni. Lei alza lo sguardo e le sue iridi sembrano ancora più chiare, quasi azzurre, anche se so che in realtà sono di un particolare castano dorato. Si sistema i capelli, spostandoli da un lato ed io, con grande sorpresa, noto una cosa che non avrei mai pensato di vederle addosso. Da sotto il colletto alzato, una striscia di inchiostro nero appuntita all'estremità fa capolino, arrivandole poco più sotto l'orecchio. Lei segue il mio sguardo e con un rapido movimento della mano sposta di nuovo la folta chioma di capelli -che con questa luce sembrano quasi più neri della notte stessa- e il tatuaggio sparisce sotto di essa. Si dirige verso il grande albero che avevo visto pochi secondi prima, facendosi spazio fra i fili d'erba che le arrivano alle ginocchia.
"Mi avevi detto che non ti piacevano i tatuaggi." osservo, aggrottando la fronte. Lei non si volta per rispondere ed io mi sbrigo ad affiancarla.
"Ed è così." si limita a rispondere, la sua espressione è neutra, come se le costasse fatica darmi una spiegazione.
"Ma ne hai uno proprio sul collo." le faccio notare con accondiscendenza.
"Non so di cosa tu stia parlando, Eric." mormora tranquilla. Sospiro incredulo e rinuncio a discutere con lei, perchè troverebbe comunque una maniera per sviare il discorso.

Distolgo lo sguardo da lei e alzo gli occhi al cielo, non per esasperazione, ma per ammirare le innumerevoli stelle che brillano silenziose come gli occhi di Elizabeth. L'aria notturna mi congela i polmoni e quando respiro mi sembra di inalare ghiaccio puro. Tutt'intorno a noi si estende una radura erbosa, e l'unica luce che brilla da lontano è quella del Quartier Generale degli Eruditi. La Legge dice che oltre mezzanotte tutti i generatori devono essere spenti per risparmiare energia, ma è da un po' di tempo che la mia ex-Fazione sembra non essere neanche a conoscenza di questa regola secolare. Non mi importa, mi impongo di pensare, ora sono un Intrepido.
Improvvisamente, la curiosità sboccia dentro di me come il baccello di un fiore.
"Posso almeno chiederti perchè hai abbandonato i Candidi per entrare fra gli Intrepidi?" sospiro, continuando a guardare davanti a me. Lei non risponde, e per un secondo temo che non abbia sentito la domanda. O che non voglia rispondere.
"Non ero adatta a quella Fazione." risponde dopo alcuni secondi di esitazione, la sua voce è profonda, ma sembra che stia tremando. Dubito che il freddo c'entri qualcosa, stavolta.
"Tu dici? Io penso che tu ti comporti anche troppo da Candida." rido senza convinzione. Non era una battuta, questa, ma una vera e propria frecciatina.
"Mi dispiace sconvolgere il tuo piccolo mondo limitato dalla tua scarsa arguzia." ribatte lei, lo sguardo gelido ma controllato "Ma anch'io so mentire. E lo faccio spesso, a dir la verità."
Per quanto mi sforzi, gli insulti velati di Elizabeth saranno sempre e comunque più taglienti dei miei. O di quelli di chiunque altro osi sfidarla. Sbuffo contrariato, consapevole che il sarcasmo è il suo campo, non il mio.
"Me ne sono andata perchè non condividevo i loro ideali. Tutti sostengono che la disonestà renda il male possibile e che la verità ci renda inestricabili. Non condivido, non appieno, almeno. A volte bisogna mentire, per la nostra sicurezza o per quella di chi ci sta intorno."
"Ad esempio?" domando fingendo disinteresse, in realtà sentire queste parole provenire proprio da una Candida non fa altro che alimentare la mia curiosità.

Raggiungiamo il grande albero dalla folta chioma erbosa, guardo in alto ammirando la bellezza di questa pianta centeraria. Elizabeth mi prende la mano e mi trascina giù insieme a lei con accortezza, appoggiandosi con la schiena al tronco della quercia. Abbasso subito lo sguardo sulle nostre mani, la mia, robusta e dalle nocche scorticate, e la sua, piccola e pallida come lei. Ritira la mano come se avesse appena compiuto un gesto normale, a me, invece, ha provocato una scarica di non so cosa che ha fatto il giro di tutto il mio corpo in pochi secondi.
"Ad esempio, se qualcuno domani mi chiedesse dove sono stata questa notte, non risponderei mai che ero da sola con Eric lo Spietato, lontana dalla Residenza." risponde lei sorridendo divertita, lo sguardo alto verso il cielo notturno costellato da milioni di puntini luminosi.
"Almeno non oserebbero dirti nulla." noto, e mi sorprendo ad usare un tono amichevole. Lei ride, e scuote la testa, abbassando gli occhi su di me.
"Non direbbero nulla a te, forse. Probabilmente mi accuserebbero di andare a letto con il Capofazione soltanto per assicurarmi un buon posto in classifica." la naturalezza con cui lo dice mi spiazza e la mia mente genera automaticamente il pensiero di Elizabeth nel mio appartamento, con meno vestiti dell'ultima volta. Mi schiarisco la voce e mi sforzo di non lasciar trapelare neanche una punta di imbarazzo. O di desiderio.
"Sarebbe una mossa intelligente però. Subdola, chiaro, ma non priva di senso." farfuglio staccando un filo d'erba dal terriccio.
"Se mai venissi a letto con te, non sarebbe certo per una stupida classifica." dice infine lei, la voce più decisa di quanto non mi sarei aspettato per una frase del genere. "Lo farei perchè mi piaci."

Alzo la testa di scatto, incredulo e confuso. La guardo spaesato, ma dalla sua espressione capisco che il mio sguardo dev'essere neutro, forse appena appena perplesso. Lascio cadere il filo d'erba e appoggio i gomiti sulle ginocchia, scoprendo parte delle braccia che congelano all'aria fredda. Sento la pelle d'oca, e quando i suoi occhi incontrano i miei, il brivido si fa più intenso. Mi ha appena confessato che le piaccio, o era soltanto uno dei suoi esempi da Candida? È così difficile capirlo, soprattutto perchè la sua espressione non tradisce nessuna emozione, solo un sorriso abbozzato che le curva l'angolo delle labbra in una smorfia divertita. Non mi ha degnato di uno sguardo per giorni, ed ora ha detto che le piaccio, e che andrebbe a letto con me? No, non può essere. Non è da lei. O forse sì? Non posso dire di conoscerla bene, dopotutto.
"Come hai detto?" chiedo perplesso, e qualcosa dentro di me comincia a scaldarsi. Se mi togliessi la coperta di dosso in questo momento, dubito che sentirei freddo.
"Hai sentito bene, Eric." comincia lei, appoggiando il mento sulla mia spalla, la sua smorfia divertita si trasforma in un sorriso. Quando sorride, i suoi occhi si assottigliano e sembrano brillare anche più di prima. "Ho detto che mi piaci."
Poggia una mano sul mio braccio e dal suo tocco delicato si irradia una sensazione di calore che fa sparire la pelle d'oca. Fa sparire tutto, in realtà, la radura intorno a noi, gli edifici in lontananza, le luci del Quartier Generale degli Eruditi, l'albero stesso. C'è solo lei. C'è solo Elizabeth, che si solleva sulle ginocchia e appoggia le labbra sulle mie, prendendomi la testa fra le mani piccole ma decise. All'inizio sono così confuso che tutto quello che riesco a fare è poggiare di istinto una mano sulla sua spalla, come per allontanarla. Ma quando la mia bocca si schiude automaticamente sotto la sensibile pressione del suo bacio, mi rilasso e la prendo per i fianchi, spostandola su di me. Raddrizzo la schiena e la tiro verso di me, ricambio il suo bacio e assaporo ancora il fantasma del dolce sapore della mela. Ci baciamo in silenzio, sotto il cielo notturno che ora è segnato dalle prime luci fioche dell'alba, e quando ci stacchiamo non posso fare a meno di guardarla senza parole. Perchè mi rendo conto solo ora che non è semplicemente una bella ragazza, ma una ragazza stupenda?

"Sai, avevi ragione, non sei una Candida, sei un'Intrepida a tutti gli effetti." mormoro, lei appoggia la testa sulla mia spalla sana, le mani abbandonate sul mio petto.
"Tu dici?" chiede, seguendo con i polpastrelli le linee del tessuto della coperta.
"Hai avuto il coraggio di avvicinarti a Eric lo Spietato, un'impresa molto ardita." dico aggrottando la fronte, ma gli angoli della mia bocca si curvano in un sorriso "Non hai paura che ti spezzi un osso, o qualcosa del genere?"
"Terrorizzata!" finge un tono supplichevole e mi bacia di nuovo, poi mormora: "Odio doverlo dire, ma dobbiamo tornare alla Residenza."
Alzo lo sguardo, il sole sorgerà tra poco più di un'ora. Lei solleva la testa, ha un'espressione quasi assonnata, non penso che abbia dormito molto. È bellissima.
"Non mi hai ancora detto cosa volevi fare qua. Voglio dire, i tuoi piani saranno sicuramente cambiati visto che ti ho seguita." le accarezzo la guancia e le sfioro il labbro inferiore con il pollice.
"Vuoi sapere la verità? Non ero diretta qua. Volevo andare dai miei genitori e chiedere loro perchè non si sono presentati, oggi. Non è consentito, lo so, ma non potevo farne a meno." guarda in basso, la fronte aggrottata le conferisce un'espressione pensierosa "Ripensandoci, era una pessima idea. Sappi che ho gradito parecchio questo cambio di programma." sorride, ed io ricambio sollevando appena gli angoli della bocca. Stava andando dai suoi genitori. Certo che non è consentito. Io, sicuramente, non avrei approvato.
"La Fazione prima del sangue, Elizabeth" bisbiglio, ma non voglio che pensi che la stia rimproverando, quindi appoggio le labbra sulla sua fronte.
"La Fazione prima del sangue." sussurra lei, nei suoi occhi si accende una luce triste, forse malinconica.

Ci alziamo, e imparo che ad Elizabeth non piace tenersi per mano. Ed è un'ottima cosa, perchè neanche a me fa impazzire l'idea di tenerla mentre camminiamo verso la banchina del treno. Il cielo si è tinto di un azzurro pallido e da lontano posso vedere uno spicchio di sole che fa capolino dalla recinzione. Quando il convoglio rallenta e noi saltiamo dentro uno dei vagoni, l'iniziata -è davvero strano realizzare che lo è ancora- si siede con la schiena poggiata alla parete. Io invece, rimango sulla soglia del portellone e mi sporgo in avanti, aggrappandomi saldamente alle maniglie con le braccia. Il vento freddo mi colpisce il petto, facendomi rabbrividire. Il convoglio prende velocità mentre la periferia sfreccia sotto i miei piedi e noi ci avviciniamo alla città. Potrei abituarmici, a questa sensazione di libertà, di invincibilità. Non mi importa neanche più degli Esclusi che frugano nell'ammasso di rifiuti, o degli Abneganti che escono dalle loro case tutte uguali per recarsi al lavoro -dedicato ai meno fortunati, ovviamente-, non mi importa neanche degli Eruditi che hanno tenuto i generatori accesi tutta la notte, andando contro la Legge. Non mi importa neanche che domani comincerà il secondo modulo di addestramento, quello mentale. Perchè so che Elizabeth non ha paura di nulla, non più. E neanch'io, non più. 

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Capitolo 8
*** Scenario della Paura ***


Capitolo 8 - Scenario della Paura




Sapere che Elizabeth si è classificata al settimo posto nella classifica del primo modulo mi fa sentire più sollevato. Dopo il diciottesimo posto ci si trova sotto la linea rossa, ed io sono contento che lei si trovi molto sopra la media. Non che abbia mai dubitato di lei, ovviamente, ero sicuro che sarebbe riuscita a lasciare tutti a bocca aperta. Persino Quattro sembrava piacevolmente sorpreso, gli era comparso un sorriso sulle labbra nel momento in cui ha letto il suo nome sulla lavagna. Dico soltanto che avrei voluto riempirlo di schiaffi. Io sono rimasto da solo in mensa, tutti gli altri sono in palestra. Il Rigido sta spiegando agli iniziati in cosa consisterà il secondo modulo, e so che devo affrettarmi a raggiungerlo. Più che altro perchè voglio vedere le loro espressioni durante la spiegazione. Guardo la lavagna con sincera curiosità, studiando con attenzione i nomi degli iniziati che non ho avuto l'opportunità di conoscere. Molti di questi mi suonano completamente nuovi e non suscitano in me nessun tipo di emozione.

1. Blackmount
2. Richard
3. Aaron
4. Cole
5. Gabe
6. Samuel

Le mie labbra si curvano involontariamente in un sorriso soddisfatto. Penso a quando il giovane cavaliere vedrà che Elizabeth non è più interessata a lui, e alla sua espressione delusa e afflitta quando scoprirà che ci siamo addirittura baciati. E penso proprio che lo verrà a sapere, perchè ho come l'impressione che la ragazza glielo dirà, anche per sbaglio. Oppure lo dirà ad Alice, che a sua volta se lo lascerà scappare dalla bocca, spezzando il cuore del povero Candido. Non pensare a questo, hai cose più importanti da fare, ora. Giusto.

7. Elizabeth
8. Cameron
9. Alice
10. Jonathan

Rido sinceramente divertito. Jonathan si è fatto surclassare da una Pacifica. Avrei voluto vedere la sua faccia quando l'ha scoperto. Sarà andato su tutte le furie.
Rimetto la lavagna al suo posto perchè non riconosco più nessun nome. So solo che quattro interni e due Eruditi si sono guadagnati il titolo di Esclusi. E fra gli interni ho riconosciuto soltanto il nome di Maureen e di Vivienne, che si sono classificate rispettivamente al  ventesimo e ventiquattresimo posto. Ora sono fuori, fuori dagli Intrepidi, fuori dalla società intera. Mi riviene in mente quando, durante la Giornata delle Visite, parlavano entrambe alle spalle di Elizabeth, innervosite dalle attenzioni che Stephan stava dedicando alla Candida e non a loro. Si sono concentrate così tanto sul far colpo sugli altri e adesso ne pagheranno le conseguenze, costrette a frugare dei cestini della spazzatura e scannarsi per una buccia di mela. In ogni caso, non sono più un mio problema. Due iniziate in meno da supervisionare.
Afferro un panino da un piatto dietro il bancone della mensa e mi affretto a mangiarlo prima di raggiungere Quattro in palestra. Oggi mi sento in vena di terrorizzare gli iniziati per quanto riguarda il secondo modulo. Muoio dalla voglia di sapere cos'è che fa tremare di paura tipi grandi e grossi come Blackmount, che magari sono quelli con più paure di tutti. Sapere che persone come Quattro, un ragazzo così silenzioso e misterioso, vengono letteralmente divorate dalla paura se chiuse in una scatola di legno o se messe di fronte al proprio padre mi fa provare una sensazione di sadico piacere.

Quando arrivo in palestra, tutti si voltano verso di me con aria spaventata. Tutti tranne lei, ovviamente, che alza gli occhi al cielo divertita, mentre un sorriso si forma sulle sue labbra. Sono sicuro che sta pensando alla notte che abbiamo trascorso insieme. Vedendo che Alice la sta guardando perplessa, assume subito un'espressione neutra così convincente che per un momento dubito che quella sia la stessa Elizabeth che ho baciato. Non guardarla, hanno tutti lo sguardo fisso su di te. Lo so, lo so. Distolgo gli occhi da lei e salgo sulla pedana di legno.
"Sei in ritardo." dice Quattro. Non lo guardo nè lo saluto, e mi posiziono al suo fianco, incrociando le braccia sul petto. Faccio scorrere lo sguardo sulla piccola folla di iniziati davanti a me, che ora sono diminuiti, dal momento che sei di loro sono diventati Esclusi. Tutti loro hanno una muscolatura molto più evidente, dopo le settimane di duro allenamento alla maniera degli Intrepidi. Persino Alice, che è dimagrita visibilmente, ora sembra soltanto eccessivamente muscolosa. Samuel ha un grosso livido sotto l'occhio destro ed un altro sul braccio. Ha uno sguardo più truce del solito. Chissà se gliel'hanno già detto, mi chiedo, perchè a giudicare dalle occhiate assassine che mi sta lanciando, sembra proprio di sì. Poi mi ricordo che nessuno in vita mia, tranne Elizabeth, mi ha mai guardato in maniera amichevole, quindi il suo comportamento potrebbe essere semplicemente indice di un'antipatia nei miei confronti. Distolgo lo sguardo ancora più soddisfatto.
Quattro continua a esporre le parti fondamentali del primo modulo.
"Vi sarà iniettato il Siero della Simulazione." spiega con voce profonda, quasi annoiata, sollevando la siringa di metallo contenente il liquido arancione. Nessuno sembra reagire, se non per un chiacchericcio indistinto che si solleva dalla folla. Sfioro tutti gli iniziati con lo sguardo e vedo l'espressione di Elizabeth mutare drasticamente. Ora è decisamente più pallida del solito, gli occhi spalancati e la bocca socchiusa. Ha le braccia conserte e vedo che sulla sua pelle si sono formati dei piccoli solchi dovuti alla pressione delle unghie sulla carne. Che diavolo le sta succedendo? Non ricordo di aver mai visto Elizabeth così terrorizzata da qualcosa. Non ricordo di aver mai visto Elizabeth terrorizzata.

Alice nota la sua espressione e strattona con discrezione il braccio di Samuel, che stacca gli occhi da me per voltarsi verso la Pacifica. Lei gli indica col mento la Candida che sembra perdere colore ogni secondo che passa, lo sguardo fisso sulla siringa stretta nella mano di Quattro, che intanto continua a spiegare il funzionamento dei computer che gli permetteranno di vedere le loro paure più profonde.
Samuel non è sorpreso quanto Alice nel vedere il volto terrorizzato di Elizabeth, ma ne è ugualmente preoccupato. Le scuote la spalla senza farsi notare dagli altri e le bisbiglia qualcosa, ma la Candida non risponde a parole, scuote invece la testa e riacquista colore solo nel momento in cui Quattro mette via la siringa. Sono così colpito dalla sua reazione che per un istante mi ritrovo a pensare che forse era tutta una messa in scena, in modo da far credere agli altri che avesse paura almeno di qualcosa. Dopotutto, non è la prima volta che maschera le sue emozioni in presenza degli iniziati.
"...Gli interni con Lauren. Gli altri con me." conclude Quattro, ed il gruppo degli iniziati si divide.
Tolti gli interni, sono rimasti soltanto sei iniziati: i due Candidi, la Pacifica, e Blackmount, Richard e Gabe, appartenenti alla Fazione degli Eruditi. Li seguo soltanto perchè non ho altro dove andare, dato che Max è occupato in qualcosa di cui non ha voluto rendermi partecipe e non ho voglia di allenarmi. Inoltre, voglio capire cosa diavolo è preso ad Elizabeth poco prima. Si sarà soltanto impressionata. Non può avere paura delle siringhe. L'unico modo per scoprirlo davvero è chiederglielo.
Quando sono sicuro che gli altri sono troppo occupati ad ascoltare Quattro per badare a me, la affianco e lei rallenta il passo per mantenere la distanza dagli altri iniziati. Le afferro il braccio e le osservo le braccia nude, e noto graffi rossi dove prima lei aveva affondato le unghie. Glieli sfioro col pollice, aggrottando la fronte, e lei si ritrae infastidita. La guardo, accigliato e perplesso, esigendo spiegazioni. Ma lei si limita a guardarmi di sfuggita, distogliendo subito lo sguardo per posarlo altrove. Non pensavo di vivere tanto a lungo da vedere Elizabeth senza una risposta pronta.
"Non ho un buon rapporto con le siringhe." mormora, la voce rotta dall'imbarazzo "Ma quello non sembra un ago, assomiglia di più ad una matita eccessivamente appuntita."

Non posso evitare di ridere sommessamente alla sua ironia, e lei mi fulmina con lo sguardo. Ed ecco, la prima paura di Elizabeth si è rivelata prima ancora di averle iniettato il Siero della Simulazione. Lei sospira e si stringe nelle spalle. Ha occhiaie profonde e i suoi occhi, solitamente brillanti, ora sono spenti, come se fosse diventata tutto d'un tratto una macchina. Vorrei baciarla adesso, in questo corridoio male illuminato, per infonderle anche solo un decimo del coraggio che so che ha, ma non posso rischiare tanto, e mi limito ad accarezzarle i capelli. Lei risponde al gesto scuotendo la testa, e mi sembra che i suoi occhi siano lucidi. È una ragazza così diversa dalla Candida spavalda e temeraria che ero solito vedere, che rimango un attimo interdetto.
Quando gli altri svoltano l'angolo, diretti verso la stanza dove si tengono le simulazioni del secondo modulo, Elizabeth mi prende per il colletto e mi spinge con forza al muro. In realtà, il suo concetto di "forza" è così relativo che non sento neanche dolore alla spalla a seguito dell'impatto con la parete di pietra. Per un momento penso che mi voglia dare un ultimo bacio prima della prova, quindi avvicino il volto al suo per venirle incontro, ma lei non si muove e, al contrario, si allontana, i palmi che ancora stringono il tessuto della mia maglietta.
"Promettimi che non guarderai la mia simulazione. So che puoi farlo, me l'ha detto Quattro. Non guardare la mia simulazione, Eric." sibila, ma non ha un'aria minacciosa. Oserei dire che sembra spaventata, se non la conoscessi quel poco che serve a capire che non lo è, ma che vuole soltanto che il concetto sia chiaro. "Devi promettermelo."
"Te lo prometto."

                                                                                                    ***

Sono davanti al pannello di controllo collegato al computer della Stanza delle Simulazioni, che sta inserendo automaticamente i dati di Elizabeth. A breve, dovrò essere capace di vedere le sue più oscure paure e sono così impaziente che non riesco a fermare il ginocchio destro, che continua a ballare inquieto. Guardo nel monitor alla mia sinistra, che mi permette di vedere cosa sta succedendo all'interno della stanza grazie ad una telecamera sul soffitto. Elizabeth è seduta sulla sedia reclinabile, la testa fra le mani, rigida come un tronco d'albero. Quando Quattro si volta verso di lei con la siringa in mano, la vedo sgranare gli occhi, e mormora qualcosa che non riesco a sentire. Anche Max, accanto a me, dice qualcosa, ma io non gli presto attenzione perchè sono troppo occupato ad osservare la Candida mentre appoggia le spalle allo schienale e cerca di rilassarsi. Vedo il suo petto alzarsi e abbassarsi in preda al panico mentre Quattro preme lo stantuffo della siringa. Lei stringe il bordo del lettino e il suo respiro sembra calmarsi. Le sussurra qualcosa prima che lei si possa assopire, ed io mi avvicino per poter origliare. Non sopporto l'idea che qualcuno sia così vicino alla ragazza per la quale impazzisco. "...e sii coraggiosa." è l'unica cosa che riesco a cogliere. Lo è già, idiota, non c'è bisogno che tu glielo dica.
Guardo il suo volto che passa da un'espressione terrorizzata ad una sempre più stanca, finchè i suoi occhi non si chiudono e la simulazione ha inizio.

Mi sposto su un altro monitor, e la prima cosa che vedo è una stanza talmente luminosa che sono costretto ad assottigliare gli occhi per l'eccessiva quantità di luce.
Poi la noto, Elizabeth è seduta su una sedia di metallo pesante ed ha gli avambracci stretti ai braccioli da una fascetta di cuoio marrone, rivolti all'insù. Anche le sue fragili caviglie sono legate alle gambe anteriori della scranna. Cerca di liberarsi, strattonando con forza le braccia, ma l'unico risultato è che la stretta delle fascette si stringe ancora di più sulla sua pelle, facendo risaltare le vene come piccoli tubicini viola. Elizabeth alza lo sguardo e si osserva intorno visibilmente agitata, ma tutto ciò che la circonda è il bianco più totale. Accanto a lei compare un tavolo di metallo sul quale ci sono vari attrezzi medici, e nello stesso momento in cui lei lo nota, una figura si materializza nella luce. Allargo l'immagine, è una sagoma bassa, vestita con i tipici vestiti della Fazione dei Candidi; una donna sulla cinquantina dai capelli corti e crespi, il naso stretto e gli occhi piccoli, e porta dei guanti di lattice bianco. Elizabeth ansima ed il suo respiro cede il posto al panico.
"Mamma!" grida Elizabeth, mentre la figura avanza a passo spedito verso di lei, l'espressione minacciosa e le labbra sottili contratte in una smorfia furiosa.
Mamma. Per quale motivo sua madre è nel suo Scenario della Paura?
La madre di Elizabeth si ferma davanti a lei e prende un attrezzo dal tavolo di metallo accanto alla sedia. Metto a fuoco, e capisco perchè Elizabeth si sta ora agitando in maniera convulsa sulla sedia. La ragazza digrigna i denti e sibila qualcosa alla madre in modo minaccioso, ma dal suo sguardo capisco che sta vivendo uno dei suoi incubi peggiori.
Ovvio che è così, è il suo Scenario della Paura, dopotutto.
La donna stringe una siringa dal lungo ago in una mano, mentre con l'altra costringe la figlia a guardare mentre la punta le si insinua sotto la pelle. Elizabeth urla, ed è il suono più brutto del mondo. La madre della ragazza lascia che la siringa le penzoli dal braccio e prosegue a inserirne un'altra, poi un'altra ancora, e ancora una terza, sotto lo sguardo angosciato della vittima. Le lacrime di terrore rigano il volto spaventato della piccola Candida, che intanto sta implorando la madre di lasciarla andare. La donna si ferma e si toglie i guanti, gettandoli per terra, per poi tirarle un violento schiaffo in pieno viso. La sedia cade e, quando tocca terra, il pavimento diventa via via più molle, quasi liquido.

Elizabeth si trova ora sott'acqua, con le braccia e le caviglie ancora legate. Tutt'intorno a lei ora non è più bianco, ma blu scuro, quasi nero. Si dimena con più determinazione e su un primo momento le fascette non sembrano voler cedere, ma con un ultimo strattone si libera e nuota disperatamente fino in superficie, i capelli che le fluttuano intorno alla testa in vortici scuri e densi. Ma sembra che la surperficie non arrivi mai, ed Elizabeth si contorce per la mancanza di ossigeno, mentre grossi pesci con gli occhi sporgenti e mille denti rivolti all'insù le cominciano a nuotare intorno. Uno di questi la urta e lei grida, esaurendo l'ultima riserva di aria che le era rimasta. Un altro le addenta la gamba e la trascina verso l'abisso nero sotto di lei, ignorando i suoi vani tentativi di liberarsi dalla stretta del grosso pesce. La ragazza tenta di tirare una gomitata all'animale, ma alla fine sembra perdere i sensi e si lascia circondare dall'oscurità.
"Mai vista una cosa del genere." commenta Max pensieroso, massaggiandosi il mento con le dita "Questa ragazza ha una mente malata."
"Cosa vuoi dire?"  domando incuriosito, aggrottando la fronte, senza staccare gli occhi dallo sguardo vuoto della Candida. Se non avessi visto l'intera scena, penserei che sia morta.
"Voglio dire che è tutto nella sua testa, è lei a creare il suo Scenario della Paura. Perchè dovrebbe avere paura di annegare, se in questa città l'unico lago che abbiamo si è prosciugato centinaia di anni fa? Ha una mente masochista: crea qualcosa per poi averne paura. Non lo fanno in molti." sospira lui, lasciando cadere la mano sul tavolo.
Ha ragione, in questa città non c'è mai stata una quantità così abbondante di acqua, mi chiedo in che modo Elizabeth possa aver immaginato una cosa del genere. E quei pesci, poi, come ha potuto creare una cosa tanto spaventosa?

Non trovo risposta a questa domanda perchè il suo scenario cambia ancora. Intorno ad Elizabeth l'acqua comincia a sparire, e lei cade a terra annaspando più aria di quanto i suoi polmoni possano contenere. La stanza nera nella quale si trova non sembra spaventarla, ma quando un cono di luce proveniente dall'alto illumina la sua figura rannicchiata, il suo sguardo si riempie di angoscia. Intorno a lei si è formata una folla di circa trenta persone, chiudendola in un cerchio silenzioso attorno al cerchio di luce. Riconosco alcuni dei loro volti malamente illuminati da quell'unica fonte di luce, fra di loro c'è anche Quattro, Alice, Samuel, Jonathan... Ci sono anche io, in prima fila. Sono quasi tutti iniziati, o Capifazione, alcuni invece non mi sembra di conoscerli. La folla non cerca di ucciderla, non urla indignata il suo nome, in realtà non sembra voler fare nulla, se non fissarla in silenzio.
Sentirsi osservata, penso, sapevo che era una cosa che non riusciva a sopportare. Il suo volto non è il ritratto del terrore come nelle prime due paure, ma è visibilmente turbata e irrequieta. Fa scivolare lo sguardo da persona a persona, e si sofferma su di me. Mi guardo in giro, Max è sulla soglia della porta e sta parlando con Tori, la nostra tatuatrice, quindi mi volto di nuovo verso il monitor e allargo l'immagine su Elizabeth. Lei si avvicina all'Eric della simulazione e gli sussurra qualcosa, prendendolo per mano. È spaventata, mi dico, e sta chiedendo aiuto a me. Non a Samuel, non a Quattro. A me.
"Eric, fammi passare, per favore. Devo andarmene da questo posto... C'è troppa gente, non posso restare qui." mormora stringendomi la mano ancora più forte. Posso quasi sentire la pressione delle sue piccole dita sulle mie. Il me alternativo la guarda freddo, come se non avesse sentito una sola parola di quello che ha detto. "Eric, non farmi v..."
L'Eric della simulazione la spinge di nuovo, con una violenza che io non avrei mai usato su di lei, dentro il cerchio. Elizabeth sussulta e cade all'indietro, una voragine si forma sotto di lei e vi ci sprofonda. Dimena le braccia in cerca di un appiglio, ma il grosso buco si allarga ancora di più sotto di lei, impedendole di appoggiarsi al bordo. Qualcuno la segue, ma non riesco a capire chi sia.

Atterra in piedi sul cemento, agile come un gatto, e sembra quasi che stia riprendendo a respirare. Poi, però si guarda intorno e una forte brezza le scompiglia i lunghi capelli. Si trova sul tetto di un edificio molto più alto dell'Hancock, e davanti a lei il sole sta tramontando dietro gli edifici della città. Io la trovo una vista spettacolare, quel colore arancione-rosso che invate la città, quell'odore dell'aria fresca della sera che comincia a riempire i polmoni... Ma Elizabeth non sembra pensarla come me. Le sue gambe cominciano a cedere e si stringe nelle spalle, forse cercando di diventare più piccola di quanto già non lo sia.
Ansima terrorizzata, ed io sono troppo concentrato su lei per vedere la figura scura che sta correndo verso di lei. Colui che l'aveva seguita la prende per i fianchi e la solleva da terra. La ragazza urla e scalcia mentre il suo assalitore le blocca le braccia con entrambe le mani. Non riesco ad identificarlo perchè l'immagine non è chiara e ha il volto coperto da un cappuccio, ma dalla sua sagoma alta e snella mi sembra proprio simile a quella di Jonathan. Ma perchè Jonathan dovrebbe essere nello Scenario di Elizabeth?
L'assalitore le lega i polsi con del filo spinato e la getta con brutalità a terra, facendole sanguinare i polsi. Comincia a slacciarsi i pantaloni. Ed ora capisco di che cosa Elizabeth ha davvero paura.
Una vampata di rabbia e di non so che cos'altro mi sale dallo stomaco e sono tentato di uscire dalla stanza per andare a picchiare l'Iniziato, specialmente ora che, nella simulazione, si è inginocchiato accanto a lei e cerca di strapparle la camicia.
"Questa è una paura molto comune fra le ragazze." spiega Max, mentre ritorna al suo posto accanto a me "Quella di essere violentate, dico, non è la prima volta che assisto ad uno scenario simile."
Il modo in cui pronuncia la parola "violentate" alimenta la mia ira. Non riesco a condividere la tranquillità del Capofazione, perchè ora Jonathan sta cercando di spalancare le gambe di Elizabeth, ed io non so cosa darei per poterla rassicurare che è solo una simulazione. E che Jonathan la pagherà, comunque. Elizabeth smette di divincolarsi e comincia a piangere, e questo è anche peggio di sentirla urlare. L'assalitore ride, una risata roca e profonda che non sembra appartenere neanche ad una persona, e le serra la gola con una mano. Il volto della ragazza si fa rosso per lo sforzo di respirare e, con un ultimo e disperato tentativo di liberarsi, gli sferra un poderoso calcio in testa, facendo cadere Jonathan all'indietro. Elizabeth si alza e si sistema velocemente la camicia, poi, con una rabbia pura che non le avevo mai visto negli occhi, caccia il suo coltellino dalla tasca posteriore dei jeans e accoltella lo stupratore alla gola. Poi al petto. Poi in un occhio. Ed è ora che riconosco la mia Elizabeth.
"Uhh, brutale." commenta Max, ed io lo ignoro, perchè potrei finire per tirargli un pugno in pieno volto.
Disperata, Elizabeth tenta di allontanarsi, ma incredibilmente Jonathan si rialza e la raggiunge. La prende di nuovo di peso e la getta oltre il cornicione, ignorando le grida terrorizzate della ragazza. Non solo Jonathan la pagherà, ma farò in modo da rendere la sua vita un inferno.

Sposto lo sguardo sul monitor alla mia sinistra e studio la reazione di Quattro, che guarda l'inerme figura della ragazza sul lettino reclinabile con un'espressione preoccupata e allo stesso tempo sorpresa. Ha avuto questo sguardo durante tutta la Simulazione di Elizabeth. Mi ritrovo ad ingelosirmi anche in una situazione come questa, pensando che il Rigido non ha il diritto di preoccuparsi per lei.
Elizabeth fa un volo di almeno cento piani, prima di atterrare con violenza su un pavimento a specchio che riflette il suo volto angosciato madido di sudore. La stanza sembra quasi quella del primo scenario, completamente bianca e luminosa. Sembra tutto tranquillo e, per alcuni secondi, Elizabeth ha il tempo di riprendere fiato e cercare di calmarsi. Sembra funzionare. Poi un'altra parete formata da un altro specchio le urta con irruenza sulla schiena, sbilanciandola in avanti. La ragazza tenta di correre via, ma un altro specchio si para di fronte a lei e la costringe ad appiattirsi alla parete alle sue spalle. Con un rumore metallico, un quarto specchio si abbassa su di lei, rinchiudendola in una scatola che riflette al sua figura da ogni angolazione. Si rannicchia, portandosi le ginocchia al petto, e comincia ad ansimare in preda al panico, mentre infinite Elizabeth fanno lo stesso. Poggia le mani sugli specchi e si sporge, come se potesse vederci attraverso. Una delle Elizabeth riflesse cambia espressione, sorridendole in modo tagliente. Si volta, e la mia Elizabeth, spaventata e confusa, incontra l'espressione disgustata di un suo altro riflesso. Un terzo, poi, ha il volto rigato dalle lacrime. Uno ha il viso contratto per la rabbia. Ci sono infinite espressioni che si alternano per fissare Elizabeth, ma nessuna sembra avere uno sguardo amichevole.
"Questa, poi." mormora Max avvicinandosi allo schermo, l'aria pensosa "Anche la claustrofobia è una paura comune, ma che significato hanno gli specchi? E tutti quei riflessi?" sbuffa, lasciandosi cadere sullo schienale della sedia girevole. Si passa una mano sul viso. "Capire le ragazze non è mai stato così difficile."

All'improvviso, tutti i riflessi gridano all'unisono, le loro bocche diventano enormi e piene di denti, i loro occhi cavità nere e vuote. Non assomigliano più ad Elizabeth. Ora sono trasformati in volti disumani e spaventosi, e si avventano tutti insieme sulla ragazza terrorizzata, inghiottendola nell'oscurità. Lo schermo del monitor diventa nero ed Elizabeth si sveglia, sedendosi di scatto sul lettino e respirando a fatica. Quattro si stacca dalla macchina e si avvicina a lei, posandole una mano sulla spalla che lei respinge con decisione. Sorrido nonostante la situazione, sono contento che si sia rifiutata di farsi rassicurare da lui.
"Quante sono?" chiede Max distrattamente, digitando codici e numeri sulla tastera davanti a lui.
"Sette." rispondo, distogliendo controvoglia lo sguardo dal monitor, e mi volto lentamente verso il Capofazione "Aghi, annegamento, luoghi affollati, stupro, altezza, claustrofobia e... Specchi." elenco. Pronuncio l'ultima paura con indecisione. Spero di poterla capire, andando avanti con gli studi delle sue simulazioni.
"...Specchi." conclude Max, digitando anche l'utima lettera sulla tastiera. Neanche lui sembra convinto. Poi, però, sorride soddisfatto. "Be', che dire. In media un iniziato ha dalle dieci alle quindici paure. Sette sono un ottimo inizio."
"Penso che lei non la pensi così." mi lascio sfuggire mentre guardo Elizabeth che esce dalla stanza delle Simulazioni e viene sostituita da Alice. Vorrei poter uscire da qui e darle un bacio lungo e rassicurante. Invece devo rimanere qui a guardare le Simulazioni degli altri iniziati. A volte sono così preso da lei che mi dimentico che sono un Capofazione e che ho le mie responsabilità.
"Oh, Eric, non mentire." ride Max al mio fianco, dandomi qualche poderosa pacca sul collo "Non dire che non ti sei divertito."
Il Capofazione ascia la stanza con dei fogli in mano ed io mi ritrovo a dover studiare lo Scenario della Paura della Pacifica.
"No." mormoro in risposta, anche se so che ormai non mi può più sentire "Neanche un po'." 

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Capitolo 9
*** Non sospetteranno niente ***


Capitolo 9 - Non sospetteranno niente





Ieri, dopo la prima prova della Simulazione, non ho più visto Elizabeth in giro. Non era in palestra stanotte, ed io ho sorvegliato l'uscita di sicurezza per diverse ore, aspettandomi di vederla schizzare fuori dalla Residenza da un momento all'altro come l'ultima volta. Ma ovviamente non è successo. Non si è presentata neanche in mensa dopo il modulo e, con una leggera punta di amarezza, ho notato che neanche Samuel era lì, all'ora di pranzo. Ho scacciato lo sgradevole pensiero di loro due insieme.
Di solito i due Candidi, la Pacifica, e tre Eruditi (fra cui il Richard accusato del furto del coltello) siedono allo stesso tavolo, e molto spesso Quattro fa loro compagnia. O meglio, si limita a mangiare a sguardo basso, intervenendo rare volte per spiegare qualcosa o per rispondere alle poche domande che gli vengono poste.
Nella giornata di ieri, invece, al loro tavolo c'erano soltanto Alice, Quattro, un certo Gabe -uno degli Eruditi- e Richard, che discutevano sulla loro prova e si confessavano le loro paure più grandi. Alice ha rivelato loro che teme di non poter avere figli, un giorno. Io ero lì quando, nella simulazione, il medico le ha rivelato l'orribile realtà. Mi è sembrata una paura talmente stupida, in confronto a quelle agghiaccianti di Elizabeth, che ho persino rinunciato a prestare attenzione al resto del suo Scenario. Quando la Pacifica era poi uscita dalla stanza, mi sono dovuto affidare alla mia memoria per elencare le sue paure nel database. Oltre a quella di essere sterile, c'era anche la fobia degli insetti -nella simulazione era chiusa in una bara piena di falene- e dei serpenti. Paure così banali, ripetute così tante volte in altri Scenari che ormai mi sorprendo solo nel caso qualcuno non le abbia.
Sono rimasto piacevolmente sorpreso, però, quando ho scoperto che Blackmount ha paura di fallire nelle competizioni, o che Samuel non riesce a sopportare i rumori troppo forti, o che Jonathan è terrorizzato dall'idea di restare da solo, senza nessuno su cui poter contare.
Jonathan. Il suo nome si ripete nella mia testa come un disco difettoso, e non riesco a non pensare alla sua faccia disgustosamente compiaciuta quando era impegnato a strappare la camicia di Elizabeth. So perfettamente che era soltanto una simulazione, ma l'idea che qualcuno possa toccare in quel modo la mia pseudo-fidanzata mi manda su tutte le furie.
Mi avvicino al tavolo dove sono seduti i soliti iniziati e Quattro. Aggrotto la fronte, ma non sono sorpreso: Elizabeth e Samuel non sono in mensa neanche oggi. Non voglio sapere cosa stanno facendo insieme, da soli, da qualche parte, fuori dal mio campo visivo. Voglio solo sapere dov'è lei. Voglio sapere dove sono i suoi occhi felini e che cosa stanno studiando, voglio sapere dov'è il suo sorriso tagliente e a chi lo sta rivolgendo, voglio sapere dove stanno ondeggiando i suoi lunghi capelli e chi stanno ipnotizzando.

Mi lascio cadere rigidamente sulla panchina  di legno accanto a Quattro, impegnato a tagliare un pezzo di bistecca eccessivamente cotto. Il nostro cuoco non è uno dei migliori, ma ci si accontenta. Inoltre, l'altra alternativa è quella di restare a digiuno. Ignoro lo sguardo spaventato di Alice o degli Eruditi con cui stava discutendo -che ora hanno chiaramente smesso di parlare-, e mi volto verso il Rigido, sfoggiando uno dei sorrisi più falsi del mondo. Soltando quando Quattro si gira per degnarmi di uno sguardo infastidito ma cauto, realizzo che mi sono davvero seduto al tavolo di Elizabeth. Non so neanche perchè mi sono seduto qui. O forse lo so.
Insomma, so soltanto che non voglio stare troppo lontano da Elizabeth, specialmente dopo quello che ha passato nella simulazione. Le hai promesso che non avresti assistito. Lo so, ma io sono uno dei supervisori responsabili del secondo modulo, ho dovuto farlo. Ma le hai mentito comunque. Sì, l'ho fatto. Ma mi sento di aver fatto la cosa giusta: se lei non lo scopre, non avrà motivo di arrabbiarsi. Ma lo scoprirà, dimentichi che parli di Elizabeth? Taci.
Mi stanno guardando tutti, ora. Devo trovare una scusa valida per essermi seduto qui, o cominceranno a sospettare di me e a dubitare della mia autorità in quanto Capofazione. Devo trovare un argomento che riesca a convincere gli altri che questa mossa non era calcolata. Mi rivolgo a Quattro, che mi guarda ancora truce.

"Alcuni risultati delle Simulazioni non sono chiari." intavolo un discorso abbastanza convincente sotto gli occhi increduli di Alice, che non ha smesso di fissarmi da quando mi sono seduto di fronte a lei. Mi volto di scatto e la fulmino con lo sguardo, facendola impallidire. "Dovresti assicurarti di svolgere meglio il tuo lavoro, Quattro." mormoro, appoggiando gli avambracci sul tavolo di legno.
"Lo farò." risponde lui laconico. Posso sentire la rabbia scorrere nelle sue vene, prendendo il posto del sangue. Sapere che sono un Capofazione lo costringe ad avere un comportamento rispettoso nei miei confronti, sono rare le volte in cui si lascia andare e mi tratta come un suo pari. Ed in quei casi gli rinfaccio che sono un suo superiore. Io non sarò mai sullo stesso gradino di un Rigido. Non uno come lui, soprattutto.
"E assicurati anche di..."
"Elizabeth!" esclama la Pacifica mentre si alza dal suo posto e corre attraverso la Sala, facendo lo slalom fra i tavoli della mensa. Elizabeth indossa un maglione di lana nero che le arriva poco più sopra delle ginocchia e, a giudicare dalla grandezza dell'indumento, capisco che non appartiene a lei, ma a Samuel. Il Candido ha una mano poggiata sulla sua spalla ed ha uno sguardo rilassato, come se non avesse dovuto affrontare le sue quindici paure terrificanti appena un giorno prima.
Samuel la sta accompagnando al "nostro" tavolo e, appena incrocia il mio sguardo, le sue dita si stringono sulla pelle di Elizabeth, come se volesse reclamare una sua proprietà. Se mi alzo ora, finirò per pestarlo davanti a tutti, penso. Quindi mi costringo a rimanere immobile, la forchetta che penzola a mezz'aria dalla mia mano, lo sguardo fisso su quello guardingo di Elizabeth. Ha gli occhi cerciati da due profondi solchi neri, non deve aver dormito molto, stanotte. O quella precedente. O quella prima ancora. Sembra che lei non dormi mai. Effettivamente, non l'ho mai colta in un sonno profondo.

La Candida ricambia l'abbraccio di Alice con molta più debolezza, ma riesce comunque a sorriderle in modo convincente. Io so cosa c'è che non va, cosa le sta passando per la testa, in questo momento. Certo, per quanto io possa comprendere Elizabeth. Sono convinto che non abbia ancora superato il dover essere messa faccia a faccia con le sue peggiori paure. Lo dimostrano i suoi movimenti misurati e le occhiate guardinghe che lancia in giro. Alice le mormora qualcosa, indicando il tavolo con un movimento appena percettibile del dito, e non ci vuole un genio per capire che si sta riferendo a me. Vedo lo sguardo di Elizabeth irrigidirsi appena incrocia il mio, ed io mi sforzo per non salutarla anche  solo con un piccolo cenno del capo.
Ci raggiungono, la Pacifica prende posto accanto a me -"accanto" vuol dire ad almeno un metro di distanza- sulla panchina, mentre Samuel ed Elizabeth si siedono al lato opposto del tavolo. Me la ritrovo proprio di fronte, ma lei non sembra volermi degnare di uno sguardo. Di nuovo. Cerco di ignorarla, per quanto umanamente impossibile sia ignorare Elizabeth, dato che la sua presenza annulla qualsiasi altra cosa intorno a me, e cerco di discutere con Quattro della classifica degli iniziati per quanto riguarda il secondo modulo. Pensa che ci sia molto lavoro da fare, perchè la maggior parte di loro non avrebbero mai superato un ipotetico test finale, dal momento che hanno preferito scappare di fronte alle proprie paure, piuttosto che affrontarle. Per una volta, concordo con lui.
Lancio un'occhiata distratta ad Elizabeth, che sta osservando di sottecchi qualcuno alle mie spalle. Per un momento di disperato sollievo, ho pensato che stesse guardando me, che stesse reclamando i miei occhi, la mia attenzione. Poi, però, mi ricordo che Elizabeth non ha bisogno dell'attenzione di nessuno, anzi, preferisce restare isolata dal mondo.
Faccio cadere volontariamente la forchetta, in modo da girarmi per prenderla. Ad un tavolo abbastanza lontano c'è Jonathan, anch'egli visibilmente scosso, suppongo dalla Simulazione. Se mi alzo ora, finirò per pestare anche lui, penso ancora. Mi rivengono in mente le sue mani ossute e affusolate sopra il piccolo corpo di Elizabeth, e al suo mancato tentativo di violentarla. Quando ritorno a guardare la Candida, noto che lei ha già lo sguardo su di me, e mi fissa come per ammonirmi. Sospira, alzando gli occhi al cielo, e beve un sorso d'acqua dal bicchiere di metallo. Ha capito che ho notato che stava guardando proprio Jonathan, e noon le è piaciuto. A quanto pare, non le piace che qualcuno scopra le sue intenzioni. Be', buon per me che ora so qualcosa in più su Elizabeth.

"...Allora, Liz, vogliamo sapere cosa c'era nel tuo Scenario della Paura." continua Samuel, spostando lentamente gli occhi dall'Erudito alla sua sinistra per rivolgersi a lei. Liz. Non mi piace questo diminutivo, non le si addice. In realtà, non penso che il suo nome abbia bisogno di ridicoli diminutivi. È il nome della Prima a Saltare, dopotutto. Deve essere conservato intero, così com'è.
Elizabeth sussulta e le scivola il bicchiere di mano, che cade sul tavolo con un tintinnìo delicato e il suo contenuto si riversa sul legno. Tutti quelli seduti al nostro tavolo si sono voltati ora verso di lei, sorpresi dalla sua reazione. Perfetto, ora la stanno fissando tutti, penso, e deve averlo pensato anche lei, perchè ora sembra anche più agitata di prima. È davvero così difficile capire che non vuole avere tutti gli occhi puntati su di lei? Probabilmente sì, stiamo parlando di Elizabeth, alla fine. Tutto è difficile, se si parla di lei. Io abbasso lo sguardo, sperando di darle un minimo di sollievo Mi accorgo che Quattro le ha rivolto soltanto un'occhiata curiosa, sono sicuro che vuole vedere come reagirà la ragazza, ora che una versione meno terrificante del suo Scenario della Paura si è ripresentata nella realtà. La paura di essere fissata e giudicata.
"Gli aghi." dice lei, dopo essersi schiarita la gola per ricomporsi. Si passa una mano fra i capelli. Le tremano le mani, e per non farlo notare agli altri appoggia i gomiti sul tavolo.
"E poi?" continua Gabe, l'Erudito dai capelli di un acceso color verde. Non ho mai condiviso la passione di tingersi i capelli. I tatuaggi e i piercing? Volentieri. Avere un colore tanto ridicolo in testa? Mai.

Elizabeth gli lancia un'occhiata gelida ed una ciocca di capelli le ricade sul viso, quando la sposta intravedo il tatuaggio che tanto si ostina a nascondere sotto i capelli. Perchè farsi disegnare qualcosa sulla pelle, se poi la si vuole tenere coperta? Questa è una domanda che potrei rivolgere anche a Quattro, che ha avuto la brillante idea di tatuarsi la schiena. E di non togliersi mai la maglietta in pubblico. Forse perchè è un Rigido, un sorriso si forma sulle mie labbra, certe abitudini non si perdono.
Elizabeth ha lo sguardo fisso sull'Erudito, ed è come guardare una macchina in funzione. Sta cercando qualcosa di convincente da dire, ma che non riveli ciò che sta cercando di nascondere, ovvero le sue paure più segrete e profonde. Come se negarle potesse in qualche modo mandarle via. Lo fai anche tu, è inutile che te la prendi con lei. Io non ho paura di nulla. E non penso che qualcuno cambierebbe idea sul suo conto, se si venisse a sapere che ha paura dell'altezza, ad esempio. Lei sì. Io no.
"Poi basta." sibila lei, versando dell'acqua nel suo bicchiere e avvicinandolo alle labbra. Quando toccano il metallo si inumidiscono, ed io non posso fare altro che pensare a quella notte, quando ci siamo baciati sotto il grande albero di quella radura erbosa. Sembra passato un secolo, eppure la sensazione del suo corpo contro mio è così vivida che mi pare di sentirla anche adesso.
"Basta?" ripete incredulo Gabe dopo una flebile risata, gesticolando pericolosamente con la forchetta "Mi vuoi dire che hai soltanto una paura?"
"No." dice lei, sbattendo con eccessiva forza il bicchiere sul tavolo, lo sguardo fisso sul suo piatto vuoto. Le sue dita si stringono sul metallo, le nocche diventano bianche. "Intendo dire basta con le domande."
Il suo tono di voce è talmente severo e fermo che persino io alzo lo sguardo, aggrottando la fronte. Elizabeth sta guardando Gabe in cagnesco, e lui risponde alzando le mani in segno di resa. Mi chiedo come non si possa avere paura dopo una risposta del genere, o davanti a uno sguardo che tradisce talmente tanto odio. Mi chiedo come non si possa avere paura di lei in generale. Non mi sorprenderei se ora, nello Scenario di Gabe, ci fosse anche un'Elizabeth con lo stesso sguardo ostile che ha adesso. La tensione si stempera dopo qualche secondo, ed Elizabeth ritorna ad avere la sua solita espressione passiva di sempre, il suo sguardo ritorna sul vassoio.

"...Voglio dire, se hai paura degli orsetti di pezza non c'è nulla di cui vergognarsi." farfuglia divertito l'Erudito mentre mastica, scambiando l'espressione di Elizabeth per un lasciapassare ad un'altra battuta. Alzo di scatto lo sguardo verso di lei, preoccupato, e dal suo volto contratto in una smorfia indescrivibile capisco che sta per esplodere. Anche Quattro lo nota, e si prepara al peggio. Sono sicuro che adesso Elizabeth sia pensando a tutto quello che ha dovuto passare nella simulazione. Il tentativo di stupro di Jonathan, la crudeltà della madre ed il dolore che le ha inflitto. Sta ripensando a tutte le sue paure, e a tutte le emozioni che ha dovuto provare. Tutto il terrore, l'angoscia, l'ansia, lo sgomento e la rabbia di essere crudelmente forzata ad affrontare una cosa tanto spaventosa. Il suo Scenario è uno dei più terrificanti mai registrato nel database, e lei lo sa. E ritrovarsi difronte ad un idiota come Gabe, che lo sminuisce paragonandolo ad uno stupido orsacchiotto di pezza, la manda in bestia. Posso già vedere il coltello da burro accanto ad  Elizabeth che vola diretto verso l'occhio dell'iniziato.
"Stai attento a quel che dici, Gabriel, o potrebbe anche sfuggirmi dalla bocca che hai paura del buio. Cos'è, hai paura che l'Uomo Nero ti afferri per la gola? Non ti preoccupare, nessuno si avvicinerebbe a te, sapendo che bagni il letto quasi ogni notte." sibila lei, sfoggiando un sorriso tagliente. Mi chiedo come faccia a sapere tutte queste cose. Poi mi ricordo che Elizabeth passa la maggior parte della giornata a studiare le abitudini delle persone, e penso che Gabriel -a quanto ho capito, è questo il suo vero nome- dev'essere stato uno dei tanti bersagli degni del suo interesse.
"Stai cercando rogne, Candida?" ringhia Gabe, stringendo la forchetta che ha in mano "Perchè posso metterti al tappeto in un secondo, qui, davanti a tutti i presenti."
"Vuoi dire come ha fatto Alice con te qualche giorno fa?" raddrizza la schiena e continua imperterrita, premendo bottoni sempre più delicati. Alice non impallidisce, al contrario, la sua piccola bocca si curva in un sorriso divertito. È vero: durante il primo modulo, la Pacifica ha steso Gabe con un calcio secco al fianco. Ma nonostante ciò, ho classificato l'Erudito al quinto posto, mentre Alice al nono. Non mi è mai stata simpatica e non mi sentivo in dovere di farle scalare la classifica di qualche posto. Ma non dirò che non mi sono divertito quando Gabe è caduto a terra, stramazzando e implorando la ragazza di smetterla.
Ritorno a guardare la Candida, che ha le labbra morbide ancora sollevate in un sorriso affilato. Quando Elizabeth si comporta così, sembra che danzi leggiadra come una foglia sui carboni ardenti. Sul bordo di un dirupo. Con in fondo cani rabbiosi che non aspettano altro che lei cada per farla a pezzi. Ed io non posso fare a meno che ammirare quella danza tanto delicata quanto terribilmente pericolosa.

