In Your Mind - l'Inizio

di changeling
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #1_Milo: il Diavolo Sussurra ***
Capitolo 2: *** #2_Milo: Incontrare Jordan ***
Capitolo 3: *** #3_Reese: Di Ragazzi Sorprendenti e Chiappe Sode ***
Capitolo 4: *** #4_Reese: Favola Moderna ***
Capitolo 5: *** #5_Reese: Il Principe Azzurro Spezza l'Incantesimo ***
Capitolo 6: *** #6_Milo: Shower Talk ***
Capitolo 7: *** #7_Milo: Arrotondare ***
Capitolo 8: *** #8_Reese: Mi servono soldi ***
Capitolo 9: *** #9_Reese: Favori e Uscite a Quattro ***
Capitolo 10: *** #10_Reese: Full Dive System ***
Capitolo 11: *** #11_Milo: Teorie Nascoste e Quasi-Decapitazione ***



Capitolo 1
*** #1_Milo: il Diavolo Sussurra ***


#1_Milo
Mi concentrai. Dallo sforzo sentivo pulsare la vena sulla mia tempia sinistra, potevo tracciarla con le dita. Chiusi gli occhi. No, era peggio. Li riaprii e li fissai sul piano di plastica simil-marmorizzata davanti a me.
Stavo sudando. Stavo sudando!
-Senti, lasciati andare- sussurrò il diavolo. Strinsi i denti. Ignoralo.
-Ti stai solo facendo del male in questo modo.-
In effetti avevo il collo così contratto che sembrava un pezzo di legno, come sarebbe stato bello girare appena la testa... No!
Ignoralo. Ignoralo.
-Sai, ora che lo guardo meglio, ha proprio un bel...-
-Non. Dire. Una parola!- sibilai, fulminando il demone tentatore con lo sguardo. Lei scrollò le spalle.
-Come vuoi tu, Milo. Ma quando quella vena esploderà non dare la colpa a me.-
-Ovviamente darò la colpa a te.- ringhiai allungandomi sul tavolo. L'odore del caffè mi solleticò il naso, ma era ancora troppo caldo. Avevo il tempo di sbraitare un altro po'.
-E' sempre colpa tua. Ogni singola volta. E adesso smettila di fissarlo!-
Lei tenne gli occhi puntati alle mie spalle, prendendo un sorso di frappè alla fragola.
-Mmmm, no. No, non credo che lo farò. Almeno uno di noi due deve stare in pace con sè stesso.-
Si mordicchiò il labbro inferiore con aria famelica, senza dubbio presa da fantasie indicibili. Per questo mi ritrassi involontariamente quando tornò a guardare me. -Tra le altre cose, ehi! Quasi non ti riconoscevo oggi! Che hai fatto agli occhiali?-
Distolsi lo sguardo, frustrato. -Li ho tolti.-
-Ma dai? Pensavo fossero diventati invisibili.- mi lanciò un'occhiata esasperata (lei esasperata! che coraggio) poi tornò al suo spettacolo personale dietro di me -Mi chiedevo solo quale cataclisma stia per abbattersi su di noi se hai deciso di lasciare quei cosi a casa tua. Chi ti ha convinto, finalmente?-
Troppo caldo. Il caffè era ancora troppo caldo. Dannazione! Avevo bisogno di riempirmi la bocca. Non avrei mai detto ad alta voce che non riuscivo più a guardarmi allo specchio mentre li indossavo. Mi sentivo ridicolo.
Fino al mese scorso avevo amato svisceratamente i miei occhiali. Un altro amore perduto. Per colpa sua.
-Stai infinitamente meglio. Sul serio, sembravi una specie d'insetto prima. Ti sei anche dato una spuntatina alla frangia? Ah!-
Abbassò il frullato, schiudendo la bocca in un broncio. -Si è spostato.- si lamentò.
Tirai un sospiro di sollievo, rilassandomi finalmente. Ce l'avevo fatta. Pericolo scampato. Girai la testa per sgranchire il collo indolenzito... e lui era ancora lì! Oh, infame!
-Reese...- protestai debolmente. Era stato tutto inutile, e ormai era troppo tardi. La mia attenzione era stata catturata dal glorioso lato B dell'inserviente in divisa all'ingresso del bar. Capelli scuri, pelle abbronzata, camicia bianca e pantaloni neri fatti apposta per delineare quelle sode, perfette natiche cesellate.
Oh, buon dio.
Mi venne l'acquolina in bocca. Gemetti involontariamente a labbra chiuse.
-Ti odio.- sussurrai.
Reese sapeva perfettamente che mi riferivo a lei anche senza guardarla, quindi non c'era ragione di girarsi. Lei non disse niente, rapita quanto me dalla vista. Il mio sguardo vagò su e giù, totalmente contro la mia volontà, soffermandosi su quelle spalle larghe e gli avambracci scolpiti.
E' un uomo, continuavo a ripetermi, ma disgraziatamente questo non sembrava più un problema per me. Anzi.
-Ti odio.- ripetei con più convinzione.
Una coppia di ragazze fece il suo ingresso facendo scampanellare il sonaglio in cima alla porta del bar. Cercai di spostare gli occhi su di loro, ma nemmeno le registrai, perchè, prendendosi gioco di tutti i miei sforzi precedenti, quel magnifico sedere si alzò e abbassò al ritmo dei passi del cameriere che le accompagnò a un tavolo libero. Quando si sporse in avanti per dare loro i menù non riuscii più a trattenermi.
Deglutii. Sonoramente.
Stavo per mettermi a piangere.
Dall'altro lato del mio tavolo Reese sospirò. -Onestamente Milo. E' veramente così terribile?-
La rara nota di senso di colpa nella sua voce fu l'unica cosa che mi persuase a distogliere lo sguardo, e approfittai dell'occasione per incenerirla.
-Terribile?- echeggiai. Terribile? Di punto in bianco, la ragazza a cui fai il filo da una vita di colpo non ti interessa più; posi gli occhi su di lei, e ti rendi conto che la stai guardando solo perchè è proprio davanti a un ragazzo, il suo ragazzo. Il ragazzo che in terza elementare ti rubava il game boy e cancellava i tuoi dati di gioco. Il ragazzo a cui eri stato costretto a dare ripetizioni due volte a settimana per venti miseri dollari,
mentre lui mangiava nachos in una ciotola di porcellana cinese. Il ragazzo che girava con lei per i corridoi del tuo liceo, con un braccio intorno alle sue spalle e la faccia da coglione. Il ragazzo a cui hai sempre voluto rompere il naso, ma che adesso non fai che fissare sotto la cintura!
E tutto questo senza menzionare gli sbalzi d'umore e l'ossessione per i muffin di Starbucks.
-Non hai idea.- sibilai in risposta.
Reese si agitò sulla sedia, insolitamente a disagio. -Senti, mi dispiace- ammise gesticolando col frappè in mano -Veramente. Ma non è colpa mia se sono una donna e mi piacciono gli uomini.-
Mi passai una mano tra i capelli accorciati, gorgogliando: -Non è questo.-
Nonostante tutti gli alti e bassi, non ero così irragionevole. Che poteva farci lei se un esperimento fallito aveva proiettato su di me le sue preferenze sessuali? E ad essere onesto, non era chissà quale tragedia. Essere forzatamente liberato dall'attrazione per la ragazza che non avevo mai potuto avere, tralasciando ovvie controindicazioni, era stato un sollievo, e nonostante tutto non avevo perso il mio buon gusto. Un bel sedere non dispiace mai, poco importa a chi appartiene. Tutto sommato, essere diventato gay poteva non essere la cosa peggiore che mi fosse mai capitata.
-Se fosse solo che di colpo mi piacciono gli uomini, me ne farei una ragione- mormorai facendo attenzione che gli altri clienti del bar non ci sentissero. Quando fui sicuro che nessuno ci prestava attenzione, infusi nuovo fuoco nel mio sguardo e sibilai: -Quello che non sopporto è che per colpa tua sono diventato un maniaco sessuale!-
Reese storse la bocca. Non era d'accordo con la mia analisi della situazione, non lo era mai. La vena sulla mia fronte minacciò di esplodere di nuovo. No, la mia sessualità non mi disturbava minimamente quanto il continuo stato di eccitazione in cui mi ritrovavo a causa sua. Per tutti i santi, sembravo assatanato!
Bastava che incrociassi per strada un ragazzo anche solo vagamente attraente e dovevo reprimere l'impulso di saltargli addosso. Mi ero ritrovato a sbavare letteralmente, dietro un tizio che portava a spasso il cane, e quando un poliziotto mi aveva fermato per aver quasi causato un incidente, l'unica cosa a cui riuscivo a pensare era quanto fossero affascinanti gli uomini in uniforme.
Seppellii il viso tra le mani, desiderando solo che il pavimento si aprisse e mi ingoiasse. Reese stava cercando di apparire imbarazzata per me, un gesto carino considerato che era totalmente inutile. Sapevo già che era senza vergogna.
-Non riesco a capacitarmi che tu sia fidanzata.- borbottai. Presi consapevolmente dei respiri profondi, inspirando ed espirando lentamente come mi ripeteva di continuo il mio consulente per la gestione della rabbia. Il mio stato di frenesia interiore scemò gradualmente nella corrente elettrica che sembrava attraversarmi costantemente da tutta la vita e m'impediva di sedere tranquillo per più di dieci minuti, ma incapace di star fermo era meglio di vulcano in procinto di eruzione. Dopo un minuto, sicuro di non essere più a rischio di esplodere, osservai Reese attraverso le dita aperte. L'occhio mi cadde sul suo anulare sinistro, impreziosito da un piccolo solitario montato su un delicato cerchietto d'oro bianco. Anche se non avessi assistito in prima persona alla dichiarazione nel salotto di casa sua, non avrei dovuto sforzare molto l'immaginazione per capire da dove era spuntato fuori.
Sospirai e abbassai le mani. -Alla fine avete deciso per la data?-
La discussione a riguardo era andata avanti per un bel po', prima di essere abbandonata nell'emozione del momento.
Reese aprì la bocca, poi si ricordò di non avermi mai detto niente a riguardo e la richiuse. Stette immobile per un momento, quindi strinse gli occhi e prese un sorso di frappè con aria scocciata.
-E' snervante- borbottò.
-Dillo a me.-
-Sei assolutamente sicuro di non poterlo impedire? Tipo, che ne so, immaginare di chiudere a doppia mandata una porta tra la mia mente e la tua e buttare via la chiave? O un muro di mattoni che ci divide?-
Come se non volessi altro nella vita che condividere ogni suo singolo pensiero. -Non funziona così- scossi la testa, impaziente -Lo sai, te l'ho spiegato. Più o meno venti volte.- Ventidue, e lo sapevo per certo, ma Reese mi prendeva in giro quando mi esprimevo con precisione. Presi in mano il caffè e provai un sorso.
Bevibile. Alleluja!
Con l'umore risollevato dalla caffeina finalmente in circolazione, decisi di lasciar perdere per una volta il fatto che Reese decidesse di dimenticarsi sistematicamente tutto ciò che le spiegavo della mia parte del nostro legame solo per potersene lamentare quando le pareva. In fondo le avevo rovinato la sorpresa, anche se non per scelta.
La questione di come funzionasse la comunicazione tra me e Reese era a dir poco confusa, ma un po' per volta eravamo riusciti a stabilire delle regole di base. Oggi, per esempio, lei aveva la testa tra le nuvole. La sera prima il suo fidanzato le aveva fatto la proposta e per tutto il giorno lei aveva camminato a due palmi da terra. Mi sarebbe quasi dispiaciuto riportarla alla realtà col nostro appuntamento, se quella notte non avessi avuto vivide visioni del modo in cui lei e Vincent, il suo futuro marito, avevano festeggiato il fidanzamento.
Da sveglio i pensieri di Reese non mi disturbavano, erano come rumori di sottofondo, e dovevo concentrarmi molto per captare qualcosa di preciso, ma in genere ero ben felice di ignorarla. Mentre dormivo, però... silenzio, mente rilassata... era tutto un altro discorso. Per il mio iniziale disgusto, e successivo sempiterno imbarazzo, Vincent aveva popolato i miei sogni tutte le notti per più di un mese, e a causa dell'appetito insaziabile di Reese, per circa tre o quattro volte a settimana non si trattava affatto di sogni ma di qualcosa di più... concreto.
La sera prima ci avevano dato sotto, e io non avevo affatto apprezzato le condizioni delle mie lenzuola quando mi ero svegliato stamattina. Grazie a dio, da quando avevo cominciato il college non vivevo più con mia madre, se no avrei dovuto dare un bel po' di spiegazioni.
-Quindi? La data?- insistei.
-Ventiquattro maggio dell'anno prossimo.-
Undici mesi. Saremmo riusciti a rompere questo legame prima di allora? Non avevo la minima intenzione di sorbirmi la luna di miele. Anche se... non avevo cambiato orientamento solo a causa dell'influenza latente di Reese. Vincent era decisamente dotato. E creativo.  Era un bene che non l'avessi mai incontrato personalmente. Il rischio che mi lasciassi andare, nel caso, era piuttosto alto. I miei pensieri scivolarono alla deriva...
-Stai pensando qualcosa che non dovresti pensare.-
Tornai presente a me stesso. Negare, negare sempre. -Cosa te lo fa credere?-
Questa non era una negazione.
Reese strinse gli occhi a fessura. -Lo sento.- rispose.
-Non è vero- ribattei con sicurezza. Sì, ecco l'altro dettaglio chiaro della nostra condizione. Reese trasmetteva, io ricevevo. Non il contrario. Mai il contrario. Lei la riteneva un'ingiustizia, e generalmente anch'io, ma non in quel momento.
-Te lo leggo in faccia.-
-Le tue sono solo supposizioni.-
-Milo, sono una giornalista, riconosco le balle. E anche la faccia che stavi facendo. L'ho vista un sacco di volte allo specchio.-
-Non so di cosa stai parlando.-
Sorseggiai il mio caffè con aria indifferente, chiedendomi che cosa facesse esattamente Reese davanti allo specchio, e poi se volevo veramente saperlo. I miei occhi si posarono di nuovo sul cameriere, ma stavolta sul lato A. Non provai a frenarmi di nuovo, era fatica sprecata. Con un sospiro mi rassegnai a mangiarmelo con gli occhi. Aveva un viso abbastanza comune, ma il sorriso era accattivante, da bravo impiegato nella ristorazione. Raccolse un ordine, e mentre si dirigeva alla cassa si rivolse per caso verso di me. Il mio primo istinto fu di girarmi e far finta di nulla, ma dopo settimane di gaffe del genere avevo imparato che era la reazione peggiore possibile. Così ingoiai l'imbarazzo che mi stava arroventando le orecchie e lentamente sorrisi, senza interrompere il contatto visivo. Il ragazzo aggrottò la fronte, si guardò alle spalle, ma quando vide che nessuno ci stava prestando attenzione si voltò di nuovo verso di me.
Il mio sorriso si allargò, stavolta genuinamente, e lui mi dette le spalle scegliendo di fare un giro più lungo per arrivare alla cassa. Mentre si faceva strada tra i tavoli avrei giurato di averlo visto inciampare.
-Niente occhiali. Visto?-
Mi passai una mano sulla faccia. L'avevo fatto davvero. Avremmo dovuto cambiare bar.
-Vai da Jordan, stasera?- chiese Reese, l'irritazione svanita. La luce maliziosa era tornata, ma stavolta era per me.
-Sì. Sì.- ripetei chiudendo gli occhi, cercando di convincermi -E' assolutamente necessario.-
Il suo ghigno la diceva lunga. Era tornato il diavolo tentatore.
-Divertiti.- mi augurò ridendo suggestivamente.
Affondai di nuovo la faccia tra le mani, gemendo.
-Ti odio.-

