Red&Black

di SkyFullOfStars_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***








Prologo

 

 

Il tepore della primavera si avvertiva già nell’aria.
Lo si scorgeva tra le chiome degli alberi, fra i sentieri ombreggiati, addirittura in mezzo ai cespugli quasi fioriti, dall’acre sapore del polline che disgraziatamente entrava in gola fino a farti tossire.
Si sentiva già l’odore dolce dei meli che fiorivano piano piano ed il ronzio degli insetti che si risvegliavano lentamente dopo un inverno lungo e crudo.
Il vento soffiava, accarezzando i morbidi capelli di Grantaire; disteso su quell’erba così folta e fresca, gli pareva di occupare un piccolo spazio di paradiso. Lì, con le sue gambette rilassate, il piccolo ragazzo se ne stava ad occhi chiusi, il nocciola del suo sguardo oscurato dalle palpebre tremolanti. Il sole gli dava un po’ fastidio, ma all’ometto di cinque anni lì sdraiato non importava più di tanto. Perdersi con le mani tra i fili d’erba spazzava via qualsiasi fastidio.
Il prato sul quale giaceva pacioso lo conosceva fin troppo bene: ci veniva ogni domenica per giocare e per disegnare insieme alla sua mamma; ogni volta la graziosa donna dai capelli corvini gli mostrava uno dei suoi splendidi sorrisi prima di vederlo correre verso quella distesa verde e di sedersi tranquilla su una panchina nelle vicinanze del suo bambino.
Per Grantaire quel tappeto verdeggiante era l’unico luogo dove si potesse sentire davvero a casa.
Dove abitavano, infatti, non si stava molto bene. Il papà era sempre arrabbiato e spesso litigava con la mamma e la sgridava con voce rauca per qualcosa che magari non aveva fatto o che non richiedeva un’ammonizione così brusca.
L’ometto cercava sempre di tapparsi le orecchie con le mani quando si accorgeva di un accenno di litigio e, come gli aveva detto la mamma, cominciava a canticchiare qualche filastrocca ripresa dai suoi libri di favole preferiti.
Alzò gli occhi curiosi e voltò il visetto biancastro verso la figura di sua mamma; la donna si accorse del peso amabile del suo sguardo e gli sorrise, come sempre. Anche se quella volta il lato destro della bocca si era stranamente dipinto di viola.
Il piccolo Grantaire adorava il viola. Lo usava sempre nei suoi disegni, non poteva mai mancare.
Ma il colore che adorava certamente di più di tutti era il rosso. Pur con i suoi pochi anni di esperienza artistica, sentiva che il rosso era il colore di tutte le cose belle che esistevano al mondo.
Le mele, il rossetto della sua mamma, l’amore.
Anche quello era della mamma.
Si abbassò di nuovo sull’erba, lasciando che i suoi vaghi pensieri volassero via con la calda folata di vento che passava e ripassava sulla sua testolina mora.
Si sporse di lato, c’era il suo disegno, uno dei tanti che faceva ogni giorno.
Avrebbe goduto ancora per un po’ di quella gioiosa mitezza se all’improvviso il foglio scarabocchiato non fosse scappato via fuggendo per mano del vento.
Rotolò sulla pancia e con la manina tentò invano di afferrare terrorizzato il disegno.
Poi si alzò ed iniziò a correre a perdifiato, senza distaccare i suoi minuscoli occhi marroni da quel ribelle pezzetto di carta.
-Ehi! Torna qui!-
La chioma ondulata del ragazzino oscillava eccitata, mentre il fiato cominciava da essere un po’ troppo corto. Non riusciva a fare passi da gigante, le sue gambe erano ancora piccine ma quel foglio sembrava proprio volergli fare un dispetto.
Il vento lo allontanava ancora, finché non fu così lontano da perderlo completamente di vista.
Poi si fermò. L’aveva perso, il suo disegno era perduto. Se solo a cinque anni si potessero avere gambe più lunghe.
Era sul punto di piangere quando ricacciò le imminenti lacrime.
Poteva anche avere cinque anni, ma per quanto si chiamava Grantaire non sarebbe scoppiato in lacrime.
Alzò il visino in cenno di sfida al vento che gli aveva portato via il suo capolavoro e strinse i pugnetti sui fianchi.
-Ne farò un altro! E sarà ancora più grande ed ancora più bello!-
Non appena si voltò si trovò la figura snella di sua madre che lo rimproverò per essere scappato così velocemente dalla sua vista. Gli dispiaceva, ma il vento gli stava proprio antipatico.
 
 
 
 
 
 
 
Intanto, da dietro la robusta corteccia di un albero non molto distante, una piccola testolina bionda scrutava quelle snelle gambette correre via con la loro mamma.
Gli occhietti bluastri risplendevano alla luce calorosa del sole pomeridiano. Le manine dell’ometto si aprirono, srotolando un pezzetto di carta un po’ ammaccato.
Il piccolo sorrise sotto quel disegno un po’sghembo, mostrando così quei ristretti spazi tra le labbra, tutti di dentini già caduti. Non sapeva bene cosa rappresentasse quell’insieme di linee, solamente era sicuro che lo divertivano parecchio.
-Enjolras!- si sentì chiamare.
Era la mamma. Meglio andare.
Con le dita minute ripose velocemente il foglio nella taschetta dei suoi jeans e corse via lasciandosi trasportare dal vento.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


12 anni dopo



 

 
Se c’era un oggetto che Grantaire odiava in assoluto era sicuramente la sveglia.
Erano le sette di mattina quando sentì il fastidioso starnazzare dell’aggeggio buttarlo giù dal letto.
Ormai era abituato a cadere quasi ogni volta.




 

                  






I raggi del sole non erano ancora riusciti ad entrare dalla finestra, ma già tra il vetro trasparente  veniva filtrato qualche minuscolo spazio di luce, giusto per addentrarsi silenziosamente nel tepore della stanza.
Grantaire aprì gli occhi dando un colpetto all’oggetto che sembrava volerlo far impazzire e lo scaraventò per terra, tanto per cambiare.
La sveglia smise di urlare ed il ragazzo sospirò.
Ultimamente era molto stressato; lui e sua madre avevano viaggiato molto, spostandosi da una città all’altra. Non che si divertissero a fare i vagabondi, ma tutto per adattare il lavoro di lei, che cambiava molto spesso, diciamo all’incirca quasi ogni quattro mesi. Non navigavano nell’oro, sicuramente.
Grantaire aveva smesso di tentare ad abituarsi ad un posto o ad una città in particolare, tanto era piuttosto inutile con quel girovagare di qua e di là che dava quasi alla testa. Aveva visto più città francesi in quegli ultimi anni che in tutta la sua vita, considerando che aveva solo diciassette anni.
Capiva la necessità dello spostarsi e non diceva nulla, non replicava; se ne stava lì, con la sua felpa con cappuccio extralarge che gli copriva i bei capelli corvini, ripresi dalla madre, con quella testa bassa e quel suo zaino semi aperto da dove pennelli da pittura si divertivano a fare capolino.
La stoffa dello zaino era sporca di tempera quasi tutto il tempo e più sua madre cercava di togliere quelle macchie colorate in lavatrice, più sembravano moltiplicarsi e divenire più vivide.
Ed ora eccolo lì, vicino alla porta della camera, lo zaino colorato, che sembrava sorridergli afflosciato sul pavimento lucido, aspettando solamente di essere tappezzato di altro colore. Più sfumature aggiungeva più quel pezzo di stoffa pareva prendere vita.
D’altronde la vita scarseggiava intorno a lui; non aveva amici, in tutte le scuole delle altre città francesi dov’era stato (quel poco tempo che ci era rimasto), i ragazzi lo avevano guardato male, quasi sembrasse un borseggiatore da cui allontanarsi oppure un pazzo da evitare.
Ma lui non era così. Quasi metà della sua vita l’aveva trascorsa come copertina di quello che era il libro di se stesso…Se solo gli altri lo avessero potuto vedere come lui vedeva i suoi quadri.
Grantaire solitamente li ignorava. Inutile contrattare con lettori superficiali.
 
Questo era il mese di Eguisheim. Lui e sua madre erano arrivati in città da pochi giorni, avevano sistemato il loro nuovo appartamento (inutile chiamarlo casa se l’avrebbero lasciato presto) e Grantaire ne era piuttosto soddisfatto.
Lo spazio non era molto grande; assomigliava molto a uno di quei luoghi dove tutto il necessario è sistemato in un’area ristretta. La vita in piccolo insomma.
Sicuramente meglio dei brutti giorni passati a dormire in macchina.
Il ragazzo sbadigliò a causa del silenzioso alone di sonno giacente sul viso, poi si alzò dopo aver lottato svogliatamente per liberarsi dalle coperte accaldate e fece la sua pigra entrata in corridoio.
Mentre si stropicciava gli occhi notò alcuni quadrucci che sua madre aveva già appeso la sera prima.
Più che altro si trattava di vecchie foto di famiglia, ritraenti soprattutto un piccolo Grantaire intento a dipingere o disegnare mentre mostrava il suo sdentato sorriso.
Raggiunse la cucina in pochi secondi, accorgendosi di un foglietto giallo con poche righe d’inchiostro sopra: “C’è un po’ di latte in frigo, spero ti vada bene. Non torno a casa prima delle sette. Baci, mamma”.
Il ragazzo lesse il biglietto, ghignò divertito dalla firma quasi illeggibile a causa della penna non funzionante, poi lo accartocciò per buttarlo.
Aprì la credenza un po’ trasandata sperando in una colazione un po’ ricca.
Tutto quello che riuscì a prepararsi fu un po’ di latte caldo ed una mela da sgranocchiare mentre andava a scuola.
Il solo pensiero di dover incontrare gente nuova lo rendeva appena ansioso. Non provava più l’eccitazione di fare nuove amicizie come quand’era piccolo. Quei tempi erano passati ormai.
Quando tornò in camera sua la stanza si era riscaldata, i raggi del sole ora avevano invaso la stanza lasciando un dolce calore accompagnato dal simpatico canticchiare degli uccellini.
Inciampò su una tela non finita caduta a terra da chissà quanto tempo; la raccolse sbuffando, poi la osservò: rappresentava una foresta, in bianco e nero però. Senza colori. Senza foglie. Era completamente vuota ed insignificante.
L’aveva dipinta un mese fa, prima di lasciare la vecchia città di cui non ricordava neanche il nome. Rappresentava la speranza caduta di stabilirsi in un posto ed avere una vita normale.
Grantaire sorrise tristemente alla tela mentre l’adagiava sul muro.
Si vestì in pochi secondi poiché la scelta dei vestiti era davvero misera; si mise la sua solita felpa nera ed i suoi soliti pantaloni neri con alcuni spruzzi di blu oceano sulle tasche davanti.
Indossò le fedeli scarpe da ginnastica, prese lo zaino ed uscì di casa in silenzio.
 
 
 
 
 
Il viale era contornato di alberi rossicci, qualche fogliolina cadeva indisturbata librandosi nell’aria.
L’autunno era la stagione preferita di Grantaire. Mentre camminava a passo veloce circondato da quei toni aranciati ed ambrati, il ragazzo provò un improvviso senso di eccitazione…Adesso che l’autunno era arrivato poteva dipingere tutti i paesaggi che voleva.


 

                      ----

 



Non ci volle molto prima che raggiunse la scuola.
La sorpresa solitamente provatasi nell’arrivare in un posto nuovo non si faceva sentire da tanto tempo. Le scuole erano tutte uguali: stessi corridoi cupi ed affollati, stesso odore di gesso e detergete per il bagno, stesso gruppetto di fighetti che lo guardavano in modo singolare.
Cosa avrebbe potuto esserci di nuovo e particolare?
La prima parte della mattinata non fu niente di eclatante. Pst, che novità.  Solite occhiate, soliti commenti sussurrati a mezza bocca.
Era a lezione di biologia, mancavano pochi minuti alla pausa pranzo e solo il pensiero di dover mangiare in solitudine ad un tavolo desolato lo rattristava un po’. In fondo, gli sarebbe piaciuto fare amicizie. Era pur sempre un diciassettenne, aveva bisogno di confrontarsi con qualcuno oltre sua madre. Qualcuno della sua età.
Dall’ultimo banco dell’aula notò alcuni sguardi insoliti da parte di due ragazzi pochi banchi davanti a lui.
Forse gli altri lo guardavano in quel modo così scontroso solamente perché il suo vestiario era piuttosto misero e sporco di pittura. Non appena si accorse di una grossa chiazza di blu sulla tasca destra dei jeans, Grantaire cercò di coprirla, anche se i ricci ribelli, costretti nel cappuccio della felpa blu che aveva indosso, gli rendevano un po’ più difficile compiere il suo intento.
Disinteressato dalla lezione, prese un foglio dal suo blocchetto di disegni ed iniziò a scarabocchiarci sopra.
Un piccolo sorriso si fece largo sulle labbra del ragazzo non appena avvertì la grezza punta della sua matita marchiare il foglio, era un brivido caldo quello che sentiva dietro la schiena, il solo unico amico che poteva avere la fortuna di possedere.
Si lasciò completamente andare mentre la rauca voce del professore cianciava in sottofondo, mantenendolo in un flebile contatto con il mondo reale mentre lui viaggiava in quell’insieme di matita e odore di gomma cancellata che gli sporcava le mani.  Erano i petali di una rosa nera.
-Mh, mh.- quella specie di grugnito interruppe la lezione.
Era il professore, ritto in piedi, accanto al banco di Grantaire, con un sopracciglio alzato…E l’epressione piuttosto irritata. Avrà avuto più o meno una cinquantina d’anni, uno di quegli insegnanti che appaiono piuttosto austeri a guardarsi e che poi sono ancora peggio. Il panciotto che portava sembrava non essere della taglia giusta ed i baffi lo rendevano ancora più minaccioso di quanto sembrasse.
Grantaire si accorse che tutti i ragazzi presenti nell’aula si girarono per guardarlo, il che lo mise ancora di più in soggezione. Non adorava essere al centro dell’attenzione, figuriamoci quando qualcuno lo sorprendeva con la testa tra le nuvole.
Il professore sospirò. -Notevole, ma non è nella lezione giusta.- Il ragazzo guardò il foglio sotto di lui e si scusò.
All’improvviso la campanella suonò, salvandolo da quella che sembrava stesse per diventare una nota di detenzione o qualcosa di peggiore. Con sorpresa di Grantaire, il professore se ne tornò in cattedra aggiustandosi il panciotto senza dire una parola.
In pochi secondi fu fuori dall’aula con lo zaino in spalla e la pila di libri tra le braccia; non si era preso la briga di metterli a posto per paura che il professore cambiasse idea e gli sbraitasse contro. Meglio evitare una scena del genere.
Camminava accompagnato dalle voci forti degli studenti con il cappuccio in testa che gli copriva metà faccia, il blocco dei disegni sotto il mento ed il desiderio di riuscire ad arrivare al suo armadietto senza cadere miseramente davanti a tutti.
L’impatto che avvertì non fu lieve, ma neanche altrettanto forte. La giusta dose per farlo scivolare brandendo tutti i fogli scarabocchiati in aria.
-Ahi…Dannazione, ma che-?- una voce giovanile e leggermente irritata parlò.
-Scusami, non-non ti ho visto, Io…- Grantaire era seduto a terra, cosparso di fogli e libri dalla testa ai piedi.
Non riuscì a dire altro quando si trovò davanti agli occhi un ragazzo, con gli occhi blu come l’oceano che annunciava tempesta ed i capelli biondi come un campo immenso di girasoli maturi in un pomeriggio d’estate.
Restò a bocca aperta, tentò di parlare, ma riusciva solo ad emettere dei piccoli sospiri che si disperdevano nel chiasso del corridoio.
Il ragazzo con cui si era scontrato lo guardò in un minuto di silenzio e poi sorrise. Ora gli occhi splendevano.
-E’ il tuo primo giorno, vero? Anche a me è capitato di scivolare, non ti preoccupare. Stai bene?-
-C-credo di si.- mormorò Grantaire. I capelli biondi ed appena mossi dell’estraneo ondularono con grazia non appena si accovacciò sul disastro di fogli ed iniziò a raccoglierli con cautela.
Era come un quadro inedito di un pittore anonimo. Più guardava quel ragazzo più gli veniva voglia di prendere un pennello ed iniziare a dipingere.
Grantaire si mise ad aiutarlo. Avrebbe dovuto dire qualcosa? Dopotutto quello scontro poteva essere un pretesto per fare amicizia, no? Non era così che si incontrava la gente sui film americani? Con gli incidenti?
Non appena le dita affusolate del biondo si posarono sui disegni incompleti sparsi a terra, Grantaire si irrigidì e bloccò istintivamente la mano del ragazzo con la sua.
-F-faccio io- protestò con una voce forse un po’ troppo irritata. Al moro non piaceva che venissero guardate le sue piccole creazioni…Era una cosa che lo rendeva nervoso ed irascibile.
Il biondo notò che il suo tocco era tremolante, agitato. Eppure allo stesso tempo si presentava piacevole e confortante.
-Mi spiace. Ecco, tieni.- sussurrò alzandosi in piedi.
Grantaire si alzò altrettanto con i libri ed i fogli svolazzanti più disordinati di prima che gli pendevano dalle braccia.
Teneva le spalle chiuse, metà del viso ancora coperto dai capelli e dal cappuccio e lo sguardo abbassato.
-L a prossima volta cerca di stare più attento, lapinou.*- mormorò il biondo, scostando delicatamente una ciocca di capelli neri finita per sbaglio sull’occhio scoperto di Grantaire.
Poi la figura anonima si allontanò e si mischiò tra la folla che si dirigeva verso la mensa per il pranzo, lasciando il diciassettenne tra i suoi pensieri e le sue emozioni confuse.
 
 
Enjolras si accostò al muro non appena svoltò l’angolo del corridoio.
Dal pugno chiuso tirò fuori un foglio scarabocchiato a matita. Una rosa.
Però, quel tipo ha proprio un talento nel disegno.
 
 



 





 
 
 
(*parola derivante dal francese: coniglietto)

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


 



 

Grantaire non aveva dormito quella notte.

Dopo la scuola aveva un po' girovagato per la città, giusto per conoscere nuovi sapori e odori e doveva ammettere che il malcontento era davvero poco: il pittoresco villaggio di Eguisheim poteva definirsi un quadro impressionista, con i suoi colori sgargianti che sembravano appena stati mischiati nella tavolozza di un pittore.

Le casette sorgevano in vicoli stretti, l'aria era buona, sapeva quasi sempre di pane caldo o di menta; talvolta il ragazzo si sedeva in una delle minuscole piazze, al bordo di una qualche fontana, e sotto lo scrosciare dell'acqua chiudeva gli occhi, allontanandosi da tutto quello che stava succedendo nella sua vita. Altre volte gli bastava qualche riga di matita per cancellare i brutti pensieri.

Il giorno prima aveva semplicemente passeggiato per le viette della cittadella, mentre i sorrisi delle persone gli facevano venire una forza ispiratrice da far invidia a Van Gogh: quanto avrebbe voluto riportare su tela quelle espressioni luminose, quanto avrebbe adorato aggiungere toni autunnali come sfondo, con un tocco di rossiccio qua e là.

Grantaire amava dipingere le persone: era come spiare la loro vita, decifrare i loro sentimenti attraverso i colori. Sin da bambino aveva sempre disegnato sua madre, mentre dormiva, mentre rideva, una volta persino mentre piangeva, accovacciata al bordo del letto con la piccola versione di sé accanto, intanto che le manine scarabocchiavano il foglio limpido. Non ricordava perché sua mamma stesse piangendo, ma non poté dimenticare il pastello rosso che gli si spezzò tra le dita poco prima di finire il disegno. Rammentò di essere molto arrabbiato.

Alla fine era tornato a casa col tramonto, deciso di mettersi a letto presto. Eppure, quando la notte era calata accompagnata da una coperta di stelle luccicanti, neanche l'atmosfera bluastra era riuscita a conciliargli il sonno. Grantaire pensava a quel ragazzo.

Pensava all'istante in cui gli aveva toccato la mano, pensava ai suoi occhi blu ed ai suoi riccioli d'oro che gli ricadevano appena sulle spalle.

Giaceva sul letto, confuso, agitato, malinconico ed un po' scosso, con la testa a penzoloni su di un lato e gli occhi su una nuova tela bianca di seconda mano.

All'improvviso un impulso, l'istinto di alzarsi ed afferrare i tubetti di colore quasi finiti.

Prese il blu ed il giallo, li aprì e fece scorrere i colori sulle mani. Il ragazzo sorrise all'abituale sensazione di fresco che si rivolse ai suoi palmi. Poi iniziò a picchiettare sulla tela seguendo la sua immaginazione.

Ripensò all'incontro con quel ragazzo, ripensò a quando lo aveva chiamato lapinou e sorrise mischiando i colori con la magia dell'istinto. Niente lo faceva sentire così bene come la pittura.

C'era qualcosa in quegli occhi blu che lo toccavano in fondo all'anima, quell'anima ipercolorata che solitamente si associa ai pittori e che poi viene sempre rispiegata in varie tinte, dal rosso al blu, dal viola al nero ossidiana.

Grantaire continuò a danzare su quella tela, mentre i suoi capelli ebano saltellavano su e giù con ritmo, quasi a creare una silenziosa melodia nella stanza, una serie di piccoli effetti sonori che prendevano parte a quello speciale incontro spirituale.

Dopo striate colorate di qua e di là, Grantaire si allontanò dalla tela con le mani impiastrate di tempera, il fiato agitato, le labbra semiaperte.

Il profilo di un giovane lo fronteggiava.

Lo sguardo era stato creato rivolto verso l'alto, le linee gialle e verdognole facevano spiccare il blu intenso dei suoi occhi. Il moro sorrise, ed avrebbe sorriso ancora di più se solo avesse notato lo schizzo bluastro sulla sua guancia.

Ora non sentiva più niente...Tutte le sue emozioni erano state rubate dal ladro su quel quadro.

 

 

 

----

 

 

 

 

L'aula era calda.

Il pomeriggio rossiccio che si estendeva al di là del vetro della finestra della scuola trasmise a Grantaire una dolce sensazione di affetto ed accoglienza da parte della natura, simile a quel calore che si prova quando si è ben accolti in casa di qualcun altro.

Era quasi calato il tramonto nella cittadina di Eguisheim, il ragazzo lo capiva dal raggio timido che era entrato dalla finestra ed era andato a toccare il parquet dell'aula di arte, imbrattato di colori mischiati tra loro.
 


 

Grantaire se ne stava seduto su quella seggiola thonet con gli occhi che sbattevano sulla tela biancastra davanti a sé. Ora che si era tolto coraggiosamente il cappuccio della sua solita felpa, i ricci si erano rilassati, con qualche piccola ciocca indiscreta che gli copriva l'occhio destro.

Non era solo in aula, altri ragazzi stavano chiacchierando allegramente davanti alle loro tele aspettando che l'insegnante di arte fosse precipitato nella stanza. Grantaire guardò il suo orologio da polso: le cinque precise.

-Bonjour , mes enfants!-

Una voce squillante e decisa ruppe nel chiacchiericcio della stanza e fu così acuta che per poco Grantaire non cadde dalla sedia.

Un figura snella, alta e tutta agghindata con vesti floreali si presentò davanti agli occhi incuriositi degli studenti.

Grantaire la guardava, affascinato...Gli sarebbe piaciuto dipingerla, magari seduta su un divanetto dell'ottocento, mentre guardava l'orizzonte. Aveva un bel profilo, osservò deliziato.

Con la gonna violetto che svolazzava tra le tele bianche, danzò leggiadra fino ad arrivare alla sua postazione da insegnante con un sorriso da cinema stampato sul viso giovane.

-Sono contenta che siate così in tanti!- gridò entusiasta. Grantaire poteva giurare di averla vista trattenere un saltello di eccitazione.

-Oh, che sbadata, non mi sono ancora presentata!- ridacchiò vivamente- mi chiamo Danielle Rochenne e sarò la vostra insegnate di arte per i prossimi mesi! Non è fantastico?!-

Seguì un leggero chiacchiericcio tra gli studenti, probabilmente si stavano chiedendo se quella donna fosse esuberante di natura...o fosse semplicemente pazza.

Grantaire non la vedeva così: nel suo modo artistico di percepire le cose, la immaginava un soggetto perfetto da dipingere; secondo lui aveva tutte le sfaccettature giuste da cui tirare fuori un ottimo dipinto.

Come quel ragazzo dell'altro giorno, quello che lo aveva chiamato lapinou. Il riccio si guardò le mani, sorridendo appena il ricordo della sua mano che toccava quella di lui si fece presente. Poi spostò lo sguardo sui pantaloni macchiati di colore. Come se potesse essere interessato ad una persona strana come lui.

-Come prima lezione, vorrei vedere un po' come ve la cavate, voglio capire qual è la vostra arte, il vostro modo di dipingere...- gesticolò agitata Danielle.

-Quindi, per cominciare, pennelli e mano e sbizzarritevi nel rappresentare un caro ragazzo che si è messo a disposizione come modello per esprimere la vostra anima.- Grantaire alzò un sopracciglio.

Non aveva mai dipinto una figura umana, non interamente. E quando lo faceva non usava pennelli, soltanto le sue dita, proprio come aveva fatto la scorsa notte con il suo ragazzo misterioso.

-Chéri, vieni, i miei allievi ti stanno aspettando.-

Grantaire distolse gli occhi dalle vesti colorate di Mme Rochenne e vide comparire un ragazzo a petto scoperto, con soltanto un velo bianco di seta che teneva in mano cercando di coprire l'inguine.

Grantaire trattenne il fiato: riconobbe quei cappelli biondo grano e quegli occhi blu oceano...Riconobbe il suo ragazzo misterioso.

Sembrava un po' timido all'apparenza, stringeva quel panno candito sul corpo per paura di farlo cadere. Il viso luminoso rendeva l'aula ancora più raggiante del tramonto fuori alla finestra. L'espressione era pacata, forse un po' agitata, ma nonostante questo aleggiava una dolce aria di tranquillità sugli occhi, contornati da quella morbida capigliatura così intrisa d'oro, che pareva più preziosa di qualsiasi tesoro maya.

E quel capolavoro che avrebbe fatto invidia al Dio Adon, non si era accorto di Grantaire. Per fortuna.

-Mes enfants, lui è Enjolras ed oggi vi farà da modello nella particolare riproduzione del corpo umano. Non dovete fare un quadro anatomico, preferirei che vi lasciaste andare alle vostre emozioni. Vite, vite, a lavoro!- squittì la donna battendo le mani.

Grantaire era ancora perso a guardare il ragazzo: non poteva farci nulla se non riusciva a staccare gli occhi di dosso dalle sue braccia, dalle sue labbra che si schiusero non appena si poggiò sul divanetto per la posa; pur essendo nell'ultima fila di tele, riusciva comunque a distinguere ed a notare tutti quei particolari e, mentre si sporgeva ai lati del cavalletto, sorrideva estasiato ad ogni piccolo nervo che guizzava sulla pelle ambrata di quel ragazzo. Enjolras, si ripeté mentalmente. "Colui che genera terrore".

Ci vollero pochi secondi prima che il riccio si rifiutò di usare i pennelli ed iniziò a dipingere con le proprie mani: guardava e riguardava il corpo sinuoso di Enjolras con attenzione, sporgendosi a lato della tela e ritraendosi per dare qualche ditata qui e là.

Il freddo del colore lo fece rabbrividire di tanto in tanto, ma niente riuscì a distrarlo dalla sua ricerca di dettagli e perfezione.

In poco tempo riuscì a dare forma al suo quadro, la figura quell'Enjolras sdraiato sul divanetto, con la chioma dorata talvolta accarezzata da qualche leggero soffio d'aria che penetrava furtivo dalla finestra dell'aula; il collo era ben visibile, fatto che mise in difficoltà la concentrazione di Grantaire, ma grazie al quale poté individuare tutte le ombre giuste del viso attraverso vari colori, dal bluastro al bianco limpido della veste setosa.

Quando riuscì a finire, si sgridò mentalmente per essersi ricoperto interamente di pittura, viso compreso.

-Intéressant, chéri.-

La voce di Mme Rochenne lo fece sobbalzare. Aveva da poco iniziato a fare dei giri tra le tele, ma era rimasta in silenzio fino a quando non era capitata accanto a Grantaire.

Stavolta la sua voce era cambiata, quasi un sussurro fuoriuscì dalle sue labbra dipinte di viola.

-I pennelli hanno per caso minacciato la tua famiglia?-

-Cosa?- fece il ragazzo.

La donna gli indicò le mani sporche di colore con un unghia ben limata.

-Oh, beh, è che credo che l'animo umano non possa essere definito dai contorni precisi di un pennello, Madame. P-penso sia meglio tentare di plasmare l'anima con le proprie mani.-

Danielle lo fissava.

-E'-è più naturale.- esitò Grantaire poggiandosi una mano dietro la nuca.

L'insegnante guardò di nuovo il quadro con fare pensieroso. Poi si rivolse di nuovo al riccio.

-Come hai detto che ti chiami?-

-G-Grantaire, Madame.

-E' un ottimo inizio, Grantaire. Davvero un ottimo inizio.- e danzò via con la sua gonna larga, lasciando dietro di sé una dolce scia di profumo alla gardenia.

Il ragazzo sorrise, e proprio nel momento in cui alzò lo sguardo notò due occhi blu oceano che lo fissavano dall'altra parte della stanza.

 

Mme Rochenne decise di concludere la lezione cinque minuti prima, grazie ai quali Grantaire poté correre in bagno per cercare di sciacquare le mani insozzate di colore.

Era già con le dita sotto l'acqua tiepida del lavandino del bagno quando una serie di passi lo misero sull'attenti.

-Ahh, ma allora mi stai spiando eh? Prima la caduta, adesso il corso di arte...Non è che ti piaccio?

La figura di Enjolras era alla porta del bagno, con un fianco poggiato sullo stipite.

Grantaire rimase a bocca aperta, con le mani ancora inzuppate d'acqua e colore e lo sguardo fisso sui due specchi color oceano del ragazzo.

-C-cosa? Io non-

Il biondo scoppiò in una leggera risata. Una risata che risuonò talmente dolce alle orecchie dell'artista, che Grantaire poté paragonarla ad un paesaggio primaverile, caldo e profumato.

-Rilassati, lapinou, sto scherzando.- Ora che era vestito, portava una camicia bianca con qualche bottoncino sul collo e dei pantaloni neri che sottolineavano a meraviglia le forme delle sue gambe.

-E quindi sei un artista.- mormorò avvicinandosi a Grantaire. –Danielle mi ha detto che hai un modo tutto tuo di dipingere.-

-Danielle?-

-Si, la tua insegnante di arte. E' in realtà mia zia, per questo la chiamo per nome. E' stata lei ad introdurmi al mondo dell'arte. Ha provato a farmi disegnare, ma ha rinunciato dopo aver visto il mio omino stilizzato un anno fa.-

Grantaire sorrise appena.

-E così fai il modello.-

-Mh mh, per dare opportunità ad artisti meravigliosi come te di esprimersi.-

Per dare opportunità ad artisti meravigliosi come te di esprimersi.

Artisti meravigliosi.

Come te.

-Enjolras, mon amour, faremo tardi! Dove sei?-

Una giovane voce femminile echeggiò nel corridoio.

-Oh, mi sa proprio che devo andare, prima che la mia ragazza si innervosisca e fidati, non sarà un bene per me!-

La mia ragazza.

Grantaire non fu sorpreso di avvertire un piccolo colpo al cuore quando udì quelle tre parole.

Insomma, che cosa si aspettava?

Ovviamente aveva una ragazza.

-Devo proprio andare. Ci vediamo alla prossima lezione, giusto?-

-Ehm, si, certo.- il riccio non riuscì a dire altro.

Guardò il biondo allontanarsi con una corsa fino ad arrivare quasi alla fine del corridoio, dove si voltò e gridò:

-Com'è che ti chiami? Non posso continuare a chiamarti lapinou per sempre, no?-

-M-mi chiamo Grantaire.-

Il biondo sorrise.

-Io sono Enjolras.- disse, per poi correre via verso la snella figura che lo stava spettando al fondo del corridoio, a braccia aperte.

Grantaire lo guardò scivolare via dal suo sguardo per poi scomparire del tutto. Si fissò le mani ancora bagnate.

-Lo so.-

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


 

 

Era un incerto pomeriggio nell'allegra cittadella di Eguisheim. 

Il vento soffiava tra i riccioli di Grantaire, scombinandoli un po'. Quel piccolo dettaglio gli fece venire in mente sua madre, quando era più piccolo, che gli accarezzava la testa fino a farlo addormentare.

La stradicciola era deserta, forse perché faceva un tantino freddo quel giorno, o forse semplicemente perché in quella piccola città gli abitanti non erano molti.

Mentre camminava deciso sull'asfalto, Grantaire pensava. Si stava dirigendo al suo corso di cucina pomeridiano. Aveva saputo da un annuncio che era stato aperto proprio nella sua scuola...Quale migliore chance per fare nuove amicizie ed iniziarsi ad ambientarsi un po'? Dopotutto sua madre gli aveva da poco riferito che sarebbero stati più a lungo in quella città in confronto a quelle precedenti.

Con lo scricchiolio delle foglie giallognole sotto le suole delle scarpe, riuscì a raggiungere la scuola ed a varcare la soglia. Appariva molto diversa di quando la vedeva al mattino.

Poteva essere colpa del cielo con i suoi riflessi grigiastri donava un aspetto più timido al tutto. Forse invece era per il silenzio che si notava dal giardinetto esterno. La mattina, al contrario, era affollatissimo di studenti, ovviamente.

Quel piccolo particolare lo faceva sentire un po' più tranquillo. Più era inosservato da sguardi giovanili, più si sentiva al sicuro.

E poi aveva anche un po' di paura d'incontrare quel ragazzo, quell'Enjolras.

L'incontro che c'era stato pochi giorni fa al corso d'arte si era dimostrato un tantino imbarazzante, poi era diventato dolce, fino a concludersi, però, con delusione non appena Grantaire aveva adocchiato la sua ragazza in fondo al corridoio della scuola.

All'inizio era solo una figura snella e sfocata, ma poi si era fatta appena più chiara e, solo nel vederla a quella lunga distanza, il ragazzo si era reso conto di quanto fosse bella; così sorridente, così giovane e spensierata che avrebbe voluto avere tutti gli spasimanti che voleva. La perfezione fatta ragazza.

Lui, al contrario, non era così. Innanzitutto non era una ragazza, ma poi non era né aggraziato, né tantomeno bello. Figuriamoci se un tipo come Enjolras lo avesse mai notato per qualcosa che non fossero le sue macchie di pittura.

Comunque, dopo quell'evento aveva visto quella ragazza spesso a scuola, con Enjolras.

I momenti erano stati diversi, ma uno in particolare gli era rimasto impresso: esattamente due giorni fa erano accostati ad un armadietto, nel pieno del cambio dell'ora; la biondina era intenta a sussurrare qualcosa all'orecchio del ragazzo, qualcosa di divertente visto che lui si era messo pacatamente a ridere.

Poi avevano iniziato a baciarsi. E Grantaire ricordava ogni piccola e strana fitta allo stomaco che aveva sentito in quell'istante.

Dannazione se erano strane. Perché avrebbe dovuto sentirsi così per un tipo che neanche conosceva?

 

 

Il portone della scuola si chiuse con un tonfo non appena l'artista entrò.

L'aria era viziata, come se qualcuno non avesse tenuto le finestre abbastanza aperte e a peggiorare la situazione c'era quell'odore di gomma e gesso che si trova in ogni liceo che si rispetti.

Un chiacchiericcio raggiunse la sua attenzione; proveniva dall'aula alla sua sinistra: fuori la porta un'insegna bianca con caratteri corsivi proclamava "Aula di Cucina".

Direi che sono nel posto giusto.- pensò Grantaire.

Non appena entrò si accorse con piacere che la stanza non era molto affollata di studenti: alcuni se ne stavano seduti sui banconi un po' sporchi di farina, altri stavano indossando il camice da cucina, altri ancora parlavano allegramente tra loro e poi...

Dannazione.

All'ultimo bancone, con il dorso poggiato sul marmo variegato, i capelli appena disordinati e lo sguardo fisso nel vuoto, c'era Enjolras.

Se il mini infarto che ebbe in quel secondo non l'aveva steso al tappeto, Grantaire poteva ora essere sicuro di essere quasi immortale.

Il biondo alzò una mano per salutarlo, tirando fuori il suo sorriso più timido, ma il riccio abbassò lo sguardo e andò a scegliersi la sua postazione a passo veloce.

Si trovava al lato opposto della stanza in confronto al ragazzo, ma forse era meglio così: se tanto non c'erano speranze per lui in contesto amoroso con quel tipo, allora era meglio troncare il tutto prima che fosse stato troppo tardi. Prima che si fosse spezzato il cuore da solo.

La lezione iniziò con la voce dell'insegnante che cominciò nel dettare ordini sin dal primo minuto

La lezione iniziò con la voce dell'insegnante che cominciò nel dettare ordini sin dal primo minuto. Nel tempo di un quarto d'ora Grantaire aveva già preparato due creme, una all'aroma di arancia e l'altra al cioccolato.

Gli era sempre piaciuto cucinare. Forse perché si sentiva proprio come quando dipingeva; alla fine non c'era molta differenza tra i colori e gli ingredienti, era divertente sperimentare utilizzando il gusto e il tatto.

Con fare coraggioso, Grantaire puntò lo sguardo verso l'altra parte della stanza.

Enjolras portava sul viso un' espressione piuttosto confusa, mentre con il mestolo tirava fuori un liquido gocciolante. L'insegnante gli si avvicinò e, da quanto poteva intendere il riccio a quella distanza, gli disse qualcosa di negativo riguardo il suo lavoro.

E poi lo sguardo di Grantaire fu ricambiato. Quegli occhi color oceano dovevano davvero essere freddi come il ghiaccio per l'incredibile velocità con cui l'artista si voltò.

-Davvero un ottimo lavoro. Almeno lei non ha creato un veleno per topi come qualcun altro in questa stanza.- era l'insegnante avvicinatosi a Grantaire, e la sua voce aveva dovuto essere un po' troppo alta, poiché la metà degli studenti si voltò ridendo, Enjolras con espressione corrucciata.

-La ringrazio, Monsieur.- rispose il riccio.

-Le dispiace aiutare quel pasticcione laggiù? Vedo che ha già finito tutto.- propose il professore con voce convincente.

Grantaire guardò Enjolras mentre spolverava il bancone di farina.

-M-ma io veramente, Monsieur...-

-Lo farà?! Oh,c'est magnifique!-

Un tonfò proseguì la conversazione: il biondino si era fatto cadere la ciotola ai piedi, con tutto il liquido dentro.

Il resto degli studenti rise. Grantaire si trattenne appena un po'. L'insegnante si passò una mano sul viso prima di tornare alla sua postazione.

-Bien, la lezione è finita, alcuni di voi hanno fatto progressi, mentre altri...beh, hanno bisogno di più pratica!- mormorò il professore adocchiando l'unico biondino della classe.

-Comunque sia,- riprese a parlare,- avete fatto tutti un ottimo lavoro. Fatevi un applauso!- gridò con troppo entusiasmo l'insegnante.

Grantaire applaudì poco convinto, mentre con la coda dell'occhio si accorse delle mani appiccicose di uova e chissà cos'altro che tentavano di staccarsi l'una dall'altra. Sorrise.

-Oh, e ovviamente a Monsieur Enjolras non dispiacerà rimanere qui a pulire il disastro che ha combinato, giusto?-

Il biondino aprì la bocca per rispondere, ma poi sbuffò ponendosi a braccia conserte dall'avversità.

In pochi minuti gli studenti erano fuggiti da quella piccola tortura culinaria, lasciando l'artista ed il pasticcione da soli tra odore di uova e farina rovesciata.

Grantaire si stava togliendo il camice da cucina e lo stava appendendo al proprio posto. Ora poteva anche andare a casa...Anche se la vista del biondino che tentava di nuovo a fare i due tipi di creme lo divertiva parecchio.

-Allora è vero che mi segui.- parlò alla fine il biondo.

Grantaire saltò seduto sul bancone a fianco del ragazzo.

-Potrei dire lo stesso di te.- rispose il moro con un sorriso soddisfatto sulle labbra. -Serve una mano?-

-N-no, è solo che non capisco perché mi venga così liquida questa stupida crema.- mormorò Enjolras sull'orlo della frustrazione più totale.

-Forse perché non hai montato l'albume a neve?-

-Montato cosa?-

La flebile risata di Grantaire si sparse nell'aula.

Poi scese dal bancone con un salto abile e si fece vicino al biondo.

Enjolras lo guardava disperato, i segni della lotta con quel terribile mostro bianco farinaceo sulle guance, il camice ed i capelli unti di crema, se si poteva definire così.

-Permetti?-

Il biondino lo guardò per pochi secondi, prima di spostarsi timidamente dal bancone.

Grantaire continuò a sorridere scuotendo la testa e si mise all'opera, tentando di rimediare un po' a quel caos odoroso di uova e farina.

Enjolras lo osservava incantato: lo sguardo completamente rapito da quei gesti così eleganti, così veloci nel mischiare gli ingredienti con un mezzo sorriso sul viso perlato di un accenno di rossore. I ricci ricadevano sul volto del ragazzo, nascondendo solo una parte di quel mezzo ghigno soddisfatto, lasciando invece la maggior parte del viso in piena vista, appena toccata dai raggi pomeridiani filtrati dalla finestra dell'aula. Si avvicinò di più a lui.

