Quel pomeriggio piovoso

di Philly123
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quando tutto iniziò. ***
Capitolo 2: *** Scoperta ***
Capitolo 3: *** Incubo. ***
Capitolo 4: *** Ritorno. ***
Capitolo 5: *** Avvertimento. ***
Capitolo 6: *** Quando ti guardai negli occhi ***
Capitolo 7: *** Quando mi accorsi di quello che stava succedendo. ***
Capitolo 8: *** Idillio. ***
Capitolo 9: *** Quando diventò tutto rosso. ***
Capitolo 10: *** Risveglio. ***
Capitolo 11: *** Quando capii di non avere scampo. ***



Capitolo 1
*** Quando tutto iniziò. ***


I miei piedi ticchettavano sull’asfalto ancora umido. C’era stato un acquazzone poche ore prima, uno di quelli autunnali, improvvisi e inaspettati, così ero uscita con le scarpe di tela e cercavo di evitare quelle pozzanghere. Tenevo lo sguardo basso, attenta unicamente a non inzupparmi i piedi. La strada andava avanti da sola, senza che nemmeno me ne accorgessi, poiché avevo percorso quella via molto spesso negli ultimi mesi. Un passo falso e le scarpe bianche sarebbero diventate color del fango, con un lago all’interno.

Plic.

Una goccia. Forse stava ricominciando a piovere. A quel punto mi sarebbe bagnata ben oltre le scarpe.

Plic.

No aspetta, non era pioggia quella.

Girai velocemente lo sguardo, per vedere con la coda dell’occhio una goccia rossa che si mischiava all’acqua della pozzanghera vicina. Quel colore era così strano. Formava degli sbuffi nell’acqua, come dei tentacoli che si diramavano nel marrone torpido del fango. Alzai lo sguardo finalmente, dopo molto tempo, tenendo pressato quel cappellino che così facilmente cadeva. Puntai gli occhi verso l’alto, sul balcone del palazzo accanto.

Una mano. Era attaccata al braccio in modo strano, innaturale. Come se le articolazioni si fossero ribaltate. Le dita erano rotte, e da quelle scendevano gocce di sangue.

Non provai paura, in realtà, mi sembrava solo tutto così finto. Come se guardassi quella scena in tv, o vedessi un manichino in una recita scolastica. Il viso dell’uomo non si vedeva, forse non c’era nemmeno. La pancia, invece, quella si vedeva. C’era molto rosso. Rosso ovunque, e pezzi di carne, di organi.

Cominciai a realizzare che quella era una persona. Una persona vera.

Ebbi un conato, e poi solo panico.

Mi stringeva lo stomaco per evitare di vomitare, un’altra mano alla bocca.

I ghoul!

Perché ero così lenta?! Dovevano essere stati ghoul che infestavano Tokio a fare una cosa tanto schifosa.

Mi misi a correre, pestando ripetutamente le pozzanghere, persi il cappellino e continuai, quasi a occhi chiusi. Il fiato era sempre di meno, col cuore che scoppiava dalla velocità, i muscoli bruciavano. Perché?

Presi di petto qualcuno, e per colpa dell’acqua caddi a terra. Sentivo l’umidità salire per i gomiti, un senso di disagio. Annaspai, cercando di alzarmi, ma tremavo così forte da riuscire soltanto a ricadere nell’acqua sporca.

-Ragazzina, ma che combini?-

Non volevo alzare lo sguardo. Avevo una paura matta di guardare sopra di me. Quando ci riuscii, le immagini erano comunque tutte appannate dalle lacrime. C’era un giovane uomo. No. Non un uomo, un ghoul. Aveva entrambi gli occhi rossi e non portava nemmeno una maschera. La sua espressione era stranita, gli occhi spalancati e le labbra socchiuse. Sentii la paura passarmi nelle vene, eppure nessuno dei miei muscoli si muoveva. Ero spacciata. Sarei diventata il suo pasto!

-Vattene da qui prima che qualcuno ti trovi, stupida. Sei fortunata ad aver incontrato me.-

Cominciai a notare che era un ghoul davvero strano, aveva i capelli lunghi, rasati da un lato, e i tatuaggi sulle braccia. Andava in giro vestito da punk o qualcosa di simile.

-Io… Io non…- Non riesco a muovermi! Stavo tentando di dire, ma le parole non uscivano dalla mia bocca, come se le corde vocali fossero seccate in gola.

-Eccoti! Uta di merda!- esclamò qualcun altro alle mie spalle.

Da brava codarda, tutto quello che riuscii a fare fu nascondermi la testa fra le mani, come per sparire nell’asfalto, anche per sempre, sarebbe stato meglio di morire nella bocca dei ghoul.

-Vattene, Goro, non ho voglia di giocare con te adesso.-

-Guarda, guarda. Chi c’è lì? Uno spuntino di mezza notte?-

No. No. Questo non poteva succedere. Non poteva succedere proprio a me. Dovevo reagire. Dovevo fare qualcosa. Raccolsi tutte le energie, sentivo i muscoli che dolevano, non volevano reagire. Appena in piedi…

BOOM!

Dolore. Cos’era successo? Dolore. Odore di sangue. Sangue? Il mio sangue. Dov’ero? La strada. Ero ancora in strada. Vedevo delle macchie di colore, o meglio delle sfumature di grigio. Un fischio stridente. Così forte da far scoppiare la testa. Non sentivo il corpo. Le due figure di prima erano lontane, stavano combattendo forse. Emanavano delle luci strane, come dei serpenti di luce. Ma cos’era successo? Sentii il mondo scivolare via, perdetti i senti mentre la guancia attaccata all’asfalto si bagnava di sangue.

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Capitolo 2
*** Scoperta ***


Aprii gli occhi dopo qualche minuto. La prima cosa che provai fu un dolore fortissimo che mi pervadeva la testa, il collo e in generale qualsiasi osso o muscolo avessi in corpo. Ancora era tutto appannato alla mia vista, come se vedessi attraverso una fitta nebbia al tramonto. A poco a poco, però, cominciai a distinguere delle figure. Un tetto. Una sedia. Una sedia? Perché non ero più per strada? Toccai attorno a me. Lenzuola, liscissime, come di seta. Dove cavolo ero? Cercai di tirarmi su ma riuscii soltanto a spingermi un pochino, poi il dolore si fece troppo forte. Ancora le orecchie che fischiavano. Dov’ero?! Cominciai ad avere il fiatone, il panico stava prendendo il sopravvento. I ghoul. I ghoul mi avevano presa, mi volevano mangiare. Indossavo una camicia da notte scarlatta. Sembrava anch’essa di seta, pregiata costosa. Dov’ero? Perché quei vestiti? Chi mi aveva cambiata?

La stanza era chiusa, buia, con una piccola luce accesa accanto al letto. Non c’erano finestre e dava la sensazione di essere sotto terra. Non potevo dirlo per certo, ma qualcosa, nelle pareti, nell’odore, me lo faceva pensare. Era tutto molto curato. Il letto aveva una struttura in ebano, intarsiata. La stanza, in generale, sapeva di pulito. Questo, però, non mi confortava affatto.

Il panico si insinuava dentro di me, mentre studiavo cautamente quel luogo. Il fiatone e il battito accelerato continuava. Non erano passati cinque minuti da quando ero svenuta?

Analizzando la situazione, sicuramente non sarei potuta scappare, dato che perfino mettermi in posizione eretta sarebbe stato un grosso problema. Non avrei nemmeno potuto urlare, chi mi avrebbe sentito?

Passi.

Cazzo. Mi avrebbero mangiata di sicuro. Servita come un piatto prelibato, agghindata come una prostituta per far gioire gli occhi degli astanti. I palmi delle mani mi si imperlarono di sudore mentre la maniglia della porta roteava.

-Oggi sei sveglia, mi pare!-

Il tizio di prima! Quello strano, con i piercing e i tatuaggi. Doveva essere un pazzo, o un maniaco, o entrambe le cose. Si avvicinò al letto e si sedette accanto a me. Tremavo. Allungò una mano e l’unica cosa che fui in grado di fare fu pararmi con le mani e serrare gli occhi, sentendo un dolore terribile alle ossa e a qualsiasi parte del corpo che fosse anche minimamente collegata alle mie braccia.

-Piacere, mi chiamo Uta- sussurrò con voce pacata.

Quando riaprii gli occhi vidi soltanto la sua mano tesa, in segno di pace.

-Chi sei tu? Dove sono? Ero in strada un momento fa e…-

-Mi dispiace, signorina, la devo già interrompere. Purtroppo lei è qui da quattro giorni, l’ho curata personalmente ma pensavo che sarebbe comunque morta. Si è dimostrata più forte di quello che sembra.-

-Cosa? Q… quattro giorni? Ma perché, perché mi hai salvata?Sei un ghoul!-

-È vero, ma a differenza di quanto pensano quelli della CCG e la maggior parte delle persone i ghoul non sono tutti uguali. Però, purtroppo, a ridurla in questo stato sono stato io stesso.-

-Cos… cosa?! Chi sei? Che vuoi? Non capisco!- continuavo a confondermi, a non capire. Cosa stava dicendo? Informazioni contrastanti.