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Capitolo 2
*** #2_Milo: Incontrare Jordan ***


#2_Milo
Come descrivere il mio rapporto con Jordan? Innanzitutto direi di cominciare specificando che a metterci in contatto era stata Reese. Il che è già tutto un programma. Da quello che ho potuto capire da ciò che mi ha raccontato (e anche da ciò che non mi ha raccontato), i due erano compagni di liceo, e lei aveva una cotta per lui. Tuttavia, le sue aspettative erano state deluse una notte di agosto del secondo anno, quando, durante una serata di baldoria, lo aveva visto in un locale gay... in compagnia. Tutt'ora non ho idea di cosa ci facesse la più assatanata eterosessuale che abbia mai conosciuto in un locale gay, ma resta il fatto che, una volta scoperto il suo segreto, Jordan le aveva promesso qualsiasi cosa purchè non lo raccontasse a nessuno. Reese gli aveva assicurato il suo silenzio gratis, e i due erano rapidamente diventati migliori amici.
Al college il rapporto si era raffreddato a causa, bè... di una relazione complicata, ma quando era sorto un problema inaspettato, alias: me, Reese aveva chiamato lui.
Dopo aver ascoltato la nostra situazione, e aver dubitato della nostra sanità mentale per diverse volte come qualsiasi persona sensata, eravamo riusciti a convincerlo, e Jordan, in mancanza di altre idee, si era offerto di introdurmi nel mondo dell'omosessualità.
Ora, soprattutto nei primi tempi, devo ammettere di aver fatto molta fatica ad adattarmi. Da una parte c'era il mio rifiuto dettato dalla logica e dall'abitudine, dall'altra c'era la spinta compulsiva da pervertito che da Reese filtrava in me e mi spingeva ad attaccare chiunque mi capitasse a tiro. Mi rendo conto che messa così sembra la psico-analisi di un serial killer, ma vi assicuro che la ninfomania (o, nel mio sfortunato caso, la satiriade, secondo wikipedia) non è così diversa.
Ad ogni modo, in questo caos di istinti contrastanti, Jordan era emerso come un'oasi nel deserto. Per prima cosa aveva soddisfatto i miei... bisogni. L'esperienza fu traumatica da diversi punti di vista per me, in buona parte probabilmente perchè fino a quel momento non c'era stata, ma sul momento la mia testa si svuotò del tutto, e quando mi risvegliai il mattino dopo scoprii che mi sentivo bene, più che bene, e che quel che era successo non mi era dispiaciuto affatto, anzi, al contrario. Anche questo mi creò altri problemi di per sè, ma quando mi resi conto che soffrivo di più a rimuginarci sopra che ad agire e basta, decisi di farmene una ragione. Di seguito, Jordan mi presentò un po' di persone, mi introdusse negli ambienti giusti e, nel complesso, fu il responsabile della mia nuova pace, fisica, mentale e spirituale.
Tuttavia, l'influenza di Reese si era rivelata un problema più insidioso del previsto, e anche se non incontravo molte difficoltà nel trovare compagnia, a volte avevo bisogno di stare con qualcuno che sapesse cosa stavo passando. Di nuovo, Jordan si era rivelato la mia ancora di salvezza. Andavo da lui periodicamente, per parlare, lamentarmi di Reese, e fare... altro, in situazioni in cui c'era il rischio che dalla mia bocca uscisse qualcosa di diverso da gemiti e grida.
Un'altra persona si sarebbe sentita usata, e sinceramente a volte mi sentivo un verme per questo, ma lui non aveva fatto una piega. Da bravo compagno dell'assatanata, era ben lontano dall'essere casto e puro, e aveva acconsentito a darmi una mano in momenti come questo.
Dopo l'appuntamento con Reese, andai a casa, presi la borsa con un cambio di vestiti puliti ed uscii di nuovo, avvisando il mio coinquilino che non sarei tornato fino al pomeriggio successivo. Presi la bicicletta e pedalai fino a Green Trench, passai il ponte sul Folds River e mi fermai davanti a un palazzo qualche isolato dopo. La zona non era male, essenzialmente tranquilla e decentemente frequentata. Jordan viveva da solo in un appartamento al terzo di sette piani, in un edificio marrone chiaro mezzo coperto di graffiti accanto a un bar irlandese. Smontai dalla bicicletta e me la caricai in spalla, salendo i cinque gradini fino al portone, poi citofonai. Dopo qualche secondo la porta scattò e si aprì. Portarsi una bicicletta in braccio per tre piani di scale strette non era esattamente l'ideale, ma io ormai c'ero abituato, e arrivai al suo pianerottolo in pochi minuti. Jordan mi aspettava appoggiato allo stipite del suo interno con la solita faccia strafottente, e sentii di nuovo montare l'acquolina in bocca. Il cameriere del bar era carino, ma Jordan... bè, lui era di tutto un altro livello. Occhi azzurro ghiaccio, capelli biondo cenere dai riflessi platino, sorriso smagliante. Il suo corpo era scolpito da ore e ore passate a nuotare al mare o nella piscina dove lavorava come istruttore. Non avevo difficoltà a capire come mai Reese si fosse infatuata di lui, o come mai succedesse alla maggior parte delle persone che lo conoscevano. Probabilmente io stesso avevo una cotta. Non ne ero del tutto sicuro, ma d'altronde lui era stato la mia prima volta, e non aveva mai smesso di aiutarmi. Forse ero già più preso da lui di quanto pensassi.
-Milo- mi salutò scostandosi dalla porta. Anche la sua voce, naturalmente bassa e seducente, sapeva di peccato. I miei occhi scivolarono involontariamente sui bicipiti flessi e le braccia incrociate. Ingoiai la saliva e cercai di sorridere.
-Sempre il solito esibizionista.- scherzai accennando ai suoi vestiti. Indossava una maglia a maniche corte con lo scollo ampio che gli scopriva la maggior parte del petto e pantaloni al ginocchio a vita bassa. Così tanti bei muscoli in bella vista. Jordan allargò le braccia, giusto per mostrarne altri.
-Chi dei presenti si sta facendo bello tenendo in braccio venti chili di bicicletta?- ribattè, ammiccando.
Alzai gli occhi al cielo e lasciai che le ruote toccassero terra. Jordan mi fece strada e mi aiutò a parcheggiare nel suo salotto, come al solito. Mentre lui sistemava il blocco, io mi tolsi borsa e giacca e le poggiai sul divano. Quando mi voltai di nuovo, me lo ritrovai davanti a pochi centimetri di distanza. Si tese oltre la mia spalla con espressione fintamente infastidita per prendere le cose che avevo appena posato. Mi irrigidii. Il calore che avevo cercato di tenere sotto controllo tutta la giornata schizzò su per il collo e si depositò sul retro della nuca, mandandomi in corto il cervello. Il suo odore mi fece girare la testa. Aaaaah...
-Ti dico sempre di non posare la roba sul divano... Milo?-
Le mie mani si stavano muovendo da sole. Giuro che non avevo intenzione di infilarle sotto la sua maglietta. Aprii la bocca per spiegarglielo, ma quello che uscì fu un suono inarticolato pieno di desiderio che mi avrebbe spinto a cercarmi un buco e buttarmici dentro, se solo fossi stato abbastanza lucido. Profumava di sole e sale, e la mia eccitazione salì di un altro gradino sulla scala della frenesia, al punto che ebbi il volatile sospetto che anche Reese fosse tornata a casa e avesse ripreso a festeggiare con Vincent. Jordan emise un verso sorpreso di apprezzamento che attizzò nuove scintille in me, rendendomi più temerario del solito. Feci scivolare le dita di una mano lungo gli addominali scolpiti, e poi più giù, mentre con l'altra tracciavo il profilo del suo collo. Sotto il mio tocco, sentii i battiti del suo cuore aumentare, e registrai vagamente il suono soffocato delle mie cose che atterravano di nuovo sul divano mezzo secondo prima che Jordan mi prendesse per i fianchi e cominciasse a restituire il favore. Mugolai internamente, approvando.
- Sei un piccolo diavolo...- mi sussurrò nell'orecchio. Volevo protestare e dirgli che il diavolo non ero io, ma la mia bocca si ritrovò improvvisamente impegnata. Abbandonai gli ultimi brandelli di lucidità che mi erano rimasti e mi lasciai andare.

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Capitolo 3
*** #3_Reese: Di Ragazzi Sorprendenti e Chiappe Sode ***


#3_Reese
Guardai Milo defilarsi di soppiatto dal bar evitando di incrociare di nuovo ChiappeSode, l'Amichevole Cameriere. Tirai il frappè dalla cannuccia, pensando. Ci conoscevamo da circa due mesi, ed era stato lui a trovarmi. In realtà ci eravamo già visti un'altra volta prima, durante l'esperimento che aveva cambiato tutto: tutti e due volontari pagati, in un momento in cui nessuno aveva una storia per me e cinquecento dollari mi facevano comodo, come a chiunque. Lo scopo dell'esperimento mi aveva intrigato: inviare i miei pensieri nella testa di qualcun'altro mi sembrava un'idea eccellente, e tutt'ora è così, perchè sono convinta che il mondo abbia bisogno di più persone come me, piene di gioia di vita, curiosità e amore per il proprio meraviglioso fidanzato bellissimo e perfetto. Non avevo fatto caso a chi avrebbe fatto da ricevitore per i miei pensieri, e comunque sul momento non era parso funzionare, dunque avevo intascato i soldi e avevo prontamente dimenticato l'accaduto per far spazio ad altre cose. Fino a quando, quasi un mese dopo, avevo trovato un ragazzo sulla ventina ad aspettare accanto alla mia auto, pallido come un cadavere e così evidentemente turbato che all'inizio avevo pensato fosse un tossico in astinenza. Appena mi aveva visto, però, era diventato rosso di rabbia, e si era mosso verso di me. Io tenevo in borsa lo spray al peperoncino, ma prima che riuscissi a tirarlo fuori, il ragazzo mi si piantò davanti e cominciò a snocciolare tutti i miei dati personali, dal mio indirizzo al mio numero di previdenza sociale, alla copertura della mia assicurazione. Quando arrivò ad elencare tutti i ragazzi che avevo frequentato al college, lo interruppi, assicurandogli che aveva catturato la mia attenzione, e lui mi raccontò tutto. Milo in quei giorni era sull'orlo di una crisi nervosa. Non si radeva (nè, a giudicare dall'odore, lavava) da giorni, ed era sfinito dalla mancanza di sonno e dai mal di testa che lo tormentavano di continuo. Il poveretto mi aveva fatto una pena tale che gli avevo offerto il caffè e lo avevo portato a casa mia, dove aveva dato ulteriore prova di conoscere cose che non avrebbe dovuto prendendo piatti e posate dalle credenze e improvvisando un pranzo lì su due piedi, senza che io dovessi indicargli nulla. Da quell'esperienza avevo capito due cose: primo, l'esperimento per cui ci eravamo proposti aveva funzionato, secondo, il ragazzo che avevo davanti non era quello che sembrava. Se mi avessero mostrato una sua foto e detto che quel nerd cupo e con orribili occhiali cerchiati di corno era in grado di mettere su un pranzo con tutti i crismi con un pacco di spaghetti e tre fette di pancetta, gli avrei detto di smettere di sniffare colla industrale. E non solo. Milo era pieno di sorprese, e mano a mano che entravamo in confidenza ne scoprivo sempre di piú, e più ne scoprivo, più il ragazzo mi piaceva. Aveva dei problemi a gestire la rabbia, ed era represso al punto di star male, ma il suo humor nerd e il sarcasmo pungente erano spesso esilaranti, e il cervello nascosto sotto quella mappazza disordinata di capelli era incredibilmente fino. Non guastava il fatto che, a voler ignorare il cattivo gusto nel vestire, il ragazzo aveva un gran bel fisico, e senza quei paraurti oculistici che si ostinava a chiamare occhiali, i tratti marcati del viso e gli occhi grigio-azzurri facevano un figurone pazzesco.
Proprio perché mi piaceva tanto, però, a volte non riuscivo a fare a meno di sentirmi terribilmente in colpa, soprattutto perchè ero sollevata. Nel momento in cui avevo scoperto cosa avrebbe potuto succedermi se i nostri ruoli fossero stati invertiti avevo ringraziato tutti i santi che ero riuscita a ricordare dalla mia breve parentesi cattolica del catechismo, e anche quelli che non rammentavo, perché se fossi stata io il "ricevitore", allora non sarei mai riuscita a nasconderne gli effetti a Vincent, e la nostra storia sarebbe finita. Chiamare Jordan quando i nostri rapporti ancora erano sfilacciati era stato difficile, ma sentivo di doverlo a quel povero ragazzo a cui avevo involontariamente stravolto la vita. Succhiai il frullato alla fragola fino a che non tirai solo aria. Mentre mi alzavo per andare a pagare, però, pensai che era valsa la pena di ricontattare il mio vecchio migliore amico, e sorrisi. L'avevo chiamato stamattina, e gli avevo raccontato che Vincent mi aveva chiesto di sposarlo. L'avevo sentito sinceramente felice per me, ed entusiasta quando l'avevo invitato al matrimonio, e la gioia che avevo provato nel parlare con lui dei preparativi e di tutte le cose che avrei dovuto organizzare era stata quasi pari a quando Vincent mi si era inginocchiato davanti con un anello in mano. Il mio migliore amico era di nuovo con me. Ed ero ragionevolmente sicura che alla cerimonia, Milo avrebbe partecipato anche senza il mio invito, come suo più uno. Il ragazzo piaceva a Jordan ancora di più di quanto piacesse a me, anche se il diretto interessato non sembrava essersene reso pienamente conto. Se avessi dovuto tirare a indovinare, avrei detto che la cosa era reciproca.
Arrivai alla cassa, e per chissà quale fortuito caso, davanti a me si parò ChiappeSode, l'Adorabile Cameriere. Il suo viso era pressappoco anonimo, ma aveva l'aria di un bravo ragazzo. Mentre gli passavo i soldi, mi resi conto che mi aveva riconosciuta come la compagna di conversazione di Milo, perché le sue orecchie divennero rosse come pomodori, ed evitò palesemente il mio sguardo. Sentii il sorriso sulla mia faccia allargarsi maleficamente. Avvicinandomi oltre il bancone come se fossimo due amici, mi rivolsi a ChiappeSode, lo Scarlatto Cameriere, e scrissi un numero su un blocchetto di post-it lí accanto con una penna per le ordinazioni abbandonata. -Il ragazzo che prima parlava con me è dovuto scappare, ma mi ha chisto di lasciarti il suo numero di telefono. Dovresti chiamarlo.- gli consigliai facendogli l'occhiolino. Il ragazzo divenne, se possibile, ancora più rosso, e boccheggiò come se gli mancasse l'aria. Poteva essere che ChiappeSode fosse il... Vergine Cameriere? Con quel fondoschiena?
Il mio sorriso divenne puramente diabolico. Mi sporsi ancora un po' di più, e gli sussurrai: -Se farai il bravo sono sicura che ti mangerà.-
Presi il mio resto e mi diressi all'uscita. Milo mi avrebbe ucciso. Jordan si sarebbe crogiolato in un po' di sana gelosia. Io mi sarei divertita un sacco alle loro spese.
Adoravo i miei ragazzi.
Mentre spingevo la porta a vetri mi lanciai una occhiata veloce alle spalle, e vidi il ragazzo impietrito dietro la cassa. Il suo capo lo richiamò in fretta perché tornasse a servire ai tavoli, ma prima che schizzasse via avrei potuto giurare che si fosse infilato un post-it giallo in tasca.

