Giochiamo

di Gladys
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di nuovo insieme, troppo presto. ***
Capitolo 2: *** All'Inizio ***



Capitolo 1
*** Di nuovo insieme, troppo presto. ***


 Di nuovo insieme, troppo presto.

 
"O natura, che cosa puoi tu fare nell'inferno, se hai dato ricetto allo spirito di un demonio nel paradiso mortale di un corpo così bello? Ci fu mai libro così ben rilegato, che contenesse materia tanto vile?"
-Romeo e Giulietta
 
Presente.
Stati Uniti.
Teatro "Panorama"
Primo giorno di prove.

Mi affretto camminando a passo svelto sul marciapiede affollato, e una goccia di sudore scende sulla mia fronte.
Sento la voce di mio padre nella testa. "Un vero guerriero non si lascia scappare neanche una singola goccia di sudore."
Non mi sono mai vantato di essere un vero guerriero, in ogni caso.
Continuo a dirmi che sto sudando perchè sono di fretta. Non per colpa sua.
Da troppo tempo sto cercando di portare a termine questa missione con mio fratello. Non avrei mai pensato di lavorare con lui, ma dopo aver saputo di una branca nascosta che sta portando avanti gli affari del clan Shimada in tutto il mondo, mantenendone persino il nome, entrambi non abbiamo potuto fare a meno che unire le nostre forze.
Mi aveva detto che ce l'avremmo fatta da soli e che la nostra affiliazione con Blackwatch sarebbe stata solo temporanea, eppure ecconci ancora qui. A collaborare con Blackwatch. A collaborare con lui.
Genji è più che convinto che io sia andato mai andato oltre a quello che è successo con quell'uomo, ma sono soltanto balle.
Sono andato oltre.
Sono andato oltre da molto tempo, ormai.
Attraverso la strada, lanciando un'occhiata al traffico invivibile della grande città americana. Un paio di tassisti si stanno insultando, mostrandosi il dito medio.
Beh, sono sicuro che quel gesto voglia dire la stessa cosa in tutto il mondo.
Alzo lo sguardo verso l'orologio appeso al muro appena entro nella sala prove.
Cazzo.
Cinque minuti di ritardo. Non mi abituerò mai a questo posto.
Lo sguardo divertito sulla faccia di quel bastardo è impossibile da nascondere, o magari non vuole nemmeno nasconderla.
Ho appena messo piede nella stanza e voglio già fargli del male.
Mi fermo per un istante dopo aver fatto appena un passo in quella stanza per prendere un respiro come si deve. Sono meglio di così, sono molto meglio di così.
Sono allenato per molto peggio.
Posso farcela. Posso stare in una stanza con lui senza andare completamente a pezzi.
Lo so che posso.
Oh, chi voglio prendere in giro?
Certo, posso fidarmi ciecamente del mio ex, che mi ha mandato il cuore in frantumi non soltanto una volta, ma due. Nessun tipo di allenamento ti prepara per questo genere di cose.
Ma nessun problema, no?
Se esistesse il clan degli idioti, allora sì che sarei un perfetto leader.
Resto in silenzio e respiro lentamente. Non lascio trapelare nulla all'esterno, in questo non ho problemi.
Quando l'agente di Blackwatch ha chiamato per darmi la notizia di voler ufficialmente lavorare ancora con noi sul caso e di avere un nuovo grosso indizio, dovevo sapere che qualcosa sarebbe andato storto. Era troppo bello per essere vero. Niente è mai andato bene e basta nella mia vita.
Mi hanno detto che ci avrebbero assegnato uno dei migliori agenti del campo, Jesse McCree. Un talento naturale. Con esperienza nel giro del traffico illegale di armi. Molto difficile da far lavorare per loro, si rifiuta di lavorare a qualunque cosa ritenga ingiusta o poco interessante. Siamo stati molto fortunati.
Ovviamente non sapevano nulla della nostra storia o nemmeno del fatto che ci conoscessimo. Come avrebbero potuto? Nessuno dei due parla mai di quello che è successo o anche solo dell'altro.
Siamo uomini adulti e tra i migliori nel nostro campo. Agiamo da soli a meno che non sia strettamente necessario avere rapporti con gli altri. Non siamo ragazzine che raccontano in giro delle loro cotte.
Quello che è stato è stato e come non doveva saltare fuori all'epoca, non deve saltar fuori dopo.
Mi diverte pensare che a quanto pare siamo riusciti a tenere tutto nascosto anche a Overwatch.
Di solito mi allontano casualmente, quelle rare volte che il suo nome viene pronunciato.
Era più facile ignorare tutto, quando ero dall'altra parte del mondo, ma ora che sono qui ovviamente deve macchiare la più nobile delle mie missioni con la sua presenza.
Tipico.
Ancora una volta ringrazio mentalmente di essere stato allenato tutta la vita per restare impassibile all'esterno, per quanto io abbia una tempesta dentro. Non pensavo che mi sarebbe mai servito per qualcosa del genere e non pensavo che sarebbe stato più  difficile di farlo in battaglia, ma è quello che devo a mio fratello.
Posso sentire un'altra singola goccia di sudore scorrere sulla mia fronte, mentre cerco di carpire qualcosa dietro la sua espressione.
Mi troverà cambiato dopo tutto questo tempo? Quanto tempo è stato per davvero?
Dentro sono cambiato, ma fuori immagino di essere sempre lo stesso. Capelli e occhi scuri, sopracciglia perennemente aggrottate, un po' di grigio che mostra la mia età e tutto quello che ho passato.
Sono ancora qualcosa che lui può trovare attraente?
Non ho imparato nulla.
La mia anima è andata in pezzi più di una volta a causa sua. A causa delle sue stupide motivazioni e delle sue scuse per nulla credibili.
Non devo lasciare che acidità e rabbia mi offuschino la mente e trapelino attraverso la mia pelle. Non di nuovo.
Sono stato allenato per molto peggio.
Ho fatto molto peggio con queste stesse mani.
Andrà bene.
Smetto di guardarlo. Non devo dare ascolto al mio istinto, in questo caso. Proprio il mio istinto mi ha detto che avrei potuto provare qualcosa per un uomo, la prima volta. Per quell'uomo. Ma tirando le somme non ne ho ricevuto nulla.
Mi avvio silenziosamente verso la scrivania in fondo alla sala, dove uno sconosciuto sta avendo una discussione via rete con qualcuno che non posso vedere.
Accanto a lui, in piedi, la donna che mi ha parlato al telefono confermando la nostra collaborazione con Blackwatch. Riconosco la sua voce, quando anche lei si rivolge alla persona nello schermo.
Ora che la vedo in faccia so per certo di averla già vista con Jesse altre volte. Penso che sia l'agente che si occupa di mantenere i contatti tra lui e Overwatch.
Mi soprende che sia ancora la stessa, visto che Jesse se ne lamentava continuamente.
Direi che quella donna è un po' il suo portafortuna, avere un solo contatto così a lungo potrebbe dargli sicurezza, ma, ovviamente, perchè avrebbe bisogno di sicurezza? Non ha bisogno di niente e di nessuno, non è così? Jesse McCree l'intoccabile. Anche quando l'hanno colto con le mani nel sacco gli hanno offerto un lavoro invece di sbatterlo in galera.