-Calmati, il tuo corpo non è ancora in buono stato- dicendo questa frase mi toccò il viso, mi ritrassi immediatamente.

Aveva cambiato il lei con il tu in cinque minuti. Quel ghoul era matto da legare.

-Allora, fammi spiegare- continuò lui, sembrava non fregargliene niente che mi fossi ritratta. –Le cose stanno così. Quello in cui ti sei imbattuta l’altra volta era un individuo pericoloso, è un pazzo della ventitreesima di nome Goro, quello ci avrebbe messo un minuto a farti a brandelli, ti avrebbe strappato la carne dalle osse e…-

Si arrestò forse quando vide il mio sguardo pietrificato. Non sapevo se avrei vomitato lì, sul letto, quasi sopra di lui.

-Scusa- continuò -È che sono abituato a parlare così. Comunque, questo qui voleva farti fuori, quindi ti ho spinto per allontanarti. È che mi dimentico sempre quanto siano fragili gli umani e ti ho scaraventata sulla spazzatura in fondo alla strada. Quando ho finito di combattere con quello lì eri ancora a terra, svenuta, in una pozza di sangue. A quel punto avrei potuto cambiare un’ambulanza e scappare ma mi sentivo in colpa, e ti ho portata con me. Ovviamente i miei compagni mi hanno sgridato, ma alla fine sono riusciti a curarti e adesso non hai nemmeno più un osso rotto! Niente sangue dagli organi interni! Non sei felice?!- alla fine di questa frase la sua euforia era giunta all’apice, quasi saltellava sul letto come un bambino che parla di videogiochi.

Io ovviamente avevo avuto un nuovo conato, a parlare di ossa e organi interni sanguinanti.

-Scusa un attimo- provai a dire, cercando di sembrare calma –C’è una cosa che mi sfugge di questo discorso, ma se ero davvero così distrutta come dici, com’è possibile che adesso io non abbia nemmeno un osso rotto?-

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Capitolo 3
*** Incubo. ***


La luce del corridoio si era accesa un’altra volta. Segno che qualcuno, in quella casa, era sveglio. Non che questo volesse dire niente. Non potevo di certo capire se fosse giorno o notte. Non sapevo nemmeno quante persone ci vivessero, in quel luogo. Dopo tutto quel tempo, però, avevo capito che a un certo orario c’era più movimento. Ero quasi sicura fosse di notte.

Scandivo così il tempo.

Non che qualcuno mi tenesse prigioniera, no di certo. Ero semplicemente ancora troppo debole per alzarmi dal letto e andarmene.

Mi sentivo come un animale in cattività. Mi chiedevo quanto mancassi alla vita di sempre, alle mie amiche, al mio lavoro. Possibile che nessuno mi avesse cercato ancora?

Raccattai le mie energie per sollevarmi dalla solita posizione sdraiata. Tutti i muscoli del mio corpo dolevano e agonizzavano, ma almeno adesso sapevo il perché.

Tutto mi era stato chiaro il giorno prima, quando avevo chiesto a Uta cosa fosse successo.

 

-È normale che tu sia spaventata in questo momento, ma per favore, ascoltami per un minuto. Ho tutte le risposte- disse lui con il tono più pacato che probabilmente conosceva.

Quegli occhi rossi accesi, contornati dal nero più profondo mi mettevano in apprensione. Provavo paura al solo guardarlo.

-Allora sbrigati a spiegarmi perché qui non ci sto capendo niente!-

-Benissimo, quando ti abbiamo portato qui eri in condizioni così brutte che ci siamo trovati costretti a prendere una decisione di nostra iniziativa. Hai mai sentito la notizia di quel ragazzo trovato per strada con delle ferite gravissime, che poi è stato salvato grazie a un trapianto d’urgenza? È infine sparito.-

-Certo, tutti i telegiornali ne parlavano, ma cosa c’entra?-

-Il suo nome era Kaneki, non ricordi? Kaneki Ken.-

-Già. E quindi?-

-E quindi quel ragazzo si è salvato solo perché gli sono stati trapiantati degli organi di ghoul. È diventato un ghoul lui stesso alla fine, a causa di quegli organi.-

Il cuore mi batteva più forte, mi girava la testa.

-Non vorresti dirmi che sono diventata un ghoul!- urlai, sbattendo forte le mani sul materasso.

Un fitta mi pervase i gomiti, poi le braccia, le spalle, fino a sentirla nel collo. Il dolore mi fece lacrimare gli occhi.

-Tratta bene questo corpo che abbiamo salvato, per favore. Non sei ancora pronta per questi gesti avventati.-

Uta cercò di sfiorarmi, ma io ritrassi immediatamente la mano.

-Dimmi cosa mi avete fatto!-

-Non ti abbiamo trasformata in un ghoul. Abbiamo pensato di fare una prova. Ti abbiamo iniettato il mio sangue. Non è come un organo, poteva ammazzarti oppure salvarti, in ogni caso il suo effetto non sarebbe stato duraturo. Ti ha salvato la vita, accelerando la tua guarigione, ma non ti ha sicuramente trasformata. Ti sentirai strana per un po’ di tempo. Magari stai anche male, ma di certo ti salverai.-

 

Come dovevo sentirmi? Quell’uomo mi aveva salvata, eppure non riuscivo a non disprezzarlo. Appena vedevo quei suoi occhi scarlatti mi prendeva l’istinto di scappare, come una preda davanti al suo assassino.

Scappare.

Volevo solo andarmene.

 

Fu così che nonostante i dolori lancinanti raccattai i miei (pochi) averi e mi feci strada verso una fantomatica uscita. Non sapevo dove andare ma notai con sollievo che la porta era aperta. Non volevano davvero tenermi rinchiusa.

Passo per passo, mi addentrai in un corridoio lunghissimo. Moquette per terra e tante porte di legno ai lati. Un tipico edificio occidentale. I miei piedi nudi affondavano leggermente nel pelo della moquette e man mano che andavo avanti sentivo sempre più l’odore di fresco. Per il resto era tutto in semi oscurità, odore di deodorante, quasi asettico. Niente di più.

Finalmente trovai una scala, legno scuro, ebano forse, nello stesso stile del letto che tanto bene avevo conosciuto. Non era molto grande ma c’era una cura per i dettagli quasi maniacale. Tutto il corrimano era intarsiato con piccoli fiori.

Salii e finalmente, dopo giorni, vidi quella che poteva sembrare vera luce. Mi feci più piccola nella mia vestaglia, trovata ai piedi del letto. Mi copriva appena. Ero scalza. Come avrei fatto a uscire?

-Allora infine ce l’hai fatta!- esclamò una voce vicina.

Uta si nascondeva dietro un angolo. Quella sala probabilmente era soltanto una stanza di passaggio. Non c’era niente, tranne una porta alle sue spalle.

-Potrei andare?- chiesi timidamente.

Non volevo offenderlo, avevo solo bisogno di scappare.

-Certo. Non posso procurarti delle scarpe, però. Ti chiamerò un taxi e ti lascerò qualcosa per coprirti. Penso che qualsiasi cosa andrà bene. Ora però devi rimanere qui, non posso farti uscire al momento.

 

Così aspettai. In piedi, dolorante, finché non entrò Uta con un immenso trench scarlatto, a dirmi che il mio taxi mi stava aspettando. Me lo regalò. Io tornai a casa, immensamente felice, spaventata, e un po’ rammaricata dall’aver sfruttato così tutta quella gentilezza.

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Capitolo 4
*** Ritorno. ***


Ero lì. Il vento fresco mi faceva nuovamente rabbrividire. Qualche goccia di pioggia mi entrava negli occhi, eppure stavo ferma, immobile, nell’attesa di trovare il coraggio. Un altro giro attorno all’entrata. Una normalissima entrata. In una casa a un solo piano, confusa tra le altre. Eppure quella struttura, enorme, si snodava sotto terra.

-Mmm… che buon odore- affermò una voce alle mie spalle.

Scattai. Cazzo.

Un uomo sulla trentina era spuntato dietro di me, aveva lunghi capelli e due occhi neri come la pece.

Cominciai a suonare il campanello compulsivamente.

-Bambina, non penso che ti salverà qualcuno. Pensavo di rimediare soltanto una maschera e invece ho il tempo di fare uno spuntino.-

Cazzo la porta! Perché nessuno apriva quella maledettissima porta? Continuavo a suonare mentre sentivo le mani di quello schifoso che mi scivolavano addosso.

-Un attimo! Stavo facendo uno spuntino!- sentii tuonare.

Così Uta aprì finalmente quella dannatissima porta. C’era solo un piccolo problema: aveva un occhio in mano, che stava per mettersi in bocca.

Cacciai un urlo così forte che lo feci spaventare. L’occhio gli scivolò dalle labbra e cadde a terra vicino al mio piede. Il tizio dietro di noi non capì niente, ma allentò la presa, stupido dalla scena.