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Capitolo 4
*** #4_Reese: Favola Moderna ***


Una pausa dalla storia principale per parlarvi un po' di Reese. Sono due capitoli un po' lunghi, ma spero che servano per chiarire i rapporti tra alcuni dei personaggi. Buona lettura :D
In ritardo, ma meglio tardi che mai, un grande grazie a PrincessMikuChan e Mr Apricot per le loro recensioni. "Favola Moderna" è dedicato a voi! 

#4_Reese
C'era una volta, tanto tempo fa, una principessa bella, ricca e viziata. Suo padre era il re delle testate giornalistiche dello Stato, sua madre una splendida donna invidiata da tutti, e c'erano un sacco di cose al mondo che desiderava, ma lei le otteneva sempre senza eccezioni. Nessuno le diceva mai di no, e in fondo perchè avrebbero dovuto? Non c'era nessuna ragione plausibile perchè la principessa non potesse avere tutto quello che voleva, tutti ne erano convinti, e lei in particolare. Non era cattiva, la principessa, solo molto, molto ingenua. Ma giunse il giorno in cui i suoi desideri rimasero inascoltati, per quanto lei gridasse e ordinasse e si lamentasse. A nulla valsero i suoi strepiti, di certo non a far voltare sua madre mentre, valigie alla mano, lasciava lei e suo padre per un altro uomo, nè a persuadere suo padre ad inseguirla e implorarla di restare. Solo anni dopo, la principessa capì che suo padre era un re, e un re non china mai il capo, che fosse per implorare qualcuno o per dare un'occhiata a chi era più in basso di lui. A quel punto, in effetti, la principessa aveva capito diverse cose di suo padre e del finto mondo fatato in cui era vissuta fino a quel momento, così aveva cercato di scappare via, sicura di potersela cavare da sola. La sua vita era impazzita quando aveva cominciato l'università: con i soldi di suo padre si era presa un appartamento e aveva organizzato centinaia di feste, distruggendo soprammobili ed oggetti costosi per poi farseli ricomprare; aveva frequentato decine di ragazzi diversi, regalando loro biglietti di concerti e partite, passando dall'uno all'altro come un'ape coi fiori; aveva vandalizzato l'università con il preciso intento di farsi scoprire e farsi costringere a ripagare i danni, tanto non si sarebbero mai sognati di espellerla.
In tutto questo mio padre non aveva mai fatto una piega, ed io ero andata avanti nella mia idiozia fino a che non avevo definitivamente esagerato. Non rapinai una gioielleria, nè cominciai a drogarmi. Non credo che mio padre mi avrebbe prestato attenzione nemmeno a quel punto, ma lui non ebbe nulla a che fare con l'ultima goccia che feci spillare. No, quello che ferii, più profondamente di quanto avrei mai potuto fare con un coltello, fu il mio migliore amico, Jordan. Eravamo ancora dei ragazzini, all'epoca, ed entrambi avevamo i nostri problemi, lui con i suoi genitori, in crisi per il suo coming-out, e io con... bè, tutto quello che ho già detto, ma in ogni caso Jordan era sempre stato dalla mia parte, portandomi a casa quando, ubriaca fradicia dopo una festa, non riuscivo nemmeno a stare in piedi, o quando avevo i miei isterici attacchi di pianto e mi disperavo di quanto facesse schifo la mia vita. Lui era lì, con una scatola di clinex e un abbraccio pronti per me. Quando avevo bisogno di lui, mi bastava girarmi per vederlo al mio fianco, ma un giorno, durante una delle mie crisi, lo avevo scoperto distratto. Fu come essere pugnalata alle spalle. E la sua terribile, orribile colpa, era che si era innamorato.
Per quanto non avesse una vita sregolata come la mia, a Jordan piaceva divertirsi, e non era mai stato a lungo con qualcuno. Con il senno di poi, probabilmente era colpa mia: doveva sempre starmi dietro per salvarmi dai miei impulsi auto-distruttivi, era ovvio che non avesse il tempo di avere storie serie, ma questa volta era diverso. Me lo diceva il mio tristemente acuto istinto femminile, e così lo osservai. Il ragazzo che gli piaceva non era gay. Era di un anno più grande di noi, faceva parte della squadra di nuoto, come Jordan, e non aveva quell'atteggiamento scostante e bigotto che gli altri ragazzi riservavano al loro compagno omosessuale, lo considerava suo amico. Era carino e gentile, e non aveva la minima idea di quanto Jordan fosse partito per lui. Così decisi di rimediare.
Come al solito diedi una festa. Era il modo migliore per raggruppare gente, e feci in modo che lui fosse invitato, insieme a buona parte della squadra di nuoto. Ci furono fiumi di birra e bottiglie su bottiglie di alchool, e quando lo invitai nella mia camera, assicurandomi che la gente ci vedesse, lui non fece resistenza. Jordan arrivò poco dopo, quando io ero già su di lui, e lui in avanzato stato di eccitazione. L'espressione che fece quando ci vide non la dimenticherò mai, e nemmeno tutto quello che mi disse quando, dopo anni di sopportazione, esplose: mi disse che ero una viziata e un'illusa, che pensavo di potermela cavare da sola, mentre in realtà non ero altro che una sanguisuga che andava avanti con i soldi del padre, che per conto mio non sarei durata una settimana, figuriamoci una vita. Mi disse che ero piccola, meschina e vuota, e da quel momento sarei stata anche sola. Se ne andò e non rimise mai più piede in casa mia.
Impiegai una settimana per cominciare a provare un minimo di senso di colpa, e meno di un mese per accettare che Jordan aveva ragione e che per conto mio non sapevo fare niente. Nel frattempo, la sua attrazione per il suo compagno di squadra divenne di dominio pubblico, e il tormento e la discriminazione nei suoi confronti si fece insostenibile. Il ragazzo che fino a quel momento lo aveva accettato cominciò ad evitarlo come tutti gli altri, e così come me, anche Jordan rimase solo. Resistette due mesi, poi cambiò numero di telefono e università senza più rivolgermi la parola.
Fu allora che capii quanto ero stata stupida, e quello divenne il mio punto di svolta.
Impiegai quattro anni a rimettermi in carreggiata. Il mio intuito era sempre stato sviluppato, ed ero curiosa per natura, così cambiai indirizzo, e mi misi a studiare giornalismo. Non nella mia vecchia università, ovviamente. Avevo fatto troppi passi falsi perchè i professori mi potessero prendere sul serio, e io avevo bisogno di giudizi critici, di persone che mi aiutassero a crescere. Al nuovo college, ogni volta che qualcuno mi chiedeva se ero la figlia di Harold Behive, io rispondevo che no, era un semplice caso di omonimia. Ebbi finalmente occasione di mettermi veramente alla prova, e nei primi tempi, come era ovvio, fallii miseramente. Una delle mie professoresse, però, vide qualcosa in me, e mi spinse ad andare avanti. Il primo articolo che mi portò una promozione fu sugli eccessi adolescenziali. Piano piano, scoprii una nuova me stessa. C'erano dei punti in comune con la vecchia Reese: i ragazzi, era uno di quelli, ma non ero più così superficiale nei miei rapporti, e con molti strinsi rapporti di amicizia invece che solamente fisici. Fu bello scoprire di esserne capace. Un'altra cosa che io e la vecchia me condividevamo era la necessità di stare in mezzo alle persone, di parlare, di comunicare, ma anche qui c'era qualcosa di diverso, perchè la gente non stava con me per i soldi di mio padre o per diventare qualcuno sfruttandomi, ma semplicemente perchè gli piacevo. Avevo scoperto una parte di me capace di essere genuina, simpatica ed onesta, soprattutto con me stessa. Questo provocò in me un cambiamento radicale, e per la prima volta in tutta la mia vita sentii di essere la persona che volevo, che ero nata per essere. La differenza più grande di tutte, tra la vecchia Reese e me, fu che tagliai completamente i rapporti con mio padre. Gli promisi che non gli avrei dato più fastidio, che non avrebbe più dovuto preoccuparsi delle mie spese o della mia presenza. L'unica cosa che gli chiesi, perchè veramente non potevo farne a meno, fu di preoccuparsi della mia retta scolastica, ma appena riuscii a trovare un lavoro cominciai a mettere da parte i soldi per restituirgli l'intero importo. Ci sono finalmente riuscita l'anno scorso, ma non credo che lui se ne sia accorto. Non credo che si sia accorto che sono proprio andata via, ma a me non importa più di farmi notare da lui.
Dopo essermi laureata cominciai a pubblicare qualche articolo qua e là, usando uno pseudonimo per assicurarmi di non essere favorita in alcun modo. Con il tempo, e tanta, tanta fatica, riuscii a farmi un nome come giornalista free-lance, ma ci volle ancora molto prima che cominciassi a scrivere usando il mio vero nome. Il lavoro aveva alti e bassi, ovviamente, periodi in cui non trovavo una storia nemmeno scavando nella spazzatura, ma mi sostenevo con altri impieghi provvisori. Non m'importava di faticare. Ero nella mia dimensione, mi prendevo la responsabilità delle mie azioni senza lamentarmi, ed ero finalmente una persona in grado di guardarsi allo specchio con l'anima in pace.
Era rimasta un'unica cosa che dovevo assolutamente portare a termine, ed era scusarmi con Jordan. Il mio nuovo ordinamento mentale mi aveva dato la forza di superare la vergogna e di presentarmi a casa dei suoi genitori per implorarli di darmi il suo numero di telefono. Non credo che Jordan gli avesse raccontato nei dettagli quello che era successo tra noi, ma loro avevano intuito lo stesso che io ero la fonte di tutti i problemi che aveva dovuto affrontare all'università, così l'unica risposta che ebbi da loro per un anno intero fu una porta sbattuta in faccia. Non era un periodo facile, quello, per me. Non c'erano storie su cui poter indagare, o articoli da pianificare, e i soldi stavano finendo. C'erano ancora quelli che avevo messo da parte per ripagare mio padre, ma mi rifiutavo di toccarli in alcun modo, così l'unica opzione che mi rimase fu andare alla ricerca di uno o più lavori. Fortuna nella sfortuna, fui presa al primo colpo come cameriera in un lounge bar per la mia estesa conoscenza linguistica e perchè, secondo il padrone, "avevo una bella presenza". Se quello che intendeva dire era che sapevo muovere i fianchi a dovere senza sembrare volgare, allora era vero. Facevo orari assurdi, dalle nove di sera alle cinque del mattino, ma i soldi erano buoni, e almeno riuscivo a pagare l'affitto. Non avevo idea, però, di quanta fortuna quel posto mi avrebbe realmente portato. Una sera ero particolarmente distrutta. Avevo dormito poco per andare ancora una volta dai genitori di Jordan, e ancora una volta ero stata mandata via. Di fatto, era una sorpresa che in tutto quel tempo non mi fossi beccata un ordine restrittivo, ma ero sicura che non avrebbe tardato ancora molto ad arrivare. Ero stanca, ero depressa, ed ero distratta, e quando lavori in un posto pieno di gente che si muove in continuazione, non era certo la condizione ideale. Barry, il padrone del locale, mi aveva già squadrata due volte da quando ero arrivata per il mio turno, ma fin'ora il suo unico commento era stato "vedi di fare qualcosa per quelle occhiaie". Non potevo perdere questo lavoro, ed ero decisa a tirare avanti a costo di trascinarmi con le unghie e con i denti, ma il mio corpo non era in linea con la mia volontà. Quando, nel locale affollato, qualcuno mi diede uno spintone, non riuscii a mantenere l'equilibrio sui tacchi a spillo come al solito, e rovinai disastrosamente addosso a qualcuno, rovesciandogli addosso due bicchiedi di champagne. Mi sentii morire, e non solo per l'imbarazzo. Il completo scuro del ragazzo a cui ero finita addosso era di ottima fattura ed evidentemente costoso, le scarpe ai suoi piedi erano di cuoio, italiane se avessi dovuto azzardare un'ipotesi. Non avevo alcun modo di rimediare al danno, nè di ridargli i soldi, anche perchè Barry mi avrebbe sicuramente licenziata. Dopo quasi quattro anni, fui presa dal panico e scoppiai a piangere.
-Ehi, ehi.- mormorò una voce maschile sopra di me. Ero abbastanza vicina per sentirla anche sopra la musica e il chiacchiericcio, ma non ero in grado di rispondergli o di scusarmi. Il tizio a cui ero andata addosso esitò un istante, poi mi strinse con delicatezza.
-Ragazzi, vi raggiungo dopo, ok? Credo che non si senta molto bene. Ci vediamo più tardi.-
Senza un'altra parola verso di me o i suoi compagni, prese a camminare fendendo la folla, guidandomi gentilmente. Si fece strada verso l'uscita di servizio, e pochi minuti dopo ci trovammo fuori nell'aria fresca del primo autunno. Mi aiutò a sedermi sugli scalini che scendevano nel vicolo e mi accarezzò la schiena finchè non mi calmai abbastanza da smettere di piangere e cominciare a scusarmi.
-S-scusi tanto, sono d-desolata, io... mi dispiace da morire, non volevo darle fastidio, non so cosa...-
-Ehi, tranquilla.- m'interruppe il ragazzo in tono comprensivo -A tutti capitano delle giornate da pianto. Mi dispiace che ti sia successo proprio in mezzo a questo casino.-
Alzai gli occhi e lo guardai in faccia per la prima volta. Anche nel mio stato di profondo disprezzo per me stessa, non potei fare a meno di notare che era uno schianto: capelli ondulati castano scuro, occhi caldi di un delizioso color cioccolato, naso dritto e zigomi alti, labbra carnose. Aveva il viso di un modello, e, a giudicare da quel poco che avevo involontariamente tastato standogli così vicina, anche il fisico. Io feci un rapido inventario di me stessa: ero in uniforme, tacchi a spillo, gonna a tubino nera, gilet nero, camicia bianca. Non il peggio del peggio, ma ero sicura che nella calca si fosse stropicciata, ed avevo anche il sospetto di aver copiosamente sudato. Avevo pianto, quindi, a parte gli occhi gonfi, probabilmente avevo strisce di mascara colato sulle guance, l'ombretto sciolto e il rossetto sbavato. I miei capelli erano raccolti in uno chignon quando avevo cominciato il turno, ma sentivo che alcune ciocche erano sfuggite alle forcine e mi ricadevano sulla schiena e ai lati del viso. In parole povere: ero un disastro davanti a un modello, e gli avevo rovinato i vestiti. Dov'erano le pale quando servivano? Volevo seppellirmi. Provai a nascondermi dietro il vassoio rotondo che avevo ancora in mano, ma nel sollevarlo guardai in basso, e alla luce del faretto sopra la porta di servizio riuscii a vedere il danno che avevo combinato in tutto il suo orrore. Mi coprii la bocca con una mano.
-Oh mio Dio!-
-Cosa c'è?... Oh, questo. Non preoccuparti, non fa niente.-
-Come... Cosa...? Oh cielo, io-io le rifonderò il danno!- Non avevo idea di come, ma il disastro che avevo combinato era veramente... disastroso. Ed ero diventata una persona matura che si prendeva le proprie colpe, quindi insistetti per pagargli almeno la tintoria, ma lui scosse la testa sorridendo.
-Il vestito è di mio fratello, e lo odia, quindi non credo che se la prenderà. Le scarpe si ripuliranno senza problemi.-
-Ma io...- provai ancora a insistere, ma il ragazzo mi mise un dito sulle labbra e io ammutolii.
-Nessun. Danno.- scandì. Mi guardò per assicurarsi che avessi capito. Annuii e mi tolse il dito dalla bocca.
-Bene. Allora, te la senti di tornare dentro? Non credo che ci abbiano visti con tutta la gente che c'è, ma non vorrei che il tuo capo pensasse che...-
-Oh, Barry! Quando saprà cosa ho combinato...!
-Ah! Sei recidiva. Non è successo niente.- ripetè per l'ennesima volta. Io lo osservai bene in viso, e vidi che era sincero. Sorrisi.
-Grazie.-
-Figurati- rispose lui. -Come ti chiami?-
-Reese.-
-Io sono Vincent. Pronta tornare in pista?-
Presi la mano che mi aveva teso e sorrisi. -Come sempre.-

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Capitolo 5
*** #5_Reese: Il Principe Azzurro Spezza l'Incantesimo ***


La seconda parte della storia di Reese, Vincent e Jordan. Scusate il ritardo, ma i computer scarseggiano dove sono adesso^^' Buona lettura XD .

