Pretty cure Wonder! [Interattiva]

di Scarlett Sakura
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** L'accademia dei misteri! ***
Capitolo 3: *** Tra sogni e disegni! ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



Pretty cure Wonder!

 

 

 

 

C’erano una volta, in un’epoca lontana, quattro dee buone e giuste. Elle erano sorelle, di sangue e di spirito, e per tanto decisero di creare assieme un nuovo mondo. Ognuna fornì ciò di cui avrebbe avuto bisogno attraverso i quattro elementi naturali: acqua, fuoco, terra e aria. Quando il pianeta divenne vivibile, diedero vita ad una specie vivente che potesse abitarlo e fecondarlo. La più giovane formò il popolo del cielo, il cui regno era situato proprio nell’azzurro sconfinato. Etherion, così venne ribattezzato, per le meraviglie racchiuse in tale reame, una bellezza irraggiungibile per chiunque.
La Dea, essendo una donna saggia e sapendo che in futuro sarebbero andati in contro a probabili conflitti, diede la vita a sette guardiane che potessero proteggerlo per sempre. Dal proprio corpo stacco sette frammenti, a cui diede altrettante benedizioni.
Dal primo originò la guerriera del cielo, la cui armonia avrebbe abbracciato e protetto chiunque abitasse sotto di esso.
Dal secondo la signora del sole; energica e passionale come tale astro, il suo fuoco avrebbe scaldato e nutrito il pianeta.
Dal terzo la sua gemella, ovvero la luna. Guida quieta e materna, la sua luce avrebbe sempre illuminato la notte buia.
In seguito nacque la combattente della stella, colei che accompagnava i sognatori nei loro viaggi e ne proteggeva le speranze.
Successivamente toccò alla nuvola, libera e gioiosa, nell’animo e nel pensiero, avrebbe camminato nella fantasia.
La sesta fu l’aurora, bellissima e misteriosa, una presenza rara ma di tale bellezza da rendere impossibile dimenticare ogni sua apparizione.
Poiché i sei frammenti erano ricchi di potere positivo, per controbilanciare ed equilibrare le forze, generò una sola ma potente pretty cure negativa. Se le prime sei vennero accolte come benedizione, l’ultima fu considerata una maledizione. Incapace di vivere assieme a tanto splendore, sparì senza lasciare traccia.
Eteherion prosperava, libera e pura, con i suoi abitanti dotati di magnifiche ali. Tuttavia, la gelosia insita nell’animo umano spinse gli abitanti del mondo terrestre a rivoltarsi contro colore che reputavano benedetti. I Subterra, una popolazione situata nel sottosuolo, approfittò di tale malevolo sentimento per scatenare una terribile guerra. Per evitare che il loro piccolo paradiso fosse distrutto, la popolazione sigillò le porte del cielo, troncando ogni contatto col mondo sottostante. Almeno fino al giorno in cui, i sette frammenti, sarebbero tornati uno solo per realizzare la loro grande leggenda.



 

La ragazza batté le palpebre, come risvegliatasi da un momento di stasi. Osservò con sguardo assente l’edificio vittoriano che si stagliava oltre il cancello di ferro battuto. Quel giorno sarebbe entrata ufficialmente nell’accademia Mugen, che racchiudeva al suo interno studenti in lizza per il titolo di “talento”.
Un tempo era colma di gioia all’idea di varcare quelle porte. In quel momento, però, non percepiva nulla. Come quando aveva incontrato quella persona…
Aprì uno dei due battenti e oltrepasso l’entrata senza guardarsi attorno. Avrebbe riavuto indietro ciò che aveva perduto, anche se non sapeva in che modo.

 

 

 

 
Buon salve gente.
Ho deciso di aprire quest’altra interattiva come una sorta di personale sfida. L’andazzo sarà, spero più canon, e con più criterio. Game of Gods resta, tranquille. Diciamo che la storia non era abbastanza strutturata e mentre raccolgo le idee do sfogo a qualcosa di più… pretty cure. 

Piccole precisazioni:
-Etherion è situato in un’altra dimensione, non sulla terra.
-Se avete dubbi o domande chiedete pure. Sono a vostra diposizione.
-Non sparite. Se dopo tre capitoli non ho vostre notizie, purtroppo la vostra oc dovrà lasciarci.
-Nella recensione scrivete il nome della pretty cure scelta e il tipo di potere.
-Le caratteristiche lasciate nel prologo non sono obbligatorie, ma possono essere una linea guida.

Come avrete capito le pretty cure prendono poteri e caratteristiche da ciò che c’è nel cielo. Qui sotto troverete le guerriere con i colori abbinati:

Pretty cure del cielo = blu/azzurro (Scarlett Sakura)
Pretty cure del sole = rosso/arancione (Mixxo98)
Pretty cure della luna = bianco/argento (Marina94)
Pretty cure della stella = giallo/marrone (Stardust94)
Pretty cure della nuvola = viola/rosa (_Alcor)
Pretty cure dell’aurora = verde/verde acqua (Tinkerbell92)

Per i poteri vi chiedo di scegliere una tipologia, in modo da non ritrovarmi guerriere con lo stesso potere:
-Poteri d’attacco ravvicinato. (intesi come energia e non fisici) Scarlett Sakura
-Poteri di difesa. (niente poteri d’attacco) Tinkerbell92
-Poteri attacchi multipli. (piccoli ma tanti, per intenderci) _Alcor
-Poteri imprigionamento. (catena, getti, liane, fruste e simili) Mixxo98
-Poteri a attacchi a distanza. (frecce, sfere d’energia e simili) Stardust94
-Poteri curativi. (Guarire dei danni, trasferirli e simili) Marina94

Nome e cognome:
Età e data di nascita: (Non oltre i 18 anni)
Catchphrase: (se ne ha una)
Carattere: (niente aggettivi, siate dettagliate)
Aspetto fisico: (niente aggettivi, siate dettagliate)
Storia:
Famiglia:
Ama:
Odia:
Tic e fobie:
Sogni e aspirazioni:
Pregi e difetti:
Nome pretty cure: (inglese, per favore. Al massimo italiano)
Aspetto pretty cure:
Frase di presentazione:
Uccello: (avranno un uccello come riferimento. Lorichetto blu occupato)
Cosa pensa delle pretty cure:
Stile di combattimento:
Poteri: (Almeno tre. Dal più debole al più forte)
Immagine:

Per adesso vi saluto gente e spero che qualcuno accetterà la sfida. Buon fine settimana. ^^

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Capitolo 2
*** L'accademia dei misteri! ***



Pretty cure Wonder!

 

 

 

 

Una goccia d’acqua cadde nel vuoto e non produsse alcun rumore. Delle antiche mura, ricche di crepe e di storia, si ergevano solitarie a protezione di chi ancora viveva al suo interno.
«Svegliatevi…» mormorò una dolce voce femminile, rompendo un silenzio quasi assordante. «È giunto il momento di destarvi dal vostro sonno…»
Alcune luci presero vita, illuminando la sala vuota in un caleidoscopio di colori: grigio, blu, verde, giallo, rosso, e viola. Delle sfere di tali colori si staccarono da sei statue raffiguranti delle persone incappucciate e volarono sempre più in alto.
«Andate e salvate i nostri mondi… miei cavalieri!» Sei fasci di luce formarono un’unica sfavillante colonna prima di oltrepassare il soffitto e disperdersi nel cielo cupo, coperto da una cinerea nebbia…

 

Il sole splendeva pacifico quel giorno, agli inizi di maggio. La scuola era iniziata da poche settimane ed il cicalio di studenti echeggiava da ogni parte del corridoio immacolato. In cortile alcuni ragazzi sfilavano con andamento marziale, facendo risuonare i tacchi degli stivali sul marmo del sentiero principale.
«Chissà cosa s’inventeranno quest’anno.» Una sedicenne schermò gli occhi blu con la mano dalla pelle chiara, osservando il sole per pochi istanti, prima di tornare con lo sguardo all’imponente struttura occidentale. La Mugen Academy era famosa per raccogliere al suo interno studenti di talento oppure secchioni. Un tempo le rette, per chi non possedeva un talento specifico, erano molto alte e il solo modo per accedervi era studiare come un matto. Quegli anni erano trascorsi, per fortuna.
Scosse la testa per scacciare i pensieri e sistemò meglio la coda laterale in cui aveva raccolto i capelli ricci. Erano della stessa tonalità degli occhi e due ciocche incorniciavano il viso rotondo.
«Quella persona…» bisbigliò una studentessa alla compagna. «Non è Tenjoo Tsubasa?» La ragazza smise di acconciarsi quando udì la domanda e quasi congelò sul posto.
«Dici? Io la ricordavo diversa… però le somiglia.»
«Nah, è lei.» continuarono a parlare imperterrite, incuranti del fatto che lei potesse sentirle o meno. Strinse i denti e la borsa blu nella mano, prima di correre e allontanarsi dalle due ficcanaso. Svoltò a sinistra senza guardare, andando a sbattere contro qualcosa di… morbido. Il rimbalzo fu tale da farla capitombolare col sedere per terra, lanciando un piccolo grido più per la sorpresa che non per il colpo.
«Ahi… ahi…» massaggiò il didietro con un occhio chiuso per il dolore. Sollevò lo sguardo per capire cosa avesse colpito, dato che non percepiva alcuna recriminazione nella sua direzione. Incontrò uno sguardo coperto da un paio d’occhiali color lime e una figura paffuta che lei riconobbe immediatamente. Cosa ci facesse immobile, in mezzo al corridoio, restava un mistero. «Houtsuin Shoko-san…» La ragazza sistemò gli occhiali sul naso, segno che aveva preso nota della sua presenza.
«Tsubasa-san. Ohayo gozaimasu.» salutò con un sorriso gentile, avvicinandosi quel tanto che bastava per allungare una mano. «Ti aiuto. Appoggiati pure a me.»
«Arigatou.» accettò l’aiuto e l’altra recupero il suo metro e cinquantadue. La compagna fu talmente cortese da recuperarle anche la borsa, finita a sbattere contro un muro, e restituirgliela.
«Ecco a te.»
«Sei sempre gentile.» riprese l’oggetto e non poté fare a meno di studiarla, soprattutto per come le calzava la divisa. Il primo preside era ossessionato dagli abbinamenti bicolore, per cui la fuku era composta da giacca, gonna e stivaletti alla caviglia bianchi. La camicia, i bordi, le calze e i lacci delle scarpe nere. L’unica nota di colore era rappresentata dalle cravatte: rosso per il primo anno, blu per il secondo e verde per il terzo.
«Le lezioni stanno per cominciare.» fece presente mentre la campanella risuonava per tutto l’edificio e gli studenti si affrettavano ad entrare nelle rispettive aule. «Se non ti sbrighi farai tardi, vieni.» le afferrò gentilmente per un polso e camminò sino ad una porta poco distante, facendo sì che Tsubasa non restasse indietro. Proprio in quel mentre un’altra ragazza sopraggiunse e le calpestò involontariamente un piede.
«Gomenasai!» si scusò tenendo il capo abbassato, coperto dai lunghi capelli color cioccolato. Stringeva al petto un album da disegno con tanta foga da far pensare che qualcuno volesse rubarlo. «Non ti ho proprio vista…»
«Nessun problema, può succede.» Shoko agitò una mano con noncuranza e le rivolse un sorriso talmente dolce da portare le due ad immaginare un grosso girasole sbocciare sopra la sua testa. L’altra guardò di sottecchi le due con i timidi occhi rosa, alternando lo sguardo, indecisa se entrare in classe o meno.
«Io ti conosco.» Tenjoo la indicò senza pensarci e l’altra quasi sussultò vedendo l’indice puntarla. «Sei la studentessa trasferitasi da poco. Star Duster, credo.»
«Esatto…» mormorò squadrando le compagne, senza sapere cos’altro dire. A cavarla d’impiccio ci pensò la professoressa, che soggiunse in quel momento per richiamarle all’ordine.
«Allora ragazze, volete entrare oppure restare in corridoio? Le lezioni sono iniziate.»
«Hai!» risposero in coro prima di fiondarsi ai propri posti, in attesa dell’appello.

