As Black As Ink

di _niallsbreath
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Era mercoledì sera.

Un freddo mercoledì di un febbraio ormai inoltrato. Come se non bastasse, da tutto il pomeriggio la pioggia non aveva mai cessato di scendere e rovinare quella giornata.

Tiffany insieme a Carola, la proprietaria, stavano sistemando gli ultimi libri degli scaffali e i fogli volanti sparsi per terra nella stanza audiovisiva.
Ogni mercoledì, da sei mesi a quella parte, Carola teneva un corso di scrittura e di poesia.
Era un corso completamente libero a chiunque volesse dare spazio e liberare i propri pensieri e far sfogare la propria vena creativa.
A Tiffany piaceva partecipare.
Amava i libri, e per questo amava lavorare in biblioteca.
Così si intratteneva per quell'oretta lasciando spazio alla propria creatività.

Quando non aveva nulla di dire, le piaceva ascoltare quello che avevano da dire gli altri.
Le loro parole, il loro modo di esprimersi.
A volte incontrava volti già visti, di chi già conosceva le storie e si limitava semplicemente a chiedersi cosa li avesse spinti nuovamente lì.
Altri li vedeva meno spesso, pochi mercoledì al mese.
C'era chi, invece li vedeva una volta, poi non si facevano più vedere li.
I volti nuovi per lei erano sempre una gioia.
Le piaceva immaginare la loro storia, pensare a cosa avrebbero scritto sul loro taccuino prima di esporsi e renderlo noto a chi già da tempo aveva preso confidenza con quel luogo.
A volte bastava guardarle negli occhi le persone per capire cosa avrebbero voluto dire.
Gli occhi sono lo specchio dell'anima e molte volte parlano al posto nostro.

Quella sera, infatti, nella piccola sala entrò un ragazzo.
Un ragazzo che Tiffany nè le altre persone presenti avevano mai visto.
E ne era sicura, perché una figura come la sua non l'avrebbe scordata facilmente.

Indossava una felpa beige.
Aveva arrotolato le maniche sin sopra il gomito, lasciando scoperte le braccia ricoperte di tatuaggi.
Indossava un berretto nero, per ripararsi del vento gelido e dalla pioggia che sembrava non voler finire mai.
Lo sfilò dalla sua testa rivelandone corti ricci ricadergli davanti agli occhi.
Due fari color smeraldo illuminavo la stanza.
Non lo aveva mai visto, ne era sicura.
Si era seduto nell'angolo più infondo della piccola aula.
I ragazzi nuovi si riconoscevano anche per questo. Tendevano a voler nascondere la loro presenza, non volevano che nessuno si accorgesse di loro.
Loro erano lì, ma volevano essere invisibili.
Quando si sedette, alcune persone si voltarono nella sua direzione curiose di vedere che aspetto avesse 'quello nuovo'.
Lui abbassò lo sguardo sui suoi stivaletti marroni, appoggiandosi al bracciolo della sedia con il gomito.

Tiffany si era seduta poco dopo di lui nella sua solita sedia rossa nella prima fila dell'aula.
Le piaceva stare lì, sapeva che le persone non sarebbero mai state abbastanza coraggiose per sedersi in prima fila.
Forse avevano scambiato questo corso per un'interrogazione di matematica.
Lei rimaneva lì, ad annotare parole, pensieri, frasi sul suo taccuino nero.
Frasi che la colpivano, che ritraevano il suo attuale stato d'animo, che le entravano nel cuore.

Carola si sedette sulla poltrona grigia di fronte al suo pubblico. Come fosse una vera classe.
Sorrise notando in fondo alla stanza la figura del timido giovane.
"Vedo che il nostro gruppo si sta allargando piano piano" esordì lei accennando al ragazzo.
Tutti nuovamente si voltarono nella sua direzione.
Questa volta lui alzò lo sguardo sulla donna, sollevando una mano in segno di saluto verso le persone di fronte.
"Vuoi dirci come ti chiami, ragazzo?" lo invitò la donna con fare premuroso.
"Ehm, io sono Harry" sussurrò lui torturandosi poi il labbro inferiore con l'indice e il pollice, appoggiandosi nuovamente alla sedia.

Harry . 
Questo era il suo nome.

"Harry" riprese la donna "non mi resta che darti il benvenuto, noi tutti speriamo di vederti spesso qui".
Lui in risposta annuì accennando un lieve sorriso.
Un sorriso appena pronunciato, ma a Tiffany non sfuggì quel meraviglioso particolare del ragazzo.

Le fossette.

La fossetta che si era appena accennata nel momento in cui piegò le labbra in un sorriso.
Tiffany non potè non notarlo. E a sua volta sorrise nella sua direzione, ma lui non poteva vederla.
"Ora, incominciamo con la nostra chiacchierata".
Proseguì Carola.
E di nuovo tutti si voltarono. 
Ma lei diede un ultimo sguardo a quel ragazzo infondo alla sala.
Quello che tentava di nascondersi, forse per la troppa timidezza o insicurezza di quell'attimo. Di quella situazione a lui nuova.
Voleva capire cosa si celasse dietro quel timido sorriso.
Ma ancora il suo vissuto era a lei sconosciuto.

Non appena l'incontro terminò, tutti si alzarono.
E rivestendosi, ad uno ad uno, abbandonarono la piccola sala, svuotandola.
La ragazza notò che Harry fu il primo ad uscire, avvolto nel suo cappotto.c
Forse non gli era piaciuto e voleva uscire da lì? O semplicemente, essendo in fondo alla stanza, era quello più vicino alla porta.

Ma Tiffany non poteva fare a meno di domandarsi se l'avesse mai più rivisto.
Era sicura di non poter dimenticare quegli occhi verdi meravigliosi.
Annotò quel giorno sul suo piccolo taccuino, scrivendone la data e incidendo con l'inchiostro nero della sua penna il suo nome e una piccola faccina sorridente, disegnando delle virgole ai lati della sua bocca.
Le sue fossette.

***

Harry era uscito da quella porta, imbattendosi nel vento gelido che gli stava penetrando la carne, tanto da sentire quasi le labbra sgretolarsi.

Aveva infilato le mani nel suo largo cappotto, chiudendolo attorno al collo, ma non sembrava migliorare la situazione.
Voleva solo entrare nella sua Range Rover e riscaldarsi.
E fu così, subito dopo aver svoltato l'angolo, quando entrò in macchina azionando subito l'aria calda.
Si lasciò scivolare sul sedile della sua auto, beandosi della calma che vi era al suo interno.
Solo lui, i suoi pensieri e il picchiettare della pioggia contro il vetro.

Harry aveva partecipato a quell'incontro nel tentativo disperato di ritrovare l'aspirazione per scrivere.
Scrivere di nuovo.
Qualsiasi cosa: una poesia, un romanzo, una canzone.
Harry componeva, era ciò che più gli piaceva fare.
Ma ultimamente la sua vita era piatta, monotona, priva di emozioni.
Non sapeva come uscire dal suo blocco e cercava ogni mezzo ed ogni via per ritrovare la sua vena creativa.

Al bar dove lavora Liam, il suo migliore amico, aveva letto quel depliant che promuoveva quel corso di scrittura e letteratura.
Non era interessato in sè a quella che doveva essere la poesia o qualsiasi altra cosa.
Voleva solo un aspirazione.
Un'emozione.
Qualcosa che gli facesse ritrovare la voglia di prendere la sua penna e incidere su quel fottuto pentagramma.
La musica era, per Harry, uno sfogo.
Un modo per liberarsi.
E ne era diventato quasi dipendente.

"Dovresti provare ad andare, Haz.
Magari sentire le storie di donne di mezza età in preda a una fase di depressione per aver scoperto il tradimento del marito, potrebbe darti l'ispirazione giusta per una canzone d'amore e strappalacrime" scherzò il suo amico, porgendogli una fumante tazza di caffè macchiato.

"Non scherzare Liam, ci sono davvero dei sentimenti in quello che scrivono" lo riprese.
Non avrebbe dovuto prendersi gioco di come le persone liberavano le loro emozioni e dimostravano i propri sentimenti. Lui stesso era stato compreso da pochi per quello che faceva, non avrebbe mai voluto che altri si sentissero come lui.

"Dammi retta, non avranno meno di una cinquantina d'anni quelli che frequentano quel corso".

E invece si sbagliava.
Eccome se si sbagliava.
Certo, molti erano adulti e alcuni avranno sicuramente passato la mezza età.

Ma quella ragazza no.

Quella ragazza sembrava così sicura di sè.
Seduta, nella prima fila, come a voler fare intendere che di lei nessuno era migliore.
Sembrava così sicura di quello che stava facendo.
Harry avrebbe voluto avere le sue certezze in quel momento e farle sue. Avrebbe sicuramente ritrovato la sua strada.

Chissà perché lei era lì, pensava.

Avrebbe sicuramente avuto bisogno di scoprirlo. Voleva scoprirlo.
Ma non sapeva nulla della sua vita.
Non sapeva nemmeno il suo nome.
Ma una cosa, di una cosa era sicuro.
Quegli occhi, quei suoi pozzi blu erano immensi.
Chissà cosa si celava dietro quei meravigliosi occhi, colore del cielo.
Non aveva potuto fare a meno di notarli quando posò lo sguardo su di lui, si sentiva attratto da quelle iridi come fossero calamita.
Aveva appena incrociato il suo sguardo, ma ne era totalmente attratto.
Sarebbe tornato solo per sapere di più di quella ragazza.
Sperava che, quella volta, avrebbe avuto qualcosa anche lei da raccontare.

Chissà se si sarebbe mai rivelata. Se avrebbe mai avuto l'opportunità di leggerle nel cuore. Di ascoltare le sue parole.
Scriveva?
Cosa scriveva?
Canzoni? Poesie?
Era tremendamente curioso.
Quella curiosità che l'aveva sempre spinto ad andare avanti, a sapere di più.
A volte, anche scoprendo qualcosa che faceva davvero paura.

A casa, dopo essersi fatto la doccia si raggomitolò fra le calde lenzuola del suo letto.
Prese dal cassetto del suo comodino il block notes sul quale aveva abbozzato l'inizio di uno dei suoi tanti tentativi, che sarebbero dovute essere canzoni.
Fissò il soffitto, pensando a come poter continuare i versi della canzone che aveva fra le mani.
Ma nulla.
Così, strappò la pagina e la appallottolò, lanciandola nell'angolo della stanza, dove piano piano si stavano accumulandoli spezzoni e frasi di canzoni destinate a non essere composte mai.
Ripose il blocchetto dove lo aveva preso e si arrese, gettandosi sul cuscino.

Prima o poi, avrebbe trovato ciò che gli avrebbe fatto tornare la voglia e la giusta vena per scrivere.
Qualcosa per cui valeva la pena soffermarsi.

Qualcosa... o qualcuno.

***

Spazio dell'autrice

Eccomi qua, con il primo capitolo!
Come vi sembra?
Ho iniziato inserendo i punti di vista dei primi due protagonisti di questa storia giusto per iniziare a dare un filo logico alla storia,
ma ovviamente non ci saranno solo loro.
Ho scritto in terza persona per cambiare.
Ho sempre scritto in prima persona, e volevo vedere l'effetto che faceva scrivere in terza.
Voi che ne pensate? Preferite prima o terza persona?
Fatemelo sapere lasciando una piccola recensione 💬 (anche se lo so che non leggete mai lo spazio dell'autrice lalala).
Beh, se invece lo state facendo, vi auguro una buona serata e un buon proseguimento.
Un bacio!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Tiffany aveva sperato e pregato davvero tanto che la pioggia si decidesse a dare tregua alla grande e caotica Londra.
Ma nulla.
Lassù non avevano deciso di ascoltarla.

Tiffany, dopo aver aiutato Carola con la chiusura, si affrettò ad uscire dirigendosi a passo svelto verso la direzione della metro.
Voleva disperatamente tornare a casa.
Aveva con sè il suo piccolo ombrello rosso a pois bianchi, decisamente appariscente, ma a lei non importava. Quel colore così accesso e il pizzo che ne ornava il contorno le piacevano da impazzire.
Era decisamente il suo ombrello preferito, ormai un po' rovinato, ma rimaneva il suo preferito.

La fermata, per fortuna, non era così affollata come le altre serate.
Visto che erano le sette inoltrate ormai il traffico e il via vai di persone andava diminuendo, ma Tiffany teneva saldamente il suo zainetto per evitare che qualcuno tentasse di aprirglielo da dietro.
Non si fidava mai di quei posti.

Non appena salì sulla metro, si fece spazio per cercare di raggiungere un posto libero per sedersi.
Nel mentre, prese il cellulare dalla giacca del suo cappotto pesante e digitò un messaggio ad Ethel, una dei suoi coinquilini.
La avvisò che era sulla strada del ritorno, ma sapeva che poco avrebbe importato.
Ethel e Zayn erano decisamente pigri e sfaticati.
Sicuramente non avevano fatto la spesa, come aveva chiesto loro quella mattina prima di uscire.

E infatti, come aveva previsto, al suo arrivo la tavola non era nemmeno apparecchiata.
"Ethel? Zayn?" chiese una volta varcata la soglia dell'ingresso.

Era un piccolo ed umile loft, nella zona Paddington di Londra.
Una zona non molto rinomata, bisognava ammetterlo. Ma per lo meno le dava la sicurezza e la certezza di avere un tetto sulla testa e un letto per dormire.
Sperava che prima o poi, con i guadagni della biblioteca, si sarebbe ripagata il suo tanto atteso appartamento per l'università.

"Sono qui" disse la voce maschile provenire dal salotto.
Era stravaccato sul divano con i piedi a penzoloni, fuori dal bracciolo del divano, sorseggiando una birra davanti alla TV, che trasmetteva un violentissimo incontro di box.

"Non avete nemmeno apparecchiato! Possibile che Ethel non abbia letto il messaggio?" disse appendendo il cappotto all'appendiabiti, raccogliendo intanto i capelli in una coda alta.

"Quella è in bagno da due ore, non sapevo fossi di ritorno" poi si riattaccò al collo della bottiglia e riprese a fissare lo schermo della TV "tanto sai che non lo avrei fatto comunque".

Sospirai rumorosamente, buttando gli occhi al cielo.
Erano fatti così, e lo sapeva, ormai ci era abituata.
D'altronde, questa era il prezzo da pagare per la vita che aveva scelto.

Tiffany non aveva potuto scegliere i suoi coinquilini.
La scelta di andare fuori e casa e venire qui a Londra fu piuttosto affrettata da avvenimenti che erano successi in passato. Avvenimenti che stava cercando di dimenticare, ma che era quasi impossibile rimuovere dalla sua mente.

Era a Londra per studiare. Il suo sogno era quello di studiare letteratura inglese in una delle più rinomate università della zona.
Tutto si sarebbe potuto avverare se solo non si fosse dovuta allontanare da casa e non fosse stata costretta a cercare una sistemazione diversa da quella che aveva trovato.
Sarebbe andata ad abitare in un appartamento con altre ragazze che dovevano studiare li, ma al suo improvviso anticipo della partenza non avevano la stanza, così fu costretta a trovarsi un altro appartamento, con altri ragazzi disposti ad ospitarla.
Ed eccola lì, insieme ai quei due ragazzi che sembravano essere totalmente l'opposto di lei.
Ma i loro caratteri erano forti, e questo lo rendeva compatibili, o per lo meno, accettabili.

Lei precisa, ordinata, ferma sulle sue decisioni.
Loro, incerti, non avevano un programma, nè della giornata, nè del loro futuro. 
Vivevano la loro vita giorno dopo giorno, senza sapere cosa può riservargli l'alba seguente.
Questo li eccitava, li eccitava da morire.
A Tiffany faceva ribrezzo e non avrebbe mai potuto vivere una vita fatta di incertezze.

Nonostante tutto, erano dei bravi ragazzi.
Bravi ragazzi con qualche piccolo, grande difetto: sapevano divertirsi. Sapevano divertirsi tanto.

Quando Ethel uscì dal bagno, con solo l'asciugammo avvolto intorno al corpo, Tiffany stava già preparando la cena.

"Ehi sei già tornata!" disse lei, sedendosi al tavolo.

Aveva sciolto i lunghi capelli neri, lasciandoli ricadere sulle spalle.
Era una bella ragazza, formosa e con le curve al punto giusto. Aveva la pelle pallida ricoperta qua e là da tatuaggi.
Nulla in confronto a quella dell'altro ragazzo, che invece ne era totalmente ricoperto.
Di lui si poteva dire che, tra un tatuaggio e l'altro, era possibile intravedere un pezzo di pelle.

"In realtà ti ho scritto un messaggio appena sono partita" riprese la ragazza.
"Ma non fa niente, non preoccuparti" disse, ormai rassegnata alla distrazione dei suoi due coinquilini.

"Allora, come è andata oggi al tuo corso per delusioni amorose e mogli cornute?" ironizzò lei, mentre si portava una sigaretta alla bocca.

"È andata bene e oggi niente cuori spezzati. Anzi, oggi è arrivato anche uno nuovo che... va beh, tanto non so se lo rivedrò" si interruppe perché, alla fine, sapeva che a nessuno dei due importava del suo corso.
A lei invece stava davvero a cuore.
Era l'unica cosa che, in alternativa agli studi, la teneva vicina alla sua passione per la letteratura.

"Comunque sappi che è interessante ciò di cui si parla.
Potresti venire, almeno ti faresti una cultura" rispose, con tono ironico alla provocazione della ragazza.

"E farmi riempire la testa di stronzate su come aprire il mio cuore all'anima gemella legata mio cuore dal filo rosso indivisibile? No grazie, passo. Ho tutto ciò che mi serve proprio qui" disse, indicando la sigarette fra le sue dita, inspirandone nuovamente.

"Come vuoi" aggiunse Tiffany "ma ti brucerai i polmoni continuando così... e anche i miei" scherzò di nuovo.
Ma la ragazza la prese sul serio, e si spostò in salotto affianco al ragazzo, rubandogli un sorso di birra dalla sua bottiglia, ormai vuota.

Quei due erano come nati per stare insieme.
O così credeva lei. In realtà, non aveva mai capito se avessero mai avuto una relazione o se la loro fosse semplice complicità. 
Fatto sta che tra loro c'era feeling ed erano in perfetta sintonia.

Tiffany sognava una storia come la loro.
Una storia d'amore o una semplice amicizia non le importava, non faceva differenza.
Voleva solo qualcuno con cui sentirsi davvero in sintonia, qualcuno di cui fidarsi. Anche se la fiducia nelle persone e nel genere umano in generale l'aveva persa già da tempo.

L'unica persona con la quale aveva un rapporto di amicizia era Louis Tomlinson.

Louis l'aveva conosciuto per caso, una mattina in biblioteca.
Anche lui era totalmente diverso da lei.
All'apparenza era freddo, solitario e sul viso aveva sempre un'espressione anonima, misteriosa.
Lui studiava giurisprudenza all'università, per questo andava spesso in biblioteca per studiare e con Tiffany scambiava sempre e volentieri quattro chiacchiere.
E a volte, se era possibile, si trovavano per un caffè e una cioccolata calda.

Louis le bastava.
Così come le bastava vivere in un loft piccolo e non troppo elegante insieme ai suoi due coinquilini pigri e disordinati.

Aveva imparato ad adattarsi e ad accontentarsi di ciò che la vita aveva in serbo per lei.

Fino a qualche anno fa avrebbe sicuramente chiesto di più, avrebbe sognato in grande.
Ora, gli unici sogni sui quali si permetteva di fantasticare erano quelli narrati nelle pagine dei suoi libri preferiti.

***

Harry, al contrario, non si accontentava mai.

Era sempre positivo e solare, Harry non si arrendeva. Non lo faceva mai.
Era sempre fiducioso, anche nei momenti più ardui e difficoltosi della sua vita.

E anche in quel momento, momento di blocco e di crisi della sua creatività, cercava sempre di trovare la forza e sperava di uscirne.
E molte volte ce la faceva. Era sicuro ci sarebbe riuscito anche questa volta.

Harry viveva da solo, ma aveva molti amici.
Liam e Niall erano i più fidati, i suoi migliori amici.

Liam lavorava alla caffetteria a pochi isolati da casa sua.

L'aveva conosciuto al suo arrivo in città ed era stato il primo a credere nel suo meraviglioso talento per il canto e per la musica.
Si era esibito nel locale dove lavorava con una cover di 'Isn't She Lovely' e aveva letteralmente incantato le poche persone che erano nel locale in quel momento.
Liam si complimentò all'istante con lui e gli chiese di tornare ancora, per suonare qualche pezzo.
E così fu, fino a quando non perse la sua ispirazione e preferì prendersi una pausa per tornare a scrivere.

Anche Niall suonava.

Niall suonava molto bene la chitarra. Ai tempi della scuola era il chitarrista del gruppo musicale che avevano formato lui e alcuni studenti dell'ultimo anno.
Ma con la fine della scuola si erano persi di vista e con l'inizio del college e dell'università, l'unico che aveva mantenuto invariata la propria passione per la musica era lui.
Niall, al contrario di Harry, non aveva fatto della musica il suo lavoro. Non ancora, per lo meno.
Aveva un lavoro come commesso al centro commerciale per pagarsi le lezioni serali al conservatorio.
Mancavano un paio di esami poi sarebbe stato libero di intraprendere una carriera musicale degna della sua passione.

Insieme a loro Harry stava bene.
Si divertiva ed era senza pensieri.
Ma ultimamente aveva un'unica preoccupazione che lo tormentava.
Scrivere quelle maledette canzoni.

"Harry non demoralizzarti, sono sicuro che se uscissi da qui ritroveresti sicuramente l'ispirazione per la tua musica.
Dovresti fare una vacanza, una gita" gli aveva suggerito Niall.

Ma lui l'ispirazione la trovava nelle persone. Nei suoi testi parlava di sentimenti, di emozioni.

Aveva bisogno di sentire le persone.
Di entrare nel cuore di qualcuno e leggergli l'anima.
Era passato tanto tempo da quando si era innamorato di qualcuno e gli era entrato dentro, lasciandogli un traccia di sè. Una traccia indelebile.

Sarebbe ritornato in biblioteca la settimana successiva.
Sarebbe tornato per incrociare di nuovo quegli occhi blu.

Sperava, infondo, che quelle iridi celesti gli avrebbero fatto tremare il cuore.
Voleva sapere il suo nome e sapere cosa l'aveva portata ad essere lì.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Se non fosse stato per quei fastidiosissimi fuochi d'artificio, Harry avrebbe sicuramente dormito profondamente sino al mattino seguente.

Dal trambusto e dalla confusione che creava lo scoppio dei fuochi, ad Harry sembrava quasi che li stessero lanciando da sotto casa sua.
Si affacciò svogliatamente alla finestra, notando invece le piccole scintille colorate che si ramificavano in lontananza, espandendosi nel buio cielo.

Harry non era per nulla amante dei fuochi d'artificio.
Al contrario li odiava. E odiava qualsiasi festa in cui venissero utilizzati, cercando di tenersi il più lontano possibili dai quei posti.
Lo terrorizzavano, e ancor di più l'esplosione improvvisa che emetteva nel momento in cui venivano sparati sopra le teste delle persone.

Era strano, certo.
Tutti sognavano un bacio allo scoccare della mezzanotte nella notte di capodanno, sotto le stelle che, insieme a quelle scintille multicolore, illuminavano il viso della coppia, rendendo magnifico e speciale quel momento.

Ma Harry no, Harry era diverso.
E sognava in modo diverso.