#5_Reese
Grazie a qualche tipo d'intervento divino, Barry non mi beccò. La mia collega, Carola, mi aveva visto e si era preoccupata, ma dopo che le ebbi assicurato che stavo bene mi promise ("a buon rendere") che non avrebbe aperto bocca con il capo.
Quando finii il turno la mattina dopo trovai Vincent ad aspettarmi.
-Cosa ci fai ancora qui?-
Avevo un po' paura che avesse cambiato idea, anche se visto che non ero stata licenziata probabilmente avrei potuto mettere insieme abbastanza da rimborsarlo, ma ero anche piacevolmente sorpresa che mi avesse aspettato. Erano passate ore, dopotutto.
-Ho pensato che a quest'ora ti facesse piacere un caffè.- disse porgendomi una tazza da asporto fumante. In realtà non volevo altro che andare a casa e crollare a letto, cosa che un caffè forte mi avrebbe impedito di fare, ma ero stranamente felice di vederlo, e il suo gesto era semplicemente adorabile, quindi lo accettai con piacere.
-Non conosco i tuoi gusti, ma mi sembravi bisognosa di qualcosa di dolce così ti ho preso un mocaccino. Se vuoi fare a cambio, io ho un caffè lungo.-
-No, grazie, un mocaccino va benissimo.- 
Presi un sorso, grata. Alzai gli occhi su di lui e vidi che sorrideva, soddisfatto.
-Allora Vincent- esordii rispondendo al sorriso -Cosa porta un bel ragazzo, presumibilmente rispettabile e di buone intenzioni, ad aspettare fino alle prime luci dell'alba una ragazza sola e alla fine del suo turno?-
-Molte grazie per il "presumibilmente rispettabile", ma cosa ti fa pensare che abbia buone intenzioni?- domandò Vincent assumendo un'aria sospetta.
-Bé, stai bevendo il tuo caffè.-
Questo lo spiazzò. Prendendo un altro sorso del mio mocaccino, spiegai: -Se avessi cattive intenzioni, mi viene in mente un solo motivo per cui potresti avermi aspettato, nel qual caso avresti probabilmente messo qualcosa nel mio bicchiere per portarmi via. Ma io, da brava ragazza, assennata e sospettosa, avrei potuto chiederti di fare cambio con il tuo caffè. Per non correre rischi avresti quindi dovuto drogare entrambi, ma se l'avessi fatto, ora non lo staresti bevendo, e ciò mi porta a pensare che tu sia semplicemente una brava persona che ha deciso di fare un gesto molto carino.-
La sua espressione sorpresa mi fece sospettare di aver esagerato, quindi aggiunsi: -Scusa. Quando non lavoro qui, faccio la giornalista. Deformazione professionale.-
Lui sollevò un sopracciglio. -Certo che è un brutto vizio quello di scusarti quando non è necessario, eh?-
Mi strinsi nelle spalle, imbarazzata. Lui allargò le mani, lasciando che lo studiassi senza impedimenti. -Come avete acutamente notato, non vi ho attesa qui fuori per arrecarvi disturbo, giovane donzella. Il mio unico scopo era quello di deambulare piacevolmente con voi fino alla vostra vettura, e molto galantemente chiedervi l'onore di pranzare con me quand'anche ne abbiate desiderio.- declamò solennemente.
Io cercai di controllarmi, ma era difficile. -"Deambulare"?- ripetei, cercando di non annodarmi la lingua nel tentativo. Era sia troppo presto che troppo tardi per parole del genere, e mi stavo già sforzando per non ridergli in faccia.
-Forse vi aggraderebbe un eloquio meno aulico?- continuò accennando un inchino. Per fortuna era talmente presto che non c'era nessuno per strada. Gli toccai una spalla e annuii. -Forse è meglio.- Poi non riuscii a frenarmi oltre e mi feci scappare una risata.
-Oh, questo sì che è valso la pena di aspettare.- sorrise Vincent raddrizzandosi. Mi offrì il braccio, come un cavaliere d'altri tempi, e io lo accettai, informandolo che, poichè non possedevo una "vettura" avremmo dovuto aspettare l'autobus. Lui si offrì di accompagnarmi a casa con la sua macchina, ma quando rifiutai, più per la situazione di disordine atavico che regnava a casa mia, che per paura che potesse veramente farmi qualcosa, fu ben felice di "deambulare" con me verso la fermata e farmi compagnia fino all'arrivo del primo autobus. 
Questo fu il mio primo incontro con l'amore della mia vita, e la seconda svolta nella mia esistenza.
Dopo quella prima volta, cominciammo a vederci sempre più spesso, e alla fine del mese ci mettemmo ufficialmente insieme. Stare con Vincent era diverso da qualsiasi altra relazione avessi avuto in precedenza. In un certo senso, tirava fuori quella parte di me che avevo cercato di seppellire dopo quella dannata festa, eppure non era un male, anzi, era quasi catartico fare la scema con lui, raccontargli dei miei disastri più clamorosi, e vederlo ridere perchè non riusciva a ricollegarmi con quella persona. Mi riavvicinai molto con la me stessa del passato, ma in maniera sana, adulta, e grazie a lui riemerse una parte di quel senso dell'umorismo un po' crasso ma divertente che ero solita utilizzare quando ero Reese l'Ape Ronzante. Anche il nomignolo perdeva quell'accezione lasciva e imbarazzante con cui era nato, quando ero con lui, e ora ero Reese la Ronzante perchè parlavo e ridevo tanto, non perchè andavo di fiore in fiore. Parlavamo tantissimo, in effetti: ci raccontammo le nostre vite, passioni, debolezze, gusti e relazioni, strafalcioni lavorativi, tutto. Mi parlò del suo lavoro: Vincent era di due anni più grande di me, ed era un giovane agente immobiliare. Mi raccontò dei suoi clienti, delle strane richieste che gli facevano a volte, e di come si sforzasse di accontentarle per quanto possibile. Parlammo anche delle nostre famiglie, o meglio, io preferivo chiamare la mia "situazione parentale", perchè da molto tempo sentivo di non averne una vera e propria. Lui invece ne aveva una numerosa: sua madre, suo padre, due fratelli e due sorelle. Vincent era il terzo nato, e per tutta la sua vita la sua casa era stato un rifugio caotico, prima a causa dei battibecchi tra suo fratello e sua sorella maggiori, poi per l'irrefrenabile energia dei due gemelli. Quella fu la prima volta che mi sentii restia a parlargli di me. La sua famiglia sembrava piena di affetto, di calore. La mia era rimasta in piedi, traballante, per meno della metà della mia vita. Ero invidiosa, e glielo dissi chiaramente. Lui mi chiese come fosse possibile essere invidiosi di uno stile di vita privo di qualsiasi genere di pace, e io glielo spiegai. Gli spiegai tutto, dalla mia infanzia vissuta nella bambagia, all'abbandono di mia madre, all'indifferenza di mio padre, fino alla mia adolescenza sregolata. Quando gli confessai che l'unica vera famiglia che avessi mai avuto era stato il mio migliore amico, scoppiai a piangere come la prima volta, e lui mi consolò come allora, accarezzandomi la schiena. Quando ebbi finito di raccontargli tutto, mi guardò intensamente e mi disse: -Domenica prossima, la mia famiglia si riunisce per il compleanno di mia madre. Voglio che tu venga con me. Ma prima devi fare quello che devi per liberarti di questo peso.-
Mi aggrappai a lui come a un salvagente. Il mattino dopo mi accompagnò a casa dei genitori di Jordan, e mi aspettò in macchina mentre io risalivo il vialetto e suonavo alla porta. Mi aprì sua madre, che appena mi vide assunse un'espressione gelida. Aprì bocca, sicuramente per cacciarmi via, ma stavolta la precedetti. -E' un anno e mezzo che vengo qui ogni mese per farvi sempre la stessa domanda. Non avete motivo di aiutarmi adesso dopo tanti rifiuti, ma stavolta io insisterò finchè non mi darete quello che voglio, perchè è arrivato il momento di finirla.-
La donna mi guardò con aperto scorno. Io continuai ugualmente. -Sono passati più di quattro anni dall'ultima volta che ho visto suo figlio, e non c'è stato giorno che non mi sia pentita di quello che gli ho fatto. Non ho avuto il coraggio di presentarmi qui fino a quando non ho avuto la certezza di essere cambiata; però, questo dovete capirlo, quando l'ho ferito ero stupida, sì, ma anche una ragazzina. Ero piccola, ero sola, e avevo paura. Questo non giustifica nulla, ma ritengo che sia necessario tenerlo in conto. Adesso sono adulta, e voglio andare avanti, ma questo non mi sarà mai possibile se non mi permetterete di mettere un punto a questa storia. Non è giusto per me, e non è giusto per vostro figlio, che merita di ricevere le mie scuse. Sarà lui a decidere se accettarle o meno, ma in ogni caso la nostre vite riusciranno finalmente a procedere da questo stallo.-
Fissai gli occhi in quelli della madre di Jordan, e cercai di infondere nella mia voce tutta la mia determinazione. 
-Una volta per tutte, signora. Per entrambi. La prego.-
La donna mi fissò a lungo. Io non distolsi mai lo sguardo, cercando di farle capire non solo a parole quanto fosse importante per me scusarmi con suo figlio. Dopo quelli che mi parvero secoli, lei si ritrasse in casa, e prese da un mobiletto all'ingresso un pezzo di carta su cui scribacchiò una serie di numeri. Tornò alla porta e me lo mise in mano. Io strinsi la presa, ma lei non lo lasciò.
-Chi è l'uomo in macchina?- mi chiese.
Io mi lanciai un'occhiata alle spalle. Vincent era seduto al volante, e non mi staccava gli occhi di dosso. Gli sorrisi. -Il mio futuro, credo. Lo spero.-
Lei annuì lentamente. -Sei cambiata, ragazza, è vero. Ti si legge in viso.- commentò -Metti fine a questa pantomima. Ma se dopo oggi ti vedrò ancora una volta sul mio vialetto, chiamerò la polizia.- concluse.
Mollò la presa sul numero di telefono e mi chiuse la porta in faccia. Per l'ultima volta. Dopo un momento di confusa incredulità, corsi in macchina e baciai Vincent.

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Capitolo 6
*** #6_Milo: Shower Talk ***


Tornati al filone principale della storia, per chi non ricordasse dove eravamo, tornate al capitolo 3 ^^ Buona lettura

#6_Milo
-Sono così...-
Cosa? Imbarazzato? No, non rendeva l'idea. Seduto sul bordo del letto con solo un paio di pantaloni del pigiama addosso e niente biancheria intima, stavo cercando un modo adeguato per scusarmi di essergli saltato addosso, senza riuscirci.
Jordan era sdraiato sotto le lenzuola con le mani intrecciate dietro la testa, apparentemente divertito dalla mia difficoltà. -Migliorato?- completò al posto mio.
Non era questo che volevo dire, e lui mi stava prendendo in giro, ma arrossii lo stesso, secretamente compiaciuto nella piccola parte del mio cervello che non era impegnata a cercare un modo per suicidarmi discretamente.
Ritentai. -Io...-
-Milo- m'interruppe con un sorriso che mi fece sciogliere -Stai tranquillo. Non hai macchiato irreversibilmente la mia virtù.-
Mi scappò una risata. Dubitavo che Jordan avesse mai avuto una virtù, o uno straccio di pudicizia. Ma un gran cuore sì, perchè chi andrebbe a letto con qualcuno solo per fare un favore a un'amica?
-Se può consolarti, mi aveva già chiamato Reese stamattina. Ha detto che probabilmente avresti avuto bisogno di me oggi.-
Ecco, infatti. La vergogna tornò ad assalirmi, quindi cercai di spostare l'attenzione da me. -Ti ha detto che Vincent le ha chiesto di sposarlo?-
-A-ha- annuì Jordan -Una perdita per tutti noi.- fu il suo commento affranto, ma gli si leggeva in faccia che era contento per Reese. 
-La cerimonia sarà il prossimo maggio.- aggiunsi. Strinsi le labbra, contando di nuovo i mesi. Dopo l'esperimento erano passati diversi giorni prima che cominciassero a mostrarsi i sintomi del nostro legame, e tre settimane prima che mi decidessi a cercare Reese, in preda al panico. Da allora era passato un altro mese e mezzo, e noi avevamo fatto zero progressi nella nostra ricerca per spezzare il collegamento. In prospettiva, un anno scarso sembrava così poco per risolvere le cose.
Sentii il materasso piegarsi, e mi girai per vedere Jordan drizzarsi a sedere. L'aria ironica che lo circondava di solito si era spenta ed ora mi guardava con espressione seria. -Sei preoccupato?- mi chiese. Aggrottai le sopracciglia. -Vincent non sa niente di me e Reese, e undici mesi passano in fretta.-
Jordan si fece più vicino. -Temete che vi scopra?-
-Detto così sembra che abbiamo una tresca, il che, ora come ora, è più improbabile che mai.- commentai, vagamente disgustato dall'idea. 
-Appunto.-
Mi massaggiai la fronte, sentendo un principio di mal di testa montare dietro agli occhi. Reese e io avevamo discusso a lungo a riguardo, e per una volta era stata proprio lei a chiedermi di mantenere il segreto. Non potevo dire di non capirla (condividevo la sua testa) ma non riuscivo a non pensare che alla fine ci si sarebbe ritorto contro.
-Reese teme che Vincent possa... non apprezzare la nostra condizione, o peggio ancora, che la creda pazza o plagiata.- spiegai -Lui è uno scettico fatto e finito, non crede in niente che non possa vedere, toccare o comprovare. Lei è terrorizzata dalla possibilità che se ci scoprisse la lascerebbe. Secondo la sua prospettiva, è meglio che Vincent creda che lo stia tradendo, piuttosto che venga a sapere che fa parte di una connessione telepatica unidirezionale.-
Jordan tacque, riflettendo sul problema, ed io mi alzai in piedi. Mi stiracchiai cautamente, conscio del leggero indolenzimento alla base della schiena che tradiva le nostre precedenti attività, quindi presi dalla mia borsa della biancheria pulita e mi diressi in bagno annunciando che mi sarei fatto una doccia. Non ricevetti risposta, ma qualche minuto dopo sentii la porta aprirsi di nuovo.
-Mi sembra che abbiate tralasciato la possibilità che Vincent possa credervi.- commentò Jordan. Era abbastanza vicino perchè lo sentissi anche sopra il getto dell'acqua, ed ebbi una fugace fantasia di cosa sarebbe potuto succedere se mi avesse raggiunto lì sotto.
-Reese è convinta che sia inutile prenderlo in considerazione.- risposi strofinandomi il sapone addosso. -Personalmente ritengo che anche se lo facesse non sarebbe particolarmente elettrizzato dall'idea. Pensaci: torni a casa un giorno e la tua futura moglie ti annuncia di avere un collegamento mentale con un uomo che a) non sei tu, e b) era sintonizzato e in ascolto tutte le volte che avete fatto sesso. Al suo posto mi troverei e mi farei a pezzi.-
Jordan rise e io sobbalzai. Era esattamente dall'altra parte della parete di vetro della doccia, alle mie spalle. Non mi voltai. Tenni gli occhi fissi sulle piastrelle bianche sopra il rubinetto, continuando a strofinarmi le braccia come se dovessi lavare via delle radiazioni. Udii la porta scorrere da una parte e poi richiudersi. Sotto la schiuma, sentii la pelle d'oca percorrermi gli avambracci e risalire le spalle, per scendere poi dalla nuca lungo la schiena in un brivido che sperai non notasse. Lo avevo dietro, talmente vicino da percepire il suo calore sulla pelle.
-Posso immaginare- mi sussurrò all'orecchio, e stavolta non c'era possibilità che non notasse l'onda anomala che mi percorse la schiena. -Sarebbe quantomeno irritante... se qualcun'altro occupasse i pensieri della persona con cui stai facendo l'amore.-
Le sue mani si allargarono sul mio ventre, scivolando come acqua in una conca, coprendo tutto, mandando una scarica elettrica lungo le mie gambe e su per le braccia. -Dubito che qualcuno riuscirebbe a distrarsi... con te come compagno...- mormorai socchiudendo gli occhi. Io di sicuro non ci riuscivo. Non riuscivo nemmeno a formulare un pensiero coerente, figuriamoci a divagare...
-Davvero?- chiese Jordan stringendomi in modo che il mio fondoschiena fosse in contatto con i suoi fianchi. Mi si mozzò il fiato. -Mm-mmm...-
Jordan sollevò una mano per prendermi il mento e farmi voltare abbastanza per mostrarmi il sorrisetto compiaciuto che gli si era allargato sul viso. -Sono così bravo?- domandò, quasi sfiorandomi con le labbra. Mi allungai, desideroso di sentirle di nuovo premute contro di me, e risposi: -Quasi quanto sei presuntuoso.-
Nei suoi occhi passò un lampo, e un attimo dopo la sua bocca era sulla mia, prepotente, invasiva e più dolce di qualsiasi altra cosa avessi mai assaggiato. L'accolsi con entusiasmo.
Jordan, e Vincent, non avrebbero dovuto preoccuparsi. Se anche Reese mi avesse chiamato a pieni polmoni mentali, in quel momento non mi sarei nemmeno ricordato il suo nome.