La donna gesticola su un ologramma in scala di una zona della città, parlando di movimenti e meccaniche di un eventuale attacco ad uno dei palazzi.
Le altre persone ascoltano in silenzio.
Non ho problemi con quella donna. Sono certo che sappia fare il suo lavoro fantasticamente ed è stata molto professionale quando ci siamo parlati.
Se devo essere sincero, avevo persino pensato di contattarla personalmente per avere un contatto dentro Blackwatch, tempo fa, quando ancora pensavo che l'uomo con cui lavora fosse nato da una madre umana e non direttamente da un demone.
Le persone alla scrivania finalmente si accogono della mia presenza e alzano lo sguardo per guardarmi.
-Riconosco il mio errore e ne sono molto dispiaciuto.- Dico fermandomi davanti a loro.
-Non c'è nessun problema, signor Shimada.- dice l'uomo nello schermo -Stiamo ancora parlando di dettagli. Si calmi, prenda un caffè. Inizieremo presto.-
-Certo.- Annuisco e mi allontano leggermente dalla scrivania, lasciando loro lo spazio necessario per parlare indisturbati.
-Hey! Hanzo, vero?- La donna si allontana a sua volta dalla scrivania e mi si avvicina, sorridendo.
-Sì.- Rispondo, senza troppe cerimonie.
-Amy Cowart. Abbiamo parlato al telefono.- Il suo sorriso sembra sincero e rilassato.
Non rispondo. Per un attimo la mia rabbia viene rimpiazzata dal ricordo del momento in cui Jesse mi disse quel nome. Come avevo potuto dimenticarlo?
Amy è estremamente diversa dall'uomo che rappresenta, all'esterno quanto all'interno. Si vede.
Decisamente bassa, mentre lui è alto. Il suo viso è rotondo, mentre il suo è squadrato. I suoi capelli biondi e liscissimi, mentre quelli di Jesse sono castani e perennemente scompigliati.
Eppure guardarla mi fa pensare a lui. So già che la associerò per sempre a lui e non mi fiderò mai di lei. Troppi brutti pensieri.
Mi offre con il suo solito sorriso una bottiglia d'acqua naturale come quelle che sono appoggiate sulla scrivania, io allungo la mano senza parlare, ma quando la lascia, le mie dita perdono la presa per un istante, facendola cadere a terra con un tonfo.
L'intera sala si ferma per un istante a guardarmi.
Sento due leggeri colpi di tosse.
Vaffanculo, Jesse. Non mi girerò nemmeno.
-Scusatemi.- Dico sottovoce, chinandomi per raccoglierla.
Ancora due colpi di tosse.
Spero che ringrazi il suo Dio, se ne ha uno, che non siamo nel posto adatto per ucciderlo con le mie mani.
Guardo Amy. Non lo sa, ma è tutta colpa sua e dei suoi superiori.
Sono loro ad averlo assegnato al nostro caso. 
Mi sono convinto che chiedere l'aiuto di blackwatch sarebbe stata la svolta alla nostra indagine e che avrebbe messo fine una volta per tutte alla storia del clan Shimada, ma la realtà è che sarà la mia ultima missione, perchè se quell'idiota nell'angolo non la smette di tossire sarcasticamente, ucciderò non solo lui, ma tutti i presenti nella stanza. E la situazione non piacerà particolarmente a Overwatch.
Per fortuna i colpi di tosse si fermano, ma posso ancora sentire lo sguardo gelido e fermo sulla mia pelle.
Lo ignoro e apro la mia bottiglia d'acqua per prenderne un sorso.
-Wow. Sembri stressato.- dice Amy, che ora è appoggiata al muro accanto a me.
La sua voce sinceramente preoccupata è l'unica cosa che mi ferma dal volerle tappare la bocca per sempre. Sorrido senza rispondere.
-Sai,  sto cercando di conoscere meglio te e il signor McCree in modo da poter gestire meglio questa situazione e rendere tutto più piacevole.-
Più piacevole? Non stiamo andando ad una scampagnata. Poi, una situazione piacevole con me e "il signor McCree"? Povera illusa.
Decido di sorridere, invece.
-Amy, ti ringrazio. Le tue sono buone intenzioni.-
Lei si lascia scappare una risata e aggiunge -Se vuoi fare un salto fuori a prendere una boccata d'aria, torno a chiamarti quando stiamo per iniziare.-
-Grazie ancora.-
Con la coda dell'occhio vedo una figura sfocata dondolarsi su una sedia nella parte opposta della stanza, così mi giro nell'altra direzione per uscire, certo di dargli le spalle per più tempo possibile.
Sento il suo sguardo seguirmi fino ad appena fuori dalla porta, prima di fare i pochi gradini che mi conducono all'esterno della struttura.
Una volta fuori mi sento come alienato dalla situazione, come se non provassi nulla.
Mi siedo sui gradini gelidi e alzo lo sguardo verso il fazzoletto di cielo che si vede tra le cime dei palazzi.
Prendo un sorso d'acqua e tutto sembra tornare quasi alla normalità, la mia mente si placa.
Resto a contemplare il cielo per qualche minuto, poi mi alzo per tornare nella sala e cercare di capire per quanto ancora dovrò rimanere nella struttura, ma prima che io possa afferrare la maniglia del portone, questo si apre.
Tutta la rabbia e la tensione che ero riuscito a spazzare via, tornano come d'incanto.
I pantaloni di pelle scura avvolgono il suo corpo in modi che non dovrei notare.
I suoi occhi sono esattamente come li ricordavo. Dello stesso colore del caffè, ipnotizzanti. Le sopracciglia sono lunghe e scure e il suo sguardo troppo intenso per poterlo reggere in questo momento.
Tutto il resto per qualche ragione l'avevo dimenticato, forse avevo fatto in modo di riuscire a dimenticarlo, eppure quello è l'uomo più bello che abbia mai visto.
La stessa parola "bello" non gli rende giustizia. Il cielo la sera, quando è buio, ma ancora blu acceso è bello. Le foglie autunnali che cadono e volteggiano nell'aria per poi appoggiarsi delicatamente sulla superficie di un lago sono belle.
Lui no, lui è affascinante. Come un'aquila, maestosa, bellissima e potente. O una tigre, energetica ed enigmatica di natura, senza neanche provare ad esserlo.
Odio poter vedere la sua bellezza.
Sopracciglia folte e dritte, mascella squadrata sotto la barba scarmigliata, labbra abbastanza carnose da essere piacevoli alla vista, ma che insieme ai tratti del suo viso hanno un qualcosa di magnificamente mascolino.
I suoi capelli scuri, leggermente più corti dell'ultima volta in cui l'ho visto, ma sempre magnificamente indomabili.
Non so se è possibile, ma sembra anche più alto. 
Jesse è sempre stato più alto di me, certo, ma guardando le sue spalle mi sembra che siano più in alto. Alla nostra età si dovrebbe perdere altezza, altro che guadagnarla.
Ovviamente si è presentato a questo incontro più attraente che mai, il bastardo.
-Hey.- dice, coe se non avessi passato tutto questo tempo a sognare di potergli fare del male.