Scostò lo sguardo dalla finestra, voltandosi in direzione dell'orologio posto sulla sua scrivania notando che era passata da poco la mezzanotte.
Si avvicinò nuovamente al letto, stendendosi di nuovo sul morbido materasso cercando di ignorare tutto quello che stava succedendo fuori.
Rimase a fissare le lancette dell'orologio affianco a lui, immerso nei pensieri e nei ricordi che gli affioravano la mente in quella strana e odiosa situazione, fino a quando la realtà non si mischiò al mondo dei sogni, che quella notte gli fecero diversi scherzi.

***

L'inebriante profumo di caffè e zucchero di canna che la avvolse non appena varcò la soglia della porta la accolse all'interno della grande biblioteca.
Carola adorava fare colazione e adorava il caffè, e Tiffany iniziava veramente a pensare che a distanza di mesi non si sarebbe mai abituata a quegli odori così intensi, ma piacevoli. Le davano quasi aria di casa, ormai.

Dopo averla salutata e aver posato il cappotto e la borsa nella stanza appena dietro le casse, si mise subito a lavorare dietro il bancone.
Carola era in ufficio a verificare gli ordini di quella settimana, mentre Tiffany rimaneva alla cassa nel caso qualcuno fosse entrato.
Sapeva che, in realtà, non sarebbe venuto nessuno, se non qualche cliente occasionale, ma era certa che non avrebbero comprato nulla. O almeno quello era ciò che accedeva la maggior parte delle volte.
Così, rimaneva leggermente nascosta dietro al monitor del computer mentre leggeva qualche libro, con i lunghi capelli biondi raccolti in un bun disordinato e gli occhiali da vista appoggiati sulla punta del naso.

Era immersa nella lettura di uno dei suoi romanzi preferiti, "orgoglio e pregiudizio", che ormai aveva letto e riletto almeno tre volte. La copia che teneva fra le dita era rovinata e ricurva nelle punte del libro e le pagine erano scritte, sottolineate e qualche foglio era ripiegato all'interno, per ricordarle le pagine che più l'avevano colpita.
Era talmente presa dalla sua lettura, che nemmeno si accorse del ragazzo che aveva appena fatto ingresso nella biblioteca e aveva iniziato ad addentrarsi fra gli scaffali.

Si accorse di lui nel momento in cui incrociò per sbaglio il suo sguardo, alzandolo di poco e solamente per poter voltare la pagina del suo libro.
Alzò lo sguardo, sentendo quegli occhi fissi su di lei, quasi come se qualcuno la stesse privando del suo attimo di intimità.
Il ragazzo se ne accorse, e subito tornò fisso sul libro che aveva in mano.

Tiffany lo riconobbe subito.
Riconobbe quei capelli e quello stile difficilmente confondibile con quello di altri.
Ma soprattutto ricordava perfettamente la luce di quegli smeraldi non appena incrociarono il suo sguardo.

Harry.

Richiuse il libro, infilandoci la matita in mezza per non rischiare di perdere il segno, e posò gli occhiali appena sopra la sua testa, rimettendosi composta sulla sedia e fissando lo schermo del computer, credendo che non fosse proprio professionale farsi cogliere in fragrante nella lettura di un libro durante il suo turno di lavoro.

Non poteva resistere però, dal cercare di capire cosa stesse cercando quel ragazzo.
Avrebbe tanto voluto sapere quali erano i suoi gusti, cosa gli piaceva leggere.
Con la coda dell'occhio cercava sempre di intravedere il titolo nella copertina del volume che teneva fra le mani.
Quando si accorse che teneva un libro di scienze e storia naturali, corrugò la fronte.
Perché proprio quel genere?
Forse gli serviva per studi all'università? O forse era appassionato di scienze e storia della terra?
Quel ragazzo era troppo misterioso. Pensò che forse non l'avrebbe mai scoperto.

Il ragazzo si avviò a passo svelto e deciso verso la cassa, dopo qualche minuto in cui aveva girato per i diversi scaffali e alla fine si era avvicinato per pagare... un'agenda.
Una semplicissima agenda nera a pagine bianche.
Tiffany ne rimase notevolmente delusa, perché per tutto il tempo non era riuscita a sopprimere la propria curiosità nel sapere cosa stesse cercando e stava aspettando - e sperando - che si avvicinasse alla cassa per pagare e leggere il titolo del libro che le avrebbe rivelato qualche informazione in più sui suoi gusti.

Invece niente.
Solo una vuota agenda nera, con pagine bianche ancora tutte da scrivere.
Non una parlava stampata con l'inchiostro nero.
Un quadernino vuoto, da scrivere da zero.
Chissà a cosa gli sarebbe servito.

A quel punto sospirò, sparando con lo scanner il codice a barre dietro all'agenda.

L'atmosfera fra loro era strana e pungente.
Harry avrebbe voluto dire qualcosa alla ragazza, ma non sapeva nemmeno il suo nome.
Tiffany sentiva il suo sguardo fisso su di lei, le sue iridi verdi che studiavano i suoi movimenti.
E non appena prese da sotto la cassa una piccola busta di plastica, alzò lo sguardo sul suo, rompendo quegli attimi di silenzio imbarazzato.

"Harry, giusto?" esordì la ragazza, infilando nella busta la piccola agenda, attendendo che lo scontrino uscisse dalla macchinetta.

Lui la guardò confusa, quasi sorpreso.
E un timido sorriso apparve sul suo viso.
Se lo ricordava?

"Sei al corso del mercoledì, ti ho visto la scorsa settimana" aggiunse notando la sua aria confusa.
Aveva fatto una figuraccia, immaginava che non si sarebbe ricordato di lei.
Non si erano nemmeno parlati.
Che stupida. Come poteva averlo solo pensato.

"Già, sono io" disse poi lui.
Appoggiando le mani al bancone.
Si era sporto e aveva notato il libro affianco alla tastiera.
"Jane Austen" disse poi "ti piacciono i suoi romanzi?"

"Li adoro" ammise la ragazza.
"Anche io, la Austen è una delle mie scrittrici preferite" rispose, sorridendole.

E quando lui fece lo stesso, nei loro occhi si accese una scintilla.
Entrambi la percepirono, e le guance di lei si tinsero immediatamente di rosso, infuocando la sua pelle.
Quel ragazzo era bello da star male.

Lo scontrino uscì, e la ragazza fu costretta a distogliere lo sguardo dalle profonde virgole che contornavano gli angoli della sua bocca, infilando in velocità il foglietto nel sacchetto, insieme al libro, e gliela porse.

"Beh, allora a mercoledì. Ciao..."
"Tiffany" aggiunse lei.
Lui sorrise.

"Ciao Tiffany".
E si voltò per lasciarle un ultimo sguardo, prima di uscire richiudendo la porta dietro di sè.

Era entrato sfogliando un libro scienza per poi rivelarsi un amante di romanzi rosa, e aveva acquistate una semplice agenda nera.

Tiffany temeva che mai avrebbe scoperto quanti misteri si celavano dietro quel ragazzo, ma di un'unica cosa era sicura.
Non era venuto lì per acquistare alcun libro.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Tiffany

Le mie guance erano bagnate, e le lacrime infuocate scivolavano ininterrotte fino al collo. 
Non avevo più la voce per chiedere di smettere.
Le parole, le mie suppliche, morivano in gola ad ogni suo gesto.
Strizzavo gli occhi, come sempre non mi restava che sperare. Sperare che finisse presto. 
Soffocai gli ultimi singhiozzi, prima di schiudere lentamente le palpebre.
Poi di nuovo il buio. E poi freddo.

***

Aprii gli occhi di soprassalto, svegliandomi dal mio sonno.
Ripresi fiato, quasi come se fino a quel momento non fossi riuscita a respirare.
Mi misi a sedere, ansimando, e mi accorsi di essere completamente sudata solo quando mi scostai i capelli dal viso.
Era successo. Di nuovo.
Era da tanto che non mi succedeva e pensavo di essermi liberata degli incubi. Ma è proprio vero che del passato non ci si può liberare.

Certo ero migliorata rispetto ai mesi precedenti, quando svegliavo Ethel e Zayn per le urla.
Mi alzai da letto per andare in cucina, e mi versai un bicchiere di acqua fresca, nel tentativo di calmarmi e di riprendermi.
Sarebbe mai finito tutto questo?

Sentii dei passi dietro di me, e la luce di soprassalto si accese, facendomi sobbalzare.
Era Ethel. Avvolta da un lenzuolo leggero con i capelli legati. 
"Mi hai spaventata" dissi.
"Scusami" bisbigliò "ma sono sveglia da un po' e ti ho sentita alzare, va tutto bene?"
"Si, tutto ok".
Ma avevo ancora la voce impastata a causa della bocca asciutta e i capelli appiccicati alla fronte per il sudore.
"È successo ancora, non è così?"

Il silenzio parlò al posto mio.
La ragazza sospirò e, chiudendosi meglio nel lenzuolo, si sedette sulla sedia affianco a me. Nel frattempo prese il pacchetto di sigarette, che lasciava sempre sul tavolo, e accese una sigaretta. Incrociò le gambe sulla sedia, e se la portò alla bocca.
"Devi tornare dallo psicologo Tiff" disse prima di aspirare nuovamente "non sei ancora pronta".
"Sto bene Ethel, davvero" risposi, seccata.
Erano ormai due mesi che avevo interrotto le sedute. Non volevo ritornare, faceva male. Non volevo ricordare, solo dimenticare e reprimere il mio passato in un angolo oscuro della mia mente. E non rielaborarlo mai più.

In pochi sorsi terminai l'acqua fresca che era rimasta, sotto lo sguardo interrogativo della ragazza, che non insisteva.
Sapeva quanto potessi essere testarda in queste situazioni, e su questo tema sono sempre stata irremovibile.

Terminata la sua sigaretta, la spense spiaccicandola nel posacenere al centro del tavolo, prima di rialzarsi nuovamente dalla sedia tornando nella sua stanza.
"Se hai bisogno sai dove trovarmi, tanto non mi riaddormenterò molto presto se Zayn continua a russare in quel modo" disse infine prima di lasciare la stanza.
Io le sorrisi per ringraziarla, prima che sparisse dietro la porta.
E dopo poco, anche io decisi di ritornare in camera mia, nel tentativo di rilassarmi e riprendere sonno.

Come avevo previsto, il sonno fece molta fatica ad arrivare.
Riuscii a fare brevi pisolini di circa una mezz'oretta ciascuno fino al mattino seguente, quando poi decisi di alzarmi, arresa al fatto che quella notte non avrei riposato.
Nonostante ormai fossero mesi che non abitavo più nello Yorkshire, la paura e gli incubi tornavano a tormentarmi certe notti. E non avevo alcun modo di reprimerli o prevederli.

Mi vestii e mi truccai leggermente nell'invano tentativo di coprire le mie occhiaie, prima di uscire per andare al lavoro e come tutti i giorni, passai prima a fare colazione nel bar mio e di Louis, all'incrocio con Oxford Street. 
Come sempre, lo trovai seduto al tavolino appartato affianco alla finestra, nell'angolo della stanza, immerso sui libri dove di tanto in tanto sottolineava qualche parola e segnava affianco qualche appunto. Sul tavolo di fronte a lui, era appoggiata la tazza fumante di caffè espresso.
Le maniche della sua felpa erano arrotolate a tre quarti e mettevano in mostra i tatuaggi incisi sui suoi avambracci, il ciuffo era leggermente sparato verso l'alto con un velo di gelo.
Il suo aspetto non rispecchiava affatto lo stereotipo di studente universitario di giurisprudenza.

Entrai nel piccolo locale, lasciandomi avvolgere dal caldo di quell'ambiente e dalla inebriante profumo di cannella che proveniva da dietro il bancone. 
Poi mi avvicinai al ragazzo, lasciando scivolare il mio zainetto dalla spalla prima di sedermi di fronte a lui, che ebbe il tempo di distogliere lo sguardo dal libro solamente per rivolgermi un saluto.
"Sessione d'esame a breve?" azzardai.
"Da cosa l'hai capito?" 
"Beh generalmente mi aspetti prima di bere il caffè, ma a quanto pare sei piuttosto di fretta dal momento in cui hai già ordinato" dissi mentre mi svestii del mio cappotto appendendolo alla sedia.
Lui appoggiò la matita tra le pagine del libro e mi guardò, con sguardo mortificato, prima di chiuderlo e riporlo nello zaino appoggiato ai piedi del tavolo.
"Scusami, hai ragione" disse "ma dicono sia una tale stronza! Un mio compagno di corso sta dando questo esame per la terza volta. In più i primi sono letteralmente spacciati. Sono finito, non uscirò mai".
"Credo di avere un déjà-vu, da quando ti conosco avrò sentito dirti questa frase ogni volta" risposi scherzosamente.
Nel frattempo arrivò la mia ordinazione, che avevo ordinato appena prima di sedermi affianco al ragazzo.

Louis era un ragazzo determinato e davvero molto preciso.
Quando si metteva in testa qualcosa e aveva intenzione di iniziarla, l'avrebbe portata a termine.
Era così nello studio e lo stesso nella vita.
E lo ammiravo molto per questo. Io tendevo, invece, a gettare la spugna molto più velocemente per paura di fallire.

"Questa volta devi cerdermi, sarà così.
Tu piuttosto non hai affatto una bella cera questa mattina." 
"Non ho dormito molto stanotte" ammisi, mentre versai la bustina di zucchero nel mio cappuccino.
Anche se, in realtà, lo stomaco sembrava rifiutare qualsiasi forma di cibo. Ma se non volevo ritrovarmi stesa per terra dietro alla cassa della biblioteca, dovevo assumere qualche zucchero.
"Oddio non dirmi che..." disse lui. Ma gli bastò alzare gli occhi su di me per capire ogni cosa.
"Di nuovo Tiffany? Mi avevi detto che erano smessi" 
"Infatti era così! Fino a ieri sera..." sussurrai.
Lui sospirò, e continuò a bere piccoli sorsi della sua tazza di caffè, ancora calda.
"Si può sapere per quale motivo non mi hai telefonato? Quanto volte te l'ho detto?"
"Oh santo cielo Louis, è stato un momento. Poi è passato. Davvero non sono tornata a quei livelli, sono seria".
"Devi andare dallo..." 
"Non ci provare Lou" sussurrai fra i denti, guardandolo storto "sei le terza persona che me lo ripete nell'arco delle ultime 4 ore, sono consapevole di ciò che faccio, e so che non ne ho bisogno".
Lui sbuffo, portandosi le mani sul viso, sfregandolo fra esse. Mi fissò per qualche secondo, prima di sbuffare.
"Sei una tale testarda. Non ti si può dire niente. Sai cosa ti dico? Fai come ti pare. Tanto lo faresti comunque".
Non risposi, perché sapevo che aveva ragione, ma anche perché era l'unico modo per farlo smettere di parlare riguardo a questa faccenda.

Louis sapeva tutto dei miei incubi.
Di lui. Di ciò che mi era accaduto.
Era l'unico insieme ad Ethel e a Zayn, e si comportava come fosse un fratello per proteggermi. 
Sapevo che le loro insistenze e il loro essere premurosi con me era a fin di bene, ma non sapevano che per me ciò che secondo loro mi avrebbe fatto stare meglio, in realtà mi faceva stare uno schifo.

Louis diede un veloce sguardo al suo orologio da polso, prima di alzarsi e infilarsi la giacca.
"Senti io sono in ritardissimo per la lezione. Oggi è venerdì e la prossima settimana ho l'esame, non posso arrivare tardi.
Passo più tardi in biblioteca per sapere come stai. D'accordo?"
Io annuii, e il ragazzo, prima di uscire dal locale, mi lasciò un veloce bacio sulla guancia.
Lo guardai allontanarsi fuori dal bar, fino a quando la porta non si richiuse alle sua spalle.
Sospirai appoggiandomi con la schiena alla sedia. Sarebbe stata una lunga giornata.

In biblioteca quel giorno non venne nessuno. Solo un leggero via vai di gente verso metà pomeriggio, ma la maggior parte uscì con le mani vuote, come sempre.

Ormai erano le 17, il mio turno il venerdì terminava alle 18, quindi stavo iniziando a sistemare i libri che le persone avevano lasciato in disordine su qualche scaffale e a sistemare l'area ricreativa per i bambini.
Il campanello della libreria mi fece istintivamente sobbalzare, e mi voltai verso l'ingresso.
Era Louis, che terminata la sua lezione all'università, mi era passato a salutare.
"Sono qui" gli indicai con la mano libera la mia direzione, vedendolo guardarsi intorno per cercarmi.
"Tiff, ho una notiziona" esordí entusiasta.
"Sentiamo" risposi di tutto punto, continuando il mio lavoro.
"Stasera c'è una festa nel locale di fronte alla mia università, devi venirci con me e non posso accettare un 'no' come risposta".
Roteai gli occhi, alzando lo sguardo verso l'alto e sbuffai rumorosamente in segno di protesta, ma prima che potessi ribattere o rifiutare il suo invito campando per aria una scusa qualsiasi, mi precedette.
"Tiffany sono settimane che non usciamo il venerdì sera, per una volta, ti chiedo una. Sono preoccupato per te, un po' di sfogo ti farebbe bene, dammi retta".
"Di nuovo Louis? Ti ho detto che sto bene.
E poi lo sai che non mi piace frequentare quei posti, e le persone che li frequentano"
"Andiamo, smettila di pensare che siano tutti come lui. E poi ci divertiremo, non sarai da sola"
"E sentiamo chi ci sarebbe con noi?" risposi accennando una risata leggermente innervosita, appoggiandomi allo scaffale che avevo appena finito di sistemare.
"Andremo io, te ed Eleanor. Lei è già d'accordo e ha detto che non verrà se non ci sei anche te, e non vorrai di certo rovinarci la serata vero Tiff?"
Chiusi gli occhi in una piccola fessura, rivolgendo uno sguardo contrariato al ragazzo. Ma non potei fare a meno di scoppiare a ridere davanti alle sue continue suppliche, e per il fatto di avermi incastrato coinvolgendo anche Eleanor, per la quale nutrivo molta simpatia. Era riuscita a rendere felice il ragazzo e gliene ero grata.
"Mi sembra di aver capito di non avere molte alternative, non è così?"
"Esattamente" rispose, sorridendo soddisfatto "quindi stasera alle 22 passo a prenderti a casa tua. Intesi?" aggiunse poi incominciando ad avviarsi verso l'uscita.
"Se proprio la metti così" mi staccai dallo scaffale, seguendo il ragazzo per accompagnarlo all'uscita, prima di ritornare dietro il bancone della cassa.
"Brava la mia donna... e Tiffany?" disse rimanendo fisso sulla porta, poi mi guardò "sforzati appena per cercare di sembrare almeno un po' entusiasta".
Risi.
"Ci proverò".
In risposta ammiccò, e richiuse la porta alle sue spalle.
Avrei dovuto prepararmi alla pressione psicologica di quella sera già da quel momento.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Harry

Come tutte le mattine, mi ero svegliato prima del suono della sveglia.
Erano le 5:30 del mattino, ed ero rimasto all'incirca per una mezz'oretta fra le coperte, a fissare il soffitto.
Sentivo fuori il vento e la pioggia che sbatteva sui vetri della mia finestra.
Ormai erano 5 giorni che pioveva, a questo tempo mi ci ero abituato e non lo trovavo più così irritante come i primi mesi dal mio trasferimento, nonostante la pioggia e il brutto tempo mi mettano molto spesso di cattivo umore.
E, di conseguenza, pensai a tutti i problemi che ultimamente affliggono la mia vita.
Mi coricai su un fianco, voltandomi verso la parete dove era appoggiata la mia chitarra.

Era lì da circa una settimana, non l'avevo presa in mano da allora, e mi stavo rassegnando al mio blocco quasi prendendo in considerazione l'idea di rinunciarci una volta per tutte. Forse era arrivato il momento di trovarmi un lavoro, un lavoro vero, e smetterla di sperare che qualcuno potesse credere ancora in me e nelle mie capacità. Anche se ora le mie certezze erano nettamente diminuite, anche per quanto riguarda la capacità.

Scostai le coperte.
Poi mi alzai, decidendo di prendere la mia chitarra. La accordai, dal tempo che era rimasta ferma sicuramente si era scordata.
Poi presi uno dei tanti spartiti che avevo gettato sul pavimento, e iniziai a suonare le note che avevo composto.
Suonai per qualche secondo, fino alla fine della prima riga del mio spartito. Ricominciai, da capo, dalla prima nota.
Sembrava quasi che nulla suonasse come mi aspettavo. Che le note non avessero un senso, una logica. Che non suscitassero alcuna emozione.
Suonai di nuovo. Poi ancora.
Come potevo pensare che quel testo avrebbe emozionato gli altri, se prima non convinceva me?
Lasciai la chitarra sul letto ancora disfatto, e senza preoccuparmi di sistemarlo, mi diressi verso il bagno e mi gettai letteralmente sotto la doccia calda.
In quel momento era l'unica cosa di cui avevo bisogno. Oltre a una bella tazza fumante di caffè doppio.

Arrivai a passo svelto nel bar di Liam. Erano circa le 10:30, ma ormai quello era il mio orario d'abitudine.
Il caldo del locale mi scaldò le guance e il naso, completamente rossi e congelati a causa del vento freddo e della pioggia.
Mi abbassai il cappuccio una volta entrato, e asciugai i piedi nello zerbino.
"Prima o poi imparerai ad usare l'ombrello" scherzò Liam, avvicinandomi al bancone.
Mi sedetti. "Guarda che dalle mie parti non piove così tanto" ribattei "non ho mai usato l'ombrello in 23 anni della mia vita e non credo inizierò a usarlo ora".
"Ne riparleremo quando ti prenderai l'influenza".
Non ero proprio in vena di scherzi, quindi non risposi. Mi limitai a intrecciare le dita delle mie mani sul bancone aspettando il mio caffè.
Ormai Liam non mi chiedeva nemmeno più cosa volessi ordinare, mi conosceva fin troppo bene. E sapeva anche a cosa era dovuto il mio comportamento scorbutico di questa mattina.
"Certo che sei intrattabile questa mattina" disse porgendomi "Blocco dello scrittore e maltempo sono una combinazione letale per chiunque circondi Harry Styles".
Lo guardai stortissimo, portandomi alla bocca la tazza di caffè.
Il ragazzo rise, alzando le mani in segno di arresa. 
"Davvero Harry, devi rilassarti. Può succedere. Niall non ha scritto per 3 mesi".
Appoggiai la tazza, e sospirai.
"Il punto è che per Niall la musica non era l'unico motivo di distrazione, Liam.
Questa cosa mi sta facendo impazzire perché non riesco a trovare un'altra cosa che mi faccia stare così bene come la musica". Il ragazzo mi guardò storto, asciugando alcune tazzine che erano rimaste nel lavabo. "Va beh non puoi capire, lascia perdere" dissi alla fine, per tagliare corto.
"Mi dispiace Harry, io davvero non so come aiutarti" disse poi, ma certo non era colpa sua. "Senti, guarda che non è problema se stasera non vuoi cantare. Se preferisci stare a casa..."
"No" risposi secco "stasera canterò. È una delle poche cose che mi riesce ancora abbastanza bene. E sai che mi serve". 
Bevvi gli ultimi sorsi di caffè prima di lasciargliela sul bancone, insieme ai soldi per il caffè.
Lo salutai con un semplice cenno della testa, e uscii dal locale dirigendomi verso casa.

