Iris- La chiave

di Light Clary
(/viewuser.php?uid=196921)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** 1 - L'inizio del tutto ***
Capitolo 3: *** 2 - A Boston ***
Capitolo 4: *** 3-Coinquilini ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***






  Iris è una ragazza con il dono di aprire

i portali con altri mondi, in particolare quelli dei racconti più conosciuti.

Non sa che volendo potrebbe cambiare le sorti dell'universo e scatenare una guerra dove

l'equilibrio tra i due mondi potrebbe spezzarsi.

Per scrivere questa storia mi ispirerò molto a tanti film e libri conosciuti, di tutti i generi; dall'animazione Disney allo stile Horror di Stephen King, perché l'idea che intendo è quella di un collegamento tra tanti mondi diversi, tra cui anche quelli delle serie TV più conosciute

Ho una passione per tantissimi libri e film e metterle tutte insieme a portata di una semplice ragazza mi sembrava il massimo dopo tutti i viaggi che loro mi hanno fatto fare :) 

 

Spero di avervi incuriosito e di ricevere tanti commenti a proposito. Accetto critiche e consigli.

Il primo capitolo uscirà a breve ;)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 1 - L'inizio del tutto ***


               

Capitolo 1

Addio
 
Mi chiamo Iris e oggi raggiungo la maggiore età.
Proprio così. Compio 18 anni ed è anche l’ultimo giorno che passo tra le mura dell’Abbazia di Santa Isabella, situata in una zona campagnola di Filadelfia in Pennsylvania.
In molti penseranno che dover lasciare il posto in cui sono cresciuta non sia una cosa tanto facile da sopportare, ma si sbagliano di grosso.
Non aspettavo altro.
Mia madre è morta proprio qui. Dandomi alla luce.
Le suore mi hanno raccontato che durante il parto sono state costrette a un cesareo improvvisato a cui lei non è sopravvissuta.
La cosa di cui molte sorelle che le erano amiche, mi diedero colpa era che nacqui prematura di un mese. E fu proprio questo a ucciderla.
E la cosa peggiore. Anche lei era una suora, ceduta alla tentazione di un apparente gentiluomo che la piantò in asso la mattina dopo il sesso.
Per questo mi hanno fatta crescere con questo peso. Gli altri bambini erano orfani per altre ragioni oppure erano stati abbandonati, ma io ero quella che veniva definita come una specie di frutto del diavolo.
Da quello che so, l’unica ragione per cui non mi hanno cacciato dall’abbazia è che mia madre ha fatto giurare loro di crescermi.
Poteva anche risparmiarselo.
La maggior parte delle suore era ansiosa quanto me che arrivassi alla maturità per togliermi dai piedi. Hanno provato in tutti i modi a rendermi devota al signore per “espiare i miei peccati”, tanto da farmi prendere i voti di castità.
Col cazzo che ci sono riusciti.
Se non fosse stato per persone di cuore come giovani monache pivelle o alcuni dei frati che vivevano dal lato opposto, avrei ceduto.
Mi confortavano dicendo che Dio perdona ogni peccato, siamo tutti figli eccetera eccetera …
Ebbi bisogno di quelle parole però. Fino ai sette anni.
La notte in cui cominciò tutto.
 
Ricordo che pioveva. A quei tempi i temporali mi spaventavano più delle lezioni di religione di Suor Teresa, dove più delle volte mi beccavo una bacchettata sulla mano per non ricordarmi a memoria una parte dell’Antico Testamento.
I tuoni rimbombavano e i fulmini illuminavano il cielo.
Ero da sola nella mia cella (ora so che è così che i monaci chiamano le camere di un’abbazia, ma a quei tempi mi sembrava solo una prigione) e mi nascondevo sotto le coperte.
Dormivo da sola. Non avevo compagne di stanza. E se qualcuno arrivava era solo per due giorni, prima di essere adottato o traferito in un altro convento.
Per questo presi l’abitudine di non affezionarmi troppo a qualcuno.
Ad ogni modo cercavo di trattenere le lacrime, perché avrei potuto svegliare qualche bambino delle stanze vicine, che mi avrebbe accusato di non farlo dormire.
Ero con il viso affondato nel cuscino, quando un tuono più forte degli altri mi fece sobbalzare dal letto. Sperai che il rumore avesse coperto il mio grido. Ero scivolata e finita sul pavimento umido e avevo fatto cadere dal comodino il piccolo vangelo di cui dovevo recitare sei o sette versi prima di addormentarmi e una delle mie favole preferite; Il Mago Di Oz.
Se c’era un’alta cosa che mi dava la forza di andare avanti nonostante il poco affetto che ricevevo da tutti, era proprio la lettura.
Mi sono appassionata ai libri da … non riesco neanche a ricordare da quanto … sono sempre stata una lettrice accanita. Se un qualunque tomo che raccontasse una storia mi capitava tra le mani me lo divoravo in non meno di un giorno. In questo modo pensavo all’inizio, non potevo causare tanti danni. Me ne stavo in un angolo con i miei racconti e vivevo fantastici viaggi immaginandomi lì, con i protagonisti, a girare il mondo.
La parte peggiore era tornare alla realtà.
Se mi distraevo troppo con i miei libri, tralasciando quelli su cui dovevo studiare, mi venivano sequestrati quasi sempre a metà lasciandomi a bocca asciutta. Mi venivano restituiti di rado e a volte ero io a intrufolarmi nell’ufficio della Reverenda Madre e portarli via.
Non sapevo che quella stessa notte io e le storie che ho sempre amato saremmo diventati ancora più uniti.
 
