Rozendhel

di _Charlie_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: Madame Minuit ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: Occhi d'angelo ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3: La cantina ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4: La Congrega di Hazelle ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5: Confesso ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6: Lo Scisma ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7: Il giovane spettro ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8: Le sue origini ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9: Il demone che busserà alla tua porta ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10: Un gioco pericoloso ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11: La notte più buia ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12: Il peso del mondo ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13: Il sindaco di Rozendhel ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14: Ad un passo da te ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15: L'ombra del Cacciatore ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16: Padre e figlio ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17: Io ricorderò ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18: La Guardiana del Fuoco Aureo ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19: Frammenti di una realtà sconosciuta ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20: Il tormento di Oliver ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21: Il Velo ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22: Per Sempre ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23: L'arrivo di Daoming ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24: Venti di guerra ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25: Cambiamenti ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26: Un Natale rosso sangue ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27: L'ultimo segreto ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28: Sete di sangue ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29: Il compleanno ***
Capitolo 31: *** Capitolo 30: Finché morte non vi separi ***
Capitolo 32: *** Capitolo 31: Avanzi di una città dimenticata ***
Capitolo 33: *** Capitolo 32: Il Rifugio ***
Capitolo 34: *** Capitolo 33: La Muraglia del Drago ***
Capitolo 35: *** Capitolo 34: L'Esercito della Notte ***
Capitolo 36: *** Capitolo 35: La Terra di Nessuno ***
Capitolo 37: *** Capitolo 36: Un bacio ***
Capitolo 38: *** Capitolo 37: Lì, dove gli occhi non possono vedere ***
Capitolo 39: *** Capitolo 38: Il volere dell'Universo ***
Capitolo 40: *** Capitolo 39: Il ladro ***
Capitolo 41: *** Capitolo 40: Il racconto di Markos ***
Capitolo 42: *** Capitolo 41: Inferno ***
Capitolo 43: *** Capitolo 42: L'assassina ***
Capitolo 44: *** Capitolo 43: L'Esercito del Fuoco Aureo ***
Capitolo 45: *** Capitolo 44: Rozendhel ***
Capitolo 46: *** Capitolo 45: La Sfera della Distruzione ***
Capitolo 47: *** Capitolo 46: Incubo ***
Capitolo 48: *** Capitolo 47: Arya Mason // Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


ROZENDHEL

 

 


Prima Parte

 

 

 


PROLOGO:

 

 

L'aurora incenerì l'oscurità della notte.
Oltre l'orizzonte stava sorgendo un sole funesto.

Solitaria ed imperturbabile, la figura in nero avanzò lentamente. Si muoveva clandestina in quell'oceano di alberi spogli e carcasse di selvaggina in putrefazione.
La lunga veste nera le accarezzava gli stivali, il cappuccio le occultava il volto.
Sapeva dove andare. Sapeva chi cercare.
Un urlo improvviso riecheggiò in ogni angolo del bosco, obbligandola ad allungare il passo.
Il tanfo di quell'essere diveniva sempre più impetuoso.
Era impossibile non percepirlo.
Era nauseante.
« Taissa? » Chiamò la donna: un sorriso sghembo disegnato sul suo volto antico. « Taissa, sei qui? »
Il silenzio regnava sovrano: l'assenza di suoni e rumori rendeva l'ambiente ancora più angoscioso.
Persino i rami dei molteplici pini che la attorniavano sembravano non voler danzare alla venuta di quel tenue ed improvviso vento scaturito dalla comparsa di un'altra misteriosa figura.
« Dove ti eri cacciata? »
Ancora silenzio.
La ragazza non stava prestando attenzione a quelle parole; era fin troppo concentrata nello studiare un punto indefinito del terreno pietroso. Aveva la carnagione più scura della sua alleata, e si presentava con un'esile e gracile costituzione fisica.
« Oh, no ».
Taissa prese a fissarla.
« Chi ha urlato poco fa? »
Obbedienti, i deboli raggi dell'alba le mostrarono la risposta: una densa chiazza scarlatta in cui nuotava il corpo esanime di un uomo sconosciuto.
« Ho sbagliato, lady Hazelle? » Domandò la ragazza, la voce rotta dal pianto. « Ho ucciso un innocente? Un essere umano...? »
« No, mia cara » Hazelle le prese la mano: « non giudicare un libro dalla copertina. Hai fatto la cosa giusta ».
Il cuore di Taissa si alleggerì: non avrebbe mai e poi mai sopportato una critica da parte della sua Precettrice. Era tutto per lei.
« Ma non abbiamo finito qui. Senti questa puzza? Ce n'è un altro! » Hazelle fiutò l'aria, poi esclamò: « Da questa parte! »
Ma la sua allieva non si mosse. Era tornata a scrutare il vuoto.
« Cosa ti prende? »
Nessuna replica.
« Taissa?! »
La ragazza prese a tremare, gli occhi dipinti di bianco e la voce stentorea: « Hanno trovato la Chiave. L'essenza del Fuoco Aureo è in pericolo. La elimineranno ».

« Cosa stai dicendo? » Hazelle la fece alzare: « Torniamo a casa. Non sei pronta per la Caccia ».
E, terminata la visione, le streghe si dissolsero come polvere nel vento.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1: Madame Minuit ***


CAPITOLO 1:

 

Madame Minuit

 

 

Le luci si riaccesero e i titoli di coda presero a sfilare sul grande schermo.
La sala era più gremita del solito, ma Arya era consapevole di essere stata l'unica ad aver apprezzato quello sceneggiato in lingua francese: la coppietta che le sedeva di fronte balzò in piedi nel momento stesso in cui apparve la parola “fine”, ed il signore che aveva accanto si risvegliò con il volto perso nel vuoto.

Persino Oliver sembrò essersi annoiato e, sgranchendosi le braccia, esordì con un sonoro: « Hallelujah! »
« A me è piaciuto! » Ammise Arya, sbuffando.
« Non ne avevo dubbi ».
Alzandosi dalle poltrone, s'indirizzarono verso l'uscita imponendosi un'andatura lenta e costante. Nessuno dei due stava fremendo all'idea di doversi gettare nuovamente per le strade gelide ed oscure di Rozendhel.
L'inverno era arrivato con qualche giorno d'anticipo, e la cittadina di periferia era precipitata in una piccola era glaciale.
« La dovrei smettere di costringerti a venire con me ».
« Già » proseguì il ragazzo: « non riuscirei a sopportare altri film francesi. Andiamo, la scena sulla Torre Eiffel era deprimente!»
Arya cercò di lanciargli l'occhiataccia più fulminante che avesse nel repertorio: il risultato fu solamente una buffa espressione di pura stoltezza.
« Sai, hanno aperto da poco un mercatino dell'usato vicino alla libreria! Ci passiamo? » Domandò Oliver, lo sguardo fisso sulle sue vecchie scarpe.
« Va bene, ma non facciamo troppo tardi... Mia zia ha una rivoltella nel comodino » rispose Arya, portandosi dietro l'orecchio sinistro una ciocca dei suoi lunghi capelli color rosso ciliegia.
Ella era una ragazza di sedici anni, dalla carnagione rosea e dagli occhi verdissimi – il più delle volte, essi si presentavano contornati da un pesante trucco nero.
Il fatto che arrivasse a stento al metro e sessanta, e che il suo petto fosse poco pronunciato, aveva portato il suo migliore amico ad affibbiarle il soprannome di “tappa-piatta”.
Conosceva Oliver Hopkins sin dalle elementari: erano divenuti amici nel momento stesso in cui il bambino le aveva offerto un succo di frutta all'ace. Erano trascorsi nove anni o poco più da allora, ed il loro rapporto si era trasformato in una vera e propria fratellanza.
« Sicuro che questa sia la strada giusta? » Non esisteva domanda più ovvia.
Oliver rispondeva perfettamente all'etichetta “topo da biblioteca”: trascorreva la maggior parte del suo tempo libero in quel quartiere, nella libreria più fornita della città.
« Seguimi! »
Arya lo rincorse lungo tutto un viale illuminato parzialmente da torce affisse ai muri.
Passarono di fronte alla libreria, svoltarono a destra ed infine si ritrovarono davanti ad un negozietto, il quale riportava sulla propria insegna le parole: “Madame Minuit”.
« Mi piace » sussurrò Arya, puntando sull'entrata: per via di quelle colonne corinzie poste ai lati estremi della porta, ebbe l'impressione di trovarsi all'ingresso di un tempio dell'Antica Grecia.
Entrarono a passo felpato. Il silenzio presente in quel negozio premeva esageratamente contro le loro orecchie: non vi era alcun suono o rumore.
Dal soffitto ciondolava un lampadario a forma di Sistema Solare, sulle pareti vi erano decine di antichi stendardi religiosi e macabri arazzi con scene di roghi, incendi e decapitazioni pubbliche.
Gran parte dello spazio era occupato da tre vasti scaffali colmi di amuleti e barattoli, il cui contenuto non faceva altro che roteare ed ammiccare ad intervalli regolari.
Mentre Oliver si avvicinava al piccolo reparto dedicato esclusivamente ai libri, Arya si soffermò ad osservare quelle collane appartenute, senza ombra di dubbio, a donne di una certa classe sociale.
Una in particolare attirò la sua attenzione: era una catenina dalla quale pendeva una bellissima chiave argentata.
Il prezzo le fece aggrottare le sopracciglia e arricciare le labbra sottili. Era tempo di saldi o quella chiave era semplicemente maledetta?
« Hai trovato qualcosa di interessante? » Le chiese Oliver quando si ritrovarono alla cassa.
Nessuno era in coda di fronte a loro; sembrava fossero gli unici clienti che quel posto avesse mai visto.
« Questa collana » Arya gliela mostrò: « e tu? »
Senza dire una parola, Oliver picchiettò l'indice della mano destra contro la copertina del libro che aveva intenzione di acquistare.
« “Rozendhel e lo sterminio degli Elfi”. Interessante ».
« Percepisco una certa nota di sarcasmo, signorina Mason! »
Arya non fece in tempo a rispondere che, dietro al bancone, si materializzò la figura di una vecchina: « Benvenuti! Avete preso qualcosa, miei cari? »
Il suo volto si aprì in un luminoso sorriso: aveva dei lunghi capelli argentei raccolti in uno chignon, occhi chiarissimi nascosti dalle rughe e, indosso, una veste grigia.
Oliver le porse il volume, serio.
« Lo sterminio degli Elfi... La considera storia o leggenda? »
Il ragazzo inarcò la fronte, l'espressione seccata dalla domanda che gli era stata appena posta: « Potrebbe essere entrambe le cose, non trova? »
La vecchina rise spontaneamente: « ragazzo saggio ed intelligente ».
Ci fu un rapido scambio di banconote e monete, poi Arya tirò fuori il suo portafogli e le fece vedere la collana che aveva preso.
« Oh... Ne sei sicura, mia cara? »
La ragazza annuì.
« Non vorresti vedere qualcos'altro? »
Arya scosse la testa: « Ne sono sicura, grazie ».
« D'accordo, allora. Ottima scelta » la vecchina sorrise ancora una volta, e la ragazza le scrutò il volto per qualche istante: aveva la folle impressione di essersi imbattuta in una di quelle entità immortali che tanto appassionavano il suo migliore amico.
« Qual è il suo nome? » La domanda evase spontanea dai suoi pensieri: « Voglio dire, ci siamo già incontrate prima? »
« Non credo » la donna continuò, sfiorando con le dita la sfera di cristallo posizionata alla sua sinistra: « ricorderei una bella ragazza come te ».
Tra le sopracciglia inarcate della sedicenne si disegnò un'evidente ruga verticale: era sempre più convinta che ci fosse qualcosa che non andasse nella proprietaria del Madame Minuit.
« Comunque, » proseguì quest'ultima: « il mio nome è Ismene. Torna a trovarmi quando vuoi ».
E ricevendo il resto, i due giovani furono congedati.
« Mi piace come posto, ma è abbastanza strano! » Esclamò Arya non appena varcarono l'uscita.
« Già » Oliver assunse quell'espressione meditabonda che lo aveva da sempre caratterizzato: « Quella donna non me la racconta giusta... Potrebbe trattarsi di una strega! »
« Non dire scemenze » lo rimproverò la ragazza dandogli un colpetto sulla schiena: « le streghe non esistono! »
Il giovane Hopkins era ossessionato dalle leggende di Rozendhel; era sicurissimo dell'esistenza di creature soprannaturali, ed aveva provato ripetutamente a convincere la sua migliore amica senza ottenere, però, grandi risultati.
S'incamminarono, dunque, verso casa: Oliver con il naso affilato immerso nelle pagine del libro e Arya con gli occhi fissi sulla collana che aveva appena infilato attorno al collo. Nella sua mente roteava un solo e buffo pensiero: cosa avrebbe potuto aprire quella chiave?
« Ci vediamo domani a scuola, tappa-piatta! »
« A domani! »
Di fronte alla villetta degli Hopkins, Arya salutò Oliver.
Il quartiere in cui abitavano si trovava all'estrema periferia di Rozendhel. Era il posto ideale per chi volesse trascorrere la propria vita alla larga da tutto quel baccano che contraddistingue il centro delle città. L'area geografica era occupata per lo più da villette, ed era in una di queste che Arya Mason viveva insieme a sua zia Sarah.
Devo sbrigarmi!
Avanzò velocemente oltre quei due isolati con la convinzione che sua zia l'avrebbe rimproverata fino alla fine dei tempi. Era veramente tardi, le lancette degli orologi avevano persino superato l'orario del coprifuoco.
Scivolando oltre la soglia della porta, Arya si rese conto di essere arrivata per prima: l'intera villetta era al buio. Tirò un sospiro di sollievo e accese le luci: il piano terra era composto da un elegante ingresso, un vasto salotto, una cucina abitabile ed un bagno di piccole dimensioni.
Quella sera, inoltre, la scala di legno bianco che conduceva al piano superiore era ricoperta da tante palline scure.
« Oh, no! » Esclamò la ragazza, affrettandosi a raccoglierle con una paletta.
Il responsabile la osservava con aria tronfia dal gradino più in alto: era un grazioso animale dal corpo arrotondato con lunghe e mobili orecchie candide.
« Signor Cavaliere » iniziò Arya, prendendo il coniglio tra le sue braccia: « soffri di incontinenza, per caso? »
Il secondo piano si apriva su uno stretto corridoio percorso da un lungo tappeto beige. Qui, era possibile accedere alle stanze da letto e ad un bagno più grande del precedente.
Bloccata nel traffico. Torno più tardi”.
Gettando il Signor Cavaliere ed il cellulare sul letto, Arya raggiunse la sua postazione prediletta: la scrivania di legno massello in cui era solita starsene con il computer portatile.
La sua camera era abbastanza spaziosa, ed era l'unico locale della casa in cui Sarah Mason non era riuscita a far penetrare il suo adorato stile classico.
Alle pareti erano state attaccate decine di fotografie; alcune ritraevano Oliver con buffe espressioni facciali, altre raffiguravano i paesaggi di Rozendhel illuminati dalla sfavillante luce del tramonto.
Arya era affascinata dalla fotografia, era la sua più grande passione.
Amava immortalare i momenti felici ed i volti contenti della gente, poiché nelle foto sapeva che nulla avrebbe potuto infrangere quell'equilibrio di gioia e spensieratezza. Ogni cosa sarebbe rimasta così, uguale per l'eternità. Lontana da ogni sorta di male.
Clunk.
All'improvviso, qualcosa attirò la sua attenzione. Dal piano sottostante proveniva un leggero rumore di passi.
Si voltò verso il Signor Cavaliere: sembrava che quest'ultimo non avesse percepito nulla.
Pura immaginazione.
Ma quando i gradini delle scale cominciarono a scricchiolare e le orecchie del coniglio si alzarono di colpo, Arya realizzò di non essere sola in casa.
Qualcuno stava salendo. Qualcuno stava per raggiungerla.
La ragazza si alzò dalla sedia e si armò del primo oggetto – una matita appuntita – che le capitò a tiro.
La maniglia della porta scese verso il basso.
Un brivido le percorse la schiena.
Un silenzio carico di tensione.
Una figura sulla soglia.
« Ti ho trovata ».
La matita precipitò sul parquet, tuonando come un temporale improvviso.
Il cuore della ragazza riprese a pompare sangue, gli arti si rilassarono.
Sull'uscio della porta, la figura massiccia sorrise: era un uomo di mezz'età con una folta barba canuta, i capelli brizzolati e con un vistoso braccialetto avvinghiato al polso.
« Diamine, Frank! » Esclamò Arya, una mano sulla fronte.
« Cosa c'è, topina? Ho portato la cena! »
« Non chiamarmi in quel modo! » Protestò la giovane: aveva completamente rimosso dalla sua memoria il momento in cui sua zia Sarah aveva concesso al suo compagno, Frank Johnson, di tenere una copia delle chiavi di casa.
Egli era un uomo dalla continua ed instancabile aria festosa. Non c'era nulla che potesse turbargli l'animo.
Nel suo volto vi era poca armonia di lineamenti: aveva il naso pronunciato, gli zigomi alti e piccolissimi occhi color caramello.
Arya trovava la sua presenza indifferente, e detestava ogni sua singola camicia a quadri.
« Ti piace la cucina cinese, no? » Frank la prese per un braccio e la spronò a seguirlo in cucina.
« Zia Sarah non è ancora tornata. Puoi andare, se vuoi ».
« Ma io sono venuto appositamente per te! Passeremo una bella serata, insieme! »
Scesero velocemente al piano inferiore, sino ad arrivare nell'ampia cucina di casa Mason.
Al centro esatto del locale vi era un'isola, sulla quale erano stati poggiati tre sacchetti di carta, e tutt'intorno ad essa prendevano luogo ripiani per le spezie, fornelli a gas, una vasta dispensa e cassetti colmi di stoviglie d'argento.
Frank avvicinò due sgabelli all'isola ed iniziò a rovistare rumorosamente nei sacchetti unti di olio; molto probabilmente, il pollo alle mandorle si era rovesciato inzuppando qualsiasi altro piatto ordinato al ristorante del signor Chang.
« Questo è per te! »
Arya afferrò al volo la scatolina di cartone e, non appena tirò via il coperchio, fu investita da un intenso ed inebriante odore di frittura.
« Mi stupisci, Frank » la ragazza continuò, afferrando due bacchette di legno: « conosci i miei gusti meglio di mia zia ».
« Voglio far breccia nel tuo cuore! » L'esclamazione dell'uomo venne accompagnata da un veloce e allegro occhiolino.
« Non dire scemenze! »
« È la pura verità, signorina topina! »
Arya mise in mostra i denti e decise che, per quella serata, Frank non le sarebbe andato di traverso.
Solitamente, non riusciva a creare un vero e proprio rapporto con gli uomini che portava a casa sua zia: molti di loro non facevano altro che spezzarle il cuore e gettarla, senza alcun ritegno, in una distruggi-documenti.
Non sapendo, dunque, che tipo di persona fosse in realtà Frank Johnson, Arya decise di non regalargli troppe ed incaute attenzioni. Tutto il contrario di sua zia, la quale credeva fermamente ai colpi di fulmine.
In fatto d'amore, Sarah Mason era la persona più ingenua che sua nipote avesse mai conosciuto. Aveva sempre la testa fra le nuvole, seppure fosse un'ottima e severa tutrice.
Fisicamente, si presentava come una donna alta, snella e dalla carnagione chiara. I suoi capelli erano una cascata di fiamme ed i suoi occhi erano due ossidiane.
Arya trovava inquietante la relazione tra sua zia e l'uomo che le sedeva di fronte; sembravano completarsi. Due vere e proprie anime gemelle: ciò che pensava l'una, lo pensava anche l'altro, e ciò che voleva dire l'uno, lo diceva l'altra.
« Bella collana! » Esclamò Frank, destandola dai suoi pensieri.
« Grazie » Arya continuò: « l'ho comprata poco fa, nel negozietto dell'usato vicino alla libreria ».
L'uomo ciancicò sonoramente e per bene il suo pollo prima di chiedere: « Ed è solo una chiave o una Chiave con la “C” maiuscola? »
Arya fece una smorfia, alzando un sopracciglio.
« Vedi » proseguì Frank: « una chiave può essere ornamentale o può aprire un qualcosa. Tu pensi che questa sia del primo o del secondo tipo? »
La ragazza lo fissò attentamente: non credeva possibile il fatto che stesse avendo un'autentica conversazione con quell'uomo.
« Non lo so ».
« Be', scoprilo! » Frank si avvicinò al rubinetto e attese una manciata di secondi prima di affondare il suo bicchiere di vetro sotto il flusso dell'acqua. « Magari, potrebbe aprire uno scrigno! E se trovassi dell'oro, dovresti spartirlo con me... Ti ho dato io l'idea, no? »
Arya sorrise ancora una volta: « Ho trovato questa chiave in un mercatino dell'usato! Penso che l'oro l'abbia già preso il suo custode precedente ».
« Mai dire mai! »
Al termine di quella frase, si udì dapprima un rumore di catenacci e, in seguito, la porta d'ingresso sbattere.
Guidata dalla luce proveniente dalla cucina, Sarah Mason li raggiunse con un'aria stravolta e addormentata.
« Tesoro! » Esclamò subito Frank.
« Tutto bene? » Chiese sua nipote, portandosi alla bocca gli ultimi residui di cibo.
« No » Sarah si tolse il cappotto beige e lo gettò, con noncuranza, sullo sgabello più vicino. « Sono uscita dall'ufficio alle sei, il traffico era assurdo! » Voltò lo sguardo verso l'orologio a pendolo del salotto e sbuffò: « E, adesso... Sono le nove ».
« Dai, vieni » Frank la raggiunse, e le consegnò un'altra scatolina di cartone: « i ravioli al vapore potrebbero sollevarti il morale? »
« Tu mi sollevi il morale! »
Arya si alzò dallo sgabello e, scostando lo sguardo, uscì dalla cucina.
« Dove vai? » Le chiese sua zia poco prima che potesse metter piede sui gradini delle scale.
« In camera mia ».
« D'accordo. Finisci tutti i compiti, mi raccomando! »
Arya tornò nella sua cameretta, senza destare il piccolo Cavaliere.
Afferrò la sua borsa di stoffa, tirò via il libro di narrativa e cominciò a leggere.
Un finale intrecciato era l'unico elemento che considerava essenziale in una storia: il “vissero per sempre felici e contenti” non le era mai piaciuto, lo riteneva troppo banale e scontato.
Quella sera, lesse un racconto ricco di personaggi quali cavalieri medievali, draghi e creature demoniache.
Il protagonista era stato vittima di un passato travagliato, e fu questo il motivo per il quale la ragazza ci si immedesimò così tanto.
« Arya, va' a dormire! » La zia Sarah bussò alla porta della sua cameretta: « 'Notte! »
« A domani ».
Arya lanciò un'occhiata all'orario: mancavano pochi minuti alla mezzanotte.
Strofinandosi gli occhi e scaraventando il libro nella borsa, si avvicinò alla finestra: il tempo stava cambiando, ed il cielo veniva continuamente scosso da tuoni e lampi.
S'infilò il pigiama, si buttò tra le lenzuola e si assopì.
Tutto normale.

 

***

 

L'insegna del negozio brillava come una piccola lucciola in un immenso oceano d'oscurità.
Era sola. Seduta vicino al bancone della cassa. Immobile.
Il suo polso accelerò nel momento stesso in cui si udì bussare alla porta d'ingresso.
Sapeva che prima o poi sarebbero arrivati. Lei sapeva sempre tutto.
« Ismene, che piacere vederti ».
La vecchina sorrise, rimanendo all'interno del Madame Minuit: « Salve, Nathaniel. E buona sera anche a te, Gregov! »
« Tu sai a cosa stiamo puntando, giusto? » Disse Nathaniel, senza perder tempo.
« Non posso aiutarvi » tagliò corto Ismene.
« Sta mentendo! » Esclamò Gregov a denti stretti.
« Vieni fuori, e ripetilo ».
La donna chiuse gli occhi, paziente: « Molte ragazze vengono qui a comprare gioielli. Non posso ricordarmi ogni singolo volto».
« Non percepisco la presenza della Chiave in questo tuo misero negozio » ammise Nathaniel: « Tu sapevi che saremmo venuti! Tu l'hai venduta a qualcuno prima ancora che noi potessimo fare qualcosa! »
Ismene non rispose.
« Vieni fuori, o distruggerò l'intera cittadina! »
« D'accordo. Come volete ».
Un passo oltre la soglia e la vecchia proprietaria fu alla mercé di quei due mostri.
Immediatamente, il più alto le afferrò la mano.
« La Chiave! L'ho vista! È stata comprata da una ragazza con i capelli corti, neri... Non abita qui in zona... »
« Hai finito? Se permetti... » Ismene tirò via la mano da quella stretta possente: « andate via di qui! Non voglio mai più vedervi! »
Nathaniel sorrise: « È stato piuttosto semplice. Se hai distorto i tuoi ricordi... La pagherai cara ».
« Vedremo ».
Un lampo di luce nera. Centinaia di frammenti vetrosi.
Era il tipico modo con cui i Demoni uscivano di scena.

 


ANGOLO DELL'AUTORE:

Se siete arrivati fin qui, grazie mille!
Spero che questi primi capitoli vi siano piaciuti!
Come vi sembra Arya? E Oliver? u.u
Fatemi sapere le vostre opinioni, risponderò a tutte le recensioni che manderete! 

Al prossimo capitolo! :)

_Charlie_


 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2: Occhi d'angelo ***


CAPITOLO 2:

 

Occhi d'angelo

 

 

 

Era mezzogiorno.
Il vento fischiava e la pioggia batteva incessante contro le vetrate dell'affollatissima mensa.

Per via del maltempo, tutti gli studenti del liceo di Rozendhel furono obbligati a consumare il proprio pranzo al chiuso, al di sotto di quel continuo ed irritante sfarfallio delle luci artificiali.
La maggior parte dello spazio presente nel refettorio scolastico era occupato principalmente da sgabelli e tavolini di metallo; limitrofo all'uscita di sicurezza, inoltre, vi era il lungo bancone in cui ms. Mary usava consegnare quel che lei stessa definiva cibo.
Con i vassoi stretti tra le mani, Arya ed Oliver si fecero largo tra la folla, giungendo al loro solito posto: il piccolo tavolo circolare posizionato nell'angolo più remoto della sala.
« Io questo non lo mangio » disse il ragazzo, una smorfia impressa sul volto roseo.
« Persino il mio coniglio si rifiuterebbe di fronte a questa... cosa » il cucchiaio di Arya stava sprofondando nella superficie raggrinzita di quella spiacevole zuppa.
« Bisogna giusto aspettare che arrivi il prossimo anno ».
« In che senso? »
« Sono sicuro che ai ragazzi del quarto non venga rifilata questa roba » Oliver proseguì: « loro sono speciali ».
Arya alzò un sopracciglio: « l'ultimo anno non ti rende speciale, signor Hopkins, giusto un po' più impegnato! »
« Ne riparleremo tra dieci mesi ».
Facendosi forza, iniziarono a mandar giù quella sgradevole zuppa al farro e, per qualche istante, non si udì altro che la confusione generata dai ragazzi seduti al tavolo adiacente.
Arya non vi badò più di tanto: era sempre stata una ragazza silenziosa e solitaria, la più impopolare del liceo. Non si trovava a suo agio con quella gente, e non si sarebbe mai sforzata di piacere a qualcuno.
« Ci sei? » Oliver le scosse il braccio destro.
« Sì, scusami... Dicevi? »
Il ragazzo gonfiò il petto e disse rapidamente: « indovina chi mi ha invitato ad uscire questo pomeriggio? »
Arya sembrò pensarci sul serio: « una pazza ».
« Spiritosa » Oliver continuò, fingendo una risata: « Quinn Lloyd! »
« La cheerleader? Ti ha chiesto di uscire? Ma... Non sembri esattamente il suo tipo » Arya lo osservò attentamente: aveva un lungo ciuffo biondo sparato in aria, occhi profondi come gli abissi di un oceano, la fronte bassa ed il naso affilato. Mingherlino e poco più alto di lei, non aveva certo tutti i muscoli necessari per poter uscire con una ragazza simile.
L'elemento caratterizzante del suo aspetto risiedeva nel lobo del suo orecchio sinistro: esso era infatti attraversato da un vistoso dilatatore fluorescente. Oliver ne andava fierissimo, e lo amava tanto quanto il suo consueto giaccone di pelle di coccodrillo.
« Quindi, per lei, non sei più “il secchione alternativo”? »
« Arya, smettila ».
« Ti scherniva! » Continuò lei: « E poi, dove vorreste andare con questo tempo? »
« Be'... A casa sua ».
Sbattendo le mani sul tavolo e mantenendo un'ampia distanza di sicurezza dal suo migliore amico, Arya disse a gran voce: « Tu sai a cosa mira. Si è appena lasciata con quel fanatico del football, e adesso vuole un semplice rimpiazzo che l'aiuti a... Be', hai capito ».
« Mi sta bene! » Oliver si alzò, e lo stesso fece la ragazza: « Non ti impicciare! »
« Te ne pentirai ».
« Vedremo ».
La campanella trillò e tutti gli studenti furono invitati a tornare nelle aule.
Arrivata nel laboratorio di scienze, Arya schiaffò la borsa di stoffa sulla sedia alla sua destra per assicurarsi che il giovane Hopkins non la raggiungesse e non le chiedesse di lavorare insieme a quel progetto di chimica.
Odiava i suoi meticolosi cambiamenti: il giorno prima, era convinto che bisognasse eliminare l'intera razza umana per salvare il pianeta, ed il giorno dopo, amava la vita e ogni singola forma di essere vivente.
Arya alzò un sopracciglio alla vista di Oliver: stava per sedersi accanto ad un ragazzo occhialuto e deperito.
Stupido.
Le ultime due ore di lezione le sembrarono interminabili, e quando finalmente le lancette degli orologi puntarono sul numero tre, prese di nuovo la sua borsa ed uscì dalla scuola con sguardo imbronciato, maledicendosi per aver dimenticato a casa l'ombrello.
Il cielo era scuro e minaccioso. Pioveva ininterrottamente da giorni, e percorrere le strade di Rozendhel con quel tempaccio equivaleva a tuffarsi in un vero e proprio oceano.
Tentò di ripararsi con la sua borsa a tracolla: poco più di qualche istante e si ritrovò bagnata fino al midollo.
Il trucco nero prese a colarle sulle gote, il maglione ed i pantaloni divennero un tutt'uno con la pelle e, nel bel mezzo della corsa, la sua testa tornò a lavorare il ricordo di quella sera in cui avvenne l'impossibile.
Aveva sempre considerato suo padre come un eroe, un uomo che non avrebbe mai e poi mai assaggiato il sapore ripugnante della morte.
Eppure, l'automobile era precipitata lo stesso in quell'infausto burrone.
Una svista? Un colpo di sonno?
No.
La verità non era mai venuta fuori. La verità si celava dietro la figura di quell'orribile essere umano che, fino ai tredici anni, fu costretta a chiamare “mamma”.
Un chicco sproporzionato di grandine la colpì in piena fronte, resuscitandola da tutti quei pensieri.
Non aveva fatto caso alle strade che aveva imboccato, ai metri che aveva percorso, e adesso si ritrovava di fronte ad una tavola-calda, la quale riportava sulla propria insegna la scritta “The Right Place”.
Si avvicinò di qualche passo e, meccanicamente, spinse la porta d'ingresso.
All'istante, il suo olfatto venne investito da un gradevole profumo di pizza appena cotta, e la sua vista non poté far altro che concentrarsi esclusivamente su alcuni vassoi colmi di tramezzini ripieni.
L'area del locale era ampia e molto spaziosa: tra un tavolo e l'altro si estendeva una notevole separazione che giovava agli innumerevoli clienti e, soprattutto, ai pochissimi camerieri, i quali non facevano altro che correre da una parte all'altra, prendendo ordinazioni senza sosta.
Arya si avvicinò al bancone color erba, imbarazzata da tutte quelle risatine che richiamava il suo aspetto.
« Ciao! »
Arya alzò lo sguardo, ricambiando il saluto.
« Prendi qualcosa? »
« Credo di sì... Non penso che tu abbia mai visto qualcuno entrare senza ordinare qualcosa ».
Il ragazzo dietro al bancone la fissò: aveva la carnagione olivastra, il naso greco, gli occhi color nocciola ed i corti capelli castani sistemati in un perfetto disordine.
I suoi lineamenti duri si aprirono in un sorriso: « Brutta giornata? »
« Scusa, non volevo essere sgarbata! »
« Tranquilla! Magari, una pizza margherita potrebbe sollevarti il morale? »
« Penso di sì! » Arya gli ricambiò il sorriso: « ma solamente un trancio! »
Il ragazzo non sembrò aver pesato quelle parole e, qualche minuto più tardi, spuntò dalla cucina con un'intera pizza tonda servita su un piatto decisamente troppo piccolo.
« Per te! »
Arya scosse la testa, decisa: « Non ho abbastanza soldi per prenderne una intera! »
« Non ti preoccupare. Potremmo dividercela! »
« Se ti becca il capo, ti licenzia all'istante! »
« Be'... È mio padre! Me la posso cavare ».
Arya accennò ad un timido sorriso: non aveva mai incontrato una persona così gentile, e non poteva credere al fatto che stesse dividendo del cibo con un ragazzo di cui non conosceva nemmeno il nome: « Voi siete il signor...? »
« Non chiamarmi signore, mi invecchia! »
« Ma è solo un modo per scherzare! Ho chiamato “Signor Cavaliere” persino il mio coniglio! »
« Be', se la metti in questo modo... Il signor Darren Hart vi porge i suoi saluti » esclamò il giovane, aprendo il volto in un mezzo sorriso impacciato.
« E la signorina Arya Mason è felice di conoscervi ».
Detto questo, la ragazza lo vide portarsi una mano dietro la nuca: nonostante avesse il bancone a coprirle l'intera visuale, immaginò che la sua altezza dovesse corrispondere a circa un metro e ottanta.
« Quindi, lavori qui insieme ai tuoi? »
« Esattamente! Non è il massimo, ma ci si fa l'abitudine ».
« Ma quanti anni hai? Non dovresti essere a scuola? »
« Mi sono diplomato da poco. Ho diciotto anni » rispose Darren: indosso portava una maglietta nera, sulla quale era stato stampato il logo della tavola-calda, un grembiule da cucina in cotone bianco, ed un paio di classici jeans.
« Credevo fossi più piccolo, scusa! »
« Tranquilla, capita sempre » il ragazzo fece per prendere un trancio dal piatto, ma si accorse che era vuoto. Arya aveva mangiato persino le briciole.
« Sei stato davvero gentile » proseguì quest'ultima, consegnandogli una banconota: « mi sentivo... uno schifo per via della pioggia, del mio migliore amico e della mia famiglia ».
Darren si limitò ad annuire: probabilmente, non voleva ficcare il naso in questioni che vedevano protagonista una perfetta sconosciuta come lei.
« Mi dispiace, davvero ».
Arya fece spallucce, voltandosi verso la porta d'ingresso: « e volevo precisare il fatto che solitamente non esco di casa in questa maniera... È stata la pioggia a rendermi così ».
Il ragazzo rise di gusto: « ma come? Io credevo fossi una ragazza-panda! »
Arya scosse la testa, divertita: « ha smesso di piovere! Sarà meglio che io vada ».

« Di già? » Protestò Darren, le labbra arricciate.
« Dai, verrò più spesso a trovarti » ella prese la borsa fradicia da terra e proseguì: « anche perché, questa pizza era fenomenale! »
« Lo riferirò al cuoco, allora! Torna presto! »
Arya annuì, ricambiandogli il sorriso, poi oltrepassò l'intero locale e uscì all'aria aperta.
Si sentiva molto più leggera dal momento in cui aveva messo piede per la prima volta nella tavola-calda: come riportava l'insegna, quello era stato davvero il posto giusto al momento giusto.
Riprese a correre: non aveva mai impiegato così tanto tempo per tornare da scuola.
Quel giorno, sembrava quasi che le strade di Rozendhel si fossero trasformate in un labirinto.
Svoltò a destra, a sinistra e poi di nuovo a destra, senza mai riconoscere una via che potesse riportarla a casa.
In un attimo, finì col ritrovarsi in un viale silenzioso fiancheggiato da vetrine scure e squallide facciate di negozi chiusi.
Come aveva potuto perdersi in una cittadina piccola come quella?
Si guardò attorno: non vi era nulla che potesse aiutarla ad orientarsi.
Cercò, dunque, di tornare indietro: la milza protestava, il suo organismo reclamò una pausa.
Si arrestò di colpo, pescò il cellulare dalle tasche e compose il numero di sua zia.
Nessun segnale.
Ovvio.
Si passò una mano tra i capelli, nervosa.
« C'è nessuno? » Chiese a gran voce.

Silenzio.
Ripeté la domanda più e più volte senza mai ricevere una risposta, finché...
Aiutami.
Un brivido le percorse la schiena. Il sangue le si gelò.
« Chi ha parlato? »
Aiutami, ti prego.
La voce sembrava provenire dal suo stesso petto.
« Chi sei?! »
Nessun cenno di risposta.
Arya tornò a correre, gli arti non rispondevano più ad alcuno dei suoi comandi.
Mentre il fiatone aumentava, il battito cardiaco accelerò.
Passo dopo passo, giunse all'estremità di quell'interminabile viale.
Sbrigati!
Arya affondò la testa nelle mani: « Cosa ci faccio qui? Chi sei?! »
Sto morendo!
La ragazza alzò lo sguardo, riconoscendo immediatamente il posto in cui era stata condotta.
Un familiare cancello arrugginito la accolse e, in un attimo, i suoi piedi tornarono a calpestare quel tappeto scoppiettante di foglie secche.

Molteplici statue di angeli presero ad esaminarla, scettiche, e invisibili abitanti incorporei la circondarono silenziosamente.
Navigò in quel mare di lapidi senza proferire parola; il suo animo si era completamente abbandonato a quella misteriosa voce.
Aiutami.
Arya guardò in basso: il prato di foglie secche s'interrompeva di fronte ad una particolare macchia di terra bagnata.
« Non può essere... »
Aiutami.
« No... Mi rifiuto di crederci... »
Ti prego!
Arya tirò su col naso, s'inginocchiò ed iniziò a scavare a mani nude.
Il fango le andò a finire tra le unghie, nei pantaloni e nelle scarpe.
Non poteva credere a quello che stava compiendo.
Se qualcuno l'avesse vista, avrebbe passato dei gravissimi guai.
« Ragazzina? »
Il cuore di Arya perse un battito.
« Cosa stai facendo? »
Si voltò lentamente: una sagoma scura la stava studiando dall'alto in basso.
Era un uomo con lunghi capelli grigi, il volto emaciato e occhi bui come la notte.
« S-Sono quasi sicura che abbiano commesso un errore » balbettò Arya: « è stata sepolta una donna, qui! Ma è ancora viva! »
Lo straniero inarcò leggermente la fronte: « Va' a casa. Non tornare mai più ».
« No... » Arya scosse la testa: « Mi aiuti! Sta morendo! »
« Ragazzina » l'uomo la prese per un braccio, costringendola a rialzarsi: « torna a casa, immediatamente ».
Arya deglutì: per un istante, ebbe l'impressione che una sfumatura rossiccia avesse solcato la pupilla di quegli occhi minacciosi.
Si scrollò dai vestiti gran parte del fango che si era precedentemente gettata addosso, poi annuì, e si allontanò da quel misterioso uomo tutto d'un pezzo. No! Non lasciarmi da sola! Aiutami, ti prego!
Ma Arya non le diede ascolto: camminò fino all'entrata del cimitero, spinse il cancello e...
Si ritrovò di fronte alla porta d'ingresso della sua casa.
« Impossibile... Questo è impossibile ».
Voltò lo sguardo e prese ad osservare il cortile della villetta.
Nessuna traccia della voce.

Si accasciò sul tappeto di benvenuto, scoppiando in un lungo ed interminabile pianto disperato.
Tutto stava per cambiare.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3: La cantina ***


CAPITOLO 3:

 

La cantina

 

 

 

 

Quella domenica mattina, Arya si svegliò di buon'ora: i cumulonembi che avevano invaso per giorni il cielo di Rozendhel erano spariti, e adesso i timidi raggi solari filtravano attraverso i vetri delle finestre, mortificati per la loro notevole assenza.
Rapido come una pantera, il Signor Cavaliere saltò via dalla sua gabbietta e andò ad appiattirsi sull'irradiato parquet della camera: era evidente che amasse il sole mattutino più di qualsiasi altro membro effettivo della famiglia Mason.

Dall'inverno in cui Arya aveva deciso di adottarlo erano trascorsi circa tre anni.
Sua zia, nonostante si fosse sempre mostrata riluttante all'idea di tenere in casa un animale domestico, non aveva accennato ad alcun segno di contrarietà alla vista del coniglio – di certo, non avrebbe mai e poi mai detto di no alla sua unica nipote appena rimasta orfana.
Osservandolo stiracchiarsi ai piedi del letto, Arya aprì il volto in un sorriso.
Erano giorni che non usciva di casa o, semplicemente, incontrava un essere umano.
Oliver era sparito del tutto dalla circolazione. L'orgoglio presente nel DNA degli Hopkins stava giocando un ruolo fondamentale nel battibecco che avevano avuto nella mensa scolastica.
Più di una volta la ragazza fu tentata di chiamarlo: sfogarsi con il suo migliore amico, infatti, credeva potesse essere l'unica medicina in grado di curarla dal trauma psicologico ricevuto al cimitero.
Quella voce femminile e quell'uomo dagli occhi bui avevano trovato fissa dimora nei suoi incubi, nei suoi pensieri e persino nelle sue intere giornate. Molteplici domande le vorticavano nella mente senza mai trovare una risposta.
Cosa le stava accadendo? In che guai si stava cacciando?
Era giunto l'ineluttabile momento di raccogliere informazioni e far ritorno lì, sotto i vigili occhi degli angeli.
Toc-Toc.
Arya scosse la testa: era ancora stesa sul letto, avvolta dal soffice tepore delle lenzuola.
Gettò distrattamente una mano sul comodino alla sua destra, recuperò il cellulare ed infine strabuzzò gli occhi.
« Posso entrare? »
Riconoscendo la persona al di là della porta, la ragazza rispose: « entra pure ».
« Ma stavi dormendo? Sono quasi le undici! » Sarah entrò a passo d'elefante, con indosso un lungo abito arancione ed i capelli perfettamente acconciati.
« In realtà, no » la ragazza proseguì, stropicciandosi gli occhi: « mi sono svegliata circa tre ore fa ».
« Potevi alzarti, no? Io ho pulito ogni angolo della casa! »
« È un miracolo o stiamo per ricevere il Presidente? »
Sarah inarcò le sopracciglia, indispettita: « se continui a fare queste battutine, ti metto in punizione ».
Arya abbassò gli occhi, immaginò sua zia impegnata nelle faccende domestiche e non poté resistere alla tentazione di scoppiare a ridere.
Ella era tutto fuorché una donna di casa: non sapeva cucinare, lavare i piatti e nemmeno far partire una lavatrice. Tutte queste mansioni, per il bene collettivo, erano dunque affidate a sua nipote e a Frank.
« Come mai sei venuta a chiamarmi? » Chiese la giovane.
« Perché stiamo per ricevere i nostri nuovi vicini! » Esclamò Sarah, allegra.
« Hanno comprato la villetta della signora McGallager? » Arya proseguì, abbracciando il cuscino: « non riesco a credere che qualcuno voglia abitare lì dentro ».
« Oh, Arya... Quante volte dovrò ripetertelo? Non è infestata, e neanche maledetta! La signora McGallager è morta di vecchiaia! »
« Sì, ma... »
Il campanello prese a suonare.
« Niente “ma”! » Sarah saltò su come una molla: « Sono arrivati! »
« Va bene, va bene » la ragazza fece per alzarsi: « arrivo! »
« Fa' in fretta ».
In confronto a sua zia, Arya dimostrava l'entusiasmo di un bradipo.
Si lavò il più lentamente possibile, immaginando l'aspetto fisico e caratteriale delle persone che stava per conoscere.
Probabilmente si sarebbe trattato di una famiglia: uomo, donna e bambini.
Il primo avrebbe avuto dei folti baffi italiani, e sua moglie si sarebbe presentata in carne e alla mano, con tanti figli a cui badare.
Ma quanto sono stupida?
Rimpiazzò il pigiama con una lunga maglietta bianca ed un paio di classici jeans aderenti, poi con la collana infilata attorno al collo, si decise a scendere al piano inferiore.
L'aroma del caffè la guidò sino in cucina, dove trovò Sarah chiacchierare amabilmente con un'altra donna.
« Buongiorno! » Esordì Arya, sull'uscio della porta.
« Oh, eccoti! » La zia continuò, rivolgendosi all'unico ospite presente: « questa è mia nipote, Arya ».
Un breve attimo di innaturale silenzio precedette il discorso della vicina: « piacere, Arya. Il mio nome è Hazelle ».
« Il piacere è tutto mio » rispose Arya, aprendo il volto in un sorriso.
Non vi era nessun marito, bambino, o qualsiasi altra cosa avesse immaginato.
Hazelle si presentava come una donna alta, mingherlina e dall'aspetto austero.
I suoi occhi erano un labirinto di ghiaccio sormontato da sopracciglia spoglie, ed il suo volto antico – attraversato da inconfutabili elementi di senilità – veniva perfettamente incorniciato da un rigoroso carrè biondo platino.
« Quanti anni hai? »
« Sedici » rispose Arya: « ne compio diciassette a Febbraio ».
Hazelle sorrise, sincera: « Beckah ha la tua stessa età ».
« Beckah? » Ripeterono le Mason.
« È mia figlia! Ne ho due: Beckah e Taissa. Ricordo come se fosse ieri il momento in cui decisi di adottarle ».
« Oh... » Iniziò Sarah: « vorrei tanto conoscerle! »
« Be', sono timide » concluse Hazelle: « hanno preferito visitare la città, piuttosto che accompagnarmi qui ».
« I giovani d'oggi! » Sarah proseguì: « da dove ha detto di venire? »
« Siamo del Massachusetts ».
Arya si rese immediatamente conto del fatto che Hazelle fosse una persona taciturna.
Rispondeva alle curiosità della zia con semplici monosillabi, mostrando il più delle volte una faccia stanca e al limite della sopportazione.
« Vi ho portato un regalo! » Disse alla fine, estraendo una scatolina di metallo dalla sua borsa di pelle nera .
« Sono bastoncini d'incenso? » Domandò Arya.
« Bastoncini d'incenso naturale » la corresse Hazelle, porgendone uno alla zia: « sono speciali perché hanno la facoltà di allontanare le creature demoniache ».
« Dice sul serio? »
Arya le osservò con scetticismo, concedendosi un sorriso innocente.
Le creature demoniache, gli spettri e le streghe non potevano avere alcuna relazione con il mondo reale; li considerava semplici personaggi di romanzi fantasy.
« Bene! » Esclamò Hazelle, alzandosi dalla sedia. « Sono davvero lieta d'aver fatto la vostra conoscenza ».
« Sta già andando via? » Chiese Sarah, dispiaciuta.
« Sfortunatamente, sì! Ho molti scatoloni sparsi per la casa e tanti mobili da sistemare ».
« E come farà? Le sue figlie sono ancora in giro, no? »
Hazelle annuì e Arya capì tutto all'istante.
« La aiuterà mia nipote! Che ne dice? »
« Oh, seriamente? » La vicina non accennò ad alcun segno di educato declino.
« Seriamente! » Ripeté Sarah, parlando come se la diretta interessata non fosse lì presente: « non ha mai nulla da fare! »
« Benissimo, allora! » Hazelle si avvicinò alla porta d'ingresso, con un braccio avvolto attorno alla schiena della giovane. « È stato un piacere! »
« Torni a trovarci presto! »
« Indubbiamente! »
Arya sorrise a denti stretti: sua zia aveva giocato sporco.
Scavalcarono il ciglio della porta, attraversarono il cortile della villetta ed in seguito, svoltarono a sinistra.
L'abitazione di Hazelle aveva più o meno la stessa struttura di quella di Arya e, come previsto da quest'ultima, essa si presentava come il peggior luogo in cui abitare.
Il soffitto era un trionfo di ragnatele, il pavimento coperto da un fitto strato di polvere e muffa.
Era impossibile, inoltre, non percepire quell'aspro odore di morte aleggiare nell'aria.
Molteplici scatoloni, tappeti e mobili di ogni genere vagavano per il salotto: Hazelle aveva eliminato ogni singolo elemento che potesse collegarsi alla figura dell'ex-proprietaria.
Alle pareti erano stati affissi numerosi arazzi, e le tende delle finestre si mostravano ancora ben sigillate.
« Per quale motivo ha deciso di comprare questa villetta? » Le chiese Arya: « l'agenzia immobiliare non ha avuto nemmeno la decenza di sistemarla un po' ».
« Hai ragione » rispose la donna: « ma sono affascinata da questa città, questo quartiere e questa villetta in particolare ».
Arya alzò le sopracciglia, sorpresa: « da un punto di vista, lei mi ricorda il mio migliore amico ».
« Ah, sì? »
« Anche lui crede nell'esistenza delle creature demoniache » continuò la ragazza: « glielo dovrei presentare ».
Hazelle non replicò; si limitò ad osservarla, torva.
Nel suo sguardo vi era pochissima umanità.
« Prendi questi volumi e schiaffali nella libreria del salotto » ordinò, infine.
Arya annuì con il capo, detestando quell'impertinente modo di fare.
Hazelle doveva essere una grande amante della lettura: nella sua raccolta vi erano volumi di ogni genere e argomento. Tra le mani della ragazza passarono manuali di cucina, opuscoli scientifici e libri consumati.
Uno in particolare attirò la sua attenzione: aveva la copertina scura, le pagine ingiallite ed il simbolo di una stella a cinque punte disegnato sul dorso. Sembrava vecchio di cent'anni.
« Quello è un Grimorio » spiegò Hazelle nel momento stesso in cui giunse in salotto.
« Un libro di magia? » Arya inarcò le sopracciglia: « sembra antichissimo ».
« Lo è » sotto gli stivali della donna, il parquet iniziò a scricchiolare: « fa parte della mia collezione da decenni ».
All'improvviso, l'atmosfera del salotto mutò in maniera palpabile.
Arya arretrò: « Ma lei chi è? »
Hazelle le scoccò un'occhiata irritata, avvicinandosi a passo felpato: « per quale motivo mi porgi questo quesito? »
Il suo volto era divenuto molto più cupo di quanto non fosse già stato in precedenza.
« Il modo in cui si presenta, le cose che dice » iniziò Arya, lasciando cadere a terra il volume: « prima con l'incenso, ora con il grimorio... Ancora una volta, chi è? »
Silenzio.
Hazelle la scrutò con attenzione, e la ragazza sentì come una frusta incandescente colpirla in volto.
« Arya, io ti conosco » disse la donna a denti stretti: « ti ho osservata tanto in questi ultimi giorni ».
« Ma che sta dicendo? » Un brivido le percorse la schiena.
« Sei in grave pericolo, te ne rendi conto? I demoni ti stanno cercando. Vogliono la tua Chiave ».
« La mia... cosa?! »
Hazelle sorrise, estraendo dal suo lungo abito nero un accendino ed un piccolo pacchetto di sigarette.
« La Chiave ti ha scelta per un compito molto importante ».
« Ma che cosa sta dicendo? » Urlò Arya, indirizzandosi verso la porta principale: « non voglio più ascoltarla ».
« Piccola impertinente ».
Una folata di vento si scatenò contro la ragazza, scaraventandola addosso alla libreria di legno di quercia.
« Come hai fatto? »
Hazelle aspirò il fumo della sigaretta con comodità: « sono una strega, piccina ».
Il silenzio avvolse ogni angolo della villetta.
Arya non riusciva a credere a ciò che le stava capitando.
Era tutto vero o stava semplicemente sognando?
C'era ancora qualche speranza che i nuovi vicini fossero delle persone semplici e ordinarie?
Assolutamente no.
« Alzati! » Le ordinò Hazelle: « mi necessita il tuo aiuto ».
Arya rimase a terra, provata e ferita.
« Ho detto » ripeté la strega: « alzati! »
Come se fosse stata obbligata da forze sconosciute, la ragazza si mise in piedi.
Aveva già provato la sensazione di completo abbandono fisico: in quella precedente occasione, era stata guidata sino al cimitero dalla voce misteriosa.
« Dimostrerai di essere una strega chiudendo un Portale » Hazelle continuò, raggiungendo un punto indefinito del salotto: « la Chiave non commette mai errori, ma io voglio esserne certa ».
Arya sentì il terrore impadronirsi del suo corpo: questione di minuti ed il suo cuore avrebbe smesso di pompare sangue.
Gli arti inferiori si muovevano meccanicamente, senza alcun tipo di controllo.
Era sotto l'effetto di qualche strano incantesimo. Non riusciva a far nulla.
« Sposta quel tappeto. Dobbiamo andare in cantina ».
Arya calciò via un antico tappeto persiano, mostrando l'unica via per accedere alla cantina.
Si chinò sulle ginocchia, tirò forte l'anello dell'impolveratissima botola e, all'istante, essa si spalancò.
« Bravissima » Hazelle le fece segnò di scendere per quella nuova rampa di scale: « il Portale è lì, forza! »
La cantina della vecchia signora McGallager le accolse in uno stato pietoso: era sporca, umida e buia, con il pavimento appiccicoso e infestato dagli scarafaggi.
Il suo perimetro quadrangolare era percorso da numerose mensole, sulle quali poggiavano oggetti comuni quali martelli e cacciaviti.
Non vi era alcuna finestra, nessuno spiraglio di luce solare.
« Cos'è quello? » Domandò Arya, grata di aver ripreso possesso delle sue proprie capacità fisiche e mentali.
« Quello è un Portale! » Esclamò Hazelle, senza alcun tipo di entusiasmo.
Nel centro esatto della stanza vi era un qualcosa che la ragazza non aveva mai visto prima.
Era una macchia vorticante di colore blu, senza volume e senza forma.
Se ne stava lì solitaria, indisturbata e fluttuante a pochi centimetri da terra.
« Non è possibile » Arya girò attorno al Portale più e più volte, meravigliandosi continuamente.
« Sbrigati a chiuderlo » Hazelle si mise a braccia conserte: « non voglio ricevere visite da parte di alcun demone ».
« Cioè? Spiegati meglio ».
La strega sbuffò, facendo emergere un'espressione scocciata sul suo volto antico: « non so in che modo, ma i demoni stanno aprendo numerosi passaggi in grado di congiungere la loro dimensione alla nostra. Le spiegazioni sono rimandate a più tardi, ora... Utilizza la Chiave! »
Arya deglutì, avvicinandosi al Portale.
Era ancora sotto shock, incredula ed impaurita.
Più si avvicinava al varco, e più veniva avvolta da una strana sensazione di gelo.
Si sfilò la collana.
« Cosa devo fare? »
« Non lo so » rispose Hazelle, facendo spallucce.
« Sei di grande aiuto » Arya strinse la Chiave nel pugno destro: doveva far qualcosa di intelligente, qualcosa che potesse risultare sensato agli occhi di quella strega. « Chiuditi ».
Nessun risultato.
Hazelle scoppiò in una lunga e fragorosa risata: « Ma cos'era?! Mettici un po' più di impegno! »
La ragazza sentì il volto andarle a fuoco, sintomo di puro imbarazzo.
« Chiuditi! »
Nulla.
« Evidentemente » spiegò la donna: « non credi in ciò che stai facendo ».
Arya si passò una mano tra i capelli: come poteva credere in ciò che stava facendo?
Chiudere un Portale con una Chiave presa ad un mercatino dell'usato non era assolutamente credibile!
« Forza! » Hazelle socchiuse gli occhi, poco paziente.
La ragazza scosse la testa: presto o tardi il suo cuore sarebbe evaso dal petto e l'avrebbe lasciata lì, sola e morente.
Cosa poteva fare? Cosa poteva dire?
« Occludo! »
La Chiave le bruciò la mano.
Un lampo di luce nera la scaraventò a terra.
Il Portale si accartocciò silenziosamente.
Era finita.
« Ce l'hai fatta! » Sussurrò Hazelle, incredula tanto quanto la ragazza.
« Non posso... Non riesco... Cos'è successo? Cos'ho detto? Non mi sono resa conto di nulla! »
Arya si rialzò immediatamente, ricordandosi degli scarafaggi.
Aveva la nausea, le girava la testa e la mano con cui stava stringendo la Chiave bruciava da impazzire.
« Hai superato la prova, signorina Mason ».
La ragazza fissò Hazelle negli occhi, intuendo cosa stesse per annunciare.
« Hai dimostrato di essere una vera strega ».

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4: La Congrega di Hazelle ***


CAPITOLO 4:

 

La Congrega di Hazelle

 

 

 

« Nulla di tutto questo sta accadendo realmente ».
Arya si passò una mano tra i capelli color rosso ciliegia.

Era nervosa, incredula ed impaurita: si muoveva in avanti e indietro da circa dieci minuti, continuando a disegnare cerchi imperfetti sul pavimento scuro della cantina.
Hazelle la osservava in silenzio, attraverso le dense volute di fumo di quella vecchia sigaretta morente. Il suo volto antico venne persino graffiato da un sorriso velenoso: essere l'unica spettatrice della sofferenza di una sedicenne la rendeva contenta? Probabilmente sì.
« Ho così tante domande da porti » riprese Arya: « che cosa significa tutto questo? »
Lanciò una breve occhiata alla mano con cui stava reggendo la Chiave: con sua grande sorpresa, non vi trovò alcun segno di scottatura.
« Posso spiegarti tutto » rispose la strega: « ma prima, desideri un tè? »
Schioccò le dita due volte, scatenando una qualche reazione al piano soprastante.
« Due minutini e la casa sarà in perfetto ordine! »
La ragazza aggrottò le sopracciglia: « ma tu chi sei? È tutto così strano... ».
« Pian piano ti spiegherò ogni cosa » Hazelle buttò a terra la cicca, calpestandola con violenza: « come ben sai, il mio nome è Hazelle. Vengo da Salem, Massachusetts, e sono una strega di... Be', effettivamente, non ho una vera e propria età. Sono a capo di una Congrega: Beckah e Taissa non sono mie figlie, ma semplici orfanelle che ho deciso di tenere sotto la mia custodia... Sono streghe proprio come te ».
« E dove sono adesso? »
« In giro » ripeté Hazelle: « ma non come delle turiste! Sono alla ricerca di un Portale che abbiamo percepito ore fa ».
Arya non stava capendo nulla: le parole della strega scivolavano nella sua mente senza lasciare alcuna traccia.
« Ragazzina » ella la chiamò: « se vorrai, potrai unirti anche tu alla mia Congrega. Sarai l'addetta ai Portali ».
« D'accordo, ma cosa sono i Portali? Che razza di chiave è mai questa?! »
« Ma tu non conosci la vera storia di Rozendhel? »
« È una delle città più inutili della Virginia e degli Stati Uniti » nell'udire un forte tonfo provenire dalla cucina, Arya chinò istintivamente la testa: « mi basta sapere questo ».
Hazelle arricciò le labbra, concedendosi un lungo gemito di esasperazione: « cosa mi tocca sentire? Rozendhel ha una storia molto affascinante, signorina Mason! »
« Del tipo? »
La domanda della giovane sembrava aver acceso una candela nell'animo arrogante e tenebroso della strega: la fronte e le sopracciglia le si erano rilassate, gli occhi addolciti e le labbra piegate in un sorriso.
« Devi sapere che, un tempo, Rozendhel era una terra magica... Una meravigliosa terra magica! I suoi abitanti vivevano in armonia e serenità sotto lo scrupoloso governo degli Elfi. Ricordo vividamente quei giorni: era tutto perfetto! »
Arya intuì che ci fosse qualcosa di soprannaturale persino nell'età della vecchia strega, ma non chiese nulla e rimase ad ascoltare.
« La devastazione giunse in seguito, con l'avvento delle creature demoniache. Esse bramavano la nostra terra ricca, fertile e potente. Non cedemmo alla loro avanzata e rispondemmo agli attacchi con altrettanta violenza. Scatenammo una vera e propria guerra » Hazelle proseguì: « i Demoni sterminarono gli Elfi e si cibarono degli esseri umani... Fu terribile! »
Un'ennesima parola-chiave saltò alle orecchie della ragazza: “Rozendhel e lo sterminio degli Elfi” era il titolo del libro che Oliver aveva deciso di acquistare, giorni prima, al Madame Minuit.
« Non ci posso credere... »
La leggenda si stava trasformando in storia.
« La guerra durò a lungo, sembrava non dovesse finire mai. Un solo Elfo sopravvisse al massacro della sua specie e, in collaborazione con una potente strega, creò questa Chiave! Unirono i loro poteri e intrappolarono le creature demoniache in una dimensione sconosciuta... La guerra terminò in questo modo e, per quanto riguarda l'Elfo, egli morì non appena ebbe compiuto l'incantesimo; la Strega, invece, scomparve misteriosamente. Così, il governo passò agli esseri umani – i quali nascosero al mondo la nostra vera storia. È tutto chiaro? Bene. Adesso, abbiamo un problema da risolvere: i Demoni hanno trovato un modo per evadere da lì e stanno collegando le dimensioni per mezzo di questi Portali. Dovrai chiuderli tutti e non lasciare che scoppi una nuova guerra magica. Capito? »
Vi fu un momento di sbalordito silenzio.
Arya distolse lo sguardo. Non sopportava più gli occhi gelidi di Hazelle. Sembrava le stessero lanciando una sfida, un messaggio che riportava a caratteri cubitali la parola: fifona.
« E se dai Portali uscissero dei Demoni? »
« Allora dovrai ucciderli » tagliò corto Hazelle: « estraendo loro il cuore o rompendogli l'osso del collo. Questi sono gli unici metodi con cui possono essere uccisi».
« Non sono tagliata per un compito simile » rispose Arya, scuotendo la testa: « non sono nemmeno capace di risolvere un problema di matematica! È impensabile che io possa fare qualcosa di simile! »
« Be', la Chiave ti ha scelta e hai dimostrato di essere una strega chiudendo il Portale » la donna le si avvicinò: « non puoi tirarti indietro ».
Un rumore di passi le destò dalla loro serissima conversazione: qualcuno era entrato in casa.
« Finalmente! » Esclamò Hazelle: « sono arrivate! »
Afferrando il braccio di Arya, ella si diresse verso la rampa di scale che avevano percorso minuti prima e, per mezzo della botola, tornarono nel salotto di quell'ampia villetta.
La ragazza dovette strofinarsi gli occhi più di una volta per rendersi realmente conto di ciò che aveva di fronte: la polvere e la muffa erano state estinte, gli scatoloni erano spariti, le finestre lucidate e i mobili accuratamente sistemati. La tiepida carezza del sole, che filtrava da una piccola apertura delle tende, illuminava il parquet e le numerose fotografie appese alle pareti. Arya tastò ogni singolo oggetto, cornice e persino lo stesso pavimento, per assicurarsi che tutto fosse vero. Per via di quel lungo divano, l'antico tavolino da tè e l'arredamento opprimente, il salotto sembrava aver perso la metà dello spazio che possedeva in precedenza.
« Come hai fatto a sistemare tutto? » Domandò Arya.
« Facile » Hazelle si avvicinò alla libreria: « ho schioccato le dita e tutto è andato al proprio posto! »
Il rumore di passi si fece più insistente finché sul ciglio del salotto non comparvero due figure ben distinte.
« Oh! » Esclamò la prima.
Aveva la carnagione scura e gli occhi bui come la notte. Il suo naso era poco pronunciato ed i suoi capelli erano una cascata d'inchiostro che le scivolava lungo tutta la schiena.
Arya pensò che quella ragazza, così gracile e magra, dovesse soffrire di una qualche sorta di malattia fisica.
« Non ci aspettavamo degli ospiti » ammise la seconda.
Ella era una ragazza di media altezza: i suoi grandi occhi ambrati brillavano come stelle nella notte più oscura, ed il suo viso sottile era incorniciato dalle onde dei suoi lunghi capelli castani. Portava una canottiera fucsia, un paio di jeans scurissimi e degli stivaletti neri infilati ai piedi.
« Siete arrivate, finalmente! » Le accolse Hazelle, accendendo distrattamente un'altra sigaretta. « Avete trovato quello che stavamo cercando? »
La prima annuì, gli occhi neri puntati su Arya.
« Taissa! » La rimproverò Hazelle: « non fissare in questo modo gli ospiti! È maleducazione ».
Arya deglutì, tentando di far evadere una qualsiasi parola dalla bocca.
Il risultato, come al solito, non ebbe l'effetto che sperava.
« Ti senti bene? » La ragazza con la canottiera la soccorse: « ti serve un secchio per vomitare? »
« No, no! » Si affrettò a dire Arya: « sto bene! »
« Meglio così » ella continuò, porgendole una mano: « il mio nome è Beckah Gray! Sono davvero felice di conoscerti! »
Il suo volto allegro e le sue affettuose parole la rendevano diversa dalla maggior parte delle persone che Arya avesse mai conosciuto: il suo animo era puro ed innocente, ignoto alla sofferenza e all'afflizione.
Tutt'al contrario era Taissa Crane.
Ella si presentava come una ragazza solitaria e taciturna, con un evidente disagio mentale. Nel corso della mattinata, infatti, furono svariate le volte in cui tentò di fracassarsi il cranio per mezzo di quei violenti urti gratuiti che porgeva alle pareti della villetta. Ogniqualvolta che succedeva qualcosa di simile Hazelle la rimproverava severamente, scatenando in lei un'esagerata crisi di pianto.
« Tu sei come noi, giusto? »
Arya annuì con poca convinzione alla domanda di Beckah: « credo di sì... Ho appena chiuso un Portale, quindi... Be', sì... Forse ».
« A proposito » disse Hazelle, schioccando nuovamente le dita: « parliamo della vostra gita in città. Avete trovato qualcosa? »
Un vassoio d'argento volò nella loro direzione, trasportando un elegante servizio da tè e pasticcini di ogni genere e tipo. Osservandolo arrivare, come se fosse la cosa più naturale al mondo, le tre streghe presero posto sul divano.
« Vieni qui! » Esclamò Hazelle: « non vorrai mica bere il tè in piedi! »
Arya si morse il labbro inferiore e s'avvicinò timidamente.
Subito, Beckah le porse una tazzina fumante. Quel tè al limone aveva un profumo particolare, sconosciuto a qualsiasi altro essere vivente: odorava di magia.
« Non ti ingozzare, Taissa. Quei biscotti sono specialmente per Arya » Hazelle chiuse gli occhi, paziente: « forza, Beckah, raccontami tutto ».
« Allora » la ragazza partì, accigliandosi: « questa città pullula di Demoni, e credo che alcuni di loro abbiano persino sembianze umane. Sarà molto difficile individuarli».
Arya percepì un brivido percorrerle il dorso. Si era sempre lamentata della noia domenicale, del fatto che non succedesse mai nulla a Rozendhel; ma adesso, tutto ciò le risultava esagerato.
« E avete trovato anche un Portale? »
« Sì! » Rispose Beckah, inghiottendo un pasticcino alle mandorle: « si trova nel cimitero ».
Arya si versò gran parte del tè bollente sulla maglietta bianca, macchiandola e scottandosi.
« Che ti prende? » Le domandarono Hazelle e Beckah all'unisono.
« Io sono stata al cimitero ed è stato stranissimo! Una persona mi stava parlando dall'interno di una tomba, ho cercato di salvarla ma... tutto inutile! »
« Che cosa? » Hazelle inarcò la fronte: « può darsi sia stata una semplice allucinazione ».
« No, davvero! » Rispose Arya, le lacrime agli occhi: « una donna mi stava chiedendo di salvarla ed io non ho potuto far nulla. C'era anche un signore! »
« Sì, quello lo so » ammise la strega: « il suo nome è Bartek. Gli avevo ordinato io di riportarti a casa ».
« Ma... »
« Solitamente, ha le sembianze di un corvo. Gli ho fatto un incantesimo affinché possa trasformarsi anche in un uomo. Ora si trova sul suo trespolo, nella mia camera da letto ».
« Come facevi a... »
« Te l'ho detto, mia cara » insistette Hazelle: « ti ho osservata a lungo! Dovevo tenerti al sicuro dai Demoni ».
Arya chinò il capo, affranta.
Era stata una semplice allucinazione? Quella donna risiedeva soltanto nella sua testa?
Eppure sembrava così reale.
« Dobbiamo far ritorno al cimitero » disse, infine: « devo chiudere quel Portale, no? »
« Cominci a comprendere le regole del gioco, signorina Mason! » Esclamò Hazelle, lasciandosi scappare una risatina infantile. « Ma prima, dobbiamo fare un'altra cosa».
Arya inarcò le sopracciglia: non riusciva a concepire l'idea che potesse esserci qualcosa di più urgente rispetto ad una possibile invasione di creature demoniache.
Non appena Hazelle ebbe finito di bere il tè, ordinò a lei e alla sua Congrega di prepararsi ad uscire.
Il servizio da tè volò di nuovo in cucina e, con propria autonomia, si sciacquò e si mise a posto nella credenza. Arya pensò che quello sarebbe stato uno dei primi incantesimi che avrebbe dovuto imparare.
« Siamo pronte? » Hazelle infilò il grimorio nella sua vecchia borsa di pelle nera e, nel momento stesso in cui toccò la maniglia della porta d'ingresso, venne raggiunta da una macchia velocissima e scura come la pece. Era Bartek, il corvo muta-forma.
« No, tesoro mio » le dita della donna funsero da trespolo momentaneo: « oggi non mi occorre il tuo aiuto. È una missione abbastanza semplice. Ti ringrazio lo stesso ».
Arya sorrise alla vista di quella scena ed ebbe l'impressione che il pennuto fosse l'unico essere in grado di poter tirar fuori dalla sua padrona un minimo di umanità.
Un fruscio d'ali, uno sbattere di porte, e le streghe si ritrovarono all'aria aperta.
Il sole aveva raggiunto il suo apice, illuminando anche il più remoto angolo della Virginia.
Abituata all'oscurità della cantina e alla penombra del salotto, Arya ci mise qualche istante per riadattarsi all'intensa luce naturale. Seguì le sue compagne sino al limitare del giardino di casa Mason e, perplessa, chiese: « non credevo che per “cimitero” intendeste il mio giardino. Faccio il possibile pur di mantenere le piante in vita, ma muoiono sempre tutte ».
« Ma cosa dici? » Hazelle abbassò nuovamente gli occhi: « ci siamo fermate perché devo compiere un incantesimo sulla tua bella casetta ».
« La Barriera? » Le domandò Beckah.
Ella annuì, iniziando a ripetere una sorta di filastrocca sottovoce. Nessuno di quei termini apparteneva alla loro lingua madre; era una lingua antica, simile al latino.
« È un incantesimo molto utile, Arya » Beckah continuò: « nessuna creatura soprannaturale riuscirà ad entrare senza il tuo consenso. È uno dei migliori incantesimi di difesa in circolazione ».
Entrata ormai in quella strana ottica, Arya fece un semplice cenno con la testa e rimase ad osservare. Quattro mura di un flebile celeste avevano attorniato l'abitazione: erano alte, spesse e pressoché invisibili. Ma non appena la strega ebbe finito con la sua cantilena, esse sparirono senza lasciare alcun segno della loro breve esistenza.
« Quindi? » Arya alzò le sopracciglia.
« Non hai visto quelle mura? Ora, sono diventate invisibili e proteggeranno te, tua zia e Frank da qualsiasi attacco demoniaco » ella proseguì, tirando fuori un paio di occhiali da sole dalla borsa: « a proposito, dov'era oggi Frank? »
« Sarà andato a trovare sua madre in città, non lo so. Mi hai spiata alla grande, eh? »
La donna mise in mostra i suoi bianchissimi denti, poi fece cenno di seguirla.
Nonostante fosse Novembre inoltrato, il sole picchiava sulle loro teste con prepotenza: la prima a lamentarsi di questo fu Taissa, mugugnando e stropicciando la manica destra dell'abito di Hazelle.
Le strade della città erano molto più gremite del solito. Probabilmente, quei passanti non avevano neanche una vera e propria meta: passeggiavano e chiacchieravano ad alta voce, contenti di poter trascorrere a maniche corte o con giacchetti leggeri una simile domenica autunnale.
Nel vedere un uomo stringere la mano della propria figlia, Arya sentì un buco nero invaderle il petto e risucchiarle il cuore. Provò un'insulsa invidia nei confronti della bambina e volse lo sguardo altrove.
Imboccando vicoli stretti e strade asfaltate, si ritrovarono a pochi metri dalla tavola-calda di Darren Hart. La giovane con i capelli rossi buttò un'occhiata all'insegna, mentre Taissa fece segno di fermarsi ad ordinare qualcosa. Nessuna di loro le diede però troppa importanza e proseguirono diritte, giungendo in seguito dinanzi al cancello arrugginito del cimitero.
« I tuoi sono seppelliti qui, giusto? » Domandò Hazelle.
« Sì, esatto » rispose Arya, guardando al di là delle sbarre di metallo: « prima di chiudere il Portale, voglio porgere un saluto a mio padre ».
« E a tua madre? » Beckah inarcò le sopracciglia, mantenendo costante la sua aria da fanciulla indifesa.
« L'ho sempre odiata. E continuerò a farlo per sempre ».
Hazelle si concesse una lunga risata inopportuna: « sei una degenerata ».
« È la verità ».
Spinto il cancello, le streghe vennero assediate da invisibili abitanti incorporei – come da copione, Taissa fu l'unica in grado di poter interagire con loro. A passo leggero, Arya si allontanò dal gruppetto e raggiunse due lapidi poste ai margini del campo. Alla sua destra vi era la foto di un uomo con i capelli rossicci, lo sguardo simpatico ed un paio di orecchie a sventola. Il suo nome, “William Mason”, inciso sulla pietra, risplendeva alla luce dei raggi solari.
Imponendosi la calma ed il divieto di piangere, ella sfiorò con le proprie dita la tomba del genitore. Se fosse stata da sola si sarebbe di certo abbandonata alle lacrime. Nella circostanza attuale, però, non le era consentito mostrarsi fragile, debole e terribilmente vulnerabile. Scosse la testa e si concentrò sulla lapide di sinistra, la quale riportava a caratteri eleganti la scritta: Morgause Pillsbury Mason: riposa in pace.
Dall'immagine accanto traspariva il volto sottile di una donna di mezz'età, con lunghi capelli bruni e naso aquilino. Sua figlia rimase immobile ad osservarla, senza provare alcun tipo di costernazione. L'odio che provava era maturato con gli anni ed aveva raggiunto delle artificiose dimensioni. Morgause era sempre stata solita bere alcolici, ubriacarsi e prendersela ingiustamente con lei. Si sfogava picchiandola, insultandola e ripetendole la solita vecchia frase: “avrei preferito ucciderti piuttosto che darti alla luce”.
« Arya? »
La ragazza si voltò, accorgendosi della presenza di Beckah.
« Va tutto bene? » Le chiese.
« Sì, sta' tranquilla » Arya si schiarì la voce: « lo avete trovato? »
Ella annuì: « ora ci serve il tuo aiuto ».
Camminarono a lungo, facendosi largo tra decine e decine di lapidi. Non incontrarono quasi nessun visitatore, e questo fu un bene per il loro livello di massima segretezza.
Passarono dieci minuti e finalmente giunsero all'estremità opposta rispetto al cancello da cui erano entrate. In quel punto del cimitero vi era un ampio spiazzo di terra adornato da sporadici elementi di un prato rinsecchito; accanto ad una magnifica statua di un angelo sofferente, inoltre, si ergeva una macchia bluastra, priva di forma e volume proprio. Arya si sorprese ancora una volta nel vedere il Portale: quale legge scientifica permetteva l'esistenza di una roba simile?
« Sigillalo! » Esclamò Hazelle, spuntando all'improvviso dall'ombra della statua.
« Sì! » La ragazza afferrò la Chiave dalla tasca dei jeans aderenti, sicura di potercela fare: « Occl... ».
Una folata di vento la scagliò a terra.
Un ruggito squarciò l'aria.
Erano in pericolo.
« ARYA, ATTENTA! »
Il grido di Beckah anticipò l'entrata in scena di un raccapricciante essere sconosciuto: aveva la pelle coperta di scaglie, zanne affilate quanto un rasoio ed un paio di velenosi occhi rossi. Si teneva in piedi per mezzo delle zampe posteriori, mostrandosi alto come una torre e più robusto di un atleta. La sua coda frusciava silenziosa, mentre il suo muso da lucertola emetteva suoni sinistri e minacciosi.
« Quella specie di lucertola sproporzionata è... » Arya non riuscì a terminare la frase.
« È un demone, mia cara » disse Hazelle, sprezzante: « chiudi il Portale, altrimenti ne usciranno fuori degli altri. Taissa, tu allontanati! ».
La creatura ruggì di nuovo, preparandosi allo scontro.
Arya, invece, non sapendo cosa fare, si rotolò su un fianco: il cuore aveva ripreso a martellarle nel petto e gli arti inferiori sembravano non chiederle altro che fuggire il più lontano possibile da lì.
Un pugno ben assestato di Beckah mandò a terra il lucertolone: quanta potenza racchiudeva in sé quella fanciulla?
Arya si fermò ad osservare l'evento esterrefatta: quelle streghe non erano semplicemente streghe, ma guerriere a tutti gli effetti.
Impavida, Beckah afferrò una delle zampe anteriori del mostro e lo fece schiantare contro la statua dell'angelo, riducendola in molteplici frammenti bianchi.
Hazelle, allora, gli arrivò dirimpetto e allungò le braccia, ben intenzionata a rompergli l'osso del collo. « Falla finita, bestione! »
Tuttavia egli riuscì a divincolarsi dalla stretta che lo teneva prigioniero e, percependo la Chiave, si diresse verso Arya.
Morirò. Morirò davvero!
« Buttati a terra! » Gridò una della Congrega.
« Schivalo! » Fu l'urlo di un'altra.
Ma stava accadendo tutto troppo velocemente per poter ragionare e prendere la miglior decisione.
Arya si gettò istintivamente a terra e, cercando di riprendere fiato, tentò di allontanarsi dalla bestia.
Tutto inutile.
La lucertola l'afferrò senza alcun problema e le conficcò nella spalla sinistra le sue pericolose zanne affilate. Subito, fiotti di sangue presero a sgorgarle dalla ferita. Non riusciva nemmeno ad urlare, a chiedere aiuto: era vittima di una misteriosa sensazione di vuoto mista al terrore.
« Ora, basta! » Beckah avanzò di un passo, i pugni serrati.
« Fermati! » Le ordinò Hazelle: « non puoi distruggere il cimitero ».
« E allora che facciamo? »
La strega fece un cenno a Taissa, la quale si era allontanata di almeno sei metri: « ci penserà lei ».
Non appena il demone la lasciò libera, Arya si contorse su se stessa: il dolore la stava divorando.
« Taissa, ora! »
La ragazza annuì, avvolgendo la mente del nemico in un incantesimo di confusione.
Un ennesimo ruggito fece tremare ogni lapide presente in quel posto. La magia aveva funzionato correttamente: il demone era in preda a spasmi incontrollabili.
Arya, nonostante avesse la vista annebbiata, riuscì ad assistere a quella violentissima scena: Hazelle si era avvicinata alla bestia, l'aveva gettata a terra e, in silenzio, le aveva rotto l'osso del collo.
Il rumore provocato da quest'ultimo gesto risuonò nelle sue orecchie per secondi, minuti, ed interminabili ore.
« Bisogna guarirla! » Esclamò Beckah.
« Pensateci voi, subito! »
Taissa corse verso di loro, si chinò sul busto di Arya e partì con una nuova cantilena magica.
La giovane Mason, distesa ancora sul prato freddo e umido, ricevette dall'organismo un conato di vomito: il cadavere del mostro era immobile, a pochi metri più giù, intento a fissare il vuoto con quei suoi perfidi occhi rossi.
La ferita si rimarginò, impedendo la fuoriuscita del sangue.
« Grazie, Taissa » Arya si alzò a fatica, tremante.
« Chiudi il Portale! » Strepitò Hazelle: « spero non ci abbia viste nessuno! »
« Un attimo, Hazelle! » Esclamò Beckah: « deve riprendersi! È stata la sua prima volta con un demone, comprendi? »
« No, ha ragione lei » sussurrò Arya, impugnando la Chiave: « non posso comportarmi in questo modo. Sono una... Strega debolissima! Voi siete delle guerriere che non temono nulla... e presto, lo sarò anch'io! Non posso permettere che esseri simili vivano a Rozendhel, che possano far del male ai miei cari. Sigillerò ogni varco e sconfiggerò ogni singolo Demone... Potete starne certe! »
Hazelle sorrise, rovistando nella sua vecchia borsa: « ti regalo il mio grimorio. Avrai bisogno di imparare tanti incantesimi... Sarà divertente ».
Arya chiuse il Portale e afferrò il volume, voltandosi poi in direzione del demone: « che fine ha fatto? »
« I Demoni si tramutano in polvere! È la legge della loro natura » spiegò Beckah.
La giovane Mason annuì, sentendosi un'ignorante: « ho molte cose da imparare ».
« E le imparerai! »
Il sole aveva iniziato la sua parabola discendente quando le streghe decisero di tornare a casa.
Un'insolita domenica giungeva finalmente al termine.

 

***

 

Era quasi mezzanotte.
Il silenzio regnava sovrano.

Nel salotto di quella vecchia casa, l'unico suono percepibile era il fruscio della pergamena che veniva a contatto con la punta scarlatta di una penna. L'uomo scriveva da ore. Il pavimento era già cosparso di palle di carta.
In che modo avrebbe potuto esprimere i suoi sentimenti?
Ho vinto”.
Era un inizio perfetto.
Ho seppellito una strega”.
Chiarissimo.
E adesso, ho intenzione di sterminare la Congrega di Hazelle”.
Incisivo.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5: Confesso ***


CAPITOLO 5:

 

Confesso

 

 

Le pagine del grimorio profumavano di rosa appena colta. Rovinate dall'inesorabile scorrere del tempo, esse si mostravano ingiallite e grinzose, scabre e sciupate. Ogniqualvolta che Arya provava un incantesimo, le sue vie respiratorie venivano a contatto con decine e decine di acari presenti nella polvere. Era probabile che quel libro non venisse aperto da anni. Sulla copertina scura non vi era impressa alcuna scritta, mentre sul dorso brillava il simbolo di una stella a cinque punte.
« Sono riuscita a far levitare due matite contemporaneamente! » Esclamò Arya, concedendosi un breve applauso.

« Notevole! » Disse Beckah: « di questo passo riuscirai persino a superarmi! »
Le due ragazze si trovavano nella villa dei Mason, rinchiuse nella cameretta al primo piano.
Erano passati due giorni dallo scontro avvenuto con quel demone, e tutto sembrava essere tornato alla normalità.
« Non credo » ammise Arya: « ti ho osservata bene al cimitero, sei fortissima ».
« Sbagli » tagliò corto l'altra: « sono fortissima in termini fisici! Io detengo l'Arte della Distruzione, sono una strega che usa molto più la forza piuttosto che la magia ».
« Quindi ogni strega ha la propria Arte? »
Beckah annuì, un sorriso tutto miele stampato in volto: « esattamente! Per esempio, Taissa ha l'Arte dell'Occhio; siamo riuscite a trovarti per merito delle sue Visioni! »
Arya arricciò le labbra, nella mente le vorticavano una moltitudine di immagini: « e quale potrebbe essere la mia specialità, la mia Arte? »
« Credo si possa associare alla Chiave, alla missione che hai di sigillare i Portali ».
« E quella di Hazelle? »
« Lei non ha un'Arte in cui eccelle » rispose Beckah: « sa fare qualsiasi cosa! È inquietante ».
Grandi misteri aleggiavano attorno alla figura della loro Precettrice: nessuno, all'interno della Congrega, sapeva quanti anni avesse e quale fosse la sua storia. Spesso accadeva che ella si lasciasse scappare una sorta di indizio, un qualcosa che potesse condurre le sue allieve alla verità; ma non appena le venivano poste domande specifiche, si ritirava in se stessa o andava semplicemente a coccolare Bartek.
« Non sai proprio nulla di lei? » Chiese Arya, sedendosi sul letto.
« Il suo luogo di nascita è Salem » Beckah continuò: « e ho come l'impressione che abbia assistito al periodo del processo... Sai, il famoso processo alle streghe ».
« Cosa? Ma è avvenuto alla fine del diciassettesimo secolo! È immortale, per caso? »
Un rumore oltre la porta le fece sobbalzare: Frank aveva appena messo piede nella cameretta, tra le mani un vassoio ricco di biscotti al cioccolato e tè al limone.
« Disturbo? » Esordì, un'espressione contenta incisa sul volto barbuto. Indossava una delle sue classiche camicie a quadri, un paio di jeans e scarpe da ginnastica: « vi ho portato qualcosa da mettere sotto i denti ».
Con la regalità di una principessa e la semplicità di una contadinella, Beckah lo ringraziò: in quell'occasione sembrava tutto fuorché una strega-guerriera.
« Se ai miei tempi avessi conosciuto una come te, l'avrei portata subito all'altare » scherzò Frank poggiando il vassoio sulla scrivania, vicino al computer portatile: « ma Oliver che fine ha fatto? È da molto tempo che non lo vedo ».
L'incantesimo lanciato dall'uomo tramutò Arya in una statua di cera: per via del grimorio, la Chiave, i Demoni, e la missione riguardante i Portali, ella aveva completamente scordato la faccenda avvenuta con il suo migliore amico.
Sono un'idiota...
« Non lo so, dovrei andarlo a trovare » sussurrò alla fine: « tu mi accompagneresti? »
Beckah si portò una mano al petto: « mi piacerebbe molto, ma ho ancora tante materie da ripassare ».
« Oh, giusto! » Esclamò Arya, dandosi una leggera pacca sulla fronte: « domani è il tuo primo giorno! »
« Come? Ti sei iscritta al liceo di Rozendhel? » Domandò Frank, mentre porgeva loro delle tazze fumanti.
« Esatto! » Rispose Beckah, felice: « è la prima volta che frequento una scuola pubblica; sarà divertente! »
A quel punto l'uomo non poté fare a meno di augurarle un sonoro “in bocca al lupo” e darle il cinque, contento; sembrava un marmocchio con la barba. Scivolò, in seguito, oltre la soglia della porta e tornò, canticchiando, alle sue faccende da casalingo.
Con imbarazzo, Arya si morse il labbro inferiore e guardò Beckah, la quale stava sbattendo gli occhi, confusa: « cosa c'è? »
« Oliver è il tuo ragazzo? »
Arya sputò nella tazza tutto il tè che aveva in bocca. « Assolutamente no! È il mio migliore amico! »
« Ah, scusami » disse Beckah pigramente: « quindi non sei fidanzata... »
La ragazza scosse la testa, rossa come un peperone. « Lo conosco da tantissimo tempo! Ci siamo sempre sostenuti, sia nei momenti positivi che in quelli terribili... Non posso permettere ad uno stupido litigio di dividerci. Devo andarlo a trovare! »
« Sì, mi sembra legittimo! »
« E gli confesserò ogni cosa! »
Questa volta fu Beckah a sputare il tè: « che cos'hai detto? »
« Sì, hai capito bene » Arya saltò in piedi come una molla: « non posso nascondergli la verità. Che razza di amica sarei? »
« Arya, non farlo » anche Beckah si alzò, accigliata: « Hazelle non ne sarebbe contenta ».
« Non mi importa della sua opinione » la ragazza fece spallucce e si avvicinò alla porta: « forza... Andiamo! »

 

***

 

La Chiave pendeva dal suo collo, muovendosi ritmicamente da destra verso sinistra.
Giunta nei pressi della libreria, Arya fu fermata da un semaforo rosso ed iniziò a saltellare da un piede all'altro mentre decine e decine di automobili le sfrecciavano dinanzi agli occhi.
Era sicura che avrebbe trovato lì il suo migliore amico, e lo immaginava seduto su una di quelle comode poltrone rosse a leggere un romanzo. Attraversato l'incrocio, spinse la porta d'ingresso ed entrò a passo felpato.
La libreria del signor Hancock aveva le fattezze di un vero e proprio labirinto: gli scaffali di legno di quercia si presentavano simili a giganti dal fisico imponente e mente erudita – ne trovavano dimora volumi di ogni genere e argomento: si passava dalla fisica quantistica alla storia medievale, dai romanzi gialli a quelli fantasy e, dalle più antiche enciclopedie agli album colorati per bambini.
Dal soffitto ciondolava un lampadario tempestato di pietre scintillanti, ed il pavimento si presentava intarsiato in marmo e lucidato alla perfezione. Inoltre, posizionato accanto all'entrata, vi era un largo bancone decorato da diamanti e incisioni raffinate.

Arya aveva da sempre considerato quel posto come la rappresentazione tattile dell'universo.
« Signorina Mason! »
Sentendosi chiamare, la ragazza voltò lo sguardo verso il bancone e notò un simpatico vecchietto agitare una mano: era il proprietario della libreria.
« Salve, signor Hancock » sussurrò Arya, avvicinandosi.
« Qual buon vento ti porta qui? » Le chiese lui: aveva la carnagione chiarissima, i capelli bianchi e, al posto degli occhi, un paio di lapislazzuli, i quali erano soliti sparire tra le rughe ogni volta che sorrideva. « Fammi indovinare: non hai la macchina fotografica a portata di mano... Quindi sarai appena uscita dal teatro francese? »
« Non proprio » Arya si strofinò il prolabio, imbarazzata: « ha visto per caso Oliver Hopkins? »
L'uomo rifletté per qualche istante, poi annuì con il capo e indicò un reparto del labirinto: « credo si trovi lì, nel settore dedicato al “fantastico” ».
La ragazza deglutì, percependo un leggero dolore allo stomaco: per quale motivo si stava agitando tanto?
Ringraziò il signor Hancock e si avviò verso il settore che le era stato indicato.
Quel pomeriggio la libreria non si presentava affatto gremita, e se non fosse stato per la quinta sinfonia di Bach posta in sottofondo, avrebbe regnato il più assoluto silenzio.
Arya svoltò a sinistra e, proprio come se lo era immaginato, trovò il suo migliore amico appollaiato su una di quelle comode poltroncine rosse.
« Oliver? » Lo chiamò in un sussurro.
« Sì? » Il ragazzo si voltò lentamente, tra le mani aveva un libro intitolato “Non sapevo di essere un lupo mannaro”: « Arya! Cosa ci fai qui? »
Sui volti di entrambi avevano preso vita espressioni di felicità miste al dubbio.
« Innanzitutto » cominciò lei: « come stai? »
« Me la cavo bene! » Rispose Oliver: « e tu? »
« Bene » Arya sbuffò passandosi una mano tra i capelli: « senti, smettiamola. Mi sembra stupido litigare per giorni senza una vera e propria motivazione. Sei stato con Quinn, non mi importa! Buon per te ».
« In realtà » disse Oliver, facendole segno di accomodarsi su una poltrona: « non c'è stato nulla tra noi due; si è tirata indietro poco prima che riuscissi a togliermi i boxer».
La ragazza arrossì, immaginando la scena.
« Quindi, adesso come adesso, usciamo e basta... Nulla di più ».
« Ho capito. Allora non è stupida come credevo ».
Oliver sorrise: « siediti e raccontami qualcosa! Come sono andate queste giornate? »
Potrei iniziare dicendoti che mi sono fatta quasi ammazzare da un demone...
« Nulla di particolarmente interessante » Arya fece spallucce: « a dire il vero, dovrei dirti delle cose... Ma non penso che questo sia il posto adatto ». Oliver inarcò la fronte e chiuse il libro con poca cura.
« Ti andrebbe di andare al Sunny-Valley? »
« Il parco per bambini? »
Arya annuì e, costringendolo ad alzarsi, lo trascinò fuori dalla libreria.
Il dubbio che la tormentava era il seguente: in che modo avrebbe potuto rivelarsi?
Era un dato di fatto che ad Oliver piacessero i racconti fantastici ed ogni sorta di creatura paranormale; ma nella vita di tutti i giorni avrebbe potuto accettare qualcosa di simile?
Camminarono per qualche metro, in silenzio. La mente di entrambi confusa e carica di pensieri.
La luna aveva già trovato dimora nel cielo scuro della sera quando il ragazzo si arrestò: « Arya, siamo arrivati. Non te ne sei accorta? »
Arya, che aveva proseguito di un paio di passi, si voltò di scatto e disse: « scusami, credevo fosse più avanti ».
Il Sunny-Valley si trovava a pochi isolati dal locale di Darren Hart: occupava una minima zona di Rozendhel e si presentava come uno di quegli squallidi parchi abbandonati, in cui la percentuale di vagabondi presenti supera quella dei bambini.
« Suppongo sia passato molto tempo dall'ultima volta in cui ho messo piede qui » disse Arya, gli occhi puntati su una barbona sospetta.
« Questo non è più un posto in cui andare a giocare » le rispose Oliver, scalciando le foglie secche cadute dagli alberi: « ricordi quanto ci divertivamo? »
« Assolutamente sì! » Arya saltellò: « qui c'era lo scivolo, vero? »
Il ragazzo annuì: « e ti ricordi quando sei caduta dall'altalena? »
« Okay, smettiamo di rinvangare il passato ».
Il giovane Hopkins partì con la sua classica risata sguaiata: quando qualcosa lo divertiva in particolar modo, tirava indietro la testa ed emetteva suoni non propriamente umani.
Passeggiarono a lungo accompagnati dalla flebile luce dei lampioni e dai ricordi d'infanzia finché, all'improvviso, Arya non decise di cambiare argomento.
« Oliver, devo dirti una cosa ».
« Tua zia sta bene? »
« Riguarda me » la ragazza abbassò gli occhi: « ho scoperto chi sono realmente e non posso più tenerlo segreto ».
« Sei gay? »
« S-... No! Ma cos'hai capito?! » Arya gli diede un pugno sulla spalla: « sei riuscito a rovinare pure questo momento! Dovevo dirti che sono una strega e hai mandato tutto all'aria! »
« Aspetta... Tu cosa? »
La ragazza si ammutolì, affogando nel blu dei suoi occhi.
« Cos'hai detto di essere? » Ripeté lui.
« Sono una strega, Oliver ».
Il silenzio tornò a farsi sentire.
Arya osservava attentamente ogni espressione del ragazzo: stupore, incredulità, nervosismo...
« Oliver, sei il mio migliore amico... Sono sicura che questa cosa ti possa spaventare, però... »
« Questo... » iniziò lui: « questo è fenomenale! E riesci a volare? Hai dei poteri? Ma non mi stai prendendo in giro, giusto? Devi dimostrarmelo! »
Arya alzò le sopracciglia, incredula: « potrei mostrarti qualsiasi cosa... Vuoi che ti faccia un riassunto di tutta la faccenda? »
« Naturale! » Esclamò il ragazzo, prendendola per le mani: « devi giurarmi che non è una bugia! »
« No, non è una bugia ».
Il racconto iniziò e non escludette nulla: la voce misteriosa proveniente dal cimitero, la Chiave, la storia della Congrega di Hazelle... Arya gli disse tutto.
« Non posso crederci... È reale! »
« Devi assicurarmi, però, che non lo dirai a nessuno... Nemmeno a Quinn! »
« Lo giuro! » Oliver si mise una mano sul cuore: « ora, fa' in modo di stupirmi... Mostrami una magia! »
Arya scrollò le spalle, rilassata: « d'accordo... Controlla che non ci sia nessuno nei paraggi ».
Il ragazzo voltò il capo a sinistra e poi a destra: « via libera! »
« Bene, diamo inizio allo spettacolo... » Arya sorrise ancora una volta: « Moveo! »
Le foglie secche, cadute dagli alberi, si alzarono adagio e, con armonia presero a danzare attorno ad Oliver, il quale si mostrava palesemente emozionato.
« Piaciuto? » Domandò la ragazza nell'attimo dopo aver arrestato l'incantesimo.
« È stato... magico! »
Oliver avrebbe voluto assistere ad ogni sorta di magia, e continuare per l'intera serata.
« È tutto bellissimo... Non posso crederci... E poi, quella Chiave è fantastica! Magari, anche la proprietaria del Madame Minuit è una strega! Dovremmo andarla a trovare! »
Arya inarcò le sopracciglia: « hai ragione! Come ho fatto a non pensarci prima? »
« Scusa, ma Hazelle non ti ha detto nulla a riguardo? »
« No, credevo fossimo solo noi le streghe presenti in città ».
« Be', Arya » Oliver alzò le sopracciglia: « Rozendhel è sempre piena di sorprese! »

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Capitolo 7
*** Capitolo 6: Lo Scisma ***


CAPITOLO 6:

 

Lo Scisma

 

 

Rozendhel si dimostrava ancora una volta ricca di sorprese, e l'idea che potessero esistere altre innumerevoli creature soprannaturali rendeva Oliver la persona più entusiasta della Terra.
La giovane Mason rifletté a lungo sulla questione del Madame Minuit: Ismene era una strega? Per quale motivo non le era stato detto nulla? Forse, nemmeno Hazelle ne sapeva qualcosa?

« Smettila, Arya! » La rimproverò Beckah: « appena torneremo a casa, le chiederemo tutto. Goditi la giornata! »
« Sì, hai ragione » rispose Arya: « ma sono sicura che ci sia qualcosa sotto... Qualcosa di grosso! Forse dovrei andare prima da Ismene! D'altronde, Hazelle non ci dice mai nulla! »
« Non lo so... Fa' come vuoi ».
Le due ragazze si trovavano in un corridoio della scuola, dirette verso la mensa.
Il primo giorno di Beckah stava procedendo lentamente, fin troppo; sembrava quasi che qualcuno avesse stregato gli orologi dell'intero paese.
« Salve! » Esclamò la giovane Gray nel momento stesso in cui giunse di fronte al bancone di Ms. Mary. « Qual è il menù del giorno? »
« Mi stai prendendo in giro, ragazzina? » Tuonò la donna, avvicinando un vassoio al suo pentolone: « stufato di carne! Il prossimo! »
L'espressione scioccata di Beckah fece sorridere Arya, la quale dovette spiegarle il motivo per cui la cuoca risultasse sempre di cattivo umore: « si dice sia stata abbandonata all'altare, e adesso abita con tredici gatti ».
« Ma non dovrebbe reagire così! Dovrebbe farsene una ragione e non permettere più a nessuno di appropriarsi della sua felicità ».
« Giusto, ma non è sempre facile voltare pagina ».
Raggiunsero il tavolo più lontano, sedendosi dunque accanto ad Oliver.
« Ehilà, tappa-piatta! » La salutò lui senza incontrare i suoi occhi, era troppo impegnato nell'esaminare quella zuppa. « Il tuo stufato sembra pessimo ». « Oliver, devo presentarti una persona » Arya indicò Beckah, la quale sorrise timidamente.
« Mi chiamo Beckah Gray » e gli strinse una mano: « tu sei Oliver Hopkins, giusto? Ho già sentito parlare di te. Sei davvero molto carino ».
« Oh, no! Non avresti dovuto dirglielo » disse Arya, convinta: « adesso si monterà la testa ».
« È probabile! » Scherzò Oliver: « io, invece, sono a conoscenza del... vostro segreto! »
« A proposito di questo » lo interruppe la rossa: « voglio tornare al Madame Minuit, dopo la scuola. Mi accompagni? »
« Certo! » Esclamò il ragazzo, guardandosi intorno: « vieni anche tu, Beckah? »
« Sinceramente, non sono d'accordo con questa cosa. Preferirei parlarne prima con Hazelle ».
« Hazelle non ci direbbe nulla » protestò Arya.
« Perché dici questo? » Oliver voltò lo sguardo a sinistra, a destra, e poi di nuovo a sinistra.
« E tu perché continui a guardarti intorno? »
La risposta le venne data immediatamente: un'altra ragazza con lunghissimi capelli dorati, volto sottile e portamento regale, si avvicinò al loro tavolo. Per Arya non fu difficile riconoscerla: era la capo cheerleader della scuola, Quinn Lloyd.
Ella scoccò un rapido bacio sulle labbra di Oliver, fulminò Beckah con i suoi occhi color cielo ed in seguito esordì con un glaciale: « ciao ».
Arya arricciò le labbra, notando l'espressione spaesata dell'amica: probabilmente, non si aspettava che Oliver fosse fidanzato.
« Ti stavo cercando! » Esclamò il ragazzo, facendo accomodare Quinn tra lui ed Arya.
« Anch'io » rispose la cheerleader, secca: « lei chi è? »
« Si chiama Beckah, è appena arrivata in città ».
Quinn la fissò per qualche istante, ed un sorriso indecifrabile le si materializzò sul volto candido: cosa le stava passando per la testa?
« Benvenuta a Rozendhel, Beckah! »
« Oh, grazie mille ».
« Da dove vieni di preciso? »
Quinn si chinò in avanti, mostrandosi del tutto interessata all'argomento.
La sua carnagione chiara la rendeva simile ad uno spettro, e Arya non poté fare a meno di chiedersi se nelle categorie dei demoni da eliminare ci fosse scritto anche il suo nome.
« Sei una persona davvero simpatica » Quinn proseguì, tirando fuori il suo costosissimo cellulare: « perché non vieni alla mia festa di compleanno? Si terrà a casa mia, la prossima settimana... Porta chi vuoi; più siamo e meglio è! »
« Ti ringrazio! » Esclamò Beckah: « verrò di sicuro ».
« Lo so, nessuno se lo perderebbe ».
Arya sbuffò, poco paziente: chi poteva essere più odioso e arrogante di lei?
« Noi ci vediamo dopo la scuola? » Disse Quinn, rivolta ad Oliver.
« In realtà, dovrei uscire con loro due ».
Sentendo quelle parole, la ragazza tornò a fulminare Arya: « ho capito ».
« Dai, ti accompagno in classe » Oliver sorrise, afferrando le sue mani: « noi, invece, ci vediamo all'uscita! »
E con il trillo della campanella in sottofondo, i due fidanzatini si allontanarono dalla mensa scolastica.
« Perché vi odiate? » Domandò Beckah, la fronte aggrottata.
« Non è che ci odiamo » la corresse Arya: « mi sta solamente antipatica! La sua reputazione non è delle migliori qui, al liceo ».
« Non ti seguo ».
« Sfrutta le persone per ottenere ciò che vuole. Non mi piace affatto... e mai mi piacerà ».
Continuando a parlare del più e del meno, Arya e Beckah s'indirizzarono verso le loro rispettive aule: la prima assistette alla lezione della signora Dubois, mentre la seconda dovette recarsi nel laboratorio di chimica a dissezionare una rana.
Il tempo continuò a scorrere lentamente e quando il suono dell'ultima campanella si propagò nell'edificio, Arya afferrò la sua borsa di stoffa ed esultò in silenzio. Non stava più nella pelle; voleva scoprire al più presto la vera identità di Ismene.
Mentre si trovava a metà del corridoio del secondo piano venne raggiunta da Oliver, il quale aveva appena recuperato dall'armadietto il suo solito giaccone di pelle di coccodrillo. Insieme scesero lungo le rampe delle scale, passarono di fronte all'aula di latino ed infine giunsero nell'affollatissimo cortile della scuola. Beckah era già lì ad aspettarli, vicino alle porte d'emergenza. Nonostante avesse trascorso poche ore all'interno dell'istituto, sapeva bene come orientarsi.
« Ne sei sicura, quindi? Vuoi vedere prima Ismene? »
Arya annuì, decisa: « sicurissima ».
« E se Hazelle lo venisse a scoprire e ci cacciasse dalla Congrega? »
« Sarebbe in grado di farlo? » Le domandò Oliver, un sopracciglio alzato: « sembra una tizia così particolare... Vorrei conoscerla! »
Accelerarono il passo e, isolato dopo isolato, si ritrovarono di fronte alla libreria del signor Hancock. Mancavano pochi metri al Madame Minuit.
« Nessun ripensamento? » Beckah prese a fissarla.
« Nessun ripensamento ».
Il negozio di Ismene aveva l'insegna spenta e la porta d'ingresso serrata.
Nel corso di tutte quelle giornate, aveva subito dei grandi cambiamenti: ora, persino le colonne corinzie poste ai lati estremi dell'entrata incutevano paura.
Ad Arya iniziarono a pulsare le orecchie: « ma cos'è successo? »
« Guardate! » Oliver raccolse da terra un cartello, il quale riportava a caratteri cubitali la parola: VENDESI.
« Penso sia caduto da qui » Beckah indicò una colonna: « ci sono dei segni di nastro adesivo ».
« Non ci posso credere! » Esclamò Arya, al limite dell'esasperazione: « eravamo vicinissimi alla verità! Non voglio pensare che se ne sia andata da Rozendhel ».
« Non ti abbattere » sussurrò il ragazzo: « io penso che stia ancora qui dentro » e così dicendo diede una spinta alla porta, spalancandola. « Visto? Non è nemmeno chiusa a chiave! »
« Oliver, sei fantastico! » Esclamò Arya, precipitandosi verso l'entrata.
Allora lo sbaglio più grave che commise fu quello di ignorare le norme di sicurezza delle streghe.
Com'era riportato persino nel suo stesso grimorio, bisognava prima accertarsi dell'assenza di barriere magiche e, in seguito, intrufolarsi cautamente. Dunque le sue urla di dolore spezzarono la quiete di quel vicoletto e, tirandosi indietro, cadde a terra con gli occhi chiusi e le braccia strette attorno al busto.
« Cosa ti prende? » Gridò Oliver, preoccupato.
« Sei stata attaccata? » Beckah ispezionò la zona circostante, preparandosi ad un ipotetico scontro.
« No! È un incantesimo... » disse Arya, allentando la presa: « non appena si varca quella soglia... Non so! Era come se qualcuno mi avesse gettato addosso della lava bollente ».
« Impossibile! » Oliver si avvicinò al negozio, allungò una mano oltre il ciglio della porta e... « Niente! Su di me, forse, non ha effetto ».
« Non ha effetto perché tu sei un umano ».
I tre ragazzi si voltarono all'unisono, in direzione della libreria: immobile, a qualche metro da loro, si era materializzata la figura di una vecchina dai lunghi capelli argentei ed il volto solcato dalla stanchezza.
« Ismene? » Esitò Arya.
« Sì, sono io » rispose la donna, gelida.
Era cambiata dall'ultima volta in cui l'avevano vista dietro al bancone del negozio: sembrava aver perso ogni traccia della sua gentilezza e allegria.
« Siamo venuti a cercarti perché vogliamo delle risposte » riprese Arya, alzandosi da terra e spolverandosi gli abiti.
« Non ho nulla da dirvi » tagliò corto Ismene: « soprattutto a te! Come hai potuto unirti alla Congrega di quella poco di buono? »
Arya inarcò la fronte, sorpresa: « ti riferisci ad Hazelle? Devi dirmi ogni cosa... Per favore! »
Per qualche istante, Ismene rimase in silenzio ad osservare le due ragazze: dai suoi occhi minacciosi traspariva solo disprezzo.
« Dentro! » Ordinò alla fine: « potete entrare anche voi due ».
Quelle parole annullarono il potere della barriera e accolsero Arya e Beckah come delle normali visitatrici.
All'interno, la proprietaria li fece accomodare attorno al bancone della cassa – su degli sgabelli tremendamente scomodi – e offrì loro del tè freddo.
Lo spazio circostante era gremito di scatoloni imballati e scaffali ormai vuoti. Le pareti, invece, erano nude, prive di ogni arazzo e mappa stellare. Di conseguenza, appariva cristallino come l'acqua di un ruscello il fatto che Ismene stesse facendo i bagagli, e che quella loro visita non ritardasse altro che la sua partenza.
« Perciò, lei è una strega? » Le domandò Oliver, senza alcun indugio.
« Esattamente » Ismene sorrise: « ma non sono una streghetta da quattro soldi! Io ho il potere della Natura dalla mia parte ».
« Cioè? » Arya aggrottò ancora una volta le sopracciglia; la storia si stava facendo interessante.
« Mia cara Arya Mason, ci sono tantissime cose da sapere prima di compiere una scelta » la strega si versò dell'altro tè in una tazza di porcellana: « è inutile venirmi a chiedere spiegazioni adesso. Sei entrata nella Congrega di Hazelle rinnegando quindi il potere della Natura. Sei stata sciocca ».
« Questo spiega anche il motivo per il quale io non possa entrare qui dentro senza la sua autorizzazione? »
« Esattamente. Io non ho mai permesso all'Impurità di entrare nel mio negozio ».
« L'Impurità? » Ripeterono Arya ed Oliver, chinandosi in avanti.
« La magia che usiamo noi, ancelle della Natura, è bianca » Ismene sbuffò, come se quel racconto le costasse una fatica immane: « mentre la vostra è sporca. Voi uccidete, distorcete le menti... L'Impurità è un tipo di magia che va ben oltre la Magia Nera.
« Cacciate i demoni, credete di stare nel giusto... Ma non vi siete mai rese conto del fatto che voi stesse siete delle creature demoniache? »
Un silenzio carico di tensione seguì quelle parole.
Arya ebbe difficoltà a nascondere lo stupore che stava provando; non riusciva a credere che potesse appartenere ad uno degli schieramenti più brutali in circolazione.
« Io non ucciderò mai nessuno » sussurrò: « io non sono una strega che usa il proprio potere per far del male agli altri. Sigillerò i Portali, e basta. Questa è la mia missione ».
« Ne riparleremo tra qualche anno » Ismene ridacchiò: « il potere ti darà alla testa... Come ha fatto con la tua Precettrice ».
« Cosa sai di Hazelle? » Domandò Beckah, anche lei era visibilmente sconcertata.
« Fatevi due conti: Hazelle non è di questo secolo » la strega esitò: « e nemmeno del secolo scorso ».
« È immortale? » La interruppe Oliver.
« Non proprio ».
« Se sai qualcosa, dillo immediatamente » disse Arya con un tono di voce che non le apparteneva.
« Altrimenti cosa farai? » Ismene la canzonò: « mi tirerai in testa quella tazzina piena di tè freddo? »
« Basta. Io me ne vado » Arya fece per alzarsi. « Avresti potuto impedirmi di comprare la Chiave, o almeno avresti potuto dirmi la verità. Ci saremmo risparmiati quest'inutile visita. »
« La Chiave sarebbe venuta da te comunque » riprese la strega: « non sei stata tu a sceglierla, ma è stata lei a scegliere te. Hai un potere immenso, e i Demoni ti stanno già cercando. L'altra sera, per esempio, ne ho allontanati due... Erano venuti qui per te ».
Il discorso attirò nuovamente l'attenzione della giovane, la quale tornò a sedersi: « ti hanno fatto del male? »
Ismene scosse la testa, frustando l'aria con i suoi lunghi capelli argentei: « no, ma lo faranno quando torneranno in città. L'inganno li avrà resi ancora più violenti ».
« Raccontami tutta la storia, per favore ».
« D'accordo, ma la faccenda riguardante Hazelle la salterò. Dovrà essere lei a riportare a galla tutti i crimini che ha commesso nel corso dei secoli ». Arya si voltò verso i suoi amici: entrambi avevano la mente confusa.
« Dopo la cacciata dei Demoni e lo sterminio degli Elfi, gli esseri umani assunsero il potere. Molte streghe decisero di emigrare: andarono a nord, a sud... Ovunque! Tra loro vi era persino Hazelle ».
« Che anno era? »
« Non so risponderti con precisione, ma penso si trattasse del diciassettesimo o del diciottesimo secolo ».
« Non ci posso credere » disse Arya, a bocca aperta: « è impossibile ».
« Quelli furono gli anni dello Scisma: decine di streghe si abbandonarono alla via Oscura, mentre tutte le altre rimasero fedeli alla tradizione, fedeli alla Natura.
« Hazelle seguì il nuovo ordine, e commise degli atti imperdonabili... Divenne un demone di strega, e per secoli scampò alla morte. Feccia era, feccia è rimasta e feccia rimarrà per sempre ».
Un silenzio assordante tornò a premere contro le orecchie di Arya.
Si sentiva confusa, perplessa, incapace di mettere insieme due parole per formulare una frase sensata. Abbassò lo sguardo, con i capelli rossi a mo' di velo, e lasciò che fosse qualcun altro a rompere la quiete instaurata.
« Quante altre streghe ci sono in circolazione? » Domandò Oliver.
« Tante » Ismene continuò: « ma questi sono tempi duri! I Demoni sono sempre più spietati e mirano alla conquista della città. L'altro giorno, per esempio, hanno seppellito una strega nel cimitero qui vicino... E lei era ancora viva ».
« È terribile » commentò Beckah, sfiorandosi la gola con le dita.
« Già » Ismene annuì, sorseggiando il tè: « che riposi in pace ».
« Io l'avevo sentita » Arya si raddrizzò di scatto: « ma credevo si trattasse di un'allucinazione ».
Ismene aggrottò le sopracciglia: « cosa intendi dire? »
« Qualche giorno fa, una voce si è impossessata della mia testa. Voleva che raggiungessi il cimitero e che l'aiutassi. Era una donna... Era stata sepolta viva ».
« Continua » la esortò la strega.
« Ho iniziato a scavare la terra » ammise Arya, il volto pallido: « ma sono stata fermata da Bartek... Credevo fosse un'allucinazione! »
« Mathilda » sussurrò Ismene, gli occhi lucidi: « lei si era messa in contatto con te? Avresti potuto salvarla! »
« Lo so, ma è accaduto tutto troppo velocemente ».
« No, tu l'hai lasciata morire! » Tuonò la strega. « Tu... Tu sei una bastarda! Hai fatto bene a scegliere quella Congrega! »
Arya non replicò. Tremante, si passò una mano tra i capelli: il cuore continuava a martellarle nel petto e, sebbene fosse seduta, sentì le gambe cederle.
« Arya, sta' tranquilla » con un gesto delicato, Oliver le afferrò il volto: « come potevi saperlo? Non hai nessuna colpa! »
Le sue mani erano calde, ferme, le comunicavano fiducia.
« Non sapevi nemmeno di essere una strega, allora! » Esclamò Beckah, accennando ad un timido sorriso.
« Giusto. Avete ragione ».
« Non me ne importa nulla » Ismene afferrò una tazza del suo pregiato servizio da tè: « andate via! Non voglio mai più avere niente a che fare con voi! »
« Si calmi! » Le consigliò Oliver, alzandosi.
« Ho detto: FUORI! » La strega fece schiantare la tazza contro uno degli scaffali, riducendola in abbondanti frammenti di porcellana.
Arya recuperò alla svelta la sua borsa di stoffa e, preceduta da Oliver e Beckah, s'indirizzò verso l'ingresso.
« Addio » ghignò Ismene, aveva un piano ben preciso: « non siete più i benvenuti ».
Annullò la tregua con quelle esatte parole: Arya e Beckah cominciarono a contorcersi dal dolore, come se bagnate da litri e litri di lava bollente. Le urla trafiggevano l'aria, ed il cruccio che stavano provando non consentiva loro alcun tipo di movimento.
Dovette intervenire Oliver, il quale afferrò un braccio di entrambe e le trascinò, a fatica, fuori dal Madame Minuit: « state bene? »
Arya respirò a pieni polmoni: il dolore si stava attenuando.
« Grazie, grazie mille » ansimò Beckah, alzando su Oliver uno sguardo carico di riverenza.
« E questa me la chiama magia naturale? » Mormorò Arya, abbandonata sull'asfalto e cullata dal tepore dei raggi solari.
« È magia difensiva » la corresse Ismene, uscendo allo scoperto: « questa sarà l'ultima volta che mi vedrete. Andrò via dalla città e non tornerò mai più ».
Arya si voltò verso di lei, gli occhi ridotti a fessure: « ti ringrazio comunque per le informazioni che ci hai dato... e per avermi protetta, ingannando quei Demoni ».
« L'ho fatto per il bene di questa città » rispose Ismene, un sorriso sghembo impresso sul volto: « ci sono tante altre cose da sapere. Ma devi provare a chiederle ad Hazelle... Di certo non saprà resistere a quel tuo bel faccino ».
E in questo modo, serrò la porta con uno schianto fragoroso.
« Torniamo a casa? » Domandò Beckah, massaggiandosi le tempie.
Oliver annuì, sfinito: « non vedo l'ora di sdraiarmi sul mio letto! »
Nessuno dei tre desiderava commentare quello stravagante pomeriggio trascorso insieme.
Con gli occhi rivolti al cielo, Arya si domandò quanti altri segreti avrebbe dovuto sopportare prima di conoscere la verità. Si sfiorò il petto con le dita, sorpresa nel trovare la Chiave ancora lì, appesa al suo collo. Sembrava fosse passata un'eternità dal momento in cui l'aveva comprata.
Giunta di fronte al piccolo cortile dei Mason, levò una mano e salutò i suoi amici.
Varcata la soglia di casa, rientrò nel mondo degli esseri umani.

 

 

***

 

I bagagli di Ismene erano pronti.
Con le sue cianfrusaglie, la strega aveva riempito più di venti scatoloni.
Frammenti di ricordi continuavano a vorticarle nella mente: l'inaugurazione del negozio, i primi clienti...
Dovette alleviare la tristezza con del buon vino rosso versato in un misero bicchiere di plastica.
Era sfinita, consapevole del fatto che il tempo da trascorrere lì, a Rozendhel, era ormai agli sgoccioli. Non era possibile annullare quella decisione: doveva sparire.
Era appena scoccata la mezzanotte quando si accoccolò sulla sua comoda poltrona di vera pelle e, paziente, aspettò l'abbraccio di Morfeo.
Un sorriso innocente impresso sul volto.
Proprio come dei lampi in un temporale, i ricordi continuavano a sfrecciarle dinanzi agli occhi: in un attimo si ritrovò a riverniciare le pareti del negozio, a vendere i suoi primi amuleti, a flirtare con un giovanissimo bibliotecario, a...
Il lieve suono di un respiro.
Ismene batté più volte le palpebre, perplessa.
Si mise in piedi, con gli occhi che le guizzavano da un lato all'altro.
« A quanto pare, non ti si può nascondere nulla ».
La strega arretrò di un passo: « ho l'udito di un coniglio ».
Celata dietro uno scaffale vi era la figura di un uomo sconosciuto.
« Chi sei? » Gli chiese Ismene, mantenendo a stento la propria collera: nessuno si era mai permesso di entrare senza la sua autorizzazione.
« Non spreco le mie parole con una come te » rispose lo straniero, la voce roca.
« Come osi...? »
Ma Ismene non riuscì a terminare la frase: preceduto da uno sparo assordante, un proiettile si andò a conficcare dritto nella sua spalla destra.
« Chi diavolo sei? » Ululò la donna. « Nox Mordre! »
« I tuoi giochetti non funzionano con me » lo straniero fece un passo in avanti, il dito pronto sul grilletto.
« Aspetta! Me ne sto andando dalla città! » Implorò Ismene, reggendosi la parte insanguinata: « non c'è bisogno di... »
Un secondo sparo.
Questa volta, il proiettile le andò a scavare la fronte.
« C'è bisogno eccome di ucciderti » lo straniero sorrise: « perché tu sei una strega ».
Ismene ruzzolò sul pavimento, esanime.

 


Angolo dell'autore:

Ehilà! Ciao a tutti!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e tendo a precisare che l'uomo presente nell'ultima scena è lo stesso del capitolo 4 u.u
Colgo l'occasione per ringraziarvi tutti, dal primo all'ultimo! Sono davvero contento di vedere aumentare il numero delle seguite, ricordate, preferite... Grazie mille!
E rispondere a tutte le vostre recensioni è bellissimo!! 
Okay... Credo di aver finito ahahah!
Grazie ancora!!
A presto! :D


_Charlie_

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7: Il giovane spettro ***


CAPITOLO 7:

 

Il giovane spettro

 

 

Era ormai evidente il fatto che Hazelle stesse evitando Arya.
Ad una settimana dall'incontro avvenuto con Ismene, la neo-strega non ebbe mai l'occasione di parlare con la sua Precettrice e più volte si pentì di appartenere alla sua Congrega. Adesso si sentiva stanca, anzi, sfinita. Aveva smesso di rincorrere invano la verità; presto o tardi, sarebbe venuta essa stessa a bussare alla sua porta. Ne era certa.

All'ennesimo sospiro, il Signor Cavaliere non poté fare a meno di rizzare le orecchie e voltare il proprio muso verso il letto disfatto di Arya. Ella sedeva con le ginocchia sotto il mento, pensierosa e distante. Appoggiato al suo morbido cuscino di seta vi era il grimorio, ignorato e aperto su una pagina giallastra che riportava a caratteri corsivi la scritta: riconoscere un figlio della notte.
Nel corso di tutte quelle giornate passate ad inseguire Hazelle, Arya aveva trovato anche il tempo di dedicarsi alla sua arte magica. Sebbene fosse trascorso così poco tempo dalla sua rivelazione, era già in grado di far levitare gli oggetti, lanciare incantesimi di difesa e creare delle semplicissime pozioni come l'Addormentina, la quale richiedeva spicchi di limone e cucchiai di sale grosso.
Sbatté più volte le palpebre, contemplando il disordine della camera: di fronte alla scrivania, sullo schienale della sedia, era accartocciato il vestito che avrebbe dovuto indossare per quella serata.
A differenza di molti suoi coetanei, avrebbe pagato oro pur di non partecipare alla festa di compleanno di Quinn Lloyd, e – se non fosse stato per le continue insistenze di Beckah – se ne sarebbe rimasta a casa, sul divano a guardare un bel film in francese.
Oliver, invece, non le dava nient'altro che l'impressione di aver bevuto un filtro d'amore: non era certo naturale infatuarsi di una ragazza simile, soprattutto dopo mesi e mesi di scherni – al liceo, gli aveva persino rifilato il soprannome di “secchione alternativo”. Insieme, pensò Arya, formavano una coppia davvero bizzarra.
Quando scoccarono le sei, decise di alzarsi dal letto e andò ad osservare per bene il vestito che le era stato dato in prestito da Beckah: una classica canottiera nera senza spalline abbinata ad una gonna a fiori che le sfiorava le ginocchia.
Prese un respiro profondo e lo gettò di nuovo sulla sedia. Al solo pensiero di farsi vedere in pubblico con quell'abito le andavano a fuoco le guance. Si sentiva un'idiota.
Fu il getto fresco della doccia a donarle sicurezza: tornata dal bagno, infatti, afferrò un'altra volta il vestito e se lo infilò senza troppe proteste.
Lo specchio, adesso, rifletteva una ragazza decisamente più dolce e carina.
Arya scosse la testa e prese ad imbellettarsi il volto. Con gli occhi contornati da quel pesante trucco nero si sentiva di nuovo a suo agio.
Prese la decisione di non lisciarsi i capelli e li lasciò al naturale, mossi come le onde di un oceano in tempesta.
Pronta per andare al compleanno, dunque, aspettò la telefonata di Beckah.
« Posso entrare? » Domandò Sarah, oltre la porta.
« Sì, certo » rispose Arya: « ma non devi metterti a ridere ».
« Perché dovrei... » vedendola, la donna sgranò gli occhi: « chi sei tu? Cosa ne hai fatto di mia nipote? »
« Ecco, appunto ».
« Ma sto scherzando! » Sarah le diede un pizzicotto e con un urlo chiamò anche Frank. « Tesoro, guarda com'è graziosa! »
Frank arrivò con il fiatone: « faccio fatica a riconoscerti! Dovresti buttare via tutti i tuoi vecchi maglioni e riempire l'armadio con un po' più di abiti simili a questo».
« Non ci penso proprio » Arya fece una smorfia.
« Quelle cose che hai ai piedi... non vorrai mica metterle davvero? » Sarah indicò un vecchio e misero paio di anfibi.
« Perché? Cosa hanno di male? »
« Tutto! Non ti permetto di uscire con quei cosi » insistette la zia, lanciandosi fuori dalla camera: « ho qualcosa di simile, ma molto più elegante! Ti piacerà! »
Frank rise di gusto ed Arya buttò gli occhi al cielo, paziente.
Quando Sarah tornò aveva in mano un paio di stivaletti neri: « indossa questi, per favore ».
« Portate lo stesso numero? » Domandò l'uomo, lo sguardo curioso mentre Arya si slacciava gli anfibi.
Sarah annuì e, rivolgendosi alla nipote, esclamò: « adesso sei pronta! »
« Meno male! Ti ringrazio! »
L'assordante suoneria del suo telefonino troncò quel classico momento familiare, spaventando il Signor Cavaliere e affrettando i saluti e le raccomandazioni. Sarah le ripeté una decina di volte di non fare troppo tardi, di non bere e di non appartarsi mai con un ragazzo. La accompagnò fino alla porta di casa, attraversò con lei il cortile della villetta ed infine la vide entrare nella vecchia Cadillac usata di Oliver.
« Ci vediamo dopo! » Arya chiuse lo sportello, una smorfia impressa sul volto.
« Mi raccomando ».
Al volante c'era Oliver, mentre Beckah sedeva sui sedili posteriori.
« Ehilà, tappa-piatta! » Il ragazzo sorrise, ingranando una marcia: « pensavo venisse anche tua zia! »
« Non dargli retta! » Le consigliò Beckah: « sei bellissima, comunque! Questo abito, il trucco, i capelli... ti donano molto! »
Ma Arya sembrò non averla sentita, si era voltata a dare un'ultima occhiata alla casa: sua zia e Frank erano ancora sul ciglio del cortile, abbracciati e sorridenti.
L'automobile procedeva con calma lungo le strade di Rozendhel. Oliver aveva fatto partire uno dei suoi migliori cd, e per Arya fu uno spasso vederlo imitare con grande passione il batterista dei Green Day. Beckah, al contrario, rimase in silenzio per tutta la durata del viaggio: rideva ai falsetti del giovane, osservava il paesaggio fuori dal finestrino – composto perlopiù da villette e negozi – e chiudeva gli occhi ad intervalli quasi regolari, come se le desse fastidio anche la minima accelerazione. Dopo una ventina di minuti, parcheggiarono la macchina vicino ad alcuni cassonetti dell'immondizia e, capitanati da Oliver, camminarono a passo svelto sino ad arrivare di fronte alla maestosa abitazione dei Lloyd.
« Credevo che la Casa Bianca si trovasse a Washington » scherzò Arya.
« Non copiarmi le battute » disse Oliver: « l'ho detto anch'io la prima volta che sono venuto ».
Casa Lloyd dominava Rozendhel: posta su una delle colline che incorniciavano la città, si presentava come l'edificio più imponente nel raggio di chilometri. Aveva la facciata bianca, sulla quale crescevano degli eleganti rami di edera, colonne ioniche poste ai lati dell'ingresso e statue di angioletti sparse per l'intero cortile. Il terzetto si fece avanti, oltrepassando il prato coperto da palloncini e decorazioni varie. Se l'intento era quello di mostrarsi piena di soldi, rifletté Arya, Quinn aveva centrato in pieno il suo obiettivo.
Suonarono alla porta, il volume della musica già altissimo.
« Non credo che qualcuno verrà ad aprirci » disse Beckah: indossava un lungo abito bianco, delle scarpe aperte, e sui capelli aveva una grossa molletta a forma di giglio.
« Chiamiamo qualcuno! » Esclamò Arya poco prima che la porta si spalancasse.
« Oh, sei arrivato finalmente! » Era stata la stessa Quinn ad accoglierli in casa e, subito, si era lanciata in braccio ad Oliver.
« Tantissimi auguri! » Rispose lui, scoccandole un bacio sulle labbra.
« Grazie mille! E ci siete anche voi due! » Quinn piantò a terra i suoi costosissimi tacchi griffati; il colore della cravatta di Oliver si abbinava alla perfezione con il suo vestito celeste tempestato di perline luccicanti. Non doveva certo trattarsi di un caso, pensò Arya.
« Sono contenta che siate venute » riprese la ragazza con tono mellifluo: « divertitevi! »
Arya e Beckah varcarono l'ingresso e giunsero nel salotto più ampio che avessero mai visto in vita loro: i compagni del liceo si scatenavano a ritmo di house, bevevano vicino al caminetto elettrico, cantavano sul piccolo palco allestito per l'occasione, o semplicemente sedevano su un lungo divano ad angolo.
Gli occhi di Arya andavano dal deejay alle statue di Venere poste ai lati della stanza, dal lucernario a forma di pentagono al parquet in legno di ciliegio... Giunse alla conclusione che non avrebbe mai potuto sentirsi a suo agio in quella casa, e soprattutto con quelle persone.
« Non ti conviene bere la soda ».
Arya si voltò di scatto: si era avvicinata al buffet per bere qualcosa e subito era stata fermata da un'altra ragazza con dei coloratissimi cyberlocks e lenti a contatto bianche. « Perché? »
« Perché l'ho appena corretta con della vodka ».
« Sono contenta di saperlo » disse Arya, sbuffando: « fortuna che ho bevuto solo due bicchieri ».
La ragazza sorrise, mettendo in mostra i suoi affilatissimi canini: « mi chiamo Angela ».
« Piacere, io sono Arya ».
« Frequenti il liceo di Rozendhel? Non ti ho mai vista prima ».
« Sinceramente » iniziò la rossa, gli occhi puntati su tutti i suoi piercing: « anch'io non ti ho mai vista ».
Angela si portò una mano alla bocca: « non mi presento certo così alle lezioni! Questo è il mio look da roviniamo-l'immagine-perfetta-della-festa. Quinn vieterà ad ogni fotografo di immortalarmi. È divertente, no? »
« Aspetta » Arya inarcò la fronte: « ci sono dei fotografi in giro per la casa? »
« È odioso, non trovi? » Angela pescò dalla tasca un vecchissimo modello di cellulare: « il mio ragazzo mi sta cercando! È stato un piacere conoscerti, Arya! »
« Anche per me! »
E, in un attimo, la figura di Angela sparì tra la folla.
L'idea che potesse trattarsi di un demone fece incuriosire la guardiana della Chiave: i suoi denti potevano essere riconducibili ad un vampiro, la carnagione candida ad uno spettro, gli occhi ad una...
Sto diventando paranoica.
Si riavvicinò al buffet e prese a versarsi dell'altra, fortissima, soda.
« Dov'è Beckah? Devo parlarvi! »
Raggiunta da un Oliver particolarmente eccitato, Arya disse: « è lì, sta prendendo delle patatine! »
« Bene! » Il ragazzo urlò – proprio come ad un concerto, la musica gli vibrava nel torace: « stavo pensando di fare una sorpresa a Quinn! Salirò sul palco e le canterò una canzone ».
Arya sorrise, impugnando una cannuccia: « sarà divertente! »
« Sì, ma... voi mi farete da coriste! »
« Che cosa? » Arya sputò tutta la bevanda: « no, assolutamente no ».
« Dai! Come hai detto tu, sarà divertente! »
« Facciamo così » iniziò la ragazza, le braccia incrociate davanti al petto: « se Beckah accetterà, accetterò anch'io... altrimenti, te lo puoi scordare! »
La giovane Gray arrivò in quello stesso istante con due piatti di plastica stracolmi di patatine e nachos: « c'è di tutto, ragazzi! Stuzzichini, panini al formaggio... tutto! »
« Senti una cosa » tagliò corto Oliver: « ti piacerebbe cantare su quel palco? Ho l'intenzione di salire e dedicare una canzone a Quinn ».
« Che romantico » Beckah sorrise, intimorendo la sua amica: « sarai bravissimo ».
« No, dicevo... » Oliver continuò: « canteresti con me? »
Arya digrignò i denti, mostrandosi poco femminile.
« No, Oliver » disse la ragazza, poggiando i piattini su un tavolo: « non me la sento proprio ».
« Andiamo, saremo bravissimi! » Oliver le prese il volto tra le mani: « fallo per la nostra amicizia! »
« Okay » Beckah si allontanò di scatto: « lo faccio solo per te ».
Arya e Oliver esclamarono due cose completamente diverse: fu un misto di parole che risuonò come un “grandiodio!”
Passo dopo passo e spinta dopo spinta, giunsero finalmente sul palco. Gli occhi di ogni invitato erano ormai rivolti verso di loro e, nell'istante stesso in cui Oliver impugnò il microfono, calò un silenzio innaturale.
« Salve » iniziò lui: « come butta? »
Nessuna risposta.
Arya abbassò lo sguardo, rossa come un peperone. Non amava mettersi in mostra, soprattutto in un'occasione come quella. Se avessero fatto una pessima figura, i ragazzi della loro scuola non gliel'avrebbero mai perdonato. Sarebbero divenuti gli zimbelli più conosciuti in città.
« Allora » ripartì Oliver, imperterrito e con una mano impegnata nello stringere il filo del microfono: « vorrei dedicare questa canzone alla mia ragazza, Quinn Lloyd. Spero vi piaccia... »
Arya lanciò uno sguardo verso Beckah, la quale si trovava dall'altro capo del palcoscenico: si teneva una mano premuta contro le labbra. Presto o tardi avrebbe rigettato tutto il formaggio che aveva ingollato al buffet.
Il ragazzo si avvicinò al deejay e gli sussurrò qualcosa di inudibile all'orecchio, poi tornò al microfono e lo impugnò con più decisione.
Arya non sapeva quale canzone avesse deciso di dedicarle, e questo fatto la impietriva.
Un istante di silenzio. Le prime note. Un sospiro di sollievo.
Africadei Toto, meno male.
Oliver ondeggiava davanti al microfono con gli occhi chiusi, e quando aprì la bocca per farne uscire delle parole... Tutti applaudirono.
Arya inarcò le sopracciglia, sorpresa: non credeva possibile che il suo migliore amico le avesse nascosto una dote simile per anni. Molte volte lo aveva sentito cantare in macchina, ma non si era mai resa conto del suo potenziale – complice anche il fatto che Oliver, tutte le volte, finiva per urlare e fare lo scemo.
Durante il ritornello, Arya si decise ad emettere dei suoni che al verso successivo si trasformarono in parole. Beckah sorrideva, schioccava le dita, faceva delle giravolte... Non sapeva il testo.
« Grazie mille a tutti! » Urlò Oliver alla fine: « spero ti sia piaciuta, Quinn! E spero sia piaciuta anche a voi »
La folla applaudì all'unisono e accompagnò persino la loro breve discesa dal palco con delle urla d'assenso: Quinn, a mo' di koala, si avvinghiò ad Oliver, mentre Arya e Beckah si riavvicinarono al buffet.
La musica house era tornata a pulsare contro le pareti della casa, come un cuore in una gabbia toracica.
« Mi gira la testa » disse Arya, cercando dell'acqua fresca.
« Anche a me... credo di avere avuto un abbassamento di pressione appena salita sul palco » rispose Beckah, anche lei era alla ricerca di un qualcosa posizionato sul tavolo. « Devo ammettere che è stato divertente, però ».
« Sì, hai ragione » la ragazza sorrise mettendo in mostra i denti.
« Però non riesco a trovare quei nachos che avevo adocchiato prima ».
« Li avevi lasciati accanto alla soda » Arya si voltò e subito notò qualcosa, o meglio, qualcuno di molto più interessante dei nachos.
Era un ragazzo alto, dalla carnagione olivastra, naso greco e profondi occhi color nocciola che sembrava stessero puntando proprio verso di lei. I suoi capelli castani erano quelli di sempre: corti e tenacemente in disordine.
Con impresso un sorriso timido, Arya continuò a fissarlo.
Indossava una camicia nera e un paio di jeans scoloriti. Sembrava stesse in compagnia di un amico poiché il ragazzo che aveva accanto non faceva altro che parlargli e battere le mani di fronte al suo volto di granito; cercava di attirare l'attenzione, proprio come Beckah.
« Stai mentendo » disse quest'ultima: « non sai dove sono i nachos ».
« Scusami, sono stata distratta » riprese Arya: « devo andare a salutare un amico! »
Si versò nella folla di studenti con lo stomaco in subbuglio e la mente vuota: la soda corretta di Angela la stava mandando in tilt.
« Ehilà! » Esclamò, le guance rosse.
« Ehi! Da quanto tempo, signorina Arya Mason! » Darren Hart, il cameriere della tavola-calda “The Right Place”, la accolse con un sorriso radioso: « come stai? »
Arya sentì il pavimento mancarle sotto i piedi, ma cercò di non darlo a vedere: « bene, e tu? Non pensavo che conoscessi Quinn ».
« In realtà non so nemmeno che aspetto abbia » continuò lui, indicando il suo amico: « sono qui per far compagnia a Kyron ».
Arya lo aveva già visto in lontananza: era alto quanto Darren, ma aveva dei lunghissimi capelli biondi, sguardo serio, occhi color smeraldo ed il naso adunco come il becco di un corvo.
Le fece un cenno con il capo e tornò a bere della limonata. Arya si chiese se anche quella bevanda fosse stata corretta.
« Anch'io sono venuta qui per far compagnia a due miei amici ».
« Sono quelli? »
Arya guardò nella direzione che le era stata suggerita: Oliver e Quinn avevano raggiunto Beckah, la quale aveva finalmente trovato il vassoio con i nachos.
« Sì, esatto. E quella bionda è Quinn ».
« Ho capito » disse Darren, guardandosi il polso sinistro: « comincia a farsi tardi. I tuoi genitori non si staranno preoccupando? »
Arya si lasciò scappare una risata tutt'altro che femminile: « sono morti entrambi, io vivo con l'unica zia paterna che mi è rimasta ».
« Oh, mi dispiace molto » disse Darren, mortificato.
Con quell'espressione dispiaciuta, sembrava un cucciolo smarrito.
« No, tranquillo » riprese Arya: « a me dispiace solo per mio padre; mia madre era una vera stronza ».
Si accorse di essersi spinta troppo oltre nel momento stesso in cui finì la frase. Kyron rise, portandosi una mano davanti alla bocca, mentre Darren strinse i denti, imbarazzato.
Arya divenne rossa come un pomodoro: non vi era più alcuna distinzione tra il colore della pelle e dei suoi capelli. Colpa della soda?
« Scusatemi! »
« Tranquilla... » disse Darren: « evidentemente non ci andavi d'accordo ».
« È un eufemismo » riprese la ragazza, vedendo Kyron estrarre una piccola fiaschetta d'argento dal suo gilet elegante: « mi odiava... ripeteva sempre che avrebbe preferito abortire piuttosto che darmi alla luce, e siamo precipitati giù da un burrone proprio perché lei non faceva altro che criticarmi... mio padre si arrabbiò così tanto che perse il controllo della macchina; solo io ne uscii viva ».
« È una storia incredibile » sussurrò Darren, visibilmente sconvolto.
« Già » Arya tornò in sé: « oh, mio Dio... Scusami! Non avrei dovuto buttarti addosso la faccenda della mia famiglia con così tanta leggerezza... è che ho bevuto, e mi sento... una stupida ».
Kyron rise ancora una volta, porgendole la sua fiaschetta: « bevi un po' di questo, credo possa farti bene ».
« Altro alcol? »
« No, tranquilla » rispose Darren: « Kyron si porta sempre dietro del tè alle erbe. Ne è fissato! »
« Contribuisce ad aumentare il livello di salute del corpo » lo corresse Kyron, scostandosi dal volto una ciocca dei suoi capelli lunghissimi.
« Dai, prendine un po'! » Darren afferrò la fiaschetta, ma subito gli sfuggì dalle mani.
« Oh, no! » Esclamò Kyron, osservando il contenitore precipitare a terra e vuotarsi. « Me lo devi ripagare ».
« Scusa, non l'ho fatto apposta! » Darren si era portato una mano dietro la nuca, mostrandosi ancora una volta dolce come il piccolo orsetto di peluche che Arya teneva in casa.
Il teatrino creato dai due ragazzi si protrasse a lungo, finché Beckah e Oliver non li raggiunsero. Entrambi avevano due espressioni preoccupate scolpite in volto.
« Ti stavamo cercando ».
« Perché? » Arya inarcò la fronte: « è successo qualcosa? »
Beckah accennò ad un timido “sì”: « ero andata a prendere una boccata d'aria fresca nel giardino sul retro... c'è un Portale, Arya ».
« Stai scherzando? »
Oliver scosse il capo, troppo emozionato per un evento terribile come quello: « no, è tutto vero! Mi fa stranissimo vedere una cosa come quella... pensi ne usciranno dei demoni? »
« È proprio quello che dobbiamo evitare ».
Si misero in marcia, ma Darren afferrò Arya per un braccio: « stai andando a casa? »
« No... sto andando a prendere una boccata d'aria fresca » ripeté la ragazza, fingendo un sorriso.
« D'accordo. Ci vediamo dopo? » Darren stava osservando Beckah ed Oliver con un'attenzione sospetta.
« Sì, a dopo! » Si divincolò dalla presa e cominciò a correre verso il giardino, spingendo ogni persona che le si parasse davanti.
In una festa come quella, nessuno si accorse dello strano comportamento che aveva adottato il trio... ad eccezione di Darren e Kyron.
« Dov'è? » Domandò Arya non appena giunsero a destinazione: il giardino che dava sul retro era molto simile a quello che avevano dovuto attraversare qualche ora prima per arrivare alla festa. Vi erano cinque statue di gnomi posizionate l'una il più distante dall'altra, un paio di grossi alberi uniti da un'amaca ed un tavolino bianco sul quale erano poggiate riviste di gossip. Al di là della recinzione, invece, vi era un'indescrivibile macchia informe. Vorticava in silenzio, senza mai trovare un equilibrio stabile.
« Cosa c'è dietro la recinzione? » Chiese ancora una volta Arya.
« La casa dei vicini, mi sembra ovvio » Oliver scrollò le spalle, affascinato da quella visione.
« Dobbiamo scavalcarla e sperare che non ci veda nessuno ».
« No, fermati » Beckah la fece arretrare di qualche passo: « hai la Chiave con te? Puoi cercare di chiuderlo anche da qui... »
Ma l'incantesimo non funzionò a quella distanza; la rossa pensò allora di accostarsi alla recinzione.
« Occludo! »
La Chiave emanò un breve sibilò che si propagò in tutte le direzioni. Il Portale cominciò ad accartocciarsi su sé stesso e, dopo qualche istante, sparì senza lasciare alcuna traccia.
« È stato fenomenale! » Urlò Oliver.
« Grazie » Arya sorrise, la testa tornò a pesarle sul collo.
« Ti piace davvero così tanto? » Gli chiese Beckah, sistemandosi il giglio che aveva sui capelli.
« Sì... è fighissimo! » Il ragazzo si sdraiò sul praticello più curato di tutta Rozendhel: « e cosa c'è dietro quel Portale? »
« La Dimensione Demoniaca ».
Ma a parlare non era stata nessuna delle due streghe.
Il terzetto si voltò, preoccupato: appoggiato al muro bianco della villetta vi era la figura sottile di un ragazzo... un ragazzo che non avevano mai incontrato prima.
« Chi sei? » Esclamò immediatamente Beckah.
« Vuoi sapere il mio nome? » Egli sorrise, la voce profonda: « mi chiamo Nathaniel ».
Arya ed Oliver inarcarono le sopracciglia al contrario di Beckah, la quale sbarrò gli occhi per l'orrore: « Nathaniel? Il giovane spettro? »
« Fama volat? » Le labbra sottili di Nathaniel si tesero in un sorriso privo di allegria
« Cosa ci fai qui? » Lo ignorò la strega.
« Volevo tanto conoscere la strega-guardiana, colei che sta mandando in subbuglio l'intera Dimensione... e finalmente la incontro » con uno scatto felino lo spettro si avvicinò ad Arya, la quale si tirò indietro per lo spavento. Dalla vicinanza che avevano raggiunto, la ragazza poté notare ogni particolare del suo volto: le sopracciglia scure e irregolari, gli occhi ambrati con le venature più scure all'estremità dell'iride, il naso uncinato...
« Allontanati da lei! » Gridò Oliver.
« E tu chi sei per darmi ordini? » Nathaniel rimase ad osservare Arya: come qualsiasi altra persona, era molto più alto di lei.
« Cosa vuoi? » Balbettò Arya, deglutendo; ora Nathaniel si stava avvicinando con le labbra e quando le sussurrò all'orecchio “ti sognerò stanotte”, ella non ebbe altra reazione che impietrirsi.
« Ehi, tu! Cosa stai facendo? » Disse una voce.
« E tu chi sei? » Nathaniel incrociò le braccia davanti al busto: indossava una larga camicia di seta bianca, un paio di strettissimi pantaloni neri e ai piedi portava dei classici anfibi.
« La domanda la rivolgo a te, più che altro » Darren era spuntato dal nulla e Arya si chiese mentalmente da quanto tempo li stesse spiando.
« Fammi indovinare » Nathaniel si portò una mano affusolata alla bocca: « tu sei il maledetto, o sbaglio? »
« Che cosa stai dicendo? » Domandarono all'unisono i presenti.
« Non importa » Nathaniel scrollò le spalle: « lo scoprirai a tempo debito ».
Si mosse con la stessa agilità di un gatto per poi atterrare accanto ad Arya.
« Mi metti ansia » lo rimproverò lei.
« E tu mi ecciti » lo spettro sorrise, mostrandole un luccichio chiuso nel suo pugno destro: « dovresti stare un po' più attenta alle tue cose, signorina Arya Mason ».
La ragazza sgranò gli occhi: « quando l'hai presa? »
« Quando ho detto che ti avrei sognata stanotte » mise in mostra la sua dentatura perfetta, poi gettò a terra la Chiave: « un giorno me la consegnerai tu stessa, ne sono certo ».
« Ma che diavolo sta succedendo? » Darren si avvicinò di qualche passo.
« Non fare un altro passo » lo ammonì Beckah: « è pericoloso ».
« In realtà, è lui il più pericoloso ».
« Falla finita! » Esclamò Oliver, anche lui non stava capendo niente.
Nel frattempo, Arya aveva recuperato la Chiave e la stava tenendo stretta tra le mani. Non capiva cosa stesse succedendo, per quale motivo Beckah fosse tanto agitata e non sferrasse un attacco. La confusione regnava sovrana.
Il vento si alzò, scompigliando i doratissimi boccoli che incorniciavano il volto dello spettro.
Era un ragazzo affascinante che dimostrava al massimo venticinque anni.
Tuttavia, Arya pensò che per lui il tempo si era già fermato. In realtà, avrebbe potuto avere anche quattrocento o cinquecento anni.
« Vi saluto » Nathaniel si chinò: « è stato un piacere conoscervi. Alla prossima! »
Una folata di vento. Un sibilo. Il silenzio.
Lo spettro era sparito, lasciando i quattro ragazzi increduli e disorientati.
Darren sembrava quello più sconvolto. Sebbene fosse un ragazzo sveglio, non riusciva a capire cosa gli era appena successo.
Oliver continuava a guardarsi intorno, come se si aspettasse la visita di un altro misterioso demone.
Beckah, invece, fu la prima a soccorrere Arya: « è tutto a posto? »
« Sì, non mi ha fatto nulla ».
« Bene, ne sono contenta... »
A quel punto, Arya vide la sua amica allontanarsi e raggiungere un Darren particolarmente confuso.
« Stai bene? » Gli chiese.
« Sì » rispose lui secco: « Arya come sta? »
« Bene, tranquillo » Beckah continuò, tastandogli la fronte: « non ricorderai niente di quanto accaduto. Sei venuto in giardino perché volevi prendere una boccata d'aria fresca ».
« Beckah, no! » Esclamò Arya.
« Lo devo fare per forza, Arya ».
Darren chiuse gli occhi e li riaprì, sereno: l'incantesimo aveva funzionato.
« Ah, sei venuto anche tu a prendere una boccata d'aria fresca? » Gli chiese Beckah, genuinamente.
Arya si voltò in direzione di Oliver, sconcertata.
« Sì, lì dentro si muore di caldo! » Rispose Darren, con il suo solito sorriso impacciato.
« Mi chiamo Beckah, comunque » e gli strinse la mano: « lui, invece, è Oliver... siamo i migliori amici di Arya ».
Rimasero fuori per qualche altro momento, poi vennero raggiunti da Quinn e successivamente anche da Kyron: entrambi si stavano domandando che fine avessero fatto.
« Io credo che adesso tornerò a casa » disse Oliver alla sua fidanzata.
« Di già? » Si lamentò Quinn: nonostante avesse ballato a ritmi sfrenati per tutta la serata, non presentava alcuna goccia di sudore.
Arya osservò la scena del loro bacio, mentre Beckah cercava di risistemarle attorno al collo la catenina con appesa la Chiave.
Era stata una serata ricca di avvenimenti ma nella sua mente vorticavano soltanto due domande: chi è Nathaniel? Per quale motivo ha descritto Darren con l'aggettivo “maledetto”?
« Ti sei divertito? » Gli chiese Arya.
« Sinceramente, sì! » Rispose il giovane Hart: « pensavo che sarebbe andata peggio ».
« A chi lo dici... »
Kyron, Beckah ed Oliver avevano già raggiunto la vecchia Cadillac di quest'ultimo quando Darren si fermò di scatto: « senti, ti andrebbe di uscire un giorno? »
« Per me, va benissimo » Arya sorrise: « non aspettavo altro ».
Si salutarono come fanno i vecchi amici, poi la ragazza saltò sulla vettura e si allontanò da casa Lloyd.
Il ritorno proseguì con più calma rispetto all'andata. Tutti e tre morivano di sonno.
« Mia zia mi ucciderà con la pistola che tiene nel cassetto » disse Arya, controllando la schermata del suo cellulare: 7 chiamate perse e 3 messaggi da visualizzare.
« Dai, non è neanche troppo tardi! » Esclamò Oliver, gli occhi puntati sulla strada.
« Dici? » A Beckah scoppiò una risata involontaria: « io penso proprio di sì ».
« Beckah, voglio sapere chi è Nathaniel » annunciò Arya.
« Adesso? Ma non sei stanca? »
« Sì, ma voglio saperlo ».
Beckah trasse un respiro profondo, poi iniziò: « Hazelle mi ha detto che è uno dei Demoni più pericolosi in circolazione... Non ha nessuno scrupolo. Uccide bambini, donne e uomini per puro divertimento. È stato uno dei primi ad evadere dalla Dimensione e credo proprio che adesso abbia puntato gli occhi su di te. Rimani sempre in allerta ».
Arya annuì con il capo: « d'accordo, lo farò ».
L'automobile proseguì sulla sua strada.
Erano quasi giunti a destinazione.

