Keep my eyes on you

di Snix91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


WEAVERLY:

 

Trascorrere del tempo con mia nipote era una delle cose che più amavo ma ormai era quasi una settimana che Wynonna mi aveva lasciato il compito di tenerla a bada. Il lavoro la stava divorando e a me stava impedendo di vedere Nicole nelle ore libere. Nel momento in cui venni a sapere tramite la mia ragazza che nelle pause mia sorella andava da Shorty's quando io non lavoravo, allora, andai su tutte le furie. Quella mattina decisi più che mai di precipitarmi nel suo ufficio, ma prima di farlo, lasciai la piccola da Doc e passai al bar per ordinare due caffè d’asporto.

 

Lasciata mia nipote salutai Doc e lui alzò il suo cappello in segno di saluto.

 

“Sii buona con Wynonna!” mi disse in lontananza ed io lo fulminai con lo sguardo. Il suo sorrisetto sparì come un fulmine e prima che io potessi dire altro chiuse la porta dell’ingresso. 

 

La macchina la parcheggiai nel retro della stazione, scesi, sistemai il mio bellissimo cappotto leopardato sulle spalle e mi avviai verso la caffetteria. 

 

Attraversai la strada più veloce che potevo con i mano il cartone che teneva ben saldi i due bicchieri. 

 

Entrai nella porta di servizio della stazione di polizia dove solitamente solo gli autorizzati potevano accedervi. Nicole mi aveva dato il permesso di farlo ma senza dare nell’occhio. Mi addentrai subito nella stanza relax dove solitamente il personale poteva usufruire della cucina o di 5 minuti di riposo e la oltrepassai richiudendo l’altra porta dietro le mie spalle.

 

Camminai quasi in punta di piedi fino ad arrivare all’ingresso principale. Mi guardai attorno prima di notare Wynonna in lontananza, intenta a giocare con una matita e a sbuffare di tanto in tanto.

 

Accelerai il passo prima che potesse parlare, lei alzò lo sguardo e mi guardò spaventata.

 

“Dimmi che non è quello che penso!” esclamai posando i due bicchieri sul lungo bancone prima di farli volare per terra.

 

“Cosa?” mi chiese mia sorella sgranando gli occhi e inarcando le sopracciglia.

 

“Sono giorni che mi prendo cura di tua figlia….” mi fermai per un momento ammorbidendo il tono “…non che non mi faccia piacere…” tornai seria “….che arrivo persino in ritardo a lavoro e vengo a sapere che dopo aver finito di lavorare invece di precipitarti a casa fai prima un salto da Shorty's?!” cercai di riprendere fiato.

 

Wynonna  alzò gli occhi al cielo.

 

“Dannata, Nicole!” disse per poi tornare a concentrarsi sui fogli davanti a lei.

 

Aveva già capito che ero stata informata da Nicole.

 

“Smettila di fare così e ridammi indietro la mia libertà e miei momenti d’intimità!” le ultime parole le dissi a bassa voce per non farmi sentire dagli altri e Wynonna mi guardò disgustata.

 

Ci mise qualche secondo per rispondermi.

 

“Ok, hai vinto.” disse tornandosi a sedere composta e alzando entrambe i palmi delle mani sopra la testa.

 

“Meno male!” sospirai chiudendo gli occhi.

“Ma devi tenermela anche stasera.” aggiunse, ed ero già pronta per rimproverarla.

 

La fissai soltanto.

 

“Stasera c’è il torneo di freccette.” disse lanciandomi un sorrisetto.

 

“Mi prendi in giro?” feci un piccolo urlo.

 

Improvvisamente fummo attirate da un rumore proveniente dalla mia sinistra. Nicole era uscita dalla sua stanza e in mano teneva ben salda la sua giacca con sopra il distintivo del distretto. Era piuttosto preoccupata.

 

“Ehi, baby!” mi disse seria, sospirando appena. Vederla avvicinarsi a me con quel fare autoritario mi fece venire i brividi. 

 

Amavo tutto di lei, persino quando mi guardava con quegli occhi persi a pensare chissà cosa.

 

“Ehi.” la salutai sorridendole come una cretina ormai ammaliata dalla sua bellezza.

 

La guardai alzando leggermente la testa a causa della differenza di altezza che ci portavamo.

 

“Che ci fai qui?” mi chiese posando l’avambraccio sul bancone, pronta a rivolgere l’attenzione a Wynonna. Notai che andava piuttosto di fretta.

 

“Sono venuta a pregare Wynonna di lasciarci un pò più di tempo per noi….” e a quelle parole Nicole acconsentì alla mia richiesta serrando le labbra e pensandoci su “….e poi a lasciarvi questi.” Le indicai i caffè che ormai era diventato solo uno dato che Wynonna ne aveva subito assaggiato un sorso, evitando le nostre parole.

