Pretty cure Wonder! [Interattiva] di Scarlett Sakura (/viewuser.php?uid=44051)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** L'accademia dei misteri! ***
Capitolo 3: *** Tra sogni e disegni! ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Pretty cure Wonder!
C’erano
una volta, in un’epoca lontana, quattro dee buone e giuste.
Elle erano sorelle,
di sangue e di spirito, e per tanto decisero di creare assieme un nuovo
mondo.
Ognuna fornì ciò di cui avrebbe avuto bisogno
attraverso i quattro elementi
naturali: acqua, fuoco, terra e aria. Quando il pianeta divenne
vivibile,
diedero vita ad una specie vivente che potesse abitarlo e fecondarlo.
La più
giovane formò il popolo del cielo, il cui regno era situato
proprio
nell’azzurro sconfinato. Etherion, così venne
ribattezzato, per le meraviglie
racchiuse in tale reame, una bellezza irraggiungibile per chiunque.
La
Dea, essendo una donna saggia e sapendo che in futuro sarebbero andati
in
contro a probabili conflitti, diede la vita a sette guardiane che
potessero
proteggerlo per sempre. Dal proprio corpo stacco sette frammenti, a cui
diede
altrettante benedizioni.
Dal
primo originò la guerriera del cielo, la cui armonia avrebbe
abbracciato e protetto
chiunque abitasse sotto di esso.
Dal
secondo la signora del sole; energica e passionale come tale astro, il
suo
fuoco avrebbe scaldato e nutrito il pianeta.
Dal
terzo la sua gemella, ovvero la luna. Guida quieta e materna, la sua
luce
avrebbe sempre illuminato la notte buia.
In
seguito nacque la combattente della stella, colei che accompagnava i
sognatori
nei loro viaggi e ne proteggeva le speranze.
Successivamente
toccò alla nuvola, libera e gioiosa, nell’animo e
nel pensiero, avrebbe
camminato nella fantasia.
La
sesta fu l’aurora, bellissima e misteriosa, una presenza rara
ma di tale
bellezza da rendere impossibile dimenticare ogni sua apparizione.
Poiché
i sei frammenti erano ricchi di potere positivo, per controbilanciare
ed
equilibrare le forze, generò una sola ma potente pretty cure
negativa. Se le
prime sei vennero accolte come benedizione, l’ultima fu
considerata una
maledizione. Incapace di vivere assieme a tanto splendore,
sparì senza lasciare
traccia.
Eteherion prosperava, libera e pura, con i suoi abitanti dotati di
magnifiche ali. Tuttavia,
la gelosia insita nell’animo umano spinse gli abitanti del
mondo terrestre a
rivoltarsi contro colore che reputavano benedetti. I Subterra, una
popolazione
situata nel sottosuolo, approfittò di tale malevolo
sentimento per scatenare
una terribile guerra. Per evitare che il loro piccolo paradiso fosse
distrutto,
la popolazione sigillò le porte del cielo, troncando ogni
contatto col mondo
sottostante. Almeno fino al giorno in cui, i sette frammenti, sarebbero
tornati
uno solo per realizzare la loro grande leggenda.
La
ragazza batté le palpebre, come risvegliatasi da un
momento di stasi. Osservò con sguardo assente
l’edificio vittoriano che si
stagliava oltre il cancello di ferro battuto. Quel giorno sarebbe
entrata
ufficialmente nell’accademia Mugen, che racchiudeva al suo
interno studenti in
lizza per il titolo di “talento”.
Un tempo era colma di gioia all’idea di varcare quelle
porte. In quel momento, però, non percepiva nulla. Come
quando aveva incontrato
quella persona…
Aprì uno dei due battenti e oltrepasso l’entrata
senza
guardarsi attorno. Avrebbe riavuto indietro ciò che aveva
perduto, anche se non
sapeva in che modo.
Buon salve gente.
Ho deciso di aprire quest’altra interattiva come una
sorta di personale sfida. L’andazzo sarà, spero
più canon, e con più criterio. Game
of Gods resta, tranquille. Diciamo che la storia non era abbastanza
strutturata
e mentre raccolgo le idee do sfogo a qualcosa di
più… pretty cure.
Piccole
precisazioni:
-Etherion è situato in un’altra dimensione, non
sulla
terra.
-Se avete dubbi o domande chiedete pure. Sono a vostra
diposizione.
-Non sparite. Se dopo tre capitoli non ho vostre
notizie, purtroppo la vostra oc dovrà lasciarci.
-Nella recensione scrivete il nome della pretty cure
scelta e il tipo di potere.
-Le caratteristiche lasciate nel prologo non sono
obbligatorie, ma possono essere una linea guida.
Come
avrete capito le pretty cure prendono poteri e
caratteristiche da ciò che c’è nel
cielo. Qui sotto troverete le guerriere con
i colori abbinati:
Pretty cure del cielo = blu/azzurro
(Scarlett
Sakura)
Pretty cure del sole =
rosso/arancione
(Mixxo98)
Pretty cure della luna =
bianco/argento
(Marina94)
Pretty cure della stella =
giallo/marrone
(Stardust94)
Pretty cure della nuvola =
viola/rosa
(_Alcor)
Pretty cure
dell’aurora = verde/verde
acqua (Tinkerbell92)
Per
i poteri vi chiedo di scegliere una tipologia, in
modo da non ritrovarmi guerriere con lo stesso potere:
-Poteri d’attacco ravvicinato. (intesi come energia e
non fisici) Scarlett Sakura
-Poteri di difesa. (niente poteri d’attacco) Tinkerbell92
-Poteri attacchi multipli. (piccoli ma tanti, per
intenderci) _Alcor
-Poteri imprigionamento. (catena, getti, liane, fruste
e simili) Mixxo98
-Poteri a attacchi a distanza. (frecce, sfere
d’energia e simili)
Stardust94
-Poteri curativi. (Guarire dei danni, trasferirli e
simili) Marina94
Nome
e cognome:
Età e data di nascita: (Non oltre i 18 anni)
Catchphrase: (se ne ha una)
Carattere: (niente aggettivi, siate dettagliate)
Aspetto fisico: (niente aggettivi, siate dettagliate)
Storia:
Famiglia:
Ama:
Odia:
Tic e fobie:
Sogni e aspirazioni:
Pregi e difetti:
Nome pretty cure: (inglese, per favore. Al massimo italiano)
Aspetto pretty cure:
Frase di presentazione:
Uccello: (avranno un uccello come riferimento. Lorichetto blu occupato)
Cosa pensa delle pretty cure:
Stile di combattimento:
Poteri: (Almeno tre. Dal più debole al più forte)
Immagine:
Per adesso vi saluto gente e
spero che qualcuno
accetterà la sfida. Buon fine settimana. ^^
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Capitolo 2 *** L'accademia dei misteri! ***
Pretty cure Wonder!
Una
goccia d’acqua cadde nel vuoto e non produsse alcun rumore.
Delle antiche mura,
ricche di crepe e di storia, si ergevano solitarie a protezione di chi
ancora
viveva al suo interno.
«Svegliatevi…»
mormorò una dolce voce femminile, rompendo un silenzio quasi
assordante. «È
giunto il momento di destarvi dal vostro sonno…»
Alcune
luci presero vita, illuminando la sala vuota in un caleidoscopio di
colori:
grigio, blu, verde, giallo, rosso, e viola. Delle sfere di tali colori
si
staccarono da sei statue raffiguranti delle persone incappucciate e
volarono
sempre più in alto.
«Andate
e salvate i nostri mondi… miei cavalieri!» Sei
fasci di luce formarono un’unica
sfavillante colonna prima di oltrepassare il soffitto e disperdersi nel
cielo
cupo, coperto da una cinerea nebbia…
Il
sole splendeva pacifico quel giorno, agli inizi di
maggio. La scuola era iniziata da poche settimane ed il cicalio di
studenti
echeggiava da ogni parte del corridoio immacolato. In cortile alcuni
ragazzi
sfilavano con andamento marziale, facendo risuonare i tacchi degli
stivali sul
marmo del sentiero principale.
«Chissà cosa s’inventeranno
quest’anno.» Una sedicenne
schermò gli occhi blu con la mano dalla pelle chiara,
osservando il sole per
pochi istanti, prima di tornare con lo sguardo all’imponente
struttura
occidentale. La Mugen Academy era famosa per raccogliere al suo interno
studenti di talento oppure secchioni. Un tempo le rette, per chi non
possedeva
un talento specifico, erano molto alte e il solo modo per accedervi era
studiare come un matto. Quegli anni erano trascorsi, per fortuna.
Scosse la testa per scacciare i pensieri e sistemò
meglio la coda laterale in cui aveva raccolto i capelli ricci. Erano
della
stessa tonalità degli occhi e due ciocche incorniciavano il
viso rotondo.
«Quella persona…» bisbigliò
una studentessa alla
compagna. «Non è Tenjoo Tsubasa?» La
ragazza smise di acconciarsi quando udì la
domanda e quasi congelò sul posto.
«Dici? Io la ricordavo diversa… però le
somiglia.»
«Nah, è lei.» continuarono a parlare
imperterrite,
incuranti del fatto che lei potesse sentirle o meno. Strinse i denti e
la borsa
blu nella mano, prima di correre e allontanarsi dalle due ficcanaso.
Svoltò a
sinistra senza guardare, andando a sbattere contro qualcosa
di… morbido. Il
rimbalzo fu tale da farla capitombolare col sedere per terra, lanciando
un
piccolo grido più per la sorpresa che non per il colpo.
«Ahi… ahi…»
massaggiò il didietro con un occhio chiuso
per il dolore. Sollevò lo sguardo per capire cosa avesse
colpito, dato che non
percepiva alcuna recriminazione nella sua direzione.
Incontrò uno sguardo
coperto da un paio d’occhiali color lime e una figura paffuta
che lei riconobbe
immediatamente. Cosa ci facesse immobile, in mezzo al corridoio,
restava un
mistero. «Houtsuin Shoko-san…» La
ragazza sistemò gli occhiali sul naso, segno
che aveva preso nota della sua presenza.
«Tsubasa-san.
Ohayo gozaimasu.» salutò con un sorriso
gentile, avvicinandosi quel tanto
che bastava per allungare una mano. «Ti aiuto. Appoggiati
pure a me.»
«Arigatou.»
accettò l’aiuto e l’altra recupero il
suo metro e cinquantadue. La compagna fu
talmente cortese da recuperarle anche la borsa, finita a sbattere
contro un
muro, e restituirgliela.
«Ecco a te.»
«Sei sempre gentile.» riprese l’oggetto e
non poté
fare a meno di studiarla, soprattutto per come le calzava la divisa. Il
primo
preside era ossessionato dagli abbinamenti bicolore, per cui la fuku
era composta
da giacca, gonna e stivaletti alla caviglia bianchi. La camicia, i
bordi, le
calze e i lacci delle scarpe nere. L’unica nota di colore era
rappresentata
dalle cravatte: rosso per il primo anno, blu per il secondo e verde per
il
terzo.
«Le lezioni stanno per cominciare.» fece presente
mentre la campanella risuonava per tutto l’edificio e gli
studenti si
affrettavano ad entrare nelle rispettive aule. «Se non ti
sbrighi farai tardi,
vieni.» le afferrò gentilmente per un polso e
camminò sino ad una porta poco
distante, facendo sì che Tsubasa non restasse indietro.
Proprio in quel mentre
un’altra ragazza sopraggiunse e le calpestò
involontariamente un piede.
«Gomenasai!»
si scusò tenendo il capo abbassato, coperto dai lunghi
capelli color
cioccolato. Stringeva al petto un album da disegno con tanta foga da
far
pensare che qualcuno volesse rubarlo. «Non ti ho proprio
vista…»
«Nessun problema, può succede.» Shoko
agitò una mano
con noncuranza e le rivolse un sorriso talmente dolce da portare le due
ad
immaginare un grosso girasole sbocciare sopra la sua testa.
