Il liceo dei mostri - il diamante rubato

di Sospiri_amore
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: La vecchia dimora dei Mille semi ***
Capitolo 2: *** Il liceo dei mostri ***
Capitolo 3: *** Adalberto Gorgofondo ***
Capitolo 4: *** A come appiccicoso ***
Capitolo 5: *** Questione di colore ***
Capitolo 6: *** Ordine! ***
Capitolo 7: *** Complotti e gelatina ***



Capitolo 1
*** Prologo: La vecchia dimora dei Mille semi ***


Prologo:
La vecchia dimora dei Mille semi





Quando quella nebbia viola iniziava a scivolare radente al terreno significava solo una cosa: guai in vista. Gualtiero lo sapeva bene, per questo si rifugiò ansante dietro a una grossa quercia sperando che quella nebbia non lo trovasse. 

 

La vecchia dimora dei Mille Semi era abbandonata da anni, il grande parco che la circondava era l'unico posto dove il demone d'acqua Gualtiero potesse nascondersi con la speranza di non essere trovato. 

La luna piena nel cielo splendeva luminosa come un faro, c'era troppa luce per i suoi gusti, correva seriamente il rischio di essere visto da qualche sventurato turista di passaggio o, peggio ancora, dal suo Maestro. Gualtiero non era riuscito a prendere una cosa, una cosa molto importante, e prima o poi avrebbe pagato un tale affronto.

 

Gli ululati dei licantropi echeggiavano in lontananza come rintocchi lugubri, rochi e profondi.

 

Quel verso animalesco rendeva l'atmosfera più lugubre di quanto già non fosse. Non che Gualtiero avesse paura dei licantropi, sapeva benissimo che si trattava di qualche giovanotto che voleva far colpo su qualche ragazza, una bravata tra adolescenti, di certo non rischiava la sua vita con loro nei paraggi, ma quel verso non gli era mai piaciuto, neanche quando nella scuola in cui lavorava, come inserviente, gli toccava fare i turni la notte durante i giorni di luna piena.

 

Ma adesso le cose erano molto diverse.

 

Le lezioni serali con ragazzotti che gonfiavano il petto ad ogni ragazza che passava nei paraggi, i grugniti profondi e le centinaia di peli che doveva raccogliere, non gli sembravamo più una cosa tanto fastidiosa. Pagherebbe lui stesso per essere in uno dei corridoi della scuola a svuotare cestini o rimproverare quei licantropi adolescenti di filare dritti in classe. Del resto erano solo degli innocui bestioni facili da gestire.

 

Già, Gualtiero avrebbe fatto di tutto pur di non trovarsi lì nel bosco parco della Dimora dei Mille semi. Del resto la fuga non era certo tra le sue abilità maggiori. Il corpo esile e asciutto, come la maggior parte dei Demoni come lui, non garantiva una buona resistenza agli sforzi fisici, soprattutto per lui ormai vicino al pensionamento.

 

Gualtiero tremò al soffio di un vento più gelido.

Il suo gracile corpo color alabastro sembrò sul punto di crollare.

Un sussurrio lontano sfilò rapido, parole accennate si mossero come insetti striscianti nelle orecchie del vecchio Demone.

Una lingua arcaica, e ai più sconosciuta, riportò alla mente di Gualtiero le storie che il suo Maestro gli aveva fatto leggere e tutti i discorsi che aveva ascoltato quando andava da lui come iniziato. Alcuni parlavano di anni lontani, di epoche oscure, in cui i licantropi sgozzavano demoni con i loro denti acuminati o di come potessero tagliare in due un umano con una semplice zampata. I licantropi erano in grado di ammazzare perfino un un vampiro esperto. Non che quest'ultima specie fosse da meno. Per molti decenni i vampiri adulti erano stati capaci prosciugare un essere vivente in meno di venti minuti, senza contare le razzie di bestiame e le violenze.

Guerre.

Morti.

Sofferenza.

 

Il sussurrio cessò all'improvviso.

 

Gualtiero si strofinò le mani nervoso al ricordo di quelle storie convincendosi che tutto sarebbe andato per il meglio, cercando di tornare con la mente alla realtà dei fatti. 

«Sono qui. Sono Gualtiero della Fonte, Demone d'acqua. Andrà tutto bene. Andrà tutto bene», disse cercando di allontanare i brutti pensieri. Un fluido candido e glaciale scivolò tra le dita del demone avviluppandosi energicamente ad ogni falange, strisciando in ogni ruga, sommergendo ogni callo e togliendo ogni ombra di sporcizia presente sulle mani, color alabastro, del povero inserviente. I suoi poteri così speciali, dettati dal suo essere un demone d'acqua, sarebbero serviti a nulla in uno scontro faccia a faccia con il suo Maestro o con chiunque volesse fargli del male. Dell'acqua ghiacciata avrebbe potuto far ben poco, era un potere semplice, del resto lui era solo un umile e semplice inserviente scolastico che puliva i bagni e le aule del VLUD, nulla di più.

 

Un piccolo sbuffo d'aria smosse una ciocca dei capelli di Gualtiero.

Il resto della sporcizia appiccicata sul volto del demone sgocciolò insieme al sudore che, scivolò rapido, dalla fronte macchiando i brandelli di camicia che indossava. Il panico invase il suo corpo, i muscoli tesi lo inchiodavano al terreno.

 

La nebbia viola arrivò ai piedi di Gualtiero implacabile, strisciante e silenziosa.

 

Una spirale fatta di fumo, foglie secche e polvere, prese forma davanti ai suoi occhi, piano piano, come fosse una scena rallentata. 

Una figura animalesca, più simile ad un fantasma, si materializzò a mezz'aria davanti al demone. Potente. Maestosa. Spaventosa. Più massiccia di un licantropo nei giorni di luna piena, più algida di un demone e più minacciosa di un vampiro assetato. 

Quello strano essere dalle spalle massicce e ricurve, gli occhi grandi gialli e il muso vagamente simile a quello di un lupo muoveva freneticamente le sue dita lunghe e sottili come rami secchi mettendo in mostra i lunghi canini affilati come la più preziosa delle spade forgiate dal miglior fabbro.

 

Gualtiero impallidì, sapeva che non avrebbe avuto scampo. 

Il suo Maestro era lì e voleva da lui la cosa.

Per lui era giunta la fine.

 

«Ciao Gualtiero della Fonte. Quanto tempo, è da un po' che non ci vediamo», una voce lamentosa e strascicata rimbombò nel parco e proveniva dalla strana figura di fronte al demone impaurito. Lo strano essere si muoveva lento, trascinando i piedi sui verdi fili d'erba umidi di rugiada notturna, con sguardo glaciale e senza timor alcuno.

Nello stesso istante in cui quell'essere si avvicinò al Demone, allungando le sue dita ossute, uno stormo di uccelli si levò dalle cime degli alberi oscurando per qualche secondo la luce della luna piena. Le fronde degli alberi frusciarono selvaggiamente mentre gli stridii dei volatili crearono una cacofonia capace di spaventare il più coraggioso dei guerrieri. 

Gualtiero trattenne il fiato impaurito.

 

«S-Salve mio Signore, mio Maestro. Io... Io... Stavo giusto venendo da lei per spiegarle cosa fosse successo». Gualtiero non era un abile mentitore, le labbra tremanti e gli occhi spalancati non erano certo un segnale che esprimesse forza e coraggio. La sua paura trasudava da ogni poro della pelle color alabastro.

«Non mentirmi!». Come uno schiocco di frusta la voce di quell'essere redarguì il demone avvicinando il suo viso mostruoso a quello del Demone impaurito.

 

Tremando Gualtiero si inginocchiò davanti al proprio Maestro sperando che quel gesto potesse salvarlo da una fine ormai certa. Non era riuscito a fare quello che gli era stato ordinato e per questo la sua vita era appesa ad un filo.

 

"Dov'è il serum? Voglio sapere se l'hai rubato".

"Ho provato a prenderlo, ma... ma... non è facile. Sa benissimo che serve il sacrificio di quei ragazzi per poterlo estrarre. Ci ho provato, ma...", Gualtiero provò ad allungare le mani in segno di perdono.

"... ma ti sei fatto intenerire da quelle mezze cartucce. Non hai avuto il coraggio di sacrificare delle pedine inutili per avere la vita eterna, per avere ciò che desideri più di ogni altra cosa. Hai fallito! Sai cosa aspetta a chi mi tradisce?".

"Mo-morte mio Signore?". Gualtiero sgranò gli occhi mentre con le mani giunte e le ginocchia affossate nel terreno fissava terrorizzato quello strano essere.

"No, molto peggio. Vivrai l'inferno per sempre in mia compagnia". Una parvenza di sorriso allargò le mascelle digrignanti di quello strano essere esponendo i canini alla candida luce della luna che placida illuminò lo scempio che si sarebbe compiuto di lì a breve.

 

Un lampo di luce viola illuminò il parco della vecchia dimora dei Mille semi, mentre delle urla di dolore si unirono agli ululati fiochi e lontani dei licantropi.

Nessuno vide.

Nessuno seppe mai.

Dopo tanto dolore ci fu solo silenzio.

Buio.

 

Gualtiero non esisteva più.

 

Solo la luna piena splendeva nel cielo.

 

La vecchia dimora dei Mille Semi tornò serena e quieta, almeno fino al prossimo passo che avrebbe portato quello strano essere un passo più vicino a ciò che più desiderava al mondo.

L'unica cosa che a un mostro come lui potesse interessare veramente.

L'unico oggetto che bramava più di ogni altra cosa al mondo.

L'unico monile capace di donare la vita eterna: il diamante rosa di Adalberto Gorgofondo.

 

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Spazio autrice:

Il prologo è molto cupo e oscuro.

Non si capisce molto per ora.

Dal prossimo capitolo si partirà con calma per arrivare, pian piano, ai misteri e agli intrecci avventurosi.

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Capitolo 2
*** Il liceo dei mostri ***


IL LICEO DEI MOSTRI





Non è che Vladi lo facesse apposta, ma svegliarsi presto non era certo la cosa che gli riuscisse meglio. La sveglia suonava sul comodino da cinque minuti buoni, ma lui non dava nessun cenno di vita.

 

Certo, Vladi era un vampiro e solitamente i vampiri vivono la notte e dormono di giorno, ma da ormai secoli e secoli nessuno faceva più così. 

Roba antiquata.

L'associazione AmiciVampiri esisteva da sempre e aveva lo scopo di promuovere l'immagine del vampiro nella società da quando fu inventato il serum di Adalberto Gorgofondo. Quindi, da decenni, il vampiro non era più lo spietato succhiasangue che tutti conoscevano, ma un mostro come gli altri, allo stesso livello dei licantropi e dei demoni.

Erano stati fatti parecchi passi avanti, nessun essere umano veniva più morso, prosciugato o aggredito. La buona educazione era diventata prassi. Il cibo non mancava. Le industrie chimiche, gli scienziati e il progresso, avevano creato una serie di prodotti ottimi per i vampiri che pure i licantropi, nei giorni di luna piena, amavano sgranocchiare.

La SlurpBlood, la principale marca di cibi per vampiri, aveva creato una serie di prodotti ad uso alimentare che andavano molto di moda tra i giovani: barrette al sangue dolce, succhi di sangue misto, patatine al gusto sangue, più una serie infinita di preparati per cene e deliziosi pranzetti.

Vladi, da buon vampiro adolescente, apprezzava tutto ciò che fosse fritto, zuccherato e ricco di sapore. Poco gli importava che con i surrogati del sangue fresco la sua vita eterna non sarebbe stata più eterna, a lui importava solo di non essere considerato una bestia. 

Per i vampiri essere accettati era più importante dell'immortalità. 

I capelli bianchi, qualche ruga e le palpebre calanti, non erano un grosso problema, esisteva pur sempre la chirurgia plastica. Tanto i suoi duecento anni, suppergiù, li avrebbe vissuti comunque.

 

Claretta scosse Vladi senza ottenere risposta. Detestava quando suo figlio faceva così. Prese dal cassetto uno spray all'aglio, quello era l'unico rimedio per farlo smuovere. Claretta detestava usarlo, riempiva la casa di quell'odore nauseabondo che ci sarebbe voluto tutto il giorno per farlo uscire da casa.

 

Psss.

 

Una spruzzata vicino al naso di Vladi e il ragazzo, come una molla, scattò sull'attenti.

Con gli occhi serrati il vampiro vagò qualche secondo per la stanza per poi schiantarsi contro il grande armadio nella sua cameretta e picchiando forte il naso. Neanche a dirlo non uscì nessuna goccia di sangue, ma Vladi sentì un dolore acuto che lo fece accartocciare a terra lagnandosi come un cucciolo ferito.

 

Claretta spalancò subito la finestra sventolando un paio di fumetti del figlio cercando di far uscire la puzza dello spray all'aglio dalla stanza.

 

«Oggi è il primo giorno di scuola. Sei ovviamente in ritardo», gli disse la madre mentre lo colpì con piccoli calci ammortizzati dalle pantofole di pelo fucsia e rosa.

 

Vladi mugolò mentre cercava un riparo dai colpi inferti della madre.

 

«Oggi non puoi fare il pigrone», ringhiò Claretta.«Mi raccomando fai in modo di non arrivare tardi alle lezioni». La vampira voltò le spalle al figlio iniziando a togliere le lenzuola dal letto e rassettando la camera, aveva sempre così tanto da fare in casa che non voleva perdere troppo tempo dietro a un figlio tanto sciagurato. Vladi era capace di creare un pandemonio dal nulla, quindi prima il figlio sarebbe uscito da casa e meno correva il rischio di rimanere invischiata in uno dei suoi guai.

 

Vladi sollevò la mano come farebbe un alunno modello in classe con la maestra, ricompose il pigiama mezzo sgualcito e si pettinò i capelli castani arruffati.

 

«Che c'è?», chiese Claretta incurvando le spalle rassegnata sedendosi stanca sul letto.

 

Vladi tossicchiò.

 

Quello era il tipico atteggiamento di Vladi, fare domande per sviare l'attenzione dai guai che puntualmente combinava. Aveva sempre fatto così, fin da piccolo. Vladi aveva capito fin da subito che cambiare discorso funzionava sempre, soprattutto quando combinava un pasticcio. Come quella volta che da vampiro bambino si divorò un barattolo di crema al sangue e cioccolato gianduia, una bella scorpacciata, una di quelle mangiate che difficilmente si dimenticano. Pur di non essere incolpato del misfatto, Vladi, stordì sua madre con tante di quelle parole che Claretta alla fine si dimenticò perché lo stesse sgridando.