"Okay, Liz, l'hai voluto tu." sbotta Gabe mentre si alza rumorosamente dalla panchina, battendosi una mano sul petto una volta in piedi, come per sfidarla. Parecchie persone si sono voltate, attirate dal gesto irritato del ragazzo. Anche se non hanno sentito la conversazione fra loro due, tutti i presenti hanno lo sguardo su Elizabeth, perchè è ormai non c'è una sola persona nella Residenza degli Intrepidi che non conosca la piccola Candida e la sua passione per le risse e le provocazioni.
"Oh, davvero?" risponde lei ridendo, ma nella sua risata posso sentire una punta di sarcasmo e irritazione. Fa per alzarsi, ma la voce di Quattro la blocca.
"Finitela, tutti e due. Mi sono stancato di dover interrompere inutili litigi in continuazione. Gabe, vai a sederti con gli interni." dice, indicando col mento il tavolo dov'è seduto Jonathan. Non ho mai visto Quattro comportarsi così, come un padre che ammonisce i propri figli. E ne sono infastidito, perchè avrei voluto vedere Elizabeth fare a pezzi quell'Erudito da quattro soldi.
Gabe sembra esitare, ma cede allo sguardo gelido di Quattro. Dopo un ultimo insulto che non sembra neanche sfiorare Elizabeth, si allontana, sparendo in fondo alla grande sala sotto gli occhi delusi di molti iniziati. Penso di non essere l'unico che voleva assistere alla loro rissa. Sul volto di Elizabeth sembra si sia accesa una scintilla di divertimento che prima non c'era, e i suoi occhi sembrano aver ripreso colore. Ha le labbra curvate in un sorriso soddisfatto, ed io non riesco a non sorridere a mia volta. Samuel ed Alice si guardano lievemente divertiti, credo che ormai si siano abituati al comportamento della Candida, e che ora stiano cercando di trovarne i lati positivi. Gabe non era particolarmente simpatico, a quanto mi è parso di capire, almeno ora non si siederà più al loro tavolo.
"Devi smetterla. Non ce n'era nessun bisogno." la riprende con severità Quattro, lo sguardo severo e deluso.
"Avresti potuto accoltellarlo direttamente alla prima provocazione." intervengo, indicando con un cenno il coltello nella sua mano. Lei sorride lievemente.
"Così si sarebbe prenotata un posto in fondo allo Strapiombo." mi risponde Samuel. È la prima volta che mi rivolge la parola. Quando lo guardo, mi vengono in mente le labbra di Elizabeth che si posano sulle mie, in un bacio dapprima delicato, poi sempre più passionale. Rido, perchè credo che lo stia pensando anche lei, a giudicare dal suo sorriso imbarazzato. Invece Samuel non può neanche immaginare una cosa simile, e pensa ancora di avere una chance con la Candida. "Lo trovi divertente?" chiede Samuel.
"Spassoso." mormoro protendendomi verso di lui, come se gli stessi rivelando un segreto.
Lui fa una smorfia contrariata e continua a mangiare a sguardo basso. Sento qualcosa che mi tocca la scarpa da sotto il tavolo ed alzo lo sguardo, confuso. Guardo Elizabeth e lei mi sorride, facendomi l'occhiolino. E soltanto quando mi guarda in quel modo capisco. Capisco che il mio segreto è proprio lei. E che io sono il suo.

                                                                                             ***

È notte inoltrata, ed Elizabeth è nel letto con me, la testa appoggiata sul mio petto. Non so neanche come ci siamo finiti, qui. So solo che, dopo la seconda prova delle Simulazioni, lei mi ha detto che voleva passare del tempo con me, dopo essere sparita per una giornata intera. E quindi siamo finiti nel mio appartamento, come se fosse una scelta scontata, ma non abbiamo fatto nulla se non parlare e baciarci, finchè non è scesa la sera. Parlare con Elizabeth è piacevole, ovviamente, ma baciarla è di gran lunga più allettante.
Ricordo la prima volta che l'ho fatta entrare qui dentro, ed i pensieri che mi erano passati per la testa quando si è seduta sul mio letto. Avrei voluto ignorare il vero motivo per cui era venuta e spingerla sul materasso, ma mi sono sforzato di non farlo. Non avrei mai immaginato che, ad appena una settimana di distanza, avrebbe potuto farlo lei con me. Le accarezzo i capelli, lasciandomi travolgere dal loro dolce profumo, come di fiori primaverili e qualcos'altro. Qualcosa di terribilmente sensuale.
"Vuoi parlarmi del tuo Scenario?" le sussurro all'improvviso, alzandole il mento con l'indice. Ancora non sa che in realtà non ho bisogno che lei me ne parli, per sapere di che cosa ha paura. Ma voglio chiederglielo, perchè voglio sapere se lei si fida a confidarmi cose tanto privante. E perchè dovevo in qualche modo stroncare i pensieri poco innocenti che il contatto con il suo corpo mi provoca. Lei mi guarda, e la dolcezza nei suoi occhi sparisce, lasciando spazio al vuoto più totale. Alza la testa dal mio petto e si solleva sui gomiti, i capelli tutti spostati da un lato. Indossa una canotta nera, ed ora posso chiaramente vedere parte del suo tatutaggio. Ancora non capisco perchè non voglia mostarlo a nessuno.
"Perchè dovrei farlo? So benissimo che hai assistito alla Simulazione, Eric. Ieri ed oggi. Sapevo già che non avresti mantenuto la promessa." risponde lei ostile, ma non come mi ero immaginato. Ed ecco che immagine ha di me adesso, di un ragazzo di cui non ci si può fidare. Ha sempre saputo che avrei mentito riguardo al non guardare le sue simulazioni, ma me l'ha fatto promettere comunque. Probabilmente perchè voleva vedere se avrei avuto il coraggio di dirle la verità, ovvero che non potevo prometterglielo. Ma non l'ho fatto. E ancora una volta mi sento stupido perchè l'ho capito solo adesso. Al mio sguardo sorpreso, lei sospira infastidita, ma parte della sua avversione è già svanita. "A mensa, oggi, quando mi hanno chiesto cosa di cosa avessi paura, mi stavano fissando tutti. Tranne te e Quattro. Gli unici ad aver assistito alla Simulazione, gli unici a conoscenza del fatto che non mi piace essere osservata." spiega in tono infastidito, alzando le sopracciglia come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Per lei probabilmente lo è.
"So che te l'avevo promesso." sospiro affranto, dopo qualche secondo di silenzio "Ma non potevo non essere presente durante le Simulazioni, è una mia resposabilità."
"Ed eri curioso." aggiunge lei, irritata dal fatto che abbia omesso quel particolare.
"Ed ero curioso. Anche." mormoro accarezzandole la guancia. Lei sospira, e mi sfiora le nocche con le dita, chiudendo gli occhi.

Mi avvicino e appoggio le labbra sulle sue, ma lei sembra esitare. La guardo perplesso, lei ricambia alzando gli occhi scuri sui miei.
"Scusami, sto ancora pensando a..." fa un gesto vago con la mano e scuote la testa, lasciando la frase a mezz'aria.
"...Jonathan." concludo per lei. Raddrizzo la schiena e mi appoggio sui cuscini, spostando Elizabeth su di me. Le accarezzo i capelli, cercando di tranquillizzarla, per quanto un tipo come me possa tranquillizzare qualcuno.
"...Quindi hai visto anche quello." si morde ll'interno della guancia e annuisce debolmente, senza guardarmi negli occhi. Sembra quasi che si stia vergognando.
"Mh-hm." mormoro affermativamente, cercando di apparire quanto più neutrale possibile "È una paura comune, quella."
Lei si abbandona con tutto il suo peso su di me, come se fosse esausta a seguito di un grande sforzo. Forse è proprio così.
"Sembrava così reale." commenta, giocherellando nervosamente con un filo della mia maglietta. Nel suo tono di voce ci dovrebbe essere terrore, disperazione, invece riesco solo a sentire il sollievo di aver concluso anche questa prova senza lasciarci la pelle.
Ripenso a lei legata sulla sedia e a sua madre che la torturava con gli aghi, al suo volto angosciato quando veniva trascinata nell'abisso da quel grosso pesce, o a come gridava atterrita nel momento in cui il Jonathan della simulazione la gettava oltre il cornicione del grattacielo. Penso alla mia indiscrezione nel guardare le parti più profonde della sua mente quando lei mi aveva chiesto di non farlo, e non riesco a non sentirmi una persona schifosa, soprattutto perchè so che io non le parlerò mai del mio Scenario. Ormai non mi sottopongo a una simulazione da circa un anno, e non ho intenzione di scoprire se le mie paure sono cambiate oppure no. Non è una cosa che affronti a cuor leggero, dopotutto.
Le accarezzo le braccia nude, e sento sotto i palmi che le è venuta la pelle d'oca, dovuta a quel mix di sensazioni spiacevoli. Faccio risalire la mano verso il suo viso e, quasi per errore, le sfioro il collo con il pollice. Indugio su quel pezzo di pelle, ricordandomi di un particolare che da qualche giorno a questa parte mi incuriosice. Un particolare fatto di inchiosto nero come la pece.

"Perchè ti ostini a nascondere il tatutaggio?" le chiedo, e rinuncio al tentativo di non far sembrare la mia domanda un rimprovero. Non penso che riuscirò mai a dare un altro tono alla mia voce. Elizabeth continua a rigirarsi il filo di cotone di dito in dito. Qualcosa, però, nei suoi movimenti delicati, mi fa pensare che non siano automatici, spontanei, ma che siano piuttosto studiati, calcolati. Aggrotto la fronte appena percettibilmente e mi concentro di più su quel particolare così strano.
"Non è ancora finito. Tori è particolamente impegnata, in questo periodo." risponde in fretta, accorgendosi che la sto osservando incuriosito. "Hai parlato troppo veloce", la sua voce mi ritorna alla mente come una verità che viene a galla. Riporto la memoria al momento in cui mi ha detto quelle parole. Eravamo in palestra, ed io le avevo appena detto una menzogna. Una menzogna, mi ripeto. Ma non può essere. Elizabeth non può aver mentito. Eppure i suoi movimenti, il suo tono di voce... Tutto mi fa pensare che l'abbia davvero fatto.
"Stai mentendo." dico, con un certo tono di sorpresa nella mia voce. Lei si alza dal mio petto e mi guarda infastidita, gli occhi socchiusi a fessura, lo sguardo indagatore.
"Stai migliorando, Eric." mi fa notare. Il suo non è un complimento, ma un'amara osservazione. "Una settimana fa non saresti stato capace di riconoscere il bianco dal nero."
"Una settimana fa non pensavo neanche che avresti avuto il coraggio di baciarmi, se è per questo." farfuglio, indicandola col mento.
"Una settimana fa le tue aspirazioni erano molto basse." continua, enfatizzando le prime parole come se fossero insulti.
"Non hai risposto alla mia domanda."
"E non ho intenzione di farlo, se ti interessa saperlo."

La guardo, sorpreso da quell'atteggiamento così ostile in risposta ad una domanda così semplice e innocua. Lei non sembra pentita di quello che ha detto, perchè ha un'espressione determinata e quasi vuota, come se non avesse neanche detto una parola, come se quella freddezza fosse calcolata. Ora che non ha risposto alla domanda, ardo ancora di più dalla voglia di vedere il suo tatuaggio, di seguire le linee marcate dell'inchiostro nero che corrono sulla sua pelle nuda. Elizabeth ruota la gamba e si sposta sul materasso, io rabbrividisco per il freddo dovuto allo spostamento d'aria. Sarà anche primavera, ma le temperature di notte sono tremendamente gelide. Si rimette gli scarponi e si alza, camminando con passo deciso verso la sedia sulla quale sono ammassati mucchi di vestiti rigorosamente neri. Non ho un armadio, in questo appartamento, o meglio, ce l'avevo. L'ho rotto involontariamente perchè pensavo che potesse essere una buona alternativa al sacco da boxe. Non lo era.
Elizabeth prende un lungo maglione di lana nero dalla pila di robe e se lo infila. Le arriva poco sopra le ginocchia, le maniche sono troppo lunghe per le sue braccia e penzolano nel vuoto, superando la punta delle dita di parecchi centimetri. La guardo confuso.
"Lo prendo in prestito. Le felpe di Samuel sono tutte sudate." spiega lei, tormentando il bordo del maglione. "O sporche di sangue." aggiunge.
"Non che sia contrario, ho parecchi maglioni, dopotutto..." sentire il nome di Samuel mi provoca ancora un certo fastidio. Mi metto a sedere e mi massaggio la nuca. "...Ma non hai vestiti di tua esclusiva proprietà? Non penso che tu vada in giro a prendere in prestito maglioni."
"Ho le canotte. Ma fa troppo freddo per quelle." risponde. Sembra una domanda parecchio scomoda, per lei. Ed ancora una volta, non capisco perchè.
"Puoi usare i tuoi punti per comprarti i vestiti di cui hai bisogno, lo sai. Sei fra i primi dieci in classifica, perciò ne hai parecchi. Eppure non li hai ancora spesi." le faccio notare, ma penso che non ce ne sia bisogno.
"Lo so." dice lei, inclinando la testa da un lato. Con quello sguardo sospettoso e quella postura esile mi ricorda molto i piccoli passeri che ogni tanto volano davanti alla mia finestra. Però so perfettamente che un piccolo e fragile uccello non rappresenterebbe mai la ferocia di Elizabeth. Piuttosto un coccodrillo. Con le ali. Che brandisce una motosega alimentata a sarcasmo. Molto più appropriato, decisamente.

Elizabeth mi sorride debolmente, ed io muoio dalla curiosità di sapere a cosa sta pensando in questo istante. Con lei non si è mai sicuri, potrebbe star pensando alla simulazione di domani, oppure alle prossime battute pungenti da utilizzare in casi di emergenza. Probabilmente la seconda.
Chissà se anch'io ero come lei, quando ero un iniziato. O meglio, chissà se gli altri mi vedevano come io vedo lei. Schivo, curioso, sempre pronto ad una rissa. Terrorizzato dalle simulazioni. Ecco, se c'è una sola cosa al mondo che Elizabeth teme sono proprio le simulazioni. Forse queste stesse potrebbero essere inserite come ottava paura."Devi controllare la tua respirazione" la voce di Amar, roca e rassicurante, mi ritorna alla memoria, accompagnata da una sensazione decisamente poco piacevole. L'ho ucciso. È morto per colpa mia.
Era Divergente. Era un pericolo. Continuo a ripetermelo finchè non me ne convinco, però una parte di me si chiede come sarei cambiato se lui fosse ancora vivo. Sarei più altruista, sicuramente, più disponibile e meno temuto. Il nome "Eric" non sarebbe più associato alle punizioni esemplari, come quando ho obbligato un iniziato -che aveva avuto il coraggio di lamentarsi della durezza degli allenamenti- a stare davanti al bersaglio mentre gli altri sparavano con i fucili intorno a lui, o quando mi sono rifiutato di portare Jonathan in infermeria perchè messo al tappeto da una Candida. Non sarei più conosciuto come il Capofazione che non tollera i ribelli, il Capofazione che deve avere tutto sotto controllo. Sarei conosciuto, forse, come un Eric amichevole che dà le pacche sulle spalle agli iniziati meritevoli. Il solo pensiero mi fa star male. Forse potrei ancora diventare quella persona. Quattro è riuscito a cambiare, dopotutto, anche se in minima parte. Ma io non sono come lui. Io non sono un Rigido.
Forse non riuscirò a cambiare mai più.

Guardo l'orologio dal vetro crepato appeso al muro sulla mia sinistra -ci ho lanciato contro talmente tanti oggetti che mi sorprendo sia ancora intatto-. Sono le due di notte ed io non ho voglia di andare a dormire. Ma non per mancanza di sonno, ma perchè so che finirei per impazzire, tormentato da pensieri e rimpianti. Mi passo una mano sul viso e mi massaggio le tempie, e non mi accorgo che intanto Elizabeth si è avvicinata, l'espressione preoccupata ma contenuta. Tutte le sue espressioni sono contenute, mai troppo esplicite. Scaccio qualsiasi pensiero negativo, o meglio, è lei a scacciarli. A volte faccio fatica a interpretare i suoi sguardi, da quant'è brava a camuffarli dietro quell'espressione neutra e passiva. Si piega verso di me e mi da un bacio sulla fronte, poi un altro appena più delicato sulle labbra. Mi guarda con quei suoi enormi occhi castani e mi accarezza la guancia con il pollice. Mi sorprendo che sia capace di una tale delicatezza e gesti così affettuosi e delicati. Dio, quant'è bella.
"Ci vediamo domani, lo sai, vero? Anzi, tra esattamente..." si volta verso l'orologio e assottiglia gli occhi per vedere la posizione delle lancette "Undici ore e sette minuti."
"Ti dovrò guardare in mensa da lontano, da un altro tavolo, lo sai." dico, allontanando la sua mano dal mio viso. Il fatto di non poterla neanche fissare per troppo a lungo in pubblico, quando fino a poco fa eravamo stesi sul letto insieme, mi provoca un forte senso di amarezza. Perchè non posso essere considerato un ragazzo normale, anche solo per una volta? È così che lei mi fa sentire. Normale. Non un istruttore da temere, non una persona senza cuore. Un ragazzo di diciassette anni come tutti gli altri. Un ragazzo terribilmente attratto da una piccola Candida. Un ragazzo che vorrebbe baciarla o anche solo cingerle la vita con un braccio davanti a tutti. Ma non posso. Perchè io non sono un ragazzo come gli altri. Io sono Eric. E per gli altri, Eric non ha emozioni.
Elizabeth mi guarda pensierosa, poi spalanca gli occhi come se avesse avuto una grande idea. Schiocca la lingua e sfoggia un sorriso radioso. Quando sorride, se possibile, è ancora più bella, perchè i suoi occhi si assottigliano e le sue iridi si illuminano di una luce umana. Come se anche lei fosse una ragazza, e non Elizabeth. Fremo dalla voglia di sapere cosa le ha attraversato la mente.
"Siediti accanto a me, domani." dice mentre mi prende il mento fra il pollice e l'indice. Appoggia delicamente le labbra sulle mie e sorride ancora.
"Mi sono seduto oggi al vostro tavolo, e hai visto come mi hanno guardato." alzo gli occhi al cielo. Ripenso allo sguardo spaventato di Alice e a quello gelido di Samuel. Senza contare, poi, l'evidente fastidio che ho provocato a Quattro -ma questo, diciamocelo, è stata una cosa che non mi è dispiaciuta poi tanto-. "Se mi siedo con voi anche domani... Accanto a te, poi. Cominceranno a sospettare qualcosa."
"Non sospetteranno niente." dice lei, stampandomi un altro bacio sulle labbra "Fidati di me."
"Va bene." sospiro, dopo qualche istante di esitazione nervosa -celata, ovviamente, dietro un'espressione distaccata-. "Mostrami quello che sai fare, Candida." 



 

Angolo dell'autrice:

Ciao! È da parecchio che non scrivo qua, vero?
Mi prendo soltanto poche righe per ringraziare
tutti quelli che visualizzano questa storia, e chi
è stato così gentile da metterla fra i preferiti!
Significa molto per me, grazie! Avete suggerimenti
per migliorare questa fanfiction? Sentitevi liberi 
di lasciare una recensione quando ne avrete voglia!

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Capitolo 10
*** La festa ***


Capitolo 10 - La festa





Quando arriva l'ora di riunirsi in mensa, non aspetto neanche di vedere la sua piccola figura o i suoi occhi grandi e curiosi che scrutano l'ambiente circostante, e mi dirigo subito verso il tavolo che Elizabeth e i suoi compagni -e Quattro- sono soliti occupare. Non ho particolarmente fame, oggi, quindi ho deciso di prendere soltanto un bicchiere di qualcosa che dovrebbe essere un mix di frutta. Ma mi sono reso conto troppo tardi che ci sono le pere, in questo mix, ed io non sopporto le pere. Sono granulose, dolciastre ed hanno una forma che mi ricorda la corporatura della Pacifica, quindi le detesto ancora di più.
Stanotte non ho dormito particolarmente bene, sia perchè le ultime parole di Elizabeth mi tormentavano e si ripetevano nella mia testa in cerca di una spiegazione, sia perchè qualcuno ha avuto la brillante idea di darsi alla pazza gioia alle tre di notte. Colpi su colpi contro qualcosa di massiccio rimbombavano fra le pareti sotterranee della Residenza, e mi hanno tenuto sveglio per almeno un'ora. Alla fine sono riuscito ad addormentarmi, e quando è arrivata l'ora di alzarsi ho svolto tutte le mie faccende in fretta, sperando che mezzogiorno arrivasse prima. Perchè volevo vedere lei.
Non mi sono nemmeno voltato per vedere le facce che avevano gli altri iniziati, quando mi hanno visto sedermi ad un tavolo diverso dal solito, non mi sono voltato per vedere se la Candida mi stesse seguendo, o se Quattro mi stesse venendo incontro. Non ho guardato nulla se non quel maledetto tavolo. "Fidati di me" mi ha detto Elizabeth. E così ho fatto. Ora sono seduto su una delle due panchine di legno, la postura ingobbita e i gomiti appoggiati sul desco, e sorseggio in mio schifosissimo frullato con pere. Guardo il posto vuoto accanto a me, sperando che possa essere immediatamente riempito dalla piccola figura di Elizabeth, come per magia. Spero che non abbia cambiato idea, spero di non vederla improvvisamente seduta ad un altro tavolo, a ridere con qualcun altro.

"Sei di nuovo qui? Non ci eri già stato ieri?" una voce bassa e quasi minacciosa alle mie spalle mi desta dai miei pensieri. Mi giro e vedo Quattro in piedi vicino a me, lo sguardo fermo ma visibilmente seccato. Ed ora, per la prima volta, mi sento intimorito dal Rigido, perchè non so cosa rispondere. Ha ragione. Dovrei essere al mio tavolo, a bere un frullato disgustoso da solo, lo sguardo basso e l'aria incattivita. Come sempre. Eppure sono qui, che aspetto che qualcosa accada. "Fidati di me". Mi sto fidando. Ma non so per quanto tempo potrò fissare Quattro negli occhi senza dargli una risposta. Non che gliene debba una, ovviamente. Che diamine, sono pur sempre un suo superiore. "Una volta non avevi un tavolo tutto per te, Eric?"
"Sembra che non ne abbia più uno." la voce di Elizabeth, priva di una qualsiasi intonazione che possa tradire qualcosa di più dell'indifferenza, risuona alla mia sinistra. Mi volto e la guardo. Con una certa soddisfazione, noto che indossa il mio maglione nero addosso. Poi risalgo lo sguardo dal suo vestiario al suo volto inespressivo. Ha gli occhi vuoti che mi scrutano con apatia, come se stanotte non ci fossimo baciati per vari minuti sul mio letto. Quando ha quell'espressione disinteressata è davvero convincente, tant'è che mi chiedo se non abbia una sorella gemella più vivace o se sia soltanto un'ottima attrice. Alle sue spalle ci sono Samuel e Alice che, come al solito, stanno bisbigliando qualcosa senza staccarmi gli occhi di dosso. E poi c'è Richard, che ha delle escoriazioni sulle nocche e qualche taglio sui palmi delle mani, lo sguardo basso pieno di rimorso. L'Erudito si siede silenziosamente sulla panchina opposta, poggiando il vassoio sul tavolo, seguito dal Candido e dalla Pacifica con il corpo a forma di pera.
"Che vuol dire?" chiede Quattro, mentre si siede molto lentamente a capotavola, sul lato destro. Sogghigno, nessuno ha il coraggio di starmi accanto. Nessuno tranne Elizabeth che, con noncuranza, posa il vassoio e scavalca la panchina per sedersi di fianco a me, intreponendosi fra me e il suo istruttore.
"Guarda tu stesso." si limita a rispondere lei, mentre comincia a tagliare la bistecca, indicando con il mento il mio ex-tavolo. Il tono tranquillo e neutrale della sua voce mi fa aggrottare la fronte. Quattro ha la stessa reazione e guarda in direzione del mio tavolo, che si trova in fondo alla grande sala.

O meglio, si dovrebbe trovare là. Dove prima c'era il mio tavolo ora c'è un ammasso di assi di legno informe, incastrate le une con le altre in un groviglio che mi confonde anche solo alla vista. Tralasciando il fatto che mi sembra impossibile che il tavolo si sia ripiegato su se stesso spontaneamente durante la notte, sento che nell'aria c'è lo zampino di Elizabeth. Ma, per quanto lei possa essere forte, non sarebbe mai stata capace di distruggere un tavolo da sola. Inoltre, le sue mani sono sempre le stesse, pulite, delicate, lisce e perfette. Aggrotto ancora una volta la fronte. Guardo le mani di Richard, che è l'unico del gruppo a non essersi voltato in direzione del tavolo e continua a guardare il suo piatto con un'espressione mortificata, il ciuffo castano che gli ricade sugli occhi. Guardo la sua corporatura imponente e le braccia muscolose, e immediatamente mi ricordo delle sue nocche scorticate e piene di segni rossi e viola, che ora si ostina a nascondere sotto il tavolo, inutilmente. Poi ricollego questi particolari ai continui colpi che stanotte mi hanno impedito di dormire, era il rumore di pugni su qualcosa di rigido. Pugni sul legno. Pugni sul tavolo. Ma perchè diamine Richard avrebbe dovuto fare una cosa simile? Nonostante la sua corporatura apparentemente minacciosa, è un ragazzo silenzioso e tranquillo, come Elizabeth in questo momento.
La ragazza fa scivolare una mano da sotto il tavolo e la posa con delicatezza sulla mia gamba, approfittando del momento di distrazione degli altri. Per poco il frullato non mi va di traverso. La guardo con gli occhi spalancati, attento a non versare il contenuto del bicchiere sul tavolo. Lei ricambia lo sguardo e sorride. E da quel sorriso capisco che non è che c'è solo il suo zampino, ma che questo è tutto un suo piano. Un piano finalizzato al non farmi stare solo. Un piano finalizzato ad avermi più vicino. Vorrei baciarla adesso, davanti a tutti, ma mi trattengo con uno sforzo disumano, stringendo la presa sul bicchiere di vetro che minaccia di infrangersi fra le mie dita.

Quando Samuel, Alice e Quattro voltano di nuovo lo sguardo, Elizabeth ritira la mano e la sua espressione muta, da vivace a imperturbabile.
"Era l'unico tavolo libero, come vedi, Quattro. Non ci tengo a mangiare per terra." dico a bassa voce, per rispondere alla precedente domanda di Quattro, lo sguardo fisso sul bicchiere di vetro nella mia mano.
"Non sarebbe la prima volta che ti vedrei far qualcosa di strano." commenta Elizabeth, portandosi la forchetta alla bocca, il suo tono è sarcastico e pungente come sempre, ed io non posso fare a meno di desiderare di poter spiegare a tutti che sta fingendo, che in realtà stiamo insieme. Sta facendo un bel lavoro, sembra quasi che non sopporti che io le stia accanto. Perlomeno, nessuno sospetterà nulla. Gli altri soffocano una risata e Quattro, sebbene leggermente divertito, la fissa di sottecchi. Penso a tutte le cose strane che ho fatto per lei, inseguirla su un treno a notte inoltrata, aspettarla in palestra per ore, invitarla nel mio appartamento, sedermi al suo tavolo per la semplice voglia di averla accanto.
Vorrei ridere anch'io, perchè so che per noi le cose strane sono ben diverse da quelle che stanno immaginando gli altri in questo momento. Invece non abbozzo neanche un sorriso, e la guardo con un'espressione leggermente contrariata. Spero di essere convincente come lo è lei. Volta lo sguardo e apre i suoi grandi occhi, che ora, con questa luce, sono letteralmente un'esplosione di tutte le sfumature di castano esistenti. Ed il desiderio di chinarmi e baciarla diventa sempre più forte.
Non lo fare, rispondile come risponderebbe Eric. Cosa faresti, se ci fosse un altro iniziato al suo posto? Cercherei di intimidirla, o umiliarla davanti ai suoi compagni. Mi guardano tutti, ora, con uno sguardo teso e preoccupato in attesa di una mia risposta altrettanto pungente.

"Hai detto qualcosa, Candida? Non credo di aver sentito bene." dico, sporgendomi leggermente verso di lei, come per intimorirla. Non baciarla. È difficile. È come se i suoi occhi mi stessero gridando di farlo.
"Forse perchè hai le orecchie ovattate dalle urla dei poveri iniziati che continui a tormentare." sputa questa frase come se fosse veleno. Ho qualche dubbio adesso, perchè ho l'impressione che non stia recitando del tutto. Aggrotto la fronte, fingendo di essere infastidito, e lei da sotto il tavolo mi sfiora il ginocchio con le dita, tranquillizzandomi.
"Elizabeth, smettila." la ammonisce Samuel, allungando una mano sul tavolo per stringere quella della ragazza. Vedo che la Candida sussulta al contatto con il compagno, e sono sicuro che sta pensando alla mia reazione in questo istante. Non dare spettacolo. Fai finta di non vedere le loro mani.
Sospiro, non ora, non qui.
"Tipico, voi ragazze cercate sempre conforto dai vostri fidanzati, quando qualcosa comincia a farsi troppo impegnativo." dico disgustato, bevo un altro sorso dal bicchiere. "Che c'è, Candida, hai finito le battute?" dico poi, con un finto tono dispiaciuto, rivolgendomi alla piccola ragazza che non sta ricambiando la stretta affettuosa del suo compagno.
"Io non sono il suo fidanzato." ribatte Samuel, nei suoi occhi posso vedere la delusione e lo sconforto, e soprattutto la fatica dell'ammettere quella triste verità. Triste per lui, ovviamente.
"Mhhh." mormoro, come se stessi riflettendo sulla sua affermazione. Mi volto verso Elizabeth, poi di nuovo verso il Candido. "Effettivamente, non si abbasserebbe mai ai tuoi livelli." lo provoco, sorridendo appena. Guardo lei, è divertimento quello che cerca di nascondere dietro quegli occhi imperturbabili? "Ma guardando la tua statura, non penso si possa andare più in basso di così." sospiro.
Elizabeth prende il suo bicchiere e se lo avvicina alle labbra. Una smorfia maliziosa ma palesemente sarcastica le si è formata in viso. Aspetto e mi preparo al suo sarcasmo.
"Io potrei abbassarmi più di così." dice, marcando la parola con decisione, ed ora sappiamo tutti a cosa si sta riferendo. Mi guarda, allontanando leggermente il bicchiere dalle labbra. "Ma non lo farei mai davanti per un ragazzo come te. E non devo essere stata la prima ragazza a prendere una decisione del genere, data la sua evidente frustrazione, Eric." beve un sorso d'acqua dal suo bicchiere.

Richard, che fino ad ora era stato in silenzio con gli occhi bassi, alza lo sguardo verso la ragazza, incredulo e divertito allo stesso tempo. Guardando anche gli altri, mi accorgo che hanno tutti un'espressione più o meno simile stampata in viso. Quattro, invece, sembra essere parecchio soddisfatto, nonostante i suoi continui rimproveri alla ragazza sul regolare il peso delle parole. Vorrei dirle qualcosa di altrettanto offensivo di rimando, ma la mia mente si svuota. Non ho idea di cosa potrei dirle per riguadagnare quel poco di dignità che lei mi ha lasciato. Alice porta la mano alla bocca, spalancando gli occhi e, anche se non lo sto guardando, so che Samuel è a dir poco soddisfatto della risposta della Candida.
"Woah." esclama Richard, pulendosi la bocca con il dorso della mano. Si prepara a dire qualcos'altro ma Quattro decide di cambiare argomento.
"Oggi appenderemo le prime classifiche del secondo modulo." dice abbassando lo sguardo sul suo piatto "Stavolta sarà più difficile. Dal momento che siete rimasti in diciotto." alza lo sguardo, scrutando le facce degli iniziati "Dovete classificarvi almeno fra i primi dodici. Oppure..." lascia la frase a mezz'aria e punzecchia il purè nel suo vassoio con la forchetta.
"Oppure diventiamo Esclusi, lo sappiamo." sospira Elizabeth, lo sguardo schernitore di prima è sparito. È preoccupata, e lo so anche se non lo dimostra.
Decido di trattenermi dal risponderle, le ho rivolto troppe attenzioni prima, davanti agli altri. Vorrei darle un bacio sulla tempia e dirle che ce la farà, che bastano solo respiri profondi e determinazione per superare le simulazioni. Vorrei cingerle la vita con un braccio e tirarla a me, averla vicino, accarezzarle i capelli morbidi. Ma non lo faccio. Non lo faccio perchè distruggerei la mia reputazione, e anche la sua.
Ma non so quanto potrò resistere.


                                                                                              ***

Le gambe di Elizabeth iniziano a tremare visibilmente ed il suo viso diventa più pallido del solito. Mette una mano sulla spalla di Alice per reggersi in piedi, quando posa lo sguardo sul suo nome scritto sulla tabella.
Alla fine del primo giro del secondo modulo si è classificata al dodicesimo posto, immediatamente sopra la linea rossa, ha trascorso nella simulazione minuti decisamente troppo lunghi. Guardo gli altri nomi. Jonathan si è classificato al primo posto, avendo superato il test in poco tempo, ed ora si sta battendo le mani sul petto come un animale impazzito e gli interni gli fanno i complimenti e lo acclamano a gran voce. Rieccola la sua dignità, penso, l'ha riguadagnata. Alice e Samuel sono all'undicesimo e al decimo posto nella classifica, preceduti da nomi che non riconosco e che non sono intenzionato ad associare a volti poco conosciuti.
Quando poso di nuovo lo sguardo sulla piccola folla di iniziati, cerco Elizabeth fra di loro, ma non vedo nè lei, nè i suoi due amici più stretti. Aggrotto la fronte e faccio saettare gli occhi da un lato all'altro della palestra, e infine la vedo che si dirige a passo pesante al portone della palestra. Samuel le corre dietro e lo stesso fa Alice.
Il Candido la afferra per i fianchi e si china verso di lei, dicendole qualcosa con tono deciso che io non riesco a sentire. La vista delle sue grandi mani poggiate sul suo piccolo corpo mi manda su tutte le furie anche in un momento delicato come questo, soprattutto perchè vedo che lei cerca di liberarsi dalla stretta dell'amico, ma Samuel non accenna a spostare le mani di un centimetro. Alice si unisce al compagno Candido e sussurra qualcosa alla ragazza dallo sguardo spaventato e furioso. Ma Elizabeth non sembra voler sentire ragioni ed esce dalla palestra allontanando i due compagni con un gesto brusco. Svolta a sinistra e sparisce del corridoio.
Congedo gli iniziati, ordinando loro di tornare al dormitorio. Dopo essermi assicurato che i corridoi siano vuoti, mi dedico alla ricerca dell'unica ragazza che vale la pena rincorrere.

                                                                                                                 ***

È passata poco meno di un'ora ed io non ho idea di dove si sia cacciata Elizabeth. Ho messo a soqquadro la mensa e guardato in ogni angolo polveroso del Pozzo, ed il caldo del primo pomeriggio non ha di certo aiutato a rendere la ricerca meno faticosa e sudaticcia. Ero sicuro che non fosse nel dormitorio, era ovvio che volesse stare in un posto tranquillo, almeno per qualche ora prima di sottoporsi di nuovo al Siero della Simulazione. Non sarà sicuramente in un posto affollato, e nemmeno in un posto troppo piccolo, essendo che soffre di claustrofobia. Mi porto una mano alla fronte, fa troppo caldo, qui. Vorrei essere nel mio appartamento, ora, la stanza più fresca della Residenza.
Spalanco gli occhi, fissando un punto impreciso di fronte a me. Come posso essere stato così stupido? L'unico posto tranquillo e spazioso che Elizabeth conosce non può essere che uno. Persino il tunnel che conduce al mio appartamento è isolato dal resto del mondo e non ci passa mai anima viva, neanche Drake, un anziano Intrepido al quale è stato assegnato il compito di guardiano notturno. Inutile dire che non fa un buon lavoro.
Corro attraverso gli stretti ed umidi corridoi della Residenza che conducono al mio appartamento e mi fermo davanti alla porta di legno, tastandomi le tasche dei pantaloni per prendere la chiave.
Ma la chiave non c'è, e per un istante brevissimo vengo preso dal panico. Li ho sempre avuti, quando ero più piccolo, e ricordo che in alcune occasioni finivo persino per terra, annaspando in cerca d'aria. Una volta, quando avevo dieci anni, rischiai di finire in ospedale soltanto perchè mi ero perso nel Quartier Generale degli Eruditi e non riuscivo a trovare la via d'uscita.
Non voglio avere un attacco di panico, non ora che devo trovare Elizabeth, e non per un motivo così stupido. Per un attimo penso che le chiavi mi siano scivolate dalla tasca, quindi guardo per terra disperato. Poi, però, sento il cigolare delle molle dall'interno della stanza, e appoggio la mano alla maniglia, confuso ma incuriosito. Dopo un anno e mezzo, ho imparato a riconoscere tutti i suoni e i rumori che attraversano i tunnel di questa Residenza, e ora potrei metterci la mano sul fuoco: quelo stridìo era esattamente identico a quello delle molle del mio materasso quando qualcuno ci si siede o si alza dal letto.

Apro la porta del mio appartamento e vedo Elizabeth rannicchiata sul letto, che mi dà le spalle.
Alzo gli occhi al soffitto e tiro un sospiro di sollievo. Non è scappata, è ancora qui.
Sembra ancora più piccola in questa posizione, un fagotto di vestiti neri con i capelli scuri sparsi a ventaglio sul cuscino. Il suo piccolo corpo sussulta quando sente la porta aprirsi. Elizabeth tira su con il naso e si raddrizza, sedendosi sul letto, poi si volta verso di me, un'espressione stanca e delusa in viso. Chiudo la porta e guardo la serratura, non mi piace l'idea di non aver la possibilità di chiuderla a chiave. Ho sempre avuto questa dannata sensazione addosso, come se ovunque andassi qualcuno mi stesse seguendo. Non sono paranoico, sono solo previdente.
Elizabeth mi guarda e si schiarisce la voce. Tira fuori dalla tasca dei jeans e mi lancia, con un preciso tiro parabolico, un piccolo oggetto di metallo che produce un debole tintinnìo all'impatto con la mia mano. Apro il pugno, guardando curioso l'oggetto che la Candida mi ha lanciato. Le mie chiavi. La guardo con espressione interrogativa e, senza staccarle gli occhi di dosso, do una o due mandate alla serratura, chiudendo finalmente la porta. Mi sento decisamente più tranquillo, ora, non voglio che qualcuno ci veda in questa stanza. Faccio penzolare le chiavi davanti a me, tenendole con due dita, e alzo le sopracciglia, come a chiedere spiegazioni ad Elizabeth.
"Te le ho sfilate dai jeans in mensa." mormora, facendo un gesto vago con la mano. Ricordo quando mi aveva posato la mano sulla gamba da sotto il tavolo, e mi sento un idiota per non essermi accorto del suo piccolo furto. "Scusa."
Abbassa lo sguardo, distogliendo i suoi grandi occhi castani -ora lucidi ed arrossati- dai miei. "Sapevo che non mi sarei classificata in un buon posto. Andiamo, le hai viste le mie Simulazioni." comincia, la voce rotta dal pianto o dalla tristezza "Ma addirittura il dodicesimo..." apoggia la fronte sul palmo della mano, trattenendo a stento le lacrime.

Mi avvicino al letto e mi siedo davanti a lei, prendendole il viso fra le mani. Il contrasto del colore delle nostre pelli è impressionante: la sua è eccessivamente pallida -forse anche per la faccenda della classifica-, mentre la mia è di un sano colorito abbronzato. Ho aspettato tutto il giorno per poterla toccare, ed ora che lo sto facendo davvero mi sembra che tutto questo non sia reale, come se fosse un'altra simulazione. Ma Elizabeth non potrebbe essere mia una mia paura, perchè è la cosa che più desidero in questo momento.
"Hai già superato al meglio la prima classifica, riuscirai anche nel secondo modulo. Ti aiuterò io, se vuoi. Dopotutto, oltre ad essere il Capofazione, sono anche un istruttore." le mormoro, accarezzandole la guancia con i pollici, lo sguardo fisso sul suo. "E poi, non mi piace l'idea che Quattro ti insegni ciò che posso insegnarti io."
Quando la guardo negli occhi grandi e lucidi, sorrido, e lei ricambia anche se debolmente. Mi sembra che il respiro mi si sia stato strappato dai polmoni e che io stia ora affogando in quel mare di sfumature castane e dorate. Ha i capelli sciolti sulle spalle che le arrivano poco sotto il petto, gli enormi occhi arrossati ma costantemente attenti, anche adesso, le morbide labbra piegate in un sorriso triste. Dopo aver pianto, dopo aver dimostrato il lato più umano che aveva, sembra ancora più bella.
"Grazie." risponde lei a bassa voce, baciandomi dolcemente. È la prima volta che Elizabeth mi ringrazia per qualcosa, ed il suo tono di voce era così dolce e sollevato che spero che non sia l'ultima. 
Ricambio il bacio con più passione, e sento che improvvisamente la camera si è fatta più calda e l'atmosfera più intensa. Dovrebbe essere la stanza più fresca della Residenza, allora perchè sento la pelle che brucia?
Elizabeth mi passa una mano fra i capelli corti e si stacca poche volte soltanto per guardarmi negli occhi, per poi ricominciare a baciarmi con più brama di prima. Faccio scivolare le mani sui suoi fianchi morbidi e la spingo con delicatezza sul letto, facendola stendere sul materasso; lei apre gli occhi e mi guarda sorpresa, ma poi sorride ed il suo sguardo si addolcisce, riempendosi anche di qualcos'altro. Non ho idea di che cosa sia quel qualcos'altro, ma mi fa impazzire.
Tutto ciò che voglio in questo momento è lei, annullare l'inutile distanza fra i nostri corpi e sentire il suo respiro sulla mia pelle. La guardo per alcuni istanti negli occhi, memorizzando ogni striatura dorata e ogni emozione che tradiscono.
Circondo i suoi polsi con le mani e li blocco sul materasso, scorgo nei suoi occhi qualcosa che prima non c'era. Sembra tesa. Ma non può essere. Comincio a baciarle il collo, seguendo la linea nera del suo tatuaggio che scende sulla spalla per poi proseguire dietro la schiena, sinuosa come un serpente. Sono abbastanza sicuro che quella linea faccia parte di un tatuaggio molto più grande, che le prende almeno metà spalla, se non di più. Ed io voglio vederlo. Voglio vedere la sua pelle nuda, voglio tracciare con i polpastrelli ogni curva morbida del suo corpo. Sento il sospiro di Elizabeth sul mio orecchio e percepisco che il mio autocontrollo sta per dileguarsi.
Scendo con le labbra fino alla gola, poi alla clavicola, e mi preparo a scendere anche più sotto...

"Eric..." mormora lei, ma la sua non è una supplica, non è semplicemente il mio nome pronunciato misto al piacere del momento. Vuole dirmi qualcosa, lo so, anche perchè sento che i muscoli dei suoi polsi si stanno contraendo sotto i palmi delle mie mani, come se volesse liberarsi dalla mia presa. Se fosse stata una ragazza qualsiasi, l'avrei ignorata e avrei continuato a baciarle ogni centimetro di pelle. Ma lei non è una ragazza qualsiasi. Lei è Elizabeth, ed io voglio fermarmi. Non voglio finire per sostituire Jonathan nel suo Scenario della Paura. La sola idea mi fa rabbrividire.
Le lascio i polsi e avvicino il suo viso al mio, poggiando gli avambracci sul materasso, all'altezza delle sue spalle. Lei si massaggia i polsi ed io aggrotto la fronte: non avrei mai pensato che avessi potuto farle male. Mi guarda e sospira, poi fa per mettersi a sedere e mi costringe a fare lo stesso. Mi inginocchio sul letto e lei si siede davanti a me, mi prende la testa fra le mani piccole e dalla presa poco decisa. Mi fissa intensamente, ed io vorrei che non dicesse una parola, perchè i suoi occhi riescono ad esprimere cose che le parole non possono esprimere. Devo avere uno sguardo confuso, adesso.
"Non è colpa tua." dice, dandomi un bacio sulla fronte "...Sono tesa. Non ho mai avuto un ragazzo prima d'ora." mormora, tutto d'un fiato. "E poi... Queste simulazioni non farebbero altro che distrarmi. Non voglio che rovinino questi pochi momenti che posso passare con te." Ignoro tutto quello che ha detto, cogliendo solo la parola ragazzo. Sono il fidanzato di Elizabeth.
Il solo pensiero mi fa sentire invincibile. Adesso vorrei soltanto sbandierarlo ai quattro venti, dirlo a tutti. Specialmente a Samuel. O a Stephan. O a qualsiasi ragazzo che osi guardarla con lo stesso desiderio negli occhi che adesso lei sta rivolgendo a me. Non è certo la prima volta che sono stato il fidanzato di una ragazza, ma con lei è diverso. Voglio che tutte queste esperienze nuove -nuove per lei- siano indimenticabili.

Le poso le mani sulle cosce, attento a non sfiorare con le dita punti troppo delicati. Non voglio che pensi che cerco solo sesso, in lei. Se avessi cercato soltanto una distrazione, non sarei mai e poi mai andato a cercarla in una ragazza come Elizabeth.
"Non so neanche come farai ad aiutarmi a superare il secondo modulo." sospira, coprendosi il volto con le mani. Ma non piange, Elizabeth non piange. Elizabeth è forte quanto lo sono io. Se non di più. La guardo con attenzione, come lei è solita fare con gli altri.
Mi sembra così piccola, adesso, con i lunghi capelli bruni che le ricadono davanti alle mani dandole l'aspetto di una bambina. Sposta le mani e le poggia sulle sue cosce, o meglio, sopra le mie mani che ora sono poggiate sulle sue cosce. E poi alza lo sguardo su di me. Ora sono io a sentirmi piccolo, osservato da quello sguardo tagliente, feroce, ma anche attento e dolce. I nostro visi sono vicini ora, così vicini che potrei chiudere gli occhi e ricostruire mentalmente ogni singolo millimetro del suo volto. E così faccio, ma la scena che mi si crea davanti, materializzandosi nell'oscurità, mi fa desiderare di non averlo mai fatto
Immagino i suoi splendidi occhi vivaci senza vita, la vedo galleggiare nell'acqua del fiume sotterraneo, la pelle violacea. E non riesco a sopportarlo. Elizabeth non si suiciderà per una stupida classifica. L'aiuterò. Non so neanche se sia possibile ridurre le paure in una Simulazione, in realtà, ma io lo farò, ad ogni costo.
Do una rapida occhiata all'orologio, che segna le due e mezza del pomeriggio. Mi siedo in fretta sul bordo del letto e mi metto gli scarponi, lancio uno sguardo veloce ad Elizabeth, invitandola a fare lo stesso.
"Vieni con me." farfuglio, e sento il suo sguardo sulla nuca. Rabbrividisco.
"Dove stiamo andando?" chiede lei saltellando sul materasso fino a raggiungermi sul bordo. Si mette gli scarponcini anche lei. Sembra che abbia dei piedi minuscoli, accanto ai miei. Le sue dita si muovono velocemente nel legare i lacci, ed io ne sono quasi ipnotizzato. Aggrotto la fronte. Qualsiasi cosa faccia, mi lascia senza fiato. Non so quanto ci possa essere di positivo in questo.
Mi alzo e mi cambio la maglietta, mettendomene una identica, ma questa profuma di sapone e mi fa sentire meno sporco. Mi metto le mani sui fianchi e sospiro, comprendendo che effetto faranno su di lei le parole che sto per pronunciare.

"C'è un guardaroba disponibile per tutti gli Intrepidi, nella Residenza. Troveremo un abbigliamento adatto a te." spiego, alzando le sopracciglia. Spalanca gli occhi. Continuo a spiegare. "Perchè stasera andrai ad una festa."
Elizabeth spalanca gli occhi e la bocca, bianca in volto come non lo è mai stata.
"Eric. Ci sarà..." comincia, ma poi capisce dove voglio arrivare e le parole le si strozzano in gola.
"...Un sacco di gente. È questo il punto. Ti senti a disagio quando c'è troppa gente, perchè ti senti tutti gli occhi puntati addosso, non è così?" dico, avvicinandomi al letto. Lei è ancora seduta e scuote la testa, rifiutando categoricamente la mia proposta.
"No, no. Assolutamente no, non... Non è una buona idea. Non puoi capire. Non puoi..." la sua voce trema ed io mi avvicino ancora di più, prendendola per un gomito e facendola alzare con troppo impeto. La guardo, spero di non avere un'espressione arrabbiata, in questo momento, perchè non voglio spaventarla più di quanto non lo sia già.
"Elizabeth. Non era un invito. Ci andrai e basta. Vuoi superare il secondo modulo? Cominciamo oggi. Ed ora vieni."
"Ci vedranno." risponde lei, la voce piatta e fredda. Credo proprio di averle messo paura, oppure di averla infastidita. Non si può essere mai sicuri, con lei.
"Non ci va nessuno a quest'ora." dico, indicando con il mento l'orologio analogico appeso alla parete. La prendo per mano e la trascino verso la porta.
"Va bene." sospira lei "Ma non pensare neanche per una frazione di secondo che mi metterò un vestito aderente. O corto. O un vestito in generale."
L'idea di Elizabeth che indossa una minigonna mi distrae a tal punto che mi devo fermare per concentrarmi di nuovo.
"Eric!" sbotta lei, come se potesse leggermi nella mente. Probabilmente l'ha fatto. "Ti ho detto di no!"
"Non staresti male." apro la porta, cercando di sembrare il più disinvolto possibile. Poi ci penso di nuovo. "Non staresti per niente male." mi correggo.

                                                                                                      ***

"È orribile." sta sbuffando Elizabeth, le braccia incrociate sul petto a coprire la scollatura che lei ha ritenuto "eccessiva", ma che in realtà arriva poco sotto le clavicole, rivelando in parte il suo tatuaggio.
Ci troviamo in quello che gli Intrepidi chiamano "L'Armadio delle Iniziate", una stanza di una decina di metri quadri dedicata alla prova vestiti delle novizie. Non c'è un vasto assortimento di indumenti, qui, dal momento che sono tutti neri con qualche accessorio rosso. Ma, dato che Elizabeth si è subito rifiutata di spendere i suoi punti in vestiti più
elaborati -e più corti-, non ho avuto altra scelta che portarla qui. Ho chiuso la porta a chiave, per sicurezza, non voglio che qualcuno ci trovi qui insieme.
Ora sono seduto su uno sgabello di legno e sto guardando Elizabeth, che è visibilmente a disagio. Indossa i suoi soliti jeans neri (l'unica cosa aderente che comprende il suo vestiario) ed ha deciso di indossare una top dello stesso colore che le arriva sopra l'ombelico, rivelando gran parte del suo addome. Per lei, probabilmente, tutto ciò è una tortura. Per me... Di certo non mi dispiace vederla indossare un indumento simile. Non sono mai stato un esperto di moda, non è mai stato il mio campo e non intendo diventare un intenditore proprio adesso, ma penso che su un corpo piccolo e snello come il suo ci starebbe bene anche un sacco della spazzatura.
"Hai detto così anche per tutti gli altri vestiti che ti sei provata, Elizabeth." borbotto, massaggiandomi le tempie con i polpastrelli.
"Ti ricordo che è stata una tua idea. E poi questa maglietta è diversa dalle altre, voglio dire... guarda! Mi si vede tutta la pancia! Chi diavolo si mette una roba del genere?!" sbotta incredula, indicandosi l'addome con una mano. Ma io non vedo il problema, vedo solo i suoi fianchi scoperti che bramo dalla voglia di toccare. Concentrati, sei qui per aiutarla.
"Cos'è, ti fa sentire a disagio?" chiedo alla fine, scacciando i pensieri poco casti che mi si erano formati in testa.
"Ovvio che sì. Vorrei provare a cercare qualcosa di meno..." si volta e fa per avvicinarsi alla fila di vestiti appesi ad una delle pareti della stanza.
"Prendi questo." concludo battendo le mani soddisfatto. Mi alzo dalla sedia con un grugnito. Sono stato seduto per troppo tempo.
"Prego?" chiede, fermandosi in mezzo alla stanza e guardandomi con un'espressione ferita e furiosa in volto.
"Ho detto che prendi questo. Pensa al lato positivo, per questi vestiti non devi spendere i tuoi punti, sono gratis per le iniziate. Specialemente quelle carine come te." dico senza una particolare intonazione della voce. Passano pochi secondi, solo dopo mi rendo conto che le ho fatto un complimento. È la prima volta che le dico qualcosa del genere, ed è stato abbastanza strano. Nella mia mente, ho una lista di aggettivi per descrivere Elizabeth. Stupenda, eccezionale, magnetica, fino a non finire più. Ma nella realtà... Non le ho mai detto niente su come è lei ai miei occhi, o di come mi sento quando alza lo sguardo su di me e mi fissa con quelle sue enormi iridi dorate. O di come mi sento quando lei è vicino a me in generale.

Elizabeth mi guarda, le guance rosse per l'imbarazzo e lo sguardo leggermente minaccioso, e io penso che la sua espressione mi diverta un po'. Anzi, ne sono convinto, e mi rendo conto troppo tardi che sto sorridendo. Quando lei se ne accorge, mi poso una mano sulla bocca e simulo prontamente un improvviso attacco di tosse.
"Ti fa così ridere il fatto che Samuel, Stephan, o qualsiasi altro ragazzo possa guardarmi vestita in questo modo?" risponde lei, tagliente come non lo è mai stata. Penso al modo in cui la guarderebbero gli altri vedendo il suo corpo piccolo ma sinuoso, ai pensieri che attraverserebbero le loro menti, e freno l'impulso di farle indossare una felpa che le arriva fino alle ginocchia.
Il sorriso mi scompare dalle labbra, evaporando come una pozza d'acqua in agosto.
"Non importa." dico, ma la mia voce trema di rabbia. È una bugia. Importa. Importa eccome. "È un test, questo, non stai andando lì per divertirti, ma per superare una delle tue peggiori paure."
Non riesco a distogliere lo sguardo da lei, pensando al fatto che è bastato un banalissimo e stupidissimo top nero per trasformarla in qualcosa che ardo dalla voglia di rendere mia. Lei vede in che modo la sto fissando, capisce a cosa sto pensando -chi non penserebbe a quel genere di cose, con una ragazza come lei di fronte?-, ed alza gli occhi al cielo, infastidita, ma un'espressione divertita -che tenta inutilmente di nascondere- le si forma sul viso.
Ormai ho rinunciato a trattenermi dal guardarla anche quando lei è davanti a me, penso che abbia capito che non riesco più a staccarmi da lei. Mi balena in testa l'idea di Samuel che la spinge al muro, le grandi mani sui suoi fianchi nudi, che le bacia il collo con la stessa passione che ci ho messo io qualche minuto fa nel mio appartamento.
Immagino le sue labbra su quelle della mia ragazza e non riesco a impedire che una smorfia di fastidio mi si formi sulle labbra. Avvampo di rabbia e di gelosia, e vorrei uscire da qui soltanto per pestare Samuel a sangue. Invece mi stacco dalla parete e mi dirigo a passi pesanti verso Elizabeth, che ora ha assunto un'espressione perplessa e forse leggermente intimorita.

Appoggio le mani sui suoi fianchi, e lei è così piccola che riesco quasi a circondarle la vita con le dita. La spingo al muro e la guardo negli occhi, sperando che lei possa leggermi nel pensiero e comprendere le mie preoccupazioni riguardo il suo inseparabile "amico" Candido. Elizabeth sbatte le palpebre un paio di volte prima di incollare i suoi occhi sui miei. Qualcosa attraversa le sue iridi, rendendole più luminose di prima. Penso che lo abbia capito. Penso che abbia capito che bramo dalla voglia di infilare Samuel in un barile e gettarlo dal novantanovesimo piano dell'Hancock.
"Ma se soltanto vengo a sapere che qualcuno si è avvicinato troppo a te, giuro sulla mia Fazione che ci sarà uno spargimento di sangue che tu non puoi neanche immaginare." ringhio, prima di chinarmi per baciarla con passione, facendole dimenticare di respirare. "Prendi questa maglietta, è un ordine. Ora, rimettiti i tuoi vestiti e torna dai tuoi compagni. Preparati per stasera." mi dirigo verso la porta, ma la sua voce insicura -è la prima volta che noto l'assenza di determinazione del suo tono- mi blocca.
"Ci sarai anche tu?" chiede, mi trattiene per una mano prima che io possa toccare la maniglia ed uscire. Esito. Le sue piccole dita giocano nervose con le mie. Sì, eccome se vorrei esserci. Vorrei poter controllarla in modo che nessuno si possa avvicinare a lei o, peggio, toccarla in un modo che so che lei non sopporterebbe. Ma non posso, sia perchè non è la mia prova, ma la sua, e sia perchè ho le simulazioni da registrare, ed è un compito che richiede parecchie ore. Non ho tempo per andare ad una festa, neanche se a quella festa parteciperà Elizabeth.
"È una cosa che devi fare da sola." le rispondo, decisamente più sgarbato di quanto volessi sembrare. 