L’altra guardò di
sottecchi le due con i timidi occhi rosa, alternando lo sguardo,
indecisa se
entrare in classe o meno.
«Io ti conosco.» Tenjoo la indicò senza
pensarci e
l’altra quasi sussultò vedendo l’indice
puntarla. «Sei la studentessa
trasferitasi da poco. Star Duster, credo.»
«Esatto…» mormorò squadrando
le compagne, senza sapere
cos’altro dire. A cavarla d’impiccio ci
pensò la professoressa, che soggiunse
in quel momento per richiamarle all’ordine.
«Allora ragazze, volete entrare oppure restare in
corridoio? Le lezioni sono iniziate.»
«Hai!»
risposero in coro prima di fiondarsi ai propri posti, in attesa
dell’appello.
In
una dimensione senza tempo, delle onde dai colori
violacei si sovrapponevano le une con le altre e alcuni cristalli neri
galleggiavano in senso orario. Sotto di essi un cerchio di colore verde
fosforescente racchiudeva una serie di caratteri dal significato
sconosciuto.
Al centro di ciò apparve una sfera nera di medie dimensioni,
da cui parti un
cono di luce vermiglia che proiettò il busto di una persona.
Soltanto la
silhouette era visibile ma tanto bastò per attivare gli
altri cristalli, che assunsero
ognuno un colore diverso.
«È giunto il
momento.» La voce era talmente roca da rendere
impossibile capire se appartenesse
ad un maschio oppure una femmina. «Finalmente
i frammenti del cielo sono stati attivati nuovamente.»
Quando
la campanella decretò la fine delle lezioni,
Tsubasa raccolse le proprie cose, assicurandosi di non aver dimenticato
nulla
sotto al banco. Non si premurò neppure di chiudere la
finestra accanto alla
quale sedeva, lasciando il compito agli addetti del turno di pulizia.
Corse via
con una tale fretta da far pensare che ci fosse qualcosa di anomalo
sulla sua
sedia.
Superò l’onda di studenti che si preparavano per
le
attività dei club e scese le scale di marmo, stando bene
attenta a non finire
al pronto soccorso a causa della cera che puntualmente vi passavano
sopra. Uscì
dal grande portone d’ingresso, munito persino di due bocche
di leone come
“campanello”, svoltò a destra e
proseguì per il corridoio all’aperto che
separava le due ali del cortile. Il tetto era in marmo bianco,
così come le
colonnette che erano state piazzate ogni paio di metri.
Sbucò nella zona di
appartenenza alla scuola media della Mugen Academy. Entrambe erano
costruzioni di
mattoni occidentali, con un restauro all’anno che le rendeva
praticamente nuove
nonostante avessero vent’anni ciascuna. L’unica
differenza erano i tetti
spioventi: blu per il liceo e rosso per le medie. Inchiodò
poco prima di
superare l’entrata posteriore, scese i tre gradini laterali e
andò ad inginocchiarsi
sotto una delle finestre che sapeva essere sempre aperte.
«Devo approfittare di questo momento se voglio
introdurmi indisturbata.» strinse la cinghia della borsa e
ripercorse con la
mente il tragitto che aveva studiato per diversi giorni.
«Posso farcela… basta
che io lo voglia» mormorò a sé stessa,
nonostante l’onda di panico che le salì
lungo la schiena al solo pensiero di essere scoperta da suo padre.
«Ohayo!»
esclamò una voce allegra alle sue spalle, provocandole quasi
un coccolone.
Schiaffò le mani sulla propria bocca per non gridare e
vanificare tutto il suo
lavoro. «Cosa fai accucciata qui terra? Ti senti male? Dove
senti dolore?»
domandò una ragazzina a raffica, perché era
indubbiamente tale dal tono
infantile. Tsubasa voltò lentamente la testa, decisamente
meno impaurita di
prima, e vide che effettivamente si trattava di una studentessa delle
medie. La
fuku alla marinara bicolore, col nastro rosso che decretava il primo
anno di
appartenenza, ne era la prova.
«Allora? Bisogno di aiuto? Non dovresti essere qui,
sai?» continuò imperterrita, fissandola con i
vispi occhi rossi e cambiando
direzione ad ogni passo in modo quasi esagitato. Tra le mani stringeva
un cubo
nero con svariate opzioni e la velocità con cui spostava le
dita era quasi
ipnotica.
«Lo so benissimo, infatti se continui a parlare mi
farai scoprire.» La guardò con un misto di
rassegnazione, dovuta a sé stessa
per essersi fatta beccare, e irritazione, perché rischiava
di farla scoprire. Finire
nei guai da sola le stava bene, dopotutto se la stava andando a
cercare, ma
tirarci dentro una persona estranea ai fatti decisamente no.
«Gomenasai.»
La sconosciuta smise di agitarsi e le rivolse un gran sorriso, seppur
tirato.
«Se vuoi posso aiutarti ad entrare senza essere
scoperta.» piegò la schiena per
avvicinarsi alla liceale ancora accucciata sull’erba, ma ella
scosse la testa.
«Meglio di no, finiremo nei guai entrambe.»
lanciò la
borsa oltre l’infisso e si aggrappò sul davanzale
sottile, sedendosi sopra
prima di voltarsi. «Se vuoi aiutarmi fa finta di non avermi
vista.»
«Ok…» mormorò mentre la
osservava scavalcare con le
gambe e toccare il pavimento a scacchiera. Afferrò la borsa
e corse alla porta
di fronte, entrando nella sala prima che qualcun’altro la
beccasse.
«Yoko-chan, sbrigati!» chiamò una sua
compagna di
classe, agitando una mano per richiamare la sua attenzione
«Hai!» corse
in quella direzione, senza smettere di smanettare col cubo che
stringeva tra le
dita.
Lo
studio di suo padre era sempre lo stesso: scrivania
con la finestra alle spalle, posta al centro della stanza. Un tavolino
con due
divani per accogliere gli ospiti, esattamente davanti, e un quadro
anonimo
raffigurante una qualche natura morta sulla parete di sinistra. Sulla
destra,
invece, una libreria piuttosto antica.
«Se le informazioni sono esatte, deve trovarsi nella
cassaforte sotto la scrivania.» camminò in punta
di piedi sino al mobile e si
inginocchiò accanto all’anta che comprendeva la
parte sinistra. La aprì e
digitò il codice numerico, sperando che non
l’avesse cambiato proprio quella
mattina. Sorrise quando udì l’effimero click e la
porticina di metallo si
schiuse spontaneamente. Al suo interno erano situati documenti,
cartelle,
lettere, un cellulare e un oggetto totalmente fuori posto con quel
materiale.
«Eccolo… il portagioie di mamma.» con
mani leggermente
tremanti afferrò lo scrigno di colore blu. Presentava
decorazioni con gemme
ovali e di colore azzurro; la serratura color argento mancava
curiosamente di
una fessura per la chiave. «Se solo potessi
aprirti…» sorrise emozionata ma con
un velo di tristezza che le inumidì gli occhi, ombrati da
folte ciglia scure.
Quello non era il luogo in cui perdersi in fantasticherie, per cui
chiuse la
cassaforte e rimise tutto al proprio posto.
«Hai bisogno della chiave giusta-ro.»
«Lo so, ma non c’è
l’ho.» sospirò afflitta. Poi,
quando capì di aver risposto ad una domanda perse un
battito. Con chi diavolo
stava parlando? Guardò in ogni direzione ma non vide anima
viva oltre lei. Non
era la ragazzina di prima, dato che la voce apparteneva ad un maschio,
seppur
giovane. Forse un bambino… il che era ancora più
assurdo. Tornò in piedi e
raggiunse la finestra pronta ad andarsene, quando notò
qualcosa sul davanzale.
«Un uccellino.» osservò il volatile con
un piumaggio
blu e bianco. Era veramente piccolo e un po’ grassotto, con
due occhi cobalto
veramente grandi ed intensi. Percepì uno strano disagio,
come se l’animale
fosse dato di comprensione e la stesse studiando. Cosa ancora
più assurda della
precedente.
«Posso vederlo-ro?» chiese il suddetto, piegando la
testolina a sinistra.
Un urlo quasi isterico invase la stanza e Tsubasa finì
con la schiena spalmata al muro. Squadrava il coso
con espressione terrorizzata e scioccata, stringendo con una
mano il portagioie al petto e con l’altra la borsa.
«Pa-parli…» biascicò,
tentando di dar coerenza ad un
fatto che ne era totalmente privo.
«Com’è possibile?» La
preoccupazione degli
ultimi giorni doveva averle dato alla testa. Era l’unica
spiegazione plausibile
per una tale assurdità. Gli uccelli NON parlavano. Mai.
«Certo che parlo-ro.» zampettò sino al
limite del
davanzale per guardarla meglio. «Se tu parli
perché io non posso-ro?» La
giovane stava per replicare una serie di motivi per il quale non fosse
fattibile, ma alcune voci in avvicinamento la misero in allarme.
«Sta arrivando qualcuno!» scattò sino
alla finestra ed
ignorando il pennuto parlante scavalcò, finendo
inginocchiata sull’erba, poco
prima che la porta venisse aperta dall’esterno.
Udì la voce paterna e questo le
procurò un moto di apprensione.
«Accomodati, ne parleremo davanti ad una tazza di
tea.» Appena l’uomo prese posto sulla comoda
poltrona nera di pelle, la ragazza
gattonò sino a raggiungere l’angolo
dell’edificio per inoltrarsi all’interno
del boschetto che circondava l’accademia. Superò
una serie di alberi fitti, ben
curati e dal verde fogliame, sbucando in un’altra parte del
cortile.
«Salva!» sospirò di sollievo, portando
una mano sul petto.
«Sei veloce-ro.» L’aveva seguita per
tutto il tragitto
ed era atterrato su un ramo poco più in alto, facendo
scattare la sedicenne nella
sua direzione.
«Ancora tu! Perché mi stai seguendo?»
strinse
istintivamente lo scrigno a sé, temendo che la piccola
creatura ne fosse in
qualche modo interessata.
«Perché tu riesci a capirmi-ro.»
beccò l’ala destra,
sistemando qualche piuma. «E poi possiedi un beautybox.
Questo è un segno-ro.»
annuì mentre lisciava la coda col becco.
«Beautybox? » mormorò sorpresa per
l’informazione,
seppur strana alle sue orecchie.
«Esatto. È così che l’abbiamo
nominato»
«Perché lo cerchi? Vuoi portarlo via?»
Tsubasa compì
qualche passo indietro, decisa a proteggerlo con i denti, se
necessario. «Non
lo darò a nessuno, tanto meno ad un pennuto che non
conosco!» decretò decisa.
«Non sono qui per portartelo via, ma per assicurarmi
che tu non lo perda. È prezioso per te, vero-ro?»
Quando ebbe finito la sua
toletta si accucciò sul legno, per farle capire di non avere
brutte
intenzioni.
«Moltissimo.» allentò la stretta e smise
di
indietreggiare. Una parte di sé non lo reputava una
minaccia, nonostante
parlasse e dimostrasse conoscenze che un animale comune non dovrebbe
assolutamente possedere. «Perché sei a conoscenza
della sua esistenza?»
«Ora non posso dirtelo. Sappi che ne esistono sei e
non è un caso se uno è proprio nelle tue
mani-ro.» vedendo che la sedicenne
aveva smesso di agitarsi, planò sino ad appoggiare le
zampine sull’oggetto.
«Non è un caso, dici?» seguì
con lo sguardo lo
spostamento e poi tornò a concentrarsi
sull’oggetto. «Non capisco cosa stai
cercando di dirmi.» Nonostante le strane parole sentiva a
pelle di potersi
fidare di lui. Sarà stato l’aspetto coccoloso
oppure la sincerità che
traspariva dalla vocina infantile, ma quell’uccello iniziava
stranamente a
piacerle.
«Lo capirai da sola, se avrò
ragione-ro.» proseguì
criptico. Sorrise –lei era certa che lo stesse facendo, per
quanto suonasse
assurdo alla sua stessa mente– e porse un ala. «Mi
chiamo Loriquet, piacere.»
