Little Black Rabbit

di Yumeji
(/viewuser.php?uid=95601)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***



Capitolo 1
*** I ***



Little Black Rabbit



I suoi occhi erano due larghi specchi neri, carichi di disperazione e paura, tanto colmi da non essere più in grado di riflettere alcuna luce. Le sue iridi erano oscurità densa, ti si appiccicavano addosso e non c'era modo staccarsene. Era uno sguardo capace di mettere a disagio o irritare qualsiasi adulto, ci si sentiva sondati fin nel profondo da quell'esserino magro e pallido, alto poco meno di un metro e uno sputo; giudicati da quegli occhi infantili che non parevano conoscere la spensieratezza tipica della loro età. Cercare di scrutarli a propria volta era come sprofondare nella melassa, non la si poteva avere vinta con quelle sabbie mobili fatte di tenebra. Inconsciamente si aveva la consapevolezza che, una volta inglobati da quegli occhi, in cui iride e pupilla si confondevano, non si sarebbe più potuto uscirne. Non c'era salvezza o perdono, il primo istinto di chiunque era rifulgere da essi, scacciarli, allontanarli da se in qualunque modo, così da non dover essere giudicati per le proprie colpe.
Persino Atsushi, che di peccati ancora non ne portava nessuno sulle spalle, di fronte a quello sguardo si sentì a disagio. Un vuoto gli si era formato all'altezza dello stomaco mentre un groppo alla gola gli rendeva difficile respirare. Non sapeva quando esattamente fosse caduto a terra, forse era stato colto di sorpresa dallo shock e aveva finito con il perdere l'equilibrio, atterrando sul fondo schiena in una maniera piuttosto impacciata e comica. Sul momento si rendeva semplicemente conto che quel bimbo lo scrutava dall'alto in basso. Era di costituzione esile, molto magra, le braccia e le gambe ridotte a dei bastoncini sottili, quasi non vi fosse della carne ma solo un sottile strato di pelle a ricoprine le ossa; sporco, i suoi vestiti erano ridotti a dei cenci luridi e portava una sciarpa, più simile ad uno straccio, di un nero slavato che gli copriva la parte inferiore del viso pallido. Pareva così fragile che Atsushi non poteva non provare un certa pena ed apprensione per lui, comprendendo fin da subito di aver di fronte un bimbo cresciuto per strada, abbandonato alle intemperie del mondo senza aver prima costruito uno scudo con cui difendersi da esse, abituato a ritenere gli adulti dei nemici e a sospettare di qualunque gesto gentile. Era probabilmente a causa della vita da cui era stato forgiato se aveva sviluppato un simile sguardo avvilente e buio.
Lo shock da cui era derivata la caduta di Atsushi non era causato però dal bambino in sè, era pur sempre cresciuto in un orfanotrofio, di ragazzi in quelle condizioni disperate ne aveva visti a bizzeffe e, se non fosse stato per quello sguardo privo di luce e di pietà, probabilmente avrebbe trovato qualche similitudine tra il se stesso di allora con il bambino che aveva di fronte.
Il suo stupore era dato da ben altro fattore, il quale era fortemente legato all'identità di quel pargolo, i cui capelli corvini finivano per scolorirsi sulle punte in un bianco abbacinante, una caratteristica tanto particolare da tradire la sua reale natura.
- A... Akutagawa?! - balbettò Atsushi facendosi prendere da un smania colma di stupore e confusione, facendo uno scatto in avanti per sporgesi verso l'altro, arrivando a pochi centimetri dal suo viso mentre lo afferrava per le spalle.
Com'era possibile che, in un istante, quello che riteneva il suo nemico giurato o partner occasionale (a seconda dei imprevedibili piani di Dazai), si riducesse da ragazzo di vent'anni, temibile membro della PortMafia, a bimbetto indifeso che faticava a superare il metro di altezza?
Atsushi non ebbe però tempo di rifletterci troppo, trovandosi a dover scattare all'indietro per evitare delle fauci scure che, dal tessuto della lunga sciarpa, si erano protese a divorarlo. Forse si era sbagliato a definirlo "indifeso", seppur ancora privo dell'addestramento che lo avrebbe portato a sviluppare le sue zanne, il piccolo Akutagawa rimaneva sempre il possessore di Rashomon. Il modo in cui si era avventato su di lui in maniera improvvisa doveva averlo messo in allerta, dedusse Atsushi, di nuovo sedere a terra mentre, tenendo le mani in alto, rivolgeva un sorriso tirato al bimbo.
- Ah, scusa, scusa... mi ha sorpreso a vederti ridotto così - biascicò, non sapendo esattamente perché si stesse scusando, ma ormai abituato all'atteggiamento aggressivo dell'altro e sentendosi in obbligo avendolo provocato. A Ryunosuke non era mai piaciuto il contatto fisico, o le persone in generale. - Quindi anche lui è un utilizzatore di capacità, e questo sarebbe il suo potere? - la sua era una domanda retorica, avendo gli effetti dei quel potere proprio di fronte. Ed, ad osservarlo meglio, cominciò a trovarla una situazione molto ilare, al punto che dovette coprirsi la bocca per non scoppiare a ridere, non riuscendo però ad evitarsi di sghignazzare almeno un pochino.
L'uomo su cui l'Agenzia di Detective l'aveva messo ad investigare, e che doveva trattarsi di un semplice adultero, era in realtà un utilizzatore di capacità, sulla quale, vista la presenza di Akutagawa, nel quale si era imbattuto inavvertitamente durante il pedinamento, anche la PortMafia per qualche oscura ragione aveva posato gli occhi.
Dopo essersi messi a litigare su chi avesse la precedenza sul misterioso individuo, Atsushi e Akutagawa per poco non erano arrivati ad iniziare uno scontro. Era stato il mafioso a chiudere la faccenda, partendo per primo all'attacco, deciso a catturare l'obbiettivo in modo da sottrarlo così all'agenzia. Atsushi si era ovviamente intromesso e si erano così trovati ad affrontarsi per l'ennesima volta. Il loro vivace battibecco aveva però attirato l'attenzione del uomo che stavano pedinando, il quale, sentendosi alle strette si era dato alla fuga. Akutagawa, incapace di demordere, aveva spinto lontano Atsushi scagliandogli contro le teste di Rashomon e si era di nuovo lanciato all'inseguimento. Il giovane detective (o l'apprendista tale), una volta rialzatosi aveva cominciato a rincorrerlo a sua volta, trovandosi però a dover colmare già una distanza notevole, per cui dovette ricorrere alle sue capacità di mutaforma.
A pensarci, se Atsushi non si fosse trovato alle spalle di Akutagawa quando l'uomo misterioso aveva deciso, in extremis, di usare il proprio potere, probabilmente anche lui si sarebbe ora trovato nelle stesse condizioni del corvino.
Per quanto riguardava l'inseguito, oramai era lontano, scomparso all'interno di un automobile partita a tutta velocità e inglobata dal buio di una stradina laterale che tagliava per il porto. Atsushi per il momento però non si preoccupava di rintracciarlo, distratto dalla situazione che si trovava ad affrontare. Avvertiva qualcosa di strano nell'atteggiamento dell'alter-ego più giovane di Akutagawa. Come se vi fosse una nota stonata, qualcosa non quadrava, e non si trattava del Rashomon in versione ridotta che il piccolo continuava a tenere attivato. Nel suo sguardo scuro che, per quanto impenetrabile, apparteneva sempre ad un bambino, oltre alla confusione, comprensibile in quella situazione, Atsushi poteva leggervi paura.
- Akutagawa?..- lo chiamò ancora, nella voce un tono incerto, come se gli stesse chiedendo se fosse realmente lui e, da come alzò lo sguardo per incrociare il suo, Atsushi sì, ebbe conferma che quello era proprio lui, ma allo stesso tempo comprese che l'altro non lo riconosceva e, anzi, gli stava chiedendo, in muta domanda: "come fai a sapere il mio nome?". Il bambino parve mettersi ancora più in allerta, i muscoli tesi mentre i movimenti di Rashomon sembravano farsi più incerti e traballanti, doveva star esternando lo stato d'animo del suo proprietario perché, Atsushi ebbe appena il tempo di notarlo, Akutagawa stava lentamente spostando il suo peso all'indietro, pronto non ad attaccarlo ma a darsi alla fuga.
"Non si ricorda di me?" si domandava intanto Atsushi, sentendosi in certo su cosa fare, possibile che non solo il corpo, ma anche la mente e quindi i suoi ricordi fossero stati riportati indietro al punto di quando era bambino? Questo avrebbe spiegato perché non gli aveva ancora inveito contro e chiamato "Jinko" come al suo solito. Probabile che non avesse memoria del sé adulto. "Se adesso scappa potrebbe cacciarsi in qualche guaio, o peggio... non ho idea se questa capacità ha un effetto permanente o meno" fu il secondo pensiero della tigre mannara, il quale non si chiese perché si stesse preoccupando per quello che tecnicamente era un suo nemico, distratto com'era dall'aspetto infantile che aveva al momento. Cercò di allungarsi una seconda volta verso di lui, muovendosi lentamente, ma il bambino si incasso ancor di più nelle spalle, sulla difensiva, metà del viso nascosto dalla sciarpa. Voleva attaccarlo di nuovo, intuì,
- No, no, no... non sono un nemico, non serve che mi attacchi - tentò di rassicurarlo, alzando le mani in alto in segno di resa, ma agitandosi nel parlare, risultando teso e aumentando in maniera spropositata la velocità delle parole che pronunciava.
Alla sua affermazione gli occhi di Akutagawa si ridussero a due fessure, scrutandolo con ancor più sospetto. Non si fidava, si sentiva minacciato. Non aveva idea di dove si trovasse o perché fosse lì, faticava però a ricordare dove fosse stato prima. Era confuso, aveva paura. Dov'era sua sorella? Dove erano gli altri? Era forse colpa di quel ragazzo, di quel adulto strano dai capelli bianchi se erano scomparsi? Era colpa sua?
- A-ascolta...- si trovò ancora a balbettare Atsushi, sentendosi poi subito in imbarazzo nell'essere tanto impacciato a parlare con un bambino. Si schiarì la voce nel tentativo di prendere un tono più autorevole e convincente, sedendosi in maniera più composta, incrociando le gambe. - Senti, lo so che sei confuso. Posso solo immaginare come tu ti senta, catapultato qui senza come o perché - si schiarì di nuovo la gola, -... ma c'è una spiegazione logica a tutto questo. Seguimi e andrà tutto bene - e dicendo questo, con il miglior sorriso tirato che riuscisse a mostrare, gli porse la mano, sperando che il bimbo l'accogliesse.
Non ebbe però neppure il tempo di sperarlo che il piccolo Akutagawa, con i suoi piedi nudi, gli aveva già voltato le spalle, correndo via con tutta la forza che quelle gambe sottili gli permettevano.


