An Unexpected Host; Stars, Steel And Cross Bones

di MackenziePhoenix94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte: James ***
Capitolo 2: *** Peter Parker ***
Capitolo 3: *** Bad Memories ***
Capitolo 4: *** Have A Dinner With Me... ***
Capitolo 5: *** Tin Soldier ***
Capitolo 6: *** I Think I've Got The Cure ***
Capitolo 7: *** My Little Soldier... ***
Capitolo 8: *** Birthday Party (Parte Uno) ***
Capitolo 9: *** Birthday Party (Parte Due) ***
Capitolo 10: *** Sharon Carter ***
Capitolo 11: *** Where Is Bucky? ***
Capitolo 12: *** I Don't Trust Anyone ***
Capitolo 13: *** I Want To Be An Agent Of S.H.I.E.L.D ***
Capitolo 14: *** You Still Doubt? ***
Capitolo 15: *** Half-Truth ***
Capitolo 16: *** The Ferryboat ***
Capitolo 17: *** Another Cure ***
Capitolo 18: *** The Winter Soldier ***
Capitolo 19: *** The Other Side Of A Half-Truth ***
Capitolo 20: *** Twin ***
Capitolo 21: *** To Fall In Love ***
Capitolo 22: *** Thunderbolts ***
Capitolo 23: *** Training ***
Capitolo 24: *** First Mission ***
Capitolo 25: *** Who The Hell Is Bucky? ***
Capitolo 26: *** The Target ***
Capitolo 27: *** Are You Not Scared Of Me? ***
Capitolo 28: *** The Only Man Who Can Help Us ***
Capitolo 29: *** Seconda Parte: Wakanda ***
Capitolo 30: *** Helmut Zemo ***
Capitolo 31: *** Everything Will Be Ok ***
Capitolo 32: *** Compromises ***
Capitolo 33: *** Something Came Up ***
Capitolo 34: *** Into The Jungle (Parte Uno) ***
Capitolo 35: *** Into The Jungle (Parte Due) ***
Capitolo 36: *** Into The Jungle (Parte Tre) ***
Capitolo 37: *** Into The Jungle (Parte Quattro) ***
Capitolo 38: *** Terza Parte: Bucky ***
Capitolo 39: *** Guilty ***
Capitolo 40: *** Intruders ***
Capitolo 41: *** Like A Good Puppy ***
Capitolo 42: *** What Will We Do Now? ***
Capitolo 43: *** Explanations ***
Capitolo 44: *** Leave Me Alone ***
Capitolo 45: *** Old Friends ***
Capitolo 46: *** Last Kiss ***
Capitolo 47: *** London ***
Capitolo 48: *** Fuck You, Rogers ***
Capitolo 49: *** Epilogo: Promotion ***
Capitolo 50: *** Chapter Extra: Lies ***
Capitolo 51: *** Chapter Extra: Marble And Obsidian ***
Capitolo 52: *** Chapter Extra: Hail Hydra ***
Capitolo 53: *** Chapter Extra: Together, Forever ***



Capitolo 1
*** Prima parte: James ***


“Un bicchiere di cola e rum” disse un ragazzo al barista al di là del bancone; l’uomo lo guardò per un momento e quando capì che doveva avere più di sedici anni prese in mano la banconota da dieci dollari ed iniziò a preparare il cocktail.

“Ecco qua”

“Grazie, amico” rispose il ragazzo con un ghigno sulle labbra, tornò a sedersi al tavolino che aveva occupato poco prima e si portò alle labbra la cannuccia di plastica nera; il drink scuro gli solleticò il palato e la gola con il suo gusto forte e deciso, appoggiò il bicchiere nella superficie piana e gettò la testa all’indietro, appoggiandola al muro, chiuse gli occhi per godersi meglio quella piacevole sensazione.

Non avrebbe dovuto prendere anche quel drink, dato che era già il sesto della serata, ma ciò era davvero una sciocchezza in confronto al fatto che lo aveva pagato con soldi rubati e che era uscito dalla propria abitazione senza il permesso della madre e dello zio.

Il giovane rimase ancora qualche momento in quella posizione rilassata, godendosi la canzone che un dj aveva appena selezionato per la pista da ballo della discoteca; aprì gli occhi quando sentì le risate e le chiacchiere trasformarsi in urla di panico e terrore: vide tutti i presenti correre in direzione delle varie uscite di sicurezza, sentì qualcuno di loro gridare che c’era un alieno all’entrata dell’edificio, che voleva sterminarli.

Impallidì vistosamente, capendo che l’alieno in questione stava cercando proprio lui, così corse in direzione dei bagni, optando per una delle finestre dato che le uscite di sicurezza erano pressoché impossibili da usare a causa della calca di persone; atterrò nel parcheggio posteriore della discoteca e corse in direzione di un parco che sorgeva poco lontano, inoltrandosi nella vegetazione.

Spiò da dietro alcuni rami di un cespuglio, per vedere se qualcuno lo avesse raggiunto, ma c’erano solo gli alberi ed un piccolo scoiattolo che non aveva sonno; tirò un sospiro di sollievo e si voltò, già pensando ad un altro posto in cui trascorrere il resto della notte, lanciò un urlo acuto quando vide di non essere solo.

Davanti a lui c’era un alieno dalla pelle viola, con una gemma incastonata al centro della fronte.

“Signorino James, ho il compito di riportarla a casa”

“Oh, cielo, Visione! Mi hai fatto prendere un colpo” rispose lui, portandosi la mano destra al petto.



 
Visione lasciò andare James quando le suole delle scarpe che indossava furono a pochi centimetri di distanza dalla pista di atterraggio della Stark Tower; il ragazzo atterrò con eleganza, si pulì i pantaloni all’altezza delle ginocchia e ringraziò l’alieno per il passaggio.

Avanzò in direzione della porta finestra, l’aprì ed entrò per poi richiuderla senza fare il minimo rumore; nel salotto regnava il più totale silenzio, non voleva svegliare la madre o lo zio, così iniziò a muoversi piano, facendo attenzione a non urtare nessun mobile.

“Dove stai andando?”.

Le luci della stanza si accesero all’improvviso, il ragazzo si portò un momento entrambe le mani al viso e quando le scostò vide una giovane donna di circa ventisei anni, con le mani appoggiate ai fianchi e lo sguardo severo.

“Oh, no, ti prego! Non sono proprio dell’umore giusto per ricevere una ramanzina da parte tua” rispose James, lasciandosi cadere nel divano di pelle nera, prese in mano il telecomando ed accese la TV a schermo piatto.

“Visione, grazie per il favore, sei stato molto gentile” disse Charlotte rivolgendosi all’alieno, poi andò dal figlio e gli strappò il telecomando dalle mani.

“Ehi! Era appena iniziato un film che adoro”

“Tu non guarderai la TV per un bel po’ di tempo, ragazzino! Dammi una spiegazione plausibile per quello che hai fatto”.

Il giovane si passò una mano nei capelli castani, sollevando lo sguardo al soffitto, poi si sdraiò e nascose il viso contro un cuscino.

“Sono solo uscito per andare in discoteca, mamma, non ci vedo nulla di male in questo. Tutti i ragazzi di diciassette anni lo fanno”

“Ma tu non sei un ragazzo di diciassette anni come gli altri, James, se ti proibisco di fare una cosa non lo faccio con cattiveria ma perché non voglio che ti accada qualcosa di brutto. Sei uscito di casa in piena notte ed hai rubato dei soldi a Tony, hai anche bevuto perché sento la puzza di alcol fin qui e questo non ha giustificazioni. Va subito nella tua camera e non uscire fino a quando non sarò io a dirtelo!”

“Agli ordini, Generale!” sbuffò il ragazzo, facendo la parodia di un saluto militare, percorse il lungo corridoio e si preoccupò di sbattere con forza la porta della propria camera da letto; Charlotte si lasciò cadere nel divano, abbassando il capo.

Suo figlio era davvero ingestibile a volte, doveva aver ereditato il carattere dal padre dato che lei era sempre stata una ragazza tranquilla, tutt’altro che incline alla ribellione; James aveva ereditato da lui anche l’aspetto fisico prestante ed i lineamenti del viso, perché erano quelli di Bucky: stessi capelli castani, stessi occhi azzurri e perfino la stessa fossetta nel mento; quando sorrideva, poi, era un qualcosa di devastante.

Quando Charlie aveva comunicato agli altri di essere incinta non aveva fatto il nome del padre e credeva che quel problema non sarebbe sorto così presto, ma si era sbagliata: il DNA suo, da Gigante di Ghiaccio e quello del Soldato d’Inverno, combinati insieme, avevano provocato una strana reazione ed il bambino aveva iniziato a crescere troppo velocemente arrivando, in poco meno del suo primo anno di vita, ad avere l’aspetto di un giovane quasi maggiorenne.

Stark, però, aveva cercato di tranquillizzare l’amica dicendole che avrebbe trovato una cura per rallentare quella crescita abnorme.

Nel frattempo, però, tutti quanti, compreso Nick Fury, avevano intuito chi fosse il padre di James.

Non erano rare le volte in cui la giovane si ritrovasse a chiedersi dove fossero Bucky e Steve; si chiedeva se entrambi stessero bene e se lui fosse ancora arrabbiato con lei ma, soprattutto, quale sarebbe stata la sua reazione se avesse scoperto di avere un figlio.




Non aveva più sentito il suo migliore amico da quel giorno, in Siberia, di un anno fa, quasi, più volte aveva provato a telefonargli ma non aveva mai ricevuto risposta.

Charlotte si alzò dal divano ed andò nell’angolo bar che Tony aveva fatto costruire, perché aveva proprio bisogno di bere qualcosa di forte.

Prese in mano una bottiglia di whiskey invecchiato in modo egregio e se ne versò una buona dose in un bicchiere basso e largo, uno di quelli costruiti apposta per bere quel liquore, prima di buttarlo giù tutto in un unico sorso.

Non era mai stata una di quelle ragazze che amava bere, una di quelle che approfittava di ogni occasione per prendersi una bella sbronza, ma da quando era tornata dalla Siberia, da quando Tony l’aveva salvata, non era più stata la stessa; in quella landa deserta, ricoperta dalla neve per la maggior parte dell’anno, aveva lasciato il pezzo più importante della sua anima e del suo cuore e non sapeva come riprenderselo.

Ci aveva provato.

Oh, se ci aveva provato!

Ma lei e James abitavano nella stessa villa di Stark, di conseguenza non poteva dedicarsi alla ricerca dell’uomo che aveva ucciso i suoi genitori con facilità: lui non doveva sapere nulla o si sarebbe semplicemente incazzato; in realtà non poteva dargli torto, perché chiunque avrebbe reagito in quel modo se si fosse trovato nella sua stessa situazione, ma amava Bucky.

Amava il padre di suo figlio esattamente come due anni prima, il tempo non aveva attutito il suo sentimento anzi, con l’arrivo inaspettato di James aveva contribuito a rafforzarlo.

Charlotte accarezzò distrattamente il ciondolo a forma di stella della collana che indossava sempre, quel piccolo gioiello era molto importante per lei, dal momento che era stato lo stesso Bucky a regalarglielo la notte di Capodanno di quasi due anni prima; strinse la piccola stella nel pugno destro e chiuse gli occhi azzurri, come se quel gesto carico di disperazione potesse darle la risposta che tanto cercava.

Come già aveva previsto, non accadde nulla.

“Ehi, piccola, che cosa stai facendo?”.

Charlie s’irrigidì nell’udire la voce di Tony pronunciare quelle parole, perché ‘piccola’ era il soprannome che l’uomo di cui era innamorata le aveva dato.

“Cielo, Tony, mi hai fatto prendere un colpo! Non mi chiamare più in quel modo, lo sai che non lo sopporto”

“Se devo essere sincero, Charlie, sono ben poche le cose che sopporti. Non hai risposto alla mia domanda: che cosa stai facendo?” domandò una seconda volta l’uomo che vestiva i panni di Iron man, si passò una mano nei capelli sbarazzini e scuri e si sporse di lato, vedendo finalmente la bottiglia aperta “quella la tenevo per una grande occasione, lo sai?”

“Scusami, te ne comprerò un’altra”

“Al diavolo, ho così tanti soldi che posso permettermi di comprare un’intera azienda che produce whiskey. Avanti, che cosa ti turba così tanto? No, non provare a dirmi che va tutto bene perché non è così”

“Tony, ti giuro che sto bene”

“Charlotte, ti conosco da quando avevi appena diciotto anni. Sono passati quasi otto anni d’allora e credimi, so perfettamente quando c’è qualcosa che non va, non sei così brava a mascherare le tue emozioni”.

La giovane attorcigliò una ciocca di capelli castani attorno all’indice destro, mentre Stark era impegnato a riempire nuovamente il bicchiere di lei ed uno per sé stesso.

“Si tratta di James” disse infine, confessando solo a metà “è scappato anche questa notte. Ho mandato Visione a recuperarlo”

“Dove si trovava?”

“Non so lo, ma credo che fosse in discoteca dato che puzzava da alcol”

“Avanti, è solo un ragazzo, ha tutto il diritto di divertirsi come meglio vuole”

“Ma lui non è un ragazzo come gli altri, Tony, lo sai perfettamente”

“Non credo che una serata in discoteca possa fargli male”

“Ti ha rubato dei soldi”

“Che piccolo stronzetto” si lasciò scappare Tony “senza offesa, Charlotte”

“Avanti, cerca di essere serio per un solo momento. È mio figlio, non voglio che gli accada qualcosa di brutto”

“Non gli accadrà nulla. Domani mattina gli parlerò. D’accordo?”

“Grazie, Stark” rispose Charlotte; diede un bacio in una guancia all’uomo e poi si diresse nella sua camera da letto perché iniziava ad accusare una certa stanchezza.

Chiuse la porta alle proprie spalle, a chiave, si tolse la maglietta ed i pantaloni che indossava sostituendoli con un pigiama.

S’infilò sotto le coperte, appoggiando la testa nel morbido cuscino imbottito di piume d’oca, ma il sonno l’abbandonò in quello stesso momento; provò più volte ad trovare la posizione giusta ma quando capì che nulla sarebbe servito a cambiare la situazione si alzò da letto, andando a sedersi nel davanzale della finestra.

Legò i lunghi capelli in un’alta coda che le ricadeva sulle spalle; si passò le braccia attorno alle ginocchia ed ammirò lo spettacolo mozzafiato di New York illuminata dalle luci dei grattacieli.



 
Charlie non era l’unica che non riusciva a dormire.

Anche James era rimasto vittima dell’insonnia, lui per primo non avrebbe saputo spiegarsi se ciò fosse dovuto a tutto quello che aveva bevuto o per il nervosismo che gli era salito dopo la discussione che aveva avuto con la madre.

Il ragazzo si passò una mano nei capelli castani, che aveva deciso di lasciar crescere, per poi ammirare lo stesso panorama che stava guardando Charlotte, a distanza di qualche camera.

A breve avrebbe compiuto diciotto anni, tecnicamente, sarebbe stato maggiorenne ed allora molte cose sarebbero cambiate.

In realtà, James non sapeva ancora che la sua impulsività lo avrebbe portato a cambiare profondamente non solo la sua vita e quella delle altre persone vicine a lui, ma avrebbe anche scatenato una serie di eventi che avrebbero avuto delle conseguenze a dir poco disastrose.

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Capitolo 2
*** Peter Parker ***


Lo schermo del cellulare s’illuminò all’improvviso, simile ad una piccola fiamma blu nell’oscurità più profonda, ed una canzone partì a tutto volume, riempiendo l’aria della camera da letto.

Da sotto le lenzuola comparve un braccio, ed una mano andò alla cieca ricerca dell’apparecchio tecnologico per fermare quella tortura per le orecchie; finalmente trovò quello che stava cercando e dopo aver premuto qualche tasto a caso la musica si spense nello stesso rapido modo in cui era iniziata.

Lo stesso braccio sinistro andò alla ricerca del tasto dell’interruttore che serviva ad accendere la luce e dopo pochi secondi l’oscurità sparì del tutto.

James si sedette nel materasso morbido, passandosi una mano negli occhi ancora pieni di sonno, non era stata un’idea geniale quella di recarsi in discoteca la notte precedente dato che aveva scuola da lì ad un’ora e doveva ancora prepararsi e fare colazione; a fatica il ragazzo si alzò e si trascinò in bagno per una doccia calda e rigenerante: non riusciva proprio ad iniziare una giornata senza un buon bagno, anche quando era in ritardo, si rifiutava di uscire di casa senza essersi scrollato via il sudore appiccicoso della notte.

Allungò la mano destra dentro nell’acqua della vasca, per controllare che fosse alla giusta temperatura, poi vi entrò.

Appoggiò la nuca nel bordo di ceramica e chiuse gli occhi, per concedersi gli ultimi attimi di quiete prima di un’altra lunga giornata.

Si lavò piano, senza la minima fretta, poi uscì dalla vasca e si avvolse in un morbido accappatoio azzurro, della stessa tonalità dei suoi occhi, tornò in camera e prese in mano i primi vestiti che trovò nell’armadio posizionato dopo lontano dal letto; James indossò i pantaloni scuri e la maglietta a maniche corte prima di andare in cucina per mettere qualcosa sotto i denti, dato che lo stomaco già stava protestando per il lungo digiuno.

Aveva sempre fame, era costantemente affamato, con tutto quello che ingurgitava nell’arco di ventiquattro ore avrebbe dovuto essere grasso, invece il suo metabolismo lavorava fin troppo velocemente.

Il ragazzo attraversò il corridoio senza far rumore, non ci teneva a svegliare la madre e lo zio perché già sapeva che non avrebbe fatto altro che ricevere altre ramanzine: sicuramente Tony sapeva del piccolo furto che aveva effettuato e ciò equivaleva solo a guai, perché anche se era molto permissivo c’erano cose che perfino lui non sopportava.

Consumò una veloce colazione a base di pane e marmellata; prese una giacca, uno zaino ed uscì dalla lussuosa villa.

Una volta in strada si mise le cuffie nelle orecchie, sparando la musica a tutto volume, infilò le mani nelle tasche della giacca in pelle nera e si diresse a scuola cantando ad alta voce, fregandosene altamente delle persone che si voltavano a guardarlo.

James Bennetts era perfettamente consapevole di non essere un ragazzo come tutti gli altri, anche se ad una prima occhiata non si sarebbe detto che avesse qualcosa di strano.

Lui era nato solo due anni prima, ma era cresciuto con una rapidità pressoché sconcertante, che continuava a lasciare tutti a bocca aperta, lo stesso Tony aveva prelevato da tempo un campione di sangue da lui e da Charlotte, nella speranza di trovare una cura, od almeno un qualcosa in grado di rallentare quel procedimento ma non era facile, non lo era affatto; anche se passava la maggior parte del suo tempo a studiare quello, non era ancora arrivato a nulla di concreto.

Tutti erano preoccupati per lui ma James, semplicemente, preferiva non pensarci.

Non voleva farlo per timore di lasciarsi prendere da panico dalla possibilità che ogni giorno avrebbe potuto essere l’ultimo.

Inoltre, come se ciò non fosse già abbastanza pesante per James, la madre e lo zio acquisito avevano deciso di raccontargli dello S.H.I.E.L.D., dell’organizzazione segreta per cui lavoravano, perché non sembrava corretto nascondergli una cosa così grande.

Non era affatto facile, però dopo un po’ di tempo ci aveva fatto l’abitudine.

Arrivò a scuola qualche minuto prima che la campanella suonasse e corse in classe, andando ad occupare uno degli ultimi banchi, quello posizionato nella parte sinistra della stanza, vicino ad una finestra; molto spesso i professori lo riprendevano non perché fosse maleducato ma perché si perdeva a guardare il paesaggio, concentrato in pensieri più grandi di lui.

Aprì lo zaino ed appoggiò sopra al banco un quaderno, l’astuccio ed il libro di scienze, perché quella era la materia che aveva nelle prime due ore.

I suoi compagni chiacchieravano, ridevano e scherzavano ma lui anziché unirsi al gruppo, preferì scarabocchiare qualcosa nella prima pagina del quaderno per gli appunti, fino a quando la professoressa non fece il suo ingresso nell’aula, richiamando tutti e quattordici i ragazzi dato che era arrivato il momento d’iniziare la lezione.



 
Le prime ore passarono abbastanza velocemente e prima che James se ne accorgesse arrivò il momento del pranzo, che tutti i ragazzi consumavano nell’aula utilizzata come mensa: c’era chi comprava il cibo dalle macchinette, chi se lo portava da casa e chi riusciva sempre a rimediare qualcosa dagli amici.

Il ragazzo andò a prendere posto in uno dei pochi tavoli che erano ancora vuoti.

Charlotte lo aveva fatto sempre studiare a casa, privatamente, perché era impossibile fargli frequentare la scuola pubblica, ma alla fine era riuscita a spuntarla, dopo tante lotte e l’intervento persuasivo di Tony: almeno un anno di scuola voleva farlo ed era stato scritto all’ultimo di una delle migliori scuole di New York.

Per entrare aveva dovuto affrontare un test, che era riuscito a superare egregiamente perché le capacità intellettive non gli mancavano affatto.

Nonostante fosse un ragazzo socievole ed allegro non era ancora riuscito ad integrarsi del tutto e non aveva fatto amicizia.
Tranne per una piccola eccezione.

“Ehi, sono qui!” esclamò James, agitando la mano destra in direzione di un ragazzino che era appena entrato in mensa: era alto e magro, portava i capelli corti e lasciati all’indietro e nel viso asciutto spiccavano gli occhiali che era costretto a portare a causa della miopia avanzata di cui soffriva.

“Non ti avevo visto” rispose l’altro giovane raggiungendo l’amico e prendendo posto davanti a lui, appoggiando a sua volta il sacchetto di carta marrone sopra al tavolo.

“Allora faresti meglio a cambiare gli occhiali, Peter, non credi? Che cosa hai avuto?”

“Storia, geografia e ginnastica. Tu?”

“Due ore di scienze e matematica. È stata davvero una mattinata da schifo! Oh, no…”

“Che cosa c’è?”

“Credo che mi sia passata la fame” commentò James, con una smorfia sulle labbra, quando vide il panino dall’aspetto tutt’altro che invitante: pensava di essere stato chiaro con Visione riguardo al fatto che non doveva più preoccuparsi del suo pranzo, ma a quanto pareva  l’amico non aveva ricevuto bene il messaggio.

Peter Parker si strinse nelle spalle esili, senza sapere che cosa rispondere.

Si voltò un momento perché aveva sentito una risata femminile ed allegra ed i suoi occhi scuri si posarono sulla chioma rossa di una ragazza poco più piccola di lui: Mary Jane Watson, la più bella della scuola.

“Come?” chiese il ragazzo con uno sguardo assente, quando l’amico lo scosse per la spalla destra.

“Ti ho chiesto se posso avere un pezzo del tuo panino, che cosa hai visto?”

“Nulla”

“Sicuro?” domandò James, con il sopracciglio sinistro sollevato, seguì lo sguardo di Peter e capì che il problema era costituito da Mary Jane “ahh, adesso ho capito. Se ti piace tanto dovresti fare la prima mossa”

“No, non me la posso permettere” rispose il diretto interessato, arrossendo violentemente.

L’altro giovane si limitò a scrollare le spalle.



 
Il pomeriggio trascorse nello stesso modo lento ed estenuante come la mattinata, di conseguenza James fu grato al cielo di sentire squillare la campanelle che segnava la fine delle lezioni, almeno per quel giorno, uscì a passo veloce dalla struttura ed aspettò l’amico vicino all’ingresso; quando vide la figura inconfondibile di Peter raggiungerlo si avviarono insieme verso il cancello.

Solitamente al ritorno facevano sempre un pezzo di strada insieme.

Questa volta, però, una macchina molto costosa era parcheggiata vicino al marciapiede e quando i due uscirono dal suolo scolastico, il guidatore iniziò a premere il clacson, abbassando il finestrino anteriore destro e rivelando la propria identità.

Ovviamente era Tony Stark, perché solo lui si poteva permettere una simile vettura lussuosa.

“Tony!” esclamò il ragazzo, stringendo la presa nella stoffa dello zaino “che cosa ci fa qui?”

“Sono venuto a prenderti a scuola, come farebbe ogni buon zio. Avanti, salta su”

“No, grazie, ho voglia di fare quattro passi con Peter”

“Sali in macchina o ti spingo dentro a calci in culo. Noi due dobbiamo parlare”.

James si ritrovò a deglutire a vuoto e poi prese posto nel sedile anteriore riservato al passeggero, capendo che ora niente e nessuno gli avrebbe risparmiato una ramanzina da parte del miliardario; quest’ultimo lanciò un’occhiata a Peter da dietro le lenti degli occhiali da sole, poi spinse il pedale dell’acceleratore al massimo, partendo con una sgommata.

Il ragazzino rimase fermo nel marciapiede, tossendo a causa della nuvola di smog provocata dall’Audi R8.

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Capitolo 3
*** Bad Memories ***


La giovane camminava nel marciapiede affollato di persone impegnate in quello che facevano ogni giorno: c’erano giovani coppie che passeggiavano mano nella mano, uomini d’affari che parlavano e gesticolavano ad un auricolare e chi correva perché in ritardo per andare a lavoro.

Lei osservò per un momento un ragazzo ed una ragazza che si scambiavano effusioni in quella che era una panchina, si baciavano incuranti di tutto il resto, come se nel mondo esistessero solo loro due; per un momento sentì un dolore sordo dentro al petto ed il suo sguardo si tinse di un velo di tristezza, ma poi continuò per la sua strada, perché quello che doveva fare era di vitale importanza.

Quello era il momento peggiore per lasciare che il passato la travolgesse con tutta la sua dolorosa potenza.

La ragazza si fermò davanti a quello che era un palazzo abbandonato da due anni ormai, da quando c’era stata un’esplosione, nessuno si era mai preoccupato di sistemarlo ed ora volevano demolirlo, per costruire un nuovo complesso di appartamenti.

Si guardò attorno per qualche istante e poi spinse piano il portone a vetri, entrando e richiudendolo alle proprie spalle; salì le numerose rampe di scale, facendo attenzione a dove metteva i piedi, non aveva timore che qualcosa potesse andare storto, ed anche se avesse subito un’aggressione sapeva perfettamente come difendersi.

Arrivò all’ultima porta dell’ultimo piano, quella che riportava il numero quattrocentosei, strinse il pomello d’ottone nella mano destra e lo girò piano, trattenendo il respiro mentre davanti ai suoi occhi appariva il salotto di un piccolo ma grazioso appartamento.

Tutto lì dentro si era fermato a quel maledetto giorno di due anni prima quando, in una mattina di febbraio, i soldati tedeschi avevano fatto irruzione lì dentro e lei e Bucky erano stati salvati appena in tempo da Steve e Sam.

Poi erano andati tutti e quattro in Germania e le cose avevano preso la forma di una parabola discendente.

Charlotte si tolse il cappello a visiera che indossava ed i lunghi capelli castani le ricaddero sulla schiena; andò in quella che era la sua vecchia camera da letto e vide le coperte disfatte, appallottolate ai piedi del materasso, perché quel giorno non aveva avuto il tempo di sistemarle con cura.

Si avvicinò al letto ed allungò la mano destra per prendere uno dei due cuscini, lo avvicinò al viso e ne inspirò a fondo l’odore.

Per un momento le sembrò di sentire un profumo dolce e forte allo stesso tempo, poi lasciò andare il cuscino, portandosi la mano destra alla bocca e ricacciando indietro le lacrime; ritornò in salotto con le mani strette a pugno: non doveva perdere tempo, non doveva lasciare che quel posto la riportasse indietro, non poteva semplicemente permetterselo.

La ragazza s’inginocchiò davanti ad un mobile di legno chiaro, tirò fuori l’ultimo cassetto ancora pieno di suoi oggetti personali, lo svuotò a terra e toccò il fondo, fatto anch’esso di legno, trovò il punto esatto in cui c’era una piccola conca, esercitò un po’ di pressione e sentì un suono secco, un ‘click’.

Charlie lanciò nel pavimento il finto fondo, rivelando l’esistenza di uno scompartimento segreto.

Trattenne per un momento il respiro e poi prese in mano il libretto dalla copertina rossa, con incisa sopra una stella nera.

Lo infilò velocemente in una tasca all’interno del giubbotto che indossava, si sistemò nuovamente il berretto in testa e poi uscì velocemente dall’edificio, guardandosi attorno con uno sguardo diffidente.

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Capitolo 4
*** Have A Dinner With Me... ***


L’auto sportiva sfrecciava veloce tra il traffico, facendo sorpassi azzardati e correndo ben oltre il limite della velocità consentita, eppure al suo guidatore importava ben poco perché lui era abituato a non rispettare mai le regole imposte dalla società.

James se ne stava stretto nelle proprie spalle senza dire una parola, guardava il tappetino posizionato sotto i suoi piedi e si mordeva il labbro inferiore, faceva sempre così quando era nervoso, era un gesto che aveva ereditato dalla madre.

Anche Tony, che guidava, si era chiuso nel mutismo più assoluto e quando lui stava zitto significava che c’era davvero qualcosa che non andava e bisognava avere paura.

Molta paura.

Il ragazzo allungò la mano destra per accendere la radio, non ce la faceva più a sopportare tutto quello, almeno un po’ di buona musica avrebbe contribuito ad allentare la tensione che galleggiava nell’aria; stava per premere lo schermo a cristalli liquidi quando lo zio gli assestò uno schiaffo nel dorso della mano.

“Niente musica” ordinò, ed il giovane non ebbe il coraggio di protestare, tornando a concentrare lo sguardo sul tappetino nero.

Una volta arrivati nella lussuosa villa James tentò subito di scappare nella sua camera da letto, per chiudersi a chiave ed evitare una severa punizione, ma Tony lo richiamò appena in tempo.

“Si?” domandò lui, voltandosi.

“Dobbiamo parlare”

“Parlare? Perché? È successo qualcosa?”

“Ragazzino, questi trucchi non funzionano con me, dovresti saperlo molto bene. Tua madre mi ha raccontato quello che hai fatto ieri notte e mi ha anche detto che ti devo fare una bella ramanzina”

“Ma tu, ovviamente, farai solo finta di sgridarmi, giusto? Come le altre volte! Dopotutto sei il primo a dire che mia madre esagera”

“Ascoltami, James, tua madre è tua madre. È naturale che sia sempre preoccupata per te, dovresti apprezzarla di più e portarle rispetto. So che sei nell’età in cui viene spontaneo ribellarsi… Anche se dovresti essere ancora nell’età dei pannolini e dei riposini pomeridiane… Ma cerca di essere gentile ed educato nei confronti di Charlotte. Lei ti vuole bene, non dimenticarlo mai”

“Lo so” rispose James, aprì lo sportello del frigorifero e prese in mano la bottiglia che conteneva il succo d’arancia “ma non ci riesco! Ogni cosa che lei fa e che lei mi dice mi irrita profondamente!”.

Il miliardario si ritrovò a sorridere amaramente, anche se lui ed il ragazzo non avevano alcun legame di sangue rivedeva sé stesso da giovane.

La stessa caparbietà, lo stesso spirito d’iniziativa, la stessa voglia di ribellarsi e la stessa cocciutaggine.

Loro due avevano davvero tante cose in comune.

“Rispettala, d’accordo? E per quanto riguarda i soldi che mi hai rubato, chiuderò gli occhi solo per questa volta. Adesso va pure in camera tua a fare le cose che gli adolescenti fanno, va bene? Vai pure, sei libero di fare quello che vuoi. Io ho fatto il mio compito” disse Stark battendo le mani: aveva fatto la ramanzina promessa all’amica, adesso voleva solo chiudersi in laboratorio, con la musica sparata a tutto volume, ad occuparsi di migliorare le proprie armature.

Prima, però, avrebbe bevuto qualcosa di fresco

James, invece, andò a chiudersi nella sua camera da letto e si lasciò cadere nel materasso.

C’erano i compiti da fare per il giorno seguente e doveva anche studiare per la verifica di scienze, ma non ne aveva la minima voglia, così si mise le cuffie nelle orecchie ed iniziò a disegnare qualcosa in un quaderno che utilizzava per sfogare la sua vena artistica; non vide Visione entrare nella stanza attraverso una delle quattro pareti, quando si accorse della sua presenza si lasciò scappare un piccolo urlo.

“Eddai, Visione, ma allora me lo fai apposta!” esclamò poi, togliendosi le cuffie dalle orecchie e mettendo il broncio.

“Sono desolato, signorino James, ho bussato alla porta diverse volte ma nessuno mi ha mai risposto. Così ho pensato di entrare”

“Stavo ascoltando della musica. In verità, stavo provando anche a disegnare qualcosa ma oggi va tutto storto. Mia madre mi sta sempre con il fiato sul collo, ed io voglio solo un po’ di libertà”

“Tua madre lo fa solo per il tuo bene, James” rispose l’alieno, ripetendo quasi le stesse parole di Tony “lei si preoccupa solo per il tuo futuro. Vuole che tu stia bene, tutto il resto non conta ai suoi occhi”

“Visione, ti posso fare una domanda?”

“Si”

“Io…” iniziò il giovane, per poi mordersi le labbra, voleva chiedere all’amico se sapesse qualcosa riguardo al padre che non aveva mai conosciuto, perché quello era un argomento tabù per Charlotte, ma poi cambiò idea all’ultimo secondo “credi che riuscirò mai ad entrare nello S.H.I.E.L.D?”.



 
Tony Stark stappò una bottiglia di ottimo vino rosso, riempì un calice e se lo portò alle labbra: inspirò a pieni polmoni il profumo dolce ed invitante e poi mandò giù un lungo sorso.

Lo assaporò lentamente, ad occhi chiusi, aprendoli solo quando sentì dei passi provenire dal salotto: davanti ai suoi occhi apparve la figura magra e slanciata di Charlie, che indossava ancora la giacca ed il cappello a visiera; l’uomo corrucciò le sopracciglia, quell’abbigliamento era di chi desiderava passare inosservato per strada, certamente non quello di una ragazza che usciva per fare shopping.

Almeno era ciò che lei gli aveva detto.

“Lo sai che nemmeno le star di Hollywood si vestono in questo modo quando vogliono uscire di casa? O mi sono perso qualcosa? Sei diventata un’attrice a mia insaputa?”

“Stark, ti prego! Semplicemente ho indossato le prime cose che ho trovato nel mio armadio”

“Questo lo avevo notato”

“Oh, quanto sei dolce e romantico! Mi mancava ricevere un complimento da parte tua. Hai parlato con Jamie?” chiese la giovane, togliendosi la giacca; ‘Jamie’ era il soprannome che lei stessa aveva dato al suo unico figlio.

“Si, ed ho risolto tutto come ogni volta. Dovresti ringraziarmi, lo sai?”

“Grazie”

“Mmmh… Non credo che un semplice ‘grazie’ possa ripagarmi di tutto quello che ho fatto”

“E che cosa vorresti?” domandò Charlie, sollevando il sopracciglio destro in un’espressione interrogativa, ed allo stesso tempo preoccupata per quello che il miliardario era in procinto di dire.

“Esci con me a cena” rispose lui candidamente, come se fosse la cosa più naturalmente del mondo.

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Capitolo 5
*** Tin Soldier ***


L’espressione interrogativa di Charlotte si trasformò in una che era un misto tra lo sconcerto e la sorpresa; rimase per qualche istante in silenzio e poi buttò fuori l’aria dalle labbra socchiuse.

Tony aveva appena sganciato quella che era a tutti gli effetti una bomba impossibile da schivare.

“Se ci tieni così tanto a mangiare insieme qualcosa ti ricordo che hai una cucina” disse poi la ragazza, indicando la porta che conduceva alla stanza che aveva appena menzionato “posso preparare qualcosa per questa sera. Potrei fare la pizza”

“No, no, no, piccola. Questa sera andiamo in un ristorante. Ho già prenotato”

“Ti ho detto che non voglio essere chiamata in quel modo. Hai già prenotato? E quando lo avresti fatto?”

“Di questo non ti devi preoccupare. Nella tua stanza c’è già un abito che aspetta solo di essere indossato”

“Stark!”

“Non ti sento. Sto già andando in laboratorio” gridò l’uomo, mentre scendeva delle scale a chiocciola che conducevano verso il basso, in direzione della stanza in cui trascorreva la maggior parte del suo tempo.

La giovane sollevò gli occhi al cielo ancora una volta, seccata, perché quell’invito a cena non ci voleva proprio; era l’ultima cosa che desiderava.

Prese in mano la giacca che aveva appoggiato nel divano in pelle e si chiuse nella sua camera da letto; frugò dentro l’indumento, aprì la cerniera di una tasca e prese in mano il libretto rosso che aveva recuperato nel suo vecchio appartamento.

Non badò nemmeno all’abito che era appoggiato poco lontano, perché aveva ben altro a cui pensare, ed iniziò a sfogliare velocemente le diverse pagine.

Charlotte non sapeva che cosa l’avesse spinta a cercare quel maledetto libro: forse non voleva che lo trovassero le persone sbagliate, forse lo faceva per aiutare Bucky.

O, forse, la verità era che sperava con le unghie e con i denti di trovare qualunque cosa, un segno, che le avrebbe fatto capire dove si trovasse lui, ora; sapeva già che era stupido, sapeva che non avrebbe trovato nulla, ma allo stesso tempo non voleva smettere di sperare.

I suoi occhi chiari passarono velocemente pagine su pagine, grazie a Natasha conosceva il russo come un’altra lingua madre, ed esattamente come temeva non scorse nulla che potesse esserle d’aiuto.

Era così disperata, così stanca ed affaticata da quella situazione, che scoppiò in lacrime ed il quaderno le scappò dalle mani, cadendo nel pavimento ricoperto da una morbida moquette bianca; aveva provato ad andare avanti e forse doveva considerare l’invito di Tony come il primo passo verso una nuova vita, eppure non ce la faceva proprio.

Bucky le era entrato nell’anima almeno nello stesso modo in cui lei era entrata nella sua, dopotutto aveva dato a loro figlio il suo stesso come.

Era consapevole del fatto che doveva essere forte, lo doveva essere per sé stessa e soprattutto per James, ma durante la notte non era affatto semplice.

Non era affatto semplice coricarsi sotto le coperte e non sentire le braccia calde e forti del Soldato stringerla contro il proprio petto, sentire il battito del suo cuore e le sue labbra che le stuzzicavano la pelle sensibile del corpo.

Si, era quella la parte peggiore di tutte.

Quando tutte le paure e tutte le insicurezze calavano a pari passo con la notte.

Charlie prese un profondo respiro, calmandosi, si asciugò le lacrime che ancora le rigavano le guance e finalmente lanciò uno sguardo all’abito che il miliardario le aveva comprato per la serata.

Era di stoffa rossa, senza spalline e lungo fino a qualche centimetro sopra alle ginocchia; era molto bello, quasi da togliere il fiato, però non era il suo genere e non era nemmeno di un colore che le piaceva.

Un tempo amava il colore rosso, ora le faceva subito pensare al libro ed alla stella che Bucky aveva nel suo braccio sinistro.

“Basta, Charlotte!” si disse la ragazza, ad alta voce “devi smetterla di pensare a lui per una sola sera. Adesso vai a farti una doccia e ti prepari per la cena. Domani riprenderai le ricerche e proverai a metterti in contatto con Steve”.



 
James era seduto nel divano, impegnato a chattare con il cellulare, quando vide la madre apparire davanti ai suoi occhi: i lunghi capelli erano sciolti sulla schiena e formavano delle piccole onde nelle punte, indossava un abito rosso ed un paio di scarpe con il tacco dello stesso colore.

Non l’aveva mai vista vestita in quel modo e così bella.

“Mamma, sei proprio una gnocca!”

“Jamie, ma che linguaggio è questo? Hai fatto i compiti?”

“Quasi finiti” mentì il ragazzo “ma perché sei vestita in modo così elegante? Devi uscire? Hai un appuntamento?”

“Io e Tony andiamo a mangiare qualcosa insieme, nulla di più”

“Quindi hai un appuntamento con lui”

“Non esattamente” mormorò la giovane, fingendo di sistemarsi una ciocca di capelli dietro l’orecchio sinistro per non far vedere che era arrossita, Stark fece il suo ingresso dal corridoio che portava alla sua camera da letto; era perfetto come semplice, in un completo nero accostato ad una camicia bianca, il tutto accompagnato sempre da fedelissimi occhiali da sole, che lui indossava sempre.

In ogni occasione.

“Possiamo andare?” domandò il miliardario, guardò il Rolex che portava al polso sinistro e poi lanciò un’occhiata di apprezzamento a Charlie, che si era coperta con una pelliccia bianca, un altro regalo ricevuto l’anno precedente per il suo compleanno.

“Si”

“Molto bene. Ragazzino, ti tengo d’occhio anche a distanza”

“Vai a letto presto, Jamie”

“Si, si, andate pure” rispose James con un cenno della mano destra, liquidando velocemente le raccomandazioni della madre e dello zio; appena si chiuse la porta riprese in mano il cellulare e mandò un messaggio a Peter, invitandolo per mangiare una pizza insieme.

Quella sera non aveva voglia di scappare.

Preferiva mangiare una pizza con l’amico e guardare un film insieme.



 
Tony Stark parcheggiò la macchina davanti all’entrata di uno dei ristoranti più lussuosi di New York, uno di quelli che avevano il tappeto rosso che conduceva alla porta d’ingresso, il portiere pronto ad accogliere i clienti ed anche i parcheggiatori.

Uscì dal posto guida della sua R8 ed andò ad aprire la portiera all’amica, allungandole la mano destra per aiutarla a scendere.

“Mi preoccupi sempre quando sei così gentile. Stai tramando qualcosa?”

“Assolutamente nulla. Voglio solo essere gentile”

“Ma tu non sei mai gentile” ribatté lei con l’angolo destro della bocca incurvato all’insù; il miliardario le offrì il braccio destro e Charlotte si aggrappò a lui prima di entrare nel ristorante.

Il caposala riconobbe subito Tony ed andò ad accoglierli di persona, conducendoli al miglior tavolo che era stato riservato solo per loro.

Charlie prese in mano il menù e prese a sfogliarlo senza trovare nulla capace di solleticarle in modo particolare l’appetito, anzi, in realtà sentiva un nodo allo stomaco e la sua mente andava in automatico alle pagine del quaderno con la stella nera, perché qualcosa poteva esserle sfuggito.

Era grata all’amico per averle salvato la vita.

Per averle dato un posto in cui stare.

Per essere una figura stabile (se così si poteva definire) per James.

Ma non riusciva a lasciarsi andare nel modo in cui lui avrebbe voluto.

Lo aveva capito, ormai, quello che Tony provava e non era intenzionata ad alimentare quel sentimento, sperava che quella serata potesse porre un freno alle sue fantasie.

“Hai già deciso?”

“No, non so che cosa prendere”

“Charlie, piccola, smettila di pensare a James per un momento. È con Visione, puoi stare tranquilla”

“D’accordo. Ci proverò. Ordiniamo qualcosa di forte da bere?”.

Stark non attendeva altro che una domanda simile a quella, fermò uno dei camerieri e gli ordinò di portare subitola bottiglia di champagne più costosa che avessero nel ristorante.

A quella bottiglia ne susseguirono altre tre, che vennero puntualmente bevute fino all’ultimo goccio.

La giovane coppia uscì dal locale che rideva e scherzava con un tono di voce un po’ troppo alto; salirono in macchina e la giovane iniziò ad insistere affinché venisse abbassata la capote della macchina sportiva, perché voleva sentire il vento che le scompigliava i capelli castani.

Venne accontentata all’istante e lei iniziò a gridare, felice come una bambina, mentre la lunga chioma ondulata svolazzava alle sue spalle, simile ad una fiamma indomabile.

Arrivarono alla villa in pochissimo tempo ed entrarono continuando a ridere senza un motivo ben preciso, Charlotte non era completamente ubriaca, ma si sentiva euforica come non lo era più da due anni.

Non accesero le luci del salotto, così non si accorsero di James e Peter che si erano addormentati nel divano, con il cartone della pizza che era caduto nel pavimento.
L’umore di Charlie mutò completamente quando Tony la bloccò contro una parete del corridoio, appoggiando la mano destra vicino al suo viso e quella sinistra vicino alla vita; era evidente che la cena non avesse avuto l’effetto che desiderava, anzi, aveva ottenuto proprio il contrario.

Lui piegò il viso di lato e lo avvicinò a quello dell’amica ed Agente per trovare le sue labbra, ma incontrò solo la mandibola.

“Che hai? Perché ti sei scostata?”

“Per favore, Tony, non me la sento…”

“Perché?”

“Non voglio rovinare la nostra amicizia e poi…Tu e Pepper…”

“Tra me e Pepper non c’è più nulla. Tra noi due è finito tutto due anni fa” rispose l’uomo in tono acido: i due si erano presi una pausa di riflessione perché la segretaria era stanca di avere un compagno che poteva essere ucciso in qualunque momento, quelle che dovevano essere solo settimane si erano trasformate ben presto in mesi e poi il passo per diventare un anno era stato breve.

La loro storia ormai apparteneva a tutti gli effetti al passato.

“Ad ogni modo non voglio andare oltre…Mi dispiace... Noi due funzioniamo meglio come amici”

“È per lui?”.

Charlie s’irrigidì a quella domanda, esattamente come le era accaduto in Siberia, quando simili parole le avevano rovinato la vita.

“Anche Loki appartiene al passato”

“Lo sai che non sto parlando di Piccolo Cervo. Sto parlando del tuo Soldatino Di Piombo”

“Smettila, Tony”

“Ti sei innervosita, eh? Allora sto dicendo la verità. Tu sei ancora innamorata di lui…”

“No. Ma resta il padre di mio figlio”

“Tu non sei brava a mentire quando si tratta delle tue emozioni, Charlotte. Come puoi provare qualcosa per lui dopo che ha tentato di ucciderti? Dopo quello che ha fatto ai miei genitori?”

“Basta!” sibilò lei, nei palmi delle sue mani avevano iniziato a formarsi quelle che sembravano delle sfere di energia blu, come accadeva anche a Wanda, ma nel suo caso si trattava di ghiaccio “chiudi la bocca. Sei ubriaco e non sai quello che stai dicendo. Io non penso a lui e non voglio stare con te. Non voglio un uomo in questo momento. Non voglio nessuno a mio fianco. Tu sei solo un playboy, Tony, per te le donne sono solo delle conquiste da spuntare nella tua lista personale. Vai a dormire”

“Ehi, dove credi di andare?”

“Lasciami”

“Ricordati che hai solo due opzioni: o stai dalla mia parte o stai dalla parte di Rogers. Hai solo due opzioni. Non puoi continuare a stare nel mezzo, la mia pazienza ha un limite”

Fanculo, Stark” mormorò la ragazza scuotendo la testa, si liberò dalla presa e si chiuse nella sua camera da letto.

Si guardò i palmi delle mani, lanciò un urlo e tramite ai suoi poteri scagliò degli oggetti contro una parete.

Tony si limitò a mollare un pugno al muro, lasciandosi scappare un’imprecazione ad alta voce.

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Capitolo 6
*** I Think I've Got The Cure ***


Charlotte si svegliò l’indomani mattina con un terribile mal di testa: spense la sveglia con un gesto seccato e poi si guardò attorno, rendendosi conto che la camera da letto era ancora tutta in disordine.

La notte precedente aveva sfogato la rabbia che provava nei confronti di Tony scagliando oggetti contro i muri, perché ormai quello era l’unico modo che conosceva per non tenersi tutto dentro, poi era crollata nel materasso ed era scoppiata in un pianto isterico e disperato; aveva continuato a piangere fino a quando non si era arresa al sonno.

Charlie si alzò dal letto e lanciò uno sguardo allo specchio posizionato vicino all’armadio; ormai faticava a riconoscersi nel riflesso che la superficie piatta le restituiva, lei provava ad andare avanti per sé stessa e James, se lo ripeteva ogni fottuto giorno, ma non era semplice e Tony non aveva fatto altro che peggiorare la situazione con la sua scenata.

Non credeva alla mezza confessione che l’uomo le aveva fatto, non credeva che fosse innamorato, semplicemente non era abituato a rimanere da solo per tutto quel tempo ed ancora soffriva per come era finita la storia con Pepper; a Charlie dispiaceva che anche la loro storia fosse terminata in un modo così freddo, asettico, ma non si sentiva di condannare la scelta della donna.

Lei stessa per amore era pronta ad abbandonare gli Avengers e lo S.H.I.E.L.D, per non vivere sempre nel terrore che ogni missione poteva trasformarsi nell’ultima.
Andò in salotto e si bloccò alla vista di James e Peter che ancora dormivano nel divano; il cuore iniziò a batterle più forte ed i suoi pensieri andarono subito alla notte precedente, a quanto lei e Tony erano rientrati ed avevano avuto quella violenta discussione in cui era stato menzionato il padre del ragazzo.

Che fosse stato sveglio? Che avesse sentito tutto?

Forse lui e Peter avevano ascoltato in silenzio e non avevano fiatato perché sconvolti da quello che avevano sentito, o forse già stavano dormendo da un pezzo e non avevano udito una sola parola: non poteva saperlo, non poteva fare altro che attendere il suo risveglio.

Charlie si diresse in cucina e prese del succo di frutta dal frigo, aveva bisogno di qualcosa di fresco da bere, per allentare la tensione che aveva irrigidito tutti i suoi muscoli in un attimo; non poteva farci nulla: quando c’era qualcosa che poteva minacciare la serenità di James, lei scattava come un ghepardo, sempre pronta a difendere il suo cucciolo.

Il suo istinto di madre si era sviluppato dallo stesso momento in cui Stark le aveva detto che aspettava un bambino, ed era sicura che prima o poi James l’avrebbe mandata a quel paese definitivamente a causa del suo essere iperprotettiva; quel pensiero fece sorridere la giovane nonostante tutto.

“Come mai sorridi?”.

La ragazza si voltò in direzione della porta che collegava la cucina con il salotto, vide suo figlio che la fissava e si stropicciava l’occhio destro con il dorso della mano.

“Stavo pensando ad una cosa buffa. Ti sei appena svegliato?”

“Si, Peter sta ancora dormendo”

“Che cosa avete fatto?”

“Intendi ieri? Nulla. Abbiamo mangiato una pizza e poi abbiamo guardato un film, quando è finito ci siamo addormentati nel divano”

“Ti sei mai svegliato?”

“No”

“Ohh!” esclamò Charlotte, tirando un sospiro di sollievo in modo inconsapevole, ed il ragazzo inclinò il viso di lato; corrucciò le sopracciglia in un’espressione che anche Bucky era solito fare quando era confuso.

“Perché?”

“Io e Tony abbiamo fatto un po’ rumore quando siamo rientrati. Lui era ubriaco”

“Oh, capisco!”

“Non farti strani pensieri, Jamie, tra noi due non c’è stato nulla e non ci sarà mai nulla. È stata solo un’uscita tra amici”

“Sareste una bellissima coppia” rispose il ragazzo, prendendo del succo di frutta a sua volta, Charlotte lo guardò con gli occhi spalancati: non pensava che suo figlio volesse vederla insieme allo zio adottivo, ma come poteva fargliene una colpa? Dopotutto in due anni era cresciuto sempre e solo con loro due.

Conosceva anche Nick, Natasha e Rhodey, ma loro due erano le sue colonne portanti.

“Tesoro, credimi, noi due funzioniamo di più come amici che come una coppia”

“Però non puoi stare per tutta la vita da sola. Anche se papà non c’è più” insistette James, andando a metter il dito proprio nella piaga.

“Quando mi sentirò pronta darò il mio cuore ad un uomo, ma per il momento voglio concentrarmi su altro. Io vado un momento da Tony. Faresti meglio a svegliare Peter, sono sicura che sua zia sarà in ansia” rispose la giovane, scompigliando i capelli al figlio, uscì dalla cucina e scese le scale a chiocciola che portavano al laboratorio del miliardario.

Lo conosceva perfettamente e sapeva che quando qualcosa lo turbava si rifugiava in quella stanza, lontano da tutti e da tutto, in compagnia della sua musica e delle sue armature da migliorare e migliorare.

Lei e Tony erano accumunati dal fatto che avevano un modo quasi malato per sfogare il proprio dolore: Charlotte distruggeva oggetti e Stark si chiudeva a guscio.

Avevano ancora molto da imparare.

La ragazza venne subito aggredita da una canzone sparata ad un volume quasi insopportabile, attraversò di corsa il laboratorio ed abbassò il volume dello stereo; Tony, stranamente, non era alle prese con uno dei suoi giocattoli tecnologici, bensì era davanti ad un microscopio, intento ad osservare qualcosa in una piastrina.

Solitamente era Bruce quello impegnato con microscopi e cose simili.

L’uomo sollevò gli occhi scuri e carichi di rimprovero, quando si posarono sul volto dell’amica s’indurirono notevolmente.

“Ora non posso ascoltare la musica a casa mia?”

“Non se dobbiamo parlare” rispose Charlotte, prendendo posto davanti a lui, si sforzò notevolmente per non voltare la testa laddove c’era una teca con dentro una protesi in vibranio di un braccio sinistro.

“Ma noi due non dobbiamo parlare”

“Andiamo, Tony! Sei più infantile di James quando fai così!”

“Non sono infantile. Ieri notte sei stata molto chiara. Non c’è altro da dire”

“Non voglio litigare con te, sei mio amico”

“Rogers era il tuo migliore amico. Se non sbaglio te lo sei portato a letto una volta”

“E tu questo come lo sai?”

“Io so sempre tutto, Charlie” ribatté Tony con un sorriso tirato “non dimenticarlo mai. Mi hai spezzato il cuore, ma vivrò lo stesso. Per anni sono andato avanti con un magnete che teneva lontane le schegge che erano a pochi centimetri dal mio cuore, questa sarà una passeggiata. Forse dovrei provare ad ucciderti per avere qualche reazione da parte tua… A quanto pare ti piace il sesso violento”

“La vuoi smettere? Perché devi parlare di lui in ogni occasione?”

“Perché non riesco a capire come hai fatto ad innamorarti del Soldatino…”

“Perché io mi sono sforzata di capirlo”

“Oh, beh, se hai avuto James sono sicuro che hai fatto molti sforzi per capirlo”.

Quello era troppo per Charlotte, che strinse i pugni e si preparò a rispondere nello stesso modo di Stark.

“Ascoltami attentamente…”

“Oh, cazzo…”

“Che c’è?”

“Credo di avere trovato una cura per James” disse l’uomo, sollevando di nuovo lo sguardo dallo strumento di laboratorio.

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Capitolo 7
*** My Little Soldier... ***


La giovane guardò per qualche istante il miliardario, poi lo affiancò rapidamente, quasi correndo.

“Stai scherzando?”

“No, Charlotte, non sto scherzando, guarda tu stessa” rispose Tony, scostandosi dal microscopio, lei avvicinò il viso e chiuse l’occhio sinistro per focalizzare l’immagine ingrandita dallo strumento: tutto quello che i suoi occhi vedevano erano delle piccole cellule che si muovevano e ciò non le diceva nulla in particolare.

“Che cosa significa? Che cosa sono?”

“Delle cellulare che interagiscono”

“Ed è una cosa buona?”.

L’uomo sollevò gli occhi al soffitto del laboratorio: era proprio in momenti come quello che desiderava avere a suo fianco Bruce Banner, l’unico che parlasse la sua stessa lingua.

“Si, Charlie, è una buona cosa. Finora tutte le prove che ho fatto sono fallite miseramente perché le cellule si attaccavano, si mangiavano tra di loro. Esattamente come accade nel caso delle cellule tumorali: aggrediscono tutte quell’organismo e si moltiplicano sempre di più…Ma queste…Queste stanno reagendo esattamente nel modo in cui voglio io. Questa è la cura”

“L’hai già provata? È sicura?”

“No. Come posso provarla? James è l’unico che ha un metabolismo così rapido”

“Mi stai dicendo che dobbiamo provare quella cosa su mio figlio senza essere sicuri degli effetti collaterali? Allora non se ne parla. Non voglio rischiare”.

Per la giovane il discorso era finito lì, ma Tony l’afferrò saldamente per il braccio sinistro, facendola voltare di nuovo.

“Ascoltami, per favore, lo sai che io non sono una persona che supplica spesso…”

“Credi che questo possa fare qualche differenza? Ti ricordo quello che mi hai detto fino a poco fa. Tutto il veleno che mi hai sputato in faccia senza preoccuparti del male che avresti potuto procurarmi”

“Ma qui non stiamo parlando di noi due. Stiamo parlando di James, lui non c’entra nulla con tutto questo e con la guerra civile che c’è stata. Anche se lui è il figlio del Soldato D’Inverno non ha colpe, questo lo capisco pure io. Non sappiamo se questa crescita così rapida possa avere ben presto degli effetti negativi nel suo corpo, prova a pensarci un momento: qualunque possibile cura verrà provata sempre per la prima volta su tuo figlio. Questa…” Stark indicò la piastrina “è l’unica che finora non lo ucciderà”

“Me lo garantisci?”

“Non posso assicurarti che sarà la cura, ma non gli farà male”

“D’accordo” rispose Charlotte dopo qualche secondo di silenzio “faremo una prova. Prega solo che vada tutto bene”.



 
“Tra qualche giorno è il tuo compleanno, giusto?” domandò Peter a James, stringendosi nelle spalle magre.

“Si. Il sedici”

“Che cosa hai chiesto?”

“Come regalo? Un cellulare nuovo. Vorrei avere una moto ma mia madre è contraria”

“Potresti chiederla a Tony”

“Nemmeno lui può fare molto in questo caso, ci vorrebbe un miracolo” sentenziò il ragazzo, scrollando le spalle.

Arrivarono a casa di Peter, suonarono il campanello e May andò subito ad aprire la porta d’ingresso; appena vide il nipote si portò la mano destra alla bocca, enormemente sollevata di vederlo intero ed in ottima salute: quando non lo aveva visto rientrare si era preoccupata così tanto che aveva chiamato la polizia dopo appena mezz’ora di ritardo.

“Oh, mi hai fatto terribilmente preoccupare, Peter! Ma dove sei stato?”

“Scusami, zia, io e Jamie abbiamo guardato un film e poi ci siamo addormentati nel divano. Mi dispiace davvero”

“Non ho nulla in contrario se dormi fuori, ma devi sempre avvisarmi” lo sgridò la donna con uno sguardo severo “grazie per avermelo portato a casa, James, vuoi entrare un momento? Ti posso offrire qualcosa da bere?”

“No, signora, devo tornare subito a casa. Ci vediamo” disse il giovane scuotendo la testa, rivolse un cenno di saluto al suo amico e tornò indietro con le cuffie nelle orecchie, con la fedele musica pompata a tutto volume.

Quando entrò nella Stark Tower trovò la madre e lo zio in cucina, seduti davanti al tavolo, si tolse le cuffie perché era ovvio che lo stavano aspettando per parlargli.

“Jamie, potresti sederti un momento?”

“Io non ho fatto nulla” si difese subito James, sedendosi a sua volta, con gli occhi socchiusi in un’espressione diffidente; cercò di pensare velocemente a qualche possibile cazzata commessa, ma dopo la fuga in discoteca era sempre stato bravo ed obbediente.

“Rilassati, bimbo, non sei in punizione”

“Oh, grazie al cielo, si tratta del mio compleanno?”

“Non proprio”

“E cosa?”

“Forse Tony ha trovato una cura”.

Il ragazzo di diciassette anni spalancò gli occhi: non si aspettava una simile notizia, cercava di non nutrire mai troppe speranze riguardo ad una cura per il suo problema, per non rischiare di rimanere deluso.

“Davvero?”

“Non è nulla di certo. È solo un esperimento, Jamie, non sappiamo i suoi effetti”

“State dicendo che potrebbe uccidermi?”

“No, questo no, ma non sappiamo comunque il suo effetto”

“Allora facciamolo. Adesso” rispose lui, stringendo le mani a pugno, dopo aver fatto un altro profondo sospiro.



 
Charlotte guardò il figlio con uno sguardo preoccupato, tormentandosi il labbro inferiore, poi si avvicinò a lui, mentre Tony era impegnato a preparare le ultime cose.

James era seduto in una brandina, stringeva i bordi con entrambe le mani in un vano tentativo di nascondere il nervosismo che provava.

“Sei sicuro?”

“Mamma, devo farlo. Non posso continuare in questo modo, non voglio svegliarmi un giorno e… Sento di doverlo fare”

rispose il ragazzo con un sorriso tirato, anche quell’espressione lo rendeva identico al padre; Charlie lo guardò con gli occhi lucidi di lacrime e gli posò un bacio nella fronte.

“Bravo il mio Soldatino”

“Siamo pronti!” esclamò il miliardario, si avvicinò al suo paziente e gli mostrò la siringa che aveva in mano, piena di un liquido trasparente che avrebbe potuto benissimo essere acqua “ti farò una semplice puntura. Come quando ti fanno un vaccino, capito?”

“Si”

“Bene” disse l’uomo, prese un tampone e con quello pulì la zona della spalla del ragazzo dove avrebbe fatto la puntura; poi prese la siringa in mano ed impiantò l’ago nella pelle; Jamie strinse gli occhi, trattenne il respiro e tutto finì in pochi secondi “come ti senti?”

“Bene. Mi sento bene”

“Riposati adesso” gli consigliò Stark, aiutandolo a sdraiarsi nella brandina.

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Capitolo 8
*** Birthday Party (Parte Uno) ***


Nonostante tutti gli avvenimenti che avevano sconvolto la vita di Charlotte, lei non aveva perso minimamente la forte passione che nutriva per la cucina.

Per il compleanno di James, poi, aveva in mente di organizzare qualcosa di speciale perché i diciotto anni si facevano una sola volta nella vita e doveva essere un momento unico per qualunque adolescente: lei a quell’età era già un’Agente dello S.H.I.E.L.D ed anche se Natasha e Clint erano stati così carini da prepararle una piccola festicciola a sorpresa all’epoca, la sua innocenza e spensieratezza erano ormai solo un ricordo lontano.

Ma per suo figlio tutto doveva essere diverso; in poche parole voleva per lui quello che non era riuscita a vivere appieno.

La giovane si abbassò per controllare che la torta stesse cuocendo bene nel forno, nel frattempo Visione si stava occupando di tagliare dell’insalata per i tramezzini; lui aveva insistito così tanto per aiutarla che Charlie, alla fine, si era arresa e gli aveva dato il compito di tagliare frutta e verdura, in modo che i suoi danni fossero contenuti.
Visione era convinto di essere un bravo cuoco, ma coloro che assaggiavano i suoi piatti non potevano affermare lo stesso.

“Ti posso fare una domanda?” chiese lei dopo qualche secondo, pulendosi le mani nel grembiule che indossava e sistemandosi la lunga coda di cavallo che le scendeva fin sotto le spalle.

“Si”

“Tu non senti mai la mancanza degli altri?”

“Si, mi capita spesso”

“Credi che le cose torneranno mai ad essere quelle di un tempo?”

