Un diario da Chef

di Stregatta_Khan88
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Destinazione Roma ***
Capitolo 2: *** Tra le braccia dello Chef ***
Capitolo 3: *** La tecnica perfetta ***
Capitolo 4: *** Appunti su appunti ***
Capitolo 5: *** La lama e la penna ***
Capitolo 6: *** La monetina magica ***
Capitolo 7: *** Diavolo di Chef ***
Capitolo 8: *** Gossip, il nemico ***
Capitolo 9: *** Veleno ***
Capitolo 10: *** Un amaro ritorno ***
Capitolo 11: *** Magia di una notte ***
Capitolo 12: *** Dove nessuno sa ***



Capitolo 1
*** Destinazione Roma ***


"Ho voglia de rivederti..." citava l'sms che Diana ricevette quella mattina, poco dopo essersi alzata ed aver raggiunto Jayne e Valeria al solito bar del centro. La Primavera era arrivata, portando nuove luci, il clima più temperato e... l'ora legale.

Diana preferiva sempre l'autunno e l'inverno, le troppe ore di luce la decontravano dalle sue produzioni romanzesche. Ma anche quei messaggi facevano la loro parte: era trascorso un mese dalla convention, da quando lei e Gabrio si erano salutati e promessi di rivedersi a Roma, ma in quei giorni non avevano mai smesso di sentirsi, tra una pausa e l'altra dai loro impegni.

Per convincere i genitori a lasciarla andare a Roma da sola, aveva dovuto farli parlare in Skype con Gabrio, costretto a spiegare la situazione e l'obbiettivo di Diana di redigere un racconto su di lui, ambientato nella capitale.

A volte mamma e papà erano troppo apprensivi con lei, sempre ad ipotizzare le peggiori catastrofi e nonostante i suoi vent'anni. Diana non pensava mai a cosa sarebbe potuto succedere, non era da lei fare progetti futuri, viveva la giornata e basta anche se... Ogni tanto il ricordo di ciò che era successo, la sera prima dell'evento di gala, tornava a bussarle alla mente.

Che momento eccitante.

Che uomo romantico e passionale insieme, nascosto dietro quell'apparenza da individuo rude e coatto, un'immagine televisiva che celava la persona che era. Dietro la maschera di Chef Russel c'era il volto di Gabrio.

"Ho voglia de rivederti..." rilesse liberando un sospiro trasognante, scordandosi per alcuni istanti la presenza delle due amiche che la studiarono attente poi, scambiandosi un'occhiata, risero, ma Diana non se ne accorse, rispondendo solo a quel messaggio:

"Buongiorno, anch'io voglio rivederti presto".

Inviò e guardò Jayne e Valeria che sorridevano con fare sornione. Arrossendo ed abbassando il capo, disse trattarsi solo del messaggio del buongiorno.

La tempestarono di domande sul suo umore, le chiesero se avesse preso tutto l'occorrente, senza dimenticare nulla. L'avrebbero portata loro a Milano, il giorno dopo, dove la "Freccia Rossa" l'attendeva. Il biglietto, pre-acquistato due settimane prima, era pronto alla timbratura.

«Ho preso tutto, non sono sprovveduta! Sembrate mia madre, Santo cielo».

«Intimo sexy» puntualizzò Valeria.

«E poi dite di non farvi diventare zie» si lagnò Diana accarezzando Chicca, che dalle braccia di Jayne puntava il muso verso di lei.

«È al pari dello spazzolino» ammiccò Jayne.

Il cellulare di Diana ricevette un altro messaggio. Lesse spalancando gli occhi con un gridolino che soffocò con una mano. Citava:

"Riccetta de mare ".

Rise scuotendo il capo ironicamente.

Dopo la mattinata passata con le ragazze, Diana trascorse la giornata ad ultimare i preparativi per il viaggio. Nel trolley aveva messo il necessario per lavarsi e cambiarsi, due paia di scarpe eleganti, un paio di stivali e due paia da ginnastica, l'abito da sera della serata di gala, due gonne, felpe, magliette e camicie, shorts, jeans, trucchi, K-way, intimi di ogni genere e colore, particolare che aveva ben nascosto alle due amiche.

Nel fedele zainetto avrebbe tenuto il portafogli con documenti e denaro, i biglietti del treno, la brochure di prenotazione dell'albergo, non lontano dalla stazione Termini e neppure dal Colosseo, un quattro stelle ad un prezzo economico che le fece ripetere per giorni in continuazione:

«Grazie "Booking" per l'offerta».

Ovviamente non mancavano l'iPod, cinque biro e due block notes per gli appunti. Ci voleva soltantanto un libro da leggere, per quanto non sapesse se di tempo per leggere ne avrebbe avuto. Sospirando si sedette alla scrivania della sua camera, occhieggiando ancora il trolley.

«C'è tutto» si disse.

Vide Romina accedere a Facebook, di ritorno dal lavoro. Diana la salutò subito, mandandole un messaggio di testo. In tutta risposta, l'amica avviò la videochiamata. Non appena la sua immagine apparve, Diana la vide scaraventarsi letteralmente in avanti, verso la webcam, sbraitando:

«I nipotini, Diana, i nipotini!».

«Mi sembra che tutte vogliate che torni da Roma gravida. Rilassatevi, su, vado per lavoro».

«Lavoro, come no» cantinellò Romina. «Dopo quel che è successo con il signor Rossato, altro che lavoro, sis, vivrai un gran bel sogno romano».

«Non è necessario torni ingravidata».

«Cotta al punto giusto sì, però! Sempre che quel diavolo di Chef non ti cannibalizzi prima».

«Cannibalizzare è un'azione di marketing, comunque» polemizzò Diana, fissata da Romina con sguardo assente, come se una palla di fieno passare nel suo cervello.

Si grattò il capo perplessa e fece la spallucce:

«Comunque ti auguro di riuscire a redigere il romanzo che tanto sogni e che il tuo soggiorno nella capitale, con Chef Russel, sia una bella esperienza».

«Grazie Romy, inutile dire che sono emozionatissima, ma sento sarà una magnifica esperienza, che non può mancare nella mia vita, soprattutto per la mia carriera».

«Assolutamente sì! Poi sarai col tuo Chef...».

Quel tono di voce provocante fece intuire a Diana che stava per scatenarsi la tempesta ormonale di Romina, pronta ad esprimersi con le solite affermazioni sconcie.

Le lasciò fare: aveva i pensieri altrove e non fece molto caso ai racconti erotici di Romina, inventati al momento, dove paragonava “l'arte del cucinare l'anguilla” con “l'arte dello Chef di usare l'anguilla”.

«A Roma ti chiamerò» promise Diana.

«Sì, ma se non riuscirai ti capirò» le strizzò l'occhio con il suo sorrisino astuto.

 

Jayne e Valeria rimasero con Diana fino al binario di partenza. Durante il viaggio da Sarnico a Milano non fecero altro che parlare della giornata che le due ragazze avevano deciso di trascorrere in città, tra musei e negozi.

Prima di salire sul treno, Diana salutò con degli abbracci stretti, stretti le amiche, che ricambiarono con pacche d'incoraggiamento e baci sulle guance. Jayne le tenne le mani sulle spalle, guardandola negli occhi con un velo di commozione. Disse:

«Divertiti ed abbi cura di te».

«Ehi, non sto mica andando in guerra» ridacchiò Diana. «E non me ne vado per sempre».

«La tua vita potrebbe cambiare».

«E ci auguriamo sia così» specificò Valeria abbracciandola di nuovo, sussurrando tra i suoi capelli: «Fatti sentire quando arrivi a Roma».

«Lo farò» assicurò Diana salendo sul treno. Cercò il suo posto prenotato accanto al finestrino. Le due amiche la guardarono e lei sorrise, notandole sinceramente commosse dalla sua partenza, tanto erano abituate a stare insieme: sempre loro tre, quasi ogni giorno e quello era uno dei rari viaggi che faceva da sola. Le venne un improvviso groppo in gola.

Alle dieci e mezza puntuali la "Freccia Rossa" si mosse, iniziando lentamente a lasciare il binario.

Diana salutò Jayne e Valeria con la mano e loro, ricambiando, seguirono il treno cercando di mantenersi sempre di fronte al finestrino dell'amica, ma più il treno acclerava, più loro si allontanavano, finchè non furono costrette a fermarsi. La "Freccia Rossa" continuò la sua corsa sempre più veloce.

Ogni volta che Diana partiva per un viaggio si ritrovava sempre a dover lottare contro un senso di pesantezza che la opprimeva sul petto, togliendole il respiro. Rimase seduta contro lo schienale del treno ad occhi chiusi: bruciavano, quasi scoppiava a piangere pensando alla sua casa, ai suoi genitori, le sue amiche, ma era normale: sola aveva viaggiato molto poco in vent'anni di vita.

Respirò a fondo.

Si disse di non avere paura, perchè giunta a Roma non sarebbe stata sola: era partita per il suo lavoro ma, un pò, aveva accettato anche per ribellione e... forse anche per amore?

Mirò la pianura attraverso la quale il treno correva, pensando a Russel e la voglia di rivederlo le strappò un sospiro. Prese il cellulare nello zainetto e gli scrisse:

"Sono partita da Milano! Arriverò alle 13".

Tolse il block notes dallo zainetto ed afferrò a caso una delle biro, lo aprì sugli svariati appunti scritti, cancellati, corretti più e più volte e si soffermò a leggere l'introduzione del primo capitolo, lo stesso pezzo che anche Russel aveva letto. Diana lo aveva imparato a memoria a furia di rileggerlo:

 

Ho conosciuto uno Chef e me ne sono innamorata... Me ne sono innamorata perchè è un tipo che adora le sfide, ma odia stare troppo alle regole. Mi sono innamorata di uno Chef del quale racconterò la sua storia in questo libro, uno Chef che seguirei da Roma a Bankok, che maschera il suo animo dietro le tenebre del suo sguardo. Chi è? Be', lui si chiama Chef Rubio e vederlo in tv non mi bastava più...”.

 

Strinse la penna tra i denti, fissando per un po' il portachiavi a forma di gatto rosso che penzolava dal suo trolley.

L'inizio del romanzo aveva le caratteristiche del diario, breve, spiccio e diretto. Come genere di lettura non era proprio il suo preferito, ritenendolo troppo breve e scarno, ma era convinta della teoria appresa da Stefania: era lei ad avere in potere di creare il genere, perciò avrebbe sputato lacrime e sangue su quelle pagine, pur di creare un libro degno del termine “romanzo”.

Lesse il messaggio di Russel che aveva appena ricevuto, dalla tonalità un po' fredda e distaccata, che la spinse a storcere la bocca:

Chiamami quando scendi dal treno”.

Non le piacque molto come risposta, le provocò una certa ansia, avendolo sentito un po' irritato. Chiuse il block notes e lo rimise nello zaino, osservando l'ambiente che si susseguiva rapido.

Il groppo alla gola tornò e di scrivere non se ne parlò più, allora. In generale ogni cosa la stava facendo agitare troppo, per concentrarsi sulla scrittura. Il tono dell'sms aveva solo peggiorato la situazione, ma non avrebbe saputo dire qual'era la principale causa dei mille e più pensieri, senza contorno, che si profilavano nella sua mente.

Rivedere Gabrio, probabilmente.

Il ritornare in quella grande città

Magari c'entrava quel senso di vuoto provocato dall'allontanamento da casa, dalla famiglia, dalle amiche.

O semplicemente, quel messaggio era il granello oscuro in quella giornata?

Sospirò mentre il sole, abbagliandola dal finestrino del treno, si faceva sempre più caldo, man mano che il viaggio procedeva. Ritenne assurdo venir travolta dalle riflessioni così pesantemente da non reggere neppure il peso del viaggio. Sembrava non finire mai.

Era esattamente 574 chilometri quelli che la “Freccia Rossa” doveva percorrere, tre ore rinchiusa in una specie di tubo col muso da arpia e le ruote di ferro, che correva incredibilmente veloce, ma non abbastanza da mettere a tacere quella sensazione di movimento allo stomaco, che ricordava un gruppo di piccoli draghetti borbottanti.

Probabilmente erano solo falene o, peggio, poteva trattarsi della colazione che tentava di arrampicarsi su per la sua gola a causa dell'agitazione, ma, riflettendo, era più logico c'entrasse il senso di vertigine provocato dallo scorrere rapido dell'ambiente esterno.

Smise di guardare, tirando la tendina ed accucciandosi sul sedile più composta ad occhi chiusi, assopendosi fortunatamente un po'.

Aprì gli occhi ad una fermata: dalla stazione si vedeva un'enorme cupola di mattoni, della quale Diana ricordava le foto sui libri di storia dell'arte. Non erano semplici mattoni. Dalla stazione si riusciva a vedere una scorcio della città.

«Santa Maria del Fiore» mormorò, «Sono già a Firenze. Chef, sto arrivando».

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Capitolo 2
*** Tra le braccia dello Chef ***


Diana guardò il vetro della porta scorrevole del treno, che le rimandò la sua immagine. Indossava un abito a maniche lunghe azzurro, lungo fino alle ginocchia. Un paio di collant trasparenti e gli anfibi neri ai piedi, i suoi fedeli occhiali inforcati sugli occhi ed i capelli raccolti in una treccia.

Le ruote metalliche del treno stridettero, scuotendola leggermente in laterale, e la “Freccia Rossa” si fermò al suo binario.

Prima che le porte scattassero per aprirsi, trasse un sospiro d'incoraggiamento per poi scendere con il suo zainetto in spalla ed il trolley nero appresso.

Roma Termini, la stazione principale della Capitale, era affollata e caotica, piena di gente, suoni e rumori. Il parlottare della folla era intenso, i volti loschi numerosi, alcuni clochard agli angoli dormivano tra sudicie coperte e cartoni. Diana ebbe alcuni momenti di smarrimento e non negò neppure un velo di paura tra tutta quella gente. Sola, in Roma Termini, non era il caso di restare a lungo.

Ciao, sono arrivata” scrisse a Russel attendendo vicino ad uno dei bar interno, dove aveva individuato un paio di guardie dalle quali non voleva separarsi, almeno finchè non avrebbe visto Gabrio. La ridicola suoneria giapponese del telefonino di Diana iniziò a cantare.

Senza guardare il dispaly, avviò la chiamata.

«Aoh, Dia', ndo stai?».

Quel bizzarro modo di salutarla le fece tirare un sospiro di sollievo: la voce di Gabrio era normale, non irritata. Di sottofondo percepì rumore di auto.

«Sono dentro la stazione».

«Esci fori, so' davanti l'ingresso».

Velocemente si avviò verso l'uscita, stando attenta alle persone che le passavano vicino, accertandosi non vi fossero borseggiatori che tentavano un colpo.

Il sole della Capitale era alto e forte, di un calore intenso da farle quasi pesare il vestito di cotone. Fortunatamente la grande tettoia esterna non permise ai raggi del sole di accecarla troppo: vide, vicino alla fermata dei pullman, la grossa Dacia mimetica. Russel stava appoggiato a braccia conserte al fianco dell'auto.

Il cuore di Diana sobbalzò fin dentro la sua gola nel vederlo sorriderle e e salutarla con un gesto della mano. Le sue gambe rimasero bloccate, dandole il tempo di controllare che non passassero automobili poi si avvicinò allo Chef, con il viso fattosi dello stesso rosso della camicia di Russel. Morse il labbro, prima di guardarlo in volto, raccogliendosi una ciocca di capelli, incalzando timidamente:

«Ciao Gabrio».

«La mia scrittrice preferita» la abbracciò, e per via dell'impeto del gesto, a Diana scivolò di mano la barra del trolley, che cadde rovinosamente a terra. Lo ignorò, ricambiando soltanto quell'abbraccio forte ed avvolgente, godendo della sicurezza che le trasmise.

Oh, Gabrio... Avrebbe voluto sospirare Diana, trattenendosi a stento.

«Annamo va, che Termini non è il luogo più sicuro della città» prese lui il trolley, anticipandola sul tempo, e con un solo gesto lo caricò sul sedile posteriore dell'auto.

«Ho tempo fino alle tre per il check-in in hotel» dichiarò Diana salendo sulla macchina. Mettendosi al posto del guidatore, Russel chiese:

«Dove hai prenotato?».

«Al Black and White Palace».

«Non lontano dal Colosseo» Gabrio s'immettè nel traffico stradale. Nel frattempo Diana mandò alcuni messaggi per avvertire le amiche ed i genitori del suo arrivo, viaggio tranquillo e raggiungimento della destinazione puntualissimo.

«Posizione pressochè centrale, quattro stelle e se magna pure bene. Brava, Dia', ce sai fare con le prenotazioni online».

«Me la cavo, ho comunque studiato turismo, quindi qualcosa so farlo» Diana guardò fuori dal finestrino, sentendosi molto emozionata, un po' per la presenza di Russel che guidava accanto a lei, un po' per la vivacità di quella città, le sue strade trafficate, le sue vie affollate di gente e gli svariati rumori della metropoli, che un tempo era stata la capitale di uno dei più grandi imperi del Mondo.

Naturalmente anche il clima a Roma presentava una temperatura più alta, o forse era un altro il motivo per cui si sentiva decisamente accaldata...

Sbirciò Russel e le sue braccia muscolose e tatuate, per poi rivolgersi di nuovo alla strada.

No, non è per il caldo! Pensò facendosi aria con una mano. Fu allora che Russel premette un tasto situato sul quadro comandi del volante ed il tettuccio della macchina si aprì. Diana guardò il pertugio con occhi grandi, prima di mirare Gabrio che affermò con una tranquilla alzate di spalle:

«Mi sembrava che avessi caldo».

«Un po', effettivamente» rivolse ancora gli occhi al cielo azzurro che scorreva, ammirabile dall'apertura del tettuccio. Ridacchiando si slacciò la cintura e si alzò in piedi, uscendo dal pertugio. Russel, sgranando gli occhi, abbaiò:

«Diana che stai a fa? Ce fermano gli sbirri».