-Ciao, Jesse.-
Mi fissa e come al solito sento il suo sguardo risuonare sotto la mia pelle.
-Stai bene allora, eh?-
-Sembra che anche tu stia bene.-
-Hai tagliato i capelli?-
-No, ma i tuoi sono più corti.-
Fa un passo verso di me e continua a guardarmi. Odio avere il suo sguardo addosso.
-Quindi è passato un bel po' di tempo.-
-Non me n'ero accorto.- Cerco di avere il tono più annoiato che riesca a fare in questo momento. Non voglio che sappia cosa mi sta facendo. Non merita una mia reazione e, soprattutto, lo devo fare per me e per il mio onore.
-Che mi racconti?- chiede.
-Nulla. Tutto sta andando per il meglio.- Rispondo automaticamente. Non vuol dire nulla. Non è successo nulla. E cosa vuol dire meglio? Meglio di che cosa?
I suoi occhi sono ancora su di me, ma vorrei con tutto me stesso che si appoggiassero altrove, perchè questo momento assomiglia troppo ad uno dei tanti che abbiamo passato insieme, e fa troppo male.
-E tu?- Chiedo, cercando di non scortare le buone maniere. -Cosa mi racconti?-
-Io... è tutto ok.-
Qualcosa del suo tono nasconde un'informazione. Ha lasciato abbastanza da sapere per attirare la mia curiosità e penso l'abbia fatto consapevolmente.  Non voglio scavare nella parte di storia che mi manca, non voglio sapere altro. So che è quello che desidera.
-Mi fa molto piacere, Jesse.- Dico, sicuro di starlo irritando.
Lui guarda il pavimento e si fa passare una mano tra i capelli. La sua postura è sicura come quella di chi pensa di essere il proprietario del posto in cui si trova e del tempo che sta facendo usare alle persone attorno a lui. La conosco anche troppo bene.
-Beh, eccoci qui.- dice. -Dopo tutto questo tempo, è tutto quello che hai da dirmi. Cosa mi aspettavo?-
Il mio stomaco si chiude per un istante.
No, stronzo, non è tutto quello che ho da dirti, ma perchè parlare? Tutto quello che ho da dire è stato detto in passato e se non c'è nulla di nuovo da aggiungere ad una conversazione è saggio non parlare.
-Sì, è tutto qui.- Abbozzo un sorriso e spingo il portone, poi salgo gli ultimi gradini a passo svelto.
Sento la parola "cazzo" oltre il portone, prima di sentirlo riaprire e sentire dei passi svelti dietro di me.
Certo di aumentare il passo senza esagerare, nella speranza di arrivare davanti alla sala prove prima che mi raggiunga, ma appena prima di svoltare l'angolo, mi afferra un braccio.
-Hanzo, fermati.-
Mi giro per guardarlo e mi aspetto che mi spiga contro il muro, come ha fatto innumerevoli volte prima, ma non lo fa.
Resta fermo lì, ad un passo da me. L'aria si fa pesante e mi sento come se non potessi scappare. Non lascerò che lo veda.
Nessuna debolezza in nessuna circostanza. L'ho imparato sulla mia pelle.
-Ascolta, Hanzo.- mi dice, mentre io mi odio infinitamente per essermi reso conto che mi mancava sentirgli dire il mio nome. -Non pensi che potremmo lasciare indietro tutta la merda che è successa e riniziare da zero? Lo voglio davvero e... ho pensato che potresti volerlo anche tu.-
La sua espressione è sincera, ma l'ho già vista altre volte. Identica. Ogni volta che mi sono fidato di quell'espressione, sono finito a pezzi.
-Vorresti riniziare tutto?- rispondo. -Come ho potuto lasciarmi sfuggire quest'idea?-
-No, non dev'essere per forza così.-
Le sue parole suggeriscono che io non stia ragionando in questo momento. Se non fossi così arrabbiato penso che potrei ridere.
-Non riesco ad immaginare come dovrebbe essere.- la verità gli ha sempre fatto male. -Ti prego, illuminami. Nonostante tutto sei stato sempre tu quello che ha saputo giocare con la nostra relazione. Quale potrebbe mai essere il tuo gioco questa volta? Gli amici, gli amici di letto o i nemici? Oh, no. Perdonami, ma ho avuto un'idea migliore, Jesse. Giochiamo alla persona spregevole che pensa che mandarne in frantumi un'altra sia un passatempo divertente.
Io posso essere l'uomo fuori dal teatro che sta soltanto cercando di fare il suo lavoro. Cosa ne pensi?-
Stringe la mascella, segno indiscutibile di rabbia. Ne sono felice, posso gestire il confronto con una persona arrabbiata.
Si strofina gli occhi e respira profondamente. Mi aspetto che urli, ma non lo fa.
Al contrario, abbassa la voce prima di parlarmi.
-Non ti è importato niente di nessuno dei messaggi che ti ho mandato, vero? Pensavo che avremmo almeno potuto parlare di quello che è successo. Almeno li hai letti?-
-Ovviamente l'ho fatto.- gli dico - Ma non credo siano sinceri. Un uomo può offrire la sua fiducia un numero finito di volte, Jesse. Soprattutto alla mia età.-
-Non ti sto prendendo in giro. Non voglio prendere in giro nessuno. Quello che ho fatto in passato era la scelta migliore per entrambi.-
-Ti prego di non mentirmi. Spero che tu non stia insinuando che io ti debba un qualche tipo di ringraziamento.-
-No- risponde con voce roca per via della rabbia e della frustrazione - Certo che no. Voglio solo un'altra possibilità.-
-Vuoi una seconda possibilità per distruggermi definitivamente? Ora stai insinuando che io sia uno sprovveduto. O forse uno stupido.-
Squote la testa. -Voglio che le cose siano diverse. Se vuoi delle scuse, mi scuserò finchè non perderò anche l'ultimo filo di voce. Voglio solo che le cose vadano meglio tra di noi. Parlami. Aiutami a farmi perdonare.-
-Non puoi.-
-Hanzo...-
-No, Jesse. Questa volta non posso permettertelo e non te lo permetterò mai più.-
Mi si avvicina ancora. Troppo. Il suo profumo è proprio come lo ricordavo, e proprio come una volta, quando lo sento non riesco più a pensare lucidamente.
Il mio unico desiderio è spingerlo lontano da me in modo da potermi chiarire la testa. O fargli così tanto male da fargli capire cosa vuol dire non essere felici per la maggior parte della propria vita e vedere l'unica speranza di qualcosa di migliore strappata via da sotto le mani. Ed è tutta colpa sua.
Ci sono così tante cose che vorrei fare, ma l'unica cosa che mi riesce è stare qui immobile davanti a lui e odiare quanto inerme mi sento in questo momento.
Il suo respiro è agitato, i suoi muscoli sono tesi almeno quanto i miei e, anche dopo tutto quello che abbiamo passato, la chiara attrazione che proviamo l'uno per l'altro ci tortura nel profondo.
Per fortuna entrambi sentiamo il ticchettare di un paio di scarpe nel corridoio e ci allontaniamo di un passo, giusto in tempo per veder arrivare Amy.