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Capitolo 11
*** Una macchina complicata ***


Capitolo 11 - Una macchina complicata





Quando finisco di registrare tutte le Simulazioni -l'ultima era quella di Gabe-, guardo esausto l'orologio appeso alla parete e mi accorgo che la festa è cominciata da un bel po'. Dalla mia gola esce un rantolo mentre mi rilasso sulla sedia, strofinandomi gli occhi con il dorso delle mani. Penso proprio che analizzare una ad una ogni singola paura di ogni singolo iniziato sia un lavoro ben più stancante di tirare pugni al sacco da boxe o insegnare agli iniziati come tirare i coltelli. Ma non posso farci più di tanto, sono un Capofazione, ora. E se non voglio che Max pensi che sia un incompetente e prenda Quattro al mio posto, devo smetterla di lamentarmi.
Mi alzo dalla sedia e i miei piedi mi portano verso il mio appartamento. Saranno forse le tre di notte, ed io mi accascio sul mio tanto desiderato letto senza neanche togliermi gli scarponi. Le molle cigolano, ed è un suono stranamente rilassante, familiare. Sospiro e butto fuori dai polmoni una grossa quantità d'aria, lasciandomi cullare dalla morbidezza del materasso.
Se guardo a destra, verso l'unica grande finestra della stanza che si trova proprio accanto al letto, riesco a vedere soltanto una piccola striscia di cielo scuro. Stanotte non riesco a vedere neanche una stella, soltanto un ammasso informe di nubi nerastre che si accavallano le une sulle altre: sta per piovere: sento l'elettricità e la tensione nell'aria. O forse sarà solo dovuto al fatto che Elizabeth è giù nel Pozzo ad una festa piena di gente, con un vestito troppo corto per i miei -e suoi- gusti, e che io non posso raggiungerla perchè non voglio intralciare il suo allenamento.
Penso al suo piccolo corpo che si muove sinuosamente al ritmo della musica martellante, e sarebbe anche un pensiero accattivante se non fosse per il fatto che so che Samuel non le ha staccato gli occhi di dosso da quando l'ha vista andare al Pozzo con quel top nero indosso. Non che abbia colto il Candido a fissarla, ma so che Elizabeth gli fa un certo effetto e vederla indossare un indumento così rivelante lo avrà mandato in tilt. Elizabeth ha detto che sei il suo ragazzo. Lo so. Non cederebbe mai alle lusinghe di nessun altro. Lo so. Però potrebbe essere ubriaca. Ubriaca? Potrebbero approfittarsene. Potrebbero. È vero.
Immagino la piccola Elizabeth che cerca di respingere Samuel mentre tenta di baciarla, di togliere la maglietta, di toccarla in modo appropriato contro la sua volontà, e mi alzo dal letto con un grugnito animalesco, disgustato e infastidito da quella visione. A volte mi chiedo perchè la mia mente partorisca scene che mi mandano talmente tanto in bestia.

Devo andare a controllare la situazione. Voglio essere sicuro che tutto stia andando per il verso giusto. Non ho aspettato un'ora nell'Armadio soltanto per poi vedere Elizabeth in un angolo ansimare per il terrore della folla.
Attraverso l'appartamento con un'espressione furiosa in viso, e faccio per allungare la chiave nella serratura della porta.
Improvvisamente sento qualcuno bussare insistentemente e indietreggio, ritirando immediatamente la mano. Do' una veloce occhiata all'orologio, sono passate soltanto quattro ore dall'inizio della festa, e le feste degli Intrepidi finiscono poco prima dell'alba. Inoltre, nessuno viene mai a bussare al mio appartamento, neanche Max, specialmente a quest'ora. Certo, nessuno tranne Elizabeth.
Apro la porta e mi si para davanti la piccola figura barcollante della Candida. Sospiro, ed emetto quello che dovrebbe essere un verso di disapprovazione. Elizabeth ha una mano appoggiata sullo stipite di legno della porta, le gambe corte ora storte in una posizione di precario equilibrio. Indossa ancora il suo top nero, che ora è spostato da un lato e lascia scoperta una spalla. Solo ora mi rendo conto che il suo collo è decorato da entrambi i lati da una linea nera d'inchiostro che comincia chissà dove per poi finire poco sotto le orecchie. Solo ora mi rendo conto della grandezza del suo tatuaggio. Solo ora mi rendo conto di quanto sono curioso di vederlo.
"Eric!" la ragazza lancia un gridolino acuto non appena alzato lo sguardo, e mi getta le braccia al collo, stampandomi un lungo bacio sulle labbra. Mi stacco immediatamente, sia per la sorpresa, sia per la paura che qualcuno ci veda, e mi affretto a chiudere la porta a chiave alle sue spalle. La guardo barcollare fino al letto mentre un'espressione incredula mi si forma sul viso. Elizabeth inciampa sulle sue stesse scarpe e cade di faccia sul materasso morbido. Ride, la voce infantile e in qualche modo tenera ovattata dal tessuto delle coperte.
Ora che è in posizione prona, il top corto leggermente sollevato mi permette di vedere la parte inferiore della sua schiena, qualche centimetro sotto le scapole.
Noto con grande curiosità che c'è più inchiostro che pelle, un tatuaggio più grande di quanto mi sarei mai aspettato. Vorrei osservarlo meglio, studiarne ogni signolo dettaglio, ma capisco che devo prima aiutarla, dubito che sia anche lontanamente capace di capire dove si trova in questo momento. Mi affretto a sedermi accanto a lei sul letto e la faccio stendere di schiena, e lei alza le mani fino a sfiorare il mio viso ed assume un'espressione sorpresa.
"Caspita." sospira sorridendo lei, gli enormi occhi che si spalancano, diventando ancora più grandi e luminosi. "Hai degli occhi bellissimi, sai? È stata la prima cosa che ho notato di te. Cioè no, ho mentito. Hah! Una Candida che mente!" si copre la bocca con la mano per trattenere le risate. "La prima cosa che ho notato di te era che eri e sei tremendamente sensuale. Però sai essere anche parecchio sensibile. Mi piace quando sei sensibile. Diventi più umano. A me piacciono gli umani."

Non so se sentirmi lusingato, confuso, o qualsiasi altra cosa che comprenda il farsi milioni di domande sul perchè di quei complimenti tanto espliciti.
"Tu sei ubriaca, Elizabeth." alzo gli occhi al cielo. Mi massaggio una tempia con i polpastrelli. Non era previsto. Elizabeth alza un braccio e se lo pioggia davanti agli occhi, chiudendo le palpebre. "Dovevi soltanto seguire il piano, dannazione." la riprendo severamente.
"Sì, lo so! Ma poi Samuel mi ha offerto qualcosa da bere e in qualche modo sono riuscita a berne altri nove bicchieri." Nove bicchieri, per Dio! "Non so dove sia adesso, me ne sono andata perchè volevo stare con Eric. Hai presente? Quello bello da morire. A volte è crudele e insensibile, ma in realtà è un bravo ragazzo." sposta l'avambraccio dagli occhi e la sua espressione si trasforma, trasformandosi in una di pura sorpresa. "Eric! Sei qui! Quando sei arrivato?" ride e si sposta dal materasso, sedendosi su di me,  le braccia poggiate sulle mie spalle. Il suo alito puzza di alcool. "Sono contenta che tu sia il mio ragazzo, sai?" cerca di baciarmi ma io mi sposto immediatamente. Non voglio baciare Elizabeth, non quando è ubriaca fradicia.
"Dov'è Alice?" chiedo, allontanandola "Qualcuno ti ha vista venire qui? Qualcuno ti ha seguita?"
"No!" sbotta lei, sembra infastidita, se non offesa. "C'era troppa gente e me ne sono andata. Non mi sono mai piaciuti i posti affollati. Hai presente, ti senti tutti gli occhi addosso, come se stessero giudicando ogni tua mossa. Lo sai, una volta ho letto un libro che parlava di un assassino, anche lui aveva questa fobia. In realtà non era proprio un assassino, rapiva i bambini e li uccideva per poi mangiarli. Ho letto le lettere che scriveva nel suo diario. Il giorno prima di essere condannato ha scritto di aver mangiato il culetto di un bambino di quattro anni. Era un rapitore, pedofilo, assassino e anche cannibale." sussulta spaventata e mi afferra un braccio "Eric, sono anch'io una cannibale?"
"Per l'amor del cielo, no!" sbotto. Mi manca d'improvviso quell'Elizabeth silenziosa e calcolatrice. Quella che ho davanti non mi sembra neanche più la mia ragazza. "Perchè diavolo avresti voluto leggere il diario di... Sai cosa? Non mi importa. Stenditi e riposa finchè non ti sarà passata la sbornia."
"Non mi sono mai ubriacata prima d'ora." spiega lei, infilandosi sotto le coperte. Elizabeth guarda il soffitto, i suoi occhi luminosi brillano nel buio come quelli di un gatto. "Penso di aver fatto a botte con qualcuno, Eric."
"Be', certe cose non possono cambiare." sospiro e la lascio riposare, sperando di riavere indietro la mia ragazza il prima possibile.

                                                                                                        ***

Sono passate un paio d'ore, Elizabeth sembra essersi calmata. O almeno penso, perchè ha continuato a parlare a vanvera per i primi venti minuti e poi ha smesso, come se si fosse spenta all'improvviso. Io intanto ho spostato la montagna di vestiti dalla sedia al pavimento e mi sono seduto accando al letto, guardandola mentre il suo respiro si faceva più regolare.
È ora che mi rendo conto che non ho mai visto Elizabeth dormire, e penso che sia una delle cose più spettacolari del mondo. È come se fosse la Candida di sempre, silenziosa, tranquilla, ma senza quella ferocia negli occhi o quello sguardo perennemente indagatore. Sembra quasi umana. Il suo volto è rilassato e le sue labbra sono curvate in un debole sorriso. È rannicchiata sul fianco e si stringe le coperte al petto, deve sentire un freddo glaciale. La musica proveniente dal Pozzo, intanto, è finita, ed ora nella Residenza degli Intrepidi, sempre chiassosa e caotica, regna il silenzio più totale. Elizabeth dorme, ed il silenzio della notte mi circonda. Penso che potrei rimanere così per ore senza mai stancarmi, inebriato dalla perfezione del momento.
I capelli mossi le ricadono in morbidi ciuffi sulle guance, dandole un aspetto quasi innocente. Chissà com'era da piccola, mi ritrovo a pensare, quando ancora non aveva tutta quella smania di controllo, quando l'unica cosa che importava era giocare ed essere liberi. Immagino una piccola Elizabeth che corre nei suoi minuscoli vestiti da Candida, i capelli che ondeggiano sopra le sue spalle minute. Chi immaginava che quella bambina sarebbe un giorno diventata una delle nostre Intrepide migliori, se non la migliore.
Allungo una mano verso il suo viso e le sfioro la guancia con il pollice. Lei schiude gli occhi e trattiene la mia mano, dandomi un bacio sulle nocche scorticate dai troppi pugni dati.
"Sei tornata fra noi?" chiedo, ma dalla sua espressione ancora allegra capisco che è ancora brilla.
"Non lo so. Perchè non vieni a letto? Comincia a fare freddo, sai." mormora, chiudendo di nuovo gli occhi e spostandosi per farmi spazio. Non appena mi infilo sotto le coperte, lei si avvinghia a me in un abbraccio forte, quasi disperato. Appoggia la testa al mio petto, ed io rimango immobile. Non so come sentirmi. Poi decido di sbloccarmi e le accarezzo i capelli. Le mie dita indugiano sul suo tatuaggio. A differenza dell'ultima volta, lei non si ritira, ma, al contrario, ridacchia divertita.
Sto per fare una cosa sleale, che so che all'Elizabeth sobria non piacerebbe per nulla. La ragazza è ancora brilla, potrebbe dirmi qualcosa che quella parte riservata di lei si è ostinata a nascondermi per tutto questo tempo. Con un po' di fortuna, non se lo ricorderà nemmeno.

"Posso chiederti una cosa? Ma vorrei che mi rispondessi sinceramente." chiedo, raddrizzando la schiena e poggiando le spalle sui cuscini. Lei si stacca dal mio petto soltanto per stendersi su di me. Ancora una volta, non so che pensare. Vorrei davvero baciarla, toccarla, ma non se è ubriaca. Non così.
"Mh-mh." mugugna lei affermativamente. Le accarezzo i capelli, sperando che la mia domanda possa risultare discreta anche ad un'Elizabeth brilla.
"Cosa ti sei tatuata sulla schiena?" le chiedo tutto d'un fiato, e per un secondo temo di aver parlato troppo veloce. Mi chiedo se anche in queste condizioni possa capire che non sono tranquillo come voglio far sembrare. Per un istante interminabile lei non risponde, ed io mi pento subito di aver pensato di poterla ingannare.
"Oh, Eric." mormora poi, quasi dispiaciuta. Alza la testa e appoggia gli avambracci sul mio petto, in modo che i nostri occhi siano alla stessa altezza. "Vorrei tanto mostrartelo, ma non posso."
"Come mai?" aggrotto la fronte, la mia mano si ferma fra i suoi capelli. Sembrerebbe quasi seria, se non fosse per il sorriso distratto che ha sul volto.
"Vedi, Tori ha fatto un bel lavoro. È stata molto gentile con me, però mi ha raccomandato di tenerlo nascosto il più possibile. Dice che gli altri non capirebbero. Ma non solo è per questo che non te lo voglio mostrare. Io mi fido di te." esita, prima di continuare, e una luce attraversa i suoi occhi. Non so cosa sia, ma sembra quasi che una parte di lei sia tornata. "Non sopporto di scoprirmi troppo. Questo top nero... è orribile. Ma hai visto? Mi si vede tutta la pancia. Mi sorprendo che non sia una mia paura nello Scenario, in realtà. L'idea di dover togliermi i vestiti in presenza di qualcuno, intendo." ci ripensa su e poi ride, lasciando cadere la fronte sul palmo della mano. "Ah già, gli specchi."
"Gli specchi." ripeto io, come per esortarla a continuare. Poi la mia mente ripercorre quasi automaticamente gli ultimi giorni che ho passato insieme ad Elizabeth. Mi ha mentito, l'altra sera, quando stavo per toglierle la canotta di dosso. Mi ha detto che era per colpa delle Simulazioni, che non riusciva a pensare ad altro. Ora capisco perchè quella volta in palestra -sembra un periodo talmente lontano, quando ancora non si fidava di me al punto di presentarsi ubriaca nel mio appartamento- ha reagito in quel modo quando l'ho afferrata per i fianchi. Elizabeth mi ha mentito, più di una volta. Non so perchè mi soprendo tanto, dopotutto le ho mentito anch'io, e spesso anche. Ma Elizabeth che mente -a me, poi- è una novità che non riesco a mandare giù.

"Gli specchi!" rotola su un fianco e si sposta dal mio petto, sistemandosi al mio fianco. "Puoi immaginare qualcosa di più brutto dell'essere rinchiuso in uno spazio talmente ristretto, con tutte quelle facce che ti guardano? E non solo, tutte quelle facce sono le mie facce. È come se nell'ultima paura si combinassero le mie due paure più grandi. È terribile, santo cielo! Essere me, voglio dire, essere Elizabeth." mi guarda quasi sopresa, come se stesse realizzando quelle parole solo dopo averle pronunciate. Le brillano gli occhi, ma non sta per piangere. "Sai cosa si prova a non esser mai capace di stare tranquillo per un istante? È come quanto hai la nausea perchè hai mangiato troppo. Quella sensazione di debolezza... Quella morsa allo stomaco... È tipo... così. Solo che ce l'hai sempre, non solo dopo che mangi. Io non mangio molto, sai? Non mi piace il cibo che preparano qui, Norman sarà anche un'ottima compagnia, ma è un pessimo cuoco. Pensi che esistano corsi di cucina, qui? Norman dovrebbe frequentarli." borbotta inarrestabile, la fronte aggrottata in un'espressione pensosa.
"Ma di che stavamo parlando? Degli specchi, giusto." annuisce energicamente. Quando ricomincia a parlare, noto che il tono della sua voce è quasi dispiaciuto. "Non è bello studiare le persone, te l'ho mai detto? Non è bello perchè... è come sbucciare una mela fino al torsolo. Scopri tutti i segreti di una persona, li sfrutti a tuo vantaggio; trovi le sue debolezze, le sfrutti a tuo vantaggio; scopri le sue paure più profonde, e le sfrutti a tuo vantaggio. Capisci? Se scopri tutto su una persona -e con tutto intendo tutto-, non puoi averne davvero paura. È difficile temere qualcuno che ha paura del buio, come Gabe. O qualcuno che se la fa sotto davanti ad un ragno come Richard. Poi, quando hai finito di divorare anche quella mela, la getti insieme a tutti gli altri torsoli.
Alcune mele sono marce. Come Jonathan, sapevi che ha picchiato sua sorella minore una dozzina di volte? Quella povera ragazza è stata costretta a traferirsi nei Pacifici. Sono sicura che starà meglio... È per questo che Jonathan mi spaventa. È forse l'unico di cui ho paura. Pensaci, se ha avuto il coraggio di fare una cosa del genere ad un membro della sua famiglia, qualcuno che dovrebbe in teoria amare, cosa potrebbe fare ad una persona tanto odiata come me?" Elizabeth sospira e ride, coprendosi la bocca con la mano. Si volta verso di me, divertita, mentre io tento ancora di comprendere il suo rapido flusso di parole. "Non ho mai parlato tanto in vita mia, Eric. Neanche con Samuel."

"Samuel." ripeto divertito, ma non riesco a nascondere una punta di amarezza. Non sono sicuro che io stia prestando attenzione a quello che mi sta dicendo lei in questo preciso momento, perchè sono ancora concentrato su quello che ha rivelato prima. Hai fatto una cosa disgustosa. Non lo dire. Se non ha voluto dirti questo genere di cose prima, ci sarà un motivo. Lo so, ma forse me le avrebbe dette, un giorno. Sicuro? Assolutamente. E allora perchè hai aspettato che si ubriacasse per fartelo dire? Stai zitto, non l'ho fatto. Oh, eccome se l'hai fatto.
"Che rapporti avete tu e lui?" sbotto con troppo impeto interrompendola, e lei alza la testa quasi allarmata.
"Era nei Candidi con me, ci conosciamo da quando avevamo cinque anni, è il mio migliore amico." Migliore amico, come no. Ricordo come mi ha guardato quando lei si è seduta in mensa accanto a me. Mi accorgo delle occhiate assassine che mi lancia ogni volta che mi vede. "Però in questi ultimi anni deve essersi preso una cotta per me. Sai, non sono cieca, mi rendo conto di questo genere di cose, quando le vedo. E in lui le vedo. E vedo anche come tu guardi lui. Ma non ti preoccupare, lui non è il mio tipo."
"Ah no?" ringhio io, cercando di nascondere la rabbia. Pensare a Samuel come un potenziale rivale è una cosa che mi rifiuto anche solo di pensare.
"No! Lui è troppo dolce, mi direbbe robe del tipo 'Elizabeth, io ti amo per quello che sei.' " e so che mentirebbe. Prima di tutto, perchè non sa cosa sono, lo so soltanto io, ed io non mi amo per niente proprio perchè lo so. Non voglio che qualcuno mi ami per quello che sono, ma qualcuno che mi aiuti a cambiare. Non voglio essere così, non voglio sbucciare tutte quelle mele e gettare tutti quei torsoli. Voglio imparare ad avere dei valori, delle qualità. Non sono mai felice, ed io voglio esserlo." la sua faccia è leggermente contratta in una smorfia di disgusto mista a tristezza.
Non avrei mai pensato di scoprire questo lato così privato di Elizabeth, sapere che è così delusa da se stessa da sostenere che nessuno potrà mai amarla per davvero. Io non so se amo Elizabeth, perchè non ho mai avuto occasione di capirlo davvero. La stimo, la ammiro, mi piace, la trovo stupenda, questo sì. Ma non sono sicuro di amarla, e non voglio mentire dicendo che sono sicuro di poterla cambiare. "Eric... Mi sento male."
"Va tutto bene." mi alzo di scatto, accantonando i miei pensieri in un angolo della mia mente, e prendo dal bagno un asciugamano umido e un secchio di plastica. "Sono solo alcuni effetti collaterali del bere come una pazza, Elizabeth." dico, ma non ne sono convinto. Penso sul serio che il suo malore sia strettamente collegato al fatto che ha rivelato tutte quelle cose in una volta, che abbia parlato così tanto. D'improvviso, mentre sono rannicchiato sul pavimento per sistemare il secchio accanto al letto, mi rendo conto che sono l'unica persona che conosce i segreti di Elizabeth, oltre a lei, e sono sicuro che ce ne sono un'infinità ancora nascosti dietro quegli enormi occhi. Mi alzo lentamente, rielaborando con estrema calma tutto quello che mi ha detto, per non tralasciare nessun dettaglio. La faccio sedere sul bordo del letto e lei si piega in avanti, tenendosi una mano sulla fronte.
"Ti ho annoiato, con tutto quel parlare, Eric? Sono sicura di averlo fatto. Non sembri uno a cui piacciono le chiacchere." appoggia la testa sulla mia spalla, l'aria rilassata e dormiente.
"No, Elizabeth." le bacio la fronte "È stato molto interessante ascoltarti."

                                                                                                     ***

"Una volta sono caduta dal ramo più alto dell'albero nel mio giardino. Ho fatto un volo di otto metri, e mi sono rotta il braccio." la voce di Elizabeth alle mie spalle rompe il silenzio di tomba che ha regnato in questa stanza per qualche decina di minuti, e mi fa alzare la testa di scatto. Con mia grande sorpresa, prima non ha vomitato, e pochi minuti dopo è ricaduta in un sonno profondo. Mi volto, incuriosito, abbandonando sul bordo del letto il pezzo di legno che stavo intagliando con il suo coltellino. Si mette a sedere tenendosi la fronte con una mano, come se potesse cadere da un momento all'altro. Ha i capelli lunghi scompigliati, l'espressione frastornata e la bocca storta in una smorfia di dolore. Le coperte bianche le ricadono in grembo quando si siede, le spalle ingobbite coperte dal tanto odiato top. Se qualcuno entrasse adesso, penserebbe che Elizabeth si sia da fare con il Capofazione. Il pensiero mi provoca una sensazione calda nello stomaco che non riesco ad identificare. "Ma quel dolore non era neanche lontanamente paragonabile a quello che sto provando adesso." sibila, inspirando la fredda aria notturna. "Dio... Cosa diavolo ci faccio qui? Perchè sono nel tuo..." all'improvviso si blocca e afferra il lembo della coperta, fissandolo intensamente cose se il tessuto bianco potesse darle una spiegazione, poi si volta di scatto verso di me, sgranando gli occhi. "Dimmi che non abbiamo..."
"No, Candida, non siamo andati a letto insieme." la interrompo e rivolgo di nuovo l'attenzione sul pezzo di legno poggiato sulle coperte. "Non sono ancora arrivato a livelli di meschinità tali da farmi una ragazza ubriaca." Stai mentendo. Ma la vuoi finire?
"Per mia fortuna. Puoi dirmi cos'è successo, per favore?" si abbandona di nuovo sul materasso, cadendo pesamente come un peso morto. Esito prima di risponderle, ma so che le devo dire qualcosa e anche in fretta, prima che si insospettisca. Elizabeth si insospettisce di tutto, specialmente ora che si è risvegliata nel mio letto e non ha idea di come ci sia finita.
"Tu cosa ricordi?" mi volto ancora verso di lei ed incrocio i suoi enormi occhi che mi stanno scrutando con attenzione. Distoglie lo sguardo da me e lo rivolge al soffitto, un braccio poggiato sulla fronte e l'altro abbandonato sul suo ventre. Si è risalita le coperte fino a poco sotto le clavicole. "Non sopporto l'idea di scoprirmi troppo" mi ha rivelato pochi minuti fa. Non ne vedo il motivo, a dir la verità. Senza esagerare, dev'essere una delle ragazze più sensuali che abbia mai visto -nonostante non superi il metro e sessanta, e il suo comportamento contribuisce a renderla ancora più desiderabile.
"Ricordo di essere arrivata al Pozzo con questo disgustoso abbigliamento." comincia con una certa nota di sarcasmo nella voce. Ed eccola che è ritornata, la mia Elizabeth. "C'era un sacco di gente ed ho cominciato a sentirmi male, poi Samuel mi ha visto -non sembrava molto sobrio- e mi ha convinta a bere qualcosa. Per i primi minuti non ho sentito nulla, poi ho sentito come se qualcosa scivolasse via dal mio corpo, mi sono sentita più tranquilla e..." sussulta e si copre la faccia con le mani. Impreca. È una delle poche volte che l'ho sentita imprecare. È divertente. Le chiedo cosa c'è che non va e lei per tutta risposta si rimette a sedere e scuote la testa debolmente.

"...E ho... Per l'amor del cielo, ho cominciato a ballare." impreca di nuovo, sembra così preoccupata "Io!" urla, sbattendo un pugno sul materasso, proprio accanto a lei. Soffoco una risata perchè so che altrimenti la manderei su di giri e che se ne andrebbe via dal mio appartamento. Ed io non voglio che lasci la stanza in queste condizioni. "Poi mi devo essere stancata... Credo. E sono venuta a cercarti. È tutto quello che ricordo, fortunatamente. "Maledizione Eric, dimmi che non abbiamo combinato nulla."
"A giudicare dal tuo entusiasmo quando ti sei fiondata dentro e mi hai baciato, sembravi tu quella che voleva combinare qualcosa." mi godo la sua espressione oltraggiata per qualche istante, poi mi volto e continuo ad intagliare il legno. La segatura cade sul pavimento, delicata come il pulviscolo che la mattina vedo fluttuare fra i fasci di luce che filtrano dalla finestra. "Ma io mi sono rifiutato, se questo può farti pensare che io sia una persona migliore. Abbiamo solo parlato." Ed è stato molto più interessante, aggiungo mentalmente.
"Parlato." ripete lei, sento un tono di allarme nella sua voce. Si inginocchia dietro di me e appoggia le sue piccole mani sulle mie spalle. Sussulto -la ferita d'arma da fuoco brucia ancora- e lei si scusa velocemente. Sporge leggermente la testa al di sopra della mia spalla e finge di essere interessata al mio lavoro sul coccio ligneo. "E di... Di che cosa abbiamo parlato? Devo averti annoiata parecchio." si sposta una ciocca di capelli dietro l'orecchio dopo essersi schiarita la voce.
"Per niente." mi limito a rispondere. Mentre dormiva ed io ero rimasto da solo con i miei pensieri, ho deciso che non le racconterò quanto mi è stato detto dall'Elizabeth ubriaca di poco prima, la mia piccola complice. Sento le sue dita muoversi nervosamente sulla mia pelle. Vuole sapere di più, ma io non cederò. Non stavolta.
"E di che cosa ti ho parlato, esattamente? Scommetto che ho blaterato riguardo a un sacco di cose inutili." appoggia il mento sulla spalla buona e sento la sua pelle tendersi in un finto sorriso divertito.
"Anche." faccio spallucce, nel mio tono c'era qualcosa che l'ha visibilmente irritata.
"E non me lo vorresti dire, di grazia?" ringhia lei, rinunciando al tentativo di sembrare disinteressata all'argomento. Mi alzo e per poco lei non cade in avanti. Mi guarda stupita mentre io mi volto verso di lei, aggrottando la fronte. È finito quel periodo dove era lei a sapere tutto, e dove ero io quello che voleva delle risposte. Non vorrei mai farle del male psicologico -perchè so che ora gliene sto infliggendo- ma è l'unico modo che ho per salire di un gradino e posizionarmi sul suo stesso livello.

"Perchè tante domande, Elizabeth? Hai qualcosa da nascondere?" le restituisco il coltellino, gettandolo sulle coperte accanto a lei. Elizabeth non lo nota neanche e dal suo sguardo sorpreso capisco che sta cercando qualcosa da dirmi in risposta. Elizabeth sfoglia il suo repertorio invisibile di risposte taglienti da darmi, ma sembra non trovarne nessuna. La guardo dall'alto in basso perchè so che è una cos che non riesce a sopportare. Infatti, dopo interminabili secondi di silenzio, si alza e mi affronta. Non che la cosa cambi, dopotutto, dal momento che la supero di almeno trenta centimetri.
"Io non ti nascondo niente." posa il suo sguardo sul mio collo, e sputa quella frase come se fosse veleno. La luce della luna che penetra dalla finestra alla mia sinistra le illumina di una debole luce argentea solo metà del viso, lasciando nell'ombra la metà destra. I suoi occhi brillano di un grigio smorto, adesso, e anche se ora sono infastidito dal suo comportamento, continuo a trovarli bellissimi. Ma devo concentrarmi su un particolare più importante: sta evitando il mio sguardo. Sta mentendo. A me. Di nuovo.
"Guardami dritto negli occhi e ripetimelo, Elizabeth." sibilo, lei alza il viso e scruta per qualche secondo la mia espressione. Non so cosa possano rivelare i miei occhi adesso, so solo che mi sento deluso dal fatto che mi abbia mentito per tutto questo tempo. Elizabeth schiude la bocca e sbatte le palpebre un paio di volte prima di richiuderla di scatto, come se ci avesse ripensato all'ultimo secondo. "Sto aspettando." mormoro a denti stretti, lo sguardo fisso su di lei.
"Maledizione a me e a quando ti ho insegnato tutte queste cose!" sbraita dopo interminabili secondi di silenzio, e si allontana da me. Si guarda intorno come per cercare qualcosa da rompere, ma in questo appartamento non c'è niente a disposizione della sua furia. Tranne me, ovviamente. Emette un verso irritato e si lascia cadere sul bordo del letto, i gomiti appoggiati sulle ginocchia e le mani fra i capelli. Io sono davanti a lei, a qualche metro di distanza, e la guardo in attesa di una risposta. Vorrei consolarla, sedermi accanto a lei e dirle che non mi importa. Ma mentirei ulteriormente. Voglio sapere. Devo sapere.

"Ti ho parlato delle mie Simulazioni." alza lo sguardo verso di me, una ciocca scura le ricade davanti agli occhi dandole un aspetto minaccioso. Ma non posso avere paura di lei, non adesso. "L'ho fatto, non è vero?"
"Mh-hm." annuisco, storcendo le labbra in una smorfia contrariata. Non c'è voluto molto prima che lo scoprisse, dopotutto.
Sospira esasperata, e abbandona entrambi i gomiti sulle cosce. La sua postura ingobbita e il tono della voce tremolante mi farebbe pensare che sia esausta. E forse lo è. Esausta per tutto, per aver capito che ora so cose di lei che non voleva che sapessi, per non esser riuscita a controllare le sue stesse parole.
"Ti ho parlato degli specchi. Ti ho detto che odio il mio corpo." continua, la voce rotta dalla rabbia. Annuisco anche questa volta. Sentirsi elencare questo genere di cose dalla parte sobria di lei fa uno strano effetto. Certe cose non si possono tenere nascoste troppo a lungo, suppongo. Chissà per quanto tempo altro ne sarei rimasto all'oscuro. Dovrei ringraziare Samuel, per questo? Per avere fatto ubriacare Elizabeth in modo da scoprire parte dei suoi segreti? No, il solo pensiero mi fa rabbrividire disgustato. "Ti ho detto che non riesco a sopportarmi." annuisco di nuovo. Lei sembra trattenere una risata, poi, con un tono meno furioso, continua "Ti ho fatto un sacco di complimenti."
"L'hai fatto." mormoro, e sto per dire qualcos'altro -per esempio che li ho graditi parecchio-, ma lei dice una cosa che mi blocca le parole in gola.
"E, Dio, ti ho detto di mia madre..." non annuisco e rimango in silenzio. Lei alza la testa, incuriosita e allarmata dalla mia assenza di risposta. Capisce troppo tardi che non ha mai menzionato sua madre, nella piccola conversazione che abbiamo avuto. Impreca sotto voce e si prende la testa fra le mani. Delicati boccoli castani le ricadono sulle braccia.
"Non mi hai mai detto di tua madre." le faccio notare con una punta di curiosità nel tono di voce, come se la sua reazione non avesse reso ovvio quel particolare.
"Lo so, Eric." sbotta lei, alzando minacciosamente gli occhi sui miei. Mi ricorda ancora uno di quei felini che si sono estinti centinaia di anni fa. La prima volta che li studiai, quando ancora ero un Erudito e frequentavo la scuola, pensai che avessero uno sguardo feroce ma magnetico. Sai che di fronte ad uno di loro dovresti scappare, ma non ci riesci perchè sei ipnotizzato da quegli occhi ramati. Ed è così che mi sento ora, intimorito, ma attratto allo stesso tempo.
"Ma ora lo voglio sapere." aggiungo con un piccolo cenno della testa. Lei si alza, infilando il coltellino nella tasca posteriore e afferrando un mio maglione dal pavimento. Non mi importa che sta prendendo un mio indumento -per Dio, ne ho a migliaia-, l'unica cosa di cui mi rendo conto è che non sta rispondendo.
"Ma io non te lo dirò." replica lei, imitando il mio irritante tono di voce che su di lei risulta ancora più fastidioso, se possibile. Si dirige verso la porta, ma io la raggiungo con due lunghe falcate e le afferro con troppa violenza il braccio. Non avresti dovuto. Lo so.

"Mi hai detto una miriade di cose che avresti preferito tenere nascoste. Puoi dirmi anche questa." sibilo, chinandomi in modo che i nostri occhi siano alla stessa altezza, la mano ancora stretta sul suo avambraccio sinistro. Quando si volta, i suoi capelli ricadono tutti da un lato della testa, scompigliandosi ancora di più, e mi rendo conto che i suoi occhi sono lucidi come mai prima d'ora.
Una lacrima sta per rigarle la guancia destra, ma lei la trattiene con determinazione. Mi guarda e la rabbia le accende gli occhi, facendoli diventare quasi rossi. Non so se sia soltanto frutto della mia immaginazione o no, ma so di per certo che mi sento a disagio davanti al suo sguardo, ora più che mai. Non posso arrendermi così facilmente, non deve succedere mai più. Se mi rivela anche questa cosa, forse mi guadagnerò la sua fiducia. O il suo odio più puro.
"Dimmelo, Elizabeth!" grido, e la mia voce non fa in tempo a rieccheggiare da una parete all'altra della stanza, perchè lei risponde immediatemente, quasi accavallando le sue parole sulle mie.
"Mi picchiava, Eric, cosa pensi che facesse?!" con uno strattone si libera dalla mia presa e mi spinge con molta più violenza di quella notte, quando era furiosa con me perchè le avevo quasi impedito di saltare sul treno. Sento una fitta alla spalla ma non glielo faccio notare, non penso che gliene importerebbe, in questo momento. Mi sbilancio all'indietro ma non cado, perchè sono troppo concentrato sul suo volto paonazzo dove ora le lacrime scorrono senza sosta. Avanza verso di me, un passo lento ma deciso. Ora mi ricorda davvero un grande felino. E so che dovrei scappare da lei, allontanarmi. Ma non riesco. Vorrei riavere la tranquilla Elizabeth di prima, quella dallo sguardo rilassato e il sorriso timido sulle labbra. Mi spinge di nuovo, con meno forza di prima. "Perchè pensi che mia madre sia nel mio Scenario della Paura?" mi spinge di nuovo, stavolta non riesce a trattenere un singhiozzo, le sue braccia stanno perdendo quella forza che le ha fatto scattare i muscoli con tanta violenza poco prima. "Perchè pensi che me ne sia andata da lì?" penso che vorrebbe spingermi di nuovo, ma all'ultimo le forze l'abbandonano e, invece di colpirmi ancora, poggia i pugni sul mio petto e abbandona la fronte su di esso, lasciandosi travolgere da un fiume di singhiozzi e lacrime.

Non riesco a muovermi anche se vorrei, ma non voglio scambiare quel gesto per una richiesta di affetto. Elizabeth non vuole essere compresa adesso, vuole rompersi in mille pezzi per poi ricomporsi più forte di prima. Dopo pochissimi secondi fa un passo indietro e si allontana da me, asciugandosi gli occhi e sistemandosi i capelli da un lato.
"Ti ringrazio, ma penso che proseguirò il mio allenamento per le Simulazioni da sola." dice, nel tono della sua voce riesco a sentire ancora una sfumatura di rabbia. Vorrei risponderle, ma lei è già sparita in corridoio, sbattendosi la porta alle spalle.
Sono rimasto da solo in questa stanza buia, illuminata soltanto da un raggio di luna che si allunga sul pavimento, disegnando un rettangolo grigio contro le assi di legno scure. E ho paura. Paura di aver fatto una mossa azzardata e di averla persa per sempre. Paura di non rivederla mai più, di non baciarla mai più, di non toccarla mai più. Paura che Samuel possa prendere il mio posto o peggio, che possa farlo Quattro. Paura che non possa superare la prova finale del secondo modulo che si terrà fra due settimane. Paura che non camminerà più attraverso i tunnel della Residenza degli Intrepidi. Ho paura di aver rotto qualcosa in lei, di aver tolto la chiave di volta di tutto quello che aveva costruito per essere invincibile, e di averla fatta crollare. Non è scappata dai Candidi perchè non era abbastanza onesta, è scappata da quella Fazione per trovare pace in quest'altra. Ed io sono sicuro di aver turbato la sua tanto bramata pace, facendo risalire a galla ricordi indesiderati.
Elizabeth era una macchina complicata, ed io sono stato così incosciente da giocarci e romperla. 

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Capitolo 12
*** Ezekiel Pedrad ***


Capitolo 12 - Ezekiel Pedrad




Il giorno dopo, quando mi sveglio, non sono più tanto impaziente che arrivi l'ora di pranzo per sedermi al tavolo di Elizabeth. In realtà, sono tentato di rimarere nel mio appartamento finchè tutta la tensione che si è creata fra noi non si diradi come nebbia. Sento che è quello che merito, isolarmi dal mondo e cercare un modo per sistemare le cose. Invece devo alzarmi e proseguire con la mia vita di sempre, come se nulla fosse successo, come se Elizabeth fosse ancora mia. Non sarà mai tua. Non sarà mai di nessuno. Sono certo che riuscirò a trovare un compromesso.
 Averla con me, adesso, è l'unica cosa che conta.

Saluto Max con un cenno della mano ed esco dallo studio, l'orologio segna mezzogiorno e mezzo ed io ho fame. Tutta quest'atmosfera pesante e tesa -Elizabeth, le Simulazioni, Max che parla di Jeanine come se fosse una dea scesa in terra- non ha fatto altro che scombussolare le mie abitudini alimentari. La mensa sembra meno affollata rispetto all'altro giorno, forse perchè la maggior parte degli Intrepidi sta combattendo contro la nausea da sbornia nel proprio letto. Mi dirigo verso l'unico tavolo libero -quello che dovrebbe essere il mio nuovo posto- e noto con sorpresa che Quattro è già seduto su una delle panchine di legno.
Non ho voglia di parlare con qualcuno, adesso, vorrei solo stare in silenzio e mangiare il mio hamburger, ma so che Quattro dovrà punzecchiarmi in qualsiasi modo, con quel suo umorismo sottile tipico dei Rigidi.
Abbandono il vassoio sul tavolo e, con poca grazia, mi lascio cadere accanto a lui. Mi rivolge solo una rapida occhiata, ma mi basta per sapere che è divertito dalla mia insistenza, ma allo stesso tempo infastidito.

"Nottata pesante, eh?" mormora pungente. Mi trattengo dal tirargli uno schiaffo in pieno volto, qua, davanti a tutti.
"Periodo pesante." lo correggo, ingoiando un pezzo di carne troppo cruda. Norman dovrebbe davvero prendere lezioni di cucina. "Con le simulazioni e..." Ed Elizabeth. "Il resto." dico, liquidando la voce nella mia testa con un gesto della mano. "Sono le grandi resposabilità di un Capofazione." commento nervoso, infine.
"Sai, ho saputo una cosa." mi dice, dopo un breve istante di silenzio. La carne mi si blocca in gola e per poco non soffoco. Che cosa ha saputo? Da chi? In un istante mi passa davanti l'immagine di Elizabeth che spiffera tutto a tutti per vendicarsi del mio abuso di autorità nei suoi confronti. Immagino tutti indicarmi, coprendosi le bocche con una mano per mascherare i loro sorrisi schernitori. No, non lo farebbe. Non lo farebbe mai.

"Ho saputo chi ha distrutto il tuo tavolo. E perchè, soprattutto." Internamente, tiro un profondo sospiro di sollievo. Il mio cuore comincia a calmarsi e assume di nuovo un ritmo regolare. Distolgo lo sguardo dal mio vassoio per seguire quello di Quattro, che ora è posato sull'informe e contorto ammasso di assi di legno in un angolo della grande mensa. Si volta di nuovo verso di me ed io faccio lo stesso, studiando incuriosito i suoi occhi blu scuro. "È stato Richard, me l'ha detto ieri quand'era ubriaco. Qualche notte fa, Elizabeth l'ha sfidato a rompere la prima cosa che gli capitasse sotto tiro. Non doveva essere molto sobrio, perchè è riuscito a rompere uno dei tavoli della mensa: il tuo." si porta alla bocca la forchetta "E suppongo abbia vinto."

"Fidati di me." mi aveva detto Elizabeth, quella notte nel mio appartamento. Aveva convinto Richard a rompere il mio tavolo -perchè sono sicuro che non si siano casualmente trovati in mensa, al momento della sfida- pur di avermi accanto, pur di non lasciarmi da solo. Ora, invece, tutto il suo sforzo è stato rovinato dalla mia cocciutaggine ed eccessiva sicurezza di me. Scuoto leggermente la testa e sto per ribattere qualcosa, ma con la coda dell'occhio vedo una figura alta e dalle spalle larghe che si avvicina al tavolo. Samuel.
Dovrei ringraziarlo, se ora so tutte quelle cose di Elizabeth, se so che ha avuto quel passato che preferirebbe dimenticare. Ma dovrei anche alzarmi e strozzarlo, perchè è responsabile -anche se in minima parte- dell'allontanamento della ragazza. E perchè è Samuel. E perchè ha un braccio attorno alle spalle di Elizabeth e se la tira a sè man mano che avanza verso me e Quattro. Sbruffone. Non si accorge nemmeno che Elizabeth preferirebbe essere ovunque tranne qui.

Come mi aspettavo, la Candida non si siede accanto a me, cedendo gentilmente il posto ad Alice, che occupa quasi metà panchina. Pera, è l'unica cosa che riesco a pensare quando la guardo. Richard, Elizabeth e Samuel si siedono al lato opposto del tavolo, ed io mi trovo proprio davanti ai suoi grandi occhi dorati. Noto con sorpresa che ha i capelli raccolti in una morbida treccia che le ricade sulla spalla destra, terminando poco sopra il petto. In un primo momento penso al tuo tatuaggio, scoperto alla vista di tutti, poi mi accorgo che indossa una felpa nera ed ha tirato su la cerniera coprendosi fin sopra le clavicole. La linea di inchiostro che serpeggia sul lato sinistro del suo collo potrebbe benissimo essere scambiata per una ciocca di capelli fuori posto. Alcuni ciuffi ribelli le ricadono sul viso, circondandolo di sottili boccoli scuri.

"Cos'è questa storia che hai disintegrato il mio tavolo, Richard?" chiedo, staccando gli occhi dalla bocca sottile di Elizabeth, dedicando all'iniziato soltanto una breve occhiata severa. So che è sufficiente per terrorizzarlo a morte, infatti l'Erudito impallidisce e smette di masticare per rivolgere un rapido sguardo spaventato a Elizabeth. La ragazza, seduta fra lui e Samuel, lo guarda e basta, senza dire una parola, concentrata com'è a masticare il disgustoso cibo che Norman ha preparato. Ha un gomito appoggiato sul tavolo e il braccio perpedicolare ad esso, la forchetta che le penzola dalla mano. Fa un gesto eloquente con la posata che ha fra le dita, esortando Richard a continuare. La guardo, non sembra essersi neanche accorta che sono seduto davanti a lei, ma Samuel sì. Continua a fissarmi con gli occhi socchiusi, come se io non me ne accorgessi.
"Abbiamo fatto una sfida, ho dovuto romperlo." si limita a dire Richard, spostando lentamente lo sguardo da Elizabeth al suo piatto. La ragazza ride appena percettibilemente, sfoggiando un mezzo sorriso. Appoggia la guancia alla mano per nascondere il suo già velato divertimento, e Samuel le rivolge uno sguardo interrogativo, ma lei abbassa lo sguardo sul suo vassoio e continua a masticare. "Forse ero ubriaco."

Sospiro e scuoto la testa contrariato. Mi concentro sul mio piatto per non essere distratto dal sorriso abbozzato di Elizabeth.
"Programmi per oggi?" chiede Quattro agli iniziati, dopo aver messo in bocca un pezzo di carne. Elizabeth aggrotta la fronte, ma non alza lo sguardo. Punzecchia con la forchetta il purè accanto alla bistecca con aria nervosa. "È l'unico giorno libero che vi concederemo durante il secondo modulo."
"Io e Samuel avevamo intenzione di andare all'Hancock: tra qualche giorno la zip-line non sarà più utilizzabile fino al prossimo anno. Vogliamo avere l'onore di salirci su per l'ultima volta." spiega Alice alla mia sinistra, alzando per la prima volta lo sguardo dal suo purè. "Richard? Ti unisci a noi?"
"Non ho di meglio da fare." l'Erudito alza le spalle, storcendo le labbra in una smorfia indifferente.
"Potresti rompere un altro tavolo." lo fulmino con lo sguardo. L'ho detto soltanto per vedere se Elizabeth avesse avuto una qualche reazione, ma invece lei continua a torturare la poltiglia di patate nel suo piatto, lo sguardo assente.
Essere ignorato da Elizabeth è forse anche molto peggio che essere la sua vittima. È come se per lei io non fossi mai esistito, come se noi non fossimo mai esistiti. Vorrei scaraventare il tavolo per la rabbia che mi monta dentro, pensando a quanto non sopporto questa mia sensazione di impotenza. Non può ignorarmi, non deve.

"Tu, Elizabeth?" chiede Samuel, risvegliando la Candida dai suoi pensieri. Lei sussulta e alza lo sguardo su di lui, aprendo i suoi enormi occhi da felino.
Vorrei essere al posto di Samuel, adesso, per godermi un primo piano delle sue iridi castane dalle mille sfumature. Sbatte le palpebre e schiude la bocca, guardando prima Alice e poi me, sfiorandomi appena percettibilmente con lo sguardo. Sento un brivido corrermi lungo la schiena, quindi mi raddrizzo e faccio finta che non sia successo nulla, che non mi abbia mai guardato, che non mi abbia mai provocato quella sensazione. "Vieni, sì o no?" ripete Samuel, ridendo. Non ha idea di cosa stia pensando Elizabeth in questo momento. Perchè, tu sì? Certo. Sta pensando all'insormontabile ostacolo che dovrà superare se accetterà l'invito di Samuel. L'altezza. Una delle sue sette paure nello Scenario. Sta pensando alla svariata distanza fra lei e il terreno una volta salita sull'Hancock. Sta pensando al vento che le sferzerà i vestiti quando si lancerà con la zip line. Lo so che lo sta pensando. Ha l'espressione sorpresa, immobile, come se fosse una fotografia, e non una bellissima ragazza che oggi non mi ha degnato di una parola.
Deve superare almeno una delle sue paure, altrimenti... Non voglio sapere cosa le accadrà.

Guardala. La sto guardando, è stupenda, quando spalanca gli occhi in quel modo. No, guardala meglio. Non capisco. Ti stai innamorando di un'Esclusa. Non è vero.
Elizabeth non diventerà un'Esclusa. L'idea di una fragile ma forte ragazza come lei che rovista in un cassonetto alla ricerca di un pezzo di carne cruda ammuffita mi fa venire la nausea.
Non può lasciarmi. Non lei. Non più di quanto abbia già fatto.
"Oh, andiamo, Candida. Non avrai mica paura dell'altezza. O forse sì? Dopotutto, non hai detto molto sul tuo Scenario." sogghigno, appoggiando il mento sulle nocche della mano destra. Le sto facendo del male, lo vedo dalla sua espressione sorpresa e oltraggiata quando si volta verso di me. Non pensavo che l'unico suo sguardo di cui avrei goduto oggi sarebbe stato così doloroso. Ci stiamo facendo del male entrambi. Riesco a sentire il nostro rapporto strapparsi in due come stoffa, unito soltanto da sottili filamenti di ricordi felici passati insieme. Quel bacio sotto l'albero, le notti trascorse a discutere degli argomenti più svariati, gli sfuggenti sguardi in mensa. Concentrati, lo stai facendo per lei. Lo so.

Elizabeth serra la mascella di scatto e aggrotta la fronte. Anche questa è una cosa che fa spesso. Ha un viso molto espressivo, certe volte. Altre, invece, impazzisco per scorgere anche soltato una scintilla di emozione nei suoi occhi dorati. Le dico qualcos'altro, per provocarla, ma mi concentro di più sulle sue braccia conserte sul tavolo, i piccoli pugni serrati intorno alla felpa nera. Vuole studiarti. E non deve più, ricordi? Sì. Non deve. Reggo il suo sguardo e le mie labbra si curvano in uno di quei sorrisi falsi e affilati che la mandano in bestia, ma che ogni tanto sfoggia anche lei. Se odia se stessa, penso, odia chiunque si comporti come lei.
"Vacci tu, Eric. O forse ti dà fastidio che io ti dia degli ordini?"
Sbianco improvvisamente, mentre le sue parole mi feriscono come lame taglienti.

Non può averlo detto.
Non può sapere una delle mie peggiori paure dello Scenario. Non può sapere della mia paura dell'obbedienza.
Non può avermelo letto in faccia. Non adesso, almeno.
Non importa, Dio, non più! Ora lo sa. Ed io devo fare di tutto per assumere un'espressione ancora più divertita di prima, anche se dentro sento qualcosa ribollirmi nelle vene. Il desiderio di correre. Reagisci.
La Pacifica accanto a me alza lo sguardo verso la sua amica, e lei ricambia l'occhiata preoccupata con una appena distratta. Posa di nuovo gli occhi su di me. Ed ecco che rivedo il grande felino in lei, con i grandi occhi -ora illuminati da una sinistra luce arancione- che mi scrutano senza sosta, come se fossero alla ricerca dei miei segreti più grandi. Mi correggo, anzi, è proprio così.

Raddrizzo la schiena, mi aiuta a sembrare più minaccioso. Lei fa lo stesso, ma sul suo volto non c'è neanche l'ombra di uno dei suoi bellissimi sorrisi che la fanno sembrare curiosamente innocente. Mi sta sfidando. E allora accetta la sfida. Lo farò. Posso essere un famelico felino anche io.
"Mi dà fastidio la gente come te, lo sai, Candida? Gente che non ammette di avere paura delle cose più banali. Che c'è, soffrire di vertigini ti rende meno speciale, bimba?" continuo imperterrito. Comportati come lei, è l'unico modo per esasperarla e farla salire sull'Hancock. Deve. O non supererà mai lei sue paure.
I suoi occhi sono attraversati da una scintilla di rabbia, e la sua mascella si serra ancora di più, mettendo in evidenza le sue guance scavate.
"Non chiamarmi bimba, idiota! Io non ho paura dell'altezza!" ringhia lei ad alta voce, e tutti al nostro si voltano di scatto di lei a bocca aperta. Persino Quattro è visibilmente scosso dal modo in cui Elizabeth mi ha chiamato. Lo sono anch'io. E sono anche parecchio irritato. Merda, Elizabeth, lo vuoi capire che lo sto facendo per te? Capisci cose impensabili, cose che io mi rifiuto di ricordare, e non riesci a capire che tengo così tanto a te da rovinare un intero rapporto?

Devo avere un'espressione parecchio austera, perchè ora tutti gli sguardi si sono spostati dalle labbra maledette di Elizabeth a me. Alice fa per parlare, ma io la interrompo immediatamente, prima che possa dire qualcosa di sconcluso. Per un momento sento che sto per perdere la calma, ritornare nei miei panni di Capofazione e punire Elizabeth in modo esemplare. Tipo farla penzolare sopra allo Strapiombo, attaccata alla ringhiera per cinque minuti. Ma non so se riuscirei mai a fare una cosa del genere ad una Candida. E mai a lei, soprattutto. Concentrati sull'obiettivo. Deve salire sull'Hancock. Esatto.
"Oh, davvero? E perchè non dimostri a questo idiota che ha torto?" le mie mani si stringono sul bordo del tavolo. Una scheggia mi si conficca nell'indice, ma il suo sguardo su di me è ancora più pungente. Perfetto, ora non potrà rifiutare. La stanno guardando tutti. Mi odierà. Ma sopravvivrà da Intrepida. Lo so.
"Come vuoi. Non ho nulla da perdere."
"Puoi perdere la vita, se fai un passo di troppo oltre il cornicione." le ricordo. Dovrebbe essere un buon incentivo.

La mascella di Elizabeth è attraversata da uno spasmo.
"Non mi importa. Ci andrò, se questo ti farà finalmente stare zitto." ringhia Elizabeth. "Anzi, perchè non vieni anche tu? Magari potrei farti accidentalmente inciampare giù dal novantanovesimo piano."
La sua minaccia non mi sfiora neanche, ma devo fingere che per me sia stata un grande affronto. A Samuel va giù di traverso il cibo e dopo qualche colpo di tosse si volta spaventato verso la ragazza. Alice e Richard hanno la stessa espressione, un misto fra sorpresa e terrore per la loro amica, che ora dovrà sopportare la grande e minacciosa risposta di Eric lo spietato. Quattro non batte neanche le palpebre, resta immobile, in attesa di una mia reazione oltraggiata.

Reagisci. E come? Non sono bravo a fingere. Andiamo, fai scena. Fingi che ti abbia mandato su di giri. Sul mio viso faccio comparire un'espressione di pura ira rabbiosa e sbatto con violenza il pugno sul tavolo. I bicchieri cadono a terra con un delicato tintinnìo e alcuni piatti si rovesciano, provocando l'angosciata curiosità di tutti i presenti della mensa, che si voltano verso il nostro tavolo, o meglio, verso Elizabeth.

Mi alzo in piedi e per poco non ribalto la panchina di legno, fortunatamente c'è Alice seduta, che con il suo peso riesce ad evitare l'incidente. Anche Quattro si alza, seguendo i miei movimenti con altrettanta velocità.
"Stammi a sentire, Candida. A me non importa che tu sia una ragazza, o che sia bassa e scuse simili. Te l'ho fatta passare liscia l'ultima volta, ma adesso stai superando ogni limite, ed io non ti permetto di minacciarmi in questo modo." sibilo puntandole il dito contro. Quattro mi prende per le spalle e tenta di allontanarmi, mormorando qualcosa che non riesco a capire. Ha un tono di voce così basso che a volte mi sembra che non abbia mai parlato. Mi libero dalla sua presa e lo spingo con poca forza da un lato in modo da poter fissare Elizabeth negli occhi.
La ragazza mi osserva, ed alla fine risponde con un sorriso sottile ed affilato.
Non è abbastanza. E che altro posso fare? Trascinarla fuori dalla mensa per far pensare agli altri che la sto per punire? Non è male, come idea. No, in effetti non lo è.

Emetto un grugnito animalesco e le afferro con violenza il braccio sinistro, stringendo la presa sulla sua felpa morbida. So che le sto facendo del male, anche perchè riesco a sentire la sua flebile voce sussurrare il mio nome, cercando di non farsi sentira dagli altri, mentre la trascino fuori dall'enorme sala. Qualcuno batte le mani e Samuel tenta di corrermi dietro, ma Quattro lo blocca afferrandolo per una spalla. Il Rigido alza gli occhi al cielo infastidito e riporta il ragazzo a sedere.
Ora che siamo fuori dalla mensa, Elizabeth alza il tono della voce di poco.
"Eric, basta, mi stai facendo davvero male." mormora dolorante. Imbocchiamo un tunnel da dove non passa mai nessuno e mi volto verso di lei, ha il viso contratto in una smorfia di dolore e quando il suo sguardo incrocia, noto con una certa amarezza che ha gli occhi lucidi. Sono così rari, casi come questi, che mi vedo costretto a lasciar andare la presa sul suo braccio. Per qualche motivo, mi sento infastidito. Forse non stavo fingendo del tutto, in mensa.
Il tunnel è illuminato da una fila di lampadine incastrate nel terreno che emanano una luce azzurrina dal basso verso l'alto, creando coni di luce sui muri di pietra. Con questa particolare luce, le sue guance risultano ancora più scavate nella pelle, e sembra più pallida del solito. Si sistema la felpa e si raddrizza, massaggiandosi il polso con una mano tremante. Abbassa lo sguardo.