In una dimensione senza tempo, delle onde dai colori violacei si sovrapponevano le une con le altre e alcuni cristalli neri galleggiavano in senso orario. Sotto di essi un cerchio di colore verde fosforescente racchiudeva una serie di caratteri dal significato sconosciuto. Al centro di ciò apparve una sfera nera di medie dimensioni, da cui parti un cono di luce vermiglia che proiettò il busto di una persona. Soltanto la silhouette era visibile ma tanto bastò per attivare gli altri cristalli, che assunsero ognuno un colore diverso.
«È giunto il momento.» La voce era talmente roca da rendere impossibile capire se appartenesse ad un maschio oppure una femmina. «Finalmente i frammenti del cielo sono stati attivati nuovamente

Quando la campanella decretò la fine delle lezioni, Tsubasa raccolse le proprie cose, assicurandosi di non aver dimenticato nulla sotto al banco. Non si premurò neppure di chiudere la finestra accanto alla quale sedeva, lasciando il compito agli addetti del turno di pulizia. Corse via con una tale fretta da far pensare che ci fosse qualcosa di anomalo sulla sua sedia.
Superò l’onda di studenti che si preparavano per le attività dei club e scese le scale di marmo, stando bene attenta a non finire al pronto soccorso a causa della cera che puntualmente vi passavano sopra. Uscì dal grande portone d’ingresso, munito persino di due bocche di leone come “campanello”, svoltò a destra e proseguì per il corridoio all’aperto che separava le due ali del cortile. Il tetto era in marmo bianco, così come le colonnette che erano state piazzate ogni paio di metri. Sbucò nella zona di appartenenza alla scuola media della Mugen Academy. Entrambe erano costruzioni di mattoni occidentali, con un restauro all’anno che le rendeva praticamente nuove nonostante avessero vent’anni ciascuna. L’unica differenza erano i tetti spioventi: blu per il liceo e rosso per le medie. Inchiodò poco prima di superare l’entrata posteriore, scese i tre gradini laterali e andò ad inginocchiarsi sotto una delle finestre che sapeva essere sempre aperte.
«Devo approfittare di questo momento se voglio introdurmi indisturbata.» strinse la cinghia della borsa e ripercorse con la mente il tragitto che aveva studiato per diversi giorni. «Posso farcela… basta che io lo voglia» mormorò a sé stessa, nonostante l’onda di panico che le salì lungo la schiena al solo pensiero di essere scoperta da suo padre.
«Ohayo!» esclamò una voce allegra alle sue spalle, provocandole quasi un coccolone. Schiaffò le mani sulla propria bocca per non gridare e vanificare tutto il suo lavoro. «Cosa fai accucciata qui terra? Ti senti male? Dove senti dolore?» domandò una ragazzina a raffica, perché era indubbiamente tale dal tono infantile. Tsubasa voltò lentamente la testa, decisamente meno impaurita di prima, e vide che effettivamente si trattava di una studentessa delle medie. La fuku alla marinara bicolore, col nastro rosso che decretava il primo anno di appartenenza, ne era la prova.
«Allora? Bisogno di aiuto? Non dovresti essere qui, sai?» continuò imperterrita, fissandola con i vispi occhi rossi e cambiando direzione ad ogni passo in modo quasi esagitato. Tra le mani stringeva un cubo nero con svariate opzioni e la velocità con cui spostava le dita era quasi ipnotica.
«Lo so benissimo, infatti se continui a parlare mi farai scoprire.» La guardò con un misto di rassegnazione, dovuta a sé stessa per essersi fatta beccare, e irritazione, perché rischiava di farla scoprire. Finire nei guai da sola le stava bene, dopotutto se la stava andando a cercare, ma tirarci dentro una persona estranea ai fatti decisamente no.
«Gomenasai.» La sconosciuta smise di agitarsi e le rivolse un gran sorriso, seppur tirato. «Se vuoi posso aiutarti ad entrare senza essere scoperta.» piegò la schiena per avvicinarsi alla liceale ancora accucciata sull’erba, ma ella scosse la testa.
«Meglio di no, finiremo nei guai entrambe.» lanciò la borsa oltre l’infisso e si aggrappò sul davanzale sottile, sedendosi sopra prima di voltarsi. «Se vuoi aiutarmi fa finta di non avermi vista.»
«Ok…» mormorò mentre la osservava scavalcare con le gambe e toccare il pavimento a scacchiera. Afferrò la borsa e corse alla porta di fronte, entrando nella sala prima che qualcun’altro la beccasse.
«Yoko-chan, sbrigati!» chiamò una sua compagna di classe, agitando una mano per richiamare la sua attenzione
«Hai!» corse in quella direzione, senza smettere di smanettare col cubo che stringeva tra le dita.