***

Tiffany

Quel pomeriggio avevo svuotato l'armadio, alla ricerca di qualcosa da mettere per andare alla festa. Non avevo idea di cosa aspettarmi, nè che posto fosse. Quindi rovistai totalmente a caso tra i vestiti che avevo, ma nessuno sembrava andasse bene. Troppo elegante, troppo succinto, troppo formale, troppo casual.
Alla fine, dopo aver capito che si trattava di una semplice serata in discoteca, indossai un paio di pantaloni neri aderenti strappati sul ginocchio e un top corto bianco, che lasciava scoperta appena la parte sotto al mio ombelico.

Louis ed Eleanor erano passati a prendermi verso le 22, come d'accordo, ma cercai di convincerli in tutti i modi per farmi restare a casa.
Ma non c'è stato nulla da fare. Mi ritrovavo lì seduta su uno dei divanetti, appartati in un angolo del locale.
I due ragazzi erano andati a prendere qualcosa da bere per me.
Il locale non era molto affollato e la musica non era musica da discoteca, il che mi piaceva e lasciava un'atmosfera accogliente.
Quella sera si esibiva un cantante. Era un cantante del posto suppongo, poiché cantava diverse cover, il repertorio non mi era nuovo, anche se da quando ero lì ne avevo sentite solo un paio prima della fine della sua esibizione, poi, terminata la sua performance, avevano messo in riproduzione un CD.
Nonostante non ci fossero molte persone, comunque non ero riuscita ad avvicinarmi al palco in fondo alla sala per capire chi fosse, ma faceva comunque della bella musica.

Louis ed Eleanor si sedettero con me e insieme bevemmo i nostri cocktail, ma mi fecero compagnia per una quarantina di minuti, prima di fare il secondo giro e mi lasciarono da sola per andare a ballare solo loro due "per cinque minuti", ma per più di mezz'ora non li avevo rivisti.

Mi ero appoggiata al bancone sorseggiando il mio secondo Sex on The Beach, che di alcolico aveva ben poco.
Lo sorseggiavo lentamente, scrutando tra la folla per riuscire a trovare Louis ed Eleanor, ma non mi sembrava di vederli.
Odiavo quando mi lasciavano da sola.
Mi si avvicinò un ragazzo, totalmente ubriaco. Lo si poteva capire dal fatto che camminava come se il pavimento fosse fatto di gelatina, e dal fetore del suo alito quando sussurrò quel "ciao" a un centimetro dalla mia faccia, così malizioso e viscido, che istintivamente mi fece spostare da quella situazione.
Sapevo sarebbe successo.
"Dove scappi" ridacchiò afferrandomi un polso.
Il cuore perse un battito a quel gesto, quando milioni di piccoli flash del mio passato mi ritornarono alla mente in una frazione di secondo.
Mollai la presa, ritirando con forza il polso, cercando di non parlargli e di allontanarmi il più possibile da lì.
"Guarda che non mordo"
Ma prima che potessi voltarmi, per ribattere con qualunque cosa, sentii una voce alle mie spalle.
"Senti amico, gira a largo. Non ti conviene scherzare qui, hai capito?"
Il ragazzo strattonò l'altro, prendendolo per un braccio, facendolo voltare con molta poca delicatezza e facendogli quasi perdere l'equilibrio.
Quando anche lui si voltò, lo riconobbi subito.
"Harry?"

"Scusami, ti ha fatto del male?" mi chiese venendomi incontro.
Mi afferrai il polso massaggiandolo, non tanto perché avesse fatto male, ma per tutti i ricordi legati a quel tipo di situazione.
Ma scossi la testa in segno di negazione, ancora un po' turbata da quanto era successo.
"Ti ho vista seduta sul divanetto, poi quando ho smesso di cantare sono venuto a cercarti, ma non ti ho trovata. Poi ho visto che..."
"Un momento, eri tu che cantavi?" lo interruppi subito.
Stette un momento in silenzio, poi arrossí e mi sorrise entusiasta.
"Si beh, ero io. Lo faccio tutti i venerdì sera qui, è il locale di un amico".
"Mi sei piaciuto tantissimo, sul serio!
Non avevo proprio capito fossi tu mi dispiace. Se avessi saputo..."
"Non preoccuparti" rispose, accennando un sorriso "quindi ti è piaciuto? Voglio dire, le canzoni?"
"Si assolutamente! Hai fatto della musica eccezionale e hai una bella voce, specialmente l'ultima canzone..."
"Isn't she lovely?" aggiunse lui
"Esatto" risposi "sei stato molto bravo, è la mia preferita!" Mentii. Era solo per non fare brutta figura, ma dovevo ammettere che di musica ero proprio ignorante, ma preferii non farlo notare così feci buon viso a cattivo gioco.
In realtà mi aveva colta alla sprovvista. Non avrei mai pensato che lui potesse essere un cantante. Io non l'avevo mai visto nella zona, solo al corso di poesia. Come poteva essere finito lì in mezzo un tipo del genere?

Tornai subito alla realtà quando un ragazzo perse l'equilibrio inciampando nei piedi del tavolino, rovesciando il liquido del suo bicchiere tutto sulla mia maglietta.
"Oh andiamo, ma sei coglione?"
Io ed Harry, così come le altre persone intorno, ci spostammo di qualche passo, mentre il ragazzo atterra era accasciato è piegato dal ridere. Anche lui totalmente ubriaco. Abbassai lo sguardo sul mio top bianco, con una chiazza bagnata sulla parte anteriore. Presi dal bancone un fazzoletto per tamponare quella chiazza, mentre imprecavo.

"Merda, mi dispiace. Ti serve dell'acqua, vieni con me" disse nel mio orecchio, abbastanza forte da sovrastare la musica.
Mi accorsi solo allora che fino a quel momento nessuno dei due aveva più parlato.
Lo seguii dentro nel bagno, e non appena chiuse la porta, la musica diminuì e rimbombava alta dietro le mura della parete.
C'era un grande lavandino fuori, con carta e sapone. Così iniziai a pulirmi, e sciacquare. Ma niente la macchia non veniva via.
"Mi sa che questa non viene via così" dissi al ragazzo. 
"Mi dispiace davvero, sono dei tali coglioni. Avranno 14 anni, cerchiamo di capirli"
"Di compatirli, al massimo" risposi un po' seccata.
Lui comunque accennò una piccola risata per sdrammatizzare, ma percepivo l'imbarazzo di questo primo incontro al di fuori delle mura della biblioteca. Ma apprezzai comunque il suo sforzo di sdrammatizzare la situazione.
"Comunque grazie" aggiunsi poi.
Lui rispose con un sorriso e fece per ribattere, con qualcosa del tipo "figurati" o "e di cosa", ma lo precedetti. 
"Dico davvero. Stavo cercando di ritornare dai miei amici, ma non li trovavo. Sapevo sarebbe successo se fossi rimasta da sola. E poi mi ha fatto davvero piacere la tua compagnia".
Lui mi rispose con un sorriso sincero. Un sorriso perfetto, che mise in risalto i suoi denti dritti e bianchissimi, e le fossette che subito notai dal primo giorno. Sembravano così profonde viste da vicino.

La suoneria del suo telefono richiamò la sua attenzione e lesse un messaggio dalla notifiche che era comparsa sullo schermo. 
Ripose il telefono nella tasca posteriore, bloccando lo schermo del suo smartphone.
"Scusami, adesso devo andare" disse rialzando lo sguardo su di me.
"Non ti preoccupare" gli risposi gettando la carta nel cestino. 
Il ragazzo si avviò verso la porta, ma una domanda mi sorse spontanea, e decisi di fargliela presa dalla curiosità.
"Ah, Harry?" dissi richiamando la sua attenzione.
Il ragazzo si girò.
"La scorsa settimana, in biblioteca.." incominciai, ma non sapevo come chiederglielo. Così lui corrugò la fronte, non capendo dove io volessi andare a parare; "Non eri venuto per prendere nessun libro, vero?" dissi alla fine.
Sul mio viso si stampò un sorriso, carico di ironia ma anche di sfida.
Lui mi guardò, poi anche sul suo viso comparve un sorriso quasi imbarazzato e, nello stesso momento, le guance si tinsero di un leggero rosso.
Fece una piccola risata nervosa, ma non aveva ancora risposto alla mia domanda.
"E 'Isn't she lovely' non è la tua canzone preferita, non è così?" Disse alla fine.
Non risposi, mi aveva davvero spiazzato. Touchè.
Anche io mi lasciai scappare una risata, e il ragazzo scosse la testa. 
Poi iniziò ad aprire la porta e ci scambiammo un lungo sguardo, carico di una strana aria di intesa.
"Ci vediamo alla prossima. Ciao Tiffany"
"Ciao Harry" dissi ricambiando il saluto, non potendo fare a meno di pensare che, dalla sua ultima frase, lo avrei rivisto.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Rimasi a fissare il ragazzo chiudersi la porta alle spalle, e poi sparire lentamente, confondendosi nella massa di gente.

Scossi la testa tornando alla realtà.
La mia maglia era ancora bagnata, avevo perso i miei amici ed ero sola in un locale che non avevo mai visto prima.
Se questa doveva essere una serata divertente, per distrarmi, non lo era di certo. E a Louis lo avrei rinfacciato per almeno una settimana.

Aprii di nuova la porta per accedere al bagno delle donne.
Sulla destra, posto davanti ai lavandini, c'era un grande specchio e notai che la macchia non solo si stava espandendo sempre di più, ma si stava anche ingiallendo.
"Perfetto" imprecai a bassa voce.

Ad un certo punto sobbalzai, sentendo un rumore e dei sospiri dietro le mie spalle. Mi voltai, e capii che il rumore proveniva da una delle porte alle mie spalle, quelle dei bagni.

Si sentivano delle lievi risate, e degli ansimi.
Capii perfettamente cosa stava succedendo, e in fretta cercai di sgattaiolare fuori dal bagno, sperando che le persone dietro quella porta non si fossero accorte della mia presenza.
Appoggiai la mano sulla maniglia della porta, quando di nuovo sentii un gemito.

"Lou.."

Mi bloccai istintivamente, nel sentire quella voce piuttosto familiare. Troppo familiare.
'Merda' pensai.
Il mio viso in un attimo si tinse di rosso, misto di rabbia e di imbarazzo, ma, dettata dalla rabbia di quel momento e dalla mia eccessiva impulsività, senza pensarci due volte cercai di aprire l'unica porta del bagno perfettamente chiusa.
Incominciai a bussare insistentemente contro la porta.
"Louis, apri questa cazzo di porta" dissi.
Ma dall'altra parte sentii solo la ragazza implorargli di smettere.. qualunque cosa stesse facendo.
Sentii la chiave girarsi nella porta, e mi scostai quando la porta si aprì.
La ragazza aveva i capelli arruffati, la spallina del suo vestito nero le ricadeva lungo il braccio, e aveva gli occhi lucidi e rossi, ma per lo meno sembrava essere cosciente.
Il ragazzo, invece, era messo in condizioni peggiori, con i primi bottoni della camicia slacciati e la zip dei suoi pantaloni completamente abbassata.
Roteai gli occhi, facendo un espressione leggermente schifata. Non avrei mai voluto vedere questa scena.
Il ragazzo barcollò fuori dal piccolo bagno, appoggiandosi alla porta per non perdere l'equilibrio.
La ragazza si aggiustò i capelli e il vestito, guardandomi dallo specchio con una espressione imbarazzata
"Tiffany sono così imbarazzata, ti prego perdonaci" disse ridendo, ma chiaramente era ubriaca, così mi limitai a guardarla.
Intanto mi avvicinai al ragazzo, feci allacciare il suo braccio attorno alle mie spalle, tentando l'ardua impresa di portarlo fuori da quel locale.
"Ti potrei denunciare per atti osceni in luogo pubblico, se solo non fossi il mio migliore amico" sputai furibonda "Adesso vedi di collaborare, o ti giuro che ti lascio qui e te ne torni a casa strisciando".
Ma lui era talmente ubriaco, che si limitava a guardarmi e a ridere.
Dall'altra parte, dissi alla ragazza di seguirmi, voltandomi di tanto in tanto per tenerla d'occhio ed evitare di perderla una seconda volta in quella folla, che adesso era diventata ancora più fitta.

"Mi spieghi come ci torniamo a casa se non ho mai guidato la tua macchina? Sei un coglione" gli dissi una volta fuori, dopo averlo trascinato fuori, nel parcheggio.
"Tiff, stai tranquilla è solo una sbronza sono capace di guidare".
"Si certo, come no".
Incominciai a rovistare fra le tasche dei suoi pantaloni cercando le chiavi della macchina, e quando finalmente le estrassi dalla tasca posteriore dei suoi pantaloni e aprii la macchina.
Ordinai alla ragazza di salire in macchina, mentre io caricai letteralmente il ragazzo, spingendo all'interno del veicolo.
Mi misi al lato del conducente, accendendo la macchina.
"Adesso devi solo pregare di arrivarci vivo a casa".
Inserii la prima, poi partii.

Eleanor lungo il tragitto continuava a scusarsi, ma mentre in quel momento la sua sbronza si stava attenuando, al contrario Louis con il viaggio in macchina lamentava spesso giramenti di testa e nausea.
Mentre io pregavo che non mi fermassero, poiché stavo viaggiando senza documenti e anche io, nonostante fossi totalmente sobria, avevo bevuto e mi avrebbero tolto i punti dalla patente.

Eleanor mi diede indicazioni per arrivare a casa sua, dove la accompagnai, poiché si stava riprendendo.
Louis, invece, lo portai a casa mia.
Non potevo lasciarlo a casa da solo in quello stato.
Così, rimase a dormire da me nella mia stanza, per gentile concessione della sottoscritta, mentre io dormii sul divano.

Aprii gli occhi sentendo dei rumori provenire dal bagno.
Non sapevo bene che ore fossero, ma mi alzai e mi diressi in quella direzione, trovando il ragazzo chino sul gabinetto a vomitare.
Mi appoggiai allo stipite della porta, incrociando le braccia rimanendo a fissarlo, fino a quando lui non si alzò incrociando il mio sguardo.
"Grazie per l'aiuto eh" sussurrò incamminandosi di nuovo verso la camera da letto.
Io spalancai la bocca, non credevo alle mie orecchie.
"Scusami?!" urlai, quasi sconvolta "dovresti ringraziarmi di non averti ammazzato ieri sera, Louis.
Anzi, ti ringrazio io per la splendida serata che ho passato ieri sera, da sola, perché tu sei sparito in un bagno con la tua ragazza" sputai tutto d'un fiato.
Il ragazzo si appoggiò stendendosi sul cuscino, massaggiandosi le tempie con le dita. Rimase in silenzio.
"Hai idea quanto tempo ci ho messo per trovarti? Ringrazia che sono venuta in quel bagno perché un coglione mi ha rovesciato il suo maledetto drink sulla maglietta, altrimenti chissà quando mai ti avrei ritrovato" avevo leggermente modificato la versione dei fatti, tralasciando la parte in cui ero rimasta da sola con Harry. Dettagli, lui comunque non se ne sarebbe ricordato.
"Aspetta, in un bagno? E a fare che?" Appunto.
"Lascia perdere" mi arresi "non vorrei peggiorare la tua situazione".
Sospirai e mi sedetti al bordo del letto, continuando a fissarlo cercando di non far emergere troppo l'odio represso della sera prima.
Poi, dopo comunque minuti, si mise a sedere, guardandomi con un'espressione dispiaciuta e devastata stampata sul viso.
"Ti chiedo scusa" sussurrò.
Io non dissi niente, anche a me dispiaceva che si dovesse sorbire i peggiori postumi della sua vita, ma se l'era meritato.
Poi si portò di nuovo una mano alla bocca, sbiancando. Si chinò sul pavimento.
"Non ci provare" dissi, avvicinandomi a lui.
Ma fu troppo tardi, e incominciò a rigettare di nuovo ai piedi del letto. Il mio letto.
Coglione.

***

Harry

Erano le due di sabato pomeriggio, e come ogni settimana mi recavo al bar per prendere la mancia della sera prima.
Quel giorno, quasi per miracolo, sulla capitale splendeva il sole.
Camminavo per le strade con le mani in tasca ripensando alla serata appena trascorsa.
Ero dannatamente curioso di sapere cosa si celasse in quella ragazza.
Mi aveva fatto piacere parlare con lei.
Avevo solo una rimorso di quella sera: non aver chiesto il suo numero.
Dall'altro lato, invece, avrei avuto un pretesto per tornare in biblioteca.

Passai dalla porta sul retro, che mi dava l'accesso direttamente alla stanza dove Liam teneva tutti i documenti, e dove ogni settimana mi pagava, dato che non ero in regola, e mi pagava in contanti.
Aprii la porta, e Liam era seduto sulla sedia con la sigaretta fra le dita.
Appena si accorse di me, alzò la testa per salutarmi.
Mi tolsi la giacca e la appesi all'attaccapanni sulla sinistra della porta.
"Non sei al banco a quest'ora?" Domandai.
"Ho lasciato Emily, avevamo pochi clienti oggi a pranzo".
Mi sedetti sulla sedia di fronte a lui, poi aprí il cassetto e mi allungò la busta con i miei soldi, continuando ad aspirare dalla sigaretta che teneva in bocca.

Aprii la busta, e incominciai a contare le banconote.
Anche questa settimana la paga era diminuita.
"Di nuovo Liam?"
"Harry, ti prego.. lo sai"
"Liam, cazzo, i soldi mi servono" dissi sbattendo i pugni sul tavolo.
"Lo so Haz.. lo so. Se potes-"
"No Liam, diamine, non lo sai! Non sai niente! Non puoi saperlo" mi alzai dalla sedia, rosso in volto. Potevo sentire il calore che scottava la mia pelle. 
Mi portai le mani sul volto.
Lui davvero non poteva sapere. Lui non poteva nemmeno immaginare quanto fosse importante per me avere i miei soldi, e saldare finalmente i miei conti con il passato.
"Harry, ti supplico abbassa la voce" mi implorò il ragazzo "Sai che non sto andando bene questo mese" bisbigliò, quasi per paura che qualcuno da fuori potesse sentire.
Così sospirai, cercando di calmarmi e abbassando anche io il tono di voce. Lo fissai per qualche secondo, facendo un lungo respiro. 
Poi chiusi gli occhi, e dopo essermi tranquillizzato, mi sedetti di nuovo davanti a lui, accasciandomi sulla sedia.
Il ragazzo riprese.
"Ti giuro che la prossima settimana ti ripago di quello che ti ho tolto in questo ultimo mese, anche a costo di darti soldi dei miei. Solo.. dammi un po' di tempo".
"Lo hai detto anche la scorsa settimana" risposi secco.
Lui si appoggiò allo schienale, sospirando.
Non aveva più niente da dire.
Forse perché sapeva che era la verità.
Mi dispiaceva arrabbiarmi con lui, ma il mio destino dipendeva tutto da questa storia.
Dopo un lungo momento di silenzio, quasi imbarazzante, tra di noi, mi alzai di nuovo dalla sedia.
"Ci vediamo domani" dissi prima di uscire.
Presi la mia giacca dall'attaccapanni e uscii dalla porta da cui sono entrato, sbattendola dietro di me.
Mi ci appoggiai sopra, sedendomi poi sul gradino, continuando a sorreggermi.
Ero stanco.
Stanco di sentire la pressione di un passato che non voleva lasciarmi in pace. Nonostante fossi cambiato, nonostante fossi diverso.
I miei sbagli non mi davano pace. Non riuscivo a liberarmi. A dire finalmente di poter ricominciare da zero.

Poi, in quel momento, il cellulare iniziò a squillare nella mia tasca.
Senza nemmeno controllare il mittente sullo schermo, risposi e mi portai il telefono all'orecchio.

"Non ce li ho i soldi" sputai "dammi una settimana di tempo".
Poi riattaccai.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Mercoledi.
Mai come quel giorno mi alzai più contenta ed entusiasta.

Dall'incontro con Harry, nei giorni seguenti non potei fare a meno di pensare alle parole del ragazzo.
A quel "ci vediamo", che poteva suonare un banalissimo e normalissimo saluto, che però mi dava la speranza di poterlo rivedere quel giorno al corso.
O in qualsiasi altro momento. A me bastava rivederlo.

Ero davvero di buon umore quella mattina, tanto che trovai anche il tempo - e la voglia - di truccarmi bene, mettendo un velo di eye-liner.

In cucina Ethel e Zayn erano ancora in pigiama.
Il ragazzo era ancora in dormiveglia, che lentamente si gustava la sua tazza di latte con i cereali. Ma non gli rivolsi parola.
Sapevo che era ingestibile il mattino appena sveglio.
Ethel, invece, era avvolta dalla vestaglia e stava sulla soglia della porta finestra fumandosi una sigaretta, lasciando entrare la pallida luce del sole.
Presi dalla credenza una brioche integrale di quelle confezionate, nel frattempo armeggiai con la macchietta del caffè.

"Scusa ma non dovresti andare a fare colazione con il tuo amico universitario? Ehm, come si chiama?"
"Louis" dissi secca "comunque no, lo sto evitando da domenica pomeriggio, da quando l'ho riaccompagnato a casa dopo avermi convinto ad andare ad una stupida festa in un locale in centro, dopo avermi abbandonato una sera intera in un locale pieno di adolescenti ubriachi, in preda a una crisi ormonale, e dopo avermi vomitato sul piumone".
Mi fermai, perché se avessi elencato la lunga serie di eventi che avevano caratterizzato quel fine settimana avrei rischiato di rovinare il mio buon umore.
Sospirai, e tentai di sviare l'argomento.
"Comunque basta dirlo, se sono così d'intralcio".
"Oh no, niente affatto. Anzi, se proprio vuoi restare, nel lavello ti aspettano tutti i piatti che devono ancora essere lavati da ieri sera" scherzó lei gettando la sigaretta ormai finita fuori dalla porta, prima di richiuderla per rientrare in casa.
"No grazie, io passo" presi la tazza di caffè che mi ero preparata in quel momento, e ne bevvi un sorso, portandomela alla bocca "ho già abbastanza scaffali da sistemare in libreria questa mattina" poi guardai l'orologio da muro appeso alla parete "anzi, ora devo andare. Non aspettatemi per cena, farò tardi. È mercoledì" li avvisai, mentre mi infilavo il mio cappotto.
Ma tanto sapevo che non mi avrebbero aspettato comunque.
Poi li salutai, prima di incamminarmi verso la stazione della metro.

Erano le 12:30.
Orario di pranzo, la biblioteca era vuota e Carola mi aveva chiesto di rimanere in biblioteca prima di andare in pausa pranzo, perché doveva passare a prendere sua nipote a scuola.
Ovviamente non fu un problema, intanto stavo finendo di mandare gli ordini ai fornitori per questo fine settimana.
In quel momento sentii la porta aprirsi, e il leggero trin del campanello attirò la mia attenzione.