"E ora cosa vuoi fare?" chiede lei con il suo solito tono di voce meccanico, per nulla spaventato. Sembrerebbe quasi tranquilla, se non fosse per i suoi occhi lucidi che guizzano da una parte all'altra del tunnel. Idiota, hai scelto il tunnel più stretto. E allora? È claustrofobica, pronto? Ma l'hai guardata la sua simulazione? Sì. Sì, l'ho fatto.
"Non ho intenzione di fare nulla." incrocio le braccia sul petto e mi appoggio al muro di pietra alle mie spalle. "Dovevo pur far sembrare di essere infastidito dalla tua minaccia, in qualche modo." sospiro.
"Quindi mi hai soltanto trascinata qui per fare scena?"
"In sostanza." mi volto, distogliendo lo sguardo da lei alle lampadine azzurre sul pavimento.
"E non vuoi farmi nulla?" la sua voce trema e tradisce una punta di paura. Mi giro di nuovo verso Elizabeth, confuso e forse preoccupato. Perchè pensa che voglia farle del male? Perchè ha quest'immagine tanto negativa di me? Aggrotto la fronte senza volerlo e lei se ne accorge, quindi sospira. Ed anche il suo sospiro è soggetto ad un tremore pauroso.

"Non ti toccherei mai contro la tua volontà." faccio scivolare gli occhi sul muro davanti a me, senza guardare nulla in particolare. Non riesco a fissarla mentre dico queste parole. "Lo sai."
Lei annuisce, ed io vorrei avere qualcosa da dirle per tranquillizzarla. Ma non me la sento. Non so neanche che rapporto abbiamo io e lei ormai. In realtà, non l'ho mai saputo. Forse ero il suo fidanzato, forse ero soltanto qualcuno di cui ha avuto bisogno per qualche giorno. Scaccio quel pensiero perchè lei intanto si è staccata dal muro dov'era appoggiata e ora si avvicina a passo incerto verso di me. Io la fisso senza un'espressione particolare in viso, ma quando lei appoggia la testa sul mio petto e mi stringe in un abbraccio delicato, non riesco a non sorridere -specialmente ora che non mi può vedere-. Non ricambio l'abbraccio, ma le accarezzo ugualmente i capelli, mentre con una mano le massaggio il polso dolorante. L'ho ferita così tante volte -adesso anche fisicamente- che quel gesto mi sembra così inappropriato, da parte sua.

"Lo so che l'hai fatto per me, sai?" mormora lei, la voce già debole ovattata dal cotone dei miei vestiti. Parla così dolcemente che non sembra neanche essersi rivolta a me. "Provocarmi per farmi salire sull'Hancock, intendo. Non credo che avrei accettato se non ci fossi stato tu a spronarmi. Dopotutto, Quattro non avrebbe detto nulla e nessuno avrebbe insistito. Ma tu l'hai fatto, nonostante ieri ti abbia trattato in quel modo." alza la testa, i suoi occhi sono ancora più lucidi. Mi riviene in mente il suo sguardo furioso mentre ieri mi spingeva con violenza, offesa dalla mia insistenza nei suoi confronti. Non dovrebbe scusarsi, la colpa è stata mia. Sto per dirglielo, quando lei interrompe il flusso dei miei pensieri. "Eric, non sai quanto mi dispiace. Te l'avrei detto prima o poi... Di mia madre. Confessartelo in preda alla rabbia non è stata la scelta migliore. Io non..." fa una piccola pausa. Si alza sulla punta dei piedi e le nostre labbra si sfiorano appena; si morde l'interno della guancia e sbatte più volte le palpebre per scacciare le lacrime. "...Non voglio avere segreti. Non con te, almeno."

Le sue parole mi colpiscono come un'ondata di aria gelida dritta nel petto. Il modo in cui mi sta guardando adesso -con quei suoi occhi grandi in affamati di risposte- mi fa pensare soltanto ad una cosa, ovvero che la desidero. E non come ho desiderato tutte le ragazze che ho avuto prima di lei, in modo volgare e puramente carnale.
In Elizabeth non cerco solo una notte e via. In Elizabeth cerco me, perchè penso che lei mi conosca meglio di quanto io conosca me stesso. Non sono sicuro di amarla, perchè non credo che il mio sia amore. O meglio, non so se l'essere tremendamente attratto e interessato a lei possa essere considerato amore. Ma so di per certo che la voglio accanto quando penso alle cose crudeli che sono stato capace di fare; la voglio accanto quando penso che sono stato il diretto responsabile della morte di Amar; la voglio accanto quando penso che non so fare altro che sbraitare ordini da una parte all'altra della Residenza; la voglio accanto quando, di notte, non riesco a fare altro che lasciarmi soffocare dai rimorsi.
Elizabeth ha detto di odiare se stessa, per tutto quello che fa senza volerlo, e all'inizio mi era sembrata una cosa talmente strana che non mi sono neanche soffermato sul vero significato di quell'affermazione. Forse -anzi, molto probabilmente- anche io odio me stesso, per le cattiverie che ho commesso, per tutto il dolore che ho provocato agli altri. E forse, dico forse, lei potrebbe aiutarmi a ritrovare quell'Eric che si è perso molto, troppo tempo fa.

                                                                                            ***

"Samuel, sei tu il prossimo!" sta urlando Zeke, mentre invita il Candido ad avvicinarsi alla zip line con un gesto della mano. Ha un grande sorriso che si allarga sulla sua pelle bruna, il sorriso di chi è sempre stato allegro tutta la vita, come se non avesse mai conosciuto il dolore, come se vivesse soltanto per essere felice. Chissà se è davvero così.
Siamo all'ultimo piano dello sconfinato grattacielo, l'Hancock, e di fronte a noi il sole sta per tramontare. Amo questo momento della giornata, quando non è nè pomeriggio nè sera, ed il cielo si tinge di quel particolare arancione-rosso che mi ricorda tanto gli occhi di Elizabeth in determinate situazioni.
Le nuvole si alternano, passando da un rosa pallido a un grigio plumbeo che risalta sul cielo dal colore vivace. Non c'è neanche troppo vento oggi, per cui le nuvole non spariscono all'orizzonte, spinte dall'aria fredda che le costringe a dileguarsi, ma piuttosto sfumano confondendosi le une con le altre e creando nuovi ed innumerevoli colori e sfumature sempre diverse.

Respiro a fatica, e non per lo splendido paesaggio di fronte a me. Se non ricordo male ci sono salito una sola volta, qui sull'Hancock, eppure non ricordavo che ci fossero talmente tante scale. Quando siamo usciti all'aria aperta e siamo sbucati da una piccolissima struttura squadrata sul tetto -come un camino dallo sgradevole odore di chiuso-, siamo stati inondati dalla fresca aria primaverile del tardo pomeriggio, ed io mi sono sentito vivo per la prima volta dopo tanto tempo.
Siamo circa una ventina di persone, qui sul tetto, ed io sono appoggiato al muro della piccola struttura, accanto alla porta che ci ha condotto all'ultimo piano. Cerco di riprendere fiato senza farmi notare dagli altri, che intanto sono tutti riuniti nei pressi del cornicione.
Elizabeth ed Alice sono dall'altra parte della struttura che regge la zip line. Alla fine la Candida ha dovuto dirglielo, alla Pacifica, che l'altezza le faceva girare leggermente la testa, altrimenti non avrebbe saputo spiegare la sua espressione angosciata identica a quella della simulazione una volta salita sul tetto del grattacielo. E quindi ora siamo di nuovo lontani.
Distolgo lo sguardo da lei e lo rivolgo agli iniziati -e non- raggruppati dall'altra parte del tetto. Riconosco solo Gabe -che ho individuato soltanto per il colore dei suoi capelli, Richard, Jonathan, Zeke e Samuel. Qualcuno che non sono riuscito a riconoscere è gia salito sulla zip line, ed è sparito lasciandosi dietro una folla urlante di Intrepidi.

Samuel si avvicina al cornicione, acclamato dai suoi amici e da Zeke, che batte le mani e urla come una scimmia impazzita. Non penso che sia la prima volta che Samuel si lancia con la zip line, a giudicare dalla sicurezza dei suoi movimenti. Non esita quando si muove sul cornicione al fianco di Zeke, o quando lui ed un altro Intrepido gli sistemano le imbragature sul petto. È rilassato, quasi sollevato.
Si sente soltanto un breve urlo prima che il corpo massiccio di Samuel scivoli velocemente sulla fune metallica, poi il Candido comincia a rimpicciolirsi sempre di più, finchè non diventa un puntino nero che si staglia nell'arancione del cielo. Gli Intrepidi urlano e, dopo neanche dieci minuti, anche Alice è sparita.
Mi assicuro che nè Zeke nè il suo compagno mi stiano guardando e mi avvicino con finto disinsteresse ad Elizabeth, che si stringe le braccia al petto. Non appena le sono vicino, alza gli occhi sui miei e tutti i colori vivaci del cielo alle mie spalle si riflettono nelle sue iridi ardenti.
"Stai tremando." le faccio notare, alzo le sopracciglia fingendo sorpresa. Non dovrei farlo, le dà sui nervi.
"Fa freddo." risponde laconica. Non si impegna neanche a far sembrare vera quell'affermazione.
"Sappiamo entrambi che stai mentendo." alzo gli occhi al cielo e la mia espressione si fa più dura e infastidita, ma soltanto perchè mi sono accorto che Zeke si è voltato nella nostra direzione. Siamo ad almeno una ventina di metri di distanza, ma ho comunque paura che possa sentire in qualche modo la nostra conversazione. "Lo sai mantenere un segreto?"
"Me l'hai davvero chiesto?" ride, ma le sue labbra tremano per la paura mentre si guarda intorno terrorizzata dall'altezza dell'Hancock. Effettivamente, era una domanda abbastanza stupida. Certo che sa mantenere un segreto, dannazione, è Elizabeth. Lei stessa è un segreto.

"Anche Quattro ha paura dell'altezza. Se ti può far sentire meno sola." abbozzo un sorriso poco convinto e faccio qualche passo indietro. Zeke fa un piccolo salto e scende dal cornicione, dirigendosi verso di noi. Guardo alle sue spalle, il suo compagno Intrepido si sta allontanando con la zip line, sparendo all'orizzonte.
"Lo so già." risponde, cercando di ricomporsi mentre l'Intrepido dalla pelle bruna accorcia la distanza con lunghe falcate.
"Vuoi dire che te l'ha detto?" so già cosa risponderà. Inutile chiederglielo. Ovvio che non gliel'ha detto, Quattro non rivelerebbe mai questo genere di cose.
"Ovvio che no!" sbotta lei "Non è mai venuto ai festeggiamenti sulla zip line. Non l'ho mai visto arrampicarsi su un edificio che superasse i dieci metri. Non ci vuole un genio per capirlo."
Ovvio che non ci vuole un genio, ci vuole un'Elizabeth. Sapere che è stata capace di studiare anche un tipo misterioso e riservato come Quattro mi provoca una sensazione di perenne tensione, ma ormai dovrei esserci abituato. Perchè questa ragazza continua a sorprendermi ogni secondo di più, nonostante non faccia altro che ripetere gli stessi comportamenti giorno dopo giorno? Forse perchè anche nelle più piccole cose, nelle più monotone azioni o nei più semplici movimenti che compie, c'è qualcosa che mi attrare sempre di più. Non sono sicuro che sia una cosa buona. O forse lo è, e sono semplicemente spaventato dal fatto che forse mi sto innamorando di Elizabeth.

Per paura che in qualche modo Elizabeth mi possa leggere nella mente, indietreggio ulteriormente, lasciando che un finto sguardo infastidito mi si formi sul volto. E poi, anche perchè Zeke ormai ci ha raggiunti. L'Intrepido mi guarda ed io faccio lo stesso. Ha gli occhi scuri come petrolio e i capelli così corti da sembrare semplicemente una chiazza più scura sulla sua testa. Un sorriso sincero e radioso si allarga sul suo viso, mettendo in contrasto il bianco dei suoi denti con il colore scuro della sua pelle.
Mi appoggio con nonchalance sul muro della piccola struttura, unica via d'accesso al tetto dell'Hancock e osservo Zeke, che sta facendo saettare lo sguardo -costantemente allegro e spensierato- da me alla piccola Candida che cerca di contenere il suo terrore. Elizabeth ha una postura rigida, forse anche troppo, e cerca di mascherare invano il suo disagio dietro un'espressione gelida e indifferente. Sembrerebbe anche convincente, sembrerebbe la solita Elizabeth cinica di sempre, se non fosse che i suoi occhi parlano più di quanto lei stessa non abbia mai fatto in vita sua.
Zeke ride e batte le mani mentre scuote la testa divertito. Lo fulmino con lo sguardo, ed intanto una nuova forma di ansia mi si forma nel petto come una bolla che si prepara a scoppiare.

"Bel lavoro, ragazzi, davvero. Complimenti." Zeke si poggia le mani sui fianchi e ci guarda soddisfatti. Elizabeth mi lancia un'occhiata veloce, come per chiedermi a che cosa si stia riferendo l'Intrepido, ma riceve in risposta uno sguardo altrettando perplesso da parte mia.
"Che cosa vuoi, Ezekiel?" sospiro, alzando gli occhi al cielo. Parte di questo fastidio è sincero, ma un'altra parte di me vorrebbe solo scappare, anche a costo di buttarsi giù dal novantanovesimo piano di questo grattacielo.
"Voglio sapere se pensavate davvero di nascondere la vostra relazione a me. Intendo dire, siete stati bravi a fingere davanti agli altri, dico sul serio. I continui rimproveri in mensa, le occhiate assassine che vi lanciavate durante gli allenamenti, e l'uscita di scena dalla sala oggi... Una messa in scena davvero ben fatta, non c'è che dire!" dice allegramente, come se ci stesse lodando, e non rimproverando per questa nostra relazione che non dovrebbe neanche esistere.

Senza volerlo, impallidisco, e in un primo momento penso che questo non abbia fatto altro che peggiorare la situazione, confermando la sua teoria su me ed Elizabeth. Poi mi giro verso di lei, e vedo che ha la stessa identica espressione, se non anche peggiore.
I suoi occhi, di solito sempre severi e calcolatori, hanno ora assunto una sfumatura di disperazione, una disperazione che rende l'espressione di Elizabeth più simile a quella di un umano, a quella di una sedicenne come le altre.
Ripenso alle sue piccole ma decise labbra sulle mie, ai nostri corpi fusi in uno solo nel letto del nostro appartamento, alle occhiate di desiderio che eravamo costretti a reprimere. Ora, in qualche modo, Zeke ha capito tutto. E nè io nè Elizabeth sappiamo come reagire.
Alla fine, dopo interminabili secondi di teso silenzio, è proprio lei a parlare.

"Zeke, non so come tu abbia fatto a capirlo, ma devi promettermi che non lo dirai a nessuno. Ricordi quando la scorsa notte ho impedito che Uriah e Blackmount si prendessero a botte a quella festa?" la guardo stranito, cosa diavolo c'entra Uriah Pedrad, il fratello minore di Zeke, con tutto questo? Ma lei ha uno sguardo sicuro e il tono di voce deciso, che solo ogni tanto trema sotto il peso delle sue parole.
"Certo che me lo ricordo. Erano ubriachi fradici. E, non per sottovalutare mio fratello ma... Contro quel bestione dubito che ne sarebbe uscito vincitore." Zeke continua ad avere un'espressione divertita, ed io vorrei prenderlo a pugni.
"E ti ricordi cosa mi hai detto mentre lo riaccompagnavi dai tuoi?" continua lei, prendendolo per le spalle con delicatezza ma determinazione. Al contatto con le sue piccole mani, le spalle di Zeke sembrano rilassarsi, ma la sua espressione muta in una leggermente più seria.
"Che avrei ricambiato il favore." sospira, ma non sembra minimamente arrabbiato, anzi, una lieve risata gli gorgoglia in gola. Sospiro. Ovviamente, anche in una situazione come questa Elizabeth aveva un asso nella manica. Lei sa quanto Ezekiel tenga a suo fratello Uriah, e non so se rigirare il loro legame fraterno contro di lui a suo favore sia stata una mossa subdola o geniale. Elizabeth sembra leggermente più sollevata, ora.

"Bene, è arrivato il momento di ricambiare. Non devi farti scappare neanche una parola su di me ed Eric. Non ne devi parlare con nessuno, neanche con Quattro. Nemmeno con Uriah. Non lo deve sapere nessuno, nè in questa Residenza nè nelle altre. Capito?"
"Ricevuto, forte e chiaro." risponde lui ridendo. Non sembra turbato neanche un quarto di quanto lo siamo io e lei. "Ma se mi è permesso esprimere una mia opinione... Siete una coppia davvero strana. Voglio dire, Elizabeth, sei simpatica, carina..." ci pensa su per qualche secondo "...a volte terrificante. Ma potresti comunque puntare a qualcosa di meno... clichè. Ma, come si dice, i gusti son gusti." alza le sopracciglia e fissa i suoi occhi scuri sui miei. Non ho mai desiderato picchiare qualcuno come ora desidero picchiare Zeke. "Allora, salite sulla zip line sì o no?" 
Elizabeth si passa una mano fra i lunghi capelli ed io la guardo in attesa di una risposta, come se fossi stato io a porle quella domanda. Lei schiude la bocca e, dopo pochi secondi, la richiude e scuote la testa.

"No, grazie. Preferisco tornare alla Residenza." mormora debolmente. La guardo, ha gli occhi lucidi, ma non piangerebbe mai davanti ad una persona che non sia io.
"Come vuoi." sorride, poi si rivolge a me ed il suo sorriso sparisce, facendo spazio ad una smorfia divertita. "Allora, Eric, perchè non fai il cavaliere e la riaccompagni?"
"Dacci un taglio, Ezekiel." prendo Elizabeth per il gomito ed apro la porta di metallo che conduce alle scale. Ci aspettano un'infinità di scalini e pianerottoli, ma il mio unico desiderio, ora, è quello di stare il più lontano possibile dall'Intrepido in questione.
Sto per chiudermi la porta alle spalle mentre Ezekiel si allontana verso la zip line, quando sento la voce del ragazzo che pronuncia il mio nome. Non ho mai sopportato che il mio nome venisse urlato in quel modo, come se si volesse richiamare l'attenzione di un amico. Io non potrei mai essere amico di uno come Zeke. Io non potrei mai essere amico di nessuno.

Ci voltiamo entrambi verso di lui. L'Intrepido alza il braccio e punta il dito verso Elizabeth, fissando lo sguardo su di me.
"Ricorda. Lo faccio per Uriah." grida per farsi sentire, dopodichè sparisce anche lui, e diventa a sua volta un puntino nero in un cielo che mano a mano diventa sempre più scuro.
Rimango immobile per qualche secondo, la mano ancora sulla maniglia arruginita della porta di metallo. Sospiro ed Elizabeth fa lo stesso. Ci guardiamo, ma lei distoglie quasi immediatamente lo sguardo, come se si sentisse colpevole di quello che è appena successo. Anche ora, vulnerabile e preoccupata, mi sembra la ragazza più forte e indistruttibile della città.
"E adesso?" chiedo, con un tono di voce che fa sembrare la mia domanda un rimprovero. Non voglio rimproverarla. Dopotutto, non ha nessuna colpa, abbiamo cercato entrambi di nascondere i nostri sentimenti l'uno per l'altro, ma evidentemente non è stato abbastanza.
"Adesso" sposta lo sguardo dal cielo bluastro a me, facendomi sentire piccolo e vulnerabile a mia volta "Speriamo che suo fratello valga una sua promessa." 

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Capitolo 13
*** Il tatuaggio di Elizabeth ***


Capitolo 13 - Il tatuaggio di Elizabeth




"Penso che abbia funzionato, sai?" mormora Elizabeth, mentre si siede sul bordo del mio letto.
Mi stendo sul materasso, la schiena frantumata dall'eccessiva quantità di lavoro svolto oggi. Dalla grande finestra rettangolare della parete destra dell'appartamento si irradiano tanti piccoli fasci di chiara luce della luna, che si riflettono sui suoi capelli, dando loro un colore argenteo. Elizabeth mi dà le spalle, ed io non posso non pensare che sia un grande gesto di fiducia. È sempre solita monitorare tutti i movimenti delle persone, sempre attenta, che questa sua disinvoltura mi lascia quasi sorpreso.
"Di che cosa stai parlando?" mi passo il dorso della mano sulla fronte asciutta ma bollente.
Penso di avere la febbre, o forse non ho ancora smaltito del tutto la scioccante rivelazione di Ezekiel. Se a quel bastardo scappa anche soltanto una parola su di me ed Elizabeth, gli farò fare un salto olimpico giù nello Strapiombo.
La Candida non si volta, ma sospira. O meglio, vedo la sua schiena -coperta da una delle mie felpe nere che non indosso più- alzarsi e abbassarsi per la stanchezza. Non riesco a vedere bene con tutta l'oscurità che ci circonda, ma penso che stia giocando con il "suo" coltellino, a giudicare dai piccoli lampi di luce che vedo riflettersi sul metallo nelle sue mani. È davvero tardi, Elizabeth dovrebbe essere al suo dormitorio.

"La paura dell'altezza, quello che hai fatto per me. In realtà, se devo essere sincera quella conversazione che abbiamo avuto con Zeke mi ha fatto dimeticare di essere così in alto. Forse è stato un bene, dopotutto..." il tono in cui lo dice mi fa pensare che sia parlando più a se stessa che a me, che sono steso alle sue spalle con un'espressione di pura perplessità in volto. Zeke, con il suo fare da ficcanaso, ha fatto sparire una delle peggiori paure di Elizabeth.
"Quindi se domani sera ritornassimo all'Hancock, giusto per fare qualcosa di più interessante dello stare chiusi qui dentro, a te andrebbe bene?" azzardo, senza troppa convinzione.
"E chi mi dice che non vorrai buttarmi giù dal novantanovesimo piano?" volta appena il viso verso di me, e dal suo sorriso appena accennato capisco che sta facendo del sarcasmo. Ovviamente.
"Dovrai accettare l'invito e scoprirlo da te, non trovi?" sospiro e una fitta mi attraversa l'intera lunghezza della spina dorsale come una forte scossa elettrica. Evito di gemere dal dolore perchè c'è Elizabeth qui, e non voglio che si preoccupi più di quanto non lo sia già. Parla della scoperta di Zeke come se fosse una cosa positiva, ma sono sicuro che nel suo profondo sa che è un problema. Uno bello grosso.

Raddrizza le spalle all'improvviso, con un movimento calcolato e rapido, come se anche la sua schiena fosse stata attraversata da una lieve scossa.
Vedo i suoi lunghi capelli fluttuare, e per un momento penso si sia voltata verso di me, quindi le rivolgo lo sguardo meno accondiscendente del mio repertorio e mi preparo a sentire quella sua voce -decisamente bassa, per una ragazza- che ormai saprei riconoscere ovunque. Poi, però, quando mi accorgo che i suoi occhi non incontrano i miei, seguo il suo sguardo pensieroso e vedo che la Candida sta fissando la porta alle sue spalle, a qualche decina di metri di distanza dal letto.
Aggrotto la fronte e lei mi sfiora con lo sguardo, sbattendo delicatamente le palpebre come se fossero le piccole ali di una falena. Rabbrividisco sotto la sua espressione indecifrabile. Non so perchè i suoi occhi mi fanno sentire così, ma spesso -troppo spesso- desidero di non ritrovarmi mai nel suo campo visivo, per non sentirmi vulnerabile come mi sento ora.

Si sistema appena sul letto, incrociando una gamba sul materasso e lasciando l'altra con il piede per terra oltre la sponda. In questo modo, posso vedere almeno una parte del suo splendido viso. Lei abbassa lo sguardo sul suo coltellino e un accenno di sorriso le solleva l'angolo destro della bocca, ma non è un sorriso sincero. Li conosco i sorrisi sinceri che ogni tanto le si formano sulle labbra, e questo non è uno di quelli.
"Scusa ancora. Per le spinte." con un impercettibile cenno del capo indica la zona dell'appartamento vicino alla porta, dove una sera prima mi aveva spinto con violenza perchè l'avevo fatta andare su tutte le furie. Mi sistemo anche io sul letto, appoggiando gli avambracci sul materasso e sollevando appena la schiena. Se mi mettessi seduto come lei, non avrei più una spina dorsale. Stavamo parlando della sua famiglia, quando mi ha messo le mani addosso. Non che mi abbia fatto male, ovviamente, ma non è stato neanche piacevole.
Elizabeth emette un verso tra un singhiozzo e una risata, che gli gorgoglia in gola così debolmente che mi sorprende anche il solo fatto che l'abbia sentito. Le sue dita continuano a giocare agilmente con la lama del coltellino, con disinvoltura e precisione. Cederei il mio posto di Capofazione a Quattro, per sapere quali pensieri contorti le stanno attraversando la mente, adesso.

"Cinque volte alla settimana." dice alla fine, con voce bassa ma decisa. Non alza lo sguardo su di me, perciò mi raddrizzo nella speranza di catturare la sua attenzione. Ma niente, non succede, da quanto è impegnata a giocare con la lama. "Mia madre. Mi picchiava cinque volte alla settimana. Il mercoledì e la domenica mi lasciava stare." pronuncia quell'ultima frase con un tono quasi divertito, ma posso leggere nei suoi occhi -illuminati debolmente dalla luce argentea della luna- le emozioni negative che le provoca quel ricordo.
"Cinque volte." ripeto incredulo, la mia voce è un sussurro. Immagino il piccolo corpo della ragazza contorcersi sotto i colpi della madre, implorandola di smettere. Anzi, in realtà sono abbastanza sicuro che Elizabeth non l'avrebbe mai implorata, probabilmente non ha mai emesso neanche un gemito. "Dio, Elizabeth..."
"No, non voglio che ora tu provi compassione per me. Va bene così, l'ho superato." blocca ogni mio gesto o parola con un movimento secco della mano.
"Non l'hai superato, dato che è una delle tue paure nello Scenario." penso ad alta voce, guadagnandomi un'occhiata gelida in risposta. Dimenticavo che non sopporta parlare delle Simulazioni, ma so anche che prima o poi dovremmo farlo. Dopotutto, devo aiutarla a sopravvivere. Sarà anche per questo che non si vuol far toccare da nessuno? Ha forse paura che la ferisca come ha fatto sua madre? La sola idea di ferire Elizabeth tanto brutalmente mi mette i brividi.
"Il punto non è non avere paura. Il punto è saperla combattere e utilizzarla a proprio vantaggio."

"Elizabeth" cerco di mantenere il mio tono di voce più neutro possibile, ma dentro di me sto tremando dalla rabbia. "Come può una cosa simile essere utilizzata a proprio vantaggio?"
"L'ho guardata tornare a casa ogni giorno, Eric, ed ogni giorno aveva uno sguardo diverso. In sedici anni ho imparato a interpretare i suoi movimenti, le sue espressioni, anche i suoi più semplici cenni del capo. Da lì capivo in che modo mi avrebbe punita, da dove posava lo sguardo prima di guardare me, da come rivolgeva la parola a mio padre... Ho imparato a capire le persone, Eric. Ed è stato grazie a lei." finalmente si volta verso di me e, contrariamente da quanto mi aspettassi, i suoi occhi sono perfettamente asciutti e nel suo tono di voce non c'è ombra di paura. L'Elizabeth che ho sempre conosciuto, e che gli altri hanno sempre visto, non è altro che il frutto di anni ed anni di violenze domestiche. Chissà come sarebbe stata, se fosse nata in una famiglia diversa.
I miei genitori non sono mai stati particolarmente presenti, ma non posso dire che non mi abbiano mai dato le attenzioni che necessitavo.

Mi metto a sedere, ignorando la dolorosa sensazione che si irradia dalla mia nuca fino a raggiungere la base della schiena. Le poso una mano su un braccio, ma non voglio che pensi che provo pena per lei, quindi faccio una leggera pressione sulla pelle e la costringo a guardarmi.
"Devi metterti in testa che ora sei al sicuro, negli Intrepidi. Be', relativamente. Tua madre non potrà mai più sfiorarti nemmeno più con un dito. Inoltre, ora sapresti tenerle testa, fisicamente e psicologicamente, ne sono convinto." le prendo il viso fra le mani e le accarezzo uno zigomo con il pollice. "Hai avuto la possibilità di farti una nuova vita, con noi Intrepidi. E ci sei riuscita benissimo. Supererai le Simulazioni, Elizabeth, e dopo -se vorrai- potremmo anche... Evitare di nasconderci in questo modo." poso distrattamente lo sguardo sui contorni poco definiti dell'appartamento, alludendo ai ridicoli stratagemmi che usiamo per vederci.

I suoi occhi si inumidiscono e si morde il labbro inferiore quando due o tre lacrime cominciano a scorrere sul suo viso pallido e triste. Abbassa lo sguardo sulle nostre mani, ora incrociate sul suo grembo. Le guardo attentamente. Incredibile come, nonostante le sue dita siano così piccole e sottili, riescano a trasmettermi più forza di quanta io non ne abbia mai avuto in vita mia.
Elizabeth annuisce mentre cerca di nascondere un'altra lacrima che le scivola sulla guancia sinistra, voltando il viso e asciugandoselo con la manica del maglione.
"Niente più segreti." le ricordo, con una durezza che non indendevo avere. Mi specchio nei suoi enormi occhi ora argentei, e intravedo la mia espressione ammonitrice e severa. Non cambierò mai, penso con una punta di amarezza. Mi sporgo in avanti e le bacio la fronte, poi le lascio un altro bacio sul suo naso rotondo dalla forma delicata, poi infine sulle sue labbra perfette.
"Niente più segreti." ripete lei annuendo, con un tono di voce così basso che le sue parole arrivano al mio orecchio soltanto come un sussurro sulle mie labbra.

La Candida si allontana da me e poggia i piedi piccoli e sicuri sul pavimento di legno dell'appartamento, sistemandosi nervosamente i capelli con una mano tremante. Mi siedo sul bordo del letto, mentre un'espressione perplessa mi si forma sul volto nel vederla in piedi di fronte a me. Il mio maglione che sta indossando lei in questo momento le arriva fino alle ginocchia e, sotto di esso, un paio di jeans neri aderenti le fasciano le gambe che ora sembrano tremare. Ha i lunghi capelli scuri che le lasciano scoperta la linea d'inchiostro nero che le serpeggia sulla parte sinistra del collo. Rimango quasi ipnotizzato dalla delicatezza con la quale quella linea si insinua sotto il maglione. Aggrotto la fronte. Quattro ha un tatuaggio simile.
Elizabeth respira profondamente prima di afferrare i lembi del maglione per poi sfilarselo da sopra la testa con un gesto fluido e lento delle braccia. L'unico indumento che le è rimasto addosso è un reggiseno sportivo nero, che copre la sua pelle altrimenti nuda. Sposto controvoglia lo sguardo dalle sue curve morbide ai suoi occhi, pieni di attesa e disagio. Stringe il maglione in una mano, mentre con l'altra si sistema ancora una volta i capelli, nervosa.

Ed allora capisco. Capisco che questo è il più grande atto di fiducia che Elizabeth abbia mai potuto compiere nei confronti di qualcuno. E quel qualcuno, incredibilmente, sono io.
"Ho detto di non voler avere segreti con te, e lo intendevo sul serio." comincia lei a voce bassa ma decisa. "Cominciamo da questo."
Si volta, dandomi le spalle, ed i lunghi capelli le ricadono sulla schiena come una cascata di riflessi rossi, castani e dorati che le arriva a qualche decina di centimetri prima della cintura dei pantaloni. Non riesco a vedere quasi nulla, ma tra lo spazio di pelle nuda rimasto fra la fine dei capelli e l'inizio dei jeans, riesco a vedere articolate linee nere che serpeggiano in uno schema complesso ma ipnotico.
La sento sospirare una seconda volta, ed un'opaca nuvola di condensa le esce dalla bocca. Vedo le sue braccia muoversi lentamente verso l'alto, mentre il reggiseno sportivo le scivola sulla pelle, spostando la folta chioma bruna su una spalla. Ora, finalmente, dopo settimane di curiosità, ho di fronte il tatuaggio di Elizabeth.

Sulla sua schiena, ora, posso constatare che c'è più inchiostro che pelle. Elizabeth incrocia le braccia e affonda le unghie negli avambracci, creando solchi così profondi che ho paura che abbia intenzione di strapparsi la carne di dosso. Vorrei concentrarmi sul suo tatuaggio, sulla grande e complessa forma che ha disegnata sulla schiena, ma ora mi risalta agli occhi come una semplice macchia nera, perchè sono troppo distratto dai suoi fianchi larghi ma morbidi e dalla sua pelle incredibilmente liscia.
Mi alzo, perchè mi rendo conto che la sto guardando da troppo tempo -e so che se n'è resa conto anche lei-, ed Elizabeth sussulta nel sentire le molle del letto che si rilassano, ora che non ci sono più seduto io. Raddrizza la postura e volge metà del suo volto pallido a me, guardandomi con la coda dell'occhio. È seminuda, scoperta, vulnerabile. Ed io mi sto avvicinando a lei, penso, Il fatto che non mi abbia accoltellato è già un ottimo segno. Ma so che non devo abusare della sua fiducia, allora rallento il passo, cercando di tranquillizzarla.

Mi avvicino a lei come se mi stessi avvicinando ad un animale selvatico: con infinita calma e lentezza, come se potessi farla scappare, o come se lei si potesse avventare contro di me. Guardo il suo viso baciato dal delicato pallore della luna, che crea ombre su di esso, rendendolo più minaccioso -o spaventato-.  Felino, è l'unica parola che riesco a trovare in quel momento.
Elizabeth si sposta di nuovo i capelli da un lato, perchè qualche ciocca aveva coperto il disegno, ed io mi ricordo che mi sono alzato per vedere meglio il suo tatuaggio, non lei.
Sono ad un paio di metri di distanza dalla sua schiena, ed assottiglio gli occhi per poter vedere meglio il quadro generale dello schema tatutato sulla sua pelle. Mi concentro. Mi concentro.
Per qualche istante non riesco a fare altro che vedere le stesse linee marcate e serpentine che ha sul collo, alcune le corrono inarrestabili sui fianchi, altre perpendicolarmente alla base della schiena, formando tre o quattro grandi semicerchi dalle estremità appuntite come artigli. Ci sono dei simboli nel mezzo, proprio il corrispondenza della sua spina dorsale, che occupano lo spazio di pelle che va dalla base della nuca a poco prima dei jeans.
Mi arrivano agli occhi soltanto come cinque cerchi di grandezza decrescente, per alcuni secondi, poi realizzo.
E non posso fermarmi.
Avanzo a passo deciso e le poso con più delicatezza possibile le mani sulle spalle, cercando di dimostrare una tranquillità che so di non avere in questo momento.

Sono le Fazioni.
Elizabeth ha tutti e cinque simboli delle Fazioni tatuati sul corpo.

Il primo, leggermente più grande degli altri, è quello dei Candidi, le due bilance assimmetriche bianche e nere. Come un animale selvatico, la verità è troppo potente per poterla ingabbiare. La disonestà fa sì che il male esista, ma l'onestà ci rende inestricabili. La voce della mia insegnante di Storia delle Fazioni mi ritorna in mente.
Poi, più sotto, quello degli Intrepidi, le fiamme ardenti del coraggio. Soltanto guardandolo posso sentire le esultazioni rumorose dei residenti di questa Fazione. Crediamo in ordinari atti di coraggio, nel coraggio che spinge una persona a ergersi in difesa per un'altra.
È da qui in poi che comincio a non capire. Le mie dita scorrono senza che io lo voglia -o forse lo voglio?- sulla pelle di Elizabeth, tracciando linee invisibili sopra l'inchiostro del tatuaggio. Sento Elizabeth sussultare, ma io sono troppo preso dalla confusione per prestare attenzione al fatto che la sto toccando, e che lei non ha che i pantaloni addosso.

Sotto le fiamme scoppiettanti della mia Fazione, un occhio che ormai conosco bene continua a fissarmi come in cerca di risposte.
L'occhio Erudito è disegnato a metà della spina dorsale di Elizabeth. Bisogna rispondere a tutte le domande a cui è possibile dare una risposta, o almeno cercare di farlo. I ragionamenti privi di ogni logica vanno constrastati e confutati. Le risposte errate devono essere rettificate. Quelle corrette devono essere proclamate.
I simboli vanno rimpicciolendosi.
Un albero si dirama in un cerchio nero come la pece. I Pacifici. Non li ho mai amati. Dona liberamente, fidandoti del fatto che anche a te sarà dato ciò di cui hai bisogno.
Per ultimo, infine, due mani si allacciano solidali, simboleggiando la Fazione degli Abneganti. La Fazione dei Rigidi come Quattro. Pertanto, ho scelto di allontanarmi dal mio riflesso, fare affidamento non su di me ma sui miei fratelli e sulle mie sorelle, per proiettarmi sempre verso l'esterno fino a quando non scomparirò.
Dopo il Manifesto degli Abneganti, alla base della sua schiena, non c'è più niente. Solo la sua pelle, liscia e pallida, che trema -non di piacere- al mio tocco poco delicato.
Le mie mani stringono la sua pelle. Ha tutti i simboli delle Fazioni tatuati sulla schiena. Dovrà pur significare qualcosa
No. Non può essere.
Non di nuovo.
Non lei.

"Eric!"
L'ho fatto ancora. L'ho spaventata. Mi rendo conto soltanto ora che l'ho presa con estrema veemenza per i fianchi nudi, lo sguardo incendiato dalla rabbia fisso sulla sua nuca. La lascio andare, indietreggiando confuso e amareggiato. Può esserlo. No. Non può essere una Divergente. Non Elizabeth. Non la Candida che ci ha messo mezz'ora per completare la sua Simulazione. Elizabeth si allontana da me e si rimette il maglione, le mani che tremano per la tensione.
So che dovrei dirle qualcosa, adesso, tipo che mi dispiace per averla terrorizzata a morte, ma capisco dal suo sguardo perplesso che un'espressione di pura rabbia mi si è stampata in volto. Non abbassa lo sguardo, decisa ad affrontarmi, giustificando una colpa che non sa di avere. Il suo tatuaggio è pericoloso, se qualcuno lo vedesse potrebbe pensare che sia una Divergente. Potrebbe morire. Potrebbe essere accusata di insubordinazione. Condotta al suicidio. Come Amar.
No. Oddio, no. Non Amar, non ancora Amar.

Sento le tempie pulsare, ed una nuova ed estranea forma di rabbia mi fa tremare le braccia. Sul volto di Elizabeth si forma un'espressione preoccupata. Chiedile scusa.
"Cosa vuole rappresentare?" Idiota! "Quel tatuaggio." indico, con un cenno della testa, il suo esile corpo che fino a poco fa tenevo stretto in una morsa che l'ha agitata tanto da farla allontanare da me. Nonostante il mio tono deciso e ammonitore, non sono sicuro di voler sapere la risposta.
"So come la pensi su queste cose. So che per te esistono solo gli Intrepidi. Ma per me non è così, va bene? Voglio imparare. Voglio anche essere altruista come gli Abneganti, intuitiva come gli Eruditi, gentile come i Pacifici. Non posso essere soltanto un'Intrepida, lo capisci?" fa un passo avanti, poi un altro, fino ad arrivare a sfiorarmi il braccio con un docco delicato e rassicurante. "Lo capisci, Eric?"
"No." ringhio "Elizabeth, non... Sei tu che non capisci. Senti... Tieni... Tieni quel tatuaggio coperto finchè resterai in questa Residenza. Non lo deve vedere nessun altro. Mai." marco l'ultima parola con decisione, afferrandole una spalla. Devo proteggerla. Lei mi guarda, gli occhi lucidi e tremanti come una fiamma morente.
Annuisce debolmente, prima di alzare di nuovo lo sguardo su di me.
"Non avrei voluto mostrarlo a nessun altro." mormora debolmente, come se si stesse riferendo a se stessa più che a me.
Quella confessione mi fa sorridere debolmente, e allora decido di stringere il suo piccolo corpo fra le mie braccia, cullandomela al petto come se fosse ancora una bambina.

                                                                                           ***

"Sei slittata all'ottavo posto, Liz!" sta esultando Samuel, abbracciando la mia ragazza con eccessiva allegria. Sul viso della Candida si allarga un ampio sorriso, il primo che le vedo formarsi sulle labbra dopo tanti giorni di paura e tensione. È così bello vederla sorridere, che per un attimo rimango a fissarla, immobile come un tronco d'albero.
Elizabeth non ricambia l'abbraccio di Samuel, perchè è impegnata a far scorrere gli occhi sulla tabella, facendo smorfie sorprese quando incontra un nome che riconosce. Alice non si è mossa dall'undicesimo posto, nonostante abbia fatto dei progressi notevoli nel suo Scenario. Questo, ovviamente, perchè io non la sopporto e volevo punirla in qualche modo. Ancora non so come abbia fatto la Pacifica a resistere così tanto in questa Residenza. Samuel, invece, per quanto mi stia tremendamente antipatico, ha fatto progressi che non potevano passare inosservati, quindi sono stato costretto a classificarlo al settimo posto, proprio prima di Elizabeth.

Jonathan, in qualche modo, è ancora in cima alla classifica. Quattro non mi ha permesso di assistere alla sua Simulazioni, diceva che "Il server è disturbato, dobbiamo riprovare un altro giorno." e così ho lasciato perdere, sia perchè si trattava semplicemente di Jonathan, sia perchè non volevo perdere tempo a discutere con un Rigido.
Mi volto, distogliendo lo sguardo dalla lavagna all'Intrepido dai riccioli biondi che continua ad essere acclamato dai suoi compagni come un Dio. Patetico.
"Forza, ritornate al dormitorio. Più tardi ci vedremo in mensa per discutere del test finale al quale dovrete essere sottoposti tutti." Quattro batte le mani, catturando l'attenzione degli iniziati, che eseguono gli ordini e si dirigono parlottando verso le loro stanze.
Do' un'ultima occhiata veloce alla tabella. Blackmount e Gabe si sono classificati sotto la linea rossa, questo vuol dire che se entro due settimane non riusciranno a superare le loro paure, saranno sbattuti fuori dalla Residenza. Abbasso lo sguardo, pensando ai due iniziati nei vestiti degli Esclusi che si ricaldano davanti ad un fuoco misero in una casa dai vetri delle finestre rotti.
Ma a me non importa, perchè so che Elizabeth è salva, e che può migliorare ancora di più. Ma forse le servirà il mio aiuto un'ultima volta.
Alzo lo sguardo e lo poso su Jonathan, che ha appena dato una poderosa pacca sulla spalla della mia ragazza con fare "amichevole". Un'ultima volta, mi ripeto, mentre continuo a fissare l'Intrepido finchè svolta l'angolo.

                                                                                           ***

Se prima pensavo che non ci fosse nulla di più spettacolare della vista della città al tramonto, allora non ero mai salito sull'Hancock di notte.
Sono vicino al cornicione del grattacielo e contemplo con estrema calma il panorama mozzafiato di fronte a me. Il vento mi sferza i vestiti e la fredda aria notturna si insinua nei miei polmoni, ma io non me ne accorgo, perchè sono troppo distratto a guardare la miriade di stelle che accende il cielo sopra la città. A volte, se osservo con attenzione, mi pare di scorgere altre piccole luci oltre la Recinzione, ma l'idea mi sembra così assurda che la scaccio immediatamente. Anche se ci fossero persone, o cose, oltre quel muro, sono davvero sicuro di volerle conoscere?
Non faccio in tempo a rispondere alla mia stessa domanda, perchè sento la porta di ferro che dà accesso all'ultimo piano del grattacielo chiudersi con un rumoroso cigolìo alle mie spalle. Ancora prima di scorgere la sua piccola ed esile figura, riconosco la sua voce profonda e tremendamente angosciata.
"Se è possibile, di notte fa ancora più paura." dice ad alta voce per farsi sentire dall'altra parte del tetto. Mi volto e mi fermo a guardarla, la vampa di capelli bruni mossi dal vento le incornicia il viso pallido e spaventato. Si tiene alla piccola struttura di mattoni del tetto, come se potesse cadere da un momento all'altro. "Immagino che dovrei venire là vicino al cornicione, vero?"
"Io non mi muovo da qui, quindi sì." le grido di rimando.

Con estrema cautela, si avvicina a me, le gambe corte che tremano man mano che accorcia la distanza fra lei e il bordo del tetto. Quando è abbastanza vicina da poterla toccare, la prendo per un braccio e la trascino con forza verso di me, imprigionandola in un'affettuosa morsa contro il mio petto, le mie mani incrociate alle sue sul suo grembo, lo sguardo rivolto verso la città. Lei sussulta e lancia un gridolino acuto, prima di ridere debolmente fra le mie braccia.
Appoggio il mento sulla sua testa, senza staccare gli occhi dal cielo pieno di stelle.
"Visto?" mormoro dopo qualche secondo di silenzio "È..."
"Bellissimo." conclude lei, spostandosi leggermente per potermi guardare negli occhi.
"Esatto." le sorrido, e mi sembra un gesto così innaturale da parte mia che non posso fare a meno di chiedermi che cosa stia pensando lei di me, adesso. "Esatto... Il cielo è..."
"Non parlavo del cielo." si limita a dire lei. Poi, quando incontra la mia espressione confusa, aggiunge "Parlavo di te."
"Mi hai appena fatto un complimento, Elizabeth." constato, incapace di pronunciare altro.
"Non è la prima volta." si volta di nuovo a guardare l'orizzonte puntellato dalle luci della città.
"No, ma l'altra volta eri ubriaca."
"Però lo pensavo comunque."

Stringo il suo corpo contro il mio, affondando il volto nei suoi capelli che profumano di vento e fiori primaverili. Inspiro, lasciando che il caratteristico odore pungente di Elizabeth mi invada le narici, arrivandomi fino al cervello come una scossa di adrenalina.
Mi riviene in mente il primo giorno, sul cornicione dell'entrata della Residenza, quando ho sentito il suo profumo dopo che mi era passata accanto per saltare in quel pozzo senza fondo. Solo ora penso a quanta paura debba aver provato nel lasciarsi cullare dall'oscura profondità di quella voragine, o alla scomodità d'animo che ha dovuto sopportare quando si è resa conto che tutti gli occhi erano puntati su di lei.
Come ho potuto ignorare una persona così forte, così spavalda da umiliare Jonathan in pubblico, così determinata da allenarsi anche la notte, così coraggiosa da rivolgermi la parola, ben sapendo la reputazione che mi si era incollata addosso come una seconda pelle?
Le mie dita tormentano le sue nocche, ed io mi ritrovo a tremare.
"Elizabeth." mormoro il suo nome come se fosse una domanda, come per assicurarmi che lei sia ancora qui con me, sul cornicione dell'Hancock.
"Mh?" distoglie lo sguardo dalla città per volgerlo a me. Nei suoi occhi sono riflesse tutte le piccole palline di luce davanti a noi, e le sue iridi brillano di una luce affettuosa.

La guardo a lungo prima di parlare. È così bella, così forte, così Intrepida.
Ripenso all'occhiataccia che mi ha lanciato la prima volta, nel tunnel della Residenza, e non riesco a fermare il tremore delle mie mani sulle sue.
"Mi dispiace. Mi dispiace per tutte quelle volte che ti ho fatto del male, per tutte quelle volte che ti ho fatto pensare di essere troppo debole o troppo fastidiosa. Mi dispiace di comportarmi come un idiota qualunque quando mi rendo conto che a volte tu sei troppo perfetta per stare qui. E non intendo solo qui con me." prendo una pausa solo per cercare le parole giuste. "Elizabeth, tu sei più coraggiosa di qualsiasi Intrepido che abbia mai conosciuto, sei più altruista di un Abnegante, più generosa di un Pacifico, più sincera di un Candido." la guardo come se potessi comunicarle ciò che voglio dire con la forza del pensiero. "E sei più intelligente di uno stupidissimo Erudito. So di cosa parlo, io sono ancora un Erudito, nella mia testa, eppure non potrei arrivare neanche lontanamente ai livelli di comprensione e intuizione che hai sviluppato tu. E tu... Dio... E tu sei così piena di qualità che ho paura che un giorno ti possa rendere conto che non sono così sicuro come voglio sembrare."

La sua reazione non era quella che mi ero immaginato.
Elizabeth mi guarda nello stesso modo in cui si guarda un preziosissimo fiore appassire. Si volta con tutto il corpo, schiacciando il suo addome contro il mio, come per assicurarsi di essere vicina a me, o come per darmi la forza necessaria per affrontare le sue parole. Mi prende il viso fra le sue piccole mani pallide, dalle dita affusolate e introrpidite dal freddo.
Ricambio il suo sguardo, come se fossi il colpevole di quella sua reazione tanto sorpresa. Le luci nei suoi occhi sembrano spegnersi.
"Tu non sei meno perfetto, ai miei occhi. Non è colpa tua se gli altri ti vedono come il Capofazione senza cuore della Residenza. La colpa è la loro, Eric, perchè non sembrano in grado di capire che in fondo non sei poi così diverso da tutti i ragazzi della tua età." il suo sembra più un rimprovero, più che un tentativo di rassicurarmi.
Vorrei dirle talmente tante cose, farle talmente tante domande, che la mia mente si blocca, incapace di formulare una frase di senso compiuto.
"Ti fidi di me?" le chiedo alla fine, ancorandomi ai suoi fianchi morbidi come se fossero l'unica cosa in grado di tenermi con i piedi per terra.

Elizabeth annuisce ed io non aspetto neanche un secondo prima di chinarmi e baciarla con più passione delle altre volte, un bacio disperato che sa di libertà e mi fa sentire invicibile. La tiro verso di me e lei allaccia le sue mani dietro la mia nuca, accarezzandomi i capelli corti con delicatezza, come se potesse farmi del male con il semplice tocco delle sue dita.
Interrompo il nostro bacio umido e disperato per sollevarla da terra e farla sedere sul cornicione. Elizabeth sussulta e spalanca i suoi occhi felini, ingabbiandomi in uno sguardo terrorizzato e confuso. Affonda le unghie nel tessuto della mia felpa, ed io mi avvicino per baciarla di nuovo. Posso sentire il suo cuore battere all'impazzata contro il mio petto che pian piano si calma, mentre lei riacquista il controllo e ricambia il bacio tirandomi a sè.
Restiamo così per parecchi minuti, Elizabeth seduta sul cornicione dell'Hancock, ed io davanti a lei, intrappolato dalle sue gambe incrociate dietro la mia vita. Parliamo e ci baciamo finchè non siamo stanchi morti e decidiamo di tornare alla Residenza.
Sapere che domani dovrò tornare ad essere di nuovo Eric lo spietato e fingere che Elizabeth non sia la mia ragazza -ma, al contrario, che ci odiamo a morte- mi fa venir voglia di non tornare mai più, di scappare lontano, magari anche oltre la Recinzione.

Però poi la guardo, e mi lascio riempire dalla gioia che i suoi occhi luminosi trapelano. Per Elizabeth posso fingere di essere così, spietato e con un cuore di pietra. Per Elizabeth potrei fare di tutto, che sia lasciare la Residenza per incontrarla all'Hancock oppure rischiare tutto e farla entrare nel mio appartamento di notte.
Per ora, la sua felicità è tutto ciò che conta, non mi importa neanche che Eziekiel Pedrad abbia scoperto della nostra relazione. Se e quando Elizabeth si sentirà pronta a rivelare a tutti ciò che siamo io e lei, io non potrò fare altro che sostenerla e proteggerla da qualsiasi critica che potrebbe raggiungerla.
Mi immagino già la nostra nuova vita fra gli Intrepidi, come le potrò accarezzare i capelli in pubblico, a come potrò finalmente evitare di fingermi irritato dalla sua presenza.
Sembra una prospettiva così inimmaginabile che l'unica cosa che riesco a fare è stringere a me l'esile corpo di Elizabeth, mentre la sua debole risata rieccheggia nell'aria fredda della notte. 

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Capitolo 14
*** Riunione di famiglia ***


Capitolo 14 - Riunione di famiglia



L'aria notturna è gelida, ma io lascio che il vento mi colpisca in pieno petto, respirando il dolce profumo dell'erba umida, soltanto per provare l'elettrizzante sensazione si un'indomabile libertà. Solo poche volte ho l'onore di condividere uno dei vagoni del treno con Elizabeth e, ogni volta che succede, una scossa di adrenalina mi fulmina ogni neurone e annulla qualsiasi pensiero che mi passi per la testa.
In lontananza, l'entrata posteriore della Residenza degli Intrepidi riflette la luce della luna. Mi avvicino al portellone del treno, pronto a lanciarmi sull'erba fresca e ritornare con calma nel mio appartamento: per la prima volta dopo tanto tempo, mi sento davvero esausto.
"Aspetta." Elizabeth mi afferra per un braccio e mi blocca prima che io possa saltare oltre il portellone del convoglio. Il treno continua la sua inarrestabile corsa, e il retro della Residenza degli Intrepidi diventa solo un ricordo distante e inafferrabile.
Siamo stati in giro per la città per pochi minuti, dopo essere saliti sull'Hancock, giusto il tempo per una passeggiata, ma adesso è davvero tardi e il rientro è praticamente obbligatorio. E se qualcuno avesse bisogno di me? E se vedessero che sia io che Elizabeth manchiamo dai nostri letti? Non sarebbe sicuramente considerata una mera coincidenza, dannazione.

Vedo la grande porta di emergenza sfrecciare via dal mio campo visivo, il suo bagliore metallico svanisce nell'oscurità più sinistra. Fantasico, ed ora?
Non possiamo fare il giro della Residenza per saltare nell'oscura voragine che ha usato Elizabeth il primo giorno: la rete usata per l'accoglienza degli iniziati è stata smontata e, a meno che non vogliamo sfracellarci sulla pietra, noi Intrepidi dobbiamo usare l'entrata principale -oppure quella di servizio per non essere scoperti, nel nostro caso-. E dal momento che ora queste opzioni non sono più disponibili perchè la ragazza mi ha impedito di saltare, sospiro frustrato: non voglio aspettare che il treno faccia di nuovo il giro della città per tornare al punto di partenza.
Mi volto leggermente infastidito verso la mia ragazza, che ora mi sta guardando con quei suoi grandi occhi luminosi che ora sembrano quasi azzurri, grazie alla luna che inonda il suo viso di una pallida luce argentea.

Elizabeth mi fa sedere per poi posizionarsi a sua volta su di me, senza distogliere lo sguardo dalla mia espressione sempre più perplessa.
La Candida intreccia la sua mano alla mia e se la porta alle labbra, lasciando un bacio delicato sulle mie nocche prima di parlare.

"Voglio che tu mi ascolti attentamente adesso. Non essere arrabbiato con me, perchè c'è una ragione se ti ho impedito di saltare." alza lo sguardo dalle mie labbra ai miei occhi e sbatte le palpebre, come risvegliata da un sogno. "La nostra meta è un'altra."
"Ovvero?" per qualche motivo, penso che mi voglia portare alla quercia sotto la quale mi ha dato il suo primo bacio. Poi, però, la sua risposta mi colpisce come un pugno allo stomaco.
"Al Quartier Generale degli Eruditi. Andremo da mia sorella. Ho bisogno di spiegazioni."
La mia schiena, appoggiata alla parete del treno e coperta solo da una leggera felpa nera, comincia a inumidirsi di sudore.
"No." lascio andare la sua mano, e un'espressione severa -e forse anche spaventata- mi fa aggrottare le sopracciglia e schiudere la bocca per lo stupore. Non metterei mai piede nel Quartier Generale degli Eruditi, non dopo un anno di assenza. Non dopo che i miei genitori non si sono presentati nella Giornata delle Visite. "No, non ci andrò."
"Va bene, non sei costretto a venire. Ma io vado. E mi è sembrato giusto avvertirti, piuttosto che sgattaiolare fuori dal dormitorio e andarci senza fartelo sapere."
"E non hai preso in considerazione il fatto che forse non ti ci avrei mandato da sola?"

Lei mi guarda, il sopracciglio alzato unico segno della sorpresa che le ha acceso lo sguardo.
"No? Non mi aspetto che tu non mi permetta di fare qualcosa, sai, com'è." risponde gelida, quasi offesa, ridendo senza divertimento.
"Non è questo che intendevo."
"Ah no?" il suo tono di voce è intriso di pungente sarcasmo.
"No!" la afferro per le spalle, le mie parole sono un ringhio a pochi centimetri dalle sue labbra. "Lo sai che rischi l'arresto, vero? O una condanna per insubordinazione? Lo sai, Elizabeth? Pensi che io voglia vederti in una cella oppure per strada insieme agli altri Esclusi?"
"Certo che non lo penso! So che rischio tutto. Ma so anche che noi Intrepidi veniamo considerati i protettori della città, i suoi guardiani. Senza di noi, ci sarebbe il caos. Abbiamo, di conseguenza, dei... Come dire... Dei privilegi. Ergo, posso fare questo ed altro senza rischiare un bel niente."
La guardo come se avesse appena parlato in una lingua a me sconosciuta, gli occhi spalancati e la bocca incapace di emettere alcun suono.