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8: Le sue origini ***


CAPITOLO 8:

 

Le sue origini

 

 

Le vacanze di Natale si stavano avvicinando. I rami degli alberi danzavano inermi alla venuta del vento gelido proveniente da nord, mentre lo spessore di quella fitta coltre di neve aumentava sempre di più.
Arya stringeva tra le mani la sua fedele macchinetta fotografica: si trovava al Sunny-Valley, solitaria e ferma su un'altalena. I suoi muscoli si erano contratti per combattere il freddo, ma non voleva andarsene. Il manto candido di Rozendhel aveva risvegliato in lei molteplici ricordi appartenenti alla sua infanzia: se suo padre fosse stato ancora in vita l'avrebbe portata proprio lì, ad erigere un buffo pupazzo di neve dotato di sciarpa e bottoni per gli occhi.

Trasse un respiro profondo e puntò l'obiettivo della sua macchina verso i rami spogli degli alberi – la mente concentrata. Persino la nebbia, adesso, sembrava voler dare un contributo ad una delle mattinate più fredde dell'anno: imperscrutabile e aggressiva, non permetteva a nessuno di distinguere il confine tra il cielo e la terra. Era densissima.
All'improvviso una macchia scura attirò l'attenzione della ragazza, la quale strizzò gli occhi cercando di metterla a fuoco. Prima d'allora, non aveva mai visto Taissa Crane in giro per Rozendhel e soprattutto non l'aveva mai incontrata senza qualcuno al suo seguito. Decise di avvicinarsi in fretta, sentendosi la gola pizzicare.
« Ehi! Cosa ci fai qui da sola? »
La giovane si voltò, cauta: indosso aveva soltanto un lungo abito nero, ed Arya non poté fare a meno di chiedersi se non stesse morendo di freddo.
« Qual è il suo punto di inizio? »
Arya inarcò le sopracciglia, sorpresa: « cosa? »
« Dove inizia il cielo? » Ripeté Taissa, lo sguardo penetrante.
« Ma sei scappata di casa? » La rossa le prese una mano: « dobbiamo tornare da Hazelle ».
« Ho chiesto » insistette l'altra: « qual è l'origine del cielo? »
Nella mente di Arya si stavano ingarbugliando tutte le risposte che avrebbe potuto dare. Alla fine, scelse di replicare con un leggero: « be', non penso che abbia un punto di inizio o uno di fine. Forse il cielo è tutto ciò che ci circonda. È per questo che le maestre dell'asilo si arrabbiano quando i bambini tracciano una sola riga azzurra e non colorano tutto il foglio. È ovunque ».
La risposta sembrava aver calmato Taissa, la quale tornò a fissare il terreno con la sua solita e particolare attenzione. Arya deglutì, nervosa: « adesso mi spieghi perché sei qui da sola? »
« Non lo so ».
« Ti posso riaccompagnare a casa? »
Taissa si voltò ancora una volta nella sua direzione: « ho sbagliato qualcosa, per caso? »
Arya aggrottò la fronte: se avesse potuto scegliere, non avrebbe mai voluto trovarsi in una situazione simile. Non sapeva minimamente come gestirla.
« Ogni volta che esco mi volete riportare a casa » continuò Taissa: « forse è perché sembro un demone? »
Questa volta, la rossa decise di non replicare: il solo gesto che fece fu quello di prenderle una mano e portarla via dal parco-giochi. Con grande difficoltà le estrapolò dalla bocca il luogo in cui si trovava Hazelle, e subito si misero in cammino. Che razza di tutrice era? Chi mai lascerebbe una ragazza mentalmente instabile da sola, in giro per la città?
Durante l'intero tragitto Taissa non fece altro che raccogliere della neve da terra e inserirla nel cappotto nero di Arya, la quale trattenne a stento il suo nervosismo. Raggiunsero in questo modo il “The Right Place” e, spinta la porta d'ingresso, vennero travolte da un profumo inebriante di caffè e cornetti appena sfornati. I tavoli erano perlopiù vuoti: le uniche persone presenti erano un uomo che tra le mani reggeva un giornale appena comprato, due anziane signore assorte in pettegolezzi, ed una donna seduta al bancone che sbuffò non appena le vide entrare. Arya s'indirizzò proprio verso quest'ultima, lo sguardo offeso: « cosa cavolo ti salta in mente? Non puoi lasciare Taissa da sola! »
« Buongiorno anche a te, Arya » rispose Hazelle, sorseggiando un caffè macchiato.
« Perché l'hai lasciata da sola? »
« Sinceramente, non pensavo che il Place fosse anche un bar » continuò la strega: aveva indosso un abito scuro, troppo corto per una della sua età.
« Mi vuoi dare una risposta? » Urlò Arya, tanto forte che attirò l'attenzione delle due pettegole.
« È stancante stare sempre appresso ad una ragazza simile! » Esclamò Hazelle: « alcune volte ho bisogno di staccare la spina ».
« Fai sul serio? Dovrebbero ideare un insulto solo per descrivere una persona come te, perché sei davvero unica ».
« E tu, invece, sei una stupida » Hazelle fece cenno a Taissa di sedersi accanto a lei: « prendete qualcosa? »
« Io no » disse Arya, gli occhi fermi sul giovane cameriere appena uscito dalla cucina.
« Buongustaia! Lei prende il cameriere » la canzonò la strega, parlando sottovoce con Taissa.
Nonostante fosse ancora presto, Darren sembrava sfinito: i suoi occhi stanchi non si accorsero nemmeno della presenza di Arya.
« Darren! Ciao! »
Il ragazzo si voltò – la sua carnagione si mostrava insolitamente chiara: « oh, ehi! »
« Stai bene? Sono due settimane che non ti vedo » chiese Arya.
« Sì... tutto normale! » Tagliò corto Darren, sparendo attraverso le porte della cucina. Non aveva mai adottato un comportamento simile. Forse si era svegliato con la luna storta, pensò Arya.
Hazelle, come al solito, non si fece scappare l'occasione per prendere in giro la neo-strega: « non ci sai proprio fare! Gli uomini preferiscono donne di un certo calibro... tipo me! »
« Ma stai zitta! » Arya stava ancora fissando la cucina quando le porte si riaprirono: dinanzi a loro era spuntata la figura di un uomo massiccio e baffuto. I suoi corti capelli corvini si trovavano all'interno di una cuffia retinata, mentre l'addome era nascosto da un lungo camice bianco che riportava a caratteri corsivi il nome del locale.
« Buongiorno, signorine! Posso portarvi qualcosa? » Il suo sorriso impacciato si presentava identico a quello di suo figlio. Arya mise in mostra i denti: « Lei è il signor Hart, giusto? Il padre di Darren? »
« Sì, esatto! Vi conoscete? »
« Siamo amici » Arya proseguì, allungando una mano: « mi chiamo Arya Mason! »
« Piacere di conoscerti » l'uomo sorrise ancora una volta: « io sono Walton Hart, il proprietario. Sono contento che mio figlio si stia facendo dei nuovi amici. Trattamelo bene! »
La ragazza annuì e, curiosa, rimase a studiarlo per qualche momento. Era di media altezza ma aveva anche lui il naso greco ed il volto contornato da una mascella possente. In particolar modo Arya si soffermò sui suoi occhi scuri, ben diversi da quelli di suo figlio: se avesse potuto descriverli con una similitudine avrebbe detto che i primi si mostravano attenti come quelli di un falco, e gli altri due teneri come quelli di un panda.
Segnata l'ordinazione di Taissa su un taccuino, il signor Walton si rivolse ad Arya: « tu non prendi niente? »
« No, grazie » disse lei, portandosi una lunga ciocca rossa dietro l'orecchio sinistro: « sono a posto così ».
« Non ci credo » rispose lui, strizzando un occhio: « dai, porto qualcosa di caldo anche a te ».
Ci vollero pochi istanti prima che il proprietario avvicinasse loro un vassoio di plastica – il profumo dei cornetti misto a quello dei caffellatte addolcì la personalità di Arya che, rivolta ad Hazelle, disse: « mi piacerebbe parlare con te ».
« Aspetta un attimo » la strega alzò un dito e, quando il signor Walton si fu avvicinato, esclamò: « mi porti dell'acqua fresca, per favore! »
« Certamente » rispose lui, cordiale. Afferrò alla svelta un bicchiere, lo affondò sotto al getto del rubinetto ed aspettò che si riempisse fino al bordo. Fu allora che Arya si accorse di un suo ennesimo particolare: avvinghiato al polso destro, infatti, aveva un semplice ma luminosissimo bracciale d'oro bianco. Non pensava che ad un uomo del genere potessero piacere dei gioielli simili.
« Stavi dicendo? » La risvegliò Hazelle, le mani giunte attorno al bicchiere di vetro.
« Per prima cosa volevo dirti che ho incontrato Nathaniel ».
« Stanne alla larga. È pericoloso ».
« E poi, ho saputo delle cose da Ismene » Arya continuò: « la strega che ha dovuto abbandonare la città per via dei Demoni ».
« Di quali cose stai parlando? » La interruppe la strega, ora la stava fissando con attenzione: gli occhi e il tremolio delle labbra tradivano la sua ansia.
« Tu non sei di questo secolo » Arya abbassò la voce, sperando che nessuno nel locale stesse origliando la conversazione: « quanti anni hai, Hazelle? Come fai ad essere ancora viva? »
Hazelle portò indietro la testa, il carrè biondo platino le carezzava la nuca: « nessuno si è mai azzardato a chiedermi tutto questo. Nemmeno Beckah o Taissa... ma con te farò un'eccezione, mi trovo in dovere di parlarne con qualcuno ».
Sentendosi nominare, Taissa si voltò di scatto e iniziò a picchiettare il capo contro la superficie dura del bancone. Dovette intervenire Arya per placarla; Hazelle fece finta di non accorgersene.
« Sono nata in un paesino vicino Salem, nel lontano 1522, da una famiglia di umili origini. Nessuno, prima di me, aveva sviluppato il gene della stregoneria... per questo motivo tutti mi volevano morta. Mia madre fu la prima ad additarmi come “creatura di Satana”... ed io non ebbi altra scelta che ucciderla ».
Arya si morse il labbro inferiore; non riusciva a credere al fatto che la sua Precettrice si stesse finalmente rivelando. Lasciò proseguire il racconto.
« Scappai, non mi feci scoprire, e arrivai qui a Rozendhel – la Terra Promessa per qualsiasi creatura magica. Si viveva in pace ed armonia, sotto il governo degli Elfi. Non ho mai più provato quel senso di letizia che avevo allora. Tutto filava liscio come l'olio... finché non mi venne in mente un pensiero delirante. Io non volevo morire. Io volevo vivere per l'eternità ».
La ragazza abbassò gli occhi, il cuore le martellava nel petto.
« Studiai a lungo e, alla fine, trovai il modo... avrei dovuto strappare cento anime da cento corpi differenti, ed infine bere un sorso del loro sangue ».
Silenzio. Arya e Taissa si erano impietrite.
« Ogni notte mi rendevo artefice di spietati omicidi. Ero diventata un demone. Me ne rendo perfettamente conto. Fui scoperta poco dopo aver raggiunto il mio obiettivo. Mi cacciarono da Rozendhel... non avevo più un posto dove andare. Presi dunque la decisione di tornare nella mia città d'origine, decisi di tornare a Salem ». Hazelle si prese una pausa e chiamò nuovamente il signor Walton; tutto quel discorso le stava seccando la gola. Bevve del succo, schioccò le labbra e poi proseguì: « quello però era un brutto periodo per vivere a Salem. Era partita la Caccia alle Streghe e molte donne finivano al rogo. Trascorsi anni ed anni in giro per il mondo » Hazelle sospirò: « quanta gente ho conosciuto... »
« Ti stavi pentendo di ciò che avevi fatto? » Le chiese Arya.
« Assolutamente no » rispose lei secca: « vivevo la vita con entusiasmo, ma non mi azzardai più a bere del sangue umano. Tornai a Rozendhel, durante la Guerra contro i Demoni... conobbi una strega potentissima, la stessa che creò la tua Chiave. Trascorrevamo molto tempo insieme, ed io alla fine me ne innamorai. Riusciva a farmi ridere, sapeva sempre in che modo prendermi... Poi però, quando la Guerra finì e lei scomparve nel nulla, precipitai nel turbine della disperazione e della paura. Tornai a bere sangue umano. Tornai ad essere un mostro. Ne riaffiorai solamente qualche secolo più tardi ».
Arya rimase immobile, scioccata da tutte quelle informazioni e dal fatto che Hazelle le avesse raccontate in un posto come quello. Il Place, infatti, si era riempito di persone: anche Darren era uscito dalla cucina ad aiutare suo padre, lo sguardo stanco.
« Perché non ci hai mai detto niente? » Chiese Taissa con gli occhi lucidi.
« Perché non erano affari vostri » tagliò corto Hazelle: « ora che sapete tutto su di me, a chi andrete a raccontarlo? »
« Non volevo sapere la tua storia per sparlarne con qualcuno » la interruppe Arya: « ero soltanto curiosa di sapere che razza di persona fossi ».
Hazelle prese a fissarla: « e ne hai tratto una conclusione? »
« Sì » esclamò la ragazza: « mi sono resa conto che sei sempre stata un'incompresa... hai commesso delle cose orribili, ma sono contenta che tu le abbia tirate fuori ».
« Ma sentitela! Non voglio la tua compassione » la strega si alzò, estraendo dalla sua borsa un pacchetto di sigarette: « non voglio mai più parlare di questa storia, chiaro? »
« No, aspetta! Voglio sapere un'ultima cosa! Hai acquisito l'immortalità da giovane, allora perché sei... »
« Una vecchia? » Urlò Hazelle: « è dal ventesimo secolo che non bevo più del sangue umano, il mio corpo sta andando incontro alla morte! Il processo di invecchiamento è solamente rallentato, comprendi? »
« Dovresti bere dell'altro sangue per arrestare il processo? »
Hazelle tirò fuori delle banconote, le lanciò sul bancone e andò via; senza degnarle di una risposta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9: Il demone che busserà alla tua porta ***


CAPITOLO 9:

 

Il demone che busserà alla tua porta

 

 

Taissa insistette a lungo affinché Arya le concedesse un'altra ora in giro per Rozendhel. Sembrava una bambina a cui non era mai stato permesso di giocare alla luce del sole. Arya, dal canto suo, non si sentiva in grado di dire di no a nessuno: succedeva persino durante i cenoni di Natale, nei quali sua zia era solita ripeterle “altro pesce?” e lei, imbottita di antipasti e primi piatti, rispondeva con un sorriso e porgendo la scodella. In quell'occasione, dunque, non discusse e non si innervosì – l'unico ordine che le impose fu quello di tenerla sempre per mano. Nel frattempo la neve continuava a scendere dal cielo, imperterrita, procurando non pochi problemi agli abitanti che dovettero munirsi di pellicciotti e catene per le ruote delle automobili. Taissa osservava ogni cosa con particolare attenzione. Il fatto che non stesse urlando o sbattendo intenzionalmente la testa contro un palo faceva ben sperare la sua accompagnatrice, la quale era uscita di casa con un solo scopo: dedicarsi alla fotografia. Ora la macchinetta le penzolava dal collo, insieme alla sua Chiave. Arya non riusciva a capacitarsi dei fatti che le erano stati raccontati da Hazelle. Quell'oggetto era in circolazione da secoli, era stato creato dalla stessa strega per cui la sua Precettrice nutriva dei sentimenti... Sospirò. Dinanzi agli occhi, le appariva tutto così inverosimile... Così assurdo. Trasse un altro lungo respiro, e intimò a se stessa di non raccontare ad anima viva, o morta, quella storia.
A mezzogiorno le due ragazze cominciarono ad indirizzarsi verso casa – Taissa non proferì alcuna parola, aveva smesso persino di porre le sue classiche domande enigmatiche. Il tragitto costò loro pochi minuti e nel momento stesso in cui giunsero a destinazione, di fronte alla staccionata della villetta, vennero accolte da una Beckah particolarmente nervosa.

« Dove eravate finite? » Chiese.
« Abbiamo fatto un giro per la città » disse Arya a mo' di scusa.
« Ero in pensiero! » Beckah si portò le mani dietro la nuca: « Taissa, quante volte dovremo ripetertelo? Non puoi uscire di casa da sola! È pericoloso ». « Ma io volevo soltanto far chiarezza su una questione » disse Taissa, sorridente.
« Quale questione? »
« L'origine del cielo ».
Nessuna risposta. Beckah aggrottò le sopracciglia, le ci volle un istante prima di ricominciare a parlare: « entriamo in casa ».
Ad accoglierle in salotto trovarono Bartek, i capelli unti e il viso segnato dalla stanchezza. Arya lo salutò con un gesto della mano, rendendosi conto che quella doveva essere la seconda o terza volta che lo incontrava.
« Eccola qui, l'ho trovata » gli disse Beckah: « grazie mille dell'aiuto ».
L'uomo fece un debole cenno con la testa, poi si voltò in direzione delle scale. Era uno di quei tipi che la zia Sarah avrebbe etichettato con il termine “bizzarro”. Arya però dovette ammettere che per lui la parola “bizzarro” sarebbe risultata un semplice complimento. Esistevano infatti altre parole per descriverlo, parole non propriamente gradevoli. Se quella mattina Bartek avesse continuato a camminare e non avesse iniziato a contorcersi come un verme sul primo gradino, sarebbe difatti apparso come un comune essere umano. Arya lo osservò esterrefatta mentre riprendeva la sua forma originale; prima d'allora non lo aveva mai visto tramutarsi in corvo e, sicuramente, avrebbe voluto aspettare ancora un po' prima di assistere a quell'orribile spettacolo. Il volatile, alla fine, si precipitò al piano superiore, stridendo e perdendo qualche piuma color petrolio.
« Mi è venuto il voltastomaco » disse Beckah, avvicinandosi alle scale: « però queste ci servono! »
« Collezioni le sue piume? » La canzonò Arya mentre prendeva posto sul divano, accanto a quell'antico tavolino da tè.
« Non te l'abbiamo mai detto? » Beckah si voltò in direzione di Taissa, la quale rispose con un'alzata di spalle. « Le piume di Bartek sono magiche... basta posizionarne una sotto la lingua e aspettare qualche secondo prima di vedersi comparire dietro la schiena due grandissime ali nere. È una cosa temporanea, la utilizziamo solamente nei combattimenti aerei ».
Arya sgranò gli occhi: « e fa male? »
« Giusto le prime cinque o sei volte » Beckah sorrise, custodendo le piume in una scatolina dorata e afferrando l'unico quotidiano posizionato sul tavolino. « Un demone sta scatenando il panico in città... hai letto? »
La rossa scosse la testa: « no, passami il giornale ».
La prima pagina era occupata da un solo articolo che riportava a caratteri cubitali la scritta: IDENTIFICATO IL QUARTO CADAVEREquale bestia si aggira nei nostri boschi?
« Ma hanno detto che si tratta di un animale ».
« Naturale, Arya... non possono certo sapere che, in realtà, è un demone ».
Taissa, stesa sul parquet, scoppiò in una lunga risata.
« Pensi si possa trattare di Nathaniel? » Si corresse Arya, a disagio.
« È probabile! Non si fa vivo da due settimane ».
Taissa rise ancora una volta.
« Finiscila! » Esclamò Beckah, mantenendo costante la sua solita e nobile grazia: « Taissa, non è che tu ne sai qualcosa? Hai avuto una Visione a riguardo? »
La ragazza fece un cenno infantile, come se avesse buttato in un pozzo la chiave necessaria per aprire le sue labbra.
« Fa' come ti pare ».
« Ah, senti » Arya si passò una mano tra i capelli: « Hazelle è in casa? »
« No, penso sia in giro. Si starà divertendo a distruggere qualche pupazzo di neve » Beckah aggrottò la fronte: « perché? È successo qualcosa? »
Taissa prese a fissare Arya, la quale finse un sorriso: « no, era solo per chiedere! Non la vedo da un po' ».
« Sta facendo la difficile. Sa che hai scoperto qualcosa e non vuole darti delle risposte. Anche con me fa così! Ho provato a parlarle dell'incontro avvenuto con Ismene, ma mi ha ignorato ».
Arya rimase in silenzio, aspettando l'ennesima risata di Taissa che però tardò ad arrivare.
« Hai scattato qualche foto? » Beckah notò la macchinetta che penzolava ancora dal suo collo.
« Ah, sì! » Arya sorrise: « ma non sono molto soddisfatta ».
« Perché dici così? Fammele vedere ».
« No » disse Arya, secca: « quando sarò soddisfatta del lavoro compiuto, ti mostrerò ogni singola fotografia ». Immediatamente pensò che Beckah si fosse offesa, e tentò di scusarsi. La ragazza, al contrario, mise in mostra i denti ed esclamò: « anche mia madre era così ».
Taissa inarcò le sopracciglia, sorpresa quanto Arya.
« Sì, io ho conosciuto mia madre » riprese Beckah: « prima di finire in quell'orfanotrofio, ho trascorso qualche anno della mia infanzia assieme a lei. Era una pittrice eccezionale, ma non mostrava neanche a me i suoi dipinti! Doveva essere soddisfatta al cento per cento, altrimenti li bruciava... nel vero senso della parola! »
« E che fine ha fatto? » Si azzardò a chiedere Taissa, ripescando la chiave dal suo pozzo invisibile.
« La investì un pirata della strada, ed io finii in orfanotrofio... ricordi? Ci siamo conosciute lì ».
Arya abbassò gli occhi: ora più che mai stava realizzando che ogni persona – all'interno di quella Congrega – aveva una storia da raccontare, un passato da gettarsi alle spalle.
« Sapete, ho cercato varie volte di seguire le sue orme » ammise Beckah: « ma non credo che i miei dipinti possano paragonarsi ai suoi ».
« Perché dici così? » Arya sorrise, prendendole una mano: « fammeli vedere! »
La giovane Gray si grattò una tempia con l'indice della mano sinistra: non sembrava molto convinta, anzi si mostrava preoccupata e in imbarazzo.
« Facciamo così » iniziò Arya: « rimandiamo il tutto a quando saremo soddisfatte dei nostri rispettivi lavori. Magari sarà solo questione di un mese, o forse due... non so! Ci stai? »
Beckah le afferrò nuovamente la mano: « affare fatto ».
All'improvviso un rumore oltre la porta fece vibrare le mura della casa, provocando l'allerta generale. Era come se una creatura, forse Polifemo, stesse tentando di spaccare tutto, di buttare giù l'intera villetta. Arya balzò in piedi, con il cuore che le martellava nel petto. Taissa, invece, si aggrappò a Beckah, entrambe visibilmente spaventate. Persino Bartek – ancora corvo – scese giù, strepitando. Era il caos. Le pareti continuavano a tremare, ed i quadri insistevano nel precipitare a terra in una pioggia di frammenti vetrosi. Arya strinse i pugni, lottando contro l'istinto di urlare e chiedendosi quanto ancora avrebbe potuto reggere il soffitto.
Un ruggito.
Un ennesimo colpo.
La calma.
Nessuno, adesso, osava emettere un suono. Contro le orecchie dei presenti iniziò a premere un silenzio carico di tensione. Arya lanciò un'occhiata a Beckah, la quale rispose con un gesto veloce del capo. Avevano avuto la stessa idea: avvisare Hazelle alla svelta. Lei avrebbe saputo gestire al meglio la situazione e combattere ad armi pari con la cosa che si trovava lì, oltre la soglia della loro casa. La giovane Gray si avvicinò al telefono e alzò subito la cornetta, le dita impegnate nel comporre un numero.
« Non risponde » sussurrò alla fine.
Arya si portò le mani ai fianchi, poggiando la fotocamera sul tavolino da tè e azzardando un passo verso la porta.
« Cosa stai facendo? »
« Sta' tranquilla » continuò lei: « qualsiasi cosa sia non può entrare. Hazelle ha avvolto la casa con un incantesimo di Difesa, no? »
Un altro passo; era sempre più vicina allo spioncino.
« Cosa vedi? » Le chiese Beckah.
« Stranamente nul... »
Ma la ragazza non riuscì a terminare la frase: la porta di casa era esplosa in una tempesta di schegge legnose, scaraventandola contro una parete. Subito, Beckah la aiutò a rialzarsi. « Oh, mio Dio! Come ti senti? »
Arya abbozzò un sorriso: « tranquilla... credo di non essermi fatta nulla ».
Ma un ennesimo ruggito attirò prepotentemente la loro attenzione. Quella creatura senza occhi era ormai sulla soglia di casa, immobile dinanzi al muro invisibile eretto da Hazelle. Era impossibile che con tutti quegli urti gratuiti riuscisse a mandare a terra un incantesimo simile. Il demone continuò a spingere le sue mani – simili a tarantole bianche – oltre l'uscio, ritirandole subito dopo con un urlo straziante. Arya comprendeva quanto potesse fargli male: giorni prima aveva provato lo stesso identico dolore nel negozio di Ismene. Era una sensazione terribile, la stessa che si potrebbe provare nell'essere intrappolato in un rovo di spine.
« Dobbiamo affrontarlo » disse, quasi in sussurro.
« No, aspettiamo ancora un po'. Potrebbe ucciderlo anche la barriera » spiegò Beckah: « è una specie di recinzione elettrificata... potrebbe rimanerci secco ».
Il demone gridò ancora una volta, il volto segnato da una ragnatela di cicatrici e le labbra attraversate da linee scure – simili a punti di sutura. Nonostante avesse la corporatura esile e fosse alto poco più di un metro, dava l'impressione di racchiudere in sé la forza di cento uomini.
« Io non voglio aspettare » ammise Taissa.
Arya aggrottò la fronte: « cosa vuoi dire? »
Quello che successe in seguito fu molto confuso: Beckah urlò, Bartek riprese in fretta il suo aspetto da umano... entrambi si lanciarono su Taissa, la quale aveva sgranato gli occhi e tirato fuori i denti.
« Lasciatemi! » Gridò quest'ultima in preda ad un'ira incontrollabile: « lasciatemi immediatamente! » Affondò i denti nel braccio di Bartek. Il sangue schizzò ovunque.
« TAISSA! »
La ragazza passò oltre l'uscio della porta; il demone ghignò, allontanandosi dalla villetta e tuffandosi nelle vie di Rozendhel, senza neanche lasciare le impronte delle sue zampe palmate sulla coltre di neve.
« Cosa sta succedendo? » Urlò Arya.
« Dobbiamo rincorrere Taissa » rispose Beckah, afferrando un cappotto rosso da un appendiabiti.
« Sì, lo so! Ma cos'è successo? »
« Te lo spiego strada facendo ».
« Io rimarrò qui, a sorvegliare la casa » disse Bartek, gli occhi fissi sulla ferita. Arya non poté fare a meno di chiedersi come avessero fatto i suoi vestiti a rimanere intatti, anche dopo la trasformazione in corvo. Evidentemente Hazelle aveva pensato anche a quello.
« Mi dispiace davvero tanto, Bartek » gli disse Beckah: « cerca di medicarti, noi torniamo subito! »
Uscirono dalla villetta e corsero a sinistra, sperando di aver preso la direzione giusta. A terra non vi erano strane impronte di demone, il che faceva presagire che questi si fosse reso invisibile agli occhi degli umani.
« Avrai sicuramente notato il fatto che Taissa è una ragazza particolare » iniziò Beckah: « non sappiamo praticamente niente del suo passato, prima che arrivasse in orfanotrofio. Anzi, credo sia stata abbandonata lì da neonata ».
« Ha una sorta di malattia mentale? »
Beckah annuì: « ma la cosa peggiore è che... si nutre di demoni. Varie volte l'abbiamo trovata sul cadavere di uno di questi, sorridente e sporca di sangue ».
Arya si portò una mano alla bocca, provando un improvviso senso di nausea: « è disgustoso ».
« Già ».
Ripresero a correre finché non giunsero di fronte al vecchio cinema della città, stanche e agitate. Quella era sempre stata una via piuttosto trafficata, e l'idea di trovare Taissa lì si dimostrava una vera e propria missione impossibile. Svoltarono in un vialetto poco affollato: « spero non si sia fatta male ». « Non c'è nessun incantesimo che possa aiutarci? » Chiese Arya.
Beckah scosse la testa: « non ne conosco nemmeno uno ».
Erano talmente tese che persino la suoneria del cellulare le fece trasalire.
« Chi è? Hazelle? »
Arya si morse il labbro inferiore: « no, è Oliver ».
« Oh, be'... vi sentite spesso? »
« È il mio migliore amico, Beckah » Il cellulare si ammutolì.
« Lo so, era giusto per chiedere ».
Tornarono nelle vie principali e per un'ora intera non fecero altro che correre da una parte all'altra. Stavano per perdere ogni speranza.
« In effetti, non capisco per quale motivo Hazelle non ci stia richiamando » Arya si passò una mano tra i capelli.
« Eppure questa città non è così grande » disse Beckah: « possibile che... »
Un ruggito piuttosto familiare la interruppe bruscamente: li avevano finalmente trovati, e nessuna delle persone presenti in strada sembrava aver udito quel suono tanto orripilante, tanto diverso dalla loro propria realtà. Arya e Beckah si scambiarono un'occhiata eloquente, per poi inserirsi in un vicolo buio e dimenticato da Dio. Benché fosse l'ora di pranzo, non si riusciva a vedere un accidente: era così buio che Arya dovette illuminare lo schermo del suo telefonino per orientarsi, come quando tornava tardi la sera e la casa era immersa in un oceano di ombre. Lungo il muro correvano delle lanterne a gas fulminate e poco più giù, al limite della strada, era possibile notare soltanto tre bidoni dell'immondizia.
« Eppure credevo fossero qui » sussurrò Beckah.
Arya scosse la testa, indirizzando la luce verso delle grosse tavole di legno sparpagliate sulla neve: « le vedi? Sono state strappate da lì » il cellulare andò ad illuminare l'ingresso di un locale abbandonato, sul quale oscillava la sua insegna.
« La Luna Storta? » la lesse Beckah: « credi sia opportuno entrare lì dentro? »
« Assolutamente sì » bisbigliò Arya: « scommetto tutto quello che vuoi che li troveremo ».
« E se ci dovesse vedere qualcuno? »
« Beckah, è un locale abbandonato! »
« Oh, hai ragione » Beckah abbozzò un sorriso: « entriamo! »
Fino a qualche minuto prima le tavolette di legno erano servite ad allontanare chiunque avesse voluto infilarsi all'interno di quel locale in rovina; ora l'accesso era libero, privo di qualsiasi ostacolo o porta – Arya si chiese se il demone non avesse attirato Taissa in una qualche sorta di trappola. Scosse la testa ed entrò.
« Che puzza! » Esclamò subito Beckah.
In effetti, l'odore che si respirava all'interno de “La Luna Storta” non era certo il più buono del mondo: era così intenso e così nauseante che per poco non fece vomitare le due giovani.
Il telefonino di Arya tornò ad accendere le tenebre: sulla moquette del locale vi erano frammenti di sedie rotte, insetti che si rincorrevano rapidi, e macchie di vino rosso.
« Taissa! » Chiamò Beckah: « Taissa, dove sei? »
Arya deglutì. Qualcosa aveva risposto alla sua domanda; qualcosa aveva preso a muoversi nell'oscurità. « Beckah, stai... attenta! »
Lo schermo del cellulare illuminò una figura piegata su sé stessa, immobile. Arya lottò contro l'istinto di scappare.
« Taissa? »
Sentendosi chiamare ancora una volta, la ragazza si voltò; era scalza e con l'abito nero in frantumi. Sorrise, mostrando i denti dipinti di rosso ed il volto macchiato di sangue.
« Cosa diamine è successo? Dov'è il demone? »
Il demone, o meglio, i suoi resti erano sparpagliati a terra in pozze che poco prima Arya e Beckah avevano scambiato per vino.
« Cos'hai fatto? » Beckah era sull'orlo di una crisi isterica: « cosa diamine hai fatto? »
Taissa non rispose alla domanda, si limitò a sghignazzare.
« Dobbiamo andare via da qui » le suggerì Arya, sconvolta.
« Non possiamo lasciare tutto così... qualcuno potrebbe vedere questi resti! »
« Beckah, nessuno è mai entrato qui dentro » iniziò Arya, afferrandola per un braccio: « e poi il demone si era reso invisibile agli umani, non credo che adesso qualcuno lo possa vedere ».
Beckah dovette pensarci su qualche istante, poi annuì poco convinta: « hai ragione... allora possiamo andare via ».
Arya osservò la sua amica: aveva preso a tremare.
« Ce l'hai un fazzoletto? » Le chiese all'improvviso: « la voglio pulire un po' ».
La giovane Mason fece un altro cenno con la testa e tirò fuori un fazzoletto ricamato a mano da una tasca del suo cappotto nero. Taissa, nel frattempo, aveva ricominciato a ridere.
« Falla finita! » Urlò Beckah, per la prima volta in presenza di Arya. La faccenda l'aveva scossa tremendamente. Arya non riuscì a dire un'altra parola, e lungo tutto il tragitto verso casa rimase in un silenzio religioso. In quella Congrega non avrebbe mai finito di imparare. In quella Congrega sarebbe impazzita come Taissa.

 

 

***

 

 

La commessa del negozio era stata molto disponibile nei suoi riguardi. Gli aveva mostrato tutti gli scaffali, ogni singolo peluche e numerosissime sfere di vetro con all'interno dei graziosi paesaggi natalizi. L'uomo alla fine si era diretto verso le casse, chiedendosi mentalmente quale reazione avrebbe avuto il destinatario del suo regalo. Sarebbe stato contento? Sorpreso? O, semplicemente, terrorizzato? Oh, quanto avrebbe voluto assistere alla scena.
« Glielo impacchetto subito? » Chiese il cassiere – un ragazzo mingherlino dai capelli rossicci.
« Sì, grazie » continuò l'uomo: « prendo anche questo bigliettino di auguri ».
« Va benissimo! È per sua figlia? »
Egli non rispose, si limitò a sorridere.
« Arrivederci, allora! » Il giovane gli consegnò la busta color rosso sangue: « e buon Natale! »
« Buon Natale anche a lei ».
L'uomo raggiunse in fretta la sua automobile, il bigliettino d'auguri stretto nella mano sinistra. Non poteva aspettare, doveva farlo subito. Quindi pescò dal cruscotto una penna blu, si appoggiò al volante e scrisse tutto quel che doveva scrivere. Alla fine, sorrise.
Il regalo perfetto per me? Il tuo cadavere. Buone feste, Arya, e a presto!”

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10: Un gioco pericoloso ***


CAPITOLO 10:

 

Un gioco pericoloso

 

 

Arya non riuscì a dormire quella notte. Per interminabili ore si voltò da un lato all'altro del letto, tesa e agitata. Ogniqualvolta che tentava di chiudere gli occhi vedeva sopraggiungere di fronte a sé le immagini del locale ridotto a polvere e macerie, sentiva svilupparsi all'interno delle narici il fetido odore di sangue, mentre nelle orecchie tornava ad echeggiare quell'ormai fastidiosa risata inferma. Alle prime luci del giorno si scostò di dosso il piumone e saltò giù dal letto come una molla. Si sentiva stanca e affamata quanto un orso appena uscito dal letargo. Scese le scale in punta di piedi, tentando di ridurre al silenzio i suoi stessi atti respiratori: l'obiettivo era quello di non svegliare Sarah, la quale era solita prendersela con il mondo intero se gettata giù dal letto prima delle sette.
Quella mattina, la fioca luce dell'alba andò a bussare contro le finestre del salotto e, filtrando attraverso le tende dal tessuto delicato, iniziò a dipingere sul parquet le ombre rigide dei mobili e del divano-letto. Soffermandosi proprio su quest'ultimo, Arya non poté fare a meno di inarcare le sopracciglia. Si stirò la maglietta blu del pigiama con le mani, azzardando un passo più lungo dei precedenti. Sotto le lenzuola della branda riposava Frank, il compagno massiccio della zia.

« Ehi? » Lo chiamò Arya. Dall'espressione che questi aveva sul volto traspariva tutt'altro che serenità. « Vai a dormire di sopra, nel letto matrimoniale ».
L'uomo la guardò attraverso una fessura del suo occhio sinistro: « no » sussurrò alla fine, la voce roca.
« Perché? Non stai scomodo qui? »
Frank inspirò profondamente: « io e tua zia abbiamo litigato ieri sera ».
Arya socchiuse gli occhi: « e ti ha mandato a dormire qui? Ma è pazza? »
« Non dire così, potrebbe sentirti ».
« Okay, ma perché avete litigato? »
A quell'ennesima domanda seguì un istante di esitazione da parte dell'uomo, il quale affondò la testa nel cuscino. « Non mi va di parlarne ».
« D'accordo, ho capito » Arya si avviò verso la cucina: « se però dovessi cambiare idea, mi trovi di là a fare colazione » e, dicendo questo, per poco non inciampò sull'albero di Natale – un abete di piccole dimensioni abbracciato da luci colorate, decorazioni in feltro, e palline di ogni genere e taglia. Lanciò un'imprecazione silenziosa. Erano anni che Sarah lo collocava in quell'angolo del salotto, tra la televisione e la porta dell'ingresso, ma nonostante ciò sua nipote sembrava scordarlo tutte le volte.
La cucina era un trionfo di stoviglie sporche: la sera prima Frank aveva avuto la geniale idea di cucinare il pollo in padella e, adesso, per via di questo motivo, ogni cosa si trovava in disordine. La ragazza si avvicinò al frigo con espressione disgustata – alle sei del mattino l'odore delle spezie non era uno dei profumi più invitanti. Afferrò il cartone del latte, una tazza a forma di Winnie the Pooh, una busta di cereali al cacao dalla dispensa, ed infine prese posizione vicino all'isola in quarzo. Frank la raggiunse poco dopo, scalzo e con gli occhi impastati di sonno.
« Come ti senti? » Gli chiese.
« Innamorato » rispose lui: « non riesco a non pensare a tua zia. Ho dormito pochissimo ».
« Siamo in due » la ragazza sorrise: « perché avete litigato? »
Frank esitò ancora una volta: « le ho proposto di sposarmi ».
« Che cosa? » Arya per poco non si strozzò: « e perché si è arrabbiata? »
« Perché tua zia è una donna particolare! Ho cucinato per lei, l'ho portata in centro... alla fine mi sono inginocchiato... ma non è che abbia apprezzato così tanto il mio gesto. Le sue parole sono state: “devi fare qualcosa che mi stupisca!” ed io ho ribattuto, lei si è arrabbiata e... niente, il resto lo sai ». Arya alzò le sopracciglia: « quando fa così proprio non la sopporto. Cosa vuole che tu faccia? Una serenata? »
« Probabile » sussurrò Frank, il volto aperto in un sorriso: « tu cosa ne pensi? Forse avrei dovuto chiedere prima a te il consenso ».
« Non sono certo suo padre » Arya gli afferrò una mano, la quale al tatto le si presentò ruvida e callosa – segno di anni lavorativi trascorsi nell'officina dei genitori: « ha avuto delle grosse delusioni d'amore in questi ultimi anni... quindi, non prenderla troppo alla leggera ».
« Non farò passi indietro » Frank le carezzò il palmo: « non sono mai stato così sicuro in vita mia ».
« Sono contenta di sentirtelo dire! Hai il mio consenso, signor Frank Johnson!» Si scambiarono un'occhiata complice, sorridendo, poi l'uomo le domandò: « e tu, invece? Perché non sei riuscita a dormire? »
Arya ritirò la mano, il volto chino sulla tazza ancora colma di latte freddo: « niente di che... sono i soliti problemi da adolescente ».
« D'accordo, ma prova a parlarne con qualcuno » Frank si avvicinò al frigo e ne esaminò per bene il contenuto prima di afferrare il cartone del succo all'arancia: « ho notato che trascorri molto tempo insieme alle figlie della vicina. Prova a sfogarti con loro – poi aggiunse, osservando l'espressione distante di Arya – o, forse, sono proprio loro il problema? »
La ragazza incontrò i suoi grandi occhi color caramello: « no, tranquillo. Sono brave persone ».
« Meglio così! » Esclamò lui: « Oliver, invece, che fine ha fatto? »
« Sta bene! Anzi, credo che tra qualche ora andrò a trovarlo. Ieri non ho nemmeno risposto alle sue chiamate ». Continuarono a chiacchierare per un'altra ora abbondante: i dilemmi sussurrati dalla notte erano spariti con la luce dell'aurora, senza lasciare alcun segno della loro ombra.
Verso le nove Arya spense la tv del salotto e si trascinò al piano superiore – la stanchezza cominciava a farsi sentire. Si lanciò sotto la doccia, si vestì in fretta e subito andò a bussare alla porta di Oliver. Erano davvero pochissimi passi – la villetta degli Hopkins, infatti, si trovava a soli due isolati di distanza dalla sua, e uno solo da quella di Hazelle. Quando la ragazza passò di fronte al cortile di quest'ultima, non poté fare a meno di lanciare uno sguardo oltre la staccionata: le tende erano ancora chiuse e non si udiva alcun suono o rumore provenire dall'interno. Il giorno precedente Hazelle si era infuriata moltissimo: aveva puntato l'indice contro di lei e Beckah, spiegando che tutta quella faccenda riguardante Taissa era avvenuta solo e soltanto per colpa loro. Arya – che sembrava l'unica della Congrega ad aver mai tenuto testa alla Precettrice – le aveva risposto facendole notare che era stata lei stessa a lasciare Taissa da sola in giro per Rozendhel, e a quel punto Hazelle l'aveva afferrata per un orecchio e buttata fuori di casa, accompagnando il tutto con un sonoro: “sei una cretina!”. Però Arya sapeva di non aver torto: adesso l'unica cosa che voleva era vedere Hazelle nella sua cameretta, intenta a chiederle scusa. Ma purtroppo sapeva anche questo: Hazelle non avrebbe mai e poi mai chiesto scusa a nessuno. Scosse la testa, e bussò ancora. Dopo pochi istanti la porta si aprì mostrando la figura di Oliver – a piedi nudi, con gli occhi impastati di sonno ed il ciuffo ribelle appiattito sulla fronte. Aveva il volto segnato dalla stanchezza e indossava ancora il pigiama: un maglione, sul quale era stampato il muso di Bugs Bunny, ed un normale pantalone lungo.
« Arya, che ci fai qui? »
« Sono venuta a trovarti! » Esclamò lei: « sei da solo? »
Oliver si voltò: « credo che i miei se ne siano andati in chiesa, entra pure ».
La villetta della famiglia Hopkins odorava sempre di biscotti appena sfornati – nonostante non venissero mai sfornati dei biscotti. Le stanze erano arredate perlopiù da mobili in legno di acero, i quali donavano alla casa un tocco di raffinata semplicità, e nessuna di queste presentava una televisione all'interno – ad eccezione della cameretta di Oliver.
« Ma ti ho svegliato, per caso? » Gli domandò Arya, nell'ingresso.
« No, assolutamente » Oliver proseguì, accennando un sorriso: « stavo proprio aspettando una tua visita... alle dieci del mattino... di domenica ».
Giunsero al piano superiore mediante la scala a chiocciola – anch'essa di legno e a pianta quadrata. A causa dell'eccessivo disordine, la stanza da letto di Oliver si mostrava molto meno spaziosa di quella di Arya: vi erano addirittura dei resti di un misero sandwich sparsi sulla moquette.
« Mettiti a sedere » le disse lui, indicandole il letto disfatto e ricoperto da briciole di pane.
« Preferirei una sedia » disse Arya, mordendosi il labbro inferiore: « ma ci riesci a vivere così? È troppo incasinato ».
Oliver rise di gusto, portando indietro la testa: « non siamo tutti perfettini come te, signorina tappa-piatta! »
« Non sono una perfettina! » Si piazzò sull'unica sedia girevole presente, mentre il ragazzo si sdraiò sul suo comodo letto alla francese. « Ho visto le chiamate, mi cercavi per un motivo? »
« Intendi ieri? » Oliver ci rifletté su per una manciata di secondi, poi esclamò contento: « ah, sì! Volevo che venissi a giocare a “battaglia di palle di neve” insieme a me e a Quinn! È stato divertentissimo! »
« Ah, ho capito » Arya sorrise ancora una volta: « sei davvero fortunato... io, ieri, ho passato una giornata terribile ».
« Per quale motivo? » Il ragazzo inarcò la fronte e prese a fissarla con la sua solita aria meditabonda: nel corso degli anni era cresciuto parecchio fisicamente e adesso gli stavano persino cominciando a spuntare dei peli sulle guance rosee. Arya scostò lo sguardo e riprese: « ero al Sunny-Valley a scattare delle fotografie, e all'improvviso mi sono ritrovata di fronte Taissa Crane... l'ho riportata da Hazelle, ma lei se ne è altamente fregata. Poi ho incontrato Beckah e abbiamo avuto uno scontro con un demone... la cosa più schifosa è che Taissa se l'è letteralmente divorato. Era ricoperta di sangue; è stato bruttissimo ».
Oliver spalancò gli occhi, passandosi successivamente una mano tra i capelli biondi: « ma stai scherzando? È assurdo! »
« Già » Arya abbassò gli occhi, sfinita: « alcune volte mi ritrovo a pensare a quella sera, l'ultima in cui siamo andati al cinema francese. Dio, quanto vorrei tornare a quei momenti! Non sapevo di essere una strega ed era tutto più semplice ».
« Ascolta » Oliver iniziò, diventando improvvisamente serio: « il fatto che la Chiave sia venuta proprio da te significa qualcosa... altrimenti, per quale motivo non è andata da Taissa, Hazelle o qualsiasi altra strega presente a Rozendhel? Io ho sempre pensato che ci fosse qualcosa di più sotto, qualcosa che Hazelle non ti sta dicendo – poi, aggiunse – inoltre, credo che tu non debba prendere solamente i lati negativi da questa faccenda... ricordi? Prima non avevamo amici, ora abbiamo Beckah! E sembra davvero una brava ragazza, non trovi? »
La giovane Mason continuò a fissarlo anche dopo che ebbe terminato il discorso: come faceva ad essere sempre così rassicurante e straordinariamente accorto? Con delle semplici parole aveva saputo epurare la sua mente inquinata, affievolendo il peso invisibile che da giorni teneva sulla spalle. Il suo migliore amico, adesso ne era certa, era cresciuto per davvero. « Hai ragione, dovrei smetterla ».
« Semmai, potremmo andare al cinema francese questo pomeriggio! »
Arya aggrottò le sopracciglia: « ma tu lo odi! »
« No, dai! Bisogna giusto scegliere il film più recente » Oliver sorrise: « magari uno del 1970 e non del 1958! »
Arya scoppiò in una risata tutt'altro che femminile: « e allora andiamo a prendere subito i biglietti! La signora che lo gestisce apre molto presto ».
« D'accordo, aspetta solo che mi vesta » Oliver si buttò giù dal letto e, tirando fuori dall'armadio una vistosa felpa verde e un paio di jeans scuri, s'indirizzò verso il bagno. « Ci metterò pochissimo! »
« Tranquillo! » Esclamò Arya, afferrando il telecomando della tv dalla scrivania. Sul primo canale stava andando in onda uno show per bambini, sul secondo invece vi era una donna impegnata a cucinare un soufflé di patate. La domenica mattina era noiosa persino in tv. Smise di fare zapping, lasciando parlare i giornalisti del canale otto: stavano discutendo su una questione riguardante il sindaco di Rozendhel. Arya alzò il volume.
« Che guardi? » Oliver tornò in cameretta, pronto per uscire.
« Ascolta! » Esclamò la ragazza: « pare che il sindaco stia dando le dimissioni! »
« Sì, ho letto qualcosa sui giornali... probabilmente non si sente all'altezza di affrontare queste strane situazioni. Stanno sparendo molte donne in città e nessuno riesce ancora a catturare quella bestia che si aggira nei boschi ».
« Beckah crede che quella fantomatica bestia sia un demone » Arya continuò: « però non sapevo nulla di queste sparizioni ». Oliver annuì, convinto: « sì, ne stanno succedendo davvero tante ultimamente. L'ultima donna che hanno trovato era ridotta a brandelli ».
« Ma che cosa stai dicendo? »
« Sì, lo so, è spaventoso! » Esclamò: « alza il volume, magari stanno parlando proprio di questo ».
Nel corso del notiziario non vi fu alcun accenno a “La Creatura dei Boschi”; i giornalisti dedicarono gran parte del tempo al caso riguardante il sindaco. Chiunque a Rozendhel lo avrebbe potuto descrivere come un uomo dall'aria affabile e sempre pronto ad aiutare il prossimo. Era in carica da quasi quattro anni ed i suoi concittadini non avevano mai avuto nulla per cui lamentarsi – i servizi, difatti, non erano mai mancati. Non era difficile, inoltre, incontrarlo per le vie della città insieme alla moglie e ai suoi quattro figli; il fatto che non si fosse mai messo al di sopra degli altri lo aveva reso un uomo benvoluto da tutti. Ora, però, qualcosa stava cambiando: cosa si nascondeva realmente dietro a quella faccenda?
« Lo pensi davvero? » Chiese Arya: « il sindaco Pritchard se ne va perché non si sente all'altezza di affrontare queste situazioni? »
« Io credo di sì » rispose Oliver, secco: « sono giusto curioso di vedere chi prenderà il suo posto ».
Nel momento stesso in cui Benjamin Pritchard fece capolino in televisione ed iniziò una breve conferenza stampa, si sentì bussare alla porta di casa. Oliver inarcò le sopracciglia, sorpreso: « non penso che la messa sia già finita! »
Arya fece spallucce, come per dire “non ho mai messo piede in una Chiesa; non posso saperlo”. « Questa non è casa mia... apri tu? »
« Accompagnami, sfaticata! »
Scesero entrambi e arrivarono nell'ingresso, di fronte alla porta principale. Il ragazzo domandò alla persona al di là della soglia di identificarsi, ma purtroppo non ricevette altra risposta che: « fa un freddo della miseria, ti decidi ad aprire? »
Arya alzò gli occhi al cielo, riconoscendo quella fastidiosissima voce da vecchia megera. « Apri » disse ad Oliver: « è Hazelle ».
Un rumore di catenacci precedette l'arrivo in casa di Hazelle: come al solito, si presentava vestita di nero – nel guardaroba non doveva avere nient'altro che abiti da funerale. Si scostò dal volto i suoi costosissimi occhiali da sole – usati perlopiù per nascondere le rughe – ed infine disse con tono arrogante: « volevate che mi ibernassi, per caso? Non so se avete notato, ma fuori c'è la neve... il che vuol dire che fa freddo. Buongiorno, comunque ». « Cosa ci fai qui? » Le domandò Arya, le braccia incrociate dinanzi al petto.
« Sono venuta a presentarmi al tuo amico » Hazelle lanciò un'occhiata ad Oliver, il quale la stava osservando con aria affascinata: « non ci siamo mai incontrati prima d'ora, vero? Il mio nome è Hazelle, piacere di conoscerti ».
« Io mi chiamo Oliver » il ragazzo allungò una mano: « wow, lei è una vera strega! »
« Ehi! Anch'io sono una vera strega! » Fece osservare Arya, con tono offeso.
« Cara, lascialo dire agli altri questo » Hazelle si fece largo sino ad arrivare in salotto: « pensavo ti trovassi a casa tua, e invece... »
« C'è qualcosa di cui vorresti parlarmi? » Arya alzò le sopracciglia: « o, magari, scusarti? »
La donna arricciò le labbra, mettendosi a sedere su una poltrona lì vicino: « sei sempre la solita. Come fai ad averla come amica? »
Oliver rise sotto i baffi, e subito venne colpito alle costole da una vigorosa gomitata: « che c'è? »
Arya scosse la testa, poi tornò a fissare la sua Precettrice: « dai, cosa vuoi? Si tratta di una cosa realmente importante... non ti sei nemmeno truccata prima di uscire».
« Il mio bell'aspetto non ha bisogno di modifiche, saccentona » Hazelle pescò dalla sua borsa un pacchetto di sigarette: « posso? »
« Meglio di no » esitò Oliver: « altrimenti, i miei... ».
« Sì, okay, ho capito » lo interruppe la strega: « finiamola con le scemenze. Sono venuta qui per parlarti di una cosa seria, Arya. Hai sentito la novità? Il sindaco si sta dimettendo... non è un bene per la nostra Congrega ».
« Perché? » Chiesero all'unisono i due ragazzi.
« Il sindaco è una figura che sa. È così da generazioni. Le creature magiche non danno fastidio a lui, e lui non dà fastidio a noi ».
« Cioè, stai dicendo che il sindaco Pritchard sa che siamo delle streghe? » Disse Arya.
« Esattamente! È a conoscenza di ogni cosa: dei demoni, dei Portali, della vera storia di Rozendhel. In questo preciso istante sta dichiarando a tutti la sua versione: “mi dimetto perché sono troppo vecchio e troppo stanco per continuare”. Balle! Se ne va perché non è capace di sostenere una situazione pericolosa come questa ».
« Te l'avevo detto! » Esclamò Oliver, appoggiato al cardine della porta del salotto.
« Non so se ci hai fatto caso » riprese Hazelle: « ma tutte queste donne che stanno sparendo... sono delle streghe ».
« Seriamente? » Arya sentì un brivido percorrerle la schiena: « e chi le sta rapendo? »
« Uccidendo, vorrai dire » la strega abbassò gli occhi: « ho già qualche sospetto ».
« Un demone? » Domandò Oliver.
« No » rispose secca: « qualcuno che si serve delle armi da fuoco ».
« Chi? »
« Un Cacciatore ».
Un silenzio innaturale si propagò in ogni angolo della villetta; Arya strinse i denti, confusa e spaventata. Era più semplice affrontare un demone o un cacciatore di streghe?
« Bisogna prestare la massima attenzione » riprese la donna: « ho indagato su questa pista per giorni, e finalmente sono arrivata ad una conclusione... ricordi la donna che è stata sepolta viva? »
« Mathilda » dissero Arya ed Oliver. Era impossibile, ormai, dimenticarlo. Ismene aveva marchiato le loro menti con quel nome.
« Mathilda è stata sepolta viva da quel Cacciatore. Taissa ha parlato con le anime del cimitero... è stato un essere umano ».
« E le hanno saputo dire qualcos'altro? »
« Purtroppo no » Hazelle sospirò, lanciando un'ennesima occhiata al suo fedele pacchetto di sigarette; il fatto che non potesse fumare la stava rendendo nervosa. « E riguardo Ismene, ho un'altra cosa da dirvi ».
« Oh, no » Arya si passò una mano tra i capelli, capendo tutto all'istante. Ismene non poteva, anzi, non doveva essere morta. L'aveva protetta con i demoni, le aveva parlato dello Scisma... non doveva essere morta.
« E invece sì » annunciò Hazelle: « il tanfo del suo cadavere ha condotto la polizia nel suo negozio... le hanno sparato in fronte ».
Arya inspirò profondamente. Oliver sembrava scosso quanto lei.
« Bisogna stare attenti » la strega si alzò di scatto, avvicinandosi alla finestra che dava sulla strada coperta dalla neve: « il prossimo bersaglio potrebbe essere una di noi ».
« Ed il sindaco scappa da tutto questo? » Oliver alzò la voce: « di cos'ha paura? »
« Di rimetterci la pelle! »
Arya si mise a sedere sulla poltrona, il volto affondato nelle mani. La situazione le stava sfuggendo di mano. Non era giusto. Nessuno avrebbe dovuto perdere la vita a causa sua. « E adesso che facciamo? » Disse alla fine.
« Questo è un gioco pericoloso » Hazelle continuò: « e pertanto bisognerà agire in fretta. Nessun membro della Congrega dovrà perdere la vita a causa di questo psicopatico ».
« E se lo dovessimo trovare? » Domandò Arya.
« A quel punto, dovremmo chiamare il 911. È un criminale, Arya. Sta uccidendo delle persone... e la polizia lo sta cercando da mesi ».
« Senza però ottenere dei risultati » concluse Oliver, controllando l'orario dal suo cellulare.
« Esattamente » Hazelle sorrise, compiaciuta: « sarà meglio che io adesso vada... il nostro giovane Hopkins ha paura che i suoi genitori possano rientrare da un momento all'altro. Che cosa direbbero se ti trovassero in compagnia di una donna come me? »
« Che è un imbecille » rispose Arya, indicandole la porta da cui era precedentemente entrata: « vai ».
« A presto, ragazzacci! » Hazelle se ne andò via così, come se non fosse mai successo niente. Nella classifica delle persone più strane ed irritanti che la giovane Mason avesse mai incontrato, ella si trovava in seconda posizione – al primo posto, ovviamente, vi era la sua defunta madre.
« Tutto okay? » Le domandò Oliver, dandole una leggera pacca sulla schiena.
« Sì, ma penso che dovremmo rimandare il cinema ».
Il ragazzo annuì, comprensivo: « tranquilla, sarà per un'altra volta! »
Trascorsero qualche altro momento insieme, seduti l'uno di fronte all'altra sul tappeto del salotto: era proprio lì che quando erano piccoli giocavano con le macchinine da collezione del padre di Oliver, facendo sempre infuriare quest'ultimo. Da allora sembrava passata un'eternità.
« Dai, adesso torno a casa! Vado a vedere se mia zia ha perdonato Frank per la storia del matrimonio ».
« Matrimonio? » Ripeté Oliver, sorpreso.
« Ti spiego tutto per messaggi ».
Arya tornò a casa, ancora stordita dalla vicenda riguardante il Cacciatore. Salì le scale senza badare troppo al Signor Cavaliere – intento ad odorarle una scarpa – e tornò nella sua cameretta, più stanca di quanto non lo fosse stata già prima. Il suo cellulare segnava le undici e mezza: aveva del tempo per mettersi a riposare.
Non appena si fu svegliata, però, notò qualcosa di diverso. La porta della sua cameretta era spalancata e sulla scrivania vi era un qualcosa che non aveva mai visto prima. Era una busta-regalo rossa come il fuoco, o meglio, come il sangue. Arya si alzò in fretta. Aveva dormito più di due ore. Esaminò per bene la busta, poi decise di aprirla.
« Oh, mio Dio » disse in sussurro.
Era una casa delle bambole, con quattro pupazzi all'interno: uno di questi presentava dei fili rossi attaccati a quella che doveva essere la testa. Arya sentì un ennesimo brivido percorrerle la schiena. C'era un biglietto che prima non aveva notato. Lo aprì, le mani tremanti.
Il regalo perfetto per me? Il tuo cadavere. Buone feste, Arya, e a presto!”
Il foglio scivolò a terra.
Il gioco era iniziato.



Angolo dell'autore:

Salve a tutti!!
Spero vivamente che questo decimo capitolo vi sia piaciuto! (Lasciate una recensione, fatemi sapere cosa ne pensate u.u)
La storia sta entrando nel vivo dell'azione, anche perché ci stiamo avvicinando alla fine di questa prima parte. A proposito... chi credete che possa essere il Cacciatore?? ...La risposta vi verrà data tra quattro o cinque capitoli! Ahahahah!
Ringrazio tutti gli utenti che hanno inserito "Rozendhel" nelle seguite, ricordate, etc. E un ringraziamento speciale va a IlVeroUomo, King_Peter e Gennai86 che recensiscono ogni capitolo, sempre! Grazie mille u.u
Okay, adesso vi saluto! Al prossimo capitolo!!


_Charlie_

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11: La notte più buia ***


CAPITOLO 11:

 

La notte più buia

 

 

« Hai un aspetto orribile! »
« Grazie ».

« Quand'è stata l'ultima volta che hai dormito? »
« Non lo ricordo ».
Sebbene fosse trascorso del tempo da quell'infausta domenica, Arya non riusciva ancora ad attenuare la paura che serpeggiava nel suo animo: la faccenda riguardante il Cacciatore l'aveva resa tutt'altra persona – diffidente e, a tratti, bisbetica. Hazelle aveva dato inizio alle indagini, senza però ottenere grandi esiti. La rosa dei sospettati includeva pochissimi individui – tra cui un anziano che Beckah aveva visto uscire da un sexy shop – e non sembrava dar loro molta attendibilità. Oliver, nel frattempo, cercava di tranquillizzare la sua migliore amica ponendole un quesito più che interessante: se l'intento del Cacciatore era davvero quello di ucciderla, per quale motivo non l'aveva fatto subito? Un'occasione simile non gli sarebbe mai più capitata! Quante altre volte, infatti, avrebbe potuto metter piede nella sua cameretta e, con altrettanta facilità, guardarla dormire? Nessuno all'interno della Congrega era in grado di dargli una risposta soddisfacente, o quantomeno sensata. A peggiorare ancor di più la situazione vi era un altro elemento: la fine delle vacanze natalizie. Come la maggior parte degli studenti, Arya avrebbe fatto volentieri a meno del ritorno a scuola: nessun docente, lì dentro, avrebbe potuto darle la stessa sicurezza che percepiva abitando vicino ad una delle streghe più longeve della storia.
« Ti va un caffè? » Le chiese Oliver.
« Ne bevo troppi ultimamente » ammise lei: « ma accetto volentieri una tisana ».
Quel giorno i due ragazzi avevano passeggiato a lungo per le strade della cittadina: adesso, stanchi e infreddoliti, avevano preso la decisione di rifugiarsi nella tavola-calda degli Hart. Dietro al bancone si trovava Walton – il padre di Darren – mentre accanto ad un tavolo circolare vi era la figura di una donna che Arya non aveva mai visto prima. Immaginò dovesse trattarsi della sua futura suocera. Sorrise. Ella aveva i capelli lunghi, di un castano chiarissimo, il naso all'insù ed un paio di occhi color ambra. Osservandola per bene, la ragazza si rese conto che era molto più bassa di suo marito e suo figlio. Rotondetta e dal viso gentile, appariva proprio come una signora umile ed affabile.
« Salve! » Oliver si avvicinò al bancone, liberandosi del suo fedele giacchetto di pelle di coccodrillo. « Vorremmo ordinare un caffè al ginseng e una tisana ».
Walton segnò il tutto su un taccuino, poi volse lo sguardo in direzione di Arya: « ehi, ma io ti conosco! »
La ragazza annuì: « sì, ci siamo visti qualche giorno fa ».
« Tutto bene? Hai trascorso delle buone vacanze? » L'uomo sorrise con aria stanca.
« Sì, e lei? »
« Be', » cominciò lui: « non proprio. Voi siete amici di Darren, giusto? »
Con la coda dell'occhio, Arya vide Oliver annuire scettico. « Sì, esatto! Come mai ce lo chiede? È successo qualcosa? »
Walton non rispose immediatamente: lanciò un'occhiata a sua moglie – la quale rispose inarcando le sopracciglia e avvicinandosi, un taccuino le sporgeva dalla tasca del grembiule. « Cosa succede? » Esordì lei, la voce acuta.
« Cara, questi due ragazzi sono amici di Darren! » Walton indicò Arya ed Oliver, aspettando che fossero loro a presentarsi.
« Io sono Arya » la ragazza sorrise: « lui invece è Oliver ».
« Piacere di conoscervi! Io mi chiamo Abbey, sono la madre di Darren ». Anche Abbey, come suo marito, aveva il volto contornato dalla stanchezza. Dietro a tutti quei sorrisi gentili vi erano le figure di due genitori distrutti. Arya, in quel momento, cominciò a preoccuparsi e a chiedersi che fine avesse fatto Darren.
« Per caso avete notato qualcosa di strano in nostro figlio ultimamente? » Iniziò Walton.
« Non lo vediamo da parecchi giorni » rispose Arya.
« Ah, ho capito » Abbey strinse le labbra, amareggiata: « nostro figlio è cambiato... non è più il solito ragazzo cordiale e pieno di vita che era qualche mese fa. Non sappiamo cosa gli sia successo. Forse, ha avuto un battibecco con Kyron? O magari con una ragazza? »
Arya inarcò la fronte, offesa: « non penso ».
« Oh, d'accordo » disse Walton, avvicinandosi alla macchinetta del caffè: « ginseng, giusto? »
Oliver annuì e, quando gli fu consegnata la tazzina bollente, ringraziò cordiale.
« Dov'è adesso? » Riprese Arya, lo sguardo concentrato su Abbey.
« Abbiamo una seconda casa vicino al lago » disse quest'ultima: « è una settimana che si trova lì, da solo ».
« Non parla più, mangia pochissimo... non è che potreste andarlo a trovare uno di questi giorni? »
« Siamo molto preoccupati, ragazzi » incalzò Abbey.
Arya lanciò un'ennesima occhiata ad Oliver, il quale rispose con un'alzata di spalle. « Il lago si trova a qualche chilometro di distanza dalla casa dei Lloyd, dovremmo tornare da me e prendere la macchina ».
« Dai, Oliver » sussurrò Arya, ricevendo tra le mani la tazza fumante.
« D'accordo » il ragazzo inspirò profondamente: « se partissimo adesso, arriveremmo tra... un'oretta, forse ».
« Ma si sta facendo buio, ragazzi! Forse è meglio andare domani! »
« Potrebbe essere pericoloso! » Aggiunse la signora Hart.
« No, tranquilli! » Insistette Arya, decisa: il suo sesto senso le suggeriva di non rimandare.
« Allora, aspettate un momento » Walton si avvicinò alla cassa: « vi paghiamo la benzina! »
« No, assolutamente! Non possiamo accettare! »
Persero qualche prezioso momento nel convincere i genitori di Darren a non pagar loro la benzina, poi Arya ed Oliver uscirono dalla tavola-calda indirizzandosi verso la villetta di quest'ultimo. Tutt'altra storia fu quella di spiegare la situazione ai signori Hopkins: entrambi non volevano che il loro unico figlio uscisse di sera, con l'automobile, diretto al lago. Arya aspettò fuori, seduta sul marciapiede della strada, la mente confusa. Per quale motivo Darren aveva iniziato a comportarsi così? Quale poteva essere l'origine dei suoi problemi? Il sole era già sparito oltre le montagne quando Oliver uscì di casa, sbattendosi la porta alle spalle. Strette nel pugno della mano destra aveva le chiavi della sua vecchia Cadillac.
« Cos'è successo? » Gli domandò Arya, allacciandosi la cintura di sicurezza.
« Niente » sbuffò lui: « mi hanno messo in punizione... poverini, credono ancora che io li ascolti! »
A differenza delle altre volte, il ragazzo non inserì alcun cd all'interno dello stereo. Rimasero in silenzio per lunghi istanti, Arya intenta ad osservare il paesaggio fuori dal finestrino – le parole di quel biglietto d'auguri le bruciavano ancora nella testa. Era impossibile dimenticarle.
Proprio come se avesse udito i suoi pensieri, Oliver le chiese: « cosa ne hai fatto di quella casa delle bambole? »
« L'ho buttata nel cassonetto » rispose lei, secca.
« Sei ancora convinta di non inserire Frank nella lista dei sospettati? »
« Oliver! » Esclamò Arya: « ne abbiamo già parlato! »
« Dico solo che Frank è un uomo abbastanza silenzioso e, cosa più importante, vive con te! »
« No! Te lo ripeto, Frank non mi farebbe mai del male! »
« Va bene, okay » Oliver diede una leggera botta al volante, infastidito: « cambiamo discorso? »
« Cambiamo discorso! »
Ma trascorsero trenta minuti prima che uno dei due ricominciasse a parlare. Arya si sentiva terribilmente in colpa a vedere Frank come il primo possibile sospettato; non riusciva a concepire l'idea che un uomo del genere, sempre pronto ad aiutare il prossimo, potesse essere uno dei serial killer più famosi nella storia di Rozendhel. Scosse la testa. Non poteva essere lui il Cacciatore, non doveva.
« Hai sentito chi si candida alle elezioni? » La destò Oliver.
« Per diventare il nuovo sindaco, intendi? »
Il ragazzo annuì, scostando gli occhi dalla strada per un secondo: « il padre di Quinn! »
« Che cosa? » Arya rimase a bocca aperta: « vincerà lui! È una delle persone più influenti, lo voteranno tutti. Chi sono gli altri candidati? »
« Un uomo con un buffissimo cognome, Miss-Rozendhel 1996, ed il tipo che cucinava il sushi all'angolo della scuola ».
« Stai scherzando? »
Oliver scosse la testa, scoppiando in una risata così contagiosa che non poté non attrarre anche Arya. I due tornarono a conversare con più serenità, e nel momento in cui sfilarono di fronte alla reggia dei Lloyd si resero conto che mancavano davvero pochi chilometri all'arrivo – le montagne divenivano sempre più enormi e minacciose di fronte al parabrezza dell'automobile. Raggiunto poi il limitare del bosco, Oliver tolse la chiave e invitò Arya a slacciarsi la cintura. La neve si era ormai sciolta, ma quel freddo lancinante era rimasto pressoché lo stesso. Camminarono con le braccia strette attorno al busto, guidati da una mappa che di consueto il giovane Hopkins teneva all'interno del vano portaoggetti. In questo modo non fu difficile raggiungere la casa degli Hart: si trovava a pochissimi passi dal lago e da quella aggressiva schiera di pini che segnava l'inizio dei boschi. La luce della luna piena si rifletteva sulle placide acque del lago, silenziosa e innocente. Arya lanciò un sospiro di sollievo alla vista della casetta in legno: le luci erano accese e dal caminetto uscivano sbuffi di fumo grigio. Darren doveva essere per forza lì. Bussarono alla porta, sfiorando un'ingente ghirlanda natalizia appesa ad un chiodo.
« Speriamo stia bene! » Sussurrò la ragazza, notando il ritardo impiegato ad aprire.
« Io entrerei » disse Oliver, la mano protesa verso il pomello: « vieni con me? »
« Ma non è una sorta di violazione di domicilio? »
« Poche storie, vieni! »
Il salotto si mostrava abbastanza ampio ed elegantemente arredato: di fronte al televisore erano posizionate due poltrone in soffice pelle bianca, il basso tavolino da tè stile Barocco si trovava invece su di un delicato tappeto color beige. Appeso al soffitto brillava un prezioso lampadario intarsiato di cristalli, mentre dal caminetto proveniva di tanto in tanto il crepitio del fuoco. Arya inarcò la fronte, chiedendosi quanto potesse essere ricca la famiglia Hart.
« Forse è al piano superiore? » Le domandò Oliver.
« Non lo so! » Arya si avvicinò alle finestre, scostando le tende gialle: « o, magari, è uscito ».
« Perché dici così? » Il ragazzo si tolse nuovamente il giacchetto; se fuori facevano tre gradi, lì era piena estate.
« No, niente » Arya scosse la testa: « mi era parso di vedere qualcosa ».
« Cioè? » La esortò Oliver: « forse avremmo dovuto ascoltare davvero i genitori di Darren, e venire qui domattina. È tutto troppo inquietante! » Chiamarono Darren a gran voce, senza però ottenere risposta. Iniziarono allora ad ispezionare l'intera villetta. La cucina era in disordine, il tavolo da pranzo per esempio si trovava a terra. Arya si avvicinò ai fornelli prestando la massima attenzione: vicino alla macchinetta del caffè era possibile notare un pentolino di ceramica, con particolari erbe all'interno. La ragazza alzò il coperchio trasparente e, non appena ne ebbe visto il contenuto, lo lasciò cadere a terra – accompagnando il tutto con un grido agghiacciante. « Cos'è successo? » Oliver arrivò in fretta, spaventato. Arya non disse una parola e, con l'indice della mano sinistra, fece segno di osservare.
« Aconito? »
« Oliver, pensi si sia ucciso? » Domandò la ragazza, gli occhi fissi su quei due rametti all'apparenza inoffensivi. « Chiamiamo qualcuno! La polizia, magari!»
« Sul serio? »
« Assolutamente sì! Potrebbe essergli successo qualcos... » ma la ragazza non riuscì a terminare la frase. Un rumore fin troppo vicino la fece rabbrividire. Oliver sgranò gli occhi, pallido quanto un cadavere. Nessuno dei due emise più un suono. Si erano trasformati in statue di cera.
« Diamine, non c'è campo » bisbigliò Oliver, ricacciando il telefono in tasca. « A te prende? »
Arya scosse la testa, facendo segno di uscire dalla villetta. Azzardarono qualche passo, giusto per tornare in soggiorno. Sembrava essere tornata la calma.
« Io credo che Darren sia morto ».
« Oliver! » Lo rimproverò Arya: « cosa cavolo ti viene in mente? »
« Ti faccio presente una cosa » egli continuò: « una bestia sta uccidendo parecchie persone che abitano vicino al bosco ».
« Lo so, ne sono al corrente! Ma questo non è il caso di Darren! »
Si sbrigarono ad uscire fuori, evitando di produrre qualsiasi tipo di rumore superfluo. L'idea di raggiungere l'automobile era terrificante: il buio divorava ogni cosa.
« E se non dovessimo mai più tornare a casa? » esordì Oliver, all'improvviso.
« Finiremmo al telegiornale e tutti direbbero che eravamo brave persone » concluse Arya.
Si trovavano ancora nella veranda, immobili di fronte a quell'oceano di oscurità.
« Sappi che ti ho voluto bene ».
« Anch'io! »
Il vento si alzò. Il bosco ruggì ancora una volta. Arya afferrò la mano di Oliver.
« Così però mi fai male! » Disse lui, sorridendo.
« Oh, scusami » la ragazza si scansò di colpo, imbarazzata: « adesso abbiamo la conferma che quella famosa creatura è qui. Forse sa anche dove siamo ».
« Vogliamo tornare dentro? O proviamo a raggiungere la macchina? »
Arya si morse il labbro inferiore, pensierosa: « tu che dici? »
« Io me ne andrei subito ».
« E cosa potremmo dire ai signori Hart? »
« La verità, Arya! »

Abbandonarono la veranda ed iniziarono a nuotare nelle tenebre. Gli occhi di entrambi andavano da destra verso sinistra, da sopra a sotto, da davanti a dietro. Arya aveva il cuore che le martellava nel petto; più volte pensò di correre, urlare, o semplicemente accasciarsi vicino ad un cespuglio e fingersi morta. In questo modo, forse, avrebbe potuto superare la notte. Secondo il suo punto di vista, difatti, stavano procedendo troppo lentamente. Cercò di farlo notare ad Oliver, ma ogniqualvolta che tentava di parlargli lui la zittiva e le faceva segno con la mano di cucirsi la bocca. La ragazza iniziò a credere che il suo amico fosse un tantino più spaventato di lei. Continuarono a camminare, lottando contro l'istinto di battere i denti per via del freddo eccessivo. Era di vitale importanza non provocare alcun tipo di rumore. O suono. Ma adesso erano gli unici a cui questo importasse. Alle loro spalle, all'interno del bosco, infatti, sembrava che qualcuno non ci stesse badando. I rami sparsi al suolo scoppiettavano, i denti stridevano, le zampe tuonavano...
« Hai sentito? » Sussurrò Oliver.

Arya annuì – osava a malapena respirare.
Rimasero in silenzio, saldi e duri come il granito.
Il bosco tremò.
Qualcuno o qualcosa stava per uscire allo scoperto.
La ragazza si voltò in direzione del lago, cercando una possibile via di fuga: le uniche possibilità erano i pini neri come la pece, l'acqua ghiacciata, e la villetta degli Hart ormai troppo distante.
« Arya » si sentì chiamare: « voltati... lentamente... »
Ma il consiglio del giovane Hopkins fu del tutto ignorato; Arya ruotò su se stessa con uno scatto improvviso. Un movimento che avrebbe fatto bene a non compiere. Eclissata dall'oscurità della notte e dalle ombre minacciose del bosco, la creatura prese a fissarli con quel suo paio di grandi occhi rossi. Era immensa, dal pelo scuro e dagli artigli affilati quanto la lama di una spada. Digrignava i denti, provocando uno dei rumori più agghiaccianti che Arya avesse mai udito.
« Lo vedi anche tu? » Le chiese Oliver.
« Sì, ma non capisco cosa possa essere ».
Somigliava difatti ad un orso, ma era decisamente più imponente. Il suo muso aveva le caratteristiche di quello di un lupo, ma era tremendamente più feroce.
« È un lupo mannaro, Arya ».
La ragazza alzò un sopracciglio, scettica: « non penso possano esistere dei lupi mannari, Oliver! »
Ma il discorso non poté andare avanti: la creatura lanciò un ennesimo ruggito che fece vibrare persino il terreno. Si stava preparando ad attaccare.
« Fa' qualcosa! » Urlò Oliver.
« D'accordo! » Arya indirizzò le mani verso il bosco e gridò a sua volta: « Fragor! »
L'incantesimo scoppiò, arrestando la bestia per pochi secondi. Con il cuore in gola, Arya ed Oliver iniziarono a correre. « Da quella parte, forza! »
Ma la creatura inarcò la schiena, dandosi uno slancio che le permise di precipitare dinanzi ai loro occhi.
« Fragor! »
L'esplosione non diede l'effetto sperato, ed immediatamente Arya venne schiantata contro il tronco di un albero.
« ARYA! » Urlò qualcuno in lontananza; una persona che riusciva a malapena a riconoscere. Si tenne la testa con la mano sinistra e tentò di rimettersi in piedi. Il paesaggio girava, senza darle mai sosta.
« ARYA, VIENI QUI! »
La ragazza si tastò gli arti inferiori – quando ritirò le mani, esse le si mostrarono scarlatte.
Un nuovo ruggito e l'urlo di Oliver la destarono da quel suo improvviso stato di confusione. Reggendosi ad un tronco, tentò di scatenare una folata di vento. Tutto inutile. L'animale si era alzato sulle zampe posteriori: adesso, era quattro volte la statura di Oliver. Nel vedere il suo amico in procinto di raggiungere il confine del bosco, Arya urlò: « no, Oliver! Non entrare lì dentro! »
Ma il ragazzo sembrò non aver recepito le sue parole e sparì dietro a dei cespugli. La bestia rimase ferma per pochi istanti, fiutando l'aria con sguardo umano. Un rapido scatto e partì alla ricerca di Oliver. Arya bestemmiò. « Lo ucciderà ». Inspirò profondamente e si tuffò in quell'oceano di tenebre. Il bosco era un labirinto di pini. Era gelido, buio, minaccioso e, cosa ancor più tremenda, odorava di morte. Il suolo si presentava coperto da un ispido tappeto di aghi, e se non fosse stato per la luce intensa della luna piena la giovane sarebbe di certo andata a sbattere contro qualsiasi pianta o rovo. Non le dava tregua nemmeno il freddo pungente o gli orribili suoni che si alzavano all'unisono dalla vegetazione vicina. Si sentiva in trappola, accompagnata dalla stessa sensazione di panico che un claustrofobico potrebbe provare in un ascensore bloccato. L'urlo di Oliver le provocò un lungo brivido alla schiena. « OLIVER! » Ricominciò a correre – la paura stava prendendo il sopravvento. « DOVE SEI? OLIVER? » Si gettò contro un rovo di spine, lanciò delle grida di dolore, ed infine si lasciò cadere a terra. Quando riaprì gli occhi si accorse di essere giunta in una radura. La terra le si presentava ruvida al tatto, freddissima. Attorno a lei non vi era assolutamente nulla. O quasi. A qualche metro di distanza, riuscì a scorgere la figura di Oliver. Steso a terra ed immobile. « Oliver? » Arya strisciò sugli aghi, poi si mise carponi. Alzarsi era ormai divenuta un'impresa. « Oliver, svegliati ». Gli tastò una spalla, rendendosi conto che fosse incosciente. Aveva i jeans strappati, il volto sporco di terra con il labbro spaccato e la gota sinistra insanguinata. « Svegliati, ti prego » sussurrò Arya, poggiandogli la testa sulle sue gambe doloranti. « Svegliati, dai ». Ripeté queste frasi per una decina di minuti. Le lacrime avevano iniziato a rigarle il viso. Si sentiva affranta e terribilmente in colpa. Doveva uccidere quella creatura. Doveva ucciderla subito.
« Sei tornato » Arya abbassò gli occhi, udendo il crepitio leggero delle foglie secche. « Hai fatto bene. Ti stavo cercando ».
La bestia ruggì – nella radura, appariva ancora più massiccia. I suoi occhi brillavano di un rosso incandescente, la sua coda invece era lunga e folta – come d'altronde tutto il resto del suo pelo castano. Con tanta fatica, Arya si mise in piedi e prese a fissarla. Il cuore le martellava nel petto, ma questa volta riuscì ad imporsi la calma. Alzò le mani e scatenò una forte tempesta di vento – non sembrava fosse tanto efficace. Un gesto con le dita ed il rumore di un'esplosione. Niente. I pugni stretti, l'intenzione di uccidere. Fatica sprecata. Era troppo stanca per affrontare un mostro simile. « Non ce la faccio più » disse a se stessa, mentre il nemico si avvicinava digrignando i denti.
« Defendo! »
La barriera invisibile evitò che la strega venisse squarciata in due. L'incantesimo fortunatamente aveva deciso di funzionare, estraendole però tutte le forze residue.
Il mostro ringhiò ancora, le zanne pronte ad attaccare.
Arya mise le braccia di fronte al suo volto e chiuse gli occhi.
L'ultimo pensiero dedicato ad Oliver.
Alla sua famiglia.
Silenzio.
Rimase in quella posizione per l'eternità.
O, almeno, fu quello che credette.
Si azzardò a riaprire un occhio. La figura di un ragazzo alto e snello, con i capelli dorati e lo sguardo ammaliante, si era interposta tra lei e la bestia. Doveva trattarsi di un sogno.
« Nathaniel? »
La creatura precipitò a terra con un tonfo che scatenò un breve terremoto. Lo spettro l'aveva resa inoffensiva.
« Oh, finalmente ti rivedo! » Esclamò Nathaniel, la dentatura perfetta.
« Non ci sto capendo più nulla » Arya si sentì mancare, e subito venne raggiunta dal demone.
« Ma sei ferita? » Esclamò, accorgendosi del sangue sparso ovunque sul suo corpo. « Bisogna che ti riporti a casa » aggiunse alla fine.
« Ma che cavolo dici? » Urlò Arya, l'attenzione rivolta alla Chiave agganciata attorno al collo: « tu non mi porti da nessuna parte! »
« Se vuoi che io ti lasci qui, okay! Per me fa lo stesso ».
« Ma questo non è un sogno, vero? Cioè, tu sei davvero qui? » Gli chiese: « o lo sto soltanto immaginando? Sono morta, vero? »
« Ma quanto puoi essere stupida! » Nathaniel alzò le sopracciglia folte: « i boschi sono la mia seconda casa, signorina, sono state le vostre urla a guidarmi fin qui ».
« Sì, certo » proseguì Arya: « vorresti farmi credere che sei un paladino della giustizia? Vattene a quel paese, e restaci ».
In quell'istante si sentì mugugnare: Oliver si era svegliato.
« Oliver! » La ragazza si precipitò a soccorrerlo: « è tutto a posto? »
« Non proprio » sussurrò il giovane, la voce roca.
« Dai, adesso torniamo a casa! »
« E come pensate di andarvene? Io posso trasportare una sola persona » disse Nathaniel, a braccia conserte e appoggiato al tronco di un albero. « Ma penso di avere un rimedio ».
« Non ci servono i tuoi rimedi! » Gridò Arya.
« A me sì » sillabò Oliver, un sorriso dolorante impresso sul volto.
Nathaniel si avvicinò con cautela, lo sguardo puntato su Arya: « me le hanno vendute delle streghe, puoi stare tranquilla! » Tirò fuori da una tasca del pantalone nero un paio di innocue ciliegie. « Non rimarginano del tutto le ferite, ma sono ottime ».
Oliver ne afferrò subito una e, con grande sorpresa di Arya, si alzò in piedi, guarito ed esultante.
« Non ci sto capendo più nulla » ripeté passandosi una mano tra i capelli.
« Si chiamano Doni della Dea. Provali, dai! » Insistette Nathaniel.
« Ma perché stai facendo tutto questo? Noi siamo rivali! »
« Ho mai detto che siamo rivali? » Lo spettro sorrise, malizioso: « e poi, tu mi piaci. Faccio questo solo per te ».
Arya scosse la testa, infastidita, poi mangiò la ciliegia e si sentì a malincuore rinascere. Come già detto, Nathaniel aveva comprato quei frutti magici in un mercato gestito interamente da streghe europee. Sebbene questo fatto le desse fastidio, la giovane Mason non poté evitare di pensare che se non fosse stato per il suo intervento, lei ed Oliver sarebbero divenuti la cena di un licantropo.
« Che ne facciamo di quella cosa? » Domandò Oliver.
« Dobbiamo ucciderla » tagliò corto Arya: « adesso! »
« Ne sei sicura? » Nathaniel tese le labbra in un sorriso privo di gioia. « Non vorresti aspettare l'alba e scoprire chi è realmente? »
« Oh, è vero! » Esclamò Oliver: « i lupi mannari sono uomini che si trasformano con la luna piena! »
« È comunque un pericolo! Ha ucciso fin troppe persone » Arya gli si avvicinò: « farò in modo che risulti indolore ».
Ma l'alba stava già sorgendo. La trasformazione era imminente.
Le zanne si ritirarono. Il pelo si accorciò. La stazza diminuì.
Il mostro tornò ad essere un umano.
« Oh, mio Dio » sussurrò Oliver, lanciando un'occhiata ad Arya – la quale impallidì improvvisamente.
Steso a terra, nudo ed addormentato, si trovava il figlio di Walton ed Abbey.
Darren Hart.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12: Il peso del mondo ***


CAPITOLO 12:

 

Il peso del mondo

 

 

Arya avrebbe voluto urlare, piangere, prendere a pugni Oliver intento a carezzarle una spalla. Non voleva essere consolata. Nessuno avrebbe mai potuto comprendere il suo dolore. Nessuno si sarebbe mai reso conto di quanto si sentisse traumatizzata, ferita, nervosa, e al contempo fragile come una foglia. Scostò gli occhi da quella figura irriconoscibile, frustando l'aria con i suoi lunghi capelli rossi. Era troppo da sopportare. Le mancava il respiro.
Il giovane Hopkins aiutò Nathaniel a trasportare Darren a casa, o meglio, nella villa prossima al lago. Lo lasciarono nella cameretta al piano superiore – tra le calde lenzuola di un letto a baldacchino – mentre Arya, in piedi sulla veranda, tentava di ricomporsi – raccogliendo da terra ogni singolo frammento della sua persona.

« È tutto a posto? » Le domandò Oliver qualche minuto più tardi.
« Non proprio » rispose lei, neutrale.
« Ne vuoi parlare almeno? »
« No ».
« Sicura? »
« Sì, ho detto che... » ma non riuscì a terminare. Oliver la strinse in un abbraccio che sapeva di sangue, terra e rifugio. Lui sapeva sempre come aiutarla, come sollevarla ogni volta che precipitava al suolo. La comprendeva eccome, e Arya dovette ammetterlo a se stessa: era la cosa più bella che le fosse mai capitata. Fu in quel momento che lasciò evadere le sue emozioni, il suo peso incorporeo, e con il volto rigato dalle lacrime sussurrò un impercettibile grazie. Adesso si sentiva in colpa anche verso di lui: se non fosse stato per la Congrega, per i demoni, e per la Chiave, a quest'ora avrebbero potuto trascorrere un'adolescenza più serena, lontana da qualsiasi tipo di afflizione. Distante però dalla verità. Oliver le prese il volto tra le mani, e le diede un leggero bacio sulla fronte. Arya arrossì. Cosa le stava accadendo?
« Non ti sentire in colpa con nessuno » esordì il giovane, proprio come se le avesse letto la mente: « entro un attimo in casa... se ti serve qualcosa, chiamami pure ».
Arya annuì, gli occhi concentrati sulle punte del suo consunto paio di scarpe nere. Si reputava una stupida bambina, superficialmente ammaliata da qualsiasi ragazzo le desse attenzioni. Scosse la testa e riprese ad osservare gli elementi della natura. Le acque del lago si mostravano limpide, le montagne dipinte di bianco, la chioma dei pini verdissima e scossa impercettibilmente dal vento gelido della mattina. Arya era sicura che a Frank e a sua zia sarebbe piaciuto molto quel luogo; entrambi, infatti, nel corso delle vacanze estive, erano soliti intraprendere gite nei campi o improvvisare picnic sulle rive del lago. Quello spiazzo di natura, dunque, li avrebbe di certo stregati. « Cavolo! » Esclamò Arya, le mani alla testa. La sera precedente non aveva chiamato nessuno dei due. Subito ripescò dalla tasca il suo cellulare, componendo in fretta il numero della zia. Nessuno squillo. In quella casa era impossibile mettersi in contatto con il mondo esterno.
« Ma tu sei sempre così agitata? »
« E tu quando sei arrivato? »
Nathaniel sorrise: con la luce del sole appariva molto più pallido di quanto già non fosse di notte. « Arrivo quando la gente meno se lo aspetta ».
« Ho notato » rispose Arya, acida. « Tu sapevi tutto, vero? È per questo motivo che lo avevi definito “maledetto” ».
« Io so davvero molte cose » lo spettro si appoggiò allo stipite della porta d'ingresso. « Mi dispiace per il tuo ragazzo, comunque ».
« Non è il mio ragazzo ».
« Sì, certo ».
Arya si lasciò cadere a terra, priva di ogni forza: « poco fa volevo ammazzarlo, ti rendi conto? »
« Volevi ammazzare il mostro che è in lui » Nathaniel le scompigliò i capelli: « è diverso ».
« È come se mi fosse caduto il mondo addosso. Me ne stanno capitando troppe ultimamente ».
« In effetti, non hai tutti i torti... però non ti dovresti abbattere, signorina Mason » lo spettro fece per rientrare: « siamo solo all'inizio della storia, chissà quante altre cose il futuro ha in serbo per te ».
« Ah, già! Tu sei un portavoce del futuro » Arya sorrise: « anticipami qualcosa di bello ».
« Be', » iniziò Nathaniel: « faremo tanto sesso e avremo sette bellissimi figli ».
Arya arricciò le labbra, un sopracciglio alzato: « ti avevo chiesto qualcosa di bello, non una bruttissima fandonia ».
Lo spettro si lasciò scappare una breve risata: « non ho proprio nessuna possibilità? »
« Nessuna, arrenditi ».
Per un istante, l'unico suono percepibile fu il canto degli uccellini: era così strano non ritrovarsi nella caoticità di Rozendhel. Quel paesaggio dava loro l'impressione di essere finiti in un documentario che la zia Sarah era solita guardare la domenica pomeriggio, sbracata sul divano con una ciotola di patatine tra le braccia. Arya sorrise, tornando allo spettro: « ma tu quanti anni hai? »
« Perché vuoi saperlo? » Nathaniel si fece improvvisamente serio.
« Così! » Arya alzò le spalle: « semplice curiosità ».
Calò un silenzio quasi perfetto. L'allegro guizzare dei pesci si mescolò al crescente canto del bosco. Sembrava fosse arrivata una gelida primavera. Arya percepì il freddo penetrarle persino nelle ossa. Era giusto il tepore dei raggi solari a donarle un pizzico di sollievo, accarezzandole il volto e asciugandole le lacrime. « Allora? »
« Che cosa? » Sbottò Nathaniel.
« Quanti anni hai? »
« Ne ho tanti » sentenziò lui, alla fine: « ho smesso di contarli nel momento stesso in cui sono morto. Avevo venticinque anni quando mi uccisero ».
« Quindi prima eri un umano? » Chiese Arya, osservando attentamente la sua espressione contratta.
« Ti sorprende tanto questa cosa? »
« No, per niente » proseguì, alzandosi in piedi: « non capisco per quale motivo tu sia finito in quella Dimensione. Sei diverso dagli altri demoni ».
« Voglio essere diverso dagli altri demoni » mormorò Nathaniel, come se volesse nascondere a se stesso quelle parole.
« Cosa ti è capitato, Nathaniel? » Arya si rese conto di aver pronunciato quel nome con troppa benevolenza. Un assassino non meritava nulla; né di essere compreso, né di essere amato. Per quale motivo, quindi, si trovava ancora nella villetta degli Hart? Lo spettro non era l'unico per cui valesse quel discorso. Arya sospirò.
« Mi hanno sparato, contenta? » La voce di Nathaniel crebbe d'intensità: « nel diciottesimo secolo, poco prima della Guerra e dello Scisma delle Streghe ».
Arya non capì immediatamente: il pensiero che aveva avuto sul fatto che Darren si fosse rivelato l'omicida più temuto dei boschi le aveva svuotato la mente di qualsiasi altra cosa. « Mi dispiace » disse alla fine, pentendosi. Adesso non voleva più andare avanti con quel discorso.
« Mi hanno buttato in quella Dimensione senza alcun tipo di processo » ricordò Nathaniel: « odio gli elfi, e odio le streghe ».
« La Dimensione è un posto orribile, non è vero? » Chiese Arya, incerta.
« Il peggiore che possa esistere » lo spettro prese a calciare la polvere presente sul pavimento chiaro della veranda: « lì dentro regna la confusione... il vento soffia fortissimo, ed è implacabile. La Dimensione è dominata da sfumature di nero, non si riesce a vedere niente. È come ritrovarsi in un viale lunghissimo, senza avere destinazione. Io non voglio più metterci piede ».
La ragazza rimase immobile, esterrefatta. Non voleva provare pietà per Nathaniel, o per qualunque altro demone fosse stato rinchiuso nella Dimensione, ma in questo momento non riusciva a fare altro. Nella sua mente confusa volteggiava una domanda, come se scritta su di un foglietto stropicciato: Hazelle era a conoscenza di tutti quei particolari? Probabilmente no. Nathaniel l'aveva resa la prima strega a cui avessero mai descritto la Dimensione. E questo non le andava perfettamente a genio. A riscuoterla dalle sue riflessioni fu l'apparizione di Oliver. Arya inarcò la fronte, sorpresa: « che succede? »
« Darren si è svegliato! »
« Come, scusa? » Le iniziò a mancare il respiro: non voleva affrontare una conversazione anche con un lupo mannaro.
« Gli ho detto che stavi salendo, non farlo aspettare! » Esclamò Oliver.
Arya si passò una mano tra i capelli, nervosa, poi lanciò un'occhiata a Nathaniel e disse: « ho ancora tante domande da farti ».
« Non credo che questo sia più il momento adatto ».
« Nathaniel, come si spiega la storia dei Portali? I creatori della Dimensione erano gli unici a poterla aprire » sbottò lei, minacciosa.
« Sapevo che me lo avresti chiesto » lo spettro sorrise, le braccia annodate dinanzi al petto: « ma purtroppo non sono a conoscenza della risposta ».
« Stai mentendo! Avevi detto di sapere moltissime cose! »
« Moltissime » Nathaniel le diede le spalle, si stava preparando ad andarsene: « non tutte ».
Una folata di vento ed un sibilo accompagnarono la sua uscita di scena. Arya rimase a guardare nella direzione in cui pochissimi istanti prima si trovava il suo volto. Presto o tardi, si sarebbe rifatto vivo.
Con un piede nel salotto e uno ancora nella veranda, percepì una strana sensazione di caldo mista al gelo. Era in procinto di salire le scale quando fu sorpresa da un altro attacco di panico: perché non aveva il coraggio di mollare tutto e tornarsene a casa? Oliver le mandò una voce a cui lei non rispose. Inspirò profondamente e continuò sui gradini di legno. Il piano superiore si apriva su di un corridoio, percorso da un lungo tappeto rosso fuoco. Arya sbirciò in tutte e tre le stanze presenti prima di trovare quella giusta. Darren era sdraiato su un letto a baldacchino, le lenzuola lo coprivano fino ai pettorali scolpiti. La ragazza arrossì e si fece avanti. « Ehilà ».
« Ehi, ciao » Darren assunse una posizione composta, accennando un sorriso: « come stai? »
« Normale » Arya fece spallucce: « piuttosto, tu come stai? »
« Normale » ripeté lui: « mi dispiace per tutto... Oliver mi ha raccontato a grandi linee cos'è successo la scorsa notte ».
Silenzio. I due giovani persero qualche istante ad esaminare scrupolosamente la moquette.
« Da quanto tempo lo sapevi? Quante volte ti è capitato? » Tagliò corto Arya.
« La prima trasformazione è avvenuta qualche giorno dopo la festa di Quinn... avevo appena finito il turno di notte, ero per strada, completamente solo... la testa aveva iniziato a girarmi, mi sono dovuto riparare in un vicoletto. Le mie unghie crescevano, il dolore aumentava... è bruttissimo. Non credo che potrò mai abituarmi ad una cosa simile » Darren continuò, il capo chino: « il giorno seguente mi sono risvegliato nel bosco, nudo. Non ricordavo niente di niente! Mi sono riparato qui e sono venuto a conoscenza della strage... la prima persona che ho ucciso si chiamava Hester. Mi sono sentito un assassino! Non ragionavo più, stavo avendo un crollo! Ho letto qualcosa su internet, ma non ho avuto grandi risposte ».
« Cosa volevi fare con l'aconito? » Lo interruppe Arya, le braccia conserte.
« Internet, appunto! Credevo che rallentasse la trasformazione, e invece mi ha avvelenato rendendomi ancora più rabbioso » il ragazzo provò a guardarla negli occhi, ma sembrava non ci riuscisse. « Queste cose non ti colpiscono più di tanto, vero? »
Arya inarcò la fronte, incerta.
« I lupi mannari non possono essere incantati ».
« Cosa intendi... ah, credo di aver capito » la ragazza sospirò: « ricordi tutto, non è vero? Del primo scontro che abbiamo avuto con Nathaniel nel cortile dei Lloyd? Sai tutto su di me ».
« Sei una strega » sussurrò Darren, serio.
« Sì, io sono una strega » Arya si avvicinò al letto a baldacchino: « e tu sei un licantropo ».
« Oliver? »
« Fortunatamente lui è ancora un umano ».
« Ancora? » Ripeté Darren, aggrottando le sopracciglia.
« Non si può mai sapere cos'altro accadrà, non trovi? » Arya sorrise amaramente: « i tuoi genitori pensavano che avessi un problema con una ragazza... chissà che faccia faranno quando sapranno la verità ».
« Vuoi dir loro la verità? » Darren rimase a bocca aperta, preoccupato.
« Era uno scherzo! » Arya si avvicinò alla porta. Il discorso, bene o male, lo aveva affrontato; adesso poteva anche tornarsene in salotto, e riposare un po'.
« Aspetta! » Il ragazzo la afferrò per un polso: « stai scappando? Hai paura di me? »
« No, Darren » Arya cercò di moderare i suoi pensieri e le sue parole: « è solo che... consapevole o meno, hai ucciso delle persone. Sei diventato un demone, ed io ho il compito di uccidere i demoni. È complicato! Non credo che potremmo vederci ancora ».
Il giovane cameriere rimase in silenzio, la mano lasciò la presa. Sembrava fosse stato colpito da un centinaio di frecce incandescenti. Arya avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma dalla sua bocca non uscirono altre parole. Era giusto così? , pensò, sicuramente.
« So che non dovrei chiedertelo » Darren la arrestò ancora un momento sul ciglio della porta: « ma mi potresti aiutare? Solo la prossima notte di luna piena, per favore... io non voglio essere un assassino... non voglio che tu mi consideri un mostro. Io tengo moltissimo a te ».
Ad Arya mancò un battito: quelle parole le provocarono altra confusione. Avrebbe dovuto accettare, o avrebbe dovuto ignorarlo? La sua mente andò in tilt. « Mi fa piacere sentirti dire questo... ci proveremo insieme ». Sul viso di Darren apparì il suo solito sorriso impacciato. Arya scostò immediatamente il volto e chiuse la porta con delicatezza. Scese al piano inferiore e si accomodò su una poltrona, crollando nel sonno. Oliver la svegliò qualche ora più tardi. Era giunto il momento di tornare a Rozendhel.

 

 

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13: Il sindaco di Rozendhel ***


CAPITOLO 13:

 

Il sindaco di Rozendhel

 

 

I giornalisti della tv locale non facevano altro che ripeterlo: Cameron Lloyd era divenuto il nuovo sindaco di Rozendhel. Per i cittadini, tuttavia, quella non fu una notizia sconvolgente; era da tempo, infatti, che se ne parlava. Tutti erano ormai consapevoli del fatto che a vincere le elezioni sarebbe stato lui – l'uomo più influente e ricco della zona. Per festeggiare l'evento, i Lloyd decisero di fare le cose in grande, aprendo i cancelli della reggia a chiunque avrebbe voluto porger loro un dono, un omaggio, o un semplice saluto. Quel sabato mattina, dunque, Sarah Mason si era lanciata giù dal letto alle prime luci dell'aurora, presentandosi più nervosa del solito. Aveva perso due ore intere a far sì che il suo volto dimostrasse dieci anni di meno, e altri trenta minuti solo per decidere il vestito adatto da indossare. Ora si trovava al piano inferiore della villetta, ansiosa e agitata. Se il suo compagno e sua nipote non si fossero sbrigati a scendere, avrebbe preso la rivoltella all'interno del suo comodino e avrebbe commesso una strage. « Arya, muoviti! Stiamo già in ritardo! »
« Arrivo! » Esclamò la ragazza dalla sua cameretta. La sera precedente, la zia l'aveva minacciata più volte di truccarsi con parsimonia, di indossare un abito bianco ed elegante, e di evitare i suoi classici anfibi rovinati. Dopo un'infantile protesta e un'inutile lite, Arya aveva deciso di accettare. Si diede un'ultima occhiata allo specchio: il vestito di pizzo che le aveva prestato Beckah le calzava alla perfezione, e quel paio di scarpe che le era stato regalato a Natale la rendeva più alta di soli due centimetri. I lunghi capelli rossi le ricadevano leggiadri sul petto poco pronunciato, mentre quel leggero tocco di nero – impiegato sulle ciglia – aveva fatto sì che il colore verdissimo dei suoi occhi risaltasse ancor di più. Inspirò profondamente. La figura all'interno dello specchio le ricambiò l'espressione infelice. Come avrebbero potuto riconoscerla gli altri? Nemmeno lei riusciva più a farlo! Nel corso degli anni aveva sviluppato un certo ribrezzo verso gli abiti bianchi, e adesso si trovava proprio all'interno di uno di questi. Sbuffò ancora una volta e all'ennesimo urlo della zia dovette armarsi di coraggio e scendere le scale.

« Ce l'hai fatta finalmente! »
« Dov'è Frank? » Chiese Arya, ignorandola.
« È andato a mettere in moto la macchina » rispose Sarah: indossava un lungo abito celeste, ornato da perline blu-mare, ed i suoi capelli erano legati dietro la testa in una pettinatura assai elegante – il parrucchiere a domicilio le aveva fatto davvero un bel lavoro.
« E con la proposta di matrimonio come va? »
« Arya, questi non sono affari tuoi! » Sbottò la zia, irritata.
« Va bene, va bene! » La ragazza aggiunse, afferrando da un appendiabiti lì vicino la sua fedele borsa di stoffa: « mi rendo conto che è ancora un tasto dolente ».
L'automobile di Frank era parcheggiata di fronte al cortile della villetta. L'uomo si trovava già al posto di guida, come al solito sorridente ed entusiasta. Portava indosso un elegante completo tre pezzi, di un soffice tessuto color beige. Vedendolo, Sarah lanciò un urlo isterico. « Cos'è quella cosa? Hai macchiato il gilet! Come hai fatto? » E proseguì con un un sonoro: « faremo una pessima figura! Vatti a cambiare! »
« L'altro abito era messo anche peggio, tesoro! » Frank fece spallucce e la invitò a salire in macchina.
« Dai, non si vede nemmeno! Andiamo! » Arya s'infilò sui sedili posteriori, e per tutto il tragitto cercò di non badare ai loro stupidi battibecchi, concentrandosi sulle parole della canzone che stava passando in radio. Dall'ultima volta che aveva viaggiato su quella strada erano trascorse delle lunghe settimane. Nel frattempo era stata messa in punizione – per non aver avvertito nessuno quella notte al lago – e, per telefono, aveva dovuto avvertire Hazelle sulla questione riguardante Darren. Al momento della rivelazione la donna non si dimostrò particolarmente sorpresa – anzi, sembrava quasi che se lo aspettasse – e non proferì alcuna sentenza, se non: “giusto tu potevi metterti con un lupo mannaro!”.
Riuscì ad incontrare Oliver e Beckah soltanto a scuola: quando i due ragazzi raccontarono a quest'ultima i recenti avvenimenti, per poco non svenne. Con una grazia principesca, ella si era portata le mani al petto e aveva domandato più volte se Nathaniel li avesse poi traditi o avesse fatto loro del male. Non bastarono le parole rassicuranti di Arya: Beckah tendeva ancora a considerarlo una delle creature più pericolose in circolazione. Nonostante le grandi chiacchierate con l'intera Congrega, la giovane Mason aveva deciso di tenere per sé la storia dello spettro e la descrizione che le aveva fornito riguardo alla Dimensione. Non sapeva per quale motivo lo volesse tacere, forse per rispetto verso di lui, o più probabilmente perché le altre streghe non avrebbero mai compreso. Fatto sta che mantenne il silenzio.
« Guarda quanta gente! » Esclamò Sarah nel momento esatto in cui giunsero di fronte alla villa dei Lloyd. Quasi tutti gli invitati vestivano di bianco, o di colori molto chiari, e giravano per il cortile armati di bicchieri e piatti colmi di cibo. Arya notò subito Quinn intenta a gonfiare dei palloncini: i bambini l'avevano circondata, schiamazzando allegramente. Non pareva la solita Quinn Lloyd: sorrideva ed era gioviale con chiunque. Bizzarro.
Arya scese dall'automobile e, insieme a sua zia e Frank, si avvicinò a quella che una volta aveva scambiato scherzosamente per la Casa Bianca. Il sole splendeva alto nel cielo, rendendo la situazione ancora più allegra: i cittadini di Rozendhel erano tutti lì, nessuno aveva rifiutato l'invito.
« Benvenuti, benvenuti! »
Arya si voltò: erano stati raggiunti dai signori Lloyd.
« Oh, salve! » Esclamò Sarah, sorridente.
« Mi fa piacere che siate venuti! » Esordì la donna, stringendo la mano a Frank: « come ben saprete, sono la moglie di Cameron... Tamara Lloyd! » Il suo tono di voce era irritante, identico a quello della figlia. Aveva il viso asciutto e allungato, il naso aquilino, gli zigomi alti e gli occhi di un azzurro glaciale. La criniera biondo platino le ricadeva sulle spalle, totalmente priva di imperfezioni e doppie punte. Prima che Oliver si mettesse con Quinn, lui e Arya si erano divertiti un mondo a chiamarla “Cavalla”. Oltre a ciò, i due giovani si erano sempre domandati cosa avesse portato un signore come Cameron Lloyd a sposare una donna del genere. Il nuovo sindaco era infatti un uomo bellissimo ed affascinante: alto, in salute, con gli occhi color caramello ed i capelli di un perfetto castano chiaro. Qualsiasi persona avrebbe potuto scambiarlo per un semplice trentenne – ringiovanendolo di circa quindici anni. Il suo fisico scolpito era direttamente proporzionale a tutte le ore che usava trascorrere in palestra e, grazie a quell'elegante completo color sabbia che aveva deciso di indossare per l'occasione, risultava ancora più attraente del solito. Arya lo fissò a lungo: come traspariva dalla tv, egli era un uomo serio ed impassibile – con il volto simile ad una tela, sulla quale era dipinta la quiete più assoluta.
« Noi siamo la famiglia Mason » proseguì Sarah, stringendogli la mano: « lei è mia nipote, Arya, e lui è il mio compagno, Frank Johnson. È un piacere fare la vostra conoscenza! »
« Il piacere è tutto nostro » rispose Cameron, la voce profonda. « Vivete qui vicino? »
« Sì, diciamo di sì » disse Frank: « a soli pochi minuti di macchina ».
« E qual è la vostra professione? » Tamara sorrise, infossandosi ancor di più il volto.
« Io lavoro in un ufficio in centro, come segretaria » Sarah continuò: « lui invece ha un'officina, ereditata dai genitori ».
« Affascinante » la interruppe la donna con disinteresse e, indicando il buffet alla sua destra, esclamò: « se avete fame, servitevi pure! C'è di tutto! » Frank ed Arya non se lo fecero ripetere due volte e, subito, si lanciarono su quei meravigliosi tramezzini. Il tavolo era imbandito da qualsiasi tipo di pietanza: si passava dalle minestre fino ad arrivare al caviale, dal cuscus alle escargot. Ancora una volta, i Lloyd si dimostrarono la famiglia più ricca e benestante in circolazione. Con un bicchiere colmo di limonata tra le mani, Arya ispezionò il cortile: di Oliver sembrava non esserci traccia. Disegnò circonferenze irregolari attorno a tutti gli invitati; viveva a Rozendhel sin dalla nascita, ma quelle facce non le dicevano proprio nulla. Riconobbe giusto tre persone: il giovane Thorne con cui frequentava le lezioni di storia, ms. Mary della mensa – che per l'occasione indossava un abito troppo stretto – ed il migliore amico di Darren, Kyron. Arya alzò la mano per salutarlo, ma egli non la vide. Decise allora di avvicinarsi, ma qualcuno le si parò davanti prima ancora che potesse azzardare un altro passo.
« Buongiorno, Arya! »
Arya alzò gli occhi: « Quinn! Ciao! »
La ragazza sorrise, gli occhi segnati dal disprezzo che provava verso di lei. Indossava un abito color crema, ed i suoi lunghi capelli biondi erano legati in una raffinata treccia a lisca di pesce: « come stai? »
« Bene » rispose Arya, le sopracciglia inarcate: « e tu, invece, come stai? »
« Altrettanto bene » Quinn inspirò profondamente: « ma potrei stare meglio. Mi hai davvero stancata, sai? Il tuo atteggiamento mi dà la nausea! Come puoi provarci con il mio ragazzo? »
« Aspetta, cosa? »
« Lo sai benissimo, Mason! » Quinn si guardò intorno, attenta a non farsi sentire da nessuno: « trascorri troppo tempo con Oliver. Che cosa avete fatto al lago, eh? Perché gli stai sempre così attaccata? »
« È il mio migliore amico, Lloyd ».
« Smetti di vederlo » Quinn si avvicinò sempre più al suo volto: « altrimenti ne pagherai le conseguenze ».
« Mi stai minacciando? » Arya si morse il labbro inferiore, trattenendo una risata.
« Era un semplice consiglio » sibilò Quinn: « sta a te prenderlo o rifiutarlo ».
« Be', lo rifiuterò ».
« Te ne pentirai ».
« Vedremo ».
Quinn le lanciò un'ennesima occhiataccia, poi si allontanò serena – come se non fosse accaduto nulla. Al contrario, Arya rimase immobile: in quel labirinto schiamazzante di invitati, aveva perso di vista Kyron. Sbuffò, tastandosi il petto: ogniqualvolta che litigava con una persona percepiva il cuore battere all'impazzata. Decise alla fine di allontanarsi per un po' dalla folla e raggiungere il cortile che dava sul retro della villa. Era lì che qualche mese prima aveva incontrato Nathaniel. Il ricordo di quella sera la guidò sino all'oggetto che le pendeva dal collo: alcune volte riusciva persino a dimenticare quella piccola, ma importantissima, Chiave. Era leggera, sottile e brillante; e sebbene fosse stata creata secoli e secoli prima, non presentava alcun segno di usura. Arya non si era mai soffermata ad immaginare l'aspetto che avesse potuto avere la proprietaria originale, la stessa persona che aveva fatto perdere la testa ad Hazelle. Non sapeva nemmeno che fine avesse fatto, e per quale motivo avesse deciso di sparire in quel modo. La storia di Rozendhel era così dannatamente complicata...
« Ehilà! »
La ragazza si voltò di scatto: « Oliver! Ti stavo cercando! Da quanto tempo sei qui? »
« Sono appena arrivato! » Esclamò lui, sorridente: indossava un completo color crema, per abbinarsi alla perfezione con la sua ragazza. « Cosa ci fai qui da sola? »
« Niente » Arya fece spallucce: « riflettevo un po' sugli ultimi avvenimenti ».
« Ah, sì? » Oliver inarcò le sopracciglia, ironico: « perché? Ti è successo qualcosa di strano ultimamente? »
Si scambiarono uno sguardo complice, scoppiando subito dopo in una lunga risata spontanea. Nonostante tutte le minacce di Quinn, Arya non si sarebbe mai allontanata da Oliver. Non ci sarebbe mai potuta riuscire.
« No, davvero » il ragazzo continuò, calciando il prato con il suo elegante, ma insolito, paio di mocassini neri: « anch'io ho riflettuto a lungo su quello che ci sta capitando... al fatto che potremmo uscire di casa la mattina, e non tornare più la sera. Non lo trovi bizzarro? Viviamo una vita pericolosa... ed i nostri parenti sono all'oscuro di tutto ».
« Oliver? » Arya aggrottò la fronte: « hai paura che possa succederti qualcosa? »
Oliver non rispose immediatamente, si limitò a fissare la terra con particolare attenzione: « mi eccita il fatto che esista davvero la magia, i Portali, una Dimensione sconosciuta in cui sono rinchiusi tutti i demoni di questo pazzo mondo... però, si sta facendo davvero rischiosa la situazione » continuò facendo riferimento alla faccenda di Darren. La battaglia che era avvenuta al lago l'aveva scosso in maniera significante.
« Mi dispiace, Oliver » Arya lo avvolse in un abbraccio spontaneo.
« Promettimi che non ti accadrà mai nulla » le sussurrò lui in un orecchio.
« Non mi accadrà nulla » ripeté la ragazza, accennando ad un sorriso: « e non succederà nulla neanche a te, te lo giuro ».
Se Quinn avesse visto quell'abbraccio, avrebbe subito tentato di uccidere la giovane Mason. Fortunatamente non accadde, e i due poterono trascorrere qualche altro momento in perfetta serenità. Si appoggiarono alla staccionata che segnava il limite del cortile e, spensierati, udirono il canto allegro dei codirossi che si alzava alto nel cielo.
« Ti sta molto bene questo vestito! » Esclamò Oliver.
« Grazie, me l'ha dato Beckah ».
« Immaginavo! » Rispose lui, sorridendo e facendo un giro su se stesso: « ed io, invece? Come sto? »
« Lasciatelo dire: sembri un modello! »
Arya alzò le sopracciglia, sorpresa quanto Oliver. A parlare era stata una donna vestita interamente di nero, con gli occhiali da sole e una borsa di velluto su una spalla. In un modo o nell'altro, ella doveva sempre farsi riconoscere.
« Hazelle! » La chiamò la ragazza: « non pensavo fossi venuta! »
« Come potrei mancare ad una festa simile? » Hazelle stava camminando verso di loro, una sigaretta accesa tra l'indice e il medio della mano sinistra.
« L'invito diceva di vestirsi di bianco... o, quantomeno, di un altro colore che non risultasse scuro » rifletté Oliver, osservandola.
« E quindi? Io non mi faccio mettere i piedi in testa da nessuno! »
« Okay, dai » Arya si passò una mano tra i capelli, già esasperata: « seriamente, cosa ci fai qui? Non penso che tu sia venuta solo per mangiare un tramezzino ».
« È probabile che tu abbia ragione » Hazelle continuò: « d'altronde non ti si può mai nascondere niente! »
La ragazza incrociò le braccia dinanzi al petto, aspettandosi delle cattive notizie. Nel frattempo, la strega si tolse gli occhiali da sole e sbatté le palpebre, come se si fosse appena svegliata.
« Allora? » La esortò Oliver.
« Un attimo! Quanta impazienza! » Esclamò lei, indispettita: « sono venuta qui con tutta la Congrega perché questo è un giorno che segnerà la storia! » « Cioè? » Domandò Arya, curiosa.
« È il giorno della Rivelazione! » La strega mise in mostra i denti aspettandosi tutt'altra risposta da parte dei due giovani, i quali rimasero immobili a guardarla. « Oh, diamine! Bisogna spiegarvi sempre tutto! »
« Io posso essere giustificato! » Scherzò Oliver: « alla fin fine, sono un semplice individuo qualsiasi... non una creatura particolare del vostro mondo ».
« Sì, certo... come vuoi » Hazelle sbuffò, rivolgendosi unicamente ad Arya: « ricordi quando ti ho detto che il sindaco è l'unica figura a sapere la storia di Rozendhel? Be', oggi è il giorno in cui spiegheremo tutto a Cameron Lloyd! Vieni, andiamo! »
« Che cosa? » Arya non si mosse: « ma io credevo che... »
« Ma perché devi sempre fare una storia per tutto? » Hazelle la afferrò per un braccio: « vieni e basta! »
« Ma io, scusate, posso accompagnarvi? » Chiese Oliver, alzando un dito, titubante.
« Come ti pare! Ma aspetterai fuori alla porta! »
La strega a quel punto li condusse nel salotto della villa, agendo con tale dimestichezza che Arya si domandò se in passato non fosse stata già ospite dei Lloyd. Salirono le scale senza destare l'attenzione di nessuno, quindi sbucarono in un elegante corridoio percorso da un lunghissimo tappeto di velluto bianco ed illuminato da un lampadario alquanto appariscente. Oliver indicò alla giovane Mason la stanza in cui era solito trascorrere il tempo con Quinn. Mentalmente, la ragazza lo mandò al diavolo.
« Aspettate un attimo » sussurrò Hazelle, l'espressione sospesa in un misto di dubbia curiosità. « Beckah e Taissa sarebbero dovute già essere qui! Strano ».
« Provo a chiamarle? » Domandò Arya, ma prima che riuscisse a tirar fuori il cellulare dalla borsa, una porta si aprì dal fondo del corridoio mostrando le figure delle due giovani streghe. Erano diverse dal solito, non apparivano neanche nel pieno della forma – soprattutto Taissa che sembrava si fosse appena drogata.
« Ma che diavolo succede? » Urlò Hazelle, attirando la loro attenzione.
« Oh, meno male che sei qui! » Esclamò Beckah, il vestito color neve le cominciò a svolazzare attorno alle caviglie: « Taissa si è sentita male subito dopo aver ricevuto una Visione... non sono riuscita a capire granché » poi si concesse un minuto per salutare Arya ed Oliver. Quel giorno dimostrava circa ventidue o massimo ventiquattro anni: indossava un lungo abito aderente che le lasciava la schiena scoperta, delle scarpe altissime e un trucco che non le si addiceva affatto.
« Tesoro, che ti prende? » Hazelle raggiunse Taissa, gli occhi di ghiaccio concentrati sul suo sguardo privo di espressione. « Taissa, non puoi impazzire adesso... è un'occasione particolare questa ».
« Lascia che le prenda un bicchiere d'acqua » si offrì Oliver, ma venne immediatamente arrestato dal tono di voce autoritario della donna. « No! Ho detto che sta bene! Non è vero, tesoro? Stai bene, vero? »
Taissa non rispose, si limitò a fissare il tappeto.
« Ma ha preso qualcosa di... strano? » Arya inarcò le sopracciglia: « forse è il caso di farla sedere ».
« Ho detto di no! » Urlò Hazelle.
« Ma che ti prende? Sei pazza? »
« Ascoltami bene, carina » Hazelle afferrò Arya per un braccio e, minacciosa, le sussurrò in un orecchio: « stiamo per essere ricevute dal nuovo sindaco... se lui dovesse notare qualche elemento instabile nella nostra Congrega, non immagino quali problemi ci toccherebbe risolvere. Capisci? »
La ragazza deglutì: era la prima volta che sperimentava un'Hazelle così tanto agitata. Preferì non rispondere e, abbassando lo sguardo, si rese conto che anche Beckah e Oliver avevano assistito alla scena. Inspirò profondamente e continuò a non dire una parola.
« Andiamo » Hazelle indicò una porta poco più giù: « quello è lo studio del sindaco Lloyd. Siate carine e disponibili. Sorridete. Andrà tutto liscio come l'olio. Non verremo schedate come “minacce” » e così dicendo prese Taissa per la mano, trascinandola fino alla stanza designata per l'incontro.
« È tutto troppo inverosimile » sussurrò Oliver: « per quale motivo è tanto spaventata? »
« Non vuole rischiare... ha paura che la situazione degeneri e diventi più pericolosa di quanto già non sia » rispose Beckah: « è bene che il sindaco stia dalla nostra parte, e che non si allei con il Cacciatore o qualsiasi altro individuo ci reputi una minaccia ».
« Sì, okay... ma è comunque troppo strana » tagliò corto Oliver.
I ragazzi raggiunsero le altre due streghe sul ciglio della porta dello studio. Prima che Hazelle iniziasse a bussare, Arya osservò con più attenzione l'abito color miele di Taissa: quelle che a prima vista aveva scambiato per delle semplici perline scarlatte erano in realtà minuscole gocce di sangue incrostato. Alzò lo sguardo nel momento stesso in cui furono invitate ad entrare: la voce del signor Lloyd echeggiò nelle sue orecchie per interminabili minuti. Si chiese come le avrebbe trattate dopo aver scoperto la verità: le avrebbe cacciate da Rozendhel, o le avrebbe semplicemente uccise? Le avrebbe tradite, o le avrebbe lasciate in pace? I suoi pensieri si arrestarono di colpo. Taissa le aveva conficcato un'unghia nel dorso della mano sinistra, procurandole un immediato ed intenso dolore. Arya per poco non le diede uno schiaffo. « Ma che ti dice il cervello? »
Con espressione distante, Taissa disegnò sulle proprie labbra una parola incoerente a cui nessuno dei presenti badò e a cui Arya non diede troppo peso: papà.
« Tu rimani qui, ragazzo » ordinò Hazelle, il pomello della porta stretto in un pugno.
« Non c'è problema, andate ».
« Senti, Oliver » Arya si massaggiò la minuscola ferita: « mi sono stancata di questa festa, potresti accompagnarmi a casa non appena avremo finito? » « Certamente! » Oliver sorrise: « vado a preparare la macchina ».
« Grazie ».
Lo studio del signor Lloyd si mostrava spazioso, dotato di ogni genere di comfort – vi era persino una televisione a schermo piatto posizionata strategicamente dinanzi ad un soffice divano in lino. La scrivania era un trionfo di documenti e foglietti vari, ed era circondata da tre comode poltrone color tortora. I raggi solari penetravano attraverso il vetro di un lucernario, illuminando ogni singolo angolo della stanza. La Congrega trovò il signor Lloyd in piedi accanto al tavolo, un sorriso sghembo impresso sul volto. Arya si morse il labbro inferiore: si sentiva come un pesce fuor d'acqua.
« Oh, signor Lloyd » esclamò Hazelle, stringendogli una mano: « è un piacere conoscerla! La casa è veramente... divina ».
« La ringrazio » il sindaco continuò, mostrandosi sorridente: « devo tutto a mia moglie, è lei che si occupa di renderla tale. Ora, vi prego, sedetevi! Queste poltrone sono comodissime ».
« Ne provo una immediatamente! » La Prefettrice si sedette e, come se fosse stata ingaggiata per una televendita, esclamò: « oh mio Dio! Non avevo mai provato nulla di simile! »
« Visto? Avevo ragione ».
Arya e Beckah si scambiarono uno sguardo, trattenendo a stento una risata fragorosa.
« Si chiederà per quale motivo le ho chiesto di incontrarci in privato, non è vero? » Domandò Hazelle all'improvviso.
« In effetti, è stata una sorpresa! » Il signor Lloyd si mise a sedere dietro alla scrivania, in questo modo riusciva a guardare negli occhi ogni singolo elemento della Congrega: Beckah, Arya e Taissa si trovavano ancora sul ciglio della porta. « Sbaglio o quelle due ragazze sono compagne di scuola di mia figlia? »
« Sì, esatto » Hazelle sorrise: « sono amiche per la pelle... Quinn è una ragazza d'oro! »
« Oh, sì! Un vero angelo » il signor Lloyd proseguì, appoggiando i gomiti sulla scrivania: « vorrei che restasse così per sempre... che nessun demone della vita la corrompa ».
« Eh, lo immagino » la strega sospirò: « a proposito di demoni... »
« Lei che professione svolge? »
La donna inarcò le sopracciglia: « mi scusi? »
« Sì, intendo dire » proseguì il sindaco, tranquillo: « come fa a mantenersi? Che lavoro fa? »
« Non ho un'occupazione » disse Hazelle, scorbutica: « ho risparmiato per lunghi anni, e adesso ho tutto ciò che mi serve per mantenermi ».
Il signor Lloyd continuò a fissarla, senza proferire alcuna parola: si mostrava così fiero, e sicuro di sé. Era solo un'impressione delle presenti o quell'uomo aveva dei segreti da nascondere?
« A proposito di demoni... » ripeté la strega.
« Vuole per caso parlare di mia suocera? »
Arya inarcò le sopracciglia: quell'uomo non la convinceva affatto. Sembrava quasi che le volesse prendere in giro, che sapesse già tutto.
« Non proprio » rispose Hazelle, acida – il suo vero carattere stava per eruttare come un vulcano rimasto inattivo per troppo tempo.
« E allora si spieghi! »
« Se solo mi lasciasse parlare... ho voluto incontrarla per dirle un qualcosa che probabilmente riterrà sconcertante ».
« Un qualcosa di sconcertante? » Il signor Lloyd alzò un sopracciglio: il suo fascino emergeva persino in un momento come quello. « Ed io che pensavo che i primi giorni da sindaco sarebbero stati una passeggiata! »
« Nulla è mai una passeggiata » Hazelle accavallò le gambe.
« Nulla è mai come sembra » Cameron Lloyd sorrise, la voce profonda: « chi mai scambierebbe delle giovani fanciulle per delle creature tanto pericolose, quanto affascinanti... ho avuto una conversazione piuttosto intima con il mio predecessore. Rozendhel è una cittadina particolare, non trova? Demoni, spettri, streghe... sembra di essere finiti in un libro per adolescenti ».
« No, aspetti... mi faccia capire » Hazelle lanciò una rapida occhiata alle sue spalle: « lei sa già tutto? »
L'uomo annuì, serio: « esattamente ».
Arya aveva il cuore che le batteva come un tamburo, ed immaginò che lo stesso valeva per le altre sue compagne: Taissa deglutiva rumorosamente, Beckah studiava la moquette.
« Sono a conoscenza del vostro segreto, se è questo che intende ».
« E cos'ha intenzione di fare al riguardo? » Chiese Hazelle, mostrandosi ancora una volta la strega più coraggiosa e abile della Congrega. « Noi agiamo per il bene della città, sterminando i Demoni che cercano di evadere dalla Dimensione. Il sindaco Pritchard non ha mai avuto problemi, glielo può chiedere tranquillamente. Spero che anche lei si comporti in questo modo. Noi non daremo fastidio a lei, e lei non darà fastidio a noi».
« Non si preoccupi. La convivenza tra esseri umani ed esseri soprannaturali è stata sempre rispettata qui a Rozendhel » il sindaco Lloyd aprì il volto in un sorriso privo di gioia: « da uomo cattolico quale sono ripudio ogni singolo demonio... anche le streghe, sinceramente. Ci sono notevoli affinità tra una strega e un demone, non trova? Magia nera, maledizioni... orribile! »
« Vuole sapere una cosa, signor Lloyd? » Hazelle si alzò in piedi: « non sto capendo niente di ciò che sta dicendo! Cerchi di essere più chiaro! Si sta schierando contro di noi? »
« Non ho detto questo ».
« E allora si spieghi meglio! »
« Come ha già detto lei, io non darò fastidio a voi e voi non darete fastidio a me. La convivenza è cosa buona e giusta! Ma, attenzione... » l'uomo proseguì, alzandosi a sua volta: « se si dovesse creare, o addirittura ripetere, un evento sgradevole che vede voi come principali sospettate, be'...».
« Non ci sarebbe più convivenza » concluse Arya, volgendo uno sguardo verso Hazelle: entrambe sapevano a cosa si stava riferendo – misteriosamente, egli era venuto a conoscenza della storia di Hazelle e dei numerosi omicidi che aveva compiuto per ottenere la vita eterna.
« Esattamente, signorina Mason » disse Cameron Lloyd alla fine, con voce pacata: « se ucciderete un solo abitante di Rozendhel, la pagherete cara ».
« Non c'è problema » tagliò corto Hazelle: « ma prima voglio sapere una cosa: come ha fatto a sapere certe determinate cose? Nessuno ne è al corrente ».
Arya trattenne il respiro, mentre le altre due streghe aggrottarono le sopracciglia, confuse.
« Ho fatto delle ricerche » tagliò corto il sindaco, congedandole: « sono contento di aver parlato con voi... è stato un vero piacere ».
« Il piacere è tutto nostro! » Hazelle alzò i tacchi e si avvicinò alla porta dello studio: « andiamo, ragazze! Qui abbiamo finito ».
« Arrivederci! » Il sindaco aprì le braccia: « godetevi la festa! »
Arya gli lanciò un'ultima occhiata, per poi uscire dalla sala con una strana sensazione alla bocca dello stomaco: avrebbe davvero rispettato l'accordo?
« Ho fatto la leccaculo per niente! » Sibilò Hazelle non appena ebbe chiuso la porta: « quello stronzo sapeva già tutto! »
« Ho paura che ci ucciderà » rispose Beckah, affrettandosi a raggiungere la folla al piano sottostante.
« No, dai! » Tentò di rassicurarla Arya: « andrà tutto bene se non uccideremo nessuno... ».
« Già » Hazelle alzò le sopracciglia: « andrà tutto a gonfie vele ».
La Congrega si mescolò nuovamente tra gli invitati: Taissa aveva seguito Hazelle al tavolo del buffet, al contrario di Arya e Beckah che si erano fatte largo sino al limitare del cortile. Il vento ora frusciava silenzioso, mentre il cielo veniva invaso da una poderosa armata di nuvole bianche. La situazione stava cambiando.
« Chissà cosa intendeva dire il sindaco » esordì Beckah.
« Non ne ho proprio idea » mentì Arya.
« Ma te ne stai andando? Ne sei sicura? »
« Sì, non mi va proprio di rimanere » rispose la ragazza, controllando dove fosse la macchina di Oliver.
« Vuoi che venga con te? »
« No, grazie! Penso che andrò a casa a vedere un film... oppure a trovare Darren ».
« Oh, okay! » Comprese Beckah: « però non ti scordare di avvisare Sarah! »
« Cavolo, è vero! » Arya scoppiò a ridere: « altrimenti mi terrà in casa fino al diploma ». Affondò una mano all'interno della sua borsa di stoffa, prese il cellulare e compose subito il numero della zia. Al contrario di quanto si era aspettata, Sarah non fece alcuna storia e le disse semplicemente: “puoi andare... in effetti, anch'io mi sto un po' annoiando! E poi Frank non mi calcola... la signora Lloyd gli sta sempre addosso! Mi stanno facendo innervosire! Non mi piace per niente!”
Arya cliccò il tasto rosso e alzò le sopracciglia: « posso andare! »
« Benissimo! » Beckah le scoccò un bacio sulla guancia: « allora ci vediamo lunedì a scuola! Salutami Darren ».
« Sì, d'accordo! » Arya sorrise, poi alzò i tacchi e se ne andò.
La via di fronte alla reggia era occupata da una moltitudine di automobili. La giovane Mason si guardò attorno: non c'era alcuna traccia di Oliver. Decise allora di accomodarsi sul marciapiede, trascurando il fatto che il vestito bianco di Beckah si sarebbe indubbiamente macchiato. La mente, nel frattempo, iniziò a vagare, permettendole di rivivere con più attenzione l'incontro avvenuto con il signor Lloyd. Le ricerche che aveva attuato nei loro confronti la spaventavano: sembrava fosse capace di tutto. Aspettò all'incirca dieci minuti prima che Oliver la raggiungesse e la facesse salire sulla sua Cadillac. « Prima della festa non riuscivo a trovare parcheggio! » Spiegò il ragazzo, intento ad ingranare una marcia: « ho dovuto mettere la macchina in tutt'altra strada, ti rendi conto? »
« Sì, lo immagino! » Esclamò Arya: « alla festa sono venuti praticamente tutti gli abitanti ».
« Già! » Rispose lui, prestando poca attenzione: « com'è andato l'incontro con Cameron Lloyd?»
« Sono contenta che tu me l'abbia chiesto » la ragazza iniziò: « ho davvero bisogno di parlarne con qualcuno ». Raccontò in questo modo ogni singolo dettaglio dell'incontro, senza scordare alcuna parola o alcuna espressione facciale. Oliver, che l'aveva spesso interrotta con i suoi “stai scherzando? Davvero? Ha detto proprio così?”, disse infine, quasi sussurrando: « incredibile ».
« Già! » Esclamò Arya, mettendo i piedi sul cruscotto: « c'era però da aspettarselo. I sindaci parlano tra di loro, no? »
Il ragazzo non rispose, gli occhi concentrati sulla strada di fronte a sé: « e se Cameron Lloyd fosse il Cacciatore? Come fa a sapere ogni cosa, altrimenti? »
« Oliver » iniziò Arya: « ti preoccupi più tu che noi. Hazelle comunque sta continuando ad indagare... spero che presto si risolva tutto ».
« Si risolverà solo se prenderemo la cosa con più impegno » urlò Oliver: « non voglio che un'altra persona ci rimetta la pelle! Non voglio che continuino le minacce. Deve finire! »
« Oliver, tranquillo! » Esclamò la ragazza, accarezzandogli un braccio e accorgendosi che vi era molta più sostanza di quanto si ricordasse: « hai iniziato ad andare in palestra? »
« Sì » disse lui con disinteresse: « è già qualche settimana che la frequento ».
« Davvero? Ne sarà felice Quinn! »
« Ah, sicuramente! » Oliver accennò ad un sorriso: « dove vuoi che ti accompagni? »
« Va bene anche il Place! Vado a trovare Darren ».
Rimasero qualche minuto in silenzio, poi Arya decise di accendere lo stereo e far partire un po' di musica. Con il dito indice cambiò stazione circa quarantadue volte, finché non si stancò e chiese: « posso mettere un cd? Tanto c'è ancora un po' di strada da fare ».
« Li ho tolti tutti dal vano portaoggetti, mi dispiace » tagliò corto Oliver, in un modo così brusco che fece insospettire la ragazza.
« Non ci credo! » Esclamò lei, la fronte aggrottata: « tu ascolti sempre la musica! È impossibile che non ci siano ».
« Ti sto dicendo la verità! »
Arya scosse la testa, allungando un braccio verso il vano portaoggetti.
« Arya! Non aprirlo! »
Ma la ragazza non gli diede retta e lo aprì: un brivido le percorse la schiena alla vista del contenuto. Si voltò lentamente in direzione di Oliver, il quale sussurrò un debole: « posso spiegare ». Si parcheggiarono distrattamente accanto a dei bidoni della spazzatura, entrambi in balia di una forte tensione.
« Cos'è questa, Oliver? » Iniziò Arya, nervosa: « cosa cavolo ci fa una pistola nella tua macchina? »
« L'ho rubata a mio padre » disse lui, guardandola negli occhi: « la tengo solo per difesa ».
« No, tu adesso gliela ridai! » Urlò la ragazza: « non voglio che il mio migliore amico si metta nei guai per una cavolo di pistola! »
« E se ti dovesse attaccare il Cacciatore? » Gridò Oliver a sua volta: « lo potrei uccidere immediatamente! »
« Tu parli di uccidere? » Arya scosse la testa, incredula: « ma cosa ti è successo? »
« Cos'è successo a me? » Il ragazzo continuò a gridare: « cos'è successo a te, più che altro! Sto cercando di difenderti! Anch'io sto facendo delle ricerche, perché non mi fido affatto di quella donna! »
« E a quale conclusione sei giunto? »
« Non lo so nemmeno io! » Esclamò Oliver, colpendo il volante a pugni chiusi: « io e Darren non sappiamo proprio... ».
« Tu e Darren? » Lo interruppe Arya, le sopracciglia alzate in un'espressione di profonda sorpresa: « da quanto tempo sta andando avanti questa storia? »
« Non lo so » Oliver alzò le spalle: « tu eri ancora in punizione ».
« Dio mio! » La ragazza si portò le mani alla testa: « questa è una faccenda che riguarda me e la Congrega! Voi non c'entrate! »
« Ah, no? »
« No! »
« Siamo tutti sulla stessa barca, Arya! »
« Ma non credo proprio! » La giovane Mason scosse il capo ancora una volta: « se il Cacciatore dovesse notare anche voi, diverreste subito le sue nuove facili prede. Rinuncia, Oliver ».
« No! »
« Lo dico solo per il tuo bene! »
« Sì, certo! Come ti pare » Oliver le strappò di mano la pistola e la ripose con cura nel vano portaoggetti: « non mi immischierò più! »
« Lo faccio solo per te » tentò Arya, ma il giovane Hopkins rimase in silenzio per tutto il restante tragitto. Non lo aveva mai visto così arrabbiato, così inquieto.
Osservando il paesaggio fuori dal finestrino si interrogò sulle possibili mosse che avrebbero potuto attuare lui e Darren. Si portò una mano alla fronte, esausta.
Nel momento esatto in cui scese dall'automobile, il ragazzo ingranò un'ennesima marcia e sgommò via verso casa – o, con più probabilità, verso la festa dei Lloyd. Arya inspirò profondamente e si avvicinò al locale; spinse la porta d'ingresso ed entrò. Fu immediatamente investita dal profumo inebriante del caffè misto a quello dei dolci esposti sul bancone. Si guardò attorno, notando che i clienti erano davvero pochissimi – c'erano giusto due signori intenti a leggere un giornale, ed una ragazza con i paraorecchie seduta a qualche tavolo più giù.
« Arya, ciao! » Una donna in carne le venne incontro: « come stai? Sei elegantissima! »
« Salve, signora Hart! » La salutò Arya, accennando ad un sorriso stanco.
« Chiamami pure per nome! Posso offrirti qualcosa? » Chiese Abbey, intenta ad asciugarsi le mani sul suo vecchio e consunto camice. « Una ciambella, un panino? Dimmi tu! »
« No, grazie! Va bene anche solo un caffè! »
« D'accordo. Allora siediti lì, al bancone » poi la donna lanciò una voce a suo marito: « Walton, è arrivata Arya! »
Dal giorno in cui Arya ed Oliver avevano riportato a casa Darren, entrambi erano divenuti come figli per Walton ed Abbey. Li avevano ringraziati così tanto che avevano promesso loro un anno intero di servizio gratuito.
Il signor Hart la stava già aspettando dietro al bancone, sorridente e pieno di vita. Arya aveva pensato più volte al fatto che somigliasse tantissimo al compagno di sua zia: tutti e due si mostravano sempre allegri e gioiosi, come se non fossero stati mai preda di problemi o preoccupazioni varie.
« Che piacere vederti! » Esclamò l'uomo non appena la vide sedersi di fronte al suo bancone.
« Lo stesso vale per me! »
« Ti preparo subito quel caffè! »
« Sì, grazie » disse Arya, poggiando la borsa su uno sgabello lì affianco: « sono appena tornata dalla festa dei Lloyd... pensavo di trovare anche Darren, ma non è stato così. Sta lavorando in cucina? »
« No, Darren è andato a casa » rispose Walton, mentre la macchinetta del caffè vibrava ed emetteva strani rumori. « Anche noi siamo stati invitati alla festa del nuovo sindaco, ma sinceramente non avevamo alcuna voglia di andare... soprattutto Darren! Se ne sta a casa a giocare alla Playstation... beato lui! » E così dicendo, scoppiò in una risata contagiosa.
« Ah, ho capito! » Disse Arya, afferrando la tazzina che le era stata appena porta: « forse andrò a trovarlo! Può ripetermi l'indirizzo? Fino ad ora, sono andata solo nella vostra casa vicino al lago ».
« Oh, certo! Te lo scrivo subito su un foglio di carta! »
« No, guardi » Arya allungò un braccio per fermarlo: « lo posso annotare anche sul cellulare ».
« Ah, giusto! » Walton si diede un colpetto sulla fronte: « allora, senti, ci puoi trovare nel quartiere di Mallow's End... ».
Nell'udire quel nome, la ragazza non poté fare a meno di alzare lo sguardo. Erano trascorsi tanti anni dal giorno in cui aveva deciso di non metter più piede in quel luogo, nello stesso quartiere in cui aveva abitato insieme ai suoi genitori prima della tragedia.
« Tutto bene? » Le chiese il signor Hart, le sopracciglia inarcate.
Arya lo fissò per qualche secondo, poi disse: « come, scusi? Mi ero distratta ».
« Abitiamo nel quartiere di Mallow's End, vicino al centro... vicino a quel famoso ristorante cinese e agli uffici della banca, hai presente? »
« Sì, ho presente » rispose Arya, portandosi indietro i capelli: « mi dica la via esatta, per favore ».
Il ricordo della notte in cui i suoi genitori, William e Morgause, persero la vita a causa di quel battibecco e di quel successivo incidente stradale, le si parò nuovamente dinanzi agli occhi, come se il tempo non fosse mai andato avanti. Si ritrovò dunque in quell'automobile, ad ascoltare le parole sprezzanti che sua madre usava riservare solo e soltanto a lei. L'uomo che era alla guida aveva iniziato a difenderla, prendendosela con sua moglie. Nel frattempo, la bambina, sui sedili posteriori, piangeva a dirotto. Un ultimo grido da parte di entrambi e la macchina si schiantò contro un guard-rail, precipitando nel vuoto e spegnendo ogni singola parola. La bambina si era risvegliata successivamente su un comodo letto a una piazza, attorno a lei solo pareti color latte. Aveva iniziato a piangere, e subito era stata raggiunta da alcuni uomini vestiti di bianco. La zia Sarah aveva il volto rigato dalle lacrime quando si fece avanti e la abbracciò. Le loro vite erano cambiate. Per sempre.
« Arya? »
La ragazza batté le palpebre: « oh, scusi... mi ero persa nei pensieri! »
« Desideri un bicchiere d'acqua? » Walton le poggiò due dita sui polsi.
« Sì, è meglio che glielo porti » anche Abbey si era avvicinata, la fronte aggrottata.
« No, davvero » Arya sorrise: « sto bene! »
« Okay, ma bevi comunque qualcosa ».
La ragazza annuì ed afferrò il bicchiere, accorgendosi in seguito che le sue mani stavano tremando. Più volte si era domandata come avesse fatto a sopravvivere. Nessuno era mai riuscito a spiegarglielo, se non la suora dell'ospedale – la quale aveva attribuito tutto allo Spirito Santo.
Il cellulare iniziò a vibrare all'interno della sua borsa di stoffa. In tutta fretta, Arya lasciò il bicchiere ed acchiappò lo strumento: numero sconosciuto.
« Scusatemi un momento ».
« Fai pure, tranquilla! » Esclamarono i due coniugi.
Arya si avvicinò ad un tavolo vuoto e premette il tasto verde: « pronto? »
Silenzio.
« Pronto? » Ripeté lei, gli occhi che vagavano da una parte all'altra della tavola-calda. I proprietari non avevano avuto alcun bisogno di utilizzare le luci artificiali quel giorno: i raggi del sole filtravano attraverso le vetrate, illuminando ogni angolo presente.
« Pronto? »
« Arya Mason, che piacere sentirti ».
La ragazza ebbe un sussulto: « chi è che parla? »
« Vuoi saperlo davvero? »
« Bastardo ».
« Che animo coraggioso. Ti rispetto, sai? » La voce robotica proseguì: « voltati, voglio vederti quando ti parlo! »
Arya impallidì: « cosa? » Si voltò, in direzione della strada, poi emise un urlo e lasciò cadere il cellulare sul pavimento.
Il rumore scoppiò come un temporale improvviso. Le vetrate si infransero. Tutti i presenti gridarono. Era la confusione più totale. Arya si portò le mani alla testa e cercò di ripararsi con un tavolo di legno. In strada, il furgoncino nero scattò via. Gli spari terminarono. Silenzio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14: Ad un passo da te ***


CAPITOLO 14:

 

Ad un passo da te

 

 

Stai bene?”
Riesci ad alzarti?”
Cos'è successo?”