 

Riuscii a non scappare a gambe levate. Un po’ perché mi ero fatta più coraggiosa con i ghoul, forse anche per paura di imbattermi in qualcun altro dei loro amici. Ero seduta da dieci minuti in un angolo di quella sala scura, stranissima, mentre i due confabulavano sul lavoro che stava per essere commissionato a Uta. Lui continuava a guardarmi di sottecchi, un po’ impaurito, un po’ come qualcuno che continua a scusarsi. Avevo ancora tra le mani quel cappotto. Mi sentivo in imbarazzo, eppure non sapevo dove lasciarlo.

 

Dopo circa mezz’ora il ghoul se ne andò, mi diede un ultimo sguardo come un affamato che lascia sul tavolo un bento pieno di prelibatezze, quasi potevo vedere mentre si asciugava le labbra umide di saliva dall’acquolina.

-Via!- esclamò Uta in tono scherzoso, ma con aria stanca.

Si avvicinò a me. Non avevo più paura. Forse soltanto un po’ di fifa latente, ma nulla che non si potesse affrontare.

-Allora, dimmi. Come mai sei qua?-

-Non dovrei? Se vuoi me ne posso andare.-

Bugiarda, era solo una scusa per scappare da quella situazione imbarazzante e da incubo.

-Non ti manderei via, soltanto che non mi aspettavo che saresti stata così coraggiosa da tornare. Avrai pure qualcosa da dirmi, però-

Certo che ce l’avevo, quell’attesa mi era servita per elaborare al meglio il mio piano.

-Sono tornata per ridarti il tuo cappotto, ringraziarti e farti una proposta.-

Non potevo di certo chiedergli di quelle visioni, o per lo meno, non sarei mai stata abbastanza coraggiosa da farlo. Avrei scoperto le cose a poco a poco, cercando di entrare in confidenza con lui.

-Una proposta?-

-Ecco, tu mi hai salvato la vita, e io non ti ho mai ringraziato, non ho fatto altro che scappare ed essere scontrosa e scostante, così vorrei ripagarti.-

Lo pensavo davvero, in effetti.

-In che modo? Guarda che non l’ho fatto per essere ringraziato. Non sapevo nemmeno se ci sarei riuscito e comunque ho sempre avuto paura che mi avresti odiato e basta. Sai, noi cerchiamo di non uccidere gli umani se non è necessario.-

-Però l’hai fatto, e adesso io sono in debito con te. Quindi ascoltami, non ho molto con cui ripagarti ma c’è una cosa che so fare, so disegnare e progettare. Quando sono entrata qui dentro e ho visto tutte queste maschere mi è venuta un’idea: posso progettare per te, non mi dovrai pagare, quindi tutto il lavoro che farò sarà per ripagarti del tuo sangue, dei soldi per il taxi, ma soprattutto per la tua gentilezza. Che ne pensi?-

 

Così, da quel giorno, iniziai a lavorare per Uta.

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Capitolo 5
*** Avvertimento. ***


Da quando avevo fatto quel patto con Uta le mie giornate erano più incasinate che mai. Il lavoro per i ghoul era squisitamente notturno. Non che non potessero girare di giorno, ma semplicemente era più comodo, per un ghoul senza maschera, andare in giro di notte per non farsi notare. Questo mi permetteva di studiare e continuare la mia vita diurna come sempre. Appena finivo le lezioni, però mi fiondavo in laboratorio. Uta diceva che non era saggio che incontrassi i clienti e comunque loro non avrebbero gradito, quindi stavo in una stanza al piano di sotto, che aveva adibito a studio. In effetti, non avevo visto nessuno a parte il tizio del primo giorno. Solitamente, Uta era al piano di sopra a intrattenere i clienti, ma a volta, quando sapeva di avere un po’ di tempo, scendeva e vedeva il mio lavoro, mi dava consigli pratici. Non conoscevo i volti dei committenti, lui diceva che mi bastavano le misure antropometriche, e sia. Capitava che qualche volta mi addormentassi lì. Mi ritrovavo la mattina dopo avvolta da una coperta, erano le uniche notti in cui non avevo incubi. Negli ultimi tempi succedeva così spesso che avevo lasciato un cambio in quella casa, così da non dover correre la mattina prima di andare all’università.

 

-Farai tardi anche oggi, vero?-

Mi chiese una voce da dietro le spalle, mentre correvo con una manica della giacca ancora abbassata.

-Mai. Correrò ogni giorno più velocemente!-

-Secondo me non ti fa bene al fisico lavorare di notte- sussurrò Uta, mezzo addormentato.

Quella mattina indossava dei pantaloni del pigiama con fantasia tartan e una canottiera.

-Ma che! Va tutto benissimo!-

-Ricordati che stai facendo tutto questo perché ti ho salvata, se ti rompi di nuovo che facciamo?-

-Rompermi? Certo che tu sei stran…-

Mentre rispondevo a tono, aprii la porta, per trovarmi di fronte un vecchio. Aveva dei capelli di un bianco candido, il volto rugoso e nonostante fosse anziano si innalzava sopra di me con fierezza, doveva essere stato un gran bell’uomo da giovane.

Sussultai.

Uta si fece davanti a me con uno scatto, per poi tirarsi indietro in un momento e piegarsi in un inchino di scuse.

-Mi scusi, signor Yoshimura.-

Quella scena mi lasciò senza parole. Non avevo capito cos’era successo. Uta si era mosso così velocemente che non avevo fatto in tempo a capire i suoi movimenti. Sembrava qualcuno di importante. Era sicuramente un ghoul, dato che non avevo mai visto un umano entrare da quella porta, eppure sembrava così calmo e pacato. Non voleva mangiarmi e non si era nemmeno mosso alla mia vista.

-Io… io credo che me ne andrò- sussurai, in preda all’imbarazzo e alla paura.

-No, ragazza, dovresti restare- rispose il vecchio, gli occhi socchiusi, puntati su di me.

Guardai Uta in cerca di una risposta ma i suoi occhi erano fermi, come se stesse ammettendo di non poterci fare niente.

 

-Fatemi capire cosa sta succedendo qua- esclamò il vecchio, mentre eravamo seduti in una saletta del piano di sotto, una delle tante stanze che non avevo mai visto.

Uta sembrava in preda al panico, continuava a rosicchiarsi le unghie e girare gli occhi da una parte all’altra. Pareva volesse sparire da qualche parte. Inspirò forte, come volesse iniziare a parlare ma lo scavalcai.

-È stata tutta una mia idea. Uta mi ha salvato la vita, così ho pensato di ripagarlo. Mi sono messa a lavorare per lui. Non so come siate organizzati voi ghoul, se avete una società o se siete tutti come vi dipingono alla tv, assassini efferati senza cervello, però se esistono delle leggi deve sapere che Uta non ne ha infrante.-

-So che ti ha salvato la vita, c’ero anche io quando l’ha fatto. Ha chiesto consiglio a te. Però non era questo che intendevo fare quando ti ho salvato. Comunque, come fate con i volti dei committenti? Voi umani non dovete MAI sapere dei nostri volti. Conosci già il mio, e questo potrebbe essere molto grave.-

-Io non so niente di nessuno, Uta non mi fa vedere i volti dei clienti. Tutto qui.-

Il vecchio guardò seriamente intorno a sé, puntando lo sguardo sul ghoul accanto a me.

-Siete amanti?- chiese a entrambi.

Arrossii.

-No- rispose Uta.

-Non mi fido di te, ma sarebbe ancora più pericoloso se arrivaste a innamorarvi. La società non è fatta per delle coppie miste, sarebbe gravissimo e vi metterebbe entrambi in serio pericolo- asserì il vecchio.

-Non si preoccupi, signor Yoshimura, non c’è niente da temere. Sto soltanto lavorando per lui- risposi.

-Perché?-

-Per ripagarlo.-

-Perché?- chiese ancora, con quello sguardo che sembrava scrutarmi dentro, serissimo.

Arrossii. Non risposi.

Il vecchio si alzò, sentivo lo sguardo di Uta puntato sulla nuca. Dopo qualche secondo i due uomini si incamminarono verso l’uscita senza dire niente. Sentii dei borbottii, stavano confabulando sempre più in lontananza, evitando di essere sentiti.

 

Qualche minuto dopo la porta del salottino si aprii di nuovo. Stavo giocando col camoscio, disegnavo figure con i peletti e poi tornavo indietro, li cancellavo.

-Ehi- esclamò Uta, sempre pacato.

I suoi lunghissimi piedi nudi entrarono nel mio campo visivo. I pantaloni erano oltremodo larghi, e stavano su solamente grazie al laccio in vita. Aveva un fisico asciutto e molto slanciato, doveva essere alto non meno di un metro e ottanta. Se fosse stato un uomo, sarebbe sicuramente stato un bell’uomo.

Si inginocchiò davanti a me, entrando completamente nel mio campo visivo.