"Noi Capofazione godiamo dei privilegi! Noi possiamo introdurci nelle altre Fazioni, noi possiamo permetterci di uscire di notte dalla Residenza, noi possiamo chiedere di parlare con qualcuno appartenente ad un'altra Fazione!" grido, quasi fuori di me, mentre continuo a puntare un indice verso me stesso, sperando di rendere il messaggio più chiaro.
"Bene! Questo implica la tua fondamentale presenza in questa missione!" sorride lei, in nessun modo toccata dal mio tono alterato di voce.
"Maledetta ragazzina." sibilo mentre mi trascino le mani sul viso, disperato.
"Sono solo un anno più piccola di te, ragazzino." mi prende per i polsi e li blocca contro la parete metallica, prima di chinarsi e mordermi il labbro inferiore. "E poi, non vuoi conoscere la mia fantastica famiglia? O, almeno, una parte di essa?"
"Non in queste circostanze. È notte fonda e tu dovresti essere nel tuo dormitorio. Di certo non darei una buona impressione, dal momento che sono stato io a permetterti di fare tutto questo."
"Ti ho già detto che non devi permettermi proprio nulla, non dipendo da nessuno e non ci tengo a seguire gli ordini di qualcuno che crede di essermi superiore. E mia sorella lo sa." mi stampa un bacio sulle labbra, lasciandomi andare i polsi. "Forza, andiamo. Sfruttiamo questi nostri privilegi da Intrepidi."

                                                                                               ***

"La vuoi sapere una cosa? Voglio dire, io apprezzo la sconfinata sete di conoscenza degli Eruditi, e li adoro per la loro curiosità e voglia di sperimentare. Ma d'altra parte... In un certo senso non li ho mai sopportati. Mia madre era un'Erudita, prima di trasferirsi ai Candidi, e non faceva altro che ricordare la sua Fazione come una delle migliori. Intelligenza di qui, intuizione di là. Ecco perchè li ho esclusi subito alla mia Cerimonia." incrocia le braccia, tenendo lo sguardo fisso di fronte a lei. "Non ho bisogno di vantarmi della mia intelligenza: ferisce le persone stupide."
"Quindi non hai scelto gli Eruditi perchè non volevi far sentire inferiori le persone meno intelligenti di te?" alzo lo sguardo verso la mia mastodontica ex-Fazione, che si staglia contro il cielo notturno.

Le finestre più alte dell'edificio riflettono le stelle lontane, ed un grande occhio, simbolo della sete di sapere degli Eruditi, ci fissa da sopra l'entrata a vetri della Fazione. Elizabeth si è fermata prima di entrare, contemplando con distaccato disprezzo la gigantesca costruzione dove centinaia di scienziati continuano le loro ricerche anche di notte.
"No, semplicemente preferivo gli Intrepidi, non sono fatta per star ferma e studiare pagine e pagine di libri dai titoli impossibili da leggere. E poi, un uccellino mi ha detto che il Capofazione degli Intrepidi era un figo assurdo, come rifiutare l'offerta?" mi fa l'occhiolino e sorride.

Una risata mi gorgoglia in gola, mentre un tiepido imbarazzo mi scalda le guance. Non sono ancora abituato ai complimenti.
"Bene, andiamo. Divertiamoci un po'." Elizabeth si sfrega le mani e, a passo pesante e deciso, entra nell'enorme atrio del Quartier Generale, una grandissima sala dalla forma quadrata, il parquet in legno di betulla e le pareti bianche.
Sul lato sinistro, dietro un bancone di legno dalla forma semicircolare, siede un paffuto ragazzo sulla ventina, i capelli castani laccati all'indietro e un completo blu scuro sbottonato sulla camicia bianca.
Alcuni Eruditi, vestiti tutti allo stesso modo, corrono da una parte all'altra, tenendo stretto in grembo faldoni con grandi etichette numerate oppure importanti documenti svolazzanti.
Molti di loro si voltano verso di me e di Elizabeth sfoggiando le loro espressioni più confuse e spaventate, scambiandosi sguardo timorosi e lasciandosi sfuggire di mano scartoffie o penne. Il ragazzo grassoccio del bancone, invece, non sembra accorgersi della minaccia che gli sta per piombare addosso, anche conosciuta con il nome di Elizabeth.
L'unico rumore udibile è quello delle cinghie dei nostri stivali, che tintinnano ad ogni passo sovrastando con prepotenza il chiacchericcio dei lavoratori, che va scemando sempre di più, lasciando spazio ad un inquetante e teso silenzio.

La Candida non sembra turbata dal fatto che tutti gli attenti occhi degli Eruditi siano fissi su di lei ma, conoscendola, probabilmente è un ostacolo che sta ignorando.
I suoi pesanti stivali neri conducono Elizabeth davanti al bancone, dietro il quale il ragazzo non ha ancora alzato gli occhi dal suo computer fisso.
"Voglio parlare con Julia Ride." appoggia i gomiti sul ripiano di marmo bianco, lasciando che la sua voce profonda e sicura rieccheggi da una parte all'altra dello smisurato atrio della Fazione, dove ormai ogni segno di frenesia è stato spazzato via dalla piccola tempesta arrogante dai capelli bruni.
Ride, Ride, Ride.... Dove diavolo ho già sentito questo cognome?

Il ragazzo corpacciuto non risponde, ed Elizabeth comincia a battere nervosamente un'unghia sul bancone, a ritmi regolari e rapidi. "Sei forse sordo?"
"No, sono tremendamente impegnato." risponde senza staccare gli occhi dal computer. "Se potesse gentilmente aspettare..."
"Io non aspetto."
"Allora non mi lascia altra scelta che chiamare la sicurezza, signorina..."
"Signorina Elizabeth Ride, sorella della miglior dottoressa della quale questa insulsa Fazione possa godere. Quindi, gentile..." abbassa lo sguardo sul cartellino appeso al completo del ragazzo, che ora sta alzando lentamente lo sguardo, offeso da tanta arroganza. "...Ewan, muovi il culo e chiama mia sorella."

Quando Ewan incontra i grandi e famelici occhi della Candida, la sua espressione muta repentinamente. Ora le sue guance paffute tremano per il terrore e dalla sua bocca socchiusa non esce che un soffocato gemito di sorpresa. Attribuisco questa reazione a due possibili motivi: o Ewan è rimasto colpito dalla bellezza e dalla delicatezza del viso di Elizabeth, così in contrasto con il suo atteggiamento minaccioso e indisponente; oppure la Candida si è fatta una certa reputazione anche qui.
Entrambi le opzioni sono possibili.
"Ho bisogno di un mandato ufficiale." balbetta infine il ragazzo, spingendosi gli occhiali sul naso rotondo, mentre il suo sguardo inizia a scendere dagli occhi di Elizabeth alle sue labbra, al suo collo, sempre più giù.
"Sono io il suo mandato." intervengo "E guarda caso sono anche un Trasfazione Erudito, e so perfettamente che giocherellare con il computer al posto di lavorare significherebbe il licenziamento. Quindi, Ewan, sbrigati, se ci tieni al posto di lavoro."
"O alla vita." precisa la ragazza al mio fianco. "Che ne dici, Eric, sarebbe in grado di sostenere una lotta corpo a corpo?"
"Non lo so, Elizabeth, dovremmo provare." incrocio le braccia al petto, assumendo così una posa più minacciosa, e sfoggio un sorriso tagliente.

Ewan emette un verso che è un misto fra un gridolino disperato e una richiesta d'aiuto, poi prende la cornetta, e la fa cadere maldestramente un paio di volte prima di comporre un numero a tre cifre. Quando mette giù il telefono, il suo sguardo guizza da me ad Elizabeth.
"È al sesto piano, nel laboratorio di medicina. Non potete sbagliare." ci informa il ragazzo, asciugandosi il sudore delle tempie con un fazzoletto di stoffa.
"In caso contrario, torneremo da te. E fidati, non sarà per ringraziarti." la ragazza gli fa l'occhiolino.

Ewan deglutisce e fissa a bocca aperta Elizabeth mentre si allontana dal bancone per dirigersi all'ascensore, dividendo la folla di Eruditi al suo passaggio. Sto per seguirla, quando mi accorgo dello sguardo che il ragazzo sta rivolgendo al posteriore della piccola Candida.
Sbatto un pugno sul marmo, catturando di nuovo l'attenzione di Ewan, che ora mi guarda con gli occhi spalancati e lucidi di lacrime,
"Giù gli occhi dalla mia ragazza." mi sporgo oltre il bancone e lo afferro per il colletto, ringhiandogli contro. "Mi hai sentito, palla di lardo?"
Ewan annuisce velocemente più volte, ed io lo lascio andare con uno strattone, raggiungendo poi Elizabeth. La ragazza mi rivolge uno sguardo interrogativo.

L'idea di poter diventare un ragazzo geloso e protettivo non mi ha mai neanche sfiorato da quando ho intrapreso questa relazione: mi fido di Elizabeth e della sua lealtà nei miei confronti, quindi tecnicamente non dovrei preoccuparmi. Invece lo faccio, specialmente quando vedo un paio di occhi di troppo che fissano la mia ragazza, con la quale ho fatto i salti mortali per avere il rapporto che abbiamo adesso.
Lo sguardo di Ewan mi ha fatto perdere la calma così velocemente che, quando passo davanti alla fila degli spaventati e indifesi Eruditi, non posso fare a meno di avvicinarmi ad uno di loro e spingerlo contro i suoi compagni.
La povera vittima lancia un grido acuto, mentre gli altri gli impediscono una rovinosa caduta prendendolo per le braccia.
Sorrido, e lancio un ultimo sguardo intimidatorio a Ewan.

"Che hai fatto?"
"Messo in chiaro alcune cose." la prendo per un braccio e me la trascino dietro nel grande ascensore. Premo il bottone e, non appena le porte metalliche si chiudono, lasciando molti sguardi estrerrefatti dall'altra parte di esse, mi avvento contro le labbra della Candida. La prendo per i fianchi e la sollevo, appoggiando la sua schiena contro lo specchio che riflette i miei occhi chiari, affamati di attenzione e passione.
"A cosa devo questo gesto?" dice in un sospiro mentre incrocia le gambe dietro la mia schiena. Le accarezzo le cosce, studiando con attenzione la sua reazione per capire se vuole che smetta oppure no. Ma i suoi occhi tradiscono le mie stesse emozioni, una trepidante attesa e un indomabile desiderio. "Be', ci metteremo un po' prima di arrivare al sesto piano, no?"
"Non così tanto, in realtà."
"Allora sbrighiamoci, stiamo perdendo tempo."

Quando il din dell'ascensore ci avvisa che siamo giunti a destinazione, emetto un grugnito infastidito e poso Elizabeth a terra.
"Continueremo la discussione più tardi." mormora, prima che le porte si aprano e un'espressione dura e severa le si formi sul viso delicato. "Hai dei punti validi che mi piacerebbe approfondire."
Rido debolmente. Elizabeth si abbassa il cappuccio della felpa e libera la vampa di capelli scuri che le ricadono morbidi sulla schiena.
La seguo, sotto gli sguardi atterriti degli Eruditi spaventati, che hanno smesso di correre e parlare: ora nei corridoi regna il silenzio più totale.
La tensione può essere tagliata con un coltello, mentre la ragazza si avvicina con passo deciso al laboratorio, seguendo le indicazioni scritte su dei cartelli appesi alle pareti bianche.
"Stanza 414." mi dice indicando uno di questi, tirandomi la manica per attirare la mia attenzione. "Pronto?"
"Lo chiedi a me? È tua sorella, non la mia." le mormoro, fissando in cagnesco chiunque si fermi a guardare Elizabeth un secondo di troppo.

Quando giungiamo di fronte alla porta aperta della 414, Elizabeth si posiziona contro il muro da una parte, ed io dall'altra. Il corridoio dove si affaccia il laboratorio è completamente deserto, al contrario di quelli che abbiamo superato pochi secondi prima.
Entrambi ci sporgiamo, sbirciando all'interno del laboratorio poco illuminato, dove un'elegante ragazza sui vent'anni, vestita con un anonimo camice ed un paio di tacchi blu notte, sta parlando con un attraente ragazzo dai capelli scuri legati in una piccolissima crocchia dietro la nuca e la barba curata.
Il giovane uomo sorride alla dottoressa, che adesso ci sta dando quasi completamente le spalle, ed io mi sto per voltare verso Elizabeth per chiederle se sia lei la famosa Julia Ride con la quale ha tanta fretta di parlare.
Poi, però, la ventenne si volta verso sinistra per prendere un documento da una scrivania, permettendomi dunque di vedere il suo profilo a qualche metro di distanza, e rimango senza parole nel notare l'incredibile, sorprendente, affascinante somiglianza fra Julia e sua sorella Elizabeth Ride.

Due spessi occhiali neri sono poggiati sul suo naso lungo e stretto, e il suo viso -leggermente più paffuto e colorito di quello della sorella minore-, con la luce bluastra dei pannelli delle radiografie davanti a lei, ha un non so che di minaccioso e severo. Ha i capelli che le arrivano poco sotto le spalle, crespi e molto più scuri di quelli della mia ragazza. Porta una collana girocollo, con un minuscolo pendente che riflette la luce fredda del laboratorio.
"È..." comincio, ma Elizabeth, appoggiata allo stipite bianco della porta, la testa che fa capolino da dietro la parete, mi interrompe.
"...di una disarmante bellezza e un'intelligenza al limite dell'umano. Sì, l'ho sentito dire spesso." nella sua voce c'è un lieve accenno di fastidio, come se stesse ripetendo a memoria parole dette e ridette, ma nei suoi occhi, incollati alle sagome dei due dottori nella stanza, non vedo altro che concentrazione e soprattutto stupore, mentre scruta la sagoma scura del giovane Erudito.

"...Volevo dire che siete una la fotocopia dell'altra." farfuglio in risposta e, con la coda dell'occhio, la vedo sorridere timidamente.
Julia sta indicando con un'unghia smaltata un punto preciso del foglio che ha in mano, e l'affascinante dottore le si avvicina per leggere attentamente.
"Lo vedi quel ragazzo?" Elizabeth solleva la mano pallida, piena di lividi e escoriazioni, e punta il dito contro il soggetto in questione. "Si chiama Daniel, Trasfazione Candido, abitava sul nostro stesso pianerottolo, lui e mia sorella giocavano sempre insieme. Mi ha insegnato a suonare la chitarra, o almeno ci ha provato. Ci ho messo un po' a riconoscerlo... Non sapevo avesse scelto gli Eruditi." commenta, infine, con una punta di disgusto sulla lingua. "Daniel avrebbe fatto un figurone fra gli Intrepidi." aggiunge.

"Come fai a sapere che è lui? Non vi vedete da quanto, tre anni?" chiedo io, bisbigliando per non farmi sentire dai due giovani dottori che continuano a discutere, le teste vicine intente a leggere quel documento dall'aria importante.
"Quattro, per la precisione. Ma riconoscerei Daniel ovunque." il tono con cui lo dice accende in me una gelosia lieve, ma che mi provoca comunque una dolorosa fitta allo stomaco. "È sempre lo stesso Candido impacciato e perdutamente innamorato di mia sorella. Ecco, guarda." dice, indicando la mano del giovane "distrattamente" posata sulla schiena della dottoressa. "Daniel ha sempre avuto un'ottima vista, non ha mai dovuto portare occhiali o lenti a contatto, eppure... Guarda com'è vicino al foglio adesso. Cominci a capire? Non ne ha nessun bisogno, vuole soltanto stare il più possibile vicino a Julia. Senza parlare poi degli inutili contatti fisici o dei suoi sorrisi eccessivamente affettuosi."

"E lei?"
"Lei cosa?"
"Lei ricambia?"
"Non credo. Julia mette il lavoro prima di tutto, non si lascerebbe mai distrarre da Daniel." risponde, come se fosse un'affermazione ovvia ma stupida. "Senti, entriamo. Mi si stanno atrofizzando le gambe, stando in questa posizione."
"Ora? Ma stanno parlando!"
"Anche io le devo parlare!" risponde, in un sussurro sibilato fra i denti. "Pronto alla riunione di famiglia, Eric?" sorride poi, i suoi occhi brillano come quelli di un predatore che si accinge ad attaccare la preda.
"Elizabeth, non...!"

Cerco di trattenerla per un braccio, ma lei sguscia via agilmente, evitando il contatto con la mia mano. Impreco, mentre Elizabeth, a passi pesanti e rumorosi, fa il suo trionfale ingresso di scena. I suoi capelli seguono il movimento della sua andatura sciolta e decisa, ed io faccio lo stesso, affrettandomi per non rimanere indietro.
Il laboratorio non è molto grande: sulla destra, quattro scrivanie sono immerse nel buio che domina quasi interamente tutta la stanza, mentre sulla sinistra, appesa alla parete, una grande lavagna è imbrattata da formule e numeri che a me appaiono come una scrittura aliena.
Davanti a noi, le figure della sorella di Elizabeth e del suo spasimante si stagliano scure contro i pannelli delle radiografie, unica fonte di luce insieme alle piccole lampade al neon poggiate sul davanzale della finestra accanto ad essi.

Non appena si accorgono della nostra presenza, i due si girano immediatamente verso di noi, chiudendo gli occhi a fessura per cercare di riconoscere i due sconosciuti che si sono appena introdotti nel laboratorio.
Julia ha un'espressione di pura confusione stampata in viso, che si tramuta poi in furioso terrore non appena riconosce la sagoma Elizabeth.
Daniel, invece, guarda la ragazzina con sorpresa e sembra non notare la mia presenza.

"Chi non muore si rivede!" sta dicendo ad alta voce la piccola Candida, allargando le braccia e riempiendo la sala con la sua voce profonda ora allegra, ma che nasconde un tono minaccioso e sarcastico. "A dirla tutta, ho rischiato la morte parecchie volte, in questi giorni. Quindi siete fortunati." aggiunge poi, quasi rivolgendosi a se stessa.
"Elizabeth!" gridano i due dottori all'unisono, con due toni di voce completamente differenti.
Julia, a quanto pare, non è per niente entusiasta di vedere la sorella, al contrario di Daniel, che ora la sta stringendo in un abbraccio quasi paterno.
"Come sei cresciuta! Ma guardati...! Sei diventata un'Intrepida?!" esclama l'Erudito, tenendola per le spalle. Posso sbagliarmi, ma mi sembra che abbia uno sguardo spento, triste, sarà forse invidioso della vita libera di quelli della mia Fazione?

Daniel mi guarda, finalmente, ed io annuisco, non riuscendo a nascondere un sorriso soddisfatto. Sì, Elizabeth è un'Intrepida, più Intrepida di quanto io possa mai diventare.
"E non dirmi che tu sei Samuel! Non ti vedo da troppo tempo, anche tu sei..." comincia Daniel, ma io lo interrompo, incrociando le braccia sul petto e piantandogli il mio sguardo gelido addosso.
"Non sono Samuel." mi limito a rispondere con voce minacciosa, forse anche offesa.
"Lui è Eric, il mio ragazzo." dice Elizabeth allegramente, e alla parola ragazzo lo sguardo di Julia si accende di rabbia. "Eric Coulter, loro sono Julia Ride e Daniel Wolves. Julia Ride e Daniel Wolves, questo è Eric Coulter. Bello, vero? Ne vado abbastanza fiera. Ma non sono venuta qui per presentarvi il mio fidanzato."

"Tu non dovresti essere venuta qui e basta!" urla Julia, i capelli crespi le ondeggiano sulle guance quando lei gesticola per la disperazione. "È illegale! Potresti essere arrestata o..."
"Accusata di insubordinazione, lo so, datti una calmata." dice, facendo innervosire l'Erudita ancora di più. "E per la cronaca, non è illegale, se è un Capofazione ad accompagnarmi." conclude, dandomi una pacca sulla spalla sinistra e guardando soddisfatta la reazione della sorella.
Daniel sembra un tipo tranquillo, perchè sta guardando la scena con un sorriso stampato sulle labbra, come se il ritorno di Elizabeth fosse l'unica cosa che gli è rimasta impressa in mente.
"Vuoi dire che il tuo fidanzato è il Capofazione Intrepido?! Elizabeth!" Julia sbatte con rabbia la cartella che aveva in mano sulla scrivania accanto a lei, provocando un risolino innocente della sorellina, che guarda la scena trionfante.
"Per la cronaca, è stata lei a baciarmi per prima." mi affretto a dire, prima che la colpa venga in qualche modo scaricata su di me.
Daniel ride, battendo il pugno contro quello di Elizabeth come se fossero due fratelli orgogliosi l'uno dell'altro. Effettivamente, lui e la ragazzina sembrano più legati di quanto lei e la sua effettiva sorella non siano. Il ragazzo accende la luce, ed il laboratorio viene inondato da una luce biancastra che dà alla stanza un aspetto leggermente più accogliente.

"Non solo cambi Fazione, disonorando così l'onore della famiglia, ma hai anche il coraggio di presentarti vestita in quel modo fra gli Eruditi, vestita da Intrepida! Cos'è, hai pure un coltello in tasca?" chiede Julia disperata, passandosi una mano sul viso paonazzo di rabbia.
Elizabeth si lascia cadere con un sospiro divertito sulla sedia girevole posizionata dietro la scrivania, e appoggia gli scarponi sul tavolo con non-chalance. Non ci vuole una sua deduzione per capire che si sta comportando in questo modo per innervosire la sorella. E devo dire che è divertente.

Elizabeth sbatte il suo coltellino pieghevole sul ripiano di metallo, producendo un rumoroso clang che lascia interdetta la sua amata sorellona.
"Ovviamente, noi Intrepidi non andiamo mai in giro disarmati. Sai, Julia, per questo coltellino ho cominciato una rissa. Sono la migliore nel combattimento corpo a corpo e vedessi come mi temono, in quella Residenza." dice con voce studiata e teatrale, osservandosi con attenzione le unghie. "Mamma ne sarebbe fiera. Cos'è questa roba?" chiede poi, curiosa come una bambina, prendendo la cartelletta poggiata sulla scrivania, a pochi centimetri da lei.

"Non è roba che ti riguarda! Maledizione..." Julia si china per strappare la cartella di mano ad Elizabeth, ma fallisce miseramente e grugnisce in segno di disprezzo.
"Trapianti di testa?" esclama la ragazza, improvvisamente affascinata. "Avete delle teste incubate da qualche parte?"
"Sì, una decina." le sorride Daniel, guadagnandosi un tacito rimprovero dalla dottoressa furiosa.
"Cosa vuoi, Elizabeth?" ringhia la giovane donna, ed il sorriso schernitore svanisce dal viso della più piccola. Elizabeth passa il polpastrello sul bordo del foglio che ha in mano, lasciando qualche piccola macchia di sangue sulla carta.
Un silenzio di tomba serpeggia fra i presenti, lasciando presagire una risposta tagliente da parte della Candida.
"Sapere perchè la mia famiglia mi evita. Sapere perchè non siete venuti nella Giornata delle Visite." Elizabeth scosta le gambe dal tavolo e lascia cadere pesantemente gli scarponi sul pavimento di marmo, spostando poi i gomiti sul ripiano e incrociando le dita davanti a lei. "Sapere."
Julia ci mette un po' prima di rispondere, ma alla fine, dopo aver preso un profondo respiro, sibila: "Daniel, lasciaci sole." poi si volta verso di me, e per un attimo, in quello sguardo tanto ostile, rivedo Elizabeth. "Anche tu, esci da questa stanza. Ora."

Qualcosa, come una scossa fulminante, mi attraversa tutta la lunghezza della spina dorsale, ed io rimango immobile per un istante. Julia mi ha appena dato un ordine, ed ora mi sta guardando con rabbia pura condensata in due iridi color nocciola. Non voglio obbedire, ma dovrei, in fondo è un'adulta, e gli adulti vanno rispettati. Ma lascerei Elizabeth sola. Però me l'ha ordinato, ed un ordine andrebbe...
"Eric non va da nessuna parte." sbotta la mia ragazza in mia difesa, avendo letto la paura nei miei occhi. La paura all'obbedienza - sì, mi terrorizza ancora. Almeno ora so che non l'ho superata, senza esser costretto ad iniettarmi il Siero della Simulazione come fa Quattro di tanto in tanto. Quel masochista.
"È una questione di famiglia." Julia marca la parola "famiglia" come un insulto.
"E ora proprio tu mi vieni a parlare di famiglia!" lo stupore e l'offesa sono palesi sul volto dell'Intrepida. "Dov'eri tu quando nostra madre mi lanciava oggetti contro per il puro scopo di sfogarsi? Dov'eri quella volta che mi dovettero portare all'ospedale perchè continuavo a sputare sangue per colpa delle botte di mamma? Dove sei stata tutto questo tempo, Julia?" sbraita "Eric è stato più gentile con me in tre settimane di quanto tu non sia stata in dodici anni. Dodici anni, Julia! È lui la mia famiglia. E ciò che dici a me - lo puoi dire a lui."

Il mio cuore manca di un battito. Ripenso mentalmente alle parole che ha appena pronunciato, beandomi del fatto che le ha dette davvero. Non è soltanto una mia fantasia, non è un sogno, Elizabeth l'ha detto davvero: io sono la sua famiglia, io sono tutto ciò che le rimane.
Non posso impedire che i miei piedi di muovano da soli, portandomi alle spalle della piccola Intrepida. Le poggio le mani sulle spalle, stringendo con delicatezza per infonderle coraggio nell'affrontare sua sorella, anche se so che non ne ha bisogno.
Non distolgo lo sguardo dagli occhi di Julia neanche quando sento le sottili dita di Elizabeth accarezzarmi le nocche, in un silenzioso ringraziamento del mio sostegno morale.
"Che cosa ne vuoi sapere, tu del..." sta per dire l'Erudita, ma Elizabeth si punta un dito sotto il mento, guardando con superiorità la sorella. Quest'ultima interrompe la frase a metà ancor prima che la ragazza parli.
La bocca di Julia si contrae dalla rabbia, e il suo sguardo segue quello della sorellina quando si posa su Daniel, che ha appena superato la soglia della porta.

"...dell'amore?" conclude alla fine Elizabeth, lasciando la bocca socchiusa a fine frase e una finta espressione stranita in volto. "Vediamo un po'... Cosa so dell'amore?"
"Non lo fare, Elizabeth." sibila la dottoressa, mentre si toglie gli occhiali per metterli nel taschino del camice, tenendo puntato lo sguardo su di lei. Ha gli occhi grandi come quelli dell'Intrepida, ma molto, molto, meno espressivi dei suoi.
"Sono sicura che è amore quello che vedo negli occhi di Daniel, quando ti guarda. Come ti sorride mentre gli parli, come rimane entusiasta delle tue scoperte anche se non potrebbe interessargli di meno, come cerca di starti il più vicino possibile... Non mi scomoderò a chiederti se ti sia accorta che ti ha fatto scivolare qualcosa nella tasca del camice, quando ti ha toccato la schiena, ovvio che non te ne sei resa conto." Elizabeth ride senza divertimento. "Pensi davvero che abbia scelto gli Eruditi perchè anche lui sogna una vita con la testa china su un microscopio? Conosco Daniel quanto te, forse anche meglio, e non è mai stato un tipo da libri. Si arrampicava sugli alberi più alti e, quando cadeva, ci riprovava con più impegno di prima. Picchiava tutti i bambini del vicinato quando ti facevano un torto."

"Era solo un bambino iperattivo come tanti altri." sbotta Julia, la voce rotta dal turbinìo d'emozioni che deve star provando in questo momento. Qualcosa in Julia si sta sgretolando, che sia il suo cuore o la sua pazienza, lo ignoro.
Un campanello d'allarme suona nella mia testa. Ho come la sensazione che Elizabeth stia superando il limite.

"No. Oh, Dio, no. Daniel è nato Intrepido. Ma ha voluto abbandonare tutto per seguire te, e guarda che cosa ha ottenuto? Una vita infelice, condannato per sempre ad andare dietro a un'incosciente che mette il lavoro davanti a tutto, anche davanti alla sua stessa famiglia." Elizabeth inarca le sopracciglia e schiude la bocca, sporgendosi in avanti come se stesse sussurrando un segreto. Julia si avvicina, con diffidenza e paura. "Guardati, Julia, guarda come disprezzi il mio essere libera, guarda come disprezzi la mia vita sentimentale. Guardati. Hai reso fiera la mamma, ma a che prezzo?"
"Non è bello studiare le persone, te l'ho mai detto? Non è bello perchè... è come sbucciare una mela fino al torsolo." La voce di Elizabeth mi riprorta a quando, quella notte nel mio appartamento, mi aveva detto che non sopportava il suo modo di sfruttare le debolezze delle persone a proprio vantaggio. Ed è quello che sta facendo ora, perchè l'unica debolezza di Julia è proprio Elizabeth: teme la sua libertà, la sua arroganza, la sua spavalderia, ma anche la sua delicatezza, la sua allegria e la sua maturità decisamente insolita, per una sedicenne.

Sento che dovrei fermare il suo flusso inarrestabile di parole, perciò le stringo le spalle con le mani, sperando che capisca che dovrebbe riflettere prima di parlare, specialmente adesso che Julia è sull'orlo del pianto -o di una crisi nervosa-.
"Va tutto bene, Eric." stringe la mia mano, rassicurandomi con lo sguardo. "Anzi, in realtà possiamo andare. Ho già avuto tutte le risposte."
"Ma non ti ha detto nulla." la guardo sorpreso mentre si alza dalla sedia, degnando Julia di uno sguardo altezzoso prima di dirigersi verso la porta.
"Non ce n'è stato bisogno."
Ovvio che no.

Stiamo per oltrepassare la soglia della porta, quando la voce di Julia ci raggiunge alle nostre spalle, tradendo un'evidente impotenza di fronte all'umiliazione ricevuta dalla sorella minore.
"Da quando hai cominciato a fare così." dice, scrollando le spalle, come se non avesse un altro termine per indicare l'incredibile natura intuitiva di Elizabeth. "Ho voluto evitarti. Tutti noi preferivamo evitarti, anche papà." esita qualche secondo, tormentandosi le unghie. "Non so se tu abbia intuito anche questo, sorellina, ma ho adottato un bambino." alza la voce, facendosi sentire dall'altra parte del laboratorio, sapendo che Elizabeth la sta ascoltando, anche se le sta dando le spalle, le mani entrambe poggiate agli stipiti della porta a bloccarmi il passaggio. Vedo i suoi capelli ondeggiare leggermente, mentre la sua testa si volta quasi impercettibilmente da un lato, come a rivolgere una distratta attenzione a sua sorella. "
Si chiama Nathaniel, ha solo tre anni, ma ho intenzione di crescerlo in modo che non diventi come te."

Le dita dell'Intrepida si stringono attorno al legno, così forte che ho paura si possa rompere qualche falange. Non posso vederlo, ma so che il suo viso è contratto ora in una smorfia di dolore. Dopo pochi secondi si rilassa, alza la testa e, senza voltarsi, dice a voce alta:
"Guarda nella tasca del camice, Julia." la sorella maggiore rimane interdetta le un attimo, poi fa come le viene detto e, confusa, tira fuori dalla tasca una scatoletta coperta di velluto azzurro, colore dominante di questa Fazione. Quando lo apre, uno scintillante zaffiro fa la sua modesta figura in cima ad un anello d'argento, e l'Erudita si deve coprire la bocca con una mano per soffocare un gemito di sorpresa.
"Oh, no... Daniel..." mormora, mentre richiude la scatola e la posa sulla scrivania, coprendosi il volto con le mani.
"Sei sicura di voler crescere tuo figlio secondo il tuo modello? Farlo diventare come te?" finalmente Elizabeth si gira, e noto con sorpresa che anche lei ha gli occhi inumiditi dalle lacrime. "Povero Nathaniel, fallo almeno crescere con dei valori."


Detto questo, Elizabeth sfreccia via dal laboratorio a passo veloce, ed io devo quasi correre per starle dietro. Ci lasciamo dietro una Julia piangente e una famiglia distrutta.
Nel corridoio incontriamo Daniel appoggiato ad un muro dello stretto androne, lo sguardo fisso sul suo orologio da polso. Non appena ci vede, ci viene incontro, e immediatamente capisce che qualcosa non va.
Ripenso all'anello di fidanzamento, dono di Daniel per la ragazza di cui è innamorato da chissà quanti anni. Guardo Elizabeth, e lei sembra leggermi nel pensiero. Poi, però, si limita a rispondere: "Lascia fare a me, so cosa devo fare."
"Ragazzi, tutto bene? Sembrate scossi. Dov'è Julia? Vi siete chiarite, spero. Anche perchè ho una cosa da chiederle e non vorrei che fosse di cattivo umore..." il bel viso del giovane si tinge di un delicato rosso, mentre un timido sorriso innamorato gli curva gli angoli della bocca all'insù.
Confido in una risposta delicata, da parte di Elizabeth, una risposta matura, un tono di voce comprensivo e affettuoso, qualche consiglio su come...

"Julia non ti ama. Ha adottato un bambino di tre anni di nome Nathaniel per colmare la carenza d'affetto che tu non puoi soddisfare. Trova la tua richiesta di fidanzamento un intralcio nella sua vita, sapeva perfettamente del tuo innamoramento ma l'ha sempre ignorato. È subdola e tu meriti di meglio. Non perdere tempo con lei." detto questo -con un tono di voce che la fa assomigliare ad un robot- gli dà una pacca sul braccio e, con un piccolo cenno del capo, conclude. "Ti aspettiamo fra gli Intrepidi, dove puoi essere te stesso, oppure una persona diversa."
Daniel, inizialmente, non sembra essere capace di articolare una frase di senso compiuto. O di respirare. L'espressione catatonica, lo sguardo sul pavimento, la posizione ingobbita e abbandonata alla disperazione.
"Adesso fa male, lo so. Ma so anche che sei forte. So che lo sei. So che non sei un Erudito. Daniel, io so chi sei. E so che il tuo posto è accanto a me e ad Eric. Troveremo un modo, mi farò arrestare, se necessario. Farò di tutto, qualsiasi cosa, pur averti di nuovo con me, e non perderti mai più. Ti aiuterò, hai un potenziale che non può essere sprecato in un posto come questo."

Daniel alza lo sguardo e, quando lo fa, una determinazione che prima non c'era gli illumina gli occhi, rendendoli ancora più grandi e quasi minacciosi. La sua postura si raddrizza e la sua mascella si serra in un'espressione dura e seria. Fissa lo sguardo su Elizabeth, che è più bassa di lui di almeno trenta centimetri, per poi stringerla in un forte abbraccio che temo possa spezzarle le ossa.
"L'ho sempre saputo, io, che un giorno mi avresti stravolto la vita." farfuglia, la voce soffocata dal tessuto della felpa della ragazza.
Quando la lascia andare, si avventa contro di me, abbracciandomi e dandomi pacche sulla schiena come se fossimo amici da tempo. All'inizio sono confuso e non ho idea di come reagire, poi incrocio lo sguardo di Elizabeth, e ricambio la stretta con altre pacche sulle spalle.
"Quindi sei il mio Capofazione, ora?" mormora divertito.
"Farò di tutto per esserlo." la gentilezza nella mia voce mi sorprende a tal punto da lanciare uno sguardo interrogativo ad Elizabeth, come a chiederle 'Lo sto facendo bene?'. Lei annuisce, e si mette un mio braccio intorno alle spalle non appena Daniel mi libera dal suo forte abbraccio.
"Sei fortunato, lo sai, Eric Coulter?" chiede l'Erudito, indicando Elizabeth con un cenno del capo.

La ragazza ride timidamente, e fa spallucce quando io abbasso lo sguardo su di lei. I suoi grandi occhi si assottigliano, quasi nascondendo le iridi di quel particolare colore dorato, quando un sorriso soddisfatto le illumina il viso.
Una strana sensazione si irradia dalle mie dita fino poi a tutto il palmo, e incuriosito mi guardo la mano. Elizabeth intreccia le mie dita con le sue, stringendole come se ne dipendesse la sua vita. Chissà se è davvero così.
Abbasso lo sguardo sul pavimento, guardando con distrazione le crepe sulle mattonelle di marmo bianco del Quartier Generale, poi lo rialzo su Daniel, che ora mi guarda con un'espressione simile a quella che ha un padre quando vede suo figlio camminare per la prima volta. Forse, in un certo senso, tutto questo potrebbe essere considerato come un primo passo per aprirmi agli altri.
"Sì." rispondo sorridendo alla piccola ragazza al mio fianco. "Sono il ragazzo più fortunato della città."

 

Angolo dell'autrice:

Be', è da un po' che non scrivo qua!
Siamo arrivati al capitolo n.14, e Dio solo
sa quanto mi riempie di gioia vedere
che alle persone piace ciò che scrivo!
Se la storia vi piace, non esitate a lasciare
anche solo una breve recensione: sarebbe
davvero un piacere leggere cosa ne
pensate della storia ed eventuali dubbi
ai quali sarò felice di rispondere!

Tanti abbracci divergenti!

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Capitolo 15
*** Che vi piaccia o no ***


Capitolo 15 - Che vi piaccia o no



Stamattina mi sono svegliato con un solo pensiero: Jonathan Royston.
Ho curiosato un po' nel computer di Quattro, quando lui non era nel suo ufficio. Certo, avrei potuto utilizzare quello di Max, ma difficilmente il Capofazione si muove dal suo studio, ed inoltre documenti come questi passano prima dal Rigido, che poi dovrà controllarli, aggiornarli e in seguito consegnarli al suo capo.
E poi, la sensazione di superiorità che ho provato nell'invadere la privacy di Eaton è stata alqualnto appagante.

Il concetto di password di Quattro è molto astratto. Ne ha almeno sette. E tutte e sette sono "Abneganti".
Volevo vedere se Jonathan avesse qualche dato compromettente con cui avrei potuto incriminarlo. Volevo accusarlo di qualcosa, qualsiasi cosa, per poi mandarlo in prigione o per strada insieme agli altri Esclusi -e quindi aiutare Elizabeth a scalare la classifica e toglierle un problema dalla testa-, ma qualcos'altro ha catturato la mia attenzione.
Il fatto che la Simulazione di Jonathan fosse la migliore (classificata, appunto, al primo posto) era un fatto noto ormai a tutti. Il ragazzo ha impiegato sette minuti e ventinove secondi per finire la prova e ritornare alla realtà, ma non è questa la cosa straordinaria.

Una delle paure di Jonathan è quella di essere schernito in pubblico, e quindi umiliato. La prima cosa che ho pensato, quando controllavo i dettagli della sua Simulazione, è stata che deve sentirsi davvero terrrorizzato quando Elizabeth è nei dintorni, dal momento che la Candida non fa altro che lanciargli frecciatine e prendersi gioco di lui ogni volta che ne ha l'occasione.
Poi, però, ho smesso di ridere e fantasticare su Elizabeth quando ho notato, accuratamente nascosto in mezzo ad una miriade di cartelle e documenti, un file rinominato con la parola "Anomalia" che, in quel momento, mi è saltata agli occhi come la luce di una torcia in una stanza buia.

Anomalia, mormoravo pensoso, mentre aprivo la cartella e aspettavo che il file si caricasse. Le informazione contenute in quel file hanno acceso in me un'inimmaginabile gioia e, allo stesso tempo, vergogna e disprezzo per me stesso, che stavo per ripetere l'errore che mi ha torturato ogni giorno -e soprattutto ogni notte- per più di un anno.
Il documento citava le seguenti parole:

"Nome: Jonathan Royston
Età: 16
Fazione di nascita: Intrepidi
Fazione attuale: Intrepidi
Problematica: Anomalia riscontrata durante la Prima Simulazione

Descrizione della problematica: La quinta paura dello Scenario di Jonathan Royston comprendeva una numerosa folla di giovani ragazze e ragazzi, intenti a prendersi gioco del soggetto e deriderlo, beffeggiandolo con insulti e battute. Il soggetto era visibilmente turbato e infastidito da tali atteggiamenti. L'anomalia si è riscontrata nel momento in cui Jonathan Royston ha fatto sì che
una pistola (arma simile a quelle utilizzate durante gli allenamenti) comparisse dal nulla  su un tavolo, anche questo oggetto partorito dalla sua stessa mente, e non ostacolo prefissato della Simulazione.
Non è il primo episodio individuato della Simulazione: nel corso dello Scenario, altri casi come questi si sono ripetuti.
Il soggetto richiede ulteriori studi.
"

Ho stampato il documento, e l'ho conservato sotto il materasso del letto del mio appartamento.
Non sono sicuro di volerlo fare, accusare Jonathan di essere un Divergente davanti a Max, il Capofazione che potrebbe sbatterlo fuori dalla Residenza senza nemmeno dargli la possibilità di salutare i suoi genitori. Accusarlo potrebbe essere la soluzione a molti problemi: Elizabeth avrebbe meno rogne con cui convivere, la sua ansia diminuirebbe, diventerebbe più aperta nei confronti degli altri, ora che non devono stare incollati a Jonathan come cani fedeli e adulare ogni sua impresa.
Quando ci penso meglio, mi rendo conto che tutti i problemi che si risolverebbero andrebbero solo a beneficio di Elizabeth. E quando mi rendo conto che sto per rovinare la vita ad un ragazzo per migliorare quella di un'iniziata, è troppo tardi.

In un battito di ciglia, il volto bruno di Amar mi si para davanti. I lunghi capelli neri raggruppati in dreadlock sporchi di sangue e sparpagliati a ventaglio intorno alla testa, gli occhi scuri socchiusi, come se stesse dormendo, e la bocca serrata in un'espressione dura. È questo l'ultimo ricordo che ho di Amar Frampton, il giovane uomo che mi ha aiutato a sopravvivere alle Simulazioni.
Se lo meritava davvero? Essere accusato di cospirare contro i suoi superiori? Essere accusato di essere Divergente?

La risposta già la so. Ed è questo che mi tormenta tutti i giorni.
Quando non hai la risposta ad una domanda, ti viene facile cercare il ragionamento più logico per trovarla, magari scervellarti un po' perchè muori dalla curiosità di volerla scovare. Ma, nel mio caso, non c'è bisogno di nessun ragionamento. Nel mio caso so che la risposta non mi piace per niente, e allora la ignoro.
Ignoro tutto quello che è successo. Tutto quello che ho fatto.
Però non lo dimentico. Non potrei mai.
Sono pensieri del genere, la coscienza di aver compiuto gesti tanto ignobili e rivoltanti, che mi convincono del fatto che non potrò mai cambiare ed essere una persona normale, un ragazzo di cui poterti fidare, con cui poterti sfogare, con cui anche semplicemente parlare.

Intorno a me la confusione della mensa aumenta, e le voci e le urla degli Intrepidi si accavallano le une sulle altre, tant'è che pensare diventa quasi difficile. Quasi.
Al mio tavolo, Samuel Remak e Alice Bythe -nel curiosare nel computer di Quattro mi sono preso la briga di imparare i cognomi dei miei iniziati- stanno discutendo animatamente su alcuni compagni che si trovano sotto la linea rossa nella tabella del secondo modulo. Richard Knowlton interviene poche volte, fissando i due ragazzi con i suoi occhi verdi dalla forma spiovente.
Anche Elizabeth interviene, più spesso rispetto all'Erudito, esprimendo le sue opinioni -stranamente positive- su un certo Aaron Soberman, un interno che fino ad oggi si è rivelato un individuo tranquillo e curiosamente piacevole. Inoltre, si è classificato terzo durante il primo modulo. Ho sempre avuto una certa simpatia per i più forti.
Tranne Jonathan, ovviamente.

I gomiti mi fanno male: li ho tenuti appoggiati sul duro legno del tavolo per parecchi minuti, le mani intrecciate davanti a me, le labbra che appena sfiorano le mie dita segnate da piccoli tagli e cicatrici. Non ho detto una sola parola, da quando mi sono seduto, Quattro deve averlo notato.
Tengo gli occhi chiusi, perchè tutti questi pensieri mi fanno girare la testa, e un singolare bruciore mi sta tormentando la gola, diffondendosi per poi provocandomi un doloroso pizzicore al naso.
Penso che sia la voglia di piangere. Per la prima volta dopo anni.
Ma anche solo l'idea di un tipo come me che piange mi fa ridere. Sarebbe ridicolo. E da deboli, soprattutto.
Però Elizabeth piange spesso.
Ed Elizabeth è tutto tranne che debole.

Sento il tocco caldo e delicato della Candida, seduta accanto a me a distanza di sicurezza, sfiorare il mio ginocchio da sotto il tavolo. Apro gli occhi pigramente, voltandomi quasi impercettibilmente verso di lei, cercando di farmi scudo con le mani ancora intrecciate davanti al mio viso. Gli altri sembrano troppo impegnati nella loro conversazione per badare a noi, ma la sicurezza non è mai troppa.
Elizabeth aggrotta le sopracciglia in una tacita domanda, come se chiedesse: "Cosa c'è che non va?".

Sospiro, sapendo che non posso mentirle riguardo al mio umore. A lei importa davvero.
Ritira la mano dalla mia gamba per portarsela sotto il mento, e fissa i suoi occhi mozzafiato sui miei, affamata di risposte e spiegazioni. È così bella che quasi mi fa dimenticare di essere in mensa, circondato da persone che potrebbero vedere questo nostro intenso scambio di sguardi in qualsiasi istante.
Purtroppo, però, non potrei mai dimenticarmelo.

"Sono stanco." bisbiglio distrattamente, sotto i suoi occhi sempre più esigenti, sfiorando con lo sguardo l'intera sala e particolar modo i ragazzi seduti al nostro tavolo. Ma Elizabeth sa che la mia non è una stanchezza fisiologica. Sa che non ho bisogno di riposare o dormire. Elizabeth sa che sono semplicemente stanco di fingere. Fingere di non sopportare la sua presenza quando vorrei soltanto prenderla fra le mie braccia, umiliarla ed odiarla quando invece non posso stare senza di lei.
La Candida annuisce e posa lo sguardo sul suo piatto vuoto. Lo rialza in fretta, aprendo i suoi enormi occhi dopo aver preso un profondo respiro.
"Ho bisogno della vostra attenzione." dice, e la sua voce si confonderebbe a quelle degli iniziati del tavolo, se non fosse che lei è Elizabeth e le sue parole ammutoliscono sempre tutti, cessando qualsiasi conversazione. "Tutti quanti."

I tre iniziati alzano lo sguardo sulla ragazza, abbandonando la loro discussione e guardandola con un'espressione di pura perplessità dipinta in viso. Anche Quattro, seduto alla destra della Candida, si volta verso di lei con un sopracciglio alzato e la bocca serrata , distogliendo l'attenzione dal cibo nel suo piatto.
Appoggio gli avambracci sul bordo del tavolo, e fisso gli occhi sul bicchiere davanti a me.
Tutti aspettano che la ragazza parli. Elizabeth esita soltanto un momento, poi la determinazione ricompare nella sua espressione, ora quasi austera.

"Io ed Eric stiamo insieme." dice, con voce sicura e profonda, scandendo ogni parola in modo che sia chiaro a tutti quelli seduti al nostro tavolo. Elizabeth prende una forchetta e ci giocherella nervosamente con fare disinvolto. Per qualche motivo, il suo sguardo si fa più tagliente quando si posa su Samuel. La ragazza lo indica con un piccolo movimento della posata. "Che vi piaccia o no."

Stringo gli occhi e la bocca per un attimo, come se fossi attraversato da uno spasmo di dolore. Poi mi rilasso. Sono bastate poche parole per farmi provare l'emozione più intensa della mia vita, più intensa di quando Elizabeth mi ha baciato sotto la quercia, più intensa di quando l'ho vista spogliarsi davanti a me.
Tutto ciò che abbiamo tentato di tenere nascosto per giorni e giorni, tutti i nostri sforzi e i nostri sacrifici... Tutto svanito nel giro di pochi secondi.

In mensa il frastuono è tale che mi è quasi difficile sentire quello che la Candida dice. Ma, al nostro tavolo, il silenzio è devastante, teso come una corda di violino.
Samuel contrae la bocca, ostentando rabbia e -probabilmente- delusione. Il mondo del Candido si sta sgretolando proprio davanti a lui, ed io mi sorprendo a non trarre piacere dai suoi occhi appena lucidi e dai suoi pugni stretti sul bicchiere che si sta leggermente deformando sotto la forza delle sue dita.
Alice non ha un'espressione diversa, solo che la sua tende più al "Penso di poter svenire da un momento all'altro" che alla minaccia di un'imminente esplosione di rabbia. Richard è forse quello meno terrorizzato: ha gli occhi spioventi spalancati e la bocca socchiusa, chiaramente sorpreso, ma non riesco a trovare traccia di sgomento o preoccupazione per l'amica nel suo volto dalla pelle olivastra.

L'espressione di Quattro, seduto accanto alla Candida, è esilarante, nonostante la l'atmosfera tesa e carica di elettricità. Ha un sopracciglio alzato, l'altro aggrottato, gli occhi chiusi a fessura come se stesse cercando di capire se Elizabeth stia scherzando o meno, e le labbra schiuse. Sul suo viso, più che rabbia, leggo incredulità. Pura incredulità.

Elizabeth sta torturando il tavolo con la forchetta, segnando tanti piccoli fori sulla superfice lignea. La ragazza non sembra essere a disagio neanche un sesto di quanto lo sono i suoi commensali, al contrario, il suo bellissimo volto è indifferente alla situazione, come se non avesse rivelato ciò che tenevamo segreto da settimane, ma avesse informato i suoi compagni di un fatto da nulla.

I capelli le ricadono sul viso, e lei li scosta mentre alza lo sguardo su di me. Ci guardiamo per pochi istanti, sotto gli sguardi increduli, spaventati, furiosi degli iniziati e di Quattro, poi lei sorride e i suoi occhi si assottigliano e brillano di una luce mai vista prima nel momento in cui un ampio sorriso le si forma sulle labbra.
Non riesco a non ricambiare con un sorriso appena abbozzato.

"Cosa vuol dire che state insieme?" chiede Alice con un filo di voce, chinandosi in avanti per farsi sentire meglio.
"Nell'unico senso possibile. Stiamo insieme. Lui è il mio fidanzato, io sono la sua fidanzata." Elizabeth apre leggermente i palmi delle mani, come ad affermare un'ovvietà. Non riesco a togliermi lo sguardo inceneritore di Samuel di dosso. "Non c'è nulla da capire."
"Ma voi due vi odiate!" esclama Richard, quasi ridendo.
"Era tutta scena." rispondo con voce roca senza pensarci, tracciando con il polpastrello una linea invisibile sul bordo del mio bicchiere.
"E i continui rimproveri?"
"Scena."
"E la punizione dell'altro giorno? Quando l'hai trascinata fuori dalla mensa?" mi chiede Alice sull'orlo della disperazione.
"Scena." faccio spallucce, evitando di incontrare gli occhi ambrati della Pacifica.

Segue un lungo silenzio. Gli sguardi degli iniziati guizzano da me ad Elizabeth, che ora ha le braccia conserte sul tavolo e studia la reazione di tutti. Alla fine ride debolmente, e la sua voce cristallina si confonde con il chiasso della mensa.
Appoggia la mano sulla mia, con la quale stavo tormentando i rebbi di una forchetta, ed al suo tocco mi irrigidisco.
Non sono ancora abituato ai contatti fisici in pubblico, e lei lo sa, per questo mi accarezza le nocche della mano destra con il pollice, tracciando piccoli cerchi dai quali si irradia un'invisibile scia di calore.

Ora tutti gli occhi sono fissi sulle nostre mani, una sopra l'altra. Persino Quattro, che ancora non ha cambiato espressione, si sporge oltre Elizabeth per osservare quel che a me sembrava essere un gesto impensabile fino a ieri.
Elizabeth mi guarda, i suoi occhi sono pieni di affetto e, non vorrei sbagliarmi, sembra quasi fiera di me.

Sento un grugnito furioso e, quando mi volto, Samuel si è già alzato e ora si sta dirigendo fuori dalla mensa a grandi falcate, ondeggiando le spalle per schivare coloro che si mettono sulla sua strada. Inconsciamente, cerco di ritirare la mano da sotto quella di Elizabeth, ma lei, al contrario, la stringe, come se mi stesse pregando di restare.
La ragazza sospira, tutti gli sguardi sono puntati sul suo piccolo visino freddo e deluso dalla reazione di Samuel. Si volta alla sua destra, verso Quattro, e alza lo sguardo per incontrare i suoi occhi blu notte.

"E tu?"  la voce ferma non vacilla sotto il peso delle sue stesse parole. "Non dici nulla?"
"Cosa vuoi che dica?"
"Non vuoi esprimere un tuo giudizio, come hanno fatto loro?" la Candida indica con un debole gesto della mano Alice e Richard. Poi indica il posto vuoto dove poco prima era seduto il Candido. "O lui?"
"Elizabeth..." comincia, strizzando gli occhi come se stesse facendo uno sforzo enorme a parlare. Segue Samuel con lo sguardo, prima di tornare a fissare la ragazza. "Senti, a me non importa. Non devi cercare il consenso degli altri, nè tantomeno il mio. Per me puoi stare con chi ti pare e piace." i nostri sguardi si incontrano da sopra la spalla di Elizabeth. "Anche se si tratta di uno come Eric."

"Be', è incoraggiante." mormoro senza troppa convinzione, non rivolgendomi a nessuno in particolare.
"Ma secondo me dovresti andare a parlargli." conclude, indicando con un cenno del capo il Candido dal cuore spezzato che si confonde con la folla in movimento.
"Per dirgli cosa?"
"Qualsiasi cosa."

Elizabeth ride debolmente, mentre prende un sorso dal suo bicchiere.
"Non dovreste darmi carta bianca."
"Elizabeth!"
"E va bene!" esclama esasperata, roteando gli occhi al cielo.

Quando Elizabeth si alza e sparisce a sua volta fra la folla di Intrepidi vestiti tutti allo stesso modo, io non oso proferire parola. Dopotutto, non c'è nient'altro da dire. Se non che mi sento quasi in colpa: Samuel era uno dei pochi amici di Elizabeth, e a causa della nostra relazione ho rovinato tutto. Senza contare, poi, che Alice non sembra essere entusiasta della notizia.
"Dovresti andare anche tu." mi dice all'improvviso Quattro, la sua voce è così bassa che faccio fatica a sentirla.
"Non penso che ad Elizabeth farebbe piacere."
"E da quando ti preoccupi di cosa fa piacere a lei?" chiede ridendo, anche se dubito che la cosa lo diverta davvero. Mi volto e lo fulmino con lo sguardo.
"Da quanto stiamo insieme, non pensi?" la risposta sembra ammutolirlo per qualche istante. Anch'io rimango in silenzio, ignorando lo sguardo di Alice che è ancora fisso su di me. "Però forse hai ragione." dico velocemente mentre mi alzo, abbandonando il mio tavolo per attraversare la mensa che brulica di Intrepidi.

Ci metto un po' a capire dove si siano cacciati i due Candidi. Poi, però, dopo qualche minuto di camminata nei freschi tunnel della Residenza, una voce alta, ora distorta da un preoccupante tono furioso, si propaga e rieccheggia fra le fredde pareti della Fazione, ed il mio primo pensiero va subito ad Elizabeth.
Non voglio che affronti Samuel da sola: non lo conosco, e non ho idea di come potrebbe reagire.

Mi affretto a seguire la fonte della voce, stando attento a correre poggiando il peso sui talloni in modo da fare meno rumore. Quando finalmente capisco da dove proviene quello sbraitare senza sosta, mi trovo davanti al dormitorio degli iniziati. Appoggio le mani sulla gelida parete e mi sporgo leggermente per sbirciare all'interno.
Il dormitorio è un'enorme stanza dai muri tinti di grigio scuro, dove ricorrono più e più volte i simboli della Fazione. Una ventina di letti corrono sulle pareti, alcuni sono rifatti, altri sono disordinati e le lenzuola penzolano dal bordo.
Alla fine li vedo, al centro dell'ampio corridoio che separa le due file di letti, non troppo vicini per vedermi, ma non così lontani da impedirmi di origliare.

