Un giorno

di Cottondew
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un giorno (I) ***
Capitolo 2: *** Un giorno (II) ***
Capitolo 3: *** Un giorno (III) ***
Capitolo 4: *** Un giorno (IV) ***
Capitolo 5: *** Un giorno (V) ***
Capitolo 6: *** Un giorno (VI) ***



Capitolo 1
*** Un giorno (I) ***


Un giorno

Il vento soffiava forte in quell’insolita fredda giornata d’estate. Nessuno aveva il coraggio di uscire in cortile, così la sala comune era piena di ragazzi annoiati che sorseggiavano bevande calde. E chi guardava la tv, chi faceva partite a carte e chi, un po’ in disparte, leggeva un libro; ognuno aveva il suo passatempo per occupare la giornata.
Chris usciva dalla vasca
 da bagno, dopo ore passate a godersi il caldo tepore dell’acqua sulla pelle e liberarsi delle mille tensioni che lo accompagnavano in quella giornata dal cielo grigio. Avvolto nel suo accappatoio di un verde pallido, si trascinò stancamente fino al comò da cui estrasse un paio di biancheria intima e una camicia da notte che presto avrebbe indossato. In programma aveva chiaramente l'intenzione di trascorrere la giornata nella tranquillità della sua camera da letto, in compagnia di un buon libro e una tazza di tea caldo che si sarebbe fatto in un secondo momento. Una volta indossata la vestaglia, la strinse in vita facendo un saldo nodo con la cordicella e si slegò i lunghi capelli rossi, prima raccolti per non rischiare di inzupparli durante il bagno. Andò a sedersi sulla poltroncina accanto alla grande finestra; sulle gambe teneva un libro con la copertina rigida dalle cui pagine spuntava un segnalibro rosso. Lo aprì appena, ma non fece in tempo a puntare lo sguardo sulle prime parole che qualcuno bussò alla porta. Con un tono controllato concesse al disgraziato di entrare; il suo sguardo si addolcì quando vide sulla soglia la figura familiare della sua bimba dai capelli corvini e gli indistinguibili ciuffetti bianchi ai lati della testa. Notò poi che i suoi occhietti neri erano contornati da lacrimoni e tirava su col naso, trattenendo i singhiozzi. 

“Tesoro” la chiamò allargando la braccia verso di lei “cosa ti succede?”.
Lei gli corse incontro, dimenticandosi di chiudere la porta, gettandogli le braccia al collo e immergendo la faccia sulla sua vestaglia. Riprese a piangere a dirotto, scossa dai singhiozzi, con la faccia pressata sulla spalla ormai intrisa di lacrime. “Su su, non piangere. Adesso chiudiamo la porta e mi racconti tutto, va bene?”. Senza aspettare una risposta fece per alzarsi, ma prima si tolse delicatamente le sue esili braccia di dosso; poggiato il libro sulla poltroncina andò a rinchiudere la porta.
Stette per un po’ lì a fissare la maniglia, dandole le spalle e caricandosi di pazienza, per poi girarsi lentamente e raggiungerla dove l’aveva lasciata.
Tsukiko teneva lo sguardo basso, gli occhi arrossati dalle lacrime e stanchi. Seguì con le grandi iridi nere Chris che trasferiva il libro dalla poltroncina alla scrivania e si sedeva, nuovamente davanti a lei, armato di pazienza e uno sguardo materno e comprensivo. “Adesso mi puoi dire cosa ti ha fatto piangere così disperatamente?” chiese a bassa voce, inquisendola col verde smeraldino dei suoi occhi. Dopo una pausa di silenzio, le guance di Tsukiko si imporporarono e prese coraggio per parlare.
“Q-qualcuno ha mangiato l’ultimo dei miei biscotti!” disse tutto d’un fiato, riscoppiando a piangere e portando le mani sugli occhi, quasi a volerne contenere le lacrime. 
Chris prese un gran respiro e sospirò rumorosamente. Battendo le mani sulle cosce la invitò a sedersi in braccio. A quella concessione gli si avvicinò timidamente con gli occhietti bassi e si fece sollevare.
“Ti prometto che domani andrò in paese a prendere una busta di biscotti tutta tua” le sussurrò carezzandole la testolina abbassata.
Senza dire una parola in più la coccolò dolcemente e la fece dondolare un po' con le gambe, finché non si addormentò sfinita dal pianto e dalla tanta tristezza.
Assicuratosi che dormisse, andò a stenderla sul letto per poi tornare trionfante al suo libro abbandonato sulla scrivania.
In realtà non pensò veramente di andare a comprarle i biscotti l’indomani, sapeva bene che al suo risveglio si sarebbe già scordata di tutto, così si immerse a cuor leggero nella lettura.