-Signor Shimada, Signor McCree.- Il suo sorriso raggiante contrasta incredibilmente con la situazione, è quasi disarmante. - Spero vi siate rilassati perchè è il vostro turno di parlare di cose serie.-
Jesse si passa distrattamente le dita nei capelli, scompigliandoli ancora, mentre si avvia verso la sala prove. -Ok.- L'unica cosa che riesce a dire, la voce ancora vagamente roca.
-Siamo qui per una missione che mi sta molto a cuore.- Dico, mentre mi avvio a mia volta verso la stanza -Quindi cerchiamo di portare a termine questo lavoro al più presto.-
Posso vedere la mascella di Jesse stringersi ancora una volta, mentre Amy trotterella, precedendoci nella sala.
Lui aggrotta le sopracciglia rallentando il passo per starmi di fianco.
-Se è quello che vuoi...-
-Lo è.- Rispondo seccamente.
Lui annuisce e, senza dire null'altro, attraversa la porta.
Non abbiamo ancora iniziato e questa è la scena a cui ho già dovuto assistere.
Bevo un sorso d'acqua, mi ero scordato di averla in mano.
Due sedie sono sistemate davanti alla scrivania e aspettano me e Jesse. Lo schermo ora è rivolto verso di noi, ma è ancora spento.
L'uomo ed Amy sono seduti dall'altra parte della scrivania e hanno in mano un quantitativo decisamente eccessivo di documenti.
Sperando che ne valga la pena, afferro la mia sedia e la sposto il più possibile lontana da quella di Jesse, prima di sedermi sulla plastica dura e scomoda.
-Tutto a posto?- L'uomo dietro la scrivania alza un sopracciglio.
-Certamente.- Abbozzo un sorriso e interpreto diligentemente il mio ruolo. Siamo in un teatro dopotutto.
-Bene, andiamo con ordine allora.- dice l'uomo, scorrendo con aria corrucciata tra i documenti che ha in mano per poi estrare un paio di copie della stessa scheda.
"Andiamo con ordine."
Buona idea, dopotutto tutte le storie hanno un inizio e non sarà di certo questa l'eccezione.

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Capitolo 2
*** All'Inizio ***


 All'Inizio.


Nota numero 1,
Genji mi ha suggerito di tenere un libro su cui appuntare gli eventi che mi hanno portato ad essere l'individuo disadattato che sono in questo momento della mia vita. Mi ha detto che gli è stato suggerito a sua volta durante la sua permanenza in un monastero Shimbali in Nepal da una persona che ritiene molto fidata. A quanto pare per lui è stato un passo importante e ritiene che lo sarà anche per me.
Non ne sono del tutto certo, ma come si dice, se cadi sette volte, rialzati un'ottava. Non possiamo sapere se sarà questa pila di carta a farmi rialzare.
Mi ha consigliato di iniziare mettendo per iscritto i miei pensieri sulle relazioni poco sane che ho avuto e che mi stanno facendo perdere il mio equilibrio mentale e sentimentale, quindi ho pensato di iniziare da qualcosa che riunisce molti dei miei rimpianti da questo punto di vista.
Jesse McCree.
La prima volta che l'ho incontrato ero completamente ubriaco.
Wow. Suona decisamente male, ma ho intenzione di spiegare.
Non ho intenzione di mettere per iscritto dettagli di missioni passate, presenti o future, che si tratti di qualcosa di legale o di illegale non importa.
Ero nel Sud degli Stati Uniti per affari riguardanti armi e il posto dov'ero quel giorno era lussuoso e privato. L'edificio era stato costruito dove una volta c'erano campi e allevamenti di bestiame e questo resta tutt'ora quello che si vede attorno, in netto contrasto con lo sfarzo e il prestigio sfoggiati in quel posto.
Era incredibilmente difficile averne accesso e riuscire a parlare con i proprietari, persone molto influenti per il tipo di affari di cui mi occupavo all'epoca. Avevo sognato di avere l'onore di fare affari con loro da molto più tempo di quanto si possa immaginare e dopo anni di lavoro, mentre mio fratello aveva altro per la mente e i miei coetanei vivevano vite prive del carico che io mi portavo sulle spalle, ero riuscito ad essere invitato in quel posto.
Ho scelto di andarci di persona per innumerevoli motivi, ma uno dei principali era dimostrare che avrei potuto lavorare da solo, lontano dagli anziani e da chi aveva seguito ogni mia mossa da quando sono nato.
La mia non era una mancanza di rispetto verso quelle persone, il mio rispetto per loro era infinito, ma ognuno di loro aveva un'idea molto precisa del mio futuro e di ogni secondo della mia vita.
Avevo passato la mia vita a fare tutto quello che potevo per ottenere la loro approvazione. Per me avevano aspettative irrealistiche e ho lavorato sodo fino a raggiungere e superarle. Ho fatto l'impossibile e ora posso dire che ho fatto cose che non avrei dovuto fare.
A quel punto della mia vita, in ogni caso, non avevo mai bevuto alcolici, fumato, mangiato qualcosa di non sano e non mi ero mai concesso intimità con una donna, o con un uomo.
Ho fatto tutto quello che avrei dovuto fare e anche di più, anche meglio, anche senza ricevere nulla in cambio.
Per loro era soltanto il mio dovere, e lo capisco. Pensavano sempre di poter migliorare loro stessi e me, sempre di più, fino allo stremo.
Avrei potuto odiare tutto quello che mi obbligavano a fare, invece lavoravo di più e studiavo di più. Alla fine salta fuori che ho fatto un buon lavoro. Ora lo so, ma mi sarebbe piaciuto saperlo all'epoca.
Invece venivo ignorato, a parte le strettissime regole che dovevo seguire, ovviamente, a meno che io non facessi qualcosa di sbagliato.
Da bambino ho imparato molto velocemente che mi avrebbero lasciato da solo soltanto se avessi fatto tutto perfettamente, senza un errore.
Nessuno di loro era felice del mio piano di andare a visitare in prima persona queste influenti figure americane, ovviamente. Erano felici del mio duro lavoro e del mio coraggio, ma ero una risorsa troppo importante per lasciarmi avventurare lontano dai loro occhi.
Hanno accettato soltanto perchè avevo promesso che avrei lavorato io stesso al contatto e alla mediazione con queste persone, senza aiuti esterni e senza mettere in secondo piano i miei doveri ad Hanamura.
Sapevo di avere poche possibilità, ma dovevo almeno provare.
Non ho perso la fiducia, ho puntato in alto e ci sono riuscito, mi sono guadagnato il mio primo viaggio negli Stati Uniti.

 
Anni prima.
Santa Fe.
Incontro con la famiglia Chavez.

Mi tremano le gambe.
Non riesco a farle smettere. Non riesco a calmarmi.
Lo stomaco mi si sta stringendo in un nodo e ho la nausea.
La mia schiena è appoggiata al muro, sono invisibile.
Questo non è il mio posto. Non sono uno di loro.
Sono sfacciati, bizzarri, sembrano non avere problemi con parole che non andrebbero pronunciate. Si passano i sigari uno con l'altro, si toccano in posti che uno sconosciuto non dovrebbe nemmeno pensare di poter sfiorare, si baciano come se nulla fosse.
Si vantano delle loro scorribande, del denaro, delle donne, delle persone influenti che conoscono.