«Ho sempre sognato farlo!» Esultò lei all'esterno del tettuccio, iniziando anche a cantare in un inglese contorto per la gioia. Sapeva l'inglese, ma non le importava cantare bene in quel momento: era esaltata con quel qualcosa di più, una sorta di libertà che non ricordava di aver mai provato.

«Nun te fa bene troppa aria» commentò Russel a bassa voce, rallentando ad un semaforo rosso. Si accorse di una coppia di anziani che fissavano lui e Diana perplessi. Con un gesto di resa, poco prima di riavviare l'auto allo scatto del verde, Gabrio esclamò: «L'ho trovata sulla macchina, la sto riportando alla neuro».

Diana trattenne un'esclamazione di stupore, quando vide in lontananza gli archi del Colosseo che con il sole di quel giorno, la pietra che lo componeva, sembrava quasi d'oro.

Senza mai smettere di fissarlo tornò a sedersi composta a labbra dischiuse.

«Sei davvero fortunato a vivere qui, Gabrio».

«Te piace er Colosseo?».

«Uhm, secondo me hai combattuto dentro come gladiatore» riflettè Diana analizzando Russel con una mano sotto il mento. Lo Chef sospirò:

«Me lo sento che sarò un eroe fantasy, tipo gladiatore cibernetico o centauro mutaforme».

Diana esplose in una fragorosa risata. «No, dai, ho promesso di fare un contemporaneo, non ti farò crescere ali o zoccoli da cavallo».

Ridacchiando, Russel appoggiò una mano sul ginocchio di Diana, accarezzando il tessuto dei collant. Lanciò una sbirciata alle sue gambe che lei strinse d'istinto, facendo finta di nulla. Alzò un sopracciglio mormorando:

«Velate, a n'vedi».

Diana, con una risatina isterica, abbassò la testa. Quando si accorse del silenzio caduto ed occhieggiò Russel, lo notò serio e pensieroso. Lo strattonò leggermente per un lembo della manica della camicia, quasi a volersi accertare fosse sveglio.

«Non è proprio Roma la mia città e quasi nemmeno più Frascati lo è. Ho iniziato a viaggiare a diciotto anni ed ancora viaggio, è come se il mondo fosse diventato la mia casa. Raramente sono rimasto fermo a lungo, figurati ora che sono in televisione».

«Ti manca mai la tua casa?» Osò domandare lei.

«Ogni tanto, ma ci ho fatto l'abitudine».

Lei gli sorrise. La guardò, quando si fermarono incolonnati ad un semaforo, assumendo uno sguardo perplesso dal volto dolce della ragazza.

«Un mio amico, una volta, mi disse che più si evade e più si sente il bisogno di casa propria, non si può mai sfuggire dalle proprie radici».

Russel contemplò quei due occhi indaco con intensità, mentre codificava quel messaggio. In fondo, in fondo non le diede completamente torto, ma ancora di più si stupì di un altro pensiero, che gli sfiorò la mente: se in futuro si fosse mai fermato, avrebbe voluto farlo per stare con lei, starle vicino e non allontanarsi mai più, per non lasciarla più sola.

Piuttosto l'avrebbe portata con sé.

Seguì il flusso delle auto, ancora immerso nelle più profonde riflessioni: non si era mai concentrato così tanto su di una donna prima, ma quella volta era stato colpito dal fulmine a cui lui non aveva mai creduto.

Apprezzava le belle donne, ma non aveva mai sentito il bisogno di perdere la testa per una di loro, arrivando ad immaginare di donarle il cuore come avrebbe fatto con Diana, che sentiva così simile a sé, come le loro arti affini.

«Siamo quasi arrivati» annunciò sorridendole, svoltando ad una rotonda e percorrendo altri cinquecento metri, fino ad una grande cancellata in metallo che accerchiava un immenso cortile, con alberi e parcheggi riservati di fronte all'albergo.

Il grande hotel aveva un ampio ingresso con le porte a vetri e l'intera facciata era occupata dai numerosi balconi delle camera sulla struttura principale. Le due ali laterali, erano caratterizzate da muri bianchi e cornicioni neri.

Diana aveva visto le immagini da internet del luogo, ma dal vero era tutta un'altra storia e non trattenne un fischio di stupore.

Russel scese per primo e l'aiutò a scendere, prendendo il suo trolley. Mentre entravano, annuendo tra sé e sé, disse:

«Sai, Gabrio, avevi ragione: non me la cavo, ci so fare davvero con certe ricerche».

«Sei tu che non mi credi» puntualizzò lo Chef.

Operazioni di check-in in hotel, e mentre Diana si registrava, confermando la sua prenotazione, Russel rimase seduto ai divanetti della hall, giocherellando con le chiavi dell'auto, che seguitò a rigirare tra le mani salutando quelli del personale dell'albergo che passavano: li conosceva quasi tutti ed, ovviamente, loro conoscevano lui.

Finita la registrazione, Diana affidò ad uno dei facchini la sua valigia, tenendo soltanto il suo zainetto ed il block notes in mano con la sua penna.

Stringendosi nelle spalle, imbarazzata dallo sguardo tenebroso di Russel, gli si avvicinò e chiese:

«Immagino che tu abbia impegni oggi, no?».

Lo Chef la scrutò alzando un sopracciglio:

«Il mio contratto prevede anche periodi di sosta. Come si suol dire, ferie».

«Oh, allora non giri il mondo 365 giorni l'anno».

«A volte me fermo anch'io» ammise alzandosi in piedi. Diana indietreggiò un passo, notando ancora quanto fosse alto e statuario rispetto a lei, bassa ed un po' in carne. Russel era quello alto, muscoloso e figo, capace di abbattere un muro. Poi c'era lei, che si sentiva un minuscolo e lardoso bignè.

«Almeno sono dolce e morbida» mormorò con l'immagine del bignè inchiodata davanti agli occhi della mente, sbirciando Russel che la osservava in silenzio, le mani nelle tasche dei pantaloni.

«Che hai detto?».

«Nulla, non farci caso» tirò un sospiro e si lisciò le pieghe del vestito azzurro, sistemando gli occhiali

Come due creature di razza diversa, lei e Russel si studiarono per alcuni istanti. Diana udì una vocina nella testa, che le ricordò quella di Romina, quando l'assottigliava per fare commenti sconci:

Hai fatto l'amore con quest'uomo!Attenta o farai tanti mini Russel!

Non trattenne uno sguardo esasperato, immaginando già l'interrogatorio delle amiche quando le avrebbe contattate, ma non era il momento di pensarci quello e tutto ciò che desiderava era godersi quel periodo di evasione dalla sua quotidiana vita.

Strinse al petto il block notes, rendendosi conto che quella era la prima volta che si allontanava tanto da casa sua per scrivere un libro.

«Te vedo già energetica, nonostante er viaggio. Immagino che se te dicessi de recuperare energie, per oggi, la tua risposta sarebbe “no”, vero?».

«Sono troppo euforica per fermarmi ora» dichiarò non rendendosi conto di avere gli occhi lucidi. Quel particolare non sfuggì a Russel, però.

«Perchè stai a piagne?».

«Piagne?».

«Stai piangendo, hai già nostalgia de casa?».

Diana si morse il labbro incerta se replicare onestamente o no, ma alla fine si decise a confidare:

«Pensavo soltanto che questa è la prima volta che viaggio sola per redigere un romanzo. Sola, in una città grande e lontana, dove non conosco nessuno».

«Me conosci?».

Lo sbirciò: «Sì, ti conosco».

«Nun te serve altro! Sei con me, che risponderò a tutte le tue domande per il libro e per interesse» la prese per le spalle trascinandola con sé verso l'uscita.

«Interesse?» Chiese Diana.

«Ad ogni angolo che vedrai di questa città, te volterai e le domande te sorgeranno spontanee. Se dice che nun basti 'na vita per scoprire Roma».

Sorridendo e senza mai smettere di osservarlo, Diana salì sulla sua macchina. Inclinò il capo, quando le si sedette vicino.

«E tu saprai rispondere a tutte le mie domande?».

Russel fissò il quadro comandi, bloccandosi nell'atto di infilare la chiave nell'accensione dell'auto, sbattendo a vuoto le palpebre. Mimò due colpi di tosse nervosa.

«Tutte...» mormorò. «Sicuramente pe'l libro risponderò a tutto, pe' gli interessi dovrai perdonarmi se non saprò darti 'na degna risposta. So' solo un frascatano».

«Be', sei nato a dieci minuti dalla Capitale».

«Tre quarti d'ora» la corresse, «Pe' questo ho sempre addosso i laziali su Twitter».

«Insopportabili» esclamò Diana rabbiosa. «Ti seguo su Twitter e leggo quelli che ti danno addosso, quando c'è il derby, per non parlare poi di quando esprimi le tue idee politiche, meno male che tanti sono dalla tua parte, ma quei cagacazzi...».

«Aoh, Dia'! Certe parole nun stanno bene in bocca ad una signorina» la rimproverò avviando la macchina e lasciando il parcheggio.

«Scusa, mi è sfuggita» sorrise in modo teso. Schiarì la voce aggiungendo: «Però, in merito ai tuoi Tweet, posso dire solo che sei un autentico provocatore e sovversivo».

La fulminò con uno sguardo:

«Ce l'hai con me?».

Diana rise: «No, mi piaci così, soprattutto perchè non ti fai mettere i piedi in testa da nessuno».

«Ce provo a lasciar perdere, a volte, ma è più forte de me, nun riesco a sta' zitto» confidò adocchiandola con un sorriso audace.

Pur cercando di non darlo a vedere, Diana si sentì fremere il ventre basso, a causa di quell'espressione. Di nuovo la vocina starnazzante tra i suoi pensieri ribadì: piccoli Russel! Piccoli Russel!

Era stata la signora Russel per una sera che si sarebbe ripetuta? Magari quel titolo si sarebbe ufficializzato? Pensieri assurdi!

Russel non si fidanzava, il suo lavoro lo obbligava a viaggiare troppo per legarsi ufficialmente.

Diana non doveva rattristarsene: era consapevole di chi fosse, cosa facesse e come la pensasse sui fidanzamenti, anche se lui stesso si era domandato se, al Mondo, esistesse la famosa signora Russel che lo avrebbe seguito in capo al mondo.

«Da Roma a Bankok» dichiarò lei senza riuscire a fermare quel pensiero, che si articolò in parole.

«Che?».

«Non farci caso» si giustificò mettendosi composta sul sedile. «Allora, dove mi porti?» Sviò il discorso strizzando l'occhio a Gabrio.

 

Dall'alto la visuale dell'interno del Colosseo era molto più chiara: erano ben visibili i macchinari antichi che permettevano di alzare ed abbassare la pavimentazione per riempire d'acqua l'Anfiteatro e tramutarlo in una battaglia navale a grandezza naturale.

Diana osservava appoggiata al parapetto metallico, traccia di modernità all'interno del Colosseo, ed ascoltava la guida che si trovava un gradino più in basso. Russel se ne stava seduto alle sue spalle, sulle gradinate fatte di pietra. Conosceva a memoria storia e caratteristiche del monumento più noto di Roma.

La guida si allontanò con la comitiva e Diana tornò a sedersi con lo Chef, sciallato sulla pietra. Non appartenendo a nessuna comitiva guidata potevano permettersi di girare nell'Anfiteatro come pareva e piaceva loro.

Diana si strattonò il colletto del vestito: faceva caldo veramente sotto il sole. Il cielo azzurro terso era segnato da una ragnatela di scie bianche degli aeroplani.

«Scie chimiche» commentò Russel.

«Non farti sentire, i servizi segreti si aggirano ovunque, sai? E potrebbero essere chiunque, una moglie, un figlio, un genitore...».

«Se' de' servizi segreti tu?».

«No» sbottò Diana coprendosi la bocca con le mani e fissandolo ad occhi spalancati.

Lo Chef assunse la sua tipica espressione inquietante. Indicò con un cenno del mento il quaderno che Diana aveva sulle ginocchia.

«Te vuoi farme l'interrogatorio, si sa mai» rise. Diana, istintivamente, afferrò il quaderno stringendolo a sè.

«Credevo fossimo d'accordo, tu stesso hai parlato di collaborazione per questioni di marketing».

«Ehi, sto a scherza'» le pizzicò una guancia. «Lo so che non sei una spia».

«Solo una scrittrice squattrinata» bofonchiò abbassando il capo e chiudendosi in sé stessa. Russel l'avvicinò a sé, avvolgendole la vita con un braccio, posandole la testa sul capo.

«Dia', a volte gli ostacoli sono alti da superare, ma con l'impegno e la volontà si ottengono risultati. Probabilmente la tua carriera è anche iniziata per gioco, un po' come la mia, nun penso avresti mai messo 'n conto de incontrarmi, come io nun avevo mai messo 'n conto d'esse' conosciuto».

«In effetti è vero» lo adocchiò timidamente, «Sinceramente ero così convinta di volerti conoscere che, forse, prima o poi, ti avrei incontrato in altri contesti, in altri posti ma...» s'interruppe arrossendo.

«Nun pensavi de piacermi e risveglia' la parte der Chef sadico e zozzo» concluse lui.

Scoppiarono a ridere entrambi.

«Mi hai letta nel pensiero! D'accordo, è vero» ammise Diana osservando ancora la “platea” del Colosseo, prima di sorridergli esclamando: «Ebbene, caro il mio Chef, siamo qui. Che aspetti a farmi conoscere lo steet food romano?».

Russel la mirò in silenzio con espressione seria, massaggiando la barba.

«Li mortacci, non scherzi mica... Mi sto convincendo che sei dei servizi segreti».

Diana rise scuotendo il capo e si alzò, prendendolo per la mano. Si rese conto che la sua forza non sarebbe mai bastata a schiodarlo dal posto dove se ne stava comodamente seduto, affermando di sentirsi un Imperatore. 

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Capitolo 3
*** La tecnica perfetta ***


Lasciarono il Colosseo, diretti ai vicoli più interni del Rione del Monte Celio dove sorgeva. Diana, camminando, scattava fotografie col cellulare ai monumenti più interessanti, scrivendone i nomi che le suggeriva Russel o che leggeva sui cartelli, restando un po' più indietro rispetto a lui, che proseguiva a camminare imperterrito, nel suo atteggiamento fiero e sicuro, guardato da alcune persone del posto. Non per la fama, non per la notorietà: Diana lo guardava dal dietro e lo invidiava per com'era, così tranquillo, sfrontato a farsi strada tra le persone, sicuro di sé e di tutto ciò che faceva. Diana lo invidiava perchè aveva forza, coraggio e carisma.

Oh, che darei per essere così sicura di me...

Lesse i suoi appunti, i primi elementi del suo libro, ma sul punto di formulare uno dei suoi soliti pensieri negativi, si schiantò contro un muro, che constatò essere la schiena di Russel fermo a studiare i dintorni.

Non ebbe un minimo fremito all'impatto.

«I migliori esperti di street food stanno nelle viuzze interne, ma questo lo sai, no?».

Massaggiandosi il naso, Diana annuì, raccogliendo il quaderno cadutole a terra dopo lo scontro on quella muraglia spallata e tatuata che era lo Chef.

«E portano avanti, ancora, la cucina povera di quartiere, che in realtà non ha nulla di povero» specificò.

Russel annuì compiaciuto.

«Questo l'hai appreso dalla puntata di Roma».

«Ovviamente».

«Quale piatto ti è piaciuto e quale no?».

Domanda che la mise in difficoltà per paura di sbagliare l'origine ed il nome dei piatti. Ne aveva viste talmente tante di pietanze che confondersi poteva essere abbastanza normale, ma Diana voleva fare bella figura con il suo Chef.

Si guardò attorno per avere una vaga idea, notando una forneria. Un campanellino trillò nella sua testa.

«Pizza bianca alla romana» esordì soddisfatta di essersene ricordata, ma Russel la scrutò serio:

«Te piace vincere facile».

Diana fece un'alzata di spalle: «L'ho ricordata perchè mi ha ingolosita. Anche i “Carciofi alla Giudia” mi intrigavano, però» continuò sempre osservando i dintorni.

«Certo, poi immagino Bucatini all'Amatriciana, Gnocchi alla romana...» si mise ad elencare Russel camminando a fianco di Diana, che annuiva sorridendo. Lo Chef si fermò bloccandola per una spalla. «Ho già capito tutti i tuoi gusti».

Troppo facile... pensò lei un tantino preoccupata, occhieggiandolo interrogativamente.

«Andiamo a mangiare quelle delizie?» Chiese.

«No, annamo a farti provare qualcos'altro».

Panico! Sbraitò nella sua testa Diana, seguendo Russel che entrò in una piccola porta, chiusa da una tenda anti-mosche che si apriva dentro una piccola osteria, dall'aspetto grezzo e casareccio.

«Ahia...» mormorò Diana sentendo un misto di odori di cibi che dovevano far parte della sua categoria mentale di “Cibo No”. Sospirò, accomodandosi ad un tavolo mentre Russel la invitava ad attendere alcuni istanti.

Quando tornò, posando due birre tra loro, la guardò con un misto tra la sfida ed il compiaciuto, ma rimase a lungo in silenzio. Soltanto il cervello di Diana continuò a stuzzicarla sul fatto che quelle occhiate, tipiche di Russel, la facevano impazzire, mandandole a monte quel poco di ragione che riusciva a mantenere davanti a tutti.

Tranne che a lui!

«Cos'è questo piatto?» Domandò quando il gestore dell'osteria servì quello che pareva stufato di carne con sedano. Sbirciò Russel che sorrideva.

«Prima devi magna', poi te lo dico» ordinò lui.

Niente obiezioni! Mai dire “no” al cibo, qualunque cosa fosse quella nel piatto. Diana diede un assaggio alla prima forchettata in maniera esitante mormorando:

«Wow...».

«Bona, eh?».