Dopo qualche attimo di indecisione, ella ricambiò il sorriso
e strinse
dolcemente la parte piumata tra le dita.
«Tenjoo Tsubasa.
Hajimemashite.»
Un profondo sollievo la invase, rilassando le membra come balsamo sulla
pelle.
Fino a quel momento non si era resa conto di quanto bisogno avesse di
un amico,
qualcuno con cui affrontare tutta quella situazione.
Quell’essere, per quando
piccolo, era più di quanto avrebbe osato sperare in quel
frangente.
«Dove siamo? Questo posto è vecchio-ro.»
spostava il
capo da una parte all’altra, curioso da ciò che
stava osservando. Tenjoo seguì
il suo sguardo e uno strano brivido freddo le attraversò la
schiena.
«La vecchia scuola…» sussurrò
a sé stessa. Dinanzi a
loro si ergeva un edificio a tre piani piuttosto vecchio. Il tetto
spiovente
presentava delle tegole mancanti, le finestre dei vetri rotti e le
tende erano
talmente piene di polvere da essere ingiallite. Le mura grigie erano un
esaltazione all’oscenità, con una serie di scritte
minacciose, disegni osé e
macchie di umido. Le prime due provocate da spray colorati e
l’ultimo… dalla
stupidità umana. Alcuni nastri gialli vietavano
l’accesso e il portone
d’ingresso portava impressi degli strani segni, simili a
graffi. Nonostante la
giornata assolata, l’atmosfera lugubre di quel luogo
impregnava l’aria.
«La vecchia scuola-ro?» volò sino a
poggiarsi sulla
spalla sinistra, in una posa comoda che ricordava la gallina quando
covava le
uova.
«Questo edificio, fino a vent’anni fa, era la sede
ufficiale della Mugen Academy. Dopo alcuni fatti incresciosi decisero
di chiuderla
e smistare gli studenti in due edifici differenti. Circolano molte voci
sull’accademia, una più macabra
dell’altra.» Nel mentre che parlava aveva
ripreso a camminare, avvicinandosi sempre più ai nastri
divisori.
«Vuoi entrare-ro?»
«Hai.»
superò
il nastro passando da sotto, evitando di danneggiarlo.
«Voglio aprire il
portagioie ma ho bisogno di un posto tranquillo. In città
tutti conoscono mio
padre ed a quest’ora dovrei essere al club.» Cosa
di cui nessuno si sarebbe
accorto dato che era l’ unica iscritta.
Afferrò una maniglia in ottone e deglutì. Sperava
che
fosse aperta, in caso contrario le sarebbe toccato rompere una delle
finestre,
già massacrate di loro. Girò la manopola e con un
lievissimo click l’anta venne
schiusa.
«Che fortuna-ro.» cinguettò, cercando di
vedere oltre
le ombre e la polvere che coprivano ogni angolo.
«Non la definirei tale, ma tornare indietro sarebbe
anche peggio.» avanzò un passo alla volta, assieme
alla luce dell’esterno,
scoprendo una scalinata e due corridoi mal illuminati. Sulla sinistra
c’era una
porta a vetri, contenente la vecchia sala reception. A destra, invece,
una sala
adibita a far morire di vecchiaia chiunque cercasse il preside, ovvero
la sala
d’aspetto. In entrambe le direzioni vedeva soltanto ombre
mosse dal vento
oppure pulviscoli che aleggiavano nel nulla. La fioca illuminazione,
dovuta
alle imposte rotte o schiuse dava quella visione di “vedo e
non vedo”
decisamente più inquietante del buio stesso.
Seguì l’istinto e iniziò a salire
la rampa di scale in legno, che scricchiolava ad ogni passo. Strinse il
corrimano coperto di polvere e lo scrigno nell’altra. Se
Loriquet non fosse
stato presente probabilmente non sarebbe entrata da sola.
«Che tipo di storie circolano? Sono curioso-ro.»
«Dicono che sia infestata dai fantasmi e che abbiano
ucciso qualcuno qui dentro. Pare che il terreno sia sconsacrato e che
in
principio fosse adibito a cimitero. E poi c’è
stato quel terribile fatto
vent’anni fa.» Era quasi giunta al primo piano ed a
stento riusciva a scorgere
il profilo delle asse di legno.
«Quale incidente-ro?» Il volatile percepiva una
strana
atmosfera dipanarsi per quelle mura, un misto tra paura ed aspettativa.
I suoi
sensi erano stranamente sensibili a tale richiamo e infatti osservava
ogni parete
aspettando che apparisse qualcosa. O forse era semplicemente la
suggestione. In
quei giorni aveva percepito innumerevoli vibrazioni che però
non l’avevano
condotto ad alcunché.
«Una rivolta.» spiegò brevemente mentre
toccava il
pavimento del piano con entrambi i piedi –per un momento
terrorizzata che
cedesse di colpo– scandagliando i due corridoi. Alla sua
destra la luce era più
presente a causa di alcune imposte usurate dal tempo e quei piccoli
spiragli
erano l’unica guida presente. Lesse le etichette presente
sulle porte delle
aule e finalmente trovò qualcosa che potesse aiutarla.
«Eccola. L’aula adibita
a ripostiglio.»
«Cosa dobbiamo far lì-ro?» Tsubasa corse
sino alla
terza entrata e la aprì delicatamente, sia per timore che
cascasse e sia perché
il pericolo “fantasma” era sempre
all’orizzonte.
«Sto cercando uno strumento che possa aiutarmi ad
aprire il portagioie.» Per sua fortuna una finestra era priva
di copertura e
questo le permise di dare un’occhiata ai vari armadi
d’acciaio. Erano piuttosto
vecchi e alcuni rotti, ma gli attrezzi in uno stato accettabile e
quindi
usabili.
«Te l’ho detto, ti serve la chiave-ro.»
«Lo so, ma non c’è
l’ho.» frugò in un cassetto pieno
di chiavi inglesi, pinze e bulloni. «Non ho intenzione di
sprecare questa
occasione e come si dice: “volere è
potere”.» estrasse un cacciavite
arrugginito e annuì soddisfatta. «Niente
è impossibile se hai la volontà di
provarci.»
«Perché ci tieni tanto? Così corri il
rischio di
romperlo.» disse Loriquet mentre guardava la ragazza
posizionare l’oggetto sul
tavolo di alluminio dove lui aveva trovato posto.
«Me ne rendo conto, ma ho bisogno di sapere se al suo
interno c’è qualcosa che può
aiutarmi.» accarezzò il beautybox con delicatezza,
percependo il liscio delle gemme sotto le dita. Le dispiaceva
danneggiarlo, ma
non aveva idea di dove fosse la chiave e di certo non poteva chiedere a
suo
padre. Era certa che fosse all’oscuro, ma anche in caso
contrario restava
un’ipotesi da scartare.
«A fare co-» L’uccello bloccò
la sillaba successiva e
le penne si arruffarono, come preda di un violento tremore. Una
vibrazione
negativa impregnava improvvisamente l’atmosfera, come una
nota stonata o aria
malsana. Da dove poteva provenire? Dove?! Guardò in ogni
direzione e d’un
tratto puntò lo sguardo alla loro destra, verso la vetrata
chiusa.
«HALLOWEEN-RO!»
«Ah!» Tsubasa quasi saltò sul posto per
lo spavento,
rischiando di conficcare il cacciavite nella superficie solida.
«Si può sapere
cosa ti prende?!» lo sgridò arrabbiata, prima di
notare una strana ombra sul pavimento.
Sollevò lentamente lo sguardo e incrociò due
occhi vuoti e neri, intagliati in
una zucca. Il resto del corpo era
la
rappresentazione di uno spaventapasseri, con un mantello nero che
copriva le
assi di legno che fungevano da supporto. Una mano scheletrica emerse
dalla
copertura cenciosa e l’indice puntò esattamente
verso di lei, che sussultò nel
vederlo.
«Scappa-ro!» Loriquet scattò in volo,
spaventato a
morte dalla misteriosa apparizione, e la ragazza seguì a
ruota l’ordine,
recuperando il portagioie prima che qualcosa colpisse il punto su cui
aveva
sostato poco prima. Spalancò la porta e corse fuori senza
guardarsi indietro.
«Prima parlo con un uccello ed ora una zucca cerca di
uccidermi! Si può sapere chi è?!» scese
le scale in tutta fretta, rischiando di
capitombolare e rompere qualche vecchio gradino.
«Il suo nome è Halloween-ro! È un
membro dei
Subterra!» spiegò con foga mentre volava a
più non posso.
«E chi sono? Non certo tuoi amici.» Giunta in basso
udì due scoppi e voltandosi vide due gradini distrutti, come
se qualcosa li
avesse fatti saltare per aria. «Ma che razza di
giornata!» Spalancò la porta,
ruppe i nastri divisori e puntò verso il boschetto. Tuttavia
un pensiero
improvviso la costrinse a frenare di botto.
«Perché non corri-ro?» smise a sua volta
di volare,
lanciando occhiate preoccupate a lei e spaventate in direzione dello
spaventapasseri che si avvicinava galleggiando e senza alcuna fretta.
Cosa che
lo inquietò ancora di più.
«Da quella parte c’è la scuola, non
posso proseguire. Altrimenti
rischio che quel coso faccia del male a qualcuno.»
ribatté decisa, nonostante
la mano che stringeva la borsa tremasse. Era impaurita
all’inverosimile
all’idea di restare da sola in compagnia del mostro,
qualsiasi cosa fosse, ma
l’alternativa era scatenare il panico o un disastro. Doveva
solo restare lì ed
aspettare… forse qualche pretty cure sarebbe intervenuta.
Sicuramente
l’avrebbero fatto… dopotutto solo loro potevano.
Lei non…
«È fermo-ro.» Il piccolo era ancora al
suo fianco, in
attesa di qualche azione da compiere ma per nulla tentato di
abbandonarla. Lui
poteva scappare, mettersi in salvo e lasciarla indietro, eppure era
ancora lì.
Sorrise rincuorata e decise di piantare i piedi dov’erano per
affrontare la
zucca.
«Che cosa vuoi da noi? Perché ci stai
attaccando?» Anziché
rispondere, Halloween infilò la mano scheletrica sotto al
mantello e ne
estrasse una bambolina voodoo. Inserì l’altra nel
ghigno che formava la bocca e
un piccolo bagliore arancione fuoriuscì da essa. Quando la
ritirò, un topazio
brillava tra le dita e il macabro personaggio lo conficcò
dritto nel ventre
della bambola.
«Cosa sta facendo?» chiese la sedicenne, con una
curiosità rivaleggiata dall’ansia, mentre
l’uccellino spalancava gli occhi
spaventato.
«Non è possibile… non di
nuovo-ro…» Immagini di
creatura grosse e con due occhi rossi presero a vorticare nella sua
mente.
Grida belluine e urla di dolore si sovrapposero mentre il cielo, un
tempo
azzurro e ricco di nuvole bianche, era rosso, con sprazzi di grigio
fumo e un
astro nero a far da padrone nell’immenso firmamento.
«Non deve succedere di
nuovo-ro!» scosse la testolina con veemenza, cercando di
scacciare la
drammatica visione.
«Cosa non deve succedere?» lo guardò con
perplessità
mista ad una nota di paura.
«Questo-ro!» Il fantoccio venne pervaso da
un’energia
arancione che gli permise di acquisire forza e ingrandirsi sempre
più, sino a
diventare gigantesco. Il volto venne sostituito da una zucca
dall’espressione
inquietante e le dita divennero artigliate, con unghie dello stesso
colore.
«Zudon!» fu
il verso grottesco che emise, rimbombando per diversi metri.
«E adesso che cosa facciamo?»
indietreggiò di alcuni
passi mentre il mostro avanzava. Anziché attaccarli, li
ignorò completamente,
puntando ai due edifici ai limi del boschetto.
