L'inferno poteva anche attendere.

di Longriffiths
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fuoco. ***
Capitolo 2: *** Identità. ***
Capitolo 3: *** Ricordi. ***
Capitolo 4: *** Speranza. ***
Capitolo 5: *** Karma. ***
Capitolo 6: *** Dolore. ***



Capitolo 1
*** Fuoco. ***


 

 
 
-Voglio iniziare con il dire che questa FF è partita da una frase di una storia che ho letto tipo alle tre e qualcosa del mattino e l''ho inserita come inizio... la storia si chiama Ci rincontreremo ed è dell'autore/trice Very_Well, a cui ho mandato un messaggio per avvisare. Detto questo buona lettura!-
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-Rιcordα.. ιo тι porтerò αllα мorтe, мα тι ѕαlverò dαll'ιɴғerɴo. 
Lυι тι ѕαlverὰ dαllα мorтe ,мα тι porтerὰ αll'ιɴғerɴo.~

Ma Bellatrix aveva scelto. 
In realtà lui lo aveva sempre saputo. Bellatrix era dannata, dal primo momento che aveva liberato le sue urla nell'aria. Il suo cuore, era dannato, dal primo momento che si era lasciata andare nel suo piccolo limbo in balia degli sguardi infuocati di quell'uomo. La sua anima era dannata, dal primo momento che aveva macchiato la sua veste bianca che rappresentava l'innocenza che forse non aveva mai avuto davvero di rosso, un rosso vivo, un rosso sangue, il rosso dell'inferno.
Perché il fuoco era parte di lei. Il suo elemento. La sua fonte di energia. Non si nutriva del suo calore, bensì della sua forza. Fuoco violento e cattivo, fuoco distruttore, il fuoco Ardemonio. Lei lo custodiva nel profondo della sua anima nera quanto il suo nome .
Lo stesso fuoco che non si era mai spento, nemmeno quando il freddo buio della cella l'aveva avvolta per tanti anni. Lo stesso fuoco alimentato da Lui e Lui soltanto era in grado di domarlo, ma mai di soffocarlo. Nemmeno Lui ne era capace. Lei era destinata alla fiamme. Fiamme che divamperanno sempre di più, che un giorno l'avrebbero vista bruciare e contorcersi depurandola in quel modo da tutte le sue azioni nella vita terrena, azioni di cui non si era mai pentita.
Perché lei apparteneva all'inferno. Da quando il suo cuore e la sua mente erano state messe in equilibrio, verso il demone di cui si era innamorata. Sapeva che un giorno avrebbe pagato. Sapeva che quell'amore maledetto l'avrebbe portata all'eterna punizione. Sapeva che l'avrebbe affrontato da sola. Come aveva sempre fatto quando il suo amore diventava un oltraggio ed un peso. Poteva nascondere i pensieri ma non i sentimenti. Eppure aveva mai esitato? No, no perché lei non è debole, non si è mai arresa. Ogni parte di lei, anche la più piccola, la teneva ancorata al rischio malgrado quella consapevolezza, la certezza che anche in milioni di altre vite avrebbe sempre scelto la strada che conduceva all'inferno. Forse perché sapeva che almeno, l'avrebbe portata lì Lui. Perché tutto per Lui. Anche bruciare fino a carbonizzare le carni. Anche farsi spaccare da tutte le crepe spitiruali, taglienti quanto lame, il suo animo ormai dannato. 
Ma Lui, Lui era IL demone. E all'inferno avrebbe comandato. E lei si sarebbe trovata nuovamente al suo fianco. Per questo non la spaventava l'idea di bere dalla Sua tazza, di mettere una firma sul suo destino. Perché anche in un milione di altre vite infernali avrebbe scelto Lui. Seguito in ogni girone. L'ira. La lussuria. Perfino la gola, tanto era grande la sua fame verso il Suo accompagnatore alla vita dannata. A confronto a Bellatrix, l'Ardemonio non era che una insulsa fiammella fioca. Una bestia della notte avrebbe avuto paura di lei. Una splendida fenice nera, che moriva ogni volta che il suo cuore veniva respinto, usato, ferito, umiliato, allontanato, e che nasceva nuovamente dalle proprie ceneri ogni volta che il rosso vivo delle Sue iridi si mescolava all'oscurita dei suoi occhi entrandole fin sotto la pelle, alimentando di nuovo speranza e passione che la spingevano a donare qualsiasi cosa pur di servirlo, pur di assecondare ogni capriccio, pur di accontentarsi di un silenzio complice, un silenzio che la notte e il buio avevano imparato a decifrare. 
Lei, il suo Signore ed il potere.
L'inferno, poteva anche attendere.
 