Lo studio di suo padre era sempre lo stesso: scrivania con la finestra alle spalle, posta al centro della stanza. Un tavolino con due divani per accogliere gli ospiti, esattamente davanti, e un quadro anonimo raffigurante una qualche natura morta sulla parete di sinistra. Sulla destra, invece, una libreria piuttosto antica.
«Se le informazioni sono esatte, deve trovarsi nella cassaforte sotto la scrivania.» camminò in punta di piedi sino al mobile e si inginocchiò accanto all’anta che comprendeva la parte sinistra. La aprì e digitò il codice numerico, sperando che non l’avesse cambiato proprio quella mattina. Sorrise quando udì l’effimero click e la porticina di metallo si schiuse spontaneamente. Al suo interno erano situati documenti, cartelle, lettere, un cellulare e un oggetto totalmente fuori posto con quel materiale.
«Eccolo… il portagioie di mamma.» con mani leggermente tremanti afferrò lo scrigno di colore blu. Presentava decorazioni con gemme ovali e di colore azzurro; la serratura color argento mancava curiosamente di una fessura per la chiave. «Se solo potessi aprirti…» sorrise emozionata ma con un velo di tristezza che le inumidì gli occhi, ombrati da folte ciglia scure. Quello non era il luogo in cui perdersi in fantasticherie, per cui chiuse la cassaforte e rimise tutto al proprio posto.
«Hai bisogno della chiave giusta-ro.»
«Lo so, ma non c’è l’ho.» sospirò afflitta. Poi, quando capì di aver risposto ad una domanda perse un battito. Con chi diavolo stava parlando? Guardò in ogni direzione ma non vide anima viva oltre lei. Non era la ragazzina di prima, dato che la voce apparteneva ad un maschio, seppur giovane. Forse un bambino… il che era ancora più assurdo. Tornò in piedi e raggiunse la finestra pronta ad andarsene, quando notò qualcosa sul davanzale.
«Un uccellino.» osservò il volatile con un piumaggio blu e bianco. Era veramente piccolo e un po’ grassotto, con due occhi cobalto veramente grandi ed intensi. Percepì uno strano disagio, come se l’animale fosse dato di comprensione e la stesse studiando. Cosa ancora più assurda della precedente.
«Posso vederlo-ro?» chiese il suddetto, piegando la testolina a sinistra.
Un urlo quasi isterico invase la stanza e Tsubasa finì con la schiena spalmata al muro. Squadrava il coso con espressione terrorizzata e scioccata, stringendo con una mano il portagioie al petto e con l’altra la borsa.
«Pa-parli…» biascicò, tentando di dar coerenza ad un fatto che ne era totalmente privo. «Com’è possibile?» La preoccupazione degli ultimi giorni doveva averle dato alla testa. Era l’unica spiegazione plausibile per una tale assurdità. Gli uccelli NON parlavano. Mai.
«Certo che parlo-ro.» zampettò sino al limite del davanzale per guardarla meglio. «Se tu parli perché io non posso-ro?» La giovane stava per replicare una serie di motivi per il quale non fosse fattibile, ma alcune voci in avvicinamento la misero in allarme.
«Sta arrivando qualcuno!» scattò sino alla finestra ed ignorando il pennuto parlante scavalcò, finendo inginocchiata sull’erba, poco prima che la porta venisse aperta dall’esterno. Udì la voce paterna e questo le procurò un moto di apprensione.
«Accomodati, ne parleremo davanti ad una tazza di tea.» Appena l’uomo prese posto sulla comoda poltrona nera di pelle, la ragazza gattonò sino a raggiungere l’angolo dell’edificio per inoltrarsi all’interno del boschetto che circondava l’accademia. Superò una serie di alberi fitti, ben curati e dal verde fogliame, sbucando in un’altra parte del cortile.
«Salva!» sospirò di sollievo, portando una mano sul petto.
«Sei veloce-ro.» L’aveva seguita per tutto il tragitto ed era atterrato su un ramo poco più in alto, facendo scattare la sedicenne nella sua direzione.
«Ancora tu! Perché mi stai seguendo?» strinse istintivamente lo scrigno a sé, temendo che la piccola creatura ne fosse in qualche modo interessata.
«Perché tu riesci a capirmi-ro.» beccò l’ala destra, sistemando qualche piuma. «E poi possiedi un beautybox. Questo è un segno-ro.» annuì mentre lisciava la coda col becco.
«Beautybox? » mormorò sorpresa per l’informazione, seppur strana alle sue orecchie.
«Esatto. È così che l’abbiamo nominato»
«Perché lo cerchi? Vuoi portarlo via?» Tsubasa compì qualche passo indietro, decisa a proteggerlo con i denti, se necessario. «Non lo darò a nessuno, tanto meno ad un pennuto che non conosco!» decretò decisa.
«Non sono qui per portartelo via, ma per assicurarmi che tu non lo perda. È prezioso per te, vero-ro?» Quando ebbe finito la sua toletta si accucciò sul legno, per farle capire di non avere brutte intenzioni. 
«Moltissimo.» allentò la stretta e smise di indietreggiare. Una parte di sé non lo reputava una minaccia, nonostante parlasse e dimostrasse conoscenze che un animale comune non dovrebbe assolutamente possedere. «Perché sei a conoscenza della sua esistenza?»
«Ora non posso dirtelo. Sappi che ne esistono sei e non è un caso se uno è proprio nelle tue mani-ro.» vedendo che la sedicenne aveva smesso di agitarsi, planò sino ad appoggiare le zampine sull’oggetto.
«Non è un caso, dici?» seguì con lo sguardo lo spostamento e poi tornò a concentrarsi sull’oggetto. «Non capisco cosa stai cercando di dirmi.» Nonostante le strane parole sentiva a pelle di potersi fidare di lui. Sarà stato l’aspetto coccoloso oppure la sincerità che traspariva dalla vocina infantile, ma quell’uccello iniziava stranamente a piacerle. 
«Lo capirai da sola, se avrò ragione-ro.» proseguì criptico. Sorrise –lei era certa che lo stesse facendo, per quanto suonasse assurdo alla sua stessa mente– e porse un ala. «Mi chiamo Loriquet, piacere.» Dopo qualche attimo di indecisione, ella ricambiò il sorriso e strinse dolcemente la parte piumata tra le dita.
«Tenjoo Tsubasa. Hajimemashite.» Un profondo sollievo la invase, rilassando le membra come balsamo sulla pelle. Fino a quel momento non si era resa conto di quanto bisogno avesse di un amico, qualcuno con cui affrontare tutta quella situazione. Quell’essere, per quando piccolo, era più di quanto avrebbe osato sperare in quel frangente.
«Dove siamo? Questo posto è vecchio-ro.» spostava il capo da una parte all’altra, curioso da ciò che stava osservando. Tenjoo seguì il suo sguardo e uno strano brivido freddo le attraversò la schiena.
«La vecchia scuola…» sussurrò a sé stessa. Dinanzi a loro si ergeva un edificio a tre piani piuttosto vecchio. Il tetto spiovente presentava delle tegole mancanti, le finestre dei vetri rotti e le tende erano talmente piene di polvere da essere ingiallite. Le mura grigie erano un esaltazione all’oscenità, con una serie di scritte minacciose, disegni osé e macchie di umido. Le prime due provocate da spray colorati e l’ultimo… dalla stupidità umana. Alcuni nastri gialli vietavano l’accesso e il portone d’ingresso portava impressi degli strani segni, simili a graffi. Nonostante la giornata assolata, l’atmosfera lugubre di quel luogo impregnava l’aria.
«La vecchia scuola-ro?» volò sino a poggiarsi sulla spalla sinistra, in una posa comoda che ricordava la gallina quando covava le uova.
«Questo edificio, fino a vent’anni fa, era la sede ufficiale della Mugen Academy. Dopo alcuni fatti incresciosi decisero di chiuderla e smistare gli studenti in due edifici differenti. Circolano molte voci sull’accademia, una più macabra dell’altra.» Nel mentre che parlava aveva ripreso a camminare, avvicinandosi sempre più ai nastri divisori.
«Vuoi entrare-ro?»
«Hai.» superò il nastro passando da sotto, evitando di danneggiarlo. «Voglio aprire il portagioie ma ho bisogno di un posto tranquillo. In città tutti conoscono mio padre ed a quest’ora dovrei essere al club.» Cosa di cui nessuno si sarebbe accorto dato che era l’ unica iscritta.
Afferrò una maniglia in ottone e deglutì. Sperava che fosse aperta, in caso contrario le sarebbe toccato rompere una delle finestre, già massacrate di loro. Girò la manopola e con un lievissimo click l’anta venne schiusa.
«Che fortuna-ro.» cinguettò, cercando di vedere oltre le ombre e la polvere che coprivano ogni angolo.
«Non la definirei tale, ma tornare indietro sarebbe anche peggio.» avanzò un passo alla volta, assieme alla luce dell’esterno, scoprendo una scalinata e due corridoi mal illuminati. Sulla sinistra c’era una porta a vetri, contenente la vecchia sala reception. A destra, invece, una sala adibita a far morire di vecchiaia chiunque cercasse il preside, ovvero la sala d’aspetto. In entrambe le direzioni vedeva soltanto ombre mosse dal vento oppure pulviscoli che aleggiavano nel nulla. La fioca illuminazione, dovuta alle imposte rotte o schiuse dava quella visione di “vedo e non vedo” decisamente più inquietante del buio stesso. Seguì l’istinto e iniziò a salire la rampa di scale in legno, che scricchiolava ad ogni passo. Strinse il corrimano coperto di polvere e lo scrigno nell’altra. Se Loriquet non fosse stato presente probabilmente non sarebbe entrata da sola.
«Che tipo di storie circolano? Sono curioso-ro.»
«Dicono che sia infestata dai fantasmi e che abbiano ucciso qualcuno qui dentro. Pare che il terreno sia sconsacrato e che in principio fosse adibito a cimitero. E poi c’è stato quel terribile fatto vent’anni fa.» Era quasi giunta al primo piano ed a stento riusciva a scorgere il profilo delle asse di legno.
«Quale incidente-ro?» Il volatile percepiva una strana atmosfera dipanarsi per quelle mura, un misto tra paura ed aspettativa. I suoi sensi erano stranamente sensibili a tale richiamo e infatti osservava ogni parete aspettando che apparisse qualcosa. O forse era semplicemente la suggestione. In quei giorni aveva percepito innumerevoli vibrazioni che però non l’avevano condotto ad alcunché.
«Una rivolta.» spiegò brevemente mentre toccava il pavimento del piano con entrambi i piedi –per un momento terrorizzata che cedesse di colpo– scandagliando i due corridoi. Alla sua destra la luce era più presente a causa di alcune imposte usurate dal tempo e quei piccoli spiragli erano l’unica guida presente. Lesse le etichette presente sulle porte delle aule e finalmente trovò qualcosa che potesse aiutarla. «Eccola. L’aula adibita a ripostiglio.»
«Cosa dobbiamo far lì-ro?» Tsubasa corse sino alla terza entrata e la aprì delicatamente, sia per timore che cascasse e sia perché il pericolo “fantasma” era sempre all’orizzonte.
«Sto cercando uno strumento che possa aiutarmi ad aprire il portagioie.» Per sua fortuna una finestra era priva di copertura e questo le permise di dare un’occhiata ai vari armadi d’acciaio. Erano piuttosto vecchi e alcuni rotti, ma gli attrezzi in uno stato accettabile e quindi usabili.
«Te l’ho detto, ti serve la chiave-ro.»
«Lo so, ma non c’è l’ho.» frugò in un cassetto pieno di chiavi inglesi, pinze e bulloni. «Non ho intenzione di sprecare questa occasione e come si dice: “volere è potere”.» estrasse un cacciavite arrugginito e annuì soddisfatta. «Niente è impossibile se hai la volontà di provarci.»
«Perché ci tieni tanto? Così corri il rischio di romperlo.» disse Loriquet mentre guardava la ragazza posizionare l’oggetto sul tavolo di alluminio dove lui aveva trovato posto.
«Me ne rendo conto, ma ho bisogno di sapere se al suo interno c’è qualcosa che può aiutarmi.» accarezzò il beautybox con delicatezza, percependo il liscio delle gemme sotto le dita. Le dispiaceva danneggiarlo, ma non aveva idea di dove fosse la chiave e di certo non poteva chiedere a suo padre. Era certa che fosse all’oscuro, ma anche in caso contrario restava un’ipotesi da scartare.
«A fare co-» L’uccello bloccò la sillaba successiva e le penne si arruffarono, come preda di un violento tremore. Una vibrazione negativa impregnava improvvisamente l’atmosfera, come una nota stonata o aria malsana. Da dove poteva provenire? Dove?! Guardò in ogni direzione e d’un tratto puntò lo sguardo alla loro destra, verso la vetrata chiusa. «HALLOWEEN-RO!»
«Ah!» Tsubasa quasi saltò sul posto per lo spavento, rischiando di conficcare il cacciavite nella superficie solida. «Si può sapere cosa ti prende?!» lo sgridò arrabbiata, prima di notare una strana ombra sul pavimento. Sollevò lentamente lo sguardo e incrociò due occhi vuoti e neri, intagliati in una zucca. Il resto del corpo era la rappresentazione di uno spaventapasseri, con un mantello nero che copriva le assi di legno che fungevano da supporto. Una mano scheletrica emerse dalla copertura cenciosa e l’indice puntò esattamente verso di lei, che sussultò nel vederlo.
«Scappa-ro!» Loriquet scattò in volo, spaventato a morte dalla misteriosa apparizione, e la ragazza seguì a ruota l’ordine, recuperando il portagioie prima che qualcosa colpisse il punto su cui aveva sostato poco prima. Spalancò la porta e corse fuori senza guardarsi indietro.
«Prima parlo con un uccello ed ora una zucca cerca di uccidermi! Si può sapere chi è?!» scese le scale in tutta fretta, rischiando di capitombolare e rompere qualche vecchio gradino.
«Il suo nome è Halloween-ro! È un membro dei Subterra!» spiegò con foga mentre volava a più non posso.
«E chi sono? Non certo tuoi amici.» Giunta in basso udì due scoppi e voltandosi vide due gradini distrutti, come se qualcosa li avesse fatti saltare per aria. «Ma che razza di giornata!» Spalancò la porta, ruppe i nastri divisori e puntò verso il boschetto. Tuttavia un pensiero improvviso la costrinse a frenare di botto.
«Perché non corri-ro?» smise a sua volta di volare, lanciando occhiate preoccupate a lei e spaventate in direzione dello spaventapasseri che si avvicinava galleggiando e senza alcuna fretta. Cosa che lo inquietò ancora di più.
«Da quella parte c’è la scuola, non posso proseguire. Altrimenti rischio che quel coso faccia del male a qualcuno.» ribatté decisa, nonostante la mano che stringeva la borsa tremasse. Era impaurita all’inverosimile all’idea di restare da sola in compagnia del mostro, qualsiasi cosa fosse, ma l’alternativa era scatenare il panico o un disastro. Doveva solo restare lì ed aspettare… forse qualche pretty cure sarebbe intervenuta. Sicuramente l’avrebbero fatto… dopotutto solo loro potevano. Lei non…