 

Nicole mi sorrise e quel dolce momento mi bastò per essere felice tutto il giorno.

 

“Grazie tesoro ma ho ricevuto una chiamata e abbiamo un’uscita d’emergenza.” disse guardando mia sorella con la coda dell’occhio.

 

Wynonna si ricompose e bevve l’ultimo sorso.

 

“Ok, sono pronta!” disse gettando il bicchiere nel cestino e facendo il giro del bancone.

 

Nicole seguì Wynonna con lo sguardo per poi tornare a guardare me e mi sorrise di nuovo.

 

Risposi alle sue attenzioni ed ebbi come una strana sensazione. Come se non volessi che lei andasse via. Fu come un segno per me. 

 

Si portò la giacca sulle spalle e la indossò. Nel frattempo mia sorella ci raggiunse.

 

Si era messa di fianco a me.

 

Nicole si tirò su la zip della giacca e parlò.

 

“C’è stata una rapina a mano armata tra la terza e la quarta strada non molto lontano da qui, pare ci siano anche degli ostaggi.”

 

Si era creato un certo movimento in centrale cosa che non mi sfuggì.

 

Il mio cuore cominciò a battere forte poiché due tra le persone più importanti della mia vita stavano per affrontare un pericolo a dir poco da sottovalutare.

 

“Ok, allora ti aspetto fuori.” disse Wynonna. Ci guardammo per un istante in cui fece la spocchiosa e senza timore si avviò verso l’uscita. 

 

Nicole restò ancora per un momento con me.

 

“Sta attenta.” le dissi terrorizzata.

 

Era la terza volta che mi sorrideva.

 

“Non preoccuparti, torno presto.” mi disse e si sporse verso di me lasciandomi un bacio sulla tempia. Al tocco di quelle soffici labbra chiusi gli occhi e persi un battito. 

 

Non si sbilanciava mai a lavoro e su questo eravamo entrambe d’accordo.

 

Si staccò da me e cominciò ad infilarsi i guanti.

 

Pian piano si avviò verso l’uscita.

 

“Ah…” richiamò la mia attenzione.

 

“..il caffè lo berrò più tardi, puoi lasciarlo anche sulla mia scrivania. Lo sai che lo bevo anche freddo.” Il suo sorriso ormai era perenne sul suo viso.

 

Con ansia le feci cenno con il capo e la vidi voltarsi dandomi le spalle. Avevo sempre paura quando riceveva chiamate d’urgenza ma purtroppo quello era il suo lavoro come lo era anche di Wynonna quindi dovevo solo imparare a lasciarle andare, non facendomi guidare dalle emozioni.

 

 

NICOLE:

 

Uscii dal distretto più veloce che potevo con ancora alla mente il volto angelico della mia Weaverly. Ogni volta che uscivo per affrontare qualunque pericolo il mio cuore richiamava solo la sua figura.

 

Mi apprestai ad andare dal lato del guidatore della mia auto di servizio e il mio occhio cadde su Wynonna che era già seduta sul posto del passeggero e masticava la chewing-gum a bocca aperta.

 

“Non ha proprio nulla di Weaverly.” pensai tra me e me.

 

Salii sull’auto e allacciai la cintura.

 

“Allora Agente Haught…” richiamò la mia attenzione “…cosa c’è da sapere nel dettaglio?” mi chiese guardandosi intorno.

 

“Rapina in una banca, dovrebbero essere in due e stanno tenendo in ostaggio all’incirca 6 persone. Due sono sono dipendenti il resto clienti.” dissi in breve parole e lei non si scompose minimamente.

 

“Ok, facciamogli vedere di che pasta siamo fatti!” esclamò e alcune volte mi sembrava come se prendesse tutto quello come uno scherzo. Era suo solito fare battute ma quando c’era da essere seri Wynonna era l’ultima persona su cui potevi contare.

 

Arrivata a destinazione fermai la macchina davanti altre quattro pattuglie. Il resto dei colleghi era già pronto con pistola e fucili in mano per ogni evenienza. Puntavano tutti nella stessa direzione l’entrata della banca.

 

Scendemmo dall’auto e dopo aver discusso sulla situazione e su come procedere prendemmo posizione accanto agli altri.

 

“Fammi andare a me, li farò ragionare.” disse Wynonna mettendosi spalle contro lo sportello dell’automobile. Io ero accanto a lei in ginocchio con la pistola ben salda tra le mani.

 

“Non ci pensare nemmeno. Questo non è un gioco.” la rimproverai. 

Lei sbuffò come suo solito.

 

Mi voltai per accertarmi che tutto fosse al suo posto e per un attimo distolsi l’attenzione da Wynonna.