- Atsushi... credo che tu non abbia ben capito in cosa consistesse il tuo incarico - lo accolse Kunikida senza salutarlo, cogliendolo per caso sulla soglia del ufficio un momento prima che il ragazzo entrasse. Il suo tono si manteneva calmo, seppur il riflesso che gli lampeggiò sulle lenti degli occhiali e gli nascose per un momento lo sguardo, ne tradisse l'irritazione crescente, così come il leggero tremito della mano con cui stringeva il suo inseparabile taccuino.
- E'... è che ci sono state una serie di complicazioni - biascicò in risposta Atsushi, rivolgendogli un mesto sorriso colpevole, con il quale, intimamente, sperava gli fosse perdonata ogni sciocchezza compiuta quel giorno. Solo ora che si trovava sotto lo sguardo severo ed intransigente del collega Atsushi si rendeva conto di quanti atteggiamenti e scelte sbagliate avesse compiuto in quelle poche ore. - Po-posso spiegare - proclamò, per quanto aggiunse mentalmente un "credo" alla fine della frase, ben udibile dal suo tono incerto.
- Passare dal pedinare un sospettato a rapire un bambino... spero bene che ci sia una spiegazione sensata dietro a tutto questo - Kunikida incrociò le braccia al petto tenendo quel tono accusatore, di rimprovero ed indignazione che era solito usare con Dazai. - Poi mi dirai anche perché sei ridotto come se tu fossi precipitato da un albero e caduto in un cespuglio - aggiunse schioccando la lingua seccato, mentre si faceva da parte per farlo finalmente entrare. Per quanto irritato per lo stravolgimento del incarico da parte del ragazzo, aveva subito notato le sue condizioni pietose, tra cui i vestiti stracciati, le varie escoriazioni più o meno gravi in molti punti del corpo corpo e i segni di graffi e di morsi che aveva sul viso. Pareva fosse reduce dal tentativo mancato di ammaestrare un animale feroce, pensiero che non poteva non risultargli vagamente comico essendo Atsushi una tigre mannara. Per di più non poteva credere che la "bestiolina", o bambino, che si portava in spalle, tanto piccolo e magro da sembrare più fragile di un ramoscello, potesse mettere in difficoltà Atsushi.
- Oh, è tornato il rapitore di bambini? - fu il turno di Ranpo a salutarlo, sottraendosi dalla sua pennichella come intuì fosse accaduto qualcosa di interessante. Si tolse a malapena il cappello dal viso, rimanendo però stravaccato alla propria scrivania. Dedicò un'occhiata non più lunga di un paio di secondi alla strana coppia appena entrata, per poi rivolgere al giovane collega quel suo tipico sorriso sornione e furbesco. Atsushi non dubitava che avesse già ricostruito tutto l'accaduto, compresi gli eventi subito successivi, e di ciò ebbe conferma dell'espressione ilare e dalla risata che il grande detective non si preoccupò di trattenere. - Dovresti fare qualcosa per la tua sindrome del buon samaritano, Atsushi. Passi per Kyouka, ma questo non è un ritrovo per orfani sfruttati dalla PortMafia, in più Akutagawa è maggiorenne, quindi..- alzò le spalle facendo un gesto con la mano come a dire che la questione, dopo un momento di divertimento, già lo annoiava. Si calò di nuovo il cappello sul viso, tornando alla sua pausa.
Atsushi dedicò al grande detective l'ennesimo dei suoi sorrisi esitanti e colmi di senso di colpa, ma non ebbe tempo di riflettere sulle sue sagge parole che toccò a Kenji, con la sua solare ed innocente esuberanza ad avvicinarlo, l'espressione allegra di quando gli promettevano di portarlo a mangiare un piatto di Gyudon con doppio manzo per cena.
- Neh, ascolta, ascolta Atsushi! - era talmente pimpante e pieno di vita che, al solo guardarlo, il mutaforma si sentiva prosciugare delle ultime energie. No, non ce la poteva fare ad affrontarlo. - E' appena arrivata una segnalazione su un individuo sospetto che, al parco qui vicino, sembra stesse rapendo un bambino. Non è ancora un'indagine ufficiale, ma il signor Uemura (che ha da poco avuto una nipotina), mi ha promesso un buono per tre razioni di carne scontata all'80%... -
Se ricordava bene il signor Uemura era il proprietario di una macelleria nel distretto commerciale lì vicino, fece memoria Atsushi mentre il collega si afferrava con eccessivo entusiasmo al suo braccio libero, quello con cui non stringeva il corpo del piccolo Akutagawa. - L'ultima volta che abbiamo lavorato assieme ci siamo divertiti così tanto! Collaboriamo ancora, eh?! - Kenji doveva aver fame, perché venne avvertito in tutta la stanza l'inquietante scricchiolio che fece il braccio di Atsushi, il quale sussultò percorso da una scarica di dolore inaspettato che gli fece salire le lacrime agli occhi. Sì,  la prospettiva di carne scontata doveva aver risvegliato l'appetito, e quindi il potere, del suo giovane collega. - In più se partecipa un altro detective il signor Uemura ha promesso di preparare dei buoni anche per lui - il suo viso innocente fu solcato da un'ombra inquietante nell'aggiungere - ... a te però non servono quei buoni, quindi li darai a me visto che siamo grandi amici, vero? - se non si fosse trattato di Kenji, Atsushi avrebbe pensato ad un tentativo di estorsione dietro quel sorriso, ma essendo lui non poteva esserlo, era un ragazzino troppo innocente e puro per arrivare a tanto, giusto?
- Mi dispiace per te...- apparve come dal nulla il presidente Fukuzawa, appoggiando con indifferenza, e il solito cipiglio serio, una mano sulla testa del biondino come a volerlo calmare, - ma non riceverai alcun buono - sentenziò, causando un'espressione di dolore estremo sul volto di Kenji, il quale, liberato Atsushi dalla sua presa, cominciò a fissare il proprio capo con sguardo implorante. Come a chiedergli: "Perché no?"; quasi sull'orlo delle lacrime. A quel viso Fukuzawa non sembrò aver reazione, si schiarì però un momento la gola nascondendo di nuovo le mani nelle maniche del kimono, - Certo, a meno che tu non voglia consegnare Atsushi al signor Uemura - spiegò a Kenji, il quale scacciò il dispiacere per prendere un espressione confusa.
- Cosa c'entra Atsushi? - spostò lo sguardo dal capo ad Atsushi e, allargando appena gli occhi chiari dallo stupore, finalmente si accorse di cosa il collega si portasse dietro.
- Ah! Eccellente, Atsushi! Hai già trovato il rapitore e salvato il bambino! - fece esultante, colmo di gioia per l'inaspettato successo, per poi farsi subito pensieroso. - Uhm... però hai fatto tutto da solo. Così non posso riceve i buoni per la carne - la questione pareva turbarlo nel profondo, ma gli bastò un secondo per ritrovare il buon umore. - Bhé... visto che siamo amici e colleghi dividerai il premio con me, vero? - e di nuovo, nel suo sorriso puro ed innocente, al pensiero di carne di manzo scontata, apparve un'ombra inquietante.
Ad una simile ricostruzione dei fatti Ranpo cominciò a sghignazzare da sotto il suo cappello,
- Hai capito male, Kenji: è Atsushi il rapitore - gli rivelò non riuscendo a trattenersi, gli equivoci creati dal giovane biondino erano esilaranti, ma tal volta gli urtava che, con una simile incompetenza, riuscisse comunque a risolvere i casi che gli venivano assegnati. Non aveva nessun metodo! Se fosse stato il protagonista di uno dei romanzi gialli che Ranpo amava leggere, di certo avrebbe finito con l'annoiarlo.
Per quanto, inconsciamente, non capisse perché lo infastidisse che Kenji agisse in maniera tanto spensierata quando lui, per primo, sfruttava unicamente la propria abilità per risolvere i misteri. Certo, se invece avesse usato solo intelletto od ingegno per districare le indagini, quell'irritazione sarebbe stata giustificata, però era un fiero possessore d'abilita, quindi... Ranpo interruppe quel flusso di pensieri che pareva voler indagare troppo a fondo.
- PO-POSSO SPIEGARE! - si trovava intanto a difendersi Atsushi, preso da un momento di panico, nel timore che Kenji potesse venderlo per un po' di carne in saldo,
- E' quello che tutti stiamo aspettando - gli fece notare Kunikida, sistemandosi nuovamente gli occhiali sulla radice del naso. Non aveva più detto nulla da quando era entrato, affiancandolo, o forse volendolo accompagnare fin dal presidente, il quale aveva invece deciso di venirgli incontro.
- Sì... ecco - si trovò di colpo a disagio sotto tutti quegli sguardi, incapace di decidere quale affrontare per primo. E a quel punto fu Akutagawa a metterlo in difficoltà, piantandogli un'altra volta i denti nella spalla, nell'ennesimo tentativo di liberarsi, - E tu piantala! - sbottò esasperato verso quel bambino che, una volta scappato, gli aveva fatto subire pene infernali. Tra le peggiori quella di farlo quasi investire da un camion, se Atsushi non avesse usato la sua capacità non sarebbe stato in grado di evitarlo, saltandolo con un balzo. Anche se l'atterraggio non era poi stato molto morbido visto che, il bimbo, aveva approfittato del fatto che non potesse muoversi in aria per attaccarlo un momento prima che toccasse terra. E per quanto Rashomon si fosse ridotto nelle dimensioni, l'essere finito contro il muro in mattonato di un edificio non era stata una sensazione troppo piacevole. Per acciuffarlo Atsushi si era dovuto nascondere in cima ad un albero ed aspettare che il piccolo ci passasse di sotto, certo, non ci aveva fatto una bella figura agli occhi della gente presente nel parco, ma al momento non se ne era curato. Non credeva certo che lo avrebbero accusato di rapimento! E pensare che lui voleva solo aiutare.
- Appoggialo a terra, Atsushi - gli ordinò il presidente e, seppur la prima replica del ragazzo sarebbe stata: "ma così scappa"; appena incrociò lo sguardo di Fukuzawa fu costretto ad ingoiarla. Non si poteva contravvenire ad una richiesta fatta direttamente dal capo.
Come ordinato, Atsushi appoggio a terra Akutagawa che, esausto per la lunga fuga, non era più in grado di evocare Rashomon e, conscio o meno di ciò, Atsushi aveva approfittato della sciarpa che portava al collo per legargliela alla vita, bloccandogli le braccia all'altezza dei gomiti. Avrebbe potuto sembrare una soluzione estrema e crudele, ma viste le condizioni pietose in cui la tigre mannara era ridotta, non si poteva dubitare che fosse arrivato allo stremo della sopportazione. Neppure il piccolo corvino sembrava in condizioni migliori, i piedi nudi si erano coperti di escoriazioni, così come le sue gambe sottili, dove una ferita al ginocchio sanguinava copiosamente, nulla più di un taglio ma il sangue, in parte seccato, gli era arrivato fino alla caviglia pallida. Riportava poi una ferita sopra al sopracciglio destro e una contusione al viso, queste causate, e si sarebbe scoperto solo poi, dall'atterraggio tutt'altro che morbido che aveva avuto con il terreno quando Atsushi si era schiantato su di lui precipitando dall'albero. Teneva i denti stretti Akutagawa, mordendosi l'interno della guancia avvertendo sulla lingua il sapore ferroso del sangue, lo sguardo fisso sul pavimento mentre passava il peso da un piede all'altro. Ci mise circa una decina di secondi prima di decidersi ad alzare il viso per affrontare lo sguardo del capo dell'agenzia dei detective, il cui sguardo penetrante lasciava ben poco scampo. I due si scambiarono una lunga occhiata prima che Fukuzawa emettesse un lungo sospiro,
- Qualcuno lo accompagni in bagno prima che se la faccia addosso - proclamò per dare poi le spalle ai suoi sottoposti, facendo per tornare nel proprio ufficio, - ... e dategli una ripulita, non deve sembrare che torturiamo bambini - aggiunse fermandosi a meta strada, rivolgendo una fredda occhiata ad Atsushi.
- Aspetti, tutto qui?! Nient'altro? - intervenne Kunikida con un po' troppo veemenza nella voce, sentendosi a disagio subito dopo per aver osato riprendere il proprio capo,
- Preferisci ripulire o accompagnarlo al gabinetto prima che gli scoppi la vescica? - insistette mentre un leggero tremito delle spalle di Akutagawa tradiva l'urgenza della questione. - Appena Dazai torna basta che gli fate usare la sua abilità per farlo tornare adulto, no? - aggiunse, sembrava l'unico ad avere davvero prestato ascolto alle parole di Ranpo e aver capito l'identità del bambino.
Finalmente solo nel proprio ufficio, Fukuzawa si concesse un lungo sospiro esasperato, appoggiandosi esausto contro la parete. Non aveva alcuna intenzione di trovarsi a fare il baby sitter ad un altro ragazzino problematico, sopratutto perché Dazai era uscito senza dire niente a nessuno. Se ne era andato nella pausa pranzo e non ne era ancora rientrato, nonostante fossero le quattro e mezza del pomeriggio. Conoscendolo avrebbe potuto rimanere disperso per giorni, e non ci sarebbe stato verso di mettere Ranpo sulle sue tracce. Il grande detective si sarebbe divertito troppo nel vedere i propri colleghi in difficoltà con un bambino per togliersi un simile spettacolo, in più non potevano certo accettare che la sua abilità fosse usata per una simile quisquilia.

Il tempestivo intervento di Kunikida, che aveva preso il piccolo Akutagawa di peso portandolo in bagno, aveva evitato un imbarazzante incidente al bimbo, il quale si era ritrovato a ricevere poi un trattamento speciale in cui era stato ripulito e le sue ferite disinfettate. Qualcuno era poi riuscito a procurargli dei vestiti degni di questo nome e gli stracci che indossava, compresa la sua sciarpa, erano stati gettati nell'inceneritore. Ovviamente avevano fatto particolare attenzione al tessuto da cui gli indumenti erano composti, non doveva essere eccessivo o c'era il rischio che il piccoletto usasse nuovamente la sua abilità nel tentativo di filarsela.
Ora il piccolo Akutagawa poteva passare per un bambino qualunque, se non si contava la magrezza eccessiva e gli occhi spenti. Difficilmente, se la polizia fosse venuta a controllare, avrebbero riconosciuto in lui il bambino rapito al parco, per quanto Atsushi invece rispecchiasse perfettamente la descrizione fatta del rapitore. Essendo però la famosa agenzia di detective armati avrebbero comunque potuto dare una spiegazione plausibile alla condotta di un loro membro, come: "stava recuperando un minore scappato di casa"; era la versione ufficiale che avevano deciso di dare nel caso fossero state poste delle domande. E se avessero ancora insistito sul identità del piccolo che avevano in custodia avrebbero finto che fosse il figlio di una delle dipendenti dell'agenzia. Con una veloce riunione d'ufficio ogni cosa era stata sistemata, ora si doveva solo attendere il ritorno di Dazai per poter finalmente chiudere la questione.
Peccato solo che, arrivate ormai le diciotto, di quello spreco di bende ambulanti non si fosse ancora vista traccia.
- Dovremmo preoccuparci? - domandò timidamente Atsushi, avvertendo l'aura di malumore che avvolgeva Kunikida farsi più densa e quasi visibile ad occhio nudo,
- Quel idiota! Sparisce sempre quando potrebbe rivelarsi utile - sbottò il biondo occhialuto, alzandosi di scatto dalla propria scrivania sbattendo con violenza entrambe le mani sul ripiano, facendo così cadere una pila di carte che vi aveva depositato sopra.
- Te... te le raccolgo io - balbettò Atsushi, notando che l'irritazione del biondo stava per scoppiare in un attacco isterico che, senza la presenza di Dazai su cui sfogare la sua rabbia giustificata, avrebbe finito con lo sfociare in una serie di imprecazioni del tutto comprensibili. - Se Dazai per oggi non si presenta, cosa dovremmo fare con lui? - domanda sottovoce, una volta chino per terra per non farsi vedere dal diretto interessato, indicando a Kunikida con lo sguardo.
Nonostante con Atsushi si fosse dimostrato un demone reincarnato, una volta portato all'agenzia Akutagawa aveva preso una atteggiamento completamente diverso, passivo. Per tutto il pomeriggio, dopo che era stato pulito e vestito, sino a quel punto, se ne era stato seduto in silenzio e composto, su una sedia che gli avevano messo vicino ad una finestra. Atsushi era quasi certo che non avesse guardato fuori neanche una volta, immobile come una statua di sale, a fissare il vuoto davanti a se. Eppure aveva pure la sensazione che avesse percepito ogni minimo movimento avvenuto all'interno dell'edificio. Un paio di volte qualcuno gli si era avvicinato per chiedergli se avesse fame o sete, ma Akutagawa era rimasto chiuso nel proprio mutismo e in quello stato di immobilità apparente. Evitava di incrociare lo sguardo di chiunque gli parlasse o si avvicinasse.
- Te lo porti a casa - fu la laconica e sbrigativa risposta di Kunikida, - Tu hai causato il problema, tu te ne prendi cura. In più Kyouka è partita con Yosano, Naomi (Tanizaki), e le altre ragazze dell'ufficio per un viaggio alle terme, hai l'appartamento libero -
- Eh..? - esclamò Atsushi, pur aspettandosi una risposta simile, - Ma io non so badare ad un bambino! - notò di aver alzato troppo la voce e avvertì lo sguardo scuro di Akutagawa fissarsi su di lui, pur essendo nascosto sotto alla scrivania. - Cioè... prima che lo portassi qui ha cercato di uccidermi varie volte mentre tentava di scappare -
- Ai suoi tentativi di ucciderti dovresti esserci abituato ormai - non parve per nulla toccato dalla questione Kunikida, sistemandosi con fare secco gli occhiali sulla radice del naso per poi incrociare le braccia al petto.
- Bhé.. si, ma... - cercava un modo di svincolarsi Atsushi, per quanto le sue parole si facessero sempre più esitanti e meno convinte,
- E' un bambino, per quanti problemi ti abbia causato questa mattina, di certo non sono nulla rispetto a quelli che ti ha causato quando era adulto. Quindi, poche storie - lo additò puntandogli l'indice dritto in fronte. - Visto il tuo rapporto con Akutagawa sei quello più adatto a gestire la sua versione infantile -
- Potrebbe uccidermi nel sonno o scappare - fece un ultimo tentativo, memore del camion che, astutamente, il piccoletto gli aveva mandato contro. Anche in realtà era più colpa di Atsushi che si era gettato al suo inseguimento senza prima controllare la strada.
- E tu non dormire - chiuse il discorso Kunikida mentre Atsushi gli passava le ultime carte da terra.
- E' andato - annunciò Ranpo, che intanto stava preparando le sue cose per chiudere la giornata lavorativa ed andare a cena, interrompendo il loro discorso,
- Come? - gli domandò il biondo occhialuto, tornato a sedersi alla propria scrivania mentre Atsushi si volta per prestare attenzione al grande detective,
- E' da quasi due ore che sta lì seduto a studiare un modo per svignarsela - alzò le spalle con un sospiro, fingendosi addolorato per l'incompetenza dei propri colleghi e per la loro mancanza d'osservazione, per poi indicargli la sedia vuota su cui prendeva posto Akutagawa. - Stava aspettando il momento giusto: è andato - si ripete vagamente divertito nel vedere l'espressione di Atsushi passare dallo sgomento al panico.
- Perché non l'hai fermato?! - parlò con uno stridio acuto mentre scattava in piedi, sbattendo la testa sulla scrivania di Kunikida, per poi lanciarsi all'inseguimento, correndo fuori dagli uffici. Sapeva bene di aver posto una domanda sciocca, se Ranpo non era intervenuto era perché non lo riteneva un problema sua.
E mentre Atsushi si trovava già a due rampe di distanza da loro, Kunikida, sistemandosi per l'ennesima volta gli occhiali, si rivolse al grande detective, che intanto era impegnato a sghignazzare arrivando a farsi venire le lacrime agli occhi.
- Dove l'hai nascosto? - lo fisso con cipiglio severo, avvertendo un principio di mal di testa martellargli contro la fronte, le sopracciglia aggrottate dall'irritazione,
- Dovresti prenderla con più calma, Kunikida, o finirai per diventare calvo - rise ancora Ranpo, trovandosi poi a bussare due volte contro l'anta del piccolo scaffale dietro alla sua postazione di lavoro. La quale si apri rivelando Akutagawa che, raggomitolato su se stesso, era proprio della misura giusta per nascondersi al suo interno.
- Come lo hai convinto? - sospirò il biondo ignorandone il consiglio, tenendosi la fronte con una mano mentre incrociava per un momento lo sguardo di Akutagawa che, nonostante avesse accettato di partecipare allo scherzo, non aveva l'aria divertita. Pareva vagamente assente.
- L'ho solo preso di peso e infilato qui dentro mentre voi eravate impegnati a confabulare - spiegò Ranpo, tutto fiero della riuscita del suo piccolo scherzetto. Aveva immaginato sarebbe stato divertente vedere i suoi colleghi messi in difficoltà nel trovarsi a gestire un bambino, ma quando Akutagawa si era dimostrato tranquillo al punto da sembrare più una bambola che qualcosa di vivo, si era detto sarebbe stato interessante provare a scombinare un po' le cose. Il piccolo era così leggero che non aveva faticato a sollevarlo e, come aveva immaginato, Akutagawa non aveva reagito in alcun modo. Era così terrorizzato da essere incapace di reagire.
- Ora mi tocca chiamare Atsushi..- sbuffò Kunikida prendendo il cellulare per fare il numero del più giovane, cui telefono cominciò a squillare sotto la scrivania del biondo. Doveva averlo perso mentre gli raccoglieva le carte.
Kunikida fu molto vicino ad urlare un imprecazione poco elegante, ma la presenza di un bambino, in qualche modo, gli impedì di cadere nel volgare.