Pioveva ancora e avevo rimesso a posto le cose cadute, provando a leggere qualche pagina del Mago di Oz per distrarmi dai fulmini e per qualche minuto la descrizione del gruppo che arriva alla Città di Smeraldo mi fece dimenticare tutto il resto.
Tanto che non notai subito di non essere più sola in camera.
Intravidi una sagoma nera ai piedi del mio letto.
Non ricordo se mi misi a urlare, a piangere o caddi di nuovo dal letto.
So solo che la scorsi per soli dieci secondi. Il tempo necessario perché tendesse una mano verso di me, posasse qualcosa sul mio materasso e si confuse nel buio, finché non riuscì più a riconoscerlo.
Mi strofinai gli occhi e puntai nella direzione dove l’avevo vista la lampada, che illuminò soltanto il mio armadio … e un piccolo oggetto luccicante ai piedi del letto. Mi sporsi e notai che si trattava di una chiave.
Entrava tutta in una mano. Aveva l’impugnatura con antichi fregi ed era rivestita in argento, con lo stelo intagliato a spirale. Era appesa a una catenina d’argento.
Me la girai e rigirai tra le dita presa dalla curiosità.
Infondo a sette anni hai ancora tante domande da porti su come gira il mondo, ma queste non riguardano fatti che invece necessitano di un’adeguata risposta.
Trovai quella chiave molto bella e decisi che l’avrei usata come segnalibro per non piegare i bordi delle pagine. Una cosa che tutt’ora odio fare.
 
Inutile dirvi cosa successe dopo. Immagino lo avrete capito.
Mi ritrovai catapultata nel libro del Mago di Oz.
La prima serratura che la mia chiave abbia mai aperto.
Non appena l’appoggiai sulle pagine del libro, queste emanarono un fascio di luce che quasi mi accecò. Un secondo dopo ero con un libro enorme davanti a me, aperto su una pagina a caso. Era come affacciarsi a una finestra da cui io dovevo semplicemente saltare.
Ero forse rimpicciolita io o il libro era diventato più grosso di me di dieci quintali?
Ripeto, quando sei bambino non ti poni queste domande.
Hai la possibilità di vivere un’avventura? La cogli al volo.
La mia tenera età comunque, mi permise di capire in fretta la situazione.
Una figura misteriosa, probabilmente una fata dei desideri mi aveva lasciato una chiave in grado di aprire portali nei libri perché deve aver capito che non esiste un’amante dei racconti più appassionata di me.
O almeno questa è sempre stata la teoria che mi sono fatta fino a una certa età.
Adesso che sono cresciuta voglio delle vere risposte.
Perché affidarmi un dono tanto potente, che non ho mai rivelato ad anima viva?
Non che non ci avessi provato.
 