Riesci a sentirmi?”
Le immagini sparirono. Arya aprì gli occhi. Era notte. Ancora.
Con la fronte imperlata di sudore ed il petto palpitante, la ragazza tirò via le lenzuola. Intorno a sé non aveva altro che ombre. Iniziò a tremare. Chi aveva spento la lampada? Nessuno avrebbe dovuto farlo senza il suo consenso! S'impose la calma e cacciò l'interruttore della luce. Quando lo ebbe finalmente trovato, tirò un sospiro di sollievo. Il suo corpo si rilassò, offrendole la possibilità di tornarsene a letto. Dal Giorno della Rivelazione erano trascorse delle lunghissime settimane. Il repentino sorgere e tramontare del sole, tuttavia, non avrebbe mai potuto bruciare il ricordo di quell'eterno istante: il terrore, le grida, la sensazione di morte, Arya ne era sicura, non l'avrebbero mai abbandonata. Insieme agli altri clienti e ai due proprietari della tavola-calda era stata trasferita in ospedale. Lì, le fecero numerosi accertamenti e le domandarono diverse volte come si sentisse. La zia Sarah arrivò pochi minuti più tardi, scortata da Frank – entrambi avevano il volto contratto dall'angoscia. “Vogliamo sapere chi è stato!” Continuavano a ripetere, ad urlare. La tavola-calda era stata completamente distrutta. Ma nonostante tutte le indagini e la raccolta delle deposizioni, il responsabile non venne mai arrestato. Non sembrava, inoltre, che i poliziotti stessero seguendo una pista ben precisa; avevano ipotizzato varie teorie ma, a detta di Hazelle, erano tutte sbagliate. Era giunto il momento di far chiarezza, di risolvere la situazione una volta per tutte, poiché il bersaglio di quel furgoncino nero, o meglio, del Cacciatore, non era il proprietario del locale, e nemmeno sua moglie. Era Arya Mason. L'unica strega lì presente.
La sveglia trillò nel momento esatto in cui scoccarono le sei e mezza. Un'ennesima giornata scolastica stava per avere inizio. Dopo essersi sistemata, Arya scese in fretta le scale, recuperò la sua fedele borsa di stoffa e si precipitò in strada. Il terzo anno delle superiori volgeva al termine, le vacanze si avvicinavano. Se non fosse stato per i demoni, il Cacciatore, ed i continui litigi che aveva con Oliver, tutto sarebbe stato perfetto. L'incidente al Place spronò ancor di più le ricerche del suo migliore amico. Nessuno era in grado di fermarlo. Anzi, sembrava quasi che lavorasse il triplo di quanto non stesse già facendo la polizia e la stessa Hazelle.
Passo dopo passo, la giovane Mason giunse dinanzi al suo armadietto, inserì la combinazione e afferrò il voluminoso testo di biologia. Il corridoio della scuola era inquinato dalla presenza di Quinn Lloyd e dalle altre sue compagne cheerleader – con le loro occhiatacce fulminavano chiunque passasse di là. Erano odiose; delle vere arpie.
« Ehilà! »
Arya tornò in tempo presente e, scansando l'anta dell'armadietto, esclamò: « Darren! Cosa ci fai qui? »
« Sono venuto a trovarti » disse il ragazzo, con un mezzo sorriso impacciato. « Non riusciamo più a vederci... soprattutto dopo quel fatto ».
« Sì, lo so... scusa » Arya chiuse l'armadietto e, dando le spalle all'amico, si avviò verso il laboratorio di scienze.
« Mi dici perché ti stai comportando in questo modo? » Darren iniziò a rincorrerla.
« Perché non ho voglia di vedere nessuno ».
« Ma perché? Io ed Oliver abbiamo delle novità! »
« Ah, sì? » La ragazza si voltò, frustando l'aria con i suoi lunghi capelli rossi: « non voglio il vostro aiuto! Se continuerete ad agire così, verrete uccisi all'istante! »
« Arya, cerca di capire... » Tentò Darren.
« No, Darren! Non capisco! » Tagliò corto lei: « vi state immischiando in problemi che neanche vi riguardano! »
« Non mi riguardano? » Ripeté Darren, le sopracciglia alzate: « come puoi dire questo? Quel pazzo stava per uccidere anche i miei genitori! »
Diamine. Arya ebbe un sussulto: aveva ragione. Che razza di parole le erano uscite di bocca? « Scusami » disse alla fine.
« Non fa nulla, tranquilla » Darren si portò una mano dietro alla nuca, guardandosi intorno: « quanti studenti... spero non ci abbiano sentito ».
« Loro? No! Sta' tranquillo, sono tutti troppo presi dalla vita frenetica del liceo » Arya si morse il labbro inferiore: « ti mancano queste cose? Voglio dire, essere un liceale ti piaceva? »
« Non più di tanto » Darren sorrise: « preferisco il mondo che si trova al di fuori di queste mura ».
« Per quale motivo? » Domandò la ragazza, cercando di essere il più carina possibile.
« Sei più indipendente, puoi crearti una vita tutta tua... lo preferisco ».
« Be', sì » disse Arya: « anch'io non vedo l'ora di diplomarmi e andarmene da questo schifo di città. Ne ho le scatole piene ».
« Ma tu hai una missione da svolgere qui! Non puoi andartene prima ».
« Non mi ci far pensare, per favore » Arya inspirò profondamente: « mi accompagni in laboratorio? »
« Certo! »
Il liceo di Rozendhel si presentava come un vero e proprio labirinto: i corridoi erano lunghissimi e percorsi da un numero ben preciso di aule. Al trillo della campanella, gli studenti erano soliti fluire da una parte all'altra affinché non facessero tardi alle lezioni. Il ritmo frenetico del liceo era così, ma da un punto di vista ad Arya era sempre piaciuto. Qualcosa stava giusto cambiando in quel periodo. Ciò che aveva detto a Darren corrispondeva difatti a verità: non vedeva l'ora di diplomarsi, lasciarsi tutto alle spalle ed iniziare una nuova vita.
« Poco fa, davanti all'entrata, ho visto uno stand » iniziò il ragazzo: « vendono i biglietti del ballo studentesco? »
« Sì, è il ballo di fine anno » rispose Arya.
« E tu ci vai con qualcuno? »
« Ma io penso proprio di non andarci ».
« Secondo me, invece, dovresti » consigliò Darren: « servirebbe come distrazione... anzi, sarebbe una splendida distrazione! Andiamo insieme! »
« Che cosa? » Scoppiò Arya, il volto le andò a fuoco.
« Sì, sarebbe divertente! » Darren sorrise ancora una volta: « allora, andiamo? È deciso? »
La giovane Mason ci pensò per qualche istante, gli occhi concentrati sul suo vecchio paio di anfibi: « un invito al ballo significa sempre qualcosa, non trovi?»
« Be', credo proprio di sì ».
Entrambi si scambiarono un'occhiata, poi Arya sussurrò: « va bene, comunque ».
« Perfetto, allora! »
« Sì, però » la giovane frenò subito l'entusiasmo: « non è che il ballo si svolgerà in una notte di luna piena? »
« Ah, giusto » Darren si premette il palmo di una mano contro la fronte: « devo dirti una cosa! »
« Ti prego, non sono in vena di ascoltare cattive notizie ».
« No, assolutamente » la interruppe lui: « qualche giorno fa mi ha chiamato Hazelle ».
« Ti terrà d'occhio come l'ultima volta in cui ti sei trasformato? » Arya si portò una ciocca dietro l'orecchio sinistro: erano praticamente giunti dinanzi alla porta del laboratorio.
« No, ancora meglio! » Darren proseguì: « ha trovato un possibile rimedio in grado di attenuare la trasformazione ».
« Ma è impossibile! Come ha fatto? »
« Sì, devo andare da lei oggi pomeriggio » Darren sussurrò: « la luna piena è prevista per questa notte... spero funzioni, non voglio perdere il controllo ».
« Lo immagino, Darren » Arya gli carezzò un braccio, timidamente: « se vuoi, posso accompagnarti! »
« Sul serio? Grazie mille! Saremo praticamente tutti... viene anche Oliver ».
La ragazza inarcò le sopracciglia, sorpresa: « siete diventati proprio amici del cuore, eh? »
« Sì, cioè... una specie! »
La giornata trascorse lentamente. Fin troppo. Arya riuscì persino a sentire la mancanza di Oliver, chiedendo a chiunque lo conoscesse dove fosse e cosa stesse facendo. Egli non era solito marinare la scuola; al primo anno delle superiori aveva persino vinto il premio per il minor numero di assenze! Probabilmente era rimasto in piedi tutta la notte ad indagare, o a girare per Rozendhel con la sua Cadillac armato di pistola. La ragazza inspirò profondamente e nel corso della pausa pranzo riferì a Beckah ogni suo timore. Quest'ultima le consigliò soltanto di rilassarsi, e di fidarsi di lui. A detta sua, Oliver sapeva quel che stava facendo. Aveva un elenco lunghissimo di nomi, ed ogni sera perdeva tempo ad osservare il comportamento dei vicini o degli uomini che credeva più sospetti. Arya si domandò se un giorno non sarebbe stato accusato di tentato omicidio verso un innocente. La campanella suonò per l'ultima volta e le ragazze si mossero verso casa. Entrambe si mostravano curiose di scoprire che razza di antidoto alla licantropia avesse trovato Hazelle. Beckah aprì la porta d'ingresso e, quando si ritrovarono in salotto, chiamò a gran voce: « Hazelle, sei in casa? »
Silenzio.
« Hazelle? » Arya si affacciò in cucina: niente.
« Forse si trova al piano di sopra? » Azzardò Beckah e invitò l'amica a salire le scale insieme a lei. Quando aprirono la porta della camera di Hazelle rimasero allibite: la donna era ancora sotto le lenzuola, una mascherina nera sugli occhi e la bocca semi-aperta. Arya afferrò immediatamente il suo telefono e scattò una foto. Avrebbe ricattato Hazelle per il resto della sua vita.
« Hazelle, svegliati! » Beckah batté le mani, ma sembrava proprio che la loro Prefettrice non avesse alcuna voglia di abbandonare il mondo dei sogni. Arya rifletté sul fatto che non aveva mai messo piede in quella stanza: il letto a baldacchino era posizionato nel centro esatto, e alla sua destra, accanto ad un comò, vi era il trespolo di Bartek. I mobili erano stati tutti realizzati in legno di quercia e sulle pareti si trovavano numerosi dipinti, tra i quali ce n'era uno di grandi dimensioni velato da un lenzuolo nero. Arya inarcò le sopracciglia e, curiosa, tentò di scoprirlo.
« Cosa stai facendo? » Con estrema tranquillità, Hazelle si tolse la mascherina: « non devi toccare quel quadro, okay? Vale una fortuna! »
« Ah, finalmente! » Beckah continuò: « ti sei svegliata! »
« Perché lo tieni coperto? » Domandò Arya, un sopracciglio alzato.
« E tu perché non ti fai mai gli affari tuoi? » Hazelle si mise in piedi, addosso aveva una lunga sottana nera.
« Non sarai mica Dorian Gray? »
« Sei così spiritosa, Arya » la strega scosse la testa, rivolgendosi poi a Beckah: « che ci fate qui? Non dovreste essere a scuola? »
« Hazelle, sono le cinque del pomeriggio ».
« Ah ».
« Già ».
Arya fece un lungo sospiro, gli occhi che andavano da una parte all'altra della stanza: « sta venendo Darren a prendere il rimedio alla licantropia».
« Oh, sì » Hazelle le invitò a seguirla: « ho consultato varie enciclopedie antiche ieri mattina e credo proprio di essere riuscita a trovare qualcosa di interessante... nel frattempo mi sono anche abbonata a Vanity Fair ».
« Grazie dell'inutile informazione » concluse Arya, massaggiandosi le tempie: « ora, dove si trova questo rimedio? »
« Andiamo in cantina, forza ».
La botola del piano inferiore venne aperta, mostrando la famosa scalinata che aveva condotto la giovane Mason alla sua vera identità. In tutti quei mesi, la cantina non era cambiata di una virgola: era ancora ricoperta di muffa, polvere e numerosi oggetti non identificati. Da una mensola, Hazelle recuperò una fiala, il cui contenuto verdognolo obiettò ribollendo all'interno.
« A me sembra veleno » sibilò Beckah, una smorfia impressa sul volto.
« In effetti, non credo che abbia un buon sapore » Hazelle scosse il capo: « all'interno ho messo tantissimi ingredienti... coda di topo, orecchio di orco... »
« Seriamente? » Arya si coprì la bocca, tentando di respingere quell'improvvisa sensazione di vomito.
« No » Hazelle scoppiò in una fragorosa risata: « è giusto un mix, un frullato di erbe naturali. Devo compiere un incantesimo al tramonto e prendere una goccia del suo sangue affinché tutto vada a buon fine ».
« Come hai fatto a trovarlo? » Domandò Beckah.
« Bella domanda! Ai miei tempi si parlava di una donna che era stata ingravidata da un lupo, e che per tenere il suo unico figlio ibrido a bada aveva utilizzato varie soluzioni... questa qui che vi propongo oggi è stata la sua ultima spiaggia ».
« Ha funzionato? » Chiese Arya.
« Più o meno » rispose cauta Hazelle.
« In che senso “più o meno”? »
« Se proprio vuoi saperlo, il bambino morì ».
La giovane Mason inarcò le sopracciglia e, avvicinandosi minacciosa ad Hazelle, urlò: « cosa cavolo stai dicendo? »
« La donna aveva inserito troppo aconito, e non aveva minimamente idea di come sfruttare la luce del tramonto » la strega proseguì: « farò in modo che il ragazzo non muoia, tranquilla ».
« Non mi fido di te ».
« Vuoi o non vuoi che il tuo amato sopravviva? Non hai altra scelta ».
A quel punto il campanello trillò. Darren era arrivato.
« Vado ad aprire? » Domandò Beckah, con la sua solita aria principesca.
« Andate voi, io devo cambiarmi » rispose Hazelle: « l'incantesimo bisognerà farlo nel posto in cui è avvenuta la prima mutazione ».
« Ma quella cosa farà in modo che non si trasformi più, giusto? » Arya aveva il cuore che le batteva all'impazzata.
« No, la arresterà solamente per questa notte » Hazelle inspirò profondamente: « se tutto andrà a buon fine, gli ho organizzato un incontro con un uomo che ha imparato a controllarsi, a trasformarsi solamente quando lui lo ritiene necessario ».
« Ma non penso che tutto questo sia possibile! »
« Perché tu sei la solita miscredente ».
Tuttavia anche Beckah mostrava dei segni di scetticismo e, portandosi le mani sui fianchi, disse: « ma dove trovi tutti questi personaggi? Una donna incinta di un lupo, il lupo che si controlla... »
Hazelle si lasciò scappare un'altra risata: « è un segreto ».
Insieme risalirono i gradini della rampa: la strega, poi, andò a sistemarsi, mentre le altre due ragazze andarono ad aprire la porta d'ingresso. Darren si trovava in compagnia di Oliver: il primo indossava un maglioncino verde e un classico paio di jeans, mentre l'altro portava il suo solito giaccone di pelle di coccodrillo e dei pantaloni beige.
« Eccovi, finalmente! » Arya lanciò un'occhiata al giovane Hopkins, il quale rispose con un sorriso sghembo.
« È tutto pronto? » Chiese Darren, impaziente.
« Sì, ma dobbiamo andare nel primo posto in cui ti sei trasformato » rispose Beckah.
« Te lo ricordi? » Gli chiese Oliver, la voce rauca.
« Sì, era vicino al locale dei miei... in un vicoletto » concluse il ragazzo: « spero vada tutto per il meglio ».
Hazelle arrivò qualche minuto più tardi: al piano superiore, spiegò, aveva dovuto convincere Bartek ad occuparsi di Taissa. Sembrava proprio che nessuno in quella casa morisse dalla voglia di rimanere da solo con lei.
Il gruppo salì sull'automobile di Oliver: Hazelle si mise davanti, mentre nei sedili posteriori si accomodarono Arya, Beckah e Darren.
« Stai bene? » Sussurrò Arya.
« Alla grande » rispose Oliver, ingranando la prima marcia.
La sparatoria avvenuta al Place aveva spaventato gli animi degli abitanti: la sua zona limitrofa, da allora, si presentava quasi sempre desolata. Alla vista del nastro giallo della polizia, Darren abbassò gli occhi. Ancora non riusciva a credere che il locale dei suoi genitori fosse stato distrutto. Walton ed Abbey erano dapprima entrati in un profondo stato di depressione, successivamente avevano deciso di reagire e di ricostruirlo da quelle stesse ceneri. L'insolito gruppetto, dunque, scese dalla vettura e si avvicinò al vicolo in cui il giovane Hart aveva subito la prima trasformazione. Attorno a loro non vi era anima viva.
« Ma che razza di posto è questo? Orribile! » Commentò Beckah.
In effetti, non aveva tutti i torti: il vicolo era stretto, chiuso e dannatamente sporco. Il fetore che proveniva da quei secchioni dell'immondizia inquinava l'aria circostante, e la giovane Mason notò più volte degli scarafaggi nascondersi dietro alle molteplici buste di plastica colme di avanzi. Hazelle si schiarì la voce e disse: « non immaginavo certo un hotel a cinque stelle, però... »
« Dai, non fate le stupide! » Esclamò Oliver, offrendo ad un imbarazzatissimo Darren un colpetto sulla schiena. « Iniziamo? »
Arya lo fissò per qualche istante. Era maturato molto nell'ultimo anno; la ragazza non riusciva neanche più a scorgere in lui la figura da topo da biblioteca che da sempre lo aveva caratterizzato. Oliver era cresciuto, e probabilmente quella strana situazione ne era l'artefice.
Tirando fuori dalla sua veste la fiala e un piccolo ago da cucito, Hazelle punse un indice di Darren e cominciò a canticchiare una tiritera infinita. Le parole che stava utilizzando non appartenevano alla loro lingua, e nemmeno al latino. Deglutendo, Arya alzò lo sguardo verso quel luminoso spicchio di cielo che si estendeva sopra le loro teste: sfumature di rosa e arancio si rincorrevano con estrema leggerezza ed armonia. Respirò la primavera, chiudendo gli occhi e lasciandosi andare al delicato cinguettio degli uccelli. Era perfetto.
Quando si decise a tornare in quel vicolo, si accorse che il contenuto della fiala aveva subito una cambiamento: aveva smesso di ribollire, e dal verde era passato ad una colorazione invisibile, più tenue.
« Inizia a berlo nel momento esatto in cui sentirai esplodere il gene del lupo mannaro » Hazelle gli diede la pozione: « intesi? »
Darren annuì con il capo: « d'accordo ».
Il sole tramontò, ed il cielo si scurì all'improvviso.
I minuti trascorrevano lentamente. Hazelle riuscì persino a fumarsi l'intero pacchetto di sigarette che teneva nascosto all'interno della sua borsa. Era l'unica che dava segni di noia e rabbia repressa.
Arya si avvicinò ad Oliver, il quale si era coraggiosamente seduto a terra.
« Ehilà ».
« Cosa c'è? » Sbottò lui: « vuoi ancora convincermi ad abbandonare le ricerche? »
« Non sono venuta per questo » disse Arya in un sussurro; si trovavano l'uno di fronte all'altra: « vorrei solamente ricominciare a parlare... sono passate settimane dal giorno in cui il Cacciatore mi ha attaccata. Non voglio perdere i rapporti con te ».
« Nemmeno io, se è per questo » Oliver diede un'occhiata a Darren, il quale stava chiacchierando tranquillamente con una gentilissima Beckah. « Faccio tutto questo per proteggerti, capito? »
« Lo so, e ti chiedo scusa per tutte le sfuriate che ti sei dovuto subire da parte mia ».
« Arya Mason che chiede scusa? » Oliver scherzò: « cosa mi sono perso in questi giorni? »
« Falla finita! » La giovane scoppiò a ridere: « torniamo ad essere migliori amici? »
« Torniamo? » Egli alzò un sopracciglio: « lo siamo sempre stati ».
Arya fece per abbracciarlo: « ti voglio bene, ma per favore alzati da terra! Ho visto degli scarafaggi rincorrersi poco fa ».
« Cavolo, che schifo! Dovevi dirmelo prima! »
Si abbracciarono, cancellando dalle loro menti ogni singola parola di troppo dettata dalla rabbia. Il loro legame non si sarebbe mai e poi mai spezzato. Come lo spirito di Hazelle, era immortale.
« Raccontami qualcosa » cominciò la ragazza: « come va con Quinn? »
« Procede » egli proseguì, neutrale: « mi ha chiesto di farlo insieme a lei ».
« Davvero? » Arya sgranò gli occhi: « e tu cos'hai risposto? »
« Che ci devo pensare » Oliver fece spallucce: « magari aspetterò la sera del ballo studentesco. Sai, ho paura che io stia... »
Ma non riuscì a terminare la frase.
Contorcendosi a terra, Darren emise un urlo inumano.
« Presto! » Gridò Hazelle a sua volta: « dov'è la fiala? »
Arya corse verso di loro: « oh, mio Dio... è caduta a terra? »
« No! » Esclamò Darren, il corpo tremante: « ce l'ho ancora nelle mani... prendetela! »
« Arya, vuoi farlo tu? » Chiese la Prefettrice nell'istante stesso in cui catturò la pozione.
« Non posso guardare! » Continuava invece a ripetere Beckah, la quale aveva deciso di allontanarsi di almeno cinque metri. « Fallo tu, Hazelle!»
« No » Arya acchiappò la fiala: « lo farò io ».
Hazelle, a quel punto, tirò indietro la testa del giovane e, con forza, gridò: « buttagliela in bocca, coraggio! »
La giovane Mason sentì il cuore martellarle nel petto. Lanciò una rapida occhiata al suo migliore amico – il quale aveva il volto contratto dall'ansia – poi tirò via il tappo ed aprì con decisione la bocca di Darren. Con somma cautela, allontanò le dita dai suoi denti – stavano crescendo a dismisura.
« Ora! » Gridò Hazelle, e subito la pozione scivolò nella gola del giovane.
Arya fece un passo indietro, inciampando su sé stessa. La fiala si ruppe in centinaia di frammenti vetrosi. Darren smise di gridare. Il rumore del silenzio iniziò a premere sulle orecchie di ogni presente. Era finita?
« Che succede? » Chiese Beckah, il volto coperto dalle sue stesse mani.
Per un lunghissimo minuto, il giovane Hart tremò come una foglia – gli occhi dipinti di bianco, la bocca aperta, i denti allungati ed i pugni chiusi.
Alla fine, esplose la calma.
« Hazelle? » Sibilò Arya, fulminandola.
« Non giungere a conclusioni affrettate » tagliò corto lei.
L'umano e le tre streghe circondarono Darren. Non dava segni di vita.
« Hazelle » iniziò Arya: « se dovesse essere morto, troverò il modo di uccidere anche te ».
« Ti sfido a farlo ».
L'angoscia li divorò. La quiete li afflisse.
Arya era sull'orlo di una crisi di nervi. Avrebbe strangolato Hazelle. Questa volta, l'avrebbe fatto davvero. Ma allo scadere del quarto minuto di attesa, il ragazzo tossì. La giovane Mason si sentì rinascere. Era salvo. « Come stai? Ti senti bene? » Gli chiese, inginocchiandosi.
« Credo di sì » Darren tentò di rialzarsi, sembrava perdere l'equilibrio. « Ha funzionato! »
« Ovvio che ha funzionato » disse Hazelle, dando loro le spalle: « siete una manica di miscredenti! »
« Non ci posso credere, ha funzionato! » Darren abbracciò Arya, la quale si aprì in una lunga risata spontanea: « è finita! »
« Solo per questa notte » annunciò la strega: « dovrai bere questa pozione ogniqualvolta che ci sarà la luna piena ».
Beckah iniziò a piangere dalla gioia, mentre Oliver si avvicinò all'amico e lo abbracciò calorosamente. Avevano vinto una battaglia e, in tempi come quelli, era proprio come scorgere un raggio di luce in una tempesta.
Successivamente, il giovane Hopkins invitò i presenti a seguirlo in una birreria – convinto che bisognasse festeggiare fino all'alba un evento come quello. Tuttavia, a frenare subito l'entusiasmo ci pensò Hazelle. Quest'ultima, infatti, spiegò che in una notte di luna piena occorreva allo stesso modo tenere a bada il gene del lupo. Probabilmente temeva che l'aggressività e la violenza non si sarebbero cancellate con una semplice pozione. Preferiva non rischiare.
Dunque, risalirono in macchina. Le prime a far ritorno a casa furono proprio Hazelle e Beckah – la donna non dimostrò alcun segno di felicità, solo sintomi di stanchezza, al contrario di Beckah che mandò loro un bacio non appena si trovò sulla soglia della porta d'ingresso.
« Io sono arrivata, grazie del passaggio » Arya fece per aprire lo sportello, quando Darren la fermò all'improvviso.
« Posso rimanere un attimo insieme a te? O i tuoi fanno storie se rientri un po' più tardi? »
Arya sentì il volto andarle a fuoco: « no! cioè, voglio dire, sì! Puoi rimanere quanto vuoi... non faranno storie ».
« Okay » Darren sorrise, poi si rivolse all'amico: « noi due ci vediamo domani, invece? »
Dal posto di guida, Oliver annuì: « sì, va bene! Ma ricordate che non voglio diventare zio prima dei vent'anni! »
« Oliver! » Lo rimproverò Arya e, non appena si ritrovò sul marciapiede, vide il giovane lanciarle un'occhiata eloquente e, in seguito, ingranare un'altra marcia.
Il silenzio tornò a regnare nelle strade di Rozendhel. Adesso, si trovavano da soli.
« Allora? » Disse Arya, cercando di rompere il ghiaccio. Darren la osservava con sguardo impacciato. L'uno di fronte all'altra.
« Allora? » Ripeté lui, sorridendo.
« Tutto bene? »
« Tutto bene ».
Scoppiarono a ridere.
La luna e le stelle come uniche spettatrici.
« Mi sono preoccupato moltissimo quando ho saputo che eri all'interno del nostro locale quel giorno » sussurrò lui, portandole dietro l'orecchio sinistro una lunga ciocca rossa.
Arya sentì un brivido percorrerle la schiena, il cuore continuò a martellarle nel petto.
« Mi sono reso conto che sei una delle poche persone a cui io tenga veramente ».
« Davvero? » Chiese lei, imbarazzata. Per la prima volta, riuscì a scorgere in lui particolari a cui non aveva mai dato troppa importanza: le sopracciglia scure, il pomo d'Adamo... deglutì nervosamente. Se l'avesse guardata in quel modo ancora per qualche attimo, avrebbe rischiato di inabissarsi nei suoi profondi occhi color caramello. Con delicatezza, gli carezzò una gota – sfiorandogli la pelle olivastra.
« Sai, » iniziò lui: « sembravi un pulcino la prima volta che ti ho vista... tutta bagnata, con il trucco che ti colava sul volto... ho pensato subito che fossi bellissima ».
« Be', no... » rispose lei, mordendosi il labbro inferiore: « facevo un po' schifo quel giorno ».
« Non è vero » Darren si avvicinò: « mi sei sempre piaciuta ».
Arya sentì il cuore evaderle dal petto, poi chiuse gli occhi e disse in un sussurro: « anche tu ».
Allo scadere dell'eternità, il loro bacio asintotico sfumò. Le labbra si raggiunsero, assaporando le une il sapore delle altre. La luce della luna piena li avvolse silenziosamente in una magia sconosciuta...

 

***

 

La luce della luna piena filtrava attraverso il vetro di quel costosissimo lucernario.
Il sindaco Lloyd inspirò profondamente: si trovava dietro alla sua scrivania, intento a versare dell'altro vino rosso nel bicchiere del suo graditissimo ospite.
« Sono davvero felice di vederti » iniziò lui: « posso contare su di te, o sbaglio? »
« Cameron » disse l'uomo, con voce roca: « credevo fosse ovvio! »
« Hai ragione... mi è piaciuto molto quello che hai combinato in quella tavola-calda. Ciononostante vorrei sapere come tu abbia fatto? ».
« Amico mio, ho dei trucchetti a disposizione... » le labbra del Cacciatore si tesero in un sorriso privo di gioia: « tu cerca soltanto di inquinare le prove, e di condurre le indagini della polizia da tutt'altra parte. Posso contare sul fatto che non mi prenderanno mai, giusto? »
« Credevo fosse ovvio » ripeté il sindaco, porgendogli il bicchiere di vetro. « Quelle stronze meritano di morire ».
« Ho saputo che le hai ricevute in questa stanza ».
« Sì, e ho avuto anche la possibilità di spaventare la leggendaria Hazelle ».
« Se mi avessi chiamato, le avrei uccise quello stesso giorno! » Esclamò il Cacciatore, bevendo a piccoli sorsi quel vino così denso.
« Non ci saresti riuscito... ne devi prendere una alla volta ».
« Lo so » l'uomo proseguì: « ho già un piano in mente. La prossima a morire sarà la novellina, Arya Mason. Sono ad un passo da lei ».
« Benissimo ».
« Spero che il suo sangue sia buono quanto questo vino » il Cacciatore ghignò.
« Ma questo non è vino, mio caro ».
Si scambiarono un'occhiata eloquente, brindando in seguito alla loro salute.
La partita volgeva al termine.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15: L'ombra del Cacciatore ***


CAPITOLO 15:

 

L'ombra del Cacciatore

 

 

La primavera sbocciò nelle ultime settimane di Aprile, avvolgendo Rozendhel con le sue delicate sfumature di luce e colori sgargianti. Stormi di rondini erano soliti danzare liberi nel cielo, mentre la brezza della sera si sollevava serafica per le strade, spingendo nella voragine del dimenticatoio un'ennesima giornata ordinaria.
Arya Mason aveva sempre creduto che quella stagione fosse segnata da un profondo dualismo di fine ed inizio, di morte ed origine, che si ripeteva per l'eternità all'interno di ciascun elemento presente in natura. Era così particolare, sublime dinanzi ai suoi occhi.

Terminò di leggere l'ultimo paragrafo, e poi chiuse il volume di storia con un tonfo sordo. Era stanca, stufa, e al contempo nervosa – perdere l'intero pomeriggio sulle pagine dedicate alla Prima Rivoluzione Industriale non era certo il massimo del divertimento. A passo felpato, si avvicinò alla finestra della sua camera: il sole stava bruciando oltre l'orizzonte, dipingendo di rosso le sporadiche nuvole circostanti. La ragazza sospirò, un lembo della maglietta del pigiama stretto nel pugno sinistro. Erano giorni che provava una strana sensazione alla bocca dello stomaco, come se una sgradevole ed ignota preoccupazione volesse emergere dagli abissi del suo inconscio e divorarla lentamente. Eppure non sembrava collegarsi alla faccenda avvenuta al Place, e nemmeno al ballo scolastico di fine anno. Una beffa della sua mente? Semplice immaginazione? Scosse il capo e si lasciò cadere sul letto. Avrebbe potuto dormire per giorni interi se solo sua zia glielo avesse consentito. Quest'ultima non aveva niente di meglio da fare che portarla ovunque – al ristorante, al cinema francese, al Sunny Valley. A detta sua si trattava solamente di trascorrere del tempo insieme, ma la verità era ben diversa: la terrorizzava, infatti, il pensiero che Frank avesse cambiato idea sul matrimonio – che non la volesse più sposare – e uscire di casa con sua nipote era il diversivo perfetto, la distrazione per eccellenza, per questo suo insensato timore. In quelle settimane, dunque, Arya tentò diverse volte di parlarle, di farla riflettere, ma non ottenne pressoché mai dei buoni risultati.
Sbadigliando sonoramente, s'impose di alzarsi: la Chiave era ancora sulla scrivania, splendente come un raggio di luna piena. Percepì un brivido di freddo non appena ebbe infilato la catenina attorno al collo. Le sembrava incredibile pensare al fatto che fossero già trascorsi così tanti mesi dal giorno in cui aveva deciso di acquistarla al Madame Minuit. Nel frattempo aveva scoperto di essere una strega, si era unita alla Congrega, ed aveva accettato la missione di chiudere i Portali. Ogni cosa si presentava ormai diversa: il rapporto con la sua famiglia, con Oliver, persino il rapporto che aveva con se stessa! Aveva conosciuto dei lati della sua persona che neanche immaginava potessero esistere e, mentalmente, si chiese quanto ancora avrebbe potuto apprendere da quell'esperienza. Si abbandonò ai sogni, fantasticando sul futuro: sarebbe di certo rimasta con Darren e avrebbe messo su famiglia, si sarebbe lasciata Rozendhel alle spalle, e avrebbe detto addio anche ad Hazelle. Un sogno così perfetto, e sfortunatamente così astratto. Il sorriso le si incenerì in volto.
« Arya? » La zia bussò alla porta: « posso entrare? »
« Sì, certo ».
Sarah si fece avanti, indossava un lungo abito da sera color pesca: « andiamo a cena fuori! Dobbiamo assolutamente provare quel nuovo ristorante indiano! Dicono che... »
« Oh, mio Dio... no » tagliò corto Arya, le sopracciglia inarcate: « ti prego, zia, basta! Dovresti chiarire con Frank, piuttosto ».
« Cosa? » La donna si mise a braccia conserte, evidentemente offesa: « io non ho nulla da chiarire con Frank! »
« E invece sì! Ammettilo, usciamo tutte le sere solo perché non vuoi vederlo tornare dal lavoro. Le cose vanno affrontate prima o poi! »
Sarah la scrutò per qualche istante, immobile e rigida come il tronco di un albero: « non capisco cosa tu stia dicendo! »
« Dai, non prendermi in giro! » Arya sbuffò: « ho capito che sei preoccupata... ma se lui non ti dovesse richiedere la mano, be', allora, chiedigliela tu! »
La donna non proferì alcuna parola, si limitò ad abbassare gli occhi. Quella vicenda la stava logorando dall'interno. « Sai una cosa? » Disse alla fine: « avrei dovuto accettare nel momento stesso in cui mi ha dato l'anello. Non avrei dovuto fare quella scenata... se gli avessi detto subito di sì, a quest'ora staremmo già preparando la cerimonia. E invece sono la solita cretina! »
Entrambe si accomodarono sul letto, Sarah con il capo poggiato sulla spalla della nipote.
« Non sei una cretina » riprese quest'ultima: « sono certa che Frank accetterà di sposarti, e come nelle favole vivrete per sempre felici e contenti ».
« Oh, Arya » la donna sorrise, aveva il volto rigato dalle lacrime: « non riesco a credere che tu sia cresciuta così tanto. Una diciassettenne che consola una vecchia zitella... non è patetico? »
« Smettila! » Esclamò Arya all'improvviso: « sei una donna fantastica e Frank lo sa bene! Quindi non ti preoccupare... solo perché non ti ha voluto fare quella cavolo di serenata, non vuol dire che non ti ami! »
« Okay, okay » Sarah inspirò profondamente: « l'ho sentito poco fa, comunque. Sta tornando ».
« Ecco! Così potrai chiedergli di sposarti ».
« Non è così semplice... e se non dovesse accettare? »
« Fidati » Arya le prese una mano: « accetterà ».
Si abbracciarono sotto gli occhi vigili del Signor Cavaliere, il quale stava mangiucchiando dei lacci di un paio di scarpe buttato lì alla rinfusa.
« Tu, invece? » Domandò la zia: « che racconti? »
Arya fece spallucce: « non ho nulla da raccontare! »
« Dai, non dire baggianate! » La spronò l'altra: « e quel ragazzo che ti ha baciata di fronte alla porta di casa? Chi è? »
« Cosa? Mi stavi spiando? »
« Non è spiare se lo si fa in buona fede ».
Arya trattenne una risata: « sì, certo... che vuol dire? »
Ma la donna non ebbe occasione di rispondere: un rumore proveniente dal piano sottostante la fece rabbrividire. Frank aveva appena varcato la soglia della porta d'ingresso.
Subito, lanciò un'occhiata verso sua nipote.
« Cosa stai aspettando? »
« Nulla! Ho paura! »
« Suvvia! » Arya la incoraggiò a rimettersi in piedi e, quando furono in corridoio, esclamò: « prima ho mangiato un pacchetto di patatine... tieni ». Sarah inarcò le sopracciglia, mentre la ragazza tentava di recuperare un qualcosa dal fondo delle sue tasche. « Non è certo l'anello più bello in circolazione, però è sempre meglio di niente ».
L'anello era di plastica, il solito gadget scadente che si trova al bar, nelle confezioni di patatine.
« È unto, lo so » Arya glielo chiuse nel pugno destro: « e porta inciso la parola “figo” ».
« Non fa nulla, tranquilla! »
Scesero i gradini delle scale con estrema lentezza e, non appena si trovarono in salotto, notarono Frank steso sul divano – scalzo e con la camicia a quadri sbottonata. « Ragazze! Non pensavo foste in casa! » Si affrettò a dire, rosso come un pomodoro. « Che eleganza... state uscendo? »
Sarah azzardò un passo, inciampando sul suo stesso vestito: « sì, stiamo andando al ristorante indiano che ha appena aperto... »
« Zia! » La rimproverò Arya, le mani suoi fianchi: « non è vero, Frank. C'è una cosa che deve dirti ».
« È successo qualcosa? » Frank si mise in piedi.
« No, sta' tranquillo » Sarah inspirò, le mani sudate: « Arya ha ragione... devo dirti una cosa ».
La ragazza strinse i denti, appoggiandosi allo stipite della porta del salotto: era certa che Frank avrebbe accettato. D'altronde, erano due vere e proprie anime gemelle. Lo Yin e lo Yang. Diverse, ma impossibili da separare.
« Ero solita farmi abbindolare da qualsiasi uomo. Soffrivo così tanto che dovevo farmi consolare da mia nipote... e allora non era altro che una quattordicenne » Sarah continuò: « poi sei arrivato tu ed ogni cosa si è trasformata... era tutto più bello, più magico. Sei riuscito ad insegnarmi cose che nessun altro avrebbe potuto. Hai avuto pazienza e mi hai sempre sopportata... i regali di Natale, infatti, non erano mai abbastanza, i piatti dovevano essere sempre più lucenti... davvero, non so come tu ci riesca! Ti amo... ti amerò per sempre ».
Il silenzio li divorò. Sul volto di Frank scivolavano espressioni di sorpresa, accompagnate da larghi e bianchissimi sorrisi. Nel momento esatto in cui decise di aprir bocca, vide la sua fidanzata inginocchiarsi a fatica, il vestito sparso sul parquet: « vorrei che tu rimanessi accanto a me, per sempre. Vuoi sposarmi, Frank Johnson? »
Arya chiuse un occhio e si morse il labbro inferiore. Adesso, il viso dell'uomo era segnato da una profonda espressione di meraviglia. Avrebbe detto di sì.
« Questo anello è... molto bello » disse infine lui: « e tu sei splendida! » La aiutò a rialzarsi, senza mai staccarle gli occhi di dosso.
« Ma...? »
« No, nessun “ma” » Frank s'infilò l'anello di plastica all'anulare sinistro: « benedico quel giorno in cui sei inciampata nella mia vita. Questo è un sì, tesoro... è un super-sì! Voglio sposarti! »
L'urlo di gioia che lanciò Sarah fu così intenso che per poco non si ruppero i vetri delle finestre. Il suo sogno era stato finalmente coronato. Senza alcun artificio, senza alcuna pretesa sfarzosa. Era stato tutto incantevolmente semplice. Tutto perfetto.
Arya si unì ai festeggiamenti per qualche altro minuto, poi decise di tornarsene nella sua camera. Era stanchissima – se avesse anche solo sfiorato un cuscino, sarebbe crollata in un letargo lungo una stagione intera.
« Sicura che non vuoi venire a festeggiare con noi? » Le domandò ancora una volta sua zia.
« Sono sicura, e vi ringrazio » Arya diede loro una pacca sulle spalle. « Domani sarà una giornata pesante, sarà meglio che io mi riposi un po' ».
« Pesante? » Ripeté Frank, in mano aveva già le chiavi della sua macchina.
« Non lo sai? Andrà al suo primo ballo scolastico! » Sul volto di Sarah si accese un altro sorriso, insaporito da un pizzico di malizia. « E verrà accompagnata da un certo ragazzo... »
« Seriamente? Ma tu lo conosci almeno? » Frank inarcò le sopracciglia, gli occhi fissi su un'imbarazzatissima Arya: « è un bravo ragazzo? »
« A dir la verità, non ci ho mai parlato. Potremmo invitarlo un giorno! »
« Sì, va bene » Arya fece per risalire le scale: « ma non domani! Buona serata! »
« Anche a te, tesoro! » Sarah si spinse oltre l'uscio della porta d'ingresso: « e se dovesse esserci qualche problema, chiamami! »
Arya annuì, scuotendo una mano. Nonostante le risultasse difficile mostrarlo, era davvero contenta che le cose si fossero risolte tra Frank e Sarah. Quest'ultima, dopo tutte le difficoltà che aveva dovuto subire a causa della perdita del fratello e dell'adozione della nipote, meritava il meglio del meglio. Meritava la felicità.
Non appena si fu ritrovata in compagnia della sua propria solitudine, Arya si trascinò al piano soprastante. Il letto, i cuscini e le lenzuola le sembravano un miraggio. Spense la luce e si accartocciò su se stessa. L'abbraccio di Morfeo non avrebbe tardato ad arrivare. Chiuse gli occhi, precipitando quindi in tutt'altra dimensione. Dapprima riuscì a scorgere solamente una nebbia fittissima, avvolgerla da capo a piedi. Era nuda. Tranquilla. La nebbia iniziò a muoversi all'improvviso, prendendo sempre più forma concreta. Adesso era una foresta di conifere che si estendeva, minacciosa, sotto i suoi piedi. Stava volando. Si sentiva libera, leggera. Superò una radura, vide una città in lontananza. Non era quella la sua destinazione. Si godette il momento. Aveva sempre voluto imparare a volare, prendere una piuma di Bartek e scappare via da Rozendhel. Ma non le era stato mai concesso dalla Congrega. Bisognava conservare le piume per un combattimento aereo, non per trasformarsi occasionalmente in un pennuto con gambe, braccia e capelli. Tutt'a un tratto, delle forze ignote la guidarono a terra. La sua pelle era stata misteriosamente velata da un'armatura. Il vento adesso soffiava impetuoso, mentre le onde dell'oceano s'infrangevano severe contro gli scogli. I suoi stivali di pelle calpestarono il prato. Qualcuno la stava fissando. Strizzò gli occhi. Conosceva quella donna.
« Cosa ci fai qui? » Le chiese con un tono di voce che non le era mai appartenuto.
« Sapevo che ti avrei trovata! Sapevo che eri viva! » rispose Hazelle, le lacrime agli occhi: « per quale motivo sei sparita? Torniamo a Rozendhel, insieme! »
« No » fu la sua risposta secca.
« Cos'hai detto? »
« Ho detto che non verrò ».
« Dammi una spiegazione plausibile! »
« Non capiresti » si voltò, frustando l'aria con i suoi lunghissimi capelli color ciliegia.
« Allora verrò con te! » Hazelle sorrise, timida.
« No, sparisci! »
La nebbia tornò ad offuscare la scena. I raggi solari si spensero. La giovane Mason riaprì gli occhi. Era stesa sul suo comodo letto, arrotolata nelle lenzuola. Fuori alla finestra, si era fatto giorno.
Batté le palpebre, disorientata. Eppure sembrava così reale...
Un suono la riportò poi in tempo presente, facendola sussultare: era solamente la vibrazione del suo telefono.
« Pronto? » Disse in uno sbadiglio.
“Arya!” Dall'altro capo del telefono si trovava una Beckah particolarmente eccitata. Il giorno del ballo l'aveva resa la fanciulla più contenta del reame. Arya, al contrario, si sentiva terribilmente agitata. Non aveva mai partecipato a nulla di simile e non sapeva nemmeno cosa si sarebbe dovuta aspettare e quale abito avrebbe dovuto mettere. Si trovava in uno stato di completa confusione fisica e mentale.
« Non lo so, Beckah, davvero » Arya aprì un'anta dell'armadio: « forse indosserò l'abito che mi avevi prestato per la festa di Quinn. Ricordi? »
“Sì, ottimo!” Esclamò Beckah: “metti quello e sarai perfetta!”
« Okay, allora è deciso » inspirò profondamente, cambiando discorso: « sai, ho fatto un sogno stranissimo stanotte ».
“Cioè?”
« Non lo so, è complicato da spiegare » Arya si avvicinò alla finestra: « mi trovavo in un posto bellissimo... hai presente le Scogliere di Moher? »
“Le Scogliere di che? No, mi spiace”.
« L'ho sempre ritenuto uno dei luoghi più belli al mondo! Si trova in Irlanda... mio padre mi aveva promesso che un giorno ci saremmo andati, però è morto ancor prima che potessimo stabilire una data. Comunque, mi trovavo lì con Hazelle. Cioè, in realtà, non ero proprio io... avevo addirittura un'armatura indosso, e la mia voce era così dannatamente strana ».
“Cos'è successo nel sogno?” Le chiese Beckah, curiosa.
« Niente di particolare! » Continuò Arya: « mi chiedeva giusto di tornare a Rozendhel... bah! »
“Okay, okay. Semmai puoi provare a raccontarglielo oggi, prima di andare alla festa! Passi alle sei?”
« Sì, ci vediamo dopo ».
Ma il telefono non terminò mai di squillare in quella calda giornata di Maggio: Darren le inviò così tanti messaggi che per poco la batteria non le andò a fuoco, Oliver invece la chiamò circa sei volte per ripeterle sempre la stessa domanda riguardo all'abito che avrebbe dovuto indossare, e persino Hazelle aveva iniziato a tormentarla con immagini patetiche e barzellette stupide. Non appena scoccarono le sei del pomeriggio, Arya prese coraggio e si affacciò allo specchio della sua camera. Aveva deciso di indossare una semplice canottiera nera, senza spalline, abbinata ad una lunga gonna a fiori, che le sfiorava le ginocchia. I capelli rossi le scivolavano sul petto, il trucco nero le contornava gli occhi verdissimi. Era pronta.
Scese le scale, la Chiave al collo e la borsa di stoffa appesa ad una spalla. Salutò a gran voce sua zia e Frank, intenti a sfornare dei biscotti in cucina, poi attraversò l'uscio della porta e si diresse verso la villetta di Hazelle.
Mentre il sole bruciava oltre l'orizzonte, l'aria frizzante della sera le carezzò il volto sottile.
Stava per metter piede nel cortile, dinanzi alla porta d'ingresso, quando ricevette un ennesimo messaggio da parte di Darren.
Devo mostrarti una cosa... ti va di raggiungermi al lago?”
Arya inarcò le sopracciglia, curiosa: cos'avrebbe potuto mostrarle? Mancavano solo due ore alla festa! In questo modo, avrebbero rischiato di perdersela.
Il cellulare vibrò ancora una volta: “è importante”.
Nella mente le iniziarono a vorticare così tante domande che non poté fare a meno di darsi un colpo sulla fronte. Sospirò, lanciando un'occhiata verso la villetta. Se si fosse sbrigata, sarebbe potuta arrivare anche in anticipo.
« Beckah, mi ha scritto Darren... devo andare un attimo a casa sua. Se dovessimo far tardi, andate pure! »
“Ma che dici? No! Che razza di amici saremmo? Vi aspettiamo qui, a dopo!”
A quel punto, Arya tornò indietro e, raggiunta la fermata degli autobus, iniziò a saltellare da un piede all'altro: quanto avrebbe dovuto aspettare? Cosa le avrebbe mostrato Darren?
Inspirò profondamente. L'autobus era arrivato.

 

***

 

Le nuvole di fumo, originate dalla sua sigaretta, prendevano forme sempre diverse: una si trasformò in un piccolo elefante, un'altra scoppiò invece in un impressionante fuoco d'artificio. Taissa batté le mani, contenta. Per Hazelle, era sempre una gioia veder sorridere la sua piccolina.
« Quindi » iniziò, gli occhi di ghiaccio rivolti unicamente a Beckah: « chi stiamo aspettando? »
« Arya e Darren arriveranno più tardi » rispose lei, nervosa: « tra poco, credo, arriverà Oliver ».
« Ah, che gioia » Hazelle alzò le sopracciglia: « sei ancora innamorata di lui, per caso? »
« Cosa? No! » Urlò Beckah, scuotendo la testa: « io non sono mai stata innamorata di Oliver! »
« Sì, certo » la strega lanciò un'occhiata a Taissa, la quale stava cercando di mascherare una risata con un improvviso colpo di tosse. Rimasero qualche altro minuto in salotto, in pieno silenzio. Se qualcuno le avesse osservate in quel momento, avrebbe di certo constatato quanto fossero bizzarre – vivevano sotto lo stesso tetto, eppure non sembrava avessero granché da raccontarsi. Beckah si tastò il vestito color mare: « secondo te, è troppo esagerato? »
« Il tuo intento era quello di sembrare una sgualdrina? »
La giovane Gray si mise a braccia conserte: « se non avessi un animo tanto nobile, ti prenderei a parolacce ».
« Nessuna persona di animo nobile si direbbe da sola una cosa simile ».
« Okay, basta! » Beckah si buttò su una poltrona: « sei mai stata alle Scogliere di Moher? »
« Cosa? » Il volto antico di Hazelle venne attraversato da una profonda espressione a lei sconosciuta, simile al terrore. Si voltò di scatto verso la ragazza: « perché me lo domandi? »
« Così! » Beckah fece spallucce: « Arya mi ha raccontato un sogno che ha fatto stanotte... vi trovavate lì, e sembrava quasi che tu la stessi implorando di seguirti a Rozendhel ».
« I sogni sono sogni, la realtà è tutt'altra cosa » tagliò corto la strega: « ora, va' ad aprire. Percepisco arrivare qualcuno ».
Il campanello trillò. Beckah si rimise in piedi: « mi fai paura ».
Hazelle sorrise. Non le avrebbe mai regalato una soddisfazione tanto grande.
Nessuno poteva metterla alle strette. Nessuno avrebbe mai dovuto scoprire quanto il suo animo era stato scosso da una semplice, semplicissima domanda.
Con il battito cardiaco accelerato, deglutì nervosamente. Non doveva mostrarsi debole.
« Oliver! » Esclamò Beckah sull'uscio della porta. « Entra pure! »
« Grazie mille » il ragazzo sorrise, indosso portava un elegante completo tre pezzi: « come stai? »
« Non c'è male, grazie! »
« Okay... Arya è già arrivata? »
« No, mi ha detto che deve incontrarsi un attimo con Darren » Beckah sorrise, allungando una mano: « entra pure, però! Possiamo aspettarli insieme! » Ma Oliver non si mosse, si limitò ad osservarla con perplessità.
« Che ti prende? » Gli domandò la ragazza, le sopracciglia inarcate.
« In che senso: “deve incontrarsi un attimo con Darren”? »
« Mi ha chiamato e mi ha detto che lo deve raggiungere a casa sua. Che succede? »
« Cosa? No... Beckah, ne sei sicura? » Oliver lanciò una rapida occhiata alle sue spalle: « perché non so cosa stia succedendo, ma... Darren è venuto con me! Sta parcheggiando proprio ora la macchina ».
Beckah si portò una ciocca dei suoi capelli mossi dietro un orecchio: « e, allora... »
« Dimmi subito dov'è diretta! » Esclamò Oliver, prendendola per le spalle: « ti ha detto dove stava andando? »
« A casa di Darren! » Gridò Beckah a sua volta.
« Ma Darren ha due case a Rozendhel! »
A quel punto si affacciò anche Hazelle nell'ingresso: « che cos'è tutto questo baccano? »
« Oh, non lo so! Non lo so proprio! »
Oliver iniziò a sudare freddo: « proviamo a chiamarla ».
« Mi volete spiegare cosa cavolo sta succedendo? » Tuonò Hazelle.
« Arya ha ricevuto un messaggio da Darren, un messaggio in cui le diceva di raggiungerlo a casa sua... solo che da Darren è venuto con Oliver! » Cercò di spiegare Beckah.
« Cavolo... » sussurrò il giovane Hopkins.
« Cosa? » Chiesero in coro le due streghe.
« Ieri, Darren è rimasto a dormire da me... e oggi abbiamo speso gran parte del tempo a cercare il suo telefono. Non lo trovavamo da nessuna parte ».
« Quindi, i messaggi che Arya riceveva non erano da parte di Darren? » Hazelle aggrottò la fronte.
« Esatto! » Esclamò Oliver.
« Oh, mio Dio » disse Beckah.

 

***

 

Il cielo era scuro. Quella sera sembrava quasi che la luna avesse deciso di tenere soltanto per sé i suoi raggi migliori. Il bosco era immobile. Le acque del lago estremamente placide.
La giovane Mason si era lasciata indietro Rozendhel – si trovava ai suoi confini, dinanzi alla villetta degli Hart.

Mise un piede in veranda, poi bussò alla porta.
Possibile che Darren si fosse addormentato su una poltrona?
« Entro, comunque! » Annunciò a gran voce.
Il salotto era ben illuminato. La televisione era accesa.
Ogni cosa era in ordine: le poltrone in soffice pelle bianca, il basso tavolino da tè in stile Barocco, il delicato tappeto color beige. Dal camino non proveniva però il solito crepitio del fuoco: normale, pensò Arya, d'altronde si stava avvicinando la stagione più calda. I cristalli, con i quali era intarsiato quell'alto e preziosissimo lampadario, presero a specchiare la sua figura. Tutto troppo tranquillo.
« Darren? » Chiamò, avvicinandosi alle scale di legno.
Nessuna risposta.
« Darren, per favore, non... »
Le parole le si strozzarono in gola.
La tv si bloccò. La luce si estinse.
Non riusciva più a vedere nulla.
Il silenzio prese a divorarla.
Un brivido le percorse la schiena, mentre tentava di recuperare il cellulare dalla sua borsa di stoffa. Come scordarlo: in quella casa era sempre stato impossibile mettersi in contatto con il mondo esterno. Era in trappola.
« Sei tu, non è vero? » Chiese in un sussurro. « Mi hai attirata qui, ed io ci sono cascata come una stupida ».
Un rumore alle sue spalle la fece voltare, lentamente.
In quell'oceano di oscurità riuscì a scorgere un qualcosa di più nitido, un'ombra scura e solitaria.
Arya inspirò profondamente: una sensazione orripilante alla bocca dello stomaco, il battito cardiaco accelerato.
« Finalmente sei riuscito a prendermi ».
Lo vide annuire.
« Devi pagare per tutto quello che hai fatto! » Con la bocca asciutta, Arya urlò: « Nox Mordre! »
Il raggio di luce lo colpì in quello che doveva essere il suo petto.
Arretrò di un passo. Solamente di un passo.
« Com'è possibile? » Sibilò la ragazza: « quell'incantesimo avrebbe dovuto ucciderti... come... »
Ma non riuscì a terminare la frase. Il Cacciatore si avvicinò, silenzioso, e, con un colpo secco, la mandò a terra.
Arya sentì il sangue macchiarle il volto. Tentò un incantesimo diverso. Nulla.
L'uomo, a quel punto, la afferrò dal collo e la fece schiantare contro il tavolino da tè – realizzando così un'esplosione di tanti, piccoli frammenti legnosi. Arya gridò dal dolore, poi venne afferrata – dai capelli questa volta – e, non appena divenne un tutt'uno con le pareti fredde del salotto, ricevette in viso due, tre, quattro pugni.
« Basta, ti prego » urlò: « basta! »
Venne scaraventata nuovamente a terra.
Il corpo le tremava come mai aveva fatto prima. Il sapore del sangue caldo le invase la bocca e le bagnò le labbra.
« Sei un vigliacco! » Gridò: « dimmi chi sei! »
Si lanciò allora contro di lui, ma egli sembrava di corporatura nettamente maggiore: la prese con facilità, nello stesso modo in cui avrebbe preso una bambola, e poi la buttò sul pavimento. I calci che Arya ricevette sullo stomaco le si presentarono violenti, pieni d'ira e odio.
« Basta! » Ripeté, invano.
Lo scarpone destro dell'uomo le andò a premere contro una guancia.
Arya si sentì morire.
Cercò di colpirlo con altri incantesimi d'immobilizzazione, di difesa... ma nessuno di questi fece effetto. Era impossibile, ma quell'uomo era resistente alla magia.
Un nuovo movimento dello scarpone e la ragazza sentì rompersi uno degli ossicini del polso sinistro. Soffocò una bestemmia.
« No, basta... Lux! »
L'oscurità scoppiò in una luce intensa.
Arya vide arretrare il Cacciatore.
« Oh, mio Dio » disse in un sussurro, cercando di rimettersi in piedi: « non può essere vero... »
Tornò il buio. Ma non la paura.
L'incredulità aveva superato qualsiasi altra emozione.
« Buona sera, signorina Mason » disse il Cacciatore, la voce roca.
« Non ci posso credere » ripeté lei, portandosi una mano tremante alla bocca insanguinata: « tu... »
L'uomo tese le labbra in un sorriso privo di gioia. Era massiccio, con dei grossi baffi neri sul prolabio. I tratti del suo volto si presentavano più duri di una roccia, gli occhi attenti come quelli di un falco. Sarebbe stato sciocco dire che questi ultimi non avevano mai attirato la curiosità della ragazza: erano scuri quanto una notte senza luna, abili e bugiardi. A differenza di quelli puri di suo figlio, erano stati capaci di ingannare chiunque. Nessuno avrebbe mai dubitato di quegli occhi. Nessuno avrebbe mai dubitato di Walton Hart.
« Sono così contento di vederti » disse Walton, con un tono di voce gelido: « credevi che il Cacciatore fosse qualcun altro? »
« Non avrei mai potuto sospettare di te » Arya proseguì, facendo un passo indietro: « come hai fatto? Eri nella tavola-calda, eri insieme a me quando hanno iniziato a sparare! »
« Mi servo di alcuni bei trucchetti » tagliò corto l'uomo: « ho rapito una strega e uno stregone tanti mesi fa, in una cittadina di periferia come questa... Cinnamon è ancora rinchiusa in una botola, nascosta nel bosco, mentre Lance... be', basterebbe aprire il freezer per guardarlo negli occhi ».
« Non capisco! Cosa stai dicendo? »
« Cinnamon e Lance avevano il compito di ucciderti, di distruggere quello schifo di tavola-calda. In questo modo nessuno avrebbe sospettato di me! » Walton continuò, azzardando un passo più lungo delle sue stesse gambe: « ma purtroppo hanno combinato un macello! Non sono riusciti ad ucciderti! » Arya deglutì nervosamente: « e quindi li hai puniti... »
« Eccome se li ho puniti! » L'uomo ghignò: « ho ucciso Lance e ho tagliato la lingua di Cinnamon ».
Argomentava il tutto senza il minimo rimorso. Nel buio, i suoi occhi lampeggiarono d'ira.
Arya tornò a fissarlo: « perché i miei incantesimi non hanno effetto su di te? Perché stai facendo tutto questo? »
« Non credo che questo sia il momento giusto per parlarne » Walton si lanciò contro di lei e la scaraventò a terra; si trovarono, dunque, l'uno sopra l'altra.
« Aiuto! » Gridò Arya, invano: « aiuto! »
« Nessuno ti verrà a salvare, stupida mocciosa! »
« Lasciami! Lasciami! » Riuscì a districare una mano dalla sua presa possente, e così iniziò a spingere un pollice contro uno dei suoi occhi. Non si fermò finché non vide colargli del sangue sul volto. Walton esplose in grida di dolore.
Nel frattempo, la ragazza si rimise in piedi e gli conficcò uno dei suoi anfibi tra le coste: « rispondi alle mie domande! Perché i miei incantesimi non hanno effetto su di te? »
« Il Bracciale! » Si rialzò, il volto coperto di sangue: « il Bracciale che l'Antico Circolo aveva forgiato a Salem, nel corso di un rogo ».
« L'Antico Circolo? » Ripeté Arya, esterrefatta: « ci sono altri Cacciatori? »
« Fortunatamente sì, mia cara signorina Mason! » Walton strinse i denti, nervoso: « non ti rendi conto della cosa? Le Streghe della Natura e le Streghe dello Scisma sono demoni, come tutti gli altri! »
« Non è vero! » Obiettò Arya.
« Non è vero? » Ululò l'uomo: « una fottuta strega ha maledetto mio figlio! E tu lo sai bene! Mio figlio è un lupo mannaro! »
« Cosa? No... »
« E invece, sì! Avrei dovuto uccidere quella strega prima di sotterrarla... ma sai com'è? Era più divertente immaginarla in quella tomba, legata e impaurita. Immaginarla morire tra le lacrime, tra le grida di terrore che nessuno avrebbe mai udito ».
« Mathilda si era messa in contatto con me perché tu l'avevi sotterrata viva... e lei, per ripicca, ha lanciato il suo ultimo incantesimo su Darren, rendendolo un lupo mannaro » Arya si sentì svenire.
« Esattamente » Walton continuò, le spalle rivolte alla porta d'ingresso: « la famiglia Hart fa parte del Circolo da centinaia di anni... ora, la catena si spezzerà per colpa di quel demone di mio figlio! »
« Walton » iniziò Arya, gli occhi puntati sulla rivoltella che aveva appena recuperato dalla cintura dei pantaloni: « io non sono come le altre streghe dello Scisma... non ho intenzione di uccidere o maledire nessuno... il mio unico obiettivo è quello di cacciare via i demoni... ma tuo figlio, no... lui è buono! Abbiamo trovato il modo di poter placare le sue trasformazioni! »
« Stai mentendo! »
Il grido della ragazza venne coperto dal rumore di uno sparo. La sua spalla sinistra esplose in scintille rosse. Cadde a terra, tremante e con la vista annebbiata.
« Devo eliminarti! » Walton riposizionò correttamente il dito sul grilletto: « devo eliminare tutta la tua razza... ma devo comunque ammetterlo, tu eri la più pericolosa. Il Fuoco Aureo è un bel potere, non trovi? »
« NON SO NEMMENO COSA SIA! » Sbraitò Arya: il suo volto era ormai un trionfo di sangue, lacrime e polvere.
« Meglio così, allora! » L'uomo ghignò – sembrava il ciclope più pericoloso della storia: « addio, signorina Mason ».
Un rumore sconosciuto.
L'urlo della ragazza.
Due spari.
Silenzio.
Arya riaprì gli occhi pochi istanti dopo. Attraverso le fessure del suo lunghissimo velo rosso, riuscì a scorgere un qualcosa di impossibile. Un qualcosa che non avrebbe mai voluto vedere.
Walton era steso a terra, esanime – il liquido scarlatto gli sgorgava ancora dalla testa.
Sul ciglio della porta d'ingresso, invece, si trovava un'altra persona, con il volto frantumato.
Stretta nelle mani aveva una rivoltella.
Era un ragazzo.
Era Oliver Hopkins.

 

 

Fine della prima parte

 

 

Angolo dell'autore:

Ciao a tutti!
Siamo finalmente arrivati al capitolo 15, la fine della prima parte!!
Spero che riuscirete a seguirmi anche nella seconda, che inizierò a postare da Gennaio 2016 (sempre qui, con il capitolo 16). Le cose adesso iniziano a movimentarsi: scopriremo tutti i segreti di Hazelle, la verità che si cela dietro i sogni di Arya, ed inoltre verrà dato molto più spazio a personaggi che fino ad ora sono stati solamente accennati (Nathaniel, Quinn, Cinnamon, la misteriosa strega a cui Hazelle tiene/teneva particolarmente... etc.) 
Ringrazio tutti gli utenti che stanno continuando ad inserire la storia nelle seguite e nelle ricordate; sono felicissimo di vedervi crescere sempre più!! Ma un ringraziamento speciale va soprattutto al mio amico Gio, King Peter ed Il Vero Uomo! Le vostre recensioni sono sempre bellissime!
Che altro dire? Grazie, grazie mille!!

A presto, e buone vacanze!

_Charlie_ 

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16: Padre e figlio ***


Seconda Parte

 

 

CAPITOLO 16:

 

Padre e figlio

 

 

Le fiamme dell'Inferno si alzarono all'unisono, ed il fumo cominciò a roteare in delle elegantissime spirali argentate.
Scoppiarono le grida, il fiume si macchiò.

Nessuno poteva ritenersi al riparo. Nessuno avrebbe mai potuto testimoniare ciò che stava accadendo al villaggio.
Con il viso marchiato dall'angoscia, il ragazzo si guardò attorno: una signora stava pregando ai piedi di un'ombra, un cane abbaiava, un bambino si stava disperando sul cadavere di quello che intuì fosse il suo babbo. Tentò di raggiungerlo, ma la testa di una donna lo fece inciampare. Un tonfo sordo e, subito, si ritrovò a mangiare la terra. Impresa ardua rimettersi in piedi – le ferite che gli erano state inferte da quei mostri, infatti, gli bruciavano l'addome, e la schiena aveva preso a dolergli per le numerose pedate che il branco, distrattamente, gli stava infliggendo. Quando riuscì finalmente ad alzarsi, notò che non vi era più alcuna traccia del ragazzino. Era stato ucciso. O, nella peggiore delle ipotesi, rapito.
« Padre! » Gridò. « Dove siete? »
Ma la terra vibrò a causa di un'ennesima esplosione.
Volarono degli arti, brandelli di carne insanguinata.
« PADRE! » Il ragazzo sentì il volto infrangersi.
Dov'era finito? Non poteva essere morto.
Nell'unico istante in cui abbassò la guardia, un'ombra gli si parò dinanzi agli occhi ambrati.
Ricevette un pugno allo stomaco, che lo costrinse a piegarsi. Una ginocchiata e un colpo alla schiena lo gettarono definitivamente al suolo. Fu a quel punto che l'ombra sguainò la spada, conficcandogliela all'altezza della spalla sinistra. Il liquido scarlatto gli macchiò la camicia. Sarebbe morto ancora una volta? No. Venne salvato all'ultimo momento dal suono sconosciuto di un corno. Il demone si arrestò, recuperò l'arma e si allontanò in tutta fretta – i lunghi capelli corvini al vento.
Il ragazzo a terra tossì sangue. Attorno a lui, macerie e popolani avvolti in un disperato silenzio.
Nel frattempo, le ombre si erano radunate, minacciose, fuori alla residenza del sindaco: un particolare edificio in mattoni rossastri.
« Hai visto mio padre? » Domandò ad una ragazza lì vicino, la quale in seguito scosse impercettibilmente la testa. « E tu? » La vecchia, invece, abbassò gli occhi.
Nessuno osava più scappare. Ogni singola anima era terrorizzata dal fatto che uno di quei demoni potesse reagire in malo modo.
Il ragazzo strisciò a terra, sino ad un vicolo lì vicino.
Alcuni cadaveri erano stati accatastati l'uno sull'altro. Un fetore che scavò le sue narici e gli provocò un conato di vomito.
Con difficoltà, iniziò a spostarne due o tre: in quei volti riconobbe il fornaio e la parrucchiera che era solita fargli tanti bei complimenti sul suo aspetto. Inspirò profondamente. Suo padre non era lì.
Scivolò oltre il vicolo, e si spostò silenziosamente verso l'ingresso di un locale.
Aveva perso ogni speranza ma, poco prima che riuscisse a desiderare di svanire nel nulla, vide aprirsi la porta di legno verde, mostrando sul ciglio del locale la figura ossuta di un anziano.
« Nathaniel! »
Il ragazzo sgranò gli occhi: « padre? Padre, cosa ci fate qui? »
« Oh, santo cielo! Credevamo che i demoni se ne fossero andati e... »
« Rientrate dentro, subito! »
Si spinsero oltre l'uscio della porta, entrando nel locale.
Due cadaveri erano stesi sul bancone, tra i resti vetrosi di alcune bottiglie di birra, mentre vicino ai tavoli si trovano tre donne e quattro uomini. Vivi.
« Appena abbiamo saputo dei demoni ci siamo rifugiati qui dentro » spiegò uno di loro: « c'è una botola, e un magazzino sotterraneo ».
« Ho capito » Nathaniel annuì, poi si rivolse unicamente a suo padre: « dobbiamo andare via. Possiamo teletrasportarci in un altro posto... andiamo a Rozendhel! »
« Puoi farlo anche con tutti loro? » Chiese l'anziano.
« No » rispose Nathaniel, secco. « È impossibile! »
« E allora resto qui ».
« No! Tu vieni con me! Non posso lasciarti morire qui! »
L'anziano inspirò profondamente, prendendogli il volto tra le mani: « vai tu. Io morirò qui, proprio dove sono nato... sono vecchio, Nathaniel! »
« Ma io non posso... »
« È stato un piacere incontrarti, e per me sei sempre stato una guida » l'anziano sorrise, sfiorandogli una guancia: « dovrei chiamarti io padre, non trovi? »
« Sei la mia casa ».
« E tu sei la mia ».
Si abbracciarono, poi l'uomo gli disse in un sussurro: « sono venuti qui per un motivo ».
Nathaniel inarcò le sopracciglia.
« Prendi la mia borsa, e vattene ».
Oltre la porta di quella birreria, le grida tornarono ad incendiare la notte.
L'anziano gli consegnò una borsa di stoffa color beige: « portala via ».
Con una mano incerta, lo spettro la afferrò – il volto rigato dalle lacrime.
La porta del locale, allora, saltò in aria.
Le grida che seguirono furono immediatamente messe a tacere.
Un sorriso esplose nella disperazione.
Poi, il boato.
E Rozendhel.
« Padre... » Nathaniel lasciò cadere a terra la borsa.
Si trovava sulla cima di una collinetta, immersa nella quiete più totale.
Ai suoi piedi si trovava, invece, la cittadina di periferia.
Lanciò un grido, sperando che ella lo sentisse.
Niente.
Pianse per tutta la notte, soffocandosi nelle sue stesse ferite e lacrime.
Solamente ai primi accenni dell'aurora si ritenne in grado di ispezionare il contenuto di quella borsa.
Sarebbe risultata completamente vuota se non fosse stato per quel biglietto ed un piccolo frammento vetroso – lungo e di colore rosso – avvolto in un fazzoletto da taschino.
Con attenzione, lo lesse.
Vi era una sola parola: Incubo.

 

 

 

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17: Io ricorderò ***


CAPITOLO 17:

 

Io ricorderò

 

 

Caro Nessuno,

ho deciso di aprire questa lettera con una richiesta particolare.
Vorrei che tu mi perdonassi. Per tutto. Per il fatto di essere nata al tuo posto.
Mi sento in colpa. Ecco, l'ho detto!
E sono sicura che tu avresti potuto condurre meglio quella che noi esseri umani siamo soliti definire “vita”.
Saresti potuto diventare uno scienziato, un attore di fama mondiale... Chissà!
La mia vita continua a far schifo, invece.
Hazelle è partita a Giugno e non ha più messo piede qui, a Rozendhel. Magari ha deciso di non tornare, di trascorrere l'eternità in un posto soleggiato e privo di demoni.
Ti confesso che per me non sarebbe una gran perdita. Anzi!
Quella che ne sta soffrendo maggiormente è Taissa. Sembra proprio che non riesca a vivere senza di lei.
Beckah la rimprovera in continuazione. Dopo tre mesi, è comprensibile perdere la pazienza...
E poi, adesso, deve occuparsi anche di Cinnamon, che per comunicare si serve di una lavagnetta e di alcuni gessetti bianchi. (Il Cacciatore le ha tagliato la lingua poco prima che riuscissimo a liberarla).
Per il suo compagno stregone, invece, non si è potuto far nulla. Spero abbia trovato la pace.
Da quando sono stata attaccata alla villetta degli Hart, Beckah ha deciso di addestrarmi... Mi ha praticamente costretta! Sono giorni e giorni che non faccio altro che svegliarmi la mattina, correre all'allenamento, e andarmene a letto la sera.
Anche Darren è andato via... non so che fine abbia fatto.
È possibile che abbia incontrato quell'uomo-licantropo, conoscente di Hazelle, e si sia rifugiato nei boschi. Sua madre non esce più di casa. I giornalisti continuano a chiederle una dichiarazione.
Questa è una piccola città. Eventi del genere non verranno mai dimenticati: per il resto della sua vita, Abbey verrà additata come la moglie del serial-killer più pericoloso di Rozendhel, io invece apparirò come la povera vittima e... Oliver sarà l'eroe.
Per quanto riguarda Oliver... lui non si è più fatto vivo.
Non risponde neanche alle mie chiamate. Fa finta di non essere in casa quando busso alla sua porta.
Le cose sono cambiate, caro Nessuno, ed io mi sento tremendamente sola.
Spero che questo mese di Settembre possa portare delle novità!
Novità positive, intendo!
Come quella del matrimonio di Sarah e Frank! Hanno organizzato tutto nei minimi dettagli, sai? Fanno addirittura il conto alla rovescia ogni mattina! Mancano esattamente ventidue settimane e tre giorni. Bello, no?

Con questa mia speranza, ti mando un abbraccio.

A presto.

Tua, Arya.

Il vento si alzò, accarezzandole il volto e scompigliandole i lunghi capelli color rosso ciliegia.
La ragazza arrestò la penna e chiuse il suo preziosissimo diario. Nell'arco di quei mesi, quest'ultimo si era dimostrato un vero amico. Un amico sul quale avrebbe potuto contare sempre. In qualsiasi occasione.
Socchiuse gli occhi e si abbandonò al venticello fresco di quella domenica mattina.
Il sole splendeva alto nel cielo, accompagnato dal canto degli usignoli e dagli schiamazzi dei bambini che correvano da una parte all'altra del parco. Arya sorrise.
Si trovava seduta su una panchina – sotto la chioma di un verdissimo tiglio – e con accanto un vecchietto tutto impegnato a far funzionare uno dei telefoni più antichi che ella avesse mai visto. Nello scrivere la lettera, quest'ultima era stata testimone di ogni suo sbuffo e lamentela. Ad un certo punto aveva persino lasciato da parte il suo diario e offerto aiuto, ma il signore aveva rifiutato – alzando persino un sopracciglio, scettico.
Afferrando con decisione la borsa a tracolla, Arya si alzò e si sgranchì le gambe. Avrebbe voluto trascorrere tutto il tempo lì, ma il dovere purtroppo la chiamava... anzi, la assillava! Nonostante quella fosse una giornata di riposo, Beckah le aveva ordinato di fare un giro di ricognizione per la città e controllare se si fosse aperto un qualsiasi Portale diretto alla Dimensione Demoniaca.
Avanzò quindi di qualche passo e uscì fuori dal Sunny-Valley. Quel parco, ricordò Arya, era stato rivalutato dal sindaco Lloyd poco prima dell'estate, ed era stato rimesso a nuovo nell'arco di circa cinque settimane. (I barboni di Rozendhel, adesso, avrebbero dovuto trovare un altro posto in cui drogarsi o semplicemente dormire la notte).
Passeggiò per le strade principali della cittadina, lanciando un'occhiata fugace ad ogni piccolo vicolo buio. Non sembrava ci fosse qualche pericolo incombente.
Poi, fermatasi dinanzi all'entrata del forno, notò un gruppo di ragazze indicarla.
Era stata riconosciuta. Ancora.
Spinse la porta d'ingresso ed immediatamente venne investita dall'odore di pane appena cotto.
I nuovi proprietari si mostravano persone allegre e simpatiche, ma Arya aveva imparato a non dar più così tanta confidenza alla gente estranea. Prese dunque il numeretto, aspettò il suo turno, comprò ciò che le era stato chiesto da Sarah e si allontanò. Anche quel posto era stato rimesso a nuovo, e la sua insegna non riportava più le parole “The Right Place”, bensì: “Forno Harris”.
La ragazza venne bagnata dalla luce del sole. Si era già fatto mezzogiorno e la temperatura aveva iniziato ad alzarsi, tant'è vero che fu costretta a tirar fuori dalla borsa quel suo orribile ventaglio color sabbia. Diede una nuova occhiata allo schermo del cellulare: nessun messaggio e nessuna chiamata recente. Cosa doveva pensare a riguardo? Era tornata ad essere single? Non aveva più un migliore amico? Casi del genere, era convinta, si dovessero superare insieme. E invece, si trovava da sola a girare per Rozendhel con una misera busta di plastica tra le mani. Prima o poi, pensò, si sarebbero tutti rifatti vivi. Allora avrebbe chiarito ogni cosa.
Tornò in tempo presente e udì una voce provenire dal lato opposto della strada, accompagnata dal suono di una chitarra acustica. Era un ragazzo che stava cantando. Un ragazzo che non aveva mai visto prima: aveva i capelli neri, e indossava una semplice maglietta bianca con dei calzoncini corti ed un paio di infradito. Cantava e suonava allo stesso tempo – di tanto in tanto, qualcuno si avvicinava al cappello che aveva poggiato a terra e gli lanciava una monetina. Egli riservava un sorriso delicato ad ogni passante. Sembrava tutto fuorché un ragazzo di città.
Arya attraversò la strada e gli lasciò una banconota da un dollaro.
Il ragazzo allora le fece un cenno con la testa, ringraziandola, poi giunse al termine della canzone con un improvvisato assolo di chitarra.
« Wow, sei bravissimo! » Arya applaudì.
« Grazie mille! » Esclamò lui, contento: « e grazie per l'offerta! »
« Di nulla! » La giovane lo guardò con più attenzione: i suoi occhi si presentavano dolci come il caramello, mentre i suoi capelli erano corti e riccioluti, ed il naso a patata.
« Come ti chiami? » Le chiese lui ad un tratto, e Arya intuì subito che doveva trattarsi di un forestiero.
« Arya Mason » rispose lei, cauta: « tu, invece? Non credo di averti mai visto qui in giro ».
« Sì, mi sono appena trasferito dall'Ohio. Mi chiamo Logan O'Mooney » disse Logan, strizzando il suo occhio pigro.
« Ah, ho capito! Sembri una persona interessante... sono rari gli artisti di strada qui ».
« Be', non sono proprio un artista di strada. Cerco solo di guadagnare qualche soldo... vorrei aiutare i miei genitori a pagarmi l'iscrizione all'università ».
« Cosa? » Arya rimase a bocca aperta: « wow... sei una persona interessante, allora! Stai per iscriverti, o devi frequentare l'ultimo anno del liceo? Perché se fosse così, ci ritroveremmo insieme! Anch'io sto per iniziare il quarto anno! »
« E allora, sì » Logan sorrise, mostrando la sua dentatura perfetta: « ci ritroveremo insieme a scuola ».
Arya gli ricambiò il sorriso: « è stato un piacere conoscerti, Logan! Ora devo proprio andare, spero di rivederti presto ».
« Anche per me, Arya! A presto! »
Così, la giovane Mason si allontanò da quel marciapiede e si indirizzò finalmente verso casa. Il pane all'interno della busta non scottava più. L'agitazione all'interno del suo animo non bruciava più così tanto.
Inserendo la chiave nella fessura della porta di casa, si ritrovò immediatamente nell'ingresso. Il profumo proveniente dalla cucina le fece alzare le sopracciglia: stavano preparando di certo una torta di mele.
Lasciò cadere a terra la borsa ed inseguì quella fragrante scia invisibile.
« Cosa stai cucinando? »
Sarah si voltò di scatto, aveva le mani impegnate in un impasto dall'aria decisamente malconcia: « ehi, quando sei arrivata? »
« Proprio adesso, non mi hai sentita? » Chiese la ragazza, abbandonandosi su di uno sgabello.
« No, sono troppo impegnata con questo... coso » disse Sarah: « volevo fare due torte: una è venuta benissimo e sta già in forno, l'altra... be', questo è il risultato ».
Arya scoppiò a ridere: sembrava che quell'impasto fosse stato picchiato a dovere da Mike Tyson in un incontro di boxe.
« Hai comprato il pane? » Riprese Sarah, asciugandosi la fronte con uno straccio: « è andato tutto bene? »
« Sì, eccolo » Arya le passò la busta: « e, sì... tranquilla, è andato tutto bene ».
« Ne sei sicura? »
La ragazza notò il contatto visivo che si era instaurato. Erano pochissime le persone in grado di guardarla in quel modo.
« Delle ragazze mi hanno riconosciuta, mi hanno indicata... ma non è successo nulla, davvero! Ho incontrato anche un ragazzo simpatico ».
« Un ragazzo simpatico? » Sarah inarcò le sopracciglia: « andiamo, Arya! Chi è? »
« Un ragazzo che suonava la chitarra, ordinario! »
« No, non mi piace. Devi prestare più attenzione! Non puoi mai sapere che razza di demone si nasconde dietro un bel faccino ».
Arya sbuffò, incrociando le braccia dinanzi al busto.
Dal giorno in cui Walton Hart aveva tentato di uccidere sua nipote, Sarah si era trasformata in un vero e proprio sbirro a tempo pieno. La mattina era solita raccomandarle minimo sei volte di non dare confidenza agli estranei, di non uscire di casa se la batteria del suo cellulare non fosse stata carica al cento per cento, di chiamare lei o Frank ad ogni ora per aggiornarli su come stesse, con chi fosse e dove si trovasse. Gli interrogatori integrali, tuttavia, erano previsti soltanto a fine giornata.
Innegabile il fatto che Sarah fosse divenuta una zia eccessivamente apprensiva, più adulta e consapevole. D'altronde era naturale che un evento come quello avesse scosso la famiglia, Arya lo comprendeva bene. Ma un clima simile non riusciva proprio a sopportarlo! La soffocava.
« Amore, ti sto solamente dicendo che... »
Arya la zittì, copiose lacrime di rabbia avevano preso a rigarle il volto.
Uscì dalla cucina e si diresse in tutta fretta verso la sua camera.
Chiuse a chiave la porta e si lanciò sul letto.
Avrebbe voluto gridare. Inviare un messaggio ad Oliver. Chiedergli di raggiungerla.
Ma l'unica cosa che fece fu bagnare il cuscino.
Si sentiva una stupida.
Una fallita.
Chiuse gli occhi, e ancora una volta venne scaraventata in quella villetta buia.
L'ombra possente le diede un calcio, un pugno.
Sentì il sapore del sangue invaderle la bocca.
Riaprì gli occhi.
Ansimante.
« Basta, basta, basta! » Arya si diede un colpetto sulla fronte, il mento poggiato sulle ginocchia.
Inspirò profondamente, osservando il Signor Cavaliere odorare un consunto paio di scarpe e scuotere il musetto – evidentemente schifato.
Ella deglutì, alzandosi: dinanzi allo specchio, posizionato al di sopra di quella sua elegante scrivania, le ricambiò lo sguardo una giovane ragazza con gli occhi rossi, il trucco colato e le guance impregnate di lacrime e muco.
« Che schifo! » Esclamò a gran voce, cercando di ricomporsi.
A chi avrebbe potuto darla a bere? Di certo, non a se stessa.
Scossa, fragile, distrutta.
Questa era la vera Arya Mason: la strega più patetica che avesse mai varcato la soglia del pianeta Terra.
La più debole. La più insensata.
Inspirò ancora una volta.
Nessun punto di sutura avrebbe mai potuto cicatrizzare il ricordo di quella sera.
« Arya? » Sarah bussò tre volte alla porta: « il telefono ti sta squillando... vuoi che te lo passi? È Beckah! »
« Come, scusa? » La ragazza aggrottò la fronte: « hai frugato nella mia borsa? »
« Tesoro, perché non capisci? Dovevo sapere chi ti stava cercando con così tanta insistenza ».
Arya strinse i denti e, con estrema aggressività, aprì la porta. « Non farlo più! »
« Arya, ne abbiamo già parlato! »
« Ora basta! » Le strappò l'oggetto di mano, dandole una spinta. « Quel che è successo, è successo! Non credo possa accadere di nuovo! Sta' tranquilla, è passato tutto! »
« No, non sto tranquilla! Come potrei? »
« Fidati di me! » Urlò Arya, le lacrime agli occhi.
« Non ci riesco! » Esclamò Sarah: « non mi hai mai detto nulla! I messaggi, la casa delle bambole che quel pazzo ti aveva spedito... non posso fidarmi di ciò che dici tu, adesso! Capisci? »
Il silenzio che seguì quelle parole fu il rumore più assordante che Arya avesse mai udito in tutta la sua vita. La zia Sarah non si fidava più di lei. Come poteva esser vero? Dopo tutto ciò che avevano passato assieme.
La guardò negli occhi e, con grande sforzo, tentò di pronunciare una qualsiasi sillaba – di dire qualcosa di senso compiuto: « sto uscendo » annunciò alla fine, le mani tremanti.
« Dove credi di andare? » La rimproverò l'altra: « torna subito qui! »
Ma Arya era già scesa per le scale e, raggiunto l'ingresso, aveva afferrato la sua borsa ed era andata via. Esausta.
Scelse di non piangere, di evitare da adesso in poi ogni singola lacrima.
Credeva che abbandonarsi alla disperazione fosse sbagliato. Il suo sapore sgradevole le sarebbe stato fatale. Non avrebbe neanche più avuto alcuna occasione di riprendersi, di uscirne viva. L'avrebbe divorata dall'interno – demolendola in ogni istante, ora dopo ora, giorno dopo giorno.
A grandi passi giunse dinanzi alla villetta di Hazelle, con la gonna che le sventolava attorno alle ginocchia.
L'aria afosa ed il sole battente la costrinsero a sbrigarsi a raggiungere la porta principale.
Non appena ebbe bussato, tentò di sistemarsi il volto alla bell'e meglio – sperando con tutta se stessa che Beckah non le chiedesse nulla. Non aveva infatti alcuna voglia di parlarne.
Ad aprire fu Bartek, il maggiordomo.
Sebbene fosse passato un anno dalla prima volta in cui lo aveva incontrato, Arya non poté evitare un sussulto quando lo vide accostarsi lentamente sulla destra ed allungare un braccio ossuto verso l'ingresso. La invitò ad entrare con un mezzo sorriso, privo di gioia. Aveva i capelli unti come al solito e, nonostante il caldo opprimente, indossava la sua classica uniforme composta da un lurido smoking nero.
La ragazza gli fece un cenno con la testa ed avanzò oltre la soglia.
« Dove sono? » Chiese non appena ebbe perlustrato il salotto.
Bartek spostò lo sguardo verso la cucina, dalla quale proveniva il solito lamento di Taissa causato dall'assenza di Hazelle.
Arya lo ringraziò ancora una volta e subito si fece avanti, entrando in cucina: « ehilà! Mi hai chiamato? »
« Oh, non ti aspettavamo! Ciao, bellissima! » La salutò Beckah, allontanandosi dalla macchina del gas: « come stai oggi? »
« Bene, grazie! Voi? »
La giovane Gray alzò le sopracciglia come a voler dire “si tira avanti”, mentre le altre due presenti si limitarono a sorridere in una brutta smorfia. Cinnamon era la strega che avevano liberato dal bosco, dalla prigionia di Walton Hart: si mostrava un'anziana signora dai lunghi capelli turchesi, intrecciati in nodi sgradevoli e disordinatissimi. Aveva gli occhi di ghiaccio, il naso aquilino ed una bocca sottile che non decideva mai di aprire. Non era originaria di Rozendhel, e nemmeno della vecchia Salem: proveniva da una cittadina di periferia del Kentucky, uno dei pochissimi luoghi abitati esclusivamente da stregoni che la comunità magica era solita definire Villaggi Eterni.
« Sto cercando di preparare qualcosa di decente da mangiare... Cinnamon ha trovato un libro di ricette in cantina » disse Beckah, sbirciando all'interno della pentola: « ne vuoi un po' anche tu? È una zuppa di pesce... cioè, almeno credo debba essere una zuppa. Ho messo troppa acqua, forse ».
Arya scosse la testa: « no, grazie! Preferirei continuare a vivere ».
La ragazza scoppiò a ridere, mescolando il contenuto della pentola.
« Avete qualche novità riguardante Hazelle? »
Taissa scosse la testa, lasciando parlare Beckah: « no, e sinceramente ci siamo anche arrese con i nostri futili tentativi di entrare nella sua stanza... avrà compiuto un incantesimo di protezione, è impossibile da aprire! Ieri notte, io e Bartek abbiamo persino tentato di spaccare i vetri della finestra con delle pietre. Il risultato? Lo vuoi sapere davvero? Sono tornate indietro e hanno iniziato a rincorrerci per tutto il giardino ».
« Wow » commentò Arya, un sopracciglio alzato: « e quindi, se non hai novità di Hazelle, perché mi hai chiamata? »
« Oh, giusto! » Esclamò Beckah: « volevo chiederti come fosse andato il giro di perlustrazione! Hai trovato qualche demone e/o Portale? »
« Fortunatamente no. Ho girato dappertutto e non mi è sembrato di vedere nulla di strano ».
Udendo quelle parole, Cinnamon fece un sospiro di sollievo: in quei tre mesi, Arya aveva notato più volte quanto timore provasse nei confronti dei demoni. Eppure si chiese se ne avesse mai affrontato uno.
« D'accordo, meno male! »
La zuppa di pesce arrivò finalmente in tavola, ma nessuno dei presenti si azzardò ad affondare il cucchiaino nel piatto – ad eccezione di Beckah. L'odore che emanava non era dei più invitanti e nemmeno il suo colore verdognolo-grigiastro la giovava granché.
L'unico aspetto positivo legato a quella cosa fu che provocò una risata isterica da parte di Taissa: l'immagine stampata sul volume si mostrava assurdamente diversa.
« Senti, vado a comprare le pizze surgelate » Beckah si arrese, alzandosi in piedi: « questa roba non la dovrebbe mangiare neanche un maiale! »
« Non penso che il supermercato sia aperto... e poi, fa caldissimo! Non ti conviene uscire » le consigliò Arya: « non hai nient'altro in frigo o nella dispensa? »
« Provo a vedere ».
In questo modo la Congrega si riunì a mangiare del pane tostato e, per un pomeriggio intero, nessuno fece più riferimento alla questione riguardante la Dimensione Demoniaca. Si limitarono a discutere esclusivamente di temi quali la scuola e le grandi possibilità offerte dal futuro. Seduta sul divano come una vera nobile, Beckah raccontò di avere dei seri progetti: voleva iscriversi in un'università d'arte a New York e metter su famiglia con un marito amorevole e due figli ben educati. Era sottinteso, dunque, che anche lei si stava preimpostando l'idea di andarsene via da Rozendhel e dimenticare tutte le faccende ad essa collegate.
Arya la ascoltò con attenzione, desiderando un futuro migliore anche per se stessa.
Avrebbe potuto continuare a studiare, diventare una fotografa e girare il mondo con la sua fedele macchinetta. O magari, si sarebbe lanciata sulla scrittura e avrebbe trasformato ogni loro impresa in un racconto fantastico. Chissà!
Le ore passarono in fretta e subito precipitò il buio.
Arya diede una controllata all'orologio – si erano fatte le dieci – e, a suo malgrado, non poté fare a meno di dedicare un pensiero a sua zia: la immaginò in salotto a chiedersi che fine avesse fatto, con Frank che tentava inutilmente di calmarla.
« Io devo andare » disse alla fine.
« Ma cosa? No! Pensavo dormissi qui! » Esclamò Beckah, la fronte aggrottata.
« Sì, ho discusso con Sarah prima di uscire e penso proprio che in questo momento si stia disperando » Arya continuò, accennando ad un sorriso: « spero non abbia già chiamato la polizia ».
« O forse ha capito la situazione » le disse l'altra: « non ti ha nemmeno chiamata oggi! »
« Potrebbe essere, ma non voglio rischiare. Buonanotte a tutte! »
Cinnamon scosse una mano, mentre Taissa si limitò ad osservarla – senza dire alcunché.
« Non posso lasciarti andar via così! Ti accompagno! »
Così Beckah avvertì Bartek di tenere sotto controllo le altre due streghe e, in fretta, si avvicinò alla porta d'ingresso.
Arya sperimentò la felicità che le stava incendiando gli occhi: sembrava proprio che non vedesse l'ora di allontanarsi per un po' da quella casa e da tutte le persone con cui si trovava costretta a vivere. Non appena si furono allontanate dalla villetta, le chiese anche se potessero prendere insieme un gelato. « Però devo inviare un messaggio a Sarah » disse la giovane Mason, sotto l'intensa luce della luna e delle sue compagne stelle.
« Che le scrivi? » Le domandò Beckah, quasi retoricamente.
« Niente di che » Arya iniziò a premere le dita sulla tastiera: « “sono con Beckah. Prendiamo un gelato e arrivo” va bene, no? »
« Sì, credo possa andare ».
Si misero a camminare lungo un viale illuminato parzialmente dalla luce dei lampioni, dove notarono un solo locale aperto ed affollatissimo di liceali. Le vacanze estive si trovavano ormai agli sgoccioli, e tutti coloro che avevano lasciato Rozendhel all'inizio della stagione, adesso, stavano tornando con mille storie da raccontare agli amici.
Arya e Beckah proseguirono sulla loro strada, senza badare ai commenti insulsi che qualcuno, di certo ubriaco, aveva gridato a squarciagola solo per attirare su di sé l'attenzione.
Raggiunta poi la gelateria, chiesero entrambe un cono a doppio gusto e decisero di sedersi all'aperto – ad un tavolo metallico, vicino ad una coppietta oltremodo sdolcinata.
Al contrario di Arya, Beckah utilizzò un cucchiaino di plastica per consumare la sua ordinazione: si dimostrava una principessa anche in casi come quelli. Sedeva con la schiena rigida, le gambe accavallate e sbatteva le palpebre più del necessario. Alcune volte Arya aveva la convinzione che fosse una sorta di bambolina di porcellana, dotata però di una straordinaria forza immane. Effettivamente, durante gli scontri, Beckah era solita trasformarsi in tutt'altra persona: con un pugno solo riusciva persino a sviluppare una voragine nel terreno. Era una ragazza interessante sotto ogni punto di vista.
« Davvero buonissimo! » Commentò Arya non appena ebbe terminato anche l'ultima briciola del cono.
« Sì, hai ragione » Beckah emise un lento sbadiglio: « saremmo dovute venire qui più spesso nel corso dell'estate, o farci anche solo una passeggiata ogni tanto. È così rilassante! Non puoi capire quante cose succedono ogni volta con Taissa, Cinnamon, o entrambe nello stesso momento ».
« Ti capisco » Arya si guardò intorno: le vetrine dei negozi che si affacciavano sulla strada erano buie, custodite da vecchie saracinesche impolverate.
« Non trovi che sia stata l'estate peggiore delle nostre vite? Non abbiamo fatto altro che allenarci e combattere demoni ».
« Ma almeno sono migliorata nello scontro diretto! » Esclamò Arya, contenta.
« Infatti! Hai sprigionato tutta la forza che detiene una strega-guerriera ».
« Ed è stato un bene! Ricordi quando ho lanciato in aria quell'essere verdognolo ed è precipitato proprio sull'automobile di Quinn Lloyd? »
« Momento epico! » Rise Beckah: « oppure quando abbiamo sradicato insieme quel pino credendo ci fosse un demone in cima? »
L'urlo sguaiato di Arya richiamò l'attenzione del gelataio, il quale la pregò di non fare troppo chiasso. In effetti, si era già fatta una certa ora e dunque, lasciando le loro postazioni, si diressero verso casa.
La via che imboccarono si presentava zeppa di silenziose case quadrate. Tutte uguali, l'una accostata all'altra, con una porta e due finestre sulla facciata, davano l'impressione che di lì a poco si sarebbero trasformate in giganti famelici ma con un buon gusto verso le tende e gli arredi.
Camminavano in fretta, ansimando. Era tardissimo.
Svoltarono a sinistra, in una strada priva di lampioni accesi. Ad un angolo del marciapiede si trovava un senzatetto tarchiato, avvolto in degli abiti laceri e con le mani impegnate a reggere la sua grossa testona. Il forte odore di alcol si iniettò nelle loro narici. Avanzarono di qualche altro passo, arrivando in questo modo dinanzi al cancello del Sunny-Valley.
« I barboni mi terrorizzano » spiegò Beckah: « appena ho visto quel tipo, sono corsa via alla velocità della luce ».
« Ho notato! » Esclamò Arya, piegandosi su stessa: « mi fa male la milza, fermiamoci un secondo ».
Si misero a sedere sul gradino del marciapiede, gli occhi puntati verso la luna.
Sembrava brillare più del solito con quella sua magica luce argentea – come se avesse voluto trasmetter loro un messaggio, un comunicato importante che andava ben oltre i loro semplici, ordinari vocaboli. Ricambiò lo sguardo mentre le sue compagne la attorniavano, silenziose, bucherellando il manto oscuro della notte.
La giovane Mason sospirò: la sua mente aveva iniziato a girovagare lungo viali di pensieri malinconici, arrestandosi dinanzi alle forti preoccupazioni e sentimenti inespressi.
« Stai pensando a Darren, non è vero? » Le chiese Beckah, intuendo ogni cosa.
Arya annuì e, abbassando gli occhi, disse: « non so dov'è, non so se è ancora schiavo della luna... mi manca. Mi manca tutto della mia vecchia vita! Oliver, Darren, la scuola... »
« Lo so, Arya, lo so » sussurrò Beckah: « penso che a tutte noi manchi una vita del genere, priva di eventi strani e continue perdite ».
« Posso farti una domanda seria? » Esclamò Arya all'improvviso.
« Vai, dimmi pure ».
« Be', ecco » cominciò la ragazza, portandosi una ciocca dei suoi lunghi capelli dietro l'orecchio sinistro: « è da un po' che mi sta ronzando in mente questa cosa... se esistono i demoni, le creature dell'Inferno, pensi che possa esistere qualcosa di diverso? Qualcosa che si avvicina più a... »
« Non lo so, Arya » la interruppe l'altra: « me lo chiedo anch'io, ma non credo. Che razza di Dio permetterebbe tutto questo? Bambini che muoiono di fame, continue disgrazie, guerre, epidemie ».
« E se invece fosse proprio così la sua idea di Bene? Potrebbe pensarla diversamente da noi, esseri umani. Per Lui, potrebbe essere questo il Bene ». Beckah inarcò le sopracciglia: « sei stata troppo tempo a contatto con Taissa! Mi sembra di parlare con lei! »
Arya sorrise, ma poi udì qualcosa di strano.
Un suono, forse una voce, s'impossessò della sua mente e la mandò in confusione.
Le gelò il sangue, le tolse il respiro.
Era un suono flebile, serpentesco.
Sembrava provenire dalla stessa terra, o dalle vetrine scure dei negozi.
« Cosa? » disse ad alta voce.
« No, scusa, dicevo una cavolata... però mi piacerebbe l'idea di mostrare i miei lavori in una galleria » esclamò Beckah, sorridendo.
« No, aspetta, non intendevo questo » disse Arya, guardandosi intorno: « hai sentito quella voce? »
« Quale voce? » Domandò la ragazza, la fronte aggrottata: « ti senti bene? »
Arya non rispose.
« Dai, si sta facendo tardi... andiamo a casa ».
« Va bene ».
Ma eccolo di ritorno.
Era un suono viscido, estremamente pericoloso.
Arya Mason. Ti ucciderò.
La ragazza s'impietrì: non era un suono qualsiasi, quella voce la stava chiamando.
Ti squarterò. Ti divorerò.
« Arya? » Beckah la afferrò per un braccio: « stai bene? »
« Non lo so... tu non senti niente? »
« Forse qualcuno sta cercando di mettersi in contatto con te, proprio come fece Mathilda l'anno scorso ».
« No, è diverso » la ragazza frustò l'aria con i capelli: « ho paura che qualcuno ci stia seguendo ».
Ma la strada che si estendeva dinanzi, o anche dietro di loro, era completamente deserta. In lontananza, videro una coppietta stringersi per mano. Non potevano essere loro.
« Non penso che i demoni abbiano la capacità di entrare nelle menti delle streghe » affermò Beckah: « torniamo a casa ».
Un fruscio. Il suono metallico del cancello.
Arya si voltò appena in tempo.
Dall'oscurità del Sunny-Valley era fuoriuscito un qualcosa, una macchia bianca e velocissima che la scaraventò a terra con estrema facilità.
Beckah lanciò un incantesimo che arrestò la bestia per una manciata di secondi, il necessario affinché Arya si rialzasse.
La creatura sconosciuta era una delle più inquietanti che le due streghe avessero mai visto: alta pressoché due metri, priva di occhi, la bocca dotata di tre file di zanne, la pelle cadaverica e squamosa. Si teneva in piedi con le zampe posteriori e, per mezzo di quelle sue due narici, riusciva a percepire benissimo il punto in cui si trovassero. Non aveva la coda, ed era grosso quanto il tronco di una quercia. Si riprese immediatamente dal colpo infertogli da Beckah e, subito, si scagliò contro la figura di Arya – la quale si afflosciò contro la vetrina di un negozio non appena sentì le zanne della creatura affondarle nella carne.
Beckah gridò e, con la sua solita forza sovrumana, afferrò il lucertolone e lo scagliò a terra. Scoppiò così in un grido acutissimo. Le streghe si tapparono le orecchie, sperando che nessuno lo avesse udito.
La creatura prese a strisciare in direzione di Arya: minacciosa, tirò fuori la sua lunghissima lingua.
« Fragor! »
L'esplosione non ebbe l'effetto desiderato. Era inarrestabile.
Le due streghe continuarono a lanciare incantesimi. Senza riceverne mai dei buoni risultati.
Allora, a quel punto, Arya si decise a corrergli incontro: proprio come le era stato insegnato dalla sua compagna, gli diede un sonoro colpo alla testa – nel punto in cui ci sarebbero dovuti essere gli occhi – ed immediatamente lo afferrò per la zampa destra e lo scagliò contro il cancello metallico del parco.
Era impossibile che il vicinato non stesse sentendo nulla.
« Rompigli l'osso del collo! » Gridò Beckah.
Arya annuì: « subito! »
Ma la bestia si rialzò e, con le sue zanne, le morse un braccio.
Le grida di dolore esplosero nella notte, mentre il sangue continuava a sgorgarle dalle ferite.
Arya credette che da quel momento in poi avrebbe dovuto usufruire di una protesi. Non si sentiva più parte del corpo.
« Non ti muovere, Arya! Fragor! » L'esplosione causata da Beckah colpì il mostro in pieno, il quale fu costretto a mollare la presa. « Stai bene? »
« Sì » rispose Arya, la vista offuscata: « uccidiamolo ».
« Okay » Beckah proseguì, asciugandosi il sudore dalla fronte: « io lo blocco, e tu gli strappi il cuore ».
« Non possiamo fare il contrario? »
« No! Devi essere tu ad ucciderlo! » Esclamò Beckah: « ti ho insegnato a farlo nel corso dell'estate! Fallo! »
Si mossero, dunque, in direzione della creatura.
Adesso, si trovavano faccia a faccia.
« Sei pronta? »
Arya annuì: « dai, andiamo ».
Sicura di sé, Beckah si scagliò contro il nemico; ma il suo attacco fu inutile, tant'è che venne gettata a terra, contro la superficie fredda della strada. Arya soffocò un grido, vedendo la creatura avvicinarsi al suo collo e succhiarle il sangue.
Sentì Beckah gridare un qualcosa, vide accendersi le luci di un'abitazione in lontananza. Le sirene della polizia le fecero aumentare il battito del cuore – sebbene fosse già arrivato al massimo delle pulsazioni.
Inspirò profondamente e corse in direzione della bestia: « lascia stare Beckah! Fragor! »
Niente.
« Ignis! »
Nessun risultato.
« Nox Mordre! »
La creatura bloccò l'incantesimo facilmente.
Arya intravide il volto di Beckah divenire sempre più pallido.
Doveva fare qualcosa alla svelta. Ma cosa?
Sentì la Chiave bruciarle sul petto. Ci mancava giusto questa!
Si portò indietro i capelli e desiderò che qualcuno le venisse a salvare.
No. Nessuno sarebbe venuto.
Doveva farcela da sola.
Chiuse gli occhi, le mani tremanti.
Sentì il potere fluire nelle vene: era una sensazione strana, nuova.
Il vento si alzò. La luce dei lampioni scoppiò, estinguendosi.
Strinse i pugni con decisione.
Il buio divorava ogni cosa.
Poteva farcela.
Alzò le mani, e liberò tutta la sua energia.
Era da tempo che percepiva dentro di sé un potere sconosciuto. Aveva provato più volte a documentarsi, senza mai trovare fonti affidabili. Era giunto il momento di lasciarlo andare. Era la sua vera essenza. Quella che un tempo Walton Hart aveva definito come Fuoco Aureo.
Il buio venne incendiato dalle sue scintille dorate, le quali si indirizzarono poi verso la creatura, uccidendola.
Le grida si spensero. Beckah tossì sangue.
Arya si afflosciò a terra.
Ce l'aveva fatta!
Ricordandosi delle sirene, corse incontro alla sua amica e subito la trascinò via – in un vicolo buio lì vicino.
« Fa' silenzio » le ordinò, e Beckah annuì debolmente.
Pochi minuti dopo sopraggiunsero due poliziotti.
Arya si affacciò con il volto, il cuore stava per evaderle dal petto: se le avessero scoperte, cosa avrebbero potuto raccontare?
« Guarda qui » chiese il più alto.
« Ma che razza di animale è? »
Arya sgranò gli occhi: la bestia si trovava ancora sull'asfalto, morta.
« Non è un animale! »
« Ma è impossibile... cos'è, allora? » Sussurrò l'altro, atterrito.
« Portiamolo via, prima che qualcuno lo veda ».
« E dove vuoi portarlo? »
Arya si morse un labbro.
« Dal sindaco Lloyd... lui saprà cosa farci ».
« Ma è quello che penso io? »
« È un demone, Mike! » Il poliziotto più alto lanciò un'occhiata verso il vicolo in cui si erano nascoste, e Arya sperò non l'avesse vista: « e sono più che sicuro che qui intorno ci siano delle streghe. Fa' attenzione! »
Fecero una chiamata, ed immediatamente apparì un furgoncino che si mimetizzava alla perfezione con l'oscurità della notte. Insieme ad un altro signore caricarono il demone all'interno e, in fretta, sfrecciarono via.
Arya si afflosciò lungo la parete del vicolo.
« Arya... ce l'hai fatta » sussurrò Beckah, reggendosi la testa con entrambe le mani.
« Lo so » replicò lei: « andiamocene subito. Dobbiamo tornare a casa ».

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18: La Guardiana del Fuoco Aureo ***


CAPITOLO 18:

 

La Guardiana del Fuoco Aureo

 

 

Arya dovette trascinare Beckah sino alla porta di casa – quest'ultima, difatti, aveva perso i sensi e la sua carnagione si presentava talmente pallida che per poco la giovane Mason non si domandò se fosse stata trasformata in una specie di spettro.
Come al solito, ad aprire fu Bartek.

« Presto, aiutami! »
Fecero stendere Beckah sul divano ad angolo del salotto e, immediatamente, il maggiordomo andò a svegliare Taissa al piano superiore – la quale si presentò un istante più tardi in camicia da notte e con una fiala trasparente stretta nel pugno sinistro.
Arya restò a guardare, preoccupata, mentre gli altri due tentavano di farle scivolare giù per la gola la completa essenza argentea di quella pozione. Non dava alcun segno di essere tanto deliziosa quanto il suo aspetto, sicché Beckah per poco non vomitò.
« A posto! » Annunciò Taissa alla fine, passando la fiala ormai vuota nelle mani di Bartek.
« Cos'è successo? Cosa le hai dato? » Le domandò Arya.
« La pozione elimina il veleno del demone » spiegò la ragazza, alzando lo sguardo verso il soffitto proprio come se avesse notato un qualcosa di strano muoversi al di sopra delle loro teste: « si riprenderà ».
Udendo quelle parole, Arya si lasciò cadere a terra, sfinita e con le ferite ancora aperte.
« Sarebbe bene che prendessi anche tu un po' di quella pozione » le suggerì Taissa, lo sguardo vacuo: « te ne vado a prendere una fiala ».
Tornò dunque a salire i gradini e s'indirizzò verso la sua stanza. Arya, nel frattempo, rimase da sola con Bartek.
« Ma tu non dormi mai? » Gli chiese.
« No » rispose lui secco: « è mio dovere servire la Congrega. Non posso permettermi di riposare ».
« Però ogni tanto ti vedo sul trespolo, a non far nulla ».
« Sono casi in cui mi viene dato il consenso da Madame Hazelle ».
« Okay, ho capito ».
Quella fu una delle conversazioni più lunghe che tennero Arya e Bartek. Egli non era mai stato un uomo dai grandi discorsi: preferiva starsene sempre in disparte, in compagnia di Hazelle o di Cinnamon, e provava invece un senso di indifferenza verso gli altri membri della Congrega. O, almeno, era quello che di solito si ritrovava a pensare Arya.
Qualche minuto più tardi, Taissa scese con una seconda fiala trasparente: « ti dobbiamo costringere o fai da sola? »
« Faccio da sola, grazie ».
« Okay, così io ti guarisco tutte queste brutte ferite ».
Arya serrò gli occhi e avvicinò la fiala alla sue labbra semi-aperte: era priva di un qualsiasi odore. Pertanto si bagnò la lingua con un'unica goccia cauta e, immediatamente, venne rimproverata dall'altra che voleva la bevesse tutta in un sorso. Arya deglutì e fece come le era stato ordinato. Il sapore che le scoppiò in bocca fu tremendo: sapeva di muffa, latte stantio e formaggio andato a male. La pozione era dotata persino di strani grumi che le si incastrarono fra i denti, facendole così risvegliare dei fortissimi conati di vomito.
Il tutto sembrò deliziare Taissa, la quale si abbandonò addirittura ad un ghigno malevolo intanto che recitava sulle sue ferite una filastrocca che era solita utilizzare come medicamento. Al termine di questa, Arya si sentì in forma smagliante.
« Beckah è stata morsa al collo. Fallo anche a lei! »
« Va bene ».
« Ma che razza di demone era? » Domandò Bartek, scostandosi dal viso una ciocca dei suoi lunghi capelli unti.
« Be', era diverso dal solito » iniziò Arya: « ho sentito dapprima una voce nella mia testa, poi è spuntato dal nulla... era alto due metri, con le zanne affilatissime, non aveva occhi e quando veniva colpito urlava in un modo assurdo ».
« In che senso “hai sentito una voce”? » Taissa si voltò, lo sguardo stranamente attento.
« Be', penso fosse la sua... non credete? »
I presenti non risposero.
« Vi ho fatto una domanda! » Incalzò Arya.
« In realtà, non so cosa dirti » Taissa scosse la testa, nervosa: « come avete fatto a sconfiggerlo? »
Arya indugiò: « be', ecco, vedete... non so se abbiate mai prestato attenzione alle ricerche che facevamo io e Beckah nel corso dell'estate. Quella notte al lago, Walton Hart si era fatto sfuggire una cosa riguardo un potere a me sconosciuto: il Fuoco Aureo » tentò una pausa, ma nessuno di loro le diede l'impressione di saperne qualcosa: « non abbiamo mai trovato niente: né su Internet, né sul grimorio. Oggi, però, vedendo Beckah in pericolo di vita, ho tirato fuori una forza incredibile... e dalle mie mani è uscito del fuoco dorato che ha messo subito k.o il demone. Che dite? Credete possa essere questa la mia Arte? »
« Ma la tua Arte non era quella di chiudere i Portali? » Le domandò Taissa, la fronte aggrottata.
« Sì! Cioè, almeno credevo fosse quella! »
« Non lo so » esordì Bartek: « dovresti aspettare il ritorno di Hazelle e chiederlo a lei ».
« Lei non mi direbbe mai nulla! Sappiamo tutti com'è fatta! » Arya sospirò: « e poi, non penso tornerà tanto presto ».
« Ne sei sicura? »
Arya e Taissa si voltarono all'unisono in direzione del maggiordomo: « per caso, tu sai qualcosa che noi non sappiamo? »
« No » disse lui, tranquillo: « penso solo che le sue ferie siano terminate. Dovrà tornare a Rozendhel prima o poi, giusto? »
Rimasero ancora un paio d'ore a vegliare su Beckah: il suo volto tanto sereno e tranquillo fece ben sperare le sue compagne, che si addormentarono proprio all'apparizione dell'alba su due comode poltrone di pelle.
Arya venne così trasportata in un'altra dimensione, ignota e lontanissima dalla realtà. Si ritrovò, come al solito, a sfrecciare su oceani sconfinati e foreste di conifere – sorvolando allo stesso modo città dall'aspetto grigio e spaventosamente ordinario. Quando arrivò a destinazione, ritirò le ali e aggrottò le sopracciglia alla vista di Hazelle – succedeva sempre la stessa cosa e lei, o codesta figura, puntualmente, si sorprendeva ogni volta, domandandole in seguito come avesse fatto a raggiungerla lì, su quella scogliera. La vecchia strega aveva il volto in frantumi, continuava a ripeterle di tornare a Rozendhel. Non era la solita Hazelle. E nemmeno lei era la solita Arya. C'era un qualcosa di strano in quel sogno, qualcosa che non le tornava.
Riaprì gli occhi. I raggi solari ora filtravano attraverso le tende. Era mattino inoltrato, forse mezzogiorno.

Si sgranchì le braccia: Beckah stava riposando ancora sul divano, mentre Taissa era rannicchiata su un'altra poltrona lì vicino. Si guardò intorno, chiedendosi che fine avesse fatto Bartek. Realizzò solamente in seguito che si trovava in cucina, a preparare la colazione per tutti.
Ripescando poi il cellulare dalla sua borsa a tracolla, Arya notò le ventiquattro telefonate della zia: era rimasta sveglia tutta la notte ad aspettarla.
« Cavolo! »
Rimediò immediatamente inviandole un messaggio, al quale Sarah rispose con un misero: “okay”. Questa volta l'aveva fatta davvero arrabbiare.
« In piedi, forza » esclamò Bartek, arrivando in salotto con un vassoio carico di tazze da caffè e biscotti misti. « È quasi mezzogiorno ».
« È quasi mezzogiorno e tu prepari la colazione? » Disse Taissa, strofinandosi gli occhi.
« Non abbiamo nient'altro nella dispensa ».
Dalla cucina giunse anche Cinnamon, con i capelli più disordinati di quanto già non li avesse di solito. Non appena si fu messa a sedere, tirò fuori dalla sua veste la lavagnetta ed il gessetto bianco: “come state? Ho saputo dell'incidente”.
Arya sorrise: « bene, grazie. Ci stiamo riprendendo ».
“Ne sono contenta”.
Un sonoro sbadiglio e anche Beckah sollevò le palpebre. Era la prima volta che si mostrava alla Congrega con i capelli arruffati, il trucco sbavato e i vestiti sgualciti. Si accorse immediatamente degli sguardi che aveva attirato e, imbarazzata, disse in un sussurro: « credo di essermi persa qualcosa ».
Mentre Taissa si accertava che tutte le sue ferite fossero state rimarginate a dovere, Arya le spiegò per filo e per segno tutta la faccenda e il modo in cui era stata riportata a casa.
« Ma è una notizia grandiosa! » Esclamò alla fine: « ho dei ricordi molto vaghi a riguardo... devo vederlo! Voglio vedere il Fuoco Aureo! »
« Pensi che io possa richiamarlo anche adesso? Cioè, ci abbiamo provato così tante volte durante l'estate e... »
Beckah la interruppe, sorseggiando silenziosamente il caffè nero che aveva preparato Bartek: « prima non eravamo neanche così tanto certe che tu lo possedessi! Ora, è qui! Ce l'hai! È la tua Arte! »
« Ma pensate sia una sorta di potere leggendario? » domandò il maggiordomo, un sopracciglio alzato.
« Lo è! » Esclamò Beckah: « lo ha confermato anche Walton Hart poco prima di morire ».
« E da quando vi fidate della parola di un cacciatore? » Tagliò corto Taissa: « vi dovrei ricordare che è la stessa persona che ha torturato Cinnamon? » Arya si voltò verso la strega, la quale abbassò immediatamente lo sguardo – la mano tremante stretta attorno al bordo della lavagnetta.
« Non ti ricordavo così attenta, Taissa » Beckah inarcò la fronte: « l'assenza di Hazelle sembra averti fatto bene ».
« Non è affatto vero! Bugiarda! » Gridò Taissa, alzandosi in piedi e rovesciando sul pavimento gran parte del contenuto della tazza: « e poi mi sembra strano che io non abbia mai avuto alcuna visione su questo fantomatico Fuoco Aureo ».
« Tu non ricordi mai nulla delle tue visioni! Persino quella volta, a casa dei Lloyd, quando hai cercato di avvisare Arya del pericolo incombente, oltre alla parola “padre” non hai saputo dire nulla! È possibile che tu abbia avuto delle visioni a riguardo, ma che sfortunatamente ti siano sfuggiti i particolari! »
« Sta' zitta! » Tuonò Taissa e, subito, Beckah fu scaraventata contro una parete.
« Calmati! Calmati, subito » Bartek la afferrò per le braccia, la presa possente.
« No! Ha iniziato lei! Deve essere punita! »
« Stai sbraitando come una pazza! » Gridò Beckah, mentre il maggiordomo cercava di riportare la giovane in tempo presente: « perché tu sei pazza, Taissa! E mi sono stancata di stare appresso alle tue sceneggiate! La tua Arte non vale niente! »
« Prova a ripeterlo, puttana! »
« Sei una strega inutile! » Incalzò Beckah, perdendo un pizzico della sua indole principesca: « alterni momenti di stabilità a momenti di pazzia! Mi sono stancata di te! »
Toc-toc.
Arya rimase a bocca aperta – non aveva nemmeno notato il fatto che qualcuno avesse bussato alla porta di casa. Tentò di rimediare, ma subito venne fulminata da una rigida occhiataccia di Bartek. Sospirò rumorosamente, ma poi decise comunque di parlare: « Beckah, dovresti scusarti ».
« Come? » Beckah inarcò le sopracciglia.
Toc-toc.
« È vero, Taissa non ricorda molto spesso le sue visioni... ma non dovremmo farglielo pesare così tanto. Ci ha persino curato tutte le ferite, la scorsa notte! »
La strega indugiò, flettendo lo sguardo, mentre Taissa e Bartek rimasero ad osservarla dal primo gradino della scala: sembrava stessero aspettando entrambi delle scuse, che però non attraversarono mai le labbra serrate della giovane.
Arya sospirò ancora una volta: non voleva certo difendere la sua amica, ma era consapevole del fatto che avesse superato dei mesi difficilissimi. Taissa era un soggetto particolare, dotato di mille sfaccettature diverse: non le era sconosciuto il concetto di scappare di casa nel cuore della notte, sbraitava senza motivo, era solita frantumare i servizi di porcellana come rimedio alla noia...
L'unica persona in grado di sopportarla sempre e comunque era Hazelle. Quest'ultima, infatti, aveva la capacità innata di tranquillizzarla in ogni occasione. Era persino stata in grado di insegnarle cose come la matematica, il rispetto verso la natura e la differenza tra ciò che è bene e ciò che è male.
“Hanno bussato alla porta” ricordò Cinnamon sulla sua lavagnetta.
« Sì, lo so » Arya si passò una mano tra i capelli: « vado ad aprire ».
Tuttavia, anche Cinnamon era un individuo abbastanza stravagante: alternava momenti di tranquillità, ad altri in cui piangeva come una disperata. All'interno della Congrega si pensava lo facesse per tutte le torture che aveva subito dal Cacciatore, ma Arya era convinta ci fosse qualcos'altro sotto: probabilmente le mancavano i suoi cari, le mancava la sua casa. E allora per quale motivo non si era mai messa in marcia? Semplice, aveva pensato più volte la giovane, non si sentiva più in grado di uscire all'aria aperta: i demoni e Walton l'avevano segnata nel profondo. Oppressa dal suo stesso terrore, si ritrovava in tutt'altra città, in tutt'altro Stato, con persone del tutto sconosciute. Infelice. Debole.
Toc-toc.
« Arrivo! » Esclamò Arya.
Nella sua mente vorticava il pensiero che fosse stata seguita dai poliziotti, e che loro adesso l'avrebbero costretta a marciare verso la residenza dei Lloyd.
Inspirò profondamente, con il pomello della porta stretto nella mano sinistra.
Esitò per un secondo, affacciandosi poi alla luce del sole.
« Diamine! Ce l'hai fatta ad aprire! »
« Oh, Dio... » La ragazza ruotò gli occhi: « che fine avevi fatto? »
« È così che accogli una vecchia amica? Vergognati! »
Sul ciglio della porta di casa si trovavano due figure femminili: entrambe alte, snelle e vestite interamente di nero.
Hazelle sorrise, sfilandosi gli occhiali da sole: « bonjour, Arya! Comment vas-tu? »
« Ma falla finita! »
La strega sorrise, facendo cenno all'altra donna di seguirla all'interno.
Arya non l'aveva mai incontrata prima e, dagli sguardi che le lanciarono Beckah e Taissa, capì che anche per loro quella fosse una perfetta sconosciuta. Aveva la carnagione cerea, il volto contornato da lineamenti sottili ed estremamente eleganti. Con i suoi severi occhi di ghiaccio esaminò ogni singolo presente – soffermandosi in particolar modo sulla figura di Arya, che di rimando aggrottò le sopracciglia, guardinga. La sconosciuta indossava un vestito nero, elaboratissimo e con la coda lunga. Il suo capo era nascosto da un velo, dal quale fluiva una seducente chioma color platino. La giovane Mason si domandò se non fosse una modella, una di quelle che la zia era solita vedere sulle riviste di gossip e che invidiava talmente tanto che si era iscritta in palestra solo per somigliarvi almeno un po'.
Era alta tanto quanto Hazelle; rigida come Hazelle; scontrosa anche più di Hazelle.
La Congrega iniziò a chiedersi se quella non fosse sua figlia.
« Che fine avevi fatto? » Taissa si asciugò le lacrime che avevano preso a sgorgarle dagli occhi: « mi sei mancata tantissimo! » E così la andò ad abbracciare, abbandonandosi ad interminabili singhiozzi rumorosi.
« Piccina mia, ora sono qui » disse Hazelle, carezzandole la testa: « ed è questo l'importante, non trovi? »
« No, vogliamo sapere dove sei stata » Arya si mise a braccia conserte: « sei il capo di questa Congrega e te ne vai come se nulla fosse... non ti sembra una cosa ridicola? »
« Modera i termini ».
La ragazza si voltò: a parlare era stata la sconosciuta.
Il suo tono di voce arrogante alimentò l'idea che fosse il derivato di una sveltina etero di Hazelle.
« Sta' tranquilla, Cassandra » la strega sorrise: « questa qui fa sempre la stupida ».
« Lei chi è? » Chiese Beckah, distogliendo l'attenzione dalla parolaccia che Arya aveva appena lanciato. « Non l'ho mai vista prima ».
« Oh, giusto! Lei è Cassandra Van Houten. Una nostra compagna, una strega della Congrega! » Annunciò Hazelle, contenta: « non l'avete mai incontrata perché è sempre in giro per il mondo! L'ho conosciuta prima ancora che adottassi voi due ».
La perplessità generale si trasformò in una serie di molteplici domande: solo Bartek sembrava già familiarizzare con Cassandra. Si salutarono persino scambiandosi un bacio sulla guancia.
« Vorrei del tè freddo, se possibile » ordinò Hazelle.
« Non ne abbiamo » disse subito Beckah, le braccia incrociate dinanzi al petto: « sei partita così velocemente che ti sei pure scordata di lasciarci dei soldi! Siamo andati avanti con i miei unici risparmi ».
« Oh, che vergogna » Hazelle continuò, mettendosi a sedere sul divano, accanto a Cinnamon: « mi dispiace così tanto! »
« Quindi, per quale motivo sei partita? » Ricominciò Arya: « immagino tu sia stata anche in Francia... tutto per incontrare Cassandra? »
« Esattamente » rispose la strega, la mano inserita nella sua borsa di pelle come per cercare qualcosa: « la situazione a Rozendhel sta peggiorando, non trovate? È necessario che tutta la Congrega sia unita! »
Arya non sapeva più cos'altro dire: volse lo sguardo verso la nuova arrivata, accorgendosi che quest'ultima – dal momento in cui aveva varcato la soglia di casa – non le aveva mai tolto gli occhi di dosso.
« Perché mi fissi? » Le domandò in cagnesco.
« Perché, non posso? » Cassandra si lasciò scappare un sorriso privo di gioia: « ho bisogno della tua autorizzazione? »
Arya inspirò, nervosa. Non aveva alcuna voglia di mettersi a discutere con la nuova Hazelle.
« Ragazze, non litigate » la donna aveva tirato fuori una fiaschetta d'argento: da quando aveva preso l'abitudine di bere a mezzogiorno?
« Mi hai portato qualche regalo? » Gli occhi di Taissa si accesero di allegria.
« Certo... ovvio... » Hazelle sorrise, una mano impegnata a cercare una qualsiasi cosa all'interno della borsa: « tieni, prendi! Queste sono... caramelle francesi! »
Taissa afferrò il pacchetto arancione, dal quale riuscì a recuperare tre sole caramelle.
« Ora, raccontatemi cos'è accaduto da quando me ne sono andata ».
« Be', » iniziò Beckah: « Cinnamon è venuta a stare da noi, io ho addestrato Arya, Arya ha scoperto di essere la guardiana di un potere chiamato Fuoco Aureo, Bartek ha... »
« No, aspetta » Hazelle per poco non si strozzò con la sua stessa bevanda – macchiandosi le labbra di un intenso colore rosso: « Fuoco Aureo? Davvero? »
« Tu ne sai qualcosa? » Arya inarcò la fronte.
« Ovvio... » la donna sembrava sorpresa, quasi preoccupata: « ricordate quando vi ho raccontato che la Dimensione Demoniaca è stata creata dall'ultimo Elfo e dalla Strega-Guerriera più potente al mondo? Ecco, lei era la guardiana di questo leggendario potere... lei è stata la sola ed unica Guardiana del Fuoco Aureo ».
Cassandra lanciò un'occhiataccia in direzione di Arya: « stai dicendo che questa ragazzina è l'erede di Zehelena? »
Tutti i presenti si voltarono, e la giovane Mason si sentì in soggezione.
« Probabile » concluse Hazelle.
« Io non credo! » Cassandra continuò: « l'erede di Zehelena dovrebbe essere forte tanto quanto lei... invece, mi hai raccontato che questa ragazzina stava per essere uccisa da un semplice Cacciatore! »
« Sono migliorata! » Si difese Arya.
« Lo spero proprio! »
« A proposito del Cacciatore! » Riprese Hazelle, cercando di tranquillizzare gli animi di entrambe: « quella notte, quando siamo venuti a salvarti, gli ho rubato un aggeggio molto curioso! »
Recuperò dalla sua borsa un luminosissimo braccialetto d'oro bianco. Arya lo riconobbe immediatamente: « è il suo braccialetto anti-magia ».
« Te ne ha parlato? » Chiesero all'unisono tutti i presenti.
« Sì » la ragazza continuò: « gli esseri umani sono immuni alla magia se lo indossano. È per questo motivo che ogni mio incantesimo faceva cilecca ».
« Impossibile! » Esclamò Cassandra: « deve essere custodito! Nascosto da chiunque! »
Ma Hazelle non le diede retta e, curiosamente, si rivolse ad Arya: « vorresti regalarlo a qualcuno? »
Bartek e le streghe si ammutolirono.
« A chi dovrei darlo, scusa? » Arya inarcò la fronte.
« Non lo so » la donna fece spallucce: « te lo affido. Sono sicura che prima o poi saprai cosa farne. Dimostrati l'erede di Zehelena, e fa qualcosa di buono ».
Le parole di Hazelle le risonarono nella mente per tutta la mattinata.
A chi voleva che affidasse quel semplice, ma potentissimo, braccialetto?
Lo prese dunque tra le mani: nonostante avesse sopra inciso il simbolo dell'infinito, le si presentò levigato e perfetto al tatto. Notò solamente pochi istanti più tardi alcuni graffietti. Si domandò chi glieli avesse inferti, e quante persone della famiglia Hart lo avessero indossato.
Scostò lo sguardo dallo strumento, giusto in tempo per accorgersi dell'ennesima occhiataccia di Cassandra.
« Vorrei farmi proprio un bel bagno! » Esclamò Hazelle: « e dopo vorrei anche stendermi un po'. Sono una persona che soffre tantissimo il jet-lag ».
« Ai suoi ordini, madame » Bartek chinò il capo e, subito, si diresse verso il piano superiore.
La strega sorrise: « Cassandra, tu puoi prendere la stanza di Beckah. Lei dormirà con Taissa da ora in poi ».
« Che cosa? No! Assolutamente no! » Obiettò Beckah: « non voglio stare in camera con Taissa! »
« Non mi interessa nulla » Hazelle le diede le spalle: « si fa come dico io qui dentro ».
« E Cinnamon? Dove la mettiamo? » Chiese Taissa, un dito sul labbro: « lei dorme con me da quand'è arrivata ».
« Quella stanza è troppo piccola per tutte e tre » insistette Beckah.
« E allora dormirai in soffitta! Sbrigati a portar via tutte le tue cose! » Concluse Hazelle, istigando ancor di più la giovane Gray.
« Mi dispiace » Cassandra le diede una pacca sulla schiena.
« Non dire fandonie! » Esclamò Beckah e, non appena la vide salire le scale, si abbandonò, stanca, tra i morbidi cuscini del divano ad angolo.
Arya sospirò: era innegabile il fatto che l'arrivo di quella nuova strega non avesse scombussolato gli animi della casa. Le si avvicinò, offrendole il suo aiuto, ma Beckah rifiutò categoricamente. Voleva vedersela da sola.
« Va bene, allora io torno a casa ».
Si avvicinò alla porta d'ingresso, sperando che la giovane la invitasse a rimanere. Ma in pochi minuti si ritrovò per le vie di Rozendhel e poi, nella sua casa.
Sarah decise di non rivolgerle parola: era intenta a sistemare la cucina, lo sguardo severo.
La situazione, ora, non poteva andar peggio.
Salì le scale, trovando chiusa la porta della sua camera. Afferrò così il pomello e fece un passo in avanti. Aveva la mente carica di pensieri, ma nonostante tutto si sentì felice di aver sperimentato il Fuoco Aureo. Cassandra si era mostrata alquanto infastidita da questo suo nuovo potere. Chissà, magari temeva che ella le avrebbe rubato la scena! Si lasciò scappare un ghigno. La sua prossima missione sarebbe stata quella di scoprire l'identità di Zehelena, la stessa donna per cui Hazelle aveva perso la testa e che aveva creato la Chiave. La ragazza si domandò se non fosse una sua lontana parente, un'altra Mason di cui tutta la famiglia ignorava la vera identità.
Con la testa ancora altrove, alzò lo sguardo – non potendo fare a meno di sussultare alla vista di un giovane uomo steso sul suo letto.
« Finalmente! » Nathaniel sorrise: « pensavo non ti saresti mai accorta della mia presenza! »

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Capitolo 20
*** Capitolo 19: Frammenti di una realtà sconosciuta ***


CAPITOLO 19:

 

Frammenti di una realtà sconosciuta

 

 

« Cosa ci fai qui? Come sei riuscito ad entrare? »
« È stato semplicissimo. Tua zia è una sciocca, sai? »

Nathaniel sorrise, mordendosi il labbro inferiore. Aveva lo sguardo diverso dal solito, come se fosse stato segnato dallo scorrere del tempo – cosa impossibile per uno spettro, notò in seguito Arya.
« Dai, vattene » lo spronò lei, cercando di spingerlo giù dal letto: « se mia zia ti vedesse qui, non immagino cosa potrebbe accadere ».
« Suvvia, Arya! » Gridò Nathaniel, divertito: « io voglio rimanere qui, insieme a te! Guarda che bella magliettina indossi! Le spalline sono diventate un optional, eh? »
« Cavolo, abbassa la voce! Puoi rimanere, okay, basta che non ti metti ad urlare! » Quindi si mise a sedere ai piedi del letto, nell'unico spazio concessole dal giovane: « mi spieghi cosa vuoi? Ultimamente non ti trovo nemmeno così tanto minaccioso ».
« Dovresti temermi invece, signorina Mason! Sono sempre un demone, no? » Egli continuò, levando lo sguardo verso il soffitto: « e adesso che ho libero accesso alla tua casa, non pensi che questo possa costituirne un pericolo? »
Arya aggrottò la fronte, sorpresa: « sei stato invitato ad entrare da mia zia, non è vero? Perché altrimenti, senza autorizzazione da parte di un residente, la Barriera di Hazelle ti avrebbe ucciso ».
« Bravissima! Alla fine ci sei arrivata! » Esclamò lui: « mi sono finto il nipote della signora che abita dall'altra parte della strada, e le ho chiesto del sale grosso. Semplice come rubare una caramella ad un bambino » prese a stuzzicarla con il piede destro, cercando di infilarle l'alluce in una narice. Arya lo scansò, schifata.
« Smettila! »
« Ma mi diletta prenderti in giro! »
La ragazza si sentì costretta a rialzarsi e, a braccia conserte, notò un particolare che prima le era sfuggito: « cos'è quella? » Puntò con il dito indice una borsa dall'aspetto sudicio, abbandonata accanto alla gabbia del Signor Cavaliere. Si chinò per raccoglierla, ma venne immediatamente arrestata dalla voce austera di Nathaniel: « quella è mia, non toccarla! »
« E perché mai? » Arya fece per esaminarne il contenuto: « tu entri a casa mia come se nulla fosse, ed io non posso sbirciare tra le tue cose? E poi, che razza di borsa è mai questa? È così logora che mi fa schifo soltanto a guardarla ».
« Non provare a ripeterlo! » Disse a denti stretti lo spettro, mettendosi in piedi.
« Perché? » Lo istigò Arya, afferrandone un manico: « altrimenti cosa fai? »
« Era di mio padre » Nathaniel eliminò con uno scatto felino la distanza che si era interposta tra loro e, guardandola negli occhi, le intimò di lasciargli la borsa: « faresti bene a non toccarla più ».
« Oh, cavolo... » Arya si sentì terribilmente in imbarazzo: « mi dispiace ».
« Non scusarti » la rimproverò lo spettro: « non voglio che tu provi compassione per me ».
« Ma non è compassione la mia! Mi dispiace solamente del fatto che io abbia preso in giro un oggetto che per te è tanto prezioso ».
Non le venne data alcuna risposta. Il giovane si limitò ad avvicinarsi alla finestra, gli occhi ambrati indirizzati verso la via che si estendeva al di là della residenza dei Mason.
Arya inspirò profondamente, desiderando con tutto il cuore che quella giornata finisse al più presto: era così stanca che avrebbe potuto dormire per un mese intero!
Tentò ancora una volta un dialogo con il suo ospite, ma fu fatica sprecata. Sembrava gli avessero cucito le labbra.
Così rimasero in silenzio per qualche altro istante.
Giocherellando con una ciocca dei suoi lunghi capelli rossi, la ragazza perse la cognizione del tempo e si allontanò mentalmente dalla faccenda riguardante Nathaniel. Ripensò all'incontro che aveva avuto con Cassandra, al ritorno di Hazelle, e alla lite furibonda che era esplosa tra Taissa e Beckah – non si sarebbe mai e poi mai aspettata un comportamento del genere da parte di quest'ultima. La sua indole principesca era stata intaccata dalle parole che aveva scelto di utilizzare contro la sua compagna e, presto o tardi, Arya ne era convinta, si sarebbe sentita in dovere di chiederle perdono. Alla fin fine, la conosceva piuttosto bene.
« Devo mostrarti una cosa » Nathaniel la riportò in tempo presente: « sono venuto qui proprio per questo, in effetti ».
« Cioè? » Domandò Arya, curiosa.
Lo spettro iniziò a rovistare rumorosamente nella sua borsa e, come se non fosse passato alcun giorno dalla volta in cui aveva deciso di rivelarsi, le disse: « non appena la Dimensione fu squarciata, scappai via. Mi rifugiai in una piccola cittadina del Kentucky, in un Villaggio Eterno, dove incontrai un uomo che si è preso cura di me fino alla sua morte. Lo ritengo mio padre proprio perché mi ha accettato fin da subito. Non mi ha mai giudicato ». Arya rimase ad ascoltare, immobile sul suo letto.
« Scherzava sul fatto che io avessi tantissimi anni in più di lui, ci divertivamo molto insieme... io ero la sua casa, e lui era la mia ».
« Oh, Nathaniel... »
« Qualche giorno fa, però, i Demoni ci hanno attaccato. Sembrava stessero cercando qualcosa, un qualcosa di molto importante. Mio padre mi ha costretto a scappare, a lasciarlo lì, a morire. Mi sono quindi teletrasportato a Rozendhel, mi sono curato le ferite e ho guardato all'interno della borsa che mi aveva indotto a portar via. Vieni qui » tirò fuori un biglietto e un fazzolettino accartocciato su se stesso.
Arya li afferrò entrambi, la fronte aggrottata: « se è una lettera d'addio, non voglio leggerla ».
« Dai, muoviti! »
Dunque, distese il foglietto sul palmo di una mano e, ad alta voce, lesse l'unica parola che vi trovò impressa: « Incubo? »
Nathaniel annuì: « esatto... ora, apri l'altro ».
« Ma di cosa si tratta? Non sto capendo nulla, sinceramente » ammise la ragazza, schiudendo quel delicato fazzoletto da taschino: « e questo, invece? Cosa diavolo è? »
Sulla stoffa riposava un oggetto appuntito e brillante. Sembrava fosse stato ricavato da una lastra di vetro, una lastra di colore rosso sangue. Arya lo sfiorò con l'indice della mano destra e, subito, le si pararono dinanzi agli occhi tre immagini confuse di un bosco, un lago e una casetta di legno.
« Le hai viste anche tu? » Le chiese Nathaniel, preoccupato.
« Cos'è questa roba, Nathaniel? » Istintivamente, Arya tirò indietro la mano – la scheggia vetrosa, venendo a contatto con il pavimento, non si procurò alcun graffio.
« Non lo so! »
« Com'è possibile? Erano proprietà di tuo padre, no? »
« Non mi ha mai fatto vedere niente del genere, okay? » Esclamò Nathaniel, portandosi una mano dietro alla nuca: « ma sono certo che quei Demoni stessero cercando proprio questo coso. Hazelle te ne ha mai parlato? »
« Ma perché dovete sempre tirare in ballo Hazelle? » Arya sbuffò: « comunque, no ».
« Però hai visto anche tu quelle tre immagini, non è vero? »
La ragazza annuì, pensierosa: « era la villetta degli Hart... sarebbe impossibile per me non riconoscerla ».
« Cosa pensi che possa significare tutto questo? » Lo spettro si morse il labbro: « la parola “Incubo”, la visione... »
Arya recuperò da terra il frammento e, con la mente ancora altrove, disse in un sussurro: « be', potremmo sempre tornare lì e cercare di scoprirne qualcosa ».
« Cosa potremmo scoprire, scusa? »
« Ragiona un minuto » Arya iniziò: « toccando per la prima volta questo frammento, esso suggerisce una serie di immagini. L'ha fatto con me e l'ha fatto anche con te. E se ci stesse inviando un messaggio? Dobbiamo assolutamente tornare in quella villetta e scoprire che collegamento c'è tra queste visioni e la realtà. Partiamo subito ».
Nathaniel non sentenziò alcunché: si limitò ad osservarla con perplessità.
Probabilmente si stava domandando per quale motivo ella avesse preso la questione così tanto sul personale.
« Sei venuto qui per cercare aiuto, no? » Disse Arya all'improvviso: « bene! Te lo sto dando! Ho imparato sulla mia stessa carne che le questioni è meglio risolverle subito, e non aspettare che esse si risolvano da sole. Altrimenti, si rischia di finire in un casino enorme ».
Lo spettro scostò gli occhi dalla cicatrice che il Cacciatore le aveva inferto sulla spalla: « mi dispiace ».
« Non voglio la tua compassione » ripeté lei, tornando a velarla con la sua fluente chioma rossa: « è acqua passata. Andiamo? »
« Andiamo ».
Indugiarono qualche istante sul metodo con cui avrebbero potuto raggiungere il bosco. Le opzioni erano principalmente due: prendere i mezzi pubblici, o servirsi delle capacità demoniache di Nathaniel.
« Si risparmia molto più tempo con il teletrasporto! » Insistette lui.
« Sì, ma... non l'ho mai provato » ammise Arya: « e ho spesso lo stomaco in subbuglio ».
« Tu fidati di me e andrà tutto bene! » Le allungò un braccio, divertito dalla situazione.
Al contrario, la ragazza prese ad inspirare ed espirare velocemente: stava morendo dalla paura. « Okay » disse alla fine e, serrando le palpebre, afferrò la mano gelida dello spettro. « Quanto tempo ci si impiega di solito? »
Nathaniel fletté le labbra in un sorriso sarcastico: « più o meno una quindicina di giorni ».
« Stupido! » Esclamò Arya, saldando la presa attorno alle sue dita: « conti fino a tre? »
« Assolutamente no! Andiamo! »
La stanza prese a vorticare in un turbine di colori e forme indistinte. Le pareti ed il pavimento tremarono, come se fosse in atto il più devastante dei terremoti.
Arya si sentì premere con aggressività ogni parte del suo corpo: le spalle, i timpani, persino le cornee! Ricacciò in gola un grido isterico. Furono i dieci secondi più lunghi della sua vita.
Alla fine, aprì le palpebre con cautela. La stanza, con tutti i suoi effetti personali, era stata rimpiazzata da una radura verdissima e canterina. I raggi del sole filtravano attraverso il fogliame sovrastante, scaldandola piacevolmente e regalandole un leggero senso di abbandono. Al di là di quell'arena circondata da pini, invece, sembrava provenire il quieto scroscio di un ruscello.
Le ci vollero comunque degli istanti prima che il suo organismo si riprendesse del tutto: aveva il fiatone, le gambe pesanti, ed era certa del fatto che il suo viso si fosse tinto di una brutta sfumatura di verde. Si scansò da Nathaniel – il quale, a differenza di quanto avesse mai potuto immaginare, si mostrò preoccupato e attento alle sue condizioni. « Tutto bene? » Le chiese.
« È stato stranissimo » rispose Arya, trattenendo un rutto: « come riesci a farlo ogni volta? »
Lo spettro sorrise e, gettando un'occhiata alle sue spalle, disse: « è tutta questione di abitudine! Noi demoni abbiamo due modi per teletrasportarci: uno è proprio questo, l'altro consiste nello sgretolarci in frammenti di vetro... è abbastanza particolare e lo faccio poche volte ».
Arya si strofinò un orecchio: nonostante facesse parte di quel mondo da ormai un anno, non riusciva ancora a capacitarsi di quanto potesse essere sconfinato il potere della magia. Sospirò, volgendo lo sguardo da una parte all'altra della radura: « ma dove ci troviamo? »
« Siamo nel bel mezzo del bosco » spiegò Nathaniel: « questo è il mio punto di riferimento. Spesso mi capita anche di incontrare un mio amico! »
« Un tuo amico demone? »
« Esattamente. Si chiama Gregov ».
Presero a camminare, seguendo un sentiero stretto e intervallato da cortei lunghissimi di formiche.
Arya rifletté che sarebbe stato perfetto trascorrere lì l'estate: in effetti, non si percepiva nemmeno lo stesso caldo opprimente che avvolgeva la città. Si stava da Dio.
Il canto degli usignoli li accompagnò sino al limitare del bosco, dinanzi alla villetta degli Hart.
« Fa un certo effetto tornare qui, non è vero? » Le domandò Nathaniel, un sorriso sghembo impresso sul suo volto privo di imperfezioni.
« Abbastanza » rispose Arya, poi distolse gli occhi da tutti quei nastri gialli che avvolgevano la casa ed iniziò: « cosa pensi che troveremo qui? »
« Be', non lo so! Sei stata tu a convincermi a venire ».
« Ma tu sei piombato a casa mia proprio perché volevi un aiuto ».
« Volevo chiederti solamente se Hazelle ti avesse mai parlato di quel coso vetroso che mio padre mi ha lasciato in eredità ».
« Sì, certo » Arya sbuffò: « posso chiederti ancora una cosa? »
Lo spettro sorrise: « anche se ti dessi una risposta negativa, tu continueresti comunque a parlare, quindi... »
« Okay » la ragazza proseguì: « per quale motivo i Demoni che hanno attaccato il tuo Villaggio erano diversi dagli altri? Non fate tutti parte di una sola fazione? »
« Sei proprio razzista! » Esclamò Nathaniel, evidentemente offeso. Quella era già la seconda volta che tentava di spiegarle quanto grande fosse la sua determinazione a distinguersi dalle altre creature della Dimensione. « Erano strani – proseguì, avvicinandosi alla veranda – non li avevo mai visti prima. Hanno tentato di uccidermi anche quando si sono accorti della mia spiacevole natura ».
« Ucciderti? » Ripeté Arya, inarcando le sopracciglia: « ma tu non sei già morto? »
Quella frase le uscì dalla bocca con una brutalità immane: si rese conto di aver sbagliato solamente alla fine, nel momento stesso in cui Nathaniel scelse di ammutolirsi.
« Scusami » tentò lei: « non volevo essere così diretta ».
« Posso sentire dolore, e posso morire lo stesso » spiegò Nathaniel: « ma è come svenire... mi risveglio dopo una trentina di minuti ».
Arya fece segno con la testa di aver capito, nonostante lo spettro le stesse dando le spalle. Cercò di rimediare, peggiorando ancor di più la situazione: « se esistesse un metodo per farti tornare umano, lo cercheresti? »
« No » tagliò corto lui: « io non vedo l'ora di morire... per davvero, però ». Le fece poi cenno di fermarsi – adesso, si trovavano a pochi centimetri dal nastro che la polizia aveva utilizzato per avvolgere l'intera abitazione. Arya si domandò se all'interno non fosse ancora tutto distrutto, come l'ultima volta che ci aveva messo piede.
« Tu rimani fuori » le ordinò Nathaniel, senza nemmeno incontrare i suoi occhi: « vado da solo. Tu, controlla la zona circostante ».
« Ma non pensi che sia pericoloso? Se qualcuno dovesse trovare le tue impronte... »
« Non rilascio alcuna impronta ».
« E puoi entrare anche senza autorizzazione del proprietario? »
« Il proprietario è morto, e tu farai la sua stessa fine se continuerai a pormi domande insulse ».
Dunque, si divisero: Nathaniel si spinse oltre l'ingresso, mentre Arya iniziò a perlustrare la zona circostante. Più di una volta, ella si chiese dove fosse nascosta la botola in cui Walton aveva tenuto segregati Cinnamon e Lance. Nel corso delle indagini, però, non ne trovò alcuna traccia. Perse così venti minuti, con la testa rivolta verso il basso, saltando in aria ogniqualvolta che intravedeva un grosso insetto col manto nero o marroncino – peggio ancora se si presentava ronzante o dotato di ali. Circumnavigando l'abitazione, poi, si sentì in un qualche modo osservata... come se qualcuno fosse nascosto tra i cespugli, in agguato.
Pura immaginazione, disse a se stessa. Quel luogo era ormai divenuto il suo Inferno personale.
Tra i numerosi filamenti del prato, Arya notò una margherita e, chinandosi, si fermò a contemplarla. Era solitaria, distante da tutte le altre sue compagne. Ignara di quel che stava per accadere, dunque, la ragazza chiuse gli occhi e ricordò come, alle scuole elementari, era solita disegnare accuratissimi mazzi di fiori sul suo quaderno e come, allo stesso modo, si divertiva a cambiar loro colore: i tulipani diventavano azzurri, le azalee mutavano in arancio...
Ma nel corso di tutti quegli anni non aveva mai visto i petali di una margherita macchiarsi di rosso.
Fino a quel momento, almeno.
Sentì un dolore lancinante all'altezza della spina dorsale.
Lanciò un grido, voltandosi: « Fragor! »
Lo straniero venne colto alla sprovvista, finendo in questo modo contro il tronco di un albero.
« E tu da dove cavolo spunti? » Con il respiro affannoso, Arya lo osservò rialzarsi: era un omone dalle gambe lunghe, senza capelli e con i denti appuntiti. Indossava una tunica nera ed un paio di stivali da montanaro. « Dammi la Chiave! » Gridò ad un tratto, la voce stentorea.
« Incendio! » Il Fuoco Aureo rispose all'incantesimo e, subito, dal palmo della sua mano destra, esplose una fiamma dorata che andò ad attaccare il nemico, incespicandosi su se stessa in delle elegantissime spirali luminose. Fu un vero e proprio spettacolo.
« Cosa stai facendo? »
Arya si voltò: « Nathaniel! Sono stata attaccata da un demone! »
« Ma quello è Gregov! » Ribatté lo spettro, andando a recuperare lo sconosciuto oltre alcuni cespugli. « Amico mio, tutto bene? »
« Lasciami stare! » Gridò questi, scansandolo in malo modo: « tu aiuti una strega! Sei un traditore! »
« Ma che stai dicendo? Non è come credi! »
« Non mentire! » Gli occhi di Gregov lampeggiarono di rabbia: « ho osservato tutto... ma da che parte stai? »
« Io non sto da nessuna parte! » Esclamò Nathaniel, il tono di voce aggressivo: « perché non esiste più alcuna parte! »
Il demone lo scrutò attentamente: aveva le orecchie appuntite ed il volto contornato da una folta barba nera. Sembrava fosse uscito da un libro dell'orrore; come se tutte le terribili azioni che aveva compiuto nei secoli si fossero affacciate sul suo aspetto e lo avessero imbruttito di proposito.
Arya rimase immobile, pronta a richiamare nuovamente il Fuoco Aureo.
« Cosa intendi dire, schifoso spettro? » Domandò Gregov, tradendosi con la sua stessa curiosità.
« Il mio villaggio è stato attaccato da alcuni demoni... stiamo andando incontro ad una scissione, come quella che divise le Streghe della Natura dalle Streghe dell'Impurità ».
« Io non noto nulla di diverso » tagliò corto l'altro: « io rimarrò per sempre fedele alla mia gente, ed è per questo motivo che devo uccidere quella ragazzina ».
« Lei non costituisce alcun tipo di problema » Nathaniel tentò un gesto amichevole, allungando la mano destra. Per tutta risposta, Gregov ringhiò e lo spettro si vide costretto a ritirarla.
« Mi vuoi dire che lei non tenterà di rispedirci all'interno della Dimensione? Il nostro compito era quello di distruggere la Chiave. L'hai scordato, Nathaniel? »
« La situazione è cambiata, Gregov! Sta succedendo qualcosa di strano ed è innegabile. Diamine, sto solamente cercando di capirci qualcosa! »
« Mi fai schifo » il demone scosse impercettibilmente la testa e, mostrando le zanne, disse: « se ti rivedo qui intorno, tenterò di ucciderti, feccia ».
Gregov sparì dalla circolazione, rifugiandosi nella penombra del bosco. Nathaniel, invece, rimase in silenzio per qualche altro istante – il viso rivolto verso il punto esatto in cui il suo amico lo aveva guardato negli occhi e gli aveva dato del traditore.
« Tutto bene? » Tentò Arya: non sapeva proprio cos'altro fare.
« Sì » rispose Nathaniel, secco: « andiamo via di qui. Evidentemente quel frammento vetroso non porta alcun significato all'interno di sé ».
Si allontanarono dalla casa degli Hart, l'uno accanto all'altra, in silenzio. Arya avrebbe tanto voluto dirgli qualcosa di confortante. In quel momento non riusciva proprio a notare lo squarcio tra i loro mondi; vedeva soltanto una persona come lei, sofferente e non più così distante.
« Mi dispiace » disse alla fine: « anch'io sto vivendo una situazione simile con il mio migliore amico, Oliver ».
« Senti, sta' zitta » Nathaniel si arrestò di colpo; adesso si trovavano sulla riva del lago, con le scarpe affondate tra la fanghiglia e l'erba bagnata. I loro riflessi tremolanti si scambiarono un'occhiata fugace. Arya sospirò, scegliendo di rimanere in silenzio.
« Ho detto che non ho bisogno della tua pietà » sbottò lo spettro: « non ho bisogno di nessuno, a dire il vero. Afferra il mio braccio, e andiamo via ».
« D'accordo » disse lei: « come vuoi tu ».
Gli sfiorò l'avambraccio con le dita, e in quello stesso istante le sue orecchie si tesero ad ascoltare un qualcosa di sconosciuto provenire dalle profondità del lago. Era un suono confuso, eterno, composto da quelle che le parvero mille voci. Non riuscì a coglierne neanche una parola.
« Lo senti anche tu? » Chiese a Nathaniel.
« Che cosa? » Rispose lui, scontroso.
« Queste voci! Provengono dal lago! »
Lo spettro alzò un sopracciglio: « stai impazzendo? »
« No! Ne sono sicura! » Si spogliò della sua fedele borsa a tracolla, si tolse gli anfibi che portava ai piedi, e fece per tuffarsi.
Nathaniel le avvolse il petto con un braccio: « ma che cavolo fai? »
« Vado a vedere di cosa si tratta! Potrebbe essere una traccia di quel che stiamo cercando, no? »
« Lascia stare, mi tuffo io ».
« In caso, ci tuffiamo insieme. Non sono una principessina schizzinosa ».
Allo stesso modo, quindi, si spogliò Nathaniel: mise da parte i suoi stivali, rimanendo a piedi nudi, e con noncuranza si tolse anche la camicia. Arya scostò gli occhi, imbarazzata.
« Cosa c'è? Non hai mai visto il fisico di un Dio? »
« Piantala ».
Si buttarono nell'acqua ghiacciata del lago. Sebbene la sua superficie si presentasse limpida, le profondità costituivano tutt'altra storia: erano scure, verdi ed estremamente inquinate. Le alghe volteggiavano attorno ai loro corpi, rendendo la faccenda ancora più disgustosa. Arya nuotava lentamente, con una sola mano perché con l'altra doveva tapparsi le narici. Vedeva solo nel raggio di due metri, e mentre filava nell'acqua notò alcuni pesci rossi saettare dinanzi alla sua figura. Volse lo sguardo verso sinistra e vide Nathaniel fluttuare confusamente: era uno spettro, rifletté in seguito, era comprensibile che riuscisse a parlare e che non dovesse prestare troppa attenzione al respiro – al contrario suo che per poco non soffocò a causa della forte determinazione che la guidava. Il silenzio assordante le premeva contro i timpani. Accelerò verso il fondo, tentando di resistere all'impulso di tornare in superficie. Le voci tornarono a farsi sentire solamente qualche attimo più tardi: sembravano provenire da una foresta di alghe lì vicino, accanto a delle pietre argentate. Arya allungò una mano in quel viscidume, spostando le dita in fretta, come per afferrare qualcosa. Era arrivata al suo limite. La testa le divenne leggera e la vista le si annebbiò. Non poteva andarsene via. Resistette ancora un momento e, proprio allora, trovò dei frammenti vetrosi che, al primo tocco, le donarono la visione di una città, di una vastissima biblioteca... Acchiappò i due frammenti e volò verso la luce. Non appena squarciò la superficie limpida del lago, si accorse del fiatone e di quanto le stessero tremando gli arti. Gridò il nome di Nathaniel e, subito, lo vide riaffiorare dall'oscurità.
« Guarda qui! » Esclamò, contenta: « sapevo che avremmo trovato qualcosa! Sono uguali al frammento che ti ha dato tuo padre! »
« Come diavolo è possibile? » Nathaniel li prese tra l'indice e il pollice delle mani, venendo così investito dalle stesse visioni che aveva avuto Arya.
« Ce ne sono degli altri » disse lei a bassa voce, come se non volesse farsi sentire dalla vegetazione limitrofa: « e si trovano nella biblioteca del signor Hancock! »
« Okay, ma stavolta andrò da solo » annunciò lo spettro: « tu hai fatto abbastanza ».
« Che cosa? Ma voglio venire anch'io! »
« Ti ho cercata solamente perché credevo che ne sapessi qualcosa in più. Visto che non mi hai dato alcun aiuto, non trovo il motivo per il quale tu debba seguirmi ».
« Non ti ho aiutato? » Ripeté Arya, furente: « spero tu stia scherzando ».
« Non sto scherzando! » Nathaniel non aspettò che la luce del sole lo asciugasse e quindi si rimise la camicia, ignorando il fatto che adesso le linee del suo fisico scolpito risultassero ancor di più all'occhio di Arya, la quale sbuffò, nervosa. « E comunque, dovresti smetterla di fidarti tanto delle persone. Oggi ti sei addirittura fatta teletrasportare da me, che sono un demone. Per non parlare poi del fatto che hai accolto in casa la stessa strega che ti ha quasi ucciso alla tavola-calda... sei completamente fuori di testa! »
« Il Cacciatore aveva costretto Lance ad incantare Cinnamon, e viceversa. Erano stati poi drogati. Non parlare a vanvera! » Sbottò la ragazza: « tieniti quei frammenti e non cercare più il mio aiuto ».
« Assolutamente » rispose Nathaniel: « Gregov ha ragione: siamo incompatibili ». E così dicendo, svanì nel nulla senza lasciare alcuna traccia, come se non fosse mai stato in quel luogo.
Allora, Arya si strizzò i capelli e si rimise le scarpe: non era mai stata trattata così da nessuno, eccetto dalla sua defunta madre. Rimase qualche altro istante a contemplare la superficie del lago, poi decise di allontanarsi e andare a prendere l'autobus che l'avrebbe riportata a casa.
Non riusciva a credere a quello che le era appena accaduto.
La prossima volta che si fosse ritrovata faccia a faccia con lo spettro, pensò mentre camminava verso la fermata, gli avrebbe lanciato uno schiaffo che sarebbe risuonato per l'eternità nelle sue orecchie. Ne era convinta.