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Capitolo 7
*** #7_Milo: Arrotondare ***


Mi scuso per il ritardo, gli esami uccidono la creatività. Non ho fatto in tempo a rileggere quello che ho scritto, quindi siate pazienti, e segnalate gli errori, così potrò correggerli. Nonstante tutto, vi auguro buona lettura :D

#7_Milo
Dopo che Jordan ebbe fatto di me una specie di gelatina umana estremamente soddisfatta, e dopo che ebbi finito di farmi la seconda doccia, lasciai a lui il bagno e tornai in salotto. Sul tavolo da pranzo c'erano due pc, un i-pod e quattro i-phone, che sicuramente non appartenevano al padrone di casa. Mi sedetti al tavolo. Accanto agli apparecchi c'era un biglietto con su scritti diversi username, password e pin, e sorrisi involontariamente. Jordan non avrebbe dovuto preoccuparsi, ma visto che si era preso il disturbo...
Cominciai dai pc, ne presi uno, l'ASUS, e lo accesi, leggendo i dati sul foglietto per accedere al sistema. Sotto ogni coppia user/password c'era scribacchiato il problema che avrei dovuto risolvere, ma ignorai completamente quella parte e lanciai una diagnostica, prima di accendere il secondo portatile e fare lo stesso. Avrei potuto lavorare su entrambi contemporaneamente, preparare la cena, guardare la televisione, riparare la mia bicicletta tutto insieme, e comunque non avrebbero richiesto più di un'ora del mio tempo. A meno che non ci fossero parti da sostituire, ma in genere non era necessario. La maggior parte dei padroni di apparecchi elettronici non si rendono conto che per farli funzionare efficacemente a volte basta fare pulizia del ciarpame che rimane dopo ogni operazione, ma a me andava bene così. Mi pagavano.
Mentre gli hard-disk giravano, presi l'i-pod. Apparentemente l'apparecchio si era misteriosamente bloccato e non c'era verso di farlo funzionare, così presi la mia borsa, ne estrassi il cellulare e un cavetto compatibile. Collegai l'i-pod al telefono e lo craccai su due piedi. Scorsi le canzoni, misi un po' di sano heavy metal e tornai a occuparmi dei computer. Quando Jordan uscì dal bagno stavo lavorando sul secondo i-phone.
-Vuoi mangiare qualcosa?- mi chiese posandomi il mento sulla testa.
Lanciai un'occhiata attraverso la porta della cucina, verso la padella cheavevo messo a scaldare. -Sto preparando le cre^pe, se aspetti dieci minuti finisco qui e ti faccio un piatto.-
Lo sentii vibrare sopra la mia testa. -Sempre così efficiente.-. Sentivo il sorriso nella sua voce. Feci spallucce, segretamente orgoglioso. 
-Bravo a cucinare, efficiente, intelligente, carino... Come mai nessuno ti ha mai accalappiato?-
-Seguo la regola di una notte e via. Niente relazioni più lunghe di dieci ore.-
-Non volevo dire questo.-
Jordan fece scivolare le mani sulle mie spalle, massaggiando. Reclinai la testa all'indietro, in paradiso.
-Intendevo, prima che tu e Reese vi conosceste. E' vero che ora ti vesti meglio, ma non è possibile che nessuno ti abbia mai notato prima. Per essere un nerd sei troppo appariscente.- 
Chiusi gli occhi, lasciando che le sue dita mi sciogliessero i muscoli del collo con tocco esperto.
-Non so che dirti. C'è sempre stata solo Valery per me, non credo che avrei notato qualcuno che cercasse di avvicinarmi. Che vuol dire che sono troppo appariscente?-
Jordan rise. Aprii un occhio per dargli un'occhiataccia, ma era troppo bello per avercela con lui. Il mio naso mi avvertì che era ora di occuparsi delle cre^pe. Scostai gentilmente le mani di Jordan e mi diressi in cucina. Mentre versavo la pastella, lui apparecchiò la tavola, e pochi minuti dopo vi poggiai sopra un vassoio colmo di cibo.
-Questa metà sono salate, queste sono dolci. C'è besciamella, ketchup, mostarda, maionese, di qua della panna, cioccolato e un po' di frutta.-
-Avevo tutta questa roba in frigo?-
-Ho portato un po' di cose da casa mia.-
Ci sedettemmo a tavola e mangiammo chiacchierando del più e del meno. 
-Allora, quei computer?- domandò Jordan indicando gli apparecchi messi da parte.
Mi strinsi nelle spalle. -Niente di irrecuperabile. Il notebook è semplicemente sovraccarico, l'ASUS ha preso un malware da un sito per adulti non controllato. Gli i-phone non so cos'abbiano che non va, sinceramente.-
-Appartengono alle due figlie della signora Philips. Credo che non riescano a scaricare un'applicazione...- commentò Jordan leccandosi del ketchup dalle dita. Rimasi incantato a guardarlo, ma scossi la testa per sbloccarmi. -I telefoni sono a posto. Deve essere un problema del cloud. Dì loro di verificare le loro connessioni.-
-Tu non puoi farlo?-
Ghignai. -Dovrei accedere ai loro dati personali, modificare i setting, accedere a dei servizi non autorizzati... Assolutamente sì. Ma con un sovrapprezzo.-
Jordan scosse la testa, ridacchiando. -Sei uno squalo.-
Mi strinsi nelle spalle, aggiungendo la panna alla cre^pe. -Tu non daresti lezioni di nuoto gratis, no?-
-Dipenderebbe da chi me le chiede. A te non farei pagare un centesimo.- mi assicurò Jordan. Arrossii. 
-E l'i-pod?-
Mi schiarii la voce. -La cosa antipatica della roba Apple è che funziona bene solo con altri dispositivi Apple. Quando cerchi di prendere scorciatoie o di utilizzare un altro tipo di server bisogna sempre fare un giro lunghissimo per adattare i file. I proprietario di questo coso ha dei buoni gusti musicali, ma coi computer non ci sa fare. Lo ha caricato con un sacco di roba non adattata, ed è andato in tilt.-
-Ma prima stavi ascoltando la sua musica, no?-
-L'ho craccato. Ho collegato il mio telefono e ci ho passato sopra tutta la sua musica. Se la rivuole deve fare le cose per bene.- brontolai con la voce di un professore spazientito -Oppure può comprarsi qualcosa di più versatile.- aggiunsi.
Jordan annuì e disse che l'avrebbe fatto presente al padrone. Finimmo di mangiare. Jordan si mise a lavare i piatti, ed io cominciai a dare gli ultimi ritocchi ai miei lavori. Il malware dell'ASUS era stato completamente sradicato, ma aveva lasciato dei buchi nella protezione del firewall, quindi dovetti adoperarmi un po' per ricucirli. Già che c'ero diedi un'occhiata al codice sorgente del programma indesiderato, per capire quale fosse il suo scopo. Apparentemente, una volta installato sul pc, il malware cominciava ad inviare dati importanti attraverso la connessione internet, come i codici delle carte usate per acquisti on-line, indirizzi di posta elettronica, dati personali, tutto il necessario per intromettersi illegalmente nella vita di una persona. L'antivirus non l'aveva individuato fino ad allora perchè le informazioni erano inviate dal computer solo quando l'utente accedeva ad internet, frammentate e trasformate in stringhe di codici così piccole e mescolate da passare attraverso il firewall senza essere riconosciute. Il motivo per cui era finalmente riuscito a scovarlo era perchè l'ultima trasmissione aveva coinvolto un file troppo pesante per passare inosservato, anche da criptato e ridotto in pezzi. Provai a recuperarlo, ma il documento sembrava scomparso dal sistema. Aggrottai le sopracciglia. -Jordan?-
-Sì?-
-A chi appartiene l'ASUS?-
Jordan comparve dalla cucina con uno strofinaccio in mano. -Non lo so, credo ad un amico di un mio collega. Me l'ha passato la settimana scorsa perchè il suo amico non riusciva più a trovare un file, o qualcosa del genere. Te l'ho scritto sul biglietto, non l'hai letto?-
Non risposi, e tenni gli occhi incollati sulla fila di cifre che descrivevano il codice sorgente, cercando di leggerlo completamente. Era complesso e disordinato, come se il suo creatore avesse volutamente cercato di nascondere il suo vero intento.
-Qual è il problema?- Jordan mi arrivò alle spalle facendomi sobbalzare.
-Cosa?- 
Mi mise la mani sulle spalle. -Tutto bene? Pensavo che fossi riuscito ad aggiustarlo.-
Inclinai la testa, lanciando un'altra occhiata allo schermo illuminato. -Credo che il padrone di questo computer sia stato vittima di un massiccio furto di dati. Vedi questa parte del codice? A prima vista sembra un classico trojan usato per rubare gli estremi delle carte di credito, ma se continui a leggere trovi un altro filtro molto più specifico. Chi si è infilato qui dentro cercava qualcosa di particolare, un qualcosa di voluminoso, a giudicare dal buco che ha lasciato.-
-Mi sono perso al furto di dati, ma sembra una cosa grave.- si accigliò Jordan -Devo dire al mio collega di far chiamare la polizia al suo amico?-
-Non so quanto possa fare la polizia contro questo hacker.- risposi avvicinandomi allo schermo fino a sfiorarlo con la punta del naso. -E' bravo- mormorai -Molto bravo. Guarda queste stringhe. Come ha fatto a inserirle nella matrice senza fare impazzire il programma? A meno che...- Mi concentrai sui frammenti di codice che all'inizio mi erano sembrati casuali e disordinati. Avevo l'impressione che seguissero uno schema, ma non riuscivo a visualizzarlo con chiarezza...
-Forse non è il caso di fossilizzarcisi sopra.- suggerì Jordan -Qualunque cosa sia, è chiaro che il padrone del computer ha subito un furto, quindi dovrebbero essere le autorità ad occuparsene.-
Mugugnai qualcosa sull'incapacità delle forze dell'ordine.
-Milo.- mi chiamò Jordan stringendomi le spalle.
-Che c'è?- 
-Lo stai facendo di nuovo.-
-Cosa?-
-Ti stai impicciando di cose che non ti riguardano. Lascia perdere e passa ad altro.-
Feci una smorfia in risposta al bonario rimprovero. In uno dei nostri momenti confidenziali, avevo raccontato a Jordan che in passato mi era quasi messo nei guai con la legge per aver frugato troppo a fondo negli affari di gente importante. Alla fine ero riuscito a nascondermi e cancellare le mie tracce, ma era stato un chiaro segno che dovevo muovermi con più cautela, o smettere una volta per tutte. Visto che la seconda opzione era impossibile da realizzare (i miei esami universitari si basavano su questo, dopotutto), avevo dovuto imparare a pormi dei limiti. Non sempre riuscivo a rispettarli, soprattutto quando, come adesso, scoprivo qualcosa di interessante da indagare.
-Ti ho proposto questo lavoro per arrotondare lo stipendio, non per farti arrestare. Non farmene pentire.- rincarò Jordan.
Mi girai sulla sedia per guardarlo in faccia, scontento. -Cosa sei, mio padre?-
Di fronte alla sua espressione seria, però, non riuscii a rimanere irritato, e sospirai. -Va bene, va bene. Non m'impiccerò. Me ne lavo le mani.- 
Con un paio di colpi sulla tastiera spensi il pc e lo chiusi. -Contento, adesso?-
L'espressione contratta di Jordan si sciolse in un sorriso. -Sarei più contento se ci fossero rimaste altre cre^pes. Erano deliziose.-
-Frigorifero.- lo informai, asciutto.
-Sul serio?- 
Feci spallucce. Il sorriso di Jordan si fece enorme. Mi abbracciò da dietro e mi sollevò così come mi trovavo, facendo quasi cadere la sedia. -Ehi!- squittii.
-Mmmhmm mmmmmh.- mugolò Jordan strofinandomi il naso contro il collo. Socchiusi gli occhi sentendo il suo respiro sulla pelle. Mi rimise in piedi, ma non mi lasciò andare. -Cosa vuoi fare stasera?- mi chiese.
Reclinai appena la testa sulla sua spalla. -Non posso fare troppo tardi, domattina ho lezione in palestra.- Ero quasi tentato di disdire, ma i soldi mi servivano.
-Film e gelato?- propose lui.
-Cosa sei, una trentenne single?- ribattei, alzando un sopracciglio.
-Ho ventisette anni, e preferisco il termine "slegato"-
Tossii una risata, un po' scosso perchè avrei voluto essere io a mettergli il guinzaglio attorno al collo, ma annuii, mio malgrado felice al pensiero di passare una serata ad oziare sul divano accanto a lui. -Niente roba strappalacrime, però.- misi come paletto. L'ultima volta avevamo visto "Ghost", e avevo pianto fino a farmi diventare gli occhi due palline da tennis per quanto erano gonfi. Non ero disposto a ripetere quell'umiliazione.
-Che cosa preferiresti vedere?-
La mia risposta fu immediata. -Sci-fi. "Matrix", o "Blade Runner".-
-Sei fissato!- esclamò Jordan, ma io sapevo la verità. Potevo vedere il cofanetto speciale di "Blade Runner: Director's cut" fare capolino dalla sua libreria, come se il mio nerd-istinto potesse essere ostruito da una patetica fila di tascabili. Nemmeno l'influenza maligna di Reese era riuscita a sradicarlo dal mio cervello incasinato. Ma forse non era una questione di cervello. Ce l'avevo nel sangue.
-Puoi opporti, ma alla fine la mia nerd-itudine ti infetterà.- dichiarai con una voce malefica in perfetto stile Imperatore -Ti sento scivolare inesorabilmente verso questo lato della Forza. Non resisterai a lungo.-
Jordan roteò gli occhi e mi lasciò andare. Si diresse verso la sua stanza. -Come dici tu, Dart Vader. Dobbiamo andare a comprare il gelato.-
-Ah! "Dart Vader"! Hai già capitolato!- esclamai, seguendolo. In risposta, lui agitò una mano. Ma io sapevo la verità.