-Che succede qui? – chiese Suor Beatrice mentre raggiungeva me e gli altri bambini nel cortile.
-Iris è matta – disse quello stronzetto di Roger.
-Non è vero! – mi difesi io – Ho detto la verità!
La suora vide le due mocciose Kira e Lesley che io avevo “accidentalmente” fatto piangere.
-Spiegati, Iris.
-Dice che è andata ad Oz e ha conosciuto di persona Dorothy e lo spaventapasseri – singhiozzò Kira – E non vuole che li conosciamo anche noi!
-E’ una bugiarda! – replicò Roger.
-Non è vero! – dissi io mostrando ancora il libro e la chiave – Sono andata davvero a Oz, grazie a questa chiave magica. Ho aperto le pagine! Ho creato un portale! – ma all’ennesimo tentativo di dimostrazione, il libro e la chiave rimasero impassabili – Non so perché ora non funziona più … ma è la verità …
Le due piansero più forte di prima.
-Ora smettila Iris- disse Suor Beatrice – E’ intollerabile che tu ti inventa delle storie per vantarti e confondere gli altri.
-Non me lo sono inventata! Questa chiave …
-Dove l’hai presa?
Lì mi bloccai: - Io … l’ho trovata …
-Ora me la dai subito.
-No! La prego! Non me la porti via! È un regalo!
-Un regalo? E di chi? Non c’è nessuno qui che ti voglia bene! – mi sfotté Lesley.
-Basta anche tu – la rimbeccò la suora – Dammela, Iris. Potrebbe essere di qualche vecchia porta.
-Ma è mia! – cercai di nasconderla dietro la schiena ma quel piccolo bastardo di Roger me la fregò alle spalle – Ei ridammela!
-Altrimenti che fai? Fai uscire un drago dal libro?
-Non ci sono draghi nel mago di Oz!
-Sei solo una pazza che vive tra le nuvole – si mise a giocherellare – Se questa chiave è magica dovrebbe volare. Proviamo?
-NO! – gridai sapendo già le sue intenzioni.
Troppo tardi. La fece ruotare tre o quattro volte e questa volò via dal suo dito per poi finire dritta nel pozzo del chiostro.
-NO! NO! PERCHE’ L’HAI FATTO? PERCHE?
-Perché mi andava!
-Tu … razza di … - inutile dire che ebbi il mio primo attacco di violenza verso qualcun altro.
E non starà neanche a spiegarvi la punizione che ricevetti.
Vi dirò solo che dopo quella volta cominciai a chiedermi se non fosse stato tutto frutto della mia testa.
Se ritrovarmi in una favola che amo e conoscerne gli eroi fosse un sogno che solo le vere lettrici come me possono immaginare.
Mi ricredetti subito, quando mi ritrovai la chiave in camera quella notte. Che fosse stata la stessa figura misteriosa a riportarla da me? Non posso ancora saperlo.
So solo che riprovai con un altro libro; L’isola del Tesoro.
E da lì capii di non essere matta proprio per niente.
Perché diciamocelo, non avrei abbastanza fantasia in testa, per immaginarmi luoghi così realistici come i Caraibi.
Quella prima perdita mi servì da lezione. Non avrei dovuto dire a nessuno che avevo la possibilità di aprire portali.
Per cui, se avevo voglia di farmi un viaggetto, dovevo stare molto vigile, assicurarmi che non ci fosse nessuno dei dintorni e starci meno tempo di giorni, di più la sera.
Vi starete chiedendo come facevo a tornare dal libro? Nello stesso modo in cui sono entrata. Devo inserire la chiave nella porta dalla quale sono entrata e mi ritrovo punto e a capo.
 
Mentre sto rivivendo i primi momenti di tutta questa situazione sto finendo di preparare la valigia. A parte qualche vestito e un piccolo vangelo (che ho intenzione di buttare quando sarò abbastanza lontana) non ho niente di importante da portarmi appresso.
Ovviamente non mi è permesso portare via con me i miei libri. Infondo non erano del tutto miei. Appartenevano alla biblioteca del convento. Il che significava che se mai avessi voluto rientrare nella stessa storia ma da un libro diverso, sarei parsa estranea ai personaggi con i quali mi ero divertita a crescere.
Ma infondo me lo aspettavo.
Ho diciotto anni. Non posso giocare alla principessa per sempre.
Non ho un piano ben preciso. Ho i miei obbiettivi ma devo approfondirli una volta lasciata questa città.
Con tutti i risparmi che ho messo da parte, più qualche contributo da parte delle poche persone civili in questo posto di merda, prenderò il primo volo delle dieci al Philadelphia International Airport.
Grazie ad una corrispondenza via lettere durata quasi un annetto, sono riuscita ad assicurarmi una convivenza con altre tre persone in un appartamento a Boston.
Sarà temporanea. Giusto una sistemazione che mi consenta di condurre le mie ricerche e risparmiare. Perché ne sono certa, non sarà il primo e ultimo viaggio che farò.
 