Alla fine, dopo quasi un'ora di ricerche a vuoto nel quartiere e dintorni (evitando però il parco dove temeva altre accuse infondate), Atsushi era tornato all'agenzia, scoprendo così di aver faticato inutilmente. A differenza di Kunikida solitamente non si irritava per simili scherzi, ma cominciò ad avvertire un forte prurito dietro al collo e alla nuca e, inconsciamente, cominciò a grattarsi, provocandosi presto una vistosa irritazione rosata. Era stata una giornata davvero estenuante per i suoi nervi e neppure la serata sembrava dovesse svolgersi al meglio.
Non avendo altra scelta, Atsushi  dovette portarsi Akutagawa a casa, ringraziando per lo meno che Kyouka avesse accettato la proposta delle altre ragazze dell'ufficio di fare un piccolo viaggio alla terme, viaggio che era stato offerto come bonus da un loro cliente, proprietario del ryokan dove si sarebbero fermate. Per evitarsi ulteriori problemi, come un nuovo tentativo di fuga da parte del più piccolo, se l'era per sicurezza caricato nuovamente in spalla, temendo che comunque Akutagawa avrebbe potuto trovare un modo per ferirlo con Rashomon. Per quanto, nel caso ci fosse riuscito, il demone d'ombra sarebbe stato minuscolo visto il poco tessuto con cui avrebbe potuto crearsi e quindi non temibile, un fastidio rimaneva sempre un fastidio. Come quando un sassolino nella scarpa leggermente appuntito va' a conficcarsi proprio nel tallone.
Inutili i tentativi di Atsushi per convincerlo a mangiare qualcosa, fosse anche solo un po' di riso, testardo Akutagawa era rimasto seduto in un angolo della stanza, rimanendo impassibile nel suo mutismo, senza quasi reagire alle interazioni che il mutaforma provava ad avere con lui. Avvolte gli dedicava qualche occhiata, ma null'altro, e più tempo trascorrevano in quella situazione di stallo, più Atsushi temeva che se si fosse addormentato quel piccolo esserino dal aspetto fragile avrebbe tentato di ucciderlo nel sonno. Probabile che avesse dei pregiudizi sul piccolo Akutagawa solo perché si trattava di Akutagawa? Ovviamente sì, ma aveva dei motivi ben giustificati per temere per la propria incolumità di fronte a lui. Per quanto apparisse come un bambino, si trattava dello stesso membro della PortMafia che aveva quasi ucciso lui e i suoi compagni. Vero che poi era stato Atsushi a mandarlo in coma, ma si trattava di una situazione completamente diversa... giusto?
Una vocina nella sua testa gli diceva che in realtà era la medesima situazione, ma la soffocò, aveva già altri problemi emotivi da affrontare prima di quelli. Come la sua insicurezza cronica e quella sindrome da buon samaritano che nel ultimo periodo l'aveva portato a prenderle di santa ragione. L'ultimo esempio ce l'aveva proprio davanti, con quel suo fare testardo e vagamente ostile.
- Parla... - arrivò al punto di supplicarlo Atsushi, carponi davanti a lui per avere lo sguardo alla medesima altezza, - Dai, dì qualcosa - "anche solo un insulto", aggiunse mentalmente, ma di nuovo Akutagawa rimaneva trincerato nel suo silenzio. Il fatto che l'altro gli fosse così vicino pareva però infastidirlo, perché cominciò ad evitare il suo sguardo, spostandolo da tutt'altra parte rispetto a lui. Sembrava trovare molto più interessante fissare la parete vagamente bagnato d'umidità.
- Va bene. Non vuoi parlare, non vuoi mangiare - sbuffò esasperato, arrendendosi chinando il capo, -... allora andiamo a fare il bagno - sentenziò e, per la prima volta, vide una vera reazione attraversare il piccolo corpo di Akutagawa, il quale sussultò palesemente, lo sguardo che si allargava dallo sconcerto e paura. Un sorriso si dipinse a quel punto sul volto di Atsushi, - Non ti piace fare il bagno, Ryu? - indovinò. Gli pareva troppo strano chiamarlo per cognome, nonostante sapesse che in realtà era di due anni più grande di lui, quindi aveva deciso di usare un diminutivo e il suffisso tipico per i bambini. Ancora però Akutagawa non gli rispondeva, incassò la testa nelle spalle, ripiegandosi un poco in avanti e per un momento Atsushi temette che volesse attaccarlo, tentando magari di fuggire, ma non si mosse. Rimase in quella posizione, un poco ricurvo su se stesso quasi si fosse chiuso a riccio, in un'armatura impenetrabile nelle sue fantasie da bambino.
Atsushi dovette trattenere una risata, intenerito dal suo atteggiamento, per la prima volta lo vedeva realmente come il bambino che era, scordando per il momento chi sarebbe diventato da adulto. Sì alzò in piedi, afferrando il bimbo per i fianchi e sollevandolo di peso, - Bene! Andiamo al bagno pubblico! - annunciò entusiasta, avvertendo di nuovo il piccoletto sussultare tra le proprie braccia, l'accenno di un emozione sul viso.
Sì, cominciava a divertirsi.


- Buongiornissimo a tutti!! - cinguettò Dazai entrando sbattendo con violenza la porta degli uffici dell'agenzia, presentandosi ben dopo l'orario previsto per poter essere considerato in orario o vagamente in ritardo. Era quasi ora di pranzo, e l'espressione allegra e gongolante che aveva sul viso, particolarmente irritante per chiunque lo guardasse, non faceva che aggravare la sua situazione. Già al quanto grave, poiché non aveva ancora dato spiegazioni per la sua sparizione del giorno prima.
- Ti sembra questa l'ora di arrivare?! - sbottò Kunikida mentre lui e Atsushi andavano ad accoglierlo, pronto a sfogare la rabbia accumulata in tutte quelle ore, - E poi dov'è che saresti stato tutto questo tempo?!? - lo additò con furia pronto a lanciargli contro dei gessetti. In memoria di quando era un insegnante, al biondo occhialuto era rimasta quest'abitudine, ed era sempre pronto a rispolverarla, anche con oggetti più o meno contundente, quando Dazai si dimostrava particolarmente discolo e capriccioso.
- Mi sono preso il giorno libero per dare supporto ad Atsushi con il suo incarico - alzò le spalle con nonchalance il detective bendato, l'espressione saccente ed irritante di chi si sentiva intoccabile, - E dovreste ringraziarmi che sia subentrato io, visto che Atsushi - e sta volta si voltò verso lo pseudo-allievo, sottolineandone con enfasi il nome, - Ad un certo punto da deciso di abbandonare il lavoro -
- Solo a me il saluto di Dazai ha ricordata una casalinga quarantenne che vuole sentirsi giovane? - fu l'improvviso ed inopportuno commento di Ranpo, a cui nessuno però prestò peso, c'era il dubbio che l'aspirante suicida si fosse fatto di nuovo di funghi allucinogeni, quindi non ci si poteva stupire di nulla. - Vado a pranzo! - aggiunse subito dopo vedendosi palesemente ignorato, alzandosi dalla scrivania e facendo per andarsene, salutato da qualche altro membro dello staff.
- So-sono sopraggiunte cause di forza maggiore - balbettò Atsushi trovandosi impreparato ad affrontare lo sguardo del altro e il suo sorriso vagamente divertito,
- Sì, lo so - chioccio lui, afferrandosi il mento con la mano, tenendo l'indice e il pollice distesi nell'inconfondibile posa ad L, prendendo un'espressione falsamente pensierosa. - Hai preferito fare il baby sitter, giusto? - sogghignò con una nota mefistofelica che lo rese identico ad un satanasso.
- Mi stavi spiando!? - comprese Atsushi, incredulo a quella scoperta,
- Se lo sapevi perché non sei intervenuto a risolvere la situazione? - tornò a farsi sentire Kunikida avvicinandosi ulteriormente a Dazai, invadendone lo spazio vitale per metterlo alle strette.
- L'obbiettivo stava fuggendo, ho preferito dargli la precedenza, in più Atsushi non era certo in una situazione ingestibile - rideva sotto ai baffi Dazai, consapevole che, il suo comportamento, non poteva essere biasimato, se non per il fatto che non aveva contattato l'agenzia per avvertire della propria iniziativa.
- Ma perché non hai avvertito nessuno!? - insistette per l'appunto Kunikida, trovando il suo atteggiamento comunque inqualificabile,
- Bhé, grazie ad Atsushi ho capito che anche la PortMafia aveva messo gli occhi su quel individuo, quindi mi sono detto che era meglio agire subito, senza perdere tempo -
- Era così difficile fare una telefonata? -
- E se quei mafiosi avessero messo sotto controllo le linee telefoniche? -
- Non usare scuse assurde per giustificare la tua pigrizia! - il biondo era ben consapevole che il partner si stava solo inventando delle scuse. Se non aveva contattato l'agenzia era unicamente perché non voleva che gli fosse inviato qualcuno a supporto. Nonostante fossero compagni di lavoro da un po' di tempo, Dazai aveva ancora il difetto di agire per la maggior parte delle volte per conto proprio.
- La mia non è pigrizia, erano preoccupazioni giustificate - sbuffò, insofferente ai rimproveri del altro, - E poi ho concluso il lavoro, non basta per farmi perdonare? - tirò fuori dalla tasca interna della giacca una sottile cartella in cartone rigido. - Lì, ci sono i documenti che ci servono e le prove per dimostrare che quel uomo è un adultero, in più ho aggiunto anche qualche informazione extra sui suoi traffici illetici che probabilmente alla polizia piacerebbe sapere - snocciolò, prendendo alla fine un'espressione divertita, - Credo che la moglie potrebbe ricavarne un buon profitto se le mostrasse al proprio avvocato mentre prepara le carte per il divorzio -
Nello stesso momento in cui Dazai proclamava di aver concluso il lavoro, Atsushi comprese di aver ancora molta strada da fare prima di potersi considerare un vero detective dell'agenzia. Quando si era trovato ad affrontare quel incarico non aveva saputo che pesci pigliare e, nel momento in cui era sopraggiunto Akutagawa ad interferire, non era riuscito a mantenere il controllo della situazione, lasciando che gli eventi lo soprafacessero. Se non ci fosse stato Dazai a coprirgli le spalle, probabilmente non avrebbero mai scoperto la verità su quel individuo.
- Non puoi sempre fare i tuoi comodi! - Kunikida si trovò preso in contropiedi dai risultati portarti dal suo collega, nel agire in solitaria, ma comunque non voleva dargliela vinta.
- Oh, andiamo Kunikida - Dazai gli diede una serie di pacche amichevoli sulla spalla, rivolgendogli un sorriso accomodante, - Devi imparare a rilassarti, o in futuro diventerai calvo -
- Tsk...- schioccò la lingua il biondo, incapace di ribattere, era la seconda volta in due giorni che qualcuno gli faceva la stessa osservazione. In un silenzio furibondo raccolse la cartella che l'altro gli porgeva e, con fare seccato, gli voltò le spalle, per tornare alla scrivania e al proprio lavoro.
"Sta volta si è davvero offeso" pensò nel guardarlo Dazai, avvertendone il livello d'irritazione raggiungere un nuovo stadio, pareva quasi avvolto da un aura densa che deformava l'aria attorno a lui, come satura di gas infiammabile.
- Atsushi, fagli sistemare l'altro problema - aggiunse senza rivolgersi direttamente all'interessato, tanto per rendere più chiaro a chi fosse rivolta la sua rabbia.
- Uhm?.. vuol dire che Akutagawa è ancora qui all'agenzia? - sembrò vagamente stupito dalla scoperta Dazai, rivolgendo di nuovo la propria attenzione su Atsushi, il quale annuì piegando le labbra in una smorfia in un misto di nervosismo e preoccupazione. - Strano, credevo avrebbe tentato di scappare -
- Ci ha provato... svariate volte - ammise il ragazzo, cominciando a mostrare sempre maggior disagio nel parlare, - Però ieri sera, ad un certo punto - non aggiunse "dopo il bagno" perché gli sembrava una specificazione superflua, - ... mi è sembrato avesse qualcosa di strano. Ha iniziato a tossire, ma sul momento non ci ho dato troppo peso, credevo fosse uno dei soliti attacchi, gli ho fatto bere dell'acqua, anche se all'inizio si è rifiutato - prese un'aria ancora più preoccupata, - Poi però sono cominciati i tremiti e gli è salita la febbre. Ho cercato di farlo riposare e di dargli qualche medicina ma ha passato tutta la notte in bianco, rifiutando tutto - si sentiva fin troppo colpevole.
- Ah, tranquillo... da bambino Akutagawa tendeva ad ammalarsi spesso a causa dei suoi problemi ai polmoni - sembrò accantonarla come una quisquilia Dazai, - O almeno così mi ha raccontato sua sorella, di solito però gli capitava quando si trovava a subire un forte sbalzo di temperatura - aggiunse prendo l'aria pensierosa, - Come quando si passa da una vasca d'acqua bollente all'esterno del bagno pubblico  - e comprese di aver azzeccato il punto nel vedere Atsushi sussultare in maniera sospetta. "Volevi fargli un dispetto e ti si è ritorto contro, eh?" sorrise, divertito tra se e se.
- Ora dov'è? - domandò evitando di punzecchiarlo troppo sull'argomento, sembrava sentirsi già abbastanza in colpa, e non era divertente torturare qualcuno che credeva di meritarselo.
- In infermeria. Gli ho detto di dormire un po', ma non penso che mi abbia dato retta - ammise Atsushi prima di condurlo nella stanza in cui aveva momentaneamente lasciato solo il bimbo.