-C’è qualcosa che non mi vuoi dire-

-È una domanda?-

-Affatto, piuttosto un’affermazione. Ora dimmi cosa c’è che non va. Ti sei spaventata per prima? Non ti devi preoccupare, può sembrare un po’ rozzo ma Yoshimura è davvero un uomo di buon cuore, è molto bravo a…-

-No- lo interruppi.

Come facevo a dirglielo?

-Quindi?-

-Io… sai mi è successo…ho avuto degli incubi.-

Così gli raccontai tutto.

Le visioni.

Il sangue.

Il sangue.

Fu in quel momento che lo vidi davvero affranto, lo vidi umano. I ghoul potevano piangere? Sì. Lo scoprii in quel momento. Quando vidi cadere quelle lacrime dai suoi occhi era come se la mia mano non si potesse trattenere dal toccarlo. Rabbrividii al contatto. La sua pelle era liscissima. Gli accarezzai la guancia e gli asciugai le lacrime. Uta sembrava irrigidito, ma presto si abituò.

-Che succede?- gli chiesi, cercando la voce più dolce e calda che riuscissi ad avere.

-Quelle cose…- singhiozzò –Quelle cose che hai visto… erano ricordi. Ricordi miei.-

-Vuoi parlarne? Ce l’hai con me? Giuro di non essere venuta qui soltanto per curiosità, io volevo capire, sentivo il tuo dolore come se fosse il mio. Volevo solo aiutarti.-

Mi sentivo in colpa, come se fossi stata scoperta mentre spiavo qualcuno.

-No, non ce l’ho con te. Va bene così.-

Appoggiò la testa alle mie gambe. Sentivo il suo respiro su di me. Non sapevo che fare. Avevo una mano sollevata in aria, l’altra, quella che avevo usato per asciugargli le lacrime, era rimasta vicino al suo volto. Ero irrigidita e in ansia. A un certo punto, però le lacrime scesero più copiosamente. I singhiozzi erano più forti, più isterici che mai. Lo strinsi tra le braccia come si fa con un bambino, in silenzio. Sembrava la cosina più fragile dell’universo, eppure sapevo che era un ghoul, un mostro assassino che poteva sbranarmi da un momento all’altro. Un bambino indifeso. Un ghoul.

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Capitolo 6
*** Quando ti guardai negli occhi ***


-Scusami- borbottò Uta, con un filo di voce.

Mi guardò, e intanto si strizzò gli occhi, pieni di lacrime.

-Hai voglia di parlarmi? Se non vuoi, non fa niente, va bene così.-

Gli asciugai un’altra volta le lacrime e lui si sedette accanto a me, sul divano scamosciato. Respirava forte, come per calmarsi. Il volto verso terra, le mani giunte che si strizzavano da sole con tanta forza da diventare bianche.

-Io…- cominciò. –Io… Non ce la faccio!- esplose.

Era esausto, sfiancato. Come se volesse davvero riuscirci ma ci fosse qualcosa che lo frenava.

-Tranquillo. Se vorrai parlarne, io sarò qui- risposi con voce dolce.

Insinuai una mano tra le sue, per separarle da quella stretta che sembrava far male solo alla vista.

Appena lo sfiorai, la sua forza si dissolse, le mani tornarono del loro colore naturale. Le separai piano, e loro seguirono i miei movimenti. Uta guardava le nostre mani, poi si girò verso di me e mi fissò negli occhi. Quegli occhi rossi erano stranissimi. Non avevano pupille ma piuttosto dei cerchi attorno all’iride. Il nero era profondissimo, senza sfumature chiare.

-Ti danno fastidio?- mi chiese.

-No.- Ed ero seria, mi incuriosivano e basta.

-Posso sempre cambiarli, se vuoi.-

Mentre lo diceva, in un battito di ciglia, il nero e il rosso si diradarono. Spuntò un nocciola chiaro, quasi color miele. Così non era lui.

-Andava bene anche prima- ripetei, e gli poggiai una mano sugli occhi, come per farli ritornare a posto.

Ancora bendato dalla mia mano si avvicinò a me. In fondo, c’era ancora qualcosa che mi faceva sentire una piccola preda di fronte a un maestoso predatore. Quella sensazione che ti spinge a scappare con tutte le tue energie. Lo celai dentro di me mentre Uta si avvicinava. Sentivo il suo odore, qualcosa che conoscevo già. Il suo fiato, invece, era qualcosa di nuovo. Lo sentivo avvicinarsi alle labbra, la mano si spostò su quegli strani capelli, mentre i suoi occhi rimanevano socchiusi. Non esisteva più nient’altro, se non la sensazione della sua bocca sulla mia. Non avrei mai potuto pensare che sarebbe stato così delicato. Anche le sue mani si mossero, avvolgendosi attorno a me.

Era forte, di una forza bruta e incontrollabile, eppure era così delicato. Mi tirò verso di lui senza il minimo sforzo, come se non pesassi, e il mio corpo si attaccò al suo. Mi sollevò così facilmente e mi portò in braccio fino alla stanza in cui avevo dormito, poi mi buttò sul letto, quasi violentemente.

Mi sentivo in gabbia, avevo paura, eppure era quello che volevo fare.

I suoi baci erano caldi, forti. Mi baciò e continuò a baciare e poi continuò ancora, ovunque. Mi tolse i vestiti con forza, senza pensarci due volte. Nemmeno io ci pensai. Sembrava dovesse semplicemente andare tutto così. Finché non cedetti a lui, alla sua forza, al suo odore che ormai era ovunque su di me. Potevo sentirlo in qualsiasi parte del corpo.

 

Mi svegliai con un brivido di freddo. Il tempo, fuori, doveva essere cambiato. Non ci avevo fatto attenzione quella mattina, quando ero quasi uscita.

Il signor Yoshimura…

Aprii gli occhi e trovai Uta davanti a me, gli occhi chiusi, la bocca leggermente aperta, un’espressione fanciullesca sul volto. Era completamente nudo, e solo da poco avevo notato che il suo essere slanciato celava in realtà una enorme massa muscolare. I suoi tatuaggi coprivano gran parte del suo corpo, mi piacevano. Mi spinsi in avanti e gli baciai la mano, stesa verso di me.

Aprì gli occhi di scatto, occhi iniettati di rabbia, completamente diversi di quelli di qualche ora prima. Il bambino era scomparso, questo era il predatore.

Feci un balzo indietro, impaurita.

-Scusa- chiese lui, ancora addormentato.

Probabilmente era stato un riflesso, o qualcosa del genere.

-Non è niente. Che succede?- chiesi, un po’ impaurita.

-Ho soltanto fame, niente di preoccupante, appena trovo la forza per alzarmi vado a mangiare.-

Ah…

-Ecco, posso chiederti una cosa?- Mi stesi di nuovo accanto a lui, che mi avvolse il braccio attorno al collo. –Ti darebbe fastidio se ti vedessi mangiare?-

-Perché?- chiese lui in preda al panico. –Hai sempre dimostrato che ti fanno schifo queste cose, pensavo che ti venisse da vomitare!-

-È vero, ma non posso chiudere gli occhi e fingere che non esista, voglio vederti, capire chi sei, cosa fai. Far finta di niente non è utile.-

-E sia…-

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Capitolo 7
*** Quando mi accorsi di quello che stava succedendo. ***


Sabato pomeriggio.

Ovviamente non avevo niente, da fare, avevo saltato le lezioni il giorno prima e mi sentivo tremendamente in colpa. Ma che ci potevo fare? Tutta colpa di Yoshimura e di quello che era successo dopo…

Insomma! Sarebbe potuta essere una normale giornata di riposo, tranquilla, a guardare la tv e mangiare robaccia in busta. C’era solo un problema, stavo per vedere un ghoul durante il suo pasto!

 

-Non mi piace farmi guardare dagli altri mentre mangio, di solito mi sporco, e poi per i ghoul è un momento molto personale. Lo sto facendo solo perché me l’hai chiesto!-

 

Queste erano state le parole di Uta, quando aveva risposto alla mia richiesta, eppure non avevo capito fino in fondo. Per un essere umano non è strano mangiare in compagnia, anzi è un momento piacevole.

Gli avevo ripetuto che se non voleva potevamo evitare, ma lui aveva risposto che ormai era deciso, quindi dovevo sopportare quella vista.

Ero leggermente in ansia. Ecco, più che leggermente, a dir la verità. Al solo pensiero del sangue, del cadavere, e di tutto ciò che ne poteva conseguire mi sentivo male. Mi si ammollavano le gambe e sudavo freddo, ma ormai cosa potevo fare? Ero stata io a chiedere, e da ciò che avevo capito Uta era uno che non rifiutava mai una sfida, o anche soltanto qualsiasi cosa che lo mettesse in difficoltà.

 

-Vieni qui!- mi urlò dal corridoio, ero in studio a lavorare a delle maschere, miglioravo di giorno in giorno, anche grazie ai consigli di Uta.

-Dove?- urlai di rimando, cercando di seguire la voce in quell’immenso, oscuro corridoio.

-Qui!- esclamò spuntando dal nulla, per spaventarmi.

Io, ovviamente, saltai in aria!

