Piangeva spesso, Queenie, quando era
bambina. I genitori pensavano fosse a causa delle coliche, ma nemmeno
le pozioni servivano a farla stare meglio. Non potevano sapere che la
piccola singhiozzava per coprire il rumore che sentiva dentro la testa:
un brusio che le martellava il cervello, incessante.
La prima che si accorse dei poteri di
Queenie fu Tina. Non capiva perché alla sorella minore non piacesse
giocare con gli altri bambini o gattonasse subito da lei e la
stringesse quando si sforzava di essere forte nonostante la tristezza.
Fu Queenie stessa a farglielo capire, regalandole un disegno, fatto con
i pastelli a cera, che ritraeva un Augurey1, animale che
Tina aveva visto per la prima volta solo poche ore prima.
Da quel giorno, i Goldstein si
affidarono in gran segreto a un esperto di Oclumanzia, in modo che
insegnasse alla piccola a gestire quel dono che rischiava di farla
impazzire.
Con il passare degli anni, Queenie
riuscì a padroneggiare perfettamente il proprio potere, ma giurò a se
stessa che nulla sarebbe uscito dalle sue labbra. Si sentiva come una
muta bibliotecaria circondata da libri aperti, e il suo preferito era
No-magologia2. Nessun mago avrebbe mai raggiunto il suo
stesso livello di conoscenza a proposito dei no-mag. Aveva scoperto
tante cose su di loro e ben presto aveva capito che, nonostante
avessero sviluppato altre conoscenze rispetto al mondo magico, i cuori
dei no-mag erano uguali a quelli dei maghi: stessi incubi, stessi
desideri. Alcuni no-mag erano più crudeli dei maghi scuri, mentre altri
avevano la purezza degli unicorni.
Era sempre stata curiosa sui no-mag
perché si sentiva una privilegiata nel poterli capire così a fondo.
Ecco perché fu molto felice quando
sentì che nell’altra stanza Tina era tornata con degli ospiti inattesi.
Si fece trovare in coprente lingerie, per avere uno schietto giudizio
da parte di quei due sconosciuti. Il primo aveva in testa solo le sue
strane creature, e pareva totalmente disinteressato a lei; l’altro,
invece, la fissò senza parole, mentre il suo pensiero si sublimava:
“Quell’animale che mi ha morso è allucinogeno? Questa magnifica ragazza
è reale!?”.
I suoi pensieri non erano macchiati di
cupidigia, era solo curioso, come se non riuscisse a capacitarsi di ciò
che aveva davanti. Era la prima volta che Queenie si trovava di fronte
a una reazione tale.
Si accorse subito che Jacob, quel
no-mag, era diverso da qualunque altro uomo, e quando cominciarono a
parlare – quando lei iniziò il proprio monologo, mentre l’altro si
limitava
ad annuire e sorridere beota –, lo capì sempre meglio, rendendosi conto
che non avrebbe mai rincontrato qualcuno come lui.
E poco importava che Tina insistesse
tanto sul fatto che l’indomani lo avrebbero oblivato e riportato a
casa; Queenie lo avrebbe ritrovato seguendo la scia dei suoi pensieri e
sarebbe rimasta a guardarlo, sorridendogli da lontano, in attesa del
giorno in cui i maghi avessero potuto uscire dal loro ghetto per
crescere insieme ai no-mag, proprio come era accaduto a lei.