«È fermo-ro.» Il piccolo era ancora al suo fianco, in attesa di qualche azione da compiere ma per nulla tentato di abbandonarla. Lui poteva scappare, mettersi in salvo e lasciarla indietro, eppure era ancora lì. Sorrise rincuorata e decise di piantare i piedi dov’erano per affrontare la zucca.
«Che cosa vuoi da noi? Perché ci stai attaccando?» Anziché rispondere, Halloween infilò la mano scheletrica sotto al mantello e ne estrasse una bambolina voodoo. Inserì l’altra nel ghigno che formava la bocca e un piccolo bagliore arancione fuoriuscì da essa. Quando la ritirò, un topazio brillava tra le dita e il macabro personaggio lo conficcò dritto nel ventre della bambola.
«Cosa sta facendo?» chiese la sedicenne, con una curiosità rivaleggiata dall’ansia, mentre l’uccellino spalancava gli occhi spaventato.
«Non è possibile… non di nuovo-ro…» Immagini di creatura grosse e con due occhi rossi presero a vorticare nella sua mente. Grida belluine e urla di dolore si sovrapposero mentre il cielo, un tempo azzurro e ricco di nuvole bianche, era rosso, con sprazzi di grigio fumo e un astro nero a far da padrone nell’immenso firmamento. «Non deve succedere di nuovo-ro!» scosse la testolina con veemenza, cercando di scacciare la drammatica visione.
«Cosa non deve succedere?» lo guardò con perplessità mista ad una nota di paura.
«Questo-ro!» Il fantoccio venne pervaso da un’energia arancione che gli permise di acquisire forza e ingrandirsi sempre più, sino a diventare gigantesco. Il volto venne sostituito da una zucca dall’espressione inquietante e le dita divennero artigliate, con unghie dello stesso colore.
«Zudon!» fu il verso grottesco che emise, rimbombando per diversi metri.
«E adesso che cosa facciamo?» indietreggiò di alcuni passi mentre il mostro avanzava. Anziché attaccarli, li ignorò completamente, puntando ai due edifici ai limi del boschetto.
«Fermo! Non da quella parte!» sollevò la mano destra per fermarlo, ma si rese conto dell’inutilità del gesto. Cosa sperava di fare con le sue misere forze? Strinse lo scrigno al petto e chiuse gli occhi frustrata. «Dove sono le pretty cure? Perché non sono qui?» udì i passi del fantoccio riecheggiare nel silenzio del luogo ed era questione di tempo prima che arrivasse alla scuola.
«Non te lo permetterò-ro!» esclamò infiammato, prima di volare a tutta birra verso il volto della creatura per beccarlo.
«Non puoi, sei troppo… piccolo…» mormorò Tsubasa mentre con la mano tentava di afferrare qualcosa.
Forse Loriquet… forse il mostro… o forse solo il suo coraggio.
Strinse le dita a pugno mentre l’uccellino continuava e colpire, affannandosi nel tentativo ma senza smettere di provarci. Per quanto fosse inutile lui sapeva che arrendersi sarebbe stato anche peggio.
«Volere è potere, no?» La sedicenne chiuse gli occhi e digrignò i denti contro la propria vigliaccheria. D’impulso gettò la borsa sull’erba e sollevò il volto verso l’alto, per gridare la propria convinzione. «Allora io voglio e posso!»
Dal cielo una piccola lucina blu scese velocemente, sino a fermarsi dinanzi alla ragazza, che osservava stupita la piccola colonna di luminosa. Essa formò al suo interno un oggetto e questo galleggiò sino a lasciarsi cadere nel suo palmo.
«Non posso crederci… è lei-ro!» sussurrò il volatile, dapprima sorpreso ed infine felice. Nonostante la stanchezza, dimostrata da qualche piuma fuori posto, riuscì a raggiungerla in pochi secondi.
«Cos’è?» osservò la piuma bianca, la cui attaccatura era decorata da un cerchio dorato con all’interno una gemma blu a forma di tre cerchi.
«È la chiave-ro!» Loriquet batteva le ali in preda ad una strana euforia, guardandola attentamente negli occhi. «Avevo ragione, sei tu la prima dal cielo-ro.»
«La prima…» guardava la piuma, ancora stordita dall’apparizione, quasi irreale per lei. «Con questa posso aprire lo scrigno?» Il suo desiderio finalmente stava per realizzarsi, pensò con una certa aspettativa. Avrebbe aperto il cofanetto della madre e forse scoperto ciò che stava cercando. Ma prima c’era una questione più importante da risolvere.
«Hai-ro.» annuì determinato. «Così potrai diventare una leggendaria guerriera e salvare tutti.»
«Io una guerriera?» ripeté ancora incredula. Mai avrebbe immaginato di poter diventare come le protettrici dell’umanità, piuttosto di restare una loro ammiratrice destinata a sognare e niente altro. «Volere è proprio potere…»
«Seguì ciò che ti suggerisce il cuore. Sarà lui a guidarti nella trasformazione.» Vedendo che l’altro continuava a fissarla, aspettando che accettasse il proprio destino, la missione o qualsiasi altra cosa fosse, annuì decisa. Il dado era tratto.
Tsubasa afferrò la chiave con l’indice e medio, facendo combaciare la gemma con la serratura. Col secondo dito girò la piuma in senso orario, con la punta verso il basso.
«Pretty cure, arise!» Lo scrigno si spalancò, liberando una forte luce celeste e una miriade di piume blu saltarono fuori.
«Sky embracing!» sorrise, lasciando il cofanetto e sollevando le mani al cielo mentre i vestiti diventavano energia azzurrina che venne tramutata in una corta sottoveste. Si sollevò sulla punta del destro, piegò l’altro ginocchio e compì una serie di piroette, mentre le piume la circondavano in una specie di bozzolo. Alcune vorticarono attorno alle mani e con uno scoppio formarono dei guanti al polso, color ghiaccio, e una fascetta bianca attorno al bicipite. Fu il turno del busto ad essere sommerso, generando un body celeste con sopra un gilet blu notte, la cui parte posteriore arrivava a metà coscia. Questo venne coperto a sua volta da una giacchetta a giro maniche, corta e azzurra. Un fiocco color ghiaccio legava la giuntura al collo ed al centro venne appuntata una pietra acquamarina ovale. In basso spuntò un pantaloncino a palloncino azzurro, con la parte posteriore nascosta da un fiocco lungo color acquamarina. Le cosce vennero coperte da un paio di calze blu notte e da stivali azzurri sino al ginocchio. Batté il piede sinistro, piegò la schiena all’indietro e la pettinatura fu sciolta; i capelli ondeggiarono prima di allungarsi sino ai glutei e raccogliersi in una coda alta, per poi intrecciarsi in un boccolo verso le punte. Due ciocche raggiunsero il mento mentre il colore della chioma divenne più chiaro, esattamente come accadde agli occhi. Infine, due orecchini blu a forma di tre cerchi comparvero ai lobi. Il cofanetto venne chiuso con un colpo del palmo e si dissolse in scintille azzurre mentre la chiave volò sino a posarsi sopra l’attaccatura dell’acconciatura.
«L’abbraccio protettivo del cielo…» strinse le dita attorno ai bicipiti, simulando una stretta a sé stessa. Portò il piede in avanti, sollevò la mano sinistra al cielo e stese la destra in avanti, col palmo rivolto verso l’alto. Una dolce brezza arieggiò dalle sue spalle, rendendo ancora più limpido il cielo. «Cure Heaven!»
Batté gli occhi basita, sciolse la posa e fissò mani e vestiti. Cos’aveva fatto?
«Sono…» corse sino ad una finestra per specchiarsi e capacitarsi che sì, era una guerriera e non un’allucinazione.
«Yatta-ro!» Loriquet vorticava in preda ad un delirio, esaltato e felice per aver trovato la loro prima speranza di salvezza. «Ce l’hai fatta! Ce l’hai fatta-ro!» continuava a ripetere come un mantra, unendo le aluccie in una sorta di stretta di dita.
«Incredibile…» La pretty cure toccò il proprio volto e squadrò il nuovo aspetto, quando una serie di boati la riportarono coi piedi per terra. Il fantoccio! «Devo sbrigarmi!» scattò verso gli alberi, ma frenò bruscamente per poi voltarsi indietro.
«Con te farò i conti dopo!» esclamò minacciosa, puntando l’indice contro Halloween che non fece una piega, riprendendo poi la corsa.
«Pretty cure…» mormorò la zucca con tono cavernoso, come un’eco che proveniva da lontano. «Questa non ci voleva.»
Intanto la ragazza avanzava più veloce che poteva, ma mancavano ancora diversi metri dal mostro. «Non farò in tempo…»
«Salta-ro!» suggerì il compagno che la seguiva ad una certa distanza, ma senza smettere di darle il suo supporto. «Usa tutti i tuoi poteri, puoi farcela-ro.»
«Giusto.» colpì il terreno col piede destro e spiccò un balzo, prodigioso ai suoi occhi, che la portò a pochi centimetri dal volto nemico. «Sto… volando…» fu ciò che disse, guardando il cielo in uno stato quasi ipnotico. Alcune urla sottostanti le ricordarono che la contemplazione poteva essere rimandata; la distruzione della bambola assassina no.
«Vieni qua!» chiuse la mano a pugno e sferrò un destro contro la zucca, che presa in contropiede perse l’equilibrio e tutto il suo peso finì in avanti. Le grida divennero stridule quando videro il grosso fantoccio nell’atto di precipitare addosso a loro, che sciamavano come tante formiche.
«Fermo!» Heaven riuscì a darsi una spinta sulla spalla avversaria col piede, atterrando sul tetto e da lì balzare nuovamente contro di lui. Chiuse i pugni, puntandoli in alto, e come un missile centrò in pieno lo stomaco, fornendo sia un danno che la spinta necessaria a farlo capitombolare verso gli alberi.
«Ben fatto-ro.» fu il commento entusiasta dell’amico, che vedeva realizzati parte dei suoi sogni in quel frangente.
«Speriamo non ci sia nessuno nel bosco.» con un capriola aerea atterrò a pochi metri dal punto in cui stava per schiantarsi il mostro. Una mano artigliata toccò il terreno e cambiò la traiettoria del proprio corpo, facendo sì che piovesse addosso alla guerriera così all’improvviso che non riuscì a scansarsi. Un grosso boato seguì il precedente, facendo sollevare un polverone, e per qualche secondo non volò una mosca.
«Heaven-ro…» mormorò preoccupato per la mancanza di reazione. Che l’avesse schiacciata?
Un movimento lento, come un tremolio, scosse il ventre della bambola. Dopo alcuni attimi essa venne sollevata e da sotto apparve la guerriera, che con entrambe le mani tentava di sollevarla, stringendo i denti nello sforzo di sopportare il peso. «Forza-ro!»
Con un grido belluino Heaven riuscì a scaraventarlo via e questo cadde addosso a metà del vecchio edificio, sfasciando il tetto e distruggendo i muri. Le aule franarono e di loro rimase soltanto il ricordo.
«Oh, no! Che cosa ho fatto?!» Alla vista delle macerie, sotto all’enorme ammasso di paglia erculea, era diventata uguale all’urlo di Munch. Con le mani che stringevano le guance tentava di calcolare il danno astronomico, dal punto di vista economico, che avrebbe dovuto ripagare. Anche perché sparire e lasciare agli altri quel macello l’avrebbe perseguitata negli anni a venire.
«Va tutto bene. Dopo avrai modo di rimediare-ro.» La tranquillizzò l’uccellino, vedendo che la sua protetta era sul punto di avere un infarto e quindi eliminarsi da sola, senza l’ausilio del mostro. «Ma prima devi distruggerlo. Seguì le parole che sgorgano dal tuo cuore e ogni azione verrà da sé.» spiegò come in precedenza, sapendo che ogni guerriera possedeva poteri unici e quindi evocabili solo tramite la propria volontà.
«Le parole…» chiuse gli occhi, cercando di ignorare il verso del zudon che tentava di rialzarsi, le urla in lontananza, le sirene della polizia e qualsiasi suono molesto. Ascoltò solo la propria voce interiore ed a qual punto un eco lontano, ma ben udibile, rimbombò senza sosta nella sua mente. Aprì gli occhi con la consapevolezza di chi sapeva come agire. Sollevò la mano in alto, col palmo rivolto al firmamento.
«Il cielo in questa mia mano! Pretty cure…» una miriade di puntini azzurri si raccolsero all’interno del palmo, ricoprendo l’intera figura di un’aura dello stesso colore. Spiccò un balzo, portandosi davanti al volto del mostro, tenendo il braccio steso e la mano ben tesa. «Celestial slash!» sferrò un fendente che materializzò una scia bluastra, tagliando a metà la zucca.
«Zudooooon!» fu il verso di dolore esclamato, prima che l’intero essere venisse cristallizzato in color arancione ed esplodesse in mille frammenti. Essi caddero al suolo per poi tramutarsi in polvere che venne spazzata via dal vento. Heaven rimase ad osservare il tutto, ancora incredula per ciò che aveva appena compiuto. Trasformarsi in un’eroina, combattere un mostro enorme ed infine usare un potere magico non era un evento a cui potevi assistere tutti i giorni. Figurarsi poi esserne la protagonista.
«È bastato che lo volessi!» esclamò esaltata, ancora preda dell’euforia che le scorreva dentro.
«Esatto. La volontà vince su tutto.» I due si guardarono e sorrisero come due ebeti, avendo realizzato parte dei loro desideri. Un crollo improvviso ricordò alla giovane che c’era ancora qualcosa da terminare.
«Come faccio a sistemare questo macello?» Poi ci ripensò, folgorata da un’intuizione, e sollevò una mano. «Non dirlo. Lo farà la voce del mio cuore.»
«Perché lo chiedi allora?» chiese ridacchiando. Prese posto sulla spalla destra ed attese che l’altra sistemasse tutto.
«Beautybox.» Una miriade di scintille materializzarono il portagioie sul palmo della mano. Lo aprì con la chiave e intinse la punta della piuma all’interno della luce azzurrina. La piuma, da bianco passo allo stesso colore e lei la puntò verso le macerie. «All’ordine io ti riporto.» Ogni danno sparì come fosse stato solo un’apparizione e la struttura del vecchio edificio tornò identica alla precedente. Decadente, sporca e malconcia, ma sicuramente più accettabile.
Fu solo a quel punto che Tsubasa riuscì a studiare l’interno del cofanetto. Sul coperchio capeggiava uno specchietto di forma rettangolare mentre in basso erano contenuti diverse gemme dalla tonalità blu o azzurra, ognuna custodita in un piccolo scomparto.
«Come farò a trovare ciò che sto cercando?» mormorò sollevando il volto al cielo azzurro. La limpidezza lo rendeva quasi cristallino quel giorno, con soffici nuvole bianche e l’ombra della luna in lontana. Qualche stella più sfrontata delle altre brillava fioca, sfidando la sfavillante forza della luce solare. Una strana sensazione di benessere la pervase, portandola a chiudere gli occhi e respirare a pieni polmoni. «Ci riuscirò. Finché la mia volontà mi darà forza, ci riuscirò.»