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Capitolo 8
*** #8_Reese: Mi servono soldi ***


#8_Reese
Mentre guidavo, diretta all'agenzia di Vincent, chiamai Wendy. Wendy era il mio contatto all'agenzia di stampa che forniva i servizi ad alcune delle testate giornalistiche dello Stato a distribuzione medio-alta. Era una ragazza simpatica e servizievole, motivo per cui non riuscivo a farmi una ragione del fatto che l'avessero presa in questo ramo professionale, ed aveva molto chiaro il genere di storie che potevano interessarmi. Ogni volta che qualcosa vagamente sul mio genere veniva fuori, ricevevo una sua telefonata. 
Non la sentivo da due mesi.
-NewsDirector, come posso aiutarla?-
-Ehi, Wendy, sono Reese!- esclamai nell'auricolare -Come stai?-
Dall'altra parte si sentì un fruscio di carte e un sospiro. -Ciao Reese. Sto bene, grazie. Tu?-
-Meravigliosamente, se non fosse che non ho uno straccio di storia per le mani.-
Immaginai la sua bocca piegarsi in una piccola smorfia. -Lo sai che se avessi qualcosa te l'avrei già fatto sapere.- 
Il suo tono era tirato ed un po' esasperato. Doveva essere una giornata no, in ufficio, o forse si era semplicemente stufata di subire le mie tiranniche richieste. Prima di ieri sera avrei potuto prendere in considerazione l'idea di lasciar perdere per stavolta.
-Lo so, tesoro, e in un altro momento non ti disturberei- dissi con il tono più lacrimevole che riuscii a tirare fuori. Era uno sbuffo quello? -Ma ho assolutamente bisogno di un lavoro. Ti scongiuro, dammi una mano!- implorai staccando le mani dal volante e congiungendole in preghiera. La mia smart sbandò appena e un clacson mi assordò da dietro. -Non rompere, idiota!- gridai fuori dal finestrino, riafferrando lo sterzo. -Non dicevo a te, ovviamente.- aggiunsi nell'auricolare.
Wendy rispose come se non fosse successo niente: -A meno che non crei tu la situazione per un articolo, in questo momento non c'è niente che possa fare. Ho altri generi, ma...-
-Altri generi vanno bene.- dissi sorpassando un autobus in corsia preferenziale -Dimmi che cos'hai, ti prego.-
Wendy fece una pausa. -Quanto sei disperata?- mi chiese.
-Devo organizzare un matrimonio e ho a malapena i soldi per due mesi d'affitto. Tu che dici?- sbottai.
-Un matrimonio? Di chi?-
-Il mio!-
La linea si fece istantaneamente silenziosa. Lanciai un'occhiata al telefono sul sedile accanto per assicurarmi che non fosse caduta, ma all'improvviso uno strillo pterodattilesco distrusse il mio timpano destro. Altri clacson suonarono dietro di me a causa della manovra necessaria per rimanere in carreggiata. 
-Oh, mio Dio! Vincent? Te l'ha chiesto? Oddio! E i tuoi lo sanno? Hai già preparato la lista degli invitati?-
Nonostante tutto, sorrisi. Wendy era buona e cara, ma non sapeva resistere a notizie del genere, ed era l'equivalente ventiseienne di una casalinga dal parrucchiere. Entro sera, tutti i miei colleghi avrebbero saputo la notizia. Forse era per questo che l'avevano presa all'agenzia di stampa, riflettei. Il suo entusiasmo poteva essere sfruttato a mio favore. -Sì, me l'ha chiesto ieri sera. Oggi abbiamo scelto la data, ma non abbiamo ancora comiciato a fare i preparativi. Adesso abbiamo bisogno dei soldi.- enfatizzai.
La sentii mugugnare, indecisa, ma non premetti oltre. Non ce n'era bisogno.
-Lo faccio solo perchè non sopporto l'idea di non essere invitata al tuo addio al nubilato.- brontolò infine. Visto? Servizievole.
-Dimmi.-
Si prese un momento per digitare sul computer, poi cominciò ad elencare: -Allora... qui vedo una rapina in una gioielleria di Madison, una serie di frodi fiscali, un omicidio a Forrest...-
-Chi?-
-Un tizio delle gang.-
Oh. Decisamente non adatto per un lavoro veloce. -Nient'altro?-
-C'è una conferenza stampa domani pomeriggio. Una casa produttrice di videogiochi sta per annunciare l'ultimo grido della realtà virtuale, apparentemente. Sarebbe un lavoro facile; vai lì, ti appunti quello che dicono, e scrivi il tuo pezzo. Credo che il Daily Tom e il Chronicle abbiano già espresso il loro interesse.-
Alzai gli occhi al cielo. Wendy non era proprio ferrata riguardo a cosa fosse necessario per scrivere un buon articolo. Si limitava a distribuire le notizie, dopotutto, ma "vai, prendi appunti e scrivi"? Magari fosse così semplice.
-Non c'è altro, per il momento.- continuò -Vuoi che ti richiami domani? Magari viene fuori qualcosa più nelle tue corde.-
-No, prendo la conferenza.- decisi, anche se non ero assolutamente ferrata sui videogiochi. Qualcun'altro di mia conoscenza però sì, e per un prezzo adeguato ero ragionevolmente sicura che mi avrebbe dato una mano.
-Grazie mille, Wendy. Ti devo un favore.-
-Mah! Lascia perdere. Ma se non riceverò la partecipazione per il tuo matrimonio, ti affibbierò solo gossip per il resto della vita!-
Rabbrividii all'idea. -Sarai tra i primi ad averla- promisi.
-Ti mando un'e-mail con i dettagli e il pass di giornalista.-
-Grazie ancora, tesoro. Ci sentiamo presto.-
Wendy borbottò qualcosa riguardo allo sfruttamento e alle chiamate di cortesia. Io attaccai. Adesso avevo un lavoro, anche se non mi avrebbe fruttato molto. Era comunque un'inizio. 
Ora dovevo solo trovare il modo di convincere Milo ad aiutarmi.

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Capitolo 9
*** #9_Reese: Favori e Uscite a Quattro ***


#9_Reese
Lo chiamai la mattina dopo, alle sei e mezza. In genere a quell'ora non ero nemmeno in grado di ricordarmi il mio nome, ma Milo si alzava con le galline e andava a lavorare presto, quindi non avevo molta scelta. Il termine era breve.
Il telefono squillò due volte. Quando rispose, non mi diede il tempo di dire niente.
-No- fece, e attaccò.
Fissai lo schermo, indecisa se sentirmi offesa o semplicemente presa in contropiede. Selezionai di nuovo il numero e attesi.
-Lascia almeno che ti spieghi- dissi non appena accettò la chiamata.
-Non hai bisogno di spiegare niente. Conferenza, videogiochi, ti serve il mio aiuto per capirci qualcosa. La risposta è no. Ti avevo fatto risparmiare del credito.-
Questa dannata telepatia si stava facendo sempre meno divertente e più fastidiosa.
-Perchè no?-
-Perchè non ho tempo! Devo andare a lavoro, seguire una lezione e preparare un esame, non posso sprecare un pomeriggio a spiegarti l'ABC della realtà virtuale.-
-Quando ce l'hai l'esame?-
-Tra un mese.-
-Ma allora!-
-Chi ben comincia è a metà dell'opera.-
Dio, come poteva essere così irritante? Sperai che il cameriere del bar lo chiamasse in fretta, davanti a Jordan.
-Senti, ti sto pregando, mi serve un bell'articolo, e ho bisogno di una mano per le cose più complicate. All'ABC ci penso io.-
-Allora puoi pensare anche alle "cose complicate".-
-Ti prego? Per favore? Nemmeno per la tua compagna di mente?-
-Senti tu!...- 
Stava per mettersi a sbraitare, lo sapevo, l'avevo provocato abbastanza volte da riconoscere quel tono con certezza. Attesi, tenendo il telefono lontano dall'orecchio per non perdere l'udito, ma l'unica cosa che sentii fu il rumore di una specie di mantice. Aggrottai le sopracciglia, sorpresa: stava facendo dei respiri profondi. Dopo qualche secondo, Milo sibilò: -No, per l'ultima volta no.-
Fu allora che mi accorsi che stavamo entrambi sussurrando. Vincent stava dormendo nella camera accanto, perciò tenevo il volume basso, ma lui perchè...
-Perchè stai parlando a bassa voce?- chiesi, colta da un sospetto.
-Cosa?-
-Sei rimasto a dormire da Jordan, non è così?- 
Sentii il sapore del fastidio mescolato al trionfo. Per lui poteva rimandare lo studio, vero? Ma questo voleva dire che anche a lui piaceva Jordan! Ah! Lo sapevo.
-Io... no, senti, cosa t'importa? Lo sapevi che sarei venuto da lui.-
-"Venuto"? Quindi sei ancora lì? Awww... E stai parlando piano per non svegliarlo?-
Riuscivo a vederlo davanti a me, rosso come un pomodoro, con quella vena pulsante sulla tempia. Solo che non voleva disturbare Jordan e io non ero a portata di mano, quindi non poteva sfogarsi. Così imparava.
-Sto andando a lavoro.- scandì attentamente.
-Mi piacerebbe poter fare la stessa cosa.-
Il ragazzo dall'altra parte, bastardo insensibile, non fece una piega al mio tono miserevole. Era tempo di giocare la carta dello scambio.
-Senti, facciamo così. Tu mi aiuti questo pomeriggio, e io ti faccio fare delle domande alla conferenza. Che ne pensi?-
Milo esitò.
-Dai, riflettici bene. Potrai chiedere tutto quello che vorrai ad alcuni dei migliori programmatori di videogiochi del Paese. Non ti fa nemmeno un po' di gola?-
Silenzio.
-...Tutto quello che voglio?-
Preso!
-Dopo le domande importanti per il mio articolo.-
Serviva solo un'ultima spinta...
-Magari ti faranno provare il nuovo prodotto in demo prima dell'uscita sul mercato.-
Okay, c'era una possibilità su mille che succedesse davvero, e lo sapevamo entrambi. Ma quella possibilità sembrava valerne la pena, perchè Milo crollò.
-Va bene- grugnì.
-Sì!- 
Sollevai i pugni al cielo e improvvisai una danza della vittoria in salotto, saltando sul divano. Sentii delle proteste dall'altra parte della linea, ma non me ne curai affatto. Sobbalzai quando sentii delle mani stringersi intorno alla mia vita da dietro.
-Chi devo ringraziare per questa magnifica vista appena sveglio?-
-Vince!- esclamai. Il telefono si fece silenzioso. Sapevo che il mio breve attacco di panico era stato trasmesso a Milo, e sapevo anche che non era dovuto all'essere stata colta di sorpresa. -Ti mando un messaggio con l'indirizzo e l'ora, ok? A dopo.- blaterai nel microfono alla velocità della luce, poi chiusi la comunicazione. Lanciai il telefono sul divano e abbracciai il mio fidanzato, cercando di ricacciare indietro la staffilata di paura. Non c'era motivo perchè dovesse sospettare qualcosa, ma non riuscivo a controllare la mia reazione ogni volta che Vincent mi sorprendeva a parlare con, o di, Milo.
-Ehi, bellezza. Ben svegliato.- lo salutai.
Vincent mi fece scendere dal divano e mi baciò. Io mi sciolsi letteralmente contro di lui. Non c'era paura che gli tenesse testa, anche quando riguardava lui stesso. Mi rilassai.
-Ehi a te.- mormorò con la voce ancora roca dal sonno -Con chi parlavi?-
-Un mio amico studente di programmazione. Mi aiuterà a capire qualcosa alla conferenza stampa, più tardi.-
Gli avevo parlato della conferenza ieri sera, quando ero andata da lui in agenzia. Gli avevo spiegato che mi metteva a disagio non contribuire alle spese del matrimonio, anche se lui aveva insistito che potevo prendermela con calma, e gli avevo anche detto che da quel momento in poi avrei cominciato ad accettare più lavori. Aveva accettato la mia decisione con comprensione, come sempre.
-Mmmm, uno studente. Devo preoccuparmi? Adesso che ti ho chiesto di sposarmi non ti metterai a cincischiare con uomini più giovani, vero?-
Ritrassi la testa per guardarlo in faccia e capire se stesse scherzando. Aveva quest'abitudine di non cambiare mai il modo in cui parlava, quindi non sapevo se mi stesse prendendo in giro a meno di guardarlo negli occhi. Scintillavano di sorrisi in quel caso, come ora. Sbuffai una risata.
-No, decisamente non devi preoccuparti. Tra me e Milo non ci sarà mai niente del genere.- Il pensiero era comico in maniera quasi disgustosa. Milo sicuramente non ci avrebbe visto niente di divertente e sarebbe stato disgustato e basta. -Tra noi la cosa è più... sorella maggiore, fratello minore.-
-Milo, l'amico di Jordan?- chiese, sciogliendo parzialmente l'abbraccio e guidandomi in cucina. Lo guardai, sorpresa e improvvisamente preoccupata.
-Lo conosci?-
-No, ma l'ultima volta che ho visto Jordan me ne ha parlato. Secondo me ha una cotta per lui.- Mi fece l'occhiolino.
Io risi, sollevata. Decisi che potevo permettermi di condividere qualche informazione in più. -Sì, è completamente andato. Credo che anche Milo sia interessato a lui. Non è cieco, dopotutto.- Solo fortemente miope, ma le lenti a contatto servivano a questo. Vincent era abituato ai miei palesi apprezzamenti nei riguardi del suo genere. Sapeva anche di essere la mia idea di perfezione, dato che non ne avevo mai fatto mistero, quindi non mi preoccupavo mai che i miei commenti fossero fraintesi. Continuai a chiacchierare mentre tiravo fuori dal frigorifero latte e succo d'arancia. -All'inizio pensavo che fosse solo un effetto "imprinting", sai. Milo è venuto a patti con il suo orientamento da poco tempo, e Jordan l'ha aiutato tanto, quindi era normale che nascesse qualcosa. Ma sto cominciando a pensare che ci sia di più. Stamattina l'ho chiamato, e aveva passato la notte da lui.-
Portai le caraffe a tavola, incrociai il suo sguardo e sogghignai. -Indovina cosa stavano facendo ieri sera?-
-Bè, ho una mezza idea, ma non mi sono mai preoccupato di informarmi estensivamente.-
Risi. -Toppato alla grande. Hanno messo un film, e sono stati tutto il tempo a dividersi due vaschette di gelato sul divano.- Jordan mi aveva mandato uno scatto preso di nascosto la sera prima. Ma avevo dato per scontato che Milo sarebbe tornato a casa, dopo.
Vincent sollevò un sopracciglio, mettendosi a sedere. -Come due trentenni single?-
-Sì! Te lo dico io, questo è amore.-
Ci mettemmo a fare colazione, il tavolo coperto di cibo (per lo più pre-confezionato: nè io nè Vincent eravamo maghi dei fornelli). -Che film era?- chiese lui.
-Blade Runner. Milo è un'appassionato di fantascienza, anche se lui la chiama "sci-fi". E' un nerd all'ultimo stadio, e credo che stia corrompendo Jordan.-
Era così strano parlare di lui con Vincent. Non mi era mai passato per la mente di mescolare questi due lati della mia vita, ma non poi era così male. Non voleva dire che Vincent avrebbe scoperto il mio legame con Milo, se gli raccontavo di lui. Il mio appena scoperto stato di tranquillità venne subito distrutto dal suo commento seguente.
-Sembra un tipo interessante. Potremmo invitare lui e Jordan a cena, questo finesettimana, che ne dici? Sarebbe come una sorta di minuscola festa di fidanzamento, non trovi?-
Divenni di pietra. Parlare di Milo? Ok, fattibile. Invitarlo a conoscere, anzi, ad incontrare di persona Vincent? A prescindere dal pericolo che potessimo tradirci, ma l'imbarazzo! Rividi davanti agli occhi l'espressione di Milo al bar lo scorso pomeriggio. Era stato solo per un momento, ma l'avevo riconosciuta, e avevo provato l'intenso desiderio di strangolare lui, e poi me.
-Reese?-
Sollevai di scatto la testa. -Certo. E' un'idea fantastica, come una specie di uscita a quattro, solo che saremmo... a casa. Oggi glielo dico, così ci possiamo organizzare.-
Vincent annuì, sorrise, e tornò alla sua colazione. 
Cosa. era. uscito. dalla MIA BOCCA???!!