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Capitolo 2
*** Un giorno (II) ***


Un giorno
Era un tardo pomeriggio estivo; gli uccelli cinguettavano dai rami degli alberi, sotto l’ombra delle foglie, e l’aria era afosa, senza un minimo soffio di vento.
In cerca di calma e silenzio, Tsukiko uscì nel terrazzino del dormitorio; isolata dal chiasso proveniente dalla sala comune si mise a fare i suoi esercizi di matematica in santa pace. 
Purtroppo senza l’aiuto di Chris non riuscì ad andare molto avanti, bloccandosi in ragionamenti che per lei, da sola, richiedevano molto tempo e concentrazione.
Dopo poco, distolse per un attimo lo sguardo dal libro; la sua attenzione era stata attirata da un leggero bruciore che sentiva al braccio sinistro.
Appena notò che era macchiato di sangue, lanciò un urlo e fece un piccolo salto sulla sedia. Ancora sconcertata, si accorse che aveva del sangue anche sui polpastrelli e sulle unghie della mano destra, continuando a non capire strabuzzò gli occhi. In quel momento Chris la raggiunse a grandi passi, richiamato dal suo urlo spaventato.
“Cucciola, che ti è successo?” chiese dolcemente, posando su di lei occhi pieni di premura che, dopo aver notato il sangue, diventarono freddi e severi, così il suo tono: “Tsukiko, quante volte ti ho detto di non grattare i pizzichi delle zanzare?” la riprese poggiando le mani sui fianchi.
Tsukiko non rispose, abbassò lo sguardo dispiaciuta e le guance le si imporporarono di vergogna.
Chris allora pensò di aver usato un tono troppo duro e, temendo potesse scoppiare a piangere, si addolcì nuovamente. 
“Su su, non è successo niente. Adesso andiamo a lavare via tutto questo sangue?” le propose, tendendole la mano. Gli occhietti dispiaciuti della bimba si posarono su quelli verdi e premurosi di Chris, in cerca di una qualche approvazione, per poi prendere la sua mano e seguirlo.
Una volta ripulita dal sangue, si sedettero davanti a un tavolino nella sala comune e Chris tirò fuori il tubetto di pomata dalla scatolina, presa poco prima dalla sua camera.
“Ogni volta che un pizzico di zanzara ti darà fastidio, prima di grattarlo vieni da me e ti metterò la pomata” le disse mentre spargeva il freddo gel con movimenti lenti e circolari in ogni puntino arrossato che vedeva sulle sue braccia.
“Altrimenti ti taglio le manine!” minacciò affettuosamente mentre puntava le sue insistenti iridi verdi sugli occhi assorti della bimba “Chiaro?” 
Tsukiko, presa alla sprovvista, sollevò impacciata lo sguardo e balbettò un sì. Tutto soddisfatto, Chris, riprese in silenzio la sua caccia ai puntini rossi sulla sua pelle bianca, per porvi rimedio.
 