Il più delle volte questa tattica funzionava, ma in momenti come questo, dove la pazienza della donna vampira era ridotta al lumicino, era meglio non scherzare con il fuoco.

 

«Tecla è sveglia? Vorrei capire se mia sorella sta dormendo ancora. Non credo sia giusto, e molto salutare, svegliare un vampiro adolescente così di soprassalto. Ho letto studi che collegano la poca capacità di concentrazione con il sonno. Forse per questo Tecla ottiene risultati migliori a scuola, il suo sonno deve essere più rinfrancante del mio. Credo sarebbe il caso di approfondire questo aspetto. Il sonno, intendo», disse il ragazzo alla madre mentre iniziò a stiracchiarsi come stesse facendo un qualche esercizio di ginnastica.

«Tua sorella è sveglia da cinquanta minuti abbondanti, ha già fatto colazione e si sta preparando per uscire», disse Claretta asciutta con le mani sui fianchi mentre osservava il figlio in cagnesco, proprio come farebbe un licantropo nei giorni di luna piena. «Non è mai in ritardo, lei. E lei dorme come te. Uguale. A volte anche io fatico a credere che siate gemelli, siete così diversi che non sembrate neanche parenti».

«Ti ho solo fatto una domanda. Non capisco perché ti irriti tanto, non vedi che sto prendendo i vestiti da indossare?». Vladi sorrise mostrando i suoi candidi canini, sbatté le palpebre velocemente come fosse un dolce cerbiatto prima di spalancare le ante dell'armadio per prendere i suoi jeans preferiti, una felpa con chiari segni di usura, una t-shirt del suo gruppo musicale preferito, i MadBlood, e un paio di calzini spaiati.

 

In meno di tre minuti Vladi era pronto per uscire e andare a scuola.

 

«Non credi dovresti farti una doccia? Almeno oggi che è il primo giorno non dovresti vestirti come si deve?». Claretta si mise le mani nei corti capelli rosso fuoco ormai rassegnata alle uscite del figlio.

 

Vladi si annusò l'ascella destra e poi quella sinistra.

 

«Profumo come un vampiro dovrebbe profumare. Indosso la mia felpa portafortuna. Che c'è di male?», chiese il ragazzo infilando un paio di fumetti nelle tasche posteriori dei jeans, li avrebbe letti più tardi tra una lezione e l'altra come ogni giorno della sua vita da studente.

 

Claretta assunse una sfumatura violacea intensa, tipica dei demoni di aria quando perdono le staffe, ma molto più simile a una prugna matura pronta a cadere dall'albero.

 

«Sparisci. Subito». La vampira sembrava pronta ad esplodere proprio come farebbe un razzo che sta per lasciare la terra e sfrecciare nello spazio.

 

Vladi ubbidì.

Sparì più velocemente che poté.

 

Uscì dalla camera per correre in cucina e rubare una manciata di merendine SlurpBlood e un succo al sangue artificiale gusto uva dal mobiletto della cucina. Infilò tutto a forza nello zaino tra un astuccio malconcio e un quaderno dalla copertina pasticciata.

Percorse a grandi falcate il corridoio d'ingresso senza però dimenticare di darsi un'ultima occhiata nello specchio appeso vicino alla porta per spettinarsi ad arte. 

Un sorriso. 

Un occhiolino.

Un paio di occhiali da sole neri.

Finalmente Vladi uscì di casa pronto ad iniziare un nuovo anno, il terzo per la precisione, al VLUD da tutti però soprannominato, da lui e dai suoi amici, il Liceo dei Mostri per via degli strambi studenti che frequentavano la scuola.

 

«Sei il solito cretino». Una voce graziosa e melodiosa intrisa di acidità e sfacciataggine battezzò il primo passo di Vladi sul viale di casa.

«Ciao, Miss Perfettina. Sei pronta a diventare la studentessa migliore anche quest'anno?», disse Vladi mettendo le mani dietro la testa indifferente agli squittii della sorella gemella.

«Si dia il caso che essere una studentessa modello abbia i propri vantaggi al VLUD. Sono coordinatrice degli eventi scolastici e posso ritenermi fortunata a rappresentare i miei compagni di classe e...», disse Tecla scuotendo la lunga massa castana rossiccia che cadeva liscia come seta sulle sue spalle.

«Sempre se verrai eletta. Potrei convincere i nostri compagni di classe a votare per qualcun altro... non so, Gregorio per esempio, il mio amico licantropo», disse il vampiro divertito dal fatto che in questo modo avrebbe mandato la sorella su tutte le furie.

«Gregorio Carnera? Parli dello stesso Gregorio che intendo io? Greg il licantropo fannullone fissato con il football che metà scuola odia per gli stupidi scherzi che fa ogni anno?». Tecla detestava la mandria di perditempo che ronzava intorno a suo fratello. 

Pigri.

Inconcludenti.

Svogliati.

«Tu vedi sempre il bicchiere mezzo vuoto. Io lo vedo mezzo pieno. Invece di dire che metà scuola lo odia per i suoi scherzi, potresti dire che metà scuola adora gli scherzi di Gregorio», disse Vladi scartando una merendina ripiena di confettura alla ciliegia e sangue artificiale.

«Solo perché Greg è il tuo migliore amico ti senti in diritto di difendere quel lupo da quattro soldi», rispose stizzita la vampira girando la testa dalla parte opposta e scuotendo i capelli con grazia.

«Licantropo. Si dice, licantropo. Potresti essere considerata razzista se lo offendessi in questo modo davanti a tutti, la tua reputazione potrebbe venire compromessa». Vladi abbracciò la sorella per poi sfregargli le nocche sul capo scombinandole la pettinatura.

«Lasciami stare, cretino», disse Tecla schiacciandogli un piede.

 

Nonostante Vladi e Tecla discutessero per ogni minima cosa si volevano un gran bene. Erano cresciuti insieme, uno l'opposto dell'altra, complici e nemici allo stesso tempo, capaci di sacrificarsi per l'altro, ma incapaci di dimostrarsi un minimo segno d'affetto o raccontarsi quello che sentivano davvero come sorella e fratello. 

La cocciutaggine di lei e la spavalderia di lui erano come centinaia di spine avvolte intorno ai loro corpi che non permettevano ai due fratelli di abbracciarsi e lasciarsi andare del tutto, non dando loro la possibilità di conoscersi per quello che veramente fossero.

 

«Sarai la beniamina del Liceo dei mostri anche quest'anno, del resto chi è più mostro di te? Nessuno, mia cara strega». Vladi beffeggiò la sorella tirandole in pieno volto la confezione in cui era avvolta la merendina appena mangiata. Con uno scatto si allontanò verso l'ingresso della scuola per raggiungere i suoi amici lasciando Tecla sola a sbollire la rabbia che le montava dentro.

 

Tecla prese un profondo respiro.

 

Estrasse lo specchietto dal suo zaino e controllò che tutto fosse in ordine.

Lisciò i lunghi capelli con un gesto rapido del capo mentre specchiandosi osservò con attenzione i suoi denti allineati e candidi. Sfiorò con la lingua i canini e fece schioccare le labbra. Tutto doveva essere perfetto, come sempre.

 

«Forza Tecla, un nuovo anno. Non avere paura, riuscirai a conquistarli tutti. Non mollare, non mollare», si disse tra sé e sé cercando di motivarsi per allontanare i dubbi e le ansie che ogni vampira diciassettenne, insicura e fragile, sentirebbe agitarsi dentro il proprio animo.

 

Sorriso smagliante.

Passo sicuro.

Schiena dritta.

 

Tecla sapeva che non avrebbe dovuto farsi mettere i piedi in testa da nessuno se voleva diventare, anche quest'anno, la studentessa migliore di tutto l'istituto. 

Avrebbe dovuto sgobbare, studiare molto, ma era motivata. 

La testardaggine di Tecla era ormai cosa risaputa da tutti gli studenti, non c'era nessun ostacolo, test o interrogazione che lei non superasse, non c'era niente che potesse farla desistere dai suoi intenti. Se Tecla voleva una cosa si può star certi che avrebbe fatto di tutto pur di ottenerla e non c'era cosa che la vampira desiderasse di più al mondo che prendere il massimo dei voti. Per questo a scuola tutti la chiamavano la strega, perché era riuscita a prendere ottimi voti in tutte le materie anche con i professori più severi e esigenti. Una cosa impossibile per molti studenti tanto che si sparse la voce che solo qualcuno dotato di strani poteri avrebbe potuto ottenere i suoi risultati, una strega appunto.

 

Invece Tecla era una vampira come le altre, solo più determinata.

 

«Coraggio Tecla. Non guardarli negli occhi. Testa alta e vai dritta per la tua strada», cercò di auto convincersi la vampira mentre con la mano svolazzante, come fosse una regina con i suoi sudditi, salutò tutti gli studenti che aspettavano annoiati l'inizio della prima lezione dell'anno scolastico.

Molti di loro non la degnarono di uno sguardo, mentre altri la fissavano ammirati, del resto una come lei non passava inosservata.

 

Con passo deciso, convinta di voler seppellire le sue ansie e paure e non farsi sopraffare da esse, Tecla si diresse verso il grande edificio antico in cui avrebbe passato buona parte del prossimo anno.

Le pietre grigie e incastrate tra loro da secoli, il profumo di legno e polvere, i grossi gradini squadrati erano il posto più bello in cui Tecla potesse trovarsi. 

Finalmente la vampira non avrebbe dovuto più ciondolare nella biblioteca della città in cerca di testi che potessero aiutarla, ma avrebbe attinto direttamente dalla antica biblioteca scolastica meta di molti studenti delle varie Università cittadine. Avrebbe potuto perdersi tra gli immensi scaffali, sfogliare decine di libri e accedere ai nuovi volumi, quelli per gli studenti del terzo anno, che fino ad ora non era riuscita a studiare.

Un nuovo anno significava per Tecla nuove nozioni.

Nuove nozioni significava per Tecla un passo in più verso l'eccellenza.

 

Tecla respirò profondamente il profumo umido e polveroso della sua amata scuola.

Alzò lo sguardo verso l'alto arco in pietra che incorniciava il portone in legno grezzo spalancato davanti a lei. Si fermò ad osservare lo stemma inciso nella pietra che campeggiava solenne: uno scudo con inciso un sole, un pipistrello, un lupo e un pugno.

Poco più in alto il diamante rosa di Adalberto Gorgofondo svettava imponente, il simbolo che rappresentava perfettamente l'unione e la fratellanza delle quattro specie: demoni, vampiri, licantropi e umani.

 

Un esempio per la ragazza vampira.

Un modello da seguire.

 

Tecla sorrise, finalmente si sentì a casa.

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Capitolo 3
*** Adalberto Gorgofondo ***


Adalberto Gorgofondo





Il corridoio sommerso dagli studenti non sembrava poi così cupo e grigio, le maglie colorate, le voci chiassose e gli zaini straripanti di libri affollavano l'angusto spazio che collegava le varie aule per le lezioni. Le finestre, poste troppo in alto, non facevano filtrare molta luce, ma ce ne era abbastanza per permettere ai vari studenti di potersi orientare con facilità, a patto che sapessero come muoversi. 

 I licantropi, gli umani, i vampiri o i demoni degli ultimi anni sapevano bene dove andare, durante gli anni passati a scuola avevano imparato a conoscere ogni anfratto, sporgenza o rientranza di quello strano edificio. La loro esperienza era d'esempio per le matricole che li seguivano imitandoli cercando di non perdersi in quel labirinto di corridoi, porte chiuse e vicoli ciechi.

 

Una ragazza si fermò ad osservare la grande bacheca posta all'ingresso proprio dietro al grande portone in legno che si affacciava direttamente sul cortile pieno di studenti in attesa di entrare in classe. 

La ragazza si chinò per osservare meglio.

Non che non avesse mai visto quella bacheca, anzi, era da due anni che ogni giorno di scuola se la trovava davanti agli occhi, ma non si era soffermata più di tanto. Un po' per via di quello che c'era rappresentato, un po' perché non le era sembrato mai troppo importante perderci tempo. Con i capelli che le coprivano parte del viso, lisci come spaghetti e neri come la notte più buia, sbirciò le targhe commemorative e le riproduzioni, su cartone di pessima qualità, dei quadri più famosi presenti nella pinacoteca cittadina. Quei quadri raccontavano la storia dell'edificio in cui attualmente si trovava: la sua scuola, il VLUD.

Elisa, così si chiamava la ragazza, sillabò la parola: ministero.

«Mi-ni-ste-ro», il VLUD un tempo non era la scuola come la conoscevano tutti.

 

Immagini di lotte. 

Armi.

Denti aguzzi.

Feriti. 

Uomini di incappucciati di nero.

 

Il VLUD era stato per secoli un edificio ministeriale dove le varie specie potevano contare sui loro rappresentanti cittadini per qualsiasi cosa. Quattro gruppi separati pronti a difendere a spada tratta i propri simili. Non c'era giorno in cui un vampiro aggredisse un umano, in cui un demone colpisse un licantropo o in cui un umano non sfidasse un demone. 

 

Processi.

Accuse.

Licantropi ammanettati.

Litigi.

 

Per secoli ci furono diatribe e contrasti, guerre di specie e omicidi fatti in nome del sangue. Per secoli ogni famiglia temette per i propri cari, ogni madre e padre ebbe paura che ai propri figli potesse accadere qualcosa di brutto. 

 

I vampiri avevano bisogno di sangue fresco, i licantropi diventavano bestie assassine con lo spuntare della luna piena, i demoni troppi egoisti non erano interessati al bene comune e gli umani erano pronti a colpire con le armi chiunque gli si avvicinasse.

Un sfacelo.

 

Testi antichi.

Mappe.

Immagini di Vampiri bruciati.

Stemmi.

 

Niente poteva unirli, le esigenze delle varie specie erano in continuo contrasto tra di loro, una convivenza pacifica tra tutti era considerata una pura utopia tanto che vennero istituite regole talmente restrittive e castranti che il malcontento popolare aumentò a dismisura.

 

Nessun vampiro poteva nutrirsi di sangue umano.

Tutti i licantropi dovettero chiudersi in gabbie speciali i giorni di luna piena.

I Demoni dovettero contribuire con i loro poteri al bene comune.