Era Louis, con un piccolo sacchetto di Starbucks fra le mani. 
Lo appoggiò sul bancone e mi guardò con occhi dispiaciuti.
"Visto che non mi parli e non rispondi nemmeno ai miei messaggi, puoi almeno leggere il biglietto dentro il sacchetto?"
Alzai un sopracciglio confusa, tentando di trattenere un sorriso. Comunque, non parlai.
Lui era consapevole che sapevo essere davvero permalosa, ma sapeva anche che non appena mi fosse passata, tutto sarebbe tornato come prima.
Aprii la busta: al suo interno trovai un muffin al cioccolato e una tazza di caffè caldo aromatizzato alla vaniglia con il mio nome scritto con il pennarello.
In fondo, aveva lasciato un tovagliolo dove sopra aveva scritto:

'So che sono un coglione, ma, per favore, possiamo tornare a fare colazione insieme?
Mi manchi. -Lou'

A quel punto scoppiai a ridere, e lo guardai, notando nel suo viso in espressione più rilassata.
Feci il giro del bancone e andai ad abbracciarlo. Lo avevo già ignorato abbastanza.
"Ti assicuro che fare colazione ad un bar da solo è assolutamente deprimente" sussurrò fra i miei capelli.
"La prossima volta che hai intenzione di ignorarmi per tre giorni avvertimi, che almeno mangio a casa mia".
"Ora capisci come mi sono sentita l'altra sera? Solo che il contesto era un po' diverso" dissi, ma questa volta in tono scherzoso.
Lui sbuffò alzando gli occhi al cielo.
Risi nuovamente, lasciandogli un bacio sulla guancia.
Lo avevo già punito abbastanza.

 

Erano le 18 inoltrate, e le prime persone che avrebbero preso parte al corso erano già arrivate da qualche minuto.
Inutile dire che ogni volta che sentivo la porta aprirsi, mi voltavo nella speranza di incrociare i suoi occhi verdi.
Carola arrivò in quel momento, e prese posto nella sua grande sedia posta davanti a tutti. Poi diede un'occhiata all'orologio.
"Direi che possiamo cominciare".
Io mi voltai per ribattere, ma Carola ormai si era già seduta.
Così, mi sedetti al solito posto, delusa.
Ero davvero tanto dispiaciuta, ma cosa mi aspettavo?
Non sarebbe venuto, sicuramente aveva lasciato intendere quel "ci vediamo" solo come saluto informale.

Presi posto sulla mi seggiola e subito una signora, sulla quarantina, colse la richiesta di Carola di proporre un tema di cui parlare.
La ragazza cominciò.

Come può, la vita, essere così misteriosa?
Come può, il passato, risucchiare tutte le emozioni e i sentimenti, che se ne vanno via, liberi nell'aria, come un piccolo respiro?
Ma soprattutto, come può un uomo vivere slegato da esso, lasciando solo che ciò che il passato ci ha sottratto, possa essere da guida per il nostro presente, per il nostro cammino?

Silenzio, e poi un applauso. E la signora, subito tornò al suo posto arrossendo.
Si percepiva chiaramente che la sua riflessione era data da un esperienza vissuta, che aveva segnato profondamente la sua vita fino a quel momento.
"Grazie Clelia" disse Carola, alla donna "qualcuno ha qualcosa da aggiungere?".

"Beh io non sono del tutto d'accordo" disse una voce proveniente dal fondo della stanza. La sua voce.
Mi voltai di scatto, incrociando i suoi occhi. Gli sorrisi, e lui fece lo stesso quasi nello stesso istante. Poi continuò.

"Voglio dire, certo le esperienze vissute possono diventare un punto di riferimento o un punto di partenza. 
Ma credo che il passato, in quanto tale, deve rimanere dov'è. Non dovrebbe ripresentarsi nel futuro, nè noi dovremmo tentare di riviverlo nel presente. Il futuro deve venire da sè, e liberarci da ciò è già accaduto"

"Io penso che, invece, un errore del passato o uno sbaglio, non vada dimenticato.
Deve fortificarti, fare in modo che diventi lo scudo che ti renda forte e permetterti di non commettere lo stesso errore" aggiunsi io. Poi mi voltai, curiosa di sapere se anche lui aveva qualcosa da ridire.

"Gli errori, spesso non ti fortificano" disse abbassando lo sguardo "a volte, ti uccidono".
L'ultima frase la disse a voce più bassa.
Mi voltai di nuovo verso Carola, che mi guardava alla ricerca di qualcosa da aggiungere.
Ma scossi la testa, facendole segno di andare avanti, mentre riflettevo sulle parole del ragazzo.

Il corso terminò circa una mezz'oretta dopo.
Tutti si stavano alzando, il ragazzo invece, fu l'ultimo a raccogliere le sue cose.
Poi, vidi che mi stava seguendo, nella direzione del bancone.
"Non credevo che saresti tornato per davvero" dissi sistemandomi di nuovo dietro al bancone della cassa.
"Beh, non sarò venuto a 'comprare un libro'" rispose mimando con le dita le virgolette "ma questo corso mi interessa davvero, è qualcosa di... non so, originale ecco" lo guardai storto, appoggiandomi con i palmi della mano al bancone facendogli capire dalla mia espressione che non ci stavo credendo molto e che, se avesse voluto convincermi davvero avrebbe dovuto sforzarsi molto di più "e questa volta non sto mentendo" aggiunse alla fine.
"Credo proprio che dovrò fidarmi sulla parola" dissi. Morivo dalla curiosità di chiedere a cosa fosse dovuto il suo intervento di prima, ma lasciai perdere.
A volte non sempre è facile trattare determinati argomenti.
Presi così il mio zaino preparandomi ad uscire.
"In realtà, ora che ci penso, un pretesto ce l'avrei" disse
"E quale sarebbe?" chiesi, mentre infilavo anche il cappotto.
"Che ci siamo visti diverse volte, ma ancora non ho avuto il tuo numero" disse il ragazzo sorridendo.
Arrossii lievemente a quella sua affermazione, e alla sicurezza con cui me lo chiese.
Il suo fare così deciso e determinato era quasi una calamita, e nonostante in altre circostanze non avrei sopportato questo tipo di richieste, non potei fare a meno di accontentarlo.

Gli sorrisi, tirando fuori dal mio zainetto il libro di "orgoglio e pregiudizio".
Presi una matita, dal portapenne di fronte a me, e iniziai a scrivere il mio numero sulla prima pagina, consegnandolo poi al ragazzo che mi guardava, curioso e confuso.
"Me lo riporterai quando lo avrai finito" risposi "comunque avevo capito anche questo".
"Cioè?" chiese lui.
"Che 'Orgoglio e Pregiudizio' non lo avevi mai letto".
Mi portai poi lo zaino sulle spalle, dirigendomi verso la porta.
Poi lo guardai, e lo salutai con un veloce sorriso verso la sua direzione.
Capii dalla sua faccia attonita che lo avevo spiazzato, di nuovo, e rimase per qualche secondo con la mano a mezz'aria, reggendo il libro.
Lo guardai da fuori, attraverso il vetro della finestra della biblioteca mentre apriva la prima pagina vedendo il numero inciso a matita.
Alzò lo sguardo nella mia direzione, incrociando per un secondo il mio dalla finestra. 
Poi mi alzai il cappuccio e infilai le mie cuffiette, avviandomi a piedi verso la metropolitana.

Mi ero infilata i miei leggings e la canottiera, ed ero comoda sotto il mio caldo piumone.
Le luci erano già spente, e dalla porta della mia camera da letto potevo sentire solo il rumore della televisione perennemente accesa, in camera di Zayn.
Stavo scorrendo la mia home di Facebook, quando mi arrivò un messaggio dal numero sconosciuto. Ma sapevo benissimo chi fosse.
Cliccai sulla notifica appena comparsa sullo schermo.

Grazie mille per il tuo numero, ma credo di doverti riportare al più presto il tuo libro o non potrai finirlo

Sorrisi a quel messaggio.
Quel ragazzo era davvero furbo.

Tranquillo, l'ho letto una cosa come quattro volte.
Dovrai inventarti un'altra scusa.

Risposi quasi subito, anche se avrei voluto evitare di sembrare la ragazza disperata che non aspettava altro che il messaggio dal ragazzo per il quale si era infatuata. Infatti, me ne pentii immediatamente.
Ma notai con grande sorpresa che anche lui stava già scrivendo, e dopo qualche secondo mi arrivò la sua risposta.
Stava forse aspettando anche lui la mia risposta?

Peccato. Dovrò trovare un altro buon motivo per tornare in biblioteca.
Buonanotte:)

Buonanotte :)

Bloccai il telefono appoggiandolo sul comodino.
Avrei dormito sonni tranquilli dato che, se l'ultimo messaggio era il mio, di certo non sarei stata io a dover riscrivere il mattino seguente.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Quella mattina, alla stazione della metro, la folla e il via vai di gente erano incontrollabili.

Persone carichi di bagagli a mano, valigie, famiglie con bambini piccoli che correvano in ogni dove, mentre io cercavo di farmi spazio tra loro per uscire da quel buco.
Odiavo i posti piccoli e affollati. Odiavo le stazioni, in generale, specialmente quando si avvicinavano le feste. 
Ormai era il 10 dicembre, le persone incominciavano a spostarsi e a preparare le vacanze di natale.

Salii le scale, lasciandomi avvolgere dal vento di quella mattina.
Il cielo era nuvoloso, ma non sembrava fosse in procinto di piovere.
Mi avvolsi meglio nella mia grande sciarpa di lana, il vento e il freddo erano davvero pungenti, così accelerai il passo e tirai un sospiro di sollievo quando finalmente riuscii ad entrare nel bar.
Louis stranamente non c'era.
Controllai il cellulare, per vedere se mi avesse cercato per avvisarmi del suo ritardo, ma non avevo nessuna notifica da parte sua. Se non fosse arrivato dopo poco, gli avrei telefonato.
Non avevo ricevuto nessun messaggio nemmeno da parte di Harry.
Non che me lo aspettassi. Semplicemente, un po' ci speravo.

Mi fermai al banco, per ordinare una tazza di caffè doppio, chiedendo gentilmente di portarmelo al tavolo, poi mi sedetti al solito tavolino nell'angolo del bar.
Dalla tasca del mio zaino estrassi le cuffie e le infilai alle orecchie, scorrendo intanto sui vari social.
Entrai nel mio Facebook, dove subito notai una notifica.

Harry Styles ti ha inviato una richiesta di amicizia.

Un sorriso sghembo, quasi soddisfatto, si stampò immediatamente sul mio viso.
Come aveva fatto a trovarmi?
Fu la domanda che sorse spontanea, visto che sapeva solo il mio nome, anche se non ci diedi troppo peso sul momento e cliccai immediatamente sul tasto 'conferma'.
Cliccai sul suo profilo incominciando a scorrere i vari post.
La maggior parte di questi erano tag da parte del locale dove ci eravamo trovati venerdì sera, ai post contenti i video della sua esibizione.
Altri, invece, erano sue condivisioni di testi di canzoni e citazioni. 
Feci scivolare nuovamente il dito verso l'alto, cliccando sulla foto profilo. 
Era una sua foto in bianco e nero mentre suonava la chitarra. Con il dito scorsi per vederne altre, ma aveva pubblicato solo quella.
Cliccai la x chiudendo le foto, tornando sulla schermata principale del suo profilo, quando notai un'ombra sopra di me. Bloccai, quindi, lo schermo del telefono e alzai la testa.

Era Louis, con i capelli scombinati dal vento, la giacca ancora aperta e con una faccia a dir poco stravolta.
Tolsi le cuffiette e le arrotolai tra le dita riponendole nella tasca del mio cappotto. 
Prima che potessi salutarlo, lui si sedette con molta poca grazia sulla sedia sbuffando.
Si portò le mani sul viso, sfregandoselo per qualche secondo.
"Mi stavo chiedendo che fine avessi fatto" dissi, poi notai che non mi rispose.
"Lou, stai bene?"
Lui sospirò, e dopo aver finalmente scostato le mani dal viso, mi guardò.
"Ho litigato con Eleanor" ammise "in più questo esame mi sta facendo impazzire, non vedo l'ora che sia domani così sarà tutto finito".
Appoggiai i gomiti al tavolino, mente lui si accasciò sulla sedia appoggiato allo schienale.
"Mi dispiace per te ed Eleanor" dissi "per cosa avete litigato?" chiesi.
"Stronzate" sputò a denti stretti "le sue solite paranoie".
Capii dal suo tono che era meglio non parlarne.
Nonostante fosse il mio migliore amico, faceva molta a fatica ad aprirsi riguardo questi argomenti. Solo una volta mi chiese consiglio su cosa comprarle come regalo per il loro primo anniversario.
Faceva parte del suo carattere quella di essere molto riservato, ma al tempo stesso, quando si arrabbiava, sapeva essere davvero irascibile.

Per fortuna, per spezzare quell'aria di tensione dovuta dal nervosismo del ragazzo, arrivarono le nostre ordinazioni.
Il ragazzo appoggiò sul tavolo le due tazze di caffè fumanti, una brioche alla marmellata e un croissant vuoto integrale.
Qualcosa non andava. 
Louis immediatamente addentò il croissant vuoto immergendolo nel caffè, mentre l'altra pasta rimasta non era per me. Per lo meno non l'avevo ordinata.
"Scusi" dissi richiamando il cameriere che ci aveva appena servito "credo che ci sia un errore, questa pasta non l'ho ordinata io" dissi.
Lui si voltò in direzione del bancone indicando, con un cenno della testa, un ragazzo seduto al bancone. Harry.
Mi stava fissando con la coda dell'occhio, mentre si portava alla bocca una piccola tazzina.
Stava cercando di non farsi vedere, ma mi ero accorta perfettamente che mi stava guardando.

"Offre la casa" rispose lui, riferendosi a Harry.
Poi osservai il cameriere tornare dietro al bancone, conversando amichevolmente con il ragazzo.

"Ma lo conosci?" mi chiese Louis guardandomi con aria confusa e la fronte corrugata.
Io sorrisi imbarazzata verso il ragazzo.
"Lunga storia" risposi semplicemente.
Poi mi voltai di nuovo verso Harry al bancone. Questa volta, mi stava guardando anche lui.
Gli rivolsi un mezzo sorriso sincero, come segno di ringraziamento. E lui, fece lo stesso.
Potei giurare di aver visto le sue fossette formarsi agli angoli della sua bocca nonostante i metri di distanza che ci dividevano.

Dopo aver bevuto in un paio di sorsi il suo caffè, Louis si alzò velocemente dalla sedia controllando l'orario sul suo orologio da polso.
"Io ora devo scappare" poi si infilò la giacca.
"Ci vediamo, ah" disse poi lui, prima di andarsene "buona colazione".
Il tono freddo con cui pronunciò l'ultima frase mi lasciò perplessa e stupita.
Non ebbi il tempo di chiedere spiegazioni, che lui si avviò a passo svelto verso l'uscita, lasciandomi da sola a finire la mia colazione.

L'atteggiamento del ragazzo proprio non me lo spiegavo. Comunque cercai di non darci troppo peso, sicuramente era dovuto all'insieme di situazioni che lo avevano innervosito dal principio.
Addentai la mia brioche alla marmellata, accompagnandola a un sorso di caffè.
Nonostante preferissi le paste alla crema, quella era veramente molto buona.

"Posso sedermi?" chiese il ragazzo avvicinandosi al mio tavolo.
Io annuii, avendo ancora la bocca piena, poi mi pulii gli angoli della bocca con un tovagliolo di carta.
Harry scostò la sedia e ci si sedette sopra, guardandomi senza dire niente.
Fui io a decidere di interrompere il silenzio che si era formato tra di noi.
"Mi stai seguendo per caso?" dissi in tono scherzoso appoggiandomi con i gomiti al tavolino.
"Potrei chiederti la stessa cosa" rispose lui "frequento questo bar da quando sono arrivato qui a Londra. Liam è mio amico"  disse indicando il ragazzo al bancone, che ogni tanto lanciava dei veloci sguardi nella nostra direzione.
"Strano, perché vengo qui tutte le mattine a quest'ora e non ti ho mai visto" 
"Appunto perché di solito non vengo qui a quest'ora" disse ridendo.

Gli rivolsi un veloce sguardo.
Poi sbloccai il mio cellulare per controllare l'orario, ma mi ero completamente dimenticata di essere rimasta sul profilo Facebook di Harry.
'Merda' pensai.
Mi affrettai subito a chiudere l'applicazione, premendo ripetutamente il tasto home, sperando solo che il ragazzo non se ne fosse accorto.
"E poi sono io quello che ti spia"
Infatti.
Chiusi gli occhi e sentii velocemente il volto avvampare e tingersi di rosso per l'imbarazzo.
"Beh, in mia difesa posso dire che stavo solo cercando di capire in che modo sei riuscito a trovarmi anche su Facebook" domandai, accollandomi alla scusa più plausibile possibile per difendermi.
"Giusto, me ne stavo dimenticando" disse estraendo dalla tasca dei pantaloni una tesserina.
Era la tesserina omaggio di Starbucks. La conservavo nel libro di Orgoglio e Pregiudizio come segnalibro.
"Ti mancano solo due timbri per avere la colazione in omaggio".
Me la allungò e la presi in mano. Sopra c'erano nome e cognome, e subito capii che fu facile per lui cercarmi anche sui vari social.
"Menomale che avevi lasciato questa nel tuo libro, altrimenti mi toccava salvarti come 'Tiffany Biblioteca'" scherzò.
Io risi con lui, ancora un po' imbarazzata per la figura.
Riposi poi la tesserina nel mio portafoglio.
Poi tra di noi, di nuovo silenzio.

Era quasi strano e imbarazzante dover parlare con lui al di fuori della biblioteca, ed era ancora più strano il fatto che frequentassimo gli stessi posti senza esserci mai notati prima d'ora.
E non era proprio semplice evitare un ragazzo del genere.
L'unica cosa che avevamo in comune, a questo punto, era la scrittura. Anche se non avevo ancora capito bene cosa a lui piacesse scrivere.

Appoggiai la tazza sul piattino dopo aver bevuto un lungo sorso e guardai di nuovo il ragazzo, che stava guardando fuori dalla finestra per evitare di incrociare il mio sguardo e quella atmosfera imbarazzata che si era creata tra di noi.
Mi leccai le labbra, e mi schiarii la voce per attirare la sua attenzione, prima di parlare.
"Posso farti una domanda?" 
Lui mi guardò, come per invitarmi ad andare avanti.
"Perché partecipi al corso?" Sul momento non disse nulla, e pensai che forse non avrei dovuto porgli una simile domanda.
"Voglio dire, non è per farmi gli affari tuoi, solo che non sembri affatto il tipo da frequentare certi posti ecco.."
"Stai per caso insinuando che non sono abbastanza 'intellettuale' per il vostro corso?" disse in tono scherzoso, alzando un sopracciglio.
Lo guardai storto.
"Hai capito cosa intendo" lui accennò un sorriso, poi esitò un attimo prima di riprendere a parlare.
"Avevo bisogno di trovare la giusta aspirazione" poi continuò, abbassando lo sguardo sulle sue mani intrecciate sul tavolo "io scrivo canzoni, ma sono in un periodo un po' no, pensavo potesse darmi.. non lo so, riaccendere la scintilla" 
"E sta funzionando?" 
"Per ora no" ammise "ma voglio darmi un po' di tempo, non voglio buttare tutto all'aria" poi sorrise.
Un sorriso triste, spento.
Non il suo solito sorriso, che scaldava il cuore, contornando il suo viso paradisiaco con le sue profonde fossette.
Giocava con i suoi anelli che aveva alle dita. Sembrava estremamente a disagio.
Avrei voluto fare qualcosa o dire qualcosa per farlo stare meglio, ma lo conoscevo così poco.
"Io sono sicura che ce la farai" dissi "non sembri una persona che si arrende al primo scivolone. E poi io ero sincera quando ti ho detto che hai una bella voce".
Lui alzò lo sguardo su di me, e mi sorrise.
Un sorriso meno forzato. Forse aveva apprezzato il mio sforzo, così ricambiai il sorriso.
Abbassai, però, immediatamente lo sguardo e presi a girare il cucchiaino nella tazzina. I suoi occhi erano una calamita, ma facevo fatica a mantenere il contatto con quei due smeraldi per più di 3 secondi.
Lui poi si bloccò immediatamente, e mi guardò come se avesse appena avuta un'illuminazione.
"Vuoi venire a sentirmi di nuovo domani sera?"
Alzai lo sguardo. 
"Domani sera?"
"Si nel locale della scorsa settimana" rispose entusiasta "se vuoi".
Rimasi un po' stupita dalla sua richiesta. 
Non me lo aspettavo, ma specialmente non sapevo come potermi organizzare.
Lui continuava a guardarmi, in attesa di una mia risposta.
Io gli sorrisi. Un modo lo avrei trovato.
"Si, volentieri"
"Perfetto" rispose lui, quasi sussurrando, tanto che feci fatica a sentirlo. 
Il bip del mio orologio da polso mi fece scattare dalla sedia di colpo.
Le 8:00.
"È tardissimo" 
Presi in velocità il mio zainetto, infilandoci il cellulare, e mi infilai il cappotto.
"Scusami io devo scappare, il mio turno inizia fra 15 minuti" spiegai.
Lui mi sorrise speranzoso.
"Allora ci vediamo domani?"
Mi chiusi nella giacca, sistemandomi i capelli che erano rimasti incastrati sotto la bretella del mio zaino.
"A domani" risposi, sorridendogli, prima di voltarmi camminando verso la porta.
Cercai il sul sguardo dalla vetro grande della finestra, notando con molto piacere che anche lui seguiva i miei passi con lo sguardo, dall'altro lato della finestra.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Trascinavo il mio piccolo carrello tra le corsie, cercando quella dei biscotti e degli altri prodotti da forno.
Imprecai internamente e mi maledissi per la mia poca capacità di memorizzazione e orientamento, per cui tutte le volte mi scordavo dove fossero i vari scaffali e mi trovavo costretta a girare tutto il perimetro di Tesco prima di trovare quella che mi interessava.
In più, il fatto di dover ascoltare e rispondere a Louis, che da più di 15 minuti mi teneva al telefono, mi rendeva l'impresa ancora più difficile.

"Ti assicuro che mai nella vita potrò incontrare un professore più stronzo e pignolo di questa cretina" continuava.
"Ha chiesto le cose più inimmaginabili. Hai presente le righe in fondo al libro? Quelle in carattere 10 che non si caga nessuno? Ecco. Tutte lì erano le risposte.
Per fare domande del genere tu non devi avere una vita serena, ne sono certo".

Ormai stava parlando da solo, io non facevo altro che acconsentire e dargli ragione.
Si lamentava dell'esame che aveva dato la mattina stessa, e tornando a casa mi stava facendo un resoconto della sua prova.
Lo faceva ogni volta, per sfogarsi. 
Liberava tutto lo stress accumulato nei giorni precedenti all'esame con una chiacchierata terapeutica con la sottoscritta, poi tornava alla sua vita normale e ai suoi divertimenti.

"Se ho preso 18, questa volta, mi bacio entrambi i gomiti". Poi sbuffò.
"Comunque adesso basta" disse poi "ormai è passata, adesso posso finalmente tornare alla mia vita sociale. A proposito, ceni da me questa sera?"

Stavo cercando i croissant e le brioche integrali che mangiavamo sempre, ed ero talmente presa da questa ricerca che non prestai nemmeno attenzione alla domanda del ragazzo, che mi dovette chiamare una seconda volta.

"Tiffany? Ti ho fatto una domanda"

"Eh? cosa? Scusami Lou, non ti stavo ascoltando. Sto facendo la spesa e stavo cercando una cosa" dissi giustificandomi "cosa mi stavi dicendo?"
"Stai facendo la spesa di venerdì alle tre del pomeriggio? Tu sei pazza" Rispose. 
Io accennai una leggera risata.
"C'è una legge che mi vieta di fare la spesa di venerdì pomeriggio?" 
"Va beh, non è questo il punto" disse lui tagliando corto "vieni da me stasera?" 
Io esitai su un primo momento.
Mi ero totalmente dimenticata di avvisarlo che sarei uscita con Harry, anche se data la reazione della mattina scorsa non avevo grandi aspettative che potesse essere entusiasta riguardo questa cosa.
Infatti, tentennai prima di arrivare al punto.
"Ehm... Lou, io stasera non posso. Ho un impegno" dissi, generalizzando, nel tentativo invano di non ricevere altre domande a riguardo.
Intanto, avevo buttato due pacchetti di brioche ai cinque cereali nel carrello, dirigendomi alla cassa per pagare.