Per Dazai non fu una sorpresa constatare che, senza nessuno a sorvegliarlo, Akutagawa aveva già cominciato ad attuare il proprio piano di fuga.
In quei cinque minuti in cui Atsushi si era allontanato, il piccolo era riuscito a spingere uno dei letti contro la parete, sotto all'alta finestra che rischiariva la stanza; strappato le lenzuola dai materassi e le aveva legate assieme così da crearsi una spessa fune. Con ogni probabilità il suo piano era quello di stringere una dell'estremità al termosifone presente sotto la finestra, per poi calarsi con la corda sin giù in strada.
Un progetto per lui però inattuabile, che lo avrebbe di sicuro portato a precipitare per quattro piani. Akutagawa non aveva messo in conto la debilitazione causata dalla febbre, la quale gli avrebbe impedito di superare una simile prova di resistenza, le sue braccia sottili non sarebbero state in grado di sostenere il peso del corpo. E se anche per miracolo ce l'avesse fatta, si sarebbe comunque dovuto lasciar cadere per almeno due metri, visto che la fune non era abbastanza lunga da arrivare sino a terra.
- Ryu! - si prese un coccolone Atsushi nel vederlo affacciato alla finestra, intento a gettare un capo della corda, continuava ancora a chiamarlo con quel diminutivo infantile per quanto sul momento non se ne accorse, troppo impegnato a correre dal bimbo per evitare che cadesse di sotto.
- Un piano piuttosto grezzo - commentò Dazai osservando gli inutili preparativi del bambino, -... ma chi non ama i classici? - prese un'espressione divertita avvicinandosi a sua volta. - Certo, più che una corda io c'avrei fatto un cappio - aggiunse prendendo il capo che Akutagawa aveva già legato al termosifone, strattonandolo per saggiarne la resistenza. - Sì, potrebbe tranquillamente reggere il peso di un uomo - fu estasiato dalla prospettiva di progettare un bel suicidio.
- Non è il momento, Dazai - prese un'espressione rassegnata Atsushi, trovandosi ancora una volta a sorreggere quel corpo esile e pallido. Il piccolo non si era ribellato quando il mutaforma l'aveva sollevato di peso e allontanato dalla finestra, mettendo fine al suo tentativo di fuga. Il suo sguardo nero pece pareva offuscato, come se non mettesse perfettamente a fuoco e, dal modo in cui la sua testa pareva incapace di rimanere dritta sul collo, ricadendogli in avanti sul petto, la febbre doveva essergli salita. Un innaturale rossore gli accendeva le guance mentre un leggero velo di sudore freddo gli copriva la fronte, causandone i tremiti. Tra le proprie braccia Atsushi ne avvertiva gli arti gelati e la fronte bollente, era la prima volta che l'altro si aggrappava a lui a quel modo: le dita strette con forza alla camicia mentre teneva la testa appoggiata contro la sua spalla. Doveva essere esausto e pareva star parecchio male, si disse, ma ancora non cedeva. Akutagawa rimaneva vigile, seppur sembrasse costargli un enorme sforzo, eppure per quanto annebbiato, quello sguardo color inchiostro fissava Dazai con un tale odio e disprezzo che Atsushi non dubitava che, se non lo avesse trattenuto, gli si sarebbe scagliato contro afferrando un qualunque oggetto contundente come arma per ucciderlo. Il piccolo non avrebbe dovuto tenere alcun ricordo del suo sè adulto, o non si sarebbe spiegato il comportamento che aveva tenuto sino a quel punto, ma la presenza di Dazai sembrava comunque suscitare in lui reazioni violente. Quasi lo scuotesse dall'interno.
- Un tocco e sistemiamo la faccenda - cinguettò Dazai abbandonando per il momento i suoi propositi suicidi e avvicinandosi ai due, ben avvertendo l'istinto omicida che suscitava nel piccolo, e forse divertito da questo. - Oh, non guardami come se ti avesse sterminato la famiglia - si rivolse al bambino, incombendo su di lui come un'ombra maligna e pericolosa.
Nonostante le condizioni del suo detentore, Rashomon prese d'improvviso forma all'interno dell'infermeria, più immenso di quanto non fosse mai stato. Forse, sentendosi in pericolo il piccolo Akutagawa aveva dato fondo alle sue ultime energie per evocarlo.
Le fauci d'ombra, ben più larghe e minacciose di come lo erano solo il giorno prima, si spalancarono in un sorriso inquetante rivolgendosi a Dazai, pronte a divorarlo.
Atsushi ne osservava incredulo l'apparizione, non riusciva a capacitarsi che ora Akutagawa riuscisse a palesare un simile potere. Come poteva creare qualcosa di tanto grande? Tardi comprese che, se il piccolo si era aggrappato a lui in quel modo, non era per cercare una sorta di sostegno in un momento di debolezza, si era afferrato ai suoi vestito così da poterli usare a suo vantaggio. Abbracciato com'era ad Atsushi era quasi come se Ryunosuke li indossasse a sua volta.
- Rimane sempre un potere sfigato - sbuffò Dazai per nulla impressionato, toccando lievemente il tessuto di Rashomon per farlo svanire nel nulla, aveva un'aria annoiata ma subito questa fu sostituita da uno stupore che gli allargò un poco lo sguardo. Non appena aveva annullato una testa d'ombra ecco che un'altra si preparava ad attaccarlo e non ebbe il tempo di farla scomparire che già una terza spuntava a sostituirla, e così una quarta e un quinta in rapida successione. Con l'inclassificato Dazai si trovò ad annullare una serie di demoni d'ombra senza riuscir a compiere un solo altro passo per avvicinarsi ulteriormente al suo utilizzatore, il quale aveva tutta l'intenzione di tenerlo il più lontano possibile da sè. Quella capacità di rigenerare in apparenza all'infinito le teste di Rashomon aveva dell'incredibile viste le condizioni in cui versava il bimbo. Questo suscitò l'ilarità del suo ex-mentore,
- Ti faccio così paura, Akutagawa? - rise facendo svanire un'altra ombra, cui fauci si erano spalancate per ruggirgli contro, probabilmente con l'intento di intimorirlo, ma con scarsi risultati, a malapena era riuscito a scompigliarli i capelli. - A quanto pare interiormente sei sempre rimasto il piccolo coniglietto spaventato che eri - constatò incrociandone per un momento lo sguardo scuro prima che Rashomon tentasse di respingerlo per l'ennesima volta. Cominciava ad essere seccante,
- Okay, mi sono stancato - sbuffò voltando le spalle a Rashomon e ai due ragazzi, ignorando l'ultimo attacco del piccolo,
- C-come? - balbettò Atsushi, incapace di intervenire in qualche modo, spiazzato dalla situazione e dall'improvviso cambio d'atteggiamento del suo collega.
- L'hai visto, non vuole che mi avvicini - alzò le spalle senza voltarsi, fermandosi solo quando fu sulla porta, - E l'abilità inclassificato può neutralizzare un solo potere per volta - fece un gesto vago con la mano, -... quindi dovremmo sistemare la questione in un altro momento - si voltò solo a quel punto, rivolgendogli un ghigno mefistofelico. - Divertiti a fargli da baby sitter ancora per un po' - lo salutò un'ultima volta con un cenno.
- Ehh? - non fu in grado di reagire Atsushi, trovandosi incapace di far alcunché nel vedere il suo superiore scomparire oltre la soglia, "se ne stava andando di nuovo?!".
Esausto Akutagawa si abbandonò contro il mutaforma, le braccia che cadevano lunghe distese, prive di forza, il respiro affaticato dallo sforzo. I suoi occhi però ancora si ostinavano a rimanere aperti, a fissare con estremo odio la porta dietro al quale Dazai era sparito, sembrava si aspettasse che riapparisse da un momento all'altro.


- Ryu...- sbuffò Atsushi con aria vagamente esasperata, - E' vero quello che ha detto Dazai? Lui ti spaventa? E' per questo che prima hai reagito così? - per quanto cercasse di tenere un tono controllato e gentile nel parlare al piccolo, doveva sforzarsi perché l'irritazione di cui era colmo non gli trasparisse dal viso. Essendo però un sempliciotto non era molto abile a nascondere le proprie reali emozioni, difatti ben leggibili dal sorriso tirato e dalla piccola ruga formatasi tra le sopracciglia. Ruga del tutto simile a quella che segnava, ormai quasi permanentemente, il viso di Kunikida nel medesimo punto.
Atsushi si sentiva allo stremo delle forze, per quanto inizialmente non l'avesse sentita, aveva comunque passato un intera notte in bianco a badare ad Akutagawa, e la stanchezza cominciava ad accumularsi. Gli pesava al punto sulla schiena da farlo ripiegare su se stesso, ad ingobbirlo e a rendergli gli arti pesanti. Gli veniva quasi da piangere al pensiero di dover sistemare il caos che Rashomon aveva provocato. L'infermeria era divenuta irriconoscibile dopo che il bambino si era scatenato per scacciare Dazai. Una metà dei letti era stata divorata dalle fauci del demone ombra, le lenzuola ridotte a brandelli e, molti degli utensile e dei materiali presenti, erano finiti a terra a causa della sua furia, riducendosi in pezzi.
Seppur più di una volta avesse già avvertito su di sè il potere di Rashomon, Atsushi faticava comunque a credere che, un bambino all'apparenza tanto gracile, potesse causare davvero uno sfacelo simile. In più non capiva perché toccasse a lui solo ripulire. La mancanza di sonno gli aveva fatto per momento dimenticare che il piccolo era stato affidato a lui ed era quindi una sua responsabilità. Si chiese se non sarebbe stato più equo far partecipare anche Dazai, avendo lui provocato la furia di Akutagawa, a quella sessione di pulizie. A rifletterci, conoscendo il tipo, non era però tanto sicuro di voler il suo supporto, c'era il rischio che gli causasse solo altri grattacapi.
Mentre Akutagawa si ostinava nel rimanere chiuso nel proprio silenzio, Atsushi cominciò con il rassettare il possibile, lasciandolo seduto su uno sgabello che aveva recuperato. Avrebbe voluto farlo stendere poiché, in minima parte, gli era rimasta un poco di compassione per lui, vedendolo con il viso ancora arrossato dalla febbre e gli occhi lucidi, ma non poteva rischiare di perderlo di vista un'altra volta. Aveva compreso che il piccolo non aveva rinunciato all'idea di scappare e, anzi, stava solo aspettando il momento giusto per tentare un altro piano di fuga. Per qualche motivo Atsushi si era sentito in parte ferito nello scoprirlo, non credeva di stargli tanto in odio da provocargli una simile reazione. Cosa aveva sbagliato? E perché gli importava tanto? Alla fine, quella situazione esaurendo. Le aveva provate tutte nel tentativo di far parlare Akutagawa, ma nulla era servito. Eppure era certo che, se solo il bimbo avesse deciso di rivolgergli la parola, avrebbero potuto capirsi e Atsushi sarebbe stato in grado di spiegargli per bene cosa era accaduto e perché. Così almeno avrebbe potuto evitarsi altri incidenti come quello appena accaduto con Dazai.
"Ma perché ho deciso di portarmelo dietro?" cominciò a chiedersi con un altro sbuffo, ben consapevole di essere fin troppo in ritardo per dei ripensamenti, aveva deciso arbitrariamente di portarlo all'agenzia, e ora se ne doveva per forza occupare. Non poteva però far a meno di domandarsi perché non se ne fosse solo lavato le mani. Non avrebbe dovuto essere un problema suo infondo, no? Per una volta avrebbe anche potuto lasciare che fosse la PortMafia ad occuparsi dei propria sottoposti. Nessuno gli aveva dato l'incarico di far da centro d'accoglienza per piccoli mafiosi perduti, non ancora almeno. Allora perché si era dovuto intromettere?
Tardi Atsushi si accorse del vortice oscuro provocato da quei pensieri che, misto alla stanchezza, lo trascinava sempre più giù il suo umore, aumentandone l'irritazione e il nervosismo. Il peggio era che non poteva neppure prendersela con Akutagawa, e non solo perché non era giusto prendersela con lui perché in quel momento era solo un bambino, ma perché ancora cercava di scappare. Lasciarlo andare sarebbe stata l'occasione perfetta per Atsushi per liberarsene, eppure non gli riusciva, il suo buon cuore gli impediva di fregarsene e non riusciva a fingere di non vedere. Quindi non poteva far altro che sopportare, ricacciare indietro il proprio malumore e aspettare che Dazai si decidesse di usare la sua capacità sul bambino, così che tornasse adulto e lui non se ne dovesse più preoccupare.
- Ha lo sguardo morto...- furono le prima parole che Atsushi sentì pronunciare al piccolo Akutagawa e, se avesse avuto l'occasione di sentire almeno una volta la voce di Gin, avrebbe trovato subito una somiglianza tra la sua e quella infantile del fratello. Purtroppo gli mancava una simile conoscenza, e poté solo pensare: "Che voce adorabile!".