Sono con le valigie pronte, nell’atrio del Monastero. Tutte le suore, alcuni monaci e qualche nuovo bambino sono qui per dirmi addio.
Da quando ero piccola a questa parte solo cinque ragazzi sono rimasti come me al convento. Due perché ancora troppo piccoli e tre perché hanno messo il velo. Tra loro c’è quella stronza di Kira (Ora Suor Catherine). Tutti penserebbero che sia “cambiata” dopo aver preso i voti, ma io riesco ancora a percepire quel sorrisetto perfido che mi rivolgeva sempre prima di qualche umiliazione.
Ora invece è neutra. Guarda davanti a sé, aspettando come tutti che arrivi il taxi che mi porterà all’aeroporto.
Su dodici persone ne saluto affettuosamente solo tre.
Suor Maria Angela, una delle novizie che mi confortava nei suoi primi giorni, ora è diventata una donna ma è sempre premurosa.
-Trova la felicità. Dio sarà con te– mi augura baciandomi le nocche e mettendomi un rosario tra le dita. Questo credo proprio che lo conserverò. D’altronde lei è sempre stata una delle poche a dirmi che la libertà è dietro l’angolo quando meno te lo aspetti.
Poi mi avvicino all’abate Gregor, uomo coscienzioso, ma non duro di cuore.
-Le vie del signore sono infinite – mi dice – Ma so per certo che la tua è stata segnata da molto tempo. Pregherò perché tu possa trovarla e seguirla – non so se si riferisce al fatto che non mi sia mai degnata anche solo a pensare di farmi suora. Ma accetto comunque il suo consiglio.
-Grazie – gli bacio le mani.
Passo davanti a tutte le altre suore. Di quelle che più mi bacchettavano è rimasta solo Suor Teresa. Quel suo sguardo cagnesco verso la sua allieva peggiore non varia mai. Non mi scomodo a farle un cenno con la testa.
Mi preparo a salutare la piccola Louiselle.
Ha sei anni, ed è arrivata da un anno dopo che, da come mi ha raccontato, suo padre non vuole che lei un giorno si sposi. Il che vuol dire che molto presto anche lei porterà il velo, dovendo rinunciare ai suoi splendidi ricci.
In quest’ultimo periodo trascorso qui, ho voluto provare a tirarle su il morale e mi sono messa a raccontarle le mie storie preferite, a inventarmene alcune sul fatto che “non tutte le suore sono cattive” e lo penso davvero.
Mi chino davanti a lei. Sta piangendo.
-Ei – le dico accarezzandole la guancia – Non fare così.
-Mi mancherai – singhiozza sottovoce – Chi mi racconterà le favole adesso?
-Loro ne saranno più che felici– non sono molto indotta mentre indico le sorelle – Ti farai tante nuove amiche e racconterai loro tutto quello che io ho raccontato a te.
-Anche quella del tappeto magico?
-Specialmente quella – Le mille e una notte erano sempre stati i suoi preferiti.
-E avrò delle sorelle buone come te?
Il fatto che mi considerasse una sorella maggiore mi fa venire voglia di abbracciarla ma non voglio dare la soddisfazione di andarmene con rimorsi: - Si certo. Avrai tante sorelle, piccole e grandi e sarete una grande famiglia.
-Chi mi garantisce che ci rivedremo?
Esito un secondo. La risposta che vorrei darle significherebbe illuderla e non voglio che già da ora le insegnino che “mentire è peccato” e cazzate simili.
-Nessuno – rispondo sinceramente – Ma non puoi mai sapere cosa ti riserba il futuro.
Sento un taxi alle mie spalle suonare il clacson. È ora di andare.
-Guarda sempre avanti. Prima o poi la felicità arriva – concludo con Louiselle prima di darle un bacetto sulla guancia.
Lei mi prende alla sprovvista saltandomi al collo. Ecco ora posso dire di avere un rimorso; quello di lasciarla lì sapendo quello che ho passato io.
Ma forse con lei sarà diverso. Non è una “figlia del demonio che ha ucciso sua madre”.
Suor Teresa la strattona via da me: - Basta così. Dobbiamo andare in classe – mi rivolge un’occhiata rapida – Addio, Iris. Che Dio ti abbia in gloria.
La vedo trascinare via la bambina ancora in lacrime e questo mi mette davanti a un altro rimorso, ovvero di non aver mai avuto le palle per fare ciò che ho sempre voluto fare ovvero tirarle un sonoro calcio in quel suo culo grasso e dirle di andarsene a f…
-Allora ci muoviamo? – strepita il tassista suonando il clacson.
Mi riscuoto mentre mi ricordo che ora sono maggiorenne, ovvero sono libera.
Infilo la valigia nel cofano, apro di scatto la portiera e rivolgo un ultimo gesto alle suore rimaste sulla porta che ricambiano lievemente.
Finalmente la macchina parte.
-Aeroporto, giusto? – si informa il tassista.
-Sì – confermo mentre superiamo il cancello ed entriamo in aperta campagna.
Presto, l’Abbazia di Santa Isabella si fa sempre più piccola.
So meglio delle monache che non tornerò mai più in questo posto.
Mentre sta scomparendo non la seguo con lo sguardo.
Mi infilo una mano nella collottola e tiro fuori la mia chiave, appesa al collo dalla catenina da cui è unita.
Stringo il pugno e non mi volto per guardare un’ultima volta la mia “casa”
Non ho rimorsi.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 2 - A Boston ***