«Afrodisiaco davvero». Soltanto quando ebbe quasi svuotato il piatto Diana ricordò la questione iniziale, il primo quesito posto. «Ma che cos'era?».

«Coda alla Vaccinara» esclamò tranquillamente Russel sorseggiando la birra.

Spalancando vistosamente gli occhi, incerta se avesse capito bene, Diana fissò il piatto ripetendo:

«Coda... Coda...».

«Se magna anche quella» puntualizzò lo Chef.

«Coda...».

«Ormai l'hai magnata, e t'è pure piaciuta».

Diana dovette ammettere che l'osservazione di Russel non era sbagliata. Aveva mangiato ed adorato la coda, ma se lo avesse saputo... No, mai avrebbe accettato di ingollare un solo boccone. Ormai aveva capito che lo Chef conosceva la tattica per convincerla a scoprire il suo Mondo.

Sorrise tra sé e sé: senza troppe domande, Russel dava risposte ai suoi quesiti non articolando per forza frasi, solo facendola guardare e sperimentare.

Ottima tecnica anche per una scrittrice.

«Sei un grande» esclamò Diana quando tornarono all'hotel e Russel l'accompagnò fino alla sua stanza. «E mi stai aiutando più di quanto non pensassi».

«Una cosa, se la faccio, o la faccio bene e non la faccio proprio, so' fatto così».

Si fermarono fuori dalla stanza, dove Diana armeggiò con la chiave per aprire la porta.

«Ho notato» lo guardò sorridendo, facendosi quasi immediatamente seria, tipico atteggiamento quando il suo sguardo si perdeva nei tenebrosi occhi dello Chef, fermo a braccia conserte di fronte a lei. «Ehm... ci vediamo domani, vero?».

Lo Chef sorrise, dandole un buffetto sulla fronte. «Cerca di riposarte stasera, d'accordo?».

Annuì entrando e salutando Russel, che si avviò lungo il corridoio. Ma fermatosi a metà del percorso, dopo alcuni istanti di riflessione, tirò un sospiro e tornò indietro,

Diana posò lo zaino sulla sedia della scrivania tranquillamente, ma sussultò quando sentì bussare. Esitante si avvicinò alla porta e la riaprì, trovandosi davanti Russel che la squadrò con espressione indecifrabile. Si allarmò davanti a quello sguardo e non potè fare a meno di chiedere in un filo di voce:

«Gabrio... che succede?».

Lo Chef non proferì parola e si avventò su di lei: la baciò trattenendole la nuca, chiudendo la porta alle sue spalle con un calcio, mentre la spingeva ad indietreggiare, fino al letto.

Le gambe di Diana avevano preso a tremare così convulsamente che se non si fosse avvinghiata con le braccia a lui sarebbe caduta, rovinando quel momento tanto desiderato ma inaspettato.

Per tutto il giorno aveva sperato in un bacio che non era mai arrivato, fino a quel momento.

Gemette quando senti le gambe toccare il capezzale del letto. Si lasciò cadere all'indietro sul materasso, trovando il coraggio di aprire gli occhi e guardare Russel quando si staccò dalle sue labbra.

Brividi caldi la scuotevano; le sue mani erano avvolte in quelle dello Chef che si era impossessato di lei. Diana morse il labbro voltando la testa in laterale, mentre Gabrio si piegava per baciare e respirare la pelle del suo collo, lasciandosi inebriare. Le sussurrò:

«Quatto me sei mancata» le spostò i capelli sparpagliatisi sul suo viso.

Diana lo guardò timidamente con il viso arrossato ed il sorriso appena accennato. Lo fece sentire spiazzato, incapace di agire, riuscendo solo a scrutare quello sguardo schivo che sembrasse voler parlare ma... era troppo preso da quegli occhi per capire le parole che Diana non riusciva a pronunciare.

Perchè non parli, Dia'? Si domandò Russel. Ti intimidisco a tal punto? Nemmeno lui riuscì a pronunciare una sola sillaba.

Si issò in ginocchio, lasciando i polsi di Diana, permettendole di mettersi seduta, tenendo il suo viso tra le mani. Avvenne tutto in silenzio, lentamente, una sorta di ipnosi intercorreva tra di loro, che non riuscivano a smettere di fissarsi, quasi temessero che qualcuno rubasse la quiete che ritrovavano l'uno nello sguardo dell'altra.

Il mare e la notte uniti in un connubio di mute emozioni che levavano il respiro, che parevano non avere tempo. Le loro menti avevano iniziato a fare l'amore già da prima che i vestiti scivolassero via dai corpi, chissà da quanto durava quell'amplesso di anime, forse tutta la giornata, forse da quando si erano riabbracciati davanti alla stazione.

Avevano soppresso la loro passione fino ad allora, ma la loro parte più eterea si era desiderata per tutto il tempo e solo in quel momento ne erano diventati consapevoli perchè prima li aveva posseduti l'incertezza.

Pagine e pagine avrebbe potuto scrivere Diana per descrivere quei momenti.

Nulla, per Russel, eguagliava il sapore ed il profumo della pelle di quella giovane donna.

No, in quel momento non dovevano esistere libri, piatti o sfide, nulla doveva avere un senso, nulla lo aveva, ma solo loro due, stretti nella delicata morsa dell'amore ed il desiderio, tra sospiri e sguardi sfuggevoli.

Bastava! Bastavano loro...

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Capitolo 4
*** Appunti su appunti ***


Diana odiava videochattare con il telefonino, ma non avendo altro mezzo a disposizione dovette accontentarsi dello schermo ridotto per vedere le sue amiche e salutarle.

Le prime che contattò furono Jayne e Valeria, che rivide insieme al loro consueto bar, mentre sedeva sulla terrazza della camera d'hotel dove splendeva il sole. L'immacolato servizio in camera era un'esperienza nuova per Diana, che in una mano reggeva l'apparecchio e con l'altra mangiava la sua colazione.

«Come sta andando lì?» Esordì Jayne non appena l'immagine si fece limpida. Valeria s'intromise nell'immagine del cellulare esclamando:

«Oddio, che sole! E stai mangiando con il servizio in camera! Qui piove...».

«Levati!» Sbraitò Jayne spingendola indietro, finendo a concludere lo scontro in parità, osservando Diana entrambe nel piccolo schermo.

«Qui va tutto bene, Roma è splendida, ed ho visto solo il Rione Celio, per ora» Diana mirò il Colosseo che si notava in lontananza. Sorridendo si rivolse ancora alle amiche: «Va tutto bene comunque, abbiamo fatto un bel giro ieri».

Ricevette sguardi astuti e sornioni come risposta dalle due amiche, accompagnati dalla stessa domanda che, nella chiamata successiva, le porse anche Romina, alla quale cercò di restare vaga.

«Cos'è successo con lo Chef?».

Diana avvampò e sfuggì il suo sguardo da lupa rispondendo in un filo di voce: «Nulla di che».

«Birichina!» Ridacchiò Romy gettando la sigaretta che si era soffermata a fumare durante una piccola pausa sul lavoro che si era presa solo per sentire Diana, che ridacchiò imbarazzata.

«Siamo in un rapporto di lavoro».

«Ah, se i lavori fossero tutti così, sis, lo farebbero tutti ad occhi chiusi, sia chiaro, io stessa» ammiccò. Diana si sentì serena da quelle chiamate: pareva che le ragazze stessero bene, curiose come sempre e pestifere, ma data la rapidità nelle risposte alle videoochiamate, sempre accanto a lei con cuore e mente, le sue care amiche.

Guardò l'orologio del telefono: le nove e quarantacinque. Lei e Russel erano d'accordo di vedersi alle undici, il momento in cui le attività legate allo street food iniziavano a prendere maggiore vita. C'era tempo.

Occhiali inforcati, penna alla mano e block notes, pronto a ricevere tante informazioni, sole caldo e cielo terso, il profumo della primavera abbracciato all'odore della città. Che cosa poteva chiedere di più per farsi ispirare e lasciar fluire parole?

 

Oh, Roma, culla di antiche civiltà, bella e maestosa, perla di una gloriosa storia, con i tuoi siti archeologici e le tue testimonianze antiche. Proprio tu hai concepito e forgiato la sua immagine, così diversa da quella di tanti altri, eppure così particolarmente perfetta. Oh, Regina dell'antichità, madre di un uomo che cammina tra le tue vie, quasi fosse lui, l'Imperatore delle tue conquiste, al quale basta dar fuoco a dei fornelli per farti bruciare, senza doverti distruggere come fece Nerone...

 

Diana si fermò e rilesse il brano, scoppiando a ridere, immaginando in qualche modo l'espressione scioccata di Russel davanti a quelle parole, probabilmente accompagnata da una delle sue esclamazioni romanesche.

Rilesse per l'ennesima volta, notando che stava ottenendo un diario poetico.

 

L'ho guardato alla stazione Termini, da capo a piedi, un moderno gladiatore che combatte con coltelli e padelle di ogni tipo, capace di fare di un incendio la sua professione, tra i vicoli più angusti e gli esperti di street food”.

 

Stefania aveva parlato del suo stampo fantasy, in grado di dare particolarità ad un qualsiasi racconto. Effettivamente si sentì fiera a constatare che ce la stava facendo a caratterizzarlo con quel qualcosa di diverso da un genere comune, tradotto in pagine di diario che sembravano un a lunga e moderna poesia.

Cucina e scrittura! Si disse. Serve fantasia e creatività in entrambe le correnti artistiche!

Scrisse anche quella frase tra gli appunti del diario-racconto poi si concesse una doccia ed iniziò a prepararsi, emozionata dalla nuova giornata che la spettava e... stranamente incuriosita dal pensiero di avvicinarsi ancora a qualche ricetta da strada.

Cibi dai gusti rustici, forti, speziati, che per venir scoperti richiedevano, non soltanto il consiglio di un esperto, ma anche il sapersi aggirare per la città era di dovere.

Farlo con Chef Russel era il massimo!

Tante volte aveva desiderato provare quell'esperienza con lui, sognandolo come un bambino che sogna il suo eroe dei fumetti. Per Diana era il suo eroe e non avrebbe mai pensato alla possibilità di veder sbocciare l'amore tra di loro.

I mille e più pensieri l'avevano separata dalla realtà, al punto da non rendersi nemmeno conto delle sue azioni. Guardandosi nello specchio, ben truccata e con la treccia laterale, si piacque più del solito e sperò di piacere tanto anche allo Chef.

Indossò gli stivali “All Stars” neri con i lacci bianchi, un paio di shorts in jeans ed una maglietta rossa, sopra la quale mise una camicia nera che chiuse con un nodo ai due lembi cascanti e ne arrotolò le maniche.

Si sentì una sottospecie di Lara Croft in missione a Roma, dando un ipotetico titolo ad un videogioco ideato sul momento: “Tomb Raider, l'ultima frontiera della street food”. «Quanto sei scema, Diana» s'insultò scoppiando a ridere, prendendo block notes e penne.

Controllò che fosse tutto apposto nella stanza e scese nella hall, salutando allegramente tutto il personale o i clienti dell'albergo che incontrava lungo i corridoi, anche se erano stranieri e non capivano la sua lingua.

Il calore saliva dall'asfalto, ma scontrandosi con l'aria fresca e leggera del mattino creava una piacevole atmosfera, che permetteva di avventurarsi per le strade della città.

Diana trasse un respiro a pieni polmoni allargando le braccia e stiracchiandosi, chiudendo un po' in sé, quando ricordò di trovarsi davanti all'ingresso di un quattro stelle. Studiò i dintorni ma non vide nessuno che badava lei perciò attraversò tranquillamente il cortile, sorridendo a trentadue denti e fischiettando.

Nel preciso istante che raggiunse il cancello d'ingresso dell'hotel, un'auto ben nota frenò esattamente davanti a lei. Diana alzò gli occhi al finestrino abbassato, da cui Russel lasciava penzolare il braccio tatuato con il suo fare da duro.

«Buongiorno Chef» salutò Diana. Russel scosse lentamente il capo, facendole cenno di salire.

«Nun te fai proprio mai aspetta' tu».

«Ovvio, è come l'ora di pranzo» Diana si spalmò il famigerato olio alle fragole sulle labbra, sfruttando lo specchietto del parasole dell'auto. «Come dici sempre, quando c'è da magna' non si deve mai aspettare. Puntualità! Dico bene?».

«Me sembri Crocchio» la squadrò con un sorriso malefico: «La portata principale sarai tu?».

Diana spalancò gli occhi, voltando lentamente la testa verso Russel. «Quale portata?».

Lo Chef rise pizzicandole la guancia delicatamente. «A volte sei buffa, Dia'».

«Perchè?» Bofonchiò massaggiando lo zigomo.

«Te agiti co' poco» la trasse vicina con un braccio mentre guidava, spiccandole un bacio sulla testa. «Però rimani una delle poche che sa ancora arrossire».

«Troppo spesso» confidò rilassandosi e chiudendo gli occhi appoggiata a lui, mentre sprofondava in un misterioso stato di beatitudine. Le parole sorsero incontrollate nella sua testa:

 

“Resto appoggiata a lui ad ascoltare il suono del suo respiro. Si accompagna al suo cuore: palpita lento... tranquillo... regolare... Credo che saprebbe placare la rabbia di chiunque, lenire ogni tristezza. Proprio lui, sì, anche se non ci credete, forse perchè lo vedete ardere sempre dello spirito di competizione”.

 

Diana osservò la strada che stavano percorrendo: non aveva la benchè minima idea di dove stessero andando, ma non aveva chissà quale importanza, in quel momento.

Avrebbe tanto voluto perdersi in lui. Persa ma protetta da quel cuore.

 

Lui è come la dirompente eruzione di un vulcano, custodita dalle tenebre della notte. Oh, che posso dire? Tenebre di questo genere non mi fanno paura”.

 

Le parole fluivano e si appiccicavano alla bacheca della sua mente nella categoria “da scrivere”. Sperava di non scordarsele, ma spesso capitava che le belle frasi le sfuggissero.

Stavolta non avrebbe dovuto!

Si raddrizzò e prese il block notes, iniziando a scrivere con incertezze nella calligrafia, a causa dei sobbalzai dell'auto, ma non scordò una singola parola di quelle che aveva progettato.

Russel la guardò con la coda nell'occhio, senza dire nulla, limitandosi a sorridere e fissare la strada. Sbirciando aveva colto quella frase tanto confidenziale: “tenebre di quel genere non mi fanno paura”. Alzò un sopracciglio, domandandosi che cosa stesse redigendo Diana e di certo, messo in quel modo, non era il fantasy storico dove lui era un gladiatore. Crebbe la sua curiosità.

«Me sembrano aumentati quegli appunti» osservò senza fare accenni alla frase che aveva letto, per non mettere troppo in imbarazzo Diana.

«Ti stupirò, Chef» dichiarò chiudendo il quaderno degli appunti e rimettendolo nello zaino, tornando con la testa appoggiata alla sua spalla ridacchiando.

«Sento tono de sfida. Tu me vuoi sfida'».

«Arte contro arte» lo stuzzicò.

«Sfida accettata» concluse svoltando ad una rotonda ed imboccando una strada che si allontanava dal centro, facendosi spazio nella campagna.

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Capitolo 5
*** La lama e la penna ***


«Frascati» esclamò Diana leggendo i cartelli delle indicazioni stradali. «Sospettavo mi ci avresti portata».

«Me rivelo a te, in tutte le mie sfumature».

«Oh, ti prego, Gabrio, lasciamo le sfumature alle scrittrici di erotici, che ne pensi?».

«Uhm, che te devo di', allora?».

«Qualcosa da Chef, tipo... in tutti i miei tagli».

Russel alzò gli occhi al cielo mormorando:

«Ahie! Mo, so' diventato un vitello».

Diana gli diede una pacca sulla spalla, facendosi male da sola, giungendo alla conclusione che solo lo Chef Cannavaro riusciva a slogare le spalle con una manata anche a Russel.

Fisicamente Diana non era mingherlina, ma contro Russel perdeva in partenza: non aveva gli stessi muscoli e la stessa resistenza. Ogni tanto azzardava anche a definirsi molliccia!

Scese dall'auto con un balzo, quando Russel si fermò fuori dal cortile di una modesta casa a due piani.

«Casa tua?» Chiese Diana

«De famiglia, io nun c'ho mai terra ferma».

«Particolare rilevante».

Seguì Russel attraverso il cortile, il cancello era aperto e lei iniziò a sentirsi un tantino imbarazzata, forse all'idea di conoscere formalmente la sua famiglia. Lo Chef se ne accorse, perchè Diana tendeva a rimanere indietro. Si fermò mentre toglieva un mazzo di chiavi dalla tasca dei pantaloni, rivolto a lei ironico.

«Vergogna?».

«Uhm... un po'» confidò con un'alzata di spalle.

«Sta' serena, nun c'è nessuno, a parte noi».

Diana deglutì, non sapendo che cosa la imbarazzasse di più: la casa o la loro solitudine?

Russel aprì la porta d'ingresso a doppia anta, facendo strada lungo un corridoio che svoltava a destra, incontrando un'altra porta a doppia anta.

«Uno Chef senza fornelli, è come un guerriero senza la sua armatura, questo è il mio motto» continuò Russel spalancando le due ante che davano alla cucina. «Io vengo da'a strada, Dia' ma è stato necessario iniziare in una scuola» Russel appoggiò le mani sulla penisola della cucina, invitandola con un gesto a prender posto su una delle tre sedie, ordinatamente disposte.

Lei prese il block notes.

«Avevi detto che non hai mai fatto scuole».

«La mia scuola è stata questa» dichiarò Russel indicando la cucina. «La passione l'ho presa da mia madre osservandola cucinare».

Diana lo ascoltava scrivendo, senza nemmeno guardare il foglio, scrutando imperterrita il suo volto ed annuendo lentamente.

«Come mai hai scelto di venire qui oggi?».