 

 

 

 

Salve.
Ecco il primo capitolo, con i primi personaggi. Ho voluto che le altre oc facessero almeno un cameo, in modo che saranno tutte più o meno presenti in ogni capitolo. In questo modo riuscirò anche ad orientarmi meglio sul loro carattere. In pratica mi direte se sto andando bene oppure le sto manomettendo (?).
Spero che la trasformazione sia piaciuta. Ci ho lavorato davvero tanto, soprattutto nel personalizzare i particolari per ogni oc. Sono stata indecisa sino all’ultimo sul nome da guerriera di Tsubasa, ma alla fine ho optato per uno da mery sue. XD
Come avrete capito c’è anche un mistero che aleggia, non solo sulla scuola, ma anche sull’intera città. Man mano che i capitoli andranno avanti si chiariranno alcuni punti. I nemici per ora fanno comparsa e basta. (?)

-Domanda per le iscritte: avete richieste o preferenze per i club scolastici? Preferite un dormitorio oppure che dormano a casa?

Traduzione:
-Ohayo gozaimasu: buongiorno.
-Arigatou: grazie.
-Hai: sì.
-Gomenasai: mi dispiace.
-Yatta: Evviva!
 

Credits:
-Tsubasa Tenjoo appartiene alla sottoscritta.
Umana: http://thumbsnap.com/gtVXU9Zm
Pretty cure abito: http://thumbsnap.com/21JYtiwY
-Star Duster appartiene a Stardust94
-Shoko Houtsuin appartiene ad _Alcor
-Yoko appartiene a Mixxo98

 

Per adesso vi saluto gente e vi do appuntamento al prossimo capitolo. Buona settimana. ^^

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Capitolo 3
*** Tra sogni e disegni! ***



 

Pretty cure Wonder!

 

 

 

 

Star fissava il proprio disegno spostandolo in diverse angolazioni. La sua ultima creazione ritraeva una pretty cure nell’atto di colpire qualcosa con un pugno. Le linee regolari, la morbidezza dei tratti e la sorprendente somiglianza lo rendevano un ottimo lavoro. Appoggiò il foglio sul banco liscio e privo di scritte, contemplando la figura con un gran sorriso. Incontrare una leggendaria guerriera era il sogno di buona parte delle adolescenti e il giorno prima una di loro aveva salvato l’intera scuola.
«Chissà chi era…» mormorò assorta, battendo poi le mani per la contentezza. «Voglio conoscerla!» appoggiò il mento sui palmi e con la mente ripensò allo scontro, cercando di memorizzare alcuni dettagli. Il vestito azzurro, i capelli blu, la zucca e poi…
«Ohayo.» una voce gentile la riportò sulla terra, svegliandola dal suo viaggio nei ricordi.
«Eh? Ohayo…» riconobbe la ragazza robusta e con gli occhiali del giorno precedente, ma finse di sistemare alcune matite dato che ancora non conosceva bene i suoi compagni.
«Chi ti piacerebbe conoscere? Ti ho involontariamente ascoltata.» sistemo la borsa viola prendendo posto ad alcuni banchi di distanza. La particolarità della ragazza è che non smise un istante di sorriderle e di trattarla con gentilezza, nonostante buona parte della classe ignorasse entrambe.
«Parlavo tra me e me, tutto qui.» fu la sua risposta mentre infilava il disegno dentro una cartellina gialla, usurata dal tempo. Quel pomeriggio c’erano le attività del club e avrebbe chiesto alla presidente cosa ne pensava. Poiché l’altra aveva smesso di parlare per fissare un punto imprecisato, diede uno sguardo alla stanza. Era in stile occidentale, come tutto il resto, e dall’aria decisamente aristocratica. Il banco color mogano e la sedia imbottita le ricordavano quei salotti che suo padre frequentava per lavoro.
Udì la porta aprirsi nuovamente e alcuni studenti prendere posto. Avrebbe volentieri parlato con loro, ma la timidezza le impediva di compiere un gesto semplice come il presentarsi. Appoggiò le braccia al banco e sotto il gomito spuntò l’angolo del foglio su cui aveva disegnato la pretty cure. Sorrise felice, sentendosi nuovamente di buon umore. Quello era un buon motivo per rallegrare la propria giornata.

 
La mattinata era serena, come la precedente, ed il cielo azzurro. Solo qualche sporadico aereo ne offuscavano la visuale e alcuni uccelli di piccola taglia. Tra essi spiccava un falchetto dalle piume gialle, che col muso appuntito e lo sguardo sottile scandagliava la zona nei pressi dell’accademia.
«Devo trovarlo-bi.» mormorò prima di scendere di quota per andare ad appoggiarsi sul ramo di una robusta quercia. «Sento la sua energia, ma potrebbe anche essere una trappola-bi.» Con gli occhi marroni fissò l’imponente struttura scolastica, in attesa di qualcosa oppure qualcuno. Fu in quel momento che una voce attirò la sua attenzione. In un cortile vide due ragazze, o almeno supponeva che lo fossero dato che una delle due era alquanto… ambigua esteticamente.
«Maeda-san! Dai, vieni con me.» La prima ad aver parlato stringeva tra le mani un cubo nero con cui sembrava giocare ogni due per tre. «Parlerò io con Tadashi-sensei.» insisteva, tampinando la persona davanti che continuava ad ignorarla.
«Ie.» fu l’apatica risposta che ricevette. I capelli biondo cenere, dal taglio mascolino, rendevano difficile intuirne il sesso. Ciò che la individuava come ragazza era la divisa femminile, seppur portata in modo più pratico.
«Dai, dai, dai.» accelerò il passo per trottarle attorno, come una mosca affezionata ma alquanto fastidiosa. «Dopotutto è stata anche colpa mia. Vedrai che troveremo una soluzione.» sorrideva convinta delle proprie idee e, a giudicare dall’insistenza, non sembrava tipo da mollare al primo colpo.
«Ie.» ripeté senza degnarla di considerazione, con gli occhi grigioverdi che fissavano davanti a sé senza però vedere nulla.
«Ma tu l’hai fatto per me, lascia che ti aiuti.» affiancò l’altra, sperando che la vicinanza la convincesse ad ascoltarla. Le rivolse un grugnito scocciato, stufa persino di parlare. «Verrai con me dal sensei?» chiese speranzosa, pensando che avrebbe acconsentito per sfinimento. Un dito medio fu l’ennesima dichiarazione di declino, ma l’unico effetto che ottenne fu uno sguardo perplesso.
«Cosa significa questo gesto?» inclinò la testa curiosa, arrivando persino a ripeterlo.
«Che devi andartene a quel paese.» spiegò laconica e schietta.
L’uccello da piume gialle era rimasto a guardare la scena, chiedendosi in che razza di persone fosse incappato.