“Il Signor Stark è un uomo molto impulsivo e testardo. Lui si lascia molto trasportare da quello che prova, anche se cerca di mostrarsi freddo, cinico e distaccato. Non so se lui ed il Capitano Rogers riusciranno mai a trovare un punto d’incontro nelle loro divergenze”

“Secondo te che cosa dovrebbe fare Tony? Quale sarebbe la cosa più giusta da fare?”.

L’alieno si lasciò scappare un sorriso mentre tagliava una pesca, pensò a Wanda ed al fatto che non la vedeva da troppo tempo: quella ragazza era allo stesso tempo forte e fragile come un pezzo di vetro, lui era l’unico in grado di capirla ed era preoccupato dal fatto che potesse essere sola e spaventata.

Con il potere che possedeva dopo gli esperimenti dell’Hydra poteva fare seriamente del male a qualcuno, magari a causa di un crollo emotivo e nervoso.

“Il Signor Stark dovrebbe mettere da parte il rancore personale per il bene superiore. Adesso la pensa in modo diverso, ma quando arriverà il momento in cui gli Avengers dovranno intervenire lo capirà. O almeno è quello che mi auguro”.

Charlotte sentì un brivido percorrerle la schiena perché quello era proprio ciò che la preoccupava: Tony non sentiva la necessità di trovare un modo per riconciliarsi con gli altri perché non c’erano più state minacce, ma sarebbero tornate, esattamente come era già accaduto in passato.

Prima c’era stato Loki, poi c’era stato un periodo di relativa pace, ma poi era arrivato Ultron.

Poi la guerra civile che si era risolta con una sconfitta per entrambe le frazioni e nient’altro.

Charlie sapeva che era solo un questione di tempo prima che arrivasse un nuovo problema.

Prima o poi sarebbe giunta la resa dei conti per tutti loro e Stark e Rogers non avrebbero avuto più scuse per continuare a rimandare il fatidico confronto.

“Come procedono i preparativi?” domandò proprio uno dei due diretti interessati, entrando con passo sicuro e scompigliandosi i capelli con un movimento sensuale.

“Finalmente ti sei deciso ad uscire dalla tua tana”

“Piccola, io lavoro per mandare avanti la mia azienda e per salvare la Terra. Questi sono biscotti al cioccolato? Quelli che prepari con il ripieno al caramello?” chiese Tony con uno sguardo affamato, allungò la mano destra per prenderne uno dalla teglia che era stata tirata fuori da poco dal forno, ma la giovane lo bloccò subito con uno schiaffo ben assestato.

“Non toccare quei biscotti! Sono per la festa di domani!”

“Per il compleanno di James?”

“Esattamente”

“Sono sicuro che non si noterà la differenza se ne manca uno”

“Non toccarli. Ti sei occupato di controllare se tutti hanno accettato l’invito per la cena?”

“Si, hanno accettato tutti” borbottò lui, massaggiandosi la parte lesa con l’altra mano.



 
James si svegliò il giorno seguente particolarmente di buon umore per due motivi: era il suo compleanno e non c’era scuola.

Scese subito dal letto ed andò in cucina ancora in pigiama:trovò sua madre ancora indaffarata con i fornelli ed un piatto di pancakes appena preparati, con una colata di sciroppo d’acero, esattamente come piacevano a lui.

“Buongiorno, Jamie. Buon compleanno, tesoro” disse Charlotte con un sorriso, andando subito ad abbracciare ed a baciare il figlio, non riuscì a nascondere gli occhi lucidi dall’emozione e lui reagì sollevando gli occhi al soffitto, in un’espressione esasperata.

“Mamma, compio diciotto anni, non devo partire per il fronte”

“Lo so, è solo che questo momento è arrivato troppo presto”

“Già”

“Mangia la tua colazione. Preferisci ricevere il tuo regalo adesso o questa sera?”

“Questa sera” rispose il giovane dopo averci pensato un po’; il resto della giornata trascorse in modo piuttosto tranquillo: James non uscì mai dalla Stark Tower, preferendo rilassarsi nella palestra dove c’era la piscina e l’idromassaggio.

I ragazzi e le ragazze della sua classe gli mandarono gli auguri tramite dei messaggi al cellulare e lui rispose sempre in modo educato, nessuno di loro lo chiamò per farli a voce ma al giovane andava bene così, dopotutto aveva legato veramente solo con Peter.

Nel tardo pomeriggio ritornò nella sua camera da letto, si lavò con calma e poi andò a scegliere i vestiti che avrebbe indossato per la sua grande serata.

Prese in mano diversi tipi di pantaloni, di magliette e di camicie, appoggiò ogni capo nel letto e nella moquette del pavimento per osservarli con più cura.

Alla fine scelse un paio di jeans bianchi, strappati all’altezza delle ginocchia, ed una camicia nera a maniche lunghe.

Indossò i vestiti con cura, si pettinò all’indietro i capelli castani e si mise anche del profumo nel collo, perché voleva essere nella sua forma migliore durante la sua festa; anche se non ci sarebbe stata nessuna sua coetanea comunque desiderava fare colpo nelle donne che ci sarebbero state.

Nelle uniche due donne che si sarebbero state, escludendo la madre.

Finalmente James uscì dalla stanza e rimase a bocca aperta quando vide il modo in cui si era trasformato il salotto: c’era un numero spropositato di palloncini che toccavano il soffitto, altri palloncini sparsi per il pavimento, striscioni colorati appesi alle pareti ed un tavolo dove era stato preparato l’aperitivo che avrebbe preceduto l’abbondante cena.

Nel divano erano seduti Tony, Charlie e Visione: il primo era impeccabile come sempre ed indossava una maglietta scura a maniche lunghe, attillata al punto giusto, la seconda aveva scelto un vestito azzurro con una sola spallina e teneva i capelli raccolti in un’alta coda da cavallo, mentre il terzo aveva optato per un paio di pantaloni, una camicia bianca ed un maglione color vino.

“Sono il primo ad arrivare?”

“Goditi questi ultimi attimi di pace. Tra poco verrai circondato da gente che ti farà mille domande senza lasciarti il tempo di riprendere fiato e pensare alla risposta”

“Tony, non essere drammatico, è ovvio che saranno tutti ansiosi di parlare con Jamie”

“Mamma, adesso puoi smetterla di chiamarmi in quel modo. Non sono più un bambino”

“Tu sarai sempre il mio bambino” rispose Charlie con un sorriso, il giovane si passò una mano nei capelli lisciati all’indietro e la voce robotica di F.R.I.D.A.Y, l’intelligenza artificiale che aveva preso il posto di JARVIS, annunciò l’arrivo del primo ospite.

“Signore, c’è il Generale Rhodes all’ingresso della Stark Tower”

“Lascialo entrare” disse il miliardario con un sospiro, alzandosi dal divano, si avvicinò all’ascensore che conduceva all’attico e dopo una trentina di secondi le porte si aprirono, rivelando la figura di un uomo vestito elegantemente e costretto a sostenersi ad un bastone.

Rhodey era l’amico più caro di Stark, l’unico che era sempre riuscito ad evitargli di fare numerose cazzate che avrebbero avuto gravi conseguenze, o almeno nella maggior parte delle volte ci aveva sempre provato; sfortunatamente durante lo scontro tra la frazione di Tony e quella di Steve Rogers aveva avuto un grave incidente che gli era costato l’uso delle gambe.

L’amico, però, gli aveva costruito un paio di protesi mirate a farlo camminare di nuovo; la riabilitazione era stata durissima e riusciva a fare ancora un numero limitato di cose, di conseguenza aveva dovuto dare un addio definitivo a War Machine.

Tony abbracciò il suo migliore amico e gli batté una pacca sulla schiena.

“D’accordo, Tony, così può bastare!”

“Andiamo, sei diventato una femminuccia all’improvviso?”

“Rhodey, è un piacere vederti” intervenne Charlie con un sorriso, l’uomo eseguì un baciamano e ricambiò il complimento.

“Anche per me è sempre un piacere vederti”

“Si, ma può bastare così con i saluti. È James il festeggiato, tutte le attenzioni devono andare a lui e non a Charlie”

“Signore, sono arrivati la signora May ed il signorino Peter”annunciò una seconda volta F.R.I.D.A.Y; le porte dell’ascensore questa volta rivelarono una giovane donna dalla chioma castana ed un ragazzino magro, che sembrava perennemente spaventato da tutto e da tutti.

Il miliardario andò subito ad accogliere May e Charlotte scosse la testa, perché era ovvio che lui non avrebbesprecato un solo momento per provarci con la zia di Peter, mettendo in grande imbarazzo il nipote.

Dopo una decina di minuti arrivò Maria Hill e poco più tardi l’ascensore si aprì un’ultima volta, mostrando una donna dai capelli rossi, che indossava un tubino dello stesso colore.

Natasha Romanoff entrò nell’attico con lo stesso passo felpato di una pantera; lei dimostrava sempre una sicurezza fittizia, una sicurezza che avrebbe voluto possedere molto più spesso di quello che in realtà accadeva.

La storia con Bruce Banner l’aveva scottata parecchio ed anche se erano trascorsi tre anni dalla loro rottura non si era ancora ripresa del tutto.

“Auguri, James” disse la spia con un sorriso, abbracciò il festeggiato e poi gli porse due pacchetti incartati con cura “questo è da parte mia mentre questo è da parte di Nick. Purtroppo non può esserci per problemi di lavoro. Un’emergenza”

“Addio divertimento!” esclamò il miliardario, che già si era preparato delle domande da fare al suo ‘superiore’ ed ora si vedeva sfumato tutto il duro lavoro; Nat guardò un momento Tony e poi andò ad abbracciare con calore l’amica ed ex allieva.

“Assomiglia sempre di più a suo padre” le sussurrò in russo, ad un orecchio, affinché nessun altro cogliesse il significato delle sue parole.

“Si, grazie al cielo” rispose nella stessa lingua Charlie, stringendo un po’ di più a Natasha.

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Capitolo 9
*** Birthday Party (Parte Due) ***


Charlotte e Natasha sciolsero l’abbraccio in cui erano ancora strette ed uscirono nella terrazza dell’attico, da cui si potevano ammirare le luci della città di New York, per parlare in tranquillità e senza il timore che qualcuno potesse udire le loro parole.

“Lo stai ancora cercando?” domandò la spia dopo aver dato un’altra occhiata in direzione della porta che conduceva all’interno.

“Non ho mai smesso di farlo per un solo momento”

“Tony lo sa?”

“No, assolutamente no. È ancora furioso per tutta la faccenda e non posso di certo dirgli che sto cercando disperatamente l’uomo che ha ucciso i suoi genitori. Non vuole sentire una sola parola su di lui. Ho provato a convincerlo, ho provato a dirgli che lui non ha fatto quelle cose volontariamente ma è sordo come un muro. Non so più cosa fare”

“Quindi James non sa nulla del padre?”

“No, non gli ho ancora detto che è vivo. Come posso farlo? Prima devo risolvere tutto questo con Tony. Non riesco nemmeno a mettermi in contatto con Steve, sono tutti spariti” mormorò la più piccola scuotendo la coda di capelli castani; sapeva perché il suo migliore amico la stava ancora evitando in quel modo, ma lei non era intenzionata ad arrendersi fino a quando non si sarebbe trovata faccia a faccia con almeno uno di loro.

Che fosse Bucky, Steve, Sam o Wanda.

“Ragazze, la festa è dentro, che cosa ci fate nella terrazza?” domandò Stark, nessuna delle due lo aveva sentito arrivare e si scambiarono una rapida occhiata per il timore che avesse potuto afferrare il senso del loro discorso; ma la faccia dell’uomo non era né seccata né infastidita, evidentemente credeva che si trattassero solo di argomenti tra donne e null’altro.



 
Dopo l’aperitivo il padrone di casa, il festeggiato e tutti gli altri ospiti presero posto a tavola e la cena per festeggiare il compleanno di James ebbe ufficialmente inizio; Charlie aveva preparato così tante pietanze che dopo le prime tre tutti erano già pieni, ma per fortuna c’era Tony che aveva un vero e proprio bidone della spazzatura al posto dello stomaco, perché sembrava che nulla fosse in grado di riempirlo del tutto.

Una volta terminate le pietanze Charlie andò un momento in cucina per mettere le candeline alla torta che lei stessa aveva preparato: torta al cioccolato con crema al burro, la preferita di suo figlio.

La serata stava procedendo nel migliore dei modi, eppure percepiva benissimo che c’era qualcosa che non andava, si sentiva la mancanza di una buona parte degli Avengers: mancavano Steve, Sam, Wanda e Clint.

Ma più di ogni altra persona mancava Bucky.

La giovane si lasciò scappare un sospiro dalle labbra socchiuse e solo quando sollevò lo sguardo si rese conto che c’era anche Tony, che se ne stava appoggiato allo stipite della porta e con le braccia incrociate nel petto; la maglietta attillata metteva in risalto i muscoli delle braccia e del petto in un modo quasi indecente e lei si ritrovò subito a pensare a come avesse fatto Pepper a troncare la loro relazione.

“Hai bisogno di una mano?”

“Sono solo delle candeline. Sono capace di farlo da sola”

“Insisto”

“D’accordo. Prendi dei piatti dentro quella credenza ed anche le bottiglie di spumante. Sta andando tutto bene, non credi?”

“Si. Charlotte, ti posso parlare?”.

La candelina di cera blu che la giovane aveva in mano cadde nel ripiano del tavolo, deglutì a vuoto e sentì il miliardario raggiungerla da dietro, sentì il suo petto contro la propria schiena; la mano destra di Stark andò a toglierle l’elastico dalla volta chioma, che ricadde subito sulle spalle e sulla schiena, simile alla criniera di un leone.

L’orgoglio di Charlie erano sempre stati i suoi capelli.

“Ma che hai fatto?”

“Sei molto più bella con i capelli sciolti. Beh, in verità sei sempre bella”

“Grazie, ma voglio indietro il mio elastico”

“Perché fai di tutto per non curare il tuo aspetto? Perché ti stai lasciando andare in questo modo? Sei giovane, hai ancora tutta la vita davanti. Se non te la godi in questo momento poi te ne pentirai”

“Ma io sono contenta. Davvero. Sono contenta”

“Allora potresti fare contento anche me?” sussurrò l’uomo con voce suadente, vellutata, lo stesso tono che aveva fatto cadere tra le sue braccia decine e decine di donne in vent’anni della sua carriera di playboy.

Charlotte si voltò di scatto, ritrovandosi a pochi centimetri dalle labbra dell’amico, si perse nei suoi occhi scuri e magnetici e poi lo scostò con ben poca gentilezza.

“Oggi è la festa di James, lo hai detto tu stesso” rispose poi in modo tagliente, prendendo in mano la torta e tornando nell’altra stanza da tutti gli altri ospiti.



 
“Esprimi un desiderio!”

“Avanti, Jamie, soffia sulle candeline!”

“Vogliamo mangiare la torta”

“Tony, smettila!”.

Il ragazzo chiuse gli occhi azzurri, prese un profondo respiro e poi buttò fuori tutta l’aria, spegnendo in un sol colpo tutte le piccole fiammelle.

Tutti gli altri applaudirono e fischiarono in direzione del festeggiato, che si passò una mano nei capelli castani con un gesto imbarazzato, ed arrivò il momento tanto atteso di scartare i regali ricevuti.

Jamie iniziò ad aprirli uno ad uno.

Rhodey gli aveva preso una collana con un ciondolo a forma di leone, il suo segno zodiacale.

May gli aveva comprato una maglietta a maniche lunghe e Peter aveva pensato di acquistare un paio di cuffie per ascoltare la musica, perché sapeva che l’amico adorava farlo in ogni momento possibile.

Natasha aveva optato per un profumo costoso da uomo.

Il regalo di Nick Fury consisteva in un elegantissimo orologio con il quadrante dalla forma triangolare, una di quelle edizioni limitate che si potevamo prendere solo sganciando un bel po’ di banconote a due zeri.

“Questo è da parte mia e di Tony, tesoro” disse Charlotte, alla fine, porgendo un piccolo pacchettino al figlio; lui lo prese in mano, lo aprì e vide che si trattava di un nuovo cellulare.

“Oh, stupendo!” commentò il giovane, cercando di non mostrarsi deluso, per i suoi diciotto anni c’era solo una cosa che desiderava davvero: avere una moto.

Era semplicemente innamorato delle moto e ne aveva chiesta una alla madre ed allo zio come regalo per i suoi diciotto anni; ovviamente la risposta era stata categoricamente negativa e la questione si era conclusa con un litigio, musi lunghi e porte sbattute con forza.

Una volta gustata la torta si arrivò al momento dei saluti perché la mezzanotte era passata da un pezzo, rimase solo Peter alla Stark Tower perché lui e James si erano accordati per trascorrere il weekend insieme.

Quando i due ragazzi si ritirarono nella camera da letto di James, si cambiarono e si sistemarono sotto le coperte con cura; parlarono un po’ ma dopo pochi minuti crollarono addormentati, nelle posizioni più bizzarre.

Due ore più tardi Jamie venne svegliato da una voce maschile, che apparteneva a Stark.

“James, vieni, dai!”

“Tony? Che c’è?”

“Vieni, dai, ti devo fare vedere una cosa che ti piacerà parecchio. Non svegliare il tuo amico, fa piano”.

Il ragazzo obbedì e seguì lo zio nel garage dove teneva le diverse macchine sportiva che aveva comprato per sfizio personale; si fermarono davanti ad un telone che copriva qualcosa.

“Che cos’è?”

“Il tuo regalo da parte mia. Il tuo vero regalo” annunciò Tony e poi tolse il telo con un gesto plateale.

Jamie rimase senza fiato davanti alla moto che si presentò ai suoi occhi: non era una di quelle per principianti, ma uno di quei mostri da strada che facevano girare la testa a chiunque ogni volta che si sentiva il suo ruggito; si avvicinò lentamente ed accarezzò il sellino in pelle con delicatezza, temendo di poterlo rovinare con il solo sguardo.

“Questa è… è…”

“Si, James, è tutta tua”

“Ma la mamma…”

“Non è necessario che lo sappia. Vuoi fare un giro di prova?”

“Posso davvero?”

“Avanti, che aspetti…”.

Il ragazzo rivolse uno sguardo di ringraziamento allo zio adottivo e poi salì in sella alla moto senza farselo ripetere una seconda volta, girando la chiave e facendo ruggire il motore in modo quasi assordante.

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Capitolo 10
*** Sharon Carter ***


La festa per i diciotto anni di James aveva portato un velo di tristezza in Charlotte; perché in quel momento più che mai aveva sentito la mancanza di Bucky, Steve e di tutto il resto della squadra.

In due anni esatti non aveva mai provato a contattare il padre di suo figlio direttamente perché lui non possedeva un cellulare e perché era in grado di rendersi invisibile con una facilità impressionante, era stato lo stesso Bucky a confidarle quella cosa una volta e Charlie ci credeva fino in fondo dato che lei stessa ne aveva avuto la prova concreta in passato.

Per tutto quel tempo aveva sempre provato a chiamare Steve con quello che era sempre stato il numero del suo telefono, ormai aveva perso il conto di tutte le volte che aveva fatto un tentativo, anche più volte al giorno, ma non aveva mai ricevuto risposta, nemmeno una sola volta.

Il cellulare squillava a vuoto fino a quando non partiva la segreteria telefonica.

Aveva provato numerose volte anche lasciando messaggi, uno più disperato dell’altro, ma nemmeno quel metodo aveva sorbito l’effetto tanto desiderato.

Una settimana esatta dal compleanno di James, Charlie si sentì nuovamente spinta dall’impulso di provarci ancora una volta e l’occasione era perfetta: Tony era occupato con una noiosa riunione, Jamie era a scuola e Visione era in un’altra stanza.

La ragazza digitò il numero del suo migliore amico e si portò l’apparecchio tecnologico all’orecchio destro, rimase in attesa di sentire una voce risponderle, si morse le labbra e pregò mentalmente di sentire Steve ma ciò non accadde, esattamente come tutte le volte precedenti.

Doveva aspettarselo, ormai, eppure sentì l’ennesima morsa dolorosa al petto; non aveva voglia di rimanere alla Stark Tower, così decise di uscire prendendo le giuste precauzioni: indossò la stessa giacca e lo stesso cappello a visiera di quando era andata nel suo appartamento per recuperare il libro dalla copertina rossa; ci abbinò anche un paio di occhiali da sole con le lenti scure, perché la sicurezza non era mai troppa.

Camminò per diversi minuti nelle strade di New York costellate di turisti, poliziotti a cavallo e baracchini di hot dog caldi.
Charlotte entrò in un centro commerciale e si diresse al supermercato, non perché avesse bisogno di comprare qualcosa ma perché non sapeva dove andare per trovare un posto tranquillo dove pensare e fare il punto della situazione.

Tony non aveva tutti i torti, in effetti era arrivato il momento di rifarsi una vita, molte sue coetanee che si trovavano in una situazione simile prima o poi trovavano un compagno con cui ricominciare tutto da capo, a lei non mancava la bellezza, il vero problema era che non aveva la minima intenzione di trovarsi un altro uomo; alla fine di ogni giornata si ritrovava sempre nello stesso circolo vizioso che prima o poi le avrebbe fatto esplodere la testa: voleva trovare Bucky, voleva rifarsi una nuova vita, ma voleva Bucky.

Bucky, Bucky, Bucky.

Ormai le sue intere giornate giravano attorno al ricordo del giovane uomo.

A volte, quando era notte, chiudeva gli occhi e si sforzava di ricordare ogni singolo particolare del suo volto: i lunghi capelli castani, gli occhi azzurri, le guance ricoperte da una leggera barba, la fossetta sul mento e l’angolo sinistro della bocca appena incurvato all’insù quando sorrideva, almeno nelle rare volte in cui l’aveva fatto.

Era doloroso ricordare i suoi occhi ed il suo sguardo: nell’azzurro delle iridi del Soldato c’era sempre una nota dolorosa che non lo abbandonava mai, un segno indelebile delle torture che aveva subito in passato e che mai lo avrebbero lasciato del tutto.

Si, c’erano state le volte in cui aveva pianto pensando all’uomo che amava, ma c’erano state le volte in cui si era toccata pensando a lui, fingendo che fossero le sue mani quelle che le stavano donando piacere, ed ogni volta si sentiva sempre peggio.

Anziché trovare un conforto passeggero si sentiva sporca e triste.

La giovane passò diverse corsie guardando in modo distratto i prodotti, se ne stava per andare quando sentì una voce familiare.

“Ahh, maledizione!”.

Si spostò velocemente nella corsia successiva e vide una ragazza della sua stessa età china nel pavimento del supermercato: i capelli biondi erano lasciati sciolti sulle spalle e stava cercando di asciugare come meglio poteva il detersivo che lei stessa aveva fatto cadere.

Anche lei non la vedeva da tempo, eppure la riconobbe ad una prima occhiata, anche se alcuni ciuffi di capelli le coprivano il volto.

“Sharon?”.

L’ormai ex Agente della CIA si voltò di scatto, corrucciò le sopracciglia alla vista di Charlotte, capendo chi fosse solo quando si tolse gli occhiali da sole.

“Charlie?”

“Si, sono io”

“Che cosa ci fai qui?”

“Ero venuta a fare un giro. Tu?”

“Devo prendere delle cose” rispose Sharon Carter con un sorriso “è stato un piacere vederti”

“No, aspetta!” esclamò l’altra ragazza, afferrando l’amica per il polso destro “da quando tutto è finito sei la prima che incontro del resto del gruppo. So che sai dove sono. Dobbiamo parlare”

“Questo non è il posto giusto”

“Allora dimmi quale posto è quello giusto per una chiacchierata perché io ho bisogno di parlare con te. Ho bisogno di risposte”.

Sharon si guardò attorno, chiuse per un momento gli occhi scuri e poi afferrò Charlotte per il braccio destro, per portarla fuori dal supermercato.
 

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Capitolo 11
*** Where Is Bucky? ***


La giovane donna si portò alle labbra il bicchiere che conteneva thé freddo alla pesca, non aveva veramente sete, il suo era solo un gesto per tentare di scacciare il nervosismo che sentiva.

Sharon non era mai stata una bellezza sfolgorante, ma era dotata dello stesso acume di sua zia Margaret Carter, detta Peggy; anche se era trascorso tanto tempo da quando lei aveva esalato l’ultimo respiro il dolore per la sua perdita non si era ancora attenuato, nemmeno di poco.

“Che domande mi devi fare?” domandò poi, passandosi una mano nei capelli sottili e biondi.

“Dove si trova Bucky?”

“Non lo so”

“E Steve?”

“Non so nemmeno questo”

“Sharon, lo so che stai mentendo. So che tu sai dove si trovano. Fidati di me, non lo dirò a Tony ma devo sapere dove si trovano loro e tutti gli altri”

“Per quale ragione?”

“Perché sono due anni che non ho più notizie del mio migliore amico e del resto della squadra. E sono due anni che non vedo l’uomo che amo, non so né dove si trova né se è ancora vivo ed io non posso continuare a vivere in questo modo”

“Non posso dirti nulla”

“Non puoi o non vuoi? Perché a me sembra di più la seconda. Perché sei arrabbiata con me? Io sono stata sempre dalla parte di Steve e lo sono tutt’ora”

“Dovresti saperlo” rispose l’ex Agente Tredici bevendo un altro sorso della sua bevanda.

Charlotte guardò l’amica con un’espressione sconcertata, poi un’illuminazione improvvisa le attraversò la mente, accompagnata dal ricordo di lei e Steve che trascorrevano una notte movimentata nel divano del suo vecchio appartamento.

“Oh!” esclamò, infatti, Charlie arrossendo “è per quello che c’è stato tra noi due?”

“Eri a conoscenza dei miei sentimenti per lui” disse Sharon con uno sguardo accusatore; quando lei e Steve si erano scambiati il loro primo bacio, in Germania, si era sentita il cuore traboccante di gioia e quando aveva visto Charlie scambiarsi un lungo bacio con Bucky, nella stessa occasione, nonostante lo sconcerto iniziale si era sentita anche sollevata.

Perché quel bacio tra i due aveva sciolto ogni dubbio che aveva avuto tra la ragazza ed il Capitano; di conseguenza quando lui le aveva confidato, tempo dopo, che c’era stato un rapporto intimo Sharon aveva sentito il mondo crollare sotto i suoi piedi.

Non lo aveva fatto notare al giovane uomo, ma si era sentita un rimpiazzo.

“Mi dispiace, non volevo ferirti, ma anche io sono stata innamorata di Steve. Lui è stato il mio primo amore ed il mio migliore amico. Non sarei la persona che sono adesso se la mia vita non avesse incrociato la sua. Lui è stato importantissimo per me, lo è tutt’ora, ma l’uomo che amo è Bucky. Io devo trovarlo e tu adesso mi dirai dove si nascondono tutti loro. Ti chiedo solo questo, Sharon, solo questo” la supplicò la giovane, strinse entrambe le mani a pugno, affondando le unghie nei palmi delle mani, pregando di essere riuscita a smuovere a compassione l’altra.

Le sue parole avevano avuto l’effetto che tanto desiderava, perché l’ex Agente Tredici riconobbe la sincerità che traspariva dalla voce dell’amica; sospirò profondamente e si lasciò alle spalle la sua gelosia tutta femminile.

“Ti posso dire dove si trova il nostro nascondiglio, ma non so dove sia Bucky. Lui non è con noi”

“Capisco” mormorò Charlie chinando la testa; nel suo cuore si formò un’altra crepa ma, almeno, adesso aveva qualcosa tra le mani.



 
Sam Wilson prese in mano una tazza sbeccata da un lato, la riempì di caffè ormai freddo e poi si lasciò cadere in una delle sedie malandate della cucina del piccolo appartamento.

Vivere una vita da ricercati non era affatto facile, ma era sempre meglio di trascorrere anni, anni ed anni dietro le sbarre di un carcere di massima sicurezza; nessuno di loro avrebbe mai potuto immaginare che un giorno si sarebbero trovati in una simile situazione, non lo confessavano quasi mai ma avevano tutti paura di essere catturati dalla polizia.

Tranne Scott.

Lui era già stato in prigione.

“Questo caffè fa schifo. Sono stanco di tutto questo” sbuffò dopo qualche secondo, sbattendo la tazza sopra alla superficie scheggiata del tavolo, Scott non rispose e continuò a bere stoicamente la sua bevanda.

“Ho visto di peggio” replicò il più grande dopo aver svuotato tutta la sua tazza; in quello stesso momento Clint uscì da una stanza laterale, aveva ancora in mano un cellulare di quelli usa e getta ed un’espressione triste nel volto segnato dalla stanchezza e dal dolore.

“Allora? Nulla?” gli domandò Sam.

“Nulla” rispose l’altro, scuotendo la testa in modo rassegnato, prima di ritirarsi in un’altra stanza ancora per rimanere da solo con la propria sofferenza: dopo che lui e gli altri erano stati liberati da Steve non aveva potuto far ritorno dalla sua famiglia, aveva chiamato la moglie per comunicarle tutto e quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.

Esattamente come era accaduto a Tony con Pepper.

Lei gli aveva detto che non potevano più andare avanti in quel modo, che non ce la faceva più e che al suo ritorno avrebbe trovato la casa vuota.

Da quel momento nessuno aveva più risposto alle sue numerose chiamate.

“Sono le situazioni come questa che mi fanno sentire fortunato di non avere una famiglia sulle mie spalle. Almeno nessuno deve pagare le conseguenze delle mie azioni”

“Io lo capisco”

“Hai una famiglia?”

“Una figlia”

“Perché non torni da lei?”

“Per lo stesso motivo per cui non torno da Hope e da Hank Pym. Ho deluso tutti quanti. Avevo promesso a mia figlia che sarei stato un eroe. Adesso sono tornato ad essere un criminale”

“Sai che non è la verità”

“Ma è quello che i giornali dicono. La gente crede a quello che legge”

“Vedrai che tua figlia non smetterà mai di vederti come un eroe” rispose Sam, cercando di far tornare il buonumore a Scott, ma non era affatto facile.

La persona che più di tutte stava vivendo male quella situazione era Wanda, la più piccola dell’intero gruppo.

Per lei non era affatto facile ed il loro compito era quello di non farle superare il suo limite, o sarebbe stata un pericolo tanto per gli altri quanto per sé stessa.

I due giovani sussultarono contemporaneamente quando sentirono qualcuno bussare alla porta d’ingresso; si guardarono negli occhi con un’espressione che non riusciva a mascherare il terrore che provavano, perché nessuno di loro era uscito.

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Capitolo 12
*** I Don't Trust Anyone ***


Sam e Scott continuarono a guardarsi negli occhi per lunghi secondi.

“Forse ce lo siamo solo immaginati” commentò poi il più grande, a bassa voce, ma proprio in quel momento qualcuno bussò nuovamente alla porta e con più insistenza.

“Lo hai sentito anche tu?”

“Si”

“Allora abbiamo entrambi un’immaginazione molto fervida. Che cosa facciamo?”

“Andiamo a dirlo al Capitano”

“No, negativo, lui è occupato con Sharon”

“Allora facciamo finta di non aver sentito”

“Non possiamo fare nemmeno questo. Se hanno bussato alla porta è perché sanno che c’è qualcuno qui dentro. Dobbiamo aprire la porta, non possiamo fare altro. Coprimi le spalle, non sappiamo chi può essere” disse Sam, si avvicinò alla porta con circospezione e Scott lo seguì subito, a poca distanza; il più piccolo appoggiò la mano destra alla maniglia, si voltò verso l’altro e dopo aver ricevuto un cenno del capo aprì la porta di scatto, all’improvviso.

Entrambi rimasero sorpresi nel vedere una ragazza dai lunghi capelli castani, che indossava un paio di jeans scuri, una giacca nera ed un cappello a visiera calato con cura sul viso.

Era passato diverso tempo dall’ultima volta in cui si erano visti, ed era anche più magra, ma Sam riconobbe subito la migliore amica di Steve.

“Charlie? Che cosa ci fai qui?”

“Anche per me è un piacere vederti, Sam”

“Come hai fatto a trovare questo posto?”

“Ha importanza?” domandò Charlotte con un mezzo sorriso, Scott si sporse di lato e dopo averla osservata in silenzio ebbe un’improvvisa illuminazione, ricordando finalmente dove avesse già visto quella giovane così bella.

“Ehi, io ti conosco! Tu sei la ragazza del Soldato, vero? Ci siamo visti all’aeroporto!”

“Si, sono io. Tu sei l’uomo formica, giusto?” ribatté subito dopo lei, con un sorriso ancora più tirato del precedente, perché quando qualcuno nominava Bucky per lei era sempre terribilmente dura “Sam, lui è qui? È qui con voi?”

“No, non è mai stato qui. Nessuno di noi lo ha mai visto”

“Steve?”

“È nell’altra stanza con Sharon”

“Devo parlare con lui”

“Non credo che sia un buon momento. Ascolta, faresti meglio ad andartene finché non sa della tua presenza…”

“So che Steve è ancora arrabbiato con me, ma sono due anni che vi cerco. Due maledetti anni. Non puoi dirmi questo dopo tutta la fatica che ho fatto, ti prego. Non puoi farmi questo, Sam” mormorò Charlie con uno sguardo disperato, ed il giovane uomo non riuscì a resistere a quegli occhi azzurri lucidi di lacrime.



 
Sharon si lasciò scappare un gemito sotto le dolci carezze del Capitano.

Nella sua vita aveva avuto diversi uomini, ma mai nessuno era stato in grado di renderla donna come lui ci era riuscito in pochissimo tempo, entrandole nel cuore dopo uno sguardo solo.

Si era innamorata di Steve ancora quando era sottocopertura, ed il loro primo bacio era arrivato solo due anni più tardi, dopo troppo tempo, quando tutti loro erano in Germania e Steve era ricercato dalle autorità, insieme al resto di tutta la sua squadra.

In quell’occasione aveva sentito una profonda tristezza mista ad amarezza: c’erano state tante occasioni sprecate tra loro due, tanti baci che non c’erano stati a causa di Charlie e del fantasma ancora presente di Peggy.

Si, pensò l’ex Agente Tredici, a volte aveva odiato davvero sia la migliore amica di Steve che sua zia, perché sapeva che entrambe erano molto importanti nella sua vita, molto più di quello che era lei.

Ma poi c’era stata la guerra civile, il Capitano si era presentato alla finestra della sua camera da letto, le aveva allungato la mano destra e le aveva chiesto di ricominciare una nuova vita insieme; sarebbero stati due ricercati, ma almeno non ci sarebbero state più occasioni buttate al vento.

Sharon aveva accettato senza voltarsi un solo momento a pensare alla brillante carriera che stava abbandonano: porgendo a sua volta la mano destra all’uomo che amava, aveva cancellato tutti i fantasmi, comprese Charlie e Peggy.

Poi, però, aveva incontrato la prima al supermercato e nell’illusione che viveva si erano già formate le prime piccole crepe.

La giovane appoggiò la testa nel petto di Rogers e si lasciò accarezzare i capelli biondi con gesti lenti ed ipnotici: nella stanza che dividevano c’era solo un materasso posizionato nelle assi del pavimento, un tavolino ed un vecchio armadio cigolante; non era di certo un inizio che ogni giovane coppia desiderava, ma era meglio che vivere separati.

“Mi sento in colpa”.

Sharon sollevò il viso alle parole di Steve.

“Per cosa?”

“A volte mi sento in colpa per averti trascinata in questo posto. Avrei dovuto lasciarti alla vita che avevi”

“No, non dirlo mai più. Io voglio stare con te, m’importa solo di questo. Non m’interessa se viviamo in un appartamento che va a pezzi e se la polizia ci cerca, io sono felice esattamente così”

“Un tempo desideravo avere una famiglia. Mi sembrano passati secoli…” sospirò il giovane, passandosi una mano nei capelli biondi e corti, riflettendo ancora una volta su quanto tempo fosse trascorso da quando era solo un ragazzino di Brooklyn che non aveva nulla di diverso da tutti gli altri; sentiva la mancanza di quella vita? Si, ma preferiva non pensarci troppo perché gli avrebbe fatto male, perché avrebbe solo sofferto per nulla.

Quei tempi erano andati e nessuno li avrebbe mai più portati indietro; doveva accettare quello che la vita gli aveva riservato.
E, comunque, anche se fosse tornato indietro avrebbe preso lo stesso la scelta di diventare Capitan America.

La nipote di Peggy si sollevò sui gomiti, in modo da guardare meglio il suo compagno, prima di parlargli di nuovo.

“Non devi rinunciare al tuo sogno. Ormai sono passati due anni da quando è iniziata la nostra relazione. Lo so che questo non è il momento migliore, ma ben presto potrebbero scoprire il nostro nascondiglio. Forse meritiamo di essere felici, non credi?”

“Una famiglia? Ora? Sharon…” iniziò il giovane lasciandosi scappare un sospiro, perché come lei stessa aveva detto quello era davvero il momento meno adatto per pensare ad una cosa come mettere su famiglia ed avere dei bambini.

E poi non aveva mai pensato a sé stesso come ad un padre.

“Ehi, ragazzi…” la testa di Sam sbucò da dietro la porta socchiusa, nel suo viso si poteva leggere un’espressione decisamente imbarazzata “mi dispiace interrompere il vostro momento romantico, ma c’è una cosa che devi vedere, Steven”

“Che cosa c’è?”

“Una persona ti deve parlare”

“Una persona? Stai dicendo che hai permesso a qualcuno di entrare nel nostro nascondiglio? Avevo detto a te e Scott di fare attenzione quando uscite, chi vi ha visti?”

“Steve. Vieni, per favore”

“Arrivo subito”.

Sam richiuse la porta, Rogers si alzò dal materasso logoro che cercava di rendere il più presentabile possibile e si vestì velocemente, indossavano un paio di boxer, dei pantaloni ed una maglietta a maniche corte; Sharon lo guardò in silenzio, mordendosi le labbra a causa del nervosismo: lei già sapeva chi fosse quella persona, temeva la reazione del suo compagno una volta scopeto che era stata lei a rivelare la posizione del loro vecchio appartamento.

Il Capitano uscì dalla stanza e trovò l’amico subito lì fuori, insieme ad Ant-Man.

“Ti sta aspettando nel salotto”

“Volete dirmi di chi si tratta?”

“Lo vedrai tu stesso”.

Il pensiero di Steve andò subito a Tony, perché era l’unico che potesse riuscire in un’impresa come quella, per cui rimase sorpreso come gli altri nel scoprire che la persona fosse, in realtà, Charlotte.

Era sicuro che avesse smesso di cercarli tanto tempo prima.



 
Charlie si voltò sentendo un’asse del pavimento scricchiolare, si ritrovò faccia a faccia con il suo migliore amico.

Nonostante tutto il tempo passato si ritrovò a constatare che lui non era cambiato affatto, tranne per lo sguardo duro che si leggeva nei suoi occhi chiari.

“Steve. Ti trovo bene”

“Tu sei troppo magra. Dovresti mangiare di più. Che cosa vuoi?”

“Vi sto cercando da due anni”

“Come hai fatto a trovare questo posto? Chi te lo ha detto?”

“Ho incontrato Sharon e l’ho supplicata di dirmelo, perché avevo bisogno di parlare con te. Sei sparito senza dirmi nulla, Steve”

“Tony non ti ha raccontato quello che è accaduto dopo? Sono stato costretto a rompergli il reattore dell’armatura. Dovevo fermarlo. Voleva uccidere Buck e me”

“Ed io non condanno il tuo gesto, anzi, ti ringrazio per quello che hai fatto. Tony era annebbiato dalla rabbia e sono sicura che si sarebbe subito pentito se ti avesse fatto seriamente del male. Dove si trova?”

“Chi?”

“Lo sai di chi sto parlando”

“Non lo so”

“Oh, ti prego” lo supplicò la giovane mentre le lacrime presero a rigarle il viso “perché mi odi?”

“Perché ti odio? Non lo so, Charlie, dimmelo tu. Dovresti saperlo. Hai preso in giro il mio migliore amico e non mi hai mai detto che eri innamorata di Loki”

“Ma questo è stato molto tempo fa, ormai appartiene solo al passato. Io amo Bucky e voglio fargli capire che non l’ho preso in giro nemmeno per un momento! Ma non lo capisci che Stark ha detto quelle parole apposta per ferirlo? Credimi, Steven, non c’è nulla che vorrei di più in questo momento che vedere i suoi occhi. Il suo viso. Voglio solo abbracciarlo e che tutto questo sia finito. Io non ce la faccio più, davvero”

“Tu gli hai spezzato il cuore. Ti avevo chiesto solo una cosa! Solo questo!” gridò Rogers, non più in grado di trattenere tutto il rancore represso; Sam e Scott sobbalzarono da dietro la porta che li nascondeva, perché non si aspettavano una reazione così violenta, soprattutto da una persona posata come il loro Leader.

“Io non gli ho spezzato il cuore!” gridò a sua volta la ragazza, con un lampo rosso negli occhi turchesi “io non volevo tutto questo. Lo amo. Tu per me sei ancora il mio migliore amico. Sistema tutto con Tony e dimmi dove si trova Bucky”

“Tony non sarà contento fino a quando non avrà ucciso Buck, ed io non posso permetterglielo. Ormai è troppo tardi e non è più possibile tornare indietro. Gli Avengers non esistono più, è tutto finito. Non ti dirò dove si trova, ma sappi che è al sicuro. Mi dispiace, Charlotte, ma lui è il mio migliore amico. Anche quando non avevo nulla avevo Bucky. Adesso lui è al primo posto per me”

“Ma…”

“Non insistere, ti prego, vattene. Non costringermi ad usare la forza. Non siamo più bambini, è finito il tempo dell’ingenuità”

sentenziò il Capitano voltandole le spalle; la giovane provò un ultimo disperato tentativo ma lui era inamovibile nella sua decisione.

Charlie capì che non c’era altro che potesse ottenere e così abbandonò quell’appartamento per sempre, con la testa china e le mani in tasca, con la consapevolezza che adesso era davvero tutto perduto, che nulla si sarebbe aggiustato e che non si sarebbe più ricongiunta con l’uomo di cui era innamorata.

Quando tornò a casa si sedette nel divano, in compagnia di un barattolo di gelato alla vaniglia.

Tony la trovò qualche ora più tardi, intenta a raschiare il fondo del barattolo, con il profilo fiero illuminato dalla luce rossastra del tramonto.

“Spero che tu abbia finalmente imparato la lezione” sentenziò il miliardario senza aggiungere altro, facendole capire che non era uno stupido e che era a conoscenza del suo tentativo.



 
Steven Rogers si passò una mano negli occhi, mentre Sam e Scott uscirono dal loro nascondiglio dietro la porta.

“Sei stato duro con lei. Non avresti dovuto parlarle in quel modo”

“Non mi fido di nessuno”

“A me sembrava sincera”

“Ho detto che non mi fido di nessuno, Sam” ribatté l’altro giovane in tono piccato; andò nella sua camera da letto e vide che anche Sharon si era rivestita ed ora lo attendeva con ansia ed esitazione.

I due si guardarono negli occhi ed a lui bastò scuotere la testa per farle capire che lo aveva profondamente deluso.

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Capitolo 13
*** I Want To Be An Agent Of S.H.I.E.L.D ***


La vita alla Stark Tower riprese ad essere normale, almeno fino al giorno in cui James prese posto in una delle sedie in cucina, davanti alla madre ed allo zio.

“Voglio diventare un Agente dello S.H.I.E.L.D” disse in tono serio, per dimostrare che il suo non era affatto uno scherzo; Tony reagì sollevando il sopracciglio destro mentre a Charlie per poco non scivolò a terra la tazza che aveva in mano.

“Perché ti è venuta in mente questa idea?”

“Perché ci ho pensato ed è l’unica cosa che voglio fare nella mia vita. Non voglio continuare ad andare a scuola, voglio solo dedicarmi a questo”

“Non me ne hai mai parlato!” esclamò Charlotte, appoggiò la tazza sopra al bancone ed incrociò le braccia nel petto, preparandosi a quello che sarebbe stato un duro litigio con il figlio; Tony avrebbe voluto sottrarsi volentieri a quella tortura, ma sapeva che sarebbe stato subito bloccato.

“Perché non sapevo come dirtelo. Ho voluto aspettare l’occasione giusta per parlarne con te e con lo zio”

“Ma sei stato tu quello che ha insistito tanto per andare alla scuola pubblica. Non hai pensato a Peter? Ci resterà malissimo per questa scelta così egoista”

“No, non è vero! Non è una scelta egoista. Voi tutti sapete che non sono come gli altri, che cosa posso fare? Un lavoro normale? Io voglio essere un Agente, voglio servire il mio Paese nel modo migliore”

“Non se ne parla nemmeno. È troppo pericoloso”

“Voglio fare questo. O divento un Agente od entro a far parte dell’esercito. A te la scelta”

“Allora entra nell’esercito”

“Ma io non voglio entrare nell’esercito!” ribatté il ragazzo, vedendo che la propria arma gli si era rivoltata contro.

“Allora non farai nessuna delle due cose, perché far parte dello S.H.I.E.L.D non è una passeggiata. Molta gente che lavorava per la nostra organizzazione ha perso la vita, ed io stessa ho rischiato la pelle più volte. Non è come nei fumetti che leggi, non è come nei film che guardi in TV. Questa è la realtà e non è scontato che gli eroi vincano sempre. Adesso vai in camera tua. Per oggi mi hai fatto arrabbiare abbastanza”

“Ma…”

“James! Basta!”.

Jamie lanciò uno sguardo seccato alla madre, poi uscì dalla cucina ed andò nella sua camera da letto sbattendo con forza la porta, per far capire agli altri due quanto fosse furioso; Charlie, in tutta risposta, si limitò a scuotere la testa perché si aspettava che un giorno avrebbe affrontato un discorso simile con il figlio.

Sapeva sempre quello che passava per la sua testa, non era difficile capire che lui voleva solo percorrere la sua stessa strada.

Stark si schiarì la gola per porre fine al silenzio imbarazzante, domandandosi dove fosse Visione in momenti come quello, in era richiesta la sua presenza.

“Non sei stata troppo dura con lui?”

“Direi di no. Non voglio che faccia parte di questo mondo”

“Ma lui ne fa parte dallo stesso momento in cui lo hai concepito, Charlotte. Te lo ha detto lui stesso. James non è un ragazzo normale, non puoi pretendere che desideri fare l’avvocato od il meccanico. È sempre stato a contatto con gente diversa e con le organizzazioni segrete. Se un figlio ha i genitori medici vorrà fare il medico. Se un figlio ha la madre e lo zio adottivo che sono membri di un’organizzazione segreta e supereroi vorrà essere anche lui un Agente ed un supereroe” iniziò l’uomo mentre si occupava di aprire due bottiglie di birra ghiacciata, porgendo poi la prima all’amica “puoi tenerlo lontano adesso, ma non riuscirai nel tuo intento per sempre. Se continui a negargli quello che vuole se lo prenderà con la forza. E sarà peggio. Credimi”

“Non voglio perderlo”

“Non lo perderai, fidati, ma dagli in parte quello che vuole”

“Cioè?”

“Fa in modo che sia una parte marginale dello S.H.I.E.L.D. Chiedi a Natasha se lo può allenare come ha fatto con te quando eri solo una ragazzina. Dopotutto è sempre meglio che James sappia difendersi. Per il momento gli basterà questo”

“Sei sicuro? E quando arriverà il momento in cui vorrà di più?”

“A quello ci penseremo quando arriverà, no? Perché farci problemi in anticipo?”.

Charlie mandò giù l’ultimo sorso della sua birra, poi si passò una mano sugli occhi stanchi, il miliardario l’abbracciò senza dire una parola, capendo che in quel momento lei aveva bisogno solo di quello; la giovane ricambiò lo slancio affettuoso a sua volta, lasciandosi accarezzare i capelli castani.

L’uomo appoggiò il viso nella chioma ed ispirò a fondo il profumo dolce, un misto di pesca e frutti tropicali; sollevò il volto di Charlie per cercare il suo sguardo e quando lo trovò le sorrise.

“Io saprei renderti felice. Per te cambierei. Ti sarei sempre fedele”

“Io non voglio che cambi per me” mormorò la ragazza, sciogliendo l’abbraccio, incredula del fatto che Tony approfittasse di ogni momento per provarci; lui sollevò le mani, facendosi indietro, poi se le portò ai fianchi.

“Allora…Che cosa hai scoperto qualche settimana fa? Quando sei andata dal tuo migliore amico?” domandò Stark, fino a quel momento aveva sempre evitato di esigere delle spiegazioni dall’amica, ma ora voleva sapere almeno qualcosa.

“Non ho scoperto nulla. Ho parlato un po’ con Steve e basta. Tutto qui”

“Sicura?”

“Si, Tony. E comunque, lui non è con Steve. Non mi ha voluto dire dove si trova. È tutto finito” rispose Charlie voltando le spalle all’altro; doveva mettercela tutta e chiudere quella porta del passato.

Perché Bucky, ormai, era solo il passato.

Il futuro le riservava ben altro.



 
James attese con impazienza che la notte calasse, poi uscì dalla camera dopo aver avuto la certezza che più nessuno fosse sveglio ed andò nel garage della Stark Tower.

Tolse il telone bianco dalla moto che suo zio gli aveva regalato, ci salì sopra e girò la chiave, subito si sentì il rombo simile al ruggito di un leone affamato.

Sfrecciò fuori dalla struttura ad una velocità che già sfiorava il limite del consentito, ma non gl’importava.

Aveva bisogno di un modo per sfogare la rabbia che aveva ancora nel petto e quello era l’unico modo che conosceva: sentire il vento che gli scompigliava i capelli gli dava un senso di pace che mai aveva provato prima, nemmeno quando ascoltava la musica a tutto volume nelle sue amate cuffie; guidò mantenendo sempre quella velocità, con la speranza di non incontrare nessun poliziotto, si fermò solo quando si trovò in cima ad una piccola collinetta, da cui era possibile avere una vista dell’intera New York.

James sistemò il cavalletto della moto e rimase in silenzio a guardare la città in cui era nato, con il mento appoggiato al palmo della mano destra.

La conversazione con la madre lo aveva amareggiato profondamente, perché credeva di trovare sostegno da parte sua e da parte di Tony, ma quello non era accaduto ed ora si sentiva costretto a lottare contro tutto e tutti; ma non si sarebbe arreso, era testardo come un mulo e non si sarebbe arreso facilmente.

Gli dispiaceva la prospettiva che la sua decisione avrebbe comportato l’abbandono dalla scuola, solo perché ciò significava lasciare Peter, ma sapeva comunque che quello non avrebbe segnato la fine della loro amicizia.

Il giovane abbassò lo sguardo sull’orologio che portava al polso sinistro e si rese conto che era già arrivato il momento di far ritorno a casa, prima che qualcuno potesse rendersi conto della sua strana assenza.

Una volta rientrato nel garage della Stark Tower sistemò con cura il suo amato mezzo a due ruote e lo coprì con il telo che aveva abbandonato nel pavimento; quando le porte dell’ascensore si aprirono sull’attico di Tony, il ragazzo venne subito accolto dall’immagine della madre che lo stava attendendo.

“Mamma, che ci fai ancora sveglia?”

“Ti stavo aspettando. Dove sei stato?”

“Ho fatto qualche passo. Non avevo sonno”

“Io e Tony abbiamo parlato. Forse c’è un punto d’incontro a cui possiamo arrivare. Però non ti prometto nulla perché prima devo discuterne con Fury”

“Oh, davvero?” domandò Jamie, sbattendo le palpebre, non si aspettava un repertino cambio di idee ma aveva poca importanza, perché tutto quello andava solo a suo vantaggio.



 
 
 
Nicholas J. Fury era un uomo profondamente diffidente e gli eventi di Washington non avevano fatto altro che convincerlo ancora di più del fatto che non poteva dare la sua fiducia a nessuno, perché le persone erano sempre pronte a pugnalare alle spalle: ne aveva avuto la concreta conferma quando ci aveva quasi rimesso la pelle ed aveva perso la sua Base operativa dello S.H.I.E.L.D.

Fury, però, era un uomo anche molto paziente; uno di quelli pronti ad aspettare anche anni pur di ottenere il risultato che si erano prefissati.

Il suo più grande risultato era stato quello di creare la squadra degli Avengers, soprattutto di fare in modo che una persona egoista ed egocentrica come Tony Stark collaborasse con altre persone; di conseguenza quando era venuto a conoscenza della guerra civile che si era scatenata si era incazzato come una bestia.

Ed era ancora incazzato come una bestia.

Tutto quello che voleva era rimettere insieme i cocci, di trovare il Capitano e la sua squadra prima di ricevere un bel calcio in culo.

Ma Steven Rogers non si faceva trovare, in due anni non aveva commesso nemmeno un passo falso che rivelasse la sua posizione e faceva apparire lo S.H.I.E.L.D come un branco d’incompetenti che non erano capaci di trovare sei persone.

Nick Fury sollevò lo sguardo dai documenti che stava sfogliando perché qualcuno aveva appena aperto la porta del suo ufficio e lui non attendeva visite.

Corrucciò le sopracciglia quando vide Charlotte, la sua migliore Agente dopo Natasha Romanoff.

“Agente Bennetts, finalmente sono degno di una tua visita. Che cosa ti porta qui? Iniziavo a credere che non ti avrei mai più rivista”

“Lo sai che ho avuto molto da fare, Nick, ma non ho mai abbandonato la squadra”

“Alle mie orecchie sono giunte notizie diverse. So per certo che eri pronta ad abbandonare tutto due anni fa”

“Appunto. Questo è stato due anni fa”

“E riguardo a questa faccenda stavo guardando un paio di fascicolo” continuò l’uomo, mostrando a Charlie i sei fascicoli che erano posti sopra la superficie piana della sua scrivania; ne prese in mano uno e glielo porse.

Lei prese in mano la cartella marrone e la sfogliò, incappando quasi subito in quella che era una foto di Bucky, fermata con una graffetta; Charlie la fissò senza lasciar trasparire alcuna emozione dal suo volto e poi tornò ad osservare il suo superiore.

“Non hai trovato nessuno di loro?”

“No, ma speravo che tu potessi essere d’aiuto”

“Questi giochetti non funzionano con me, Nick, so come sei fatto ed i metodi che usi per far parlare una persona. Io non vedo Steve da due anni. Né lui né tutti gli altri. Non so nulla e non sono venuta qui per parlarti di questo. Si tratta di James” rispose la ragazza, mentendo, prese posto nella poltrona posizionata davanti alla scrivania ed accavallò le gambe “sono venuta qui per parlare di lui”

“E che cosa mi devi dire di tuo figlio?”

“Si è messo in testa l’idea di essere un Agente. Esattamente come me”

“Credo che tuo figlio non abbia ben chiaro che cosa significa essere un Agente. Questo non è un gioco”

“Lo so benissimo. Avevo solo sedici anni quando sono entrata in questo mondo. Ho provato a spiegarglielo ma lui non ha voluto ascoltarmi. Io non voglio che Jamie faccia parte della tua organizzazione, ma Tony mi ha detto che sarebbe meglio dargli un accontentino. Ecco…” disse la ragazza, sistemandosi una ciocca di capelli castani che continuava a ricaderle nel viso “è un ragazzo molto ribelle e sono sicura che farebbe qualcosa di stupido se io non lo asseconderò”

“E cosa ti ha suggerito Stark?”

“Di chiederti il permesso perché James venga allenato come se fosse un membro dello S.H.I.E.L.D ma senza renderlo operativo. Siamo entrambi sicuri che questo possa essere il giusto compromesso senza avere risvolti negativi”.

Nick Fury congiunse le mani con un’espressione pensierosa, perché già stava pensando ai pro ed ai contro di una simile decisione.

Anche lui sapeva che James Bennetts non era un ragazzo come gli altri, ma allo stesso tempo non era bene a conoscenza delle sue capacità e quando una persona rappresentava una vera e propria mina vagante era sempre meglio tenerla d’occhio il più possibile.

“D’accordo, Bennetts, hai il mio permesso. Hai già pensato a qualcuno che possa fargli da allenatore?”

“Si, credo di avere già trovato una persona”.

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Capitolo 14
*** You Still Doubt? ***


James si sistemò le cuffie nelle orecchie e pompò la musica ad un volume quasi al massimo della sopportazione; non aveva idea di quanto lungo sarebbe stato quel viaggio con lo zio e la madre e lui non aveva intenzione di annoiarsi.

Canticchiando la canzone rock a bassa voce prese in mano il cellulare e mandò un breve messaggio a Peter, il suo migliore amico, per avvisarlo che era partito e che non vedeva l’ora di arrivare a destinazione; gli dispiaceva abbandonarlo, ma allo stesso tempo l’uno aveva il numero dell’altro e quindi potevano continuare a sentirsi tramite messaggi e chiamate.

E poi, rifletté il ragazzo, non stava andando in prigione e di sicuro poteva uscire dalla struttura in cui si sarebbe trasferito per i prossimi mesi.

Continuò ad ascoltare la canzone e quando terminò, selezionò subito una successiva e diede il suo meglio anche con quella; nei sedili anteriori Charlie e Tony erano impegnati in una conversazione ma a James importava poco di sapere quello che si stavano dicendo, voleva solo arrivare alla Base dello S.H.I.E.L.D e vedere con i suoi occhi quello che fino ad allora aveva solo potuto immaginare.

Dopo appena sette minuti la macchina si fermò davanti a quella che era una vecchia libreria, chiusa da tempo, ed il miliardario disse ai suoi due passeggeri che era il momento di scendere perché erano giunti a destinazione.

“Cosa?” domandò il giovane, spegnendo la musica “siamo già arrivati? Ma io non vedo nulla. C’è solo una libreria e qualche altro palazzo”

“Che cosa ti aspettavi?”

“Non lo so. Magari un edificio imponente, uno di quelli che si vedono nei film di spionaggio. Sai, gente con smoking, auricolari alle orecchie… Insomma, una di quelle cose… Ma dobbiamo entrare lì dentro? In quella libreria?”

“Tu guardi troppa TV spazzatura, James”

“Ma dobbiamo davvero entrare lì? Ma è una vecchia libreria! È uno scherzo? Vero? È tutto uno scherzo che avete organizzato apposta”

“No, Jamie, non è uno scherzo” rispose Charlotte scuotendo la testa; i tre entrarono nel piccolo negozio ancora pieno di libri e Stark si avvicinò ad una delle quattro pareti con passo sicuro.

Spostò un paio di libri, rivelando quello era un piccolo schermo touch in funzione.

Il giovane non riusciva a spiegarsi quello che stava accadendo e rimase senza parole quando vide la libreria aprirsi e rivelare l’interno di un ascensore; vi entrò insieme alla madre ed allo zio adottivo, ed il mezzo si mise in funzione da solo iniziando a scendere lentamente, in modo costante.

L’ascensore si fermò, esattamente nello stesso modo in cui era partito, provocando un rumore metallico ed aprendo le porte automaticamente.

James rimase nuovamente senza parole e con gli occhi spalancati.

Non si aspetta di vedere una di quelle Basi che si era sempre immaginato, come aveva detto poco prima a Tony, con gente che brulicava dietro a postazioni computer e uomini vestiti con completi neri, come se fossero usciti dal film Man In Black.

Si guardò attorno un po’ spaventato e Charlie gli strinse la mano destra nel braccio, per fargli forza, perché anche lei era rimasta sconvolta la prima volta in cui era entrata in contatto con quel mondo parallelo; almeno suo figlio non lo aveva scoperto nello stesso modo che era accaduto a lei.

Dall’altra parte dell’ampia sala c’era Fury intento a discutere con Maria Hill, un’altra delle sue più strette collaboratrici, ma quando si accorse del trio lasciò perdere la conversazione ed andò da loro.

“Chi è quello?”

“Il Direttore Fury. È lui quello che manda avanti tutto questo. Il mio superiore. Non fissare la benda, è una cosa che lo irrita” sussurrò la giovane, dando lo stesso consiglio che aveva ricevuto da Natasha durante il loro primo incontro; James annuì, deciso a mantenere ben in mente quel consiglio e strinse entrambe le mani nelle cinghie dello zaino che portava sulle spalle.

Quando l’uomo si fermò davanti a loro rivolse un saluto al miliardario, tutt’altro che contento di essere lì, poi si concentrò sul figlio di Charlotte e sulla sua indiscutibile somiglianza con il Soldato D’Inverno.

“Tu sei James Bennetts?”

“Si, sono io”

“Bene, ragazzo. Voglio che tu sappia fin da subito che questa non è una scuola e nemmeno un Luna Park. Qui si fa sul serio. Alla prima cazzata sei fuori. Chiaro?”

“Chiaro” rispose lui, anche se non era ben sicuro di aver afferrato il concetto che Fury gli voleva inculcare in testa.

“Nick Fury”

“James Bennetts. Dove sono le altre persone in grado di fare cose strane? Dov’è la mia camera? Posso uscire quando voglio, vero? Perché questa non è una prigione, giusto?”

“Qui nessuno parla senza il mio permesso”

“Mi dispiace. Io non credevo di fare qualcosa di sbagliato”

“Maria Hill ti farà vedere la stanza dove alloggerai e la palestra che userai per i tuoi allenamenti” sentenziò l’uomo, ponendo fine alla conversazione perché aveva ben altro di più importante di cui occuparsi, Jamie rivolse un cenno di saluto alla donna, dato che la conosceva molto bene, per poi seguirla nel piano inferiore, dove erano posti gli alloggi.

Lei gli mostrò quella che era una spartana camera da letto, dove c’era il minimo necessario e nemmeno una finestra, dato che si trovavano diversi metri sottoterra.

Il ragazzo appoggiò lo zaino sopra alla brandina e poi seguì Maria nella palestra attrezzata con estrema cura, a disposizione di tutti coloro che lavoravano alla Base.

“Ti lascio solo con la persona che ti allenerà”

“Chi è?”

“Lo vedrai subito” rispose il braccio destro di Fury mentre usciva dalla palestra; dall’altra parte della stanza si udì il rumore di alcuni passi.

“È passato molto tempo da quando ci siamo visti, James” disse una voce femminile e sarcastica; lui si voltò e vide Natasha, che lo guardava con le braccia incrociate.

La raggiunse con un’espressione che era un misto tra il sorpreso ed il confuso.

“Sarai la mia allenatrice?”

“Si. Dubiti delle mie capacità?”

“No, ma…” iniziò il giovane, ma non riuscì a terminare perché si ritrovò a terra, dolorante, senza ricordare come fosse caduto.

Nel suo campo visivo apparve il volto e la chioma rossa della spia.

“Dubiti ancora?”.







N.D.A: Dunque, ho una bella ed una brutta notizia. Iniziando dalla brutta: Lunedì partirò per una vacanza al mare e non tornerò prima del 21 agosto. Non porterò con me il portatile e questo significa che per il prossimo aggiornamento dovrete aspettare sabato 26 agosto. Mi dispiace farvi aspettare così tanto tempo, ma credo di meritarmi una vacanza, spero sarete comprensivi. La buona notizia è che domani quell'orso di mio marito/animale il cui habitat naturale è la palestra che corrisponde al nome e cognome di Sebastian Stan compie 35 anni. Ed ogni giorno che passa mi rende sempre più orgogliosa di lui. Grazie per l'attenzione e scusatemi per il tempo che vi ho rubato.