«Cucina funzionale ed attrezzata, per quanto sia in uno stile un po' antico. Ma sai, mia madre ha sempre avuto l'abitudine di non farsi mai mancare nulla per cucinare, quindi c'è tutto qui» aprì un pensile dove straripava ogni genere di coltello. Diana s'irrigidì, tirando una rigata sul foglio con la penna. La sensazione di dolore dei tagli sulle dita tornò a fornicare sotto la sua pelle.

«Questo è il tuo regno» biascicò ad occhi sgranati

«'Avoja te se lo è» afferrò uno dei coltelli, dove guardò il riflesso dei suoi occhi. Lo mosse per riuscire a vedere anche Diana riflessa: si stava contorcendo le dita di una mano nell'altra, la sinistra, quella che Russel aveva notato esser segnata da una cicatrice sul dorso e sulla giuntura dell'indice, un tipico segno da salumeria. «So' nato con la dote del gusto e l'olfatto sviluppati».

«Sì, l'ho letto, lo avevi dichiarato ad un giornale. Molto utili per la professione da Chef, quasi quanto l'immaturità fanciullesca per una scrittrice».

«Oggi te coccolo, Dià».

Diana avvampò di colpo voltando il capo.

«Oh, Gabrio ma che stai dicendo?».

«E te che stai a pensa'?».

«Hai detto che... mi coccoli».

«Certo, te faccio vede' a fa' i Bucatini all'Amatricinana, te pare poco?».

Diana trasse un sospiro, non sapendo se sentirsi più rilassata o delusa, anche se notare che il coltello sarebbe stato usato per tagliare le verdure del soffritto fu un conforto.

Ma che razza di pensieri sadici si faceva? Credeva di diventare lei veramente la portata principale. Scema! Scosse il capo prestando attenzione alle indicazioni dello Chef.

«L'Amatriciana mi piace» ammise Diana.

«A te, de Bergamo, scommetto con la pancetta».

«Perchè? Non è così che si fa?».

Russel si chinò vicino al suo volto.

«'A vera Amatriciana se fa cor guanciale».

«Non mi piace quel termine, sembra guancia».

«Guancia de porco» specificò Russel notandola impallidire e lasciandosi andare ad una fragorosa risata: «Ma che te sei magnata in tutti ste anni?».

«Ehm... cucina, io ti osservo e scrivo» preferì omettere la risposta, facendo ridere ancora lo Chef. Si sentì esasperata più da sé stessa che tutto il resto, più per le sue consuete figuracce che per il divertimento che Russel nutriva verso di lei. Insomma, la causa era sempre sé stessa!

Strinse tra i denti la penna, rendendosi conto del silenzio interrotto solo dai rumori che faceva lo Chef mentre cucinava. Le parlava con un tono cheto e professionale, Diana lo ascoltava ed intanto le parole le si materializzavano chiare e precise, come i sottotitoli di un film.

 

Ha un modo tutto suo di lavorare ai fornelli: è veloce, ma allo stesso tempo non sbaglia un colpo. E che strane sensazioni mi assaltano mentre osservo il peperoncino che si abbandona dalle sue dita che si sfiorano tra loro. Ha uno sguardo così tenebroso, ma è attento a ciò che fa. Chissà quale miracolo mi ha fatto metter piede nel suo mondo?

 

Diana si bloccò ad osservare il coltello che stava stringendo Russel e stava utilizzando per tagliare i pomodori. Teneva la lama vicinissima alle dita, ritratte come facevano tutti gli Chef per evitare tagli. Le dita le si irrigidirono e lasciò cadere la penna sul foglio, sfregando le mani sulle gambe per scacciare il formicolio. Russel la guardò, senza smettere di tagliare accennando un sorrisetto sghembo.

«Ehm... non far caso a me» mormorò Diana abbassando ancora gli occhi sulla lama. «Presta attenzione al coltello».

Russel si fermò dando un ultimo taglio con un sonoro colpo secco. Socchiuse gli occhi assumendo un'espressione dolorante imprecando:

«Ah li mortacci tua! Me so' tagliato!».

Diana strillò coprendosi gli occhi e voltandosi, parlando con voce stridula.

«Oddio! Non farmi vedere! Non farmi vedere! Medicati! Fasciati! Fa qualsiasi cosa ma non farmi vedere il taglio!».

«Dia'...» la chiamò tranquillamente Russel. Lei si voltò, sbirciando tra le dita: lo Chef stava mostrando le mani prive di tagli. «Stavo a scherza'» sorrise.

«Non farlo... mai più» sbottò imbronciata.

«Terrore allo stato puro, nun te fa bene».

Sospirando risollevata, ma anche un tantino mortificata, tornò ad appoggiarsi alla penisola, reggendosi il capo con una mano, con l'altra picchiettò la penna sul foglio, rileggendo gli appunti che aveva scritto a testa bassa.

Russel tacque osservandola serio, mentre puliva gli attrezzi da cucina. Pensò alcuni istanti, cercando le parole più giuste da dire per esprimere il concetto, ma ipotizzò che nulla, meglio dei gesti e gli esempi, avrebbe potuto esprimere il concetto.

«Anche le parole possono far del male e la penna può essere una vera e propria arma mortale».

«Non penso proprio»

«Tu dici?».

Diana si sentì sfiorare la guancia da una lama fredda e tagliente. La penna le cadde nuovamente abbandonata sul foglio, mentre il coltello che le accarezzava la pelle si spostava dalla guancia sotto il suo mento e le alzava la testa verso Russel, che stringeva quell'oggetto assassino e la fissava con un'espressione indecifrabile. Diana non avrebbe trovato le parole giuste per descriverla.

«La penna uccide in base alla mente di chi la usa, al suo scopo, alle perversioni, i suoi pensieri, ma una penna senza mano non può scrivere».

«N... no, credo... cioè, no, infatti, non può».

«Uguale er coltello: dipende sempre dalla mano di chi lo regge, dalla sua mente. Un coltello non ti fa nulla da solo. Serve solo un po' di attenzione, non devi averne paura» Russel spostò la lama da sotto il viso di Diana, reggendolo tra lui e lei, diritto a dividere i loro due sguardi. «Sono oggettini sofisticati che pretendono il rispetto. Se tu sei maldestra ti taglieranno di sicuro» prese la mano di Diana e la chiuse attorno al manico del coltello. «Ma con i giusti riguardi e la prudenza, sono innocenti, solo attrezzi da Chef».

«Attrezzi... da... Chef» ripetè meccanicamente accennando un sorriso teso, in risposta a quello di Russel, che si voltò ai fornelli, lasciandola in compagnia della lama in cui guardò riflessi i suoi occhi terrorizzati. Gonfiò le guance scocciata, posando il coltello e riprendendo la sua penna, tracciò dei ghirigori sul foglio, poi il profumo dell'Amatriciana le solleticò le narici.

Scese dalla sedia per avvicinarsi a Russel e sbirciare la cottura, ingolosendosi alla vista del sugo che bolliva.

«Spiona» la punzecchiò lui.

«Che profumino, quando si mangia?».

«Scoliamo i bucatini e se magna».

L'idea del guanciale la turbava un tantino, ma se usando la fantasia avesse immaginato fosse pancetta, com'era abituata a mangiarla lei a casa, sicuramente non avrebbe avuto problemi.

In fatto di quantità, Russel non era il genere di Chef che preparava i miseri piattini da ristorante moderno, ma portate decisamente abbondanti.

«Non ce la farò a mangiarla tutta» azzardò.

«E tu la mangerai tutta, perchè ti costringo».

«Non puoi, è violenza psicologica» polemizzò Diana imbronciandosi di nuovo.

«Sto a scherza'. Comunque 'a pancetta è più grassa d'er guanciale, sai? Giusto pe' farti notare che hai magnato roba che dici che nun te piace».

«Il guanciale è più magro? Davvero?».

Russel non disse nulla, limitandosi a porgere a Diana la forchetta coi bucatini, squadrandola con sguardo audace.

Lei, imbarazzata, sentiva che farsi imboccare fosse un atto esageratamente intimo, ma nonostante la vergogna non si tirò indietro. Prese in bocca i bucatini, ricambiando lo sguardo dello Chef con un'espressione felina. Socchiuse gli occhi mentre masticava affermando in un filo di voce:

«Quant'è buona».

«Bona, eh?».

Diana non esitò a dare altre forchettate con Russel e non si accorse neppure che in due spazzolarono un'intera padella.

«Avevi ragione sul guanciale, è buonissimo».

«Ascolta Chef Russel, non sbaglierai mai».

«Confermo» ridacchiò facendosi subito seria, notando come lo Chef avesse iniziato a scrutarla silenziosamente. Le si avvicinò lentamente, bloccandola con le braccia e il corpo al piano cucina. Diana non smise di fissarlo un solo secondo, persa completamente in quegli occhi.

Deglutì ma non riuscì a parlare e fu lui, che togliendole una traccia di sugo dall'angolo della bocca, dichiarò in un sussurro concitato:

«Tu me farai diventa' matto» le tolse gli occhiali che posò sul tavolo ed iniziò a baciarla, le prese i fianchi e la mise seduta sul piano da lavoro.

Diana gli cinse il collo con le braccia stringendo le ginocchia attorno ai suoi fianchi, lasciandosi trasportare dalle emozioni di quel momento.

Lo faceva impazzire lei? Se solo avesse saputo il caso opposto... O forse lo sapeva e per quel motivo compiva sempre simili atti perchè le piaceva?

Tra un bacio e l'altro gli confidò:

«Adoro come sai usare i coltelli».

Russel rispose:«Io adoro come sai utilizzare una biro ed un foglio».

Sulla via del ritorno, Diana scrisse un appunto nel suo fedele quaderno, sorridendo di quella giornata così diversa:

 

Per giocare coi coltelli bisogna fidarsi ciecamente dell'altro... Ma credo che anche lasciare la propria vita, nelle mani di qualcuno armato di carta e penna, richieda una certa fiducia...”.

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Capitolo 6
*** La monetina magica ***


 

Invidiata e scherzosamente odiata dalle amiche, Diana si vantò di aver mangiato i tipici bucatini all'Amatriciana, cucinati da uno Chef romano. Secondo loro era motivo di gelosia nei suoi confronti.

Jayne e Valeria, insieme a lei, si erano sempre distinte dai tipici gruppi di ragazze impegnate a pensare a uomini, trucchi e vestiti.

Trucchi ogni tanto. Vestiti anche. Uomini non era un argomento strettamente necessario. Ma i loro argomenti vertevano spesso su cibi e grigliate e tutto ciò spiegava il motivo del loro astio.

«Sei disgustosa!» Squittì Valeria.

«A noi neanche un pochino» piagnucolò Jayne facendo scoppiare a ridere Diana, distesa sul letto dell'hotel in accappatoio, con il cellulare connesso in videochat, fresca come una rosa.

«Stasera andiamo in giro per la Roma notturna» ammiccò entusiasta, circondata dagli schiamazzi festosi delle due che la interrogarono sulla destinazione ed i progetti della serata.

Diana fece un'alzata di spalle:

«Non so che faremo, nemmeno dove andremo, ma adoro le sorprese».

Anche Romina ricevette la medesima risposta nonostante, alla notizia di Diana, avesse già assunto un tono malizioso ed incuriosito. Si resse il volto con le mani inclinando il capo, sorrise e la studiò con interesse mentre sceglieva i vestiti.

«Non i pantaloni, sis» la ammonì.

«Dici di no?».

«Su, sei nella Città Eterna con il tuo Chef da sogno. Datti un aspetto più accattivante».

Diana pensò, guardando gli abiti nella valigia. Tolse una gonna plissettata argento, lunga fin sopra le ginocchia, una maglietta aderente a maniche lunghe bianca, completando l'abbigliamento con una giacchetta di pelle ed anfibi neri.

Romina la squadrò scettica quando si mostrò completamente vestita.

«Per me è troppo da nonna» affermò.

«Come sarebbe a dire da nonna?».

«Mancano le tette! La scollatura!».

Diana alzò gli occhi al cielo scuotendo il capo. Dopo aver salutato anche Romina si truccò e, per la prima volta nella sua vita, di sua volontà, mise le lenti a contatto, scegliendo di tenere i capelli sciolti. Mise nelle tasche della giacca soltanto il cellulare ed il portafogli.

Scese nella hall con l'ascensore, accolta dalla visione del grande orologio da parete che segnava le 18.45.

Fece due passi poi voltò la testa verso il bancone. Studiò quell'uomo che sfogliava una rivista, appoggiato al banco della reception, con i capelli rasati alla nuca e più lunghi sopra, la barba tagliata alla perfezione ma sempre presente.

Portava un paio di pantaloni “pied de puole” e la t-shirt sotto uno spolverino. Tutto in nero, a parte le sneackers amaranto. Un abbigliamento casual ma più elegante del solito, in un certo qual modo, contrapposto ai tatuaggi sulle mani e sul collo che sbirciavano dal soprabito.

Tamarro... Pensò Diana. Ma che tamarro!

Quasi l'avesse sentita pensare, Russel alzò la testa dalla rivista e la scrutò. Si guardarono come se fosse stata la prima volta che si vedevano, esitanti entrambi sull'avvicinarsi oppure o no, per timore di sbagliare persona o troppo meravigliati da riuscire a mettere a fuoco la figura l'uno dell'altra.

 

Osservo lo Chef e lui mi fissa a sua volta. Non sono sicura di conoscerlo in quelle vesti. Ho timore ad avvicinarlo tanto è affascinante...

 

Diana pensò a quelle parole da scrivere mentre, senza quasi rendersene conto, le sue gambe si erano mosse verso di lui. Allo stesso tempo, anche Russel si era avvicinato a lei.

Quando furono vicini, faccia a faccia, seguirono altri istanti di silenzio, durante i quali entrambi si studiarono senza capirsi subito.

«A n'vedi, Dia'...».

«Ciao... Gabrio, che fashion che sei».

Russel prese la mano di Diana e gliela baciò, lanciandole un'occhiata così ardita da farle tremare le ginocchia. Le disse: «Se' proprio bona».

Gli sorrise arrossendo, mentre un nido di falene le esplodeva nello stomaco ed il cuore le sobbalzava prepotente nella testa, al punto da sentirlo battere.

«Grazie...» schiarì la voce. «Non ti avevo riconosciuto, al momento. Sei elegantissimo».

«Ho solo un soprabito in più».

Diana fece le spallucce. «Sarà quello, o sarà il nero che ti dona molto» si lasciò trascinare dallo Chef fuori dall'hotel fino all'auto.

«Te sei molto sexy, invece» incalzò lui aprendole la portiera. Le tese la mano per aiutarla a salire. Diana gliela porse senza smettere di affondare in quello sguardo, temprato dalla maestosa notte di Roma.

E se fosse stato lui a plasmare la notte?

 

Quale incantesimo si cela in lui? Credetemi, ancora adesso non riesco a capirlo. È strano... Insomma, è come se lui fosse un poema facile da scrivere, ma tremendamente difficile da leggere. Sì, lo so, è un controsenso del cavolo! Ma che posso farci? Non trovo altre definizioni per descriverlo”.

 

Diana s'irrigidì e strinse le gambe, mordicchiandosi il labbro inferiore. Chinò la testa lasciando che i capelli nascondessero il suo viso e studiò il suo vestiario, domandandosi che cosa ci trovasse di sexy in lei.

Carina, forse, ma non così arrapante. Era vestita in modo troppo succinto, magari, ma gli anfibi militari avevano tutto tranne che del seducente. Be', gusti dello Chef, in fondo, e critiche di sé stessa, a sé stessa, solo per sé stessa.

Come sempre...

«Come sei silenziosa stasera» osservò Gabrio raccogliendole i capelli dietro l'orecchio.

«Sono un po' scossa» lo guardò. «Non è che sei un sogno? Un'illusione? Frutto della mia fantasia?».

«Anche se lo fossi, non saresti contenta di essere con me in questo sogno?».

«Da un lato sì, dall'altro rimarrei delusa: i sogni sanno soltanto illudere».

Russel si fermò ad un parcheggio e riflettè alcuni istanti sulle parole di Diana. Alzò un sopracciglio e si voltò verso di lei contestando:

«Hai una visione pessimistica sui sogni, eppure immagino sognassi di essere scrittrice e ci sei riuscita, no?».

«Sì...».

«Dia', i sogni ci aiutano a camminare, sono i sogni motore del nostro progresso nella vita e so' sempre tanti. Se uno non si realizza c'è alternativa».

«Tu ci sei passato» non era una semplice domanda. Russel slacciò la sua cintura e quella di Diana, soffermandosi sul suo volto.

«Sognavo de sfondare come rugbista, ma er caso ha voluto diversamente. Ma mejio cuoco».

Diana sorrise. «Se non sfonderò come scrittrice, potrò almeno dire di averti conosciuto».

«Direi d'averme fatto innamora'» ammiccò scendendo, seguito subito da lei che quando gli fu vicina le prese la mano, seguendo una viuzza poco illuminata. Ma oltre quella stradina si notava una luce che splendeva su di un ampio spazio, circondato da palazzi ed affollato di gente.

Gli occhi di Diana si fecero grandi, fermandosi ad ammirare quella bellezza che si spalancò davanti a lei come un sipario.

Cercò di memorizzare nella sua testa, come se avesse potuto scattare un'istantanea, quella grande vasca marmorea con le statue storiche e mitologiche. Lo ricordava bene quel posto, quando lo vide anni prima.

«La “Fontana di Trevi”» mormorò.

«Te piace?».

«Sì, tantissimo» Diana si avvicinò al bordo della vasca e sfioro l'acqua con le dita, sospirando a contatto della freschezza. Rivolse l'attenzione alla statua centrale, sedendosi sul bordo. «Ricordo che ho lanciato la moneta magica» affermò rivolta a Russel, senza guardarlo. «La credenza dice che lanciando una moneta, prima o poi, si farà ritorno in questa magica città».

«E 'nfatti a Roma ce sei tornata» Russel prese posto accanto a lei e le porse una monetina. Diana la prese tra le dita, dando completamente le spalle alla vasca. Guardò il michelino con un sospiro.