Gli uomini dovettero sbarazzarsi di tutte le armi.

 

Demoni incarcerati.

Carestia.

Sofferenza.

 

Tra le pareti spesse e grigie del palazzo ministeriale furono discusse molte cose, la prima tra tutte fu l'allontanamento dalla città delle specie più pericolose, in particolare i Vampiri e i Licantropi. I rappresentanti delle due specie insorsero con veemenza, accusando gli Umani e i Demoni di voler arricchirsi alle spalle degli altri. Molti Vampiri e Licantropi possedevano e gestivano attività redditizie, locande e botteghe, e se fossero andati via non avrebbero avuto più alcun sostentamento per i loro famigliari.

Scoppiò proprio per questo motivo la famosa Guerra delle Genti, duecentottanta anni fa, che durò diversi mesi e dove perirono centinaia di esseri viventi, qualsiasi specie essi appartenessero.

Un lutto incredibile, una tragedia. 

Furono rasi al suolo molti paesi e cittadine, i campi vennero distrutti, l'economia andò a pezzi. Tutte quelle perdite e quella povertà distrussero e straziarono molte famiglie.

 

Al ministero i consiglieri delle quattro specie si unirono per cercare una soluzione.

La guerra aveva indebolito le varie fazioni, ma non il loro animo.

Ognuno di loro difendeva i propri simili, indifferenti alle esigenze altrui.

Litigarono. Si accusarono, ma non trovarono un risposta comune.

 

La miseria, la stanchezza e la tristezza accompagò le giornate del popolo che sempre più esausto e rassegnato non aveva più speranza.

 

Gente sofferente.

Uomini feriti.

Boschi in fiamme.

 

Poi, un giorno, sbucò da chissà dove un uomo: Adalberto Gorgofondo.

Questo piccolo uomo non era un guerriero, non era uno stratega, ma un alchimista in grado di risolvere l'annoso problema che affliggeva i vampiri, i licantropi, i demoni e gli uomini da sempre.

Portò ai consiglieri del Ministero un siero.

Non un siero qualsiasi, ma un siero che era in grado di unire le doti speciali di ogni specie e mitigarne i lati più oscuri. Serviva un piccolo sacrificio da parte di tutti e la pace sarebbe arrivata.

 

Prendere il carisma dei vampiri ed eliminare la loro bramosia di sangue.

Regalare loro una vita più equilibrata, ma perdere la loro vita eterna.

 

Prendere la forza fisica dei licantropi ed eliminare la loro bestialità.

Regalare loro una vita più serena, ma perdere la loro invincibilità.

 

Prendere i poteri dei demoni ed eliminare la loro indifferenza.

Regalare loro l'empatia, ma perdere la loro razionalità.

 

Prendere l'immaginazione degli umani ed eliminare la loro aggressività.

Regalare loro una vita più lunga, ma perdere la loro fragilità.

 

Bastò unire al siero una goccia di sangue umano, un pelo di licantropo, una ciocca di capelli di vampiro e un'unghia di demone e il diamante rosa di Adalberto Gorgofondo divenne la matrice su cui costruire il siero che ancora oggi viene inoculato ad ogni bimbo appena nato, di qualsiasi specie esso appartenga.

 

Da allora le quattro specie vivono in tranquillità.

 

«Spostati nullità», una graziosa e slanciata demone di terra colpì con lo zaino Elisa mentre correva a perdifiato per il corridoio.

La ragazza si rannicchiò in se stessa distraendosi dalla bacheca che stava osservando con certo interesse. Rintanata in un angolo ripeté a bassa voce l'ultima frase appena letta cercando di non pensare a quanto appena successole: «Da allora le quattro specie vivono in tranquillità».

 

Un brivido la percorse da capo a piedi.

 

Elisa si avvolse nel lungo cardigan color celeste di ben due taglie più grande, abbassò il capo facendo cadere il resto della chioma corvina davanti il suo volto. Appiccicata alla parete seguì il corridoio fino ad arrivare alle scale che l'avrebbero portata alle aule al piano superiore.

 

Elisa evitò accuratamente di parlare o salutare qualsiasi persona gli capitasse per caso davanti.

 

Ad Elisa piaceva la scuola, era una buona studentessa, quello che detestava però erano gli studenti che si divertivano a prenderla in giro. La ragazza non aveva mai avuto il coraggio di dire nulla o di far valere se stessa. Lei stessa si definiva una codarda, anche se in verità quello che la faceva soffrire di più era la solitudine. In due anni al VLUD non era riuscita a stringere amicizia con nessuno.

Suo padre le diceva sempre che lei era un fiore delicato, un tesoro prezioso da scoprire, ma a quanto pare nessuno nella scuola voleva conoscerla per quello che fosse veramente, ma preferiva fermarsi alle apparenze.

 

Saltellando sui gradini come fosse una bambina percorse le scale sillabando parole.

Un salto un gradino.

Un gradino una parola.

«A-dal-ber-to Gor-go-fon-do».

Continuò così finché arrivò al primo piano.

 

Ad Elisa piaceva sillabare, a volte le pareva di capire meglio il significato delle parole, prendere un attimo in più per assaporarne il suono ed entrare nel significato vero che il termine racchiudeva in se. Era suo padre, a cui era molto affezionata, anche perché era il suo unico parente in vita, ad averle insegnato questo gioco e fin da bambina si divertiva a farlo in ogni occasione: in una strada con le pozzanghere, tra i ciottoli in un viale, sulle crepe dell'asfalto.

 

All'ultimo gradino, in bilico sul bordo, ripeté il nome dell'alchimista tutto per intero: «Adalberto Gorgofondo».

 

Elisa sorrise, ma nessuno poté vedere la sua piccola bocca a forma di cuore schiudersi, gli occhi color cioccolato illuminarsi e le guance sollevarsi. Elisa si nascondeva sempre da tutti e tutti si divertivano a prenderla in giro per questo fatto.

 

Una frenesia improvvisa, una valanga fatta da studenti ritardatari si mosse come fosse un corpo unico verso le aule del primo piano ad assistere alla prima lezione dell'anno scolastico.

La campanella era suonata.

Elisa, sul ciglio della scala, venne sfiorata dalla mandria di adolescenti chiassosi.

La sfiorarono a destra e sinistra.

Un vortice umano instabile.

Il corpo minuto di Elisa ondeggiò al passaggio di tante persone.

Ondeggiò pericolosamente verso il vano scale.

Elisa provò a mantenere l'equilibrio.

 

Ma.

 

Elisa allungò le braccia verso il vuoto davanti a se, stava cadendo a schiena indietro.

I capelli scivolarono morbidi dietro le orecchie.

Con la bocca spalancata urlò.

Elisa sapeva che stava per cadere, ma non aveva modo di ritrovare l'equilibrio. Le scale, spigolose e dure, avrebbero attutito la sua caduta facendole molto male.

 

Una mano afferrò la manica del cardigan color celeste,di due tagli più grande, della ragazza e arrestando la sua caduta rovinosa per le scale.

 

«G-grazie», balbettò Elisa.

«Non voglio fare tardi», disse asciutta una demone di terra che con l'aria annoiata osservava Elisa starsene in equilibrio sul bordo dell'ultimo gradino della scala. «Tirati su, non ho tutto il tempo che credi».

 

Elisa la riconobbe.

Era la stessa Demone di terra che poco prima l'aveva colpita con lo zaino di fronte alla bacheca all'ingresso.

 

«Come ti chiami?», chiese Elisa con tutto il coraggio che aveva, non era certo tipo da parlare per prima. 

«Alina Boscolinfa», disse la Demone mentre consultò un foglio in cerca di qualcosa.

«Io sono...», provò a rispondere Elisa, ma Alina le girò le spalle prima di incamminarsi per il corridoio.

 

Elisa la rincorse.

 

«Se vuoi posso aiutarti, sono del terzo anno, conosco bene la scuola», disse Elisa stupita del fatto che quella fosse la conversazione più lunga mai avuta tra le pareti del VLUD con una studentessa come lei.

«Anche io sono del terzo. Cerco la 3ºD». Alina si girò di scatto tornando indietro sui suoi passi facendo arrestare bruscamente Elisa. 

 

Il fisico asciutto e atletico di Alina rendeva la sua figura ancora più austera di quanto già non fosse. La pelle dalla sfumatura color lilla era leggermente perlata, era come se emanasse luce propria. Elisa la seguiva ammirandone le lunghe dita affusolate e l'incedere sicuro tipico dei Demoni.

 

«A-Anche io sono della 3º D. Seguimi, ti porto io in classe», disse Elisa alla Demone tagliando per un corridoio laterale. «Immagina un tronco di un albero. Prova a stilizzarlo. Si parte dal grande corridoio, il fusto, per poi arrivare alle prime biforcazioni, i rami. Ogni biforcazione a sua volta ha altre biforcazioni. Come vedi ci sono finestre e pozzi luce che permettono alle aule tra le biforcazioni di...».

 

Elisa venne interrotta bruscamente da Alina che come tutti i Demoni di terra detestava le chiacchiere a vanvera, in modo particolare lei. Era cresciuta sulle montagne di Granfrulla in una comunità molto chiusa e non era abituata a perdersi in fronzoli di nessun tipo.

 

«Lo vedo anche io che la mappa della scuola è a forma di albero. Se dici però un'altra volta biforcazione giuro che ti lascio qui nel corridoio. Portami solo alla mia aula, sono in ritardo». Alina mosse con eleganza la mano mostrando a Elisa il corridoio deserto poi scosse la testa ironica smuovendo i corti capelli ondulati che coprivano il suo capo.

 

Elisa accelerò il passo verso l'aula che ormai da due anni occupava con il resto della sua classe. Le pareti spesse di pietra rendevano l'ambiente fresco e confortevole, i poster attaccati alle pareti e i lavori dei laboratori d'arte coloravano il grigio che imperava dell'edificio. Dalle feritoie sulle pareti filtrava una luce calda mentre i grandi pozzi luce, posti strategicamente all'interno dell'edificio, permettevano al sole di raggiungere anche le aule più interne. 

 

Elisa corse più veloce che poté.

Svoltò a destra, poi a sinistra.

Si ritrovò di fronte una grossa porta in legno su cui era apposta una targhetta: 3D.

 

«Eccoci Alina, siamo arrivate», disse Elisa cercando di districare i capelli corvini intrecciati suo volto.

Alina non replicò, si lanciò sulla maniglia per entrare in classe il prima possibile. Detestava arrivare tardi e tantomeno il primo giorno di scuola in un posto nuovo.

Elisa la seguì senza pensarci troppo.

 

L'intera classe, già seduta ai banchi, fissò di scatto quelle due entrate come razzi in classe.

La Professoressa di Alchimia Applicata le scrutò da dietro i spessi occhiali tondi.

Con il suo vestito rosso a pois bianchi sembrava uno di quei funghi velenosi che non è mai saggio cogliere e mangiare.

 

«Buongiorno, sono Alina Boscolinfa, una nuova studentessa», disse la Demone di terra allungando un foglio alla docente.

La donna, una umana dall'aria trasandata ed eccentrica, lesse con attenzione il foglio per poi scrutare con attenzione la nuova studentessa. 

Alina non si lasciò intimorire e, di tutta risposta, squadrò quella strana donna da capo a piedi soffermandosi, in particolare, sulla strana acconciatura piena di boccoli fissati con quintali di lacca. Alina non aveva mai visto nulla di simile, l'istinto la portava a voler toccare quella strana cosa riccioluta, ma il buon senso le suggerì che era il caso di starsene buona e non finire subito nei guai.

«Bene Alina, siediti qui davanti a me, in prima fila. Il posto è libero. Io sono Madame Brigitta la tua insegnante di Alchimia Applicata», disse la donna con aria di sufficienza soffermandosi però sul proprio nome come se stesse reclamando una poesia.

 

Elisa trasalì.

Negli scorsi due anni quello era stato il suo posto, quello in prima fila, l'unico in cui si sentisse a suo agio, dove nessun compagno di classe la prendeva in giro, non molto almeno. Stare di fronte alla cattedra ha i suoi vantaggi se si è considerati lo zimbello della classe, quello è un porto sicuro.

 

«Ma...», squittì Elisa a Madame Brigitta.

«Elisa Gorgofondo. Che piacere averti tra noi, spero vivamente che il fatto che tu sia l'unica discendente di Adalberto Gorgofondo non ti faccia montare la testa. Il tuo cognome per me non ha nessuna importanza, non hai nessun diritto di arrivare tardi. L'alchimia è una cosa seria e proprio tu dovresti saperlo. Ci sono regole e tutti le devono seguire», disse acida l'insegnante, «Sei pregata di sederti in fondo dove c'è quel banco libero».

 

Elisa osservò il banco, era nell'angolo più lontano e buio della stanza.

Nessuno studente voleva sedersi lì per un motivo ben preciso.

 

Elisa deglutì.

 

Fece un passo a testa china poi un altro.

La classe intera ridacchiò al passaggio della ragazza.

Elisa sentì il suo umore a terra, sembrava una condannata alla forca.

 

Elisa raggiunse il suo nuovo banco e si sedette sconsolata su quella che sarebbe stata la sua sedia per tutto l'anno scolastico.

 

«Psss. Psss.», una voce la raggiunse immediatamente.

 

Elisa la ignorò.

 

«Psss. Gorgofondo. Gorgofondo», disse la voce che proveniva dalla sua sinistra, dal tavolo a fianco.

 

Elisa si girò verso il muro dalla parte opposta.

 

«Gorgofondo, volevo solo salutarti», disse con tono lagnoso quella voce.

 

Elisa si lasciò incuriosire e sbirciò attraverso uno spiraglio dei suoi capelli chi la stesse chiamando.

 

Gregorio Carnera.

Gregorio il licantropo, Gregorio il campione di football della scuola, Gregorio uno degli studenti più famosi del VLUD, per i suoi scherzi, le stava rivolgendo la parola mentre agitava la mano verso di lei. Sorridente e sfacciatamente sicuro di se stesso le schiacciò l'occhio complice:«Vedrai come ci divertiremo quest'anno», le disse indicando il posto su cui era seduta la ragazza.

 

Elisa sbiancò.

Appena provò a sistemarsi sulla sedia sentì qualcosa di umido e appiccicoso penetrare i pantaloni e infradiciarle le gambe.

Gelatina.

Elisa si era seduta su uno spesso strato di gelatina senza accorgersene prima.

