La figlia dei Thénardier

di Aleponine92
(/viewuser.php?uid=1012225)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Infanzia ***
Capitolo 2: *** Cosette ***
Capitolo 3: *** Parigi ***
Capitolo 4: *** Marius ***
Capitolo 5: *** Cosette? Di nuovo? ***



Capitolo 1
*** Infanzia ***


Era una bellissima giornata, ero sull’altalena con la mia sorellina, giocavamo felici insieme, quando eravamo piccole, perlomeno. Ho sempre pensato che fossimo uguali, io e lei, ma col tempo siamo cambiate. Io sono cambiata, lei è sempre la solita rompiscatole troppo dolce per la nostra ormai rovinata famiglia.
Quel giorno mia madre ci spingeva su quell’altalena, se così si può definire, era una tavoletta di legno fissata ad un carro con delle catene, ma per noi era la più bella del paese. Mentre ci dondolavamo, nostra madre cantava una canzone a dir poco brutta e stonata, che attirò l’attenzione di colei che cambiò la mia vita quasi completamente, in peggio, ma per certi aspetti, anche in meglio. Era una bambina dai lunghi capelli scuri, molto più scuri dei miei, quasi neri, che cadevano giù da un cappello bianco e azzurro, come  suoi occhi, azzurri come il mare più profondo, così belli, come lei del resto, era…è bellissima.

Teneva la mano alla sua mamma, una donna alta e magra con i capelli biondo grano che le coprivano la schiena e gli occhi dello stesso colore della bambina. Tuttavia, pur essendo bella, aveva una vena di tristezza che quasi distoglieva dal suo bell’aspetto.
Mi accorsi subito che si dirigevano verso di noi, ma feci finta di nulla e continuai a ridere e giocare con l’altalena. La donna chiamò mia madre.
“Mi scusi!” disse con tono gentile.
Mia madre non la udì e continuo a cantare.
La donna si avvicinò di più e le tocco la spalla.
“Mi scusi, Madame, in che paese mi trovo?” chiese la donna con lo stesso tono gentile di prima.
“Montfermeil, le serve aiuto?” rispose mia madre, con tono quasi sgarbato, come di suo solito.
“Saprebbe indicarmi che direzione prendere per Montreuil-su-Mer? Devo cercare lavoro.” disse la donna con tono quasi preoccupato sull’ultima parola.
“Per di là! Seguite il sentiero di destra e arrivate al bivio, lì c’è un cartello, proseguite a destra e poi sempre dritto.” disse burbera mia madre.
La bambina, intanto, era arrivata all’altalena su cui io e Azelma eravamo sedute, feci un cenno ad Azelma di scendere, così che lei potesse salire e giocare con me, avrei tanto voluto essere sua amica a quei tempi. Giocammo con l’altalena per tutto il tempo mentre Fantine, così si chiamava la madre della bambina, e mia madre parlavano della strada per Montefermeil, ma tenni sempre l’orecchio teso per ascoltare tutto il discorso.
Ad un certo punto udii delle parole uscire dalla bocca di Fantine.
“Come sono dolci, sembrano quasi tre sorelle!”
“Già” rispose mia madre, quasi convinta anche lei.
Io, ingenuamente, senza pensarci, dissi alla bambina una cosa che ancora oggi ricordo benissimo.
“Ti va di essere mia sorella?”
E lei, a quella domanda esclamò felicemente un SI pieno di gioia e mi abbracciò. Io ricambai, le volevo veramente bene.
Fantine a quel punto disse a mia madre:
“Potete tenermi la bambina? Non mi permetteranno di lavorare con una bambina così piccola!”
“Non so, bisogna vedere per quanto tempo e poi non…”
“Si può fare”
Mio padre era uscito dalla porta della locanda che i miei gestivano, si chiamava “Au sergent de Waterloo” a causa di una lunga storia, che ricordo vagamente.
“Si può fare” ripetè ancora più convinto.
“Ma caro, non possiamo assumerci questa responsabilità!” disse mia madre.
“Ma io mi fido di voi, e poi guardate come giocano insieme mia figlia e le  vostre, anche voi avete detto che sembrano quasi sorelle!” esclamò Fantine, piena di speranza.
“Certo, Madame, dovrete pagare per mantenerla, 7 Franchi al mese saranno sufficienti!” disse mio padre, che era, è e sempre sarà un lurido ubriacone, avido e incosciente.
“Certo, va bene, con quello che guadagnerò a Montreuil, sarò qui a riprendere la mia piccola in pochissimo tempo!” esclamò Fantine.
Finiti i conti che i miei e Fantine dovettero fare, Fantine lasciò a mia madre il corredo della figlia e se ne andò verso Montreuil, tra i pianti di tristezza e speranza della bambina.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Cosette ***