Io sono qui, appoggiato al muro e mi sento sempre più insignificante, tristemente consapevole del fatto che tutto quello che proverà questo mio viaggio è quanto io sia inadeguato al mio ruolo.
-E così il boss ha detto "Alyssa, i miei uomini vogliono vedere quel bel seno. Dici che sei fedele a me e al nostro gruppo, ma non posso fare a meno di notare che sei ancora traviata da quello che i perbenisti pensano sia buon gusto."-
Una donna bionda sta intrattenendo il cerchio di ospiti più vicini a me. Una decina di persone sono a cerchio attorno a lei e sembrano sinceramente interessate.
Non voglio sentire questa storia, non voglio davvero, ma non posso farci nulla.
-Oddio, Alyssa! E tu cos'hai fatto?- Chiede una ragazza molto avvenente, ma decisamente più giovane, con degli affascinanti boccoli ramati. Il suo bel viso è contorto in un'espressione di stupore decisamente esagerata.
-Cosa potevo fare?- Sospira Alyssa -Ho proposto di fargli un pompino a testa e in cambio mi hanno fatto restare vestita. Era l'unico modo per salvare un po' del mio onore.-
Risate e qualche applauso. Cosa ne sa questa persona dell'onore?
Appoggio la testa al muro e chiudo gli occhi per qualche istante. Respiro profondamente, cerco di calmarmi.
Ripasso mentalmente il discorso che ho preparato per il capofamiglia dei Chavez. Li so perfettamente a memoria, ma mi sento traballante nel mio inglese.
-Quindi da dov'è che vieni?-
Alyssa sta parlando di nuovo. Cerco di cancellare la sua voce e concentrarmi su altro, non voglio altre storie come quella di prima.
-Hey! Tizio contro il muro!-
Apro gli occhi, mi sta guardando. Tutte le persone che sono con lei mi stanno guardando.
-Mi dica, signorina.-
Mi schiarsco la gola e assumo una posizione migliore, so come fingere di sentirmi a mio agio.
-Di dove sei?- Mi chiede di nuovo, parlando a voce più alta e più lentamente, come se fossi stupido.
-Direi che si vede che non sei di queste parti!-
Si lascia scappare una risata e so che è indicata al mio aspetto e ai miei vestiti. Non assomiglio a loro, è vero.
I loro abiti sono sgargianti e i gioielli sono massicci e luminosi. Mi ricordano qualche specie di uccello tropicale.
-Vengo da Hanamura apposta per questa occasione.-
Sul suo volto leggo qualcosa di simile al disgusto. -E dove cazzo sarebbe?-
-Hanamura è una città storica Giapponese, proprio ai piedi del monte...-
-Mai sentita.- Mi interrompe. -Avete bei posti dove divertirvi dalle tue parti?-
-Non ne conosco personalmente, ma...-
-Quindi dove vai a divertirti un po', eh?- 
Mi fa l'occhiolino. I suoi cambi di umore sono improvvisi e drastici. Mi chiedo se sia ritenuto normale da queste parti.
-Ho avuto altro di cui interessarmi, questo tipo di feste non sono molto comuni.-
I suoi occhi si illuminano, sente l'attenzione delle altre persone su di lei, mi riconosce come una fonte di intrattenimento facile.
-Capito.- Ridacchia ancora, guardandosi attorno alla ricerca di sguardi complici.
Non capisco, ma so come far sentire importante una persona tanto debole da cercare attenzioni negli sconosciuti.
-Certamente, nessuno degli intrattenimenti di Hanamura possono essere comparati a questo. Deve essere spesso ospite di questi eventi tanti esclusivi, si nota. Una festa come questa e un posto come questo sono oltre ogni mia immaginazione.-
Alyssa di guarda ancora attorno per un istante, sembra indecisa, forse sorpresa.
-Sì, queste sono le vere feste. Incredibili. Ed esclusive!- Sorride con le sue labbra dipinte di rosso acceso. -Cioè, probabilmente sto sprecando il mio tempo ad essere da queste parti, di solito ho inviti migliori, a piani più alti, ma tanto so che troverò qualche bel pesciolino in questo lago e non sarò qui fino alla fine della serata.  Tanto vale tenermi occupata nel frattempo.-
Sorrido e le do ragione. Non ho capito del tutto cosa intende, ma il mio scopo è soltanto gonfiare il suo ego e fare pratica nella conversazione.
Le conversazioni riprendono intorno a me e ora ho capito che il modo migliore per essere invisibile è aggiungere un commento ogni tanto, sorridere, lodare e dare ragione agli ospiti.
Ogni bugia che esce dalla mia bocca mi rende più come loro, non mi piace ma devo farlo. Mi piacerà il risultato.
Dopo poco mi lascio convincere a bere qualche bicchiere delle loro bevande alcoliche. Odio il gusto. Odio anche il gusto dei sigari e delle sigarette che mi fanno provare. Pensano di essere amichevoli, ma non sopporto nulla di quello che sta succedendo.
La testa mi gira e le luci sono più forti di prima. Una ragazza che non ho mai visto prima mi si avvicina e mi spinge gentilmente verso un divano, su cui mi accascio. Le mie gambe non mi reggono come dovrebbero.
Odio questa sensazione.
Una mano sconosciuta è appoggiata pericolosamente vicina ai miei genitali. Guardo la ragazza, vorrei dire qualcosa, ma rido. Odio quello che sta succedendo, perchè tutto quello che riesco a fare è ridere?
Lei fa un commento sul mio aspetto fisico, un uomo lì accanto risponde qualcosa che non capisco e cerca la mia approvazione con lo sguardo, io annuisco e qualche persona lì attorno sembra trovarmi molto divertente, così ignoro la vergogna che sto provando e continuo per la mia strada, posso dire di star davvero sembrando uno di loro.
La ragazza vuole sentirmi parlare in giapponese, lo faccio e le solite persone senza volto lì attorno ne sembrano affascinate. Rispondo nella mia lingua natia ad ogni loro suo commento volgare e quando mi chiedono il significato sbiascico qualche parola in inglese e rido. 
Ridono anche loro con me.
Faccio sempre più  fatica a ricordarmi la loro lingua e le risate prendono sempre più il posto delle parole, quando lo vedo.
Pochi metri oltre il divano, dietro alle persone che mi stanno parlando, alto e con le spalle larghe.
I suoi capelli sono scuri e spettinati, la sua espressione è impassibile e i suoi occhi mostrano appena una punta di disgusto.
La mia risata si spezza.
Sembra una divinità rancorosa, capace di distruggermi con lo sguardo. La sua pelle è abbronzata e i suoi vestiti sono molto meno appariscenti di quelli degli altri ospiti.
Ha uno di quei volti che ti fermeresti ad ammirare in un dipinto. Non è quello che altre persone definirebbero bello, ma semplicemente mi incanta. Come la copertina di un libro che mi implora di aprirlo e di perdermi tra le sue parole.
La mia nuova falsa personalità è pesante più che mai, davanti al suo sguardo. Scivola via dal mio corpo senza che io possa farci nulla e smetto di ridere.
La ragazza accanto a me si allontana e allontana la sua mano indiscreta, per appoggiarla sul petto dell'uomo che poco prima commentava ogni sua mossa.