                       
Capisco che l’aereo è in fase di atterraggio dopo aver dormito per almeno tre ore.
Non ho mai pensato che viaggiare desse tutta questa sonnolenza, sarà che è la prima volta che salgo su un velivolo.
Scendo i gradini, prendo una macchinina che porta me e altri passeggeri lontani dalle piste di atterraggio e decollo e dopo aver attraversato un lungo tunnel mi ritrovo al Boston Logan International Airport.
C’è un via vai di gente di varie nazioni che si spintonano a vicenda per raggiungere le proprie mete.
Al momento la mia è alla fermata dei taxi.
Trascino la mia valigia, senza chiedere permesso o scusa a chiunque mi venga addosso perché da quanto posso notare sono l’unica che non corre.
Non ho mai visto un posto più affollato di questo. C’è una fila che mi tratterrà qui per almeno per un’altra ora. Tanto vale che prenda la metropolitana o mi metta a fare l’autostop.
Dalle grandi vetrate però posso ammirare la città.
Da tutte le immagini che in questi anni ammiravo in foto o sui libri, tra Boston e New York c’è molta somiglianza se viste dall’esterno.
Devo prepararmi a vivere nella confusione di una simile città.
Sono passati circa venti minuti quando finalmente riesco ad acchiappare un taxi e mi infilo dentro prima che qualcun altro alle mie spalle me lo fotta.
-Buongiorno – mi saluta il tassista.
-Salve – ricambio. Frugo nel bagaglio a mano e tiro fuori la busta con dentro la lettera dove era segnato l’indirizzo e glielo porgo.
-Va bene. Arriveremo fra mezz’ora – mi comunica.
Non riesco a trattenere uno sbuffo. Già mi immagino vista la grandezza della città, l’imponente traffico che troveremo a sbarraci la strada: - Perfetto.
Ringrazio che almeno non mi sono beccata un tassista chiacchierone come quello che mi ha portato all’aeroporto di Philadelphia della serie “Dove e diretta e perché”
Lo fanno perché si annoiano tutto il giorno ad andare a destra e a manca a favore della gente, ma dovrebbero capire che queste hanno una cosa che si chiama “privacy”
Poggio la testa sul finestrino e contemplo tutto quello che piano piano compare davanti a noi.
Il percorso è abbastanza piacevole da osservare.
I grattacieli si innalzano senza che riesca a vederne la cima. C’era un via vai continuo per le strade tanto che il traffico pedonale sovrasta quello stradale.
Vorrei che fosse notte per ammirare le luci che tutti simili edifici trasmettono illuminando la città. Io ho sempre amato la notte. La preferisco cento volte al giorno.
E mi riprometto, una volta sistemata nella mia nuova abitazione, di farmi un giretto in una di queste bellissime piazze, magari con un itinerario, e dimenticarmi per un attimo che ho un obbiettivo.
Infondo è il mio primo giorno di libertà. Chi potrebbe fermarmi?
-Mi scusi? – chiedo al tassista indicando un punto fuori dal finestrino – Cos’è quello? – si tratta di un edificio agli occhi molto più arcaico di tutti i palazzi moderni che lo circondano.
-Quella – mi corregge lui usando il femminile – è la Old State House. E’ lì dal millesettecento. Ci crede se le dico che è considerato l’unico manufatto di quel periodo che è rimasto intatto?
-Ci credo – confermo – quindi immagino che funga da museo?
-Indovinato – spiega lui – Hanno preveduto più e più volte di demolirlo, ma si tratta pur sempre della sede del governo coloniale, dove fu letta in pubblico la Dichiarazione D’indipendenza. Un’attrazione vantaggiosa. Ma è comunque affittabile per eventi.
Mi riporto queste brevi informazioni in mente, così come l’immagine dell’edificio che oltrepassiamo per addentrarci nel traffico di Washington Street, da come dicono i cartelli.
Non faccio più domande. Mi limito a osservare gli edifici, stavolta vedendo se riesco a scorgere qualche biblioteca, senza la quale so già che non mi sentirei mai a casa.
_______________________________________________________________________
Sono passati venti minuti quando veramente mi riprendo dal contemplare la città e mi preparo a scendere.
Il quartiere non è male. Rileggo l’indirizzo: 37° Summer Street.
Anche se non siamo proprio nel mirino di Summer Street, ma solo due vicoli nascosti dalla strada principale che si affaccia su una piazzetta poco frequentata con un piccolo parco e qualche negozio. Ammiro l’edificio che è comunque enorme. Non supererà i dieci piani.
Sospiro dicendomi che almeno non è una zona affollata.
Do la mancia al taxi che saluta e se ne va.