 

Per questo nessuno osava sedersi in quel banco, Greg massacrava di scherzi chiunque si avvicinasse a lui a meno che non fosse uno della sua cricca.

 

Elisa non si chiese come avesse fatto Gregorio a mettere quel viscidume sulla sedia e nemmeno come mai quel licantropo girasse con tanta gelatina per la scuola. L'unica cosa a cui pensò è che non avrebbe dovuto fermarsi a guardare quella stupida bacheca, del resto la storia di Adalberto Gorgofondo la conosceva benissimo, suo padre gliela raccontava fin da quando era piccola, fino alla nausea, visto che era un suo avo.

 

Elisa, con la gelatina sparsa ovunque, prese un quaderno e iniziò a copiare gli appunti scritti alla lavagna e per la prima volta in vita sua odiò il suo cognome.

 

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Capitolo 4
*** A come appiccicoso ***


A come appiccicoso
 




L'antica biblioteca del VLUD esisteva prima che l'edificio diventasse una scuola, già quando c'era il ministero era possibile andare a consultare i libri o testi accademici. 

A quel tempo la biblioteca venne suddivisa in quattro sezioni, una per ogni specie.

 

I Licantropi potevano andare nella sezione loro assegnata.

Gli Umani potevano andare nella sezione loro assegnata.

I Vampiri  potevano andare nella sezione loro assegnata.

I Demoni potevano andare nella sezione loro assegnata.

 

Quattro addetti, un Licantropo, un Demone, un Umano e un Vampiro, erano responsabili dei volumi che trattavano gli argomenti della specie di riferimento.

Un modo semplice per evitare spiacevoli incontri o creare troppo trambusto, almeno così credevano allora. Il problema sorgeva quando serviva un libro catalogato in un altro reparto che fosse stato scritto da un'altra specie, in quel caso era necessario che i consiglieri rilasciassero un foglio che permettesse la consultazione. Neanche a dirlo era più difficile di quanto sembrasse, perché se per esempio un Demone desiderava consultare un libro degli Umani doveva armarsi di santa pazienza e aspettare che il suo documento fosse pronto. A volte ci voleva una settimana intera.

 

Per fortuna Tecla non avrebbe dovuto aspettare molto per leggere i suoi amati libri, essendo del terzo anno possedeva il badge, datole dalla segreteria scolastica, che le permetteva di entrare nell'aria riservata agli studenti degli ultimi tre anni.

 

Era da quando Tecla aveva messo il primo piede lì dentro che desiderava consultare tutti quei libri. 

 

Perlopiù si trattava di testi scolastici o accademici, copie di libri antichi o raccolte di testi redatti da eminenti scienziati, filosofi e artisti vissuti tanto tempo fa, ma era anche possibile trovare la più grande raccolta di testi di Alchimia, Archeomagia e Storia Antica dell'intera Nazione. 

La maggior parte degli studenti Universitari della città consultava proprio quel settore, per questo Tecla era tanto elettrizzata, avrebbe avuto la possibilità di studiare a fianco di ragazzi e ragazze con un quoziente intellettivo superiore a quello delle capre che era costretta a frequentare a scuola.

 

Quel placido silenzio, quella tranquillità, che si può trovare solo in una biblioteca, erano una delle cose che Tecla amava di più di quel posto.

Con il badge in mano la vampira camminò a passo deciso verso il settore che fino ad ora le era proibito. 

 

Terzo anno uguale settore nuovo da esplorare.

 

Il pavimento irregolare, e solcato dai passi delle migliaia di persone transitate di lì, era la traccia della storia passata, un passato che Tecla amava più di ogni altra cosa. 

 

Gli scaffali in ebano intarsiato erano gli stessi che i grandi artisti come Anselmo De' Ululanti, Lodoletta Pitturante e Artemisio il Macchiaiolo, avevano consultato. Erano gli stessi spazi che i consiglieri e illustri Vampiri del passato avevano occupato e in cui avevano preso le importanti decisioni politiche e sociali utili alla comunità, qualsiasi specie essi appartenessero. 

Prima che tutto cambiasse, con il siero di Gorgofondo, l'orgoglio di appartenenza era una cosa importante e Tecla lo sapeva bene. Lo aveva letto in decine e decine di libri.

 

Un sole.

Un pungo.

Un muso di lupo.

Un pipistrello.

 

Le fini scanalature color marrone scuro che affondavano nel legno della libreria rappresentavano i simboli di ogni specie. Erano stati intagliati sulla parete, stretta e alta, mostrando le venature del legno esaltandone la natura del materiale.

C'era stata una divisione in specie pure lì dentro, un reparto per ogni gruppo, una divisione rigida della conoscenza, come se la cultura potesse essere divisa in compartimenti stagni.

 

«Che bestialità», pensò la vampira.

 

Tecla non poté non sfiorare quelle meraviglie, quei fregi che le riportavano alla mente gli eventi terribili del passato, ma che non smettevano di esercitare su di lei un certo fascino. Per quanto fossero assurde e barbare, le usanze dei tempi antichi, Tecla non poteva non pensare quanto fossero belle e uniche quelle incisioni.

Alzò un po' il braccio, e con l'indice toccò uno stemma dei Vampiri posto sulla terza libreria a sinistra partendo a contare dall'ingresso.

Era lo stesso stemma che toccava ogni anno il primo giorno che entrava in biblioteca.

Lo aveva sfiorato anche i due anni passati.

Un piccolo rito che le rincuorò il cuore.

 

I libri letti i primi due anni se ne stavano al loro posto esattamente dove li aveva lasciati la fine dello scorso anno, prima delle vacanze estive. Senza badge nessuno studente del VLUD poteva mettere piede all'interno della biblioteca durante i mesi più caldi, salvo gli studenti Universitari, gli studiosi dei testi antichi o i letterati. Tecla aveva dovuto accontentarsi della biblioteca comunale piena di romanzetti rosa e gialli da ombrellone.

 

Uno strazio.

 

Le pesanti mensole piene di tomi accolsero Tecla come fosse arrivata un'amica: dritti sull'attenti pronti per essere presi e coccolati da mani amorevoli. Con passo deciso Tecla si fermò dietro la corta fila che divideva le due zone della biblioteca, quella per gli studenti più giovani dei primi due anni e quella per gli studenti degli ultimi tre anni. Una porta di vetro e d'acciaio, elettronica e moderna, era il confine tra le due zone. Un guardiano con una grossa pancia, intento a leggere un fumetto, se ne stava seduto su una sedia per controllare che nessuno oltrepassare quella porta senza il badge necessario.

 

Tecla si affacciò per sbirciare quello che facevano gli studenti davanti a lei.

Bastava infilare il badge in una fessura e le porte si sarebbero spalancate.

Tecla pensò che fosse semplice.

 

Con un piccolo colpo di tosse si raddrizzò, scosse la sua lunga chioma rossiccia e impettita si mise in fila. Davanti a lei c'era uno studente Universitario, un Demone con un cardigan della facoltà di Lettere e Storia, l'università dei sogni di Tecla.

Con una certa curiosità spiò con nonchalance il foglio che il Demone teneva sottobraccio tra un raccoglitore e un libro di testo.

 

Alchimia teorica. Medioevo nelle diverse specie.

Analisi delle differenze e similitudini.

 

Tecla sentì un brivido salirle per la schiena e colorirle le guance. 

Quello era il paradiso, tutto quel sapere la riempiva di gioia tanto che non vedeva l'ora di conoscere quello studente più grande di lei solo per il gusto di parlargli di libri. 

Scalpitava.

Fremeva.

Non sapeva se sarebbe riuscita a resistere a lungo.

Chissà se quel Demone universitario aveva letto Fondamenta delle specie o Genesi del divario sociale nel periodo del grande esodo?

Tecla si morse il labbro incastrandolo sotto il canino sporgente, faceva così ogni volta che non sapeva cosa fare.

La vampira pensò che fosse meglio distrarsi, altrimenti avrebbe rischiato di fare una figuraccia se avesse iniziato a snocciolare nozioni e informazioni a quel tipo, solo per fare colpo, iniziò a guardarsi intorno in attesa del suo turno alla porta di vetro.

 

Le enormi finestre ricche di mosaici colorati, che rappresentavano i personaggi più importanti della storia e della cultura antica, lasciavano filtrare la luce del sole illuminando il pavimento antico. Il preferito di Tecla era quello di Adalberto Gorgofondo, perché grazie al suo siero lei era quello che era, adesso, e poteva aver accesso a ogni reparto di quella meravigliosa biblioteca senza limitazioni o ridicole guerre di specie.

In attesa di inserire il suo badge nella porta di vetro elettronica osservò i pezzi di vetro incastrati alla perfezione, le righe di piombo che con eleganza congiungevano i tasselli. Certo, Adalberto Gorgofondo non era un adone, a dirla tutta piuttosto tarchiato e poco affascinante, ma poco importava a Tecla, lui era il suo mito.

 

Tecla salutò simbolicamente l'enorme finestra con un sorriso.

 

Poi.

 

Un pizzicore al naso.

Un fastidiosissimo pizzicore al naso.

 

Tecla sapeva bene che, quando la punta del naso le pizzicava in quel modo, suo fratello Vladi stava macchinando qualcosa in zona insieme alla mandria di beoti che gli ronzavano sempre intorno.

 

Guardò a destra.

Guardò a sinistra.

Si concentrò usando tutti i suoi sensi, in particolare il suo sesto senso che non l'aveva mai abbandonata nei momenti importanti. Come quella volta che fermò suo fratello prima che staccasse la testa alle sue bambole o quando Vladi, da bambino, voleva riempirle le scarpe di viscidi lombrichi.

 

«Vladi», sibilò tra i denti la vampira lasciando la fila per la nuova zona della biblioteca per dirigersi tra le file degli scaffali, che conosceva a memoria, tra una matricola e l'altra.

 

Suo fratello ne stava combinando una delle sue, Tecla ne era certa.

 

La ragazza vampira avvistò un addetto della biblioteca intento a sistemare i libri nella parte alta di una libreria, in bilico su una lunga scala.

Tecla tossì per attirare l'attenzione dell'uomo.

 

Non ottenne risposta.

 

Tecla tossì di nuovo.

 

L'addetto si affacciò un secondo ritraendo subito la testa.

 

«Volevo informarla che è in atto un atto vandalico in questo edificio. Il mio sesto senso da vampira mi avverte che mio fratello Vladi, e quella ridicola combriccola dei suoi amici, ne stanno combinando una delle loro», disse tutto d'un fiato con il naso rivolto verso l'alto.

L'uomo bofonchiò prima di parlare con una voce nasale e ridicolmente forzata:«Conosco Vladi Risso, è un ottimo studente. Non dovresti accusarlo di qualcosa che non è ancora successo, non è saggio dargli la colpa di una cosa di cui non hai le prove».

 

Tecla fece una smorfia.

Vladi un ottimo studente?

Quella era l'affermazione più ridicola che avesse mai sentito.

 

«Le posso assicurare che tra meno di dieci minuti qui scoppierà l'inferno», insistette Tecla.

«Adesso vattene strega, qui non c'è nulla che non vada. Mi fai perdere tempo prezioso», disse sgarbatamente l'uomo.

 

Tecla restò a bocca spalancata, infuriata per la maleducazione dell'addetto e per la sfacciataggine con cui l'aveva congedata. Girò sui tacchi pronta ad andarsene. Mosse la gamba destra, decisa ad andare a visitare la nuova parte della biblioteca, quando si fermò di colpo.

 

Tecla rifletté.

 

Fronte corrugata.

Sopracciglia inarcate.

Denti serrati.

 

Tecla tuonò con l'indice alzato verso l'alto: «Gregorio Carnera. Scendi subito di lì. Solo pochi cretini mi chiamano strega e solo tu hai una voce così profonda da sembrare quella di un adulto».

 

L'addetto sbuffò, poi scese le scale tenendo per le mani una corda tesa verso la cima dello scaffale. 

Era Gregorio, Tecla aveva ragione.

 

«Sei la solita guastafeste impicciona», disse Greg alzano sommessamente le spalle.

«Ti arrendi così? Mi fa dubitare la tua pacatezza», disse Tecla scrutando gli occhi gialli del licantropo.

 

Gregor era imbarazzato, almeno così sembrava.

Se ne stava con il braccio alzato a tenere quella corda che serviva a reggere chissà cosa, là sopra, con l'aria colpevole e imbarazzata.

 

«Cosa stai nascondendo?», chiese Tecla avvicinandosi a Gregorio e osservandolo da capo a piedi soffermandosi in particolare sulla corda.

 

Il ragazzo licantropo indossava una divisa da bibliotecario che gli andava troppo stretta. La massa di muscoli messi con il football e la normale inclinazione per i licantropi per gli sport violenti e faticosi, aveva reso il ragazzo più grosso della media. La pelle scura, color cioccolato e i capelli ricci e neri erano un marchio di fabbrica per riconoscere Gregorio, uno tra gli studenti più amati e odiati dell'intero VLUD.

 

Più amato perché era da due anni che la squadra di football della scuola vinceva grazie a  lui.

Più odiato perché aveva combinato scherzi di ogni tipo a tre quarti della scuola.

 

«Nulla. Tuo fratello mi ha detto che...», mugolò Greg con l'aria afflitta.

«Vladi. Certo, c'è sempre lui dietro a tutto».

 

Tecla non fece in tempo a finire la frase che suo fratello gemello spuntò da dietro lo scaffale indossando una divisa da bibliotecario di due taglie più grande e ridicoli baffi neri, visibilmente posticci.

 

Tecla incrociò le braccia al petto mentre picchiettava il piede nervosa.

 

«Tu e tu», disse la vampira al fratello e al licantropo, «Che state combinando?».

 

Vladi e Gregorio si guardarono per pochi attimi, complici e sornioni.

 

«Un esperimento», disse sicuro il vampiro.

«Che razza di esperimento?», chiese a Tecla sempre più furiosa.

«Fisica e Archeomagia», rispose Greg con la solita faccia tosta di tutti i giorni.

«Cosa state blaterando?», chiese Tecla nervosa.

 

Vladi si avvicinò alla sorella e la accompagnò vicino a Gregorio.

Gregorio porse la corda a Tecla.

 

«Cosa significa?», chiese la vampira guardinga.

«Semplice, tu prendi la corda e conta fino a dieci, vedrai che succede», disse Vladi sfoderando un sorriso vampiresco.