"Pensavo fossi migliore di così, Elizabeth!" sta urlando Samuel, la voce roca che si spezza quando pronuncia il suo nome. Non ci metterei le mani sul fuoco, ma sembra sul punto di scoppiare a piangere. Grida così forte che le sue parole mi arrivano chiare e concise, e vorrei non lo facessero, perchè una rabbia incontrollabile sta correndo nelle mie vene.
"Così come?" grida di rimando la ragazza, la schiena poggiata su una delle colonne che separa la sezione dei letti da quella delle docce.
"Mi stai prendendo in giro?!" il Candido spalanca le lunghe braccia, in un chiaro gesto esasperato. "Da quanto tempo è che va avanti questa storia?" 
Elizabeth esita prima di rispondere, e quando lo fa la sua voce si abbassa di parecchio.
"Settimane." incrocia le braccia sul petto, e sul suo volto compare un gelido sguardo di sfida.

Le spalle di Samuel cedono, assumendo una forma spiovente mentre abbandona le braccia lungo i fianchi, esausto. Schiude la bocca  e per un attimo si volta da un'altra parte, come se stesse cercando qualcun altro nella stanza, come se ci fosse qualcuno che possa fornirgli una spiegazione.
"Settimane..." ripete il Candido, a voce così bassa che per un momento penso che non abbia aperto bocca.
"Mi puoi dire qual è il problema? So che Eric non ti è mai piaciuto, ma-"

"No, Elizabeth!" la voce di Samuel si alza improvvisamente e la ragazza sussulta. Vorrei intromettermi e separarli, minacciando Samuel e dirgli di non provare mai più a spaventare la mia ragazza in questo modo. Invece non lo faccio, ed osservo il giovane Intrepido che fissa Elizabeth con gli occhi che brillano per le lacrime sotto la forte luce del dormitorio. "A me non piace la matematica, a me non piace lanciare coltelli, a me non piace il cibo della mensa. Ma Eric? Eric lo odio. C'è una gran differenza fra il non farsi piacere qualcuno ed odiarlo!"

Elizabeth tace. La sua piccola figura non arriva neanche alle spalle di Samuel, ma in questo momento mi sembra comunque più forte di lui. Una delle sue amicizie più forti si sta disfacendo per colpa dei miei sentimenti nei suoi confronti, eppure lei sembra avere tutto sotto controllo. Dovrei sentirmi in colpa, ora, ma di certo non lascerei che Elizabeth venga corteggiata da un individuo così senza personalità come Samuel Remak.

"Eric mi rende felice." è l'unica cosa che dice, e la sua affermazione mi colpisce per la seconda volta nell'arco di una giornata. La prima è stata quando ha rivelato che io ero la sua famiglia di fronte a sua sorella, e ricordo che in quel momento mi sono sentito invincibile, immortale, completo. "Forse non ne sono innamorata, forse non lo è neanche lui. Ma per come stanno le cose adesso, voglio restare con lui, e non capisco come tu possa..."
"«Non capisco» di qua, «Non capisco» di là!" sbraita, interrompendola bruscamente. "Capisci cose impossibili, eppure non capisci che io ti amo da quando eravamo piccoli, Elizabeth!"

L'espressione della ragazza muta di colpo. Il suo viso perde colore e lei spalanca gli occhi, la sua maschera di indifferenza si frantuma lasciando spazio alla reazione più spontanea che abbia mai visto sul suo volto angelico. Elizabeth è sconvolta, ma lei cerca di nasconderlo, o almeno di contenere la sua sopresa.
Si passa una mano fra i lunghi capelli, e quando le ricadono sulle spalle il suo sguardo si addolcisce appena.
Dev'essere dura, ora, per Samuel, avere davanti Elizabeth bella come non mai, e sapere che i suoi splendidi occhi cercano quelli di un'altra persona, e mai i suoi. Che le sue dita già si intrecciano con quelle di un ragazzo, e che il fortunato non è lui. Che le sue labbra hanno assaporato quelle di un altro, e che mai sfioreranno le sue.
La Candida fissa il pavimento.

"Ed è ovvio che tu non provi la stessa cosa." Samuel dà il colpo di grazia, la voce distorta dallo struggente sentimento che è finalmente riuscito a condividere con la sua amata, e la bocca della ragazza si storce in una smorfia di dolore. Quando lei rialza lo sguardo, l'angolo della sua bocca accenna appena un movimento verso l'alto, ed io riconosco il particolare sorriso triste di Elizabeth che di solito è accompagnato da qualche lacrima.

"Tu non mi ami Samuel. Lo pensi e basta. Tu non potresti mai amarmi." Elizabeth fa distrattamente un passo indietro, sfiorando con lo sguardo il dormitorio per poi fissarlo di nuovo sul Candido. "Nessuno potrebbe, forse neanche Eric."
"Ma io ti conosco da quando sei nata! Sono stato io quello che ti è stato accanto per sedici anni! Io quello che ti separava dalle risse! Io quello che ti copriva raccontando balle a tua madre quando tu sgattaiolavi fuori casa la notte per andare in giro per la città! Io dovrei essere accanto a te, io dovrei essere il tuo ragazzo! Non un individuo tutto muscoli e minacce che in poche settimane mi soffia il posto!"

Elizabeth sembra non respirare. Ora sul suo viso sembra essere ricomparsa la sua solita espressione severa e il suo sguardo pericolosamente tagliente. Contrae la bocca, come se nelle sue ossa si fosse insidiata una furia incontrollabile che minaccia si liberarsi e travolgere il povero Candido.

"Quel posto non è mai appartenuto a te." sibila in preda al disgusto "Non è mai appartenuto a nessuno. Il fatto che tu abbia dato per scontato che dopo tanti anni di amicizia sarei caduta ai tuoi piedi, la dice lunga su quanto tu mi conosca. Dici di amarmi, dici di conoscermi. Ed io ti assicuro, Samuel, che tu non hai mai fatto nè una cosa nè l'altra."
Le sue parole colpiscono Samuel come una pugnalata al cuore: la sua espressione muta da una alterata ad una di totale sconforto, come se avesse corso una lunga e faticosa maratona e alla fine qualcuno gli avesse detto che non è riuscito a conseguire la sua tanto bramata vittoria.
Poi, però, le sue guance si infiammano di colpo, e in pochi istanti il suo viso si accende di rabbia, come un incendio che parte da una manciata di foglie secche e cresce tanto da bruciare un bosco intero.

"Non ti voglio mai più vedere." ringhia il Candido, la sua voce rotta dal pianto imminente mi fa uno strano effetto. "Neanche se fossi l'ultima Intrepida della Residenza. Stammi lontana. Non voglio vederti mai più."
"Sarà complicato, dato che sediamo allo stesso tavolo ogni giorno."
"Mi sono stancato del tuo sarcasmo, Elizabeth!" grida, a voce così alta che ho paura che qualcun altro oltre a me possa accorrere alle sue urla. Non ho mai sentito nessuno gridare in maniera così disperata, ed il fatto che la prima volta si sia verificata con Samuel mi confonde. Dopotutto, non avrei mai potuto immaginare che avesse così tanta aria nei polmoni: Samuel, il ragazzo che in mensa non parla mai.

Sento passi provenienti dall'interno del dormitorio che si avvicinano all'ingresso, quindi mi affretto a nascondermi dietro l'angolo più vicino, che mi permette comunque una vista e un udito relativamente ottimali. I passi sono così pesanti che li collego subito al Candido.
Quando, improvvisamente, si fermano, mi sporgo e la mia testa fa capolino da dietro il muro. Samuel è in piedi vicino alla porta dove poco prima stavo origliando, lo sguardo rivolto verso l'interno della grande sala degli iniziati.
"Sai, a volte penso che non avrei mai voluto incontrarti." dice, rivolgendosi ad Elizabeth. "Forse ho sbagliato a diventare tuo amico."
Detto questo, il ragazzo sparisce nei tenebrosi tunnel della Residenza e la sua sagoma si confonde con le ombre che le debole luci azzurrine proiettano sui muri.

Aspetto qualche secondo, poi mi dirigo a passo cauto e lento verso il dormitorio. Appoggio distrattamente una mano sullo stipite di pietra della grande porta a due battenti.
Faccio appena in tempo a vedere Elizabeth che si accascia esausta sul letto più vicino, sedendosi sul bordo e prendendosi la testa fra le mani.
Sono indeciso se parlarle o no, ma alla fine le mie gambe si muovono da sole, portandomi proprio di fronte a lei.

La Candida non sembra aver sentito i miei passi, e quindi, quando si accorge della mia presenza, sussulta e tira su col naso, sorridendo debolmente.
"Ehi..." mormora, senza che quel sorriso abbandoni le sue labbra, prendendomi la mano.
Mi abbasso, inginocchiandomi di fronte a lei in modo che i suoi occhi lucidi e arrossati siano alla mia stessa altezza.
"Hai sentito tutto, vero?" si sposta i capelli da un lato e li raccoglie in una treccia fatta da dita sottili e tremanti.

"Mh-hm." rispondo affermativamente, infilandomi fra le sue gambe e cingendole i fianchi con le mani. "E sono fiero di come hai affrontato la situazione."
"Gli ho spezzato il cuore. Era il mio migliore amico." dice lei a voce bassa, giocando con il bordo della mia giacca.
"Non sarebbe stata un'amicizia duratura, prima o poi sarebbe scoppiato. Forse è successo in un contesto spiacevole ma... È successo, ormai."
"Forse hai ragione..." mi tira a sè, ed io appoggio la testa sul suo petto mentre lei mi accarezza i capelli.

Restiamo così per un po', finchè una voce roca non arriva alle nostre orecchie. Alzo la testa di scatto allarmato e mi stacco immediatamente dall'abbraccio, colto in un gesto tanto intimo con Elizabeth, e mi volto verso la porta. La Pacifica corpacciuta è sulla soglia dell'ingresso del dormitorio, con un'espressione che oscilla dal terrore alla confusione. 
"Ho interrotto qualcosa? Ho sentito un bel po' di rumore..." chiede avvicinandosi a noi, buttando la giacca su un letto.
"C'è stata una discussione, ma ora va tutto bene." dice Elizabeth prima di alzarsi e andare incontro all'amica. Entrambe si fermano a pochi passi da me.

Mi siedo sul letto, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e tenendo la testa bassa come se fossi colpevole di quel gesto così affettuoso e spontaneo.
"Vorrei parlarti un minuto." non riesco a vedere Alice, perchè sono troppo impegnato a fissare il pavimento, però posso sentire il suo sguardo sulla mia nuca. "Da sole."
"Non c'è bisogno che Eric..."
"No, ha ragione." interrompo Elizabeth e alzo gli occhi verso la Pacifica, che ora mi guarda sbalordita, sorpresa dal mio intervento. "Avete bisogno di parlare fra voi due, ammesso che ci sia niente da dire."

Mi alzo e passo di fronte ad Elizabeth senza voltarmi per guardarla. Quando ormai penso di essere sfuggito alla tensione di quell'atmosfera, la mia ragazza mi afferra per un polso e mi guarda con espressione preoccupata, in una silenziosa richiesta di rimanere.
"Va tutto bene." le sussurro, sperando che Alice non mi senta.
Elizabeth mi guarda, sotto questa luce nei suoi occhi esplodoro innumerevoli striature di rosso, dorato e castano, incastonati come due pietre preziosissime e tristi su un viso pallido e magro.
"Ci vediamo dopo?" chiede a mezza voce, tanto bassa che capisco cosa ha detto solo dal movimento delle sue labbra.
"Ci vediamo dopo." le confermo.

Lancio uno sguardo ad Alice, che sta fissando la scena mentre si morde l'unghia del pollice, le braccia incrociate sul petto e visibilmente nervosa. Quando i nostri occhi si incontrano, uno spasmo mi fa chiudere la mascella di colpo, rendendo i miei lineamenti più spigolosi.
Elizabeth mi guarda, poi guarda l'amica, e lì il suo sguardo rimane finchè la Pacifica non balbetta una risposta.
"Se volete... Baciarvi, fatelo ora." borbotta velocemente, mentre si gira per darci le spalle.

Elizabeth si alza sulla punta dei piedi, e si tiene saldamente alle mie braccia mentre mi stampa un lungo e tenero bacio. Quando Alice si volta, Elizabeth non ha ancora staccato le sue labbra dalle mie.
La ragazza ha un sussulto, e si porta una mano al petto, all'altezza del cuore, come se potesse avere un infarto da un momento all'altro. La sua reazione è stranamente esilarante, ed io non riesco a nascondere un sorriso divertito, mentre la Candida soffoca una risata contro il mio petto. Le accarezzo i capelli con una mano, senza staccare gli occhi dalla sua amica corpacciuta.

"Cos'è, Pacifica, ne vuoi uno anche tu?" dico sorridendo, peggiorando la situazione e mandando in tilt il cervello della ragazza.
"Cosa...! NO! Devo ancora abituarmi all'idea di... del vostro... Sì, insomma, di questo!" esclama, aprendo le braccia in nostra direzione.
Lascio andare Elizabeth, che affianca l'amica e le posa una mano sulla spalla come a confortarla in seguito ad un tragico trauma.
"Già." dice, mentre mi lancia un ultimo sguardo fugace. "Anche noi." 

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Capitolo 16
*** L'esca ***


Capitolo 16 - L'esca





Le parole scritte sul foglio di carta che stringo fra le mani si confondono sotto ai miei stessi occhi, rendendomene quasi impossibile lettura. Ho in mano il documento che potrebbe significare la fine della vita di Jonathan, e all'inizio ero così convinto di volerlo consegnare a Max che l'idea di ripensarci un istante non mi ha neanche sfiorato l'anticamera del cervello. Ora, invece, non sono più sicuro di voler ripetere lo stesso errore due volte. Sto ancora affrontando le conseguenze dell'accusa contro Amar, non posso permettermi di aggiungere un altro peso al fardello.
Nascondo di nuovo il documento fra il materasso e la rete del letto, e mi siedo sul bordo ad aspettare che Elizabeth ritorni dalle sue Simulazioni giornaliere, i gomiti sulle ginocchia e le mani intrecciate fra di esse.

Il caldo sole del primo pomeriggio proietta lame di luce che entrano dalla finestra dell'appartamento, ed io riesco a vedere l'agile pulviscolo che danza leggiadro fra i fasci luminosi. Lascio che la luce riscaldi la parte destra del mio viso per qualche secondo, ad occhi chiusi, godendomi il suo tepore e la sensazione di tranquillità e pace che mi trasmette.
Mi alzo, e con una falcata raggiungo l'infisso vicino, appoggiando gli avambracci sul davanzale e dando un'occhiata all'esterno. Nonostante la Residenza sia stata costruita parzialmente sotto terra, alcune stanze si trovano più il altro rispetto ad essa, ad esempio l'appartamento di Quattro e il mio.
Ho chiesto esplicitamente una stanza al di sopra dei tunnel, in modo da potermi godere paesaggi stupendi come quello della città illuminata dal mite sole primaverile... E, be', certo, per saltare fuori dalla finestra in caso di emergenza.

L'aria è fresca e decido di restare senza maglietta, finchè sono nel mio appartamento, non potrei sopportare l'indossare una giacca di lana o una maglietta aderente in una giornata come questa. Ammesso che me ne sia rimasta qualcuna, dal momento che Elizabeth sembra essersi appropriata del mio vestiaro e non pare aver intenzione di rendermelo.
Mi guardo allo specchio appeso alla parete opposta a quella del letto, e mi sorprendo a sorridere. Cerco di far sparire quell'espressione ebete dalle labbra, ma non ci riesco: il pensiero di quella piccola Candida mi fa sempre questo effetto.
Faccio scivolare lo sguardo su ciò che è riflesso alle mie spalle, ovvero il letto -sopra il quale arde il dipido delle fiamme Intrepide- e il comodino. Qualcosa, su di esso, emana un chiaro bagliore.
Aggrotto la fronte, mentre mi volto dando le spalle all'Eric riflesso nello specchio, quello che sorride come un ragazzino quando pensa alla fidanzata.

Quando mi avvicino al comodino, mi accorgo che il bagliore proviene dalla luce solare riflessa sul coltellino ripiegato di Elizabeth, che evidentemente ha dimenticato in stanza l'ultima volta che è stata qui. Ovvero stanotte.
Stanotte è stata diversa dalle altre. Sapevamo che potevamo essere molto più tranquilli, che ci eravamo entrambi tolti parte di un grande peso dalla testa e dal cuore. Potevamo baciarci e accarezzarci senza sentirci in colpa e senza sentirci in dovere di dare spiegazioni a qualcuno.
Infilo il coltellino in tasca anteriore dei pantaloni e mi stendo sul letto, guardando il soffitto finchè, una ventina di minuti più tardi, non arriva Elizabeth con in mano una mela. Chiude la porta, dando solo una mandata.

Mi alzo per andarle incontro, ma lei si irrigidisce e non accenna a muoversi. Mi fermo di colpo, temendo che sia successo qualcosa con le Simulazioni, forse non le ha passate stavolta, forse ha avuto una ricaduta.
Quando, però, vedo che i suoi grandi occhi ambrati non si incontrano con i miei neanche per sbaglio, mi rendo conto troppo tardi di non avere una maglietta indosso, e che il suo sguardo è incollato al mio fisico illuminato dalla calda luce del sole.
Non riesco a trattenere una debole risata, quando vedo che lei si accorge delle sue guance in fiamme e cerca di ricomporsi, invano, tentando di guardare qualcos'altro nella stanza. Ma mi pare di capire che, ai suoi occhi, non ci sia nulla più importante di me, in questo momento. Ed il pensiero mi fa sentire strano.

Elizabeth si avvicina, lanciando la mela sul letto ed entrando nella pozza di luce disegnata sul pavimento di legno. Si morde distrattamente l'interno della guancia, lasciandolo subito andare per alzare lo sguardo su di me e sussurrare, con un filo di voce:
"Posso...? Voglio dire... Ti darebbe fastidio se...?" muove senza convinzione le mani verso di me, ma le ritira quasi immediatamente.
Io, invece, le afferro di nuovo, e la guardo attentamente mentre le appoggio delicatamente prima all'altezza delle clavicole, poi scendendo verso il petto. Le sue pupille si dilatano, ingoiando quasi interamente l'oro delle iridi con la loro oscurità. Quando muovo le sue mani sul mio addome, indurito dal duro allenamento Intrepido, le lascio andare i polsi, rimanendo soddisfatto quando noto che i suoi palmi rimangono lì dove li avevo guidati io.

"Sei bellissimo." dice sorridendo imbarazzata, mentre la vermiglia timidezza le incendia le guance. Dopo pochi istanti, Elizabeth muove lentamente le mani, esplorando con curiosità ogni mio centimetro di pelle e ripetendo a bassa voce vari complimenti, come un timido mantra.
Alza lo sguardo, e i suoi occhi incontrano i miei, e così fanno immediatamente le nostre labbra, che si cercano e si desiderano disperatamente.
Faccio scivolare una mano sotto la sua maglietta, sfiorandole le scapole tatuate da quel disegno tanto pericoloso quanto affascinante. Le afferro i fianchi, forse con eccessivo impeto, ma il desiderio di sentire la sua pelle che preme contro le mie dita è troppo forte, ed io dovrei controllarmi.
Ma non ci riesco.
Non con lei.

La sollevo e la faccio stendere sul letto, senza interrompere il nostro bacio disperato che sa di sole di primo pomeriggio e polvere. Mi sarei aspettato una reazione allarmata, forse anche un rimprovero, invece Elizabeth mi afferra la nuca e mi tira ancora di più verso di sè, come se quei pochi millimetri che separano i nostri corpi fossero una distanza infinita.
Afferro i lembi della sua maglietta -in realtà, è una delle mie magliette, ma non mi importa molto al momento- e azzardo a dare un leggero morso alla striscia di pelle che sto scoprendo. Elizabeth geme, ed io sento che perderò il controllo da un momento all'altro, perciò la avverto.
"Se vuoi che mi fermi, dillo ora." la guardo dal basso, sperando ardentemente in un suo rifiuto. Invece lei rimane ferma un istante, poi si mette a sedere amareggiata sul letto, ed io faccio lo stesso proprio di fianco a lei. Mi mordo il labbro, e mi maledico di averle proposto una cosa simile. 
"Purtroppo, non sono venuta qui solo per ricevere questo tipo di attenzioni." inaspettatamente, Elizabeth mi afferra e mi spinge sul letto, mettendosi a cavalcioni su di me.

Mi dà un ultimo, lungo bacio, dopodichè sospira, non sapendo da dove cominciare a parlare. La vedo che apre la bocca e poi la richiude, si mette a sedere su di me per poi gesticolare a vuoto, fa espressioni affrante, come se le costasse la vita proferire parola.
"Sto cercando di trovare il modo giusto per dirtelo... Vedi..." si blocca, e riformula la frase, senza successo. Alla fine, prende un profondo respiro e inchioda i suoi occhi del colore del tramonto sui miei, azzurri come il cielo primaverile. "Samuel ti vuole parlare." dice, tutto d'un fiato, con voce fredda come quella di una macchina.

"Samuel." ripeto io, in un misto fra incredulità e fastidio.
"Sì, hai presente? Il Candido al quale ho definitivamente spezzato il cuore, quello che hai sempre..."
"Sì, ho capito di chi stai parlando."
"Bene. Ti vuole parlare."
"Di cosa?"
"Secondo te?" rotea gli occhi al cielo, e si punta un dito davanti alla faccia. "Della principessa contesa."

"Io non ti contendo con nessuno." mormoro minaccioso, come se davanti avessi Samuel e mi stessi rivolgendo proprio a lui, non alla mia ragazza.
"Ma cosa hai capito? Io parlavo di te, sei tu la principessa per la quale io e Samuel ci dobbiamo battere." segue un lungo silenzio, io la guardo sinceramente confuso. "È sarcasmo! Ovvio che stavamo parlando di me!"
"Non ho nulla da dirgli."
"Lui sì."
"E cosa ti fa pensare che io ci andrò, principessa?" le accarezzo una gamba, e lei rabbrividisce.
"Perchè... Te lo sto chiedendo io." la sua voce trema leggermente mentre la mia mano si sposta sul suo interno coscia. "Eric... È una cosa seria... Ascoltami."

"Ti sto ascoltando."
"Quindi ci andrai?" posa una mano sulla mia, fermando la corsa delle mie dita sul tessuto dei suoi jeans. "È importante, per me."
Sospiro, abbandonando la testa sul cuscino e chiudendo gli occhi per non vedere il suo sguardo implorante. Ovvio che non ci voglio parlare, con Samuel, cosa diavolo vuole dirmi di tanto importante da mandare addirittura Elizabeth a chiedermelo? E soprattutto, cosa vuole che io gli dica?
Vorrà forse minacciarmi, dicendo che io non sono il ragazzo giusto per lei? Probabile. Ma avrebbe ragione? Probabile anche quello.
"Non sono mai felice, ed io voglio esserlo." aveva detto la ragazza, sotto gli effetti dell'alcool. E poi, i giorni seguenti: "Eric è la mia famiglia... Mi rende felice.".
Dunque, se quelle parole sono venute fuori proprio dalla Candida -e quindi si presuppone siano sincere-, cosa mai vorrà da me quello stupido Candido che non ha ancora superato la sua piccola ed adorabile delusione amorosa?

"E va bene." borbotto, guadagnandomi uno splendido sorriso da parte di Elizabeth. "E comunque, anche io dovrei parlarti di una cosa."
"E sarebbe?" si sposta da sopra di me e si stende al mio fianco. La sua chioma si sparpaglia sul cuscino, formando un'informe massa bruna di capelli che hanno quel tanto particolare profumo, grazie al quale potrei riconoscere Elizabeth ovunque.
"Ho parlato con Max, riguardo alla situazione di Daniel, senza specificare nulla, ovviamente. Dice che è possibile cambiare Fazione solo e soltanto se il Consiglio lo approva. L'assemblea si riunirà domani, dal momento che vi dovranno partecipare soltanto i Capifazione, e non tutti i residenti. Ma, capisci, non penso accetteranno l'idea di un Trasfazione di quell'età." le accarezzo la guancia, sperando che non ci rimanga troppo male.
"È perfetto!" esclama lei, invece, stampandomi un bacio sulle labbra.

"Non penso tu abbia capito, serve il consenso di tutti i..."
"Be', mio padre lavora nel Governo al fianco di Jack Kang, e il padre di Alice è uno stretto amico di Johanna, che non è esattamente la leader dei Pacifici, se vogliamo dirla tutta... Non saranno Capifazione, certamente, ma avranno una grossa influenza sulla decisione. Sappiamo tutti che gli Abneganti non dicono di no a nessuno, troppo egoista esprimere un dissenzo, vero? L'unico problema potrebbe essere Jeanine, non sarebbe vista sotto una buona luce se un membro della sua Fazione se ne andasse insoddisfatto dagli Eruditi. E per quanto riguarda gli Intrepidi..." poggia una mano sul mio addome e si sporge per mordermi il labbro inferiore. "...C'è il mio Capofazione preferito che appoggerà la mia causa."
"Dove posso incontrare Samuel?" le chiedo, afferrandole la mano. "Perchè se continui così, finirò per dimenticarmelo."
"Ti aspetta nel dormitorio, ora che gli altri sono impegnati con le Simulazioni."
"Immagino che non debba perdere tempo, allora." dico mentre mi alzo dal letto sconfortato: avrei voluto passare più tempo con Elizabeth.

Mi infilo una maglietta a maniche corte, sebbene so perfettamente che fuori da questo appartamento, nei tunnel della Residenza, l'aria è fresca e umida, e probabilmente avrò freddo.
"Cosa dovrei fare, io?" chiede Elizabeth alle mie spalle, ed io, dal riflesso dello specchio davanti a me, vedo che si è appena alzata per venire vicino a me.
"Cosa intendi dire?" aggrotto la fronte, il lembo della maglietta ancora stretto fra le dita. "Non dirmi che tu non vieni."
"Ovvio che non vengo, Samuel mi ha detto che vuole parlarti da solo."
"Dev'essere proprio una cosa seria, allora." mormoro, alzando gli occhi al cielo, spazzolando la maglietta da qualche residuo di polvere o gesso. "Puoi restare qui, se vuoi, ma penso che dovrò spiegare la tua assenza al tuo innamorato."
"Digli quello che ti pare, non mi importa di quello che dice la gente." pronuncia questa frase velocemente, voltandosi verso la finestra alle sue spalle.

Rimango con la mano sulla maniglia della porta dell'appartamento, tamburellando le dita sull'ottone. Rielaboro le sue parole, lentamente, come farebbe una macchina abituata ad un procedimento simile. Come farebbe Elizabeth.
"Hai appena mentito." la mia affermazione sembra più una domanda, e provoca in Elizabeth un sospiro infastidito.
"Lo sai che era una bugia." incrocia le braccia sul petto, voltandosi di lato per sbirciare il suo riflesso nello specchio. "Le hai viste le mie Simulazioni, dopotutto."

                                                                                                 ***

Il dormitorio è anche più freddo dell'ultima volta, ed io sto cominciando a pentirmi amaramente di non aver portato una felpa con me, invece di uscire dall'appartamento con una leggera maglietta nera a maniche corte.
Le luci al neon azzure, montate sul soffito ad intervalli regolari, creano ombre sinistre sulle colonne, che proiettano le loro lunge sagome scure sul pavimento di pietra, ricoperto da uno spesso strato di polvere e gesso caduto dalle pareti. In questa enorme stanza tutto sembra essere immobile, anche le lenzuola dei letti degli iniziati, che pare si siano congelate sui materassi, aggrovigliate nelle posizioni più strane e scomode.
Man mano che avanzo, piccole nuvolette di terra si alzano dal pavimento in corrispondenza dei miei passi. Ma, in questa mastodontica sala, c'è solo una cosa che sembra avere vita: la sagoma di un ragazzo alto e dalle spalle larghe coperte da una pesante giacca nera di cuoio, con le braccia incrociate sul petto e il piede destro che batte nervosamente sulla pietra.

Quando il Candido si volta, i suoi capelli corti e leggermente ricci -di un particolare colore che varia dal nero al biondo cenere scuro, a seconda della luce- ondeggiano appena percettibilmente sulla sua testa, dandogli un'aria quasi infantile. Però, quando il suo sguardo, caldo e stranamente penetrante, si posa sul mio, freddo almeno quanto questa stanza -se non di più-, mi sento pervaso da una sensazione di malessere che mi suggerisce di dargli le spalle e uscire dal dormitorio.
Sono poche le volte che fronteggio qualcuno della mia stessa altezza: Quattro è qualche centimetro più basso rispetto a me, Max non è uno degli uomini più alti che conosca, ed Elizabeth -la persona con la quale passo più tempo in assoluto- mi arriva appena alle spalle. Samuel, invece, è un ragazzo muscoloso di circa un metro e ottantacinque di altezza.
Quando mi trovo di fronte a lui, incrocio le braccia al petto, imitando la sua fastidiosa posizione che lascia quasi intendere un segno di sfida. Non sono sicuro che dovrei dire qualcosa, in questo momento, quindi mi limito a fissare il Candido, squadrandolo dalla testa ai piedi. Ha gli occhi molto più scuri rispetto a quelli di Elizabeth, quasi neri, e le sopracciglia lunghe e chiare, le labbra sottili scorticate ed uno strano tono di voce, acuto ma in qualche modo minaccioso.

"Non pensavo che saresti venuto davvero." dice infine, facendomi distogliere l'attenzione dai suoi tratti morbidi che a volte ricordano quelli di un bambino.
"Eppure l'ho fatto." rispondo, alzando un sopracciglio. Lui fa lo stesso. "Perchè so perfettamente di cosa mi vuoi parlare, o meglio, di chi."
"Elizabeth." la mascella di Samuel è attraversata da uno spasmo, e il ragazzo ride senza divertimento. "Sai Eric, è da quando se entrato che mi sto chiedendo se posso o non posso dirti un certo tipo di cose. Però ora te le dico comunque, perchè... Perchè, vedi, ora che sei davanti a me non posso farne a meno." sorride, un sorriso maligno, affilato, come quelli che ogni tanto Elizabeth dedica alla gente che le dà sui nervi.

"È dalla prima volta che ti ho visto sul cornicione che sapevo che io e te non saremo mai andati d'accordo. Tu hai questo modo di godere del terrore e del dolore degli altri che è così contro i miei ideali che io... Io non posso fare altro che odiarti con tutto me stesso. Se qualcuno mi mettesse in mano una pistola e mi chiedesse di scegliere fra il salvare te o Jonathan, sappi che non ci penserei due volte prima di sparare a te... più e più volte." lascia cadere le braccia lungo i fianchi, e mi guarda con i suoi occhi scuri che, con le luci al neon azzurre del dormitorio, hanno ora un aspetto minaccioso.
"Io e te abbiamo sempre avuto questo feeling, dico bene, Remak?"
"E nonostante ciò," continua lui, come se la mia ironia non l'avesse toccato. "Sento che odiarti sarebbe profondante sbagliato, perchè io vedo come lei... Io mi accorgo di certe cose, e so riconoscere quando qualcuno è felice." Samuel non mi guarda negli occhi mentre pronuncia queste parole, fissando piuttosto il muro di pietra alla sua destra.

"E con qualcuno intendi Elizabeth." la mia assomiglia più ad una domanda, che ad una constatazione piuttosto ovvia.
"Tu non... Non sai che ha... Merda." sussurra l'imprecazione come se si stesse confrontando con sua madre. L'idea mi diverte abbastanza da far sì che un sorriso abbozzato mi si formi sul viso. "Quello che sto cercando di dire è che Elizabeth non ha avuto una famiglia modello, la sua infanzia non è stata una delle migliori e... Be', non so se sono proprio io la persona giusta per..."
"So già tutto, Candido." sospiro infastidito, e lui alza lo sguardo su di me, confuso e forse anche ferito.
"Chi te l'ha detto?" chiede basito, spalancando gli occhi ma mantenendo ancora un minimo di compostezza di fronte ad un suo superiore.
"Sai com'è, qui nella Residenza, tutti sanno tutto, ad un certo punto." alzo gli occhi al soffitto, dando un tono di impazienza alla mia voce che fa ammutolire Samuel per un paio di secondi.
All'improvviso, i suoi occhi si illuminano.

"Stai facendo del sarcasmo."
"Sei perspicace."
"L'hai imparato da Elizabeth, non è vero?" la sua voce si addolcisce. Il Candido si appoggia ad una colonna con una spalla, le braccia di nuovo incrociate al petto, lo sguardo che scruta con attenzione i più piccoli dettagli del pavimento polveroso. Rispondo solo con cenno della testa ed una breve risata, che assomiglia più ad un respiro stanco che ad una vera e propria manifestazione di divertimento. "Sembra che passiate molto tempo insieme."

"Potrei essere simpatico anche senza il suo aiuto, sai." dico senza convinzione o malizia, provocando stranamente una risata genuina nel Candido di fronte a me.
"Eri quasi divertente, per un istante." mormora esausto. Alza gli occhi stanchi, posandoli su di me come se gli costasse fatica. "Ti ho fatto venire qui per un motivo." dice infine.
"E sarebbe?"
"Nonostante io non riesca a guardarti per più di un istante senza volerti prendere a schiaffi, voglio che tu sappia che proverò a sopportarti. Per la felicità di Elizabeth, preciso. Vedo i suoi sguardi assenti ogni tanto, l'espressione sognatrice che ha quando è in disparte, quindi sempre. Penso che ci tenga molto a te. Ed io voglio che sia così per sempre, non mi importa che il ragazzo che la rende tanto spensierata non sia io." pronuncia l'ultima frase con fatica, e la sua voce si spezza verso la fine.

"Lo apprezzo." mi limito a rispondere, rimuginando compiaciuto sulle parole del Candido. Una cosa ci accomuna: entrambi vogliamo vedere la stessa ragazza felice.
"Oh, basta con il sarcasmo."
"No, dico sul serio." alzo gli occhi su di lui, interrompendolo forse in modo troppo brusco. "Capisco cosa vuoi dire. La conosci da quando eravate piccoli e vuoi solamente il bene per lei, tanto quanto lo voglio io. E questo lo apprezzo."
Il Candido sorride, sinceramente soddisfatto dalla mia risposta, ed ha un viso così rilassato che sembra esser tornato bambino per un istante. Poi, però, la sua voce -ora stranamente profonda- mi distoglie dai miei pensieri.
"Vorrei chiederti un'ultima cosa, poi sei libero di andartene, se vuoi."
Non ricevendo altra risposta se non un battito curioso di ciglia, continua, lentamente, come se quella domanda gli stesse infiggendo del male fisico.

"Tu ed Elizabeth avete mai... Voglio dire... L'hai mai, come dire... Siete mai stati... "
"...A letto insieme?" concludo per lui, mentre l'imbarazzo mi tinge il viso di rosso. Ringrazio la fredda luce morta del dormitorio che rende questo particolare meno evidente. "No, Candido, mai." guardo da un'altra parte, fingendo indifferenza.
Il ragazzo sembra tirare un sospiro di sollievo nella penombra, mentre si posa una mano sul cuore come se avesse evitato l'infarto.
"Scusa, era solo una... Una curiosità." fa un gesto rapido con la mano, come a scacciare il pensiero.
"Posso andare, ora?" mormoro, passandomi esausto una mano sul viso, coprendomi per qualche istante la vista del Candido impaziente. Quando rialzo lo sguardo, i suoi occhi -ora privi di quell'arroganza di poco prima- sono fissi su di me, tremolanti.
"Certo." risponde, con un tono di voce talmente dispiaciuto da farmi pensare che si stia prendendo gioco di me.

Quando gli do le spalle per dirigermi all'uscita, il Candido sembra balbettare qualcosa, prima di formulare una frase di senso compiuto.
"Ehi, Eric." sento la sua mano sulla spalla che mi costringe a fermarmi. Di istinto -un riflesso incondizionato dovuto ad anni di assenza di contatti fisici- mi scanso e lo fronteggio, fissandolo così intensamente da pietrificarlo all'istante. "Scusami." farfuglia "Volevo solo chiederti se abbiamo bisogno davvero di essere ostili nei confronti di entrambi. Intendo dire, potremmo anche... Sì, insomma, essere..."
"...amici?" pronuncio quella parola in preda alla confusione. "Candido, hai appena detto che mi hai odiato sin dal primo giorno, cosa di fa pensare che dopo oggi mi comporterò da amico nei tuoi confronti?"
"Perchè Elizabeth ti renderà una persona migliore." spiega, con la timida e sottile voce di un bambino che afferma un'ovvietà.

Non rispondo, mi limito a scrutare ogni piccolo spasmo che hanno le sue mani quando lo fisso intensamente, come i suoi occhi guizzano da una parte all'altra del mio corpo, quasi fosse spaventato dalla mia imponente presenza.
Non lo dirò mai ad alta voce, tantomeno davanti a Samuel, ma il Candido ha ragione: Elizabeth mi renderà una persona migliore e, anzi, ha già fatto molto più di quanto io non mi sarei mai aspettato la prima volta che l'ho vista su quel cornicione.
Me la ricordo, il primo giorno, come il vento non osasse scombinare i suoi lunghi capelli bruni, e come i suoi enormi occhi da felino studiassero attentamente l'ambiente a lei circostante. Chissà che impressione ha avuto di me, allora. Poi, quando mi era passata accanto, silenziosa e sciolta come un serpente, il suo profumo -pungente tanto quanto le sue parole- mi aveva immediatamente colpito. Non avrei mai immaginato, allora, mentre la guardavo saltare oltre il cornicione, che più in là avrei riconosciuto il suo profumo anche nei più fetenti tunnel della Residenza, e che l'avrei collegato alla felicità.

"Posso provare a tollerarti." alzo lo sguardo su Samuel. "Ma faremo molta strada, prima di diventare... amici."
"È già un inizio." sorride lui, ancora leggermente intimorito dalla mia presenza. La sua ostilità di poco prima è completamente svantita nel nulla.

***

Entro nell'appartamento dedicando ad Elizabeth, seduta sul letto a gambe incrociate, solo una breve occhiata, prima di mettermi alla ricerca di una giacca sotto la montagna di vestiti ammassati sulla sedia. La ragazza, prima impegnata a raccogliersi i capelli in una treccia, alza lo sguardo quasi allarmata, mentre la curiosità le attraversa le iridi e le accende di una luce anche più forte di quella che entra dalla finestra della stanza.
"Ci hai parlato?" chiede, mettendosi a carponi sul letto, protendendosi oltre il bordo come se potesse aiutarla a sentire meglio una mia potenziale risposta.
"No, abbiamo fatto teneramente a pugni." anche se le sto dando le spalle e quindi non mi può vedere, mi sento quasi in colpa per aver roteato gli occhi al soffitto.
"Stai facendo del sarcasmo con me, Eric? Le parole sono il mio campo, non il tuo. E questo è un argomento serio."
"Tu vuoi fare un discorso serio? Mi era sembrato di capire che tu comunicassi solo con le battute."
"Eric!" aggrotta la fronte, e si rimette seduta sul letto. Mi volto verso di lei, infilandomi la prima giacca che ho trovato fra le mie robe e sistemandomela sulle spalle.

"Sì, ci ho parlato." apro leggermente le braccia, tormentato dalla sua insistenza. Pensavo che questa cosa riguardasse solo me e il Candido.
"E...?"
"E vuole che io e lui diventiamo..."
"Non dirlo."
"...amici." alzo un sopracciglio, divertito ma anche leggermente contrariato dalla richiesta di Samuel.
"Dio..." si lascia cadere sul letto, ridendo come se le avessi raccontato una barzelletta.
"Sei sicura che Samuel nutra dei confronti per te e non per me?" farfuglio, mentre la affianco sul materasso "Sai, non sarebbe il primo ragazzo gay Intrepido che conosco, sono abbastanza aperto su questo genere di argomenti."
"Ma smettila." ride lei, stampandomi un bacio sulla guancia. Un gesto così dolce, quasi innocente, che non esito a spostarmi su di lei, le sue gambe incrociate dietro la mia schiena, e ricambiare con un bacio sulle labbra, più intenso, più intimo, decisamente meno pudico.

All'improvviso, Elizabeth ride, nascondendo il viso nell'incavo fra il mio collo e la mia spalla. Mi stacco da lei quanto basta per guardarla negli occhi e rivolgere l'espressione più confusa che abbia mai avuto sul volto. Elizabeth ride poco, specialmente quando è in presenza di qualcuno che non conosce, e coglierla in un atteggiamento così spensierato e rilassato mi fa venir voglia di baciarla di nuovo.
"Mi hai fatto ricordare una cosa." spiega lei, abbandonando un braccio sopra la sua testa, l'altro poggiato sul suo ventre. "Ed è molto divertente, a parer mio."
"Tu ti sei messa a ridere quando Vivienne si è spezzata una gamba durante l'allenamento. La linea di confine fra ilarità e crudeltà è parecchio sottile." rispondo "E tu l'hai superata parecchie volte."
"Ma questa farebbe ridere anche te. Anche se non so se la vuoi sapere."
"Dimmelo."
"Bene. Fammi spazio."

Ci mettiamo a sedere sul letto, uno di fronte all'altro, e lei appoggia una mano sul mio ginocchio. Per i primi istanti non riesce a dire nulla, in quanto le risate soffocano le sue parole. Quando finalmente raddrizza la schiena, assumendo una finta posizione altezzosa, sorride e dice:
"Diciamo che ho scoperto che c'è effettivamente un ragazzo gay, nella Residenza. E non parlo di Quattro."
"Quattro è gay?" sgrano gli occhi, incapace di riconoscere quell'informazione come vera.
"Ovvio che no! Però lo sospettavo fortemente, all'inizio, pensavo lo sospettassi anche tu, per questo ho preferito smentirlo prima di cominciare."
"E allora di chi stiamo parlando?"

Elizabeth sorride maliziosa prima di fissare i suoi occhi divertiti su di me. "Jonathan." scandisce ogni sillaba, attorcigliando la lingua ad ogni singola lettera di quel nome a me ormai così familiare.
"No." sussurro incredulo, poi mi ricompongo: sembriamo due ragazzine che spettegolano sull'ultimo scoop della scuola.
"Oh, sì invece! Ma non è questa la parte divertente." si morde un labbro per fermare le risate, mentre mi guarda con quei suoi occhi che brillano di allegria.

Elizabeth si scioglie la treccia con un gesto deciso della mano, lasciando che i lunghi capelli si liberino dalla loro prigionia e ricadano ribelli sulle spalle e sul viso. Se li sistema distrattamente, passandoci le dita sottili, ed il risultato finale mi lascia mozzafiato. È semplicemente la ragazza più bella sul quale i miei occhi abbiano mai posato la loro fredda attenzione. Ha un aspetto così selvaggio, quasi aggressivo, con quel suo sguardo tagliente e luminoso e le labbra curvate in un mezzo sorriso affilato come quello di un pericoloso animale cacciatore.
Chiudo la bocca, per non sembrare un completo imbecille.

"La parte divertente..." continua lei, e sospetto che abbia colto il mio più completo stupore davanti alla sua regale bellezza. "...È che a Jonathan piaci tu."
"Come diavolo...?" balbetto io, dopo due o tre secondi di silenzio totale.
"Come faccio a saperlo? Oh, andiamo, chiunque si sarebbe accorto delle occhiate che ti lancia in mensa. Ti mangia con lo sguardo." posa gli occhi sul mio collo, poi sulle spalle e sul petto, coperti dalla giacca che ora, sotto il suo sguardo, mi sembra soltato un indumento in più che farebbe meglio a non esserci. "E con buone ragioni." aggiunge dopo, a voce più bassa e profonda.

"Ti prego, non..."
"Oppure come ti fissava alla fine degli allenamenti, mentre noi uscivamo dalla palestra, quando ti toglievi la maglietta pensando che fossero ormai tutti fuori."
"E tu come fai a sapere che ero solito togliermi la maglietta?"
"Perchè ti mangiavo con lo sguardo anch'io, chiaramente, a volte mi comporto come un umano, sai. Ma il fatto è che una volta ho colto Jonathan mentre ti fissava alla fine degli allenamenti. Penso che abbia capito che io avevo capito e che dunque sapevo. Pensi che mi odi solo perchè l'ho provocato sin dal primo giorno? O perchè gli ho rotto un dito? Conosco il suo segreto, Eric, il suo più grande segreto."
"E ora lo conosco anche io." mormoro, più a me stesso che ad Elizabeth.
"E adesso lo conosci anche tu." ripete lei, stampandomi un sonoro bacio sulle labbra.

Una volta mi sono chiesto se fossi gay, perchè avevo sedici anni e ancora non avevo mai trovato una ragazza che mi piacesse in quel modo. Ma d'altro canto, non ricordo di aver mai provato attrazione fisica per i ragazzi. Poi, però, quando sono entrato negli Intrepidi, ho avuto la certezza di non essere gay, specialmente dopo la prima volta che sono stato a letto con una ragazza della quale non riesco ancora a ricordare il nome. Probabilmente ero ubriaco.
Ora so come attirare Jonathan, dargli l'ultima possibilità di lasciare perdere Elizabeth per sempre, di smettere di assillarla, di infastidirla. Di smetterla di essere nel suo Scenario ogni singola volta.
Devo parlare con l'Intrepido di questa situazione, a qualsiasi costo, e sono sicuro che abboccherà.
Anche perchè l'esca sarò proprio io.

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Capitolo 17
*** Pulviscolo ***


Capitolo 17 - Pulviscolo




Continuando a chiaccherare, Elizabeth, tra le altre cose, mi ha rivelato che Jonathan si allena la mattina, in palestra, qualche ora prima di sedersi con gli altri in mensa.
E mi ha anche detto -cedendo all'imbarazzo e alle mie domande insistenti- che l'Intrepido in questione, stamattina, l'ha provocata di nuovo, spingendola contro una delle colonne di pietra del grande dormitorio degli iniziati.
Mi confessato -senza troppe cerimonie- che l'avrebbe probabilmente sfregiato con il suo coltellino, forse anche ferito, se solo l'avesse trovato. Penso che sia una fortuna che ieri sera mi sia dimenticato di tirarlo fuori dalla tasca dei jeans e restituirglielo.

Ma questo episodio non ha fatto altro che aumentare la mia determinazione. Avevo già deciso di non dire nulla a Max della Simulazione di Jonathan -solo di minacciarlo e divertirmi un po' nel farlo-, ma non è stata una decisione così facile come sembra.
Ovviamente, il mio passato mi è stato, per una volta, d'aiuto.
Fa ancora male ricordare di come ho accusato Amar di essere un Divergente, ed è stato proprio quel dolore che mi tormenta da quel maledetto giorno e che mi tormenterà per sempre che mi ha convinto a non ripetere lo stesso tragico, infido, viscido errore una seconda volta. Sarebbe stato troppo, persino per uno come me.

Inoltre  -ma questa è un'idea che ho evitato di sviluppare per colpa del mio orgoglio- ho ripensato alle parole di Samuel, mentre cercavo di capire quale fosse la cosa giusta da fare. Ovvero che "Elizabeth mi renderà una persona migliore", ed io sto facendo tutto questo per lei. Per evitarle lo stress di dover fronteggiare ogni giorno lo sfacciato biondo, per rendere le sue Simulazioni meno insostenibili.
Alla fine gliel'ho detto, delle mie intenzioni. Non le ho detto ovviamente in che modo avrei messo fine alle continue molestie di Jonathan, ma le ho assicurato che l'Intrepido non l'avrebbe infastidita mai più.

La palestra è fresca e deserta, e l'odore pungente del sudore si mischia a quello dolce e asfissiante della polvere. Mi chiudo la porta a doppio battente alle spalle, bloccandola con un tubo di metallo per impedire a qualsiasi persona di entrare. O uscire. Non è un piano che va reso pubblico, il mio.
Non si muove nulla, nell'enorme sala illuminata soltanto da deboli luci al neon bianche, e non si sente nessun rumore, se non quello degli scarponi sulla pietra del pavimento e i pugni di Jonathan che si scagliano contro il sacco da boxe.
Il mio piano non mi fa schifo, ma mi turba parecchio. Più che altro, la facilità con cui l'ho elaborato mi fa sentire strano e a disagio. Ormai ho sviluppato una tale rapidità nell'ingegnarmi in strategie subdole e meschine che se Elizabeth potesse leggermi nella mente ne rimarrebbe disgustata.

L'Intrepido biondo colpisce con forza il bersaglio più e più volte, ed io sono abbastanza convinto che stia immaginando Elizabeth al posto di quel sacco di sabbia arancione. Jonathan Royston, il Divergente, l'incubo segreto di Elizabeth, il ragazzo che ha picchiato sua sorella minore, il preferito di Max. L'iniziato che prova attrazione nei miei confronti. Quanti appellativi può avere un singolo sedicenne?
E soprattutto, cosa diavolo ci trova Jonathan in me? Spero solo che il piano vada bene, oppure io mi troverò a dover districarmi da una situazione molto, molto complicata.
Controllo un'ultima volta la palestra, accarezzando la sua vasta grandezza con lo sguardo, e tiro internamente un sospiro di sollievo. Come speravo, non c'è nessuno, oltre a noi.

L'Intrepido mi dà le spalle, è vestito con dei pantaloncini larghi neri che gli arrivano fino al ginocchio ed una lunga canottiera senza maniche dello stesso colore. Si passa una mano fra i lunghi riccioli sudati, tenendo le dita incastrate nei capelli per qualche secondo mentre riprende fiato.
"Il Primo Modulo è già finito, non hai l'obbligo di allenarti." esordisco ad alta voce, facendolo sussultare e girare di scatto. La sua mano libera i riccioli dalla sua stretta di ferro, e i suoi occhi spaventati e confusi incontrano subito i miei.
"Non è un obbligo: è un passatempo." prima di rispondere, Jonathan si schiarisce la voce e fa spallucce, sfiorando con lo sguardo le mie braccia nude per poi prendere uno straccio e asciugarsi i capelli ed il corpo. Il desiderio, nei suoi occhi, è così palese che non posso fare altro che tentare di celare una smorfia contrariata. È un piano stupido, questo.

"Ma davvero?" cerco di mantenere un tono freddo e minaccioso, per non destare sospetti. "E cos'altro fai, per passatempo?"
"Che fai, Eric? Stai cercando di rimorchiarmi?" nel suo tono c'è sarcasmo, forse anche disprezzo, ma un piccolo sorriso gli curva le labbra, e lui cerca di nasconderlo torcendo la testa da un'altra parte, approfittandosene per passarsi l'asciugamano sul collo.
"Dipende." dico con voce profonda, e l'Intrepido sposta immediatamente lo sguardo su di me, allarmato. Internamente esito, poi, però, mi ricordo che lo sto facendo per il bene di Elizabeth, ed allora proseguo, fissandolo negli occhi. "Tu ci staresti?"

Questo è un pessimo piano. Eppure rinuncerei a tutti i miei punti da Capofazione per poter scattare una foto alla faccia di Jonathan in questo momento. L'asciugamano -stretto in una morsa letale dalla mano del ragazzo- ha bloccato la sua frenetica corsa, fermandosi sulla spalla dell'iniziato che ora ha gli occhi sgranati nella palese manifestazione di uno stupore che non riesce a nascondere. Ha le labbra serrate, incapace di dire nulla, e la mascella contratta in una smorfia indescrivibile.
"Sei diventato tutto rosso, Royston." rido in risposta al suo imbarazzo, avvicinandomi. Ogni singola cellula del mio corpo mi sta urlando, implorando di allontanarmi, e anche di rinuniciare a uno dei piani più crudeli della storia dei piani crudeli.
"Mi sono appena allenato." si giustifica, passandosi lo straccio sulla nuca e indietreggiando ostentando indifferenza, anche se ho notato che la sua voce si è fatta parecchio più acuta, e che il suo petto sta cominciando ad alzarsi e abbassarsi più veloce di prima.
Elizabeth aveva ragione: Jonathan Royston si è preso una cotta per me, e l'idea è così ridicola che mi fa venir voglia di scoppiare a ridere, poi a piangere, ed infine uscire dalla palestra sbattendomi con violenza la porta alle spalle.

Quando la schiena di Jonathan si appiattisce contro una delle sei colonne di pietra della palestra, capisco che è il momento giusto. Mentalmente comincio a maledire me stesso, perchè se sono arrivato a dover fare questo per mettere Elizabeth al sicuro, è impossibile scendere più in basso.
Alla fine mi trovo costretto a spegnere i pensieri, anche perchè sto fissando Jonathan da qualche secondo senza dire nulla, poco più di un metro che ci separa, considerando come valida l'idea di andarmene senza fornire spiegazioni. Ora o mai più, mi dico, mentre le mie gambe quasi si irrigidiscono, tanto è forte la voglia di scappare.

Ormai non posso più tornare indietro, anche perchè ci sono soltanto pochissimi centimetri a separare il mio viso da quello dell'iniziato, tant'è che riesco a percepire il suo respiro caldo e affannoso sulla mia pelle. Appoggio una mano contro la colonna, proprio affianco alla testa del biondo. Non provo neanche a muovermi, sia perchè non fa parte del piano, sia perchè sono segretamente terrorizzato da quella vicinanza così sbagliata, e mi limito a fissare i miei occhi su di lui, uno sguardo talmente indecifrabile che, per un istante, persino Jonathan esita, preso alla sprovvista da un gesto che neanche nei miei sogni -o incubi?- più strani avrei mai immaginato.

In meno di una frazione di un secondo, Jonathan si sporge in avanti e le sua labbra screpolate incontrano le mie. Sgrano gli occhi, colto di sorpresa e momentaneamente sprovvisto di lucidità, perchè nella subitaneità del momento non mi accorgo che le dita sottili dell'Intrepido stanno armeggiando freneticamente con la cinghia della mia cintura, cercando di slacciarla.

Spingo via Jonathan con violenza, accompagnando il gesto con un furioso grugnito contrariato, e lo faccio sbattere di nuovo contro la dura e fredda pietra della colonna.
Ora l'Intrepido mi guarda stranito e basito dal fatto che io l'abbia respinto sul più bello. L'iniziato ansima -Dio, spero non per l'eccitazione- ed io faccio qualche passo indietro, guardandolo dall'alto verso il basso.
Non so se questa rabbia è vera o mi sto solo attenendo al piano, ma non sono sicuro che mi sia piaciuto il fatto che Jonathan abbia pensato che volessi sul serio limonarmi con lui. Mi ha fatto sentire... strano, una sensazione talmente inspiegabile e soprattutto spiacevole da essere motivo di cento imprecazioni tutte differenti e originali.

"Allora è vero." sibilo, il volto rosso di rabbia "A te piacciono i ragazzi e, peggio ancora, ti piaccio io."
"Non è così." balbetta, passandosi una mano dietro la nuca ed evitando il mio sguardo a tutti i costi.

Mi dispiace che lo stia facendo sentire in questo modo, fuori posto, anormale, un maniaco perverso, non è così che dovrebbe sentirsi qualcuno attratto dal proprio stesso sesso. Sto per lasciare perdere, poi mi ricordo che ho di fronte Jonathan Royston, lo stesso ragazzo che nella Simulazione ha tentato di violentare la mia ragazza, e allora la rabbia mi riaccende l'animo. Era da tanto che non mi sentivo così. Da quando è arrivata Elizabeth, per la precisione.
Inoltre, non mi sono fatto baciare da un iniziato per poi andarmene senza completare il piano.

"Non è così?" grido, la mia voce rieccheggia da una parete all'altra della grande palestra. "E allora dimmi, Royston, per caso vai a fare pompini a qualsiasi Intrepido ti capiti sotto tiro?" alzo ancora di più il tono della voce, godendo della sua espressione terrorizzata, preoccupato che qualcuno lo possa sentire.
Si porta l'indice tremante alle labbra e cerca di mormorare un "Silenzio, per favore", ma le sue parole sono spezzate dal panico.

"Oh, hai paura? Hai paura che urli all'intera città che Jonathan Royston ha appena provato a scoparsi il Capofazione? Cosa penserebbero gli altri? Cosa penserebbero i tuoi genitori?" chiedo furioso, alzando la voce sulle ultime parole. Jonathan scatta in avanti, ed ora è abbastanza vicino da permettermi di vedere le lacrime che luccicano immobili nei suoi occhi.
"Nessuno... Lo deve sapere... Tantomeno i miei genitori..." sussurra, la voce rotta dalla paura. Mi dispiace, vorrei dirglielo, ma lotto con tutte le mie forze per non farlo.
Prendo un profondo respiro, bloccando le mie stesse parole in gola, poichè altrimenti rovinerei questo piano tanto meschino quanto necessario, ed è l'ultima cosa che voglio dopo questo casino.