 

 

 

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Capitolo 21
*** Capitolo 20: Il tormento di Oliver ***


CAPITOLO 20:

 

Il tormento di Oliver

 


L'ultimo anno del liceo non poté iniziare in modo peggiore. La natura, infatti, sembrava essersi resa conto di quanto poco tempo fosse rimasto alla venuta dell'autunno e, per questo motivo, aveva deciso di scatenare su tutta l'area della Virginia uno dei nubifragi più violenti dell'ultimo decennio.
Arya arrivò a scuola con i vestiti fradici, i capelli appiccicati al volto e l'asta dell'ombrello stretta nel pugno della mano sinistra – l'unica parte dell'oggetto che non le era stata strappata via dalla tempesta. Superò l'ingresso a grandi passi, cercando di ridurre al minimo lo stridio fastidioso che si originava ogniqualvolta che le suole dei suoi anfibi venivano a contatto con la pavimentazione lucida dei corridoi. Quella mattina era come se ogni cosa si fosse rivoltata contro la sua persona; persino il suo vecchio armadietto aveva scelto di non aprirsi! Sbuffò, scuotendo la testa. Attorno a sé non aveva altro che una tacita desolazione, segno che le lezioni fossero già cominciate. Nel salire le scale che l'avrebbero condotta sino all'aula di letteratura inglese, immaginò il sermone che avrebbe dovuto sorbire da parte della professoressa Sprite: era dal primo anno che quest'ultima insisteva sul fatto che alle sue lezioni bisognasse arrivare in orario. Non gradiva i ritardatari, non li aveva mai sopportati. Con gli stessi occhi di un serpente, era solita osservare il malcapitato entrare dalla porta. Dapprima si mostrava tranquilla, esigendo il movente per il quale fosse stato commesso il crimine, poi però esplodeva di rabbia e indicava l'ufficio della preside con una delle sue dita piccole e tozze.
Pertanto, erano inutili le preghiere che in quel momento Arya stava recitando sottovoce e con un incredibile impegno: la detenzione era già lì, pronta ad accoglierla a braccia aperte, per tutta la durata del pomeriggio.
« Scusami, posso chiederti un'informazione? »
Ella si voltò: « dici a me? » A qualche gradino di distanza vide un giovane con i capelli corti, gli occhi color caramello e con indosso dei vestiti del tutto inadeguati all'ambiente scolastico (e al clima di quella giornata). Lo riconobbe solamente qualche istante più tardi e, con fin troppo entusiasmo, esclamò il suo nome: « ma io ti conosco! Sei Logan O'Mooney, l'artista di strada! »
Sul volto del ragazzo scivolò un'espressione di sorpresa: « mi fa piacere che tu mi abbia riconosciuto! » Disse alla fine, accennando ad un sorriso timido: « io, però, non ti ricordo proprio... perdonami ».
« Tranquillo, lo immaginavo! Avrai visto così tante persone in città » rispose lei: « ti serve una mano? »
« Oh, sì » Logan tirò fuori dalla tasca dei suoi bermuda un bigliettino stropicciato: « ho ricevuto dalla segreteria l'orario delle lezioni. In teoria, adesso, avrei letteratura inglese con il signor Bradshaw, nell'aula 137 ».
« Cosa? » Arya inarcò le sopracciglia: « penso ci sia stato un errore. Nell'aula 137 c'è la signora Sprite a fare letteratura inglese... lo so perché mi ci stavo dirigendo proprio adesso ».
« Be', questo è strano » sentenziò Logan, guardandosi indietro: « forse, hanno assunto da poco un supplente? »
« Aspetta un attimo, lascia che io controlli il mio orario ».
Arya affondò una mano nella sua borsa a tracolla, recuperò il foglietto di carta e, con sua grande sorpresa, notò che anche per lei la lezione di letteratura inglese era prevista con un certo signor Bradshaw. « Che stupida! Come ho fatto a non accorgermene prima? »
« Be', la cosa positiva è che frequenteremo un corso insieme! » Esclamò Logan, il sorriso impacciato.
« Infatti! » La ragazza continuò, mostrandogli la strada: « la professoressa Sprite era una tiranna! Non immagino quante cose ti avrebbe urlato contro se ti avesse visto con questo paio di infradito! »
Logan abbassò gli occhi e si studiò i piedi: « dici? »
« Eh, sì ».
Percorsero un intero corridoio prima di arrivare dinanzi alla porta dell'aula 137. Era tardissimo, ed entrambi si erano ormai rassegnati all'idea che sarebbero stati messi in punizione lo stesso, anche con il nuovo insegnante. Ne erano certi.
Arya bussò due volte, poi afferrò la maniglia ed azzardò un passo.
L'aula era occupata perlopiù da una decina di banchi singoli: gli occhi di ogni studente si rivolsero verso le loro timorose figure. Alcuni di loro risero a gran voce, altri approfittarono del momento per inviare un messaggio o per sistemarsi meglio il trucco. Tra di loro, Arya notò il volto del suo migliore amico: poco prima di uscire di casa, aveva sperato con tutto il cuore di incontrarlo, di potergli finalmente parlare...
Oliver era serio: nel corso dell'estate sembrava gli fosse cresciuto anche qualche pelo di barba in più. Era dimagrito, ma non così tanto. Non appena i loro sguardi s'incontrarono, egli non poté fare a meno di tendere le labbra in un sorriso strano, quasi malinconico.
« E voi da dove spuntate? »
Arya tornò in tempo presente: a parlare era stato il loro nuovo professore che, poco prima, studiando la classe, ella aveva scambiato per uno studente qualsiasi. « Siamo arrivati in ritardo, ci scusi » disse a bassa voce.
« Io li manderei subito nell'ufficio della preside » esclamò una cheerleader dal fondo dell'aula.
« Ben detto, Quinn! » Farneticò un altro.
« Silenzio! » Li interruppe il giovanissimo professore: « saranno stati colti alla sprovvista da questo brutto tempaccio. Quali sono i vostri nomi? »
Arya tardò con la risposta; aveva la mente altrove, concentrata ad esaminare la figura del signor Bradshaw. Egli era un uomo di circa trent'anni, affascinante e dal fisico atletico. Aveva i capelli neri, gli occhi scurissimi incorniciati da un paio di sopracciglia folte, il naso aquilino e le labbra sottili. Quella mattina indossava un paio di jeans ed una camicia blu con abbottonato sopra un elegante cardigan nero.
« Il mio nome è Logan O'Mooney » cominciò il ragazzo: « è il mio primo giorno in questa scuola ».
« Be', siamo in due, Logan! » Esclamò il signor Bradshaw, con disponibilità.
« Io, invece, mi chiamo Arya Mason ».
« Piacere ad entrambi! Ora, accomodatevi! Stavo giusto per mostrare ai vostri compagni un bellissimo estratto di un'opera a me molto cara » il professore fece loro segno di andare in fondo, vicino al banco di Oliver: « lì ci sono gli ultimi posti liberi ».
I due giovani si mossero in quella direzione, senza rendersi conto del fatto che Quinn Lloyd li stesse studiando già da alcuni minuti. Come suo solito, ella non poté farsi sfuggire l'opportunità di canzonare il nuovo arrivato, criticando dapprima i suoi abiti e poi la sua espressione facciale – definendola poco sveglia a causa del suo occhio pigro.
La classe scoppiò in una fragorosa risata.
« Smettila! » La riprese Arya: « quando ti deciderai a crescere? »
« Dai, lascia stare » le consigliò Logan, sorridendo alla vista di Oliver, il quale scostò immediatamente lo sguardo, imbarazzato.
Arya dovette lottare contro l'istinto di prenderla a pugni e, andandosi a sedere, s'impose la calma. Quinn Lloyd era il Male. Il nubifragio che aveva colpito lo Stato quella mattina non era nulla a confronto con tutto il veleno che ogni giorno straripava dalla sua persona. Nel corso della lezione non fece altro che carezzarsi la sua fluente chioma dorata: non era una stupida, fingeva solamente di esserlo. Comandava la squadra delle cheerleader da ben tre anni – aveva trasformato le sue compagne in delle vere e proprie schiavette, pronte a tutto pur di entrare nelle sue grazie. Indossavano sempre l'uniforme della squadra: una maglietta bianca, con il logo della scuola impresso sulla stoffa, e una svolazzante gonna rossa che non lasciava nulla all'immaginazione. Arya sbuffò, assumendo in seguito un'espressione attenta e partecipe all'analisi del testo di cui si stavano occupando.
« “Dovremmo incontrarci ancora dopo la morte?” » Recitò il professore, facendo tintinnare quel bellissimo braccialetto d'oro bianco che portava al polso sinistro: « riuscite a percepire la profondità di questa frase? È proprio con questo interrogativo che termina l'opera. Non la trovate bellissima? »
Le gemelle Camden, dalla prima fila, annuirono con un esagerato vigore: era solo il primo giorno di scuola e stavano già tentando, inutilmente, di arruffianarsi il signor Bradshaw.
« Voi cosa ne pensate? » Continuò lui, serrando il voluminoso tomo di letteratura: « avete un'opera che vi piace in particolar modo? »
Il silenzio che scaturì quella domanda fece sorridere Arya: era così ovvio il fatto che fosse nuovo a scuola!
Trillò la campanella e, subito, gli studenti si riversarono nei corridoi. Correnti di ragazzi e ragazze si muovevano da una parte all'altra della scuola, come pesci in un oceano in tempesta.
Arya vide Oliver abbandonare immediatamente la sua postazione, e raggiungere il signor Bradshaw alla cattedra. Non riuscì ad ascoltare nulla del loro breve discorso, ma ne notò un particolare bizzarro: il professore aveva alzato una manica del suo cardigan per mostrargli il polso. Allora Oliver aveva detto qualcosa e, sorridendo, si era allontanato dall'aula.
« Che materia hai adesso? » Le chiese Logan all'improvviso.
« Non lo so, scusami ».
Arya afferrò la sua fedele borsa a tracolla e, tentando di non inciampare nei suoi stessi passi, si catapultò oltre l'uscio della porta. Si era stancata di quella situazione. Avrebbe chiarito con Oliver immediatamente!
« Ehi! » Lo raggiunse dinanzi ad una lunga fila di armadietti, assorto nell'organizzare all'interno del suo zaino i libri che gli sarebbero serviti nel corso dell'intera giornata: « ciao! »
« Ciao » la freddò lui, lo sguardo altrove.
La giovane Mason rimase in silenzio: erano mesi che non si vedevano, e quello era il massimo che riuscivano a dirsi? Avrebbe voluto tanto contenersi, iniziare la conversazione con un ordinario “come stai?”, ma le parole scoppiarono nella sua bocca come una mina devastante.
« Per quale motivo sei sparito? Ti ho chiamato così tante volte nel corso dell'estate che il mio telefono adesso è impazzito ».
« Lasciamo stare, Arya ».
« Scusami? Lasciamo stare? » Ripeté la ragazza, alzando il tono della voce: « cosa diamine significa? »
« Che non voglio parlarne! » Oliver sbatté l'anta dell'armadietto, attirando l'attenzione di alcuni giocatori di football lì vicino.
« Ma perché? È da quella maledetta notte che non ci sentiamo! »
« Non mi sento bene, okay? Sei contenta? »
« Parlamene! Sono qui apposta per questo! »
« Finiscila! » Gridò il ragazzo: « nessuno può darmi una mano! »
« Cosa intendi dire? » Arya inarcò la fronte, sorpresa.
« Non riesco più a vivere con me stesso! Ho ucciso una persona, il padre del mio migliore amico! »
« L'hai ucciso per salvare me! E te ne sono grata! »
« Vedi? È per questo che non volevo parlartene. Non riesci a capire i due punti di vista! Io non sono l'eroe che tutti credono... io sono un assassino, proprio come Walton! »
Arya non rispose: aveva gli occhi lucidi ed il petto palpitante. Scosse la testa, obbligando le lacrime a tornare indietro. Oliver stava soffrendo al suo stesso modo: la sua carnagione si era tinta di un intenso colore rosso, e la ragazza poté solamente immaginare quanta rabbia e quanto disprezzo provasse per se stesso.
Nel frattempo, entrambi si erano accorti di essere stati circondati da un'orda di studenti: mezza scuola aveva assistito alla sfuriata, in una somma quiete e in un silenzio immane.
Arya incrociò lo sguardo disorientato di Logan. Era stata una stupida ad agire in quella maniera.
« Continuate pure » disse qualcuno alle sue spalle: « sono seria! Mi stavo divertendo molto ».
« Quinn, per favore » iniziò Oliver: « non ti intromettere ».
« Tu non mi dici cosa io possa o non possa fare » tagliò corto Quinn, venendo spalleggiata da altre quattro o cinque cheerleader.
« Smettila » le intimò Arya: « non ti mettere in mezzo ».
« Perché? » La ragazza proseguì, tornando a carezzare, noncurante, i suoi capelli: « cosa fai, altrimenti? Mi uccidi? Mi punti una pistola contro e mi togli la vita? »
Nel corridoio scoppiò un ennesimo boato di silenzio innaturale. Erano tutti così concentrati nell'osservare lo spettacolo che evitarono persino il secondo tintinnio della campanella, segno che le lezioni si trovavano sul punto di ricominciare.
Arya rimase immobile, con la bocca semi-aperta e la fronte aggrottata: aveva così tante cose da dire che tutte le parole le si impicciarono in gola. Non poteva credere a ciò che avevano appena udito le sue orecchie. Prima d'allora non aveva mai odiato una persona al punto tale da desiderarne la morte. Quinn Lloyd non era umana; era un demone.
« Non sai quanta ignoranza sta uscendo dalla tua bocca in questo momento » disse Oliver, a stento manteneva la calma.
« Mi fai schifo, Oliver Hopkins » sibilò lei: « perché è tutto vero quello che dici. Sei un assassino. Non sei un eroe. Sei tutto fuorché una brava persona. Quella notte avresti potuto colpire il signor Hart ad una mano, o ad una gamba... e invece, hai optato per la testa. Per di più, lo hai colpito alle spalle! Sei un vigliacco! Sei un assassino! »
« STA' ZITTA! » Oliver si lanciò contro la sua ex-ragazza con una violenza agghiacciante, la stessa che alcuni mesi prima lo aveva portato all'omicidio del Cacciatore.
I presenti esplosero in un lungo “ooooh”: il giovane Logan O'Mooney si era interposto tra le due figure, evitando in questo modo che Quinn venisse colpita in pieno volto.
Arya sussurrò il nome di Oliver, sconvolta.
« Avete visto? » Urlò Quinn, in preda ad un finto shock: « ha tentato di uccidermi! »
In un attimo si scatenò il caos. Il corridoio aveva preso le sembianze di un mercato provinciale: adesso, non c'era una sola persona che non stesse urlando.
« Cosa sta succedendo qui? » Una voce si alzò sopra tutte le altre: da un'aula lì vicino era appena comparsa la figura della signora Rottenbones, la vice-preside della scuola. « Tornatevene subito in classe! »
« Oliver Hopkins stava per uccidermi! » Gridò Quinn, la voce rotta da un pianto improvvisato.
« Non è andata propriamente così » cercò di spiegare Logan.
« È tutta colpa mia, signora Rottenbones » disse Arya, gli occhi lucidi.
« Non volevo farle del male... » ammise Oliver.
La vice-preside non proferì alcuna parola, bensì aspettò che la folla si estinguesse prima di ricominciare a parlare. Nel frattempo si limitò ad osservarli con i suoi occhi di ghiaccio, riparati da un elegante paio di occhiali a mezza-luna. Aveva il volto provato ed i capelli scompigliati – probabilmente, non era stato facile nemmeno per lei alzarsi presto e tornare a scuola a fare lezione.
« Mary Camden mi ha avvertito della situazione » disse, le braccia incrociate dinanzi al petto: « vergognatevi! »
« Signora, davvero... » iniziò Arya, ma venne immediatamente interrotta.
« Vi aspetto nell'aula 40, dopo le lezioni ».
« Aula 40? » Domandò Logan, inarcando le sopracciglia.
« L'aula della detenzione, Signor Campagnolo! » Riprese la signora Rottenbones, squadrandolo dalla testa ai piedi: « trascorrerete lì tutti i pomeriggi di questa settimana. Maleducati! Tornatevene subito in classe! »
Quinn sparì immediatamente dalla circolazione – volò via senza nemmeno degnarli di uno sguardo.
Al contrario, Arya, Oliver e Logan rimasero qualche altro istante nel bel mezzo del corridoio, ad osservare l'uno l'espressione dell'altra.
« Scusami, Oliver » iniziò Arya.
« Lascia stare » le rispose il ragazzo, poi si rivolse a Logan con un mezzo sorriso timido: « sono stato un idiota... e se non ci fossi stato tu, a quest'ora mi avrebbero già espulso ».
« Non ti preoccupare » egli gli tese una mano: « mi chiamo Logan ».
« Oliver, piacere ».
Arya inspirò profondamente: l'anno scolastico era appena iniziato e già non vedeva l'ora che arrivasse la cerimonia dei diplomi – cosa che avrebbe visto da molto lontano se avesse continuato a comportarsi da stupida.
Dunque, raggiunsero in fretta il laboratorio di chimica, scoprendo in questo modo di avere un altro corso insieme. Oliver evitò Arya ancora una volta, scegliendo Logan come compagno di banco. La ragazza, ormai rassegnata, afferrò uno sgabello e si mise vicino a Beckah; a bassa voce, le spiegò il motivo per il quale avesse tardato tanto alla lezione, e come risposta ricevette un furtivo abbraccio che non venne neanche individuato dal professore.
Arya tentò di concentrarsi, ma non proprio non ci riuscì. Era una delle giornate peggiori che avesse mai vissuto... ed erano solo le nove di mattina!
Lanciò un'occhiata fuori dalla finestra e si domandò che vita avrebbe potuto condurre se avesse deciso di partire subito, e lasciare Rozendhel in balia di se stessa. Magari avrebbe potuto trasferirsi in Europa, o cercare quei misteriosi frammenti insieme a Nathaniel...
Sorrise amaramente. Ella avrebbe potuto abbandonare Rozendhel in qualunque momento, ma forse Rozendhel non avrebbe mai abbandonato lei.
Tornò in tempo presente, la vibrazione del cellulare si era impossessata della sua gamba.
Lo tirò fuori dalla tasca, in fretta, accorgendosi di un nuovo messaggio.
Era da parte di Oliver.
Sta' attenta. Il professore di letteratura inglese è un impostore.
Il Braccialetto di Walton Hart era identico a quello del signor Bradshaw. È un Cacciatore, Arya. Non fidarti di nessuno.
Arya smise di leggere il messaggio dopo la parola “Cacciatore”.
Sentì un brivido percorrerle la schiena.
Deglutì nervosamente.
Il Gioco era ricominciato.

 

 

 

 

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Capitolo 22
*** Capitolo 21: Il Velo ***


CAPITOLO 21:

 

Il Velo

 


« Occludo! »
Un lampo di luce e la macchia bluastra si accartocciò su se stessa – in silenzio, fluttuando a mezz'aria. In pochi istanti, l'oscurità della sera tornò ad ingollare l'intero quartiere del Sunny-Valley: era come se non fosse mai successo nulla, come se Rozendhel non fosse mai stata strappata via dalla placida e antica dimensione dell'ordinario.
Arya strinse i denti. Erano giorni che non sentiva il palmo della mano destra bruciare in quel modo: sebbene fosse già trascorso un anno dalla prima volta che aveva chiuso un Portale, ella non si era mai abituata al dolore che la Chiave di Zehelena le causava ogni volta. Era come se un pugnale, dalla lama rovente, le lacerasse le carni, più volte, sino all'esasperazione.
Si massaggiò la ferita invisibile, tirando un sospiro di sollievo: a poco a poco, stava passando.
Controllò l'orario e, in fretta, si rimise in marcia. Quella sera, si mostrava stranamente contenta all'idea di tornare a casa: era, infatti, il giorno della settimana in cui spettava a Frank mettersi ai fornelli. Finalmente avrebbe mangiato qualcosa di diverso dai soliti piatti pronti del supermercato! La zia Sarah riusciva solamente nei dolci: li preparava con impegno, ed il risultato si presentava sempre un vero e proprio capolavoro. Quando, invece, si metteva in cucina e preparava un primo o un secondo qualsiasi, l'esito non era mai dei più ottimali. Affatto!
« Aiutami ».
La ragazza si arrestò di colpo, tendendo le orecchie verso l'unico vicolo buio e puzzolente alla sua destra. Era una voce, un lamento rauco che non poté far finta di non aver sentito. Qualcuno aveva bisogno d'aiuto. Lo necessitava, implorando. « Aiutami, ti prego ».
Dunque, Arya non ci pensò due volte e subito si gettò nella stradina, facendo attenzione a non inciampare in tutta quella robaccia sparsa ai suoi piedi. Il contenuto dei bidoni si era infatti riversato sul terreno: cartacce, avanzi di cibo, file di insetti che si rincorrevano...
Si morse il labbro inferiore, diffidente: « c'è qualcuno? »
Nessuna risposta.
Silenzio.
« Ti serve un aiuto? » Domandò ancora una volta.
« Lurida strega, vattene via! »
Istintivamente, la ragazza si tirò indietro e liberò dalle sue mani una piccola sfera di luce bianca.
« Ma che diavolo... ».
Appoggiata ad un bidone della spazzatura vi era la figura di un essere sconosciuto: aveva il corpo finissimo quanto il tronco di un bambù, due braccia rachitiche attraversate da una ragnatela di vene di colore rosso scuro, le gambe corte ed infine, la cosa più strana, due rami che partivano dal busto per poi sfociare in due teste distinte. La testa di destra aveva il fiatone, l'altra sembrava sfidare lo sguardo della strega – ma avevano entrambe una bocca larga, due fessure per narici, ed un paio di occhi minacciosi dalla pupilla verticale.
Arya rimase in silenzio, a studiare l'aspetto del Demone.
« Aiutami, ti prego » disse la parte di destra.
« Ma non vedi che è una strega? » Urlò la sinistra, con un tono di voce squillante: « è venuta qui per riportarci all'interno della Dimensione ».
« No, non lo farò. Ho chiuso il Portale » riferì Arya, sorpresa di aver detto una roba simile: « cosa ti è successo? »
« Noi non dialoghiamo con una sporca strega! » La testa di sinistra continuò: « sei venuta qui per ucciderci. Fallo! »
« No, sono venuta qui perché ho accettato la vostra richiesta d'aiuto » la ragazza inarcò la fronte: « dimmi cosa gli è successo ».
« Come se già non lo sapessi! È stato il Velo della Dimensione a ridurlo in questo stato ».
« Il Velo della Dimensione? Non capisco! » Ripeté Arya.
« La tua ignoranza è un artificio! » Esclamò il Demone, distogliendo lo sguardo e concentrandosi unicamente verso il suo vicino: egli stava peggiorando a vista d'occhio, la sua carnagione era passata dal verde al bianco cadaverico.
« Non so nulla di questo fantomatico Velo » Arya proseguì, restando in allerta: « cosa vi è capitato? Avete attraversato il Portale e vi siete feriti? »
Il Demone di destra annuì, debolmente: « i Demoni riescono a tornare a Rozendhel solo per mezzo dei Portali che l'Oscuro Signore sta aprendo... ma l'Oscuro Signore non riesce ad infrangere la maledizione del Velo che avvolge il Portale ».
« Nell'attraversare il Portale, alcuni di noi restano feriti... proprio a causa del Velo. È una difesa ulteriore che Zehelena ha annesso in mezzo a questi due mondi. Mio fratello rischia la vita a causa sua! »
« Non spedirci di nuovo all'interno della Dimensione » continuò il Demone di destra: « la Dimensione sta cadendo a pezzi e in poco tempo imploderà. L'Oscuro Signore sta cercando in tutti i modi di tirar fuori il maggior numero di Demoni possibile, per salvarli... ma non capisce che è proprio questa sua operazione di apertura che sta causando la rovina della Dimensione ».
Arya sentì un brivido percorrerle la schiena: la maledizione del Velo? L'Oscuro Signore? La Dimensione in procinto di cadere? La sua testa stava scoppiando.
Rimase per qualche istante in preda ad una forte ed improvvisa emicrania, poi prese coraggio e disse, sintetizzando: « questo Signore Oscuro riesce ad aprire i Portali, ma non è comunque facile arrivare a Rozendhel proprio perché vi è un Velo che causa l'indebolimento dei Demoni. E l'apertura di questi Portali sta causando la caduta della Dimensione stessa, è così? »
« Esattamente » dissero in coro i due esseri: « abbiamo saputo che alcuni di noi vivono nei boschi, o nei Villaggi Eterni. Andremo lì e non causeremo alcun danno. Lasciaci andare ».
Arya sospirò: che diamine di situazione stava vivendo? Non le era mai accaduto nulla di simile! Un Demone non le aveva mai chiesto di essere lasciato libero, non le aveva mai chiesto aiuto...
Si abbassò, si mise in ginocchio, e con le mani indirizzate verso il Demone di destra, sussurrò: « medicamentum! »
Non sapendo dove fosse situata la ferita, carezzò la sua figura per intero, le dita tremanti. A poco a poco il Demone di destra ritornò verdissimo e, per un istante, Arya credette di averlo visto sorridere.
« Andate via di qui » disse alla fine, alzandosi in piedi.
I due Demoni la studiarono con attenzione, stupefatti. Era evidente che anche loro non avessero mai assistito ad un evento del genere: « abbiamo sbagliato a dubitare della vostra persona. Ricorderemo per sempre questo vostro aiuto. Tuttavia ignoriamo ancora il vostro nome ».
Arya inspirò profondamente: « Arya Mason, Guardiana della Chiave e del Fuoco Aureo ».
I Demoni si alzarono in piedi, erano alti tanto quanto un bambino di cinque anni: « il Fuoco Aureo ci ha rinchiusi all'interno della Dimensione per lunghissimi secoli, ed il Fuoco Aureo alla fine ci ha donato la salvezza. Vi ringraziamo, Arya Mason ».
La ragazza chinò il capo, allo stesso modo di quei due: « e voi, invece? Chi siete? »
« Throker e Zhokron » dissero insieme: « grazie ».
E così, sparirono nel nulla, infrangendosi in decine di frammenti vetrosi.
Arya rimase immobile per qualche altro minuto, serrando in un pugno la piccola luce bianca che aveva richiamato prima. Non riusciva a credere a ciò che le era appena capitato. Esistevano dei Demoni in grado di poter ragionare... Esistevano dei Demoni con i quali era possibile dialogare, accordarsi. Non tutti i Demoni costituivano una minaccia per Rozendhel.
E adesso cos'avrebbe dovuto fare? Dirlo alla Congrega, oppure tenerlo per se stessa?
Optò per la seconda ipotesi: Hazelle si sarebbe di certo infuriata se lo avesse scoperto. Una strega come lei, erede di Zehelena, non poteva permettersi nulla di tutto ciò. Non era scritto da nessuna parte, ma era naturale che le fosse proibito compiere azioni simili.
Corse verso casa, spaventandosi ogniqualvolta che sentiva un rumore strano provenirle da dietro le spalle.
Se era vero ciò che Throken e Zhokron le avevano riferito, allora esisteva un essere in grado di infrangere le barriere dimensionali e far interagire i due mondi.
Ma di chi poteva trattarsi? Una volta, aveva persino letto sul suo Grimorio che gli unici in grado di poter aprire un Portale erano gli Elfi. Ma gli Elfi si erano estinti...
Cosa diamine stava succedendo?
Tornò a casa e, subito, venne accolta da un Frank particolarmente contento: « ehilà, signorina topina! »
« Frank, non sono in vena » disse lei, salendo le scale dell'ingresso: « vado a poggiare la borsa di sopra e arrivo ».
« No, aspetta! Ho una cosa da dirti... ».
La ragazza fece finta di non averlo ascoltato e s'indirizzò, esausta, verso la sua cameretta.
Aprì la porta con decisione e, non appena si ritrovò sulla soglia, ebbe un sussulto, o meglio, un déjà-vu lungo un'eternità. Sulle lenzuola del suo letto, sedeva un ragazzo dagli occhi castani, i capelli corti, il naso greco... Non era Nathaniel. Non era Oliver, e nemmeno Logan.
Con voce rotta, Arya sussurrò il suo nome: « Darren? »
Darren Hart si alzò in piedi: era più muscoloso del solito e sul suo viso, all'altezza del sopracciglio destro, aveva una nuova e misteriosa cicatrice. Indossava una maglietta nera, un paio di jeans e degli scarponi da montanaro. Arya avrebbe voluto saltargli addosso subito e piangere come una sciocca per tutta la notte. Ma si contenne, imponendosi il divieto.
« Ciao, Arya » disse lui, il sorriso impacciato: « come stai? »
« Bene... tu? » Rispose Arya, mettendosi a braccia conserte: « ho saputo da Hazelle che hai trascorso l'intera estate in compagnia di un lupo mannaro... ti ha insegnato qualcosa? »
Quella, infatti, era la prima volta che i due si rincontravano: dalla morte di Walton Hart, Darren aveva scelto di non farsi più vedere, lasciando la sua ragazza in balia di se stessa, in un momento abbastanza complicato per entrambi.
« Sì, è vero. Si chiama Daoming... mi ha insegnato a controllare il gene del lupo mannaro mediante una serie di azioni che, se vorrai, ti spiegherò con piacere. Adesso posso scegliere io quando trasformarmi e la forza del licantropo mi accompagna sempre! Posso saltare da un albero all'altro, o originare una profonda voragine... ».
« Sono davvero felice per te » lo interruppe Arya: « ma non capisco per quale motivo tu non mi abbia detto nulla ».
Darren inspirò profondamente: « non ci riuscivo... provavo imbarazzo per tutta la situazione. Non potevo credere al fatto che mio padre avesse tentato di ucciderti. Credevo mi odiassi ».
Per colpa o per merito di quella frase, Arya sentì una lacrima rigarle una gota: « io non riuscirei mai ad odiarti ».
Il ragazzo si mise nuovamente a sedere, il capo affondato nelle mani: « mi dispiace così tanto! Soltanto adesso riesco a guardarti negli occhi. Me ne sarei dovuto accorgere, avrei dovuto proteggerti ».
« Non sono una ragazza da proteggere » affermò Arya, secca: « se necessario, combatteremo insieme: fianco a fianco ». Lo raggiunse sul letto, e gli carezzò la schiena.
« Ti ha fatto del male, vero? »
« Sì ».
« Dove? »
Arya sospirò, indecisa, poi gli indicò una spalla: « ma tanto è acqua passata, tranquillo ».
Darren deglutì, aveva gli occhi lucidi. Era così strano vederlo in quella condizione; sembrava un cucciolo smarrito, al quale sarebbe stato impossibile tenere il muso a lungo.
« E Oliver, invece? »
« Be', lui è ancora sotto shock... tutta Rozendhel lo reputa un eroe, ma lui non si sente affatto tale. Crede di essere un assassino ».
« Credi che io possa farlo sentire meglio? Magari posso andare a casa sua e... ».
Non riuscì a terminare la frase che Arya lo interruppe di nuovo: « no, non ti aprirebbe la porta ».
« E allora lo chiamo! »
« Non ti risponderebbe ».
Un attimo di silenzio li avvolse: era una quiete innaturale, in cui sarebbe stato possibile udire anche i battiti di ciglia di entrambi. Arya e Darren si sfiorarono con le dita, finché quest'ultimo non decise di stringerle una mano e portarsela al petto.
« Cosa fai? » Gli chiese lei, la fronte aggrottata.
« Voglio che tutto torni come prima » ammise il ragazzo: « magari, potrei venirvi a prendere a scuola domani? »
Arya non gli diede una risposta immediata: era quello che voleva anche lei? Che tutto tornasse come prima?
« Okay, va bene » disse alla fine: « l'unica cosa è che ci hanno messo in punizione per una lite che è successa durante il primo giorno di scuola. Quindi aspettaci al termine della detenzione, davanti all'ingresso ».
Darren alzò un sopracciglio: « sei diventata una ribelle? »
« Può darsi ».
Così si sdraiarono sul letto, l'uno accanto all'altra.
Arya afferrò le mani di Darren e iniziò ad accarezzarle: rispetto alle sue, quelle sembravano le dita di un gigante. Rimasero al buio, in silenzio, per quasi un'ora. La ragazza dimenticò tutto il resto, e finalmente poté godere di un briciolo di serenità – una sensazione che apparteneva ormai al passato. Darren, nel frattempo, aveva preso a giocherellare con i suoi capelli rossi. Era come se non se ne fosse mai andato.
« Stiamo ancora insieme? » Le domandò, sottovoce.
Arya scosse la testa: « ci vorrà del tempo ».
Allo scoccare delle dieci, i due giovani si decisero ad uscire dalla cameretta: scesero le scale e arrivarono dinanzi alla porta di casa.
« Ci vediamo domani? »
Darren le sorrise: « certo, a domani! »
Dunque la ragazza si diresse verso il salotto, dove ad attenderla trovò Frank e Sarah – entrambi seduti a tavola, con i piatti ormai vuoti.
« Allora? » Chiesero all'unisono.
« Non ho nulla da raccontarvi! Mangio e me ne torno a letto ».
Il giorno seguente, Arya non seppe spiegarsi per quale motivo fosse così contenta e piena di vita. Probabilmente, era quella bella giornata di sole a donarle un pizzico di allegria. Arrivò a scuola e cercò in tutti i modi di parlare con Oliver, ma questi sembrava gradire molto più la compagnia di Logan che la sua. Si scoraggiò per un attimo, ma poi scelse di riprendersi e andò a parlare con Beckah. In questo modo, scoprì che quello stesso pomeriggio anche la giovane Gray sarebbe stata costretta a rimanere a scuola più del dovuto. Stava dando lezioni di inglese agli studenti stranieri – giusto per avere dei crediti in più alla fine del semestre, e per farsi notare da una qualche università d'arte della Costa Orientale.
Le ore passarono in un baleno e, al termine dei corsi, la scuola si vuotò.
Come d'abitudine, invece, Arya s'indirizzò verso l'aula 40. Era l'ultimo giorno da trascorrere in detenzione. L'ultimo giorno da trascorre al banco insieme a Quinn Lloyd.
Aprì la porta, cercando di mantenere il suo ottimismo ai massimi livelli.
« Salve, Arya! Sei arrivata finalmente! Accomodati pure! »
Arya inarcò le sopracciglia e, in un attimo, sentì tornare verso di sé la solita preoccupazione che invadeva la sua vita ormai da un anno. Dietro la cattedra della signora Rottenbones, si trovava il professor Bradshaw – docente di letteratura inglese.
« Ci sorveglia lei, oggi? » Chiese la giovane Mason, lanciando un'occhiata verso gli alunni della detenzione (che quel pomeriggio sembravano essere aumentati).
« Sì, purtroppo la signora Rottenbones si è sentita poco bene... la sostituisco io ».
« Che casualità! » Esclamò Oliver, seduto al banco con Logan.
Il signor Bradshaw, però, diede l'impressione di non averlo sentito e, indicando una ragazza, disse: « mettiti vicino ad Angela! »
« Due tizie strane accoppiate, questa è una casualità » Quinn scoppiò a ridere, gli occhi concentrati sulla sua costosa manicure. Quel giorno, non indossava la classica uniforme da cheerleader – segno che avesse dovuto saltare gli allenamenti – ma un bel vestito bianco, di pizzo, che le arrivava sino alle ginocchia.
Arya fece finta di nulla e raggiunse il punto dell'aula che le era stato indicato poco prima dal professor Bradshaw. Poggiò la borsa di stoffa a terra e si voltò in direzione della sua compagna di banco, la quale la stava già fissando da qualche minuto in maniera a dir poco inquietante.
« Non ti ricordi di me, vero? » Le sussurrò ad un tratto.
Arya strizzò gli occhi, come se in questo modo riuscisse a vederla meglio: indossava una maglietta nera sulla quale era stampato il nome di una famosa rock-band, una gonna rossa a balze ed un paio di stivali neri. Portava i capelli legati in una coda di cavallo ed aveva un grosso dilatatore all'orecchio sinistro.
« No, mi dispiace » ammise lei, alla fine della sua breve analisi.
« Sono Angela, la ragazza dei cyberlocks! Ci siamo conosciute alla festa di compleanno di Quinn Lloyd! »
La parola “cyberlocks” catapultò Arya in un altro luogo, allo stesso modo di come aveva fatto con Nathaniel: « oh, sì! Adesso mi ricordo! Senza tutto quel trucco e tutti quei fronzoli, appari molto diversa ».
« Lo so » disse Angela, sorridendo e mostrando involontariamente il suo coloratissimo piercing alla lingua.
« Basta parlare, ragazze » il signor Bradshaw attirò la loro attenzione sbattendo un giornale arrotolato sul bordo della cattedra: « potete ascoltare la musica o leggere un libro. Parlare, no! Siamo intesi? »
Da quel momento, nessuno all'interno dell'aula proferì più alcuna parola. Arya trascorse un'ora intera a fissare l'orologio appeso sopra la lavagna: mancavano altri novanta noiosissimi minuti. Si guardò intorno: Angela stava leggendo un libro di Dostoevskij intitolato “Le Notti Bianche”, mentre Logan dormiva sul banco. Oliver invece sfogliava le pagine di un quotidiano, Quinn si limava le unghie e l'altro ragazzo, in ultima fila, ascoltava la musica ad un volume spacca-timpani.
« Devo allontanarmi per un momento » disse all'improvviso il signor Bradshaw, alzandosi dalla sedia: « mi raccomando, non muovetevi ».
Ma non appena ebbe superato il ciglio della porta, Angela chiuse il piccolo libricino e, volgendo lo sguardo verso quello di Arya, esclamò: « io me la squaglio! »
« Cosa? No, non puoi farlo! »
« E invece, sì! » Si alzò con decisione: « domani dirò alla preside che ho avuto un'emergenza familiare. Me la cavo sempre in questo modo ».
« Sei un'idiota » commentò Quinn: « se continui così, ti espelleranno ».
« Ma non credo proprio » Angela schioccò le labbra: « qualcuno mi vuole seguire? »
Nessuna risposta affermativa: Logan ed Oliver scossero la testa, ed Arya fece lo stesso qualche secondo più tardi.
« Oh, al diavolo! Siete un branco di... »
Ma la ragazza non riuscì a terminare la frase. Uno strano rumore in lontananza, simile ad un verso di un animale, graffiò l'aria e fece vibrare il pavimento.
I presenti rimasero immobili.
« Cosa diavolo è stato? » Chiese Quinn, scattando sull'attenti.
« Non lo so, ma è stato inquietante » ammise Logan.
Arya ed Oliver si scambiarono un'occhiata eloquente, come se bastasse loro solo quel gesto per poter comunicare. Le parole, infatti, non servivano e la prima impressione che ebbero entrambi si rifletté sull'idea che quel verso potesse appartenere ad un demone. La giovane Mason sperò con tutta se stessa che non si trattasse di Throker e Zhokron: che punizione le sarebbe stata inferta se la faccenda fosse saltata fuori?
L'unico che sembrò non accorgersi di nulla fu il ragazzo in ultima fila: muoveva ancora la testa avanti ed indietro, ritmicamente, ad occhi chiusi e schioccando le dita di tanto in tanto.
« Vado a controllare io » si propose Arya, con gli sguardi di tutti puntati addosso.
« Per me va bene! » Disse Quinn: « magari è la volta buona che ce la togliamo di torno ».
« Vengo con te! » Angela afferrò il pomello della porta, pronta a cimentarsi in quella strana ed improvvisata avventura scolastica.
« No, tranquilla » si affrettò a dire Arya, la fronte imperlata di sudore: « vado da sola ».
« Angela, va' con lei » Quinn si rimise a sedere e, con sguardo di sfida, proseguì: « non vorrai mica che la tua cara amica rischi la vita da sola, o sbaglio? »
Angela annuì, facendo oscillare la sua coda di cavallo: « per una volta, devo darti ragione! Andiamo! » E così si lanciò fuori dall'aula. Arya la vide correre per il corridoio, fin troppo entusiasta. Se le fosse successo qualcosa, la responsabilità sarebbe ricaduta solo e soltanto su di lei.
Dunque, superò la soglia della porta e prese a rincorrerla.
« Angela, fermati! » Le gridò più volte, ma era come se la ragazza fosse stata colpita all'improvviso da un attacco di adrenalina – impossibile da placare. Svoltarono a sinistra, poi a destra: salirono una rampa di scale, passarono dinanzi alla biblioteca e all'aula di letteratura francese. Era un bene che la scuola si presentasse deserta: il Demone, in questo modo, avrebbe avuto pochissime opportunità di colpire o, addirittura, uccidere qualcuno. Arya tirò un sospiro di sollievo: Angela si era fermata a una decina di passi più in là.
« Cavolo » disse, con il fiatone: « ma cosa ti salta in mente? »
La ragazza non le diede alcuna risposta. Adesso si trovavano all'ultimo piano, in un corridoio silenzioso e privo di una qualsiasi altra forma di essere umano.
Angela le stava dando ancora le spalle, osservando con attenzione un qualcosa che le si era parato dinanzi agli occhi. « Arya » sussurrò alla fine, la voce tremante: « cosa diamine è quel coso? »
« Ti prego, no... » la giovane Mason azzardò un passo: in fondo, attaccato ad una parete, si trovava un Portale. « Andiamocene via » le disse, afferrandola per un braccio.
« No, voglio sapere cos'è » Angela si avvicinò alla macchia bluastra, sorridente come una bambina alle prese con un nuovo giochino: « sta vibrando ». Immerse la mano sinistra all'interno del Portale, sotto gli occhi terrorizzati di Arya. Quest'ultima non aveva mai visto una persona avvicinarsi tanto alla Dimensione Demoniaca: nemmeno Hazelle, e tutte le altre sue compagne della Congrega.
Deglutì: « vieni qui, Angela ».
« Cosa pensi che sia? » La ignorò l'altra: « una sorta di buco nero? Si è creato un buco nero nella nostra scuola, ti rendi conto? »
Il Portale allora iniziò a vorticare su se stesso, vibrando ed emettendo un suono agghiacciante. Le due ragazze vennero scaraventate a terra da una folata di vento improvvisa. Arya si rialzò immediatamente, controllando che la sua amica non si fosse fatta del male.
« Riesci ad alzarti? » Le chiese, preoccupata.
« Sì, o almeno credo... » Angela si rimise in piedi e, tornando ad osservare il Portale, lanciò un urlo di terrore.
Arya percepì un brivido arrivarle sino alla punta dei piedi; dalla Dimensione Demoniaca era spuntato un essere alato, dotato di zanne affilate e lo sguardo famelico. Aveva i capelli biondi, lunghissimi e in continuo movimento – proprio come se si trovassero al di sotto di una superficie marittima. Dai suoi occhi rossi non emergeva altro che malvagità, odio e ferocia. Aveva due fila di denti aguzzi, la carnagione verdastra, il petto pronunciato e due paia di ali piumate – una coppia si trovava all'altezza delle spalle, l'altra partiva invece dai fianchi e si presentava molto più piccola della precedente.
« Un'arpia? » Disse Angela, a bassa voce: « non può essere vero! »
Il Demone si alzò, emettendo un verso stridulo ed estremamente minaccioso. Aveva il fisico snello ed era alto due metri.
Prima d'allora, Arya non aveva mai incontrato un essere simile. Era inquietantissimo.
« Andiamo via! » Urlò all'improvviso, e prese Angela per una mano.
L'arpia si lanciò subito all'inseguimento: era molto più veloce di quanto si aspettassero. Volava per la scuola, emettendo versi striduli e lamentosi.
Per la fretta di scappare, Arya non vide un gradino della scala e ruzzolò a terra, trascinando Angela insieme a lei. Si rialzarono in fretta, raggiungendo il piano sottostante. L'arpia le stava ormai per raggiungere.
Arya sentì il cuore evaderle dal petto, ed il dolore della storta aumentare. Come avrebbe dovuto agire? Affrontando il Demone, rivelando in questo modo la sua vera identità ad Angela, o continuando a scappare come un qualsiasi altro essere umano avrebbe fatto? Optò per la seconda soluzione. Eppure, sarebbe bastata una sola fiammella del Fuoco Aureo ad eliminarla...
« Arya! » Si sentì chiamare dal fondo del corridoio: « entrate qui dentro! »
Le due ragazze colsero al volo l'occasione, rifugiandosi all'interno di una classe.
Beckah le lasciò entrare, poi serrò la porta – poggiando le sue stesse mani contro di essa, evitando l'accesso all'arpia.
« Spostiamo la cattedra davanti alla porta! » Piagnucolò Angela: « non riuscirai a tenerle testa ».
« E invece, sì... sta' tranquilla » Beckah sorrise, la sua forza fisica strabiliava sempre chiunque.
Arya si passò una mano tra i capelli, accorgendosi solamente in quell'istante che non si trovassero da sole. Nel centro esatto dell'aula vi era una sedia, alla quale era legato un uomo dai capelli neri e gli occhi scurissimi. Arya sgranò le palpebre, voltandosi in seguito verso la figura di Beckah.
« Cosa diavolo stavi facendo? » Le urlò contro: « quello è il mio professore di letteratura inglese! »
Il signor Bradshaw mugugnò un qualcosa di incomprensibile – le sue labbra erano state serrate da del nastro adesivo.
« Si chiamano precauzioni, Arya! » Esclamò Beckah, impegnata ancora nel sorreggere la porta: « mi hai detto che è un Cacciatore, no? »
« Oddio, che giornata... » Arya scosse la testa, gli occhi impegnati ad analizzare ogni singolo movimento di Angela. Quest'ultima, però, non sembrava alquanto shockata dalla situazione: si avvicinò al signor Bradshaw e, come se niente fosse, iniziò a sbottonargli la camicia.
« Angela, ma sei impazzita? » Arya la allontanò immediatamente dalla sedia e, con poca attenzione, strappò via lo scotch dalle labbra dell'uomo.
Egli, immediatamente, iniziò ad urlare: « verrete tutte espulse! Siete delle psicopatiche! »
« Taci, Cacciatore! » Esclamò Beckah.
« Ma non so nemmeno di cosa tu stia parlando! »
La situazione era così inverosimile che Arya dovette prendersi un minuto prima di ricominciare a parlare. Non sapeva se tutta quella faccenda la stesse divertendo o la stesse portando alla pazzia. Beckah le aveva mentito: non doveva dare ripetizioni di lingua inglese a nessuno studente straniero. Era rimasta a scuola solo per interrogare il signor Bradshaw. Ma per quale motivo non le aveva detto nulla?
« Perché tu non avresti mai accettato di legarlo! » Spiegò la giovane: « però, questo tipo è tosto! Non vuole collaborare ».
« E allora cosa facciamo? » Chiese Angela, mettendosi a braccia conserte: « lo sculacciamo? »
« Ma tu cosa c'entri in tutto questo, scusami? » Beckah sospirò, incredula: « lo uccidiamo, mi pare ovvio! »
Udendo quelle parole, il signor Bradshaw iniziò ad urlare la parola “aiuto” a ripetizione – attirando ancor di più l'interesse dell'arpia fuori dalla porta. Adesso, la fatica si stava impadronendo di Beckah. Presto o tardi avrebbe lasciato la presa, dando via libera a quello spaventoso e famelico Demone.
« Che cosa? » Arya rimase impietrita: « non possiamo ucciderlo ».
« E invece sì, Arya! » Beckah continuò: « è un Cacciatore dell'Antico Circolo! »
« Ma è probabile che lui neanche non lo sappia! Quel Braccialetto non significa niente! »
« Ma di che cosa state parlando? » Il signor Bradshaw era terrorizzato: « quale braccialetto? »
« Quello che porta al polso » gli disse Arya.
« Ma questo è un semplice cimelio di famiglia! Me l'ha dato mio padre prima di morire, due mesi fa ».
« Senti, io non ci vedo chiaro » ammise Beckah: « portiamolo da Hazelle e basta ».
« Ecco, grazie! » Arya tirò un sospiro di sollievo: in quegli ultimi mesi aveva visto troppe persone morire. Non ce la faceva più.
Aiutò il signor Bradshaw a liberarsi di tutte quelle corde – chiedendosi mentalmente da dove Beckah le avesse recuperate – e tentò di tranquillizzarlo, sotto gli occhi vigili di Angela. Quest'ultima aveva lo sguardo vacuo, privo di espressione. Arya iniziò a domandarsi se non si fosse fatta di qualche strana sostanza stupefacente.
« Il Demone ha mollato la presa » annunciò Beckah, pochi istanti più tardi: « vado a controllare se la via è libera ».
« Nell'aula 40 ci sono Oliver e Logan... potrebbero essere in pericolo ».
« Allora, facciamo una cosa » la ragazza iniziò a studiare un piano: « io vado a controllare di sotto. Tu rimani con loro due ».
« Li porto di sopra, insieme a me. Devo chiudere un Portale ».
« C'è un Portale? Allora è possibile che l'arpia non sia l'unico Demone a piede libero per la scuola ».
L'aula, dunque, si vuotò: Beckah si diresse al piano inferiore, mentre Arya, Angela ed il signor Bradshaw iniziarono a salire gli scalini, finché non giunsero nuovamente dinanzi al Portale.
Il professore di letteratura inglese per poco non svenne alla vista di quella strana macchia bluastra. Arya era sempre più convinta che stesse dicendo il vero, che non c'entrasse nulla in tutta quella faccenda. Con la solita formula magica chiuse il Portale, rivelando la sua vera identità. Angela, a quel punto, non poté fare a meno di lasciarsi andare ad una serie di “wow” e “come hai fatto? Sei una strega?”
« Adesso » iniziò Arya, massaggiandosi distrattamente la caviglia: « scendiamo giù! »
Il signor Bradshaw non ebbe alcuna reazione, si limitò ad osservarla con un'espressione spenta.
Scesero le scale, lentamente. Tutti e tre si trovavano al loro limite.
Percorsero il corridoio che li avrebbe condotti sino all'aula della detenzione, trovando a pochi metri di distanza dal laboratorio di fisica il cadavere di un ennesimo Demone. Aveva la carnagione marroncina, la coda simile a quella di una volpe e le zanne affilate. Beckah gli aveva rotto l'osso del collo.
« Okay, devo vomitare » annunciò il signor Bradshaw e, chinandosi, buttò fuori tutto quello che aveva mangiato a pranzo.
« È attraente lo stesso, professore » disse Angela, lo sguardo divertito.
« Si sente meglio? » Gli chiese, invece, Arya: « si vuole fermare un attimo? »
« No, andiamocene via ».
Gli ultimi passi verso l'aula 40 costarono molta fatica alla giovane Mason: la sua caviglia si stava gonfiando e quasi non riusciva più a camminare. Svoltarono a sinistra, raggiungendo la loro destinazione. Arya vide la porta spalancata e un'agitatissima Quinn Lloyd correre verso di loro.
« Quinn! » La chiamarono in coro: « dove sono gli altri? »
La cheerleader scosse la testa e si chiuse all'interno della classe.
Oliver e Logan arrivarono un istante più tardi, mano per mano.
« Oliver! » Arya zoppicò verso di lui.
« Eccovi, finalmente! » Il giovane Hopkins si allontanò in fretta da Logan, con un evidente imbarazzo: « dove eravate finite? Lui che ci fa qui? »
« Ti spiegherò tutto più tardi! Dov'è Beckah? »
« Sta combattendo... c'è un'arpia in giro per la scuola! »
Arya cominciò a riflettere sul da farsi: avrebbe dovuto raggiungere la sua compagna e aiutarla nel combattimento, o restare insieme a loro? Come al solito, la seconda opzione le sembrò la più sensata: con quel dolore, sarebbe risultata solo da impiccio nel combattimento.
Scosse la testa, istintivamente: la vibrazione del suo cellulare l'aveva risvegliata di soprassalto. Era Darren.
« Darren è tornato in città » spiegò ad Oliver: « e vorrebbe parlarti ».
Logan inarcò la fronte, anche lui appariva molto provato dagli eventi delle ultime ore: « chi è Darren? »
« Ma vi sembra questo il momento? » Urlò il signor Bradshaw: « chiudiamoci in quell'aula e basta! »
« State tranquilli! Non ce n'è alcun bisogno » Beckah apparì all'improvviso, con le mani impregnate di sangue: « le ho appena inferto il colpo di grazia ».
« Oh, meno male! » Esclamò Angela, fingendo un mancamento.
Aprirono dunque la porta dell'aula 40: Quinn si era rintanata in un angolo – stretta nel pugno destro, aveva la sua fedele lima per le unghie. A qualche metro di distanza, si trovava invece il ragazzo delle cuffie – impaurito e disorientato allo stesso modo. Arya si portò le mani ai capelli non appena vide quest'ultimo afferrare il suo cellulare e digitare il numero della polizia di Rozendhel.
Beckah glielo buttò a terra all'istante e, per mezzo di una formula magica, iniziò a manipolare i suoi ricordi: gli cancellò la stranezza del pomeriggio appena trascorso, e riempì quel vuoto con delle note musicali, facendogli credere di aver tenuto le cuffie per tutto il tempo. Dovette ripetere l'azione anche con Angela. Alla fine, convinse entrambi ad uscire fuori dalla scuola: ignari di aver vissuto una situazione tanto pericolosa.
Quinn osservò l'incantesimo e si rifiutò categoricamente di sottoporsi ad una tale, come definita da lei, tortura. Non riteneva corretto il fatto che Beckah si insinuasse nella sua mente. Si mise a braccia conserte e pretese che la lasciassero uscire. « Sono la figlia del sindaco! Lasciatemi stare! »
« Non possiamo! » Esclamò Arya: « tu lo andresti a dire a tutti ».
« Ovvio! Siete dei mostri! »
Toc-toc.
Tutti i presenti si voltarono verso la porta: « posso entrare? »
Darren si fece avanti, attirando l'attenzione di Arya ed Oliver.
« Scusami, non credevo facessimo così tardi » spiegò lei.
« Tranquilla! » Il ragazzo sorrise: « avevo capito che ci fosse qualcosa di strano in atto. Sono quasi le sei del pomeriggio! »
Arya si sentì in dovere di spiegargli in breve l'intera situazione: il Portale, l'arpia, il signor Bradshaw come possibile Cacciatore... Al termine di tutto ciò, Darren rimase a bocca aperta, sbalordito.
« Dove cavolo è Quinn? » Urlò Beckah all'improvviso, lanciandosi subito fuori dall'aula.
« Io l'ho detto che è una vipera! » Esclamò Arya: « come ha fatto ad andarsene senza che nessuno se ne accorgesse? »
Quinn era una ragazza dalla mille risorse. Aveva difatti approfittato della situazione e, con uno scatto felino, si era catapultata in corridoio – pronta a raccontare al mondo intero che razza di mostri fossero i suoi compagni di scuola.
Anche Arya e Darren si lanciarono all'inseguimento della cheerleader. Gli unici a rimanere indietro furono Oliver, Logan ed il signor Bradshaw.
« Fermati subito! »
Ma Quinn non ne voleva proprio sapere di tornare indietro. Senza rendersene conto, stava correndo dalla parte opposta rispetto alla salvezza...
Quel suono atterrì Arya più di ogni altra cosa avesse vissuto quella sera.
Schizzi di sangue macchiarono il pavimento della scuola.
« QUINN! »
Un grido soffocato, e poi la resa.
Il Demone aveva vinto.
Si voltò di scatto, gli occhi minacciosi. Aveva i capelli lunghi e due paia di ali. Era snello, alto, impossibile da confondere. Era un'altra arpia.
Uno zampillo di luce azzurra saltò fuori dalle dita di Beckah e colpì la creatura in pieno petto, facendola arretrare di qualche passo. Darren, allora, recuperò il corpo di Quinn, mentre Arya le prese a studiare il volto con attenzione: era candido come la neve, imbrattato da gocce scarlatte.
Beckah saltò in braccio all'arpia e, con un movimento deciso, le ruppe l'osso del collo.
« Vieni qui! Pensi sia morta? » Domandò Darren, la fronte imperlata di sudore.
« Fatemi controllare » la ragazza afferrò il polso di Quinn: « non ancora! Portiamola immediatamente da Hazelle! »
« Hazelle? » Ripeté Arya, chinandosi sulla sua figura: « cerchiamo di guarirle le ferite, piuttosto! »
« No, Arya! » Urlò Beckah, gli occhi lucidi: « le ferite sono troppo profonde! Quella era un'arpia! Il Grimorio lo riporta a caratteri cubitali... »
La giovane Mason si tirò indietro, atterrita.
Aveva capito cosa stesse intendendo Beckah.
Quinn si stava trasformando in un Demone.

 

 

 

 

 

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Capitolo 23
*** Capitolo 22: Per Sempre ***


CAPITOLO 22:

 

Per Sempre

 

 

« Non c'è più nulla da fare » tagliò corto Hazelle: « le ferite sono troppo profonde. Il veleno di quel demone l'ha infettata. Questa ragazza si sta trasformando in un'arpia ».
Arya rimase immobile, gli occhi lucidi. Se qualcuno in passato le avesse detto che un giorno avrebbe provato pietà per Quinn Lloyd, di sicuro sarebbe scoppiata a ridere. Ora, invece, si trovavano tutti lì – nella camera di Hazelle – a vegliare su di lei. Il suo volto era candido come la neve, con le labbra dipinte di rosso e le ciglia lunghissime.
Poggiata allo stipite della porta, Cassandra prese a parlare: « dobbiamo ucciderla ».
« Stai scherzando? » La fulminò Arya: « metteresti fine alla vita di una povera ragazza in questo modo? »
« Ma non è più una “povera ragazza” » la corresse Taissa, lo sguardo altrove: « è un demone neonato... così squisito, così delizioso ».
« Fatela finita! » Esclamò Hazelle, invitandole ad uscire fuori dalla stanza: « se agissimo così, dovremmo uccidere anche Darren Hart ed il nuovo Cacciatore. Lasciatemi qualche ora per meditare sul da farsi. Vi chiamerò io quando sarò pronta ».
Le tre streghe si videro sbattere la porta in faccia. Cassandra scosse la testa, indignata – non voleva che Quinn rimanesse in vita, la voleva morta a tutti i costi. Fu quindi questa la motivazione per la quale Arya la tenne sott'occhio per tutta la serata. Le era bastata una manciata di combattimenti per capire che la sua Arte fosse una delle più pericolose all'interno della Congrega. Cassandra, infatti, era in grado di uccidere un demone con un solo gesto del suo fedele pugnale: era solita ferire la creatura e, con la lama pregna di sangue, recitava una breve filastrocca, per poi auto-infliggersi delle profonde coltellate. I colpi non si riflettevano sul suo corpo, bensì su quello del malcapitato – il quale moriva pochi istanti più tardi in un vero e proprio lago di sangue.
Tornarono in salotto, dove ad attenderle trovarono Beckah, Bartek, Logan, Oliver e Darren. Seduto, poi, sul divano vi era il signor Bradshaw; la sua espressione facciale era piuttosto statica, come se un incantesimo gli avesse imposto la quiete.
« Allora? » Domandò Oliver: « come sta? »
Arya scosse la testa, abbandonandosi su una poltrona: « se il corpo di un essere umano riceve così tanto veleno da parte di un demone, non si può far altro che attendere la sua mutazione ».
« Dunque, Quinn si trasformerà in quel modo? » Azzardò Logan, gli sguardi di tutti i presenti addosso.
« Ma questo che ci fa ancora qui? Fategli dimenticare tutto, immediatamente! » Disse Cassandra.
« Dai, lo faccio io » Beckah sospirò, nervosa: sembrava che quella faccenda avesse agitato l'animo di chiunque. « Sta' fermo e ascolta le mie parole ».
« No! » Oliver si alzò di scatto, adesso si trovava faccia a faccia con Beckah.
« Che cosa fai? » Gli chiese quest'ultima.
« Non voglio! » Ammise il ragazzo: « avete chiuso un occhio con me, per quale motivo non potete farlo anche con lui? »
Logan sorrise, prendendogli una mano.
Beckah notò il gesto e si spazientì ancor di più: « conosci questo tipo da una settimana e vorresti già farlo entrare nel nostro mondo? »
« Nel vostro mondo » la corresse Oliver: « allora, togli i ricordi dalla sua memoria... ma dopo dovrai ripetere l'operazione anche su di me ».
« No, Beckah! Non farlo! » Arya inspirò profondamente: « cerchiamo di mantenere la calma e facciamo una cosa: i ricordi non verranno tolti a nessuno... ».
« ...ma se qualcuno dovesse venire a scoprire la nostra vera identità a causa sua, allora saremmo chiamate ad ucciderlo » terminò Taissa, a braccia conserte.
Tutti i presenti fecero un cenno d'assenso, ad eccezione di Cassandra che iniziò da subito una severa protesta: per lei, era troppo da sopportare! Non concepiva proprio l'idea che un essere umano potesse avere qualcosa a che fare con la loro realtà. Disse più volte che se fosse stata lei a capo della Congrega, di sicuro le cose non sarebbero andate così: la ragazza-demone sarebbe stata uccisa, ed i due giovani uomini invece sarebbero stati esclusi subito, senza “se” e senza “ma”.
« Per fortuna non sei tu a comandare » le disse Arya, scocciata.
« Nemmeno tu, se non erro » Cassandra continuò: « dunque, dovremmo aspettare l'opinione di Hazelle ».
« Hazelle è d'accordo con noi » sbadigliò Taissa, come se fosse stata appena svegliata da un sonno lungo cent'anni: « arrenditi, Cassandra ».
« Come volete voi, allora! » La donna si sistemò i capelli e, lanciando un'ultima occhiataccia in direzione della giovane Mason, uscì dalla porta principale – evidentemente, non sopportava più nessuno lì dentro.
Arya sospirò, afferrando un giornale dimenticato sul tavolino da tè. All'inizio non fece caso ai titoli principali, lo utilizzò principalmente per sventolarsi, ma poi un occhio le cadde sulle parole “ennesimo omicidio” e “nuovo serial-killer” e non poté fare a meno di scoppiare.
Si avvicinò al signor Bradshaw, pronta a schiaffeggiarlo.
« Stai uccidendo altre streghe, non è vero? »
L'uomo la guardò con espressione distante – la privazione del Braccialetto e l'incantesimo per farlo calmare lo avevano reso simile ad uno zombie. Sorrise come un bambino, cercando di afferrare una ciocca dei suoi lunghi capelli rossi.
« Che diamine gli avete fatto? » Chiese Arya ad alta voce.
« Ah, giusto! Sono stata io » ammise Beckah: « comunque, penso che questa volta abbiamo agito troppo in fretta... magari, neanche sapeva di essere un Cacciatore! »
« Tu dici? » Arya alzò un sopracciglio: « sei stata tu ad agire troppo in fretta! Cavolo, l'hai legato! »
« E adesso? Che cosa facciamo? » Domandò Darren, massaggiandosi la nuca.
« Secondo il mio parere, dovreste aspettare Hazelle » Bartek resuscitò dalla sua propria dimensione del silenzio: si trovava già ai piedi della scalinata, pronto ad accogliere la Padrona in qualsiasi istante.
Il suo suggerimento venne accolto da tutti i presenti: Oliver tentò di spiegare a Logan ogni singolo dettaglio della storia in cui era finito da un anno a quella parte, Beckah invece andò in cucina e Arya tornò a leggere il quotidiano di Rozendhel. In questo modo venne a conoscenza del fatto che gli omicidi avvenivano sempre di notte, seguendo tutti una stessa identica metodologia: le vittime infatti venivano ritrovate con il collo spezzato, sprovviste di documenti e con una croce rossa disegnata sulla fronte.
Arya inorridì: nemmeno un demone avrebbe potuto compiere delle azioni tanto meschine...
« Ehi? » Darren le toccò una spalla, facendola tornare in tempo presente.
« Che c'è? » Chiese lei, scontrosa: non l'avrebbe mai dichiarato ad alta voce, ma l'articolo le aveva trasmesso una bruttissima sensazione di terrore.
« Volevo stare accanto a te » sussurrò il ragazzo, impicciandosi con le sue stesse parole: « come va con la caviglia? »
« Bene, non mi dà più così tanto fastidio ».
« Okay... e cosa stai leggendo adesso? »
« Le solite brutte notizie » Arya sospirò: « sembra come se non riuscissimo proprio a vivere una vita normale ».
« Già... non dirlo a me ».
Rimasero a guardarsi, in silenzio. Era possibile che non avessero più nulla da dirsi? Arya ci rifletté su, ed infine gli chiese: « come sta Abbey? Non la vedo in giro da mesi ».
« Be', è sempre rinchiusa in casa. Non ha amici e trascorre il tempo a sfogliare vecchi album fotografici » Darren parlava di sua madre con uno strano tono di voce, come se non la reputasse più la stessa persona gentile e simpatica di un tempo. Le raccontò di come veniva insultata dagli altri abitanti della città, di come era solita piangere la notte fino ad addormentarsi. Il giovane Hart aveva gli occhi lucidi e le confessò che forse sarebbe stato meglio non andarsene per l'intera durata dell'estate.
« Tua madre ha dovuto sopportare dei bruttissimi mesi, lo so » Arya gli prese una mano: « ma se non l'avessi lasciata qui a Rozendhel, non avresti incontrato Daoming e non avresti potuto apprendere l'arte di trasformarti quando vuoi ».
« Avrei potuto aspettare » disse il giovane: « il bene di mia madre veniva prima, avrei dovuto capirlo subito ».
Arya tentò di rassicurarlo con altre parole, ma la convinzione di un individuo, si sa, è difficile da frantumare. Si arrese, facendogli poggiare la testa su una spalla. Che razza di situazioni stava vivendo ultimamente?
« Si è svegliata » Hazelle apparì dalla cima delle scale, con la sua solita fiaschetta d'argento stretta nel pugno di una mano: « chi vuole venire a trovarla? »
Arya lanciò un'occhiata in direzione di Oliver, il quale rispose con un cenno della testa: « ci siamo lasciati. Io non ho nulla da dirle ».
Allora, tutti gli sguardi s'indirizzarono verso quello di Arya: « no, per favore... io non ci voglio andare! »
« Ma che razza di persone siete? » Li sgridò Hazelle, la fronte aggrottata: « può essere antipatica, odiosa, insopportabile... ma è possibile che questo fatto non possa essere messo da parte per un'occasione del genere? La vostra compagna di scuola è impaurita, disorientata e non sa nemmeno cosa fare. Andate di sopra, e finitela di fare i bambocci! »
Sebbene il tono di voce austero, nessuno rispose al richiamo della strega.
L'unica che si decise a farlo, alla fine, fu solamente Arya.
« Ti aspetterò fuori dalla porta » le disse Hazelle: « convincila a rimanere qui per tutta la notte, non vorrei che il sindaco si accorgesse che sua figlia si è trasformata in uno degli esseri che più odia al mondo ».
La ragazza fece un cenno d'assenso: « d'accordo. C'è altro che vuoi dirmi? »
« Sì » Hazelle continuò: « quella è la mia camera. Se toccherai qualcosa, me ne accorgerò e passerai dei guai seri. Mi raccomando ».
La porta si aprì cigolando e la prima cosa che Arya notò fu la figura di Quinn stesa sul letto a baldacchino, in silenzio e pallida come un cadavere. Aveva i capelli biondi sparsi sul cuscino e le lenzuola bianche le nascondevano il corpo.
Arya inspirò, cercando di recuperare un briciolo di sicurezza dalle oscure profondità del suo animo. Prese a guardarsi intorno: in tutti quei mesi, la stanza non aveva mutato alcun dettaglio. Il trespolo di Bartek si trovava ancora a destra, attorniato dai mobili realizzati in legno di quercia, mentre il quadro che tanto la incuriosiva si presentava come al solito celato da quel misterioso velo nero.
La luce della luna filtrava attraverso i vetri della finestra: era davvero una bellissima serata autunnale.
« Ciao » tentò lei e subito venne fulminata dallo sguardo inaccessibile di Quinn: « come ti senti? »
La ragazza non rispose, si limitò ad osservarla.
« Domanda stupida, lo so » Arya chiuse la porta e azzardò un passo: « non so se hai capito tutto quello che è successo. Vuoi che te lo spieghi io? »
« Voi siete delle streghe » esordì Quinn, gli occhi cerchiati di nero: « sapevo che c'era qualcosa di strano in te. Me ne sono accorta subito ».
« Non c'è nulla di strano nella diversità » ribatté Arya: « e dovresti capirlo anche tu, visto che adesso sei cambiata ».
« Sono cambiata? » Urlò Quinn, all'improvviso: « il cambiamento sta nel carattere o nel modo di vestirsi. Io sono diventata un mostro! Lo sento dentro di me, sento l'istinto di uccidere le persone! »
« Sono certa che riuscirai a controllarlo! Come ha fatto anche Darren! »
« Darren? Il tuo ragazzo? Siete tutti dei mostri, allora! »
« Non è così » Arya scosse la testa: « e smettila di autodefinirti in quel modo! Nessuno è un mostro qui dentro! Riuscirai a controllare l'istinto omicida che è in te, ti aiuteremo noi. Dovrai solamente fidarti ».
« Fidarmi? » Quinn sbraitò, gli occhi le si allargarono e la carnagione assunse un colorito assai diverso dall'ordinario: « io non mi fiderò mai di voi! È solamente a causa vostra che sono così! »
« Calmati, ti prego » Arya le andò vicino, rendendosi poi conto di aver sbagliato completamente mossa: Quinn si era innervosita ancora di più, e dalla sua bocca erano spuntate due lunghe zanne affilate.
La ragazza si tirò indietro e chiamò immediatamente il nome di Hazelle.
« Lo vedi? » Iniziò Quinn, il volto sottile imbrattato da lacrime e muco: « percepisco in te la paura di starmi accanto! Sono un mostro! SONO UN MOSTRO! »
Hazelle si precipitò all'interno della stanza, dietro di lei un'intera folla di curiosi capitanata da Taissa.
« Allontanati da lei! » Si sentì dire Arya, la quale si trovava ormai nel centro della stanza.
« Sono un mostro! » Continuò Quinn: « e lo sarò per sempre! »
Spiegò le ali, scoppiando in un poderoso grido di dolore.
Arya cadde a terra e, impotente, la vide rompere il vetro della finestra e scappare via.
Si sentì prendere per un braccio, stordita dagli avvenimenti.
Capì di essere tornata in salotto solo quando riconobbe la figura del signor Bradshaw addormentata sul divano.
« Che cosa sta succedendo? » Domandò Logan, aggrappandosi ad Oliver.
« Un casino! » Esclamò Hazelle, intenta a recuperare un qualcosa da un ripiano della libreria: « ecco cosa sta succedendo! »
« Quinn è scappata » disse Beckah ad alta voce.
« Cosa? Come ha fatto? » Domandò Oliver, le sopracciglia inarcate.
« Ha tirato fuori le ali e ha frantumato la finestra. Ma non riesco ancora a capire come abbia fatto a passarci! Quelle ali erano enormi! » Urlò Hazelle e prese nelle mani una piccola scatolina dorata, dalla quale ne trasse fuori delle vecchie piume nere appartenenti a Bartek.
Arya ricordò immediatamente la spiegazione che Beckah le aveva dato a riguardo e, lanciando uno sguardo verso la sua Prefettrice, disse: « no, io non voglio farlo ».
« Non è questione di “volere”, Arya! Prendi questa piuma e mettila in bocca, subito! »
La ragazza deglutì, afferrandola. « E Cinnamon? Non viene con noi? »
« Cinnamon sta dormendo nella nostra stanza » disse Taissa: « rimarrò io con lei ».
« Brava, tesoro » Hazelle le diede un bacio sulla fronte, poi indicò il signor Bradshaw e disse: « e state attenti anche a questo tipo qui... al mio ritorno, gli farò dimenticare tutto e lo spedirò via da Rozendhel ».
« Io non posso venire con voi? » Chiese Darren.
« No. Andremo solo io, Cassandra, Beckah e Arya ».
« La signorina Cassandra è uscita poco fa » le disse Bartek: « la avviserò io quando farà ritorno ».
Dunque si precipitarono nel cortile della villetta e, lontane da occhi indiscreti, inserirono in bocca una piuma di corvo. Arya si limitò ad osservare la scena con la stessa espressione incredula che segnava i volti di Oliver e Logan: aveva così paura che potesse andare tutto a rotoli che per poco non diede di stomaco. Deglutì, la piuma ancora stretta tra l'indice ed il pollice di una mano. Così vide spuntare dalla schiena delle sue compagne una coppia di grandi ali nere: erano larghe circa un metro e mezzo e davano l'impressione di essere estremamente pesanti.
« Forza! » Le intimò Hazelle: « non possiamo permettere a Quinn Lloyd di scappare ».
Arya fece un cenno d'assenso, le gambe tremanti. Inspirò profondamente e chiuse gli occhi. Adesso ricordava ogni singola parola che le era stata detta da Beckah: farsi spuntare le ali non era una roba tanto semplice, soprattutto agli inizi. Era così doloroso che Arya credette che qualcuno le stesse estraendo la spina dorsale a mani nude, senza alcun tipo di anestesia. Dapprima sentì la piuma sciogliersi in bocca, poi un qualcosa iniziò a muoversi all'altezza delle scapole: immaginò che fosse una creatura che con le zanne tentava di graffiare le sue interiora, per farsi strada e raggiungere il mondo esterno. Gridò una bestemmia, poi si inginocchiò. Se fosse sopravvissuta, non l'avrebbe fatto mai più. Percepì la carne squarciarsi. Un altro grido. Adesso aveva la fronte imperlata di sudore e le lacrime agli occhi. Perché aveva accettato? Stava morendo dal dolore.
Un ruggito e poi la luce. Le ali spuntarono dalla sua schiena, rovinando anche il tessuto della maglietta che indossava. Erano così pesanti che trascorse cinque minuti solo per rimettersi in piedi. Sfiorò con un dito l'ala alla sua sinistra: era ricoperta di piume nere e, al tatto, si presentava ruvida e caldissima. Decise di sbatterle, provocando un'improvvisa folata di vento che fece cadere a terra Taissa, Logan ed Oliver.
« Sono bellissime! » Esclamò Darren, dalla soglia della porta di ingresso.
« Sì, è vero... sono magnifiche » Arya socchiuse gli occhi, e si alzò in volo quasi istintivamente: le sembrava una cosa da tutti i giorni, come se l'avesse fatto da sempre.
« Le streghe hanno la capacità innata del volo » spiegò Beckah: « la nostra Congrega si serve delle piume di Bartek, ma ci sono tanti altri modi per far sì che una strega spicchi il volo. Per esempio, mi pare di aver sentito che alcune Congreghe dell'Impurità strappino le ali alle fate... le streghe della Natura, invece, non so proprio come facciano! »
« Basta parlare! » Esclamò Hazelle, alzandosi anche lei in volo: « dobbiamo sbrigarci! »
Lasciarono la terra per abbracciare il cielo. Si muovevano veloci, come frecce nere nella notte più limpida. Sorvolarono casette di ogni forma e dimensione, giocarono con i batuffoli delle nuvole, si bagnarono con i raggi lunari. Arya iniziò a provare una bellissima sensazione di libertà. Sbatté le ali ancora una volta e chiuse gli occhi, lasciandosi avvolgere dal vento e godendosi il suo sussurro.
Hazelle si trovava in testa: un'altra delle sue capacità era quella di percepire l'odore dei demoni ed inseguirli fino al loro raggiungimento. Fu proprio grazie a lei che riuscirono a ritrovare Quinn, a seicento metri da terra e in piena difficoltà.
« Quinn! » Gridò Beckah all'improvviso: « Quinn, fermati! »
Il demone si girò, il volto segnato da strane sfumature di verde: « andatevene via! »
Aveva il fiatone e sbatteva le ali così velocemente che Arya si domandò se non si trovasse in procinto di cadere a terra. Probabilmente non sapeva come fare a fermarsi, non aveva la stessa dimestichezza delle streghe.
« Devi smetterla di odiarti » iniziò Hazelle: « fatti aiutare da noi. Ho un piano ».
« Non posso essere aiutata! » Sbraitò Quinn: « andatevene via! »
« Se noi ce ne andremo, tu ti sfracellerai al suolo » la strega proseguì: « sei stanca e non riesci ancora a volare bene. Ho intenzione di portarti da un mio conoscente, il suo nome è Daoming. Ha una certa dimestichezza con i demoni... te lo posso assicurare ».
Arya rimase a bocca aperta: Daoming era lo stesso uomo che era riuscito a guarire Darren dalla Maledizione della Luna. Hazelle sapeva cosa stava facendo.
« Non ho intenzione di continuare a vivere! Okay? » Quinn si rimise a piangere.
« Davvero? » Le domandò Hazelle, alzando un sopracciglio: « e allora, lasciati andare! »
Arya e Beckah si scambiarono uno sguardo incerto, ma preferirono non dir nulla.
« Smettila! Non dirmi cosa fare! »
« Lasciati andare, e muori! »
Il vento si alzò all'improvviso, minaccioso, e la figura di Quinn oscillò da una parte all'altra proprio come un campanello giapponese.
« Non è stabile, rischia davvero di cadere a terra » disse Beckah.
« Ancora non ti decidi? » Hazelle le si avvicinò di scatto e, con un sorriso privo di gioia, le diede una spinta: « addio, Quinn Lloyd ».
Il demone non riuscì a trattenere l'equilibrio precario che lo sosteneva in aria e, con un grido immane, iniziò la sua discesa verso l'Inferno.
« Ma che diamine hai fatto, Hazelle? » Urlò Arya, in preda al panico.
« L'ho aiutata più di quanto pensiate » la strega si mise a braccia conserte: « andatela a riprendere ».
Beckah si lanciò in picchiata verso il terreno e Arya tentò di imitarla, ma il risultato fu quello di andarsi a schiantare contro la terrazza di un condominio. Si alzò in piedi, come se non fosse accaduto nulla, poi si affacciò ed osservò il corpo di Quinn sfiorare la terra. Beckah era riuscita ad acchiapparla in tempo. Si lanciò in fretta verso di loro ma riuscì comunque ad arrivare in ritardo rispetto ai tempi di Hazelle. Quest'ultima era un fulmine!
« Allora? » Chiese la strega non appena toccarono terra: « vuoi ancora morire? »
Quinn non rispose: il suo aspetto stava tornando alla normalità.
« Ho detto » riprese lei, la voce austera: « vuoi ancora... »
« No! » La ragazza prese a sfidare il suo sguardo: « no, okay? Accetto la proposta di prima: voglio conoscere questo Daoming ».
Hazelle sorrise, soddisfatta: « perfetto ».
Si rimisero dunque in marcia. Quinn aveva capito che sarebbe stato un errore tornare dalla sua famiglia quella sera. Accettò di rimanere a casa di Hazelle e non diede più alcun tipo di disturbo. Arya la osservò per tutto il tragitto aereo: aveva lo sguardo così provato che quasi iniziò a provare tenerezza nei suoi riguardi. Chi mai l'avrebbe detto...
« Mason » la chiamò non appena raggiunsero il cortile della villetta: « ho apprezzato l'aiuto che hai cercato di darmi prima... grazie ».
Arya alzò le sopracciglia, incerta: « non ti preoccupare, mi fa piacere che tu alla fine non abbia scelto la morte ».
« Anche a me ».
Superarono la soglia della porta.
Le ali erano sparite, allo stesso modo della rabbia e dell'odio.
Chi mai avrebbe detto che a Quinn sarebbe costato divenire un demone per trasformarsi in una Persona...

 

 

 

 

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Capitolo 24
*** Capitolo 23: L'arrivo di Daoming ***


CAPITOLO 23:

 

L'arrivo di Daoming

 

 

Le onde tornarono ad infrangersi contro la superficie irregolare degli scogli.
Sentì il suo cuore pulsare, le ali ritirarsi in un movimento sinuoso ed elegante. Il soffio del suo respiro si smarrì nell'aria gelida. Era giunta a destinazione. Casa.
Elargì un'occhiata fugace all'ambiente: eppure, non era mai stata solita trarsi in inganno!
Un'effimera percezione, difatti, le aveva permesso di scorgere una figura umana addentrarsi nel suo territorio. Ma di chi si sarebbe potuto trattare? Gli esseri umani ignoravano quel luogo tanto sacro!
Scosse le ali ancora una volta e si librò sempre più in alto. Fu quello l'istante in cui venne riconosciuta: qualcuno aveva invocato il suo nome in una sorta di disperata preghiera.
« Cosa ci fai qui? » Domandò, i piedi ben saldati al suolo.
« Sapevo che prima o poi ti avrei ritrovata! » La donna proseguì, le lacrime agli occhi: « torna a Rozendhel, insieme a me ».
Rozendhel.
Un aspro appellativo a lei familiare.
Fin troppo.
Scosse il capo impercettibilmente: « non appartengo più a quel posto ».
« Ma perché? La Grande Guerra è terminata! Potremmo trascorrere l'Eternità... insieme! »
« Hazelle! » La rimproverò lei: « fa' ritorno alla tua dimora ».
« Vi ho già fatto ritorno! » Strepitò Hazelle, il volto antico rigato dalle lacrime. « Sei tu la mia dimora! »
Ma le parole si smarrirono nel vento. Ella non ebbe alcuna reazione – si limitò a studiarla con espressione distante. Hazelle non avrebbe mai compreso le sue motivazioni: Rozendhel, la Guerra e tutte le altre terribili vicende ad essa collegate non appartenevano più alla sua persona. Se ne era liberata il giorno stesso in cui aveva spedito un'intera popolazione al di là dei Portali. « Sparisci » disse alla fine: « vattene via! »
E a quel punto, Arya non poté fare a meno di riaprire gli occhi.
Si trovava stesa su di un letto, avvolta tra le lenzuola calde e le braccia possenti di un ragazzo. Inarcò le sopracciglia e si voltò senza far rumore: Darren dormiva ancora, con la bocca semi-aperta e i capelli più disordinati del solito. Avevano trascorso l'intera serata a parlare di quanto fosse stato affascinante, per Arya, spalancare le ali e roteare tra le nuvole. Una sensazione di estrema leggerezza che avrebbe voluto provare tante altre volte. Fino all'insorgere del sonno, il giovane l'aveva ascoltata con interesse e, allo stesso modo, le aveva accennato i diversi sentimenti di libertà che era solito provare anche lui quando decideva di trasformarsi in lupo e correre audace per i boschi. Tuttavia, nessuna carezza e nessun bacio di troppo avevano rovinato quel momento.
La ragazza sorrise, accorgendosi in seguito di quanto poco avesse dormito. Si mise in piedi, raccolse i suoi abiti da una sedia e si avviò verso il bagno. La stanza di Darren si presentava estremamente pulita e sistemata: Arya si chiese una decina di volte se non fosse una specie di maniaco dell'ordine. Sulla scrivania di legno massello si trovavano numerosi libri dai titoli ben noti, organizzati in ordine alfabetico a seconda del cognome dell'autore. Poi, all'interno dell'armadio, ogni capo d'abbigliamento si mostrava profumato e piegato a dovere. Sopra al suo letto, ad una certa altezza dal parquet, vi era invece il disegno di un piccolo stormo di rondini – la decorazione sembrava essere stata fatta da un bambino. Le macchiette nere volavano verso il tramonto, con scarsa armonia dei lineamenti. Arya ne rimase tanto colpita, ma decise comunque di non proferir parola a riguardo: di certo, apparteneva ad un ricordo del passato che preferì non risvegliare.
A mo' di stiro passò le sue mani sopra la maglietta nera e la gonna a fiori, dopo raccolse i capelli in una coda di cavallo e fece ritorno nella camera attigua.
Trovò Darren ancora tra le coperte, sveglio ma con gli occhi impastati di sonno.
« Buongiorno, signor Hart » gli disse lei, avvicinandosi: « finalmente si è svegliato ».
« Che piacere vederla, signorina Mason! Credevo se ne fosse andata di nascosto! »
« Addirittura? Io non sono quel genere di pulzella! »
« Pulzella? » Ripeté Darren, divertito: « così mi farai morire! »
Arya scoppiò a ridere e, infilando le mani al di sotto delle lenzuola, afferrò i suoi piedi e tentò di trascinarlo a terra: « dai, muoviti! Dobbiamo andare! »
« No, lasciami dormire! » Il ragazzo le lanciò un cuscino addosso: « lasciami altri cinque minuti! »
« Non possiamo! Muoviti! »
Toc-toc.
Entrambi si voltarono verso la porta, dalla quale un istante più tardi si mostrò la figura di Abbey Hart. Darren aveva ragione, ella non era la stessa persona di qualche mese addietro. Il suo volto era stato consumato dalla stanchezza e la disperazione: al di sotto di quegli occhi bui trovavano dimora delle borse estremamente marcate, le rughe le scalfivano invece la carnagione pallida, mentre diverse macchiette rosse le incorniciavano le gote.
Arya abbassò lo sguardo: cosa avrebbe dovuto fare? Nel corso dell'estate le era capitato solamente due o tre volte di incontrarla per le vie della città. Entrambe, in quelle sporadiche occasioni, avevano finto di non vedersi, evitando di scambiarsi anche un semplice saluto.
Ora, però, si trovavano faccia a faccia. Abbey non avrebbe mai immaginato una cosa simile. Ignorava il fatto che Arya Mason si trovasse sotto il suo stesso tetto. La sera prima, infatti, aveva preso la decisione di coricarsi alle ultime luci del sole; non avrebbe mai creduto che suo figlio, qualche ora più tardi, avrebbe fatto ritorno proprio con lei.
La donna entrò nella stanza, un vassoio di plastica stretto tra le mani: « tesoro, svegliati. Ho bisogno che tu mi vada a fare delle commissioni importanti ».
« Buongiorno, signora Hart! » Salutò Arya, le mani intrecciate dinanzi al petto.
La donna alzò lo sguardo dal vassoio e prese ad osservarla. Non proferì alcuna parola, e per questo fu suo figlio il primo ad intervenire: « mamma, ieri abbiamo fatto tardi e ho pensato di portarla qui. Non è un disturbo, vero? »
« Affatto! » Esclamò Abbey, poggiando sul comodino una tazza colma di tè al limone: « non sei riuscito a portarla a casa, dicevi? Ma non abita a qualche isolato di distanza da qui? »
« Sì, è solo che... volevamo continuare a stare insieme! »
« Oh, certo! Ti capisco benissimo! Anche a me sarebbe piaciuto trascorrere la notte con la persona che amavo. Ma purtroppo me l'hanno fatta fuori ».
« Io credo di dover andare... ci sentiamo dopo » Arya recuperò da terra la sua borsa di stoffa: « arrivederci, signora Hart! »
« Non chiamarmi in quel modo » sibilò la donna, impedendole il passaggio: « non sono più la signora Hart. Non lo sono più da quando mio marito è stato assassinato » .
« Mamma » Darren si alzò immediatamente dal letto e s'interpose tra le due: « che ti prende? Sta' tranquilla ».
« Io sono tranquilla » continuò Abbey, lanciando un'ultima occhiata verso la ragazza: « non credevo che tu le parlassi ancora. Ma non fa nulla ».
Arya sentì il battito cardiaco accelerare: anche se ci avesse provato, dalla bocca non le sarebbe uscito alcun suono. Non sapeva cosa fare e neppure cosa dire. Il dolore di quella donna si era mescolato al profondo sentimento di odio che provava nei suoi riguardi. Se non ci fosse stato suo figlio, Abbey avrebbe di certo tentato di ammazzarla.
« Non ti preoccupare per le commissioni. Andrò io » e così si voltò di scatto, sbattendosi la porta alle spalle e imprecando sottovoce – ma non così tanto in silenzio; voleva che quell'insulto venisse udito dalle orecchie di entrambi.
« Lascia stare » Arya afferrò alla svelta una mano di Darren: « posso capire in che modo si senta. È normale che reagisca così ».
« Sì, ma la prossima volta che fa una cosa simile... »
« Cosa? » Lo interruppe lei, avvolgendo le braccia intorno al suo collo: « è tua madre! La stessa donna a cui hanno strappato via il marito. Nonostante le terribili azioni che ha compiuto, lei lo amerà per sempre. Quindi, lascia stare ».
Darren non sembrò essersi convinto più di tanto, ma annuì comunque dopo qualche istante e poi, con un filo di voce, disse: « d'accordo ».
« Ora, va' a prepararti. Stiamo già in ritardo! »
Accomodatasi sul letto ancora disfatto, la ragazza aspettò una decina di minuti prima che Darren uscisse dalla porta del bagno con indosso una camicia di jeans, un paio di pantaloni color beige e degli scarponi neri infilati ai piedi. Dunque, scesero le scale della villetta e raggiunsero la porta d'ingresso.
La giornata che trovarono al di fuori di quelle mura si presentò estremamente autunnale dinanzi ai loro occhi: le foglie avevano preso a calarsi dagli alberi, decorando i marciapiedi con colori quali il giallo e l'arancione. Un pallido sole, invece, faceva capolino tra le nuvole, accompagnato da quell'occasionale sospiro del vento.
Giunti dinanzi alla porta di casa di Hazelle, Arya suonò al campanello e immediatamente furono accolti dalla figura tutta d'un pezzo di Bartek. « Vi stavamo aspettando » disse, la voce rauca.
« Salve, Bartek... sono già tutti in salotto? »
Il maggiordomo annuì, allungando un braccio verso l'interno: « entrate! »
I due giovani fecero come gli era stato detto: attraversarono l'ingresso, dirigendosi così verso il salotto. Seduti sul divano ad angolo vi erano Oliver, Logan ed Hazelle, mentre in piedi, accanto a tutto quell'arredamento opprimente, trovarono Quinn e le altre streghe della Congrega.
Sembrava tutto fuorché un incontro formale: sul tavolino da tè, Arya notò persino una bottiglia di champagne e delle tartine al salmone.
« Eccovi, finalmente! » Attraverso le dense volute di fumo di una sigaretta, Hazelle le fece cenno di avvicinarsi: « devo farti vedere una cosa ».
Dapprima, Arya volse lo sguardo in direzione di un'agitatissima Quinn, che in quel momento stava chiacchierando insieme a Beckah e Taissa, poi si avvicinò al divano e salutò i due ragazzi.
« Come state? » Chiese loro.
« Non c'è male! » Rispose Oliver: « Hazelle deve parlarti di una cosa! »
La donna, infatti, si stava schiarendo la voce, scatarrando in un tovagliolo colorato: « sì, è vero. Prima che arrivi Daoming! »
« Vai, dimmi pure » Arya inarcò le sopracciglia, incuriosita.
« Hai ancora il Braccialetto di Walton Hart, giusto? »
« Sì, lo porto sempre con me... come hai detto tu, no? »
Hazelle annuì: « bene, devi darlo ad Oliver ».
« Davvero? » Arya si voltò verso il suo amico: « e come mai proprio adesso? »
« Perché tu sei la solita cretina del villaggio! » Con un rapido gesto, la strega afferrò la borsa della ragazza: « quando ti ho dato quel Braccialetto, ti ho detto una cosa importante. La rammenti? »
Arya sbuffò: « sì... “saprai cosa farne” ».
« Esattamente. E tu cosa ne hai fatto? »
« L'ho tenuto nella borsa tutto il... » Arya si portò una mano alla bocca, colta all'improvviso da una fugace rivelazione: « volevi che lo dessi ad Oliver! »
« Lode all'Impurità! Ci sei arrivata finalmente! » Hazelle scosse la testa, amareggiata: « daglielo subito! Questi sono tempi oscuri e bisogna stare attenti ad ogni cosa! Ho dato l'altro Braccialetto a questo tipo qui ».
Logan alzò una mano, sorridente: al polso gli brillava un delicato braccialetto d'oro bianco.
« E da chi l'hai... » Arya si arrestò: « hai mandato via il signor Bradshaw... e gli hai preso il Braccialetto anti-magia! »
Hazelle annuì: « caspita, che sagacia! »
Recuperando la borsa tra le sue mani, Arya prese a rovistarne all'interno: ma prima che riuscisse a recuperare quel che stava cercando, tirò fuori cartacce, volantini vari, e addirittura un pennello da pittura.
« Eccolo qui! » Esclamò alla fine.
« Suvvia, daglielo! Non vorrai mica che ti bruci la pelle! »
Udendo quelle parole, la ragazza lanciò il braccialetto nelle mani di Logan – non le erano servite ulteriori spiegazioni; aveva intuito da sé che si trattasse di una difesa del Circolo per far in modo che nessuna strega, demone, o chissà quale altra creatura magica, potesse prenderne possesso.
« È molto bello! » Esclamò Oliver, non appena lo ebbe ricevuto.
« Già! E ti sta benissimo indosso! » Commentò Logan, poggiando la testa sulla sua spalla.
Arya sorrise, scostando lo sguardo verso gli altri presenti. Si accorse in questo modo che un'altra persona li stava studiando da lontano. Cassandra le lanciò un'occhiataccia. Non le andava ancora a genio il fatto che quei preziosi strumenti finissero nelle mani di due ragazzini ordinari. Scuotendo il capo, ella bevve dello champagne e tornò a chiacchierare con Bartek.
« Quinn è stata tranquillissima, ha dormito tutta la notte » iniziò Hazelle, con la sigaretta ancora tra le labbra: « mi sembra una ragazza in gamba... e non lo dico solo perché ha trascorso metà della sua esistenza a darti rogne ».
Arya si lasciò scappare un sorriso: Hazelle era l'unica persona che riusciva a farle saltare i nervi anche di prima mattina. Alla fin fine, però, dovette ammettere a sé stessa che tutte quelle sue battutine, in un certo senso, la divertivano pure. Le diede un leggero colpo di gomito alle coste e poi tornò a parlare con Oliver e Logan. « Allora? » Chiese a quest'ultimo: « ti sei ambientato bene a Rozendhel? »
« Credo proprio di sì! » Il giovane alzò le spalle: « non ero mai stato in una città con così tante cose da raccontare: magia, streghe... è molto affascinante! »
« Eh, sì! » Esclamò Arya: « Parigi ha le baguette, New York i ratti, e Rozendhel... be', Rozendhel ha i suoi demoni! »
In quell'istante, un forte colpo alla porta attirò l'attenzione di tutti. Hazelle saltò in piedi come una molla e, immediatamente, si precipitò alla porta d'ingresso – superando persino Bartek, che era già in procinto di accogliere l'ospite.
La strega afferrò la maniglia e aprì: « benvenuti! Vi stavamo aspettando! È un piacere rivedervi! »
« Il piacere è tutto mio » disse qualcuno sulla soglia, la voce roca.
« Seguitemi in salotto » continuò Hazelle: « ho delle persone da farvi conoscere ».
Arya vide Darren aprirsi in un sorriso sgargiante. Era evidente il fatto che il giovane Hart provasse una certa stima nei confronti di quell'uomo.
Non appena egli ebbe varcato la soglia del salotto, tutti i presenti rimasero affascinati dalla sua persona. Difatti, Daoming era tutto fuorché un individuo ordinario. Dal suo volto di granito si originava una lunga barba nera, ed i suoi occhi – dalla pupilla verticale – esaminavano l'ambiente circostante come due fari nella notte più oscura. Una profonda cicatrice gli deturpava il volto dalla sommità della fronte, passando per il naso aquilino, e terminando sulla gota sinistra. I suoi capelli erano invece un fiume di inchiostro, lunghi fino alle sue stesse caviglie. Quella mattina, si presentò con indosso un kimono di colore scuro ed un paio di sandali ai piedi. Oltre a ciò, Arya notò una grossa zanna di un chissà quale animale pendergli dal collo.
« Salve a tutti » salutò l'uomo, la voce pacata e rauca: « non credevo foste così tanti ».
Hazelle scoppiò in una forzatissima risata: « i membri della Congrega sono aumentati nel corso del tempo! »
« Lo noto » disse Daoming, guardandosi intorno: « giovane lupo, come stai? È da molto tempo che non vediamo incrociarsi i nostri cammini ».
Darren sorrise, andandogli a stringere una mano: « lo so, e mi dispiace davvero tanto! »
« Non ti preoccupare » l'uomo chinò leggermente la testa, facendo cenno al bambino che aveva dietro le spalle di fare un passo in avanti: « posso presentarvi mio figlio, Dhoval? »
« Buongiorno a tutti. È un piacere fare la vostra conoscenza! » Dhoval era un giovanotto di nove o dieci anni, dalla carnagione giallastra e gli occhi nerissimi. Indosso portava solamente una maglietta color sabbia ed un paio di pantaloni scuri. Dopo la sua presentazione, Arya lo vide nascondersi subito dietro la figura del padre, chiaramente imbarazzato.
« Anche per noi è un piacere conoscerti » lo accolse Beckah, sorridente: « ti posso offrire una tartina al salmone? »
Il bambino fece di no con la testa: « non ho avuto il permesso da mio padre. Ma la ringrazio lo stesso, signora ».
« Come? Ti ha chiamata “signora”? » Taissa scoppiò in una fragorosa risata: « in poche parole, ti ha detto che sei vecchia! »
Ma Beckah scelse di non darle retta: alzò gli occhi al cielo e tornò al suo posto, accanto a Quinn.
« Sedetevi, prego! » Hazelle invitò gli ospiti a mettersi sul divano: « abbiamo tutto il tempo per parlare di cose serie! »
« In realtà, no » tagliò corto Daoming, avvicinandosi ad Oliver e Logan: « il tempo corre via, scivola tra le nostre dita come sabbia nel deserto. Ditemi, cosa posso fare per voi? Sono stato chiamato per una ragione, o sbaglio? »
Arya inarcò le sopracciglia, incuriosita dalle sue parole. Era un individuo particolare non solo nell'aspetto ma anche nei modi di fare. Aveva un certo portamento ed una tale eleganza che ella si domandò se fosse davvero chi dicesse di essere. In generale, ebbe una buona impressione di lui. L'unica cosa che la fece innervosire fu il modo in cui era solito rivolgersi a suo figlio: sembrava che lo considerasse una sua proprietà. Il bambino non poteva far nulla senza il consenso del padre. “Permesso” e “obbligo” erano le parole d'ordine.
« Ti ho chiamato per lei » Hazelle indicò Quinn, la quale abbassò subito gli occhi: « è stata trasformata in un'arpia e mi chiedevo se tu potessi far qualcosa al riguardo ».
« Io non ho le capacità per farla tornare quella di una volta » la interruppe Daoming.
« Non sto dicendo questo » gli disse la strega: « nessuno ne sarebbe capace, nemmeno lo stregone più potente di questo mondo ».
« E allora cosa necessiti dalla mia persona? »
« Voglio controllare le mie trasformazioni » iniziò Quinn, deglutendo: « diventa il mio maestro! Non voglio essere un demone succhia-sangue, e nemmeno un'assassina. Mi hanno detto che hai saputo aiutare Darren Hart. Fallo anche con me! »
« Come osi dare ordini a mio padre? » Gridò Dhoval all'improvviso: « chiedigli perdono! »
« Dhoval, quietati » Daoming gli lanciò un'occhiataccia, e poi riprese: « io sono un ibrido: metà lupo, metà uomo. Ogni anno, aiuto più di trenta ragazzini a controllare la loro trasformazione in licantropo. Molti di loro non vengono accettati dai miei figli e vengono presi a sassate o, peggio, aggrediti durante la notte ».
Arya si voltò in direzione di Darren: ecco spiegata la storia della sua cicatrice.
« In totale, ho venti figli » Daoming proseguì: « i miei figli non accettano i demoni, i miei figli non accettano lupi che sono stati maledetti da streghe, i miei figli non accettano... »
« I tuoi figli sono dei barbari » commentò Arya, alla fine.
« Come dici, bambina? »
La ragazza percepì gli sguardi di tutti i presenti rivolgersi verso di lei: « attaccano chi si trova in difficoltà per quale motivo? Hanno paura che qualcuno possa sfiorarti? »
« Non puoi parlare così a mio padre! » Intervenne Dhoval, i pugni chiusi.
« Attaccano perché credono che io possa affezionarmi più alle persone che aiuto, piuttosto che a loro. Sono molto gelosi i miei figli » l'uomo continuò, rivolgendosi a Quinn: « se te la senti di venire insieme a me, ti prometto che riuscirai a controllare le tue trasformazioni. Ma non ti prometto che ne uscirai illesa. Non ho alcuna responsabilità per quanto riguarda i miei figli ».
« Com'è possibile? Quinn, non farlo » disse Arya, alzandosi in piedi: « chissà cosa potrebbero farti... »
« Sta' zitta! » Esclamò Dhoval: « è una sua scelta! »
La giovane Mason scosse la testa: « Darren, dille qualcosa tu ».
Ma Darren non volle intervenire. Adesso, tutti erano concentrati sulla figura esile di Quinn.
Ella tremava come una foglia, e aveva la carnagione così pallida che per poco non sarebbe svenuta. La tensione la stava uccidendo. « Come si svolge l'allenamento? » Chiese, titubante.
« Sarà necessario che tu beva una pozione tutti i giorni, mattina e pomeriggio. Essa ti trasformerà in demone e, a quel punto, tenteremo di farti tornare cosciente e di farti controllare l'istinto omicida. Funzionerà. Ne sono certo ».
« Andrà tutto bene, fidati » disse Darren all'improvviso: « tu, infatti, ti trasformi quando perdi il controllo, quando ti arrabbi. Io mi trasformavo per via della luna piena, che è un agente esterno. Quindi è stato molto più complesso per me trovare questo equilibrio tra umano e demone. Ho dovuto bere tante altre pozioni che mi permettessero di trasformarmi anche senza la luna piena, finché non ci sono riuscito da solo... per te sarà una questione da poco. Inizia a controllare il tuo nervosismo, e sarai già dieci passi avanti ».
Arya fece fatica a capire ogni singolo passaggio di quella spiegazione. D'altronde, Darren non le aveva mai detto nulla al riguardo.
« D'accordo, accetto » terminò Quinn: « ma ad una condizione: verrò ogni pomeriggio, dopo la scuola, e dormirò a casa mia ».
« Ci impiegherai molto di più » le disse Daoming: « ne sei sicura? »
« Sicurissima! »
« Bene! » Esclamò Hazelle: « ora possiamo divertirci un po'! Ultimamente ho trascorso delle giornate davvero pesanti! »
L'uomo inarcò le sopracciglia folte, l'espressione alquanto scocciata: « le cose stanno cambiando, Hazelle. Arriveranno dei giorni ancora più tremendi ». Arya si voltò in direzione di Cinnamon, la quale si era appena tappata le orecchie per non ascoltare l'aspro discorso che stava per iniziare Daoming.
« Venti di guerra si stanno alzando da tutte le direzioni » egli proseguì: « le mie spie mi hanno riferito cose spaventose ».
« Ossia? » Chiese Beckah, preoccupata.
« La Dimensione sta cadendo ed un lord misterioso si nasconde nell'ombra. I demoni si stanno preparando a combattere, si stanno radunando in un esercito. Ho saputo che hanno persino attaccato un Villaggio Eterno; cercavano qualcosa... qualcosa di molto oscuro ».
« Che cosa stavano cercando? » Domandò Hazelle: « lo sai? »
« Frammenti » sussurrò Daoming: « frammenti di uno strumento potentissimo, in grado persino di risvegliare i non-viventi. I demoni si stanno radunando... i demoni mirano alla conquista di Rozendhel ».
« Che aspetto hanno questi frammenti? » Arya sentì un brivido percorrerle la schiena: non potevano certo trattarsi di quei frammenti...
« Questo non lo so » l'uomo fece spallucce: « ma credo sia giunto il momento che la Comunità Magica si unisca. Non devono più esistere distinzioni tra Streghe della Natura e Streghe dell'Impurità ».
Hazelle chiuse gli occhi, stanca.
« È tempo che tutte le creature del nostro mondo si riuniscano » Daoming concluse: « è tempo di combattere ».

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 25
*** Capitolo 24: Venti di guerra ***


CAPITOLO 24:

 

Venti di guerra

 

 

Per Arya, quello era stato un mese alquanto intenso: aveva aiutato due demoni a scappare nei boschi, evitato di essere sbranata viva da un lucertolone, assistito alla trasformazione di Quinn, ed era inoltre venuta a conoscenza del fatto che un essere sconosciuto stesse arruolando un esercito per marciare su Rozendhel.
Sconfortata dalla piega che aveva preso la sua vita, sospirò. Erano le sette della sera e si trovava ancora seduta su quel tronco, le mani sul viso e le palpebre pesanti. Aveva deciso di sua spontanea volontà di assistere ad ogni allenamento di Quinn, giusto per darle un po' di conforto e per controllare le mosse dei figli di Daoming. Questi ultimi, come previsto, non avevano apprezzato particolarmente la loro presenza nel Territorio dei Lupi e, purtroppo, non erano nemmeno sporadiche le volte in cui dalle ombre dei pini si alzavano insulti e sgradevoli minacce.

Nel corso di un allenamento, Arya aveva saputo dallo stesso Daoming che erano tutti figli suoi e di una sola donna. Vivevano sottoterra, in una dimora che uno dei suoi antenati aveva realizzato appositamente per le generazioni future: vi si poteva accedere solamente tramite una botola, la quale, per un qualsiasi forestiero, sarebbe stata impossibile da individuare a causa della folta vegetazione che le cresceva attorno ed un tappeto di foglie caduche che la nascondeva a dovere. La ragazza immaginò che dovesse trattarsi di una reggia. Contenere ventidue persone sotto lo stesso tetto, d'altronde, non è roba da poco!
All'improvviso, un essere alato piombò dal cielo – schiantandosi al suolo e provocando una leggera scossa sotto i piedi di Arya.
Quinn si rialzò immediatamente, gli artigli macchiati di sangue.
« Tutto bene? » Le chiese la ragazza, alzandosi dalla sua solita postazione.
Il demone fece un cenno d'assenso e poi s'indirizzò nuovamente verso le soffici nuvole rosee dipinte dal crepuscolo.
Arya la osservò librarsi sempre più in alto, chiedendosi quanto tempo ancora mancasse alla fine dell'allenamento.
In quelle settimane, Daoming era stato di grande aiuto. Difatti, prima che questi prendesse Quinn sotto la sua ala protettrice, la ragazza non era in grado né di controllare le sue trasformazioni né di distinguere i nemici dagli alleati. Ora, sebbene il suo aspetto da arpia, non incuteva più così tanta paura ed i suoi miglioramenti aumentavano di giorno in giorno. Rispetto all'inizio, la sua situazione era cambiata notevolmente: Arya non avrebbe mai potuto scordare le sue grida e le sue lacrime di disperazione. Diverse volte aveva persino implorato un aiuto, ma Daoming l'aveva immediatamente zittita, ordinandole il controllo. Egli era piuttosto convinto del fatto che Quinn doveva cavarsela da sola e affrontare il dolore con le sue uniche forze.
Gli allenamenti, dunque, presentavano sempre la stessa scaletta: dapprima si doveva bere una pozione, la quale era in grado di far trasformare il soggetto, in seguito ci si metteva seduti e si iniziava un lungo interrogatorio.
« Qual è il tuo nome? » Era solito chiederle Daoming.
« Quinn Lloyd » rispondeva l'arpia.
« Quanti anni hai? Chi sono i tuoi genitori? Che scuola frequenti? Io sono un tuo nemico? »
Le prime volte, Quinn non aveva risposto neppure ad una domanda e aveva immediatamente tentato di conficcargli le zanne nel collo. Daoming, però, era un uomo straordinario, dotato di una forza eccelsa: tutte le volte aveva interrotto i suoi attacchi e l'aveva riportata al suo posto. Una grande pazienza e forza di volontà lo spronavano a non arrendersi mai, e Arya si era chiesta più volte quante persone avesse aiutato nel corso degli anni.
Nei giorni successivi, dopo aver imparato a trasformarsi a comando, Quinn venne obbligata a bere un'altra pozione e a tuffarsi in un lago. Le allucinazioni si erano subito appropriate della sua mente, facendole credere che si fosse immersa nel sangue di centinaia di esseri umani.
Inutile dire che il demone aveva perso la testa e cominciato ad ingollare litri di acqua, senza nemmeno accorgersi di quanto spaventosa potesse risultare quella scena dinanzi agli occhi dei suoi amici.
« Io me ne vado » aveva esclamato Oliver una sera: nonostante tutta la sua buona volontà, non riusciva proprio a star di fronte ad una situazione così assurda.
Con altrettanta pazienza, Daoming dovette insegnare al demone neonato che non occorreva cibarsi di carne umana e bere sangue a volontà. La sua dieta quindi si alternava tra foglie, bacche e funghi – un aspetto che alla fine si rifletté anche nella sua vita da umana, facendole evitare qualsiasi prodotto proveniente dai macellai.
Tornando al presente, Arya sospirò ancora una volta: era stanca e piuttosto assonnata. Non vedeva l'ora di tornare a casa e stendersi al di sotto delle lenzuola. Ormai, era più il tempo che trascorreva nei boschi che nella serenità della sua camera.
« Ehilà, bella addormentata! »
Udendo quelle parole la ragazza sorrise, quindi si alzò immediatamente, voltandosi: « ormai, non mi colpisci più con le tue solite entrate teatrali ».
Il nuovo arrivato alzò le sopracciglia, dirigendosi verso di lei: « sicura? Per un attimo mi è sembrato di vederti saltare dallo spavento ».
Arya scosse la testa: « ti piacerebbe... cosa ci fai qui? »
« Passeggiavo per i boschi, pensando e ripensando al nostro ultimo incontro » disse il giovane spettro, le labbra arricciate: « non ci siamo lasciati così educatamente, non trovi? »
Arya si mise a braccia conserte, con la borsa di stoffa che le danzava attorno ad un fianco: « in realtà, sei stato tu ad aggredirmi. Io cercavo solo di aiutarti... cosa che, credo, tu voglia di nuovo ».
« Cosa? » Domandò Nathaniel, divertito: « pensi che io voglia il tuo aiuto? »
« Sì, esatto » la ragazza sbuffò: « non sei riuscito a trovare i Frammenti nella biblioteca del signor Hancock, vero? »
Lo spettro rimase in silenzio.
« Ecco! Lo sapevo! »
« Non so per quale motivo io non li abbia trovati! » Esclamò lui: « cioè, forse sì... quella biblioteca è enorme! E poi, di notte, non si vede niente ».
« Cioè, fammi capire... hai trascorso quasi due mesi a cercare quei cosi, di notte, senza mai trovarli? »
« Ridi pure, stupidina » Nathaniel le fece il verso, scostandosi dal viso un boccolo dorato: « tu l'altra volta hai avuto come una sorta di... non so come definirlo! »
« Ho sentito delle voci » ricordò Arya: « e quelle voci mi hanno guidato sino al lago ».
« Appunto! Vieni con me in quella dannata biblioteca! Prometto che poi non ti darò alcun fastidio ».
La ragazza sembrò rifletterci su per qualche istante: « va bene... lo faccio giusto perché mi dispiace per tuo padre ».
« Perfetto, allora! » Nathaniel le tese un braccio: « andiamo! »
« No, no! Aspetta! » Esclamò lei, prontamente: « non posso! »
« Che? Per quale motivo? »
« Non posso lasciare Quinn da sola. Ho paura che i figli di Daoming possano farle del male ».
« Quello schifoso branco di lupi si è rintanato sottoterra per la cena » Nathaniel le prese una mano: « non le succederà nulla, forza! »
Arya inspirò profondamente, pensando a come avrebbe reagito Beckah se fosse stata lì in quel momento: di certo le avrebbe mollato uno schiaffo e le avrebbe dato della stupida. Chi avrebbe potuto biasimarla, d'altronde? Non aveva mai accettato il fatto che la sua migliore amica girovagasse per la città con uno dei demoni più antichi della Dimensione – lo riteneva pericoloso, sì, ma anche estremamente egoista. Nathaniel cercava Arya soltanto per i suoi scopi e, quando alla fine otteneva dei risultati soddisfacenti, era solito abbandonarla nel bel mezzo del bosco o in luoghi alquanto sgradevoli.
Arya nemmeno conosceva la ragione per la quale non si tirasse mai indietro: c'era un qualcosa che la muoveva internamente, qualcosa che non riusciva ancora a capire.
Rimase a guardare le dita affusolate dello spettro per una manciata di secondi, poi le afferrò con un gesto veloce e disse: « andiamo ».
Immediatamente, il bosco tornò a vorticare in un turbine di colori e forme indistinte. Gli alberi, il prato ed il tramonto stesso si squarciarono, dando vita a nuove figure dall'aspetto imponente, simili a giganti. Il buio prese a circondarli e stavolta Arya dovette chinarsi per far sì che il suo organismo si riprendesse: sfiorò quindi il pavimento con i polpastrelli, intuendo che non si trovassero più nel Territorio dei Lupi bensì in un posto chiuso, scuro e desolato. Le ci vollero poi altri istanti per calmarsi e per capire che si fossero teletrasportati proprio all'interno della struttura, nella Biblioteca del Signor Hancock.
« Non mi ci abituerò mai » sussurrò, rispettando il silenzio di quei colossi.
« Se devi vomitare, fallo più tardi ».
Schioccarono le dita e subito vennero raggiunti da due fiammelle colorate, le uniche in grado di mostrar loro la via in quell'immenso labirinto di scaffali. Il pavimento era intarsiato in marmo ed era come al solito lucidato a dovere, mentre dal soffitto ciondolava un grosso e antico lampadario spento.
Un brivido percorse la schiena di Arya: era un luogo così tetro visto di notte, pieno di ombre e inquietanti sussurri. Si domandò se ci fosse qualcun altro insieme a loro, o se fossero soltanto i libri a consultarsi sulle identità di quei due stranieri.
Nathaniel non proferì parola per tutto il tempo, si limitò a guardarsi intorno con aria diffidente e a guidare la ragazza in ogni angolo. Si muoveva in maniera scaltra, come se conoscesse il posto a memoria o fosse lui stesso il bibliotecario, al contrario per la giovane Mason che, per mezzo di quell'insolita gita, si rese conto di non averlo mai visitato nel pieno della sua interezza. Sembrava come se una porzione dell'Universo si fosse calata sulla Terra e avesse scelto Rozendhel come centro di riposo: era infinita, silenziosa e ricca di conoscenza.
« Senti qualcosa? » Le domandò Nathaniel, infrangendo la quiete.
Arya alzò le spalle: « ogni tanto sì, ma non credo possano essere i Frammenti ».
« In che senso? » Lo spettro inarcò le sopracciglia – dinanzi alla luce delle fiammelle, la sua carnagione sembrava quasi umana: « siamo soli qui dentro! Sono quasi le nove della sera! Quindi, se percepisci qualcosa, fammi sapere ».
Trascorsero un'altra ora a girovagare senza sosta, passando dinanzi al reparto dei bambini, a quello dei romanzi gialli e a quello di filosofia. Non trovarono altro che libri e tantissimi altri manuali.
Nathaniel non dava l'impressione di essere stanco, anzi! Era così deciso a trovare quei Frammenti che per poco non avrebbe proposto alla ragazza di trascorrere la sua intera vita lì dentro.
Arya si passò una mano tra i capelli, esasperata: alla fine si lasciò cadere su una poltrona rossa, provocando in ogni dove l'eco di un suono alquanto ridicolo.
« Non ho scorreggiato! » Precisò subito: « è questo maledetto cuscino che... ».
« Stai prendendo questa storia troppo alla leggera! » La rimproverò Nathaniel, fattosi improvvisamente serio: « torna a casa e non scocciarmi ».
« Ecco! » Esclamò Arya, mettendosi in piedi: « siamo alle solite! Prima fai tutto il carino perché vuoi essere aiutato, poi mi dici di andare via... ed è categoricamente impossibile, visto che le saracinesche sono abbassate ».
Lo spettro le lanciò un'occhiataccia, poi si diresse solitario verso un altro reparto.
« Bravo, continua a fare così! » Gli disse Arya a gran voce, dirigendosi in seguito da tutt'altra parte. Forse aveva ragione Beckah: non avrebbe mai più dovuto aiutarlo! Non avrebbe mai più dovuto stare al suo gioco! Ma non avrebbe neanche più dovuto mentire a se stessa...
Scosse il capo e realizzò di essere arrivata dinanzi ad un nuovo reparto, pieno di libri con copertine colorate. Ogni volume presentava una mappa pieghevole all'interno: Londra, Parigi, Roma...
Arya sfiorò le pagine di quattro o cinque guide, imparando in questo modo come si dicesse: “dov'è il ristorante più vicino?” in spagnolo. Sorrise e lo ripose al suo posto, scorrendo con gli occhi gli altri titoli. Tutti i libricini erano ricchi di scritte e colori diversi... eccetto uno. La sua copertina si presentava così scura che sarebbe stato impossibile non vederlo. Si trovava sullo scaffale più in alto, lontano da mani infantili o, semplicemente, sbagliate.
Per tentare di raggiungerlo, Arya si servì di una poltrona. Inutile. Era comunque troppo in alto.
Rimase a braccia conserte, gli occhi fissi sulla sua copertina nera. In che modo avrebbe potuto prenderlo?
« Ego hic sum! » Esclamò alla fine, ed il volume cadde tra le sue mani, alzando così tanta polvere che la giovane si lasciò scappare uno starnuto. « Cavolo, che schifo! »
Le pagine di quel libro erano state rovinate dall'inesorabile scorrere del tempo: si presentavano gialle e coperte da scritte incomprensibili. Vi erano persino dei simboli raffiguranti le fasi lunari e quelle che la ragazza intuì fossero delle liste di ingredienti per preparare specifiche pozioni.
Trascorsero una manciata di minuti prima che si accorgesse della presenza di alcune pagine bianchissime. Si trovavano nel bel mezzo del Grimorio e, al contrario di tutte le altre, erano lisce e prive di una qualsiasi parola.
Arya inarcò le sopracciglia, facendo segno alla fiammella di accostarsi maggiormente alla sua figura. Una volta Hazelle le aveva spiegato che anche dietro al più piccolo elemento ordinario poteva nascondersi una dimensione sconosciuta, invisibile agli occhi più pigri. Dunque, rimase ad osservare il vuoto – incuriosita dalla faccenda.
« Revelio » sussurrò alla fine, e come pronta risposta il libro cominciò a vibrare.
Arya avrebbe strepitato il nome di Nathaniel se la sua bocca si fosse decisa ad aprirsi: per una strana ragione, non riusciva neanche più a muoversi. Rimase in quella posizione, con il naso infilato nel Grimorio, per una quindicina di secondi, poi qualcosa apparve dal nulla ed Arya spalancò gli occhi: era un Frammento.
« Ma che... » la ragazza lo sfiorò con dita tremanti e, subito, dinanzi ai suoi occhi presero a darsi battaglia immagini di una scogliera, un mare in tempesta, un vecchietto con indosso una tunica arancione, un'enorme creatura alata e la figura sottile di una donna con lunghi capelli rossi.
Le immagini sfumarono all'improvviso, lasciando Arya in una situazione piuttosto confusa – il fiatone ed il battito cardiaco accelerato.
Non aveva mai visto niente del genere. Non aveva mai assistito ad una visione così lunga e ricca di particolari.
Serrò il Frammento in un pugno, affondò il Grimorio nella sua borsa di stoffa e fece per raggiungere Nathaniel. Però, da che parte si sarebbe dovuta dirigere? Un presentimento le attraversò la mente: e se l'avesse lasciata lì e se ne fosse andato via?
« Non ti muovere ».
Un brivido le percorse la schiena. L'organismo si paralizzò. I polmoni cessarono la loro solita attività: « Nathaniel? Sei tu? » Ma ella era certa che non si trattasse del giovane spettro. Non sapeva nemmeno per quale motivo le fossero uscite quelle parole dalla bocca. Deglutì, le gambe tremanti. « Fatti vedere ».
Nessuna risposta.
« Ho detto » ripeté, nervosa: « fatti vedere! »
Il rumore dei tacchi a spillo risuonò sul pavimento, ma venne smorzato subito da un ringhio animale. Arya si preparò a combattere.
« Buonasera, Arya Mason ». Le tenebre mostrarono una donna tutt'altro che ordinaria, dallo sguardo enigmatico e dai lunghi capelli simili ad una cascata di sangue. Aveva indosso un abito di seta con ampie maniche appuntite, il corpetto aderente ed una fascia dorata che le sottolineava i fianchi strettissimi. I suoi occhi erano due lapislazzuli, gelidi e distanti. La sua pelle, al contrario, era bianca come la neve – perfetta, priva di una qualsiasi imperfezione. Una corona di spine le brillava sul capo, illuminando parzialmente l'oscurità sulla quale troneggiava la sua figura. Castigo era il suo nome; una punizione per gli stolti del passato ed il presente, per tutti coloro che avrebbero attentato alla sua vita e, anzitutto, alla sua eterna bellezza. Accanto a lei, si trovava un essere decisamente più orripilante: nero come la pece, dalla testa sino ai piedi, curvo, senza narici, senza occhi, ma con le orecchie appuntite ed una foresta di lunghissimi capelli corvini. Aveva gli artigli sguainati, una spada tenuta sulla schiena, e dava l'impressione di obbedire ciecamente ad ogni ordine della donna.
« Chi siete? » Domandò Arya, deglutendo. « Sei una strega o sei un demone? »
« Il mio nome è Castigo » rispose quest'ultima: « siamo venuti qui soltanto per prendere quel Frammento, cara Arya Mason, Guardiana della Chiave e del Fuoco Aureo ».
« Mi conosci? Ma... chi diavolo siete? Lui chi è? » La ignorò la ragazza, il Frammento ancora chiuso in un pugno: « la tua guardia del corpo? »
Castigo fletté la testa verso sinistra, per osservare meglio la creatura: « lui è un Demone-Senza-Nome. Il suo unico scopo è uccidere chiunque si interponga nei piani ».
« Demone-Senza-Nome? Non credo di averne mai affrontato uno » disse Arya, inarcando le sopracciglia.
« Legittimo. È un mio esperimento, ed è anche piuttosto recente » Castigo proseguì: « porgimi quel Frammento. Ti do la mia parola, lui non ti sfiorerà ».
Arya rimase in silenzio per qualche attimo: chi diavolo era quella donna? Non poteva trattarsi di un demone, non ne aveva le fattezze! Era diversa da chiunque altro avesse mai affrontato: poteva trattarsi, magari, di una strega... ma il suo potere andava ben oltre i confini della solita magia. Arya lo percepiva. Non apparteneva alle Streghe della Terra, e nemmeno alle Streghe dell'Impurità. Quella donna era un mistero.
« No » sussurrò all'improvviso, e la fiammella si estinse.
« No? » Ripeté Castigo, sorpresa.
« Hai capito bene » la ragazza continuò: « a cosa vi servono questi cosi? Perché ce ne sono così tanti in giro? Cosa sono? »
Il demone ringhiò ancora una volta, ma Castigo lo zittì e accese un'ennesima fiammella: « presumi di essere dalla parte dei buoni, non è vero? Ma chi sono i “buoni” in una guerra, cara Arya Mason, Guardiana della Chiave e del Fuoco Aureo? »
Arya inarcò la fronte: « a cosa ti riferisci? »
« Prova a darti un'occhiata intorno: credi che Hazelle, la Strega Originale dell'Impurità, sia dalla parte dei buoni? Credi che sia la decisione giusta spazzare via un intero popolo? Senza alcun tipo di processo o distinzione? »
« Hazelle ha commesso degli errori in passato » la interruppe Arya, come se avesse prestato attenzione soltanto alla prima parte del discorso: « ma ha imparato proprio dai suoi sbagli ».
Castigo accennò ad un sorriso, sebbene la gioia fosse un sentimento sconosciuto al suo volto: « la purezza ti annebbia la vista ».
« Cosa intendi dire? »
« La cicatrice serra la ferita, ma non esclude l'eventualità che essa si riapra » Castigo scosse la testa impercettibilmente, le mani impegnate a carezzare il muso della creatura: « non trovi? »
« Non capisco dove vuoi andare a parare ».
« Lo capirai ben presto. Prova a fare una passeggiata notturna, ti si schiarirà la mente ».
A quel punto, il demone ringhiò più forte: era evidente il fatto che stesse percependo qualcuno o qualcosa avvicinarsi. Arya pregò che si trattasse di Nathaniel.
« Quindi? » Riprese Castigo: « hai deciso di non collaborare? »
La ragazza non rispose – si limitò ad osservarla negli occhi, dai quali sembrò trasparire solamente il nulla.
« Incendio! »
Il Fuoco Aureo le scoppiò da una mano, dirigendosi immediatamente verso la creatura. Dalla gola di quest'ultima eruttò un grido di dolore, fin troppo umano.
Presa dal panico, Arya iniziò a correre nella direzione opposta. « Nathaniel?! » Gridò: « dove sei?! »
Inciampò sui suoi stessi passi e cadde a terra: errore che le costò caro. Fu proprio in quel momento, difatti, che si rese conto di quanto si trovasse vicina la creatura. Si rialzò, il cuore aveva preso a batterle come un tamburo.
« Fragor! » Esclamò, con il dito indice rivolto verso uno scaffale. L'esplosione generata dall'incantesimo rallentò la creatura, ma diede il via ad un effetto domino che scaraventò a terra altri tre o quattro giganti di legno. La polvere si levò da tutte le parti, i libri caddero ovunque... Arya continuò a correre – la testa immersa in un lago di domande senza risposta.
« Ferma! Ferma! » Nathaniel le si parò dinanzi agli occhi, afferrandola dalle braccia. « Cosa diamine è successo? »
« Cavolo, Nathaniel! Dov'eri? » Arya si accorse solo alla fine di star urlando: « spegni questa fiammella! Ci troverà! »
Il giovane inarcò le sopracciglia, serrando nel pugno destro la fiammella che aveva richiamato all'entrata: « sei stata attaccata da qualcuno? »
Arya annuì velocemente – nell'oscurità della biblioteca, la voce di Nathaniel le si presentò come il miglior conforto: « c'è una donna con un vestito medievale, un demone spaventoso! È alto, curvo, con i capelli neri... »
« Che cosa? » Nathaniel si tirò indietro, lasciandole le braccia: « un demone così... non può essere... »
« Perché? Li conosci? »
Sfortunatamente, il demone riuscì ad individuarli prima ancora che lo spettro potesse darle una risposta.
« Andiamocene via! » Arya afferrò una mano di Nathaniel ed iniziò a correre verso le saracinesche abbassate.
I versi rauchi della creatura, nel frattempo, avevano preso a riempire la biblioteca: si aggrappava agli scaffali con i suoi temibili artigli e li tirava tutti giù, dando vita ad un vero e proprio oceano di pagine e pagine in cui faceva addirittura fatica a riemergere.
Arya e Nathaniel continuarono a correre, mano nella mano. Avevano oltrepassato già quattro o cinque settori quando furono costretti a fermarsi: del fumo nero prese a vorticare dinanzi a loro, prendendo in seguito le sembianze di Castigo. Erano in trappola.
« Potrei darvi in pasto a mio figlio, se solo lo volessi ».
« Chi diavolo sei? » Nathaniel strinse i denti, vedendo la donna avvicinarsi sempre più.
« A dir la verità, la domanda la vorrei rivolgere a te » Castigo gli prese il volto tra le mani: « tu sei un demone, non è vero? »
Arya deglutì. Non avevano alcuna possibilità di uscire vivi da quella situazione: Castigo sbarrava la strada da una parte mentre la sua creatura, il buio e una miriade di scaffali impedivano l'accesso a tutte le altre.
« Cosa ci fai accanto al nemico? » Gli sussurrò la donna in un orecchio, immobilizzandolo.
« Io non sto dalla parte di nessuno » rispose Nathaniel a denti stretti.
« Ah, no? » Castigo fletté la testa ancora una volta, rivolgendosi ad Arya: « c'è un qualcosa che va ben oltre le sue parole. Lui farebbe di tutto per te, lo sai? Mentre tu... tu non faresti nulla per lui ».
La ragazza inspirò profondamente, la fronte imperlata di sudore.
« Uccidilo, figlio mio » Castigo premette le labbra contro quelle del giovane, poi fece due passi indietro ed esclamò: « uccidilo, subito! »
« No! » Arya sentì il suo cuore esplodere: « fermi! »
Ma la creatura ringhiò ancor più forte e si abbatté su Nathaniel – irragionevole e feroce.
Fu in quel momento che il giovane riprese possesso delle sue capacità motorie; lo prese dunque da una zampa nera e lo fece schiantare contro uno scaffale. Secondo Hazelle, Nathaniel era uno dei demoni più pericolosi in circolazione. Si sarebbe fatto valere; non si sarebbe arreso tanto facilmente. La creatura sguainò la sua spada, cercando in tutti i modi di conficcargliela nel busto.
Arya rimase a guardare, impietrita. Se solo fosse toccato a lei, non sarebbe mai riuscita a sconfiggerlo.
Nathaniel fermò un attacco in maniera alquanto pericolosa, poggiando entrambi i palmi sulla lama e spingendo indietro l'avversario con un piede.
La ragazza decise di entrare in azione: non poteva starsene così, senza far nulla!
Azzardò un passo, ma si accorse immediatamente che qualcosa non andava; non riusciva a muoversi, si trovava ferma sullo stesso punto. Tentò ancora una volta. Niente.
« Cerchi di andare da qualche parte? » Castigo le si avvicinò, impassibile.
« Maledetta! Cosa mi hai fatto? »
« Precauzioni, mia cara » la donna fece per toccarle il volto, ma poi sembrò ripensarci e infilò le dita affusolate nella sua borsa a tracolla. Rovistò a lungo, senza trovare alcunché di interessante.
Inarcò le sopracciglia, forse indispettita.
« Nel pugno, certo! » Castigo scosse la testa, recuperando il Frammento con estrema facilità: « la mia figura ha già attraversato il verde dei tuoi occhi. E lo farà ancora. Ne sono sicura ».
Il fumo nero s'impossessò nuovamente di Castigo e, quando si fu dissolto, non vi era più alcuna traccia di lei.
Arya scivolò a terra nel momento stesso in cui l'incantesimo di immobilizzazione sfumò: che diavolo era successo? Come aveva potuto perdere il Frammento?
Ricacciò indietro le lacrime, accorgendosi solamente dopo pochi istanti che lo scontro era terminato. Nathaniel ed il Demone-Senza-Nome avevano smesso di darsi battaglia. Ora, regnava il silenzio.
« Nathaniel?! » Gridò: « Nathaniel... ti prego ». Si alzò a fatica, calpestando libri di ogni genere.
Con la caduta dei giganti, la vastità di quel luogo era stata accentuata ancor di più.
« Nathaniel? » Urlò di nuovo: « Nathaniel? Dove sei? » Camminò per qualche altro minuto, le mani nei capelli.
Era certo il fatto che il Frammento fosse caduto nelle mani di Castigo... ma quest'ultima, quando glielo aveva sottratto, non sembrava aver avuto alcun tipo di visione. Arya rifletté, le sopracciglia inarcate: era possibile che si trovassero ancora in vantaggio?
« Sono qui! » Esclamò una voce all'improvviso: « Arya, sono qui! »
« Finalmente! » Gridò Arya, dirigendosi verso il punto in cui aveva udito la voce di Nathaniel. Egli si trovava a terra, con delle grosse schegge di legno che gli infilzavano i polpacci: se fosse stato un ragazzo come tanti, pensò Arya, sarebbe svenuto o quantomeno avrebbe urlato dal dolore. E invece se ne stava lì, con un sorriso stanco impresso sul volto. Impassibile alle ferite.
Arya si mise subito in ginocchio e tentò di medicarlo.
« Non ci sono riuscito » iniziò lo spettro, mettendosi in piedi: « è scappato via ancor prima che riuscissi a rompergli l'osso del collo ».
« Non ti preoccupare. Io non sono riuscita a far niente. Quella donna mi ha... »
Nathaniel inarcò le sopracciglia: « cosa? Che stavi dicendo? »
« Be', vedi... Nathaniel, mi ha preso il Frammento ».
Silenzio.
Il giovane rimase a guardarla, con occhi esterrefatti: « ma come hai potuto? Diamine! »
« Non lo so, davvero! Ma è stato stranissimo... ho avuto una visione più lunga delle precedenti! E lei, invece, è rimasta impassibile quando l'ha toccato! Non credo ne abbia ricevuta alcuna ».
« Credi che lei non sappia dove andare a cercare gli altri Frammenti? »
Arya annuì: « è stata una visione piuttosto strana... ho visto un luogo che di solito appare nei miei sogni. C'è... c'è un qualcosa di strano in tutto questo! »
« Lo so » disse Nathaniel, abbassando gli occhi: « quel demone, io lo conosco. Ha attaccato il mio villaggio e ucciso mio padre... ora capisco il motivo di tutto ciò. Erano già in cerca dei Frammenti ».
Arya deglutì, la pelle d'oca sulle braccia: « credi che tuo padre stesse nascondendo quei Frammenti da loro? Credi che loro sappiano il significato di quel biglietto che ti ha lasciato? »
Nathaniel annuì.
« Ho troppe cose per la mente » continuò Arya: « Daoming pensa che ci sia qualcuno a capo dei demoni, che cerca di impossessarsi di Rozendhel... penso proprio che i Frammenti siano di vitale importanza per questo loro piano. Ah... e ho trovato anche questo Grimorio poco fa ».
Il libro con la copertina nera uscì nuovamente dalla borsa di Arya.
Ma Nathaniel non lo volle nemmeno sfiorare: « non so cosa sia... davvero ».
« D'accordo. Lo studierò soltanto io, allora » Arya gli afferrò una mano: « forza, andiamocene via ».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 26
*** Capitolo 25: Cambiamenti ***


CAPITOLO 25:

 

Cambiamenti

 

 

« Dimmi la verità ».
« Riguardo a cosa? »
« Alcune volte, non vorresti scappar via? Lasciarti alle spalle ogni genere di problema, abbandonare tutto e vivere in posti completamenti nuovi? »
« Non lo so, sarebbe troppo facile così. Mi reputerei un vigliacco per il resto dei miei giorni ».
Arya socchiuse le palpebre, infastidita: Darren aveva appena dato forma al pensiero che da circa un anno la tormentava, creandole ulteriori turbamenti e confusione. Da una parte, era pur vero il fatto che volesse scappare via e cambiare identità, ma dall'altra era consapevole che tutti quei problemi l'avrebbero inseguita ovunque, sia ai Tropici che al Polo Nord.
« Non ce la faccio » si alzò dal letto, le mani alla testa.
« Hai avuto delle settimane davvero intense » le disse Darren, mettendosi a sedere a gambe incrociate: « non devi far altro che rilassarti un po' ».
« Come posso rilassarmi? » Esclamò la ragazza, frustando l'aria con i suoi lunghi capelli color rosso ciliegia: « finché avrò questa – e indicò la Chiave che le pendeva dal collo – sarò costretta a vivere una vita che non mi appartiene! »
Darren assunse un'espressione corrucciata, la stessa che era solito sfoggiare quando qualcosa non gli andava particolarmente a genio: « la Chiave è venuta da te per un motivo. Sei l'unica che può utilizzarla e l'unica in grado di poter salvare questa cittadina, o magari l'intero pianeta ».
« Salvarlo dai demoni, non da tutto lo schifo che ci circonda » sussurrò lei: « e poi una volta che avremmo sconfitto anche l'ultimo demone, cosa faremo? Continueremo a vivere come se nulla fosse? No... non ci sto! Non posso dimenticare di aver visto spettri, lucertoloni enormi, di aver assistito all'uccisione di un uomo da parte del mio migliore amico! » Si tappò la bocca un istante più tardi, come se il gesto avesse potuto in qualche modo attenuare la pesantezza di quelle frasi. Riportare a galla gli aspetti dell'omicidio di Walton Hart dinanzi al suo unico figlio, in effetti, non le era sembrata una mossa tanto appropriata, anzi!
« Scusami » tentò alla fine: « non volevo ».
Il ragazzo scosse la testa, accennando ad un sorriso goffo: « non ti preoccupare. So che razza di uomo è stato mio padre. Non c'è alcun bisogno di interrompere il discorso ogni volta che viene nominato ».
« Ma tu come ti senti? » Gli chiese Arya, sedendosi nuovamente accanto a lui: « parliamo sempre di come sto io, di come affronto io la situazione... ma di te, proprio nulla! Dimmi qualcosa, sfogati! »
Darren scosse impercettibilmente la testa – i suoi profondi occhi castani dicevano molto meno di quanto volesse il suo animo gentile. « Sai qual è la cosa? » Esordì con un tono di voce che non gli era mai appartenuto: « non gliene fregava niente di me! A lui importava solo del buon nome della famiglia Hart! Magari al mio ventunesimo compleanno mi avrebbe fatto trovare un bracciale impacchettato alla perfezione, mi avrebbe insegnato l'uso delle armi da fuoco... tutto per uccidere delle persone che lui non riteneva fossero giuste ».
Arya deglutì, rimanendo in silenzio e dandogli l'opportunità di continuare. Adesso che il nodo si era sciolto, non poteva rischiare che tutto tornasse come prima – nell'illusione di una normalità apparente.
« Quindi, sai cosa c'è? » Darren proseguì, il pugno destro serrato nell'altra mano: « a me non interessa più nulla di lui! Se avessimo aspettato ancora un po', sono certo che avrebbe tentato di uccidere anche me. E sai per cosa? Perché, a causa della mia maledizione, non sarei potuto diventare un Cacciatore come lui! – prima di continuare, fece un lungo respiro – ha fatto bene Oliver ad ucciderlo... se fosse toccato a me, lo avrei scuoiato vivo. Lo avrei fatto urlare di dolore ».
La ragazza non si azzardò a ribattere.
Darren le stava mentendo. Provava ancora qualcosa nei riguardi di Walton: lo odiava, come lei stessa odiava sua madre.
Ma a cosa avrebbe portato tutto quell'odio? Che razza di vita misera conduce un essere vivente che odia un suo simile, specialmente se quest'ultimo è morto?
Arya si morse il labbro inferiore, riflettendoci, poi iniziò: « ti ho mai raccontato di mia madre? Io la detestavo... si chiamava Morgause ed era una donna davvero bella. Nessuno avrebbe mai potuto pensare che nelle mura di casa era invece una persona orribile, che trattava la sua famiglia con cattiveria o, peggio, con indifferenza. Non so per quale motivo mio padre avesse scelto di sposarla... fatto sta che litigavano molto spesso a causa mia. Morgause mi odiava, e purtroppo non ne capirò mai la ragione. Forse avrebbe preferito un figlio maschio, o forse era solo pazza di suo. Quindi, una sera eravamo usciti tutti e tre insieme. Un futile tentativo di mio padre per cercare di avvicinarci. Non ricordo nemmeno dove eravamo diretti, forse volevamo andare a mangiare in un ristorante. Durante il tragitto, comunque, lei aveva preso ad insultarmi, ma in maniera più crudele rispetto a tutte le altre volte. Mio padre si alterò così tanto che iniziò anche lui ad insultarla, cosa che non si era mai permesso di fare prima di allora. Perse il controllo della macchina e precipitammo in un dirupo. Morirono così... senza che io potessi fare o dire niente ».
Darren inarcò le sopracciglia, come se non stesse capendo la ragione per la quale Arya avesse deciso di raccontargli quella storia.
« Ho odiato mia madre per tantissimi anni. Mi sono addirittura sentita sollevata alla notizia della sua morte, e sai una cosa? » Continuò, sorridendo: « me ne vergogno! Tutto quest'odio è inutile! A cosa ci porta? A stare male, ad auto-infliggerci dolore? Non dovremmo odiare chi ci ha fatto soffrire, non dovremmo permettere a queste persone di influire nel nostro presente. Si sono comportate così, okay... è il momento di lasciarle andare e di capire che non hanno più alcun effetto su di noi. Hanno vissuto in maniera terribile, ma le loro ombre non dovranno più pesare sulle nostre spalle. Noi possiamo essere migliori, non credi? »
Darren scelse di non proferire alcuna parola, la osservò soltanto con la coda degli occhi, chiedendosi probabilmente se quella che avesse accanto fosse davvero Arya Mason.
« Non credo di esserne pronto » tagliò corto alla fine: « ma sono contento che tu ti sia liberata di un peso! »
Arya arricciò il naso: « già, almeno uno! »
In quel preciso istante, la sua borsa iniziò a tremare sul pavimento ed una melodia assordante prese a riempire ogni angolo della stanza. La ragazza si alzò subito e andò a recuperare il suo telefonino.
« Era mia zia » disse non appena ebbe riagganciato.
« E cosa voleva? » Le chiese Darren, senza scomodarsi: « devi andare? »
Arya annuì, prendendo la borsa e sistemandosi i capelli: « purtroppo sì! Devo aiutarla a preparare delle cose per il matrimonio. Sai, mi ha scelta come sua damigella d'onore ».
« Va bene, ti accompagno alla porta! »
Scesero le scale in fretta, mano per mano e facendo attenzione affinché Abbey non li vedesse. Sul ciglio della porta d'ingresso, si scambiarono un bacio – uno di quelli che un regista, durante le riprese di un film, avrebbe chiesto di rifare per mancanza di pathos.
Darren notò questo aspetto e aggrottò la fronte: « tutto bene? »
Arya annuì ancora una volta: « sì, perché? Ho giusto un po' di fretta! »
« D'accordo » il ragazzo fece una smorfia: « ci vediamo presto, allora! »
« Sì, a presto! »
Come al suo solito, Arya dovette correre a perdifiato per raggiungere in tempo il locale in cui sua zia aveva chiesto di incontrarla. Era nel suo DNA presentarsi sempre tardi ad ogni genere di appuntamento: ormai, tutti la consideravano una ritardataria cronica!
Quando vide comparire in lontananza l'insegna del “Raven Pub”, il sole era già tramontato oltre l'orizzonte e l'aria gelida della sera soffiava imperterrita contro le finestre delle case e le vetrine dei negozi.
Arya si maledì per non aver portato con sé il suo giubbotto. Si affrettò dunque a raggiungere il locale, spinse la porta con attaccati cinque campanelli e si ritrovò ben presto in quell'ambiente sconosciuto, ma caldo e ben illuminato.
Il Raven aveva aperto da poco: si presentava come un posto tranquillo, accogliente e con ottimi camerieri. I tavoli erano tutti circolari – sui quali poggiavano un abat-jour, un cestino rosso con del pane e due menù – mentre le pareti si mostravano macchiate qua e là da pennellate veloci e di colori diversi.
La musica, specialmente di genere soft-rock, rendeva il tutto ancor più elegante: non era nemmeno così raro vedere dei clienti alzarsi e ballare, spensierati.
Un soppalco, inoltre, dominava l'atmosfera: lì sopra, seduta ad un tavolo, Arya poté notare sua zia Sarah parlare amabilmente con un'altra donna, bionda e formosa, che non aveva mai visto prima.
« Sta cercando un tavolo? » Le chiese all'improvviso una cameriera.
« No, la ringrazio! Ho un appuntamento con mia zia ».
Salì quindi le scale a chiocciola, giungendo così dinanzi al tavolo in cui sedeva Sarah.
« Ehilà! » Salutò scuotendo una mano e accertandosi che le sue occhiate verso quell'altra donna venissero prese in considerazione.
« Arya! Che piacere vederti! » Esclamò quest'ultima, alzandosi in piedi e andandola ad abbracciare.
« Certo... anche per me... » Arya fece una smorfia.
« Spero che tu ti ricordi! Sono Samantha! » Esclamò la donna, come se il suo nome fosse una garanzia: « una vecchia compagna di scuola e migliore amica di Troiettina! »
« Troiettina? » Ripeté Arya, sconvolta.
« Andavamo al liceo insieme! » Si decise ad intervenire Sarah, tra le mani aveva un cocktail sormontato da uno spicchio di arancia: « l'hai conosciuta quando eri piccola, non so se ti ricordi ».
« A dir la verità, no » Arya si fermò ad osservare la donna: era alta, appariscente e dalle curve invidiabili. Portava con eleganza una pettinatura alla Marilyn Monroe e per quella serata aveva scelto di indossare un completo nero che le arrivava a malapena alle ginocchia. « Ma sono comunque felice di conoscerti, Samantha! E di ritrovare invece te, Troiettina! »
« Tu non hai il permesso di chiamarmi in quella maniera » la minacciò Sarah, puntandole contro la cannuccia trasparente.
« D'accordo! » Arya inspirò, divertita: « allora, cosa ci facciamo qui? »
Samantha le diede una leggera gomitata alle coste: « non vedi l'ora di saperne di più, eh? » E poi rise così forte che tremò anche il tavolino.
« Dobbiamo parlare di due cose importanti! » Le annunciò subito Sarah.
« In realtà, tre! » La corresse l'altra: « se includiamo anche il tuo addio al nubilato ».
« Non so per quale motivo ma mi sento alquanto inadeguata per questa conversazione » Arya poggiò la borsa a terra e si tirò insù le maniche della felpa grigia.
« No, assolutamente! » La corresse Sarah, divertita: « tu sei uno dei punti principali di questa conversazione ».
La ragazza alzò un sopracciglio, scettica: cosa si sarebbe dovuta aspettare da quell'incontro?
« Allora, forza! Ditemi! »
Samantha prese la parola, schiarendosi la voce: « mancano pochissimi mesi al tuo compleanno, vero? Be', stavamo pensando di organizzarti qualcosa di fenomenale! Non diventi maggiorenne tutti i giorni, mia cara! »
Arya portò indietro la testa con un movimento veloce del collo: « no, assolutamente... che non vi salti in mente nulla, io non ho alcuna intenzione di festeggiare il mio compleanno. È una stupida convenzione! Non l'ho festeggiato per 17 anni, perché dovrei farlo adesso? »
« Perché diventi maggiorenne ed è un grande evento! » Esclamò Sarah: « dai, fallo per noi! Ci stavamo divertendo così tanto a pianificare tutto! »
La ragazza guardò il volto di sua zia e poi quello di Samantha: per quale dannato motivo non poteva avere una famiglia normale, pensò subito. Non le era mai piaciuto festeggiare il suo compleanno. Lo aveva fatto pochissime volte poiché non aveva mai amato mettersi in mostra ed essere l'attrazione del giorno.
Ma per una strana ragione, quella sera, qualcosa le diceva di accettare. D'altronde, le cose erano un tantino cambiate: adesso, aveva degli amici e tante persone con cui trascorrere dei bei momenti.
Inspirò, alzando le spalle rigide: « va bene, facciamolo! »
« Perfetto! Penserò a tutto io! » Esclamò Samantha, battendo il cinque sul pugno chiuso di Arya: « quanti spogliarellisti ti necessitano? »
« Cosa? Nemmeno uno! » Urlò lei, attirando l'attenzione verso di sé e provocando una fragorosa risata da parte della zia.
Trascorsero un'ora intera a parlare solamente della location, del numero degli invitati e delle attività che sarebbero state proposte. Arya avrebbe voluto lanciare il tavolino dal soppalco, ma distese i nervi e spiegò che avrebbe preferito qualcosa di molto più tranquillo.
Fu in questo modo che scelsero la loro stessa casa, un numero ristretto di invitati e attività semplici come il gioco dei mimi e Taboo.
« Sarà una palla infinita » annunciò Samantha, scuotendo la sua perfetta capigliatura bionda.
« Non disperare, Sam! » La confortò Sarah: « abbiamo ancora due mesi per farle cambiare idea »
Quindi, si passò al punto successivo: il matrimonio.
Mancavano pochissime settimane al grande evento e i due futuri coniugi non avrebbero potuto essere più entusiasti di così. La mattina, Frank era solito alzarsi dal letto e fischiettare melodie interminabili; inoltre aveva già ordinato da Internet il suo abito, ma non aveva mai permesso a Sarah di vederlo. Allo stesso modo, ella era sempre di buonumore: aveva persino rimosso la faccenda riguardante Walton Hart dai suoi pensieri, regalando a sua nipote molta più libertà e autonomia. Il rapporto che avevano avuto in passato si stava finalmente rimarginando...
All'improvviso, un rumore attirò l'attenzione di tutti.
Sarah si sporse dal soppalco: « niente di che! C'è un'ubriacona che sta facendo storie ».
« Mi chiedo come si faccia ad arrivare in questo stato alle otto della sera! » Commentò Samantha: « ridicola! »
Arya decise di non badare alla situazione che si stava sviluppando di sotto, vicino al bancone della cassa: prese quindi il suo cellulare e rispose ad un messaggio che le era stato inviato da un ragazzo con cui frequentava il corso di arte.
« Arya? » La chiamò la zia ad un tratto.
« Aspetta che finisco di scrivere una cosa » le rispose lei.
« No, davvero! Guarda! » Sarah le indicò un punto esatto del locale: « non è la nostra vicina quella lì? »
Allora Arya non poté più evitare la situazione e si affacciò dal soppalco, accorgendosi in questo modo che l'ubriacona di prima non era altri che Hazelle. « Oh, mio Dio! » Esclamò, le pupille dilatate: « vado a vedere cosa succede ».
« No, Arya! Aspetta! » Sarah la rincorse lungo gli scalini della scala a chiocciola, ed insieme giunsero dinanzi alla figura di Hazelle e di altri due camerieri.
Tutto il locale aveva gli occhi puntati verso di loro.
« Cosa sta succedendo qui? » Chiese Arya, lo sguardo concentrato su un'irriconoscibile Hazelle: aveva i capelli scompigliati, come se si fosse appena alzata dal letto, il vestito nero stropicciato e la carnagione pallida. Nelle mani, inoltre, teneva la sua solita fiaschetta d'argento.
« Oh, Arya Mason! » La chiamò lei, il tono di voce altalenante: « che ci fai tu qui? »
« Cos'hai fatto, Hazelle? Hai bevuto troppo? »
La strega scoppiò in una fragorosa risata: « concedimelo! D'altronde, l'origine dei miei problemi sei proprio tu ».
Arya sentì le orecchie andarle a fuoco ed intuì che tutto il locale adesso aveva gli occhi rivolti verso di lei. Ma che diamine stava dicendo?
« Andiamo via! » La prese da un braccio, con forza.
« Tu non mi porti da nessuna parte! » Hazelle si innervosì ancor di più.
Arya non l'aveva mai vista in quelle condizioni, e pregò affinché arrivasse una Beckah o una qualsiasi altra strega a riportarla a casa.
« Siete un branco di ignoranti! » Iniziò ad urlare la donna: « non vi accorgete di nulla! Rozendhel sta cadendo a pezzi e voi non state facendo niente! Siete un branco di stolti, ignoranti, cafoni, maleducati, opportunisti! E tu – disse, rivolgendosi ad Arya – prova ad avvicinarti ancora una volta a me, e giuro che ti spezzo le gambe ».
Arya scosse la testa, confusa. Dagli occhi di Hazelle non traspariva altro che odio. Eppure non credeva di averle fatto granché per procurarsi parole tanto amare.
Rimasero ad osservarsi, senza dire una parola. Si erano completamente estraniate dal locale: non sentivano più la musica, il sussurrio dei clienti... Erano da sole. Gli occhi dell'una dentro quelli dell'altra.
Arya non seppe per quanto tempo quel contatto visivo andò avanti, ma quando si decise a sbattere di nuovo le palpebre, notò una nuova figura accanto ad Hazelle: era Cassandra.
« Andiamocene via! » Esclamò quest'ultima, senza nemmeno far caso alla sua presenza.
« Dove la stai portando? » Le chiese lei, tornando in tempo presente.
« Altrove! » Rispose Cassandra, squadrandola dalla testa sino ai piedi: « forza, non c'è nulla da vedere qui! »
Dunque, le due donne presero a camminare sottobraccio verso l'uscita.
« Non ti devi più avvicinare a lei, intesi? È pericolosa! » Sussurrò Sarah, le labbra arricciate: « mi è sempre sembrata strana, ma non credevo che avesse un problema con l'alcool. Tu stai bene? »
Con lo sguardo rivolto ancora verso di loro, Arya annuì: « nemmeno io, a dir la verità ».
Poi, nel momento stesso in cui Hazelle varcò la soglia dell'uscita, un tavolo circolare prese fuoco ed i clienti, all'istante, scoppiarono in grida di terrore. Tra le fiamme, Arya studiò il volto di Hazelle: stava sorridendo.