-Vedi?- disse Grantaire interrompendo la sua osservazione meticolosa –è tutta questione di giocare con gli ingredienti.- L'artista si rivolse al ragazzo voltando la testa sulla spalla...e si tuffò nel blu cobalto degli occhi di Enjolras.

Non sapeva come fosse accaduto, forse non se ne era accorto, ma ora il ragazzo che la prima volta gli aveva raccolto i disegni, che aveva ritrovato al corso di arte e che si era versato addosso un barattolo di crema lo stava fissando a pochi centimetri dalle sue labbra.

Lo guardava negli occhi e Grantaire avrebbe voluto scappare, nascondersi, correre più lontano possibile e rifugiarsi in uno dei suoi quadri semplicemente saltandoci dentro.

Eppure, in qualche strano modo, quel tappeto azzurro che erano gli occhi del biondino lo tenevano ancorato al pavimento.

Enjolras sembrava confuso, anzi, sembrava spaventato. Solo un artista come Grantaire era in grado di cogliere ogni minuscola emozioni che gli stava passando sul viso in quel momento: gli occhi ben aperti, le labbra tremavano appena, una serie di piccoli sospiri giocavano con i ricci del moro fuoriuscendo dalla bocca socchiusa. Pareva essere stato paralizzato da un fulmine di emozioni.

-C-Credo che la tua crema sia pronta ora.- mormorò Grantaire.

Sembrò che Enjolras si risvegliasse da un sogno non appena furono bisbigliate quelle parole. Sorrise, con ancora qualche macchia di farina sui capelli.

-Sei proprio un prodigio.-

Grantaire notò una strana nota amara in quella frase, una di quelle amarezze che rimane in gola per qualche tempo. L'intonazione era poco convinta, artificiale.

Osservò il biondino prepararsi e riporre il camice unto al suo posto, poi si avvicinò di nuovo a lui col suo fare convinto, come se la trasparenza di insicurezza parsagli poco prima sul volto non fosse mai esistita.

-Ci si vede allora, e grazie per la crema!- disse con un po' troppa enfasi, avventurandosi verso la porta dell'aula con uno zaino in spalla.

Grantaire tornò verso la sua postazione ed iniziò a riporre la sua roba.

Un brivido freddo gli attraversò lo stomaco non appena una folta chioma di ricci color grano si accostarono al suo viso.

-À bientôtlapinou.- Enjolras era appena tornato indietro per baciare la sua guancia.

L'artista si voltò di scatto, ma il biondino era già corso via, i passi veloci riecheggiavano nel corridoio.

 

 

 

Enjolras si era fermato davanti alla porta dell'aula di cucina con fare esitante.

Cosa diavolo gli era successo poco fa? Gli era parso di non riuscire più a pensare non appena aveva posato gli occhi su quel Grantaire, non appena ce lo aveva avuto a pochi millimetri di distanza dal suo corpo.

Con lo zaino in spalla, chiuse gli occhi e sospirò piano. Poi si voltò. Il riccio stava già preparando la sua roba.

Perché lo faceva sentire così...vulnerabile?

In pochi passi lo raggiunse alle sue spalle, con la chioma tinta di ebano che gli ricadeva poco sopra le spalle...Gli sussurrò la prima cosa che gli venne in mente ed abbandonò un po' di quella timidezza nascosta sulla guancia del ragazzo.

Dopo pochi secondi stava già correndo via con il sorriso dipinto in viso.

 

 

 

 

 

Era quasi ora di cena quando Grantaire tornò a casa.

Sua madre Heleine avrebbe dovuto essere già a casa, e dalle finestre illuminate che si scorgevano al di fuori dell'appartamento, probabilmente aveva ragione.

Dopo essere entrato ed aver chiuso la porta dietro di sé, il caldo dell'interno lo accolse piacevolmente.

Grantaire grugnì appena a quella sensazione, abbandonando lo zaino all'aria e gettandosi sul divano quasi inciampando sul tappeto nei paraggi.

-Grantaire, sei tu?- la voce melodica di sua madre echeggiò dal corridoio.

-Si mamma, sono a casa.- rispose con tono distante.

Fissò lo guardo stanco sul muro di fronte a lui, quello dove sua madre aveva attaccato un po' dei suoi disegni di quand'era piccolo. Poi gli occhi di Enjolras che lo guardavano in modo particolare nell'aula di cucina irruppero nei suoi pensieri, scostando tutti gli altri.

-Quanto sono contenta di vederti!- La lunga chioma di Helene spuntò dal corridoio e si lanciò sul divano baciando la testa del figlio. Faceva così da quando Grantaire era piccolissimo. Si sedette.

Era una donna bellissima, il viso raggiante, anche se ai lati degli occhi si scorgevano delle piccole rughe dovute ad una vita molto difficile e sofferta.

-Temevo di non riuscire a tornare a casa stasera per un turno straordinario ma alla fine ce l'ho fatta! Beh, allora, raccontami, com'è andato il corso di cucina? Hai conosciuto qualcuno di carino?- a quella frase dovette interrompersi poiché si accorse che Grantaire s'irrigidì e si mise a sedere in silenzio.

-Beh? Ho detto qualcosa di male?-

-C-Cosa? No...- esitò il ragazzo.

-Vuoi dirmi che succede? Sembri scosso.- gli occhi nocciola di Helene tremolarono.

-Niente.-

La donna sbuffò, immergendo ancora la mano nei ricci corvini del suo ragazzo.

Era un gesto che riusciva sempre a tranquillizzarlo un po'. Avrebbe potuto farsi accarezzare per ore.

-Grantaire...-

-E' che...- abbassò lo sguardo, fissandosi le mani sporche di colore.

-Ho capito. Come si chiama?-

-I-In che senso, mamma?-

La donna rise.

-Mon coeur, riconosco quello sguardo quando lo vedo, perché l'ho visto allo specchio milioni di volte...Come si chiama?-

L'artista sospirò profondamente. Sapeva di cosa stava parlando. Ed era impossibile negarglielo.

-Enjolras.- sussurrò con un piccolo brivido dietro la schiena.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


 

 

 

L'orologio ticchettava ritmicamente nell'aula di storia.

Grantaire si trovava in fondo alla stanza, come era suo solito, e siccome sentiva la testa pesante tentava di sorreggerla con il gomito poggiato sul banco.

Osservava la scena davanti a lui nello spazietto creatosi tra due ciocche color ebano cadutegli sul viso.

L'aula era silenziosa, il professore stava spiegando qualcosa riguardo la guerra d'Indipendenza, argomento che Grantaire aveva ripetuto almeno altre trenta volte nelle città in cui era stato.

Alcuni studenti se ne stavano immobili come lui, probabilmente con la testa tra le nuvole, una ragazza guardava fuori dalle finestre, forse in attesa di un principe su un cavallo alato che la venisse a salvare da quella mostruosa noia. Un altro giovane due banchi davanti a lui scuoteva la testa di tanto in tanto per non cadere nelle dolci grinfie del sonno.

E poi c'era Enjolras. Seduto alla prima fila dei banchi, che con il braccio destro circondava una ragazza dai capelli biondi. La sua ragazza.

Grantaire posò gli occhi assonnati sul quadernino di disegni davanti a lui. Era bianco.

Era da ieri sera che non riusciva a disegnare nulla. Niente. La sua mente era troppo offuscata dall'incontro nell'aula di cucina con Enjolras.

All'inizio non riusciva bene a capire cosa fosse successo ad entrambi in quel momento, ma dopo averne parlato con sua madre la sera prima, si era convinto di essersi preso una cotta.

Fantastico. Una cotta per qualcuno che era etero, bellissimo e fidanzato. Bel colpo, Grantaire.

I suoi pensieri furono interrotti da una tenue sfumatura di blu che lo guardarono di sfuggita.

Enjolras si era voltato verso di lui, gli occhi poco sopra la spalla, le labbra semichiuse. L'artista abbassò istintivamente lo sguardo, forse per timidezza, forse per paura. O forse per entrambe.

Ogni volta che incontrava quegli occhi si sentiva esposto, indifeso, come se stesse scivolando verso un dirupo e non avesse nessuna possibilità di fermare la caduta.

Era un'occhiata intensa quella che si era stabilita tra i due; Grantaire non riusciva a guardarlo troppo a lungo. Era come se si esponesse un po' troppo.

Per qualche istante il suo sguardo fu distratto dagli alberi fuori la finestra, poi cercò di riagganciarlo di nuovo a quello del biondino e per pochi secondi ci riuscì, ma le labbra della ragazza si erano già accostate all'orecchio di Enjolras.

Lui scostò lo sguardo e si voltò di nuovo verso la lavagna.

Grantaire posò di nuovo gli occhi ambrati sul foglio bianco davanti a lui.

Magari quel momento di vulnerabilità avuto da Enjolras ieri era solamente stato un caso...Magari era stata solo una sua impressione...Magari si era immaginato tutto.

Le ore passarono, Grantaire aveva già incontrato Enjolras nei corridoi ben tre volte nel corso della mattinata, ma visto che lo trovava avvinghiato alla sua ragazza, non si era permesso di salutarlo.

Eppure era come se mentre camminava sentisse il suo sguardo addosso. No, era impossibile che guardasse lui quando aveva una bellissima ragazza tutta per sé.

A lezione di educazione fisica non lo aveva visto però, forse aveva deciso di appartarsi con la sua fidanzata da qualche parte.

Smettila, Grantaire.

Doveva fermare quei pensieri. Lo facevano soltanto stare più male.

 

----

 

 

 

Mentre la palestra della scuola veniva scossa da un forte rumore di palloni da basket e passi di corsa, Grantaire camminava lentamente a testa bassa, immerso tra le voci urlanti dei giovani studenti.

Lo zaino in spalla, gli occhi lucidi, poi un urlo, si voltò e cadde a terra.

 

Ehià, mi senti? Stai bene? Dimmi che non sei morto, ti prego...

Oddio, ma cosa è successo?

Che botta...

Non è il ragazzo del nostro corso di arte?

 

Voci confuse s'intromisero nella testa di Grantaire.

Tentò di aprire gli occhi, ma non appena lo fece si rese conto di quanto gli dolessero le tempie.

Sotto di sé avvertiva il fresco del pavimento della palestra, gemette per il dolore alla testa.

-Jeremy! Ma che diavolo hai combinato?!- un'altra voce più familiare si fece largo tra la folla di voci sgranate.

Mentre tentava di aprire di nuovo gli occhi si sentì sollevare la testa, poi avvertì una sensazione bella fredda in testa e gemette, spalancando completamente gli occhi.

-Et voilà, lapinou.-

Lo splendido sorriso che aveva in mente da giorni gli si svolse davanti agli occhi.

-Enjolras?- Grantaire mugugnò.

Il ragazzo sembrò sollevato, respirava faticosamente, con l'aria di aver corso molto velocemente e con una mano gli teneva un impacco di ghiaccio sulla fronte.

-Stai bene?-

-S-si, ma cosa è successo?-

-Beh, ecco, - esitò il biondo- diciamo che eri nel posto sbagliato al momento sbagliato. Il mio amico Jeremy ti ha preso in pieno con la palla.-

Grantaire si toccò debolmente la testa. E solo allora si rese conto di quanto fosse vicino ad Enjolras; i ricci ebano riposavano sul suo ventre, mentre il biondino se ne stava seduto a terra, con tutta una folla incuriosita attorno.

-Certo che non ce la fai proprio a starmi lontano, eh?- sussurrò sarcasticamente il biondino. Poi con l'altra mano gli accarezzò il livido che stava iniziando a formarsi sulla tempia sinistra.

Grantaire rabbrividì sotto il tocco dell'altro, e non poté non sorridere.

-Enjolras! Mon amour!- una cascata di capelli biondi si precipitò a lato dei due ragazzi dopo essersi fatta spazio tra la folla.

-Cosa è successo?! Oddio, stai bene?- urlò preoccupata la ragazza, tentando di attirare l'attenzione del biondino con le sue mani sul viso.

-Amélie, sto bene, sto bene.- rispose Enjolras, scostando delicatamente le mani della ragazza. –In realtà la vittima qui è lui.- abbassò lo sguardo accennano un sorriso a Grantaire, che li guardava silenzioso.

La bionda Amélie fissò per qualche istante il riccio sul ventre del suo ragazzo e, dopo un'espressione alquanto confusa, sorrise.

-Mi spiace, ti senti bene?-

Grantaire le sorrise di risposta.

C'era qualcosa sul viso di Amélie che era riuscito a cogliere, come un sentimento di repulsione mischiato a scompiglio interiore...Come se fosse gelosa.

-Credi di farcela a camminare?- bisbigliò Enjolras volgendo di nuovo la sua attenzione sul ragazzo.

L'artista annuì velocemente.

In realtà non ne era completamente sicuro: la testa gli girava terribilmente, si sentiva debole e la vista era un po' annebbiata. Aveva detto di sì solamente perché non voleva irritare ulteriormente Amélie. La ragazza, infatti, si era già alzata in piedi stirandosi la gonna plissettata con le mani e poi aveva incrociato le braccia mostrando un sorriso indisposto sul viso.

Grantaire la guardò di sfuggita. -Ce la faccio, non preoccuparti.-

Enjolras gli porse il suo aiuto per alzarsi, ma il moro lo rifiutò garbatamente, facendo forza sulle proprie gambe ed alzandosi finalmente in piedi.

-Visto? Non ho-

Non fece in tempo a finire la frase che cadde nelle braccia di Enjolras, scosso da una forte scossa alla testa. Il biondo lo prese al volo per il fianchi, Grantaire si poggiò con il mento sulla sua spalla e tossì. Stava per avere un forte attacco di nausea.

-S-Sto bene...-

-No che non stai bene, devo portarti in infermeria.- rispose Enjolras con voce preoccupata. -Jeremy!- chiamò ad alta voce. –Vieni a darmi una mano.-

Il ragazzo dagli occhi grigi li raggiunse con una corsetta. –Mi spiace tanto, amico. Non ti ho proprio visto.- disse con voce mortificata.

-N-Non imp-

-Grantaire?-

Il ragazzo aveva perso i sensi.

 

 

Enjolras guardava le tende bianche dell'infermeria volteggiare con il vento.

La sedia su cui era seduto era fredda, la stanza silenziosa, le pareti color verde acqua riflettevano i raggi del sole che penetravano dalle finestre.

Grantaire giaceva sul lettino, una fascia sulla testa, da un lembo si scorgeva l'inizio di un livido. Il biondino lo guardava con un lato della bocca intento in un sorriso. Per fortuna stava solo dormendo.

Abbassò lo sguardo sull'unica mano che poteva scorgere a lato del letto ed un'incredibile voglia di toccarla lo travolse.

Era da quando aveva incrociato gli occhi di quel ragazzo che il suo corpo gli mandava strani segnali, soprattutto il battito del cuore. Era accelerato, agitato, troppo ritmato a riposo.

Le dita di Grantaire portavano ancora del colore sbiadito, come se avesse dipinto recentemente, magari la notte prima.

Enjolras posò la sua mano tremante su quella del ragazzo e solo allora si accorse che il tremolio cessò.

Schiuse le labbra spostando lo sguardo attonito sul viso del riccio...Era come se tutte le sue preoccupazioni fossero svanite nell'istante in cui aveva posato il suo tocco su quella mano ruvida, eppure così soffice all'apparenza.

Poi un brontolio. Grantaire si stava svegliando.

Non appena il ragazzo aprì gli occhi per guardarsi attorno, Enjolras rifugiò la mano sotto la sedia, con un gesto scattante, quasi si fosse scottato dalla fiamma repentina di quel risveglio.

-E-Enjolras?- chiamò Grantaire con voce confusa. Si sentiva ancora un po' frastornato dal colpo di poche ore prima, ma l'ultima cosa che ricordava erano le braccia forti del biondo che lo sorreggevano.

-Bonjour, lapinou.-

Il sussurro fuoriuscito dalle labbra del biondo costrinsero a voltare Grantaire, che lo guardò stupito.

-Che ci fai ancora qui? Dovresti essere-

-Si, dovrei essere a lezione di arte, ed anche tu. Ma a quanto pare non posso fare il modello senza il mio artista che possa ritrarmi.-

Ma a quanto pare non posso fare il modello senza il mio artista che possa ritrarmi.

Senza il mio artista.

Il mio artista.

Quella manciata di parole echeggiò nella testa pesante di Grantaire per qualche secondo, prima che venisse interrotta da Enjolras che si alzò velocemente dalla sedia.

-Se c'è qualcosa che posso fare per te, ti prego, dimmelo. Vuoi un bicchiere d'acqua?-

-No, grazie.-

-Sicuro? Magari posso portarti un the, o una cioccolata calda o magari...-

-Enjolras...-

-Magari un po' di acqua e zucchero, sai mia zia dice sempre che...-

-Enjolras!- esclamò divertito Grantaire. Era la prima vera risata che faceva da tempo. –N-Non mi serve nulla, hai già fatto abbastanza.-

Il biondino, visibilmente imbarazzato, si mise una mano dietro la nuca, accarezzando involontariamente i morbidi riccioli d'oro. –Scusami, quando sono nervoso parlo troppo.-

Grantaire rabbrividì.

-Quindi...io ti rendo nervoso?-

Enjolras sorrise abbassando lo sguardo.

Grantaire poteva giurare di aver scorto una pennellata rosata sulle guance.

-Non ti montare la testa, lapinou.- bisbigliò, dirigendosi verso la porta della stanza.

-Oh, quasi dimenticavo.- si voltò. –Vieni al campeggio la prossima settimana, giusto?-

L'artista si mise seduto con un po' di fatica per volgergli un'occhiata confusa.

-Campeggio?-

-Oh, giusto, eri in infermeria quando ce l'hanno detto...Comunque, abbiamo questa tradizione del campeggio autunnale a cui partecipa tutta la scuola e mi chiedevo...beh, ci vieni, no? Ci va quasi tutta la scuola. Potrebbe...non so, essere divertente.-

-Non sono mai stato in un campeggio.- disse Grantaire.

-Beh, c'è sempre una prima volta. Devi venire.-

L'artista si guardò le mani dipinte in segno di imbarazzo. -Non so.-

-Avanti,- lo sollecitò Enjolras,- pensa a tutti i bei paesaggi che potresti dipingere, no? La tua anima di artista potrebbe espandersi a nuovi orizzonti.- continuò, facendo ampi e buffi gesti con le braccia.

Grantaire lo guardava incantato: anche nei suoi gesti sarcastici e grotteschi, Enjolras conteneva comunque una certa eleganza.

-E poi c'è la foresta, il tramonto, il lago...-

-Il lago? Non so neanche nuotare.-

-Non devi mica dipingere dentro l'acqua! Ma io posso farti da modello se vuoi.- concluse Enjolras accostandosi al lettino.

Grantaire sospirò ancora un po' insicuro. Il biondino gli diede una leggera spinta con la spalla, in segno di convinzione.

-Allora? Verrai?- insistette, mentre con una mano accarezzava il livido nascosto sotto la benda.

L'artista rabbrividì al suo tocco freddo.

-Va bene...Verrò.- bisbigliò.

Il volto di Enjolras sembrò illuminarsi. –Parfait, lapinou.-

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Il pullman partì un po' tardi quella mattina. Alcuni studenti avevano già occupato i posti alla fine del bus, solitamente riservati ai ragazzi più popolari della scuola. Grantaire sedeva in uno dei posti più vicini alla postazione dell'autista. Gli piaceva guardare la strada scorrere davanti ai suoi occhi, per questo si era messo accanto al finestrino. I posti erano divisi a file di due, peccato che avrebbe trascorso il viaggio con la compagnia del suo borsone e con il fedele blocco di disegni.

Era inevitabile per lui dipingere le sfumature degli alberi che correvano ad alta velocità sotto il suo sguardo attento, pronto a cogliere tutti i piccoli dettagli.

Il resto degli studenti stava continuando a salire, la partenza non era ancora stata effettuata. Con i ricci spalmati sul vetro del finestrino, Grantaire cercava Enjolras.

Non lo aveva visto molto spesso nell'ultima settimana, neanche al corso d'arte poiché, come aveva riferito Mme Rochenne, aveva preso un bel raffreddore. Eppure quella chioma bionda gli mancava in un certo senso. La sensazione di vuoto che provava era molto simile a quella di un colore assente sulla tavolozza.

Il vociare degli studenti accompagnava i suoi pensieri, mentre i sospiri che la sua bocca filtrava andavano a creare un leggero alone sul vetro del finestrino.

-Ti godi la vista prima del viaggio?-

Enjolras apparve accanto a lui, splendido come sempre, una maglietta rossa che sottolineava la muscolatura. Con il gomito era poggiato al sedile e guardava Grantaire con occhi sorridenti.

L'artista si limitò a sorridere. Non riusciva a dire molto, quel ragazzo lo aveva preso alla sprovvista, e poi aveva già avvistato la chioma bionda di Amélie che fluttuava leggiadra verso di loro.

-Ehi! Camille dice che dovremmo...Oh.- la ragazza smise di parlare non appena si accorse di Grantaire.

L'ultima volta che si erano visti era stata in palestra, quando l'artista aveva ricevuto una bella botta in testa.

-Ciao, Amélie.-

-Ciao...Ehm, com'è che ti chiami?-

-Si chiama Grantaire.- rispose Enjolras.

L'artista alzò lo sguardo verso di lui. Il sussurro con cui aveva pronunciato il suo nome gli aveva fatto uno strano effetto. Strano, ma piacevole.

-Giusto...Come va la testa?- chiese la biondina con un sorriso forzato mentre con un braccio circondava la vita di Enjolras.

-Bene, grazie.- Grantaire osservò per qualche istante quel piccolo gesto e si domandò cosa si provasse ad essere circondati dalle braccia di qualcuno. In modo così intimo.

-Sei con qualcuno durante il viaggio? Mi chiedevo se ti andasse di stare con noi agli ultimi post-

-Sono già tutti prenotati. Non c'è spazio.- intervenne Amélie con una certa autorevolezza nella voce. Poi guardò Grantaire. –Mi dispiace.-

-N-non fa niente, ma grazie lo stesso.-

Enjolras lanciò una strana occhiata alla sua ragazza, poco prima che questa potesse spingerlo verso il fondo del pullman lasciando dietro di sé il suo solito sorrisetto stampato.

Grantaire sapeva bene di non appartenere agli ultimi posti del bus, ed Amélie se ne era accorta. Eppure gli sarebbe piaciuto provare la sensazione di sedere con i ragazzi più cool della scuola. Ma con i suoi jeans sporchi di pittura si sarebbe sicuramente trovato fuori luogo.

All'improvviso un rombo di un motore destò Grantaire dai suoi pensieri ed il pullman partì verso il campeggio.

 

 

----

 

 

 

Il viaggio fu lungo, abbastanza stancante per Grantaire. Se ne era stato quasi tutto il tempo a disegnare, finché gli occhi non avevano iniziato ad arrossarsi ed a bruciare, così aveva dormito un po', tentando di non poggiarsi sui lividi ancora appena visibili risalenti ad una settimana fa.
 

 

Dopo essere scesi dal pullman, gli studenti raggiunsero la foresta dove avrebbero trascorso il campeggio: il grande cottage di legno rimaneva fuori la strada, abbastanza lontano da immergersi nel silenzio assoluto della natura. Mentre passeggiava in fila indiana, Grantaire si guardava intorno meravigliato: il bosco sembrava sostituire una perfetta tavolozza di colori, dal marrone chiaro a quello più scuro e deciso, fino ad arrivare ai toni del rosso acceso delle foglie. Sorrise. Era un quadro favoloso.

-Sempre con la testa tra le nuvole, mon coeur?-

Il sorriso di Mme Rochenne gli si fece vicino.

-Madame, è venuta anche lei alla fine!- Grantaire era piuttosto sorpreso, pensava fosse rimasta a scuola per continuare le lezioni d'arte. A quanto pare si era sbagliato.

La donna fece una smorfia divertita,- non potevo stare giorni senza il mio allievo preferito.-

Grantaire abbassò lo sguardo sull'erba bagnata del boschetto, lusingato da quell'affermazione.

Mme Rochenne lo circondò con un braccio pieno di ciondoli argentati e lo strinse forte a sé. –Hai già visto mon petit Enjolras? Quella peste è voluta venire al campeggio anche se gli avevo raccomandato di non farlo. Sai, per via dell'influenza che ha avuto. Non mi da mai ascolto.- protestò accigliata la donna.

Grantaire le sorrise.

Si stava immaginando Enjolras in pigiama con i capelli arruffati che protestava come un bambino testardo, con tutto di braccia ritte lungo i fianchi.

-Credo sia stato perché ci venivi anche tu.-

-Io?-

-Già. Non fa altro che parlare di te a casa. Ma non dirgli che te l'ho detto. Diventa nervoso quando è imbarazzato.-

Grantaire sentì mancare l'aria per qualche secondo. Non era possibile. Come poteva essere venuto in campeggio solo per lui?-

-Madame,- rispose Grantaire- non pensa forse che Enjolras abbia insistito a venire per...beh, per stare con la sua ragazza?-

La donna parve pensarci su per qualche istante. Poi fece la sua solita smorfia arricciando il naso.

-Potrebbe essere, ma non mi piace molto quella ragazza, quell'Amélie, è così che si chiama, giusto? Credo stiano insieme da mesi ormai, Enjolras non mi parla molto delle sue relazioni...In realtà non si confida molto in generale...-

La voce di Mme Rochenne possedeva quel tono di esuberanza come sempre, eppure in quella cornice di capelli castani sistemati in un'elegante acconciatura, contrastava una leggera aria di preoccupazione.

-Verrai stasera, vero?- continuò l'insegnate dopo pochi minuti di silenzio nel camminare verso il cottage.

-Stasera?- disse Grantaire, sollevando un sopracciglio.

-Non conosci il party che si celebra ogni prima sera di campeggio? Mon coeur, è la tua prima volta in campeggio, vero?-

Grantaire sorrise. –Diciamo che non ho avuto modo di...fare alcune esperienze durante i continui viaggi con mia madre.-

-Oh, quanto mi piacerebbe conoscere tua madre! Deve essere una donna deliziosa!- proferì la donna con un grande sorriso.

Grantaire le mostrò un sorriso, forse un po' incerto, poiché ripensò a tutti gli ostacoli ed i dispiaceri che sua madre e lui avevano passato e superato, insieme, senza aiuti o consigli di vario genere. Ripensava al periodo dell'alcolismo, poi alla mancanza di soldi, poi ancora all'alcolismo. Forse a sua mamma avrebbe fatto piacere confidarsi con qualcuno di così gentile come Mme Rochenne, farsi una buona amica.

-Sono sicuro che ne sarebbe felice.- fu tutto quello che il ragazzo riuscì a dire.

 

 

 

----

 

 

Era ormai sera nel boschetto del campeggio; alcune lanterne erano state accese ed appese vicino agli alberi, producendo una luce abbastanza efficiente, quel tanto che bastava per muoversi liberamente senza essere immersi nel buio totale.

Doveva esserci qualche uccellino notturno, poiché Grantaire li sentiva chiacchierare sommessamente tra i rami mossi dal venticello tiepido dell'autunno.

Il ragazzo se ne stava avvolto nella sua fedele felpa nera, con il cappuccio che gli copriva i capelli corvini, seduto su un tavolo di legno del portico, poco distante dall'entrata del salone principale del cottage, da dove proveniva una musica varia, prima ritmata, poi lenta, poi di nuovo ritmata.

Probabilmente tutti gli altri si stavano divertendo, ballando insieme e dimenticando tutte le preoccupazione per qualche ora. Se fosse entrato nel salone, Grantaire era convinto che si sarebbe sentito un po' fuori posto, una pennellata di nero tra tante chiazze di colore.

Così aveva deciso di restare lì fuori, accarezzato dal vento leggero, con l'odore di un'imminente pioggia sotto il naso.

Aveva il suo blocco di disegni con sé, una matita ed un piccolo pastello azzurro. Aveva disegnato un ragazzo, un ragazzo dagli occhi blu che lo guardava da sopra una spalla, con due grandi ali dietro la schiena.

 Aveva disegnato un ragazzo, un ragazzo dagli occhi blu che lo guardava da sopra una spalla, con due grandi ali dietro la schiena

Fissò per qualche secondo quell'immagine e sorrise. Era il suo primo angelo quello.

Il cielo tuonò all'improvviso. Grantaire alzò gli occhi ed inspirò l'aria fredda che si era creata: stava per piovere.

Sarebbe stato meglio andare dentro anziché rischiare di prendersi un brutto raffreddore. Doveva ammettere, però, che veder cadere l'imminente pioggia lo tentava parecchio. Decise di attendere ancora un altro po', accucciato nella calda stoffa della sua felpa; avrebbe aspettato di veder cadere la pioggia come faceva da piccolo dalla finestrella della sua cameretta, poi avrebbe abbandonato quello spettacolo, seppur a malincuore.

Finalmente i primi ticchettii di pioggia risuonarono tra le fronde del boschetto, la scena davanti agli occhi dell'artista si fece offuscata a causa della grande quantità di acqua che stava cadendo a terra; l'erba iniziava a bagnarsi, l'odore dell'aria si faceva aspro, il freddo iniziava a penetrare la misera felpa di Grantaire.

Eppure il ragazzo sorrideva. Nonostante il freddo, lui sorrideva. Quella tempesta di acqua, terra e freschezza lo faceva sentire vivo come non mai, lo riportava indietro nel tempo quando si accostava al vetro della finestra della cameretta, del salone o della cucina di casa sua per spiare furtivo ogni singola goccia di quella pioggerella, elettrizzato dai colori della strada che si facevano più accesi.

Alla fine si lasciò andare anche quella volta, avvertendo dentro di sé la voglia di ritornare bambino.

Si precipitò sotto la pioggia non prima di aver posato matita, foglio e pastello; le gocce fredde lo bagnarono subito, infiltrandosi tra il cappuccio ed i capelli neri, i ricci iniziarono a cedere il loro volume, appiattendosi sulle guance e sugli occhi; Grantaire era ritto in piedi, circondato dalla natura movimentata che si dimenava tra la frescura umida. Il ragazzo allargò le braccia ed iniziò a volteggiare su se stesso, lentamente, chiuse gli occhi ed assaporò le lacrime del cielo con il sorriso.

Poi smise di girare su se stesso e si fermò, lasciandosi inebriare da quel morbido tocco, purificandosi di tutti i pensieri negativi.

Socchiuse lo sguardo per combattere contro la pioggia e con la coda dell'occhio scorse una figura scura in piedi sul portico del cottage.

Enjolras.

Imbarazzato, Grantaire abbassò le braccia ormai zuppe e si volse completamente verso il portico.

Il biondo gli fece un cenno, probabilmente voleva che lo raggiungesse. E fu proprio quello che Grantaire fece.

Smise di avvertire il ticchettio ritmico sui vestiti non appena saltò di nuovo sul portico al riparo dalla pioggia, che lo aveva inzuppato praticamente dalla testa ai piedi.

-Che diavolo ci facevi sotto la pioggia?! Certo che voi artisti siete proprio strani!- gli occhi blu acceso del ragazzo lo scrutavano con aria interrogativa. Enjolras era più raggiante che mai sotto la luce tenue delle lanterne; i capelli luminosi, il giacchetto di pelle che rifletteva i raggi elettrici sul viso, abbozzato da un piccolo sorriso.

-Hai mai provato a fare qualcosa di audace e...completamente folle?- rispose Grantaire, scuotendo al sua chioma corvina con una mano nell'intento di strizzarla.- E' indescrivibile.-

-Come danzare sotto un'incessante pioggia con quella misera felpa? Certo, se vuoi prendere una broncopolmonite.- replicò sarcastico l'altro.

L'artista gli mostrò una smorfia ironica, poi tentò di strizzarsi i lembi della maglia, da cui uscì un lungo fiotto d'acqua, che cadde a terra ticchettando.

Enjolras fischiettò in segno di stupore. –Mi sa che ti rimangono 3 giorni prima di perire di polmonite acuta.-

-Lo sai che hai un pessimo senso dell'umorismo, vero?-

Il biondo arricciò il naso. Assomigliava molto a sua zia in questo. –Nah, sono spassosissimo invece.- e si sedette sul tavolo di legno con un saltello.

Grantaire fece lo stesso, avvertendo improvvisamente il gelo dei suoi vestiti bagnati sulla schiena.

-Tieni, prendi questa.- bisbigliò Enjolras, togliendosi di dosso la giacca di pelle che aveva, e porgendola all'altro.

-Quindi tu fai così per rimorchiare? Porgi la tua giacca a gente che si è gettata volontariamente sotto la pioggia?-

Enjolras rise.

-Solo a quella che se lo merita.- rispose il biondo, per poi circondare le spalle tremanti del moro con il suo giacchetto.

Grantaire rabbrividì, forse per il freddo, o forse per quel gesto così spontaneo. Nessuno, a parte sua madre, si era mai preoccupato per la sua salute compiendo un'azione sincera come quella.

-Grazie.- mormorò l'artista, afferrando la pelle calda del giacchetto per paura di lasciarlo scivolare a terra. Era strano avere quel capo intorno alle spalle; era come sentirsi circondati dalle braccia di Enjolras. Immaginava fossero calde e forti, pronte a sorreggerlo in qualsiasi occasione, proprio come avevano fatto con il piccolo incidente nella palestra della scuola.

-Enjolras?-

-Mh?-

-N-Non senti freddo?- domandò Grantaire un po' preoccupato.

In effetti la maglietta a mezze maniche che portava il ragazzo non era il capo migliore che avesse potuto indossare con quel freddo e quell'atmosfera umida.

Il biondo si strinse le braccia e poi fece una smorfia, per indicare che quello che aveva appena detto Grantaire fosse assurdo.

-Nah, sto benissimo, non preoccuparti.- disse, distogliendo lo sguardo nel boschetto.

Fu solo ora che Grantaire si accorse di un piccolo ciondolo al collo del ragazzo. Probabilmente era lì da molto più tempo, ma l'artista si era lasciato sfuggire questo dettaglio.

-Quello te l'ha regalato tua zia?- chiese esitando appena. Forse avrebbe fatto meglio a non fargli quella domanda, poiché l'espressione di Enjolras fu piuttosto strana...Sembrava impreparato a quella richiesta, come se nessuno glielo avesse mai chiesto e non sapesse cosa rispondere.

-Oh, no, è...era dei miei genitori, me l'hanno data poco prima di morire. E' l'unico ricordo che ho di loro.-

Enjolras prese quel ciondolo rosso tra le mani e sorrise amabilmente, come se quell'oggetto gli avesse sussurrato la cosa più dolce del mondo.

Grantaire lo guardava incantato; c'era una luce nei suoi occhi che non sapeva spiegare, come se un interruttore invisibile fosse scattato improvvisamente dentro di sé alla vista di quel piccolo rubino. Poi il biondo lo nascose dentro la maglia.

-Oh, a proposito,- continuò Enjolras dopo qualche istante di silenzio- ho trovato questo sul tavolo...L'hai fatto tu?-

Il disegno del ragazzo angelo apparve davanti agli occhi di Grantaire, che rabbrividì imbarazzato.

-Ehm si, ma è solo...-

-E' bellissimo.- lo interruppe l'altro.

L'artista odiava mostrare le sue piccole creazioni agli altri, eppure non si sentì troppo esposto quando il biondo osservò attentamente il disegno, sfiorando di volta in volta il colore blu del pastello, che aveva accennato gli occhi dell'angelo raffigurato. Dopotutto, quella figura rappresentava Enjolras.

-E' così...così spontaneo...così bello...-

-E' come ti vedo io.-

Un brivido corse dietro la schiena bagnata di Grantaire, che con quella frase aveva completamente perso il controllo dei suoi pensieri.

Si morse il labbro inferiore per punirsi e dannarsi per ciò che aveva detto e per aver creato un silenzio imbarazzante tra il cadere della pioggia.

Forse l'aveva detto per l'atmosfera incantevolmente uggiosa, forse per il contatto caldo della giacca di Enjolras o forse semplicemente perché il gelo della sera gli aveva dato alla testa.

Il biondo lo fissava, la luce bluastra degli occhi che si faceva sempre più vicina, fino a quando Grantaire non fu in grado di specchiarcisi. Il biondo sembrava disorientato, confuso ed anche un po' spaventato, eppure non riusciva a fermarsi dal porre il suo viso sempre più vicino a quello dell'altro. Cosa diavolo gli stava succedendo?

Senza nessun tipo di preavviso, Enjolras poggiò la sua fronte su quella del moro, delicatamente, quasi temesse di urtarlo. Grantaire sentì l'eccitazione del momento pulsargli nelle vene e nelle tempie, e per un istante ebbe paura che l'altro riuscisse a sentirla.

Enjolras avvicinò il dorso della mano sulla guancia umida dell'artista...

-Enjolras!-

Il biondo si ritrasse scottato all'udire quella voce.

Grantaire scorse una figura femminile sull'entrata del salone del cottage. Amélie.

-Enjolras? Cosa stai...Oh, ciao Gregoire.-

-Grantaire.- la corresse il moro.

-Ah, già. Beh,- disse rivolgendosi al suo ragazzo,- che fai non rientri? E' da più di un quarto d'ora che sei qui fuori.- la ragazza pareva irrequieta. Grantaire non era sicuro che si fosse realmente accorta della pericolosa vicinanza dei due di pochi secondi fa.

Sul viso di Enjolras posava un'espressione di pura confusione e terrore. Gli occhi blu erano spalancati e fissavano il pavimento del portico, evitando lo sguardo imbarazzato di Grantaire.

-C-certo, arrivo subito.- anche la sua voce suonava turbata.

-Tu vieni?- borbottò la ragazza, con visibile falsa gentilezza rivolgendosi all'artista.

Il moro avrebbe risposto pigramente se il biondo non l'avesse interrotto.

-No, Grantaire se ne stava giusto andando...- le parole del biondo lo punzecchiarono come la punta di un coltello, facendolo sussultare.

Il ragazzo non capiva: una manciata di secondi fa stava sbocciando qualcosa, qualcosa di inaspettato...e tutto si era trasformato in un'illusione, in uno sbaffo su tela difficile da togliere. Perché si stava comportando così? Perché ora, dopo essere stato così diverso con lui, lo respingeva in quel modo?

Amélie ed Enjolras fecero per andarsene.

-Stai dimenticando questa.- disse l'artista porgendogli la giacca di pelle. Il calore del capo lo abbandonò malamente, ed il freddo iniziò ad avvolgere il suo corpo.

Enjolras fece pochi passi indietro per riprenderla.

-Spero di non averti recato disturbo.- continuò Grantaire.

Gli occhi bluastri dell'altro, quasi mortificati ma ancora spaventati, si sciolsero dallo sguardo appesantito del moro. Poi i due fidanzati sparirono nella suono allegro della serata mano nella mano.

Grantaire si strinse nelle proprie braccia, gli occhi lucidi.

Cosa si aspettava? Tutte le fantasie che si era creato in testa si erano rivelate soltanto delle misere illusioni...Enjolras era innamorato di Amélie, e lui non poteva farci un bel niente.

Afferrò il disegno con una mano e lo strappò in mille pezzi. Poi si alzò il cappuccio della felpa nera ed iniziò a correre via sotto la pioggia...Alle lacrime del cielo si aggiunsero le sue.

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


  

                                                



All’ora di colazione tutti gli studenti del campeggio erano nella mensa del cottage.
Grantaire se ne stava al suo solito posto, quello accanto all’entrata per la sala grande, ovviamente era solo.
Sorseggiava il suo latte scremato in silenzio, mentre lo sguardo ancora un po’ assonnato vagava curioso tra gli altri tavoli: la maggior parte dei ragazzi era in piedi a fornirsi di delizie per iniziare la giornata, qualcun altro era già seduto mentre gustava la propria colazione. Non c’era molto caos, forse perché alle sette di mattina a nessuno andava di parlare dopo aver fatto baldoria la sera prima.
L’artista aveva preso a mescolare il suo latte con una cannuccia. Pensava mentre disegnava onde e linee curve sulla superficie del liquido. Pensava alla notte prima, pensava alla pioggia ed al dolce profumo di Enjolras che si era avvicinato al suo viso quasi per…per baciarlo.
Forse era stata la pioggia, forse l’atmosfera fredda, forse le luci soffuse del portico…o magari Enjolras aveva solamente bevuto un po’ troppo e si era lasciato andare. Grantaire poteva ancora vedere i suoi occhi spaventati che lo fissavano rigidi, spenti e terrorizzati nel momento in cui aveva sentito la voce della sua ragazza che lo chiamava.
L’artista bevve un altro sorso del suo latte. Guardandosi di nuovo intorno si accorse di una chioma dai toni giallo grano poco distante dal suo tavolo.
Enjolras.
Il ragazzo sorrideva. Sembrava che tutto il tormento ritrovato nei suoi occhi la sera prima fosse sparito.
Amélie gli era accanto e con una mano gli stava accarezzando il braccio scoperto con la punta delle dita.
Il loro tavolo era circolare e tutto occupato da altri amici di Enjolras. Grantaire riconobbe i capelli castani di Jeremy, il ragazzo che lo aveva colpito in testa nella palestra della scuola.
Tutti ridevano animatamente e fu osservando quelle espressioni divertite e così naturali che l’artista provò un po’ d’invidia; non gli era mai capitato, era una sensazione strana, aliena, un qualcosa che gli faceva desiderare di essere al posto di uno di quegli amici…Magari tra le braccia di Enjolras come lo era adesso Amélie.
I due sembravano non volersi staccare: ora si stavano baciando lentamente. Grantaire si chiese cosa si potesse provare nel baciare una persona in quel modo. Si domandò se le labbra di Enjolras fossero davvero così morbide come sembravano, se le sue braccia si fossero mai chiuse attorno alla sua vita e lo avessero stretto sul suo petto, si chiedeva se…
Amélie ed Enjolras interruppero il bacio e l’artista notò come il biondo stesse guardando intensamente la ragazza.
Grantaire abbassò gli occhi sul suo latte ormai freddo. Enjolras non lo avrebbe mai guardato in quel modo.