 

Non feci in tempo a guardare un mio collega posto dietro la macchina accanto la mia che Wynonna era in piedi oltre le auto. Aveva lasciato “Peacemaker” a terra. Cosi aveva chiamato la sua pistola. Mani tese sopra la testa in segno di resa. Aveva già iniziato a parlare per negoziare qualche sorta di scambio o di rilascio.

 

“Dannazione, Earp!” imprecai sgranando gli occhi e guardandola oltre il finestrino.

 

“E’ tutto ok.” mi sussurrò senza voltarsi.

 

Le pulsazioni cominciarono a farsi sempre più veloci. Non potevo permettermi di perderla. 

 

“Lo so che non è facile ma cerchiamo di raggiungere un accordo. Per favore rilasciate almeno gli ostaggi.” lo ripete più volte mentre io non facevo altro che chiudere gli occhi e pensare a cosa fare.

 

Ad un tratto accadde qualcosa di inaspettato, gli ostaggi pian piano furono rilasciati e Wynonna tirò un sospiro di sollievo abbassando entrambe le braccia.

 

Non le tolsi gli occhi di dosso nemmeno per un secondo.

 

Le persone appena rilasciate cominciarono a correre verso di noi e alcuni dei miei uomini li scortarono il più lontano possibile.

 

Tornai a fissare l’entrata della banca che ora aveva la porta spalancata e improvvisamente nella penombra uscì una mano che teneva una pistola di colore grigio metallizzato.

 

Terrorizzata cercai di richiamare Wynonna ma tutto accadde alla velocità della luce. Senza pensarci due volte uscii dalla copertura e mi avviai verso di lei che era disarmata. Con tre passi lunghi la raggiunsi e mi posizionai davanti a lei. Wynonna mi guardava come se stessi compiendo la cazzata del secolo ma ormai ero lì e lei non poteva fare più nulla.

 

Sentii uno sparo che mi colpì tra la clavicola e il collo evitando il giubbotto antiproiettile e poi ne seguirono altri due che colpirono la mia gamba destra. 

 

“Nicole.” sentii urlare dalla bocca della mora.

 

Non ebbi più la forza di restare in piedi e mi accasciai lasciando cadere la pistola e il peso all’indietro. Sentii il mio sangue fuori uscire dalle ferite e in poco tempo ne fui invasa completamente.

 

Una sequenza di spari partì subito dopo e Wynonna si gettò a terra accanto a me non volendomi lasciare sola. La mia vista cominciò pian piano ad annebbiarsi e l’ultima cosa che vidi fu il volto sfocato di Wynonna che non la smetteva di urlare dicendo di chiamare un’ambulanza e di restare con lei. Sentivo le sue mani contro il mio collo mentre cercava di fermare l’emorragia.

 

“Weaverly.” sussurrai senza avere più fiato in corpo. Quella fu l’ultima parola che pronunciai, poi gli occhi cominciarono a cedere e fui sommersa dal buio più totale.

 

 

WEAVERLY:

 

Ero rimasta in attesa del loro rientro. Le lancette dell’orologio scorrevano incessantemente ed io non la smettevo di fissare in lontananza il bicchiere che avevo lasciato poco prima sulla scrivania di Nicole. Posai un gomito sul bancone e mi morsi un labbro. Non vedevo l’ora che la mia ragazza tornasse anche solo per vedere quegli occhioni color nocciola posarsi su di me.

 

Di tanto in tanto qualche poliziotto passava dietro le mie spalle ed io mi voltavo ogni volta per vedere chi fosse. Sapere che Nicole comandava quel distretto per me fu confortevole. Aveva da poco ricevuto la promozione e già ottenuto la completa fiducia di tutti.

 

Tornai a guardare l’orologio fissato in alto sul muro alla mia destra.

 

Sbuffai. L’ansia mi stava divorando.

 

Improvvisamente il mio telefono prese a squillare, lo tirai fuori dalla tasca e vidi il nome di Wynonna stampato sullo schermo.

 

“Perché mi chiama?” dissi tra me e me inarcando le sopracciglia.

 

Avevo il cuore in gola. Cominciai a pensare al peggio.

 

“Pronto?” dissi portandomi una mano sulla fronte e in pochi secondi quella telefonata divenne una delle più brutte mai ricevute in tutta la mia vita.

 

Lasciai cadere il cellulare a terra e presi a correre più veloce che potevo senza pensare a chi mi stava intorno. L’ospedale non era poi così lontano dal distretto. Calde lacrime fuoriuscirono dagli occhi scontrandosi con il freddo pungente dell’esterno.

 

Ringraziai me stessa per aver messo scarpe comode quel giorno. Corsi senza fermare e con il fiatone raggiunsi l’entrata.

 

Ero sconvolta. Vagavo in quella struttura come una vagabonda. Cappotto sbottonato, capelli scompigliati dal vento, trucco sbavato.