Cosette. Mi sentivo riecheggiare quel nome nella testa per tutta la notte. Cosette. Chi poteva immaginare che sarebbe diventata la servetta di casa. Io di certo non ne ero capace a quell’età. Per svariati anni, Cosette fu la mia serva. In casa mia. C’era qualcosa però, che mi bruciava dentro quando trattavo male o la obbligavo a far qualcosa. Ammetto che a volte mi faceva pena e le parlavo meno superbamente, ma per tutto quel tempo, la trattai male. Ad almeno 2 anni dall’arrivo di Cosette, in casa arrivò Gavroche, il mio fratellino. Lo amavo tanto, ma non gliel’ho mai dimostrato. Se solo fossi riuscita ad amarlo di più. Sono convinta però, che anche lui in fondo mi voglia bene, anche se si prendeva spesso gioco di me. Lui stava sempre con Cosette, mai con me ed Azelma. Mia madre era solita picchiare Cosette se non svolgeva determinate faccende, con un bastone. Che pena. Effettivamente più di qualche volta, mentre stava per colpirla, cominciavo ad urlare per chiamarla, così che venisse da me e lasciasse in pace Cosette. Mio padre aveva molti debiti e cominciò a chiedere sempre più soldi a Fantine, che ad un certo punto, smise completamente di mandare denaro per sua figlia. Mia madre pensava: “Che razza di madre snaturata non manda il denaro per mantenere la propria figlia?” Era chiaro che i soldi servissero per pagare i debiti, ma lei lo diceva lo stesso, come se Fantine la stesse ascoltando. Da parte mia, io sapevo un po’ leggere ed in tutte le lettere Fantine continuava a chiedere come stesse Cosette ed i miei rispondevano sempre la stessa cosa ‘cresce bene ed in buona salute’. Un giorno mio padre si inentò una scusa per farsi dare più soldi. “Quando saprà che la figlia è malata, allora si darà da fare per mandarci tutti i soldi!” diceva. Ma non sapeva cosa sarebbe successo. Era la Vigilia di Natale del 1823. Cosette era andata a prendere l’acqua ed io stavo rannicchiata davanti al fuoco a giocare con il gatto e Azelma. Era un’ora che Cosette era uscita e non era ancora tornata. Sentii la porta scricchiolare e vidi un uomo alto e imponente con in braccio Cosette e nella mano sinistra un secchio colmo di acqua. Non so cosa abbia fatto o detto con i miei genitori, fatto sta che, dopo averle comprato una bellissima bambola, si portò via Cosette. Non potevo credere a ciò che stava accadendo. Cosette se ne era andata. Sentii come un vuoto nel cuore. Passarono gli anni e cademmo in rovina. Gavroche crebbe e diventò un bel ragazzino. La stessa cosa non si può dire di Azelma. Dimagrì molto, era scarna e un po’ gobba. I capelli rosso fuoco di mia madre si spensero diventando di un grigio simile alle ceneri depositate nel camino. Mio padre, beh…lui rimase sempre uguale. Quanto a me, non so dirlo. Azelma continuava a dire che ero io la più bella, ma chi lo sa, magari lo diceva perché mi voleva bene… Restammo alcuni anni dopo la partenza di Cosette a Montfermeil, poi avvenne una cosa inaspettata.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Parigi ***


Mio padre tirò fuori una delle sue storie strampalate e decise che ci saremmo trasferiti a Parigi. Ammetto che all’inizio mi piaceva l’idea. Non avevo mai visto Parigi e ne avevo sentito parlare. Dicevano tutti che fosse bellissima, ma adesso io non ne sarei così sicura. Mio padre conobbe un gruppo di malfattori, si facevano chiamare “Patron Minette”. Il primo che vidi fu Brujon, un uomo molto massiccio che mi dava un senso di ridicolo, poi incontrai Claquesous e Babet, che esseri immondi, avevano l'età di mio padre, ma stranamente, si facevano comandare da uno che aveva 19 anni. Appena due anni in più di me...Montparnasse, si chiamava Montparnasse. Mi voleva a tutti i costi, anche se lo respingevo, continuava imperterrito a disturbarmi. Inutile dire che venni coinvolta anche io nelle “avventure” di quel gruppo così rivoltante. Mio padre affidava a me e Azelma delle lettere da consegnare a persone diverse, ci facevamo chiamare con un cognome diverso dal nostro vero cognome. Jondrette, come gli fosse venuto in mente non lo so, ma fatto sta che nelle lettere firmate Jondrette, scriveva sempre di aver bisogno di soldi, alle persone sconosciute. Vivevamo in un appartamento che sembrava quasi un rudere in rovina, la stamberga Gorbeau. Un giorno la vecchia ci comunicò che avevamo un nuovo inquilino. Lo vidi una mattina mentre mi recavo al pozzo a prendere l’acqua. Aveva i capelli neri splendenti al sole, due occhi bellissimi che avevano un colore indefinito tra l’azzurro e il grigio. Era alto, ben vestito e...bellissimo... Non sapevo come si chiamasse, ma poco tempo dopo lo venni a sapere. Marius Pontmercy.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Marius ***