 

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La prima parte della giornata passò piuttosto in fretta: per alcune ore tutti gli studenti furono svogliatamente coinvolti in una noiosa lezione di scienze sugli ecosistemi, perciò si erano disposti nei pressi del lago del campeggio.
-Ti dico che l’ho persa, ne sono sicuro!- esclamò una voce melodica.
Grantaire udì quelle parole mentre era intento a completare gli esercizi sul foglio che il professore gli aveva consegnato; aveva gli occhi stanchi, doveva rileggere più volte le domande per capirne il senso, ma non appena riconobbe la soffice voce di Enjolras, alzò lo sguardo svegliandosi dallo stato del dormiveglia.
Il biondo era disteso sul terreno di ciottoli di cui era circondato il lago, con un braccio sotto la testa, proprio come un modello d’arte farebbe. L’unico dettaglio che stonava fortemente con quella posizione così morbida e sinuosa era lo sguardo corrucciato. Il suo amico Jeremy lo ascoltava con la schiena totalmente stesa sui sassolini, con un piede ne spostava alcuni.
-Forse l’hai persa nel lago stamattina, quando abbiamo fatto quella nuotata insieme…-
Grantaire lo osservava alternando qualche occhiata al foglio tra le mani. Di cosa stava parlando?
Tutto gli fu più chiaro non appena il biondo accostò una mano al petto e sospirò. –Era tutto quello che avevo dei miei genitori. E adesso è chissà dove in fondo a quel lago…O magari no, può essere ovunque!-
Ora si che era tutto più chiaro. Enjolras aveva perso la collana dei suoi genitori, la stessa che gli aveva mostrato la sera prima sotto il portico del cottage. Grantaire sapeva quanto quell’oggetto fosse importante per il ragazzo, ricordava la luce di cui gli si erano riempiti gli occhi non appena aveva iniziato a parlarne.
Diresse ancora una volta lo sguardo sul viso triste del biondo e tutto quello che provò fu un penetrante brivido sulle spalle: Enjolras era sul punto di piangere.
L’artista riconosceva bene quei piccoli accenni sul viso, quelle piccole smorfie che prima o poi avrebbero portato al pianto; le aveva viste così tante volte sul volto di sua madre che ormai le aveva memorizzate.
Avrebbe voluto correre lì ed abbracciarlo, rassicurarlo, ma dubitava che ad Enjolras avesse veramente fatto piacere da come aveva reagito la sera prima ad un accenno di intimità, se così si poteva chiamare.
Strinse forte la matita avvolta nella mano destra e per pochi secondi temette di spezzarla. Il sorriso mesto di Enjolras lo faceva arrabbiare, quasi fosse lui stesso il protagonista di quella scomoda emozione.
Doveva fare qualcosa.
Guardò il lago. La superficie era limpida, silenziosa e ferma. Magari avrebbe potuto agire in quell’istante e…no, c’erano troppe persone.
Certo, aveva un po’ paura, dopotutto non sapeva nuotare, ma era pronto ad affrontare la sua più grande paura pur di riuscire a dipingere un piccolo sorriso sul viso di Enjolras. E quello, non era un affare da poter risolvere con una pennellata di colore.
Avrebbe agito il pomeriggio, in assenza di occhi indiscreti. Avrebbe recuperato il ciondolo di Enjolras e poi glielo avrebbe lasciato sul comodino, in anonimo.
Rimase al suo posto finché non ebbe terminato il compito, poi si alzò e corse via.


 

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Quel pomeriggio non era dei migliori in campeggio. C’era il vento, il sole sembrava debole e stava sparendo pian piano otre le colline erbose all’orizzonte; gli uccellini non cantavano, non si scorgeva nessun tipo di animale vagabondo, gli alberi sembravano annoiati con i loro rami pendenti…Tutto era calmo.
Le foglie secche si facevano trasportare via dal vento e le fronde dei salici danzavano a ritmo di un’aria leggera che passava qua e là tra un tronco ed un altro.
                                                          

Il lago sembrava calmo. Grantaire ne fissava la superficie piana con occhi intimoriti.
Sin da piccolo aveva sempre avuto paura dell’acqua, fatto che gli aveva proibito di divertirsi in piscina o di imparare a nuotare, come tutti gli altri bambini. Sua madre aveva provato più volte a convincerlo nello svolgere quell’attività, ma Grantaire proprio non voleva. Il solo guardare quella tavola silenziosa, adesso, gli faceva venire i brividi.
Eppure il desiderio di fare qualcosa per Enjolras, qualcosa che lo avrebbe sicuramente reso felice, lo inebriava, lo anestetizzava da tutta quella grande paura. L’artista fece un lungo sospiro e poi si tolse la felpa nera che aveva indosso. Almeno quella non voleva bagnarla.
Con le braccia nude in balia di quel vento minaccioso, Grantaire si strofinò la pelle per cercare di riscaldarsi un po’ e magari anche per farsi coraggio ad affrontare la sua più grande paura. Si avvicinò all’acqua ferma del lago e si sporse con la testa per scovare il ciondolo perduto di Enjolras: magari era rimasto impigliato da qualche parte e non sarebbe dovuto entrare necessariamente in acqua. Il suo sguardo nocciola scrutò per bene tutta la riva del lago: niente. Doveva immergersi.
Non appena immerse le gambe nell’acqua, il freddo colpì le ossa, pungente come un ago e gelido come il ghiaccio. Si fece coraggio stringendo le labbra e camminò in avanti tastando il sottosuolo sassoso del lago.
Più proseguiva, più Grantaire si accorgeva di quanta acqua lo stesse sommergendo, finché la stessa non giunse alle sue spalle. Fece un respiro profondo e, tappandosi il naso, si tuffò nel liquido gelido.
Grantaire era sott’acqua, lo scroscio dei suoi movimenti veniva camuffato dal liquido stesso, rallentando ogni suo gesto. Con gli occhi aperti che gli pizzicavano un po’, l’artista si mise in cerca del ciondolo.
Non riusciva a vedere granché, quindi fu costretto a salire in superficie e rituffarsi più volte per far si che la vista non gli si annebbiasse del tutto.
Poi un luccichio. Quel minuscolo brillare rapì la sua attenzione non appena fu di nuovo completamente immerso nel freddo intenso dell’acqua paludosa.
Con un piccolo sforzo, riconobbe il ciondolo di Enjolras. Sembrava essere piuttosto lontano, ma non aveva nessuna intenzione di arrendersi.
Proseguendo sul tappeto sassoso del lago, Grantaire raggiunse la distanza di un metro dal ciondolo stesso, continuando a risalire in superficie ed a prendere aria per respirare. All’improvviso, si accorse che il terreno gli stava scivolando sotto i piedi, costringendolo così a camminare in punta di piedi, finché non riuscì più a toccarlo.
Una piccola impronta di panico gli si stampò in viso, tentando di divincolarsi per cercare di restare a galla e non affondare nel buio che si era creato sotto di lui. Riuscì ad afferrare il ciondolo, ma il terrore lo avvolse non appena si accorse che era incastrato sotto un grande sasso. Grantaire cercò di tirare il più possibile,con l’intento di liberarlo da quella presa, ma il fiato stava iniziando a mancargli. Era meglio ritornare in superficie. E l’avrebbe sicuramente fatto, se la mano non gli si fosse incastrata nel ciondolo stesso.
Fu solo allora che Grantaire guardò la sua più grande paura in faccia. E quella stava ridendo, rideva malignamente.
Il ragazzo tirò e tirò, si avvicinò di più al ciondolo tentando di sciogliere il nodo creatosi, ma sembrava che nulla riuscisse a liberarlo. I polmoni si stavano affaticando, richiedevano ossigeno, il cuore batteva troppo velocemente, le gambe si dimenavano con assoluto panico.
Grantaire sentì i sensi svanire dentro di lui, finché non chiuse gli occhi.




 

----







Enjolras sbuffò pesantemente.
Seduto al tavolo da gioco della grande sala del cottage, il ragazzo era annoiato e confuso.
Non poteva di certo dimenticare cosa era successo (o meglio, ciò che stava per accadere) la sera prima con Grantaire, sotto al portico. Con lo sguardo bluastro fisso sul legno macchiato del tavolo, il biondo poteva ricordare ogni piccolo dettaglio di quel momento passato: gli occhi brillanti di Grantaire, la sua giacca attorno alle spalle bagnate, quella strana emozione che gli si era infiltrata nello stomaco e quella specie di formicolio sovrastato poi dal terrore.
Guardò Amélie che, seduta accanto a lui, gli teneva la mano. Le bionde trecce della ragazza balzavano allegramente mentre rideva.
Enjolras si sentì ancora più confuso. Poco tempo prima tutto quello a cui riusciva a pensare era Amélie, i suoi occhi verdeggianti ed il suo sorriso così sincero…Ed ora, la sua testa era interamente annebbiata da un altro viso, un viso timido, nascosto da il cappuccio di una felpa nera, macchiata di colore.
Peccato che non l’avesse visto in giro quel pomeriggio. Forse era in camera sua a dipingere.
Che avesse dipinto anche all’ora di pranzo? In mensa non si era presentato. Un strana sensazione lo avvolse. Era come essere stato investito da una scarica elettrica, una scarica di paura pura.
Si alzò dal tavolo attirando l’attenzione di tutti i suoi amici, che nel frattempo avevano chiacchierato animatamente.
-Ehi, hai dimenticato qualcosa per caso?- gli domandò Jeremy, colpito dalla sua sveltezza nell’alzarsi dalla sedia. Amélie li guardava.
Enjolras sembrò incantato per un attimo, poi gli sorrise: -Vado solamente a fare due passi. Stare qui dentro mi ha fatto venire il mal di testa.-
-Vuoi che venga con te?- chiese pronta la testina bionda della ragazza.
-Oh no, non ti preoccupare, torno subito.- ed Enjolras sparì dalla sala grande. Aveva bisogno di chiarire con una persona.
La ragazza sorrise incerta, avvertendo una certa aria di confusione circondare Enjolras, ma non disse nulla a proposito. Si limitò a guardarsi intorno: solo una persona mancava lì dentro. Grantaire.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


 

"Affogò perché si vergognava a chiedere aiuto."

-Marcello Marchesi-

 

 

Il pomeriggio andava svanendo sempre di più nel bosco del campeggio: Enjolras passeggiava con le mani in tasca, nell'intento di proteggerle dal vento minaccioso che gli danzava intorno.

Le foglie spesso sospese a mezz'aria, correvano in avanti vicino ai suoi piedi, quasi volessero accelerare la sua passeggiata per chissà quale strano motivo. L'inusuale sensazione che il ragazzo aveva avvertito nella sala grande del cottage, quella alla bocca dello stomaco, non se ne era ancora andata. Magari si trattava soltanto di una cattiva digestione, anche se non aveva mangiato molto quella mattina, e neanche a pranzo.

Alzò gli occhi al cielo: sembrava coperto da un lieve velo di grigio, un grigio sporco e freddo, come se qualcuno avesse dimenticato di toglierne la pellicola. Si alzò il cappuccio della felpa rossa per coprire la testa.

Doveva assolutamente parlare con Grantaire. Voleva vederlo, voleva capire se fosse rimasto male alla sua fuga della sera prima...Eppure Enjolras era sicuro di non potergli dare molte spiegazioni, perché neanche lui sapeva cosa gli stesse succedendo.

Avere il volto di Grantaire così vicino, sotto le luci soffuse del portico, lo avevano fatto sentire come non si sentiva da molto tempo, gli avevano fatto provare una sensazione di calore che non aveva mai sperimentato prima. Guardare i suoi occhi era come sentirsi inebriati di ossigeno dopo aver passato ore ed ore chiusi in una stanza.

Il biondo continuò a passeggiare tranquillo. Il vento gli scompigliava i capelli, accarezzando i suoi pensieri confusi.

In realtà ciò che lo aveva spaventato di più era stato quell'impulso, quel forte istinto di baciare Grantaire.

Insomma, aveva una bellissima ragazza dopotutto, perché avrebbe dovuto? Perché si sentiva così dannatamente attratto da quel tipo? Forse stava semplicemente impazzendo.

Si fermò sul sentiero bagnato. Nell'orizzonte riconobbe il lago del campeggio. Uno strano brivido corse attraverso la sua spina dorsale.

 

 

 

----

 

 

 

 

Il terreno sassoso del lago rendeva la passeggiata di Enjolras un po' movimentata.

Il ragazzo teneva gli occhi bassi, pensava e pensava. Non sapeva bene perché era finito a passeggiare sul lago, visto che se voleva parlare con Grantaire sarebbe almeno dovuto andare a cercarlo nel dormitorio.

Proseguì nel suo andamento scricchiolante finché non raggiunse la riva. Lo scroscio dell'acqua era lento, quasi annoiato.

All'improvviso qualcosa che giaceva vicino alla riva catturò l'attenzione del ragazzo: erano dei vestiti.

Dopo essersi avvicinato, Enjolras si inginocchiò accanto alle stoffe e, con un ulteriore brivido, trasalì.

Quella che teneva in mano ora era la felpa nera di Grantaire.

Spaventato e confuso si guardò intorno, ma non vide nulla. Poi rabbrividì di nuovo. Al centro delle acque, qualcosa di luccicante si stava agitando. Enjolras non ebbe bisogno di altri indizi: qualcuno era in acqua e stava affogando. Grantaire stava affogando ed aveva bisogno di lui.

Frettolosamente prese una piccola rincorsa verso le acque del lago e si tuffò nel liquido salmastro, senza neanche preoccuparsi di togliersi almeno la felpa rossiccia.

Il freddo lo avvolse, ma ad Enjolras non importava; nuotava velocemente, con il respiro un po' affannato lottava contro l'avversità delle piccole onde che gli rendevano tutto più difficile. Non avrebbe mollato, non avrebbe lasciato che Grantaire affogasse.

Tra schizzi d'acqua e bracciate quasi disumane, la vista di Enjoras si annebbiò per un attimo, quel poco che gli vietò di notare che il centro delle acque non si muoveva più. Si fermò con il respiro corto, i boccoli biondi che gli ricadevano zuppi sul volto.

Si guardò intorno. Non riusciva più a vederlo, lo aveva perso di vista.

 

 

Gridò a squarciagola il nome di Grantaire più volte, gridò così forte e con così tanto terrore nelle vene che la voce gli mancò. Poi riconobbe di nuovo quello strano luccichio sotto di lui, perciò si tuffò completamente nelle acque scure del lago.

Aprì gli occhi, immerso nelle acque insabbiate e gelide, e tutto quello che riuscì a vedere fu una figura piccola, rannicchiata e statica che veniva inghiottita sempre più velocemente dalla gola affamata dell'oscurità.

Lapinou.

Con un'abile spinta degna di un grande nuotatore, Enjolras riuscì ad afferrare il braccio a mezz'aria della figura e ad avvolgerlo attorno al suo collo.

Ti ho preso. Ci sono io ora.

    

Tenendo stretto a sé quel corpo gelido, Enjolras chiuse gli occhi e lottò contro l'acqua ostile per risalire in superficie.

Non appena inspirò l'aria umida al sapore di bosco, Enjolras si fece largo tra le onde dell'acqua, che invece cercava di trattenerlo e portarlo indietro con sé.

Riuscì ad uscire dall'acqua, il corpo inerme di Grantaire abbandonato tra le sue braccia; Enjolras si gettò sul terreno sassoso della riva e poi ci distese sopra il corpo dell'artista.

Le palpebre erano serrate, la bocca socchiusa, i capelli trasudavano ancora goccioline d'acqua.

-Ti prego, respira.- il biondo si avvicinò tremante al viso di Grantaire e ci accostò un orecchio, nella speranza di avvertire un minimo segno di vita.

Ti prego, ti prego, lapinou.

Niente.

Con il respiro agitato, la felpa completamente inzuppata del cattivo odore del lago, Enjolras si dispose velocemente a lato del ragazzo, si tolse di dosso quel panno rosso fradicio, lo strizzò e lo pose sotto il capo di Grantaire lottando contro le mani tremanti. Non aveva mai provato una paura del genere.

Poi prese un grande respiro e si avvicinò alle labbra del moro.

Lapinou.

Mentre con un tocco leggero di una mano le distanziava e con l'altra tappava il naso, premette la sua bocca su quella dell'altro, spingendo tutta l'aria dei suoi polmoni in quelli di Grantaire. Assaporò appena il sapore dolce dell'acqua del lago e strinse gli occhi. Poi si staccò, respirando agitatamente e spostò la sua attenzione sul torace nudo dell'artista, mentre tentava di massaggiarlo con una ripetizione di almeno trenta colpi a lato del cuore.

-Dieci, undici, dodici,...avanti, non puoi abbandonarmi così...quattordici, avanti...-

Enjolras tornò ad assaporare le labbra del moro, stavolta spingendo fuori tutto l'ossigeno che gli fosse possibile, e poi ricominciò con la serie di colpi sul petto.

Si fermò per un attimo, fissando il corpo inerme davanti ai suoi occhi che iniziavano a diventare lucidi.

Forse era tutto inutile. Forse era troppo tardi.

-No...No, non ti lascerò andare via così!- gridò con voce spezzata. Ripeté tutto il processo per altre due volte, per poi passare al massaggio cardiaco che stava affievolendo le sue speranze.

Cominciò con il solito ritmo frenetico, poi rallentò, fino a fermarsi del tutto, con il respiro spezzato ed il viso bagnato di lacrime.

Le palpebre del ragazzo disteso erano ancora chiuse, la bocca non si muoveva ed il petto sembrava essere stato immobilizzato da un incantesimo molto potente.

Enjolras si abbassò posando la fronte su quella dell'artista. Piangeva.

-Ti prego non lasciarmi...Lapinou, ti prego respira, dannazione respira!-

Se Grantaire avesse potuto vederlo in quel momento, avrebbe afferrato un pennello ed avrebbe aggiustato quelle sbavature sul volto con un po' di colore. Sapeva di averlo perso e quando lo realizzò completamente iniziò a singhiozzare sul petto del ragazzo. Non aveva mai pianto così in vita sua, mai, per nessuno.

Un improvviso colpo di tosse fece sobbalzare il ragazzo.

Il petto di Grantaire sussultò, i suoi occhi si strinsero fortemente, le labbra si schiusero. Il ragazzo era vivo.

-Ehi! Sta tranquillo,- bisbigliò con voce spezzata, -va tutto bene. Il peggio è passato.-

Grantaire aprì gli occhi: sembrava incredibile, eppure si trovava ancora una volta tra le braccia di Enjolras, con la familiare presa solida ma dolce, agitata ma attenta, una mano sotto la testa e l'altra che stringeva la sua.

Il moro sentiva la pelle bagnata di lui accarezzare la sua, umida. Non riusciva molto a concentrarsi su quel dettaglio, ma la sola sensazione gli trasmetteva sicurezza e calore.

-C-Cosa è successo?- mugugnò l'artista, avvertendo i primi segni di nausea. Lo sguardo di Enjolras sembrava velato da uno strato di lacrime, ma Grantaire era convinto che fosse colpa della sua vista mezza annebbiata.

-Beh, diciamo che sei un idiota.- rispose l'altro, passandogli una mano tra i capelli bagnati. Quei ricci color ebano giacevano sulla spalla. Ora la sua voce era più soffice, più rilassata, come se avesse avuto paura di perdere qualcosa che, in realtà, aveva riguadagnato.

-Stavo facendo due passi e ti ho trovato nel bel mezzo del lago...e stavi affogando.-

Grantaire ricordava tutto adesso. Ricordava la convinzione che aveva provato nel tuffarsi in quelle acque ostili alla ricerca dell'amato ciondolo di Enjolras...Ricordava di quando era rimasto impigliato e...poi il buio. Se non fosse arrivato Enjolras, probabilmente sarebbe morto.

-Hai bisogno di calore, è il caso che ti porti nel dormitorio.- spiegò il biondino, mentre stringeva di più a sé quei ricci scompigliati, sentendone il profumo d'acqua dolce e la morbidezza con le braccia nude.

-P-Perché sei senza felpa?- sussurrò Grantaire, mentre cercava di nascondere l'imbarazzo. Non era mai stato un tipo muscoloso, anzi, la maggior parte delle volte, con quelle felpe larghe che indossava abitualmente sembrava più esile del solito. Enjolras, invece, possedeva una forma fisica quasi perfetta ed avere quelle braccia forti intorno a lui per la seconda volta era come assaporare un sogno.

-Per lo stesso motivo per cui lo sei tu, lapinou. Ti vergogni di me?- sorrise l'altro.

Era il primo sorriso che vedeva in quella giornata. I visi dei ragazzi non distavano di molti centimetri ed in altre occasioni Grantaire si sarebbe coperto il viso, ma lì, avvolti insieme dai sussurri del lago e dal canto del vento, i loro sguardi si stavano mescolando, come due colori che si mischiano e si completano.

Enjolras guardava Grantaire a pochi centimetri dalla sua spalla e con il dorso della mano gli carezzò la guancia. –Sto seriamente pensando che tu non riesca a fare a meno di me.- sorrise.

-Un artista non può fare a meno della sua musa.-

Il biondo lo fissò staticamente per alcuni secondi, poi spostò lo sguardo sulle labbra ancora bagnate del moro. Anche se non si poteva considerare un bacio vero e proprio, le loro bocche si erano toccate poco prima...Erano morbide, accoglienti e terribilmente fredde. Le loro labbra si erano incontrate...e lui era l'unico a saperlo.

-C-Credo che dovremmo andare.- e, detto questo, Enjolras sollevò il corpo di Grantaire con le sue braccia. Il moro poté solamente reggersi forte, sapeva benissimo di essere troppo debole per camminare.

-E-Enjolras?-

-Sta' tranquillo, finché sei con me nessuno potrà farti del male, mon lapinou.- mormorò vicino alle sue labbra.

Grantaire sorrise accostandosi di più nella piegatura del suo collo. Sapeva di talco, acqua dolce e felicità.

 

 

-Fine prima parte-

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


L'aria fresca della sera entrava silenziosa nella stanza di Grantaire


L'aria fresca della sera entrava silenziosa nella stanza di Grantaire. Il moro era disteso sul letto, le palpebre semichiuse, i ricci ancora un po' bagnati molleggiavano a tempo di quella danza ventosa.

Fuori tutto era buio, tranquillo; le fronde degli alberi ridotte ad ombre giganti ondeggiavano leggiadre, come se stessero cullando dolcemente i vari nidi che ospitavano.

Grantaire guardava fuori dalla finestra: anche se non riusciva a vedere molto, la superficie vetrosa del lago del campeggio risplendeva grazie alla fioca luce della luna. Un piccolo brivido lo scosse: poche ore prima era stato in balìa di quelle acque profonde, simili a mani risolute che lo avevano afferrato e lo avevano condotto giù, nell'oblio dell'oscurità.

Non ricordava molto. La sua memoria aveva smesso di registrare nel momento in cui era svenuto tra le braccia dell'oscurità; non si era accorto delle mani che lo avevano riportato in superficie, delle labbra che lo avevano riportato in vita. Enjolras gli aveva salvato la vita.

L'ultimo ricordo era proprio il viso del ragazzo dagli occhi blu oceano, delle sue braccia possenti che lo stringevano a sé... "Finché sei con me nessuno potrà farti del male...". Questo non l'aveva dimenticato.

All'improvviso qualcuno bussò alla porta. Grantaire si voltò, sospirò e poi scacciò via le coperte.

Chi poteva essere a quest'ora?

Mentre si massaggiava i capelli umidi, andò ad aprire a piedi scalzi. In fondo stava per addormentarsi.

-Ciao, lapinou.-

Bastarono quelle due parole a dipingergli un piccolo sorriso sul volto, facendogli passare completamente la voglia di dormire. Non appena aveva aperto la porta, le sue narici si erano inondate del dolce profumo di talco, tipico di Enjolras.

Il biondo, con una spalla poggiata sullo stipite della porta, lo guardava con i suoi occhi blu, umidi ma rilassati. I capelli, quelle splendide foglie d'oro che gli circondavano il capo, erano leggermente intrecciati, ma nonostante ciò trasmettevano ancora quel senso di calore che Grantaire aveva provato la prima volta che li aveva visti.

-Lo so che sono un bocconcino delizioso, ma la smetti di divorarmi con gli occhi?-

-C-cosa? Non stavo...- ribatté il moro con evidente imbarazzo. -V-vieni, entra. Scusa il disordine.- continuò timidamente,massaggiandosi ancora i capelli.

Non appena varcò la soglia della camera, Enjolras si ritrovò circondato da un dolce aroma di agrumi; si guardò intorno curiosamente: non era poi così disordinata quella stanza.

Per quello che riusciva a vedere nel semibuio, alcuni libri colorati erano sparsi per terra; un mucchio di pennelli da pittura di vari colori e dimensioni giacevano pigri sul letto, altri invece impedivano a piccoli fogli di volare via

Per quello che riusciva a vedere nel semibuio, alcuni libri colorati erano sparsi per terra; un mucchio di pennelli da pittura di vari colori e dimensioni giacevano pigri sul letto, altri invece impedivano a piccoli fogli di volare via. La minuscola scrivania, ad un angolo dimenticato della stanza, era coperta di disegni, macchie di colore e qualche tubetto di tempera stropicciato.

Grantaire se ne stava al centro delle quattro mura, limitandosi ad osservare quello sguardo bluastro girovagare per la stanza. Ringraziò il cielo di non essere a casa, in camera sua, poiché si sarebbe vergognato a morte a far curiosare Enjolras lì dentro: era come se, osservando il tutto, avesse potuto vedere dentro di lui.

-Chiunque dovesse entrare in questa stanza capirebbe subito che sei un artista ...- sorrise Enjolras.

-Dovrei prenderlo come un complimento o no?-

Il biondo rise. -Certo. Io adoro gli artisti.-

Il moro abbassò timidamente lo sguardo. Si ritenne molto fortunato poiché, grazie alla luce fioca della stanza, Enjolras non poté scorgere il rossore formatosi sul suo viso.

-Soprattutto quelli che si fanno salvare da bravi nuotatori come me.–scherzò il biondo, avvicinandosi lentamente al giovane pittore.

Entrambi accennarono un risolino. Poi un'onda di serietà calò sulla stanza.

-A proposito...come stai?- chiesero gli occhi blu oceano con evidente interessamento.

-Sto bene, grazie a te. Non ricordo nulla da quando sono svenuto. Ti ho per caso vomitato addosso?-

Enjolras scoppiò a ridere. Grantaire avrebbe voluto immortalare la bellezza di quella risata su tela, così ingenua, così frivola. Si ricordò quando, da piccolo, aveva accidentalmente fatto cadere delle tempere sul pavimento. L'esplosione di tonalità che ne era venuta fuori era indescrivibile, magica...Qualcosa di così casuale e di così perfetto allo stesso tempo. Proprio come quella risata.

-Sei semplicemente svenuto. Quando ti ho portato fuori dall'acqua io ho...- Enjolras s'interruppe.

Per un momento stava per raccontargli dell'istante in cui le sue labbra avevano incontrato quelle del moro.

All'improvviso un'ombra di tristezza calò sul suo viso. Più che tristezza, quel piccolo nodo che gli stringeva la gola si poteva definire delusione. Non sapeva bene il perché, ma il fatto che Grantaire non fosse cosciente nel momento in cui lo aveva "baciato", lo rendeva nervoso e frustrato.

Forse perché quel bacio indiretto, per Enjolras, significava qualcosa.

-Mi hai...cosa?- continuò il pittore, squarciando il mesto velo che portava sul viso.

Enjolras scosse la testa sorridendo. -N-no niente...Ti ho colpito forte sulla schiena per...per farti sputare l'acqua e...beh, poi ti sei ripreso, quindi direi che è andata bene.-

Bugia.

Enjolras sapeva benissimo che non era andata così, e bastava guardare dietro quel suo solito sorrisetto per scorgere la verità.

Grantaire annuì incerto. Il biondo sembrava piuttosto nervoso mentre pronunciava quelle parole. Poi osservò Enjolras sedersi sul suo letto. Quel dettaglio lo fece rabbrividire leggermente.

-Solo non capisco perché tu ti sia gettato in acqua se sei consapevole di non saper nuotare. Stavi cercando un tesoro perduto per caso? –

Il moro sospirò massaggiandosi ancora una volta i capelli; non passò molto tempo prima che si sedesse accanto al biondino.

La vicinanza tra i ragazzi era minima, eppure nessuno dei due stava considerando questo particolare. In fondo, sulla riva del lago si erano abbracciati, ed una strana sensazione di fiducia si stava stabilendo tra di loro.

-In realtà io cercavo...questa.- e fu con quella manciata di parole che Grantaire mostrò al ragazzo il ciondolo che gli era quasi costato la vita. Ma non importava. Sarebbe annegato volentieri se questo fosse servito a far sorridere Enjolras ancora una volta. A chi importava della vita di un giovane pittore malvisto da tutta la scuola?

La collana lucente venne tolta dal collo del moro e fatta oscillare davanti agli occhi increduli del biondo.

-Questa...questa è...-

-La collana di tua madre. Lo so. Ho sentito mentre ne parlavi con il tuo amico, quello che mi ha scambiato per un canestro.-

Enjolras sorrise. L'oceano che teneva intrappolato negli occhi si stava increspando, le prime lacrime di una gioia che non provava da tempo ondulavano in quel mare di bellezza che era il suo sguardo.

Avvicinò una mano tremante al ciondolo luccicante e lo strinse forte. Tutto ad un tratto la memoria si perse ed iniziò a correre tra i ricordi d'infanzia...La sensazione di un abbraccio materno, il profumo che impregnava il cuscino di suo padre...Tutto quello che gli era rimasto dei suoi genitori era lì, custodito in quel ciondolo.

E Grantaire lo aveva recuperato. Lo aveva recuperato per lui.

-So che era molto importante per te...quindi ho provato a cercarlo, finché non ho capito che lo avevi perso nel lago. F-forse non avrei dovuto impicciarmi, ma volevo aiutarti e-

Quelle timide frasi furono interrotte dall'improvviso calore che avvolse il suo petto non appena Enjolras lo abbracciò. Era una stretta forte, sollevata ma allo stesso tempo tremolante e dannatamente dolce.

Dopo essere rimasto senza fiato per alcuni minuti, Grantaire circondò la vita di Enjolras con le braccia, per poi immergere una mano nei suoi capelli, quasi spaventato nel godere di quella morbidezza dorata.

L'aroma frizzante del talco lo avvolse completamente e fu proprio a causa di quella sensazione che nascose coraggiosamente le sue labbra sotto il cappuccio della felpa rossa del ragazzo, nel tentativo di respirare appieno quella freschezza.

Rimasero così per un po', non importò quanto, entrambi sentivano il bisogno di cercarsi e di trovarsi in quell'abbraccio.

Il tutto fu interrotto da un forte tuono che risuonò nel campeggio. Enjolras si scostò spaventato.

-C-Cos'è stato?-

Grantaire diresse lo sguardo fuori la finestra. Una forte pioggia autunnale cominciò a ticchettare sul terreno scosceso del bosco; le fronde degli alberi presero a muoversi violentemente, le ante della finestra iniziarono a tremare finché il moro non fu costretto a chiuderle con un po' di fatica.

 Una forte pioggia autunnale cominciò a ticchettare sul terreno scosceso del bosco; le fronde degli alberi presero a muoversi violentemente, le ante della finestra iniziarono a tremare finché il moro non fu costretto a chiuderle con un po' di fatica

-Sta piovendo. Ed anche tanto, direi.- sbuffò l'artista. La reazione spaventata dell'altro ragazzo lo aveva inquietato un po'. Aveva forse paura dei tuoni?

Enjolras si era rannicchiato ad un angolo del letto, stringendo forte le coperte su di sé.

-Enjolras...Hai paura del temporale?-

Il biondo scostò frettolosamente le coperte, cercando di velare il suo evidente timore.

-Cosa? Pff, no, non ho mica quattro anni.- disse, mentre si guardava attorno preoccupato, in attesa del prossimo tuono.

Sembrava parecchio strano, e forse anche un po' divertente: il ragazzo che lo aveva salvato dalle grinfie di un annegamento, quello che si vantava di essere un eccellente nuotatore, lo stesso che posava nudo per degli sconosciuti e che equivaleva al ragazzo più popolare della scuola...aveva paura di un temporale? Una risata soffocata echeggiò nella stanza.

-Smettila.-

-Cosa?- intervenne Grantaire, fingendo un'espressione ingenua.

-Non ridere. Io non-non ho paura.-

-Giusto.- rise il giovane pittore accostandosi al biondino, che nel frattempo si era trasformato in una piccola creatura indifesa.

-Credo sia meglio se torni nella tua stan-

-No!- esclamò il biondino ad alta voce, forse un po' troppo alta. –E' che...-continuò mentre si massaggiava il collo, visibilmente in imbarazzo, -forse è meglio che io resti...qui, per...beh, per farti compagnia...sai, i tuoni...è pericoloso per te...-sussurrò, riacchiappando quelle coperte lanciate via poco prima. –E poi, dopotutto, poche ore fa stavi per annegare...-

Grantaire alzò stupito le sopracciglia. -Credo proprio che tu non stia più parlando di me. Sei tu che hai bisogno della mia compagnia perché hai paura del temporale.-

-No, io non ho bisogno di nessuno. E smettila di dire che ho paura dei temporali!- scattò il biondino. Tutta la sua rabbia sembrava quella di un bambino di sei anni, dovuta ad un capriccio infantile.

Grantaire sorrise divertito dalla sua reazione. -Bene. Allora io mi metto a dormire e tu, visto che devi farmi compagnia, puoi stare su quella poltrona lì, vicino alla finestra. Almeno potrai proteggermi dai tuoni, giusto, mio impavido eroe?-

Enjolras sbuffò con scherno, poi diresse lo sguardo insicuro verso la finestra. In pochi secondi si era già accucciato sulla poltrona che a lui sembrava sempre di più una sedia della tortura, in balìa di quei tuoni e di quei rumori assordanti che gli facevano balzare il cuore.

Avanti, non fare il pappamolle.

-Se hai bisogno di stringermi sono qui.- rise il moro da sotto le coperte.

-Piantala, non lo farò. Perché non ho paura dei tuoni, sia chiaro.-

-Mhmh.- annuì Grantaire poco prima di dare il via ad un pigro sbadiglio.

Il silenzio calò nella stanza. Ogni tanto alcuni forti boati urlavano tra le fronde dei mostri alberati che parevano muoversi verso il tremante corpicino di Enjolras. Tutta quella spaventosa atmosfera lo terrorizzava, lo aveva sempre terrorizzato e lui sapeva bene il perché.

Oltre a sua zia, nessuno conosceva quel tremendo lato di sé, quel terribile passato che lo tormentava dietro la maschera di popolarità che portava

Oltre a sua zia, nessuno conosceva quel tremendo lato di sé, quel terribile passato che lo tormentava dietro la maschera di popolarità che portava. All'improvviso il fragore più forte di quella notte lo fece cadere dall'orlo di terrore sul quale tentava di mantenere l'equilibrio...si mise a piangere. Non seppe quanto forte singhiozzasse lì, rannicchiato su se stesso con le ginocchia sotto il mento, quasi come un bocciolo di rosa in grado di sbocciare in qualsiasi momento. Ma lui non sarebbe sbocciato. Non si sarebbe mai liberato di quel forte nodo che gli soffocava la gola. Non si sarebbe liberato mai di quell'ossessione.

Poi tutto sembrò cambiare: una mano, una mano leggera come una fresca brezza estiva si posò sulla sua spalla. Enjolras alzò gli occhi: Grantaire lo guardava turbato.

Non servirono parole, uno sguardo fu abbastanza. Il giovane pittore si limitò a sollevarlo da quella poltrona infernale e lo accolse tra le braccia. Era buffo: poche ore prima era lui ad essere circondato dalle braccia di Enjolras.

Ora, quegli stessi arti che lo avevano portato via da morte certa si stringevano tremolanti attorno al suo collo; il respiro singhiozzante del biondino non gli permise di accorgersi del deglutire pesante dell'altro, come se Grantaire stesse tentando di sciogliere il nodo dalla gola al posto suo. Come se stesse cercando di salvarlo.

A passi leggeri, l'artista posò la figura scossa da spaventosi fremiti sul suo cuscino, poi si distese dietro ad essa e la strinse forte, accarezzandone i fianchi con un braccio.

-Non devi aver più paura ora. Finché sei con me nessuno potrà farti del male.-

Mano a mano, i singhiozzi si fecero più flebili, fino a diventare inesistenti. Il calore delle sue lacrime fu dimenticato e sostituito da quello che avvertiva dietro il suo collo, grazie ad un paio di labbra che sfioravano i suoi morbidi ricci d'oro.

Enjolras si addormentò così quella notte: i suoi demoni erano stati addormentati dalla dolcezza di Grantaire, ma il biondo sapeva, in cuor suo, che si sarebbero risvegliati prima o poi. E, un giorno o l'altro, la verità sarebbe venuta fuori. Adesso, però, non voleva pensarci. Sognare tra quelle due braccia era fin troppo bello.

 

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


 

Madame Rochenne tentò di non fare rumore mentre entrava in quella stanza semibuia.

Ormai era giorno, la luce del mattino già riposava sulle lenzuola stropicciate del letto che vedeva davanti a lei.

Quella era la camera di Grantaire. Non sarebbe mai entrata se non avesse trovato la porta socchiusa. E poi stava cercando Enjolras: non era rientrato la scorsa notte...e lei sapeva che lo avrebbe trovato lì.

Quello che non immaginava, però, era accorgersi del buffo groviglio di braccia stanche posate attorno alla vita di suo nipote. Grantaire ed Enjolras si erano addormentati in un tenero abbraccio.

La donna non riuscì a trattenere un piccolo sorriso.

Mentre i suoi occhi giocondi si riempivano di una frizzante gioia improvvisa, si portò una mano sulle labbra per coprire quell'eccesso di felicità...come se avesse paura che qualcuno potesse vederlo, o peggio, rubarglielo.

Era lo stesso tipo di sorriso che indossava quando si divertiva ad osservare il piccolo Enjolras che correva per tutta la casa, felice, con un pennello sporco in mano che aveva rubato da una delle sue mille tavolozze. Era lo stesso tipo di sorriso che portava a passeggio con quel bambino dai riccioli biondi che saltellava qua e là tra uno scivolo e l'altro, e che poi impazziva dalla gioia non appena avvistava dei palloncini colorati.

"Mon petit Enjolras..."

Un piccolo gemito mattutino la risvegliò dai suoi dolci ricordi: Grantaire si era mosso appena, sospirando pesantemente, poi era caduto di nuovo nel materno abbraccio del sonno

Un piccolo gemito mattutino la risvegliò dai suoi dolci ricordi: Grantaire si era mosso appena, sospirando pesantemente, poi era caduto di nuovo nel materno abbraccio del sonno.

Danielle tirò un piccolo sospiro di sollievo. Si era diretta nel dormitorio maschile del campeggio per parlare con l'artista, dopo aver bevuto un buon caffè. Tuttavia, non appena si era trovata davanti quella scena amorevole, non aveva trovato il coraggio di svegliare Grantaire.

Decise di lasciar dormire quei ragazzi ancora un po'. Non sapeva esattamente quando e per quale motivo Enjolras aveva deciso di passare la notte in camera del giovane artista, ma poco importava. I due si stavano avvicinando, e la donna non poteva che esserne felice.

Uscì dall'aria viziata con fare leggero e tornò nel suo studio con un grosso sorriso.

 

 

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Enjolras si svegliò di colpo, immerso nel silenzio della stanza. Il cuore gli batteva forte, il respiro martellava nel petto ed una sensazione di occhi umidi lo spinse a passarsi il dorso della mano sul viso.

Aveva fatto un incubo, di nuovo. Non ricordava neanche cosa avesse sognato esattamente. L'unica cosa certa era quell'alone di inquietudine che gli era rimasto intorno. Tremava, si sentiva come un bambino perso nel buio, in cerca della sua mamma, in cerca di qualcosa che gli avesse trasmesso sollievo e coraggio. Strizzò gli occhi per tentare di cacciar via quei brividi improvvisi, con una mano strinse le lenzuola intorno a lui.

Poi, con la coda dell'occhio, si accorse di una presenza vicino alla sua spalla: non osò girarsi, accecato dai rimasugli di paura per colpa dell'incubo notturno; una specie di montagna nera riposava vicino al suo viso, forse pronta all'attacco non appena Enjolras avesse mosso un dito; quella creatura sembrava respirare in modo lento ed irregolare, emettendo un piccolo grugnito spaventoso simile a quello di un orso.

E se stesse ancora sognando? E se fosse ancora dentro il suo incubo e quell'ammasso di terrore stesse aspettando per aggredirlo?

Non appena decise di girarsi a guardare, la paura cessò.

Grantaire dormiva pacioso accanto al suo viso, e allora la montagna nera che aveva visto poco prima si trasformò nella chioma ebano dei suoi capelli, il respiro si fece ritmato e tranquillo ed il grugnito che lo aveva terrorizzato poco fa si convertì in una dolce serie di piccoli gemiti.