"Scusami, e con chi avresti questo impegno?"
Sapevo che se la sarebbe presa. Lo capivo dal suo tono, così cercai di attutire un po' il colpo.
"Cosa ti dice che deve esserci per forza un chi con me? Devo solo fare.. una cosa".
Lui non rispose, e capii che lui non se l'era  bevuta affatto.
Buttai gli occhi al cielo, poi mi morsi un labbro per evitare di invitarlo a farsi gli affari suoi; ma alla fine era il mio migliore amico, sapeva tutto ormai di me.
"È il ragazzo del bar" ammisi.
"Quello? Cioè, mi stai dicendo che preferisci vederti con un tipo che avrai visto due volte, piuttosto che uscire con il tuo migliore amico?"
"Lou guarda che non è affatto così" risposi, mantenendo il telefono tra la spalla e l'orecchio, mentre caricavo la spesa sul rullo.
"L'ho conosciuto in biblioteca, non è affatto male. Dovresti smetterla con questi pregiudizi. Anche di Eleanor non avevi una buona impressione all'inizio eppure..."
"Si, lasciamo stare anche questo argomento per cortesia" lo sentii sospirare "poi quello non mi piace, hai visto come si veste? E i tatuaggi?"
"Beh in quanto a tatuaggi dovresti parlare per te, avvocato" lo punzecchiai, nel tentativo di sdrammatizzare la situazione.
Ma lui non rise.
Iniziai ad imbustare la spesa, così, ne approfittai per riattaccare. Si sarebbe calmato, prima o poi.
"Senti Lou, io devo staccare. Ci sentiamo più tardi, ok?" Dissi io.
"Sempre se non hai qualcuno di meglio a cui telefonare" disse, in tono secco.
A quel punto risi, primi di riattaccare salutando con un piccolo "scemo" prima di riporre il telefono nella tasca del mio cappotto.
Quel ragazzo era davvero ingestibile.

Per fortuna il supermercato distava solo a due isolati dal nostro piccolo appartamento, altrimenti mi si sarebbe letteralmente ghiacciata la mano dal freddo che faceva quel pomeriggio.
Il cielo era coperto di nuvole bianche, e non prometteva nulla di buono. Se la temperatura fosse scesa di un altro paio di gradi, sicuramente avrebbe cominciato a nevicare.
Appoggiai a terra le sporte che reggevo con la mano destra, infilando la mano nella tasca del mio cappotto per cercare le chiavi di casa, aprendo velocemente la porta. Mi ci appoggiai con la schiena per mantenerla aperta, e velocemente ripresi le sporte sgattaiolando in fretta in casa per sistemare la spesa.

Di Zayn non c'era traccia quel pomeriggio, anche Ethel non l'avevo ancora vista.
Questa mattina, quando sono uscita, dormivano entrambi.
Mentre sistemavo le ultime cose sugli scaffali, guardai l'orologio.
Erano già le cinque, e avrei dovuto iniziare a prepararmi per uscire quella sera.
Intanto Ethel uscì dalla sua camera, con le cuffie alle orecchie e tamburellando la mano sulla coscia a tempo di musica. Si accorse di me solo quando arrivò in cucina.
"Ah, sei già tornata" disse.
Così si tolse le cuffie, appoggiando il cellulare sul tavolo.
Io annuii, e notai che era ancora in pigiama, anche se la cosa non mi stupiva.
"Zayn?" Domandai chiudendo le ante della credenza.
Poi presi un succo di frutta alla pesca dal frigorifero, e mi sedetti su uno dei banconi dell'isola.
"L'hanno chiamato dal supermercato, avevano bisogno di una persona in più per il pomeriggio"
"E ci è andato veramente?"
"Lo hanno avvisato che se non si fosse presentato lo avrebbero licenziato" aggiunse "quindi è stata una scelta obbligata"
"Beh per lo meno non se ne è fregato" risposi, continuando a bere dal mio bicchiere.
Zayn odiava quel lavoro. In realtà, lui odiava lavorare in generale, e se poteva usare una qualsiasi scusa per non andarci, non ci pensava due volte a prendere il telefono e avvisare che non sarebbe andato. Era il terzo lavoro che cambiava nel giro di sei mesi, e avrebbe fatto meglio a tenerselo stretto.
Come Ethel, lavoravano entrambi il minimo indispensabile per poter portare a casa uno stipendio e pagarsi l'affitto. 
Anche se, da quando c'ero io, il fatto di doverlo dividere per tre per loro era sicuramente più facile e permetteva loro di prenderla con molta, molta leggerezza, concedendosi anche qualche divertimento in più.

Scesi dal bancone, e sciacquai il bicchiere riponendolo nel lavandino.
"Hai da fare questa sera?" mi chiese la ragazza, prendendosi l'ennesima sigaretta dal pacchetto, avvicinandosi alla porta finestra.
"In realtà si" dissi "devo uscire.. con delle amiche della biblioteca" mentii.
Non avevo intenzione di spiegargli come stavano le cose con Harry, preferivo mentire prima che Ethel saltasse a conclusioni affrettate.
"Speravo venissi con noi a ballare questa sera" disse, accendendosi la sigaretta "sono due settimane che non usciamo insieme il venerdì sera"
"Lo so, hai ragione. La prossima settimana prometto che lo passeremo insieme. Giuro" 
Lei mi guardò roteando gli occhi.
Intanto presi un fazzoletto di carta per asciugarmi le mani.
"Le tue promesse sono quasi inutili quanto quelle di Zayn" scherzò lei.
"Ehi!" Strillai io in risposta.
Appallottolai il fazzoletto che tenevo in mano, poi glielo lanciai.
Lei rise, continuando ad aspirare dalla sua sigaretta.
Nonostante avessimo due caratteri completamente diversi, con lei mi trovavo davvero bene, cosa che sei mesi fa non avrei mai pensato.
Le rivolsi un sorriso sincero, prima di dirigermi verso la mia camera da letto.
Ormai erano le cinque passate e dovevo iniziare a prepararmi.

***

Harry

Quella sera arrivai in anticipo nel locale di Liam.
Ero stranamente agitato, mi sembrava quasi di essere un principiante che si esibiva per la prima volta davanti a un pubblico.
Il punto è che sapevo esattamente il motivo, e non lo riuscivo a concepire.
Perché quella ragazza mi facesse quell'effetto ancora dovevo capirlo. Era solo una strana, piacevolissima attrazione.

Ero seduto sulle sedie alte davanti al bancone del bar, appoggiato con la schiena al tavolo.
Stavo bevendo una bottiglia d'acqua per evitare di fare seccare la gola prima dell'esibizione di quella sera, mentre Liam passava lo straccio tra i tavoli fumandosi una sigaretta.
Generalmente non lo faceva dentro il locale, ma tanto sapeva che quella sera l'odore della sua sigaretta si sarebbe mischiato insieme all'odore di alcol e di tabacco delle altre centinaia di persone, quindi non se ne preoccupava.

"Stasera viene qualcuno dei nostri?" chiesi, bevendo un altro sorso dalla mia bottiglia.
"Rachel e Dave mi hanno scritto di riservargli un tavolo, a questo punto penso che verrà anche Chase"
Feci una smorfia richiudendo la bottiglietta. 
Dave, tutto sommato, era un ragazzo abbastanza simpatico e alla mano.
Sapeva come divertirsi, ma era una persona seria. Chase, suo fratello, era tutto l'opposto.
Aveva 2 anni in meno di lui, ed era ancora nella fase "fumo e alcool fino al vomito". Quando c'era lui, succedeva sempre del casino, e la maggior parte del tempo si trovava da dire con qualcun altro.
"Niall?" chiesi poi io.
"Viene verso la mezzanotte, ha il pomeriggio" la notizia mi rallegrò.
Niall insieme a Liam erano i miei migliori amici, e quando le cose si mettevano male con gli altri, noi eravamo sempre quelli che si dissociavano dal gruppo. Ero stanco di finire nei casini per delle stronzate.

"Harry?" 
Il ragazzo mi richiamò, e scossi la testa puntando gli occhi su di lui, che mi stava guardando immobile da un tavolino a pochi passi da me.
"Stai bene?"
"Si, perché?" chiesi, corrugando la fronte.
"Sei strano" disse di nuovo, poi spense la sigaretta nel posacenere.
"Sono solo stanco".
Anche se stanco non era proprio il mio vero stato d'animo.
Ero pensieroso e ansioso. Chissà se sarebbe davvero venuta quella sera.

Sistemai le ultime cose nell'ufficio di Liam, accordando la chitarra prima di iniziare la serata.
Controllai il telefono, per vedere se Tiffany aveva risposto al mio messaggio. Ma nessuna risposta.
Incominciavo a pensare che forse non era seriamente interessata a venirmi a sentire. Così lo lasciai sul tavolino, e misi la mia chitarra a tracolla.
Si sentivano già le voci della folla di gente che incominciava a formarsi nel locale.
Era poca rispetto a quella che sarebbe arrivata, solo dopo la mia esibizione.
Avevo imparato a fregarmene in realtà. Quello era diventato il mio lavoro.

Appena salii sul piccolo palco, le luci si attenuarono su di me.
Un piccolo applauso forzato si alzò tra le persone, e incominciai a cantare.
Anche se ero concertato sulla mia prestazione, cercai con gli occhi tra la folla, ancora non molto fitta, quegli occhi blu.
Guardai negli angoli della sala, ma di lei nemmeno l'ombra.
Cantai le prime due canzoni, concentrato solo sulla massa di persone davanti a me, fino a quando non vidi la luce artificiale dei lampioni fuori, illuminare l'ingresso del locale.
E lei entrò.
Cercai di incrociare il suo sguardo, e quando lei, da lontano guardò nella mia direzione, le sorrisi.
Non riuscivo a capire se lo avesse notato, ma lo feci comunque.
E continuai a cantare, con tono più alto, sicuro e deciso, e sicuramente più rilassato. Per non sfigurare, usai tutto il fiato che avevo nei polmoni.
Lei si era avvicinata alla folla, quasi per non volersi distinguere, sola in un angolo.
Continuai a seguirla con lo sguardo, quando lei si fermò in fondo al locale.
Si sedette sulla sedia del bancone, e rivolgendosi a Emily, la barista di Liam, ordinò qualcosa da bere.
Ma subito si rivoltò per guardarmi, e per ascoltarmi.
Speravo vivamente che la mia esibizione le piacesse davvero.

Per la prima volta, fui davvero felice di aver finito la mia esibizione e mi precipitai giù dal palco.
Tornai in ufficio da Liam, appoggiando la mia chitarra, presi il mio cellulare che avevo lasciato sul tavolo e lo infilai velocemente in tasca.
Liam aveva già acceso la musica, quando io di nuovo tornai in sala, cercando di raggiungere la ragazza, sperando fosse seduta ancora al bancone.

La raggiunsi, facendomi spazio fra le persone ammassate.
Era ancora lì, che beveva il suo cocktail seduta al bancone, guardandosi in torno. Forse anche lei mi stava cercando.

"Tiffany" dissi abbastanza forte perché mi potesse sentire.
Lei si voltò, e mi sorrise vedendomi arrivare.
Appoggiò il bicchiere sul bancone, e si alzò per venirmi incontro.
"Per un momento ho pensato che non venissi più" 
"Scusami davvero, ma i miei coinquilini sono le persone più ritardatarie che conosca" rispose lei, accennando una piccola risata.
Doveva essere contagiosa, dato che non appena le sue labbra si piegarono in un sorriso, le mie in automatico fecero lo stesso.
Quella sera aveva raccolto il capelli in una coda mossa, e aveva un rossetto rosso, che insieme alle sue iridi azzurre erano un abbinamento mortale.
Si accorse che la stavo fissando un po' troppo, e si dondolò per un istante sulla punta dei suoi piedi, abbassando lo sguardo sulla punta delle sua scarpe.
"Comunque sono felice che tu sia venuta" dissi di nuovo, lei alzò di nuovo lo sguardo su di me sorridendomi di nuovo "Pensavi davvero che ti avrei mentito?" alzò un sopracciglio incrociando le braccia al petto.
"Si, cioè no.." balbettai "sinceramente, speravo di no" mi grattai la testa per l'imbarazzo di quella risposta, sperando di non averla offesa, ma lei non se l'era affatto presa perché rise di nuovo.

"Harry!" 
Sentii una voce chiamarmi alle mie spalle, così mi voltai.
Era Niall, insieme agli altri ragazzi, che mi chiamavano al loro tavolo.
Li salutai con una mano, e mimai un 'arrivo' con le labbra.
Poi mi voltai verso la ragazza. Anche lei stava guardando nella loro direzione.
"Se devi andare non è un problema, ti aspetto qui" disse lei.
"No, vieni con me" dissi, vedendo però nel suo viso uno sguardo un po' provato "non ti preoccupare sono ragazzi simpatici"
Presi la sua mano e la trascinai con me verso i mei amici.
Mi bloccai quando mi accorsi quello che, il mio istinto, mi aveva portato a fare.
Era strano quel contatto, eppure lei non scostò la sua mano dalla mia.
Al contrario, la strinse.

Quando mi avvicinai al
tavolo, i ragazzi mi salutarono e passai direttamente alle presentazioni, notando che loro guardavano confusi la ragazza al mio fianco. Uno a uno, i ragazzi strinsero la mano alla ragazza.
Io scossi la testa verso Dave, che mi guardava con la fronte corrugata, facendogli segno che gli avrei spiegato poi.
"Siediti qui Tiffany, abbiamo posto finché non torna Liam" disse Rachel alla ragazza.
Mi guardò, come per cercare una risposta e le rivolsi un sorriso per smorzare l'imbarazzo di quella situazione.
"Sei la nuova ragazza di Harry?" esordí Rachel, rivolto alla ragazza.
Sgranai gli occhi lanciando un'occhiataccia a Rachel. Merda.
"Ehm..." disse Tiffany, guardando verso di me. Il suo viso si era rapidamente tinto di rosso, e forse anche il mio.
Gran bell'approccio Rachel, complimenti.
Dave percepì subito l'imbarazzo della ragazza, così tirò una gomitata sul braccio della sua fidanzata.
Lei si voltò massaggiandosi il punto colpito, facendo una smorfia di dolore e sbalordita.
Lui le lanciò un occhiata, e lei non disse più nulla.
"No Rach, siamo solo amici" dissi guardando Tiffany, tirandola fuori da quella situazione scomoda.
Mi rivolse uno sguardo divertito.
"Si, ci siamo conosciuti un mese fa in..."
"Qui, nel locale" dissi interrompendola.
Mi guardò confusa, e le pregai di non dire niente. Annuí con la testa, le avrei spiegato dopo anche questo.
Rachel annuí con un sorriso verso la ragazza, ma non disse più nulla.
Conoscendola si era offesa dato che Dave l'aveva richiamata.

"Tiffany, Harry venite a giocare a Beer Pong con noi" disse Niall, che sapeva quasi tutto, quindi capì che la situazione stava diventando complicata, così ci invitó al tavolo che lui e Chase stavano sistemando.
La ragazza si alzò, rivolgendomi un sorriso entusiasta.
"Sai giocare?" Le chiesi.
Lei mi guardò con aria di sfida, alzando un sopracciglio.
"Certo! Per chi mi hai preso? I sabati sera al liceo anche io me li passavo così" 
"Testeremo subito le tue capacità" risposi. 
Non appena ci allontanammo lanciai uno sguardo verso Dave e Rachel, che stavano discutendo.
Probabilmente il ragazzo la stava rimproverando per l'uscita della ragazza di poco prima. Quella ragazza sapeva essere davvero impertinente e impicciona.

"Allora" esordí Niall.
"Io e Chase siamo una squadra, voi due l'altra" spiegò "iniziate voi e.. siate clementi. Il mio compagno di squadra è ubriaco dalle undici, non so in che condizioni possano essere i suoi riflessi"
Presi poi la pallina e le porsi alla ragazza, che aveva accennato una piccola risata alla battuta di Niall.
"Prima le donne" scherzai.
Prese poi la pallina.
Si mise dietro al tavolo, e prendendo la mira, lanciò la pallina.
Prima rotolò lungo il bordo del bicchiere, e poi fece centro, facendo così bere un bicchiere di birra agli avversari.
Mi guardò con aria soddisfatta con le braccia incrociate al petto, quasi per dire 'te l'avevo detto', io la guardai con una espressione sorpresa, poi presi la pallina dalle sue mani.
"Fortuna del principiante" dissi ammiccando.
"Ora tocca me!" urlò Chase, ovviamente totalmente sbronzo.
Niall si impose su un primo momento, ma non fece in tempo a prendergli la pallina dalle mani che Chase l'aveva già lanciata.
Il tiro, però, era troppo lungo, e dopo aver sfiorato il bordo del bicchiere, cadde per terra.
"Complimenti Chase, davvero un'ottima mira" si lamentò Niall, rimproverandolo.
E i due iniziarono a discutere, sotto lo sguardo divertito di Tiffany.
Fui felice di vedere che, nonostante le gaffe di prima, la tensione era diminuita e che si stava divertendo davvero.
Poi mi guardò, probabilmente notando che la stavo fissando "tranquilla" le dissi "fanno sempre così".

"È l'ultimo tiro" disse la ragazza.
"Non ti preoccupare" dissi scherzando.
Mi chinai con la schiena, cercando di prendere la mira del bicchiere.
Niall mi fissava con sguardo preoccupato, che mi fece ridere, e la ragazza mi rimproverò di non perdere la concentrazione.
Feci un respiro profondo, e tornai a fissare il bicchiere, poi lanciai la pallina.
Feci un primo rimbalzo sul tavolo. Poi roteò lungo il bordo del bicchiere per qualche secondo e poi... pluf.
"Si!" esultò la ragazza facendo un piccolo salto.
Mi voltai verso di lei, ridendo, e con entrambe le mani ci battemmo un cinque.
Stavamo scherzando come se ci conoscessimo da sempre, ed era una sensazione meravigliosa.

La partita teminò così, con una vittoria, quasi scontata, mia e di Tiffany.
Chase aveva azzeccato per pura fortuna un solo tiro, mentre Niall quasi tutti.
Ma non ci fu niente da fare.
La ragazza mi guardò soddisfatta, con un sorriso enorme stampato sul viso.
"Sei stata brava, devo ammetterlo" dissi alzando le mani.
"Anche tu non sei niente male" scherzó.
Mi voltai verso il tavolo.
Non mi ero nemmeno accorto che Liam era tornato.
Stava bevendo una birra seduto sul divanetto, e mi stava fissando con un sorriso sghembo.
Gli rivolsi un'occhiata confusa, ma lui scosse la testa, guardandomi da sopra il bicchiere.

"Harry" mi chiamò la ragazza, guardando l'ora dal suo cellulare.
"Adesso devo proprio andare, i miei coinquilini mi passano a prendere fra cinque minuti" disse.
Mi voltai verso i ragazzi facendogli segno che sarei tornato dopo.
Presi dal divanetto il mio cappotto e tornai di nuovo dalla ragazza "ti accompagno fuori" dissi.
E mi avviai insieme a lei, all'uscita.

Ci fermammo affianco al palo della luce, appena fuori dal locale.
La musica era comunque alta e rimbombava dalla strada.
Ci fermammo li.
Lei incrociò le braccia dal freddo, intanto si guardava intorno, mentre nessuno dei due parlava.
"Sono stato bene questa sera" dissi, alla fine, per rompere il silenzio.
Lei si voltò a guardarmi "anche io mi sono divertita"
Fece una piccola pausa e poi riprese "posso chiederti una cosa?"
Annuii, aspettando che lei continuasse
"Perché non potevo dire che ci siamo conosciuti in biblioteca?"
Accennai un piccolo sorriso, infilandomi le mani in tasca.
Lei intanto mi guardava, aspettando una mia risposta.
"Loro non capirebbero" dissi, semplicemente.
Lei poi abbassò lo sguardo, e non disse nulla. Non riuscivo a capire cosa pensasse, semplicemente stava in silenzio.
In lontananza sentii il rumore di una macchina.
Lei si girò, intanto che l'audi nera scura incominciò a rallentare, fermandosi poco più avanti.
"Sono loro" disse lei voltandosi di nuovo verso di me "beh, allora ci vediamo"
Fece per avviarsi verso la macchina, ma dopo un paio di passi si fermò e tornó verso di me.
Si avvicinò, e mettendosi in punta di piedi, mi lasciò un piccolo bacio sulla guancia.
Si richiuse poi di nuovo nel cappotto, sorridendomi prima di avviarsi, questa volta definitivamente, verso la macchina, salendo nel sedile posteriore.
Io rimasi un attimo immobile, quasi scottato dal suo contatto e dal suo gesto.
Non riuscii a dirle nulla.
Alzai solo la mano, per salutarla dal finestrino, quando lei si voltò nella mia direzione, prima che la macchina sfrecciasse di nuovo via.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Tiffany

Erano le 5:30 di sabato mattina.
Mi ero svegliata, per non so quale strano motivo, ma ero rimasta per almeno 10 minuti a fissare la finestra.
Fuori era ancora notte fonda, ma c'era un gran temporale. Ogni tanto, i lampi tagliavano il buio della notte e illuminavano il cielo della capitale.
Non riuscivo più a prendere sonno, ed ero immersa nei pensieri.
Pensavo alla sera prima, e a quanto fossi stata realmente bene, scherzando e divertendomi con una persona come non mi accadeva da tanto tempo. Troppo tempo.
Mi voltai nell'altro lato del letto, e allungai una mano sul comodino per prendere il cellulare.
Quando si illuminò, trovai una notifica sullo schermo. Era un messaggio di Harry.
Non mi ero accorta la sera prima che lui mi avesse scritto.
Quando lessi però l'orario, capii che quando mi aveva scritto, io era già nel mondo dei sogni da un po'.

So che risulterò monotono e noioso, ma ci tenevo a dirti che sono stato bene davvero stasera.
Grazie di tutto.

Sul mio viso si stampò immediatamente un sorriso, perché anche per me era lo stesso e speravo davvero se ne fosse reso conto anche lui.
Digitai quindi la risposta.

Sono felice anche io di aver passato una bella serata con te.

Ps: scusa il ritardo, stavo già dormendo

Poi uscii dalla chat.
Mi stesi a pancia in su, staccando il telefono dal caricatore, e andai su Facebook.
Mentre scorrevo velocemente alcune foto e post che non mi interessavano, molti dei quali erano foto o post di vecchi amici (se così li potevo chiamare) della mia vecchia città, mi apparve una notizia in cui Harry era stato taggato.
Era la pagina del locale, che lo aveva taggato di nuovo. 
C'erano 5 video della sua esibizione, e mi accorsi che a causa del mio ritardo, mi ero persa due canzoni.
Presi le cuffie dal comodino, e le indossai facendo partire i due video.

La voce di Harry era qualcosa di unico e l'avrei ascoltata per ore, non solo quando cantava.
Il suo credevo che fosse un dono. Sapeva cantare ogni tonalità ed era capace di passare da canzoni così dolci e delicate ad altre, con una vocalità così tagliente e così aggressiva che quasi mi spiazzava, e non riuscivo a pensare che potesse provenire dalla stessa persona.
Dopo aver visto tutti i video, lasciai un "like" al post, e continuai a scorrere le altre notizie.