"Potrei anche tenere la bocca chiusa, su quello che è successo poco fa." mormoro infine, e gli occhi del ragazzo si illuminano di speranza. "Ad una condizione, che dovrai accettare senza far domande."
"Qualsiasi cosa, va bene... Va bene qualsiasi cosa." risponde lui, velocemente, accavallando una parola sull'altra.
"Devi smetterla di assillare la Candida." dico, tutto d'un fiato, prima che la determinazione in me si spenga.
"La Candida." ripete lui, incredulo, anche se la tremarella lo scuote ancora come un budino.
"La tua omosessualità non è l'unico segreto di cui sono a conoscenza." gli ricordo minaccioso. Jonathan deglutisce. "Cosa direbbe Max, se scoprisse che sei un Divergente? Ti do un piccolo indizio, non avresti più bisogno di nascondere i tuoi segreti, perchè saresti morto. Oppure ti ritroveresti a fare pompini agli Esclusi e, sai, lì le malattie sessualmente trasmissibili sono molto più frequenti e pericolose."

"Era un'informazione segreta... Riservata solo ad un certo numero di persone..." i suoi sembrano quasi singhiozzi, alternati a sospiri carichi di ansia e terrore puro. "Tu come puoi sapere-"
"Ti ho detto di non fare domande." lo afferro per la nuca e stringo finchè l'iniziato non emette un gemito di dolore. "Elizabeth ti renderà una persona migliore." la voce del Candido, per qualche motivo, mi riviene in mente proprio in questo momento. Sto terrorizzando a morte un iniziato, minacciandolo di rovinagli la vita se non eseguirà l'ordine che gli ho appena impartito.
Erano tutti atteggiamenti che aveva il vecchio Eric, quello spietato, cattivo, senza cuore, senza Elizabeth. Ed io ho paura di poter cedere di nuovo alla piacevole sensazione che mi provocava fare del male, fisico o psicologico, a qualcuno di indifeso come lo è Jonathan adesso.

Lo lascio andare con uno strattone, scacciando quei pensieri, ed il ragazzo barcolla prima di appoggiarsi alla colonna alle sue spalle: sospetto che, se si allontanasse dal pilastro, le sue gambe cederebbero e lui rovinerebbe sul duro pavimento di pietra.
"Sì, la Candida." ripeto "Devi lasciarla stare. Anzi, dovrai anche chiederle scusa per tutto quello che le hai fatto."
"Ma-"
"Oppure lo dirò a tutti, ragazzo mio." lo interrompo "Lo saprà ogni singolo Intrepido di questa Fazione, di tutte le età, di tutte le religioni, lo sapranno anche quelli delle altre Fazioni. Anche i bambini dei Livelli Inferiori. Mi prenderò personalmente l'incarico di rendere la tua vita un inferno, se non fai esattamente quello che ti ho chiesto. E se scopro che hai fatto il mio nome -e fidati, lo saprei- ti strangolerò con le mie stesse mani e ti darò in pasto agli Esclusi." lo fisso come se potessi incenerirlo con lo sguardo. "È una promessa."

Jonathan annuisce, incapace di pronunciare anche solo una sillaba. Evita di guardarmi negli occhi, fissando piuttosto l'asciugamano per terra con spento interesse, ancora appoggiato con una mano alla colonna come se potesse franare per terra da un momento all'altro.

"Senti, Jonathan, io non ti giudico. Io non penso che tu sia uno scherzo della natura, che tu sia disgustoso solo perchè ti piacciono i maschi. Io non penso che tu sia diverso, sono gli altri che non capiscono che sei un ragazzo normale, semplice, esattamente come tutti i tuoi coetanei. Sono gli altri che sono disgustosi perchè ti giudicano senza conoscerti. Non dovresti sentirti male tu di te stesso, dovrebbero essere gli altri a rendersi conto che hai bisogno di affetto e comprensione tanto quanto ne hanno bisogno loro."
L'Intrepido mi guarda, la stessa espressione sconfitta e addolorata, come se avesse appena perso l'occasione di una vita. Quando, dopo secondi senza ricevere una risposta, mi rendo conto che non ho pronunciato neanche una singola parola di quello che ho pensato, mi affretto a girarmi e andarmene, lasciandomi alle spalle una giovane recluta in lacrime.

Non sono stato capace di dirgli che non era lui il problema.
Non sono stato capace di  rassicurarlo.
Non sono stato capace di dire quello che pensavo davvero di lui.
Non sono stato capace.

***

Oggi, al tavolo, Samuel ha chiesto se poteva sedersi accanto a me. "Da qualcosa dovremmo pur cominciare", è stata la sua giustificazione in risposta al mio sguardo stralunato. E quindi, ora sono seduto fra il Candido e Quattro, entrambi parlano amichevolmente di un argomento che non mi interessa e che comunque non comprendo, forse di legge o qualcosa che ha a che fare con il governo.
La loro conversazione mi ricorda che domani si terrà l'assemblea fra le Fazioni, che discuteranno se sia appropriato o meno permettere che l'Erudito Daniel Wolves di lasciare il suo lavoro ed essere ammesso fra gli Intrepidi. C'è così tanto lavoro da fare, ed io non riesco a togliermi dalla bocca il disgustoso sapore della bocca di Jonathan. Ho persino mangiato del purè di patate, preferendo quella consistenza vomitevole al ricordo del bacio con l'Intrepido.
Elizabeth è seduta davanti a me, e sta gesticolando animatamente per spiegare ad Alice e a Richard qualcosa che, col trambusto della mensa, non riesco a cogliere.

"Tu cosa ne pensi?" mi chiede Samuel all'improvviso, distogliendomi dai miei terribili pensieri.
"Dipende da cosa stavate parlando." rispondo, poggiando il bicchiere sul tavolo dopo aver bevuto della birra.
"Quattro sostiene che sia stupido che i Pacifici non abbiano un Capofazione, a me invece sembra una bella idea." spiega, indicando il Rigido seduto alla mia sinistra.
"Be', a dirla tutta io non..."
"Scusate se vi interrompo."

Alzo subito lo sguardo, riconoscendo la voce triste e roca di Jonathan Royston, in piedi dietro Elizabeth. Se penso che poche ore prima le sue mani erano corse eccitate alla mia cintura, ed ora è così vicino ad Elizabeth e potrebbe potenziamente dirle tutto... Dannazione, sento che sto per impazzire di nuovo.
La ragazza si gira, dal momento che tutti -me compreso- hanno lo sguardo puntato su di lei, come se aspettassero una sua imminente reazione. Quando i suoi occhi ambrati incontrano quelli chiari dell'iniziato, il cibo per poco non le va di traverso.
"Jonathan." dice lei, la voce profonda e quasi minacciosa che ora ha assunto un'intonazione simile a quella di una domanda. Il ragazzo ignora lo sguardo confuso di tutti i presenti, soprattutto il mio.

"Elizabeth." risponde lui. I suoi pugni si stringono tanto da far diventare le nocche bianche. "Mi dispiace. Mi sono sempre comportato da idiota con te, e non avrei dovuto farlo, così come non avrei dovuto colpirti, umiliarti, provocarti, minacciarti, sbeffeggiarti, gridarti contro, prendermi gioco di te... Be', insomma, sai cosa ti ho fatto. Ti devo delle scuse che spero accetterai." la sua voce è meccanica e palesemente forzata, come quando costringi due bambini che non si possono tollerare a fare la pace.
A dir la verità, non avrei mai rivelato a nessuno i segreti di Jonathan, semplicemente perchè non mi importa un fico secco che gli piacciano i ragazzi. Ma la sua Divergenza... Quello è ancora un segreto di mia competenza.

La Candida rimane immobile, il busto appena girato per osservare l'Intrepido, la forchetta ancora fra le dita sottili e la bocca piena di carne che non sembra capace di ingoiare. Quando lo fa, però, i suoi occhi sfiorano tutti coloro seduti al nostro tavolo, e si soffermano su di me più del dovuto. Assottiglia le palpebre, come fa quando sospetta qualcosa. "Tu non me la racconti giusta": questo è quello che mi sta comunicando col lo sguardo.
"Spero che potremmo gettare le armi e provare a..."
"...essere amici?" sputa fuori la Candida, aggrottando le sopracciglia, come se Jonathan le avesse appena rivelato di volerla uccidere lentamente nel sonno.
"No, provare a tollerarci a vicenda."

Mi volto alla mia destra, verso Samuel, dandogli un colpetto con il gomito per catturare la sua attenzione.
"Ti suona familiare?" gli chiedo a bassa voce, indicando con la forchetta Jonathan. Samuel ride e annuisce, e l'Intrepido mi rivolge uno sguardo interrogativo, come a chiedere "Sto andando bene?", ed io per tutta risposta gli sorrido e gli faccio l'occhiolino, godendomi l'imbarazzo che gli tinge le guance di rosso.
"Accetto le tue scuse, e anche la tua proposta di provare a tollerarci. Mi devo scusare anche io, comunque. Dopotutto, ti ho rotto un dito." dice Elizabeth all'improvviso, un sincero sorriso amichevole le curva gli angoli delle labbra. Conosco i sorrisi falsi di Elizabeth, quelli affilati che usa per schernire la gente, e quello che ha adesso non appartiene a quella categoria. "Anzi, vuoi unirti a noi? Stavamo parlando di lotte corpo a corpo... Penso che sia un argomento che ti interessi, vero?"

"Sì... Sì, è così." sorride sinceramente sorpreso Jonathan, mentre Richard gli fa spazio e l'intrepido siede accanto ad Elizabeth. Dallo sguardo dell'Erudito, capisco che poco prima stavano parlando di tutto, tranne che di allenamenti.
Ma Elizabeth sa sempre cosa dire, per farsi piacere da una persona.
O per farsi odiare.
Più spesso è la seconda.

Le conversazioni continuano piacevolmente, al nostro tavolo occupato da un'improbabile compagnia. Elizabeth ha fatto del suo meglio per cercare di far sorridere Jonathan con qualche battuta o racconto divertente, e ci è anche riuscita un paio di volte, beandosi dell'apparente innocenza che i mezzi sorrisi dell'Intrepido trasmettevano. Ma il ragazzo è mentalmente altrove, probabilmente ancora in palestra, schiacciato contro la colonna assieme al rude e spietato Eric.
Samuel si è rivelato un ottimo compagno con cui parlare. Il Candido, mi duole ammetterlo, è dotato di un'empatia e di un grande animo buono, ed è questo che apprezzo di più di lui. Ogni tanto guarda ancora Elizabeth con occhi sognanti e tristi, quasi stesse osservando il suo più grande sogno svanire lentamente come polvere gettata al vento.

"Non vuole perderti." mormoro sperando che nessun altro a parte lui mi senta. "Forse non ti ama in quel modo, ma non sopporterebbe l'idea di non averti accanto. Me l'ha detto lei."
"Prima o poi me ne farò una ragione. Prima di amare gli altri deve imparare ad amare se stessa." abbassa lo sguardo "Quindi, se vuoi farla innamorare di te, Eric..." sussurra, esitante "...falla sentire la ragazza più spettacolare del mondo. Non dovrebbe essere difficile." aggiunge poi, a voce più bassa, guardando con occhi dolci e tristi la Candida, che ora sta ridendo allegramente con Jonathan e Alice, come se le crudeltà alle quali ha dovuto assistere -ed esserne spesso diretta vittima- non l'avessero mai sfiorata.

***

"L'avresti mai immaginato? Jonathan è un tipo simpatico, dopotutto. E suppongo tu non mi dirai che cosa gli hai combinato, prima che lui venisse a chiedermi scusa." sta ridendo Elizabeth, mentre supera l'ingresso dell'appartamento.
La piacevole luce dorata del tardo pomeriggio entra dalla grande finestra, creando un rettangolo di sole sul pavimento polveroso, sopra il quale il pulviscolo danza leggiadro e quasi invisibile.

Chiudo la porta a chiave, lentamente, con calma, ammaliato dalla bellissima e sensuale creatura nella mia stanza, anche conosciuta con il nome di Elizabeth Ride. Non importa quanta luce possa illuminare questo appartamento, lei sarà sempre più luminosa e raggiante.
Elizabeth è la ragazza che, quando passa e cammina con quella sua andatura sciolta e minacciosa, tutti si girano per guardare, indecisi se quella sia la creatura più bella o pericolosa che abbiano mai visto.
Ed è la stessa ragazza con gli occhi da felino, di quel particolare castano ambrato dalle mille sfumature dei più svariati colori, che ti fa mettere in discussione l'ardente bellezza dei tramonti estivi.

Daniel me l'ha detto, sono un ragazzo fortunato. Dopotutto, ho la ragazza dei miei sogni nel mio appartamento, un radioso sorriso sul suo viso perfetto, che mi fissa intensamente come a chiedersi "Cosa diavolo sta facendo il mio ragazzo lì impalato, invece di venire qui e darmi le attenzioni che merito?".
E allora accontento la sua tacita richiesta, anche perchè è fisicamente doloroso starle lontano per più di qualche minuto.
Mi avvicino a lei, attraversando la stanza a grandi passi per poter stringerla fra le braccia il prima possibile, come se stesse per scadere un conto alla rovescia ed alla fine lei possa svanire nell'aria polverosa della stanza.

Mi ancoro ai suoi fianchi morbidi, tirandola a me mentre lei incrocia le braccia dietro la mia nuca, e ci baciamo con passione e desiderio, le nostre menti ed i nostri corpi che danzano spensierati come il pulviscolo che svolazza agitato, sospeso nel vuoto del mio appartamento.
Con una mano le accarezzo i capelli, spingendola ancora di più verso di me come se in un attimo potesse sfumare via, lasciandosi dietro solo il suo piacevole profumo di primavera.
Elizabeth mi ha donato così tanto, andando oltre le apparenze, sfidando con coraggio il giudizio degli altri e salvandomi da neanche io so cosa. Mi ha accolto nel suo cuore, rivelandomi segreti che solo in pochi erano degni di conoscere. Mi ha mostrato tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta e assaporata fino all'ultimo secondo.

Mi ha insegnato che la persona che ero un tempo non fa di me ciò che sono ora, e che posso sempre cambiare, basta che io lo voglia.
Tutto questo l'ho imparato da una sola, piccola, esile Candida.
Ed ora la stringo fra le mie braccia.
E mi sento stupido, perchè so che merita di sentirsi dire quanto io la ritenga unica e insostituibile.

"Vorrei dirti una cosa." interrompo il nostro bacio, catturando la sua attenzione e la sua curiosità. Apre i suoi enormi occhi che ardono di passione, puntandoli sui miei. È passato un po', da quando l'ho conosciuta a fondo, eppure il suo sguardo mi mette ancora in soggezione. Probabilmente, perchè non so mai cosa c'è dietro a quelle dolci iridi da predatore, e quale pensiero contorto sta mettendo alla prova il suo sistema nervoso. "Però forse... Dovrei aspettare ed esserne sicuro, prima di dirtelo."
"Non abbiamo mai aspettato per essere sicuri di qualcosa, fino ad ora, lo sai." mi accarezza la guancia con una mano, rassicurandomi come se fossi ancora un bambino nelle vesti di un Erudito spaventato.
"Elizabeth Ride," le prendo la testa fra le mani, assicurandomi che la sua attenzione sia rivolta soltanto a me e alle mie labbra, che ora stanno pronunciando, con lancinante lentezza, le parole che sogno di dire a qualcuno da più tempo di quanto mi piaccia ammettere. "Ti amo."

Un silenzio di tomba devasta la stanza. Negli occhi di Elizabeth compare il debole luccichìo di una marea di lacrime, e la loro umida scia segna subito entrambe le guance. La Candida si porta una mano alla bocca, reprimendo un sospiro emozionato, e poi al petto, come a fermare la disperata corsa del suo cuore, che sta cercando di liberarsi dalla sua piccola gabbia toracica per congiungersi al mio e dimostrare con i gesti ciò che a parole è impossibile esprimere.
Si limita ad annuire velocemente, più e più volte, prima di lasciare che le lacrime facciano il loro corso sulla sua pelle pallida. La afferro per le spalle e la tiro verso di me, cullandomela al petto e accarezzandole i capelli.
"Ti amo anche io." sussurra cercando di contenere un tenero fremito, mentre ricambia l'abbraccio e si stringe a me. "Ti amo anche io, Eric."

In un attimo, le labbra di uno cercano quelle dell'altra, frettolose, agitate, forse anche timorose che qualcosa possa andare storto, rovinando questo momento che anche agli occhi del più crudele Erudito sembrerebbe perfetto.
La sollevo, senza interrompere il nostro bacio passionale, e la faccio stendere sul letto, accompagnando il movimento con una carezza sulla schiena e togliendo la mano soltanto quando sento la sua pelle liscia aderire al materasso.

Elizabeth mi accarezza i tatuaggi sul collo, morde il mio labbro inferiore, facendo tintinnare il piccolo piercing ad anello. Quel flebile suono, quasi impercettibile, con tutto il frastuono dello schiocco dei nostri baci, accende in me una fiera consapevolezza.
Siamo Intrepidi, liberi come il vento e coraggiosi a tal punto da scambiarsi questi sguardi intensi e parole potenti come quelle che pochi secondi fa sono uscite dalla nostra bocca.
Ed è proprio la stessa bocca che ci impegniamo a mordere, martoriare, violare con baci e dichiarazioni soffiate sottovoce.
E siamo Intrepidi, entrambi, insieme.

"Voglio che tu sia il primo." mormora lei, sicura, mentre afferra le mie mani e se le porta ai fianchi, guidandole sulle sue gambe fasciate dai jeans neri e sul suo petto, coperto da una canottiera sportiva che non fa la dovuta giustizia al suo corpo stupendo. Faccio fatica a respirare, ora, lo sguardo che guizza dai suoi occhi alla striscia di pelle che si sta pian piano rivelando a me. "Non voglio nessun altro, solo te, Eric."
Elizabeth afferra i lembi della mia maglietta, ed io me la sfilo immediatamente, non aspettando neanche una sua richiesta. Incapace di staccare lo sguardo dal mio corpo, la Candida fa scivolare una mano sul mio petto, scendendo poi all'addome e soffermandosi sui passanti dei jeans. La guardo, la mano ancora sui suoi fianchi quasi completamente nudi, e lei ricambia sorridendo, prima di stamparmi un pudico bacio sul petto, in corrispondenza del cuore.

Alcuni secondi dopo, tutte le barriere di tessuto e cuoio sono eliminate, evaporate, svanite. Resta solo la carne, i sospiri e i nervi tesi come corde di violino. Mi impegno a baciare ogni centimetro di pelle di Elizabeth, sussurrandole complimenti di tanto in tanto. Non voglio che pensi stupidaggini del tipo di non essere all'altezza di un Capofazione, soprattutto perchè, anche adesso, nuda e vulnerabile in ogni senso immaginabile, sento nel profondo che Elizabeth è ancora molto, molto più grande e coraggiosa di me.
"Farà molto male?" chiede, con un filo di voce, torturandosi l'interno della guancia con i denti.
"Un po'. Ma se vuoi che mi fermi, basta che tu lo dica." le bacio la fronte, il naso, le labbra "Non vorrei mai farti del male."
"Lo so." dice "E mi fido di te."
"Ti amo, Elizabeth, sei la cosa più bella che mi sia mai capitata." mi lascio sfuggire, poco prima di prendere anche quel piccolo stralcio di innocenza che era rimasto in lei. Sento le sue unghie scavarmi nella pelle, e subito segue un gemito, forse di dolore, forse di piacere. Forse entrambi.

*

Quando ho detto che Elizabeth non sarebbe stata la prima ragazza con la quale sarei andato a letto, di certo non mentivo. Ma, in mia difesa, posso dire che fare l'amore con lei è stato come rifarlo per la prima volta, speciale, intenso, unico, come se fosse diventato di nuovo un territorio a me sconosciuto, come se mi fossi spinto nuovamente oltre i miei limiti autoimposti.
Ed ho mantenuto la mia promessa, sono stato accorto e attento ad ogni sua minima reazione, fermandomi quando vedevo che il dolore le faceva storcere la bocca in una smorfia non compiaciuta, e animandomi quando mi sospirava nell'orecchio o mi baciava con passione.
Ho intravisto un sorriso, nell'atto, e ho dovuto trattenermi dal fermarmi a contemplare quella visione paradisiaca. Ho baciato ogni singola goccia di inchiostro sulla sua schiena, dimenticando per un attimo che per quel tatuaggio rischierebbe una minaccia per insubordinazione e, dunque, la morte.
Mi sono dimenticato tutto, facendo l'amore con Elizabeth, e non mi sono mai sentito meglio in tutta la mia vita. Leggero, spensierato, completo.

Elizabeth è stesa accanto a me, quasi dormiente, appoggiata alla mia spalla con un braccio sul mio addome. La luce argentea della sera le illumina lo sguardo, rendendolo misterioso e quasi inquetante. Abbiamo passato tutto il giorno in stanza, lei non si è presentata in Sala Simulazioni, ma oggi questo non è importante. Ciò che importa, ora, è che io e lei siamo insieme, nello stesso letto, e che questa giornata è stata perfetta.

Quando mi guarda, le sfioro con le dita la dolce curva della sua schiena, tracciando schemi invisibili in corrispondenza dei simboli delle Fazioni tatuati sulla sua pelle. Posa un bacio sul mio petto, proprio sul tatuaggio che legge la scritta "Be brave", sii coraggioso, il primo tatuaggio che io abbia mai avuto. Elizabeth appoggia il mento sulla mia spalla e sorride beatamente. Se questo non è coraggio, penso guardandola, allora vuol dire che non ne conosco per niente il significato.

"Non ho parole per descrivere quanto mi è piaciuto." farfuglia, forse anche lievemente imbarazzata, accarezzandomi la guancia. "È stato meravigliosamente perfetto. E tu... Sei stato così premuroso, con me."
"Te l'ho detto, non ti farei mai del male."
"Lo sai, dalla prima volta che ti ho visto sul cornicione mi sono ripromessa di doverti conquistare."
"Conquistare me?" ridacchio, anche se sono lusingato dalle parole della Candida. "Dovresti rivedere i tuoi gusti, Elizabeth."
"Be', ho visto che mi guardavi." dice, sorridendo maliziosamente. Ride e mi stampa un bacio sulla guancia. "E ho cominciato a guardarti anche io. Ho capito che eri uno tosto, e allora ho pensato: "Se voglio fare colpo su di lui, devo per forza essere la Prima a Saltare". E così l'ho fatto." spiega, con un tono di voce innocente, ma capisco dalla sua espressione che è chiaramente fiera di quello che ha fatto. "E ora siamo qui, quindi direi che ha funzionato..." la sua voce si affievolisce quando conclude la frase, ed un tenero imbarazzo le tinge le guance di rosso.

La guardo in silenzio, gli occhi appena spalancati dallo stupore. L'ha detto. L'ha detto.
 "Hai saltato per me?" sorrido incredulo.
"Certo! Perchè mai avrei dovuto farlo, altrimenti?"
"Perchè sei coraggiosa." spiego.
"Eric, me la stavo facendo sotto dalla paura! Buttarmi in quella voragine... Avrei potuto schiantarmi e diventare frittata di Candida."
"Hai saltato per me." ripeto, ancora incapace di crederci. Penso di averlo ripetuto anche una terza volta, perchè lei ride divertita e volta il mio viso verso di lei.

"Sì, ho saltato per te, perchè mi sei piaciuto sin dal primo momento che ti ho visto. Mi è piaciuto osservarti di nascosto e quando ho capito che provavi qualcosa per me... Insomma, l'ho trovato strano, all'inizio, pensavo sempre che avresti dovuto smetterla di fissarti con me e guardare le modelle che giravano per la Residenza. Anche se sarebbe stato controproducente per i miei fini. Poi ho capito che eri... affascinato..." pronuncia quella parola con riluttanza, come se si sentisse a disagio. "...dal mio modo di pensare. E hai sbloccato qualcosa in me. Hai apprezzato ogni mia singola qualità e accettato ogni mio singolo difetto. E ora che abbiamo fatto..." gesticola con le mani, indicando le lenzuola attorcigliate attorno ai nostri corpi. "Mi sento così..."
"...Intrepida?" le sorrido, intenerito dalle sue parole.
"Intrepida." sussurra lei. Mi bacia a lungo, prima di riportare i suoi splendidi occhi su di me. "Ti amo"

La bacio sulla fronte, ancora non abituato a rispondere ad una frase del genere.
"Eric, vorrei... Insomma, posso..." chiede all'improvviso, quasi imbarazzata, fissando lo sguardo sulle mie labbra. "Posso dormire con te, stanotte?"
Sospiro, e strizzo gli occhi nella penombra in direzione dell'orologio analogico appeso al muro, cercando di intravedere anche solo vagamente la posizione delle lancette.
"Dovresti essere al dormitorio, Elizabeth, lo sai che ci sono degli orari da rispettare. Non voglio che ti cacci nei guai." le ricordo dolcemente, stampandole un bacio in fronte.
"Non mi farò scoprire. I ragazzi mi copriranno le spalle." si affretta a rassicurarmi "Ti prego, voglio solo addormentarmi e risvegliarmi con te. Inoltre, il dormitorio puzza di umido."

Ci penso su: sono perfettamente consapevole che questa non è una cosa prudente, ma d'altra parte anche a me piacerebbe l'idea di dormire stretto ad Elizabeth, accarezzarle i capelli fino a farla addormentare per poi guardare il suo dolce viso rilassato, ipnotizzato da quella singolare bellezza che tanto la caratterizza.
"Va bene." mormoro, le labbra ancora appoggiate sulla sua fronte "Solo per stanotte. Non ti permetterò di rischiare un'altra volta."
"Stai mentendo." ride "A te stesso, più che a me."
"Proprio così." dico io, spostandola su di me.

La cullo stringendola al mio petto, aspettando che il suo respiro si faccia più regolare e il suo corpo si abbandoni completamente a me. Le bacio i capelli, inspirandone il tipico profumo selvaggio di primavera, misto a quello del vento indomabile. Quasi senza volerlo, dopo qualche minuto, comincio a parlare, mormorando piano per evitare di svegliarla.

"Sei una creatura così perfetta che a volte mi verrebbe da odiarti. Nella mia testa non riesco a smettere di ringraziarti per aver deciso di cambiare Fazione." le mie parole si perdono dell'umida oscurità della stanza. Confessarle quanto lei significhi per me è molto più facile, quando lei non può sentirmi. "Senza di te, non sarei nulla."
Le dita di Elizabeth si muovono stanche e impercettibili, salendo dal mio petto fino alla linea del mio collo, accarezzando i tatuaggi e lasciando gelide linee invisibile sulla mia pelle.
Ha sentito tutto, ed io mi sento come un bambino colto con le mani nel contenitore dei biscotti. Vulnerabile, spaventato, pronto ad una battuta su quanto io sia ridicolo o quanto sia pericoloso quello che ho detto.

Ma Elizabeth non dice nulla, e posso quasi percepire il suo sorriso abbozzato nell'oscurità, e mi rendo conto che non ho nulla di cui vergognarmi, perchè le ho semplicemente detto la pura verità. Le accarezzo la mano, ancora poggiata sul mio collo, e fisso il soffitto con un sorriso imbarazzato ma soddisfatto.
Voglio sentirmi così per sempre.
Forse, per me, c'è ancora speranza. 

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Capitolo 18
*** Il clown triste ***


Capitolo 18 - Il clown triste



Quando mi sveglio, mi accorgo immediatamente di due cose.
Una è la piccola creatura appisolata sul mio petto, avvolta in una felpa nera con il cappuccio alzato sulla testa, che però non riesce a coprire la selvaggia chioma di capelli bruni tutti arruffati intorno ad un tenero viso rilassato.
La seconda, è che qualcuno sta bussando insistentemente alla porta. Riconosco la voce alterata di Quattro, che mi chiama a gran voce sbattendo i pugni contro il legno.

Sbuffo e, facendolo, desto Elizabeth dal suo sonno profondo. La Candida alza il capo, disorientata, gli occhi socchiusi e l'espressione assente di chi è appena stato strappato da uno dei sogni più emozionanti di sempre. Si guarda intorno, e sorride quando si rende conto di essere ancora nel mio appartamento. Mi dà un fugace bacio sulle labbra, prima di spostarsi e mettersi a sedere sul materasso.
"Cristo, ho sognato di poter volare." mormora distrattamente. "La sensazione più brutta della mia vita"
"Ringraziami per averti svegliato, allora." le rispondo, altrettanto assonnato.

"Dobbiamo cambiare le lenzuola." ridacchia "Sembra una scena del crimine."
"Se ci fosse un omicidio all'interno della Residenza darebbero tutta la colpa a te, in ogni caso."
"Ma come? Sono assolutamente contraria alla violenza, io." la Candida fa spallucce e si passa una mano fra i capelli, infastidita dal continuo bussare di Quattro. "Ma che diavolo vuole?" ringhia, guardando torvamente la porta che quasi minaccia di cedere sotto i colpi dell'Abnegante.
"Devi sapere che Quattro è il mio amante: di solito viene verso quest'ora per una sessione mattutina di coccole."

"Solo coccole?" ride "Che delusione. Sarebbe interessante assistere a uno spettacolo più spinto con..."
"Va bene, basta così." dico allugando un braccio e tirando la Candida a me.
"Vado ad aprire io." dice, dirigendosi verso la porta. "Divertiamoci un po'."
Sto per dirle di non farlo, di nascondersi da qualche parte e lasciare a me il compito di parlare con Quattro, ma qualcosa mi ferma. Forse sono curioso di vedere la reazione del Rigido? Probabilmente sì. Inoltre, voglio sapere cosa ha in mente Elizabeth. I suoi modi di divertirsi, molto spesso, sono esilaranti, oppure tremendamente pericolosi.
Prima di aprire la porta, la Candida mi guarda. "Stai al gioco." mi intima sorridendo. Alzo le mani in segno di resa. Certo che starò al gioco, se ciò implica far impazzire Quattro.

Elizabeth si sistema i capelli con un gesto veloce della mano, e cerca di imitare un'espressione seria. Si abbassa la cerniera della felpa molto più al di sotto delle clavicole ed io aggrotto la fronte e la guardo confuso, cercando inutilmente di capire le sue intenzioni.
Quando apre la porta dell'appartamento, rivelando la figura del Rigido, il ragazzo ha un pugno alzato, come se si stesse preparando per bussare di nuovo. Lascia cadere il braccio lungo il fianco, vedendo Elizabeth scollata come non mai, incapace di pronunciare anche solo una parola.
"Ciao." balbetta Quattro, a disagio. Mi lascio scappare una risata, attirando la sua attenzione. "Ti devo parlare, Eric. Qualcuno è entrato nel mio computer."
Per un istante il cuore minaccia di esplodermi in petto, tanta è la paura di essere stato scoperto.

Poi, però, Elizabeth gli si avvicina, sfiorandogli la mano e guardandolo intensamente.
"Oh, andiamo, non parliamo di lavoro proprio adesso." dice allegra "Perchè non ti unisci a noi? Sembri molto stressato."
"Che cosa intendi con unirmi a voi?" farfuglia imbarazzato Quattro, rosso in viso come soltanto un Abnegante può diventare al solo alludere al sesso.
"Forza Elizabeth, lo sai che i Rigidi non fanno queste cose." dico io, alzando la voce per farmi sentire dai due individui alla mia porta. L'istruttore mi fulmina con lo sguardo da sopra le spalle della Candida.
"E dai, Quattro, non dirmi che non ti piacerebbe." mormora lei, nascondendo una risata palesemente divertita.

La ragazza lo tira a sè, e il suo allenatore non riesce a toglierle gli occhi di dosso, ipnotizzato dalla sensuale creatura dallo sguardo magnetico che ha di fronte.
"E poi" continua "Eric è molto attento e premuroso. Non mi ha fatto male, stanotte, non ne farà neanche a te."
"Come?" sbotta Quattro all'improvviso, allontanandosi dalla Candida come se gli avesse appena detto di avere una gravissima malattia contagiosa.
.
Mi porto una mano alla bocca, ostentando indifferenza, per nascondere il sorriso divertito che la reazione del Rigido mi ha provocato. È così ingenuo, a pensare che una ragazza come Elizabeth possa mai voler venire a letto con lui, che non mi sento neanche avvampare di rabbia per la piega che questo scherzo ha preso. Anzi. Se tutti gli scherzi fossero così, riderei più spesso.
"Scusate, ma devo andare." farfuglia velocemente lui, cercando di riprendere il controllo invano.
"Dai, potremmo fare una tregua per un'oretta, Quattro. Poi ricominceremo ad odiarci, se non finirai con l'innamorarti di me, chiaramente." infierisco, imitando un tono amichevole ma altezzoso, e mi godo la sua espressione oltraggiata.

"Io non sono gay!" sbotta, rosso in viso, stavolta per la rabbia.
"Non c'è bisogno che tu lo neghi, di certo non ti guarderemo in modo diverso." spiega Elizabeth, il tono di voce dolce e comprensivo.
"Ci sono molti ragazzi come te, in questa Fazione, non devi vergognartene." grido dall'altra parte della stanza. Mi siedo sul bordo del letto, infilandomi il primo paio di boxer puliti che riesco ad individuare.
"A me piacciono le ragazze." ringhia il Rigido, seguendomi con lo sguardo mentre mi avvicino ad Elizabeth.
"Non ti ho mai visto guardare una ragazza, da quando sono qui." commenta Elizabeth, come a sottolineare quell'argomento tanto scomodo quanto imbarazzante per Quattro.
"È perchè non osservi bene." è la sua risposta.

Sia io che la mia ragazza ci lasciamo sfuggire una genuina risata, sincera reazione divertita a quella stupidissima affermazione.
"Stai dicendo che io non presto attenzione a ciò che mi circonda?" ride lei, anche se nel suo tono di voce colgo un qualcosa simile al disprezzo.
"Provami il contrario." la sfida Quattro, leggermente intimorito.
"Dopo il sesso sono un po' stordita." spiega lei, facendo arrossire il suo istruttore. "Non che tu proverai mai una sensazione del genere." commenta poi sottovoce.
"Ti serve un po' di ghiaccio, Rigido?" rido, posando le mani sulle spalle della ragazza. "Perchè questa brucerà fino alla fine dei tuoi giorni."

"Vuoi sapere cosa so di te, Quattro?" chiede lei all'improvviso "Allora, cominciamo con-"
"Devo andare." farfuglia, affrettandosi ad alzare i tacchi e andarsene per il corridoio che porta alla mensa.
"Ci vediamo all'ora di pranzo!" cinguetta Elizabeth, sporgendosi dalla porta.
"Spero caldamente di no!" grida Quattro, e la sua voce rieccheggia profonda dei tunnel della Residenza.

***

"Stasera c'è una festa." ci informa Samuel, sorridendo ad Alice e agli altri presenti al tavolo. "Volete venire?"
"Ho una riunione molto importante, questo pomeriggio." rispondo io, il chiasso della mensa che quasi sovrasta la mia voce. Guardo Elizabeth, seduta al mio fianco, e lei mi fissa come se non capisse a cosa mi stia riferendo. Poi abbassa lo sguardo e annuisce, ricordandosi dell'assemblea volta a trasferire il suo amico Daniel fra gli Intrepidi. "Non ho idea di quanto possa durare."
"Se non vai tu non vado neanche io." sussurra lei, facendosi sentire solo da me.
"Elizabeth però verrà. Ci sarà per tutti e due." dico, ignorandola, tenendo gli occhi fissi su Quattro, che da quando si è seduto non ha osato alzare lo sguardo neanche per guardarsi intorno.

Il mio sguardo cade su Jonathan, che è stato in silenzio da quando abbiamo cominciato a mangiare. Accanto a lui, il Candido sorride soddisfatto, per poi sussurrare qualcosa all'Intrepido. Non mi ha ancora rivolto la parola, dopo quello che è successo in palestra, ed io non mi aspetto che lo faccia.
Sento Elizabeth che sibila un'imprecazione, ed io la fulmino con lo sguardo. Osservo la sua postura ingobbita e la mano nei suoi capelli. Mi guarda intensamente, i suoi occhi gelidi nascosti da qualche ciocca.

"Certo, dopotutto non vedo mai l'ora di partecipare a qualche grande festa piena di gente, con la musica tanto alta da impedirmi di pensare e impazzire in un angolo finchè qualcuno non mi fa ubriacare tanto da dimenticare persino la mia Fazione d'origine." dice, con il suo tipico tono di voce freddo e distaccato, voltandosi verso Samuel, che abbassa lo sguardo, imbarazzato.

"Non dirmi che hai paura dei posti affollati." ride Richard, seduto alla sinistra di Jonathan. La Candida tace e smette di masticare la sua insalata, fissandola come se fosse stata proprio quella verdura a pronunciare quelle parole. Elizabeth lancia un breve sguardo a Quattro, seduto a capotavola, poi i suoi occhi cercano i miei solo per un istante brevissimo.
La ragazza aggrotta leggermente la fronte e si schiarisce la voce, prima di annuire due volte in risposta all'Erudito.

"Prima gli aghi, ora questo!" esclama Richard "Mi aspetto che la prossima paura della quale verremo a conoscenza sia all'altezza della tua fama!"
"Cosa vuoi dire?" chiede Alice, alla mia destra, con un tono di voce quasi offeso.
"Che nella Residenza Elizabeth è nota per essere estremamente... impavida. Per non dire sconsideratamente aggressiva." spiega Jonathan, senza alzare lo sguardo dal piatto. La ragazza alza lo sguardo verso l'Intrepido, confusa ed allo stesso tempo lusingata dal complimento. "In realtà, non ci aspettavamo neanche che avessi paure."

"Forse è umana anche lei, dopotutto." gli sorride Richard, un sorriso strano, molto più che un semplice gesto d'amicizia. Aggrotto la fronte e guardo il sorriso timido che compare sulle labbra di Jonathan quando incontra gli occhi dell'Erudito. Quando si accorge che lo sto fissando a dir poco perplesso, l'Intrepido abbassa lo sguardo ed avvampa per l'imbarazzo.
La sgradevole sensazione delle labbra dell'iniziato sulle mie si va vivida per il più breve degli istanti, necessario per farmi avvertire un brivido lungo tutta la schiena.

"Vi piacerebbe." ride lei.
"Quindi..." Samuel cattura l'attenzione della Candida "...Stasera non verrai? Voglio dire, non sei costretta a farlo se... Insomma, se non ti va."
Elizabeth alza gli occhi verso di me e si morde l'interno della guancia. Apre la bocca per dire qualcosa, poi si ferma e posa la forchetta sul tavolo per giocherellare con una ciocca dei suoi capelli.
"No, no, verrò. Mi farà piacere stare con voi." smette di torturare la sua capigliatura e poggia il mento sul palmo della mano, sforzandosi di sorridere, ma Samuel -essendo anch'egli un Candido, seppur non sveglio come lei- si accorge subito che la sua amata sta mentendo.
"Godetevi questi giorni di festa" dice all'improvviso Quattro, la sua voce profonda che rompe il silenzio. "Tra otto giorni ci sarà la Prova Finale. Dovete prenderla seriamente. Non c'è bisogno che Eric vi ricordi cosa succederà se non supererete il test."

"Oh, non fare il Rigido." sorrido io, lo sguardo ancora fisso su Elizabeth. Mi volto verso Quattro, godendomi la sua espressione tesa nel sentir pronunciare quel tanto odiato soprannome. Anch'io, se fossi nato Abnegante, preferirei nasconderlo. "Facciamoli divertire, almeno stasera." continuo, mantenendo il mio studiato tono di voce freddo e distaccato.
Tutti si voltano sconcertati verso di me, come se avessi appena parlato in una lingua a loro sconosciuta. Aggrotto la fronte.
"A meno che non preferiate passare l'intera giornata nel vostro Scenario della Paura." mormoro, la voce profonda e minacciosa appena udibile nel chiasso della mensa.
Gli iniziati distolgono lo sguardo in fretta, rivolgendolo di nuovo verso i loro piatti. Tranne Jonathan. Stavolta, però, quando i miei occhi si posano sui suoi, lui non abbassa la testa ma, al contrario, mi fissa intensamente, le labbra storte in una smorfia amareggiata.
"Ti devo parlare." leggo il suo labbiale, attentamente nascosto da una mano poggiata distrattamente sulla guancia.

Sento una bolla fredda espandersi dentro il mio petto, una sensazione di paura che si irradia in tutto il mio corpo. Mi volto verso Elizabeth nascondendo a fatica la tensione, ma lei sta parlando con Richard e sorride tranquilla. Per un attimo, ho temuto che scoprisse tutto, anche solo da uno scambio di sguardi troppo intenso.
Annuisco senza guardare Jonathan, perchè so che lui mi sta fissando, ma, in realtà, non ho la minima intenzione di parlarci, perchè so esattamente di cosa vuole discutere.
Ed io sto facendo di tutto pur di dimenticarlo.

"Eric." una voce profonda mi risveglia dai miei sgradevoli pensieri. È Max, in piedi accanto al mio tavolo. "L'assemblea comincerà fra mezz'ora, preparati."
"Sono nel tuo ufficio tra pochi minuti." rispondo. Max mi dà una pacca sulla spalla e sparisce fra la calca di Intrepidi urlanti.
Sospiro e mi passo una mano sul viso. Faccio per alzarmi, ma Elizabeth, da sotto il tavolo, mi trattiene per il polso.

Mi giro verso la mia ragazza, rivolgendole uno sguardo stanco e accondiscentente. So cosa vuole, so cosa mi sta chiedendo, anche se non sta emettendo un solo verso.
Lei alza le sopracciglia, stanca di aspettare tanto per avere un piccolo, innocente, casto bacio sulle labbra.
"Dannazione, mi farete vomitare." farfuglia Alice, divertita "Se dovete baciarvi, fatelo ora."
Il sangue comincia a scorrermi veloce nelle vene, ed il cuore inizia a correre all'impazzata. Posso avvertire lo sguardo di Jonathan addosso e sento che mi viene da rimettere.

"Devo andare."è la mia risposta. Lascio andare la stretta di Elizabeth e mi alzo e, anche senza voltarmi indietro, riesco a percepire gli occhi di tutti gli iniziati su di me. Mi scrollo tutte quelle attenzioni di dosso sparendo nella folla e imboccando il tunnel che conduce al mio appartamento.

Apro la porta di colpo, e mi abbandono di peso sul letto senza neanche disturbarmi a chiuderla. Mi prendo la testa fra le mani e mi stringo i capelli fra le dita, ma che cosa ho fatto? Devo badare a troppe cose, troppe faccende. Tutto è confuso nella mia testa, che ora si è ridotta ad un turbinìo di pensieri informi e disordinati. Ciò che è successo con Jonathan, le Simulazioni, l'Assemblea, Elizabeth...
Qualcuno bussa e, prima ancora che possa alzare la testa, riconosco la voce dell'Intrepido, in piedi sulla soglia della porta, visibilmente a disagio.
Mi alzo di scatto. Prendo l'iniziato per la maglietta e lo scaravento dentro l'appartamento, chiudendo la porta con furia. Ci mancavano soltanto lui e i suoi "Ti devo parlare":
"Io..." comincia Jonathan, chiaramente intimorito dalla mia reazione.
"Tu cosa? Cosa vuoi da me? Non ti sono bastate tutte quelle minacce? Perchè non mi lasci in pace, dannazione?" grido, a pochi centimetri dal suo viso rosso per l'imbarazzo.

"Perchè non ci riesco! Ogni giorno ti siedi al mio stesso tavolo ed io non riesco a guardarti senza pensare a quello che è successo in palestra!"
"Oh, Cristo.." sospiro esasperato, le mie parole si accavallano alle sue.
"...Non posso fare finta di niente, capisci?" alza il tono della voce "Non posso!"
"E cosa vuoi che faccia io?" urlo, ormai non mi importa neanche più che qualcuno mi possa sentire.

Jonathan tace, rimane immobile al centro della stanza a torturarsi le dita lunghe ed esili. Poi, prima che io possa rendermene conto, si avventa su di me con la stessa violenza della quale mi ero servito io in palestra, e le nostre labbra si toccano. Si aggrappa al mio collo, come se ne dipendesse la sua vita, mentre con l'altra mano cerca il lembo della mia maglietta.
All'inizio sono talmente sconvolto che rimango immobile, poi, però, trovo la forza di reagire, e spingo Jonathan con tutta la forza che mi è rimasta in corpo. L'iniziato barcolla all'indietro, e forse potrebbe anche evitare di cadere, se non fosse che la mia mano sta reagendo senza il mio controllo e finisce per schiantarsi contro la mascella dell'intrepido. Cos'era? Un pugno?
Guardo il viso del ragazzo, contorto dal dolore, e sulla sua guancia destra è comparsa una manata rossa. No, era uno schiaffo. Be', meglio così.

"Merda, Eric..." sta sibilando lui, ma le sue parole vengono interrotte dal suono che, in quel momento, meno avrei voluto sentire.
Qualcuno bussa alla porta e, oltre al legno, sento la profonda voce di Max. Impreco. Una volta, due, tre. Faccio segno a Jonathan di alzarsi. "Nasconditi in bagno, appena è sicuro esci dalla finestra." sussurro. Il ragazzo annuisce imbarazzato, poi fa quanto richiesto e si rifiugia nel piccolo bagno.
Cercando di riprendere il controllo, apro la porta.
"Cos'era tutto quel fracasso?" sta chiedendo Max, la fronte corrugata in numerosi solchi nella pelle scura.
"Niente, sono pronto. Possiamo andare." dico in fretta, cercando di mantenere un tono di voce distaccato e tranquillo, anche se dentro il cuore mi sta battendo più veloce di quanto mi piaccia ammettere.

Faccio per girare la chiave e chiudere la porta, ed il mio pensiero va immediatamente a Jonathan. Se chiudo la porta adesso, non potrà più uscire dalla stanza. E Dio soltanto sa quanto se ne lamenterà al mio ritorno. Senza pensarci un'altra volta, do tre mandate alla serratura con eccessivo impeto, e mi volto verso l'uomo con un'espressione quasi colpevole in viso.
"Andiamo, allora!" esclama Max, allontanandomi sempre di più da quella maledettissima porta che mi pento di aver chiuso.

***

Dopo ore passate a discutere, rivedere documenti su documenti, parlare con i responsabili sparpagliati per tutta la città, e discutere una seconda volta, l'assemblea si è finalmente conclusa. Per un motivo o per l'altro, la maggior parte della riunione si è dovuta svolgere nel Quartier Generale dei Candidi ed io, non appena messo piede in questa mastodontica Fazione bianca e nera, non ho potuto nascondere un sorrisino malizioso. Quindi è cresciuta qui, mi sono ritrovato a pensare.
Ora che l'assemblea è giunta al termine, i partecipanti si stanno congedando cordialmente, dirigendosi verso la grande uscita a vetri dell'edificio. Nonostante fuori sia ormai sera, l'interno della Fazione dei Candidi è di una luminosità accecante, tanto da farmi male agli occhi.
Max sta parlando con Jeanine, ultimamente quei due non fanno altro che svolgere pratiche insieme. Forse non sono l'unico a far parte di una tresca amorosa che non dovrebbe esistere.

Sto per spostarmi dall'imponente simbolo della bilancia asimmetrica sul pavimento, e quindi raggiungere Max per spronarlo ad andarcene, quando vedo una sagoma vestita di bianco che si dirige proprio verso di me, partendo dal fondo dell'enorme sala luminosa. Non è tanto il fatto che sia un Candido che si avvicina a me a caatturare la mia attenzione, quanto qualcosa di curiosamente familiare nel suo viso. È un uomo alto e corpacciuto, sulla cinquantina, i capelli grigi e corti aggrovigliati in tante piccole nuvolette brizzolate sulla testa.
Quando è abbastanza vicino, i suoi gelidi occhi azzurri mi inchiodano sul posto. C'è qualcosa, c'è qualcosa... Continuo a ripetermi.
Ma, prima ancora che nella mia mente si accenda quella scintilla, l'uomo è di fronte a me, l'espressione fredda e disinteressata.
"Sei tu il Capofazione Intrepido?" chiede, il suo tono di voce è, anch'esso, stranamente familiare. Profondo, roco, minaccioso.
"Uno di loro, sì." rispondo io, incrociando le braccia sul petto e mettendo quindi in evidenza i tatuaggi sulle braccia e sulle spalle.

L'uomo non sposta lo sguardo dai miei occhi, neanche quando il Capofazione Kang, alle sue spalle, grida il suo nome per richiamare la sua attenzione.
Il sangue mi si congela nelle vene, solidificandosi e impedendo l'afflusso fino al mio cervello. La mia mascella si chiude di colpo e, nel mio stomaco, sento qualcosa agitarsi e diventare irrequieta.
"Signor Ride." ripeto le parole di Jack Kang, sperando che Max venga a salvarmi al più presto.
"Sono venuto a sapere di ciò che è accaduto la scorsa notte." il padre di Elizabeth va dritto al punto "So che mia figlia minore si è introdotta nel Quartier Generale degli Eruditi. E so che c'eri tu con lei." aggiunge, gelido.
"Sissignore." non vorrei rispondere, ma lo faccio comunque. È come un riflesso del tutto naturale.

"Bene, giovanotto, ora stammi a sentire." sussurra, avvicinandosi a me pericolosamente. Solo ora capisco cos'è che accomuna padre e figlia: la capacità di fartela fare addosso senza neanche sfiorarti con un dito. "Mia figlia Elizabeth ha scelto di cambiare Fazione, e la sua è stata una scelta che mi ha distrutto. Ma ciò che è stato è stato, e ormai non posso fare più nulla per cambiarlo. So che voi due siete molto... legati, se così si può dire."
Vedendomi sbiancare, il suo sguardo si fa ancora più sospettoso e freddo.
"Mia figlia Julia mi ha informato su tutto quello che c'era da sapere, anche se avrei preferito essere all'oscuro di certe faccende." continua, inchiodandomi al pavimento di marmo con le sue parole, pronunciate in maniera bassa e terrificante. Certo, non si può negare la somiglianza nei modi di fare fra padre e figlia. "Ma non sono qui per minacciarti, figliolo. Non mi sembri uno che si spaventa facilmente."

Non riesco a sorridere a colui che ha rovinato la vita alla persona che più amo al mondo. Il padre di Elizabeth non ha mai fatto nulla per aiutarla, e non si è mai preoccupato di porre fine agli abusi di sua madre. Quando lo guardo non vedo un uomo come gli altri, vedo solo una delle cause principali delle insicurezze di Elizabeth.
"Un'ultima cosa, giovanotto."
"Eric."
"Eric." ripete lui, quasi sorpreso. "So che non mi è permesso chiederlo, ma d'altronde, per la famiglia si fanno cose che vanno ben oltre il concesso. Come... Come sta andando mia figlia? Sai, è sempre stata così chiusa, insicura, da piccolina... Non deve trovarsi bene , vero?" dice, sorridendo compiaciuto. So cosa vuole sentirsi dire: che sua figlia è una frana, che non riesce a combinare nulla di buono, che sono sorpreso che non sia stata scaraventata fuori dalla Residenza dal primo giorno. Credo fortemente che se assistesse anche ad un solo spezzone di vita Intrepida della mia ragazza, a quest'uomo verrebbe un infarto.

"È sorprendentemente brava, una delle migliori. Fa a botte molto spesso, e ne esce sempre vincitrice." sorrido, palesemente irritato "Abbiamo pensato anche di farla Capofazione degli Intrepidi."
E questo, effettivamente, è vero. Quando ancora non la conoscevo bene, Max aveva espresso i suoi giudizi positivi su Elizabeth, sostenendo che sarebbe stata una leader con i fiocchi, ed io, ovviamente, neanche gli prestai attenzione. Ora invece non posso che dargli ragione.
"Non le manca per niente la vita nei Candidi. Parole sue." aggiungo, ed il mio sorriso si allarga ancora di più.
La reazione dell'uomo mi riempie di soddisfazione: è chiaramente offeso dalle mie parole, ed è proprio lì che volevo mirare.
Sta per dire qualcosa in risposta, ma sento Max chiamarmi: ha smesso di parlare con l'Erudita tutta cervello e niente emozioni, ed ora è tempo di tornare alla Residenza.
"Buon proseguimento di serata, signor Ride." mi congendo, esibendomi in un breve inchino e godendomi la reazione oltraggiata del vecchio. "Porterò i Suoi saluti a sua figlia. Sono sicuro che ne sarà entusiasta."

"Chi era quello?" chiede Max, leggermente divertito dall'espressione dell'uomo. Quando usciamo, inspiro una profonda boccata d'aria fresca, e sento tutte le ossa congelarsi.
"Il padre di Elizabeth." rispondo, scandendo ogni parola in tono palesemente divertito. Max ride e mi dà una pacca sulla schiena.
"Problemi di cuore?" chiede, alzando le sopracciglia, utilizzando un tono di voce che fa alludere a qualcosa di più di un semplice problema di cuore.
"No, voleva solo sapere qualcosa di più sull'andamento della figlia." rispondo. Il Capofazione tace qualche secondo, prima di sospirare, il sorriso che ancora aleggia sulle sue labbra.
"La Fazione prima del sangue." mormora, infine, quasi triste.
"La Fazione prima del sangue." ripeto, il pensiero che va immediatamente alla splendida ragazza che mi aspetta nella Residenza.

***

La musica è assordante, e pensare è difficile. Ma è anche difficile perchè ho bevuto qualche bicchiere di qualcosa, e non sono sicuro di essere sobrio. Al diavolo, ovvio che non sono sobrio: è una festa! Sono arrivato qui solo da cinque minuti, eppure non ho ancora trovato chi sto cercando. Ho trovato l'alcool, però. Ma chi stavo cercando?
Elizabeth. Chiaro, io cerco sempre lei.
Mi faccio spazio fra la folla danzante di Intrepidi ubriachi e, nel passare, vedo Jonathan e Richard addossati ad una colonna, concentrati in un'attenta esplorazione l'uno della bocca dell'altro. Superandoli, non posso trattenermi dal dare una pacca sulla spalla a Jonathan. Ben fatto, Royston, almeno ti sei dimenticato di me.
"Eric!" una voce si alza alle mie spalle, sovrastando la musica martellante, una voce profonda, forte, autoritaria . Mi volto. Il mio viso si illumina di gioia quando riconosco lo splendido volto di Elizabeth, ora illuminato dalle luci psichedeliche del locale. Ha l'espressione accigliata, perplessa. Per quello che riesco a vedere, non sembra molto contenta di vedermi.
C'è qualcosa di diverso in lei, nel suo sguardo, qualcosa di più... sensuale.
Oppure sono solo ubriaco.

La bacio, noncurante della marea di gente che ci circonda. Chi ci noterebbe qui, dopotutto? Sono tutti impegnati a ballare o a limonare con la persona che hanno accanto. Nonostante ciò, Elizabeth non ricambia la mia dimostrazione d'affetto. Lascio cadere il bicchiere pieno del liquido alcolico per terra, in modo da stringere il piccolo corpo della Candida fra le mie braccia.
"Mi sei mancata così tanto." le sibilo all'orecchio, un sorriso mi si forma sulle labbra. Succede sempre così, quando sto con lei. La ragazza ride senza troppa convinzione, e allora rido anch'io. Non perchè la situazione è divertente, ma perchè sono ubriaco.
"Devo parlarti, Eric!" grida, per farsi sentire, ma io non capisco. Lo ripete. Non capisco neanche stavolta.

La ragazza sbuffa e mi prende per mano. Ci allontaniamo dalla festa per imboccare uno dei tunnel che portano al mio appartamento. Ora, senza le luci colorate del locale che alterano la sua figura, riesco a vedere bene Elizabeth. Ha i capelli più lisci del solito, ed ora sembrano anche più lunghi di quanto mi ricordassi. Indossa sempre un top corto nero e dei jeans dello stesso colore. Dev'essere il suo outfit da party, questo.
Quando si volta verso di me, vedo che il suo sguardo felino è ancora più tagliente grazie all'eye-liner che qualcuno, probabilmente Alice, deve averla costretta a mettere. Elizabeth non ama truccarsi, me l'ha detto lei.
Ma ringrazio chiunque l'abbia trasformata in questo modo, perchè, se possibile, mi sembra ancora più bella, stasera.