Era sera inoltrata quando finalmente Atsushi cadde addormentato, esausto dopo una giornata all'apparenza infinita. Aveva mangiato fino a scoppiare e, una volta a pancia piena, era come se fosse svenuto. Non aveva neppure fatto in tempo a sparecchiare il piccolo tavolino dove consumava i propri pasti. Si era disteso sulla schiena e, con ancora un chicco di riso appiccicato alla guancia, aveva cominciato a russare, un'espressione beata sul volto.
Carponi al suo fianco, Akutagawa l'osservava incredulo, sporgendosi un poco sopra di lui per assicurarsi stesse davvero dormendo. Faticava a credere fosse stato tanto facile, era bastato cedere un poco e scambiare qualche parola per guadagnarsene la fiducia. Abbastanza perché si dimenticasse dei suoi vari tentativi di fuga e abbassasse la guardia in quel modo.
Sempre incerto, il piccolo Ryunosuke gli sventolò un paio di volte la mano davanti al viso, chiedendosi se non lo stesse solo prendendo in giro.
Poteva davvero esistere qualcuno di così sempliciotto?
Il bimbo provava quasi un poco di vergogna per averci messo tutto quel tempo ad inquadrarlo, avendone viste le capacità da mutaforma non aveva potuto credere che Atsushi potesse essere semplice come appariva: un idiota ingenuo.
Per tutto il tempo Akutagawa era stato messo in allerta da ogni sua parola cortese o gesto gentile, convinto che lo stesse trattando con tante premure solo con l'intento di ingannarlo o, peggio, essendo in realtà una tigre mangia-uomini, con l'obbiettivo di divorarlo appena gli fosse venuto un po' d'appetito.
Nessuno poteva vivere con un mostro del genere sotto pelle e non costruirsi una maschera per nasconderne le fauci, era stata la convinzione con cui l'aveva studiato sino a quel mattino. Prima di trovarsi di fronte a qualcosa di ben più mostruoso di Atsushi. Se poi si era aperto con lui (aveva finto di farlo), era stato solo per poter carpire qualche informazione su quel individuo spaventoso.
"Com'è che lo aveva chiamato?.. Dazai?" gli bastò ricordarne il nome perché una serie di brividi di paura gli percorresse la colonna vertebrale e per poco a causa di questo non perse l'equilibrio mentre, in punta di piedi varcava l'uscio dell'appartamento di Atsushi. Lentamente si chiuse la porta alle spalle, i nervi a fior di pelle nel tentativo di far il meno rumore possibile, arrivando a trattenere il respiro nel timore di essere avvertito da qualcuno dei vicini. Per poco non finì per squittire di sorpresa quando udì lo scatto della serratura, il quale gli parve un suono assordante, simile ad uno sparo.
Doveva trovare un modo per calmarsi o avrebbe finito con il farsi scoprire. Tentò di rincuorarsi ripetendosi che ormai era fuori, e di essersi lasciato dietro la parte più difficile; il cuore però continuava a palpitargli nel petto a ritmo incalzante. Era terrorizzato e, nervoso, cercò di riprendere il controllo di sè, passandosi con movimenti nervosi entrambe le mani sulle braccia scoperte, avvertendo la pelle d'oca ricoprirle.
Non poteva rimanere lì fermo sulla soglia, cominciò ad incitarsi per procedere, per andare oltre. Doveva approfittarne in quel momento che dormiva, un'occasione tanto ghiotta non gli si sarebbe ripresentato davanti tanto presto. L'unica cosa di cui poteva essere certo era che, visto come Atsushi aveva passato gli ultimi due giorni, non si sarebbe svegliato tanto presto.
L'aria frizzante della sera inoltrata gli punse il viso nell'allontanarsi dalla serie di appartamenti riservata ai membri dell'agenzia e una tetra falce di luna pendeva dal cielo nero, privo di stelle, proprio sopra di lui. Akutagawa immaginava che quel piccolo squarcio potesse precipitare da un momento all'altro, staccandosi da quel telo d'oscurità su cui l'avevano cucito, per venir a reclamare la sua testa come propria.
Bastarono però le luci elettriche della città, i fari delle auto che passavano sulla strada accanto, i lampioni ad ogni angolo, a scacciare quelle macabre fantasie dalla sua mente infantile, donandogli un poco di tepore. Una sensazione che purtroppo per lui durò poco, sferzata via da un sottile vento gelido per il quale l'inquinamento notturno non poteva far nulla per difenderlo.

Akutagawa rabbrividì stringendosi nelle spalle magre, i vestiti di cui si copriva erano di gran lunga migliori degli stracci che aveva indossato sino al giorno prima, però non lo riscaldavano abbastanza. La febbre, per quanto fosse scesa, ancora gli invadeva il corpo, causandogli altri tremiti e facendogli avvertire più freddo di quanto non fosse.
"Devo trovare un modo per tornare da Gin e... " pensava iniziando a percorrere a piccoli passi un viale scuro, senza anima viva a riempirlo in quell'ora tarda. C'erano solo lui e due serie di edifici silenziosi e scuri, cui finestre sbarrate nascondevano qualunque traccia di vita vi fosse all'interno.
Eppure, per quanto fosse stato attento e si fosse assicurato di non essere stato seguito, Akutagawa non poteva far a meno di sentirsi osservato. Avvertiva come qualcosa di pungente pizzicargli il retro del collo, quasi qualcuno si divertisse ad appoggiargli contro la punta di un coltello. Era certo vi fosse qualcuno dietro di lui e, man mano che avanzava, quella sensazione si faceva sempre più insistente, pressante. Gli colmava il petto quasi a soffocarlo, torturandolo rendendogli le mani gelide e i piedi pesante. Controllò più e più volte la strada vuota dietro di sè, ma non fu in grado di vedere nulla. Si era forse sbagliato?
E se Atsushi avesse solo finto di dormire? Poteva averlo fatto per spingerlo a scappare, magari ora lo stava così che Akutagawa lo portasse da Gin e gli altri bambini. Infondo, quanti del suo gruppo non erano già scomparsi perché, per quanto feccia di strada, gli organi dei bambini rimanevano comunque un bene pregiato? Poteva Atsushi escogitare una trovata simile dopo che, nonostante avesse cominciato a parlare con lui, Akutagawa non si era dimostrato abbastanza disponibile a rivelargli di sè?
Nonostante la febbre lo rendesse poco lucido, al piccolo Ryunosuke ci volle poco per capire di star esagerando con i voli di fantasia. "Quello è un idiota" gli bastava ricordare, avvolte gli pareva persino più ingenuo di lui che era pur sempre un bambino. Non era possibile che qualcuno della pasta di Atsushi riuscisse a progettare un piano tanto articolato, in più aveva visibilmente abbassato la guardia da quando Akutagawa si era deciso a parlare. In quel momento si era esaltato come un bimbo e, nei suoi occhi increduli dal colore imprecisato, Ryunosuke aveva potuto intravvederne i pensieri "che voce adorabile";
"Che ingenuo" aveva invece pensato lui, avvertendo l'istinto di prenderlo a calci per un simile commento, capace di irritarlo per quanto l'altro si fosse limitato a pensarlo. Aveva però dovuto soffocare i suoi intenti violenti, avendo potuto vedere quanto in realtà Atsushi fosse forte e consapevole che, a confronto, lui non era nulla. "Perché devo avere una capacità così sfigata?" aveva sentito bruciare un'altra volta la rabbia nel petto mentre l'odio gli adombrava lo sguardo. Lo detestava. Detestava la gentilezza e le premure che quel ragazzo gli mostrava, non gli serviva la sua pietà. Odiava la forza di cui era pervaso, lo faceva sentire un debole e, per quanto ne fosse conscio, era comunque doloroso vederselo spiattellare in faccia in modo tanto palese.
Doveva però ringraziare che Atsushi fosse sempliciotto, gli era stato fin troppo facile raggirarlo. Gli era bastato pronunciare qualche parola perché abbassasse la guardia, quasi fosse convinto che bastasse parlare perché tra loro si creasse un qualche legame di fiducia, o qualcosa di simile.
No, se c'era qualcuno a seguirlo non era di certo Atsushi, addormentato come un ghiro con la pancia piena sul pavimento del proprio appartamento.
E di nuovo al piccolo Akutagawa tornarono alla mente gli occhi del individuo incontrato quella mattina. Gli erano parsi vuoti, assenti, ma in realtà sapeva che erano colmi di una disperazione tanto densa da non riuscire più rispecchiare nulla, neppure la luce. Erano intrisi di una vacuità tale da segnarne in maniera indelebile persino l'animo. Per Ryunosuke era stato facile leggere in quello sguardo, lo aveva riconosciuto subito perché era identico al suo.
Quelli erano gli occhi di chi aveva conosciuto la morte, di chi l'aveva vista e portata, nel caso di quel individuo probabilmente anche amata.
Quel Dazai lo spaventava, per quanto avvertisse con lui una certa affinità, e forse era quella sorte di legame o somiglianza a spaventarlo ancora di più.
Intuiva che fosse forte, per quanto non gli avesse visto usare a pieno la propria abilità. Ciò che era accaduto quel mattino in infermeria era una semplice scaramuccia e di certo, essendo il suo avversario un bambino, non lo aveva preso sul serio.
In qualche modo ad Akutagawa Dazai ricordava un subdolo serpente protagonista di un racconto di cui qualcuno, non ricordava chi, gli aveva raccontato una volta. Non aveva memoria della storia in se, solo il ruolo del rettile gli era rimasto ben chiaro alla mente. Alla fine si scopriva che il serpente, a cui tutti avevano prestato ascolto, era in realtà un essere diabolico che, per quanto si riempisse la bocca di frasi superficiali e ammalianti, non pronunciava mai una sola parola sincera. Incapace di dire la verità esisteva unicamente ingannare e soggiogare gli altri.
Davvero qualcuno così poteva far parte di quell'agenzia che, anche se solo per poche ore, Ryunosuke aveva conosciuto? Per quanto fosse zeppa di individui particolari: dal loro capo che aveva subito capito il suo bisogno urgente di andare in bagno, al tipo sempre isterico con gli occhiali; quel Dazai era una nota stonata. Non sembrava c'entrarci nulla, quasi fosse piombato lì per caso, sospinto dagli eventi. Eppure non pareva proprio il tipo di persona capace di seguire passivamente la corrente del destino. Anzi, dava più l'impressione di essere qualcuno in grado di modificare, piegare il fato a proprio piacimento.
"Che li stia ingannando?" un gelido dubbio si instaurò nella mente infantile di Akutagawa, talmente distratto dai propri pensieri da quasi non accorgersi di star passando affianco ad un lampione.
Girò appena lo sguardo seguendone la luce, sorpreso da venirne illuminato e la sua piccola ombra si stagliò, ben definita, sull'asfalto. Akutagawa non ebbe però il tempo di rimirarla che questa d'improvviso scomparve, inglobata da una silhouette più grande che, sovrapponendosi alla sua, parve cancellarla come se non ci fosse mai stata.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** II ***