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Capitolo 2
*** Identità. ***


 

 
 

Non sai chi sei.
Certo che lo sai, tu sei Bellatrix, e come potresti dimenticartelo? Non fanno altro che nominarti ogni giorno, tutti quanti, da sempre.
Non sanno chi sei.
Certo che lo sanno. Tua madre sa che sei la bambina viziata che da piccola sfilava il pizzo delle gonne che ti costringeva a mettere per le feste di famiglia perché non ti piacevano. E per questo, ti puniva.
Tuo padre sa che sei la ragazza che passava il suo tempo estivo sotto l'ombra dell'albero più alto del giardino o tra i suoi rami, a fissare il vuoto o accarezzare le foglie. E per questo, non veniva a dirti che in casa stavano prendendo il thè per non disturbarti.
Tua sorella Andromeda sa che sei la ragazza che a scuola fumava nel dormitorio da sola solo quando era particolarmente felice. E per questo si assicurava che nessuno salisse.
Tua sorella Narcissa sa che non ami scioglierti o scomporti in nessun modo. E per questo parla con te, ma piange e abbraccia Andromeda. 
Tuo marito sa che sei una donna forte e combattiva che adora stuzzicare in malomodo chiunque. E per questo cerca di tenerti testa.
Tutti sanno qualcosa di te. Anche se parli solo quando c'è qualcosa da dire tenendo la bocca chiusa per non dover mandare avanti inutili conversazioni, il tuo essere istintiva ha portati tutti a conoscere un pezzetto di te, contro la tua volontà. 
Tu invece non riesci a capirti. A conoscerti. 
Non sai chi sei.
Certo che lo sai:
Tu sei Bellatrix. Quella che nelle notti di Luna Nuova esce dalla sua Villa a piedi nudi coperta da una leggera stoffa nera che non serve a proteggerti dal freddo, ma a diventare una cosa sola con il buio. Mischiarti con esso, confonderti. 
Quella che nel bel mezzo dei temporali spalanca le finestre per lasciarsi avvolgere dai violenti getti d'acqua. Ascoltare il frastuono dei tuoni. In quei momenti sembri riconoscere nel paesaggio ciò che accade dentro di te, e resti così, muta tra pioggia e rimbombi a contemplare.
Quella che ha bisogno di sentire sulla pelle l'acqua più fredda del normale, nell'immensa vasca, perché il fuoco che brucia scorrendo liquefatto insistentemente nelle tue vene ha bisogno di essere placato.
Quella che cerca riparo in una parola e non tra un paio di braccia.
Perché hai imparato che non bisogna contare su nessuno. Che le parole quando non sono associate ai fatti restano tali, e potranno essere portate via dal vento.
Un paio di braccia potrà stringere qualcun altro e quel riparo si trasformerà nella distruzione più totale.
Piccola, Bellatrix, sei così piccola e nessuno ti abbraccia mai. 
Perché hai imparato che niente è per sempre.
E allora perché permetti alla tua poesia preferita di dirti il contrario? La reciti ancora una volta con aria assorta, stesa sul terreno tra le foglie, dove ci sono le creature pericolose del bosco. Ma tu sei una di loro e non hai paura.

 

- Come gli angeli dall'occhio fulvo

tornerò nella tua alcova,

scivolerò senza rumore verso te

con le ombre della notte.

E ti darò freddi baci
come la luna, o bruna, 
e carezze come un serpente
che striscia intorno ad una fossa.
Quando verrà il livido mattino, 
troverai il mio posto vuoto,
e resterà il freddo fino a sera.

C'è chi usa la tenerezza,
sì ma io regnerò sulla tua vita
e sulla tua giovinezza col terrore. -


La sussurri al nulla. Agli alberi, sai che la custodiranno come un segreto. Così vera, così tua, queste parole sono talmente associate ai fatti, ed è per questo che sono il tuo riparo. Spettro. In fondo è questo che sei. 
O non sai chi sei?
Si che lo sai. Sei il leone che diventa agnello. Predatrice che diventa preda.
Sei tante cose, 'Bella, eppure ti vanti solo di essere una brava e potente strega. La Sua più brava e potente strega. 
Lui lo sa. Lui te lo ha detto. Lui ti conosce. Conosce solo il peggio di te e gli basta perché in fondo è il tuo meglio. Agli occhi Suoi tu lo fai apparire così. Una cosa che ti viene naturale come respirare. 
Per questo non sai chi sei. Non sai chi è che prende possesso di te quando sei davanti a Lui. O forse lo sai. Tu stessa non capisci più nulla e capisci ogni cosa. Tu stessa ti rifiuti e muori dalla voglia di fare certe cose. Tu stessa vuoi quello che vuole anche se vuol dire sminuirti e sminuire. Perché non sai che i fili d'argento che ti legano in modo permanente a Lui sono tirati da un incantesimo che nessuno di voi può capire. Perché ti rifiuti categoricamente di credere che sia così e lo mascheri con quella che tu chiami adorazione. 
Hai un organo che però non smetterà di ricordartelo. 
Ma lo metterai a tacere. Perché tu sai chi sei.
Certo che lo sai.
Tu sei Bellatrix.
E nessuno è uguale a te.