Entriamo nell'appartamento, e subito mi accorgo di una cosa strana: la porta non è chiusa a chiave. Ma perchè? Io chiudo sempre la porta a chiave... Merda, Jonathan! Sarà riuscito a scappare? E se fosse ancora qui dentro? Ma soprattutto... Perchè non ho chiuso la porta a chiave?
Rimedio subito, dando tre mandate alla serratura. Sospiro di sollievo, e sposto immediatamente lo sguardo sulla mia bellissima ragazza che ora, con le mani sui fianchi ed un'espressione severa in viso, mi guarda accigliata. Cristo, come è bella, Dio solo sa cosa le farei. No, non è vero, lo so anche io. E forse anche Elizabeth.
"Eric, dobbiamo parl-"
"Parliamo dopo." la interrompo velocemente, ringhiando parole che mi arrivano all'orecchio quasi lontane, come se non le avessi pronunciato io.

Mi avvento contro di lei, sollevandola e quasi scaraventadola sul materasso. È passato troppo tempo dall'ultima volta che l'ho vista, e oggi che è ancora più bella del solito mi risulta impossibile starle lontano. La bacio con passione, aspetto questo momento forse da tutta la giornata. Nella sua bocca sento il sapore dell'alcool, ma probabilmente si tratta del mio. Ha detto che non si sarebbe ubriacata stasera.
"Eric..." sospira nel mio orecchio, mandandomi all'altro mondo. Le blocco i polsi sopra la testa con una mano, mentre con l'altra le sollevo il top scuro, accarezzandole la pelle liscia e fresca dei fianchi.
Le bacio il collo, mentre tento di levarle quello stupido indumento di dosso, ma con la mia lucidità attuale la trovo un'impresa assai ardua. E allora opto per l'opzione più logica: lo strappo. Gliene comprerò uno nuovo.
"Eric." mi chiama di nuovo, ma io sono altrove.

Elizabeth si contorce sotto il mio peso, evidentemente anche lei non vedeva l'ora di passare un po' di tempo con me, da soli. Mormora ancora il mio nome, stavolta più forte, la sua voce profonda ma tremolante rieccheggia fra le pareti dell'appartamento, ed io sto per perdere quel poco di controllo che non è stato rivendicato dall'alcool.
Armeggio con la sua cintura di cuoio, sfilandola via dai passanti con violenza e strattonando giù i suoi pantaloni, scoprendo gran parte delle cosce, o almeno quanto basta per farmi completamente perdere la testa.
Ritorno a baciarla sul collo, e le mie dita stanno già scivolando nei suoi slip, quando la sua voce squarcia il silenzio.
"Eric!" grida, la voce distorta da quel qualcosa che mi fa fermare immediatamente.

Alzo lo sguardo verso di lei, perplesso, perchè ha urlato? Fino a poco fa gemeva dal piacere, perchè ora mi ha fatto fermare? Quando i miei occhi si adattano alla penombra della stanza ed incrociano i suoi, sento un macigno pesante cadermi in testa, la sensazione simile a quella di un treno che ti investe a tutta velocità, colpendoti proprio al petto e facendoti provare il dolore più struggente mai sperimentato in vita tua.
I suoi occhi sono rossi, le lacrime che scorrono senza fermarsi sul suo volto a dir poco terrorizzato, le sue labbra tremano per la paura, ed i suoi polsi lottano sotto il mio palmo per liberarsi dalla mia stretta mortale.
Come risvegliato da un incubo che non augurerei a nessuno, la lascio immediatamente andare, e lei si alza dal letto, il volto privo di colore.
Si sistema i vestiti con fare intimorito. Ed eccola, tremante sulle sue stesse gambe, i capelli lisci ora tutti scompigliati, ed il mascara che le riga le guance di nero, facendola sembare uno di quei pagliacci tristi che ogni tanto ho visto in qualche libro.

Non erano sospiri di piacere, ma di terrore.
Non si stava contorcendo per il desiderio di avermi, ma per quello di scappare da me.
Non stava chiamando il mio nome per esortarmi a continuare, ma per pregarmi di smettere.
Dio...
Non è successo davvero...
Non a me...
Che cosa ho fatto...

"Elizabeth..." cerco di avvicinarmi, ma lei fa un passo indietro, terrorizzata dal mostro che ha di fronte. È questo che sono ora, un viscido cane che sta guaendo per il perdono del padrone.
"Non ti avvicinare! Non mi toccare!" grida, disperata, le lacrime scorrono senza sosta, bagnando il suo viso e rendendolo ancora più addolorato. La sua voce rieccheggia fra le pareti, arrivandomi più e più volte alle orecchie come un costante promemoria della mia meschinità.
Mostro.

Vorrei dire qualcosa, qualsiasi cosa, specialmente ora che mi sento più lucido che mai, come se mi avessero tirato una secchiata d'acqua fredda in pieno viso, ma Elizabeth non me ne dà il tempo e afferra le chiavi dal comodino. Scappa verso la porta, come se fosse inseguita da un assassino, e si fionda nel corridoio, il top strappato sul petto che le scopre gran parte della pancia e dell'addome.
Vorrei poter essere capace di ragionare razionalmente. Vorrei poter avere la mia tipica capacità di trovare immediatamente la soluzione ad un problema. Ma non c'è niente, niente, che possa svegliarmi da questo incubo che mi rembra anche troppo reale.
Forse vorrei urlare, oppure correre dietro Elizabeth e fermarla. Ma non servirebbe, non servirebbe a niente.

Ho ferito la persona più importante che avevo, ho tradito la sua fiducia e distrutto un sudato rapporto che si basava sul rispetto reciproco e sull'empatia. Ho semplicemente fatto cadere un enorme castello, ed ora ogni singolo mattone mi sta franando sul cuore, schiacciandolo e impedendomi di respirare.
Vorrei poter provare qualcosa, qualsiasi cosa. Ma l'unica cosa che riesco a percepire è un'estrema, terribile, atroce consapevolezza del mostro riflesso nello specchio che ho davanti. Sta ridendo, perchè è da quando è arrivata Elizabeth che sogna distruggere ogni mia relazione, smantellare la mia felicità, ritornare ad essere tutt'uno con me, ritornare ad essere l'Eric di prima.

In qualche modo, mi ritrovo ad avanzare verso lo specchio e infrangerlo in mille frammenti argentei che riflettono la luce pallida della sera. Quando cadono sul pavimento, si sporcano delle gocce di sangue che fuoriesce dalle mie nocche tagliate, lacerate dai taglienti riflessi del passato.
Ma questo dolore non è nulla rispetto a ciò che sto provando dentro.
Sento che potrei vomitare.

Mi accascio sul bordo del letto, tenendo lo sguardo fisso su ciò che è rimasto dello specchio, incapace di pensare ad altro.
Mostro. Mi ripete il mio riflesso, guardandomi disgustato ma allo stesso tempo compiaciuto. Non posso dargli torto. Cosa sarebbe successo se Elizabeth non mi avesse fermato? No, no, non posso neanche pensarci. Non voglio, non me lo posso permettere.
Ho rovinato tutto. Ho reso concreta una delle sue peggiori paure.

Prima che io possa fare niente per fermarla, una lacrima scende sul mio viso, senza che io lo voglia. Poi ne arriva una sorella, e poi un'altra ed un'altra ancora. Prima ancora di rendermene conto, sto singhiozzando come un bambino. Mi conficco le unghie nella carne e mi dispero in un lungo, furioso, inconsolabile pianto, urlando alla mia viscida vigliaccheria.
Nel momento stesso in cui Elizabeth ha varcato la soglia, col suo passo frenetico e terrorizzato, una parte di me si è persa, evaporata come una pozza d'acqua in una giornata di sole cocente. Un dolore struggente mi ha attanagliato il cuore e l'ha ridotto a brandelli piccoli e sanguinanti. Ogni singola particella d'aria in questa stanza mi ha gridato, urlato, sbraitato contro che sono solo la feccia della feccia dell'umanità.

E per un momento, solo per il più breve degli istanti, l'unica cosa che sono riuscito a pensare era che avevo messo in fuga quel pericoloso felino dagli occhi famelici, allora grondanti di dolore, e che mi sentivo ancora più spaventato di prima. 

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Capitolo 19
*** Lo spettacolo è finito ***


Capitolo 19 - Lo spettacolo è finito





Sono trentatrè ore che il mio corpo si rifiuta di lasciare l'appartamento, un appartamento che mai prima d'ora mi è sembrato più triste, polveroso, vuoto. I frammenti di specchio sono ancora sul pavimento, e costellano il marmo come un firmamento improvvisato e sanguinante. La parte razionale che è rimasta nella mia mente mi suggerisce di alzarmi dal letto e pulire tutto quel casino, magari smontare lo specchio e dare un'occhiata alla preoccupante ferita da taglio sulla mia mano, nella quale sono ancora rimasti incastrati luccicanti cocci di vetro.
Distolgo lo sguardo dalla lampadina che penzola dal soffitto per abbassarlo sulle mie nocche, diventate di un allarmante colore violaceo. Il sangue è colato dai tagli al dorso della mano, scivolando sul palmo e andando a macchiare anche l'avambraccio, in un preoccupante schema di linee brunastre di sangue secco e raggrumato.

D'improvviso, una pesante stanchezza mi piomba addosso, come un'ondata di malessere che ti travolge con tutta la sua forza. Non ho chiuso occhio da quando Elizabeth ha varcato la soglia di quella porta, e non ho nemmeno voluto provare ad addormentarmi: so già che se mi appisolassi anche solo per pochi minuti, i miei incubi sarebbero infestati dalla ricorrente immagine della Candida che urla il mio nome in preda al terrore più puro.
Ho passato due intere notti a chiedermi cosa potessi fare per farmi perdonare, ma dopo qualche ora ho staccato la spina al cervello e mi sono detto che nulla potrà mai convincere Elizabeth che non sono il mostro che crede io sia. Soprattutto perchè prima dovrei convincere me stesso.

Mi passo una mano sul viso, stanco di dover pensare così tanto, e un vetro conficcato nel palmo della mano va a graffiarmi il volto. Sibilo, più per la sorpresa che per il dolore, ed emetto un gemito di disappunto mentre mi alzo, dirigendomi in bagno.
Osservo il mio riflesso, e vedo nello specchio il mio sguardo diffidente, quasi avessi di fronte uno sconosciuto. Non ho mai avuto l'abitudine di specchiarmi spesso, sicchè ogni volta che scorgo la mia immagine riflessa su una qualsiasi superficie ne rimango quasi confuso.
Sospiro mentre passo uno straccio bagnato dalla tempia sinistra fino agli zigomi, tracciando un'umida traccia di sangue dove il vetro ha tagliato la pelle. Faccio cadere lo straccio macchiato di rosso nel lavandino, e mi impegno a togliere quanti più frammenti di specchio possibile dalla mia mano.

Per un doloroso, infido momento, mi riviene in mente quando Elizabeth si è offerta di rimuovere il proiettile dalla mia spalla a seguito della sfida con le bandiere al vecchio cantiere. Ricordo la sensazione delle sue piccole mani sulla mia schiena, le sue dita ferme e precise mentre cercava di estrarre il dardo dalla profondità della pelle.
Senza rendermene conto, stringo il bordo del lavandino con tanta forza che i tagli sulle nocche si riaprono, sanguinando copiosamente per l'ennesima volta e bruciando dolorosamente a contatto con l'acqua.
Ho passato l'intera notte a maledirmi per quello che ho fatto, a insultarmi in tutti i modi che conosco e a trovare nuovi insulti per punirmi ancora, uno spiacevole ma necessario mantra.

Alzo lo sguardo verso lo specchio nel momento esatto in cui, dall'altra parte dell'appartamento, sento degli incessanti colpi alla porta. Scorgo il riflesso della mia espressione sorpresa nello specchio, poi esco dal bagno, sforzandomi di leggere l'orario sull'orologio appeso alla parete. Riluttante, mi fermo in mezzo alla stanza, proprio nello spazio che separa i piedi del letto dalla parete alla quale è appesa la cornice che fino ad un giorno prima conteneva lo specchio, ora in mille pezzi sul pavimento. Chi è che può bussare alla mia porta all'una del tardo pomeriggio? Chiunque, naturalmente. Per un attimo dimentico che sono il Capofazione, e chiunque potrebbe volere il mio aiuto. Solo che nessuno lo fa mai, troppo intimidito per avvicinarsi a me.

Un'altra serie di colpi alla porta.
Per un malsano e folle istante il mio pensiero va ad Elizabeth, ma l'idea è talmente egoista che la scaccio via immediatamente. Una morsa di dolore mi attanaglia lo stomaco: forse, dopo poco meno di quarantotto ore di agonia, dovrei mettermi l'anima in pace e ponderare l'idea di ignorare l'accaduto. Ma come potrei mai ignorare il ricordo dello sguardo colmo di rabbia che incendiava il viso della Candida, e la sua espressione oltraggiata e ferita marchiata a fuoco nella mia mente? Come potrei mai dimenticare la sua voce rotta dal pianto nel momento in cui mi urlava di starle lontano?

"Andiamo Eric, mettiti un paio di mutante e apri questa dannatissima porta!" grida una voce divertita nel corridoio. Aggrotto la fronte, cercando di ricordare perchè quella voce suona familiare, non nuova alle mie orecchie.
Ancora esitante, apro la porta, e il volto barbuto e sorridente di un giovane uomo mi si para davanti. Daniel, nella mia mente il suo nome compare dopo alcuni secondi di confusione. L'Erudito ha i capelli mossi che gli ricadono sul viso, fermandosi poco sopra le spalle, sistemati in quella che vorrebbe essere una acconciatura ribelle, ma che gli occhi allenati del mio Erudito interiore riconoscono subito come una studiata scompostezza, una messa in scena per calarsi nel ruolo di un selvaggio Intrepido.

"Benvenuto." finalmente riesco a parlare, ma non mi sforzo neanche di non far sembrare il mio tono di voce meccanico e freddo. Il mio fastidio è talmente palese che fra le lunghe sopracciglia di Daniel compare un solco.
"Ragazzo mio, non hai idea di come sia bello vedere un volto amico dopo ore di vagabondaggio per la Residenza." il suo tono è sciolto, rilassato, decisamente lontano da quello studiato e distaccato degli Eruditi. "Sono arrivato un paio d'ore fa. Mi aspettavo che fosse Elizabeth ad accogliermi, ma mi sono accontentato di quel ragazzo, Quattro. Un nome così bizzarro rimane decisamente impresso, sai."

Quando pronuncia il nome della Candida, il mio cuore salta un battito. Se Elizabeth non è andata ad accogliere Daniel all'entrata, dove può essere ora? Con chi? Com'è possibile che non si sia presentata ad dare il benvenuto Daniel, uno dei suoi amici più stretti? Lo sai benissimo il perchè. Mi lascio sfuggire un gemito quasi sofferente, dovuto alla spiacevole sensazione che provo allo stomaco ogni volta che mi riviene in mente l'immagine di Elizabeth, e Daniel non nasconde la sua sorpresa quando mi passo una mano sugli occhi, cercando di reprimere l'impulso di scoppiare di nuovo in lacrime.
"Eric, è successo qualcosa fra voi due?" chiede preoccupato, ma prima che io possa rispondere -o meglio, non rispondere-, sento l'ex-Erudito trasalire. "Cosa diavolo ti è successo alla mano?" alza lo sguardo su di me, ed i suoi occhi si illuminano ancora di più quando notano lo sfregio sul lato del mio volto, a cui evidentemente prima non aveva fatto attenzione. "È un graffio, quello lì? Sembra piuttosto fresco... Sono un medico, o per lo meno lo ero, potrei anche..."

"Sto bene." sbotto, e l'Erudito sussulta. Sospiro, cercando di racquistare un minimo di controllo. Quando poso di nuovo lo sguardo su Daniel, cerco di modellare il mio tono di voce, tentando di avvicinarmi il più possibile ad un'intonazione amichevole. "Ti va... Di mangiare qualcosa?"
Più che una domanda, questa sembrava proprio una minaccia. Ma Daniel non sembra averlo notato, o se l'ha fatto ha deciso di ignorarlo saggiamente. Sorride ed il suo viso si rilassa.
"Sto morendo di fame." ride il giovane. È così strano vederlo nei vestiti neri e rossi degli Intrepidi, quando fino a pochi giorni prima era tutto avvolto in uno stretto camice da dottore.

Imbocchiamo il tunnel che porta alla grande mensa, e non appena entrati capisco subito che c'è qualcosa che non va. La sala è un ammasso di Intrepidi di tutte le età che schiamazzano eccitati, la maggioranza accalcata in un angolo della mensa, in mezzo alla quale scorgo soltanto una piccola sagoma scura muoversi rapidamente, una folta chioma che fende l'aria, un grugnito di dolore. Elizabeth. Il suo nome rimbomba ovunque, nella mensa, nel mio cervello, nel mio cuore.

Mi sento mancare d'un battito e, prim'ancora che il mio cervello possa elaborare queste informazioni, il mio corpo scatta in avanti in direzione della calca di Intrepidi. Sento Daniel imprecare dietro di me, mentre si affretta a seguirmi, scavalcando panche e tavoli con la curiosa e rispettabile urgenza che ha un fratello maggiore nello scoprire che è successo qualcosa alla sorella più piccola.

Accorciata la distanza fra me e la folla, sposto con una spallata un Intrepido, facendomi spazio tra la gente, allarmato ma allo stesso tempo curioso.
"Cosa diavolo succede qui?" grido, sovrastando il rumore della massa di Intrepidi, che però non accenna ad abbassare il volume della voce.
Ma non importa, perchè una volta riconosciuto il volto di una delle due figure, il mondo intorno a me sembra rallentare e contemporaneamente ammutolirsi di colpo. Elizabeth è in piedi, ansimante, i suoi capelli sono disordinati in un groviglio selvaggio, le gambe che le tremano; dalle sue nocche gronda sangue e sulla pelle pallida del suo viso spicca un livido all'altezza dello zigomo destro. Uno sguardo assassino accende il suo volto. Ai suoi piedi, Jonathan giace in posizione fetale e cerca invano di rialzarsi facendo leva sulle braccia. Ma la ragazza glielo impedisce, tirando un calcio al suo avambraccio e facendo così cadere nuovamente l'Intrepido, che sputa sangue sul pavimento sporco della mensa.

In un folle momento di confusione, mi riviene in mente il duello fra i due durante il primo modulo. Lo sguardo sicuro e pacato sul viso della Candida, quello determinato e oltraggiato su quello di Jonathan. In quel caso, Elizabeth stava lottando per vincere, ma ora mi rendo conto, con una tremenda scossa di panico, che la ragazzina ha lo stesso sguardo paonazzo di quando, nella sua prima Simulazione, ha dovuto uccidere il suo assalitore per poter sopravvivere. Puro odio condensato in due iridi che mai prima d'ora sono sembrate più rosse.
Mi guardo intorno, e non riconosco nessun altro volto familiare. Dove diavolo è Quattro? E soprattutto, dove si è cacciato quel decerebrato di Samuel, che dovrebbe teoricamente essere l'angelo custode di Elizabeth?

Jonathan alza lo sguardo sulla Candida, uno sguardo spaventato che implora pietà. Elizabeth non sembra essere toccata da quella tacita richiesta, e al contrario sta per assestare un altro calcio, questa volta mirando al viso già martoriato di colpi dell'Intrepido.

Ma il piede della ragazza viene sollevato da terra prima che possa colpire il volto dell'avversario, e l'imponente figura di Daniel si materializza dietro di lei. L'Erudito l'ha bloccata per le spalle e l'ha sollevata, allontanandola dal ragazzo e tenendosela al petto come se potesse scappare ancora. Elizabeth, per tutta risposta, non sembra gradire l'intervento dello sconosciuto alle sue spalle. Scalcia per pochi secondi, poi, voltandosi, pare calmarsi. Un feroce, famelico, tagliente sorriso si apre sul suo viso come una ferita sanguinante, l'espressione stralunata e soddisfatta che farebbe impallidire il Maligno in persona.
Quattro giunge sul posto immediatamente, correndo fra i tavoli della mensa ed evitando di travolgere qualche Intrepido per miracolo, seguito a ruota da un Samuel sudato in viso ed Alice, affaticata dalla corsa e anche dallo spavento.

Il Rigido si affretta a crearsi un varco fra la folla, e si precipita a sollevare il corpo inerme di Jonathan dal pavimento, caricandoselo sulla spalla, proprio come quel giorno del primo modulo. Quattro cerca di ottenere dall'Intrepido risposte, invano, mentre il Candido e la Pacifica corrono da Elizabeth, ancora stretta nell'abbraccio di Daniel, impegnata nel tentativo di rompere quella gabbia di carne e muscoli.

"Forza, andatevene!" sbraito furioso tutto d'un tratto, risvegliato improvvisamente da un profondo senso di responsabilità da Capofazione. "Lo spettacolo è finito, tornate ai dormitori!"
Qualche mormorio contrariato o deluso si solleva dalla folla, ma in pochi minuti la mensa viene sgomberata, ed i rimanenti si riducono ad una serie di volti che, per fortuna, mi sono tutti familiari.
Quattro è piegato sul corpo di Jonathan, appoggiato alla parete, a sua volta affiacato da Richard, l'Erudito dagli occhi verdi ed innocenti ora pervasi da un'angoscia palese.
Dall'altra parte, come due squadre opponenti su un ring, Daniel sta ancora stringendo Elizabeth -leggermente più calma- in una morsa ferrea. Il Candido si tiene la spalla, un'espressione dolorosa dipinta in volto, mentre la Pacifica è così pallida che sembra aver smesso di respirare da vari minuti.

Rimango immobile, incapace di credere a quello a cui ho appena assistito. Certo, non è la prima volta che vedo qualcuno combattere all'ultimo sangue, ma non pensavo Elizabeth fosse capace di una tale forza bruta, nè tanto meno riesco a capacitarmi di aver visto quello sguardo omicida nei suoi occhi che una volta erano soliti essere dolci e mansueti.
E sono proprio gli stessi occhi che per un istante incontrano i miei, un instante durante il quale il mondo mi sembra crollare addosso, oppure implodermi nel cuore. Non è lo stesso sguardo di due notti fa, terrorizzato dalla mia presenza e desideroso di scappare. Al contrario, sembra che la sua espressione venga accesa da una nuova furia pazza ed incontrollabile, e internamente ringrazio le possenti braccia di Daniel che ingabbiano quella letale bestia e la tengono lontana da me.
Perchè quella non è più Elizabeth, non adesso almeno, ma una forza della natura capace di ridurre un ragazzo il doppio di lei in grumi di sangue e vestiti fatti quasi a brandelli.

Riacquistata lucidità, decido di accantonare la questione e di dirigermi in aiuto della giovane vittima dell'ira della Candida. L'Intrepido ha la schiena appoggiata al muro e sta tentando di spiegare a Quattro quanto accaduto, ma ogni tanto si interrompe, soffocato dal suo stesso sangue.
"...spinto al muro, e ha cominciato col tirarmi un pugno in faccia." sta dicendo il biondo "Ho cercato di reagire, colpendola in viso a mia volta. Ma che sia maledetto, ho peggiorato le cose. Mi ha colpito allo stomaco, sono caduto per terra e sono riuscito ad alzarmi solo una volta. Elizabeth mi ha strattonato per la maglietta finchè non mi sono ritrovato sul pavimento di nuovo." spiega, con la voce rauca e una chiara manifestazione di dolore attraversa il suo volto martoriato di botte. "Non mi sono più rialzato." conclude a voce molto più bassa, come se se ne vergognasse.

Jonathan incrocia il mio sguardo per un attimo, e i suoi occhi chiari sono attraversati da un sinistro baluginio, come se volesse comunicarmi qualcosa senza usare le parole. E se non può dire ad alta voce ciò che sta pensando, vuol dire solo una cosa: ci sono molti altri particolari che l'Intrepido ha omesso, e dal suo sguardo mi sembrano terribilmente cruciali.
"Non riesce a muovere la gamba." mormora improvvisamente Richard, allarmato da un sibilo di dolore del suo compagno. "Credo che sia rotta, e il braccio è in una posizione inn-"

"Dove diavolo eri quando tutto questo è successo, Quattro?!" gli sibilo contro, spezzando la frase dell'Erudito a metà, che sussulta e serra la mascella intimorito. "Non dovevi essere in mensa con gli iniziati? Dove diavolo sono finite le tue priorità?!"
"Le mie priorità?!" ripete a dir poco indignato il Rigido, rosso in viso per la rabbia. "Io oggi non ero in mensa solo perchè ero in Sala Simulazioni, a fare il tuo lavoro, dal momento che ti sei chiuso in camera per quasi due giorni e non uscivi neanche per svolgere il tuo dovere!" grida, così forte che anche gli altri, Elizabeth compresa, alzano lo sguardo verso di lui. "E mentre io ti sostituivo sono stato chiamato da Samuel e Alice, che mi hanno supplicato di intervenire in una rissa tra questi due perchè non ti trovavano da nessuna parte! E ringrazia che sia giunto io sul posto, perchè non sembrava tu fossi intenzionato a fare qualcosa per dividerli!"

"Al diavolo, Quattro!" sbotto in risposta, e spingo furioso l'Abnegante, facendogli perdere l'equilibrio e quindi sbattere addosso al muro accanto a Jonathan. "Vado a portarlo in infermeria." dico, sollevando l'Intrepido da terra e aiutandolo a non cadere. Mi avvicino a Quattro, che intanto si è alzato in piedi, i nostri visi a così poca distanza che posso sentire il calore della sua rabbia come se fosse il mio. "E tu, Rigido, togliti dalla testa di poter rivolgerti a me usando quel tono. Ricorda che sono il tuo Capofazione, e sono a conoscenza di cose che non vuoi che venghino divulgate nella Residenza, Eaton." sibilo, in modo che mi possa sentire solo il diretto interessato.
Quattro sembra diventato di marmo, bianco come un cencio e improvvisamente silenzioso. Dopo avergli lanciato un'ultima occhiata disgustata, faccio per dirigermi fuori dalla mensa, con Jonathan che quasi non si regge in piedi abbandonato sul fianco, quando sento Elizabeth sibilare un "E lasciami!" indignata.

Mi volto appena, vedendo la ragazza divincolarsi dalla presa di Daniel in un ultimo scatto d'ira. L'ex-Erudito la guarda, poi fa per seguirmi verso l'infermeria, ma la Candida lo blocca per un braccio, gli occhi fissi su di me. Sento Jonathan mormorare qualcosa ma, prima che possa chiedergli di ripetere, Elizabeth si fa sentire alle mie spalle.
"Lasciali andare da soli, Daniel." dice, la voce divertita ma che fa fatica a nascondere una sfumatura di collera. "Hanno molte cose da dirsi."
Per poco non perdo la presa su Jonathan e non lo faccio rovinare sul pavimento. Cerco di ignorare ciò che ha detto la ragazza, anche se nel mio petto si sta contorcendo un'ansia crescente che non accenna a sparire.

Affretto il passo e, quando ci troviamo fuori dalla portata d'udito degli altri, mi volto furibondo verso l'Intrepido che sembra perdere i sensi ad ogni metro.
"Che cosa è successo, in nome di Dio, dimmi cosa diavolo è successo!" esplodo, scaraventando Jonathan nella piccola infermeria di servizio e sistemandolo con poca gentilezza su uno dei lettini mal ridotti.
"Vacci piano, cazzo! Quella psicopatica mi ha quasi rotto una gamba!" si lamenta a gran voce il biondo, appoggiando con fatica la schiena sui cuscini.
"Ti romperò anche l'altra, se non mi dici come sono andate le cose." ringhio a pochi metri dalla barella, minacciando di saltargli addosso per finire ciò che Elizabeth ha cominciato.

Dal carrello dei medicinali abbandonato lungo la parete afferro la prima cosa che mi ispira professionalità, una boccetta di quelli che sembrano antidolorifici, anche se non saprei dire con certezza, dal momento che manca di un'etichetta di qualsiasi tipo. La fisso per qualche istante, come se improvvisamente potesse animarsi e parlarmi, esprimendo il suo totale disaccordo. Non dovresti far ingerire pasticche dall'effetto ignoto ad un adolescente dolorante, mi avverte la vocina nella mia testa. Ma io non sono un medico e non mi importa più di tanto della salute di Jonathan, quindi gli porgo con poca pazienza la boccetta dal vetro arancione e il ragazzo ingerisce una pasticca con un po' di esitanzione.

"Ho già detto tutto." borbotta appena ingoiato il medicinale, quasi non lo possa sentire.
"Non tutto." lo correggo "È successo altro, qualcosa che non potevi dire di fronte agli altri."
Il ragazzo sospira tremando, e si passa una mano sporca di sangue fra i capelli, macchiando i suoi ricci biondi di macchie scure e fresche della lotta da poco conclusa.
"Non ti piacerà..." piangnucola, ed io resisto all'istinto naturale di tirargli un ceffone in pieno viso. Afferro uno sgabello e mi ci abbandono di peso. Non è saggio, da parte sua, disobbedirmi quando sono a tanto così dalla sua unica gamba sana.
Quasi mi avesse letto nel pensiero, Jonathan annuisce riluttante e comincia a parlare, la voce carica di esitazione, mentre si passa un asciugamano bagnato sul viso.

"Elizabeth mi ha sorpreso nel tuo appartamento." la sua voce tremante è ovattata dal cotone dello straccio. "Quando te ne sei andato io... Ero tremendamente sotto pressione, ero in un bagno di sudore, facevo fatica a respirare... Ho pensato di farmi una doccia veloce, per lavare via l'ansia, ma poi me ne sarei andato immediatamente, giuro! È solo che... Ecco... Ho scelto il momento sbagliato." l'Intrepido sembra avere intenzione di troncare la spiegazione lì, con il viso rosso di vergogna e lo sguardo basso, ma la mia espressione è abbastanza truce da convincerlo a cambiare idea.
"Mentre ero sotto l'acqua ho sentito prima bussare. Chiaramente non ho risposto, mi sono detto <<Se è Eric, avrà sicuramente le chiavi>>."
"Come sei intuitivo." ringhio, sporgendomi in avanti sullo sgabello. Nonostante stia ostentando indifferenza, non posso negare che ad ogni parola dell'interno il mio cuore salta un battito, minacciando di fermarsi da un momento all'altro.

"E allora ho sentito qualcuno smanettare con la serratura. A quel punto ho tirato un sospiro di sollievo, ho arraffato un asciugamano alla svelta e sono uscito dal bagno, convinto che, una volta girato l'angolo, avrei visto te. Be'... Dire che il cuore mi si è arrestato di colpo è dire poco." accenna una risata allo spiacevole ricordo, ma io lo fulmino con lo sguardo, esortandolo a continuare. "Elizabeth era sulla soglia della porta, il coltellino con il quale ha manomesso la serratura in una mano, ed io ero di fronte a lei con solo un misero straccio a coprirmi le parti basse. Mi ha immediatamente chiesto cosa ci facessi là, mezzo nudo, con i miei vestiti sparsi per terra. Io ero senza parole, non riuscivo neanche a pensare, figurati a risponderle. Chissà cosa Cristo ha pensato!" sbotta all'improvviso.
"Che sei la puttana della Residenza, ecco cosa." rispondo io, il cuore paralizzato e la gola secca. "Con validissime ragioni."

"Sta di fatto che, prima che quel coltello mi volasse contro, ho arraffato i miei vestiti e le sono schizzato accanto, dandomela a gambe come se fossi inseguito da un branco di cani con la rabbia. Praticamente mi sono vestito nei tunnel." Jonathan ignora il mio insulto, sul suo viso aleggia un sorriso divertito che non fa altro che mandarmi su di giri. "L'ho sentita gridare alle mie spalle, mi assicurava che mi avrebbe spezzato le gambe, e che era una promessa. Ero terrorizzato, mi sono rifiugato in dormitorio per ore. Non mi sono neanche sottoposto al mio Scenario, quel pomeriggio, per paura di ritrovarla in Sala Simulazioni. Sono rimasto con Richard finchè non è cominciata la festa, solo allora sono uscito per andare a bere, sebbene mi sentissi ancora in pericolo. Ho intravisto Elizabeth alla festa e mi sono mantenuto ad almeno venti metri da lei. Dopo un po' è sparita, pensavo fosse con te. Solo che quella notte la ragazza non è rientrata, Samuel l'ha cercata in ogni angolo della Residenza, ma non l'ha trovata da nessuna parte."

Deglutisco a vuoto, sentendo quelle parole. Dopo quello che è successo nel mio appartamento, evidentemente Elizabeth non si è ripresentata alla festa, e non era neanche nel dormitorio. E se Samuel, la persona che più tiene a lei a questo mondo -forse anche più di me-, non è riuscito a stanarla, vuol dire solo una cosa: la Candida non è rimasta nella Residenza, la notte della festa, e di sicuro non voleva essere trovata. Un brivido mi paralizza il corpo, ed io cerco di dissimulare un gemito di frustrazione schiarendomi la gola.
"Ora, io quella notte ero ubriaco da fare schifo, ma ricordavo perfettamente cos'era successo con la Candida, e mi sono guardato bene dal presentarmi in mensa il giorno dopo. Però sono venuto a sapere che Elizabeth non era stata vista neanche quel giorno, e allora ho deciso di uscire dal dormitorio, fare le Simulazioni, allenarmi, tornare a dormire. Elizabeth non era neanche in Sala, ed io mi ero finalmente abituato a quella situazione di inspiegabile tranquillità."

"Fino ad oggi, almeno." continua, nel suo tono di voce c'è una nota di pentimento, stroncata immediatamente da una risata appena accennata. "Stavo mangiando al nostro solito tavolo, dove l'atmosfera non era delle migliori: Samuel era a dir poco in ansia -nonostante Alice cercasse di rassicurarlo- considerato che non vedeva Elizabeth da più di un giorno e non ne aveva notizie, Quattro non era neanche presente, Richard ed io cercavamo di intavolare un discorso, ma la tensione era così palpabile che non ci abbiamo neanche provato più di tanto. E poi..." la voce di Jonathan si abbassa, ed il ragazzo scuote la testa, ancora visibilmente scosso. "...È successo tutto in un attimo. Mi pareva che l'intera mensa si fosse zittita quasi di colpo."

"Poi ho visto Alice sbiancare, Samuel alzarsi di colpo imprecando e Richard farfugliare il mio nome in preda al panico. Ripeto, è accaduto tutto in una frazione di istante, quindi ero troppo confuso per capire il perchè delle loro reazioni. Poi ho sentito una mano piccola ma salda che mi afferrava per il colletto e mi tirava all'indietro, scaraventandomi sul pavimento, e allora non ho avuto più dubbi, ed ho cominciato a pregare."

"Le ho chiesto cosa stesse facendo, e lei mi ha semplicemente risposto che stava mantenendo la promessa." l'Intrepido rabbrividisce al ricordo, sibilando per il dolore e tenendosi la gamba. "Quando poi ho alzato gli occhi e ho visto il suo sguardo... Diamine, ho inventato divinità inesistenti solo per poter implorare loro pietà. Sapevo che Elizabeth era abbstanza forte da farmi del male, l'aveva già fatto in precedenza, ma questa volta era diverso. Era semplicemente su tutte le furie, ed il fatto che ero stato io a renderla così non ha fatto altro che alimentare il mio senso di impotenza e terrore. Samuel ha cercato di fermarla, ma lei l'ha spinto con forza animalesca contro il muro, penso che il Candido si sia lussato una spalla."

Ricordo l'espressione dolorante di Samuel mentre si teneva la spalla, fissando Elizabeth con stupore e forse anche disappunto. Scuoto la testa, incapace di credere che la Candida tanto affettuosa che conoscevo è stata capace di una brutalità simile.
"Poi siete arrivati tu, Quattro e quel gran pezzo di Intrepido con la barba. Me lo devi assolutamente presentare, dovrei ringraziarlo per aver fermato Elizabeth." Jonathan ride, i denti sporchi di sangue che appena brillano sotto le luci al neon. "E lo spettacolo è finito, come hai detto tu."

A racconto finito, mi concedo qualche secondo per processare tutte quelle informazioni. Fisso l'Intrepido con occhio critico, come se sospettassi che mi abbia appena detto una colossale fesseria. Ma dal suo sguardo spaventato malamente nascosto dietro un'espressione divertita, capisco che ciò che ha detto è la pura verità, e che se ora Jonathan è su questa barella con una gamba gravemente compromessa è solo colpa mia. Perchè ho permesso che lui entrasse nel mio appartamento, perchè non ho ascoltato Elizabeth quando, quella notte, mi ha chiesto di parlarne e di fare chiarezza, perchè ero troppo ubriaco per ragionare ed evitare che anche l'ultimo nervo della ragazza saltasse e provocasse questo guaio di dimensioni bibliche.

La risata limpida del giovane mi risveglia dai miei pensieri autocommiseratori, e neanche scoccandogli un'occhiataccia riesco a frenare il suo divertimento. Jonathan si tiene la testa fra le mani, come se potesse nascondere il suo sorriso divertito dietro le dita lunghe e affusolate.

"Come diavolo fai ad essere così tranquillo? A ridere scherzare in questo modo su quello che ti è successo?" chiedo contenendo a stento la rabbia, il tono così basso che ricorda più un rauco ringhio cagnesco che una voce umana.
"Perchè è passato. Elizabeth ha mantenuto la sua promessa, ed ora mi lascerà in pace fino alla fine dei suoi giorni. Certo, mi odia a morte e vorrebbe vedermi in fondo allo Strapiombo, ma finchè mi starà lontana io sarò tranquillo. Sei tu, ora, quello che dovrebbe temere la sua furia distruttiva." risponde con tono teatrale, puntandosi un dito davanti alla faccia come a dire <<È così che ti ridurrà>>.

Sto per alzarmi dallo sgabello ed avvicinarmi al tavolo di metallo dei medicinali, con l'intenzione di scaraventarlo contro l'Intrepido, quando la porta dell'infermeria si apre cigolando.
Mi giro di colpo, terrorizzato, aspettandomi di vedere Elizabeth con una pistola per mano puntata verso entrambi, e sono immensamente sollevato quando riconosco il viso barbuto di Daniel, ora tormentato da un'espressione pensosa, che fa capolino nella piccola stanza male illuminata dalle lampade al neon.
Jonathan ride, uno sbuffo d'aria appena udibile, nel vedere l'ex-Erudito che fino a poco prima era stato soggetto di velati complimenti.
"Ed ecco il mio salvatore!" esclama allargando le braccia. Il ragazzo, da che lo conosco, è sempre stato un insopportabile sbruffone. Ma ora c'è qualcosa, in quella confidenza che non gli si addice per niente, che comincia a far nascere in me qualche dubbio.

E Daniel deve pensare lo stesso, perchè mi guarda con aria interrogativa, quasi a chiedermi "Dovrebbe stramazzare a terra dal dolore, perchè è così allegro?". Ma la sua domanda esce in una forma diversa mentre si avvicina alla barella del malcapitato.
"Cosa gli hai somministrato?" chiede diffidente, con quel tipico tono freddo che hanno i dottori, guardando Jonathan come se fosse la prima volta che vede un ragazzo pieno di lividi e sangue.
"Uh, una di queste." rispondo prendendo la boccetta arancione dal carello delle medicine che stavo per ribaltare.
Daniel la osserva da vicino, e le sue sopracciglia schizzano in alto non appena riconosce il contenuto della bottiglietta.

"È un nuovo medicinale, è stato inventato da poco, ecco perchè non c'è l'etichetta. È un tranquillante, che ha anche le proprietà lenitive di un antidolorifico..."  spiega lentamente "...Alterato con del Siero della Pace." conclude, lanciando occhiate preoccupate al biondo sulla barella, che sta alzando le braccia in aria, esultando come se avesse appena vinto uno scontro immaginario. "Eravamo scettici a riguardo, ma a quanto pare funziona... Anche se ha effetti collaterali."
"Di che stai parlando?" chiedo a dir poco confuso.
"A Jeanine piace fare esperimenti, ultimamente, e ha assegnato a noi studenti di medicina il compito di creare delle pasticche simili. Ci ha detto che è una prova, un giorno creeremo qualcosa di grande, dice lei." mormora, più rivolto a sè stesso che a me. "Ma ora non preoccuparti, sono ancora un medico, ci penserò io a lui. Tu... Dovresti andare in mensa, gli altri sono ancora di là, mi hanno mandato a cercarti." pronuncia l'ultima frase esitando, ed io capisco al volo che con "gli altri" si riferisce ad Elizabeth.

"Il dottor Sexy finalmente mi visita!" urla Jonathan al settimo cielo, provocando in Daniel una reazione che, se non fosse per le circostanze drastiche, sarebbe quasi divertente.
"L'avevo detto, io, che il Siero della Pace era una pessima idea." lo sento bofonchiare contrariato mentre esco dall'infermeria.
Esitando, mi dirigo verso la mensa, a passo lento e diffidente. Elizabeth non ha fatto altro che evitare me e qualsiasi altro contatto umano per quasi due giorni, per quale motivo ha intenzione di parlarmi proprio adesso, specialmente dopo il brutale scontro con Jonathan? E soprattutto, non capisco di cosa voglia parlare, perchè su quello che è successo c'è ben poco da dire.
Inoltre, anche se mi costa un po' del mio orgoglio ammetterlo, l'attuale Elizabeth, quella che è stata capace di ridurre Jonathan ad un invalido, mi intimorisce non poco.

Prendo un profondo respiro prima di mettere piede in mensa, che mai prima d'ora mi è sembrata più deserta. Prima ancora di accorgermi di alcune figure sedute ad un tavolo, sento la voce alterata di Samuel rimbombare fra le pareti della grande sala, e solo dopo vedo la sua sagoma massiccia in piedi di fronte ad una più piccola. Elizabeth è seduta al solito tavolo, la schiena ricurva e l'espressione dolorante che ha sostituito lo sguardo selvaggio di qualche minuto prima. Sul tavolo c'è una bottiglia dalla forma strana piena di un liquido che sembra tè freddo, ed Elizabeth ne sta torturando il tappo, con aria assente, ignorando la predica del suo amico Candido.
Quattro le è seduto accanto, lo sguardo perplesso fisso sul liquido scuro, ma Elizabeth non presta attenzione neanche al suo istruttore.

Non appena entro nel suo campo visivo, la Candida raddrizza la schiena, ed il suo sguardo si assottiglia, nascondendo qualsiasi traccia dell'espressione sofferente che aveva fino a pochi secondi fa. Se prima stava ascoltando anche in minima parte il discorso di Samuel, ora sembra concentrata solo su di me, che mi avvicino al tavolo sempre più riluttante.
"...hai superato ogni limite! Ma cosa diavolo avevi in mente, Elizabeth?! Non ti fai vedere un giorno intero e poi fai queste scenate? L'hai ridotto a brandelli davanti a tutti, senza neanche un motivo valido!" sta gridando Samuel, e a quell'ultima frase Elizabeth gli scocca un'occhiata talmente tagliente che il Candido ammutolisce all'istante.
"Se l'ho fatto, avevo un motivo. Adesso smettila, non sei Julia, evita di farmi la ramanzina su ogni cosa che faccio." mormora, accompagnando le parole con un gesto seccato della mano.

"Tu chiaramente non ti rendi conto di ciò che hai fatto! Ringrazia che Quattro ed Eric siano nostri amici, altrimenti tu saresti già-"
"Diamine, Samuel, devi proprio amare il suono della tua voce. Non stai zitto neanche un secondo." sbotta la ragazza, troncando finalmente la discussione prima che io giunga al tavolo.
Tutti si voltano quando mi sentono arrivare, ed io rabbrividisco nel vedere l'espressione dura e impassibile della ragazza mentre posa lentamente sguardo su di me. Quattro si irrigidisce, raddrizzando la sua postura e lanciandomi quello che mi sembra essere uno sguardo di sfida. Samuel non reagisce al mio arrivo, ma si mette una mano a reggersi la spalla e volta la testa da un'altra parte, quasi non possa sentirlo sibilare di dolore.

"Quattro, porta Samuel in infermeria: Daniel saprà cosa fare con la sua spalla." dico, gesticolando in direzione del Rigido, che non sembra contento di dover eseguire i miei ordini. Borbotta qualcosa quando fa segno a Samuel di seguirlo, ma io non gli presto attenzione, troppo impegnato a studiare il viso pallido della Candida, sul quale spicca un livido scuro, come un'improbabile viola in un campo di margherite.
Quando i due ragazzi scompaiono fuori dalla mensa, Elizabeth mi fa segno di sedermi di fronte a lei mentre mi versa in un bicchiere una generosa quantità di tè. Lo fa scivolare sul tavolo in mia direzione, con lentenza straziante, senza staccare gli occhi da me. Il suo sguardo si rabbuia.

"Cos'è?" chiedo diffidente, fissando il liquido scuro nel bicchiere di vetro.
"Puoi berlo, o oppure no." svia lei "Sappi che abbiamo molto di cui parlare, quindi... A te la scelta."
Afferro il bicchiere, lanciandole uno sguardo interrogativo da sotto le ciglia: c'è qualcosa, nella sua attesa silenziosa, che fa nascere in me parecchi dubbi.
"Tu non lo bevi?" do voce ai miei pensieri, e la sua risposta è una sincera risata che non può celare una sfumatura tetra e indecifrabile.
"No, no, io sto benissimo senza."

Dopo un'ultima occhiata diffidente, mi decido a mandare giù il contenuto del bicchiere, fastidiosamente caldo e dal sapore amaro, e sento Elizabeth tirare un sospiro di sollievo. Mi rendo immediatamente conto che non è tè, forse liquore, o una particolare marca di birra. Un'espressione contrariata mi si forma in viso, suscitando una contenuta ilarità in Elizabeth, che richiude la bottiglia e la mette da parte. Alcool, penso, almeno sono pronto per affrontare la conversazione.

"Può bastare, penso che dovresti imparare a non alzare il gomito più di tanto." la frecciatina mi colpisce dritto al cuore, impedendomi di rispondere. Non che abbia qualcosa da dire, dopotutto. Elizabeth, però, sta sorridendo, ma nel suo sorriso c'è qualcosa di profondamente sbagliato, come se non le appartenesse. "Ora, Eric, parliamo."

Annuisco, senza staccare gli occhi da lei, ma improvvisamente non mi sento più in grado di sostenere questa discussione, perchè la vista mi si annebbia e la testa si allegerisce di colpo, come se in un istante avessi dimenticato tutto ciò che so. I miei sensi vengono attutiti da un'inspiegabile senso di smarrimento, tant'è che persino il silenzio di tomba della mensa mi sembra troppo da sopportare. Guardo il bicchiere vuoto davanti a me, quasi mi aspettassi di sentirlo parlare e darmi una spiegazione a quello che mi sta succedendo. Cosa diavolo c'era in quella bottiglia, e perchè la Candida non è allarmata come lo sono io?
"Elizabeth, cos'hai..."

Tutto sembra diventare nero per un istante impercettibile, ma subito mi riprendo, la testa leggermente meno pesante.

Mi guardo intorno e comincio a sudare, perchè non ricordo nè che posto è questo, nè come ci sono finito, nè il motivo per cui sono qui.
"Cominciamo con le cose facili." una voce profonda e vagamente familiare calma il battito accellerato del mio cuore. "Come ti chiami?"
"Eric." rispondo prima di poter anche solo elaborare la domanda, riportando immediatamente lo sguardo sulla ragazza seduta di fronte a me. "Eric Coulter."
"Bene, Eric, hai una vaga idea di quello che ti sta succedendo?" nella sua voce c'è una nota di preoccupazione.
"No, e ne sono spaventato."

Come, prego? Da quando in quando ammetto ad alta voce di essere terrorizzato da qualcosa? E, soprattutto, da quando parlo senza prima aver pensato alla risposta?
"Non devi essere spaventato, finirà fra pochi minuti." mi tranquillizza la ragazza "Ma dimmi, sai chi sono io?"
"Certo che lo so!" sbotto infastidito, incapace di frenare la lingua. "Sei Elizabeth Ride, eri la mia fidanzata, fino a qualche giorno fa."
La ragazza sembra irrigidirsi, uno spasmo le serra la mascella in un'espressione di spiacevole sorpresa.
"Di questo parleremo a breve, ti va, Eric?"
"Non proprio." mormoro, le mani che stringono il bordo del tavolo. "Preferisco non parlarne mai più."

"E allora parliamo di Jonathan." insiste, e al mio grugnito di disapprovazione la sua voce sembra addolcirsi in maniera quasi impercettibile, conservando però il suo tono di voce autoritario. "Eric, so che sei confuso. Tra pochi minuti starai meglio. Stiamo solo chiaccherando, io e te, meno resisterai, più facile sarà per entrambi."
Non mi sento esattamente a mio agio, in questa nostra chiaccherata, ma la sua voce è così sicura e calma che non posso fare altro che crederle. Anche perchè la mia bocca decide di parlare, ancora una volta, senza il consenso del mio cervello.
"Non voglio parlare di Jonathan." ammetto, ed una scossa di dolore mi attraversa il corpo. Sibilo, forse impreco anche, e dall'espressione di Elizabeth capisco che ho detto qualcosa che non l'è piaciuto.

"Eric Coulter, ora mi devi dire cosa ci faceva Jonathan mezzo nudo nel tuo appartamento." il suo tono di voce è severo e mi dà l'impressione che se le dicessi qualcosa di sgradevole lei si potrebbe arrabbiare ancora di più. In qualche modo riesco a frenare le parole poco prima che escano fuori dalla mia bocca, ma un'altra scossa di dolore mi fa strabuzzare gli occhi, il sudore sulle tempie per lo sforzo.
"Più ti opponi, più dolore proverai." spiega "Ormai il danno è fatto, Eric, ed io voglio sapere come sono andate le cose per filo e per segno. Lo voglio sapere da te, e da nessun altro."

"Ho sedotto Jonathan." sbotto, e subito mi sento sollevato nel percepire il dolore che si allevia. "In palestra. È cominciato tutto da lì: sapevo che era gay, e che aveva un debole per me, stranamente. Ho fatto finta di provarci con lui, e alla fine l'idiota mi ha baciato. Cristo, mi ha baciato! Comunque sia, poi l'ho minacciato, promettendo di spifferare tutto a tutti se non avesse smesso di darti rogne. Avrei potuto semplicemente minacciarlo di rivelare a Max di essere un Divergente, risparmiandomi la disgustosa effusione, ma sapevo perfettamente che, per lui, mantenere la sua omosessualità segreta era ben più importante che tenere sua Divergenza a riparo da orecchie indiscrete. Per me è finita là, ma a quanto pare per Jonathan no. Il giorno dell'assemblea è venuto nel mio appartamento, ha cercato di baciarmi di nuovo, ma io gli ho tirato uno schiaffo. L'avrei buttato fuori dalla camera immediatamente, se non fosse arrivato Max a dirmi che dovevamo andare. Gli ho intimato di uscire dalla finestra non appena mi fossi allontanato, invece l'idiota con gli ormoni in subbuglio ha deciso di farsi una doccia. Poi sei arrivata tu, il resto lo sai."

Il silenzio che segue è drammaticamente inquietante. Elizabeth mi guarda ansimare per lo sforzo senza battere ciglio, penserei che non abbia sentito la mia straziante confessione, se non fosse per le sue sopracciglia aggrottate e l'espressione che oscilla fra l'incredulità, delusione e rabbia.
"Ti è piaciuto?" chiede improvvisamente, lasciandomi senza parole.
"Come?"
"Il bacio. Ti è piaciuto, sì o no?" ripete, e questa sembra più una domanda disperata che una curiosità.
"Certo che no! Io non sono gay!" esclamo oltraggiato, e lei quasi tira un sospiro di sollievo.

"Quindi l'hai fatto per me."
"Sì."
"Se potessi tornare indietro, lo rifaresti?"
"No."
"Come mai?"
"Perchè è stato questo, anche se in minima parte, ad allontanarti da me, ed era un peso che a malapena sopportavo. Poi c'è stato quello che ho fatto in balìa dell'alcool, e penso di averti persa per sempre, penso che non ci sia più possibilità di riaverti con me. Mi odio per quello che ho fatto, ma non posso rimediare, e questo mi sta facendo impazzire."

Mi impongo di guardarla negli occhi, quei suoi splendidi occhi del colore del tramonto estivo che ora brillano per le lacrime imminenti.
"Non posso neanche pensare di poter vivere un altro giorno senza averti al mio fianco, non posso ritornare a essere quello che ero prima di conoscerti. Non voglio. Io ti amo, Elizabeth Ride, ed ho bisogno di te."
"Saresti disposto..." prova a chiedere, ma la voce le esce rotta, quasi spezzata dalle lacrime. "Saresti disposto a qualsiasi cosa, pur di riavere la mia fiducia?"
"Qualsiasi cosa." mi affretto a rispondere, prima che possa cambiare idea.

"E allora voglio che mi porti nel tuo Scenario della Paura, mi sembra equo, dal momento che tu conosci il mio a memoria." si sporge verso di me, la voce ridotta ad un sussurro. "Conosco già la tua paura all'obbedienza, ma il resto... Odio ammetterlo, ma molti aspetti di te restano per me un mistero. Voglio vedere di cos'hai paura, Eric."
"No." gemo sconsolato, scuotendo la testa. "Non posso, Elizabeth, non posso, non posso."
"Hai detto che avresti fatto qualsiasi cosa. Riguadagnerai la mia fiducia, ma devi lasciarmi entrare qui dentro." dice, puntandomi l'indice sulla fronte.
"Devi promettermelo." riesco a formulare, aiutato anche dalla consapevolezza che l'effetto di quel liquido sta svanendo gradualmente.

Elizabeth esita, storcendo le labbra come fa quando sta pensando intensamente, ma io non le lascio il tempo di rispondere e le porgo la mano, continuando a guardarla negli occhi come se potessi convincerla a sugellare il nostro patto. La Candida sembra sorpresa di questa mia iniziativa, ma dopo pochi secondi di indecisione ricambia la stretta di mano, ed il contatto diretto con la sua pelle calda sembra spazzare via le ultime note di stordimento rimaste in me.
Chiudo gli occhi e sospiro, cercando di riacquisire il controllo della mia mente e, soprattutto, della mia dannatissima bocca. Quando li riapro, guardo Elizabeth, che ora sembra avere un'espressione meno sicura, più umana.

"Siero della Verità." dico, processando le informazioni di quanto è accaduto pochi secondi fa. Sbuffo contrariato e le sorrido in maniera talmente falsa che una punta di dispetto le compare sul viso pallido e incerto. "Pensavo potesse essere assunto solamente in endovena. Ma soprattutto... Da dove diavolo l'hai recuperato?"
"È una nuova soluzione, si può bere, pensa un po'." mormora lei, ignorando completamente la mia domanda, il suo tipico tono di sfida accende in me una rabbia che so di dover controllare, se voglio evitare di rovinare l'ultima possibilità che ho di recuperare il nostro rapporto.
"Lo sai, vero, che non avevi il diritto di somministrarmelo?" cerco di contenermi, ma ad ogni parola che pronuncio mi sembra di perdere la calma in maniera incontrollabile.

"Non è che io ti abbia forzato." si difende Elizabeth "Ti ho dato due possibilità. <<Puoi berlo, o oppure no.>>, ti ho fatto anche scegliere!"
"Voi Candidi siete sadici ingannatori!" sbotto arrabbiato, ma non troppo "Pensavo fosse alcool! Ero convinto volessi prepararmi al tuo discorsone!"
"Te lo ripeto, penso che tu debba allontanarti dall'alcool per un bel po' di tempo."

Per l'ennesima volta, non riesco a fare altro che rimanere in silenzio di fronte a quel suo riferimento poco velato, limitandomi ad abbassare lo sguardo sulle nostre mani ancora allacciate sopra il tavolo della mensa. Fisso intensamente le sue nocche, ancora livide per i colpi scaricati contro Jonathan, e le mie, scorticate dai tagli intorno ai quali spicca del sangue raggrumato.
Ma prima ancora che i miei pensieri comincino a divagare, Elizabeth ritira la mano dalla mia, facendo scivolare le sue dita sul banco di legno con un unico movimento lento e cauto, quasi potesse spaventarmi.
"Forza, andiamo." dice, alzandosi, senza staccare gli occhi da me. "Prima che uno dei due cambi idea."


 

Angolo dell'autrice:

Ma buongiorno/buonasera a tutti voi!
È da tanto tempo che non scrivo qui, e non
ho esattamente molte cose da dire. Spero
che la storia vi intrighi abbastanza da
spingervi a lasciare una recenzione: sarei
davvero contentissma di poter leggere
opinioni, dubbi, consigli da parte di voi
lettori!
Con tantissimo affetto,
me 

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