Era buffo, Enjolras doveva ammetterlo: vedendo quei ricci arruffati, le labbra socchiuse in un'espressione da circo il ragazzo non riuscì a trattenere una risatina. Ora ricordava tutto della sera precedente e, non appena i primi ricordi affiorarono alla mente, fu invaso da un'inebriante tepore che lo scosse leggermente.

Come se fosse la cosa più facile del mondo sfiorò le labbra del moro con un dito, nello stesso modo con cui si tocca un cristallo prezioso. Aveva baciato quelle labbra, sulla riva del lago, poche ore prima. Avrebbe voluto baciarle ancora e ancora, fino a perdersi nel sapore della loro morbidezza. Ma no, non poteva.

Enjolras sorrise con un po' di rammarico sul viso. La paura era scomparsa ed una sensazione di calore improvviso inondò il suo corpo, una sensazione calda, accogliente, sicura.

Non impiegò molto tempo a sgattaiolare fuori dalla stanza del giovane artista, facendo certamente attenzione a non provocare troppo rumore. Una volta fuori il dormitorio, respirò a pieni polmoni l'aria fresca del bosco, inebriandosi di ogni piccolo profumo erboso che percepiva. Ne godette per l'ultima volta, poiché da lì a poche ore un grosso pullman li avrebbe portati a casa. Il campeggio era finito. Avrebbe fatto meglio a sbrigarsi.

 

 

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Qualcuno bussò alla porta di Danielle Rochenne.

La donna era seduta sulla sua scrivania, con gli occhiali sbadatamente posati sul naso ed una matita tra le labbra. –Ehm, si, avanti!- cinguettò con fare esuberante.

Non appena la porta si aprì, una capigliatura scura fece capolino. –Madame, mi doveva dire qualcosa?-

-Grantaire, mon coeur, vieni, entra!- il viso della donna si era illuminato di un riflesso radioso, che l'artista avrebbe definito giallo canarino. 

Danzando sui suoi tacchi rumorosi, Mme Rochenne gli porse una sedia, mossa dai suoi soliti gesti felici. Il ragazzo notò ancora una volta la grazia nei suoi movimenti, sottolineata da una gonna larga e svolazzante e da un'amabile casacchina color pastello che ricopriva le spalle minuscole della donna. A Grantaire sarebbe piaciuto molto avere una zia come Danielle, una di quelle con cui puoi prendere un the in una fredda giornata d'inverno e, nonostante ciò, avvertire il calore di qualche chiacchiera affettuosa.

-Alors, ti ho fatto chiamare per darti una notizia che ti farà impazzire di gioia!-

Grantaire sembrava confuso ed agitato sulla poltroncina rosata della donna. Cosa era successo di così tanto importante?

Gli occhi azzurri della donna vennero liberati dagli occhiali violacei e poi esitarono un momento, prendendo un grosso respiro, quasi dovessero immergersi in un'enorme vasca di parole. Solamente ora che poteva vederli meglio, Grantaire si accorse che erano esattamente uguali a quelli di Enjolras.

-Sono lieta di farti sapere che sei stato iscritto al concorso nazionale di pittura giovanile! Non è fantastico, mon coeur? Potrai finalmente dimostrare quanto vali attraverso la tua pittura!- esclamarono le braccia entusiaste della donna, che stavano cercando invano di trattenere l'emozione.

Grantaire non sapeva cosa dire. Se doveva essere sincero, questa storia di mostrare agli altri i suoi quadri lo preoccupava parecchio: chiunque avesse guardato la sua pittura, avrebbe guardato dentro la sua anima, lo avrebbe messo a nudo.

-Madame, io-io non ho mai partecipato a nulla di simile! E non credo di...esserne in grado...Io...- il ragazzo si trovò improvvisamente a fissare il pavimento ingiallito della stanza. –Beh, io...sono convinto che nessuno gradirebbe i miei quadri...Sono parte di me, e se non piaccio io alle persone, come possono piacere i miei quadri?-

Un velo di mesto silenzio cadde sulla stanza, un velo così pesante da rattristire persino l'allegria spontanea di Mme Rochenne.

-Oh, mon cheri, - sibilò la donna afferrando delicatamente le mani di Grantaire, sempre un po' sporche di pittura. –Io ho visto del potenziale in te, un talento che non vedevo da anni. E so anche che qualcuno che conosciamo entrambi approverebbe. Devi provarci, caro, e ti prometto che se ci metterai tutto te stesso in quei quadri, e so che lo farai, le persone lo capiranno. Io credo in te, mon petit coeur.-

Grantaire sorrise dolcemente. Forse Danielle aveva ragione. Dopotutto, aveva passato tutta la sua vita a nascondersi ed a dipingere solamente per se stesso. Quelle parole spazzarono via tutta l'insicurezza che sentiva, tutta la pesantezza e l'angoscia che si erano infiltrate nei suoi pensieri. In fondo, cosa aveva da perdere?

-Oh, Madame! Per questo tipo di concorsi serve un oggetto o una persona da scegliere come modello, giusto?-

-Oui.- rispose la donna, facendo rientrare in sè tutta la gioia perduta poco prima.

-Ma io...non ho niente o nessuno disposto a farsi ritrarre...-

Danielle si rimise velocemente gli occhiali violacei e si sistemò composta sulla scrivania. –Ne sei proprio sicuro, Grantaire?-

Il ragazzo si limitò a rispondere con una piccola alzata di spalle.

-Io credo invece che tu abbia già trovato la tua Musa. Sbaglio?- la donna lo osservava con aria divertita da sopra gli occhialetti da lettura.

L'immagine di una chioma color grano annebbiò i suoi pensieri. Grantaire sorrise. –No, non sbaglia.-

 

 

----

 

 

 

Il forte odore di benzina esplose nell'aria fresca del bosco. Tutti gli studenti erano pronti a partire, persino Madame Rochenne, spesso in ritardo, se ne stava sul bordo della stradina terrosa, con la sua grossa valigia color lilla tra le gambe slanciate. Gli sorrise.

Grantaire rispose con un leggero cenno di amicizia. Il giovane artista sedeva sul terreno semiumido e si godeva lo spettacolo autunnale: la pioggia della sera prima aveva scosso tremendamente gli alberi, che ora giacevano silenziosi, quasi spaventati di attirare l'attenzione di qualcuno. Le foglie, intanto, si lasciavano cullare da un vento quasi inesistente e si limitavano a cadere con eleganza, picchettando il terreno di varie sfumature, dal rosso al dorato. L'aria era umida a causa della forte pioggia ormai passata. Già, il temporale.

Grantaire ripensò ad Enjolras, rimembrò la paura che quel ragazzo aveva avuto e le sue lacrime che, durante la notte, gli avevano bagnato la felpa color ebano. Chissà perché si era comportato così.

Quella mattina si era svegliato in un letto vuoto, scomposto ma vuoto, ed aveva desiderato di battezzare il suo sguardo con il viso del biondo sonnecchiante sul cuscino. Invece, non appena aveva aperto gli occhi assonnati si era ritrovato solo in camera. Per qualche secondo gli parve di aver sognato.

-Se tu dovessi diventare un pittore famoso, voglio il tuo autografo.-

La calda voce mattutina di Enjolras gli fece alzare lo sguardo. Sorrise.

-Perché dovrei diventare famoso?- Grantaire stava cercando di non soffermarsi su quanto fosse splendido il biondo quella mattina. Forse era colpa della luce solare che aveva alle spalle, la quale lo faceva sembrare un angelo, oppure era per quei capelli giallo grano sistemati in modo scomposto che lo facevano impazzire...O semplicemente la colpa era di quegli occhi che lo guardavano con una certa attrazione. Nessuno lo aveva mai guardato così prima d'ora.

-Mia zia mi ha detto del concorso...Congratulazioni, lapinou.- sussurrò chinandosi sul viso dell'artista. Poi, con un ghigno divertito, si scostò e si sedette accanto allo sguardo fattosi timido del moro.

Per qualche secondo nessuno dei due parlò. Poi lo sguardo lucente di Enjolras si mise alla ricerca dell'altro.

-Tu come stai?- continuò Grantaire, precedendo l'altro ragazzo.

-Io?-

-Si, voglio dire, dopo ieri sera...- il biondino distolse lo sguardo. Si stava agitando.

-Ehm, Grantaire, a proposito di quello, io...-

-Non lo saprà nessuno. Tutti abbiamo paura di qualcosa.- e fu con queste parole che la mano tremolante del moro si posò su quella di Enjolras. Il biondo la guardò con fare esitante, poi la strinse.

Era una sensazione strana stringere la mano di un ragazzo: Enjolras aveva sempre pensato che fosse rugosa e poco curata in confronto a quella di una ragazza, in confronto a quella di Amélie.

Non appena strinse quella di Grantaire però, una morbidezza improvvisa lo fece quasi sussultare: le nocche erano leggermente arrossate, qualche schizzo di pittura le faceva sembrare una tela dimenticata e, nonostante quell'apparenza trascurata, la pelle restava comunque morbida.

Non appena strinse quella di Grantaire però, una morbidezza improvvisa lo fece quasi sussultare: le nocche erano leggermente arrossate, qualche schizzo di pittura le faceva sembrare una tela dimenticata e, nonostante quell'apparenza trascurata, la...

Enjolras sorrise dolcemente. Era la prima volta che riusciva a riempire perfettamente gli spazi tra le dita di un'altra mano. Non c'era una leggenda romantica su quello?

Lo sguardo timido dell'artista si fece cupo nell'avvertire quel gesto così intimo e speciale.

-Oh, mi dispiace,- balbettò sciogliendo frettolosamente il nodo tra le due mani, -sono sempre sporco di pittura...-

-Già, ma...a me piaci così.-

Grantaire si sentì mancare il respiro per qualche secondo. Non si aspettava quella frase, né tantomeno che Enjolras si mettesse a ridere e gli passasse una mano tra i ricci, giusto per renderli più disordinati.

Il clacson del pullman appena arrivato suonò tra le voci degli studenti. Il biondo si alzò dal terreno umido, sistemandosi la felpa rossa.

-Oh, a proposito, dobbiamo metterci subito a lavoro per il concorso.- affermò Enjolras indietreggiando verso il pullman.

-Come?- Grantaire era confuso.

-Beh, ti serve un modello per partecipare, no? Sarò la tua Musa, lapinou. -

Il cuore del giovane artista fece una piccola capriola di gioia nel sentirsi dire quelle parole. Poi il suo sguardo catturò la chioma dorata di Enjolras balzare verso di lui, fino a che non si fermò a sussurrare a pochi centimetri dal suo orecchio.

-Spero che non arrossirai di nuovo quando sarò nudo davanti a te.- e con questa frase inaspettata iniziò a correre verso il pullman già in moto.

Grantaire rimase impalato sul terreno del bosco per un po', osservando il sorrisetto che ogni tanto Enjolras gli rivolgeva, voltandosi. Non appena trovò nuovamente le forze per caricare i bagagli, salì sul pullman. Si morse il labbro accennando un sorriso. Sarebbe stato un buon rientro.

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


 

Freddo.

Il freddo era l'unica sensazione che riusciva a sentire. I capelli biondi svolazzavano nel vento, che con le sue gelide mani li intrecciava tutti, così da rendere più complicata la sua frenetica passeggiata.

Amélie aveva gli occhi lucidi a causa di quel brusco vento, tipico della stagione autunnale. La cittadina di Eguisheim era la più fredda in autunno, eppure c'era un qualcosa di così caloroso nei sorrisi della gente, come uno spiraglio di luce che penetra il buio più assoluto. Eppure lei, questa luce, non la scorgeva più da tempo.

Il pullman della scuola li aveva accompagnati fino al parchetto che costeggiava l'edificio scolastico e quasi tutti gli studenti si erano subito diretti a casa, pronti per una bella doccia bollente e, magari, un buon thé in compagnia di amici a cui raccontare la strepitosa avventura in campeggio. Per Amélie quella gita in campeggio non aveva significato altro che dolore ed insicurezza. Sapeva per certo, ora, che Enjolras non l'amava più. L'aveva mia amata veramente?

La ragazza infreddolita si sedette sul primo muretto che trovò e l'imminente sensazione gelida sotto il cappotto la fece rabbrividire. Si accovacciò fino a toccare le ginocchia con il mento e chiuse gli occhi arrossati.

Ripensò al giorno, al maledetto giorno in cui Enjolras aveva incontrato quello sfigato, quel Grantaire. Capelli ricci, felpa nera, pantaloni sporchi di pittura.

Perdente.

Aveva visto tutta la scena del loro primo incontro: non si era persa la gentilezza con cui Enjolras aveva raccolto i libri dell'altro, quel tipo di gentilezza che riservava solo a lei, solo alla sua ragazza. All'inizio non ci dette importanza, in fondo il suo ragazzo era gentile con tutti, e questa era proprio una delle cose che le piacevano di più di Enjolras.

Poi però, c'erano stati quegli sguardi, quel genere di occhiate che non si scambiano tra sconosciuti, troppo intime, quasi sbagliate da vedere perché troppo private.

Perdente.

Amélie li aveva osservati da un angolo del corridoio, pronta a raggiungere il suo armadietto dopo la lezione di storia. Enjolras non parlava mai con chi non conosceva. Tutta quella scena era strana, era sbagliata.

La ragazza non seppe spiegarsi quell'improvvisa stretta alla bocca dello stomaco, si limitò a continuare per la sua strada. In fondo, aveva solo aiutato qualcuno.

Una leggera brezza scacciò via quei primi ricordi, per poi portargliene subito degli altri, là, su quel muretto freddo come il ghiaccio.

Aveva aspettato Enjolras per un paio d'ore fuori scuola, mentre attendeva che il corso d'arte con sua zia finisse. Lei odiava l'arte. La trovava completamente inutile e piuttosto superficiale. Dopotutto, chiunque sarebbe stato capace di impugnare un pennello e fare qualche schizzo qua e là.

Quando si era resa conto dell'orario, aveva deciso di entrare nella scuola. I suoi genitori li aspettavano a cena, non potevano assolutamente tardare.

La ragazza ricordò di aver varcato la soglia della scuola, appena un po' annebbiata dall'atmosfera serale, e aver camminato a lungo per il corridoio, fino a ritrovarsi a pochi metri dall'aula di arte ed il bagno dei ragazzi. Il cuore le si era fermato per un istante quando aveva scorto di nuovo quegli odiosi capelli ebano. Veloce come un felino, si era nascosta dietro un angolo del corridoio scolastico. Che cosa ci faceva quel tipo lì? Perché era insieme al suo ragazzo?

Enjolras gli stava parlando. La voce soave del biondo echeggiava appena appena tra la soglia del bagno dei ragazzi e quella del corridoio. Amélie poggiò le spalle al muro freddo dell'angolo. Li sentì ridere. Si scostò e si diresse verso l'uscita dell'edificio. Doveva fare qualcosa. Enjolras la stava facendo tardare per parlare con quel...

"-Enjolras, mon amour, faremo tardi! Dove sei?-" aveva gridato. Poi, dopo aver assunto un'espressione più rilassata, lo aveva atteso alla fine del corridoio con le braccia aperte.

Perdente.

"-Com'è che ti chiami? Non posso continuare a chiamarti lapinou per sempre, no?-"

Lapinou?

"-M-mi chiamo Grantaire.- "

Grantaire.

Il suo dolore aveva finalmente un nome.

 

 

Si comportò normalmente con Enjolras in quei giorni, senza dare segni di un evidente inceppo.

Poi il campeggio. Enjolras aveva insistito a venire, nonostante stesse poco bene a causa della sua influenza. Amélie gli aveva consigliato di rimanere a casa, ma lui niente, si era precipitato a scuola quella mattina, poco prima della partenza. Adesso, stretta dalle sue stesse braccia su quel misero muretto, in balìa di quel vento burrascoso, capiva il perché.

La cosa peggiore era stata sentire quanto Enjolras fosse stato assente alla festa del campeggio, quella che tradizionalmente la scuola organizzava per inaugurarlo. Ricordava quanto i suoi occhi vagassero per la sala illuminata in cerca di qualcosa, o di qualcuno, di cui Amélie temeva la presenza.

-Cos'hai?- gli aveva domandato ad un certo punto.

-C-Come? Niente, solo un po' di mal di...testa. Magari vado fuori a prendere un po' d'aria, oui?- e con questa misera frase si era allontanato da lei con la sua solita corsetta leggera, la stessa con la quale, anni addietro, l'aveva abbracciata mille volte.

Perché avrebbe dovuto essere gelosa di quel Grantaire? Lui era un ragazzo, lei una ragazza. Ad Enjolras piacevano le ragazze.

Lui era sempre sporco di pittura e si portava dietro una pesante ombra di insicurezza e vulnerabilità; lei, invece, era sempre perfetta in ogni particolare e chiunque la guardasse non faceva altro che leggere sicurezza ed altezzosità.

Era impossibile che ad Enjolras piacesse quello scrigno impolverato contenente chissà quali segreti. Magari era un criminale. Eppure...Eppure lui era diverso con quel ragazzo. Era come se Grantaire fosse riuscito a far emergere una parte di Enjolras che Amélie non aveva mai visto.

Delle calde ed amare lacrime iniziarono a scendere sul viso della ragazza. Se ne era stata seduta sul muretto abbastanza, così si alzò con una certa fretta ed iniziò a correre più veloce che poteva tra i ricordi, quei fermo immagine che la ferivano come lame affilate.

Il ricordo più doloroso che aveva apparteneva proprio a quella sera...Enjolras che tentava di baciare Grantaire, sul portico della grande sala del campeggio. Si era affacciata per richiamare il suo ragazzo e quando aveva visto quell'intimità, quell'affetto tra i due così vicini, la voce si era rifiutata di uscire, ed era appassita in gola, come una rosa malata che si richiude su se stessa, accettando la morte...tutto per lei era crollato. 

Tutto era stato confermato. 

Non aveva detto nulla neanche nei giorni seguenti. Poi non era più stata in grado di resistere a quel bruciore che sentiva dentro di lei.

-Devi smetterla.-

Amélie corse ancora mentre i ricordi raffioravano.

-Di fare cosa?-

Perdente.

-D-Di stare con quel ragazzo...Quel Grantaire...Ti sta allontanando da me.-

-Cosa stai dicendo? E' solo...-

Perdente.  

-Un amico? Per favore, smettila di mentire a te stesso! Tu provi qualcosa per lui, Enjolras!-

Con quelle parole che le echeggiavano in testa iniziò a correre più forte, più veloce che poté, tanto che le gambe iniziarono a farle male.

-Vi ho visti quella sera...Lo stavi per baciare...-

All'improvviso la ragazza dovette fermarsi. Per la fatica e la corsa, riusciva a malapena a respirare, mentre un grumolo di lacrime si era asciugato sulla mascella. Si guardò intorno.

-Mi dispiace io...mi sto innamorando di lui, Amélie.-

Amélie strinse i pugni con forza.

-Che cosa vuoi dire con questo?!- la sua stessa voce irata le echeggiava ancora in testa. Un rimbombo forte, duraturo...una scossa che non sarebbe mai riuscita a neutralizzare.

La scena del loro ultimo litigio continuava a scorrere ed a ripetersi all'infinito dentro di lei, sembrava che tutti i pensieri ed i dolorosi ricordi legati ad Enjolras stessero per sgorgare fuori dalla sua testa; Amélie si guardò intorno spaventata: le lacrime ormai si erano asciugate sulle guance e lungo il collo, e gli occhi ancora un po' umidi poterono finalmente orientarsi: la giovane ragazza era davanti l'entrata di scuola.

Perdente.

Tutto era iniziato lì. Tutto il suo dolore era iniziato lì.

Ora che lei ed Enjolras non potevano più stare insieme per colpa di quel misero artista, Amélie avvertì di nuovo una grande rabbia sbocciare dentro di sé, come una rosa fiorita troppo presto, un frutto troppo maturo

Ora che lei ed Enjolras non potevano più stare insieme per colpa di quel misero artista, Amélie avvertì di nuovo una grande rabbia sbocciare dentro di sé, come una rosa fiorita troppo presto, un frutto troppo maturo.

Odio.

I gelidi artigli dell'odio si stavano posando su di lei, lentamente, come un felino che aspetta con pazienza che la sua preda faccia un passo falso. Quelle fredde lame dell'odio le stavano trafiggendo il cuore, il sangue iniziava a scorrere più velocemente e nello sguardo si rispecchiavano delle piccole fiamme invisibili, le quali lo facevano bruciare.

E' tutta colpa tua, Grantaire. Me la pagherai.

Voleva fargli del male. Molto male. E fu con questa feroce intenzione che la ragazza varcò l'entrata della scuola.

Non appena si fece strada nel lungo corridoio desolato, la giovane venne immersa da un'onda di silenzio assoluto. Poi udì uno schiamazzo. Da lontano riconobbe la figura del suo peggiore incubo.

Non riuscì più a pensare, né a capire cosa le stesse succedendo: non aveva mai provato una sensazione simile a quell'astio che la stava consumando viva. Sentiva di non essere più lei, ma questo non le importava.

Da quel che riusciva a vedere con gli occhi ancora umidi, Grantaire era solo. Sembrava che qualcuno gli avesse dipinto la felicità sul viso.

Perdente.

Perdente.

Perdente.

Amélie non l'avrebbe permesso. Non gli avrebbe permesso di essere felice. Gli avrebbe mostrato il dolore.

 

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Grantaire ed Enjolras avrebbero iniziato a lavorare insieme proprio quella sera, dopo essere tornati dal campeggio

Grantaire ed Enjolras avrebbero iniziato a lavorare insieme proprio quella sera, dopo essere tornati dal campeggio. Anche se l'artista non era così entusiasta di mettersi a nudo con quel ragazzo attraverso la sua pittura, il biondo gli aveva fatto capire che non c'era tempo da perdere.

Grantaire, in fondo, era emozionato. Percepiva uno strano formicolio sopra la bocca dello stomaco quando immaginava lui ed Enjolras chiusi nell'aula di arte, da soli, immersi tra miliardi di sfumature diverse, con l'odore acido delle tempere ad accompagnarli. Lui con un pennello in mano a contemplare affamato tutti i vari lineamenti dell'altro, tentando di trovare una concentrazione che non avrebbe mai raggiunto.

Si trovava proprio davanti l'entrata della scuola quando questi pensieri gli vennero alla mente. Enjolras era già dentro: lo poteva sentire canticchiare da lì fuori.

Grantaire esitò per un istante: e se non fosse stato in grado di dipingere davanti a lui? Se si fosse bloccato?

Dopotutto, Grantaire aveva già dipinto per lui, la prima volta che si erano incontrati alla lezione di arte, ma stavolta era diverso. Stavolta erano soli.

Dopo aver fatto un respiro profondo ed aver stretto con fare tremolante la sua borsa a tracolla, il ragazzo entrò.

Mentre varcava lentamente il corridoio verso l'aula di arte, alcuni ricordi iniziarono a svolazzare nella sua testa, cercando di attirare l'attenzione del ragazzo stesso: lo sguardo tremolante si posò su un punto particolare del corridoio scolastico

Mentre varcava lentamente il corridoio verso l'aula di arte, alcuni ricordi iniziarono a svolazzare nella sua testa, cercando di attirare l'attenzione del ragazzo stesso: lo sguardo tremolante si posò su un punto particolare del corridoio scolastico...I tre armadietti davanti ai quali lui aveva fatto cadere i suoi libri scontrandosi con un ragazzo, un ragazzo dai capelli color grano e dagli occhi color oceano.

Grantaire fu avvolto da un dolce tepore non appena ricordò il sorriso rassicurante del biondino, il primo che aveva visto e che gli aveva tolto il fiato.

Si, si stava decisamente innamorando di Enjolras.

-Ehilà, lapinou, perché ti sei fermato in mezzo al corridoio? Sono qui.- una calda voce familiare lo svegliò dal suo tepore. I biondi ricci color grano facevano capolino dall'aula di arte. Grantaire si limitò a sorridere.

Non appena Grantaire varcò la soglia dell'aula in questione, un'aria frizzante, calda e delicata gli accarezzò il collo, facendolo rabbrividire appena.

-Ho pensato che fosse meglio riscaldare un po' la stanza, non vorrei ammalarmi.- spiegò il biondo con un occhiolino alquanto ambiguo. -Ma se dovessi sentire troppo caldo fammelo sapere. Sei tu l'artista e devi lavorare in tutta serenità, intesi, lapinou?- continuò, mentre aiutava il moro a liberarsi della sua pesante borsa contenente tutto il necessario per dipingere.

Grantaire si limitò a fare un cenno con la testa. Non riusciva a dargli molto ascolto: i suoi sensi erano completamente inebriati dai movimenti, dal profumo e dalla voce di Enjolras. La felpa rossa che indossava, la solita felpa rossa, marcava perfettamente le sue forme e risaltava in modo efficace quel viso d'angelo che indeboliva le sue ginocchia. La luce strana della stanza faceva sembrare i suoi capelli macchiati di rosso, con solamente qualche riflesso biondo.

Enjolras non appariva mai allo stesso modo: ogni volta che gli occhi insicuri di Grantaire avevano il privilegio di accarezzarlo con lo sguardo, lui era sempre perfetto, bellissimo, affascinante...come un quadro che non perde la sua eleganza nel tempo. Una bellezza immortale.

Smettila di guardarlo, se ne accorgerà, e farai di nuovo la figura dello stalker...o del maniaco.

-Va bene, allora, ci rimbocchiamo le maniche? Forza!- proseguì il giovane artista con convinzione, forse un po' troppa convinzione

-Va bene, allora, ci rimbocchiamo le maniche? Forza!- proseguì il giovane artista con convinzione, forse un po' troppa convinzione. Con fare incerto si diresse verso la sua pesante borsa ed iniziò a tirare fuori una manciata di pennelli, facendone cadere a terra qualcuno.

Enjolras si trattenne dal ridere a causa di quel fare così agitato e...dannatamente adorabile. -Come, ti sei già stancato di guardarmi?- rispose il biondino con un finto broncio.

Ecco. Bravo Grantaire, complimenti.

-S-Sto solo cercando di...prendere...le-le tue pro-proporzioni. Ecco, si.- e fu con questa frase piuttosto insolita che la fronte del biondo si corrugò.

-Le mie cosa? Comunque, sei tu l'artista qui...Oh, a proposito, cerca di non sentire troppo caldo mentre mi spoglio, d'accordo, mon lapinou?-

-C-Caldo? Tse, fa quasi freddo qui dentr-

-Allora ti serviranno questi!- lo interruppe il biondo, lanciandogli sul viso la sua felpa rossa ed i suoi pantaloni scuri. Grantaire non si aspettava quel gesto, ma dimenticò la sensazione di timidezza non appena inspirò l'aroma familiare di talco. Con una mano tremante stinse quel panno sul viso per qualche secondo e poi ne liberò la vista.

Quello che vide, fu di gran lunga migliore.

L'addome scolpito del biondino era adagiato sul divanetto rosso scarlatto, quello vicino alla scrivania di Mme Rochenne; una mano sorreggeva la chioma color grano, mentre l'altra era dolcemente distesa sul fianco nudo del ragazzo; lo sguardo, come se Enjolras stesse avvertendo appena appena una punta di timidezza, era basso, fisso sul pavimento cementato dell'aula.

L'artista osservò il petto di quella creatura paradisiaca, quel torace che si alzava e si abbassava con eleganza, quasi avesse paura di disturbare col proprio respiro. Il moro non poté far altro che avvertire la gola farsi piuttosto secca quando posò la sua maliziosa attenzione sull'inguine del biondo. Era tutto così affascinante, ogni singola sfumatura di quella figura lo mandava in tilt, tutta quella pelle...tutta quella bellezza, tutta per lui e le sue mani d'artista.

La luce passionale del pomeriggio sfiorava con le sue calde labbra ogni piccola cellula di quel corpo, ogni spiga di grano rossiccia, ogni parte rimasta troppo tempo nell'ombra.

Grantaire fu abbandonato dal proprio respiro in una manciata di secondi. Non aveva mai visto un ragazzo più bello.

-Fa' la tua magia, lapinou.- sospirò poi il biondo, socchiudendo lentamente lo sguardo marino.

Grantaire non se lo fece ripetere due e volte e, con un po' di difficoltà nel concentrarsi, in poco più di dieci minuti, era già immerso nei colori della su tavolozza. Come succedeva spesso, si era sporcato quasi completamente di pittura, poiché aveva preferito ritrarre senza pennelli, tutto per rendere più realistica l'opera. Mentre stringeva un pennello nero tra le labbra, capitava che si scorgesse al di là della tela per cogliere meglio i dettagli: la bocca rosea con una punta di blu, il petto sfiorato da un alone di giallo...Quella bellezza doveva essere plasmata perfettamente dalle capaci mani del moro.

Con il respiro un po' affannato a causa dell'impegno che l'artista metteva in ogni opera, Grantaire si fermò all'improvviso

Con il respiro un po' affannato a causa dell'impegno che l'artista metteva in ogni opera, Grantaire si fermò all'improvviso. Gli occhi lo guidarono verso Enjolras: era ancora disteso su quel divanetto che metteva in risalto la sua carnagione chiara, con gli occhi chiusi e rilassati, completamente a suo agio. Grantaire sentì una gran voglia di baciarlo nascere dentro di sé. Poi posò ancora una volta gli occhi sulla tela davanti a lui.

-Vorrei che potessi vedere quello che vedo io in questo momento.- sussurrò, accarezzando le labbra che aveva appena finito di pitturare.

-E che cosa vedi, mon lapinou?-

Grantaire rabbrividì nell'udire la voce rauca parlare. Mentre lui pensava di parlare con se stesso, Enjolras aveva sentito il suo sussurro. E adesso pretendeva una risposta.

Con fare impacciato si sporse ad un lato della tela e fu colto dallo sguardo interrogativo e curioso del biondino.

-Dimmi,- proseguì Enjolras alzandosi elegantemente dal divanetto e continuando con passo felpato fino a fermarsi a pochi centimetri dal viso imbarazzato dell'artista. Il modo in cui quegli addominali scattavano e quella bocca si distendeva in un malizioso ghigno, arrestarono il cuore del moro. Grantaire non osò muoversi, tenne lo sguardo fisso su quella creatura che, ora, poteva osservare ad una vicinanza alquanto pericolosa per i suoi desideri più nascosti.

-Dimmi che cosa vedi adesso.- bisbigliarono quelle labbra rosee sfiorando le sue. -Oh Grantaire...- sussurrò sensualmente. Poi adocchiò la tavolozza colorata e sorrise. Continuando a venerare il viso dell'artista completamente abbandonato all'eccitante sensazione della sua presenza, immerse l'indice nella tempera rossa per poi distribuirla sul collo di Grantaire.

Il giovane artista rabbrividì a quel tocco leggero e chiuse gli occhi, inclinando il capo per offrirsi al biondino.

Il suo corpo smise di tremare non appena Enjolras lo baciò. Grantaire chiuse gli occhi e si lasciò abbracciare da quelle braccia nude e forti che gli circondarono i fianchi e lo sollevarono appena. Il moro schiuse timidamente le labbra per permettere al biondo di baciarlo con più passione e convinzione. Quell'azzardo ebbe un sapore dolce e voglioso, atteso da tanto tempo, forse anche troppo.

Le parole ormai non servivano a niente, entrambi avevano bisogno di toccarsi e lambirsi a vicenda, dovevano assaggiare il frutto proibito di quel legame che si era creato tra di loro

Le parole ormai non servivano a niente, entrambi avevano bisogno di toccarsi e lambirsi a vicenda, dovevano assaggiare il frutto proibito di quel legame che si era creato tra di loro. Quando Grantaire tentò di mordicchiare quelle labbra che lo stavano facendo impazzire, avvertì un leggero sorriso accarezzargli la bocca. Quel sorriso scese sulla mandibola e giunse al collo, caldo e profumato di colori a tempera. Enjolras sentiva fremere sotto di sé quel ragazzo, e questo non fece altro che eccitarlo di più, convincendolo a disegnare un altro schizzo di rosso sulle labbra del moro.

Grantaire gemette appena. La macchia di malizia che sentiva allargarsi dentro di sé lo spinse a prelevare un po' di nero dalla sua stessa tavolozza, delineando con delicatezza l'addome nudo dell'altro. Fu a questo punto che i due iniziarono a coprirsi a vicenda di pittura, sentendo aumentare la passione del momento. I baci, le carezze, i morsi, tutto diventò colorato, come se i loro stessi corpi che si avvinghiavano insieme non fossero altro che tele pronte all'arte; le tonalità del rosso e del nero erano predominanti in quel quadro che i due stavano dipingendo insieme, sporcandosi le mani, le labbra e persino i capelli.

Le mani esperte di Enjolras riuscirono a sollevare completamente il corpo leggero del moro per trasportarlo sul pavimento freddo della stanza.

Le mani esperte di Enjolras riuscirono a sollevare completamente il corpo leggero del moro per trasportarlo sul pavimento freddo della stanza


Grantaire si stese avvertendo istantaneamente la sensazione gelida alla schiena, ma non importava. Voleva essere baciato di nuovo da quel viso il più presto possibile. Enjolras lo accontentò con un sorrisetto, accecato da una lussuria che lo spinse ad afferrare una gamba del ragazzo sotto di lui ed a farla combaciare pericolosamente con il suo bacino. Enjolras si portò in avanti, scatenando una piccola serie di dolci lamenti da parte dell'artista.

Il silenzio regnava sovrano nella scuola: gli unici veri rumori che si potevano udire erano i gemiti dei due ragazzi e qualche risatina soddisfatta che riecheggiava tra i loro visi impregnati di felicità.

Le mani esperte di Enjolras avevano preso già gusto a frugare sotto il tessuto morbido della felpa scura del moro; questi gemette sulla sua bocca, mentre tentava di assaporare meglio quel collo al sapore di talco.

-Credo di av-aver finalmente trovato chi riesce a farmi impazzire...- mugugnò il biondo portando avanti il bacino ancora una volta, giusto per solleticare il desiderio che regnava negli occhi del moro.

Grantaire lo zittì baciandolo ancora ed ancora, finché le sue orecchie non furono deliziate nuovamente dal gemito più erotico che avesse mai sentito.

Era felice. E sapeva che nessuno avrebbe mai potuto togliergli quella felicità.

O almeno, così sperava.




 

----




 

Grantaire aprì faticosamente gli occhi.

La testa gli pesava. Le gambe erano indolenzite. La vista sembrava un po' annebbiata. Le mani...

Perché non poteva muovere le mani? Per quello che riusciva a vedere era ricoperto da un tessuto bianco dalla testa ai piedi. Tutto il corpo gli bruciava.

Un forte colpo di tosse lo prese alla sprovvista.

Qualche vaga traccia di panico iniziò ad insidiarsi in lui non appena si rese conto di essere in una stanza bianca, da solo, senza poter muovere gli arti superiori.

Con la coda dell'occhio ed il respiro appena agitato, vide i capelli scuri di sua madre attraverso quello che sembrava un vetro interno: stava piangendo.

Vicino a lei c'era un ragazzo poggiato con la schiena sul vetro; era un ragazzo pittosto alto con uno strano colore di capelli, come un grigio cenere che...

Non appena si girò, gli occhi annebbiati di Grantaire riconobbero Enjolras. Portava un pesante velo di preoccupazione sul viso, quel viso sporco di chissà quale sostanza nerastra.

Che cosa è successo?

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Grantaire! Grantaire, resisti, ce la faremo!

Resta sveglio, avanti, non abbandonarmi...guarda solo me...guardami negli occhi e non spostare lo sguardo per nessun motivo.

Ce la faremo, usciremo da quest'inferno.

Ce la faremo. Insieme.

 

 

 

9 ORE PRIMA

 

 

 

-Credo che dovremmo andare a sciacquare i pennelli, almeno. Non possiamo stare sdraiati sul pavimento per l'eternità.- sussurrò la voce tremolante di Grantaire. Era ancora un po' scosso dal tornado di emozioni che i dolci baci di Enjolras avevano scatenato dentro di lui. Quasi tutta la pelle scoperta era tappezzata da sfumature di pittura differenti: sembrava che ogni emozione si fosse mascherata sotto un colore diverso.

Enjolras era ancora sopra al ragazzo; con le labbra umide, a causa della passione alla quale si era lasciato andare poco prima, si stava divertendo a vezzeggiare ogni punto del corpo dell'artista, anche quello più irraggiungibile. In quel momento, lui era il vero artista e Grantaire la sua bellissima tela.

Sorrise appena quando sentì il moro pronunciare quelle parole.

-Non mi scapperai così facilmente, lapinou.- bisbigliò andando a lambire maliziosamente il collo dell'altro, caldo ed accogliente.

Restarono così a lungo, uno nelle braccia dell'altro, con la ferma convinzione di aver trovato il senso delle loro vite. Grantaire si sentiva amato, protetto, felice come non era mai stato in tutta la sua misera vita. Era come quando, da bambino, non riusciva a trovare la sfumatura giusta per un disegno e provava, riprovava a mischiare i colori fino allo sfinimento; alla fine, quando riusciva ad ottenerla, veniva circondato da una nube di gioia e soddisfazione assolutamente impagabile.

Si sentiva così in quel momento. Enjolras era la sua sfumatura.

Enjolras, nel frattempo, non riusciva a staccare gli occhi da quel viso che lo aveva tormentato nei suoi sogni, quel viso ignaro della sua stessa bellezza. Sapeva che l'artista non si rendesse conto di quanto fosse straordinario. Mentre gli baciava le mani sporche di colore, avrebbe voluto essere uno specchio, in grado di riflettere tutta quella fragilità e quel fascino che sedevano nascosti dentro i suoi occhi, come due sconosciuti che non sanno di essere perfetti l'una per l'altro.

Gli sarebbe piaciuto fermare il tempo ed imprimere quegli occhi, quelle mani e quelle morbide labbra su un foglio, per infine appenderlo nella sua stanza, proprio accanto ai disegni che conservava sin da quando era bambino.

Aveva davanti una rosa nera inconsapevole della sua stessa essenza effimera.

E sarebbe stato tutto perfetto ed intoccabile se, all'improvviso, i due non fossero stati avvolti dal buio totale.

Nessuno dei due si spaventò in modo esagerato, ma entrambi si alzarono dal pavimento caldo in pochi secondi.

Intorno a loro regnava il silenzio assoluto, soltanto qualche piccola folata di vento cercava di fare irruzione dalla finestra chiusa dell'aula.

-E' saltata la corrente, di nuovo. E' strano però, non sta neanche piovendo.- disse Enjolras con aria interrogativa.

Grantaire gli passò una mano tra i ricci setosi. –Tranquillo, mi intendo di queste cose, vado a vedere in cantina se è successo qualcosa.-

-Cosa? Tu non vai da nessuna parte, potrebbe essere pericoloso!-

L'artista ridacchiò appena, divertito dalla reazione paterna del biondino.

-Hai intenzione di legarmi per caso?-

-Beh, l'idea di legarti non mi dispiacerebbe affatto.- sussurrò maliziosamente Enjolras, accostandosi alle labbra dell'altro, per poi baciarle con un residuo di eccitazione rimasto.

-Non cercare di distrarmi, andrò lo stesso. Vedi di rimanere qui...anche perché sei nudo.-

-Già, e non mi pare che ti sia dispiaciuto...Corri e torna, la tua Musa ha ancora bisogno di qualche...ritocco.- sorrise il biondino, mordendosi il labbro inferiore. Sapeva esattamente quanto quel gesto facesse impazzire il moro, quindi decise di provocare il suo appetito ancora una volta.

Grantaire assottigliò le labbra per qualche secondo, godendosi quella sensuale vista e poi, scattante, corse verso la cantina della scuola.

Aveva già aiutato parecchie volte il bidello con il generatore elettrico, per cui sapeva benissimo che poteva trattarsi di un guasto, e sapeva anche di essere perfettamente in grado di risolverlo in pochi istanti.

Mentre varcava a passo veloce il corridoio scolastico, il cumulo di emozioni date da quel dannato biondino volteggiava ancora dentro di sé, simile a foglie autunnali scosse dal vento.

Ripercorse velocemente tutta la giornata, dalla mattina in cui si era svegliato in un letto vuoto a poco prima di partire dal campeggio, quando Enjolras si era proposto come suo modello personale...fino ad arrivare a pochi minuti fa, quando si erano baciati appassionatamente sul pavimento dell'aula di arte, la stessa in cui si erano conosciuti ufficialmente.

Sorrise. Era un sorriso diverso quello che indossava ora, durante quella corsa frenetica. Era un sorriso innocente, innamorato. Innamorato di quegli occhi oceanici, di quei fili arricciati di grano che gli avevano illuminato l'anima. Sapeva di aver trovato il suo posto. Sapeva che tutto, d'ora in avanti, sarebbe andato bene.

Fu con questa netta e positiva convinzione che entrò nella polverosa cantina della scuola.

 

 

L'improvviso odore di muffa lo avvolse come una nube di fumo in un vecchio locale ottocentesco. Grantaire scese le scalette scheletriche con lentezza, facendo attenzione a non scivolare su qualche strano liquido salmastro o qualche trappola per topi.

Con una mano stretta sulla ringhiera polverosa delle scalette e l'altra immersa nel buio, il ragazzo riuscì a tastare un oggetto ruvido, lo prese con la mano libera e tremolante e fece scattare il piccolo interruttore.

La torcia elettrica illuminò la cantina. Alcuni fiocchi di polvere vennero illuminati dalla forte luce dell'attrezzo, e così Grantaire si avventurò in quel fosco covo dimenticato dal mondo.