 

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Capitolo 3
*** Ricordi. ***


Era sola tra le mura vuote della Villa in cui trascorreva il tempo da quando il suo cognome era mutato per mezzo di qualcuno. 
Il silenzio urla imperterrito, il silenzio le ricorda che non ha nessuno. La cosa la amareggiava: nuvole grigie all'orizzonte. 
Il tempo variava frequentemente andando di pari passo con il suo umore da troppo tempo, dall'ultima volta che aveva visto la figura del suo consorte sparire violentemente. Il rumore secco che accompagnò la sua smaterializzazione fu l'ultimo che udì. Non che le dispiacesse quel'assenza, ma non le era mai piaciuta, la tranquillità, portava ricordi, e lei non voleva ricordare. Era impossibile, più forte anche di lei. Mille immagini sovrapposte e scombinate si fecero largo nella sua mente, picchiandosi, contendendosi l'attenzione. 
Saliva su per le scale a piedi nudi, senza sentire nemmeno i suoi stessi passi. All'ultimo piano in quella stanza: teneva racchiusi tutti i ricordi più belli.
L'accesso è stato esplicitamente proibito a chiunque, da lei. Solo lei poteva entrare, e decidere chi far entrare. È dove andava a rifugiarsi quando sentiva di essere pronta a spezzarsi con un soffio di vento. Aprendo la porta non trova niente, se non il solito letto molto più grande del normale, legno scuro come i suoi occhi, come lei. Nell'armadio il suo lenzuolo preferito non è più del suo colore originale, il rosso scarlatto che aveva sentito sulla pelle l'ha cambiato, ora è molto più bello. Con cura maniacale l'aveva riposto e da quel momento lo custodiva come un tesoro prezioso, perché per lei rappresentava proprio quello. 
Una goccia, primo ricordo: quella notte. 

Bellatrix passava con il polpastrello del dito indice il contorno del bicchiere di cristallo ormai vuoto, nell'ampio salone di Villa Lestrange. Erano settimane che il marchio non bruciava più, che il suo padrone non la chiamava a sé per una missione, in compenso ci mandava suo marito,  e lei si trovava da sola. Ancora. Distrattamente posò gli occhi sul suo avambraccio sinistro notando con grande stupore ed eccitazione che il suo marchio non era più sbiadito.  Era nero, nero come la pece. Corse alla finestra, una nube di fumo nero sotto la luce argenta della Luna stava prendendo forma proprio davanti alla porta d'entrata. L'uomo non fece in tempo a bussare che questa si spalancò, lasciandolo con una mano a mezz'aria davanti alla figura della riccia, che s'inchinò in segno di saluto e rispetto. Gli occhi rossi di Lord Voldemort scrutarono quella che era la sua pupilla. Così giovane, tremendamente brava. Venticinque anni lo separavano dalla ventenne ora intenta ad inviarlo ad entrare. Senza proferir parola, Voldemort avanzò.
《Ancora sveglia, Bellatrix? 》
《Solo una delle mie notti insonni,  Mio Signore. Come procede la missione? Gradite qualcosa?》
《Vino Elfico. Questa notte le bestie del bosco hanno voluto privarci dei loro lamenti. Mi sono detto: i miei Mangiamorte gradiranno la quiete. Poi, mi è venuto in mente che ce nè una che potrebbe impazzire senza, non avendo che quelli ad accompagnare il suo sonno nei momenti in cui il suo letto è vuoto per metà. E sono venuto qui. Curioso, non è vero? Avevo ragione?》
Le lancette dell'orologio cambiarono di posto varie volte, i rintocchi accompagnati dalle loro voci. Non aveva ben capito il motivo preciso della Sua presenza lì,  ma trovarsi così vicina a Lui e sapere che a parte loro due e la servitù l'abitazione era vacante, accendeva in lei desideri proibiti e pensieri indegni, che non sfuggirono all'uomo perfettamente in grado di leggerli. 
《Bevi con me, Bella. La tua compagnia consiste anche in questo.》
《La.. mia compagnia? Siete qui per avere la mia compagnia?》
《Mi sembrava di averti già fatto presente il motivo della mia improvvisa comparsa in casa tua.  Non mi ascolti più,  forse? O magari, non ti sono gradito.》
《No Mio Signore! Certo che vi ascolto,  io... sono onorata di avervi qui. Solo non mi aspettavo di potervi essere utile in tal modo, a quest'ora》
《Mh. Lo so. So anche questo, Bellatrix. Evidentemente avevi, /hai/ altre intenzioni. Avanti, dimmi che cosa vuoi.》
Troppo vicini per impedire al vino che aveva nel bicchiere di barcollare pericolosamente al suo interno. Rosso come l'inferno e nero oscurità dei loro occhi entrarono in contatto. La stava mettendo alla prova? Quel "Voi, Mio Signore" in un sussurro appena percettibile uscì dalle labbra della donna. Con un ghigno divertito, Lord Voldemort decise di concedersi le grazie che la sua pupilla era pronta a offrire. Si fece scortare in una camera precisa, la più bella della Villa, di proprietà della strega. Senza alcuna forma di delicatezza, scivolò con la mano verso la coscia di lei sino a recuperare il pugnale che aveva in un fodero allacciato su di essa, tagliando in malomodo tutti i fili che tenevano legato il corsetto sino a liberarla dal vestito cocente avendo assorbito il calore del suo fuoco sveglio e bollente. Disteso sul letto scuro dal lenzuolo smeraldo,  Voldemort sentì il suo lato umano ancora inesorabilmente presente in lui metre la lingua della riccia percorreva il suo collo, e la detestò. Perché lei gli ricordava tutta la debolezza delle carni. Doveva punirla. 
Bellatrix si trovò schiacciata sotto il Suo peso. I due corpi nudi e pronti per unirsi aspettavano solo un ultimo cenno d'assenso che non tardò ad arrivare. Il basso ventre di lei fremeva sotto il Suo tocco, che non era altro che una muta richiesta di supplica. Non si era mai sentita cosi viva. Gemeva nell'attesa di fondersi col suo padrone. Un urlo di piacere risuonò nella stanza quando la distanza tra loro fu annullata, e lei accolse caldamente il languido modo in cui era stata presa. Quel lamento lo spinse a continuare sempre più forte senza darle tregua, ma lei non obiettava: ne era avida e ingorda. Le unghie smaltate di nero si conficcarono nella Sua pelle graffiandone ogni centimetro, portando quella schiena a sanguinare non poco.  Morsi, graffi, dita avvolte i capelli, odore di sangue, odore di sesso. Un doloroso piacere infinito.  Una notte perfetta. Proibita, e viva.