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Capitolo 27
*** Capitolo 26: Un Natale rosso sangue ***


CAPITOLO 26:

 

Un Natale rosso sangue

 

 

Dopo quella sera, Hazelle sparì dalla circolazione – non tornò neppure nei giorni seguenti, risvegliando nell'animo dell'intera Congrega un certo senso di allarme e inquietudine.
Per un attimo Arya aveva persino creduto che se ne fosse tornata a Parigi e che, ancora una volta, le avesse abbandonate al loro destino – senza soldi e alcun tipo di protezione.
Ma non poteva certo trattarsi di una roba simile. Una persona impara sempre dai propri sbagli, giusto? Nell'arco di quelle lunghissime settimane, ella aveva dato prova di esser divenuta tutto fuorché un'irresponsabile!
No, non avrebbe mai lasciato Rozendhel; non ne avrebbe mai avuto il coraggio.
Perciò, in una gelida mattinata di Dicembre, spronata da questo fragile pensiero, Arya scelse di improvvisare un dialogo con Cassandra. Inutile sprecar fiato su quest'ultima che, come al solito, si mostrò alquanto scocciata dai continui interrogatori della giovane, restando in silenzio per tutta la durata dell'incontro.
« Hai finito? » Le aveva chiesto ad un certo punto, le labbra arricciate: « io non so che fine abbia fatto Hazelle. Non mi ha detto nulla ».
« Dai, Cassandra! » Arya aveva cercato in tutti i modi di spronarla a dir la verità, ma senza ottenere alcun risultato: « tu l'hai portata via dal Raven, sei stata l'ultima persona a vederla. Dimmi immediatamente cosa sai! »
« O altrimenti? »
« Senti, non stiamo giocando. Hazelle è sparita e, al momento, è anche piuttosto instabile. Dov'è? La stai aiutando a nascondersi, non è vero? Ogni notte, Beckah ti vede tornare a casa tardissimo... la vai a trovare da qualche parte? »
Trovandosi evidentemente alle strette, la donna aveva deciso di prendere tutte le sue cose e andarsene via. Arya, al contrario, era arrivata al limite della sopportazione, al punto di non saper più cos'altro inventarsi per poter risolvere la faccenda.
Giunse così la Vigilia di Natale, con tutte le sue sfumature di bianco ed un'apparente armonia. I cumuli di neve nascondevano infatti la realtà di tutti i giorni, presentando Rozendhel come la cittadina perfetta: la gente adesso sorrideva di più, trascorreva serenamente il proprio tempo in famiglia e vagabondava fino a tardi per cercare regali di ogni genere e stazza.
Ma, come al solito e come previsto, i membri della Congrega appartenevano ad un mondo a parte. Nessuno di loro si mostrava tanto entusiasta dall'arrivo di quel magico giorno: da quando era sparita Hazelle, Taissa non faceva altro che piangere, Bartek e Beckah si scontravano in continuazione, mentre Cinnamon osservava tutto a debita distanza.
All'ennesima sfuriata, Arya si lasciò cadere sul divano ed inviò un messaggio ad Oliver – intuendo subito che non avrebbe risposto, poiché troppo impegnato a trascorrere ogni attimo della sua vita insieme a Logan.
La ragazza sbuffò, cominciando a provare un importante sentimento di gelosia nei loro riguardi.
Chiuse gli occhi, il capo poggiato su un cuscino e rivolto al soffitto. Nonostante il chiasso che proveniva dall'altra stanza, non avrebbe compiuto alcuna fatica ad addormentarsi. Era così stanca; tutto le sembrava anormale, come se la presenza di Hazelle fosse l'unico elemento che riuscisse a tener insieme tutte quelle persone. Era una Congrega o un gruppo di individui messi lì a caso? Accennò ad un sorriso. Non le importava.
Tutt'a un tratto, con sua grande sorpresa, percepì una mano sfiorarle la spalla sinistra. Era un tocco delicato, attento e curioso.
« Cinnamon? Cosa c'è? » Le chiese Arya in cagnesco; rivolgersi male alle persone, senza neppure farlo apposta, era ormai una routine.
La strega dai capelli turchesi non sembrò farvi caso e le sorrise – una mano impegnata a rovistare all'interno della sua veste nera. Quando finalmente la tirò fuori, le mostrò un gessetto bianco.
« Mi vuoi dire qualcosa? » Arya inarcò le sopracciglia.
Cinnamon annuì e le fece segno di passarle la sua fedelissima lavagnetta, poggiata sul tavolino da tè, dinanzi a loro. Arya, quindi, si dovette sporgere un po' per prenderla e poi consegnargliela.
“Come ti senti?” Iniziò Cinnamon.
« Come mi sento? » Ripeté la giovane, quasi divertita: « stanca! E tu? »
Il palmo della mano strofinò la scritta precedente, poi il ticchettio del gesso tornò a farsi sentire: “vorrei essere felice”.
« Sì, anch'io » rispose Arya, mordendosi il labbro inferiore: « vorresti tornare al tuo Villaggio, non è vero? »
“Vorrei, ma non lo posso fare” Cinnamon continuò: “i demoni sono sempre più pericolosi ed io non conosco così tanti incantesimi”.
« Ma tu sei una strega dell'Impurità o una strega della Natura? »
La vecchietta sorrise, mostrando l'oscurità della sua bocca: “seguo il Credo dell'Impurità, concentrandomi perlopiù su pozioni e scrivendo Grimori”.
« E ti trovi bene in questa Congrega? » Le domandò Arya, curiosa di leggere la risposta.
Cinnamon scrollò le spalle e poi scrisse: “non c'è Congrega migliore di questa, grazie a te”.
Arya a quel punto non poté fare a meno di alzare un sopracciglio, diffidente: non credeva di aver fatto chissà cosa per essere tanto elogiata. Tentò comunque di ringraziarla, ma fu subito interrotta: “tu riuscirai a radunare le streghe dell'Impurità e della Natura. Da quel giorno in poi, si parlerà solo di streghe. Senza alcun tipo di distinzione”.
« Cosa ti fa dire tutto questo? » Arya iniziò a percepire dello scetticismo nelle sue stesse parole: « spiegati ».
Cinnamon abbassò gli occhi, convinta del fatto che se solo avesse instaurato un contatto visivo con la giovane, ella avrebbe di certo intuito tutto.
« Cinnamon » Arya le prese una mano, incerta: « anche tu detieni il potere della Vista? »
La donna agitò il capo e, subito, i capelli le divennero un mare in tempesta.
« A cosa ti stai riferendo? »
“Sei mai entrata nella camera di Hazelle?”
Arya inarcò la fronte: « una o due volte, non ricordo bene ».
“Hai notato il velo che nasconde il quadro?” Cinnamon si chinò in avanti, come se non vedesse l'ora di ascoltare la risposta.
Ma Arya la deluse: « purtroppo no. La sua camera è sempre chiusa con un incantesimo, è impossibile entrarci ».
“Peccato” scrisse l'altra strega: “però promettimi che un giorno lo farai”.
« Eccome se lo farò! » Arya si mise a braccia conserte: « però potremmo facilitare la cosa se solo me lo dicessi adesso. Tu l'hai visto, o sono io che ho capito male? »
Cinnamon tentò di sottrarsi a quella domanda: ora non sembrava aver più così tanta voglia di proseguire il discorso.
« Cinnamon » la rimproverò Arya: « dimmi cosa c'è dietro quel velo ».
La strega inspirò, la mano ferma attorno al gessetto: “non sono la persona adatta, scusami”.
Dunque si alzò, si sgranchì la schiena e fece per andarsene, quando dalla cima delle scale spuntò la figura di Taissa, più spaventata e fragile del solito.
« Che succede adesso? » Arya socchiuse le palpebre, stremata. Erano ormai trascorsi, e decisamente superati, i tempi in cui poteva svegliarsi la mattina con il buonumore e tornare a letto la sera con lo stesso identico sorriso smagliante.
Dalla cima delle scale, la ragazza non rispose; si limitò a guardarsi intorno con estrema cautela. Era ovvio che avesse ricevuto da poco una visione – ogniqualvolta che ne subiva una, rimaneva scioccata per giorni.
Arya la raggiunse un istante più tardi, scavalcando la figura di Cinnamon e lanciando a quest'ultima un'occhiata eloquente: dava l'impressione di essere anche lei all'oscuro di tutto.
« Taissa? » Iniziò Arya: « cos'hai visto? »
Taissa scosse il capo: « non lo so ».
« In che senso? » Domandò Arya, convinta di poter risolvere la faccenda anche senza interrompere la faida in cucina. « Sforzati un po' di più ».
Allora Taissa si portò una mano al petto, il respiro affannoso e le lacrime pronte a rigarle il viso.
« C'era un demone » disse con la voce rotta: « stava attaccando un ragazzo... il sangue era ovunque ».
« Hai riconosciuto il posto? » Arya si preparò ad intervenire: « era qui vicino? »
La giovane annuì lentamente, lo sguardo perso nel vuoto: « l'essenza del Fuoco Aureo si troverà in pericolo se lascerà questa casa. Se raggiungerà il parco, vedrà una cosa orribile ».
« Dimmi, chi è questo demone? » Un brivido le percorse la schiena nel momento esatto in cui vide comparire dinanzi a sé lo spettro di Castigo: « è una donna? »
Annuendo, Taissa le confermò l'ipotesi: « ucciderà, berrà sangue... non si fermerà mai ».
Arya tirò indietro la testa, inorridita. Cosa avrebbe dovuto fare? Il coraggio che l'aveva da sempre accompagnata, questa volta non sembrò donarle alcun tipo di sostegno. Era paralizzata.
Deglutì nervosamente, i pugni chiusi. Era consapevole del fatto che se solo si fosse presentata, Castigo l'avrebbe uccisa immediatamente... o peggio, torturata per giorni e giorni.
Soffocò un conato di vomito. Il battito cardiaco accelerato.
Non disse nulla neanche quando balzò giù dalle scale e s'indirizzò verso l'ingresso. Si precipitò fuori dalla porta, oltre il giardino e le inferriate che lo separavano dalla strada.
Che cosa stava facendo? Sentì una fitta dietro al collo: perché non aveva chiesto a Beckah di accompagnarla? Per quale motivo preferiva starsene da sola? Non si sentiva più parte della Congrega?
Inciampò sui suoi stessi passi, scivolando fortunatamente su di un soffice tappeto bianco.
Le strade di Rozendhel erano deserte, illuminate dalla luce artificiale dei lampioni che donava alla neve un aspetto insolito, ingiallito.
Arya si rialzò – le mancava il fiato, sentiva freddo e la gola aveva cominciato a pizzicarle. Per la fretta aveva persino scordato il cappotto sull'appendiabiti di Hazelle.
I morti non ne hanno bisogno, pensò.
Raggiunse così il quartiere del Sunny-Valley, chiedendosi immediatamente se non avesse agito con troppa impulsività. Aveva interpretato male la visione di Taissa: non era quello il posto in cui si sarebbe mostrata Castigo. Il viale, infatti, era percorso da tante piccole lampadine rosse e verdi; si presentava ben illuminato, con le saracinesche dei negozi abbassate e con una piccola scultura di neve innalzata accanto al forno degli Harris. Arya strizzò gli occhi e notò che doveva trattarsi di un pupazzo incompleto, senza bottoni per gli occhi ed una carota per delinearne il naso.
Si guardò intorno: non sembrava esserci nessuno nelle vicinanze.
Continuò dunque a camminare, raggiungendo il Sunny-Valley e sbirciando attraverso la recinzione serrata.
Ogni passo le costava un lieve tremolio: la neve le si insinuava negli scarponi, raggiungendo ben presto la pelle nuda delle caviglie. Annodò le braccia attorno al busto, abbassando la guardia.
Possibile che Taissa avesse sbagliato? Era già la terza circumnavigazione del parco che intraprendeva, eppure non aveva assistito a nulla di insolito.
Fu per questo motivo che esitò un po' prima di raggiungere il luogo da cui si era originato quell'orripilante grido di terrore. Esso aveva infranto la quiete, squarciato il silenzio... l'aveva riportata in tempo presente con qualche secondo di ritardo.
Arya, quindi, si sentì in dovere di tornare a correre – i pugni chiusi, pronti a richiamare la potenza del Fuoco Aureo.
Svoltò al primo vicolo, non vedendo altro che oscurità. Le luci dei lampioni e anche quelle natalizie si erano fulminate – era un oceano oscuro.
« Lux! »
Non appena si sentì nominata, la fiammella salì dal palmo di una sua mano e prese ad illuminare gran parte di quel vicolo.
Era stretto, circondato da pareti in mattoni e coperto da rifiuti misti.
La neve era scarlatta, gli schizzi di sangue erano finiti ovunque.
Arya inarcò le sopracciglia, sorpresa: non era Castigo... sembrava un demone qualsiasi. Esso si trovava chino su di un ragazzo, come se fosse in procinto di succhiargli il sangue.
« Lascialo stare! » Esclamò la giovane e, subito, si lanciò all'attacco: prese il demone per la veste e tentò di tirarlo indietro.
Nulla.
« Ho detto » Arya alzò il tono della voce, le mani incandescenti: « di lasciarlo! »
Ma a quel punto, tutto divenne irreale: il demone si voltò, digrignò i denti, Arya si ammutolì, cadde a terra, venne colpita, il suo sangue schizzò su tutti i mattoni.
Il ragazzo sembrava ormai morto: la sua carnagione aveva assunto quella sfumatura tipica dei cadaveri – non respirava più. Aveva lo sguardo rivolto verso la salvezza, la bocca semi-chiusa ed un arto mancante.
Arya si tastò il petto: le dita le si tinsero di rosso. Adesso sentiva nelle orecchie uno strano formicolio. Tentò di rimettersi in piedi. Il demone, invece, si preparò ad attaccare ancora.
« Basta » sussurrò lei, deglutendo: « ho detto basta! »
Arya vide la bestia lanciarsi di nuovo contro la sua figura. Prontamente, scelse di attaccare.
Il pugno lo colpì in pieno volto, facendolo ruzzolare a terra – tra i rifiuti e la neve insanguinata.
La ragazza si chinò su se stessa, le lacrime agli occhi.
Urlò nel vedere il cadavere di quello sconosciuto.
« Che cosa hai fatto? » Gridò ancora, rimettendosi in piedi a fatica: « CHE COSA HAI FATTO?! »
Il demone si tastò una guancia, accorgendosi del colpo che gli era stato inferto.
Dal mantello, gli cadde una fiaschetta. Iniziò a piangere, chiudendosi a riccio.
« Non mi toccare » sussurrò ad Arya non appena se la ritrovò accanto.
« No, è troppo facile! » Arya lo afferrò dai capelli e lo lanciò sul cadavere: « GUARDA! »
« Ti prego, no ».
« Devi guardare! » Arya cominciò a piangere, gettandosi a terra accanto ai rifiuti: « io sapevo che c'era qualcosa di strano! Io lo sapevo! »
Il demone scosse la testa, a tratti assente.
« Da quanto tempo va avanti questa storia? » Chiese Arya, la vista annebbiata. Era così nervosa e in collera che non le interessava affatto delle ferite: « rispondimi! »
Ma l'essere non la degnò di alcuna parola: tentò di ricomporsi sistemandosi i capelli, scrostandosi di dosso il sangue del ragazzo e accendendosi una sigaretta.
« Cassandra lo sapeva, non è vero? »
« Lo sapevi anche tu, se è per questo ».
Arya scoppiò in una risata priva di gioia: « tu mi avevi promesso che non l'avresti mai più fatto ».
« Io non prometto niente a nessuno » concluse il demone, il mento ancora macchiato di sangue.
« Smetti di fare la stupida! » La ragazza socchiuse gli occhi: « meriti di morire ».
« Lo so, ma sfortunatamente per te sono immortale ».
« Sei immortale solo perché continui a bere sangue umano » sussurrò Arya, gli occhi rivolti unicamente al cadavere. Egli era stato un ragazzo di bell'aspetto con i capelli biondi, gli occhi verdi, il fisico da quarterback.
Era la Vigilia di Natale... stava probabilmente tornando a casa, dalla sua famiglia... una famiglia che Arya immaginò a tavola, ad aspettarlo...
Abbassò lo sguardo e, poco prima di svenire, disse a bassa voce: « io ti odio, Hazelle ».

 

 

 

 

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Capitolo 28
*** Capitolo 27: L'ultimo segreto ***


CAPITOLO 27:

 

L'ultimo segreto

 

 

Quando riaprì gli occhi, Arya non si rese immediatamente conto di ciò che le era successo.
Tentò di compiere un banale movimento con il capo, percependo da subito una vigorosa fitta alla nuca. Bestemmiò a gran voce, confusa e disorientata.
Che cosa era accaduto? Perché si trovava lì?
Lanciò una rapida occhiata all'ambiente, evitando un qualsiasi sforzo da parte dei muscoli: alla sua destra trovò un comodino – delle bende sporche, un paio di forbici e la Chiave ne occupavano l'intera superficie – a sinistra, invece, notò dei pennelli ed un dipinto abbandonato a sé stesso, incompleto. Le costò un certo sforzo capirne il significato: una macchia grigiastra sembrava muoversi a tempo, secondo le note di una melodia sconosciuta. Era una ballerina – elegante, dai lineamenti aggraziati. Fluttuava nell'ombra di una sala – lo sguardo serio e impenetrabile. Arya a quel punto strizzò gli occhi, intuendo che ci fosse dell'altro da esaminare. L'oscurità che le aleggiava attorno, infatti, non era un semplice effetto, non era un qualcosa messo lì a caso; raffigurava una creatura orripilante, una delle più spaventose che ella avesse mai affrontato. Era un demone.
Involontariamente, si portò una mano alla bocca. Adesso ricordava tutto.
Hazelle era tornata a bere sangue umano; Hazelle aveva ucciso un ragazzo; Hazelle l'aveva attaccata.
Si scostò le coperte di dosso, ignorando il dolore che le si originava dal petto.
Gli unici indumenti che portava erano un reggiseno bianco ed un paio di mutandine rosa. Le bende, invece, le abbracciavano il dorso presentandosi sporche di sangue e tremendamente appiccicose.
Arya sbuffò, mettendosi in piedi: il posto in cui si trovava era scomodissimo, non riusciva nemmeno a stendere le gambe per quanto fosse basso il soffitto. L'arredamento si mostrava alquanto scialbo, con uno spazio minimo ed effetti personali pressoché inesistenti.
La ragazza intuì che si trattasse di una soffitta.
Con una mano stretta sul seno, si avvicinò quindi all'unica via di fuga che poté scorgere in quel mare realizzato in legno: una botola. Si chinò a fatica, afferrò l'anello d'oro e tirò più e più volte finché essa non si decise a collaborare, spalancandosi.
« Cavolo! » Esclamò alla fine – la testa le diede un severo ammonimento.
Non avrebbe dovuto sforzarsi in quel modo; avrebbe rischiato di cadere a terra, svenuta, con le ferite aperte.
Si asciugò la fronte con il palmo di una mano, affacciandosi dalla botola su quello che le parve un corridoio. Era ben illuminato, deserto, estremamente familiare. Arya capì tutto all'istante.
« Ti sei ripresa » disse qualcuno all'improvviso.
Arya inarcò la fronte: « Bartek? Sei tu? »
Il maggiordomo era in piedi, con il capo rivolto verso l'alto, nella sua direzione. Aveva i capelli più unti del solito, la barba lunga e con indosso un abito sgualcito, a tratti puzzolente.
« Perché mi avete portata qui sopra? Che razza di posto è? » Gli chiese la ragazza.
« Si tratta della stanza da letto della signorina Gray, non ricordi? » Bartek accennò ad un sorriso, probabilmente quella situazione lo divertiva non poco: « la signorina Taissa e la signora Cinnamon vivono qui sotto, nella stessa stanza, mentre... »
« ...Cassandra ha preso quella di Beckah » concluse Arya: « sì, ricordo ogni cosa. Adesso aiutami a scendere ».
Non fu un'impresa semplice calarsi giù da quel foro: la ragazza era tutta un sofferenza. Lasciò le gambe penzoloni per una decina di minuti – il tempo necessario affinché Bartek recuperasse una qualsiasi scala. Alla fine egli ne prese una dalla cantina, permettendole così di scendere con più comodità.
« Ma come mi avete portata lassù? » Domandò immediatamente, lo sguardo rivolto verso un impacciatissimo Bartek.
« Vuoi che ti porti una coperta... o un vestito qualsiasi? »
Fu allora che Arya realizzò di essere mezza nuda e, con la faccia tinta di rosso, disse: « sì, grazie ».
Si infilò dunque nella camera di Cinnamon e Taissa, aspettandosi di incontrare almeno una delle due. Aprì la porta lentamente e spinse l'interruttore della luce: le tende erano state tirate, le persiane erano chiuse. Il buio smise di divorare la stanza: i letti erano disfatti, spazzole e altri oggetti di uso quotidiano si trovavano a terra. Le ante dell'armadio erano già aperte e mostravano la confusione che ne regnava all'interno. Gli abiti che Arya recuperò dovevano appartenere di certo a Taissa: erano lunghi, attillati ed estremamente scomodi. Dovette accontentarsi di un maglione nero a maniche lunghe, con il girocollo stretto, ed una gonna grigia a balze. Sembrava fosse uscita da un film degli anni cinquanta, uno di quelli in bianco e nero che Darren avrebbe tanto amato.
Arricciò le labbra, afferrando così il pomello della porta. Non appena ebbe messo piede fuori dalla stanza, si imbatté in una nuova figura: non era Bartek e non era nemmeno Hazelle. Aveva i capelli simili ad una cascata dorata, gli occhi freddi e imperscrutabili. Era Cassandra.
« Dobbiamo parlare » le disse immediatamente.
Arya aggrottò le sopracciglia, sorpresa: « e perché te ne esci così solo adesso? »
« Perché ti ho riportata io qui dentro » ammise Cassandra, seria: « ho cercato di medicarti, ma la ferita era troppo profonda. Non ha avuto effetto nemmeno il mio incantesimo ».
Quelle parole stranirono la ragazza: era convinta del fatto che Cassandra la detestasse, che l'avesse odiata da sempre! Per questa ragione, non si sarebbe mai aspettata un comportamento simile nei suoi riguardi. Dalla bocca non le uscì alcun ringraziamento.
« Perché non ha avuto effetto? » Le domandò, le braccia incrociate: « pensavo che il “medicamentum” fosse una formula invincibile ».
« Lo è » affermò Cassandra, ancora sul ciglio della porta: « ma credo che Hazelle abbia utilizzato un incantesimo diverso dal solito. Devo vedere ».
Così, rientrarono nella camera e la strega le ordinò di sdraiarsi sul letto.
« Togliti la maglietta ».
Arya non sapeva per quale motivo le stesse obbedendo – non avevano mai stretto un legame, non avevano mai avuto alcun tipo di conversazione. Allora perché Cassandra non l'aveva lasciata lì? A morire? Facile da rispondere, come bere un bicchiere d'acqua. Anche in una cittadina del genere, infatti, piena di pericolosissimi demoni, tutti i sospetti sarebbero ricaduti su di lei. Arya si convinse del fatto che l'avesse salvata solo per scopi puramente egoistici.
La ferita aveva assunto uno strano colorito: era completamente nera, con i margini insanguinati. Le percorreva il busto, da una parte all'altra, orizzontalmente.
« Non so che tipo di ferita sia » ammise Cassandra: « non ho mai visto nulla del genere ».
« Pensi sia tanto grave? » Domandò Arya, tradendo la sua stessa preoccupazione con un tono instabile della voce.
« Sì » concluse subito l'altra: « ma devo chiedere ad Hazelle ».
« Hazelle? Dov'è? »
« Sta riposando nella sua stanza » disse la donna: « ma non puoi andarle a parlare. Non so in che modo potrebbe reagire ».
« Non me ne frega nulla di quello che pensi tu, Cassandra » tagliò corto Arya, rimettendosi in piedi e afferrando la maglietta di Taissa: « io adesso vado a parlarle, con o senza la tua approvazione ».
Cassandra la sfidò con lo sguardo: era simile a quello di una vipera, pronta a farla fuori.
« Va bene » disse alla fine, stupendo persino sé stessa probabilmente: « ma se questa volta ti farà fuori, lo giuro sull'intera Congrega, prenderò a calci il tuo cadavere così forte che nessuno potrà più riconoscerlo ».
Arya strinse i denti sia per il dolore che le procurava la ferita, sia per l'affermazione di Cassandra.
Si spinse oltre l'uscio della porta e s'indirizzò verso la stanza di Hazelle.
Questa volta sarebbe uscita da lì con l'intera verità tra le mani.
Bussò con le nocche della mano destra e, senza aspettare un qualsiasi permesso, si fece avanti.
La camera era identica al modo in cui l'aveva lasciata tanto tempo prima, con i suoi elegantissimi mobili in legno di quercia, i dipinti sulle pareti, il trespolo di Bartek...
Tra le lenzuola del letto a baldacchino riposava Hazelle, un occhio aperto e l'altro chiuso. Arya si domandò se fosse sveglia, o semplicemente viva.
« Arya! »
Sentendosi chiamare, la ragazza tornò in tempo presente – al suo capezzale, la donna aveva tre fanciulle, tutte diversissime tra loro: quella più vicina alla porta era biondissima, quella in mezzo, invece, aveva le mani sporche di tempera, e l'ultima era in lacrime.
« Ragazze! » Esclamò Arya, sorpresa: « che ci fate qui? »
Beckah intervenne subito: « non potevamo lasciare Hazelle in queste condizioni. Spero che il mio letto ti sia andato bene, l'hai trovato comodo? »
« Era comodissimo, grazie ».
« Anche tu avevi delle brutte ferite » riprese la giovane Gray: « ti abbiamo trasportato lassù con un incantesimo, giusto per non affaticarti ulteriormente ».
« Però vogliamo sapere una cosa » disse Quinn, il volto serio: « che razza di demone era? »
« Sì, esatto » continuò Taissa, ancora in lacrime: « dobbiamo annientarlo subito ».
Ascoltando il loro discorso, Arya non poté fare a meno di inarcare la fronte, spalancare gli occhi e rimanere allibita. Demone? Ma di che cosa stavano parlando?
« Chi vi ha detto tutto questo? » Chiese Arya, quasi retoricamente.
« Cassandra » risposero in coro, poi Beckah disse: « ci ha descritto la scena, il modo in cui vi ha attaccate... se ha ridotto così anche Hazelle, non oso immaginare che razza di potere abbia ».
« Ti ricordi com'era fatto? »
« In quale vicolo vi trovavate? »
« Ho saputo che il “medicamentum” non ha funzionato! »
Arya si trovò sul punto di esplodere: avrebbe sputato la verità da un momento all'altro.
Questa volta, i demoni non c'entravano nulla. Era Hazelle! Solo Hazelle! Era stata lei stessa a ridursi in quello stato, era stata lei a farle del male, ad uccidere un ragazzo.
Nessuno sapeva. Nessuno, in quella Congrega, ad eccezione di Cassandra, conosceva la verità. Hazelle aveva ripreso a bere, ed Arya la detestava.
« Uscite fuori » disse alla fine.
Beckah e Quinn si scambiarono un'occhiata, incredule.
« Ho detto » ripeté Arya, i pugni chiusi: « uscite fuori di qui. Subito ».
Le tre ragazze si mostrarono alquanto confuse – probabilmente non capivano il perché di tutta quella riservatezza e di tutta quella collera – ma fecero come era stato chiesto loro e si allontanarono dalla camera in un battibaleno. L'unica che tentennò fu Taissa – sembrava proprio che non volesse lasciarla nemmeno per un istante.
« Taissa, vattene » le disse Arya, in cagnesco: « non morirà! Sta' tranquilla! »
E così, le afferrò un braccio e la sbatté fuori – accertandosi che la porta fosse stata serrata correttamente.
Ora, Arya ed Hazelle si trovavano da sole: l'una di fronte all'altra.
« Svegliati! » Esclamò la ragazza, le braccia incrociate dinanzi al petto dolorante.
Ma la strega non ebbe alcuna reazione, si limitò a mugugnare qualcosa nel sonno.
« 'Dio, non ci posso credere » si avvicinò alle lenzuola, gliele tirò giù e poi prese a schiaffeggiarla.
Hazelle, a quel punto, non poté fare a meno di prenderla a parolacce. Stava solamente fingendo di dormire.
« Ma che razza di modi sono? » Esclamò, passandosi una mano tra i capelli biondi.
« Buongiorno! » La salutò Arya, rimanendo in piedi al suo capezzale: « hai dormito bene? Dopo uno scontro del genere, penso ci voglia proprio una bella dormita! Che demone abbiamo affrontato? Io non ne ho la minima idea! »
Hazelle rimase in silenzio, lo sguardo perso nel vuoto: « demone? » Ripeté, incredula: « non c'era nessun demone ieri sera ».
« E allora vallo a dire a Cassandra! Per colpa sua, l'intera Congrega pensa che siamo state attaccate da un mostro invincibile ».
Udendo quelle parole, la strega si concesse una lunga risata.
Arya si innervosì ancor di più: « cosa c'è di tanto divertente in questo? Spiegamelo, perché io proprio non lo so ».
« È esilarante pensare al fatto che un demone possa mettermi in difficoltà! » Esclamò lei, scuotendo la testa: « se quelle ragazzine mi conoscessero, intuirebbero subito che Cassandra non ha fatto altro che inventare una storiellina ».
« Solo per coprirti le spalle » la interruppe Arya: « sei tornata a bere sangue umano, Hazelle? Questa è la terza volta che ti capita nella tua vita. Me l'hai raccontato tu tanto tempo fa, ricordi? »
Hazelle smise di ridere e abbassò gli occhi sulla sua lunga veste nera.
Arya sapeva di aver fatto centro; questa volta, si sarebbe fatta raccontare tutto.
« Non ti sfugge mai niente, eh » la canzonò la strega: alla luce del giorno, il suo sguardo appariva stranamente stanco – le occhiaie la divoravano, le rughe le si increspavano sulla fronte ogni volta che decideva di aprir bocca. Se non fosse stato per il suo caso, Arya avrebbe di certo creduto che fosse un'anziana qualunque in procinto di conoscere lo spettro della morte.
« Sei tornata a bere sangue umano perché ti senti debole? » Le chiese all'improvviso.
Hazelle annuì: « ebbene sì. Mi sentivo tremendamente stanca, distrutta... non avevo le forze per far nulla. Stavo invecchiando, ero depressa ed arrabbiata. Se non l'avessi fatto, è probabile che io sarei morta. L'immortalità ti costa un caro prezzo, signorina Mason ».
« Quando hai iniziato? » La spronò Arya, ancora in piedi.
« Vuoi sapere davvero tutta la storia? » Hazelle strizzò gli occhi, come se volesse spaventarla.
La ragazza le fece un cenno con il capo: « dimmi tutto ».
Il silenzio allora le inghiottì per una buona manciata di minuti. Nel frattempo, il vento aveva preso a soffiare contro la finestra, mentre i raggi solari si erano fatti strada attraverso le tende – chinandosi sul pavimento e dinanzi alla porta.
Era la mattina di Natale, ma nessuno in quella casa sembrava esserselo ricordato.
Arya inspirò profondamente, volgendo lo sguardo dietro di sé: il quadro taceva ancora dietro al velo.
« Ti ho raccontato la mia vita a grandi linee, giusto? » Iniziò Hazelle: « per queste cose, mi servirà una sigaretta. Passami la borsa ».
La ragazza tirò gli occhi al cielo, ma fece come le era stato detto: si abbassò con cautela, recuperò la borsa in pelle da sotto al letto e gliela consegnò tra le braccia.
A quel punto, con un accendino e una sigaretta a disposizione, la strega sorrise: « ti ho già detto dove sono nata, il cattivo rapporto che avevo con i miei genitori, la fine che gli ho fatto fare e tutto il girotondo che ho compiuto vagando tra Salem e Rozendhel ».
« Mi ricordo anche di Zehelena, del fatto che tu ne fossi innamorata » la interruppe Arya, ancora una volta.
« Esattamente » Hazelle continuò: « la prima volta che bevvi del sangue umano fu per ottenere l'immortalità, la seconda volta è stata quando ho perso Zehelena e la terza, ovvero la più recente, è stata per un motivo analogo. L'estate scorsa, non so se ricordi, sono stata via per molto tempo. Ho passato tre lunghissimi mesi a girare per il mondo, dovevo trovarla ».
« Intendi Cassandra? » Domandò la ragazza, curiosa.
« No » Hazelle schioccò le labbra: « volevo trovare Zehelena ».
« Cosa? Ma è impossibile! È vissuta tantissimi secoli fa! Sebbene fosse la strega più potente del mondo, non credo che lei abbia ottenuto la vita eterna ».
« Grazie per questa sorta di riepilogo » la strega iniziò a giocherellare con l'accendino, muovendolo ripetutamente tra l'indice ed il pollice di una mano: « ma avevo fatto un sogno strano, l'avevo vista ancora una volta sulle Scogliere di Moher... pensavo che se solo fossi andata lì, l'avrei ritrovata. D'altronde, quello era il suo posto preferito. Quello è stato il posto in cui ci siamo dette addio ».
In quel preciso istante, anche ad Arya tornò in mente un sogno – uno di quelli che la sua mente era solita ripetere più e più volte nell'arco di uno stesso mese. In quelle occasioni, si era trovata proprio sulle Scogliere di Moher... a dire addio proprio a lei, ad Hazelle...
« Hazelle » cominciò lei, titubante: « devo dirti una cosa... anch'io ho fatto lo stesso sogno. Anch'io ho visto Zehelena sulle Scogliere di Moher... mi trovavo ad essere lei nel momento in cui ti diceva addio ».
Per poco la strega non diede fuoco all'intera abitazione: la sigaretta le cadde di mano, finendo sulle lenzuola del letto a baldacchino. Immediatamente, Arya si curò di spegnerla.
« Che cosa? » Domandò Hazelle, gli occhi fissi su di lei. « Tu hai visto cosa? »
« Quello che ti ho detto » Arya deglutì, convincendosi dell'impossibile: « non è un caso, Hazelle... e se fosse davvero ancora viva? »
« Devo tornare lì » la strega fece per alzarsi: « questo è un segno! Questo significa che ci sta comunicando qualcosa! Lei si trova ancora lì! »
« Piano, Hazelle » Arya le fece segno di sdraiarsi nuovamente: « siamo dall'altra parte del mondo! Come pensi di raggiungere l'Irlanda? »
« Con l'aereo, o con le piume di Bartek! » Esclamò lei, convinta: « la scorsa estate, ho vagato per tutta l'Europa. Ho chiesto persino a Cassandra di accompagnarmi... poi, però, alla fine, ho realizzato che era inutile! Non l'avrei mai più trovata! È per questo motivo che sto bevendo sangue umano, lo ammetto. Sono persa nella disperazione. Non voglio un'eternità così misera! »
Arya rimase immobile, quasi impassibile. Il guscio che la distanziava da Hazelle mostrava tutto il contrario di ciò che stava provando internamente: non avrebbe mai immaginato nulla del genere, non avrebbe mai pensato che quella donna fosse tanto importante per lei.
« Ho capito cosa si nasconde oltre il velo » sussurrò alla fine, attirando comunque l'attenzione di Hazelle: « tu hai un suo ritratto lì dietro, e vuoi tenerlo soltanto per te ».
« Bravissima » la strega annuì, gli occhi di ghiaccio: « e mai nessun altro lo vedrà ».
« Ovvio » Arya alzò le mani, in segno di resa: « te lo prometto ».
« Verrai con me, Arya? » Le chiese all'improvviso: « mi accompagnerai sulle Scogliere di Moher? »
Il silenzio tornò ad avvolgerle, ma era nettamente diverso da quello di prima. Era un silenzio speciale, magico, che si spense solamente quando la giovane annuì: « subito dopo il matrimonio di Sarah e Frank, ti ci porterò. Ma anche tu devi promettermi una cosa ».
Hazelle inarcò la fronte, sorpresa.
« Devi promettermi che non berrai mai più del sangue umano. Devi promettermi che non cadrai in depressione se non la troveremo... non ti sarà consentito bere sangue umano nemmeno in quella circostanza. Chiaro? »
« Chiaro » rispose Hazelle, secca: « abbiamo un accordo ».
Arya rimase a vegliare su di lei per tutta la mattinata, venendo a conoscenza del fatto che tutte quelle persone che ogni giorno venivano trovate morte in città erano state sue vittime. Era da quando aveva fatto ritorno che uccideva e beveva sangue. Arya inspirò profondamente – chissà se un giorno l'avrebbe mai perdonata...
Hazelle si addormentò verso le tredici, la bocca semi-aperta ed il respiro pesante. Non sapeva ancora nulla del colpo che aveva inferto alla ragazza – quest'ultima aveva scelto di non tirarlo fuori, almeno per il momento non voleva dare ulteriori rogne alla sua Precettrice.
Si alzò dal letto, sul quale si era poggiata precedentemente, e fece per raggiungere la porta.
Il velo le si presentava a pochi centimetri di distanza.
Era lì, inerme.
Nessuno lo avrebbe mai saputo...
Diede un'ultima occhiata ad Hazelle. Dormiva. Aveva completamente abbassato la guardia.
Dunque, si avvicinò – la mano protesa in avanti.
Il velo le si presentò scivoloso al tatto, era stato realizzato con un tessuto particolare.
Arya prese un lungo respiro e infine lo tirò via, in silenzio.
Lo specchio, dalla cornice dorata, rifletté immediatamente la sua figura: i capelli color rosso ciliegia, gli occhi verdissimi, la carnagione color pesca. Arya inarcò le sopracciglia: perché tanto trambusto per uno specchio?
Si portò una ciocca dietro all'orecchio sinistro, ma lo specchio non ricambiò il movimento.
Quindi, un brivido sconosciuto le percorse la schiena.
Non era il riflesso di uno specchio. Era un ritratto.
Arya lo analizzò con più attenzione, le dita tremanti: la figura aveva i suoi stessi capelli, i suoi stessi occhi, ma lo sguardo era fiero e sembrava portare indosso un'armatura argentata.
Dietro di lei, si estendeva una radura.
La ragazza soffocò un grido.
Zehelena era identica a lei.

 

 

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Capitolo 29
*** Capitolo 28: Sete di sangue ***


CAPITOLO 28:

 

Sete di sangue

 

 

« Cinnamon! » Arya si catapultò giù per le scale: « Cinnamon, dove sei? »
Inciampò sui suoi stessi passi, ruzzolando sino al piano inferiore. La ferita le diede l'ultimo ammonimento e, in un attimo, la benda che le avvolgeva il busto tornò a macchiarsi di quel liquido scarlatto, ormai più che familiare ai suoi occhi.

Tossì forte, tentando di rimanere vigile. La stanza in cui si trovava era il trionfo della confusione: tremava e ruotava su sé stessa – era così inarrestabile che la ragazza dovette aggrapparsi con le unghie al pavimento. Serrò le palpebre, lottando contro il senso di nausea.
Qualcuno gridò il suo nome, ma ella scelse di non rispondere. Rimase in quella posizione per centinaia di anni, o almeno fu quello che immaginò. Esausta, levò le unghie dal parquet e rilassò i muscoli – cedendo in seguito all'oscurità.
Trascorsero circa tre ore prima che la ragazza si ridestò, la testa dolorante e la vista annebbiata.
L'unica certezza che poté ottenere al momento fu quella riguardante il posto: si trovava sdraiata su un letto, il piumone le copriva a malapena le gambe.
Quindi si strofinò il viso con tutte e due le mani, rendendosi conto della presenza di Darren, Oliver e Logan. Tentò di ricomporsi, inutilmente – era semi-nuda un'altra volta, con i capelli scompigliati e l'aspetto terribile.
« Ci hanno detto tutto » tagliò corto Darren, a braccia incrociate nel bel mezzo della stanza: « siamo arrivati poco prima che tu svenissi. Poi, Beckah ha iniziato a prendere a parolacce Bartek... ».
« ...e l'ha costretto a raccontarci l'intera storia » concluse Oliver, lo sguardo serio: « sappiamo che Hazelle ha ottenuto questa sua specie di immortalità bevendo sangue umano e che tu lo sapevi da parecchio tempo, ma non ci hai mai detto nulla ».
« Bel modo di risvegliarmi » Arya scosse la testa, nervosa: « vi pare giusto tutto questo? Dov'è Cinnamon? Devo parlarle ».
« Ascolta » Darren strinse i denti, fisicamente e mentalmente stanco: « se avessimo saputo di Hazelle in tempo, a quest'ora non ci sarebbero state tutte quelle morti ».
« Ma ti pare che io ne sapevo qualcosa? Credevi che io sapessi che Hazelle andava in giro per Rozendhel ad uccidere persone innocenti e bere il loro sangue? » Arya alzò la voce: « mi aveva riferito che non l'avrebbe mai più fatto. Era un'abitudine del passato che, a detta sua, era stata superata ».
« Sì, ma sapendo che lei è una tizia che beve sangue » Darren proseguì, calmo: « e che ultimamente ci sono stati dei casi in cui sono state ritrovate persone letteralmente prosciugate... »
« Non venirmi a fare questo discorso! » Lo interruppe lei: « viviamo in una cittadina del cavolo, con demoni ovunque! Ti pare che io avrei sospettato subito di Hazelle? »
« Se ce lo avessi detto in tempo » ripeté Darren: « a qualcuno sarebbe venuto in mente, per forza ».
« Ma non è venuto in mente nemmeno a Cassandra o a Bartek! » Esclamò Arya, auto-convincendo se stessa di quello che aveva appena detto: « che razza di discorso è? »
« Sì, ma... » tentò di nuovo Darren, voltandosi in direzione dell'unica finestra presente.
« No, non accetto questa critica » disse Arya, le sopracciglia inarcate: « forse stai cercando di buttare addosso a me qualcosa per cui tu ti senti il responsabile? »
Oliver sgranò gli occhi – probabilmente non riusciva a credere a ciò che stava per dire la sua migliore amica.
« Che cosa intendi? » La spronò Darren, sorpreso.
« Magari sei stato tu a non accorgerti di quanto fosse schifoso tuo padre e di quanta gente ha ucciso sotto al tuo naso » Arya sputò veleno: « non venirmi a fare la predica adesso. Ho altri problemi per la testa ».
Nella stanza di Taissa, la tensione era divenuta ormai palpabile.
Darren scelse di non replicare, si limitò solamente a scuotere la testa – infastidito, forse anche incredulo. Si avvicinò alla porta, tirò la maniglia e la sbatté così forte che i cardini per poco non cedettero.
Arya deglutì, fissando Oliver e Logan: « lui che cosa ci fa qua? »
Il ragazzo, che era stato in silenzio fino a quel momento, esordì con un timido: « se volete che me ne vada... »
« Sì » esclamò Arya, infischiandosene altamente del dolore che le stava provocando la ferita: « credo proprio che tu te ne debba andare ».
« Se sei incazzata con il mondo, va bene » Oliver prese la parola in difesa di Logan: « ma non accetto che tu gli parli così ».
Arya sfidò lo sguardo del suo migliore amico. Sembrava non esservi più alcuna traccia del loro vecchio rapporto: « d'accordo ».
Logan lanciò un'occhiata ad Oliver: i loro sguardi si intesero subito, parlavano una lingua silenziosa e curiosamente complice. Così, dopo pochi istanti, il ragazzo si avvicinò alla porta e uscì fuori dalla stanza.
« Il rapporto che hai con Logan mi sorprende » commentò Arya, la fronte aggrottata: « non ti avevo mai visto trascorrere così tanto tempo con una persona che non fossi io ».
« Sai, le persone cambiano » Oliver si avvicinò al letto: « me lo stai dimostrando anche tu in questo preciso istante. Cosa è successo alla vecchia Arya? Chi ti ha ridotto così? »
« Così come? »
« Sei diversa, scontrosa... in passato, non avresti mai trattato Darren in quella maniera » il ragazzo fece una pausa e si mise a sedere accanto a lei: « questa città cambia la gente, la rende terribile. Vorrei risvegliarmi e tornare ad un anno e mezzo fa, quando tutto andava bene e tu mi costringevi ad andare al cinema a vedere lungometraggi francesi. Non avrei dovuto portarti in quel mercatino dell'usato ».
« La Chiave sarebbe venuta da me in ogni caso » ripeté Arya, più a sé stessa che ad altri.
« Già, hai ragione ».
Rimasero in silenzio, scrutandosi l'uno l'altro con occhiate che tradivano dolore ed inadeguatezza. Arya studiò l'aspetto di Oliver: era più alto, si era fatto crescere il pizzetto e indossava abiti diversi da quelli che era solito sfoggiare un tempo – portava infatti una camicia elegante abbottonata sino al collo, un pantalone color kaki e, ai piedi, un paio di scarponi da neve.
Immaginò che anche lui stesse facendo lo stesso. Se quello fosse stato un gioco, chissà chi avrebbe vinto e chissà chi avrebbe azzeccato tutte le differenze che distinguevano il passato dal presente.
« Ti fa male? » Domandò Oliver ad un certo punto: « ha un aspetto orribile ».
« Lo so » Arya tentò di coprirsi la ferita con le sue stesse braccia: « Hazelle ha dato di matto e adesso non mi rimane più così tanto tempo da vivere ».
« Smetti di fare la stupida » il ragazzo scosse la testa, alquanto divertito: « dimmi, piuttosto, per quale ragione ti sei lanciata giù dalle scale? È successo qualcosa nella stanza di Hazelle, non è vero? »
Arya rimase impassibile: « no, avevo giusto un po' di fame... non ho visto un gradino e sono precipitata ».
Dopo tutti quei mesi passati a raccontare fandonie alla sua famiglia e a mezza popolazione di Rozendhel, mentire era divenuta una delle sue abilità migliori – si era trasformata in una bugiarda perfetta, senza nemmeno accorgersene o volerlo. Continuò quindi a scrutare Oliver nel profondo, senza aggiungere altro.
« Non puoi prendermi in giro, tappa-piatta » il giovane la canzonò: « ti conosco da troppo tempo ormai! »
« Ti sto dicendo la verità! Perché dovrei mentirti? »
« Perché l'hai fatto, lo fai e continuerai a farlo se Hazelle te lo chiederà ».
« Che cosa stai insinuando? Io non sono agli ordini di quella vecchia ».
Oliver si lasciò scappare una risata: « ma smettila! È chiaro a tutti che il vostro rapporto di amore-odio non è altro che una farsa. Vi dimostrate affetto odiandovi a vicenda! È da quando vi ho viste insieme per la prima volta che penso che voi siate in realtà anime affini ».
Arya rifletté su quelle ultime parole, innervosendosi: « adesso sei tu che racconti baggianate. Esci fuori da questa stanza, non voglio più proseguire il discorso ».
« Non me ne voglio andare! »
« Vattene, davvero » insistette lei, volgendo gli occhi al soffitto: « mi sono stancata ».
Per un istante, le parve di scorgere un sorriso aprirsi sul volto del ragazzo. Cosa c'era da ridere in tutto quello che gli aveva appena detto? Non capiva. Oliver, allora, si alzò dal letto e si preparò a raggiungere la porta: « d'accordo, come vuoi tu. Ma ricorda una cosa... oggi è Natale ».
Arya si accigliò: « e quindi? Auguri, vattene ».
« Se non fossimo migliori amici, ti manderei a quel paese e me ne andrei » il ragazzo proseguì, inginocchiandosi e raccogliendo da terra una borsa a tracolla: « ma, sfortunatamente per te, capisco come ti senti... capisco la tua collera verso il mondo, verso la tua vita e verso te stessa. Sai, ci sono passato anch'io! Quindi non puoi fregarmi, Arya Mason. Prendi » e così le porse un pacchetto, incartato alla bell'e meglio.
La ragazza esitò per un istante, poi lo accettò – accennando ad un sorriso. « Ti odio, Oliver ».
« Io ti odio di più! »
Sfilò dunque il nastro che avvolgeva il pacchetto e tirò via la carta: era una cornice di legno, rettangolare, con una fotografia al suo interno. Essa ritraeva due bambini, sorridenti e con il braccio dell'uno avvolto dietro il collo dell'altra. Il primo indossava un maglioncino giallo ed un paio di jeans neri, la bimba portava invece una salopette e si mostrava tutt'altro che interessata allo scatto – tra le mani era possibile scorgere il cartoncino di un succo all'ace.
Arya si morse il labbro inferiore, cacciando le lacrime all'indietro: « mi piace troppo ».
« Sì? » Oliver sorrise, rimettendosi a sedere sul letto: « avevamo nove o dieci anni, non ricordo bene. La foto è stata scattata da mia madre... l'ho ritrovata giusto qualche giorno fa in un suo vecchio album ».
« Neanche me la ricordavo » sussurrò Arya, commossa: « sei stato gentilissimo... ed io, invece, mi mostro come la solita pezzente! Avevo completamente rimosso il fatto che oggi fosse Natale ».
« Ed io che speravo nella nuova console da quattrocento dollari! »
« Idiota! » La ragazza si protese in avanti e lo avvolse in un abbraccio – in quello che sperò fosse l'abbraccio più sincero che egli avesse mai ricevuto da parte sua. Si snodarono solamente una manciata di minuti dopo, nel momento esatto in cui provenne dal piano sottostante un rumore di vetri infranti.
« Ti lascio riposare » Oliver si alzò in piedi, raccolse la borsa e fece per afferrare la maniglia: « mi raccomando, non affaticarti ».
« Non lo farò » Arya si portò una ciocca dei suoi lunghi capelli rossi dietro un orecchio: « promesso ».
Ma prima ancora che il ragazzo potesse dire o fare qualcosa, un ennesimo rumore scoppiò all'interno della villetta – presentandosi molto più vicino di quello precedente.
Arya ebbe un sussulto: cosa stava accadendo?
Fece in tempo a lanciare un'ultima occhiata al suo migliore amico, scoprendolo esterrefatto e impaurito quanto lei. Tentò di dirgli qualcosa, ma l'esplosione successiva oscurò ogni altro suono, disintegrando la porta e scaraventando a terra il ragazzo.
Arya si mise in piedi a fatica: « OLIVER? »
« Sto bene, sto bene » rispose subito lui, confuso: « ma che diamine è successo? »
« Cos'è successo? Chiediti piuttosto cosa succederà ora » una figura attraversò l'uscio della porta, scalza e piena d'ira: « Arya Mason morirà, e nessuno potrà salvarla ».
« Hazelle? » Arya strizzò gli occhi, come se in questo modo riuscisse a vederla meglio.
Hazelle le ricambiò lo sguardo: aveva un aspetto terribile, il peggiore che avesse mai sfoggiato in tutti quei mesi. Le sue labbra secche erano bagnate d'odio, le mani le tremavano, faceva persino fatica a reggersi in piedi: « mi avevi fatto una promessa » disse in un sussurro: « COME HAI OSATO PRENDERMI IN GIRO, STUPIDA PUTTANELLA? »
Così, guidata da un vento ignoto, la ragazza finì contro una parete – restando attaccata ad essa, immobile e sospesa nell'aria.
« Lasciami! » Esclamò, rendendosi conto che forze sconosciute stavano persino tentando di soffocarla: « lasciami! »
« Oh, no... povera cara » Hazelle alzò la mano sinistra, agitando le dita: « hai voluto guardare dietro al velo? Adesso avrai la punizione che meriti ».
« Lasciala stare! » Oliver si alzò da terra e, con immenso coraggio, le diede una spinta così forte da farle perdere l'equilibrio e la presa su Arya. La ragazza precipitò nuovamente a terra, il respiro affannoso.
« Come hai osato, lurido umano? » Hazelle scosse la testa, avvicinandosi alla sua figura: « anche tu avrai la punizione che meriti! »
« Non ti devi azzardare! » Arya si alzò in piedi e si interpose tra i due, sconvolta non appena vide la strega arrestarsi dinanzi ai suoi occhi. Aveva funzionato? Era riuscita a calmarla? Possibile che Hazelle le avesse dato ascolto?
No. Sarebbe stato troppo facile. Troppo normale.
La strega inarcò le sopracciglia, un sorriso privo di gioia impresso tra le rughe. « Questo odore... » sibilò: « questo odore non mi è nuovo ».
La situazione stava per degenerare e, purtroppo, la giovane Mason ebbe la sfortuna di intuirlo con un istante di ritardo – un istante che le costò davvero caro. Si ritrovò a mezz'aria ancora una volta, immobile. Riuscì solamente a scostare la testa di qualche grado, rendendosi conto di ciò che Hazelle stava per compiere.
I pantaloni di Oliver si erano lacerati all'altezza di un polpaccio, mostrando una piccola ferita sulla pelle – causata probabilmente da una scheggia di legno volata poco dopo la prima esplosione.
Hazelle lo gettò a terra – proprio come se fosse un pupazzo – poi lo immobilizzò con un altro incantesimo e prese a tastare la sua gamba. Ritirò la mano solamente quando la ritenne macchiata a sufficienza: « è una droga, ne sono consapevole » disse a bassa voce: « ma non posso proprio farne a meno ». Tirò fuori la lingua, passandola dapprima sulla punta delle sue dita e poi su tutto il palmo. Ridacchiò non appena ebbe finito: « stai a guardare, Mason ». La donna si lanciò dunque sulla figura del ragazzo – incapace di reagire. Gli tirò via la camicia in una pioggia di bottoni, conficcandogli i denti su una spalla, poi su un pettorale, su un braccio... ovunque. Egli ululò dal dolore, mentre Arya notò il liquido scarlatto schizzare sul pavimento e macchiare i mobili della camera: « FERMATI, HAZELLE! FERMATI! »
Hazelle si voltò nella sua direzione, il volto completamente zuppo: « dopo toccherà a te! »
« Mi fai schifo! » La ragazza sentì l'essenza del Fuoco Aureo scorrerle nelle vene: « non puoi prendertela con un essere umano! Affronta qualcuno che possa reagire! »
Senza nemmeno sapere in che modo, riuscì a districarsi dall'incantesimo: precipitò a terra, afferrò Hazelle dai capelli e la trascinò contro le sbarre del letto.
« Tu mi fai schifo! » Ripeté, scandendo ogni parola con un pugno: adesso, il volto di Hazelle era un trionfo di sangue – il suo e quello di Oliver.
« Prova a rifarlo! » Hazelle la afferrò per un braccio e la fece schiantare contro i vetri della finestra.
Arya urlò dal dolore non appena ebbe raggiunto il cortile – lo strato di neve aveva attutito di poco la caduta.
« Vuoi morire oggi, Arya Mason? » Gridò la strega, affacciata da lassù in cima.
« Vieni qui e finiamola! » Arya aveva la vista annebbiata – il petto era nuovamente coperto di sangue.
Hazelle non se lo fece ripetere due volte e, con estrema leggiadria, scese in cortile.
« Fragor! » Esclamò la giovane, ma Hazelle le rimandò indietro la fattura ed ella scoppiò come un petardo nella neve.
« Non puoi sconfiggermi, stupida ragazzina! » Hazelle la sollevò da terra con un altro incantesimo: « corde invisibili ti legheranno da capo a piedi. Morirai come un maiale... e con i tuoi brandelli di carne ci cenerò stasera ».
Arya sentì l'organismo andarle a fuoco: non riusciva a respirare, non riusciva neanche più a coordinare un movimento.
« Ti senti in trappola, non è vero? » Continuava a ripeterle Hazelle, sghignazzando.
« Tu... non... riuscirai a vincere... » Arya strinse i denti, il sangue le colò su un occhio.
Doveva farcela. Doveva riuscire a liberarsi.
Fletté un dito indice con estrema difficoltà, volgendolo verso la donna.
Sarebbe stata la sua mossa decisiva: o quella o la morte.
« Incendio » sussurrò e, immediatamente, una fiamma dorata volò in direzione di Hazelle e le oltrepassò il petto. La donna scoppiò in grida di dolore e le corde svanirono nell'esatto modo in cui erano apparse: Arya precipitò sulla neve.
« Come hai fatto? » Strepitò la strega e, con l'intento di ucciderla, disse: « Nox Mordre! »
L'incantesimo Mortale sfiorò la ragazza: « Incendio! »
Fulmini dorati e fulmini neri si scontrarono per eterni istanti.
Arya si trovava allo stremo delle forze, ma non poteva lasciar perdere il tutto.
L'obiettivo era restare in vita.
« Fragor! Incendio! »
I due incantesimi si mescolarono, provocando un'esplosione così forte che Hazelle non poté fare a meno di non ritrovarcisi all'interno. Fece un volo di tre metri, poi si schiantò a terra.
Arya le si avvicinò a fatica.
Era svenuta.
« AIUTO! » Ululò a gran voce: « qualcuno mi aiuti, vi prego... »
Cadde a terra anche lei, stremata e con il volto rigato dalle lacrime.
« Beckah! » Continuò ad urlare: « Beckah, ti prego! »
La neve le entrò in bocca e nelle narici.
Era nuda, ricoperta di sangue e sporcizia.
Tremava come una foglia.
« Qualcuno mi aiuti! »
Si trascinò in direzione della villetta. Nessuno sembrava aver udito le sue parole... nessuno sembrava volerla aiutare.
« ARYA! » Gridò poi qualcuno.
« Sono qui » tentò lei, piano.
« DARREN, PORTALA DENTRO! »
« CHIAMATE CASSANDRA! CHIAMATELA SUBITO! »
Arya vide delle figure indistinte muoversi nella sua direzione.
Qualcuno la prese in braccio, la fece stendere su un letto, passò le mani sulle sue ferite.
« Dovrebbe funzionare » sentì dire da una voce femminile.
« E quella ferita sul petto? » Domandò un ragazzo.
« Non posso fare niente per quella ».
Arya aprì gli occhi: « sono viva ».

 

 

 

 

 

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Capitolo 30
*** Capitolo 29: Il compleanno ***


CAPITOLO 29:

 

Il compleanno

 

 

I giorni si tramutarono in settimane e le settimane in mesi.
La neve si sciolse, gli addobbi di Natale fecero ritorno negli scatoloni delle cantine e l'intera area di Rozendhel scivolò nuovamente nella sua solita, vecchia routine.

Era la mattina del primo Febbraio quando Arya si levò dal letto alle prime luci dell'aurora: i raggi filtravano timidi attraverso le tende, carezzandole il volto e spronandola a trascorrere il miglior compleanno della sua vita. Poggiò entrambi i piedi sul parquet, chiuse gli occhi e si godé il momento.
Dal piano sottostante provenivano già alcuni suoni inconfondibili – probabilmente la zia Sarah aveva intenzione di sorprenderla nel letto, cantarle “tanti auguri” e scattare da subito una decina di foto.
Accennò ad un sorriso. Le tradizioni della famiglia Mason erano sempre state le stesse e, soprattutto, non sarebbero mai mancate ad un evento del genere! Per la legge del loro Stato, infatti, la giovane Arya non era più così tanto giovane: era appena divenuta un'adulta, con tanto di diritto elettorale. Sospirò, concentrandosi sulla gabbietta del Signor Cavaliere. Non appena si decise ad aprirla, il coniglio ne balzò fuori attivamente: sembrava tutto fuorché interessato a prestarle attenzioni – l'unica cosa che gli importava era andare in giro per la stanza, ficcando il naso dappertutto.
Fu allora che la maniglia della porta si abbassò e quest'ultima si aprì, cigolando: « tanti auguri a te... ».
Arya chinò la testa, imbarazzata: « smettetela, vi prego ».
Frank e Sarah attraversarono l'uscio della porta, un sorriso impresso sul volto e un vassoio per la colazione tra le mani. Indossavano già gli abiti da lavoro – dovevano essersi svegliati ancor prima che l'alba si affacciasse all'orizzonte.
« Vieni qui, tesoro » la zia poggiò il vassoio sul comodino accanto al letto e fece per andarla ad abbracciare: « tantissimi auguri, buon compleanno ».
« Non vi scordate di me! » Esclamò Frank, introducendo un'imbarazzante mossa da pistolero al suo repertorio di imitazioni.
« Grazie mille » Arya ricambiò gli abbracci, sorridente.
« Ti abbiamo portato qualcosa di buono » disse subito la donna, indicando il mobiletto: « favorisci pure! »
« D'accordo, grazie » quindi la ragazza protese una mano verso i biscotti che aveva preparato Frank e, immediatamente, si accorse di una busta da lettere poggiata sotto al piattino: « e questa? »
« Aprila! » La spronò sua zia, il volto irradiato dalla gioia.
Arya se la rigirò un paio di volte poi, con uno strappo deciso, l'aprì – accorgendosi di quante banconote ci fossero all'interno: « ma siete pazzi! Quanti soldi avete messo qui dentro? »
« È un regalo! Accettalo e basta » rispose Frank: « oh, e ha partecipato anche Samantha... potrai ringraziarla stasera alla festa ».
Arya annuì, notando qualcos'altro nelle mani di sua zia. Era un medaglione d'oro, uno dei più antichi che ella avesse mai visto.
« Anche questo è per te » e glielo consegnarono, commossi.
Con estrema cautela, Arya prese ad osservarlo: era un gioiello bellissimo, dall'aspetto semplice ma estremamente elegante. Prima di aprirlo, passò un indice sulla sua superficie dorata – le si presentò ruvida al tatto, come se fosse stata intaccata dallo scorrere del tempo. Pensierosa, volse un ultimo sguardo a sua zia: stava per piangere.
« Non ho parole » disse alla fine con voce rotta.
All'interno del medaglione, dietro ad una finestrella di vetro, si affacciava una fotografia ingiallita di un uomo con in braccio una bambina appena nata. « Siamo io e papà » sussurrò Arya, le lacrime agli occhi: « è bellissimo ».
L'uomo all'interno del gioiello osservava la figlia con particolare attenzione, il sorriso premuroso e alquanto impacciato: aveva i capelli scompigliati, la barba appena visibile e portava indosso un elaborato maglione scozzese. Tra le sue braccia era rannicchiata una pargoletta, avvolta da una copertina, gli occhi chiusi e l'aria imbronciata.
« È la prima foto che ti ho scattato » iniziò Sarah, mentre Frank la stringeva in un abbraccio: « che vi ho scattato insieme... a te e a tuo padre, mio fratello ».
Quelle ultime due parole fecero scattare un meccanismo insolito all'interno dell'animo di Arya – la quale non poté fare a meno di lasciarsi scappare un singhiozzo: era la prima volta che Sarah sceglieva quei termini, la prima volta che si abbandonava completamente alle sue emozioni.
Arya la tirò a sé, emozionata: « grazie! È il regalo più bello che io abbia mai ricevuto ».
Trascorsero qualche altro momento insieme, seduti tutti quanti sul letto – il Signor Cavaliere, al contrario, si limitò ad avvicinarsi di tanto in tanto... sembrava molto interessato all'odore che proveniva dagli scarponi di Frank.
« Se me ne tolgo uno » proseguì lui, ridendo: « te lo faccio schiattare ».
La ragazza buttò indietro la testa, divertita: erano quegli istanti che avrebbe preferito durassero tutta una vita... che, eterni, non l'avrebbero mai annoiata. Nonostante tutte le liti e gli scontri che le avevano avute come protagoniste da Giugno fino agli inizi del nuovo anno, Arya realizzò che Sarah era davvero una delle persone più importanti della sua vita – una delle poche per le quali avrebbe affrontato di tutto. In molteplici occasioni, difatti, ella non era stata semplicemente una zia... ma si era dimostrata una vera e propria madre.
« Adesso cosa farai? » Domandò Frank all'improvviso: « andrai a scuola o...? »
« Io non ascolto nulla! » Esclamò Sarah, avvicinandosi alla porta: « ci vediamo stasera! »
Frank scoppiò in una fragorosa risata e la raggiunse poco dopo: « guarda, non dirlo neanche a me! Ci vediamo stasera, signorina-topina! »
« Non chiamarmi in quella maniera! » Lo ammonì Arya e gli lanciò un cuscino contro: « a dopo! »
Così, si alzò dal letto – dal collo le pendevano due preziosissimi gioielli: la Chiave ed il medaglione dorato – e fece per raggiungere il bagno.
Lo specchio rifletté la sua figura, curiosamente serena. Erano settimane che non vedeva Hazelle, o un demone in generale... aveva trascorso tutto quel tempo interpretando la parte di una ragazza qualsiasi, una di quelle che non hanno niente a cui pensare se non a futili problemi di scuola o amicizie. Per un periodo aveva persino fantasticato sull'università: quanto sarebbe stato bello per lei andarsene da Rozendhel e non dover più sottostare agli impegni della Congrega! Dunque, si fece una promessa: al termine dell'estate, avrebbe dovuto chiudere ogni singolo Portale... avrebbe dovuto mettere fine a quella storia e sentirsi libera, una volta per tutte.
In ogni caso, la mattina del suo compleanno, ispirata da quel che le aveva suggerito Frank, inviò un messaggio ad Oliver, chiedendogli se davvero avesse avuto l'intenzione di presentarsi nell'aula di letteratura. Sorrise non appena lesse la risposta – un secco “no”.
Dunque si preparò ad uscire. Si tolse il pigiama, passò una benda sulla ferita – la quale era ancora ben visibile e nera come la pece – ed in seguito si mise indosso una felpa pesante, un cappotto ed un paio di pantaloni strettissimi.
Oliver la raggiunse dinanzi alla porta di casa, un sorriso a trentadue denti impresso sul volto: « è una ruga quella che vedo, o sbaglio? »
« Non sbagli affatto! » Giocò Arya: « e se osservi bene, potrai notare anche una ciocca di capelli bianchi! »
I due ragazzi si scambiarono un'occhiata complice; da quell'infausto giorno di Natale, la loro amicizia sembrava essere tornata alle origini. Adesso Oliver rideva, era molto più propenso alla comunicazione ed aveva persino smesso di tirare in ballo argomenti quali l'assassinio di Walton Hart. Però, indosso, aveva ancora il suo braccialetto. Certo, pensò Arya, d'altronde vivevano a Rozendhel! Nonostante la loro attuale sparizione facesse ben sperare la Congrega, i demoni non erano stati sconfitti – non erano ancora stati sterminati del tutto.
« Allora » iniziò Arya: « ho un piano! »
« Del tipo? » Le chiese Oliver, curioso.
« Voglio andare al cimitero! »
Il ragazzo scosse la testa: « compi 18 anni, dovresti essere felice e contenta... e invece te ne vai al cimitero? Perché devi sempre fare così? »
« Ma io sono felice e contenta! Voglio soltanto portare una rosa ad una persona... o, meglio, a delle persone » e afferrandolo da un braccio, disse: « vieni! »
Attraversarono la strada, finendo nel viale più caotico di Rozendhel.
I negozi avevano tutti le insegne colorate, con le vetrine ricche di accessori e vestiti. Una ragazza lasciò un volantino ad Oliver, squittendo un rapido: « sconti fino al 70%! »
Era così difficile zig-zagare tra tutte quelle persone e rimanere sul marciapiede che, a tratti, Arya si sentì obbligata a sfilare rasente alle automobili parcheggiate. I due ragazzi si fecero largo sino al forno degli Harris, dove al suo esterno incontrarono una fila interminabile di signore coperte da capo a piedi: cappotti colorati, baschi, sciarpe di lana... il vento soffiava implacabile, tagliente, tanto da far imprecare chiunque: « fa freddissimo! »
« Entriamo in qualche bar a fare colazione » le propose Oliver: « almeno ci scalderemo un po'. Che dici? »
La ragazza scosse la testa, le dita ghiacciate: « prima andiamo al cimitero ».
Allungarono il passo, infilandosi nelle vie interne: anche lì i negozi rallegravano l'atmosfera, ed il traffico si presentava molto meno disordinato. Si fermarono soltanto dinanzi all'insegna di un vivaio: vennero serviti subito da un uomo con il mento poco pronunciato, gli occhi piccolissimi coperti da due spesse lenti di vetro ed i capelli biondi, simili a spaghetti per quanto si mostrassero unti.
Arya gli allungò le monete e lui sorrise, contento. « Me ne dia quattro » gli disse, l'indice rivolto verso un vaso di rose rosse. « Grazie, arrivederci! »
Il buffo signore fece una smorfia, serrando ancor di più gli occhi: « arrivederci! »
Non appena furono usciti dal negozietto, una corrente improvvisa scompigliò i capelli di entrambi. Arya gettò un'occhiata in lontananza, le mani esposte al freddo: « siamo quasi arrivati! »
« Sbrighiamoci! » La esortò Oliver: « non l'avrei mai detto, ma abbiamo fatto una cavolata a non presentarci a lezione! Preferirei mille volte Wordsworth a questo dannato clima! »
Quando arrivarono di fronte al cancello del cimitero, Arya venne investita da una tempesta di ricordi: era lì dentro che aveva incontrato per la prima volta Bartek, ed era sempre lì che aveva chiuso il primo Portale. La mente le fece ripercorrere quel momento, con tutte le sensazioni che aveva provato allora: terrore, confusione, inadeguatezza.
Scosse il capo e si fece avanti, sotto gli occhi vigili delle statue e dei fantasmi con i quali Taissa era sempre stata solita interloquire.
Le lapidi si presentavano pulite e silenziose, il luogo era avvolto da una calma innaturale – era come se si trovasse al di fuori di Rozendhel, al di fuori di tutto il baccano che regnava al di là di quelle mura.
Arya si arrestò all'improvviso, attirando la curiosità di Oliver: « perché ti sei fermata? » Le chiese lui, le sopracciglia inarcate.
Un meraviglioso angelo, dalle ali bianchissime e l'espressione addolorata, vegliava sulla tomba di un ragazzo, un certo Connor Ramsay.
« È lui » disse Arya, sottovoce: « è il ragazzo che Hazelle ha ucciso quella notte, la Vigilia di Natale... ho saputo il suo nome dalla tv ».
Oliver abbassò gli occhi: « Arya... »
« No » continuò lei, chinandosi sulle ginocchia: « se solo non fossi stata così stupida, così sorpresa, avrei potuto salvarlo. Invece ho lasciato che Hazelle gli succhiasse via tutto il sangue ».
« Non devi sentirti in colpa, Arya » il ragazzo le mise una mano sulla spalla: « l'unica che dovrebbe farlo è proprio Hazelle, non trovi? »
« Sì, ma se Darren avesse ragione? » Si voltò lei, frustando l'aria con i capelli.
« Darren? » Ripeté Oliver, stupito: « che c'entra adesso? »
« Forse aveva ragione lui... è da Dicembre che penso alle sue parole. Forse avrei potuto far qualcosa al riguardo, non avrei dovuto mantenere il segreto di Hazelle per conto mio e basta. Se solo lo avessi accennato a qualcuno, magari, a quest'ora... »
« Non ti azzardare! » Esclamò Oliver, ritirando la mano: « è vero, magari avresti potuto dirlo subito. Ma Cassandra e Bartek sapevano già tutta la verità. Erano consapevoli del fatto che Hazelle avesse dei precedenti, e nonostante tutti gli articoli che sono stati scritti sul giornale riguardo al ritrovamento di quei cadaveri prosciugati... no, avrebbero potuto far loro qualcosa! »
Arya rimase colpita dalla dialettica del suo migliore amico. Era un punto di vista che non aveva mai preso in considerazione.
« Bartek sta sempre con lei, no? » Riprese lui: « non vedeva che si alzava di notte e che tornava sporca di sangue? Secondo me, c'è stata grande omertà! Non devi sentirti in colpa! »
Per un breve attimo, Arya sentì il petto alleggerirsi: forse, Oliver aveva ragione... forse, non avrebbe più dovuto ritenersi una persona orribile, una bestia. « Okay, andiamo » sussurrò, rimettendosi in piedi: « ho altre rose da consegnare ».
« Potrei avere qualche anticipazione? »
La ragazza fece spallucce: « ne vorrei lasciare una sulla lapide di Mathilda ».
« Mathilda? » Oliver inarcò la fronte, sorpreso di udire quel nome: « l'amica di Ismene? Non mi dirai che ti senti in colpa per... »
« No, tranquillo » Arya scosse la testa, fermandosi poco dopo – adesso, dinanzi a loro, si estendeva un'area coperta interamente da terra: « in realtà, non so se l'hanno lasciata qui... o se ci hanno seppellito qualcun altro... ma questo era il punto dove lei ha cercato di mettersi in contatto con me... dove Bartek poi mi ha allontanato ». Lanciò la rosa, chinò la testa e poi proseguì diritta. Oliver la seguì, curioso.
« Per un giorno, vorrei far finta di non essere Arya Mason » riprese lei, le mani in tasca: « inventiamoci un nome! Io potrei essere Rosemary Wilson: una liceale con il sogno di diventare una famosa giornalista ».
« Questo gioco mi ricorda qualcosa! » Esclamò Oliver: « lo facevamo anche da bambini! »
La giovane sorrise, lo sguardo attento sulle lapidi: « quindi, se non ricordo male, lei deve essere il signor Adam Ludwig? »
« Esattamente, signorina Rosemary! E sono follemente innamorato di lei! »
Scoppiarono a ridere – cosa alquanto insolita in un cimitero – poi, proseguirono.
« Non so minimamente cosa sia la magia! Non conosco alcuna Zehelena, e sono la prima nella storia dell'Universo ad avere queste sembianze! »
Il ragazzo alzò le sopracciglia, aveva capito a cosa si stesse riferendo: « lei non è la doppelgänger di nessuno, lei non è una strega e lei... oh, ma cos'è quel buffo affarino che porta al collo? Non mi dirà che è la chiave per aprire il lucchetto del suo cuore! »
Risero ancora una volta, poi Arya indicò altre due tombe: « guarda ».
« In realtà, sapevo che saremmo venuti qui » rispose lui, uscendo fuori dal personaggio: « ed ero certo che avresti portato una rosa anche a tua madre ». La ragazza fece una smorfia, la fronte aggrottata: « davvero? »
Oliver annuì: « sei un'altra, Arya Mason... non intendo dire che tu sia Rosemary Wilson, certo... ma sei cambiata! In meglio! » Continuò, sorridente: « non ho mai condiviso la tua scelta di ignorare completamente il ricordo di tua madre, quindi sono davvero contento di vederti cresciuta. Hai messo da parte l'odio, e questo ti fa onore ».
Arya abbassò lo sguardo. Le rose le scivolarono via dalle dita, finendo ai piedi di quelle due pietre grigie: l'uomo, il quale una volta era stato solito rispondere al nome di William Mason, sorrideva cordiale, al contrario della donna che si affacciava dalla lapide di sinistra. Morgause era stata una donna bellissima, dai lunghi capelli bruni ed il naso aquilino: attraverso il vetro di quella foto, non traspariva altro che eleganza ed estrema serietà.
« Somigli molto più a tuo padre che a lei » commentò Oliver: « tranne per le orecchie a sventola! »
« Sarah mi ha rivelato che da piccoli lo chiamava Dumbo » Arya sorrise, afferrando l'amico per un polso: « grazie per avermi accompagnata. Adesso, possiamo anche andare ».
Si allontanarono così dal cimitero, promettendo l'uno all'altra che quel giorno non avrebbero più tirato fuori argomenti che riguardassero la magia, la Congrega, la Chiave, Zehelena o qualsiasi altra storia analoga. Adesso, tutti coloro che conoscevano Arya per la sua vera natura erano venuti a conoscenza dell'identità dell'ex-Guardiana del Fuoco Aureo: tutti sapevano che Arya aveva il suo stesso aspetto. I primi a mostrare una certa sorpresa furono proprio Cassandra e Darren; la prima non riusciva a credere al fatto che la sua maestra fosse stata innamorata di una donna con le identiche fattezze di una ragazzina che odiava, mentre Darren si era limitato a fissarla con occhi increduli – come se gli avessero appena detto che in realtà la sua ragazza non era altri che un orco.
« Voglio chiederti giusto un'altra cosa e poi, ti giuro, starò zitto » disse Oliver, fermandosi dinanzi alla vetrina di un bar.
Arya alzò un sopracciglio, la mano in procinto di aprire la porta d'ingresso: « vai, spara ».
« Perché Hazelle rubava i documenti delle vittime? E perché poi disegnava delle croci sulle loro fronti? »
La ragazza inspirò profondamente, come se il discorso le costasse tutte e dodici le fatiche di Ercole: « me lo sono fatto spiegare da Bartek... tornando alla lucidità, Hazelle si pentiva di ciò che aveva fatto e quindi pregava per le vittime. Poi, però, toglieva loro i documenti e li portava a casa... come se non volesse mai scordare i volti. È da pazzi, vero? »
Oliver si morse il labbro inferiore: « abbastanza ».
Successivamente, entrarono nel bar: l'odore del caffè danzava nell'aria, accompagnato dal suono inconfondibile delle pagine dei quotidiani che venivano sfogliate tutte insieme da alcuni signorotti seduti al bancone. Una cameriera, di circa quarant'anni, con un elegante carré nero, li notò subito e, gentile, li fece accomodare su un divanetto rosso, accanto alla vetrata principale.
« Quindi » ricapitolò lei, gli occhi concentrati su Oliver: « un tè al limone e un caffè espresso? Basta? »
Il ragazzo annuì, ricambiando il sorriso – tutto sotto gli occhi di un'imbarazzatissima Arya: « esatto, sì ».
La cameriera allora rispose con un occhiolino e si tolse dai piedi, ancheggiando.
« Wow » commentò Arya, sarcastica: « hai rimorchiato una donna di mezz'età... dovresti vantarti con tutti i tuoi amici ».
Il volto di Oliver assunse le sfumature di un pomodoro: « cavolo, che storia! »
« Ma dai! » La ragazza si sporse in avanti, giusto per colpirlo ad una spalla: « come sta andando la tua vita amorosa? Parliamo soltanto di me ultimamente! »
« Ma cosa vuoi che ti dica? » Esclamò lui, le braccia incrociate.
« Non lo so! » Rispose Arya, sorridente: « innanzitutto, non posso credere al fatto che tu abbia lasciato Quinn! Cioè, l'hai sempre definita come la ragazza perfetta, quella che avresti portato all'altare, la più bella del liceo! Adesso è diventata anche mia amica, cavolo! Potevi rimanere con lei, no? Già immaginavo i preparativi per le nozz... »
« Okay, okay » Oliver la interruppe: « ho afferrato ».
Silenzio. Gli unici suoni percepibili, ora, erano quelli provenienti dal bancone: i signorotti stavano scherzando amabilmente su quanto fosse terribile la condizione della politica estera.
Arya non ci fece caso e tentò il suo monologo: « sai, non è affatto giusta la cosa che tu sai tutto di me ed io non posso sapere niente di quello che ti circonda. Cavolo, sono la tua migliore amica! Voglio sapere tutto: se qualcuna ti interessa o se magari sei già impegnato... dai! Non farti preg... »
Oliver sbuffò: « sto insieme a Logan ».
Altri istanti di puro silenzio: i signorotti stavano pagando alla cassa, tutti pronti ad uscire con un sigaro tra le mani.
« Eccomi di nuovo qui » la cameriera si avvicinò con un vassoio: « il caffè espresso per lei ed il tè caldo per te! Ci vediamo più tardi! »
Così, ancora una volta, ella si allontanò ammiccando. Oliver riprese il discorso soltanto quando la vide oltre il bancone: « te lo volevo dire già da un po' ma non c'è stata l'occasione. Spero che questo non cambi il rapporto che abbiamo noi due ».
Arya accennò ad un sorriso, le dita avvolte attorno alla tazzina: « ovvio che no! Perché dovrebbe? Da quanto tempo state insieme? »
« Qualche mese » Oliver continuò, tra un sorso e l'altro: « sai, non credevo proprio di trovare una persona del genere... mi capisce in tutto e per tutto, ridiamo sempre... potrei trascorrere giorni interi a vederlo punzecchiare le corde della sua chitarra. È intelligente, bello... e anche se a volte si instaurano dei lunghi silenzi, non mi imbarazzo affatto ».
Continuando a prestare attenzione a ciò che aveva da dire, Arya notò il suo sguardo farsi sempre più luminoso: sorrideva con gli occhi altrove, come se avesse davanti chissà quale scena. Era su un altro mondo, un mondo in cui lei non avrebbe mai potuto metter piede: era innamorato.
« Sono davvero contenta, Oliver » disse alla fine, aprendosi in un sorriso: « sono felicissima che un ragazzo del genere ti abbia fatto dimenticare tutto il male che c'è stato in precedenza. Lo sa qualcun altro o sono la sola? »
Oliver fece un cenno con il capo: « ti ricordi i miei genitori? Sono religiosissimi e pensano ancora che io stia con Quinn... non so in che modo potrebbero prenderla ».
« Ho capito » disse Arya, inspirando profondamente: « be', comunque questa è la tua vita... non la loro! Quindi fa' sempre ciò che ti rende felice e, cosa più importante, sta' sempre sempre con la persona che ami! Non importa il sesso, il colore, o se proviene da un altro pianeta! »
Oliver si lasciò scappare una risata: « ma lo so... infatti, non mi importa di ciò che penseranno. Io sono felice ed è questo ciò che conta ».
A quel punto, Arya non poté più trattenersi: si alzò dal divanetto, fece il giro del tavolo e andò ad abbracciarlo: « sono felicissima che tu me l'abbia detto! Non vedo l'ora di incontrarvi insieme stasera! »
« Okay, ora però staccati! » Oliver la allontanò, scherzando: « dimmi un po', invece... che cosa stai combinando con Darren? »
Non appena ebbe udito quel nome, Arya fu scaraventata nuovamente al suolo – come se fosse stata lanciata da un aereo, senza alcun tipo di paracadute. « Non lo so, Oliver » concluse, rimettendosi a sedere: « non so nemmeno più se stiamo insieme! »
« Ma ho saputo da Darren che ogni tanto vi vedete a casa sua... »
« Non facciamo niente di male » precisò subito Arya, gli occhi al cielo: « parliamo e basta! Chiede sempre se mi fa ancora male la ferita, se gli incontri settimanali con Cassandra procedono bene, se si sta chiudendo... una noia terribile ».
Oliver alzò le sopracciglia, incerto: « scusa se te lo dico, ma non sembri molto innamorata! C'è forse qualcun altro? Il bel Nathaniel, per esempio. Lo vedi ancora? »
Arya per poco non si soffocò con l'ultimo sorso di caffè.
« Colpita e affondata » sentenziò il ragazzo, gli occhi socchiusi – come se in questo modo fosse riuscito a scrutare meglio nella sua testa: « anche tu allora mi nascondi le cose! »
« Io non ti nascondo un bel niente » lo corresse lei, ricomponendosi: « mi è capitato di vederlo ogni tanto! Ma per lavoro! »
« Per lavoro... » ripeté Oliver, divertito.
Arya annuì: « l'ho aiutato a trovare delle cose per una cosa che gli stava a cuore ».
« Va bene... » il giovane sorrise: « lasciamo stare! Ci sarà anche lui stasera? »
« No, assolutamente no! »
« Guarda » egli continuò, cambiando totalmente espressione: « lo spero per Darren ».
Si allontanarono dal bar una decina di minuti più tardi, tornando tutti e due nelle rispettive case.
Arya trascorse l'intero pomeriggio a convincere sua zia e Samantha a non rimanere in casa durante la festa; inutile dire che fu fatica sprecata – Sarah non si sarebbe mai persa un evento del genere!
Frank e Samantha erano gli addetti alle fotografie, e di certo non avrebbero perso occasione di metterla in imbarazzo.
Verso le cinque del pomeriggio, la ragazza si chiuse nella sua cameretta e prese una serie di lunghi respiri: non amava mettersi al centro dell'attenzione... e se qualcuno si fosse annoiato? E se il cibo non fosse piaciuto? Si sventolò con una mano, imponendosi la calma.
Si lanciò sotto il getto bollente della doccia – come al solito la ferita al petto le diede fastidio solamente al primo contatto con l'acqua, poi si attenuò. Corse fuori dal bagno con un asciugamano sulla testa ed uno attorno al busto. Ad aspettarla, in camera trovò Samantha – in piedi accanto al suo letto.
« Cosa c'è? » Le chiese immediatamente: « qualcosa non va? »
La donna scosse la sua capigliatura alla Marilyn Monroe: « no, tesoruccio! Volevo solamente sapere una cosa ».
Arya alzò le sopracciglia, spronandola a parlare: « cosa? »
« Ecco, vedi » Samantha indugiò, recuperando una scatola rosa da sopra il piumone: « è meglio che te lo dica io prima che lo faccia qualcun altro in futuro: hai un gusto terribile per la moda ».
La ragazza tirò gli occhi al cielo e per poco non si fece sfuggire di dosso l'asciugamano che le copriva le nudità.
« Quindi, vorrei che tu indossassi questo » Samantha le consegnò la scatola: « l'ho comprato pensando proprio a te! Buon compleanno ».
« Non avresti dovuto » Arya sorrise e la prese tra le mani: il vestito che ne uscì fuori era bianco, semplice, con dei ricami in pizzo. Quando se lo mise indosso, la prima cosa che notò fu proprio la sua lunghezza minima ed il fatto che le aumentasse il seno di circa una taglia. Tentò di coprirsi le ginocchia, senza alcun tipo di risultato soddisfacente.
« Non è il mio genere » disse con poca convinzione, giusto per non offendere Samantha.
« Ma non ti preoccupare! » Esclamò lei, mettendola dinanzi allo specchio: « sei giovane, sei bellissima! Perché ti fai così tanti problemi? »
« Sì, okay... ma le spalle le copriamo coi capelli » e lasciò libera la sua chioma rossa, facendola cadere leggiadra sul petto e sulla schiena.
« Perfetto! » Samantha poi passò al trucco ed il risultato, fortunatamente, convinse sia lei che la diretta interessata: per mezzo di quel leggero tocco di nero, il verde dei suoi occhi risaltava ancor di più, mentre il fondotinta aveva coperto quelle imperfezioni naturali che la ragazza non aveva mai cercato di nascondere.
Le scarpe che le fece indossare Samantha erano estremamente scomode: erano anch'esse bianche e le davano circa due, o forse tre, centimetri in più in altezza. Poi, al collo, ella le mise il ciondolo e la Chiave.
« No, stasera non voglio tenerla al collo » disse Arya, scansando l'oggetto di Zehelena.
« Come vuoi tu! » Samantha gliela tolse, poggiandola nuovamente sul comodino, accanto al letto: « sei pronta! Ti va di scendere? »
Arya scambiò un'ultima occhiata con il suo riflesso: al suo stesso modo, non le parve molto convinto – sembrava un'altra persona... una certa Rosemary Wilson, magari!
Deglutì, avvicinandosi alla porta: « andiamo! »
Samantha, con il suo bel vestito di seta, scese le scale prima ancora che ella potesse raggiungere il primo gradino. Arya immaginò che Sarah e Frank stessero già lì sotto, la macchina fotografica stretta tra le mani.
Allungò il passo, attraversando il corridoio, poi si affacciò sul piano inferiore e li vide tutti: c'era Sarah, c'era Frank, ma c'erano anche Oliver, Beckah, Taissa e Cinnamon, Darren, Quinn, Angela, Logan e Kyron – il migliore amico di Darren.
« Sorpresa! » Gridarono all'unisono e Arya lottò con l'istinto di tornarsene nella sua camera.
« Cavolo » disse alla fine, un gomito poggiato sul corrimano: « non pensavo di trovarvi... adesso... qui... ».
« Scendi giù che iniziamo a fare le foto! » Urlò Sarah e alzò il volume della musica – perlopiù era una melodia di violini, la quale fece subito scoppiare Angela in una fragorosa risata.
Imbarazzata e con alcune chiazze rosse sul volto, Arya scese le scale e prese a ringraziare tutti.
« Sei bellissima! » Esclamò Quinn, abbracciandola: anche lei indossava un abito, lunghissimo e con delle sfumature rossicce sulla coda: « tanti auguri! »
« Grazie, Quinn » Arya la strinse a sé: « sono davvero contenta di vederti! »
Poi passò a Cinnamon e a Taissa, le quali sembravano due veri e propri pesci fuor d'acqua – si erano presentate con gli stessi abiti che utilizzavano per combattere i demoni e, per ben due volte, Samantha chiese loro se non le avesse già viste da qualche parte.
« Logan, è un piacere averti qui! » Arya osservò per bene il ragazzo: dal suo volto trasparivano solarità e gentilezza. Nel corso della serata, sorprese più volte Oliver giocherellare con i suoi ricci neri.
« Anche per me! » Rispose lui, con un sorriso: « divertiti! »
Il saluto che Arya ebbe con Kyron e Darren fu molto più freddo e schivo degli altri: era naturale per quanto riguardava il primo – d'altronde lo aveva incontrato giusto una volta, al compleanno di Quinn – mentre, per Darren la situazione era completamente diversa.
Si scambiarono un bacio sulla guancia, poi la ragazza andò da Beckah.
« È così strano! » Le disse subito, trascinandola in cucina.
« Ma chi? » Beckah inarcò le sopracciglia – indossava un elaboratissimo abito di velluto, con un nastro che le avvolgeva la lunga treccia scura ed un paio di braccialetti argentati infilati ai polsi: « Darren? »
Arya annuì.
« Oh, smettila! » La rimproverò la ragazza: « goditi la serata e finiscila! »
Si indirizzarono quindi verso il salotto: i mobili erano stati tutti spostati, il soffitto si presentava invece come un trionfo di palloncini ad elio, mentre sulle pareti si trovavano invece altri festoni colorati e post-it sui quali gli invitati avevano scritto dei messaggi d'auguri.
Beckah trascinò Arya al centro della stanza, improvvisando un tremendo ballo anni sessanta sulle note di September degli Earth, Wind & Fire. Oliver le raggiunse un istante più tardi – indosso aveva una camicia bianca, delle bretelle marroni, un paio di pantaloni verdi e delle scarpe eleganti – tirando fuori dal suo repertorio personale un insieme di mosse alquanto stravaganti. La festeggiata tirò indietro la testa e scoppiò a ridere: adesso era una ragazza come tante... non c'era nulla che avrebbe potuto rovinare quel momento!
Sotto gli occhi divertiti degli altri invitati, si misero in cerchio – mano nella mano – e presero tutti e tre a ballare. Quinn si buttò nella mischia non appena ebbe bevuto il terzo bicchiere di Champagne – era l'unica a saper ballare decentemente.
Proseguirono in questo modo per un'altra mezz'ora, poi Arya decise di prendersi una pausa e si mise accanto ad un tavolo, sul quale era stato organizzato un ricco buffet.
« Buon compleanno, bellissima! » Esordì Angela, presentandosi con la sua solita foresta di cyber-locks e lenti a contatto bianche.
« Grazie mille, Angela! » Esclamò Arya, cercando di sovrastare il volume della musica: « come stai? Ti trovo bene! »
Angela alzò le spalle: « sì, non c'è male! Devo recuperare alcune materie... o altrimenti non mi diplomerò mai! Cos'hai intenzione di fare dopo il liceo? »
« Non lo so! » Rispose Arya, bevendo del succo all'arancia: « e tu? »
« Trasferirmi in Giappone! »
« In Giappone? » Ripeté la ragazza, curiosa: « e perché laggiù? »
« Più sto lontana dai miei, e meglio sto! » Concluse Angela, avvicinandosi alla pista da ballo: « ti do una dritta come l'ultima volta: non bere troppo quel succo, l'ho corretto! »
Arya sorrise, poggiando il bicchiere sul tavolo e ripetendo a sé stessa che quella ragazza non sarebbe mai cambiata.
Tornò ad osservare gli invitati: la zia Sarah stava ballando con Oliver, Logan parlava con Quinn, Beckah stava invece tentando di convincere Taissa e Cinnamon ad alzarsi da quelle sedie, mentre Frank e Kyron ridevano come se si conoscessero da una vita.
« Ehilà ».
Arya si voltò lentamente: « Darren! Che c'è? Non ti diverti? »
Il ragazzo accennò ad un sorriso alquanto impacciato: « no, la festa è bellissima! Hanno organizzato tutto i tuoi? »
« Sì, con l'aiuto di Samantha... una vecchia amica di mia zia ».
Rimasero a guardarsi l'un l'altra, con la musica assordante a dividerli.
Il ragazzo aveva indosso una camicia bianca, infilata all'interno di un paio di pantaloni neri che gli lasciavano scoperte le caviglie, mentre ai piedi portava dei classici mocassini neri.
« Sei molto elegante! » Esclamò Arya: « stai bene! »
« Anche tu! » Rispose lui, poi indicò la porta principale: « ti va di parlare un attimo fuori? »
Ella scosse il capo: « andiamo di sopra! Fuori fa troppo freddo! »
Quindi si fecero largo attraverso la piccola folla, raggiungendo così le scale che li avrebbero portati sino alla camera della ragazza.
« Siediti pure sul letto » lo invitò Arya, mentre chiudeva la porta a chiave – da lì, la musica risultava soltanto come un flebile e leggero sottofondo.
« Fa caldissimo! » Esclamò Darren, facendo come gli era stato detto: « non si potrebbe aprire un po' la finestra? »
« Certo, fai pure! » La ragazza continuò, scherzando: « non sarà mica la situazione a farti venire tutto questo caldo? »
« Divertente, ma no... è il gene del lupo ».
Arya annuì con poca convinzione: « certo... il gene del lupo! »
Si misero a sedere sul letto, l'uno accanto all'altra: per la ragazza, quella sembrava soltanto una replica di un ennesimo chiarimento. Così, prima ancora che Darren potesse iniziare a parlare, si alzò di scatto, convinta, per poi accomodarsi sulle sue gambe – le braccia incrociate attorno al collo.
« C-Che fai? » Balbettò lui, tirando indietro il capo.
« Niente » disse Arya, scuotendo di poco la chioma: « non stai comodo in questo modo? »
« Sì, ma... » Darren si schiarì la voce: « non dovremmo prima chiarire? Penso di essermi comportato male con te, quando ti ho letteralmente aggredita quel giorno... a Natale... ».
La ragazza gli mise un indice sulle labbra: « fa' silenzio ».
« N-No, davvero » il giovane Hart alzò le sopracciglia – e anche le braccia: « ero giusto un po' preoccupato, ero arrabbiato per la situazione in generale ».
« Sono contenta di sentirtelo dire... però abbiamo parlato abbastanza di questa cosa, non trovi? »
« Se lo dici tu... » Darren deglutì: « ma è tutto a posto? »
Arya tentennò per un istante: « Sì... va tutto alla grande! »
Gli sfiorò le labbra con la punta del naso, azzardando un movimento del bacino.
« Arya... »
« Che c'è? Hai paura di farlo? »
« No, ma non credo sia il momento adatto ».
« E quando pensi che arriverà? » Arya sorprese persino sé stessa andandogli a baciare il collo. Darren rispose con un altro movimento delle anche.
« Che fai? »
« Quello che fai tu ».
Tenendola ancora in braccio, Darren si alzò, fece un giro su sé stesso, e la depose sul letto.
Arya perse tutta la sua sicurezza non appena sentì la gonna del vestito alzarsi.
Cosa diamine aveva combinato? Perché faceva sempre la stupida...
« Ma che bel quadretto! Posso partecipare? »
Arya sgranò gli occhi, notando la sorpresa anche sul volto di Darren.
Si volsero entrambi in direzione della finestra: sul cornicione si trovava una figura umana dai boccoli dorati, lo sguardo divertito e la lingua di fuori. Era Nathaniel.
« Ma che diavolo ci fai qui? » Domandò Arya, tentando di ricomporsi.
« Be', ho osservato tutto questo movimento e ho intuito che ci fosse una festa » rispose lo spettro: « è il tuo compleanno? »
« E a te che importa? » Ribatté Darren, la fronte aggrottata.
« Che bel lupacchiotto... » Nathaniel attraversò la finestra e si avvicinò sempre più – i suoi movimenti erano simili a quelli di un gatto, silenziosi e rapidissimi: « le voci girano nei boschi, sai? Mi hanno riferito che Daoming ti ha cambiato. Puoi trasformarti quando vuoi, giusto? »
Darren si voltò in direzione di Arya: « la Barriera di Hazelle non gli ha fatto niente... è entrato dentro casa... tu gli avevi già dato il permesso? »
« No, no... aspetta » la ragazza si passò una mano tra i capelli, esasperata: « non è andata esattamente così! È stata mia zia a dargli il permesso... »
« Certo, come no » Darren strinse i denti.
« Sicura, Arya? » Riprese lo spettro: « eppure, io mi ricordavo che avessi aperto tu la porta quel giorno... »
« Maledetto bugiardo! » Lo insultò Arya e, avvicinandosi alla sua figura, lo spinse contro la finestra: « esci fuori da casa mia! Subito! »
« Cavolo, sei migliorata! Non credevo avessi tutta questa forza! »
« Esci fuori! »
« D'accordo, ho capito » Nathaniel tornò sul cornicione: « volevo soltanto augurarti un felice compleanno, ma a quanto pare non sono affatto gradito ». A quel punto, anche Darren si sentì costretto ad avvicinarsi alla finestra: « vattene, schifoso demone ».
« Ehi! Piano con le parole! » Lo spettro alzò le spalle e, prima di infrangersi in centinaia di frammenti vetrosi, schizzò come veleno l'ultima menzogna: « con la pelle di questo “schifoso demone” la tua fidanzata ha trascorso proprio dei bei momenti, nei boschi... oh, e anche nella biblioteca pubblica! »
« Maledetto bastardo! » Arya afferrò una spazzola e gliela lanciò contro: il risultato fu soltanto quello di vedere un oggetto personale precipitare nel vuoto, nel giardino di sotto.
Quando la ragazza si voltò, Darren era su tutte le furie.
« Ma che ha detto? »
« Tutte fandonie! » Arya inspirò profondamente: « sono stata con lui nei boschi solo per... ».
Quella fu la frase più sbagliata che Arya avesse mai potuto dire: Darren sgranò gli occhi e, con un tono di voce che non gli era mai appartenuto, le disse: « quindi tu ci sei stata davvero nei boschi insieme? Non stava dicendo una cavolata ».
« Oh, merda... no! » La ragazza tentò di correggersi, ma era ormai troppo tardi: « non è così! Stammi a sentire! »
« Ho sopportato fin troppo » Darren fece scattare la chiave all'interno della serratura, aprendo così la porta: « basta ».
La musica sfociò all'interno della stanza, travolgendo Arya ed il Signor Cavaliere sotto al letto.
« Basta cosa? » Ripeté lei, stordita.
« È finita » ribatté Darren.
« Aspetta, no! » Arya lo rincorse sulle scale, ma il ragazzo non le diede alcuna possibilità di chiarimento: arrivò nell'ingresso, prese il suo cappotto e uscì fuori – sbattendosi la porta alle spalle.
La ragazza rimase immobile dinanzi al tappeto di benvenuto, le lacrime agli occhi.
« È successo qualcosa, cara? » La voce di Samantha aveva superato persino le note di quella canzone rock. « Se n'è andato qualcuno? »
Arya tirò su col naso, chiudendo e riaprendo le palpebre più e più volte – non avrebbe dovuto far notare a nessuno quelle lacrime: « no, va tutto benissimo! »
Si voltò in tempo per vedere la reazione della donna: le stava venendo incontro con le braccia aperte.
« Vieni qui e non piangere ».
Arya si lasciò quindi abbracciare, bagnando le maniche del suo costosissimo vestito nero.
« Questa è la tua serata » le disse Samantha: « e non puoi fartela rovinare da nessuno! Va' in salotto e divertiti... anche perché tua zia ti sta già cercando! »
« Ecco, bene... inventati qualcosa, dille che sto arrivando! » Arya si sganciò da lei e riprese a salire le scale: « torno in un baleno! »
Dunque si precipitò nella sua camera, aprì la porta del bagno e si asciugò le lacrime con della carta igienica. Non avrebbe guastato il trucco e non avrebbe permesso a nessuno di rovinarle il compleanno. Se Darren non aveva nemmeno intenzione di ascoltarla, non era più un suo problema!
Sbatté le palpebre dinanzi allo specchio e sorrise: tutto perfetto.
Spense la luce del bagno, si diresse nella sua camera e si accorse quindi del gelo che entrava dalla finestra. Scavalcò il Signor Cavaliere, spostò le tende e, all'improvviso, non appena si fu affacciata, qualcosa attirò la sua attenzione.
Inarcò le sopracciglia, aggrottò la fronte...
Un bambino, in strada, al di là del suo cortile, la stava fissando. Aveva la carnagione scura, gli occhi caramellati, dei vestiti stropicciati indosso.
« Cosa ci fai lì? » Gli domandò Arya: « sei da solo? »
Il piccolo sorrise – dimostrava massimo dieci anni.
« Dove sono i tuoi genitori? »
Nessuna risposta.
La ragazza stava per dirigersi in strada quando lo vide muoversi di scatto; adesso, si era chinato sulle ginocchia... accanto a lui, solamente un tombino. Tese una mano e ne alzò il coperchio.
Arya rimase immobile.
Il bambino, allora, compiaciuto, le fece un cenno con l'indice – come per mantenere il silenzio.
Si calò giù per il tombino, accertandosi di rimettere a posto il coperchio.
La strada tornò alla sua desolazione.
Arya percepì un brivido percorrerle la schiena – accanto alla Chiave, sul comodino, si era materializzato un contenitore d'argento. Un foglio lasciato lì per lei recitava le frasi: “buon compleanno, Arya. Spero che questo regalo ti sia utile. Spalma la crema sulla ferita e tornerai come nuova. A presto – R.

 

***

 

Quella stessa sera, a pochi chilometri di distanza, un uomo sedeva dietro alla sua scrivania – un bicchiere di vino rosso stretto tra le mani.
Stavano per scoccare le undici, eppure non vi era alcuna traccia di lei.

Si alzò e fece un giro per il suo studio, impaziente.
La luce della luna filtrava attraverso un costosissimo lucernario, arrendendosi sul pavimento.
Dinanzi a quel soffice divano in lino, invece, era stata posizionata strategicamente una tv a schermo piatto.
Il sindaco di Rozendhel non si sarebbe fatto mancare alcun tipo di comfort. Era lì, d'altronde, che gestiva le sue attività – era lì che incontrava gli uomini, o in questo caso, le donne d'affari.
Tese un orecchio verso un rumore orribile.
Era arrivata.
La porta tremò per un istante e Cameron Lloyd percepì una sensazione a lui ignota: paura.
« Entrate! » Esclamò, tentando di mascherarla: « entrate pure! »
Allora, tre figure attraversarono la soglia dello studio; due di loro erano identiche – nere come la pece, curve, senza occhi e senza bocca – l'altra era una donna dallo sguardo enigmatico, dai lunghi capelli rossi e con indosso un antico abito di seta.
« Buonasera, Cameron Lloyd » salutò Castigo, gli occhi gelidi.
« Buonasera a voi! » Ricambiò il sindaco, deglutendo: « non capisco il motivo per il quale tu abbia portato questi gentili signori ».
I Demoni-Senza-Nome ringhiarono, ma la donna li zittì subito: « li porto ovunque, sono sempre insieme a me ».
Il silenzio inghiottì l'intero studio: bastava un solo ordine, una sola parola, e Cameron Lloyd sarebbe morto – sbranato da quelle bestie.
« Il piano è pronto » sibilò Castigo: « è possibile che muoia anche tua figlia ».
« Quinn? » Ripeté Cameron Lloyd, quasi divertito: « fate pure! Non mi interessa più niente di quel mostro! »
« Attaccheremo non appena possibile » riprese la donna: « tieniti pronto anche tu ».
« Ditemi esattamente cosa devo fare ».
« Per il momento, devi tenere tua figlia lontana da tutto questo. Non deve sospettare nulla. Il mio Signore sta tornando e sarò io a consegnargli Hazelle e l'Essenza del Fuoco Aureo ».
« Come finirà tutta questa faccenda? » Cameron Lloyd deglutì ancora una volta: « ci riprenderemo Rozendhel? »
Castigo strizzò gli occhi: « saremo noi a riprenderci Rozendhel. Gli esseri umani saranno solamente un contorno ».
« Ci saranno ancora i Portali? »
« La Dimensione sta cadendo a pezzi » la donna continuò: « il prossimo che aprirò sarà l'ultimo ».
Il sindaco tirò indietro la testa, spaventato: « aprire un Portale? Ma tu... tu sei un demone! I demoni non possono aprire i Portali! »
« Ed è qui che infatti sbagli. Io non sono un demone » Castigo fletté le labbra in un sorriso privo di gioia: « sono nata tantissimi secoli fa, da un padre Elfo e una madre Strega ».
L'uomo limitò la sua sorpresa, squittendo un timido: « gli Elfi erano gli unici a poter aprire i Portali, ma erano stati sterminati tutti... come...? »
« Mio padre è sopravvissuto alla strage. In seguito, ha scopato una puttanella dell'Impurità e da lì sono nata io » Castigo proseguì: « gli Elfi sono immortali per natura. I miei genitori non servivano a nulla: li ho fatti fuori entrambi e poi ho sposato la causa dei demoni, trovando il modo di aprire i Portali ».
« Quindi sei sempre stata tu! Tutti i Portali che quella ragazzina chiudeva... li hai creati tu! »
La donna annuì: « ho innumerevoli poteri, signor Lloyd. Posso persino trasformare un essere umano in un demone con un semplice bacio – e indicò le creature alle sue spalle – o togliere la vita ad un demone con un altro semplice, banale, insulso bacio ».
Cameron Lloyd lanciò un'occhiata a quei poveri mostri.
« Sta sorgendo una nuova Era, Cameron » Castigo riprese, una mano tesa verso di lui: « stai con noi o sei morto. A te la scelta ».
« Uccidete mia figlia, Hazelle, Arya Mason, la Congrega e tutte le altre streghe presenti. Riportate l'ordine in questa città » il sindaco sfidò il suo sguardo: « ma non vi do il consenso di uccidere gli esseri umani... o, peggio, di trasformarli in quella maniera ».
« Per un bene maggiore » lo interruppe Castigo, ritirando la mano: « saremo pronti a fare di tutto. Il mio Signore, la mia persona e tutta la comunità dei demoni non starà mai a sentire ciò che ha da dire un simile essere come te. Avevamo un patto. Fa' la cosa giusta ».
La donna gli lanciò un'ultima occhiata, avvicinandosi nuovamente alla porta.
I Demoni-Senza-Nome ringhiarono.
Cameron Lloyd rabbrividì.
Fa' la cosa giusta.

 

 

 

 

 

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Capitolo 31
*** Capitolo 30: Finché morte non vi separi ***


CAPITOLO 30:

 

Finché morte non vi separi

 

 

Caro Nessuno,

perdona la mia assenza, ma ho trascorso dei mesi a dir poco terribili.
Hazelle è tornata in città, sai? All'inizio, credevo che il viaggio in Europa l'avesse cambiata... però, come al solito, mi sbagliavo. È peggiorata tantissimo. La brama di sangue l'ha condotta alla distruzione, spingendola su una via dalla quale non ha più fatto ritorno. Si è trasformata in un demone.
Cassandra, un nuovo elemento della Congrega, ha preso la decisione di trasferirla in un hotel poco distante dal centro della città e, insieme a Bartek e Taissa, va a farle visita ogni pomeriggio.
Penso che Hazelle mi odi. Non scorderò mai la violenza del nostro combattimento... quel gelido tappeto di neve sarebbe divenuto la mia tomba se Beckah, Darren e gli altri non mi avessero salvata. Colpiva con il solo ed unico intento di uccidere. Non so in che modo io sia riuscita a sopravvivere, a tenerle testa... eppure mi trovo qui, nella mia camera, pronta per il grande giorno di zia Sarah e Frank. A proposito! Sono così sollevata per il fatto che il nostro rapporto sia tornato quello di una volta! Forse siamo persino riusciti a migliorarlo un po'!
Nulla dovrà rovinare il matrimonio. Con l'aiuto di Samantha, si sono impegnati tantissimo: le decorazioni, gli abiti delle damigelle... sarà un evento difficile da dimenticare!
Però, nonostante i vari screzi, mi aspetto di vedere anche Darren.
Non ho più avuto modo di parlare con lui: mi riattacca il telefono in faccia e cambia strada tutte le volte che mi incontra. Gli ho quindi inviato un messaggio, scrivendogli che la ferita al petto è guarita, ma se n'è infischiato altamente!
Dovrei ignorarlo come dice Beckah? Probabilmente è l'unica scelta che mi rimane.
Ti aggiornerò in seguito se mi dovesse capitare dell'altro.

Un abbraccio forte.

A presto.

Tua, Arya.