Il bell'uomo che mi ha fatto sentire tanto male tanto velocemente si siede poco lontano, lo schienale della sedia contro il muro, un bicchiere di una bevanda scura in mano.
Cerco uno sguardo di approvazione da anche una sola delle persone accanto a me, ma tutti hanno trovato altre persone con cui intrattenersi.
Non capisco se dovrei cercare di risistemarmi e chiarirmi le idee o se potrei cogliere quest'occasione per poter parlare con quell'uomo.
La scelta viene presa per me quando un uomo sulla sessantina si siede accanto a me sul divano.
I suoi capelli sono corti e argentati e posso dire con assoluta certezza che è insolitamente alto.
-Allora, come sta andando?-
La zona attorno al divano si fa incredibilmente silenziosa.
Qualcuno mormora mezze parole di approvazione.
-Bene bene.- La voce dell'uomo è chiara, profonda e sicura. -Sto cercando delle persone con cui vorrei fare due chiacchiere.-
Si guarda attorno per un attimo.
-Jesse McCree.- Dice a voce più alta del solito.
L'uomo seduto contro il uro si alza e si avvicina al divano con la mano tesa, mi guarda per un istante, ma non riesco a decifrare il suo sguardo. Mi sento falso e insicuro.
L'uomo accanto a me si alza a sua volta e gli stringe la mano, prima di continuare a parlare.
-Isaiah Martinez e, ovviamente, la sua bellissima consorte Alyssa.-
Da due direzioni diverse si avvicinano la donna bionda che raccontava delle sue esperienze sessuali e di quello che lei chiamava il suo onore a inizio serata e un uomo dai capelli color cenere e gli occhi di ghiaccio.
Entrambi stringono la mano all'uomo che li ha chiamati.
-Signor Chavez, serata incantevole.- Commenta Alyssa, rivolta all'uomo.
Trattengo il fiato per un istante. Come ho potuto non riconoscere la persona per cui sono qui? Cosa mi prende?
Mentre cerco di capire come fare. l'uomo chiama un altro paio di nomi e scambia qualche parola.
Sobbalzo quando lo sento tuonare:
-Hanzo Shimada, il nostro ospite da Hanamura!-
Si volta verso di me, mentre mi alzo il più velocemente possibile dal divano e assumo una posizione più consona ad avere gli occhi di una persona così  influente addosso.
La stanza si muove, la mia stretta di mano è molto meno sicura di quanto la vorrei.
-Per me è un immenso onore essere qui, signor Chavez.-
Sento come se avessi scordato tutte le lezioni che ho preso per perfezionare il mio accento, ma per fortuna tutti sembrano capirmi.
-Seguitemi nel mio salotto privato, signori.-
La voce del signor Chavez è tornata ad abbassarsi e lentamente l'attenzione delle persone sembra tornare altrove, mentre lui tiene aperta una porta di legno scuro e noi entriamo ordinatamente nella stanza adiacente.
Quando la porta viene chiusa, il rumore esterno svanisce di colpo e mi sento molto più consapevole del mio stato.
Le altre persone sembrano chiacchierare tranquillamente tra loro.
Il signor Chavez prende posto su una lussuosa poltrona al centro della stanza e ci indica i divanetti e le sedie adiacenti.
-Prima di iniziare, siamo tra amici e questa è per me un'occasione mondana, quindi vi prego di mettervi a vostro agio e chiamarmi Gabriel.
Nonostante tutto siete stati invitati nella mia casa per un motivo e prima che la festa si faccia troppo intensa ho deciso di offrirmi un po' del mio tempo per poterci conoscere meglio. Parleremo seriamente domani, quando le nostre menti saranno riposate. Ognuno avrà tempo di parlare con me e alcuni dei membri più fidati della mia famiglia in privato, non preoccupatevi.
So cosa sto cercando sia in affari che in amicizia e se qualcosa non mi convince non ho intenzione di farmi problemi a chiedervi di allontanarvi da questo posto.
Non voglio essere duro e sono una persona benevola, ma voglio dirvi le cose come stanno.
Non devo essere certo io a dirvi che siamo molto impegnati e abbiamo tutti i contatti di cui abbiamo bisogno, quindi siete invitati soltanto perchè mi sembrate interessanti, ma nel momento in cui non lo sarete più, ve lo farò sapere.
Non sto cercando lecchini o codardi che pensano di essere protetti dal mondo esterno avendo un collegamento con me. Se questo è quello che pensavate di fare, uscite dalla stanza, divertitevi alla festa e domani tornate a casa senza infastidirmi.-
Pensando a come mi sono comportato là fuori so che dovrei andarmene, ma non posso.
La mezz'ora dopo è passata a fare conversazione con Gabriel Chavez. Tra di noi la conversazione non esiste, quindi tutto sembra stranamente forzato. Vorrei non aver bevuto, renderebbe tutto molto più facile.
Stiamo tutti cercando disperatamente di non sembrare disperati e qualcuno ci riesce meglio di altri.
Alyssa è rumorosa e sicura almeno quanto non lo era fuori, come se il signor Chavez fosse un suo vecchio amico. Probabilmente lo diventeranno.
Jesse McCree è incredibilmente intenso. Le sue interazioni non sono frequenti quanto altre, ma sono piene di significato, pungenti, potenti.
Il mio unico scopo è sembrare naturale, sicuro e tranquillo e posso dire di esserci riusciuto quasi perfettamente. Lentamente sto tonando in me.
Ad un certo punto un uomo vestito elegantemente entra con un vassoio pieno di prelibatezze del posto e ce le offre. Ringraziamo e mangiamo in silenzio. Persino Alyssa non fiata. Siamo stanchi e preoccupati dell'impressione che stiamo facendo.
Di tanto in tanto mi sento a disagio, alzo gli occhi e colgo lo sguardo di Jesse McCree su di me. Lo distoglie all'istante e sospira. Mi chiedo perchè sia tanto arrabbiato.
Quando la conversazione riprende cerchiamo tutti di interagire di più tra di noi, ma è terribile. Sappiamo di essere rivali  in affari, non conosciamo le proposte o le strategie degli altri e speriamo soltanto di vederli fallire.
Cerco di rivolgere la parola a chiunque nella stanza e quando arriva il turno di Jesse McCree, lui non ne sembra così contento. La sua mascella si stringe dopo ogni mia frase.
Non avevo mai notato la mascella di qualcuno prima.
Più la mente mi torna lucida più cerco di instaurare un rapporto di fiducia con gli altri nella sala.
Voglio sembrare aperto, sincero e interessato a queste persone e alla loro cultura.
Non voglio che siano altre persone a gestire la conversazione, non voglio che appaiano come leader, ma non voglio sembrare troppo autoritario allo stesso tempo.
Uno degli uomini presenti ridacchia dopo un'affermazione del signor Chavez che invece sembrava seria. Lo sguardo del padrone di casa dice tutto. Il primo errore è stato fatto.
Sorrido e guardo McCree per un attimo, lui sta facendo lo stesso.
Meno uno.
La stessa persona vestita elegante di prima interrompe ancora la conversazione entrando nella stanza, questa volta con calici pieni di una bevanda dal colore paglierino.