-Stupido.-

-Allora, seguimi, ho una stanza apposita per questo genere di cose, sai, si fa un po’ di casino, anche se con i metodi odierni c’è sempre la possibilità di fare le cose in modo sistemato e pulito, ma non si sa mai.-

Dicendo così mi prese per mano e fece strada. Era mezzo nudo, indossava semplicemente un paio di boxer. I muscoli risaltavano e sembravano ingigantiti sotto quella luce fioca, potevo vedere la sua forza immensa. Sentivo il corpo dolorante, ero piena di lividi. Non è che Uta mi avesse fatto male volontariamente, ma penso che qualche volta non avesse il controllo della sua forza, soprattutto nei momenti… ecco… quelli di maggiore euforia. Le sue mani sarebbero state già abbastanza potenti per essere un comune uomo –erano grandi e forti- figuriamoci dato che era un ghoul.

-Eccoci qua! Questa è la mia dispensa- esclamò.

La stanza non era altro che una distesa di frigoriferi assemblati uno accanto all’altro, alcuni freezer erano addirittura impilati sopra altri. Le pareti erano coperte da un telo di plastica, così come il pavimento, a cui mancava la moquette.

-Scusami, ma… a cosa ti servono tutti questi?- chiesi indicando il bianco sgargiante degli elettrodomestici.

-Bhe, vedi, il corpo umano è decisamente più grande di una fetta di carne. Non puoi certo chiedere una fetta di umano al macellaio, è necessario prendere il pacchetto completo. Inoltre, ho una riserva in freezer per le evenienze e un’altra riserva per i clienti che si trovano in difficoltà. Un cliente può venire qui e ordinare un pezzo di carne se non è capace o non riesce a cacciare. Abbiamo una riserva qui, e un’altra all’Ante… Niente! Un’altra ce l’ha Yoshimura, tutto qui.-

Uta era diventato strano di colpo, come se avesse omesso una parte del discorso. Probabilmente dipendeva da qualcosa che gli aveva detto il vecchio? Lo guardai dritto negli occhi.

-Non guardarmi così, di’ qualcosa, perdio!-

-Sì, scusami, stavo solo pensando. Ho solo una domanda, dove li prendete tutti questi… riserve?-

Non ce la facevo a parlare di esseri umani, non ce la facevo proprio.

-Beh, ecco, vedi, molto spesso il signor Yoshimura incarica qualcuno di andare a prendere dei cadaveri freschi, prima che se ne accorgano gli umani. A quel punto li congeliamo all’istante. I ghoul non hanno bisogno di mangiare ogni giorno quindi se non hai fame al momento è sempre meglio conservare tutto. Non che sia una prelibatezza, sai, la puzza di carogna un pochino si sente e…-

Avevo decisamente cambiato espressione, per non parlare del fatto che pensavo di essere diventata verde. Tutto quel discorso sui cadaveri mi dava il voltastomaco.

-Scusa, puoi continuare, non volevo interromperti- risposi, biascicando un po’ le parole.

-Mi scordo sempre che queste cose ti fanno stare male. Comunque se sei disposta a guardarmi devi essere disposta anche a sentire queste cose, sai?-

-Certo, è stato un errore, non ci fa niente. Anzi, volevo chiederti, ma voi ghoul non cacciate solitamente? Cioè per il tg siete sempre dei mostri assassini, e ora tu mi parli di non uccidere e conservare, e rivendere, non capisco.-

-Ecco, vedi, tutto parte dal signor Yoshimura. Lui dice che dobbiamo integrarci nella società e non entrarvi in conflitto. Certo, niente mi fa sentire meglio di uccidere qualcuno di soppiatto e mangiarne la carne fresca, ancora calda…-

Si girò di scatto verso di me. Durante le ultime parole il suo tono era cambiato, era feroce, animalesco. Sembrava quel ghoul che s’era risvegliato nel letto l’altra mattina. Parlava a denti stretti, quasi come se volesse trattenere le zanne, e gli occhi gli si erano iniettati di rosso.

Gli misi una mano sul volto e lo accarezzai.

-Mangia, prima che tu perda il controllo- sussurrai.

Non avevo paura, nemmeno un po’. Cosa potevo fare contro di lui? Niente. Se avesse deciso di attaccarmi, di “rompermi” e mangiarmi pezzo per pezzo non avrei potuto fare niente, eppure continuavo a non avere paura.

 

A quanto avevo capito, Uta aveva una sorta di rito, secondo cui impostava il suo pasto. Iniziava ad aprire i frigoriferi uno per uno, alla ricerca di quello che desiderava veramente. Dentro, vi era impilata un’infinita quantità di pacchettini. Ognuno recava il suo prezzo, poiché sarebbero stati dati ai clienti.

-Io, però, se ho voglia, prendo quello che mi piace di più senza badare a spese!- aveva esclamato, quando gli avevo chiesto.

Alla fine aprì un frigo a pozzetto. Lì c’era… sì, c’era un essere umano. Testa, occhi, faccia. Qualcuno che fino a qualche tempo prima aveva vissuto, era stato umano. Pensavo che le mie gambe non ce l’avrebbero fatta.

-Scusami, io di solito mangio così, se ti dà troppo fastidio posso sempre mangiare qualcos’altro. Devi essere tu a dirmelo.-

-No, mangia quello che vuoi, se voglio capire quello che fai non posso chiederti questo.-

 

Fu così che Uta posò l’essere umano per terra, con leggerezza, come fosse vuoto, o si trattasse di una bambola di plastica. Iniziò a mangiarlo dalla pancia. Vedevo solo sangue, schizzi, sentivo il rumore delle ossa che scricchiolavano sotto i denti di Uta.

Sangue.

No, non dovevo pensarci, non dovevo pensare a quel sogno.

Eppure, sentivo le gambe che tremavano, un sudore freddo preannunciava la nausea imminente. Uta continuava a sporcarsi di quel liquido rosso che facevo fatica a chiamare sangue. Tutto il suo corpo ne era invaso e sembrava divertirsene. Perfino le spalle erano sporche, alcune manate formavano delle impronte sbavate sui muscoli perfetti.

Una goccia di sangue mi raggiunse in pieno volto. Potevo sentirne l’odore e la consistenza. Mi toccai la faccia e vidi quel rosso coprirmi le mani, non era solo sangue, c’era qualcosa di solito. Rimisi la colazione per terra e per la vergogna scappai via. Sentivo il corpo tremare senza che lo potessi controllare.

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Capitolo 8
*** Idillio. ***


-Posso?- sussurrò piano una voce dalla porta.

Non riuscivo a credere di aver fatto quella scenata. Mi ero messa in ridicolo solo perché pensavo di poter affrontare la vista di tutte quelle cose orribili. Non riuscivo nemmeno a pensarci. Che codarda.

-Come vuoi…- risposi biascicando, stretta al cuscino, nella stanza da letto.

La porta si accostò leggermente, un occhio penetrante si intravide dalla fessura creatasi. Sembrava quasi la scena di un film horror, ma io non avevo paura.

Uta spinse un altro po’ la porta e cominciò a camminare verso di me. Il suo corpo esile era passato da uno spazio minuscolo. Forse l’impossibilità di mangiare qualsiasi altra cosa tranne caffè e proteine non permetteva di ingrassare. Che fortuna.

Perché mi perdevo in questi ragionamenti?

Per non pensare, ecco il motivo.

-Se ti disturbo puoi sempre dirmi di andarmene.-

Riusciva sempre a trovare quella voce dolce, profonda. Sono sicura che per molti sarebbe stato uno shock vederlo così, chi sa com’era in un combattimento.

-Non disturbi- esclamai, cercando (per l’ennesima volta) di tornare alla realtà –La verità è che sono una stupida. Ho cercato di fare qualcosa in cui non sarei mai riuscita.-

Non sapevo nemmeno perché stavo dicendo quelle parole. In fondo, non aveva senso confidarsi con lui.

-Ho apprezzato che tu abbia cercato di entrare nel mio mondo, ma forse era troppo per te, oppure troppo presto.-

Mentre parlava si sedette ai piedi del letto, abbastanza vicino da poterlo raggiungere, ma abbastanza lontano da mantenersi ai margini del mio spazio vitale.

-Scusami, ti ho rovinato il pasto, e probabilmente anche messo in imbarazzo.-

-Non è vero, ho mangiato dopo che te ne sei andata, e poi, sai, tra tutte le stanze di questa casa hai scelto l’unica che è stata studiata per non essere macchiata.-

Rise da solo, come uno stupido. Era una risata folle, un po’ isterica, eppure era tenerissimo.