Illuminate dai primi raggi solari, le pagine del diario le ricambiarono un quieto saluto – tornando in seguito ad ammutolirsi, serrate, sopra la scrivania della stanza.
Arya tese indietro le braccia e si stiracchiò: l'abito che avrebbe dovuto indossare l'attendeva all'interno dell'armadio, insieme alle scarpe e ai vari accessori che Samantha avrebbe tanto voluto vederle sulle orecchie o intorno al collo.
Era un fresco mattino di Marzo, uno di quelli in cui l'atmosfera in città è alleggerita dal canto degli uccelli e l'aria primaverile, allegra, si diffonde ovunque – persino attorno a quei signori tutti d'un pezzo che non vengono mai colti da un sorriso improvviso, innocente.
Allo stesso modo della sua padroncina, il Signor Cavaliere sembrava non riuscire più a contenere l'emozione: saltellava da una parte all'altra, soffermandosi di tanto in tanto a fiutare degli odori sconosciuti. Arya lo prese in braccio e gli baciò il musetto: « vuoi venire anche tu? Basterà rimediare un papillon e tutte le invitate ti cadranno ai piedi! »
Il coniglio allora iniziò ad agitarsi e, subito, scivolò dalle sue mani – non era mai stato un grande amante delle coccole. Arya gli indirizzò una smorfia, andandosi poi a preparare.
Sotto al getto dell'acqua bollente, si lasciò attraversare da innumerevoli immagini appartenenti all'infanzia: Sarah era stata lì in ogni momento, come una madre, come una zia e anche come un'amica. Tempo addietro, nonostante gli assurdi orari di lavoro, era sempre stata solita sacrificarsi, andandola a riprendere a scuola, al corso di fotografia e, in alcuni casi, persino al cinema francese.
Si erano supportate a vicenda – nei momenti di gioia e anche nei momenti in cui Sarah veniva mollata da qualsiasi uomo frequentasse. Era per questo motivo che Arya non aveva stabilito da subito un ottimo rapporto con Frank: era convintissima, ai tempi, che quest'ultimo l'avrebbe lasciata, che non avrebbe fatto altro che spezzarle il cuore per l'ennesima volta.
Alla fine, però, ella si dovette ricredere. Frank era la persona giusta, anzi... la persona perfetta! Forse l'unica sul pianeta in grado di poter sopportare tutti i capricci e le continue gelosie di Sarah.
La ragazza si lasciò scappare un sorriso.
Il giorno era arrivato: la fine di un percorso e l'inizio di uno nuovo, migliore.
Toc-toc.
« Sì? »
« Arya, c'è una persona che ti sta aspettando! » Esclamò Samantha, dietro alla porta.
« Come? » Arya s'infilò l'accappatoio, avvolse i capelli in un turbante di asciugamani e fece scattare la serratura: « wow, ma sei già pronta! »
Samantha fece un giro su se stessa, soddisfatta del trucco e del lavoro che il parrucchiere a domicilio le aveva fatto. Indossava un abito bordeaux, dal corpetto stretto e la gonna a campana.
« Il vestito da damigella sta meglio a te, comunque » ammise Arya, in un sussurro.
« Ma non dire scemenze! » Samantha le diede un colpetto alla spalla: « dai, sbrigati! C'è questa... donna che ti sta aspettando all'ingresso ».
Udendo quelle parole, Arya ebbe un sussulto: l'unica donna che le veniva in mente era Hazelle. Che diamine era venuta a fare in casa sua? E poi, chi l'aveva lasciata scappare dall'hotel?
Tirò un sospiro e, ancora in accappatoio, uscì dalla camera – affrettandosi a raggiungere l'ingresso.
Già dal primo gradino della scala, fu costretta a ricredersi: non era Hazelle la persona che la stava aspettando, bensì qualcuno di molto peggio.
Arya socchiuse gli occhi, impaziente.
« Cassandra » la chiamò, non appena si ritrovò faccia a faccia con lei: « che ci fai qui? Ho espressamente detto a Bartek che oggi... ».
« Fa' silenzio » la interruppe Cassandra, gli occhi gelidi: in quell'ambiente colorato e festoso, la sua figura era estremamente inappropriata. Portava indosso il suo classico vestito nero, elaborato e con la coda lunghissima. Quando iniziò a parlare, si tolse il velo dalla testa – lasciando cadere sulla schiena e sul petto la sua folta chioma dorata. « Non me ne importa nulla del matrimonio e di tutto ciò che ti riguarda ».
Arya si mise a braccia conserte, nervosa.
« Quindi » riprese Cassandra: « sono venuta solo ed esclusivamente per avvisarti di una cosa ».
« Dimmi pure! » La situazione sembrava piuttosto seria: Arya non avrebbe mai e poi mai immaginato di vedere Cassandra, la strega che più detestava all'interno della Congrega, nell'ingresso di casa sua. Doveva trattarsi di un qualcosa di somma importanza.
« Non riusciamo più a trovare Taissa. Non sappiamo che fine abbia fatto e non oso immaginare nemmeno che cosa possa compiere da sola, in giro per Rozendhel ».
Arya aggrottò la fronte: « avete controllato da Hazelle? »
La strega annuì lentamente: « appena sarà finito il matrimonio, tu e Beckah dovrete tornare subito da me. Spero che per quell'orario Taissa abbia fatto ritorno a casa... altrimenti, dovremo collaborare e cercarla ovunque ».
« D'accordo » disse lei infine « mi terrò in allerta anche in chiesa. Magari verrà lì! »
Cassandra non rispose, ma continuò a scrutare all'interno dei suoi occhi – l'espressione che aveva in volto tradiva un misto di angoscia e preoccupazione: « ho uno strano presentimento... » ammise con un tono di voce che non le era mai appartenuto: « teniamoci aggiornate ». Dunque, fece dietro-front e si aprì da sola la porta di casa.
Arya rimase in silenzio e prese un lungo respiro: nemmeno in una giornata simile riusciva a tenere tutto sotto controllo! La vita all'interno della Congrega non le era mai andata a genio ed il desiderio di chiudere l'ultimo Portale, ora, si faceva sempre più urgente.
Ritornò nella sua camera, evitando di inciampare nel parrucchiere o anche solo in sua zia – si trovavano tutti in salotto, insieme ad altre due colleghe di lavoro di quest'ultima, per stabilire i preparativi finali.
Arya si chiuse la porta alle spalle e si avvicinò all'armadio: l'abito da damigella, identico a quello di Samantha, le calzava alla perfezione. Era strettissimo all'altezza del busto e del seno, ma si apriva sulle ginocchia in un'elegante gonna a campana. Una catena di luminosi strass andava a formare il disegno di una rosa sul fianco sinistro, mentre un paio di calze velate le nascondeva i difetti della pelle – tra cui i numerosi segni e cicatrici dovuti ai combattimenti.
Le scarpe, le stesse che aveva indossato al suo compleanno, le donavano circa due centimetri in più in altezza e, come al solito, non si mostrarono come le più comode in circolazione!
Dinanzi allo specchio, la sua figura le ricambiò un sorriso: tra i capelli rosso ciliegia portava una molletta a forma di giglio, la quale le teneva una ciocca fissa dietro un orecchio.
Scese le scale in tutta calma, con una strana sensazione alla bocca dello stomaco – come se avesse dovuto vomitare da un momento all'altro.
« Eccoti, finalmente! » Esclamò Sarah non appena la vide attraversare il salotto: « ti sei truccata da sola? Stai benissimo! »
« Chi, io? » Arya si avvicinò, una mano sul petto: « tu stai benissimo! »
Sua zia tentò di andarla ad abbracciare, facendosi largo tra tutte quelle persone che la circondavano: c'era Samantha, il parrucchiere a domicilio e le sue due colleghe – tutti concentratissimi nel prepararla, con un phon o un cosmetico tra le mani.
Sarah indossava già il suo abito da sposa: candido, dal bustino stretto e aderente sino alle ginocchia – dove lì, in basso, si allargava a ricreare la coda di una sirena. Il tessuto pregiato le disegnava la silhouette, mentre l'effetto trasparenza sul corpetto e le maniche lunghe le donava un tocco di sensualità che Arya non si sarebbe mai aspettata da parte sua. Una cinta di pizzo le sottolineava i fianchi, le scarpe erano coperte dalla gonna ed una tiara argentata le brillava tra i capelli.
Zia e nipote si abbracciarono per un lungo lasso di tempo.
« Ti voglio bene » le disse Arya, le lacrime agli occhi.
« Io te ne voglio di più » Sarah venne rimproverata immediatamente dal suo staff: il trucco le era colato su tutto il volto, rendendola più simile ad un panda che ad una sposa.
« È meglio che tu vada in chiesa » esordì il parrucchiere – un tipetto alla moda, con degli aggressivi boccoli neri che gli svolazzavano ovunque. « Non vorrei lavorare per niente, qui! »
Arya lanciò un'occhiata alle altre due donne, le quali sorridevano come automi ad ogni parola detta da questi.
« Andiamo insieme, Arya? » La invitò Samantha, una mano stretta attorno al manico della sua borsa: « ti accompagno con l'auto ».
« Va bene! Grazie! »
« D'accordo, allora! Andiamo subito... dobbiamo metterci in posizione prima che arrivi questa troiettina! »
Sarah si voltò, fingendosi offesa: « ehi! »
« Stavo scherzando » Samantha scoppiò in una fragorosa risata: « muoviamoci! »
« Potresti aspettare giusto un momento? » Iniziò Arya, chiamandola in disparte: « ti spiace se ti raggiungo direttamente in macchina? Ho scordato una cosa ».
« Fa' pure, ti aspetto lì! »
Quindi Arya salutò Sarah e tutti gli altri, poi si indirizzò verso la sua camera: lì, su di un comodino, giacevano il medaglione che le era stato regalato al compleanno e la Chiave di Zehelena.
Indugiò su quest'ultima, se portarla con sé o meno. Il dialogo che aveva avuto con Cassandra l'aveva resa alquanto sospettosa, dunque la afferrò e la mise al collo. Come i vecchi tempi.
« Possiamo andare? » Le domandò Samantha, i gomiti poggiati al manubrio.
Arya annuì, lo sguardo rivolto verso casa: « andiamo ».
Per giungere dinanzi alla scalinata della chiesa bastò circa un quarto d'ora. I discorsi toccati durante il tragitto avevano riguardato principalmente Samantha, la quale non aveva fatto altro che lamentarsi di tutti gli individui di sesso maschile che aveva frequentato dai quindici anni a quella parte. Arya avrebbe preferito aprire lo sportello e ruzzolare sull'asfalto piuttosto che ascoltarla ancora.
Dunque, si arrampicarono sulla scalinata e giunsero all'interno della chiesa – un grosso edificio bianco posto nel centro di Rozendhel. La ragazza rimase incantata dalla sua maestosità: sul pavimento intarsiato in marmo poggiava una vasta serie di panche color terra, mentre in alcune cavità poste ai lati estremi della navata si trovavano statue di uomini e donne dall'aria sofferente.
I raggi solari filtravano attraverso le vetrate ad arco, le quali si stagliavano ad intervalli regolari, lungo tutte le pareti sia di destra che di sinistra. Andando più avanti, invece, era possibile imbattersi nell'altare e nella figura di Frank – sorridente come al suo solito, intento ad aspettare la sua futura moglie. Arya lo salutò con una mano: portava indosso un abito nero, con una cravatta azzurra e dei mocassini scuri. Per l'occasione, si era rasato la barba ed aveva tirato indietro i capelli. Sembrava tutto fuorché il meccanico Johnson.
« Scusatemi » un ragazzo biondo attirò l'attenzione sua e di Samantha, ancora sul ciglio d'ingresso: « siete voi le damigelle? »
« Sì, esatto » rispose subito la donna: « siamo desiderate da qualche parte? »
Il giovane scosse la testa, timido: « no... volevo solo sapere con chi avrei dovuto attraversare la navata ».
Arya inarcò le sopracciglia: « quindi, sei un testimone anche tu? Come ti chiami? »
« Max! » Esclamò subito lui, le guance rosse: « io e Travis lavoriamo in officina insieme a Frank, non so se vi ha mai parlato di noi ».
« Travis? » Ripeté Samantha, curiosa – come se quel nome fosse stato l'unico elemento che le sue orecchie avessero percepito nel discorso.
« Sì, aspettate che ve lo chiamo ».
Arya roteò gli occhi: per quale motivo non le era mai saltato in mente di domandare a Frank che persone avesse scelto per fare da testimoni? Se solo lo avesse fatto, a quest'ora si sarebbe risparmiata l'imbarazzo di attraversare la navata con un individuo che non aveva mai visto e conosciuto prima. D'altronde, non poteva rimproverare nessuno se non se stessa... non aveva mai prestato così tanta attenzione ai discorsi riguardanti il lavoro di Frank.
« Questo è Travis! » Esclamò Max, annunciando un uomo sulla cinquantina, alto e dallo sguardo penetrante. Samantha per poco non svenne dall'emozione e, avvicinandosi all'orecchio di Arya, le sussurrò: « io prendo Travis, sia chiaro ».
Nel frattempo, la chiesa si stava riempiendo: nessuno dei due sposi aveva parenti o genitori ancora in vita, perciò gli invitati erano perlopiù colleghi di lavoro e amici stretti.
Seduti su una panca di destra, l'uno accanto all'altra, Arya notò Oliver, Logan, Beckah e Quinn.
« Grazie mille per essere venuti! » Esclamò non appena li ebbe raggiunti. « Siete riusciti a trovare Taissa? »
« Quanto sei bella, Arya! » Esordì Beckah, alzandosi in piedi e andandola ad abbracciare: indosso aveva un abito color smeraldo, il quale la rendeva simile ad una di quelle bomboniere che Frank aveva scartato per la selezione finale. « Non siamo riusciti a trovarla sfortunatamente ».
« Penso che Cassandra stia ancora in perlustrazione » commentò Quinn, la quale portava indosso un vestito giallo ed aveva i capelli raccolti in un'elegante treccia a lisca di pesce.
« Ferme, ferme! Pensiamo alle cose positive! Tra quanto arriva la sposa? » Le chiese Oliver, alzandosi in piedi. Indossava un abito tre pezzi, color beige, che lo rendeva alquanto elegante. All'orecchio, inoltre, aveva sostituito il suo classico dilatatore fluorescente con uno totalmente nero.
« Non stiamo più nella pelle, davvero! » Esclamò Beckah, contenta.
« Oh, ragazzi! Non lo so proprio » Arya fece spallucce, voltandosi verso l'ingresso: « quando l'ho lasciata, dovevano rifarle tutto il trucco ».
« Come? E per quale motivo? » Debuttò Logan – il quale indossava, come il suo ragazzo, un abito tre pezzi ma di colore verde. Arya lanciò una rapida occhiata ai suoi piedi, accertandosi che non si fosse presentato in infradito come al suo solito.
« Si è commossa » tagliò corto lei, notando del movimento accanto al portone di quercia: « però, credo le manchi poco ».
« Corri, allora! » La spronò Quinn: « vai! »
La ragazza annuì, convinta. Quindi li salutò con un rapido gesto della mano, per poi azzardare un passo in direzione opposta all'altare. In quell'istante, non riusciva proprio ad immedesimarsi in sua zia – non riusciva nemmeno ad immaginare quali sentimenti stesse provando! Sia lei, sia Frank... cavolo, Frank!
Si arrestò a metà navata, fece un giro su se stessa e corse verso la figura dell'uomo – il quale, nell'osservarla con il fiatone e le mani abbandonate sulle ginocchia, assunse un'espressione a dir poco meravigliata.
« Cosa succede? » Domandò, distratto: « Sarah non vuole più sposarmi? »
Arya scosse la testa: « no, assolutamente! » Fece per riprendersi dalla corsa e proseguì, sottovoce: « Frank! Sono consapevole di aver attirato l'attenzione di tutti gli invitati, ma voglio dirti una cosa prima che inizi la cerimonia » trattenne il respiro e allargò le braccia: « ti voglio bene... tanti auguri! »
All'inizio, l'uomo rimase di stucco; forse non riusciva a credere a ciò che le sue orecchie avessero appena udito. Quella ragazza non aveva mai ammesso nulla di simile nei suoi confronti... anzi, si era sempre mostrata distante, lontana anni luce dalla sua realtà. Era persino la prima volta che lo abbracciava, che lo trattava con riguardo!
La sua risposta, quindi, fu quella di rilassare i muscoli del volto, di abbassarsi di qualche centimetro ed infine, di abbracciarla – un gesto che seppe soltanto di amore e serenità: « ti voglio bene anch'io, signorina-topina ».
« No, sul serio, mi dispiace per essermi comportata da stronza » spiegò lei: « ho cercato di recuperare, ma mi è sempre venuto da schifo... quindi, sei d'accordo se dico che questo giorno segnerà un nuovo inizio? »
« Assolutamente, non devi preoccuparti! » La rassicurò l'uomo, dandole una leggera pacca sulla schiena: « capivo la situazione e adesso sono ancora più contento di averti nella mia vita. Non ti scusare ».
La ragazza ricambiò il sorriso. Erano sincere sia le sue parole che le sue intenzioni: d'altronde, adesso che ci rifletteva, quanto sarebbe stato difficile comportarsi in maniera un tantino più educata in casa? No, non le sarebbe costato assolutamente nulla. Con gli anni, era riuscita a maturare; era riuscita a comprendere i suoi sbagli, ed ora aveva il solo ed unico obiettivo di rimediare.
Raggiunse l'ingresso in fretta: Samantha era già in postazione, con un braccio di Travis avvinghiato attorno alla vita.
« Diamine, Arya! » Le disse in un sussurro: « ancora due minuti e la chiesa avrebbe dovuto aspettare te, non la sposa ».
« È già arrivata? » Chiese lei a denti stretti.
« Sta uscendo proprio adesso dalla macchina » rispose Max e, deglutendo, la prese sottobraccio: « andiamo? »
Con una splendida melodia proveniente da un organo lontano, Arya e Max aprirono il corteo – dietro di loro, Samantha e Travis.
Ad ogni passo, la ragazza sentì il cuore pulsare sempre più forte: gli occhi degli invitati, tutti quanti, erano rivolti verso di loro. C'era chi sorrideva, chi piangeva, chi sussurrava ai propri bambini di mantenere il silenzio e chi indicava più giù, al di là della sfilata.
Arya avrebbe tanto voluto godersi lo spettacolo e assistere allo splendido ingresso di sua zia, ma dovette contenere l'entusiasmo e proseguire diritta. Notò Beckah portarsi un fazzoletto di seta agli occhi, Quinn sorridere e Oliver abbracciare Logan.
Le figure di Frank e del sacerdote, intanto, si facevano sempre più reali.
Dinanzi all'altare, i testimoni e le damigelle si scissero: i primi proseguirono a destra dello sposo, le altre si posizionarono a sinistra. Fu in quel momento che Arya la vide: Sarah stava attraversando la navata in solitudine, proprio come aveva richiesto. Aveva il sorriso impresso sul volto, il più bello ed il più puro che avesse mai bussato alle porte di quella chiesa. Giunse all'altare, raccolse la mano tremante di Frank e gli sussurrò un qualcosa che la nipote fece fatica a comprendere.
« Benvenuti » esordì il sacerdote, un anziano dall'aspetto ordinario – con i capelli bianchi e le rughe in volto. « Benvenuti a tutti! »
Arya si trovava in piedi, tra sua zia e Samantha (la quale era già scoppiata in un buffo e silenzioso pianto). Sporadicamente, nel pieno corso della cerimonia, riusciva a buttare un occhio all'indietro: Beckah era l'unica, tra i suoi amici, che sembrava non dimostrare alcun segno di cedimento. Tutti gli altri sbadigliavano o controllavano, distratti, lo schermo dei loro telefonini. Era probabile che non vedessero l'ora di mettersi a tavola e cenare con i piatti migliori del ristorante.
Quando Frank tirò via da una scatolina nera due preziosissimi anelli d'oro, Arya volse il capo ancora una volta, restando piuttosto colpita da ciò che incontrarono i suoi occhi: un giovane dai capelli castani, naso greco e con un indosso un abito blu, aveva preso posto accanto ad Oliver. Accennò ad un mezzo sorriso quando si accorse degli sguardi che gli stava dedicando la ragazza.
« È con questo anello » iniziò Frank, le lacrime agli occhi: « che io prendo te, Sarah Mason, come mia legittima sposa. Giuro di rimanerti sempre accanto, in salute e in malattia, in ricchezza e in povertà, nella buona e nella cattiva sorte, finché morte non ci separi ».
« Io accolgo te, Frank Johnson, come mio legittimo sposo » riprese Sarah, la voce rotta dall'emozione: « giuro di rimanerti sempre accanto, in salute e in malattia, in ricchezza e in povertà, nella buona e nella cattiva sorte, finché morte non ci separi ».
Arya ricacciò indietro le lacrime: non si aspettava una cerimonia tanto toccante! Vide le mani di Frank tremare come foglie e quelle di Sarah afferrarle con dolcezza.
Erano anime gemelle, destinate a stare insieme per l'eternità.
« Ed ora, per il potere conferitomi dalla Chiesa » il sacerdote annunciò: « io vi dichiaro marito e moglie ».
Le labbra di Frank e le labbra di Sarah si sfiorarono in un bacio asintotico, mentre una pioggia di cristalli iniziò a calarsi dal soffitto. Gli applausi vennero inghiottiti dalle grida, la musica interrotta da un potente, devastante, sconosciuto tuono.
Le vetrate scoppiarono, il pavimento tremò.
Gli invitati, atterriti, cercarono di ripararsi dietro le panche. Tutto inutile.
Figure nere piombarono dall'alto, accompagnate da un misterioso fumo nero.
Un bambino gridò il nome di sua madre poco prima che il buio iniziasse ad accecare i suoi occhi.
Le grida si tinsero di rosso, le mura vibrarono.
« ARYA! »
La ragazza era in ginocchio, le dita intrecciate tra i capelli. Fece per rialzarsi, lottando contro le sue stesse gambe che, silenziose, le stavano dando l'ordine di rimanere a terra. Mise una mano sull'altare e si tirò su. A quel punto, uno spettacolo terribile le si parò, aggressivo, dinanzi agli occhi.
Il sangue schizzava dalle gole degli invitati, mentre cascate di inchiostro – provenienti dalle altissime fessure ad arco – si riversavano sul pavimento, scatenando il panico generale.
Arya fece un passo indietro, inciampando nella testa del sacerdote – gli occhi affacciati sull'oblio. Soffocò un grido e si mise immediatamente in cerca di sua zia.
« SARAH! » Ripeté innumerevoli volte: « SARAH! »
La chiesa si era trasformata nel trionfo della confusione: i sopravvissuti spingevano contro la porta d'ingresso, terrorizzati, confusi. Le ombre, nel frattempo, sghignazzavano e proseguivano nel loro intento di strappare più vite possibili.
All'improvviso, una di queste scaraventò a terra la giovane Mason: non aveva né occhi e né bocca, ma era capace di ringhiare allo stesso modo di una bestia.
« Togliti di mezzo! » Il Fuoco Aureo fuoriuscì dai suoi palmi e colpì l'essere, facendolo arretrare di qualche passo. « SARAH, DOVE SEI? »
La decisione più saggia che potesse prendere al momento le sembrò quella di tornare vicino all'altare: lentamente, il fumo si stava ritirando e la visuale dell'intera chiesa le apparì molto meno scura. A qualche metro di distanza poté notare Beckah e Darren prendere a pugni un demone, mentre non vi era alcuna traccia di Oliver, Quinn e Logan.
Arya si portò le mani alla testa. Erano in trappola: chiusi lì dentro, senza alcuna via di fuga, come carne da macello.
Tornò alla ricerca di sua zia, escludendo categoricamente l'opzione di un rapimento. Proseguì diritta, lungo la navata, facendosi spazio tra la folla che cercava di raggiungere inutilmente il portone di quercia.
Vicino alla statua di un angelo, un gruppo di demoni afferrò un signore rispettivamente da entrambe le braccia e gambe, tirando in direzioni opposte finché di quest'ultimo non rimase altro che poltiglia.
Arya scivolò sul suo sangue, ma ebbe comunque la prontezza di rialzarsi e attaccarli: « ANDATEVENE VIA! »
Le creature sghignazzarono, raggruppandosi in un minaccioso fumo nero che volò in direzione dell'ingresso, precipitando sulla folla e causando un'esplosione devastante. La maggior parte delle grida si spense, la porta invece rimase intatta.
« Le è stato fatto un incantesimo » sussurrò Arya, più a se stessa che ad altri. Alzò lo sguardo e si domandò se il discorso valeva anche per quelle finestre ad arco. Se solo si fosse portata dietro una piuma di Bartek...
« Arya Mason ».
Il suono di quella voce la fece rabbrividire, ciononostante tentò di mantenere la calma: in un cimitero di teste decapitate, a due metri di distanza dal punto in cui si trovava lei, si ergeva la figura di Castigo. Il volto, di solito impassibile ad ogni genere di evento, le si presentò graffiato da un'espressione piuttosto divertita. Con le mani intrecciate dinanzi al petto, si fece avanti – conficcando, volontariamente, il tacco delle sue scarpe nelle narici o nei bulbi oculari di quei poveretti. « Il tempo dei giochi e delle minacce è terminato » annunciò, tronfia: « vieni con me ».
Arya si lasciò scappare una risata: « dovrai costringermi ».
Anche Castigo fletté le labbra in un sorriso e, schioccando le dita, venne immediatamente raggiunta dalle sue solite ombre: « potete prenderla, ma non vi è concesso ucciderla. Sono stata chiara? »
I Demoni-Senza-Nome annuirono e, con estrema rapidità, ghermirono la Guardiana della Chiave.
« Come diavolo avete fatto? » Sibilò lei, confusa.
« Arrenditi » le ripeté Castigo: « e consegnami la Chiave ».
« Sei una stupida se credi che io te la lasci così facilmente ».
« Sai una cosa, ragazzina? » Castigo le si avvicinò, lo sguardo gelido: « sei proprio fortunata. Se non fosse per il mio Signore, io ti scuoierei viva... anche in questo preciso istante ». Le infilò una mano all'interno del corpetto e, con violenza inaudita, le strappò la Chiave dal collo – spezzando persino la catenina che le aveva dato Ismene tantissimo tempo addietro.
Arya strinse i denti, ringraziando che non si fosse rotto anche il medaglione.
« Forza, sbrighiamoci. Non abbiamo più... ».
Ma qualcosa interruppe il discorso di Castigo: una donna, dall'abito bianco e impreziosito da infinite perle rosse, si fece avanti. Aveva il volto stremato, col trucco sparso alla rinfusa, e gli occhi invasi da lacrime di rabbia. « Lasciate stare mia nipote » disse in sussurro.
« Sarah... » Arya percepì un brivido percorrerle la schiena, le gambe afflosciarsi a terra ed il cuore evaderle dal petto. « No... ».
Castigo si lasciò scappare una risata e, indicando la donna, disse: « quindi, questa sarebbe la sposa? Che bell'abito... » e prese a disegnare circonferenze invisibili attorno alla sua figura: « è un peccato che sia stato rovinato dal sangue, la polvere e... » afferrò la coda di sirena e gliela strappò, lasciandola in biancheria.
Arya abbassò lo sguardo: Sarah non ebbe alcuna reazione – era stata immobilizzata.
« Oh, no! Assolutamente no! » Castigo si posizionò alle spalle della donna e, con un cenno silente, ordinò ai suoi scagnozzi di afferrare il volto di Arya e di costringerla a guardare: « Arya Mason, Custode della Chiave e Guardiana del Fuoco Aureo... questa è la fine che faranno i tuoi cari, tutti coloro che ti appoggiano in questa tua vana ed insensata guerra ». Recuperò un pugnale dalla sua cintura e tirò indietro la testa di Sarah, prendendola dai capelli. Gli occhi di quest'ultima si rivolsero ad Arya in una muta preghiera.
« Per favore » sussurrò la ragazzina: « non farlo... ».
La lama seghettata impiegò circa un minuto, interminabili secondi, per tagliare la gola di Sarah.
Il liquido scarlatto scivolò ovunque, macchiando l'abito e persino il pavimento.
Il cadavere della zia, infine, precipitò con un tonfo sgraziato – lo sguardo vacuo, incorniciato dalla polvere e dalle lacrime.
Arya non ebbe la forza di gridare; rimase ferma, con la visuale appannata e la mente vuota. Non ebbe alcuna reazione nemmeno quando Castigo le infilò la testa in un cappuccio di lana, privo di un qualsiasi foro. Non volevano che nessuno la riconoscesse mentre la scortavano fuori dalla chiesa.
Si spinsero in volo, oltre le grida e la devastazione. S'indirizzarono verso le nuvole più alte; il tragitto fu alquanto burrascoso. Arya per poco non vomitò.
Scesero in picchiata una decina di minuti più tardi, accompagnati dalle solite risatine dei Demoni-Senza-Nome.
Quando Castigo la liberò, Arya si accorse di trovarsi in un posto sconosciuto: era grande, buio, estremamente caldo. Un liquido nauseante gocciolava dai muri, mentre grossi ratti si inseguivano in cerca di cibo. Il sibilo di un incendio e un odore terribile, acre, di gomma bruciata, la spinsero a credere che si trovasse nella vecchia industria automobilistica – quella abbandonata, in periferia, nella quale di tanto in tanto qualcuno si divertiva ad originare roghi di pneumatici.
« Perché siamo qui? » Domandò Arya, abituandosi all'oscurità.
« Perché il mio Signore ha voglia di incontrarti » rispose Castigo e, subito, con uno schiocco di dita, cinque sfere di luce rossa apparvero dal nulla, andando ad illuminare ogni angolo di quel posto. Se non fosse stato per i rifiuti, esso si sarebbe presentato completamente vuoto. Attorno a loro, il nulla. All'improvviso, però, un colpo di tosse fece rabbrividire Arya: « chi c'è? Non siamo soli! »
Castigo sorrise e le fece cenno di guardare alle sue spalle. La ragazza, dapprima, non volle ubbidire – credeva che si trattasse di un'ennesima trappola, giusto per farle abbassare la guardia ed ucciderla con più facilità.
« Arya? »
Sentendo pronunciare il suo nome, ella non poté più evitare di voltarsi: i suoi capelli frustarono l'aria e la gonna le sventolò attorno alle gambe. A qualche passo di distanza, si trovava una donna – in ginocchio, con i capelli scompigliati ed il volto emaciato. Aveva indosso una veste nera, ma non portava le scarpe. Si stringeva il petto con le mani, come se ne volesse custodire all'interno un qualcosa di invisibile che solo lei riusciva a vedere. Hazelle tossì ancora una volta, il sangue schizzò immediatamente sul pavimento.
« Ma cosa... » Arya la raggiunse con uno scatto felino: « che diamine ti hanno fatto? »
La strega le poggiò la testa su una spalla e scoppiò in un pianto devastante.
« Cosa le avete fatto? » Urlò Arya, in direzione di Castigo e dei due Demoni-Senza-Nome: « dimmelo! »
« Arya Mason ».
Una voce maschile, sconosciuta, si fece largo all'interno della sua mente – in quella di tutti.
Era gelida e minacciosa, ma fin troppo quieta.
Castigo si mise in ginocchio, e lo stesso fecero gli altri due demoni.
Arya rimase a guardare, mentre Hazelle le bagnava tutta una manica del vestito.
« Che piacere conoscerti! »
« Chi sei? Fatti vedere! »
Un denso fumo nero prese a danzare attorno ai presenti, avvolgendoli con la sua inconsueta morbidezza. A poco a poco, stava prendendo le sembianze di un individuo – il più particolare che Arya avesse mai incontrato. Era alto, snello e portava indosso una tunica nera. I capelli argentati gli ricadevano sul petto, mentre dalle lunghe maniche svasate apparivano quelle che dovevano essere le sue mani – pallide, simili a tarantole e con gli artigli gialli. Il suo volto era affilato, dai lineamenti eleganti, con un naso pressoché inesistente e le labbra fine. Gli occhi lampeggiavano di rosso, circondati da rughe vistose e prepotenti. Non era un anziano, anzi... era giovanissimo. Le orecchie appuntite erano in grado di percepire ogni singolo suono e rumore, anche il più distante.
Era il demone più regale che fosse mai uscito dalla Dimensione.
Arya non volle staccargli gli occhi di dosso: le incuteva terrore, un misto di curiosità e disprezzo.
« Arya Mason » ripeté lui, la voce gelida: « finalmente riusciamo ad incontrarci ».
« Chi sei? » Domandò la ragazza, tentando di mascherare la sua inquietudine.
« Il mio nome è Morgante » rispose il demone, facendo segno a Castigo di rialzarsi: « sono il Prescelto, colui che è riuscito ad evadere dalla Dimensione per primo ».
« Sei tu quindi che tiri le fila? »
Morgante annuì, lento: « molte lune fa, ho scatenato la ribellione dei demoni... ma senza successo. La Guardiana del Fuoco Aureo, tua antenata, ha creato la Dimensione e ci ha rinchiusi lì dentro per epoche intere » s'interruppe, notando dell'altro fumo avvicinarsi alla sua persona: quando si ritirò, Arya riconobbe il volto di Gregov – l'amico di Nathaniel. Questi non proferì alcuna parola, mantenne il silenzio per tutta la durata dell'incontro.
« In seguito » riprese Morgante: « per mezzo dei miei poteri, sono riuscito a mettermi in contatto con Castigo ed insieme abbiamo sconfitto la Chiave, il Velo e la maledizione di Zehelena ».
« Siete sempre stati voi due ad aprire i Portali... » sussurrò Arya, confusa: « ma come? »
« Sono un mezzo-elfo » tagliò corto Castigo: « non te l'aspettavi, vero? »
L'espressione che assunse la ragazza fece sorridere tutti i demoni – Hazelle, nel frattempo, si stava disperando ancora sulla sua spalla.
« Il tempo degli esseri umani è terminato. Sorge una nuova Era » disse Morgante, le braccia allargate: « le streghe pagheranno per ciò che hanno fatto in passato... con nessuna distinzione tra Impurità e Natura ».
« Non riuscirete mai a far cadere Rozendhel! » Sbottò Arya.
« Tu dici? »
« Combatteremo per tenercela, per non farvela distruggere! »
Morgante fletté le labbra in un sorriso privo di gioia: « mia cara, Arya Mason... sei così ingenua. Cosa credi che stia facendo l'Esercito della Notte in questo momento? La chiesa era soltanto l'inizio... Rozendhel sta già cadendo ».
La ragazza rimase immobile, in silenzio: non sapeva più cos'altro dire.
« Tuttavia, il problema principale rimane il Fuoco Aureo » Morgante proseguì, attirando l'attenzione di Castigo con un secondo cenno della mano: « e tu, Arya Mason, non potrai far parte di questa nuova Era. Morirai oggi stesso, con una delle streghe più potenti della storia ». L'affermazione suonò quasi come una battuta: in quello stato, infatti, la leggendaria Hazelle si dimostrava solo come una povera vecchietta indifesa. La sete di sangue l'aveva rovinata, intontita.
L'unica in grado di rianimarla fu la cantilena di Castigo – erano sempre le stesse identiche parole, ripetute in una lingua antica e con le braccia rivolte verso l'alto.
Arya sorprese Morgante fissarla, simile ad un serpente dalla carnagione cadaverica.
Se solo si fosse azzardata ad interrompere l'incantesimo, tre demoni le sarebbero saltati addosso – uccidendola.
Castigo proseguì con la sua interminabile filastrocca finché, all'improvviso, non comparve una macchia... una macchia di colore blu che prese a fluttuare a pochi centimetri di distanza dal pavimento. Facendo la sua apparizione, essa scatenò un breve terremoto: Castigo l'annunciò come l'ultimo Portale.
« Arya Mason » tuonò Morgante: « quest'oggi affronterai la Dimensione! Quest'oggi, cadrai insieme ad Hazelle! »
Numerose scie di fumo bianco scoppiarono dal Portale, indirizzandosi verso le figure delle due streghe. Arya invocò il Fuoco Aureo, ma fu fatica sprecata. Gli spiriti della Dimensione le avvolsero le gambe, le braccia, il collo, avvicinandola sempre più alla sua fine.
Hazelle venne inghiottita immediatamente, un grido disperato non appena ebbe varcato la soglia del Portale.
« È GIUNTA LA TUA ORA, ARYA MASON! »
La ragazza sentì il gelo della Dimensione ad un palmo dal suo naso: « NO, NO! »
Gli spiriti la inghiottirono, il Velo la bruciò viva.
L'ultima cosa che vide prima dell'esplosione fu la Chiave, ormai spezzata, precipitare nel vuoto insieme a lei.
Poi, il nulla prese a circondarla.
Schegge nere volavano nella sua direzione, aggressive, mentre il vento le ringhiava una macabra ninnananna nelle orecchie.
Fece un passo ed ebbe un giramento di testa: la Dimensione era un tunnel bianco, senza pareti, senza alcun tipo di oggetto o edificio.
Tentò di non farsi prendere dal panico. Il cuore le batteva all'impazzata e la mente le ripeteva una cosa sola: ucciditi.
« HAZELLE! » Gridò ad un tratto, le braccia avvolte attorno al busto: « dove sei? »
Nessuna risposta, se non quella di una scheggia che, velocissima, la scaraventò a terra.
« Ti prego... Hazelle! »
Camminò per quelli che le parvero due minuti, poi si portò le mani alla testa – le lacrime presero a rigarle il volto. Era finita: Rozendhel era caduta e la Dimensione si trovava in procinto di esplodere. Che cosa avrebbe percepito allora? Che cosa avrebbe visto?
Una luce dorata, in seguito, attirò la sua attenzione: sta arrivando la fine, ripeté a sé stessa, sto lasciando questo mondo.
« ARYA! »
La ragazza tornò in tempo presente, voltandosi da una parte all'altra: era la voce di Hazelle!
« Hazelle! » Gridò, esausta: « dove sei? »
« VIENI QUI! »
Si mosse in direzione della luce dorata, correndo e schivando ogni singola scheggia nera – era probabile che fossero demoni, quelli che non erano riusciti a scappare in tempo dalla Dimensione.
Con il fiatone e le gambe tremanti, Arya giunse a qualche metro di distanza dalla luce. Era un'altra macchiolina, in continuo movimento e sembrava restringersi a poco a poco. « Cosa diamine è? »
Hazelle arrivò, zoppicando: non si teneva neanche più in equilibrio.
« Hazelle! » Esclamò Arya, abbracciandola: « cosa pensi che sia? »
La donna accennò ad una smorfia, simile ad un sorriso: « è un Portale ».
Il vento cercò nuovamente di trascinarle a terra, ma loro resistettero.
« Ma Castigo ha detto che quello era... ».
« Lascia stare quello che dice Castigo » Hazelle sembrò aver recuperato un briciolo di lucidità: « ascoltami bene, Arya » disse, afferrandole il volto: « devi uscire da qui! Non dare retta a Cassandra, non dare retta nemmeno a Bartek! »
« Ma che cosa stai dicendo? » La interruppe la ragazza, tentando di sopraffare il rumore della Dimensione.
« Ascoltami! » Riprese Hazelle: « Taissa è morta... ci hanno rapite entrambe. Rimanete solo tu, Beckah, Cassandra e Cinnamon! Promettimi che diverrai tu il nuovo capo della Congrega ».
Arya scoppiò a piangere: « no, no! Ma cosa stai dicendo? »
« Promettimelo, Zehelena! » Tuonò Hazelle e, senza pensarci due volte, le strappò un bacio – le sue labbra sapevano di sangue e resa.
La ragazza tenne gli occhi aperti, incapace di far nulla.
« Io rimarrò qui » disse Hazelle: « morirò insieme alla Dimensione ».
« Tu verrai con me! »
« No... mi sono stancata di vivere così! E l'unico modo per farla finita è solamente questo ».
« Hazelle... ».
« Diverrai il nuovo capo della Congrega e sconfiggerai i demoni una volta per tutte. Riprenditi Rozendhel, Arya! Riprenditela e fa' sempre ciò che ti dice il cuore ».
Arya deglutì, indecisa: non avrebbe mai lasciato Hazelle in quel luogo.
Ci rifletté per qualche istante, poi la afferrò per un braccio e la trascinò dinanzi al Portale.
« Arya! No! »
« Vieni con me! »
« No! » Hazelle le lanciò contro un incantesimo, innocuo, che la spinse oltre la luce dorata: « è stato un piacere conoscerti ».
Arya rimase immobile, soffocando un ennesimo grido.
Quando piombò al suolo, la luce svanì.
In bocca aveva il sapore delle foglie; sotto le unghie, la terra.
I rami degli alberi nascondevano il manto oscuro della notte.
Era tornata.
« ARYA MASON È MORTA! » Sentì sbraitare in lontananza: « ARYA MASON È MORTA! »
Grida di bambini e tuoni di guerra accompagnarono il suo svelto cammino attraverso la vegetazione di quel bosco. Aveva l'abito da damigella ridotto a brandelli, il viso macchiato di polvere e sangue.
Corse nella notte, corse il più veloce possibile.
Dove stava andando? I suoi amici erano ancora vivi? Che futuro l'attendeva, adesso?
« Lì! Guarda lì! »
Arya richiamò il Fuoco Aureo e, senza prendere la mira, lo sparò nell'oscurità.
« Prendila! Prendila! »
S'imbatté in un uomo. Non lo riconobbe. Gridò.
Cadde a terra. Svenuta.
Quando riaprì gli occhi, le parve tutto un terribile incubo.
Sorrise, allontanando le lenzuola bianche.
Non aveva mai avuto un letto di quel genere. Non aveva mai indossato un abito simile prima del matrimonio.
Ripiombò nell'oscurità, respirando affannosamente.
« Arya » la chiamò una donna: « come stai? »
La ragazza scosse la testa, stava svenendo di nuovo.
Non era affatto un incubo... era tutto vero, e quei tuoni in lontananza non facevano altro che confermarle il tutto. La guerra stava proseguendo.
Che fine aveva fatto? Dove si trovava?
La donna le carezzò una gota: « benvenuta al Rifugio ».

 

 

Fine della seconda parte

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 32
*** Capitolo 31: Avanzi di una città dimenticata ***


Terza Parte




CAPITOLO 31:

Avanzi di una città dimenticata

 

 

Il vento ululava nella notte, assorto nella futile speranza che qualcuno lo udisse.
Tuonava contro i vetri delle finestre, fischiava tra i vicoli bui. Niente.

Sembrava proprio che nessuno volesse tendere un orecchio verso le sue grida di disperazione: che fine aveva fatto la gioia? Era stata messa da parte, affondata nella polvere delle cantine? Nascosta in una scatola o forse tra le pagine di un vecchio libro?
Il vento, deluso dalla perfida situazione, decise di ritirarsi. Era solitario, triste, circondato da corpi vuoti. Allora si librò nell'aria, sempre più in alto. Spostò qualche nuvola a suo piacimento, donando ad una di esse la forma di un coniglio. Che fatica rianimare una città nera; ogni sforzo ripagato con l'indifferenza!
Tentò ancora, scendendo questa volta in picchiata. Qualcuno lo avrebbe sentito, qualcuno si sarebbe degnato di rispondere!
Picchiò quindi contro le finestre di un salotto e le spalancò a fatica. Diamine! Ce l'aveva fatta!
Soddisfatto, avvolse la donna che sedeva su una poltrona – la quale non parve così contenta di riceverlo: aveva il volto magro, segnato dalla stanchezza e dalle rughe che si infossavano ai lati delle labbra. La sua criniera biondo platino si era rovinata con il trascorrere dei mesi, rendendola simile ad una vecchietta in attesa della morte.
Tamara Lloyd era visibilmente distrutta: sedeva a gambe aperte, tra le mani una bottiglia di vodka ormai agli sgoccioli.
Il vento provò a consolarla, di metterla al corrente che non era sola in quel posto orribile e dimenticato da Dio... ma fu tutto inutile. Difatti la moglie del sindaco si alzò dalla poltrona e, con estrema prepotenza, lo cacciò via – accertandosi che le finestre, adesso, fossero state chiuse a dovere.
Poggiò la bottiglia sul parquet in legno di ciliegio, contemplando il paesaggio al di fuori di quelle mura. La sua mente era satura di preoccupazioni e terribili pensieri. Molteplici volte aveva tentato il possibile pur di sapere se sua figlia fosse ancora in vita: l'odio che provava contro quegli esseri la divorava dall'interno... come avevano potuto agire in quel modo? Come si erano permessi di uccidere la sua bambina?
Scosse la testa: no... Quinn era riuscita a scappare da tutto quel trambusto! Ora più che mai, doveva trovarsi lontana da lei, lontana da quell'Inferno terreno.
La immaginò sdraiata su di un prato di margherite, con il volto serafico e raggiante – pregando in silenzio affinché decidesse di rimanere lì e di non preoccuparsi per le sorti incerte dei suoi genitori.
Dal momento stesso in cui Rozendhel era caduta nelle mani dei demoni, la situazione era cambiata notevolmente: a prendere le decisioni non era più suo marito, ma un essere spietato che rispondeva al nome di Morgante. Il piano che attuò subito costui fu quello di offuscare o, meglio, di confondere la mente di ogni cittadino, di ogni sua marionetta: era divenuto il dittatore di una Rozendhel inconscia, ignorante e spaventosamente ubbidiente.
Castigo, il suo fedele braccio destro, baciava almeno quattro esseri umani al giorno – tramutandoli in Demoni-Senza-Nome, nuove reclute per l'Esercito della Notte.
Nessuno poteva dirsi al sicuro, poiché non vi era alcun modo per poter sconfiggere un'armata del genere.
Un grido straziante lacerò l'atmosfera e Tamara Lloyd fu costretta a tornare alla realtà.
« Tu! » Si sentì chiamare e, voltandosi, riconobbe Gregov: un omone calvo, dalle orecchie appuntite e la folta barba nera.
« Cosa c'è? » Rispose lei, il tono di voce piatto.
« Cosa stai facendo qui? » Le domandò il demone, lanciando un'occhiata alla bottiglia abbandonata sul parquet: « ti stai ubriacando, lurida umana? »
« Questa è casa mia » Tamara azzardò un passo, poi un altro ancora, finché non percepì il fiato della creatura graffiarle la pelle: « e tu non puoi parlarmi in questo modo! »
Gregov rimase ad osservarla e, seccato, le lanciò uno schiaffo.
Tamara prese a sanguinare dalle labbra.
« Io parlo come voglio, puttana » riprese il demone: « e adesso, sali! L'assemblea sta per avere inizio ».
« E se non volessi? » Sussurrò la donna, nelle sue parole c'era molta determinazione: « mi daresti un altro schiaffo? »
Gregov sorrise, mostrando le zanne: « ti prenderei dai capelli, ti farei sbattere gli incisivi contro i gradini di quella scala, e poi ti porterei sanguinante al piano di sopra. Preferisci? »
Tamara ricambiò il sorriso: « non sei per nulla originale ».
Dunque, si mossero verso il piano soprastante.
Rispetto agli anni precedenti, la sfarzosità di quella villa era rimasta pressoché la stessa: era solamente un tantino più disordinata, con macchie di sangue sparse un po' ovunque.
Quando giunsero di sopra, Tamara si accorse che la porta dello studio era già aperta: che diamine stava succedendo? Quale doveva essere la ragione di quell'incontro?
« Tamara? Che ci fai qui? »
La donna indugiò sulla soglia, confusa.
La stanza si presentava diversa dall'ultima volta in cui vi era entrata: era buia, fredda e zeppa di demoni che sedevano ad un tavolo lunghissimo. I raggi lunari filtravano attraverso il vetro del lucernario, illuminando il volto pallido di un uomo – un umano che Tamara non aveva mai visto prima. Sospesa a mezz'aria, poco distante da lui, si trovava anche una ciotola nera che ruotava su se stessa e che, ad intervalli regolari, emanava ruggiti e strani borbottii. Tuttavia, l'elemento più raccapricciante della serata era la figura di quella donna, nuda e dall'aspetto devastato – sedeva in un angolo, con il mento abbandonato sulle ginocchia, e le pupille scure affacciate sull'oblio. I capelli unti le ferivano le gote, il muco le gocciolava dalle narici... la schiava non si era mai abituata agli insulti, alle violenze, agli stupri e alle minacce.
« Gregov, finalmente! » Esclamò qualcuno da capotavola: « siediti qui, vicino a me. Porta anche l'umana ».
Quindi Gregov spinse Tamara all'interno, come una gazzella in una gabbia di leoni famelici.
Ella fu costretta a sfilare dinanzi agli altri demoni – tra risate sguaiate e squallidi complimenti – e, ancora, dinanzi a suo marito, il quale cercò da subito un contatto che però lei ignorò di proposito.
Cameron Lloyd deglutì, gli occhi cerchiati di rosso.
« Ripetimi il tuo nome » la invitò colui che sedeva a capotavola, la voce gelida e minacciosa.
« Tamara » iniziò lei, tradendo la sua stessa paura: « Tamara Lloyd ».
« Bene, Tamara » il demone richiamò l'ordine, alzando entrambe le mani – simili a tarantole bianche. « Sai per quale motivo ho voluto che anche tu fossi qui presente? »
Tamara scosse il capo, riflettendo sul fatto che quella doveva essere la prima volta che si trovava faccia a faccia con l'essere che più odiava in assoluto. Da quella minima distanza riusciva a notare ogni elemento del suo volto glabro: era privo di imperfezioni, dai lineamenti eleganti ed incorniciato da una chioma di lunghi capelli argentei. I suoi occhi lampeggiavano di rosso, delimitati da rughe alquanto vistose, ma non così terribili da sfigurarne l'aspetto. Morgante fletté le labbra in un sorriso privo di gioia: la situazione lo divertiva non poco: « ho bisogno di sapere una cosa da te ».
Tamara inarcò le sopracciglia, disorientata: « del tipo? »
« Ho bisogno di sapere qualcosa riguardo a tua figlia » riprese Morgante, facendo cenno alla pentolina di arrestare il suo moto circolare: « per caso, ti ha mai parlato di... frammenti? »
« Frammenti? » Ripeté la donna, ancora più confusa di quanto non volesse ammettere: « frammenti di cosa? »
« Vedi, mia cara » Morgante si alzò, passandole accanto ma senza soffermarsi: « l'Esercito della Notte ha un compito ben preciso: trovare tutti i frammenti della Sfera. Un oggetto che è stato forgiato innumerevoli lune fa... un oggetto che può scatenare l'Inferno sulla Terra ».
« E che c'entra mia figlia? »
« Tua figlia era amica di Arya Mason » tagliò corto Castigo, seduta all'altro capo del tavolo: « Arya Mason sapeva dell'esistenza di questi frammenti. Il giovane spettro che risponde al nome di Nathaniel gliene aveva parlato ».
Morgante alzò una mano e Castigo tacque all'istante: « noi tutti ci stavamo interrogando se tua figlia ne avesse custodito alcuno? »
Tamara fece una smorfia: « non ne so nulla, mi spiace ».
Il demone, ora in piedi accanto alla pentolina, le riservò uno sguardo penetrante: « peccato ».
« Per quale motivo non l'ha chiesto subito a me? » Esordì Cameron Lloyd, la voce tremante: « insomma, potevamo risparmiarci la presenza di mia moglie ».
« Fa' silenzio! » Gli ordinò Morgante, prendendo l'oggetto tra le mani: « nessuno ha chiesto il tuo parere ».
« Sì, ma... ».
« Ho detto: fa' silenzio! »
I demoni scoppiarono in una nuova risatina. Tamara, al contrario, prese un lungo respiro.
« Sai una cosa, Cameron? » Riprese Morgante, avvicinandosi verso il suo posto: « sono ormai mesi che continui a comportarti come se fossi il re della città. Non mi piace affatto questo tuo atteggiamento. Non sai piegare la testa e prendere ordini? Credi che fare il sindaco ti dia un potere illimitato? » Cameron Lloyd inarcò le sopracciglia: « mio signore, io non credevo che... ».
« Fa' silenzio » ripeté il demone, adesso si trovava alle sue spalle: « tuttavia, capisco la tua esigenza di voler essere ricoperto di oro. Ho quindi voluto accontentarti! »
La pentolina emanò un nuovo borbottio.
« Mio signore » esclamò Cameron, lanciando un'occhiata di felicità verso sua moglie – la quale rimase impassibile: « non credevo che... ».
Morgante tolse il coperchio alla pentolina e ne riversò il contenuto sulla testa del sindaco.
I demoni che sedevano accanto a lui fecero un balzo indietro, cadendo dalle sedie e allontanandosi il più possibile.
Una cascata d'oro bollente scivolò sui suoi capelli, poi sulla fronte, negli occhi, accanto al naso, sulle labbra...
Le grida strazianti dell'uomo scoppiarono nelle orecchie di tutti i presenti: erano così penetranti che Tamara non riuscì a contenere le lacrime – il dolore di vedere suo marito vittima di cotanta crudeltà prese a divorarle il petto.
In pochi istanti, il cadavere irriconoscibile di Cameron Lloyd precipitò sul pavimento.
« È stato accontentato! » Terminò Morgante, un sorriso impresso sul volto: « ora, passiamo alle cose serie. Non voglio che nessuno di voi, questa sera, parli nella nostra lingua madre. Per coloro che non lo sanno, si è unito a noi il signor Bradshaw, un Cacciatore dell'Antico Circolo ».
L'uomo, illuminato dai raggi lunari, si alzò e fece un buffo inchino.
Soltanto adesso Tamara lo riconobbe: era l'ex professore di letteratura inglese di sua figlia.
« Castigo è riuscita a rintracciarlo, poiché le streghe della Congrega di Hazelle l'avevano confuso... erano riuscite a fargli dimenticare tutto ciò che aveva visto: magie, stregonerie, demoni » Morgante continuò: « ha sposato la nostra causa e ci aiuterà a rintracciare ogni singolo frammento della Sfera. In questo modo, non ci dovremo più accontentare di questa misera città! Ma dell'intero pianeta! »
Scoppiò un applauso tutt'altro che contenuto – Castigo fu l'unica a non reagire alla notizia.
« Tuttavia » disse il demone: « ho anche delle cattive notizie ».
« Cattive notizie? » Ripeté un uomo gobbo, gli artigli sguainati: « abbiamo la città in pugno, qualche frammento a nostra disposizione... cosa potrebbe andare storto? »
Morgante prese un lungo respiro: « mi è stato riferito che Arya Mason è ancora viva ».
Dai volti dei demoni trapelò soltanto sgomento. Nessuno si aspettava una notizia del genere.
Un coro di “com'è possibile?” si alzò da ogni parte del tavolo.
Tamara avvampò: se Arya Mason era ancora viva, allora doveva esserlo anche Quinn!
« Silenzio! » Ordinò Morgante, feroce – non voleva darlo a vedere, ma anche il suo sguardo era coperto da sfumature di un'ingente preoccupazione: « le mie spie l'hanno vista al confine della città, nascosta nella penombra dei boschi ».
« Come possiamo agire? È sola? » Chiese Gregov, la fronte aggrottata.
« È insieme al traditore, Nathaniel? » Domandò un'altra signora, dai capelli rossicci.
« Oh, non dovete preoccuparvi di lui » la rassicurò subito Castigo: « l'ho baciato qualche mese fa nella biblioteca di Rozendhel. Sapete tutti che il mio bacio su di un demone procura solamente la morte, no? »
La signora fece un cenno d'assenso: « e allora con chi si trova? Hazelle è morta, giusto? »
« Non mi è stata riferita alcuna notizia su Hazelle » ammise Morgante: « ma non credo possa essere ancora viva. D'altronde, o è stata uccisa dalla Dimensione o è morta di suo. Non l'abbiamo trovata al massimo delle forze quel giorno ».
Tutti risero.
« Come attaccheremo la ragazzina? » Chiese il signor Bradshaw: « posso esservi d'aiuto? »
Morgante scosse la testa, ora rivolgendosi unicamente alla schiava: « tu sei sua amica, non è vero? »
Silenzio. La schiava non ebbe alcuna reazione. Sembrava come se mesi e mesi di torture l'avessero portata all'inesistenza: si trovava lì, certo, ma era come se non ci fosse – come se il mondo continuasse a girare e lei rimanesse ferma, impassibile a tutto.
« Ricordi almeno il tuo nome? »
Tamara lanciò uno sguardo alla schiava, la quale sibilò un qualcosa che lei non riuscì a comprendere.
« Samantha, giusto! » Esclamò Morgante, facendo cenno a Gregov di alzarsi: « uccidila, riducila in brandelli. Li faremo piovere sulla testa di Arya Mason ».
« Ma oggi era il mio turno! » Disse un demone, la lingua di fuori: « dovevo averla io, oggi! »
« Potrai utilizzare Tamara per soddisfare i tuoi istinti sessuali, Vusan! » Rispose Morgante, cercando di non perdere alcun istante dell'esecuzione di Samantha.
« Ti prego... » sussurrò quest'ultima quando Gregov la sollevò da terra, mostrando a tutti i presenti i lividi che le segnavano il corpo: « lasciami... »
Il demone le diede un pugno all'altezza dello stomaco, poi le prese il volto tra le mani e le spezzò l'osso del collo. Il cadavere scivolò a terra con un tonfo sgraziato.
« Benissimo! » Esclamò Morgante, alzandosi: « per oggi è tutto. La prossima volta ci vedremo sui cieli di Rozendhel, pronti a bombardare il bosco ». Castigo e tutti gli altri demoni applaudirono.
Tamara, invece, venne acchiappata per un braccio.
« Lurida umana » le sussurrò Vusan: « non vedo l'ora di stare sotto le lenzuola, ad ascoltare le tue grida ».

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 33
*** Capitolo 32: Il Rifugio ***


CAPITOLO 32:

 

Il Rifugio

 

 

Il vento, bandito dalla città, proseguì il suo eterno viaggio. Non vi era più alcun tipo di speranza contenuta nei suoi gesti: si lamentava nei boschi, schivando i pini e spolverando di tanto in tanto quell'ispido tappeto di aghi e foglie secche. Si era allontanato parecchio, ma non sembrava importargli granché. Non aveva alcuna intenzione di fare dietro-front, di tornare sui suoi passi.
Per quale ragione avrebbe dovuto farlo? D'altronde, è impossibile risvegliare un morto! Ormai, si era arreso... si era abbandonato all'idea che tutto sarebbe rimasto così, appassito.

Lentamente, anche il sole stava per uscire allo scoperto – facendo capolino all'orizzonte, tra le nuvole rosee dell'aurora.
L'estate era arrivata in anticipo e soltanto in quegli attimi era possibile godere di un clima fresco e per nulla torrido; un clima che piaceva a tutti, ed in special modo a quella piccola macchia di inchiostro che sfrecciava nell'aria, insinuandosi leggiadra nel cielo, coraggiosa e silente.
Il vento fece fatica a raggiungerla: era fin troppo veloce per lui, con quelle piume nere che vibravano eleganti ad ogni suo tocco. Le carezzò i capelli rossi, avvolgendo la sua figura danzante in lievi spirali invisibili, le solleticò il naso ed infine fece per accompagnarla a terra.
Non appena i lacci degli anfibi s'impigliarono ai ciuffi del prato, Arya sbatté le ali un'ultima volta – serrandole, successivamente, con un colpo secco delle spalle, inarcando la schiena.
Diede una rapida occhiata all'ambiente circostante: si trovava in una vastissima radura, spoglia e taciturna. A farle compagnia erano soltanto quei pochi platani che si ergevano attorno ai ruderi di una città caduta e dimenticata da fin troppo tempo. I raggi solari filtravano attraverso i loro fori, svegliando la pietra ed il muschio che li influenzava.
Chi mai avrebbe sospettato che sotto a quelle costruzioni tanto vecchie si trovasse il nascondiglio di una popolazione altresì antica, ormai costretta a vivere nella clandestinità e nella paura di essere scoperta e uccisa?
Arya congedò il vento e si abbandonò su di un masso, lo sguardo concentrato altrove.
La radura, infatti, posta su una collinetta, le donava una vista magnifica del bosco che si estendeva ai suoi piedi: le cime dei pini sfregavano contro il cielo, mentre frinivano i grilli e ticchettavano i pettirossi.
Serrò le palpebre ed inspirò profondamente, immaginando cosa ci fosse al di là di quella somma pace.
Nonostante fossero trascorsi dei lunghissimi mesi dal giorno in cui era riuscita a scappare dalla Dimensione, Arya non aveva mai trascurato il ricordo della sua città: Rozendhel.
Era solita chiedersi se un giorno vi avrebbe mai rimesso piede e, soprattutto, in che stato l'avrebbe ritrovata. Le notizie che provenivano dalle spie di Rhona non erano delle più felici. Erano terribili, e peggioravano di momento in momento.
Arya riaprì gli occhi e tirò un pugno contro il masso – il palmo della mano destra prese a sanguinarle copiosamente.
Era stanca, stufa e... neanche lei sapeva più quali fossero i sentimenti che si davano battaglia all'interno del suo petto. A tratti si sentiva addirittura spaventata, come se il peso della situazione le piombasse di punto in bianco sulle spalle, schiacciandola, facendola accasciare a terra e scoppiare in un interminabile pianto. In quei casi era doveroso per le streghe del Rifugio tentare di tranquillizzarla, di farle capire che quelle visioni nella sua mente non appartenevano altro che al passato... che adesso, si trovava in un luogo sicuro.
« Arya? »
Fu costretta a tornare alla realtà, voltandosi.
« Che ci fai qui fuori? » Le domandò una sciupatissima Beckah, le mani affondate nelle tasche della vestaglia: « hai rubato un'altra piuma di Bartek, non è vero? Devi smetterla! »
« E perché? » Sbottò Arya, alzandosi in piedi: « ultimamente ne perde parecchie. Ne abbiamo in abbondanza! »
« Sì, ma... » incespicò l'altra, poi aggrottò le sopracciglia: « che cosa ti sei fatta alla mano? »
« Niente » tagliò corto Arya, intuendo che quella ferita sarebbe divenuta ben presto un caso di Stato. Tentò di portarsela dietro alla schiena, ma fu fatica sprecata; nascondere un qualcosa a Beckah, difatti, era sempre stato impossibile. La raggiunse con un'espressione corrucciata, la stessa che era solita sfoggiare ai tempi in cui Taissa rompeva un piatto o si divertiva a prenderla in giro.
Si scambiarono un'occhiata, la figura dell'una riflessa negli occhi dell'altra.
« Medicamentum » iniziò Beckah e, in un attimo, il sangue si placò e la ferita parve già vecchia di qualche giorno.
« Grazie » sussurrò Arya, come se quella parola fosse in realtà una bestemmia o una delle cose peggiori da dire ad un altro essere umano.
Continuarono a studiarsi: nelle sue pupille, Arya poté notare la figura di una ragazza dai lunghi capelli color rosso ciliegia, con il volto magro e l'aspetto di chi ha trascorso la notte sotto un ponte.
Allo stesso modo, anche Beckah non sembrava passarsela tanto bene: era pallida, con i capelli intrecciati e le occhiaie che le divoravano il viso.
« Perché ti sei svegliata così presto? » Le domandò Arya – al collo le pendeva il medaglione dorato.
« Ho sentito che ti alzavi, quindi ho aspettato un po'... credevo fossi andata in mensa a prendere una bottiglia d'acqua » Beckah si mise a braccia conserte: « e invece non tornavi più. Quindi, ho intuito che fossi uscita di nuovo di nascosto ».
« Ah, ecco. Ho svegliato anche Quinn? »
La ragazza agitò il capo, poi le afferrò un polso: « torniamo in camera, forza. O vuoi andare a fare colazione? »
Arya sembrò rifletterci su per qualche istante: in realtà, non avrebbe voluto fare nessuna delle due cose. Aveva le idee piuttosto chiare e, finalmente, aveva il coraggio di riferirle a qualcuno: « voglio andare a parlare con Rhona ».
Proprio come aveva previsto, Beckah prese a scrutarla con cotanta attenzione che per lunghi istanti non batté nemmeno le ciglia: « e perché? » Chiese infine, cauta.
« Siamo state qui per troppo tempo, Beckah! » Iniziò Arya, tentando in ogni modo di risvegliare la sua coscienza: « non pensi che dovremmo fare qualcosa? Riprenderci la nostra città? »
« Certo, e rischiare di mandare al massacro altre persone! » Sbottò l'altra, allentando la presa dal suo polso: « hai visto cos'è successo al matrimonio, no? Vuoi che si ripeta una cosa del genere? Non siamo pronte per affrontarli tutti! »
« E allora lasceremo la situazione così com'è? Che si sviluppi da sola? – Fece una pausa, ammorbidendo il tono di voce – le persone stanno morendo anche lì, Beckah! Mentre noi... noi cosa stiamo facendo? Cosa sta facendo Rhona? »
Beckah le lanciò un'occhiataccia, la più fulminante che avesse nel repertorio: « hai intenzione di partire per Rozendhel? Da sola? »
« Come potrei? » Ribatté Arya, infastidita: « non sono la strega che tutti credono che io sia. Sono vulnerabile, ho bisogno dell'aiuto di ognuna di voi ».
Per la prima volta, Beckah notò l'erba e i fiori selvatici. Sul suo volto chino, si alternavano espressioni divertite ed angosciate. Arya si domandò se ce l'avesse fatta.
« Tu sei la strega più forte, non sminuirti » Beckah si aprì in un sorriso: « riusciremo a riprenderci Rozendhel, ne sono certa... ma non oggi. Devi avere pazienza ».
« E quando pensi che potremo farlo? » La ragazza inarcò la fronte: « immagina quante persone stanno perdendo la vita anche adesso! »
« Lo so, Arya » Beckah l'afferrò nuovamente per una mano: « ma non è questo il momento ».
Avanzarono lungo tutta la radura, passando attraverso i ruderi e calciando l'erba secca.
Il sole era ormai sveglio e sfiorava attento le loro cicatrici – troppo numerose, troppo profonde.
Ad un tratto, Beckah fletté le ginocchia, accertandosi che quello fosse davvero il punto in cui si trovasse la botola: sebbene fossero lì da qualche mese, aveva ancora delle difficoltà nell'orientarsi.
Scostò del fogliame con noncuranza, studiò la terra e poi esclamò convinta: « okay, è qui! »
Si rimise in piedi e unì le mani, pronta per quella solita filastrocca che le streghe del Rifugio avevano inventato per lasciar fuori demoni, umani e chissà quale altra creatura dei boschi.
Arya si guardò attorno, come se stesse facendo da palo ad un suo compagno rapinatore. Se solo qualcuno le avesse notate, avrebbero esposto al pericolo l'intera Comunità.
« Il mio nome è Beckah Gray » iniziò la ragazza, gli occhi socchiusi: « strega-guerriera dell'Impurità e amica della Natura. Insieme ad Arya Mason, Ex-Custode della Chiave e Guardiana del Fuoco Aureo, ti ordino di aprire le porte e di lasciarci entrare ».
La terra rispose con un silenzioso “click” e, immediatamente, apparvero una botola ed una rampa di scale di pietra – la quale, inghiottita dall'oscurità, donava l'impressione di condurre verso un luogo orribile, oscuro... verso l'Inferno.
Ormai abituate alla situazione, le streghe richiamarono due luminose sfere bianche e si inoltrarono così in quella galleria lercia ed estremamente umida.
La botola si serrò non appena poggiarono piede sul primo gradino.
« Odio questo posto! » Esclamò Beckah, accertandosi che Arya l'avesse effettivamente seguita: « guarda quant'è sporco! In più, faccio fatica a respirare! »
« Chiederò a Rhona di sistemare anche questo! » Rispose l'altra, la fronte imperlata di sudore.
« Quindi hai proprio intenzione di parlarle? »
« Ovvio » disse Arya, secca: « tu puoi anche aspettarmi in mensa. Credo che a quest'ora si siano svegliati anche Oliver e Logan ».
« D'accordo » si arrese Beckah: « poi fammi sapere come va ».
Il tunnel di pietra le condusse dinanzi ad una porta di legno, sulla quale si trovavano incisi scarabocchi e immagini sconosciute. Arya non si era mai chiesta che cosa volessero dire o quale fosse la loro storia. Li ignorava tutte le volte, prendendo un respiro profondo e allungando la mano verso il pomello – il quale era solito reagire con un breve tremolio.
Spalancata la porta, le due streghe giunsero nell'ingresso del Rifugio: un'enorme sala circolare, dal pavimento intarsiato in un marmo lucente e da una serie di colonne doriche che si ripetevano ad intervalli regolari lungo tutto il perimetro.
L'oro decorava ogni cosa: i fregi che correvano sulle pareti, i numerosi lampadari e persino le minuscole decorazioni del soffitto.
Una balconata divideva la sala dal centro del Rifugio, in cui pendeva un pino di enormi dimensioni, installato a testa in giù, verdissimo e dalle radici dorate che si intrecciavano nel lucernario più alto.
Arya adorava quella postazione – il panorama che riusciva a scorgere da lì era semplicemente unico, magico a tutti gli effetti.
Il primo piano del palazzo era quindi costituito dall'ingresso e dalla mensa, il secondo ed il terzo erano invece riservati alle camere degli ospiti, mentre il quarto era di proprietà esclusiva di Rhona – il capo delle Streghe della Natura. Era stata proprio quest'ultima a prendere la decisione di trasferirsi lì sotto, ed era stata sempre lei a mutare la terra in un luogo sicuro e accogliente.
Tuttavia, attorno alla sua figura aleggiava un'aura misteriosa ed ermetica, ma non eccessivamente intimidatoria: era una donna di gran fascino, che preferiva consumare i pasti nella tranquillità del suo studio, e lavorare giorno e notte per poter riprendersi Rozendhel.
Arya nutriva una profonda stima nei suoi riguardi, ed era soprattutto per questa ragione che odiava ammettere a sé stessa che il lavoro, che ella stava compiendo, non era ancora arrivato ad un qualsiasi risultato soddisfacente.
Doveva parlarle, convincerla a fare la prima mossa. Dovevano far scoppiare una guerra, insieme.
« Arya? » La chiamò Beckah, irritata: « Arya, ci sei? »
« Scusa, non ti avevo sentita » Arya sbatté le palpebre, tornando in tempo presente: « questi rumori sono davvero insopportabili! »
L'unica pecca di quel luogo, infatti, risiedeva nell'assenza di attimi di pace. C'era un continuo movimento di streghe che si rincorrevano per i corridoi, maghi che erano soliti fermarsi dinanzi al pino e interrogarsi sui problemi che affliggevano il mondo e, ancora, creature alate che svolazzavano di tanto in tanto, strepitando versi incomprensibili e lanciando forti fragranze.
Era un mondo distante anni luce dalla Terra, in cui si respirava ossigeno e magia.
« Lascia stare » Beckah si arrese: « vado in mensa a mettere qualcosa sotto i denti. Salutami Darren ».
Arya inarcò le sopracciglia e, perplessa, vedendo la sua amica allontanarsi, chiese: « Darren? »
« Buongiorno, bellissima! » Le labbra del ragazzo le sfiorarono il collo, facendola sobbalzare.
« Buongiorno anche a te » Arya si voltò, celando un sorriso con autorità: « come andiamo? Dormito bene? »
Darren Hart fece spallucce, gli occhi ancora impastati di sonno: « diciamo di sì! Non riesco proprio ad abituarmi a questi dormitori... le pareti sembrano fatte di cartongesso. C'è troppo baccano! »
Rispetto ai giorni che avevano preceduto il matrimonio, i suoi capelli si mostravano un tantino più lunghi e disordinati. Inoltre, quella mattina, indossava una canotta bianca che gli sottolineava il fisico scolpito, dei pantaloncini color mare ed un paio di infradito di gomma.
Nel bel mezzo della sala, una strega dai capelli fucsia lo squadrò dalla testa sino ai piedi – l'espressione inviperita.
« Ti capisco » riprese Arya: « io quando non riesco a dormire salgo in superficie a sgranchirmi un po' le ali ».
« Fai bene! » Le disse Darren in uno sbadiglio: « percepisci ancora del dolore quando ti spuntano? »
La ragazza scosse la testa, tornando indietro nel tempo, alla prima volta che aveva consumato una piuma di Bartek. Allora, Hazelle si trovava ancora in vita e Quinn, invece, era un demone privo di una qualsiasi morale. Quante cose erano cambiate...
« Comunque » disse, cambiando totalmente argomento: « stavi andando a fare colazione? »
Darren annuì: « anche tu? »
« Sto salendo al quarto piano, in realtà. Voglio parlare con Rhona ».
« A quest'ora? Non credi sia troppo presto? »
Arya sembrò rifletterci su per qualche istante, poi disse: « non credo stia dormendo, in caso vi raggiungo più tardi ».
« E se ti volessi accompagnare? » Darren alzò un sopracciglio.
« Sta' tranquillo » la ragazza gli diede una pacca sulla spalla, frustando l'aria con i suoi lunghi capelli rossi: « e poi sei conciato malissimo! Vatti a mettere qualcosa di decente indosso! »
« Ma non è vero! » Darren fece una smorfia e, alzando la voce, disse: « ci vediamo dopo, allora! »
« A dopo! »
Dunque, Arya prese a correre per tutto l'ingresso – circumnavigando la balconata: passò dinanzi all'ufficio “oggetti smarriti”, all'entrata del refettorio (una sala immensa, aperta 24 ore su 24, in cui le pareti cambiavano colore ogniqualvolta che ci metteva piede) e, infine, spinse un'ennesima porta di legno, raggiungendo così una nuova rampa di scale a chiocciola che la condusse direttamente al quarto piano.
Sebbene non l'avesse dato a vedere, rifletté sugli ultimi gradini, aveva apprezzato molto la proposta di Darren: dalla notte in cui avevano raggiunto il Rifugio, il loro rapporto era tornato quello di sempre... o meglio, erano tornati ad essere solo amici. Difatti, Arya evitava ogni suo bacio e la notte preferiva dormire tra le lenzuola gelide del suo letto piuttosto che tra le sue grosse braccia. Gli avvenimenti del matrimonio e la permanenza a tempo indeterminato in quel luogo avevano contribuito ad indurirle la corazza che portava indosso.
Rispetto ad alcune sue compagne streghe, non era più riuscita a tornare a Rozendhel: le spie di Rhona le avevano dunque riferito che la sua casa era stata rasa al suolo, che il suo coniglio era morto soffocato tra le macerie, e che in tutto ciò le uniche cose che erano riuscite a recuperare erano state il grimorio di Hazelle, il grimorio trovato in biblioteca e la fotografia che Oliver le aveva regalato al compleanno. I demoni le avevano persino rubato tutti gli abiti – adesso, utilizzava perlopiù le magliette di Darren, che le calzavano a mo' di vestito e che riportavano i nomi delle band più famose nella storia della musica. Quella mattina, infatti, ne indossava una nera degli ACDC.
Scosse la testa e s'impose il coraggio.
Non appena la suola dei suoi anfibi sfiorò il pavimento del quarto piano, una voce meccanica annunciò la sua visita: « Arya Mason, Ex-Custode della Chiave e Guardiana del Fuoco Aureo. Strega dell'Impurità ».
Arya deglutì, azzardando un passo in quel tacito deserto. La sala era identica a quelle dei piani inferiori – ad eccezione del panorama, poiché lì le radici del pino si mostravano enormi ed il lucernario aveva le stesse fattezze di una finestra di un gigante.
Arya decise di non sporgersi dalla balconata e continuò diritta, fino all'unica porta che trovò alla sua destra.
Per qualche istante, tentennò sulla soglia. Poi, allo scadere dell'eternità, decise di bussare.
« Entra pure » le disse Rhona dall'interno: « ti stavo aspettando ».
Arya ritirò la mano e la porta si spalancò, silenziosa, su uno studio piuttosto intimo e di piccole dimensioni: il parquet era scuro, il soffitto decorato da tante piccole sfere di luce bianca; lo spazio era occupato solamente da una scrivania in legno di quercia ed un letto a baldacchino affiancato ad un armadio verde; sulla parete di sinistra, invece, riposava un arazzo antico che riproduceva la sofferenza e la disperazione di una madre – tra le braccia, il cadavere di un neonato.
Poco più giù, in piedi, accanto ad una torre di documenti e fotografie, si trovava una bellissima venere nera: un fiume d'inchiostro le scivolava sulla schiena, mentre un paio di ametiste brillava sul suo volto dai lineamenti morbidi. L'abito scuro le risaltava le curve dei fianchi ed il seno prominente, e sulle spalle, inoltre, aveva uno scialle di seta viola – un dono che portava la firma della moglie di Daoming.
« Vieni avanti, Arya » la invitò Rhona, accennando ad un sorriso – le labbra piene e sensuali: « ero impaziente di rivederti ».
« Anch'io » la giovane Mason si avvicinò, chinando il capo. Era poco più bassa di lei: « non era mia intenzione disturbarla, comunque. Volevo soltanto parlarle di... ».
« Rozendhel? » Chiese Rhona, sfiorando con le sue dita affusolate gli orecchini di filigrana nera che aveva indosso: « anch'io ».
« Davvero? » la ragazza rimase a bocca aperta: « mi dica tutto, allora! Sono impaziente! »
« E sono anche buone notizie » la donna allungò un braccio in direzione di una nuova poltrona, apparsa senza che Arya se ne accorgesse: « siediti pure, non rimanere in piedi ».
« Certo! »
Presero posto, l'una di fronte all'altra – la sola scrivania a dividere i loro corpi.
Rhona rimase a fissarla per qualche secondo, senza proferire parola. L'oceano viola dei suoi occhi incavati prese a scrutarla nel profondo, come se avesse la capacità di raggiungere e di leggere anche il minimo segreto.
Arya scostò lo sguardo.
« Nell'arco di questi mesi, ho avuto molto lavoro da compiere » iniziò Rhona, le mani intrecciate ed i gomiti abbandonati sul tavolo: « nel silenzio più totale, ho inviato un messaggio ad ogni singola strega del pianeta. Ho chiesto aiuto alle Creature più disparate della Comunità Magica, ricevendo tanti consensi e pochi rifiuti ».
« Ha inviato un messaggio anche alle Streghe dell'Impurità? » La interruppe Arya.
« Ad ogni singola strega del pianeta » ripeté Rhona, la voce piatta: « ti sarai accorta, giovane Arya, che qui, nel mio Rifugio, convivono senza problemi Impurità e Natura. Sogno un mondo del genere, in cui le streghe tornino ad essere unite... e, presto o tardi, credo proprio che diverrà realtà ».
« Mi dica il suo piano ».
Rhona accennò ad un sorriso privo di gioia: « ho spiegato loro la situazione riguardante la caduta di Rozendhel. Alcune di loro temono il ritorno di Morgante e, per questo, non hanno accettato di venire qui. Tante altre, invece, sono rimaste affascinate dalla tua storia... l'erede di Zehelena, un tempo Custode della Chiave, Guardiana del Fuoco Aureo, discepola della leggendaria Hazelle, che è riuscita a sopravvivere alla Dimensione. Hanno accettato di venire per merito tuo. Per loro sei una fonte di ispirazione, giovane Arya. Non vedono l'ora di conoscerti ».
Quelle parole fecero battere all'impazzata il cuore di Arya, la quale percepì immediatamente un conato di vomito all'idea di dover incontrare così tanta gente. Che razza di fama aveva acquisito? Come poteva essere una fonte di ispirazione verso un'intera Comunità Magica se ogni minima cosa, ormai, le scaturiva uno spiacevole attacco di panico? Deglutì, nervosa.
« Partiremo oggi stesso, Arya » riprese Rhona.
« Partire? » Domandò lei, ancora più confusa di prima: « per dove? »
« Per la Muraglia del Drago. È lì che le streghe prendono le decisioni più importanti. Da secoli! » Rhona proseguì: « dovremo portare anche tutti i tuoi amici, umani e non ».
« Per quale motivo? » Chiese Arya: « non sto capendo nulla, sinceramente ».
« Per non nascondere nulla ai nostri compagni. Fidati di me... come quella volta ».
La ragazza ebbe un ultimo flashback: adesso si trovava nella sua vecchia casa, al primo piano, accanto al suo letto. Sul comodino, un contenitore d'argento ed un foglio che recitava: “buon compleanno, Arya. Spero che questo regalo ti sia utile. Spalma la crema sulla ferita e tornerai come nuova. A presto – R.”
« Va bene » riprese alla fine: « ma voglio dirle ancora una cosa ».
L'espressione sul volto di Rhona cambiò, sembrava sorpresa.
« Rozendhel deve tornare agli umani. Non voglio che venga distrutta da Morgante! » Arya prese un lungo respiro, accorgendosi che il suo stomaco stava iniziando a reclamare la colazione: « non voglio che nessun'altra persona innocente muoia in questa guerra. Mi promette, quindi, che faremo tutto il possibile per agire in tempi brevi? »
« Ovvio » rispose Rhona, secca: « ma ci sono tante altre cose da fare prima: questo incontro, la ricerca dei Frammenti e... ».
« La ricerca dei Frammenti? » La interruppe Arya, l'espressione shockata: « quindi, ha capito la loro utilità? »
La venere nera annuì: « le leggende narrano che siano necessari per l'evocazione del Demone Supremo chiamato Incubo. Morgante sta tentando di distruggere l'Universo, non c'è altro da aggiungere. Non appena tutti i Frammenti si riuniranno, la Sfera della Leggenda sarà in grado di scatenare la fine del mondo ».
« Ecco un altro motivo per agire immediatamente! » Esclamò Arya, convinta: « ed io so dove possiamo andare a recuperarne degli altri ».
Nonostante sapesse quanto Rhona odiasse i demoni, la ragazza non poté fare a meno di nominare ancora Nathaniel. Era nella biblioteca insieme a lui quando Castigo li attaccò per la prima volta, sottraendo loro i Frammenti. In quell'occasione, essi avevano suggerito ad Arya un luogo nascosto in cui avrebbe potuto trovarne degli altri, un luogo che tutti conoscono come “le Scogliere di Moher”.
« Non è un caso che i Frammenti si trovino lì » le disse Rhona: « i tuoi sogni rivelano che anche Hazelle frequentava quel luogo, insieme a Zehelena. Non capisco come possa essere possibile, ma... ».
Arya inarcò le sopracciglia: « che cosa? »
« Ho come l'impressione che lo spirito di Zehelena risieda lì e protegga i Frammenti da Morgante » Rhona tornò a fissarla con sospetto – le sue pupille si erano dilatate così tanto da inghiottire le iridi viola: « magari, i tuoi sogni sono solo un messaggio... magari, Zehelena sta tentando di comunicare con te ».

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 34
*** Capitolo 33: La Muraglia del Drago ***


CAPITOLO 33:

 

La Muraglia del Drago

 

 

Al contrario di Rhona, il volto di Arya non conobbe alcuna espressione di sorpresa.
Poco prima che Hazelle morisse all'interno della Dimensione, infatti, le due streghe della Congrega avevano avuto un lungo colloquio sull'eventualità che Zehelena si trovasse proprio alle Scogliere di Moher e che quei sogni non fossero altro che inviti a raggiungerla.

« Sì, ci stavo pensando anch'io » rispose la ragazza, gli occhi rivolti unicamente ai suoi anfibi consunti: « dopo questo incontro, andrò in Irlanda. Scoprirò una volta per tutte se Zehelena è ancora lì, a custodire i Frammenti ».
Rhona alzò un sopracciglio, scettica: « non penserai mica di andare da sola? Qualcuno dovrà accompagnarti, proteggerti in caso di attacco. Sei molto preziosa per questa guerra, dobbiamo tenerti in vita ».
« Vorrebbe affiancarmi qualcuno? Oh, no! La prego, faccia scegliere a me » disse Arya: « insomma, io opterei per la mia Congrega ».
« La tua Congrega? » Ripeté Rhona, divertita: « da quando ti sei presa quest'onere? Noto malvolentieri che Cassandra Van Houten e quell'altra strega senza lingua siano alquanto... slegate dalla tua figura. Il capo di una Congrega dovrebbe tentare di mantenere uniti tutti i suoi elementi e non penso che tu ci stia riuscendo ».
Arya dovette prendere un lungo respiro – non le piaceva affatto quando le si rivolgevano con quel tono di voce. In tutt'altra circostanza, probabilmente, non l'avrebbe permesso neppure ad una donna che stimava tanto come Rhona. Raddrizzò la schiena, incrociò le braccia dinanzi al petto e s'impose la calma: « non abbiamo mai avuto un capo del genere. Hazelle non ha mai fatto niente affinché noi ci sentissimo parte di una famiglia » continuò, sfidando gli occhi di Rhona – i quali tornarono ad annegarla, ma lei questa volta resistette: « nonostante tutto, Hazelle ha lasciato a me il compito di gestire questa Congrega. Cassandra tenta di rubarmi il posto, lo so per certo... ma non l'avrà vinta. Sarò io a prendere il comando ».
« E ne avresti pieno diritto » Rhona sorrise, facendo per alzarsi in piedi: « ma presta attenzione agli elementi. Sai, ho partecipato a numerosi funerali di streghe potentissime... donne che erano in grado di spazzare via una montagna, un palazzo, qualsiasi cosa, ma non l'odio delle loro seguaci ».
« E cosa potrei fare al riguardo? » Anche Arya abbandonò la sua sedia: « Cassandra mi odia e Cinnamon prende così tante medicine che le volte in cui mi riconosce sembrano un evento. Mi resta solo Beckah ».
Rhona fece spallucce, sfilando sino alla porta dello studio: « la tua Congrega sorgerà presto. Fatti valere, giovane Arya. Mostra a tutti chi è la strega più forte, chi è la vera Guardiana del Fuoco Aureo ».
« Sì, ma... » Arya tentò di arrestarla sulla soglia, ma fu fatica sprecata.
« Ci vediamo giù » la congedò Rhona: « porta i tuoi amici ».
Se si rivolge così anche a tutte le altre, prima o poi sarò io ad assistere al suo funerale!
La ragazza sbuffò, scuotendo la testa: ogni strega all'interno del Rifugio apparteneva ad una Congrega distinta e aveva delle compagne affidabili con le quali poter trascorrere intere giornate ad allenarsi al piano terra, nelle stanze adibite esclusivamente ai combattimenti magici e non. Arya si domandò come diamine facessero ad andare sempre d'amore e d'accordo. Tra lei e Cassandra, rifletté, non ci sarebbe mai potuto essere un rapporto simile; si erano odiate sin dal primo momento in cui i loro cammini si erano tristemente incrociati, e persino dal giorno in cui erano state condotte lì, Cassandra aveva tentato in ogni modo di evitarla: persino a mensa, quando la vedeva spuntare dalla porta, era solita raccogliere il vassoio e immischiarsi ad altra gente con la quale non aveva mai intrattenuto un semplice dialogo.
Non condividevano la stessa camera, non dormivano insieme e quindi gli unici istanti in cui si dovevano per forza incontrare erano agli allenamenti – dove finalmente Cassandra poteva tentare di ammazzarla con gli incantesimi più disparati. Una volta, Arya la sorprese ad invocare un serpente di enormi dimensioni e scagliarglielo contro. Si risvegliò in infermeria due ore più tardi, quando i medici le tirarono via tutto il suo veleno.
Quante ne stava passando per colpa sua? E quante ancora ne avrebbe dovute sopportare?
Uscì fuori dallo studio e mantenne un'andatura piuttosto lenta sino al primo piano, dove trovò le porte spalancate della mensa. Allora, si mise a correre – facendo attenzione a non colpire nessuno spigolo dei tavolini di legno e a buttare per terra qualche piatto o bicchiere di plastica.
Quella mattina, le pareti del refettorio avevano deciso di dipingersi di un soffice color beige.
« Ragazzi! » Esclamò ancora da lontano: « ragazzi, ho da dirvi una cosa! »
Seduta vicino al bancone, dunque, trovò la sua solita combriccola: c'era Darren intento a scavare con un cucchiaino il fondo di una vaschetta di uno yogurt, Beckah e Quinn che stavano bevendo rispettivamente un caffè macchiato ed un tè al limone, ed inoltre c'erano Logan e Oliver impegnati a chiacchierare amabilmente.
« Era ora! Dove ti eri cacciata? » Esclamò proprio quest'ultimo, accennando ad un sorriso – aveva il ciuffo biondo sparato in aria e l'orecchio sprovvisto del suo solito dilatatore. Indossava un maglione verde ed un paio di jeans lunghi (Arya si domandò se non stesse morendo di caldo). Il suo sguardo era sereno, al contrario di quello di Logan che appariva sempre preoccupato e inquieto; normale, pensavano tutti, era da poco tempo che faceva parte di quel mondo e in più non sapeva ancora che fine avesse fatto la sua famiglia. Aveva gli occhi assenti e contornati dalle occhiaie, le labbra serrate ed i pugni chiusi sotto la tovaglia, abbandonati sulle ginocchia.
« Com'è andata con Rhona? » Le chiese Darren, facendole cenno di mettersi seduta accanto a lui.
Arya scosse la testa: « è stata molto impegnata a radunare le streghe di tutto il mondo, per aiutarci con la nostra causa! »
« E loro che hanno risposto? Combatteranno con noi? » La interruppe Quinn, accarezzandosi la sua lunghissima criniera bionda – l'unica cosa che le ricordava di essere ancora Quinn Lloyd, e non una di quelle ignoranti streghe da quattro soldi che non sapevano nemmeno cosa fosse l'abbinamento di due colori caldi!
« Probabilmente, sì! »
« In che senso “probabilmente”? » Riprese Oliver, un sopracciglio alzato: « verranno con noi, poi se vedranno che la situazione non è delle migliori... ». « No, Oliver » tagliò corto Arya, ancora in piedi accanto al tavolo: « non hanno ancora preso una decisione in merito alla guerra. O meglio, alcune di loro temono il ritorno di Morgante e hanno subito detto di no... le altre devono ancora convincersi del tutto e per questo le incontreremo alla Muraglia del Drago!»
Beckah, che fino a quell'istante era rimasta in silenzio, si alzò in piedi e, con una gioia tutt'altro che giustificata, esclamò: « e quando partiremo? Adesso? Oh, non vedo l'ora! »
« Sei già stata in quel posto? » Le domandò Quinn, voltandosi nella sua direzione: « la Muraglia del... Faro? »
« Si chiama la Muraglia del Drago! » La rimbeccò lei: « non ci sono mai stata perché è un luogo sacro, che appare soltanto in certe determinate circostanze. La leggenda narra che sia stato il respiro di un drago a darle forma, e la Comunità Magica la sfrutta da secoli per le riunioni più importanti e per prendere le decisioni più severe. Anche lo Scisma delle Streghe dell'Impurità e della Natura è stato concordato lì! »
« Ma dove si trova esattamente? » Debuttò Logan, la voce rauca.
« Non lo so » gli rispose Arya, le mani giunte dinanzi al petto: « ci porterà Rhona... ci sta già aspettando al piano terra ».
« Ma dobbiamo venire tutti? Anch'io? » Chiese Quinn, preoccupata che qualcuno potesse intendere la sua doppia natura: « al Rifugio tutti sanno che io sono un demone... ma quelle streghe, no. E se si dovessero accorgere di qualcosa? »
« Sta' tranquilla, Quinn » Darren le prese una mano: « in caso uccideranno entrambi ».
« In realtà, ucciderebbero anche noi » Oliver e Logan mostrarono i loro polsi: « abbiamo i Braccialetti dell'Antico Circolo ».
Scoppiarono a ridere, tutti tranne Arya – la quale, per poco, non si mise ad urlare: « basta! Nessuno verrà ucciso! Ora, per favore, prendete tutto ciò che dovete prendere e scendiamo al piano terra. Rhona ci sta già aspettando! »
« Ma perché dobbiamo venire anche noi? È questa la cosa che non capisco, sinceramente » disse Beckah: « cioè, sono felicissima di andare! Non mi fraintendete! Ma non ne trovo il motivo ».
« E poi cosa dobbiamo fare? » Riprese Darren: « ci dobbiamo cambiare? Io sono ancora in pigiama! »
La giovane Mason dovette inspirare profondamente e contare fino a dieci prima di rispondere. Si stava innervosendo, e non poco. Lasciò cadere i palmi sul tavolo, richiamando il silenzio in maniera piuttosto rude, e alla fine disse in un sussurro: « non so per quale motivo Rhona vuole che veniate, quindi non mi fate sempre la stessa domanda e scendiamo... immediatamente! »
Darren si trovò in procinto di aprir bocca, quando lei lo interruppe con un indice puntato contro: « rimani in pigiama! Andiamo! »
Non appena si alzarono dalle loro rispettive sedie, i resti della loro colazione si librarono in alto per poi sparire nel nulla, in una pioggia di cenere multicolore.
La mensa funzionava così: bastava mettersi a tavola e attendere qualche istante prima di veder comparire dei piatti succulenti e prelibati innalzarsi dal legno. Poi, alla fine del pasto, tutto veniva sparecchiato da sé. Le casalinghe di Rozendhel, e non solo, avrebbero apprezzato tanto quella magia, aveva riflettuto più volte Arya.
Scesero insieme al piano sottostante, il quale si mostrò loro nettamente differente da ciò a cui erano abituati di sopra. Le pareti erano di pietra, pertanto si moriva di freddo, e la luce proveniva da tante grosse lanterne appese al soffitto. Arya rabbrividì e si portò le mani sotto le ascelle: non aveva mai amato quel posto.
Il centro della sala non era separato dalle solite balconate d'oro, perciò ogni visitatore poteva avvicinarsi all'enorme punta del pino e toccarla con le proprie mani – ogni volta essa reagiva con una lieve scossa, come se soffrisse il solletico.
Le porte avevano tutte una targhetta dorata in cima, sulle quali veniva riportato il numero della stanza d'allenamento: dalla 1 alla 57. Proprio dall'oscurità di una di queste spuntarono le figure di tre persone, Arya stentò nel riconoscere l'ultima: era un signore anziano, vestito interamente di nero, con la pelle chiarissima, due lapislazzuli al posto degli occhi e i capelli bianchi. Il tempo aveva marcato le pieghe del suo volto, ma non aveva affatto scalfito la più bella, quella che era solita aprirsi sotto al suo naso adunco.
Anche Oliver fu sorpreso di vedere quell'uomo e tentò di ricevere subito qualche chiarimento.
Rhona diede segno di aspettarsi uno shock simile, afferrando immediatamente il monopolio della discussione: « sono certa che vi starete chiedendo per quale ragione io mi trovi insieme al signor Hancock » accennò ad un sorriso privo di gioia, gli occhi fissi su un Oliver ancora incredulo: « per tutti questi anni ha mascherato la sua vera natura, lavorando nella biblioteca di Rozendhel. Ma io e lui siamo sempre stati in contatto e quando la città è caduta, non ho potuto fare a meno di andarlo a salvare ».
Il signor Hancock alzò una mano in direzione di Arya: « è un piacere ritrovarla qui, signorina Mason! »
« Ma com'è possibile? » Domandò Oliver, sconvolto: « insomma... come abbiamo fatto a non accorgercene? Quindi, lei è uno stregone? »
« Stregone della Natura, specializzato in erbe curative » lo corresse il signor Hancock, le braccia ora avvinghiate dietro la schiena. Sembrava non riuscire a star fermo, dondolava in continuazione sui talloni e le punte delle dita dei piedi.
« Che strano! » Esclamò Beckah: « anch'io sono stata molte volte lì dentro... eppure non c'è mai stato alcun incantesimo di protezione che mi scagliasse fuori».
« Anche Castigo è riuscita ad entrarci con i suoi demoni » ricordò Arya: « e Nathaniel! A proposito, mi dispiace di avergliela completamente rasa al suolo quella notte ».
« Non si deve preoccupare, signorina Mason! Sono riuscito a sistemarla in un baleno » il signor Hancock, adesso, si rivolse a Beckah: « non ho mai voluto circondare la mia casa con delle mura invisibili. Per quale motivo avrei dovuto farlo, poi? Cacciare via la mia gente? Il sapere è di tutti! »
« Sì, ma in questo modo ha lasciato libero accesso anche ai demoni » Beckah riprese, indicando distrattamente la giovane Mason: « come Castigo ».
L'anziano fece spallucce, osservando l'espressione impassibile di Rhona: « gravi pericoli che però non mi hanno mai toccato! »
« Meglio così » disse lei, stanca.
« E tu, invece, cosa ci stavi facendo qui sotto? » Chiese Arya, rivolta alla persona che era arrivata insieme a loro, ma che aveva preferito mantenere il silenzio fino a quell'istante – era una donna bellissima, con un velo nero a coprirle la cascata d'oro che le si originava dalla testa.
Cassandra alzò gli occhi al cielo e scelse di non rispondere alla domanda. Accanto a Rhona e al signor Hancock pareva fosse alta quanto un palazzo. Indossava il suo classico abito nero, con la coda che si mimetizzava con il pavimento scuro.
« Non siete ancora pronti per partire » disse Rhona, interrompendo quel breve attimo d'imbarazzo generale e concentrandosi adesso sugli abiti dei ragazzi: « come ti sei conciato? » Domandò a Darren, secca.
« Io? » Rispose lui, diventando rosso come un pomodoro. Era probabile che la tenuta da spiaggia non fosse cosa gradita in quel Rifugio.
Arya scosse la testa, impercettibilmente.
« Lascia stare e rispondi a questa domanda: quando ti trasformi in un lupo mannaro » partì Rhona, mordendosi un indice: « distruggi i tuoi abiti? »
Darren annuì, impacciato.
« E quando torni ad essere un umano, dimmi, sei nudo? »
« Esattamente ».
« Bene, seguitemi » Rhona fece segno a tutto il gruppo di seguirla oltre la stanza numero 7 – la stanza da cui era spuntata in precedenza: « non abbiamo tempo da perdere, forza ».
Arya fu la prima che scelse di seguirla: non sapeva quali assurdità l'attendevano oltre quella porta, ma si spinse in avanti e finse sicurezza. D'altronde, un leader perfetto non teme mai nulla e lei aveva il dovere di dimostrarlo alla sua Congrega – ed in special modo a Cassandra.
La stanza numero 7 si presentò alquanto stretta e tremendamente calda. Le pareti erano spoglie e bianchissime, non vi era alcun tipo di oggetto o effetto personale. In fondo, Arya poté notare una botola e, curiosa, la indicò. Tutto il gruppo, nel frattempo, aveva varcato la soglia e adesso si guardava intorno, spaesato. Quinn e Cassandra si scambiarono un'inspiegabile occhiata complice: era probabile che nelle loro menti vorticassero i medesimi pensieri.
« Ma dove ci avete portati? » Domandò Darren: « questa non è una stanza d'allenamento! »
« Difatti » iniziò il signor Hancock, continuando a dondolarsi: « non abbiamo mai detto nulla di simile ».
Rhona gli fece cenno di chinarsi: « avanti, bussa ».
« Bussare? » Ripeté Arya, incerta: « sulla botola? »
Il signor Hancock fece fatica a piegare le ginocchia e colpire la botola con i suoi deboli pugni. Ci impiegò circa tre minuti, e nessuno si decise ad aiutarlo – nemmeno Rhona.
Sempre più critica e dubbiosa, Arya restò a guardare mentre da quella larga fessura incavata nel pavimento ricoperto di polvere iniziava a spuntare la testa di un uomo, con due piccoli occhietti scuri come la pece ed i capelli rossi, arruffati. « Chi è? » Domandò, una mano impegnata a sorreggere il coperchio della botola.
« Melchiorre » lo chiamò Rhona: « sono io, mi riconosci? Siamo venuti a prendere le divise ».
Il tipo restò a fissarla per qualche istante, impassibile, poi venne colto da un'improvvisa rivelazione ed esclamò: « le divise, giusto! Scendo a prenderle! »
Arya cercò il volto di Oliver, divertita dal pensiero che ci fosse dell'altro al di sotto di quella stanza sotterranea. Il ragazzo ricambiò lo sguardo e sorrise allo stesso modo.
« Eccole, eccole! » Melchiorre salì in superficie, mostrandosi in tutta la sua altezza: sfiorava persino il soffitto, era un uomo di mezz'età, mingherlino e con indosso un lungo camice bianco.
« Ne ho preparate dieci per il momento » disse in un borbottio e, schioccando le dita, le fece svolazzare dal basso, sotto gli occhi increduli dei presenti. Giunsero così tra le sue braccia, tutte nere e ben piegate. « Le vuole vedere? » Chiese, riferendosi a Rhona.
« Mi fido di te, Melchiorre » rispose lei, senza alcuna ombra di un sorriso: « gliele faccia provare, sono impaziente ».
Melchiorre arricciò un labbro, ma non volle aggiungere alcunché. Controllò rapidamente le etichette e disse: « la prima è per il signor Hopkins ».
Tutti si voltarono in direzione di Oliver, il quale arrossì: « non credevo dovessimo indossare delle divise. Devo spogliarmi davanti a tutti? »
« La seconda e la terza sono pressoché identiche » riprese Melchiorre, come se avesse voluto ignorare di proposito le sue parole: « si facciano avanti le signorine Mason e Gray ».
Arya tentennò, timorosa, poi la curiosità ebbe la meglio e la spronò a raggiungere il gigante-stilista. Quella che aveva progettato era una vera e propria tenuta da guerra; ogni particolare era stato studiato con la massima attenzione, in modo da renderla pratica e allo stesso tempo resistente ad ogni tipo d'attacco. Era a tinta unita, nera, dotata di piastre per proteggere il busto e un rinforzo speciale all'altezza del cuore. Un paio di elmetti le gravava sulle spalle, mentre dietro alla schiena si aprivano due fessure piuttosto piccole – progettate principalmente per far uscire le ali in un combattimento aereo. Nascoste in un piccolo borsello congiunto alla cintura di cuoio, riposavano inoltre quattro Doni della Dea e dieci piume di Bartek. I pantaloni le si presentarono comodi, nonostante la loro esagerata aderenza, e ai piedi, invece, s'infilò un nuovo paio di anfibi – pesanti e caldissimi.
Ci vollero circa dieci minuti prima che tutti indossassero l'uniforme, vincendo l'imbarazzo di denudarsi di fronte a sconosciuti e amici: ora, si trovavano in cerchio, gli uni di fronte agli altri.
Oliver e Logan si trovarono piuttosto a loro agio con quelle armi nascoste all'interno degli stivali e della cintura; Quinn, al contrario, si mostrò riluttante all'idea di doverla indossare in battaglia e domandò più volte con quale materiale fosse stata realizzata; Cassandra la indossò senza proferire parola e Beckah dovette invece cambiarla, poiché la prima che le era stata data da Melchiorre le stringeva troppo il collo e i polsi.
Le tenute di Darren e Quinn, spiegò in seguito Rhona, erano dotate di uno speciale tipo di elasticizzante – il quale avrebbe permesso loro di trasformarsi con facilità e di non spezzare la stoffa.
« Siete bellissimi! » Esclamò Melchiorre, apprezzando il suo stesso lavoro con fin troppa enfasi: « come dicevo prima, ne ho preparate dieci. Ognuno di voi, appena avrò finito, ne riceverà due. Intesi? »
Il gruppo annuì all'unisono.
« Ma questi, esattamente, cosa sono? » Domandò Quinn, indagando con un dito all'interno del suo borsello: « somigliano a delle... ciliegie? »
« Oh, no! Sei totalmente fuori strada! Quelli sono Doni della Dea » spiegò Melchiorre, divertito dalla sua ignoranza: « mangiandone uno, vi torneranno le forze e magari vi si cureranno anche le ferite ».
Arya richiamò alla memoria la notte in cui Nathaniel gliene aveva donato uno; lei e Oliver si trovavano nei boschi, con un famelico licantropo alle calcagna pronto ad ucciderli. Il giovane spettro aveva salvato loro la vita ed era rimasto insieme a lei fino alle prime luci dell'alba. Quella notte, pensò, egli si era dimostrato tutto fuorché un temibile demone.
« Allora, siamo pronti! » Esclamò Rhona: « possiamo avviarci ».
Arya deglutì, agitata. Fino a quel momento non si era resa propriamente conto di ciò che stava per affrontare. Il cuore prese a martellarle nel petto.
Tutto andrà bene, calmati. Andrà tutto bene.
« Prendetevi per mano » riprese Rhona: « stiamo per partire ».
Arya s'interpose tra Beckah e Oliver, sorridendo ad entrambi e tentando di mascherare il suo disagio. Lo stomaco le inviò un ultimo ammonimento e lei per poco non sputò a terra la cena della sera prima. Strinse la mano di Oliver e annuì quando quest'ultimo le chiese sottovoce se fosse tutto okay.
« Ritroverete gli abiti nelle vostre stanze, a più tardi! » Esclamò Melchiorre e, subito, un fascio di luce bianca li avvolse. Le pareti si sgretolarono, il Rifugio si accartocciò su sé stesso e tutti urlarono.
Arya si morse il labbro inferiore, chiuse gli occhi e tornò stritolare le dita dei suoi vicini.
Forme indistinte presero a darsi battaglia, rincorrendosi in sfumature di colori accesi. Ciò che si squagliava ben presto tornava ad innalzarsi attorno alle loro esili figure. Arya si sentì premere ogni parte del corpo con estrema aggressività. Sebbene avesse già sperimentato il teletrasporto con Nathaniel, quella mattina si sentì morire – iniziò a credere fermamente che non sarebbe mai arrivata a destinazione. Il viaggio, tuttavia, durò ben poco – una dozzina di secondi al massimo.
Quando la giovane si decise a riaprire le palpebre, il laboratorio di Melchiorre era stato rimpiazzato da una nuova stanza – molto più fredda e piccola.
Si lasciò cadere sul gelido pavimento di pietra e tentò di riprendere il fiato.
Al contrario di ciò che aveva pensato precedentemente, non fu la sola a sentirsi male. Ritrovò, infatti, i suoi compagni privi di un equilibrio stabile, con il volto bianco e le labbra viola.
Logan andò subito a soccorrere il suo ragazzo, il quale non smetteva più di barcollare. Diede di stomaco in un angolo e poi si sentì meglio, alzando il pollice della mano destra in direzione di Arya.
In tutto ciò, Rhona ed il signor Hancock rimasero impassibili – osservavano la scena in disparte, insieme ad una Cassandra estremamente compiaciuta. « Mai più! » Esclamò Quinn, esausta: « al costo di dover volare per giorni interi! »
« Vi ci abituerete » le rispose Rhona: « un giorno, forse ».
Con la fronte imperlata di sudore, Arya concepì l'idea che sarebbe stato meglio distrarsi un po' e dunque prese ad osservare l'ambiente circostante: le pareti di quella cella erano prive di una qualsiasi finestra, erano fredde come il ghiaccio e silenziose come la morte. Al di sotto di un arco a tutto sesto, risiedeva una porta di legno – logora e vittima del tempo. Non fu un'impresa spalancarla – i suoi cardini infatti cedettero con un sol colpo, mostrando loro la strada verso una scala a chiocciola. Si trovavano in una torre.
La ragazza si affacciò sullo sguardo di Darren, anch'egli impegnato a studiare la roccia e a carpire in che razza di posto fossero capitati. Era attento ai dettagli, con gli occhi che guizzavano da una parte all'altra senza mai trovar pace.
Soffermandosi maggiormente sulle sue espressioni, ricevette una fugace e inopportuna epifania: difatti, si rese conto di aver da sempre amato quella sua innocente aria da bambino. La fece sorridere per un istante: quella tenuta da guerra, inoltre, gli sottolineava il fisico e in qualche modo lo rendeva persino più elegante ed attraente.
« State tutti bene? » Si decise a domandare il signor Hancock all'improvviso.
« Non credevo che il viaggio sarebbe stato così devastante » ammise Rhona qualche minuto più tardi, anche lei un tantino sconcertata: « spero che possiate riprendervi in fretta, anche perché credo che ci stiano già aspettando ».
Arya aggrottò la fronte: « quindi, ci troviamo all'interno della Muraglia del Drago? »
La donna annuì: « salendo quella scala a chiocciola, giungeremo in terrazza. È da lì che farai il tuo discorso ».
« Ti sei già preparata un qualcosa? » Azzardò il signor Hancock, curioso.
La giovane scosse la testa: « in realtà, ho paura di fare un casino. Non potete parlare voi e basta? »
« Assolutamente no » se lo sguardo che Rhona lanciò ad Arya avesse avuto la capacità di lesionarle le carni, allora quest'ultima si sarebbe già ritrovata in un lago di sangue. « Ti introdurrò io, ma poi dovrai essere tu a convincerle. Anzi, dovrai convincere l'intera Comunità Magica ».
La ragazza si morse un labbro, abbassando gli occhi e tornando a studiare i suoi nuovi anfibi.
Iniziò da subito a concepire un ipotetico discorso, ma senza ottenere grandi risultati. Tutto ciò che le balzava in mente, infatti, non sembrò convincerla appieno: come avrebbe potuto raccogliere tanti consensi? A differenza sua, quelle streghe conoscevano bene l'identità di Morgante – sapevano con chi avevano a che fare! Una volta, Rhona le aveva persino riferito che per secoli i bambini e le loro famiglie avevano giocato con la sua terribile fama, inventando rime del tipo: se la mamma ti lascia al buio, Morgante verrà a prenderti senza alcun dubbio; mangia tutto, o Morgante farà il suo perfido debutto.
Per anni e anni, dunque, il suo nome si era infossato in tante, stupide leggende. Si credeva fosse stato annientato all'interno della Dimensione – che la magia di Zehelena l'avesse ucciso; nessun membro della Comunità Magica, quindi, si sarebbe mai aspettato di rivederlo. Era un incubo divenuto, tristemente, realtà.
Malgrado ciò, prima del matrimonio, Arya non aveva mai appreso nulla sul suo conto – ad eccezione di quella volta in cui Daoming era giunto a casa di Hazelle e le aveva avvertite della possibilità che un oscuro signore si stesse celando nell'ombra, pronto ad attaccare e conquistare la piccola cittadina di Rozendhel.
Era quindi ammissibile credere che il gelido ricordo di quell'essere tanto spregevole non avesse solleticato la loro memoria? Era legittimo giustificare cotanta indifferenza da parte di Hazelle e Daoming? Perlomeno, rifletté Arya, avrebbero potuto effettuare delle ricerche un tantino più approfondite! Avrebbero dovuto agire diversamente per il bene della Comunità Magica, di Rozendhel, e dell'intero pianeta.
La ragazza scosse la testa, amareggiata – tornando nella cella di pietra, sotto l'arco a tutto sesto, in compagnia dei suoi amici.
« Ti vedo agitata » le sussurrò Beckah in un orecchio: « non devi preoccuparti. Ti staremo accanto! »
Si scambiarono un'occhiata complice e, mano per mano, si avviarono oltre l'uscio di quella porta di legno.
Rhona ed il signor Hancock capeggiavano il gruppo – il passo silenzioso, simile a quello di un felino. La torre in cui si arrampicava la scala a chiocciola era fredda come l'alito di uno spettro, silenziosa, poco ospitale ed illuminata parzialmente dalle lanterne affisse alle pareti.
Arya, al contrario di tutti i presenti, calpestava ogni gradino con estrema violenza – inutile dire che la critica da parte di Cassandra non tardò ad arrivare. « Se fossimo stati in un covo di demoni – le disse, intimidatoria – ci avresti già condannato a morte ».
« Smettetela! » Aveva esclamato allora Darren: « dovete punzecchiarvi ogni giorno? È noioso! »
Arya sbuffò, cercando di ignorarla – ma il rumore dei suoi passi, adesso, si era affievolito.
Trascorsero circa dieci minuti prima che si ritrovassero dinanzi ad un nuovo arco ed una porta di legno – oltre la quale riuscirono a percepire il rigido respiro del vento. Erano giunti a destinazione, oltre quella soglia si estendeva la terrazza in cui per secoli le streghe avevano emanato leggi, provvedimenti e severe punizioni.
Rhona esitò per un istante, poi afferrò la maniglia e spinse con vigore: « rimanete qui. Vi chiamerò io quando lo riterrò opportuno ».
Sparì oltre l'uscio, impassibile come al solito.
Arya tentò un contatto con il signor Hancock, il quale le rispose con una pacca sulla spalla: « andrà tutto bene, fidati » le disse in un sussurro: « quelle persone non vedono l'ora di conoscerti ».
« Se quelle persone non vedono l'ora di conoscere lei » ripeté Logan, inarcando le sopracciglia: « per quale motivo siamo dovuti venire anche noi? »
« Davvero non l'avete ancora capito? » Domandò il signor Hancock, sorridente: « è così ovvio! »
« Be', per me no » rispose Cassandra dal fondo del gruppo.
« Ma vi siete visti? » L'uomo indicò il volto di ciascuno di loro: « siete streghe dell'Impurità, arpie, lupi mannari, umani! Siete un gruppo affiatato... diversissimo, ma vincente! »
Arya fece una smorfia: « e quindi? »
« Rhona vuole dimostrare alle streghe dell'Impurità e alle streghe della Natura che è inutile proseguire con questa stupida divisione. Ha sempre odiato lo Scisma e, per mezzo del vostro aiuto, può dimostrare all'intera Comunità Magica che un dialogo tra tutte queste creature è possibile! Non è affatto un'utopia».
« Be', è una cosa bellissima » ammise Oliver, sorpreso: « potrebbe anche funzionare! »
Il signor Hancock sorrise, rivolgendosi adesso unicamente a Cassandra – la quale stava imprecando sottovoce. Proprio come Hazelle, non aveva mai amato l'idea di infrangere le decisioni prese nel corso dello Scisma. Era una strega piuttosto tradizionalista. « Non essere così scettica, Cassandra. In questi tempi bui, è legittimo unirsi e mettere da parte le controversie. Siamo tutti uguali. Abbiamo gli stessi diritti. Non c'è razza e non ci sono muri ».
« Non mi farai cambiare idea, vecchio » ribatté Cassandra: « la mia mente non può essere plagiata in alcun modo ».
« Oh, no » riprese l'anziano, una mano poggiata sul petto: « non fraintendermi! Non voglio plagiare la tua mente, e nemmeno quella della signorina Mason. Volevo solamente far chiarezza sulla questione. Tutto qui ».
Ma la strega non poté ricevere alcuna possibilità di controbattere; la porta di legno, infatti, si era spalancata e la voce di Rhona, alzata di qualche tonalità per mezzo di un incantesimo, li chiamò dal fondo della terrazza: « Arya Mason » iniziò, la voce stentorea: « Ex-Custode della Chiave e Guardiana del Fuoco Aureo. Erede della leggendaria Zehelena, Strega-Guerriera dell'Impurità e allieva di Hazelle. Sopravvissuta all'odio di Morgante e al caos della Dimensione. Fatti avanti! Mostrati dinanzi alle tue compagne streghe! »
Un ruggito seguì quell'esagerata presentazione.
Arya impallidì e perse completamente l'uso delle gambe. Non seppe chi la trascinò fuori dalla torre, chi l'afferrò per un braccio e la scortò sino a quella balconata di pietra.
Notò il sorriso di Rhona, una folla inferocita dinanzi alla sua figura – c'erano galeoni volanti, donne che si tenevano in perfetto equilibrio nel cielo limpido della sera, stregoni sorridenti che applaudivano e la indicavano, soddisfatti. Sarebbe stato impossibile soffermarsi sul volto di ognuno; l'affluenza era stata eccezionale.
Arya strinse la pietra, il cuore a mille.
La terrazza era molto più ampia di quanto si fosse aspettata: c'erano due paia di colonne corinzie che sorreggevano il soffitto scuro, il pavimento di pietra e la balconata che affacciava sul nulla. Avrebbe dovuto tenere il suo discorso proprio lì davanti, con una comunità infinita al di là della ringhiera – immobile nell'aria, come se fosse la cosa più normale di questo mondo.
La ragazza, per poco, non corse via urlando. Dietro le sue spalle, osservò con la coda dell'occhio, si trovavano tutti i suoi compagni: Darren e Quinn erano stati costretti a prendere le loro sembianze da demoni, mentre i Braccialetti di Oliver e Logan si erano trasformati in due fulgidi fari dalla luce bianca e purissima.
Alla Muraglia del Drago, nulla poteva essere nascosto.
« Sono passati secoli dall'ultima volta in cui la Comunità Magica si è radunata in questo luogo tanto sacro » riprese Rhona, le braccia aperte: « che voi seguiate il credo della Natura o il credo dell'Impurità, qui siete tutti i benvenuti! »
La folla esplose in un ennesimo ruggito, più contenuto rispetto a quello precedente.
Arya, nel frattempo, si era incantata su una coppia di streghe dalla carnagione giallastra. Si trovavano a pochi metri di distanza da lei e spiccavano, su quelle loro piccole e soffici nuvole scarlatte, come due rose in un campo di margherite. Le ricambiarono lo sguardo, sorridenti.
« Arya Mason è una giovane donna di diciotto anni » disse Rhona, prendendola per mano: « e nel corso della sua vita ha dovuto affrontare innumerevoli pericoli, tra cui anche Morgante. Ha saputo difendersi in tutte le occasioni, mostrando grande tenacia e forza ».
Arya deglutì, gli occhi bassi.
« Ha visto morire dinanzi a sé molte persone a lei care, tra cui sua zia. Ma ha saputo sempre rialzarsi e andare avanti. Sono dunque orgogliosa, oggi, di poter stringere la mano ad una strega tanto potente quanto gentile, onesta e piena di speranza! » Rhona alzò il braccio e la Comunità Magica applaudì ancora: « sono una strega della Natura, che ha deciso di lasciarsi indietro gli errori del passato. Tutti noi dovremmo farlo, tutti noi dovremmo unirci in battaglia, proteggere la nostra libertà ed eliminare chiunque tenti di portarcela via! »
Arya notò con sorpresa che Rhona stava per commuoversi. Con maggior attenzione, dunque, tornò ad ascoltarla.
« Quest'oggi, infrangeremo lo Scisma! » Gridò, trionfante: « quest'oggi, faremo la storia! »
Le parole di Rhona fecero un grande effetto: alcune streghe dotate di un'insolita bacchetta magica la alzarono in aria e fecero piovere scintille dorate, un altro stregone prese a sventolare il proprio berretto frigio ed una donna, dai lunghissimi capelli corvini, non perse tempo e andò subito a stringere la mano ad una sua vicina. Un gruppo di signorotti ben vestiti, inoltre, applaudì con moderato entusiasmo, al contrario di una signorina lì accanto che, seduta a gambe incrociate sull'estremità anteriore della sua gondola, iniziò a fischiare con lodevole impegno.
Arya non avrebbe mai e poi mai immaginato una reazione del genere: stando a ciò che le aveva raccontato Hazelle in quegli ultimi due anni, lo Scisma aveva provveduto a distanziare due categorie di streghe notevolmente opposte l'una all'altra – le era sempre stato descritto come un qualcosa di naturale, di somma necessità.
Prese un lungo respiro e sorrise, sorpresa in seguito di udire una voce fuori dal coro.
« Io non sono d'accordo » disse infatti una signora, in groppa ad una scopa di saggina: « l'Impurità è sinonimo di feccia! Nel corso dei secoli, si è spinta ben oltre i limiti della magia nera. Le streghe che hanno seguito il credo di Hazelle hanno commesso degli orrori imperdonabili. Mia figlia è morta a causa di una di loro ».
« È vero! » Un vecchietto dalla lunga barba bianca, seduto comodamente su una nuvola a fumarsi un sigaro, andò a darle manforte: « sinceramente, non le distinguo più dai demoni. Che differenza pensate si insinui tra i due? Ve lo dico io: nessuna! »
« Hanno ragione loro » debuttò Cassandra, in piedi accanto alla porta di legno: « io non voglio che lo Scisma venga infranto. Non sarebbe giusto! »
E cosa pensi che sia giusto, allora? Pensò Arya, roteando gli occhi e prendendo la saggia decisione di non abboccare alla sua ennesima ed immancabile provocazione.
« E poi, io ho sentito che Arya Mason ha stretto un forte legame di amicizia insieme al giovane spettro... un certo Nathaniel! » Esclamò un altro.
« Per non parlare di quei due demoni che ha salvato da morte certa » disse una strega dall'accento parigino, risvegliando sul volto di Rhona un'espressione di incredulità mista a stupore: « in che senso? » Chiese: « hai soccorso due demoni? »
« Posso spiegare tutto » balbettò lei, notando l'agitazione crescere tra la folla.
« Allora, fallo » le intimò Rhona, gli occhi socchiusi: « immediatamente ».
In quella determinata circostanza, la giovane Mason non poté più evitare di improvvisare un discorso. Si schiarì la voce, accorgendosi fin da subito che sarebbero stati in pochi ad udirla. Non conosceva – o forse, non ricordava – alcun incantesimo in grado di amplificare il suono delle sue parole, perciò prese un respiro profondo e tentò, incerta: « scusatemi, vorrei chiarire delle cose ».
La folla, a discapito di tutto ciò che aveva pensato, si ammutolì.
La sua voce, adesso, avrebbe raggiunto le orecchie di ogni presente.
« È vero » iniziò, le mani abbandonate sulla ringhiera e le gambe in procinto di cedere sotto il peso della tensione: « ho stretto amicizia con Nathaniel e ho salvato la vita ad un demone con due teste ».
Un brivido le percorse la schiena. L'aveva ammesso! L'aveva rivelato a tutti!
Evitò di ruotare lo sguardo in direzione di Beckah – la sua occhiata folgorante, questa volta, l'avrebbe di certo stecchita.
Proseguì dunque con il discorso, fingendo di conoscere già le parole che le sarebbero uscite di bocca. « Non voglio negare nulla perché non ho mai amato le menzogne » disse, abbassando le spalle: « sinceramente, non ho mai capito quale fosse la schiera del Bene in questa guerra. Rozendhel è stata attaccata dai demoni, è vero... ma possiamo essere certi del fatto che tutti loro aspirassero allo scoppio della Grande Guerra? Secondo il vostro parere, non c'è mai stata una creatura demoniaca che si sia alzata e abbia detto: “no, non penso che questo sia giusto. Non voglio partecipare”? Io credo proprio di sì perché non amo fare generalizzazioni, fare di tutta l'erba un fascio. Ho conosciuto dei demoni che non si sono rivelati degli individui pericolosi, da dover sterminare per forza. Se è questo ciò che vi state domandando, sì: io condanno la scelta di Zehelena. Non avrei mai rinchiuso un intero popolo all'interno di una Dimensione del genere. Io ci sono stata e vi posso assicurare che è il posto peggiore che sia mai esistito » fece una breve pausa, poi continuò: « immaginate di ritrovarvi in un tunnel senza pavimento, pareti o soffitto. Immaginate di ritrovarvi nel nulla, in un universo candido come la neve e gelido come l'inverno. Dove non si può far altro che camminare senza sosta, però consapevoli del fatto che non si arriverà mai ad una destinazione, ad una fine. Pensate a tutte quelle creature che magari non avevano fatto nulla di male, che sono state rinchiuse lì dentro con la sola ed unica accusa di essere nate creature della notte. Nathaniel non ha partecipato alla Grande Guerra, eppure è finito lì comunque ed oggi è considerato uno dei demoni più pericolosi in circolazione » un'altra piccola pausa – non si era mai sentita così sicura prima d'allora: « non provo alcun tipo di razzismo nei riguardi dei demoni. Sono in disaccordo con Morgante e tutta la sua schiera di seguaci. Combatterò contro di loro, vincerò questa guerra e riporterò Rozendhel al suo antico splendore. Ma la renderò un posto in cui potranno convivere serenamente Streghe della Natura, Streghe dell'Impurità, Demoni, Umani e tutte le creature magiche esistenti. La renderò un posto in cui regnerà la tranquillità, l'armonia e sì, anche la diversità... perché essere diversi non comporta alcun crimine ». Indicò dietro di sé e disse: « non so se riuscite a vedere, ma alcuni dei miei migliori amici sono rispettivamente un licantropo ed un'arpia. Eppure ridiamo insieme lo stesso, giochiamo, cantiamo... io non dico che voi dobbiate fare come me, ovvio! Ma vi prego di non giudicarmi » inspirò profondamente: « la strega dell'Impurità che ha ucciso sua figlia, signora, non è la stessa che ora le è accanto. Non può odiarci tutte! » Si rivolse unicamente alla strega in groppa alla scopa di saggina: « mi dispiace per la sua perdita, davvero, e le prometto che un giorno troveremo la donna che ha ucciso sua figlia e la puniremo come si deve. Istituiamo tutti insieme un mondo in cui la Comunità Magica sia unita, in cui venga condannato l'individuo che sbaglia e non tutti i suoi pari! Voglio sapere, quindi, se starete con me o contro di me? »
Silenzio. Per lunghi istanti non ci fu altro suono che quello sussurrato dal vento – scompigliò i capelli della giovane Mason e carezzò le sue gote.
Dal giorno in cui Hazelle le aveva rivelato di essere una strega erano trascorse innumerevoli lune.
Il tempo l'aveva cambiata – l'aveva resa una donna, una guerriera ed una degna Guardiana del Fuoco Aureo. Il suo discorso, così toccante e veritiero, sfociò in un lungo ed elegante applauso.
La Comunità Magica si era finalmente espressa: non si sarebbero mai più accettate divisioni, intolleranze e odio. Quel giorno d'estate avrebbe segnato un nuovo inizio per tutti.
Rhona le dedicò un sorriso, fiera – stava applaudendo come anche tutti i suoi compagni, ad eccezione di Cassandra.
Arya Mason, l'Ex-Custode della Chiave e Guardiana del Fuoco Aureo, a quel punto alzò il tono di voce e gridò: « SARETE AL MIO FIANCO QUANDO MARCEREMO SU ROZENDHEL? »
La Muraglia del Drago tremò alla venuta di quel possente boato.
« ALLORA, RIVOLGETE LE VOSTRE ARMI CONTRO MORGANTE! » Tuonò Arya: « RIVOLGETE LA VOSTRA MAGIA CONTRO ROZENDHEL! »
Scintille dorate presero a colorare il cielo. Cannoni di guerra scossero la roccia.
I festeggiamenti sarebbero terminati soltanto alle prime luci dell'alba.
La Guardiana del Fuoco Aureo sorrise – voltandosi in seguito verso i suoi compagni.
Una nuova Era stava per avere inizio.

 

 

 

 

 

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Capitolo 35
*** Capitolo 34: L'Esercito della Notte ***


CAPITOLO 34:

 

L'Esercito della Notte

 

 

Il discorso che tenne Arya fu un autentico successo. Le Streghe dell'Impurità e le Streghe della Natura sarebbero finalmente tornate a costituire un'unica, imponente alleanza. Dalla balconata della Muraglia del Drago, la giovane Mason ebbe la possibilità di assistere a strette di mano calorose – come se quella nuova generazione di streghe non avesse mai atteso altro, ben intenzionata a scordare gli errori commessi dalle loro antenate e proseguire verso la luce di un futuro migliore. Le più anziane, si poté notare con amarezza, scelsero di voltare le proprie scope e svanirono dunque oltre il confine fra la terra ed il cielo – alcune di esse sputando persino addosso alle altre, definendole “traditrici” e ricoprendole di spiacevoli insulti e offese.
Arya le vide allontanarsi, mortificata: la donna alla quale avevano ucciso la figlia, prima di andarsene, le riservò un'occhiataccia crudele – assicurandosi che il suo silenzioso messaggio le arrivasse dritto al cuore e, armato della lama più affilata, lacerarglielo in tanti piccoli brandelli insanguinati.

Tuttavia, la maggior parte scelse di rimanere e festeggiò nel cielo limpido della sera fino ai primi raggi dell'aurora.
Rhona, nel bel mezzo delle celebrazioni, rivelò le coordinate esatte del Rifugio: tutte le streghe o gli stregoni, che avessero voluto seguirle, sarebbero stati accolti a braccia aperte – come all'interno di una famiglia. I restanti, invece, sarebbero tornati nelle loro rispettive case, con la promessa di raggiungere Rozendhel al debutto di quella futura, ma inevitabile Guerra.
Arya non seppe quante mani strinse nel corso della notte; aveva perso il conto nell'istante stesso in cui un vecchietto, forse il centocinquantesimo della fila, si era spinto un po' troppo oltre la balconata con l'intento di strapparle un bacio. Allora era intervenuto Darren, con estrema prontezza e digrignando le zanne acuminate. Il suo manto era soffice e molto più chiaro di quanto Arya si ricordasse; la sua stazza – doppia rispetto a quella di un lupo ordinario – insieme a quel minaccioso paio di occhi rossi e gli artigli affilati, le incuteva ancora un certo timore – o meglio, un leggero disagio che non avrebbe mai rivelato a nessuno.
« È un onore conoscerla, signorina Mason » un uomo prossimo alla calvizie, ma ancora forte e in ottima forma fisica, con il volto sfigurato da una spaventosa ustione ed in piedi su una piccola imbarcazione di legno, si presentò con un inchino: « il mio nome è Markos, stregone dell'Impurità ».
« Salve, Markos. Anche per me è un piacere fare la sua conoscenza, ma la prego di non usare quel termine » lo corresse Arya, seria: « appartiene ormai al passato, non trova? »
L'uomo annuì, aprendosi in un sorriso – indossava una lunga tunica nera che gli nascondeva persino i piedi e le mani affusolate: « questione di abitudine » disse in un sussurro: « mi perdoni ».
Arya ricambiò la lieta espressione e fece per congedarlo, quando lui iniziò di nuovo: « corrono molte voci sul suo conto. Menzogne o verità? Io proprio non so distinguerle ».
« Mi riferisca i suoi dubbi ed io tenterò di chiarirli » rispose la ragazza, studiandolo con maggior interesse: era alto, con gli occhi simili a due ametiste e le orecchie grosse. Sul suo volto asciutto si alternavano espressioni divertite ed inspiegabilmente severe – come se all'interno del suo corpo si celassero in realtà due creature, distinte l'una dall'altra ed impegnate in un chissà quale eterno conflitto.
« Una volta ho sentito dire che Hazelle l'ha attaccata con la Maledizione del Nero » disse Markos, la voce roca: « se questa chiacchiera corrispondesse a realtà, mi domando, come abbia fatto a sopravvivere ad una delle fatture più feroci che siano mai state scoperte dalla nostra gente? Si dice che sia incurabile, che può essere sconfitta soltanto con le leggendarie lacrime di drago. Lei ne conserva alcuna? »
Arya inarcò le sopracciglia, diffidente. Le ci volle un minuto per comprendere appieno le sue parole, ed un altro ancora per metabolizzare la domanda e dare forma ad una risposta che potesse in un qualche modo ritenersi sensata. L'uomo aveva scavato nel suo passato, riportandola indietro nel tempo ad una vicenda accaduta la sera della Vigilia di Natale: Hazelle si trovava china su di un ragazzo, impegnata ad ingurgitare litri del suo sangue, quando Arya arrivò e tentò di fermarla. Pertanto la strega l'aveva aggredita e, per mesi interi, ella dovette convivere con una dolorosa ferita sul petto, nera come l'ebano, sgradevole alla vista e fastidiosa persino al tatto.
« Non so di cosa stia parlando » tagliò corto Arya, ignorando il motivo per il quale la sua mente le avesse ordinato di inventarsi una fandonia. « Non ho mai sentito parlare di lacrime di drago. E poi, se non erro, quelle creature si sono estinte tantissimo tempo fa... sbaglio? »
Per scelta o per stupore, Markos non rispose alcunché; si limitò a sorridere, a gelarla con uno sguardo privo di allegria. I pensieri che in quel momento gli stavano vorticando nella testa Arya non poté mai conoscerli. Sfidò i suoi occhi, come si era abituata a fare con Rhona, e procedette: « ora, la prego di allontanarsi. La fila è lunga e il tempo è tiranno ».
« Certo, mi perdoni » disse Markos, flebilmente: « conserverò per sempre il ricordo di questo nostro breve dialogo. È stato un vero onore conoscerla ». E per mezzo di un ordine ignoto, la sua imbarcazione riprese a solcare le tenebre della notte.
Arya lo accompagnò con un paio di occhiate furtive, attente. Lo vide allontanarsi di qualche metro, mettersi a sedere sul legno, compiaciuto e con i remi ben saldi tra le dita – anch'esse ustionate. Per tutto il tempo, ella non fece altro che domandarsi come avesse fatto a scoprire ogni singolo particolare di una faccenda che Rhona aveva sempre tentato di mantenere segreta. Quest'ultima, all'epoca, venuta a conoscenza di ciò che Hazelle aveva commesso nei riguardi dell'Ex-Custode della Chiave, aveva ordinato alle sue fedeli spie di accertarsi che tutto fosse vero e di correre immediatamente da Daoming – l'unico, a detta sua, che conservasse ancora un'ottima riserva di Lacrime di Drago. I suoi capostipiti, difatti, avevano individuato il nascondiglio dell'ultimo drago esistente e, poco prima che questi si arrendesse all'oscurità e spegnesse le sue ultime fiamme, erano riusciti a recuperare la pozione guaritrice – versandola in tante piccole fiale che fino ad allora erano rimaste celate nel loro labirinto sotterraneo, nella loro antica e vastissima abitazione.
In seguito all'aver trascorso così tanti secoli in un ambiente freddo e oscuro, aveva spiegato una volta Rhona, esse avevano preso le sembianze di una crema: non bisognava più berle, ma spalmarle sulla ferita e aspettare qualche minuto prima che questa si rimarginasse.
Arya finse l'ennesimo sorriso e strinse un'altra mano: questa volta era un'anziana di origini cinesi ad aver raggiunto la balconata e, con le guance rigate dalle lacrime e la testa coperta da un copricapo rosa, incespicò una frase in un inglese poco comprensibile. La giovane la ringraziò – qualsiasi cosa avesse detto, doveva trattarsi di un complimento... forse.
« Arya » la chiamò Rhona, la mano poggiata con delicatezza su una spalla: « adesso dobbiamo andare. Ti sentirai stanca ».
« E tutta questa fila? » Chiese Arya, indicando la folla ancora in attesa: « si innervosirebbero se ce ne andassimo così, non trova? »
Rhona schioccò le labbra: « capiranno ».
Dunque, Arya venne afferrata per un braccio dal signor Hancock: fecero insieme qualche passo indietro, mentre Rhona riprendeva possesso della terrazza – le mani in alto e la voce stentorea: « il mattino è giunto » disse, fiera: « dobbiamo tornare a casa ».
La folla, come previsto, si alzò in protesta.
« La Guardiana del Fuoco Aureo » continuò Rhona, nervosa: « aspetterà impaziente il vostro arrivo. Ormai conoscete il luogo in cui si prepara alla battaglia e prima o poi avrete tutti quanti l'occasione di stringerle la mano ».
Arya, ancora incollata alla figura del signor Hancock, si diede una rapida occhiata alle spalle: Darren, il licantropo, era accucciato in un angolo della terrazza; Quinn, l'arpia dai lunghi capelli biondi, la carnagione verdognola e con due paia di ali piumate, le ricambiò lo sguardo, curiosa; Beckah si trovava invece accanto ad Oliver e Logan – tutti e tre con la stanchezza dipinta sul volto e gli occhi arrossati.
Con fin troppa meraviglia, Arya notò l'assenza di Cassandra. Tentò di chiedere in un sussurro che fine avesse fatto per poi rendersi conto che non gliene importava nulla. Si voltò nuovamente.
« Chi ci seguirà oggi stesso? » Domandò Rhona, come sempre senza emozione: « chi ci seguirà al Rifugio? »
Si alzarono, così, all'unisono, decine e decine di mani: erano circa una sessantina tra streghe e stregoni di ogni età, sorridenti e pieni di speranza. La venere nera, allora, scelse di soffermarsi su ogni volto, studiando anche la minima caratteristica con esagerata attenzione. Li avvolgeva tra le onde del suo personale oceano viola, come se riuscisse in questo modo a svelare ogni loro segreto, ogni azione compiuta nel loro passato.
Arya conosceva bene quell'espressione, quello sguardo così penetrante che sembrava tirarti fuori anche l'anima. Soltanto in quegli ultimi giorni era riuscita a sostenerlo, a trovare la forza per combatterlo.
Notò alcuni presenti abbassare il proprio, straniti; altri, invece, aggrottarono le sopracciglia, chiedendosi il motivo di cotanto silenzio. Tra la folla, Arya si accorse di Markos – sorpresa di trovarlo piuttosto tranquillo. Aveva le palpebre socchiuse, forse per la stanchezza.
In quell'istante, stabilì che non le sarebbe mai andato a genio; l'idea di tornare al Rifugio insieme a lui la innervosiva non poco.
« Bene » esordì Rhona alla fine: « tutti gli altri riceveranno notizie in seguito. Un semplice segnale da parte mia e dovrete presentarvi immediatamente a Rozendhel. Chiaro? »
La parte della folla che aveva preferito non trasferirsi al Rifugio, la più numerosa, annuì ed iniziò a teletrasportarsi verso casa. Si dissolsero nel nulla, volarono via, le imbarcazioni più grandi attivarono l'incantesimo dell'invisibilità, mentre sporadici gruppetti – composti da stregoni del Sud – si trasformarono in uccelli colorati e svanirono oltre l'orizzonte.
« Dov'è Cassandra? » Chiese sottovoce il signor Hancock, in modo tale che solo Arya potesse udirlo – le dita ancora avvinghiate attorno al suo braccio.
« Non lo so » sussurrò lei, mentre Rhona dichiarava il regolamento del Rifugio.
« Diamine, perché si è dovuta allontanare? » Si lamentò l'uomo e con una mano chiamò Beckah, la quale arrivò mascherando uno sbadiglio: « dov'è finita Cassandra? »
La ragazza alzò le spalle, incerta: « cosa ne posso sapere io? Se ne è andata in piena notte, quando Arya ha iniziato ad accogliere le streghe ».
« Si sarà messa a dormire da qualche parte » ipotizzò Arya: « in caso, la lasciamo qui? »
Il signor Hancock le riservò un'occhiataccia: « la Muraglia del Drago si trova dall'altra parte del mondo, in una dimensione nascosta a tutti gli umani. Se la lasciassimo qui, non credo che lei ne saprebbe uscire ».
« Motivo in più per non cercarla » esclamò Beckah, contenta di aver finalmente trovato soluzione ad un problema che le dava rogne da fin troppo tempo.
« Non siate sciocche! » Le rimbeccò il signor Hancock: « Rhona non ama i ritardatari. Tornerà al Rifugio senza alcuna preoccupazione ».
« E come potrebbe aver torto? » Disse Beckah: « Cassandra non può comportarsi in questa maniera! A me non frega nulla! »
Arya vide il signor Hancock inarcare la fronte, forse si stava interrogando sulla veridicità delle parole della ragazza. « Diamine! » Esclamò ad un tratto, cercando di mantenere un tono basso di voce: « fate parte della stessa Congrega! Dovreste aiutarvi l'un l'altra! »
« Senta » iniziò Beckah, alterata: « lei non può permettersi di giudicare. Non conosce Cassandra. Io opterei davvero di lasciarla qui ».
Il tempo, così atroce e crudele, non aveva attraversato solamente la figura della giovane Mason, rifletté proprio quest'ultima. Sembrava aver inquinato il cuore e l'animo di chiunque. Beckah, che fino a qualche anno prima era sempre stata solita mostrarsi come un'autentica principessa, ora non lasciava trasparire alcun residuo della sua grazia, della sua mortale regalità – le aveva calpestate con ferocia, come un tappeto scricchiolante di foglie secche privo di un qualsiasi prestigio. Di ciò che era stata un tempo non le rimaneva altro che la fisionomia; all'interno, celato unicamente agli uomini che non sanno osservare, risiedeva un'ombra che Arya fece fatica a scoprire, o che fino ad allora aveva sempre tentato di evitare, di conoscere appieno.
Il bibliotecario borbottò un qualcosa di incomprensibile e Arya prese un lungo respiro. Proprio in quell'istante la porta di legno si aprì cigolando.
Cassandra ricambiò i loro sguardi, nera come al solito e con il velo abbassato: « che volete? » domandò in cagnesco. Al contrario di tutti quanti, non sembrava affatto provata dalla situazione e dalla nottata in bianco che aveva dovuto trascorrere.
Scuotendo la chioma di platino e sistemandosi la coda del suo elaboratissimo vestito nero, avanzò di qualche passo.
« Ma dove diavolo ti eri cacciata? » Il signor Hancock si sorprese a gridare: « guarda, non lo voglio neanche sapere! L'importante è che sei tornata ».
« Sono sempre stata qui dietro » la strega alzò un sopracciglio: « stavo dormendo sul primo gradino della scala... non avevo alcuna intenzione di ascoltare le scemenze che si originavano dalla bocca della piccolina. Perdonatemi ».
Arya dovette contare fino a dieci prima di risponderle. Non poteva imbestialirsi dinanzi a Rhona, la sua Congrega e, anzitutto, alla folla di stregoni che aveva scelto di seguirla. Incrociò dunque le braccia al petto e si impose la calma. Cassandra, che diede l'impressione di aver inteso quel suo pensiero, sorrise ed iniziò a muovere delle critiche infantili: « signor Hancock, siamo sicuri che questa ragazzina sia in grado di portare avanti una Guerra simile? Non crede che sia troppo presto per lei? Fino a ventiquattro mesi fa ignorava persino la sua vera natura! »
Come previsto, il bibliotecario alzò le mani in segno di resa ed immediatamente Beckah fece per spalleggiare la sua amica.
« Se avessi prestato attenzione alle parole di Arya, forse a quest'ora ti renderesti conto di quanto sia infantile il tuo di discorso! »
La sorpresa scoppiò sui volti di tutte e tre le streghe: Cassandra rimase con la bocca semi-aperta, Beckah invece inarcò le sopracciglia e accennò ad un sorriso divertito. A parlare non era stato un membro della Congrega, ma qualcuno di totalmente estraneo alla vicenda. Arya rimase fissa ad osservare Logan, il quale aveva ascoltato in silenzio ogni singolo punto del discorso precedente e che, infastidito, aveva finalmente scelto di intervenire.
« Chi o cosa ti dà il diritto di parlarmi in questa maniera? » Sbottò Cassandra, con il vestito che frusciava sul pavimento.
Logan si fece avanti, scindendosi dalla figura di Oliver – anche quest'ultimo, sorpreso.
Ora, l'attenzione era rivolta unicamente verso quell'umano dai capelli disordinati e la strega dagli occhi di ghiaccio.
« Mi basterebbe una sola goccia del tuo sangue per vederti agonizzare a terra » sibilò Cassandra.
« Avanti » la sfidò Logan: « fallo! »
« Stupido ragazzino. La prossima volta, chiedi a mamma e a papà di insegnarti l'educazione... ah, no! Sono già morti! »
Il giovane strinse i denti, ma mantenne il controllo: « non puoi proprio fare a meno di arrampicarti sulle disgrazie degli altri per affermare la tua persona, vero? Sei così debole ».
Cassandra scoppiò a ridere e, spazientendosi, tornò ad attraversare la terrazza, felina.
« Cosa sta succedendo qui? » Rhona s'interpose tra le due figure, molto più nervosa di quanto avesse voluto mostrare: « potete darmi una spiegazione? »
Il signor Hancock incespicò qualche frase, ma la venere nera lo interruppe subito: « lasciamo perdere! » Si avvicinò alla porta di legno e la spalancò: « i nostri compagni oltre la Muraglia si stanno già muovendo, quindi sbrighiamoci. In questa zona non ci si può teletrasportare ».
Dunque, ella si mise accanto al coprifilo destro ed aspettò che tutti le sfilassero accanto: Cassandra fu la prima ad uscire, seguita da Quinn e da Darren – entrambi, non appena toccarono il primo gradino della torre, ripresero il loro solito aspetto da umani. Proprio come aveva detto Melchiorre, la divisa aveva resistito alla trasformazione.
L'ultima ad uscire fu Arya – sebbene non lo stesse dando a vedere, era rimasta davvero colpita dal gesto di Logan. Realizzò che avrebbe dovuto correggere l'opinione che aveva nei suoi riguardi. Non che quella dei mesi addietro fosse stata negativa, affatto! Ma adesso gli avrebbe portato molto più rispetto; lo avrebbe ritenuto un vero e proprio alleato.
Fece per attraversare l'uscio della porta quando Rhona l'afferrò per un braccio, le unghie come artigli.
« È in questo modo che credi di poter risolvere le vostre divergenze? » Le sussurrò in un orecchio: « ricorda gli elementi, Arya. Non sottovalutare la questione ».
La ragazza, stanca di doversi sentir dire sempre le stesse cose, stabilì che fosse giunto il momento di risponderle a tono: « sbaglio o il capo di una Congrega detiene anche la facoltà di esiliare un suo membro? Io non sopporto Cassandra e lei non sopporta me. Non mi sforzerò mai di andarle a genio. Sia chiaro, una volta per tutte ».
Rhona scosse la testa, impercettibilmente: « alcune volte sai essere talmente sciocca... ».
« Sciocca? » Riprese Arya: « io mi faccio rispettare! È diverso! »
Quindi si liberò dalla sua stretta con uno scatto veloce del braccio e, ignorando i rimproveri, si spinse verso la torre e raggiunse la scala a chiocciola.
Il tragitto durò molto meno di quanto si aspettasse e, in un batter di ciglia, si ritrovò nuovamente in quella gelida stanza di pietra – sotto l'arco a tutto sesto, pronta a tornare a casa.
I suoi compagni si erano già disposti a formare un cerchio. Darren le riservò un'occhiata curiosa, consapevole che le stesse andando qualcosa di traverso.
Arya gli fece un cenno con il capo, poi s'inserì tra Beckah e Quinn.
« Tutti pronti? » Chiese Rhona, raggiungendo il gruppo a grandi passi: « ci siamo tutti? Spero di sì! Andiamo ».
Nessuna risposta fu consentita e, immediatamente, la cella iniziò a sgretolarsi ed un turbinio di colori e forme indistinte scoppiò insieme alle loro figure.
Arya strinse i denti, cercando questa volta di affrontare il senso di nausea e di vuoto. In tutto quel caos, poté scorgere la figura di Cassandra – sorridente e fissa su di lei.
La sfidò in silenzio, rendendosi conto che prenderla come il suo personale punto di ancoraggio fosse in realtà una benedizione. Era questo il segreto del teletrasporto? Bisognava soltanto concentrarsi su un qualcosa che restasse immobile e tenerlo d'occhio per tutto il tempo? Sorrise – sorprendendo ancora una volta Cassandra – e, nel momento in cui il terreno si originò sotto ai loro piedi, strinse un pugno in segno di vittoria.
Erano tornati al Rifugio, o meglio in quella spaziosissima radura che si ergeva sulla collinetta in prossimità del bosco – tra i platani ed i ruderi antichi.
Il cielo era scuro come la pece, limpido e quieto. La luna brillava insieme al suo fedele manto stellare, rendendo i volti dei presenti ancora più pallidi.
Un coro di: « ti senti bene? » si alzò all'unisono. Oliver, soccorso prontamente da Logan e Darren, si era accasciato a terra e per poco non vomitò; Beckah, al contrario, era già in procinto di raggiungere la botola, seguita da una Quinn piuttosto incerta nei movimenti.
Per qualche istante regnò il suono sussurrato dal vento, poi cominciarono a spuntare i primi stregoni. Scoppiettavano dal nulla, puntando le scarpe a terra ed esultando in tutte le lingue del mondo. Erano finalmente giunti a destinazione, pieni di entusiasmo e aspettative per il futuro.
Una donna con un turbante marrone andò ad abbracciare Arya, la quale – ancora sotto l'effetto di quell'esagerato senso di vittoria – l'accolse felice, dandole un caloroso benvenuto.
Rhona ed il signor Hancock si diedero da fare allo stesso modo e, in un attimo, la collinetta si trasformò nell'apoteosi della confusione, in un luogo di chiacchiere e risate.
« Perché è di nuovo notte? » Chiese un ragazzotto di origine russa.
« Perché la Muraglia del Drago è dall'altra parte del mondo, racchiusa in una dimensione ignota » ripeté Darren, sicuro di sé: « è solo una questione di fuso orario ».
« Wow! » Esclamò Arya, raggiungendolo: « ti vedo attento! »
Il giovane fece spallucce: « attentissimo, signorina Mason! »
Con l'avanzare della notte e la folla sempre più chiassosa, Rhona decise di riprendere il suo discorso: « vi prego » iniziò, battendo le mani: « fate silenzio! Non vorremmo certo attirare l'attenzione di Morgante! »
La folla, composta da circa sessanta elementi, si ammutolì.
« Il sottopassaggio per raggiungere il Rifugio è molto piccolo e stretto » proseguì Rhona: « quindi, formate una fila ordinata. Tutti avranno una stanza, non vi preoccupate ».
Arya si mise a sedere su di un masso, gustandosi la scena: gli stregoni, provenienti dall'Egitto, che una volta erano appartenuti al credo della Natura, si mostravano molto più appariscenti di quanto avessero voluto dare a vedere. Indossavano colori sgargianti e collane dorate – in contrasto con gli abiti scuri delle altre streghe dell'Impurità.
Arya provò una certa soddisfazione nei riguardi di se stessa: era riuscita a creare un'alleanza senza eguali e precedenti. Forse era ancora troppo presto per giudicare, ma ella la riteneva invincibile. Con l'aiuto di tutte quelle persone era convinta che sarebbe riuscita a riprendersi Rozendhel e, così, avrebbe finalmente portato a compimento la sua vendetta contro Morgante.
Prese un lungo respiro, studiando i ciuffi d'erba – immobili persino alla venuta di quel vento improvviso.
Sarah e Frank vivevano ancora nei suoi ricordi, vividi e costanti. Ogniqualvolta che il cielo si tingeva di nero e la luna iniziava a salpare l'oscurità della notte, le immagini del matrimonio le infiammavano le palpebre, costringendola ad alzarsi dal letto e a vagare per il Rifugio – sola e tormentata. Ignorava sia la caterva di lacrime che aveva versato nell'arco di quei mesi sia il numero di giorni trascorsi in infermeria, insieme a Cinnamon. L'équipe di medici che, tutt'ora si stava impegnando nel recupero di quest'ultima, aveva cominciato a credere che la giovane Mason non si sarebbe mai più ripresa dallo shock e che, a lungo andare, avrebbe addirittura tentato il suicidio.
A darle supporto erano stati principalmente Beckah ed Oliver; questi infatti si erano organizzati con dei turni, in modo tale da non lasciarla mai sola. La spronavano a mangiare, a bere e persino ad andare in bagno.
Arya si era trasformata in un vegetale. Come morta, sedeva sul letto dell'infermeria ed in silenzio ascoltava i discorsi dei suoi amici – senza proferire parola, o anche solo ad accennare un semplice sorriso.
Una domenica, infine, riuscirono a tirarla fuori dalle lenzuola e la fecero salire all'aria aperta.
Era stato come rinascere. La giovane aveva spiccato il volo con le sue maestose ali nere e, solamente allora, si sentì in grado di aprire la bocca e formulare un messaggio chiaro e conciso: « grazie ».
Tornò a studiare l'erba, accorgendosi della scomodità della sua posizione. Si alzò quindi dal masso: i presenti stavano via via diminuendo – la maggior parte si era già infilata nel tunnel.
Sulla collinetta erano rimasti pressoché in una ventina: c'era Quinn che parlava amabilmente con una signora francese, Darren che teneva la situazione sotto controllo vicino a Rhona e a Cassandra, mentre Beckah si trovava in piedi accanto alla botola. Non vi era, invece, alcuna traccia dei due giovani innamorati; con molta probabilità avevano già raggiunto le loro stanze, stanchi e insonnoliti.
Arya si stiracchiò le braccia e fece per nascondere uno sbadiglio, passando inosservata da tutti meno che da Markos. Egli si trovava in procinto di raggiungere la botola, un sorriso sghembo impresso sul volto.
Iniziò poi a piovigginare e la ragazza si distrasse per un momento.
Un chicco di grandine l'aveva colpita su una spalla, in maniera tutt'altro che leggera.
Che strano, pensò alzando lo sguardo: il cielo era privo di una qualsiasi nuvola.
Le stelle, tuttavia, sembravano essersi spente e la luna, in silenzio, le diede un ammonimento sconosciuto.
Arya aggrottò la fronte, esaminando l'ambiente circostante. Nessuno si era accorto di nulla, nemmeno Rhona.
La colpirono altri due piccoli sassolini, precipitando a terra.
Arya si chinò con estrema attenzione. Non era grandine quella che stava piovendo dal cielo.
Era un qualcosa di molto più macabro, qualcosa che le fece accapponare la pelle. Erano denti.
Li raccolse in fretta e si voltò in direzione di Rhona, la quale aveva preso a chiacchierare con il signor Hancock di una chissà quale futile faccenda.
« Darren? » Chiamò quindi la ragazza e, subito, dal cielo prese a piovere anche qualcos'altro.
Una goccia scarlatta le sfiorò la fronte.
Ora tutti i presenti si accorsero di quanto stesse accadendo ed il panico esplose come una bomba ad orologeria.
Il sangue macchiò le loro carni ed i loro indumenti.
Uno stregone si teletrasportò lontano da lì, gli altri spezzarono la fila e scalpitarono per raggiungere il Rifugio. Erano fuori controllo.
Cadaveri in putrefazione piombarono dall'alto, sfracellandosi al suolo. Orecchie, dita umane e brandelli di carne insanguinata presero a calarsi sulle loro teste.
Arya tentò di avvicinarsi a Rhona – la quale stava gridando ordini ai quali nessuno prestò la dovuta attenzione – ma venne colpita da un attacco di panico che la costrinse a piegare le ginocchia e arrendersi, le mani dipinte di rosso.
« Arya! » La chiamò Beckah: « scendi al Rifugio! Corri! »
« No! Devo restare! »
Un boato assordante fece tremare la terra: individui sconosciuti, con delle possenti corna sulla fronte, presero a varcare il confine del bosco, mentre decine di spirali nere vorticavano nel vento acchiappando gli stregoni e strappando loro la testa.
« Restate uniti! » Urlò Rhona, a vanvera.
Le fiamme dell'Inferno si accesero nell'oscurità ed il prato della collinetta s'incenerì.
Arya lottò contro il panico e sparò un incantesimo che fece schiantare un combattente dell'Esercito della Notte addosso ad un rudere.
Allora due demoni dalla carnagione rosea e gli occhi piccoli le corsero incontro, tentando di afferrarla per le braccia, ma ella li respinse e assestò loro un pugno alla mascella. Il più grosso si riprese subito e fece per colpirla all'altezza dei reni. Arya lo intercettò con estrema rapidità e, richiamando il Fuoco Aureo, gli arse selvaggiamente il volto – le grida strazianti lo accompagnarono sino al momento del decesso.
Il secondo, sdentato e con le orecchie appuntite, si lanciò contro la sua figura e la scagliò a terra.
Arya sentì il suo alito graffiarle il collo. Gli conficcò un destro in bocca, ma non riuscì a divincolarsi. Quindi dovette intervenire Beckah, spezzandogli per bene le ossa.
« Tutto okay? »
Arya annuì con il capo, rialzandosi.
Rhona, il signor Hancock e gli stregoni più coraggiosi – tra cui anche Markos – avevano tutti le mani puntate verso il cielo. Ripetevano in coro una filastrocca che la giovane Guardiana del Fuoco Aureo non aveva mai sentito prima.
Nel frattempo, Cassandra stava respingendo i colpi di un gigante cornuto e con la lama del suo pugnale pregna di sangue demoniaco prese a tagliarsi le vene dei polsi – il gigante, proprio come se l'attacco fosse stato inferto a lui, perì in un una pozza scarlatta. Quinn, invece, si trovava a qualche metro da terra – impegnata in un arduo conflitto con una seconda arpia.
La filastrocca riuscì finalmente a richiamare un velo argenteo che si alzò dal nulla e andò ad avvolgere le loro figure, silenzioso e mortale. Prese vita da destra e da sinistra, spingendosi dal basso verso l'alto. Si serrò, alla fine, in una magica cupola luminosa. Il suo potere non ebbe alcun effetto sugli stregoni che l'avevano richiamata, ma straziò le vite dei demoni – i quali precipitarono tra i ciuffi d'erba, esanimi.
Una creatura, proveniente dal bosco, alta quanto una torre e con gli occhi incavati, urlò un qualcosa di incomprensibile ed iniziò a battere i pugni contro la parete della cupola. In un attimo, il sangue schizzò dalle sue narici e dalla sua bocca. Morì in un'esplosione disgustosa.
Tornò il silenzio.
Arya, circondata da tutti i suoi compagni, osservava i volti nauseati di quei combattenti. Non era difficile percepire quanto odio li muovesse e quanto disprezzo provassero nei loro confronti.
« È tutto vero, quindi! » Esclamò uno di loro, sprezzante: « Arya Mason è ancora viva ».
La ragazza celò la paura, il suono delle sue parole ovattato dalla cupola: « come avete fatto a scoprirmi? »
« Non sono affari che ti riguardano, lurida strega! »
Darren digrignò le zanne, ma Arya gli fece cenno di ritirarsi: « non so cosa vi abbia raccontato Morgante, ma vi posso garantire che questa guerra non ha alcun senso. È inutile! »
« Inutile? » Ridacchiò un orco dalle ultime fila dell'Esercito – era gobbo, grigio e con una mazza chiodata stretta in un pugno: « ci avete rinchiusi per intere generazioni all'interno di un posto orribile! Questa è la nostra vendetta! Non ci fermeremo finché non ti avremo staccato la testa! »
L'entusiasmo si alzò alle sue spalle.
« So cosa vi ha fatto Zehelena e non lo accetto » ammise Arya senza scomporsi e, in un attimo, l'Esercito della Notte si ammutolì: « se fossi stata in lei, io avrei condannato solo e soltanto i tirapiedi di Morgante. Vi sta ingannando. Credete davvero che gli importi qualcosa delle vostre vite? Per lui non siete altro che delle pedine... pedine di un gioco crudele! »
« Morgante ci ha donato la libertà! » Gridò un altro orco: « mentre tu ci parli dall'interno di una cupola! Sei una falsa, Arya Mason! »
I demoni gridarono ancora una volta, contenti.
Arya, a quel punto, non poté fare a meno di prendere un lungo respiro e avvicinarsi al confine della cupola. Cassandra, imprevedibilmente, l'afferrò per una mano e la costrinse a tornare indietro.
« Ma che diavolo fai? » Ringhiò Arya.
« Ti salvo la vita, cretina! »
Si scambiarono un'occhiata insolita, poi la ragazza fece per proseguire ma venne interrotta da una voce gelida che s'insinuò, aggressiva, nelle menti di ognuno: « sei brava a parlare, Arya Mason. Ma dove sono i fatti? Credi che sia così semplice risolvere una questione che si protrae da centinaia di anni? » Morgante proseguì: « hai paura della guerra? »
« Chi è il vigliacco adesso? » Urlò Arya, cercando l'approvazione del suo seguito: « vieni fuori, Morgante! Fatti vedere! »
La provocazione funzionò come in passato e, immediatamente, una spirale nera prese a vorticare attorno alla cupola. Arya strinse i denti, la mano destra impegnata a cercare qualcosa all'interno del suo nuovo borsello ideato da Melchiorre. Ancor prima che qualcuno potesse rimproverarla, quindi, afferrò una piuma di Bartek e se la mise in bocca.
« Arya! No! » Urlò Beckah, ma fu fatica sprecata.
La Guardiana del Fuoco Aureo si alzò in volo e, spingendosi sempre più in alto, raggiunse il limite della cupola.
« Dove sei? » Tuonò, il peso di quel maestoso paio di ali nere che le gravava sulla schiena.
« Proprio qui » rispose la voce di Morgante: « dinanzi a te ».
Il fumo si dileguò nella notte, modellando la sua figura tanto regale quanto intimidatoria.
Era bianco come l'alabastro, con i capelli lunghi e argentei, un naso pressoché inesistente, le orecchie appuntite e gli occhi rossi delimitati da rughe assai precoci. I lineamenti del volto si presentavano affilati quanto la lama di una spada, mentre dalle maniche svasate della sua veste nera fuoriuscivano quelle che erano le sue mani – due tarantole pallidissime, scheletriche e dagli artigli ingialliti.
Era in grado di volare anche senza l'ausilio di una scopa, un'imbarcazione o un semplice paio di ali.
Il suo potere sembrava incontrastabile.
« Buonasera, Arya Mason. È sempre un piacere! » La canzonò lui: « sai, ho molte cose da chiederti ».
Arya strinse i pugni, scontrandosi contro la sua irrefrenabile voglia di uscire fuori dalla cupola e cavargli gli occhi: « sei venuto qui per chiacchierare? »
« Potrebbe anche darsi » disse Morgante, divertito: « non riesco proprio a comprendere come tu abbia fatto ad uscire illesa dalla Dimensione. L'ultimo Portale è stato aperto dinanzi ai miei occhi, gli spiriti ti avevano afferrata eppure... tu sei qui, sana e salva ».
« Morirò combattendo » lo sfidò Arya: « non per mezzo dei vostri stupidi giochini. Al matrimonio avete massacrato così tanta povera gente... Mia zia, suo marito e tutti gli altri, dimmi, cosa c'entravano in questa guerra? »
« Arya Mason » riprese Morgante, un sorriso impresso sul volto glabro: « io ti sto uccidendo lentamente. Sto giocando con te, proprio come un gatto fa con un topo prima di divorarselo. Presto o tardi, non riuscirai più a sopportare il peso di questa guerra e appassirai ».
Arya inarcò le sopracciglia: « parla chiaro! »
« Ucciditi prima che lo scorrere del tempo lo faccia al posto tuo » sibilò Morgante: « risparmiati cotanto dolore ».
Il vento si alzò un'altra volta alla venuta di Beckah, la quale sbatté le ali con vigore.
Arya le lanciò un'occhiata fugace, poi strinse i denti e tornò a concentrarsi sul mostro.
« Noto che anche i tuoi amici sono riusciti a scappare dalla chiesa » disse lui, fisso sulla strega appena arrivata: « la prossima volta, quando la guerra avrà preso ad incenerire i boschi e avrà spazzato via intere abitazioni, non pensate che sarà così semplice sfuggirmi. La mia ira si arresterà solamente quando ti avrò vista morta, Arya Mason ».
« Se mi uccidi » partì Arya: « non scoprirai mai dove conservo i Frammenti della Sfera ».
Parole forti, parole che annerirono il sorriso di Morgante.
Sembrava proprio che quello fosse un dettaglio al quale non aveva mai dato la giusta importanza.
« Li troverò » rispose in un sibilo: « dovessi ridurre in cenere tutto il tuo inutile Rifugio ».
« Staremo a vedere ».
Un freddo improvviso attraversò il velo della cupola. Percependo un brivido sulla schiena, Arya scosse le ali. Morgante, invece, continuò a scrutarla con attenzione – dietro alla sua figura si mescolava il verde dei boschi e la totale oscurità della notte.
Il manto stellare si era spento e la luna si era andata a nascondere. Tutto ciò che si trovava nei paraggi sembrò tremare. Come se ogni essere vivente (e non) avesse percepito il terrore di un'imminente Apocalisse.
« Sai giocare bene, Arya Mason » dichiarò Morgante, un cenno sconosciuto con la destra: « ma purtroppo sei ancora tanto inesperta ».
« A cosa ti riferisci? » Arya sentì la tribù degli orchi condividere una risata. Stava accadendo qualcosa.
« Sono molto più abile di te » riprese il demone, impassibile: « celandomi nell'ombra della città, ho osservato ogni tua singola mossa. Ti ho spiata, ho conosciuto la tua famiglia, i tuoi amici. Io so tutto di te: la tua fragilità, ogni singolo punto debole. Guarda lì ».
Arya evitò di seguire il suo dito indice; un piccolo gesto che lo fece innervosire. Per un individuo come lui, abituato ad infliggere ordini a chiunque, si trattava di un vero e proprio affronto. Era un'amara sciocchezza che, però, gli diede il giusto ammonimento: Arya non era una sua proprietà. Fletté le labbra, agitato, e sibilò ancora una volta: « ho spezzato il collo alla tua amica, Samantha, l'ho scuoiata e l'ho ridotta in brandelli. Tutto ciò che ti stava piovendo in testa erano parti del suo inutile e fragile corpo da umana ».
« Impossibile! » Debuttò Beckah, che fino a quell'istante aveva conservato il silenzio.
« Non mi credete? »
« Come potremmo? » Ribatté la strega: « sei così meschino! »
Morgante rise di gusto – un serpente bianco, minaccioso: « i miei uomini l'avevano resa un'automa. Vagava di letto in letto, la puttana. Ogniqualvolta che mi capitava di vederla, era nuda e coperta di sangue. Piangeva sempre e le sue grida mi davano la nausea. Era insopportabile! »
« Sta' zitto! » Arya gemette. La sua mano era scivolata sul pantalone, andando a stringere un ginocchio.
Era sola. Erano tutti morti. Morgante stava sterminando la sua famiglia.
Sarah, Frank, Samantha... non avrebbe mai più udito le loro voci. Ogni ricordo svanì nella notte. Ogni cosa si trovava, adesso, conservata in una lurida pozza di sangue.
La testa le andò a fuoco, le ali si sforzarono per tenerla in equilibrio. Le formicolavano le orecchie, gli occhi le bruciavano. Sentì l'acidità salirle in bocca, ma si trattenne dal vomitare.
Infine batté i pugni contro la cupola, ululando: « SEI UN BASTARDO! »
Il velo tremò e la figura di Morgante si mosse come il riflesso in un lago.
« Samantha non c'entrava nulla! » Continuò ad urlare Arya, le lacrime che le ardevano in volto. « IO TI UCCIDERÒ, MORGANTE! GIURO CHE LO FARÒ! DOVESSI FOCALIZZARE LA MIA VITA SOLO SU QUESTO! »
Ma le sue parole, nonostante la durezza e l'odio che le originava, non ebbero alcun effetto sul demone. Egli, difatti, scosse la chioma argentea e fece un nuovo segno con le dita; subito, dalle cime dei boschi, emersero infinite macchie nere. Gli orchi, dal basso, e gli altri soldati dell'Esercito della Notte presero a lanciare incantesimi, armi e pietre infuocate contro la cupola. Essa vibrò, minacciosa.
« Mosse e contromosse, Arya Mason! » Urlò Morgante, mentre Beckah acchiappava la sua mano e la scortava fino a terra.
La botola era sempre più vicina.
Vide Rhona alzare le braccia e recitare la filastrocca di prima con vigore assoluto.
« ARYA! VIENI CON ME! »
« PORTATELA DENTRO! »
Ma Arya non li ascoltava – era pallida, con le labbra viola.
La risata di Morgante le attraversò il cervello, mentre tentava di voltarsi ancora una volta ad osservare la situazione. Il caos regnava sovrano. Il pericolo di morte non era mai stato così tangibile. La terra tremava sotto ai loro piedi, mentre i demoni spingevano per entrare – le carni disgustose e carbonizzate. Gli stregoni mantennero la calma e proseguirono con quell'antica filastrocca. Il velo, adesso, si presentava dipinto di sfumature rosse e celesti.
Costretta a serrare le ali, Arya fu spinta oltre la botola.
I cannoni di guerra si ammutolirono soltanto ore ed ore più tardi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 36
*** Capitolo 35: La Terra di Nessuno ***