Mi metto a leggere i citofoni un po’ nervosa. Assai nervosa. Sto per andare a convivere.
I miei nuovi inquilini potrebbero non esserci, ma nell’ultima lettera della nostra corrispondenza c’era il dettaglio che nel caso, dovevo chiedere ai portieri di Mcbride e mi avrebbero lasciato le chiavi di scorta.
Mcbride eccolo! Esito solo un secondo prima di premere il pulsante del microfono facendo accendere la targa.
Mentre aspetto continuo a guardarmi intorno provando ad abituarmi al mio nuovo quartiere. Dovrò trovare il tempo di esplorarlo tutto.
-Hello?
Una voce ha risposto. È femminile.
-Ehm … – rispondo – Sono Iris Barnett – tanto per la cronaca mi è stato scritto sul passaporto da Suor Maria Angela il nuovo cognome a cui mi dovrò adattare - Dell’abbazia di Santa Isabella.
-Uuh …giusto … settimo piano!
E prima di riagganciare apre il portone.
Tengo stretti i miei bagagli e supero la hall dando il buongiorno ai due portieri che stanno chiacchierando con una sigaretta dietro il bancone.
L’ascensore si apre per fare uscire una famiglia con due bambine io prendo il loro posto.
Premo il numero sette e vengo sollevata. Le ascensori mi hanno sempre dato un po’ di nausea.
Ora che arrivo dovrò soltanto presentarmi, fare una veloce chiacchierata per conoscerci meglio e poi uscire con la scusa di vedere un po’ il posto. In parte è vero, però l’obbiettivo principale è riuscire a trovare una libreria abbastanza vicina.
Da quanto mi hanno scritto negli ultimi mesi anche loro si sono trasferiti da poco in città. Dovrò chiedere a qualcun altro più esperto.
Le portiere dell’ascensore si aprono e mi ritrovo in un lungo corridoio costeggiato da porte di legno verde.
Ad intuito mi dirigo verso quella in fondo che è socchiusa.
Prima di entrare faccio due bussate con le nocche.
-Avanti! – mi rispondono dall’interno.
Prendo un respiro profondo trattenendo l’agitazione e mi faccio avanti … per ritrovarmi davanti al più grande mucchio di scarpe che abbia mai visto. Occupano metà ingresso che da quel che vedo è abbastanza ristretto.
-Salve …? – chiamo.
E dal cumulo di tacchi esce fuori una testa bionda insieme a tutto il corpo. Sobbalzo. Si era completamente mimetizzata con le scarpe.
 È una ragazza dalla pelle chiarissima, così come gli occhi che tendono al verde oliva. Mi stupisco quando mi accorgo che ha i capelli bagnati e un asciugamano intorno alla vita.
Non appena entro, si rimette subito in piedi inciampando più volte nelle scarpe che lancia a destra e a sinistra per farsi una strada sicura e raggiungermi.
-Ciao – mi arriva davanti tendendomi la mano – Iris giusto? Ti prego perdona il caos, ma non mi aspettavo arrivassi proprio mentre uscivo dalla doccia. Mi ero ripromessa una volta asciutta, di dare una ripulita, ma poi mi sono ricordata che non avevo ancora scelto l’outfit con cui mi sarei dovuta presentare – indica il mucchio di scarpe – questo non è niente a ciò che c’è in camera mia, però io trovo che scegliere le scarpe prima dei vestiti, dato che è la parte più scomoda, vada messo come primo pensiero. In questo modo si lascia il meglio alla fine. Dulcis in fundo dicevano i latin….
Porca paletta, ho trovato una “Mrs Parlantina”. Mi ha rifilato diciotto informazioni in cinque secondi! Continua e non mi ha ancora detto il nome! Se non la fermo mi verrà un emicrania.
-Okay! – la spiazzo ad alta voce educatamente – Ho capito. Non ti preoccupare. Se vuoi posso aiutarti a dare una mano a ripulire, ma prima vorrei almeno mettere da parte le valigie.
-Oh, ma certo!– meno male. La tiritera si è fermata. Scavalchiamo il mucchio di scarpe e ci dirigiamo verso il corridoio principale dove veniamo invase dal calore del vapore che esce da un bagno dove evidentemente si era docciata poco prima – Non vedevo l’ora di conoscerti. Spero di poterlo fare una volta sistemata – fa una risatina nervosa – la tua stanza è di qua.
-Grazie signorina- chissà perché l’ho chiamata così.
A occhio e croce siamo coetanee. Devo levarmi l’abitudine di rivolgermi a tuti come se fossero miei superiori. Mi capitava solo nel luogo nel quale non metterò più piede.
-Signorina? – esclama lei offesa ma facendo l’ironica – Ma per chi mi hai presa, una governante? Se vogliamo essere buone coinquiline dobbiamo entrare già da subito in confidenza. Ho da poco compiuto 18 anni– come immaginavo. Fa una risatina veloce. Mi riprende la mano e stavolta la agita: - Chiamami Berry. Dayana Berry.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 3-Coinquilini ***