«Anche la storia dei desideri è vera? Se esprimo un desiderio e lancio la moneta si avvera?».

Lo Chef sorrise facendo un'alzata di spalle.

«Si può anche realizzare, se ci credi davvero».

Pur di poterlo amare, Diana avrebbe cercato di dare anche fiducia a sé stessa, per quanto spesso si fosse sentita sua nemica.

Chiuse gli occhi. Espresse il suo desiderio. Lanciò la moneta, che nonostante il trambusto della piazza sembrò risuonarle in testa con delicatezza, producendo il suono di un tappo di champagne che viene aperto, restando immobile.

La mano di Russel si posò sulla sua guancia per voltarle la testa. Diana sentì le labbra dello Chef unirsi alle sue e socchiuse gli occhi per incontrare il suo sguardo che la contemplava, giusto il tempo di quel casto bacio che si fece più passionale.

Diana aveva desiderato venir baciata davanti alla fontana di Trevi. Il fatto confermò che quello specchio d'acqua artificiale era davvero magico.

«Oh, mio Chef» sussurrò posando la testa sulla sua spalla, rivolgendo gli occhi alla Luna che ammiccava bel cielo scuro.

Fu allora che Russel lanciò una monetina a sua volta, ricevendo da Diana uno sguardo interrogativo.

«Eh mo?».

«Eh mo, cosa? Che desiderio hai espresso?».

«Se lo dico nun se realizza» tagliò corto alzandosi, porgendo la mano a lei.

«Non me lo puoi nemmeno accennare?» Insistette Diana arridendo. Russel pensò alzando gli occhi alla Luna mentre la stringeva per un fianco.

«Ho desiderato de...» cominciò a dire con tono sicuro a ritmo lento, ma tanto invitante alla scoperta di qualche mistero che Diana non potè fare a meno di sporgersi più vicino a lui per sentire la dichiarazione. Russel la sbirciò di traverso con un sorrisino astuto. «Sfidarte a colpi de cibo da strada».

«Non è vero!» Sbraitò lei dandogli uno spintone.

«Sì che lo è, ce stanno tante etnie qui, te porto a magna' er Curry indiano più bono de Roma».

«Mettiamo sia come dici tu» bofonchiò scocciata, incrociando le braccia sul petto.

Russel la guardò divertito: sapeva bene quel che aveva desiderato e non fece altro che ripeterselo nel cuore.

L'avrebbe voluta sempre accanto!

Solo a lei si fidava a lasciare in mano la propria vita, sicuro che scrivendo l'avrebbe resa gloriosa.

Da Roma a Bankok era diventata una litania, ormai. Lui e lei, solo loro insieme, tra cibo e romanzi, tra sfide e lettere, la lama e la biro uniti come un sigillo inseparabile. Lui desiderava questo. Voleva Diana, così come Diana voleva Russel da una vita, dal primo istante che la videocamera aveva fatto incontrare i loro occhi.

 

Non ho mai desiderato qualcuno così tanto come ho voluto lui. Nega l'evidenza, fa il duro pur di non dire la verità, ma sento che la richiesta che ha rivolto alla fontana di Trevi parlasse di me. Sapete? Ho scoperto che siamo dello stesso segno Zodiacale, e non lo considero un male. Entrambi tendiamo a nasconderci dietro una maschera, soltanto per celare il nostro essere sensibili ed emotivi...

 

Come al solito, gli accenni di fantasy non l'abbandonavano mai. Con quelle parole, stampate nella testa, Diana s'immaginò già quel diario completo e se ne compiacque: ce l'avrebbe fatta a creare una storia diversa dal solito, anche se la sua esperienza tra Sarnico e Roma stava avendo risvolti molto romance. 

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Capitolo 7
*** Diavolo di Chef ***


Fotooooo!!! Vogliamo vedere le foto!!!” Scrisse Jayne nella chat che lei, Valeria e Romina avevano creato all'insaputa di Diana per scriverle contemporaneamente, condividendo tutte e quattro assieme le ultime novità dall'amica.

Dai, Diana! Fatti vedere con lo Chef” seguì Valeria con una serie di cuoricini e cupidi. Ma l'ultimo messaggio, firmato da Romina, fu quello che in assoluto scosse di più Diana, quando lesse:

Vogliamo vedere a baciarvi con la lingua!!!”

Dopo quello, Jayne e Valeria scrissero una serie di “Ahahahahahah” che occupavano mezzo schermo della chat.

Diana, seduta al tavolo dell'osteria indiana, scosse il capo esasperata, gettando il cellulare nella borsa, ma la continua vibrazione dei messaggi giungeva insistentemente. Cercò di ignorarla fissando il quaderno degli appunti.

Russel si accomodò di fronte a lei, accorgendosi del suo atteggiamento goffo ed imbronciato e si sporse dal tavolo, studiando la sua espressione ridacchiando.

«Che succede, mia cara?».

«Non farci caso» sospirò, «Pensavo a cosa scrivere» sgranò gli occhi quando, dopo una prolungata pausa, la vibrazione tornò convulsa a spezzare la pace che pareva essere calata. Guardò Russel che alzò ironicamente un sopracciglio. «Ebbene, sono le mie amiche».

«Ah se?» La punzecchiò.

Irritandosi Diana riprese il telefonino e glielo porse. «Se non ci credi, guarda qua».

Lo Chef afferrò il cellulare e fece scorrere la chat, con espressione serena. All'improvviso si alzò, e continuando ad armeggiare col telefonino di Diana, le si avvicinò al fianco. Si accovacciò accanto e tese il braccio col cellulare sopra di loro.

«Di' “selfie”!».

Diana alzò la testa nel momento in cui il telefonino emetteva un sonoro “click”. Russel inviò la foto alle tre amiche e lasciò il cellulare sul tavolo, riprendendo posto di fronte a Diana.

Le risposte non tardarono ad arrivare, quando la vibrazione riprese a far sobbalzare il telefonino. Sorseggiando la birra, Diana lesse:

Oh mio Dio!!! Siete stupendi insieme!”.

Ma veramente, che bellissima coppia”.

Mlmlml alborella arrapata e pescetto depravato”.

Il solito ultimo messaggino, firmato Romina, per poco non fece le sputare la birra dal naso e maledisse di averle ingenuamente raccontato l'episodio delle alborelle.

Fulminò Russel: «Hai scatenato l'Inferno, Gabrio».

«E che diavolo de Chef sarei, se no?».

La cameriera servì il riso con Curry, sorridendo a Russel e sussurrandogli qualcosa all'orecchio, che Diana non riuscì capire, ma gli occhi scuri della donna la ammirarono lieta. In un episodio del programma di Gabrio, ricordò che lo Chef aveva sfidato i cuochi di quell'osteria e comprese il motivo di tanta confidenza.

«Che ti ha detto?» Domandò.

«Che so' proprio fortunato ad essere qui con te».

«Stai sviolinando?».

«No, me l'ha detto davvero, te sembro uno che scherza su certi argomenti?».

Con quello sguardo? Direi di no... «Ogni tanto scherzi» mentì per non darla vinta subito a Russel, «Però, su questo, non penso scherzi. Se' de classe».

«E te vojio davvero» accentuò il tono sull'ultima parola, prima di afferrare un pezzo di pollo al Curry ed addentarlo in modo provocante.

Sfuggendo il suo sguardo, Diana prese un pezzo di pollo ma non lo avvicinò alla bocca perchè l'appetito che aveva fino a poco prima si era annullato, dopo la frase di Russel.

Pur non guardandolo, sapeva che lo Chef la stava fissando. Abbandonò il pezzo di pollo e prese il quaderno, magari scrivendo si sarebbe sbloccata ed il nodo allo stomaco si sarebbe sciolto.

 

Gli basta una frase per mandarmi in tilt, un suo sguardo per smarrirmi. Oh, perchè mi fa questo? Che dolce tortura è la sua... Niente fame, niente sonno, soltanto... brama?

 

Strinse i denti, e chiudendo il quaderno gettò la penna sul tavolo, riprendendo il pezzo di pollo al Curry che iniziò letteralmente a divorare.

Si rese conto a quel punto che Russel era stato zitto e non aveva mai staccato gli occhi da lei.

«Eh mo?» Saltò su Diana.

«Mo se inizi a parla' romano stiamo freschi» rise assumendo quello sguardo magnetico, quello che Diana, era certa, avevano visto in pochi. Continuò stuzzicandola: «Dolce tortura, eh? Te questa la chiami dolce tortura?».

Diana perse un battito.

«In che altro modo dovrei chiamarla? Non è solo una collaborazione lavorativa questa».

Russel si mise composto sulla sedia, le spalle dritte, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni e quella sua espressione dannatamente invitante inchiodata sulla faccia.

«Da parte mia no» ammise.

La gola si chiuse a Diana ancora di più. Bevve per mandar giù il blocco, fissando la candela che ardeva in mezzo a loro.

«Pure per me» confidò sbirciandolo, rasserenandosi vedendolo sorridere. «Strano che per essere un personaggio della tv non ti chiami mai nessuno al cellulare» sviò.

«Spento» dichiarò mostrandolo a Diana, che rimase con la bottiglia di birra a mezz'aria. «Non voglio esser disturbato, al di fuori del lavoro. Per ora sono in vacanza».

In risposta, Diana afferrò il proprio telefonino che non smetteva di vibrare. Lo spense e lo abbandonò nella tasca nella giacchetta, dimenticandosene per prestare la totale attenzione a lui, che affermò:

«Potevi lasciarlo acceso, mica m'infastidiva».

«Infastidiva me» concluse Diana concentrandosi sul pollo al Curry. Cambiò argomento: «Non sei mai stato a Bergamo a fare sfide».

«Potrebbe esse' la mia prossima meta, ora che c'ho la mia guida personale».

«Chi? Io? Oh, non conosco molto la città. Ho viaggiato molto da piccola, però ho poca conoscenza dei luoghi».

«Quel che sai basterà» le fece l'occhiolino. A quel punto Diana si augurò davvero di poter aiutare il suo amato Chef, rendendosi utile in qualche modo.

 

Russel le propose di farle compagnia ad una convention che si sarebbe svolta il giorno seguente. Non era di più giorni come quella a Sarnico, ma la sua presenza era stata richiesta per quella serata.

Diana non se lo fece ripetere due volte, accettando quasi senza nemmeno fargli concludere la frase: partecipare ad eventi, di cui lui era protagonista, sarebbe stato uno dei modi migliori per proseguire con il libro-diario.

Stavano attraversando i corridoi dell'albergo, mentre parlavano di quell'evento. Era tarda serata, la hall era deserta, a parte il custode notturno che sonnecchiava ai divanetti ed ospiti stranieri, a cui piaceva fare le ore piccole, seduti al bar a bere e giocare a carte.

I corridoi deserti era un tantino inquietanti, nonostante le luci accese, ma i loro passi che riecheggiavano nel silenzio non erano rassicuranti, almeno per Diana, che saltò su a dire:

«A quest'ora, non fosse che siamo quasi in centro città, direi che sembra “Shining”».

Russel la guardò scioccato. «Ammazzate, oh! che paragone. Te leggi troppo, me sa».

«Però ti ho scioccato, ammettilo».

«Eh, te credo. Gli scrittori so' pericolosi».

Diana si fermò davanti alla porta della sua stanza scuotendo il capo mentre borbottava:

«Anche tu lo sei, visto che sei un “Ghostwriter”, ma soprattutto sei un cuoco che armeggia con aggeggi infernali: coltelli, forchettoni, mannaie, fuoco dei fornelli» elencò contando sulle dita.

Russel rimase fermo alle sue spalle a studiare le sue mosse, mentre infilava la chiave nella toppa, mormorando in un filo di voce:

«Aggeggi infernali» si avvicinò e la prese per la vita, tirandola vicina a sé, abbastanza da far aderire i corpi.

Diana si bloccò, serrando gli occhi, il respiro che le si smorzò in un istante. Il respiro di Russel sfiorò il suo collo, facendole accapponare la pelle, sulla quale sfregò la sua barba. In un sussurro al suo orecchio, le disse:

«Credevo d'esse un diavolo de Chef...».

«Mi hai già sfiorata» azzardò Diana.

«Me so' preso anche la tua anima, ma come la mettiamo se tu te prendi la mia?» La spinse dentro la camera, chiudendo la porta.

Diana riuscì a voltarsi e si lasciò trascinare dal suo bacio dal sapore piccante, ancora condito dal Curry, oltre che dal desiderio che trasudava.

«Io... ho preso... la tua?» Riuscì a chiedere tra un bacio e l'altro, un sospiro, uno sguardo.

«Quasi subito» specificò Russel abbassando la zip della gonna di Diana, chinandosi a farla scivolare lungo le sue gambe fino a terra. Sfiorò con baci leggeri la pelle delle sue gambe, dopo averle tolto gli anfibi ed averle sfilato i collant.

Lei dovette appoggiarsi alle sue spalle per rimanere in piedi. Russel si rialzò e la fissò, spostandole dietro l'orecchio la solita ciocca ribelle.

«Quale divinità dovrei ringrazia' per averte fatto entrare nella mia vita?».

Diana guardò dalla finestra della stanza, da cui vide la Luna. Sorrise rivolgendosi a lui, fingendo di rifletterci su, prima di dire:

«Quella col mio stesso nome dovrebbe andare».

«Me piace» mormorò provocante.

 

L'ho sognato tanto, ora lui è con me. Mi mostra ogni giorno qualcosa di nuovo, mi fa provare emozioni diverse, sempre, è come me: ama sfidare e scoprire. In fondo siamo entrambi legati a terre, dimore, tesori, ogni cosa nascosta ci appartiene, vogliamo scoprirla. Siamo morte e fine di tutte le cose da cui sgorga una rinascita...”.

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Capitolo 8
*** Gossip, il nemico ***


Roma, città eterna, colma di segreti, misteri. In un luogo simile le sorprese potevano trovarsi dietro ogni angolo, anche se Diana non avrebbe mai creduto in una sorpresa come quella di quel giorno.

Dopo aver placato l'interrogatorio di Jayne e Valeria e le stuzzicanti affermazioni di Romina, durante la colazione, aveva raggiunto Russel nella hall ed insieme si erano diretti al Vaticano.

Lungo le vie, Diana si rendeva conto degli sguardi furtivi ed incuriositi della gente. All'inizio, era convinta, fosse perchè riconoscevano lo Chef, ma osservando con più attenzione si rendeva conto che strani sguardi erano rivolti a lei.

Per quel motivo camminava un po' più indietro, rispetto a Russel, che ogni tanto si voltava e la scrutava perplesso, proseguendo solo quando lei si avvicinava. Ma appena riprendeva a camminare, Diana restava indietro ancora e studiava gli sguardi curiosi della gente, che la turbavano.

Di fronte al ponte dell'ingresso di Castel Sant'Angelo, Russel si voltò di scatto, talmente inaspettato, che Diana non ebbe tempo di fermarsi, finendogli addosso senza farlo barcollare.

«Che hai?» Domandò incrociando le braccia sul petto. Diana si guardò attorno confidando:

«La gente mi guarda strana».

Russel alzò un sopracciglio. Non potè negare che avesse ragione, ma con un'alzata di spalle disse:

«Sarà perchè ti vedono insieme a me».

Proseguirono, lasciando i confini del Vaticano, dopo esser stati alla Basilica di San Pietro. Passando davanti ad un'edicola Diana notò, nell'angolo dei giornali di gossip, un volto conosciuto. Troppo conosciuto, secondo lei, che si avvicinò e guardò.

Su quasi tutte le copertine c'era il suo volto con quello di Russel ed alcune miniature, che la ritraevano in compagnia dello Chef al ristorante indiano, la passeggiata alla fontana di Trevi,il lancio della moneta e... il bacio!

I titoli dei giornali citavano: “La nuova fiamma dello Chef”, “Russel con la misteriosa accompagnatrice”, “La fidanzata di Chef Russel?”.

Diana soffocò un'imprecazione con una mano sulla bocca, riuscendo a mormorare soltanto:

«I paparazzi...».

«Dia',che stai a fa'?».

Si voltò verso Russel con il giornale aperto sul titolo dell'articolo. L'espressione dello Chef si fece scocciata, quasi rabbiosa, mentre ringhiava:

«Ste fiji de 'na mignotta».

«Non ci tengo ad avere la fama venendo paparazzata, Gabrio. Non avrei neppure mai pensato che uno Chef potesse diventare oggetto di chiacchiere così diffuse».

Russel la osservò severo, notando un tono quasi accusatorio.

«No, famme capi', c'entro io? Quegli avvoltoi s'attaccano a tutto e tutti pe' fa' notizia».

«A Sarnico non è successo nulla».

«Sarnico è un paese tranquillo, alla convention c'erano solo giornalisti scelti, questa è Roma e, ahimè, a Roma c'è de tutto».

Diana scosse la testa superandolo, mormorando mentre gli passava davanti:

«Meglio se oggi tralasciamo di girare in città».

Lui la seguì sospirando. All'inizio non ci fece caso, ma poi si rese conto che camminava sempre più veloce, quasi a volerlo distanziare.

«Diana?» La chiamò senza ricevere risposta. «Aoh, Dia', rallenta».

Un brutto pensiero aveva iniziato a solleticarle la mente, ma stava facendo di tutto per non ascoltarlo, non voleva minimamente accettare l'idea che il loro rapporto potesse avere un secondo fine, forse solo lo scopo di far parlare di lui per diffondere la sua fama.

Chi poteva incolpare per questo, se non che sé stessa?

Era stata lei ad insistere per avvicinare lo Chef ed iniziare un rapporto di lavoro, però, allo stesso tempo, lui la stava forse illudendo.

L'aveva corteggiata... baciata... portata a letto...

Non avrebbe mai dovuto staccarsi dalla sua idea, la convinzione che un poco la salvava dall'onda travolgente delle emozioni: Russel era un uomo di spettacolo, lei una scrittrice emergente.