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Capitolo 10
*** #10_Reese: Full Dive System ***


Dopo una lunga pausa (scusate tanto) ecco un nuovo e altrettanto lungo capitolo di IYM! Grazie a Biblioteca per le sue graditissime recensioni, continuate a mandarmi il vostro feedback! A presto
 Changeling

#10_Reese
-Sei agitata da stamattina. Perchè.-
Bè, per sbaglio ti ho invitato a cena insieme al tuo e al mio fidanzato. Per favore, cerca di non fissarlo come se fossi stato nella mia testa tutte le volte che abbiamo fatto l'amore. Puoi portare le lasagne?
-Non è da te non lamentarti a pieni polmoni quando qualcosa non va come vuoi tu. Lo sai, vero, che volente o nolente domani mattina avrò scoperto di che si tratta?-
Lo ignorai. Stavamo entrando nella sala conferenze della Game Vanguard, la compagnia produttrice delle piattaforme per la realtà virtuale più popolari del momento. La sala era piena di giornalisti occhialuti con le camice a scacchi e le penne che spuntavano dal taschino. Ero finita in un raduno di nerd. 
-Per il tuo bene, spero che non abbia niente a che fare con me. Non ho intenzione di farti altri favori nel prossimo futuro.-
-Forse è il caso di concentrarci sulla presentazione, adesso.-
Milo si strinse nelle spalle, guardandosi attorno con blanda curiosità. -Io sono concentrato. Tu no.-
Aveva ragione. Strinsi i denti e cercai ritrovare il mio centro. Mi guardai attorno, sentendomi vagamente a disagio in mezzo ad una massa di patiti del computer. Io ero a malapena in grado di accendere il mio telefono senza rischiare di farlo esplodere.
-Sai cosa mi ricordano tutti questi nerd? Tu, prima che scoprissi la luce di Dolce&Gabbana. Sul serio, con questi vestiti non riesco a vedere niente! E' la perfetta tenuta anti-rimorchio.-
Milo storse la bocca, nauseato. -Sai, non tutti sono maniaci sessuali come te. Per queste persone rimorchiare non è una priorità.-
-Ah-ha. Soprattutto da quando è nata la realtà virtuale. Ora le ragazze immaginarie sono anche 3-D.-
Milo non si degnò di rispondermi. Lo guardai, e vidi che i suoi occhi erano puntati sulla piattaforma rialzata al centro della sala. Tre uomini stavano salendo e prendendo posto dietro a un leggio. I due ai lati si fecero indietro, lasciando che l'attenzione si concentrasse sull'uomo in completo grigio al centro. Aveva tutti i tratti di un affascinante signore di mezza età: i capelli castani spruzzati di bianco vicino alle tempie erano pettinati ordinatamente da un lato, la barba corta e curata incorniciava una mascella squadrata e zigomi pronunciati. Rughe d'espressione segnavano la bocca, lo spazio tra le sopracciglia e gli occhi scuri, e non aveva l'aria di una persona particolarmente allegra. Al momento, però, il suo sorriso esprimeva la soddisfazione coccodrillesca di un uomo d'affari sul punto di fare qualche altro milione. Potevo non intendermi di computer, ma in questo campo ero un'esperta.
-Quello è Brendan Foss- sussurrò Milo.
-Non ha la faccia di un Brendan- commentai continuando a studiare l'uomo in completo, che si era fermato un'istante per rivolgere qualche parola ad uno dei giornalisti in prima fila, probabilmente una vecchia conoscenza veterano dell'elettronica -Lo vedo più come un Vernon.-
Milo assunse un'espressione confusa. -Chi, il nonno ripulito? Quello è Jacob Winger, il CEO della Game Vanguard. Io sto parlando di lui.- precisò indicando l'uomo alla sinistra di Winger -Quello è Brendan Foss. Il tecnico informatico più quotato della storia dei videogiochi. E' lui che ha trasformato la Vanguard in una compagnia multinazionale, inventando di sana pianta il sistema Lucid Dream.-
-Ah, questa la so!-
Lucid Dream era, dopotutto, il rivoluzionario sistema di realtà virtuale che era il prodotto di punta della compagnia. In sostanza si trattava di un paio di occhiali futuristici, che, una volta inseriti, immergevano il giocatore in uno stato di semi-incoscenza. In questo modo, sembrava di vivere un sogno, mentre in realtà si interagiva direttamente con il programma di gioco, garantendo l'esperienza virtuale più realistica mai raggiunta. 
Per essere il genio inventore di questa straordinaria tecnologia, Brendan Foss non sembrava particolarmente entusiasta o ricco, anzi, se l'avessi incontrato per strada, probabilmente gli avrei allungato una monetina e gli avrei indicato il rifugio per senzatetto più vicino. I suoi capelli erano lunghi e disordinati, la sua barba non doveva essere stata rasata da un po', i suoi vestiti sembravano appartenere ad un adolescente rocchettaro mai cresciuto. Stringeva gli occhi quasi spasmodicamente, come se non riuscisse a vedere due centimetri più in là del suo naso, ma non indossava occhiali, nè li teneva agganciati al collo della sua lisa maglietta dei Green Day. Teneva le spalle curve e gobbe, come se stesse cercando in tutti i modi di non farsi notare rannicchiandosi su sè stesso, e le sue mani continuavano a giocherellare in maniera maniacale con il bordo dei suoi polsini. A dirla tutta, mi ricordava uno di quei ragazzini reclusi con le finestre della loro stanza sbarrate, che un giorno era stato trascinato fuori, aveva scoperto di avere vent'anni di più di quando si era auto-murato vivo, ed era stato accecato permanentemente dalla luce solare.
La mia prima, spontanea reazione fu: -Ew-
Milo mi guardò come se avessi appena commesso un'eresia. 
-Senti, non puoi dirmi che questo Foss non ha bisogno di un bel bagno. Come minimo.- commentai storcendo il naso. Milo non riuscì, nonostante i suoi migliori sforzi, sono sicura, a darmi torto. Diede una lunga occhiata al suo idolo e poco dopo distolse lo sguardo. -E' la sua mente che importa.-
Lo guardai con pietà, sapendo che stava cercando in tutti i modi di negare l'evidenza con sè stesso. Gli avrei senza dubbio generosamente elargito una perla di saggezza per superare quel difficile momento di scontro con la realtà, ma finalmente Jacob Winger smise di chiocciare con il giornalista (che probabilmente per allora aveva già mezzo articolo pronto) e prese la parola avvicinandosi al microfono.
-Buon pomeriggio a tutti! Scusate l'attesa, non tutti hanno la vostra pazienza.- 
Sorrise. Se la metà di queste persone fosse stata interessata all'articolo, si sarebbero sentiti una quantità di sbuffi e commenti sarcastici, ma la maggior parte dei presenti era più attratta dalla nuova tecnologia piuttosto che da un potenziale scoop. E questi si ritenevano giornalisti. Roteai gli occhi per tutti i professionisti non presenti.
-Il mio nome è Jacob Winger,- proseguì l'amministratore -e sono qui per mostrarvi in anteprima quello che diventerà il nuovo prodotto di punta della Game Vanguard. Una nuova, straordinaria tecnologia portata qui davanti a voi grazie al genio del nostro incredibile tecnico, Brendan Foss, che per l'ennesima volta ci ha permesso di elevare la realtà virtuale a nuove vette! Ecco a voi, in anteprima nazionale, il Sistema Full Dive!-
Sullo schermo alle sue spalle apparve l'immagine proiettata di una specie di casco ridotto all'osso. Aveva l'aspetto di un cerchietto per capelli a cui qualcuno avesse attaccato una veletta di plastica semisferica, che probabilmente doveva essere una specie di schermo. Accanto al poco impressionante casco Full Dive cominciarono a scorrere paragrafi interi di dati e descrizioni, abbastanza lentamente perchè il pubblico potesse leggere con agio. Jacob Winger cominciò ad esporre la particolarità del nuovo sistema: -Full Dive è un sistema che si è direttamente evoluto da Lucid Dream, ma ne travalica di gran lunga le possibilità. L'esperienza garantita dal nuovo sistema è talmente avanzata che vi sembrerà di vivere nel gioco!-
-In che modo Full Dive è diverso da Lucid Dream?- chiese un nerd in terza fila, alzando la mano munita di penna. 
Jacob Winger sfoggiò un sorriso scintillante da diecimila dollari. -Come tutti sapete, LD, per quanto sofisticato, ha delle limitazioni notevoli per quanto riguarda il tempo di utilizzo e lo sforzo mentale imposto al giocatore, ma nel nuovo sistema migliorato Full Dive questi difetti sono stati totalmente cancellati, e l'esperienza di gioco è stata drasticamente migliorata in modo da includere non solo effetti sonori e visivi del tutto realistici, ma perfino olfattivi e gustativi! Il giocatore potrà godere di...-
Mentre il CEO della Game Vanguard continuava descrivendo tutti i fantastici modi in cui ci si poteva ingozzare virtualmente, io mi voltai per chiedere un chiarimento a Milo. -C'è un limite di tempo per l'utilizzo di Lucid Dream?-
Milo, gli occhi incollati al testo scorrevole accanto alle immagini del simil-cerchietto, annuì. -Lucid Dream induce il cervello a cadere in una fase REM forzata per permettere la sincronizzazione tra le onde cerebrali e il gioco, ma il tempo passato a giocare non equivale al sonno, perchè la mente continua ad elaborare costantemente un'enorme massa di dati senza riposo. Lo stress è considerevole, perciò il tempo di utilizzo del sistema è regolato ad un massimo di novanta minuti consecutivi.- spiegò.
Aggrottai le sopracciglia. -Quindi è nocivo per la salute?-
-Se si seguono le restrizioni, no. Ma ci sono stati alcuni, in passato, che hanno provato a bypassare il sistema di sicurezza per prolungare l'esperienza, e sono finiti con un bel po' di complicazioni. LD ha rischiato di essere ritirato dal mercato.-
Tornai ad osservare Jacob Winger, tutto preso dalla sua presentazione. Avevo fatto delle ricerche prima di venire alla conferenza, e non avevo trovato queste informazioni da nessuna parte. Strinsi gli occhi, e i miei sensi giornalistici presero a ronzare come una mosca nell'orecchio. -Perchè non è scritto sulle specifiche del sistema? Una cosa del genere dovrebbe essere indicata a caratteri cubitali sulla confezione.-
-Non è di dominio pubblico, a saperlo sono in pochi. Lucid Dream riceve gli aggiornamenti con un sistema wireless indipendente, quindi dopo le prime furbate Brendan Foss ha riscritto il codice di sicurezza senza bisogno di ritirare il prodotto. Nessuno è più riuscito a superarlo, quindi le autorità competenti hanno chiuso un occhio sulla faccenda, ovviamente dietro lauto incoraggiamento.-
Avevo voglia di chiedergli come mai lui sapesse tutte queste cose, ma avevo una mezza idea che il metodo coinvolgesse l'utilizzo illegale del computer, quindi anche se me lo avesse spiegato non ci avrei capito niente. Detto ciò, la sua abilità di ficcanasare nella rete era sinceramente impressionante. Forse prima o poi sarei riuscita a convincerlo a lavorare per me... va bene, era improbabile al 99%, e, anche fosse, non avrei avuto i soldi per pagarlo, ma come si dice, sognare non costa.
-In che modo siete riusciti ad eliminare i limiti di utilizzo?- chiese uno dei "colleghi" a poca distanza da me. Jacob Winger si produsse in un umile mezzo inchino, come per scusarsi della sua ignoranza, ma dalla mia posizione riuscii a vedergli sul volto l'espressione di chi ha preso all'amo proprio il pesce che desiderava.
-Ahimè, i dettagli tecnici mi sfuggono, ma per ovviare a questa mia mancanza ho portato con me il capo della nostra sezione Ricerca & Sviluppo. Ho il piacere di presentarvi Ron Roberts, ingegnere e neurologo, che ha seguito il progetto fin dalla sua genesi.-
Il pubblico di giornalisti applaudì educatamente ma senza entusiasmo quando l'ultimo dei tre uomini si fece avanti prendendo il posto di Winger, il quale gli lasciò il centro del palco, ma non arretrò. Ron Roberts era il tipico ricercatore sottopagato ma appassionato. Gli si leggeva sul viso acneico che riteneva il Sistema Full Dive il lavoro della sua vita, e si lanciò con entusiasmo a spiegarne il funzionamento nei dettagli.
-Il sistema Lucid Dream si basava sulla stimolazione delle onde delta per indurre il sonno profondo nel paziente, cioè, nel giocatore, seguita dalla successiva sollecitazione contemporanea e alternata di altri tre diversi tipi di onde cerebrali, alfa, beta e theta, in modo che cadesse rapidamente in uno stato analogo alla quinta fase del sonno e, tramite la calibrazione degli stimoli, vivesse l'esperienza programmata dal gioco. Tuttavia, il livello di complessità e di penetrazione necessario perchè la sollecitazione avesse effetto imponeva un elevato livello di stress al cervello, che comportava quindi una limitazione nei riguardi dell'utilizzo prolungato del dispositivo. Abbiamo tentato in vari modi di assottigliare il flusso di dati, ma molti esperimenti si sono rivelati inconcludenti, o addirittura dann...-
-Signor Roberts, vada al dunque, la prego.- lo interruppe Jacob Winger. Lanciò un sorriso accattivante alla platea, come a dire "perdonatelo, è fatto così" -I signori vorrebbero tornare a casa entro la mezzanotte.-
Una risata leggera si diffuse tra gli ascoltatori, ma la sua intromissione proprio mentre si cominciava a parlare di possibili pericoli puzzava così tanto da farmi lacrimare gli occhi. Ron Roberts arrossì fino alle orecchie. -Sì, ehm, scusate, mi sono fatto prendere...-
-Signor Roberts- lo richiamò ancora Winger.
Il neurologo chiuse la bocca e inspirò profondamente, quindi si fece coraggio e riprese la sua relazione. I suoi occhi tornarono a scintillare quando descrisse il punto di svolta delle sue ricerche. -Abbiamo concluso che non era possibile alleggerire il flusso dei dati in una fase così compresa del sonno, quindi abbiamo spostato l'attenzione sullo stato stesso del cervello e siamo arrivati ad una conclusione- guardò il suo pubblico, emozionato -Se non potevamo alleggerire il flusso di dati, avremo alleggerito la mente stessa!-
Mi guardai intorno per capire se qualcun'altro, oltre a me, non avesse capito a cosa si riferisse. Vidi solo volti confusi, o scettici, o spazientiti, chiaramente nessuno aveva idea di cosa ci fosse di tanto sensazionale in quell'affermazione che sembrava promuovere il lavaggio del cervello come soluzione finale. Accanto a me, Milo sussurrò un "oh!" impressionato. I suoi occhi brillavano come quelli dello scienziato sul palco. -Giusto- mormorò -Geniale!-
-Hai capito che cosa ha detto?- gli chiesi sottovoce. Lui annuì. -Almeno credo. Chiedigli se hanno spostato lo scopo della stimolazione dalla fase REM alla fase 1 del ciclo del sonno.-
-Che cosa?-
-Chiediglielo!-
Strinsi le labbra e alzai la voce. -Vuol dire che avete spostato lo scopo della stimolazione a... cosa?-
-Dalla fase REM alla fase 1 del ciclo del sonno- mi suggerì Milo.
-Dalla fase REM alla fase 1... del ciclo del sonno?- ripetei, completamente inconsapevole di cosa avessi appena detto. Lo scienziato, che sembrava essere rimasto deluso dalla mancanza di reazioni da parte della platea, si aprì in un sorriso radioso. -Esattamente!- esclamò. Un sacco di occhiatacce furono dirette verso di me, e all'improvviso mi sentii come il compagno secchione che tutti abbiamo avuto a scuola, quando l'intera classe non sapeva rispondere a una domanda e lui era l'unico che alzava la mano. Mi pentii amaramente di come avevo trattato Lucy Jennings durante le elementari, ora che sperimentavo la sensazione per la prima volta.
Il giornalista con cui aveva parlato Jacob Winger prima della conferenza prese la parola, apparentemente infastidito perchè non aveva capito cosa fosse stato detto anche dopo che Winger gli aveva fatto il riassuntino, e chiese: -E per chi non parlasse lo scenziatopazzese?-
Un'altra ondata di risatine risentite, ma stavolta Roberts era lanciato e colse al volo l'opportunità di esporre il suo genio. -Il sonno, come la signorina ha giustamente fatto presente, è composto da un ciclo di cinque fasi, di cui l'ultima è la fase REM, cioè la fase in cui si sogna, e su cui ci siamo concentrati fino ad ora. C'è un momento, però, la prima fase del ciclo, appunto, in cui ci troviamo in una sorta di trance, ancora non del tutto addormentati, ma nemmeno svegli, e il nostro cervello produce onde estremamente simili a quelle attivate durante la fase REM. Ci si trova in uno stato di profonda tranquillità e concentrazione altamente ristorativo, che ci permette di riposare senza chiuderci completamente agli stimoli esterni, che perciò permette un minor consumo di potenza, sollecitazioni meno invasive, e un lavoro di finezza...-
-In parole povere, signori- intervenne nuovamente Jacob Winger. Riprese la posizione centrale sul palco, davanti a Ron Roberts che indietreggiò, mogio, e lasciò a lui le luci della ribalta -Il Sistema Full Dive vi permetterà di sperimentare il gioco con più nitidezza, più precisione e più confort di sempre! Abbiamo finalmente raggiunto lo scopo che ci eravamo prefissati! Un'esperienza praticamente reale... mentre dormite!!-