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Capitolo 3
*** Un giorno (III) ***


Un giorno
Quel pomeriggio d’autunno era particolarmente caldo e soleggiato. Tirava una leggera brezza che faceva muovere appena i rami degli alberi. 
Dietro il vetro della finestra dell’infermeria stava la figura alta dell’infermiere che sorseggiava serenamente un tea caldo. Erano appena le tre; le tre di un noioso e monotono pomeriggio autunnale. 
Non si percepiva anima viva; probabilmente gli studenti erano tutti immersi nello studio e tra biblioteca e camera da letto, la sala comune era desolata, così come quella degli insegnanti.
Non si può dire che non avesse passioni per ammazzare il tempo, abituato a quelle giornate di monotonia qualcosa doveva pur inventarsi per mantenersi “vivo”.
Eppure il costante timore di essere colto di sorpresa, mentre faceva tutt’altro, e trovarsi davanti a un’emergenza sprovvisto di testa per agire lucidamente gli impediva di dedicarsi alle sue piccole passioni per occupare il vuoto tempo libero.
Il suo hobby era il fai-da-te. Amava creare degli oggetti utili riciclando materiali di scarto. Lavorando nell’infermeria, era solito trovarsi tra le mani tante boccette vuote o contenitori di medicinali e lì la sua fantasia dava vita a tanti graziosi oggettini particolari che adornavano il suo spazio di lavoro.
Sorseggiò ancora un po’ di tea, gli occhi color nocciola fissi sul movimento delle foglie trasportate dal vento e la testa vagante in un suo mondo.
A distoglierlo, fu il rumore della porta che si spalancava e rumorosi passi che venivano verso di lui.
“Fratellino, oggi giornata noiosa?” rombò la voce del professore di fotografia.
“Priva di lavoro per me, ma di sicuro una buona giornata. Significa che stanno tutti bene” rispose con tono pacato voltandosi appena verso di lui.
“Ti va di venire con me a fare qualche scatto? Almeno non ti annoi e prendi un po’ d’aria!” gli propose mostrandogli la macchina fotografica.
L’infermiere scosse prontamente il capo, in un fruscio di boccoli bicolore, declinando l’offerta.
“No, no, fratellone. Mi conosci: non lascio mai il posto di lavoro” mormorò per poi tornare a posare il suo sguardo stanco e vacuo al movimento delle foglie, chiudendosi nuovamente nel suo insondabile silenzio di meditazione.
Il professore, rispettando i suoi spazi, decise di non insistere e rivolgendogli un affettuoso sorriso, che non venne notato, tornò nei suoi passi, fiero del suo diligente fratellino anche se un po’ preoccupato per lui.
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Capitolo 4
*** Un giorno (IV) ***


Un giorno
Nel vuoto della stanza si sentiva appena il rumore della penna che scribacchiava sul foglio.
Con gli occhi vacui immersi nella scrittura, l’infermiere ignorava la forte pioggia che batteva sui vetri della finestra. La stanchezza iniziava a farsi sentire, le palpebre cedevano sugli occhi. La scorsa notte non aveva dormito e a testimoniarlo erano le marcate e violacee borse sotto gli occhi. 
L’insonnia era sempre stata un problema per lui da quando era un bambino. A volte si preparava una tisana e qualche oretta riusciva pure a chiudere occhio, ma mai di notte, solitamente nel primo pomeriggio dopo pranzo. 
Per il lavoro che faceva, però, era perennemente in ansia. Temeva di addormentarsi per poi essere colto da un’emergenza, impreparato.
Temeva di perdere il suo lavoro, dava sempre più delle sue possibilità anche a rischio di mettere in gioco la sua salute. Temeva tante cose e detestava la sua insicurezza.
Per fortuna in un’accademia come quella, capitava raramente qualcosa di serio, sia perché c’erano pochi alunni, sia perché si stava attenti alla loro incolumità.
Eppure questo non consolava l’infermiere.
Ormai quel lavoro per lui significava davvero tanto; aveva sviluppato un rapporto intenso con i suoi occasionali pazienti. Teneva davvero molto al loro benessere, tant'è che quando stavano male passava più volte nelle loro stanze, non solo per portar loro le medicine, ma anche per tenergli compagnia e coccolarli un po’, se lo permettevano. 
Per lui erano come fratellini minori ed era felice di occuparsene, li adorava e a volte li viziava pure portando loro delle caramelline se prendevano tutte le medicine diligentemente.
Se avesse perso il suo incarico, probabilmente avrebbe perso una delle sue poche gioie.
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Capitolo 5
*** Un giorno (V) ***