 

Dopo aver percorso due corridoi finalmente raggiunsi Wynonna. Inizialmente la vidi di spalle poi si voltò verso la mia direzione e mi prese un colpo quando vidi le sue mani e la sua t-shirt sporche di sangue.

 

Quasi svenni a quella vista.

 

Le andai incontro.

 

“Mi dispiace.” mi disse senza forze.

 

Sgranai gli occhi pensando a Nicole.

 

Wynonna pianse in silenzio.

 

Fui attirata da movimenti ad intermittenza oltre il vetro sulla mia sinistra. Rimasi a bocca aperta quando vidi alcuni medici e infermieri intorno a Nicole che cercavano di fermare l’emorragia ed erano pronti ad intubarla.

 

“No, no, no!” urlai presa dallo sconforto. Volevo entrare in quella stanza. Feci uno scatto fulmineo diretta verso la porta ma Wynonna mi bloccò stringendomi in un abbraccio. A malincuore le diedi qualche gomitata nello stomaco non smettendo di fissare il volto spento di Nicole.

 

Piansi. Piansi forte e mia sorella con me e per un pò restammo lì fin quando i medici non ci scortarono nella sala d’attesa.

 

Restammo per buone 4 ore ad attendere notizie da parte dei medici. Per la prima volta Wynonna non pronunciò parola, si limitò solo a portarmi dell’acqua e qualcosa di caldo che io rifiutai senza nemmeno guardarla negli occhi. Ero rannicchiata su una sedia in cerca di risposte e finalmente quando il medico arrivò il mio volto riprese leggermente colore.

 

“Allora?” chiesi mettendo entrambe le mani sui fianchi.

 

Avevo la tachicardia.

 

“Voi siete?” ci chiese l’uomo.

 

“Sono la sua compagna.” risposi di fretta, non volevo più aspettare. Il medico ci guardò per qualche secondo e gli bastò lo sguardo minaccioso di mia sorella per prendere parola.

 

“Allora…” esitò ed io mi morsi la lingua per non piangere.

 

“Nicole è riuscita a superare l’intervento ma la situazione è critica. Ha perso molto sangue e attualmente è in corso una piccola infezione nella gamba destra che speriamo di risolvere…”

 

Per un attimo persi la vista. Avevo le lacrime che mi impedivano di vedere.

 

Wynonna posò una mano sulla mia spalla.

 

“…purtroppo non si è svegliata dopo l’intervento e siamo stati costretti ad intubarla.” 

 

“Quindi è in coma?” dissi non capendone niente di medicina. Mi portai solo una mano davanti la bocca e sconvolta piansi senza mai fermarmi.

 

Mia sorella era sempre accanto a me che mi sosteneva.

 

“Per il momento la situazione è questa, quando avremo accertamenti sarete informate.” concluse.

 

“Posso vederla?” per un attimo mi ripresi.

 

“Domani potrà vederla. Adesso è appena uscita dall’intervento e ha bisogno di riposo.” rispose il medico con gentilezza.

 

Non mi rimase altro che annuire ed attendere il giorno dopo.





to be continued....

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Quella notte non chiusi occhio con la speranza che le ore passassero in fretta solo per vestirmi e andare da Nicole. Era passato un giorno da quando non la vedevo e già mi mancava come l’aria. 

 

Arrivata in ospedale ebbi il consenso da parte dei medici per andare da lei e senza pensarci due volte mi precipitai nella stanza numero 51.

 

Entrai con molta calma e senza far troppo rumore. 

 

La vidi a qualche metro di distanza, distesa e inerme. Chiusi gli occhi al solo pensiero di vederla soffrire. Avanzai senza esitare sospirando di tanto in tanto. Mi morsi il labbro inferiore solo per trattenere le lacrime.

 

Presi una sedia posta accanto a lei e ne presi posto. Mi tolsi la giacca con molta delicatezza e scostai leggermente la mia coda di cavallo dalla mia spalla.

 

A quel punto cominciai a fissarla.

 

Aveva un’aria pallida e ancora era attaccata al respiratore. Un cerotto lungo più o meno 15 cm le fasciava una parte del collo fin sopra la clavicola. La gamba non riuscii a vederla poiché era coperta da un lenzuolo.

 

Mi voltai di nuovo verso il suo viso e respirai a fatica. Le sue braccia erano distese al di fuori della coperta.

 

D’istinto allungai una mano e la posai sopra la sua. Al tocco mi venne un brivido e calde lacrime rigarono le mie guance.

 

La strinsi con la speranza che lei mi disse un segno ma ciò non accadde.

“Baby.” la chiamai come lei mi chiamava di solito ma nulla, non sentì neanche quello.

 

Rimasi in silenzio standole accanto per tutto il tempo finché non terminò l’orario delle visite.