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Capitolo 11
*** #11_Milo: Teorie Nascoste e Quasi-Decapitazione ***


Finalmente sono finiti i miei esami, spero di riuscire a caricare nuovi capitoli con più regolarità e, possibilmente, frequenza. Oggi un capitolo soft, per rassicurarvi che sono ancora viva. Buona lettura.

#11_Milo
Mi accorsi a malapena di quando uscimmo dalla sala conferenze della Game Vanguard e chiusi la portiera del passeggero nella smart di Reese. La mia testa vagava altrove, persa tra la spiegazione del capo di R&S della compagnia e i dettagli che avevo letto proiettati sullo schermo. Il progetto era così pertinente alla nostra situazione da insospettirmi. Ma per sostenere un ragionevole dubbio avrei avuto bisogno di qualcosa di più di un presentimento, quindi decisi di considerarlo un caso fino a ulteriori sviluppi, e piuttosto mi concentrai sulla lampadina che mi si era accesa in testa. Era solo uno straccio di teoria, un barlume così fioco da poter benissimo essere un miraggio, perciò non aprii bocca con Reese. Lei non desiderava altro, e se si fosse rivelato solo un fuoco di paglia non volevo che restasse delusa. Dovevo avere qualcosa di concreto, prima.
Mentre riflettevo, sentii una mano sulla spalla, e l'istante successivo fui sbalzato in avanti con una forza tale che la cintura di sicurezza minacciò di separare la mia testa dal resto del corpo. Grazie al cielo non avevo dimenticato di metterla, se no mi sarei spiaccicato contro il parabrezza. Ormai era diventato un riflesso condizionato ogni volta che entravo in macchina con Reese, ma la mia quasi-decapitazione suggeriva che dovevo lasciare i pensieri per quando sarei stato di nuovo al sicuro, cioè lontano da lei.
-Milo!- esclamò Reese con aria contrariata -Dovresti rispondere quando qualcuno ti parla! Ti ho avvertito che siamo arrivati.-
-Quando?- esalai, con quel poco d'aria ancora nei miei polmoni.
-Prima che parcheggiassi.-
Mi guardai intorno. Indubbiamente eravamo sotto casa mia, ma l'asfalto ora possedeva la simpatica aggiunta di due strisce da attrito sbruciacchiate sulla superficie. Ero indeciso se più insolito fosse parcheggiare in derapata, o trovare posto al primo colpo. In fondo c'era un motivo se usavo la bicicletta, anche avendo la patente. La scarsità di parcheggi, unita alla relativa prossimità dell'università, avevano fatto di me una persona più ecologica, ma lei, ovviamente, aveva trovato il modo di attentare alla mia vita riuscendo contemporaneamente in un'impresa impossibile. Notai che una macchina in sosta poco più avanti riprendeva delicatamente a muoversi. Probabilmente il povero automobilista aveva pensato di essere fortunato a trovare posto sotto casa e si era posizionato per fare manovra come qualsiasi persona munita di patente valida aveva imparato, per poi vedersi tagliare la strada da una smart impazzita. Il poveraccio alla guida aveva ancora motivo di sentirsi fortunato, se si sentiva abbastanza bene da poter riprendere a guidare.
-In futuro, se mi vedi distratto, chiamami dieci secondi prima di tentare di uccidermi!- sibilai, massaggiandomi la gola.
-Ci ho provato- rispose Reese sistemandosi i capelli nello specchietto retrovisore (l'unico motivo per cui gli desse mai un'occhiata) -Ma tu non mi hai sentito proprio. A che pensavi?-
-Alla conferenza- risposi sinceramente.
-Contento che ti abbia portato?- mi strizzò l'occhio. Strinsi la cinghia della mia tracolla, chiedendomi se fossi effettivamente felice di aver partecipato. -Mi ha dato molto su cui pensare. Stasera ti mando l'articolo.- risposi, sganciando la cintura e aprendo la portiera.
-Ehi, non ho bisogno dell'articolo fatto, solo della traduzione comprensibile di tutto quello che è stato detto. E magari della tua opinione personale.-
Sollevai un sopracciglio nella sua direzione. -Non è questa la definizione di "articolo"?-
Reese scosse la testa, indignata. -Senza la verve del giornalista, è solo un resoconto. L'obbiettività è più un optional.-
Scossi la testa, esasperato. -Come dici tu. Ci sentiamo più tardi.-
Uscii e chiusi la portiera. A metà marciapiede la sentii che mi chiamava di nuovo. -Che c'è?-
-Sei invitato a cena da me questo fine settimana. Porta anche Jordan- mi comunicò attraverso il finestrino aperto. Aggrottai le sopracciglia, confuso. -Non sapevo che Vincent andasse dai suoi-. Era l'unico motivo per cui lasciasse Reese a casa da sola, ma non avevo sentito di progetti in proposito, di recente.
-Infatti non ci va. Vuole conoscerti. Porta le lasagne, eh?- disse a velocità di curvatura, poi mise in moto e sgommò via. Rimasi momentaneamente stordito in mezzo al marciapiede, e mi mossi solo quando Reese fu lontana a tre isolati di distanza. -Porto le lasagne...Che cosa?!- le gridai dietro correndo al ciglio della strada, ma a quel punto non poteva nemmeno vedermi, figuriamoci sentirmi. Mi presi un momento per gemere ad alta voce e pestare i piedi, quindi ignorai gli sguardi della gente che mi aveva ormai inquadrato come pazzo e mi girava alla larga, ed entrai in casa. Il mio appartamento era al quinto piano di un modesto palazzo giallo dall'intonaco crepato. La zona era frequentata soprattutto da studenti, con locali notturni e Starbucks praticamente ad ogni angolo. Ogni tanto rischiavi di incappare in piantagrane che volevano i tuoi soldi, e, soprattutto il venerdì sera e nei finesettimana, dalla strada venivano continui rumori, ma a me non importava. Il mio appartamento era il mio rifugio: all'ultimo piano (ancora, niente ascensore, motivo per cui Reese veniva raramente a trovarmi), due stanze da letto, salotto, cucina, un bagno. Avrei potuto permettermelo per conto mio, se non fosse stato per l'extra che mi aveva fatto innamorare: la soffitta. La prima volta che c'ero entrato, era un buco pieno di ragni e polvere, il soffitto gocciolava quando pioveva e il piccolo balcone annesso aveva la balaustra pericolante, ma io avevo capito al volo che sarebbe diventata il mio santurario. Ero subito andato alla ricerca di un coinquilino, e grazie ai soldi che avevo messo da parte ero riuscito a risistemarla poco per volta. Avevo sistemato il tetto e la balaustra, isolato le pareti e rifatto completamente l'impianto elettrico perchè sopportasse l'alta tensione. Avevo sfrattato insetti, ragni ed eventuali roditori che avevano fatto della soffitta il loro nido, ripulito le ragnatele e buttato via tutto il ciarpame che il precedente proprietario ci aveva lasciato. Poi mi ero lasciato andare.
Entrato in casa, abbandonai le mie cose sul divano e andai dritto in camera mia, dove tirai giù la scala che portava di sopra. Appena ebbi richiuso la botola sentii le mie spalle rilassarsi. L'aria, lassù, odorava di gallio e zinco; se non avete mai passato un intero pomeriggio in una sala computer ben arieggiata non potete capire la meraviglia di questo odore. E' come inalare elettricità, solo senza prendere la scossa, e mille volte meglio di qualsiasi insulso profumatore per ambienti. Fasci di cavi percorrevano il soffitto come la mia ragnatela privata, ordinatamente raccolti da fascette di plastica. Per contro, il pavimento era sgombro, ricoperto di morbita moquette blu-carta-da-zucchero, e al centro della stanza troneggiava la mia postazione personale: nove schermi al plasma ad alta definizione, altrettante tastiere, niente mouse. Solo questo assicurava che la maggior parte della gente non avesse idea di dove mettere le mani; come se non bastasse, due joystic pendevano da un gancio alla destra degli schermi, e nessuno di essi si sarebbe acceso senza la giusta sequenza di cerchi, quadrati, triangoli, x e frecce. Le pareti erano rivestite di assi di legno originali, e vi avevo appeso quadri e disegni realizzati da mia sorella. Vicino alla finestra avevo sistemato un angolo mini-bar, e subito fuori sulla terrazza c'erano una sdraio e un tappetino da yoga arrotolato per i miei esercizi quotidiani. Gli unici posti dove sedersi erano la sedia imbottita girevole ed ergonomica davanti ai monitor (scelta personalmente valutando fattori come resistenza, forza centrifuga generata dalle giravolte, tasso di flessibilità e di lavabilità dei cuscini, e statistiche sulla probabilità di ribaltamento) e la nuova aggiunta, esattamente di un mese, di una poltrona di un diplomatico color crema vicino al mini-bar. Proprio lì mi buttai a sedere, reclinando la testa su un bracciolo e agganciando le gambe sull'altro. Sentivo montare il mal di testa. Ultimamente se passava un giorno senza che me ne venisse uno, c'era da lanciare i fuochi d'artificio. Almeno non erano più lancinanti come prima. Respirai a fondo l'odore di elettronica, lasciando che il mio corpo si spalmasse sui cuscini imbottiti. Mi doleva una spalla, dove uno dei miei nuovi allievi mi aveva colpito maldestramente, ma c'ero abituato. La mia mente era presa da altro, congetture, teorie, possibilità...ma senza informazioni concrete non sarei andato da nessuna parte. 
Mi rialzai e andai a sedermi alla mia postazione. Accesi lo schermo principale e aprii la pagina del motore di ricerca. Passai le due ore successive a scartabellare siti internet e forum di appassionati (su molti dei quali, ero già registrato). La notizia del sistema Full Dive non era ancora di dominio pubblico, ma su molte piattaforme erano state formulate ipotesi più o meno azzeccate sul nuovo segretissimo prodotto della Game Vanguard, comprese alcune teorie complottistiche basate sull'apparente scomparsa di diversi collaudatori. Non ero solito dare seguito a certe cose, ma salvai lo stesso la pagina in funzione della teoria di Reese che anche le storie più assurde avevano un fondo di verità. Dopo di chè, mi dedicai alla selezione di materiale che potesse aiutarmi a sviluppare la mia teoria.
-Miles? Sei lassù?-
Riemersi all'improvviso dall'articolo che stavo leggendo e guardai l'ora. Era tardi, e avevo ancora una quantità di cose da fare. Decisi di mettere un punto alla mia ricerca, per ora.
-Sì, ora scendo!- gridai. Chiusi tutto e feci discendere la botola. Di sotto mi aspettava il mio coinquilino, fuori dalla porta della mia camera. -Si mangia?- chiese.
Mi tornò in mente che avevo delle lasagne da preparare, e repressi un gemito. Sarebbe stata una lunga attesa fino al fine settimana. 

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