 
La fine delle lezioni fu un sollievo per molti e una scocciatura per altri, poiché ciò dava inizio alle attività pomeridiane dei club. Star afferrò la propria borsa, di colore giallo, e saltellò sino all’uscita dell’aula. Una volta giunta alla sala di disegno avrebbe ricopiato lo schizzo e poi colorato a dovere. Già pensava in quali altre posizioni avrebbe ritratto la pretty cure e chissà che magari anche una seconda facesse la sua entrata in scena.
«Tutto questo è fantastico.» Con la testa su un altro pianeta, continuò a dondolare le braccia senza far caso a chi avesse davanti. La borsa urtò una persona e, sbilanciata dal movimento, fu costretta a lasciarla, facendo volare il suo contenuto ovunque.
«I miei fogli!» Alcuni schizzi finirono sul pavimento a scacchiera, bloccando il passaggio di alcuni studenti. «Sumimasen!» cercò di sbrigarsi nel raccattare il prima possibile, ma quando stava per raccogliere la carta su cui era delineata la guerriera notò una scarpa sostarci sopra. Essa era bianca e salendo con lo sguardo vide che apparteneva ad un ragazzo con i capelli castani. Gli occhi azzurri fissavano davanti a sé indifferenti, come se ciò che gli stava accadendo attorno non lo riguardasse.
«Quello è il mio disegno! Così lo rovini.» tentò di tirarlo via, ma inutilmente.
«Tatsumaki!» tuonò la voce di Tsubasa, ferma davanti a loro e con un’espressione arrabbiata. «Che cosa stai facendo?»
«Niente.» fu la laconica risposta. Una studentessa mora, poco distante da loro, affiancò il giovane che però parve non farci caso.
«È vero. È stata lei a urtarlo con la borsa.» indicò Star ancora inginocchiata a terra. «È colpa sua.»
«Veramente…» vedendo che tutti la stavano guardando abbassò la testa per l’imbarazzo, ma senza mollare il disegno.
Tsubasa non era tanto convinta di quella versione dei fatti. Quando era uscita dall’aula aveva visto una ragazza dalla chioma mossa e gracilina, che aveva riconosciuto come la nuova arrivata, e l’ultima persona che desiderava vedere al mondo. Mani in tasca e giacca appoggiata sulle spalle portava con sé la solita aura da “sono il padrone del mondo”.
«Credo sia il caso che tu te ne vada. Ora.» precisò, guardandolo con una profonda antipatia.
«Ostruisci la strada. Spostati.» superò Duster, togliendo finalmente il piede dalla carta, e fermò la camminata a pochi passi da Tenjoo, aspettando che si spostasse.
«Perché dovrei farlo?» chiese indispettita dall’ultimo capriccio del ragazzo. Sarebbe volentieri rimasta impalata lì solo per fargli un dispetto, ma in quel modo la piccola folla di curiosi che si era radunata in corridoio avrebbe assistito a tutto. Lei non voleva altra pubblicità e ancor meno lasciare quella poveretta in balia della situazione. Con un sommo sforzò decise di farsi da parte per lasciarlo passare e magari di non scaraventargli nulla in testa.
«Antipatico.» disse Star mentre tornava in posizione eretta e spolverava il prezioso pezzo di carta. Lui proseguì per la sua strada, come se non avesse manco parlato.
«Hai visto? L’ha lasciato passare.» bisbigliò uno studente all’altro. «Chi vorrebbe scontrarsi con uno di quei ragazzi?»
«Tanto lo sanno tutti che lei è invidiosa di lui.» I commenti divennero sempre più alti, trasformandosi in una vera conversazione di gruppo, parlando come se i due soggetti interessati non esistessero.
«Invidiosa e un corno…» bofonchiò Tsubasa, dando le spalle al capannello di comare per avvicinarsi a Star. «È il caso che tu vada, altrimenti non la smetteranno più.»
«Hai… arigatou.» compì un piccolo inchino, stringendo il mucchio di fogli al petto. Fu solo in quel momento che l’altra notò cosa o chi raffigurassero.
«Quella… è la cure dell’altro giorno?» Era strano vedere la propria forma guerriera ritratta, ma la cosa non le dispiaceva e neppure preoccupava. Le trasformazioni non erano come quelle di sailor moon: lì cambiavi abito eppure diventavi irriconoscibile per chiunque. Mistero. Una pretty cure cambiava soprattutto in aspetto e ciò conferiva loro un maggior anonimato. Il che non guastava considerando la vita che conducevano.
«Esatto!» annuì gasatissima, spalmandole quasi in faccia il suo capolavoro. «Ne ho altri al club, li vuoi vedere? Ritraggono anche le guerriere che ogni tanto appaiono in televisione. Sono bellissime, vero? Vero?» ad ogni parola le si avvicinò sempre di più, al punto che l’altra temette le saltasse al collo.
«Mi piacerebbe vederli.» annuì con un sorriso un po’ forzato.
«Allora andiamo.» riprese la sua borsa e senza guardare se la stesse seguendo o meno, saltellò per il corridoio diretta alla sede del club. «Ryusei è davvero una bella città. Un po’ sperduta tra le montagne, ma bella.» disse con l’intento di avviare un minimo di conversazione. La timidezza era scomparsa, anche se solo per il momento. Forse perché erano soltanto in due oppure perché una ragazza le aveva rivolto sinceramente la parola.
«Sono d’accordo.» lanciò un’occhiata alla schiera di villette visibili da quel punto dell’accademia e dalle montagne che circondavano la zona. Era praticamente una cittadina al centro di un anello montuoso e quel fatto rappresentava parte della bellezza del paese. «Secondo una leggenda in questo punto è caduto un meteorite secoli fa, ecco perché le hanno dato questo nome.»
«Fantastico! Quanto mi piacerebbe vederne uno.» immaginava una specie di stella cadente, una notte stellata e magari un principe, sbucato da qualche parte, che passeggiava solitario. Forse una principessa aspettava da qualche parte che lui arrivasse a salvarla…
«Star, la porta!» riuscì a bloccarla per un braccio, prima che un membro del club le spalmasse la suddetta in faccia.
«Ah, eccoti qui.» la responsabile sistemò gli occhiali sul naso prima di guardare le due. «Duster-san, oggi ci saremo solo noi due. Io ho delle faccende da sbrigare, tu non distruggere nulla. Intesi?» sottolineò, fissandola seriamente.
«Hai!» annuì allegra, dando a capire che non aveva assolutamente recepito il messaggio.
«È inutile.» L’altra sospirò e, senza salutare le due, si avviò per la sua strada. Intanto la kohai era entrata nella sede per sistemare le sue cose.
«Accomodati.»  Tsubasa la seguì dentro e notò che la stanza era abbastanza in ordine, a dispetto dell’anno prima. Alcuni scaffali erano attaccati al muro, contenenti cartelle, foglie e vari gadget. Quattro scrivanie erano poste al centro, una di fronte all’altra, coperte da svariato materiale e un armadietto contenente la cancelleria era posizionato accanto ad un’altra porta.
«Cosa c’è lì dentro?» notò che la ragazza vi era entrata e frugava tra una serie di scatoloni accatastai alle pareti.
«Vecchio materiale del club.» spiegò mentre sfogliava un vecchio album usurato. «Sto cercando dei disegni di altre leggendarie guerriere. Sono certa che ci siano.» Da quando aveva messo piede nella sede era riuscita a guardare buona parte dei fogli contenuti negli schedari, ma la responsabile vietava di mettere in disordine il ripostiglio o peggio ancora rovinare vecchie “opere d’arte”. Tuttavia, la comparsa in una pretty cure in città, le aveva infuso il desiderio di confrontare il suo operato con quello di altre persone.
«Trovato!» sollevò all’improvviso una cartellina logora, colpendo una pila di scatoloni che precipitarono al suolo, evitando le due per un soffio. Tossirono per il cumulo di polvere sollevatasi e anche dal tanfo di muffa che aleggiava per l’aria.
«Star… sei un pericolo per te stessa.» borbottò la ragazza mentre tentava di arieggiare con una mano.
«Lo so, me lo dicono tutti.» sorrise allegrissima, segno che anche in quel frangente non aveva recepito il messaggio. Sistemò la cartellina prima di chinarsi per raccattare le cianfrusaglie sparse sul pavimento.
«Ti aiuto.» raccolse alcune matite e astucci colorati, vecchi ritagli di giornale ed un piccolo scatolo chiuso con del nastro adesivo. Accanto ad esso vide un cofanetto color ocra, con decorazioni a forma di stella gialle ed un lucchetto senza fessura colo argento.
«Non può essere… sembra un beautybox…» mormorò stupita mentre raccoglieva l’oggetto e scostava la polvere in eccesso. Era identico al suo, se non per le decorazioni ed i colori…
«È proprio lui-ro!» esclamò un uccellino blu, apparso praticamente dal nulla, facendo quasi venire un coccolone a Tsubasa, che spalancò gli occhi come due palline da ping pong.
«Loriquet!» lo richiamò arrabbiata, poggiando una mano sul cuore per evitare che uscisse dal petto per andarsene in giro da solo. «Sei impazzito? Mi hai fatto spaventata a morte!» Quella stessa mattina il fidato amico aveva promesso di seguirla ovunque ma senza farsi notare e dal quel momento non aveva più emesso fiato. Non essendo ancora abituata a lui aveva quasi rimosso la sua presenza. Quasi.
«È proprio uno scrigno delle guerriere-ro.» volava da una zona all’altra per studiare l’oggetto mentre annuiva a ragionamenti che seguiva soltanto lui.
«Kawai!» La vocetta di Star li riportò entrambi coi piedi per terra, ricordando che non erano da soli. Intanto la ragazza guardava l’uccellino con occhi luccicanti e le mani intrecciate davanti al petto per l’emozione. «E parla anche.»
«Un attimo… tu puoi capire ciò che dice?» domandò basita, al che lei e la creatura si guardarono negli occhi. Da quanto le aveva raccontato, nessun’altro a parte lei riusciva a capire cosa lui dicesse. Più volte aveva tentato di parlare con degli umani ma era sempre stato scacciato perché reputato un uccello fastidioso.
«Certo! Anche se non so perché.» batté le mani entusiasta e gattonò per avvicinarsi con l’intenzione di accarezzarlo. «Da dove viene? Perché parla?» Loriquet parve gradire i grattini col dito, arrivando a mettersi a pancia all’aria, ma poi iniziò ad agitarsi quando lei gli tirò le guance e lo stritolò in un abbraccio per nulla gradito.
«Storia lunga. Un giorno te la racconterò.» tagliò corto per evitare di sbottonarsi e lasciarsi sfuggire dettagli importanti.
«La…sciami-ro…» bofonchiò con voce soffocata, sbattendo le aluccie per volare via.
«Cosa ne facciamo di questo?» Tenjo prese il portagioie e lo esaminò da svariate angolazioni, cercando un qualche indizio. L’amico riuscì finalmente a sbucare fuori e andò ad appoggiarsi sopra la sua spalla.
«Lo terrai tu nel frattempo. Almeno fino a quando non troveremo la guerriera a cui è destinato-ro.»
«Vuol dire che arriveranno altre leggendarie guerriere? Quando? Dove?» Star, presa dall’euforia, inclinò il busto in avanti, pericolosamente vicina dal tirare una testata ai due, che si allontanarono di conseguenza.
«Non lo sappiamo. Davvero.» sorrise leggermente e infilò il nuovo cofanetto nella borsa per finire di sistemare lo scatolone.
«Quando succederà mi avviserai? Voglio assolutamente disegnarle!» impilò altri fogli e gettò un altro contenitore dove capitava, rischiando di far crollare nuovamente tutto. «Guarda che meraviglia.» mostrò un vecchio album contenete dei disegnati, alcuni colorati, delle pretty cure: bloom, egret, passion, blossom e così via. Probabilmente erano tutti opera della stessa persona, la quale aveva sfruttato le imprese che puntualmente apparivano in televisione. Anche se in determinate pose erano talmente vicine da sembrare che quella persona fosse stata realmente con loro.
«Sono simili ai tuoi, anche per bravura. Devi essere davvero soddisfatta del tuo lavoro.» sorrise mentre uscivano dal ripostiglio per andare ad accomodarsi ai lati di un scrivania.
«Infatti lo sono. Però devo migliorare ancora, ma sono certa che un giorno riuscirò a realizzare il mio sogno.» Con la matita iniziò a tratteggiare alcuni punti, quelli che reputava i migliori e quindi non sottoposti a cambiamenti.
«E quale sarebbe?» chiese un po’ curiosa mentre con un fazzoletto lucidava il nuovo beautybox. Il tutto sotto lo sguardo di Loriquet, che osservava entrambe alternativamente ma senza smettere di “seguire” il suo lavoro di pulizia.
«Diventare una mangaka. Vedrai che tra qualche anno troverai un mio manga esposto in un edicola.» soffiò la polvere della matita in eccesso e cambiò angolazione. «Magari un’avventura che parla proprio delle fantomatiche guerriere.» continuava le sue correzioni saltellando da un punto all’altro del foglio, con una tale allegria da far pensare che soffrisse di qualche strano disturbo.
«Sarebbe una bella cosa.» osservò con quanto impegno l’altra ritoccasse la sua opera, cancellasse e poi disegnasse nuovamente con ancora più attenzione. Sorrise con dolcezza e smise di lucidare il cofanetto, mettendolo da parte. «Credo che il tuo sia un sogno ambizioso ma non irraggiungibile. Hai talento e anche la volontà di realizzare le tue aspirazioni e queste sono le chiavi del successo. Volere è potere, ricordalo.» alzò un indice con fare saputo, ma fece l’occhiolino per farle capire che scherzava.
«Arigatou!» le rivolse un sorrisone, con le guance leggermente imporporate per la felicità. Ogni qual volta una persona dimostrava di credere in lei era un passo in avanti verso il suo traguardo. «E il tuo sogno, invece?»
«Il mio?» con l’indice seguì i tratti di un piccolo dinosauro che qualcuno aveva tratteggiato sul legno della scrivania. «Trovare ciò che ho perso.» mormorò con occhi assorti, ricoperti da una patina di tristezza.
«Eh?» inclinò la testa senza capire, mostrando un punto interrogativo sulla testa.
«Posso chiamarti Starin?» domandò per cambiare discorso e distoglierlo dalla sua persona. Le piaceva dare piccoli nomignoli a chi definiva suo amico, per cui Star non avrebbe fatto eccezione.
«Ma certo. Avere un nome straniero, per quanto mi piaccia, è un po’ una seccatura.»
«Sei una gaikokujin? Anche il tuo cognome è straniero.»
«Proprio così.» annuì ripetutamente. «Da parte di madre, infatti anche mio fratello maggiore ha un nome straniero, però siamo nati e cresciuti a Tokyo. Tu hai fratelli o sorelle?» proseguì, con la sua voglia di far conoscenza e i continui schizzi a matita.
«Ho… un fratellastro.» masticò la parola tra i denti, decisamente disgustata nel riferirsi a lui come tale figura. «È il figlio dell’attuale moglie di mio padre. Lo hai anche visto.» spiegò, sempre con la solita smorfia.
«Davvero? E chi è? Un nostro compagno di classe?» impilò una serie di fogli e li sistemò in una cartellina gialla, con sopra scritto il suo nome.
«… Tatsumaki. Il ragazzo che ha calpestato il tuo disegno.» fissava un angolo della stanza con la stessa espressione con cui avrebbe guardato uno scarafaggio. 
«Quel tipo così antipatico?» strinse la cartellina al petto con una smorfia. A pelle non le aveva procurato una cattiva impressione, ma non era stato gentile. Per niente. «Non è affatto gentile.» ripete a voce ciò che aveva pensato.
«Affatto.» bofonchiò, ma poi sorrise e afferrò la sua borsa. «Non sei vittima del suo fascino e delle discutibili maniere. Ritieniti fortunata.»
«Dici? Comunque io ho finito. Usciamo? Forse incontriamo qualche leggendaria guerriera in missione.» propose con gli occhi luccicanti, camminando con aria talmente trasognata che Tsubasa temeva sarebbe finita dritta contro la porta.
«Ahia!» Cosa che effettivamente accadde. Una goccia di sudore cadde dietro la testa dell’altra, la quale temeva cosa avrebbe combinato una volta rimasta sola.