Non mi ero accorta sul momento di avere anche una richiesta di amicizia.
Quando la aprii, mi accorsi che era da parte di Niall Horan.
Mi scappò una leggera risata nel ricordare la serata passata con lui.
Era un ragazzo particolare e simpatico.
Dovevo riconoscere che era una persona parecchio competitiva, ma se non fosse stato per lui, probabilmente la mia serata nel gruppo sarebbe precipitata nella tensione più totale. Infatti, la domanda della ragazza, Rachel, mi aveva lasciata perplessa.
Non riuscivo a interpretare quella sua frase. Era così frequente vedere Harry con una ragazza, tanto da pensare che fossi la sua fidanzata?
Non volevo pensarci, né darci troppo peso. Alla fine anche Harry l'aveva detto: siamo solo amici. 
L'importante, per me, era sapere che eravamo stati bene entrambi, l'uno la compagnia dell'altra.
Feci un respiro profondo, scacciando quel pensiero, che non avrebbe di certo cancellato i momenti belli appena trascorsi.
Bloccai così il cellulare e lo riappoggiai sul comodino.
Mi raggomitolai bene sotto le coperte, cercando di addormentarmi di nuovo.

Quando mi svegliai qualche ora dopo, si erano fatte le 11.
Avevo abbondantemente recuperato le ore che questa notte non ero riuscita a dormire, anzi era già molto tardi.
Iniziai, anche se svogliatamente, a vestirmi e ad alzarmi dal letto.
Mi sciacquai la faccia, e passai la crema idratante.
Sarei dovuta passare a casa di Louis nel primo pomeriggio e volevo essere per lo meno presentabile.

Arrancai, dirigendomi verso le cucina per bere un caffè rigenerante, ma ero talmente stanca e assonnata ancora, che stavo andando avanti quasi per inerzia.
Quando fui sulla porta però, i miei occhi videro una cosa, che se non fossi sicura di essere completamente sveglia, sicuramente avrei pensato di essere in un sogno.

Ethel era in piedi, tra la gambe di Zayn, che era invece seduto sulla sedia di fronte all'isola. E si stavano baciando.
Sbattei più volte le palpebre, e la bocca si dischiuse leggermente.
Doveva essere un sogno, non c'era altra spiegazione.

Mi schiarii la gola, per attirare la loro attenzione, ed entrambi sobbalzarono.
Mi guardarono entrambi stupiti, erano sicuramente convinti che io fossi ancora a letto.
"Cosa mi sono persa?" sussurrai, ancora sotto shock da quello che i miei occhi avevano appena visto.
Ethel si staccò lentamente dal ragazzo, e per un attimo mi sembrò di vedere il suo volte arrossire per l'imbarazzo.
Zayn, invece, si alzò velocemente dalla sedia.
"Io devo andare al lavoro" disse semplicemente, dirigendosi nella sua camera da letto.
Non mi diede alcuna spiegazione, anzi, si stava completamente dissociando dalla discussione, come se lui non fosse coinvolto. Faceva sempre così, e odiavo il suo modo di evitare le domande scomode. Era irritante.
Sbalordita, spalancai la bocca e seguii i movimenti con lo sguardo fino a quando non sparí dietro la porta di camera sua.
Mi rivolsi così alla ragazza.
"È uno scherzo?"
Lei non disse nulla, e si coprì il viso con le mani.
"È complicato" si limitò a dire.
"No non è affatto complicato. Vi stavate baciando, state insieme? Hai presente? Di solito quando ci si bacia vuol dire che si è fidanzati"
"Tiffany, smettila non è così semplice, non sono affatto il tipo che etichetta ogni singolo rapporto che ha con le persone. Dovresti conoscermi" ribattè lei.
Era così testarda e orgogliosa che non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura.
Decisi di non insistere, sapevo che tanto non avrei ottenuto nulla.
Mi avvicinai alla macchinetta del caffè e incominciai a preparare un caffè.
Anzi, meglio due. 
La giornata mi aveva già riservato parecchie sorprese.

Andai a casa di Louis il pomeriggio presto, ma l'aria tra di noi era tesa e Louis sembrava ancora molto arrabbiato con me. Sembrava quasi non gradire la mia presenza, nonostante il sabato fosse il nostro pomeriggio di incontro da sempre.
Sapevo perché si stava comportando così, ma non credevo che si sarebbe davvero arrabbiato così tanto.
Il problema, è che in quel momento, seduta sulla sedia davanti a lui, mentre mangiavo le pizzette che aveva appoggiato sul tavolo, mi sentivo totalmente a disagio.
Lui era seduto di fronte a me, non mi guardava. Il suo sguardo era fisso sulla strada, fuori dalla finestra alle mie spalle.
Da quando sono entrata, non mi aveva rivolto parola se non per salutarmi.

"Lou, mi dispiace ok?" dissi io.
Quel silenzio mi stava davvero agitando e innervosendo.
Potevo capire che fosse arrabbiato per avergli dato buca quella sera, ma mi aspettavo che sarebbe stato almeno contento di sapere che finalmente stavo incominciando a uscire e a farmi nuove amicizie. Perché Harry era solo un amico, infatti.
"Però non credo sia giusto il tuo comportamento. L'hai detto anche tu che dovevo uscire di più e ora che lo faccio cosa c'è che non va?"
Lui sospirò, e forse per la prima volta da quando sono entrata in casa, mi guardò dritto negli occhi.
"Tiffany, sono io che ti devo chiedere scusa. Lo so. Il problema non sei tu. Nè il fatto che tu sia uscita senza di me ieri sera"
Aggrottai la fronte confusa.
"E allora qual è il problema?"
"Eleanor" ammise.
"Ancora non ti parla?"
Lui scosse la testa in segno di negazione.
Eleanor era una ragazza simpatica. Con lei mi trovavo bene, quando uscivamo insieme a Louis, ma sapevo che quando litigavano sapeva essere davvero pesante.
"E per quale motivo?"
"Io sono il motivo. Sono io, che sono un cazzo di problema".
"Louis, che diavolo stai dicendo?"
Lui si portò le mani davanti alla faccia, per coprirsi gli occhi.
"Mi ha detto che la sto trascurando, che sono agitato, sono scontroso. Ogni volta che usciamo c'è sempre un pretesto per litigare. Non vedevo l'ora di finire gli esami per questo, ero stanco di sentirmi dire che passavo troppo tempo sui libri" riprese a parlare, ma la voce era soffocata dalle sue mani.
"E adesso che finalmente ho tempo per lei non risponde alle mie telefonate. Possibile che voi donne siate solo capaci di ignorarci?"
Mi scappò una piccola risata.
Ma quando lui scostò le mani dalla sua faccia, mi accorsi che gli erano scese due lacrime, e che stavano rigando il suo volto.
"Louis non piangere ti prego" mi alzai di scatto, e mi sedetti sulla sedia affianco alla sua.
Portai una mano sul suo braccio e incominciai ad accarezzarlo.
"Lou andrà tutto bene, sai come siamo fatte noi. Siamo delle orgogliose del cazzo" dissi scherzosamente, tentando di consolarlo.
Mi guardò di sbieco, asciugandosi una lacrima con il dorso della mano. Poi accennò un piccolo sorriso. Quello era il mio Lou.

In quel momento, però, suonò il campanello.
Lou era ancora in pigiama e dal suo viso potevo capire che non stava aspettando nessuno.
"Non ti preoccupare" dissi "vado io".
Lui annuì, asciugandosi la faccia con un fazzoletto di carta, intanto io mi avviai verso la porta.
Quando la aprii, trovai la ragazza. Eleanor. Con uno sguardo tutt'altro che felice e non mi dava l'impressione che fosse venuta qui con l'intenzione di scusarsi.
"Ciao El" le dissi.
"C'è Louis?" rispose semplicemente lei.
Il suo tono così freddo mi mise in estrema soggezione.
"S-si" balbettai.
Poi lei, senza nemmeno chiedermi di passare, mi superò entrando in casa.
Cercò con lo sguardo il ragazzo, e quando si accorse di lui camminò a passo svelto verso di lui.
Capii che forse era meglio lasciarli da solo. Presi la mia borsa e il cappotto che avevo lasciato sul divano.
"Vi lascio parlare"
"No" disse lei, rivolgendosi a me "puoi restare".
"Anche lei è qui, come immaginavo" disse al ragazzo.
"Eleanor, ti prego" disse lui, portandosi una mano alla fronte, massaggiandola.
Se prima mi sentivo solamente in soggezione, ora con quella affermazione, mi sentivo anche presa in causa.
"Va beh, non mi importa più ormai" disse poi lei.
"Louis.. ci ho pensato" lui alzò lo sguardo su di lei "basta" aggiunse di nuovo.
Negli occhi di Louis, vidi letteralmente la luce, la speranza che tutto potesse andare bene, spegnersi lentamente.
Lui si drizzò con la schiena, indietreggiando qualche passo, andando a sbattere contro il frigorifero.
"È finita" sussurrò poi lei. Ma la sua voce era soffocata da un singhiozzo.
Io mi pietrificai. Dovevo aver capito male.
Quando si voltò per uscire, anche lei stava piangendo.
"El aspetta" disse lui, andandole incontro.
"Non ho altro di dirti" disse di nuovo.
Poi accelerò il passo uscendo dalla porta, sbattendola dietro alla sua spalle.
Il tonfo mi fece sobbalzare, e nello stesso momento Louis si immobilizzò al centro della stanza, fissando la porta.
"Non è vero" sussurrò.
E di nuovo le lacrime, iniziarono a rigare le sue guance.

***

Harry

Quella mattina mi ero alzato presto, e stranamente ero anche di buonumore, nonostante fuori avesse incominciato a diluviare.
Ero felice.
Felice per come stavano andando le cose, perché finalmente riuscivo ad essere tranquillo dopo essermi preso una pausa dalla composizione dei miei testi.
Certo la passione per la musica non mi poteva abbandonare. Continuavo a cantare, ad esibirmi.
La realtà, è che da quando avevo iniziato a passare più tempo con Tiffany, riuscivo a far venire meno tutti i problemi e le difficoltà.
Stavo finalmente tornando il buon umore.

Ero seduto al bancone del bar di Liam.
Essendomi alzato presto, ne approfittai per fare una buona colazione.
Stavo bevendo il mio caffè nero senza zucchero, mentre aspettavo che Liam scaldasse il mio croissant alla crema.
Presi il cellulare, aprendo la chat di Tiffany.
Aveva risposto al mio messaggio alla mattina, e feci per risponderle quando il ragazzo si avvicinò a me. Così bloccai il cellulare, riponendolo nella tasca dei miei pantaloni.

Il ragazzo si appoggiò con gli avambracci sul bancone, fissandomi pensieroso.
Io addentai la mia pasta, poi lo guardai confuso.
"Che c'è?"
"Freddo gelido e diluvio universale ed Harry Styles non fa lo stronzo e lo scorbutico? Stai bene?" scherzò lui.
Roteai gli occhi alla sua pessima battuta.
"Che battutone, davvero" 
"Stavo scherzando dai, non prendertela" rispose lui, continuando a sistemare le tazze dal bancone.
Quella mattina non c'erano molte persone al bar, probabilmente era dovuto al brutto tempo.

"E la ragazza di ieri sera?" 
Liam cambiò improvvisamente argomento.
Distolsi lo sguardo dal locale affollato, e portai subito lo sguardo sul ragazzo, che mi guardava in attesa di una mia risposta. Dove voleva arrivare?
"In che senso 'la ragazza di ieri sera'?"
"Nel senso chi era, come mai era con te. Tutte queste cose"
Bevvi un altro sorso di caffè, prima di rispondere alla sua domanda.
"L'ho conosciuta a quel corso in biblioteca" spiegai "è solo un'amica"
"Un'amica" ripetè lui "sai, sembrava esserci molta intesa tra voi due"
"Ti sbagli" lo interruppi subito "ci conosciamo appena, solo.. beh ieri sera sono stato bene"
"Si è visto infatti" disse lui.
Io lo fissai.
"Haz, ti ho visto divertire così solo quando eri in quel periodo" aggiunse quasi sussurrando, come per paura che qualcuno ci potesse sentire "e per un momento ho pensato anche che fossi ubriaco. E quando mi sono reso conto che eri perfettamente sobrio ero quasi stupito nel vederti così contento. Per la prima volta, dopo mesi, ti ho visto realmente felice." 
"Davvero?" 
"Dovresti dirmelo tu. È così?"
Sospirai, e non dissi niente.
E quando stavo in silenzio, lui sapeva che era come se avessi acconsentito.
Era vero. Tiffany mi aveva fatto stare bene. E avevo capito dove lui volesse andare a parare.
"Arriva al punto, Liam. Cosa vorresti dire?" dissi alla fine.
"Non ho niente da dire, Harry. Solo cerca di conservare questa tua felicità il più a lungo possibile. Qualunque sia il motivo" 
Poi si voltò, e andò al bancone a prendere le ordinazioni di due ragazzi che erano appena entrati nel locale.
Dovevo conservare la mia felicità. E se fosse stata Tiffany a riportare un po' di felicità nella mia vita?

Quando uscii dal locale, finalmente aveva smesso di piovere.
Il cielo era ancora nuvoloso, ma le nuvole erano meno minacciose e, conoscendo ormai il tempo, per almeno un paio d'ore non avrebbe piovuto.

Ero venuto a piedi al bar, così presi il telefono per passarmi il tempo durante il tragitto del ritorno.
Non appena lo sbloccai, mi accorsi che ancora non avevo risposto.
Feci per digitare una risposta, ma mi fu quasi impossibile scrivere e intanto camminare per strada, rischiando un paio di volte di scontrarmi contro altre persone.
Dopo aver sbattuto un braccio contro un palo della luce, infatti, mi arresi e decisi che le avrei telefonato.

Il suo cellulare fece un paio di squilli prima di sentire la sua voce rispondere dall'altro capo del telefono.
"Ehi Harry" rispose
"Ora tu mi devi spiegare cosa ci facevi sveglia alle 5 del mattino" dissi io, scherzosamente.
La sentii ridere il che mi fece immediatamente sorridere. L'avevo detto io che era contagioso.
"Hai ragione, mi dispiace, ma non riuscivo a dormire e non mi ero accorta del tuo messaggio" spiegò la ragazza.
Mi limitai a sorridere di nuovo, non rendendomi conto del fatto che lei non poteva notarlo, infatti riprese subito a parlare.
"Avevi bisogno?"
Si, dannatamente. Pensai.
Ma scacciai subito qui pensiero.
"Veramente no, peró stavo pensando che dovremmo smetterla di incontrarci sempre per caso e, che ne so, vederci di più qualche volta... se ti va"
Ci fu un attimo di silenzio tra di noi. Anche lei non rispose subito. 
Ma quando rispose, sentivo un tono di approvazione nella sua voce.
"Penso che tu abbia ragione"
"Allora, ti va se ci vediamo domani.. tipo, non lo so, per un gelato?" azzardai.
"Un gelato il 13 dicembre?" disse lei con tono confuso. Se potessi vederla, sicuramente aveva corrugato la fronte e un sopracciglio alzato.
"Allora un caffè?" 
"Un caffè sarebbe perfetto"
Sorrisi entusiasta e davvero felice che lei abbia accettato di uscire di nuovo con me.
Anche se era solo per un caffè.
"Allora.. ci vediamo domani" dissi, prima di riattaccare.
"A domani" rispose di nuovo lei.
Riattaccai. 
Non mi rimaneva che aspettare che questo maledetto giorno finisse. E che finalmente, arrivasse domani.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Tiffany

Avevo passato la notte a casa di Louis.
Era devastato. Aveva tentato disperatamente di chiamare Eleanor.
Non riusciva a concepire che lei lo avesse veramente lasciato.

Louis si era lasciato andare ad un pianto, il pomeriggio prima.
Stavano insieme da più di un anno. Quando anche lui, in un momento difficile, stava veramente toccando il fondo, lei gli aveva veramente dato la forza per poter ricominciare.
Così come lui stava facendo con me.
Il fatto che si fosse sfogato mi aveva fatto piacere. 
Lui non parlava mai della sua vita sentimentale con me.
Non mi parlava dei problemi, non mi parlava di cosa provava per lei. E se anche ci fossero state delle ricadute, in ogni caso, io non lo potevo sapere e mi sentivo in colpa per quello che era successo.

Aveva toccato appena metà bistecca che gli aveva preparato, poi era andato nella sua camera da letto, e dalla sera non l'avevo più visto.

Avevo preparato la colazione per entrambi, anche se sapevo che Louis sicuramente non avrebbe voluto mangiare niente.
Mi avviai così con la tazza di caffè in mano e la brioche confezionata nell'altra, verso la sua camera da letto.
La porta era leggermente socchiusa, anche se dentro era tutto buio.
Le finestre erano chiuse e le tende completamente tirate.
Aprii la porta, spingendola leggermente con un gomito.
Louis era steso nel lato destro del grande letto matrimoniale. 
Era buio, e non riuscivo a capire bene se fosse sveglio oppure no.
Comunque il suo respiro era pesante, ancora affannato dal pianto che probabilmente lo avevo accompagnato per tutta la notte.
Appoggiai la tazza sul comodino, mi sedetti a gambe incrociate sulla parte libera del letto, e mi avvicinai piano a lui.
Appoggiai la mia mano sulla sua spalla, scuotendola dolcemente.
"Lou.." sussurrai.
"Sono sveglio" disse lui, a voce più alta.
"Scusami" dissi poi io "volevo solo dirti che ti ho portato la colazione, se vuoi".
Lui non mi rispose, e rimase immobile nella sua posizione.
Mi faceva male vederlo così.
Ma la cosa che mi dava ancora più dispiacere era sentirmi impotente e incapace di fare nulla.
Non potevo fare nulla per lui. Non sapevo come farlo stare meglio. 
Capii che non aveva voglia di parlarmi, che non aveva voglia di mangiare. Né di fare qualsiasi altra cosa.
Così mi alzai, sospirando, intenzionata a tornare in cucina.
"Resta" sussurrò lui "per favore"
Io gli sorrisi, e tornai seduta sul letto al suo fianco.
Mi stesi accanto lui.
Lui si voltò verso di me, e solo a quel punto mi accorsi che aveva gli occhi ancora arrossati.
Gli accarezzai dolcemente una guancia, e gli sorrisi per rassicurarlo.
Gli avevo promesso che sarebbe andato tutto bene, e invece.
Lui mi sorrise.
"Scusa se ti ho messo in mezzo a questo casino" disse lui
"Non devi dirlo nemmeno per scherzo" risposi e cercai di sfoggiare il mio sorriso più confortante e rassicurante possibile.

Nel primo pomeriggio dovetti lasciare casa di Louis.
Dovevo uscire di nuovo con Harry, anche se al ragazzo ancora non ne avevo parlato. Non mi sembrava proprio il caso.
"Sei sicuro che posso andare?" chiesi di nuovo al ragazzo, prima di incominciare a prepararmi ad uscire.
"Sto bene Tiff" lo guardai storto.
Lui accennò una piccola risata.
"Starò bene, davvero non ti preoccupare".
Io sospirai. Ovviamente non volevo rinunciare a vedere Harry, ma se era per stare affianco a Louis, avrei sicuramente rimandato.
Comunque, lui mi aveva rassicurato che potevo andare. Così iniziai a vestirmi.
"Per qualsiasi cosa Lou, chiamami. Hai capito?" 
Lui sospirò, esasperato dalle mie raccomandazioni.
Mi avvolsi nella grande sciarpa di lana, mi infilai lo zainetto sulle spalle e poi feci per uscire.
"Ti chiamo stasera" aggiunsi, prima di uscire.
Louis mi accompagnò fino alla porta.
"Tiffany?" mi richiamò una volta uscita.
Mi voltai.
"Grazie" io gli sorrisi.
Poi lui chiuse la porte, ed io iniziai a camminare verso il centro.

Scrissi un messaggio ad Harry, per avvisarlo del mio ritardo. 
Anche se lui probabilmente non l'aveva nemmeno visto.
Dovevamo incontrarci davanti a Starbucks di Oxford Street, e dopo aver camminato per circa una decina di minuti, lo intravidi davanti alla vetrina, che mi stava aspettando.
Aveva una giacca nera, e potevo notare il suo naso arrossato.
Stava girando su stesso scaldandosi le mani, non indossava i guanti.
Accelerai il passo, e incominciai a chiamarlo.
"Harry!" 
Lui si voltò verso di me, riempendosi di un grande sorriso. Poi mi venne incontro.
"È tanto che aspetti?" gli chiesi.
"Solo cinque minuti" rispose
"Allora entriamo?" dissi avviandomi verso la porta, ma lui mi fermò
"No, aspetta" io corrugai la fronte "ho un'idea. Hai la tessera?"
"Si" risposi confusa
"Bene, allora la prossima volta potrai usufruire della tua colazione omaggio"
Non stavo capendo
"Non capisco dove vuoi arrivare"
Lui mi sorrise sghembo
"Ordiniamo con due conti separati, così potremmo farci fare due bollini e avrai completato la tua tessera" disse, soddisfatto.
Io mi feci scappare una risata.
"Harry, non funzionerà mai, è nominativa"
Ma il suo entusiasmo comunque non si spense, mi prese comunque per mano e mi fece entrare.
"Fidati di me, funzionerà. Io vado a tenere il posto. Prima ordini tu, quando verrai a sederti lasciala a me, e poi ordinerò io".
E prima che potessi ribattere con qualsiasi cosa, lui mi lasciò ferma in coda andandosi a sedere sul primo tavolino libero affianco alla grande finestra che dava sulla strada.

Alla mia volta, ordinai una cioccolata calda con una spruzzata di panna montata all'aroma di vaniglia.
Mentre passò l'ordinazione al ragazzo affianco a lei, che intanto incominciava a preparare la mia cioccolata, mi spostai alla cassa per pagare.
"Hai la nostra tessera?"
"Si" dissi, prendendo la tessera dal mio portafoglio e appoggiandola sul bancone.
La ragazza mi passò lo scontrino, e nel frattempo stampò sulla mia tessera il 19esimo bollino.
Intanto mi voltai verso il ragazzo che mi stava fissando con aria divertita. Mi trattenni dal ridere, distogliendo lo sguardo dal suo.
Poi ripresi la mia tessera, afferrai la mi tazza di cioccolata e mi avvicinai al tavolino del ragazzo.
Gli porsi la mia tessera, sedendomi di fronte a lui.
"Non funzionerà mai" dissi di nuovo.
"Tu abbi fede" disse ridendo.
Poi si mise in coda.

Aprii il coperchio della mia cioccolata, aggiungendo una bustina di zucchero, mescolandola con il lungo bastoncino.
Intanto sentivo gli occhi di Harry puntati su di me.
Non era uno sguardo divertito, né di intesa per quello che stavamo facendo.
Mi stava semplicemente guardando, e infatti mi sentii un po' a disagio.
Probabilmente se ne accorse, perché nel momento in cui distolsi lo sguardo dal suo, anche lui fece lo stesso.
Poi fece un passo avanti, verso il bancone.