Osservò la sua collezione di pugnali messi in ordine sul mobile in cui teneva le maschere d'argento e i vari mantelli per le missioni che adempiva. Sfiorava le loro lame con fare esperto con l'assoluta sicurezza di non ferirsi mai. Eppure fu tradita. Una calda scia ricadeva sul palmo della mano insinuandosi nelle linee di esso, risaltandole. Linea della vita, linea della fortuna, linea dell'amore. È un taglio così fine da non essere nemmeno visibile ad occhio nudo, impossbile pensare che il suo liquido colava, come la sua vita. Impossibile credere che abbia iniziato a poco più di quindic'anni, eppure i segni che lasciava davano prova della sua bravura testimone di molti anni di duro impegno.
Seconda goccia, secondo ricordo: quelle notti. 

Le mura del Castello non erano mai state tanto noiose, da quando aveva saputo. Quindici anni e idee chiare, ambizione alle stelle. Libri di magia dal reparto proibito della biblioteca stretti sotto il suo braccio, la bacchetta stretta in un mano. Un'aula nel bel mezzo della notte pronta ad essere usata per campo d'allenamento. Insonorizzazione effettuata,  non restava che agire.
Sfogliò il libro appoggiato sulla cattedra per poi far si che una delle sedie diventasse un innocente gatto bianco. Dopo un pò una X fiammeggiante era in bella vista sul suo pelo bruciato, l'odore della carne arrivò alle narici della ragazza che ai lamenti sofferenti dell'animale rideva sadica e soddisfatta. Una zampa squartata, la coda ridotta in cenere, un orecchio mozzato ed infine, la fattura della frusta. Gli organi interni dell'animale lesionati  con un'emorragia corso. E lei si nutriva di quell'esistenza cessata per mano sua.




Il braccio destro scoperto è segnato da una lunga scia lucente e brillante. Andava sino al gomito ove terminava il suo percorso lasciandosi andare sul tappeto sottostante. È il braccio sbagliato, non è quello più ama contemplare anche se il suo colore preferito la chiamava. Spostò i suoi profondi pozzi di oscurità sull'avambraccio sinistro. 
Terza goccia, terzo ricordo: la sua notte. 

Il maniero dei Black era tranquillo. Gli abitanti dormivano: tutti a parte lei.
Aveva messo a disposizione la casa per il momento in cui sarebbe stata marchiata fuoco.
La luna era scomparsa quella notte, intimorita. 
Decine di uomini iniziarono ad entrare in casa venendo serviti di cibo e alcolici dagli elfi giovani.  Quando la sedia a capo del lungo tavolo de salone fu occupata, tutti tacquero, udibili erano solo le forzate suppliche incomprensibili del babbano legato e sospeso a mezz'aria. 
《Divertiti, giovane Black.》
Nessuna pietà,  nessuna esitazione,  solo eccitazione e prontezza albergavano in lei. Alzandosi e fissandolo negli occhi con un abbaglio di cattiveria e divertimento,  Bellatrix lo torturò a dovere sotto le risate d'approvazione e incitamento dei futuri colleghi, finché non fu interrotta dal sibilo di un grosso serpente avvolto intorno alle spalle  Lord Voldemort,   successivamente dalla voce.
《Basta. Uccidilo.》
Di nuovo silenzio. Un lampo di luce verde illuminò i presenti e consentì all'anima di quell' uomo di abbandonare il corpo, e a quella bestia di nutrirsi. 
Sentì il suo braccio scottare in un modo inimmaginabile,  ripagata del piacevole dolore da un meraviglioso serpente nero.
《Benvenuta nella cerchia,  Bellatrix Black.》 