Halloween galleggiava al centro di un’aula vuota. Le ombre erano stagliate lungo la superficie bianca delle mattonelle e quella generata dalla cattedra ricopriva anche la creatura. Nella mano ossuta stringeva uno yo-yo di legno mentre nell’altra una pietra arancione. Inserì la seconda all’interno del primo, il quale lo assorbì completamente.
«Pretty cure…» mormorò con la solita voce distante mentre galleggiava sino a raggiungere la finestra aperta. Lanciò l’oggetto al centro del cortile e questo iniziò pian piano a crescere, ricoprendo l’edificio con la propria ombra. «Avrò le Heart stone…» 


«È qui-ro!» Loriquet saltò fuori dalla tasca di Tsubasa, rischiando di strapparla nella foga. «Il nemico!»
«Stai scherzando?» La ragazza corse sino ad una finestra ed appoggiò le mani al davanzale per sporgersi il più possibile; proprio in quel frangente qualcosa di gigantesco cadde dal cielo.
«Zudon!» Un yo-yo versione extralarge e con una grossa zucca posta come testa saltellava agilmente, tramite una molla sistemata sulla punta. Ogni suo atterraggio provocava un piccolo terremoto e un forte spostamento d’aria che sollevava un polverone.
«È un mostro. Tra poco arriveranno le pretty cure!» Duster, felicissima all’idea di vedere una delle sue eroine, afferrò l’album e la matita pronta per disegnarle.
«Sono tornati in fretta, a quanto pare. Starin, vai a nasconderti, è pericoloso.» detto ciò, scattò in una corsa per allontanarsi dal corridoio.
«Arrivo-ro!» gridò il lorichetto mentre la seguiva in volo, desideroso di aiutarla.
«Matte! AH!» allungò una mano per tentare di fermarli ma una scossa, dovuta all’attacco dello zudon, fece tremare l’accademia e la costrinse ad aggrapparsi al davanzale. «Che paura…»
Una serie di urla iniziarono a sovrapporsi fra loro, segno che gli studenti ancora a scuola avevano ormai visto il coso saltellante.
«Da questa parte, sbrigatevi!» Delle ragazze piangevano mentre altri tentavano di ripristinare un minimo di ordine per mettere in salvo i presenti. Lei era troppo spaventata per muoversi e la confusione in corridoio non aiutava a calmarsi.
«Zudon!» All’ennesimo gridò belluino spalancò gli occhi e vide, come un film dell’orrore, la mastodontica figura saltare in alto per poi lasciarsi andare verso l’edificio. Strinse le palpebre aspettando lo schianto, il dolore o peggio ancora.
«Fermo!» Una figura sferrò un poderoso pugno contro il nemico, costringendolo a cambiare traiettoria e salvando così parte della scuola. Quando aprì lentamente gli occhi vide la stessa guerriera del giorno precedente. Era ferma al centro del cortile, coi pugni chiusi e in posizione di guardia mentre l’avversario riprendeva a ruotare per riassumere una posizione eretta e tornare alla carica.
«Sono arrivate le pretty cure!» esclamò felice, saltellando allegramente sul posto. Cercò con lo sguardo il suo album da disegno e, una volta notato per terra, gattonò sino a raggiungerlo per recuperarlo. Nel frattempo lo yo-yo saltellava a più non posso, dimostrando una notevole agilità nonostante la mole. Heaven scartava all’indietro evitando gli affondi della punta trivellata, ma quando cercava di contrattaccare balzava a sua volta, rischiando anche di schiacciarla sotto il suo peso.
«È decisamente più veloce del precedente, accidenti.» masticò tra i denti con difficoltà. Era il suo secondo scontro e non aveva ancora dimestichezza con la sua forza da potersi permettere determinati attacchi.
«Forza, ce la puoi fare pretty cure!» Duster cercò di incoraggiarla iniziando a fare il tifo, credendo che la guerriera buona avrebbe sconfitto la creatura malvagia. Come succedeva sempre, in qualsiasi film, favola o racconto avesse visto o letto.
«Per poterlo distruggere hai bisogno di arrivare vicino a lui-ro.» Loriquet, accanto alla sua protetta, cercava una soluzione che aiutasse entrambi ed evitasse svariati ricoveri all’ospedale. Il mostro, notando la loro indecisione, decise di puntare su un altro bersaglio, ovvero la scuola.
«Iia!» Heaven vide lo zudon roteare velocemente verso l’ala est, arrivando quasi a frantumare la parete con le lame, cosa che non riuscì a fare perché lei “abbracciò” la parte inferiore, tentando di fermare la sua avanzata.
«Ah!» Star lasciò cadere l’album di mano all’ennesima scossa e quando delle finestre andarono in frantumi si accucciò accanto al muro, con le mani sopra la testa. «Ho paura…» assistere ad uno scontro tramite televisione era troppo facile. Una semplice visione, un vetro che separava un vero campo di battaglia dal suo mondo protetto. Mai aveva temuto per la sua vita e non perché nutrisse fiducia nelle leggendarie guerriere, ma perché la sua vita non era mai stata in pericolo. In quel frangente, invece, era terrorizzata di farsi male, di non poter più disegnare o peggio ancora di morire. Essere una leggendaria guerriera era tutta un’altra questione. «Aiutatemi…»
«Smetti di avere paura-bi.» disse una voce ferma, dal tono adulto nonostante fosse chiaramente infantile.
«Eh?» abbassò le braccia e aprì gli occhi. Davanti a lei vide un uccellino dalle piume gialle e gli occhi marroni. Il becco appuntito e gli occhi sottili gli donavano un’aria seria che ben poco si addiceva al suo aspetto paffuto. «Chi sei?» riuscì a mormorare nonostante i continui sbalzi che rischiavano di far crollare quella parte della scuola.
«Il mio nome è Habicht-bi.» zampettò impettito sino a raggiungere le sue ginocchia. «Sono qui per aiutarti a combattere.»
«Watashi?» indicò sé stessa con l’indice senza capire. Quando l’altro annuì, una strana euforia la pervase e abbassò il volto all’altezza dell’altro. «Vuol dire che posso diventare una pretty cure? È così?» esclamò, in preda ad un’allegria fuori luogo.
«Esattamente. Devi soltanto volerlo veramente.»
«Ma io lo voglio! Mi piacerebbe tanto diventare una leggendaria guerriera.» Le luccicavano gli occhi al solo pensiero di indossare un bel vestito, usare poteri fantastici e combattere il male.
«Allora perché non hai ancora la Quillock-bi?» chiese senza perdere il tono inflessibile.
«Eh? Quillock?» Un grosso punto interrogativo lampeggiò sulla sua testa e un’espressione stupita sostituì la precedente. Tuttavia, un piccolo crollo la riportò alla realtà, ricordandole che la creatura lì fuori era reale e rischiava davvero di distruggere tutto. «Però… ho paura…»
«Appunto-bi.» spiccò un piccolo volo per guardare fuori dalla finestra. «Alzati e guarda-bi.» Star fece come le aveva detto e ciò che si presentò davanti ai suoi occhi fu il cortile mezzo devastato e pieno di buche. La trottola gigante roteava sempre più velocemente, rendendo difficile ogni attacco da parte della guerriera che non riusciva a portarli a segno da una distanza troppo ravvicinata.
«Non vuoi aiutare la ragazza che prima era con te?»
«Parli di Tsubasa-chan?» lo guardò senza capire, prima che la consapevolezza la folgorasse. «È lei? È una pretty cure? È fantastica!» esclamò, osservando Heaven con occhi diversi. Appena la battaglia fosse stata conclusa le avrebbe chiesto di farle da modella per i suoi disegni, assieme ad altre.
«Non è questo il punto-bi.» precisò Habicht. Un secondo dopo qualcosa schiantò contro la vetrata e la suddetta guerriera finì stesa sul pavimento.
«Heaven-ro!» Loriquet atterrò vicino a lei, saltellando da un punto all’altro preoccupato. «Stai bene? Ce la fai-ro?»
«Ecco-bi.» parlò il falco, incurante di ciò che accadeva attorno a lui. «Lei è un esempio di guerriera inesperta-bi.»
«Scusami tanto, ma sono una pretty cure solo da un giorno!» sbraitò la cure, scattando seduta per essersi sentita punta sul vivo. «Starin?»
«Habicht-ro!» parlarono entrambi, la prima sorpresa di veder la compagna di classe ancora lì e il lorichetto con voce felice. «Sono così contento di vederti-ro.» era chiaramente commosso e avrebbe volentieri abbracciato l’amico se non fosse stato praticamente ignorato da lui.
«Allora-bi?» proseguì, incurante del baccano provocato dal combattimento. «Vuoi aiutarla? Lo desideri dal profondo del tuo cuore-bi?» la guardò attentamente negli occhi, sia per farle rendere conto dell’importanza della sua risposta e sia per spronarla a scegliere.
«Hai!» annuì con enfasi, stringendo le mani al petto. «Io ho molta paura… ma voglio davvero aiutare Tsubasa-chan. Aiutami a farlo.» osservava l’uccello dorato con occhi supplicanti e un velo di determinazione che nasceva dal suo voler aiutare l’amica.
«Starin…» mormorò Heaven, non aspettandosi un gesto così sentito da parte sua. Sorrise e strinse un pugno, portandolo davanti al volto. «Puoi essere anche tu una leggendaria guerriera. Volere è potere, ricordalo.»
«Se hai un desiderio così profondo-bi…» mormorò chiudendo gli occhi, pur essendo consapevole dello strano bagliore giallo che fuoriusciva dalle dita contratte della ragazza. «… allora esso diventerà realtà-bi.» appena ebbe finito di parlare, qualcosa venne materializzato all’interno delle mani. Era soffice e stranamente caldo.
«Cos’è?» le schiuse e tra esse vide una piuma bianca con all’attaccatura un cerchio dorato e al centro una stella gialla.
«La tua chiave-bi.» indicò la ragazza con un’ala, guardandola per la prima volta con decisione. «Segui ciò che ti suggerisce il cuore. Non hai bisogno di altro-bi.»
«Hai!» sorrise felice e, seguendo un impulso strano, aprì la mano e pronunciò una parola. «Beautybox.» Immagini e parole vennero sovrapposte nella sua testa e in quel momento seppe cosa fare.
Afferrò la chiave col pollice e indice, facendo combaciare la gemma con la serratura. Col secondo dito girò la piuma in senso orario, con la punta verso il basso. «Pretty cure, arise!» Lo scrigno si spalancò, liberando una forte luce gialla e una miriade di piume color oro.