La ragazza dietro alla vetrina prese la sua ordinazione, e lui subito mi scambió un'occhiata di intesa.
Io non potei fare a meno di ridere, così mi portai una mano davanti alla bocca.
Harry posò poi sul bancone la sua banconota insieme alla mia tessera.
Intanto io seguivo dal posto tutta la vicenda, cercando di seguire il labiale dei due ragazzi.
Quando la ragazza prese in mano la tessera fece per fare il timbro.
Ero incredula, davvero non se ne era accorta?
Sul viso di Harry si stava formando un sorriso soddisfatto, quando però la ragazza corrugò la fronte confusa.
Disse qualcosa a ragazzo, che non riuscii a interpretare, riconsegnandoli la tessera.
Sapevo che non avrebbe funzionato.
Trattenni una risata, quando notai che il ragazzo incominciò a diventare rosso per l'imbarazzo. 
Poi la ragazza gli lasciò lo scontrino, e lui, con il suo caffè da asporto in mano e la tessera dall'altra, ritornó a sedersi.

Quando notai la sua espressione imbarazzata non potei fare a meno di scoppiare a ridere.
La ragazza intanto lo aveva seguito con lo sguardo da dietro la cassa. Non avrei voluto essere nei suoi panni.
"Oh andiamo, quante storie per un timbro" disse alla fine.
"Io te l'avevo detto che non avrebbe funzionato" dissi asciugandomi una lacrima.
"Lasciamo perdere".
Poi anche lui sollevò il coperchio del suo bicchiere, versandoci la bustina di zucchero.

Eravamo rimasti per circa una mezz'oretta seduti al tavolino di Starbucks.
Poi ci siamo alzati, data la grande massa di gente che stava entrando nel locale, abbiamo preso le nostre bevande e siamo usciti, passeggiando per Oxford Street uno affianco all'altro.
Fino ad allora non avevamo parlato di grandi cose.
Gli spiegai che non ero di Londra, e lui mi chiese perché mi ero trasferita qui.
Ovviamente gli raccontai la versione breve, quella che rispecchiava solo una parte della verità. Quella che importava.

Mentre camminavamo, ad un certo punto ci fu un attimo di silenzio tra di noi.
Mentre bevevo l'ultimo sorso della cioccolata, ormai tiepida, dal mio bicchiere, guardai Harry con la coda dell'occhio.
Aveva un'aria pensierosa, chissà cosa stava pensando.
Una volta finito di bere, buttai il mio bicchiere nel primo cestino che trovai.
"Posso chiederti una cosa?"
Io annuii.
"Il ragazzo che era con te l'altra mattina" poi si fermò.
Io lo guardai, curiosa di cosa volesse sapere.
"È il tuo ragazzo?"
Io sorrisi a quell'affermazione.
Al pensiero di me e Louis come una coppia mi veniva quasi da ridere.
Louis non avrebbe mai sopportato il mio carattere ed io non avrei mai potuto sopportare i suoi sbalzi d'umore. 
Eravamo totalmente incompatibili.
"Perché ridi?" Chiese il ragazzo "è una domanda seria"
"No non è il mio ragazzo" dissi io "ridevo perché, se lo conoscessi, sapresti quanto siamo diversi io e lui. Mi ha fatto ridere pensare che qualcuno ci potesse vedere come una coppia, tutto qui" 
Lui mi guardò sorridendo.
Sembrava quasi... sollevato.
A quel proposito, mi tornò subito in mente la frase di Rachel dell'altra sera.
'Sei la nuova ragazza di Harry' 
Davo quasi per scontato che, a questo punto, anche lui fosse single.
Ma colsi l'occasione della sua domanda, per chiedergli la stessa cosa io.
"Mi sembra di capire che anche tu sei single".
Lui annuì guardandomi con sguardo confuso.
Mi accorsi che, effettivamente, l'avrei potuto dire in un altro modo.
"Cioè, voglio dire, con la frase di Rachel l'altra sera.. anche lei mi sembrava avesse frainteso"
"Ah giusto" rispose lui "comunque si. Anzi, scusa per la sua uscita dell'altra sera, a volte non pensa prima di parlare"
'Me ne sono accorta' pensai. Ma non lo dissi e mi limitai a sorridere, e a dirgli che non si doveva preoccupare.
Dalla sua risposta però, anche io mi sentivo come se mi avessero tolto un peso dallo stomaco. Mi sentivo più... sollevata.

Quando decidemmo di tornare indietro, ormai si era fatto buio e le luci artificiali delle strade si erano già accese.
Per la prima volta, vidi tutte le luci natalizie illuminare la città.
Era un spettacolo meraviglioso. Non avevo mai visto Londra così illuminata.
In più, aveva incominciato lievemente a nevicare e dovevo affrettarmi per tornare a casa.
"Sta iniziando a nevicare" dissi io "è meglio che io mi avvii verso casa"
"Vuoi che aspetto con te che ti passino a prendere?" Chiese lui
"No non ti preoccupare, tanto devo prendere la metro"
"La metro? A quest'ora?" 
Io annuii. Lo facevo sempre.
"Posso accompagnarti a casa io"  disse "se vuoi"
Guardai l'ora sul mio telefono. Se anche avessi preso la prima metro che passava, avrei comunque aspettato almeno venti minuti.
"Per me non è un problema" lui insisteva. 
A me l'idea non dispiaceva affatto e avrei passato un altro po' di tempo con lui.
"Sarebbe perfetto per me" dissi poi.
"Ho la macchina a due isolati da qui" disse, guidandomi verso la sua macchina.
Era un Audi nera sportiva.
Era abbastanza spaziosa.
Ero felice che mi volesse riportare a casa, anche se mi dispiaceva disturbarlo per accompagnarmi fino a casa.
"Dove abiti?" mi chiese allacciandosi la cintura.
"Nella zona Paddington" 
"Wow, non è una delle zone migliori" 
"Lo so" ammisi "ma quando sono arrivata mi sono dovuta accontentare".
Lui mi sorrise.
La mia vita era sempre stata così.
Mi sono sempre dovuta adattare e fare grossi sacrifici per riuscire ad ambientarmi.
Però mi andava bene così.

Il viaggio, per il resto fu abbastanza silenzioso.
Quando arrivammo, gli dissi di accostare davanti al cancello del mio piccolo appartamento.
Poi mi slacciai la cintura.
"Grazie per il passaggio" dissi alla fine, prendendo lo zainetto che avevo appoggiato sul tappetino della macchina.
"Nessun problema" disse sorridendomi.
Mi voltai verso di lui, notando che lui mi stava fissando. Lo aveva fatto diverse volte quel giorno.
Mi soffermai sulle sue guance, ancora arrossate per il freddo. Anche le sue labbra erano dello stesso colore.
Nello stesso momento in cui le stavo fissando, lui passò la lingua su di esse, inumidendole.
In quel momento mi feci l'insana domanda di che sapore potessero avere le sua labbra. Così rosse, colore della ciliegia.
Sembravano così morbide.
Subito però scacciai dalla mente quei pensieri. Siamo solo amici, dovevo ricordarmelo.
Poi aprii lo sportello e scesi dalla macchina. Lui mi stava ancora guardando con aria pensierosa. Stava forse aspettando qualcosa da me?
Mi avvicinai alla porta di casa e mi voltai prima di entrare, vedendo che la sua macchina non era ancora partita.
Lui mi sorrise salutandomi con la mano.
E io ricambiai, prima di aprire la porta.
Era davvero normale potermi sentire così in bene in sua compagnia?

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Era la sera della Vigilia di Natale.
Da quando mi ero trasferita qui, l'atmosfera natalizia non mi suscitava più alcuna emozione.
Il Natale era diventato un giorno come gli altri. Un normalissimo giorno come gli altri.

Ethel e Zayn, invece, sarebbero dovuti tornare dalle rispettive famiglie.
Zayn era partito la mattina stessa con la sua macchina, Ethel invece avrebbe preso l'aereo e sarebbe tornata in Irlanda, dai suoi genitori.
"Sei sicura che non vuoi che io resti?" si raccomandò la ragazza.
Sapeva che sarei rimasta da sola per tutte le vacanze, ma per me non era un problema. D'altronde ero sempre rimasta da sola quando loro non c'erano.
"Ethel, davvero stai tranquilla" 
"Ti chiamerò tutti i giorni" disse poi lei, venendomi ad abbracciare.
Poi si allontanò di scatto "quasi dimenticavo!"
Aprí la credenza, e ne tirò fuori un pacchetto, allungandomelo.
"Buon Natale" 
"Avevamo detto niente regali" sbuffai.
"Tu l'avevi detto, io no" rispose lei ridendo, soddisfatta.
Io, però, non avevo nulla con cui poter ricambiare e lei lo sapeva, ma sembrava non gliene importasse granché.
Mentre io, ogni volta che succedeva, mi sentivo tremendamente in colpa.
"Non voglio che tu lo apra prima di domani mattina, intesi?" 
Io annuii, prima di abbracciarla di nuovo.
"Ora scappo, sennò faccio tardi" disse lei di nuovo "ti voglio bene".
Sciolse di nuovo l'abbraccio, questa volta però per afferrare il manico della sua valigia e sollevandola, prima di uscire dalla porta.

Era da poco scoccata la mezzanotte, ed io mi ero già infilata sotto le coperte leggendo 'Cime Tempestose'.
Da quando avevo lasciato orgoglio e pregiudizio ad Harry, non avevo altro da leggere, così mi immedesimai nella lettura di un nuovo romanzo.
Un paio di piccoli scoppi, però, mi fecero sobbalzare.
Guardai fuori dalla finestra, e non ci misi molto a collegare che erano i fuochi d'artificio.
Ogni anno, per Natale, lanciavano i fuochi, ed era uno spettacolo bellissimo.
Mi alzai così per scostare la tenda, rimanendo seduta sul letto a guardarli.
Quei momenti di solitudine mi facevano venire in mente quando, fino a qualche anno fa, andavo a vedere i fuochi con le mie amiche Susan e Megan nel centro del nostro piccolo paese.
Tornavamo dopo la mezzanotte, dopo esserci scambiate i rispettivi regali.
Oppure quando andavo con la mamma e Bryan a passare le vacanze a casa dei nonni, con i nostri cugini più grandi.
Io e mio fratello eravamo i più piccoli e non ci era permesso uscire per capodanno, come facevano invece i nostri cugini più grandi, quindi la mamma e il nonno compravano i fuochi e dal grande giardino della loro casa li lanciavamo dopo lo scoccare della mezzanotte. Ci sentivamo così grandi io e lui quando facevamo quelle cose, nonostante avessimo appena 10 o 11 anni. Non avevamo per niente voglia di crescere, perché le serate passate così, insieme e in famiglia era tutto ciò che potessimo desiderare.
Mi mancavano pochi momenti della mia adolescenza e della mia infanzia, ma quelli belli non li avrei mai voluti cancellare e li custodivo dentro di me. Anche quei pochi che avevo di papà, prima che morisse.

In quel momento, squillò il mio cellulare.
Quando controllai il mittente era la mamma. 
Sospirai, non la sentivo dal mio compleanno. Sapevo che sarebbe stata distrutta nel sapere che nemmeno quest'anno sarei andata da loro, per Natale.
Quando risposi, la sentii quasi sollevata di sentire la mia voce.
"Tiffany, tesoro"
"Ciao mamma..." risposi io, quasi sussurrando "Buon Natale"
"Buon Natale anche a te amore mio" disse, poi di nuovo silenzio.
"Speravo che tornassi quest'anno" 
"Mamma... mi dispiace.." cercai di dire.
Era difficile per me poter tornare. Avrebbe voluto dire affrontare faccia a faccia la realtà. Fare un tuffo in quel passato che tanto mi aveva fatto male. E non ero ancora pronta. Forse non lo sarei mai stata.
"Mamma io... lo sai che non posso. Non ancora, ti prego. Dammi un po' di tempo" la supplicai.
"Lo so tesoro... lo capisco" sussurrò "volevo solo sapere come stavi".
Sentivo nella sua voce spezzata, la delusione.
Lei capiva me e la mia decisione. Ma anche io capivo lei.
Capivo che mi avrebbe voluto stringere tra le sue braccia, e non augurarmi buon Natale per telefono.
"Sto bene mamma" anche se la mia voce mi tradiva, sentirla così faceva stare male anche a me e non riuscivo molto a nasconderlo "ora devo andare mamma"
"D'accordo tesoro, ci sentiamo presto, vero?"
"Si mamma" risposi "te lo prometto".
La mamma non disse nulla. Sapeva che non sarebbe stato così.
"Allora buonanotte" disse "ti voglio bene tesoro"
"Buonanotte mamma" dissi in un sussurro. Stavo trattenendo le lacrime. "Ti voglio bene anche io".
Poi riattaccai, gettandomi a peso morto sul cuscino.
A quel punto mi sentii così vulnerabile e fragile, che mi liberai di tutte le lacrime che avevo trattenuto fino a quel momento.
Ethel aveva ragione: a mantenere le promesse ero uno disastro.

Quando mi alzai il mattino seguente non erano nemmeno le nove. 
Non mi ero nemmeno accorta che mi ero addormentata ancora truccata. Avevo ancora il telefono appoggiato sul cuscino, e il libro aperto vicino a me sul materasso.
Un angolo del libro si era piegato verso l'interno.
Fuori splendeva un solo pallido, e la luce stava iniziando ad illuminare la mia camera, anche se era attenuata dalle tende appesa della mia finestra.
Mi ero quasi dimenticata che quella mattina, era la mattina del 25 dicembre.
Mi sedetti sul letto prendendo il cellulare.
Avendo dimenticato di metterlo in carica quella sera, la batteria ora era al 20% e ogni cinque minuti vibrava.
Erano tutti gli auguri di Natale dei miei parenti, e anche di alcuni vecchi amici.
Mio fratello, la mamma, Susan, Megan.
Anche Ethel e Zayn mi avevano mandato gli auguri.
Non risposi a nessuno, per ora. Lo avrei fatto più tardi, e mi fiondai in bagno per una doccia calda e rigenerante, per affrontare quella lunghissima è noiosissima giornata di solitudine.

Uscii dal bagno avvolta dal mio asciugamano.
Anche se i capelli erano ancora bagnati, avendoli semplicemente tamponati con il mio asciugamano prima di tornare nella mia stanza, mi sedetti sul letto.
Il mio cellulare vibrò di nuovo, e la notifica che apparve era sicuramente quella più inaspettata.

Buon Natale Tiffany!
Un bacio, Harry

Il sorriso che mi si stampò sul viso era inevitabile.
Al contrario di tutti gli altri messaggi, questa volta risposi quasi subito.

Buon Natale anche a te!
Tiffany

Non mi aspettavo che Harry si potesse ricordare di scrivermi in questa giornata così importante. Ovviamente importante per tutti, meno che per me.
Ero probabilmente l'unico individuo sul pianeta che avrebbe passato volontariamente quella giornata da sola.

Mentre mi stavo infilando i vestiti puliti, mi arrivò un altro messaggio.
E il mittente era sempre lo stesso.

Come stai passando questa giornata?

Fui quasi tentata di mentire.
Avrei quasi voluto dirgli che stavo trascorrendo una bellissima giornata con amici e parenti. Ma non avrebbe avuto senso.
Ero talmente abituata a questa situazione che non la trovavo più così strana.
Così digitai con tutta serenità la risposta.

Sono da sola, non sono potuta tornare dalla mia famiglia

Non sei la sola, stai tranquilla

Rispose immediatamente lui.
Non feci in tempo a scrivere una risposta chiedendogli il perché, che subito mi arrivò una chiamata da parte sua.
Risposi immediatamente, avendo già il cellulare in mano.

"Ehi Harry"  
"Buon Natale Tiffany" rispose lui entusiasta
"Buon Natale anche a te, se così lo possiamo chiamare"
"Posso sapere perché non sei potuta tornare a casa?"
Io sospirai
"È una lunga storia" dissi tagliando corto, anche se non avevo proprio tanta voglia di parlarne.
"Beh hai tutto il giorno per parlarmene"
"Eh?" Dissi confusa 
"Ti sto venendo a prendere" aggiunse il ragazzo, con un tono soddisfatto nella sua voce 
"Stai scherzando" dissi io incredula, quasi contrariata.
"No affatto, dammi una ventina di minuti e sono lì"
Io non dissi nulla su un primo momento, poi feci per ribattere "andiamo, non ci credo che sei felice di passare questa giornata da sola. È Natale! Tutti amano il Natale!"
Io scoppiai a ridere. 
Il suo entusiasmo e quella vena un po' infantile lo rendevano terribilmente adorabile, e anche se non condividevo il suo stesso pensiero riguardo a questa festa, mi lasciai travolgere dalla sua impulsività.
Poi, era Natale, e anche se crescendo avevo imparato a considerarla come una festa senza senso, passarla con lui l'avrebbe resa tutta un'altra cosa.
"Direi che non ho molta altra alternativa" dissi scherzosamente.
Lo sentii ridacchiare. Già mi immaginavo il suo sorriso sghembo stampato sul viso.
"Sono da te fra venti minuti".
E riattaccò, senza darmi altre spiegazioni.
Era un ragazzo tremendamente impulsivo.
Lo avrei odiato, se solo questa caratteristica non gli si addicesse così bene.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Harry era passato a prendermi verso mezzogiorno ed erano ormai venti minuti che giravamo per la capitale alla ricerca di un ristorante dove poter mangiare qualcosa insieme.
Ma il giorno di Natale era da pazzi pretendere di poter trovare un ristorante con un buco libero per noi.
Ormai li avevamo provati tutti.
Avevamo percorso all'incirca tutto il perimetro della città, quando alla fine fummo costretti ad arrenderci.
Ed ora, eravamo in macchina, con i nostri due sacchetti da asporto di McDonald's pieni di patatine, ali di pollo fritte, due Crispy McBacon e una porzione di Chicken Nuggets.
Era una scena veramente ridicola.
Eravamo all'incirca gli unici che erano passati per di lì, la commessa era quasi sorpresa di vedere dei clienti.
"Posso dire che è il pranzo di Natale più inusuale che io abbia mai fatto in tutta la mia vita" dissi divertita, mentre dal mio sacchetto presi una patatina, e me la portai alla bocca.
Harry si voltò a guardarmi per un istante, con un sorriso divertito stampato sulla faccia, poi tornò a guardare la strada.
"È sicuramente un pranzo più sostanzioso di quello che avevo progettato di fare" scherzó di nuovo lui.
"Assolutamente, la mia alternativa era scongelare una delle pizze surgelate comprate da Tesco circa... due settimane fa" 
Lui rise di nuovo.
D'altronde questo era il prezzo da pagare quando si improvvisa un pranzo di Natale alle 11 della stessa mattina.

Harry accostò la macchina davanti al cancello della sua casa, che distava a pochi isolati dalla fermata della metro di Holland Park.
Sicuramente non era tra le zone più rinomate di Londra, ma di certo era più sicura di Paddington.
Quindi, scesi dalla macchina tenendo ben saldi i nostri sacri pranzo di Natale, mentre Harry inseriva la chiave nella serratura.
"Non fare caso alla confusione" disse lui, aprendo la porta, e reggendola per farmi entrare.
Lui entrò dopo di me, chiudendosi la porta alle spalle e allungando il braccio appena alla destra della porta per accendere la luce.
Non appena entrai in casa, un intenso odore di caffè e vaniglia mi avvolse, e se chiudevo gli occhi, mi sembrava quasi di essere in biblioteca.
La sua casa, però, era una casa abbastanza modesta, dovevo ammetterlo.
La porta di ingresso dava sul salotto con una piccola area destinata alla cucina infondo alla stanza.
Non era affatto disordinata, solo qualche articolo di giornale era sparso sul tavolo basso posto ai piedi del divano, davanti al televisore.
Notando lo spazio limitato della casa, la domanda mi sorse quasi spontanea.
"Vivi da solo?"
"Si" rispose lui, appendendo il suo cappotto all'appendiabiti fissato al muro.
"E sto benissimo così"
"Non ti senti, come dire... solo?" Chiesi ingenuamente.
Forse era per via del mio passato, ma facevo davvero fatica a pensare di dover passare la maggior parte delle mie giornata da sola, in una casa solo mia.
La presenza di Ethel e Zayn, nonostante anche loro non siano dei tipi del tutto tranquilli, mi faceva sentire piuttosto al sicuro.
"In realtà sono venuto qui proprio per questo" disse poi "ma ultimamente passo i tre quarti delle mie giornate fuori, quindi non fa testo"
Io annuii, non avendo altro da chiedere.

Avevamo deciso di abbandonare totalmente le formalità di quella occasione, tanto che il nostro prelibatissimo pasto lo consumammo seduti sul divano, a gambe incrociate, senza scarpe e sorseggiando due birre fresche appena prese dal frigorifero.
Mi piaceva passare questo tempo con Harry. Anche se ci conoscevamo appena, la sua compagnia mi faceva davvero piacere.
Non mi sentivo più in imbarazzo a parlare con lui e potevo dire di stare davvero bene. Come se lo conoscessi da sempre.
Harry stava guardando la televisione, ormai avevamo finito i nostri panini e avevamo appoggiato tutti i cartoni sul tavolino.
Decisi di aiutarlo a sistemare, nonostante lui mi avesse ripetuto più volte che non ce n'era bisogno.
Forse era diventata abitudine ormai, da quando vivevo con i ragazzi, ero sempre io che sistemavo i cartoni della pizza sparsi per le camere. Specialmente quella di Zayn.
Attraversai così il salotto, notando il piccolo cestino posto accanto uno dei banconi della cucina.
Sul muro, affianco al piccolo corridoio da cui si aveva accesso per salire al piano di sopra, c'era una fila di fotografie appese.
Mi soffermai su una in particolare.
Era Harry. Con una ragazza con i capelli biondo chiaro, che sorridevano.
Mi si strinse lo stomaco. Era una sensazione strana. 
"È mia sorella" disse lui.
Io sobbalzai, non credevo se ne fosse accorto.
Mi voltai verso di lui, e mi accorsi che si era appoggiato con la schiena al bracciolo del divano, con un braccio appoggiato sullo schienale.
Mi girai nuovamente per guardare la fotografia.
Solo ora mi accorsi dell'estrema somiglianza nei lineamenti con quelli di Harry. E l'idea che non fosse nessuno di particolare mi rallegrava.
"Vi assomigliate moltissimo" 
Mi avviai di nuovo sul divano, e mi sedetti di fronte a lui. Continuava a guardare la foto, con un sorriso spento.
"Ti manca la tua famiglia?" chiesi.
Sapevo che era una domanda delicata e azzardata. Ma morivo dalla curiosità di sapere perché anche lui passava questa giornata da solo.
Lui sospirò voltandosi verso di me.
"Mi manca tremendamente" ammise poi.
Io lo guardai, pensando avesse altro da dire.
Lui era sul procinto di dire qualcos'altro a riguardo, poi abbassò lo sguardo sulle sue mani e sorrise, di nuovo, con quel suo fare triste e mortificato. Non disse poi nulla. 
"Tu hai dei fratelli?"
"Ho un fratello più piccolo di nome Bryan" dissi sorridendo. Anche lui mi mancava tremendamente ed era difficile parlare della mia famiglia così liberamene.
Avevo tante cose in mente da poter dire, ma nessuna di queste mi sembrava indicata da dire in un momento del genere. Capii immediatamente come si era sentito alla domanda che gli avevo appena fatto e me ne pentii immediatamente.
Quando si accorse che anche io, come lui, mi trovavo molto in difficoltà, sviò completamente il nostro argomento.
"Vado a preparare due caffè" e si avviò verso la cucina.