Perchè aveva cancellato quel pensiero?

Si sentì afferrare un braccio e spingere contro il muro da Russel, in quella galleria che stavano attraversando per tornare all'auto. Irritato disse:

«Mo te fermi!» La bloccò appoggiando le mani alla parete. «Che te pijia adesso? Perchè fai così?».

Diana lo occhieggiò scura in volto, rendendosi conto che tutto sarebbe stato più facile da accettare o rifiutare, se il loro rapporto si fosse limitato ad una collaborazione professionale.

L'evoluzione era stata inevitabile, almeno da parte sua, che capiva soltanto in quel momento di averlo amato dalla prima volta che aveva incontrato il suo volto su uno schermo televisivo. La differenza? Allora era amore platonico che non nuoceva poi molto, ma le emozioni si erano fatte serie.

«Diana, che cos'hai?» Insistette lui.

«Mi dai un bacio, Gabrio?».

Lo spiazzò con quella richiesta, lasciandolo impotente a fissarla stupito, non subito pronto a reagire. Di solito nulla aveva anticipato le loro effusioni, ogni volta era avvenuto tutto in modo spontaneo, naturale.

Perchè quella richiesta all'improvviso?

Non sapendoselo spiegare l'accontentò, chinandoso sulle sue labbra, baciandola in un modo che ritenne lui stesso strano, come due adolescenti che si incontravano di nascosto dai genitori.

Perchè? Si domando Russel. Perchè?

Lei sfiorò il suo volto con le mani, gli accarezzò la barba, i capelli corti, trattenendo a stento il bisogno di piangere. Gli aveva fatto quella richiesta perchè, se le cose avessero preso una piega sbagliata, il ricordo di quel bacio l'avrebbe accompagnata per sempre.

Quando Russel si separò, Diana lo abbracciò appoggiandosi con il capo al suo petto, cercando di nascondere gli occhi che le bruciavano.

Sempre più sorpreso, lo Chef l'accolse tra le braccia, accarezzandole i capelli.

«Me fai preoccupa'».

«Non devi» mentì Diana con il volto affondato nella t-shirt dello Chef.

Ma poi perchè definirla menzogna?

Non aveva davvero da preoccuparsi, magari lei stessa si stava facendo delle fisime assurde ed infondate per una sciocca notizia di gossip. Russel l'aveva detto: i paparazzi erano avvoltoi.

Lo guardò riuscendo ad accennare un sorriso teso, liberandosi dalla prigionia delle sue braccia e continuando verso la parte aperta della galleria. Russel non si mosse subito, guardandola taciturno ed un tantino turbato da quel suo modo strano di fare. Gli disse:

«Sai, Gabrio, credo di dover cominciare ad andare in hotel a prepararmi per la serata di stasera e tu per primo».

«Sì, hai ragione» ammise con poca convinzione, seguendola con le mani infilate nelle tasche. Tornarono all'auto e nel tragitto verso l'hotel si parlarono ben poco, a parte qualche convenevole. Sul punto di slacciare la cintura Diana disse:

«Vai pure, Gabrio, ci vediamo dopo».

«Ma Dia', non riesco a venire a prenderti,dopo».

«Prendo un taxi, lasciami l'indirizzo».

Russel lesse qualcosa di indecifrabile nello sguardo di Diana, mille e più pensieri le rodevano in testa. Recitava la parte tranquilla di qualcuno che stava serenamente in gita, ma in realtà non era così. Si augurò che la causa di quelle riflessioni soppresse non fosse proprio lui: dal momento che aveva notato i giornali di gossip, aveva cambiato umore. Maledisse mentalmente l'accaduto, mentre le dava un depliant dell'evento di quella sera con scritto orari e luogo dello svolgimento.

«Diana...» incalzò prendendola per una mano. Doveva dire qualcosa. Qualsiasi cosa che riuscisse a placare quella tempesta che stava arrivando a coprire il sole che splendeva tra loro. «Non ho mai vissuto così felicemente Roma come con te», poteva funzionare come giustificazione? Una sola frase avrebbe spazzato via quelle nubi? Lei sorrise.

«Sono felice» dichiarò lei scendendo dall'auto, senza nemmeno salutarlo con un bacio o un “a più tardi”. Russel rimase impietrito a guardarla entrare nell'albergo, stringendo rabbiosamente il volante.

«La cosa più bella che ho trovato mi sta scivolando via» mormorò tra sé e sé

 

Diana scoppiò in lacrime quando arrivò in camera e si gettò sul letto con la testa nascosta dalle braccia.

Lui sognava la libertà, ricordò di aver letto in una sua intervista. Lui sognava di viaggiare e scoprire nuovi luoghi, non dipendere per sempre dalla tv, ma nonostante il ricordo di quelle dichiarazioni, l'idea del fare notizia per attirare pubblico, come il veleno di una vipera già si era insinuato nelle sue vene e scorreva nel suo sangue, pronto ad ucciderla. Prese il quaderno che si bagnò di lacrime ma non diede peso al particolare. Scrisse:

 

Forse non sbaglio a pensare che i sogni illudano. Si chiamano sogni perchè tali devono rimanere, al diavolo chi dice di crederci perchè così si realizzeranno. Ho sognato Rubio, ho vissuto il mio sogno con lui, ma prima o poi doveva finire, come quando si dice che la speranza è l'ultima a morire: io speravo di incontrarlo, senza pensare ad una simile evoluzione. La mia speranza non era neppure mai nata e se solo mi ha sfiorata, l'ho lasciata tra le pagine di questo libro che temo resterà incompleto”.

 

Lo chiuse e si lasciò andare sotto la doccia, cercando conforto nell'acqua che le scorreva addosso, mirando fuori dalla finestra il pezzo di Colosseo che si notava a distanza.

Il cuore diceva che si sbagliava, ma troppo forte la ragione urlava, e quelle urla si tradussero attraverso la sua voce spezzata dal pianto:

«Non sarei mai dovuta venire a Roma».

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Capitolo 9
*** Veleno ***


Gonna a tubo nera, camicia rosa pallido con foulard a fantasie floreali e giacchetta di pelle, con tacchi e borsetta. Era troppo per quella serata? Occhiali, capelli raccolti e trucco leggero, troppo formale per una fiera culinaria?

Diana mirava a dare il meno possibile nell'occhio quella sera. Non aveva sentito nessuno per tutto il pomeriggio, il suo cellulare era rimasto silenzioso ma solo perchè non lo aveva ascoltato lei. Sul dekstop lampeggiavano molte notifiche, da parte delle amiche, ma non voleva perdersi in chiacchiere, aveva troppi pensieri confusi da riuscire a metterli in ordine.

Doveva chiamare un taxi, rivolgendosi alla reception, e smetterla di confrontarsi allo specchio con sé stessa, rimproverandosi ed odiandosi per aver creduto troppo ad un sogno da adolescente. Guardò il suo quaderno, posato sulla scrivania della camera, stranamente con distacco.

Uscì a testa bassa, prendendo l'ascensore, si appoggiò con le spalle alla parete e rimase pensierosa a fissare il pavimento, sul punto di prendere la drastica decisione di smettere di scrivere. Era certa avrebbe fatto danni e, forse, il danno più grosso, lo stava arrecando a sé stessa.

Continuamente si ripeteva che lei era solo una scrittrice da quattro soldi. Lui era famoso.

Le porte dell'ascensore si aprirono ed uscendo Diana fece in tempo ad alzare lo sguardo, vedendosi venire incontro Russel nella sua tenuta da Chef, che non appena le fu di fronte non le disse nemmeno “ciao”, ma dal suo sguardo, Diana riuscì soltanto ad immaginare la propria testa saltar via, in seguito ad un pugno tiratole da lui.

Ovviamente non le mise le mani addosso, ma Russel l'afferrò semplicemente per una mano, trascinandola con sé verso la macchina, parcheggiata fuori, ordinando:

«Annamo!».

«Ma... tu non dovevi essere già là?» Salì sull'auto, mettendosi composta ma irrigidendosi davanti allo sguardo truce con cui Russel la guardò.

Si tirò più verso la portiera, fissandolo ad occhi spalancati.

«Tu obbedisci sempre alle regole? Io no!» Ingranò la marcia e diede gas, facendo incollare Diana con la schiena al sedile. Si aggrappò alla portiera soffocando un'imprecazione. Stava guidando da scalmanato, come non lo aveva mai visto.

«Che ti prende, Gabrio?».

«Che te prende a te, no' a me, se' tu quella strana! Se' tu che stai a fa' la preziosa».

«Io non faccio la preziosa, come ti permetti?».

«Fai la preziosa! Hai visto quella notizia sui giornali e mo te sei fatta fredda».

«Non voglio essere oggetto di chiacchiere della gente, la fama me la voglio creare».

«Nessuno ha mai pensato questo de te, t'ho già detto che i paparazzi fanno il loro interesse» rallentò per fermarsi ad un semaforo rosso.

Diana fece per aprire la portiera e scendere ma Russel chiuse le serrature automatiche dal quadro comando sul volante.

«Sei un tamarro! Fammi scendere» Sbraitò lei.

«So' tamarro e so' fiero» ribattè.

Diana affondò con la schiena del sedile a braccia conserte ed espressione adirata, fissando fuori dal finestrino le vie che si susseguivano ad una velocità più moderata. Le acque avevano iniziato ad acquietarsi, ma tra lei e lo Chef era calato il silenzio e la tensione tardava ad allentarsi.

Diana occhieggiò di nuovo Russel che fissava la strada, facendosi coraggio con un sospirò. Ammise:

«Non voglio venire con te alla convention».

«Troppo tardi, ce stiamo andando, ho fatto le corse pe' veni' a prenderti e so' già in ritardo».

«Non eri obbligato, avrei preso un taxi».

«Ma se hai appena detto che non vuoi venire».

Diana si morse la lingua, accorgendosi di essere caduta in controsenso da sola, e Russel l'aveva messa con le spalle al muro. Si fissò le unghie mentre pensava a quel fatto: stava ritardando per lei, in fondo. Ascoltare il cuore, che non faceva altro che dire che sbagliava a fissarsi su qualcosa che non sapeva effettivamente, non era un errore magari.

«Scusa per averti dato del tamarro».

Russel le prese una mano, incrociando le dita alle sue. In un filo di voce ammise:

«So' io che a volte nun te capisco, quindi scusami tu».

Sarebbe stato meglio parlagliene, ma tacere le avrebbe evitato discussioni di troppo che preferiva non avere con Russel. Mentì:

«Non puoi pretendere di capire una donna in crisi pre-mestruale».

Lui la guardò alzando un sopracciglio: «Questa cosa me sa tanto de giustificazione improvvisata».

Diana rise e si disse di non pensare più a nulla ma di vivere il momento presente.

 

«Oh, Gabrio, finalmente! Ti ho coperto le spalle» esclamò una donna dai capelli neri, con una cartellina tra le braccia, quando li vide arrivare.

«Grazie, Benede', t'affido la mia ospite».

«Vai tranquillo».

Russel mirò Diana e le sorrise, dandole una carezza sul viso. Disse: «Sei in buone mani», prima di allontanarsi per raggiungere il resto dei partecipanti. Lei rimase a guardarlo allontanarsi e non riuscì a trattenere un sospiro.

«Ahhh, l'amore» commentò la donna avvicinandosi a Diana, che arrossendo le sorrise. «Benedetta Cabello, sono la sua manager» annunciò stringendole la mano.

«Piacere, Diana».

«So chi sei, Diana Tosi: l'autrice di fantasy che ha deciso di scrivere la storia di Chef Russel».

«Sì, mi sta uscendo un diario in terza persona».

«Ho avuto modo di leggere qualcosa di tuo, Gabrio quando è tornato ha subito scaricato i tuoi libri, non te l'ha detto?».

«Subito?» Ripetè abbassando la testa.

«Hai un bel modo di scrivere, persino le parti drammatiche dei tuoi libri risultano quasi delicate. Che scuole hai frequentato?».

«Professionale, istituto turistico».

«Un indirizzo totalmente diverso, brava, hai una dote artistica, da quanto scrivi?».

«Da tutta la vita» ammise riuscendo a sorridere. «Ma nell'editoria sono entrata solo da alcuni anni».

Camminarono insieme lungo un corridoio che raggiungeva il salone principale, dove si svolgeva la convention, una villa aperta al pubblico per eventi.

Diana riconobbe i cuochi Berberi e Bistefan, conduttori della “Gara degli Chefs Amatoriali”, con Crocchio e Cannavaro. Notò anche Chef Corona, che già aveva visto a Sarnico, e Chef River, conduttore di di “Cucine da Paura” dell'edizione inglese. Formavano, come di consueto, l'immacolato corpo militare da cucina in bianco. A parte Russel. Il nero della sua divisa da cuoco di strada, lo distingueva dagli altri.

L'atteggiamento da duro, il sorriso appena accennato, i tatuaggi sulle braccia messi ben in mostra. Era come se Diana riuscisse a vedere la sua aura, denotandola diversa dalle altre. I loro sguardi s'incrociarono, ne fu più che certa.

Una scossa la fece vibrare, trapassandola dalla testa in giù per poi rimbalzare e tornare su.

«Lo guardi con devozione» osservò Benedetta distraendola dalle sue sensazioni.«Meglio dire che lo guardi con gli occhi di una vera innamorata».

«I paparazzi ci hanno messo sui giornali».

«Ho visto, i soliti accattoni di notizie».

«Tipico di lui» affermò una terza voce femminile che giunse dalle loro spalle.

Con uno spacco vertiginoso ed una scollatura altrettanto mozzafiato, Tamara Novali, giovane presentatrice di un programma televisivo di sport, si fermò accanto a Diana e Benedetta con le braccia incrociate sul petto, girando tra le dita una ciocca dei suoi capelli ossigenati

«Tamara, che piacere» esclamò ironicamente Benedetta. A Diana il cuore si bloccò, vedendo quella donna: da qualche parte aveva letto che lei e Russel avevano avuto una relazione, finita un po' burrascosamente. Strinse i pugni, mordendosi l'interno della guancia.

Ha il dente avvelenato, dirà sicuramente cattiverie, non ascoltarla! Strillò il cuore di Diana.

«Vi ascoltavo, Benedetta, ed ho letto anch'io le notizie di gossip: lo sai anche tu com'è fatto Gabrio, come quando scrive i Tweet su internet, ha sempre fatto di tutto per attirare l'attenzione pubblica».

«Ti sbagli, carina, e Diana te lo può confermare, vero?» Benedetta la guardò, «Esprime semplicemente pareri».

Diana annuì lievemente, con la voce bloccata da un nodo che sarebbe diventato un grido se l'avesse abbandonato. Tamara si rivolse a Diana sorridendo, uno sguardo che pareva amichevole, ma il veleno di quella vipera era pronto ad entrare in circolo.

«Ha abbindolato anche te? Poverina, quell'uomo non fa altro che distruggere le donne: le usa, per far parlare di sé per un po', poi quando è stanco...».

«Non l'ascoltare, io conosco Gabrio, meglio di lei, non è così» la interruppe Benedetta.

Diana iniziò ad avere la vista offuscata dalle lacrime e l'udito si stava ovattando sempre di più.

«Be', facile per lui, che ha la sua portavoce a difenderlo, passare per il santo che non è. Quante volte siete andati a letto per ottenere la sua fiducia?».

«Adesso basta, Tamara, stai esagerando!» Strillò Benedetta sul punto di afferrarla e scaraventarla contro il muro con uno spintone.

Il suo grido attirò l'attenzione di alcuni partecipanti alla convention. Berberi, in piedi accanto a Russel, disse:

«Non è la tua manager quella? Con la tua ex...».

Lui guardò, in tempo per vedere Benedetta dare uno spintone a Tamara, ma ancora peggio vide Diana scappar via dal salone centrale.

Perse un battito a quella vista, ed istintivamente si allontanò dalla sua postazione. All'inizio si concentrò solo su Benedetta, che chiamava Diana, cercando di fermarla. Le chiese:

«Che succede?». Gli bastò uno sguardo contrariato della manager per capire che Tamara, come spesso adorava fare, aveva detto cose sbagliate sul suo conto per rovinargli la reputazione. A quel punto attraversò di corsa il corridoio per raggiungere Diana, che vide salire su un taxi.

«diana!» Urlò concentrato per raggiungere il taxi ma un gruppo di reporter lo fermò per fargli un'intervista. Vide Diana, dietro al finestrino del taxi, voltare lo sguardo verso di lui, con le lacrime che le scorrevano sulle guance. Si liberò dalla morsa dei giornalisti quando il taxi si era già messo in moto, cercando di seguirlo di corsa.

«diana!» Chiamò ancora senza successo: il taxi continuò la sua corsa e l'ultima cosa che Gabrio riuscì a vedere furono i fari posteriori dell'auto che si allontanavano. Benedetta lo raggiunse.

«Mi dispiace, Gabrio» mormorò.

«Annulla i miei impegni» si limitò a rispondere.

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Capitolo 10
*** Un amaro ritorno ***


Sto tornando a casa” scrisse Diana nella chat in comune con le amiche mentre attendeva la “Freccia Rossa” per Milano.

Di già?” Rispose Romina stupita.

Come mai?” Domandò Valeria.

Non sarà successo qualcosa” Chiese Jayne.

Vi spiegherò quando arrivo a casa. All'una sarò a Rovato, venite a prendermi?” Terminò la discussione Diana, ricevendo l'ok da Jayne e Valeria. Romina scrisse ancora:

Oh, sis... ”.

Accomodata sul sedile del treno, Diana mirò la splendida Roma allontanarsi, soffocando i singhiozzi con la mano, per non attirare troppo l'attenzione di altri passeggeri.

 

Russel entrò nella hall del Black and White Palace, accolto dallo sguardo stupito del padrone dell'albergo e la receptioniste lì seduta.

Si avvicinò trafelato, con gli occhi arrossati dal sonno ed il fiatone per la corsa.