«Fermo! Non da quella parte!» sollevò la
mano destra
per fermarlo, ma si rese conto dell’inutilità del
gesto. Cosa sperava di fare
con le sue misere forze? Strinse lo scrigno al petto e chiuse gli occhi
frustrata. «Dove sono le pretty cure? Perché non
sono qui?» udì i passi del
fantoccio riecheggiare nel silenzio del luogo ed era questione di tempo
prima
che arrivasse alla scuola.
«Non te lo permetterò-ro!»
esclamò infiammato, prima
di volare a tutta birra verso il volto della creatura per beccarlo.
«Non puoi, sei troppo…
piccolo…» mormorò Tsubasa mentre
con la mano tentava di afferrare qualcosa.
Forse Loriquet… forse il mostro… o forse solo il
suo
coraggio.
Strinse le dita a pugno mentre l’uccellino continuava
e colpire, affannandosi nel tentativo ma senza smettere di provarci.
Per quanto
fosse inutile lui sapeva che arrendersi sarebbe stato anche peggio.
«Volere è potere, no?» La sedicenne
chiuse gli occhi e
digrignò i denti contro la propria vigliaccheria.
D’impulso gettò la borsa sull’erba
e sollevò il volto verso l’alto, per gridare la
propria convinzione. «Allora io
voglio e posso!»
Dal cielo una piccola lucina blu scese velocemente,
sino a fermarsi dinanzi alla ragazza, che osservava stupita la piccola
colonna
di luminosa. Essa formò al suo interno un oggetto e questo
galleggiò sino a lasciarsi
cadere nel suo palmo.
«Non posso crederci… è
lei-ro!» sussurrò il volatile,
dapprima sorpreso ed infine felice. Nonostante la stanchezza,
dimostrata da
qualche piuma fuori posto, riuscì a raggiungerla in pochi
secondi.
«Cos’è?» osservò la
piuma bianca, la cui attaccatura
era decorata da un cerchio dorato con all’interno una gemma
blu a forma di tre
cerchi.
«È la chiave-ro!» Loriquet batteva le
ali in preda ad
una strana euforia, guardandola attentamente negli occhi.
«Avevo ragione, sei
tu la prima dal cielo-ro.»
«La prima…» guardava la piuma, ancora
stordita dall’apparizione,
quasi irreale per lei. «Con questa posso aprire lo
scrigno?» Il suo desiderio
finalmente stava per realizzarsi, pensò con una certa
aspettativa. Avrebbe
aperto il cofanetto della madre e forse scoperto ciò che
stava cercando. Ma prima
c’era una questione più importante da risolvere.
«Hai-ro.»
annuì determinato. «Così potrai
diventare una leggendaria guerriera e salvare
tutti.»
«Io una guerriera?» ripeté ancora
incredula. Mai
avrebbe immaginato di poter diventare come le protettrici
dell’umanità,
piuttosto di restare una loro ammiratrice destinata a sognare e niente
altro.
«Volere è proprio potere…»
«Seguì ciò che ti suggerisce il cuore.
Sarà lui a
guidarti nella trasformazione.» Vedendo che l’altro
continuava a fissarla,
aspettando che accettasse il proprio destino, la missione o qualsiasi
altra
cosa fosse, annuì decisa. Il dado era tratto.
Tsubasa afferrò la chiave con l’indice e medio,
facendo combaciare la gemma con la serratura. Col secondo dito
girò la piuma in
senso orario, con la punta verso il basso.
«Pretty
cure, arise!» Lo scrigno si spalancò,
liberando
una forte luce celeste e una miriade di piume blu saltarono fuori.
«Sky
embracing!» sorrise, lasciando il cofanetto e
sollevando le mani al cielo mentre i vestiti diventavano energia
azzurrina che
venne tramutata in una corta sottoveste. Si sollevò sulla
punta del destro,
piegò l’altro ginocchio e compì una
serie di piroette, mentre le piume la
circondavano in una specie di bozzolo. Alcune vorticarono attorno alle
mani e
con uno scoppio formarono dei guanti al polso, color ghiaccio, e una
fascetta
bianca attorno al bicipite. Fu il turno del busto ad essere sommerso,
generando
un body celeste con sopra un gilet blu notte, la cui parte posteriore
arrivava
a metà coscia. Questo venne coperto a sua volta da una
giacchetta a giro
maniche, corta e azzurra. Un fiocco color ghiaccio legava la giuntura
al collo
ed al centro venne appuntata una pietra acquamarina ovale. In basso
spuntò un
pantaloncino a palloncino azzurro, con la parte posteriore nascosta da
un
fiocco lungo color acquamarina. Le cosce vennero coperte da un paio di
calze
blu notte e da stivali azzurri sino al ginocchio. Batté il
piede sinistro,
piegò la schiena all’indietro e la pettinatura fu
sciolta; i capelli
ondeggiarono prima di allungarsi sino ai glutei e raccogliersi in una
coda
alta, per poi intrecciarsi in un boccolo verso le punte. Due ciocche
raggiunsero
il mento mentre il colore della chioma divenne più chiaro,
esattamente come
accadde agli occhi. Infine, due orecchini blu a forma di tre cerchi
comparvero
ai lobi. Il cofanetto venne chiuso con un colpo del palmo e si dissolse
in
scintille azzurre mentre la chiave volò sino a posarsi sopra
l’attaccatura
dell’acconciatura.
«L’abbraccio
protettivo del
cielo…» strinse le dita attorno ai
bicipiti, simulando una stretta a sé
stessa. Portò il piede in avanti, sollevò la mano
sinistra al cielo e stese la
destra in avanti, col palmo rivolto verso l’alto. Una dolce
brezza arieggiò
dalle sue spalle, rendendo ancora più limpido il cielo.
«Cure Heaven!»
Batté gli occhi basita, sciolse la posa e fissò
mani e
vestiti. Cos’aveva fatto?
«Sono…» corse sino ad una finestra per
specchiarsi e
capacitarsi che sì, era una guerriera e non
un’allucinazione.
«Yatta-ro!»
Loriquet vorticava in preda ad un delirio, esaltato e felice per aver
trovato
la loro prima speranza di salvezza. «Ce l’hai
fatta! Ce l’hai fatta-ro!»
continuava a ripetere come un mantra, unendo le aluccie in una sorta di
stretta
di dita.
«Incredibile…» La pretty cure
toccò il proprio volto e
squadrò il nuovo aspetto, quando una serie di boati la
riportarono coi piedi
per terra. Il fantoccio! «Devo sbrigarmi!»
scattò verso gli alberi, ma frenò
bruscamente per poi voltarsi indietro.
«Con te farò i conti dopo!»
esclamò minacciosa,
puntando l’indice contro Halloween che non fece una piega,
riprendendo poi la
corsa.
«Pretty cure…» mormorò la
zucca con tono cavernoso,
come un’eco che proveniva da lontano. «Questa non
ci voleva.»
Intanto la ragazza avanzava più veloce che poteva, ma
mancavano ancora diversi metri dal mostro. «Non
farò in tempo…»
«Salta-ro!» suggerì il compagno che la
seguiva ad una
certa distanza, ma senza smettere di darle il suo supporto.
«Usa tutti i tuoi
poteri, puoi farcela-ro.»
«Giusto.» colpì il terreno col piede
destro e spiccò
un balzo, prodigioso ai suoi occhi, che la portò a pochi
centimetri dal volto
nemico. «Sto… volando…» fu
ciò che disse, guardando il cielo in uno stato quasi
ipnotico. Alcune urla sottostanti le ricordarono che la contemplazione
poteva
essere rimandata; la distruzione della bambola assassina no.
«Vieni qua!» chiuse la mano a pugno e
sferrò un destro
contro la zucca, che presa in contropiede perse l’equilibrio
e tutto il suo
peso finì in avanti. Le grida divennero stridule quando
videro il grosso
fantoccio nell’atto di precipitare addosso a loro, che
sciamavano come tante
formiche.
«Fermo!» Heaven riuscì a darsi una
spinta sulla spalla
avversaria col piede, atterrando sul tetto e da lì balzare
nuovamente contro di
lui. Chiuse i pugni, puntandoli in alto, e come un missile
centrò in pieno lo
stomaco, fornendo sia un danno che la spinta necessaria a farlo
capitombolare
verso gli alberi.
«Ben fatto-ro.» fu il commento entusiasta
dell’amico,
che vedeva realizzati parte dei suoi sogni in quel frangente.
«Speriamo non ci sia nessuno nel bosco.» con un
capriola aerea atterrò a pochi metri dal punto in cui stava
per schiantarsi il
mostro. Una mano artigliata toccò il terreno e
cambiò la traiettoria del
proprio corpo, facendo sì che piovesse addosso alla
guerriera così
all’improvviso che non riuscì a scansarsi. Un
grosso boato seguì il precedente,
facendo sollevare un polverone, e per qualche secondo non
volò una mosca.
«Heaven-ro…» mormorò
preoccupato per la mancanza di
reazione. Che l’avesse schiacciata?
Un movimento lento, come un tremolio, scosse il ventre
della bambola. Dopo alcuni attimi essa venne sollevata e da sotto
apparve la
guerriera, che con entrambe le mani tentava di sollevarla, stringendo i
denti
nello sforzo di sopportare il peso. «Forza-ro!»
Con un grido belluino Heaven riuscì a scaraventarlo
via e questo cadde addosso a metà del vecchio edificio,
sfasciando il tetto e
distruggendo i muri. Le aule franarono e di loro rimase soltanto il
ricordo.
«Oh, no! Che cosa ho fatto?!» Alla vista delle
macerie, sotto all’enorme ammasso di paglia erculea, era
diventata uguale all’urlo
di Munch. Con le mani che stringevano le guance tentava di calcolare il
danno
astronomico, dal punto di vista economico, che avrebbe dovuto ripagare.
Anche
perché sparire e lasciare agli altri quel macello
l’avrebbe perseguitata negli
anni a venire.
«Va tutto bene. Dopo avrai modo di rimediare-ro.»
La
tranquillizzò l’uccellino, vedendo che la sua
protetta era sul punto di avere
un infarto e quindi eliminarsi da sola, senza l’ausilio del
mostro. «Ma prima
devi distruggerlo. Seguì le parole che sgorgano dal tuo
cuore e ogni azione
verrà da sé.» spiegò come in
precedenza, sapendo che ogni guerriera possedeva
poteri unici e quindi evocabili solo tramite la propria
volontà.
«Le parole…» chiuse gli occhi, cercando
di ignorare il
verso del zudon che tentava di rialzarsi, le urla in lontananza, le
sirene
della polizia e qualsiasi suono molesto. Ascoltò solo la
propria voce interiore
ed a qual punto un eco lontano, ma ben udibile, rimbombò
senza sosta nella sua
mente. Aprì gli occhi con la consapevolezza di chi sapeva
come agire. Sollevò
la mano in alto, col palmo rivolto al firmamento.
«Il cielo in questa
mia mano!
Pretty cure…» una miriade di puntini
azzurri si raccolsero all’interno
del palmo, ricoprendo l’intera figura di un’aura
dello stesso colore. Spiccò un
balzo, portandosi davanti al volto del mostro, tenendo il braccio steso
e la
mano ben tesa. «Celestial
slash!» sferrò un
fendente che materializzò una scia bluastra, tagliando a
metà la zucca.
«Zudooooon!»
fu il verso di dolore esclamato, prima che l’intero essere
venisse
cristallizzato in color arancione ed esplodesse in mille frammenti.
Essi
caddero al suolo per poi tramutarsi in polvere che venne spazzata via
dal
vento. Heaven rimase ad osservare il tutto, ancora incredula per
ciò che aveva
appena compiuto. Trasformarsi in un’eroina, combattere un
mostro enorme ed
infine usare un potere magico non era un evento a cui potevi assistere
tutti i
giorni. Figurarsi poi esserne la protagonista.
«È bastato che lo volessi!»
esclamò esaltata, ancora
preda dell’euforia che le scorreva dentro.
«Esatto. La volontà vince su tutto.» I
due si
guardarono e sorrisero come due ebeti, avendo realizzato parte dei loro
desideri. Un crollo improvviso ricordò alla giovane che
c’era ancora qualcosa
da terminare.