Il signor Chavez si alza e ne prende uno, prima di invitarci a fare lo stesso. 
L'atmosfera si fa più informale e il signor Chavez sembra estremamente assorto in una conversazione con Alyssa e suo marito.
Io mi prendo un attimo, camminando con il calice in mano fino all'altra parte della stanza. 
McCree fa lo stesso, avvicinandomisi anche troppo.
Il suo profumo è particolare, mi piace. Non che io debba notare qualcosa di simile in un uomo, ma il mio cervello sta cercando disperatamente una distrazione dalla tensione che sto provando, e quel buon profumo sembra andar bene.
-Senti.- Sta parlando a voce molto bassa, ecco il motivo per cui mi si è avvicinato tanto. -Ho veramente bisogno di questa cosa, ok? Gli altri sembrano meno preparati, incredibilmente, quindi lavoriamo insieme e facciamoli cadere. Resteremo soltanto noi due e giocarcela alla pari domani durante i rispettivi incontri privati.-
Mi sento profondamente offeso per essere stato preso in considerazione per una cosa simile.
-Perdonami, ma penso di non aver capito. Tutti i presenti meritano di avere la nostra stessa opportunità senza essere sabotati.-
-Oh, avanti!- La sua mascella si stringe di nuovo. -Dopo la terza volta sono fuori.-
-Cosa vuol dire?-
-Vuol dire che questo è il terzo tentativo che abbiamo come Deadlock per entrare in affari con Chavez. Questa volta hanno mandato me, ma se non ce la facciamo, siamo fuori. Nessuno che lavora con noi avrà più questa opportunità. E il boss mi dirà un bellissimo "Te l'avevo detto." di quelli che nessuno si vorrebbe sentir dire.
Ho lavorato sodo per questa cosa e ne ho bisogno, ok?-
Sono sinceramente confuso. L'ho guardato durante questo incontro ed è stato impeccabile, di cosa ha paura?
-Cosa può andar male questa volta? Cosa ti spaventa? Stai lavorando molto bene, se posso permettermi.-
La sua espressione di tranquillizza per la prima volta da quando l'ho visto.
-Trovo difficile integrarmi con... questo tipo di persone. Se sembro falso sono fuori.-
-Non sembra che tu abbia nessun tipo di problema. Ti ho visto avere una buona connessiona con la signora Martinez.-
Fa un verso di disapprovazione prima di rispondermi.
-Non c'è nessuna connessione, come sempre. Temo che Chavez lo noti.-
Lancio uno sguardo al signor Chavez e ad Alyssa che chiacchierano ancora amabilmente.
-Vi siete già incontrati a questo tipo di eventi?-
Annuisce e prende un sorso dal suo bicchiere.
-Possiamo lavorare insieme.- Propongo, notando lo sguardo curioso del signor Chavez appoggiarsi su di noi. -Lavoriamo insieme per fare una buona impressione e avremo un'opportunità maggiore degli altri senza sabotarli. Farò il possibile perchè non posso permettermi di fallire, ho questa opportunità soltanto e se torno a mani vuote non so che cappero posso fare.-
-Hai..hai davvero detto "cappero"?- Si lascia scappare una risata strozzata.
Mi sento arrossire, faccio di tutto per non farlo e tutto quello che riesco a dire è:
-Silenzio.-
Il suo sorriso di scherno di allarga.
-Sei serio? Cappero?-
-Ora basta. Stai sprecando il mio tempo.-
Smette di ridere e sospira. Sembra rilassato.
-Dai, Shimada...-
-Hanzo.- Cosa sto facendo? Perchè? -Va bene Hanzo.-
-Sì, quello che è. Rilassati e vieni con me, abbiamo attirato l'attenzione del vecchio. Concentrati e, per l'amor di Dio, cerca di essere interessante. Concentrati su di me in caso facessi un passo falso e io mi concentrerò su di te e farò lo stesso. Ok?-
-Bene.-
-E non dire più "cappero". Siamo uomini adulti, è ridicolo, no?-
Essere adulti non vuol dire perdere ogni concezione del decoro. Prendo un respiro profondo, annuisco e cerco di concetrarmi, prendo un sorso della bevanda nel bicchiere e mi avvio verso il signor Chavez.
-Ce la faremo.- Mi sussurra, un attimo prima di arrivare di fronte al padrone di casa.
Lo guardo negli occhi per un istante. Le sue ciglia sono ridicolmente lunghe.
Mentre chiacchieriamo amabilmente con il signor Chavez, tutto sembra estremamente naturale.
McCree mi chiama "Hanzo" e inizia a farlo anche il padrone di casa.
Scambiamo qualche parola, ridiamo. Non parliamo di affari e tutto mi viene più naturale di qualuqnue altra cosa io abbia mai fatto prima.
La nostra conversazione è leggera quanto pungente, le battute sono intelligenti, le osservazioni interessanti.
Sorridiamo entrambi sinceramente. Noto che McCree è davvero un bell'uomo quando sorride. Peccato che il padrone di casa sia un uomo, gli sarebbe stato molto facile entrare nelle grazie di una signora.
Il signor Chavez sorride a sua volta mentre ci parla.
-Vi state trovando bene voi due, non è vero? Mi fa piacere vedere che questa serata vi ha fruttato un'amicizia. Magari un altro giorno vi troverete a parlare di affari, chissà.-
Entrambi lo guardiamo in silenzio per un istante, non capiamo se fosse un commento positivo o negativo, ma lui ci sorride ancora, quindi facciamo altrettanto.
Fa un paio di passi indietro battendo le mani e alzando di nuovo la voce parla a tutti i presenti.
-Signori, per me si è fatto tardi. La festa vi aspetta e gli altri invitati non vedranno l'ora di fare la vostra conoscenza. Per me è stato un grande piacere e non vedo l'ora di rivedervi domani dopo l'ora di pranzo.-
Salutiamo, ringraziamo e torniamo al divano appena fuori dal salotto privato del signor Chavez, che troviamo piacevolmente libero, mentre la festa sembra essersi spostata verso la zona del bar.
Con la coda dell'occhio vedo il signor Chavez parlare sommessamente con uno degli uomini che ci hanno accolti ad inizio festa, per poi allontanarsi su per una scala.
L'uomo si avvicina ai due uomini che erano con me, McCree, Alyssa e Martinez e dice loro qualcosa a voce bassa, per poi accompagnarli lontano da noi.
Io appoggio il calice ancora pieno sul tavolino basso davanti al divano e mi ci appoggio, lasciandomi scappare un sospiro. Accanto a me si lascia cadere rumorosamente McCree. Tutta la simpatia che iniziavo a provare per lui svanisce insieme a questo gesto così poco elegante.
All'altro capo del divano si siede Alyssa e su una poltrona accanto a lei suo marito.
Lei sembra non notarlo, voltata verso McCree e intenta ad accarezzargli un bicipite.
Mi chiedo come il marito possa non curarsi di una cosa simile, mi impegno per spostare lo sguardo da McCree verso Martinez per studiarne l'espressione. Sembra estremamente pacifico.
Il resto della serata e nottata passano velocemente e sfocate, mentre cerco di bilanciare le bevande alcoliche, il fumo e il bisogno di socializzare.