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Capitolo 15
*** Half-Truth ***


I primi sei mesi trascorsero con una velocità quasi impressionante, perfino per lo stesso James.

Nick Fury in persona si era assicurato di dare un ritmo ben serrato alle giornate del ragazzo, in modo che fosse sempre occupato in palestra sotto la supervisione di Natasha; a lui bastava un solo sguardo per capire come era fatta una persona, di conseguenza aveva intuito subito che se non avesse dato delle regole al figlio di Charlotte non avrebbe fatto altro che portare guai a tutti loro.

James non aveva mai avuto il tempo di uscire dalla Base dello S.H.I.E.L.D una sola volta, con Peter scambiava appena qualche messaggio perché quando arrivava la notte si lasciava cadere nella brandina della sua stanza e si addormentava quasi subito.

Molte volte malediva Fury per tutto quello che gli faceva fare, ma allo stesso tempo era contento dei risultati che stava ottenendo e lo dimostravano i bicipiti e gli addominali che, piano piano, stavano prendendo forma nel suo corpo slanciato.

Charlie faceva visita molto spesso al figlio ed era orgogliosa di vedere che si stava trasformando in un giovane forte e di bell’aspetto, aveva anche deciso di iniziarlo alla magia, perché Jamie in parte aveva ereditato i suoi poteri di Gigante di Ghiaccio.

Non era affatto semplice quel secondo addestramento, però, perché in lui la parte del Soldato sovrastava quella Jotun: aveva ereditato quasi tutto dal padre e si vedeva che era più incline ad essere un Agente ed una spia, ma la ragazza non voleva che il suo popolo d’origine si estinguesse totalmente con lei.

“Ti devi concentrare” disse Charlotte al figlio, seduto nel pavimento della stanza, di fronte a lei “chiudi gli occhi e concentrati. Cerca d’incanalare tutta l’energia nel palmo della tua mano. Coraggio, ce la puoi fare”.

Il ragazzo seguì il consiglio della madre: chiuse gli occhi, provò a liberare la mente ma non accadde nulla, era sul punto di arrendersi quando sentì una strana sensazione pervadergli tutto il palmo della mano destra, come se ci fosse del ghiaccio a contatto con la pelle.

Aprì gli occhi di scatto e vide una debole fiamma blu che si spense quasi subito; a quell’ennesimo tentativo andato a vuoto lanciò un urlo seccato.

“Non ci riuscirò mai!”

“Non è vero, Jamie, devi solo allenarti”

“Sono mesi che ci provo e tutto quello che sono riuscito ad ottenere è stata solo quella fiammetta di poco fa. Evidentemente non ho ereditato quasi nulla da te, mamma. Sono un vero disastro”

“Sei troppo autocritico. Anche io ho impiegato anni per imparare a gestire il mio potere e tutt’ora non è semplice. Diciamo che dopo un po’ impari a conviverci, ad accettarlo” rispose la ragazza con un sorriso, allungò la mano destra e nel palmo comparve subito una fiamma blu, simile a quella che aveva creato James poco prima “all’inizio ho odiato scoprire la mia vera natura, perché volevo essere solo come tutti gli altri ragazzi. Poi ho capito che non c’era nulla di male nell’essere diversa. Che con i miei poteri potevo fare qualcosa d’importate. Rendermi utile”

“E come posso rendermi utile a mia volta se sono confinato in questa struttura?”

“Ti stai allenando da soli sei mesi. Io sono entrata nel progetto Avengers dopo quattro anni di addestramento ed era ancora troppo presto per me, ma non abbiamo avuto scelta. E poi avevo ventun’anni e nulla da perdere, d’accordo? Abbiamo già discusso più volte di questa faccenda e tu non farai mai parte di tutto questo”

“Ma Nat ha detto che sono migliorato tantissimo! Che l’ho sorpresa e che sono il suo migliore allievo dopo di te. Questo dimostra che io appartengo a questo mondo!”

“No, no e no”

“Sono sicuro che mio padre la penserebbe in modo diverso” sbottò James alzandosi dal pavimento.

“Oh, no, tuo padre sarebbe stato d’accordo con me”

“Quindi anche lui era un Agente dello S.H.I.E.L.D?” domandò il giovane, contento di essere riuscito finalmente a strappare qualche informazione dalla madre; per tutto quel tempo non aveva mai saputo nulla di preciso del padre, in realtà non sapeva nemmeno il suo nome.

Charlie si alzò a sua volta e finse di doversi sistemare con una certa urgenza le maniche lunghe della maglietta che indossava.

“Più o meno”

“Non mi hai mai parlato di lui. Non credi che sia arrivato il momento di dirmi di più? Per quale motivo non mi vuoi dire nulla?”

“Oh, James… Se fosse tutto così semplice lo farei subito…”

“Almeno provaci, per favore”.

Charlotte guardò il suo unico figlio negli occhi, capendo che non poteva più scappare e che doveva inventarsi qualcosa da dire.

“Tuo padre faceva parte di un Commando creato appositamente per eliminare un’organizzazione segreta chiamata Hydra. Lui era uno degli uomini migliori ed io l’ho conosciuto grazie ad un amico in comune. Durante una missione importante c’è stato un incidente e tuo padre si è sacrificato per salvare il suo migliore amico. Ho sofferto tanto per lui e soffro ancora molto. La cosa peggiore è che avevamo litigato quel giorno, quindi se ne è andato senza che avessimo il tempo di chiarire quella faccenda” raccontò lei a denti stretti, serrando anche le mani a pugno: quella che stava raccontando era in parte una bugia ed in parte la verità.

Perché quando Bucky era caduto nel dirupo una parte di lui non era mai più tornata.

Perché era stato Steve a farli incontrare.

E perché l’ultima volta in cui si erano visti avevano litigato a causa di Tony e Bucky aveva tentato di ucciderla; non ce l’aveva con lui, però, perché era stato indotto a credere a quella bugia.

E comunque non poteva di certo raccontare a Jamie tutta la verità in una sola volta, ci sarebbe arrivata piano piano, senza fretta.

“Dunque lui si è sacrificato?”

“Si, devi essere fiero di lui. Aveva appena ventisei anni. Era giovanissimo”

“ È per questo motivo che non vuoi che entro nello S.H.I.E.L.D?”

“Si, è per questo motivo”

“D’accordo” rispose il giovane chinando la testa in avanti; Charlie salutò il figlio perché per lei era arrivato il momento di tornare alla Stark Tower.

James continuò a pensare a quella faccenda per tutto il resto del giorno e quando arrivò la sera e tornò nella sua camera da letto decise di chiamare Peter; l’amico non rispose, così digitò il numero dello zio adottivo perché aveva davvero bisogno di parlare con qualcuno.

Dopo qualche squillo apparve il volto di Tony Stark nello schermo del cellulare.

“Buonasera, James. Ti trovo bene. A che devo l’onore di questa chiamata?”

“All’ora libera che mi è concessa in questa prigionia”

“Ahh. Ti sei reso conto che Fury è un tiranno, vero?”

“Non posso parlare perché qui ci sono occhi ed orecchie dappertutto. Ti devo chiedere un consiglio”

“Non credo di essere la persona più adatta a dare consigli”

“Sono stanco di essere qui a fare nulla. Sono sei mesi che mi alleno ogni giorni. Io voglio entrare in azione ma mia mamma non mi lascia e sono sicuro che se provassi a parlare con Nick otterrei più cose a discutere con un muro. Che cosa devo fare?”

“Non pensare. Agisci. Capito?”

“Cioè?”

“Infiltrati in una missione”

“E come posso fare?”

“Questo non lo so, devi trovare tu il modo. Infiltrati in una missione e cerca di distinguerti da tutti gli altri, no? A quel punto perfino quel bastardo di Nick non potrà fare altro che riconoscere le tue capacità e darti un ruolo importante”

“Ma tu sei dalla mia parte?”

“Certo. Io sono sempre dalla tua parte. Va bene?”

“Va bene. Grazie” mormorò il giovane chiudendo la telefonata, Tony gli aveva finalmente detto le parole  che desiderava sentirsi dire, ed era una soddisfazione sapere che l’uomo che ammirava di più al mondo riponeva in lui tutta quella fiducia.

A Jamie mancava solo un’occasione da sfruttare, ma quella arrivò appena pochi giorni più tardi in un momento del tutto inaspettato.

Stava passando per puro caso davanti all’ufficio di Fury, la porta era socchiusa ed alle sue orecchie giunsero stralci di una conversazione tra l’uomo e Maria Hill; quella era un’occasione troppo ghiotta per lasciarsela scappare, così si avvicinò il più possibile alla porta, rimanendo comunque invisibile agli occhi di coloro che erano dentro all’ufficio.

“Sei sicura di questo, Agente Hill?”

“si, Direttore, il nostro informatore è stato chiaro”

“Al porto?”

“Si, signore”

“Andate tu e Romanoff. Porta anche qualcun altro, d’accordo? Risolvete questa faccenda in fretta ed in modo pulito. Raccogliete informazioni e riferitemi tutto”

“Si, signore” rispose una seconda volta Maria, si congedò dal suo capo ed uscì dallo studio, andando quasi a sbattere contro James “che cosa ci fai qui fuori?”

“Passavo per caso in questo corridoio. Posso farti compagnia?”

“D’accordo, ma devo solo portare nel mio ufficio questa cartella”

“Va benissimo, non c’è nessun problema” rispose James scrollando le spalle “posso sapere di che cosa stavate parlando tu e Nick?”

“Nulla che ti riguarda”

“Una missione, vero? Vi ho sentito dire qualcosa riguardo al porto e che deve venire con te anche Natasha. Quindi si tratta di una missione, giusto? Fury ti ha detto di portare anche qualcun altro. Porta me”

“No, non se ne parla nemmeno!” esclamò la donna spalancando gli occhi, perché in quella giornata già abbastanza incasinata ci mancava solo James e la sua assurda idea di essere già pronto per affrontare un incarico d’Agente dello S.H.I.E.L.D.

“Perché? Ti posso assicurare che non sarò affatto un peso! Natasha è una bravissima allenatrice ed ho già imparato molte cose”

“Non è questione di fiducia, James. Tua madre ti ha portato qui solo per ricevere un allenamento intensivo, non per essere ammazzato”

“Io ho bisogno solo di un’occasione per essere messo alla prova e so che non posso chiederlo a Fury perché mi darebbe un bel calcio in culo senza pensarci una sola volta. Per questo lo chiedo a te”

“Non se ne parla. Mi dispiace, ma dovrai aspettare un’altra occasione” sentenziò il braccio destro dell’uomo allontanandosi velocemente, lasciando l’altro nel mezzo del corridoio, ma Jamie non era intenzionato ad arrendersi così facilmente, dato che era cocciuto tanto quanto la madre ed il padre, così quella stessa sera provò la medesima tecnica con Natasha.

“Ho sentito che tu e Maria vi dovete occupare di una missione ed io voglio venire con voi due. Voglio rendermi utile”

“Così poi tua madre ha un buon motivo per uccidermi”

“Ma perché continuate tutti a ripetermi la stessa cosa? Io non sono un bambino”

“Beh, tecnicamente lo sei ancora”

“Io vi posso essere utile” tentò per l’ennesima volta Jamie, ma anche la spia rossa fu irremovibile nella sua decisione, così al giovane non rimase altro che fare ciò che Tony gli aveva suggerito: infiltrarsi nella missione.

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Capitolo 16
*** The Ferryboat ***


Maria Hill si accucciò dietro ad un container, sporse appena la testa di lato e guardò l’unico traghetto che era in procinto di partire: diversi marinai stavano ancora lavorando senza sosta, c’era chi si occupava delle cime e chi di caricare dentro l’imbarcazione delle casse dall’aria molto pesante.

Ad una prima occhiata appariva una scena normale, di quelle che solitamente si vedevano in ogni porto, ma Maria sapeva perfettamente che era tutta una finzione e che era arrivato il momento di agire.

La donna si portò la mano destra all’auricolare che portava.

“Natasha, qual è la situazione dal tuo nascondiglio? che cosa vedi?”

“Ci sono sei uomini, ma dentro al traghetto potrebbero essercene altri. Non sembrano avere armi con loro, ma non ti posso confermare questa cosa. Potrebbero benissimo nascondere delle pistole” rispose la voce della spia rossa, lei si trovava nel tetto di uno dei tanti capannoni posizionati a poca distanza l’uno dall’altro, ed altri cinque Agenti si trovavano in postazioni simili.

“Al mio tre entriamo in azione. Siete pronti? Uno… Due…”

“Maria!”.

La donna si voltò di scatto, con la pistola puntata contro il suo aggressore, spalancò gli occhi quando si rese conto che si trattava di James; lui in tutta risposta si limitò ad alzare le mani, mostrando che non aveva un’arma con sé.

“James… James, maledizione, mi hai spaventata. Ti rendi conto che ti stavo per sparare contro? Che cosa ci fai qui? Come sei arrivato?”

“Ha importanza? Sono qui perché voglio essere utile e perché voglio dimostrare a tutti voi che sono pronto ad essere un Agente. Che merito la vostra fiducia. Non mi avete dato la possibilità, così me la sono creata da solo”

“Non si tratta di una questione di fiducia. Questa missione è pericolosa e tu non puoi stare qui. Non hai un’arma e non hai nemmeno un giubbotto antiproiettili”

“Ma ormai è troppo tardi, non posso tornare indietro da solo. Dovete tenermi con voi”

“Che cosa sta succedendo? Maria? La missione è compromessa?” domandò Natasha, temendo che la collega fosse stata sorpresa alle spalle da un nemico, ed in parte quella supposizione era vera.

“James è qui con me. Ci ha seguiti di nascosto. Dobbiamo riportarlo indietro”

“Cosa? Che cosa ha fatto? Non possiamo abbandonare tutto. Scapperanno via. Deve rimanere qui con noi”

“D’accordo, d’accordo” rispose il braccio destro di Nick Fury, si lasciò scappare un profondo sospiro e poi porse al giovane una delle due pistole che portava sempre con sé, per sicurezza “prendi questa, ti farà sentire più al sicuro. Tu adesso rimani nascosto qui dietro e non ti muovi per alcun motivo al mondo, sono stata chiara? Non ti muovere di un solo millimetro”

“Ma…”

“Non discutere. Questa volta l’hai combinata davvero grossa”.

James si zittì davanti alla risposta secca di Maria e rimase ad osservare in silenzio lei e gli latri della squadra intervenire, bloccare gli uomini ancora all’esterno del traghetto e sparire dentro all’imbarcazione; rimase per qualche minuto immobile, a mordersi il labbro inferiore, pensò che di sicuro Tony sarebbe stato deluso del suo comportamento così prese coraggio ed uscì dal nascondiglio.

Corse in direzione del traghetto, ignorò i corpi senza vita a terra e varcò la soglia di una porta, chiudendola poi dietro di sé.

Il ragazzo venne subito aggredito dall’oscurità quasi totale, c’erano solo le luci d’emergenza che gli permettevano di vedere il corridoio che si estendeva davanti ai suoi occhi; strinse la mano destra attorno alla pistola ed iniziò a camminare, guardandosi attorno con circospezione.

Uscì dal corridoio e si trovò in un altro più spazioso e lungo, che portava chissà dove, attraversò anche quello e sentì un urlo provenire da poco lontano, riconobbe la voce di Nat e la fronte gli s’imperlò di sudore freddo; iniziò a correre verso quella che gli sembrava la direzione da cui era arrivato l’urlo ma si fermò poco dopo, sentendo due voci maschili che non conosceva.

Sapeva che se lo avessero visto per lui non ci sarebbe stata una solo via di fuga, così spalancò una delle porte situate ai lati del corridoio e la chiuse velocemente, salvandosi appena in tempo, ascoltò il rumore dei passi che si allontanavano sempre di più e poi tirò un sospiro di sollievo.

Il sollievo, però, duro ben poco perché Jamie sentì un rumore provenire non molto lontano.

Si voltò di scatto e vide un uomo che gli dava le spalle, che ancora non si era reso conto della sua presenza.

Il giovane si nascose subito sotto ad una scrivania e si coprì la bocca con la mano destra, per timore che l’altro potesse sentire il suo respiro ansante; anche lì dentro funzionavano solo le luci d’emergenza, ma gli furono sufficienti per vedere l’aspetto dello sconosciuto.

Indossava una divisa completamente nera, simile a quelle delle unità S.W.A.T, sulle braccia portava delle protesi meccaniche che terminavano con delle morse di metallo, ed il volto era coperto da una maschera nera e bianca che ricordava le fattezze di un teschio.

James impallidì vistosamente e pregò soltanto che quell’individuo uscisse il prima possibile dalla stanza; non aveva mai avuto così tanta paura e già era pentito della scelta impulsiva che aveva preso: non aveva voluto ascoltare Maria e Natasha, non aveva voluto ascoltare la madre ed adesso ne stava pagando le conseguenze.

Finalmente l’uomo si allontanò dal tavolo che aveva osservato a lungo e si avviò vero la porta, s’immobilizzò all’improvviso, sentendo il rumore di un oggetto che cadeva a terra: era stato proprio il giovane a provocarlo, perché aveva inavvertitamente urtato il legno della scrivania.

Lo sconosciuto in divisa militare rimase per lunghi istanti a fissare i mobili presenti nella stanza, poi riprese a camminare, aprì la porta ed uscì nel corridoio.

A quel punto Jamie uscì dal suo nascondiglio trattenendo a stento i singhiozzi, si era ritrovato faccia a faccia con quello che poteva essere considerato un vero e proprio battesimo di fuoco ed ora desiderava soltanto uscire dal traghetto e ritornare al container: là si sarebbe concesso un pianto liberatorio ed avrebbe atteso il resto della squadra, con la speranza che nessuno di loro avesse perso la vita.

Quando si alzò dal pavimento le luci della stanza si accesero senza alcun preavviso, lui si portò le mani al volto perché gli occhi si erano ormai abituati al buio.

“Credevi davvero che non mi fossi accorto della tua presenza?” domandò una voce roca, ovattata, alle sue spalle “voltati, se non sei un coniglio”.

Il ragazzo aveva paura e sentiva di essere quasi al punto di farsela sotto, ma non voleva farsi vedere debole, così si voltò a guardare in faccia lo sconosciuto con le protesi meccaniche: era molto più alto di lui, più muscoloso e tutto nel suo aspetto incuteva timore.

“Io non sono un coniglio”.

La maschera che indossava l’uomo aveva solo due buchi per gli occhi ed al ragazzo sembrò di vedere per un momento uno sguardo sorpreso, forse quasi sconcertato.

“Chi sei, ragazzo? Il tuo volto mi è famigliare”

“Non ci siamo mai visti”

“Eppure assomigli moltissimo ad una persona…”

“E tu assomigli moltissimo ad un grandissimo sacco di merda”.

L’uomo scoppiò in una lunga risata davanti all’insulto del più piccolo e poi lo attaccò, perché non aveva la minima intenzione di lasciarlo uscire vivo da quella stanza; lui si spostò appena in tempo, con uno scatto agile.

Premette con forza il grilletto della pistola che aveva in mano, ma i proiettili si conficcavano nel giubbotto antiproiettile senza provocare alcun danno al suo avversario, ben presto James i ritrovò con un’arma completamente scarica e senza altro per difendersi.

“Non è stata una mossa molto saggia” commentò l’altro, tirò indietro il braccio destro e colpì James di striscio, al braccio sinistro, quest’ultimo rotolò di lato e prese in mano una sbarra di metallo abbandonata nel pavimento; con quella colpì lo sconosciuto al capo, scappando poi in direzione della porta.

Allungò la mano destra verso la maniglia, l’aveva quasi afferrata quando venne tirato dalle caviglie e si ritrovò a sbattere la faccia contro il pavimento.

Il ragazzo si riprese appena in tempo, si asciugò il sangue che gli usciva dal naso e mollò un pugno all’uomo, ma lui imprigionò il braccio sinistro in una delle due morse, facendo lo stesso con il gomito di quello destro.

“No… No…” lo pregò il più piccolo, con uno sguardo terrorizzato negli occhi azzurri, perché aveva compreso quello che stava per accadere.

“Lo sai che cosa sta per succedere?” sussurrò il suo avversario, socchiudendo gli occhi, gustandosi fino in fondo quel momento; poi chiuse con violenza le morse di metallo.

James urlò con tutto il fiato che aveva in gola.

Mai nella sua vita aveva pensato che fosse possibile provare un simile dolore.



 
Charlotte si fermò un momento davanti alla vetrina della libreria in cui lavorava.

Lei ed Elisa non parlavano da quando era scappata in Germania con Bucky, Steve e Sam perché erano troppe le spiegazioni che avrebbe dovuto darle; quando era tornata a New York l’amica aveva provato a contattarla più e più volte ma Charlie non aveva mai risposto ad una sola chiamata perché era sconvolta ed incinta.

Così aveva mandato al vento una delle amicizie più importanti della sua vita ed ora non sapeva come recuperarla.

Vide Elisa che si stava occupando di sistemare alcuni libri in uno scaffale, il coraggio abbandonò del tutto Charlie che decise di allontanarsi da quel posto carico di ricordi nostalgici; non aveva voglia di tornare alla Stark Tower, così si diresse alla libreria che fungeva da copertura alla nuova Base dello S.H.I.E.L.D.

Non sapeva per quale motivo, ma voleva vedere il figlio e parlare con lui.

Quando le porte scorrevoli dell’ascensore si aprirono vide una strana agitazione ed una sgradevole sensazione, mista a nausea, s’impadronì del suo corpo.

Le sue gambe si mossero da sole e la portarono da Nick Fury che stava discutendo in modo animato con Natasha e Maria Hill.

“Che cosa è successo?” chiese con un filo di voce “dov’è James?”

“Charlie!” esclamò la rossa, voltandosi a guardare l’amica “quando sei arrivata?”

“Adesso. Dov’è mio figlio?”

“Faresti meglio a sederti”


“Io non faccio nulla se prima non mi viene detto dov’è James. Che cosa è successo a mio figlio? Dove si trova?”
“Ci ha seguiti al porto. Dovevamo occuparci di alcuni uomini. Ci è arrivata una soffiata” provò a spiegare la più grande, soppesando con attenzione le parole che usava “lui ci ha seguiti di nascosto. Non potevamo abbandonare tutto per riportarlo alla Base, così Maria gli ha detto di restare nascosto dietro ad un container, ma lui non ha obbedito”

“Dove si trova?”

“Nel reparto ospedaliero, ma… Charlie! Torna qui!” gridò l’Agente Romanoff in un vano tentativo di bloccarla, ma lei si fiondò subito al piano riservato all’ospedale, scansando ben poco gentilmente tutti quelli che trovava nella sua strada.

Una volta arrivata al reparto si fermò davanti alla vetrata che dava sulla stanza della Terapia Intensiva, con il fiato ansimante ed il cuore che batteva forte: i suoi occhi azzurri si riempirono di lacrime silenziose alla vista del figlio sdraiato in un letto, con il volto ricoperto di ferite ed una maschera per l’ossigeno che gli consentiva di respirare.

Nat arrivò poco dopo e la trovò ancora lì, che non si era mossa di un solo millimetro.

“Come è successo?”domandò con un filo di voce la più piccola.

“Non lo sappiamo ancora con certezza”

“Che danni ha riportato?”

“Diverse ferite. Fratture. Emorragie. Un trauma cranico”

“E poi? Che altro?” domandò la ragazza, sentendo che c’era ancora qualcosa che l’altra le stava tenendo nascosto.



 
Tony Stark era impegnato come sempre a sistemare le sue armature ed a creare altri congegni quando ricevette una chiamata da parte di Maria Hill, che gli diceva di recarsi subito alla Base.

Il miliardario sentì che era accaduto qualcosa di grave e si precipitò là subito, raccomandando a Visione di occuparsi della Stark Tower.

Una volta arrivato a destinazione trovò il braccio destro di Nick Fury, ancora parecchio agitata, che gli spiegò in poche parole quale era la situazione; lui ascoltò in modo assente e poi si precipitò a sua volta nel reparto ospedaliero di cui la Base dello S.H.I.E.L.D era dotata.

Trovò Charlotte davanti al vetro, a contemplare James che stava lottando per sopravvivere; quando lei si accorse di non essere più sola allungò le braccia, facendo capire che aveva bisogno di conforto.

Stark l’avvolse in un abbraccio, lasciando che scoppiasse in un pianto disperato.

“Andrà tutto bene, Charlie, sono sicuro che sopravviverà. James è forte” tentò di consolarla lui, sentendosi già una schifezza perché tutto quello era accaduto per colpa sua.

Perché aveva avuto la brillante idea di suggerire al ragazzo d’infiltrarsi in una missione.

“Non ha più il braccio sinistro, Tony. Gli manca completamente, ed ha solo fino al gomito di quello destro”.

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Capitolo 17
*** Another Cure ***


I giorni passarono senza che James desse segno di riprendersi; tutto faceva presagire solo il peggio ma Charlotte e Tony non erano intenzionati ad arrendersi alla peggiore delle ipotesi.

L’uomo era stato costretto a portare alla Stark tower l’amica di peso, perché lei non era intenzionata ad abbandonare il capezzale del suo unico figlio; le aveva spiegato che aveva bisogno di riposare e di mangiare qualcosa per riprendere le forze, o non sarebbe stata di alcun aiuto per James.

Ma Charlotte non riusciva a mandare giù un solo boccone dei gustosi manicaretti che Tony le proponeva sempre: in quel momento più che mai desiderava avere solo una persona a suo fianco, a consolarla, a sussurrarle che sarebbe andato tutto per il verso giusto.

La svolta arrivò finalmente una mattina, quando Stark si presentò davanti a Charlie tutto agitato, eccitato.

“Ci sono riuscito”

“A fare cosa?”

“Questo” rispose lui, porgendole una fiala che conteneva del liquido azzurro.

La ragazza lo guardò senza il minimo interesse, perché non aveva la più pallida idea di che cosa fosse.

“Che cos’è?”

“Questo, Charlie, è un siero che mio padre è riuscito a ricreare e che io ho fatto a mia volta. Lo hanno battezzato Siero del Super Soldato. È lo stesso siero che hanno iniettato a Rogers. Sai che cosa significa questo?”

“Lo vuoi iniettare a Jamie?”

“A questo punto credo che sia l’unica soluzione. Lo dobbiamo portare nel mio laboratorio. Mi devo occupare anche dell’innesto delle due protesi”

“Protesi?”

“Si, gli ho costruito due protesi in vibranio. Non può rimanere senza braccia”.

Charlotte si lasciò cadere nuovamente nel divano del salotto: per due anni aveva lottato affinché suo figlio rimanesse fuori dal mondo di cui faceva parte, ora non solo c’era dentro completamente ma si ritrovava ad avere ancora più cose in comune con il padre.

“Ma il siero non farà reazione con la cura che gli hai già iniettato?”

“Purtroppo questo non lo so, ma non abbiamo altra possibilità se non quella di rischiare. Se tu sei d’accordo con me permettimi di procedere, sennò non lo farò”

“Hai il mio permesso. Sono disposta a provare qualunque cosa pur di salvare Jamie” rispose Charlie con un sorriso tirato; il miliardario le appoggiò una mano nella spalla destra e poi l’attirò a sé, stringendola in un forte abbraccio che, per una volta, non aveva uno scopo secondario.

 
Quello stesso giorno Tony riuscì ad ottenere il permesso da Fury di fare quel tentativo con il ragazzo.

Lo trasportarono in tutta sicurezza nel laboratorio della Stark Tower e lui si chiuse lì dentro, da solo, come era solito fare quando aveva bisogno di totale concentrazione.

Si soffermò per qualche momento a guardare il volto del giovane e la maschera per l’ossigeno.

Lo avrebbe salvato, fosse stata anche l’ultima cosa che avesse fatto, ma lo avrebbe salvato.

Cazzo, o non si sarebbe più chiamano Anthony Stark.
 
 
 
 
 
 Per Charlotte fu l’attesa più straziante di tutta la sua vita: se ne stava seduta nel divano, a fissare il vuoto, in compagnia di Visione che tentava inutilmente di tranquillizzarla, dicendole che tutto sarebbe andato per il meglio.

Lei, però, continuava a sentire una sgradevole sensazione che non accennava ad andarsene nemmeno per un solo momento; in passato quello stesso malessere l’aveva aggredita poco prima che dei poliziotti riconoscessero Bucky e difatti da quel momento in poi tutto non aveva fatto altro che peggiorare, come una parabola che subiva una brusca variazione verso il basso.

“Ho paura, Visione, ho paura che non sopravviverà. Continuano a succedere così tante cose brutte che non riesco più ad essere ottimista, ormai ho perso la speranza per ogni cosa. Ogni cosa”

“Sono sicuro che il signorino James ce la farà”

“E come? Grazie ad un siero di cui non conosciamo gli effetti? Potrebbe salvarlo ma potrebbe anche ucciderlo a causa della cura che ha già nelle vene. Ho provato a curarlo con la mia magia, ma non ci sono riuscita. Sono così inutile che non riesco nemmeno a salvare mio figlio, capisci? Ho perso per sempre suo padre ed adesso sto perdendo anche lui. Non posso sopportare questo. Se James non uscirà vivo da quel laboratorio, non so che cosa farò” mormorò la giovane scuotendo la testa, aveva un nodo in gola che quasi non le permetteva di parlare e per l’ennesima volta era in procinto di piangere.

Odiava la terribile situazione in cui si trovava, lo S.H.I.E.L.D le aveva insegnato a controllare le sue emozioni per poter controllare i suoi poteri, ma ora si sentiva come una novellina alle prime armi.

Visione stava per rispondere, ma l’arrivo di Tony catturò l’attenzione di entrambi; Charlie si alzò subito dal divano, ignorò il tremore quasi incontrollabile alle gambe e gli domandò subito quali fossero le condizioni del figlio.

“L’innesto delle protesi è andato bene. Non ci sono state reazioni quando gli ho iniettato il siero, il suo corpo non lo ha rigettato fuori. È comunque ancora presto, però, dobbiamo aspettare che si risvegli”.



 
James aveva avuto tanti brutti risvegli, soprattutto quando scappava in discoteca e beveva fino ad ubriacarsi, a volte il mal di testa era così insopportabile che anche il più piccolo rumore gli provocava fitte dolorose.

Credeva che non ci fosse nulla di peggio di una sbronza, ma quando aprì gli occhi cambiò subito parere.

Sentiva ogni singolo muscolo del corpo in fiamme, come se avesse tante piccole morse che continuavano a stringergli la carne senza alcuna pietà; non ricordava nulla di quello che era accaduto e non sapeva neppure come ci fosse arrivato in quella stanza.

Forse aveva avuto un incidente in moto ed aveva preso una botta in testa così forte che aveva perso memoria dell’accaduto, se così fosse stato ben presto si sarebbe trovato ad affrontare sua madre; si portò entrambe le mani alla fronte e sussultò nel sentirle così stranamente fredde, di una consistenza dura, diversa.

Il ragazzo abbassò lo sguardo e si ritrovò a trattenere il fiato quasi senza rendersene conto.

Il suo braccio sinistro non c’era più, sostituito da una protesi di metallo e la stessa sorte l’aveva subita anche quello destro, solo che l’altra protesi dal gomito in giù.

“Quello non è semplice metallo. Si chiama Vibranio ed è l’elemento più forte che esista sulla Terra. È leggerissimo, praticamente indistruttibile e può essere fuso solo oltre i duemila gradi”.

Si voltò in direzione della voce maschile che aveva appena parlato, vide lo zio adottivo e la madre.

“E per quale motivo ho queste protesi?”

“Perché hai rischiato la vita. Ti hanno trovato Natasha e Maria Hill appena in tempo ed io ti ho curato” rispose il miliardario incrociando le braccia nel petto; il più piccolo si guardò una seconda volta le mani e ricordò finalmente ciò che era accaduto nel traghetto: rivide l’uomo con le morse e risentì il dolore che aveva provato quando gli erano state strappate le braccia.

“C’era quest’uomo che aveva delle protesi alle braccia, ma non erano fatte come queste. Erano delle armi. Delle morse di metallo. Non ricordo altro”

“Capisci che ci hai fatto terribilmente preoccupare? Ero fuori di me dal dolore, credevo di averti perso” gridò quasi Charlotte, furiosa e sollevata allo stesso tempo “mi vuoi spiegare perché lo hai fatto? Perché sei andato al porto?”.

Jamie fissò per un momento Tony.

Non poteva raccontare la verità o lo avrebbe solo messo nei guai, così decise di omettere qualche particolare nel suo racconto.

“L’ho fatto per dimostrare che sono pronto per diventare un Agente”

“E per dimostrare questo hai rischiato di perdere la vita e ci hai rimesso le braccia, sei contento?”

“Beh, in verità ho perso solo mezzo braccio destro”

“Non ci provare nemmeno a fare lo spiritoso. Con il tuo gesto stupido hai mandato all’aria tutta l’intera operazione e Nick Fury è incazzato sia con te che con me. Anche Natasha e Maria sono molto arrabbiate per quello che hai fatto”

“Mi dispiace per tutto il casino che ho fatto, ma non sono pentito della mia scelta. Se potessi tornare indietro lo rifarei di nuovo e sarei pronto ancora a perdere le mie braccia. Dal mio punto di vista non è stato un sacrifico così grande” rispose Jamie con un mezzo sorriso, tentando allentare la tensione che c’era nell’aria ma non ci riuscì; Charlie non aveva la minima intenzione di accantonare quella faccenda e perfino Tony era tremendamente serio.

“In verità, le protesi non sono l’unica cosa che hai di diverso. Per salvarti la vita sono stato costretto ad iniettare nel tuo corpo un siero che, in poche parole, ti ha trasformato in una macchina da guerra” intervenne il miliardario, passandosi una mano neri capelli neri e ribelli.

James lo guardò spalancando gli occhi.

“Cioè, stai dicendo che sono diventato una specie di soldato geneticamente modificato?” domandò il più piccolo, poi aggiunse due parole che gli garantirono uno schiaffo da parte della madre “che figo!”.

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Capitolo 18
*** The Winter Soldier ***


James evitò con agilità il pugno di Natasha; le afferrò il braccio destro e la scagliò contro la parete situata nella parte opposta della palestra.

Impiegò troppa forza, però, perché la spia si schiantò contro il muro e poi cadde a terra con un gemito di dolore; il ragazzo spalancò gli occhi azzurri e si precipitò subito a darle una mano per rialzarsi.

“Nat? Stai bene? Sei ferita?”

“No, sto bene. È solo un graffio” rispose lei, con una smorfia, alzandosi dal pavimento; James non aveva subito particolari cambiamenti fisici da quando gli era stato iniettato il Siero del Super soldato, perché la cura che già aveva nelle vene aveva creato uno strano contrasto con gli effetti che avrebbe dovuto subire il suo corpo.

Nonostante ciò la forza del giovane era notevolmente aumentata e le due protesi in vibranio non facevano altro che renderlo ancora più pericoloso e letale; non era stato facile abituarsi a tutto quello ma James aveva un carattere prevalentemente ottimista: tutto ciò che gl’importava veramente era di essere ancora vivo.

“Sicura? Vuoi che ti porti nel reparto ospedaliero?”

“Andiamo, James, non sono messa così male. Sono solo ammaccata qua e là e tu dovresti imparare a controllare la forza che ora ti ritrovi. Quelle protesi in vibranio non sono dei giocattoli, un giorni potresti seriamente far del male a qualcuno”

“Di sicuro lo farò all’uomo che mi ha fatto questo”

“Ma tu sei sicuro di averlo visto bene in faccia?”

“Si, Natasha, l’ho visto molto bene. Aveva questa maschera nera e bianca, quasi fosse un teschio. Portava delle protesi robotiche alle braccia, con delle morse e mi sembrava… Non lo so con esattezza, ma dai fori che aveva nella maschera ho visto che era…”

“Sfigurato?”

“Si, il suo volto aveva delle cicatrici. Perché non mi vuoi credere?” domandò il ragazzo legandosi i capelli castani; in quegli ultimi due mesi non li aveva più tagliati, perché voleva avere un nuovo aspetto, più aggressivo, ma quando si allenava era una tragedia gestirli perché continuavano a ricadere negli occhi.

La giovane donna prese in mano una bottiglietta d’acqua che aveva portato con sé, svitò il tappo e se la portò alle labbra per prendere tempo: il punto non era che non credeva al giovane, dato che ci aveva rimesso un braccio e mezzo, ma la persona che aveva appena descritto era stata uccisa da Wanda oltre due anni prima, in Wakanda.

“Io ti credo, ma tu non puoi aver visto quella persona. L’uomo che dici di aver affrontato si chiama Brock Rumlow, meglio conosciuto come Crossbones. È stato ucciso quasi tre anni fa in una missione in cui io ero presente, l’ho visto con i miei stessi occhi”

“Ed avete anche visto il corpo?”

“Si è fatto saltare in aria”

“Allora non avete controllato bene” commentò Jamie con un sorriso tirato, fermamente immobile nella sua convinzione; lui sapeva che cosa aveva visto e nessuno gli avrebbe fatto dubitare di ciò.

Natasha stava per ribattere, ma la porta della palestra si aprì ed entrò Charlotte.

“Jamie, Nick Fury ti deve parlare”

“Ma non ho finito con il mio allenamento. Digli che andrò solo dopo aver finito”

“No, devi venire adesso. Ha urgenza di parlarti in questo momento”

“Ed io ho detto che ci andrò dopo aver finito il mio allenamento con Natasha. Continui a ripetermi che non sono un Agente dello S.H.I.E.L.D e quindi non devo sottostare alle sue regole. Puoi andare, mamma”

“Bene!” esclamò Charlie, se ne andò dalla stanza piuttosto offesa dalla risposta che aveva ricevuto; la spia rossa si voltò a guardare James e lui si limitò a scrollare le spalle.

L’allenamento durò un’altra ora, poi il giovane si concesse un bagno caldo prima di degnarsi di andare nell’ufficio di Nick Fury; l’uomo, ovviamente, non era affatto contento di quella subordinazione.

“Quando io convoco qualcuno nel mio ufficio voglio che arrivi subito. Di corsa. Sono stato chiaro? La prossima volta che accadrà una cosa simile non sarò così paziente, ricordatelo”

“Si, signore” rispose il più piccolo con l’angolo destro della bocca incurvato all’insù, in un sorriso beffardo, riconosceva in Nick un Capo pieno di carisma, ma aveva capito quale fosse il suo modo di agire e di ragionare e quello non gli piaceva affatto.

Lui era una di quelle persone pronte a sacrificare chiunque pur di raggiungere gli obiettivi prefissati, mentre James era pronto a perdere la sua stessa vita per un amico od una persona amata; il primo seguiva il cervello, il secondo il cuore.

Razionalità ed istinto.

“Ho qualcosa da farti vedere. Apri quel baule”

“Mi devo preoccupare?”

“Apri quel baule e basta” ordinò Fury iniziando ad alterarsi, il giovane si avvicinò all’oggetto e sollevò il coperchio con circospezione: si sarebbe aspettato di trovarci dentro di tutto, tranne che dei vestiti ed un fucile d’assalto; nel suo volto si dipinse un’espressione sorpresa e si voltò a guardare l’altro, alla ricerca di spiegazioni.

“Che cosa significa?”

“Quella è la tua nuova divisa”

“Aspetta… Stai dicendo che sono un Agente? Sul serio?”

“Non proprio. Ho intenzione di assemblare una squadra”

“Che tipo di squadra?”

“Al momento opportuno saprai tutto”

“Mi chiami nel tuo ufficio e poi non vuoi dirmi quello che hai intenzione di fare?”

“Per il momento ti basta sapere che sarai una specie di Agente. Il tuo nome in codice sarà Soldato d’Inverno”

“Soldato D’Inverno?” domandò il più piccolo con una smorfia sulle labbra “ma che diavolo di nome è? Non posso sceglierne un altro? È ridicolo, non ha senso”

“No. Adesso va nella tua stanza e porta con te quel baule. Avrai presto altre informazioni”.

James continuava ad esserne perplesso, ma obbedì all’ordine ricevuto ed uscì dalla stanza con il baule stretto tra le mani.

La porta non si era nemmeno chiusa che entrò Charlie, con uno sguardo tutt’altro che amichevole rivolto al suo superiore.

“Che cosa hai intenzione di fare? Dimmi che ho capito male. Dimmi che non hai intenzione di fare quello che penso”

“Agente Bennetts, le mie decisioni non sono affar tuo. Se volevi che tuo figlio rimanesse fuori da tutto questo avresti dovuto chiuderlo nella sua camera e buttare via la chiave. Ha fatto di testa sua ed adesso deve pagare le conseguenze, deve prendersi le sue responsabilità. Guardiamo in faccia la realtà: gli Avengers non esistono più ed un’invasione aliena potrebbe arrivare un’altra volta. C’è sempre qualche pazzo da combattere, quando accadrà ancora che cosa faremo? Che cosa faremo, Bennetts?”

“Non lo so” mormorò lei, stringendosi nelle spalle, perché era stata la prima a porsi quel problema più volte.

“I Vendicatori non torneranno più ad essere una squadra e questo lo sappiamo tutti benissimo. Sto organizzando una seconda squadra e James ne farà parte”

“E perché dovrà assumere l’identità del Soldato?”

“Perché voglio ripagare l’Hydra con la sua stessa moneta” rispose il Direttore dello S.H.I.E.L.D con uno sguardo cupo, perché finalmente si era presentata l’occasione perfetta per la vendetta che progettava da tempo.

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Capitolo 19
*** The Other Side Of A Half-Truth ***


“Ma l’Hydra non c’è più da tempo. Pierce e Rumlow sono stati uccisi e tutti gli altri sono stati arrestati, non abbiamo più nulla da temere”

“Così credevamo. Queste foto risalgono a due mesi fa. Lo puoi vedere dalla data” rispose Nick prendendo in mano un fascicolo posato nella sua scrivania, lo passò a Charlotte e lei iniziò a sfogliare le diverse fotografie che c’erano lì dentro: erano di una telecamera di sicurezza, in bianco e nero, ma era impossibile non riconoscere l’uomo che indossava una divisa da soldato e portava una maschera per celare i lineamenti del volto; la giovane spalancò gli occhi, completamente incredula, poi guardò il suo Capo.

“Non è possibile. Si è fatto saltare in aria, ed anche se fosse sopravvissuto a quello, Wanda lo ha scagliato contro un edificio di trenta piani che è crollato a terra. Come è possibile questo?”

“Non lo sappiamo, però è vivo e lo è anche l’Hydra”

“Capisco che sia necessario fare qualcosa, ma non puoi mettere in mezzo mio figlio”

“E come credi di poterlo tenere fuori da tutto questo? Credi che non abbia voglia di vendicarsi dell’uomo che l’ha quasi ucciso? Accettalo: lui sarà un membro della nuova squadra. Ho già selezionato tutti i componenti e non sono intenzionato a rinunciare a nessuno di loro. O vuoi dirmi che hai un modo per ricongiungere i Vendicatori?”.

Charlie si morse le labbra e rimase zitta perché non aveva nulla da replicare, se fosse stato nelle sue capacità non avrebbe esitato un secondo a riunire gli Avengers ma Nick aveva ragione: niente sarebbe più tornato come prima, perché Tony non era intenzionato a dimenticare ed a perdonare.

Non sapeva cosa fare, così chiamò l’unica persona su cui poteva contare, nonostante tutto, ed era proprio il miliardario.

Gli raccontò quello che Fury aveva fatto e che le aveva detto.

“Che cosa devo fare?”

“Charlie, se le cose sono andate così non puoi fare molto per cambiarle. Nick ha ragione su una cosa: devi accettare il fatto che James farà parte dello S.H.I.E.L.D”

“Io sono sua madre, come posso accettare il fatto che sarà in pericolo costante? Lo so che adesso ha il siero ma ai miei occhi resta sempre un bambino. Fury ha anche detto che Jamie assumerò l’identità del Soldato D’Inverno”

“Quindi cancelleranno tutto quello che c’è nei file che parlano di lui?”

“Lo hanno già fatto” rispose la giovane in un sussurro; dall’altra parte del telefono sentì solo un lungo silenzio, esattamente la reazione che si aspettava da Stark: cancellare ogni cosa sul conto del Soldato, significava catalogare l’incidente dei suoi genitori come una tragica fatalità e non come un omicidio.

“Va bene” rispose l’uomo, ma lei sapeva che non andava affatto così.

“Che cosa faccio?”

“Raccontagli la verità a questo punto, che altro puoi fare? Farlo vivere in una bugia ancora a lungo?”.

Tony aveva ragione, James non meritava di continuare a vivere in una bugia, così andò nella sua stanza e lo trovò impegnato a guardare la sua nuova divisa.

Le bastò una sola occhiata per capire che era la stessa che indossava Bucky.

“Jamie, ti posso parlare un momento?”

“Si, non crederai mai a quello che Fury mi ha detto”

“So già tutto. Ascolta, ti devo parlare di una faccenda che riguarda tuo padre”

“Prima non volevi dirmi una sola parola su di lui, ora me ne stai parlando per la seconda volta in poco tempo” rispose il giovane con un sorriso, ma serviva solo per nascondere il nervosismo che provava; i due si sedettero nel bordo della brandina, Charlotte giocò con una ciocca di capelli castani e poi trovò il coraggio di raccontare, finalmente, quella che era la verità.

“Ti ho mentito riguardo a tuo padre. Io non l’ho conosciuto quando faceva parte dell’Alto Commando perché questo è accaduto durante la Seconda Guerra Mondiale. Quando è caduto nel dirupo per salvare la vita al suo migliore amico è sopravvissuto ma ha perso il braccio sinistro. Lo hanno recuperato gli uomini dell’Hydra e gli hanno fatto il lavaggio del cervello, trasformandolo in un assassino. Per molti anni lo hanno tenuto in una cella criogenica. Quando l’ho conosciuto aveva il compito di uccidere me, Natasha ed altre due persone. Poi è cambiato, è tornato ad essere quello che era un tempo ed abbiamo iniziato una relazione”

“Capisco…” mormorò James, sconvolto dalle rivelazioni e dal fatto che sia lui che il padre avessero perso lo stesso braccio “quindi è ancora vivo?”

“Si”

“E dove si trova adesso?”

“Non lo so, lo sto cercando da due anni”

“Perché? Che cosa è accaduto?”

“Questa è un’altra lunga storia. Io e Tony facevamo parte di una squadra di supereroi che avevano il compito di proteggere la Terra. Purtroppo durante le nostre missioni abbiamo fatto tanto bene quanto male perché diverse persone sono rimaste uccise anche per colpa nostra. Il Governo voleva farci firmare un contratto in cui c’era scritto che noi tutti c’impegnavamo ad intervenire quando lo stesso Governo lo riteneva necessario. Alcuni di noi erano d’accordo con questo, altri non lo erano”

“E mio padre che c’entra in questo?”

“Quando Natasha è andata a Vienna per firmare i contratti è esplosa una bomba. A quella conferenza era presente anche il Re del Wakanda e lui è rimasto ucciso nell’attentato. Dopo poco tempo già giravano le immagini del colpevole ed era tuo padre. Almeno così sembrava. Io ero dalla parte di quelli che lo ritenevano innocente ma Tony e gli altri la pensavano in modo diverso, le cose sono precipitate in poco tempo e tutto è andato a rotoli. Tuo padre… Ecco, lui… Lui ha ucciso i genitori di Tony, ma lo ha fatto perché era sotto il controllo dell’Hydra non per sua volontà. Tony non lo vuole capire”

“Va bene, va bene…”

“Vuoi vedere una sua foto?”

“Si”.

Charlie prese dalla tasca della giacca che indossava una foto che aveva sottratto al fascicolo di Bucky, quando Nick glielo aveva fatto vedere, ed era quella che lo ritraeva con addosso la divisa da Sergente, tempo prima che cadesse dal treno.

James rimase sorpreso dalla notevole somiglianza che aveva con lui.

“Si, sei uguale a lui. Avete la stessa fossetta sul mento”

“Cavolo, sono un po’ confuso in questo momento. Non so cosa dire. Perché mi hai tenuto nascosto tutto questo?”

“E come avrei potuto raccontartelo? L’ho fatto solo per proteggerti”

“Ma lo stai cercando ancora, vero?”

“No, ho smesso. Lo amo ancora ma ho provato in tutti i modi a rintracciarlo e non ci sono riuscita. Non è destino” rispose la giovane con un sorriso amaro, si alzò dalla brandina per uscire dalla stanza ma Jamie richiamò la sua attenzione “si?”

“Lui era il Soldato D’Inverno, vero?”

“Si. E tu hai l’opportunità di riscattare il suo nome”.

Quando il ragazzo rimase da solo nella sua camera da letto spense la luce, si portò le ginocchia al petto e le avvolse con le braccia.

Non sapeva né cosa pensare né come reagire a quello che la madre gli aveva raccontato; era sconvolto, aveva paura ma era allo stesso tempo contento di aver saputo quasi tutto del padre.

Avrebbe riflettuto con più calma il giorno seguente, in quel momento voleva solo dormire perché la testa aveva iniziato a pulsargli dal dolore.

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Capitolo 20
*** Twin ***


La ragazza entrò nel supermercato e si avvicinò subito allo scaffale dove erano riposte le bibite gassate e le merendine; guardò per qualche momento le diverse scatole con i suoi occhi verdi e poi ne prese in mano una avvolta nella carta azzurra.

Si guardò attorno un paio di volte e quando si rese conto che non c’era nessuno vicino a lei strappò la carta ed infilò un paio di pastine dentro alle tasche della giacca che indossava, fece lo stesso con alcune lattine di coca-cola ed aranciata e solo allora uscì dal negozio, cercando di non sollevare sospetti.

Attraversò la strada velocemente e raggiunse un ragazzo che se ne stava a fumare, appoggiato con la schiena al muro di un edificio.

“Hai preso tutto?” le domandò lui, gettando a terra la sigaretta, la ragazza rispose con un cenno affermativo del capo, si tolse il cappuccio e rivelò una folta chioma rossa come il fuoco.

“Ho preso queste” rispose, poi, mostrando la refurtiva.

“Solo questo? Avresti potuto impegnarti di più”

“Potresti ringraziarmi dato che ho procurato cibo per entrambi per un paio di giorni. Forza, torniamo a casa”.

I due giovani si avviarono verso la periferia, nella zona più povera della città, ed entrarono in una casa che si reggeva a fatica, quasi per miracolo.

L’interno, se possibile, era ancora più disastrato dell’esterno perché non c’era un solo mobile integro e nell’aria si sentiva uno sgradevole odore di muffa.

Il ragazzo e la ragazza mangiarono in silenzio alcune delle pastine e consumarono una lattina a testa, poi si coricarono subito nei due materassi posizionati a terra, nelle asse per metà rotte e per metà marce.

I gemelli Nicholaj e Nadja Romanov erano giunti a New York da pochissimo tempo, forse appena un paio di settimane, ed avevano alle loro spalle una storia piuttosto difficile che aveva diversi punti in comune con quella di Pietro e Wanda Maximoff.

Anche loro avevano perso i genitori quando erano molto piccoli, ed anche loro si erano trovati nelle mani dell’Hydra, ma a differenza dei gemelli Sokovari non si erano offerti di loro spontanea volontà: erano stati presi dalla strada con la forza ed erano stati sottoposti a diversi esperimenti e torture.

Loro due erano stati gli unici ad avere la fortuna di sopravvivere e quando si era presentata l’occasione per scappare da quell’inferno lo avevano fatto senza pensarci una seconda volta; adesso desideravano solo iniziare una nuova vita ma non avevano documenti falsi e temevano che l’Hydra fosse ancora sulle loro tracce.

Avevano paura di essere presi una seconda volta ed essere trasformati in mostri assassini, dato che gli esperimenti avevano donato loro dei poteri piuttosto interessanti e pericolosi.

Nel cuore della notte Nadja si svegliò all’improvviso e suo fratello la imitò dopo pochi secondi; rimasero in silenzio ad ascoltare i rumori della notte e dopo poco sentirono dei passi concitati provenire dall’esterno della casa.

“Dobbiamo scappare” sussurrò Nicholaj, afferrarono le poche cose che possedevano ed uscirono dalla finestra del bagno, che dava sul giardino posteriore dell’abitazione, ma là fuori vennero subito aggrediti dalla luce dei fari di una vettura blindata.

I due giovani vennero afferrati da alcuni uomini in divisa, che li caricarono subito in macchina intimando loro di collaborare o avrebbero solo che peggiorato la situazione; loro si scambiarono ancora uno sguardo interrogativo ed impaurito perché non c’era molto che potessero fare.

Preferivano usare i loro poteri in modo molto limitato perché non erano ancora in grado di usarli, le uniche volte in cui lo avevano fatto era andata sempre molto male.
La vettura si fermò dopo una mezz’ora di viaggio, Nadja e Nicholaj scesero dalla vettura ed insieme agli uomini entrarono in quella che era una vecchia libreria abbandonata.

“Dove siamo?” domandò la ragazza, che era la più piccola dei due “dove ci state portando?”

“Niente domande” rispose uno degli Agenti; si avvicinarono ad una parete occupata da uno scaffale pieno di libri, lo stesso uomo che aveva parlato prese in mano uno dei libri e subito scattò un meccanismo che rivelò l’esistenza di un ascensore dietro alla parete.

Entrarono tutti e sei nell’ascensore, che si azionò quasi subito.

Quando le porte si aprirono rivelarono quella che era la Base dello S.H.I.E.L.D ma i due gemelli non ebbero nemmeno il tempo di guardarsi attorno che vennero scortati nell’ufficio di Nick Fury, che li stava aspettando da diverso tempo.

“Spero che il viaggio sia stato di vostro gradimento”

“Di nostro gradimento?” ripeté il più grande, stringendo le mani a pugno “siamo stati prelevati nel cuore della notte dalla nostra casa. Degli uomini in giacca e cravatta ci hanno costretti a salire in macchina e ci hanno portati in questo posto. Siamo stati rapiti”

“No, non siete stati rapiti. La vostra vita è stata appena salvata”

“Salvata? Chi mi garantisce che questa non è una Base dell’Hydra?”

“La tua insinuazione mi offende dal momento che noi siamo le persone che combattono contro l’Hydra”

“Se è vero che voi combattete contro loro avete dei metodi molto simili per reclutare nuove persone” mormorò Nicholaj, iniziando ad intuire perché lui e la sorella si trovassero in quel posto.

“Anche se usiamo metodi simili non significa che i risultati e gli obiettivi siano gli stessi. Voi vi trovate nella Base dello S.H.I.E.L.D e come ho già detto ci occupiamo di contrastare organizzazioni come l’Hydra ed invasioni aliene. Qui vedrete molte cose strane. Maria Hill vi porterà nella vostra stanza, domani saprete tutto quello che sarà necessario” disse l’uomo, liquidandoli velocemente “i vostri compagni d’avventura sono già qua e si trovano nel reparto H”

“H come Hospital?” domandò la ragazza, inclinando la testa di lato.

“No, H come Hellicarrier”.



 
Il ragazzo avvicinò di più il viso ai cavi elettrici che doveva occuparsi di riparare; il suo volto era celato da una maschera nera che gli copriva la parte bassa del viso, dal naso fino al mento, ed un paio di occhialini scuri gli proteggevano gli occhi.

I lunghi capelli castani gli scendevano ai lati del viso ed era costretto più volte a scostarli con gesti seccati, perché puntualmente facevano da ostacolo alla sua visuale.

Lo zio adottivo gli aveva insegnato qualche piccola cosa riguardo alla meccanica e dato che aveva tanto tempo libero a sua disposizione lo impegnava con qualche piccolo lavoretto.

Come ad esempio occuparsi di un Helicarrier che voleva fare i capricci.

Trovò finalmente i due cavi che doveva congiungere e quando riuscì ad unirli sentì una scossa fastidiosa, che irrigidì momentaneamente le protesi di vibranio.

“Cazzo, che male!” gridò James, riacquistando dopo qualche secondo il controllo delle mani e delle dita, mollò un calcio alla fiancata del mastodontico mezzo di trasporto perché erano ormai ore che ci lavorava e non era ancora riuscito a ripararlo.

“James?”

“Si?” domandò il giovane guardando vero il basso, ed a qualche metro di distanza vide Peter che lo fissava e gli faceva un cenno di saluto; il nuovo Soldato D’Inverno sganciò l’imbracatura che lo sosteneva grazie alla cintura di cuoio che indossava ed atterrò nel pavimento con agilità.

Si tolse gli occhialini protettivi e sorrise al suo migliore amico.

“Cavolo, sei cambiato dall’ultima volta che ci siamo visti”

“Si, sono successe tante cose. Ma perché sei qui? Chi ti ha portato?”

“Il signor Stark. Faccio parte anche io della nuova squadra che Nick Fury sta assemblando”

“Cosa? Tu? E per quale motivo?”

“Perché anche io non sono come gli altri” rispose il ragazzo e diede subito una dimostrazione pratica: avvolse la mano sinistra di James con una ragnatela che si generò dal suo polso destro.

“Oh, cielo, ma che… Come ci riesci?”

“È una storia lunga e strana. Non ti ho mai detto nulla perché è stato il signor Stark a dirmi di mantenere il silenzio, mi dispiace. Non sai quante volte avrei voluto dirti la verità”

“Non fa nulla, non sono arrabbiato con te” rispose Jamie appoggiando la mano destra nella spalla dell’amico, stringendola appena per timore di usare troppa forza “da quando ho avuto la brillante idea di infiltrarmi nell’operazione al porto sono cambiate moltissime cose e mia madre mi ha detto tutta la verità suo padre”

“Lo immaginavo dato che ora sei tu il Soldato D’Inverno”

“Tu lo conosci?”

“L’ho visto solo una volta” disse Peter, ricordandosi dello scontro all’aeroporto in Germania e di quanto era rimasto sorpreso quando aveva scoperto che il braccio sinistro di Bucky era una protesi in vibranio “avevo l’ordine di fermarlo”

“Ohh…”

“Sono arrivati gli ultimi due membri, lo sapevi?”

“Nessuno me lo ha comunicato, quando?”

“Poco fa. Domani ci saranno le presentazioni ufficiali. Vieni a letto? Adesso noi due dividiamo la stessa camera”

“Arrivo tra poco. È bello sapere che Nick già mi nasconde queste piccole cose” commentò in tono sarcastico l’altro ragazzo, ritornando ad occuparsi dell’Helicarrier.



 
Nadja e Nicholaj non erano intenzionati a rimanere dentro a quella Base, con le persone che li avevano rapiti, perché erano fermamente convinti che fosse tutto un trucco dell’Hydra così, dopo appena un’ora dal loro arrivo, tentarono già di scappare.

Nick Fury, però, aveva già previsto le loro mosse ed aveva dato ordini per quello che bisognava fare.

Ora lui e Maria Hill erano posizionati davanti agli schermi delle telecamere di sicurezza, perché erano curiosi di vedere i gemelli in azione con i loro poteri; l’uomo voleva vedere dal vivo le capacità di cui aveva letto.

Nadja ed il fratello attraversarono un corridoio correndo, si bloccarono quando apparve Peter davanti ai loro occhi.

“Spostati! Dobbiamo scappare!”

“Non posso lasciarvi andare, per il vostro bene dovete rimanere qui”

“Non costringermi a fare quello di cui sono capace”

“Non posso proprio farvi uscire”

“Molto bene” rispose il giovane con un ghigno: dai palmi delle sue mani si sprigionò un campo di forza simile ad una barriera invisibile, lo scagliò contro il suo avversario che si ritrovò a sbattere contro una parete.

I due ripresero la corsa ma Nicholaj sentì le gambe cedergli e cadde a terra sbattendo il viso, si voltò di scatto e vide le sue caviglie avvolte da una sostanza appiccicosa, quasi impossibile da togliere.

“Nicholaj!”

“Scappa, Nad! Almeno tu!” le gridò contro il gemello e lei, a malincuore, si ritrovò costretta a doverlo abbandonare al suo destino.

Salì dentro all’ascensore ed iniziò a premere in modo convulso tutti i pulsanti fino a quando le porte non si chiusero, salvandola appena in tempo dal ragazzo in grado di sparare ragnatele dai polsi.

La giovane si lasciò scappare un sospiro di sollievo, sostituito subito da un grido quando qualcuno sfondò il tettuccio ed un braccio di metallo l’afferrò, issandola fuori dall’ascensore.

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Capitolo 21
*** To Fall In Love ***


James trascinò Nadja in uno dei tanti corridoi della Base e la lasciò cadere a terra; l’osservò con più attenzione attraverso le lenti scure degli occhialini protettivi che indossava quasi sempre.

Era una ragazza non molto alta, dal fisico forse fin troppo magro ed asciutto, con una cascata di capelli rossi che sembravano un fuoco che aveva preso  improvvisamente vita, quando incrociò i suoi occhi verdi e carichi di risentimento venne scosso dalle stesse sensazioni che suo padre aveva sentito quando aveva incontrato Charlotte per la prima volta: tutto ciò che c’era attorno a loro scomparve all’improvviso, c’erano solo loro due sulla faccia della Terra, ed il suo cuore prese a battere con forza, quasi volesse scoppiare.

“Cavolo, te lo ha mai detto nessuno che sei bellissima?” le sussurrò inclinando il viso di lato; la ragazza approfittò di quel momento di distrazione per rifilargli un calcio e provare una seconda volta la fuga, ma James non era uno sprovveduto e l’afferrò velocemente per la caviglia destra.

“Lasciami! Lasciami subito!”

“Mi dispiace, ma non posso proprio farlo. Nick ci vuole tutti e quattro per la squadra che vuole creare e non credo proprio che sarebbe contento se sapesse che mi sei scappata. Non hai nulla di cui preoccuparti, all’inizio potrà sembrarti tutto un po’ strano ma ti posso assicurare che non è poi così male. Tranne Nick Fury. Lui è semplicemente un bastardo, credimi”.

Nadja non era intenzionata ad ascoltare ancora una sola delle cavolate che continuavano ad uscire dalla bocca del giovane, così fece quello che cercava di evitare il più possibile: decise di usare i suoi poteri.

Dai palmi delle sue mani si sprigionarono delle fiamme dello stesso colore dei suoi capelli, Jamie d’istinto di portò le braccia a proteggere il volto.

Lei era sicura di averlo colpito, di conseguenza rimase senza fiato quando si rese conto che era rimasto completamente illeso.

“Non è possibile, come hai fatto?”

“Le mie braccia sono di vibranio. È il metallo più resistente che ci sia sulla Terra, può fondere a duemila gradi. Cavolo, ma tu puoi generale fuoco dalle tue mani? È troppo figo! Comunque non è stato molto carino da parte tua tentare di uccidermi dopo il bel complimento che ti ho fatto. Mi dispiace, ma sei tu quella che mi costringe ad usare le maniere forti” disse James scrollando le spalle, poi colpì la ragazza russa con un pugno in pieno volto.

Lei cadde a terra priva di sensi ed il ragazzo sospirò scuotendo la testa.

La prese in braccio con delicatezza, trovandola leggera come una piuma, per poi riportarla al piano in cui c’erano le loro stanze e lì trovò Peter che lo stava aspettando.

“L’hai fermata?”

“Si, ma sono stato costretto a darle un pugno. Le ho detto che non lo avrei mai fatto ma non ho avuto altra scelta. Il fratello?”