«Come faccio a sistemare questo macello?» Poi ci
ripensò, folgorata da un’intuizione, e
sollevò una mano. «Non dirlo. Lo farà
la
voce del mio cuore.»
«Perché lo chiedi allora?» chiese
ridacchiando. Prese
posto sulla spalla destra ed attese che l’altra sistemasse
tutto.
«Beautybox.»
Una
miriade di scintille materializzarono il portagioie sul palmo della
mano. Lo
aprì con la chiave e intinse la punta della piuma
all’interno della luce
azzurrina. La piuma, da bianco passo allo stesso colore e lei la
puntò verso le
macerie. «All’ordine
io ti riporto.» Ogni danno
sparì come fosse stato solo un’apparizione e la
struttura del vecchio edificio
tornò identica alla precedente. Decadente, sporca e
malconcia, ma sicuramente
più accettabile.
Fu solo a quel punto che Tsubasa riuscì a studiare
l’interno del cofanetto. Sul coperchio capeggiava uno
specchietto di forma rettangolare
mentre in basso erano contenuti diverse gemme dalla tonalità
blu o azzurra,
ognuna custodita in un piccolo scomparto.
«Come farò a trovare ciò che sto
cercando?» mormorò
sollevando il volto al cielo azzurro. La limpidezza lo rendeva quasi
cristallino quel giorno, con soffici nuvole bianche e l’ombra
della luna in
lontana. Qualche stella più sfrontata delle altre brillava
fioca, sfidando la sfavillante
forza della luce solare. Una strana sensazione di benessere la pervase,
portandola a chiudere gli occhi e respirare a pieni polmoni.
«Ci riuscirò.
Finché la mia volontà mi darà forza,
ci riuscirò.»
Salve.
Ecco il primo capitolo, con i primi personaggi. Ho
voluto che le altre oc facessero almeno un cameo, in modo che saranno
tutte più
o meno presenti in ogni capitolo. In questo modo riuscirò
anche ad orientarmi
meglio sul loro carattere. In pratica mi direte se sto andando bene
oppure le
sto manomettendo (?).
Spero che la trasformazione sia piaciuta. Ci ho
lavorato davvero tanto, soprattutto nel personalizzare i particolari
per ogni
oc. Sono stata indecisa sino all’ultimo sul nome da guerriera
di Tsubasa, ma alla
fine ho optato per uno da mery sue. XD
Come avrete capito c’è anche un mistero che
aleggia,
non solo sulla scuola, ma anche sull’intera città.
Man mano che i capitoli
andranno avanti si chiariranno alcuni punti. I nemici per ora fanno
comparsa e
basta. (?)
-Domanda per le
iscritte: avete richieste o preferenze
per i club scolastici? Preferite un dormitorio oppure che dormano a
casa?
Traduzione:
-Ohayo gozaimasu: buongiorno.
-Arigatou: grazie.
-Hai: sì.
-Gomenasai: mi dispiace.
-Yatta: Evviva!
Credits:
-Tsubasa Tenjoo
appartiene alla sottoscritta.
Umana: http://thumbsnap.com/gtVXU9Zm
Pretty cure abito: http://thumbsnap.com/21JYtiwY
-Star Duster
appartiene a Stardust94
-Shoko Houtsuin
appartiene ad _Alcor
-Yoko
appartiene a Mixxo98
Per adesso vi saluto gente e
vi do appuntamento al
prossimo capitolo. Buona settimana. ^^
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Capitolo 3 *** Tra sogni e disegni! ***
Pretty cure Wonder!
Star
fissava il proprio disegno spostandolo in diverse
angolazioni. La sua ultima creazione ritraeva una pretty cure
nell’atto di
colpire qualcosa con un pugno. Le linee regolari, la morbidezza dei
tratti e la
sorprendente somiglianza lo rendevano un ottimo lavoro.
Appoggiò il foglio sul
banco liscio e privo di scritte, contemplando la figura con un gran
sorriso.
Incontrare una leggendaria guerriera era il sogno di buona parte delle
adolescenti e il giorno prima una di loro aveva salvato
l’intera scuola.
«Chissà chi era…»
mormorò assorta, battendo poi le
mani per la contentezza. «Voglio conoscerla!»
appoggiò il mento sui palmi e con
la mente ripensò allo scontro, cercando di memorizzare
alcuni dettagli. Il
vestito azzurro, i capelli blu, la zucca e poi…
«Ohayo.» una
voce gentile la riportò sulla terra, svegliandola dal suo
viaggio nei ricordi.
«Eh? Ohayo…»
riconobbe la ragazza robusta e con gli occhiali del giorno precedente,
ma finse
di sistemare alcune matite dato che ancora non conosceva bene i suoi
compagni.
«Chi ti piacerebbe conoscere? Ti ho involontariamente
ascoltata.» sistemo la borsa viola prendendo posto ad alcuni
banchi di
distanza. La particolarità della ragazza è che
non smise un istante di
sorriderle e di trattarla con gentilezza, nonostante buona parte della
classe
ignorasse entrambe.
«Parlavo tra me e me, tutto qui.» fu la sua
risposta
mentre infilava il disegno dentro una cartellina gialla, usurata dal
tempo.
Quel pomeriggio c’erano le attività del club e
avrebbe chiesto alla presidente
cosa ne pensava. Poiché l’altra aveva smesso di
parlare per fissare un punto
imprecisato, diede uno sguardo alla stanza. Era in stile occidentale,
come
tutto il resto, e dall’aria decisamente aristocratica. Il
banco color mogano e la
sedia imbottita le ricordavano quei salotti che suo padre frequentava
per
lavoro.
Udì la porta aprirsi nuovamente e alcuni studenti
prendere posto. Avrebbe volentieri parlato con loro, ma la timidezza le
impediva di compiere un gesto semplice come il presentarsi.
Appoggiò le braccia
al banco e sotto il gomito spuntò l’angolo del
foglio su cui aveva disegnato la
pretty cure. Sorrise felice, sentendosi nuovamente di buon umore.
Quello era un
buon motivo per rallegrare la propria giornata.
La mattinata era serena, come la precedente, ed il
cielo azzurro. Solo qualche sporadico aereo ne offuscavano la visuale e
alcuni
uccelli di piccola taglia. Tra essi spiccava un falchetto dalle piume
gialle,
che col muso appuntito e lo sguardo sottile scandagliava la zona nei
pressi
dell’accademia.
«Devo trovarlo-bi.» mormorò prima di
scendere di quota
per andare ad appoggiarsi sul ramo di una robusta quercia.
«Sento la sua
energia, ma potrebbe anche essere una trappola-bi.» Con gli
occhi marroni fissò
l’imponente struttura scolastica, in attesa di qualcosa
oppure qualcuno. Fu in
quel momento che una voce attirò la sua attenzione. In un
cortile vide due
ragazze, o almeno supponeva che lo fossero dato che una delle due era
alquanto…
ambigua esteticamente.
«Maeda-san! Dai, vieni con me.» La prima ad aver
parlato stringeva tra le mani un cubo nero con cui sembrava giocare
ogni due
per tre. «Parlerò io con
Tadashi-sensei.» insisteva, tampinando la persona
davanti che continuava ad ignorarla.
«Ie.» fu
l’apatica risposta che ricevette. I capelli biondo cenere,
dal taglio
mascolino, rendevano difficile intuirne il sesso. Ciò che la
individuava come
ragazza era la divisa femminile, seppur portata in modo più
pratico.
«Dai, dai, dai.» accelerò il passo per
trottarle
attorno, come una mosca affezionata ma alquanto fastidiosa.
«Dopotutto è stata
anche colpa mia. Vedrai che troveremo una soluzione.»
sorrideva convinta delle
proprie idee e, a giudicare dall’insistenza, non sembrava
tipo da mollare al
primo colpo.
«Ie.»
ripeté
senza degnarla di considerazione, con gli occhi grigioverdi che
fissavano
davanti a sé senza però vedere nulla.
«Ma tu l’hai fatto per me, lascia che ti
aiuti.»
affiancò l’altra, sperando che la vicinanza la
convincesse ad ascoltarla. Le
rivolse un grugnito scocciato, stufa persino di parlare.
«Verrai con me dal
sensei?» chiese speranzosa, pensando che avrebbe acconsentito
per sfinimento.
Un dito medio fu l’ennesima dichiarazione di declino, ma
l’unico effetto che
ottenne fu uno sguardo perplesso.
«Cosa significa questo gesto?» inclinò
la testa
curiosa, arrivando persino a ripeterlo.
«Che devi andartene a quel paese.»
spiegò laconica e
schietta.
L’uccello da piume gialle era rimasto a guardare la
scena, chiedendosi in che razza di persone fosse incappato.
La fine delle lezioni fu un sollievo per molti e una
scocciatura per altri, poiché ciò dava inizio
alle attività pomeridiane dei
club. Star afferrò la propria borsa, di colore giallo, e
saltellò sino
all’uscita dell’aula. Una volta giunta alla sala di
disegno avrebbe ricopiato
lo schizzo e poi colorato a dovere. Già pensava in quali
altre posizioni
avrebbe ritratto la pretty cure e chissà che magari anche
una seconda facesse
la sua entrata in scena.
«Tutto questo è fantastico.» Con la
testa su un altro
pianeta, continuò a dondolare le braccia senza far caso a
chi avesse davanti.
La borsa urtò una persona e, sbilanciata dal movimento, fu
costretta a
lasciarla, facendo volare il suo contenuto ovunque.
«I miei fogli!» Alcuni schizzi finirono sul
pavimento
a scacchiera, bloccando il passaggio di alcuni studenti.
«Sumimasen!» cercò di
sbrigarsi nel raccattare il prima possibile, ma quando stava per
raccogliere la
carta su cui era delineata la guerriera notò una scarpa
sostarci sopra. Essa
era bianca e salendo con lo sguardo vide che apparteneva ad un ragazzo
con i
capelli castani. Gli occhi azzurri fissavano davanti a sé
indifferenti, come se
ciò che gli stava accadendo attorno non lo riguardasse.
«Quello è il mio disegno! Così lo
rovini.» tentò di
tirarlo via, ma inutilmente.
«Tatsumaki!» tuonò la voce di Tsubasa,
ferma davanti a
loro e con un’espressione arrabbiata. «Che cosa
stai facendo?»
«Niente.» fu la laconica risposta. Una studentessa
mora, poco distante da loro, affiancò il giovane che
però parve non farci caso.
«È vero. È stata lei a urtarlo con la
borsa.» indicò
Star ancora inginocchiata a terra. «È colpa
sua.»
«Veramente…» vedendo che tutti la
stavano guardando
abbassò la testa per l’imbarazzo, ma senza mollare
il disegno.
Tsubasa non era tanto convinta di quella versione dei
fatti. Quando era uscita dall’aula aveva visto una ragazza
dalla chioma mossa e
gracilina, che aveva riconosciuto come la nuova arrivata, e
l’ultima persona
che desiderava vedere al mondo. Mani in tasca e giacca appoggiata sulle
spalle
portava con sé la solita aura da “sono il padrone
del mondo”.
«Credo sia il caso che tu te ne vada. Ora.»
precisò,
guardandolo con una profonda antipatia.
«Ostruisci la strada. Spostati.» superò
Duster,
togliendo finalmente il piede dalla carta, e fermò la
camminata a pochi passi
da Tenjoo, aspettando che si spostasse.
«Perché dovrei farlo?» chiese
indispettita dall’ultimo
capriccio del ragazzo. Sarebbe volentieri rimasta impalata
lì solo per fargli
un dispetto, ma in quel modo la piccola folla di curiosi che si era
radunata in
corridoio avrebbe assistito a tutto. Lei non voleva altra
pubblicità e ancor
meno lasciare quella poveretta in balia della situazione. Con un sommo
sforzò
decise di farsi da parte per lasciarlo passare e magari di non
scaraventargli
nulla in testa.