Sebbene con qualche difficoltà, l'artista raggiunse il generatore elettrico, proprio a lato di un angolo della stanza tenebrosa. Grantaire aveva sempre avuto paura del buio; sin da piccolo, sua madre gli lasciava una piccola luce vicino al comodino perché sapeva benissimo che non si sarebbe addormentato al buio completo.

Il ragazzo ricordò una delle tanti notti in cui la corrente era saltata e si era ritrovato interamente sprofondato nelle tenebre della sua cameretta, pronte ad inghiottirlo vivo. Aveva avuto più o meno quattro anni, ma ricordava quella sera come fosse stata il giorno prima. Sua madre era corsa in camera sua non appena aveva sentito il suo figlioletto urlare, quasi avesse visto un mostro.

Il piccolo Grantaire, effettivamente, aveva visto un'ombra sospetta vicino al suo letto, ma un caldo abbraccio di sua madre aveva fatto sparire tutta la paura. Lei era sempre stata la sua luce, l'unica che sapeva capirlo ed ascoltarlo.

Ora, la sua fiducia era ancorata a quel getto di torcia elettrica che lo proteggeva dalle grinfie dalla totale oscurità.

Ora, la sua fiducia era ancorata a quel getto di torcia elettrica che lo proteggeva dalle grinfie dalla totale oscurità

Non appena si avvicinò al generatore, notò che tutti i fili erano al loro posto, tranne uno. Strano.

Grantaire sospirò sollevato: almeno non c'era niente di rotto. Poi, con una certa cautela, avvicinò le mani sporche di pittura al filo staccato, con l'intento di ricollegarlo con gli altri. La torcia, invece, fu poggiata su un mobile accanto, nella posizione ideale per fare la luce giusta.

All'improvviso, delle piccole scintille iniziarono a schizzare fuori dal generatore, aggressive, andando a colpire il viso e l'addome del ragazzo.

Grantaire gemette e si allontanò con prontezza da quel pericoloso aggeggio. Si passò un dorso tremante sullo zigomo e notò che gli bruciava parecchio. Fortunatamente le altre scintille erano riuscite solamente a bruciacchiare la felpa senza toccare la pelle. L'artista si riavvicinò al generatore. In fondo, non poteva lasciar perdere...La luce non era ancora tornata. Forse, con un altro tentativo, sarebbe stato più fortunato.

Le mani tremanti del moro si infiltrarono di nuovo tra i fili, ma questa volta la situazione fu peggiore.

Una serie infinita di scintille si scaraventò su di lui, colpendolo su tutto il corpo. Grantaire si allontanò spaventato e dolorante a causa di quella dannosa cascata bollente che gli si era riversata addosso. La sua mossa repentina ed esagerata gli fece urtare il mobile accanto al generatore; dopo aver barcollato cadde sul pavimento in mille pezzi.

Grantaire, dolorante, cercava di allontanarsi sempre di più da quella tempesta di zampilli elettrici, ma era come se quelli gli si avvicinassero sempre più in fretta, costringendolo ad indietreggiare con terrore.

Doveva fare qualcosa. Non appena tentò nuovamente di accostarsi al generatore, una fiamma fulminea gli si parò davanti agli occhi. Era alta, terribile, una lingua avvelenata che non desiderava altro che assaggiare le sue carni.

Graffiato dal panico, il giovane artista si guardò intorno nella speranza di trovare qualcosa per spegnere il fuoco.

Vide un panno, lo prese e cercò di soffocare quel mostro infernale con tutte le sue forze, ma quello non fece altro che duplicarsi, fino a che neanche quel panno fu abbastanza.

Il ragazzo indietreggiò ancora, dopo aver visto strapparsi di mano quel pezzo di stoffa ormai inutilizzabile. Le fiamme si moltiplicavano a vista d'occhio, mangiando avidamente l'ossigeno della stanza, annebbiando ogni piccolo angolo della cantina già buia.

Grantaire non riusciva a pensare, non riusciva a gridare, era bloccato. Quella che gli si stava svolgendo davanti, era la scena di massima tensione che aveva visto solitamente nei film...

Non avrebbe mai pensato che fosse accaduto nella realtà. Non a lui.

Era stato tutto troppo improvviso. E non riusciva neanche a gridare.

Cominciò a tossire, cercando disperatamente un altro panno con cui filtrare almeno un po' il fumo tossico che stava respirando involontariamente. La gola gli bruciava, gli occhi lacrimavano, il cuore gli martellava nel petto.

A causa di quella fitta rete nebbiosa non riusciva a vedere niente, ma non si arrese. Dopo un paio di secondi si accovacciò a terra, sperando di trovare un briciolo di ossigeno ma... niente. 

Iniziò a tossire instancabilmente, senza potersi difendere in alcun modo da quel mostro infernale che gli toglieva il respiro: Grantaire si accasciò interamente a terra, riuscendo a malapena a boccheggiare. I polmoni richiedevano aria, ossigeno, richiedevano vita. Capì che il respiro lo stava abbandonando: era come sentirsi assonnati, stanchi, era come lasciarsi andare ad una sensazione di assopimento improvviso.

Grantaire chiuse gli occhi con un ultimo colpo di tosse. Pensò ad Enjolras che lo stava spettando nell'aula di arte. Pensò al fatto di non poter gridare e, quindi, di non poterlo avvertire dell'imminente incendio che si sarebbe sparso per tutta la scuola. Si addormentò con il sorriso del ragazzo sulle palpebre chiuse.

Nei film arrivava sempre qualcuno a salvare il protagonista.

Per lui non sarebbe arrivato nessuno.

 

 

 

 

 

 

Enjolras sbuffò.

Erano ormai passati già dieci minuti da quando Grantaire era sceso in cantina per controllare il generatore.

Il biondo era rimasto a guardare il dipinto incompleto che era stato da poco interrotto. Sorrise.

Anche se non era ancora finito, quell'insieme di colori stava scatenando qualcosa di strano dentro di lui, qualcosa di inspiegabile, come una gioia improvvisa. Era la stessa sensazione che avvertiva osservando i disegni disposti sul muro della sua camera. Li aveva raccolti nel corso della sua vita, iniziando dal primo quando aveva appena sei anni, quello che aveva trovato nel prato vicino casa sua, realizzato da un piccoletto dai ricci capelli ebano.

Una strana sensazione scorse attraverso la sua schiena. Enjolras guardò la porta aperta dell'aula di arte. Niente, Grantaire non era ancora tornato.

Il ragazzo si diresse verso i suoi vestiti, che erano stati adagiati su uno dei banchi della calda stanza. In poco tempo Enjolras uscì dalla stanza, dando un'ultima occhiata al ragazzo angelico ritratto sulla tela colorata.

Non appena il biondo mise piede fuori dall'aula, notò quanto il corridoio fosse diventato caldo, quasi bollente. Camminò per qualche metro verso la cantina, finché non fu spaventato da un fragoroso trillo che lo fece balzare improvvisamente.

L'allarme antincendio.

Enjolras si fermò. Sembrava che dalla cantina uscisse del fumo.

Oddio, no, no...Non dirmi che...

Il ragazzo era terrorizzato dal peggio. Pensava a Grantaire, rinchiuso in quella cantina che si stava trasformando in un dannato forno, pensò a quanto potesse essere spaventato e rabbrividì ancora.

Dei forti getti d'acqua iniziarono a piovere dal soffitto del corridoio.

Enjolras si mise a correre.

Sto arrivando, lapinou. Sto arrivando.

 

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


 

 

L'orologio della sala d'attesa ticchettava ritmicamente.

Enjolras sedeva su una delle fredde sedie dell'ospedale, una di quelle che si vedono solitamente nei film drammatici, quando l'amico del protagonista aspetta con ansia il risultato di una difficile operazione.

Il ragazzo riusciva quasi a percepire l'accumulo di ansia, pianto e disperazione concretizzatisi in quella sedia col passare del tempo. Quante persone erano state lì nell'attesa dei propri cari? Quante si erano dimenate intrepide, ansiose nell'attendere l'esito della vita di qualcuno?

Non avrebbe mai immaginato che potesse essere lui la persona in questione...Eppure, eccolo lì, regnante su quel trono di disperazione.

Immerso in quel caos di ansia e preoccupazione, Enjolras fissava il pavimento.

Una piccola goccia trasparente cadde al centro di una delle mattonelle bianchastre sotto i suoi piedi.

Pensava a Grantaire. Pensava alla cantina della scuola in fiamme, pensava al corpo inerme dell'artista, ...Pensava a quanto avesse potuto andargli peggio. Il rumore penetrante dell'allarme antincendio gli rimbombava ancora in testa. Quella era la testa che era stata dolcemente accarezzata dalle morbide mani di Grantaire prima che succedesse tutto questo. Prima dell'incendio. Prima di quella dannata fasciatura che gliela circondava interamente.

Il ragazzo si stropicciò gli occhi imbevuti di fumo. Da quando si era catapultato nella cantina ardente per salvare Grantaire, lo sguardo gli era rimasto un po' umido, dolente a dirla tutta. Quel bruciore che avvertiva non si era fermato da quando aveva avuto la disperata occasione di capire come il fuoco possa tentare di distruggere tutto ciò che ami. Come possa quasi riuscirci.

-Se la caverà, non è vero?-

Una voce strozzata riecheggiò nel silenzio tombale della sala d'attesa.

Una donna dai lunghi capelli ebano stava tremando. Helena.

Il viso di quella piccola creatura tremante sembrava stanco, spossato, completamente stravolto. Si chiedeva come sarebbe stato per una madre perdere un figlio. Come avrebbe fatto a convivere ogni giorno col dolore lancinante che l'avrebbe oppressa?

Con il dorso della mano cerea, la donna si asciugò i residui di lacrime che stavano scivolando via dal viso.

Enjolras la guardava e, più lo faceva, più si rendeva conto di quanto lei e Grantaire si assomigliassero. Non tanto di aspetto fisico, escludendo i capelli ebano, palesemente simili. Si trattava più che altro degli occhi, di quello sguardo dolce e serafico, uno sguardo che ha sofferto molto ma che riesce a velare il tutto con estrema abilità.

Enjolras si alzò, facendosi leva sulle gambe ancora un po' indolenzite. Dopo pochi passi incerti, si sedette al fianco destro della donna. Con un gesto sicuro e deciso le prese la mano fredda.

La differenza di grandezza era notevole: il ragazzo riuscì a circondare interamente le dita della donna senza alcuna difficoltà, data la loro ossatura minuta. Helena lo guardò col suo velo di tristezza.

-Se la caverà, è in gamba.- sussurrò il biondino.

Credeva fortemente in quella manciata di parole. Credeva in Grantaire.

Helena accennò un sorriso e strinse forte quella mano rassicurante. Le prime rughe di tanta vita passata a soffrire le si disegnarono vicino agli occhi ed alle labbra tremanti.

La donna non disse nulla, non ce n'era stato bisogno. Ad Enjolras era bastato sentirla vicina a lui, le era bastata quella stretta fiduciosa a fargli capire che, qualsiasi cosa sarebbe successa, l'avrebbero affrontata insieme, anche se si conoscevano da così poco. C'era qualcosa di molto più importante che li legava. Qualcuno.

 


 

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Enjolras aprì gli occhi. Davanti a lui, la solita parete che aveva fissato nelle ore precedenti.

Sospirò, inebriandosi dell'aria saporita dell'ospedale. Non sapeva per quanto tempo aveva dormito, forse per un paio d'ore. La schiena gli faceva male, vista la scomoda posizione che aveva assunto su quella dannata sedia rigida.

-Fermo, mon amour, cerca di non svegliarla.-

Sua zia Danielle sedeva sulla fila di sedie grigiastre di fianco a lui. L'azzurro della sua blusa stonava con l'espressione stanca che indossava sul volto.

-E' da ore che non dorme, non ce la faceva più, la pauvre.-

Il ragazzo accennò un piccolo sbadiglio, poi si accorse di un leggero peso sulla spalla sinistra: una creaturina dai capelli color ebano stava dormendo beatamente su di lui.

Enjolras sorrise. Sua madre si poggiava sempre sulla sua spalla. Diceva che gli trasmetteva una dolce sensazione di conforto.

Il respiro di quella creatura era pesante, come se stesse soffrendo in sonno a causa di un brutto sogno. Helene non trovava riposo neanche nel dormire.

Restarono così. Enjolras, Danielle e la povera Helena rimasero in silenzio a lungo in quel corridoio di attese.

Nessuno aveva più nulla da dire, ma tutti pregavano affinché Grantaire potesse spezzare quell'incantesimo di tortura che era calato sulle spalle dei tre attenditori.

Un tacchettio lontano li fece svegliare dal tepore del silenzio. Un uomo in camice bianco si avvicinò a loro a passo lento, quasi avesse paura di disturbarli.

-Siete voi i parenti del ragazzo colpito dall'incendio?-

-Si, siamo noi. Come sta? Si è svegliato?- esordì prontamente Enjolras, quasi svegliando la creaturina che gli dormiva ancora sulla spalla.

L'uomo in bianco sospirò.

-Si è svegliato, si. Non ha riportato segni d'incoscienza, ma...-

-Ma?- continuò impaziente Danielle. Il cuore le batteva forte nel petto ornato da ghirigori.

-Il ragazzo sembra aver perso l'uso delle mani...Non sappiamo ancora se si tratti di una cosa temporanea o...permanente.-

Enjolras avvertì un nodo cominciare a stringersi in gola, come una morsa affilata.

Per Grantaire le mani erano tutto. Erano espressione di se stesso, del suo talento, senza l'uso di quei due pennelli a cinque dita non avrebbe più potuto dipingere. E, per lui, significava morire.

-Già lo sa?- domandò con voce rauca il biondino.

-Il ragazzo? Non ancora. Preferirei che uno di voi lo mettesse al corrente...In fondo, siete la sua famiglia.-

La sua famiglia.

Quelle ultime parole riecheggiarono nella testa di Enjolras. Avrebbe voluto sorridere a sentirle pronunciare, ma non ci riusciva. Provava solamente un violento senso di abbandono a se stesso, come quando si lasciava trasportare dalle onde del mare da piccolo.

-Lo farò io.-


 

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Grantaire si svegliò di soprassalto

Grantaire si svegliò di soprassalto.

Aveva fatto un brutto sogno. Aveva sognato di cadere da un grattacielo altissimo, il più alto che avesse mai visto. La cosa che lo preoccupava era che qualcuno lo aveva spinto. Non riusciva a capire chi.

I suoi pensieri disturbanti furono spazzati via da una chioma dorata che fece irruzione nella stanza.

-Enjolras!- gridò il pittore con voce spezzata. Il biondo gli corse incontro e l'abbracciò delicatamente.

-Pensavo di averti perso.- sussurrò l'altro. Grantaire immerse il viso livido in quei morbidi fili che erano i suoi capelli ed inspirò profondamente, come se l'odore fosse in grado di guarire ogni sua ferita. Avrebbe voluto stringerlo a sua volta, ma le sue braccia non gli ubbidivano.

-Pensavi davvero di liberarti così facilmente di me?-

Enjolras sorrise stringendo ancora di più a sé quel corpo debole. Si rese conto solo allora delle varie ustioni che tappezzavano il collo ed il viso del ragazzo. Appena era entrato in quella stanza non aveva notato tutti quei lividi, aveva semplicemente ceduto al desiderio di abbracciarlo e di non lasciarlo mai più.

Cominciò a piangere. Pianse delicatamente, silenziosamente come era abituato a fare, mentre cercava di memorizzare ogni piccola parte di quel corpo indebolito.

-Ehi,- sussurrò l'artista, -va tutto bene, è stato solamente un incidente. Sto bene.- continuò Grantaire, nel vano tentativo di rassicurare quel corpo tremante.

Enjolras strinse gli occhi; il moro non poteva vederlo, fortunatamente, altrimenti gli avrebbe letto in faccia che non tutto andava proprio bene come diceva. Il pensiero di dirgli che le sue mani avrebbero potuto diventare paralizzate a vita lo divorava, come acido in corpo. Se avesse potuto, si sarebbe preso lui quella sciagura. Grantaire non si meritava tutto questo.

Dopo minuti che sembrarono infiniti, Enjolras si staccò dal ragazzo.

Se ne stava disteso su quel letto, coperto di bianco, con due flebo nelle braccia e la fronte fasciata. Odiava vederlo così. Se solo avesse potuto curare quei lividi e quelle ustioni con un bacio. Il moro gli sorrideva, la sua dolce espressione stonava con tutto quel male che portava sulla pelle. Enjolras si sforzò di fare altrettanto, ma non ci riuscì.

Fissò lo sguardo umido sulle sue braccia: i segni di pittura che Enjolras era abituato a vedere erano spariti, sostituiti da bruciature che le coprivano interamente. Quelle mani, quelle splendide e magiche mani che lo avevano fatto innamorare erano lì, immobili, insensibili...E, probabilmente, Enjolras non avrebbe più potuto stringerle.

-Come sta mia madre?- chiese all'improvviso la voce flebile di Grantaire.

-E' riuscita a dormire un po', mia zia se ne sta prendendo cura. Sono diventate quasi grandi amiche.- sorrise. Il biondo aveva quasi del tutto dimenticato cosa volesse dire sorridere.

-Sono contento. E tu, come stai?-

Seduto sul bordo del letto, Enjolras lo guardò tristemente. –S-sto bene.-

-Non è vero. C'è qualcosa che ti sta divorando. Riesco a percepirlo.-

-E'-E' che mi fa male vederti così, lapinou.-

Grantaire sospirò, avvertendo la solita fitta al petto ogni volta che respirava. Osservò a lungo il viso ancora sporco del ragazzo di fronte a lui...C'era qualcos'altro. Qualcosa che non riusciva a dire.

-Enjolras...Che cosa succede?-

Il biondo strinse gli occhi per poi incatenare lo sguardo a terra.

-Il dottore dice che....Ci ha detto che sei fuori pericolo e che le bruciature spariranno in poco tempo.-

Grantaire sorrise sollevato. –Beh, cosa c'e di così spaventoso in questo?-

I capelli dorati vennero scossi da un piccolo fremito. –Le tue mani, Grantaire.-

-Le mie mani? Non-non capisco.-

Enjolras alzò lo sguardo. Gli occhi erano di nuovo pieni di lacrime.

-Potrebbero rimanere paralizzate per sempre.-

Se Grantaire avesse dovuto dipingere il dolore, avrebbe ritratto quella scena.

Si può davvero disegnare quel tipo di dolore che inizia col bruciare, simile all'acido più terribile iniettato dentro le vene per poi dileguarsi per tutto il resto del corpo e cominciare a divorare le carni, fino ad arrivare all'osso. E allora la voglia di urlare si fa sentire...finchè quel veleno maledetto non attacca le corde vocali, togliendo ogni minima speranza di gridare. Non resta che piangere lacrime amare.

Grantaire non disse una parola. La sua espressione vuota stava iniziando a spaventare Enjolras.

-Lapinou?-

Il ragazzo continuava a non rispondere, si limitava a fissare gli occhi stanchi dell'altro. Poi abbassò lo sguardo sulle braccia nere che riposavano sulle lenzuola candide.

Paralizzate.

Per sempre.

Grantaire iniziò a piangere copiosamente. E poi iniziò ad urlare.

Enjolras sobbalzò dal letto. –Grantaire...Grantaire...Ti prego, calmati...ti prego...- la voce del biondino veniva sovrastata dalle urla strazianti dell'altro.

Non aveva mai visto una scena simile. Enjolras si allontanò dal letto non appena due infermieri fecero irruzione nella stanza. Danielle era sul ciglio della porta ed assisteva alla scena con una mano sulla bocca. Gli occhi rossi del ragazzo corsero tra le sue braccia e la strinsero fortemente.

I due stettero a guardare il corpo irrigidito di Grantaire mentre si percuoteva violentemente sopra quelle lenzuola smunte. Non osavano neanche immaginare cosa potesse significare essere assaliti da un dolore del genere. Le braccia di Grantaire erano le uniche a non muoversi in quella danza selvaggia. Poi, dopo pochi minuti, il ragazzo si calmò, senza smettere di piangere.

-Vorrei poterlo aiutare.- tentennò Enjolras. –Vorrei poterlo liberare da tutto quello che sta provando.-

Danielle accarezzò i capelli del biondino dolcemente, come faceva sempre quando era piccolo.- Lo so, mon amour.- la donna dagli occhi gonfi osservò i singhiozzi di Grantaire e sentì il cuore stringersi tremendamente. - Vorrei poterlo fare anch'io.-

 

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***






Potrebbero rimanere paralizzate per sempre.
Le tue mani, Grantaire.
Paralizzate.
Per sempre.
Grantaire intravide penetrare la luce calda del mattino dalla serranda forata della stanza.
Non aveva chiuso occhio tutta la notte. Sua madre gli era stata accanto per tutto il tempo, finché le mani confortevoli del sonno non l’avevano avvolta e trasportata nel mondo dei sogni. Un mondo dove tutto andava per il verso giusto.
Si sentiva ancora frastornato, tutto il corpo gli faceva male, le gambe gli bruciavano quasi fosse ancora intrappolato nella cantina della scuola, avvolto dalle fiamme. Un brivido gli percorse la schiena. Preferiva non ricordare l’accaduto.
Desiderò con tutto il cuore che quell’incubo fosse soltanto un dipinto, un disegno sbagliato di cui si poteva cancellare le tracce o strappare il foglio. Se avesse potuto, Grantaire lo avrebbe ridotto in mille pezzi.
Con gli occhi ancora un po’ arrossati e stanchi dal pianto, guardò sua madre. La donna si era rannicchiata sulla minuscola sedia accanto al suo letto; i capelli neri oscillavano dal bordo ferroso ogni volta che sospirava pesantemente. Sul volto contratto, aleggiava un velo spesso di ansia e preoccupazione.
A Grantaire faceva male vederla così. Quasi più male di essere in quello stato.
Poi qualcuno bussò alla porta.
-Avanti.- mormorò il ragazzo con un filo di voce.
-Mon cher?- Danielle fece capolino nella stanza.
Grantaire le sorrise, per quanto i lividi sul viso glielo permettessero.
La chioma raccolta della donna oscillò frettolosamente fino a raggiungere le lenzuola bianche che Grantaire odiava tanto. L’abbracciò con attenzione.
-Oh, ho temuto il peggio, mon coeur.- sentendo queste poche parole, il ragazzo avvertì le lacrime salirgli agli occhi ma, per questa volta, le trattenne.
Danielle si scostò e si mise ad osservare il corpo inerme del ragazzo con aria triste. Teneva una mano sulla bocca come faceva sempre quando c’era qualcosa che la terrorizzava, mentre con l’altra accarezzava la fronte bendata dell’artista.
Man mano che passava gli occhi sulle varie bruciature e sui lividi, lo sguardo gli si riempì di lacrime. Avrebbe voluto rincuorarlo, magari dire una delle sue solite battute su Enjolras, ma non riuscì a tirare fuori nulla.
Grantaire sospirò come se quello fosse il suo ultimo respiro.
-C-Come sta Enjolras?-
La donna si asciugò velocemente gli occhi, quasi spaventata dal fatto che Grantaire avesse scorto le lacrime.
-E’ di là, in sala d’attesa. Non è voluto andare a casa, si è addormentato sulle sedie. E poi si è messo a russare della grossa…Ma non dirgli che te l’ho detto.- sorrise lei. Grantaire si accorse della punta di amarezza in quel sorriso apparentemente disinvolto.
Danielle ed Helena erano molto simili su questo: cercavano di nascondersi sempre dietro ad un sorriso. Il ragazzo, però, era un artista...era perciò in grado di cogliere ogni minima sfumatura di emozione, ogni piccolo azzardo, guardava oltre, dove gli altri non vedono.
-Siete stanchi. Andate a casa e riposate un po’.-
Il viso della donna si animò.
-Oh no, non lasceremo tua madre da sola. Dovrai sopportarci per un altro po’, mon petit coeur.-
Subito dopo aver pronunciato quelle parole con convinzione, Danielle si voltò verso la piccola creatura avvinghiata alla sedia accanto al letto.
-Helena?- mormorò accovacciandosi all’orecchio della donna. -Helena, ma chérie, sarai stanchissima…- continuò Danielle accarezzandole la schiena ricurva.
Gli occhi umidi di sua madre si aprirono velocemente, pronti all’intervento di qualche pericolo.
-Che-che succede? Grantaire, stai bene?-
-Mamma, sto bene, stai tranquilla.- rispose il ragazzo con una punta di pietà per la donna. Aveva fatto incubi per tutta la notte; Grantaire l’aveva sentita piangere spesso nel sonno, ma aveva preferito non svegliarla.
-Oh, sta bene, ma voglio offrirti un caffè o magari un buon the, se sei un tipo sofisticato come me.- sorrise Danielle strizzando l’occhio al ragazzo. –
-Ti ringrazio Danielle, ma preferisco stare qui con Grantaire. Non voglio lasciarlo solo.-
-Mamma, ne hai bisogno, vai. Io sto bene.- intervenne il ragazzo, tentando di risultare più convinto possibile. Sua madre necessitava una pausa, e con Danielle le pause diventavano sempre più piacevoli.
Gli occhi languidi ed affaticati della donna avevano intenzione di ribattere, ma poi si voltarono verso quelli rassicuranti di Mme Rochenne. Helena sospirò ponendo una mano tremante sulla guancia violacea del figlio.
-Torno subito.-
Grantaire sorrise.
Danielle la fece alzare da quel trono di sofferenza in ferro battuto e la prese per mano con delicatezza. Sorresse la donna per tutto il tragitto verso la porta, quasi avesse paura che la debolezza fisica e mentale potesse farla crollare a terra.
-Mon Dieu, come fai a mantenerti così in forma, Helena?- esclamò la pittrice avvolgendo la vita della donna. –Io non ci riuscirei neanche se dovessi partecipare ad una maratona al giorno, non!- squittì con la sua solita voce entusiasta. –Le maratone non sono per le signore.-
Helena accennò una risatina.
Grantaire sentì scorrere un brivido dietro la schiena. Non la sentiva ridere da tempo.
Uscendo, la donna in ghirigori gli fece di nuovo l’occhiolino. –Enjolras non vede l’ora di vederti. Ha sussurrato il tuo nome per tutta la notte.-
La porta della stanza si chiuse. Grantaire sospirò nel silenzio.
C’era una cosa che doveva fare. E, anche se gli spezzava il cuore, avrebbe dovuto farla immediatamente.




 
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Enjolras sentì il cellulare vibrare nella tasca dei pantaloni. Quella vibrazione improvvisa lo fece sussultare; nel silenzio della sala d’attesa, se ne stava con le spalle contro il muro, nel vano tentativo di contenere il tremolio causato dalla notte insonne.
Abbassò gli occhi sullo schermo bluastro del cellulare: Amélie.
Non avrebbe risposto. Non aveva motivo per farlo. E poi, con tutta la preoccupazione e la stanchezza che si portava sulle spalle, non aveva proprio voglia di rispondere.
-Ehi, Apollo…- rimbombò nel silenzio della stanza. C’era una sola persona che lo chiamava ancora così dal primo giorno che si erano conosciuti. Jeremy.
Il sorriso del ragazzo gli corse incontro ed Enjolras non esitò ad abbracciarlo. Lo abbracciò forte, come se potesse trasmettergli tutto lo spavento provato in quella notte.
-Ehi, campione…-
-Sai che sei l’unica persona sulla terra a chiamarmi ancora così?-
Enjolras sorrise.
-Potrei dirti la stessa cosa.-
Nessuno dei due osò dire una parola sull’incendio, ma entrambi erano rincuorati dall’essersi potuti vedere ancora una volta.
-Mi hai fatto prendere un bel colpo.- mormorò Jeremy nascondendo quelle difficili parole dietro una risata.
Lui era così: per Jeremy si poteva scherzare su tutto, anche sulla morte. Diceva sempre che erano le risate a mandare avanti il mondo.
I due ragazzi rimasero così per qualche minuto, poi lasciarono andare quell’abbraccio. Sin da quando erano piccoli avevano condiviso tutto, nel bene e nel male, e non c’era mai stato nulla di tanto potente da separarli.
Lo sguardo ambrato di Jeremy sbirciò esitante la stanza di Grantaire dal vetro che dava sulla sala d’aspetto.
-Come sta?-
Gli occhi blu oceano del biondino fissarono si diressero ancora una volta sul vetro che aveva fissato tutta la notte. La gola gli si strinse come una morsa.
-Il dottore ha detto che potrebbe non riacquistare l’uso delle mani. Quando gliel’ho detto si è messo ad urlare.-
I capelli castani di Jeremy furono scossi da un leggero brivido. Questo era il punto in cui avrebbe dovuto dire qualche parola di conforto, ma la lingua gli si era intrecciata dal terrore. Non avrebbe mai immaginato una cosa simile. Togliere ad un artista i propri strumenti è una cosa tremenda.
-Non ce la faccio a vederlo così, Jer.- singhiozzò Enjolras. –Perché è dovuto succedere proprio a lui e non a me?-
Jeremy gli posò una mano sulla spalla in segno di incoraggiamento.
-Non è colpa tua, smettila di tormentarti. Nessuno avrebbe potuto prevedere nulla.- Enjolras avrebbe voluto imprimersi quelle parole nella testa, ma riuscì solamente a farsele scivolare addosso. Si sentiva in colpa e niente avrebbe potuto fargli cambiare idea.
Nella manciata di minuti di silenzio che seguirono, Jeremy osservò il viso spento dell’amico. Era come se tutte le emozioni fossero state offuscate da un unico, enorme, pesante velo: quello del terrore. Non l’aveva mai visto così impaurito in vita sua.
-Il bidello mi ha detto che l’incendio potrebbe essere stato causato da una manomissione. Praticamente, qualcuno ha fatto si che la cantina andasse a fuoco.-
Enjolras abbassò lo sguardo umido. Chi avrebbe mai potuto fare una cosa del genere?
Il cellulare nella tasca riprese a vibrare, stavolta più a lungo. Il biondo afferrò con mano tremante il telefono e, ancora una volta, rifiutò per la centesima volta la chiamata di Amélie.
-E’ Amélie, non è vero? E’ stata lei ad informarmi dell’accaduto, sai. E’corsa subito da me, e solo allora ho chiamato i pompieri. Se non fosse stato per lei, probabilmente nessuno si sarebbe accorto di nulla. Era sconvolta.-
Enjolras alzò gli occhi. –Come l’ha saputo? C’eravamo solo io e Grantaire quando l’incendio è scoppiato. La scuola era chiusa.-
Jeremy alzò le spalle esitante ed osservò il viso di Enjolras annebbiarsi improvvisamente.
A meno che…
 

Il biondo si sentiva confuso, sbiadito come un quadro fresco caduto in un fiume. Si mise a fissare il pavimento candido della sala per una manciata di secondi che sembrò un’eternità.
Tutti i dettagli che stava ripassando nella sua mente portavano ad una sola conclusione…
-Enjolras? Tutto bene?- la voce di Jeremy scrollò quei brutti pensieri dalla sua mente.
Sorrise.
-Si, sono solo ancora un po’…scosso.- mormorò l’altro con voce fioca.
Il ragazzo dai capelli castani annuì lentamente. Non appena aveva fatto il nome di quella ragazza, la sua espressione si era fatta cupa e distaccata.
-C’è qualcosa che non mi stai dicendo, En?-
-Jeremy, caro!- la voce squillante di Danielle inondò la sala d’aspetto con un pizzico di allegria. La gonna svolazzante della donna si fece spazio sino ad arrivare davanti al ragazzo castano, per poi avvolgersi intorno alle sue gambe con un veloce abbraccio.
Mentre Jeremy rispondeva a quell’invasione con una risatina, Enjolras si diresse verso il vetro che dava sulla stanza di Grantaire. Una mano si posò istintivamente sulla trasparenza fredda e statica.
-Dovresti mangiare qualcosa.-
Helena.
La chioma color ebano apparve accanto alle spalle stanche del ragazzo. Enjolras la guardò: sembrava più rilassata e serena…la compagnia amorevole di sua zia funzionava sempre, anche nei casi peggiori. Nei suoi occhi, il ragazzo vedeva quelli di Grantaire e nel modo in cui distendeva la bocca sottile, ne riconosceva anche il sorriso.
-Non ho molta fame. Preferisco vegliare su di lui.- sussurrò Enjolras, dirigendo lo sguardo sul corpo inerme dietro al vetro.
Helena sorrise e poi, con un gesto estremamente materno, accarezzò la chioma dorata del ragazzo.
-Sono contenta che Grantaire abbia qualcuno come te accanto.- sospirò. –Se non ci fossi stato tu nell’incendio io…-le parole le si bloccarono in gola. Helena sospirò di nuovo cacciando via le lacrime.
Aveva pianto fin troppo quella notte. Enjolras ripassò con la mente il momento in cui lui e sua zia le avevano riferito della possibile paralisi delle braccia di Grantaire. Per qualche secondo era rimasta in silenzio, poi aveva iniziato a singhiozzare sulla spalla di Danielle.
-Grazie per averlo salvato.- concluse la donna stringendogli una spalla. Enjolras accarezzò la sua mano rugosa con dolcezza e sorrise appena.
-Va’, ha bisogno di te.-
Enjolras fissò il vetro. Sperava solo di non perderlo.







 

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Il legno della porta rintoccò due volte.
-Avanti.-
Il sibilo di Grantaire fu quasi impercettibile alle orecchie di Enjolras; il ragazzo dai capelli d’oro entrò con cautela nella stanza candida, quasi avesse paura di qualche mostro nascosto dietro la porta.
Grantaire era sempre lì, disteso sul letto con la fascia bianca che gli circondava la testa. La sua espressione emanava sconforto, immobilità e completa apatia. Ad Enjolras faceva paura: avrebbe preferito di gran lunga vederlo urlare.
Il pittore scostò leggermente la testa verso la finestra semiaperta della stanza, che si trovava dal lato opposto della porta. La tenda biancastra svolazzava danzando leggera col vento fresco della sera.
Enjolras aveva giurato a se stesso che sarebbe stato più forte per Grantaire. Doveva esserlo.
-Allora, lapinou, adesso puoi anche smetterla di far finta di stare male solo per farti curare da me.- scherzò, tentando di forzare un sorriso.
L’artista continuava a fissare la finestra. Enjolras non poteva vedere il suo sguardo, e questo lo preoccupava.
Il ragazzo si avvicinò alle coperte bianche sgualcite.
-Dovrei forse vestirmi da infermiera? Sarei molto sexy.- continuò sedendosi sul letto morbido.
Silenzio. Enjolras iniziava ad odiare quel silenzio.
Grantaire era assente, estraniato. Il biondino smise di parlare e, riacquistando la sua solita espressione dolorante, osservò il petto dell’artista alzarsi e riabbassarsi lentamente.
Poi il moro iniziò a singhiozzare.
-Lapinou?-
-Voglio che tu te ne vada.-
Enjolras si sentì immobilizzato da quelle parole.
-V-Va bene, tornerò più tardi.-
-No…Voglio che tu esca dalla mia vita.-
La voce di Grantaire echeggiava rotta, simile a dei pezzi di vetro che vengono trascinati bruscamente sul pavimento; quelle parole graffianti colpirono il biondino come se fossero state conficcate nella sua carne.
-C-Cosa? Grantaire, io non voglio-
-Vattene, ti prego. Non renderla più difficile di quanto già non sia.-
Enjolras cominciò a sentire gli occhi inumidirsi. Un grosso nodo gli si stava formando al centro della gola, e lui avrebbe voluto disfarsene, ma quello sembrava incollato dentro di lui.
-Non voglio lasciarti, ti prego, non allontanarmi…lasciati aiutare…Tu hai bisogno di me.-
-Non ho bisogno di te, lo capisci?!- Grantaire si era voltato bruscamente verso l’altro ragazzo; solo in quel momento Enjolras poté assistere alla seconda manifestazione di emozione dopo la volta che aveva urlato.
Era un’emozione che non gli aveva mai visto sfoggiare: rabbia, mista a dolore.
Gli occhi del pittore erano rossi e gonfi, come se quella nuova sensazione che si stava approfittando di lui lo avesse preso a pugni, costringendolo a dire quelle parole…Le parole che Enjolras non avrebbe mai voluto sentire.
-Grantaire, ti prego…-
-Non voglio più vederti, mai più! Sei inutile per me!- continuava la voce strozzata del giovane artista.
Enjolras si sentiva mutilato, accoltellato da tutte quelle bugie che gli venivano gettate addosso. Perché erano bugie, ne era sicuro.
O forse no? Più guardava il viso sbiadito di Grantaire, più dubitava che quelle parole fossero false.
Dopo un minuto di silenzio, Enjolras tratteneva ancora il nodo alla gola che si faceva sempre più grande.
-Se tutto quello che stai dicendo è vero, allora ciò che è successo nell’aula di arte, quando ci siamo baciati, era solamente una menzogna?- tremò il ragazzo.
Grantaire aveva di nuovo distolto lo sguardo.
-Guardami, guardami in faccia e dimmi che è stato tutto una bugia!-
Alcune piccole lacrime avevano iniziato a farsi largo sul viso di Enjolras, bagnando alcuni ricci dorati finiti sulle guance.
Entrambi tacevano. Grantaire aveva smesso di singhiozzare, ma Enjolras poteva sentirlo piangere ancora.
-Dimmi che è la rabbia a parlare…Ti prego.-
Grantaire strinse gli occhi, facendo cadere alcune lacrime sulle coperte sotto di lui. Doveva farlo. Adesso. Doveva proteggerlo.
-Non è la rabbia. Sono io a parlare.- e, dopo queste agghiaccianti parole, Grantaire si voltò verso di lui.
-Non voglio più vederti.-
Il biondo si alzò dal letto, sconcertato.
In silenzio, si diresse a passo indeciso verso la porta. Posò una mano tremante sulla fredda maniglia, ma attese un po’ prima di spingerla. Stava aspettando. Aspettava che Grantaire facesse il suo nome per dirgli che, tutte quelle taglienti parole, facevano parte di una grossa bugia. Che era tutto un sogno.
Grantaire non disse nulla. Enjolras era sicuro che stesse ancora fissando la finestra danzante.
In realtà, Grantaire lo stava guardando. Avrebbe voluto dirgli di restare, ma non poteva. Guardò la chioma dorata tanto amata mentre si accingeva ad abbassare la maniglia della porta.
-Credo di amarti, lapinou. Ora più che mai.- e, con queste tristi parole, Enjolras uscì dalla stanza.




 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


 

 

Grantaire fissava le sue braccia inermi sulle coperte ruvide del letto. Era così assorto nel silenzio dei suoi pensieri che poteva quasi ascoltare i battiti lenti del suo cuore.

Pensava al suo futuro, a quello che non avrebbe potuto fare senza l’uso delle braccia. Gli era stato detto che c’erano poche e rare possibilità che potesse essere solamente una cosa temporanea…Lo sperava davvero con tutto il cuore, desiderava che fosse così. Chi non lo farebbe.

Lui era un’artista, lo era sempre stato: sin da quando aveva iniziato ad incamerare i primi ricordi, aveva sviluppato una grande passione per i colori e per il disegno. Quelle sfumature, quei giochi di luci così spettacolari gli piaceva vederli macchiare il suo viso, le mani e, talvolta, anche le mura di casa. Dopo un po’ di tempo, aveva scoperto che anche dei fogli di carta potevano essere divertenti da dipingere...Almeno così si risparmiava qualche ramanzina da sua madre.

Helena aveva capito presto la sua devozione per la pittura, così gli aveva procurato qualche tela, ricavata dal solito mercatino dell’usato in cui le piaceva passare giornate intere.

Grantaire sorrise appena ricordando mestamente la prima volta che aveva avuto contatto con quella superficie bianca e ruvida. Le coperte dell’ospedale gliela ricordavano un po’…Peccato che non poteva accarezzarle stavolta.

Il ragazzo chiuse gli occhi, e sentì lo sguardo inumidirsi mentre si perdeva nel passato, percorrendo fiumi intricati di momenti passati a dipingere tutto ciò che lo ispirava, tutto ciò che avrebbe potuto fare su.

Gli mancava. Dipingere gli mancava moltissimo. E il solo pensiero di dover smettere con la forza, gli procurava un forte dolore al petto.

-Grantaire?-

La voce soave di sua madre lo destò dal doloroso fiume di ricordi.

La donna si era chinata davanti a lui e, con una mano fredda, gli accarezzava la fronte. Probabilemente, vedendolo con gli occhi chiusi, aveva pensato che stesse dormendo, ma Grantaire non riusciva a fare neanche quello; gli occhi stanchi e le ombre violacee sotto gli occhi parlavano da soli.

-Sei riuscito a dormire un po’, mon chiot?-

-No.- rispose lui con un filo di voce. –Non ci riesco più da quando…- si fermò. Le parole gli morirono sulla punta della lingua. Pronunciarle voleva dire renderle ancora più vere di quanto già non fossero.

Helena sospirò e si sedette a bordo del letto. Attese un po’ prima di parlare, sul suo viso pallido si leggeva chiaramente che stava per dire qualcosa che l’avrebbe liberata da un grosso peso.

-Ho visto Enjolras andare via con Danielle poco fa. Erano esausti, gli ho detto di andare a riposare un po’.-

Grantaire abbassò lo sguardo.

-Lo stai allontanando, non è vero?- Helena parlava come se la stessero accoltellando ripetutamente. Nella voce apparentemente calma, traspariva una traccia di pesantezza che Grantaire aveva imparato a riconoscere durante il corso della sua vita.