- PARTE 2 -

Procedevano a passo lento, lasciando che solo il silenzio incorresse fra loro, una falce di luna a pendere sulle loro teste nell'oscurità serale priva di stelle. Simile alla scure di un boia pronta a calare, ad emettere il suo giudizio finale, una sentenza di morte dal destinatario incerto. Se reclamasse la vita del bambino che seguiva o dell'adulto che faceva strada, non era ancora dato saperlo.
Dazai tendeva l'orecchio, assicurandosi di avvertire i piccoli passi del suo compagno di viaggio, così da non lasciarlo indietro. Ne avvertiva i movimenti incerti, esitanti alle proprie spalle. Akutagawa sembrava indugiare, per quanto continuasse a seguirlo, abbastanza vicino da continuare a calpestarne la lunga ombra proiettata a terra, creata ogni volta dalla luce dei lampioni a cui si avvicinavano; abbastanza lontano da tenersi aperta una via di fuga.
- Hai ancora paura di me, Ryu? - rise fermandosi di colpo, avvertendo il bambino sussultare e arretrare di qualche passo, pronto a scappare. - Eppure hai accettato il mio regalo senza tanti complimenti - voltò appena il capo per vederne la reazione, trovandolo a fare un'espressione dura mentre stringeva al petto, con fare possessivo, il sacchetto di carta che poco prima gli aveva donato.
Dazai aveva trascorso le ultime ore nascosto in un vicolo nell'attesa che Akutagawa fuggisse finalmente alla supervisione di Atsushi. Era certo che il ragazzo-tigre dovesse essere esausto visti gli ultimi avvenimenti, e di sicuro avrebbe abbassato la guardia, lasciando così modo al bimbo di scappare. Purtroppo non aveva previsto di dover aspettare tanto allungo e si era trovato presto ad annoiarsi, avvertendo il tempo dilatarsi all'infinito, i minuti tramutarsi in eternità. In quella forzata immobilità gli arti avevano cominciato ad intorpidirsi, il gelo a penetrargli sotto pelle. Si era chiesto se avesse potuto morire assiderato, visto che non aveva altro con cui coprirsi se non la sua solita giacca beige. Chissà se poteva essere considerato un suicidio? Era arrivato a domandarsi scartandola quasi immediatamente come idea. Temeva avrebbero potuto prenderlo per un idiota se lo avessero trovato morto in una situazione tanto misera.
Infine era arrivato Akutagawa a distoglierlo da quei ragionamenti e, una volta osservato il bambino uscire dall'appartamento del suo collega, rimanendo occultato alla sua vista aveva preso a pedinarlo, seguendolo per un tratto attendendo il momento giusto per avvicinarlo. Era consapevole di essere considerato una minaccia dal altro e, nel caso si fosse presentata la necessità di misure drastiche, Dazai si era detto fosse meglio trovarsi ben lontano dalla palazzina dell'agenzia. Così nessuno avrebbe potuto notarli ed intervenire. Infondo era una faccenda di cui poteva occuparsi lui solo, gli altri gli sarebbero stati d'intralcio, come quando quel mattino lo era stato l'ignaro Atsushi, a cui Akutagawa si era aggrappato sfruttando la sua presenza a proprio vantaggio.
Nel momento in cui Dazai si era palesato al bimbo, il quale per poco non lo aveva superato senza avvertirne la presenza, distratto com'era dalla luce di un lampione, questi aveva subito reagito richiamando la propria abilità, mostrando come il suo inconscio, se preso di sorpresa, lo portasse ad attaccare prima di considerare una qualsiasi via di fuga. Di ciò Dazai aveva sorriso, trovando anche piuttosto ilari le dimensioni di quel Rashomon, minuscolo rispetto a ciò cui era abituato. Rivolgendogli un sorriso amichevole ed allegro aveva alzato le mani in segno di resa, evitando di annullarne la capacità per non metterlo ancora più in allarme.
Al suo atteggiamento del tutto passivo la testa del demone ombra si era fermata a metà dell'azione, descrivendo movimenti confusi che manifestavano il turbamento del suo padrone. Lo sguardo di Akutagawa si era allargato di stupore e paura nel vedersi palesare davanti quel individuo sconosciuto, il quale era probabilmente la causa del senso di ansia da cui era stato accompagnato per tutto il tempo. Presto però i suoi occhi si erano ridotti a due sottili fessure quando finalmente lo mise a fuoco, riconoscendo Dazai come il personaggio sospetto di quel mattino e, con quella considerazione, nell'immediato il suo atteggiamento era mutato. Aveva incassato la testa nelle spalle mentre i muscoli delle gambe sottili cominciavano a tendersi, pronti a scattare. Stava considerando la fuga, aveva intuito Dazai sempre sogghignando fra se e se, si era già trovato a prevedere la sua reazione, preparandosi ad affrontarla. Con rapidità gli aveva lanciato il sacchetto di carta che si era portato dietro, il quale per riflesso Akutagawa si era trovato ad afferrare al volo, stringendolo tra le mani prima ancora di rendersene conto.
- Pensavo potessi avere fame - gli aveva detto Dazai mentre il bambino adocchiava, con fare sospettoso, cosa vi fosse all'interno del sacchetto,
- Ma sono...- parve stupito e perplesso del contenuto.
- Fichi - concluse per lui, trovandosi poi a sbuffare con fare vagamente melodrammatico, - Non hai idea della fatica che ho fatto per trovarli. Ormai la loro stagione è finita -
- Ma perché?...- la voce ridotta ad un sussurro, il bambino aveva cominciato a passare lo sguardo da quel individuo bendato al sacchetto di carta. Quello era il suo frutto, nonché probabilmente cibo, preferito. Come faceva a saperlo? E perché glielo aveva dato?
- Tranquillo, non sono avvelenati - lo aveva rassicurato, - Ma se dubiti di me puoi sempre darmene uno, lo mangerò per dimostratelo - si era trovato a proporgli per poi afferrare al volo, con estrema facilità, quello che il bimbo gli lanciò contro, mangiandolo come gli aveva detto. - Visto? Ora ti puoi fidare no? -
- ... - il piccolo Akutagawa non aveva risposto, riservandogli uno sguardo di granito come a rispondergli "mai nella vita". Ciò procurò un sospiro sofferente ed esasperato a Dazai, il quale non aveva mai sopportato di trovarsi di fronte a mocciosi simili. Quello sguardo nero pece, che ben conosceva i peccati commessi dagli adulti, scavalcava con estrema facilità la maschera di falsità di cui era ricoperto, percependone il marcio nascosto dietro.
- Se ti volessi morto lo saresti già, non credi? - aveva così smesso di sorridergli, lasciando trasparire la vacuità di cui era composto il suo animo, la medesima espressione che gli rivolgeva quando era ancora il suo mentore alla PortMafia.
Akutagawa non aveva parso reagire a quel cambiamento, il quale pero non doveva essergli di certo passato inosservato. Per un po' di tempo aveva continuato ad osservarlo, inclinando il capo da una parte, come a cercare di sondarne l'animo in modo da percepirne le intenzioni, o le emozioni che lo colmavano. Era però una sfida persa in partenza trattandosi di Dazai. Per quanto si fosse sforzato Akutagawa non avrebbe trovato nulla, solo un'aridità senza fine in cui le emozioni non faceva il tempo a nascere che finivano già per seccarsi e avvizzire, riducendosi in cenere.
- Seguimi, la faremo finita con questa storia - gli aveva ordinato d'improvviso dopo qualche secondo passato in silenzio a scrutarsi l'un l'altro. Si era poi incamminato, voltandogli le spalle, consapevole che, per quanto timoroso nei suoi confronti fosse, Akutagawa l'avrebbe seguito. Poteva anche avere una personalità cauta e sospettosa, ma rimaneva comunque un bambino. L'età in cui l'istinto di conservazione non si è ancora formato del tutto, talmente labile e sottile da parer un foglio di carta. Il momento in cui il più mortale degli istinti umani: la curiosità; è capace di impregnarsi a tal punto nelle ossa da far tacere qualunque ragione.
Akutagawa non aveva modo di sconfiggere la propria curiosità, per quanto urlasse "pericolo" da ogni centimetro del corpo, quell'uomo bendato pareva un essere misterioso troppo interessante per non provare a studiarlo ancora un po'.
E dopo aver visto il vero aspetto del lupo dietro a quel falso travestimento da pecora, il coniglietto aveva preso seguirlo per la strada buia, con sempre quella inquietante falce di luna a pendere sopra le loro teste. Avrebbe potuto seguirlo fino alla sua tana se così lo avesse convinto a farsi insegnare un modo per procurarsi una pelliccia identica alla sua. Il coniglietto era stanco di vivere come preda, ed era pronto ad infilarsi dritto nelle fauci del lupo se ciò gli avrebbe permesso di diventare un predatore a sua volta. Come la prima volta in cui si erano incontrati, anni prima, Akutagawa senza saperlo si trovava a compiere la medesima scelta fatto allora. Desiderando abbastanza forza da non dover vivere il resto dei suoi giorni nella paura, aveva preso a seguire Dazai, il quale pareva essere l'unico in grado di fargliela ottenere. La tigre che aveva incontrato pareva avere un cuore troppo tenero per potergli insegnare a procurarsi degli artigli come i suoi.
- Perché non dovrei avere paura di te? - gli domandò pulendosi con il dorso della mano le guance, macchiate dai residui di frutta rimastagli appiccicata al viso. Era ormai arrivato a mangiarne cinque e non pareva intenzionato a fermarsi, aveva pur sempre passato gli ultimi due giorni a digiuno. Lo seguiva rimanendo sempre ad una distanza di sicurezza, ma il suo sguardo possedeva una vaga nota di insolenza che prima non c'era.
- Ottima domanda - chioccio Dazai schioccando allo stesso tempo le dita, - E a dir la verità, non ci sono motivazioni plausibili per convincerti a non provarne più nei miei confronti - un'ombra inquietate, causata dall'ennesimo dei lampioni che si stavano trovando a superare e sotto al quale si erano fermati, si formò sul suo viso. - Sono una persona che per la società comune può essere definita come pericolosa -
Il bimbo non rispose, limitandosi ad assottigliare lo sguardo, non sembrava in alcun modo scosso da quella rivelazione, Dazai si stava limitando a confermare ciò che già sapeva. E nonostante si fosse trovato a calpestare l'ombra di un lupo, cominciava a non provare più timore nei suoi confronti, non pareva affamato di conigli per quella sera.
- Quello che il ragazzo con i capelli bianchi mi ha raccontato è vero? - osò chiedergli poiché, se aveva difficoltà a credere alle parole di Atsushi, non avrebbe invece dubitato della verità che sarebbe uscita dalla sua bocca. - In realtà sono un adulto, ma non ne ho né l'aspetto, né memoria per via di un incidente? - in realtà l'altro non era stato molto chiaro a spiegargli la questione, un motivo in più per cui Akutagawa aveva fatto fatica a credergli.
Insomma, quale incidente può causare una cosa simile?
- Sei stato colpito dall'abilità di una persona che seguivi - si limitò a specificare Dazai, per nulla felice di aver il ruolo di tappabuchi,
- E basta che tu usi la tua abilità su di me perché vada tutto a posto? - insistette,
- Esatto - confermò lui alzando le spalle con fare svogliato, grattandosi intanto il retro del collo, - E ho anche tutta l'intenzione di farlo, ma prima devo mostrarti una cosa - tagliò corto voltandogli un'altra volta le spalle e riprendendo a camminare. Per quanto quella notte sembrasse infinita non sarebbe in realtà durata in eterno.
- Cosa? - lo seguì trovandosi a sgambettare per non rimanere indietro, senza accorgersene aveva lasciato che un velo di infantile curiosità trasparisse dal suo viso, ma gli bastò qualche secondo per ricordarsi di non dover abbassare troppo la guardia in presenza di quel individuo, da cui già si stava lasciando manipolare.
- Quanto può essere patetico il te adulto -