McCree è rimasto quasi tutta la sera sulla sua sedia contro il muro con un bicchiere in mano. Non sembra divertirsi, ma lo capisco.
Nonostante tutto, mi dispiace per lui.
La nottata è quasi finita quando decido di prendermi una pausa dal mio tentativo di socializzazione per andare verso di lui.
Ha gli occhi chiusi la testa appoggiata al muro. Quando gli sfioro una spalla, sobbalza.
-Che cazzo!- Sbarra gli occhi e mi fissa.
-Stai bene?-
Lascia di nuovo andare la testa contro il muro e chiude gli occhi.
-Sto bene. Vattene.-
Non so perchè mi sia disturbato tanto.
-Sai di essere estremamente maleducato, vero?-
-Ne sono consapevole.-
-Bene. Volevo soltanto assicurarmene.-
Mi volto, ma subito dopo mi sento chiamare.
-Shimada, senti...-
-Hanzo.- Mi chiedo perchè io abbia questo desiderio di farmi chiamare per nome. -Il mio nome è Hanzo e lo sai.-
-Hanzo...-
La verità è che il modo in cui dice il mio nome è davvero particolare. Mi fa provare una sensazione quasi piacevole.
Mi fa segno di sedermi sulla sedia dall'altra parte del tavolo e non me lo faccio ripetere due volte. Inizio a sentire la stanchezza, temo sia colpa degli alcolici.
-Ci ho pensato.- La sua voce è più roca, ma piacevole. -Non saremo amici, non saremo colleghi, quindi non sprechiamo energie per socializzare, ok?-
Non so cosa dire e per la prima volta rispondo semplicemente con un -Ok.-
-Ok? Tutto qui?- Sembra infastidito e non riesco a capirne la ragione.
-Non ho mai avuto questo tipo di conversazione prima, mi dispiace. Dovrei forse ringraziarti per aver fatto notare qualcosa che era ovvio?-
Sbuffa e non risponde.
-Cosa c'è?- Mi lascio scappare. Sono sorpreso di me stesso e mi sento in dovere di chiarire. -Non sono qui per avere amici o per parlare di affari con qualcuno che non sia il signor Chavez.-
-Bene.- Lui continua a non aprire gli occhi.
Qualcosa mi irrita profondamente di quel comportamento e per qualche motivo non riesco a smettere di parlare.
-Faccio fatica a capire il problema. Abbiamo collaborato al meglio, sembra che sia andata bene, non è il caso di trattarmi in questo modo.-
-Sì, invece.- Sembra incredibilmente teso. -Perchè sei...- Si ferma. Cosa sono?
-Fastidioso?- Dico. -Antipatico?-
-Bipolare.- Risponde.
Mi fermo, non sono certo di capire.
Lui sospira ancora.
-Ti ho visto prima a giocare al pappone. "Sono ricco, sono esotico, la gente mi vuole." Questa cosa è ridicola perchè sono tutti falsi come una banconota da tre dollari, ma ognuno ha le sue priorità nella vita.
Poi con me sei impaziente, sincero, intelligente e concentrato. Non ti vado abbastanza a genio da far finta anche con me?-
Non ci ho pensato, ma è vero. Non sono mai stato così brutalmente onesto quanto lo sono stato con lui durante quella breve conversazione. Mi sono sentito diverso in sua presenza.
-E tu invece?- Dico.
-Io? Io sono facile da capire, sono uno stronzo qualunque.-
-Lo so.- Mi lascio scappare un sorriso.
-No, non lo sai.-
-Il tempo che stiamo passando insieme non è particolarmente costellato da gentilezza, quindi penso di avere una buona idea di cosa sei.-
Annuisce.
-Bene. Sono felice che tu abbia capito di starmi alla larga.-
-Sono sicuro che non avrò molta scelta. Dopo questa sera non ci incontreremo mai più.-
-Lo pensi?-
-Le conversazioni private che avremo con il signor Chavez andranno molto bene per te, domani, mentre per me non lo faranno. Pensavo di essere preparato, ma non lo sono.-
Mi guarda come se non capisse di cosa stessi parlando.
-Non esserne così sicuro. Mi sembri un uomo d'affari capace.-
-Ti ringrazio.-
Mi guarda per qualche secondo, poi si lascia scappare una mezza risata.
-E io?-
Roteo gli occhi e prendo un sorso dal mio bicchiere. 
-Sono sicuro che tu sappia di aver lavorato bene.-
-Proprio così.- Dice annuendo.
-Non vedo spesso tanta umiltà in un solo uomo.-
-E tanta bellezza. Che schifo non essere me!-
Sospiro. -Quindi il tuo clan sta provando ad entrare nelle grazie della famiglia Chavez da molto tempo. Cosa fate?-
-Trattiamo armi e strumenti militari, ma non sono in alto quanto credi nel mio gruppo. Faccio ancora un sacco di lavoro sporco.-
-Per questo le tue mani sono ruvide.- Dico. Lui mi guarda accigliato.
-Preferisco chiamarle robuste.- Sorride, guardandosi le mani per un attimo. -Spostare le casse non è un lavoro leggero e va fatto.-
-Il duro lavoro è il miglior esercizio fisico.- Sorrido a mia volta.
-Ho fatto abbastanza esercizio fisico. Se riuscissi a portare a termine questa cosa, sarebbe un colpo grosso per il mio gruppo e per la mia posizione. Lascerei il duro lavoro ad altri.-
-Quando porterai a termine questa cosa.- Lo correggo.
Mi guarda per un lungo attimo. Capirlo è quasi impossibile.
-Se lo dici tu, Shimada.-
Non ho intenzione di chiedergli di nuovo di usare il mio nome, probabilmente è meglio così e la mia era comunque una richiesta illogica. Senza contare che non siamo amici e non lo diventeremo.
La cosa peggiore è che qualcosa mi dice che lo siamo già.
Rimaniamo in silenzio per un po' di tempo, mentre la sala inizia a svuotarsi.
Un uomo vestito elegante si avvicina a noi e ci annuncia che le nostre camere sono pronte e che quando vogliamo ritirarci è libero di mostrarci la strada.
Ringrazio e mi alzo, chiedendo di essere portato alla mia stanza.
McCree si alza un attimo dopo e chiede che venga fatto lo stesso.
-La serata dovrà fare a meno delle tue maniere, McCree. La festa sarà morta senza la tua presenza.-
-Immagino.- Ride. Quando mi guarda sento una sensazione terribile allo stomaco e non capisco se sia lui a procurarmela o gli alcolici, ma in entrambi i casi la odio.
Sento come se dovessi dire altro, ma la mia mente è annebbiata, quindi seguo in silenzio l'uomo e lui fa lo stesso.
La mia stanza mi viene mostrata per prima. Ringrazio l'uomo e poco prima di chiudere la porta lancio un ultimo sguardo verso McCree.
-Dopo un lungo silenzio imbarazzante ci salutiamo, Shimada. A domani!-
-Sì.- Dico velocemente, sbattendo la porta.
Spero di rivederlo domani mattina, ma non voglio che succeda allo stesso tempo.
Non mi sono mai sentito così in presenza di nessuno.
Sono certo che non sia un buon segno.

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