-Perché lo stai facendo? Potrebbe essere l’unica persona a farti reagire…-

-Non voglio reagire.- le parole di Grantaire si depositarono come polvere sulla schiena di Helena e la fecero rabbrividire.

-Ma tu devi..-

-Devo cosa, mamma? Guardami! Non potrò più dipingere, né disegnare, né fare tutto quello per cui vivevo! Hai la minima idea di cosa significhi?!- Grantaire si pentì delle ultime parole non appena terminò di dirle. Sua madre sapeva esattamente cosa significasse rinunciare a ciò che si ama.

Helena sospirò e portò lo sguardo in basso.

-Lo so che è difficile e che adesso ti sembra che tutto stia crollando in mille pezzi. Ma tu hai me, Danielle …ed hai Enjolras. Quel ragazzo ti ama. Dovresti vedere come gli brillano gli occhi quando parla di te, della tua arte. Non ho mai visto occhi più sinceri e premurosi.-

Grantaire cercava di trattenere le lacrime. Avrebbe voluto alzarsi da quel dannato per evitare di ascoltare quelle vere e dolorose parole. Guardò sua madre e, seppure con lo sguardo appannato, riuscì a scorgere che parlava con affetto e gratitudine.

-Era così preoccupato quando è arrivato qui in ospedale con te tra le braccia. Danielle mi ha detto che piangeva e gridava aiuto.- Helena si fermò all’improvviso, cercando di ignorare il nodo creatosi alla gola.

-Se non ci fosse stato lui con te a scuola io…- sospirò, -…n-non so cosa avrei fatto se ti avessi perso, Grantaire. Devo tutto a quel ragazzo.-

L’artista strinse gli occhi liberando finalmente le due lacrime che aveva trattenuto fino a quel punto.

Enjolras gli mancava dannatamente. Avrebbe voluto abbracciarlo in quel momento, dirgli che aveva detto tutte quelle cose solo per proteggerlo, per proteggerlo da se stesso, dalla sua rabbia. Ma il ragazzo dai capelli d’oro non c’era. Grantaire lo aveva allontanato ed ora ne avrebbe pagato il prezzo.

-Non ti ho mai visto rinunciare a nulla, mon petit, né tantomeno arrenderti davanti alle difficoltà, persino quelle più atroci.- Helena parlava con il viso del ragazzo tra le mani tremanti, scosse dai residui di una parte di vita affogata nell’alcol. Gli occhi verdeggianti erano arrossati e sembravano supplicare Grantaire di prestarle aiuto a non lasciarsi andare al dolore.

-Non rinunciare a quel ragazzo. Non allontanare ciò che ami solamente perché hai paura. –

Il ragazzo aveva perso il controllo delle lacrime. Avrebbe voluto fermarle, ma quelle scendevano e scendevano prepotenti sul viso, bagnandolo come fiumi in piena.

Grantaire si rese conto di aver fatto un grosso errore. Credeva che provare a dimenticare Enjolras gli avesse fatto meno male, ma non era stato così. Il bruciore al petto non aveva fatto altro che aumentare, fino a diventare una grossa fiamma che andava diramandosi ogni minuto che Grantaire passava senza il ragazzo dagli occhi oceano. Era come trovarsi coinvolti in una violenta tempesta, una lunga battaglia tra il senso di colpa e la paura dell’avvenire. E l’unico modo di sentirsi al sicuro in mezzo a quell’uragano era nelle braccia di Enjolras.

L’artista si sporse per abbracciare la madre, ed Helena lo accolse sul petto stanco.

-Ho bisogno di lui, mamma.- mormorò respirando a fondo l’odore materno che l’aveva rincuorato e tranquillizzato per anni.

Helena non rispose, bensì si limitò a stringere il figlio a sé e ad accarezzargli i ricci ribelli come aveva sempre fatto da quando aveva tre anni. Sorrideva, per la prima volta dopo molto tempo, sorrideva con la certezza di aver trovato il pezzo di puzzle mancante. Ora toccava a Grantaire metterlo nel posto giusto.

Rimasero abbracciati il tempo necessario affinché Grantaire smettesse di singhiozzare. Poi, entrambi si addormentarono con i segni delle lacrime sul viso.

 

 

 

---

 

 

 

Enjolras tirò la palla contro il soffitto ancora una volta.

Se ne stava sdraiato sul suo letto, in camera sua, i ricci color grano adagiati casualmente sulle coperte. Erano passate settimane dall’ultima volta che aveva visto Grantaire. Aveva saputo, grazie a sua zia che era rimasta in contatto con Helena, che era tornato a casa.

L’espressione del biondo era impassibile, ferma ed apparentemente troppo tranquilla: gli occhi fissi sul soffitto bianco della camera guardavano la pallina di gomma rimbalzare e poi cadere giù, per poi rivederla saltare di nuovo verso il muro.

Enjolras lo faceva sin da piccolo, lo rilassava e lo aiutava a pensare.

Dopo aver afferrato la pallina ancora una volta si fermò, e diresse lo sguardo spento verso la sua scrivania: era un po’ disordinata, come al solito, ma tutte quelle penne, i fogli e i libri poggiati sopra in modo scompigliato sopra il legno di ciliegio gli trasmettevano sensazioni positive. Preferiva averli disposti in modo confuso piuttosto che vederli tutti seri ed ordinati.

Poco più sopra, attaccati malamente ad una bacheca di sughero, sorgevano dei disegni.

Non erano suoi, lui non sapeva disegnare neanche l’omino dell’impiccato. Quelli erano gli schizzi che Enjolras si era divertito a raccogliere durante il corso della sua vita: poteva sembrare assurdo e stupido, ma c’era qualcosa che univa quei disegni, come se fossero stati fatti tutti dalla stessa persona.

Gli era capitato molto spesso di raccoglierli quando era in giro: la prima volta che ne rubò uno era molto piccolo, avrà avuto all’incirca cinque anni. Lui e sua mamma si erano fermati a fare un bel picnic in un parco poco distante da dove abitavano, prima che Enjolras fu mandato ad Eguisheim, dopo la tragedia. Aveva sempre adorato i picnic con la sua mamma. Non ci pensava spesso, perché ogni volta si ritrovava bloccato dentro una bolla di malinconia nella quale era costretto a vivere per mesi. Ma si, sua mamma gli mancava moltissimo.

Quel giorno al parco, però, il tutto fu reso ancora più speciale di quanto già non fosse da un disegno svolazzante sull’erba. Allora non aveva ben capito cosa rappresentasse quell’insieme di linee nere su carta bianca. Riguardandolo adesso, vedeva una sirena.

Enjolras sorrise con malinconia, sonnolente dai ricordi del passato. Accompagnato da un leggero scricchiolio del letto, il ragazzo posò la palla di gomma sulle coperte e si alzò, accarezzandosi la chioma dorata.

Fissò la corona di disegni che ornava la bacheca semivuota e si sedette alla scrivania.

Prese uno dei tanti disegni. Era l’angelo. Si ricordava bene quel disegno: lo aveva fatto Grantaire quando erano andati in campeggio. Era la serata in cui lo aveva visto bagnarsi sotto la pioggia.

Il biondino accarezzò con mano incerta le due pupille celesti del disegno. Poi, sospirando, lo rimise al suo posto e, invece di prenderne un altro, scelse una tela, l’unica tela che aveva di quell’artista. Avrebbe voluto piangere, ma non riusciva a farlo. In mezzo a quelle rose dipinte, in mezzo a quegli splendidi schizzi di fantasia, Enjolras si diresse verso l’ultima tela che Grantaire aveva realizzato.

Era il ritratto eseguito prima dello scoppio dell’incendio.

Non appena mise le mani sulla tela, fu avvolto da un terribile senso di solitudine e tristezza. Era come toccare qualcosa di ardente.

Enjolras si girò verso la finestra aperta, in modo che la luce potesse illuminare quella tela che lo rappresentava. Sorrise.

-Quella tela è splendida.-

Danielle era poggiata sullo stipite della porta della camera. Con la sua gonna di un bel rosa pesca, osservava con sguardo amorevole il nipote venerare il suo ritratto.

-Sin da quando è venuto la prima volta a lezione, ho capito che Grantaire aveva qualcosa in più degli altri quando dipingeva, una specie di luce innata dentro di sé.- disse la donna svolazzando con passo danzante fino alla sedia di Enjolras.

Il ragazzo si limitò ad emettere una piccola risata. Era vero, Grantaire era dotato di una luce pazzesca dentro di sé, come se possedesse una stella dentro di sé che mostrava man mano il suo splendore ogni volta che si cimentava in pittura.

Danielle sospirò circondando le spalle del biondino con entrambe le braccia e, così facendo, alcuni dei suoi tanti bracciali trillarono con allegria, in contrasto con i visi mesti dei due.

Con una mano Enjolras le accarezzò il braccio dalla pelle morbida e profumata, con l’altra posò la tela contro il davanzale grigiastro della finestra, in modo che potesse allontanarsi un po’ per ammirare interamente quella follia d’arte.

-Ce la farà, mon amour. Ma ha bisogno di te per farcela.-

-Non mi vuole vedere, tatie. Lo ha detto lui.- intervenne Enjolras. –E lo ha detto più volte.- mormorò con sguardo basso. Nella sua testa riecheggiarono ancora una volta le parole atroci di Grantaire, le parole che avevano ucciso una parte di sé.

Danielle sospirò pesantemente. –Mon coeur, hai mai pensato che ti stia allontanando solo per proteggerti?-

Enjolras si voltò, incontrando il viso speranzoso della donna.

La donna si staccò dall’abbraccio e si chinò davanti al viso stanco del biondino. Con una mano morbida posata sulla sua guancia, continuò a parlare.

-Se fosse successo a te, se fossi tu al posto di Grantaire non faresti di tutto pur di proteggere quelli che ami da te stesso?-

Enjolras spostò lo sguardo sul pavimento rosso della camera.

-Grantaire sa benissimo che potrebbe non riacquistare più l’uso delle mani, per cui sta cercando di allontanarti da se stesso in modo che tu non soffra. Ma, a parer mio, stai soffrendo molto di più adesso, lontano da lui. E’ questo che devi fargli capire, mon lapinou. Fagli capire quanto è importante per te.-

La voce della donna si era assottigliata, si era fatta più morbida e serena. Danielle la usava sempre quando voleva convincere qualcuno. E, ogni volta, aveva sempre funzionato.

Sua zia diresse anche l’altra mano sul viso del ragazzo, accarezzandolo dolcemente. Enjolras notò nel suo sguardo nocciolato un filo di lucidità.

–Va’ da lui. Deve sapere che ci sei, che lo ami…Perché so che è così.-

Enjolras l’abbracciò. La strinse a sé più forte che poté, come se attraverso quell’abbraccio potesse liberarsi di tutte le sue preoccupazioni.

-Parteciperò io al concorso.-

-Cosa?- mormorò sua zia.

-So quanto era importante per Grantaire. Voglio partecipare io al concorso per lui. Deve vincere, o almeno provarci.- il ragazzo si scostò delicatamente dalla donna, la quale non riusciva a comprendere il nocciolo della questione.

-Mon cher, non offenderti, ma non sei mai riuscito a disegnare neanche l’omino dell’impiccato. Come farai a partecipare? Con quali disegni?-

Enjolras sorrise dirigendo lo sguardo verso la scrivania.

-Ho quelli. Per anni mi sono chiesto chi fossero le magiche mani dietro quei segni d’inchiostro colorato. Era lui. Era Grantaire.-

La donna fissò con sguardo umido i disegni appesi sopra la scrivania e si portò una mano alla bocca.

Li aveva guardati e riguardati almeno un milione di volte, eppure solo adesso si rendeva conto che suo nipote aveva ragione: era Grantaire l’artista segreto che li aveva intrigati per anni.

Enjolras scrutò ancora una volta la corona di disegni colorati che ornavano il legno di ciliegio della scrivania. Si soffermò infine sul suo ritratto dai toni sgargianti del blu e del giallo, un insieme di sfumature e dettagli che il ragazzo stesso non aveva mai saputo di avere ma che Grantaire era riuscito a cogliere.

Danielle sorrise sollevata. -Sono fiera di te.-

Enjolras l’abbracciò chinandosi in avanti e venne avvolto di nuovo dal frizzante profumo di limone, che era rimasto sempre lo stesso sin da quando era piccolo.

-Non ce l’avrei mai fatta senza di te, tatie.-

Danielle si era sentita dire quelle parole dal nipote molte volte durante la sua vita, e sapeva che il ragazzo diceva davvero. Pensò a quando aveva perso sua sorella e a quando si era trovato il piccolo Enjolras piangente sulla porta di casa, accompagnato da una grossa valigia. Da quel momento aveva giurato di proteggerlo a costo della sua vita, di farlo diventare un uomo responsabile ed amorevole nonché di crescerlo come se fosse suo figlio, il figlio che non aveva mai potuto avere. E, forse, ci era riuscita.

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


 

 

La brezza autunnale fece irruzione nella sala da pranzo. Un poeta visionario l'avrebbe definita come una mano fresca ed energizzante, che ora si faceva largo tra le ciocche dorate di Amélie.

La ragazza sedeva pensierosa in un angolo della stanza, accanto alla finestra che dava sul porto della città. Spesso, quando non era troppo impegnata con la scuola, adorava sedersi a leggere proprio in quel punto, dove l'acqua scosciante del fiume rispecchiava i tenui colori autunnali della città, trasmettendo una sensazione di calore materno a chiunque si fermasse a guardarla.

Molte volte, da piccola, aveva immaginato di poter scivolare via dai brutti pensieri come quell'acqua, oppure di potercisi immergere per poi rinascere in un mondo nuovo, un mondo dalle mille meraviglie e dalle tristezze inesistenti.

Il petto prosperoso si sollevò, facendola sospirare.

La mano poggiata sotto il mento fino, sorreggeva una testa piena zeppa di pensieri, di preoccupazioni e rimorsi. Odiava pensare così tanto, eppure non poteva farci un bel niente.

Abbassò lo sguardo sullo schermo del cellulare che riposava sulla superficie del piccolo tavolo di fonte a lei. Quella doveva essere la centesima volta che chiamava Enjolras. Doveva parlargli, doveva spiegargli tutto.

Tutte le sue chiamate non avevano avuto esito positivo, ed era proprio questo piccolo tarlo che andava picchiettando nella testa di Amélie a tenerla sveglia durante la notte. Molto probabilmente, avrebbe fatto meglio a presentarsi sulla porta di casa sua, ma era abbastanza codarda da non avere neanche un briciolo di coraggio per farlo. La sua paura più grande era affrontare Enjolras...ma doveva farlo, prima che le cose si fossero macchiate indelebilmente di odio nei suoi confronti.

Non se lo sarebbe mai perdonato.

 





 

---


 

 

 

Enjolras inspirò a fondo l'aria intrisa di foglie bagnate. Si trovava nella piazza principale di Eguisheim, uno dei suoi posti preferiti per riflettere.

Non c'era molta gente a quell'ora: il sole stava per tramontare, ma il ragazzo era uscito appena in tempo per assistere al gioco mozzafiato di luci e colori tendenti al rosato che andava svolgendosi nel cielo. Le nuvole erano scappate ed avevano fatto spazio a quel meraviglioso spettacolo contornato di tonalità tenui e rilassanti.

Dal muretto ruvido sul quale se ne stava accovacciato con le gambe penzolanti, poteva osservare solo qualche bambino in bicicletta che faceva il giro del fiume ed un paio di signore che si godevano il paesaggio con una passeggiata cadenzata.

Il ragazzo sospirò. Se solo ci fosse stato Grantaire lì con lui, ad osservare tutto quello spettacolo serale. Avrebbe addirittura potuto dipingerlo per quanto si presentava spontaneo e sereno.

-Sapevo di trovarti qui.- una ragazza dai capelli biondi e dagli occhi verdeggianti gli si sedette accanto.

- una ragazza dai capelli biondi e dagli occhi verdeggianti gli si sedette accanto

Amélie.

Enjolras avrebbe voluto scostarsi da lei e scappare via il più lontano possibile. Eppure le gambe si trovavano bloccate, quasi fossero due mattoni di un quintale ciascuno.

-Vieni sempre a goderti il panorama quando hai bisogno di pensare.- la voce della biondina si presentava leggermente agitata, come se stesse cercando di nascondere qualcosa di spaventoso dietro quelle normali parole.

Enjolras la scrutò per una manciata di secondi: per prima cosa notò il modo in cui si stringeva nel suo giacchettino di cashmere, quasi volesse confortare e tranquillizzare se stessa in vista di un pericolo improvviso. I capelli erano sciolti e, lucenti come sempre, svolazzavano elegantemente a ritmo del vento che incombeva su tutta la piazza. Gli occhi sembravano apatici, fissi sul nulla, ma Enjolras colse un velo sottile che li oscurava, tessuto dalla stanchezza e dalla tristezza. Conosceva bene quell'espressione.

Nessuno dei due parlò per qualche minuto, entrambi lasciarono che il debole rumore della piazza chiacchierasse al loro posto.

-Non hai risposto alle mie chiamate.- sussurrò finalmente Amélie portando lo sguardo in basso, come se desiderasse scavare una buca a terra con la sola forza delle pupille e sotterarcisi per l'eternità.

Enjolras non la guardava. Il suo sguardo color oceano si faceva spazio tra le poche persone che occupavano il terreno rossiccio della piazza. Ricordava ciò che gli aveva riferito Jeremy all'ospedale.

-Volevo sapere come stesse Grantaire.- continuava la ragazza.

-Wow, ti sei ricordata il suo nome alla fine.- intervenne Enjolras con voce ferma e distante.

Qualcuno ha fatto si che la cantina andasse a fuoco.

Qualcuno.

Per giorni e giorni Enjolras si era tormentato su chi potesse essere il responsabile...Non avrebbe mai pensato di poterselo ritrovare davanti agli occhi fumanti di rabbia.

Amélie osò posare lo sguardo pesante su di lui: il ragazzo era sull'orlo delle lacrime, stringeva i pugni sul muretto, quasi fosse in procinto di alzarsi e scappare via.

-Non avresti neanche il diritto di nominare il suo nome.-

Amélie trattenne il fiato.

Ti posso spiegare.

-Sei stata tu, non è vero?- continuò la voce ormai spezzata dal pianto di Enjolras.

-E-Enjolras, io..-

-Non provare a mentirmi.- Amélie fu attaccata brutalmente dallo sguardo agguerrito del ragazzo. Solo ora la ragazza si rese conto di quanta rabbia fosse effettivamente costretta in quegli occhi...Il sereno blu oceano si era trasformato in una nera tempesta.

-Ti ho vista a scuola quel giorno. Quando Grantaire è sceso in cantina, io ti ho vista sgattaiolare verso l'uscita. –

Amélie rabbrividì.

-Quando Jeremy mi ha detto che la causa dell'incendio era una manomissione non riuscivo a capire. Poi mi sono ricordato di te.- Enjolras deglutì il pesante mattone di saliva cercando di liberare la gola. Poi, con fare deciso e repentino, si volò verso la ragazza e le afferrò violentemente i polsi.

-Credi davvero che non me ne sia accorto? Credi davvero che non mi sia accorto di quanto tu sia stata gelosa di Grantaire dal primo momento che l'hai visto? Tu odi quel ragazzo.-

-No,- tremò la ragazza - Enjolras, io n-non...-

-Smettila di cercare giustificazioni!- Amélie tacque sussultando non appena il tono di voce del ragazzo si fece molto più alterato. Non l'aveva mai visto così preso dall'ira in vita sua; era una rabbia particolare, offuscata dal dolore e dalla tristezza...Dalla certezza di non aver potuto evitare l'accaduto.

-Come hai potuto arrivare a tanto? Hai fatto del male alla persona che amo...Non te lo perdonerò mai.-

Quelle parole furono come lame affilate per Amélie. Più si ripetevano nella sua testa, più incidevano tagli profondi ed incurabili sul petto e sullo stomaco, e facevano molto più male della stretta ai polsi che Enjolras stava sperimentando su di lei in quel momento.

-Enjolras, ti prego, tu devi ascoltarmi...-

-Non voglio più ascoltare una sola parola da te. Sei un'assassina ed una fredda calcolatrice. Non voglio vederti mai più.-

Assassina.

Alla ragazza parve di essere stata rinchiusa dentro una campana di vetro e che tutte quelle frasi non facessero altro che sbatterci continuamente sopra, con forza, in modo da poter entrare ed avvolgerla in un doloroso abbraccio.

Fredda calcolatrice.

Enjolras gli lasciò i polsi alzandosi repentinamente dal muretto. Pareva che non si fosse accorto di avere gli occhi gonfi e le guance terribilmente umide, come se quella maschera contratta fosse stata la condizione con cui aveva vissuto nelle settimane precedenti. E, probabilmente, era proprio così.

Non voglio vederti.

Mai più.

-Per colpa tua, Grantaire potrebbe rimanere con le braccia e le mani paralizzate a vita. Non potrebbe dipingere mai più. Spero tu sia contenta.-

Poi, con quest'ultima manciata di parole strazianti, Enjolras corse via.

Amélie rimase attorcigliata a singhiozzare su quel muretto per molte ore, fin quando non si fece buio. Il vento, fattosi un po' più freddo, le accarezzava ancora i capelli, come se cercasse di rincuorarla con le sue mani invisibili.

Nella testa, quell'ultima frase era riuscita ad annebbiare tutte le altre, poiché la voce frantumata con cui Enjolras l'aveva pronunciata le aveva spezzato il cuore. Era come se, attraverso quelle parole, avesse potuto stabilire quanto il ragazzo si sentisse in colpa di non aver potuto salvare del tutto Grantaire.

La ragazza si asciugò gli occhi con il dorso della mano, mentre tentava di trattenere il tremolio manifestatosi non appena il biondo era scappato via.

Se solo Enjolras le avesse lasciato spiegare. Se solo le avesse lasciato confessare le colpe che in realtà non c'erano, la sua innocenza. Ma era arrabbiato, vittima di una furia che non gli aveva mai visto negli occhi.

Ciò che Amélie aveva temuto da tempo era inevitabilmente successo. Lui la riteneva colpevole, e la fanciulla sapeva bene che non avrebbe mai potuto fargli credere il contrario senza l'aiuto di qualcuno.

Poi, improvvisamente, iniziò a piovere. Mano a mano, la pioggia diventò talmente intensa che Amélie non riuscì più a distinguere le lacrime del suo dolore da quelle venute dal cielo. Alcune delle poche persone rimaste ancora a passeggiare cercarono di riparasi la testa con un giornale mentre correvano verso casa. La ragazza, invece, rimase seduta sul muro freddo ancora per qualche minuto.

Quell'acqua piovana che le scorreva addosso la tranquillizzava, forse perché da piccola aveva vissuto in una casa di campagna ed era abituata a sentire lo scrosciare dell'acqua nel pozzo o nel fiume nel quale era solita giocare. Le mancavano un po' quei tempi, quelli in cui l'ingenuità infantile oscura tutti i problemi del mondo, tutte le preoccupazioni, e dove il dolore è talmente tenue che lo si dimentica dopo aver medicato un ginocchio sbucciato.

Con un bel mucchio di malinconia, tristezza, senso di colpa e frustrazione nel cuore, la ragazza corse via sotto la pioggia incessante.

 


 

 

---

 


 

 

Intento nella sua corsa affannata, Enjolras sentì tremare il cellulare nella tasca solamente dopo qualche minuto. Si fermò e guardò il cielo: stava per piovere. La rabbia circolava ancora nelle vene e lo faceva sentire un vulcano sull'orlo di una cruenta esplosione.

Il biondino si era fermato mentre percorreva uno dei tanti parchi della città ma, più precisamente, accanto ad una panchina rossa, un po' usurata sui bordi.

-Si, chi è?- disse poggiando il telefono contro l'orecchio. Il numero sconosciuto che era apparso lo rendeva un po' ansioso.

-Enjolras? Sono Helena. Scusami se ti chiamò a quest'ora, ma non ti ho trovato a casa, per cui mi sono fatta dare il tuo numero da Danielle. Spero non ti dispiaccia.-

-Helena! No, non ti preoccupare...- Enjolras arrestò le parole per analizzare la voce femminile dall'altro capo del telefono: era tranquilla. Ascoltare Helena in quella chiamata era come venire travolti da una dolce melodia simile ad una ninna nanna. Non sapeva bene se stesse fingendosi così serena poiché non poteva guardarla in faccia, ma il ragazzo poteva giurare di non averla mai sentita così calma.

Dopo qualche secondo di silenzio, Helena continuò la sua sinfonia di parole.

-Enjolras...Devo dirti una cosa e riguarda Grantaire. Avrei voluto dirtela di persona, ma so che tu e Grantaire non...Beh, te la dico adesso.-

Il biondino non rispose. Il corpo era interamente percorso dai brividi. Erano brividi freddi, di terrore e di paura per ciò che Helena avrebbe dovuto dirgli. Enjolras temeva il peggio.

Stette in silenzio in attesa che la donna gli desse la notizia...Ma, dentro di sé, sapeva già bene di cosa si trattasse.

''Grantaire ha perso del tutto l'uso delle mani.''

Sentiva già quella frase scoppiare nel petto e disperdersi rapidamente nei muscoli delle gambe, costringendolo a vacillare appena.

Se fosse stata quella la fatidica notizia che da lì a poco gli sarebbe rimbombata nei timpani, sarebbe scoppiato in lacrime. Non avrebbe retto alla sconfitta totale. Enjolras strinse gli occhi, come se così facendo avesse potuto creare una specie di scudo contro la notizia che l'avrebbe distrutto fin dentro l'anima.

 Enjolras strinse gli occhi, come se così facendo avesse potuto creare una specie di scudo contro la notizia che l'avrebbe distrutto fin dentro l'anima

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***



Enjolras lasciò cadere il cellulare a terra, nel bel mezzo di una piccola pozzanghera.
Aveva iniziato a piovere da diversi minuti ormai, ed Enjolras aveva assistito alla chiamata di Helena sotto quelle fredde lacrime dal sapore autunnale. Dopo avergli dato la notizia tanto attesa dal ragazzo, Helena chiamava ancora il nome del biondino dall’altro capo del telefono, ma non riceveva risposta. Tutto ciò che il suo orecchio fu in grado di captare fu un tonfo nell’acqua e dei passi molto veloci che si allontanavano sempre di più.
Enjolras era corso via sotto la pioggia, e si dirigeva dall’unica persona che aveva offuscato i suoi pensieri per settimane, la stessa che aveva bisogno di lui adesso. Grantaire.
Il biondino non aveva mai corso così velocemente in vita sua; era sempre stato un tipo sportivo, certo, ma quella volta non si trattava di raggiungere un traguardo per poi avere come ricompensa un’inutile coppa di plastica. Quella volta il suo obiettivo era molto più importante, il più importante a cui avesse mai aspirato. L’unica cosa per cui correva imperterrito era abbracciare la persona che amava.
Attraversò la piazzetta principale della città mentre il vento gli soffiava sulla schiena, quasi volesse accompagnarlo in quella corsa sfrenata con la pazza intenzione di spingerlo con più forza. Alcune foglie dorate svolazzarono sui marciapiedi accanto ai quali Enjolras volava fulmineo e poi ricaddero sulla terra bagnata, stremate alla sola vista di quel ritmo incessante delle sue gambe.
Sto arrivando, mon lapinou.
Enjolras sentiva i capelli inumidirsi poco a poco, finché qualche gocciolina di pioggia non si precipitò sul suo volto, sugli occhi oceano, tentando di offuscarne la vista. Ma niente poteva fermarlo, non il male che avvertiva alla gambe dal troppo sforzo, neanche il cuore che batteva impazzito nel petto, nemmeno la vista annebbiata ed umida che cercava di rallentarlo.
Avrebbe corso per tutto il resto della sua vita se fosse stato necessario per raggiungere Grantaire.
Il biondino si sentiva inebriato da una sensazione bellissima mentre correva, una specie di elisir energizzante che penetrava fin dentro i muscoli e che li rafforzava quel tanto che serviva per affrettarsi ancora di più; forse era proprio quella pioggia ad immergerlo in quel brivido plasmato dalla gioia e dall’adrenalina. Qualunque cosa fosse, lo stava facendo rinascere.
Enjolras era senza fiato quando scorse la casa di Grantaire.
Il ragazzo sapeva di essere davanti l’abitazione giusta poiché riconobbe il famoso scacciaguai di cui sua zia gli aveva parlato molte volte. Danielle era andata a trovare Helena moltissime volte da quando Enjolras e Grantaire si erano allontanati. Le labbra bagnate del biondino si distesero in un leggero sorriso non appena si ricordò di quando la zia, settimane prima, uscì furtivamente dal retro di casa con dei dolcetti di tè coperti accuratamente da un panno bianco. Lui sapeva che stesse andando spesso a casa di Helena per starle vicino, e sapeva anche che Danielle non ne faceva parola poiché temeva di farlo stare male.
Adesso che si trovava davanti a quelle pareti legnose, Enjolras si rese effettivamente conto di quanto il suo respiro fosse difficile ed affannato.
Osservò quelle piccole conchiglie colorate poste a lato della porta di entrata danzare e chiacchierare con il vento e la pioggia; Enjolras riuscì a percepire il loro suono melodioso anche sotto la voce fragorosa della pioggia che si abbatteva sugli alberi, rubando qualche foglia ramata.


 

In pochi secondi, Enjolras si ritrovò davanti alla porta dai toni marroni. Il legno era un po’ usurato ed il ragazzo si fece distrarre dai piccoli rigonfiamenti sulla superficie, simili a delle smorfie di dolore. Tutto su quella porticina era in netto contrasto con la cura prestata nelle pareti integre ed armoniose.
Col respiro ansante ed i vestiti impregnati di pioggia, il biondo bussò in maniera decisa alla porta.
Non passò molto tempo prima che i capelli ebano di Helena gli apparsero davanti alle ciglia umide. Tutte le parole che avrebbe voluto far uscire in quel momento gli morirono sulla punta della lingua. Enjolras non riuscì a sputare fuori una sola sillaba, ma non appena notò il sorriso timido della donna, si rassicurò. C’era qualcosa in quell’espressione così serena ed amorevole che lo faceva sentire inebriato da un senso di tranquillità assoluta. Era la stessa sensazione che provava con Danielle.
-Grantaire è di sopra. Vai pure, mon saveur.- gli sussurrò la donna, portando una mano sulla guancia giovane del ragazzo e rubando una minuscola goccia di pioggia.
Quello era tutto quello che Enjolras voleva sentirsi dire. Senza farselo ripetere due volte, varcò la soglia della graziosa casetta a passi grandi, quasi avesse paura di non avere abbastanza tempo a disposizione per raggiungere il ragazzo che amava.
Helena lo guardò salire le scale a chiocciola con una leggera corsa improvvisata, mentre alcuni rivoli d’acqua piovana si abbandonavano dietro i suoi passi. Sorrise ancora poggiandosi con aria sognante alla porta ormai chiusa alle sue spalle.
Quello era ciò che aveva sempre sognato per suo figlio: qualcuno che lo amasse senza condizioni, a qualunque costo. Enjolras era come un’ancora di salvezza per Grantaire, quella a cui potevi appoggiarti anche dopo aver toccato il fondo, perché sai che non ti lascerà mai nelle profondità dell’oceano tutto solo e spaventato.
Con ancora il sorriso dato dal sollievo sulle labbra, Helena sparì in cucina.


 
---






Enjolras fu catturato dall’unica porta socchiusa del piano superiore. Sul legno bianco della stessa, c’erano dipinte sopra delle piccole mani, ognuna di un colore diverso. Un po’ più in alto, invece, c’erano mani più grandi e femminili ed il ragazzo ne riconobbe il profilo fine poiché assomigliavano molto a quelle di sua zia. Doveva essere la camera di Grantaire. Era certo che quelle impronte colorate appartenessero ad Helena ed a Grantaire e che dovevano averle realizzate quando il moro era molto più piccolo, ma già un aspirante pittore.
Enjolras sorrise avvicinandosi con passo lento alla porta macchiata di colore. Rimase con la fronte a pochi millimetri dal legno bianco per qualche secondo, giusto il tempo di poter captare qualche suono, anche il più blando, ma che potesse renderlo sicuro del fatto che Grantaire era lì, e lo stava aspettando da una vita intera. Poi, trattenendo il respiro, aprì del tutto la porta.
Grantaire era in piedi, davanti ad una tela; il petto nudo, i capelli scossi da piccoli brividi dovuti allo sforzo che le sue braccia stavano facendo nel vano tentativo di tracciare una linea rossa sulla superficie intatta della tela. Enjolras sentì le lacrime accumularsi dietro lo sguardo blu oceano, ma raccolse tutte le forze che aveva per non lasciarle fuggire lungo il viso. Il ragazzo si limitò ad avanzare lentamente verso quel corpo fattosi così gracile, quasi volesse essere pronto a prenderlo tra le sue braccia se le ginocchia avessero dovuto cedergli.
Giunse alle spalle dell’artista, a pochi centimetri dalla sua schiena nuda e tremante, la schiena che aveva accarezzato e bagnato con i suoi baci e la stessa che aveva poi visto costretta su un letto di ospedale.
Il biondino strinse gli occhi per qualche secondo e poi li riaprì di scatto, come se volesse accertarsi che quello non fosse soltanto un altro dei suoi innumerevoli sogni che lo avevano tormentato ed illuso le notti precedenti.
Strinse il corpo di Grantaire forte a sé, cingendogli i fianchi con le braccia lacrimanti di pioggia. Sotto le sue dita avvertì il figlio dell’arte irrigidirsi, ma ciò non fece che incoraggiare Enjolras a premere quel corpicino ancora di più contro il suo petto affannato. Il biondino inspirò a fondo il suo profumo, come se quell’odore confortevole avesse il potere di calmare il respiro pesante che ancora lo turbava.
-Je suis ici, mon lapinou. Et je ne te laisserai jamais.-*
Il suo fu un sussurro, un lieve mormorare con le labbra immerse nei ricci ebano di Grantaire, quelli che lo avevano fatto innamorare e gli stessi in cui adorava affondarci le dita. Sorrise non appena sentì una mano tremante accarezzargli il braccio che teneva stretto alla vita del ragazzo. Il tocco fu leggero, ma era quanto bastava per rassicurarlo e fargli finalmente capire che non si trovava avvolto nelle braccia illusorie di un sogno. Grantaire era lì, contro il suo cuore, respirava contro il suo torace ed il suo profumo era pronto ad essere assaggiato.
-Enjolras?- chiamò la voce flebile del moro. Il tono commosso con cui pronunciò quel nome fece rabbrividire il biondino. Si, sono qui. Sono sempre stato qui.
Il ragazzo dai capelli dorati non rispose, lasciò semplicemente che l’artista avvertisse il suo cuore battere all’impazzata, quasi volesse raggiungere il suo a forza di fare balzi su balzi.
All’improvviso, Grantaire si voltò. Forse per incertezza, forse per timidezza, il giovane artista ponderò ogni minima mossa da compiere per girarsi completamente tra le braccia del biondino. Una volta che ritrovò il suo riflesso negli occhi oceano dell’altro, tutto il resto parve scomparire. Nulla era più importante di quel momento, quello in cui entrambi capirono che la loro storia avrebbe avuto un lieto fine. E loro se ne meritavano uno.
Grantaire portò due dita tremanti sulle labbra socchiuse del biondino, e questi gliele baciò stringendo gli occhi, desiderando con tutte le sue forze di imprimerle per bene nella sua memoria. Aveva sognato molte volte di potergli baciare quelle dita magiche, nelle settimane precedenti.
-Mi sei mancato tantissimo.- confessò Grantaire con un filo di voce.
Non appena l’artista scorse il sorriso dell’altro, si sentì inebriato dal solito formicolio alla bocca dello stomaco che aveva avvertito la prima volta che i suoi occhi timidi si erano posati sui capelli color grano che tanto adorava. Era stato come aver trovato finalmente il posto giusto nel mondo, quel posto che aveva cercato e ricercato mille volte.
Enjolras sentiva di non poter esprimere l’uragano di emozioni che gli stava scuotendo il cuore utilizzando le parole: temeva che quelle avrebbero potuto sgattaiolare via dalla stanza senza far capire al moretto quanto veramente le sentisse vicine al cuore; dopotutto, non era mai stato bravo con i discorsi, figuriamoci con le dichiarazioni d’amore. Fu questa mancanza che lo spinse a baciare Grantaire.
Gli afferrò i ricci ebano stringendo le dita, come se non volesse lasciarlo scivolare via dalla sua vita mai più. Enjolras inspirò profondamente l’odore dell’artista captando una piccola traccia di acidume dovuto alla tempera che adorava spargersi sulle mani e sorrise sulle labbra dell’altro. Quello era il suo sapore preferito.


 



Tutti i cinque sensi di Grantaire furono scossi dolcemente dall’immediata esplosione di gioia di cui il suo corpo fu riempito, fin sotto i muscoli, persino dentro gli organi. Il cuore non gli batteva così forte da tento, forse troppo tempo, precisamente dall’ultima volta che Enjolras l’aveva baciato, prima dell’incendio.
Anche se non aveva molta forza nelle braccia indolenzite, tentò comunque di accarezzare i capelli color grano con lentezza, godendosi ogni minimo sentore di quella morbidezza di valore inestimabile. Era questo per lui: Enjolras era qualcosa di terribilmente prezioso che doveva proteggere ad ogni costo.
Mentre schiudeva le labbra per addentrasi ancora di più all’interno di quella sfera di emozioni creatasi intorno ai loro corpi, Enjolras aprì appena gli occhi, quanto bastava per assicurarsi che Grantaire fosse ancora lì, sotto le sue labbra tremanti, e che non fosse soltanto il frutto della sua fantasia.
-Mi dispiace…- mormorò l’artista accennando una voce alquanto triste. Le sue parole erano un soffio carico di rimorso sulle labbra arrossate del biondino. –Mi dispiace di averti fatto soffrire allontanandoti da me…Volevo solo proteggerti.- continuò portandosi una mano sul viso stanco.
Enjolras gli accarezzò quelle poche cicatrici rimaste appena visibili sulle guance e sorrise:
-Lo so. Ma ora non devi più preoccuparti. Finché saremo insieme andrà tutto bene. Vieni qui, mon lapinou.- e, così dicendo, Enjolras gli fece spazio tra le sue braccia, quelle braccia calde e confortanti, abbracciandolo fortemente.
-Immaginare di perderti è stato…- la voce del ragazzo si fermò, come se non riuscisse a dare una definizione abbastanza terribile a quella sensazione.
-Quando ti ho visto in quella cantina, in fiamme, io non-…E’ stato in quel momento che credo di aver capito quanto fossi innamorato di te.- quelle parole causarono un lungo brivido sulla schiena di Grantaire.
-Io l’ho capito dalla prima volta che ti ho visto nei corridoi della scuola, ti ricordi? Quando mi hai aiutato a raccogliere i disegni.- singhiozzò il ragazzo dai capelli ebano.
Enjolras rise debolmente. Certo che se lo ricordava. –E’ il mio ricordo preferito.-
Grantaire non seppe per quanto tempo rimasero così, uno sul petto dell’altro. L’artista si accorse solamente dei suoi singhiozzi che andavano diminuendo man mano che il biondino stringeva la presa su di lui. Poi il suo petto indolenzito smise di sobbalzare del tutto. Era come se avesse trasferito tutte le sue preoccupazioni alle braccia del ragazzo. Ora, si sentiva molto meglio.
Enjolras gli lasciò un altro bacio sulle labbra intrise di lacrime e poi lo aiutò ad asciugare quelle che si erano fatte strada sulle guance. Avrebbe fatto di tutto per quegli occhi, per quelle labbra rosee, per quei capelli intrisi da un vago velo di mistero che lo avevano affascinato sin dalla prima volta che ci aveva messo gli occhi sopra. Avrebbe dato la sua vita pur di poter mantenere il sorriso su quel viso splendente di luce propria.
-Sei ancora più bello quando piangi.- confessò Enjolras.
-Smettila.- ridacchiò l’altro cercando di cancellare la sua espressione imbarazzata con il dorso della mano.
Grantaire osservò l’oceano commosso negli occhi del biondino rivolgere la loro attenzione sulla tela dietro alle sue spalle. L’artista aveva cercato di riprendere a dipingere nelle ultime settimane, ma l’incidente nelle fiamme lo aveva traumatizzato a tal punto da non fargli riprendere del tutto la sensibilità con i colori. Almeno per ora.
-Non riesco molto a dipingere bene come prima,- tentennò il moretto avvicinandosi alla tela. Enjolras notò che teneva la testa bassa, quasi si vergognasse di quegli schizzi bluastri che aveva tentato di tramutare in pittura. L’osservò guardandosi le mani macchiate di tempera con una tristezza che gli strinse il cuore. Si avvicinò a lui e gliele afferrò delicatamente.
-Ci vorrà del tempo per farle guarire del tutto.- bisbigliò dolcemente il biondino. Poi, con lentezza portò le mani dell’artista alla bocca e gliele baciò amorevolmente. –Sono la cosa più bella che hai.- concluse guardandolo negli occhi.
Grantaire lo osservò compiere quel semplice gesto con un’amabilità che non aveva mai visto prima; Enjolras ci aveva posato un bacio sopra come quello potesse penetrare nei muscoli e giù, fin dentro le vene, per curare del tutto il loro male.
-Non credo di poter partecipare al concorso in queste condizioni…-
-Beh,- mormorò il biondino accarezzandogli una spalla per confortarlo,- avevo pensato di partecipare con la raccolta di disegni che ho in camera…I tuoi disegni…-
-Tu-Come fai ad avere i miei disegni?-
Enjolras abbassò lo sguardo sorridendo. –E’ una lunga storia. Comunque, non potremmo partecipare solo con quelli…Danielle si è informata e mi ha riferito che la giuria vuole anche qualche tela.-
Il ragazzo sapeva che quelle parole lo avrebbero ferito duramente. Infatti, guardò Grantaire sospirare pesantemente. Vedeva ancora l’ombra delle lacrime asciugategli sul viso che facevano da cornice all’espressione rassegnata che si era dipinto sugli occhi.
Notò che non aveva smesso di fissarsi le mani, come se fosse in attesa che potessero guarire da sole, per magia. Enjolras abbassò ancora una volta lo sguardo, stavolta senza sorridere. Era al corrente di quanto la pittura significasse per quel ragazzo, e voleva fare qualcosa per rimediare. E, forse, gli era venuta una piccola idea.
-Non puoi usare le tue mani per dipingere, giusto? Usa le mie allora.-
Grantaire corrugò la fronte con aria interrogativa. –C-Come?-
Il volto di Enjolras si illuminò con un sorriso. -Vieni, ti faccio vedere.-
Il giovane artista osservò la cascata di capelli dorati girovagare per la stanza rossa del moro in cerca di chissà cosa. Afferrò lo sgabello vicino al letto e lo trascinò a pochi centimetri dalla tela macchiata di blu. Poi, inaspettatamente, Grantaire lo vide sedercisi sopra, con lo sguardo rivolto verso il centro del quadro incompleto.
-Vieni.- sussurrò il biondino protendendo una mano verso di lui. L’artista doveva ammetterlo: aveva un po’ di timore. Non capiva bene cosa Enjolras avesse in mente, eppure c’era una vocina dentro di lui che intendeva fargli afferrare quella mano. Il moro sospirò rassegnato.