«Antipatico.» disse Star mentre tornava in
posizione
eretta e spolverava il prezioso pezzo di carta. Lui proseguì
per la sua strada,
come se non avesse manco parlato.
«Hai visto? L’ha lasciato passare.»
bisbigliò uno
studente all’altro. «Chi vorrebbe scontrarsi con
uno di quei ragazzi?»
«Tanto lo sanno tutti che lei è invidiosa di
lui.» I
commenti divennero sempre più alti, trasformandosi in una
vera conversazione di
gruppo, parlando come se i due soggetti interessati non esistessero.
«Invidiosa e un corno…»
bofonchiò Tsubasa, dando le
spalle al capannello di comare per avvicinarsi a Star.
«È il caso che tu vada,
altrimenti non la smetteranno più.»
«Hai… arigatou.»
compì un piccolo inchino, stringendo il mucchio di fogli al
petto. Fu solo in
quel momento che l’altra notò cosa o chi
raffigurassero.
«Quella… è la cure dell’altro
giorno?» Era strano
vedere la propria forma guerriera ritratta, ma la cosa non le
dispiaceva e
neppure preoccupava. Le trasformazioni non erano come quelle di sailor
moon: lì
cambiavi abito eppure diventavi irriconoscibile per chiunque. Mistero.
Una
pretty cure cambiava soprattutto in aspetto e ciò conferiva
loro un maggior
anonimato. Il che non guastava considerando la vita che conducevano.
«Esatto!» annuì gasatissima, spalmandole
quasi in
faccia il suo capolavoro. «Ne ho altri al club, li vuoi
vedere? Ritraggono
anche le guerriere che ogni tanto appaiono in televisione. Sono
bellissime,
vero? Vero?» ad ogni parola le si avvicinò sempre
di più, al punto che l’altra
temette le saltasse al collo.
«Mi piacerebbe vederli.» annuì con un
sorriso un po’
forzato.
«Allora andiamo.» riprese la sua borsa e senza
guardare se la stesse seguendo o meno, saltellò per il
corridoio diretta alla
sede del club. «Ryusei è davvero una bella
città. Un po’ sperduta tra le
montagne, ma bella.» disse con l’intento di avviare
un minimo di conversazione.
La timidezza era scomparsa, anche se solo per il momento. Forse
perché erano
soltanto in due oppure perché una ragazza le aveva rivolto
sinceramente la parola.
«Sono d’accordo.» lanciò
un’occhiata alla schiera di
villette visibili da quel punto dell’accademia e dalle
montagne che
circondavano la zona. Era praticamente una cittadina al centro di un
anello
montuoso e quel fatto rappresentava parte della bellezza del paese.
«Secondo
una leggenda in questo punto è caduto un meteorite secoli
fa, ecco perché le
hanno dato questo nome.»
«Fantastico! Quanto mi piacerebbe vederne uno.»
immaginava una specie di stella cadente, una notte stellata e magari un
principe, sbucato da qualche parte, che passeggiava solitario. Forse
una
principessa aspettava da qualche parte che lui arrivasse a
salvarla…
«Star, la porta!» riuscì a bloccarla per
un braccio,
prima che un membro del club le spalmasse la suddetta in faccia.
«Ah, eccoti qui.» la responsabile
sistemò gli occhiali
sul naso prima di guardare le due. «Duster-san, oggi ci
saremo solo noi due. Io
ho delle faccende da sbrigare, tu non distruggere nulla.
Intesi?» sottolineò,
fissandola seriamente.
«Hai!»
annuì
allegra, dando a capire che non aveva assolutamente recepito il
messaggio.
«È inutile.» L’altra
sospirò e, senza salutare le due,
si avviò per la sua strada. Intanto la kohai era entrata
nella sede per
sistemare le sue cose.
«Accomodati.»
Tsubasa la seguì dentro e notò che
la stanza era abbastanza in ordine, a
dispetto dell’anno prima. Alcuni scaffali erano attaccati al
muro, contenenti
cartelle, foglie e vari gadget. Quattro scrivanie erano poste al
centro, una di
fronte all’altra, coperte da svariato materiale e un
armadietto contenente la
cancelleria era posizionato accanto ad un’altra porta.
«Cosa c’è lì
dentro?» notò che la ragazza vi era
entrata e frugava tra una serie di scatoloni accatastai alle pareti.
«Vecchio materiale del club.» spiegò
mentre sfogliava
un vecchio album usurato. «Sto cercando dei disegni di altre
leggendarie
guerriere. Sono certa che ci siano.» Da quando aveva messo
piede nella sede era
riuscita a guardare buona parte dei fogli contenuti negli schedari, ma
la
responsabile vietava di mettere in disordine il ripostiglio o peggio
ancora
rovinare vecchie “opere d’arte”.
Tuttavia, la comparsa in una pretty cure in
città, le aveva infuso il desiderio di confrontare il suo
operato con quello di
altre persone.
«Trovato!» sollevò
all’improvviso una cartellina
logora, colpendo una pila di scatoloni che precipitarono al suolo,
evitando le
due per un soffio. Tossirono per il cumulo di polvere sollevatasi e
anche dal
tanfo di muffa che aleggiava per l’aria.
«Star… sei un pericolo per te stessa.»
borbottò la
ragazza mentre tentava di arieggiare con una mano.
«Lo so, me lo dicono tutti.» sorrise allegrissima,
segno
che anche in quel frangente non aveva recepito il messaggio.
Sistemò la
cartellina prima di chinarsi per raccattare le cianfrusaglie sparse sul
pavimento.
«Ti aiuto.» raccolse alcune matite e astucci
colorati,
vecchi ritagli di giornale ed un piccolo scatolo chiuso con del nastro
adesivo.
Accanto ad esso vide un cofanetto color ocra, con decorazioni a forma
di stella
gialle ed un lucchetto senza fessura colo argento.
«Non può essere… sembra un
beautybox…» mormorò stupita
mentre raccoglieva l’oggetto e scostava la polvere in
eccesso. Era identico al
suo, se non per le decorazioni ed i colori…
«È proprio lui-ro!» esclamò
un uccellino blu, apparso praticamente
dal nulla, facendo quasi venire un coccolone a Tsubasa, che
spalancò gli occhi
come due palline da ping pong.
«Loriquet!» lo richiamò arrabbiata,
poggiando una mano
sul cuore per evitare che uscisse dal petto per andarsene in giro da
solo. «Sei
impazzito? Mi hai fatto spaventata a morte!» Quella stessa
mattina il fidato
amico aveva promesso di seguirla ovunque ma senza farsi notare e dal
quel
momento non aveva più emesso fiato. Non essendo ancora
abituata a lui aveva quasi
rimosso la sua presenza. Quasi.
«È proprio uno scrigno delle
guerriere-ro.» volava da
una zona all’altra per studiare l’oggetto mentre
annuiva a ragionamenti che
seguiva soltanto lui.
«Kawai!» La vocetta di Star li riportò
entrambi coi
piedi per terra, ricordando che non erano da soli. Intanto la ragazza
guardava
l’uccellino con occhi luccicanti e le mani intrecciate
davanti al petto per
l’emozione. «E parla anche.»
«Un attimo… tu puoi capire ciò che
dice?» domandò
basita, al che lei e la creatura si guardarono negli occhi. Da quanto
le aveva
raccontato, nessun’altro a parte lei riusciva a capire cosa
lui dicesse. Più
volte aveva tentato di parlare con degli umani ma era sempre stato
scacciato
perché reputato un uccello fastidioso.
«Certo! Anche se non so perché.»
batté le mani entusiasta
e gattonò per avvicinarsi con l’intenzione di
accarezzarlo. «Da dove viene?
Perché parla?» Loriquet parve gradire i grattini
col dito, arrivando a mettersi
a pancia all’aria, ma poi iniziò ad agitarsi
quando lei gli tirò le guance e lo
stritolò in un abbraccio per nulla gradito.
«Storia lunga. Un giorno te la
racconterò.» tagliò
corto per evitare di sbottonarsi e lasciarsi sfuggire dettagli
importanti.
«La…sciami-ro…»
bofonchiò con voce soffocata,
sbattendo le aluccie per volare via.
«Cosa ne facciamo di questo?» Tenjo prese il
portagioie e lo esaminò da svariate angolazioni, cercando un
qualche indizio.
L’amico riuscì finalmente a sbucare fuori e
andò ad appoggiarsi sopra la sua
spalla.
«Lo terrai tu nel frattempo. Almeno fino a quando non
troveremo la guerriera a cui è destinato-ro.»
«Vuol dire che arriveranno altre leggendarie
guerriere? Quando? Dove?» Star, presa dall’euforia,
inclinò il busto in avanti,
pericolosamente vicina dal tirare una testata ai due, che si
allontanarono di
conseguenza.
«Non lo sappiamo. Davvero.» sorrise leggermente e
infilò il nuovo cofanetto nella borsa per finire di
sistemare lo scatolone.
«Quando succederà mi avviserai? Voglio
assolutamente
disegnarle!» impilò altri fogli e gettò
un altro contenitore dove capitava,
rischiando di far crollare nuovamente tutto. «Guarda che
meraviglia.» mostrò un
vecchio album contenete dei disegnati, alcuni colorati, delle pretty
cure:
bloom, egret, passion, blossom e così via. Probabilmente
erano tutti opera
della stessa persona, la quale aveva sfruttato le imprese che
puntualmente
apparivano in televisione. Anche se in determinate pose erano talmente
vicine
da sembrare che quella persona fosse stata realmente con loro.
«Sono simili ai tuoi, anche per bravura. Devi essere
davvero soddisfatta del tuo lavoro.» sorrise mentre uscivano
dal ripostiglio
per andare ad accomodarsi ai lati di un scrivania.
«Infatti lo sono. Però devo migliorare ancora, ma
sono
certa che un giorno riuscirò a realizzare il mio
sogno.» Con la matita iniziò a
tratteggiare alcuni punti, quelli che reputava i migliori e quindi non
sottoposti a cambiamenti.
«E quale sarebbe?» chiese un po’ curiosa
mentre con un
fazzoletto lucidava il nuovo beautybox. Il tutto sotto lo sguardo di
Loriquet,
che osservava entrambe alternativamente ma senza smettere di
“seguire” il suo
lavoro di pulizia.
«Diventare una mangaka. Vedrai che tra qualche anno
troverai un mio manga esposto in un edicola.»
soffiò la polvere della matita in
eccesso e cambiò angolazione. «Magari
un’avventura che parla proprio delle
fantomatiche guerriere.» continuava le sue correzioni
saltellando da un punto
all’altro del foglio, con una tale allegria da far pensare
che soffrisse di
qualche strano disturbo.
«Sarebbe una bella cosa.» osservò con
quanto impegno
l’altra ritoccasse la sua opera, cancellasse e poi disegnasse
nuovamente con
ancora più attenzione. Sorrise con dolcezza e smise di
lucidare il cofanetto,
mettendolo da parte. «Credo che il tuo sia un sogno ambizioso
ma non
irraggiungibile. Hai talento e anche la volontà di
realizzare le tue
aspirazioni e queste sono le chiavi del successo. Volere è
potere, ricordalo.»
alzò un indice con fare saputo, ma fece
l’occhiolino per farle capire che
scherzava.
«Arigatou!»
le rivolse un sorrisone, con le guance leggermente imporporate per la
felicità.
Ogni qual volta una persona dimostrava di credere in lei era un passo
in avanti
verso il suo traguardo. «E il tuo sogno, invece?»
«Il mio?» con l’indice seguì i
tratti di un piccolo
dinosauro che qualcuno aveva tratteggiato sul legno della scrivania.
«Trovare
ciò che ho perso.» mormorò con occhi
assorti, ricoperti da una patina di
tristezza.
«Eh?» inclinò la testa senza capire,
mostrando un
punto interrogativo sulla testa.
«Posso chiamarti Starin?» domandò per
cambiare
discorso e distoglierlo dalla sua persona. Le piaceva dare piccoli
nomignoli a
chi definiva suo amico, per cui Star non avrebbe fatto eccezione.