Sembrava così lontano ormai quel momento in cui aveva affidato mente, corpo ed anima permettendo a qualcuno di farne il suo volere. Il volere che anche lei brama. Che brama fare. Improvvisamente quel silenzio non sembrava più tanto cattivo, in quella stanza. Lasciò vestito scivolarle lungo i fianchi e le gambe scavalcandolo per vestire solo dell'aria e dei pizzi che nascondono la tua intimità. S'abbandonò ai ricordi, e la pioggia battè contro la finestra. Spalancò le sue porte e con cautela poi si adagiò sul materasso, beandosi della morbidezza delle piume nel cuscino. La cascata di ricci corvini diventò l'unica coperta per le sue spalle nude. La pancia schiacciata sul letto, il braccio sporco intorno alla vita a ricordarle che lei stessa c'era sempre quando aveva bisogno del conforto fisico, il braccio sinistro all'altezza del volto adagiato sulle sue labbra. Un sospiro andò a smuovere il meraviglioso serpente nero che sotto il suo tocco danzò per lei. Per ricordarle che invece la sua mente era ininterrottamente confortata a dovere dall'immagine indelebile di colui che l'aveva condannata al peccato dell'amore maledetto, addormentandosi tranquilla, e dannata.

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Capitolo 4
*** Speranza. ***


‹ Dunque.. la Mangiamorte Bellatrix Black in Lestrange. Sotto accusa insieme a suo marito Rodolphus e suo cognato Rebastan Lestrange, per aver torturato una notte intera nella loro abitazione, i coniugi Frank e Alice Paciock , Auror specializzati del Ministero della Magia allo scopo di strappar loro informazioni sulla famiglia Potter da riferire poi a Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, fino a ridurli alla pazzia e alla completa insanità mentale irreversibilmente, per mezzo della Maledizione Cruciatus, una delle tre Maledizioni senza Perdono. E' corretto? ›


Tutto il Wizengamot aveva gli occhi puntati sui tre maghi al centro della stanza, tenuti con forza sulle sedie da forti catene che imprigionavano i loro polsi ai braccioli. Aveva già assistito al processo di Igor Karkaroff, rilasciato per pura vigliaccheria. Fare i nomi dei propri compagni era vergognoso, e per scoprire le /vere/ intenzioni di molti dei seguaci dell'Oscuro, c'era stato bisogno di una cattura generale e della sua.... caduta. Questo pensiero la divorava dall'interno. Non voleva crederci, tutta se stessa si rifiutava di pensare e di accettare l'assurdità dei fatti. Lui, il mago più potente di tutto il mondo magico non poteva essere morto. Si voltò per osservare tutte le persone presenti, compresi tutti gli Auror che avevano partecipato alla cattura.
Ad assistere al processo c'era anche Albus Silente, e tra gli altri condannati la strega riuscì a riconoscere dei lineamenti familiari che non vedeva da anni ormai, quelli di suo cugino Sirius Black. Non conosceva l'accusa, ma provò un senso di goduria nel vederlo in gabbia come un cane bastonato, quello che aveva sempre meritato per aver scelto la feccia. I suoi pensieri vagavano ai Mangiamorte riusciti a scappare, ancora in libertà. Pregò con tutte le sue forze che avrebbero fatto di tutto per cercare il loro padrone, per riportarlo qui. Non era finita. Osservò i volti spaventati delle persone condannate, soffermandosi su quelli degli uomini ai suoi lati. Barty Crouch aspettava una risposta. Le labbra della strega restarono serrate, l'unica cosa percepibile di lei era il pesante e veloce respiro, guidato dal petto che si gonfiava ogni volta di più in cerca di contenere la rabbia e l'irritazione che le inutili parole di quell'uomo che servivano solo a ridurre il silenzio, finché non venne interpellata ancora. Rispose, ma senza incrociare lo sguardo di nessuno.