Mi avvicinai a lui, a gattoni sul letto, e lo baciai. In bocca aveva un sapore strano, qualcosa che non avevo mai sentito, eppure, non riuscivo a pensare che fosse un brutto sapore. Era qualcosa di dolce e aspro allo stesso tempo. La mia mano era sommersa da quella massa di capelli corvini, che pungevano soltanto da un lato della testa. Persino le ciglia erano foltissime, mi solleticavano le guance mentre si piegava, seguendo i miei movimenti. I suoi baci erano forti, quasi aggressivi, così come la presa delle sue mani. Alcune volte sentivo anche un filo di dolore, era piacevole. Le labbra di Uta percorsero il mio collo e si fermarono alla sua attaccatura, proprio accanto alla clavicola, lo sentivo indugiare su quel punto ancora e ancora finché non si spostò di scatto. Senza pensarci portai una mano lì ma non c’era niente.

 

Finalmente trovai le forze per aprire gli occhi. Non che avessi sonno, ma eravamo stati così precipitosi e avventati che mi sentivo come se avessi appena scalato l’Everest. Uta era steso a pancia in giù, il viso affondato nel cuscino (mi chiedevo come potesse respirare), coperto a metà e con un braccio buttato su di me. Lo presi e lo spostai delicatamente, pensando che lo avrei svegliato, ma non si mosse. Fu a quel punto che capii cosa era giusto fare.

Mi mossi lentamente, poggiando soltanto le punte dei piedi. Ero sempre stata brava a non fare rumore, a scappare senza farmi sentire. I vestiti erano ormai andati distrutti, così presi quello che potevo raccattare, un paio di pantaloncini di Uta, una maglietta vecchia, e mi coprii col trench che gli avevo riportato l’ultima volta. Appena uscita dalla porta mi fermai nello studio e scrissi una nota. Infine, come una ladra, mi incamminai verso l’uscita senza guardarmi indietro.

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Capitolo 9
*** Quando diventò tutto rosso. ***


Casa sembrava così vuota e solitaria adesso. Non avevo mai avuto problemi a vivere da sola. Fin dal liceo era stato più il tempo in ci avevo pensato a me stessa rispetto a quello passato a convivere con qualcuno. Mio padre non era esattamente il tipo di genitore presente nella vita della figlia. Sempre occupato con il lavoro, aveva preferito guadagnare e spedire i soldi a casa. Mia madre, invece, era una donna frivola che riusciva a pensare soltanto a uscire da casa e rientrare di notte, o meglio di mattina. Ero quasi sicura che tradisse mio padre, che magari tradiva lei, a sua volta. Avevo sofferto per lungo tempo, avevo sperato di avere qualcuno, una madre o un padre, almeno uno dei due che fosse presente nella mia vita. Quando ero piccola per me era un peso insopportabile. Arrivato il liceo, infine, avevo capito che contare sui miei non sarebbe servito a nulla, e se volevo vivere la vita che mi meritavo dovevo distaccarmi da quel legame inutile.

Non avevo mai creduto nelle storie d’amore, né nelle anime gemelle, o in qualsiasi altra cosa che non fosse calcolabile con una legge di scambio o avesse un senso logico.

Quando infine me n’ero andata a Tokio per l’università, avevo semplicemente chiesto dei soldi a mio padre, e lui non aveva esitato nemmeno un secondo. Aveva inviato una bella lettera con mille parole carine, e non si era più fatto sentire.

 

Non avevo mai provato quel senso di vuoto nel vedere la mia casa immersa nell’ombra, silenziosa.

Avevo abbandonato Uta, è vero, eppure non mi sentivo in colpa. Non c’era niente tra di noi a parte una storia di sesso. Ero stata soltanto curiosa di capire quelle visioni, non c’avevo capito niente, e Uta non si sarebbe confidato.

In quella stanza, avevo provato un senso di claustrofobia, come se mi sentissi obbligata a rimanere lì dentro soltanto perché eravamo andati a letto insieme, o forse avevo soltanto avuto paura.

 

Era ormai ora di cena quando rientrai a casa. Stavo morendo di fame, avevo rimesso la colazione e saltato il pranzo, infine avevo corso per strada fino a casa mia, vergognandomi tremendamente per avere addosso quei vestiti assurdi.

La prima cosa che feci fu preparare la cena. Il mio stomaco si stava contorcendo. In seguito gli occhi mi caddero sui miei vestiti. Come potevo tenere quelle cose addosso? Tolsi i pantaloncini per mettere una tuta, ma quando venne il turno della maglietta cambiai idea e la tenni addosso.

Suonarono alla porta.

Qualcuno a casa mia? Negli ultimi anni erano venute a trovarmi forse tre persone, ma non ne ero sicura.

-Sì?- chiesi cercando di guardare dallo spioncino della porta.

Questo era messo un po’ in alto perciò la mia visuale era limitata. Non vedevo nessuno. Decisi di aprire comunque la porta.

-Midori!- urlò una vocina.

Dallo spavento quasi la colpii con il mestolo che tenevo in mano.

-Asa! Ma cosa ci fai qui?-

-Ero preoccupata per te, ovviamente. Non avevi mai fatto un’assenza prima e adesso hai saltato un sacco di giorni. Non è da te, pensavo avessi qualche problema.-

Entrammo in casa.

-Niente di che, Asa, semplicemente non è suonata la sveglia, può capitare.-

Cercavo di salvarmi, ma non sapevo se ero convincente. La piccola Asa fece uno sguardo strano.

-Midori, posso farti una domanda?-

Aspettai.

-Di chi è quella maglietta?- continuò lei, mentre fissava attentamente la t-shirt chiaramente oversize che avevo addosso.

-Un tipo. Un uomo con cui sono uscita. Niente di particolare.-

-Coosa?! Un uomo? Raccontami subito tutto!- urlò ancora lei.

Ovviamente non le raccontai niente, o meglio, cercai di scremare la storia in modo da potergliela raccontare, ma in questo modo le dissi così poco che potevo notare lo sconforto nei suoi occhi.

La invitai a cena e continuammo parlare del più e del meno, mentre cercava di estrapolarmi altre informazioni sul “misterioso uomo”, come lo chiamava lei.

 

Sentii bussare violentemente.

Ancora qualcuno?

Questa volta doveva essere un uomo a sentire dall’entità dei colpi. Che fosse Uta? Quell’uomo doveva essere parecchio arrabbiato. In effetti poteva essere lui.

-Che fai? Non ti alzi?- chiese la piccola Asa mentre fissavo la porta dal tavolo.

Senza risponderle andai dietro la porta a controllare chi fosse. Nonostante Uta fosse un po’ folle a volte non era stupido, si poteva sempre ragionare con lui, da quello che avevo visto. Non avevo paura di lui.

Mi alzai sulle punte per sbirciare dallo spioncino e vidi qualcosa, ma di certo non era quello che volevo vedere. Dietro la mia porta c’era un uomo che mi sembrava di aver già visto. Capelli lunghi e bianchi, occhi rossi e sclera nera, sbatteva i pugni così forte da far tremare la porta. L’avrebbe potuta staccare probabilmente. Mi guardai indietro e vidi Asa, un’espressione da bambina impaurita. Corsi verso di lei e la presi forte per un braccio, probabilmente le facevo male ma era più importante la sua vita.

-Nasconditi qui e non fiatare- le sussurrai mentre la spingevo in un angolo tra l’armadio e il muro, attaccata alla finestra aperta.

In questo modo, forse, il ghoul non l’avrebbe vista e magari non avrebbe nemmeno sentito il suo odore.

Sicuramente, però, aveva sentito il mio. Mi ero avvicinata troppo alla porta, sapeva che ero in casa. Cosa dovevo fare? Non avevo niente per attaccarlo, le normali armi non sarebbero servite a niente, l’avevano detto al telegiornale. Mi sedetti vicino al tavolo che avevo capovolto, per proteggermi. L’unica speranza era che la porta reggesse.

Non avrebbe retto molto, in ogni caso non dovevo aprire. Chi potevo chiamare? Uta sarebbe arrivato? Quanto sarebbe stato orribile chiamarlo dopo che me ne ero andata come una ladra? Cominciai ad armeggiare con il cellulare, cercando il numero.

La porta crollò.

Lo schianto era stato tanto forte da far tremare la stanza intera.

-Dove ti nascondi, bambina?- urlò soltanto per stuzzicarmi, sapeva benissimo dove fossi.

Il cellulare mi era caduto dalle mani, tentavo di recuperarlo ma i miei movimenti erano confusi e isterici. Tremavo.

-Eccoti!- esclamò, alzando il tavolo con una mano.

Cazzo.

Adesso potevo guardarlo in faccia, ed era ancora più orribile. Lo riconoscevo, era quel ghoul che avevo incontrato davanti a casa di Uta.

Mi prese per la testa e mi sollevò, sentivo tutte le ossa che mi scricchiolavano, le mani tremavano così forte da non riuscire a stringere quel braccio.

-Sai, bambina, ho pensato così tanto a te. Sembri proprio buona. Se quell’Uta di merda non mi avesse fermato, l’altra volta, ti avrei gustata lentamente. Sei polposa al punto giusto, con quelle cosce, quelle tette.-

Mentre parlava aveva la bava alla bocca, mi guardava con occhi famelici, il nero iniettato di rosso. La saliva gli colava vistosamente dalle labbra e di tanto in tanto se l’asciugava con la lingua lunga e puntuta.