«Mica sono scema. Capaci che combiniate un disastro», disse Tecla rifiutandosi di tenere la corda.

«E se per caso io facessi così», disse Gregorio alzando l'indice della mano che teneva la spessa fune lasciandola scivolare, come se volesse allentare la presa.

«Non oserai...».

 

Tecla venne interrotta dal licantropo.

 

«Non oserò cosa? Questo?». Gregor alzò il dito medio lasciando solo l'anulare e il mignolo, con il pollice, a tenere la corda che vacillò pericolosamente.

«No!». Tecla si lanciò sul braccio del licantropo aggrappandosi con le due mani sulla fune, strinse più che poté affinché qualsiasi cosa la corda reggesse non causasse nessun tipo di danno.

 

Tecla se ne stava a penzoloni cinquanta centimetri sollevata dal pavimento con le mani strette intorno alla fune. Gregorio teneva l'estremità tesa con sole tre dita.

 

Poi.

 

Greg aprì di scatto la mano.

La corda partì verso l'alto, di scatto, trascinando in alto la vampira verso la sommità della libreria.

Tecla, restando sempre attaccata, si sollevò così in alto che si ritrovò verso la cima dello scaffale a metri d'altezza.

Il peso della cosa che la corda reggeva, dalla parte opposta, era molto più pesante di lei e la teneva sollevata in aria.

 

«Cosa dici, Vladi? Credi che il peso dello striscione sia maggiore di quello di tua sorella?», chiese il licantropo come se analizzasse un esperimento.

«Caro collega, credo si possa dire che sì, il cartellone pesa più di mia sorella», rispose il vampiro.

 

Tecla, viola in faccia, urlò. Buona parte degli studenti della biblioteca si riversarono nella corsia di fianco ad ammirare l'opera di Gregor e Victor: un cartello enorme copriva la facciata dello scaffale, dalla parte opposta, Tecla, penzolava appesa a una fune.

 

«Inoltre possiamo affermare che le streghe non possono volare. Il manuale di Archeomagia si sbaglia di grosso», disse Greg.

 

Vladi annuì convinto mentre ammirava la sorella strepitare, come una matta, attaccata alla corda e con i piedi a penzoloni nel vuoto.

 

«Credo sia meglio andare», disse il vampiro all'amico, avvistando i bibliotecari arrivare sul luogo del misfatto. 

 

Vladi e Gregorio si nascosero dietro una colonna di pietra liberandosi delle divise e dei baffi finti che indossavano. Con tutta calma raggiunsero le decine di studenti che guardavano lo striscione srotolato su una facciata di una libreria, si poteva scorgere il nodo della corda che reggeva, dall'altro lato, Tecla urlante.

 

Buon anno appiccicoso a tutti gli studenti.

 

«Non mi è chiaro perché tu abbia voluto scrivere appiccicoso?», chiese il vampiro al licantropo.

Greg fece tre grossi passi indietro raggiungendo uno spazio libero e protetto, tra una libreria e una finestra. Si nascose sbirciando curioso: «Qui dovremmo essere al sicuro».

 

Vladi non fece in tempo a rispondere.

 

Due spruzzi di gelatina rossa zampillarono dalla cima della grande libreria per riversarsi a doccia sulle teste degli studenti, dei docenti e dei bibliotecari arrivati a curiosare.

Decine di persone appiccicose, inzaccherate e sgocciolanti rimasero qualche secondo impietrite per poi iniziare ad urlare disgustati.

 

Vladi strinse la mano a Greg: «Complimenti Maestro, la gelatina ha dato quel tocco in più. Non avrei potuto fare di meglio».

«Se noti lo striscione ha coperto i libri e non ne ha sporcato nessuno. Qualche vestito e zainetto macchiato non può essere niente di così grave», aggiunse il licantropo gonfiando il petto orgoglioso. «Quest'anno sarà l'anno della gelatina. Vedrai che spasso».

 

Vladi abbracciò l'amico, prima di sbirciare per l'ultima volta il mare rosso e appiccicoso che copriva parte del pavimento antico della biblioteca. Le facce umide e infuriate, di tutti gli studenti e adulti inzuppati e sporcati, erano la cosa più buffa che avesse mai visto.

 

Quello sarebbe stato un anno fantastico, di questo Vladi ne era certo.

 

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Capitolo 5
*** Questione di colore ***


Questione di colore






L'ufficio del professor Salamander era quello che si può definire un buco. 

A malapena ci stava la scrivania con due sedie, una per il docente e l'altra per lo studente di turno, un piccolo archivio stretto e alto, più una serie indefinita di mensole colme di libri di ogni tipo. 

Decine di foto di gioventù erano appese a casaccio come per riempire i piccoli spazi bianchi rimasti sul muro. Fogli di appunti, con schemi di gioco, se ne stavano incastrati tra i tomi sporgendo a casaccio, come tende di carta. Diversi trofei e medaglie reggevano quel marasma di cianfrusaglie abbandonati in ogni dove. 

L'unica finestra presente nella stanza si affacciava direttamente sui campi da football, in questo modo il professor Salamander poteva avere sott'occhio gli atleti e dirigerli a distanza quando serviva.

L'uomo non usava molto quell'ufficio, di solito si chiudeva lì dentro solo per rispondere a qualche mail, incontrare qualche collega o per cercare un po' di pace da quella sarabanda rumorosa che erano i suoi alunni più scalmanati.

Anche se quello era senza dubbio un buco d'ufficio, quello era il suo buco e il docente, lì dentro, si sentiva a casa.

 

Il professor Salamander non era un uomo particolarmente bello, almeno non secondo i canoni più comuni, ma era dotato di un certo fascino: capelli brizzolati, sguardo profondo, fisico atletico e un sorriso affabile. Certo il naso aquilino e impertinente, che svettava sul volto, donava al professore un'aria meno virile di quanto si potesse aspettare da un docente di educazione fisica, a dirla tutta quel naso sembrava un becco di un grosso uccello rapace.

Il professore, dagli amici e colleghi chiamato semplicemente Augusto, eseguiva il suo lavoro con dedizione e impegno. Non faceva assenze ingiustificate, non ritardava e non litigava con nessuno, per questo era tra i docenti più amati di tutto il VLUD. 

 

Quel primo giorno di scuola, Augusto, se ne stava rintanato nel suo piccolo ufficio a leggere le scartoffie che il preside Casimiro Occhitinti gli aveva rifilato, come ogni inizio anno. Doveva controllare che ci fossero tutti i documenti necessari per avere i fondi per rimodernare il laboratorio di Alchimia, per comprare le nuove divise per la squadra di football, avere i rimborsi per i nuovi testi per Archeomagia e per ristrutturare i bagni del secondo piano.

Augusto leggeva quelle carte sperando di non addormentarsi. Detestava fare quelle cose, ma a qualcuno toccava, quindi non doveva lamentarsi troppo, ma andare avanti il più possibile.

Con la matita stretta tra i denti, calcolatrice alla mano e fogli di tabulato sparsi per tutta la scrivania cercò di concentrarsi, quando venne interrotto da dei colpi ritmati che smossero la porta d'ingresso del suo buco d'ufficio.

 

«Avanti», disse l'uomo pronto ad aspettarsi una visita di qualche studente scalmanato pronto a lanciarsi già negli allenamenti di inizio anno.

 

Un viso ovale e pallido si affacciò timidamente, era la professoressa Jolanda Soli, una vampira insegnante di arte e disegno al VLUD. Il fisico longilineo, sottile e allungato contrastava con gli occhi tondi e grandi come quelli di un cucciolo. I capelli corti, alla maschietta, castani scuro, e le folte ciglia nere la rendevano molto dolce se non fosse stato per i canini allungati come quelli di un predatore pronto all'attacco.

 

«Augusto, ti disturbo?», chiese con garbo la vampira prima di mettere piede nell'ufficio.

 

Il professor Salamander si sistemò il colletto della polo. Lisciò un paio di volte i capelli spettinati, cercando di dare una forma migliore alla massa brizzolata che aveva in testa.

 

«Vieni pure, cara. Come posso esserti utile?», disse l'uomo alzatosi in piedi per accogliere la collega.

 

Jolanda entrò con passo leggero, quasi felpato. Indossava un paio di pantaloni neri attillati, delle ballerine sporche di macchie di vernice secca e un lungo camice mezzo consunto che teneva aperto a mo' di giacca. Nel taschino del petto erano racimolati pezzi di spago trovati in giro, mozziconi di matite e qualche gessetto colorato.

Dietro di lei, come fosse la sua ombra, si nascondeva Alina Boscolinfa.

La Demone di terra se ne stava con gli occhi rivolti a terra, mentre i due docenti si salutarono, con energiche strette di mano, parlando del più e del meno e raccontandosi brevi aneddoti sulle vacanze appena trascorse.

 

Alina detestava tutte quelle smancerie, da dove veniva lei bastava un buongiorno e un arrivederci per iniziare e finire un discorso. Niente abbracci, mani strette o discorsi senza capo né coda. 

Dalle sue parti, le montagne di Granfrulla, chi aveva tempo per chiacchierare non aveva niente da fare. Glielo ripetevano suo padre e sua madre in continuazione, fin da quando era una Demone bambina, e continuavano anche adesso con tutti i suoi fratelli più piccoli.

 

In città si usavano troppe parole e Alina non era abituata a quel chiacchiericcio inutile.

 

Posto nuovo e modi di fare diversi.

Gente strana e regole di vita inusuali.

Per questo Alina si sentiva come un pesce fuor d'acqua, non sapeva ancora se le piaceva stare al VLUD o meno. 

 

Tutti i suoi amici d'infanzia frequentavano il piccolo istituto locale sulle montagne di Granfrulla. La specializzazione, nella sua vecchia scuola, era legata alle arti della montagna, i lavori utili alla comunità e al rispetto della fauna e flora locale: cura degli animali, ricerca delle sementi migliori, studio della metereologia e tutto ciò che potesse migliorare la vita in quei luoghi aspri e duri.

Al VLUD si prediligeva lo studio delle materie umanistiche, cosa che Alina non aveva mai digerito molto. 

 

Libri, parole, testi. 

Tutte quelle cose non le piacevano molto.

Era una tipa pratica, lei.

 

Alina strinse la pietra portafortuna, riposta in tasca, che il suo amico Edgardo le aveva regalato prima che lei partisse per la città. Non era una roccia speciale, un quarzo o un cristallo, ma era un semplice sasso raccolto per strada. 

Grigio, allungato e anonimo.

Per la Demone quel sasso era tutto.

Edgardo voleva che Alina portasse un pezzo della sua terra in città, in quel modo non si sarebbe mai dimenticata di lui e di tutte le persone che le volevano bene a Granfrulla.

 

Alina strinse più forte che poté la mano in tasca cercando di frantumare il piccolo sasso, senza però riuscirci. Non era molto brava ad esprimere i suoi sentimenti, era abituata a tenersi tutto dentro, per questo quel gesto per lei era importante, serviva a buttare fuori un po' dello stress che sentiva vorticarle nel petto. 

Del resto non poteva essere altrimenti, i Demoni di terra erano pochi in città. Quelli come lei prediligevano spazi aperti e il contatto con la natura, cosa che in città non era possibile fare.

 

A Granfrulla, tutto era diverso.

A Granfrulla, Alina, si sentiva felice.

 

Molti Demoni di terra e acqua vivevano nel paese di Alina insieme ad alcuni umani, c'era molta armonia tra le due specie. Qualche licantropo, che prediligeva passare le notti di luna piena nei rifugi o in campeggio, risiedeva stabilmente nel paese, ma perlopiù si trattava di vecchie coppie stanche della vita di città. Di vampiri non c'era traccia, erano tipi troppo frenetici per la calma quiete montana, i tramonti silenziosi e i pascoli di bestiame.

Tranne un esemplare.

Un unico vampiro, nonché il medico del paese.

Girolamo Soli, il fratello di Jolanda la professoressa d'arte del VLUD.

 

«Augusto, questa è Alina Boscolinfa, la nuova studentessa di cui ti parlavo. Mio fratello vive nella comunità sui monti di Granfrulla. Si è trasferita qui per quel problemino di cui ti accennavo», disse Jolanda abbracciando la ragazza e facendola accomodare sulla sedia di fronte alla scrivania.

 

Il professor Salamander si piazzò davanti alla studentessa guardandola con attenzione. Certo, lui era solo l'addetto all'infermeria scolastica e non era un medico esperto, ma a prima vista Alina sembrava una Demone di terra come tutti gli altri: carnagione violacea, capelli candidi, mani allungate e fisico atletico. Il viso pareva leggermente più scavato del normale, ma a parte questo non notava nulla di anomalo.

 

Jolanda sussurrò qualcosa nell'orecchio della ragazza.

 

Alina alzò le maniche della camicia che indossava.

 

Nella parte interna del gomito fino alle spalle, la pelle era poco pigmentata. Macchie rosee a tratti bianche ricoprivano parte delle braccia della Demone.

 

«Non potrebbe essere un fungo o infezione della pelle?», chiese l'uomo sfiorando con delicatezza quelle macchioline.

Jolanda fece cenno di no con la testa:«Mio fratello è il suo medico e ha fatto tutti gli esami, niente di conosciuto. La cosa peggiore però è un'altra», disse la vampira con voce mesta.

 

Il professore si chinò leggermente per osservare Alina togliere da una borsa, che teneva a tracolla, un vaso di terra. Con delicatezza la Demone prese da un sacchetto un seme di mela che posizionò in cima a una piccola montagnetta terrosa.

 

«Ecco, osserva bene», disse Jolanda.

Augusto si concentrò più che poté.

 

Alina sfiorò, con le dita, la terra intorno al seme.

In pochi secondi un piccolo germoglio spuntò forte e rigoglioso.

In quanto Demone di terra, questo era il dono che Alina possedeva.

 

«Mi sembra meraviglioso, la sua specie è capace di questo e...». 

 

Augusto non terminò la frase.

 

Come fosse improvvisamente arso, il germoglio si accartocciò su se stesso diventando color grigio scuro per poi sbriciolarsi in polvere nera. Un mucchietto di cenere copriva la sommità della terra racchiusa nel vaso che Alina teneva appoggiato sulle gambe e stretto tra le mani.

 

«Ma... ma...», disse il professor Salamander confuso. «Il libro Basi per principianti per la cura dei Demoni non elenca un caso simile, accenna a casi di variazione di colore della pelle, ma si tratta perlopiù di allergie o scottature da sole».