‹ Lei signora Lestrange. Lei è conosciuta come la più pericolosa e temibile tra i seguaci dell'Oscuro Signore. Perché? ›
‹ Credo sia abbastanza ovvio. ›
‹ Allora non nega le accuse che le sono state rivolte? ›
‹ No. ›
‹ E' tutto vero, dunque. Lei lo sa che potrebbe ricevere l'ergastolo vero? Non vuole provare a ridurre la sua pena, rivelandoci altre informazioni sulla vostra cerchia? ›
‹ No. ›
‹ Non le pesa il fatto di poter essere condannata a vita? ›
‹ No. ›
‹ Perché? ›
‹ Il Mio Signore tornerà a prendermi, sciocco. ›
‹ Il tuo signore è morto. ›
‹ LUI TORNERA'! PIU' FORTE E PIU' POTENTE DI PRIMA, E TUTTI VOI LA PAGHERETE CARA PER QUELLO CHE AVETE FATTO, IO VE LO GIURO! ›

Il suo improvviso scatto fece sussultare tutti in quella stanza causando mormorii e scompiglio generale. Non ci aveva visto più. Nessuno voleva crederle, come pareva loro. Lei aveva aspettato per anni, e continuerà ad aspettare perché dentro di lei lo sa, che Lord Voldemort risorgerà e allora tutte le persone del mondo magico non avrebbero avuto vie di sicurezza. A ognuno la sua punizione, a ognuno i suoi privilegi, dovevano solo aspettare. Per il momento però non poteva fare altro che tacere, mentre alcuni uomini scioglievano le sue catene accompagnando il sottofondo della sua condanna ufficializzata dal martelletto di legno che stava battendo forte sul banco del giudice, portandola nella sua cella. E mentre i Dissennatori si nutrivano di lamenti e disperazioni generali, guardando oltre le sbarre Bellatrix Black giurava ancora eterna fedeltà, sperando nel Suo ritorno.
 

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Capitolo 5
*** Karma. ***


 

Notti di Luna nuova. 
Notti in cui le bestie dei boschi strisciano fuori dalle loro tane muovendosi indisturbati dovunque vogliano, amanti dell'oscurità al sicuro da qualsiasi bagliore o fascio di luce.
Tic. Tic. Tic.
Le catene che aveva alle caviglie non facevano che ripetere lo stesso suono all'infinito, guidate dai piccoli movimenti a scatti della strega. Era diventata un'abitudine, contava i secondi in quel modo, e quando invece passava un minuto esatto batteva entrambi i piedi in terra in una volta sola, con le ore invece si aiutava anche con le catene ai polsi. Il tutto guardando fuori dalla finestra sbarrata in alto a destra della sua cella, appoggiata contro il muro. Era una specie di modo che aveva adottato per restare in vita, quello di contare il tempo che passava lontana dalla libertà. Notti in cui tutto è concesso, perfino a lei. Si era concessa di essere felice.
Lei che per quattordici anni aveva atteso pazientemente sopportando l'inferno terreno, quattro mura fin troppo strette per un'anima come la sua. Ora dopo ora, giorno dopo giorno, anno dopo anno aveva udito urla strazianti, suppliche di morte, rumore di corpi affranti contro le sbarre in cerca di libertà, di una via di fuga dalla punizione per aver peccato.. per aver servito ed amato. . Ecco, le tornò in mente un nuovo ricordo dell'uomo che dal primo momento in cui i suoi profondi occhi scuri avevano incontrato quelle perfette e magnifiche iridi color dei rubini, aveva rapito ogni parte di lei, e lei ancora lo a..dorava. Non urlava, lei. Lei attendeva rannicchiata in un angolo a guardare il vuoto, rammentando. Ah, com'erano lontani quei giorni in cui diventava una cosa sola con l'oscurità avvolgendosi di essa, lasciandosi cullare da tutto ciò che poteva offrirle, beandosi della sua protezione, bramando gloria e potere, e pulizia del mondo in cui viveva. Com'erano lontani i giorni in cui era viva e libera di spiccare, di sentirsi chiamare Pupilla. Un altro ricordo succhiato via da quegli spettri infernali che si nutrivano dell'unica cosa che le era rimasta del suo padrone, oltre a quella macchia sbiadita che frequentemente toccava con la lingua nella speranza che il serpente raffigurato danzasse per lei, ma era tutto inutile. Sfogava la sua rabbia e mai la sua rassegnazione su se stessa. Si graffiava, si strappava ciuffi di quelli che una volta erano meravigliosi boccoli corvini ora ridotti ad una massa informe, ad un groviglio di nodi. Doveva pur concedersi dei momenti di ripristinazione, doveva riposarsi da tutta la pesantezza che la progionia le aveva inflitto curvandole le spalle. Ma lei era tosta, e per dodici anni non aveva fatto altro che sfidare ogni cosa intorno e dentro di lei a tal punto di riuscire a collocare un ricordo per ogni parte del suo corpo, o della cella che la teneva rinchiusa. Una macchia scura sul muro dal colore omogeneo: sporcizia. Dunque feccia, come quella nel mondo dei maghi, le ricordava il motivo per il quale era in quello stato. Aveva iniziato ad escogitare metodi di sopravvivenza come quelli da quando aveva capito che non era in grado, purtroppo, di reagire. 
Il sottofondo poi che accompagnava le sue giornate era dei peggiori. Urla, corpi che sbattevano contro le pareti, suppliche di morte, unghie stridenti lungo le sbarre delle finestre. Alle volte, le pareva persino di sentire la voce di suo marito. Non lo amava, ma era legata a lui, dopo anni passati a vederlo ogni giorno aveva imparato a conoscerlo ed aveva scoperto tante cose di lui. E un pò si era fatta conoscere a sua volta. Sapevano tutti e due che non era e non sarebbe mai stata una persona dalle parole di conforto nemmeno nelle situazione più drastiche come quella, ma aveva imparato a riconoscere che lui stava sopportando tutto quello in parte a causa sua, per colpa della sua folle ossessione di fedeltà, così quando gli pareva di sentirlo strisciava sino alla finestra appendendovisi ai bordi, per poi strillare un semplice 'sta zitto', solo per fargli sapere che era lì, che ascoltava, e ricordargli che non sopportava i deboli. Si ritrovava la gola in fiamme per tutti i lunghi periodi di assenza forzata di voce, e restava muta ancora e ancora. Si sfogava strappandosi i capelli, conficcando le unghie nelle carni, sbattendo la testa alla parete.
Azkaban sembrava aver capito la sua determinazione nel restare sobria e non scivolare nel vortice del non ritorno, e iniziò a portarsi via qualunque cosa di lei. Il colore della pelle, i fianchi, la luminosità degli occhi. Molto spesso, la prigione vinceva. E lei sopportava, sopportava da morire e non intendeva smettere. Spesso guardava il suo avambraccio sinistro e sospirava, avvicinandosi quasi per fargli le fusa. Ci parlava come fosse una persona in grado di capirla, e ripeteva intere conversazioni anche rivolgendogli delle domande con la speranza che un giorno sarebbe tornato chiaro ed evidente sulla sua pelle ormai lattea con una sfumatura giallognola. Si era sbiadito con lei, che ancora sperava -sapeva- che di sicuro avrebbe bruciato ancora. Un giorno. Aspettava. Il fuoco dentro di lei non era stato spento nonostante tutto, ridotto ad una fiammella, ma ancora bruciava. E lei lo amava, trovava in lui l'energia e la forza di andare avanti. La sua mente non era più lucida come una volta, ma nonostante tutto lei era quella tra i più normali prigionieri, se così potevano definirsi.
Stava scivolando lentamente nel suo oblio, quando qualcosa accadde. Il suo Marchio era vivido, ustionava. Era tornato. Come se avesse aperto gli occhi da un coma durato anni, trovò la forza di piangere di gioia. I Dissennatori accostavano davanti alla sua cella cercando di nutrirsi delle sue speranze, ma Bellatrix non poteva permetterglielo, non adesso che poteva tornare a vivere.
Le gambe ormai troppo magre non potevano sorreggerla a lungo. Camminò verso la finestra, riusciva a sentire il rumore della pioggia. Il vento soffiava su di lei, i muscoli non più abituati al movimento bruciavano fastidiosamente, finché non la tradirono facendola cadere. Era debole, Azkaban si era preso tutto di lei, tutto ma non la passione, la devozione, la fedeltà, la forza interiore. 