-Vaffanculo…- riuscii a dire, tremando.

-Che bellina che sei, mi ecciti proprio- rispose lui, mentre mi odorava.

Potevo sentire il suo fiato sul collo, il suo naso che mi sfiorava. Che ribrezzo.

Un singhiozzo.

No! Asa! Perché ti eri fatta scoprire?!

-Ma come ho fatto a non accorgermi che c’è anche un’altra preda? Dev’essere che ti voglio troppo, bambina.-

Mi trascinò per la testa dall’altro lato della stanza, mentre si apprestava a catturare anche Asa.

-Lasciala stare, cazzo, mangia me. Non ti serve a niente mangiarci tutte e due, io sono più buona- biascicavo le parole, stringendo i denti per non fare capire quanto mi tremavano le labbra.

-Statti zitta.-

Mi diede uno strattone e rimbalzai per terra. Era stato così forte che tutta l’aria mi era uscita dai polmoni.

-Allora, vediamo. La prima sembra più buona, però anche l’altra non scherza, poi una volta che è capitato, meglio sfruttare la situazione. Da cosa comincio?- farfugliava ininterrottamente.

Nelle mie orecchie c’era un fischio agghiacciante e poi rumori di sottofondo: il ghoul che parlava, i singhiozzi di Asa. Un colpo. L’aveva zittita.

A quanto pare aveva scelto di mangiarmi per prima, dato che si avvicinò a me. Non capivo molto. Il fischio era così forte che avrei giurato di sentire il sangue uscirmi dalle orecchie. Cominciò da lì, mi leccò.

-Sei proprio buona.-

Era diventato rosso, eppure non provavo dolore. Scese lungo il collo. Incredibile come quel gesto, che poche ore prima era stato un atto di amore, adesso era diventato qualcosa di completamente diverso, violenza.

Adesso sentii il dolore.

Tanti aculei proprio sotto la clavicola, faceva così male che non ne faceva affatto.

Urlavo. Urlavo fortissimo, nonostante nulla potesse prevaricare quel fischio orrendo.

Rosso ovunque. I capelli bianchi si erano tinti. Li sentivo toccare il mio petto mentre si impregnavano del sangue.

-Vattene via ghoul di merda!- gridavo, sentivo il petto squarciarsi.

Le mani si mossero verso il suo collo e strinsi, strinsi e strinsi. Sentii di forare la sua pelle.

-Ma che cazzo fai?- urlò quello.

Non pensava fosse possibile. Adesso era veramente incazzato nero. Lo vedevo da quegli occhi. Si buttò a capofitto sulla mia pancia e diede un morso.

Stavo morendo. Le forze mi stavano per lasciare. Il sangue era da ogni parte. Il cuore andava velocissimo, troppo veloce, quasi sentivo dolore anche lì.

Me lo sentii staccare come si stacca una zecca dalla pelle. Anche quello era stato doloroso. Vedevo ombre e immagini confuse, mi era già successo. Il fischio non si era calmato nemmeno un po’.

Mi girai e vidi che c’era Uta, aveva una maschera ed era con altre maschere.

Portai una mano sulla pancia, non potevo sentire niente tranne il viscido del sangue. Era tutto confuso, era tutto dolore.

Asa! L’aveva mangiata? Era viva?

Cercai di inginocchiarmi ma le forze mi mancarono subito, così cercai di trascinarmi verso di lei. Dovevo assolutamente mettere tutta la forza nelle braccia, cercando di non squarciare ancora il petto.

Asa.

La vidi, era intera, il sangue le colava dalla testa, cercai di concentrarmi sul suo petto e vidi che si muoveva. Non doveva dormire o svenire.

-Asa! Asa!- urlai mentre cercavo di raggiungere la sua gamba.

Non doveva dormire o sarebbe potuta morire.

Aprì gli occhi lentamente e guardò verso di me. Grazie al cielo era viva! Nello stesso momento, però, il suo sguardo si trasformò in paura e poi panico. Guardava me e poi dietro di me.

-Ma cosa… ?- sussurrò, dovetti leggerle le labbra.

-Non temere…-

Volevo dirle altro, volevo rassicurarla ma di punto in bianco mi sentii così sfiancata, così affaticata. Volevo solo dormire. Non sentivo più niente, avevo solamente tanto sonno. Non sentivo più la mano che stringeva la pancia, i piedi erano leggeri e sembravano librarsi sopra il pavimento.

Vidi il viso di Uta come un’apparizione.

Sorrisi.

Diceva parole silenziose. Le sue labbra si muovevano avanti e indietro, come se stessero ballando. Anche lui era rosso. Era tutto rosso. Anche i suoi occhi erano rossi.

Non sarebbe stato male andarsene così. Cercai di accarezzargli il viso ma non sentivo la mano. Sapevo dove dovevano essere i muscoli che muovevano la mano ma proprio non li sentivo.

Non sarebbe stato male andarsene così.

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Capitolo 10
*** Risveglio. ***


Voci.

Sangue.

Allungo una mano verso una giovane donna. Le mie mani sono grandi, enormi, non sono le mie. Sangue. Gli occhi neri mi guardano senza luce.

Voci.

Gli occhi neri mi guardano preoccupati. Sono grandi. Le ciglia sono così lunghe che sembrano toccarmi. Chiudo gli occhi per paura che mi graffino.

Sangue.

Sembra che io stia scavando per terra. Cerco qualcosa, è importantissimo. Non posso assolutamente perderlo. Il sangue si mischia con la terra. Affondo le mani ma continuo a rimanere deluso. Le dita affondano e affondano.

Le dita. Se cerco di muoverle sento un dolore atroce, come se mille pezzi di vetro entrassero e uscissero contemporaneamente da me.

Ho il volto di Uta davanti, mi sta parlando. No. Forse urla a qualcun altro, ma io non riesco a sentirlo. Cerco di accarezzarlo ma non riesco a muovermi.

Buio.

 

Un fischio.

Chi è che fischia? è una persona che emette quel suono oppure un apparecchio? Non sembra un suono che potrebbe emettere un essere vivente. Forse sono le mie orecchie.

Comincio a ricordare di tutto quello che è successo: il ghoul che entra in casa, inizia ad attaccarmi, i morsi, Asa! Dov’è Asa?

Riesco ad aprire gli occhi a fatica. Sembrano appiccicati. Li ciglia sembrano staccarsi quando provo ad aprirli, tento di aiutarmi con il braccio ma non riesco a muoverlo. Alla fine, riesco a guardarmi attorno.

Non sono a casa. Avrò ancora una casa, poi?

Sono nella stanza di Uta? No. L’avrei già riconosciuta.

Provo a smuovermi e ci riesco. È strano, non sono morta e posso anche muovermi. Fa male tutto. Come se ogni singola cellula del mio corpo si ribellasse al movimento. Fa male qualsiasi parte del corpo. Per un momento fa così male che non ci vedo, non ci sento. Mi sembra di stare in una bolla di vetro. A poco a poco i miei sensi tornano. C’è Uta accanto a me, su una sedia. Sta dormendo profondamente, so che non si sveglierà mai, ha il sonno troppo pesante.

Dov’è Asa? Sarà viva? Ricordo di essermene accertata prima di svenire, eppure non ne posso essere certa, devo cercarla.

-Cosa pensi di fare?- chiede una voce assonnata.

Al minimo rumore, Uta si è svegliato. Non è da lui.

-Sono stato qui per giorni e tu pensi di svignartela appena riprendi coscienza?-

Finalmente ricollego i pezzi. Me ne sono andata. Prima dell’attacco, io ero scappata senza dire niente da casa di Uta. Lui era venuto a salvarmi. Mi aveva salvato la vita! mentre ero in quello stato d’incoscienza avevo visto sempre i suoi occhi. Non era un sogno, come avevo pensato, era rimasto sempre accanto a me quando stavo per morire.

-Stavo per morire…- ripeto ad alta voce.

-Allora l’hai capito.-

-Dov’è Asa?-

-Chi? La tua amica? Sta benone. Ha riportato un lieve trauma cranico. Le abbiamo detto di andare all’ospedale e dire che era caduta da una sedia. È a casa e si sta riposando.-

“Le abbiamo”

-Chi?- chiesi.

Uta si era avvicinato a me, mentre parlava, anche perché non sentivo bene.

-Chi sono gli altri?- ripetei, mentre mi aggrappavo alla sua felpa.

Lui mi guardò quasi con pena. Abbassò gli occhi su di me e pensai di sentirmi più tranquilla adesso che mi aveva guardata.

-Avevo capito che era successo qualcosa. Non so perché, ma sentivo che qualcosa ti andava male. Non sapevo che pericolo ci fosse, ma dovevo correre da te. In ogni caso, andare da solo poteva non essere sufficiente. Ho chiamato degli altri ghoul. In effetti, sarei bastato da solo.-

-Che ne è stato di quello?-

Che dolore alle mani. Stringevo così forte quella felpa da sentire i punti della cucitura che si strappavano, non sapevo nemmeno perché.