Dayana mi ha lasciata in una stanza non del tutto vuota. Deve aver vissuto qualcun altro qui prima di noi. Le pareti sono tappezzate da quadri e poster di film che non ho mai visto. Sulla scrivania è presente un vecchio computer e dei fascicoli impolverati. Il materasso posto vicino alla finestra dalle tende rosse, è coperto solo da un lenzuolo blu. Senza cuscino. Probabilmente si trova nell’armadio dalle ante rosa. Lo apro confermando l’ipotesi. Due paia di piumoni sono impilati sotto due cuscini che non hanno la federa. Vabbè, non è ancora ora di andare a letto. Mi adatterò quando sarà il momento.
Chiudo l’armadio e mi dedico invece a dare uno sguardo alla mensola dove sono presenti alcuni libri. Sono stati la prima cosa ad attirare la mia attenzione. Siccome sono mezzi di retro non riesco a leggerne i titoli. Poggio la valigia al muro e con un balzo riesco ad afferrare il primo.
Inorridisco.
After di Anna Todd.
A sto punto suppongo che gli altri libri siano le continuazioni. Lo rimetto a posto con una smorfia. Possibile che ormai libri seri non siano quelli più venduti?
Sobbalzo quando la trillante voce di Dayana sbircia dalla porta con un phon in mano.
-Allora ti piace la tua stanza? – domanda in fervore.
-Molto carina – e lo penso sul serio.
-Vieni che ti mostro il resto della casa – dice spegnendo per un attimo l’asciugacapelli.
Mi fa fare un tour veloce dell’appartamento e nel mentre si infila canottiera e maglietta a righe.
Il corridoio non è molto lungo. Mi indica la sua stanza che è proprio di fronte alla mia. Alla destra della sua c’è quella di Randall, l’unico maschio.
-Tranquilla, ha un bagno incorporato alla stanza- mi rassicura Dayana riferendosi a quando la mattina dovremo darci i turni per lavarci.
La cucina è abbastanza spaziosa. Sul tavolo ci sono i resti di una colazione molto frettolosa e mi chiede nuovamente scusa per il disordine. Nella sala da pranzo è presente una televisione a trenta pollici spento, una tavolata con alcuni giochi di società e un divano che funge anche da letto, dove mi spiega che dorme la terza ragazza Samia.
-L’ho sfrattata col mio arrivo? – domando ripensando al fatto che la mia stanza era troppo poco vuota per non essere appartenuta a nessuno da tempo.
-Ma no – risponde Dayana – Voglio dire … dorme sul divano certo … - fa un piccolo ghigno che non mi dice niente di buono – ma solo quando non è troppo occupata … nel letto di Ran.
Sgrano gli occhi e la blocco prima che continui: - Okay, okay. Ho capito.
Già l’idea di vivere con una tipa chiacchierona come lei non è che mi andasse propriamente a genio. Figuriamoci vivere con una coppietta che se la spassa davanti la mia stanza. So già che avrò certe notti accompagnata da rumori … vabbè non ci pensare.
Per concludere mi indica il bagno accessibile solo a noi tre donne, dal quale esce ancora il vapore della sua doccia e uno sgabuzzino.
Non è male come condominio. Mi aspettavo una cosa più piccola.
-Sistemati con calma – mi dice Dayana prima di chiudersi di nuovo nel bagno e finire di vestirsi.
Detto ciò ritorno nella mia camera e chiudo la porta. Posso finalmente aprire la valigia e lasciare spazio alla mia roba.
Incomincio con mettere i vestiti nell’armadio e l’intimo nei cassetti vuoti.
Poi passo a posizionare i libri che ho preso dal monastero sul comodino. Accarezzo le copertine consumate dal tempo:
Il mago di Oz, il primo libro in cui ho aperto il passaggio.
Le cronache di Narnia, la mia prima saga finita in due settimane.
E infine Il cavallino bianco meglio conosciuto come Moonacre.
Quando leggevo un libro all’infuori di questi, mi veniva sempre confiscato per darlo ad altri bambini che lo rovinavano strappando le pagine o colorandole.
Un’altra cosa che c’è da sapere sulla mia chiave è che se una pagina di un libro viene strappata, questa non fa più effetto e aprire portali mi è impossibile. Questi sono stati gli unici che sono riuscita a proteggere.
Quanti bellissimi luoghi mi è stato impossibile visitare.
Ma non posso lamentarmi. Di avventure ne ho vissute tante. Dire addio a quei mondi sarà più difficile di quanto possa credere. Però non c’è fretta.
Non ho la più pallida idea di come farò a trovare chi ha forgiato questa chiave e soprattutto perché ha deciso di darla a me. Mi toccherà fare lunghe ricerche in biblioteca per trovare una pista. Da sola non sarà un’impresa facile.
Ma chi mai vorrebbe aiutarmi? Chi mai vorrebbe credermi?
Una prova sarebbe una vera stupidaggine. Mi metterebbero sulle prime pagine di tutto il mondo facendomi diventare un fenomeno da baraccone utile solo a stampare banconote.
Le mie intenzioni una volta liberatami da questo fardello, saranno quelle di provare a essere una ragazza normale. Incominciando a frequentare l’università, scegliendo una facoltà nell’ambito della letteratura e magari in futuro, dedicarmi a raccontare storie che ho veramente inventato. E non vissuto.
Immersa in questi pensieri prendo la decisione, stanotte, di andare a far visita ai personaggi dei tre libri che più ho a cuore. Sarà una delle ultime volte.
Sospiro quando ho svuotato quasi completamente la mia valigia. Ho sistemato il letto aggiungendoci coperta e cuscino e al posto della federa ci ho messo sopra una mia maglietta abbastanza larga da ricoprirlo interamente.
Domani mi toccherà fare parecchi giri per negozi.
Qualcuno bussa alla porta e una testa bionda fa capolino sull’uscio.