CAPITOLO 35:


La Terra di Nessuno

 

I sedili non erano mai stati così scomodi, la cinta così stretta.
Oltre il vetro dei finestrini, la piccola non poté scorgere altro che la minaccia oscura della notte.
Deglutì, nervosa.
La radio era accesa ed emetteva un suono flebile – note che nessuno udì, note che vennero inghiottite dalle urla e dagli insulti.
Ella strinse a sé un orsacchiotto di pezza, le lacrime avevano già preso a rigarle il viso quando sentì il rombo dell'automobile aumentare ancora.
Sfrecciavano tra le ombre, sfiorando i guard-rail – luminosi come una lucciola.
La donna che sedeva accanto al conducente le riservò uno sguardo crudele e prese a stritolarle una gambetta. L'odio le incendiava gli occhi, l'espressione simile a quella di un cane rabbioso. Quest'ultima conosceva soltanto un modo per comunicare con sua figlia, ed era la violenza. Darla alla luce era stato uno sbaglio, lo aveva sempre ammesso. I suoi sogni si erano infranti con un primo, innocente gemito e così la sua misera vita.
La piccola gridò dal dolore, il cuore che le martellava in petto.
Perché finiva sempre in quel modo? Era forse colpa sua? Aveva commesso qualcosa di male?
L'uomo, alla guida, ringhiò alla moglie e prese a spintonarla: « LASCIALA STARE, MORGAUSE! LASCIALA SUBITO! »
Si diedero battaglia in quell'ambiente tutt'altro che appropriato e, anzitutto, sicuro.
Morgause, disperata ed incompresa, si lanciò contro il marito facendogli perdere il controllo della situazione. In un attimo, l'automobile annegò nell'oscurità.
Le grida si affievolirono di urto in urto, per poi spegnersi totalmente alla fine – quando la piccola si ritrovò a testa in giù, con il sangue che le sgorgava dalla bocca.
Ora, si fece tutto confuso. La scena si accartocciò su se stessa in un turbinio di colori e macchie disordinate. Riprese un minimo di disciplina all'arrivo di un'estranea, l'armatura splendente e le ali maestose. Atterrò su di un prato verdissimo, e lì una nuova strega le andò incontro: « resta con me » ululò, afflitta: « trascorreremo l'eternità insieme! Insieme! »
No.
Arya riaprì gli occhi, la fronte imperlata di sudore.
Le lenzuola bianche del suo letto giacevano a terra, con i cuscini e la canottiera del pigiama.
Si era agitata parecchio durante la notte! Gli incubi, in effetti, non le davano mai tregua. Le facevano ripercorrere, instancabili, i peggiori eventi della sua vita – e non –, per poi abbandonarla alla paura e al senso di impotenza.
Studiò la camera, i piedi penzoloni.
Accanto al letto, dalla parte destra, dormiva una principessa – i capelli perfettamente ordinati e le labbra semi-aperte, come se stessero attendendo il bacio di un impavido cavaliere. Beckah era così serena e silenziosa che per poco Arya non dovette accertarsi del suo respiro.
A sinistra, invece, si trovava Quinn – immersa anche lei nel mondo dei sogni. Era sua consuetudine riposare con un dito in bocca e senza alcun tipo di indumento che non fosse la sua biancheria intima.
La stanza che era stata assegnata loro al Rifugio era tanto regale quanto spaziosa. I mobili, tra cui gli armadi e i tre comodini, erano stati realizzati in un legno chiaro e pregiato, simile a quello del parquet. Il soffitto e la carta da parati si presentavano rosei, con un lampadario intarsiato di gemme che pendeva dall'alto ed un'ampia vetrata che si apriva sulla parete opposta dell'ingresso. Essa, per mezzo di una chissà quale magia, permetteva alle ragazze di dare una sbirciata al bosco – rendendolo, tuttavia, un posto molto meno cupo di quanto fosse stato in realtà.
Arya amava il suo panorama, l'incantevole sensazione di libertà che le veniva donata tutte le volte da quelle sue immagini così... vive: più ci si avvicinava, infatti, e più si era in grado di avvertire il canto degli usignoli, l'odore del muschio ed il sibilo del vento.
Prese un lungo respiro, infilandosi la canottiera del pigiama.
Erano le sei di mattina ed il suo stomaco reclamava da mangiare. Quindi, si legò i capelli in una coda di cavallo e prese in prestito le scarpe di Beckah, raggiungendo la porta.
A qualsiasi ora, il Rifugio si mostrava caotico e in pieno movimento: alcune streghe, le più giovani, si divertivano nel rincorrere le loro compagne, mentre gli stregoni appena giunti dalla Muraglia del Drago occhieggiavano da una parte all'altra, curiosi e sbalorditi dal lusso in cui si erano ritrovati a vivere.
Mentre scendeva le scale, una streghetta cinese le diede uno spintone – gli occhi a mandorla e la pelle giallastra. Era così presto che Arya scelse di trascurare la cosa, ma non volle trattenersi dall'esplodere in una fragorosa risata quando la vide precipitare dal terzultimo gradino.
« Ti sei fatta male? » Le chiese, paonazza.
La bambinetta non diede segno di aver capito le sue parole; rispose con una leggera scrollata di spalle e si dileguò rapidamente.
Non appena giunse in mensa, – le pareti bianche quanto i petali di una margherita – Arya s'indirizzò verso un qualsiasi tavolo che fosse libero. Optò per il solito, vicino al bancone. Spesso si era domandata che razza di utilità avesse questi, dato che non vi era alcun bisogno di creare una fila e aspettare il proprio turno per ricevere del cibo. Le pietanze, infatti, saltavano su direttamente dal legno dei tavolini e sparivano allo stesso modo, quindi per magia, qualche attimo dopo che la colazione, il pranzo o la cena risultassero terminati.
Si accomodò su uno sgabello e attese, incrociando le dita per ricevere un caffè e una brioche alla crema.
« Yo-oh! Signorina Mason? »
Roteò gli occhi, ignorando la voce sconosciuta.
Era trascorsa un'intera giornata dal convegno tenutosi alla Muraglia del Drago, eppure, da allora, non aveva mai smesso di stringere mani e di improvvisare stolte benedizioni per i soggetti più strampalati.
Nessuno si era accorto di quanto l'avesse ferita Morgante, di quante lacrime avesse versato quella notte.
Il terreno in superficie, rammentò a se stessa, era stato ripulito il mattino seguente. Proibì persino a Rhona di rivelarle che fine avessero voluto fare ai cadaveri che i demoni avevano gettato dall'alto, come sacchi di immondizia. Non voleva certo che il ricordo di Samantha venisse intaccato dalle immagini di una fossa comune, o di un qualcosa di ben peggiore.
Batté le unghie contro il legno: perché non spuntava nulla? Dov'erano il suo caffè e la sua brioche?
« Signorina Mason? Mi sente? »
« Dio santo... » Arya fu costretta ad alzarsi: poco distante dal punto in cui aveva scelto di sedersi, si trovava una coppia di streghe, identiche e alquanto insolite.
« Venga qui! » La invitò una delle due: « non vorrà mica mangiare da sola! Suvvia, non faccia storie! »
Arya inarcò le sopracciglia: per un attimo aveva creduto di aver visto due copie di Cassandra salutarla, ma con un'analisi più accurata si rese conto di quanto invece si differenziassero da quest'ultima. Erano alte, imponenti, con una voce piuttosto mascolina e le mascelle pronunciate. Sui loro volti duri come il granito splendevano un paio di piccoli frammenti di cielo – splendidi, vivaci e portati in risalto da un eccessivo impiego di eyeliner. Avevano, inoltre, gli zigomi piuttosto evidenti ed un naso aquilino che sembrava riuscire a percepire ogni singolo odore proveniente dalle cucine invisibili.
Le loro spalle erano larghe, e le braccia tanto robuste quanto forti. Una moltitudine di collane pendeva loro dal collo, mentre indosso vestivano un elegante abito nero – dal corpetto stretto e la gonna a sirena. Avevano, poi, due tiare d'argento che brillavano sulla fronte e parrucche di colore biondo-platino, lunghissime e fluenti.
Non era affatto facile distinguere l'una dall'altra. A giudicare dall'aspetto, tutti le avrebbero potute scambiare per gemelle!
Arya, incuriosita, accettò il loro invito.
« Che piacere conoscerla! » Esclamò la prima.
« Sta benissimo! » Commentò l'altra.
« Grazie mille! Il piacere è tutto mio! » Rispose Arya, stringendo loro le mani – enormi e dotate di artigli coloratissimi.
« Ci chiamiamo, rispettivamente, Cynthia e Mariah » dissero in coro: « conosciute anche come “le Ancelle della Natura”! »
Arya osservò che Cynthia aveva le labbra più carnose di Mariah, e che quest'ultima avesse un piccolo neo sullo zigomo destro. Da lì in avanti, per riconoscerle, si sarebbe potuta affidare soltanto a queste due caratteristiche.
« Siamo rimaste molto colpite dal discorso che ha tenuto alla Muraglia del Drago » disse Mariah, le dita giunte dinanzi al petto poco pronunciato.
« Assolutamente! » Esclamò Cynthia, alzandosi una manica dell'abito: « io ho ancora la pelle d'oca! Guardi! Guardi! »
Arya fu costretta ad esaminare la sua pelle perfetta e priva di un qualsiasi pelo: « be', ho soltanto detto quello che penso ».
« E l'ha fatto in maniera impeccabile. Non credo ci sia un'altra strega nell'Universo che abbia avuto la forza di combattere tante disgrazie... la Dimensione era un posto tremendo, non è vero? Non posso nemmeno concepirlo! Io sarei morta immediatamente ».
« Anch'io! » La spalleggiò Mariah: « vorrei che la nostra gente trovasse la pace ».
Arya annuì, attenta: « terminata questa guerra, si sistemerà ogni cosa ».
A quel punto, il legno emise un flebile pop e, subito, salirono in superficie tazze fumanti di caffè, bicchieri di vetro colmi di succo all'arancia, brioche appena sfornate, fette biscottate, un barattolo di marmellata e un cestino con del pane tostato.
« Oh, si mangia! » Esclamò Cynthia, concedendosi un breve applauso: « tu da cosa parti, Mariah? »
« Sembra tutto così squisito! » Rispose la seconda, impegnata ad accarezzarsi la sua fluente chioma: « guarda che belle quelle brioche! »
« Non toccarti i capelli! Siamo o non siamo regine del bon-ton? »
Mariah si sfiorò il petto, a dir poco addolorata: « giusto, giusto! »
Per tutta la durata della colazione, Arya rimase ad osservare ogni loro piccolo gesto: erano divertenti, estremamente simpatiche, educate, intelligenti e per nulla superficiali – al contrario di quanto avrebbe potuto credere chiunque al primo impatto.
« Da dove venite? » Domandò Arya, sorseggiando il caffè bollente.
« New York! » Esclamarono all'unisono: « nate e cresciute a Manhattan, nell'Upper East Side ».
« Davvero? » La ragazza si sporse in avanti, entusiasta: « deve essere stato bellissimo vivere lì! Questo Rifugio vi sembrerà un'isola ecologica al confronto ».
« No, assolutamente » disse Mariah, afferrando al volo la bottiglia d'acqua che era appena spuntata dal legno: « anche questo è un posto molto... grazioso ».
« E poi, qui, le persone sono molto alla mano! » Riprese Cynthia: « umili, oserei dire ».
« Non vi trovavate bene lì? » Arya provò un certo interesse al riguardo.
« Ci deridevano tutti perché avevamo l'intenzione di aprire una sartoria ».
« Sai, noi siamo stiliste » rivelò Cynthia: « e dalle nostre famiglie, una sartoria era considerata una cosa da poveri ».
« Mio padre voleva che io diventassi un avvocato! » Mariah fece una smorfia: « orribile! »
Per una manciata di minuti, Arya rimase ad ascoltare la loro storia – nella mente le si originarono con estrema chiarezza le figure di quei genitori, di quegli individui che avrebbero tentato di tutto pur di ostacolare i sogni delle figlie.
Arya ripensò a sua madre, a Morgause, e dovette prendere un respiro profondo... no! Aveva già promesso a se stessa che non si sarebbe mai più fatta influenzare da lei!
Dunque si ritrovò a scuotere la testa e, convinta, disse: « avete fatto bene ad andarvene da quelle case. Non c'è nulla di sbagliato nel vostro sogno. Anche i migliori stilisti sono partiti da lì, no? »
« Esatto! » Esclamò Cynthia: « non dedicherò certo la mia vita ad un qualcosa che non mi interessa, solo per accontentare i miei! Sono una donna di trentacinque anni, ormai, e sono padrona di fare ciò che voglio! »
« Ben detto! » Arya alzò un pollice, la bocca piena: « potreste realizzare un abito per me? Sapete, da quando la mia casa è stata rasa al suolo, giro sempre con i vestiti dei miei amici. Questo pigiama che sto indossando adesso è di Beckah, la conoscete? »
Cynthia e Mariah fecero di “no” con il capo, ma accettarono entusiaste la sua richiesta: « abbiamo trovato cosa fare nel corso delle giornate! Sai, non amavamo l'idea di doverci allenare costantemente ».
« Quali sono le vostre Arti? »
« Io ho un udito sopraffino » disse Mariah: « riesco a percepire ogni singolo suono o rumore, anche in lontananza. È molto utile per capire dove si nascondono i nemici. Ah, e ho sentito anche l'imprecazione di prima. Non ti preoccupare, però. Capiamo il tuo stress ».
Arya divenne paonazza e si vergognò.
Cynthia, intanto, aveva preso a spiegare con precisione i segreti della sua Arte: era in grado di richiamare un gufo, lasciarlo libero in volo, connettersi con la sua mente e studiare il territorio nemico con i suoi occhi.
« E con le piume di questo gufo riuscite anche a volare? »
Le due streghe annuirono.
« Tu voli con le piume di Bartek, il lacchè di Hazelle? » Le domandarono, curiose.
« Esatto. Ultimamente ne perde fin troppe... è probabile che stia soffrendo molto per la perdita della sua padrona » ammise Arya, realizzando che ormai era da parecchio tempo che non lo vedeva più da nessuna parte.
« E a te, invece? » Osò Cynthia, mandando giù l'ultimo pezzo della sua brioche: « dispiace per la morte della tua Prefettrice? Hazelle? »
Arya non rispose subito a quella domanda, si concesse un breve attimo di riflessione. Dalla notte in cui Hazelle l'aveva spinta oltre l'ultimo Portale, il ricordo della sua persona non si era quasi mai affacciato nei suoi pensieri. Cosa le poteva mancare di lei? Il sarcasmo? La sete di sangue? Il fatto che avesse sempre da controbattere ogni parola le uscisse di bocca?
« Non lo so » sussurrò istintivamente: « forse ».
« Be', speriamo che abbia almeno trovato la pace! » Esclamò Mariah e, a quel punto, Arya non poté più trattenere una lunga risata. « Ma chi? Hazelle? » Disse, divertita: « in questo momento, starà sicuramente concedendo un tango a Satana. Non era una bellissima persona, eh! »
Per la prima volta, il silenzio si fece piuttosto imbarazzante.
Le due streghe preferirono non commentare quell'affermazione e partirono con un discorso futile, riguardante l'acqua del Rifugio.
« Non trovate anche voi che sappia di carta? »
« Come se fosse... non so... è strana! »
Arya se ne versò un po' in un bicchiere pulito e assecondò il loro gioco: « già » disse, convinta: « bizzarro! »
Trovato quindi l'accordo sull'acqua, piombò nuovamente il silenzio. Tutte e tre, in cuor loro, sperarono che nessuna se ne uscisse fuori con l'argomento “clima”. Non era facile discutere su un qualcosa di simile, abitando sottoterra.
Via via che trascorrevano i minuti, la mensa si affollava di ospiti e stregoni: il chiacchiericcio aumentò a dismisura, allo stesso modo delle risate e dell'acciottolio delle stoviglie.
Quando Arya si accorse di un Logan particolarmente spaesato attraversare l'ingresso, non poté fare a meno di alzarsi in piedi e scuotere le braccia per farsi notare.
« Logan! Ciao! Vieni qui! »
Il ragazzo la salutò con un cenno veloce della testa e fece per raggiungerla, allegro.
« Ma che bel ragazzo! » Sussurrò Mariah sotto i baffi.
« Sì, ma guardalo bene... ha un occhio pigro » le fece considerare Cynthia.
« E quindi? È una caratteristica che lo rende ancora più adorabile ».
Logan arrivò al loro tavolo, sorridente. Indossava una maglietta bianca sotto una camicia verde a quadri – aperta e con le maniche risvoltate –, dei classici jeans neri ed un paio di comode scarpe da ginnastica. Arya lo andò ad abbracciare con lo stesso affetto che una sorella riserverebbe ad un fratellino più piccolo che non vede da mesi. Lo strinse così forte che per poco il giovane non rischiò la rottura di una costola.
« Tutto bene? » Le chiese, a disagio.
« Certo! » Esclamò Arya: « ti unisci a noi per fare colazione? »
« Ci farebbe molto piacere! » Esclamò Mariah, il mento poggiato sul palmo della mano sinistra.
« In realtà » cominciò Logan: « avevo pensato di prendere una brioche al volo e andare in superficie. Ho bisogno di respirare un po' d'aria pulita ».
« Ti capisco, guarda » Cynthia proseguì, dando l'impressione di non aver atteso altre parole per tutto il tempo e rendendo pubblico anche il più microscopico dettaglio della sua vita a New York. Amava trascorrere intere mattinate all'aria aperta, mettersi a sedere sull'erba, in un luogo appartato di Central Park, a leggere sonetti di Shakespeare e poemi epici. Da quel lungo, infinito discorso, Arya scoprì che era solita puntarsi la sveglia alle sette, fare colazione con un toast, e che uscire di casa senza aver abbinato il colore dello smalto con quello delle mutandine era per lei una vera tragedia.
In quel trionfo di sciocchezze e vanità, Logan azzardò un timido: « anch'io amo godermi la luce del sole e le belle giornate... quindi, sarà meglio che io mi sbrighi... prima che il sole non decida di tramontare in anticipo ».
« Ecco, vedi? » Iniziò Mariah: « lo stai facendo di nuovo! Tu spaventi le persone, cara. A nessuno interessa sapere il nome del tuo quarto carlino. Fa' parlare anche gli altri! Sai cos'è un ciclo di comunicazione, no? »
Cynthia si portò una mano al petto, offesa: « allora, non parlo più! »
« Non sto dicendo questo! » La rimbeccò Mariah: « è solo che... ».
« D'accordo! » Esclamò Arya, le braccia puntate verso l'alto in segno di resa: « noi vi lasciamo da sole. È stato un vero piacere conoscervi, comunque ». Le due streghe finalmente si zittirono e presero ad osservarla. Soltanto qualche attimo dopo decisero di mettersi in piedi e andarla ad abbracciare, felici. La scena parve colpire tutti in mensa – due giganti intenti a sradicare un povero ed innocente fiorellino dal terreno, i petali rossi e lo stelo sottile.
« Anche per noi è stato un piacere » dissero all'unisono: « massimo quattro giorni e ti verremo di nuovo a cercare! Ho già in mente un'idea per degli abiti ».
Arya sorrise, raccolse dal tavolo un'ultima brioche per Logan e, insieme, s'incamminarono verso l'uscita.
Prima di affacciarsi alla luce del sole, dovettero però infilarsi controvoglia in quel lurido tunnel di pietra – l'unico ed il solo a collegare il mondo esterno con il Rifugio.
Logan fu il primo ad uscire, spingendosi oltre la botola ed esplodendo in un trionfo di polvere.
Il prato, campo di battaglia di due sere addietro, si presentò loro piuttosto pulito e ordinato: le macchie di sangue che avevano sporcato i ruderi, adesso, non costituivano altro che un ricordo doloroso, e i ciuffi d'erba bruciati dall'avvento della cupola erano tornati a brillare di un verde così intenso che ad Arya parve soltanto un artificio.
Il ragazzo chiuse gli occhi e inspirò profondamente.
« Ti ho notato parecchio pratico nel tunnel » cominciò lei: « esci spesso? »
« Ultimamente, sì. Questo è l'unico posto in cui si possa respirare... non so come definirla... magari, normalità? » rispose lui, denudando il suo animo di piombo: « è come se qui fuori non accadesse mai nulla: la Terra di Nessuno dimenticata sia dagli uomini che dai demoni. Il vento soffia piano, invitando a danzare le foglie degli alberi; gli uccelli cantano, litigano, e poi si rilassano sulla pietra. È lecito abbandonarsi alla fantasia, credere che su questa collinetta ci abbia vissuto una chissà quale comunità antica? »
Arya inarcò la fronte, colpita da ciò che Logan le aveva appena detto. Per esprimere il suo pensiero, aveva scelto di utilizzare dei termini ben precisi che in realtà nascondevano un qualcosa di profondo, come una poesia ermetica. Il tono della sua voce tradì soltanto l'angoscia, il senso di panico e la volontà di fuggir via.
« Tu non hai mai voluto appartenere a questo mondo » disse Arya, secca: « ti ci sei ritrovato, un po' come me ».
Logan, a quel punto, le lanciò un'occhiata curiosa: « che intendi dire? »
« Non voglio domandarti come ti senti, Logan, perché credo già di saperlo » il vento prese a scompigliarle la coda di cavallo mentre lei continuava a parlare: « se mi fosse stato concesso, non avrei mai scelto di diventare la Guardiana del Fuoco Aureo e la Custode della Chiave di Zehelena. È da quella sera, al Madame Minuit, che mi ritrovo a vivere una vita che non mi appartiene. Devo accettare tutto ciò che mi capita, impotente, assistere alle morti premature dei miei cari... è uno schifo! »
« Come affronti il tutto? » Le domandò il ragazzo: « io non riesco neanche più a dormire! Non so che fine abbiano fatto i miei genitori... sono morti? Sono stati scuoiati vivi e, l'altra sera, ci sono stati gettati addosso i loro resti? »
Arya dovette socchiudere gli occhi. In confronto all'aggressività di quelle parole, gli spettri della Dimensione – che il giorno del matrimonio l'avevano condotta sino all'Inferno – non costituivano alcun male. Il pensiero che le carni di Samantha le fossero piombate in testa le si affacciò ancora una volta in mente. Lottò per ricacciare indietro le lacrime e disse: « senti, ti va di andarci a fare una passeggiata nel bosco? »
Dinanzi a quella proposta, Logan si mostrò dapprima scettico: « ma la cupola non arriva fino a quel punto, potrebbe essere rischioso » poi si ricordò del Braccialetto anti-magia che gli brillava al polso ed esclamò: « andiamo! »
Attraversarono quindi il confine invisibile della cupola che Rhona aveva scelto di mantenere e si calarono giù per la collinetta in un silenzio quasi religioso.
Spuntarono i primi alberi e i primi suoni del bosco. Logan deglutì alla vista di un serpente, ma Arya gli afferrò una mano e lo invitò a proseguire diritto. La vegetazione diveniva sempre più rigogliosa e fitta, allontanando la timida luce del mattino dal loro sentiero. Arya, che indossava ancora il pigiama, percepì un brivido di freddo percorrerle il corpo.
« Vuoi la mia camicia? » Le propose il ragazzo.
« No, tranquillo! Sta' a guardare! » Schioccò le dita e fece apparire una calda fiammella dorata; in un baleno, tornò l'estate.
Si spinsero là dove il buio inghiottiva persino il canto degli usignoli, dove il vento preferiva ritirarsi piuttosto che sussurrare la sua pace. Il tappeto di foglie secche scricchiolò e Arya ebbe un sussulto: « hai sentito? »
Logan scosse il capo e prese a studiare l'aspetto degli arbusti: « guarda, il tronco è così scuro che sembra essere stato dipinto di nero! »
« Già » rispose la ragazza, distrattamente: « particolare! »
Con il trascorrere dei mesi, il bosco si era colorato di sfumature tetre – come se le ombre avessero preso il posto degli elementi da cui si originavano e si fossero imposte come autentiche.
Arya si pentì di essersi inoltrata tanto, ma non volle darlo a vedere; d'altronde, insieme a Logan, si sentiva piuttosto tranquilla. Era un semplice umano – come potersi sbagliare – ma era comunque in grado di trasmetterle tranquillità e sicurezza.
« Quando hai preso le mie difese, l'altro giorno alla Muraglia del Drago, sono rimasta piuttosto colpita » ammise in un sussurro: « non mi aspettavo che avessi tanto coraggio... e ce ne vuole per affrontare Cassandra ».
« Dici davvero? » Logan sorrise, impacciato: « stava schizzando troppo veleno e ho pensato che fosse opportuno farla tornare con i piedi per terra. Non è nessuno per trattarti in quel modo ».
« Sai una cosa? » Arya iniziò: « io non so quasi nulla di te! Okay, sei il fidanzato del mio migliore amico... però, non abbiamo mai trascorso un momento come questo. Raccontami qualcosa di te! »
Il ragazzo alzò le sopracciglia, sorpreso evidentemente da una richiesta come quella. Accennò ad un'espressione divertita e poi disse: « be', la prima volta che ci siamo incontrati stavo suonando la chitarra. Ricordi? Amo la musica, scrivere canzoni e correre sui prati a piedi nudi! » Fece una pausa – dinanzi ai suoi occhi si davano il cambio scene che Arya poté giusto immaginare: « i miei genitori mi hanno sempre supportato, in tutto. È per questo motivo che non volevo far pagare a loro le mie tasse universitarie. Suonavo per Rozendhel e racimolavo qualche soldino... volevo renderli fieri di me ». « Ma puoi ancora farlo! » Lo interruppe Arya: « non è detto che siano morti, Logan! »
« Tu dici? »
« Ovvio! Tornerai da loro, trascorrerete tantissimi altri bei momenti insieme e magari gli farai conoscere anche Oliver ».
« Ma loro già lo conoscono! » Esclamò Logan, divertito: « non ti ha mai detto niente? La mia famiglia ha una mentalità piuttosto aperta... vorrei poter dire lo stesso di quella di Oliver, ma sfortunatamente non è così ».
Arya ricordò i coniugi Hopkins e abbassò lo sguardo: erano state talmente tante le volte in cui l'avevano criticata per il fatto di essere atea che ormai aveva perso il conto. « Lasciamo perdere » disse alla fine e passò oltre: « la cosa più importante è che voi due vi troviate bene insieme ».
« Assolutamente » Logan sorrise: « grazie ».
Si scambiarono un abbraccio e, in quel momento, Arya realizzò di essere molto più bassa anche di lui. Nella sua cerchia di amici e alleati, era forse l'unica che arrivasse a stento al metro e sessanta!
« Sono davvero contenta che io e, in special modo, Oliver abbiamo una persona come te accanto. Non lasciare mai che eventi esterni ti cambino ».
Logan annuì, puntandole l'indice della mano destra contro il petto: « ma promettimi che non lo farai accadere nemmeno tu! Sei una bella persona, davvero ».
Arya fece spallucce e accennò ad un sorriso privo di gioia – per un attimo credette di aver preso le forme di Morgante: « mi piacerebbe darti ragione, ma sono già cambiata tantissimo in questi due anni... in peggio. Non vorrei darmi delle arie, ma ho realizzato che forse questo posto, questo pianeta, non so... non mi appartenga affatto. Non ho nessun piano per il futuro, non voglio avere una famiglia... che razza di persona metterebbe al mondo un bambino di questi tempi? Un egoista, ecco! »
« Sei sicura di ciò che dici? » La fece ragionare Logan: « magari è solamente un periodo un po'... devastante! Riusciremo a superarlo tutti insieme! Le cose che hai detto prima valgono anche per te! »
Arya scostò lo sguardo e prese a studiare la fiammella che l'accompagnava ancora in ogni movimento. Nella sua testa trionfava la confusione.
« Terminata questa guerra, avremo tutti le idee più chiare ».
« Lo spero ».
Un ululato scosse il labirinto di pini, rimanendo sospeso sulle loro teste come un orribile velo funereo. Logan inspirò una boccata d'aria gelida e iniziò a premere per tornare al Rifugio.
Al contrario, la giovane si mostrò piuttosto attratta da quel suono: era distante e aggressivo, come se il lupo in questione avesse appena trovato una preda e si volesse far raggiungere dagli altri membri del suo branco.
« Andiamo via? » La esortò Logan.
Arya riemerse dai suoi pensieri, distratta: cosa la stava attraendo? Perché non fuggiva via? In una situazione del genere, nessun individuo in ottima salute mentale avrebbe tardato tanto nel raccogliere la più saggia delle decisioni!
Il lupo chiamò ancora i suoi compagni, i quali risposero alla svelta – frusciando tra la vegetazione limitrofa e digrignando le zanne. Non avevano alcun riguardo nell'evitare i rumori: calpestavano le foglie secche e restituivano i forti ululati, come se il bosco fosse stata una loro proprietà.
Arya ebbe l'impulso di seguirli, ma preferì non abbandonarsi all'incoscienza e annuì con il capo.
Ben presto, dunque, si rimisero sui loro passi... ed ecco che un grido straziante li fece sobbalzare, squarciando il silenzio e risvegliando l'oscurità del bosco: ignoti movimenti si insinuarono tra i cespugli e versi incomprensibili sibilarono nel vento.
Arya tentennò ancora, notando le sfumature di sorpresa e terrore alternarsi sul volto del ragazzo. « Hai voglia di seguirmi? »
« Arya » iniziò lui, prudente: « non essere sciocca. Ci siamo già allontanati troppo ».
« Ma qualcuno è in pericolo! »
« Lo so, ma... »
Le grida si alzarono, e all'orecchio di Arya risultarono troppo familiari per essere ignorate.
Un'espressione d'angoscia prese ad aleggiare nei suoi occhi di smeraldo; in un attimo, scordò persino il suo nome e, onorando il discorso che aveva tenuto alla Muraglia del Drago, si scisse dalla figura di Logan e corse via, corse sempre più lontano, più forte.
« Incendio! » Dai palmi delle sue mani scoppiò una fiamma dorata che infranse l'oscurità e colpì un lupo. « Defendo! »
Il branco si scagliò subito contro quella nuova minaccia, costringendo Arya alla difensiva. Assaggiò il sapore della morte, precipitando in un ispido tappeto di aghi di pino. Allungò quindi un braccio e tentò di strangolare una bestia, accorgendosi della sua stazza fuori dal comune e della ferocia che accompagnava ogni suo attacco.
Percepì il cuore evaderle dal petto e i muscoli arrendersi sotto al suo peso. Il suo alito, disgustoso, le sfiorò la pelle.
« ARYA! NO! » La voce di Logan risuonò nel buio della radura, come una sorta di miracolo: « ALLONTANATI! CORRI! »
Afferrò quello che Arya intuì fosse un bastone e prese a colpire il lupo – una, due, tre volte. Gli altri membri del branco non poterono sopportare un affronto simile e si scagliarono contro la sua figura. Schizzi di sangue zampillarono dalle arterie, costringendolo ad esalare il suo ultimo respiro.
« LOGAN! » Arya trasformò l'orrore della perdita in energia, necessaria per afferrare il muso del licantropo e calciarlo altrove. Si rimise in piedi – la vista offuscata – e richiamò il Fuoco Aureo: l'oro si alzò, imponente, circondando sia lei che il cadavere del giovane.
I lupi, cinque per l'esattezza, le diedero l'impressione di conoscere il potere di quell'incantesimo e retrocessero di un passo. Ce n'era uno, in testa a tutti gli altri, che aveva il manto scuro quanto la notte e gli artigli ancora sguainati.
Arya lo sfidò in silenzio, poi fletté le ginocchia e si mise ad accarezzare il volto di Logan; a poco a poco le ferite gli si stavano ricucendo, e la pelle stava riprendendo il suo solito colorito. Il Braccialetto del Cacciatore emanò una piccola scintilla e, immediatamente, il ragazzo riaprì gli occhi: « cos'è successo? »
Arya si passò una mano tra i capelli, sollevata. Si trovavano in una radura quieta e abbandonata da Dio. Non vi era alcun raggio solare che riuscisse ad attraversare le verdissime fronde che si intrecciavano sopra le loro teste. Il rogo era l'unico strumento in grado di sconfiggere le ombre, illuminando allo stesso modo la desolazione che li circondava. « La magia non può ucciderti, Logan. Il Braccialetto ti ha salvato la vita! » Lo aiutò a rimettersi in piedi e lo avvolse in un abbraccio.
« Scherzi? » Rispose lui, incredulo.
« Non puoi immaginare quanto mi dispiaccia! Non sarei dovuta scappare così ».
Logan le sorrise, la camicia macchiata di sangue: « non ti preoccupare. Quindi, questi lupi sono in realtà... dei demoni? »
Arya piombò nuovamente sulla Terra e, azzardando un passo verso quel luminoso cerchio di fuoco che separava loro dalle bestie, disse: « no, Logan. Non sono demoni ».
« Come fai ad esserne tanto certa? Guardali! »
« Infatti! Li sto guardando! Sono identici a Darren: gli occhi, il manto, la forza... Logan, questi sono i figli di Daoming ».
Quando, quella mattina, i lupi erano usciti di casa, non avevano certo potuto prevedere una roba simile; non si sarebbero mai aspettati di essere riconosciuti da... un'umana?
Il più grosso, quello che aveva attaccato Arya, inarcò la schiena e digrignò le zanne. La trasformazione richiese circa una decina di secondi prima di far comparire, dinanzi agli occhi di tutti i presenti, la figura di un ragazzo grande, forte e nerboruto. Aveva i capelli corti, la carnagione olivastra e tatuaggi ovunque – persino sulle natiche e i piedi. La nudità non sembrò dargli alcun fastidio, anzi.
« Come fai a conoscere la nostra vera identità? » Esordì lui con voce roca.
« Vostro padre è un mio alleato » rispose Arya: « tu sei il più grande dei suoi figli? »
Il nuovo arrivato annuì, i suoi fratelli lupi accanto: « sai, mi inquietate. Lui è tornato in vita per mezzo di uno sporco incantesimo e tu... tu devi essere la famosa Arya Mason! »
« Allora, non c'è alcun bisogno di perdere tempo con le presentazioni! Mi sento sollevata ».
« Cosa ci fate in un posto tanto pericoloso? Rozendhel è a soli pochi chilometri da qui ».
« Abbiamo sentito delle grida e siamo accorsi » Arya si mise a braccia conserte: « chi stavate torturando? »
Il ragazzo accennò ad un sorriso: « non ti riguarda. In questo territorio non sei altro che polvere ».
« Senti, ho capito. Neanche tu mi piaci, però purtroppo credo che in questa guerra dovremo unire le forze e sopportarci l'un l'altra. Chi stavate torturando? »
« Non ti piaccio per via della cicatrice? Quella che ho inferto sul volto del tuo ragazzo? »
Arya strinse i denti, sicura di poter oltrepassare il fuoco e rimanerne illesa. Finse un sorriso. « Potrei sapere il nome del barbaro con il quale mi sto trattenendo? »
« Il mio nome è Rex, mademoiselle » rispose lui, strafottente: « e loro sono i miei fratelli: Sirio, Gangesh, Kirit e Bhanu ».
Nel corso di quell'incontro, i quattro scelsero di non trasformarsi – avevano il manto grigio chiaro e gli occhi rossi come il sangue.
« E chi stavate torturando? » Ripeté Logan, insistente.
« Demoni » tagliò corto Rex: « luridi e insopportabili ».
« Voglio vederli con i miei occhi » disse Arya e, con un semplice gesto della mano destra, ritirò le fiamme. Il buio piombò attorno a loro.
« Non mi hai sentito? » Rex le si avvicinò – era il doppio di lei e alto quanto una torre: « non sono affari che ti riguardano! »
« E tu, invece? Non mi ascolti proprio! » Arya lo sfidò, coraggiosa: « voglio vedere questi luridi demoni ».
Rex smise di abbaiare, le braccia al petto. Aveva il volto attraversato da una ragnatela di cicatrici ed un paio di grossi anelli d'oro che gli pendevano dalle orecchie. Il suo aspetto non tradiva alcuna età, ma Arya immaginò che si trattasse di un ragazzo di circa vent'anni.
« Va bene » acconsentì alla fine: « ma il compito di ucciderli spetta a me! »
« Vedremo ».
Attraversarono la radura e si fecero largo attraverso i cespugli: lì, dove nessuno avrebbe mai potuto scovarle, riposavano le vittime del branco – diversissime l'una dall'altra, provate e sconvolte. Il primo demone aveva un paio di teste pensanti che gli gravavano sul corpo magro quanto un bambù, braccia rachitiche percorse da vene fin troppo visibili e le gambe corte.
Il secondo, invece, era accasciato a terra – sofferente, con gli occhi socchiusi e i boccoli argentei. Aveva la carnagione pallida, le labbra dipinte di viola, e vestiva con una larga camicia di seta, un paio di pantaloni consunti e degli anfibi neri. Il suo respiro ansante ed il tremore perpetuo spifferavano al mondo un orrido presagio: la clessidra dell'eternità aveva smesso di agire per lui, di rivoltarsi su se stessa, interrompendo il costante su e giù dei granelli di sabbia, rendendolo mortale.
Arya riconobbe subito Throker e Zhokron; al contrario, le ci volle un lungo istante per indurre la sua mente a credere che l'identità di quell'altro appartenesse proprio a Nathaniel.
« Signorina Mason! » Gridarono all'unisono le due teste: « che piacere rivederla! Che piacere immenso! »
« Aspetta un attimo » Rex inarcò la fronte e i lupi ringhiarono: « tu conosci questa feccia? »
Arya annuì e si piegò in ginocchio per studiare meglio la situazione: « erano appena usciti dalla Dimensione quando li ho curati e... ».
« Che cosa hai fatto? » La interruppe Rex, afferrandola per il collo: « ma tu sei una traditrice! Nessuna strega ha mai aiutato un demone! »
Arya gli arse il braccio, divincolandosi: « non tutti i demoni sono nostri nemici! »
I lupi ringhiarono sempre più forte, e Logan si sentì costretto a fare un passo indietro.
« Perché siete qui? » Chiese Arya, rivolgendosi unicamente a Throker e Zhokron: « lui è Nathaniel, o sbaglio? »
I demoni annuirono: « è da qualche mese che ci prendiamo cura di lui. Da quando ci hai salvato da morte certa, abbiamo promesso a noi stessi che avremmo seguito le tue orme! Vogliamo aiutare tutti coloro che ce lo permettono ».
« Siete stati bravissimi » Arya sorrise, sfiorando il volto di Nathaniel – la sua pelle era fredda come il ghiaccio e i suoi capelli avevano perso lucentezza. « Cosa gli è capitato? »
« Oh, una cosa terribile... veramente terribile, signorina Mason » rispose Throker, la mano sul petto.
« Un mezzo-elfo si aggira nell'ombra, schiavizzando gli uomini e rendendoli mostri » iniziò Zhokron: « e peggio ancora accade ai demoni quando si ritrovano a sfiorare le sue labbra! »
« Il suo nome è Castigo » conclusero insieme: « e Nathaniel è stato colpito dalla sua maledizione ».
Arya aggrottò la fronte, perplessa: una volta, quando si trovavano nella biblioteca del signor Hancock a cercare i Frammenti della Sfera, erano stati raggiunti proprio da lei e allora...
« Io ero con lui quando Castigo lo ha baciato » sussurrò infine, più a sé stessa che ad altri: « oh, no... »
Nathaniel prese ad agitarsi nel sonno, delirante. Aveva il volto contratto dalla sofferenza e imperlato di sudore. Arya non gli tolse gli occhi di dosso nemmeno per un minuto. Deglutì, nervosa; troppe immagini si stavano dando battaglia nella sua testa. Non riusciva a concepire l'idea che un giorno sarebbe morto, per davvero. Aveva sempre creduto di invecchiare e di ritrovarselo a giorni alterni nella veranda della sua casa, bellissimo e pronto a canzonarla per le rughe e la giovinezza appassita. Non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce (e forse lo aveva appena realizzato), ma ella teneva a quel ragazzo, moltissimo! Si rimproverò per aver permesso a Castigo di baciarlo. Come avrebbe dovuto comportarsi, adesso? Era lecito consumare le lacrime di drago per un caso simile? Avrebbero potuto aiutarlo? Tentò di ricomporsi e annunciò: « torneremo al Rifugio, insieme. Rhona potrebbe avere una cura ».
« Ma sei pazza? » Sbottò Rex: « è un demone! »
« E quindi? Non mi importa! »
Il branco raggiunse l'apice del nervosismo.
« Fa' calmare i tuoi fratelli » disse Logan, attento.
« I miei fratelli, dici? È lei che dovrebbe darsi una calmata! »
« Throker, Zhokron! » Chiamò Arya, infischiandosene delle critiche di Rex: « aiutatemi a portarlo via ».
« Come ti pare! » Esclamò lui, alla fine: « ma scordati del nostro aiuto quando ti ritroverai nei guai! Comportati così e la Comunità Magica deciderà di voltarti le spalle! »
La ragazza frustò l'aria con i capelli: « non mi interessa ».
Dunque, si misero in marcia: Nathaniel si sarebbe svegliato al Rifugio, con o senza la loro approvazione.

 

 

 

 

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Capitolo 37
*** Capitolo 36: Un bacio ***


CAPITOLO 36:

 

Un bacio

 

Arya per poco non condannò a morte Nathaniel e gli altri due demoni al suo seguito. Difatti, si trovava in procinto di oltrepassare il velo della cupola quando Logan l'afferrò per un polso e la costrinse a fare marcia indietro. Se Throker, Zhrokron ed il giovane spettro fossero avanzati ancora di qualche passo, molto probabilmente, sarebbero scoppiati come una bolla di sapone al contatto con uno spillo.
La strega fletté dunque le ginocchia, depose una mano sulle loro teste e, sottovoce, richiamò un incantesimo che li avrebbe protetti dalla magia di Rhona.

« Non sappiamo proprio come ringraziarla » dissero i piccoli, la borsa di Nathaniel in braccio: « entrare nella sua casa è per noi un onore! »
Attraversarono la cupola, sfilarono dinanzi ai ruderi e infine individuarono la botola, al di sotto di un magico fogliame, immobile persino alla venuta del vento.
Nathaniel continuò a dormire, le sopracciglia aggrottate e le labbra secche. Erano stati soprattutto Logan ed Arya a trasportarlo fin laggiù, tenendolo rispettivamente dalle ascelle e dai polpacci. Throker e Zhokron avevano provato a dar loro una mano ma, come ben presto si accorsero, non avevano né le forze né le capacità adatte per riuscire a sollevare un peso simile.
« Il mio nome è Arya Mason » iniziò la ragazza: « ex-Custode della Chiave e Guardiana del Fuoco Aureo. Insieme a Logan O'Mooney, umano, Throker, Zhokron e Nathaniel, demoni, ti ordino di aprire le porte e di lasciarci entrare ».
Al contrario di quanto si aspettasse, la terra non emise alcun click – segno evidente che il Rifugio non volesse accettare quegli ospiti.
« Oh, andiamo! » Esclamò Logan, infastidito: « apriti e basta! »
« Non c'è altra via? »
Arya scosse la testa e riprovò: « ho detto: ti ordino di aprire le porte e di lasciarci entrare! »
La minaccia, accompagnata da quell'austero tono di voce, sembrò regalarle l'effetto desiderato: dapprima il terreno esordì con una forte sbuffata, poi decise di aprirsi su una rampa di scale, umida, e oscura.
Si calarono giù armati di una nuova fiammella – le ragnatele sparse ovunque. La celebre porta di legno, sulla quale erano incisi scarabocchi e immagini sconosciute, apparve soltanto qualche minuto più tardi. Arya intuì allora per cosa stessero: era il centesimo ostacolo, una magia che proibiva l'ingresso a qualsiasi demone di Rozendhel.
Roteò gli occhi, esausta. In cuor suo, sperò che Rhona non avesse stregato persino le forchette e i coltelli.
« Cosa succede? » Le domandò Logan: « ci sono pericoli anche qui? »
Arya annuì, il pomello stretto in un pugno: « entreremo al Rifugio e tu non ci procurerai alcun danno. Intesi? »
Le incisioni sibilarono – muovendosi come serpi sul legno – e la porta si spalancò, rivelando il lusso della loro attuale dimora.
Nessuna visita guidata fu concessa a Throker e Zhokron, che però rimasero piuttosto estasiati dalle fattezze del pino: saltellarono sulla loro propria postazione, battendo le minuscole manine e gridando come isterici. Inutile dire, quindi, che attirarono l'attenzione di tutti gli stregoni.
Arya prese a tormentarsi il labbro. La voce si sarebbe sparsa ovunque: demoni all'interno del Rifugio! Che affare!
Una miriade di bisbigli li inseguì per tutto il tragitto sino all'infermeria – una sala spoglia, con file e file di letti singoli, un altissimo soffitto a volta e il pavimento di pietra.
Deposero Nathaniel sopra le lenzuola candide di uno di essi, accanto all'entrata, e subito vennero raggiunti da una donna in carne, con un paio di occhiali a mezza-luna e l'espressione corrucciata.
« Che cosa ci fate qui? » Iniziò lei, altisonante: « chi è il bello addormentato? E chi sono questi mostriciattoli? »
« Throker e Zhokron » i piccoli si presentarono come se nulla fosse, l'entusiasmo alle stelle.
L'infermiera li ignorò, rivolgendosi unicamente ad Arya: « lei ne è al corrente? »
« Non ancora ».
« E per quale motivo? Essere l'erede di Zehelena non ti dà certo strani diritti ».
« Mostriciattoli? Strani diritti? » Ripeté Logan, le braccia incrociate dinanzi al petto: « ed io che credevo che il discorso tenutosi alla Muraglia del Drago fosse stato compreso! »
La donna gli riservò un'occhiataccia: « sei solo un ragazzino, non ti è permesso parlarmi in questo modo ».
« Ebbene, anche lei dovrebbe moderare il linguaggio » disse Logan, pacato: « loro sono Throker e Zhokron, li tratti come suoi pari o mi sentirò in dovere di stilare un rapporto ».
Era già la seconda volta che Arya rimaneva colpita dal suo atteggiamento.
Le parole, senza ombra di dubbio, erano le sue armi predilette: le selezionava con accuratezza, rendendole poi affilate quanto la lama di una spada e ardenti come il ferro appena uscito da una fucina – sul volto, un'espressione impenetrabile.
L'infermiera si arrese, fingendo un sorriso.
« Può aiutarci? » Riprese lui: « è stato colpito da una maledizione ».
« Di che tipo? »
« Un bacio » rivelò Arya: « a Rozendhel c'è un mezzo-elfo che ha il potere di trasformare gli umani in demoni, e i demoni – indugiò, livida – in polvere ».
La signora retrocesse di un passo, inorridita: « non ci voglio credere! »
« Ma è la verità » tagliò corto Logan: « quindi, può aiutarci oppure no? »
« Se vuoi che io sia sincera con te, no. Non credo che riuscirei a salvarlo. Guarda il colore della sua pelle, lo sforzo che impiega per respirare... ha le ore contate ».
Dopo aver udito quel discorso, Arya capitolò nell'ira e non poté più evitare di afferrarla per le spalle – il timbro della voce smascherò la sua angoscia: « le lacrime di drago! Utilizzi quelle! Glielo devo dire io? »
« Lacrime di drago? Io non so proprio di cosa tu stia parlando! »
« LA SMETTA! » Gridò Arya, scuotendola un poco: « non faccia la finta tonta! Io sono stata curata per mezzo di quella crema. La usi su di lui, immediatamente! »
In evidente disagio, l'infermiera non proferì alcunché. Quando scelse di aprir bocca nuovamente, lo fece con brevi sussurri: « lo farei volentieri, ma la nostra scorta è limitata... e poi, non sono neanche certa che possa fargli effetto. È un demone ».
« Ci provi lo stesso! » Arya la lasciò libera: « via, corra! E non ci metta troppo! »
Le lacrime di drago erano racchiuse all'interno di una fialetta, limpide e pastose. Ella, di ritorno, le poggiò su di un comodino e prese a spogliare Nathaniel – lasciandogli indosso soltanto quel sudicio paio di pantaloni neri.
« Si muova! » La spronò Arya: « non abbiamo tempo! »
« Non è così semplice! » Esclamò lei, nervosa: « se fossero state pure, gliele avrei fatte bere e basta! Ma purtroppo il trascorrere dei secoli le ha guastate! Ed ecco qui il risultato! Da dove posso partire? »
Il corpo di Nathaniel si mostrò loro privo di una qualsiasi cicatrice o macchia, rendendo quindi palese il fatto che la maledizione di Castigo si celasse all'interno, chissà dove...
L'infermiera gli unse le braccia possenti ed il torace ben scolpito, poi passò al collo, alla nuca ed infine alle gambe e ai piedi.
La crema si assorbì qualche istante più tardi ed il respiro di Nathaniel si regolarizzò in conseguenza.
« Ha funzionato! » Esclamarono Throker e Zhokron, contenti.
« Non è detto » rispose la donna, rigida: « lo capiremo quando si risveglierà ».
Quella previsione, tuttavia, si dimostrò assai vaga. I giorni trascorsero lentamente e senza alcun tipo di miglioramento.
Sebbene venisse criticata da molti, compreso il suo gruppetto di amici, Arya prese l'abitudine di affacciarsi in infermeria almeno due volte al giorno. Lo permetteva a sé stessa con la scusa del “tener fede a ciò che era stato deliberato alla Muraglia”, ma la verità era ben diversa e, a lungo andare, se ne sarebbero accorti tutti.
Decise quindi di cambiare strategia e, servendosi di Beckah e Quinn, ogni pomeriggio, fingeva di andare a trovare Cinnamon – la quale era solita presentarsi loro con i capelli arruffati, gli occhi stanchi e le dita tremanti. Nel corso dei mesi le avevano fatto assumere troppi medicinali, stordendola. Bartek era stato l'unico a rimanerle fedele: non la lasciava neanche quando gli urgeva il bisogno di andare in bagno, intrattenendola talora con spettacoli improvvisati di calzini parlanti ed estremamente sfacciati. Libero dall'influsso negativo di Hazelle, si mostrava simpatico e degno di ammirazione – ciononostante, il suo aspetto non aveva subito modifiche: era magro, con i capelli unti ed il solito, fetido smocking indosso.
Un sabato mattina, mentre Arya era seduta sulla branda di Cinnamon a pettinarle i nodi, la porta dell'infermeria si spalancò, per poi richiudersi un attimo dopo con un tonfo sordo – Darren aveva avuto delle serie difficoltà a farsi avanti, tra le mani un pacco di enormi dimensioni.
« Scusate! » Disse sottovoce: « non volevo fare tanto baccano! »
Beckah gli fece cenno di avvicinarsi: si trovavano a qualche metro di distanza dal lettino in cui riposava Nathaniel.
« Uh, e questo? » Domandò Quinn, interessata: « per chi è? »
Darren fece un cenno con il capo, rivolgendosi ad Arya: « stavo andando a fare colazione, quando due signore mi hanno fermato e mi hanno chiesto se potessi consegnartelo ».
« Ti ucciderebbero se venissero a scoprire che le hai definite “signore” » la ragazza si concesse una risatina, poi afferrò il pacco e cominciò togliendogli il coperchio: “Cara Arya, te li avevamo promessi ed ora sono qui. Ci auguriamo che siano di tuo gradimento! Saluti, Cynthia e Mariah. PS: le taglie sono giuste?”
Il primo capo che Arya recuperò dalla scatola fu un grazioso cappello in feltro nero, dal bordo ampio.
« Come mi sta? » Chiese, cercando l'approvazione di Cinnamon – la quale sorrise, battendo i palmi.
Le altre cose che tirò fuori furono delle parigine, una maglietta nera – classica, senza maniche – e una lunga gonna a pieghe, viola e da indossare preferibilmente a vita alta.
« Ma sono bellissimi! Non è giusto! » Protestò Quinn: « e noi che dobbiamo accontentarci dei nostri vecchi abiti! »
« Scherzi o fai sul serio? » Chiese Beckah: « ringrazia che le spie di Rhona siano riuscite a recuperare qualcosa dalle nostre case... almeno, siamo certi che si trovino ancora in piedi ».
« Ma che dici! È una storia vecchia, quella! Risalente al mattino dopo il matrimonio » la bionda s'interruppe, improvvisamente turbata: « sono passati mesi da allora... non possiamo saperlo con certezza ».
L'atmosfera si fece piuttosto pesante: ogni volta che capitava loro un qualcosa di bello, c'era un elemento che saltava fuori dal nulla, pronto a rovinare la festa a tutti. In questo caso, erano stati i commenti di Quinn.
Trascorsero in questo modo il resto della giornata, avvolti in un silenzio a tratti imbarazzante: Beckah si era fatta prestare un taccuino dal signor Hancock ed era tornata a disegnare; Darren e Quinn, al contrario, erano scesi nelle celle d'allenamento, e Cinnamon si era coricata al tramonto.
Arya lanciò un'occhiata a Bartek, sul trespolo: aveva così poche piume che poteva scorgere addirittura la sua pelle rosea.
A cena, si riunirono anche con tutti gli altri – compresi Throker e Zhokron, che dai tavoli limitrofi attiravano ancora tanti mormorii e pettegolezzi.
Il monopolio della conversazione scese proprio in mano a questi ultimi e toccò argomenti frivoli, quali la splendida camera che avevano concesso loro ed il significato che attribuivano al pino.
Cassandra, seduta più giù, roteò gli occhi – dando l'impressione di aver udito ogni sillaba.
Verso mezzanotte, poi, ognuno fece ritorno al proprio letto.
Beckah e Quinn si addormentarono subito, al contrario di Arya che si voltò e rivoltò tra le lenzuola per circa due ore. Alla fine, insofferente, scelse di alzarsi – indosso aveva soltanto un maglione bianco (che le arrivava sopra le ginocchia) e le nuove calze regalatele da Cynthia e Mariah.
S'inserì nei corridoi, il passo leggero come quello di un gatto. Se l'infermiera l'avesse scovata di notte accanto a Nathaniel, l'avrebbe di certo presa per una degenerata!
Titubante, sfiorò il pomello della porta e immediatamente lo lasciò andare.
Che stupida! Scosse il capo. Entra e basta!
Alzò le spalle, si fece coraggio ed entrò in infermeria.
Silenzio e oscurità. Possibile che non vi fosse nessuno al turno di notte?
Il giovane spettro dormiva, le labbra socchiuse e i boccoli d'argento sparsi sul cuscino.
A differenza degli altri pazienti, a lui non era stato portato nulla: né una caraffa dell'acqua, né una fetta di torta, o semplicemente un biglietto di pronta guarigione. Il suo stato comatoso non suggeriva altro che morte.
Arya si mise a sedere sul lato sinistro del materasso, sorprendendosi a carezzargli una gota. Aveva la pelle gelida, più di quanto si ricordasse.
« Mi dispiace » gli sussurrò piano: « non avrei dovuto permetterglielo ».
Ignorava il motivo per il quale stesse trattenendo le lacrime – l'abitudine di coprire ogni emozione, ormai, l'accompagnava persino quando si ritrovava da sola con sé stessa. Lasciandosi andare, avrebbe poggiato la testa sul suo petto e si sarebbe fatta cullare dal suo respiro tenue... fino ad addormentarsi. Deglutì, incerta.
Uno stregone, al quale i demoni avevano mozzato un orecchio, prese a tirare certi ronfi che le mura sembrarono cedere. Riposava nell'altra fila di lettini, in pace.
Ella ponderò sull'andarsene, ma qualcosa la arrestò. Una mano, lunga e sottile, la tenne per il maglione.
« Resta » le sussurrò Nathaniel, le palpebre semichiuse.
« Oh, ti sei svegliato! » Esclamò, sorpresa: « come ti senti? »
Egli tentò un movimento, ma fu subito colto da una terribile fitta che lo costrinse a restare lì dov'era. Sebbene regnasse l'oscurità, Arya poté accorgersi dei lineamenti del suo viso, delle sopracciglia folte e irregolari, il naso uncinato, gli occhi ambrati con le venature più scure all'estremità dell'iride.
Riprese posto: « le lacrime di drago stanno facendo effetto! »
« Le lacrime di drago? » Ripeté il ragazzo, la voce roca: « le hai sprecate su di me? Tu sei pazza! »
« Perché dici questo? » Arya aggrottò la fronte – il sottofondo emesso dall'uomo aveva cominciato ad alterarla.
« Non ricordi ciò che ci siamo detti una volta? » Tossì Nathaniel: « io non vedo l'ora di morire, Arya ».
La sola ipotesi di smarrire l'eternità e la giovinezza avrebbe potuto terrorizzare chiunque – o meglio, coloro che non avevano mai sperimentato dei doni simili, che ambivano invano ad un potere assoluto. Nathaniel aveva avuto secoli per custodirli, ma non aveva mai prestato loro la degna attenzione – invidiando i mortali.
« Che razza di vita ho condotto? » sibilò: « senza senso... senza mai ricevere delle risposte, il motivo per il quale io mi sia trasformato in uno schifoso demone ».
In effetti, Arya non si era mai posta la domanda del perché Nathaniel fosse divenuto quel che era. Si trovava al capezzale di uno sconosciuto, di un individuo di cui ignorava le origini ed il nome di famiglia.
« Parlami di te » tentò di rimediare: « so che sei nato nel diciottesimo secolo, che ti hanno sparato... ma non so nient'altro ».
Nathaniel piegò le labbra in un sorriso – credeva si trattasse di uno stupido scherzo.
« Davvero » riprese Arya in un bisbiglio: « penso di meritarmelo ».
« Tu pensi troppe cose, signorina Mason ».
« Non fare il cretino! » Sbottò lei: « come sei morto? Perché ti hanno sparato? Come ti sei accorto di essere uno spettro e che tipo di contatto avevi con l'uomo che reputi tuo padre? »
Il giovane la studiò con fare vigile – probabilmente stava valutando la questione.
Nessuna strega aveva mai avuto un contatto così diretto – e amichevole – con un demone. In qualsiasi modo agisse, Arya Mason segnava la storia. Persino a sua insaputa.
« E va bene » accettò lui, infine: « ti dirò tutto, ma non voglio che tu mi interrompa. Non sarà affatto noioso ».
« D'accordo, vai ».
Nathaniel annuì e prese un lungo respiro – doveva trattarsi della prima volta che si confidava con qualcuno che non fosse suo padre.
« Sono nato nel diciottesimo secolo, in una famiglia piuttosto agiata » iniziò, gli occhi bassi: « non avevo fratelli o sorelle. Vivevo da solo con i miei genitori biologici, che mi coccolavano e mi viziavano... rendendomi il poppante più felice dell'intero universo. L'uomo, che per convenzione ero costretto a definire “mio padre”, aveva in serbo per me una perfetta carriera da dottore. Voleva che io frequentassi le migliori scuole, che studiassi con costanza e prendessi voti sempre più alti. Mi privò di una qualsiasi amicizia ».
Arya deglutì, attenta.
« Gli anni passavano ed io iniziai a frequentare l'università – naturalmente, fui ammesso senza problemi. Ero ciò che voi tutti definireste un “secchione”. I miei erano così fieri... io, al contrario, presi ad odiarmi. Per quale motivo non riuscivo ad ammettere che la medicina mi faceva schifo, che quella non era la vita che volevo? »
« Oh, Nathaniel... ».
« Non interrompermi ».
« D'accordo, scusa ».
Il giovane sbuffò: « dunque, decisi di evadere da quella gabbia dorata e mi rifugiai in un bel teatro. Mi misi a sedere, deposi il mio costoso cappotto sullo schienale e mi godetti lo spettacolo. Era Amleto, sai? Oh, ancora ricordo il viso di quegli attori... fui sopraffatto dalla loro bravura, tanto da commuovermi. Uscii dalla sala una ventina di minuti dopo che fu calato il sipario... e lì, accadde ciò che accadde. Non vi era illuminazione per le strade e faceva freddo... nell'oscurità della notte, potei però distinguere delle ombre avventarsi su una fanciulletta e condurla in un orrido vicolo. La denudarono, misero i loro artigli sulle sue carni... lei gridò ed io non feci nulla. La paura mi aveva paralizzato ».
Arya rabbrividì.
« Erano in quattro e, con i pantaloni abbassati, si davano il cambio per violare il suo fragile, innocente corpo. Decisi di intervenire alla fine, quando di lei non era rimasto altro che un'automa. Forse avrei fatto meglio a chiamare aiuto, a denunciare in fretta la cosa... invece di scagliarmi a caso contro il primo, farmi gettare a terra come un sacco di immondizia e lasciarmi trapassare il cranio da un proiettile ».
Arya si portò una mano alla bocca, esterrefatta. Non avrebbe mai potuto immaginare una cosa simile.
« Mi risvegliai, leggero, e subito mi accorsi del cadavere della ragazza: riposava sul mio, con gli occhi affacciati sull'Inferno » il tono della voce di Nathaniel vacillò: « mi toccai la testa: quella che avevo a terra sanguinava, mentre quella che avevo sul collo era perfettamente integra. “Come posso trovarmi qui, se il mio corpo è lì per terra?” mi domandai. Era tutto così strano! L'Universo mi aveva concesso una nuova possibilità, rendendomi un fantasma – prese una pausa – sai perché ho una brutta reputazione? Sai perché sono considerato uno dei demoni più pericolosi? Perché quella notte commisi una strage. Rintracciai quei quattro mostri in un locale poco distante dal teatro; bevevano birra, i balordi... come se non fosse accaduto niente. Non immagini quanta rabbia mi provocò quella vista... »
« Ai loro occhi, tu eri invisibile? » Arya la ritenne una domanda legittima.
Nathaniel scosse il capo: « tu mi vedi, no? Ecco, lo stesso valeva per loro. Al primo, spaccai la brocca colma di birra sulla faccia, poi gli premetti i pollici sugli occhi finché non vidi esplodergli il il cranio. Al secondo, invece – si concesse una breve risata – gli tagliai gli attributi con il vetro. Il terzo, invece, tentò di contrastarmi... idiota... gli spezzai l'osso del collo, allo stesso modo dell'ultimo criminale ».
« E per questo sei reputato uno dei demoni più pericolosi in circolazione? Non ha senso! Hai solo vendicato la morte di quella povera ragazza! »
« No, Arya. Non mi fermai lì » Nathaniel schioccò le labbra: « andai a caccia delle loro famiglie e massacrai le loro donne, i loro figli, i loro padri... tutti ».
Arya non proferì alcunché, impietrita. Evitò il suo sguardo, sentendosi esplodere il cuore. Nelle orecchie, a distanza di secoli, riuscì a percepire le grida di quelle vittime e, impotente, restò ad ascoltarle. « È orribile » commentò, sottovoce: « perché l'hai fatto? »
Nathaniel fece spallucce: « sono un demone, no? »
« Solo se scegli di esserlo ».
Il silenzio si appesantì nell'infermeria e si mantenne per lunghi istanti. Se fosse dipeso da lei, Arya avrebbe di certo concluso il discorso e sarebbe tornata a dormire. Tuttavia, un qualcosa che non riuscì a spiegarsi la costrinse a rimanere lì, in quella scomoda posizione.
Lo spettro passò oltre, ignorandola: « fatto sta che venni rinchiuso all'interno della Dimensione e, quando ne uscii, trovai rifugio nel Kentucky nella casa di un uomo chiamato... ».
« Varjack » lo interruppe una nuova voce, talmente roca che la ragazza si domandò se parlare fosse una sorta di tortura.
« Bartek? » Lo chiamò, incuriosita: « hai ascoltato tutto? »
Il maggiordomo si fece avanti, con Cinnamon a braccetto: « più o meno ».
« E voi due cosa volete? » Grugnì Nathaniel: « questa doveva essere una conversazione privata ».
« Oh, Nathaniel » iniziò Bartek, sgradevole e unto: « sappiamo tutti la tua storia. Non è un mistero ».
Arya aggrottò la fronte – c'era troppa familiarità da parte sua.
« Io non ti conosco. Come fai a sapere il nome di mio padre? »
Cinnamon diede l'impressione di aver già previsto quel quesito, ma senza la sua solita lavagnetta non poté far altro che conservare il silenzio.
« Qualche tempo fa, girava la voce che uno stregone avesse preso in custodia uno spettro » rivelò Bartek: « tu e Cinnamon garantite la sua veridicità. Abitavate nello stesso Villaggio Eterno, nel Kentucky. Lo sapevi? »
Per la prima volta, Nathaniel diede l'impressione di non avere alcuna parola, offesa o minaccia da riservar loro. Sul suo volto presero ad alternarsi gradazioni di sorpresa e curiosità.
« Cinnamon? Mai sentita! » Rispose più tardi, in cagnesco.
« Be', che imbarazzo! » Bartek strinse una mano alla strega: « però, si dà al caso che lei conoscesse tuo padre. Prima che Walton Hart la rapisse, mi ha riferito, era solita chiedergli in prestito dei libri. Era un ricercatore e un celebre collezionista ».
« Tanto celebre da essere preso di mira dai Demoni-Senza-Nome di Castigo? » Iniziò a capire Arya.
Bartek annuì: « ti ha lasciato dei Frammenti, non è vero? »
« Non sono affari che vi riguardano! » Esclamò il giovane, destando il paziente senza orecchio – il quale borbottò in polacco chissà quale insulto.
« Sì, li ho visti anch'io! » Rispose Arya.
« Ecco, appunto » terminò Bartek, allungando una mano: « sarebbe il caso che tu ce li dessi. Se finissero nelle grinfie di Morgante... ».
« Cosa? No! » Gridò Nathaniel, accigliato: « che razza di storia è? Che importanza hanno quei cosi? »
Cinnamon ed Arya si scambiarono un'occhiata eloquente, poi quest'ultima scelse di prendere in mano la situazione: « quelli che tuo padre ti ha lasciato sono Frammenti della Sfera della Distruzione... o della Leggenda, come preferisci. Ricordi il biglietto? Conosceva il loro potere, ciò che possono risvegliare ».
« E cosa possono risvegliare? »
Bartek alzò le sopracciglia, la fronte marcata dalle rughe: « il Demone Supremo chiamato Incubo. Quindi, sarebbe meglio se quei Frammenti venissero custoditi in un luogo più protetto ».
« Del tipo? » Chiese Nathaniel, dubbioso: « qui? In questa topaia? Non ci sto! Non mi fido di voi! »
« Nathaniel... » cominciò Arya, ma fu subito interrotta dalla voce severa di Bartek; i suoi occhi lampeggiarono di rosso. « Sei solo un ragazzino che presto riceverà la visita della morte. Non vuoi darci i Frammenti? D'accordo! Li recupereremo dal tuo cadavere. Non c'è problema » quindi voltò i tacchi – costringendo Cinnamon a fare lo stesso. Dalla dipartita di Hazelle, era chiaro a tutti, aveva mutato le sfumature del suo carattere, mostrandosi molto più sicuro e abile di quanto non fosse mai stato: « fino ad allora – riprese, sorridente – ti auguro una buonanotte! »
Si allontanarono, raggiungendo così il trespolo ed il lettino.
Arya abbassò lo sguardo, dispiaciuta per come si fossero messe le cose.
« E tu, invece? » La sgridò Nathaniel, provato: « ancora non te ne vai? »
« Non trattarmi male. Sono l'unica che, nonostante tutto, ti resta sempre accanto ».
« Ma chi te l'ha chiesto? Stai facendo tutto da sola! Vattene via! »
Arya si accorse di una lacrima – una semplice, minuscola goccia che all'interno di sé racchiudeva demoni a lungo ignorati, angosce e tormenti. Si sentì inopportuna, fuori contesto – come se la situazione non le riguardasse affatto. Avrebbe dovuto allontanarsi? Lasciarlo lì, da solo? In balia delle ombre e del dolore?
Una morsa le attanagliò il petto ed il suo animo divenne improvvisamente di piombo.
Si sporse un poco e fece per abbracciarlo, venendo scansata subito e senza troppe cerimonie.
« Nathaniel » Arya gli sollevò il viso, dolcemente: « Nathaniel, devi ascoltarmi ».
« Non voglio » obiettò lui, la mascella contratta. Le parole di Bartek l'avevano ferito, esponendolo alla cruda verità. Nel profondo, non desiderava la morte... ma un qualcosa di ben diverso che non era mai riuscito ad ottenere.
« Smettila! » Gli asciugò le lacrime, accorgendosi di quanto fosse vellutata la sua pelle. Era la seconda volta che si trovavano ad una distanza tanto minima da poter avvertire il respiro dell'uno sul collo dell'altra.
Per quanto ancora avesse voluto mentire a sé stessa, Arya lo ignorava. Non era un qualcosa di chissà quale origine mistica a tenerla inchiodata lì, bensì i sentimenti – quelle ingenti, profonde emozioni che aveva sempre tentato di negare.
Un brivido le percorse il corpo, il sangue le bollì nelle vene. Si abbandonò all'istinto e, tremante, prese ad assaporare le sue labbra. Venne investita così dal calore, dalla morbidezza, dalla passione ardente che non aveva mai smesso di bruciare i loro animi. Prima o poi sarebbe accaduto, ed entrambi ne erano consapevoli.
Per un momento Nathaniel sembrò esitare, poi si riprese e passò a morderle il collo – esperto.
Arya socchiuse le palpebre e pregò affinché non si interrompesse – la mente satura di immagini proibite, di voglie incontenibili. Era amore? Era ciò di cui avevano bisogno? Probabilmente no, e ben presto se ne sarebbe pentita.
Ansimò, il petto gonfio.
« Fermati » gli disse piano: « potrebbero vederci ».
« La tua preoccupazione riguarda solo questo? » Rispose Nathaniel, febbrile.
Arya scosse il capo impercettibilmente: « buonanotte ».
« Cosa? No! Resta qui, a dormire ».
« Non ce lo possiamo permettere » ella si alzò in piedi e, a passo felpato, raggiunse nuovamente la porta d'ingresso. Bartek e Cinnamon si erano davvero messi a riposare? L'avevano vista? Lo avrebbero riferito a qualcuno?
Inspirò, sporgendosi oltre l'uscio.
« Buonanotte, Arya Mason ».

 

 

 

 

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Capitolo 38
*** Capitolo 37: Lì, dove gli occhi non possono vedere ***


CAPITOLO 37:

 

Lì, dove gli occhi non possono vedere

 

L'estate si trovava nel pieno del suo splendore, quando Arya venne convocata nuovamente nell'ufficio di Rhona. I preparativi per il viaggio erano stati ultimati, la lista della compagnia affidata ad un certo Haramir – eletto comandante, gli occhi piccoli e le fattezze di un colosso.
Inutile sprecar fiato sulla maniera in cui reagì la ragazza alla vista di quei nomi; ne conosceva giusto uno, ed era quello di Beckah. Tutti gli altri, quattro per l'esattezza, non le suggerivano alcunché.
Si alzò un polverone di proteste.
« Io ti avevo chiesto esplicitamente di inserire la mia Congrega! Non voglio andare in Irlanda con questa gente! »
« Per “Congrega” intendi il tuo gruppetto di amici? » Ribatté Rhona, le braccia incrociate dinanzi al petto: « non posso permettere a nessun umano o demone di seguirti. Il nascondiglio di Zehelena potrebbe risultargli fatale ».
In effetti, quella era un'eventualità che proprio non aveva calcolato. Se le Scogliere di Moher fossero state sotto l'influsso di un qualsiasi maleficio, ella non li avrebbe potuti proteggere; la magia della sua antenata, era risaputo, non conosceva limiti.
Il colloquio durò una decina di minuti, nella quale Rhona s'impegnò nel chiarirle ogni aspetto della missione – primo, l'autorevolezza del comandante non sarebbe mai dovuta essere messa in dubbio; secondo, le regole andavano rispettate; e terzo, non le era consentito distanziarsi troppo dalla base. Arya corrugò la fronte, scegliendo di ignorarla. Tutte quelle raccomandazioni, ne era convinta, le avrebbero soltanto ingarbugliato la mente ed il lavoro. Dunque, fece ritorno nella sua camera e recuperò un borsone da un armadio. Non sapeva a chi appartenesse e per quale motivo l'avessero lasciato lì; fatto sta che le risultò molto utile. Inserì all'interno la divisa che le aveva preparato Melchiorre ed un paio di biancheria intima pulita, poi le sue mani tardarono sulla fodera di entrambi i grimori. Conveniva lasciarli al Rifugio, per paura di fracassarli, o avrebbe dovuto portarli con sé?
Rifletté in silenzio, li raccolse dal comodino e li infilò dentro – pentendosi un istante più tardi a causa della loro mole.
Toc-toc.
« Avanti » disse, indaffarata: « è aperto! »
Nonostante si trovasse di spalle alla porta, riuscì ad intuire subito chi fosse entrato. Aveva il passo pesante, inconfondibile, e l'odore di chi aveva trascorso l'intera mattinata nei boschi.
Deglutì, nervosa. Erano giorni che non s'incontravano.
« Ciao » la salutò Darren, serio.
« Ehilà! » Sorrise la ragazza, frustando l'aria con i suoi lunghi capelli rossi: « come stai? »
« Bene. Sono appena tornato da una passeggiata » rispose lui – aveva la fronte imperlata di sudore e i capelli arruffati. « Mi è stato riferito che domattina partirai per l'Irlanda. Ti senti pronta? »
« Non proprio » Arya fece spallucce: « ma sai com'è, no? Dobbiamo sottostare per forza a tutto ciò che ci capita! »
« Io ti accompagnerei volentieri, ma Rhona me l'ha letteralmente proibito ».
« Lo so, tranquillo. Pensa che Zehelena abbia installato delle trappole per non farsi raggiungere dai demoni e dagli umani ».
« Oh, ecco! » Esclamò Darren, sorpreso: « ora si spiega tutto ».
Arya annuì e chiuse la cerniera dello zaino. Sotto al naso aveva un fetore così sgradevole che per poco non si sarebbe catapultata nella doccia a lavarsi con un intero flacone di bagnoschiuma. Era impossibile da descrivere, come se provenisse dalle sue stesse viscere, le inquinasse le vene e le giovani carni. Respirò. Non era una puzza qualsiasi quella, ma il marciume dei suoi sensi di colpa.
« Sono gli abiti che ti hanno fatto recapitare Cynthia e Mariah? » Riprese Darren, impacciato come al solito: « ti stanno davvero bene! »
« Cosa? Ah... sì! » Arya prese a tormentarsi il labbro – con quella lunghissima gonna a vita alta ed i capelli mossi, dimostrava molti più anni di quanti ne avesse in realtà. « Non so in che modo ci siano riuscite, ma hanno persino azzeccato le taglie ».
« Un colpo di fortuna, insomma! »
« Già ».
Calò una quiete satura di parole e segreti non detti.
Si guardavano come due estranei in un parco, o in un vagone della metropolitana – chiedendosi chi avrebbe abbassato lo sguardo per primo. Le labbra di Darren allora assunsero una strana piega. Arya capì il contenuto della sua prossima frase e scelse di precederlo: « noi due ci siamo mai amati, Darren? »
« Come? » Disse lui, le sopracciglia aggrottate: « che razza di domanda è? »
« In fin dei conti, siamo stati insieme pochissimo » continuò la ragazza: « e poi sono successe tante di quelle cose che nemmeno ricordo se abbiamo avuto il tempo di amarci ».
« Io ti ho amato e continuo a farlo ogni giorno ».
Il tanfo si fece più intenso e Arya dovette lottare contro se stessa per non dar di stomaco. Scosse le mani a mo' di ventaglio, il respiro irregolare.
« Arya » iniziò Darren, avvicinandosi di un passo: « c'è qualcosa che non va? »
« No » mentì lei, pallida: « è solo che... non voglio illuderti e non voglio nemmeno ferire i tuoi sentimenti. Sono troppo stupida e ancora troppo immatura per abbracciare una relazione come quella che sogni tu ».
« E allora? Che vuoi dire? »
« Che devi dimenticarmi, Darren! » Esclamò Arya, le lacrime agli occhi: « va' e vivi la tua vita!Presto o tardi, ne sono sicura, troverai la tua anima gemella. Io non ti merito ».
Il viso del ragazzo si tinse di rosso, la mascella contratta. Era sempre stato un tipo che non demordeva facilmente; non se ne sarebbe andato finché le sue orecchie non avrebbero udito la vera ragione del discorso.
Arya scoppiò a piangere, le mani tremanti: « mi dispiace... ho cercato in tutti i modi di negare l'evidenza, ma adesso non ce la faccio più. Credo di provare qualcosa per Nathaniel. L'altra sera, sono andata a trovarlo in infermeria e... ci siamo baciati ».
Indifferenza. Pura, banale apatia.
Questa fu la reazione di Darren, che rimase nel centro esatto della stanza – freddo e impassibile.
L'aveva già previsto? Se lo aspettava? Probabilmente no. Era solo bravo a camuffare il turbinio di emozioni che, in verità, nel profondo, lo stava trascinando a terra.
Rapito dalla delusione, convertì la pena in una tacita collera. Arya glielo permise, impotente.
« Di' qualcosa » singhiozzò come una miserabile: « per favore ».
Troppo tardi. Quando egli avanzò sino all'uscita, non la degnò di alcun cenno o saluto.
Strinse il pomello in un pugno e sparì oltre la soglia – il passo tenue.
« Ti prego » sussurrò lei alle pareti: « ti prego... ».
Si rannicchiò sulle lenzuola e prese a bagnarle tutte. Sebbene fosse pomeriggio e la luce filtrasse ancora dalla vetrata, non poté sottrarsi all'infido abbraccio delle ombre. Restò in quella posizione persino quando Quinn e Beckah salirono dalle celle di allenamento. Non se la sentiva proprio di illustrar loro la faccenda, di farsi etichettare come la sgualdrina del villaggio. Non quella sera.
L'unico sistema per evitare le domande era mettersi a dormire; perciò lo fece.
Quando riaprì gli occhi, il cielo stava bruciando ad Oriente. Era il momento di avviarsi.
« Arya? » La chiamò Beckah, già in piedi e con indosso la divisa da combattimento: « tutto okay? Non hai una bella cera ».
E chi mai avrebbe potuto averla dopo un simile caos?
« Non ti preoccupare » mentì lei: « sto bene ».
S'inoltrarono nel tunnel di pietra verso le otto – le labbra serrate, ma lo stomaco rumoroso e in cerca di cibo. Arya si pentì di aver saltato sia la cena che la colazione. Forse, avrebbe dovuto badare di più al discorso di Rhona e annotarsi i momenti in cui le era consentita una pausa. A parte quello, poi, ignorava persino il mezzo col quale avrebbero raggiunto le Scogliere. Le piume di Bartek? Il teletrasporto? Assolutamente no! E lo scoprì in un attimo. Si spinsero oltre la botola, in un trionfo di polvere e foglie danzanti. Ad attenderle sulla collina c'erano Rhona, Haramir, gli altri partecipanti alla missione e... Cassandra.
Arya inarcò le sopracciglia. In alto, avvolto tra le soffici nuvole bianche, si trovava un poderoso veliero – l'albero di bompresso era istallato a prua e dava l'impressione di bucare l'etere, il ponte di coperta era invece realizzato in legno di ciliegio, mentre il cassero di poppa si presentava ornato di opali e statue di sirene. Le vele erano nere ed incutevano terrore. Quando Arya notò lo stemma che si agitava su di esse, percepì un brivido percorrerle la schiena: erano le sue stesse fiamme, il Fuoco Aureo.
« Buongiorno, ragazze » le accolse Rhona, eccitata: « vi stavamo aspettando! Conoscete già Haramir, no? Il capitano? »
Haramir chinò il volto in un saluto: aveva la barba increspata che gli si confondeva con i capelli, troppo lunghi e mal curati. Era un tipo taciturno, ex-stregone dell'Impurità, abituato a solcare i cieli per mezzo del suo magico (e rapidissimo) galeone.
« Lei che ci fa qui? » Tagliò corto Arya, riferendosi alla figura di Cassandra: « non mi pare d'aver letto il suo nome nella lista ».
« Dustin Evans si è sentito poco bene e ha preferito non partecipare » rispose Rhona: « quindi, ho riflettuto sulla tua richiesta e ho deciso di inserirla. Legittimo, no? »
Arya e Beckah si scambiarono un'occhiata eloquente: era una presa in giro, o cosa?
Gli altri tre rispondevano ai nomi di Aaron, Soara e Jaadir. Il primo era un ometto debole, senza personalità, che viveva nell'ombra di Haramir – annuiva ad ogni suo ordine, cucinava e gli forniva i pasti direttamente da quelle sue grosse pentole fumanti. Arya si rese conto che non avesse alcuna importanza nella missione, se non quella di servire e riverire il capitano.
Soara, invece, era una ragazzina di circa sedici anni – dalla carnagione scura, i capelli come zucchero filato nero, il naso pronunciato e gli occhi di carbone. Portava indosso una collana di zanne di tigre, un abitino giallastro e, quando se ne ricordava, anche un paio di vecchi sandali più grandi di due taglie.
Beckah le strinse una mano, diffidente: « curioso come il tuo aspetto mi ricordi una persona, una mia vecchia compagna ».
« Davvero? » Esordì lei: « mi fa piacere! »
« Be', a me non troppo ».
L'ultimo della lista, Jaadir, nativo di Dubai, si presentò loro come un uomo gentile e disponibile al dialogo – nonostante il suo inglese fosse piuttosto contenuto. Indossava sempre una kandura bianca, lunga fino alle caviglie, ed un velo, realizzato in cotone, che gli avvolgeva tutta la testa. La sua Arte era considerata una delle più rare in circolazione; i suoi occhi, tingendosi di viola, potevano imprigionare il nemico all'interno di un mondo illusorio, fargli perdere il senno e, lentamente, ucciderlo.
« Avanti! Non perdiamo altro tempo! » Esclamò Haramir d'improvviso: « vedete quelle funi che penzolano dall'alto? Vi aiuteranno a raggiungere il galeone. È severamente proibito l'utilizzo di un qualsiasi incantesimo. Chi disubbidisce, finirà in una cella! Chiaro? »
Arya credette di essere tornata al liceo, alla lezione di ginnastica. Benché non fosse mai stata un asso in quegli esercizi, tacque le proteste e si fece forza. Il capitano gradì il gesto, ma non l'abbondante quarto d'ora che vi impiegò. All'arrivo, aveva il respiro affannoso e i palmi bruciati.

« E tu vorresti prendere in mano le redini della Congrega? » Cassandra, che era già salita da un pezzo, schioccò le labbra: « torna a giocare con le bambole ».
In men che non si dica, il galeone prese a solcare il cielo chiaro del mattino – la figura di Rhona divenne microscopica, i ruderi pietre insignificanti ed il bosco assunse le sembianze di un dipinto, confuso e dalle pennellate veloci, imprecise.
Arya vide lo scudo dell'invisibilità calarsi dall'albero maestro e chiudersi sulla chiglia – per quale motivo avevano preferito quel mezzo rispetto al teletrasporto? Non ne avevano calcolato le tempistiche? Gli sprechi di vivande e altre materie necessarie per il buon funzionamento del Rifugio? Haramir sembrò leggerle nella mente quando le si avvicinò sulla prua e le riferì in dettaglio ogni rischio che avrebbe potuto comportare un'azione simile, verso una meta totalmente ignota. Avrebbero persino potuto rischiare di spezzarsi, di finire con le braccia lì ed il busto altrove.
Arya immaginò la scena e scosse il capo.
Il vento rombava furiosamente, scuotendo le vele e dando vita alle fiamme.
Se ci si sporgeva dalle assi di legno, inoltre, si era in grado di studiare il territorio di sotto – il quale, in perenne mutamento, alternava schiere di edifici colorati, boschi e paesini di campagna.
Beckah domandò ad alta voce a che razza di velocità stessero procedendo, ma nessuno seppe darle una risposta.
« Guardate! Guardate! » Annunciò Aaron, un pelapatate tra le mani: « sirene! »
Si trovavano in procinto di attraversare una perfetta galleria di nubi, scure e cariche di pioggia, quando una creatura sfilò dinanzi al veliero: era una donna dalla carnagione pallida, i capelli corvini, lo sguardo ammaliante ed il seno pronunciato, libero. L'addome le terminava lì dove partivano le scaglie – verdi, grinzose, ma assai fluenti. Non parlava la loro lingua, ma li salutò con un inchino.
« Sirene? » Ripeté Beckah: « ma non dovrebbero stare nelle profondità degli oceani? »
Haramir scoppiò a ridere, fragoroso: « è una sirena dell'aria! Ma dove hai vissuto fino ad ora? »
« E sono pericolose? » Chiese la giovane Mason.
« Alcune volte, sì! Quando si accorgono della bellezza di un marinaio, gli saltano addosso, lo corteggiano e poi se lo divorano ».
Jaadir, ironico, fletté le gambe e ringraziò il suo Dio di avergli donato la bruttezza. Tutti risero.
« Comandante! » Esclamò Cassandra, affacciandosi da una botola nel pavimento: « comandante, mi ascolti! »
« Cosa c'è ancora? » Rispose Haramir: « sali su! »
Per via del suo abito, la strega fece fatica ad attraversare il buco e tornare in coperta. Mascherò quello che ad Arya parve imbarazzo, si stiracchiò il tessuto e avanzò.
« Cosa devi dirmi? »
« Ero giù a controllare le riserve, quando l'ho visto » iniziò Cassandra: « c'è un intruso a bordo ».
« Fesserie! Le ombre ti avranno ingannata » tagliò corto Haramir: « impossibile, ti dico! »
« Davvero? » Riprese lei, le braccia conserte: « e allora vada a controllare Lei stesso! L'ho immobilizzato, non può andare da nessuna parte ».
Dapprima Arya vide il capitano indugiare, poi scattò come una molla e si calò giù.
Un intruso a bordo? Com'era stato possibile?
L'allarme divorò i presenti – in special modo Aaron che tornò a pelare patate sulla prua col volto cereo.
Quando Haramir fece ritorno, teneva stretta una vecchia corda tra le dita; l'espressione indecifrabile.
« Forza! » Gridò, cattivo: « sali! »
Tirò con violenza, come un allevatore farebbe con una bestia da macello, ed attese. Dall'oscurità quindi emerse la figura di un uomo che Arya conosceva bene. Era alto, forte e con una tunica nera indosso. Sul viso magro, deturpato da una terribile ustione, brillavano due fulgide ametiste incastonate tra le rughe. Cadde a terra, divertito.
« Che cosa ci fai qui? » Arya lottò contro l'istinto di prenderlo a calci.
« Sorpresa! » Esclamò Markos, la corda stretta al collo: « come sta? »
« Non fare l'idiota e spiegami subito che cosa ci fai qui! »
La compagnia restò a guardarli, chiedendosi che tipo di rapporto avessero.
Arya li ignorò e lo stesso fece l'uomo.
« Volevo partecipare alla missione » iniziò lui: « perché si agita tanto? »
« Perché il tuo nome non era nella lista! Doveva trattarsi di una missione segreta! »
« Vuoi che lo faccia rinchiudere? » Le chiese il capitano.
Arya annuì: « ma prima voglio sapere il motivo per il quale sei venuto ».
Markos sorrise ancora una volta: « gliel'ho detto! Volevo partecipare alla missione, conoscere la celebre Zehelena. Tutto qui! »
« Continui a raccontare menzogne. Sbattetelo subito in cella! Al ritorno, Rhona dovrà esserne informata ».
Così l'uomo venne condotto lontano dalla riserve di cibo – dove era stato trovato da Cassandra – e spinto sottocoperta, nella più misera delle prigioni. Dalla prima volta in cui Arya lo aveva incontrato alla Muraglia del Drago, non aveva potuto fare a meno di reputarlo una sorta di maniaco. Era certa che nascondesse qualcosa e, presto o tardi, l'avrebbe costretto a parlare.
Come un lenzuolo nero bucherellato qua e là da piccoli puntini bianchi, il firmamento diede il suo arrivederci al giorno. L'ambiente sulla nave era terribilmente umido, gelido. Persino nelle camere in cui avrebbero dovuto trascorrere la notte si respirava muffa e polvere. Beckah, poco prima di addormentarsi, pregò affinché si risvegliasse con i polmoni ancora integri. Arya sorrise, augurandoglielo.
La loro stanza era piccola, dotata esclusivamente di un paio di letti, un armadio ed una vecchia toeletta. Le ragnatele e tutto quel sudiciume che trionfava sullo specchio, occultarono la sua immagine mentre si accingeva a pettinarsi i capelli con il pigiama di flanella indosso. Al loro risveglio, si sarebbero trovate nel Continente Europeo.
Quindi trascorse la notte, senza alcun guaio; ma che razza di ore fossero e quanto avessero riposato quando il galeone attraccò sulle Scogliere, Arya lo ignorava. Dalla luce che filtrava attraverso il vetro delle finestre, non poté intuire alcunché.
Varcò la soglia della stanza e raggiunse il timone, dove si trovava anche Jaadir che le fece cenno di osservare il panorama.
Le Scogliere di Moher si stendevano fino alle foschie dell'orizzonte. Una terra tanto quieta, quanto misteriosa. Il prato era verdissimo, punteggiato di piccoli granelli di sabbia nera, mentre il vento scorreva libero e sovrano.
Le onde dell'oceano s'infrangevano imperterrite contro la superficie frastagliata delle mura di pietra, come anime dell'Inferno che tentano invano di raggiungere la salvezza.
Arya ne contemplò la meraviglia e la desolazione. Era un luogo antico, familiare alla magia.
La luce del sole non era però in grado di oltrepassare quell'immenso velo grigiastro che si stagliava sopra le loro teste, rendendo ogni elemento complice della nebbia e del vuoto.
« È bellissimo, vero? » Soara spuntò dal nulla, le pieghe del letto ancora impresse sulle guance: « dove pensate che si trovi Zehelena? »
Arya fece spallucce: « non lo so! »
Benché fosse Luglio inoltrato, il clima si mostrò loro piuttosto rigido; prima di calarsi dalla nave, quindi, Arya si mise indosso l'uniforme ed una cappa di pelo nero.
Quando i suoi anfibi schiacciarono finalmente il territorio, le parve di essere piombata in un ennesimo sogno. No... adesso era tutto reale; si trovava lì, dove Zehelena aveva congedato Hazelle per l'ultima volta e dove la magia aveva intrapreso un nuovo cammino.
Inspirò profondamente, aspettando che tutti gli altri scendessero – utilizzando le funi, inutile dirlo.
Con sua grande e sgradevole sorpresa, notò che Haramir aveva preferito trascinarsi dietro anche Markos.
« Non potevamo lasciarlo sulla nave! » Le disse in un orecchio: « potrebbe essere un ladro! »
« D'accordo, ma te ne occuperai tu ».
Si misero in marcia: il comandante ed Arya in testa, seguiti da Markos, Cassandra, Beckah, Soara e Jaadir. L'unico che non partecipò alla missione fu Aaron, che rimase in cucina a preparare uno stufato di maiale. « Vi aspetto qui! » Aveva esclamato, fin troppo allegro: « con i miei manicaretti! La mia Arte è questa, no? »
Camminarono a zonzo per decine e decine di minuti, senza che il paesaggio cambiasse mai di una virgola. Ovunque si posasse l'occhio, c'era erba e abbandono. Il vento lottava contro le loro figure, come se li reputasse ospiti malaccetti, e sussurrava parole incomprensibili – parole che Arya non riuscì subito ad intendere.
La pazienza, non solo quella di Cassandra, vacillò all'ottavo giro di perlustrazione: Soara, proprio come avrebbe fatto anche Taissa, fece finta di ronfare e, divertita dal gesto, scoppiò a ridere da sola in maniera tutt'altro che femminile. Beckah non poté evitare di rimbeccarla, tornando indietro nel tempo.
« Arya? » Il capitano la prese in disparte: « non possiamo proseguire così ».
« Lo so. Ma che facciamo? » Rispose lei, una mano tra i capelli.
« Prova a concentrarti. Chiudi gli occhi e vedi cosa succede » egli continuò, alzando le spalle: « alla fine, è stata Zehelena a condurci qui... ti indicherà lei la via ».
Arya annuì, poco convinta. Non sapeva il motivo per il quale il suo cuore fosse tanto agitato. Era per la presenza di Markos? Di Cassandra? L'idea di dover incontrare una sua antenata, lo spirito di una strega tanto celebre? Deglutì, serrando le palpebre.
Il vento, quindi, tornò a farneticare nella sua mente con sibili sconosciuti, pronunciati in una lingua arcaica.
Un lampo si accese nell'oscurità. Un'immagine. Figure di colossi di pietra. L'oceano.
Corrugò la fronte, il polso accelerato.
Vieni.
« Arya? » Si sentì chiamare: « Arya? Tutto a posto? »
Riaprì gli occhi, come se fosse stato un gesto che non compiva da anni, ed esclamò euforica: « Zehelena sta continuando a parlarmi! È vero! »
« Cosa? » Le domandò Beckah: « hai capito dove dobbiamo andare? »
Arya annuì e prese a rincorrere l'orizzonte; quando arrivarono dinanzi ad un dirupo, Haramir l'afferrò per un braccio – credendo che si volesse lanciare tra le onde.
« È qui sotto! » Tornò a dire lei: « c'è un'entrata segreta all'interno della roccia! »
« Come ci arriviamo? » Ribatté Cassandra, scettica.
« Volando! » Esclamò Markos: « ci lanceremo nel vuoto e andremo a toccare la pietra! Più semplice farlo che dirlo ».
Arya non l'avrebbe ammesso neppure a se stessa, però la ritenne un'ottima idea. Dunque, recuperò dal suo borsello una manciata di piume di corvo e le consegnò ai presenti.
« Questa è una cosa che non si potrebbe fare, sai? » La rimproverò Cassandra: « ogni Congrega dovrebbe scoprire da sola il modo in cui le è più facile volare».
« Sì, ma lo Scisma ormai si è infranto! » Esclamò Jaadir, pacato: « abbiamo molte più libertà, adesso ».
« Certo, come volete! »
Le ali apparvero sul dorso di tutti – nere, pesanti, lunghe e caldissime.
Haramir, sebbene fosse un uomo di eccezionale forza fisica, soffrì lo stesso dolore che Arya ebbe la prima volta. Si mise in ginocchio e sputò una bestemmia.
L'unico che non batté ciglio fu Markos. Era probabile che l'incidente che gli aveva rovinato la faccia l'avesse abituato a delle cose simili.
Infine abbandonarono la terra e si tuffarono verso il blu, sfiorando le mura di roccia. Erano così alte e così sconfinate che Arya non seppe proprio dove mettere il naso.
Ne toccò ogni singolo centimetro, mantenendosi stabile tra le nubi e le onde. Realizzò poi che si trattava di un'impresa indicibile, che non le avrebbe offerto alcun esito.
« Prova a rimetterti in contatto con lei, no? » Le suggerì Markos.
« Ti stai prendendo troppe libertà. Lasciami in pace ».
Però anche quella le parve un'idea eccellente, quindi chiuse gli occhi e si lasciò guidare da Zehelena.
Le dita, tremanti, presero a cercare chissà cosa e la costrinsero a muoversi di qualche altro metro. Si fermarono soltanto quando tutta la compagnia spuntò dinanzi ad una parete buia. Al loro primo tocco, la pietra tuonò e prese vita. « Chi osa intrufolarsi nelle rovine di Meeragonthur? » Essa si sgranchì le braccia possenti, tirò fuori la testa – coronata di radici – e accese i suoi grandi occhi verdi, tondi e minacciosi. Non aveva gambe, terminava nella scogliera stessa, ed i movimenti del suo corpo erano piuttosto limitati. Provò immediatamente ad annientare gli intrusi, spremendoli nel palmo sinistro, ma si placò quando Arya aprì bocca.
« Fermati! Fermati! Non siamo tuoi nemici! »
« Ah, no? E chi sareste, ordunque? » Rispose il titano.
« Guardami » gli sussurrò Arya: « osserva il mio aspetto ».
Le onde dell'oceano imperversavano contro la sua figura, ma non gli procurarono alcun fastidio. Inarcò quella che doveva essere la fronte e prese ad agitare le braccia, attento. « Oh, che sciagura... » sibilò, accostando la mano sotto i piedi della ragazza: « la prigioniera... è stata lei a chiamarti, non è vero? »
Arya percepì il terreno e serrò le ali: « sì, è stata lei ».
« E ne conosci la ragione? »
« No, non ne so nulla ».
Da quella posizione, ella poté carpire ogni segreto del suo viso: era colmo di muschio, fradicio e attraversato da profonde venature nere. Ogni tanto capitava che vi si staccassero dei ciottoli, ai quali dovette prestare attenzione prima che le sfondassero il cranio.
« Arya » la chiamò Beckah, a debita distanza: « torna qui. Può essere pericoloso ».
« No! Lasciala fare » l'ammonì Haramir: « è l'unico modo per arrivare da Zehelena ».
Il titano, con estrema disinvoltura, finse di non averli uditi: « io e mio fratello siamo i Guardiani di questa prigione – si concesse una pausa e indicò a destra, dove la barriera presentava i suoi stessi tratti, ma non era uscita allo scoperto – potremmo anche farvi entrare, prenderci la responsabilità di codesta azione...»
Arya strinse i denti, preparandosi al peggio. Nella mente le vorticavano troppi pensieri, ingarbugliandosi l'uno con l'altro e rendendo la confusione una degna regina. Di che posto si trattava? Perché Zehelena era definita come “la prigioniera”?
« Tuttavia, l'ingresso è consentito una sola volta » proseguì, calmo: « entrate, uscite, e poi scordatevi di questo infausto luogo. Non provate a tornare, o sarà peggio per voi ».
« Ce lo consenti solo perché sono identica a lei, non è vero? » Precisò la ragazza.
« Esatto, mia giovane amica » il titano annuì: « è tempo che tu scopra la verità, le tue origini ed il tuo destino. Spero che tu riesca a starvi di fronte. Hai il mio sostegno ».
Quindi allargò la bocca – una galleria umida e nera come la pece. Le scogliere, tutt'intorno, tremarono come se vittime del più devastante dei terremoti. Arya si avvicinò, incuriosita. Laggiù, verso la fine, brillava una stella.
« Cioè, mi state dicendo che dovremmo entrare nella sua bocca? » Domandò Cassandra, riluttante.
« Proprio così » rispose Markos: « andiamo? »
Volarono sopra la lingua del gigante, attorniati da grosse pietre calcaree e fasciati in una nebbia di sgradevoli odori. A mano a mano che si avvicinavano alla stella, essa cambiava le sue forme – era un varco, l'unico mezzo in grado di congiungere il mondo degli umani a quello di Zehelena.
« Bene » esclamò Haramir, attendendo che tutti ne fossero usciti: « siamo arrivati ».
Una città antica, consumata dall'inesorabile scorrere del tempo, diede loro il benvenuto.
Il sole, inspiegabilmente, batteva caldo sulle loro teste ed il vento era fresco, sereno.
Ovunque ci si voltasse, era possibile individuare le macerie di templi e colonne corinzie, mentre il terreno era percorso da stradine serpeggianti, disegnate nella polvere.
Arya si spogliò della cappa ed iniziò a notare il numero spropositato di pavoni famelici che vagava lì in giro. Che razza di posto era mai quello? Avanzarono tra i resti con cautela. I colori che risaltavano maggiormente erano il bianco delle costruzioni e il verde dell'edera che imballava ogni cosa.
I vicoli erano quieti, ambigui. Scoprirono un cavallo col muso chino intento a divorare un serpente, macchie di sangue sparse sulle pareti delle casupole ancora integre e un inquietante rumore di sonagli nascere da poco più giù.
Arya non sapeva cosa stessero provando i suoi compagni, ma la sua agitazione cresceva di minuto in minuto.
Proseguendo in un largo corridoio di pietra, in un'immensa foresta di colonne, Haramir le fece segno di osservare in alto: appollaiati sui capitelli, si trovavano uomini dalla carnagione bluastra, gli abiti neri e gli occhi rossi. Rabbrividì.
« Non mi piace » disse Cassandra: « chi sono questi tizi? »
« Non farti sentire » sussurrò il capitano: « è probabile che non abbiano mai visto gente come noi ».
Li superarono, mascherando il sospetto ed il timore. Adesso vagavano in un dedalo di palazzi, contrassegnati da volte policentriche e splendide decorazioni gotiche.
Il rumore dei sonagli s'intrecciò con quello dei loro passi. Arya deglutì, nervosa. Chi o cosa stesse provocando un tale baccano era assai vicino.
Anche Haramir sembrò coglierne la minaccia e pertanto trascinò la compagnia all'interno di un appartamento – privo di una qualsiasi porta ed effetti personali.
La musica aumentò, tintinnante, ed un sacro corteo di individui vestiti di arancione prese a sfilare nella strada. In testa vi era un anziano dalla carnagione scura, uno scettro nel pugno ed un mantello che fluttuava nell'aria, leggiadro.
« Io conosco quel tipo » rivelò Arya, le lacrime agli occhi: « era nella mia visione quando ho recuperato i Frammenti nella libreria del signor Hancock... »
« Ci troviamo nel posto giusto, allora » rispose Beckah: « dobbiamo seguirli! »
« Non sarà troppo rischioso? » Commentò Soara.
« Siamo venuti qui apposta » Jaadir sorrise: « dai, andiamo! »
Quindi si misero in marcia, in ritardo di qualche metro rispetto alla processione.
La fragranza mistica che si originava dallo scettro dell'anziano si propagò ovunque – purificando l'atmosfera. I monaci al suo seguito tacquero. Si erano accorti della presenza degli estranei? Li ignoravano volontariamente?
Arya si abituò così tanto al silenzio che per poco non cacciò un grido quando un volatile, in cielo, prese a gracchiare il suo lamento. Il cuore le finì in gola.
Giunsero nel centro della città – una piazza spoglia, con il pavimento intarsiato in marmo e percorso da una ragnatela di fratture. Non vi erano decorazioni ad abbellirla, ma soltanto una gradinata in laterizio con in cima uno scranno composto da ossa e teschi. Una coppia di obelischi, ai lati dell'entrata, accolse il corteo. Qui, il vecchio si scisse dalle altre figure, poggiò a terra il bastone e arretrò di un passo. Con il capo chino ed un rosario tra le mani, recitò una preghiera antica, ed i discepoli, autentici automi, lo imitarono.
Il canto echeggiò in eterno, in ogni angolo e valle, richiamando la pronta risposta di un ruggito che scosse la terra – lontano, pericoloso. Si zittirono, aspettando l'apparizione di una chissà quale divinità, poi, delusi, raccolsero il bastone e fecero per ripartire. Alla vista di Arya e degli altri, ancora in piedi tra le colonne, balzarono all'indietro coi volti macilenti marcati dalla sorpresa.
« Non vi preoccupate » provò Cassandra: « non vogliamo farvi del male ».
Benché si trattasse di una dichiarazione pacifica, essa non sortì alcun buon risultato.
I monaci tirarono fuori le lingue, sibilando come dei rettili e sguainando gli artigli e le zanne.
Arya percepì un brivido percorrerle la schiena ed il Fuoco Aureo avanzarle sino ai palmi delle mani.
Doveva ucciderli. Doveva difendersi.
« Fermatevi! » Esclamò qualcuno: « fermatevi, ho detto! Sono miei ospiti! »
L'anziano – l'unico che non aveva subito la trasformazione – tentennò per un istante, poi si avvicinò alle creature e le chiamò con durezza. Docili come animali da compagnia, queste ripresero il loro aspetto e fecero per andarsene, come se nulla fosse.
Arya non ricambiò affatto i loro ossequi, ma si trattenne ad analizzarli con incredulità fino a che non si dileguarono dalla piazza.
« Chi ha parlato? » Cominciò Haramir ad alta voce: « chi è stato a cacciare i monaci? »
La domanda si perse nel nulla, sfumando nel vento.
« Sei tu? » Insistette lui: « ti prego, Zehelena... mostrati a noi ».
Un silenzio carico di attesa tramontò sulle loro teste.
Arya deglutì, nervosa – il petto palpitante e le ginocchia deboli. Aveva la fronte imperlata di sudore, lo stomaco in subbuglio ed un formicolio crescente all'altezza degli zigomi. D'improvviso, sentì l'uniforme irritarle la pelle e gli scarponi si fecero scomodi. Si dovette imporre la calma. Qualcuno avrebbe potuto notare il suo disagio e reputarla una ragazzina.
Il vento frusciò sulla gradinata, caotico. La terra ed il cielo si arrestarono.
Il trono di ossa vibrò ed il sole, impotente, venne derubato della sua luce.
« Arriva » ripeté Markos, contento: « arriva! »
Un'esplosione di cenere argentea rivelò la figura esile di una donna, la cui bellezza era un dono privo di eguali. Aveva la carnagione color pesca, il volto fiero e le labbra sottili, rosse come una rosa. I suoi occhi erano in verità due pietre di smeraldo, tanto accese da offuscarne le pupille. Al contrario, i suoi capelli scorrevano come l'acqua lenta di un ruscello – spargendosi a terra, delicati.
L'unico ornamento che portava indosso era una corona di foglie bianche, con un ordinario abito di seta che le celava le caviglie.
Era una dea; il fiore più raro dell'estate.
« Benvenuti » esordì Zehelena: « vi stavo aspettando ».

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 39
*** Capitolo 38: Il volere dell'Universo ***


CAPITOLO 38:

 

Il volere dell'Universo

 

Zehelena troneggiava sulla piazza.
Era il Sole, il punto d'ancoraggio per tutti i pianeti che le orbitavano intorno.
Li analizzò con fare critico, inseguendo ogni loro gesto, percependo ogni loro respiro, ogni battito dei loro cuori.
Arya, nervosa ed impacciata, scelse di evitare il suo sguardo. Non era l'immagine di uno specchio quella che le si stagliava di fronte, bensì una donna, una dea, che vestiva il suo corpo con molta più classe ed eleganza di quanto non avesse mai fatto lei in tutta la vita. Riconobbe la carnagione color pesca, gli occhi di smeraldo, i lineamenti ed il profilo, ma indugiò sul diadema di foglie ed i capelli rosa pastello.
« Le porgo i miei omaggi » esordì Haramir, infrangendo quel breve attimo di quiete: « è un onore essere qui ».
« Condivideremo il piacere, mi creda » rispose Zehelena, la voce pacata.
Sedette sullo scranno, ticchettò le unghie sui braccioli di femori e favorì il gioco di Arya, ignorandola di proposito.
Quindi interrogò i membri della compagnia sul viaggio ed il metodo che avevano adottato per raggiungere le Scogliere, rimanendo piuttosto colpita dalla descrizione del veliero. Aveva il portamento e la grazia di una regina; la cultura e la dialettica di chi predilige lo studio a qualsiasi altra cosa. Quando Markos credette che fosse giunto il suo momento, azzardò un inchino e partì con una sfilza di indicibili lusinghe che apparvero troppo forzate – l'atteggiamento, inutile dire, non venne affatto gradito.
« Smettila! » Lo rimbeccò Cassandra: « sembri un fanatico ».
Al contrario, la giovane Mason continuò a studiarsi i lacci degli anfibi. Era così inverosimile per lei trovarsi in quella situazione che non riusciva a proferir parola. Per mesi interi aveva creduto che Zehelena fosse in realtà uno spirito, che sapesse ogni cosa riguardo alle loro vite, che in segreto li spiasse. Durante quel lungo colloquio si rese conto che invece non era affatto così, che le sue previsioni era totalmente errate.
« Arya Mason » la chiamò all'improvviso, riportandola tra i vivi: « speravo con tutto il cuore che questo giorno non ci raggiungesse mai... però, devo ammettere, che è un onore fare la tua conoscenza... trovarti qui, insieme a me, dinanzi agli occhi dell'Universo ».
Arya annuì con vigore: « vale lo stesso per me ».
« Oh, non devi sentirti agitata. Ti spiegherò tutto ciò di cui hai bisogno per vincere la Guerra che verrà ».
« Non sono agitata, è solo che... ».
« Vieni qui » la invitò lei, alzandosi: « voglio toccarti le mani ».
Per quanto risultasse originale quella richiesta, Arya non domandò alcunché; si limitò ad avanzare di un passo, guardando Beckah – i pugni chiusi.
Salì il primo gradino, imponendosi il coraggio, ne salì un altro e poi un altro ancora, finché non giunse dinanzi alla sua antenata.
Il cuore le martellò nel petto, la testa le andò in confusione totale.
« Non credere che questo faccia effetto solo a te... »
Arya deglutì, tremante: « non so in che modo, ma riesco a percepirlo ».
« Oh, quale orrida beffa » Zehelena le carezzò una gota, le labbra piegate in un ghigno: « ed è tutta colpa mia ».
« Perché siamo... ».
« Identiche? » La interruppe ancora: « una delle sue solite perfidie! »
Cielo e terra tacquero non appena le loro mani si congiunsero, come se per millenni non si fosse atteso altro evento.
Arya percepì una vibrazione ignota esiliarla da lì e condurla altrove, in un luogo di magia – molto pericolosa, molto potente. Vide le immagini di una guerriera e di una nube nera come la morte combattere, ledersi, ed infine scoppiare in una polvere di colori. Deglutì. Sul volto di Zehelena poté leggere la stessa inquietudine che aveva preso a divorarla. Quante domande e quanti enigmi si celavano nel loro passato?
« Cos'è successo? » Domandò Cassandra ad alta voce: « spiegateci! »
« Io... » cominciò Arya, stordita: « non lo so ».
Zehelena socchiuse le palpebre: « è giunto il momento che io vi racconti la mia storia ».
« Perfetto! » Esclamò Soara: « siamo venuti qui per questo! »
« Tuttavia, ho un interrogativo che mi punge ancora le labbra ».
Haramir e tutto il resto della compagnia le rivolsero un'occhiata incredula. Avevano viaggiato fino alle Scogliere per ottenere delle risposte, non altre domande! Di cosa poteva trattarsi?
Impassibile, ella pronunciò un nome che frusciò tra le rovine, si estese nell'etere e scoppiò nei timpani di tutti: « dov'è Hazelle? Per quale motivo non si trova qui, insieme a noi? »
Arya arretrò di un passo. Non le era chiaro se fosse un gioco o una presa in giro, se Zehelena conoscesse già la risposta e li stesse mettendo alla prova. Di nuovo, guardò Beckah e capì: doveva parlare, doveva essere lei a riferirglielo.
« Zehelena » cominciò, attirando su di sé l'attenzione: « Hazelle è morta ».
Frecce invisibili presero a bersagliare la scalinata. Arya notò sfumature di incredulità e orrore mescolarsi sul volto della dea, la quale crollò sulle ossa – una mano al petto.
« Com'è potuto accadere? » Il tono della voce tradì il suo male: « spiegatemelo ».
« Ma Lei non sa nulla? Non è a conoscenza degli ultimi avvenimenti? » Chiese Haramir.
« Ci deve essere un motivo se il gigante l'ha definita “prigioniera”, no? » Rispose Cassandra, attenta.
A fatica, dunque, Zehelena tentò di ricomporsi. La giovane Mason rimase al suo fianco. « Non è una menzogna, sono davvero una prigioniera. Sono chiusa qui dentro da secoli, ignara di tutto ciò che capita fuori, nel mondo reale » indugiò: « tuttavia, per una chissà quale ragione, sono riuscita a mettermi in contatto con Arya... non credete che io sia uno spirito, sono una donna in carne ed ossa ».
Arya si studiò i palmi – il contatto che aveva avuto con Zehelena, seppur breve, le aveva mostrato qualcosa di diverso dalle tracce indelebili della morte; le aveva indicato la via per l'eternità.
« Sono nata e cresciuta a Rozendhel, nel periodo in cui regnavano gli Elfi, e la Comunità Magica viveva serenamente. Mia madre era una strega audace, conosciuta persino nell'angolo più remoto del globo. Come ogni creatura, però, si mostrava assai vulnerabile dinanzi alla passione e, durante una delle sue solite scappatelle, conobbe un drago di nome Rhaego. Perdette la testa per lui ed insieme giacquero per notti e giorni, senza mai provare la benché minima stanchezza. Dalla loro unione, nacqui io: Zehelena, la Guardiana del Fuoco Aureo ».
« È merito dei suoi genitori l'esistenza di quest'invincibile potere? » Domandò Markos, convinto.
Ella scosse il capo: « trascorsi la mia infanzia principalmente con mia madre. Ero una bambina sveglia e precoce, con l'abitudine di annotare ogni singolo incantesimo che imparava. Quando compii sedici anni, scelsi di scrivere un autentico grimorio!
Oltre a ciò, all'epoca, ero solita accompagnare mia madre in ogni dove: combattevamo i cacciatori di streghe, soccorrevamo le creature magiche in pericolo e raccoglievamo erbe mediche da portare a casa.
A vent'anni, in segno di riconoscimento per aver tratto in salvo l'erede di un Re Elfo dalla cena di un negromante, egli mi regalò la sua armatura argentea e priva di una qualsiasi imperfezione. Benché fossi soltanto una giovinetta, acquisii una tale fama che ogni giorno avevo convegni su convegni, con viandanti e forestieri che abbandonavano i loro figli soltanto per venire a stringermi una mano. Uno di loro volle addirittura ritrarmi!
Ed è qui che appare la figura di Hazelle. Mi tirò fuori da quella vita che non mi apparteneva. Oh, come mi faceva sentire bene! Fuggivo via dai miei impegni e la incontravo nei boschi: parlavamo di tutto, delle nostre esperienze e di quanto ci fosse ostile quell'ambiente. Le parlai delle Scogliere di Moher, di Parigi e dell'Europa... di quanto me ne fossi innamorata.
Purtroppo, però, i venti di guerra presero a scuotere le chiome degli alberi e la morte iniziò a chiamare a sé le prime vittime: i demoni si erano ribellati alle autorità e premevano per la conquista di Rozendhel. I nostri sogni di partire e vivere insieme, lentamente, sfumarono... non so se lei si fosse mai resa conto di quanto io l'amassi, di quanto mi facesse sentir bene un suo abbraccio, una sua carezza in viso. Poche ore prima dell'infausta notte in cui l'Universo decise di parlarmi, mi passò una mano tra i capelli e mi domandò come mi sentissi. Io la baciai. Tutto stava cambiando e ce ne rendevamo conto entrambe ».
Arya non riuscì ad immaginare una Hazelle tanto dolce e romantica. Sin dal momento in cui l'aveva trovata in casa sua, a parlare con la zia Sarah, aveva stabilito che potesse essere tutto fuorché una donna capace di sperimentare l'amore. Tornò ad ascoltare il racconto di Zehelena, in silenzio e senza proferir parola.
« Non posso rivelarvi i particolari di come l'Universo mi contattò... se credete che ci sia un Dio o una Divinità superiore, non avete fatto altro che basare la vostra vita su una terribile menzogna. A regolare il nostro Universo, è esso stesso.
Mi spiegò ogni cosa, le mie origini e quelle di ogni creatura magica, le intenzioni dei demoni ed il pericolo che costituiva il Supremo. Noi due, Arya, siamo nate per un motivo; siamo pedine di una guerra antica, di un eterno conflitto tra Bene e Male... abbiamo un compito da portare a termine » si fermò un'altra volta e prese un respiro profondo, gli occhi lucidi: « migliaia e migliaia di anni or sono, in un'epoca ignota, l'Universo assistette alla nascita di una creatura orribile... senza forma, né volto, né appellativo. Era una nube nera, l'essenza della distruzione.
Ingollò pianeti e stelle, annientò interi popoli. L'Universo dovette intervenire e plasmò dal nulla la figura di una guerriera: le donò il potere della luce, un paio di grandi occhi verdi e lunghi capelli rossi. Portava indosso una corona di foglie bianche ed un'armatura forgiata nell'oro. Possedeva inoltre una spada, la lama d'acciaio e tagliente. Meera era il suo nome, Guerriera dell'Universo e prima Guardiana del Fuoco Aureo ».
« Che cosa? » Sbraitò Beckah, incredula: « ma che razza di storia è? »
« Fatemi finire. C'è dell'altro ».
Incapace di formulare una risposta, Arya serrò le labbra. Avvertì il corpo cedere sotto alla mole dei pensieri, il cuore evaderle dal petto e le gambe formicolare come non mai. Sin dal primo gemito non era stata padrona di se stessa, delle sue decisioni, della sua vita. Le lacrime le infiammarono il volto, ma tentò di nasconderle. Tacque.
« Sinceramente » iniziò Cassandra: « io mi sto perdendo ».
« Per quale motivo, l'Universo ha dovuto richiamare due persone identiche a Meera? » Domandò invece Markos, sveglio: « insomma, se Incubo è stato sconfitto... ».
« Il Supremo non è stato sconfitto » Zehelena lo interruppe bruscamente: « Meera lo ferì, ma non riuscì ad annientarlo ».
« Quindi, vaga ancora per l'Universo? » Domandò Haramir.
« Non è corretto. Meera aveva una spada dall'elsa brillante, nel cui ottone era incastonata una pietra viola. Poco prima che le venisse scagliato il colpo di grazia, ella tirò fuori la pietra, recitò un incantesimo e ne imprigionò all'interno l'ira e la distruzione » sospirò: « ora, Incubo vive all'interno della Sfera della Leggenda ».
Una percezione improvvisa attraversò l'animo di piombo di Arya. Aveva già intuito tutto.
« Meera morì, frantumandosi in una pioggia di polvere argentea che prese a danzare nel vuoto, fino a raggiungere il pianeta sul quale viviamo, trovando poi dimora negli uomini e donando loro i poteri, le Arti, una nuova vita ed un segreto da custodire per generazioni e generazioni. La Magia delle streghe è nata in questo modo ».
« E per quanto riguarda i demoni? » Chiese Soara: « non credo che siano stati originati sempre dalla stessa polvere! »
« Infatti, la parte di Incubo che venne disintegrata dalla spada di Meera scese allo stesso modo sulla Terra e diede origine alle creature dell'Inferno ».
« E la Sfera? » Esordì finalmente Arya: « perché è stata spezzata in tanti frammenti? »
« Sono solo sette » la corresse Zehelena: « quando l'Universo mi parlò, essa era ancora intatta... non voleva certo che io la distruggessi, affatto! Voleva che io tirassi fuori Incubo e lo uccidessi con le mie stesse mani. Mi donò la Spada, che aveva conservato con tanta cura per millenni, e mi consegnò la formula con la quale avrei potuto richiamarlo. Io credevo nelle mie abilità... ma non ero certo una stupida. Non volevo assecondare il gioco dei demoni! Erano loro che volevano portare l'Inferno sulla Terra, non io! Non le streghe! Quindi, decisi di infrangere la Sfera e di creare una Dimensione a parte soltanto per loro. L'Universo si arrabbiò così tanto che... ».
« Ti imprigionò » concluse Arya, seria: « nelle rovine di Meeragonthur ».
Zehelena annuì: « non avrei potuto prendere decisione più sbagliata... ora sono costretta a vivere qui per l'eternità ».
« Cosa significa esattamente “Meeragonthur”? » Le domandò Jaadir.
« “Cenere di Meera” » rispose lei: « è la lingua madre dell'Universo ».
« Dimmi di questa prigione » la spronò Arya: « continua il racconto! »
« Mi fu concesso di scegliere un posto... carino da parte dell'Universo, non trovate? Hazelle mi seguì fino alle Scogliere di Moher, ed io dovetti fingere che non mi importava più nulla di lei » vacillò: « non potevo rivelarle nulla, altrimenti sarebbe stata punita allo stesso modo. Dunque, una volta che entrai qui dentro, piansi tutte le mie lacrime ».
« Fammi indovinare: l'Universo ha sempre voluto che tu ti mettessi in contatto solo con me, vero? »
« Credo di sì, Arya. Non appena la minaccia di Incubo torna a farsi sentire, questi richiama una Guerriera Speciale ».
« Però, Hazelle ti ha visto in sogno! Poco prima di morire! »
Zehelena annuì, debole: « è vero! In un modo o nell'altro, alla fine riuscii a parlarle... inutile dire che non appena se ne accorse, l'Universo mi privò delle stagioni e della notte. In questo pseudo-cielo, brillano tre Soli... ve ne siete accorti? Non cala mai il buio, ed il caldo è insopportabile.
Vivo da sola, in compagnia di quei monaci che ogni giorno vengono e controllano che io non mi sia ammazzata. Hanno il potere di resuscitarmi, sapete? »
« Quante volte ti è capitato? Di suicidarti, intendo » le domandò Beckah.
« Più o meno, tutti i giorni ».
« È un'abominevole tortura! » Commentò Soara, le lacrime agli occhi: « come puoi resistere? »
« Se le discendenti di Meera non obbediscono al volere dell'Universo, questo è il modo in cui vengono punite! » Ora, Zehelena si rivolse unicamente ad Arya: « torna a Rozendhel, riunisci tutti i Frammenti e lascia che i demoni richiamino Incubo. Non prendere me come esempio, non ci sono scorciatoie. Dovrai eliminarlo tu stessa ».
« Il grimorio che ho trovato nella biblioteca del signor Hancock è tuo, non è vero? Avevi custodito un Frammento tra le pagine » disse Arya, certa.
« Ovvio! E ne ho conservati degli altri, proprio qui » fece per chiudere e riaprire i palmi, quando un ennesimo ruggito la deconcentrò.
La piazza rabbrividì: era un lamento, un verso rauco.
Arya fletté le ginocchia e unì le mani sulla testa; Zehelena restò a guardarla in apatia. « Non temete » iniziò: « quello che sentite è Rhaego... ha voluto seguirmi, l'idiota ».
« Rhaego? Tuo padre? » Domandò Markos, impressionato.
« Riposa per giorni interi... alcune volte mi scordo perfino della sua esistenza! » Zehelena allungò lo sguardo: « penso che tra poco ci raggiungerà ».
E in effetti, in lontananza, si poteva già scorgere una macchia d'inchiostro danzare tra le nubi e farsi a poco a poco più grande.
Arya si morsicò un labbro. Non voleva che il discorso terminasse lì, aveva ancora tante domande da porre e chiarire! Balbettò un qualcosa, attirando su di sé l'attenzione, poi tossì e ricominciò: « quindi, io sono nata solo per annientare Incubo? Sono nata da un errore che hai commesso tu? »
Zehelena la rimproverò: « non tu, entrambe siamo nate per merito di un errore ».
« “Per merito”, certo! Avresti potuto affrontare le tue paure invece, e risparmiarmi quest'infausto destino! » La ragazza si scaldò: « è un anno intero che evito ai demoni di impossessarsi di quegli strumenti, ed ora salta fuori che avrei dovuto permetterglielo! Alla fine, devo essere io a sconfiggere quella creatura terribile, no? Legittimo! Avreste potuto dirmelo prima ».
Zehelena le riservò un'occhiata penetrante: « mi dispiace, cara Arya Mason. Nel corso della vita si commettono innumerevoli sbagli ».
« Come quello di gettare un intero popolo all'interno di una Dimensione ignota? »
« Me ne pento ogni giorno ».
« Quando Morgante ha fatto la sua comparsa, io ed Hazelle siamo state rinchiuse proprio lì dentro. Io sono riuscita a scappare mediante... ».
« Un varco, lo so » terminò Zehelena, le palpebre socchiuse: « in tempi remoti, avevo già previsto una simile eventualità. Ero certa che la Dimensione non avrebbe retto alle evoluzioni della Magia. Quindi, la incantai. Se per errore una strega ci fosse finita all'interno, in automatico si sarebbe dischiuso un Portale che l'avrebbe riportata sul pianeta ».
« Hazelle non ha voluto attraversarlo » concluse Arya.
« Ho intuito anche questo ».
Un vigoroso ruggito fece tremare per l'ultima volta il terreno.
Zehelena aveva narrato una menzogna: la notte non era stata bandita da Meeragonthur, era lì che volteggiava sopra le loro teste, nel cielo limpido dell'eterno giorno. La notte era un mostro, la notte era Rhaego.
Arya si mostrò atterrita alla sua venuta. Non aveva mai conosciuto un essere simile: aveva il corpo enorme ed irto di scaglie, una testa dalla forma allungata, sormontata da corna e dotata di due larghe narici, dalle quali si sprigionava del fumo cinereo.
Non appena fu atterrato, passò in rassegna la piazza con quei suoi grandi occhi scarlatti e dalla pupilla verticale. Espose i denti aguzzi – la mascella larga e mobile come quella di un serpente. Le sue ali, inoltre, erano ampie, nere e lunghe quanto un aereo – terminanti in un artiglio.
La sua coda era una frusta squamata, in perenne movimento.
Poggiò le zampe a terra, sguainò gli artigli e ringhiò.
« Sono miei ospiti, capito? » Esclamò Zehelena: « scordati il pranzo! Mangia quei monaci, piuttosto! »
Il drago si accucciò dietro alla sua figura, gli occhi puntati su Arya.
« Quindi... lui è tuo padre? »
Zehelena annuì: « avvicinati! Non ti farà alcun male! »
« No, Arya! » Gridò Beckah: « non farlo! È pericoloso! »
Ma la curiosità vinse su tutte le altre emozioni. Arya, che si trovava già sui gradini, si avvicinò al muso della creatura – le mani tremanti. Era una formica al confronto, una nullità.
Inspirò profondamente, deglutì. Se in quell'istante fosse morta, era probabile che l'Universo avrebbe rischiato di urlare una bestemmia e avrebbe subito condotto due giovani innamorati a procreare una quarta Arya Mason. Che razza di battute le venivano in mente?
No, la storia doveva terminare lì con lei. Non ci sarebbe stata più alcuna Guardiana del Fuoco Aureo.
Rhaego si lasciò accarezzare, gli occhi fermi sulla sua figura mentre del fumo pallido gli sfuggiva dalla bocca. Era coperto di fuliggine, tracce delle sue stesse fiamme ormai estinte.

Tra le rovine, la pelle di Arya sembrò scintillare.
Fuoco nel fuoco, ella comprese le sue origini. Il sudore le colò lungo le guance, tra i seni. Espirò.
« Arya Mason » Zehelena le si avvicinò, le braccia che cullavano una spada: « accetti dunque questo dono? »
Annuì lentamente; il volere dell'Universo sarebbe stato assecondato.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 40
*** Capitolo 39: Il ladro ***


CAPITOLO 39:

 

Il ladro

 

Benché prima d'allora non avesse mai impugnato un'arma del genere, Arya alzò la lama con estrema agilità e la portò a danzare sotto la luce incandescente dei tre Soli come se il movimento le fosse da sempre appartenuto. Il suo animo era stato risvegliato da un letargo durato una vita. Era così ovvio, così familiare!
Menò ciechi fendenti, sventrando creature invisibili ed ignoti aggressori; poi ruotò il polso e la lama sibilò ancora. L'eterna guerra tra l'Universo e la Distruzione si trovava in procinto di avviare una nuova partita, la più cruciale. Chi mai avrebbe potuto concepire l'idea di una svolta simile, chi mai avrebbe potuto prevedere che il destino di tutto ciò che è conosciuto potesse adesso gravare sulle spalle di una ragazzina?

« Risparmia le forze » l'ammonì Zehelena: « e prendi questi. Ti saranno necessari per ultimare la missione ».
Arya ripose la spada all'interno della guaina e afferrò i tre Frammenti della Sfera, conservandoli gelosamente insieme alle piume di Bartek nel borsello della sua cintura. « Riuscirò mai a liberarti? »
Zehelena inarcò le sopracciglia, scettica: « cos'hai detto? »
« Se riuscirò a sconfiggere Incubo » riprese la giovane: « l'Universo potrebbe lasciarti andare? »
Parole vane e sterili promesse. Nessuno avrebbe potuto liberarla.
Zehelena fece una smorfia: « no ».
« Nemmeno se... ».
« Mai ».
Arya distolse gli occhi dalla sua figura e prese ad osservare il vuoto. Il futuro aveva aperto i suoi cancelli su di un viale spoglio e ombreggiato da tribune in cui sedeva un pubblico quieto e apatico. Tutti sembravano attendere il suo arrivo, la sua presa di coscienza. Nessuno di loro aveva mai avuto il coraggio di scendere e agire per conto proprio. Erano rimasti a guardare per centinaia e centinaia di anni. Al suo trionfo, avrebbero esultato? Dinanzi al fallimento di Zehelena avevano sofferto?
No, poiché all'Universo non importava nulla di tutto ciò – delle loro vite, dei loro sentimenti, delle loro paure. All'Universo importava solamente il benessere di sé stesso, e se le Guerriere che risvegliava non erano in grado di adempiere al loro incarico, allora ne risvegliava delle altre – per proteggersi, per mettersi in salvo.
Arya meditò ancora: se non fosse riuscita a sconfiggere Incubo, che razza di vita avrebbe potuto condurre a Meeragonthur? Al contrario, come sarebbe potuta andare avanti fuori, nel mondo reale, dopo aver assistito a cotanta crudeltà, distruzione, omicidi, avendo conosciuto il Male e creature dell'Inferno? La faccenda era questa: non si sentiva così abile da lasciarsi tutto alle spalle e vivere come una comune mortale.
Ansimò. Il luogo sembrava aver perso ogni colore – come se tutto fosse stato annerito e inghiottito dal caos.
Vide Beckah flettere le ginocchia e allacciare le dita sulla testa; poi venne il fumo – nero come l'inchiostro –, il pavimento tremò ed un verso rauco scosse l'atmosfera.
No, non era una semplice impressione... qualcosa stava accadendo per davvero, qualcosa che si aspettava ma che aveva scelto di ignorare.
« Zehelena? » Chiamò nell'oscurità: « Zehelena, dove sei? »
Inciampò sui suoi stessi passi e ruzzolò giù dai gradini. Avvertì il sapore del sangue invaderle la bocca ed un dolore acuto accendersi su un gomito.
Sguainò la Spada e, immediatamente, un raggio di luce argenteo trafisse la nebbia – rivelando la figura di Rhaego lottare contro Markos.
Salì nuovamente i gradini, a due a due, raggiunse il traditore e gli puntò la lama al collo.
« Cosa diavolo stai facendo, Markos? »
« Devo prenderle » rispose lui, disperato e con le braccia alzate: « devi capire... ».
Rhaego si lamentò ancora, la testa che vorticava da una parte all'altra come impazzita. La sua ira stava per esplodere in una bomba di fuoco.
« Dretyen! Dretyen! » Esclamò Zehelena: « dretyen, Rhaego! »
Il drago agitò le ali, gli artigli posteriori infossati nel pavimento e la cresta ritta sul dorso. In posizione eretta, pareva ancor più massiccio di quanto già non fosse. Fissò Markos con così tanta intensità che Arya era certa stesse per incenerirlo. Tuttavia, l'ordine che gli era stato imposto da sua figlia riuscì a placarlo un po', quindi restò immobile con la sola coda che svolazzava a destra e a sinistra – tanto per allontanare il fumo appena richiamato dallo stregone.
« Chi diavolo sei? » Urlò Zehelena, ora al fianco di Arya: « perché hai tentato di colpire mio padre? »
Al di sotto della gradinata, Haramir si stava accertando che tutti stessero bene e che non presentassero alcuna ferita. L'attacco di Markos, Arya capì in seguito, era esploso all'improvviso e aveva causato danni persino all'ambiente circostante: le colonne, ad esempio, erano a terra, in frantumi.
« Io ve lo avevo detto! » Sbraitò Cassandra: « non ci si può fidare di un uomo simile! »
« Dovevo prenderle » incalzò Markos, in ginocchio a baciare gli scarponi di Arya: « dovete capirmi... ».
La giovane mise via l'arma e gli diede un calcio sul volto deturpato: « alzati! »
« Non mi farai del male, vero? »
« Ti risparmierò la vita solo se mi chiarirai alcune cose » gli disse – il volto altrove, concentrato su Haramir. Adesso ne era consapevole: non si trattava affatto di uno dei migliori capitani in circolazione! Avrebbe dovuto lasciar Markos nelle celle della nave come gli era stato consigliato... e, invece, no! Aveva preferito agire di testa sua, esponendo tutti al pericolo.
Non appena egli si accorse di quell'occhiata, iniziò a blaterare frasi ignoranti: “state bene, quindi? Vi servono cure?” Come se all'interno della compagnia non ci fosse nessuno in grado di richiamare il “medicamentum” e guarirsi con le proprie mani...
Arya tornò a Markos: « dimmi chi sei. Markos è il tuo vero nome? Da dove provieni? Sono le lacrime di drago che ti occorrono? »
E fu silenzio. Dalla bocca dell'uomo non fuoriuscì alcuna parola o suono. Le domande di Arya si persero nell'etere, dunque ella le ripeté ancora e ancora una volta. Nulla.
« Io lo torturerei » iniziò Soara, complice indiscussa di Cassandra: « insomma, non possiamo tornare indietro con un soggetto simile a bordo! »
« Vero » rispose Jaadir, perplesso: « diamolo in pasto al drago! »
« Tu che cosa ne pensi? » Domandò Zehelena, rivolta ad Arya: « che pena vuoi infliggergli? »
Pensieri sconnessi presero a vorticarle nella mente – ritagli di un'immagine troppo contorta per venire compresa. Rifletté, la bocca cucita. Doveva dimostrarsi come la leader che era, non come avrebbe fatto Hazelle o qualsiasi altra creatura demoniaca.
« Lo porteremo al Rifugio e lo interrogheremo lì » disse: « se non collaborerà, allora, mediteremo su una punizione... ma non lo uccideremo ».
« Cosa? » Esplose Cassandra, le braccia abbandonate lungo i fianchi: « tu sei fuori di testa! »
« Non lo condivido » l'accompagnò Jaadir: « dovremmo metterla ai voti! »
« Fate silenzio! » Ruggì Arya, la mascella contratta: « qui si fa come dico io, okay? Se non vi sta bene, vi invito a tornare a Rozendhel a bordo di un'altra imbarcazione! »
Cassandra, vittima dell'incredulità, non pronunciò alcunché; si limitò a schioccare le labbra e a bofonchiare qualcosa sottovoce. Al contrario, Zehelena le fece i complimenti: « sono davvero grata che tu non sia come me ».
Nonostante la giovane sapesse già cosa intendeva dire, volle far finta di niente e non la interruppe nemmeno quando una lacrima di rimorso le attraversò il viso e le finì in gola.
« Io non ho permesso alcuna distinzione » proseguì, la voce rotta: « io non ho permesso alcun processo. Prima di spedire un'intera popolazione all'interno di un luogo orribile come questo in cui mi trovo oggi, avrei dovuto accorgermi che tra quelle creature c'erano anche degli innocenti... demoni che non avevamo mai tentato di impossessarsi di Rozendhel, che aspiravano ad un dialogo con il Mondo Magico... io ho negato loro ogni diritto. Me ne pento ad ogni mio battito di ciglia, ad ogni mio respiro ».
Arya le afferrò una mano e gliela carezzò con il pollice: « sono contenta che te ne sia resa conto ».
« Anch'io ».
Immobilizzarono Markos con un incantesimo e cominciarono a muoversi in direzione della bocca del gigante. Zehelena congedò Arya con un caloroso abbraccio, sussurrandole all'orecchio un qualcosa che rimase per sempre un segreto.
Beckah l'attese sul primo gradino, la fronte imperlata di sudore e gli occhi che tradivano la sua stanchezza.
« Allora, addio » Arya si morse il labbro inferiore: « se un giorno ci rivedremo... »
« Non ci rivedremo » tagliò corto Zehelena, la mano impegnata a carezzare il muso di Rhaego: « non te lo auguro affatto ».
Per una chissà quale ragione, Rhaego pareva soffrire; socchiuse infatti le palpebre e soffiò del grigio su sua figlia. La stava salutando, le stava dicendo addio.
« Che significato ha tutto ciò? » Chiese Beckah, diffidente.
« Rhaego verrà con voi » Zehelena si aprì in un sorriso: « non temete, si dimostrerà un valido guerriero ».
Il drago, incontrando gli occhi di Arya, ruggì un qualcosa che suonò più come un invito che come una minaccia – voleva accompagnarla oltre l'orizzonte, farle abbracciare la luna e poi condurla fino a casa, indenne. Benché la punizione dell'Universo non riguardasse altri che Zehelena, egli non aveva mai avuto il coraggio di abbandonarla lì, in quel luogo tanto miserabile quanto crudele. Per secoli aveva rinunciato alla sua stessa libertà, dimostrandole cosa significhi il vero amore.
Zehelena pianse un'altra lacrima: « aggrappati ad un corno della sua cresta... e non mollarlo mai! Intesi? »
Un istante più tardi aver ricevuto l'approvazione di Beckah, Arya annuì e prese ad arrampicarsi sul suo corpo nero ed irto di scaglie. Come le era stato consigliato, avvolse le braccia attorno ad un corno – alto quanto lei, o forse un po' di più –, accorgendosi che la sua mano destra non riusciva minimamente a raggiungere le dita della sinistra. Deglutì.
« Beckah » chiamò dall'alto: « tu raggiungi gli altri! Ci vediamo a Rozendhel! »
« D'accordo... ci vediamo a Rozendhel ».
Quindi Zehelena carezzò il manto di suo padre per l'ultima volta e, con voce ardita, esclamò: « greten! »
La notte si alzò in volo e la ragazza sigillò gli occhi, pavida. Il cuore le pulsava a mille e l'adrenalina le scorreva nelle vene quando un vuoto d'aria le si spalancò nello stomaco.
Obbligò il vomito a tornare indietro. Oh, quanto si pentì di quella scelta! Non sarebbe mai più salita in groppa ad un drago! Mai più!
Le pareti delle palpebre divennero improvvisamente scure, poi scoppiò nuovamente la luce del giorno. Erano tornati nel mondo reale, avevano appena attraversato la galleria del gigante.
Con il vento che ora le scompigliava tutti i capelli, tentò di aprire una fessura tra le ciglia.
« Oh, mio Dio... » gridò non appena ebbe realizzato a che razza di velocità e altezza stessero procedendo: « non puoi andare un po' più lento? »
Rhaego acconsentì e, da allora, il viaggio fu meno traumatico.
« Grazie mille. Conosci già la strada? »
Non un cenno o ruggito le diedero risposta, ma era evidente che fosse positiva. Il drago si muoveva con perizia tra i cirri rosei della sera, sbattendo le ali e sputando di tanto in tanto una bomba di fuoco nell'oceano. Quando presero a sorvolare dei minuscoli paesini di formiche, vestite di tutto punto con cappelli e camicie, Arya si preoccupò della loro reazione alla vista della creatura. Non immaginava cosa si stessero dicendo l'un l'altra, e pregò affinché lo scambiassero per un aereo.
Il viaggio durò molto più di quanto previsto.
Arya ebbe persino il tempo di riposare, svegliarsi e cadere nuovamente tra le braccia di Morfeo. Con gli occhi impastati di sonno e le braccia sgranchite, si accorse poi della mattina. Starnutì.
Il sole bruciava ad est, incenerendo ogni ombra che tentasse di sopravvivere al giorno, ed il vento soffiava, contro la sua figura, un'indicibile ed implacabile tempesta.
Attraversarono paesi e montagne, luce e oscurità, finché non arrivarono a destinazione.
Arya vide Rozendhel in lontananza e udì il suo grido disperato.
Rhaego atterrò sulla collina, la fece scendere e poi si arrotolò su se stesso – gli occhi chiusi ed il respiro forte. Erano anni che non compiva un viaggio simile; doveva sentirsi privo di ogni energia. Arya gli carezzò il muso, intuendo che forse aveva allungato la strada di proposito – come se dopo tutti quegli anni avesse avuto il bisogno di una bella sgranchita di ali.
Sospeso nell'aria trovò anche il galeone di Haramir. Doveva sbrigarsi a raggiungere lo studio di Rhona prima che qualcuno alterasse gli eventi di Meeragonthur.
Trovò quindi la botola, s'infilò nel tunnel di pietra e poi nel Rifugio. Corse per le scale, gli occhi di tutti gli stregoni puntati addosso.
Raggiunse l'ultimo piano e così la porta dello studio. Bussò.
« Avanti » l'accolse la voce annoiata di Rhona.
Con la maniglia ancora in pugno ed un piede oltre la soglia, ella si accorse della figura di Haramir – accanto alla scrivania. Rhona aveva i gomiti poggiati su di essa, il mento sulle dita intrecciate. Era diversa dal solito. Aveva un'aria completamente nuova.
« Arya, che piacere vederti » disse, gli occhi puntati sulla Spada: « com'è andato il viaggio? »
Arya lanciò un primo sguardo all'uomo – uno dei tanti che non venne mai ricambiato.
« Cosa ti ha detto? » Tagliò corto lei: « voglio sapere ogni cosa ».
« Percepisco della paura? » Rhona strizzò gli occhi, inquadrandola meglio: « cosa ti sta accadendo? »
« Per favore, ditemi cosa vi siete detti ».
Haramir fece per schiarirsi la voce, ma non una parola si originò dalla sua gola. Mantenne lo sguardo basso per tutto il tempo, anche quando la tensione divenne palpabile.
« Gli ho chiesto di raccontarmi tutto, ogni minimo dettaglio » cominciò la donna, alzandosi in piedi – il vestito viola che le volteggiava attorno alle caviglie: « ho saputo di Zehelena, del Volere dell'Universo e di tutta la faccenda riguardante Markos ».
« E cos'ha deciso in merito? »
Rhona si arrestò nel centro esatto della stanza: « in merito al traditore? »
« Io capisco che non avrebbe dovuto salire a bordo della nave » Arya proseguì, tradendo per un istante la sua incertezza: « ma non per questo deve... ». « L'ho condannato a morte ».
La ragazza sentì un brivido sconosciuto attraversarle la schiena, le gambe irrigidirsi. Era stata fino a quel momento a parlare di quanto fosse sbagliato infliggere una pena ad una persona, ad un popolo, senza il benché minimo riguardo o processo, ed ora si ritrovava da punto a capo.
« Non puoi fargli questo! » Esclamò.
« Avverrà questa notte » continuò la donna, irremovibile.
« È da barbari! Lo comprendi, vero? » Arya insistette: « sono la Guardiana del Fuoco Aureo ed Ex-Custode della Chiave! Sono io che prendo le decisioni qui! »
Rhona le afferrò un braccio, gli occhi di serpe: « torna con i piedi a terra. Tu non decidi un bel niente. Capito? Sono io il capo! »
Arya si morse un labbro, tentando di divincolarsi da quella stretta: « dove lo tenete rinchiuso? »
« Nelle celle del piano terra ».
« Posso andarlo a visitare, almeno? »
Rhona la ignorò: « arrivederci, Arya ».
« Ti ho fatto una... ».
« Arrivederci, Arya! »
Rhona le diede le spalle quando Haramir la costrinse ad uscire fuori dallo studio.
Le cose erano cambiate... o si erano soltanto rivelate per ciò che veramente erano.
Arya vide la porta chiudersi dinanzi a sé.
Avrebbe dovuto far qualcosa.
Avrebbe dovuto parlare con Markos.

 

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Capitolo 41
*** Capitolo 40: Il racconto di Markos ***


CAPITOLO 40:

 

Il racconto di Markos

 

La cella di Markos era tenuta sotto stretta sorveglianza da quattro guardie – due ai lati della porta e due che facevano avanti e indietro per tutto il corridoio del piano.
Arya – celatasi nell'ombra del pino – realizzò che per entrare lì dentro bisognava armarsi di un valido stratagemma, quindi preferì da subito mettere al bando le opzioni di corrompere o anche solo incantare quei tipi – l'ansia di essere scoperta le avrebbe divorato le interiora. Si ticchettò un indice sulla fronte, bramando la grazia di qualche discutibile divinità. Se solo l'avessero beccata, avrebbe potuto dire addio ad ogni tentativo futuro di parlare con il traditore.