«I genitori mi hanno dato il permesso di portarla da diversi specialisti qui in città. Il fatto che Alina non possa far crescere più nulla è una grave perdita per il raccolto della sua famiglia. Mio fratello dice che è come se stesse perdendo i suoi poteri e iniziasse a diventare umana. Il problema è che non sappiamo fin dove la porterà, potrebbe essere molto pericoloso per lei e per la sua salute», disse Jolanda stringendo forte Alina che, con le lacrime agli occhi, se ne stava a testa china.

 

Il professore, tenendo il mento tra le dita, percorse il breve tratto di pavimento del suo buco d'ufficio, tra lo schedario e la finestra. 

Avanti.

Indietro.

Avanti.

Indietro.

 

«Non credo che la medicina tradizionale contempli un caso come il suo, mi chiedo se non sia qualcun altro che noi dobbiamo consultare», disse l'uomo.

«Cosa intendi?», chiese La vampira con impeto.

 

Jolanda riusciva a prendersi a cuore la storia di chiunque soffrisse e stesse male. 

Aveva lo spirito innato da crocerossina.

Fin da piccola lei è suo fratello Girolamo accudivano ogni forma di vita che gli capitasse tra le mani: dall'uccellino al gattino, dal cane al piccione. 

I fratelli Soli avevano un piccolo spazio nel garage della casa d'infanzia dove custodivano garze, cerotti e disinfettanti, più oggetti recuperati da ogni dove per realizzare staccature di fortuna per ali spezzate o collarini per cuccioli feriti.

Per questo Jolanda, anche da adulta, riempiva le sue tasche con ogni bastoncino, filo o ritaglio potesse avere una qualche utilità, detestava lo spreco ed era convinta che prima o poi le sarebbe tornato utile. 

Forse era un gesto legato alla sua infanzia spensierata o forse il desiderio di dare un senso al dolore che colpiva le persone, aiutarle era come aiutare se stessa.

 

Per lei, aiutare Alina, era una priorità.

 

Il professor Salamander tossicchiò.

«Archeomagia», disse a bassa voce l'uomo avvicinando pericolosamente il suo naso, aquilino e adunco, verso il volto della giovane Demone.

 

Alina e Jolanda spalancarono gli occhi confuse. Entrambe sapevano che Archeomagia non era una scienza esatta, ma una branchia poco attendibile della storia, più mito che realtà.

 

«Archeomagia è una materia che inizierò a studiare da quest'anno. Come crede che quelle cose potranno essermi utili? Non si tratta solo di filosofie e leggende campate in aria?», chiese Alina con una certa delusione, visto che si aspettava un'uscita di maggiore spessore dal professore.

«Quelle cose sono solo stupidaggini», sottolineò con decisione Jolanda. «Anche se con l'Archeomagia ci fosse una soluzione al problema di Alina, ma ti assicuro che così non è, il Professor Ennio Glotti è andato in pensione l'estate scorsa. Pare si sia trasferito alle terme sulfuree di Incantara, al sud, non potremmo mai raggiungerlo per chiedergli un consulto».

 

Augusto scartabellò tra i fogli riposti alla rinfusa sulla sua scrivania, era così tanta la carta che sembrava immerso in un mare pronto a tuffarsi.

Ne estrasse un foglio con una lista di nomi che sventolò con decisione davanti al volto della collega vampira.

 

«Il professor Ennio Glotti è in pensione, lo so. Pare che ci sia un nuovo docente quest'anno. Il preside Occhitinti è riuscito a convincere un famoso esperto in Archeomagia a insegnare qui al VLUD», disse l'uomo tutto soddisfatto.

«Chi potrà mai essere?», chiese Jolanda leggendo con avidità la lista che il collega gli aveva appena dato. 

 

Alina provò a sbirciare, ma quei nomi non le dicevano nulla.

 

Poi.

 

«Cosa? Lui viene qui?», urlò Jolanda, «Otto Etelberto il Nero? Il famoso vampiro complottista, mezzo svitato, che tiene convention in tutta la nazione?». La voce dolce e pacata della vampira raggiunse stridii mai uditi prima. «Ma è un ciarlatano!».

«Un ciarlatano che porta sponsor, finanziatori e soldi. Grazie a lui possiamo permetterci molte cose qui a scuola». Il professor Salamander picchiettò sui fogli che stava revisionando poco prima con tutte le migliorie da fare a scuola.

«Ma... ma... ma... il VLUD ha un'ottima nomea, il preside non può fare una cosa del genere». La pelle chiara della vampira avvampò al solo pensiero di dover conversare, condividere spazi e interfacciarsi,  con un individuo tanto sgradevole. Otto Etelberto il Nero era il peggio del peggio che potesse esserci in circolazione, un manipolatore, un falso, un millantatore. 

«Potremmo chiedere un consulto per Alina. Nonostante sia un tipo bizzarro, ha una conoscenza della storia e dell'Archeomagia superiore a chiunque altro. Perché non tentare?», propose con gentilezza il professor Salamander.

 

Alina sbirciò in direzione della sua insegnante d'arte, cercando di capire come avrebbe dovuto sentirsi a questa nuova opzione: agitata o rassicurata? Avrebbe dovuto fidarsi di quel tizio?

I pugni serrati, le labbra sottili e la mascella tesa della vampira erano un messaggio inequivocabile, impossibile da non capire. 

Jolanda non dava la minima fiducia a Otto Etelberto il Nero.

Alina avrebbe fatto lo stesso.

 

Toc.

Toc.

 

La porta bussò, tutto d'un tratto, facendo trasalire il terzetto e rompendo la tensione venutasi a creare.

 

Augusto si lanciò ad aprire, il preside Occhitinti, ricoperto di gelatina rossa, se ne stava oltre la porta con aria furente.

 

«Buongiorno, Augusto. Ho bisogno del tuo aiuto», disse il vecchio Licantropo cercando di spremere più gelatina possibile dalla barba che ricopriva parte del suo volto.

«C-certo... Si a-accomodi», disse il professor Salamander invitando il preside ad entrare, mentre cercava di evitare di inzaccherarsi le scarpe in quella melma appiccicosa.

«Non qui», rispose aspro il preside Occhitinti, «Non vede come sono conciato?».

Il vecchio Licantropo si scosse come fosse un cane zuppo d'acqua. La barba e i lunghi capelli lanciarono grumi di gelatina rossa da tutte le parti, sfiorando il volto di Jolanda, per poi incollarsi ai trofei e alle foto appese nell'ufficio del Professor Salamander.

«Tra mezz'ora nel mio ufficio. Rintracci quel suo giocatore, Gregorio Carnera, e quel vampiro che gli ronza sempre intorno», sbraitò, mentre con l'indice puntellava il petto dell'allenatore di football.

«Sissignore», rispose Augusto prima di chiudere la porta del suo buco d'ufficio e sospirare. Attento a non scivolare sul pavimento, si lasciò andare sulla sedia dietro alla sua scrivania.

Alina e Jolanda lo guardavano con la bocca spalancata: «Posso aiutarti?», chiese la collega vampira con discrezione.

«No. Andate pure, se ho novità su quello che stavamo parlando prima, vi faccio sapere», disse con voce stanca prima di passarsi le mani tra i capelli brizzolati macchiati di gelatina rossa.

 

L'anno scolastico era appena iniziato e Greg si era già nesso nei pasticci e lui non aveva più scuse per tirarlo fuori dai guai.

 

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Capitolo 6
*** Ordine! ***


ORDINE!




Augusto correva a perdifiato. Poco gli importava di avere pezzi di gelatina rossa sulla polo e tra i capelli, la cosa che gli premeva di più era trovare Gregorio prima che si mettesse di nuovo nei guai.

Il Professor Salamander non aveva dubbi, sapeva chi era il colpevole. Anche se il preside Occhitinti non aveva la certezza di chi avesse combinato lo scherzo in biblioteca, Augusto avrebbe scommesso tutti i trofei vinti nella sua carriera e puntato proprio sul suo migliore atleta, il Licantropo Greg.

Il labirinto di corridoi dell'edificio scolastico sembrava una rete, un pizzo fatto a mano, intrecci di anfratti, scorciatoie e vicoli ciechi. Augusto lo conosceva bene, ma per uno strano motivo, sembrava una matricola il primo giorno di scuola. Un paio di volte sbatté contro le porte chiuse di laboratori semi deserti, un'altra volta si ritrovò nella mensa scolastica credendo di trovarsi dalla parte opposta dell'edificio.

 

L'uomo era confuso.

 

Gli balenavano nella testa gli scenari più orribili che potessero verificarsi, nel caso in cui, il preside infuriato avesse sbattuto Gregorio fuori dalla scuola.

 

Squadra di football in sfacelo.

Umiliazione.

Compagni di squadra affranti.

Demoralizzazione.

 

Per quanto Greg fosse indomabile e incontrollabile, aveva doti da leader ed era l'unico in grado di trascinare alla vittoria la squadra e sollevare lo spirito della scuola. 

Per quanto fossero odiosi, fastidiosi, irritanti i suoi scherzi, le uscite del licantropo erano in grado di tenere alto l'umore della maggior parte degli studenti. A meno che non si incappasse in uno delle sue bravate, ovviamente.

Per quanto Greg fosse un bravo ragazzo, doveva imparare a darsi una controllata perché la sua ossessione per gli scherzi stava superando il limite consentito.

 

Augusto non aveva tempo da perdere. A grosse falcate tagliò per la mensa attraversando la grande stanza piena di tavoli e panche. Schivò un paio di Demoni d'acqua che stavano pulendo il pavimento e per poco non fece cadere a terra un inserviente Vampiro con una pila di vassoi in mano. Spalancò una delle grosse finestre che si affacciavano sul parcheggio dell'ingresso e si lanciò, cadendo a piedi uniti, sul marciapiede. Non ebbe neanche il tempo di sollevarsi che adocchiò Gregorio intento a mettersi in mostra davanti a un gruppo di ragazze Licantropo in estasi. Lì vicino, seduto su un muretto, stazionava Vladi immerso nella lettura di un fumetto. 

 

«Gregorio Carnera!», urlò il professor Salamander puntando il dito nella direzione del ragazzo.

Il Licantropo interruppe il suo ululato e smise di pompare i suoi bicipiti. Con aria falsamente innocente salutò il suo docente.

Vladi scattò sull'attenti mettendosi di fianco al suo miglior amico.

 

Se Greg era il braccio, Vladi era la mente.

Insieme erano riusciti a evitare decine e decine di punizioni.

 

«Tu... tu... possibile che anche il primo giorno di scuola tu debba metterti nei guai? Sei al terzo anno, dovresti mostrare un po' di maturità e smetterla di comportarti come un ragazzino. Tutti e due, dal Preside», ringhiò l'uomo avvicinando il suo volto a quello del suo allievo, sfiorando con il suo naso adunco quello del ragazzo.

«Che cosa è successo?», chiese con voce soave il Licantropo.

«Lo sai benissimo. Anzi, lo sapete benissimo», disse Salamander a entrambi i ragazzi puntellando l'indice sul petto dei due.

Vladi prese un respiro profondo:«Carissimo professore, non capisco perché ci stia trattando in questo modo. È forse un crimine cercare di attirare l'attenzione di queste fanciulle? Il mio compagno, nonché il miglior atleta della scuola, stava solo cercando di socializzare e trovare una compagnia piacevole. Lei stesso ci ricorda che l'impegno e...».

 

Augusto ringhiò più forte che poté. Anche se era solo un umano risultava molto convincente, tanto da spaventare gli astanti e farli zittire tutti, o quasi.

 

«Vede, grazie a siero di Gorgofondo lei ha dentro di se, nascoste e ben celate, caratteristiche dei Licantropi. Lo si denota dal suo urlo fatto davan...». Vladi non terminò la frase, il professore li prese entrambi per le orecchie trascinandoli verso l'ingresso principale.

 

Ci vollero pochi secondi prima che Gregorio e Vladi seguissero di loro spontanea volontà il docente. Un po' perché non volevano vedere le loro orecchie deformarsi, poi, perché, non volevano diventare bersaglio di scherno e battutine da parte del resto della scuola. Non giovava alla loro immagine venire tartassati e umiliati nel cortile del VLUD.

La strategia migliore per entrambi era quella di mantenere la calma e stare zitti, il resto si sarebbe deciso strada facendo.

 

In meno di dieci minuti, i tre, raggiunsero il corridoio centrale del secondo piano. Imboccarono la seconda diramazione a sinistra e si trovarono in un buio e stretto anfratto che portava all'ufficio del preside Occhitinti. 

Greg, con le spalle larghe e l'altezza al di sopra della media, ci passava a malapena. La tShirt che indossava sfregò sulle pareti ruvide mentre, con la testa china, evitò di colpire il lampadario che penzolava dal soffitto.

 

Nella panca fuori dall'ufficio c'era seduta Alina, assorta a giocare con il suo sasso portafortuna. Sbirciò i tre per pochi secondi, prima di tuffarsi a picco nei suoi pensieri, tra i ricordi dei suoi più cari amici e la nostalgia per le sue montagne.

 

«Che ci fa lei qui? Non è quella nuova?», chiese Greg a Vladi bisbigliando appena indicando Alina.

Il Vampiro annuì: «Qui si mette male. Ho uno strano presentimento. Sesto senso vampiro», disse, mentre sentiva la punta del naso pizzicargli leggermente.

 

I due ragazzi tacquero all'istante, il professor Salamander li incendiò con lo sguardo.

 

«Non una parola, se non siete interpellati. Non una parola. Chiaro?», disse l'uomo prima di piegare la maniglia ed entrare nell'ufficio del preside Occhitinti.

 

La stanza era colma di gente.

 

Dietro a una grossa scrivania in legno scuro era seduto il preside che, con le mani giunte, cercava di dare ordine ai suoi pensieri. Se ne stava immobile, con gli occhi chiusi, mentre la sua segretaria gli frizionava la folta chioma grigia. La stazza imponente del vecchio Licantropo contrastava con quella minuta e ossuta della sua segretaria Demone.  

Tecla era seduta di fronte al preside. Con la schiena dritta e le mani appoggiate sulle gambe stringeva un fazzolettino di stoffa bianca, non smetteva di torturarlo per il nervoso.