“Sta già dormendo nella sua camera, ma hanno dovuto sedarlo. Ha creato un campo di forza e me lo ha scagliato contro”

“Lei crea il fuoco. Fortuna che il vibranio è resistente” rispose Jamie scrollando le spalle una seconda volta; portò Nadja ancora svenuta nella sua camera da letto,

l’adagiò nell’unico letto libero e le sistemò con cura le coperte.

Tornò nella stanza che divideva con il suo migliore amico e rimase a fissare il soffitto, pensieroso, perché non riusciva davvero a togliersi dalla testa quei meravigliosi occhi verdi che avevano avuto il potere di catturargli la mente.



 
La mattina seguente la giovane si svegliò con un terribile mal di testa e con pochi ricordi della notte precedente; non riuscì nemmeno a chiedere delle spiegazioni al fratello perché la porta della loro camera da letto si aprì quasi subito ed entrò Charlotte.

“Ho il compito di portarvi nell’ufficio di Nick Fury. Adesso. Vi deve parlare con urgenza” disse in tono gentile, con un sorriso che riuscì a convincere i due gemelli (seppur diffidenti) a seguirla da quello che stava per diventare il loro superiore; dentro all’ufficio c’erano già Peter e James; quest’ultimo era senza maschera ma la ragazza lo riconobbe subito e le tornò in mente il pugno che aveva ricevuto poche ore prima.

Rispose con uno sguardo tagliente al suo sorriso.

“Bennetts, puoi uscire” disse l’uomo, liquidando Charlie “voi quattro vi trovate qui per un motivo per preciso, se così non fosse non starei perdendo il mio tempo con quattro ragazzini che non arrivano nemmeno ai vent’anni. Per chi di voi non lo sapesse, lo S.H.I.E.L.D è un’organizzazione nata moltissimi anni fa e mirata a distruggere l’Hydra. La divisione scientifica dell’esercito tedesco. Poi sono arrivati tanti altri problemi da risolvere e noi siamo sempre riusciti a farlo. O almeno ci abbiamo provato. Quando abbiamo iniziato ad avere a che fare con persone provenienti da altri mondi abbiamo creato una squadra di persone dotate di super poteri”

“C’è un gruppo di persone con super poteri che combattono?” domandò Nicholaj, incrociando le braccia nel petto.

Nick Fury si alzò dalla scrivania, digitò qualcosa in uno schermo touch ed apparvero dei video che ritraevano sei persone diverse che combattevano in diverse battaglie, James riconobbe Tony, Natasha e la madre.

“C’era un gruppo di persone che combattevano per sconfiggere i cattivi. Putroppo a causa di diversi eventi questa squadra si è sciolta. Tony Stark, uno degli uomini più potenti della terra, usa queste armature progettate da lui stesso e si fa chiamare Iron Man. Thor, un semidio che proviene da un Regno lontano di nome Asgard. Steven Grant Rogers, Capitan America, un super soldato in operazione dalla Seconda Guerra Mondiale. Bruce Banner, uno scienziato che ha subito una mutazione dopo alcuni studi fatti sulle radiazioni Gamma. Clint Barton e Natasha Romanoff, due Agenti e spie. Charlotte Bennetts, Agente e spia a sua volta ed è anche dotata dei poteri di un popolo che proviene dallo stesso Regno di Thor. Loro li chiamano Giganti Di Ghiaccio. Come ho già detto questa squadra non esiste più e la Terra non può rimanere senza gli Avengers”

“E noi dovremo sostituire gente come loro? Noi non siamo così preparati. Io so creare dei campi di forza e mia sorella è in grado di creare il fuoco ma non siamo capaci di gestire i nostri potere. Siamo scappati dall’Hydra prima che potessero insegnarci qualcosa. Voi due che cosa sapete fare?” chiese Nicholaj voltandosi a guardare gli altri due ragazzi.

“Io so sparare ragnatele”

“Ed io sono un super soldato, dotato di una forza incredibile e di due protesi che non possono essere distrutte”

“D’accordo, forse lui è l’unico che si avvicina a quegli individui. Ma siamo comunque quattro ragazzi  inesperti, non possiamo entrare subito in azione”

“Infatti voi non entrerete subito in azione. Non siete pronti e dovete fare un allenamento molto intensivo. Proprio per questo motivo state per partire per Malibù. Stark ha gentilmente messo a vostra disposizione la villa che possiede là, al vostro arrivo troverete la persona che si occuperà di voi e del vostro allenamento” rispose il Direttore ritornando al suo posto dietro la scrivania; nessuno dei quattro ragazzi parlò e Jamie sorrise, perché era sicuro che le cose fossero andate molto diversamente da come Fury aveva appena raccontato.



 
Charlie lanciò uno sguardo preoccupato al figlio, che ormai era molto più alto di lei.

“Sicuro di farcela?”

“Si, mamma, non hai nulla di cui preoccuparti”

“Promettimi che mi chiamerai quando arriverai a Malibù. E di farti sentire spesso”

“Si. Adesso devo partire. Ci sentiamo, mamma”

“Dimmi solo una cosa prima di andartene”

“Cosa?” domandò il ragazzo appoggiando le mani nei fianchi.

“Ti piace quella ragazza?”

“Oh, ma per favore!” borbottò il ragazzo sollevando gli occhi al cielo, in un’espressione che lo fece assomigliare ancora di più al padre; rivolse l’ultimo cenno di saluto a Charlie e poi salì nell’elicottero che avrebbe portato lui, Peter, Nadja e Nicholaj nella loro nuova abitazione.

Prese posto davanti al suo migliore amico, si sistemò la cintura di sicurezza e gli rivolse un sorriso simile ad un ghigno.

“Che hai?”

“Cosa hai detto a tua zia?”

“Lei sa che ho ricevuto una borsa di studio presso un’università a Malibù. Non sa altro”

“Non male come bugia”.



 
L’elicottero atterrò sulla pista situata sopra al tetto piatto della villa, che sorgeva in una scogliera.

I quattro ragazzi scesero dal mezzo di trasporto ed entrarono nella lussuosa abitazione guardandosi attorno con sguardi meravigliati, tranne il nuovo Soldato D’Inverno perché lui era abituato a vivere nel lusso da quando era nato.

Nel divano del salotto trovarono una sorpresa del tutto inaspettata perché ad attenderli c’era Rhodey Rhodes, War Machine.
“Benvenuti, ragazzi”

“Rhodey? Che cosa ci fai nella villa di Tony?”

“Semplice, James, perché Fury mi ha affidato l’incarico di essere il vostro nuovo allenatore” rispose l’uomo con un sorriso, contento che quel ruolo fosse stato affidato proprio a lui perché il pensionamento forzato proprio non riusciva a digerirlo.

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Capitolo 22
*** Thunderbolts ***


Rhodey Rhodes aveva ancora bisogno costante delle protesi che Tony gli aveva costruito per camminare, ma ora le cose andavano decisamente meglio dei primi tempi perché aveva iniziato ad abituarsi alla situazione in cui si trovava; ed ora che Nick Fury aveva deciso di affidargli un compito così importante si sentiva di nuovo utile.

Osservò i quattro ragazzi uno ad uno, posizionati in una linea invisibile davanti a lui e con addosso dei vestiti comodi perché erano in procinto di fare il loro primo, duro, allenamento: Peter e Nicholaj indossavano una maglietta a maniche corte ed un paio di pantaloni da ginnastica, James una canottiera bianca ed un paio di pantaloncini che arrivavano alle ginocchia e Nadja, l’unica ragazza del gruppo, aveva scelto a sua volta una canottiera e ci aveva abbinato dei leggins neri.

Naturalmente tutti i vestiti dei giovani li aveva procurati e fatti recapitare Tony, perché loro non avevano avuto il tempo di preparare le valige.

“Questa non si tratta di un’ora di ginnastica, ma di un vero e proprio allenamento” iniziò l’uomo, parlando come se si trovasse davanti a delle reclute, ed in parte era vero “non sarà affatto facile. Voi non siete qui per divertirvi, per ridere e scherzare. Questa non è una vacanza. Voi siete i nuovi Avengers. In questo momento la Terra non ha una squadra di supereroi pronti a proteggerla in caso di pericolo, quando arriverà il momento voi dovete essere pronti ad intervenire.

Ricordate sempre che milioni e milioni di vite dipendono da ogni singola decisione che prenderete. Dovete essere pronti a tutto quello che vi aspetterà. Avete capito tutto?”.

I ragazzi annuirono, poi James alzò la mano destra, come se fosse in classe e dovesse attirare l’attenzione del suo insegnante; Rhodey sospirò e gli diede il permesso di parlare.

“Non mi piace il nome Avengers. Insomma, lo so che siamo stati creati per sostituire tutti loro, ma anche noi dobbiamo avere la nostra identità”

“Va bene, James, che nome vorresti proporre alla tua squadra?”

“Thunderbolts”*

Fulmini? D’accordo… D’accordo, come preferisci” rispose l’uomo liquidando in fretta la questione, non aveva la minima intenzione di discutere con un ragazzo che avrebbe dovuto avere due anni e mezzo, a lui interessava iniziare l’allenamento il prima possibile perché avevano molto da fare.

Iniziò facendo far loro qualche esercizio di riscaldamento, poi diede l’ordine di dividersi in due coppie perché era arrivato il momento di fare gli addominali; James i fiondò velocemente a fianco di Nadja ed a Peter non rimase altro che accontentarsi di Nicholaj come partner.

La giovane non era per nulla contenta ma non protestò, limitandosi a lanciargli un’occhiata per nulla amichevole; si sdraiò nel pavimento in legno della palestra, piantando saldamente i piedi a terra mentre Jamie le afferrava con cura le caviglie.

Lui non era un ragazzo cattivo o perfido, semplicemente era parte del suo carattere fare battute fuori luogo e stuzzicanti, così lo fece anche in quell’occasione, senza poter prevedere la reazione che avrebbe scatenato.

“Sai, questa posizione m’ispira molto”.

Gli altri due giovani erano posizionati a posta distanza ed il fratello gemello sentì quelle parole, le trovò decisamente di poco gusto e si fiondò contro colui che le aveva pronunciate.

“Non ti devi permettere di dire queste cose a mia sorella”

“Io ho fatto solo una battuta, nulla di più. Non voglio fare nulla a tua sorella”

“Ah, si? Ho visto il modo in cui la guardi. Stai lontano da lei”

“Veramente dovrebbe essere lei a starmi lontano, dato che ha provato ad uccidermi con le fiammelle che è in grado di generale. Dovrebbe solo che ringraziarmi dato che le ho evitato di scappare e di fare l’errore più grande della sua vita, ma non ho ancora ricevuto un bacio come ricompensa”

“Adesso hai superato il limite!” gridò Nicholaj e creò un campo di forza che scagliò contro il suo avversario, ma lui si spostò appena in tempo; Rhodey prese in mano le armi che usava quando era War Machine: due sbarre di metallo dotate di un meccanismo in grado di generare scariche elettriche, si avvicinò ai due e li colpì senza ripensamenti.

Loro caddero subito a terra portandosi le mani alla testa, emettendo gemiti di dolore.

La scossa non era stata particolarmente forte, ma sufficiente per impartire una bella lezione.

“Come stavo dicendo poco fa, questo non è un gioco. Non importa se nutrite delle antipatie personali. Il bene dell’umanità è molto più importante di questi piccoli screzi” ribatté l’uomo incrociando le braccia nel petto, chiedendosi già se il Direttore gli avesse dato quell’incarico perché nutriva fiducia nei suoi confronti o se lo avesse incastrato in una trappola e nulla di più.



 
Nadja entrò in quella che era diventata la sua nuova camera da letto, ignorò tutto il lusso che la circondava ed iniziò a riempire uno zaino con i primi vestiti che le capitarono tra le mani; non le importava se si sarebbe ritrovava a vivere in povertà, senza un tetto sopra la testa, non voleva fare parte di quella follia un solo istante in più.

Per nessuna ragione al mondo.

Lei e Nicholaj sarebbero tornati a fare la vita a cui ormai si erano abituati da dieci anni.

Si voltò di scatto sentendo un forte rumore, vide la porta chiusa e pensò subito che doveva essere stata l’aria che soffiava dalla finestra aperta; quando , però, si voltò di nuovo verso il letto vide James sdraiato in modo scomposto.

Si era cambiato, ed ora indossava un completo nero simile a quello che portavano i motociclisti, insieme alla maschera che gli copriva metà volto.

“Esci subito dalla mia stanza!”

“Stai per scappare?”

“Non sono affari che ti riguardano”

“Permettimi di contraddirti. Questi sono affari che riguardano anche me perché facciamo parte di una squadra, se te ne vai ci rimettiamo tutti noi”

“Io non faccio parte di questa squadra. I Thunderbolts, o come diavolo hai detto, non esistono e non esisteranno mai. Siamo solo quattro ragazzini che si sono trovati coinvolti in qualcosa più grande di loro. Non capisci che faremo tutti una brutta fine? Non capisci che siamo solo carne da macello?”

“D’accordo, magari su questo hai ragione. Magari Fury non esiterà un solo secondo a darci in pasto al nemico se lui ne dovesse tratte un vantaggio, ma ha anche detto delle cose importantissime. La Terra non può rimanere senza dei supereroi in grado di proteggerla! Prova a pensarci un momento: come ti sentiresti nell’apprendere la notizia di un dramma che tu avresti potuto evitare? Di gente che grazie al tuo intervento poteva essere ancora viva. Questo non ti fa riflettere?” tentò una seconda volta lui; Nad si morse le labbra piene, non aveva la minima intenzione di ritrovarsi nella coscienza vite di innocenti.

“Io non devo niente a nessuno, tantomeno allo S.H.I.E.L.D”

“Lo so, ma ti chiedo di fare uno sforzo. Se te ne vai sarai in pericolo. Vuoi che l’Hydra ti prenda una seconda volta? Ti potrebbero fare molto male. Pensaci un solo secondo. Se è a causa di quello che ho detto poco prima mi dispiace. Non volevo fare il cretino”

“Io…”

“Avanti, Nadja”

“Forse posso fare un tentativo” mormorò alla fine la giovane, facendosi convincere dal tono supplichevole e dagli occhi azzurri di James.







*I Thunderbolts sono una squadra di supercriminali fondata dal Barone Zemo. Nel corso degli anni diversi 'cattivi' ne hanno fatto parte. Dal momento che nei fumetti che sto seguendo Bucky è il nuovo Leader dei Thunderbolts, diventati nel frattempo dei vigilanti ricercati, ho deciso di prendere in prestito l'idea. 

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Capitolo 23
*** Training ***


James era accovacciato nel ramo di una quercia dalla folta chioma, ben nascosto da occhi indiscreti.

Osservò il bosco sottostante attraverso le lenti scure degli occhialini protettivi e finalmente vide l’uomo che indossava l’armatura grigia; lo guardò a lungo e poi si portò la mano destra all’orecchio, più esattamente all’auricolare che indossava.

“Peter, Nad, Nicholaj, mi sentite? Mi ricevete? L’obiettivo è appena passato. Preparatevi all’azione. Sapete quello che dovete fare. Nadja, circondalo con il tuo fuoco, non deve avere via di scampo. Peter, bloccagli mani e piedi con le tue ragnatele e tu, Nicholaj, crea un campo di forza per bloccarlo a terra definitivamente. Io provo a spingerlo nella radura. Adesso” sussurrò Jamie in tono sicuro, da Leader nato, poi con un salto atterrò in un’altra quercia che sorgeva poco lontano e si scagliò contro il suo nemico.

Gli assestò un paio di calci e di pugni nel petto e riuscì a spingerlo nella radura che aveva accennato poco prima; Nadja apparve nel momento più opportuno, si concentrò ad occhi chiusi e creò una fiammata che andò subito a circondare il nemico.

Peter arrivò a sua volta, con il suo costume rosso ed azzurro, bloccando il bersaglio con le ragnatele appiccicose che sparava dai polsi; infine fu il turno dell’altro gemello che lo fermò definitivamente grazie ad un campo di forza a forma di cupola invisibile.

In quel momento Rhodey uscì dal suo nascondiglio nel bosco applaudendo, sinceramente colpito dai forti miglioramenti che c’erano stati in appena quattro mesi.

Quei ragazzi avevano talento e si vedeva.

“Bravissimi. Siete stati davvero bravissimi. Ottimo lavoro di squadra ed ottima coordinazione. Nad, non dovresti aver timore di usare di più i tuoi poteri. Peter, devi essere più tempestivo ad entrare in azione. Nicholaj, devi creare dei campi più resistenti e più estesi perché così non ci siamo ancora. James, tu sei stato perfetto. Ottimo. Ottimo, davvero ottimo” si congratulò l’uomo con un sorriso, battendo la mano destra sulla schiena del ragazzo perché era sinceramente colpito “liberate quella povera armatura, Tony la vuole indietro integra”

“Si, Rhodey, non ti preoccupare” lo rassicurò proprio Jamie; tutti insieme si occuparono della povera armatura che era stata usata come obiettivo per l’esercitazione.

Ritornarono alla villa del miliardario e dato che era ora di pranzo decisero di cucinare qualcosa da mettere sotto i denti.

Anche se la squadra mostrava ottimi segni di miglioramento, come aveva detto lo stesso Rhodes, gli screzi al suo interno continuavano ad esserci.

Ormai era ovvio a tutti che era James, il Soldato D’Inverno, a ricoprire il ruolo di Leader del gruppo ma Nicholaj non condivideva quel punto di vista: anche se sapeva che il suo coetaneo era forte ed un avversario temibile, era sicuro di essere a sua volta un ottimo candidato.

“Qualcosa non va?” gli chiese Peter, togliendosi la maschera del suo costume, rendendosi conto che c’era qualcosa che non andava nell’amico.

“Non ho nulla”

“La tua faccia dice il contrario”

“Non capisco per quale motivo ho un ruolo così marginale nella squadra. Io sono l’ultima ruota del carro. Voglio dire, il potere che ha Parker è inutile rispetto al mio!”

“Ehi! Il mio potere non è inutile!”

“Tutte le nostre capacità sono preziose. Ed il tuo ruolo non è marginale. Nessuno di noi è marginale nella squadra”

“Allora perché oggi mi avete fatto avere una minima parte? Perché non sono io il Capo? Che cosa hai tu che io non ho?”

“Due protesi in vibranio” rispose l’altri giovane con un sorriso, cercando di allentare la tensione, ma poi tornò subito serio “non ho deciso io di ricoprire questo ruolo”

“James merita di esserlo. È la persona giusta per guidarci in missione! Non hai visto come è riuscito a darci ordini ben precisi mentre stavamo facendo l’esercitazione? Tu saresti riuscito ad avere lo stesso sangue freddo? Io non ne sono sicuro” ribatté il ragazzo-ragno, difendendo subito il suo migliore amico “non lo dico solo perché è mio amico, lo dico perché lo penso veramente”

“Nadja, tu cosa dici?”

“Io…” balbettò la giovane, passandosi una mano nei capelli rossi “io credo che Peter abbia ragione, nonostante tutto. Il Soldato ha dimostrato di avere un ottimo sangue freddo e questa è una caratteristica essenziale per quando saremo in missione”

“Molto bene!” esclamò il fratello gemello, alzandosi dalla sedia con un gesto seccato e ritirandosi nella sua camera da letto; Nad scosse la testa, infastidita da quel comportamento così infantile.

“Scusatelo, sono sicura che è solo stanco. Vado a farmi una doccia” mormorò lei in risposta; abbandonò a sua volta la cucina della villa e si diresse verso uno dei sei bagni presenti nell’abitazione; si passò una seconda volta la mano nella chioma rossa: poco dopo il suo trasferimento a Malibù aveva preso in mano le forbici ed aveva detto addio alla sua lunga e scomoda fiamma.

Adesso i capelli le sfioravano il mento.

“Ehi!”

“Che cosa c’è? Mi hai seguita?”

“Volevo parlare un secondo con te” disse Jamie scrollando le spalle, si avvicinò a Nadja, che si ritrovò costretta a sollevare la testa per guardarlo negli occhi; quel ragazzo era terribilmente alto ed affascinante.

“Se si tratta di mio fratello ti ho già detto che mi dispiace e che do ragione a voi due”

“No, non si tratta di questo. Secondo me Rhodey ha ragione”

“Riguardo a cosa?”

“Al fatto che non dovresti avere paura di usare il tuo potere. So che temi di perdere il controllo ma non sei l’unica. Per salvarmi la vita mi hanno impiantato queste protesi e nelle mie vene ho il Siero del Super Soldato. In poche parole diciamo che potrei stritolarti un braccio usando una minima parte della mia forza. Quindi non avere timore, se vuoi io ti posso aiutare”

“Se ne avrò bisogno te lo chiederò, grazie”.

Il giovane spostò il peso del corpo da un piede all’altro, sentendosi a disagio davanti all’unico membro femminile dei Thunderbolts.

Davanti alla ragazza di cui si era innamorato in una frazione di secondi.

“Sai, i capelli tagliati in questo modo ti stanno davvero molto bene. Eri bella anche prima, ma lo sei pure ora. I tuoi capelli sembrano una fiamma. Sono stupendi. Mi ricordi tanto una mia amica, anche lei è russa. È davvero molto bella, ma tu lo sei di più. Devo andare” mormorò il giovane, dopo essersi umiliato da solo.

Lei lo guardò con il sopracciglio destro sollevato, poi entrò nel bagno e si lasciò scappare un mezzo sorriso.



 
Qualche ora più tardi il Leader del gruppo entrò nella stanza del suo migliore amico e lo trovò davanti allo schermo di un portatile.

“Allora?”

“Ho trovato qualcosa d’interessante. Guarda, che dici? Devi prendere una decisione in fretta, non posso rimanere troppo tempo collegato perché Nick potrebbe scoprirmi ed allora sarebbe la fine per noi”

“Ci sarà anche lui?”

“Il tuo amico con le morse? Non lo posso sapere, ma manderà comunque i suoi uomini. Possiamo costringere uno di loro a parlare”

“Perfetto”

“Come faremo con Rhodey?”

“Oh, lo possiamo mettere fuori gioco senza problemi e vedrai che non ricorderà nulla al risveglio”

“E con i gemelli?” chiese ancora Parker, voltandosi a guardare l’altro “forse Nad sarà dalla nostra parte ma suo fratello…”

“Sono sicuro che anche lui non vede l’ora di entrare in azione, anche dopo quello che è successo oggi. Domani ne parliamo con loro e vedrai che riuscirò a convincerli”

affermò con sicurezza il nuovo Soldato D’Inverno; strinse un momento la spalla destra del suo migliore amico e si allontanò per uscire dalla stanza, ma l’altro lo bloccò.

“Anche se dovessimo riuscire a fare questo…. Sai benissimo che è un individuo pericoloso”

“Non m’importa, io gli spacco la faccia con un pugno” ribatté Jamie stringendo la mano destra a pugno, ora che aveva le protesi in vibranio ed il Siero si sentiva semplicemente invincibile; Peter appoggiò la fronte nel palmo della mano sinistra, poi tornò a fissare lo schermo del pc.

Il file su Crossbones era ancora aperto, ed il ragazzo-ragno si ritrovò a deglutire a vuoto.

Aveva il terribile presentimento che tutta quella faccenda sarebbe finita male.

Molto male.

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Capitolo 24
*** First Mission ***


“Io e Peter vi dobbiamo parlare” iniziò James, prendendo posto davanti al tavolo della cucina; sia Nicholaj che Nadja stavano facendo colazione ma si bloccarono subito per sentire ciò che il loro Leader doveva dire di così importante.

“Che cosa ci devi dire?” domandò il ragazzo, per nulla entusiasta.

“Siamo stanchi di continuare questo allenamento. Ormai abbiamo imparato tutto quello che dovevamo imparare e lo stesso Rhodey ha detto che è rimasto a bocca aperta dopo la prova che abbiamo dato ieri, durante l’esercitazione”

“Aspetta un momento, stai dicendo che hai intenzione di infiltrarti nuovamente in una missione e stai chiedendo a noi due di farti da palo? Io non ci tengo a finire nei guai”

“Non ti sto chiedendo questo. La nostra intenzione è d’infiltrarci tutti e quattro e di dimostrare che i Thunderbolts sono pronti a diventare operativi”

“Tu sei pazzo!” esclamò Nicholaj, posando la bottiglia di succo d’arancia con troppa forza “io non ho nessuna intenzione di fare una cosa simile. Se lo facciamo poi per noi è finita, capisci? Completamente finita. Fine dei giochi”

“Hai idea di quanto tempo potrebbe passare prima di ricevere una missione da Nick Fury?”

“Se non lo ha ancora fatto è perché non siamo ancora pronti. Cavolo, non riesci proprio a capirlo! Abbiamo ancora molto da imparare tutti e quattro. Io devo ancora riuscire a creare dei campi di forza più grandi e più resistenti ed anche mia sorella ha problemi a gestire il suo potere. E sai qual è il tuo problema? Sei troppo sicuro e questo non è sempre un bene”

“Mi stai minacciando? Io non lo faccio per me, lo faccio per la squadra”

“Allora dovresti saperlo meglio di tutti noi che non bisogna prendere decisioni impulsive, o non ti è bastato perdere le braccia?”

“Il tuo problema è che sei un codardo, Nicholaj”

“Ragazzi, basta!” esclamò Nadja, intervenendo appena in tempo “se continuate in questo modo finirete solo per svegliare Rhodey. James potrebbe non avere così torto. È vero, io sono la prima a dire che ho ancora problemi con il fuoco ma allo stesso tempo sono stanca di tutta questa apatia. Voglio dimostrare anche io di che cosa siamo capaci”

“Nad, da te non me lo sarei mai aspettato”

“Avanti, cerca di essere dalla nostra parte! James era da solo quando ha perso le braccia. Noi siamo in quattro ed abbiamo tutti capacità incredibili, se la situazione dovesse precipitare scapperemo. Nessuno ci scoprirà”

“E con Rhodey? Come facciamo?”

“Non ti preoccupare, ho già in mente come liberarci momentaneamente di lui”

“D’accordo, ma se qualcosa andrà storto…” disse il gemello senza finire la frase.



 
Due giorni più tardi arrivò il momento di mettere in atto il piano che Peter e James avevano studiato nei minimi particolari: ogni sera, dopo cena, Rhodes era solito bere un bicchiere di succo d’arancia.

“Aspetta, te lo porto io” si offrì volontario Jamie; andò in cucina e preparò con cura la bibita, mettendosi dentro anche una buona dose di pastiglie di sonnifero triturate, lo diede in mano all’uomo e rimase in attesa che la medicina facesse effetto.

Quando la vittima crollò addormentata lui e gli altri tre del gruppo si cambiarono d’abito, indossando le divise che usavano per gli allenamenti: Peter il suo costume rosso ed azzurro, Nad una tuta che ricordava molto quella di Natasha, Nicholaj un paio di pantaloni neri ed un giubbetto in pelle senza maniche ed infine James con la sua immancabile maschera ed il paio di occhialini protettivi.

I Thunderbolts salirono sul tetto della villa, andarono nella pista di atterraggio e salirono nell’elicottero che apparteneva a Tony Stark.

“Quanto durerà l’effetto del sonnifero che gli hai dato?”

“Oh, credo un paio di ore. Abbastanza per permetterci di tornare senza problemi, Nicholaj. Cerca di rilassarti”

“Sei sicuro di quello che stai facendo?”

“Si. Peter, inserisci le coordinate del posto”

“Hai mai guidato un elicottero?” insistette l’altro ragazzo incrociando le braccia nel petto e socchiudendo gli occhi, perché ancora non si fidava e non vedeva nulla di buono in quel piano azzardato.

“Si, l’ho già fatto” rispose il nuovo Soldato D’Inverno voltandosi a guardare l’altro, in realtà non aveva la più pallida idea di quali bottoni doveva premere per azionare il mezzo, ma non lo avrebbe mai ammesso davanti a lui.
 
 
 
 
 
 James guardò la serie di leve e pulsanti che c’erano nel quadro dei comandi davanti ai suoi occhi; nei suoi quasi tre anni di vita gli unici elicotteri con cui aveva avuto a che fare erano stati i modellini che sua madre o lo zio gli avevano regalato da bambino, era salito poche volte in uno vero, figurarsi provare a guidarlo.

Era ben consapevole del fatto che stava per mettere a rischio le vite di tutti loro quattro, ma c’era troppo in gioco per tirarsi indietro; soprattutto in quel momento che era vicinissimo ad ottenere un nuovo incontro con l’uomo che gli aveva tranciato le braccia.

Nicholaj sollevò il sopracciglio sinistro, era piuttosto seccato perché il motore dell’elicottero era ancora spento.

“Che cosa stai aspettando? Perché non partiamo? Non abbiamo molto tempo a nostra disposizione”

“Sto controllando le ultime cose”

“Ne sei sicuro?”

“Si, ne sono sicurissimo. Adesso stai zitto perché ho bisogno di concentrarmi” rispose a denti stretti il giovane; allacciò la cintura, provò a premere qualche bottone ed appoggiò la mano destra nella manopola posta vicino a lui.

Peter era seduto poco lontano, ad occuparsi delle coordinate del magazzino in cui dovevano recarsi, si voltò a guardare il suo migliore amico e gli rivolse uno sguardo preoccupato, carico d’ansia.

“Sei sicuro di potercela fare?”

“Si, non ti preoccupare. Arriveremo sani e salvi a quel maledetto magazzino e la farò pagare a quel bastardo”

“Scusa, a chi ti stai riferendo?”

“All’uomo che mi ha fatto questo”

“Questo non ce lo avevi detto. Ora capisco il tuo piano. A te non importa nulla dei Thunderbolts, vuoi solo vendicarti ed hai approfittato dell’occasione”

“Sono davvero stanco delle tue insinuazioni, Nicholaj” ringhiò James, voltandosi una seconda volta verso il ragazzo il gemello di Nadja “non m’importa del tuo pensiero.
Io tengo a questa squadra. È vero, io voglio uccidere quell’uomo, ma voglio anche che venga riconosciuto quello che già sappiamo fare. Ho semplicemente voluto cogliere l’occasione, vuoi dirmi che tu non lo avresti fatto a tua volta?”.

Dopo aver fatto quel discorso il nuovo Soldato D’Inverno tornò ad occuparsi del quadro dei comandi, provò a premere qualche altro pulsante; finalmente la fortuna girò dalla sua parte perché le pale dell’elicottero si azionarono.



 
Steven Rogers si sistemò con cura l’elmetto che gli celava i tratti del viso, poi si portò la mano all’auricolare che portava all’orecchio destro e che gli serviva per comunicare con Sam.

Anche se lui e gli altri della sua squadra erano dei ricercati non avevano mai abbandonato per un solo momento l’idea di continuare il loro ruolo di supereroi; così quando Sharon li informava di qualche piccola missione (che non li esponesse troppo) non si tiravano  mai indietro.

In realtà, ciò di cui si stavano per occupare lui, Sam e Scott era abbastanza pericolo perché riguarda l’Hydra; ma allo stesso tempo era stato proprio per motivo che il Primo Vendicatore aveva capito che non poteva rimanere a guardare.

“Vedi qualcosa di strano, Sam?”

“No, Capitano, non c’è nulla al momento. Che cosa faccio? Entro a controllare?”

“No, per te sarebbe pericolo. Aspetta i miei ordini” rispose Steve, allontanò la mano dal piccolo oggetto e si voltò a guardare Scott, che attendeva solo di rendersi utile in qualunque modo “tu, invece, non dovresti avere affatto problemi. Credi di poter entrare nel magazzino passando inosservato?”

“Passando inosservato? Amico, questa è la mia specialità” disse Ant-Man mostrando il pollice destro all’insù; appoggiò la mano sinistra nel congegno che portava nella cintura della sua tuta e rimpicciolì all’istante, diventando proprio delle dimensioni di una formica.

A Capitan America non rimase altro che attendere notizie prima d’intervenire.

Clint e Wanda non erano andati con loro perché non erano nelle condizioni per combattere e Sharon non lo aveva fatto su ordine dello stesso Steve, perché non voleva che le accadesse qualcosa; gli era dispiaciuto molto vederla preoccupata ma allo stesso tempo sapeva che non poteva ignorare quella faccenda.

Era per colpa dell’Hydra se aveva trascorso settant’anni conficcato nel ghiaccio, ed era sempre colpa dell’Hydra se il suo migliore amico non era più quello di un tempo ed aveva compiuto un gesto estremo; no, c’era ancora tanto per cui quella maledetta organizzazione non poteva restare impunita.

Il giovane sollevò lo sguardo sentendo il rumore assordante di un elicottero.

“Sam, nasconditi, presto. Credo che siano arrivati”.



 
“Cazzo!” imprecò Nicholaj quando il mezzo perse quota per qualche metro prima di ritornare stabile “ripeto ancora una volta: sei sicuro di saper guidare un elicottero?”

“Ho nelle mie vene il Siero Del Super Soldato”

“E tra le qualità che ti ha donato c’è anche quella di sapere come guidare un affare come questo?”

“No, ma ho visto molti film”

“Che cosa?!” gridò con voce stridula l’altro giovane, spalancando gli occhi verdi “stai dicendo che non lo sai fare?”

“Ci sto provando”

“Quindi ci stai ammazzando!”

“No, sto provando a fare un atterraggio dato che siamo arrivati, ma non ci riesco. Temo che potrei schiantarmi. Hai voglia di renderti utile?”

“Come?”

“Scendi da questo maledetto elicottero, crea un campo di forza in grado di proteggerci e di farci atterrare”

“Mi dovrei buttare da un elicottero in volo?”

“Cercherò di avvicinarmi il più possibile ad un tetto. Tu salti e ci salvi la vita, d’accordo?”.

Nicholaj avrebbe assestato un pugno in faccia a James molto volentieri, ma la situazione era grave e decise di rimandare il gesto ad un altro momento; aprì uno sportello laterale e si lasciò cadere nel vuoto, atterrando nel tetto di uno dei diversi magazzini.

Si alzò subito in piedi, ignorando il dolore alla caviglia destra, posizionò le mani davanti a sé e concentrò tutta l’energia su di esse.

Non aveva mai provato a creare un campo di forza così grande, ma doveva esserci una prima volta per tutti ed era arrivato il momento della sua; si lasciò scappare un urlo a causa della pressione a cui stava sottoponendo il suo corpo ma  riuscì nell’impresa e l’elicottero si posò vicino a lui.

Il giovane si lasciò cadere a terra, un rivolo di sangue prese a colargli dalla bocca e dal naso.

Nonostante tutto l’attrito che c’era tra lui e Jamie, quest’ultimo si precipitò subito a soccorrerlo.

“Stai male? Cosa ti senti?”

“Mi gira la testa e credo di essermi slogato la caviglia nella caduta”

“D’accordo, non ti preoccupare. Tu e Nadja rimanete qui ad aspettarci”

“Ma io voglio venire con voi” ribatté immediatamente la ragazza, perché non ci teneva ad avere un ruolo così marginale.

“Tuo fratello è stanco e ferito, non può rimanere da solo. Se qualcuno dovesse attaccarlo non riuscirebbe a difendersi, mentre il tuo fuoco potrebbe essergli molto d’aiuto.
Ti prometto che dalla prossima volta avrai anche tu occasione di far vedere quello di cui sei capace”

“Va bene, fate attenzione” mormorò Nadja, guardò James e Peter allontanarsi e poi si occupò a sua volta del gemello “ti senti un po’ meglio?”

“Si, ma sono sempre più convinto che questa faccenda finirà molto male” commentò lui, notando in quel momento una jeep nera che aveva parcheggiato vicino all’entrata nel capannone.



 
James e Peter si posizionarono sopra ad una trave di metallo, rimasero lì accucciati ad osservare ciò che accadeva sotto di loro, in attesa che arrivasse la persona che stavano attendendo.

“Tu credi che ci sarà?”

“Se nel traghetto non è riuscito ad ottenere quello che stava cercando, credo che ci sarà anche oggi. Vorrà esserci di persona. Guarda, c’è qualcuno che sta entrando. Quattro uomini”

“E da quella parte ne stanno entrando altri cinque. Occupati di questi, gli altri sono miei. Non andarci troppo pesante perché devono rispondere alle nostre domande” ordinò il giovane, incurante che nella parte opposta del magazzino, nascosti con la loro stessa cura, Steve e Scott avevano progettato un piano simile.



 
“Sono sicura che riusciranno nell’impresa, nessuno di loro due si farà male”

“Ti piace?”

“Come?”

“Sto parlando di James…”

“Oh, non essere ridicolo. Ti sembra che in questo momento io abbia tempo da perdere in queste sciocchezze? Sono così fiduciosa nei suoi confronti solo perché è un buon Leader. Tutto qua, non c’è altro da aggiungere”

“Fermi dove siete!”.

Una voce maschile e sconosciuta fece sussultare entrambi i ragazzi, che si voltarono subito in direzione della persona che li aveva scoperti.

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Capitolo 25
*** Who The Hell Is Bucky? ***


James si spostò silenziosamente da una trave di metallo ad un'altra, si posizionò sopra ai cinque uomini che erano appena entrati dall’ingresso secondario del magazzino; li osservò in silenzio ma non trovò colui che stava cercando.

Si lasciò cadere a terra, in quella che fu una vera e propria entrata in scena spettacolare, strappò il fucile d’assalto dalle mani dell’uomo più vicino a lui e si nascose dietro uno dei container perché gli altri non avevano esitato un solo momento a reagire; non era ansioso di uccidere anche quelle persone, ma se non gli avrebbero lasciato altra scelta sarebbe stato costretto a farlo.

Dall’altra parte del magazzino sentì delle imprecazioni e capì subito che anche Peter era intervenuto e stava avendo la meglio sugli uomini dell’Hydra.

Aspettò il momento di silenzio, quello in cui tutti erano costretti a ricaricare le loro armi, uscì dal nascondiglio e sparò a sua volta, ritornando nuovamente dietro al container quando anche il suo caricatore si ritrovò ad essere completamente scarico; prese dei nuovi proiettili da una delle tasche dei pantaloni che indossava, lanciò a terra il fucile ormai inutile e caricò la sua revolver.

Sparò addosso agli uomini, ne colpì uno al petto ed un altro alla gamba destra, mentre l’ultimo riuscì a scappare ed a uscire dal capannone; Jamie si avvicinò a quelli che erano a terra: quello che era stato colpito in pieno petto era agonizzante mentre l’altro era sveglio e continuava a gemere.

Gli si avvicinò e lo afferrò per la giacca.

“Dove si trova lui?”

“Non so di chi diavolo stai parlando”

“Dell’uomo che mi ha fatto questo, lo vedi? Il vostro Capo”

“Lui non si trova qui”

“Stai mentendo”

“Lui non si trova qui” ripeté una seconda volta quello, sconvolto dal dolore alla gamba, il ragazzo capì che non gli sarebbe stato d’aiuto e così lo colpì alla testa con il pugno destro per poi precipitarsi ad inseguire il soldato che era scappato qualche secondo prima.



 
L’uomo uscì dal capannone correndo e si nascose dentro ad un altro, chiudendo la porta alle proprie spalle; la mano destra gli tremava visibilmente quando prese il walkie-talkie che portava nella cintura allacciata ai fianchi.

Non voleva fare quella telefonata ma non aveva altra scelta; non voleva essere punito ma se non avesse comunicato ciò che aveva visto di lui non sarebbero rimaste neppure le ossa.

Premette il pulsante che gli permetteva di comunicare con coloro che avevano l’altro walkie-talkie e pronunciò una sola parola, sottoforma di domanda carica di tensione.

“Capo?”.

L’uomo lasciò andare il pulsante, ascoltò in silenzio il rumore della frequenza, in attesa di una risposta.

“Che cosa c’è?”

“Capo, abbiamo dei problemi. La missione si è complicata”

“Che cosa vuol dire?”

Io e gli altri siamo entrati nel magazzino ma siamo stati attaccati. Gli altri credo che siano tutti a terra ed uno è stato ucciso, io sono riuscito a scappare. Mi sono nascosto in un altro magazzino, che cosa devo fare?”

“Sei scappato? Sei scappato come un coniglio?”

“No, no. Non sono un coniglio. Mi sono nascosto perché attento nuovi ordini”

“Chi vi ha attaccato?” domandò Rumlow, lui e gli altri della squadra erano rimasti nella nuova Base dell’Hydra, non ricevendo alcuna risposta la formulò una seconda volta, in tono più rabbioso “chi diavolo vi ha attaccato? Rispondi!”

“È stato il Soldato D’Inverno, signore” mormorò il povero uomo, che ormai non sapeva più a quale Santo rivolgere le sue preghiere, ciò che ricevette come risposta non migliorò di certo la posizione in cui si ritrovava.

“Tu adesso torni in quel magazzino, lo prendi e lo porti qui. Se questo non accadrà ti farò a pezzi con le mie stesse mani. Lentamente, mentre sei ancora vivo. Hai capito?”.



 
Peter Parker bloccò a terra l’ultimo dei quattro uomini che si era ritrovato ad affrontare da solo; stava per andare alla ricerca del suo migliore amico quando qualcosa d’invisibile gli afferrò la gamba destra, facendolo cadere nel pavimento.

Il ragazzo si alzò, portandosi la mano destra alla maschera che gli copriva il volto, poi si guardò attorno alla ricerca della persona che lo aveva aggredito: non c’era nessuno, tranne lui e gli uomini dell’Hydra che erano momentaneamente bloccati dalle ragnatele.

Si ritrovò a terra una seconda volta, quando si rialzò vide un giovane uomo, con addosso una tuta rossa e grigia e con un casco dalla forma allungata, che lo fissava con la testa leggermente inclinata di lato.

Entrambi si guardarono con gli occhi spalancati, riconoscendosi a vicenda.

“Ehi!” esclamò Scott, sollevando la visiera del suo elmo “tu sei il ragazzo che…”

“Si, sono io. Scusami, amico, ma adesso ho altro da fare. La chiacchierata dobbiamo rimandarla ad un’altra volta” lo bloccò il più piccolo; per la seconda volta gli avvolse le gambe con la ragnatela appiccicosa che era in grado di generare e lo lasciò da solo, mentre tentava di liberarsi imprecando ad alta voce.

“Me la pagherai per quello che mi hai fatto all’aeroporto e per questo!” gridò Ant- man, colpendo il pavimento con un pugno.



 
James si guardò attorno, muovendosi con circospezione, temendo un attacco alle spalle.

Sentì un rumore provenire da dietro uno dei tanti scaffali, si avvicinò, prese un profondo respiro e puntò il fucile laddove credeva ci fosse il suo avversario; corrucciò le sopracciglia quando vide solo un corridoio vuoto e capì di essere caduto in una trappola quando qualcuno lo colpì con un calcio alle spalle.

Cadde a terra e rotolò di lato per evitare un secondo calcio nelle scapole, afferrò la gamba del suo avversario e lo scagliò contro una delle pareti, poi si avvicinò a lui e lo prese per i capelli.

“Poco fa ho interrogato uno dei tuoi amici, ma non sono riuscito ad ottenere le risposte che cercavo. Mi auguro che tu possa aiutarmi. Non è nulla di difficile, voglio solo sapere dove si trova il vostro Capo. Guarda con i tuoi occhi che cosa mi ha fatto”
sussurrò Jamie mostrando le due mani in vibranio “potrei farti molto male se non mi volessi aiutare”

“Io non so nulla”

“Forse non hai capito le mie parole. Ho detto che potrei farti molto male se non mi dici quello che voglio sapere”

“Io non so nulla, davvero. Lo giuro”

“Vediamo se tra poco continuerai a dire questo” rispose il giovane, portò indietro la mano destra per caricare il pugno, ma ancora una volta qualcuno lo sorprese alle spalle e lo colpì con forza.

L’uomo dell’Hydra approfittò di quel momento per scappare dal capannone e risalire nella jeep con cui era arrivato al porto.

Il ragazzo aveva perso gli occhialini protettivi nella caduta; si tolse anche la maschera, sputò un rivolo di sangue e si voltò a guardare colui che lo aveva colpito con uno sguardo carico di rancore.

Per poco lo scudo non scivolò dalle mani di Steve quando vide in faccia la persona contro cui si era scagliato, pensando che fosse un membro dell’organizzazione terrorista e di certo non si aspettava che si rivelasse un ragazzo dai lunghi capelli castani, con un volto fin troppo famigliare.

“Bucky?” domandò infatti con voce incredula, sentendosi catapultato a quattro anni prima, quando aveva scoperto che il Soldato D’Inverno era il suo migliore amico.

“Chi diavolo è Bucky?” rispose James, usando le esatte parole che suo padre aveva usato in quell’occasione; Steve sentì per un momento il terreno crollare sotto il suo peso, pensando che l’Hydra gli avesse nuovamente fatto il lavaggio del cervello.

Poi però si riscosse da quello strano torpore e si rese conto che ciò non poteva essere possibile.

Bucky si trovava in una cella criogenica in Wakanda, sotto la protezione di T’Challa, sicuramente quest’ultimo lo avrebbe avvertito se una cosa simile fosse accaduta e poi la persona che aveva davanti ai suoi occhi era molto più giovane di lui; i tratti del suo viso erano più infantili e Bucky aveva solo il braccio sinistro in vibranio.

“Chi sei?” domandò Capitan America, corrucciando le sopracciglia, non ottenne risposta perché in quel momento intervenne Parker, che lo mise fuori gioco grazie alle sue ragnatele.



 
Nadja sollevò le mani davanti all’uomo che indossava una strana armatura alata e che le puntava contro un congegno al polso sinistro.

“Non provate a fare scherzi, ragazzi, vi garantisco che ve ne pentirete”

“Metti giù quell’arma finché sei in tempo”

“Ragazzina, credi che io abbia paura di te?”

“Metti giù quell’arma” urlò Nadja e nello stesso istante generò delle fiamme che scagliò contro il giovane uomo; Sam si scostò appena in tempo, ma non fu abbastanza veloce perché venne colpito al braccio sinistro.

Arrivarono gli altri due ragazzi ed il Leader ordinò di salire nell’elicottero e di azionare il motore; James si voltò a guardare un momento Sam, il quale ricambiò lo sguardo, poi lo colpì alla parte lesa in modo d’avere un vantaggio assicurato.

Non riuscirono neppure loro a spiegarsi come ma ritornarono integri alla Villa di Malibù e Jamie riuscì ad eseguire un atterraggio quasi perfetto.

La pista era completamente vuota, ad eccezione di Rhodey che li stava aspettando a braccia incrociate, in compagnia di Charlotte e Tony.



 
Steven e Scott riuscirono finalmente a liberarsi dalle ragnatele di Peter, tutta la situazione era precipitata in pochissimo tempo e loro non potevano rimanere un solo istante in più dentro a quel capannone o sarebbero stati scoperti; salirono sul tetto e trovarono l’altro giovane ferito, con il braccio che aveva iniziato a riempirsi di bolle.

“Chi ti ha ferito?”

“Una ragazza inquietante che ha generato del fuoco e me lo ha scagliato contro. Non farmi domande perché so quello che i miei occhi hanno visto. C’era anche il tuo amico, ha pensato di colpirmi proprio qui”

“Quello non era Bucky”

“L’ho visto molto bene e ti posso assicurare…”

“Quello non era lui”

“Se non era il Soldato allora chi era?”

“Non lo so” mormorò il Capitano, scambiando una lunga occhiata con gli altri due.



 
L’uomo cadde a terra e rimase seduto sulle ginocchia, senza avere il coraggio di sollevare gli occhi dalle piastrelle del pavimento; vide un paio di scarponi neri avvicinarsi e fermarsi a poca distanza da lui; sentì una mano afferrargli i capelli e costringerlo ad alzare la testa, fino a quando non incontrò un volto celato da una maschera che riprendeva le fattezze di un teschio.

“Ripeti quello che hai detto”

“Non sono riuscito a catturarlo. Mi ha attaccato e poi è arrivato Capitan America e…” si fermò all’improvviso perché il suo Capo si era voltato verso il muro ed aveva mollato un pugno talmente forte che aveva formato una profonda crepa “ed io ho avuto appena il tempo di scappare”

“Ho perso alcuni dei miei uomini migliori e tu sei tornato a mani completamente vuote? Lo sai che in questo momento sei più inutile di un cadavere fatto a pezzi?”

“Signore, io…” il poveretto si bloccò ancora perché Crossbones gli aveva tranciato la mano sinistra con un solo colpo di uno dei pugnali che c’erano nelle protesi meccaniche; si guardò con aria sconvolta il moncone da cui il sangue aveva iniziato a zampillare copiosamente.

Provò a bloccarne il flusso con l’altra mano ma ottenne solo di sporcarsi il volto ed il petto; quella scena suscitò l’ilarità nell’altro uomo che scoppiò in una bassa risata, imitato da tutti gli altri presenti nella stanza.

Quando si staccò di quel gioco afferrò l’uomo di nuovo, pronto a tagliargli l’altra mano, ma lo scongiurò di non farlo, perché aveva qualcosa d’importante.

“Parla”

“Non sono riuscito a portarlo alla nostra Base, ma non si è accorto che gli ho messo addosso un dispositivo di localizzazione” affermò il più piccolo, con il volto pallido a causa di tutto il sangue che continuava  a perdere, porse al suo superiore un cellulare con una schermata accesa, che mostrava un segnale radar.

L’altro fissò lo schermo per qualche istante, in totale silenzio.

“Forse non sei stato così inutile” rispose poi “ma non hai comunque portato a termine il compito che ti avevo assegnato”.

Prima che la povera vittima potesse reagire, Rumlow  l’afferrò e le tagliò la gola così in profondità che quando il corpo scivolò a terra, la testa gli rimase in mano; lasciò cadere anche quella e poi tornò a fissare lo schermo.

Nessuno aveva il coraggio di aprire bocca, poi uno dei presenti si schiarì la gola e prese coraggio.

“Capo, che cosa dobbiamo fare?”.

Rumlow fissò ancora il pallino rosso lampeggiante che era apparso nel radar, poi si voltò a guardare quello che gli aveva fatto la domanda.

“Andiamo a prendere il Soldato”.

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Capitolo 26
*** The Target ***


James, Nadja e Peter aiutarono Nicholaj a sdraiarsi nel suo letto, perché era ancora debole a causa dello sforzo compiuto poco prima al porto, poi uscirono dalla stanza ed andarono in salotto, pronti a ricevere una bella ramanzina da parte degli adulti.

“Siete degli immaturi!” esclamò Charlotte, incapace di trattenersi un solo istante in più “avete la più pallida idea della gravità di quello che appena fatto? Vi rendete conto che avrebbe potuto finire molto male? Ma per quale motivo lo avete fatto”

“Avete drogato il mio succo di frutta” rincarò la dose Rhodey, incrociando le braccia nel petto.

“Non lo abbiamo drogato, non essere così drammatico, era solo del sonnifero. E non siamo stati dei pazzi. Volevamo solo dimostrare a tutti voi che siamo già in grado di entrare in azione”

“Vi allenate da pochi mesi, avete ancora molto da imparare! Guarda in che condizioni si trova Nicholaj adesso!”

“Ma nessuno di noi quattro si è fatto veramente male e poi era un’occasione che non potevamo lasciarci scappare. Avevo l’occasione di farla pagare alla persona che ha tentato di uccidermi”

“Oh, certo, rischiando la vita una seconda volta. Tu non hai idea di chi sia quell’uomo, Jamie, sei fortunato che tutto si sia risolto senza gravi conseguenze. Voi quattro siete nei guai, lo sapete?”

“Tutto questo è assurdo!”

“No, non è assurdo” disse Tony, intervenendo nella discussione per la prima volta “si tratta solo della vostra sicurezza personale. Quando è stato creato il gruppo degli Avengers si trattava di gente adulta che aveva la piena consapevolezza dei propri potere. I Thunderbolts, o come tu hai chiamato la tua squadra, sono solo dei bambini fuori controllo”

“Non siamo bambini”

“Questa notte avete dimostrato l’esatto contrario”

“Sei stato tu quello a dirmi che non bisogna stare a guardare ma bisogna agire quando si presenta l’occasione, Tony. E poi non eravamo da soli”

“Che cosa vuoi dire?” domandò Charlie, corrucciando le sopracciglia.

“Mentre interrogavo un uomo dell’Hydra sono stato attaccato da Capitan America”

“Come? Impossibile!”

“No, mamma. L’ho visto con i miei occhi. Nick ci ha fatto vedere un filmato sugli Avengers lo stesso giorno della nostra partenza. Ti assicuro che era proprio lui. Non credo che tante persone vadano in giro con un costume a stelle e strisce e con uno scudo. Sul tetto del magazzino c’era un altro uomo, aveva delle ali meccaniche”.
Charlie e Tony si scambiarono un’occhiata silenziosa che esprimeva lo stesso sconcerto, poi lei sospirò profondamente.

“Andate a letto, adesso, avete bisogno di riposare. Domani parleremo meglio di questa faccenda e sono sicuro che anche Fury avrà molto da dirvi” disse Rhodes battendo le mani, i tre ragazzi non erano affatto stanchi dato che erano ancora carichi di adrenalina ma si ritirarono ugualmente, capendo che era meglio non peggiorare la situazione.

“Lo sapevo io che sarebbe finita in questo modo! E tu, Rhodey, come hanno potuto fregarti in questo modo? Sono solo dei ragazzini…”

“Mi dispiace…”

“Ragazzi, non c’è bisogno di continuare questa discussione, vi prego. L’importante è che stanno bene. Credi di poter gestire la situazione? Vuoi che restiamo per questa notte?”

“No, andate pure. Scusate per quello che è successo”.

La ragazza sorrise e rassicurò l’uomo con un altro sorriso, poi lei ed il miliardario uscirono dalla Villa ed entrarono nella macchina sportiva di lui, che fece partire subito.

“Spiegami da quando ti sei ammorbidita così tanto nei confronti di tuo figlio”

“Non mi sono ammorbidita, sono terribilmente incazzata, ma con James non porta a nulla gridare ed imprecare. Si ottiene solo l’effetto opposto. Tutto quello che m’importa è che lui sia vivo e che lo siano anche gli altri”

“E riguardo a quello che ha detto? Che facciamo? Lo dobbiamo dire a Fury”

“No, credo che sia inutile. Tanto nemmeno lui riuscirebbe a trovarli”

“Ma tu ci sei riuscita. Potresti dire dove si trova il suo nascondiglio”

“No, non posso e non lo farò”

“Sempre pronta a parare il culo a Rogers” mormorò Stark scuotendo la testa, incapace di spiegarsi perché Charlotte continuasse a difenderlo così allo stremo, dato che non ci aveva pensato nemmeno un secondo a voltarle le spalle.



 
Nessuno dei cinque occupanti della Villa a Malibù riusciva a chiudere gli occhi, ognuno per motivi diversi ed uguali allo stesso tempo; James era quello che più di tutti faceva fatica ad addormentarsi.

Non era sommerso dai sensi di colpa, era arrabbiato perché Tony si era schierato contro di lui e perché non aveva ottenuto nulla andando in quel magazzino.

Si alzò dal letto con un verso seccato, uscì dalla camera da letto ed andò in cucina per rinfrescarsi la gola con qualcosa da bere.

Non rimase sorpreso quando vide che un’altra persona aveva avuto la sua stessa idea.

“Anche tu hai problemi a riposare?”

“Si” rispose Nadja con un sorriso tirato; il ragazzo andò ad occupare lo sgabello vicino al suo e tamburellò le dita della mano destra sopra la superficie del tavolo.

“Che cosa ti turba così tanto?”

“Ho paura che sia tutto finito, che i Thunderbolts non entreranno mai in azione”

“Oh, di questo non devi avere assolutamente timore. Sicuramente Fury non si risparmierà in fatto di parole, ma la maggior parte sarà riservata a me e poi serve una squadra di gente come noi. Non ci può licenziare”

“Ma esistono tante persone con poteri, può formare un altro gruppo in qualunque momento”

“Non credo che sia così semplice, sai…” mormorò il giovane, le prese la mano sinistra e la strinse con delicatezza.

Le sorrise in modo dolce e riuscì ad ottenere a sua volta il primo e vero sorriso dalla ragazza dai capelli rossi che lo aveva stregato così tanto; in quello stesso momento,
in cui tutto sembrava quasi perfetto, un boato assordante riempì il silenzio della Villa.

I vetri dell’abitazione esplosero e James si buttò addosso a Nadja, per evitare che rimanesse ferita.

Caddero entrambi a terra e gli altri si svegliarono all’improvviso, con gli occhi spalancati ed il cuore che batteva all’impazzata nel petto; erano ancora confusi a causa del sonno e non riuscirono subito a capire se l’esplosione si fosse verificata veramente o fosse stato solo un sogno.

Jamie afferrò l’amica per un braccio e si nascosero nel corridoio che portava alle camere, il giovane spiò in direzione del salotto e vide degli uomini armati entrare nell’abitazione; il suo sguardo venne attirato da quello che aveva il volto celato da un elmo a visiera nero e bianco e delle protesi meccaniche nelle braccia.

“ È qui”

“Chi?”

“Lui”.

Nad spiò a sua volta e quando vide Crossbones tornò a nascondersi, delle gocce di sudore presero a scenderle lungo le guance.

“Che cosa facciamo?” sussurrò lei con voce tremante; una porta si socchiuse ed uscì Rhodey con in mano una delle sbarre in grado di generare scosse potenti.
“Nascondetevi in camera, forza, adesso” ordinò ai due e loro non se lo fecero ripetere una seconda volta; uscirono nel corridoio anche Peter e Nicholaj per chiedere che cosa fosse accaduto e l’uomo rispose portandosi alle labbra l’indice destro.



 
Rumlow guardò un’ultima volta lo schermo su cui lampeggiava un puntino rosso, poi lo lasciò cadere a terra e lo schiacciò con lo stivale destro; avanzò nel pavimento ricoperto di cocci di vetro e si guardò attorno.

Ad una prima occhiata sembrava non esserci traccia di vita lì dentro, ma sapeva che tutti si erano solo che nascosti; sentì un movimento provenire dalla sua destra, si scostò appena in tempo per evitare che una sbarra di metallo si schiantasse contro la sua spalla sinistra ed assestò un calcio nella schiena all’ex War Machine,
esattamente dove la spina dorsale gli si era spezzata due anni prima.

L’uomo si ritrovò a gemere nel pavimento e Rumlow si limitò a guardarlo, decise di non finirlo perché non ne sarebbe valsa la pena, si voltò e strinse la mano destra nella gola di Peter, che aveva provato a sua volta ad attaccarlo.

Il giovane si ritrovò scagliato contro una parete prima di schiantarsi nel pavimento privo di sensi.

“Ehi!” gridò Nicholaj con voce carica di rabbia, provò a creare un campo di forza ma era ancora troppo debole e provocò solo un debole venticello che fece ridere Crossbones.

“Sai fare solo questo? Certo che lo S.H.I.E.L.D è caduto proprio in basso” disse quello scuotendo la testa, si avvicinò al ragazzo che a malapena si reggeva ad una parete, lo afferrò per i capelli e gli affondò la lama di un pugnale nello stomaco “dovresti ringraziarmi, dato che ti sto concedendo il colpo di grazia. Dovresti anche considerarti fortunato, perché non sei tu quello che m’interessa”.

Il più piccolo non rispose e cadde a terra boccheggiando, sconvolto, coprendosi la ferita con entrambe le mani.



 
Nadja non era una ragazza che solitamente versava lacrime, non dopo tutto quello che lei e che il fratello avevano passato, ma quello che stava facendo fece crollare tutte le sue barriere.

“Non piangere”

“Non voglio tornare da quei mostri”

“Tu non tornerai da loro”.

La giovane rispose con un urlo alla vista della protesi che spaccò la porta di legno come se fosse fatta di burro; James si alzò in piedi, pronto a difendere l’amica, ritrovandosi faccia a faccia con il mercenario.

“Guarda, guarda…” mormorò l’uomo, inclinando la testa di lato “a quanto pare mi hanno informato in modo sbagliato. I miei uomini mi hanno riferito che dentro al magazzino hanno visto il Soldato D’Inverno”

“Io sono il Soldato d’Inverno”

“Ma davvero?” domandò l’altro con una bassa risata, poi notò le protesi di vibranio “oh, si… Hai voluto fare le cose in grande”

“L’ultima volta che ci siamo visti ero impreparato, lo ammetto, adesso sono molto più forte” rispose Jamie, si scagliò contro il suo avversario ma quest’ultimo lo afferrò per la gola, come aveva fatto con Peter, sbattendolo contro la parete alle sue spalle.

“A me non sembri affatto più forte. Sei solo un ragazzino a cui piace giocare a fare l’eroe”

“Lascialo andare!”.

Crossbones si voltò a guardare Nad, notandola veramente per la prima volta.

“E tu chi sei, bambina?”

“Ti ho detto di lasciarlo andare”

“Oh, ho capito. Tu sei la sua ragazza” rispose lui con voce annoiata, prese in mano una delle pistole che aveva con sé e le sparò più di una volta, colpendola allo stomaco, al braccio sinistro ed al petto.

Jamie lanciò un urlo e provò ad attaccare ancora il mercenario ma ricevette un pugno in volto che gli fece perdere i sensi; Crossbones lo afferrò per la maglietta che indossava e lo trascinò nel salotto, dove i suoi uomini lo stavano aspettando.



 
Una decina di minuti più tardi Nad riprese conoscenza, il proiettile al petto non l’aveva colpita laddove c’era il cuore altrimenti per lei non ci sarebbe stata via di scampo, riuscì ad alzarsi in piedi e barcollò in direzione del salotto.

Vide Nicholaj in una pozza di sangue, Rhodey e Peter che giacevano immobili nel pavimento ed un singhiozzo le scappò dalle labbra.

Tornò nel corridoio ed entrò nella camera di James con la vista che si annebbiava a tratti, cercò il cellulare del giovane e lo trovò poco dopo.

Andò alla ricerca del numero di Charlotte e premette il pulsante che faceva partire la chiamata, quando sentì la sua voce risponderle scoppiò in un pianto disperato.





N.D.A: In questo periodo la mia salute fisica non è delle migliori ed in più ho scoperto che sarò impegnata ogni weekend di ottobre. Ma pubblicherò ugualmente. Se non riuscirò a farlo durante il sabato mattina lo farò dopo pranzo. Quindi tranquilli, non vi abbadono!

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Capitolo 27
*** Are You Not Scared Of Me? ***


Charlotte era ancora in macchina in compagnia di Tony quando sentì il proprio cellulare iniziare a squillare, quando lo prese in mano e vide il nome del figlio sorrise: sicuramente l’aveva chiamata perché, per una volta, aveva riconosciuto il suo errore e voleva chiederle scusa.

“Pronto?” domandò sempre con il sorriso, che si spense rapidamente quando sentì una serie di singhiozzi femminili “Nadja? Nadja, sei tu? Perché stai piangendo? Che cosa è accaduto? Dimmi qualcosa”

“Io… Noi…”

“Ascolta” ripeté una seconda volta la giovane, imponendosi di rimanere calma “se è successo qualcosa me lo devi dire, altrimenti non posso aiutarti”

“Siamo stati attaccati”

“Che cosa vuol dire che siete stati attaccati?”