 

Da quel giorno cambiarono molte cose. Non avrei mai immaginato che sarei dovuta stare seduta su quella sedia per sei lunghi mesi. Durante quel periodo accadde di tutto, ma quella più importante fu quando ci informarono che purtroppo il corpo di Nicole non aveva superato l’infezione alla gamba e quindi furono costretti a prendere la decisione di amputarla dal ginocchio in giù. Quando ebbi quella notizia per una settimana non ebbi il coraggio di uscire di casa rischiando anche il licenziamento. Ogni giorno pregavo per il suo risveglio e puntualmente tornavo a casa sempre nello stesso modo.

 

Mi presi cura di lei tutti i giorni, persino quando fu in grado di respirare da sola, senza più l’aiuto della macchina ero presente.  

 

Tra tutte le cose più assurde quella che mi rimase in mente e che mi fece accorgere del tempo trascorso furono la lunghezza dei suoi capelli che con il tempo avevano raggiunto le spalle e di poco anche superate.

 

Era bella come sempre ed io non potevo fare a meno di starle accanto, pur soffrendo.

 

Il giorno della grande notizia ero da Shorty’s insieme a Rosita la mia collega nonché proprietaria del locale. 

 

Ero rientrata da un mese a lavoro e questo fu possibile anche grazie alla comprensione e al sostegno di Rosita e mia sorella. 

 

Stavo ripulendo la macchina del caffè quando ricevetti una chiamata dall’ospedale. Alle parole del medico sgranai gli occhi e cominciai a ridere e piangere allo stesso tempo. Rosita mi guardava spaventata e allo stesso tempo accigliata.

 

Qualche minuto dopo riappesi il telefono e la guardai.

 

“Si è svegliata.” mi uscii dalla bocca e senza alcuna spiegazione afferrai la giacca e andai verso l’uscita. Rosita non mi disse nulla e comprensiva mi lasciò andare.

 

Quando arrivai in quel luogo ormai familiare andai subito nella sua stanza ma ciò che vidi mi fece subito togliere il sorriso dalla bocca.

 

“Nicole.” dissi in trepida agitazione quando due medici ed un infermiere cercavano di farla calmare tenendole le braccia. Probabilmente era ancora scossa da tutta la situazione.

 

Al suo nome si voltò verso di me e sgranò gli occhi. 

 

Era spaventata.

 

L’infermiere fece in tempo a somministrarle un calmante e pian piano il suo sguardo si affievolì cadendo in un sonno profondo.

 

A bocca semi aperta assistetti a tutta la vicenda e subito dopo il suo medico mi fece allontanare.

 

Rimasi per una buona ora in seduta in sala d’attesa fin quando fui chiamata dal dottore.

 

Avendomi visto per sei mesi ormai sapeva bene chi fosse.

 

“Allora? Cosa succede?” chiesi con il cuore a mille. Non riuscivo a stare ferma.

 

L’uomo non la smetteva di fissarmi.

 

“La situazione è questa…” cominciò “…Nicole si è svegliata dal coma ed è stabile ma probabilmente al suo risveglio si è accorta della gamba e la cosa è andata a degenerare.”

 

Ero in silenzio. Volevo ascoltare ogni singola parola.

 

“…adesso l’unica cosa da fare è aspettare e informarla della situazione. E’ normale svegliarsi in questo modo dopo sei lunghi mesi…” non aveva poi così tutti i torti “…ha bisogno di sapere cosa è successo e soprattutto di ricordare.” Mi spiegò il medico.

 

Mi mise una mano sulla spalla.

 

“Ora deve starle accanto e farla sentire normale. Sarà una lunga convalescenza e difficile da gestire ma so che lei può farcela.” mi rassicurò ed io non feci altro che annuire.

 

Due giorni dopo mi diedero la notizia che poteva uscire dall’ospedale e dopo tante insistenze da parte di Wynonna sul fatto che volesse accompagnarmi le dissi che era meglio se andavo da sola.

 

Ero seduta di fronte a lei mentre un’infermiera l’aiutava a vestirsi. Non parlammo quasi per niente.

 

Nicole era pallida, triste e spaesata.

 

Durante quei giorni era stata messa al corrente di tutto ma purtroppo c’era d’aspettarsi quella reazione.

 

Aveva i suoi capelli del color del rame legati in una coda alta, corta e scomposta. L’infermiera le aveva fatto indossare un pantalone della tuta, una felpa grigia con su scritto “Purgatory Sheriff Department” e una giacca che io stessa ero andata a prendere personalmente a casa sua.

 

Era seduta sul letto. La schiena le faceva leggermente male.

 

Aveva entrambe i palmi delle mani poggiati sul letto e lo sguardo fisso a terra nel vuoto.

 

Non mi guardava, a differenza di me che la osservavo con apprensione.

 

L’infermiera si allontanò per qualche minuto permettendoci di stare un pò da sole.

 

“Sono così felice che tu stia bene.” le dissi con gioia.

 

Lei si limitò solo ad annuire.