- Se è l'appartamento del me adulto, perché tu ne hai le chiavi? - gli domandò Akutagawa, trovandosi al suo fianco dopo essere usciti dall'ascensore che gli aveva portati fino al penultimo piano di quel alto palazzo. Un grattacielo di appartamenti costosi e dalle large vetrate scure che impedivano, dall'esterno, di vedere cosa accadesse all'interno dell'edificio. C'era una bella differenza tra quel ambiente e da ciò che il piccolo Akutagawa era abituato, nella sua disgraziata infanzia non aveva neppure mai immaginato di poter, un giorno, finire in un luogo simile. Non credeva neppure potessero esistere abitazioni del genere, la sua immaginazione di bambino non era mai riuscita a partorire simili immagini. Troppo fantastiche e opulente per qualcuno incerto se, una volta addormentatosi, si sarebbe svegliato il giorno dopo. La paura che, infine, si trattasse solo di un sogno, si era fatta strada in lui come una mano gelida pronta ad attanagliargli il cuore. Il suo sguardo allora si fissò su Dazai, aveva dovuto decidersi ad accorciare la distanza che li divideva poiché, altrimenti, non sarebbero mai potuti entrare entrambi nell'ascensore e, farsi tutte quelle rampe di scale era fuori questione, sarebbe morto di stenti a metà strada. Dazai pareva essere l'unica cosa reale alla quale potesse aggrapparsi in quel momento, e per qualche motivo questo lo rendeva più tranquillo in un mondo di cui non comprendeva nulla. Gli ricordava di quando, tra la sporcizia di cui era circondato, alzava lo sguardo e, in lontananza, in un orizzonte all'apparenza irraggiungibile, ma che in realtà si trattava di qualche chilometro, vedeva stagliarsi quelle sagome scure. Palazzi enormi quanto quell'edificio dove ora si trovava, ma che da quella distanza parevano sottili, esili, capaci di essere distrutti da un semplice soffio di vento. Quante volte aveva immaginato di poterli cancellare con un semplice schioccò di dita? Dazai gli portava alla mente quella fantasia infantile e gli dava la convinzione di poter essere in grado di fare qualcosa di simile. Se una tale distruzione fosse un bene o un male non ne aveva idea, avrebbe potuto finirne annientato a sua volta. Però era solo un bambino e pensieri tanto accorati erano troppo per lui che vedeva solo il presente di fronte a se, incapace di intravedere un futuro, se non quello che, nelle sembianze di quel uomo sospetto ricoperto di bende, lo accompagnava.
- Prima era il mio appartamento - gli rispose Dazai continuando a guardare con sospetto il lungo corridoio che si era aperto davanti a loro, senza rivolgergli neppure un'occhiata. Gli sarebbe bastato allungare la mano per toccarlo e annullarne le sembianze infantili, eppure si tratteneva ancora dal farlo. C'era qualcosa che voleva chiedergli e quella situazione pareva volgere a suo favore. - Tu te ne sei appropriato - aggiunse, il tono piatto in cui però Akutagawa avvertì una fredda punta d'accusa, la quale lo fece sussultare come un animaletto spaventato.
- Ed è un male? - gli domandò ingenuamente, stringendo un poco di più il sacchetto di carta che teneva tra le braccia,
- Sì - si limitò a rispondergli riprendendo il passo, a cui per un momento il bimbo fece fatica a star dietro.
- E se lo era perché me lo hai permesso? - questa domanda obbligò Dazai a fermarsi un'altra volta, riservandogli uno sguardo pauroso nel voltare il capo verso di lui. Di riflesso Akutagawa si trovò ad evocare Rashomon come muro di difesa, e una piccola testa d'ombra si sovrappose fra loro.
- Perché non me ne importava - si trovò a sbuffare Dazai, annullando con la punta dell'indice l'abilità dell'altro, passandosi poi una mano trai capelli sentendosi uno sciocco nel perdere la pazienza per la domanda di un bambino. - Questo però non ti dava il permesso di prendere qualcosa che era mio - sottolineo riprendendo a camminare verso quello che era stato il suo appartamento. Non se lo ricordava tanto impertinente il piccolo Akutagawa, anche se doveva ammettere di aver instaurato in lui una reverenziale paura al tempo in cui era stato suo allievo, cosa che invece mancava completamente al bimbo di fianco a lui.
- Se non te ne importava allora perché sembri arrabbiato? - aveva esitato un momento prima di porgli anche quella domanda, intimorito dalla reazione che l'altro gli aveva appena mostrato, non riuscendo però a trattenersi da farla.
- Come ti ho detto: era comunque qualcosa di mio e non ti avevo detto che potevi prenderlo - si trovò a ripetersi Dazai, evitandosi solo grazie ad un immenso sforzo dal darsi uno schiaffo sulla fronte, ad un passo dall'esasperazione.
- Ma tu l'avevi abbandonato, giusto? - visto che gli non aveva mostrato altre intenzioni ostili Akutagawa sentì di aver il permesso di insistere,
- Uhm... - annuì lui, stanco di rispondergli o di prestare ascolto a quello che gli diceva. Non era certo Atsushi, il suo livello di sopportazione aveva raggiunto i minime termini già quel mattino quando non era riuscito a chiudere la faccenda in fretta. E ora non poteva permetterselo di farlo, arrivato a quel punto.
- Allora se lo avevi abbandonato non era più tuo - prese come un assenso il verso emesso dal più grande,
- Sono questioni da adulti che un moccioso come te non può capire - cercò di mettere fine alla sua parlantina trovandosi finalmente davanti alla porta del suo vecchio appartamento. Si era aspettato di trovare qualcuno della PortMafia nei paraggi, essendo Akutagawa sparito da due giorni e fosse quello il luogo ideale dove piazzare qualcuno a controllare movimenti sospetti. In giro però non c'era anima viva. Forse la sua improvvisa scomparsa non aveva stupito nessuno e non se ne era allarmati? Oppure, più probabile, sapevano già cosa era avvenuto e attendevano solo che fosse lui a sistemare le cose. Probabilmente, lasciare un Akutagawa indisposto nelle mani dell'agenzia, fino a che questi da soli non avessero sistemato il problema, era un'alternativa migliore che chiedere direttamente il loro aiuto. In questo modo la PortMafia salvava il proprio orgoglio e risolveva la situazione senza muovere un dito. Sotto quel punto di vista, Dazai si trovava proprio a farne il gioco, annullando lo stato in cui era Akutagawa in quel momento faceva un favore al suo precedente datore di lavoro. Ciò non gli andava molto a genio, e questo era uno dei motivi per cui aveva tergiversato sino a quel punto. D'altronde non gli piaceva neppure l'idea di fare da baby sitter fino a quando l'effetto di quella capacità non si fosse annullato da solo; o fino al momento in cui il piccolo Akutagawa non fosse cresciuto in maniera naturale. Gli venne un brivido al pensiero, nessuna delle due possibilità lo allettava particolarmente. In più aveva già preso la sua decisione.
Aprì la porta usando la propria vecchia tessera magnetica, digitando poi un codice sulla tastiera vicino alla soglia, disattivando qualunque allarme fosse attivo all'interno del appartamento.
- Non hai neppure cambiato la password? - ne sembrò vagamente deluso Dazai, varcando finalmente l'entrata per trovarsi nel piccolo ingresso buio, dove le luci presero ad accendersi solo qualche secondo dopo che fu entrato.
- Allora? Vuoi rimanere lì ancora per molto? - sbuffò nel parlargli mentre si toglieva le scarpe, il bambino sembrava essersi bloccato, fermo sulla soglia. D'improvviso pareva che tutti i suoi timori fossero tornati ad accalappiarlo, imprimendosi nel animo per rendergli le gambe di piombo. Incapaci di compiere quel singolo passo in avanti.
- Se dovevi solo annullare la capacità da cui sono stato colpito, perché mi hai dovuto portare fin qui? - era la sua ultima domanda prima di calarsi in quella che poteva considerare la tana del lupo,
- Te l'ho detto: ho una cosa da chiedere al te adulto e volevo approfittare della situazione - sintetizzò facendo trapelare un po' di irritazione nella voce solo per scuoterlo un po' dal suo tentennamento. - Forza. Muoviti ad entrare e vai a sederti sul divano - gli ordinò perentorio e, come si aspettava, dopo un sussulto spaventato Akutagawa era subito piombato all'interno del appartamento, entrando di corsa per obbedire alle sue indicazioni. Non sapeva se ciò era dovuto ad un riflesso incondizionato perché inconsciamente il suo cervello infantile aveva preso a ricordare, ma Dazai non poté evitarsi un sorriso divertito nel vederlo quasi capitolare nello scalino all'ingresso. - E vedi di non muoverti da lì - aggiunse, tenendo sempre un tono severo e freddo.

Quello che era stato l'appartamento di Dazai era un alloggio di lusso, non dissimile da quelli di cui erano proprietari gli altri alti esponenti della PortMafia. Quasi fosse un obbligo che, visto il ruolo di cui erano investi, le loro abitazioni possedessero quella vaga somiglianza. La quale in realtà, più di una questione di mobilio o di struttura, si riduceva alla composizione dei colori. Il nero non poteva mancare, così come il rosso scuro e una buona quantità di sfumature di marrone, del quale però mancavano tutte quelle tendenti al chiaro. Se il bianco era presente, tendeva ad essere soffocato dalle altre colorazioni, ben più forti, anche trattandosi di pareti di carta, il legno da cui erano formati i tasselli era tanto scuro che il bianco ne finiva mascherato, quasi non vi fosse per nulla. Potevano capitare delle sfumature di grigio, ma solitamente si trattava dell'acciaio da cui era formato qualcuno degli elementi del mobilio. E se non quella similitudine sull'assembramento dei colori, era il valore degli oggetti da cui le abitazione dei capi del PortMafia erano composti, a renderle simili l'una all'altra. Non si poteva dire non rispettassero lo stereotipo dei mafiosi amanti della bella vita che finivano per circondarsi di splendida paccottiglia inutile e costosa. E per quanto Dazai si fosse evitato di riempire la propria abitazione di cianfrusaglie non necessarie, era pur vero che non aveva elemosinato con il denaro quando aveva scelto l'arredamento. Copiando a mena dito tutto ciò presente in un catalogo capitatogli sotto mano, senza badarci troppo perché la riteneva una seccatura.
A conti fatti non aveva mai passato troppo tempo in quel appartamento, vi dormiva raramente e i pasti erano quasi sempre consumati fuori casa. Quando poi gli capitava un giorno libero preferiva passarlo in altro modo piuttosto che rimanendo imprigionato in quelle quattro mura. Eppure, nonostante non ci avesse praticamente vissuto, rimaneva comunque irritato del fatto che qualcuno avesse osato sottrarglielo.
Aveva comunque dei bei ricordi legato ad esso, come: non era forse il parquet del soggiorno quello che aveva fatto impazzire Chuuya? Il rosso aveva scoperto essere identico a quello della sua camera da letto e questo, dopo qualche bicchiere di vino, lo aveva fatto uscire dai gangheri. Non poteva accettare di aver qualcosa che lo accomunasse anche solo lontanamente a Dazai. Era stata una serata divertente, sopratutto nella parte in cui lo aveva convinto a procedere con una costosa operazione per cambiarlo così che non fossero più simili.
Il mattino dopo il rosso, ancora mezzo brillo a causa della sbronza, si era trovato la casa piena di addetti ai lavori senza avere idea del motivo. Sì, proprio una bella serata.
Subito dopo l'ingresso si apriva un'ampia sala che da sola era già il doppio della grandezza di uno degli appartamenti standard messi a disposizione dall'Agenzia. La parete esterna era composta da larghi vetri oscurati, in modo da poter avere una vista mozzafiato della città sotto di se, ma impedire di far trapelare la propria presenza all'esterno. Ecco, forse era quello spettacolo che a Dazai mancava, sopratutto perché gli dava una splendida prospettiva di suicidio. L'ampia stanza era adibita a soggiorno/salotto e sia dalla sua destra che dalla sua sinistra si aprivano due corridoi che portavano alle altre stanze dell'abitazione. Aveva avuto a disposizione metà di quel piano solo per se, si ricordò, dimentico della sua reale ampiezza.
- Vado a prendere da bere, tu non toccare nulla - disse andando ad assicurarsi che il bimbo avesse fatto come gli aveva detto, e trovandolo difatti seduto rigidamente e composto sull'ampio divano ad angolo in pelle nera (sei posti); davanti al quale stava un basso tavolino in vetro e sulla parete di fronte era fissato un televisore a schermo piatto dalle grandezze invidiabili. A vederlo lì sopra pareva che Akutagawa si fosse fatto ancora più piccolo di quanto già non fosse, e il modo in cui stringeva il sacchetto di carta al petto rendeva palese tutto il suo disagio. Per un momento il bambino cercò il suo sguardo, pronto a riempirlo di altre domande, però non lo trovò. Gli aveva già voltato le spalle.
Dazai si diresse in cucina, separata dal soggiorno/salotto da un lungo ripiano in marmo che, nel caso, oltre a fornire altro spazio dove poter cucinare, poteva essere adibito a tavolo da pranzo vista la sua ampiezza. Sopra di esso stava, fissata al soffitto con dei ganci di ferro, una lunga lastra di vetro opaco dove prendeva posto una invidiabile collezione di alcolici, recintata da due sottili tubi di ferro. Ovviamente si trattava di bottiglie già vuote da tempo, i vini che le avevano riempite si sarebbero rovinati nell'essere lasciati in bella mostra a quel modo. Senza alcuna considerazione per l'ambiente e la temperatura. Quella raccolta era stato un suo piccolo sfizio, doveva ammetterlo, un altro modo per far invidia a Chuuya, mostrandogli quanto si intendesse di vini meglio di lui. Trovarla ancora in piedi lo stupì un poco, Akutagawa non l'aveva toccata per nulla e, la mancanza di alcuno strato di polvere sopra, gli fece dedurre che doveva essere persino stata pulita di recente.
Né nel frigorifero, né nella dispensa del corvino trovò qualcosa di suo gusto, la sua riserva di alcolici era scarsa, per non dire inesistente, come lo erano le cibarie e viveri vari. Neppure Akutagawa pareva trascorrere troppo tempo in quel abitazione, pensò, altrimenti avrebbe trovato una riserva alimentare più vasta.
Si ridusse a mettere un po' d'acqua del rubinetto in un bicchiere, bevendone un paio di sorsi prima di tornare nel soggiorno/salotto. Non aveva pensato di chiedere ad Akutagawa se avesse sete e non lo avrebbe fatto.
Aveva fatto trascorrere un po' di tempo all'apparenza senza motivo e, come si aspettava, trovò il piccolo a sbadigliare in maniera vistosa, riuscendo a malapena a coprirsi la bocca. Le palpebre calate a mezz'asta sugli occhi, lucidi dal sonno, la schiena ad incurvarsi in avanti mentre la testa tendeva ad ondeggiargli lievemente da una parte all'altra. Era esausto, ad un passo dal collassare, e dopo tutto quel camminare, contando poi la notte in bianco, era plausibile non gli fossero rimaste energie. Era bastato lasciargli un momento per riprendere fiato, perché crollasse come un albero abbattuto. Lottava per rimanere sveglio, ma non era molto vigile, per qualche momento parve non accorgersi neppure della presenza di Dazai in piedi a fianco a lui.
- Eri proprio il tipo di bambino che diventa un rompiscatole quando è stanco - commentò Dazai, sedendosi sul tavolino basso, così da essergli di fronte. - La testardaggine però ti è rimasta - il bimbo lo fissò confuso, quasi fosse incerto se stesse davvero parlando con lui o solo con se steso, e non si ribellò quando Dazai gli tolse il sacchetto di mano, adagiandolo a terra, di fianco al bicchiere d'acqua che non aveva finito di bere. - Non potresti addormentarti e basta? - e in risposta il bimbo scosse la testa in senso di diniego,
- Devo chiederti un'altra cosa...- disse, la voce un poco impastata dal sonno,
- Ancora? Credevo mi avessi già fatto il terzo grado - rise, appoggiandosi con entrambi i gomiti sulle ginocchia.
- Tu sei davvero una persona che fa paura? - gli domandò con sguardo d'improvviso serio, adulto, simile a quello che doveva aver avuto Gretel dopo aver ucciso la strega rinchiudendola viva nel forno acceso. Gli occhi di un bambino capace di tramutarsi in un mostro terribile. Akutagawa aveva raccolto le briciole di pane che Dazai gli aveva lasciato.
- Oh, lo siamo entrambi - chioccio tenendosi il viso con una mano mentre, con il mignolo dell'altra, toccava lievemente la fronte del bimbo.