“Gli uomini dell’Hydra hanno fatto esplodere metà Villa. C’era anche l’uomo con le protesi meccaniche. Sono tutti a terra, non rispondono. Mio fratello è circondato dal sangue. Mi hanno sparato al petto. Hanno preso James” rispose la ragazza rossa piangendo, ansimando affannosamente; il cervello di Charlie si congelò quando riuscì a rielaborare tutte quelle informazioni, una più terribile dell’altra, ma s’impose di rimanere calma perché andare nel panico non l’avrebbe aiutata.

“Cerca di mantenere la calma. Io e Tony arriviamo subito”

“Che cosa è accaduto?” chiese Stark sollevando il sopracciglio destro, dato che non aveva sentito ciò che Nad aveva detto.

“Rumlow. Ha fatto esplodere la tua Villa. Sono tutti gravi. Ha preso mio figlio” sussurrò lei con il volto pallido; l’Audi del miliardario subì una brusca inversione di marcia e ritornò verso Malibù ad una velocità illegale.

Dopo appena cinque minuti erano già davanti all’abitazione che aveva subito danni ben evidenti; corsero entrambi nel salotto e si resero subito conto che serviva un intervento immediato.

Tony andò a soccorrere il suo migliore amico ed i ragazzi, mentre Charlie chiamò Natasha per avere rinforzi e poi s’inginocchiò vicino a Nicolaj, quello che aveva le ferite più gravi insieme alla sorella, che era accasciata poco più in là.

“Lo puoi curare?”

“Sono riuscita a curare una persona a cui avevo sparato addosso cinque volte. Posso curare questo ragazzo”

“A chi hai sparato così tanti proiettili?”

“Stark, non è il momento” ringhiò la ragazza a denti stretti, posò le mani nel petto del ragazzo, chiuse gli occhi e si formò una luce azzurra che scomparve dopo qualche momento, insieme alla profonda ferita provocata dal pugnale; passò subito dopo a Nadja e con la magia riuscì a curare anche lei.

La magia di Charlie richiedeva molta energia e quell’uso così massiccio, mischiato alla notizia che James era stato rapito, provocarono un collasso in lei e cadde tra le braccia del miliardario, svenuta.



 
James si risvegliò legato ad una sedia, in una stanza priva di finestre illuminata in modo quasi accecante, una di quelle stanze che solitamente si vedevano nei film polizieschi, ma questa volta si trattava della realtà.

“Buongiorno, ha dormito bene la principessa?”.

Al suono di quella voce famigliare il giovane provò a scattare in avanti, ma era stato legato in modo stretto, con corde robuste e con tutte le precauzioni per le sue braccia in vibranio.

“Fottiti, mostro”

“Hai un modo strano di ringraziare, ragazzino, dal momento che sei ancora vivo, integro ed in grado di parlare”

“Dove mi hai portato? Che posto è questo? Che cosa hai fatto ai miei amici?”

“Tutto questo non ha importanza. I tuoi amici non saranno più un problema, non riesco davvero a capire che cosa vedesse Fury in loro da decidere di arruolarli. Non c’è stato nemmeno gusto ad affrontarli, uno storpio e quattro adolescenti. Non c’è stato proprio gusto. Sai, ho avuto modo di osservarti mentre facevi il tuo sonnellino. La tua somiglianza con il Soldato è impressionante” ammise Rumlow, afferrò il viso del ragazzo e lo sollevò leggermente, per osservarlo con più attenzione “chi sei?”

“Sono suo figlio”

“Impossibile. Avrai almeno diciotto, diciannove anni e ti posso assicurare che non ha avuto il tempo di intraprendere una relazione con il cervello in pappa”

“Io sono nato solo due anni fa. Il DNA di mia madre e di mio padre hanno avuto una strana…” iniziò Jamie, si bloccò dopo poche parole capendo che si stava lasciando scappare cose troppo importanti, ma ormai il danno era fatto perché l’uomo aveva capito il senso del discorso.

“Una strana reazione? Tipo una crescita accelerata? Chi è tua madre?”

“Non te lo dirò mai” gridò il più piccolo, sputandogli sulla visiera; Crossbones lo colpì con un pugno e poi lo guardò con maggior attenzione.

I suoi occhi vennero attraversati da un lampo di consapevolezza quando riconobbe alcuni tratti del viso ed il colore azzurro degli occhi.

“Tua madre è Charlotte”

“La conosci?”

“Se la conosco? La conosco molto bene. Dieci anni fa era la mia allieva e ti posso assicurare che la nostra è stata una conoscenza molto approfondita. Se capisci quello che intendo”

“Figlio di puttana!” ringhiò Jamie ma ricevette un secondo pugno, che gli fece sputare del sangue nelle piastrelle del pavimento “te la farò pagare. Io non ho paura di te”

“Non hai paura di me?” domandò l’altro; si portò le mani all’almo che gli copriva il volto e se lo tolse, rivelando una faccia completamente sfigurata, addirittura l’orecchio sinistro non esisteva più “ne sei sicuro?”

“Sicuro” rispose in un soffio il nuovo Soldato D’Inverno, cercando di celare il terrore che provava “mi verranno a cercare e tu avrai quello che ti meriti”

“Che vengano pure. Quando arriveranno tu non riconoscerai nessuno di loro” mormorò a sua volta Rumlow, perché aveva già in mente dei piani per il futuro del ragazzo.

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Capitolo 28
*** The Only Man Who Can Help Us ***


Charlotte si svegliò all’improvviso, spalancando gli occhi, non si trovava più nella Villa di Tony a Malibù, bensì alla Base dello S.H.I.E.L.D.

“Ehi, non ti alzare, sei ancora troppo debole!” esclamò Stark, cercando di convincere la giovane a sdraiarsi di nuovo nella brandina e chiudere gli occhi ma lei non lo ascoltò, uscì dalla stanza e si precipitò correndo nell’ufficio di Nick Fury.

Lo trovò dietro la sua scrivania, con la sua aria sempre inscrutabile.

“Nick!”

“Agente Bennetts, sono contento di vedere che ti sei svegliata. Iniziavamo ad essere preoccupati per te”

“Rumlow ha rapito James, dobbiamo fare subito qualcosa”

“Per quanto riguarda la prima cosa che hai detto: si, hai ragione. Per quanto riguarda la seconda: non se ne parla nemmeno”

“Che cosa?” domandò Charlie spalancando gli occhi “che cosa significa quello che hai appena detto? Non hai intenzione di soccorrere mio figlio?”

“Non sono intenzionato a sacrificare i miei uomini per l’incoscienza di un ragazzino. James era destinato a fare questa fine dallo stesso momento in cui è salito in quel traghetto. Sono stato uno stupido a pensare di creare una seconda squadra di Avengers composta da quattro adolescenti. Almeno le perdite sono state limitate”

“Le perdite sono state limitate? Non si tratta di una pedina, si tratta di mio figlio!”

“Se quella volta non andavi a letto con il Soldato D’Inverno tutto questo non sarebbe accaduto, Bennetts”

“Stai dicendo che la colpa è mia? Che sono una pessima madre?”

“Sto solo dicendo che hanno inventato le precauzioni appositamente per evitare incidenti di percorso. Riguardo a questa faccenda sono irrevocabile, come ti ho già detto non sono intenzionato a sacrificare una sola vita”

“Davvero?” chiese Charlie, incrociando le braccia “se non salviamo Jamie il prima possibile saranno molte le vite che verranno spezzate. Ti ricordo che mio figlio è per metà un Gigante Di Ghiaccio. Sono sicura che Rumlow lo torturerà fino a quando non avrà ottenuto tutte le informazioni per distruggerci. Vorrà trasformarlo come l’Hydra ha fatto con suo padre, ed a quel punto chi riuscirà a fermarlo? Tu? Io? Che cosa farai quando sarà troppo tardi?”

“Mi stai minacciando, Agente?”

“No, Nick, ti sto solo evitando di fare una cazzata” mormorò lei con un’espressione affranta.



 
Tony si voltò in direzione della porta della stanza quando si aprì e vide Charlotte entrare con il fiato ansante, le guance quasi in fiamme.

“Allora? Hai parlato con Fury?”

“Sono riuscita a convincerlo a cercare James. Che cosa facciamo? Dove… Da dove iniziamo?”

“Credevo avessi già un piano” rispose il miliardario, prendendo posto nell’unica sedia presente nella camera; la porta si aprì una seconda volta ed apparve Natasha.

“Ho appena fatto visita a Rhodey ed ai ragazzi. Stanno tutti bene ma devono ancora riprendersi dalle lesioni e Nick non è intenzionato a fare qualcosa per…”

“Non ti preoccupare” la bloccò l’amica con un mezzo sorriso “sono riuscita a fargli cambiare idea, ma io e Tony non sappiamo che cosa fare”

“L’Hydra non è mai stata un campo di mia competenza. Potresti chiedere al tuo amico Rogers di darti una mano, lui è il massimo esperto riguardo a questo”

“Steve non vuole più avere nulla a che fare con me. Lui non ci aiuterà mai, penserà ad una trappola per incastrare lui e la sua squadra”.

Tony Stark si passò una mano nel pizzetto nero, riflettendo su quello che potesse essere un possibile piano e non era affatto semplice per lui, dato che solitamente agiva e basta.

Si batté una mano sulla fronte quando capì finalmente ciò che dovevano fare.

“So cosa dobbiamo fare”

“Cosa?”

“Charlie, ti ricordi quando siamo stati in Siberia? In quel vecchio laboratorio dell’Hydra?”

“Tony, questo non è il momento adatto per pensare a quello che è accaduto”

“Provaci solo per un istante. Fidati. Cerca di pensare a quanti eravamo dentro a quel laboratorio”.

La giovane fece un enorme sforzo a chiudere gli occhi ed a tornare indietro nel tempo, al giorno in cui la sua vita si era frantumata per la terza volta; non aveva mai ripensato a quando Bucky aveva provato a strangolarla, a quando le aveva detto in faccia che la voleva uccidere con le sue stesse mani, perché faceva ancora troppo male.

Rivide sé stessa, Tony, Steve, Bucky e le sei teche che contenevano i Soldati D’Inverno uccisi nel sonno.

Nei suoi ricordi non c’era nulla che sembrava utile per lei e per James; poi, però, le tornò in mente una scena che aveva del tutto scordato.

C’era una porta di metallo, rinforzata in modo che nemmeno lo scudo di Steve potesse provocarle qualche danno.

Nella porta c’era un oblò e dietro quel vetro il volto di un giovane uomo: colui che aveva fatto in modo che si scatenasse la guerra civile all’interno degli Avengers, in modo da vendicare la famiglia che aveva perduto durante gli eventi di Ultron.
L’unica persona che sapesse tutto sull’Hydra.

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Capitolo 29
*** Seconda Parte: Wakanda ***


Charlotte guardò fuori dal finestrino dell’aereo e vide la terraferma che si faceva sempre più vicina; il lungo viaggio era quasi terminato e quella scena le ricordava moltissimo una delle più famose di Jurassic Park, quando i protagonisti giungevano all’isola in cui era stato costruito il Parco a tema con dinosauri che erano stati ricreati in laboratorio.

Si augurò di non trovarsi faccia a faccia con una simile sorpresa.

Tony e Natasha avevano insistito molto per accompagnarla nella sua impresa in Wakanda ma lei era stata categorica: quella faccenda riguardava James, suo figlio, di conseguenza era una questione personale.

Lei aveva aveva capito subito il suo punto di vista e si era fatta da parte, ma Stark era stato un osso più duro e si era arreso solo numerosi litigi sempre più violenti; quando era arrivato l’aero che doveva scortare Charlie nello Stato africano lui aveva provato a baciarla per l’ennesima volta ed ancora aveva ricevuto un rifiuto.
L’uomo non si sarebbe mai arreso, ma neppure la giovane si sarebbe scostata di un solo millimetro dalla sua posizione.

“Siamo quasi arrivati, signorina Bennetts” annunciò l’uomo che era andato a prenderla, uno degli assistenti dello stesso Re del Wakanda “farà meglio a cambiarsi”

“Cambiarmi?”

“Non vorrà essere ricevuta in questo modo” ribatté l’uomo, dato che la ragazza indossava un semplice paio di jeans chiari, una giacca nera ed una maglietta con la scritta ‘long live rock and roll’, i primi vestiti che aveva trovato nell’attico del miliardario prima della partenza.

“Senta, mio figlio è stato appena rapido da una organizzazione terroristica. Il modo in cui sono vestita m’importa ben poco e sono sicura che importerà poco anche al Re”

“Come desidera, ma si ricordi di essere rispettosa quando si troverà in sua presenza. Di chinare il capo e di non alzarlo fino a quando non avrà ricevuto il permesso; deve baciargli l’anello che porta alla mano sinistra”.

Charlie sollevò il sopracciglio destro davanti a quelle richieste che le sembravano solo che assurde, ma protestò per timore di offendere l’uomo e poi perché vide qualcosa che la lasciò senza fiato: il mezzo di trasporto passò vicino ad una colossale statua di onice nera, dalle sembianze di una pantera con le fauci spalancate in un eterno ruggito.

“Cos’è quella?”

“La statua della Pantera Nera. La nostra protettrice da generazioni e generazioni. La nostra divinità” rispose l’assistente in un sussurro, quasi avesse paura di profanare un qualcosa di sacro, perché così era per tutti i cittadini di quello Stato; Charlotte guardò un’ultima volta la statua, che sparì nella nebbia creata dall’umidità, poi si morse le labbra per reprimere l’agitazione.

L’aero atterrò in un’apposita pista e subito delle persone andarono ad accogliere la ragazza, conducendola in quella che era un’immensa struttura, costruita in cima ad un dirupo e circondata da una fitta giungla; uno di quei posti che potevano trovare solo coloro che ne erano a conoscenza.

Una donna vestita con estrema eleganza e con i capelli completamente rasati la condusse in un salottino sofisticato.

“Il Re sarà pronto a riceverla a momenti. Potete attenderlo qui dentro” disse lei prima di scomparire dalla stessa porta in cui erano entrate.

Charlie si guardò attorno, ammirando il buongusto con cui era stata arredata la stanza; c’erano due divanetti in pelle bianca, un tavolino di vetro in cui era inciso il profilo di una pantera, diverse statue che rappresentavano sempre lo stesso felino ed un’intera parete occupata da una vetrata che dava sulla foresta.

Si avvicinò alla parete a vista ed ammirò in silenzio le cime degli alberi ed un stormo di uccelli che volava verso nord, era terribilmente agitata da quell’incontro ma allo stesso tempo non era intenzionata a cedere ad un esaurimento nervoso.

Se voleva salvare Jamie doveva rimanere assolutamente lucida, anche se non era affatto semplice.

“Sembra una dea scesa in Terra, signorina”.

La ragazza sussultò nell’udire la voce maschile e profonda, perché alle sue orecchie non era giunto nessuno rumore, si voltò e si ritrovò davanti ad un giovane uomo: era alto e prestante, con i capelli corti e gli occhi scuri quanto la sua pelle; nel suo volto c’era un’espressione fiera che metteva ancora più in risalto il profilo nobile, che faceva intuire le sue origini.

Indossava una strana collana che aveva come ciondolo quello che sembrava essere un grosso artiglio.

“Altezza” mormorò lei abbassando subito il capo, sentì una mano sollevarle il mento e si ritrovò ad incrociare lo sguardo del Re del Wakanda.

“Non c’è bisogno di tutte queste formalità, dopotutto ci siamo già conosciuti”

“Non credo di averti già visto”

“Si, è accaduto due anni fa in Germania. Nell’aeroporto di Lipsia-Halle. Non ricordi?” le disse T’Challa, sempre con la sua aria seria, quasi fosse incapace di sorridere; Charlie corrucciò le sopracciglia cercando di ricordarsi quel volto.

“No, io non…”

“In quell’occasione indossavo una maschera”

“Tu sei l’uomo pantera?” chiese allora la giovane, dandosi della stupida per non averlo capito prima, dato che ogni indizio riportava a quello; T’Challa annuì, l’invitò a sedersi in uno dei due divanetti in pelle e lui occupò quello posizionato dall’altra parte.

Osservò a sua volta l’ospite inattesa, mentre riempiva due tazze di thè verde, ricordandosi poi che era la ragazza del Soldato D’Inverno.

“Che cosa ti porta qui, Agente Bennetts? Quando Stark mi ha chiamato mi sembrava piuttosto agitato, ed ho come l’impressione che lui non sia un uomo facile da spaventare”

“Se non fosse accaduto qualcosa di veramente grave non avrei affrontato un viaggio così lungo e di certo non ti avrei sottratto dai tuoi impegni. Un membro dello S.H.I.E.L.D è stato rapido da alcuni uomini dell’Hydra ed è molto importante, per noi, ritrovarlo il prima possibile. Se gli dovessero fare il lavaggio del cervello potrebbe non esserci modo di fermarlo. Non possiamo rischiare che questo accada, c’è molto da perdere in gioco”

“Allora perché non siete intervenuti subito?”

“Perché non sappiamo dove l’Hydra ha la sua nuova Base, non possiamo chiedere aiuto a Steve Rogers perché lui e la sua squadra sono considerati dei criminali e non sappiamo… Non sappiamo dove si nascondono” rispose Charlie dicendo in parte la verità ed in parte una menzogna “abbiamo bisogno di qualcuno che sappia tutto riguardo a questo e quella persona si trova qui. Ecco perché sono venuta in Wakanda”

“Tu stai parlando del prigioniero”

“Si, sto parlando di Helmut Zemo”.

Zemo, il vero responsabile dell’attentato a Vienna era stato momentaneamente rinchiuso nella prigione dello S.H.I.E.L.D prima di essere trasferito nello Stato africano, perché doveva scontare la pena per aver ucciso il precedente sovrano, il padre di T’Challa.

Lo sguardo negli occhi del giovane uomo si fece improvvisamente duro e la mano destra andò subito a toccare l’anello d’argento che portava, che apparteneva al suo defunto genitore, perché era ancora un argomento molto delicato.

“Non posso permetterlo”

“Ma sarebbe solo una cosa temporanea”

“Potrebbe scappare, è troppo pericoloso. Non posso pensare al fatto che quell’uomo potrebbe ritornare in libertà dopo quello che ha fatto”

“Questo non accadrà, te lo prometto, ma abbiamo bisogno di lui. Io ne ho bisogno e se non fosse una questione di vita non sarei qui a supplicarti di ascoltare ciò che ti sto dicendo, T’Challa. Ti prego”.

Lui la guardò a lungo negli occhi e capì che c’era qualcos’altro dietro, qualcosa che non gli era stato ancora detto.

“La persona che è stata rapita… Per te è importante?”

“Si tratta di mio figlio”

“Tuo figlio?”

“Si, l ho avuto due anni fa ma dimostra diciotto anni. È una storia complicata. Lui ha preso il posto di suo padre come Soldato D’Inverno ma agisce per lo S.H.I.E.L.D, l’Hydra ha scoperto la sua esistenza ed ora non vuole lasciarsi scappare un’occasione così ghiotta. Adesso capisci perché sono così terribilmente disperata?”

“Vieni con me”

“Dove dobbiamo andare?”

“C’è una cosa che devi vedere in questo momento. È importante” insistette il più grande, facendole cenno di seguirlo, lei dubitava fortemente che ci fosse qualcosa che davvero valesse la pena d’interrompere quella discussione della massima importanza; dopo pochi minuti si ritrovò in quello che era un laboratorio attrezzato con i congegni più sofisticati in circolazione.

“Che cosa dovrei vedere?”

“Quella”

“Che cos’è? Una teca?”

“Avvicinati”.

Charlie si voltò a guardare il giovane uomo, poi tornò a fissare l’oggetto di dimensioni notevoli e gli si avvicinò.

Quando si trovò a pochi centimetri di distanza allungò la mano destra, che tremava, in modo da pulire il vetro appannato da un sottile strato di ghiaccio.

Trattenne il respiro quando vide un giovane uomo con gli occhi chiusi, che sembrava dormire serenamente: aveva i capelli lunghi e castani che gli sfioravano le spalle ed era sprovvisto del braccio sinistro.

Capì in quello stesso momento che non si trattava di una semplice teca di vetro.

Era una cella criogenica.

E quello era Bucky.

Finalmente lo aveva trovato.

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Capitolo 30
*** Helmut Zemo ***


Charlotte socchiuse le labbra e due lacrime solitarie le scesero lungo le guance, rigandole il viso pallido e tirato; T’Challa fece cenno a tutti quelli presenti nel laboratorio di uscire, perché era un momento intimo, poi rimase in silenzio attendendo che fosse lei la prima a rompere il silenzio.

“Da quanto tempo si trova in questa cella?”

“Quasi tre anni”

“E perché è lì dentro? Che cosa gli è accaduto? Io so solo che ha perso il braccio sinistro…”

“No, non ti preoccupare, lui sta bene. È stata una sua decisione quella di farsi congelare. Ha detto che è la soluzione migliore per tutti fino a quando non verrà trovata una cura per quello che l’Hydra gli ha fatto”

“Anche io sto cercando una cura per quelle parole” mormorò Charlie tornando a fissare il volto di Bucky, poi spostò lo sguardo nel macchinario che monitorava le sue funzioni vitali “ma finora non ho trovato nulla che potesse essere utile”

“Vuoi rimanere da sola con lui per qualche minuto?”

“No, no, va bene così. Se non è un problema vorrei parlare subito con Zemo, non c’è un solo secondo da perdere”

“Vieni con me, la sua cella si trova nel piano più basso della struttura” rispose il giovane uomo, le fece cenno di seguirlo e lei obbedì, ma solo dopo aver lanciato un’ultima occhiata alla cella criogenica.



 
“È un piacere conoscerla, signorina Bennetts. Io sono l’Agente Everett Ross, venga, sarò la sua scorta” disse un uomo sulla quarantina, che indossava un abito elegante e che portava un auricolare nell’orecchio sinistro; la ragazza gli strinse la mano e si presentò a sua volta.

“Charlotte Bennetts. Ma tutti mi chiamano Charlie. Mi devo preoccupare?” domandò lei, sollevando il sopracciglio destro, mentre entravano in quello che era un ascensore; Ross premette uno dei tanti pulsanti, le porte si chiusero ed il mezzo si mise in funzione.

“Lei è una nostra ospite e vogliamo che torni a casa sulle sue gambe, non ci piacciono gl’incidenti di percorso”

“Sto per parlare con una persona pericolosa?”

“Diciamo che la sicurezza non è mai abbastanza in casi come questo. In due anni non ha mai dato segni di un particolare squilibrio mentale, il suo comportamento è sempre stato irreprensibile ma non sappiamo se è tutta una recita. Si trova dentro ad una cella di massima sicurezza, non gli manca nulla ma non può uscire in alcun modo. Ci sono sempre degni uomini armati fuori dalla porta blindata”

“Porta blindata? Questo non mi rassicura molto”

“Come le ho già detto: la sicurezza non è mai abbastanza. Dovrebbe considerarsi fortunato data la gravità del suo crimine, T’Challa è stato fin troppo misericordioso nei suoi confronti perché non credo che tutti gli avrebbero dato una cella così bella” commentò l’Agente sistemandosi la cravatta nera; le porte dell’ascensore si aprirono ed i due attraversarono un lungo corridoio, arrivando davanti a quella che era una porta di metallo, sorvegliata a vista da due uomini in divisa, armati.

“Zemo è dietro questa porta?”

“Si”

“Molto bene. Non ho bisogno di uno di loro, entrerò da sola”

“Ne è sicura?”

“Si, sono in grado di difendermi da sola”

“Noi resteremo qui fuori, in caso ci fosse la necessità di un intervento immediato. Potete aprire la porta” ordinò Ross ai due uomini che obbedirono subito; Charlotte chiuse un momento gli occhi, prese un profondo respiro, ed entrò nella cella.
 
 
 
 Helmut Zemo aveva smesso di contare i giorni che passavano da molto tempo, ormai.

Mangiava e beveva solo per non essere costretto a farlo, perché più di una volta lo avevano portato in infermeria ed alimentato forzatamente tramite delle flebo; aveva perso numerosi chili da quando era stato arrestato e portato in Wakanda ma ciò gl’importava ben poco, dato che si augurava che ogni giorno fosse finalmente l’ultimo per lui.

Era riuscito nell’impresa che aveva progettato per un anno intero, gli Avengers si erano separati, nel gruppo si era formata una crepa così profonda che nemmeno il tempo sarebbe riuscito a risanare e così non avrebbero più spezzato vite innocenti, come quella di sua moglie, di suo padre e di suo figlio.

Tutto ciò che ora desiderava era solo ricongiungersi con la famiglia che aveva perso prematuramente, ma aveva il sospetto che ciò non sarebbe accaduto per diverso tempo; che il momento tanto agognato si sarebbe presentato solo con la vecchiaia, dopo aver scontato un ergastolo in quelle quattro mura arredate con molto gusto.

La sua era una cella lussuosa, ma rimaneva pur sempre una stanza alla quale poteva uscire solo se scortato e per un tempo limitatissimo.

Helmut Zemo aveva ormai imparato ogni singolo orario in cui aprivano la porta blindata per portargli la colazione, il pranzo, la cena o concedergli una doccia; così rimase sorpreso di sentire la porta spalancarsi quando aveva consumato il suo pasto seriale già da più di un’ora.
La sua sorpresa aumentò notevolmente quando vide entrare una ragazza dai lunghi capelli castani.
 
Charlotte rimase colpita nel vedere come fosse cambiato quel giovane uomo che era stato in grado di provocare una frattura nella sua squadra; lo aveva visto solo una volta, per pochi secondi, ma notò subito come il volto fosse notevolmente dimagrito e come i vestiti gli stessero larghi.

“Buongiorno, Zemo” disse Charlie sforzandosi di sorridere e di essere gentile, cercando di non pensare al fatto che colui che aveva di fronte a sé non si fosse fatto scrupoli ad usare Bucky.

“Oh, guarda chi c’è…” mormorò lui sollevando l’angolo sinistro della bocca, riconoscendo la giovane che voleva parlargli “Charlotte Bennetts. Reclutata dallo S.H.I.E.L.D ad appena sedici anni. Sei stata addestrata dall’Agente Natasha Romanoff, dall’Agente Clint Barton e da…”

“Si, le so anche io queste cose. Noto con piacere che mi hai riconosciuta, ci siamo visti in Siberia. Due anni fa, te lo ricordi?” rispose lei con un altro sorriso, si sedette davanti all’unico tavolino presente nella stanza e si sforzò a reprimere un brivido, non era spaventata ma non si sentiva a suo agio nel sapere che quel giovane uomo l’aveva studiata e sapeva tutto della sua vita e della sua carriera all’interno dell’organizzazione gestita da Nick Fury.

“Si. Eravate tu, Steven Rogers, Tony Stark ed il Soldato D’Inverno… Come stanno tutti loro?”

“Stanno molto bene”

“Davvero? Io so per certo che il Soldato si trova anche lui qui. Una volta sono passato davanti al laboratorio. Mi stavano portando a prendere una boccata d’aria ed ho visto la cella criogenica. Pensa che basterebbe solo premere qualche bottone per interrompere il flusso di ossigeno”

“Non vedo per quale motivo dovrebbe interessarmi questo argomento” rispose Charlie restando imperturbabile, finse si sistemarsi il coletto della maglietta che indossava, in realtà nascose la collana con il ciondolo a forma di stella rossa: Zemo era un uomo in grado di capire molto di una persona con uno semplice sguardo, di conseguenza non voleva dargli alcun vantaggio, soprattutto quello di fargli capire quale fosse il rapporto che c’era tra lei e Bucky.

“La mia era solo un’osservazione. So che tu e Rogers siete molto amici, quello che importa a lui dovrebbe importare anche a te”

“Sai per quale motivo sono qui?”

“No, non lo posso sapere. Purtroppo non sono ancora dotato del potere di leggere la mente alle altre persone. Ma posso cercare di capire che cosa le turba”

“Stai dicendo che in questo momento c’è qualcosa che mi turba?”

“Beh…” rispose l’altro, prendendo a sua volta posto nell’altra sedia vuota, fissando gli occhi incavati in quelli della giovane “non posso dirti con esattezza che cosa c’è che non va nella tua vita, ma sono sicuro che in questo momento è come un puzzle che non riesci a comporre. Hai tutte le caselle a tua portata ma non sai come incastrarle l’una con l’altra. Stai soffrendo”

“Tutti hanno qualcosa che li fa soffrire nella loro vita. Sono qui perché io e gli altri abbiamo bisogno del tuo aiuto”

“Tu e chi?”

“Lo S.H.I.E.L.D”

“Mi stai dicendo che avete bisogno della persona che ha diviso gli Avengers per sempre?”

“Ogni crepa può essere riparata”

“Questo è vero, te lo concedo, ma comunque i segni resteranno. Anche se vengono coperte allo sguardo non si può far finta che non esistano. Non si può fingere”

“Abbiamo bisogno di un uomo che conosca tutto dell’Hydra e tu sei quell’uomo. Un Agente è stato rapito e lo dobbiamo trovare il prima possibile, in gioco c’è molto”

“Capitan America conosce l’Hydra meglio di chiunque altro. Dato che sei una sua cara amica potresti chiedere aiuto a lui, no?”

“Al momento è impegnato in un’altra missione” mentì Charlotte, Zemo lo capì subito ma fece finta di crederci, perché voleva sentire che altro doveva dirgli “allora, ci darai il tuo aiuto?”

“Perché dovrei farlo? Che cosa ci guadagnerei ad aiutarvi?”

“Tutto quello che vuoi”.

Il giovane uomo si alzò dalla sedia e si avvicinò ad una belle quattro pareti.

“La mia famiglia è rimasta uccisa mentre gli Avengers combattevano contro Ultron. La tua organizzazione è in grado di riportarmi indietro mia moglie, mio padre e mio figlio? Ha questo potere?”

“No”

“Allora non alzerò un solo dito per dei bastardi come voi, hai capito? Non ci sarà nulla in grado di farmi cambiare idea. Nulla. Dovrai continuare a vivere senza di lui”

“Lui, chi?”

“Credi che non l’abbia vista la collana che porti? Ha un ciondolo a forma di stella rossa, credo che sia palese tutto quello che c’è dietro. E poi prima c’è stato una nota di panico nel tuo sguardo, poco fa, che ha tradito quello che provi per lui”

“Io non provo nulla per il Soldato D’Inverno. Mi ha fatto male in passato, molto male. Se ero dalla sua parte è stato solo per Steve”

“D’accordo” disse allora il giovane uomo, stirando le labbra in un sorriso che non arrivava agli occhi “allora non ti farà alcun effetto sapere quanto ha gridato mentre io pronunciavo le parole scritte in quel libretto rosso. Sai, ha provato a resistere ma non c’è riuscito. Credo che provasse del vero e proprio dolore fisico, forse in quel momento si è sentito esattamente come quando aveva il cervello spappolato dalle scosse elettriche”.

Charlie non era intenzionata ad ascoltare un’altra di quelle parole, era palese che fosse solo una trappola per farla cedere, ma lo attaccò comunque; lo afferrò per il bavero della maglietta, lo bloccò contro una parete ed iniziò a picchiarlo in modo incontrollato, colpendolo con i pugni in pieno volto.

Il peggio venne evitato dall’intervento dell’Agente Everett Ross e delle due Guardie armate: il primo afferrò la giovane e la trascinò fuori dalla cella, mentre gli altri soccorsero il detenuto, che aveva il volto completamente ricoperto dal sangue che perdeva sia dal naso che dalla bocca.

“Lasciami! Lasciami!” gridò lei, agitandosi in modo convulso, perché voleva solo liberarsi dalla presa dell’uomo e terminare il lavoro che aveva iniziato.

“Si calmi, signorina, così peggiora solo le cose” rispose Ross, tentando di calmarla.

Riuscì a portarla nell’infermeria della residenza e lì alcuni infermieri le somministrarono dei tranquillanti tramite una flebo.

Quando T’Challa venne avvisato di ciò che era accaduto andò subito da Charlie: la trovò sdraiata in una brandina, in uno stato di apparente tranquillità provocato dai farmaci.

“Come è andata?”

“Male. Non vuole saperne”

“Mi hanno detto che lo hai aggredito”

“Mi ha provocata ed io ho i nervi così a fior di pelle che ci sono cascata come una stupida. Cielo, cosa ho fatto…” mormorò la più piccola, si coprì gli occhi con una mano, maledicendosi per aver perso la freddezza che le era sempre stato insegnato di mantenere in qualunque occasione; la cosa peggiore, però, era proprio il fatto di aver offerto ad Helmut Zemo un vantaggio non indifferente.

Il Re del Wakanda guardò l’Agente con un’espressione affranta, perché era sinceramente dispiaciuto.

Chi aveva sofferto riusciva sempre a capire quando un’altra persona era disperata, ed era evidente che Charlotte lo era profondamente.

“Faresti meglio a mangiare qualcosa ed a riposare. Domani puoi tentarci una seconda volta”

“No, credo che andrò direttamente a dormire”.

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Capitolo 31
*** Everything Will Be Ok ***


Charlotte aveva problemi a dormire da diverso tempo, ormai.
Erano troppi i pensieri e le preoccupazioni che le attraversano la mente: non sapeva dove si trovasse James, che cosa gli stessero facendo e se era ancora vivo, era l’ultimo dubbio quello che più di tutti continuava ad assillarla senza sosta: magari Rumlow lo aveva ucciso e Tony non sapeva in quale modo comunicarglielo.

La ragazza si strofinò gli occhi con il dorso della mano sinistra, i rumori sinistri che provenivano dalla giungla non aiutavano di certo la situazione in cui si trovava, soprattutto per una come lei che non era abituata a vivere in un posto come il Wakanda.

A New York si sentivano i suoni del traffico, la gente che parlava e le pubblicità trasmesse negli enormi schermi che tappezzavano quasi ogni edificio; di certo non strani versi e ruggiti.

Si tolse la collana che portava sempre con sé e la osservò in silenzio, con la mente che andò indietro nel tempo, al momento in cui Bucky gliel’aveva regalata.

L’aveva comprata per la notte di Capodanno di due anni prima ed era stato lui stesso ad agganciargliela, sfiorandole con delicatezza la pelle del corpo.

Quella notte avevano avuto un pesante litigio, ma poi tutto si era risolto nel modo più bello e strano allo stesso tempo; quella notte si erano scambiati il loro primo bacio, avevano avuto il loro primo rapporto sessuale e si erano giurati amore per sempre.

Per quattro settimane avevano vissuto una favola, poi la cupola di vetro che li proteggeva era stata distrutta: erano tornati alla realtà e tutto non aveva fatto altro che precipitare e precipitare.

Si erano scambiati il loro ultimo bacio mentre erano in volo per la Siberia e Charlotte ricordava ancora tutto, come se fosse accaduto solo qualche minuto prima: la consistenza fredda e dura della sua mano di vibranio, i lunghi capelli che le solleticavano il viso, il sapore dolce delle labbra del giovane uomo misto a quello del sangue che perdeva da un taglio nella guancia destra.

Voleva sostituire quel ricordo con un nuovo bacio, un bacio di riconciliazione, lo voleva il prima possibile perché non era in grado di sopportare un solo istante in più lontana da Bucky, con la consapevolezza che lui la odiava e la riteneva una bugiarda.

Charlie si allacciò nuovamente la collana e poi corse fuori dalla camera da letto, scese una rampa di scale a chiocciola ed entrò nel laboratorio dove era custodita la cella criogenica; si avvicinò al quadro dei comandi e guardò tutti i diversi pulsanti, senza sapere quali fossero quelli giusti da premere.

Era così disperata che iniziò a dare pugni al quadro dei comandi, non ottenendo alcun risultato afferrò i cavi collegati alla centralina che alimentava la cella e prese a tirarli con tutta la forza che aveva in corpo; all’improvviso si sentì afferrare alle spalle e trascinare lontano dall’uomo che amava.

“Fermati, stai calma! Smettila di agitarti, non lo puoi liberare in questo modo. Se lo fai lo uccidi”.

La più piccola si fermò nello stesso momento in cui T’Challa pronunciò quelle parole, voltandosi con un’espressione spaventata.

“Cosa?”

“C’è una procedura specifica da seguire. Lo stavi per uccidere. Avresti potuto togliergli l’ossigeno”

“Gli ho provocato qualche danno celebrale? Mi stai dicendo questo?”.

Il giovane uomo si avvicinò allo schermo e controllò tutti i lavori che segnava; fortunatamente era arrivato appena in tempo per evitare che accadesse qualcosa d’irreparabile.

Charlotte si lasciò cadere nelle piastrelle del pavimento del laboratorio, del tutto svuotata di ogni sentimento.

“Non è accaduto nulla”

“Ma stavo per ucciderlo”

“Non lo potevi sapere, eri mossa dalle migliori intenzioni”

“Si, ma spesso le migliori intenzioni portano alle scelte peggiori. Voglio solo che tutto questo finisca perché credo di essere arrivata al mio limite” sussurrò lei con uno sguardo disperato, facendo capire tutto a T’Challa senza che ci fosse il bisogno di aggiungere un’altra sola parola.

“Vieni qui” le rispose lui, abbracciandola e dandole conforto “andrà tutto bene, ne sono sicuro. Presto starai meglio”.

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Capitolo 32
*** Compromises ***


“Mi dispiace per tutto quello che è accaduto ieri. Non avrei dovuto perdere il controllo in quel modo e non accadrà mai più” disse Charlotte con uno sguardo costernato, sforzandosi di sorridere a T’Challa che si era gentilmente offerto di accompagnarla davanti alla cella in cui era rinchiuso Zemo.

“Non hai nulla di cui scusarti, chiunque al tuo posto sarebbe già ceduto da tempo. Hai una grande forza dentro di te, non scordarlo mai, ma è meglio se segui il mio consiglio: non lasciare mai che la vendetta annebbi la tua mente. Io ho quasi fatto questo errore una volta e mi sono fermato appena in tempo. Quell’uomo ha già intuito il tuo punto debole e non esiterà un solo istante ad usarlo contro di te, non lasciargli scoprire altro, d’accordo?”

“D’accordo. Avrò delle ripercussioni per i pugni che ho dato al tuo prigioniero?”

“Farò finta di nulla. Sono sicuro che si è meritato ogni singolo colpo” rispose il giovane uomo accennando un sorriso a sua volta, strinse gentilmente la spalla destra della ragazza e poi la lasciò entrare nella cella.

Il Re del Wakanda incrociò le braccia nel petto e rimase lì fuori, in attesa che Charlotte uscisse.



 
La ragazza chiuse la porta alle proprie spalle, si voltò a guardare il giovane che era sdraiato nel letto e si sforzò di mantenere la calma, perché il suo primo impulso sarebbe stato quello di riprendere ciò che aveva interrotto il giorno precedente; Helmut Zemo a sua volta si limitò a sedersi ed a rimanere in silenzio.

Era impossibile intuire che cosa stesse pensando.

“Buongiorno, hai dormito bene?”

“Non molto. Sai, ieri sera sono stato picchiato in modo piuttosto violento. Non so quanto una persona possa riposare bene con il naso completamente fasciato” rispose lui, indicando la parte del suo viso che era stata lesa.

“Sono desolata per quello che ti ho fatto. Ho perso il controllo delle mie azioni e non ho fatto altro che rovinare quello che doveva essere solo un incontro pacifico e te ne sto dando prova adesso. Come ti ho già detto io sono qui perché ho bisogno del tuo aiuto e delle informazioni che hai riguardo all’Hydra. Ho fatto un lunghissimo viaggio e non sono intenzionata a tornare indietro senza di te”

“Perché dovrei aiutarti? Come ti ho già detto a mia volta, io ho già ottenuto quello che volevo e non vedo per quale motivo dovrei aiutare un membro degli ex Avengers”

“Perché la persona che hanno rapito è mio figlio” disse Charlie, stringendo le mani a pugno e sorprendendo il Sokovaro ancora una volta; voleva seguire il consiglio che lo stesso T’Challa le aveva dato ma allo stesso tempo voleva anche assicurarsi di avere il giovane uomo dalla sua parte.

Sapeva che usando a suo favore un argomento così delicato come la famiglia non poteva che fare centro.

Il volto del più grande, infatti, perse visibilmente colorito e le sue labbra diventarono una pallida linea sottile.

“Hai un figlio?”

“Si”

“Sei una ragazza molto giovane, non hai nemmeno trent’anni, perché un’organizzazione come l’Hydra dovrebbe volere un bambino?”

“Questo non ti deve importare. Allora? Ti posso considerare dalla mia parte?”.

Zemo si alzò dalla brandina, camminò per un po’ immerso in profondi pensieri e quando prese la sua decisione si voltò a guardare la giovane negli occhi.

“Voglio qualcosa in cambio”.



 
T’Challa si girò a guardare la porta della cella che veniva aperta e chiusa piano, domandando subito a Charlotte come fosse andato il secondo interrogatorio.

“Sono riuscita a convincerlo”

“Come?”

“Non è stato facile, ho dovuto promettergli una cosa in cambio. Ho provato a fargli cambiare idea ma non ci sono riuscita. Sono stata costretta ad arrendermi”

“Che cosa ha chiesto?”

“Il quaderno rosso”

“E tu glielo hai dato?” chiese il giovane uomo, augurandosi che così non fosse.

“No, non gli ho dato quel quaderno. Gli ho detto che lo avrà solo se ci darà le informazioni di cui abbiamo bisogno, questa è la mia condizione. Ha accettato, ma non hai nulla di cui preoccuparti. Sono in grado di gestire l’intera situazione da sola. Tony e Natasha volevano accompagnarmi ma io l’ho impedito perché questa faccenda riguarda solo ed esclusivamente me. Ti ringrazio per la tua disponibilità, T’Challa, ti riporterò indietro Zemo e continuerà a scontare la condanna che merita”

“Vado subito a dare l’ordine di preparare un elicottero per la vostra partenza. Va a mangiare qualcosa, fa come se fossi a casa tua, perché hai bisogno di mettere qualcosa sotto i denti. E porta questo sempre con te” il giovane uomo si tolse la collana con l’artiglio di pantera che non scordava mai d’indossa e l’allacciò al collo della più piccola “è un amuleto. Ti porterà fortuna nella tua impresa”

“Grazie”

“Charlotte”.

La ragazza si fermò a metà corridoio, voltandosi in direzione del Re del Wakanda che l’aveva appena chiamata per nome.

“Si?”

“Mi domandavo se l’Agente Romanoff fosse libera in questo periodo…”.



 
Il giovane uomo osservò l’aereo sollevarsi dalla pista ed allontanarsi velocemente, in direzione di New York.

Abbassò lo sguardo nel bigliettino in cui Charlie gli aveva scritto il numero di cellulare della sua amica e poi lo ripose in una delle tasche della giacca che indossava; ritornò dentro all’imponente edificio e si diresse nel laboratorio.

Molto probabilmente stava per commettere un errore ma allo stesso tempo sentiva che era la cosa più giusta da fare; almeno, se ci fosse stato lui in quella situazione avrebbe voluto che qualcun altro prendesse la sua stessa decisione.

“Preparate tutto” ordinò lui alla sua equipe di medici e scienziati che erano tra i migliori al mondo “dobbiamo iniziare con la procedura per la cella criogenica. Andate a prendere la protesi di vibranio, ci sono ancora delle parti che devono essere sistemate. Fatte in fretta, non c’è tempo da perdere”.

T’Challa sospirò e si passò una mano nei corti capelli: avrebbe pensato in un altro momento al messaggio da mandare a Natasha Romanoff, perché ora lo attendevano ore ed ore di lungo lavoro.

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Capitolo 33
*** Something Came Up ***


Charlotte aveva una sola e grande fobia di cui non sarebbe mai riuscita a liberarsi: soffriva di vertigini.

Non era stato sempre così, tutto era iniziato il giorno in cui i suoi genitori adottivi l’avevano portata al Luna Park di una Fiera; l’avevano convinta a salire sulla ruota panoramica e lei aveva accettato con entusiasmo, senza rendersi conto di quanto la giostra fosse imponente.

Lo aveva capito quando la cabina in cui si era seduta aveva iniziato a salire, salire e salire ed allo stesso tempo dondolava a causa del vento: a quel punto si era aggrappata con tutte le forze al sedile, pregando che il giro finisse il prima possibile; da quel momento esatto della sua vita non era più riuscita a salire in una giostra che prevedesse il fattore dell’altezza, perfino uscire in un balcone era un’impresa titanica per lei.

Quando il motore dell’elicottero si mise in funzione lei fissò lo sguardo in un punto lontano, al di là del finestrino, per non pensare al suolo che si allontanava sempre di più dai suoi piedi.

La mano destra della ragazza andò a stringere l’artiglio di pantera che portava al collo: T’Challa le aveva detto che era un amuleto e che l’avrebbe protetta.

Sperava vivamente che potesse farlo già a partire da quel momento.

Zemo lanciò un’occhiata alla ragazza, notò il suo viso pallido e sudato e comprese che c’era qualcosa che la rendeva nervosa.

“Qualcosa non va?”

“No, sto bene”

“Non hai la faccia di una persona che sta bene. Stai sudando. Ti agita qualcosa? È la mia presenza che ti fa tutto questo effetto?”

“Fidati che il fatto di averti così vicino mi fa un effetto completamente opposto. Odio viaggiare in elicottero”

“Non ti piace come mezzo? Non lo ritieni abbastanza sicuro? Hai timore che possa precipitare? Ho letto che tu hai dei poteri piuttosto speciali, quindi una caduta non dovrebbe farti così paura”

“Non è la caduta il problema, semplicemente odio le altezze. Da una vita”

“Trauma infantile?”.

Charlie si voltò a guardare il giovane uomo, era piuttosto perplessa dal fatto che insistesse così tanto di parlare con lei dato che la notte precedente gli aveva rotto il setto nasale.

“Davvero vuoi ascoltare la ragione per cui soffro di vertigini? È una specie di test psicologico?”

“Senti, abbiamo molte ore di viaggio davanti a noi, se parliamo risulterà tutto meno pesante”

“Io non ho nulla da dirti. E se lo vuoi proprio sapere tutta questa paura ha avuto inizio da quando sono salita in una giostra. Come vedi non c’è nessun risvolto eccitante e nessun collegamento con gli Avengers o con lo S.H.I.E.L.D. ed ora, se non ti dispiace, vorrei riposare” sbottò la ragazza con uno sguardo truce, mirato a fulminare Zemo, non aveva nessuna voglia di parlare, tantomeno di farlo con la persona che non si era fatta scrupoli ad usare Bucky.

Appoggiò la testa nel sedile e chiuse gli occhi con la speranza di trovare un po’ di pace; Tony le aveva raccomandato di chiamarlo appena avesse avuto qualche notizia, sia bella che brutta, ma lei non era intenzionata a farlo per il momento, almeno non prima di aver riposato.

Incredibilmente riuscì ad addormentarsi ma si svegliò dopo pochi minuti, a causa di una violenta scossa; Zemo si guardò attorno a sua volta, confuso almeno quanto Charlie.

“State calmi” li avvisò la voce del pilota “non è accaduto nulla”

“Che cosa è stato? Una turbolenza?”

“A me sembrava una scossa troppo forte per essere provocata da una semplice turbolenza e poi il cielo è limpido. Quello è fumo?”

“Quale?” domandò la giovane, guardando fuori dal finestrino e notando solo allora la nuvola di fumo nero che proveniva dalla fiancata destra del mezzo di trasporto; i suoi occhi si spalancarono comprendendo che quella non poteva essere solo un’avaria del motore, ma che qualcuno li aveva appena colpiti di proposito.

Stava per aprire la bocca, per avvisare il suo compagno di viaggio, quando entrambi sentirono il rumore assordante di una mitragliatrice che sparava; si gettarono a terra appena in tempo, evitando di essere crivellati come lo stesso elicottero, ma il pilota non fu altrettanto fortunato perché venne colpito il pieno petto.

“Lo hanno ucciso. Chi sta sparando?”

“Non lo so, dobbiamo uscire subito da qui. Dobbiamo tuffarci in acqua”

“Così diventeremo dei bersagli ancora più appetitosi”

“Hai un piano migliore?” ringhiò la più piccola, ormai prossima a perdere la pazienza, senza più qualcuno che guidasse l’elicottero questo iniziò a perdere quota rapidamente; lei cercò di raggiungere i comandi , quando ci arrivò non si fece problemi a scostare il corpo senza vita del povero uomo e provò a fare un atterraggio d’emergenza.

Il mezzo, però, si trovava in condizioni così disastrose che niente riuscì ad evitare l’impatto con l’acqua.

L’interno si riempì ad una velocità impressionante e Charlotte si ritrovò costretta a trattenere il fiato ed a trovare un modo per uscire dalla carcassa di metallo e lamiere; nuotò in direzione di uno dei finestrini rotti, lo attraversò facendo attenzione a non impigliarsi a qualcosa e risalì in superficie per riprendere fiato rumorosamente.

Si guardò attorno con il petto che si abbassava e sollevava velocemente: non vedeva l’altro elicottero che li aveva colpiti, l’acqua era fredda, i vestiti erano completamente zuppi e pensanti, ed i capelli le stavamo incollati al viso come una seconda pelle.

E poi, come se tutto ciò non fosse già abbastanza, c’era qualcosa che continuava a sfuggirle.

Lanciò un’imprecazione quando si rese conto che si trattava di Zemo, perché non era ancora riemerso dall’acqua.



 
Helmut Zemo si ritrovò il piede destro incastrato sotto una sbarra di metallo, provò a strattonare la gamba più volte per liberarla ma non ottenne alcun risultato, provò allora a spostare l’ostacolo con le mani ma non ci riuscì: la sbarra era troppo pesante per un uomo come lui e l’attrito provocato dall’acqua rendeva il tutto più difficile.

Delle bolle d’aria gli scapparono dalle labbra; stava trattenendo il respiro già da lunghi secondi e sapeva benissimo che non sarebbe riuscito a farlo per molto a lungo.

Tentò un ultimo, disperato, tentativo nella speranza di avere una scarica di adrenalina, ma la sbarra non sembrava essere intenzionata a lasciargli andare il piede destro.

Lui era una di quelle persone razionali, una di quelle che sapeva riconoscere quando arrivava il momento della propria fine e quello era proprio il suo caso; ormai era inutile lottare per una situazione da cui non sarebbe riuscito ad uscirne.

Lasciò che l’acqua gli entrasse nella gola e nei polmoni.

Almeno, come consolazione, aveva la consapevolezza che si sarebbe riunito alla sua famiglia.



 
Charlie riempì i polmoni d’aria e s’immerse una seconda volta.

Ritornò al relitto dell’elicottero, ci entrò attraverso il finestrino rotto e vide il giovane uomo con una gamba incastrata sotto una sbarra di metallo; nuotò velocemente verso di lui, vide il suo viso ed ebbe la terribile sensazione di essere arrivata già troppo tardi.

Afferrò l’ostacolo e lo scostò senza la minima fatica.

Era in occasioni simili che si sentiva fortunata di appartenere alla razza dei Giganti Di Ghiaccio e di avere la loro forza sovrumana.

Afferrò il sokovaro per la giacca che indossava e lo riportò in superficie con poche bracciate; trascinò il corpo nella spiaggia e si guardò attorno con uno sguardo ansioso: non aveva idea di dove si trovassero le persone che li avevano aggrediti e non ci teneva a finire dritta in una trappola.

La ragazza osservò con attenzione il viso del suo compagno di viaggio: il volto pallido e le labbra bluastre non erano affatto un buon segno, quando appoggiò l’orecchio destro al petto non sentì alcun battito del cuore.

Non poteva praticargli il massaggio cardiaco perché avrebbe solo rischiato di perdere tempo prezioso, così posizionò le mani a pochi centimetri dal petto del giovane uomo e chiuse gli occhi; subito dai palmi delle mani si generò dell’energia azzurra che avvolse completamente il corpo esanime.

Solo la magia avrebbe potuto salvarlo, anche se le sarebbe costato molto.

Charlotte lanciò un urlo quando si ritrovò al limite delle sue energie, lasciandosi cadere nella sabbia riscaldata dai pallidi raggi del sole; per qualche secondo non accadde nulla, poi Zemo spalancò gli occhi ed iniziò a tossire e sputare l’acqua salata che aveva bevuto, liberando completamente i polmoni.

“Non è possibile!” esclamò quando riprese la capacità di parlare “io ero…”

“Ho usato la magia” rispose la più piccola con un filo di voce.

“Mi stai dicendo che mi hai salvato la vita?”

“Era l’unico modo, tentare una rianimazione non avrebbe portato a nulla. L’ho fatto altre volte ma non mi era mai costato così tanto”

“Potevi lasciarmi andare” commentò Zemo, passandosi una mano nei capelli castani e bagnati; il rancore che la giovane provava per lui era palpabile, lo aveva capito fin dalla prima volta che era entrata nella sua cella, di conseguenza era rimasto sorpreso nello scoprire che non aveva esitato un solo istante ad usare i suoi poteri.

“E dopo come sarei riuscita a trovare l’Hydra? Anche se credo che sia stata lei a trovarci per prima. Sono sicura che quei uomini ci stanno ancora cercando, fino a quando non avranno trovato noi od i nostri corpi non se ne andranno. A quest’ora potrebbero già essere da T’Challa” sussurrò lei spalancando gli occhi, spaventata terribilmente alla sola possibilità che trovassero Bucky e lo riportassero ad essere il Soldato D’Inverno; non riusciva a capire come potesse essere stata scoperta ma ciò non era importante in quel momento “dobbiamo ritornare da lui in qualche modo”

“E se dovessimo arrivare dopo di loro?”

“Beh, ho visto con i miei stessi occhi che T’Challa è abile nel combattimento corpo a corpo. Forse riuscirà ad avere la meglio su quei uomini. E comunque non abbiamo un’altra scelta. Il mio cellulare non può più chiamare e non credo che tu ne abbia uno”

“Il cellulare non era uno degli optional che avevo nella mia cella”

“Allora faremo meglio ad iniziare il nostro viaggio, non è sicuro restare qui allo scoperto” sentenziò la giovane; trovò la forza di alzarsi dalla sabbia ed insieme al sokovaro s’inoltrò nella giungla del Wakanda.

Sancirono una silenziosa tregua, perché la loro salvezza era diventato l’obiettivo principale.

Charlie si augurava solo che Black Panther non le avesse detto una cazzata in riferimento all’amuleto portafortuna, perché finora non aveva svolto bene il suo compito.
 

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Capitolo 34
*** Into The Jungle (Parte Uno) ***


T’Challa si tolse gli occhialini da laboratorio che indossava, gettò la testa all’indietro e si lasciò scappare un sospiro sollevato.

Ormai erano trascorse dodici ore da quando aveva preso la decisione di spegnere la cella criogenica e procedere con la terapia di riabilitazione di Bucky; quello era stato già un lavoro complesso e delicato senza aggiungere il trapianto della protesi meccanica che lui e la sua equipe di scienziati avevano praticato subito dopo, perché il suo ospite e paziente non poteva rimanere senza il braccio sinistro.

Il giovane uomo guardò il Soldato D’Inverno con attenzione: era sdraiato in una brandina in uno stato di coma farmacologico indotto, indossava una mascherina per l’ossigeno perché era ancora troppo debole per respirare in modo autonomo e vicino a lui c’erano dei macchinari che si occupavano di controllare il battito cardiaco e tutti gli altri valori vitali; il Re del Wakanda si avvicinò ad uno degli schermi per controllare che tutto fosse sottocontrollo, anche perché il coma sarebbe durato almeno un paio di giorni.

Quando veniva interrotto un processo criogenico, il soggetto non poteva essere riportato subito alla realtà od avrebbe riportato dei gravi danni cerebrali; era esattamente la stessa situazione di una persona che soffriva di sonnambulismo: non poteva essere svegliata in modo brusco, battendo le mani davanti alla sua faccia, o ciò avrebbe provocato uno squilibrio non indifferente.

T’Challa non voleva nemmeno provare ad immaginare tutto quello che Barnes aveva affrontato in settant’anni passati sotto il controllo dell’Hydra, soprattutto perché era sicuro che l’organizzazione non si preoccupasse di seguire tutta quella procedura: lo scongelavano, lo usavano e poi lo congelavano di nuovo.

A loro interessava l’arma, non l’uomo che si celava dietro.

“Andrà tutto bene” gli sussurrò, appoggiandogli una mano nella spalla destra e stringendogliela appena; lo sentì emettere un lieve gemito così decise di uscire dalla stanza, lasciando che Bucky riposasse.

Appena si ritrovò nel corridoio, da solo, prese in mano il bigliettino in cui Charlotte gli aveva velocemente scritto il numero di cellulare di Natasha; non dubitava minimamente che fosse un numero falso, ma c’e qualcosa che lo bloccava dal mandarle un semplice messaggio.

Aveva già avuto diverse donne nella sua vita, ma lei era diversa da tutte le altre e per la prima volta aveva timore di fare la figura dello stupido.

“Maestà!”.

La voce di uno dei suoi funzionari lo strappò da quella decisione amletica.

“Si?”

“Abbiamo appena ricevuto notizie affatto rassicuranti. Si tratta dell’elicottero che è partito ieri”

“È accaduto qualcosa?”

“Non lo sappiamo con esattezza. I resti del mezzo sono stati ritrovati in mare per una pura coincidenza. È stato ritrovato anche il corpo del pilota ma non c’era traccia degli altri due passeggeri. Non c’è ancora nulla di confermato, ma sembra che il mezzo presenti segni di un attacco”

“Un attacco?”

“Qualcuno gli ha sparato contro”.



 
Charlotte si passò una mano nella fronte completamente sudata, per lei che era un Gigante Di Ghiaccio il caldo era il nemico più terribile da affrontare.

Da quando aveva abbandonato la spiaggia in compagnia di Zemo non si erano fermati un solo momento, nonostante la stanchezza, il sonno e la fame gravassero su di loro; la paura era il sentimento che predominava nei due giovani che ancora non si sentivano al sicuro.

Non avevano la minima idea di dove si trovassero, nemmeno se quella fosse la direzione giusta da seguire, ma non c’era davvero altro che potessero fare.

“Ahh!” esclamò la ragazza quando inciampò in una grossa radice sporgente, cadde a terra e si strappò i pantaloni in diversi punti, ma quello non era nullo in confronto alla caviglia che si era slogata “questa non ci voleva!”

“Che ti prende?” domandò il giovane uomo, tornando indietro ed asciugandosi il viso a sua volta.

“Mi sono rotta la caviglia”

“Usa i tuoi poteri e guarisciti da sola”

“Non posso farlo. Sono ancora troppo debole”

“Ti devi ricaricare? Come un cellulare?”

“In poche parole il concetto è proprio quello. Quando uso troppa magia non posso più farlo per diverso tempo, almeno fino a quando non riprendo del tutto le forze. Non sono stata io a decidere che fosse così, il mio corpo si è abituato alla Terra, di conseguenza non sono forte quanto un altro della mia stessa razza che ha vissuto da sempre a Jotunheim”

“D’accordo, allora credo che non abbiamo altra soluzione se non quella di trovare un riparo per la notte ed accamparci per un po’”.

Charlotte protestò vivamente quando il giovane uomo provò a prenderla in braccio, ma si arrese quando lui le fece notare che non sarebbe riuscita nemmeno a fare due passi senza gridare dal dolore; trovarono un riparo perfetto in una grotta naturale, nascosta da una piccola cascata d’acqua dolce.

“Credo che sia perfetto” commentò la giovane guardando le pareti di roccia “abbiamo anche l’acqua e l’aria è più respirabile”

“Non ci resta che attendere un tuo miglioramento fisico” disse a sua volta il giovane uomo; rimase per diversi minuti in silenzio ma poi la curiosità vinse “perché credi di esserti indebolita?”

“Ti riferisci ai miei poteri? Alla mia resistenza? Non sono mai riuscita a scoprirlo del tutto, ma credo che sia dovuto al fatto che sono arrivata qui che ero appena nata. Forse è per questo motivo che il mio corpo ha subito un cambiamento così profondo. Questo non è nemmeno il mio vero aspetto”

“Intendi dire che non hai una forma umana?”

“Beh, la mia forma resta umana, ma ho la pelle blu e gli occhi rossi. Solitamente accade solo se perdo il controllo, ma dopo tutti questi anni ho imparato a controllarlo. È da anni che non mi accade e non credo che accadrà mai più. Ormai sfrutto di più il lato della magia che quello dei poteri della mia razza, forse stanno scomparendo del tutto” mormorò la più piccola guardandosi le mani; il ghiaccio scorreva ancora con forza nelle sue vene, ma la magia che Loki le aveva insegnato era più potente che mai, proprio per quel motivo aveva iniziato a prediligere la seconda.

E poi in uno scontro risultava più utile ingannare l’avversario con diversi trucchi piuttosto che sparargli contro del ghiaccio.

“Anche la magia fa parte della tua natura?”

“Si e no. È stata una persona ad insegnarmela”

“Chi?”

“Adesso stai chiedendo troppo” rispose in tono secco Charlie, stringendosi nelle spalle, ma Zemo non si fece affatto intimidire da quelle parole poco affabili.

“Sto cercando di farti parlare e di toglierti un peso dal petto, se non lo avessi capito. Non voglio essere in debito con te perché mi hai salvato la vita. Se continui a tenere tutto questo dolore dentro di te non andrai avanti ancora per molto, lo sai, vero? Sei forte ma non sei brava a nascondere quello che pensi, perché i tuoi occhi sono un libro aperto. Scommetto che ti hanno ingannata in più di una occasione”

“Si, è accaduto”

“Ed allora sfogati. Ti sto dando un’occasione unica. Magari, poi, i tuoi occhi inizieranno a mantenere più segreti”.

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Capitolo 35
*** Into The Jungle (Parte Due) ***


A Charlotte tornarono in mente le parole che T’Challa le aveva detto prima che si separassero, di fare attenzione a Zemo perché era un uomo che non si faceva scrupoli per ottenere ciò che voleva e lo aveva dimostrato due anni prima, organizzando un attentato e lasciandosi alle spalle una scia di vittime.

La sua parte di Agente le stava gridando di non pronunciare una sola parola in più, ma la parte più debole di lei non attendeva altro che una persona pronta ad ascoltarla; un tempo era stato Bucky il suo confidente più intimo, a lui aveva raccontato tutto perché sapeva che non sarebbe stata giudicata.

“Fino ai miei sedici anni sono stata una ragazza come tutte le altre. Andavo bene a scuola ed i miei genitori erano contenti di me, ma non avevo nessun amico. Non ero una ragazza vivace, non ero una di quelle in grado di fare amicizia con una facilità impressionante. C’era questo gruppetto di ragazzi della mia scuola che mi aveva presa di mira, sai. Erano dei bulletti. Sono stati loro che mi hanno fatto scoprire la mia vera natura”

“E come?”