Mi allungai lentamente verso il tavolino, per prendere il telecomando, quando il mio occhio cadde per sbaglio su uno dei fogli appoggiati alla rinfusa sulla superficie del tavolino.
Senza pensarci, presi quel foglio, che solo dopo mi accorsi essere riposto sopra al quadernino nero. Quel quadernino nero che aveva comprato qualche mese fa in biblioteca.
Sul foglio era disegnato uno spartito.
Avevo studiato pochissima musica alle scuole medie, e cercai lentamente di immaginare la melodia nella mia testa anche se mi era impossibile.
Cercai di battere il dito sulla mia coscia a tempo delle minime e delle crome che erano scritte sullo spartito.
Non avevo la minima idea di che suono potesse avere quella canzone.

Quando si sedette di nuovo di fronte a me, si accorse che stavo cercando di interpretare la sua musica.
Appoggiò la tazza di caffè sul tavolino, e la sua invece se la portò alla bocca.
"Hai studiato musica?" mi chiese poi.
"Alle medie, ma conosco a malapena le note" ammisi, sorridendo imbarazzata.
Lui sorrise da sopra la sua tazza, e i suoi occhi continuavano a scrutarmi curiosi. Sperava gli potessi dire qualcosa, forse aspettava la mia opinione.
Appoggiai il foglio rivolto davanti a lui, aprendomi in un enorme sorriso.
"La puoi suonare per me?" 
Lo guardai speranzosa. Lui appoggiò la tazza sul tavolino affianco alla mia, poi posò gli occhi sullo spartito.
Anche lui sorrise, e le sue guance si tinsero di una lieve tonalità di rosa.
Esitò un momento, e quasi pensai che si sarebbe rifiutato. Ma poi si alzò, andando a prendere la chitarra posta in un angolo affianco alla televisione.
Si sedette sul divano, appoggiando entrambi i piedi per terra con la chitarra sulle cosce.
Pizzicò inizialmente le sue corde, poi appoggiò il foglio sul tavolino, e incominciò a suonare, accompagnandola alle parole.

Sweet creature
Had another talk about where it's going wrong
But we're still young
We don't know where we're going
But we know where we belong
And oh we started
Two hearts in one home
It's hard when we argue
We're both stubborn
I know, but oh
Sweet creature, sweet creature
Wherever I go, you bring me home
Sweet creature, sweet creature
When I run out of road, you bring me home

Poi si fermò, e smise di cantare.
Lo stavo guardando estasiata, appoggiata allo schienale del divano. 
Non mi ero nemmeno accorta che avevo sorriso per tutto il tempo, fino a quando lui non spostò di nuovo lo sguardo su di me, appoggiando la sua chitarra al divano.
"Poi non so come continuare" ammise appoggiandosi anche lui con la schiena.
Aveva unito le mani sulle sue ginocchia, intrecciando le dita e stava facendo roteare nervosamente i suoi pollici.
"Sai, non avevo mai cantato una mia canzone a nessuno prima d'ora" disse, riportando poi lo sguardo su di me "e so anche che fa abbastanza schifo, soprattutto perché non è nemmeno finita, quindi non devi fartela piacere per forza"
"Harry ma cosa diavolo stai dicendo, è bellissima" dissi, appoggiando una mano sul suo braccio.
Lui sorrise sarcastico spostando lo sguardo da me allo spartito.
"È una delle ultime canzoni che stavo scrivendo, poi il vuoto più totale e non riuscirò a darmi pace finché non uscirò da questo blocco" sospirò "anche l'unica cosa che facevo per pura passione ora è diventata la mia ossessione"
"Harry" dissi avvicinandomi a lui "non devi dire così, è un momento brutto ma passerà come tutti gli altri. Hai presente? Anche gli scrittori più rinomati hanno dei blocchi incredibili, eppure quando ne escono sfondano sempre con dei capolavori incredibili. Credimi, devi solo perseverare e alimentare questa tua passione per uscirne"
Lui mi guardò nuovamente.
"Sai Tiffany, puoi continuare ad annaffiare un fiore morto, ma comunque rimarrà sempre tale" disse lui, malinconico.
Distolse nuovamente lo sguardo da me, prendendo il lo spartito e riponendolo nel quadernino nero.
Mi dispiaceva sentirlo parlare così.
La sua canzone, oltre che essere musicalmente bella, aveva anche un profondo significato. So che non potevo giudicare una canzone da due strofe, ma ero sicura di quello che dicevo.
"Non sei un fiore morto Harry" sussurrai "devi solo essere più determinato".
Lui sospirò e socchiuse gli occhi.
"Non puoi capire" disse poi, prendendo la sua chitarra, sistemandola nella custodia, e si voltò dandomi le spalle.
Lo guardai dispiaciuta e quasi ferita da quella sua affermazione.
Pensavo che si fosse aperto con me, parlando di questo problema. Lo stavo aiutando, volevo motivarlo.
A quanto pare, anche lui era uno dei soliti testoni che non volevano ascoltare. Non sapeva cosa fosse la determinazione.

Passarono circa una ventina di minuti, prima che gli potessi chiedere di riaccompagnarmi a casa.
L'aria tra di noi era ancora un po' tesa.
Sinceramente, ero ancora offesa dalla sua uscita di poco prima. Ma d'altronde non potevo pretendere tanto. Era vero che lo conoscevo appena, era vero che non potevo capirlo. Ma almeno potevo provarci, se ne avessi avuto la possibilità. Se lui me me avesse dato la possibilità.

Salii in macchina, e per tutto il viaggio non gli rivolsi parola.
Mi appoggiai con il braccio sul finestrino guardando fuori.
Non mi ero nemmeno accorta che aveva incominciato a piovere, fino a quando lui non azionò i tergicristalli.
Notai che ogni tanto mi guardava con la coda dell'occhio. Era una situazione imbarazzante, e anche io mi sentivo a disagio. 
Per questo non mi voltai quasi mai.
Quando accostò davanti al mio piccolo appartamento, mi limitai a ringraziarlo per il passaggio. D'altronde era il minimo che potessi fare, dopo che si era scomodato da casa sua per riportarmi fino a casa.
Appoggiai la mano sulla maniglia, e sempre con lo sguardo distaccato dalla sua figura feci per scendere dalla macchina.
"Tiffany, aspetta" disse afferrando il mio braccio prima che potessi scendere.
Io mi voltai di scatto, verso di lui.
Lui mi guardò con occhi spenti. Era dispiaciuto.
"Scusami per prima" disse poi "non dovevo risponderti così, mi dispiace"
Io sospirai, perché sinceramente, non sapevo cosa dire.
"E comunque grazie per quello che mi hai detto, l'ho apprezzato"
"Harry, avevi ragione quando dicevi che non posso capirti. Sarebbe molto più semplice se solo tu mi dessi la possibilità di farlo"
I suoi occhi erano ancora fissi su di me.
Il suo sguardo si alternava dai miei occhi alle mie labbra, ma la sua espressione era comunque trasparente e impassibile.
Il cuore mi batteva fortissimo, e non poter capire cosa stesse provando dalla sua espressione mi metteva a disagio.
"Vorrei che ti potessi fidare abbastanza di te stesso da credere che se vuoi, puoi farcela Harry" 
La mia voce si era affievolita in un sussurro, non ero nemmeno certa che lui lo avesse sentito.
Gli sorrisi, notando che lui continuava a fissarmi. Ora lo sguardo era fisso sulle mie labbra. Solo sulle mie labbra.
Appoggiai una mano sulla sua guancia, per lasciargli una dolce carezza prima di scendere per rientrare in casa.
Lui, invece, al mio contatto fece un profondo respiro, e avvicinò rapidamente il suo viso al mio, e prima che potessi accorgermene, aveva appoggiato le labbra sulle mie.

Spalancai gli occhi a quel contatto improvviso con le sue labbra.
Quelle labbra così morbide, come me le ero immaginate quel pomeriggio mentre passeggiavamo a Oxford Street.
Ero pietrificata, non sapevo cosa fare, anche se avrei dovuto semplicemente ricambiare il suo bacio. E basta.
Ma il cuore mi batteva all'impazzata, se avessi chiuso gli occhi, sicuramente sarei impazzita.
Notando che sul momento non avevo ricambiato il suo gesto, fece per staccare le labbra dalle mie. 
Solo in quel momento mi accorsi che di quella sensazione non ne avevo ancora abbastanza.
Avevo ancora la mano appoggiata sulla sua guancia, e prima che lui si potesse allontanare maggiormente da me, avvicinai di nuovo il suo viso al mio premendo di nuovo le nostre labbra.
Questa volta socchiusi gli occhi, facendomi trasportare dal ritmo dettato dai movimenti delle sue labbra, che lentamente si erano piegate in un timido sorriso.
Intanto fece scivolare la sua mano sul mio fianco, non staccandosi da me.
Il sapore delle sue labbra era quello amaro del caffè, non avrei voluto staccarmi più.
Il ritmo delle sue labbra sulle mie era lento e straziante. Dischiuse le labbra, per ricevere un maggiore contatto, che non tardò ad arrivare ed Harry fece intrecciare immediatamente le nostre lingue.
Una scia di brividi mi parti lungo tutta la schiena ed era una sensazione così bella che non avrei voluto finisse mai.
Ero certa che ne sarei potuta diventare completamente dipendente.
Accarezzò appena il mio labbro con la punta della lingua prima di staccarsi poi dalla mia bocca.
Riaprii gli occhi, trovandomi di nuovo il suo viso a un centimetro di distanza.
Fui io questa volta ad allontanarmi, anche se le mie gambe erano diventate di pietra.
Mi guardava sorridendo, come se fosse sollevato di quello che aveva fatto, dell'iniziativa che aveva appena preso.
Anche io sorrisi a mia volta, ma solo perché il suo era un sorriso contagioso.
Mi voltai di nuovo verso la maniglia della porta, e questa volta uscii sul serio.
"Buon Natale Tiffany" disse lui, prima che io richiudessi lo sportello.
"Buon Natale Harry".

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Le sue labbra calde si muovevano con delicatezza sulle mie.
Le sue mani accarezzavano i miei capelli, e delicatamente attirava la mia nuca a sè, annullando completamente ogni distanza tra di noi. Io semplicemente non riuscivo a liberarmi da quelle sue carezze, dai suoi baci così lenti, le labbra così morbide mi mandavano completamente fuori di testa.
Mi sentivo così bene, fra le braccia di Harry.
Harry. 
Ma quando aprii gli occhi, staccandomi da quelle labbra color ciliegia, non incrociai le sue iridi smeraldo. Non erano i suoi occhi. Non erano le sue labbra. Non erano le sue carezze. Non era affatto Harry.
Era proprio lui.

***

Aprii gli occhi di soprassalto. Spaventata.
Appoggiai una mano all'altezza del cuore che mi batteva all'impazzata, mentre mi concentravo per regolarizzare il respiro.
Non ero sudata, non stavo tremando, ma di nuovo a distanza di qualche settimana, erano tornati i miei incubi.
E questa volta per un motivo ben preciso.

Dopo quanto era successo prima che venissi qui, Harry era il primo ragazzo che baciavo. Era il primo con cui avevo avuto un qualsiasi tipo di contatto e rapporto aldilà dell'amicizia.
Mi stavo tormentando con questa questione, perché non riuscivo a liberarmi di questi brutti momenti che non davano tregua?

Voltai la testa di lato, verso la mia finestra.
Fuori splendeva il sole, stranamente.
Il che voleva dire che era già mattina.
Presi il mio cellulare. Le 9:05.
Poi lo riappoggiai sul comodino.
Chiusi gli occhi, portandomi entrambe le mani su di essi, sfregandoli.
Prima o poi sarebbe passato tutto questo.
Prima o poi sarei stata davvero bene.
Adesso, avevo solo bisogno di rigenerarmi con una doccia calda e di sfogarmi con l'unica persona in grado di capirmi. Louis.

Anche Louis era ritornato dalla sua famiglia per le vacanze di natale.
Nonostante avesse incominciato a riprendersi dalla questione con Eleanor, aveva comunque deciso di anticipare la sua partenza.
Ormai era una settimana che non lo vedevo, nonostante ci scrivessimo tutti i giorni. Mi diceva che stava bene, che passare del tempo con la sua famiglia e le sue sorella lo stava facendo distrarre.
Iniziavo anche io a sentirlo più sereno e spensierato e speravo davvero per lui che la scelta di staccare la spina da Londra e da Eleanor fosse la scelta migliore, nonostante mi mancasse tremendamente.
Lui non sapeva ancora niente di Harry. 
Non sapeva che avevamo continuato a frequentarci, era troppo sconvolto perché io potessi dargli un'altra notizia del genere.
E poi, fino alla sera prima, mi stavo quasi convincendo che la nostra fosse semplice amicizia. Ma gli amici non si baciano. 
Eccetto Ethel e Zayn, loro sono un caso a parte. 
Morivo dalla voglia di raccontarglielo, di sfogarmi e di parlarne con lui.
Così mi affrettai a sciacquarmi e ad uscire dal bagno, non mi vestii nemmeno e mi sedetti in accappatoio sul mio letto, appoggiandomi con la schiena alla testiera del mio letto, mentre aspettavo che lui rispondesse alla mia telefonata.

"Pronto?" biascicò il ragazzo.
Aveva una voce tremendamente impastata e assonnata. Effettivamente avrei potuto aspettare qualche minuto.
"Oddio scusami tanto Lou, stavi ancora dormendo vero?"
"Nono affatto" mentí lui, ma sapevo che aveva appena fatto un piccolo sbadiglio "sono sveglio da un po'".
Mi scappò una piccola risata.
"Posso chiamarti più tardi se vuoi, non è un problema, volevo solo sapere come stavi" disse io "come vanno le cose lì?"
Sentii che soffocò un piccolo gemito, sicuramente si stava stirando, infatti sospirò prima di rispondere alla mia domanda.
"Qui va tutto bene" rispose "anche se credo di aver già preso una cosa come 15 chili a stare a casa della nonna"
Io risi. Era una risata nervosa. Non una risata sarcastica.
Non mia aveva fatto ridere la sua battuta. Mi stava facendo innervosire la domanda che sarebbe venuta dopo.
"E tu che hai fatto ieri?"
Ecco. Proprio questa.
Socchiusi gli occhi e feci un respiro.
"Niente di interessante, in realtà" mentii
"Sono rimasti Ethel e Zayn?"
"No" dissi io "sono tornati dai loro genitori anche loro".
"Mi stai dicendo che stai passando natale da sola? Ma sei scema? Se lo avessi saputo sarei volato da te, Tiffany. Bastava una telefonata"
"No Louis, non preoccuparti, non l'ho passato da sola" dissi poi io.
Lui rimase in silenzio, confuso. Non stava capendo, e prima che potesse farmi qualsiasi altra domanda, lo precedetti.
"L'ho passato con Harry" 
"Chi?"
"Harry" ripetei "il ragazzo della biblioteca"
Poi lui rimase in silenzio.
Sapevo che avrebbe reagito così, sapevo che poteva essere sorpreso e sconvolto.
Avrei dovuto raccontargli diverse cose.
"Devo ancora dirti un paio di cose a riguardo".
"Mi devo preoccupare?" mi chiese lui
"Dipende dai punti di vista" dissi prima di fare mente locale riguardo a tutto quello che avevo da dire.

Iniziai a raccontargli tutto, tutto proprio dall'inizio.
A partire da quel pomeriggio in biblioteca, quando era tornato per acquistare quella sua agenda, la serata in discoteca, il pomeriggio da starbucks, come avevamo incominciato a scriverci, fino al nostro pranzo della sera prima.
Erano diversi i momenti che avevamo passato insieme e che lui ancora non sapeva. Sinceramente, iniziavo ad avere un po' di sensi di colpa a non avergliene parlato prima, ma non mi sembrava il caso parlare di Harry quando lui aveva appena rotto con la sua ragazza.
Ma del bacio, proprio non sapevo come dirglielo.
Louis ancora non aveva detto niente. 
Mentre gli parlavo, lui intanto si era alzato per andare a fare colazione, e le uniche cose che mi aveva detto durante il mio racconto erano soltanto dei "mh" o "ah", mentre lo sentivo masticare dall'altro lato del telefono.

"Quindi, ricapitolando avete passato il pranzo di Natale seduti sul divano mangiando panini di McDonald's e patatine" disse lui, con tono di disapprovazione nella sua voce.
"In pratica è andata così" ammisi 
"E poi siete usciti? Tipo a fare un a passeggiata, non so.. qualsiasi cosa"
"No siamo rimasti lì e basta, abbiamo parlato..."
"Parlato" ripete lui "wow"
Sospirai. Non sapevo davvero come dirglielo, e non potevo più tenermelo per me ormai. Mi stava divorando questa cosa. Mi morsi un labbro prima di prendere coraggio. Bene, glielo avrei detto adesso.
"Louis" trattenni il respiro. Glielo dovevo dire.
"Ci siamo baciati"

Lo sentii tossire. 
Incominciò a dare dei forti colpi di tosse, mentre i rumori dei piccoli colpi che si dava sul petto rimbombavano dal telefono.
Il mio viso si avvampò completamente e diventai tutta rossa. Mi coprii il viso con la mano libera. In questo momento ero davvero sollevata che lui non potesse vedermi. Stavo morendo dall'imbarazzo.
"Tu cosa?"
"Hai capito" dissi io.
Su di noi calò un attimo di silenzio, che non fece altro che mandarmi ancora più in panico. 
"Ti prego Louis, dimmi qualcosa, questo tuo silenzio mi sta straziando" 
"Ma cosa dovrei dire Tiffany? Sono ancora sotto shock" disse lui.
Ma non sembrava essere arrabbiato come qualche settimana fa, quando gli parlai di lui.
Sembrava solo scosso. Ma non era arrabbiato.
"Quindi ora vi state tipo frequentando?"
"Bella domanda" sussurrai "so solo che è un gran casino.. è il primo ragazzo che bacio dopo che.."
"Lo so" mi interruppe lui.
Aveva capito tutto, con lui era sempre così, non c'era bisogno che gli spiegassi.
Per questo era il mio migliore amico. Per questo quando avevo bisogno andavo da lui. Per questo non avrei scambiato Louis con nessun altro per nulla al mondo.
"Tiffany?" disse di nuovo lui, sentendomi distratta "provi qualcosa per lui?"
"Louis, ti prego non puoi chiedermelo adesso"
"Se lo hai baciato qualcosa lo provi" disse di nuovo, insistendo.
Per me era strani sentirlo parlare così. La sua insistenza non era da lui. Non avevamo mai parlato delle nostre vite sentimentali così apertamente, ed era strano farlo proprio con Louis.
Per smorzare quella conversazione, che ammetto mi stava mettendo un po' a disagio, feci un sorrisetto sghembo.
"Da quando siamo così sentimentali, Louis Tomlinson?" scherzai.
"Da quando ho imparato che, appena ci caschi dentro, l'amore ti distrugge anche l'anima" rispose lui. Ed io non dissi nulla.
Per quanto cercasse di distrarsi, di uscire da quel dolore, Louis era ancora innamorato di lei. Era passato così poco, ma saperlo così lontano e che ancora stava soffrendo, mi faceva stare male.
"Non l'hai più sentita Lou?"
Lui sospirò
"Non ha risposto ai miei auguri di Natale"
"Lou.." sussurrai dispiaciuta "Mi dispiace così tanto"
"Anche a me" rispose sbrigativo.
"Quando torni pizza e gelato, va bene?"
Fece una leggera risata.
"È ufficiale, dopo queste vacanze avrò il diabete"
E insieme, ancora una volta, scoppiammo entrambi a ridere.

Erano le 19, ed ero passata da Tesco a fare un po' di spesa dato che mi ero resa conto di non poter mangiare pizza tutta la settimana, ma era orario di chiusura e mi dovevo sbrigare se non volevo rimanere chiusa dentro. Le commesse che riordinavano gli scaffali mi lanciavano occhiatacce piene di odio. D'altronde ero l'unica a fare la spesa il 26 di dicembre, oltretutto alle sette di sera.
Presi solo un po' di frutta e verdura e qualche confezione in offerta di cereali, prima di dirigermi verso l'unica cassa aperta.
Non avevo nessuno davanti a me, naturalmente, così caricai la mia spesa sul rullo.
"Ciao Tiffany!" disse il ragazzo alla cassa, non appena si accorse di me.
Alzai lo sguardo dal mio cestino, quando notai il ragazzo davanti a me sorridermi entusiasta. Sembrava davvero felice di vedermi.
"Niall? Lavori qui?" dissi sorpresa nel vederlo lì.
Aveva sempre un sorriso smagliante stampato sulla faccia, anche alla chiusura di un giorno festivo e non sembrava per niente una persona che avesse voglia di uccidermi per essere arrivata all'ultimo minuto a fare la spesa.
"Già, da un anno ormai" disse incominciando a passare i prodotti, facendoli scivolare dall'altro lato del rullo.
"Strano, vengo qui tutte le settimane e non ti ho mai visto"
"Già, perché di solito ho il turno alla mattina, ma sto facendo i turni del pomeriggio questa settimana perché ho chiesto di poter essere a casa il 31.. sai com'è, è capodanno" disse ammiccando.
Mi veniva da ridere.
La sua spontaneità era quasi unica, anche se non aveva tutti i torti.
Mi passò poi una sportina di plastica, mentre io gli porsi la mia banconota mentre imbustavo velocemente la mia spesa.
"Non posso darti torto, farei lo stesso al tuo posto" gli dissi io, poi.
Lui mi allungò poi il resto che riposi velocemente in tasca insieme allo scontrino, sollevando poi la mia busta.
"Beh, allora ci vediamo alla prossima, Niall"
"No Tiffany aspetta" disse lui, richiudendo lo sportello della cassa rivolgendosi di nuovo a me.
"Sei dei nostri a capodanno? Andiamo tutti al locale dell'altra volta, Harry canterà di nuovo" 
Quando pronunciò il suo nome, una scia di brividi mi percorse tutta la schiena e mi irrigidii.
Tralasciando il fatto che non ne sapevo nulla della sua esibizione, dovevo ancora capire come stavano le cose tra me e Harry e se avessi dovuto uscire con i suoi amici, volevo prima chiarire le cose con lui.
Lui però mi stava ancora guardando, con la fronte aggrottata, in attesa di una risposta.
"Ehm, beh.. veramente io" iniziai a balbettare.
La mia bocca si era completamente impastata.
Mi era bastato sentire il suo nome per mandarmi in tilt tutto il sistema nervoso.
"Dai Tiffany, sai che a noi farebbe piacere!
E poi devo ancora avere la mia rivincita a Beer Pong" disse serrando gli occhi in una fessura scherzosamente, lanciandomi un occhiataccia furiosa.
Scoppiai di nuovo a ridere.
Un po' per scaricare la tensione di quel momento, e un po' per la sua espressione. Niall era davvero simpatico.
"Vi farò sapere se ci sarò" dissi alla fine, rimanendo sul vago.
"Grande" disse lui soddisfatto "allora noi ti aspettiamo e se vuoi venire a trovarci prima, sai dove trovarci".
Lo ringraziai rivolgendogli un sorriso sincero, prima di afferrare di nuovo la mia spesa che avevo appoggiato a terra, prima di dirigermi verso le porte scorrevoli.
Uscii dal piccolo supermercato, avvolta da quel freddo vento di dicembre.
Rivolsi un veloce sguardo all'interno salutando di nuovo Niall dalla porta finestra, che mi stava guardando mentre mi allontanavo, ricambiando il mio saluto con un rapido gesto della mano.

Avrei dovuto parlare con Harry, il prima possibile. Dovevo sapere cosa significava per lui quello che era successo ieri sera.

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