Il biondo lo aiutò a disporsi dietro di sé. -Non ho mai dipinto in vita mia, ma immagino si debba prelevare prima un po’ di colore.- e, detto questo, prese la mano destra di Grantaire e ne fece combaciare il palmo con il dorso della sua, in modo che l’artista potesse guidarlo con il sostegno delle sue dita.
-Sarò le tue mani da cui trarre immaginazione…- bisbigliò il ragazzo dagli occhi blu oceano immergendo le proprie dita nella tempera rossa, per poi posizionarle sulla superficie spoglia davanti a lui.
-Tu devi soltanto guidare le mie mani. Devi solamente esprimere tutto te stesso nella tela, come hai sempre fatto.- continuò Enjolras voltandosi appena sopra la sua spalla.
Grantaire aveva gli occhi lucidi. Non poteva credere che stesse facendo tutto questo per lui. Era bloccato dall’emozione, avrebbe voluto piangere, urlare dalla gioia, ma si limitò soltanto a trasferire la sua emozione in quel colore, facendo accarezzare la candida tela alle dita di Enjolras così lentamente che il biondino fu in grado di percepire ogni singola cellula di tessuto.
Al primo contatto con quella nuova sensazione, Enjolras sobbalzò leggermente: la tempera era fresca sotto la sua pelle, in netto contrasto con il calore dato dal palmo di Grantaire. Il moro lo guidava con così tanta maestria ed esperienza sulla superficie biancastra che Enjolras quasi fu commosso dalla voglia di dipingere che sentiva repressa svogliatamente sotto i nervi di quelle mani magiche.
Ad un certo punto, l’artista afferrò anche l’altra mano del ragazzo e la intinse nel nero. Il calore del palmo che avvertiva sopra il suo dorso aveva represso troppo a lungo quel desiderio di manifestarsi su tela, ma ora era tutto finito. Adesso Grantaire poteva giocare di nuovo con i colori, era di nuovo libero. Gli occhi oceano del biondino videro svolgere davanti a loro uno spettacolo unico, dato dai due soli colori che si incontravano e si mischiavano tra di loro attraverso linee e sfumature, come due amanti che si abbracciano in una notte fredda.

 

Grantaire si fermò improvvisamente dopo essersi accorto che Enjolras lo stava guardando con ammirazione e commozione da sopra la sua spalla. Il moro aveva il respiro affannato come ogni volta che dipingeva, ma ciò che rendeva veramente speciale quella corsa ai colori stavolta era la presenza delle dita di Enjolras sotto le sue, bagnate di pittura. Le strinse fortemente e si catapultò sul dolce sorriso del biondino.

Iniziò a baciarlo con la lentezza necessaria a cogliere ogni sapore nascosto su quella bocca che avrebbe vezzeggiato per l’eternità. Spinto da un pizzico di malizia immediata, portò una delle mani di Enjolras che aveva incatenato alla sua sul collo scoperto del ragazzo, abbandonandoci sopra una sbavatura di rosso.
-Come la prima volta?- mormorarono le labbra del biondo a pochi centimetri da quelle dell’artista.
Grantaire sorrise. -Come la prima volta.-


 
*"Sono qui, coniglietto mio. E non ti lascerò mai andare via."

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***





La teiera che Helena aveva messo sul fuoco iniziò ad emettere un acuto gridolino che la destò dai suoi pensieri. La donna scattò dalla sedia sulla quale era seduta e corse a togliere l'aggeggio metallico dalla fiamma. Per poco non si scottò le dita. Era distratta. Per tutta la notte aveva pensato alle ultime settimane, o meglio, a ciò che aveva tentato di fare prima che Grantaire riacquistasse l'uso delle braccia.

Mentre versava l'acqua fumante dentro la sua tazza preferita dai toni aranciati, si accorse di sentire un senso di vergogna dentro il suo cuore. Il solo pensiero di aver tentato di...Helena rabbrividì.

Poi qualcuno bussò alla porta di casa.

Gli occhi scuri della donna tremarono. Con un gesto veloce, Helena afferrò un' altra tazza dal bancone della cucina e ci fece scorrere l'acqua bollente. Quanto avrebbe desiderato che i brutti pensieri potessero scorrere via come quel liquido trasparente.

-Arrivo.- disse poi ad alta voce. Il timbro della stessa non suonava affatto omogeneo. Maledizione. Fra poco Danielle avrebbe varcato la soglia della porta e lei non poteva di certo farsi vedere in quello stato.

Certo, era stata lei stessa a chiederle di venire a prendere un the, ma ora non era più sicura di aver fatto la cosa giusta, né che fosse il momento adatto per rivelarle il peso che le opprimeva il petto da troppo tempo ormai.

Con un profondo sospiro, Helena posò il bordo caldi della teiera e si diresse a passo incerto verso la porta.

-Beh? Hai per caso uno spasimante in casa per il quale mi fai aspettare così tanto fuori la porta?- la voce squillante di Daniella invase improvvisamente tutto il corridoio della casa.

Helena non poté far altro che sorridere a quel scherzoso saluto. Danielle era così, capace di illuminare anche il posto più buio della terra con la sola forza della voce.

-Scusami se ti ho fatta aspettare...Il the è pronto!- affermò con un po' troppa convinzione. Stava cercando di non agganciarsi allo sguardo nocciolato dell'altra, poiché temeva che questa si fosse poi accorta dell'ombra quasi invisibile che portava sul viso.
 


 

Helena si fece seguire in cucina dal vivace ticchettio dei tacchi di Danielle, nel frattempo che tentava invano di nascondere un'espressione triste dietro il bancone della cucina.

-Siediti pure, fa' come se fosse a casa tua.- mormorò la donna dai capelli ebano, voltandosi appena per osservare Danielle sorriderle con un cenno della testa. Helena notò che i bei capelli color cioccolato erano stati arricchiti da un piccolo fiore bianco, il quale metteva in risalto lo sguardo dal tono castano della donna.

Rimase alcuni secondi a guardarla accomodarsi su una delle sedie intorno al minuscolo tavolo della cucina e poi scosse leggermente la testa, come per svegliarsi da quella specie di trans momentanea.

-Che the preferisci?-

-Alla vaniglia, ti ringrazio, chérie.- Danielle si sentiva strana. Era come se notasse qualcosa di diverso negli occhi sfuggenti che aveva davanti a lei.

Helena era diversa. Non la conosceva da molto tempo, ma aveva ormai imparato a riconoscere i gesti di una persona agitata e preoccupata da quanto si era cimentata in un'interessante lettura sul linguaggio del corpo su una rivista trovata in biblioteca.

-Dove diavolo le ho messe...-

La chioma nero lucente svolazzava in ogni parte della cucina, probabilmente per cercare le bustine di the che sembravano essersi nascoste chissà dove. In realtà, erano sempre allo stesso posto, ma quando si è in tensione non si riesce quasi mai a vedere ciò che sta proprio davanti al nostro naso.

-Helena.- a sentirsi chiamare la donna sobbalzò improvvisamente. Non appena si accorse dello sguardo interrogativo della donna, sorrise timidamente. Poi, cercando di essere più cauta possibile, afferrò il vassoio dove aveva disposto le due tazze di acqua fumanti e le portò sul tavolino. Non appena lo fece, si ricordò improvvisamente dove diavolo fossero le bustine di the. Erano sul solito cestino in vimini, all'angolo del davanzale. Dove erano sempre state.

Lo sguardo della donna si oscurò improvvisamente e con una mano, con un gesto quasi istintivo, si corpì il volto che iniziava ad essere offuscato dalle lacrime. Helena non avrebbe voluto piangere davanti a Danielle, ma sentiva di non poterlo evitare.

-Mon coeur, che succede?- Danielle si alzò dalla sedia con uno scatto improvviso e corse ticchettando verso la povera donna in lacrime.

-Non ce la faccio più Danielle, devo dirlo a qualcuno.- i singhiozzi divennero sempre più forti fin quando l'insegnante non l'accolse tra le sue braccia. Era stato un gesto istintivo, quasi materno. Faceva la stessa cosa con Enjolras ogni volta che lo vedeva crollare davanti ai suoi occhi. Danielle aveva sempre pensato che gli abbracci avessero un gran potere nelle persone...Le curavano in qualche modo, lenivano le loro ferite allo stesso modo in cui una mamma soffia sopra un ginocchio sbucciato del proprio figlio... e le facevano sentire meglio, proprio come la pittura.

-Oh, mon chérie, sei sconvolta. Siediti, oui.- cinguettò la donna, accompagnandola al tavolo.

Helena tirò su col naso. –Mi dispiace molto, non volevo rovinarti la giornata.-

-Oh, smettila. Non hai rovinato niente.- rispose l'altra scacciando quell'affermazione come se mandasse via una mosca. Gli occhi bagnati di Helena la guardavano impegnarsi nell'immergere le due bustine di the nell'acqua rovente. Le mani le tremavano un po'. Da quando l'aveva conosciuta, aveva desiderato di assomigliare a lei: il suo modo di essere sempre così frizzante, così allegra, erano tutte qualità che le invidiava moltissimo.

-Non me ne andrò da qui fin quando non mi dirai cosa succede.- continuò decisa la calda voce della donna. Helena sobbalzò non appena si ritrovò la mano stretta nella dolce presa di Danielle. Le sorrideva.

Poi, con un lungo sospiro, la donna dai capelli ebano iniziò a parlare.

-Poche settimane fa, prima che Grantaire recuperasse l'uso delle mani, io...- le parole si fermarono nella sua gola e si strinsero in un nodo che le bloccava il respiro. Danielle le accarezzò la mano in segno di appoggio, per farle coraggio a continuare.

-Stavo per ricaderci, Danielle. Stavo per ricominciare a bere.- dire quelle dolorose parole ad alta voce la spaventava. Era come fossero, tutto a un tratto, diventate parte della realtà.

-Ma poi mi sono resa conto che stavo facendo un grosso sbaglio.- abbassò lo sguardo sulle mani che si trastullavano in cerca di conforto. –E mi sono fermata. Perché ho pensato a Grantaire.-

Un improvviso senso si vergogna l'avvolse come un banco di nebbia in una fredda mattinata d'inverno. Aveva paura che Danielle la considerasse debole ed egoista.

Con occhi lacrimanti e preoccupati, Helena la guardava senza ricevere nessuna risposta da quelle labbra velate da un leggero strato di burrocacao alla ciliegia. Lo riconobbe perché lo portava sempre, e le piaceva molto l'aroma che emanava.

Danielle sospirò tristemente stringendo gli occhi. Avrebbe voluto trovare le parole giuste per rassicurare quella piccola creatura tremante davanti a lei, la stessa che ora si era di nuovo portata le mani al viso per nascondere le lacrime.

-Helena, guardami.- le sussurrò scostando leggermente le dita appena marchiate dalle rughe. Helena sospirò profondamente, inspirando l'aroma dolciastra e deliziosa della donna. I capelli lisci che le pendevano sulle spalle facevano da cornice all'espressione rassicurante che cercava di mostrarle. Elegante ed incantevole, come sempre.

-E' stato solamente un momento di debolezza...Tuo figlio era in pericolo, è del tutto comprensibile.- Danielle le sorrideva, come se così facendo potesse trasmetterle sicurezza.

-Ma tu sei stata più forte del dolore, l'hai superato perché sapevi che Grantaire aveva bisogno di te.- l'insegnante le accarezzò i capelli corvini, osservandola con tenerezza.

-Sono fiera di te, chérie.-

Helena alzò lo sguardo a quelle parole che echeggiarono dentro la sua testa. Sorrise percependo il viso inondato dalle lacrime. Poi si gettò tra le braccia di Danielle e l'abbracciò fortemente.

-Va tutto bene, tranquilla.- la voce rassicurante dell'altra donna le parlò all'orecchio, mentre le sue mani liscie le carezzavano ancora una volta i capelli, un gesto materno che afferrò il cuore di Helena in una dolce stretta, del tutto inaspettata.

Danielle sorrideva. Era sempre stata brava a ricacciare indietro le lacrime, ma quella volta l'emozione vinse su di lei, liberando una delle sue dannate lacrime e lasciandola scivolare sulla guancia, in segno di vittoria.

-Beh, direi che oramai il the si è freddato.- intervenne l'artista staccandosi svogliatamente da quell'intimo abbraccio.

Helena rise flebilmente. La donna dallo sguardo color nocciola la guardò. Almeno era riuscita a riportarle il sorriso sul viso.

-Oh, quasi dimenticavo.- trillò Danielle afferrando la borsa violacea che aveva posato a terra. –Questi sono per te. Spero ti piacciano le storie che ho scelto...Io le ho adorate.- Helena vide le braccia della donna distese verso di lei. Tra le mani ornate da anelli, c'erano quattro libri. Sorrise.

Ogni volta che la invitava a prendere un the, Danielle le portava un libro. Le diceva sempre che i libri cambiavano la prospettiva con cui si guarda la propria vita, la rendevano meno opprimente. Chissà, forse aveva ragione.

-Grazie mille, Danielle. Sei un angelo.- mormorò afferrando i quattro libri dalla copertina morbida, come piacevano a lei.

-Si, in effetti è vero.- sogghignò l'altra sorreggendosi il mento fino con il polso sinistro. Helena abbassò lo sguardo. Non sapeva dove sarebbe finita senza di lei. Doveva tutta la sua felicità a lei e a suo nipote.

-Allora, ti va di venire in biblioteca con me?- la voce dell'artista risultava talmente frizzante che Helena fu intimidita dal rifiutare.

-Beh, Enjolras e Grantaire sono soli in camera, non so se...-

-Ragione in più per lasciarli soli.- ammiccò Danielle. Poi, con il suo solito fare grazioso, si alzò dalla sedia e raccolse la sua borsa decorata da fiorellini bianchi, in perfetto tono con quello che portava sui capelli.

-Andiamo?-

Helena sospirò sorridente. Poi afferrò la mano che la donna le aveva offerto sopra il tavolo.

-Ti avverto, potremmo starci delle ore in biblioteca. E' uno dei miei piaceri proibiti.- cinguettò Danielle con la sua solita allegria.

Gli occhi timidi di Helena le sorrisero mentre varcavano la soglia della porta di casa. –Non avevo dubbi.-

 

 

 

---

 

 

 

Grantaire aprì lentamente gli occhi, ancora immerso nella deliziosa nebbiolina del sonno.

Fece un profondo sospiro mentre lo sguardo appannato diveniva pian piano più nitido, mettendo a fuoco il la tela dai toni del rosso e del nero creata la sera prima.

Un piccolo sorriso si fece spazio sul viso del ragazzo, appena illuminato dalla calda luce del mattino filtrata dalla finestra. Doveva essere piuttosto tardi. Lui ed Enjolras avevano dormito insieme, di nuovo. Dopo aver dipinto insieme la tela, avevano iniziato a baciarsi come non facevano da tempo, con una tale passione da far invidia all'amore stesso.

Erano rimasti abbracciati ad osservarsi ed ammirarsi a vicenda fin quando non erano caduti nelle mani del sonno che, con i suoi lunghi artigli, li aveva trasportati in un mondo di gioia e sollievo.

Grantaire si voltò sul lato opposto del suo cuscino. I fili dorati dei capelli di Enjolras riposavano elegantemente sul cuscino morbido del letto. Grantaire ricordò la sensazione che le sue mani tremanti avevano provato la sera prima nel riuscire ad accarezzare quei ricci color grano. Era indescrivibile, era qualcosa di talmente sublime farsi avvolgere da quel profumo e da quella tenerezza da non poter essere espresso in parole.

Facendo la massima attenzione nel girarsi completamente sul fianco senza svegliare il ragazzo, l'artista poggiò il capo facendo sostengo sul suo gomito, e concentrò lo sguardo sul biondino dolcemente addormentato nel suo letto.

Grantaire osservò il petto nudo dell'altro alzarsi e poi ricadere giù lentamente, completamente rilassato e spensierato. I capelli erano sparsi in una bizzarra e disordinata cornice che metteva in risalto il viso illuminato da luce propria, simile ad una cometa che brilla nel cielo notturno come se fosse la sua ultima occasione per dare esempio della sua luce.

Il moro strinse leggermente le labbra per resistere allo sfiorare la pelle morbida del ragazzo, ma la voglia di carezzare quel corpo perfetto vinse. Grantaire delimitò i contorni dei muscoli ben marcati del biondino con le dita, come se stesse dando gli ultimi ritocchi ad un quadro che avrebbe potuto raggiungere la perfezione.

In seguito, il giovane artista accarezzò una guancia del biondino con le sue dita instabili e sorrise alla morbidezza che avvertì sotto la sua pelle. Scese giù fino alle labbra del ragazzo e gliele baciò. Adorava perdersi nella gustosa sensazione che quella bocca perfetta era in grado di donargli. Ogni volta che la sfiorava, si sentiva al sicuro, al riparo da ogni scheggia di dolore che la vita avrebbe potuto scaraventargli da un momento all'altro. Enjolras era il suo scudo.

Proprio quando sentì di non riuscire a staccarsi dalle labbra del biondo, Enjolras cinse la sua nuca con una mano, spingendolo ancora di più sul suo sorriso compiaciuto.

-Ah però, che bel risveglio.- mormorò, per poi vezzeggiare maliziosamente le labbra che gli avevano dato il buongiorno. Non appena Grantaire si trovò avvolto dai brividi che quel ragazzo era in grado di trasmettergli, permise all'altro di posarsi sul suo corpo, in modo di dargli il pieno controllo.

Enjolras riempì il viso del moro di piccoli baci, fino a tracciare un'umida scia che proseguiva verso il collo, per concludersi al centro del suo petto nudo e tremante.

Per Grantaire era quasi impossibile riuscire a controllare il respiro quando Enjolras lo baciava in quel modo. Abbassò lo sguardo sul proprio addome, osservando il sorriso soddisfatto del biondino marcare ogni piccolo spazio di pelle non ancora accarezzato dai suoi baci. Un altro brivido percorse veloce la sua schiena non appena Enjolras lo guardò dritto negli occhi.

-Vedi qualcosa che ti piace, lapinou?-

L'artista non fece neanche in tempo a rispondere che il biondino lo sorprese abbassando leggermente le coperte che coprivano il suo bacino, continuando a sorridergli ed a rendersi padrone della situazione.

Le parole che il moro avrebbe voluto far uscire gli si bloccarono sulla punta della lingua quando Enjolras lasciò un voglioso bacio sull'inguine dell'artista. Se avesse continuato così, non avrebbe resistito a lungo.

Il biondo percepiva l'altro fremere sotto il suo tocco, e questo non fece altro che fargli stringere il dominio del momento ancora di più tra le dita. Adorava vedere Grantaire cedere a causa sua, a causa di quei dolci vezzeggiamenti che lo facevano andare fuori di testa. Diresse lo sguardo sul viso arrossato del moro.

-Temi di non potermi resistere, mon lapinou? Fai bene a temere.-

-Forse dovresti smetterla di parlare.-

-Forse dovresti farmi smettere tu.-

Grantaire si morse il labbro. Il modo in cui Enjolras aveva pronunciato quelle parole accattivanti lo fece rabbrividire: era come se le sue orecchie fossero state travolte da una scossa elettrica, da una sensuale melodia proibita d'ascoltare.

-Con piacere.- sussurrò, iniziando a sentir insidiare dentro di sé il voluttuoso mormorio della malizia. –Viens ici.- continuò, mentre faceva segno ad Enjolras di avvicinarsi a lui.

Il ragazzo dagli occhi color oceano iniziò ad accorciare le poche distanze che li separavano procedendo carponi sulle coperte tiepide del letto. Il solito sorriso compiaciuto regnava sul viso del biondo, Grantaire aveva una gran voglia di farlo sparire tra le sue labbra ed assaporarlo con cura. Poté esaudire il suo desiderio soltanto quando Enjolras fu a pochi centimetri dai suoi occhi carichi di lussuria, i quali parevano quasi gridare il suo nome in silenzio, gridarlo a squarciagola di non lasciarlo mai.

Il ciondolo dalla pietra rosso fuoco penzolò tra il poco spazio creatosi fra i loro petti. Grantaire sfruttò l'occasione per afferrarlo e stringerlo ancora di più a sè. Enjolras lo guardò sogghignando.

-Sarai la mia morte se continui a guardarmi così.- bisbigliò Grantaire strizzando gli occhi.

-Così come? – chiese l'altro, assumendo un'espressione ignara, come se non sapesse cosa intendesse. -Come se volessi mangiarti?- continuò il biondino abbandonando un piccolo morso sul labbro inferiore dell'artista. –Beh, pensandoci bene, non mi dispiacerebbe affatto.-

Grantaire fece echeggiare una leggera risatina nella stanza. Continuò a baciare Enjolras mentre la brezza mattutina accarezzava le loro pelli nude, fortemente desiderose di sfiorarsi l'una con l'altra come se volessero diventare una sola.

-Sei pronto per il concorso?- la voce del biondino si fece ancora più morbida tra un bacio e l'altro, quasi avesse paura di rompere l'atmosfera intima creatasi tra i due ragazzi.

-Una settimana passa in fretta.- sospirò Grantaire ponendo una mano tra i ricci del biondo.

-Comunque vada, per me sarai l'artista più sexy tra tutti i concorrenti.-

Il moro baciò ancora una volta il sorriso dell'altro e poi lo fece poggiare sul petto nudo, scosso appena dalla fresca brezza che s'intrufolava dalla finestra semiaperta della stanza.

Entrambi rimasero così per qualche minuto, godendosi semplicemente il respiro cauto e rilassato dell'altro. Grantaire avrebbe voluto dipingere quel momento solo per fermarlo ed imprimerlo bene su una tela, in modo che potesse diventare eterno.

-Dovresti parlare con Amélie.-

Enjolras alzò il capo e corrugò la fronte, indirizzando uno sguardo interrogativo al giovane artista.

-Cosa? Perché dovrei parlare con lei?- il biondino avvertì un senso di fastidio nell'inizio di quella conversazione. L'ultimo ricordo di Amélie non era affatto piacevole.

-Beh, io...- tentennò il moretto. Enjolras lo vide sospirare e poi sorridergli, cercando di rassicurarlo.

-So' bene che stai dando la colpa a lei per quello che mi è successo.- Grantaire parlava piano, spaventato da una possibile reazione negativa da parte degli occhi color oceano del biondo, i quali stavano assumendo un colore molto più scuro, come se il mare che viveva lì dentro si stesse trasformando in tempesta.

-E ne avresti tutto il diritto...- si affrettò a dire l'artista, accorgendosi dello sguardo fattosi scuro dell'altro. -Se solo sapessi al cento per cento che lei è colpevole.-

Enjolras non lo guardava negli occhi: aveva gettato lo sguardo su un lato della stanza, vicino alla tela dai toni rossi e neri. Sembrava che volesse scappare da quella conversazione ma, allo stesso tempo, che volesse anche ascoltare, ansioso di scoprire la verità.

-Enjolras?- lo chiamò Grantaire.

Gli occhi del ragazzo lo guardarono e sorrisero appena. Non riusciva ad essere infastidito o arrabbiato davanti al viso del moro, lo stesso viso che pareva essere stato disegnato dagli angeli in persona.

-Io...So che è stata lei. Non è la prima volta che impazzisce per gelosia. Non posso perdonarla.- sospirò il giovane dai capelli color grano, rotolando sulle coperte fino a disporsi sul fianco sinistro, con lo sguardo incatenato a quello di Grantaire.

Il giovane artista notò che il mare nei suoi occhi era di nuovo tornato sereno. Prese una ciocca dorata tra le dita ed iniziò a farla scorrere sopra la sua pelle. Forse era meglio smettere di parlare di Amélie. Non voleva vedere nuovamente scatenarsi la terribile tempesta nel suo sguardo.

-Qualsiasi cosa tu voglia fare, se perdonarla o no, rispetterò la tua scelta. Perché ti...- Grantaire avvertì un piccolo nodo alla gola. Quelle che stavano per uscirgli erano parole che non aveva mai detto a nessuno prima d'ora, perciò aveva un po' paura di farle uscire. E se fosse stato troppo presto?

Enjolras accennò un sorriso. Lo sguardo gli si illuminò come succedeva quando era felice. –Perché mi...?- il biondino fece forza sulle braccia ed alzò il capo quanto bastava per avvicinarsi pericolosamente alle labbra del moro. Porgendo la bocca sul collo del ragazzo, bisbigliò: -Non farti pregare...Dillo.-

-No.- ridacchiò l'altro. Enjolras, di risposta, gli bloccò il bacino con le gambe, disponendosi a cavalcioni su di lui.

-Dillo.- mormorò ancora una volta, afferrandogli i polsi e tenendoli fermi sopra la sua testa, come se lo avesse incatenato con una corda invisibile.

Grantaire rise divertito ed eccitato da quel gesto ma, di nuovo, scosse la testa. –Non ti darò questa soddisfazione.-

Enjolras alzò le sopracciglia. –Ma davvero? Allora me la prenderò da solo.- e, detto questo, si intromise tra le labbra dell'artista, iniziando a baciarlo con foga, come se volesse cavargli le parole di bocca da un momento all'altro. Stringeva ancora i suoi polsi al muro quando cominciò a mordergli il collo con una certa esperienza. Grantaire cercò di trattenere un piccolo lamento invano, e ciò non fece altro che penetrare fin sotto la pelle del biondino e farlo rabbrividire di soddisfazione.

-Mi piace sempre di più l'effetto che ti faccio.- bisbigliò sulle labbra umide ed arrossate dell'altro. Il ragazzo dai capelli color grano sentiva il cuore fare balzi impazziti che non aveva mai provato con nessuno, specialmente con Amélie. Con Grantaire ogni bacio aveva un sapore diverso, ogni sorriso una sfumatura differente, ogni abbraccio lo sorprendeva come il primo...E lui voleva sentirsi così per il resto della sua vita.

Enjolras lo guardò per pochi attimi, interrompendo i baci ed allentando la presa sui polsi. Si perse piacevolmente nei sogni che riposavano dietro gli occhi dell'artista, e solo allora si accorse di quanto lo guardassero innamorati. Il biondino ripercorse mentalmente le notti insonni passate all'ospedale, accanto al maledetto letto sul quale aveva pregato e ripregato mille volte, e sorrise debolmente.

-Je t'aime, mon lapinou.-

Grantaire chiuse gli occhi sorridente. Desiderava fermare quell'attimo ed imprimerselo bene nella mente, in modo che niente avesse potuto farglielo dimenticare. Fu sul punto di piangere, ma trasformò quella voglia in un bacio che lasciò dolcemente sulla fronte del biondino. Si sentiva così felice, e sapeva che nulla al mondo avrebbe potuto togliergli quella sensazione. Neanche la morte. Non ne aveva più paura ormai.

-Je t'aime aussi, mon saveur. Plus de ma vie.- mormorò con voce tremante, posando una mano sulla nuca del ragazzo sopra di lui, per poi accompagnarlo sulle sue labbra.

Colto dalla malizia del momento, Grantaire agganciò una gamba al bacino del biondino che lo sovrastava. Era come se avvertisse un canto di sirena al quale non era in grado di resistere. Sentì il solito ghigno divertito di Enjolras sciogliersi sulle labbra accompagnato da una delle sue braccia che si dirigeva sulla sua gamba, accostandola ancora di più a sé.

-Qualcuno qui si sta facendo coraggioso.- rise il biondino lasciandogli un bacio sul collo.

-Tutto merito tuo.- rispose il moro, trovando l'agilità necessaria per prendere in mano la situazione e mettersi a cavalcioni sul bacino dell'altro. Non era mai stato così audace in vita sua, ma Enjolras gli trasmetteva abbastanza sicurezza da portarlo a compiere certi gesti. Non che l'altro si stesse lamentando.

-Credo proprio di essere un bravo insegnante allora.- sorrise il biondino, poggiando entrambe le mani sui fianchi nudi dell'artista. Si passò la lingua sulle labbra, inumidendole alla vista deliziosa che gli si presentava davanti.

-Mon Dieu, sei bellissimo.- mormorò Enjolras con voce roca. Passò le sue mani decise e ferme sull'addome del moro, e rise non appena questi schiuse le labbra per emettere un piccolo gemito. Il biondo sapeva bene che bastava veramente poco per farlo impazzire, e ciò lo faceva sentire dannatamente eccitato.

Poi, un trillo inondò la stanza.

-Cos'è?-

-Oh no...Di già.- Grantaire sbuffò pesantemente. –E' tua zia. Abbiamo lezione. Per il concorso.- si passò una mano dietro la nuca, quasi si sentisse colpevole di interrompere quell'intimità.

Enjolras sospirò. Proprio mentre il moretto faceva per alzarsi, lui lo fermò stringendogli i fianchi e portandoli lentamente in avanti. Grantaire gemette a quel piccolo piacere inaspettato.

-La prossima volta riprendiamo da qui.- sussurrò il biondino, per poi avvicinarsi al suo viso e baciarlo velocemente. –Non mi scapperai facilmente, petit lapinou.-

Il giovane artista prese il viso che tanto adorava tra le mani tremanti e ricambiò. –Non vedo l'ora.-

 

 

 

---

 

 

 

 

Grantaire sorrise ai raggi del sole che lo baciavano sulla strada cosparsa di foglie dai toni ramati.

Si sentiva felice, finalmente. Avrebbe potuto correre chilometri e chilometri senza mai stancarsi, fino a raggiungere la vetta di qualche montagna e gridare a squarciagola quanto fosse innamorato di Enjolras. Finalmente qualcosa nella sua vita andava nel verso giusto.

Strinse le spalle nel cappotto nero che lo proteggeva dal venticello freddo che respirava intorno agli alberi e mise le mani nelle due tasche. Solo allora si accorse che una era bucata.

-Grantaire.-

Era Amélie. Era talmente perso nella fantastica sensazione che inebriava il suo corpo che non si era neanche accorto della sua presenza.

La ragazza dai capelli biondi lo guardava con aria carica di speranza.

-So' che non avrei nessun diritto a rivolgerti la parola,- continuavano le labbra rosee e tremanti della fanciulla, -ma sento che sei l'unica persona che mi è rimasta ora che...-

Ora che aveva perso Enjolras.

Il moro aprì la bocca per rispondere e cercare di scappare da quella domanda che gli dava i brividi, ma si fermò e, per un attimo, l'osservò. Non sapeva se stesse tremando per l'aria fredda o perché si sentisse spaventata. Abbassò lo sguardo sulla terra bagnata. Si limitò ad annuire.

 

 

(*Ti amo anch'io, mio salvatore. Più della mia stessa vita.")

 

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***





Grantaire soffiò dentro la sua tazza fumante, in attesa che il liquido nero all'interno si raffreddasse un po'.

Si guardò intorno: la giornata era buona, il sole splendeva alto nel cielo, il vento soffiava leggero, sussurrando dolci parole melodiose alle fronde degli alberi che, in risposta, tremavano compiaciute.

Quello era uno dei posti che preferiva della cittadina. Era un chiosco, situato in un piccolo vicolo pieno zeppo di fiori, dei quali si poteva respirare a pieni polmoni la poesia di ogni singolo petalo. Sebbene fosse alquanto minuscolo e riservato, quel posticino era perfetto per chi desiderava riposare un po' la mente in compagnia di un buon libro o di una tazza di caffè.

Grantaire sospirò, inalando a fondo la familiare fragranza di rosa canina. Adorava le rose a tal punto di ritrarle molto spesso nei suoi disegni. La rosa rossa, in particolare, era la sua preferita.

La tazza che aveva tra le mani indolenzite era bollente, eppure l'artista la stringeva come se fosse il portafortuna più prezioso al mondo. Forse cercava di distrarsi dallo sguardo cauto di Amélie, seduta proprio di fronte a lui. Grantaire temeva che il tavolo che li distanziava in ferro battuto, non fosse in grado di offrirgli una buona protezione dalle parole che la ragazza stava per pronunciare ad alta voce.

-C-Come ti senti?- parlò finalmente la fanciulla dagli occhi verdeggianti. Prima di rispondere, il giovane notò che anche lei teneva le mani ben salde attorno alla tazza di fronte a sé. Magari era spaventata quanto lui.

-Sto molto meglio...Grazie.- sussurrò incerto il ragazzo, senza osare incrociare lo sguardo dell'altra.

Erano seduti nel chiosco da più di venti minuti, e solo pochi secondi fa uno dei due era riuscito a dire qualcosa. Amélie aveva pronunciato quelle tre parole con fatica, come se avesse dovuto correre per chilometri e chilometri prima di potersene liberare. Sapeva bene, però, che avrebbe dovuto continuare a faticare ancora per un po': doveva assolutamente parlargli di ciò che era successo.

-Lo so che neanche tu mi credi,- mormorò tenendo lo sguardo aggrappato al liquido immobile tra le sue mani,- ma non sono stata io a provocare l'incendio.-

Grantaire, finalmente, la guardò. Non riusciva a vedere bene i suoi occhi, ma poteva giurare che stesse piangendo. Il ragazzo lo aveva capito dalla sua voce, quel sibilo così debole, così commosso da qualcosa che la disturbava profondamente, che la turbava a tal punto farle tremare le parole.

Fu a quel punto che Grantaire dubitò della sua colpevolezza...Era stata veramente lei a tentare di fargli del male? Schiuse le labbra trepidanti per parlare.

-Ti prego, non dire niente...Ci ha già pensato Enjolras ad incolparmi...- intervenne la ragazza con un sorriso amaro sulle labbra e la mano alzata, come se volesse respingere fisicamente qualunque cosa che Grantaire volesse dirle.

Il viso ornato dai capelli biondi era spento, stanco. Grantaire osservò la fanciulla scansare una piccola ciocca che il vento le aveva fatto finire sopra gli occhi, quasi volesse velare lo sguardo offuscato dalle lacrime al resto del mondo.

-Ammetto di avervi seguito a scuola quando siamo tornati dal campeggio.- iniziò Amélie, scandendo ogni parola come se fosse di importanza vitale che Grantaire le capisse. Poi cominciò a giocherellare con le goccioline formatesi sul bordo della tazza fumante.

-Ero gelosa. Enjolras mi aveva lasciato per...per un altro ragazzo.-

Grantaire rabbrividì a quelle parole.

-Mi aveva detto che si stava innamorando di te.- gli occhi verdeggianti della biondina si andavano scurendo man mano che le labbra tremanti tiravano fuori quelle parole così dolorose.

-Ero così arrabbiata, furiosa...- mormorò Amélie stringendo ancora di più la presa attorno al contenitore in ceramica, come per dimostrargli cosa avesse provato in passato. –Io ed Enjolras siamo stati insieme per molto tempo prima del tuo arrivo, perciò vederlo allontanarsi da me è stato un duro colpo.-

Poi, la ragazza si fermò per qualche secondo e scrutò il cielo. Grantaire la guardava controllando il respiro, tutto il suo corpo era in tensione, lo sguardo sfuggente, la postura sull'orlo della sedia argentata, come se le sue gambe lo stessero pregando di andare via da lì il più presto possibile.

-Ho sempre pensato che fossimo fatti l'uno per l'altra, almeno così dicevano i miei genitori.- sospirò lei.

-Ma poi, quando vi ho visto nell'aula di arte, a scuola...Ho capito tutto.- Amélie, adesso, lo stava guardando negli occhi con una compassione ed un imbarazzo unici. Strinse lo sguardo per far scivolare giù una lacrima. Grantaire si poggiò sullo schienale della sedia, deciso ormai ad ascoltarla.

-Il modo in cui Enjolras ti guardava, e ti guarda ancora...Con me non l'ha mai fatto. E quando parla di te...-la ragazza rise amaramente –ha una luce negli occhi che non gli ho mai visto prima. E' come se diventasse una persona completamente diversa quando sta con te. Una persona felice.- la ragazza tentava di controllare il tono della voce per farlo sembrare fermo e deciso, anche se le lacrime le percorrevano il viso silenziosamente.

Grantaire la osservava parlare con emozione, capiva quanto fosse dispiaciuta e commossa dal sentimento che lui ed Enjolras condividevano. Il sentimento che Amélie aveva sempre cercato in lui e che non aveva mai trovato.

-Quando vi ho visti baciare nell'aula, ho capito quanto foste innamorati l'uno dell'altro, e tutta la gelosia che mi portavo da tempo sulle spalle si è trasformata in senso di colpa, perché avevo cercato con tutte le mie forze di tenerlo stretto a me...e di non fargli vivere la più bella storia d'amore della sua vita.-

L'artista aveva gli occhi lucidi. Per quanto avesse potuto temere quella ragazza sin dal primo momento che l'aveva vista, adesso si accorgeva della sua vulnerabilità, che era sempre stata nascosta sotto l'impenetrabile involucro che le circondava l'esile corpo e col quale si faceva scudo davanti a tutti. Quella corazza, adesso, si era sgretolata in mille pezzi.

Amélie guardava in basso con occhi spenti, come se anche lei si fosse accorta dei pezzi invisibili ormai ridotti in frantumi ai piedi della sua sedia. I brividi sulle spalle la scuotevano fortemente, accompagnati da una lunga serie di flebili singhiozzi.

-Amélie...-

-Mi dispiace tanto, Grantaire. Mi dispiace per quello che ti è successo...Non sono stata io, devi credermi, ti prego! Almeno tu, devi.- lo sguardo disperato della biondina lo pregava con sincerità. Grantaire scorse un velo di imbarazzo dietro i toni olivastri degli occhi di quella figura che lo supplicava, scossa dai trementi brividi.

L'artista le accarezzò i fili dorati dei capelli con la mano tremolante. Sarebbe stato così bello riportare quella cascata dorata su tela. Era sicuro che Amélie gliene sarebbe stata grata.

-Io ti credo.-

Amélie non desiderava altro. Bastarono quelle tre parole a farla sorridere, un sorriso che Grantaire non le aveva mai visto posare prima d'ora: era come se, davanti a lui, ci fosse un'altra persona, un lato della ragazza che aveva sempre ignorato, troppo preoccupato ad evitare di imbattersi in quello che conoscevano tutti...perfido e perfetto.

Mentre osservava la fanciulla liberarsi da tutto il fardello e l'inutile senso di colpa portatisi sulle spalle, Grantaire si chiese se esistesse davvero la perfezione o se fosse tutta una farsa. Molte volte, nei suoi dipinti, aveva tentato di raggiungere quel fatidico trofeo tanto bramato da tutti, ma si era spesso arreso a buttare fuori le sue emozioni, e basta. Non era già sufficiente? La perfezione non esiste. O si?

Perfezione.

Una parola talmente desiderata da diventare realtà e, spesso, da fare molta paura. Amélie era perfetta. Almeno, così aveva pensato Grantaire la prima volta che l'aveva vista nel fondo del corridoio della scuola, con i suoi capelli che sembravano essere stati baciati dal sole in una calda giornata d'agosto, e quel viso così armonioso da fare invidia ad Afrodite stessa. Perfetta.

Ma lo era davvero? Le lacrime della ragazza non smettevano di scendere.

Forse la perfezione era soltanto una maschera, un fantasma, un'allucinazione in grado di infiltrarsi sotto la pelle degli altri per convincerli a pensare di non essere abbastanza.

Grantaire accarezzò ancora una volta i capelli di Amélie, e ricevette un altro sorriso dalla ragazza. Le due tazze, nel frattempo, si erano probabilmente freddate, ma a nessuno dei due importava. Il chiosco silenzioso sembrava aver ascoltato tutta la conversazione, i petali dei fiori non danzavano più col vento, come se si fossero fermati anche loro ed avessero persino preso parte alla scena, soffrendo con le lacrime della ragazza. Si, quella cittadina era davvero magica.

-Sai, dopo aver visto te ed Enjolras nell'aula d'arte,- riprese la voce femminile, fattasi più leggera – sono corsa da Jeremy. Non so perché. Mi trasmette sicurezza.-

Già, Jeremy. Il migliore amico di Enjolras, colui che lo aveva sempre sostenuto in tutto. L'artista si ricordava ancora di quando lo aveva colpito in testa nella palestra della scuola, con una mira che avrebbe fatto invidia al miglior tiratore di coltelli del mondo.