《È tornato.. Lui è qui.. il mio padrone, il mio Signore..》

Sussurri, solo sussurri, corde vocali quasi inesistenti e diaframma sotto pressione consentivano alla sua voce di somigliare a un lamento acuto appena percettibile, ma a lei andava bene così. Lacrime calde e ristoratrici si mischiavano alle gocce di pioggia sul suo volto. In ginocchio, allungò le mani verso le sbarre della finestra e si aggrappò ad esse per sorreggersi, guardando fuori. 
Una risata, stridula e lamentosa trovò la forza di rimbombare all'interno di quelle sudice mura che l'avevano ospitata per troppo tempo. Riflessioni, speranze, convinzioni, non più pensieri sfumati e ricordi rubati ora erano parte della sua mente, ora una nuova luce si era fatta spazio in lei.
'Verrà a prendermi.. lo sapevo, il mio padrone è il migliore di tutti, lui verrà qui e potrò ancora servirlo e bearmi della sua visione.. sarò ancora la più brava Mangiamorte che abbia mai avuto e potrò essere presente quando Lui trionferà..'
Decise di non muoversi dalla finestra da quel momento, attendendo nubi di fumo nero nella sua visuale. Giorni, settimane, mesi, non importava più, adesso aveva un motivo valido e preciso per sopportare tutto. Presto si sarebbe ricongiunta a ciò che aveva di più caro al mondo, presto sarebbe tornata a fare quello per cui era nata. Presto, sarebbe tornata ad essere la splendida Fenice nera di sempre.
Tutto il resto, valeva la stessa pena di Azkaban.
 

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Capitolo 6
*** Dolore. ***


May ₂; ■1998■  ~The Final Battle.