«Ma certo. Avere un nome straniero, per quanto mi
piaccia, è un po’ una seccatura.»
«Sei una gaikokujin? Anche il tuo cognome è
straniero.»
«Proprio così.» annuì
ripetutamente. «Da parte di
madre, infatti anche mio fratello maggiore ha un nome straniero,
però siamo
nati e cresciuti a Tokyo. Tu hai fratelli o sorelle?»
proseguì, con la sua
voglia di far conoscenza e i continui schizzi a matita.
«Ho… un fratellastro.»
masticò la parola tra i denti,
decisamente disgustata nel riferirsi a lui come tale figura.
«È il figlio
dell’attuale moglie di mio padre. Lo hai anche
visto.» spiegò, sempre con la
solita smorfia.
«Davvero? E chi è? Un nostro compagno di
classe?» impilò
una serie di fogli e li sistemò in una cartellina gialla,
con sopra scritto il
suo nome.
«… Tatsumaki. Il ragazzo che ha calpestato il tuo
disegno.» fissava un angolo della stanza con la stessa
espressione con cui avrebbe
guardato uno scarafaggio.
«Quel tipo così antipatico?» strinse la
cartellina al
petto con una smorfia. A pelle non le aveva procurato una cattiva
impressione,
ma non era stato gentile. Per niente. «Non è
affatto gentile.» ripete a voce
ciò che aveva pensato.
«Affatto.» bofonchiò, ma poi sorrise e
afferrò la sua
borsa. «Non sei vittima del suo fascino e delle discutibili
maniere. Ritieniti
fortunata.»
«Dici? Comunque io ho finito. Usciamo? Forse
incontriamo qualche leggendaria guerriera in missione.»
propose con gli occhi
luccicanti, camminando con aria talmente trasognata che Tsubasa temeva
sarebbe
finita dritta contro la porta.
«Ahia!» Cosa che effettivamente accadde. Una goccia
di
sudore cadde dietro la testa dell’altra, la quale temeva cosa
avrebbe combinato
una volta rimasta sola.
Halloween galleggiava al centro di un’aula vuota. Le
ombre erano stagliate lungo la superficie bianca delle mattonelle e
quella
generata dalla cattedra ricopriva anche la creatura. Nella mano ossuta
stringeva uno yo-yo di legno mentre nell’altra una pietra
arancione. Inserì la
seconda all’interno del primo, il quale lo assorbì
completamente.
«Pretty cure…» mormorò con la
solita voce distante
mentre galleggiava sino a raggiungere la finestra aperta.
Lanciò l’oggetto al
centro del cortile e questo iniziò pian piano a crescere,
ricoprendo l’edificio
con la propria ombra. «Avrò le Heart
stone…»
«È qui-ro!» Loriquet saltò
fuori dalla tasca di
Tsubasa, rischiando di strapparla nella foga. «Il
nemico!»
«Stai scherzando?» La ragazza corse sino ad una
finestra ed appoggiò le mani al davanzale per sporgersi il
più possibile;
proprio in quel frangente qualcosa di gigantesco cadde dal cielo.
«Zudon!» Un
yo-yo versione extralarge e con una grossa zucca posta come testa
saltellava agilmente,
tramite una molla sistemata sulla punta. Ogni suo atterraggio provocava
un
piccolo terremoto e un forte spostamento d’aria che sollevava
un polverone.
«È un mostro. Tra poco arriveranno le pretty
cure!» Duster,
felicissima all’idea di vedere una delle sue eroine,
afferrò l’album e la
matita pronta per disegnarle.
«Sono tornati in fretta, a quanto pare. Starin, vai a
nasconderti, è pericoloso.» detto ciò,
scattò in una corsa per allontanarsi dal
corridoio.
«Arrivo-ro!» gridò il lorichetto mentre
la seguiva in
volo, desideroso di aiutarla.
«Matte! AH!»
allungò una mano per tentare di fermarli ma una scossa,
dovuta all’attacco
dello zudon, fece tremare l’accademia e la costrinse ad
aggrapparsi al
davanzale. «Che paura…»
Una serie di urla iniziarono a sovrapporsi fra loro,
segno che gli studenti ancora a scuola avevano ormai visto il coso
saltellante.
«Da questa parte, sbrigatevi!» Delle ragazze
piangevano mentre altri tentavano di ripristinare un minimo di ordine
per
mettere in salvo i presenti. Lei era troppo spaventata per muoversi e
la
confusione in corridoio non aiutava a calmarsi.
«Zudon!»
All’ennesimo gridò belluino spalancò
gli occhi e vide, come un film
dell’orrore, la mastodontica figura saltare in alto per poi
lasciarsi andare
verso l’edificio. Strinse le palpebre aspettando lo schianto,
il dolore o
peggio ancora.
«Fermo!» Una figura sferrò un poderoso
pugno contro il
nemico, costringendolo a cambiare traiettoria e salvando
così parte della
scuola. Quando aprì lentamente gli occhi vide la stessa
guerriera del giorno
precedente. Era ferma al centro del cortile, coi pugni chiusi e in
posizione di
guardia mentre l’avversario riprendeva a ruotare per
riassumere una posizione
eretta e tornare alla carica.
«Sono arrivate le pretty cure!» esclamò
felice,
saltellando allegramente sul posto. Cercò con lo sguardo il
suo album da
disegno e, una volta notato per terra, gattonò sino a
raggiungerlo per
recuperarlo. Nel frattempo lo yo-yo saltellava a più non
posso, dimostrando una
notevole agilità nonostante la mole. Heaven scartava
all’indietro evitando gli
affondi della punta trivellata, ma quando cercava di contrattaccare
balzava a
sua volta, rischiando anche di schiacciarla sotto il suo peso.
«È decisamente più veloce del
precedente, accidenti.»
masticò tra i denti con difficoltà. Era il suo
secondo scontro e non aveva
ancora dimestichezza con la sua forza da potersi permettere determinati
attacchi.
«Forza, ce la puoi fare pretty cure!» Duster
cercò di
incoraggiarla iniziando a fare il tifo, credendo che la guerriera buona
avrebbe
sconfitto la creatura malvagia. Come succedeva sempre, in qualsiasi
film,
favola o racconto avesse visto o letto.
«Per poterlo distruggere hai bisogno di arrivare
vicino a lui-ro.» Loriquet, accanto alla sua protetta,
cercava una soluzione
che aiutasse entrambi ed evitasse svariati ricoveri
all’ospedale. Il mostro,
notando la loro indecisione, decise di puntare su un altro bersaglio,
ovvero la
scuola.
«Iia!»
Heaven vide lo zudon roteare velocemente verso l’ala est,
arrivando quasi a
frantumare la parete con le lame, cosa che non riuscì a fare
perché lei
“abbracciò” la parte inferiore, tentando
di fermare la sua avanzata.
«Ah!» Star lasciò cadere
l’album di mano all’ennesima
scossa e quando delle finestre andarono in frantumi si
accucciò accanto al
muro, con le mani sopra la testa. «Ho
paura…» assistere ad uno scontro tramite
televisione era troppo facile. Una semplice visione, un vetro che
separava un
vero campo di battaglia dal suo mondo protetto. Mai aveva temuto per la
sua vita
e non perché nutrisse fiducia nelle leggendarie guerriere,
ma perché la sua
vita non era mai stata in pericolo. In quel frangente, invece, era
terrorizzata
di farsi male, di non poter più disegnare o peggio ancora di
morire. Essere una
leggendaria guerriera era tutta un’altra questione.
«Aiutatemi…»
«Smetti di avere paura-bi.» disse una voce ferma,
dal
tono adulto nonostante fosse chiaramente infantile.
«Eh?» abbassò le braccia e
aprì gli occhi. Davanti a
lei vide un uccellino dalle piume gialle e gli occhi marroni. Il becco
appuntito e gli occhi sottili gli donavano un’aria seria che
ben poco si
addiceva al suo aspetto paffuto. «Chi sei?»
riuscì a mormorare nonostante i
continui sbalzi che rischiavano di far crollare quella parte della
scuola.
«Il mio nome è Habicht-bi.»
zampettò impettito sino a
raggiungere le sue ginocchia. «Sono qui per aiutarti a
combattere.»
«Watashi?»
indicò sé stessa con l’indice senza
capire. Quando l’altro annuì, una strana
euforia la pervase e abbassò il volto all’altezza
dell’altro. «Vuol dire che
posso diventare una pretty cure? È
così?» esclamò, in preda ad
un’allegria
fuori luogo.
«Esattamente. Devi soltanto volerlo veramente.»
«Ma io lo voglio! Mi piacerebbe tanto diventare una
leggendaria guerriera.» Le luccicavano gli occhi al solo
pensiero di indossare
un bel vestito, usare poteri fantastici e combattere il male.
«Allora perché non hai ancora la
Quillock-bi?» chiese
senza perdere il tono inflessibile.
«Eh? Quillock?» Un grosso punto interrogativo
lampeggiò sulla sua testa e un’espressione stupita
sostituì la precedente. Tuttavia,
un piccolo crollo la riportò alla realtà,
ricordandole che la creatura lì fuori
era reale e rischiava davvero di distruggere tutto.
«Però… ho paura…»
«Appunto-bi.» spiccò un piccolo volo per
guardare
fuori dalla finestra. «Alzati e guarda-bi.» Star
fece come le aveva detto e ciò
che si presentò davanti ai suoi occhi fu il cortile mezzo
devastato e pieno di
buche. La trottola gigante roteava sempre più velocemente,
rendendo difficile
ogni attacco da parte della guerriera che non riusciva a portarli a
segno da
una distanza troppo ravvicinata.
«Non vuoi aiutare la ragazza che prima era con te?»
«Parli di Tsubasa-chan?» lo guardò senza
capire, prima
che la consapevolezza la folgorasse. «È lei?
È una pretty cure? È fantastica!»
esclamò, osservando Heaven con occhi diversi. Appena la
battaglia fosse stata
conclusa le avrebbe chiesto di farle da modella per i suoi disegni,
assieme ad
altre.
«Non è questo il punto-bi.»
precisò Habicht. Un
secondo dopo qualcosa schiantò contro la vetrata e la
suddetta guerriera finì stesa
sul pavimento.
«Heaven-ro!» Loriquet atterrò vicino a
lei,
saltellando da un punto all’altro preoccupato.
«Stai bene? Ce la fai-ro?»
«Ecco-bi.» parlò il falco, incurante di
ciò che
accadeva attorno a lui. «Lei è un esempio di
guerriera inesperta-bi.»
«Scusami tanto, ma sono una pretty cure solo da un
giorno!» sbraitò la cure, scattando seduta per
essersi sentita punta sul vivo.
«Starin?»
«Habicht-ro!» parlarono entrambi, la prima sorpresa
di
veder la compagna di classe ancora lì e il lorichetto con
voce felice. «Sono
così contento di vederti-ro.» era chiaramente
commosso e avrebbe volentieri
abbracciato l’amico se non fosse stato praticamente ignorato
da lui.
«Allora-bi?» proseguì, incurante del
baccano provocato
dal combattimento. «Vuoi aiutarla? Lo desideri dal profondo
del tuo cuore-bi?»
la guardò attentamente negli occhi, sia per farle rendere
conto dell’importanza
della sua risposta e sia per spronarla a scegliere.
«Hai!»
annuì
con enfasi, stringendo le mani al petto. «Io ho molta
paura… ma voglio davvero
aiutare Tsubasa-chan. Aiutami a farlo.» osservava
l’uccello dorato con occhi
supplicanti e un velo di determinazione che nasceva dal suo voler
aiutare l’amica.
«Starin…» mormorò Heaven, non
aspettandosi un gesto
così sentito da parte sua. Sorrise e strinse un pugno,
portandolo davanti al
volto. «Puoi essere anche tu una leggendaria guerriera.
Volere è potere,
ricordalo.»