“Ricordo ancora che è stato un giorno di fine anno scolastico, perché qualche giorno dopo doveva esserci il Ballo della scuola. Dovevano entrare due ore dopo perché mancava il professore di scienze, quando sono arrivata loro erano là fuori che mi aspettavano. Volevano divertirsi un po’ con me e mi hanno trascinata in un cantiere abbandonato, poco lontano dalla scuola. Mi hanno spinta nel fango ed uno di loro ha iniziato a strappare le pagine del mio album da disegno. Mi sono messa a gridare e dal mio corpo sono uscite delle stalagmiti di ghiaccio che hanno trafitto tutti loro” mormorò la giovane rabbrividendo, nonostante il caldo torrido, erano trascorsi dieci anni da quando era accaduto quel brutto episodio ma ricordava ancora le grida soffocate ed il sangue che si espandeva sempre di più nel terreno del cantiere; Zemo la guardò in silenzio.

“Tu non hai ancora superato questo fatto”

“Ho ucciso dei ragazzi a sedici anni, come potrò mai dimenticarlo?”

“Non si tratta di dimenticare o di fingere che non sia mai accaduto, ma di accettarlo e non farsi colpe. Quei ragazzi sono stati degli stronzi ed hanno avuto quello che si meritavano. Avresti comunque scoperto di non essere una ragazza come le altre, quindi lo S.H.I.E.L.D sarebbe entrato nella tua vita comunque”

“Si, ma non mi sarebbe dispiaciuto se fosse accaduto ora, anziché dieci anni fa”

“Perché? Da come mi hai appena raccontato la tua vita faceva schifo, ti è stata data la possibilità di rifartene una dall’inizio”

“Si, ma ho dovuto abbandonare i miei genitori. Non li ho mai più visti ed ora non ci sono più. Sono andata più volte a trovarli al cimitero, ma non è la stessa cosa”

“Ho capito. Tu vorresti sapere se solo sono fieri di te oppure no. Scommetto che quando sei arrivata allo S.H.I.E.L.D hai assunto un atteggiamento diverso da quello che avevi”

“Che vuoi dire?”.

Il giovane uomo indicò Charlie, in un gesto palese di apprezzamento.

“Non puoi affermare di essere una ragazza poco affascinante. Grazie agli allenamenti a cui ti sei sottoposta il tuo corpo si è completamente trasformato e gli uomini hanno iniziato a notarti, vero? Immagino che tu non abbia mai parlato a nessuno degli uomini che hai avuto”

“Anche se così fosse, perché mai dovrei dirlo proprio a te?”

“Perché non sai se avrai ancora l’occasione di trovare qualcuno pronto a sentire il suo sfogo”.

Charlie gli rivolse uno sguardo diffidente, non gli piaceva la risposta che le aveva dato e non le piaceva nemmeno il fatto che avesse intuito un’altra debolezza.

“Non ne ho avuti molti. Quattro”

“Quattro è un numero interessante”

“Quattro in dieci anni è un numero molto piccolo. Ci sono persone che arrivano a questo numero in una sola serata, quindi non venire a dirmi che sono una ragazza facile perché ti posso assicurare che non è affatto così”

“Non era mia intenzione offenderti” rispose Zemo portando in avanti le mani, per dimostrare che non voleva fare alcuna insinuazione, la giovane scosse la testa in silenzio e guardò verso la cascata, perdendosi nei ricordi.

“Il primo uomo l’ho conosciuto quando sono entrata nello S.H.I.E.L.D. Era uno dei miei allenatori ed aveva vent’anni in più di me. Non è stata una vera e propria storia d’amore. Io gli piacevo e lui piaceva a me, siamo stati insieme per qualche mese e poi l’ho lasciato. Non era quello giusto. Non l’ha presa molto bene”

“La storia d’amore con un collega. Un classico. Mi aspettavo un qualcosa di più sorprendente”

“Molto probabilmente è lo stesso uomo che ha dato l’ordine di abbattere il nostro elicottero. Questo è abbastanza sorprendente per te o vuoi altri dettagli? Ero solo una ragazzina che si è fidata delle persone sbagliate e l’ho pagata ad un caro prezzo” mormorò lei, appoggiando una mano nella gamba destra, quella massacrata dai colpi di pistola “il secondo uomo l’ho conosciuto sempre tramite lo S.H.I.E.L.D perché mi sono occupata della missione di soccorso organizzata per lui”

“Magari una missione di soccorso nei ghiacci” aggiunse il sokovaro con un sorriso tirato sulle labbra, interrompendo la giovane, perché aveva capito che si stava riferendo al Capitano Steven Rogers.

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Capitolo 36
*** Into The Jungle (Parte Tre) ***


“Sbaglio o quello era sarcasmo?” domandò Charlotte, sollevando il sopracciglio destro, anche se Steve aveva deciso di troncare ogni rapporto con lei rimaneva comunque una delle persone più importanti della sua vita.

“Si, era sarcasmo”       
                                                                                                          
“Per quale motivo odi Steve? Lui è…”

“Cosa? Lui è perfetto? Volevi dire questo? No, il Capitano Rogers non è affatto perfetto. È un uomo egoista ed egocentrico e due anni fa lo ha dimostrato agli Avengers ed al Governo. Ha preso le difese di un uomo che ha commesso decide e decide di omicidi a sangue freddo. Ha preso le sue difese anche dopo quello che Stark ha visto in quel video di sorveglianza”

“Lui ha solo difeso il suo migliore amico. Chiunque avrebbe agito nello stesso modo al suo posto. Tu non lo avresti fatto?”

“Ma il Capitano ha sempre detto che prima di tutto c’è il bene della sua nazione. La vita di Barnes rappresentava la salvezza dell’America?”

“Si, perché lui era un innocente. Non era lui il responsabile dell’attentato a Vienna e lo sappiamo benissimo entrambi” rispose la giovane, guardando in faccia il vero colpevole, che rimase completamente impassibile.

“Stiamo parlando di un uomo che ha ucciso moltissime persone, tra cui i coniugi Stark, sbaglio o ha tentato di uccidere anche te più di una volta? Quante? Due? Tre? Non è accaduto anche nel laboratorio in Siberia?”

“E tu come fai a sapere tutte queste cose?”

“Oh, semplicemente mi sono goduto la scena prima di andarmene ed essere catturato. Il tuo amico Rogers non si è preoccupato di salvarti mentre il Soldato ti stava stringendo dolcemente la mano sinistra alla gola. Vuoi proteggerlo ancora? Perché non mi parli proprio di Barnes? Ammetto di essere curioso”

“Curioso? Perché dovresti essere curioso riguardo a questo?”

“Non capisco come una persona possa amare del mostro”

“Bucky non è un mostro” rispose Charlie quasi gridando, perché il giovane uomo aveva toccato il suo punto debole “stai parlando di una vittima. Ha compiuto tutti quei gesti orribili solo perché l’Hydra gli ha fatto il lavaggio del cervello”

“Allora stiamo parlando di una persona debole”

“Debole? Debole? Vuoi dire che tu saresti riuscito a resistere a tutte le torture che ha subito? Non ti permetto di dire una sola cosa in più su di lui”.

Zemo fissò la giovane, scosse la testa e sorrise in modo irritante.

“È proprio vero quando dicono che l’amore rende ciechi. Io non so com’era Barnes un tempo, ma sono certo di una cosa: quel ragazzo non c’è più da ormai settant’anni. Al suo posto c’è un involucro vuoto. Non può rifarsi una vita, in alcun modo, sai che ho ragione. Ci può solo provare. È destinato a fallire, sempre, perché bastano solo dieci parole a spazzare via tutto. Non hai mai pensato all’eventualità che potrebbe tornare ad essere il Soldato D’Inverno in tua presenza ed ucciderti?”

“Una volta è già accaduto. Nel mio appartamento”

“Lo hai ospitato?”

“L’ho nascosto, ma solo per fare un favore al mio migliore amico”

“Fammi indovinare: all’inizio vi odiavate, ma poi tutto è cambiato”

“Non è stata una cosa così banale. Abbiamo trascorso molti momenti belli insieme. Molti”sussurrò Charlie, ritrovandosi a pensare al breve periodo in cui lei e Bucky avevano vissuto sotto lo stesso tetto; c’era stato un momento in cui aveva pensato che tutto sarebbe andato per il meglio, perché dopo tutto il dolore che aveva sofferto non potevano che arrivare cose belle, invece ciò non era accaduto.

“Ahh, l’amore è in grado di cambiare completamente le persone” ripeté una seconda volta lui “non mi hai ancora detto perché l’Hydra ha rapito tuo figlio. Ammesso che questa sia la verità”

“Ti posso assicurare che non mi permetterei mai di mentire riguardo ad una cosa così delicata”

“Allora spiegami il perché”

“Mio figlio non è un ragazzo come gli altri” rispose Charlotte, raccontò al suo compagno di viaggio la storia particolare di James e lui rimase ad ascoltarla senza parlare, attentamente.

“Il padre è lui, vero?”

“No”

“Avanti, siamo adulti, se l’ultimo uomo che hai avuto è stato il Soldato D’Inverno allora il cerchio si restringe notevolmente”

“Lui ha un nome. Si chiama James Buchanan Barnes”

“È assolutamente affascinante il modo in cui lo difendi con tutte le tue forze, ma non ti sei mai immaginata un vostro possibile incontro?” domandò il giovane uomo, arrotolandosi le maniche della camicia, come se stesse discutendo di qualcosa di futile “l’ultima volta ti ha quasi uccisa, non so se le cose sono cambiate”

“Mi ascolterà e tutto tornerà come prima. Basta fare domande” ringhiò la ragazza, stanca di quel lungo interrogatorio; era stanca e voleva provare a dormire ma allo stesso tempo c’era il pericolo che qualcuno potesse trovarli.

Zemo si offrì volontario per fare il primo turno di ronda.

“Non ho intenzione di ucciderti, se è questo ciò che ti preoccupa”

“Io non ho paura. Ti posso assicurare che non avresti alcuna possibilità contro di me” disse la giovane prima di sdraiarsi nel terreno roccioso; provò a dormire ma non ci riuscì a causa dei troppi ricordi riaffiorati nella sua mente e perché non si fidava del sokovaro.

La mattina seguente Charlie decise che era arrivato il momento di riprendere il cammino; era ancora debole ma non se la sentiva di perdere altro tempo dato che il prezzo da pagare era la vita di James.

La ragazza si tolse la giacca in pelle che indossava, la legò attorno ai fianchi e fermò i capelli in un’alta coda di cavallo; nella giungla aleggiava un caldo opprimente e per lei era terribile, anche a Zemo si erano formate delle chiazze di sudore nella schiena e sotto le ascelle.

“Soffri particolarmente il caldo?” le domandò proprio lui, passandosi una mano nei capelli bagnati.

“Sono un Gigante Di Ghiaccio. Non amo l’estate e non amo il caldo”

“A quanto pare hai molti motivi che ti fanno amare l’inverno”

“Non sono intenzionata a cedere un’altra volta alle tue provocazioni” ribatté la più piccola facendo attenzione a non inciampare in una grossa radice, si morse le labbra perché c’era una domanda che voleva fare a Zemo, ma allo stesso tempo era incerta “io ti ho salvato la vita. Mi devi un favore e lo voglio ora”

“Che favore vuoi?”

“Devi rispondere ad una mia domanda”

“Sono curioso di sentirla”

“Sei stato tu quello che ha trovato quel quaderno rosso con la stella nera. Tu lo hai avuto per molto tempo. Lo hai studiato a lungo, vero? Lì dentro ci sono scritte le parole che risvegliano il Soldato”

“Ho capito quello che mi stai per chiedere”

“Davvero?”

“Vuoi sapere se c’è una cura a quelle parole. Mi dispiace, mia cara, ma non esiste”.

Charlie si bloccò con il piede destro appoggiato ad una roccia, il giovane uomo mosse qualche passo prima di rendersi conto che dietro a lui non c’era nessuno, allora tornò indietro.

“Perché ti sei fermata?”

“Stai mentendo. Esiste una cura, ma tu non me lo vuoi dire”

“Sto dicendo la verità. Il tuo Bucky dovrà vivere il resto della sua vita con questo fardello. Vuoi una cura? Appoggiagli la canna di una pistola nella fronte e spappolagli il cervello, tanto è già abbastanza fottuto ora. Gli faresti un grande favore, lo sai? Te ne sarebbe eternamente grado, così avrai di nuovo il suo amore”

“Sei un essere spregevole”.

Helmut Zemo avvicinò il viso a quello di Charlotte, fermandosi solo quando erano a pochi millimetri dallo sfiorarsi, le sue labbra si aprirono in un sorriso simile ad un ghigno.

“Prova a pensarci un momento, Charlie, l’Hydra ha impiegato anni ed anni per creare un’arma perfetta. Secondo te sono stati così stupidi da creare un rimedio a quello che hanno fatto al cervello di Barnes? Secondo te avrebbero commesso un errore così banale, così da principianti? Non esiste una cura. Le persone che avrebbero potuto crearla non ci sono più. Arrenditi a questo”.

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Capitolo 37
*** Into The Jungle (Parte Quattro) ***


Charlotte si graffiò il palmo della mano destra mentre cercava di passare da una roccia all’altra; non pronunciava una parola da quando Zemo le aveva detto che non esisteva una cura per ciò che l’Hydra aveva fatto a Bucky.

Fino a quel momento non aveva mai abbandonato la speranza, ma ora si ritrovava a pensare che, in effetti, non poteva esistere un modo per tornare indietro: l’Hydra aveva impiegato parecchio tempo per creare quello che doveva essere un soldato perfetto, pronto ad eseguire ogni singolo ordine, non aveva senso che si preoccupassero di trovare un modo per eliminare gli effetti del lavaggio del cervello.

“Ti sei fatta male?”

“No”

“Perché sei improvvisamente così acida?”

“Non sono acida. Non voglio sprecare tempo prezioso”

“Scommetto che è a causa delle parole che ti ho detto poco fa. Devi accettare la realtà. Non esiste una cura e questa è una cosa che non potrà mai cambiare. Forse l’unica possibilità è che Barnes impari a convivere con questa doppia personalità, ma lo trovo alquanto impossibile. Quando ho pronunciato io stesso quelle parole ha provato a resistere ma non c’è riuscito nemmeno per pochi secondi”

“Però poi è tornato normale, quindi non è impossibile” rispose Charlie riprendendo il cammino, sapeva che sarebbe stato meglio non gettare altra legna sul fuoco, ma si sentiva in dovere di proteggere l’uomo che amava più di ogni altra cosa, nello stesso modo in cui amava loro figlio “anche in mia presenza è tornato ad essere il Soldato D’Inverno”

“E come hai fatto?”

“Gli ho sparato”

“Oh, quindi il trucco è attentare alla sua vita?”

“Non intendevo questo! Stavo solo dicendo che non è tutto perduto per lui. Ne sono sicura”

“L’amore rende ciechi” ripeté una seconda volta Zemo con un ghigno “dovresti pensare ad altro, dato che in questo momento il tuo Bucky non è una priorità. Chi è il quarto uomo?”

“Come?”

“Mi hai detto che nella tua vita ci sono stati quattro uomini importanti. Ne hai descritti tre, manca il quarto”

“Non c’è molto da dire riguardo a lui”

“Perché?”

“Perché è passato molto tempo da quando abbiamo avuto la nostra storia. Non sono nemmeno sicura se lo è stata. Adesso non c’è più e su questo argomento non voglio pronunciare un’altra parola” mormorò la giovane pensando solo per un momento a Loki ed ai suoi occhi verdi, simili a due smeraldi incastonati in quel volto pallido e magro.

“Provi ancora qualcosa per lui? È per questo che non vuoi parlare?”

“No, la ragazzina che ero un tempo si era innamorata di lui. Dopo che è stato ucciso ho capito molte cose, ma questo non significa che lo abbia scordato. Adesso lascia fare a me un’altra domanda”

“Ti ho già risposto a quella sul quadernetto”

“Prima di partire per il Wakanda ho studiato il fascicolo che lo S.H.I.E.L.D ha scritto su di te. Ho guardato tutte le informazioni ed ho trovato una chiavetta in cui erano stato masterizzato quello che avevi dentro al tuo cellulare. C’era anche un messaggio vocale”.

Il giovane uomo si bloccò all’improvviso, colto da uno strano brivido freddo lungo la spina dorsale, risentendo ancora una volta le parole che sua moglie gli aveva lasciato nel suo ultimo messaggio vocale.



 
“Ohh, amore, ha fatto un musetto. Almeno provaci, ok? Io vado a letto. Ti amo”.



 
Rivide il volto fresco, incorniciato da capelli biondi, della donna che aveva sposato e non riuscì a reprimere un nodo alla gola.

“Queste non sono cose che ti riguardano”

“Non ti ho nemmeno fatto la domanda. Volevo solo sapere se quel messaggio era da parte di tua moglie”

“Lo hai ascoltato?”

“Si”

“Non avresti dovuto farlo”

“Come potevo sapere che si trattava di una cosa così personale?”

“Come hanno fatto a recuperare quel messaggio? Lo avevo cancellato”

“Per lo S.H.I.E.L.D non è stato difficile recuperare quei dati”

“Ad ogni modo non ti permetto di parlare ancora della mia famiglia” rispose il sokovaro in tono secco, fermo, di chi non voleva essere contraddetto; Charlie non aprì più bocca ed entrambi proseguirono nella giungla senza più scambiarsi una parola.

Non avevano nulla da dirsi, non volevano sprecare fiato prezioso ed allo stesso tempo erano immersi in profondi pensieri: Charlotte continuava a ripetersi che non poteva essere tutto perduto per Bucky mentre Zemo ripensava ai momenti più belli trascorsi con la moglie e con il figlio, domandandosi come tutto potesse essere cambiato in un battito di ciglia.

Quando il sole iniziò a tramontare decisero di trovare un’altra grotta in cui accamparsi; la ragazza appoggiò in una roccia la sua giacca di pelle, uscì di nuovo e si arrampicò in un albero da frutto, prendendo una noce di cocco.

Erano più di ventiquattro ore che non metteva qualcosa sotto ai denti.

Atterrò con un balzo felino e ritornò dal suo compagno di viaggio, che la osservava con muta curiosità.

Le bastò un solo pugno per romperlo a metà e ne porse una all’altro.

“Lo so che sei arrabbiato con me, ma dovresti mangiare qualcosa. Se siamo troppo deboli come possiamo arrivare da T’Challa?”

“Odio il cocco” disse Zemo, ma prese ugualmente il frutto ed iniziò a mangiarlo; Charlotte addentò un pezzo a sua volta ma senza gustarlo veramente.

Nel frattempo la notte aveva avvolto del tutto la vegetazione e l’aria era stata invasa dal verso dei grilli; la ragazza rivolse il viso al cielo stellato e si ritrovò a sorridere con amarezza, quasi senza rendersene conto.

“Dovrei essere con mio figlio e con l’uomo che amo, non in una giungla, inseguita da uomini che mi vogliono uccidere. Non è giusto”

“Ed io dovrei essere con la mia famiglia. Non sempre tutti hanno quello che vogliono dalla vita. Molte volte ti fa gustare solo per qualche attimo la vera felicità prima di strappartela via”

“Mi dispiace se prima ho affrontato un argomento delicato per te, non volevo offendere te e la tua famiglia. Mi dispiace davvero tanto per quello che è accaduto a tua moglie e tuo figlio. Loro non avevano colpe, si trovavano solo nel posto sbagliato al momento sbagliato”

“No, non è così. C’erano gli Avengers che dovevano evitare questo, ma hanno ottenuto l’effetto contrario. E tu eri con loro”

“Allora sono colpevole anche io”.

Il più grande scosse la testa, rivolgendo a sua volta lo sguardo al cielo stellato, totalmente privo di nuvole.

“Mia moglie era una donna bellissima. Non era solo la donna della mia vita, era la mia migliore amica. A lei raccontavo sempre tutto e ci conoscevamo dai tempi del college. Ricordo ancora perfettamente il giorno del nostro primo incontro: ero nella biblioteca scolastica e sono andato a sbattere contro una scala, lei era lì sopra perché stava cercando dei libri in uno scaffale alto. È stato il classico colpo di fulmine. Nostro figlio è arrivato il giorno nel nostro primo anniversario di matrimonio. Mi ha fatto trovare il test di gravidanza sopra al tavolo in cucina. È stato uno dei momenti migliori della mia vita”

“Mi dispiace davvero tanto”

“No, non può dispiacerti. Tu non hai mai avuto un marito”

“Io e Bucky abbiamo vissuto insieme tre mesi ed è stata la mia unica convivenza. Ed anche io ho un figlio, quindi ti posso assicurare che cosa significa avere qualcosa da perdere. Ho già perso Bucky, non voglio perdere anche James”

“Lo sai come si chiamava mia moglie?” chiese il giovane, ignorando le parole di Charlie.

“No, non lo so”

“Si chiamava Charlotte. Esattamente come te” rispose lui voltandosi a guardarla negli occhi.



 
Charlotte aprì gli occhi solo la mattina seguente, incredibilmente era riuscita a dormire qualche ora e non riusciva a spiegarsi come ciò fosse stato possibile; si guardò attorno ma non vide il suo compagno di viaggio, si rese conto solo in quel momento di avere il suo cappotto che le faceva da coperta.

“Zemo?” domandò guardando in direzione degli alberi, ma ottenne come risposta solo il canto di alcuni uccelli; si alzò in piedi, indossando il cappotto nonostante il caldo, per poi avvicinarsi all’entrata della grotta.

Sentì un rumore improvviso e si posizionò in modo da essere pronta ad attaccare, ma dalla vegetazione non comparve un nemico, bensì lo stesso sokovaro.

“Andiamo. Forza”

“Che cosa succede?”

“Ero andato a cercare dell’altra frutta. Stanno venendo da questa parte”

“Chi?” domandò la giovane con un filo di voce, anche se non voleva sapere la risposta, entrambi sentirono il rumore di uno sparo e videro in lontananza delle figure che si stavano avvicinando.

I due giovani iniziarono a correre verso il centro della giungla, laddove la vegetazione era più folta e l’inseguimento sarebbe stato molto più difficile, ma dopo pochi metri Charlie si appoggiò al tronco di un albero, ansimando rumorosamente; Zemo la raggiunse e la spronò a continuare.

“Se ti arrendi sarai venuta qui per nulla”

“Non ci riesco. Sono ancora debole da quando ti ho salvato la vita. Non posso fare nemmeno un passo”

“Se non lo fai verrai uccisa e tuo figlio non avrà più né un padre né una madre. Vuoi questo per lui?”

“No, non lo voglio” ringhiò la più piccola con la fronte imperlata di sudore, strinse i denti con forza e si sforzò a muovere le gambe, lanciò un grido di dolore quando un proiettile la colpì al braccio destro, strappando un pezzo di stoffa del cappotto; cadde a terra e sbatté con forza la fronte contro il terreno roccioso, provocandosi un profondo taglio nella fronte.

Riprese conoscenza appena in tempo per vedere Zemo che si metteva tra lei e gli uomini appena arrivati e venire colpito da un proiettile; lanciò un altro urlo e colpì i tre aggressori con del ghiaccio che formò dal palmo della mano sinistra, poi strisciò fino ad arrivare vicino al suo compagno di viaggio.

Si rese subito conto della gravità della ferita allo stomaco e non aveva abbastanza forza per salvarlo una seconda volta.

“Scappa” gracchiò lui, sputando del sangue “non c’è molto che puoi fare per me. Presto si riprenderanno, non ti conviene sprecare quel poco vantaggio che ti resta”

“Perché mi hai salvata?”

“Non l ho fatto per te. L ho fatto per la mia famiglia”.

Charlie comprese che lo aveva fatto non solo per ricongiungersi con la moglie ed il figlio, ma anche perché non sarebbe stato più costretto ad aiutarla; quello però non era il momento di arrabbiarsi o di gridargli addosso che era solo un egoista perché non c’era tempo.

Si alzò in piedi ed iniziò a correre con la speranza di allontanarsi da quel posto; continuò a correre e correre cercando di non badare ai muscoli delle gambe che le imploravano pietà.

Voleva solo lasciarsi andare ma allo stesso tempo non poteva permetterselo perché, come aveva detto il suo ex compagno di viaggio ormai, James sarebbe stato completamente solo e nessuno lo avrebbe salvato.

Spalancò gli occhi con incredulità quando si ritrovò in una radura, in lontananza poteva vedere l’imponente statua della pantera nera e la residenza di t’Challa; la giovane si diede la spinta per fare l’ultimo sforzo e riuscì a raggiungere l’elegante struttura.

“T’Challa! T’Challa!” iniziò a gridare il nome del giovane uomo, cadendo in ginocchio nell’erba tagliata con cura; il Re del Wakanda uscì dalla sua abitazione ed andò subito a soccorrere l’amica, che stava cercando da qualche giorno.



 
Un medico visitò subito Charlie e la tranquillizzò dicendo che la ferita del proiettile era superficiale, dato che la carne del braccio era stata solo sfiorata, fasciandole poi la parte lesa; lei lo lasciò fare e poi si strinse nelle spalle, rimanendo nella stanza da sola con T’Challa.

“Che cosa è accaduto?”

“Hanno attaccato il nostro elicottero. Il pilota è rimasto ucciso ed io e Zemo siamo scappati nella giungla, cercando la strada di ritorno. Abbiamo camminato per qualche giorno e poi degli uomini ci hanno trovati. Gli hanno sparato, non credo che sia ancora vivo. Forse lo hanno finito. Non so dove sono adesso, potrebbero arrivare a momenti”

“Charlotte, non ti preoccupare, sistemerò io la faccenda. Anche io ho degli uomini armati molto pericolosi al mio servizio.
Nessuno ti sfiorerà, d’accordo? Manderò qualcuno anche a recuperare il corpo di Helmut Zemo. Tu partirai subito per tornare a casa, è già pronto il mezzo per te e per lui”

“Lui?”

“Si, lui” confermò il più grande con un cenno del capo; condusse la ragazza in un’altra stanza, socchiuse la porta e la invitò ad entrare senza fare rumore.

Charlie rimase senza fiato quando riconobbe Bucky nel giovane uomo che era sdraiato nell’unico letto presente là dentro; si fiondò subito al suo fianco, dimenticando tutta la stanchezza, ed osservò i macchinari e la mascherina per l’ossigeno.

“Sta male?” domandò con un’espressione ansiosa.

“No, si tratta solo della procedura che bisogna seguire in casi come questo. Ormai manca poco al suo risveglio”

“Ha di nuovo il braccio sinistro…”

“Mi sono occupato io stesso di procurargli una nuova protesi in vibranio. L’innesto ha avuto successo”

“Perché lo hai risvegliato? Hai trovato una cura?”

“No, non l’ho trovata, ma dopo quello che mi hai raccontato non potevo stare a guardare. Sono sicuro che sarà contento anche lui di questa decisione quando gli spiegherai come stanno le cose. Riposa un po’, adesso, ti lascio da sola con lui. Te lo meriti dopo tutto quello che hai passato. Ti avviserò quando sarà l’ora della partenza, d’accordo?”

“D’accordo. Grazie per tutto, T’Challa”.

Il Re del Wakanda rispose con un cenno del capo ed uscì dalla camera, per dare ai due la giusta intimità dopo due lunghissimi anni; si ritrovò a pensare se anche lui, un giorno, sarebbe stato nella stessa camera con Natasha.



 
Charlie tornò a guardare il volto dell’uomo che amava, osservò i lineamenti rilassati, che poche volte aveva visto così.

Gli passò una mano nei capelli castani e lo sentì sospirare; si ritrovò a sorridere con le lacrime agli occhi.

“Non ti preoccupare, amore, adesso andrà tutto bene” sussurrò Charlie con dolcezza; tolse per un momento la mascherina a Bucky e gli posò un bacio sulle labbra.
 

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Capitolo 38
*** Terza Parte: Bucky ***


L’ennesimo pugno si abbatté sul volto del ragazzo che era legato saldamente ad una sedia, erano state usate diverse corde robuste perché era dotato di una forza non comune per uno della sua età; James sentì il rumore sinistro ed inconfondibile di ossa che si spezzavano e capì che per un po’ di tempo non sarebbe riuscito ad usare la mandibola inferiore come prima, sputò un grumo di sangue nelle piastrelle del pavimento ma non emise un solo lamento.

Non era assolutamente intenzionato a dimostrarsi un debole davanti agli occhi del suo aguzzino.

Rumlow si massaggiò le nocche della mano destra, era da quasi un’ora che picchiava James, senza risparmiarsi in fatto di pugni o calci, non si aspettava una tale resistenza ed iniziava a stancarsi; a lui piaceva sentire le proprie vittime urlare ed implorare pietà e quando una di loro si opponeva così tanto s’irritava.

E quando s’irritava non faceva altro che sperimentare un altro metodo di tortura.

“Sei resistente, questo te lo concedo” disse l’uomo avvicinandosi ad un tavolo su cui era posta una fila di coltelli; ne prese uno dalla lama spessa, da caccia, ritornando poi dal suo ostaggio che lo guardava con odio, senza la minima traccia di paura negli occhi chiari.

“Che cosa hai intenzione di farmi?”

“In verità, non lo so ancora. Ci sono tante cose che potrei fare con questo semplice coltello. Quella più banale sarebbe di tagliarti la gola come si fa con i maiali, ma ciò significherebbe porre fine alla tua sofferenza ed io non voglio questo perché mi servi vivo. Vediamo… Potrei divertirmi a tagliarti piccole parti del corpo, tipo le dita dei piedi. Dopotutto se ti hanno creato due protesi in vibranio, altre due saranno un gioco da ragazzi” rispose Rumlow, afferrò il volto del giovane e lo costrinse a sollevarlo, affinché i loro sguardi s’incrociassero, poi gli appoggiò la parte tagliente del pugnale nella guancia destra ed iniziò ad incidere un profondo taglio a forma di ‘X’.

Ripeté la stessa operazione anche nell’altra guancia e nella fronte.

Gli altri uomini presenti nella stanza continuavano a rimanere in silenzio e molti di loro avevano iniziato a fissare un punto lontano di una parete; non riuscivano a guardare tutta quella violenza nei confronti di un ragazzo di appena diciotto anni, ma allo stesso tempo nessuno era così stupido da dire al Capo di fermarsi.

“Non dirò una sola parola. Puoi farmi tutto quello che vuoi ma non ti dirò mai nulla, nemmeno se mi fai il lavaggio del cervello”

“Che cosa hai detto?”

“Non dirò una sola parola nemmeno se mi fai il lavaggio del cervello” ringhiò il più piccolo con le ultime forze che gli rimanevano nel corpo, nonostante gli fosse stato iniettato il Siero del Super Soldato non era abituato a sopportare tutta quella violenza; Crossbones sorrise esattamente come se non aspettasse altro, ordinò a due uomini di slegare il ragazzo e di portarlo in un’altra stanza, dove c’era uno strano macchinario composto da una poltrona e da una struttura in metallo che terminava con due morse dello stesso materiale.

I due uomini costrinsero Jamie a sedersi nella poltrona e gli bloccarono i polsi, gli avambracci e le caviglie grazie a delle cinghie di cuoio; quest’ultimo provò a liberarsi ma non ci riuscì, allora si voltò a guardare uno schermo acceso, che monitorava il suo battito cardiaco.

“Scommetto che vuoi sapere che cosa è questo affare, vero? Non ti preoccupare, lo scoprirai molto presto, ma voglio darti un piccolo indizio: tra poco avrai molto altro in comune con tuo padre” disse il più grande con un ghigno; si avvicinò allo schermo e James chiuse gli occhi, perché non era sicuro di voler vedere ciò che stava per accadere.

Sentì un ronzio sempre più forte seguito da qualcosa di freddo appoggiato alle tempie, socchiuse le palpebre e si rese conto che erano le due morse di metallo; non ebbe nemmeno il tempo di chiedersi a che cosa sarebbero servite che percepì una scossa elettrica arrivargli fino al cervello.

Inarcò la schiena involontariamente e si morse il labbro inferiore così a fondo che un rivolo di sangue iniziò a scendergli lungo il mente.

La tortura terminò solo quando il ragazzo si lasciò scappare un lungo grido di dolore; Crossbones spense il macchinario, tornò dalla sua vittima e l’afferrò saldamente per i capelli castani.

“Adesso tu mi dirai ogni cosa. Ogni, singola, cosa”.



 
Steve lanciò un’occhiata alla cella criogenica che alcuni uomini stavano terminando di preparare, poi andò dal suo migliore amico, seduto in una brandina e con una flebo collegata alla mano destra.

“Sei sicuro di volerlo fare?” gli domandò, con uno sguardo supplichevole, sperando che cambiasse idea “qui sarai al sicuro anche senza farti congelare ancora una volta”

“Non posso fidarmi della mia mente” rispose Bucky, con una smorfia stampata sulle labbra, come se stesse bevendo una medicina amara “fino a quando non troveranno una cura è la cosa migliore da fare. Per tutti noi. Che cosa ne è stato dei tuoi amici? Che farai ora, Steve?”

“Andrò a liberarli e poi non lo so. Ci devo ancora pensare”

“Mi dispiace per tutto quello che è accaduto. Non valevo tutto questo”

“Tu sei il mio migliore amico, Buck. Non sei stato tu a fare quelle cose, eri sotto il controllo dell’Hydra e non avevi modo per ribellarti. Non ti devi addossare la colpa di nulla, nemmeno dell’omicidio di Howard e Maria Stark”

“Ma le ho fatte” sussurrò il Soldato D’Inverno abbassando lo sguardo al pavimento, perché niente sarebbe riuscito a ripulirlo da tutto il sangue innocente di cui si era sporcato, ed anche se Steve continuava a ripetergli che non aveva compiuto quelle cose volontariamente non si sentiva affatto meglio, soprattutto non dopo quello che era accaduto in Siberia.

Il Capitano gli appoggiò la mano destra nella spalla e gli sorrise, per infondergli coraggio e forza.

“Ascolta, per quello che è accaduto…”

“Per favore. Non dire una parola” tagliò corto Bucky, passandosi l’unica mano che ancora aveva nella fronte e negli occhi, sapendo perfettamente che il suo migliore amico non si stava riferendo a Stark ma ad un’altra persona, richiamò l’attenzione di uno dei dottori e disse che era finalmente pronto per entrare nella cella.

Degli uomini gli passarono delle cinghie attorno al petto ed alle ginocchia, era solo una precauzione per la sua incolumità, ma non riuscì a reprimere un brivido ricordando quelle che lo bloccavano quando gli veniva fatto il lavaggio del cervello; guardò un’ultima volta il Primo Vendicatore e riuscì a sorridergli.

“Buck…” la voce di Rogers gli arrivò ovattata a causa dello spesso vetro “io sarò con te fino alla fine, non dimenticarlo. La nostra promessa è ancora valida”

“Lo so, vale anche per me” mormorò il più grande muovendo appena le labbra; chiuse gli occhi e si abbandonò alla sensazione di torpore provocata da un gas rilasciato nella cella.

Vide due volti prima di cadere in un sonno privo di sogni ed incubi.

Il primo ad apparire fu quello di Steve, l’unica presenza costante di tutta la sua vita, il fratello di sangue che non aveva mai avuto; poi il volto cambiò all’improvviso, mantenendo solo gli occhi della stessa sfumatura di azzurro.

Divenne quello di una ragazza dai lunghi capelli castani, la stessa che gli aveva catturato il cuore e poi lo aveva calpestato senza la minima pietà.

La stessa che aveva confessato di amare e che poi aveva tentato di uccidere.



 
Bucky socchiuse lentamente le palpebre e venne accolto dall’immagine delle pale di una ventola che continuavano a girare ed a girare, portando al suo viso una lieve aria fresca; deglutì a vuoto e la saliva gli graffiò la gola secca, si portò in modo distratto la mano destra alla parte lesa, massaggiandola nella speranza di trovare un po’ di sollievo.

Sentiva un piacevole torpore attorno a sé, così invitante che per un momento pensò di lasciarsi cullare dal sonno di nuovo, ma qualcosa scattò nella sua testa, sussurrandogli che c’era qualcosa che non quadrava.

Capì che cosa fosse solo dopo qualche secondo.

Quando si era addormentato era in Wakanda, in una cella criogenica, ora si trovava sdraiato in una brandina, a fissare il soffitto di una stanza che non aveva mai visto prima; spostò lo sguardo verso sinistra e spalancò gli occhi chiari quando si rese conto di avere nuovamente tutto il braccio.

Si tirò su, avvolgendo il braccio destro attorno alle ginocchia, posando l’altro nella fronte che aveva iniziato a pulsare senza pietà.

“Buongiorno, sono contenta di vederti sveglio”.

Il giovane uomo sentì un tuffo al cuore nell’udire quella voce, si voltò di scatto e vide Charlotte seduta nel bordo di un tavolino, con le braccia appoggiate alla superficie in legno, sorrideva ma allo stesso tempo si percepiva il nervosismo che provava; lo sguardo di lui divenne freddo e duro come la lama di un coltello.

“Che cosa vuoi da me?” sibilò come se stesse sputando del veleno.

“Non ti agitare, non hai assolutamente nulla di cui preoccuparti. Ti trovi al sicuro”

“No, non mi trovo al sicuro dal momento che non sono in Wakanda. E non voglio avere nulla a che fare con te, lasciami andare”

“Non te ne puoi andare. Prima devi ascoltare quello che ho da dirti”

“Oh, non sono intenzionato a farlo” rispose il più grande, provò ad alzarsi dalla brandina ma era ancora debole a causa del lungo sonno forzato, così si lasciò cadere di nuovo nel materasso; Charlie prese in mano il vassoio che aveva portato con sé e lo appoggiò vicino a Bucky, lui fissò il cibo ignorando la morsa che sentiva allo stomaco “c’è del veleno?”

“No. Non c’è veleno. Dovresti sapere che ti puoi fidare di me”.

Il giovane uomo gettò indietro la testa e si lasciò scappare una risata vuota, amara, che riempì il silenzio della camera.

“Come posso fidarmi della persona che mi ha preso in giro per tre mesi? Ritieniti fortunata che sono ancora debole, altrimenti avrei già concluso il lavoro che ho lasciato a metà in Siberia”

“Quello che è accaduto è stato solo un malinteso” rispose la ragazza, ignorando il dolore al petto e le lacrime che minacciavano di scendere lungo le guance “ma non c’è tempo di parlare di questo. È meglio se mangi mentre ti racconto quello che è accaduto. Sei rimasto dentro quella cella per quasi tre anni ed io ti ho trovato solo per una coincidenza. Ero andata in Wakanda per chiedere l’aiuto di T’Challa. Ecco… è una lunga storia, non so nemmeno da dove iniziare”

“Inizia dicendomi dove mi trovo”

“Sei nella Base dello S.H.I.E.L.D”

“E dovrei essere al sicuro?”

“Credimi, non c’è un posto che sia più sicuro di questo. Sono successe tante cose in questi due anni… Davvero tante. Non mi sembra vero di vederti e sentirti parlare” disse Charlie, allungò la mano destra per accarezzare il volto dell’uomo che amava ma si bloccò a mezz’aria, perché quello non era il momento giusto “uno dei nostri Agenti è stato catturato e lo dobbiamo salvare il prima possibile. Abbiamo i giorni contati”

“Ed io che c’entro in tutto questo?”.

Ecco, era arrivato il momento.

“La persona che è stata catturata è nostro figlio”.

Bucky rimase in silenzio, con lo sguardo fisso nel volto della giovane; il volto impallidì vistosamente e le pupille si dilatarono arrivando quasi a riempire tutta l’iride.

“Che cosa hai detto?”

“Quando Tony mi ha salvata ho scoperto di essere incinta e ho voluto tenere il bambino. È un maschio e si chiama James”
“Un momento… Un momento… E perché avrebbero dovuto rapire un bambino?”

“Perché anche se ha due anni ne dimostra diciotto”

“Tu mi stai dicendo una marea di cazzate

“Sapevo che avresti detto queste parole” mormorò la più piccola con l’angolo destro della bocca leggermente incurvato all’insù, prese dalla tasca dei pantaloni una fotografia e la passò al Soldato D’Inverno; quest’ultimo la prese in mano e la osservò con cura, c’erano ritratte due persone: la prima era Charlotte mentre la seconda era un ragazzo con un sorriso che accentuava la fossetta che aveva nel mento.

La osservò per lunghi minuti, cercando un indizio che gli facesse capire che si trattava di un falso ma non lo era.

Quell’immagine era vera.

E quel ragazzo era suo figlio.

Era suo figlio.

La fotografia cadde dalle mani del giovane uomo che si coprì il volto.

“Chi lo ha catturato?”

“Bucky…”

“Dimmi chi lo ha catturato” urlò quasi lui, ritrovandosi ad un passo da un esaurimento nervoso, nella sua mente conosceva già la risposta ma sperava con tutto se stesso che così non fosse.

“L’Hydra” disse in un soffio Charlotte, rendendo reale la paura del giovane uomo.

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Capitolo 39
*** Guilty ***


“Che cosa hai detto?” domandò Bucky sbattendo le ciglia più volte, sentendosi terribilmente confuso, come se avesse bevuto chissà quanti bicchieri di vino; la testa gli girava in modo vertiginoso e si sentiva vicino al vomitare i pochi bocconi di cibo che aveva appena mangiato: aveva da poco scoperto di avere un figlio e lo stava già perdendo per sempre.

“L’Hydra lo ha catturato. Ormai è accaduto quasi una settimana fa”

“E per quale motivo questo è accaduto? Perché mai l’Hydra vorrebbe un ragazzino?”

“Dopo ciò che è accaduto due anni fa gli Avengers si sono definitivamente divisi, Steve e la sua squadra si nascondono ancora chissà dove. Lo S.H.I.E.L.D necessitava di un secondo gruppo di supereroi e così sono stati creati i Thunderbolts. È stato James a scegliere questo nome. Lui, ecco… Lui ha assunto l’identità del Soldato D’Inverno”

“Per quale ragione ha assunto la mia identità?”

“Anche questa è una lunga storia. È stato Nick a deciderlo in seguito ad un incidente che James ha avuto, fino a quel momento gli avevo raccontato che tu non c’eri più, ma poi sono stata costretta a raccontargli le cose come stanno. Abbiamo ripulito ogni informazione che c’era sul conto del Soldato D’Inverno. Sei completamente pulito, adesso puoi girare per le strade senza la paura di essere arrestato”

“Non m’importa assolutamente nulla di questo. Io voglio sapere perché mio figlio è entrato a far parte di una squadra di supereroi e che razza d’incidente ha avuto!”

“Non so se sarai contento di saperlo”

“Dimmelo e basta” rispose il giovane uomo, stringendo nelle mani un lembo di lenzuolo, pronto a sentire quello che Charlotte doveva dirgli; lei incrociò le braccia al petto e si morse le labbra, aveva previsto che il primo incontro con lui non sarebbe stato affatto facile, ma allo stesso non credeva che avrebbe preso una piega così drammatica.

“Quando abbiamo festeggiato i diciotto anni di Jamie, lui mi ha confidato che aveva un unico desiderio, quello di diventare un Agente dello S.H.I.E.L.D… Io non gliel’ho permesso e nostro figlio si è infiltrato in una missione. Ha compromesso tutto ed ha perso il braccio sinistro e metà braccio destro. Adesso porta delle protesi in vibranio come la tua” spiegò la ragazza sentendosi improvvisamente a disagio, si sistemò un ciuffo di capelli dietro l’orecchio dietro ed osservò il più grande, che era impallidito in modo quasi preoccupante “mi dispiace. Mi dispiace davvero tanto. E questo non è tutto. Le ferite che ha subito erano così gravi che per salvarlo non c’è stata altra soluzione se non quella di iniettargli il Siero del Super Soldato. Lo stesso che hanno sperimentato su Steve”

“Fammi capire…” mormorò Bucky, solo dopo aver ritrovato in parte la voce “mi stai dicendo che nostro figlio è un soldato geneticamente modificato, con due braccia in vibranio ed è stato catturato dall’Hydra da quasi sette giorni?”

“Si”

“Quante speranze credete di avere?”

“In qualche modo dobbiamo tentare”

“Avresti potuto essere una madre migliore”.

Quelle semplici sei parole colpirono Charlie più di quanto avesse potuto fare una pugnalata, non si aspettava un attacco simile da parte di Bucky.

“Che cosa? Mi stai accusando di non aver fatto bene il mio dovere?”

“Se fossi stata una madre più presente nostro figlio non starebbe rischiando la vita. Non avresti dovuto raccontargli dello S.H.I.E.L.D, di me e di tutto il resto, perché lo hai condannato a portare un fardello. Se verrà ucciso la colpa sarà solo tua”

“Io almeno sono sempre stata al suo fianco”

“Adesso stai accusando me di non aver fatto il padre? Lo sai perché sono andato in Wakanda ed ho chiesto a T’Challa di farmi congelare di nuovo? Perché fino a quando avrò nella mia testa quelle maledette parole sarò solo un pericolo e voi non lo avete ancora capito. Tu hai voluto risvegliarmi ma non hai pensato a questo”

“Non potrà accadere perché ho io quel quadernetto. Lo tengo al sicuro”

“E se qualcuno ha imparato le parole a memoria?”.

I due giovani si guardarono negli occhi per lunghi istanti, in silenzio, poi la più piccola spostò il peso del corpo da un piede all’altro.

“Stiamo perdendo del tempo prezioso. Nick mi ha detto di portarti da lui una volta svegliato. Devi seguirmi”

“Io non mi muovo da questa stanza”

“Faresti meglio a seguirmi. Il mio Capo è un uomo paziente ma fino ad un certo punto. Vieni, te lo sto chiedendo per favore, non farlo per me se sei ancora così furioso. Fallo per nostro figlio”.

Il Soldato D’Inverno si lasciò scappare un sospiro dalle labbra socchiuse, si alzò dalla brandina e seguì Charlie all’esterno della camera da letto che ricordava di più, però, la cella d’isolamento di un carcere.

Mentre attraversavano un lungo corridoio si guardò attorno, facendosi un’idea della grandezza della Base, alcuni Agenti lo fissarono con una certa insistenza e lui rivolse lo sguardo al pavimento; non gli piaceva essere guardato in quel modo, come se fosse un fenomeno da baraccone.

Aveva sempre l’impressione di essere seguito da sguardi accusatori, pronti a ricordargli tutto quello che aveva compiuto in settant’anni.

Charlotte aprì la porta di una stanza e lasciò che l’altro entrasse per primo; il giovane uomo varcò la soglia e si guardò attorno: lì dentro c’era solo un lungo tavolo rettangolare, di quelli che solitamente si trovavano nelle sale riunioni delle grandi imprese.

Oltre al mobile c’erano due uomini ed una giovane donna con i capelli raccolti in un nodo dietro la nuca.

“Sergente Barnes!” esclamò Fury, come se stesse accogliendo un vecchio amico “stavamo attendendo tutti il suo arrivo. Si accomodi, le devo presentare queste persone. Lui è il Generale James Rhodey Rhodes”

“Ci siamo già visti una volta” mormorò il giovane, stringendo la mano che Rhodey gli aveva gentilmente allungato.

“Lei è Maria Hill, la mia più stretta collaboratrice” Nick indicò la giovane donna che si limitò ad un cenno del capo “credo che tu conosca già molto bene l’Agente Charlotte Bennetts, quindi possiamo saltare le presentazioni. E credo che tu conosca molto bene anche me. Nicholas J. Fury”

“Bucky Barnes” disse il più piccolo mentre rispondeva ad una seconda stretta di mano, ricordava bene l’uomo perché quattro anni prima aveva ricevuto l’incarico di ucciderlo e sembrava esserci riuscito, peccato che poi si era scoperto che Nick aveva solo finto di essere stato assassinato, per poter agire indisturbato.

“Si accomodi. Abbiamo molto di cui parlare”

“Io non voglio parlare di nulla. Sono stato avvisato di ogni cosa e voglio solo trovare mio figlio il prima possibile. Del resto non m’importa nulla”

“Capisco il suo punto di vista, Barnes, ma senza le informazioni di cui abbiamo bisogno non potremo andare molto lontano. Non sappiamo dove si nascondono, in verità sappiamo ben poco. Eravamo sicuri che l’Hydra fosse stata del tutto estirpata, a quanto pare abbiamo sottovalutato la situazione ancora una volta”

“Evidentemente quello che è accaduto a Washington non vi ha insegnato nulla. Se mi state chiedendo di dirvi dove si trova la Base dell’Hydra, beh, non posso esservi d’aiuto. Io non lo so. E sto dicendo la verità. Ricordo di essere stato solo in due posti e lui non può trovarsi in nessuno di questi”

“Come fai ad esserne sicuro?”

“Sono stati distrutti entrambi. Uno era la vecchia Base dello S.H.I.E.L.D mentre l’altro era un laboratorio in Siberia” sospirò Bucky, incrociando solo per un momento gli occhi chiari di Charlotte, tornando subito dopo a fissare il Direttore “sarà sicuramente un nuovo nascondiglio, proprio per questo non vi posso essere d’aiuto”.

La porta della stanza si aprì senza alcun preavviso ed si sentì la voce inconfondibile di Tony Stark.

“Scusate il ritardo ma avevo…” il miliardario si bloccò subito a metà frase quando vide il Soldato D’Inverno, si tolse gli occhiali da sole e gli rivolse uno sguardo carico d’odio profondo, nella sua mente già lo stava sottoponendo alle peggiori torture esistenti “che cazzo ci fa qui questo figlio di puttana?”

“Stark, mantieni la calma, si trova qui perché ci serve”

“Perché ci serve? Questo bastardo ha ucciso i miei genitori senza alcuna pietà. Ha preso a pugni in faccia mio padre ed ha strangolato mia madre. Ha ignorato le loro suppliche, li ha uccisi a sangue freddo” urlò Tony, sentendosi catapultato di nuovo nel laboratorio in Siberia, quando aveva visto per la prima volta il video di registrazione; anche se voleva bene a Charlie si era ripromesso che avrebbe vendicato la madre ed il padre.

“Il passato non si può cambiare”

“Tu lo sapevi?” domandò sempre l’uomo “anche tu lo sapevi, esattamente come Rogers, ma non hai mai voluto dirmelo. Io sono stato l’ultimo a saperlo”

“Tony, ascolta…” intervenne Rhodey, avvicinandosi al suo migliore amico, sapendo di essere l’unico in grado di poterlo calmare “lo so che in questo momento sei molto arrabbiato e ne hai tutte le ragioni. Ma adesso James è la cosa più importante, lui è suo padre, non poteva non essere presente”

“Mi dispiace per quello che è accaduto” disse a sua volta Bucky, guardando in faccia il più grande; anche se le sue parole non erano state affatto una provocazione ebbero lo stesso effetto della famosa goccia che faceva traboccare il vaso: Stark spinse di lato il suo migliore amico e si scagliò contro Barnes, colpendolo con un pugno al naso.

Il Soldato cadde a terra e si portò la mano sinistra al volto, mentre Charlotte non perse un solo secondo a fargli da barriera.

“Tony! Smettila! Sei infantile!”

“Lo difendi ancora? Lo vuoi capire che non vuole avere nulla a che fare con te? Lui non vuole tornare ad essere il tuo fidanzato, il tempo di fare i piccioncini è finito”

“Basta!” urlò la giovane , si preparò a colpire Stark ma Bucky l’afferrò per un braccio e la scagliò contro una parete, provocandole un dolore allucinante alla schiena.

“Mi dispiace”

“Non so che farmene delle tue scuse, a meno che non riportino indietro i miei genitori”

“Non ho questo potere”

“Allora ti farò fare la loro stessa fine”

“Stark! Adesso hai raggiunto il limite” urlò a sua volta Nick, ma le sue proteste vennero messe a tacere quando un fascio di energia azzurra lo colpì in pieno petto, facendogli fare una fine simile a quella di Charlie; Maria provò a prendere la pistola che aveva appesa alla cintura ma venne colpita a sua volta.

“Ti ho detto che mi dispiace” ripeté per la terza volta il giovane uomo, sputando a terra del sangue, quando sentì che il miliardario era in procinto di attaccarlo scattò come un lupo; gli afferrò la gola con la mano sinistra, in vibraio, sbattendolo contro un muro “ti ho detto che mi dispiace. Ti ho detto che mi dispiace. Ti ho detto che mi dispiace”.

Iniziò a colpirlo con una serie di pugni al viso, restituendogli quello che aveva ricevuto poco prima; quando si fermò, ansimando, si rese conto che il volto del suo avversario era ormai una maschera di sangue.

“Che aspetti? Finisci anche me, così avrai un’altra vita sulla tua coscienza” sibilò l’uomo che vestiva i panni di Iron Man, il Soldato D’Inverno tirò indietro il braccio destro, pronto a finirlo, ma si bloccò, esattamente come aveva fatto con Steve.

Lanciò un urlo e colpì il muro, provocando una profonda crepa.

Lasciò andare la gola del miliardario ed uscì dalla stanza senza dire una sola parola.

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Capitolo 40
*** Intruders ***


Charlotte si sistemò con cura le cuffiette nelle orecchie, scelse una delle sue canzoni preferite e poi chiuse gli occhi; Natasha non le aveva solo insegnato a difendersi e ad attaccare, le aveva anche mostrato alcune tecniche di yoga per rilassarsi, per staccare la spina dal mondo per qualche istante.

Le aveva spiegato che alcune volte le persone come loro due, che svolgevano un lavoro così stressante, avevano la necessità di svuotare la mente; Charlie l’aveva ascoltata in silenzio ma non aveva mai sentito la necessità di provare quella tecnica, nemmeno quando aveva perso Loki, ma ora per la prima volta sentiva la necessità di provarci.

Il dolore alla schiena se ne era completamente andato grazie alle doti curative che possedeva, ma le faceva ancora male la consapevolezza che Bucky l’aveva lanciata contro una parete non per difenderla da Tony, ma semplicemente per attaccarla; perché lei in quel momento costituiva un ostacolo.

La sua vita si era ulteriormente complicata da quando James era stato rapito, non era sicura di riuscire a  sopportare anche l’odio di Bucky.

La ragazza si tolse le cuffiette quando sentì una mano posarsi nel suo braccio destro, sollevò lo sguardo e vide il volto di Tony, su cui spiccavano numerosi lividi.

“Che cosa vuoi?” lo aggredì subito “non voglio essere disturbata. Sto pensando”

“A lui? Mi fa piacere la tua preoccupazione per quello che mi ha fatto” ribatté a sua volta il miliardario, con amarezza “ti ha anche scagliata contro una parete. Io non mi sarei mai permesso di farlo”

“Quando ci siamo conosciuti mi consideravi solo una bambina e non mi volevi nel progetto Avengers”

“Però questa è una faccenda completamente diversa. Io non ho mai tentato di ucciderti o di farti del male. Io ti ho salvato la vita in Siberia”

“Tu non mi hai salvato la vita” rispose Charlie alzandosi dal pavimento “tu me l’hai rovinata. Sei stato tu a far credere a Bucky che sono ancora innamorata di Loki. Sei stato tu a causare tutto e lo sai meglio di me. Dimmi una cosa, lo hai fatto perché eri furioso con lui o perché eri geloso? Scommetto che non riuscivi a sopportare l’idea che fossi felice con un altro uomo. Tu sei sempre stato abituato ad avere tutto quello che volevi, comprese le donne. Lo hai fatto solo perché io non ho mai ceduto alle tue lusinghe”.

Stark afferrò la giovane per un braccio e la sbatté con forza contro un muro; lei non era l’unica ad essere sull’orlo di una crisi di nervi.

“Mi credi così disperato da elemosinare l’amore delle persone?”

“Sto solo dicendo che da quando Pepper ti ha lasciato sei completamente cambiato. Tu non ami me, stai solo cercando di colmare il vuoto che senti. Chiamala. Dille che hai sbagliato e che vuoi tornare con lei, sono sicura che tornerebbe indietro, sta solo aspettando te”

“Se davvero mi volesse non se ne sarebbe mai andata. Stai solo cercando di cambiare argomento. Tu sei solo una grande ipocrita, Charlie. Ti ho salvata la vita, lui ti stava uccidendo, per due anni ho dato ospitalità a te ed a James senza mai chiedere nulla in cambio. L’ho cresciuto come se fosse un figlio e tu mi ripaghi in questo modo? Finalmente capisco perché finisci sempre ad essere sola. Sei tu che continui a fare terra bruciata intorno”

“Ti stai sbagliando”

“Allora dimostrami il contrario” mormorò il più grande, avvicinando le labbra a quelle dell’amica; si udì il tonfo della porta della palestra che veniva chiusa e la giovane scostò bruscamente Tony da sé quando vide che la persona appena entrata era Bucky.

Il giovane uomo li stava guardando con un’espressione impassibile.

“Mi devo allenare adesso, Stark” disse Charlie, incrociando le braccia, facendo capire all’altro che era arrivato il momento di andarsene; il miliardario si passò una mano nei capelli ed uscì, preoccupandosi di urtare con forza il Soldato D’Inverno.
Lui ignorò la provocazione ed andò a sistemare in un gancio, che scendeva dal soffitto, il sacco da box che aveva in mano; aveva sostituito i vestiti che indossava da quando si era fatto congelare con dei pantaloncini neri ed una canottiera dello stesso colore, i capelli erano raccolti con un elastico nella nuca.

Charlotte lo guardò in silenzio mentre si fasciava il palmo della mano destra, per non farsi male durante l’allevamento, voleva parlargli ma la voce l’aveva abbandonata del tutto.

“Bucky…” disse infine “non è come sembra”

“Non hai nulla da giustificare” rispose lui senza mai voltarsi “sono passati due anni. Noi due non stiamo insieme. Puoi frequentare tutti gli uomini che vuoi, anche perché non riesci a stare da sola”

“James, per favore!” esclamò la più piccola, chiamandolo per nome “guardami in faccia!”.

Bucky l’accontentò e si voltò a guardarla con un’espressione dura negli occhi, la stessa che aveva avuto per tutto il tempo in cui avevano discusso nella cella; anche quello faceva male, soprattutto perché due anni prima la guardava in modo completamente diverso.

Perfino quando era arrivato nel suo appartamento non c’era odio, ma solo tanta diffidenza.

“Ti sto guardando”

“Io voglio tornare insieme a te. Non ho mai smesso di cercarti per tutto questo tempo. Io ti amo” disse Charlotte di getto, rimase ferita nel ricevere come risposta una risata vuota, amara, che quasi non apparteneva al giovane uomo.

“Tu dici di amarmi? Tu dici di amarmi? Se mi ami davvero, allora perché due anni fa hai esitato a rispondermi?”

“Non mi hai lasciato tempo per farlo. Mi hai attaccata”

“Ma tu hai esitato. Quando una persona è sicura di una cosa non esita un solo istante”

“Sai perché ho esitato a rispondere? La persona che amavo ha tentato di distruggere New York sei anni fa e noi Avengers siamo stati formati proprio per fermare quella minaccia. L’unico a sapere quello che c’era tra me e lui è Tony. Steve non ha mai saputo nulla, non volevo che lo sapesse perché lo avrei deluso profondamente”

“Ahh, ti preoccupavi di Steve e non di me?”

“Certo che mi preoccupavo di te! Non volevo vederti soffrire. Proprio per questo motivo volevo rimandare il discorso, quello non mi sembrava il momento migliore per affrontarlo. Non credi?”

“Bugiarda” rispose in un soffio il Soldato D’Inverno, socchiudendo gli occhi chiari.

“Non ti sto mentendo. Guardami negli occhi e capirai che sto dicendo la verità. Non sono arrabbiata con te perché hai tentato di uccidermi e nemmeno perché prima mi hai attaccata. Io voglio solo ricominciare da capo con te. Abbiamo avuto un figlio e questa è una cosa che non puoi ignorare” sussurrò la giovane, si avvicinò lentamente a Bucky e gli appoggiò una mano nel braccio sinistro, in vibranio, lui abbassò gli occhi ed emise un profondo sospiro.

“Mi dispiace…”

“Non ti preoccupare, ricominceremo una nuova vita…”

“No, non hai capito. Mi dispiace per quello che ho fatto ma non voglio avere nulla a che fare con te. Ho sbagliato a fidarmi, ho sbagliato a lasciarmi andare con una persona che conoscevo da pochissimo tempo. Hai ragione riguardo ad una cosa: abbiamo avuto un figlio e questa è una cosa che non potrà mai cambiare, ma il nostro legame inizia e finisce con James. Lasciami solo, Bennetts, mi devo allenare” disse il più grande terminando di fasciarsi la mano destra, poi la fissò con uno sguardo duro e lei capì che non si trattava di una bugia.

Quello era troppo per Charlie, che uscì dalla palestra senza essere in grado di nascondere gli occhi lucidi di lacrime.



 
Bucky ascoltò in modo distratto i passi della ragazza che si allontanavano sempre di più, fino a sparire del tutto, inspirò profondamente ed iniziò a prendere a pugni il sacco da box.

A sua insaputa stava usando lo stesso metodo di sfogo del suo migliore amico, che aveva passato notti intere in palestra dopo il suo risveglio.

Si sentiva completamente inutile ed impotente; da quando si era sacrificato per salvare la vita a Steve la sua vita si era trasformata in una spirale di dolore che lo aveva condotto sempre più in basso, poi era riuscito a risalire, ma era stata solo una illusione, una illusione che era crollata sotto ai suoi piedi quando era andato in Siberia con Steve e Charlie.

Nello stesso momento in cui Tony Stark aveva iniziato a guardare il video di sorveglianza, che risaliva alla notte del sedici dicembre di venticinque anni prima; ricordava ancora molto bene lo sguardo che il miliardario gli aveva rivolto in quell’occasione, uno sguardo che era un misto di rabbia cieca e disgusto, prima di attaccarlo.

Per un momento, per pochi istanti, aveva sperato che Iron Man lo uccidesse, almeno in quel modo avrebbe smesso di soffrire per sempre ed avrebbe pagato per tutto quello che aveva fatto; ma poi il suo spirito di sopravvivenza aveva avuto la meglio su di lui e gli aveva quasi staccato a mani nude il reattore incastonato al centro dell’armatura, nel petto.

Il giovane uomo chiuse gli occhi, rivivendo quello che era accaduto subito dopo.




 
Steve si passò il braccio destro del suo migliore amico attorno alle spalle, lo sorresse ed uscì dal laboratorio zoppicando, rientrando nel elicottero che avevano usato per raggiungere la Siberia.

Aiutò Bucky a sdraiarsi nel pavimento e lo osservò con attenzione, anche lui era ferito ma in modo più superficiale rispetto al suo migliore amico: il viso era ricoperto di tagli e sangue, aveva perso il braccio sinistro ed era stato colpito da uno dei raggi di energia azzurra che generava l’armatura di Tony.

Notò che faticava a tenere aperti gli occhi.

“Ehi, soldato, non è questa l’ora del riposino. Non costringermi a metterti in punizione”

“Ho sonno, Steve, voglio riposare”

“Bucky, non chiudere gli occhi. Se lo fai potresti non riaprirli”

“E forse sarebbe meglio così” rispose il Soldato D’Inverno, con un rivolo di sangue che gli colava nel mento; il Capitano ripulì il liquido scarlatto con il pollice della mano destra, poi appoggiò la fronte a quella del più grande.

“Non dirlo mai più. Ci siamo scambiati una promessa. Insieme fino alla fine. Non è ancora arrivato il momento”.



 
Il sacco da box si staccò dal gancio, colpì una parete provocando un buco grande quanto lo stesso sacco; il giovane uomo si passò una mano nei capelli sudati, ansimando.