Un giorno
In quel tardo pomeriggio primaverile, dopo le lezioni, Gheorge si diresse verso il gazebo del giardino interno dell'Accademia.
Nonostante la bellezza e la tranquillità del posto, non era molto frequentato dagli alunni che, stanchi di una giornata scolastica, preferivano ritirarsi nelle proprie camere.
Ogni volta che andava al gazebo si portava dietro un libro e una tazza di cioccolata calda con la panna, non poteva rinunciare a quella nuvoletta bianca galleggiante.
Una volta accomodato in una delle poltroncine in vimini del gazebo, aprì il libro per leggere. Gli occhi scorrevano annoiati sulle parole d'inchiostro nero, ma la sua mente non riusciva a identificarne il significato, troppo presa da altri pensieri, quel giorno.
Il vento fece muovere qualche foglia caduta che catturò i suoi occhi blu. Effettivamente, non trovava proprio concentrazione, così chiuse il libro e lo appoggiò sul tavolino accanto, concentrando la sua attenzione sulla tazza fumante di cioccolata, che avrebbe bevuto in un sorso, se non fosse stata troppo calda.
Non c'era qualcosa di preciso a cui rivolgeva il suo pensiero, era assorto da una malinconia generale che lo rinchiudeva in una bolla, isolandolo dalla realtà, e ciò non gli dispiaceva, nel suo intimo.
Fissò il liquido dai caldi riflessi, nella tazza, aspettando che la panna venisse risucchiata dall'oscurità della cioccolata.
Non si accorse dell'arrivo di qualcuno, né dei suoi richiami, finché non gli toccò la spalla facendolo saltare sul posto. Dalla scossa improvvisa, la cioccolata bollente schizzò sulla camicia e sui pantaloni, tingendo le vesti con chiazze marroni.
"Oh, povero piccolo, ti ho spaventato?" canzonò il professore di Teatro, con un tono da cui non trapelava l'evidente sarcasmo.
"N-no signore".
Gheorge si affrettò a poggiare la tazza sul tavolino e in un primo momento non seppe come porre rimedio alla situazione, quindi si alzò di scatto e si guardò intorno visibilmente imbarazzato.
Il professore, vedendolo in difficoltà, estrasse un fazzoletto dalla dalla tasca interna della lunga veste nera e gli tamponò le chiazze bagnate.
"Ahi, ahi, che bimbo impreparato a ogni situazione o imprevisto..." mormorò lentamente, spostando il suo sguardo dalle macchie agli occhi bassi del ragazzo, che diventava sempre più rosso e imbarazzato.
"C-chiedo venia per le condizioni con cui mi ritrovo, signore. Sono stato colto nel mezzo dei miei pensieri" si scusò il ragazzo, abbassando il capo e facendo un passo indietro.
"Presumo che i tuoi pensieri fossero rivolti all'ultima rappresentazione a cui, purtroppo, sono stato costretto ad assistere".
Con un gesto sprezzante insinuò il fazzoletto dentro il taschino del suo gilet, assottigliando lo sguardo e assumendo un tono autoritario tutto in una volta. 
Il ragazzo sgranò gli occhi, chiedendosi quale imperdonabile sbaglio avesse commesso durante quella performance che aveva provato fino allo stremo per una settimana o due.
"Professore, non capisc-" provò a chiedere spiegazioni, ma venne bloccato con un gesto della mano dall'uomo dai capelli albini.
Ci fu un lungo momento di silenzio, in cui il professore rimase a fissarlo insistentemente; Gheorge iniziò a sentire il ghiaccio impadronirsi delle sue ossa e pregò affinché quella situazione di disagio finisse il prima possibile.
"Non... capisci" ripeté le sue parole, soffermandosi su ogni sillaba.
"Sei distratto ultimamente. Troppo. Prima ci chiudevo un occhio, ma la situazione sta diventando insopportabile". 
Ogni parola era una pugnalata per il ragazzo; come era riuscito a insinuarsi oltre la sua apparenza così composta e tranquilla? Dove aveva indebolito la sua fortezza?
Tormentandosi interiormente, non riuscì ad ascoltare oltre e si chiuse nel suo silenzio, abbassando il capo. 
Sentì le affusolate dita dell'insegnante sollevargli il mento, costringendolo a sostenere il suo sguardo che, a differenza di poco prima, diventò dolce e premuroso.
"Nonostante le tue imperdonabili mancanze, sarò magnanimo e ti concederò lezioni in più, per recuperare. Ora penso che potrò considerare la tua cioccolata come... una dovuta ricompensa per il sottoscritto" sciorinò addolcendo i toni e appropriandosi avidamente della tazza lasciata sul tavolino. Dopo averne bevuto un sorso, lo guardò alzando un sopracciglio e cantilenò: "Beh? Che fai ancora qui? Fila in aula, il tuo cammino verso il mio perdono inizia tra cinque minuti".
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Capitolo 6
*** Un giorno (VI) ***