 

Ritirai il mio sorriso. Avevo paura di dirle qualcosa che non andava.

 

La donna rientrò con una sedia a rotelle e aiutò Nicole a sedersi. Una volta accomodata fui io a trainarla fino all’uscita.

 

Fuori la stanza il medico ci fermò.

 

“Eccola qui l’eroina.” scherzò su l’uomo e lei accennò solo un piccolo sorriso. Il dottore allungò le mani spostando il volto di Nicole solo per accertarsi che la cicatrice si fosse rimarginata.

 

“Andrà tutto bene….” disse ricomponendosi. “…adesso dovrai stare un mese a riposo e poi inizierai la fisioterapia. Purtroppo centri specializzati sulle protesi qui a Purgatory non ce ne sono, quindi a tempo debito ti consiglierò io una struttura adatta, dove non dovrai pagare l’affitto dell’appartamento o spese mediche. E’ tutto a carico dello Stato e del servizio di polizia.” disse l’uomo e Nicole si limitò solo ad ascoltare.”

 

La guardò comprensivo e per qualche secondo rimase in silenzio, mi rivolse uno sguardo e proseguì.

 

“Adesso vi lascio andare. Mi raccomando Nicole, sii forte.” concluse con gentilezza e da quel giorno in poi non avrei mai immaginato di vivere momenti d’inferno.

 

Il primo mese fu davvero deleterio per me. Decisi di trasferirmi a casa sua dandole modo di superare la fase depressiva che ormai aveva invaso ogni centimetro del suo corpo. Non mangiava, si rifiutava di parlarmi, non si alzava dal letto e di tanto in tanto tornava in se rispondendomi in malo modo.

 

Sapevo in cuor mio che la situazione non era delle migliori ma dovevo comunque farmi forza soprattutto per lei.

 

Le cucinavo, lavavo la biancheria, l’aiutavo a lavarsi anche contro il suo volere, la spogliavo o mettevo a letto. L’unica cosa che mi riservavo era andare a lavoro e mia sorella fu persino costretta a portare mia nipote da Shorty’s anche solo per vederla 5 minuti.

 

Trascorso quel mese, il medico ci informò dei prossimi avvenimenti ed io a malincuore presi la decisione di trasferirmi con lei per seguire il suo percorso. Lasciai tutto momentaneamente. Il mio lavoro, la mia famiglia e la mia casa. La destinazione fu Toronto, e li vi trascorsi quattro mesi in totale sofferenza. Dato che dormivo sul divano e non con lei, quello era l’unico momento in cui mi sfogavo e piangevo. C’erano dei giorni in cui andava tutto bene, altri che non poteva neanche vedermi.

 

Ogni sera mi riservavo del tempo per telefonare a mia sorella e ogni volta mi ascoltava apprensiva, dicendomi persino che dovevo tornare a casa e non farmi trattare in quel modo. Ma finalmente, un giorno, ebbi una reazione e decisi che era arrivato il momento di reagire e farsi sentire. Forse era l’unico modo per capirsi perché in fondo con il silenzio non potevamo capire cosa volevamo entrambe.

 

“Perché non la smetti di trattarmi in questo modo?” le dissi dopo che lei mi aveva riservato un rimprovero a dir poco inutile.

 

Era seduta sul divano, sguardo fisso davanti la tv.

 

“Fai quello che vuoi, Weaverly.” disse in totale calma. Non si scompose di un millimetro.

 

Da quel momento ci fu una discussione che forse durò quasi un’ora in cui io le spiegavo di tutti i sacrifici che avevo fatto per lei, e lei mi diceva di quanto fosse stupido ciò che dicevo visto che lei era quella che aveva perso una gamba, perso il lavoro della sua vita e le sue aspirazioni. 

 

Non ci vidi più.

 

Le lacrime tornarono a farsi sentire, questa volta di fronte a lei, ma con forza non le feci uscire. Presi a correre nella direzione del bagno ma prontamente Nicole dal divano mi afferrò per il polso ed io sorpresa mi fermai.

 

Non disse nulla. Io la guardai e finalmente, dopo tanto tempo, i nostri sguardi s’incontrarono nuovamente e nonostante tutto quello che era successo il mio cuore fece mille capriole.

 

I suoi occhi color nocciola erano dispiaciuti e stanchi e non facevano altro che scrutarmi.

 

“Scusa.” uscì dalle sue labbra dopo qualche secondo.

 

Mi venne ancora più da piangere.

 

Allentò la presa dal polso, e quel momento lo sfruttai per annuire e andare verso dove stavo andando poco prima. 

 

Da quel giorno le cose finalmente migliorarono. L’accompagnavo dalla fisioterapista, mangiavamo insieme sullo stesso tavolo, parlavamo del più e del meno arrivando persino a chiedermi cosa avessi fatto tutto il tempo che lei era in coma, ma puntualmente le rispondevo che passavo le mie giornate tra ospedale, casa e lavoro. L’accompagnavo a fare passeggiate trainandola sempre con la sedia a rotelle e l’aiutavo in casa ad abituarsi alle stampelle. 