Vicino a lei stazionava la professoressa d'arte, Jolanda Soli, che con delicatezza cercava di tranquillizzare Tecla, una delle sue alunne predilette. Seduta in disparte e nascosta dietro a una massa di capelli scuri c'era Elisa Gorgofondo che cercava di sistemare una orribile gonna a strisce viola e marrone più simile a un tendone da circo che a un indumento.

 

L'arrivo del professor Salamander, di Gregorio e Vladi aumentò la tensione già presente nella stanza.

 

«Sedetevi qui», disse l'uomo ai due ragazzi indicando loro due sedie vuote.

Il Vampiro e il Licantropo si accomodarono con aria serena e stupita allo stesso tempo. Ad osservarli bene sembravano veramente sorpresi di trovarsi lì, quasi come se ci fossero capitati per caso.

 

Il preside Occhitinti tossì per schiarirsi la voce, sollevando il petto e assumendo un'aria seria. «Siete tutti qui perché sono successi atti incresciosi in questa scuola. Atti che minano il fragile equilibrio della nostra comunità. L'ordine necessario per fare in modo che le cose funzionino, è venuto a mancare e io, oggi, voglio trovare la mela marcia ed estirparla. Non voglio che contamini il resto del raccolto».

 

Vladi ridacchiò trattenendo il più possibile i piccoli colpi che scuotevano il suo petto.

L'idea di essere paragonato a una mela lo faceva ridere.

 

Con fare solenne il vecchio Licantropo sollevò un barattolo contenete gelatina rossa. Lo fece scorrere lentamente sulla scrivania in corrispondenza dei volti degli allievi. La segretaria Demone, più simile a una vecchia zitella acida, allungò al preside un sottobicchiere affinché non sporcasse la scrivania in legno.

 

«Vi chiedo solo una cosa. Chi è stato?», disse Occhitinti con voce calda e profonda.

 

Elisa tremò. Anche se non aveva la minima idea di cosa stesse succedendo si sentiva in colpa. Un po' perché era nella sua natura considerarsi un disastro da capo a piedi, un po' perché lei, quella gelatina rossa, l'aveva avuta spalmata su tutti i suoi pantaloni per buona parte della giornata.

 

Tecla alzò la mano di scatto attirando l'attenzione di tutti: «Io le posso solo dire che sono innocente», disse risoluta cercando di nascondere gli occhi lucidi e il naso gocciolante. Raramente la Vampira aveva pianto così tanto in vita sua, l'idea di deludere il corpo docenti ed essere accusata di aver profanato la biblioteca, posto per lei sacro, era un affronto.

Jolanda accarezzò con vigore la schiena della sua alunna preferita.

 

«Cerca di farmi capire bene. Ti abbiamo trovata a penzoloni, attaccata a una corda che reggeva lo striscione, vicina ai piccoli cannoni spara gelatina, e tu vuoi farmi credere che non centri nulla?», disse il vecchio Licantropo, cercando di trattenere la rabbia crescente e i tic nervosi che gli venivano, ogni qual volta, aveva da ridire con uno studente, a suo dire, colpevole.

«Sissignore. Totalmente innocente», ripeté Tecla. Per quanto detestasse suo fratello non avrebbe mai fatto la spia.

«E tu, Gorgofondo? Non hai nulla da aggiungere? Stamattina avevi gli indumenti tutti inzuppati di gelatina rossa, la stessa che abbiamo trovato in biblioteca». Occhitinti sbatté i pugni sul tavolo facendo traballare il vaso di gelatina e rovesciando il portapenne in radica.

«Io... io, mi sono seduta sulla sedia della mia classe e non mi sono accorta della gelatina. Non so nulla su uno striscione e dei missili di gelatina», pigolò Elisa.

«Cannoni. Erano cannoni, non missili», precisò la segretaria del preside mettendo a posto gli occhiali sul naso.

 

Elisa alzò le spalle. Lei non aveva assolutamente idea di cosa stessero parlando, cannoni o missili, per lei non aveva la minima importanza. L'unica cosa che sapeva, sulla gelatina, era che gli inservienti scolastici le avevano dato una orribile gonna a strisce da indossare al posto dei suoi jeans.

 

«Tu e Tecla siete compagne di classe. Entrambe siete state trovate in prossimità o in possesso di gelatina rossa. Mi risulta difficile credere che non c'entriate nulla. Del resto vi conoscete da due anni, da due anni seguire le stesse lezioni, credo possa ritenersi plausibile il fatto che tutto questo possa essere opera vostra». Il vecchio Licantropo parlava con un tono di voce sempre crescente, le vene sul collo gli pulsavano e gli occhi gli lampeggiavano di rabbia allo stato puro.

 

Tecla alzò di nuovo la mano.

 

«Io ed Elisa ci conosciamo appena. A scuola frequento solo gli studenti migliori, quelli con una media alta, come la mia. Come può solo pensare che io possa aver fatto una cosa del genere? Come può solo credere che possa dare la mia amicizia a... a... una come lei. La guardi e mi guardi!», disse con superbia Tecla ritrovando il suo orgoglio. Con piglio deciso allargò le spalle, sfidando con lo sguardo il preside. 

 

Il gelo calò nella stanza.

Tecla aveva esagerato.

 

Per quanto Elisa fosse poco popolare al VLUD, fosse invisibile e anonima, la vampira non aveva nessun diritto di trattarla in quel modo.

 

 Tutti in quella stanza la pensavano così.

 

Il professor Salamander sbuffò spazientito, mormorando parole incomprensibili. Jolanda prese la mano di Elisa stringendola forte, cercando in qualche modo di rincuorare la studentessa che, nella sua timidezza, non era mai riuscita a sbocciare. Lo stesso Gregorio, un bestione costretto a stare fermo su una minuscola sedia, si affacciò sulle teste di tutti per spiare la reazione di Gorgofondo. Per quanto quell'umana non avesse mai attirato il suo interesse, le parole di Tecla verso Elisa erano state dure, troppo dure.

 

Vladi detestò sua sorella con tutto il cuore.

Per questo lui la chiamava strega, perché era capace di fare uscite infelici come quella.

Un conto era fare qualche stupido scherzo, insudiciare qualcuno con la gelatina, attaccare le sedie dell'aula di musica al soffitto, mischiare la corrispondenza dei docenti, allungare il caffè degli inservienti con succo di limone, ma un'altra cosa era dire quello che aveva detto lei.

Chi diavolo si credeva di essere Tecla? Solo perché aveva i voti migliori della scuola si sentiva in diritto di dire cose del genere?

 

Vladi osservò di sbieco la piccola umana.

La schiena curva, come se portasse un peso enorme sulle spalle.

I capelli neri che le coprivano il volto, come fossero una tenda dietro la quale nascondersi.

Le mani strette a pugno, come per trattenere ciò che stesse provando.

 

Poi, una goccia.

Una semplice e singola lacrima cadde da dietro i capelli corvini per poi schiantarsi sui polsi dell'umana.

 

Vladi trattenne il fiato.

 

Certo, il Vampiro non aveva mai parlato ad Elisa, ma si considerava uno affabile e socievole. Non era certo il tipo che avrebbe fatto del male intenzionalmente a qualcuno di indifeso, il suo spirito di giustizia prendeva il sopravvento in questo casi.

Per questo vedere Elisa in quello stato, accusata di un misfatto in cui non c'entrava nulla, smosse nel vampiro corde e sentimenti contrastanti.

 

Con un lieve tocco il vampiro sfiorò il braccio del suo migliore amico.

Greg fece un salto sulla sedia, spaventato dal gesto improvviso di Vladi.

Il rumore delle gambe in metallo della sedia sul pavimento, distolsero l'attenzione da Elisa, ma la focalizzarono sui due ragazzi.

 

Casimiro Occhitinti scattò verso i due fulminandoli con lo sguardo.

 

«Non dimentichiamoci di voi. Gregorio Carnera e Vladi Risso. Due elementi che portano caos e basta. Possibile che ci siate voi due dietro a tutto questo?», chiese il vecchio Licantropo.

 

Greg sorrise mostrando la sua dentatura perfetta che risaltava tra le labbra carnose. 

Non disse nulla, aspettava che Vladi iniziasse una delle sue contorte spiegazioni e giustificazioni.

 

Vladi, però, non proferì parola.

 

«Ecco... noi... noi siamo stati... nel parcheggio dell'ingresso e...», provò a spiegare Gregorio risultando artificioso e poco credibile. «Poi abbiamo pranzato e... dopo...». Gregorio lanciava occhiatacce al suo migliore amico che, con la testa abbassata, fissava le piastrelle del pavimento.

«Allora? Che cosa avete a che fare con tutta questa storia? Voglio una spiegazione», tuonò il preside.

 

Vladi non si mosse, non reagì neanche al colpo vigoroso che Greg gli aveva dato con una coscia.

 

Il Licantropo campione della scuola, il più forte di tutti, il più ammirato e corteggiato, se la stava facendo addosso. Per tutti gli anni scolastici passati aveva fatto affidamento a Vladi, aveva sempre avuto il suo migliore amico a fargli da spalla, ma ora sembrava che lo stesse abbandonando. Una sensazione che Greg conosceva bene e che temeva più di un plotone di giocatori di football lanciati, a tutta velocità, contro di lui.

 

Panico.

Greg sentì il panico crescerli nel petto.

Abbandonato.

Si sentiva solo.

 

Non si sentiva più così da quando era un bambino e suo padre se ne era andato di casa in cerca di fortuna. 

Non di sentiva più così da quando i bimbi del quartiere lo prendevano in giro per la sua mole. 

Non si sentiva più così da quando nessuno voleva stare con lui e lo chiamavano mostro. Non si sentiva più così da tanto tempo.

Non si sentiva più così da tanto tempo, e adesso il panico lo paralizzava.

 

«Coraggio, Greg. Rispondi. Se non hai fatto nulla, non ti devi preoccupare», bisbigliò il professor Salamander nell'orecchio del suo studente.

Gregorio bofonchiò, poi volse lo sguardo a Vladi.

 

«Non possiamo far incolpare lei», disse il giovane vampiro con un filo di voce riferendosi ad Elisa.

«Ma...», provò a ribattere il Licantropo, prima di afflosciarsi sulla sedia su cui era seduto.

 

«Allora?», incalzò il preside Occhitinti.

 

Vladi scattò in piedi con l'indice alzato.

Se avesse dovuto affondare, lo avrebbe fatto con onore.

 

«Prima di tutto dobbiamo capire perché è stato commesso un atto del genere. Chi mai potrebbe agire in questo modo?», disse con tono squillante.

 

Il professor Salamander alzò gli occhi al cielo, mentre il resto dei presenti sembrò interessato alle parole del vampiro, tanto che, il volto di Elisa spuntò da dietro la chioma scura.

 

«Gelatina. Perché proprio la gelatina, voi tutti vi chiederete». Vladi si stava arrampicando sugli specchi. Sapeva benissimo che sarebbe bastato confessare il misfatto, ma non era certo nel suo stile. «C'è da chiedersi perché gelatina al lampone. Perché non alla mela verde?».

 

«Dove vuoi arrivare?», disse spazientito il vecchio preside Licantropo.

 

«Voglio solo dire che... che...». Vladi si bloccò di colpo.

«Che... che...». Un fastidioso pizzicore al naso gli impediva di concentrarsi a dovere.

«Volevo dire che...». Quella sensazione era fastidiosissima.

 

Poi.

Silenzio.

 

Un formicolio urticante partì dalle punta delle dita per scivolare, come artigli conficcati nella carne, per le braccia. Il pizzicore si spanse per il petto fino a raggiungere l'apice del capo, perdendosi tra i capelli del vampiro.

 

Il ragazzo non era più in grado di parlare.

Quello che gli era appena successo era una cosa strana, molto strana.

 

Vladi cercò con lo sguardo sua sorella.

Tecla fissò tremante Vladi.

 

Sesto senso vampiro.

Guai in vista.

 

Entrambi lo avevano sentito.

Entrambi si erano spaventati.

Non era mai successo loro niente di simile.

 

Jolanda scattò in piedi. Aveva l'aria stravolta, come se avesse appena visto un fantasma.

Il suo sesto senso vampiro era scattato anche in lei.

 

Il preside Occhitinti urlò:«Che diavolo state combinando? Che cosa succede?». Le vene sul collo gli pulsavano più che mai.

 

La porta si spalancò.

Una figura si stagliò imponente. Grandi stivali neri ricoperti di fango e una poltiglia non definita, una lunga giacca in pelle, piena di tasche, si mossero dentro la stanza. Due canini limpidi e lucidi scintillarono tra due labbra sorridenti. Capelli spettinati e ricoperti da una montagna di gelatina rossa. Occhi spalancati scrutarono ogni persona dentro la stanza.

 

«Chi cavolo è lei?», gridò con la voce più acuta che potesse produrre il preside, al limite delle sue forze.

«Sono Otto Etelberto il Nero, sono qui per servirla», disse il vampiro, mentre con un rapido inchino piegò la testa lanciando pezzi di gelatina da tutte le parti e colpendo il vecchio Licantropo in pieno volto.

 

Senza proferire parola, Vladi, si sedette sulla sua sedia.

Per la prima volta in vita sua era rimasto senza parole.

 

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Capitolo 7
*** Complotti e gelatina ***


Complotti e gelatina





La quiete che provava Casimiro Occhitinti, ogni qualvolta si sedeva dietro la sua scrivania, era una cosa che non aveva prezzo. La certezza del potere che assaporava tutti i giorni, seduto sulla sua poltrona in pelle, era la cosa che più gli piaceva.

Almeno fino al momento.

Nell'attimo esatto in cui il nuovo docente di Archeomagia, Otto Etelberto il Nero, gli lanciò residui appiccicaticci di gelatina in pieno volto, tutto ciò che il vecchio Licantropo aveva costruito per anni andò a farsi friggere.

 

Immagine.

Decoro.

Ordine.

Rispetto.

 

Tutto ciò che il preside aveva cercato di creare, tutto ciò in cui credeva, era irrimediabilmente rovinato. Il VLUD si stava trasformando in un covo di eccentrici e caotici balordi. Quello appena successo, la gelatina in pieno volto, era un segnale che non poteva non notare. Anche se aveva chiuso un occhio per la nomina del nuovo docente di Archeomagia, in favore di maggiori fondi scolastici, si pentì amaramente della decisione presa. 

 

Otto Etelberto il Nero avrebbe portato caos e quello era il primo segnale.

 

Senza contare che la studentessa più brava della scuola, grazie alla quale aveva vinto il premio come miglior Preside della città, era sospettata di aver inzaccherato la biblioteca.