«Russel, tutto bene?» Si allarmò il padrone dell'albergo.

«Diana Tosi» si limitò a dire lui.

«Ha fatto il check-out un'ora fa» lo avvertì la ragazza seduta al computer. Frugò in un cassetto aggiungendo: «Ha detto di lasciarti questo».

Russel sentì il respiro smorzarsi, quando riconobbe il blocco appunti di Diana. Lo aprì sulla pagina indicata da un pezzo di foglio strappato, inserito come segnalibro, e lesse:

 

Sognare è stato bello. Vivere questo sogno è stato anche meglio. Ma tutte le cose belle nascondono sempre un lato d'ombra e tutti i bei sogni hanno una fine, che purtroppo va accettata”.

 

Russel alzò lo sguardo verso i due del personale dell'hotel, senza riuscire a vederli davvero. In un filo di voce chiese:

«Sapete dov'è andata?».

Il padrone scosse il capo e la receptioniste affermò: «Ha lasciato l'albergo con la valigia chiudendo la prenotazione in anticipo. Non lo sapevi?».

«No» uscì con la mente assente, svuotata di ogni possibile ipotesi, ogni pensiero, sedendosi pesantemente in auto. Prese il telefono e cercò di chiamarla, ma la severa voce elettronica della segreteria, gli riferì che il numero chiamato non era raggiungibile. Spento, o peggio era stata attivata la deviazione di chiamata.

Chiamò Benedetta, che preoccupata rispose, ancora mortificata per l'accaduto della sera prima. Quella menzogna, inventata da Tamara, era stata un vero e proprio colpo basso.

Russel sapeva ben difendersi da accuse e diffamazioni, ma odiava quando a venir ingiuriate erano le persone a cui voleva bene, come Benedetta che sentiva come una sorella, ma nulla più, ed addirittura le persone che amava, come Diana.

«Benede', senti, fa sapere che io per un po' non sarò reperibile, ho una cosa importante da fare e devo lasciare Roma per un po'».

«Lasciare Roma? E dove te ne vai?».

«Nun te preoccupa', sore', fidati di Russel».

Benedetta ridacchiò. «L'amore, Gabrio».

Lo Chef riflettè, rendendosi conto di non aver mai dato veramente abbastanza peso alle relazioni di coppia, prima di incontrare Diana.

Era stato un uomo dai buoni propositi con tutti, in ogni cosa che faceva, ma aveva sempre sognato di viaggiare, evadere solo. Ma ora c'era Diana che voleva accanto a sé...

Per sempre!

Sorrise: «L'amore, Benede', esattamente l'amore».

Di che cosa aveva bisogno? Nulla, soltanto un paio di cose personali, la prenotazione di un pernottamento ed il pieno nel serbatoio dell'auto.

 

Diana scese dal treno, tuffandosi nel caos della stazione centrale di Milano, vagò alla ricerca del binario del regionale per Rovato. Il viaggio era parso nullo dai territori laziali, fino alla Lombardia. Aveva pianto così tanto da essersi pure addormentata.

Come lo spezzarsi di un incantesimo di mezzanotte, il suo sogno si era infranto e si era risvegliata lì, nelle sue terre lombarde.

Ebbe appena il tempo di prendere un caffè ad uno dei bar della stazione, prima di correre al binario e raggiungere Rovato. Quando scese, Jayne e Valeria erano sulla banchina ad attenderla.

«Diana!» La chiamò Jayne adombrandosi davanti a quel volto segnato dall'eye liner colato dai suoi occhi. «Che cosa è successo?».

Diana scosse il capo con il mento che tremava a furia di trattenere il pianto.

«Hai litigato con Russel?» S'informò Valeria.

Diana non ce la fece più e scoppiò in lacrime, cadendo in ginocchio nel bel mezzo della stazione.

«Smetto di scrivere!» Singhiozzò, «Non voglio più saperne nulla di libri e cuochi!».

Le amiche, spiazzate da quella dichiarazione, l'abbracciarono senza più riuscire ad aggiungere altro. Diana si lasciò cullare da loro, dal loro abbraccio, il calore che conosceva così bene, dove si sentiva a casa.

Era stata una sciocca a pensare che Russel e lei avrebbero potuto condividere uno spazio insieme tra i loro due mondi.

Arti sì, lo erano, simili, caratterizzate dalla creatività, con l'obbiettivo di cambiare le cose. Ma lei era diversa da lui, erano entrambi troppo diversi per condividere la vita.

Diana aveva spazi senza confini da dedicare a qualcuno che la volesse amare davvero, perchè della sua vita non le restava altro, se non che trovare il suo scopo e qualcuno a cui donare quegli interi spazi che nessuno era mai riuscito a colmare, capire e rispettare.

Forse nessuno era mai riuscito a capire lei. Forse lei non si era mai lasciata capire davvero. Forse... tutto era un forse. Ma non c'era una sola certezza.

 

«E così te ne sei andata?» Romina guardava Diana dalla webcam che ancora piangeva e non sapeva darsi una spiegazione plausibile a tutto ciò che aveva fatto.

«Devo smettere di credere alle favole».

«Ma tu sei una scrittrice» obbiettò Romina.

«Non più, smetto di scrivere».

«E il libro di Russel?».

«L'ho lasciato a Roma, non concluso».

Romina si massaggiò la fronte scioccata. Ma riflettè, allo stesso tempo. Chinandosi più vicino al quadro dell'immagine disse:

«La colpa è di quella Tamara perchè, credi al mio sesto senso, sai che non sbaglia mai».

«La colpa è solo mia che mi sono illusa».

«Non è così, sento che Russel ti ama davvero e quel che ha detto quella donna non è altro che una bugia. Potresti aver frainteso qualcosa, sis».

«Non posso appartenergli» mormorò Diana.

«Ma lui ti vuole, ne sono certa».

«Romy... è meglio così» la interruppe Diana. «Meglio che sia finita in un giorno piuttosto che aver vissuto tutta la vita insieme, senza conoscerci e capirci, cercando, magari, di far combaciare due esistenze agli antipodi. Lo sognavo, ma come sempre non mi smentisco: i sogni illudono!»

Si pentì di quel tono scontroso quando si accorse dell'espressione raggelata di Romina che chiuse un pugno davanti alla bocca ed abbassò gli occhi, ammettendo in un mormorio:

«Scusami sis, non volevo farti arrabbiare» la salutò, chiudendo la chiamata, senza il solito calore che metteva in ogni chiacchierata con lei.

Diana controllò i report delle vendite dei suoi libri: erano buone, come sempre, ma la faccenda non la entusiasmava più così tanto.

Uscì sul terrazzo della sua stanza e mirò la tranquilla Sarnico, così piccola e diversa da Roma, ma non le dispiaceva: quella quiete faceva invidia a qualsiasi grande città, anche se non c'erano grandi anfiteatri, fontane meravigliose, basiliche mozzafiato e Chef che l'avessero fatta innamorare, insegnandole cose che nemmeno lei, scrittrice, aveva immaginato, facendole affrontare le sue paure, facendole provare nuove esperienze culinarie e nuove emozioni sulla pelle.

Cosa le era passato per la testa?

Io non sono nessuno... Pensò col cuore a pezzi. «Nessuno, lui è troppo!» Disse senza piangere, avendo consumato troppe lacrime e perchè il suo cellulare vibrò: il nome di Jayne, che lampeggiava sul display, la rasserenò facendole comparire un lieve sorriso.

«Ciao, Diana, tutto apposto?».

«Domanda di riserva?» Replicò con tono piatto, distendendosi sul letto col cellulare sull'orecchio. Jayne si schiarì la voce.

«Che ne pensi di farci una serata con Valeria, tipo pizza e passeggiatina sul Lungolago?».

«Quando?».

«Stasera! C'è l'offerta pizza, bibita e caffè a dieci euro in centro».

«Con tuo marito come fai?».

«Che male c'è? Mi prendo una serata».

A Diana parve di vederla ammiccare. Conosceva le sue amiche e sapeva che lei e Valeria si erano messe d'accordo già prima per farle compagnia e di certo Jayne aveva insistito e discusso con suo marito per organizzare quella serata.

Non aveva molta voglia, ma rifiutare l'avrebbe fatta passare per egoista, dopo che le due ragazze si erano organizzate per rasserenarla un po'.

Aveva davvero due amiche d'oro e la terza, che sfortunatamente incontrava solo virtualmente, meritava davvero delle grosse scuse per l'atteggiamento avuto nei suoi confronti.

«Va bene, Jayne, a che ora ci troviamo e dove?».

«Sette e mezza davanti al “Chiosco”, non serve che ti dica di essere puntuale, giusto?».

«Va bene, stela, ci vediamo più tardi».

Se avesse dato retta alla voglia, Diana non si sarebbe mossa dal letto, ma ascoltò il buon senso.

Mentre si lavava pregò che il getto della doccia le ripulisse via tutto quel che aveva accumulato addosso: amore, rabbia, rimpianti, odio per sé stessa. Sicuramente non poteva pretendere che, da un giorno con l'altro, tutto ciò che c'era stato venisse ripulito come la schiuma da un lavandino, con un colpo di spugna, ma distrarsi era un buon modo per non pensare, almeno quelle due o tre ore che sarebbe restata con Jayne e Valeria.

Non aveva voglia di uscire, ma ancora di più, non aveva voglia di soffrire.

Minigonna di jeans, anfibi e maglietta scollata nera con la giacca di pelle andava più che bene. Poteva permettersi di evitare i collant, quella sera: non faceva freddo, ma si dovette depilare per bene le gambe.

Capelli sciolti e trucco egiziano, lenti a contatto che si era presa l'abitudine di portare, due spruzzi di profumo sulle carotidi e poteva dirsi pronta.

Sua madre la guardò severa. Non aveva raccontato nulla dei fatti a Roma, ma da subito la donna si era accorta degli occhi tristi della figlia.

Diana ricambiò il suo sguardo e chiese:

«Che c'è?».

«Il tuo ritorno è stato un po' troppo repentino»

«Gabrio ha avuto troppo lavoro, troppe proposte ed io ero d'impiccio» mentì ma non riuscì a fregare la mamma, che sconsolata, mentre finiva di preparare la cena per lei ed il marito, ammise:

«Non mi piace vederti star male, tesoro».

Diana fu costretta a salutare velocemente sua madre per evitare di mettersi a piangere davanti a lei. Qualcuno che la capiva veramente c'era, peccato che fosse sua madre.

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Capitolo 11
*** Magia di una notte ***


«Pizza con patatine!» Squittì Valeria da dietro il menu «Era da tanto che avevo voglia di mangiarla. E doppia mozzarella».
«Che cavolo, sono indecisa su quella o gli asparagi...Anzi, farò calzone al prosciutto» mormorò Jayne.
«Hai preso tutta un'altra via» la derise Valeria, prima di rivolgersi a Diana. «Come la prendi?».
«Non ho molto appetito, prenderò una farcita. Uhm, da bere facciamo Coca cola?».
«E un'acqua per il dopo caffè» puntualizzò Jayne reclamando il cameriere. 
Diana si era augurata di trovare distrazione, ma stare in una semplice pizzeria, tra il profumo di pasta, patatine fritte e vedere boccali di birra, firmati “Peroni”, non l'aiutavano granchè. Parlò, rise, si dedicò alla pizza, il caffè e le sue amiche furono davvero carine a non far parola sulla sua situazione, limitandosi a discutere di lavoro o commentare alcuni strambi clienti.
«Facciamo un bel giro sul Lungolago, dopo cena, eh?» Domandò Valeria. «Smaltiamo la pizza, camminare fa bene».
«Due passi ci faranno bene» puntualizzò Diana sbirciando Jayne, già scocciata all'idea di dover camminare.
«Sappiate che ho i tacchi».
«Ma su, non facciamo la maratona» specificò Valeria. «Guarda che bella serata, potremo fermarci a bere un drink anche in riva al lago».
Diana avrebbe preferito tornare a casa presto, ma non sarebbe stato corretto prendere ed andarsene senza giustificazioni fondate. In fondo non stava nemmeno facendo grandi sforzi a distrarsi, grazie a loro. Nel frattempo mandò un messaggio a Romina, che vide online sulla chat mobile. Scrisse: “Scusa se ti ho risposto male”.
Passarono pochi istanti prima che arrivasse la risposta:
“Tranquilla, sis, ho esagerato io”.
“Sono in giro con le amiche” giustificò Diana l'assenza dal computer.
“Brava, cerca di divertirti ”.
Ci stava riuscendo a divertirsi, anche se un peso doloroso, di tanto in tanto, tornava a bussarle al cuore.

La serata era calda, l'aria primaverile muoveva leggermente le foglie delle piante. Nella zona del residenze in riva al lago, si sentiva profumo di gelsomini, anche se c'erano solo cespugli di edera e tassodi sulla riva. 
L'erba appena tagliata odorava di fresco.
Valeria era quella che camminava davanti, saltellante ed allegra, in tutta la comodità delle sue scarpe da tennis bianche, leggere e pratiche. 
Diana, fortunatamente armata di anfibi, sosteneva Jayne che iniziava a risentirne dei tacchi, probabilmente le erano anche cresciute delle vesciche. Pregò Valeria di fermarsi, mentre si sedeva su una panca di pietra. La stessa, si accorse Diana, dove si era fermata con Russel.
Possibile che tutto glielo ricordasse?
Si sedette con Jayne, ignorando il ricordo dello Chef che era riuscita a tenere distante per tutta sera. Il groppo alla gola stava tornando ma non voleva rovinarsi la serata. Bastava già la povera Jayne che si malediva di non aver indossato qualcosa di più comodo, rovinandosi la serata per uno sfizio femminile.
«D'ora in poi li tengo solo per matrimoni» dichiarò abbandonandosi contro lo schienale della panchina. Valeria, che restava in piedi davanti a lei e Diana, chiese scusa per aver insistito a voler camminare tanto.
«Per fortuna non abiti lontano da qui, anche se dovrai patire parecchio per arrivare a casa».
«Tolgo le scarpe e vado scalza».
«Con il rischio di tagliarti i piedi, farti male, beccarti qualche siringa infetta».
«Senti Vale, dacci un taglio» la stoppò Jayne.
Diana a quel punto, si alzò in piedi e studiò le sue amiche: era fisicamente la più robusta del trio e Jayne la più magra.
«Ti porto in spalle» affermò.
«Non puoi farcela, ti verrà un infarto» contestò Jayne. Diana rispose con un gesto di scongiuro, rivolgendosi a Valeria.
«Prendile le scarpe tu» ordinò, accorgendosi che l'amica non la stava ascoltando e fissava in tutt'altra direzione. «Valeria, mi hai sentita?».
Senza guardarla disse: «Ma quello è lo Chef».
Jayne spalancò gli occhi stupita, quando rivolse l'attenzione al punto che guardava Valeria. 
Quando anche Diana guardò da quella parte, vedendo Russel avvicinarsi con fare adirato, il suo primo istinto fu di darsela a gambe levate, sicura che ne avrebbe prese di santa ragione, ma fu più forte l'istinto che seguì dopo: rimanere imbambolata sul posto.
«Diana!» Ruggì lo Chef.
Afferrò Valeria e la trascinò davanti a sé, usandola come uno scudo, ignorando che l'amica fosse più bassa di lei e, di fronte a Russel, si sentì un microbo.
«Io sono piccola» mormorò.
«Che cosa ci fai qui?» Chiese Diana nel panico.
«M'hai messo la deviazione de chiamata!».
«Io... be', non sapevo che altro fare».
Si chinò più vicino a Diana. 
La malcapitata Valeria tra di loro, tacque ad occhi spalancati, occhieggiando Jayne che era impallidita, tirandosi le gambe al petto.
«Me dovevi ascolta'! Che sei andata a pensa'? A dare retta a Tamara invece che a me?».
«È la tua ex, ti conosce meglio di me» azzardò lei, scatenando la furia dello Chef che si avvicinò ancora di più, schiacciando Valeria tra lui e Diana.
«Non lo tocco, non lo tocco, tengo le mani a posto, mi vedi Diana?» Starnazzò Valeria, ignorata sia da Russel che da Diana.
«Pensavo che fossi a conoscenza degli svariati conflitti che ho in giro, anche con Tamara» la contrariò Russel.
«Be'... io...» Diana lo sapeva e l'istinto aveva sempre graffiato la sua mente ricordandoglielo, ma fino in fondo non lo aveva mai ascoltato.
«E pe' la cronaca, Benedetta è sposata».
«Sposata?» Balbettò Diana non sapendo più che cosa dire, neppure che cosa pensare. Una sola idea le sfiorò il cervello, ma non si espresse. 
Jayne tradusse a parole lo sguardo scioccato dell'amica:
«Figura di merda, eh?».
«Scusate! Io sono qui in mezzo» intervenne di nuovo Valeria pressata a sandwich, con la faccia contro il petto dello Chef e la schiena trattenuta da Diana. Russel indietreggiò un passò schiarendo le voce:
«Ehm, scusa Vale'».
Cadde il silenzio, mentre lo Chef fissava a braccia conserte Diana, che abbassò la testa mortificata: aveva fatto davvero una figuraccia, lasciandosi guidare erroneamente dalla sua ragione contorta dalla poca stima per sé stessa, senza aver analizzato le situazioni modo giusto. 
Se avesse potuto, in quel momento, si sarebbe messa in ginocchio davanti a Benedetta a chiedere scusa ed avrebbe preso a pugni Tamara. La cosa migliore sarebbe stata scavare una buca di dieci metri in cui saltar dentro e sparire.
«Gabrio...» mormorò senza riuscire a proseguire. Lui alzò un sopracciglio, scuotendo il capo. Si rivolse alle due amiche, notando Jayne che massaggiava i piedi e le vesciche.
«Nun riesci a cammina'?».
«Non proprio».
«Abiti lontano?».
«Dietro il residence».
Russel la prese in braccio, facendole sgranare gli occhi, aggrappandosi alle sue spalle. Disse:
«Te porto io».
Valeria sorrise e scrutò Diana che si era fatta scura in volto. Le posò una mano sul braccio e la scosse, facendole cenno di seguire lo Chef che reggeva Jayne tra le braccia. 
Diana annuì con un sospiro.
Lungo il breve tragitto, dal lungolago alla casa di Jayne, nessuno dei quattro parlò. Le due ragazze osservavano semplicemente Diana che camminava dietro Russel, senza fare commenti.
«Vivo qui» ruppe il silenzio Jayne.
«T'è piaciuto il giretto?» Ironizzò lui posandola a terra. 
«Molto» ridacchiò imbarazzata. Guardò Diana e Valeria salutandole, facendo cenno di sentirsi il giorno seguente. 
«Vado anch'io, buona serata ad entrambi» salutò Valeria balzando in auto e lanciando una strizzata con l'occhio a Diana, mentre passava davanti con la macchina.
Quel silenzio imbarazzante tra loro non era dei migliori per la salute psichica della ragazza, che temeva all'idea di alzare la testa per rivolgersi allo Chef. Di una cosa era più che certa: l'aveva combinata grossa!
«Dia'...» la chiamò Russel. 
«Possiamo fare due passi, per favore?» Mormorò in un filo di voce. Gabrio accettò con un'alzata di spalle, seguendola. 
Mentre camminavano lungo la strada che risaliva davanti alla villa in stile Liberty e proseguiva sempre più avanti, nella zona meno vivace del paese, Diana non alzò mai lo sguardo dai suoi passi. 
Lo Chef non diceva nulla, limitandosi a camminarle a fianco con le mani infilate nelle tasche pantaloni, iniziando poi a fischiettare.
«Ti chiedo scusa» riuscì a dire Diana che si mise a contemplare il lago all'ombra di un maestoso albero semi-sempreverde, quando arrivarono ad uno dei lidi in riva al lago. «Ricordi quando hai detto che non mi capisci? Be', se c'è qualcuno qui che non ha capito nulla, quella sono io».
Russel che le aveva dato le spalle fino ad allora, si voltò. Diana lo guardò con gli occhi che si stavano riempiendo di lacrime. Si morse il labbro inferiore e continuò:
«Già mi hai detto che la mia fama non ti importa e forse non l'ho capita questa cosa. Sapere che sei un uomo di spettacolo ed io “un niente”, mi ha convinta che volessi usarmi per dare, scandalo e far parlare di te».
Russel le si avvicinò, stando sempre zitto.
«Ma ho letto ed ho sempre saputo che persona sei, so che sei umile nonostante la fama, e non sei il coatto che vuoi far credere, scrivi anche tu. Il problema non sei tu, ma io. Troppo spesso tendo a giudicare me stessa non abbastanza e questo influisce su tutta la mia vita. Sbaglio io ed allora giudico gli altri come carnefici».
Lo Chef la baciò senza preavviso, interrompendo il suo soliloquio. Quella volta Diana non riuscì a reagire.
«Vieni via con me» le sussurrò lasciandola di stucco a guardarlo con le labbra socchiuse. «Il mio vero sogno non era la tv, ma viaggiare, vede'l Mondo, libero da vincoli de ogni genere, chiacchiere, pettegolezzi. Sognavo de fa'l giro del Mondo. Lo volevo solo, ma ora esisti tu».
«Sbaglio o sei venuto a scusarti con me, anche se chi ha fatto danno sono stata io?».
«So' venuto pe' farte capire che la fama, la notorietà, la televisione possono anna' al diavolo. Ci sei tu nella mia vita, ora, la mia scrittrice».
«Gabrio...» singhiozzò Diana. Lui l'abbracciò.
«Annamo via insieme, giriamo il Mondo come due perfetti sconosciuti alla gente».
Diana annuì e Russel le porse il suo block notes che aveva tenuto in tasca da Roma fino a quel momento. La lasciò a bocca aperta:
«Il mio quaderno».
«L'ho letto» confidò Russel. «È bello, nun merita de resta' incompleto».
Diana sorrise guardando i suoi appunti, affermando: «È un diario... potrebbe diventare un diario di viaggio» pensò assumendo un tono solenne. «Titolo: “In viaggio con lo Chef”».
Russel annuì tra sé e sé, commentando: «C'hai la testa che nun smette mai de creare, te».
«Ops, non hai torto» riflettè. «Anche tu avrai qualcosa che non smetti mai di fare».
«Eh, certo, de magna'» esclamò sfiorando una gamba a Diana. La sua pelle si accapponò a quel leggero contatto e lui, occhieggiandola audacemente, sussurrò: «Gambe nude» la prese per le spalle con un braccio ed insieme si riavviarono verso il centro del paese, dove lo Chef aveva lasciato l'auto.