 

In alcuni momenti riuscii persino a farla sorridere soprattutto quando cadde su di me con tutto il suo peso durante una prova che facemmo in casa. Vederla superare di nuovo la mia altezza fu un’emozione incontrollabile.

 

Durante tutto quel tempo non persi mai l’abitudine di telefonare ogni sera a mia sorella e quando mi ritrovai fuori al balcone a parlare con mia nipote non riuscii più a trattenermi.

 

Quando tornai a parlare con Wynonna piansi forte e lei non faceva altro che dirmi se poteva venire lì ma le dissi che andava tutto bene e che non serviva.

 

Mi mancavano da morire e l’unica cosa che feci era tenermi tutto dentro e non dare ulteriori preoccupazioni a Wynonna.

 

NICOLE:

 

Ero distesa sul letto cercando conforto tra le lenzuola. Avevo la schiena leggermente alzata e poggiata su due cuscini. In mano tenevo ben saldo un libro che non avevo nemmeno voglia di leggere. Lo guardavo e rileggevo sempre le stesse righe non riuscendo a concentrarmi. Improvvisamente sospirai, chiusi il libro e lo posai accanto a me sul letto.

 

Anche gli occhi mi abbandonarono e nel momento in cui raggiunsi il più totale silenzio la mia attenzione fu attirata da incessanti singhiozzi che non la smettevano di tamburellare le mie orecchie.

 

Riaprii piano gli occhi e riconobbi subito il pianto di Waverly proveniente dall’altra parte della stanza.

 

Piano mi alzai facendo forza con le braccia e usando come supporto il comodino mi alzai in piedi tenendomi in equilibrio. Feci due balzi appigliandomi a qualunque mobile o muro che sia e raggiunsi l’entrata della mia camera.

 

Nel momento in cui mi sporsi la vidi rientrare e chiudere la finestra scorrevole. In quel preciso istante mi guardò, e quando mi concentrai su quegli occhi rossi e gonfi mi sciolsi completamente.

 

 

WEAVERLY:

 

Terminata la telefonata mi apprestai a rientrare. L’aria era pungente.

 

Chiusi la finestra alle mie spalle e quando mi voltai fui sorpresa nel vedere Nicole in piedi, poggiata sull’uscio della porta della sua stanza.

 

Mi fissava con tenerezza ed io ero totalmente ammaliata dalla sua bellezza, nonostante indossasse una t-shirt bianca e un pantaloncino sportivo. Aveva i capelli semi raccolti, il resto ricadevano sulle spalle.

 

Il mio sguardo cominciò a vagare lungo il suo corpo e mi fece un pò impressione vedere che una gamba non c’era ma la cosa non mi spaventò.

 

“Che ci fai in piedi?” le chiesi avanzando verso di lei e asciugandomi le poche lacrime che mi erano rimaste sulle guance. Tirai su con il naso.

 

“E’ tutto ok?” mi chiese con dolcezza, mentre posai il cellulare sul tavolino di fronte la tv.

 

“Si, sto bene.” mi limitai a rispondere mentre lei continuava a stare lì a braccia conserte.

 

“Era Wynonna?” mi domandò.

“Si era lei e poi stavo parlando con mia nipote…” esitai non volendo ripensare alla voce tenera della bambina e cambiai subito discorso “…tu piuttosto, non dovresti stare in piedi senza un sostegno. Hai sentito cos’ha detto la fisioterapista.” le risposi avvicinandomi di più a lei.

 

Le presi un braccio e me lo portai sulle spalle. Lei se lo lasciò fare.

 

L’accompagnai in stanza tenendola stretta a me. Sentivo il suo respiro caldo sfiorarmi l’orecchio. Mi era mancato il suo profumo di “Donuts" che emanava ogni volta che le stavo troppo vicino.

 

Sapeva di buono.

 

L’adagiai sul letto passando il suo braccio sopra la mia testa. Si sedette più comodamente.

 

Anche io mi sedetti accanto a lei sistemandole la t shirt che aveva scoperto la sua pancia. Da quando mi ero presa cura di lei era l’istinto a guidarmi nel fare le cose. Lei prontamente mi anticipò sistemandosela da sola.

 

Sorrisi.

 

“Io ora vado a dormire.” le dissi alzandomi dal letto con l’intento di andare in salotto e aprire il divano letto.

 

Mi fermò di colpo.

 

“Weaverly?” mi chiamò ed io tornai a sedermi. La guardai.

 

“Ti va di dormire con me?” mi domandò ed io rimasi senza parole. Non sapevo cosa fare ma dopo qualche secondo pensai che forse non c’era nulla di male nel dormire insieme.