Forse sarebbe stato meglio se in quell’occasione Steve lo avesse lasciato andare.

O forse sarebbe stato meglio se non avesse mai smesso di essere il Soldato D’inverno, almeno non aveva la consapevolezza della situazione in cui si trovava.

Bucky guardò in direzione della porta della palestra, sentendo un’improvvisa confusione provenire dall’esterno.

Lasciò perdere l’allenamento ed uscì per vedere che cosa stesse accadendo.



 
Charlotte era ancora chiusa nella sua camera quando sentì a sua volta che qualcosa stava per accadere; uscì correndo e raggiunse la sala principale, quella in cui si arrivava tramite l’ascensore.

Vide diversi Agenti radunati là, si fece strada tra la confusione e raggiunse Maria Hill.

“Che cosa sta succedendo?”

“Le telecamere non funzionano. L’ascensore si è messo in funzione senza il nostro permesso. Qualcuno sta scendendo”

“Forse è uno degli Agenti”

“Charlotte, siamo tutti qui dentro” sussurrò la giovane donna, estraendo la pistola dal fodero.

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Capitolo 41
*** Like A Good Puppy ***


L’ascensore scese con un rumore metallico, si bloccò cigolando e le porte si aprirono lentamente, intensificando la tensione degli Agenti.

Charlotte era pronta a sua volta ad attaccare, così rimase sorpresa e sconcertata quando vide che non c’era nessuno nel piccolo abitacolo, ad eccezione di un oggetto appoggiato nel pavimento; si avvicinò con cautela, imitata da Maria Hill, ed osservò la scatolina metallica, dall’apparenza completamente innocua.

S’inginocchiò nel pavimento ed avvicinò il viso all’oggetto, quando sentì un suono soffocato, che si ripeteva ad intervalli regolari, spalancò gli occhi azzurri.

“ È una bomba!” gridò poco prima che l’ordigno scoppiasse.



 
Charlie non era l’unica che aveva provato a contattare un membro della vecchia squadra.

Natasha aveva provato più e più volte a chiamare Clint nell’arco di due anni, ed una volta lui le aveva risposto; quella era stata l’unica occasione in cui avevano parlato.

Il suo migliore amico le aveva raccontato che la moglie lo aveva lasciato per sempre e che se ne era andata con i loro tre bambini, era disperato ma allo stesso tempo non poteva lasciare il nascondiglio perché sarebbe stato catturato e richiuso in prigione una seconda volta.

“Forse non è troppo tardi” aveva cercato di persuaderlo Nat “forse potete tornare tutti indietro. Tu, Wanda, Sam e Scott. Tony non nutre alcun rancore nei vostri confronti. Sarebbe più semplice”

“No, ormai non possiamo tornare indietro. Quello che è stato è stato” aveva risposto Clint, prima d’interrompere la comunicazione.

E poi non aveva mai più risposto.

Forse Tony aveva ragione, pensò la giovane donna bevendo un sorso da una bottiglietta d’acqua, forse per lei era impossibile non fare il doppio gioco; ma si trattava dell’uomo che le aveva salvato la vita e l’aveva aiutata a cambiarla in modo radicare.

Era così immersa in quella marea di pensieri che non sentì quello che stava accadendo fuori dalla sua camera, lo capì solo quando udì il rumore di una esplosione, seguito da grida e da spari; la Vedova Nera afferrò la pistola che portava sempre con sé e corse fuori nel corridoio, i lunghi capelli che le ondeggiavano nella schiena, qualcuno l’afferrò per il braccio destro e la trascinò dentro ad una stanza illuminata solo dalle luci d’emergenza.

Credendo che fosse uno degli aggressori provò a sferrargli un calcio, ma lo sconosciuto le prese prontamente la gamba e lei si ritrovò a terra; lo stesso giovane uomo le strinse un lembo della giacca, la tirò su e la sbatté contro una parete, coprendole la bocca con la mano sinistra.

“Non parlare” sussurrò Bucky “credo che qualcuno sia entrato nella Base e che non abbia buone intenzioni”

“Ho sentito un’esplosione” rispose Natasha, quando l’altro le scostò la mano dalla bocca “non so cosa sia accaduto. Sono uscita dalla mia camera per controllare, ma tu mi hai bloccata”

“Non sai dove sono gli altri?”

“No”

“Nemmeno dove si trova Bennetts?”

“Non so dove sia la tua ragazza”

“Lei non è la mia ragazza, è solo la madre di mio figlio. Adesso usciamo dalla stanza e ci dividiamo, tu vai a sinistra, io a destra. D’accordo?”

“Perché mi dovrei fidare di te? L’ultima volta che ci siamo visti hai provato a strangolarmi”

“L’ultima volta che ci siamo visti mi hai dato un calcio tra le gambe, dobbiamo proprio parlare di questo? In questo momento?” domandò a sua volta il Soldato D’Inverno a denti stretti, guardò un’ultima volta Nat e poi uscì dalla stanza, imboccando il corridoio a destra.



 
L’onda d’urto colpì in pieno Charlie, che volò per tutta la stanza prima di sbattere contro una parete e cadere a terra.

Il volto della giovane si contrasse in una smorfia di dolore, se fosse stata una semplice umana l’esplosione non le avrebbe lasciato via di fuga ma allo stesso tempo già sapeva di avere ferite non indifferenti; ignorò il dolore all’altezza delle costole e si alzò in piedi, guardandosi attorno: la polvere si stava a poco a poco diradando, lasciando posto alle sagome degli Agenti a terra che si lamentavano, chi aveva ferite gravi e chi superficiali.

“Maria!” gridò la giovane, rivolgendosi al braccio destro di Fury “dobbiamo andarcene! Ora!”.

La più grande stava per rispondere quanto si udì un forte rumore e tutti coloro che erano coscienti alzarono il viso al soffitto.

Dopo una breve pausa il rumore si ripeté una seconda volta, continuando in quel modo.

“Che cos’è?”

“Non lo so”

“Sembra il rumore di un oggetto che cade”

“No” mormorò Charlotte, iniziando a capire “questo è il rumore di qualcuno che continua a colpire il pavimento. Qualcuno che lo sta facendo con un oggetto metallo. Qualcosa di pesante”.

Come a dare conferma alle parole appena pronunciate il soffitto si crepò, diversi pezzi caddero tra le persone inermi e qualcuno lanciò delle corde dal buco; la ragazza si coprì il volto con le mani, a causa della polvere che non se ne era ancora andata, quando sollevò di nuovo le palpebre vide un gruppo di uomini armati, tra cui spiccava uno che indossava delle protesi meccaniche ed un casco con visiera.

Maria provò a sparare all’uomo ma lui la disarmò con facilità, la colpì in pieno volto e lei si accasciò a terra, senza più muoversi.

Crossbones si guardò attorno e quando i suoi occhi si posarono sulla giovane piegò il volto di lato.

“Guarda, guarda chi rivedo. La mia allieva preferita. Come stai, bambolina?”

“Sono stata meglio”

“Che accoglienza fredda” rispose il mercenario, avvicinandosi alla giovane e sovrastandola con la sua altezza “potresti darmi un bacio, che ne dici?”

“Se penso che un tempo ho avuto una relazione con te mi sento male”

“Una volta le mie attenzioni non ti davano così fastidio”

“Dimmi dove si trova James” ringhiò Charlie, scagliandosi contro di lui; Rumlow l’afferrò per la gola e la sbatté contro un muro.

Lei provò ad alzarsi, ma era così debole che si arrese con un gemito.

L’uomo la osservò per qualche istante.

“Dovresti ritenerti fortunata. Non sei tu quella che m’interessa” disse poi, prima di uscire dalla stanza, diretto da quello che era il suo vero obiettivo.



 
Nick Fury era rinchiuso nel suo ufficio quando venne sorpreso a sua volta dall’esplosione, guardò per qualche momento in direzione della porta e poi si alzò dalla poltrona, avvicinandosi alla mensola dove teneva la pistola, chiusa dentro ad una scatola di legno.

Quando si voltò per uscire dalla stanza non era più solo.

“Rumlow” disse in tono calmo, infilando le mani nelle tasche del cappotto, in modo che l’altro non potesse vedere l’arma “è da un po’ di tempo che non ci vediamo. Ho saputo che hai avuto un incidente”

“Si, un piccolo incidente. È bella la nuova Base. Hai fatto un ottimo lavoro”

“Dovevo trovare un posto sicuro”

“Oh, si” ribatté Crossbones “devo ammettere che come nascondiglio è ottimo. Se non mi avessero dato un suggerimento non credo che sarei stato in grado di trovarlo. Tralasciamo la parte dei preliminari, Nick, non sono venuto qui per parlare”
“Per una volta concordo con te” rispose il Direttore dello S.H.I.E.L.D; estrasse la pistola dalla tasca destra del cappotto e sparò un colpo contro il suo avversario, quest’ultimo si scansò appena in tempo, disarmò Fury come aveva fatto anche con Maria Hill e lo colpì con una serie di pugni al volto ed al torace.

“Sai…” iniziò il mercenario lentamente, perché voleva assaporarsi ogni singolo momento “adesso che possiamo parlare in privato c’è una cosa che non ti ho mai detto. Ti ho sempre considerato un grandissimo stronzo”.

Tirò indietro il braccio destro, pronto a finire colui che un tempo era stato il suo superiore, ma qualcuno lo bloccò, colpendolo con un calcio nell’inguine; Rumlow non si aspettava di essere attaccato alle spalle e rimase per qualche istante senza fiato, quando sollevò il viso non riuscì a nascondere la sorpresa di trovarsi davanti a Bucky, che si era interposto tra lui e Nick Fury.

“Stai lontano da lui”

“Oh, non ci posso credere… Mi sarei aspettato di vedere chiunque ma non il Soldato D’Inverno”

“Tu chi sei?” chiese Bucky, corrucciando le sopracciglia; Crossbones si portò le mani alla testa e sfilò il casco protettivo.

Il più piccolo spalancò gli occhi: anche se l’uomo davanti a lui aveva il volto quasi del tutto sfigurato lo riconobbe ugualmente.

“Mi conosci, ora?”

“Tu lavoravi per Pierce. Ne sono sicuro. Ti ho visto molte volte”

“Ed io ti ho visto mentre ti frullavano il cervello. Dove sei stato per tutto questo tempo?”

“Sono guarito”

“Ahh, ma davvero? Quindi questo significa che se qualcuno ti dovesse dire delle determinate parole non ti farebbero alcun effetto, giusto?”.

A quelle parole Bucky s’irrigidì involontariamente, ciò non passò inosservato agli occhi di Rumlow che distese le labbra in un ghigno, perché era esattamente quello che immaginava.

“Dov’è mio figlio?”

“Intendi il ragazzino che ti assomiglia in un modo impressionante? Devo ammettere che ha proprio un bel caratterino, ma è diventato un cucciolo obbediente dopo qualche piccola scossa”.

Il Soldato D’Inverno scattò a quella provocazione, ma ricevette un pugno allo stomaco che lo fece cadere pavimento, dolorante e gemente; il più grande lo fissò scuotendo la testa, poi s’inginocchiò ed afferrò Barnes per i capelli, tirandogli la testa all’indietro, fino a farlo gridare.

“Dimmi dov’è mio figlio”

“Vuoi davvero sapere dove si trova? Va dal tuo amico Capitano e digli che si trova dove tutto ha avuto inizio. Se ha le palle di venire io lo aspetto. Ho ancora un conto in sospeso con lui” mormorò l’ex Agente, in modo che solo il diretto interessato sentisse, lo lasciò andare ed uscì dalla stanza senza degnare Fury di uno sguardo, perché non gl’interessava più ucciderlo.



 
Bucky si riprese dopo diversi minuti, si alzò in piedi a fatica ed uscì a sua volta dall’ufficio.

Si trascinò nel corridoio e dopo pochi metri vide una figura corrergli incontro, una donna dai lunghi capelli rossi.

“Aiutami… Aiutami…” sussurrò diverse volte prima di crollare, privo di sensi.

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Capitolo 42
*** What Will We Do Now? ***


Per l’ennesima volta Bucky si risvegliò in una camera da letto che non conosceva e che non aveva mai visto in tutta la sua vita; si alzò lentamente perché gli faceva male sia lo stomaco che la testa, uscì dalla stanza e percorse un piccolo corridoio che terminava con una porta scorrevole, questa era socchiusa e dall’altra parte si sentivano due voci femminili.

Bucky spiò attraverso la fessura e vide Natasha e Charlie sedute davanti ad una penisola in legno, la seconda aveva dei graffi nella guancia destra ed una brutta ferita nella fronte; il giovane uomo sentì l’impulso di andare da lei ma strinse i pugni e si trattenne: non provava più nulla, si trattava solo di mera attrazione fisica.

“Che cosa faremo adesso?”

“Non ci resta che aspettare il suo risveglio”

“Credi che starà bene?”

“Sono stato peggio” intervenne lui comparendo nel salotto; Charlotte e Natasha si voltarono a guardarlo, sorprese di vedere che si fosse ripreso così in fretta.

“Come stai?” chiese la più piccola, con uno sguardo ansioso che non riuscì ad evitare.

“Ho appena detto che sto bene. Quanto tempo ho dormito? Dove mi trovo?”

“Hai dormito per un paio di ore e ci troviamo nel mio appartamento” rispose la rossa, passandosi una mano nei capelli “l’unico posto sicuro in questo momento”

“E gli altri?”

“Sono alla Base. Ci sono molti feriti di cui occuparsi”

“Perché non mi hai detto nulla di lui?” ringhiò il Soldato D’Inverno, aggredendo a parole la sua ex ragazza, che non aveva più aperto bocca “perché mi hai tenuto all’oscuro di questo?”

“Perché ti avevo già raccontato troppe cose. Come potevo sapere che Rumlow era intenzionato ad attaccare lo S.H.I.E.L.D? Non capisco come abbia fatto a sapere….”

“Ha costretto James a parlare. Me lo ha detto lui stesso. Non possiamo perdere altro tempo, dobbiamo trovarlo il prima possibile e salvare nostro figlio”

“Gli altri non saranno con noi” mormorò la spia russa con voce assonnata, perché l’adrenalina aveva abbandonato del tutto il suo corpo “Fury non vuole muovere un solo dito fino a quando lo S.H.I.E.L.D non sarà di nuovo al sicuro”

“Nat ha ragione. E Tony…” iniziò Charlie, ma poi si morse le labbra perché non sapeva come continuare la frase.

“E Tony non vuole più avere nulla a che fare con questa faccenda perché ci sono io” concluse per lei Bucky, facendo una smorfia “però dobbiamo lo stesso intervenire. Quando Rumlow mi ha colpito ha detto una cosa prima di andarsene. Mi ha detto di dire a Steve che si nasconde nel posto in cui tutto ha avuto inizio. Non so a che cosa si stesse riferendo”

“Non abbiamo notizie di Rogers da due anni. A quanto pare non c’è speranza”

“No, forse abbiamo una speranza. Io so dove si nasconde Steve. L’ho incontrato una volta perché avevo bisogno di parlare con lui, ma non so se hanno cambiato rifugio. Da quando Steven mi ha detto che dovevo andarmene perché non voleva avere più nulla a che fare con lui, non l’ho più cercato”

“Avresti potuto dirmi anche questo”

“Smettila di dirmi quello che avrei dovuto fare e quello che non avrei dovuto fare” alzò la voce la più piccola, rivolgendo per la prima volta uno sguardo duro all’uomo che amava “lo hai detto tu stesso che non c’è un solo secondo da perdere. Dopo aver trovato Jamie possiamo discutere di tutto quello che vuoi, ma adesso dobbiamo andare dal tuo migliore amico”

“Non posso uscire con questi vestiti” disse il Soldato D’Inverno, riferendosi alla canottiera ed al paio di pantaloncini che ancora indossava; Natasha si alzò dalla sedia, andò nella sua camera e tornò con dei vestiti maschili.

“Rogers ha dormito qui un paio di notti. Tengo sempre questi vestiti per sicurezza. Dovrebbero essere della tua taglia”

“Grazie” sussurrò il giovane “dove mi posso cambiare?”

“Vai pure in camera. Io scendo a preparare la macchina. Mi trovate nel garage”.

Bucky tornò a sua volta nella stanza in cui si era svegliato, si tolse la tuta da ginnastica ed indossò i jeans neri, la maglietta bianca e la giacca in pelle; allacciò con cura le scarpe da ginnastica e tornò in salotto, dove Charlie lo stava aspettando a braccia incrociate.

“Sei pronto?” gli domandò subito lei, sforzandosi di non pensare a quanto fosse attraente vestito in quel modo.

“Si, andiamo”.

I due giovani raggiunsero Nat nel garage; Charlie salì nel posto di guida della Corvette nera, Bucky occupò il posto del passeggero mentre la rossa salì dietro.

La più piccola azionò il motore della vettura, uscì dal garage ed imboccò la strada che conduceva alla periferia di New York; dopo pochi minuti si morse le labbra perché tutto quel silenzio la metteva a disagio.

“Mi dispiace se ti ho urlato contro. Non era mia intenzione. Questa situazione ci sta distruggendo tutti, ho il cervello che sta per scoppiare”

“Mi piace la tua sensibilità, cerchi sempre di usare le parole perfette. Non ho molta voglia di parlare, lasciami riposare, Bennetts” rispose il giovane uomo spostando lo sguardo in direzione del finestrino, osservando in modo distratto gli edifici che scorrevano velocemente; Brooklyn distava solo una ventina di minuti da New York ma non era pronto a tornare.

Non voleva vedere la città in cui era nato e cresciuto, si sentiva terribilmente sporco ed indegno.

Forse un giorno il momento sarebbe arrivato, ma di certo non era quello.

Charlie si chiuse in un profondo silenzio a sua volta, cercando d’ignorare il dolore che sentiva.



 
Steven, Sam, Scott e Clint erano seduti davanti al tavolo della cucina del vecchio appartamento; nessuno di loro aveva voglia di parlare perché non c’era molto da dire, le loro giornate trascorrevo sempre nello stesso modo, sempre lente e monotone.

C’erano volte in cui si erano ritrovati a pensare che forse sarebbe stato meglio costituirsi piuttosto che continuare ad essere l’ombra di ciò che erano stati una volta; le uniche due ragazze non erano presenti nella cucina: Wanda era chiusa della sua camera e Sharon riposava in quella che condivideva con Capitan America.

Aveva chiesto a Steve di farle compagnia ma lui aveva insistito per raggiungere gli altri dicendo che non desiderava lasciarli da soli; in realtà aveva solo bisogno di silenzio per pensare; nonostante fossero passati diversi giorni continuava a pensare al ragazzo che aveva incontrato, ed alla somiglianza incredibile che aveva con Bucky.

“A cosa stai pensando?” chiese Sam poco dopo, interrompendo il flusso di pensieri.

“A nulla d’importante”

“Ne sei sicuro?”

“Si, sicuro” rispose il giovane uomo, tutti sollevarono i visi all’improvviso, sentendo un grido provenire dalla camera di Wanda; il Capitano scattò per primo e corse a spalancare la porta, per vedere cosa fosse accaduto: vide la ragazza seduta in un angolo, con le mani premute contro le tempie, tremante “Wanda, Wanda, stai male?”

“Lasciami stare. Vattene via”

“Wanda…”

“Lasciami stare!” gridò una seconda volta lei, generò dai palmi delle mani dell’energia rossa che colpì Rogers in pieno petto, scagliandolo contro una parete; solo allora Wanda ritornò in sé e spalancò gli occhi nel vedere ciò che aveva appena fatto “Steven… Mi dispiace, Steve. Non volevo colpirti. Non so che cosa mi sia preso”.

La giovane nascose il viso nelle mani e prese a singhiozzare rumorosamente; Sam entrò nella stanza a sua volta ed avvisò l’amico che qualcuno aveva bussato alla porta del loro appartamento.

“Ne sei sicuro?”

“Si”

“Resta qui con lei. Me ne occupo io” ordinò il più grande; lasciò la stanza e tornò nella cucina, dove c’erano ancora Scott e Clint, che non sapevano cosa fare “restate qui anche voi”.

Steve si avvicinò alla porta d’ingresso, appoggiò la mano destra sulla maniglia e l’abbassò, era pronto ad attaccare quando si bloccò alla vista di tre persone che conosceva molto bene: una ragazza dai lunghi capelli castani, con diversi graffi nel volto, una giovane donna dalla chioma rossa ed un uomo dal viso pallido e serio.

Anche lui aveva i capelli castani, che sfioravano appena le spalle.

“Steve”

“Bucky”.

I due migliori amici si abbracciarono con trasporto, stringendosi l’uno all’altro, per timore che tutto fosse solo un sogno.

Né Bucky né Steve credevano che il loro incontro sarebbe avvenuto così presto anzi, erano sicuri che non si sarebbero mai più rivisti.

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Capitolo 43
*** Explanations ***


Quando i due migliori amici sciolsero l’abbraccio il più grande piegò le labbra in una smorfia di dolore e si portò la mano destra allo stomaco: si sentiva ancora male a causa del pugno che aveva ricevuto da Rumlow, ma non aveva tempo da perdere riposando.

Steve afferrò subito Bucky per il braccio destro, sorreggendolo, corrucciando le sopracciglia in un’espressione preoccupata.

“Buck, sei ferito? Siete tutti e tre feriti? Che cosa vi è accaduto?”

“È una lunga storia da spiegare” rispose Charlotte facendo un passo in avanti; in quel momento giunsero sia Sam dalla stanza di Wanda che Sharon da quella che divideva con il Capitano: nei loro visi si dipinse la stessa espressione contraria alla vista degli ospiti inaspettati; già sapevano che quella visita avrebbe portato solo che problemi.

Wanda entrò a sua volta nel salotto ed alla vista di Charlie le si fiondò subito addosso, abbracciandola e scoppiando a piangere, sollevata.

“Oh, finalmente vedo qualcuno di voi” gemette tra i singhiozzi “sono stanca di restare rinchiusa qui dentro”

“Ci resterai ancora per poco. Siamo venuti per chiedere il vostro aiuto”

“Venite con me” disse Rogers; condusse Charlie, Nat e Bucky nella cucina del piccolo appartamento ed indicò loro le sedie in cui potevano prendere posto, tutti gli altri rimasero in piedi, in attesa di ascoltare ciò che avevano da dire“raccontateci che cosa è accaduto. Buck, perché non ti trovi in Wakanda? T’Challa non mi ha avvisato del tuo risveglio, gli avevo chiesto di farlo quando sarebbe arrivato il momento”

“Sono stata io a chiedergli di non farlo. Bucky non è stato risvegliato perché hanno trovato una cura. T’Challa lo ha fatto a causa di quello che è accaduto. Ecco…” la ragazza si voltò a guardare il Soldato D’Inverno, poi tornò a fissare il suo migliore amico “l’Hydra ha catturato mio figlio. Nostro figlio”.

Tutti coloro che erano presenti nella stanza spalancarono gli occhi, compreso il Capitano che era il più incredulo; scosse la testa e si passò una mano sugli occhi; Sharon, invece, strinse le labbra infastidita dal fatto che altre persone avessero realizzato quello che era il suo desiderio più grande: essere madre.

“Voi due… Voi due avete un figlio? Come è accaduto?”

“Non abbiamo mai usato precauzioni. È nato due anni fa, dovrebbe essere un bambino ma dimostra diciotto anni. Non sono ancora riuscita a capire il motivo ma il DNA mio e quello di Bucky hanno creato una strana reazione quando si sono mescolati. Voleva entrare a far parte dello S.H.I.E.L.D come Agente perché io non gli ho mai nascosto nulla e c’è riuscito insieme ad altri tre ragazzi tra cui Peter Parker. Nick li ha reclutati per formare una squadra che andasse a sostituire gli Avengers ma qualcosa è andato storto e sono stati attaccati dagli uomini dell’Hydra. È stato Rumlow”

“Questo non è possibile!” esclamò il Primo Vendicatore, piuttosto confuso da quella storia incredibile “è stato ucciso a Lagos. Wanda lo ha colpito. Non può essere sopravvissuto”

“L’ho scagliato contro un edificio e questo è crollato. Nessuno riuscirebbe a cavarsela” mormorò la diretta interessata, incredula come tutti gli altri.

“Eppure è ancora vivo ed è lui ad essere a capo dell’Hydra. Ha rapito James ancora qualche settimana fa e non so quello che gli stanno facendo. Dopo che questo è accaduto sono andata in Wakanda per raccogliere informazioni. Non potevo chiedere aiuto a te, Steven, dato che l’ultima volta che ci siamo visti mi hai detto molto chiaramente che non volevi più avere nulla a che fare con me. Così ho chiesto all’unica persona che fosse informata su questo argomento”

“Non dirmi che hai chiesto l’aiuto di Zemo”

“Chi è Zemo?” intervenne Bucky.

“L’uomo che ha finto di essere il dottore. Quello che ti ha letto le parole”

“Hai chiesto aiuto a quello?” domandò una seconda volta il giovane uomo, voltandosi a guardare la ragazza che lo fissava a sua volta.

“Si, non mi rimaneva altra scelta”

“E lui che cosa ti ha risposto?”

“Che mi avrebbe aiutata, ma che voleva qualcosa in cambio”

“E che cosa ti ha chiesto?”

“Il libro rosso. Quello con la stella nera”.

A quelle parole appena sussurrate Bucky sgranò gli occhi ed afferrò Charlotte per le spalle; la strinse così forte che lei si lasciò scappare un gemito.

“Gli hai dato quel libro? Dimmi che non sei stata così stupida da darglielo. Dimmelo”

“Io non gli ho dato nulla” gridò la più piccola liberandosi dalla presa che continuava a stringerla sempre di più “e non glielo avrei dato nemmeno se mi avesse aiutata. Il nostro elicottero è stato attaccato e siamo precipitati in mare. Il pilota è rimasto ucciso dai proiettili e noi siamo stati costretti ad inoltrarci nella giungla del Wakanda. Dopo qualche giorno alcuni uomini dell’Hydra ci hanno trovati. Zemo si è sacrificato per salvarmi la vita e permettermi di scappare. Quando sono tornata da T’Challa, Bucky era già stato risvegliato”

“E che cosa è successo poi?”

“Siamo tornati a New York”

“Si, mi sono svegliato dentro alla Base dello S.H.I.E.L.D e lo stesso giorno Rumlow ci ha attaccati. Ha quasi ucciso Fury. Se siamo qui è anche perché c’è un messaggio da parte sua che ti devo riferire, Steve” intervenne il Soldato D’Inverno con uno sguardo cupo, guardando il bicchiere che aveva in mano.

“Che cosa ti ha detto di dirmi?” chiese Rogers, irrigidendosi.
“Quando gli ho chiesto dove si trovasse mio figlio mi ha detto di riferirti che si trova dove tutto ha avuto inizio per te” rispose l’altro, omettendo la seconda parte dell’intero messaggio, perché quello non era il posto giusto per riferirla.

“Quando tutto è iniziato… Quando tutto è iniziato…” il giovane dai capelli biondi si alzò dalla sedia ed iniziò a camminare per la cucina, quando comprese quale fosse quel posto si morse il labbro inferiore “il laboratorio dove mi hanno iniettato il siero, a Londra. Sicuramente si stava riferendo a quel posto”

“Quindi si trova lì?”

“Molto probabilmente si”

“Allora dobbiamo andarci subito. Non abbiamo un solo secondo da perdere” disse Barnes, provò ad alzarsi dalla sedia ma scivolò a terra, perché ancora troppo debole, il suo migliore amico lo soccorse subito, imitato da Charlotte.

“Hai bisogno di riposare. E poi non possiamo muoverci senza un mezzo di trasporto, dobbiamo pensare ad un piano d’azione. Non ti preoccupare per tuo figlio, arriveremo in tempo per salvarlo, ma se non sei in forze non riuscirai nemmeno ad uscire dalla porta di questo appartamento. Ti prego, Buck, segui il mio consiglio”

“Non voglio avere un altro peso sulla mia coscienza” sussurrò il più grande, sentendo le palpebre diventare sempre più pesanti, a causa dell’adrenalina che stava abbandonando le sue membra “non voglio avere un altro peso… Non voglio essere responsabile…”

“Non sarà così. Andiamo” Steve si passò il braccio sinistro del suo migliore amico attorno alle spalle e lo condusse nella camera che Sam, Scott e Clint dividevano; lo aiutò a sdraiarsi nella brandina che si presentava nelle condizioni migliori e gli rimboccò le coperte “un tempo eri tu a fare questo. Te lo ricordi? Quando eravamo piccoli ed i miei genitori ci davano il permesso di dormire nel salotto. Mi rimboccavi sempre le coperte. Facevamo finta di essere in campeggio nei boschi e parlavamo fino a mattina, lo facevamo a bassa voce per timore che mio padre potesse sentirci, te lo ricordi? E quando ci veniva da ridere eravamo costretti a coprirci la bocca con le mani.
Ricordi tutto questo?”

“Si, me lo ricordo. Steve…”

“Si? Dimmi, Bucky”

“Quando mi sveglierò ricordami che ti devo dire una cosa…” mormorò Bucky, ormai del tutto addormentato; il Capitano gli appoggiò velocemente una mano sulla spalla destra e poi uscì dalla stanza, chiudendo la porta piano, senza fare rumore.

“Quella è camera mia” protestò Sam incrociando le braccia “come facciamo a dormire io, Scott e Clint?”

“Credo che questo sia il minore dei problemi. Che cosa dice Fury riguardo a questa faccenda?”

“Fury non vuole intervenire per il momento” rispose Natasha, che era stata in silenzio per tutto il tempo della discussione “teme quello che Rumlow potrebbe fare con James, ma allo stesso tempo preferisce rimettere in sicurezza tutta la Base dello S.H.I.E.L.D”

“E non avete chiesto a lui?”

“Stai parlando di Tony? Credi che non abbia provato a chiedergli aiuto? Non ne vuole sapere da quando si è ritrovato faccia a faccia con Bucky”.

Il giovane uomo strinse le mani a pugno, sapeva che il momento del confronto era arrivato e sarebbe stato solo che inutile posticiparlo ulteriormente: lui e Stark dovevano parlare e chiarire quella faccenda una volta per tutte.

“Devo parlargli. Sono l’unico in grado di farlo ragionare, dovrà ascoltare le mie parole. Sarà costretto”

“E come sei intenzionato a farlo?”

“Andrò da lui, adesso”

“Steve, è troppo rischioso” gli fece notare Sam, scuotendo la testa con un’espressione sconcertata per quella scelta così impulsiva “lo sai che potrebbe decidere di arrestarti? Ti stai offrendo a lui e non ce lo possiamo permettere. Che cosa faremo se ti prenderanno?”

“So benissimo che Tony è un tipo testardo, ma so anche che è disposto ad ascoltare se una persona sa come farsi ascoltare. Lasciatemi fare almeno un tentativo. Tornerò presto. Voi, nel frattempo, riposate”

“Steve…” mormorò Sharon facendo un passo avanti; supplicò il suo fidanzato con lo sguardo ma lui aveva ormai preso la sua decisione, la salutò con un bacio e con la promessa di tornare ed uscì dall’appartamento.

Capitan America prese un profondo respiro e poi iniziò a scendere la prima rampa di scale.



 
Nella cucina calò il silenzio perché nessuno aveva voglia di parlare.

Scott Lang si passò una mano nei capelli scuri e corti, si avvicinò a Charlie ed occupò la sedia che fino a poco prima era stata del Soldato D’Inverno; lei si accorse di non essere più sola e si voltò a guardarlo con un’espressione tutt’altro che amichevole.

“Che cosa vuoi?”

“Mi sembra di avere capito che in questo momento sei libera dal punto di vista sentimentale”

“Mio figlio sta rischiando la vita e tu credi che a me importi qualcosa di cercare un uomo?”

“Scusami, volevo solo tirarti su l’umore, bellezza”

“Non chiamarmi più bellezza” lo aggredì la giovane, afferrandolo per la maglietta che indossava “o ti stacco le palle, hai capito?”

“Ho capito, ho capito” si scusò subito Ant-Man.

“Smettila di prendertela con lui” disse in quel momento l’ex Agente Tredici, a denti stretti, con le lacrime agli occhi “la colpa è solo tua, Charlie. Se sta accadendo tutto questo la colpa è solo tua”.

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Capitolo 44
*** Leave Me Alone ***


Charlotte sollevò lo sguardo dalla superficie scheggiata del tavolo della cucina, lo rivolse a Sharon ed inarcò il sopracciglio sinistro: era già abbastanza stressata senza che lei le addossasse altre colpe.

“Colpa mia? Che cosa sarebbe colpa mia?”

“Tutto quello che sta accadendo. Ci hai trascinati tu in questa situazione, perché non sei in grado di stare senza un uomo”

“Mi stai dando della puttana?” domandò la ragazza alzando la voce; Scott, a suo fianco, provò ad appoggiarle una mano sulla spalla destra per calmarla, ma lei lo scostò senza nemmeno voltarsi a guardarlo “Non ti permetto di dirmi questo. Io non sono una puttana e non volevo trascinare nessuno in questa storia. Io ho avuto una storia con Bucky perché lo amavo e lo amo ancora, non potevo sapere che sarebbe accaduto tutto questo”

“Lo amavi così tanto che sei andata a letto con Steve!” ribatté la nipote di Peggy Carter e Charlie, finalmente, capì quale fosse il vero punto della faccenda: non era tanto il fatto che fossero andati nel loro appartamento ad infastidirla, ma piuttosto le vecchie crepe del passato.

“Quando sono andata a letto con Steve non c’era nulla di confermato tra voi due. Non c’era nessuna storia e lo dimostra proprio il fatto che abbiamo fatto sesso. E poi ti devo ricordare che mi ha scaricata per te”

“Ed ha fatto bene. Si sarà reso conto di che razza di persona falsa e meschina che sei”.

Charlie si scagliò contro l’altra giovane con un urlo, le afferrò una ciocca di capelli biondi ed iniziò a tirarli con furia, urlandole contro la propria innocenza; Sharon le graffiò il viso già ferito con le unghie di entrambe le mani, rispondendo con violenza all’aggressione.

“Io non sono una persona meschina”

“Steve mi ha raccontato tutto, mi ha detto quello che hai fatto all’uomo che dici di amare. Alle bugie con cui gli hai riempito la testa. Tu non lo ami, hai solo finto perché eri terribilmente disperata. Non è così? Tu ami un altro”

“Io amavo un altro, questa è una cosa che appartiene al passato. Ora m’importa solo di mio figlio e di Bucky”

“T’importa di un uomo che non ti ama e di un figlio che non sei stata in grado di crescere”

“Adesso basta!” gridò Natasha, intervenendo per evitare che accadesse il peggio “se continuate a gridare in questo modo qualcuno ci sentirà e le cose si metteranno male per tutti noi. Lasciate i rancori da parte, non è il momento adatto per litigare”

“Ha iniziato lei” ringhiò la più piccola spingendo lontano anche l’amica, perché non era intenzionata a fingere di non aver sentito le parole dell’ex Agente Tredici; stava per attaccarla nuovamente quando una porta si spalancò e tutti si voltarono a guardare Bucky che li stava fissando a sua volta con uno sguardo seccato.

“Volete finirla di fare tutta questa confusione? Natasha ha ragione, con tutto quello che sta accadendo mi sembra davvero il momento peggiore per litigare riguardo al fatto di chi ha rubato il ragazzo a chi. Non ce ne può fregare un cazzo se Sharon era già insieme a Steve quando tu ci hai fatto sesso, d’accordo? Bennetts, smettila di fare la vittima perché questa parte non ti si addice. E tu, Sharon, non sei nessuno per attaccarla in quel modo. Steve è un uomo adulto e può decidere di fare quello che vuole”

“Ehi, non rivolgerti a lei in questo modo” intervenne a sua volta Sam, scocciato, avvicinandosi al Soldato D’Inverno “Sharon non ti ha fatto nulla. Non si stava riferendo a te, non aprire bocca riguardo a lui, capito?”

“Io non l’ho attaccata”

“Si che lo hai fatto”

“Io non l’ho attaccata” ripeté una seconda volta il più grande, appallottolando le maniche della giacca fino ai gomiti “non l’ho offesa. Ho solo detto che il mio migliore amico è un uomo adulto, che può decidere liberamente quello che vuole fare”

“Steve non è il tuo migliore amico”

“Steve è il mio migliore amico”

“Hai tentato di ucciderlo, come ti può ritenere tale? Ti devo ricordare quello che gli hai fatto a Washington? Lo sai in quali condizioni era quando sono arrivato al bacino idrico insieme ai soccorsi? Lo sai che quando lo hanno portato in ospedale ha rischiato di non sopravvivere? Lo hai colpito così forte che stava per non farcela”

“Me lo ricordo perfettamente bene, non ho bisogno che qualcuno me lo ripete sbattendomelo in faccia come stai facendo in questo momento, Sam Wilson. Questa non è una gara per essere il migliore amico di Steve, chiaro? Te lo dico in faccia: io ti detesto almeno quanto tu detesti me, ma dobbiamo collaborare. Ti chiedo solo di fare questo sforzo”

“Io non mi alleo con un rifiuto dell’Hydra”.

La risposta secca, disprezzante, di Sam fece scattare una molla nel cervello del giovane uomo: tempo prima anche la stessa Charlotte lo aveva apostrofato in quel modo e si era sentito un essere indegno di respirare e di essere ancora vivo; afferrò per la gola l’altro e lo sbatté contro il tavolo, impiegò così tanta forza che il mobile si ruppe con un suono assordante.

Nat corse a prestare soccorso a Falcon: assestò un calcio in pieno petto al Soldato D’Inverno e lo colpì anche con un pugno, in modo da fargli mollare la presa prima che potesse strangolarlo; Charlie intervenne a sua volta e scagliò del ghiaccio contro alla rossa, bloccandole il braccio destro, ma Sharon l’attaccò alle spalle, spingendola contro il pavimento.

Bucky si alzò dal pavimento, afferrò la nipote di Peggy per la maglietta e la scagliò contro una parete, Sam si riprese appena in tempo per vedere la scena e restituì il colpo al suo avversario, facendogli sbattere la testa contro il frigorifero; Clint e Scott iniziarono a gridare di smetterla di comportarsi come dei bambini, correndo a dividere coloro che stavano lottando, prima che qualcuno potesse seriamente farsi male.

Wanda Maximoff assisteva alla scena con le labbra socchiuse, annichilita, si portò le mani alla testa e poi lanciò un urlo che sovrastò tutta la confusione che si era creata.
“Basta!” gridò con tutto il fiato che aveva nei polmoni, dell’energia rossa si sprigionò dalle sue mani ed andò a colpire tutti i presenti, scagliandoli contro pareti od oggetti: Charlotte, Bucky, Natasha, Sharon, Clint, Sam e Scott caddero a terra senza più muoversi, iniziando a riprendersi solo dopo una manciata di secondi.

“La mia testa…” si lamentò Barnes, ignorando il sangue che continuava a colargli dal naso; si alzò a fatica e si diresse, barcollando, nella camera da letto.

Charlie si alzò a sua volta e lo seguì per prestargli soccorso.



 
Peter, Nicholaj e Nadja erano stati trasferiti alla Stark Tower poco prima che Rumlow attaccasse la Base dello S.H.I.E.L.D; Tony non si era dimostrato per nulla entusiasta all’idea di ospitare tre adolescenti ma sapeva che dovevano stare in un posto sicuro, ed in quel momento l’unica opzione era il suo attico.

Lui li aveva raggiunti dopo il piccolo scontro che aveva avuto con Bucky, troppo arrabbiato per continuare a dare il suo sostegno a Charlie.

La rabbia lo aveva accecato così tanto che aveva distolto il miliardario dal suo obiettivo principale: salvare James.

“Signor Stark”.

Tony sollevò il viso e guardò Peter, che aveva appena parlato.

“Che cosa vuoi, Peter?”

“Siamo stanchi di stare qui dentro!”

“Non mi sembra che questo posto sia una prigione. C’è la piscina, c’è il cinema privato e potete fare tutto quello che volete. A patto che non entrate nel mio laboratorio, ovviamente”

“Questo attico è fantastico, ma noi vogliamo salvare James” disse Nadja, stringendo le mani a pugno.

“Non se ne parla nemmeno. Avete già fatto abbastanza. Voi siete solo dei ragazzi, lasciate queste cose a noi adulti o finirete solo per creare altri guai”

“Ma non possiamo rimanere qua a guardare”

“Anche perché voi non state facendo nulla” disse a sua volta Nicholaj, affrontando Stark con uno sguardo insolente.

“Noi stiamo facendo tutto quello che possiamo fare, ma non è semplice. Stiamo parlando dell’Hydra e voi avete avuto solo un piccolo assaggio di quello che è in grado di fare. Adesso smettetela di dire sciocchezze e di disturbarmi ed andate in un’altra stanza. Ora” l’uomo parlò con tono autoritario ed ai tre ragazzi non rimase altro che seguire il suo consiglio, rimandando tutta la faccenda.

Tony si alzò dal divano e si avvicinò ad una delle pareti occupate interamente da vetri, guardò in silenzio la città di New York e si voltò solo quando sentì il proprio nome pronunciato da una voce che non sentiva da tempo, ormai.

Non aveva sentito il rumore delle porte dell’ascensore che si aprivano, di conseguenza sollevò il sopracciglio destro quando si ritrovò faccia a faccia con il Capitano Steven Rogers.

“Ahh, Capitano, che piacere vederti. Posso offrirti qualcosa da bere?”

“Tony, dobbiamo parlare”

“Si, credo anche io che abbiamo molto di cui discutere” rispose il miliardario con un sorriso sarcastico; stappò una bottiglia di whiskey e se ne versò una buona dose in un bicchiere di vetro.

Lo mandò giù in un solo sorso e si preparò mentalmente alla discussione che lo attendeva con Steven.



 
Bucky si passò la mano sinistra nel viso, pulendosi il sangue che non accennava a smettere di uscire dal naso; si voltò a guardare la porta che si era aperta con un cigolio, aspettandosi che fosse chiunque ma non Charlotte.

“Lasciami solo. Non voglio vedere nessuno”

“Non voglio parlare con te se non lo desideri, Bucky, voglio solo aiutarti. Hai il viso tutto sporco di sangue” mormorò la giovane; prese da una tasca un fazzoletto e lo avvicinò al volto del giovane uomo, ma lui le bloccò il polso con un gesto rapido.

“Che cosa non hai capito di quello che ho detto?”

“Non puoi rimanere in queste condizioni. Non essere ridicolo” insistette una seconda volta Charlie,sbuffando, riuscendo a convincere il Soldato D’Inverno a sedersi nel bordo di una delle tre brandine per farsi curare le ferite con maggiore cura.

Lei iniziò a pulirgli il sangue con cura, tenendo la mano sinistra appoggiata al suo mento.

Solo dopo aver finito con quell’operazione entrambi presero coscienza del fatto di quanto i loro visi fossero vicini, forse fin troppo vicini.

Lo sguardo della giovane andò a posarsi in automatico sulle labbra dell’uomo che amava e sentì il forte impulso di impossessarsene, per sentire di nuovo il loro gusto, la loro consistenza e la loro morbidezza; quando sollevò di nuovo gli occhi azzurri capì che lui aveva intuito tutto.

“Non baciarmi. Non ci provare” le disse infatti Barnes, allontanandosi di poco, congiungendo le dita delle mani.

“Voglio solo che tu sappia che io sarò sempre dalla tua parte. Sam ti ha attaccato solo per il gusto di farlo. Steve ti considera il suo migliore amico e non devi ripensare a quello che è accaduto quattro anno fa. Quello non eri tu, d’accordo? Non voglio che ti tormenti con questo” Charlotte allungò la mano destra e sfiorò la spalla del giovane uomo, poi risalì lungo il collo fino ad arrivare alla mascella tesa, ruvida a causa della barba “il passato non può essere cambiato, ma siamo noi che plasmiamo il nostro presente ed il nostro futuro. Sono sicura che riusciremo a trovare una cura ed il Soldato D’Inverno sarà solo un brutto ricordo. Un fantasma”

“Il passato non si può dimenticare. Tornerà sempre a tormentare e lo farà quando meno me lo aspetterò. A volte non voglio ricordare, ma allo stesso tempo non voglio dimenticare tutto un’altra volta, ma a te che cosa importa di questo? Tu sei solo interessata al sesso. Speri davvero che qualche carezza e qualche parola dolce possa farmi cambiare idea all’improvviso? Mi hanno già fatto troppe volte il lavaggio del cervello. Adesso ho davvero bisogno di essere lasciato solo” ribatté Bucky, passandosi una mano nel viso pallido e stanco per la sofferenza e per la debolezza che sentiva.

La più piccola si alzò dal bordo della brandina, esitò un momento ad uscire e poi rispettò la volontà dell’altro, lasciandolo nella solitudine che lui stesso si stava creando.
 

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Capitolo 45
*** Old Friends ***


Steven Rogers spostò il peso del proprio corpo da un piede all’altro; si guardò attorno ed osservò tutti i lussi che caratterizzavano l’attico di Tony: davanti ai suoi occhi c’era l’ennesima prova di quanto provenissero da due mondi diversi.

“Tony, dobbiamo parlare”

“Si, Capitano, questo lo hai già detto una volta. Non sono sordo. Ho sentito benissimo. Allora, di che cosa mi devi parlare? Deve essere una cosa di estrema importanza se ti ha spinto ad uscire dal tuo nascondiglio”

“Charlotte e Natasha mi hanno informato della situazione. Di quello che è accaduto alla Base e mi hanno anche parlato di James. Con loro c’era anche Bucky”

“Si, lo so, ho avuto modo d’incontrarlo di persona. il mio viso lo può testimoniare” rispose l’uomo indicando il proprio volto, per l’esattezza diversi punti che avevano iniziato a cambiare colore, diventando violacei.

“Ascolta…”

“Se vuoi davvero parlare con me e trovare un accordo lo sai che cosa devi fare”

“Non ti posso portare Bucky”

“Tu hai visto quel video? E non provare a chiedermi di che cosa sto parlando perché lo sai benissimo” disse Stark, avvicinandosi al Capitano, per affrontarlo; nel frattempo Peter, Nadja e Nicholaj erano nascosti dietro la porta scorrevole che conduceva al salotto e non si perdevano una sola parola.

“Si, l’ho visto”

“Ha preso a pugni mio padre fino a quando non lo ha ucciso ed ha strangolato mia madre. Non mi puoi chiedere di perdonarlo per quello che ha fatto”

“Era sotto il controllo dell’Hydra. Howard era nostro amico”

“Non prendermi per il culo, Rogers. Sarò soddisfatto solo il giorno in cui Barnes smetterà di respirare per mano mia”

“Quindi per te la vendetta è più importante di salvare un ragazzo innocente dalle mani dell’Hydra? È questo ciò che stai dicendo?”

“Io e Charlie siamo stati gli unici punti di riferimento nella vita di James. Per lui sono un famigliare, mi considera uno zio. Io racchiudo la figura paterna che lui non ha mai avuto a suo fianco e credimi, è stata solo una fortuna per lui che non abbia ancora incontrato il suo vero padre. Gli è stato evitato un enorme fardello”

“Io e gli altri andiamo a Londra. James si trova in un laboratorio dove mi hanno iniettato il siero negli anni quaranta. È nascosto dentro ad una vecchia libreria. Non credo che ci sia altro di cui discutere. Voglio solo dirti che mi dispiace. Forse ho sbagliato a venire da te così tardi, ho aspettato troppo tempo” mormorò il biondo guardandosi le punte dei piedi; rimase in attesa di una risposta da parte dell’altro che non arrivò, così tornò all’ascensore, schiacciò il pulsante e le porte si aprirono.

Entrò nel piccolo abitacolo e le porte si richiusero quasi subito, celando l’uno alla vista dell’altro.

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Capitolo 46
*** Last Kiss ***


Steven non si aspettava un esito diverso dalla discussione con Tony, eppure una parte di lui aveva sperato fino all’ultimo momento che il miliardario cambiasse idea, che decidesse di accantonare il rancore per aiutare tutti loro a sconfiggere definitivamente l’Hydra prima che ci fosse un’altra vittima.

Quando il Capitano rientrò nel suo appartamento accantonò subito il suo incontro con Tony, intuendo che qualcosa di più grande era accaduto durante la sua assenza.

“Che cosa è accaduto?” domandò allora, intuendo già qualcosa, naturalmente la risposta non tardò ad arrivare.

“Ha tentato di strangolarmi. Ha insultato Sharon, io gli ho detto che non doveva permettersi di parlare di lei in quel modo e mi ha afferrato per la gola. Gli altri sono intervenuti per difendermi ed adesso si è chiuso in camera insieme a Charlie. Spero che non uscirà per diverso tempo perché non credo che risponderò delle mie azioni”

“È la verità?” chiese Steve, guardando la sua ragazza.

“Mi ha scagliata contro una parete. Wanda è dovuta intervenire per evitare che tutto degenerasse. Anche Charlotte mi ha aggredita e lo ha fatto volontariamente”

“D’accordo, andrò a parlare con loro”.

Il giovane uomo andò in direzione delle camere da letto, quando vide l’amica uscire le fece cenno di rientrare perché aveva bisogno di parlare con lei e Bucky in privato.

“Hai fatto presto” commentò il più grande, dato che l’altro era stato via appena un’ora e mezza.

“Si. Potete spiegarmi che cosa è successo mentre ero via? Mi hanno appena raccontato che voi due siete impazziti ed avete aggredito tutti”

“Che cosa? Ti hanno raccontato davvero questo?” strillò quasi Charlie, indignata che tutta la faccenda fosse stata rigirata in modo da dare la colpa a loro “no, no, no! Io e Bucky non abbiamo fatto nulla di questo. Sharon si è scagliata contro di me, ha iniziato ad insultarmi dicendomi che tutto quello che sta accadendo è solo colpa mia”

“Io sono solo uscito dalla camera perché non riuscivo a riposare con tutta la confusione che stavano facendo. Sam mi ha attaccato ed io ho perso la testa. Mi dispiace”.

Rogers si passò una mano sul viso e chiese alla ragazza se potesse rimanere per qualche momento da solo con il suo migliore amico, lei annuì con il capo ed uscì richiudendo la porta alle proprie spalle.

“Tu non hai nulla di cui scusarti. Dopo parlerò con Sam”

“No, ha detto solo cose vere” ribatté il Soldato D’Inverno, rivolgendo lo sguardo in un punto lontano “ha detto che ti ho quasi ucciso a Washington e questo è vero. Ha detto che sono solo un rifiuto dell’Hydra ed anche questo è vero”

“Beh, queste sono cose che pensa Sam perché non mi hanno sfiorato la mente nemmeno per un solo momento. Ascolta, so che stai passando un brutto momento. Hai appena scoperto di essere padre, James è stato preso da Rumlow ed anche la vicinanza con Charlotte non è una cosa semplice da sopportare, ma d’ora in poi cerca d’ignorare quello che Sam o gli altri ti diranno. So che non sei stato tu il primo ad iniziare”

“In verità, sono stato proprio io il primo ad afferrarlo per la gola”

“Ma dopo essere stato provocato. Che cosa dovevi dirmi prima? O preferisci riposare ancora un po’?”

“Ho dormito per due anni, forse posso aspettare altro tempo prima di concedermi un riposino, non credi?” disse il più grande tornando a fissare l’amico “prima non ti ho riferito l’intero messaggio da parte di Rumlow. Mi ha detto di dirti di venire anche tu con me, se ne hai le palle. Che voi due avete ancora un conto in sospeso da chiudere”

“Immaginavo che ti avesse detto qualcosa di simile”

“Steve, non devi venire con me”

“Devo ricordarti ancora una volta la promessa che ci siamo scambiati settant’anni fa? Ricordi quando me l’hai detta per la prima volta? Eravamo appena tornati a casa dal funerale di mia madre. Mi hai detto che non dovevo superare quel dolore da solo. Io, adesso, non voglio che tu affronti questo da solo. Insieme fino alla fine significa insieme fino alla fine” sussurrò il Capitano dando una pacca sulla schiena di Bucky; uscirono dalla camera ed andarono in salotto, dove erano radunati tutti gli altri, perché c’era molto di cui discutere “come ho appena detto a Buck, so che questa situazione è difficile per tutti quanti ma dobbiamo collaborare se vogliamo fermare l’Hydra. Non m’interessa sapere chi ha iniziato per primo e chi ha mollato il primo pugno. Non siamo bambini di cinque anni, siamo tutte persone adulte”

“Dici questo solo perché riguarda lui”

“Sam, per favore!”

“Sei riuscito a parlare con Stark?” intervenne Natasha, per distogliere l’attenzione da quell’argomento, per non dare inizio ad un secondo litigio “che cosa ti ha detto?”

“Si, sono riuscito a parlare con lui e non è intenzionato a darci il suo aiuto”

“Tipico di lui. Non cambierà mai” rispose Charlie scuotendo la chioma castana, serrando le labbra, era delusa dal comportamento dell’uomo, soprattutto dopo lo stretto rapporto che diceva di avere con Jamie; poteva capire il fatto che non fosse ancora pronto a perdonare Bucky, ma un simile comportamento non aveva scusanti “che cosa facciamo adesso?”

“Credevo che Tony ci offrisse il suo aiuto, in quel modo sarebbe stato più semplice spostarci. L’unico modo per andare a Londra è quello di procurarci dei documenti falsi nel minor tempo possibile e di prendere dei voli differenti per non creare sospetti. Qui dentro siamo tutti ricercati tranne Charlotte e Natasha”

“Conosco una persona che potrebbe procurarci dei documenti senza la minima difficoltà. È un mio amico e sono sicuro che se lo contatto subito entro domani mattina avremo tutto” si offrì Scott, lieto che il suo trascorso da criminale potesse tornare utile per una buona causa; Rogers annuì con il capo, lieto di quell’aiuto prezioso ed inaspettato.

“Una volta arrivati a Londra alloggeremo in posti differenti e ci ritroveremo davanti alla libreria. Anche se Rumlow ci vuole tutti là non possiamo rischiare di essere riconosciuti da qualcuno, magari da dei poliziotti”

Non possiamo? Stai dicendo che andremo tutti a Londra?”

“No, non tutti. Sharon rimarrà qui a monitorare la situazione a distanza, ma tutti gli altri mi seguiranno a Londra. Non possiamo essere solo io, Buck e Charlie”

“Non avremo nessuna speranza in tre” mormorò Barnes incrociando le braccia, appoggiandosi con la schiena al muro “e non ho tempo da perdere per cercare di convincere voi tutti a seguirci. Quindi: volete aiutare Steve o no?”

“Io lo faccio solo per Steven” rispose Falcon, rivolgendo uno sguardo duro all’altro.

“Non mi aspettavo di certo che lo facessi per me” disse in un soffio il più grande, irrigidendo i muscoli della mascella.



 
Steven Rogers trovò Sharon nella loro camera da letto: lo stava aspettando perché aveva molto di cui discutere con lui e lo desiderava fare ora che tutti gli altri stavano dormendo, o almeno così credeva.

“Perché vuoi andare a Londra con loro? Tu non c’entri nulla in questa faccenda” gli sussurrò, usando quasi le stesse parole di Bucky, cercando di farlo desistere, ma il giovane uomo era testardo almeno quanto lo era Tony.

“Il mio migliore amico è in difficoltà, ha bisogno del mio aiuto. Non posso far finta di nulla. Ci siamo scambiati una promessa quando eravamo solo due ragazzi di Brooklyn”

“Ha tentato di ucciderti”

“Volete smetterla di ripetermi tutti le stesse parole? Non fate altro che dire questo: ha tentato di ucciderti, ha tentato di ucciderti… Sharon, almeno tu cerca di capire come stanno le cose. Bucky non mi vuole uccidere, quando ha provato a farlo è stato solo perché era sotto il controllo dell’Hydra. Gli hanno fatto il lavaggio del cervello e se gli vengono dette delle determinate parole lui torna ad essere il soldato D’Inverno”

“E che cosa vuoi fare? Continuare a rischiare? Aspettare che arrivi il giorno in cui ti ucciderà davvero perché qualcuno avrà pronunciato quelle parole?”

“Bucky non mi ucciderà mai. Sono riuscito a fermarlo una volta”

“Lo stai facendo per lui o per Charlotte?” la giovane donna trovò finalmente il coraggio di domandare ciò che la tormentava, si morse il labbro inferiore e sollevò gli occhi, fino ad incrociare quelli del suo fidanzato “rispondimi”

“Credi che io sia innamorato di lei?”

“Non lo so”

“Sharon, ascolta…” mormorò il Primo Vendicatore, si avvicinò all’ex Agente Tredici e le prese le mani, stringendole con delicatezza “io non ho mai avuto una ragazza. La prima di cui mi sono innamorato è stata tua zia. Poi è arrivata Charlie. Adesso per me ci sei solo tu. Sei stata la mia prima fidanzata e voglio che tu rimanga tale”

“Steve…”

“Aspetta un momento” il giovane uomo la lasciò andare, si avvicinò ad una piccola radiolina appoggiata sopra ad un mobile e l’accese, subito una musica lenta riempì l’aria della stanza “prendi la mia mano”

“Vuoi ballare?”

“Settant’anni fa ho promesso a Peggy un ballo che non sono mai riuscito a fare. Non voglio commettere lo stesso errore anche con te. Non lo voglio fare una seconda volta” sussurrò Capitan America, stringendo a sé la bionda, lasciandosi cullare dal ritmo dolce della canzone.



 
Cerchi riparo fraterno conforto
Tendi le braccia allo specchio
Ti muovi a stento e con sguardo severo
Biascichi un malinconico Modugno

 
Di quei violini suonati dal vento
L’ultimo bacio mia dolce bambina
Brucia sul viso come gocce di limone
L’eroico coraggio di un feroce addio
Ma sono lacrime mentre piove piove
Mentre piove piove
Mentre piove piove

 
Magica quiete velata indulgenza
Dopo l’ingrata tempesta
Riprendi fiato e con intenso trasporto
Celebri un mite ed insolito risveglio

 
Mille violini suonati dal vento
L’ultimo abbraccio mia amata bambina
Nel tenue ricordo di una pioggia d’argento
Il senso spietato di un non ritorno

 
Di quei violini suonati dal vento
L’ultimo bacio mia dolce bambina
Brucia sul viso come gocce di limone
L’eroico coraggio di un feroce addio
Ma sono lacrime mentre piove piove
Mentre piove piove
Mentre piove piove*



 
Delle lacrime scesero dagli occhi di Sharon e si mischiarono a quelle silenziose che stava versando Steven.

“Ti amo, Capitano”

“Ti amo, Agente”

“Facciamo l’amore, ti prego” lo supplicò la più piccola con un singhiozzo; voleva essere posseduta dall’uomo di cui era innamorata da anni, voleva scacciare la paura per l’imminente separazione e lo stupido peso che quella canzone aveva fatto scendere sul suo cuore.



 
Bucky era uscito nell’unica terrazza che aveva l’appartamento, non era prudente restare là fuori ma aveva bisogno di respirare aria fresca, di sentire il vento che gli passava tra i lunghi capelli.

Di sentire qualcosa che gli ricordasse di essere ancora vivo.

Charlie lo raggiunse in silenzio e si mise a contemplare il paesaggio sempre senza dire una sola parola.

“L’ultima volta che siamo usciti in una terrazza era la notte di Capodanno di due anni fa. Abbiamo guardato i fuochi d’artificio e poi tu mi hai fatto due regali. Mi hai donato il quaderno con la stella nera dicendomi che ti rimettevi completamente nelle mie mani. Poi mi hai donato questa” la ragazza gli mostrò la collana con il ciondolo a forma di stella rossa “hai detto che forse non era la scelta migliore ma che mi avrebbe fatto pensare subito a te”

“Hai una memoria incredibile”

“Indosso la collana ogni giorno. Tu non hai idea di come hai condizionato la vita in questi due anni, per me è perfino quasi impossibile indossare un abito rosso perché penso subito a te”

“Adesso sei troppo drammatica. La giornata di domani e le prossime saranno già abbastanza difficili senza che tu complichi il tutto con le tue frasi da film drammatico e strappalacrime”

“Bucky, non sappiamo quello che ci accadrà. Non voglio che tra noi due le cose continuino ad andare in questo modo. Mi manchi, mi manchi terribilmente. Io ti amo”

“Tu non mi ami” rispose il giovane uomo con un sorriso tirato “abbiamo già affrontato questo argomento alla Base e già lì ti ho dato la mia risposta. Io non ti amo, Bennetts, faresti meglio a mettertelo in testa”

“Se non mi ami perché hai scagliato Sharon contro una parete quando mi ha attaccata?”

“Per il semplice motivo che resti la madre di nostro figlio. Non c’è una seconda spiegazione”.

La giovane si strinse di più nella leggera giacca che indossava, non aveva freddo, era semplicemente agitata e quasi sull’orlo di una crisi di pianto.

“Ho sbagliato a non parlarti dell’uomo che amavo un tempo ma per favore, non puoi continuare a farmi pesare questa cosa. Io ti ho perdonato il fatto che hai provato ad uccidermi più di una volta. Possiamo ancora ricominciare tutto da capo, non ci credo che mi hai dimenticata. Non voglio credere che per te non sono stati nulla i tre mesi che abbiamo passato insieme. Mi manca sentire la tua voce che mi dice ‘piccola’, mi manca tutto. Ti prego, Bucky, non essere crudele con me. E se è vero che non provi più nulla almeno dimmelo guardandomi in faccia. Voglio vedere i tuoi occhi”.

Il Soldato D’inverno l’accontentò e si voltò a guardarla negli occhi mentre dava la sua risposta.

“Io non ti amo. Non provo nulla per te, è stata solo attrazione fisica. Puoi gettare via quella collana perché non significa assolutamente nulla. È solo metallo ed argento”.
La mano destra di Charlotte non tardò a schiantarsi contro il viso di Barnes, colpendolo due volte; lui non disse nulla e la ragazza rientrò nell’appartamento, scoppiando in un pianto irrefrenabile.

Incontrò Natasha nel salotto e corse ad abbracciarla, singhiozzando disperatamente.



 
Un’ora più tardi Bucky era ancora in terrazza.

Steve lo trovò intento ad osservare il cielo quando lo raggiunse.

“Ti credevo in compagnia di Sharon”

“Si è appena addormentata. Ho sentito Charlotte piangere, che cosa è successo? Avete litigato?”

“Abbiamo solo chiarito alcune cose. tutto qua. Preferisco non parlarne”

“Sai…” disse il più piccolo dopo una breve pausa “ho visto tuo figlio una volta. Ti assomiglia tantissimo”

“Si, lo so. Ho visto una sua foto”

“Andrà tutto bene. Non lo dico solo per tranquillizzarti, Buck, andrà tutto bene” disse Rogers con un sorriso e riuscì a far sorridere anche il suo migliore amico, nonostante tutto.



*L'Ultimo Bacio, Carmen Consoli



N.D.A: Sabato prossimo ci sarà l'epilogo. E dal momento che non sono una cattiva persona pubblicherò TRE capitoli anziché i soliti due. Non voglio mettervi ansia, ma aspettatevi qualunque cosa...