Marius Pontmercy. La personificazione della bellezza, del garbo e della gentilezza. Non mi guardava male come tutti gli altri, cercava sempre di sorridermi. Un giorno entrai nella sua stanza per consegnargli una lettera che gli era arrivata. Sul tavolo erano appoggiati dei libri e c’erano dell’inchiostro e una piuma per scrivere; era uno studente e questo lo rendeva ancora più attraente per me. Non parlai, gli consegnai la lettera, ma mi sentii chiamare.
“Buongiorno, Mademoiselle!” disse lui in un modo in cui mai nessuno si era rivolto a me “Grazie della lettera, ma potrei conoscere il vostro nome?”
“Éponine” dissi io borbottando “di nulla, Monsieur, faccio solo ciò che mi viene chiesto di fare.”
“Voi abitate con la famiglia della porta accanto vero? I Jondrette”
“Sì.” risposi io.
Mi aprí la mano e mi diede dei soldi.
“Questi sono per voi” disse “per la commissione”.
“I-io... non posso accettare” balbettai io “voi siete troppo buono, Monsieur Marius.”
“Oh... Così conoscete il mio nome”.
Arrossii.
“Beh... Me ne ha parlat-“
“Tranquilla, non c’è bisogno di giustificarsi” interruppe lui “Mi farebbe piacere se voi mi aiutaste più spesso, Mademoiselle ‘Ponine”
‘Ponine... Che bel soprannome... Detto da lui poi era ancora più bello.
“Un giorno vi porterò con me dai miei amici, al Cafè” disse.
“Oh mi piacerebbe tanto, Monsieur.”
“Bene allora. Domani abbiamo una riunione, le andrebbe di venire?” chiese elegantemente lui.
“S-sì! Assolutamente sì!” esclamai io contenta.

Uscii. Mi sentivo così felice! Ero al settimo cielo, fin quando lui non uscì di nuovo e mi disse una cosa che mi spezzò in due il cuore.
“Quasi dimenticavo. Voi conoscete bene Parigi, non è così?”
“Certo, come le mie tasche” risposi io.
“Dovete trovare una ragazza per me”
Il sorriso sulle mie labbra si spense.
“Ci sono molte ragazze a Parigi, Monsieur, lo trovo un compito impossibile.” risposi freddamente.
“L’ho incontrata ai Giardini del Lussemburgo! Ha i capelli neri e gli occhi più blu del cielo e del mare, oh ‘Ponine, ti prego! Trovala per me! Passeggia sempre in quei giardini! Seguila e dimmi dove abita!”
“Va bene, tutto per voi, Monsieur” dissi io.
“Oh Grazie, Éponine, Grazie mille!” disse lui tutto entusiasta.

Quel giorno incominciai piano piano a morire.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Cosette? Di nuovo? ***


Come richiesto dal mio amato, mi incamminai per i giardini del Luxembourg alla ricerca della misteriosa fanciulla che gli aveva rapito il cuore.
Vidi un uomo, con un aspetto familiare, che aveva sotto braccio una delle ragazze più belle che si possano incontrare a Parigi. Era senza dubbio una faccia a me nota.
Pensai subito a lei. Cosette. Aveva quei capelli corvini e gli occhi di un blu profondo; ed era lei. Così l’aveva chiamata quello che sembrava essere suo padre. Fu allora che compresi perché era misteriosamente scomparsa quando ero piccola.
Li seguii.
Rue Plumet. Abitavano lì. A pochi isolati dai giardini. Mi promisi di non dirlo mai a Marius. Non volevo la trovasse. Ma tornai da lui.
“Allora? L’hai trovata, ‘Ponine?”
“N-no. Non ho visto nessuna ragazza che corrispondesse alla vostra descrizione, Monsieur. Proverò domani…”
“Oh grazie ‘Ponine, cosa farei senza di te?” disse. E mi diede un bacio sulla guancia. È stato bellissimo.
“Vieni con me al Cafè stasera.”
“O-Ok… Grazie Monsieur.”
Sorrise e io mi sentii il cuore a mille.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3705594