Akutagawa avvertì la familiare sensazione della pelle del divano contro la guancia, le membra pesanti e la mente annebbiata. Non era la prima volta che si addormentava lì, in soggiorno, e anzi spesso non raggiungeva neppure la camera da letto. Non si sentiva a suo agio in quella stanza e solo su quel divano riusciva a rilassarsi, abbandonandosi al sonno con più facilità rispetto che altrove.
Per quanto in realtà, essendo un membro della PortMafia, si fosse abituato a dormire con un occhio sempre aperto, in parte vigile per avvertire qualunque intrusione e presenza insolita. Era questo il motivo per cui riposava con addosso una giacca, simile a quella che indossava durante il giorno, in modo da poter attivare Rashomon in qualunque momento. Premura che però parve dimostrarsi inutile quando, dopo essersi svegliato all'improvviso, non riuscì a chiamarlo a se. Una pesantezza lo aveva colpito all'altezza dello stomaco come se qualcuno vi avesse appoggiato sopra un qualche oggetto di grossa taglia e due mani cominciarono a stringergli la gola. Con ancora lo sguardo sfocato a causa del sonno e la carenza di luce nella stanza Akutagawa non riuscì a mettere a fuoco la figura che si palesò a cavalcioni su di lui, identificandola solo come una sagoma scura. Un nemico che tentava di ucciderlo. Reagì d'istinto, afferrando i polsi del proprio aggressore cercando di far forza per respingerlo, trovandosi ad emettere un suono strozzato simile ad un ringhio. Senza pensarci puntellò i gomiti contro i cuscini del divano e, con un colpo di reni, si diede la spinta, trovando a far perdere l'equilibrio al proprio avversario, facendo rotolare entrambi giù dalla seduta. Akutagawa rovinò a peso morto addosso allo sconosciuto, trovandosi la gola libera dalla sua presa, avendo però le mani strette ancora salde attorno ai suoi polsi. Essendo in una posizione di vantaggio, lo bloccò a terra con il proprio peso, tenendogli le braccia sollevate in modo che non facesse scherzi, rigide ai lati della testa.
Solo a quel punto riconobbe il sorriso mefistofelico del suo ex-mentore, il quale lo guardava con l'espressione penosa di qualcuno impegnato ad osservare il volo di una mosca.
- Non sei mai stato bravo a reagire agli scherzi - commentò con il volto appena infastidito dal ginocchio che Akutagawa gli teneva piazzato nel pancreas,
- D..dazai?! - esclamò lui stupito non dimenticando l'onorifico, dandogli quel "lei" che in una situazione simile suona un poco, se non molto, ridicolo.
- La tua espressione mi fa dedurre che non hai mantenuto alcun ricordo di quel che è successo negli ultimi due giorni, eh? - disse mentre il suo colorito cominciava a prendere delle variazioni bluastre,
- Gli ultimi due giorni...- si fece pensiero Akutagawa, assottigliando lo sguardo prima fissando il proprio maestro, e poi sollevandolo per guardare un punto imprecisato della parete. - Stavo dando alla caccia a... - guaì nel ricevere un pugno dritto in faccia, cui colpo lo fece destabilizzare spingendolo contro il tavolino lì a fianco. Approfittando del suo attimo di confusione Dazai si era liberato con una mano dalla sua presa, passando al contrattacco. Senza più il suo peso ad inchiodarlo a terra lo spinse ulteriormente, alzandosi in piedi mentre Akutagawa, trovatosi a sbattere la testa sul bordo del tavolo ora per metà disteso su di esso, si sentiva al quanto intontito, come se la situazione in se non bastasse.
- Facciamola breve - decise di sintetizzare la questione Dazai, calpestando con un piede la testa del corvino per costringerlo a tenerla ben adagiata contro il ripiano in vetro. Quando aveva comprato quel tavolino si era assicurato che fosse più resistente di quanto sembrasse, e visto quanto era durato negli anni, tra imprevisti vari, non avrebbe faticato a sopravvivere pure a quello. -... l'individuo che stavi seguendo si è rivelato un utilizzatore di abilità. Tu come un idiota - e nel dirlo la pressione del tacco della scarpa sulla sua tempia aumentò, - Sei finito per prenderne in pieno gli effetti, e visto che eri diventato problematico ci ho impiegato due giorni a risolvere la faccenda -
- Problematico?..- ripete Akutagawa, all'apparenza ancor più confuso dalla sintetica spiegazione del altro.
- Chiedi ad Atsushi per i dettagli, se proprio vuoi tanto saperlo - sbuffò Dazai ravvivandosi i capelli in un impeto di stizza, stanco di tergiversare. - Anche se so che tanto non lo farai - aggiunse, sollevando il piede solo per rifilargli un calcio sullo sterno, facendolo cadere lungo disteso a causa del colpo.
Per terra Akutagawa si trovò a soffocare un attacco di tosse, finendo a col tempo con l'urtare il bicchiere d'acqua che Dazai aveva lasciato lì e vedendo il sacchetto di carta, di cui però ignorava il contenuto. In un altro momento si sarebbe rialzato, dimostrando una difesa tenace e aggressiva, capace, se non di sconfiggere il suo ex-mentore, di destabilizzarlo per qualche momento. Abbastanza per lasciargli modo di inventarsi qualcosa con cui provare ad annientarlo o con cui avrebbe potuto battere in ritirata a seconda dei casi, poiché attaccarlo con Rashomon non era fattibile. E non solo perché sarebbe stata annullato dal altro, ma perché a quel punto si era accorto di non indossare la giacca dal quale era solito evocarlo. Portava solo dei pantaloni neri e la sua classica maglia a balze bianca. Non aveva modo di affidarsi alla propria abilità e, oltre al problema ai polmoni che lo coglieva proprio in quel momento, il suo corpo pareva avere qualcosa di strano. Nonostante si fosse appena svegliato si sentiva esausto, privo di forze, incapace di reagire in alcun modo se non strisciando come un verme nel tentativo di scappare da uno scontro in cui pareva fin troppo in svantaggio. Si chiedeva come potesse essersi ridotto in quel modo, il proprio corpo incapace di reagire nonostante lo avesse portato ben più di una volta a superare il proprio limite.
- Rimani pure per terra a fare l'insetto, e sempre stato un posto che ti si confaceva...- commentò Dazai mentre lui ancora tossiva, quasi soffocato da quell'eccesso inaspettato di tosse, un rivolo di saliva a bagnargli il mento.
- Potrai non ricordare cosa è successo, ma nonostante abbia cambiato aspetto il tuo corpo è rimasto nelle stesse condizioni di prima, quindi al momento hai la stessa forza di un bambino esausto sul punto di addormentarsi - fece il giro del tavolino per chinarsi di fronte al suo viso, puntellandogli con la punta del mignolo la fronte. Un sorriso enigmatico a disegnargli un inquietante ombra sul viso. - Per il momento però smettiamolo di giocare, venivano a noi...- chioccio afferrandogli una delle ciocche di capelli che gli incorniciavano il viso. - Perché ti sei appropriato nel mio appartamento? - domandò cominciando a tirare, facendo deformare il viso dell'ex-allievo da una smorfia di dolore.
Non avendo la forza per reagire, avvertendo il peso del sonno a bloccargli gli arti ed intorpidirgli il cervello, Akutagawa si trovò a subire passivamente, trovando quella scena non molto dissimile dalle angherie che aveva subito da parte sua in passato. Forse si erano fatte appena un po' più sopportabili, segno che, per quanto mostrasse il contrario, Dazai non era intenzionato a fargli del male in maniera grave. Altrimenti si sarebbe già trovato con una pistola puntata alla testa.
- . . . - tacque, già consapevole di star commettendo un errore, ma rifiutandosi di rispondergli o di mentire, consapevole di non poter raggirare un maestro di quell'arte.
Innervosito dal suo silenzio Dazai sbuffò, cominciando a calpestare la mano che Akutagawa teneva appoggiata al pavimento. Il corvino strinse i denti, colto di sorpresa dal dolore improvviso, soffocando a malapena un gemito, il corpo in tensione a causa della posizione scomoda. Da una parte la presa di Dazai lo obbligava a tenere sollevata la testa e parte del busto, dall'altra la mano inchiodata al pavimento dal suo peso. Un leggero tremito iniziò a percorrergli il braccio mentre le dita tentavano di piegarsi su se stesse, cercando di ritirarsi.
- Quando sono scomparso sono certo che volessero ribaltare questo posto da cima a fondo per trovarmi - sogghignò maligno, alcuna emozione a segnargli lo sguardo, inespressivo come quello di un cadavere. - Eppure sembrerebbe tutto come l'ho lasciato - aumentò la forza con cui gli tirava i capelli, portando il sottile tremito di tensione che lo scuoteva a raggiungergli le spalle.
- Sa...sapevamo che non poteva aver lasciato alcun indizio qui - si decise a rispondergli, un momento esitante nell'affrontare l'ennesima fitta a percorrergli i muscoli. - E c'era il rischio che avesse nascosto qualche trappola per far desistere eventuali ficcanaso -
- Questa era un'idea di Chuuya, vero? - intuì con espressione seria, accontentandosi del suo leggero annuire, - Però non spiega perché tu sia qui, ora... - insistette per poi dare una vaga occhiata all'ambiente con aria annoiata. - Il fatto più inquietante è che non hai toccato nulla, neanche fosse un santuario nei miei confronti. Cos'è una specie di feticismo? - tornò a portare lo sguardo su Akutagawa e a quel punto la sua voce prese una nota crudele. - Ti sei forse divertito ad usare il mio letto per appagare le tue fantasie? - e a quel punto il corvino sussultò, lo sguardo ad allargarsi d'orrore misto a disgusto mentre Dazai si abbassava, così da potergli sussurrare all'orecchio, in modo che non ne ignorasse le parole. La voce resa affilata e fredda, simile alla lama di un rasoio. - Hai lasciato le stesse lenzuola così che ci rimanesse sopra il mio odore. Ti eccitava? Hai anche usato pure i vestiti che ho lasciato nell'armadio? -
Akutagawa non rispose a simile accuse, lasciando che gli scivolassero addosso come se non fossero nulla, per quanto lo umiliassero nel profondo. Era meglio mostrare indifferenza, nascondere come gli pesassero sul cuore simili parole, o Dazai avrebbe continuato ad usarle per torturarlo. Alimentando quel suo famoso sadismo che, per quanto fosse ormai un membro dell'agenzia dei detective armati, non sembrava aver perso per nulla. Avvertiva un vago senso di ingiustizia, poiché aveva visto come trattava quella stupida tigre mannara, nell'essere l'unico a subire umiliazioni tanto pesanti. E pensare che il motivo per cui aveva preso il suo appartamento era...
- Non sapevo se sarebbe tornato - confessò trovandosi a fissare il vuoto davanti a se, senza neppure cercare il volto di Dazai tanto affianco al suo che, forse, avrebbe potuto intravedere un vago senso di confusione nei suoi occhi altrimenti morti. Il peso con cui gli calpestava il dorso della mano si fece più lieve, abbastanza perché riuscisse a sottrarsi. Akutagawa se la strinse aperto avvertendo una scarica di doloro ad ogni minimo movimento delle dita.
- Che intendi? - gli domandò ancora tenendogli ben stretti i capelli, strattonandogli per non perderne l'attenzione, pareva sul punto di star per svenire da un momento all'altro. E forse era proprio grazie al suo essere un passo dal collasso se era riuscito a farlo parlare tanto in fretta.
- Se fosse tornato dovevo lasciare tutto come prima che sparisse. Ma qualcuno poteva prendere il suo appartamento o un nemico poteva distruggerlo - sospirò il corvino avvertendo un nodo alla gola, sentendosi un idiota per aver seguito, al tempo, quel pensiero che lo aveva portato sino a quel punto. - Credevo di doverlo proteggere - ammise chinando finalmente il capo ora che Dazai aveva lasciato la presa sui suoi capelli nel raddrizzarsi in piedi.
- Sei persino più patetico di quanto credessi - commentò senza che Akutagawa sapesse decifrarne il tono di voce, e privo della forza per guardarlo dritto in viso, lo sguardo fisso sul pavimento dove rimaneva seduto. - Sembri il cane Hachiko in attesa di un padrone che tanto non tornerà mai - a quelle parole il corvino strinse la mano sana con forza attorno alla gemella dolorante, lasciando che il dolore oscurasse il senso di vergogna salito a colorargli il viso, il quale però arrivò a tingerlo sino alla punta delle orecchie.
E inattesa fu la carezza che gli raggiunse il capo quando Dazai appoggiò di nuovo la mano trai suoi capelli, questa volta senza l'intenzione di ferirlo, almeno in apparenza.
- Non ho fatto quello che ha detto...- sembrò rimpicciolirsi Akutagawa nell'incassare la testa nelle spalle mentre, forse per la prima volta, quella mano gli rivolgeva un gesto gentile, tanto a lungo desiderato e atteso. Sul volto, di un acceso rosato, un'espressione corrucciata, incapace di dimostrare la felicità provocatagli da un simile gesto, temendo di essere presto allontanato malamente.
- Lo so - ammise Dazai, alzando le spalle, un sorriso vagamente divertito dal suono infantile avuto dalla sua negazione, - ...potrai essere ossessionato da me, ma non sei un simile pervertito - aggiunse intono superficiale mentre ancora teneva la mano ad accarezzare il capo del suo ex-allievo. Non ricordava di avergli mai rivolto un elogio quando ne era stato il maestro, e ormai lo considerava un adulto, quindi non era certo di potervi rimediare. - Sei stato bravo - gli concesse, - ... però sai che non tornerò in questo appartamento, vero? -
Poiché stava riconoscendo i suoi sforzi, Akutagawa si concesse qualche secondo per godersi il momento, avvertendo un peso nel petto nel annuire.
- L'ho capito subito... - però non era pronto a lasciarlo andare e a farsi così abbandonare da lui. - Ma... - la prospettiva di essere lasciato indietro era stata troppo spaventosa perché l'accettasse senza tentare una minima resistenza. Aveva creduto che, con la scomparsa di Dazai, anche gli artigli ottenuti con estrema fatica e la pelliccia di lupo di cui si era coperto, sparissero con lui. Temeva di tornare il debole che era, ma se ora lui riconosceva il suo impegno, questo non significava che era diventato forte? Voleva crederci, per quanto sotto la maschera da lupo feroce il coniglio fosse rimasto sempre un coniglio. Era solo diventato abile a ringhiare e ad allontanare le persone da sé, così che non potesse tradire la propria vera natura lasciandole avvicinare troppo.
- Ma ci speravi? - concluse per lui Dazai, trovando non ci fosse poi molta differenza tra l'adulto che aveva di fronte e il bambino che era stato. Aveva cercato un posto a cui appartenere e l'aveva trovato nella PortMafia con il suo aiuto. Quando ne aveva perso il sostegno probabilmente si era trovato a temere di poter perdere anche il luogo in cui stare. Con imbarazzo crescente Akutagawa si trovo di nuovo ad asserire con un semplice cenno del capo mentre la mano del altro ancora gli accarezzava il capo.





---
Little Black Rabbit: una one-shot troppo lunga per rimanere una one-shot, si conclude qui. Mi scuso per l'OOC di Akutagawa, ma lo ritengo un OOC giustificato dal fatto che fosse vicino al collasso, quindi vedetelo come ubriaco (LOL). Purtroppo questa storia ha una terza parte, che però sarà sviluppata in altra sede(?), perché il rating cambia

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3705833