In centro a Sarnico c'erano due strutture ricettive: una era un albergo a tre stelle, abbastanza economico. L'altro era un bed&breakfast ancor più alla mano, usato soprattutto da giovani o turisti di passaggio. 
Diana sospettò, da quando Russel parlò della struttura ricettiva in centro, che si trattasse proprio di quello. Il motivo era semplice: si era lasciata ingannare ma aveva sempre saputo dell'umiltà che aveva sottovalutato. 
Scosse il capo tra sé e sé, ferma davanti alla porta della camera dov'era appena entrata con lo Chef. Aveva una strana sensazione che la attanagliava dentro, nel profondo, e forse avrebbe fatto meglio ad andarsene, non fosse che lo sguardo di Russel la inchiodasse alla porta pietrificandola.
Alzò gli occhi al cielo, serrando un pugno davanti alla bocca, mormorando: 
«Forse... dovrei andare».
Russel le si avvicinò in silenzio e passò una mano a coppa sulla sua gola, sfiorandole con un dito le labbra socchiuse, da dove il respiro aveva preso ad uscire affannato.
«Resta... ti prego» sussurrò.
Diana annuì. Russel appoggiò l'altro braccio alla porta, senza mai smettere di fissare gli occhi indaco di Diana. Le toccò la coscia nuda ed accarezzandola risalì lungo la gamba, fino ad afferrarle i cordini laterali degli slip, li fece scivolare lentamente a terra poi le sue carezze si spostarono all'interno coscia e salirono. 
Diana sussultò, coprendosi la bocca con le mani per soffocare il gemito che improvvisamente sorse dalla sua gola, respirando con il naso sempre più convulsamente ad ogni carezza. 
Il fiume tiepido che scivolava tra le sue gambe ed avvolgeva le dita di Gabrio, la faceva sentire in imbarazzo, ma il desiderio che traspariva dai suoi occhi le fece intendere che quella situazione gli piaceva quanto a lei, che si sentiva bramata veramente da qualcuno.
«Ga-abrio...».
Le fece cenno di tacere, spostandola dalla porta.
Si mosse alle sue spalle, sfilandole lentamente le giacca di pelle. Si chinò a baciarle il collo stringendola alla vita con le braccia. 
A Diana la testa iniziò a girare, come presa da uno stato di ebrezza che non faceva male, il desiderio di lui premeva contro le sue natiche.
Si sentiva imprigionata in una cella da cui non avrebbe mai più voluto evadere, una prigione speciale che, fino a poco prima, le aveva offerto la possibilità di scappare via da tutto, vivere un'esistenza diversa dal solito, all'insegna della libertà, senza più regole o restrizioni. 
Vedere il Mondo...
Diana sognava spesso il Mondo ed i luoghi più magici che esistevano sul pianeta. 
Diana avrebbe sempre voluto fuggire e scoprire, vedere cose che mai avrebbe sognato.
Così, come un miracolo o chissà quale magia, quale scelta dell'Universo, Russel era entrato nella sua vita e l'aveva amata. 
La stava amando, e le aveva messo sul piatto d'argento, servita come la portata migliore di alta cucina, la realizzazione del suo sogno. 
Il suo sogno era evadere con chi amava ed il suo sogno era li, vero e concreto che la stava possedendo come non era mai stata posseduta. 
Non era solo un'immaginazione: lo sentiva in lei, dolce e possente insieme, il suo calore che la colmava fin nel profondo, fino a quei confini che non erano mai stati esplorati sul serio.
Russel non aveva mai avuto paura a varcare certi limiti e non aveva avuto paura di rischiare. Era sempre stato convinto che l'amore non facesse per lui e che solo scappare da quel sentimento, ammirando le più sconfinate frontiere della Terra, avrebbe trovato la felicità. 
Dopo il successo in tv, avrebbe voluto andarsene lontano da tutti ma capiva di non essere più solo.
Diana, apparsa come un raggio di luna in una notte di tempesta, aveva dato un nuovo scopo alla sua esistenza. Il suo corpo era come una rara isola deserta ed il privilegio di esplorarla era fortunatamente spettato a lui.
Ricordò che, quando Benedetta gli aveva proposto di partecipare alla Convention all'hotel Rocca, aveva esitato ad accettare. Benedì l'insistenza della sua manager: era partito con il solo scopo di farsi conoscere di più, era tornato con uno scopo che rendesse più vera la sua vita.
Diana voltò la testa quando i movimenti di Russel divennero più selvaggi, soffocando i gemiti tra i lunghi capelli cenere della ragazza. Lei guardò lo zaino da cui spuntava il suo quaderno.
Scrittura e cucina... 
Riuscì a pensare in quell'istante di estasi. Che cosa poteva succedere se ad essi si abbracciavano anche i viaggi, legati tra loro da amore e passione che s'infiammavano, come stava accadendo in quel momento tanto passionale ed erotico da far temere a Diana di prendere fuoco. 
Ma di quelle fiamme non si curava, non temeva di ustionarsi, al contrario: voleva che il fuoco di quella frenesia la consumasse, prosciugandola fino all'ultima goccia di sangue. Era un bel modo di perdere la testa quello. Gli occhi di Russel erano le insidiose tenebre più belle in cui smarrirsi.

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Capitolo 12
*** Dove nessuno sa ***


Si erano entrambi scordati del tempo che scorreva, non sapevano neppure che ore fossero.

Bastava rimanere insieme.

Russel si rese conto di essersi addormentato, solo quando sentì un movimento accanto a lui, la rete del letto che scricchiolò non appena Diana, dopo essersi alzata, tornò seduta vicino a lui, con le gambe incrociate ed il suo block notes in grembo.

Russel sentì la penna che tracciava sul foglio delle parole, prima di sbirciarla, intenta a pensare alle parole. Si appoggiò ai gomiti, inclinando il capo.

«Scusa, me sono addormentato».

Diana lo guardò da sopra le spalle e sorrise. «Oh, tranquillo, hai dormito solo dieci minuti».

«Che fai?» Le domandò indicando il quaderno col mento. «Ti è venuta altra ispirazione?».

Arrossì. «A dire il vero ho scritto una poesia».

«Ah, anche tu poeta? Come me?».

«Le ho lette su internet le tue» ridacchiò porgendogli il block notes, con l'espressione imbarazzata ed il rossore sulle guance. Disse: «Tu sei forse più esperto di me. Ti va di leggerla? Ti avverto che sono un po' decadentista come poeta, da romanziera un po' meno».

Russel sorrise prendendo il quaderno e lesse con attenzione le parole scritte:

 

Angelo nero/Creatura di oscura bellezza/che attendi il crepuscolo/suprema essenza della distruzione/smarrita sulle vie della rinascita/Angelo perso tra mille bugie/Angelo caduto/nella buia ombra del destino/che attendi la pioggia/per non piangere da solo/Angelo dannato dalla cruda realtà/ Angelo condannato/un'anima persa nelle ombre...”

 

Un brivido lo scosse, soffocando una sonora esclamazione di stupore. Alzò gli occhi verso Diana con l'espressione esterrefatta.

«Dia', favolosa».

«Ne ho scritte tante di questo stampo, però le ho su un altro quaderno. Se vorrai te le farò leggere» arrossì ancora di più sfuggendo il suo sguardo.

Russel rise e la prese tra le braccia, tornando disteso con la testa di Diana sul petto. Le accarezzò i capelli mentre lei stava zitta.

«La poesia è una cosa molto intima, lo sai?».

«In teoria denuda l'anima. Da una poesia si capisce molto dell'autore» rispose Diana.

Russel la baciò sul capo, cercando di nascondere la commozione che era salita dal suo cuore agli occhi, diventati lucidi.

«'Ndo se' stata tutto questo tempo, Dia'?».

«Nata, cresciuta e vissuta a Sarnico» ironizzò girando la testa verso di lui, che non perse occasione per prenderle il viso tra le mani. La baciò a stampo ripetute volte, ripetendo:

«Bella sei! La mia bella scrittrice gotica».

«Il mio Chef tamarro» ridacchiò lei.

 

«Quindi siete ufficialmente fidanzati ora?» Esultò Romina tenendo il suo piccolo sulle ginocchia che guardava Diana nello schermo del pc timidamente.

Erano un paio di giorni che non si parlavano al computer, le cose successe l'avevano allontanata dai social per un po'.

Amici e fans virtuali le avevano mandato parecchi messaggi, chiedendo notizie sulla sua assenza, per lei giustamente fondata.

«Lo siamo» rispose Diana sorridendo radiosa, colma di una gioia che non aveva mai provato in tutta la sua esistenza.

«Progetti per il futuro?».

«Non li facciamo ora» affermò con un'alzata di spalle. «Entrambi vogliamo vivere la giornata. L'unica cosa abbastanza a breve è un viaggio».

Romina sorrise maliziosa. «Viaggio, eh?».

«Non so ancora dove, ho lasciato tutto nelle sue mani, Gabrio ha detto mi stupirà».

«Scriverai anche in viaggio?».

«Ovvio, redigerò un “diario di bordo”, collegato a questo della sua vita, che già sto facendo, raccontato da me».

«Hai già il titolo, scommetto...».

«Lo sai che lo metto sempre per ultimo» Diana adocchiò Romina preoccupata, notandola che rifletteva con una mano sotto il mento. Facendo schioccare dita e lingua esordì:

«Ci sono! “Storia di uno Chef e la Scrivana che narrò le sue gesta”. Fighissimo».

Diana si resse il volto con entrambe le mani replicando scettica: «Lunghetto... e poi esiste un libro intitolato “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”».

«Ops... Louis Sepùlveda» borbottò Romina a testa bassa. Diana rise ancora, salutandola poi per uscire: Jayne e Valeria l'attendevano al bar per l'aperitivo dove, quando arrivò, venne accolta da un'esultanza briosa.

«Calici in alto, signore» annunciò Valeria, «Un brindisi per la nostra scrittrice che ha realizzato il suo sogno più grande: l'amore».

«E tre hip, hip urrà per lo Chef che si è guadagnato un tesoro di femmina» Jayne picchiettò con il gomito nel braccio di Diana, facendola arrossire.

Disse apertamente che le due la stavano facendo sentire in imbarazzo, anche perchè le assidue frequentatrici del bar, signore un po' attempate, curiosavano parecchio.

«Che t'importa? Vivi ed ama» suggerì Jayne.

«Come l'hanno presa i tuoi?».

«Bene» rispose a Valeria, «Meglio di quanto non immaginassi. Non si sono neppure opposti al progetto di viaggio insieme».

Diana sapeva il perchè.

Aveva vissuto la sua intera esistenza chiusa nel suo guscio, sicuro e protettivo, difficilmente aveva strafato, non aveva neppure mai preteso. La libertà era sempre stata un sogno ma non aveva mai forzato nessuno per averla.

Il sogno si mostrava concreto, finalmente, ed alla sua età i genitori stessi si erano sentiti in dovere di concederle la possibilità di vedere e scoprire. Non si preoccupavano perchè non era sola, lo Chef sarebbe stato con lei e forse, dopo averla vista sperare per vent'anni nella gioia e nella speranza di trovare il vero amore, erano sicuri che finalmente fosse arrivato. Suo padre disse una frase che le rimuginava in testa da un paio di giorni:

Sei una scrittrice, e come tutti gli scrittori, devi esser lasciata libera di esplorare confini che solo la tua fantasia è riuscita ad immaginare finora”.

Un po' come scoprire nuovi sapori e profumi, nuove fragranze, accostamenti di ingredienti impensabili ma che, alla fine, potevano creare un'accoppiata vincente.

 

Chef Rubio ha ragione quando sogna la libertà. Ha ragione quando decide di lanciare sfide: sfidare le cose che non si conoscono è un gran bel modo di crescere. Come la paura: la paura si vince solo se affrontata, un bel romanzo nasce dopo tante prove, come un piatto speciale. La libertà, fondamentalmente, è provare, sfidare, la vita è una sfida continua. Il Mondo ti apre gli occhi...”.

 

Diana tracciò una linea che segnava la fine degli appunti per quel capitolo del lungo romanzo-diario. Aveva scritto tante pagine di appunti, ma sapeva che quel numero incalcolabile di parole altro non erano che un prologo.

Sorrise, chiudendo il quaderno ed infilandolo nello zainetto, osservando il suo trolley da viaggio, pronto per iniziare una nuova avventura che mai si sarebbe aspettata.

Il suo cellulare emise un bip alla ricezione di un messaggio che lesse, scoppiando a ridere:

A' bella, te vengo a pijia io o scendi tu?”.

Senza rispondere mise in spalle lo zaino e trascinò il trolley al piano di sotto, dove Russel l'attendeva appoggiato al fianco del suo fuoristrada. Sorrise a Diana, prendendole la valigia e caricandola nel portabagagli. Una volta comodamente seduta accanto a lui, che allacciò la cintura e la guardò, gli chiese:

«Perchè fai sempre il coatto?».

«Pecchè non sarei io, altrimenti» mise in moto l'auto ed uscì dal cortile del palazzo di Diana, che con un profondo respiro d'incoraggiamento, si abbandonò sul sedile e lo sbirciò ancora una volta.

«Dove siamo diretti?».

«Ovunque» rispose Russel, «In un qualsiasi luogo che ancora non sappia della nostra vita».

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