Grantaire sorrise. –So che è anche venuto all'ospedale per vedere come stavo. E so che avresti voluto venire anche tu, ma immagino che Enjolras non te l'abbia permesso.-

Amélie annuì asciugandosi lo sguardo bagnato. –Già. Jeremy mi aveva chiesto di accompagnarlo...Ma sapevo che non sarebbe stata una buona idea.-

Il giovane artista notò con quale attenzione Amélie pronunciasse il nome del ragazzo, come se fosse un diamante prezioso da custodire gelosamente tra le labbra. Ai suoi sensi d'artista, quelle piccole sfumature, non scappavano.

-Ti ringrazio, Grantaire. Non ho nessun diritto di chiederti di credermi ma...-la biondina sospirò, sollevata –tu l'hai fatto comunque. Capisco perché Enjolras abbia scelto te.-

La mano della ragazza si posò su quella del moretto, inaspettatamente. Grantaire fu quasi tentato di ritrarla, sorpreso da quel gesto dolcemente imprevisto. Poi, accennando un sorriso, la strinse.

 



 

 

---

 

 

 

 

-Stai migliorando, chéri!- la voce squillante di Danielle risuonò per tutta la stanza. La donna si era avvicinata furtivamente a Grantaire, mentre questi cercava di plasmare la realtà sulla tela sporca di colore che aveva davanti agli occhi. Era difficile riacquistare le movenze fluide che le sue mani possedevano prima dell'incendio. Ma nulla era impossibile. Almeno, così diceva Danielle. Quella donna non si perdeva mai d'animo e la cosa più sorprendente era che, solamente stando nelle sue vicinanze, si veniva contagiati da quell'aria frizzante d'allegria che emanava da tutti i pori.

-Sicura? A me sembra di tremare ancora molto...- sussurrò incerto il ragazzo dagli intricati ricci ebano. La donna gli circondò le spalle con un braccio, senza prima aver fatto ticchettare gli enormi bracciali sul polso.

-Oh, sciocchezze! Riconosco un tratto deciso quando lo vedo! Sono fiera di te.-

Grantaire era stato molto spesso da Danielle per cercare di riallenare le mani alla pittura, dopo la tragedia. Per giorni aveva temuto fortemente di non poter più riavere la sensibilità giusta per poter sentire i colori e giocare con loro. Lo aveva sempre fatto, sin da quando era solo un marmocchio geloso dei suoi pastelli, perciò smettere così all'improvviso lo avrebbe turbato profondamente.

-Grazie, Danielle.-

I capelli castani della donna, raccolti in una crocchia delicata, incorniciarono il sorriso commosso che apparve sul suo volto, segnato da una vita di risate.

-Ehilà, lapinou.-

Enjolras.

Avrebbe potuto riconoscere quel caldo tono di voce anche in mezzo ad uno stadio pieno di gente.

Il biondino varcò la soglia della stanza con decisione, ignorando tutte le varie tele sparse e la gran quantità di pennelli di ogni forma e dimensione raccolti ordinatamente in vari ceste sporche di colore. Non che sua zia non le pulisse, ma preferiva semplicemente lasciarle così, poiché diceva che sembravano più "vive".

-C-Che ci fai tu qui?- sorrise Grantaire, visibilmente sorpreso da quella apparizione angelica.

Il ragazzo dai capelli color grano rise lievemente. Poi, con fare molto rilassato, poggiò la busta di carta che aveva tra le mani su un piccolo tavolino e si diresse verso il moretto.

-Beh, sono o non sono la tua musa? Non puoi liberarti di me.- con un piccolo ghigno soddisfatto, afferrò le mani fresche di colore dell'artista e se le portò attorno al collo, per poi poggiare le labbra sul sorriso dell'altro e baciarlo.

Danielle, spettatrice di quella dolce scena, cercò di distogliere lo sguardo da quello che le sembrava un momento piuttosto intimo. Tentò di distrarsi volutamente stendendo alcune pieghe del vestito fiorato che cingeva perfettamente la sua figura alta e snella. Non riuscì, tuttavia, a trattenere un piccolo sorriso compiaciuto.

-Ho una sorpresa per te.- sussurrò Enjolras mordendosi il labbro inferiore.

Grantaire si lasciò trasportare dalle morbide mani del ragazzo sino a raggiungere la busta di carta abbandonata sul tavolino in vetro, realizzato personalmente da Danielle.

Un improvviso trillò echeggiò nella stanza.

-Oh, deve essere il mio cellulare! Pardonnez-moi!- concluse in fretta Danielle non appena riconobbe il familiare suono elettronico. I fiori rossi sul vestito della donna presero a danzare via dalla stanza, scossi dai passi veloci dell'artista. I due ragazzi sorrisero a quella fuga repentina...Probabilmente, la donna si era dileguata così in fretta e furia poiché era visibilmente imbarazzata nell'assistere a quel romanticismo che non vedeva da molto tempo.

-Non è un granché, niente di speciale, ma appena l'ho visto ho pensato a te.-

Enjolras aveva tirato fuori un piccolo bracciale argentato. Mentre lo teneva tra l'indice ed il medio, lo alzò verso l'unica finestra della stanza, in modo che fosse toccato dalla luce del sole...E fu a quel punto che Grantaire sorrise.

-Quando tocca la luce diventa di due colori...Rosso e nero. Ne ho uno anch'io.- continuò per poi alzare il polso per mostrarlo a Grantaire.

L'artista ammirava l'oggettino colorato come se fosse un dipinto rarissimo da scovare. Anche se agli occhi degli altri poteva apparire alquanto insignificante e banale, quel gesto significava tutto per lui. Fiducia, lealtà, amore. Avrebbe voluto dirgli quanto lo avesse reso felice, ma le parole sembravano non volerlo aiutare.

Enjolras, al contrario, pareva preoccupato ed insoddisfatto del proprio dono. -L-Lo so che non è originale o grazioso...ma-

Grantaire zittì quelle parole confuse con un bacio. Cinse la nuca del biondino inebriandosi del suo solito profumo personale e la spinse ancora di più su di lui, quasi per far si che abbandonasse completamente le parole e si concentrasse solamente su quel bacio. Quando lo liberò dal dolce tormento, notò che Enjolras teneva ancora gli occhi chiusi, come se non volesse perdersi il sapore della sue labbra.

-Fallo di nuovo, non credo di aver capito il concetto.- mormorò il biondino, mostrando un invitante ghigno sulle labbra.

-Magari dopo, se poserai per me.-

-Proposta invitante. Ci sto.-

Grantaire rise mostrandogli il polso nudo, in modo che il ragazzo potesse allacciargli il bracciale bicolore. –E' bellissimo.- mormorò una volta che poté ammirare quei due colori abbracciarsi alla luce del sole. –Molto romantico.-

-Quindi...mi merito un premio?-

Il giovane artista rispose al malizioso sussurro del biondino con un altro piccolo bacio sulle labbra. Lo guardò perdersi nei suoi occhi, per poi baciarlo ancora, stavolta con più foga. Oh, si meritava più di questo.

-Beh, non vedevo tanta azione da anni.- intervenne Danielle con un grazioso cinguettio.

I due ragazzi si staccarono repentini uno dalle labbra dell'altro, colti in flagrante, ma entrambi scoppiarono in una fragorosa risata non appena notarono quanto il viso della donna si fosse tinto di rosso.

-Mi hanno chiamato dalla scuola.- continuò, brandendo il cellulare tra le mani. –Riguardo l'incendio.-

L'atmosfera romantica e dolciastra lasciarono il posto ad una pesante aria carica di tensione. Cosa era successo ora?

-Hanno fatto ulteriori controlli al sistema elettronico, e sono arrivati alla conclusione che non è stata una manomissione a causare l'incendio, bensì, un corto circuito. Si prenderanno tutta la responsabilità.-

Un corto circuito.

Non è stata una manomissione.

Enjolras avvertì un nodo stringersi attorno alla sua gola, interamente costruito da quelle poche parole.

Grantaire gli afferrò una mano e la strinse fortemente. Nonostante il senso di sollievo che avvolgeva il suo corpo, percepì i muscoli contratti del ragazzo accanto a sé. Lo guardò.–Vuol dire una sola cosa.-

Il biondino lo fissò con occhi tristi e colpevoli. –Amélie è innocente.-

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***





Enjolras mugugnò qualcosa di incomprensibile nel tiepido stato di dormiveglia in cui era immerso.
Probabilmente stava cercando di svegliare la creatura dai capelli ebano accartocciata al suo fianco: Grantaire stava dormendo nella solita posizione che aveva da sempre assunto sin da quando era piccolo, sul fianco destro, con le ginocchia vicine al busto e la testa piegata quasi al punto di toccarle, come se disegnasse una piccola sfera col corpo. Era l’unica posizione che lo faceva sentire protetto, al sicuro, come se si trovasse ancora a galleggiare dentro il ventre di sua madre.
-Ehilà, svegliati, mon lapinou…- la voce roca di Enjolras, dovuta all’imminente risveglio, vibrò sopra il corpicino accucciato del giovane artista, facendolo sorridere nell’udire quel dolce nomignolo che tanto adorava.
-E’ il grande giorno oggi.- Enjolras si girò con tutto il corpo verso il moretto, prestando molta attenzione ad accarezzare uno per uno quei ricci ribelli, facendoli rotolare sulle proprie dita.
Grantaire sospirò. Il giorno del concorso era finalmente arrivato.
Era assurdo quanto potesse essere breve una settimana. Con fare lento ed assonnato, l’artista si liberò dalla piccola gabbia che si era creato con le ginocchia ed incontrò gli occhi del biondino, quell’oceano in cui avrebbe potuto perdersi per ore, lo stesso che gli avrebbe sempre offerto un posto al riparo dal mondo. Quegli occhi lo amavano.
Era incredibile: non aveva mai visto qualcuno amarlo in quel modo.
-Come ti senti?-
-Agitato.- Grantaire abbassò lo sguardo, come se cercasse di nascondere la sua insicurezza sotto le coperte. -Ho paura che possano tradirmi.- sussurrò, guardandosi le mani scosse dai primi tremori mattutini che gli avrebbero fatto compagnia per tutta la giornata.
Enjolras sorrise leggermente, poi afferrò le dita marchiate di sbaffi di colore e gliele baciò. –Fidati delle tue mani. E se dovessi avere paura durante il concorso, immagina che le mie siano proprio sotto alle tue.-
Nell’udire quelle brevi ma significative parole, il giovane dai ricci ebano sorrise posando le sue labbra distese su quelle del biondino. Avrebbe potuto baciarlo in eterno, senza stancarsi mai.
-E se vincerai…-continuò il biondo, rovistando sotto la maglia dell’altro con fare alquanto malizioso, -il tuo bel saveur ti darà un piccolo premio…- Grantaire gemette a quelle invitanti parole dal tono caldo, chiuse gli occhi e si lasciò cullare dai brividi che avvertiva sull’intera superficie della schiena. Enjolras
-Promesso?-
-Promesso.- concluse Enjolras baciandolo ancora una volta.


 
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-Vite! Vite! Grantaire, mon coeur, sei pronto? Stanno per iniziare!-
Danielle sembrava impazzita. La sua voce simile al canto di un usignolo in una calda giornata di primavera si era trasformata in un allegro cinguettio leggermente marchiato dai toni dell’agitazione.
Lei, Helena, Grantaire ed Enjolras si trovavano a scuola, nell’aula di pittura, la stessa aula dove Danielle era solita spruzzare un po’ di colore sulla materia grigia degli studenti, dove tutto era iniziato. Il giovane artista, seduto su uno dei tanti banchi sporchi di pittura, tentava di rispondere alle continue domande della donna senza, però, riuscire a dire una parola, dato che la donna lo interrompeva ogni volta con una nuova domanda dettata dall’inquietudine.
Quando rivolse lo sguardo preoccupato ad Enjolras, il ragazzo gli sorrise. Il biondino era in piedi tra le sue gambe, con il volto rivolto verso sua zia che danzava da angolo ad angolo e le punte delle dita che carezzavano i jeans dell’altro.–Quando è agitata, diventa un vulcano.-
L’artista, a quel punto, si limitò ad osservarla dal fondo della stanza, cingendo il collo di Enjolras con un braccio, come per mettersi comodo e godersi quella scena divertente.
Al posto delle sue incantevoli gonne dalle mille colorazioni che sembravano uscite da un quadro impressionista, Danielle indossava un lungo vestito impregnato dalle tenui nuances dell’azzurro. Pur nelle emozioni più disperate, quella donna non mancava mai d’eleganza.
Helena si era disposta a lato dei due ragazzi, la guardava marcare a passo veloce il perimetro della stanza come se dovesse misurarlo a costo della sua vita. Da quando la conosceva, anche se non era molto, non l’aveva mai vista in quello stato di ansia ed agitazione. Certo, come darle torto. Da quando si erano recati a scuola, tutti e quattro erano stati avvolti dal pesante velo del nervosismo, tutto dovuto a quel concorso. Sapevano cosa volesse dire per Grantaire, ma questo non faceva altro che agitarli ancora di più.
-Santo Cielo, Danielle, siediti o ci farai impazzire tutti!- rise finalmente la donna, facendo quasi sparire del tutto le dolci rughe attorno alle labbra. Cercava di nascondere la sua inquietudine dietro ad una risata, lo aveva sempre fatto.
Grantaire, per un attimo, guardò sua madre ridere. Non la vedeva così felice da molto, forse troppo tempo. In passato, vedeva riflesse le perfide mani dell’alcolismo oscurarle lo sguardo ogni volta che posava gli occhi su di lei. Ora, c’era solo gioia e luce.
Strinse ancora di più a sé Enjolras senza smettere di guardarla e sorrise. Si meritava di essere felice. Se lo meritavano entrambi.
-Hai ragione, Helena…E’ che sono così agitata…Vincere questo concorso significherebbe grandi cose per il nostro Grantaire…-
La donna dai capelli ebano le sorrise ancora, avvicinandosi a lei. In sottofondo, la scuola fremeva dalle mille voci che si erano raccolte in teatro, in attesa dell’inizio del concorso.
-Lo so. Sono agitata anch’io.- le disse accarezzandole una guancia con il palmo della mano fredda. –Ma lui, invece, sembra tranquillo.- affermò Helena, volgendo lo sguardo sul figlio.
-Tra le braccia di Enjolras è sempre tranquillo. – rispose Danielle con aria divertita. -Avresti dovuto vederli al campeggio, erano-
-Di cosa state parlando voi due?- intervenne Enjolras con voce sospettosa.
Le due donne si scambiarono un fugace sguardo complice. Poi sorrisero. –Niente.-
-Beh, è meglio che vada, prima che una di voi due racconti qualche cosa di imbarazzante.- Grantaire si alzò scuotendo la testa. Il ragazzo si diresse al centro della stanza, proprio di fronte alle due donne, mentre Enjolras si posizionò sullo stipite della porta d’ingresso. Probabilmente, preferiva dargli il “buona fortuna” per ultimo.
-Ricordati quello che ti ho insegnato. Andrai benissimo.- trillò eccitata Danielle, per poi baciargli la fronte quasi con fare commosso. -Maledizione, più divento vecchia e più ho la lacrima facile!- continuò alzando le mani al cielo in segno di disperazione.
Grantaire rise. –Grazie Danielle.-, poi osservò la donna dirigersi verso l’uscita della stanza, scuotere i biondi ricci del nipote e sparire nel corridoio con un ultimo sorriso.
-Sono così fiera di te, mon chiot.- sussurrò con voce tremante stringendo il ragazzo sul suo petto. L’artista cinse i fianchi della madre come se quello fosse il loro ultimo abbraccio. Aveva paura. Era terrorizzato dall’idea che le sue mani lo tradissero di nuovo. Cercò di imprimere bene in mente l’odore materno che tanto amava, quasi per tentare di sostituirlo a quello acre della paura.
-Non importa se non riesci a vincere il concorso…Tu hai già vinto per me.-
Helena gli teneva il viso tra le mani, nel frattempo che tentava invano di trattenere le lacrime, ormai scese giù, fin sotto il collo. Era così fiera di lui. Grantaire, per molte volte nella sua vita, aveva significato salvezza e sostegno. Adesso, la donna voleva che avesse il supporto necessario che gli aveva fatto mancare negli anni bui dell’acolismo. Grantaire non l’aveva mai incolpata per l’accaduto, ma c’era sempre il piccolo angolo nel cuore di Helena che la faceva sentire terribilmente in colpa…La faceva sentire una cattiva madre.
-Se dovessi esitare, se dovessi sentirti insicuro durante il concorso, ti basterà volgere lo sguardo in platea. Io sarò lì, a sostenerti.- continuò la voce emozionata della donna.
Grantaire dovette deglutire più volte per cercare di nascondere le lacrime di gioia che lottavano per appannargli gli occhi. -Grazie, maman. Ti voglio bene.-
-Oh, anch’io te ne voglio, cheri. Te ne voglio tantissimo.-
Rimasero abbracciati uno nelle braccia dell’altra per un paio di minuti, il tempo necessario per permettere ad Enjolras di osservarli con un terribile brivido nel cuore. Era un brivido freddo, atroce, dato dalla tristezza ogni volta che pensava alla sua di madre. A lui non era permesso di abbracciarla in quel modo. Non l’avrebbe mai più fatto. Eppure, con quella sensazione che gli strappava a morsi il cuore, Enjolras sorrideva.
Grantaire guardò sua madre scomparire dietro le mura del corridoio mentre ancora avvertiva dentro il cuore la sensazione di calore che quella breve ma intensa conversazione gli aveva trasmesso. Poi la sua attenzione si spostò sul meraviglioso ragazzo dagli occhi oceano che gli sorrideva sulla porta.
-Avete un bellissimo legame, voi due.- Enjolras parlava con voce spenta, come se avesse voluto neutralizzare ogni minima emozione dalla sua voce. Ma stava semplicemente nascondendo la sua tristezza.
-Somiglia molto a quello che avete tu e Danielle.- l’artista si era ormai avvicinato al suo viso, e lo guardava con occhi pieni di conforto, quasi avesse inteso cosa il biondino stesse provando. Con una mano tremante, gli sfiorò il viso, soffermandosi sulla linea della mandibola.
Anche con tutte le lacrime che gli offuscavano lo sguardo, Enjolras riuscì a scorgere la voglia di sorridergli. La tristezza crollò. Ora c’era soltanto luce nella sua voce.
-Andrà bene, -disse, afferrando le mani dell’artista e premendole sul proprio petto. –Senti? Senti come batte? Anche se perderai, batterà lo stesso così forte. Batterà per te. E non smetterà mai, qualsiasi cosa accada.-
Per un momento, Grantaire si sentì mancare il respiro. Il cuore che sentiva pulsare sotto le sue dita, pulsava veramente forte. Non importava quanto le sue mani fossero indolenzite, Grantaire sentiva il battito accelerato dentro di sé, lo percepiva come se fosse il suo. Osservò l’oceano dentro gli occhi del biondino e sospirò quando notò che l’acqua dipinta di blu era tranquilla, serena.
-Dipingerò per te.- il giovane artista sussurrò sulle labbra dell’altro, e poi le catturò tra le sue per baciarle.
Se questo era amore, era il colore più bello che avesse mai visto.


 
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Il teatro era pieno di gente. Studenti che prendevano posto sulle sedie rosse della platea richiamando alcuni amici, professori che se ne stavano silenziosi ai bordi della sala per controllare che tutto fosse in ordine…La maggior parte di loro era estranea alla memoria di Grantaire, ma quando sbirciò dalla tenda del prosenio, nei suoi occhi vide riflessa soltanto l’immagine di Danielle e sua madre, sedute in prima fila con lo sguardo fiero e sorridente…ed Enjolras, due sedie accanto a loro.
A Grantaire non era mai piaciuto essere al centro dell’attenzione, figuriamoci salire su un palco con i riflettori puntati addosso ed un pubblico intero che ti fissava come un fenomeno da baraccone. Gli altri concorrenti avevano già dato parola alle loro abilità…Adesso toccava a lui.
Danielle gli aveva spiegato che tutti i candidati avrebbero dovuto eseguire un quadro davanti agli occhi dei presenti e dei giudici, in meno di dieci minuti. Già, i giudici. Il ragazzo li aveva riconosciuti con facilità: erano tutti seduti dietro un lungo tavolo di legno, poco distanti dalla prima fila di sedie rosse. Due donne e due uomini, portamento elegante, facce che sembravano assorte in pensieri di alta filosofia. All’uomo dalla abrba curata più a destra, Grantaire abbinò il verde smeraldo, un colore serio ma d’impatto. Alla donna dal cappellino decisamente nelle corde di Danielle, un viola scuro. Raffinato e seducente.
Quando sentì chiamare il suo nome da uno dei giudici, il ragazzo trasalì. Si guardò istintivamente le mani che tremavano più del solito e sospirò. E se non fosse riuscito a dipingere?
Se dovessi esitare, ti basterà volgere lo sguardo in platea.
Il corpo tremante di Grantaire apparve sul palcoscenico. Dietro di lui erano state disposte tutte le sue piccole opere: c’era l’angelo dagli occhi azzurri, tutti i suoi schizzi, il ritratto del ragazzo dai capelli color grano…Tutta la sua essenza davanti allo sguardo curioso del pubblico.
Si sentiva a nudo, completamente esposto senza difese agli occhi del mondo.
Io sarò lì, a sostenerti.
Helena gli sorrise. Lei era veramente lì, in prima fila, con la mano stretta in quella di Danielle, lo sguardo orgoglioso. Enjolras, invece, gli mandò un piccolo bacio volante con la mano, rischiando di farlo arrossire.
Ma all’artista non importava. Il rossore era dato da un colore che rivedeva nel ragazzo che amava, e perciò non avrebbe mai potuto odiarlo. Era da sempre stato il suo colore preferito, quello che prediligeva prima di iniziare a disegnare…Era il colore dell’amore.
Con un profondo sospiro e l’annuire dei giudici, Grantaire iniziò a dipingere.
 

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***









Grantaire sentiva la tensione scorrergli nelle vene. Era una sensazione fredda, come se fosse stato rinchiuso dentro una gabbia in balìa del vento gelido dell’Antartide.
La platea, immersa nel silenzio assoluto, ascoltava ostinata il fruscio delle dita dell’artista sfiorare la tela ormai bagnata dai toni del giallo, del blu e del rosso. Il pubblico non riusciva a percepire molto la forma del disegno, poiché il ragazzo non aveva accennato i bordi della figura…Grantaire non lo faceva mai all’inizio. Lasciava semplicemente parlare i colori.
Le mani del ragazzo tremavano, ma si trattava solamente di un leggero scuotersi che gli permetteva ancora di poter controllare la crescita di ogni singolo colore.
Helena sedeva rigida sull’orlo della poltroncina rossa del teatro, pronta a correre da Grantaire se qualcosa fosse andato storto. Quando si accorse che le mani del figlio esitarono per un istante, il respiro le mancò per un attimo che sembrò durare un eternità. Stringeva la mano di Danielle con una forza quasi disumana, era certa che gliela stesse stritolando, ma quello era l’unico modo per scaricare un po’ di tensione. D’altra parte, la donna dalla chioma castana seduta accanto a lei non si stava lamentando per nulla. In realtà, pareva condividere le ansie e le preoccupazioni racchiuse nel corpo di Helena, quasi riuscisse a percepirle sulla sua pelle.
Enjolras tenne gli occhi fissi sulle braccia oscillanti di Grantaire per la maggior parte del tempo, poi li fece scorrere sui suoi stessi disegni e dipinti disposti intorno a lui, come se il palcoscenico stesso cercasse di definire la sua personalità d’artista incorniciandolo dentro un quadro plasmato dall’immaginazione.
Il biondino sospirò. Al contrario di Helena, aveva poggiato la sua mano su quella della zia per poterle stringere soltanto due dita, come faceva da piccolo quando era intrappolato nei grossi artigli dell’agitazione. Credeva in Grantaire e non aveva affatto paura per lui, non era preoccupato. Almeno, gli sembrava di dare quell’impressione. Eppure, dentro di sé, sentiva lo stomaco attorcigliarsi e sciogliersi in continuazione, come se ballasse una danza contro la sventura. Il respiro era ritmato, lento, ma incredibilmente pesante. Senza neanche accorgersene, accarezzò morbidamente le dita della zia, adornate di grosse pietre dai mille colori, come se il suo inconscio cercasse di rassicurarsi da tutta quell’atmosfera carica di tensione.
Poi, per un attimo, lo sguardo color oceano del ragazzo dai capelli dorati si distolse dal centro del palcoscenico e si fece spazio tra le spalle irrigidite dei quattro giudici. Nessuno osava guardare l’altro o scambiarsi qualche opinione a voce sommessa come avevano fatto con gli altri candidati. Tutti gli occhi della sala erano posati su Grantaire. Enjolras sorrise.
All’improvviso, il giovane artista si fermò.
Grantaire si rese conto che le mani che fino ad ora aveva mosso come piccole marionette non si muovevano più. Era come se tutta l’immaginazione che lo aveva nutrito sin dal suo primo respiro lo avesse abbandonato. Si sentiva perso, si sentiva annegare nella profonda conca della paura. Il tremore era aumentato fino ad impedirgli di spargere il colore nel modo che desiderava. Quello che aveva temuto di più in assoluto era accaduto. Il cuore gli si paralizzò dallo spavento.
-Oh, avanti, mon coeur…- la flebile voce di Danielle aveva fatto capolino tra il silenzio della sala di teatro. Helena si era portata una mano sulle labbra, per cercare di mascherare i gemiti di pianto che il viso offuscato dalla frustrazione avrebbe voluto far uscire.
La platea iniziò ad agitarsi non appena Grantaire si voltò verso i giudici. Nessuno riusciva a capire perché si era fermato, poiché solamente gli occhi ansiosi di Enjolras, Danielle ed Helena conoscevano la verità. Ed erano gli unici a comprendere il motivo per cui l’artista aveva nascosto le braccia dietro la schiena poco prima di mostrare ai quattro giudici il suo viso rapito dall’agitazione.
-Io…- Grantaire fece per sussurrare questa piccola sillaba, che sembrava aver dato inizio ad un lungo discorso di scuse. Tuttavia, si era fermato. Gli occhi puntavano su una delle porte utilizzate per l’uscita dal teatro, una di quelle in fondo da cui quasi nessuno preferiva uscire poiché troppo lontano dal palcoscenico. Il volto del ragazzo prodigio era cambiato: i segni della tristezza che avevano preso posto sugli occhi dell’artista, erano stati sostituiti dalle leggere carezze della gioia. Era come se qualcuno avesse tolto dal viso di Grantaire un velo invisibile in modo da mostrare a tutti ciò che stava realmente provando.
Enjolras lo vide sorridere e ricomporsi sulla tela.
Nessuno dal pubblico riuscì a capire cosa stesse guardando esattamente, in quanto pareva che il ragazzo si fosse concentrato sul vuoto davanti a lui, in cerca di una possibile ispirazione. Tutti bisbigliavano curiosi e, proprio quando il teatro stava per riempirsi di voci rumorose, Grantaire riinizò a dipingere. Lasciò che le sue dita si bagnassero ancora una volta nel giallo e poi nel blu, fino a dare vita ad un bel verde lucente in grado di illuminare anche la speranza più recondita. Il tremore alle mani si presentò ancora una volta, ma il ragazzo chiuse gli occhi per un istante, respirò a fondo l’acre aroma della pittura e ricordò alla sua mente la sensazione delle mani calde di Enjolras sotto i suoi palmi. Sorrise.








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Amélie aveva trattenuto il respiro quando si era accorta del tremendo tremore delle mani di Grantaire.
Dal fondo della sala di teatro, accucciata nella poltroncina rossa dell’ultima fila vicino alla porta d’uscita, aveva seriamente temuto che quelle dita le quali lo avevano portato fino a quel concorso, avessero potuto essere responsabili della sua dipartita.
Nessuno sapeva che era lì. Né Enjolras, né Grantaire, neanche Jeremy. Era riuscita a raggiungere la scuola senza farsi vedere da anima viva. Non che qualcuno la cercasse. Qualcosa, dentro di sé, l’aveva spinta ad uscire dalla porta di casa sua e a dirigersi in quel teatro, per assistere per la prima volta alla grandezza artistica di Grantaire, quella di cui parlavano tutti a scuola.
Con il fiato sospeso alla vista della difficoltà del giovane artista, Amélie si era diretta velocemente alla porta d’uscita. Il cuore gli faceva male nel vedere quel ragazzo fallire nel giorno più importante della sua carriera, e lei non avrebbe di certo voluto assistere a quella scena pietosa. Grantaire non si meritava anche questo. Forse, non avrebbe mai dovuto lasciare la porta di casa sua quel giorno.
Eppure, con il cuore dal battito triste, si voltò verso il palcoscenico e si accorse di due occhi speranzosi che la fissavano.
Grantaire si era accorto di lei. Sapeva che era contento di vederla, glielo leggeva in volto ma, allo stesso tempo, temeva che Enjolras si accorgesse di quello sguardo silenzioso e che la cacciasse via a malo modo, di nuovo. Amélie riuscì soltanto a mostrare al giovane artista il suo sorriso più sincero, quasi volesse incoraggiarlo a non farsi ingannare dal tremore delle sue dita. Il ragazzo dai capelli ebano sembrava aver ricevuto il suo messaggio.
Accarezzandosi le mani con fare affettuoso, l’artista si voltò verso la tela dipinta di blu e giallo e riprese a far danzare le dita sul resto di quella superficie che gli aveva permesso di trasmettere le sue emozioni per anni. La ragazza, incantata con una mano sulla porta fredda dell’uscita, rimase ad ammirarlo mentre sfiorava e giocava con la sua fantasia, man mano che le sue mani forgiavano le delicate forme di un viso.
Sopra il silenzio assoluto della sala, si udivano soltanto i leggeri e fugaci tocchi che Grantaire posava sulla tela, simili ad una conversazione sussurrata, proibita ed incomprensibile agli orecchi dei comuni mortali.
Il viso che stava nascendo sulla tela era di una ragazza. Man mano che le venivano colorati i capelli biondi e gli occhi verdeggianti, Amélie colse una certa familiarità in quelle forme così armoniose vivaci.
Poi si passò una mano sulla bocca. Percepì le lacrime salirgli agli occhi. E fu come se si guardasse allo specchio per la prima volta.
 






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La porta d’uscita del teatro si spalancò. Era stata quella che non veniva mai usata da nessuno a schiudersi su un angolino buio del corridoio della scuola. E ad usarla era stata una ragazza, una fanciulla dai capelli simili a fili dorati che risplendevano di luce propria come se fossero stati forgiati dalle mani della dea della ricchezza.
Amélie si trovò catapultata con la schiena tremante contro uno dei soliti armadietti grigiastri che aveva ripercorso mille volte con gli occhi durante quei lunghi anni a scuola.
Percepiva il respiro farsi pesante ogni volta che i suoi polmoni tentavano di allargarsi in cerca di aria pulita ed incontaminata di cui potersi appropriare. Ma nulla sembrava calmare quel respiro ansante che la faceva tremare dalla testa ai piedi.
Non capiva. Non riusciva veramente a comprendere in che modo la ragazza sulla tela l’avesse sconvolta a tal punto da costringerla a rimanere senza fiato. Gettò la testa all’indietro percependo il metallo freddo dell’armadietto che la sorreggeva e chiuse gli occhi. Per una manciata di secondi si lasciò cullare dal silenzio tombale del corridoio, desiderando ardentemente che, una volta riaperti gli occhi, si trovasse nella sua vecchia casa di campagna, quella dove si sentiva al sicuro dal resto del mondo.
Lo sguardo si fece triste non appena inquadrò di nuovo il corridoio deserto della scuola. Il respiro della ragazza si era calmato, come se fosse bastato il solo pensiero della sua felice dimora immersa nel verde a donarle quel dolce stato di tranquillità. L’affanno lasciò spazio alle lacrime. Amélie non fu in grado di fermarle, le lasciò scendere calde sulle sue guance illuminate dalla fioca luce del corridoio scolastico.
L’immagine riflessa di se stessa che aveva visto poco prima nel teatro, quella così elegantemente modellata dalle mani di Grantaire, le fece di nuovo capolino nella mente annebbiata dal tremore. Quella ragazza dagli occhi verdeggianti era così diversa da lei…Dolce, gentile, perfetta.
Dentro le fugaci pennellate intinte di verde e blu, Amélie aveva visto se stessa, o meglio, la ragazza che aveva sempre desiderato di diventare. Non era facile rendersi conto di non conoscersi affatto. Nell’osservare quella tela, si era sentita nuda, completamente alla mercé di tanti piccoli occhi pronti a giudicare ogni singola cellula del suo viso. Forse era per questo che aveva passato gran parte della sua vita a costruirsi una maschera di perfezione…Per non essere giudicata.
-Amélie?-
Gli occhi tristi di Enjolras le apparvero davanti. Non appena il suo esile corpo si rese conto di quella presenza inaspettata, la ragazza sobbalzò, per poi tentare di fuggire celando con le mani il suo volto rigato dalle lacrime.
-Aspetta, non andartene…- il fanciullo dai capelli color grano la fermò, afferrandola delicatamente per le spalle. Molte volte aveva compiuto quel gesto per baciarla, ma ora, quella voglia aveva lasciato il posto alla tenerezza che portava nel cuore. Ed era pesante, molto pesante.
-Non appena ho visto il tuo viso sulla tela di Grantaire io…Mi sono voltato e ti ho vista scappare via dal teatro…- mentre parlava, Enjolras si cimentò ad osservare l’espressione vuota della ragazza. Era come se tutte le emozioni le fossero state rubate da una piccola folata di vento, così, con la velocità con cui si batte ciglio.
-Mi dispiace così tanto…E’ tutta colpa mia…-
Amélie, finalmente, lo guardò con occhi lacrimanti. Avvertiva ancora la sensazione di calore che le mani di Enjolras trasmettevano alle sue spalle gracili, ma non si sentiva in trappola…Avrebbe solamente desiderato un abbraccio.
Come se avesse potuto udire le sue parole nel silenzio del corridoio, Enjolras le fece spazio tra le sue braccia. Strinse forte a sé i capelli della ragazza, cercando di trasmettere tutto il suo dispiacere attraverso quel semplice gesto. Solo allora si rese conto di quanto Amélie stesse tremando contro il suo torace.
La fanciulla si coprì il volto bagnato dalla tristezza senza dire una parola. Si limitò soltanto a piangere in silenzio, come aveva imparato a fare sin da piccola, circondata dalle rassicuranti braccia di Enjolras, il ragazzo che le era sempre stato vicino.
Il biondino avrebbe voluto confermare le sue scuse ancora una volta, ma non lo fece. Non in quel momento. Lo avrebbe fatto più tardi quando, dopo essere rientrati in teatro insieme, avrebbero visto Grantaire con in mano una borsa di studio per l’Accademia d’arte di Parigi. E solo allora si sarebbero guardati e si sarebbero sorrisi.







 

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Capitolo 23
*** Epilogo ***


 

 

Epilogo

 

 

 

15 anni dopo






 

Grantaire respirò a fondo, inalando l'acre odore di pittura che lo aveva accompagnato sin dalla nascita.

Si sistemò il colletto della camicia, definitivamente troppo invadente per i suoi gusti, ma cercò di sopportarla solamente perché Danielle gli aveva intensamente raccomandato di metterla almeno il primo giorno della sua nuova mostra a Parigi.

-Non vedo l'ora di toglierla anch'io...O meglio, non vedo l'ora di togliertela io.-

Due calde braccia gli circondarono la vita, coinvolgendolo in un intimo abbraccio. Enjolras.

-Smettila,- rise appena il ragazzo dai capelli ebano,- o rischi di farmi balbettare dall'imbarazzo quando incontreremo il sindaco che, per la cronaca, sta per arrivare.- continuò con un pizzico di agitazione nella voce.

-Sarai incantevole, come sempre.- gli sussurrò Enjolras abbandonando un piccolo bacio sulla sua nuca, per poi scuotendogli appena i ricci ribelli, gli stessi di cui si era innamorato e che non erano cambiati neanche un po' negli anni. Il biondo gli prese le mani, accarezzandole come se venisse a contatto con la sua pelle per la prima volta. Si soffermò a giocherellare con la fede dorata sull'anulare sinistro e sospirò.

Il chiacchiericcio della sala adornata sembrò farsi all'improvviso più rumoroso, come se qualcuno avesse alzato il volume delle voci che la riempivano. Grantaire continuava a guardarsi intorno: i suoi quadri migliori appesi alle pareti ed illuminati da piccole luci che facevano risplendere ogni singolo colore, i volti interessati e gioiosi dei presenti...Uno dei quali, apparteneva a sua madre.

Helena si trovava davanti ad uno dei suoi dipinti più recenti, uno che le aveva dedicato. Il volto disteso in un leggero sorriso di soddisfazione e fierezza. Accanto a lei c'era Danielle, in tutta la sua gioia data da un bel vestito color glicine. Grantaire, accarezzando le braccia dell'innamorato ancora attorno ai suoi fianchi, la osservò poggiare delicatamente il capo sulla spalla della madre e sorrise dolcemente quando quest'ultima fece lo stesso.

-Coucou, oncle Enjolras*!-

La vocetta stridula di una piccola creatura dai capelli biondo grano zampettò veloce verso il ragazzo dagli occhi oceano.

-Ma puce**!- esclamò il biondino, tendendo le braccia aperte verso la bimba finché non l'afferrò al volo e la sollevò in aria, causandole dei leggeri gridolini affettuosi.

Gli occhi verde oliva della bimba si illuminarono non appena si accorsero della presenza di Grantaire, il quale fece capolino dalla spalla di Enjolras con un sorriso e baciò la creaturina dal vestito fiorato proprio sulla fronte, come aveva sempre fatto sin dal giorno in cui era venuta al mondo.

-Amélie aveva voglia di fragole, per questo ci abbiamo messo tanto!- la voce sottile di Jeremy distolse l'attenzione dei due ragazzi dalla piccola fanciulla. S'incamminò fino a raggiungere i due innamorati, salutandoli con un forte abbraccio, mentre la bimba sgambettava per poter scendere a terra e correre verso la mamma, la quale procedeva tra le numeroso tele appese con passo lento ed una mano sul ventre.

Grantaire sentì lo sguardo inumidirsi di gioia non appena riconobbe il sorriso d'angelo sul volto di Amélie. La raggiunse a passo veloce come se avesse paura di perderne la vista tra la folla.

-Fa' i capricci?- sorrise l'artista poggiando leggero una mano sopra le dita fredde della ragazza.

-Un po'. Ma finché mi costringe a mangiare di più, non mi lamento!- rispose lei, accennando una tenera risatina. Jeremy ed Enjolras li avevano raggiunti sorridenti. La piccola bimba posò una manina sulla pancia della sua mamma, leggermente gonfia per poter fare spazio alla nuova vita che stava nascendo dentro di lei. Poi sorrise e ci accostò un lato della testolina, in cerca di qualche piccolo movimento.

-Sarete degli ottimi genitori.- disse il ragazzo dai capelli castani dopo aver cinto i fianchi di Amélie ed averle baciato la fronte. Grantaire lo guardò con una certa riconoscenza nello sguardo.

-Avrà gli occhi color oceano del papà...- sussurrò Amélie, accarezzandosi il ventre che iniziava a fare spazio alla nuova vita dentro di lei. Enjolras le sorrise.

-E la tua bellezza.- continuò Grantaire. Poi, l'artista si inginocchiò davanti a lei e fece compagnia alla bimba nella ricerca dei rumori provenienti dal ventre gonfio.

-Forse sta dormendo.- ipotizzò la vocina tenue della ragazzina. Enjolras si accucciò davanti a lei e la fece sedere su una delle sue gambe.

-Forse sta sognando.- sussurrò lui.

Poi, la bimba sorridente mise di nuovo la manina sul ventre della mamma, Grantaire ed Enjolras gliela strinsero, ponendo le loro mani una sopra l'altra. Amélie si unì a quel piccolo gesto di amore, e così fece Jeremy, sovrastando le dita di tutti.

Erano una famiglia ormai. Ognuno veniva rassicurato dal calore dell'altro e, anche se avessero dovuto affrontare tutte le difficoltà del mondo, niente avrebbe mai potuto dividerli l'uno dall'altro.
 

 

 

 

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*Ciao, zio Enjolras!

**Fiorellino mio!

 

 

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Halo! Ebbene si, eccoci giunti alla fine di questa storia. Tra pc rotti, settimane strane e momenti di blocco, sono riuscita a concluderla, finalmente. Ringrazio di cuore coloro che hanno supportato ed adorato questa storia sin dall'inizio, che hanno commentato e che mi hanno lasciato dichiarazioni d'amore strappalacrime nelle recensioni! 

Che dire, non mi piace molto mettere la parola "FINE" alle mie storie, poichè credo che nessuna storia finisca veramente del tutto, neanche quelle che ci inseguono nel mondo reale.

Spero vivamente di avervi rapito per un po' dalla realtà e di avervi fatto vivere un grande amore attraverso la tenerezza di Helena, di avervi  spinto a credere nei vostri sogni ispirandovi alla forza di Grantaire e di avervi incoraggiato ad essere voi stessi  come è riuscita a fare Amélie.

Grazie mille per avermi accompagnato in questo viaggio ❤

Alla prossima destinazione!

Per sempre vostra,

 

                                                                                                                   -EfpSky_

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