Harry Potter era morto.
Avevano vinto.
Finalmente, non ci sarebbe stato più scampo per nessuno. L'Oscuro Signore aveva avuto ciò che voleva, prima sconfiggendo la morte e poi vendicando se stesso da un insulso sbaglio di anni addietro che gli era quasi costato tutto. Il suo potere, i suoi Mangiamorte che ora lo assistevano come non mai dando prova della loro fedeltà. Insieme a loro una volta terminato tutto, avrebbe costruito un nuovo regno dove soltanto lui ne era a capo, circondato da servitori, sarebbe divenuto onnipotente. Avrebbe governato sull'intero mondo magico come aveva sempre desiderato, il potere era Suo. Combatteva ormai convinto di avere tutto e tutti sotto il Suo controllo, ora restava solo togliere di mezzo i poveri illusi che ancora speravano di poter ottenere qualcosa opponendo resistenza alla sua richiesta di unione.
Peggio per loro, la morte stava guardando felice di tutte le anime che ad una ad una salivano a lei. La morte aspettava paziente. Presto ognuno di loro le avrebbe fatto visita. L'Oscuro pur essendo concentrato sul suo scontro, osservava curioso e attento l'andamento degli altri duelli. Bellatrix, era ben oltre l'ossessione. Piena di un'energia che mai aveva provato fin ora. Ogni parte del suo corpo sembrava muoversi da sola, anche se avesse voluto fermarsi a riprendere fiato non avrebbe potuto. Non faceva che combattere, assecondare Lui che finalmente stava per trionfare una volta per tutte. 'Preparati, Bella, Lord Voldemort ti vuole con sé al suo fianco nella battaglia, dove raggiungerà la tanto attesa meta'. Quelle parole risuonavano ancora forti nel suo cuore e nella sua mente ancor più di tutte le forti esplosioni intorno a sé mescolate con urla di ogni tipo. Fianco a fianco ora lottavano per ripulire definitivamente il Suo prossimo mondo da tutte le persone indegne di farne parte. Finché qualcosa accadde. Lanciò l'Avada Kedavra contro una delle ragazzine che avevano cercato di fronteggiarla, ma mancando il colpo. Una Weasley.
Cercò di riprovare, ma la ragazzina fu spinta via e sostituita da sua madre, la cugina della donna che per colpa sua anni addietro aveva reso un corpo inerme senza possibilità di intendere e di volere. Rise sonoramente sovrastando qualsiasi rumore, iniziando poi a duellare animatamente e senza pietà. Una distrazione? Un incantesimo di scudo non riuscito? Venne colpita.
Ogni muscolo del suo corpo era paralizzato. Negli occhi della donna di fronte a sé era possibile leggere vittoria e vendetta. Girò gli occhi. Se doveva morire, voleva farlo guardando Lui.
Combatteva ancora, non sembrava essersi accorto del suo stato di paralisi. Meglio così, sarebbe stato forse un pensiero inutile servito solo a distrarlo, o forse un pensiero irrilevante. Per un attimo si sentì amareggiata, ma poi si rasserenò. Si, sembrava sofferente ma non lo era. Se avesse potuto avrebbe sorriso. 'Sono orgogliosa, Mio Signore.' Pensò sapendo che forse aveva una possibilità di liberarsi da quella morsa che la teneva bloccata.
Ma non le importava più. Dopo essersi impressa bene nella mente l'immagine del suo amore maledetto, chiuse gli occhi esalando l'ultimo respiro. 'Non gli servo più, ormai. ' Poi buio, e silenzio.

Un lampo di luce verde illuminò la Sala, veniva dalle sue spalle.
'Bellatrix ha colpito.' Un ghigno compiaciuto si fece spazio sul Suo volto da rettile, fin quando fu cancellato da un pensiero che pochi istanti più tardi parlò. Bellatrix non avrebbe mai lanciato l'anatema che uccide senza prima aver goduto delle urla agonizzate delle sue vittime. È preoccupazione quella che si legge sul tuo volto, Oscuro? Si voltò senza curarsi di nulla, finché vide in terra la figura inerme della Sua pupilla. Fredda come il marmo, pallida.. morta. Il lato umano tornò ad accendersi provocando una sensazione che mai prima di quel momento aveva conosciuto.
Urlò. Tutti i presenti in quella stanza sentirono per un attimo il sangue gelarsi nelle vene. Un urlo carico di rabbia e si, disperazione. Un urlo disumano e penetrante. L'aveva persa. Persa.
Lei che era stata la più fedele tra tutti.
Lei che l'aveva sostenuto e seguito sempre in tutto e dappertutto per volontà e mai per codardia.
Lei che aveva sopportato pene e castighi per Lui.
Lei che ogni volta incrociava i suoi occhi leggeva sentimenti vivi.
Lei che aveva mantenuto la promessa.
Lei che aveva custodito una parte della Sua anima.
Lei che Lo amava senza mai essere ricambiata come meritava.
Lei che sarebbe dovuta restare al Suo fianco ancora e ancora.
Lei che era morta per il Suo potere.
Lei.

È dunque questo il dolore?


Salve a tutti!
Spero abbiate gradito queata veccha storia, io mi sono divertita molto a scriverla, adoro Bellatrix e le sue sfaccettature. Ringrazio tutti voi che mi avete seguita durante i capitoli, alla prossima ♡♡

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