«Star shining!» sorrise, lasciando il cofanetto per stendere le braccia orizzontalmente mentre i vestiti diventavano energia gialla che venne tramutata in una corta sottoveste. Si sollevò sulla punta del piede destro, piegò l’altro ginocchio e compì una serie di piroette, mentre le piume la circondavano in una specie di bozzolo. Alcune vorticarono attorno alle mani e con uno scoppio formarono dei guanti al dorso, bianchi e con rifiniture ocra. Fu il turno del busto ad essere sommerso, generando una giacca giallo chiaro chiusa sul davanti e con maniche a sbuffo. Al centro venne appuntato un fiocco dorato con al centro una gemma gialla. In basso spuntò una gonna ampia e bianca con un fuseaux giallo. Ai piedi calzava degli stivaletti ocra con delle calze giallo chiaro sino al ginocchio. Batté il piede sinistro, piegò la schiena all’indietro e i capelli ondeggiarono, diventando poi lisci. Il colore assunse la tonalità della nocciola, così come gli occhi, e un fermacapelli a forma di stella brillò sulla tempia sinistra. Il cofanetto venne chiuso con un colpo del palmo e dissolto in scintille mentre la chiave volò sino a posarsi sopra la stella.
«La luce delle stelle…» batté le mani mentre ammirava le stelline che la circondavano, su uno sfondo dorato. Posizionò due pugni sotto al mento, coi palmi rivolti verso l’esterno, e con gli indici puntò al proprio volto sorridente. «Cure Starlight!»
«Ce l’hai fatta.» mormorò Heaven, felice di avere una compagna in tutta quella baraonda.
«Sono una pretty cure! Sono una pretty cure!» ripeteva euforica mentre correva in cerchio.
«Zudooooon!» Il mostro ricordò loro che era ancora lì, impegnato a distruggere la cancellata, sradicare alberi e tentare di abbattere l’accademia.
«Non temete, ci penso io.» Starlight, forte dell’energia che le scorreva in corpo e felice per il ruolo di guerriera, decise di rendersi subito utile. Balzò fuori dalla finestra e atterrò su entrambi i piedi, seppur in modo traballante, saltellando sul posto come un grillo. «Ehi, mostro! Sono qui!» agitò le braccia cercando di attirare la sua attenzione, cosa che riuscì a fare poiché la gigantesca trottola cambiò traiettoria per dirigersi di gran carriera verso di loro.
«Starlight, che stai facendo?» Heaven fissava il nemico avvicinarsi con gli occhi fuori dalle orbite. «Dobbiamo tenerlo lontano dall’accademia!»
«E tu stai facendo esattamente il contrario-ro.» mormorò Loriquet preoccupato, fissando alternativamente le due e il mostro.
«Eh? Ah! Gome…» smise di agitarsi per picchiettare gli indici, un po’ dispiaciuta di aver già commesso il primo sbaglio. Habicht chiuse gli occhi, parzialmente sconfortato dai fallimenti delle due presunte salvatrici del mondo. «Hanno ancora molto da imparare-bi.» 
«Dove pensi di andare?» La cure blu saltò contro lo zudon, sferrando un pugno al centro per tentare di rallentarlo o fermarlo, ma la rotazione fu troppo veloce e quindi costretta ad allontanarsi per evitare che le andasse a fuoco una mano. «Accidenti!» scosse le dita per il bruciore e intanto malediceva la propria incapacità nel non riuscire a combattere come una vera guerriera.
«Ci provo io!» Starlight spiccò un agile balzo, sorprendendosi di riuscire a restare sospesa in aria per tanto. Purtroppo calcolò male la tempistica e quindi finì a schiantarsi contro le lame di legno della trottola, che la scaraventarono lontano. Con un grido finì addosso ad un tronco, sentendo un forte dolore alla schiena.
«Come stai?» L’altra tentò di avvicinarsi ma fu impossibile perché i continui attacchi la costrinsero ad indietreggiare, nonostante cercasse di cambiare direzione.
«Forza, ragazze-ro!»
«Devi usare i tuoi poteri-bi.» I due uccelli erano in volo, il primo desideroso di aiutare e il secondo che Star agisse come una guerriera.
«Ma non so come.» riuscì a rimettersi in piedi appoggiando una mano all’albero. L’idea di procurarsi altro male la spaventava, anche se desiderava veramente aiutare. Cosa poteva fare?
«Ascolta la voce dentro di te, sarà lei a guidarti-bi.»
«La voce…» chiuse gli occhi in attesa, percependo i boati esterni farsi sempre più vicini. Tentava di afferrare qualcosa di astratto, delle parole che sgorgavano dal suo cuore fino a rimbombare nella sua mente. «Ci sono!» spalancò gli occhi e strinse i pugni accanto al volto, con un sorriso che andava da un orecchio all’altro. Sollevò il braccio destro al cielo, col palmo rivolto verso l’alto.
«Le stelle in questa mia mano! Pretty cure…» una miriade di puntini gialli vennero raccolti all’interno della mano, ricoprendo l’intera figura di un’aura dello stesso colore. Formò una stella a cinque punte di medie dimensioni che galleggiava sull’arto. «Rolling star!» lanciò l’arma come fosse stato un boomerang. Nonostante la velocità della trottola riuscì a tagliare in due la testa a forma di zucca, mettendo la parola fine alla vita del nemico.
«Zudoooon!» Dopo un ultimo lamento il corpo venne cristallizzato in arancione ed infine polverizzato.
«Yatta!» Starlight saltellò, esultando assieme a Loriquet, altrettanto felice, mentre Habicht annuì parzialmente soddisfatto dalla riuscita dell’impresa. Heaven sospirò di sollievo e con un sorriso fece comparire il cofanetto, per riparare ai danni procurati dal combattimento.
«Pretty cure…» mormorò una voce cavernosa che ella riconobbe subito, fermandosi nell’atto di intingere la piuma.
«Halloween!» i presenti voltarono il capo in quella direzione e, stranamente dalla prima volta, notarono due piccoli puntini rossi nel fondo delle fessure buie degli occhi.
«Inizierò a fare sul serio, preparatevi. La caccia alle Heart stone è aperta.» minacciò, osservando a turno i quattro, fino a fermarsi sui due uccellini che rabbrividirono ma non vollero farsi sottomettere. Da loro dipendeva la salvezza di due mondi e non potevano cedere alla paura, per quanto forte.
«Non ti permetteremo di impossessarti di loro-ro!»
«E tanto meno avrete le Saint Wonder-bi.» parlarono quasi in sincrono, pienamente determinati e sicuri delle loro parole. Avevano fallito una volta, ma non sarebbe accaduto nuovamente. «La nostra leggenda risorgerà nuovamente-bi.» Avessero potuto sarebbero partiti all’attacco ma sapevano di non avere alcuna possibilità, non in quelle condizioni.
«Di cosa stanno parlando?» mormorò Tsubasa, che non capiva pienamente i loro discorsi dato che l’uccellino dalle ali blu aveva omesso di spiegarle alcuni dettagli.
«Esatto, non farai male a nessuno!» sbraitò la cure gialla, agitando le braccia al cielo per dar maggior enfasi alle sue parole. Quando però la zucca guardò di colpo nella sua direzione andò a nascondersi dietro la schiena della compagna. «È davvero spaventoso, ma chi è?» 
«Lo vedremo…» fu la risposta del nemico mentre il corpo affondava nella propria ombra sempre più. «Lo vedremo.» dopo ciò scomparve del tutto, lasciando gli astanti nel silenzio assoluto. Dovevano riportare tutto alla normalità, tornare umane e discutere con i due pennuti sulla minaccia della zucca spaventapasseri.
«WOW!» gridò entusiasta una ragazzina, procurando un infarto a tutti che si ritrovarono con gli occhi fuori dalle orbite per la sorpresa.
«Chi è stato?» chiese Starlight con i capelli in disordine per la potenza dell’urlo. Heaven riuscì a riprendere una posizione decente ed a voltarsi lentamente, ma con uno strano presentimento. Un paio di occhi rossi, vivaci e svegli, fissavano i presenti come fossero stati le più grandi celebrità del mondo.
«Non è possibile… sei la ragazzina di ieri…» parlò sorpresa e leggermente sconvolta dal ritrovarsela nuovamente davanti.
«Siete state grandi, assolutamente!» camminò come un treno, avvicinandosi a velocità impressionante per osservarle da diverse angolazioni. «Voglio essere anch’io una leggendaria guerriera, sono pronta? Cosa devo fare?» parlò a macchinetta, quasi stordendo tutti per le chiacchiere e il muoversi continuo. «Allora? Sono pronta a combattere per la giustizia!» decretò con un pugno chiuso e gli occhi che fiammeggiavano per la forza della sua convinzione.
«È fantastico!» Star batté le mani una volta, sprizzando gioia da tutti i pori per la notizia.
«È un disastro…» bofonchiò Heaven, con una goccia di sudore che colava dalla tempia e la sensazione che i loro guai fossero soltanto all’inizio. 

 

 





Salve popolo di pretty cure.
Ecco il secondo capitolo e con la seconda guerriera. Alcune domande aleggiano nell’aria: cosa sono le Heart stone? E le Saint Wonder? Tutto verrà svelato nella prossima puntata.
Con gli scontri vado coi piedi di piombo, nel senso che non sono tutte super guerriere al primo colpo. Non credo sia facile “convivere” con capacità straordinarie e saperle usare con uno schiocco di dita.
La ragazzina a fine capitolo è la carissima Yoko, che sarà protagonista del prossimo capitolo.

-Domandina per gli iscritti: love interest per le vostre oc, ovvero che tipo di persona può interessarle. Accetto sia het che yuri. Solo se siete interessati, ovviamente.

Traduzione:
-Sumimasen: scusa.
-Gaikokujin: letteralmente “persona di terra esterna (al Giappone)”, termine neutro riferito agli stranieri.
-Oni-chan: fratellone.
-Matte: aspetta.
-Ie: no.
-Watashi: io.

Credits:
Star Duster appartiene a Stardust94:
-Umana: https://i.pinimg.com/originals/a6/6f/c8/a66fc890c3769dd3826313d2e0732d08.jpg
-Pretty cure: https://i.pinimg.com/236x/a4/b1/81/a4b181d48feecfbae2b935313d228e25.jpg
Rei Maeda appartiene a Tinkerbell92


Per adesso vi saluto gente e vi do appuntamento al prossimo capitolo. Buon fine settimna. ^^

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