-Si può? – domanda Dayana finalmente vestita e asciugata di tutto punto. Senza essere mezza bagnata (e nuda) è ancora più carina. Si è truccata, si nota. Ma non noto la differenza.
-Prego – la invito a entrare.
-Hai già disfatto le valigie?
-Non avevo molte cose dietro.
-Beh, se ti interessa Ran mi ha scritto che stanno arrivando. Ti va bene un take away giapponese per cena?
-Non ho mai mangiato il giapponese.
Non so se il suo sussulto sembri più un palloncino che si sgonfia.
-Stai scherzando? Mai un sushi in vita tua???
-Ehm … le suore non sono … tipe da sushi.
-Oh, poverinaaaa! Dobbiamo rimediare subito! Ora scrivo subito a Ran che il take away è confermatissimo! Ti faremo scoprire il mondo stasera!!
Non so come reagire davanti a questa scena. Un’incazzatura melodrammatica solo per un pesce crudo? Questa tipa deve essere più stravagante del solito. Però o troppo buffa.
Decido di non pensare da subito alla cena. Infondo è ancora presto, il che fa presagire che gli altri due arriveranno sul tardi.
-Dai ti do una mano a riordinare – dico ripensando alla promessa fatta non appena entrata in casa.
-Per quanto riguarda le mie scarpe ci ho già pensato io – dice Dayana indicandomi l’ingresso ora libero da quel mucchio di tacchi messi chissà dove.
-Allora pensiamo a sparecchiare – propongo ricordandomi gli avanzi della colazione.
-Scusa ancora – è la quindicesima volta che me lo dice – Io glielo dico sempre a Ran. Devi piantarla di usare la scusa dell’autobus che ti lascia a piedi per non rispettare il tuo turno di pulire! Ma lui è sempre un “no bro, devo scappare. Mi aspettano! Oggi ho il turno doppio” come fa ad avere il turno doppio tutte le volte che tocca a lui? Inoltre ho provato pure a ricordarglielo che oggi arrivavi tu. Ma non c’è stato verso, è proprio un vagabondo!
-Lavora? – voglio informarmi.
-Fa il commesso in un negozio sportivo. Guadagna più del dovuto. È un vantaggio per tutti noi. Offre sempre quando usciamo insieme.
-E invece tu?
-Io? Ci mancherebbe! Studio medicina alla Meyer. Miro a diventare un chirurgo.
-Accidenti! Avrai bisogno di fortuna!
-Lo so ma anche di tanta tanta determinazione! E quella non manca.
Mi stupisce come un personaggio all’apparenza un po’ svampito, voglia svolgere un mestiere che richiede la massima concentrazione.
Per rimettere a posto la cucina ci dividiamo i compiti di passare piatti e posate e lavarli.
A parte qualche altra critica sulla pigrizia di Randall, finiamo senza troppe chiacchiere. Poi passiamo al salotto dove sistemiamo in ordine carte napoletane con cui è stata fatta di recente una partita all’ultimo sangue. Sistemiamo in una piccola argenteria i bicchieri lucidati e sprimacciamo i cuscini del divano.
Dayana poi entra nelle stante dei suoi compagni e nella propria dove prende dei panni sporchi in vari cesti. Quello più pieno è quello uscito fuori dalla sua stanza.
Mentre mi spiega come accende la lavatrice passo un pochino l’aspirapolvere chiedendo istruzioni sulle zone più polverose.
Il tempo passa senza che me ne preoccupi troppo e quando il cielo si scurisce, abbiamo reso tutto molto più ospitale.
Strano; essendo la nuova arrivata dovrei essere stata accolta con quell’ordine, non doverlo creare. Ma infondo sono abituata a pulire senza che sia il mio turno.
Proprio mentre chiudo il piccolo balcone dove abbiamo appeso i panni, sentiamo aprire la porta d’ingresso.
-Sushi a domicilio! – urla una voce maschile.
-Non aspettarti la mancia! – ribatte Dayana raggiungendo i due ragazzi prima di me.
Randall è un ragazzo di bell’aspetto molto alto così come il suo ciuffo castano. E’ imbottito nel suo giaccone di pelle e mezzo volto è nascosto dalla sciarpa a quadri.
Vicino a lui c’è quella che deve essere Samia. E’ di origini orientali, si capisce dagli occhi piccoli e la pelle bianchissima. Cavoli se ha fascino.
-Ciao, piacere, Iris – esclama Ran afferrandomi la mano. Neanche il tempo di presentarmi di persona. Finora abbiamo avuto il tempo di conoscerci (si fa per dire) solo via lettera – Scusa l’attesa. Ma ne sarà valsa la pena vedrai.
Il che mi fa presupporre che Dayana gli abbia scritto che non ho mai mangiato il sushi. Alzo gli occhi al cielo limitandomi a sorridere: - Non fa niente. E’ un piacere conoscerti.
Quando stringo la mano di Samia noto che è molto sottile. Non si direbbe sia una tipa che mangia assai. Però non sembra troppo magra. Ha una forma perfetta.
-E’ bello incontrarti di persona.
-Anche per me – e non è del tutto una bugia. Fa un certo effetto vedere persone di cui ho solo letto dal vivo di fronte a me. Ne so qualcosa in più.
-Caspita, avete rassettato tutto! – si accorge Ran una volta raggiunta la sala da pranzo.
-Già. Peccato che qualcuno non ci abbia anticipate – lo sfotte Dayana.
-Daya, lo sai che non ne avevo tempo. Il venerdì è il giorno del pesce.
-E che cacchio significa?
-C’è la svendita di scarpe per la corsa campestre, per tutti quelli che non vogliono ingrassare dopo aver ingerito cento sushi, tonni e pesci spada tutti insieme. Se non gestisco quella folla di corridori a dieta, il reparto crollerebbe.
-D’accordo, “Mr salva scarpe” immagino dunque che vorrai cambiare il tuo giorno di pulizie. Un'altra volta.
-Beh … devo controllare la mia agenda.

-Ma sta zitto. Piuttosto – guarda la busta che ha in mano con occhi sognanti – il giorno del pesce vale anche per noi!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3703028