«Se hai un desiderio così
profondo-bi…» mormorò
chiudendo gli occhi, pur essendo consapevole dello strano bagliore
giallo che
fuoriusciva dalle dita contratte della ragazza. «…
allora esso diventerà
realtà-bi.» appena ebbe finito di parlare,
qualcosa venne materializzato
all’interno delle mani. Era soffice e stranamente caldo.
«Cos’è?» le schiuse e tra esse
vide una piuma bianca
con all’attaccatura un cerchio dorato e al centro una stella
gialla.
«La tua chiave-bi.» indicò la ragazza
con un’ala,
guardandola per la prima volta con decisione. «Segui
ciò che ti suggerisce il cuore.
Non hai bisogno di altro-bi.»
«Hai!»
sorrise felice e, seguendo un impulso strano, aprì la mano e
pronunciò una
parola. «Beautybox.» Immagini e parole vennero
sovrapposte nella sua testa e in
quel momento seppe cosa fare.
Afferrò la chiave col pollice e indice, facendo
combaciare la gemma con la serratura. Col secondo dito girò
la piuma in senso
orario, con la punta verso il basso. «Pretty cure,
arise!» Lo scrigno si
spalancò, liberando una forte luce gialla e una miriade di
piume color oro.
«Star shining!» sorrise, lasciando il cofanetto per
stendere le braccia orizzontalmente mentre i vestiti diventavano
energia gialla
che venne tramutata in una corta sottoveste. Si sollevò
sulla punta del piede destro,
piegò l’altro ginocchio e compì una
serie di piroette, mentre le piume la
circondavano in una specie di bozzolo. Alcune vorticarono attorno alle
mani e
con uno scoppio formarono dei guanti al dorso, bianchi e con rifiniture
ocra.
Fu il turno del busto ad essere sommerso, generando una giacca giallo
chiaro
chiusa sul davanti e con maniche a sbuffo. Al centro venne appuntato un
fiocco
dorato con al centro una gemma gialla. In basso spuntò una
gonna ampia e bianca
con un fuseaux giallo. Ai piedi calzava degli stivaletti ocra con delle
calze
giallo chiaro sino al ginocchio. Batté il piede sinistro,
piegò la schiena
all’indietro e i capelli ondeggiarono, diventando poi lisci.
Il colore assunse
la tonalità della nocciola, così come gli occhi,
e un fermacapelli a forma di
stella brillò sulla tempia sinistra. Il cofanetto venne
chiuso con un colpo del
palmo e dissolto in scintille mentre la chiave volò sino a
posarsi sopra la
stella.
«La luce
delle stelle…»
batté le mani mentre ammirava le stelline che la
circondavano, su uno sfondo
dorato. Posizionò due pugni sotto al mento, coi palmi
rivolti verso l’esterno,
e con gli indici puntò al proprio volto sorridente.
«Cure
Starlight!»
«Ce l’hai fatta.» mormorò
Heaven, felice di avere una
compagna in tutta quella baraonda.
«Sono una pretty cure! Sono una pretty cure!»
ripeteva
euforica mentre correva in cerchio.
«Zudooooon!»
Il mostro ricordò loro che era ancora lì,
impegnato a distruggere la
cancellata, sradicare alberi e tentare di abbattere
l’accademia.
«Non temete, ci penso io.» Starlight, forte
dell’energia che le scorreva in corpo e felice per il ruolo
di guerriera,
decise di rendersi subito utile. Balzò fuori dalla finestra
e atterrò su
entrambi i piedi, seppur in modo traballante, saltellando sul posto
come un
grillo. «Ehi, mostro! Sono qui!» agitò
le braccia cercando di attirare la sua
attenzione, cosa che riuscì a fare poiché la
gigantesca trottola cambiò
traiettoria per dirigersi di gran carriera verso di loro.
«Starlight, che stai facendo?» Heaven fissava il
nemico avvicinarsi con gli occhi fuori dalle orbite.
«Dobbiamo tenerlo lontano
dall’accademia!»
«E tu stai facendo esattamente il contrario-ro.»
mormorò Loriquet preoccupato, fissando alternativamente le
due e il mostro.
«Eh? Ah! Gome…»
smise di agitarsi per picchiettare gli indici, un po’
dispiaciuta di aver già
commesso il primo sbaglio. Habicht chiuse gli occhi, parzialmente
sconfortato dai
fallimenti delle due presunte salvatrici del mondo. «Hanno
ancora molto da
imparare-bi.»
«Dove pensi di andare?» La cure blu
saltò contro lo
zudon, sferrando un pugno al centro per tentare di rallentarlo o
fermarlo, ma
la rotazione fu troppo veloce e quindi costretta ad allontanarsi per
evitare
che le andasse a fuoco una mano. «Accidenti!»
scosse le dita per il bruciore e
intanto malediceva la propria incapacità nel non riuscire a
combattere come una
vera guerriera.
«Ci provo io!» Starlight spiccò un agile
balzo,
sorprendendosi di riuscire a restare sospesa in aria per tanto.
Purtroppo
calcolò male la tempistica e quindi finì a
schiantarsi contro le lame di legno
della trottola, che la scaraventarono lontano. Con un grido
finì addosso ad un
tronco, sentendo un forte dolore alla schiena.
«Come stai?» L’altra tentò di
avvicinarsi ma fu
impossibile perché i continui attacchi la costrinsero ad
indietreggiare,
nonostante cercasse di cambiare direzione.
«Forza, ragazze-ro!»
«Devi usare i tuoi poteri-bi.» I due uccelli erano
in
volo, il primo desideroso di aiutare e il secondo che Star agisse come
una
guerriera.
«Ma non so come.» riuscì a rimettersi in
piedi
appoggiando una mano all’albero. L’idea di
procurarsi altro male la spaventava,
anche se desiderava veramente aiutare. Cosa poteva fare?
«Ascolta la voce dentro di te, sarà lei a
guidarti-bi.»
«La voce…» chiuse gli occhi in attesa,
percependo i
boati esterni farsi sempre più vicini. Tentava di afferrare
qualcosa di
astratto, delle parole che sgorgavano dal suo cuore fino a rimbombare
nella sua
mente. «Ci sono!» spalancò gli occhi e
strinse i pugni accanto al volto, con un
sorriso che andava da un orecchio all’altro.
Sollevò il braccio destro al
cielo, col palmo rivolto verso l’alto.
«Le
stelle in questa mia
mano! Pretty cure…» una miriade di
puntini gialli vennero raccolti
all’interno della mano, ricoprendo l’intera figura
di un’aura dello stesso
colore. Formò una stella a cinque punte di medie dimensioni
che galleggiava sull’arto.
«Rolling
star!» lanciò l’arma come
fosse
stato un boomerang. Nonostante la velocità della trottola
riuscì a tagliare in
due la testa a forma di zucca, mettendo la parola fine alla vita del
nemico.
«Zudoooon!»
Dopo un ultimo lamento il corpo venne cristallizzato in arancione ed
infine
polverizzato.
«Yatta!»
Starlight saltellò, esultando assieme a Loriquet,
altrettanto felice, mentre
Habicht annuì parzialmente soddisfatto dalla riuscita
dell’impresa. Heaven
sospirò di sollievo e con un sorriso fece comparire il
cofanetto, per riparare
ai danni procurati dal combattimento.
«Pretty cure…» mormorò una
voce cavernosa che ella
riconobbe subito, fermandosi nell’atto di intingere la piuma.
«Halloween!» i presenti voltarono il capo in quella
direzione e, stranamente dalla prima volta, notarono due piccoli
puntini rossi
nel fondo delle fessure buie degli occhi.
«Inizierò a fare sul serio, preparatevi. La caccia
alle Heart stone è aperta.» minacciò,
osservando a turno i quattro, fino a
fermarsi sui due uccellini che rabbrividirono ma non vollero farsi
sottomettere. Da loro dipendeva la salvezza di due mondi e non potevano
cedere
alla paura, per quanto forte.
«Non ti permetteremo di impossessarti di loro-ro!»
«E tanto meno avrete le Saint Wonder-bi.» parlarono
quasi in sincrono, pienamente determinati e sicuri delle loro parole.
Avevano
fallito una volta, ma non sarebbe accaduto nuovamente. «La
nostra leggenda
risorgerà nuovamente-bi.» Avessero potuto
sarebbero partiti all’attacco ma
sapevano di non avere alcuna possibilità, non in quelle
condizioni.
«Di cosa stanno parlando?» mormorò
Tsubasa, che non
capiva pienamente i loro discorsi dato che l’uccellino dalle
ali blu aveva
omesso di spiegarle alcuni dettagli.
«Esatto, non farai male a nessuno!»
sbraitò la cure
gialla, agitando le braccia al cielo per dar maggior enfasi alle sue
parole.
Quando però la zucca guardò di colpo nella sua
direzione andò a nascondersi
dietro la schiena della compagna. «È davvero
spaventoso, ma chi è?»
«Lo vedremo…» fu la risposta del nemico
mentre il
corpo affondava nella propria ombra sempre più.
«Lo vedremo.» dopo ciò
scomparve del tutto, lasciando gli astanti nel silenzio assoluto.
Dovevano
riportare tutto alla normalità, tornare umane e discutere
con i due pennuti
sulla minaccia della zucca spaventapasseri.
«WOW!» gridò entusiasta una ragazzina,
procurando un
infarto a tutti che si ritrovarono con gli occhi fuori dalle orbite per
la
sorpresa.
«Chi è stato?» chiese Starlight con i
capelli in
disordine per la potenza dell’urlo. Heaven riuscì
a riprendere una posizione
decente ed a voltarsi lentamente, ma con uno strano presentimento. Un
paio di
occhi rossi, vivaci e svegli, fissavano i presenti come fossero stati
le più
grandi celebrità del mondo.
«Non è possibile… sei la ragazzina di
ieri…» parlò
sorpresa e leggermente sconvolta dal ritrovarsela nuovamente davanti.
«Siete state grandi, assolutamente!»
camminò come un
treno, avvicinandosi a velocità impressionante per
osservarle da diverse
angolazioni. «Voglio essere anch’io una leggendaria
guerriera, sono pronta?
Cosa devo fare?» parlò a macchinetta, quasi
stordendo tutti per le chiacchiere
e il muoversi continuo. «Allora? Sono pronta a combattere per
la giustizia!»
decretò con un pugno chiuso e gli occhi che fiammeggiavano
per la forza della
sua convinzione.
«È fantastico!» Star batté le
mani una volta,
sprizzando gioia da tutti i pori per la notizia.
«È un disastro…»
bofonchiò Heaven, con una goccia di
sudore che colava dalla tempia e la sensazione che i loro guai fossero
soltanto
all’inizio.
Salve popolo di pretty cure.
Ecco il secondo capitolo e con la seconda guerriera.
Alcune domande aleggiano nell’aria: cosa sono le Heart stone?
E le Saint Wonder?
Tutto verrà svelato nella prossima puntata.
Con gli scontri vado coi piedi di piombo, nel senso
che non sono tutte super guerriere al primo colpo. Non credo sia facile
“convivere” con capacità straordinarie e
saperle usare con uno schiocco di
dita.
La ragazzina a fine capitolo è la carissima Yoko, che
sarà protagonista del prossimo capitolo.
-Domandina
per gli iscritti: love interest per le
vostre oc, ovvero che tipo di persona può interessarle.
Accetto sia het che
yuri. Solo se siete interessati, ovviamente.
Traduzione:
-Sumimasen: scusa.
-Gaikokujin: letteralmente “persona di terra esterna
(al Giappone)”, termine neutro riferito agli stranieri.
-Oni-chan: fratellone.
-Matte: aspetta.
-Ie: no.
-Watashi: io.
Credits:
Star Duster
appartiene a Stardust94:
-Umana: https://i.pinimg.com/originals/a6/6f/c8/a66fc890c3769dd3826313d2e0732d08.jpg
-Pretty cure: https://i.pinimg.com/236x/a4/b1/81/a4b181d48feecfbae2b935313d228e25.jpg
Rei Maeda
appartiene a Tinkerbell92
Per adesso vi saluto gente e vi do appuntamento al
prossimo capitolo. Buon fine settimna. ^^
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