 

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Capitolo 47
*** London ***


Peter, Nicholaj e Nadja avevano progettato un piano di fuga dopo aver origliato la discussione tra Steve e Tony: non erano intenzionati a rimanere un solo momento in più nella Stark Tower sapendo che il loro amico rischiava la vita in ogni istante; erano intenzionati a trovare un modo per arrivare a Londra e scoprire quale fosse la vecchia libreria di cui il Capitano aveva parlato.

Quando le lancette dell’orologio di Parker segnarono la mezzanotte, tutti e tre scesero nel garage e si avvicinarono all’Audi R8 del miliardario.

“Chi guida?” domandò la ragazza, dato che nessuno di loro aveva la patente.

“Lo faccio io” rispose Nicholaj, aprendo la portiera e sedendosi nel posto del guidatore; gli altri due giovani non ebbero il tempo di entrare nella macchina che le luci dell’enorme garage si accesero all’improvviso, rivelando la figura di Tony Stark, a braccia incrociate e con le sopracciglia aggrottate in un’espressione seria, contrariata.

“Dove avete intenzione di andare? Aspettate, lasciatemi indovinare… Avete sentito tutto quello che io e Rogers ci siamo detti ed adesso volete giocare a fare i piccoli eroi, vero? Correggetemi se sto sbagliando”

“Tu non hai intenzione di intervenire” disse Nadja, per nulla intimorita dall’uomo “e noi siamo stanchi di questo”

“Oh, si, certo. Andate pure. Ho solo una domanda: una volta a Londra, se riuscite ad arrivarci, come pensate di trovare la libreria? E come pensate di sconfiggere l’uomo che  vi ha quasi ucciso ed ha rapito James? Ve lo siete già dimenticati?”

“Non ce lo siamo dimenticati, ma siamo pronti a rischiare la nostra vita per salvarlo”

“Tu sei innamorata, ecco perché parli in questo modo” rispose Stark, con un ghigno, di fronte a quella che era una ragazzina alla sua prima cotta adolescenziale; lo sguardo della giovane non si staccò mai dagli occhi scuri dell’altro, ma le sue guance cambiarono velocemente colore, in una muta conferma.

“Noi ce ne andiamo”

“Voi non andate da nessuna parte. Se provate ad uscire dal garage ci sono le mie armature pronte a fermarmi. Ho garantito a Fury che mi sarei occupato di voi e così farò”

“Perché non ci vuoi aiutare?” gridò Nicholaj, uscì dalla macchina e sbatté con forza la portiera, sfogando tutta la sua rabbia; anche se lui e James avevano avuto diversi scontri e litigi non voleva vedere il suo corpo privo di vita, sfigurato dalle torture.

Lui per primo sapeva ciò che l’Hydra era in grado di fare.

“Siete solo dei ragazzi. Andate in camera vostra, non vi devo alcuna spiegazione”

“Signor Stark” intervenne Peter, prendendo parola per la prima volta “ho capito che il padre di James le ha fatto un torto, ma qui non si tratta di lui. Si tratta della vita del nostro amico”

“Lui non mi ha fatto un torto, ha ucciso i miei genitori. La faccenda è ben diversa”.

Stark voltò le spalle al piccolo gruppo, facendo capire che la discussione per lui era finita; ai tre ragazzi non rimase altro che ritornare all’attico.

“La credevo diversa” mormorò Parker, scuotendo la testa; Tony non rispose ma quando rimase da solo il suo sguardo andò in automatico alla moto che aveva regalato a Jamie, al ragazzo che considerava come il figlio che non aveva mai avuto.

Si avvicinò al mezzo a due ruote e sfiorò il telo che lo copriva.



 
L’amico di Scott mantenne la parola e procurò per tutti dei documenti falsi in pochissimo tempo, senza volere nulla in cambio dato che era un favore da fratello a fratello.
“Ci divideremo in coppie. Non possiamo partire tutti con lo stesso volo o rischieremo di attirare troppa attenzione. Fingeremo di essere una coppia di amici, un fratello ed una sorella o due giovani fidanzati che stanno andando a fare un viaggio a Londra. Una volta arrivati là cercate un posto economico dove alloggiare. A mezzanotte ci troveremo davanti alla libreria. Non è difficile da riconoscere” Steve spiegò agli altri in modo accurato il posto in cui si trovava il negozio, in modo che nessuno si sbagliasse, poi porse il primo biglietto a Bucky “tu devi essere il primo a partire”

“Verrai tu con me?”

“No, ci riconoscerebbero subito insieme”

“Io non vado con lui” disse subito Sam, che non ci teneva a trascorrere diverse ore di volo in compagnia del Soldato D’Inverno, lo stesso che il giorno prima lo aveva afferrato per il collo e che gli aveva rotto un’ala meccanica del suo jet pack.

“Mi offro io volontaria” si propose Natasha, aggrappandosi al braccio sinistro di Bucky, sorridendo apertamente “andrò io con lui. Poi partiranno Rogers e Charlie. Poi Clint e Wanda, ed infine Scott e Sam. Credo che andranno bene come coppie”

“Perfetto. Buon viaggio, allora. Ci vediamo a Londra” mormorò il Capitano, un po’ perplesso perché non capiva quel comportamento della giovane donna; lei andò ad abbracciare Charlie e le sussurrò qualche parola all’orecchio destro.

“Sarebbe stato troppo doloroso per te fare il viaggio in sua compagnia. E poi tu e Steve avete molto di cui parlare”

“Grazie, Nat”.

La spia le rivolse un sorriso dolce, poi si avvicinò a Clint e gli strinse appena la mano destra; uscì dall’appartamento insieme al Soldato D’Inverno, portando con loro delle valigie piene di vestiti ed uno zaino, in modo da non creare sospetti.

La giovane coppia fermò un taxi e dissero all’autista di condurli all’aeroporto di New York, una volta arrivati lì andarono subito a fare il check-in.

“Cerca di stare calmo. Se sei agitato lo noteranno” sussurrò Natasha, masticando con noncuranza una gomma alla fragola, il suo gusto preferito.

“Ti sembro agitato?” le chiese Barnes di rimando, sistemandosi il cappello a visiera che indossava “che cosa stai facendo?”

“Siamo una giovane coppia di fidanzati, no? Ed i fidanzati che cosa fanno? Si coccolano”

“Io non ho voglia di coccole”

“Una volta l’ho fatto con Rogers. Quando ci siamo baciati è rimasto immobile come una statua, sembrava essere diventato di pietra”

“Siete stati insieme?”

“Oh, no, era solo una copertura” rispose la giovane donna ridendo allegramente, si voltò all’improvviso verso Bucky, gli afferrò il viso tra le mani e lo baciò; lui la scostò quasi con rabbia, arrossendo violentemente.

“Che diavolo fai?”

“Fa solo parte della copertura. Stai calmo”.

Arrivò il loro turno di passare sotto il metal detector; il giovane uomo compì quell’azione senza pensarci, spalancò gli occhi quando sentì l’allarme iniziare a suonare, ricordandosi della protesi in vibranio.

Gli Agenti che si occupavano di quella zona dell’aeroporto gli ordinarono subito di togliersi la giacca e la maglietta, per controllare che non avesse armi addosso; lui era già pronto ad attaccare quando Nat prese in mano la situazione, prima che potesse degenerare.

“Signorina, si sposti, c’impedisce di fare il nostro dovere”

“Lo so, Agente, ma non ha nulla di cui preoccuparsi. Il mio ragazzo non è pericoloso. Un anno fa ha subito una brutta operazione al braccio in seguito ad un incidente. Gli hanno trapiantato delle placche di metallo nelle braccia e nelle gambe. La prego” la rossa parlò con tono suadente, sensuale, riuscendo a convincere l’uomo che quello che stava dicendo era la pura verità; vennero lasciati passare ma Bucky tirò un sospiro di sollievo solo quando l’aereo partì.

Si appoggiò con la testa allo schienale del sedile e chiuse gli occhi per un momento, cercando di non pensare al pericolo che avevano sfiorato; quando sollevò di nuovo le palpebre notò che la sua compagnia di viaggio lo stava fissando con una certa insistenza.

Era incredibile il modo in cui continuasse ad essere terribilmente affascinante anche con un semplice paio di jeans ed una felpa a strisce, ma il Soldato D’Inverno era del tutto indifferente a quella bellezza conturbante, che avrebbe fatto capitolare chiunque altro.

“Perché mi stai guardando?”

“Sei arrossito quando ti ho baciato”

“Non avresti dovuto baciarmi. Mi ha dato fastidio”

“Hai pensato a Charlie?”

“No, io…. Ahh, ho capito quello che stai facendo” rispose Bucky con un mezzo sorriso tirato “ecco perché hai insistito a venire con me. Tu mi vuoi riavvicinare a lei”

“Voglio solo capire il motivo del vostro allontanamento”

“Vuoi sapere perché due anni fa ho tentato di ucciderla? Ho già detto che mi dispiace per quello che ho fatto. Ho perso la testa e non ho più capito nulla. Ho lasciato che…”

“Hai lasciato che lui prendesse il sopravvento” mormorò la spia, riferendosi al Soldato D’Inverno; Barnes si passò la mano sinistra, coperta da un guanto, sul collo “ma non hai risposto alla mia domanda”

“Lei ama un altro uomo. Mi ha preso in giro per tutto il tempo”

“Conosco Charlotte da dieci anni e ti posso assicurare che so meglio di chiunque altro quando mente o quando dice la verità. L’ho osservata molto in questi due anni e ti posso assicurare che ti ama. So riconoscere una persona quando soffre per amore ed è il suo caso. In passato è stata con altri uomini, ma nessuno è stato importante come lo sei tu ora. E sono sicura…” Nat appoggiò l’indice destro all’altezza del cuore dell’altro “che anche tu provi lo stesso. Ma sei così diffidente che hai paura di fidarti di qualcuno”

“Parli così bene perché sei innamorata? Ti ho vista nell’appartamento con…”

“Clint? No, Clint è solo un amico. Mi ha salvato la vita”

“Ami qualcun altro?”.

La tasca della felpa dell’Agente Romanoff vibrò improvvisamente, lei prese in mano il cellulare per vedere chi le avesse scritto; corrucciò le sopracciglia vedendo un numero che non conosceva, aprì il messaggio e deglutì a vuoto leggendo le parole.



 
‘Abbiamo molto da discutere dopo quello che è accaduto all’aeroporto. Due anni fa. Devi solo rispondere con un semplice parola. Se dici ‘si’ c’è un aereo pronto a prenderti. Se dici ‘no’ non riceverai mai più un messaggio da parte mia. T’Challa’.



 
Il cuore di Natasha prese a battere con forza, molto più velocemente del normale, il Soldato D’Inverno notò il turbamento nel suo volto e s’affrettò a chiederle che cosa non andasse.

“Nulla” sussurrò la giovane, riponendo in tasca velocemente l’apparecchio tecnologico, ma il più grande era riuscito a leggere le poche righe.

“Sei sicura?”

“Si, non voglio parlare di questo” disse in modo secco la spia, sconcertata dal modo in cui aveva perso il controllo ripensando al Re del Wakanda, al momento in cui avevano parlato di Bucky.

In quell’occasione, a Vienna, una donna che lavorava nel suo entourage era stata poco cortese con lei, ma T’Challa l’aveva subito rimessa al suo posto.

E poi non aveva riferito a nessuno il ruolo che aveva avuto nella fuga di Steve insieme al suo migliore amico ed a Charlie.

Già d’allora avrebbe dovuto capire tante cose che, invece, erano sempre sfuggite ai suoi occhi.

Dopo numerose ore di viaggio l’aereo atterrò nella capitale inglese; i due presero i propri bagagli all’aeroporto e si diressero al primo motel che incontrarono nel loro cammino.

La più piccola domandò se ci fosse una camera matrimoniale ancora libera e ringraziò quando le venne data una chiave.

“Perché hai domandato una camera con letto matrimoniale?”

“Siamo fidanzati, non te lo ricordi?”

“Adesso non c’è nessuno che ci può riconoscere”

“È sempre meglio fingere fino alla fine. Ti da fastidio dividere lo stesso letto?”

“Non mi suscita alcuna reazione”.

Natasha e Bucky entrarono nella piccola stanza arredata con gusto; la rossa prese qualcosa da dentro la sua valigia e si chiuse in bagno.

Barnes si lasciò cadere nel bordo del letto, si tolse i guanti e si passò la mano destra negli occhi con un gesto stanco; si sentiva già terribilmente spossato ancora prima che tutto avesse inizio, in realtà non credeva di potercela fare.

Sollevò gli occhi quando sentì la porta del bagno riaprirsi e vide Nat con addosso una semplice maglietta ed un paio di pantaloncini.

“Beh? Che cosa ti aspettavi? Di vedermi con addosso qualcosa di provocante?”

“Si”

“Dovremo riposare” propose la più piccola sdraiandosi nel letto matrimoniale, “mancano diverse ore al momento dell’appuntamento. Non sarebbe saggio arrivare stanchi alla libreria, non credi?”

“Non ho sonno”

“Ne sei sicuro?”

“Si”

“Faresti meglio a seguire il mio consiglio” ripeté la spia scrollando le spalle, s’infilò sotto il lenzuolo candido e voltò le spalle a Barnes, in modo che lui vedesse solo la chioma rossa che si riversava nel cuscino; il più grande si guardò per qualche istante le mani, lanciò un lungo sospiro e poi si sdraiò a sua volta, chiudendo gli occhi.

Scivolò in un fastidioso dormiveglia, in cui i volti di Steve, Charlie e James continuavano ad affollare la sua mente.



 
Charlotte e Steven presero un aereo due ore e mezza dopo quello di Natasha e Bucky; occuparono due posti vicini e la ragazza si mise a guardare fuori dal finestrino.

Era grata all’amica che le avesse offerto quella possibilità di parlare con il suo migliore amico, ma allo stesso tempo non sapeva come iniziare il discorso.

“Steven, mi dispiace per tutto quello che è successo. Voglio che tu lo sappia”

“Perché non mi hai mai detto nulla di Loki?” domandò lui, voltandosi.

“Come potevo dirtelo? Temevo che mi giudicassi…”

“E Tony? Come faceva a saperlo?”

“Lo ha scoperto da solo, io non gli ho detto nulla. Mi dispiace, Steve, non so più in che modo dirtelo. Non ti ho detto nulla di lui perché pensavo fosse la cosa più giusta da fare. Voglio solo che tu sappia che non ho mai usato Bucky, ma non so in che modo farglielo capire”

“Lo so, lo so…” mormorò il più grande stringendole la mano destra, un gesto che Charlie aspettava da troppo tempo.

Lei rimase in silenzio per un po’, poi si morse le labbra e richiamò l’attenzione del Capitano.

“Steve, ricordi quella volta a Washington? Quando l’Helicarrier è precipitato?”

“Si”

“Non sono io che ti ho salvato la vita. Avevo perso i sensi anche io”.

Rogers guardò la giovane negli occhi a lungo, senza dire una parola, stringendole con più forza la mano.

“Charlie, c’è una cosa che devi fare per me. E devi ascoltare attentamente quello che sto per dirti”.

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Capitolo 48
*** Fuck You, Rogers ***


Dopo tre ore di incubi interminabili Bucky venne svegliato dalla voce dolce e dal profumo fruttato di Natasha, che sussurrava a pochi centimetri dal suo orecchio destro.

“Svegliati, bel fusto, è ora di vestirsi. Dobbiamo cercare la libreria”.

Il giovane uomo aprì gli occhi a fatica e si lasciò scappare un verso simile ad un grugnito; nel frattempo Natasha si era alzata dal letto ed aveva preso qualcosa dalla sua valigia, lanciandolo addosso all’altro.

“Che cos’è?”

“La tua uniforme. Non mi dire che credevi di prepararti allo scontro con una maglietta ed un paio di jeans, vero?” domandò la rossa con un sorriso irriverente, prese una tuta nera e si chiuse nel bagno per potersi cambiare lontano da occhi indiscreti; il Soldato D’Inverno guardò i vestiti che aveva in mano e si rese conto che erano simili a quelli che Sharon gli aveva procurato due anni prima, in Germania.

Si tolse quelli che indossava, sostituendoli con un paio di pantaloni scuri, dei stivali, una canottiera ed una giacca sprovveduta della manica sinistra.

L’Agente Romanoff uscì dal bagno poco dopo, con addosso la sua tuta da Vedova Nera, guardò per un momento il suo compagno di viaggio e poi gli porse due pistole.

“Non ho bisogno di quelle”

“So che hai un braccio di vibranio, ma possono sempre tornare utili”

“Grazie, ma in questo momento sono preoccupato da altro”

“E che cosa turba la tua tranquillità?”

“Tralasciando il fatto che non so se gli altri sono arrivati e se mio figlio è ancora vivo? Come facciamo a raggiungere la libreria vestiti in questo modo? Non credi che siamo un po’ troppo vistosi?”

“Calma, bel fusto, ho pensato anche a questo” la più piccola prese due impermeabili che aveva portato per risolvere quel problema, porse quello maschile a Bucky ed indossò subito il suo, di color crema e con una serie di bottoni che scendevano fino all’altezza dei fianchi.

“A te non sfugge mai nulla, vero?”

“Non ti fidi di me?”

“Io non mi fido di nessuno. Andiamo adesso, non voglio arrivare in ritardo” borbottò Barnes, sistemandosi il collo del cappotto; la giovane coppia uscì dalla propria camera e dal motel, percorrendo quella che era una stradina deserta, dove incontrarono solo un piccolo gruppo di ragazzi, troppo impegnati a ridere ed a parlare per badare a loro.

Il Soldato D’Inverno continuava a guardarsi attorno, diffidente, temeva che qualche scagnozzo di Rumlow potesse spuntare fuori da un momento all’altro e temeva anche di non trovare il vecchio negozio; Nat notò ancora una volta quel profondo disagio, che contrastava con la natura dell’assassino nascosto in lui.

“Rilassati. Essere nervosi non fa altro che peggiorare le cose”

“Scusami, ma non riesco ad evitare di esserlo. Se lui fosse in pericolo come James come ti sentiresti?”

“Lui?”

“T’Challa”

“Non c’è nulla tra noi due. Non capisco il significato delle tue parole”

“Ho visto il messaggio che ti ha mandato, credevo che ci fosse qualcosa tra te e lui”

“Non hai capito nulla” rispose la più piccola seccata, senza avere più voglia di parlare, perché la infastidiva sempre quando qualcuno riusciva a fare una piccola breccia nella barriera che si era creata nel corso degli anni “siamo arrivati”.

Alle parole della rossa si fermarono entrambi davanti alla porta di un vecchio negozio, non si poteva vedere dentro a causa della polvere che ricopriva le finestre, Bucky provò a pulirne uno ma dentro era così buio da rendere impossibile distinguere anche il più piccolo particolare.

“Che cosa facciamo?”

“Aspettiamo gli altri, ormai dovrebbero arrivare”.

I minuti trascorsero lentamente, tra il nervosismo del giovane uomo che cresceva sempre di più, poi infondo alla strada apparvero Steve e Charlotte, che indossavano a loro volta dei lunghi cappotti; il Capitano era un po’ in difficoltà a camminare a causa dell’ingombrante scudo che era costretto a nascondere.

“Perché ci hai messo così tanto?”

“Bucky, abbiamo cercato di fare il prima possibile. Abbiamo preso voli diversi, perché mi devi sempre attaccare? Ti sembra il momento opportuno?” rispose Charlie, ferita di essere sempre aggredita dall’uomo che amava.

“State calmi, aspettiamo gli altri” intervenne Steve, che indossava un auricolare da cui era in collegamento con Sharon, a New York.

Dopo poco tempo arrivarono anche Clint, Wanda, Sam e Scott; il piccolo gruppo entrò con circospezione nella piccola libreria ed ognuno si tolse il cappotto che indossava, divenuto ormai ingombrante.

Si guardarono attorno alla ricerca di qualcosa che nascondesse un pericolo, ma non c’era nulla e nessuno.

Rogers si avvicinò ad uno scaffale situato dall’altra parte della stanza, lo spostò senza la minima difficoltà e rivelò l’esistenza di quello che era un ascensore; un meccanismo di sicurezza simile a quello utilizzato per la nuova Base dello S.H.I.E.L.D; anche se in quel caso non aveva aiutato ad evitare un attacco da parte di Rumlow e dei suoi uomini.

“Bene. Chi va per primo?”

“Io” rispose prontamente Barnes.

“Ed io vado con lui” si offrì a sua volta Charlotte, facendo un passo avanti.

“Si, mi sembra giusto che siate i primi a scendere. Fate attenzione” Steve porse al suo migliore amico un auricolare simile a quello che indossava “così resteremo in contatto. Se venite attaccati, noi siamo pronti ad intervenire. Andrà tutto bene”.

Il Capitano abbracciò il Soldato D’Inverno e fece lo stesso anche con la ragazza, accarezzandole la schiena per infonderle il coraggio di cui aveva bisogno; lei prese un profondo respiro prima di entrare nel stretto abitacolo insieme all’altro.

Si scambiarono tutti una lunga occhiata e poi le porte si chiusero con un cigolio, il meccanismo dell’ascensore si mise in modo, portando i due verso il basso.

Rogers si portò la mano destra all’auricolare, per mettersi in comunicazione con la sua fidanzata, in modo da rassicurarla.

“Sharon?”

“Steve?”

“Siamo dentro alla libreria. Charlie e Buck sono saliti nell’ascensore. Aspettiamo il momento d’intervenire”


“Cerca di tornare vivo, per favore”

“Non ti preoccupare, Sharon. Tornerò”.



 
Charlotte deglutì a vuoto, nervosamente, la mano destra appoggiata alla pistola che portava nella fodera legata alla cintura; non aveva veramente bisogno d’armi dati i poteri che possedeva, ma si sentiva sempre più sicura ad avere una pistola con sé.

Si voltò a guardare Bucky, si rese conto che anche lui era nervoso dal modo in cui era tesa la mascella, gli appoggiò la mano sinistra nel braccio destro, attirando la sua attenzione.

“Steve ha ragione. Andrà tutto bene”

“Potrò dirlo solo quando vedrò James” disse il più grande in un soffio, riportando lo sguardo sulle porte davanti a sé; l’ascensore si fermò con un forte scossone, le porte metalliche si aprirono ed il giovane uomo prese in mano le due pistole che Natasha gli aveva dato, insieme alla divisa.

Anche Charlie si era cambiata, indossando una tuta simile a quella dell’amica e legando i capelli in un’alta coda di cavallo, per evitare che le fossero d’intralcio mentre combatteva.

I due si ritrovarono in una stanza dalla forma circolare, sopra ad un piccolo palco che permetteva di vedere tutto l’intero ambiente: sembrava essere a tutti gli effetti un laboratorio ed al centro di esso era posizionata una poltrona, su cui era sdraiato un giovane esanime.

“James!” esclamò subito la giovane, con il panico ben udibile nella voce, corse subito giù da una piccola rampa di scale, seguita da Barnes, avvicinandosi al figlio; gli appoggiò una mano nel viso ed osservò con angoscia tutte le ferite “James, apri gli occhi”.

Il Soldato D’Inverno scostò la sua ex con un gesto secco, appoggiò entrambe le mani sul volto del figlio che vedeva per la prima volta.

“James…” ripeté a sua volta in un sussurro, “apri gli occhi, per favore. Apri gli occhi. Vuoi smetterla di agitarti?”

“E come posso?” gli gridò contro Charlotte, con le lacrime che già le rigavano le guance “non risponde! Non si sveglia! Il mio bambino…”

“Non è solo tuo figlio, è anche mio figlio. James, James, apri gli occhi. Apri gli occhi. Apri gli occhi, per favore. Ti prego. Non farmi questo” sussurrò il giovane uomo, senza voler cedere alla disperazione, o sarebbe stata la fine per lui.

La fine più totale.

Il ragazzo mosse appena le labbra e sbatté le palpebre con uno sguardo confuso, senza sapere dove si trovasse; lentamente Jamie mise a fuoco i lineamenti del viso che era chino su di lui.

Quando vide finalmente il padre, distese le labbra in un debole sorriso.

“Finalmente ti conosco, papà”.

Barnes abbracciò subito James e Charlie scoppiò in un pianto sollevato, stringendo a sua volta il figlio.

“Oh, Jamie, sono così contenta…”

“Mamma, mi stai facendo male”

“Che cosa ti hanno fatto? Stai bene? Ti hanno fatto male?”

“Papà, una domanda alla volta. Mi fa male la testa” lo bloccò il ragazzo, con una smorfia di dolore stampata sulle labbra.

“Va bene, adesso ce ne andiamo da questo posto, ti portiamo al sicuro. È tutto finito. È tutto finito”

“No, non è tutto finito. In realtà non è iniziato nulla”.

Charlotte, Bucky e James si voltarono in direzione dell’uomo che aveva appena parlato, che era apparso mentre tutti erano troppo impegnati a festeggiare.

“Stai dietro di me” ordinò il Soldato D’Inverno e James non se lo fece ripetere una seconda volta.

“Ma che bel quadretto famigliare. Sono quasi commosso, dico davvero. Peccato che durerà ancora per poco perché nessuno di voi uscirà vivo da questo posto. Questo lo sapete, vero?”

“Chiudi quella bocca. Noi usciremo, Rumlow. E lo faremo dopo aver lasciato il tuo cadavere alle nostre spalle”

“Quanto siete ridicoli!” esclamò Crossbones scoppiando in una risata divertita, sprezzante “mi fate quasi pena, lo sapete? Forse voi due potete anche uscire da questo posto, ma non sarà lo stesso per lui. Lo vedete quel bracciale che porta al polso? Basta che io prema il bottone di questo piccolo telecomando per azionare la scossa che arriverà direttamente al cuore di quel piccolo bastardo. Una scossa che lo ucciderà subito, senza lasciargli alcuna speranza. E se prova a toglierlo il meccanismo si metterà in funzione automaticamente. Non avete alcuna speranza”

“Forse no, ma almeno te la faremo pagare”.

Crossbones si voltò a guardare il Capitano, che aveva parlato dal piccolo palco: attraverso l’auricolare aveva sentito tutta la discussione ed aveva deciso d’intervenire con gli altri prima che le cose degenerassero; l’altro uomo ghignò sotto la maschera che copriva il suo viso perennemente sfigurato.

“Capitano, noto con piacere che hai accettato il mio invito. Iniziavo a credere che fossi un vigliacco”

“Hai un conto in sospeso con me. Non prendertela con loro” rispose Steve, scese dalle scale e senza alcun preavviso scagliò lo scudo contro il suo avversario, quest’ultimo lo evitò senza la minima difficoltà.

“Pensavi davvero che non mi aspettassi un simile attacco?”

“Ma io non l’ho lanciato per colpirti”

“L’ha lanciato per farmelo prendere a me, figlio di puttana” ringhiò Bucky, prima di colpire il mercenario con l’arma in vibranio.



 
“James, vai a nasconderti” disse subito Charlie, non appena lo scontro ebbe inizio.

“Ma avete bisogno d’aiuto”

“Sei ferito e stai male. Nasconditi. Hai addosso quel maledetto bracciale, te lo ricordi?”

“Io voglio darti una mano!”.

La giovane spinse il figlio di lato, prese in mano la pistola e sparò contro alcuni uomini in procinto di attaccarli; non si accorse di un terzo alle sue spalle che stava per afferrarla per il collo, per ucciderla.

Jamie lo afferrò per il braccio sinistro e lo scagliò contro una parete.

“Jamie!”

“Hai visto che ti serve una mano?”.



 
Natasha sparò con entrambe le pistole che aveva in mano, uno dei proiettili sfiorò Scott, che si era rimpicciolito per essere più forte dei suoi avversari.

“Ehi! Mi hai quasi colpito!”

“Scusami, uomo-formica”

“Il suo soprannome è Tic Tac” intervenne Sam, mentre si occupava di uno dei nemici; Nat si distrasse un solo momento a causa della battuta e qualcuno l’afferrò per un braccio, bloccandola a terra.

Lei si liberò grazie alle scosse che producevano i morsi della vedova, i congegni che portava ai due polsi; si alzò in piedi appena in tempo per vedere un altro soldato che le puntava contro una mitragliatrice, quest’ultimo premette il grilletto, riversando una scarica di proiettili contro la giovane donna.

Clint si gettò su di lei, facendole da scudo umano, ed entrambi caddero a terra.

La rossa rotolò di lato, afferrò una delle due armi che aveva perso e sparò contro all’uomo, uccidendolo all’istante.

“Grazie, Clint” ringraziò il suo migliore amico con un cenno del capo, ma quando lo vide ancora a terra la sua espressione cambiò radicalmente, soprattutto alla vista dei numerosi fori nel petto, da cui stava uscendo del sangue “Clint! Clint!”.

Il grido disperato di Nat attirò l’attenzione di tutti gli altri, che capirono subito quello che era accaduto; lei s’inginocchiò davanti  a Barton, ed iniziò a premere i punti da cui il liquido scarlatto continuava ad uscire, riversandosi nel pavimento, tentando di fermare l’emorragia.

“Nat… Natasha…” provò a dire l’uomo, mentre un rivolo di sangue gli colava dalla bocca, mescolandosi alle lacrime.

“Non sforzarti a parlare. Sprechi solo energie. Adesso arrivano i soccorsi, non ti preoccupare”

“Dì a mia moglie… Ed ai miei figli che…” il corpo di Clint tremò per qualche momento e poi rimase completamente immobile; la spia spalancò gli occhi e la bocca in un urlo silenzio e rimase là, immobile, senza più muoversi di un solo millimetro.

Incapace di realizzare il fatto di aver appena perso il suo migliore amico.



 
Wanda lanciò un urlo di frustrazione alla vista del corpo senza vita dell’uomo, formò dell’energia rossa nei palmi delle sue mani ma un soldato, da dietro, la colpì con il calcio di una pistola e lei cadde a terra, priva di sensi.

Charlotte provò a correre in soccorso dell’amica ma qualcuno le sparò al fianco sinistro e poi sbatté James contro una parete, in modo da mettere fuori gioco anche lui.

Bucky vide tutta la scena, stava per intervenire quando Rumlow lo colpì con un pugno in pieno volto, facendolo cadere nel pavimento; Steven aggredì subito il mercenario prima che potesse scagliarsi ancora contro il suo migliore amico ma tutti nella sala si bloccarono, improvvisamente.

Gli autoparlanti del laboratorio si erano messi in funzione da soli, pompando a tutto volume le note di una canzone rock.

“Che cazzo sta succedendo?” gridò Crossbones, cercando di sovrastare il suono della chitarra elettrica.

“Lo vedrai ben presto” gli rispose Charlie, riconoscendo la canzone degli AC/DC, cercando d’ignorare il dolore al fianco, ed il sangue che continuava a filtrare dalle sue dita.



 
Back in black, I hit the sack
I been too long, I’m glad to be back
Yes, I’m let loose from the noose
That’s kept me hanging about
I keep looking at the sky cause it’s gettin’me high
Forget the hearse cause I’ll never die
I got nine lives, cat’s eyes
Using every one of them and runnin’ wild
 
‘Cause I’m back
Yes, I’m back, well I’m back
Yes, I’m back
Well I’m back back
Well I’m back in black
Yes, I’m back in black
 
Back in back of a Cadillac
Number one with a bullet I’m a power pack
Yes, I’m in a bang with the gang
They gotta catch me if they want me to hang
‘Cause I’m back on the track and I’m beatin’ the flack
Nobody’s gonna get me on another rap
So look at me now I’m just makin’my play
Don’t try to push yourluck just get out of my way
 
‘Cause I’m back
Yes, I’m back, well I’m back
Yes, I’m back
Well I’m back back
Well I’m back in black
Yes, I’m back in black
 
Well I’m back (I’m back)
Back (I’m back), back (I’m back)
Back (I’m back), back (I’m back)
Back, back in black
Yes, I’m back in black
Outta sight
 
Ritorno in nero, me ne vado a dormire
Sono stato via troppo a lungo, sono felice di essere tornato
Eccomi, sono libero dalla forca che mi faceva penzolare
Ho guardato il cielo, perché  mi faceva volare
Dimentica il carro funebre perché io non morirò mai
Ho nove vite, gli occhi di un gatto
Le ho usate tutte e sto correndo senza limiti
 
Perché sono tornato
Si, sono tornato
Beh, sono tornato
Si, sono tornato
Beh, sono tornato
Beh, ritorno in nero
Si, ritorno in nero
 
Tornato sul sedile posteriore di una Cadillac
Sono il numero uno con un proiettile, sono una potenza
Si, sono una cosa di gruppo
Mi dovranno prendere se mi vogliono appendere
Perché sono tornato sul sentiero e supero ogni avversità
Nessuno mi sorpasserà con un’altra battuta
Quindi guardami adesso sto solo facendo il mio gioco
Non mettere alla prova la tua fortuna
Semplicemente togliti dalla mia strada
 
Beh, sono tornato
Si, sono tornato
Beh, sono tornato,
Si, sono tornato
Beh, sono tornato
Beh, ritornato in nero
Si, ritorno in nero
 
Si, sono tornato adesso
Beh, sono tornato, tornato, tornato, tornato
Ritorno in nero, si
Sono tornato in nero
Non più in vista*



 
Le porte dell’ascensore si aprirono con un rumore metallico, rivelando la figura di un uomo celata in un’armatura rossa ed oro; insieme a lui c’erano due ragazzi ed una ragazza, tutti all’incirca sui sedici, diciassette, anni.

“Mi sono perso l’inizio dello scontro?” domandò Tony con voce ovattata, guardò verso il basso e vide Clint circondato da una pozza di sangue “adesso sei riuscito a farmi incazzare senza dire una sola parola”.

Il miliardario azionò i propulsori della sua armatura e si scagliò contro Rumlow; Peter e Nicholaj intervennero a loro volta, mentre Nadja corse a prestare soccorso a James, aiutandolo a sedersi nelle piastrelle del pavimento.

“Siete venuti a salvarmi?”

“Si, siamo venuti solo per te” rispose la ragazza, con un sorriso, contenta che l’amico fosse vivo, anche se ferito.



 
Tony, Steve e Bucky si stavano occupando di Crossbones: continuavano a colpirlo senza dargli il tempo di reagire; ma lui non era intenzionato a soccombere a quei tre, non voleva cedere, semplicemente stava attendendo il momento giusto per attaccare.

Il momento in cui qualcuno avrebbe fatto un passo falso.

E ciò avvenne dopo qualche secondo.

Stark lo colpì esponendo il petto, il mercenario lo afferrò per un braccio e con l’altro gli assestò un pugno così violento che gli spezzò il reattore, rendendo inutilizzabile tutta l’armatura; poi l’uomo passò a Bucky.

Lo picchiò con violenza, senza risparmiarsi in calci e pugni, riducendolo ad una massa informe e sanguinante a terra.

“Bucky!” esclamò Charlotte, terrorizzata; Nadja lasciò il suo posto vicino a James e provò ad attaccare Rumlow ma venne bloccata con la stessa facilità con cui si poteva scacciare una foglia con una scarpa.

“Guardala in faccia” ringhiò tornando ad occuparsi del Soldato D’Inverno, lo afferrò per i capelli macchiati di sangue e lo costrinse a guardare in faccia Charlie “sarà l’ultima volta che la vedrai”

“Prima dovrai passare sul mio cadavere” urlò Rogers, liberando il suo migliore amico dalla presa di Crossbones; attorno a loro tutti gli altri uomini dell’Hydra stavano bloccando a poco a poco il gruppo del Capitano e di Iron Man.

“Con molto piacere” ghignò l’uomo tornando ad occuparsi dell’uomo che considerava la sua rovina, la causa del suo nuovo aspetto, gli assestò una serie di potenti colpi, esattamente come aveva fatto con Bucky, ma Steven era agile, per nulla stanco a causa del siero che scorreva nelle sue vene.



 
 
Dall’altra parte dell’auricolare Sharon era seduta, immobile, con lo sguardo fisso nel vuoto, ad ascoltare i suoni che provenivano dal combattimento.



 
Il Capitano scartò di lato, l’ex Capo degli S.T.R.I.K.E lo afferrò per la gola, sbattendolo contro una parete, senza lasciargli la minima via di fuga.

“Ho aspettato questo momento da anni. Che cosa hai detto poco fa? Oh, si, che dovevo passare sul tuo cadavere per arrivare al tuo amico? Al tuo Bucky? Lo sto per fare, Capitano” sussurrò, prendendo in mano una pistola “vaffanculo, Rogers”.

Il proiettile uscì dalla canna dell’arma e si conficcò nel petto del giovane uomo, che si lasciò scappare un grido di dolore insieme allo scudo, che cadde a terra; Barnes urlò a sua volta e si trascinò dal più piccolo quando il mercenario lasciò cadere il suo corpo a terra, allontanandosi di poco, osservando la scena con gusto.

Bucky passò il braccio destro dietro le spalle di Steve, mentre con la mano sinistra andò subito a premere la ferita, macchiandosi di sangue, esattamente come era accaduto a Nat poco prima.

“Steve. Steve. Resta con me. Resta con me. Non è nulla. Hai il siero”

“Buck…”

“Tu lo puoi salvare” disse il più grande, disperato, voltandosi a guardare Charlotte, ma lei scosse la testa, singhiozzando in silenzio.

“Buck… Buck, guardami” mormorò Rogers con le labbra che tremavano, prese a tossire a causa del sangue che iniziava a riempirgli i polmoni.

“Non ti sforzare, peggiori la situazione. Non è nulla di che questa ferita, hai subito di peggio. Tutto andrà per il meglio, lo hai detto tu stesso. Tutto andrà per il meglio. Tutto andrà per il meglio. Per il meglio. Si”

“Bucky” sussurrò per la quarta volta il Capitano, appoggiando la mano destra nella guancia dell’altro, sporcandola di rosso “andrà tutto bene, hai ragione. C’è… C’è solo una cosa che voglio… Io non ti ho mai odiato, nemmeno per un solo momento. Non sono… Non ti odio per… Washington..”

“Non te ne puoi andare. Hai promesso che saresti rimasto con me fino alla fine”

“Abbiamo mantenuto entrambi la nostra promessa”

“Steve…”

“Sei il mio… Sei il mio migliore… Amico” il corpo del biondo tremò debolmente, la mano destra cadde a terra ed il viso si riversò di lato.

“Steven… Steven…” prese a ripetere Barnes, impallidendo vistosamente, girò il viso del suo migliore amico e vide i suoi occhi fissi in un punto lontano.

Nel petto non c’era battito.

Il Soldato D’Inverno strinse il corpo senza vita al proprio petto ed iniziò a gridare con tutto il fiato che aveva nei polmoni, mentre lacrime calde e salate gli rigavano il viso sconvolto, che era lo specchio di tutti gli altri.

Dopo diversi minuti appoggiò con delicatezza il più piccolo a terra, ripulendogli il viso sporco di sangue, si alzò in piedi e guardò Crossbones con uno sguardo duro, freddo, lo sguardo di un assassino; perché ora lui era tornato a prendere il sopravvento.

Si scagliò contro il suo avversario mosso da una furia cieca e razionale allo stesso tempo, la stessa di chi sapeva perfettamente cosa fare: uccidere senza pietà; voleva affondare la mano di vibranio nella carne di Rumlow e strappargli la spina dorsale mentre era ancora vivo.

Cavargli dal petto il cuore e ficcarglielo in bocca.

Stringere la sua testa fra le mani fino a farla esplodere, bagnandosi completamente di sangue e di materia cerebrale.

Quelle fantasie sadiche vennero fermate dalla risata del diretto interessato, che provocò confusione nel giovane uomo.

“Perché stai ridendo?”

“Perché non hai idea di quello che sta per accadere”

“Si che lo so. Ti sto per uccidere”

“Oh, si. Lo puoi fare. Ma tra meno di un minuto questo posto esploderà in aria. Quindi sta a te la scelta: o tenti di salvare tutti od uccidi me”.

Rumlow approfittò del momento di stordimento di Bucky e lo colpì con un pugno in pieno stomaco, dandogli poi un calcio in faccia.

Si alzò non senza fatica ed ordinò ai suoi uomini che era arrivato il momento di andarsene, o sarebbero saltati in aria insieme all’intero laboratorio; prima di uscire, però, afferrò il corpo primo di sensi di Wanda e se lo caricò sulla spalla sinistra.

Lei era l’unica che gli sarebbe tornata utile per diverse missioni.



 
Bucky aprì gli occhi una trentina di secondi più tardi, lamentandosi per il dolore allo stomaco ed al volto; vide tutti gli altri in condizioni non migliori delle sue ed i corpi senza vita di Clint e di Steven.

Chiuse per un momento gli occhi, totalmente travolto dal dolore.

Ormai non c’era più tempo per scappare, nessuno di loro era nelle condizioni di poterlo fare.

Al Soldato D’Inverno non rimase altro che tentare di coprire nel migliore dei modi il corpo del suo migliore amico, Charlie e James nel momento in cui l’intera struttura esplose, avvolgendo tutti in una luce gialla ed arancione.
  *Back In Black, AC/DC

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Capitolo 49
*** Epilogo: Promotion ***


C’era tantissima gente, in fila, che attendeva solo di entrare nella nuova stanza del Museo interamente dedicato a Steven Rogers.

Nella stanza dalla forma circolare c’era solo una enorme statua, a grandezza naturale del giovane eroe, che sovrastava una tomba interamente costruita con marmo bianco, che conteneva il corpo di colui che si era sacrificato per il suo migliore amico.

Tony Stark aveva pagato di tasca propria l’intero monumento, una sorta di espiazione per il litigio che aveva avuto con Rogers solo poche ore prima che venisse ucciso; i sensi di colpa lo attanagliavano da quel momento e nemmeno l’alcol lo aiutava a dimenticare solo momentaneamente lo sbaglio che il suo orgoglio gli aveva fatto commettere.

La gente restava in fila per ore ed ore solo per posare un fiore, mormorare poche parole o versare delle lacrime sulla tomba di un giovane che non aveva mai avuto occasione di vivere la sua vita; di costruirsi una famiglia e di avere dei figli.

Era ormai l’ora di chiusura quando un giovane uomo, con addosso una giacca ed un cappello a visiera, si avvicinò al monumento a sua volta; sollevò il viso e rimase a guardare la statua che riproduceva in modo fedele i lineamenti del ragazzo con cui era cresciuto.

Quando la bomba era esplosa all’interno del laboratorio, a Londra, Bucky e gli altri si erano salvati solo perché Nicholaj era riuscito a creare un campo di forza in grado di proteggere tutti loro; il suo primo, vero, campo di forza era riuscito a salvare la vita di dieci persone.

Una volta che si era ripreso, Bucky se ne era andato dal laboratorio ed era tornato a New York, per poi trasferirsi a Washington e far perdere le proprie tracce a Charlie, allo S.H.I.E.L.D ed a tutti gli altri.

Il giovane uomo posò la rosa bianca che aveva in mano vicino ad un altro mazzo di fiori, poi infilò le mani in tasca ed abbassò gli occhi al pavimento.

“Mi dispiace, Stevie…” sussurrò poi, in un soffio che nessuno sarebbe riuscito ad udire “mi dispiace di non essere riuscito a salvarti. Mi dispiace per quello che è accaduto due anni fa e di averti trascinato in questa faccenda. Mi dispiace anche per Clint, non lo conoscevo bene ma sembrava una brava persona. Ahh, Steve, maledizione. Mi manchi in ogni singolo momento. Ricordi quando eravamo ragazzini? Quando passavamo intere giornate a pescare, senza prendere nemmeno un pesce. E poi tornavamo a casa ma prima andavamo a comprare qualche trota, giusto per ricevere qualche complimento dai nostri genitori. Mia madre dava un bacio a me ed uno a te e poi cucinava subito il pesce. Quanti soldi abbiamo speso per comprare quelle stupide trote? Cazzo, Steven, non dovresti essere qui. Dovresti essere a Brooklyn. No, dovresti essere vivo. Tu sei sempre stato il migliore dei due. Cazzo, Steve…”.

Barnes non riuscì più a continuare a parlare ed uscì velocemente dal museo, ritornando nel vecchio appartamento abbandonato dove, ormai, viveva da sei mesi; era situato nella parte più povera della città, in modo che nessuno potesse trovarlo con facilità.

Mentre rientrava passò vicino ad una giovane coppia che passeggiava ed a un gruppo di uomini che chiacchierava, seduti sopra ad un muretto.

Salì le rampe di scale sporche, disseminate d’immondizia, quando chiuse la porta d’ingresso alle proprie spalle s’irrigidì all’istante, sentendo un profumo dolce e costoso che lui di sicuro non usava.

Appoggiò a terra la busta piena di cibo d’asporto ed entrò nel salotto con passo felpato, sicuro che il profumo venisse da quella stanza.

“Buongiono, Barnes” lo salutò una voce femminile, proveniente da un angolo della stanza: Charlotte era seduta in una logora poltrona.

Indossava un abito bianco, a collo alto, senza maniche e lungo appena fino alle cosce; i capelli erano raccolti in un nodo e le labbra erano appena pitturate di rosso.

Al giovane uomo ricordava in tutto un vecchio film, intitolato Basic Instict, dove la protagonista era vestita in modo simile nella famosa scena in cui accavallava le gambe, mostrando per pochi secondi che non indossava alcuna biancheria intima.

Lui si pose la stessa domanda per Charlie e sentì subito il sangue defluire nel basso inguine, concentrandosi tutto sul membro.

“Che cosa vuoi? Come mi hai trovato?” domandò dopo aver deglutito, con la gola completamente arsa.

“Ti stiamo cercando da sei mesi. Siamo venuti qui per parlarti”

“Ahh, quindi non sei sola. Avrei dovuto immaginarlo. Tu sei stata mandata per addolcirmi la pillola amara, vero? Scommetto che la casa è circondata. Quando sono arrivato c’era una coppia ed un gruppo di uomini. Sono Agenti in borghese, giusto?”

“Come hai fatto a scoprirlo?”

“Qui non passa mai nessuno”

“Faresti meglio ad ascoltare quello che ho da dirti, Barnes. L’appartamento è circondato. Sam è sopra al tetto, pronto ad intervenire e Sharon sta controllando la situazione a distanza. Io ho i miei poteri. Non sarebbe saggio attaccare”

“Io non voglio attaccare nessuno. Voglio solo andarmene. Non mi sembra che abbiate molta voglia di parlare”

“Sergente Barnes”.

Bucky non veniva chiamato in quel modo da settant’anni, dato che l’ultima volta che era successo era stato al cospetto del Colonnello Chester Phillips; si voltò in direzione della porta del soggiorno e vide un uomo, vestito completamente di nero, con un lungo cappotto in pelle, ed una benda che gli copriva l’occhio sinistro.

Nick Fury era nel salotto del suo rifugio.

“Oh, splendido…”

“Stai calmo, sergente, non è nostra intenzione attaccarti. Come ha detto l’Agente Bennetts, siamo qui per parlare”

“E perché dovrei fidarmi delle tue parole?”

“Perché sono qui di persona. Non credi che sia una prova sufficiente?”

“Abbiamo trovato una cura. Una cura alle parole” intervenne la ragazza.

“Stai mentendo”

“No”

“Siete venuti a dirmi solo questo?”

“No, siamo venuti qui per essere i primi a farti i complimenti, Sergente”

“Complimenti?” chiese Bucky, senza capire a che cosa si stesse riferendo Nick.

“Per la promozione”

“Promozione?”

“Si” rispose l’uomo congiungendo le dita delle mani “sei stato appena promosso al grado di Capitano”.




N.D.A: No, non è ancora arrivato il momento dei saluti finali. Avete presente le scene che ci sono in mezzo e dopo i titoli di coda dei film Marvel? Benissimo, tra sabato prossimo e sabato 30 dicembre pubblicherò i quattro capitoli extra che ancora ci sono...

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Capitolo 50
*** Chapter Extra: Lies ***


Charlotte prese un profondo respiro e poi entrò nell’ufficio di Nick Fury, indossava ancora l’elegante e costoso abito bianco con cui si era presentata a Bucky quella stessa mattina.

Chiuse con delicatezza la porta alle proprie spalle ed osservò il suo Capo, intento a studiare dei documenti di chissà quale importanza, sempre se veramente ce l’avevano; ormai la giovane lo conosceva da diversi anni ed anche se era impossibile capire fino in fondo come era fatto Nick, non ci voleva di certo un genio per capire quando fosse furioso.

Ed in quel momento lo era per due motivi ben precisi: a modo suo non aveva ancora superato quello che era accaduto al Capitano Rogers ed a Clint Barton, come se ciò con fosse stato già abbastanza complicato, poco prima Natasha Romanoff aveva mostrato le sue dimissioni ufficiali e niente le aveva fatto cambiare idea, nemmeno le urla del suo Capo.

Charlie capiva la drastica decisione della sua amica: lei per prima non aveva ancora accettato la dura realtà che il suo migliore amico ed uno dei suoi addestratori non c’erano più e che erano stati uccisi per mano di un uomo che era sparito nel nulla, portando con sé Wanda; capiva la scelta di Nat, ma lei non poteva permettersi di seguirla perché aveva troppo che la teneva legata allo S.H.I.E.L.D.

“Agente Bennetts, non mi sembra di avere richiesto la tua presenza qui dentro”

“Lo so, ma sono venuta lo stesso perché ho bisogno di parlarti, Nick” rispose la ragazza, sedendosi, con una confidenza che era permessa solo a lei, Natasha e Maria Hill.

“Non credo che ci sia qualcosa di cui dobbiamo discutere”

“Non esiste alcuna cura, vero?” domandò Charlie, riferendosi a quello che aveva detto a Bucky “sei stato tu ad ordinarmi di dirglielo. Scommetto che non esiste nessuna cura e che il tuo è stato solo un piano per assicurarti che lui fosse dei nostri”

“La tua perspicacia mi sorprende sempre” rispose l’uomo, senza sollevare lo sguardo dai fogli, come se dovesse liquidare una faccenda per nulla importante; la giovane si stancò di essere trattata in quel modo, così gli strappò il documento dalle mani, per ottenere un po’ di attenzione.

“Che cosa hai intenzione di fare?”

“Per cosa? Per ingannare Barnes che noi abbiamo una cura che non esiste? Gli faremo qualche iniezione di zuccheri”

“E tu credi di risolvere tutto con questo? Non è uno stupido. Lo scoprirà e quando arriverà quel giorno non vorrei essere nei tuoi panni”

“Sei stata tu quella che gli ha detto che esiste un rimedio, quindi se la prenderà principalmente con te. Non accadrà nulla dal momento che il quadernetto è custodito qui, alla Base, in un posto sicuro. Non ti preoccupare di questo Agente, sono altre le cose di cui ti devi occupare. Tu e gli altri dovete preparare le valigie, tra poco l’elicottero sarà pronto a partire”.

Quella era la fine della conversazione, Charlie lo capì subito, per cui si alzò dalla sedia e si avvicinò alla porta; appoggiò la mano destra alla maniglia, ma poi si girò perché c’era ancora qualcosa che doveva dire al Direttore.

“Anche a Washington sembrava essere tutto sotto controllo. Eppure l’Hydra è riuscita ad infiltrarsi nello S.H.I.E.L.D”.

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Capitolo 51
*** Chapter Extra: Marble And Obsidian ***


Natasha sfiorò con  la mano sinistra la collana che portava sempre al collo, esattamente come faceva Charlie con quella che Bucky gli aveva regalato: aveva un piccolo ciondolo a forma di freccia, interamente d’argento.

Aveva fatto commissionare quel monile lo stesso giorno in cui era entrata a far parte dello S.H.I.E.L.D perché ciò era stato possibile solo grazie a Clint Barton, il suo più stretto collega, il suo migliore amico; di conseguenza dopo la sua scomparsa non aveva più alcun senso, per lei, continuare ad essere un’Agente ed una spia.

Era consapevole del fatto che lui non sarebbe stato affatto contento della drastica decisione che aveva preso, ma lo aveva già deluso non mantenendo la promessa di recapitare il suo ultimo messaggio alla moglie ed ai figli; Natasha non aveva il coraggio di presentarsi a quella famiglia completamente distrutta dal dolore perché già sapeva che avrebbe affrontato sguardi ostili ed accusatori.

La giovane donna aveva comunicato solo poche ore prima a Fury la decisione, lui aveva provato a farle cambiare idea ma ciò era stato impossibile: Nat era ben salda nelle sue scelte, che fossero giuste o meno, voleva andarsene dallo S.H.I.E.L.D e da New York.

Voleva ricominciare una nuova vita, con una nuova identità, in un posto molto lontano.

Prese in mano il cellulare per scrivere un messaggio a Charlotte, voleva incontrarla prima della sua partenza, ma lo sguardo cadde su quello di T’Challa, a cui non aveva mai risposto; rilesse velocemente le poche righe e sentì nuovamente il cuore batterle nel petto ed in gola, lo stesso turbamento che l’aveva assalita sei mesi prima.

Natasha aveva sempre avuto un carattere freddo, calcolatore, che raramente si lasciava andare a qualche emozione, ma lasciò prevalere il proprio lato impulsivo.



 
T’Challa si trovava nel laboratorio quando un rappresentante entrò nella stanza, si chinò con rispetto e poi gli comunicò quello che aveva trovato la squadra che era da poco tornata dalla giungla.

“Maestà, non c’è alcuna traccia del corpo. Non hanno trovato nulla. Che cosa dobbiamo fare?”

“Interrompete le ricerche” ordinò il giovane uomo, convinto che ormai gli animali selvatici avessero banchettato con il corpo di Zemo, offrendogli la giusta vendetta per l’assassinio compiuto.

Il cellulare vibrò da dentro la tasca dei pantaloni, lo prese in mano e rimase sorpreso di vedere un messaggio da parte di Natasha, la famosa risposta che ormai aveva smesso di aspettare.

Rimase ancora più sorpreso quando lesse le due semplici lettere.

‘Si’.



 
Un paio di ore più tardi il Re del Wakanda attendeva l’arrivo della sua ospite con impazienza; se  ne stava seduto in uno dei divanetti presenti nella stanza e tamburellava le dita della mano destra nel bracciolo, per ingannare il tempo che trascorreva lentamente, che sembrava essersi quasi fermato.

Quando sentì il rumore di un elicottero che atterrava non riuscì più a trattenere l’impazienza, così corse fuori dalla stanza e dalla struttura.

Vide una giovane donna scendere con un agile salto dal mezzo di trasporto e sollevare il viso, verso di lui; lo raggiunse con passo veloce, quasi correndo, per poi bloccarsi all’improvviso, a pochi centimetri di distanza.

Si guardarono negli occhi senza fiatare, con i respiri ansanti, gli occhi lucidi.

Nat capì in quello stesso momento che forse era arrivato il momento di lasciare la storia con Bruce completamente alle proprie spalle; che forse quell’uomo sarebbe stato l’unico in grado di apprezzare la sua indipendenza ed il suo spirito selvaggio senza incatenarla.

T’Challa capì a sua volta che non ci sarebbe stata nessun’altra dopo la spia russa.

La più piccola gettò le braccia attorno alle spalle dell’altro, congiungendo le labbra carnose, ansiose d’incontrarsi; fondendo il marmo bianco della sua pelle con quella color ossidiana di lui.

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Capitolo 52
*** Chapter Extra: Hail Hydra ***


Zemo ricordava solo due cose: il dolore indescrivibile al petto, quando il proiettile lo aveva trapassato ed era uscito dalla schiena, ed il volto di una giovane ragazza che lo guardava per un ultima volta prima di sparire dal suo campo visivo; poi il buio lo aveva avvolto del tutto ed il tempo e lo spazio si erano confusi.

Sapeva di aver esalato l’ultimo respiro ma ciò non gl’importava minimamente: grazie a lui negli Avengers si era creata una crepa che non sarebbe mai stata rimarginata, non aveva dato alcuna informazione importante a Charlotte per trovare una delle tante Basi dell’Hydra, ma soprattutto ora poteva ricongiungersi con la sua famiglia.

Nel complesso, non c’era nulla che avesse lasciato a metà nella vita terrena; forse il vero ed unico rimpianto era quello di non aver visto Tony Stark soffrire abbastanza.

Era pronto a rivedere la moglie, il figlio ed il padre, di conseguenza il giovane uomo non si aspettava minimanate di riaprire gli occhi in una stanza, ben lontana dalla giungla in cui era stato colpito.

Si sedette piano, lentamente, a causa di una fitta dolorosa al petto.

“A quanto pare il nostro ospite si è svegliato. Molto bene” disse Crossbones “per un momento ho pensato che non ti saresti più svegliato. È da un po’ di tempo che continui a dormire, lo sai? In verità da quando i miei uomini ti hanno recuperato dalla giungla”

“Che posto è questo?”

“Oh, credo che tu lo sappia benissimo, Helmut, come sai anche chi sono”

“Si, so chi sei”

“Non l’ho mai dubitato un solo istante. Mi hanno informato che per un anno intero hai studiato gli Avengers e che hai raccolto tutto il materiale possibile sull’Hydra. Sono rimasto sorpreso da quello che sei riuscito a fare. Forse il tuo piano aveva qualche punto debole ma è stato un lavoro notevole. Sono un tuo ammiratore e non l’ho detto ad una sola persona questo, dovresti esserne orgoglioso”

“Che cosa vuoi da me?”

“Nulla in particolare. Credo semplicemente che abbiamo degli interessi in comune”

“Io odio l’Hydra” rispose Zemo candidamente, senza preoccuparsi del fatto che l’uomo davanti a sé poteva ucciderlo con un solo pugno, se lo desiderava “deve pagare per quello che ha fatto”

“Ma odi ancora di più gli Avengers e ti posso assicurare che a mio fianco potrai fare molto di più di quello che hai già fatto. Tu li hai divisi, giusto? Io ho distrutto la speranza” affermò Crossbones, lanciando sopra alla brandina un giornale; l’altro lo guardò un momento e poi lo prese in mano, osservando la notizia che occupava tutta l’intera pagina.

Sgranò gli occhi davanti alle parole scritte a caratteri cubitali ed alla foto del Capitano Steven Grant Rogers.

“Lo hai ucciso?”

“Con le mie stesse mani e con l’aiuto di questa pistola. E se tu sarai dalla mia parte possiamo fare lo stesso con gli altri. Ma prima possiamo distruggerli mentalmente. Lo senti?” il mercenario si zittì un solo momento, il tempo che si sentisse in lontananza un urlo femminile, di dolore “lo sai chi è?”

“No”

“Wanda Maximoff. Scommetto che sai quello che è in grado di fare”

“Si”

“Qual è la tua risposta, allora?”.

Helmut Zemo abbassò gli occhi al pavimento, pensando rapidamente a quale fosse la scelta più saggia da prendere: se avesse risposto il modo negativo non lo avrebbero mai fatto uscire vivo da quel posto, ma avrebbe ritrovato finalmente le uniche persone che aveva sempre amato; però, se la sua risposta fosse stata positiva, avrebbe potuto prolungare la sofferenza di tutti gli altri, fino a quando non si sarebbe stancato ed avrebbe strappato la loro vita, esattamente come loro avevano fatto con la sua famiglia.

Risollevò gli occhi e guardò Rumlow, che attendeva con pazienza la risposta, aprì la bocca e disse due parole che mai avrebbe creduto di pronunciare.

“Hail Hydra”.

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Capitolo 53
*** Chapter Extra: Together, Forever ***


Steve aprì lentamente le palpebre, ritrovandosi in un locale dove delle persone erano sedute davanti a dei tavolini rotondi ed un’orchestra stava suonando una musica dal vivo; abbassò lo sguardo e si rese conto d’indossare una divisa da militare.

“Capitano Rogers”.

Il giovane guardò davanti a sé con il cuore che batteva forte come un tamburo e si ritrovò faccia a faccia con una donna affascinante, dai capelli scuri e morbidi.

Indossava un abito lungo, con la gonna che sfiorava le ginocchia, nelle labbra era dipinto un sorriso dolce mentre negli occhi brillava una luce unica, quasi magica, che esprimeva una gioia impossibile da descrivere a parole.

“Peggy…” sussurrò Steven, incredulo, perché l’ultima volta che l’aveva vista giaceva in un lettino, ad un passo dall’esalare l’ultimo respiro “Peggy, sei proprio tu…”

“Capitano, non credo di averle mai dato il permesso di chiamarmi in questo modo”

“Mi perdoni, Agente Margaret Carter”.

Peggy sorrise in modo ancora più ampio, prese per mano Rogers, che sentì in tutto il proprio essere quel tocco passionale e delicato allo stesso tempo.

“La guerra è finita e se non sbaglio mi devi un ballo. Sono venuta a riscuoterlo. In questo locale suonano sempre musica bellissima” disse la giovane donna, prima di trascinare il Capitano sulla pista da ballo, completamente vuota, come se fosse riservata appositamente per loro due; intrecciò le dita della mano destra con quelle della mano sinistra di lui ed appoggiò l’altra nella sua spalla destra, invitandolo a dare inizio ad un lento.

Steve la strinse con delicatezza a sé, pensando solo a godersi quel momento di pace assoluta, nonostante la consapevolezza dell’estremo sacrificio che aveva compiuto per salvare il suo migliore amico e tutti gli altri.

Gli dispiaceva averlo abbandonato, ma sapeva che Bucky sarebbe riuscito ad andare avanti; avrebbe sofferto ma poi tutto si sarebbe sistemato.

Girò la testa vedendo che un’altra coppia si era aggiunta nella pista da ballo; incrociò lo sguardo di un ragazzo castano, con una fossetta sul mento, che teneva saldamente stretta a sé una ragazza bella e magra, con gli occhi azzurri.

Lui gli sorrise e Rogers rispose con un cenno del capo.

“Si?” domandò sentendo la voce della donna che amava chiamarlo.

“Appena la musica è finita ce ne andiamo da qui. Abito poco lontano” rispose lei, con uno sguardo che fece intendere tutto, senza che dovesse aggiungere una parola in più.

“Ti amo, Margaret”

“Anche io ti amo, Steven”.

Forse, pensò il Capitano continuando a ballare, finalmente lui e Peggy avrebbero avuto una seconda possibilità.

La vita insieme che tanto avevano bramato e che si era ridotta ad un veloce bacio prima di essere separati da settanta, lunghi, anni.

Forse sarebbero usciti da quella pista da ballo, sarebbero corsi a fare l’amore come due adolescenti impazienti ed imbarazzati, ed avrebbero costruito mattone dopo mattone una famiglia perfetta, invidiata da tutti.

O forse avrebbero continuato a ballare in quella pista, per sempre, per rimediare a tutti i balli che non avevano avuto occasione di fare.

Non aveva importanza, né per Steve né per Peggy.

Sarebbe stato perfetto, nonostante tutto.

Semplicemente perfetto.




N.D.A: Si, con questo capitolo il libro è ufficialmente finito. Volevo ringraziare tutte le persone che hanno semplicemente letto e che hanno anche commentato. Grazie mille di tutto. Come ho già accennato, questa è una trilogia ed ho già finito di scrivere il terzo ed ultimo libro che si intitolerà "An Unexpected Host; American Patriot Soldier" e che devo ancora controllare con calma. Da sabato 13 gennaio inizierò a pubblicare la mia prima Winterbones AU ed appena avrò terminato con quella inizierò subito con il terzo libro. Portate pazienza. Grazie mille ancora di tutto!!!

 

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