Lo studente più forte e anche capitano della squadra di football, nonché detentore del record di più punti fatti in una partita in un torneo scolastico, era invischiato nella faccenda della gelatina, anche se non aveva ancora confessato.

 

Casimiro sarà stato pure scaramantico, ma quella non era iella. 

Era la fine di tutto. 

Rovina.

 

Se fosse stato solo nel suo ufficio, il preside Occhitinti, avrebbe improvvisato qualche danza propiziatoria, una di quelle cose che le sue vecchie zie gli facevano fare da ragazzino. Come quella volta in cui ci fu una grossa siccità nel sud, tra le campagne arse dal sole estivo, dove fu obbligato a vestirsi come uno spaventapasseri e correre tra le spighe secche. Allora si sentì ridicolo, fuori luogo, anche se alla fine la pioggia cadde a catinelle dal cielo. 

 

E se anche adesso uno dei riti delle due vecchie zie avesse funzionato?

E se esisteva una ricetta per mettere ordine al caos imperante?

 

Il vecchio Licantropo cercò di trattenere la rabbia mentre la segretaria Demone, con troppa insistenza, toglieva i residui di gelatina dalla sua barba. Contò fino a dieci, mentre osservava il nuovo docente ancora piegato in avanti in un inchino. Pareva immobile.

 

«Buongiorno Otto, vedo che ha già visto il disastro che alcuni studenti hanno fatto in biblioteca», disse Casimiro alzandosi di scatto e mostrando a tutti la sua struttura imponente, nonostante l'età.

«Certo, signore. Un'assoluto sfregio verso la meravigliosa biblioteca della nostra città. Un faro per tutti i letterati e studenti curiosi. Si dia il caso che io abbia studiato molto e preso in prestito decine di libri dagli scaffali inzaccherati, adesso, di gelatina rossa», disse il Vampiro cercando di mettere ordine alla chioma ribelle e appiccicosa.

«Come può vedere ho qui davanti il colpevole. Bastano solo un paio di minuti e vedrà che verremo a capo di questo increscioso incidente», disse il preside guardandosi allo specchio, appeso alla parete, per vedere se fosse finalmente pulito. 

 

La segretaria raccolse le salviette e i fazzoletti di carta, sparsi per la scrivania, non mostrando il minimo interesse per nient'altro che il cestino della spazzatura. Vladi, imbambolato, fissava il nuovo docente come fosse ipnotizzato. Lo stesso facevano Tecla e Jolanda. Gregorio pareva divertito dallo strano atteggiamento del professore di Archeomagia, formale e eccentrico allo stesso tempo. Elisa aveva aperto i suoi capelli, come fossero una tenda, per osservare meglio il nuovo arrivato. Solo Augusto Salamander sorrise a Otto allungandogli la mano cortese.

 

«Questi ragazzi sono stati trovati in prossimità del mare di gelatina o comunque sono coinvolti in qualche modo. Dobbiamo capire chi punire», disse il docente di ginnastica.

 

Otto Etelberto il Nero sbuffò con supponenza.

 

Il preside si girò di scatto parecchio infastidito: «Scusi? Ha detto qualcosa?». Il vecchio Licantropo ci teneva a mettere ben in chiaro che le intemperanze non erano accettate al VLUD.

«Non ho detto nulla, ma ho detto molto. Nessuno di questi studenti ha commesso il fatto. Io lo so», disse Otto mostrando un sorriso sfacciato tra un tic nervoso e una posa artificiosa, come si trattasse di una pubblicità.

«Cosa?», dissero contemporaneamente Casimiro e Vladi. Entrambi erano stupiti e disorientati dalla sicurezza del vampiro.

«I segnali ci sono tutti. Gelatina rossa. Quarto scaffale. Libri di Alchimia pratica. Tutto torna», disse Otto che, con fare militaresco, alzò il mento assumendo un'aria grottesca.

«Mi scusi, caro collega, cosa torna?», chiese Salamander.

«Dietro a questa storia c'è...», Otto si abbassò di scatto parlando a bassa voce, «il Concilio dei Quattro».

 

Un silenzio carico di tensione e stanchezza aleggiò nell'aria.

I respiri sembravano sospesi.

 

«Con-ci-lio dei quat-tro?», sillabò Elisa ad alta voce, incurante di essere sentita. Di gente strana, Elisa, ne aveva vista parecchia, a casa sua giravano gli svitati più svitati che potessero esistere, ma come quel Vampiro ce ne erano davvero pochi.

Jolanda incrociò le braccia al petto. 

Sapeva che l'arrivo di quell'esaltato di Otto avrebbe portato solo guai:«Tutti sanno che il Concilio dei Quattro non esiste. È una storiella che si racconta si bimbi per fare loro paura. Se non mangi la zuppa quelli del Concilio arrivano e ti portano via. Se non metti in ordine la stanza arriva il Licantropo... il Licantropo... non mi ricordo il nome... insomma ci siamo capiti», concluse con uno sbuffo.

«Arcimbolo. Licantropo Arcimbolo», suggerì Otto con leggerezza, sorridendo con grazia e mostrando i suoi canini.

Jolanda storse il naso. «Vuole farmi credere che questo stupido scherzo è opera di Arcimbolo, o come diavolo si chiama?».

Otto annuì serioso.

«Vuole farmi credere che il fantomatico Concilio dei Quattro è venuto al VLUD e...».

 

Jolanda venne bruscamente interrotta da Otto.

 

«... No, mia cara. Gli eredi del Concilio sono venuti e hanno messo la gelatina. Vogliono far i secco. Caput. Finito. Terminato», disse il Vampiro cercando qualcosa nel suo lungo pastrano tra le decine di tasche.

 

Jolanda, di solito pallida e sorridente, si trovò a fumare dalle orecchie, mentre le guance le si tingevano di un rosso ciliegia. Augusto Salamander si avvicinò premurosamente alla collega, era preoccupato, non l'aveva mai vista in quello stato.

 

Vladi si accomodò sulla sue sedia e con la bocca spalancata osservò la scena, lo stesso fecero gli altri. 

 

Del resto tutti lo sapevano che Otto Etelberto il Nero era un tipo un po' eccentrico. Passava buona parte del tempo a girare per le città di tutto il paese a promuovere i suoi seminari, esponendo le idee folli che, solo a un tipo come lui, potevano venire in mente. Fece scalpore, qualche anno fa, un libro che pubblicò. Trattava le presunte malefatte, a suo dire, del grande Lucillo il Magnifico, famosa guida spirituale vissuta secoli fa. Lucillo era venerato da alcuni e bellamente ignorata da altri, ma questo non importava. Scrivere un libro del genere era un affronto vero e proprio.

Ecco, Otto scatenava gli istinti più profondi nell'animo delle persone, qualsiasi specie essi appartenessero, nel bene e nel male.

 

Era ovvio che alla docente di arte, Otto Etelberto il Nero, smuoveva sentimenti non proprio positivi. Era l'opposto di lei, sempre stata onesta, leale e gentile.

 

«Vuole farmi credere che...», provò a continuare a parlare Jolanda in un attimo di lucidità.

«Non voglio farle credere nulla, ho ragione e basta», la interruppe con impeto il vampiro, «Guardi qui, l'ho trovato sul luogo del misfatto». Otto allungò un foglio sgocciolante gelatina rossa che aveva estratto da una tasca interna del suo lungo cappotto.

 

Era una lista delle materie scolastiche e di fianco erano elencati i nomi dei professori.

 

Casimiro, Jolanda, Augusto, e perfino la segretaria, inarcarono il sopracciglio confusi.

 

«Guardate bene. Vicino al mio nome c'è disegnato un teschio. Tutto quel pandemonio è stato fatto per attirare la mia attenzione, perché vogliono far i fuori», disse risoluto Otto mostrando il suo solito sorriso da copertina.

 

Tutti i presenti si avvicinarono al foglio inzaccherato.

Aguzzarono la vista.

Notarono un minuscolo scarabocchio vicino al nome del docente di Archeomagia.

 

«A me sembra un cuoricino», disse Gregorio.

«Potrebbe essere un errore di stampa», aggiunse la segretaria.

«Hai ragione, è un cuore», confermò Vladi.

«Potrebbe essere una sua fan», disse Tecla.

«Non è che il foglio è rotto in quel punto?», chiese il professor Salamander allungano l'indice per toccare, ma non fece in tempo, Otto avvicinò il reperto al petto come fosse una cosa preziosa.

«Non scherziamo. Sappiamo benissimo che la lega AmiciVampiri osteggia i miei studi e che il gruppo dei Demoni Anonimi mi ha querelato diverse volte. Ogni volta ne sono uscito vincente e senza nessuna condanna a mio carico. Anzi ha rafforzato ma mia immagine. Quello che vi ho appena mostrato è una prova bella e buona e non può essere ignorata», disse Il professore di Archeomagia. «Indagherò con gli studenti a cui insegno e spiegherò loro che le cose non sono come appaiono. Sarà una bella lezione e mi aiuterà a scovare i colpevoli».

 

Jolanda, abituata ad ascoltare e ad aiutare chiunque si trovasse in difficoltà, non riuscì a trattenersi. Una smorfia le arricciò la bocca in modo scomposto, le vene delle tempie iniziarono a pulsare violentemente. Anche Salamander, docile e positivo per natura, si trovò a disagio: le parole del collega sembravano quelle di un pazzo farneticante.

 

«Cosa suggerisce?», chiese il Preside ingoiando un litro di saliva e trattenendo il tremore delle mani. Lo avrebbe cacciato dal suo ufficio, se solo avesse potuto.

«Io ripulirò il disastro in biblioteca, a turno, con i miei studenti. Voglio che quella zona venga interdetta e che mi di lasci campo libero per poter lavorare», disse Otto sprizzando felicità da tutti i pori.

«Ma... ma... gli inservienti stanno già pulendo», rispose il vecchio Licantropo, come se quella fosse l'unica risposta ragionevole che potesse dare.

«No!», urlò il vampiro guardandosi intorno disperato. Con un gesto rapido girò su se stesso, avvinghiò la maniglia della porta dell'ufficio e la spalancò. Si gettò nel corridoio come un forsennato.

 

Alina, lì fuori, rimasta in attesa della professoressa Soli, era in piedi con l'orecchio teso. Le urla che provenivano dalla stanza erano un invito ad origliare persino per una Demone per niente pettegola come lei.

 

L'arrivo improvviso di Otto Etelberto il Nero la fece trasalire.

Il sasso portafortuna che teneva in mano la Demone, le scivolò tra le dita finendo sul pavimento e rimbalzando in maniera scomposta vicino agli stivali inzaccherati del professore.

 

Il docente di Archeomagia si arrestò alla vista di Alina, come se si trovasse di fronte a un fantasma, o qualcosa di simile. Le guance violacee della giovane assunsero una colorazione più intensa.

 

Dietro al Vampiro si ammassò il resto del gruppo che lo seguiva più per curiosità che per effettivo bisogno.

 

Otto raccolse il sasso e lo porse alla ragazza: «Strano. Molto strano», sussurrò con un sorrisetto enigmatico che increspò leggermente le labbra.

 

Alina abbassò lo sguardo sentendosi colpevole, anche se non sapeva il perché.

 

Poi, di scatto, come se si fosse ricordato di qualcosa di urgente, Otto ricominciò a correre in direzione della biblioteca. Scese i gradini, che portavano al piano inferiore, a due a due. Scivolò attraverso i corridoi intrecciati e contorti come se frequentasse il VLUD da anni. Arrivò all'ingresso principale per poi attraversare il cortile e irrompere nella vecchia biblioteca come un ossesso.

Alla vista dei Demoni d'acqua, intenti a pulire il viscidume venutosi a creare con la gelatina, agitò le mani in aria, senza smettere di correre, come se quel gesto potesse in qualche modo fermarli.

 

«Stop! Fermi!», urlò il Vampiro a gran voce.

 

Tutti gli inservienti presenti si bloccarono di colpo, più che altro stupiti dall'ingresso coreografico di quello strano tipo.

 

Il Preside arrivò dopo una manciata di secondi, seguito da Salamander e dalla professoressa Soli. Tutti e tre avevano il fiatone.

Vladi, Tecla, Gregorio ed Elisa se ne stettero a qualche metro di distanza insieme ad Alina.

 

«Voglio transenne. Voglio due guardie alla porta. Delimitate la zona», ordinò Otto agli inservienti come fosse un agente di una scena del crimine.

I Demoni, con in mano gli spazzoloni, si guardarono tra di loro confusi.

 

Casimiro intervenne sperando di riuscire a calmare il docente Vampiro.

 

«Calma. Calma. Non possiamo chiudere a biblioteca. Gli studenti del VLUD ne hanno bisogno, come quelli universitari e tutti gli studiosi del paese», disse il vecchio Licantropo immaginandosi già l'eco che tale notizia avrebbe avuto. Li vedeva i titoli sui giornali e in televisione: disonore al VLUD. Il Preside non è in grado di mantenere l'ordine. Docente folle crede in un complotto. La scuola sarebbe rimasta senza alunni, i flash dei giornalisti l'avrebbero accecato e le domande incalzanti dei commentatori televisivi lo avrebbero assordato.

Disonore assicurato.

 

«Non c'è tempo da perdere. Questo è un segnale per me. Lo capisce. La fine è vicina, per tutti noi», blaterò Otto agitato.

«Caro, carissimo, non crede di stare esagerando. È solo una bravata, una stupida bravata di qualche studente», rimarcò Casimiro esasperato.

«Se tutto questo per lei è una stupidata, come mi spiega quello?». Otto Etelberto il Nero urlò così forte che le persone presenti nella biblioteca lo udirono chiaramente.

 

Con il braccio allungato indicò il cartellone appeso alla libreria.

Della gelatina rossa, rassodata e secca, sembrava colare direttamente dall'alto, come glassa alla fragola su una torta o gocce di sangue rappreso.

Molte delle parole scritte erano state cancellate dal magma appiccicoso.

Non si leggeva più: Buon anno appiccicoso a tutti gli studenti.

Il rosso colato mascherava parte della frase.

Spiccavano solo sei lettere che lette, una dopo l'altra, formavano una parola: uccidi.

 

Nessuno si mosse.

Un brivido percorse la schiena di tutti, qualunque specie essi appartenessero.

Elisa, con un filo di voce, sillabò: «Uc - ci - di», tremando più forte degli altri.

 

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