Azzardò meccanicamente un passo e smise di confondersi da sola le idee, di pianificare, immaginare cosa sarebbe potuto accadere da quell'istante in poi; avrebbe affrontato la situazione e le eventuali conseguenze sulla propria pelle, le avrebbe studiate con gli occhi e non con pensieri concepiti dal nulla e fuori realtà.
« Signorina Mason! » La riconobbe la prima guardia: « che sorpresa incontrarla qui! »
« Buongiorno » salutò lei.
« Per quale motivo è venuta? » Le domandò il tipo più grosso, le braccia incrociate dinanzi al petto: « non ci aspettavamo una sua visita ».
« Devo incontrarmi col prigioniero. Mi manda Rhona ».
« Rhona? » Ripeté lui: « ne è certa? »
« E lei, al contrario, è certo di mettere in dubbio la mia parola? » la ragazza sfidò il suo sguardo: « mi lascia entrare oppure no? »
Scoppiò il silenzio e, per un istante, l'unico suono percepibile fu il sibilo delle lanterne appese al soffitto.
Arya non mancò neanche il minimo gesto delle guardie: lo smilzo si grattava il deretano, gli altri due le ricambiavano lo sguardo, senza battere le palpebre. Il più grosso, e a dire il vero anche il più testardo, allungò un braccio e le ordinò di consegnargli il permesso.
« È la procedura » spiegò, la voce profonda: « non posso farci niente ».
Arya andò in tilt: si finse arrabbiata, si scosse i capelli ed elencò con fierezza i suoi lunghi titoli – ciononostante non ottenne la briciola di un risultato. Al termine dell'imbarazzante teatrino, l'uomo teneva ancora la mano protesa verso di lei.
Ingannare le guardie del Rifugio si stava dimostrando molto più complicato di quanto si fosse aspettata e, se non fosse stato per l'intervento tempestivo del bibliotecario, il signor Hancock, allora sarebbe stata già scoperta e rinchiusa all'interno di un'altra prigione.
Egli, ballonzolando come suo solito, chiarì a tutti che l'Ex-Custode della Chiave e Guardiana del Fuoco Aureo non necessitava di alcun permesso: avrebbero dovuto lasciarla in pace, aprirle la porta e rimanere in silenzio. Al contrario di ciò, sarebbero stati sollevati dai loro incarichi.
Il lucchetto scattò e le guardie le mostrarono la via. Arya, nel frattempo, lanciò un'occhiata al bibliotecario, sperando in cuor suo che si accorgesse di quel suo tacito ringraziamento.
« Entrerò anch'io, se non vi dispiace » disse l'uomo e, dal palmo della mano, alzò una sfera di luce bianca: « dopo di Lei! »
Arya non capiva per quale motivo si stesse comportando in quella maniera: la stava spalleggiando come un vecchio amico, come se si conoscessero dall'infanzia.
« D'accordo, ma la spada resta a noi! » Grugnirono le guardie: « quando volete uscire, bussate tre colpi » e si tirarono indietro.
La cella era logora e buia. Non vi era alcuna finestrella, letto o bagno. Ci si rigirava a malapena e puzzava tremendamente di morte, di quello sgradevolissimo odore che un umano sprigiona con la paura ed il panico di non riuscir più a scorgere le stelle.
Il signor Hancock agitò la sfera bianca, mostrando così la figura di Markos – in un angolo, chiuso in se stesso.
« Pensi sia morto? » Gli domandò Arya, la fronte aggrottata.
« No » rispose lui, secco: « non credo ».
« Perché mi hai aiutata? »
« Perché mi sentivo in dovere di farlo » egli continuò, inginocchiandosi a fatica e tentando di destare il prigioniero: « tu sei una bravissima persona, una strega forte e una leader indiscussa. A me, tutte queste regole e imposizioni non piacciono. Aspiro ad un mondo di benessere e comunicazione... un uomo non può essere condannato a morte così! »
« Che cosa stai tentando di dirmi? »
« Tante cose ».
Markos tossì e finalmente aprì gli occhi – entrambi cerchiati di viola. Nonostante fossero trascorse poche ore dal suo arresto, si presentava già in maniera orribile. Haramir o le guardie l'avevano picchiato di sicuro. Fece per mettersi in piedi, ma crollò di nuovo in quel sudicio angoletto come una bambola di pezza appena scartata dalla mano incauta di una bambina.
Il signor Hancock tirò fuori un fazzoletto di stoffa da un taschino della sua veste e gli asciugò la fronte imperlata di sudore.
Arya si accorse così di quanto fosse magro, di quanto sangue avesse in volto e sugli abiti.
« Che ti hanno fatto? » Gli domandò, le braccia conserte.
« Arya » iniziò lui, la voce rotta dal pianto: « io non volevo causarti alcun... io non volevo essere considerato come un... io non ho colpe ».
« Lo dicono tutti i prigionieri, sai? »
Il signor Hancock le riservò un'occhiata brusca e lei, in compenso, abbassò i toni.
« Io volevo davvero le lacrime di drago » riprese Markos, infastidito dal contatto che il fazzoletto aveva con la sua pelle: « io le necessito davvero! Io non ho colpe! »
« Per quale motivo, allora, non hai parlato al momento opportuno? Avresti potuto rispondere alle mie domande! »
« Non mi avresti mai capito! » Markos concentrò la mente stanca – era a pezzi: « nessuno di loro avrebbe capito la mia condizione ».
« E allora spiegati! Parlami! » Esclamò Arya, stringendosi nelle spalle: « Rhona vuole condannarti a morte, lo sai? »
« L'avevo intuito... quella donna è una serpe ».
« Markos è il tuo vero nome? Da dove vieni? » La ragazza ripropose le stesse identiche domande di qualche ora o giorno prima – il viaggio l'aveva confusa persino sulla data.
L'uomo tentò di inspirare profondamente, venendo quindi invaso da un dolore acuto che lo obbligò a mordersi la lingua e a trattenere il fiato per una decina di secondi – il timore di una qualche frattura interna o organo contuso si affacciò nei suoi occhi, all'improvviso indifesi.
« Credo che tu abbia bisogno di vedere un dottore » valutò il signor Hancock, incerto.
« Rhona non me lo permetterà mai » rispose lui: « mi vuole morto! »
Arya si gonfiò in petto: « parlami. Dimmi per quale motivo ti servono le lacrime di drago... voglio salvarti la vita ».
« Va bene, ti racconterò la mia storia ».
Quando tutti e tre avevano la bocca cucita, il loro udito era in grado di cogliere i suoni più impensabili: un liquido nauseante che gocciolava dal basso soffitto di pietra, stridii di catene lontane ed il chiacchiericcio delle guardie fuori alla porta.
Arya attese finché il prigioniero non se la sentì. Aveva così tante cose che le vorticavano nella mente! Riuscì a dedicare un pensiero furtivo anche a Nathaniel, ma non vi badò. Doveva concentrarsi su Markos e su ciò che aveva da dire.
« Tu conosci la Maledizione del Nero, Arya Mason? » Le chiese lui, guardandola fissa negli occhi: « secondo quanto riportato dalle mie fonti, una volta Hazelle ti ha attaccata proprio con quella fattura... hai rischiato di morire a causa sua, non è vero? »
Arya annuì senza problemi: « abbiamo avuto una lite, lei stava perdendo la testa... credo fosse la mattina di Natale ».
« Quindi sai cosa significa avere una ferita, nera come l'inchiostro, che ti logora dall'interno fino ad ucciderti ».
Arya rimase ad ascoltare.
« Io avevo una famiglia, una volta. Mia moglie si chiamava Martha e vivevamo felici in quella che oggi è considerata la Vecchia Salem. Lei era un'umana, una cameriera di un certo pub del Massachusetts. La spiai per giorni e giorni senza mai trovare il coraggio di andare lì, ordinare un caffè americano e cominciare a parlarle. Oh, quant'era bella... con quei suoi capelli biondo fragola e gli occhi da cerbiatto. Non potevo perderla, sapevo che era la donna perfetta per me. Odiavo quando un altro ragazzo le si avvicinava, la corteggiava e le regalava un mazzolino di fiori. Mi apparteneva, seppure lei non lo sapesse ».
« Eri un maniaco » sentenziò Arya: « spero che tu non abbia ucciso nessuno, altrimenti sarò pronta a varcare quella soglia e non tornare mai più ».
« Un gelido pomeriggio d'inverno, mi mossi e andai ad ordinare una cioccolata » Markos la ignorò di proposito: « mi servì lei, con quel suo ingenuo sorriso da bambina. Le caddi ai piedi come mai nessun uomo è caduto per una donna mortale. Io, all'epoca, scusatemi se lo dico, ero davvero un bel ragazzo! Il mio viso non era stato ancora deturpato dalle fiamme dell'Inferno e si presentava elegante, privo di barba e, come lei stessa lo definì, enigmatico. La invitai a fare una passeggiata, accettò e a poco a poco iniziammo a conoscerci di più. Un anno dopo ci sposammo. Martha accettò da subito la mia vera natura... si dice che gli abitanti della Vecchia Salem sappiano molto più di quanto vogliano ammettere. Eravamo soliti tenerci sempre per mano, tutti invidiavano il nostro rapporto. Non era amore, era un qualcosa di diverso... era un sentimento che non ha nome, che va ben oltre le convenzioni di questo pianeta.
La notte in cui nacque nostra figlia, Martha mi abbandonò in una pozza di sangue. Dovetti accudire la piccola per conto mio, poiché entrambi non avevamo parentele. Le diedi un nome simpatico, Dalila ».
Arya ed il signor Hancock si guardarono: dove voleva andare a parare?
« Dalila non ha ereditato i miei poteri, è umana. Raccoglie fiori, si pettina i lunghi capelli biondo fragola ed è solita indossare vestitini colorati e cappelli di paglia. La mia bambina ha sedici anni – tentennò – ed è costretta a vivere in un letto... agonizzare come una miserabile, piangere dal dolore e... a volte neanche mi riconosce! L'ho rovinata ».
« L'hai rovinata? » Ripeté il signor Hancock, sconcertato: « che cosa significa? »
« Dopo la morte di Martha, impazzii completamente. A tratti ero rabbioso, a tratti ridevo e scherzavo come un ragazzino. Durante una delle mie solite crisi, lei si mise in mezzo e cercò di tranquillizzarmi. Io le tirai contro la Maledizione del Nero ».
Arya abbassò lo sguardo.
« Per mesi interi, Dalila visse come sempre in spensieratezza... poi, però, iniziò ad avere le allucinazioni, a perdere i capelli, la sua carnagione divenne pallida. Non riuscì più a muoversi da quel letto. È da un anno che vive in queste condizioni... è da un anno che giro per il mondo in cerca delle lacrime di drago! » Markos prese a singhiozzare e dovette intervenire il signor Hancock affinché egli non si spaccasse il cranio contro la parete della cella: « mi parlarono di un'isola in cui avrei potuto trovarle e, invece, – s'indicò il volto deturpato – non erano draghi... erano creature sputa-fuoco che per poco non mi sbranarono ».
« Dov'è tua figlia? Dov'è Dalila? » Gli chiese Arya in un sussurro.
« Nella nostra casetta a New Orleans, vicino al café delle fate... ci siamo trasferiti lì quando aveva sei o sette anni. Non riuscivo più a vivere a Salem... ogni cosa mi ricordava Martha ».
« Lo immagino » la ragazza s'inginocchiò e gli prese una mano – il primo gesto carino che mostrava nei suoi riguardi: « mi dispiace tantissimo per tua moglie e per tua figlia, e per il modo in cui ti ho giudicato. Ti prometto che ti farò uscire da questa cella, prenderemo le lacrime di drago e cureremo tua figlia».
Markos scoppiò in un pianto senza fine: « grazie... perché se io morirò, chi si occuperà di lei? »
« E come pensi di fare con Rhona? » Le domandò il bibliotecario, scettico: « non si farà mai commuovere da una storia come questa ».
« Non lo so! Tu cosa mi consigli? »
Proprio in quell'istante le guardie sbraitarono un ordine. Rhona era venuta a conoscenza di ciò che avevano fatto e li voleva immediatamente fuori da lì. Il più grosso delle guardie entrò con un sorrisino beffardo e sollevò Arya da terra, senza la benché minima fatica. Al signor Hancock, invece, fu riservato un trattamento meno simpatico: venne afferrato per un braccio e lanciato come un sacco di patate al suolo, nel bel mezzo del corridoio del piano-terra.
« Andatevene immediatamente! » Esclamò la guardia, mentre si accertava che la porta della cella fosse stata chiusa a dovere: « maledetti bugiardi! » Arya aiutò l'anziano a rimettersi in piedi e, abbandonatasi all'impulsività, cacciò fuori un insulto: « e voi siete dei maledetti stronzi! »
Le severe ripercussioni non tardarono ad arrivare. La guardia, quella più grossa s'intende, scoppiò in una fragorosa risata: aveva ottenuto ciò per cui stava sperando. L'agguantò quindi per un braccio e la gettò all'interno di un'altra prigione identica a quella che avevano visto poco prima.
« Fammi uscire di qui! » Arya sbatté i pugni contro la porta: « fammi uscire di qui immediatamente! » Richiamò il Fuoco Aureo, ma risultò inutile. Era a prova di magia.
« Parlerò con Rhona! » Esclamò il signor Hancock mentre lo scortavano via: « ti farò uscire! »
Vane promesse che sfumarono nell'oscurità.
Arya trascorse circa otto ore rinchiusa lì dentro: si accovacciò in un angolo, il mento sulle ginocchia, e aspettò. Ebbe così modo di pensare alla sua vita, ai suoi problemi, riposare per qualche minuto e poi svegliarsi, agitata.
Non si pentì minimamente di ciò che aveva detto alle guardie, eppure una strana morsa le aveva catturato il cuore rendendolo pesante e gelido. Erano tornati i sensi di colpa. Difatti, se solo si fosse fatta furba e avesse chiuso il becco, a quest'ora sarebbe potuta andare in infermeria a ricattare di nuovo quella poveretta. Avrebbe così ottenuto le lacrime di drago e salvato la vita a due persone.
All'improvviso, la porta si aprì cigolando e la figura di Beckah spuntò come un raggio di luna nella notte più buia.
« Arya? » La chiamò.
« Beckah! » Arya fece per abbracciarla: « sei venuta a liberarmi? Che succede? »
La ragazza, vestita interamente di nero e con i capelli sciolti, la prese per le mani: « sì, dobbiamo andare ».
« Prima devi accompagnarmi in infermeria! »
« No! Sei pazza? »
Arya inarcò le sopracciglia: « che cosa? »
« Non possiamo andare da nessuna parte se non in superficie. Rhona ci controlla... ».
« Ma io devo parlarle! »
« No, Arya... credimi, non credo che questo sia il momento più adatto ».
Fu allora che la ragazza si rese conto della situazione: dietro alla figura di Beckah si stagliavano circa sei uomini – vestiti in una tonaca nera con cappuccio, lunga fino alle caviglie, un paio di guanti ed una maschera a forma di becco. Erano alti, simili agli spettri della morte.
Arya arretrò: « Beckah... che cosa sta succedendo? »
Beckah aveva le lacrime agli occhi: « ti prego, vieni con me ».
Scortate quindi da questo inconsueto gruppo di uomini, le due streghe si avviarono verso l'uscita del Rifugio. In silenzio e regolando persino la respirazione (affinché non desse loro fastidio), attraversarono il tunnel di pietra, spinsero la botola e arrivarono sulla collina.
Quella sera, sebbene ci fossero tantissime cose su cui soffermarsi lì in giro, Arya notò immediatamente l'assenza di Rhaego. Che fine aveva potuto fare un drago di quelle dimensioni? Era scappato via? Era volato verso l'orizzonte?
Il sole stava tramontando e quel posto non era mai stato così gremito. L'intera Comunità del Rifugio si era radunata appositamente per quell'evento: Darren, Cassandra, Throker e Zhokron, Cinnamon, Cynthia e Mariah, il signor Hancock, gli stregoni giunti dalla Muraglia del Drago, Jaadir, Haramir... c'erano tutti!
Arya attraversò la cupola, si fece largo tra la folla e si spinse sempre più in là, sino alle prime file.
Era irreale. Era da barbari. Era una scena che non trovava spiegazioni.
Markos era legato ad un palo, completamente nudo. Sotto ai suoi piedi e tutt'intorno, erano stati posti abbondanti fasci di legname.
I raggi del sole, filtrando attraverso lo strato magico della cupola, gli illuminarono il volto emaciato – era stato picchiato ancora: aveva ferite su tutto il corpo, il sangue che gli colava dalla bocca, percorreva le forme del suo petto, trovava rifugio nei peli pubici e poi giaceva a terra, in una pozza scarlatta. Arya cominciò a tremare.
Non poteva essere vero.
« Questa è la punizione degli stolti! » Esclamò Rhona, fiera e radiosa dinanzi a tutti i presenti – nel pugno, una torcia di fuoco: « questa è la punizione che meritano i traditori, gli oppositori e i ladri! Che serva da lezione a tutti! »
Arya azzardò un passo, ma un uomo l'agguantò.
Avevano pensato a tutto.
« Questo Ex-Stregone dell'Impurità ha commesso innumerevoli crimini: ha tentato di rubare le nostre scorte in infermeria, ha spiato le mie conversazioni, ha partecipato illegalmente ad una missione segreta, ha attaccato l'Ex-Custode della Chiave e Guardiana del Fuoco Aureo, ed ora è qui! » Aspettò un applauso, o un ruggito, che però non arrivò mai.
Proseguì, con meno enfasi: « quali sono le tue ultime parole? »
Come una bestia, Markos singhiozzò.
Arya, vedendolo in quelle condizioni, non poté più trattenere il vomito.
« Sei feccia » Rhona avvicinò la torcia al suo petto: « e puzzi più da vivo che da morto, ne sono sicura ».
Markos ululò dal dolore – la bocca era un trionfo di sangue, i denti macchiati e le labbra gonfie.
Il gruppetto che aveva scortato Arya e Beckah turbinò attorno al rogo – torce in mano e improvvisando un macabro coro di: “ladro! Ladro! Ladro!”
« Che tu possa bruciare all'Inferno! »
Le fiamme trovarono dimora nel legname, danzando con estrema eleganza e illuminando la sera.
Fiutarono poi la paura, il terrore della morte, e avanzarono sino ai piedi del condannato. Glieli divorarono, con la sua disperazione in sottofondo.
Volò la cenere. Le carni vennero dilaniate.
Tentò di scappare, i nodi ai polsi glielo impedirono.
Le grida eruppero dalla sua gola, poi si tramutarono in sibili.
Poi, si ammutolirono.
Sopraggiunse la morte.
E di lui non rimase altro che polvere.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 42
*** Capitolo 41: Inferno ***


CAPITOLO 41:


Inferno

 

Nell'infermeria, la luce esplodeva dall'alto, baciando ogni paziente, accompagnando lo strascichio ciabattante delle dottoresse che vagavano da una parte all'altra senza mai trovar pace. Una di loro in particolare, colei che un giorno fu minacciata per delle misere lacrime di drago, esordì con periodi ignoranti, tentando in ogni modo di attirare l'attenzione delle sue colleghe. Odiava il suo lavoro. Odiava quelle persone e quel rifugio. Perché proseguire, allora? Perché condurre una vita che non ti piace? Ammazzati, pensò Arya, falla finita e non scocciare più!
Il cuscino era duro, il materasso scomodo e le coperte le irritavano la pelle. Sentiva caldo ed era zuppa di sudore.
Annoiata, tornò a contemplare il soffitto spoglio.
Non le serviva affatto uno specchio per considerare l'orrida condizione in cui giaceva: i capelli erano sporchi e unti, gli occhi cerchiati di rosso per via delle lacrime che aveva versato nella notte, e le labbra avevano assunto un colorito violaceo, da far invidia a quelle di un fantasma. Poi portava un camice – corto e inutile, ma che era stato tanto apprezzato dal signore che aveva di fronte, allo sbocciare dell'alba, nella seconda fila di lettini a schiera. Dapprima egli aveva avuto la decenza di dissimulare quel suo ignobile comportamento, dopo però aveva mugugnato un qualcosa, scoppiando come il tappo di una bottiglia di champagne e infischiandosene altamente di tutto e tutti.
La giornata passò troppo lentamente.
Arya non volle mangiare o bere nulla. Non ne sentiva neanche più il bisogno.
Ignorò la visita di Beckah, i dolcetti preparati da Cynthia e Mariah e per poco non mandò a quel paese Quinn – i suoi “andrà tutto bene” e “sta' tranquilla” la stavano conducendo dritta dritta al manicomio. Quando le infermiere si accorsero di ciò, ritennero importante spostarla in un'ala privata – dove nessuno l'avrebbe raggiunta.
Nessuno eccetto Cinnamon.
A mezzanotte, arrivò con quel suo solito cespuglio turchese e la bocca cucita. Tra le mani, una sola candela. Arya ne fu grata.
Rimasero in silenzio – sdraiate l'una accanto all'altra – per una buona mezz'ora, poi la donna le infilò le dita tra i capelli e glieli pettinò in una treccia gonfia, laterale.
« Non ce la faccio più, Cinnamon. Sono stanca ».
Il fatto che non potesse ricevere in cambio alcun rimprovero o conforto la incoraggiò a proseguire: « sono stufa di sentirmi dire le stesse cose. Nulla andrà per il verso giusto... sono tre anni che va tutto a rotoli! La mia vita fa schifo ».
Cinnamon le conservò una mano tra le sue.
« Un giorno mi sento invincibile e, nel corso degli altri, invece, sono vittima della disperazione » tentennò: « credi che io stia impazzendo, non è vero? Oh, Cinnamon... solo tu mi capisci! Dove pensi che abbiano portato la Spada? Ah, giusto! Sarà sicuramente nelle grinfie di Rhona! Quella tettona di merda! L'hai vista ieri quant'era tronfia? Per caso credeva di star ammazzando un maiale? La odio! La odio! »
La strega aprì la bocca e fece per sillabare un pensiero. Quando sperimentò il mutismo, appassì nuovamente.
« Mi chiedo in che stato si trovi Dalila » Arya sollevò le gambe dalle lenzuola e prese a giocherellare con gli alluci: « povera ragazza! Abbandonata a se stessa in un mondo che non fa altro che tentare di buttarti giù! Credi che io diventerò mai vecchia? O morirò prima? Potrei occuparmene io, in caso! »
L'opzione, nel corso della giornata, le aveva solleticato la mente più volte, tramutandosi da sola in un qualcosa di stranamente reale e possibile.
Avrebbe raggiunto New Orleans con l'aiuto di Rhaego, avrebbe curato Dalila con le sue lacrime ed infine si sarebbero trasferite ai margini di un bosco – tanto per non essere disturbate da alcun individuo, vivo o morto.
Il cuore di Arya ebbe un sobbalzo: forse era il presentimento di un qualcosa di positivo!
Forse, in questo modo, avrebbero potuto trovare entrambe la felicità. La pace.
Si mordicchiò un labbro e percepì un brivido invaderle le carni. Sì, era proprio ciò di cui necessitava! La svolta di una vita!
Cinnamon inclinò il volto con scarso buonumore.
« Che c'è? » Le chiese lei: « trovi che sia da ragazzini? »
Silenzio.
« Io non sto utilizzando Dalila per ottenere la mia sola felicità. Credo che entrambe abbiamo bisogno di un qualcosa di nuovo ».
Arya avrebbe tanto voluto capire che cosa stesse pensando Cinnamon, ma un rumore vicino attirò la loro attenzione e l'entrata di Nathaniel le allontanò completamente dal discorso.
« Ho sentito che sei venuta in groppa ad un drago » dichiarò, la voce roca.
« Le voci non mentono ».
« E ora dov'è? »
« Non lo so, perché ti interessa? »
Il giovane spettro fece una smorfia, i capelli avevano ormai perso ogni antica sfumatura dorata: « sarebbe stato bello vedere un drago prima di morire ». Arya esitò. Nonostante fossero accadute centinaia di cose in quegli ultimi giorni, non aveva mai smesso di concedere un pensiero, seppur piccolo, a quegli occhi d'ambra, a quelle labbra irte di passione e peccato.
Era ancora seduta sul letto quando l'altra strega intuì che fosse giunto il momento di ritirarsi, quindi si alzò in piedi e finse uno sbadiglio.
« Cinnamon? » La chiamò Arya per l'ultima volta: « vieni qui. Abbracciami ».
Cinnamon tornò indietro, flettendo un poco le ginocchia. La sua pelle odorava di cannella e miele, un profumo che Arya si pentì di non aver conosciuto prima. « Grazie ».
Dunque, restarono soli – lei e lo spettro, in penombra, illuminati da una misera candela morente.
Egli era privo di forze e faceva fatica a respirare. I tratti del suo volto erano stati sfigurati dalla carezza della morte; ora aveva le guance infossate e le labbra viola.
Arya continuò ad osservarlo: non aveva la maglietta e nemmeno le scarpe, indossava un paio di calzoni neri che gli stringevano le cosce rendendole due stecchini.
« Hai più sentito Darren? »
« No » tagliò corto lei: « non me ne importa nulla ».
« Meglio così ».
« Quanto tempo ti resta, Nathaniel? »
« A dire il vero, secondo le previsioni dei dottori, sarei già dovuto crepare ».
Arya inarcò le sopracciglia, celando il terrore che aveva di perderlo. Invano.
Nathaniel, infatti, se ne accorse e sorrise in maniera beffarda.
« Cosa ti ha mantenuto in vita fino ad ora? » Gli chiese, prevedendo già la risposta.
« Tu » ammise lui con roco bisbiglio: « vederti tornare ».
Quelle parole, Arya non le dimenticò mai. Anche se avesse voluto, non le avrebbe mai potute rimuovere dalla mente: suonarono come una melodia, scaldandole il cuore tormentato e lasciandola andare ai sogni – sogni che, era cosciente, non si sarebbero mai potuti realizzare.
Dalla festa di Quinn Lloyd, dalla notte in cui si erano visti per la prima volta, erano trascorsi millenni.
Ora, era cambiato tutto e nulla importava.
Arya gli si avvicinò, scostando le lenzuola.
« Che vuoi? »
« Sta' zitto una buona volta ».
Gli sollevò una mano, accompagnandola sino alle sue labbra, baciandogli i polpastrelli.
Il respiro di Nathaniel si fece pesante ed irregolare.
« Sdraiati ».
Il timore e l'imbarazzo scivolarono via dal corpo della ragazza, come anche il camice bianco che portava indosso.
Nathaniel deglutì, socchiudendo le palpebre.
« Non ti piaccio? »
« Dai, vieni qua ».
Arya salì nuovamente sul letto, mettendosi cavalcioni su di lui.
Azzardò dei movimenti del bacino, dapprima cauti, poi sempre più esperti e decisi.
Nathaniel la conquistò per i fianchi, correndo giù sino ai glutei – sfiorandola lì dove nessuno era mai potuto arrivare.
Arya rimase senza fiato, il cuore che le martellava in petto.
La pelle d'oca si affacciò sulle sue braccia e sulle sue cosce. Avvertì la paura invaderle il corpo rovente, proprio come in passato. No. Stavolta, lo voleva con tutta sé stessa. Stavolta ne era sicura.
Si rimise in piedi e lasciò che Nathaniel si liberasse dei calzoni. Quindi si concesse alcuni istanti per esplorare ciò che non aveva mai osservato prima, poi inspirò profondamente e l'accolse tra le labbra, sulla lingua.
Egli gemette.
Era tutto così nuovo e così appagante che la ragazza avrebbe voluto continuare in eterno.
Tornò su di lui.
Le mani dello spettro, un tantino più calde rispetto agli altri giorni, le risultarono pratiche e risolute. I seni si adattavano perfettamente ai suoi palmi, i pollici impegnati a solleticarle i capezzoli – stringendoli di poco, deboli.
Arya, invece, si aggrappò ai suoi pettorali con molta meno premura e gli artigli sguainati – i capelli che le frusciavano avanti e indietro.
Il desiderio aumentava di minuto in minuto e la passione le incendiava le vene.
Lo baciò con prepotenza e, allora, avvertì la sua virilità premere ed entrare con fatica dentro di lei. Al principio, cercò di divincolarsi, fece una smorfia e arricciò il naso. Era una sensazione ignota, condita da versi, dolore e sussulti di piacere.
Sotto di lei, Nathaniel ansimò.
« Mi ami? »
« Sta' zitto ».
Si addormentarono l'uno nelle braccia dell'altra qualche ora più tardi. La candela ormai aveva estinto la sua fiamma, abbandonandoli al buio pesto, ai baci e alle carezze. Arya lo strinse a sé proprio come una bambina farebbe con il suo orsacchiotto di pezza preferito, solleticandogli le labbra con la punta del naso – vano sforzo di trattenerlo alla culla di Morfeo.
Pertanto, poggiò la schiena alla testata del letto – pregando affinché non si risvegliasse con un dolore lancinante all'altezza dei reni – ed intonò una ninnananna, una di quelle che le venivano sussurrate nelle orecchie da piccolina e che aveva sempre creduto che un giorno avrebbe cantato ai suoi figli. Sorrise. Quel tempo non sarebbe mai arrivato.
Morfeo era in procinto di acchiappare anche lei, quando un qualcosa la distrasse.
Un rumore. Un suono flebile.
Tutto sembrava più freddo.
Con la coda dell'occhio, Arya colse un movimento sulla parete.
Non era una creatura del Rifugio, tanto meno un insetto.
Era un'ombra viscida, più nera dell'oscurità stessa.
« Nathaniel? » Chiamò la ragazza: « Nathaniel, svegliati. Penso stia accadendo qualcosa ».
Ma Nathaniel non si mosse.
« Idiota, svegliati! »
Furono inutili anche le percosse successive.
Imprecò piano, la gola stretta dal terrore.
« Lux! » Ed immediatamente una pallina di luce bianca svelò la triste scena: « no... ti prego, no ».
Nathaniel aveva ancora la bocca semi-aperta, l'espressione addormentata ed i capelli in disordine.
Con le dita che tremavano, Arya gli toccò un braccio e poi un polso.
Strizzò gli occhi, la sua faccia era ormai un trionfo di sudore e lacrime.
« Nathaniel... ».
Lo baciò cento, mille volte, raccogliendo le forze per un unico grido straziante che terminò col suo nome. Il soffitto dell'ala privata le restituì l'eco, aggiungendo però un qualcosa di nuovo – altre parole, altre voci.
Scattò in piedi. Il cadavere, per poco, non cadde insieme al cuscino e alle lenzuola.
« Scusami! Non volevo! » Lo rimise a posto, avvolgendolo fino al capo. « Scusami ».
Con le grida di Cinnamon in sottofondo, recuperò dal pavimento i calzoni di Nathaniel – erano strettissimi persino per lei.
Le servivano altri vestiti, ma non vi badò.
Dalle pareti colava una sostanza liquida, nera e simile all'inchiostro.
Arya la ignorò – anziché toccarla o perlomeno capire di cosa si trattasse, preferì accostarsi ancora a quel letto. Non avrebbe mai voluto vederlo morire tra le proprie braccia. In realtà, non avrebbe mai voluto vederlo morto.
Un altro grido e fu costretta ad abbandonare l'ala privata dell'infermeria.
« Addio, Nathaniel ».
Quando tornò lì, nella sala di pietra, Cinnamon era a terra – il viso cereo, gonfio e gli occhi spalancati.
« Cinnamon! » Fece per raggiungerla, ma per pura distrazione finì con un piede in una delle tante pozzanghere. Urlò dal dolore. Era lava nera.
Scavalcò quella seconda salma e corse lontano, prima che tutta l'infermeria si infradiciasse.
Il Rifugio era un caos.
Tutti gridavano, cercando la salvezza.
La questione era molto più complicata di quanto Arya avesse immaginato: il lucernario era ceduto alla pressione di quella sostanza, permettendone l'accesso e la rovina totale del pino e delle sue radici dorate.
Gli stregoni del piano terra e Melchiorre, pensò Arya, erano morti sicuramente.
Si sporse infatti dalla balconata: era un mare d'ombra quello che si stagliava sotto di lei.
Come avevano fatto ad attaccarli? Come erano riusciti ad oltrepassare la Barriera di Rhona?
La ragazza fissò ancora l'oscurità. Erano stati i Cacciatori, ovvio! Spogliati dei loro Braccialetti, erano immuni alla magia!
Corse quindi verso il tunnel di pietra. Questa volta, li avrebbe trovati e massacrati uno per uno.
« Fatemi passare! » Ordinò Arya alla folla che si stagliava dinanzi al portone: « fatemi passare! »
Una strega con i capelli viola l'afferrò per un braccio, ed un uomo la spintonò.
Nessuno prestava la dovuta cura alle norme di sicurezza. Il panico regnava sovrano.
« Fatemi passare, ho detto! » Il Fuoco Aureo scoppiò contro un fregio decorativo e gli stregoni si accasciarono al suolo, ancora più terrorizzati di prima. Arya approfittò di quell'irripetibile occasione e si fece largo all'interno del tunnel – buio, freddo e pieno di gente che saltellava su un piede all'altro per evitare di scottarsi.
Quando fu di nuovo all'aperto, con i pantaloni mezzi bruciati e le gambe insanguinate, la ragazza si mise subito in cerca di quei criminali. Sulla collina, i primi stregoni che erano riusciti a scampare al disastro la indicarono: « signorina Mason, cos'è successo? »
« Mio figlio è ancora lì sotto! »
« Ci aiuti! Non riusciamo a trovare nostro padre! »
« Silenzio! » Tuonò lei: « lasciatemi in pace! »
Si aprì un varco in mezzo a tutta quella calca e li individuò.
I Cacciatori stavano correndo verso il confine della Barriera, vestiti con giacche di jeans e scarponi da neve. Sulla loro strada, avevano abbandonato bottiglie di vetro, guanti e formule magiche appartenenti alla mano e alla calligrafia di una donna.
Arya sorrise: « dove credete di andare, adesso? »
Richiamò una frusta di fuoco e acchiappò il collo del primo – era un signore con i baffi bianchi, la carnagione rosea e che, da abbrustolito, emanava un buonissimo odore di salsicce.
Passò quindi al secondo – il quale, armato di rivoltella, prese a spararle uno, due, tre colpi.
Arya li evitò tutti, correndogli incontro a zig-zag. Quando lo raggiunse, non sembrava avere più alcuna munizione.
« Avete lasciato di fuori i Braccialetti, non è vero? »
Il tipo le fissò i seni nudi: « che puttanella ».
Arya gli assestò un pugno in bocca: « come preferisci morire, bastardo? »
« Soffocato dai peli della tua figa ».
Il sangue schizzò da tutte le parti quando egli lasciò questo pianeta.
La ragazza gli strappò via la mascella – cinque dita sulla parte inferiore della bocca e altre cinque sul palato e gli incisivi. Non restò altro che poltiglia.
Gli ultimi tre Cacciatori attraversarono la Barriera; uno di loro, però, prima ancora che riuscisse a recuperare il suo Braccialetto, finì tra le fauci di un lupo mannaro. Daoming e i suoi figli non sarebbero potuti arrivare in momento migliore.
« Vi prego! » Implorò il secondo, la carnagione scura e le lacrime agli occhi: « io non volevo... ».
Rex non ebbe alcuna pietà, squarciandogli la gola. Quando ebbe finito, aveva le zanne e la peluria attorno al muso completamente insanguinati.
« Grazie dell'aiuto » Arya attraversò il confine e salutò il branco – Daoming era quello più grosso, nero come Rex. « Ma voglio occuparmi io di questo qui ».
L'ultimo era un uomo di circa trent'anni, affascinante e dal fisico atletico. Aveva i capelli neri, gli occhi scuri incorniciati da un paio di sopracciglia troppo folte, naso aquilino e labbra sottili. Nonostante indossasse la tenuta da Cacciatore in borghese, come venne definita più tardi dagli abitanti del Rifugio, appariva assai fuori posto.
« Che piacere vederla, signor Bradshaw. Come sta? » Lo canzonò Arya.
« Che vuoi farmi? » Esclamò il docente di letteratura inglese: « parla! »
« Ciò che voi avete fatto a noi. Non immagini neanche quante persone moriranno stanotte ».
« È mio dovere annientare il morbo che infetta questa città ».
« Qui l'unico morbo sei tu » Arya incrociò le braccia dinanzi al petto: « ci sono altri Cacciatori dell'Antico Circolo? »
Il signor Bradshaw scosse il capo.
« E dove avete lasciato i Braccialetti? »
« Lì, sotto ad uno di quegli alberi ».
Arya si voltò in direzione dei lupi: « andate a controllare! »
Pochi istanti più tardi, Gangesh le consegnò quei magici strumenti.
Erano identici a quelli che portavano anche Logan e Oliver.
Arya li affondò in una tasca dei pantaloni: « che razza di sostanza avete usato? Che roba era? »
Il signor Bradshaw, percependo il fiato di Gangesh sul collo, esitò: « è sangue di demone... l'abbiamo cosparso al suolo e abbiamo aspettato che si assorbisse, per poi recitare un incantesimo fornitoci da lady Castigo ».
« Avete utilizzato sangue di demone per attaccarci? » Ripeté Arya, divertita: « siete proprio nella merda, eh! »
L'uomo non rispose... o forse lo fece, ed il ringhio crescente del branco lo coprì del tutto.
Nel frattempo, nel cielo limpido della notte, Rhaego prese a sputare fiamme.
Arya alzò il capo: « oh, guarda chi si rivede! »
« Un drago? » Chiese il Cacciatore, sbalordito.
« Esatto! È un mio bis-bis-bis nonno, credo. Ti potrei dare in pasto a lui, ma purtroppo non mangia escrementi ».
Quindi si avvicinò alla sua figura, inginocchiata su un mazzo di foglie secche, gli prese la testa tra le mani e gli spezzò l'osso del collo.
« Riposa all'Inferno, professore ».

 

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Capitolo 43
*** Capitolo 42: L'assassina ***


CAPITOLO 42:

 

L'assassina

 

« Bisogna riconoscere che è stata una gran tattica » dichiarò Oliver, mentre si accingevano a raggiungere lo studio di Rhona. « Se fossero entrati nella Cupola indossando quei Braccialetti... oh, non oso immaginare cosa gli sarebbe potuto accadere! »
« Ma quando ci hanno portati qui per la prima volta » iniziò Arya, una bottiglia di vino tra le mani: « tu e Logan cosa avete provato? La magia difensiva ha attaccato anche voi, o sbaglio? »

« Eccome se ci ha attaccati! I nostri corpi stavano letteralmente bruciando! »
« E poi cos'è successo? »
« Non li abbiamo più messi finché Rhona non ci ha fornito una sorta di autorizzazione » disse Oliver, ad un tratto curioso: « quel drago, invece? Come fa ad entrare e uscire dalla Cupola senza il benché minimo disagio? »
« Rhaego non è un demone » lo interruppe Arya, felice di aver montato l'ultimo gradino della scala a chiocciola: « è una creatura antica, dall'eccelso valore e potere. Non mi stupisce il fatto che gli incantesimi delle streghe non abbiano effetto su di lui ».
Nessuna voce meccanica annunciò il loro arrivo. Macchie di sangue inquinavano ancora il marmo, i fregi e le colonne. Dello sfarzo e dell'oro non era rimasto altro che il ricordo.
Il Rifugio tornò operativo qualche ora più tardi, il tempo necessario affinché la sostanza si assorbisse. I primi ad accedervi furono le guardie di Rhona, che recuperarono tutti i cadaveri e li spostarono altrove. Arya non volle sapere dove misero Cinnamon e Nathaniel, e proibì a chiunque di rivelarle in che modo si sarebbero sbarazzati dei loro resti.
Gli effetti personali – tra cui i grimori, gli abiti di tutti i giorni e i gioielli – andarono perduti. Le uniche cose che la Congrega riuscì a recuperare furono i frammenti della Sfera e le divise da combattimento. Arya si sfiorò il petto con un indice – percependo l'assenza del medaglione, trattenne le lacrime. L'ultimo ricordo di suo padre era ormai cenere.
« Perché prima sei voluta passare in mensa? » Le domandò Oliver, destandola dai propri pensieri.
« Sono affari miei » rispose lei, secca: « è bene che tu ne rimanga fuori ».
Sfilarono accanto alla balconata; non vi era più alcun pino che calasse dall'alto – le sue radici erano state avvelenate, il lucernario distrutto. La sua assenza richiamava il vuoto di una torre spoglia, inutile.
« Avanti » la voce di Rhona sgusciò dallo studio ancor prima che bussassero: « venite ».
Oliver fece per entrare, ma Arya lo arrestò bruscamente, afferrandolo per un polso: « rimani qui ».
« Perché? » Protestò lui, la fronte corrugata.
« Perché te lo dico io ».
Quando si fece avanti, la ragazza non notò nulla: era la solita stanza, con il solito parquet scuro, l'armadio verde, il letto a baldacchino e l'arazzo inquietante.
In fondo, dietro ad un tavolo, sedeva una vecchina – fragile, calva, gli occhi incastonati tra le rughe del volto ed uno scialle di seta viola sulle spalle.
Rimasero in silenzio.
Dal loro primo incontro erano trascorsi pochi mesi, ma ad entrambe pareva un'eternità.
Avevano cominciato col piede giusto, nutrendo un forte sentimento di ammirazione reciproca – erano sopravvissute a qualsiasi battaglia, superando ostacoli e difficoltà, dimostrando al mondo di essere invincibili –, poi qualcosa era cambiato: i passi falsi dell'una infastidirono l'altra, e in men che non si dica si ritrovarono sul filo del rasoio.
Arya sostenne lo sguardo di Rhona, trovandolo molto meno letale di quanto fosse mai stato.
Le sue ametiste, difatti, si erano opacizzate, il suo corpo indebolito – il seno le sfuggiva sotto alla veste, le dita le tremavano. In un angolo dello studio riposavano anche i suoi capelli, ridotti ormai ad una caterva di fili bianchi e degrado.
Arya si aprì in un sorriso.
« Non avresti potuto trovare momento migliore » esordì la vecchina, la voce roca.
« Stavo pensando alla stessa cosa » rispose lei: « com'è accaduto? »
« Oh, Hazelle non era l'unica ad aver appreso qualche trucchetto ».
« E il tuo qual è? »
Rhona allungò il mento verso l'uscita: « i pini sono sempre stati i miei alberi preferiti. È lì che nascosi il mio cuore ».
« Allora non sbagliavo quando ti criticavo, dicendo che ne eri sprovvista! »
« Affatto » la donna proseguì: « aspetterai che il mio corpo cada in pezzi o... ».
« In realtà, volevo deliziarti con del buon vino » Arya agitò la bottiglia che aveva in mano: « l'ho appena preso in mensa, ma ho aggiunto un ingrediente che lo renderà ancora più gradevole ».
« Ovvero? »
La ragazza si avvicinò alla scrivania: « hai un calice? »
« Mi deludi, signorina Mason » Rhona recuperò dal cassetto un bicchiere di vetro, lungo come quelli che si usano per lo champagne: « ti ha dato fastidio il modo in cui ho trattato il tuo amico? Markos? »
« Diciamo che ho capito chi sei realmente ».
« Dillo ».
« Una stronza opportunista che avrebbe preso il comando di Rozendhel, andando contro agli accordi che sono stati stipulati secoli e secoli fa con gli Umani e gli Elfi » Arya stappò la bottiglia e riempì il bicchiere di Rhona – era un vino così scuro, denso che pareva inchiostro: « hai annullato lo Scisma e prima o poi avresti sciolto tutte le Congreghe. Saresti diventata il capo della Comunità Magica. Sei un despota, fai ciò che ritieni più giusto nonostante tutti ti dicano che è sbagliato ».
« È vero! » Esclamò Rhona tra un sorso e l'altro: « volevo il comando di tutta la città, annientare i demoni e... perché no? Anche gli umani ».
« Lo so » Arya la fulminò con uno sguardo: « so tutto dei bombardamenti ».
« Oh, e come? »
« Non sono stati i demoni a far saltare in aria casa mia, vero? Sei sempre stata tu. Hai lanciato bombe di fuoco sulla povera gente, senza alcuno scrupolo ».
« In guerra, o si vince o si muore » Rhona abbassò lo sguardo: « come ne sei venuta a conoscenza? »
« Haramir » rivelò Arya, fredda: « era parecchio scosso dopo l'attacco dei Cacciatori, continuava a blaterare cose come: “si sono vendicati! Ci sta bene!” Anche lui è un debole, sai? »
« Non sei un vero leader se non riesci a confrontare la morte, i cadaveri e tutto ciò che scaturisce la guerra ».
« Già ».
« Anche tu, però, hai una fetta di colpa » Rhona fece una smorfia, annullando la presa che aveva sul calice e facendolo schiantare sul pavimento: « le regole del Rifugio non ammettono l'uso della magia in un caso come quello di ieri. Tu hai richiamato il Fuoco Aureo e, da quel momento, tutti si sono sentiti autorizzati a lanciare incantesimi a destra e a manca, colpendo i loro compagni, uccidendoli ».
« Dovevo salire in superficie ».
« Tutti dovevano » Rhona sorrise: « non siamo poi così diverse, vero? »
Arya scelse di non replicare. Non c'era più alcun bisogno di assecondarla, di sentire ancora le sue stupidaggini. Mantenne quindi il silenzio ed aspettò. L'ingrediente che aveva aggiunto non era altro che sangue di demone – recuperato dal campo di battaglia, da una di quelle bottiglie utilizzate dai Cacciatori.
Rhona, al contrario, non sembrava aver finito e, indicando l'arazzo sulla parete, cominciò di nuovo: « è stato un artista a regalarmi quel coso, dopo avergli raccontato la mia storia. Quella che vedi sono io. Molti anni fa ho dato vita ad una creatura, lo sapevi? »
« Non mi interessa ».
« Gli Umani hanno attaccato il mio Villaggio Eterno ed ogni cosa è stata divorata dalle fiamme » Rhona tremò: « dopo aver vagato per i boschi, uno stregone mi accolse in casa sua... nella notte, uccise mia figlia e mi tenne in ostaggio per mesi, stuprando i resti del mio corpo e facendomi morire di fame ».
« Sta' zitta! »
« Era solo per farti capire che... ».
Una scintilla di Fuoco Aureo volò dalla mano di Arya e, con prepotenza, attraversò il petto della vecchina.
Rhona ruzzolò a terra.
Esanime.

 

 

 

 

 

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Capitolo 44
*** Capitolo 43: L'Esercito del Fuoco Aureo ***


CAPITOLO 43:
 

L'Esercito del Fuoco Aureo

 

Arya trascinò il cadavere sino all'armadio, infilandocelo dentro con molta meno cura di quanto avesse pianificato. Al primo tentativo, infatti, non appena si fu allontanata di qualche passo, l'anta si aprì e Rhona precipitò nuovamente a terra – l'espressione vacua e le labbra viola.
Imprecò e ripeté l'azione, accorgendosi di averle fratturato un polso.
Chiamò quindi Oliver, ancora sul pianerottolo, e gli ordinò di tornare al più presto con i restanti membri della Congrega. Egli annuì, ignaro di ciò che era appena accaduto, e si precipitò fuori, oltre il tunnel e la botola.
Arya, al contrario, si mise in cerca della Spada di Meera – trovandola immediatamente sotto al letto, tra la polvere e lo sporco. Donò una rapida occhiata all'elsa e sfiorò la lama con un indice: nessun graffio, nessun cenno di usura. Ne fu talmente grata che si concesse un sorriso, poi la ripose all'interno della guaina – incastrandola nella sua cinta di cuoio – e ticchettò un'unghia sull'ottone – accorgendosi così della rientranza causata dall'assenza della Sfera.
Inspirò profondamente. Il momento era giunto.
Presto o tardi avrebbe affrontato un'orda di demoni, combattuto contro Morgante e richiamato la creatura più longeva e nefasta dell'Universo.
Quando tirò indietro la sedia, la mano le tremò.
Dietro alla scrivania, tutto appariva più reale.
Ora, era il leader. Nulla le avrebbe dovuto incutere terrore.
Toc-toc.
« Entrate » comandò, seria: « forza ».
Il primo a farsi avanti fu Oliver, seguito da Logan – con una benda su un occhio – e Darren, l'aria di chi è appena stato condannato a morte. Beckah e Quinn attraversarono l'uscio con attenzione, come se temessero una nuova ondata di inchiostro calarsi dall'alto, mentre Daoming e Cassandra sfilarono sino alla scrivania, impavidi.
« Che ci fai seduta lì? » Le domandò proprio quest'ultima, in cagnesco: « dov'è Rhona? »
« Rhona è morta » Arya percepì lo sgomento diffondersi tutt'intorno. Proseguì: « aveva molti più anni di quanti credessimo. Appassito il pino, è appassita anche la sua vita ».
Oliver elargì un'occhiata all'armadio e lei per poco non lo fulminò.
« Sei piuttosto sospetta, mia cara » continuò Cassandra, le braccia incrociate dinanzi al petto: « ti sei auto-eletta capo del Rifugio, adesso? »
« Già » esordì Darren, la voce roca: « non mi sorprenderebbe scoprire che sei stata tu a toglierla di mezzo ».
« Anche se fosse, avrei avuto dei validi motivi. No? »
Una quiete carica di tensione calò nella stanza. Arya li fissò senza neanche battere ciglio.
« Perché ci hai fatti chiamare qui? » Tagliò corto Daoming: « vuoi attaccare Rozendhel? »
« Esatto » annuì lei: « stasera stessa ».
« E ce li abbiamo gli uomini? » Fece Quinn: « quanti ne abbiamo persi con l'attacco dei Cacciatori? »
« Molti ».
« Non hai neanche un dato certo? » L'accusò Cassandra: « bah! Come ti pare! »
Arya non la degnò di alcuna risposta – se era un pretesto per litigare quello che andava cercando, non sarebbe stata accontentata. Il loro esercito, infatti, appariva già come un muro decorato da crepe; l'aggiunta di ulteriori problemi non ne avrebbe causato altro che lo sfascio totale. Se solo il nemico se ne fosse accorto e approfittato, non avrebbero neanche avuto il tempo di sillabare un incantesimo che si sarebbero ritrovati in una cava di pietra, neri di mosche e il putrido odore della morte a consumarli.
La tensione crebbe tanto da poter essere tagliata con un pugnale, perciò Oliver scelse di intervenire, elencando i nomi di tutti i guerrieri che li avrebbero seguiti in battaglia: « possiamo contare sulla famiglia di Daoming, su Rhaego e sugli stregoni dell'Impurità e della Natura che accorreranno qui non appena li manderai a chiamare. Su Cynthia, Mariah, Throker, Zhokron e tutti noi! Se mi darete un'arma... »
« Se ci darete un'arma » lo corresse Logan.
« Giusto... » Oliver gli carezzò una mano: « se ci darete un'arma, combatteremo anche noi due ».
« Ne abbiamo affrontate tante insieme » sussurrò Beckah, le lacrime agli occhi: « riusciremo a cavarcela anche questa volta ».
Arya sentì una fitta al petto, come se il suo cuore fosse appena stato attraversato da una lama di ghiaccio. Si strofinò il gomito sinistro e li ringraziò, mettendo però in chiaro una cosa: sarebbe stata lei ad uccidere Morgante. Gli avrebbe dato la caccia per tutta Rozendhel e poi, trovandolo, lo avrebbe ridotto in poltiglia. Oh, quanto avrebbe goduto nel farlo piovere dal cielo – nella stessa maniera ordinata da lui qualche settimana prima – sulle teste dei suoi seguaci!
Quinn fu la prima ad acconsentire, annuendo energicamente: « ci sto! Ma dovete lasciarmi Castigo ».
« Perché? » Darren inarcò la fronte: « qual è il tuo interesse? »
« Farla soffrire come lei ha fatto soffrire la mia famiglia » la ragazza continuò, la chioma crespa e pallida: « è l'alleata principale di Morgante, o sbaglio? Le ultime notizie provenienti da Rozendhel affermano che si sono impadroniti della mia vecchia casa, rendendola la loro roccaforte. Insieme, hanno sicuramente ucciso i miei genitori ».
« Gliele hai fornite tu queste informazioni, non è vero? » Arya gelò Daoming con un solo sguardo e, per la prima volta, egli si mostrò in difficoltà.
« Non credevo fosse il caso di riferirle a te » mormorò lui, calmo.
« E perché mai? »
« Perché Rhona mi ha parlato delle tue condizioni, di quanto questa guerra ti abbia logorato ».
« Si dà il caso che io ora sia il capo del Rifugio! » Arya cominciò ad alterarsi: « ma anche prima che morisse Rhona, io avevo un ruolo importante in questa faccenda. Avresti dovuto riferirlo a me, non a lei! »
Un'ennesima crepa sulla parete.
Daoming non rispose ed ella trasse un lungo, lento sospiro.
« Quinn » concluse, stanca: « avrai la tua vendetta... ma, ti prego, non farti ammazzare ».
« Tranquilla! Te lo prometto ».
Nella stanza cominciò a far caldo. L'aria era pesante ed irrespirabile, ma nessuno a parte lei pareva coglierne il disagio. Si passò una mano tra i capelli e chinò il volto – sapeva bene che Cassandra avrebbe infilato ogni suo gesto al di sotto di una lente di ingrandimento, perciò si diede un pugnetto sulla gamba e s'impose il controllo.
« Cosa ne è stato dei Frammenti? » Domandò Darren all'improvviso: « ora dove si trovano? »
« Non devi preoccupartene » dichiarò Arya, la fronte imperlata di sudore: « Morgante ne ha uno solo, noi ne abbiamo sei. Li ho recuperati dai pantaloni di Nathaniel ».
« Perfetto! » Esclamò Quinn, eccitata: « siamo in vantaggio! »
« Ma quale vantaggio? » La rimbeccò Cassandra: « quei Frammenti devono finire nelle mani di Morgante se vogliamo vincere questa Guerra. Non ricordate le parole di Zehelena? Arya deve lasciare che richiamino Incubo e annientarlo una volta per tutte ».
Daoming aggrottò le sopracciglia, confuso, ed allora un'espressione ignota si affacciò sui suoi lineamenti da guerriero. Apparteneva forse alla paura quello spettro che gli carezzava le pupille?
Arya lo ignorò.
« Te la senti, quindi? » Le domandò Darren, riportandola indietro dal suo mondo di pensieri e preoccupazioni.
« Cosa? »
« Te la senti di affrontare una roba del genere? »
« Ovvio! » Esclamò lei, seria: « il volere dell'Universo non si discute. Si accetta e basta ».
« Hai preso coscienza del tuo destino, dunque! Lo apprezzo! » Un sorriso sghembo si dipinse sul volto di Cassandra: « che piani hai? Voglio sapere ogni minimo dettaglio ».
In effetti, Arya non aveva mai escogitato nulla per riprendersi Rozendhel. Aveva sempre creduto che sarebbe giunta lì, ai confini, combattuto alla bell'e meglio e sperato che tutto si risolvesse a suon di cazzotti e incantesimi. Come intuì in quel momento, però, la guerra necessitava di schemi e regole; senza di esse, ogni soldato avrebbe agito di propria iniziativa, originando il caos ed assecondando il nemico.
Rimase in silenzio per una manciata di minuti – cosa che le fu concessa senza troppi problemi, visto che nessuno mai si sarebbe aspettato delle parole del genere venir fuori dalla bocca di Cassandra. Lo sconcerto era più che legittimo.
« Be', » disse con scarsa convinzione: « non credo ci sarà bisogno di attaccare Rozendhel da nord, sud, est ed ovest. Ci divideremo in tre fronti: i più numerosi attaccheranno dalle colline, altri entreranno dalle fogne ».
« Le fogne? » Ripeté Beckah.
« C'è una fitta rete sotterranea che collega Rozendhel ai boschi. Me lo puoi confermare, Daoming? »
Egli annuì: « non credo che i demoni ne siano a conoscenza. Altrimenti avrebbero potuto attaccarci con più facilità ».
« Oppure non l'hanno fatto perché credono che siano incantate » rifletté Cassandra: « dobbiamo prestare molta attenzione ».
« Giusto, ma potremmo comunque coglierli di sorpresa » Arya proseguì: « saranno attaccati da terra, dal basso e dall'alto. Non sapranno cosa fare ».
« Hai intenzione di valicare il confine in groppa a Rhaego? » Le domandò Oliver.
« Esattamente ».
« Forte! » Esclamò Quinn: « mi piace da matti! »
« Dunque » Arya riprese: « i lupi apriranno la strada, seguiti dagli stregoni e Cassandra; a voi due, Oliver e Logan, verrà consegnata una qualche arma da fuoco... vedremo cosa si può fare. Sarete accompagnati da Beckah, Throker e Zhokron. Invece, Quinn, tu verrai con me e Rhaego. Intesi? »
La squadra annuì energicamente.
« Non un singolo capello dovrà esser torto ai cittadini, okay? »
Di nuovo, fecero tutti di sì.
« Bene... allora, tra poco, lo riferirò anche agli altri stregoni ».
« In una seconda assemblea? » Le domandò Logan, curioso.
« No, non ne ho il tempo » tagliò corto Arya: « mi servirò dell'incantesimo “sonoro” ».
A quel punto, tutti si mostrarono ottimisti – persino Cassandra che, girando i tacchi, sorrise compiaciuta.
« Signorina Mason? » La chiamò Daoming per l'ultima volta: « posso darle un consiglio? »
« Dimmi pure » lo invitò lei, sorpresa e con la fronte inarcata.
« Prima di lasciare il Rifugio, si copra bene. I demoni amano il freddo... potrebbe ritrovarsi in un Agosto di neve, lo sa? »
« Grazie. Lo terrò a mente ».
L'intero giorno venne dedicato alla preparazione dei guerrieri.
Quando la voce altisonante di Arya si propagò per tutto il Rifugio, gli stregoni l'accolsero con un fragoroso applauso e cori di guerra. Non avevano aspettato altro per settimane: liberare Rozendhel e tornarsene a casa.
Arya lucidò la Spada, tentò un fendente di prova – si reputava goffa con la sinistra, nonostante l'acciaio sembrasse volare per volontà propria – e contò almeno un centinaio di volte i Frammenti che aveva recuperato dalle tasche di Nathaniel. Ne mancava solo uno all'appello, il più importante.
Verso le quattro del pomeriggio, incontrò Cynthia, Mariah e Bartek che le consegnarono rispettivamente una nuova cappa di pelo nero ed una dozzina di piume.
« Sei parecchio stressato ultimamente, eh? »
Il maggiordomo annuì: « vinci questa guerra e torniamocene a casa, per favore ».
Throker e Zhokron, un'ora più tardi, richiesero una balestra – più che per un aiuto concreto, erano invidiosi che gli altri stessero ricevendo un qualcosa e loro no.
Arya scosse il capo, divertita, ma alla fine scelse di accontentarli.
Al signor Hancock, invece, venne dato il compito di riunire gli stregoni che alla Muraglia del Drago avevano preferito non trasferirsi al Rifugio. Questi, giunti mediante il teletrasporto, improvvisarono altri inni – seduti a gambe incrociate sulla collina, bevendo alcol e ridendo come forsennati.
Alle dieci della sera, l'orario stabilito per l'inizio della missione, Arya percepì il cuore evaderle dal petto – era la sensazione più brutta che avesse mai provato in vita sua. Le tremavano le ginocchia, la cena le balzò ripetutamente dallo stomaco alla bocca e le dita si mostravano in cerca di un qualcosa che ignorava.
Bussarono ancora e lei si alzò di scatto.
« Siamo pronti, Arya » era Beckah, il volto cereo: « andiamo? »
Con la consapevolezza che quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbero camminato nel Rifugio, moderarono la velocità dei passi e spostarono l'attenzione sui fregi decorativi, sui gradini delle scale a chiocciola, sul pavimento, sul soffitto.
Erano lì, da sole, in un luogo che non aveva mai sperimentato la quiete e l'abbandono.
I corridoi non erano mai stati così muti, le stanze così vuote.
I pallidi raggi della luna filtravano dall'alto, dall'apertura in cui un tempo aveva risieduto il lucernario.
Voci lontane nausearono poi la desolazione. Erano fantasmi, pensò Arya, convinta, mentre proseguiva con le dita aggrappate al corrimano d'oro della balconata; fantasmi delle streghe che erano state arse vive dall'inchiostro dei Cacciatori.
« Ci sono ancora dei pazienti in infermeria » le indicò Beckah, proprio come se le avesse letto nella mente: « dottori e pazienti ».
« Vero. Non ci stavo pensando ».
Arrivarono quindi davanti alla porta del tunnel. L'aprirono.
« Come ti senti? » Le disse ancora Beckah.
« Felice che tutto questo stia finendo » mentì Arya.
« Qualsiasi cosa succeda stanotte » riprese lei, la voce rotta dal pianto: « non scordarti della nostra promessa ».
« Non lo farò ».
S'inoltrarono nella galleria di pietra – fetida come al solito –, l'attraversarono a grandi passi e, infine, sbocciarono come fiori dal terreno.
Un esercito di guerrieri ruggì nell'oscurità, accogliendole.
Sulle loro vecchie divise, sulla punta delle lance, persino sulle carni nude spiccava un vessillo, un tatuaggio di guerra: era l'emblema della gloria, le fiamme del Fuoco Aureo.
Rhaego, poco distante da lì, raggomitolato e con la coda sul muso, si lasciò andare ad un lamento – non amava i risvegli così caotici!
« RO-ZEN-DHEL! » Tuonarono gli stregoni: « RO-ZEN-DHEL! »
Arya venne divorata dalla folla e, di sua spontanea volontà, allungò le braccia e strinse più mani che poteva – erano appigli a cui aggrapparsi, simili al corrimano della balconata, dei salvagenti che non le permettevano di sprofondare.
Lottò contro la nausea e gli attacchi di panico. Sorrise.
Le gambe le cedevano. La testa le formicolava.
Raggiunse Rhaego, si arrampicò sul suo dorso e sorrise ancora.
La folla tacque.
« Grazie per essere venuti » esordì, agitata: « vedervi tutti qui, stanotte, è per me una grande vittoria. In questo lungo periodo di crisi, abbiamo saputo comprenderci, mettere da parte le divergenze che ci caratterizzavano da secoli e cominciare ad apprezzare le qualità degli uni e degli altri. Non so voi, ma io non potrei essere più orgogliosa di così! »
Un applauso caloroso e fischi di incoraggiamento.
Due gruppetti di streghe nordiche, nella prima fila, si scambiarono un saluto.
« Come già sapete, o come vi è stato riferito, attaccheremo Rozendhel da tre punti – riprese Arya – è assolutamente proibito abbattere anche un solo essere umano o fargli del male! Concentratevi sui demoni, su coloro che ci vogliono morti! »
Un ennesimo boato, e la notte si colorò di scintille. Insieme, componevano l'immagine perfetta di un mondo migliore.
« STANOTTE, UNITEVI A ME E FAREMO LA STORIA! » Gridò Arya, convincente: « STANOTTE, LIBEREREMO ROZENDHEL! »
Tamburi di guerra. Cori e preghiere.
La partita volgeva al suo termine.

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Capitolo 45
*** Capitolo 44: Rozendhel ***


CAPITOLO 44:


Rozendhel

 

Il manto della notte era trapunto di minuscole stelle d'argento. Il pallido volto della Luna, quieto, disegnava i lineamenti della guerriera – gli occhi ridotti a due fessure di smeraldo, i capelli che assecondavano le fruste del vento, umide e appiccicaticce.
Sedeva all'amazzone sul dorso della creatura, come se abituata o troppo sciocca per valutarne i rischi. Mentre contemplava l'orizzonte, mentre sfuggiva all'oscuro dedalo di pini sottostante, la sua mente le concesse un unico pensiero, l'unico appiglio al quale si sarebbe aggrappata per non arrendersi alla morte. Avrebbe combattuto, difeso la sua città ed evitato che la legge dell'Universo tornasse ad impadronirsi di una quarta Arya Mason.

Il pensiero mutò e prese le sembianze di una bambina.
Poi, ancora, divenne una nuvola nera.
Deglutì.
Mano a mano che si avvicinavano e la vegetazione diradava, l'atmosfera si faceva più lugubre. Abbandonato Agosto, si ritrovarono nell'abbraccio di un eterno inverno.
Quinn, a qualche metro di distanza, la pelle verde e le zanne affilate, gracchiò e sbatté velocemente le ali: adesso, dinanzi a loro, si profilavano i tetti di Rozendhel, con il bianco sulle marsigliesi in laterizio e le finestre chiuse, avvolte dalle tende.
Le strade erano vuote, il terreno infestato da cartacce varie ed i lampioni mal funzionanti ne completavano il quadro.
Arya percepì un brivido di freddo invaderle la pelle.
« È tutto troppo tranquillo » rifletté ad alta voce, sperando che Rhaego la comprendesse: « cosa credi che... »
Arya Mason.
Il sibilo di un ofide, gelido e ormai ben noto, inquinò la sua mente.
Il drago emise un ruggito. Era probabile che l'avesse sentito anche lui.
D'improvviso, la notte divenne ancora più scura e tutto ciò che avevano intorno appassì. L'aria si fece pesante, riempiendosi di sghignazzi e fruscii pericolosi.
Finalmente. Riprese Morgante. Ti stavo aspettando.
« Dove sei? » Abbaiò Arya, feroce tanto quanto Rhaego: « smettila con questi inutili trucchetti! Voglio incontrarti! »
Oh, no. Tu non conosci le regole del gioco. Tu non decidi niente.
E, infatti, in men che non si dica, vennero circondati. Figure incappucciate, arpie, creature dell'Inferno, erano tutti sospesi a mezz'aria.
Arya incontrò lo sguardo di Quinn, anche lei intrappolata in quell'infausto cerchio.
« Non ti preoccupare » le disse in un sussurro: « è una cosa da niente ».
Rhaego ruggì una seconda volta, irritato, scosse il capo ed eruttò fiamme, incenerendo almeno trenta di quei loschi individui.
Arya, per poco, non venne disarcionata e fu dunque quello il momento in cui scelse di rimediare alla sua posizione scorretta. Si tenne con le unghie alle squame frastagliate, strinse le ginocchia ed evitò che una fattura la colpisse. Un istante di sollievo e poi si ricominciò.
Scintille multicolori, getti di luce cozzarono in ogni lato; dal basso, doveva certo apparire come un magnifico spettacolo pirotecnico!
Una figura incappucciata, schivando le scie di fuoco, perse la sua mantellina ed Arya ebbe l'opportunità di identificarne i tratti somatici. Era Gregov.
« Bastardo! » Urlò: « Nox... ».
Ma Rhaego la precedette, ruotando il testone. L'uomo, arso vivo, si contorse fino a terra, schiantandosi e colorando la neve di rosso.
In poco meno di cinque minuti, la minaccia fu estinta ed un silenzio carico di tensione si originò tutt'attorno.
Arya conosceva bene le doti del drago, ma mai si sarebbe aspettata una carneficina simile in un lasso tanto minimo. Lo carezzò, guardinga, mentre lui, nervoso, disegnava circonferenze invisibili tra le nuvole e la polvere.
Quinn, sconcertata alla stessa maniera, li seguì senza proferir alcun suono.
Da terra, invece, iniziavano ad accendersi i primi fuochi, sorgevano le grida da battaglia e i versi rauchi dei lupi. L'Esercito del Fuoco Aureo stava procedendo a ritmo serrato. Presto, la Rozendhel dei demoni sarebbe caduta.
« Avviciniamoci! » Ordinò Arya: « Morgante si troverà di certo nella residenza dei Lloyd! »
Ma ancor prima che Rhaego potesse completare la manovra, un grido disperato infranse la scena.
Volarono frecce, nuovi incantesimi e armi di ogni tipo.
Quinn ululò dal dolore, precipitando contro il tetto di una casetta e macchiandolo di sangue.
« NO! » Gridò Arya, allungando un braccio come se il gesto potesse in qualche modo salvarla.
Da bravi sciocchi avevano favorito il piano dei demoni, abbassando la guardia e accostandosi sempre più al terreno. Erano sotto attacco.
Richiamarono entrambi delle lingue di fuoco, rispettivamente rosse e dorate. La luce svelò i nemici.
Era un'orda di uomini quella che si stagliava sui tetti – tutti armati di balestre e archi.
« Sono stati confusi, Rhaego! » Tentò Arya, mentre il drago spalancava di nuovo la sua terrificante gola nera: « SONO ESSERI UMANI! RHAEGO! »
Le costruzioni presero fuoco, i cittadini coinvolti morirono o rotolarono dalle tegole – rifugiandosi tra i cumuli di neve.
Rhaego, furioso come la vera creatura che era, calò in picchiata ed incenerì qualsiasi elemento, vivo meno, che gli si presentasse dinanzi.
Era avido di vendetta. Una tempesta nera che non distingueva il buono dal marcio, che avrebbe commesso una strage.
« FERMATI! » Arya affondò le unghie nelle sue carni – una ferita da niente che non gli procurò alcun dolore. « DEVI FERMARTI! »
Le vie che un tempo era solita attraversare, il forno degli Harris, il Sunny-Valley, si sbriciolarono. Il fragore dei cittadini soffocò tra le nubi della devastazione.
Non c'era alcun modo di sterzare! Arya imprecò.
Vide Abbey Hart, la vedova, sgusciare fuori dalla propria abitazione – un pigiama di flanella indosso, e i capelli ridotti ad un intrico di rovi. La poveretta non ebbe neanche il tempo per cacciare un grido che venne immediatamente consumata dalle fiamme.
Esplosero i pavimenti, caddero i soffitti.
Con gli occhi colmi di pianto, Arya ritenne urgente arrampicarsi sul dorso della belva e raggiungere così la giuntura di un'ala. La Spada di Meera, come se consapevole dell'accaduto, salì dal suo fodero per volontà propria e lo colpì una, due, tre volte.
Rhaego arrancò, gli artigli infossati nelle mura di una villetta.
« PERCHÉ?! PERCHÉ NON MI HAI DATO ASCOLTO?! » Lo rimproverò la guerriera, in grado adesso di scivolar giù dalla sua groppa e fronteggiare le conseguenze di quel triste atto.
Le case erano state spazzate via, i bambini piangevano avvolti in coperte di lana, mentre i sopravvissuti, armati di secchi d'acqua, tentavano di compiere l'impossibile.
Arya, simile ad un'automa, con il volto ridotto in mille pezzi e oscurato dalla fuliggine, si spinse per la strada. Ignorò il lamento di Rhaego e sfilò accanto agli uomini, alle donne, scavalcando i cadaveri e aprendosi un varco tra le macerie e i resti di una città in malora.
La guerra stava proseguendo lontano da lì, riusciva a percepirne i rumori. Non le interessava.
Un signorotto, con la barba folta e piaghe ai lati delle labbra, indicò l'ombra che aveva causato tutto quel delirio, ma non ebbe alcuna reazione. I suoi pensieri erano stati confusi... i pensieri di ogni persona, presumibilmente, erano stati incantati.
Come previsto, Morgante si dimostrava il dittatore di una città fantasma, di sole ed uniche marionette.
I demoni che Arya incontrò – aracnidi dalle forme smisurate, grossi quanto la sua vecchia cameretta e dotati di quattro paia d'occhi – non tentarono nemmeno una volta di ostacolarla. Si limitarono a seguirla con lo sguardo, attenti.
In fondo ad un viale, poi, c'era una donna dai lunghi capelli rossi. Assurdo non notarla con quella corona di spine, l'abito antico dalle maniche ampie, il corpetto aderente e la gonna a ruota, gli orli balzati. Sorrise, le mani giunte sul petto.
« Abbiamo assecondato il vostro gioco, non è vero? » Domandò Arya, stanca: « sapevate che io avevo un drago... sapevate che è una creatura facilmente irritabile e avete fatto di tutto pur di farle perdere il controllo. Sapevate già tutto ».
Castigo annuì, divertita.
« Dove vuoi portarmi, adesso? »
« Avevi chiesto un incontro con Morgante, o erro? »
Arya non rispose, avanzando di qualche passo.
Dunque, Castigo fece un segno ad un paio di Demoni-Senza-Nome di acchiapparla per le braccia e aprì il corteo.
Il tragitto sarebbe stato intenso, forse anche più lungo di quanto Arya ricordasse.
Fu come sprofondare in un vecchio incubo: il cuore le batteva a mille e la mente, in un attimo, trovò sensati gli interrogativi che in principio era solita proporre Taissa. Dove termina l'azzurro del cielo? Perché esistiamo?
Si concesse uno sguardo altrove, scoprendo individui pallidi e antichi ergersi in quel mucchio di disperati. Erano quieti, muti e... di certo non appartenevano alla sua epoca. Un uomo, la cui presenza annebbiava tutte le altre, le riservò un'occhiata cupa. Aveva i capelli rossicci, dalle calde sfumature, le orecchie a sventola ed un paio di gambe invisibili.
La ragazza, la guerriera, sua figlia, sul confine che divide la dimensione della vita dalla morte, gli sorrise. In una tacita promessa, gli giurò che tutto sarebbe andato bene.
Proseguirono, evitando i tratti più pericolosi. Quando s'imbatterono nel cadavere di un lupo mannaro, un erede di Daoming, Castigo comandò di svoltare all'istante.
Era di somma importanza che nessun soldato dell'Esercito del Fuoco li seguisse, che notasse quella loro passeggiata.
Poi, giunsero a destinazione.
La villa dei Lloyd si alzava solitaria su una collina, infestata dall'edera e imbiancata a calce.
Attraversarono il cortile spoglio, nella cui ombra sembrava gorgogliare anche una fontana, sfilarono accanto alle guardie poste sulla soglia dell'ingresso – due umani confusi – e si spinsero dentro.
Arya, incapace di distinguere altri elementi che non fossero i contorni di Castigo, venne afferrata ancora per un polso e condotta al piano soprastante. Non una candela, non una luce ad infrangere quell'oceano di buio pesto.
Bussarono ad una porta.
La voce di Morgante sibilò: « avanti ».
Come per magia, o per magia stessa, la maniglia di bronzo si abbassò da sola.
Lo studio che una volta era appartenuto al signor Lloyd era un trionfo di demoni, tutti spiaccicati contro le pareti di destra e sinistra, l'uno accanto all'altro. Sghignazzarono alla vista della guerriera, intonando cori dispregiativi e sputandole persino sopra la cappa quando Castigo la obbligò a farsi avanti.
Morgante si trovava al centro, illuminato dai raggi della Luna che filtravano attraverso il vetro del lucernario. Fletté le labbra in un sorriso privo di gioia, gli occhi che gli lampeggiavano di rosso mentre i capelli d'argento gli scivolavano sulla schiena, ordinati. Era addobbato con una divisa bianca, costellata da bottoni di diamanti, le spalline d'oro e appuntite. I calzoni erano stretti e ne delimitavano i fianchi, la virilità per nulla accentuata.
Con il volto rapito verso quella scena, levò una mano – simile ad una tarantola – e, immediatamente, tutti i demoni si zittirono.
« Mio Signore » latrò Castigo, inginocchiata: « come avevate desiderato, ecco a voi l'Ex-Custode della Chiave e attuale Guardiana del Fuoco Aureo, la sopravvissuta: Arya Mason ».
Fischi e insulti.
Morgante dovette ordinare nuovamente il silenzio.
« Preferite che io vi incanti? » Sibilò, velenoso: « che vi renda delle marionette? È una questione che riguarda solo me e la Guardiana del Fuoco Aureo ».
Arya indugiò, consapevole del fatto che non sarebbe mai uscita viva da quella casa.
Velocemente, passò in rassegna ogni angolo e ogni volto, accorgendosi così di una figura umana... o meglio, di ciò che ne era rimasto. La donna, priva di sensi, era accovacciata contro una parete – nuda, calva e la pelle viola di lividi.
Ci volle del tempo prima che riuscisse finalmente a riconoscerla. Era lo spettro di Tamara Lloyd.
« Eccoci qui » esordì Morgante, le braccia allargate: « per l'ultima volta ».
Arya sfidò il suo sguardo. « Hai paura di me per caso? Che io ti possa fare del male? »
I demoni scoppiarono in una fragorosa risata.
Morgante stavolta acconsentì. « Come, prego? »
« Be' » iniziò lei, mascherando l'agitazione: « non speravo certo in un incontro tra me, te e altri mille ».
« Oh, non ti curar di loro. Sono solo testimoni » rispose lui: « sarò io ad ucciderti ».
Si studiarono cautamente, fuoco e ghiaccio. Un incontro che l'Universo aveva aspettato per centinaia e centinaia di anni.
Ogni muscolo di Arya era teso, le dita pronte per scagliare una fiamma.
Morgante, al contrario, aveva le braccia rilassate lungo i fianchi – convinto che nulla avrebbe potuto scalfire la sua propria minaccia. Si mosse in avanti e poi indietro. Quando tornò a parlare, la sua voce terrorizzò anche le mura. « Come hai fatto a scampare alla caduta della Dimensione? »
Arya valutò la domanda. Non c'era alcun motivo di mentire, alcuna ragione per non rispondere.
Era la resa dei conti. Niente più strategie o inutili segreti.
« Zehelena aveva previsto un'eventualità simile » disse: « si è aperto un varco, una sorta d'uscita d'emergenza ».
« Ed Hazelle? »
« Lei è morta. Non ha voluto seguirmi ».
Si alzò una voce sconosciuta: « è una menzogna! »
« E per quale motivo? » Ribatté Arya, severa: « perché dovrei mentire? Non ha più alcun senso! »
Morgante la schernì: « vero! Un condannato a morte non dice mai le bugie ».
A quel punto, un altro lamento si levò dalla folla. Era la prigioniera. Si stava svegliando.
I demoni la ignorarono.
« I Frammenti? Dove sono? »
Arya affondò indice e pollice all'interno del borsello, tirandone fuori il primo: « li ho tutti. Ne manca solo uno. Quello della biblioteca ».
Morgante, ipnotizzato, si avvicinò.
Arya retrocesse: « no! Prima voglio che tu mi dica una cosa ».
« Ovvero? »
« Se la conquista di Rozendhel ti importava tanto, perché hai lasciato che il mio drago la distruggesse? »
I presenti risero sguaiatamente.
Morgante lo concesse ancora. « Mi importava fino ad un certo punto. Questa è stata sempre e solo una guerra psicologica! Ti abbiamo tolto tutto ciò che avevi, ti abbiamo fatto piovere sulla testa brandelli di carne, ti abbiamo condotto alla distruzione della tua stessa città. Ti abbiamo indebolita. Volevamo solo che tu perdessi il senno ».
« Non ci siete riusciti completamente ».
« Ah, no? » Morgante la schernì di nuovo: « e allora per quale motivo ti trovi qui stanotte? »
Un ennesimo gemito. Tamara, adesso, del tutto sveglia, aprì la bocca sdentata e gridò forte – come se vittima di una chissà quale pena.
Era impossibile non prestarle la dovuta attenzione.
Arya trattenne un conato di vomito.
« Castigo! » Chiamò Morgante, rabbioso: « falla star zitta! »
Castigo, annuendo energicamente, si mosse in direzione della prigioniera, venendo immediatamente raggiunta da due demoni – un essere gobbo, il cosiddetto Vusan, e un'arpia, le cui ali erano imbrattate di sangue.
« Tirala su! » Esclamò Castigo, e Vusan obbedì.
« Vi prego... » implorò la donna, il seno deformato dai morsi e le cattiverie subite: « vi prego... no... ».
Inutile. Fatica sprecata.
L'arpia sguainò una zanna e la avvicinò alla sua gola.
Arya distolse lo sguardo. Non avrebbe mai voluto assistere ad uno spettacolo del genere, ad una vigliaccheria tanto esagerata quanto priva di precedenti. Quando il corpo cadde a terra, sgraziato, non capì che cosa fosse successo.
Morgante strillò e i demoni tuonarono come un nubifragio a ciel sereno.
« NO! »
Lampi di luce ed un solo, lungo ruggito di gloria.
Castigo era a terra, gli occhi affacciati sull'Inferno – le mani giunte attorno al collo, come per evitarne la fuoriuscita del liquido.
Quinn, con gli artigli imbrattati, afferrò sua madre per un polso.
« Quinn...? » Domandò Tamara, sconvolta nel riconoscerla nei tratti del mostro: « che cosa ti è successo...? »
Vusan, in preda al panico, cadde a terra, strisciando verso i piedi di Morgante.
« Lurido idiota! Nox Mordre! »
Arya incontrò gli occhi di Quinn per l'ultima volta. Il suo gesto era stato tanto coraggioso quanto affrettato e stupido. Era riuscita a sopravvivere, a raggiungere la sua vecchia dimora prima ancora che lo facesse lei e, mimetizzandosi tra i demoni, aveva atteso il momento opportuno.
Poco prima che le due venissero colpite dalle maledizioni più disparate, Arya riuscì ad intendere un loro silenzioso messaggio. Fuggi.
« Credevo di averti persa » disse Tamara in un trionfo di lacrime e muco: « oh, mia piccola Quinn... »
Avvolte in un delicato abbraccio, abbandonarono il caos e la devastazione di questo mondo.
Morgante ululò, gettandosi a terra e recuperando una mano di Castigo.
Arya, invece, ripose il Frammento nel taschino, ingurgitò una piuma di Bartek e, sbocciate le ali, si andò a schiantare contro il vetro del lucernario, volando via, nella notte.
Il vento della libertà le carezzò le gote, i fuochi di Rozendhel le incendiarono gli occhi.
Pregò silenziosamente affinché l'Universo non considerasse quella fuga un atto di pura codardia. Se fosse rimasta lì dentro, sarebbe di certo morta. Il suo piano aveva imboccato giusto una breve deviazione. Avrebbe comunque richiamato Incubo e ucciso Morgante.
« DOVE CREDI DI ANDARE? »
Una sagoma avvolta da un misterioso fumo nero prese a rincorrerla.
Arya richiamò il Fuoco Aureo e glielo sparò contro.
« STUPIDA RAGAZZINA! » Morgante lo evitò, in preda alla collera: « VIENI QUI E AFFRONTA IL TUO DESTINO! »
Bombe di luce cozzarono nell'aria.
La giovane, venendo colpita, precipitò al suolo in una spirale di terrore.

 

 

 

 

 

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Capitolo 46
*** Capitolo 45: La Sfera della Distruzione ***


CAPITOLO 45:
 

La Sfera della Distruzione

 

 

E fu subito buio.
Il baccano, le grida strazianti di chi perdeva i propri cari... ogni suono si estinse.
Per qualche minuto, o forse per un'interminabile era, l'Universo tacque.
Era da sola, vittima del silenzio e dell'oscurità.
Teneva ancora gli occhi chiusi quando la sua mano andò in cerca di un qualcosa che lei stessa ignorava. Il tappeto di neve era svanito, la luce del sole adesso le irradiava il volto.
Mosse un piede scoprendo di non essersi fatta alcun male. Com'era possibile?
Inarcò le sopracciglia e dischiuse una fessura di smeraldo, cauta. Non una singola nuvola ad oltraggiare quell'azzurro così limpido, brillante, puro.
Si appoggiò sugli avambracci mentre il suo corpo e la sua mente si abituavano a quel nuovo scenario. Non aveva più le ali, l'uniforme e la Spada; indosso, un abitino bianco – le maniche lunghe, di pizzo, la gonna che le arrivava all'altezza delle ginocchia.
Si alzò in piedi, la cascata rossa che le percorreva la schiena.
Tutt'intorno non vi era altro che verde: i cipressi, nobili e importanti, si stagliavano seguendo un loro proprio tragitto, rigando in questo modo i confini dell'arena. Il prato era infinito, pallido e monocromatico. I fiori erano stati banditi, le rose erano elementi sconosciuti. Uno zefiro soave spirò poi dalle ombre delle chiome, portando con sé il sussurro di una voce... una voce che la fanciulla conosceva fin troppo bene.
Il primo istinto fu quello di scappare.
Il secondo, il terzo ed i successivi pensieri furono: resta.
Deglutì, nervosa. Erano anni che attendeva quell'incontro, di vedere quella donna sbucare fuori dall'ombra e parlarle.
Morgause sorrise, accelerando il passo. L'inesorabile scorrere del tempo non aveva scalfito il suo volto di pietra nemmeno con una piccola ruga. Aveva i capelli bruni che le calavano sul petto, indosso un maglione viola ed un pantalone stretto, più scuro, che le accentuava le forme sottili.
Man mano che si avvicinava ed il suo profumo di vaniglia prendeva ad inquinare l'aria, la ragazza scoppiò a piangere.
Troppi pensieri le affollarono la mente.
« Bambina mia » debuttò Morgause, avvolgendola tra le proprie braccia: « sta' tranquilla... ci sono io adesso ».
« Perché? » Sbottò Arya, tra un singhiozzo e l'altro – i pugni chiusi ed il viso inondato dalle lacrime. « Perché?! »
La donna le baciò la fronte e la convinse a sdraiarsi sull'erba, con la testa sulle sue gambe.
La radura si ammutolì, mentre i raggi solari accompagnavano quell'inedito, dolce quadretto: la figlia sventurata, piccola e tutta rannicchiata, tentava di imporsi la calma; la madre sciagurata, invece, le carezzava le gote, sussurrandole che ogni cosa, presto o tardi, sarebbe andata per il verso giusto.
« Sono morta? »
« No, Arya. Avevo solo voglia di vederti ».
« Ma tu mi odiavi ».
« Io non ti ho mai odiata » ammise Morgause, sorridente: « odiavo il pensiero che un giorno ti avrei persa, che un giorno non saresti più stata mia. Crescevi ed io non potevo far nulla al riguardo ».
Arya sorrise al suo stesso modo.
« Sei stata molto coraggiosa... non ti ho mai persa di vista ».
« Davvero? »
La donna annuì: « quando sei venuta al cimitero, quando hai sconfitto quel demone e chiuso il Portale, io ero lì ».
« Insieme al papà? »
« Ovviamente ».
Restarono in quella posizione per altri mille anni, con Morgause che intonava strofe di ninnananne e cullava sua figlia come mai aveva fatto prima.
Arya si addormentò, trovando la pace. Niente e nessuno avrebbe potuto trascinarla via da quell'incantesimo. Al suo risveglio, si accorse di non aver sognato nulla. Tutto ciò di cui aveva bisogno era lì, in carne ed ossa.
Il sole l'accecava. Non sarebbe mai tramontato, o almeno non lo avrebbe mai fatto spontaneamente, senza che gli venisse imposto un ordine.
« Come mai ci troviamo qui? » Le domandò a bassa voce.
« Non lo so. Non l'ho creato io ».
« Pensi sia il Paradiso? » Disse Arya, colta da un'epifania tanto improvvisa quanto sconvolgente: « dov'è la zia Sarah? Dov'è Frank? »
« Non ti curar di loro » le rispose Morgause: « ci siamo solo noi due ».
« Ma io vorrei vederli! »
« Magari loro non vogliono vedere te, Arya ».
« Perché devi dire queste cattiverie? » Si liberò del suo abbraccio e, rialzandosi, proseguì: « loro hanno badato a me quando tu sei morta! »
« Quella è stata solo una tua fantasia! » Esclamò l'altra: « tu sei stata in un orfanotrofio, Arya! Hai sempre avuto delle visioni piuttosto convincenti. Loro non ti vogliono bene. Ti avrebbero gettato in un bidone dell'immondizia al primo accenno di una gravidanza! Lo sai, no? »
Arya s'incupì nuovamente: « no... stai mentendo! »
« Fidati di me, Arya » Morgause le afferrò un polso: « fidati di tua madre ».
La ragazza, più confusa che mai, abbassò lo sguardo.
« Bene... ora, devo solo chiederti un favore ».
« Un favore? »
Ella annuì: « tu hai un qualcosa di molto prezioso che sto cercando da tempo ».
« Di cosa parli? »
« Lo sai ».
Brillarono i Frammenti, comparsi dal nulla, nei palmi della giovane.
Morgause allungò il mento, come se decisa a cacciare una preda facile, orrendamente intontita da sussurri e falsi bisbigli. Quando, però, un'ennesima voce sfumò dalla coltre del bosco, il veleno che le fluiva nelle vene ricominciò a palesarsi.
« Tua madre era un tale mostro, Arya? Non riesci nemmeno a distinguere la sua figura da quella di un demone? »
Arya arretrò di un passo – gesto che non sfuggì alla vista della donna, che immediatamente tentò di riacchiapparla. Avevano riconosciuto entrambe il suono di quella voce e bastarono pochi istanti prima che anche la radura incontrasse una delle streghe più celebri della storia: la leggendaria Hazelle.
« Felice di avervi interrotte » annunciò, il sorriso privo di gioia incastonato tra le rughe del volto antico. Indossava uno dei suoi soliti abiti neri, semplice, con il carrè biondo platino che le scivolava sulle spalle.
Mano nella mano, come se si stesse massaggiando una vecchia ferita, prese a camminare.
Il cielo e la terra attesero, muti, le loro prossime mosse.
« Che ci fai qui, Hazelle? » Abbaiò Morgause.
« Non ho alcuna intenzione di intrattenermi con te, servo delle tenebre ».
Arya aveva così tanto da dirle che non riuscì a proferir parola. Non sapendo da dove iniziare, esordì con la prima cosa che fu in grado di estrapolare dalla mente: « come hai fatto ad arrivare qui? »
« Mi ci hai condotto tu » rivelò Hazelle: « non so che razza di posto sia, però è piuttosto facile da ingannare ed intrufolarcisi ».
« Ho per caso creato una nuova dimensione? »
« Ebbene sì. Pur di non scomparire, di morire, di abbandonarti alle ombre, hai resistito alla fattura di Morgante. Hai creato una dimensione che si staglia tra quella dei vivi e quella dei morti; potrai scegliere da te se continuare o seguirmi. Sei la strega più potente del mondo, Arya ».
« Non darle retta! » Esclamò Morgause, le pupille allungate: « cacciala via! Il vostro rapporto non è mai stato uno dei migliori, no? »
« Vero » ammise Arya, debolmente.
« Arya... quella non è tua madre. È un demone! Morgante sta cercando di impossessarsi dei tuoi Frammenti! ».
« E allora? Non è questo lo scopo principale? Potrei darglieli e basta, no? Almeno tutta questa faccenda finirebbe! È quello che ha detto anche Zehelena! »
« Prego? » La interruppe Hazelle, ad un tratto confusa: « che razza di nome si è originato dalla tua bocca? »
Arya annuì: « avevi ragione su di lei... è sempre rimasta lì, alle Scogliere di Moher. Nascoste agli umani, infatti, nell'ombra di una roccia, si celano le rovine di Meeragonthur... un luogo antico, orribile ».
« Zehelena è viva? » Domandò Morgause, con tono innaturale, demoniaco.
« Taci! » Le ordinò Hazelle e, incerta, riprese: « spiegami tutto ».
Con i Frammenti ancora nel palmo di una mano, Arya concesse un ultimo sguardo all'ombra di sua madre, la quale cominciò a sgretolarsi come un terreno arido non appena la dimensione ricevette il muto sussurro, l'ordine ignoto che neppure ad Hazelle fu concesso ascoltare.
Morgause allungò una mano, ma le caddero le dita, gli occhi e la lingua. In poco meno di un istante, del demone non restò altro che polvere.
« Perché Morgante non mi sta attaccando nel mondo reale? Potrebbe uccidermi subito, sono vulnerabile! »
« Probabilmente è solo ciò che pensi tu. Potrebbe essere che non ci stia riuscendo e che abbia inviato quella cosa per facilitarsi il compito ».
« Potrebbe essere così, in effetti! » Esclamò Arya, preoccupata: « devo sbrigarmi! »
Dunque, riferì ad Hazelle tutto ciò che era accaduto fino a quel momento: partendo dal Rifugio, passando per Rhona, e arrivando a Zehelena.
Gli occhi della strega brillarono di luce propria e lacrime di sollievo le scesero in volto, terminando il loro cammino tra le pieghe della bocca.
« Se solo avessi saputo... » cominciò, affranta.
« ...avresti seguito Zehelena in quel posto dimenticato dall'Universo » terminò Arya: « e Zehelena non te l'avrebbe mai perdonato ».
« Non troverò mai la pace... neppure da morta » Hazelle si passò una mano tra i capelli, accorgendosi solo allora di quanto stesse tremando.
« Non dire così » Arya gliela afferrò saldamente: « ti prometto che troverò il modo di liberarla... prima o poi, vi ricongiungerete ».
« E come credi che si possa fare? » Sorrise Hazelle.
« Tu lascia fare a me ».
Ed il buio tornò, soffocando la radura e la luce.
In un attimo, Arya sentì un dolore accentuarsi alla caviglia, le ali pesare sulla propria schiena.
Batté più volte le ciglia, notando le fiamme divampare nella notte.
Sputò polvere e neve, tentando in ogni modo di rimettersi in piedi.
Era possibile che stesse avendo delle allucinazioni? Accanto a lei si stagliavano alcune figure che immediatamente non fu in grado di riconoscere: la prima era alta, con i capelli dorati ed un pugnale chiuso nel pugno destro; la seconda era più bassa, il volto coperto dalla fuliggine ed il sangue di qualcun altro.
« Cassandra! » Esclamò quest'ultima, felice: « Cassandra! Corri! Si è svegliata! »
« Oh, grazie al cielo... »
Beckah, le braccia allungate contro un'orda famelica di demoni, volse ancora lo sguardo: « come ti senti, Arya? Stai bene? »
« Hai fatto proprio un bel volo! » Esclamò Cassandra, anche lei impegnata nel difenderla: « fortuna che sei precipitata a qualche metro da qui! Siamo riuscite appena in tempo a teletrasportarti via dall'ira di Morgante! »
« Ma che cosa state facendo? » Arya si alzò a fatica, con la testa che andò a sbattere contro il punto più alto di quella barriera invisibile che le due streghe avevano appena eretto.
« Ti proteggiamo, non vedi? »
« Appena te la senti... NOX MORDRE! » Beckah cacciò via un'aracnide: « ti liberiamo, okay? »
Ma Arya non ebbe alcuna difficoltà ad uscir via da quella cupola stretta e scomoda; difatti, le bastò colpire un'unica volta la parete immateriale che essa si sbriciolò in una cenere argentea.
« Dov'è lui? E dove sono tutti gli altri? » Chiese con un tono di voce che non le si addiceva.
Cassandra allungò il mento: « lassù! »
Così, nel buio pesto della notte, Arya riuscì ad individuare Morgante: teneva le braccia incrociate dinanzi al petto e muoveva il volto lentamente, come un cacciatore alle prese con un animale che presto avrebbe divorato.
« Non andare, Arya! » La ammonì Beckah: « non devi farlo! »
« Perché? Il piano è quello di consegnargli i Frammenti! »
« Sì, ma ciò non implica che tu ti faccia ammazzare! »
Arya inspirò profondamente, cercando di chiarirsi le idee. « Dobbiamo far terminare questa guerra il prima possibile – tentennò per un istante – abbiamo già perso Quinn, non vorrei che altri facessero la stessa fine ».
Cassandra, finalmente, si concesse una pausa dallo sterminio di demoni che stava attuando e le riservò uno sguardo perplesso. « Che cos'hai detto? »
Beckah, al contrario, strizzò gli occhi per non farsi cogliere da un pianto isterico.
« Sì, Quinn non c'è più! » Ribadì Arya, stanca: « ma non è certo morta invano! È riuscita ad uccidere Castigo ».
« Oh, cazzo... » Cassandra afferrò una fiaschetta dalla sua uniforme e bevve coraggio liquido.
« Passalo anche a me! » Esclamò Arya: « spero proprio che tutti gli altri stiano bene. Voi due come vi siete trovate? »
« Be', ecco » iniziò Beckah: « devo dirti una cosa ».
« Oh, no. Non credo sia il momento giusto » tentò Cassandra.
« Che cosa dovete dirmi? Parlate! » Le invitò Arya, attenta.
« I Demoni-Senza-Nome di Castigo ci hanno attaccati nelle fogne » Beckah si trovava ormai sull'orlo della disperazione: « sono esplosi al contatto con i Bracciali di Oliver e Logan ».
« E adesso dove stanno? Throker e Zhokron, invece? »
« Non te lo so dire. Le fogne sono una fittissima rete di tunnel e... – incespicò – ci hanno attaccati ancora con la Marea Nera... la stessa che avevano utilizzato al Rifugio ».
« Vi siete divisi? Parla! » Esclamò ancora Arya.
« Ho perso di vista Oliver e Logan... ma Throker e Zhokron, invece... » Beckah non riuscì più a trattenere le lacrime: « era velocissima, non puoi neanche immaginare! Eravamo in trappola e loro non riuscivano a stare al mio passo, erano troppo lenti! »
« Quindi li hai lasciati indietro? »
Beckah annuì.
« Tu li hai lasciati morire in quel modo? » Arya si morse un labbro, tanto da farlo sanguinare: « sei proprio una stronza ».
« No, Arya! » Gridò Beckah, afferrandola per un polso: « non me lo perdonerò mai, ma ero troppo spaventata... credevo di morire ».
« Fa' silenzio! » Le ordinò Arya, liberandosi dalla sua presa: « non aggravare ancor di più la situazione! » Dunque, spiegò le ali nere come il suo cuore e volò via.
Con la perdita delle certezze ed un mondo che bruciava ai suoi piedi, si impose il controllo. Ancora una volta, non poteva mostrarsi per quel che era, ovvero una ragazzina debole, stanca, fragile, distrutta, in perenne conflitto con se stessa, che in quel momento non desiderava altro che la pace eterna.
Morgante rise e la raggiunse, lento.
Arya gli allungò i Frammenti.
« È questo ciò che desideri, no? » Disse, nervosa. « Vieni e- ».
Un pugno ben assestato ed un dente schizzò via dalla sua bocca.
Morgante l'acchiappò dai capelli e la lanciò contro il tetto di una villa.
Arya, il volto pregno di sangue, non ebbe neanche il tempo di riprendersi che fu attaccata nuovamente. Urlò dal dolore quando Morgante le prese a pugni lo stomaco, le afferrò la testa e gliela fece sbattere una, due, tre volte contro le marsigliesi.
« UCCIDIMI! » Sbraitò Arya, senza reagire: « UCCIDIMI, FORZA! »
« Non così in fretta! » Sibilò lui, accostandosi sempre più e privandola facilmente di una piuma.
« Cosa stai facendo? »
« Sta' zitta! » E con violenza immane, le dita del serpente le si annidarono sulla schiena, proprio lì, dove ala e carne trovavano il loro punto di incontro. « Ti farò soffrire così tanto, Arya Mason, Ex-Custode della Chiave e fottutissima Guardiana del Fuoco Aureo ».
Schizzi di sangue, lacrime e urla accompagnarono quel gesto tanto meschino quanto brutale.
Arya percepì il corpo andarle a fuoco, la vista annebbiarsi. Adesso era solamente in grado di ascoltare quella risata malvagia, che le inquinava la mente e la umiliava.
Il suo sguardo era quello di una bambina, un trionfo di muco e sangue.
Morgante agitò l'ala nera a mo' di ventaglio, per poi allentare la presa attorno all'osso e farla precipitare in mezzo alla neve.
« Adesso dammi i Frammenti, o ti staccherò anche l'altra ».
Arya allungò la mano tremante.
« Grazie mille » Morgante si aprì in un sorriso privo di gioia: « avresti potuto consegnarli a tua madre, almeno ci saremmo risparmiati questa triste scena ».
« Ci rivediamo all'Inferno, Morgante ».
« Stanne certa ».
E così, tutti e sette i Frammenti furono riuniti. La luce che si sprigionò al loro primo contatto fu accecante, fredda ed eterna. Quando la Sfera della Distruzione si presentò sul palmo del demone, la terra tremò ed il cielo assunse un colorito minaccioso.
Una minuscola crepa si aprì poi sulla sua superficie e dal viola uscì del fumo nero, così denso, così velenoso.
Ben presto, la risata di Morgante mutò in un grido disperato.
Sotto lo sguardo attento di Arya e di tutti i cittadini di Rozendhel, egli fu inghiottito dal fumo: gli esplosero gli occhi, gli caddero i capelli, gli si squagliò l'abito...
Il fumo marciò ovunque prendendo le sembianze di una nube nera, più vasta del cielo stesso.
Intermittenti lampi rossi accesero la notte, ed Incubo, il cosiddetto Demone Supremo, finalmente, si mostrò loro.
Non aveva volto. Non aveva forma. Non aveva pensieri.
Ruggì la sua ira, sfidando l'Universo, e celebrò il suo ritorno.
La Spada di Meera vibrò nel cuoio ed Arya tentò di rimettersi in piedi.
Seppur non avesse occhi, Incubo la guardò.
In un attimo, tutto tacque.

 

 

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Capitolo 47
*** Capitolo 46: Incubo ***


CAPITOLO 46:

 

Incubo

 

E l'Inferno avanzò su Rozendhel.
Ciò che si era a lungo predetto, ciò che si era temuto per millenni, aveva ormai infestato il cielo, inquinato le stelle e oscurato la luna.

Le nere lingue di fumo serpeggiavano in alto, come se vive e dotate di una propria coscienza, mentre i lampi color guerra accesero nuovamente le tenebre.
Fu soltanto allora che la nube scelse di aprire la sua pericolosa bocca di inchiostro – un anello di infinita larghezza, un vero e proprio utero dal quale fuoriuscivano ad intervalli regolari nuove creature e fameliche arpie.
In breve tempo, l'aria tornò a riempirsi di sghignazzi e urla di terrore.
« RITIRATA! » Ululò qualcuno dal basso. « VIA! VIA! »
« NO! TORNA INDIETRO, DAOMING! »
La Guardiana del Fuoco Aureo, che riusciva a stento a tenersi in equilibrio su quelle marsigliesi frastagliate, osservò il padre dei lupi allontanarsi con la coda fra le gambe – il volto di chi si era arreso, di chi aveva sempre avuto una tale paura da non riuscire a distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. I suoi figli, i sopravvissuti, i vigliacchi, lo seguirono sino al limitare del bosco – tra guaiti ed inutili piagnistei.
La neve si era sciolta e lo zefiro aveva smesso di spirare.
La Guerriera, ormai debole e provata dagli eventi, implorò la forza che la teneva ancora in vita di lasciarla andare. Di lasciarla morire.
Scosse l'ala e chiuse gli occhi. Attorno a lei, rombi di guerra, esplosioni.
Realizzò che era già morta, che era morta da anni. Intrappolata in una vita che non le apparteneva, che non desiderava, guidata da ordini e manipolata da forze superiori, capì che era sempre stata morta.
Il tetto della villa, al primo contatto con una fattura, si disintegrò, facendola precipitare al suolo come una silente piuma nera.
Era la fine.
« ARYA? » La chiamò un ragazzo che dapprima non fu in grado di riconoscere: « TI PREGO! TI PREGO! »
« Darren? » Inarcò le sopracciglia, confusa: « sei rimasto? »
« Oh, grazie al cielo! » Esclamò lui, un rivolo di sangue che gli colava dalla tempia sinistra.
« Non lo hai seguito? »
« Ovvio che no... questa è la nostra città e dobbiamo difenderla a tutti i costi! »
Incubo ruggì ancora una volta e, subito, una foresta di cremisi saette piombò a terra, folgorando senza alcuna distinzione uomini e demoni.
Darren afferrò Arya per un polso e la trascinò con sé per le vie di Rozendhel – alle loro spalle, uno ad uno, crollavano gli edifici.
Trovarono quindi un tombino spalancato, ci si infilarono dentro ed attesero una qualche grazia.
Le fogne erano gelide ed estremamente sporche, con le pareti ad arco macchiate di un liquido nero ormai asciutto. Di tanto in tanto, si udiva ancora un gocciolio innocente provenire da lontano e lo squittio impaurito di un roditore far capolino dall'oscurità. Per entrambi fu come tornare al Rifugio, in quel maleodorante tunnel di pietra.
« Non azzardarti a toccare queste mura » lo ammonì Arya, valutandone i rischi.
« È sangue di demone, vero? » Le domandò Darren, preoccupato: « spero solo che Oliver e gli altri stiano bene ».
« Throker e Zhokron sono morti ».
« Ma che cosa stai dicendo? »
« La verità ».
Un fulmine colpì il tombino e tutto ciò che avevano attorno prese a vibrare.
Arya si accovacciò sulle ginocchia, stanca.
« Che fine ha fatto l'ala destra? » Darren la studiò con attenzione.
« L'ultimo ricordino di Morgante » rispose lei: « quando ha evocato Incubo, il fumo lo ha annientato. Ha avuto la fine che meritava ».
« Ed ora che pensi di fare? »
Arya fece spallucce: « secondo te? »
Lo sguardo da bambino di Darren comunicava molto più di quanto avesse voluto. In silenzio, stava sussurrando quanta pena e preoccupazione provasse nei suoi riguardi.
Arya tentò di immaginarsi dall'esterno, di analizzare ciò che era sempre stato palese agli altri nel corso di quei lunghi mesi di latitanza: i capelli erano il trionfo del disordine, gli occhi colorati di un fievole verde, le spalle curve, gli abiti sporchi di polvere e fuliggine.
Scostò il volto e lasciò che Darren le rispondesse.
« Non ci si può più tirar indietro. Hai ancora la Spada, no? »
« Sì. Non ha alcun graffio ».
« Bene! » Esclamò lui, pensieroso: « dobbiamo solo capire qual è il suo punto debole ».
« Perché, quella cosa ne ha uno? » Arya scoppiò in una triste risata: « quando smetterà di partorire, volerò lassù e lo colpirò alla bell'e meglio ».
« Non è un ottimo piano, sai? »
« E quando mai hanno funzionato i nostri piani, Darren? »
Si scambiarono un'ennesima occhiata, molto profonda questa volta.
Arya cercò di immedesimarsi nella ragazzina che era stata un tempo, la giovinetta che tutta fradicia era entrata nella locanda degli Hart, inconsapevole di ciò che il destino avesse in serbo per lei. Se gli eventi non l'avessero ghermita, avrebbe voluto riposare ancora tra le sue braccia o lo avrebbe allontanato comunque? Darren le avrebbe donato la felicità che, forse, meritava; lei, in cambio, avrebbe fatto lo stesso... ne sarebbe stata in grado.
Tuttavia non c'era più alcun modo di tornare indietro e scordarsi della devastazione, la morte ed il delirio che avevano dovuto sorbire.
L'una di fronte all'altro, custodirono gelosamente quell'istante di caotico silenzio.
Poco distante da lì, nel frattempo, un drago mugolò la sua resa.
« Oh, Rhaego... »
« Cavalcalo, no? » Partì Darren: « ti potresti avvicinare ad Incubo senza esporti troppo! »
La ragazza scosse la testa: « sarei troppo lenta e metterei in pericolo anche la sua vita ».
« Andare da sola sarà anche peggio! »
« È il mio destino, Darren! »
« Ma non è destino che tu muoia! » La rimproverò lui, con una vena del collo ingrossata: « non è questo il momento! »
Arya, visibilmente offesa, abbandonò le braccia lungo i fianchi e prese a sfilare nelle fogne, prima avanti e poi indietro, senza mai stancarsi. Percepì un brivido di freddo invaderle la pelle e del muco colarle da una narice. Faceva un tale freddo lì sotto che il topino, trascorso qualche minuto, nella sua tana incavata nella pietra, smise di squittire. Allora, Arya si strofinò il prolabio e cominciò: « mi manca la vita di un tempo... mi manca la spensieratezza e tutto ciò che avevo. Non ho più niente, Darren. La morte non mi incute paura. I primi giorni, al Rifugio, quando sorgeva il sole, restavo nel letto e tenevo gli occhi chiusi, sperando che qualcuno si avvicinasse e mi tirasse via la vita – prese una pausa, le mani congiunte dinanzi al petto – penso che alla fine sia successo, sai? Penso che qualcuno sia venuto davvero, perché non sento più nulla dentro di me ».
« Posso immaginare che effetto si provi » Darren deglutì: « credo sia naturale, nel corso della vita, trovarsi faccia a faccia con questo... non so come definirlo ».
« Vuoto? »
« Forse » egli riprese: « ma sta a noi prendere una decisione: possiamo lasciarlo vincere o possiamo annientarlo. Io sono sicuro che tu riuscirai ad andare oltre questo schifo ».
Arya sorrise: « sei sempre stato così ingenuo ».
« Probabile ».
Le pareti tornarono a vibrare ed il tombino balzò via dal suo incastro. Entrambi dovettero piegare le ginocchia e tentare di rimanere in equilibrio. La sensazione che Arya provò fu simile a quella che l'aveva assalita sulla nave di Haramir, quando non riusciva a reggersi in piedi per via della velocità e delle forti scosse causate dal vento. Fece quindi per aggrapparsi alla pietra, ma, ricordandosi di quanto fosse pregna di sangue di demone, ritirò immediatamente la mano.
Darren, che si era addentrato ancor di più nel tunnel, le fece cenno di seguirlo. Era strettamente necessario riemergere altrove, sperare che ci fosse ancora una strada tranquilla, priva di pericoli.
« Sai dove stiamo andando? » Gli chiese Arya con dubbio.
« E come potrei? Non sono mai stato qui ».
Con gli scarponi affondati in liquidi sconosciuti, con il tanfo di escrementi che appestava ogni angolo di quel labirinto, Arya per poco non diede di stomaco – proseguiva a passo svelto ed il naso tappato.
« Dimmi un po' » le disse ancora Darren: « quali sono i tuoi sogni? O meglio, cosa vorrai fare dopo che ci saremo liberati di Incubo? »
« Stai scherzando? » Ripeté lei.
« No, perché? »
« Te l'ho già detto! Non voglio proseguire con la mia vita ».
« Oh, quanto sei falsa, Arya Mason » la interruppe: « non dici mai la verità ».
« Certo, come ti pare ».
« C'è ancora un qualcosa che ti muove, che condiziona le tue decisioni ».
« E sarebbe? »
« Non lo so! » Disse lui, facendo spallucce e scorgendo nell'oscurità una scala di metallo verniciata di rosso che terminava in un nuovo tombino: « proviamo a vedere lì! »
« D'accordo! » Arya convenne di essere stata una maleducata nell'evitare di chiedergli quali, invece, fossero i suoi sogni. Aveva paura di ascoltare la risposta, che quelle parole, in un modo o nell'altro, l'avessero potuta ferire. Attese un gesto del ragazzo e si arrampicò a sua volta sulla scaletta. Tornati in superficie, Arya lo abbracciò. « Mi dispiace » disse in un sussurro: « per tutto ».
Non seppe mai se il volto di Darren, in quel momento, si aprì in un sorriso o si accigliò, o se, peggio, rimase impassibile. Chiuse le palpebre e lo strinse più forte; in risposta ottenne soltanto una pacca sulla schiena – proprio sul punto in cui si era formata una cicatrice provvisoria, lì dove anche la mano di Morgante si era andata a poggiare.
Arya capì e si scansò: « dove ci troviamo? »
« Difficile a dirsi! » Esclamò lui, perlustrando quel vicoletto dimenticato dal mondo.
Correva una fila di lanterne, tutte spente, sui muri, mentre la muffa divorava le insegne dei negozi e le saracinesche urlavano alla venuta del vento. Arya alzò il capo e notò quell'unico frammento di cielo che si apriva tra le costruzioni – Incubo taceva, forse intento a cercarla.
« Ci siamo allontanati parecchio, secondo te? » Le chiese Darren.
« No » fece lei, orientandosi: « sono già stata qui, tanto tempo fa ».
« Davvero? »
Arya si lasciò scappare una risata: « sembra una barzelletta, ma è cominciato tutto in questo vicolo! – ed indicò più avanti – vedi laggiù? Ecco, lì si trovava il Madame Minuit, il negozio della strega che mi ha venduto la Chiave. Oh, quanto tempo è passato! »
« Brutto scherzo del destino far finire ogni cosa nel punto esatto in cui si è partiti ».
« Mah, sinceramente io non mi stupisco più di nulla. Possibile che l'Universo lo abbia fatto di propria iniziativa, che abbia persino creato un passaggio segreto nelle fogne per farci arrivare qui! »
« E a quale scopo? » Darren aggrottò la fronte.
« Chissà! » Rispose Arya e, con un gesto veloce del polso, sguainò la Spada di Meera.
Percependola, Incubo ruggì di nuovo.
« Adesso devo proprio andare » disse in un sussurro, cogliendo un suo ultimo sguardo.
« Ma che dici? Non puoi andartene via così! Non hai nemmeno recuperato le forze! »
« Promettimi – lo ignorò di proposito – che non ti dimenticherai di me, Darren Hart ».
« E non parlare come se non dovessimo più rivederci » rispose lui, serio: « sbrigati a tornare a casa ».
Ella soffocò l'ennesimo istinto di abbracciarlo. Agitò poi l'ala ed abbandonò la terra, restando a guardarlo sinché non divenne microscopico, sinché i palazzi non tornarono ad essere semplici macchiette indistinte. Era in alto, al confine tra vita e morte.
Vide Rhaego leccarsi una ferita, le macerie stagliarsi tutt'attorno. Dei suoi compagni, nemmeno l'ombra.
Proseguì, imitando l'espressione di Zehelena, fiera e decisa, per poi arrestarsi dinanzi a quell'orrida nube nera – uno spettacolo a cui l'Universo aveva già assistito.
Incubo tuonò, magari anche un po' divertito, obbligandola a retrocedere di qualche metro. Liberò quindi la sua ira e fruste di fumo che la colpirono su tutto il corpo.
Arya menò un primo fendente, che però andò a vuoto. Prese un lungo respiro e s'impose il coraggio.
Quindi tentò ancora, l'elsa impugnata con entrambe le mani, rovente. Come un raggio di sole, la lama si muoveva furtiva e radiosa tra i mille tentacoli – quando infine riuscì ad annientarne uno, tutti gli altri partirono alla carica, più furiosi di quanto non fossero mai stati. Arya improvvisò un gesto dell'ala, proteggendosi.
Dall'anello si originarono nuove creature – spettri dai lunghi capelli bianchi e pelle raggrinzita che avanzarono, pericolosi, contro la sua figura. Essendo sprovvisti di un paio di gambe, strisciavano nell'aria con le loro code di fumo e le braccia protese in avanti.
Ma la loro permanenza in questo mondo durò pochissimo: al primo contatto con gli incantesimi richiamati da voci lontane, infatti, esplosero in cenere argentea – la quale sfumò via immediatamente, trovando armonia nell'Universo.
Arya era incapace di formulare un pensiero sensato. Si voltò e capì che erano state Beckah e Cassandra.
« Non vorrai mica prenderti tutto il merito? » La canzonò quest'ultima, in perfetto equilibrio nel vuoto, a centinaia di metri da terra: « voglio avere anch'io un paragrafo nei libri di storia magica! »
Beckah, al contrario, si limitò a sorridere timidamente ed agitare le ali fornitele da Bartek.
« È pericoloso stare qui, ragazze! » Esclamò Arya, preoccupata.
« Non abbiamo granché da perdere, sai? » Ammise Cassandra: « combatteremo fino alla morte se necessario ».
Le lingue di fumo ripresero a contorcersi come serpenti velenosi e le tre streghe schizzarono da una parte all'altra come frecce nere nella notte più buia. Lampi di luce, incantesimi e grida.
Incubo schiuse nuovamente la bocca, originando un vortice senza eguali che gli permise di attirare a sé, ed ingollare, ogni cosa.
Arya frenò bruscamente e prese a fuggire in direzione contraria, verso il Madame Minuit, strizzando gli occhi e tentando quanto più possibile di evitare una collisione con porte, schegge di vetro, massi e concittadini. Persino un licantropo, conoscendo la vera natura dell'oscurità, dovette arrendersi in un torpido guaito. Arya imprecò. Se i figli di Daoming erano andati via... no! Non doveva trattarsi di Darren!
« ARYA! » Gridò Beckah, i capelli tirati indietro e le unghie che cercavano di aggrapparsi ad un qualcosa di immateriale: « NON MOLLARE! »
Arya agitò il capo. Prima d'allora non aveva mai sperimentato un terrore del genere.
Raggiunse la ringhiera di una terrazza miracolosa e, con le gambe penzoloni verso quel vortice di oscura energia, pregò l'Universo di intervenire, di far qualcosa al riguardo. Tutto inutile. Fatica sprecata.
Immaginò un pulsante con la sua faccia stampata sopra. Un pulsante che l'Universo si divertiva a premere ogni cento anni, o giù di lì. Immaginò le mani incorporee o stellate di quell'entità clonare una nuova Arya Mason, la quarta per la precisione, e rifletté che non avrebbe dovuto più permetterglielo.
Si reggeva con sole cinque dita – le altre impegnate sulla Spada – e sentiva i capelli staccarsi uno ad uno. Era probabile che avesse desiderato così tanto la morte che Incubo l'avesse in un qualche modo ascoltata e che adesso si stesse impegnando tanto solo per non deluderla e, finalmente, accontentarla.
Arya strinse i denti: « ti prego... basta ».
Ed improvvisamente il vento cessò di soffiare. Nel cielo di Rozendhel, scoppiò la pace.
Accadde tutto in maniera così repentina che la giovane si accorse del dolore agli stinchi solamente un minuto più tardi, quando le gambe le erano cedute ed erano già andate a sbattere contro la ringhiera del balcone.
Tornò a mezz'aria, in preda agli spasmi, e cercò un volto familiare. Niente. Anche la terra taceva – i sopravvissuti, gli automi, quei poveretti, vagavano sotto shock e con le lacrime a rigar loro i volti. Il silenzio regnava sovrano.
« C'è nessuno? » Chiamò Arya, flebilmente: « vi prego... ».
La Spada di Meera si animò nel suo pugno. In un muto sussurro le chiese di rimetterla alla prova.
« Non ce la faccio più » Arya scoppiò a piangere: « BASTA! BASTA! BASTA! »
Si colpì le tempie con una serie infinita di pugni, fuori di sé. « NON CE LA FACCIO PIÙ! BASTA! »
Una lingua di fumo calò lentamente dal cielo, serpeggiò solitaria nella notte, raggiungendola, quieta e passando inosservata da occhi e bocche nemiche. In un attimo, strangolò la lama di luce e la annientò, frantumandola in polvere.
Arya, non appena si rese conto del fatto, non appena capì che non c'era più alcuna speranza, lasciò andare l'elsa ormai spoglia e precipitò al suolo.
Con i capelli sparsi sull'asfalto, le labbra semi-aperte e la carnagione cadaverica, la Guerriera riposò.
Non un singolo raggio di sole avrebbe mai più rischiarato il cielo di Rozendhel. Le vocette dei bambini erano appassite, il dolce canto degli usignoli era migrato altrove e le foglie dei platani non ombreggiavano più i viali... i ricordi, anche loro, ben presto, sarebbero svaniti, e di quella piccola cittadina non sarebbe rimasto altro che niente.
Un'ultima lacrima rigò il volto di Arya. Non era il finale che si era aspettata. Non era ciò che voleva, che aveva desiderato!
Immagini confuse presero a scorrerle nella mente, come un vecchio nastro tutto impolverato e malridotto: riuscì a distinguere la volta in cui Beckah le promise di farle vedere un suo dipinto, il primo incontro con Nathaniel, un bacio rubato, l'abbraccio di sua zia, la risata sguaiata di Hazelle, un giro in macchina con Oliver, le piume di Bartek e quelle di Quinn. E ancora, il cinema francese, il rogo di Markos, Dalila, Logan, Throker e Zhokron.
Sentì il cuore scoppiarle in petto, incendiarle l'animo e, in un attimo... andò a fuoco.
Si alzò in piedi e lasciò che le più alte fiamme le invadessero le carni.
L'ala si carbonizzò, la divisa mutò in brandelli.
I capelli le frustavano il volto fiero, mentre dal basso si originava un anello di fuoco biondo.
Alzò le braccia e quella nuova torre di lava incandescente la condusse su, in alto, faccia a faccia con Incubo per l'ultima volta.
La Guardiana del Fuoco Aureo, priva di ogni armatura, con il sudore che le colava tra i seni, sprovvista di ogni esercito, allungò le mani da bambina e accese la notte.
I capelli le si tinsero di quell'inconfondibile sfumatura dorata che da sempre aveva obbedito ai suoi ordini e comandi. Gli occhi le dardeggiarono di rosso.
Ruggì: « incendio! »

 

 

 

 

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Capitolo 48
*** Capitolo 47: Arya Mason // Epilogo ***


CAPITOLO 47:

 

Arya Mason

 

Il teatro dello scontro era l'apoteosi del caos.
La colonna di fuoco torreggiava sui resti di una città in malora, sulla devastazione e le distese della morte. Proprio lì, in cima, sbocciava la Guerriera del Fuoco Aureo – il fiore più caldo di quel gelido inverno di Agosto. Alta, fiera e pura, congiunse le mani dinanzi al petto e ne trasse via una fiamma dorata.

Incubo, la nube oscura originatasi da un remoto frammento dell'Universo, si godette la scena – cieco della sua stessa arroganza, vulnerabile, convinto che nulla avrebbe mai potuto scalfirlo.
La Guerriera sollevò il capo, carboni ardenti al posto degli occhi e capelli d'oro che le frustavano il volto di pesca. Acchiappò la fiamma tra indice e pollice di una mano, inarcò la fronte come un cecchino esperto e tirò, colpendolo lì dove teneva nascosta la gola.
Il fumo purpureo esplose nella notte e la creatura si lasciò scappare un grido di dolore, tanto acuto quanto minaccioso.
Bombe di fuoco, dunque, contrastarono i suoi tentacoli.
Rombi di guerra esordirono come tuoni del più violento dei temporali ed il mondo, debole, cominciò a sgretolarsi sotto la grandine di ceneri.
Mentre il ruggito delle fiamme riempiva lo Spazio, Arya riuscì a percepire un suono, un sibilo che le strisciò nella mente e la avvelenò. Al contrario di quanto avesse creduto fino a quel momento, Incubo possedeva una voce e parlava una lingua antica, incomprensibile per coloro a cui non avesse voluto farla intendere. Era una catena di minacce la sua, all'apparenza solida, ma che tradiva uno stridio di paura e che arrugginiva lentamente, come se il fuoco la stesse rovinando a poco a poco.
Arya venne posseduta dal feroce senso di determinazione che precede un omicidio, sicura della vittoria... ma se solo non avesse abbassato la guardia e gioito prima del tempo, Incubo non avrebbe mai interpretato i cupi cenni di ingenuità che ancora la guidavano. Con il rifluire della rabbia in un cinereo senso di diletto, egli combinò lì su due piedi una strategia per trarla in inganno. Cercò quindi di distrarla, tenerla occupata prima di palesarle quanta vigliaccheria gli scorresse ancora nelle vene.
La Guerriera scivolò in avanti ed una nuova scheggia di vetro nero le trafisse la schiena, una spalla, il punto in cui la vecchia Arya teneva la cicatrice di un proiettile, l'arma del Cacciatore. Il dolore la pervase – come se la creatura le stesse divorando il cuore, strappando ogni boccone con zanne affilate e artigli.
La voce tornò a imbrattarle la mente, tronfia.
Bastava così poco per sconfiggere la Guerriera della Luce? Era stato così facile spegnerla?
Arya allargò le braccia, colma d'ira, e fece per scagliare una tempesta di fuoco che si originò, muta, dalla torre e prese le sembianze di una fenice – gli occhi di ossidiana, il becco affusolato e tre piume dorate che le pendevano dalla coda. Quindi si alzò e piroettò nel cielo, maestosa, mordendo la creatura e lacerandole le carni di fumo. Granelli di materia simili a polvere si calarono al suolo e, pericolosi tanto quanto un ordigno militare, aprirono una voragine verso l'Inferno, risucchiando tutto ciò che trovarono lì intorno.
Arya chinò il capo, inquieta. I suoi peggiori timori erano stati confermati. Alla morte di Incubo non avrebbe fatto seguito alcuna vittoria. Il bacio asintotico tra i suoi avanzi e Rozendhel avrebbe difatti scaturito una serie di esplosioni che, in pochi minuti, l'avrebbero annientata. Di quella piccola città nello Stato della Virginia sarebbe sfumato anche il ricordo.
Subito, Arya tentò di mettersi in contatto con Rhaego, sperando che non l'avesse abbandonata. Serrò le palpebre e lo vide nell'oscurità: era ferito ad un'ala, perdeva sangue e non riusciva a tenersi in equilibrio. In compagnia dei ruderi, quando udì la sua voce, drizzò l'enorme capo cornuto e mugolò un verso.
Cerca la mia Congrega. Trova Oliver e Logan. Mettili tutti in salvo. Gli sussurrò in segreto. Quando darò il colpo di grazia ad Incubo, dovrete già essere lontani. Capito?
Benché il dolore lo stesse visibilmente consumando, il drago non mancò d'obbedire e chiamò a gran voce i superstiti – senza ricevere alcuna risposta. Arya pregò in silenzio, mentre la fenice scelse di tornare all'attacco – i movimenti aggraziati, cauti. Fece il possibile pur di ripetere l'azione di qualche istante prima, arrendendosi non appena i tentacoli l'avvolsero da capo a coda e la condussero dinanzi alle fauci della creatura madre.
Un grido straziante l'accompagnò sino ai cancelli di un nuovo mondo, mentre le sue carni di fuoco venivano triturate dalle zanne e scoppiettavano in lampi di luce dorata.
Seppur fosse un pensiero orribile, Arya desiderò che Incubo ci mettesse molto tempo ad inghiottirla – il necessario affinché Rhaego recuperasse da terra tutti quei vari corpicini contusi dai lividi e le ferite. Ma quando si chinò per l'ultima volta, la terza per la precisione, nessuno era stato accolto sul suo dorso.
Lo vide allontanarsi, sfuggire alle lingue di fumo (che lo inseguirono) e precipitare, stanco, a qualche chilometro di distanza.
Inspirò profondamente.
Il silenzio che si propagò ovunque fu irreale, come se ogni suono fosse stato bandito, fosse scappato per timore di venir annientato da ciò che sarebbe avvenuto da quell'istante in avanti. Fu come precipitare in un vecchio incubo, nella dimensione in cui si era rifugiata insieme ad Hazelle e aveva incontrato lo spettro di Morgause.
Se quella fosse stata una notte normale, l'oscurità avrebbe avuto i minuti contati, sicché l'alba avrebbe incendiato il cielo e dato inizio ad un nuovo giorno.
Eppure, tutto ancora taceva. La notte non sarebbe mai tramontata.
Intanto che i ruderi tremavano ed i rami degli ultimi alberi, inspiegabilmente, prendevano fuoco, Arya sentì il potere fluirle nel corpo, raggiungere i palmi delle mani e arderle i polpastrelli. Abbassò lo sguardo: non trovò i suoi piedi. Era come se stesse divenendo un tutt'uno con la torre, trasformandosi in una creatura magnifica, dipinta di un nobile oro, imponente.
Le sue dita divennero fiamme danzanti; i capelli, lava.
In un attimo capì: era lei stessa che stava dando fuoco al mondo.
« Incendio! »
Come un raggio di sole che filtra attraverso una nuvola di pioggia, la Guerriera volò in direzione di Incubo e lo crivellò di colpi, ustionandolo. Tempeste di magia sfumarono nell'aria pura del mattino, mentre i brandelli del demone precipitavano al suolo e lo disintegravano.
Rozendhel gridò e, in quel chiasso infernale, la Guerriera riuscì a percepire un gemito levarsi da lontano. Era di nuovo Rhaego – dai suoi occhi bollivano litri e litri di lacrime preziose.
La battaglia volgeva al termine.
Quindi, Arya allungò le braccia e spinse la tempesta di Fuoco Aureo contro la nube, provocando un urto così violento che atterrì persino la forza che governa questo mondo.
Fu come se tutto scoppiasse contemporaneamente. La torre, la nube, ogni cosa.
La cenere le graffiò il corpo. Serrò le palpebre. Si abbandonò all'oscurità. Presto o tardi, sarebbe precipitata nella voragine e avrebbe dichiarato addio alla sua vita di morte.
Venne scagliata verso il centro della Terra, in una pioggia di scintille e caos.
I rumori la stordirono. Un lampo di luce l'accecò. I capelli le erano tornati rossi. La pelle non brillava più.
Mentre moriva, scorse l'alba.
Oh, chissà quanta noia avrebbe provato l'Universo nei millenni successivi, o che cosa avrebbe pianificato da quel momento in avanti? Avrebbe sentito la mancanza di una giovane fanciulla da manovrare per questioni che avrebbe fatto meglio a risolvere da solo? E se, tediato dai pianeti e le stelle, avesse creato lui stesso una minaccia da contrastare? Dopotutto, è così misera la vita di chi non conclude mai nulla, di chi poltrisce e prosegue, vagando senza meta.
Una nuova ombra si materializzò sopra di lei, acchiappandola, facendo scivolare gli artigli attorno al suo corpo.
Sentì vociare una piccola folla, un sottile: « è ancora viva? »
Sfortunatamente sì.
Atterrarono a qualche metro di distanza. Arya continuò a tenere gli occhi chiusi.
A differenza di quanto credesse, però, Rhaego fece scendere tutti meno che lei. Sebbene le loro menti non fossero più in contatto, aveva già capito tutto. Congedò i sopravvissuti, ruggì contro l'orizzonte e si alzò in volo – le ali non perdevano più alcuna goccia di sangue. Forse l'avevano medicato.
Arya schiuse una palpebra, accorgendosi di quanto fossero rimpiccioliti i suoi compagni – vide Beckah, un trionfo di lacrime, Oliver e Logan tenersi abbracciati, Cassandra, i capelli al vento e Darren, senza una mano.
Addio. Sussurrò loro, abbandonandoli ai confini di una voragine profonda e nera come il ricordo del demone che l'aveva risvegliata. Persino il cartello che le si stagliava ancora accanto appariva piuttosto ironico – in campo verde ed in un elegante corsivo, difatti, recitava la frasetta: benvenuti a Rozendhel!
Ebbene, questa è la storia di Arya Mason – Custode della Chiave, Guardiana del Fuoco Aureo, Strega-Guerriera dell'Impurità, erede di Zehelena e Meera, sopravvissuta al crollo della Dimensione e pedina dell'Universo.
La Comunità Magica continuò a narrare le sue avventure per secoli e secoli, istruendo i più piccoli, rendendola un vero e proprio modello da seguire. Naturalmente, le versioni differirono di luogo in luogo: c'era un popolo di maghi in Svizzera che sosteneva la teoria per cui Rhaego l'avesse portata in Paradiso, chi invece credeva che dopo quello scontro si fosse trasferita in Antartide e avesse partorito dieci figli.
Nessuno la vide più. Nessuno conobbe la fine della sua storia... a parte me e pochissimi eletti.
Una barbona di New Orleans, una vecchia strega a cui in precedenza erano stati tolti i poteri, la riconobbe in una notte gelida e tempestosa mentre entrava, furtiva, in una casetta di legno, le mani impegnate con una boccetta di cristallo. Quel caso le fece ottenere una tale fama che ben presto riuscì a permettersi anche una scopa di saggina automatica, la più cara in circolazione. Ogni testata giornalistica voleva scambiare quattro chiacchiere con lei, ogni salotto della tv magica la voleva come ospite. La resero una celebrità a tutti gli effetti.
Spuntò così anche il fenomeno delle sosia! Una in particolare, Valery Hudson, con i capelli tinti e le labbra carnose, si diede fuoco in pubblico... perdendo la vita a causa delle ustioni qualche giorno più tardi; o ancora, la giovane Katerina Dimitrova, che sostenne di essere sua figlia, venuta al mondo da un incesto tra lei ed il suo antenato drago.
Oh, chissà! Chissà che reazione avrebbe avuto la vera Arya Mason udendo quelle storielle da quattro soldi. A parer mio di scrittore, si sarebbe sorpresa nel suo volto da bambina. Avrebbe poi accompagnato una ciocca dei suoi lunghi capelli di ciliegia dietro l'orecchio e avrebbe sorriso. Divertita.
Serena.

 

 

 

 

 

EPILOGO

 

50 anni dopo

 

Il signor Hopkins-O'Mooney era solito alzarsi di buon'ora al mattino. Era un uomo ordinario, corpulento e con un grosso paio di baffi grigi. In pensione ormai da qualche anno, si dilettava a scrivere romanzi e viaggiare per il mondo in compagnia di suo marito, il signor Logan. Dal giorno in cui si erano scambiati il loro primo bacio erano trascorsi più di dieci lustri ed ora vivevano insieme in una piccola cittadina del Kentucky, in un condominio tranquillo, con le inferriate alle finestre ed un invitante profumino di biscotti che avvolgeva sempre l'intero pianerottolo. L'adorabile signorina che abitava loro accanto sognava di aprire una pasticceria e almeno un paio di volte alla settimana bussava alla porta, con un vassoio ricco di dolci e croissants tra le mani.
Era una vita serena, che non conosceva il concetto di soprannaturale o qualsiasi altro evento che si potesse definire strano... perlomeno ne dava l'impressione!

Al ritorno dal loro primo soggiorno in Italia, infatti, qualcosa era cambiato ed il signor Hopkins iniziò a fingere che tutto fosse a posto, che tutto stesse procedendo normalmente.
« È da quando siamo tornati che non mi rivolgi la parola » gli fece notare suo marito, al letto, con l'abat-jour ancora accesa sul comodino. « Cos'è successo quella mattina? »
« Quale mattina? » Finse lui, stanco.
« Non credo ci sia bisogno che io ti ripeta la cosa. Ti sei svegliato presto, hai lasciato l'albergo, sei andato sul Lungotevere e... non so! Da lì, sei diventato strano ».
« Non ne voglio parlare ».
« E invece dovresti! Perché non voglio vederti trascorrere tutte le giornate da solo, nello studio » lo rimproverò Logan: « ti hanno derubato? O minacciato? »
Il signor Hopkins scosse la testa.
« E allora cosa? »
« Ho visto Arya » tagliò corto, in un silenzio carico di tensione: « Arya Mason ».
« Che cosa? » Logan inarcò le sopracciglia folte: « ma è impossibile, tesoro! »
« E invece sì, era lei » si mise a sedere, le braccia abbandonate lungo i fianchi: « era così come la ricordiamo! I capelli lunghi, gli occhi verdi, la fotocamera tra le mani... ».
« Sarà stata un'altra ragazza ».
« No! » Sbottò il signor Hopkins: « ti dico che era lei! »
Allora, suo marito non poté fare a meno di raggiungerlo e prendergli una mano, dolcemente: « non hai mai superato il suo abbandono, vero? »
Il signor Hopkins aveva le lacrime agli occhi.
« Dai, andiamo a prepararci una camomilla ».
Camminarono sino in cucina – l'odore delle bistecche della cena ancora forte e, a tratti, nauseante. Il signor Logan, piegando a fatica le ginocchia, riuscì a recuperare un pentolino dallo stipo in legno pregiato e, con dita tremanti, si accinse a preparare il tutto.
Egli al contrario, non pronunciò alcunché – rimase in silenzio anche quando gli venne affidata la sua tazzina preferita, colma e bollente.
« Spiegami come possa essere possibile » iniziò suo marito, seduto dall'altro capo del tavolo.
« Non lo so! Ma era lei! Te lo posso anche giurare! »
« E cosa vuoi fare al riguardo? » Logan piegò la bocca in una smorfia: « tornare a Roma? »
Il signor Hopkins scosse nuovamente la testa: « no, perché lei è in Virginia! Mi sono messo in contatto con un'ex-strega della Natura! So dove trovarla ».
« Ma che diamine, non puoi presentarti a casa di una ragazzina! »
« Non è una ragazzina qualsiasi! È Arya! »
« Arya è morta, Oliver! »
Il silenzio tornò ad imbrattare la cucina. Il signor Hopkins fece per alzarsi e, immediatamente, venne raggiunto dall'altro che tentò di porgergli le sue scuse: « tesoro, non volevo... ma ti scongiuro, non andare lì ».
« Ho il treno per domattina. Andrò da solo ».
« E va bene, mi arrendo! Ma almeno lascia che ti accompagni in stazione! »
Il mattino seguente, quindi, si misero in macchina – una Cadillac nera, recente, uscita pochi anni addietro – e, camminando a braccetto, giunsero nell'affollatissima banchina.
Logan aspettò lì finché il treno non si decise a partire (con venti minuti di ritardo) e salutò suo marito, sorridente tra le rughe della vecchiaia. Oliver, al contrario, alitò sul finestrino e disegnò un cuoricino attraversato da una freccia e le iniziali dei loro nomi.
« Ti amo ».
Il viaggio durò meno di quanto pensasse e, non appena ebbe messo piede in Virginia, prenotò subito un taxi, augurandosi che tutto andasse per il meglio.
La ragazza che aveva visto a Roma, sul Ponte Elio, con aria beata e sognante, era la sua migliore amica, ne era più che sicuro. Quel portamento sgraziato, i capelli color rosso ciliegia e la risata inconfondibile... era la sua tappa-piatta!
Che razza di coincidenza, però, li stava vedendo protagonisti? Perché l'Universo, la forza che governa tutto quanto, aveva scelto di riservar loro un trattamento del genere? Farli incontrare direttamente negli Stati Uniti sarebbe stato più conveniente, no?
Il taxi sfrecciò in una stradina stretta, a doppio senso di circolazione, con pini secolari tutt'attorno che obbligavano a proseguire diritti.
Oliver osservò il panorama e credette di essere finito in Canada, in quelle valli sconosciute che accomunano parecchi film dell'orrore; presto o tardi, quindi, dalle ombre delle chiome, sarebbero calati un paio di vampiri succhia-sangue... o meglio, un paio di demoni che avrebbero tentato in ogni modo di strappargli via il cuore! Rise sotto i baffi.
Il conducente si arrestò in mezzo al nulla: « non credo sia sicuro scendere qui ».
« Il navigatore dice che questa è la zona giusta, no? »
« Sì, ma... ».
« Arrivederci, allora! »
L'aria era fresca e gli punzecchiava la pelle raggrinzita. Quando si immischiò nel bosco, la vegetazione si ammutolì e quell'ispido tappeto di aghi di pino che aveva sotto i piedi cominciò a scricchiolare.
La luce filtrava attraverso i rami più alti e irradiava una serpeggiante via di sassolini ed erbetta – una loro abitudine venir calpestati.
Oliver la seguì per circa mezz'ora, affaticandosi troppo per un signore della sua età. Poi, però, colmo di gioia, vide del fumo alzarsi da lontano e capì che ce l'aveva fatta.
Dal comignolo di quella casetta in mattoni proveniva un odore di castagne appena cotte, e forse anche un po' bruciacchiate. Le finestre somigliavano agli oblò delle navi, deliziose, e sul tappeto di benvenuto c'era disegnato un gattino nero, con una luna al rovescio sul muso.
Oliver bussò, tutto eccitato.
« Chi è? » Domandarono da dentro.
« Salve! Mi chiamo Oliver Hopkins e ho affrontato un lungo viaggio per venire fin qui ».
« Non conosco nessun Oliver Hopkins! Si allontani o chiamerò la polizia! »
« La prego! Mi faccia entrare! » Esclamò l'anziano: « sono stanco e affamato. Sto cercando Arya Mason ».
La porta allora si aprì cigolando e, molto lentamente, mostrò la figura di una nuova vecchina, tutta gobba e con una cascata argentea che le fluiva sino ai fianchi. Aveva gli occhi di smeraldo, celati da un paio di lenti a mezzaluna, indosso un maglione di cashmere, una gonna color lilla e delle ciabatte di spugna.
Il signor Hopkins sbirciò all'interno, in cerca della nipote.
« Come fa a conoscere quel nome? » Gli domandò lei, incuriosita. « E come ha fatto a venire fin qui? Non ricevo ospiti da secoli ».
« È la mia migliore amica! Dov'è? Posso incontrarla? »
« Qui non c'è nessuna Arya Mason, mi spiace ».
« Non mi dica bugie! Ho contattato una strega e... ».
« Una strega? » Ripeté la vecchina, deglutendo: « ma Lei chi diavolo è? »
« Gliel'ho detto! Sono Oliver Hopkins! E sto cercando la mia migliore amica, Arya Mason! L'ho incontrata a Roma e... ».
« Entri immediatamente! » E lo afferrò per un polso, con il vigore di una giovinetta.
Lo accolse nell'ampio salotto, adornato di statuine di gnomi, piante finte e dipinti. Il parquet era di legno di ciliegio, come anche l'arredamento ed il tavolo circolare. Oliver prese posto accanto al camino, dal quale proveniva il dolce calore delle fiamme. Si strofinò le mani e si lasciò attraversare da un ultimo brivido di freddo.
La vecchina lo raggiunse – sfumature di preoccupazione e interesse alternate in viso.
« Dov'è? »
« Le ripeto che qui non c'è nessun altro a parte me ».
« E perché quella strega mi ha consigliato di venire? »
« Perché io sono stata l'ultima persona ad averla vista » tagliò corto lei, pentendosene immediatamente.
Il signor Hopkins, più confuso che mai, volle chiederle quale fosse il suo nome, ma non una parola si degnò di uscirgli di bocca.
La vecchina proseguì: « ha detto che era un suo amico, giusto? »
« Il suo migliore amico » la corresse: « abbiamo condiviso tutto insieme. Sono stato il primo al quale ha detto la verità... riguardo la sua vera natura ».
« E quand'è stata l'ultima volta che l'ha vista? »
« Qualche settimana fa, in Italia ».
« E prima ancora? »
« Sono passati cinquant'anni » disse lui in un sussurro, come se il ricordo lo stesso consumando: « quando è caduta Rozendhel... se ne andò via in groppa ad un drago, Rhaego ».
La vecchina si portò una mano al petto, elegante. « Arya Mason è morta ».
« Non è vero! Io l'ho vista! »
« Ha avuto un abbaglio! L'Universo non le avrebbe... ».
« L'Universo? » Oliver alzò la voce: « quindi anche Lei conosce tutti i dettagli! Mi dica chi è? »
« Non ha alcun diritto di entrare in casa mia e sbraitarmi contro, sa? »
« Mi dica il suo nome! »
« Zehelena! » Gridò lei, nervosa: « mi chiamo Zehelena! »
Nella mente del signor Hopkins quel nome esplose come un tuono, un fulmine a ciel sereno. Fu come svegliarsi da un letargo durato decenni, che lo portò a spolverare le pagine ingiallite di un romanzo che aveva ormai dimenticato nella libreria dei ricordi, di aver persino letto. Dunque, se la memoria non lo ingannava, come spesso accadeva ultimamente, aveva dinanzi a sé la strega-guerriera più celebre della storia, condannata dall'Universo a scontare l'eternità in un luogo orribile, conosciuto come le Rovine di Meeragonthur.
Zehelena abbassò lo sguardo – vecchia.
« Posso raccontarti ogni cosa » inspirò lentamente: « tanto, ormai... »
« Sì » la pregò Oliver: « per favore ».
Zehelena fissò la danza delle fiamme nel camino, come se non riuscisse a confrontare i suoi occhi.
« Arya Mason volò via da Rozendhel e si diresse verso New Orleans, città in cui sperava potesse ricominciare daccapo » narrò: « trovò lì la figlia malata di un certo stregone, Dalila, affetta dalla Maledizione del Nero: magra, calva e con frequenti allucinazioni. Da come mi disse, capì subito che anche le Lacrime di Rhaego non avrebbero potuto guarirla. Tentò comunque di prendersi cura di lei... ma fu inutile. La mia giovane erede, quindi, pensò di non aver più alcun motivo per vivere la sua vita e mi raggiunse in Europa, nelle Rovine di Meeragonthur ».
« Ma da come sapevo io » iniziò Oliver: « soltanto una volta si può accedere in quel luogo ».
« Infatti » Zehelena continuò ad osservare le fiamme: « Arya Mason fece un patto con l'Universo ed entrò in città. Era tanto stanca, le ossa che le premevano contro la pelle e le occhiaie che le divoravano il volto. Mi disse che ero libera di andare, che l'Universo avrebbe preso la sua vita e avrebbe concesso a me il perdono ».
« Quindi, Arya è ancora lì! » Esclamò Oliver, alzandosi.
Zehelena scosse il capo: « un attimo dopo che io mi allontanai, Meeragonthur scoppiò in un lampo di luce bianca. Arya Mason è morta ».
Con un tonfo sordo, il vecchietto crollò nuovamente sulla sedia.
Il peso della sconfitta, il peso di chi aveva trascorso anni ed anni a cercare uno spettro, prese a gravargli sulla schiena.
Perché non gli era mai venuto in mente di raggiungere New Orleans? Perché non gli aveva mai attraversato la mente l'idea che se ne fosse potuta andare in Irlanda?
Aveva interrotto le ricerche all'età di ventisei anni, dopo essersi laureato e aver gongolato a nozze. A quei tempi, non voleva dimostrare quanta sofferenza provasse ancora e somministrare inutili preoccupazioni a Logan, che già aveva perso un occhio nella battaglia di Rozendhel.
Dunque, scelse di andare avanti per il bene di tutti.
Ora, avendo appreso la verità, avrebbe dovuto comportarsi alla stessa maniera.
« Solo una cosa » disse: « e poi basta ».
« Dimmi ».
« Chi pensi che fosse quella ragazza in Italia? »
Zehelena fece spallucce: « non ho più alcun potere o sfere di cristallo. L'Universo mi ha privato di ogni cosa. Non posso aiutarti ».
Oliver dovette trattenere il pianto. Zehelena se ne accorse e ricominciò: « ho sempre creduto che l'Universo fosse un'entità oscura e crudele, però... ».
« Cosa? »
« Credo che abbia scelto e voluto donarle una nuova vita, un premio per tutto ciò che ha dovuto passare ».
« Dici davvero? » Oliver si aprì in un sorriso infantile: « quindi, quella ragazzina era davvero Arya! »
Zehelena annuì: « l'Universo le avrà cancellato la memoria, le avrà donato un paio di genitori in gamba e privata della Magia ».
« Tutto ciò che aveva sempre desiderato ».
« Esatto ».
Finalmente, si scambiarono un'occhiata complice, poi Zehelena accompagnò Oliver al limitare del bosco, dove ad attenderlo c'era già un altro taxi.
« È stato un piacere conoscerla ».
« Anche per me » disse lui, balzando all'interno con un'agilità tale che ben presto lo avrebbe fatto pentire: « allora... addio ».
« Addio, Oliver! »
La vettura cominciò a muoversi e Zehelena l'accompagnò con una mano alzata, in segno di saluto.
Sotto gli occhi dell'Universo, come vecchi amici, entrambi sorrisero.

 

 

 

FINE

 

 




Alloooooooora... eccoci qui! *sigh*
Non vorrei dilungarmi troppo, annoiarvi con quest'ultimo angolino-delle-chiacchiere, quindi cercherò di essere il più conciso possibile (anche perché è l'una di notte ed io dovrei andare a letto AHAHAHAH).
Okay. Iniziamo.
Rozendhel è giunto al capolinea. Come volano gli anni, eh? Nel lontano 2014 avevo le idee piuttosto chiare riguardo l'andamento della storia, ma mai mi sarei sognato di sfociare in leggi dell'Universo, titani rocciosi, punizioni (semi)divine, e chi più ne ha, più ne metta! L'idea era quella di partire da un contesto abitudinale, quotidiano, e di renderlo poi sempre più interessante; di creare dei personaggi "veri", con i quali ci si potesse facilmente immedesimare. Spero che tutto questo, in un modo o nell'altro, vi sia arrivato, che abbiate letto ogni capitolo con entusiasmo e curiosità. 
Per quanto mi riguarda, la dolce Arya Mason avrà sempre un angolino speciale nel mio cuore - il personaggio che più di tutti si avvicina a ciò che sono io realmente - e mai mi scorderò di tutti i vostri commenti, correzioni, idee, l'hashtag #Aryamainagioia (che ogni volta mi stendeva AHAHAHAH) e via dicendo!
Sono stati tre anni molto intensi... ed ora non mi resta altro che ringraziarvi per essere giunti fin qui, per avermi dato l'opportunità di narrarvi questa storia. 
Magari, un giorno, ci incontreremo di nuovo! In altri mondi, con altri personaggi, seguendo altre avventure!
Arrivederci, dunque!

È
stato un onore ed un piacere.

_Charlie_.

PS: un ringraziamento speciale va a Giovanni, Emanuele e Davide che mi sono sempre stati accanto in questo lungo percorso. GRAZIE MILLE <3

 

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