Un giorno
La neve scendeva lentamente e si aggiungeva al manto bianco che copriva tutto il giardinetto interno, compreso il tetto del gazebo in legno, il cui interno era proprio un’oasi tra il bianco. Giancarlo guardava la neve dalla finestra, cullato dalla temperatura della biblioteca. Erano iniziate da poco le vacanze di Natale, le lezioni erano sospese e sinceramente nemmeno lui sapeva perché si stava aggirando in un luogo di studio come quello.
Raramente la frequentava, non andava lì certo per studiare, gli piaceva l’atmosfera silenziosa e cupa, rischiarata da qualche candelabro tra uno scaffale e l’altro e dalle lampade sui tavolini. Niente più. 
Il professore di Letteratura era il responsabile di quel luogo, quindi stava al bancone e per lui le vacanze erano abbastanza relative visto che doveva occuparsi di rimettere a posto i libri, tener puliti gli scaffali, i tavoli e il pavimento. Ma lo faceva con immenso piacere, amava quell’accademia, amava il suo lavoro e amava anche gli incarichi che ne conseguivano. A Giancarlo stava simpatico, a volte intavolava discorsi con lui sull’Italia e le sue bellezze, visto che il professore non vi era mai stato ma sognava di visitarla. 
Il ragazzo smise di guardare dalla finestra e si avviò a grandi passi verso l’uscita, ricordatosi di aver promesso a Liszt di farsi trovare davanti alla sua stanza entro quell’ora ed era già in ritardo. Cercò di percorrere il più in fretta possibile il tragitto che lo separava dal luogo dell’appuntamento.
“Non è un appuntamento” si ripeté per ridimensionarsi e non fantasticare troppo.
Era riuscito a strappare una piccola concessione al ragazzo austriaco, con la scusa di un compito per le vacanze che consisteva nel fare un ritratto a un musicista, casualmente, proprio come lui! 
Bugia farfugliata all’ultimo ma che riuscì a far passare per verità davanti al glaciale disinteresse del ragazzo. Inizialmente non era molto d’accordo, lo scaricò subito sbraitandogli di chiedere a qualcun altro, per esempio Chris che sapeva suonare il pianoforte. Peccato che quello fosse un momento di debolezza, per il musicista, la cui fermezza venne offesa da un'indissimulabile fitta alla schiena, per il troppo star seduto a suonare; fu allora che il ragazzo ottenne il suo permesso per il ritratto, in cambio di un massaggio, per i quali era particolarmente portato, oltre l'arte. Il musicista non era molto d’accordo, ma in quel momento avrebbe fatto di tutto pur di non dover più sopportare quel supplizio. 
Coccolandosi in ricordi profumati di soddisfazione, ecco un Giancarlo che si affrettava a raggiungere per tempo la sua stanza, sperando di non farlo aspettare troppo. Finalmente Liszt avrebbe suonato solo per lui, almeno una volta.
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