-Nulla. È andato, morto. Era un essere inutile, non mi sono nemmeno divertito.-

Posò le mani sulle mie, come per chiedermi di mollare la presa.

-Cosa è successo alle tue mani, Midori?-

Mi guardai. Erano completamente fasciate, bagnate di sangue, probabilmente per quella stretta così forte. Ricordai di aver infilato le dita nel collo di quel ghoul.

-Ma io…- c’erano dei suoni che uscivano dalla mia bocca, ma non sapevo di essere io ad emetterli.

-Quello era già ferito quando sono arrivato. Come hai fatto?-

Lo guardai dritto negli occhi, senza risposta. Avevo preso a tremare. Il cuore sembrava uscirmi dal petto e sentii pizzicare gli occhi.

-Va bene, lasciamo stare- concluse Uta con voce tranquilla.

Mi mise una mano sulla testa e non riuscii a trattenermi, scoppiai a piangere tra le sue braccia come una bambina. Non smettevo più. Tutte le ansie e le paure che avevo provato sembravano riversarsi fuori attraverso i miei occhi. Il petto sembrava squarciarsi nuovamente, anche la pancia faceva incredibilmente male ogni volta che contraevo gli addominali. Infine tossii. Quasi mi affogai poiché sentii irrorare la bocca da un liquido strano.

-Midori!- urlò Uta.

Prese un fazzoletto dal comodino e mi pulì il viso. Diventò tutto rosso. Perfino le mie mani erano diventate rosse, così come parte della mia maglietta.

-Ma cosa… ?- biascicai.

-I tuoi organi interni! Quello stava per mangiarti la pancia, abbiamo cercato di curarti ma non dovevi fare nulla. Nulla. Non dovevi piangere.-

Era seriamente preoccupato.

-Perché non sento dolore?-

-Non ne ho idea.-

Il suo sguardo era sgranato su di me. Aveva paura, era preoccupato. D’improvviso, però, i suoi occhi si irrorarono di sangue e lui sembrò famelico. Si girò di scatto, coprendosi il volto con una mano.

-Scusa- sussurrò.

-Non fa niente, lo capisco. C’è troppo sangue qui per te. Se te ne vuoi andare non te ne faccio una colpa.-

-No! Devo stare qui per te. Non cederò.-

Si girò di nuovo verso di me, gli occhi sembravano diversi. Mi rimise distesa, dato che io non riuscivo più a muovermi. Mentre mi spostava sentii il suo fiato addosso. Sapeva di buono. Poggiò gli occhi su di me e io fissai quelle iridi rosse in un campo nero. Sentivo la sua eccitazione. Avevo capito che per i ghoul la voglia di mangiare non equivaleva alla fame, era più simile a un istinto sessuale. Chiuse gli occhi e quel momento passò.

-Scusami- mi sussurrò all’orecchio, ancora chinato su di me.

-Non dovresti stare così, Uta- esclamò una voce potente da dietro le sue spalle.

Sussultai. Sentii dolore.

Uta era già scattato in piedi prima che potessi vederlo. Stava di fronte al vecchio ed era estremamente teso.

Yoshimura l’avrebbe quasi sicuramente ripreso, ma al momento si limitava ad avere uno sguardo grave.

-Devo andare?- chiese Uta.

No! Non andare, ti prego!

Non potevo dire quelle parole, non avrebbero risolto niente, mi sarei soltanto messa in ridicolo.

-No, Uta, rimani, forse la signorina si sentirà più propensa a parlare con te vicino.-

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Capitolo 11
*** Quando capii di non avere scampo. ***


Anche questa volta il signor Yoshimura stette ad ascoltarmi senza cambiare espressione. Nonostante avesse sempre quell’aria seria, adesso sembrava leggermente meno scontroso. Cos’aveva contro di me? In fondo, ero stata la vittima in tutto e per tutto, ero stata attaccata e quasi sbranata.

-Anche questa volta ti abbiamo portata qui per curarti, ma le tue ferite sono molto gravi. Nonostante ciò, portarti in ospedale vorrebbe dire rivelare l’operato di un ghoul che è scappato dalla nostra giurisdizione. Infine, Uta si è detto contrario riguardo il lasciarti andare.-

Uta si voltò verso di me con aria imbarazzata. Era stato con me per tutto quel tempo. Io praticamente non parlavo. Stavo zitta e ascoltavo il signor Yoshimura. Non so perché, ma nonostante fossi sul letto mezza squartata, e nonostante fossi vittima di un’aggressione, mi sentivo come una bambina che viene rimproverata dai grandi.

-Inoltre, c’è un'altra questione di cui dobbiamo parlare- continuò il vecchio.

Sicuramente di quello che ero riuscita a fare a quel ghoul, pensai.

-Del tuo fisico- esclamò Uta.

-Come?- chiesi, quasi incredula della risposta diversa dalle mie aspettative.

-Stai molto male- spiegò Yoshimura –Ci sono anche possibilità che tu non sopravviva. Qui ti abbiamo curata come curerebbero un umano in ospedale, ma questa volta potrebbe non bastare. L’ultima volta abbiamo usato il sangue di Uta, il problema è che se continuiamo queste cure potresti diventare, ecco, meno umana.-

-Scusi, ma di che stiamo parlando?!- esclamai, in preda al panico.

-Più sangue di ghoul entra nel tuo corpo e più vi è possibilità che la tua natura viri. Abbiamo già visto cosa succede ad impiantare degli organi ghoul in un corpo umano, avviene una semi-trasformazione. Nel tuo caso, il tuo corpo si abituerebbe lentamente, e con meno stress, cose che priva ti facevano ribrezzo adesso potrebbero sembrarti normali.-

-No!- quasi urlai –Non voglio rinunciare alla mia umanità, non voglio diventare un mostro!-

 

Dopo quella frase, sia Uta che il vecchio erano usciti, quasi senza commentare. Cosa avevo fatto? Sicuramente li avevo offesi, e per quanto non me ne importasse niente del signor Yoshimura (che comunque mi aveva salvato la vita per la seconda volta), ero comunque in pena per Uta, che mi aveva tenuta con sé per tutto quel tempo.

Come avevo fatto ad essere così insensibile?

Provai a smuovermi dalla mia posizione, ma l’unica cosa che provai fu dolore. Le gambe erano come intorpidite, forse sarei morta.

La porta si accostò, illuminando leggermente la stanza. Questa volta non eravamo sotto terra, piuttosto, la stanza sembrava al primo piano, una zona tranquilla di Tokio. Potevo riuscire a vedere la strada attraverso la tenda che copriva la finestra. La giornata era evidentemente autunnale, ma un pallido sole riusciva comunque a filtrare. Questo stesso doveva illuminare il corridoio, da cui proveniva un bagliore più forte.

Uta si affaccio da dietro la porta, faceva sempre nello stesso modo, prima sbirciava con la testa e poi si infilava attraverso uno spiraglio minuscolo, come per evitare di disturbare.

-Scusami- biascicai a testa bassa, ancor prima che iniziasse a parlare.

-Non sono offeso, però, Midori…- si avvicinò a me con aria grave.

Potevo sentire il suo respiro sulla guancia, mentre mi fissava, sedendosi sul letto. Nonostante fosse stato tremendamente delicato, avevo provato una fitta all’addome.

-Cosa c’è?- chiesi.

-Il signor Yoshimura pensava che fosse meglio te lo dicessi io. Il tuo corpo, vedi… tu stai molto male. La ferita sul petto è arrivata fino al muscolo, ma non ci sono danni gravi, tornerà a posto se non la sforzi.-

-Ma?- chiesi.

-Ma… ma la pancia, ecco, il problema è la pancia. Le ferite erano troppo profonde. Non hai idea delle risorse che abbiamo qui e di quanto sia organizzata la società dei ghoul, ma devi capire anche che abbiamo fatto tutto il possibile, e continui a vomitare sangue. Appena l’ho detto al vecchio non ha avuto dubbi, questa situazione non si risolverà così.-

-Che vuoi dire, Uta?-

Gli presi la mano e gliela strinsi con tutte le mie forze, che pure erano molto poche.

-Dovresti prendere in considerazione….-

-Cosa stai dicendo? Dovrei trasformarmi in un ghoul, come quel Kaneki? Io non voglio rinunciare alla mia umanità! Forse ho sbagliato prima a utilizzare quelle parole, ma per quanto riguarda il concetto, ci credo ancora. Perché Yoshimura non ha nominato quello che ho fatto al ghoul?-

-Gliel’ho nascosto, non volevo ci fossero conseguenze. Se lo scoprisse, passerei dei guai per averlo omesso. Inoltre, non sarebbe più tanto restio a darti il mio sangue, dato che probabilmente la transizione è già iniziata.-

Mi piegai su me stessa, con grande dolore, e mi coprii il volto con le mani. Cosa dovevo fare? Vivere e diventare un mostro assetato di sangue o cercare di sopravvivere con gli organi interni in pezzi? Avrei saputo rinunciare alla mia vita pur di non rinunciare alla mia umanità?

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