 

Ormai le cose tra noi non erano più come un tempo quindi l’imbarazzo si faceva sentire. Era come se non la conoscessi, come se io dovessi conoscerla di nuovo.

 

“Va bene.” le risposi con un pelo di agitazione e mi apprestai a fare il giro del letto. Sentivo i suoi occhi puntati su di me. Mi seguirono per tutto il tempo.

 

Per un attimo le diedi le spalle, infine dopo un lungo sospiro mi allungai accanto a lei.

 

Entrambe lo sguardo fisso sul soffitto.

 

“Notte.” si limitò a dire dopo qualche minuto di silenzio, accompagnato solo dal rumore dei nostri respiri.

 

“Notte.” le dissi e provai a prendere sonno.

 

Ad un tratto sentii la sua mano afferrare la mia e me la strinse forte. Mi venne un brivido lungo la schiena che mi fece riaprire gli occhi. Non mi voltai a guardarla, semplicemente, ricambiai la sua stretta e provai a dormire, sentendomi al sicuro.

 

“So che vuoi tornare a casa dalla tua famiglia.” sentii la sua voce nel buio.

 

“Perché mi dici questo?” questa volta mi girai verso di lei vedendola appena.

 

Lei continuava a fissare il soffitto.

 

“Lo so che vuoi tornare da loro, ed è giusto che tu vada.” mi disse a malincuore. Sentivo nella sua voce il dispiacere ma nello stesso tempo il sollievo nell’avermelo detto.

 

Quella notte parlammo molto fin quando non presi la decisione di partire e tornare da Wynonna.





to be continued.....

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


I successivi mesi li trascorsi riabituandomi alla mia vera vita. Rosita mi riprese a lavoro e a casa le cose erano tornate alla normalità. Sentivo Nicole ogni giorno, che mi aggiornava sulla sua situazione. Mi mancava, questo non potevo negarlo, ma c’erano cose che dovevo risolvere riguardo la mia situazione sentimentale.

 

Erano ormai trascorsi 6 mesi da quando avevo rimesso piede a Purgatory e quel giorno decisi di rimanere a casa e passare del tempo con mia nipote Alice e mia sorella. Avevo deciso di accompagnare Alice al parco giochi per fare tanti pupazzi di neve e stavamo indossando le giacche per uscire quando fui attirata da Wynonna che era seduta sul ripiano della cucina intenta a guardare fuori dalla finestra. 

 

“Weaverly?” mi anticipò chiamandomi come se avesse visto un fantasma.

 

“Che c’è?” le chiesi mentre infilavo la giacca a mia nipote.

 

“Dimmi che la sto vedendo e non è un’allucinazione.” mi disse con sarcasmo.

 

Mi sporsi verso di lei, scostai di più la tendina e la vidi.

 

Ebbi un sussulto quando davanti a me in lontananza vidi Nicole in piedi, braccia conserte, poggiata sulla sua auto di servizio della polizia, in attesa di qualcuno.

 

Indossava un jeans, scarponcini, maglia a righe bianca e blu, e giacca sbottonata di colore beige. I capelli sciolti sulle spalle leggermente mossi sempre della stessa lunghezza di come l’avevo lasciata mesi prima. 

 

Non credetti ai miei occhi.

 

Era un sogno ad occhi aperti.

 

“Devo dire che è uno schianto.” scherzò su Wynonna, le diedi una pacca sulla spalla.

 

Lei sorrise.

 

Mi allontanai dalla finestra ed uscii subito dalla porta. Ero totalmente imbottita nel mio cappotto. Sciarpa attorno al collo arrancavo in mezzo la neve cercando di raggiungerla.

 

Nicole notò subito la mia presenza e si sollevò appena dalla sua postazione.

 

“Nicole! Che ci fai qui?” ora anche io avevo assunto l’espressione di chi aveva appena visto un fantasma.

 

Tutto quello mi sembrò un vecchio ricordo.

 

Era serena, solare, e mi sorrideva. 

 

Era di nuovo lei.

 

“Sono qui.” mi disse con simpatia alzando di poco le braccia.

 

Corrucciai il viso estasiata.

 

“Che significa tutto questo?” le domandai indicando l’auto del dipartimento di polizia.

 

“Ehmm..” balbettò poi prese a parlare “…sono tornata a vivere qui e ho fatto richiesta per il reinserimento nel corpo di polizia….” l’ascoltavo senza parole “…..ovviamente nelle mie condizioni non potrò più essere capo del dipartimento però posso lavorare sui casi e magari chissà…” esitò “…anche tornare all’azione.” Mi regalò uno dei suoi sorrisi spettacolari.

 

“E come va con la gamba?” le chiesi non credendo a quello che stavo sentendo. 

 

“La gamba va bene….” si guardò in basso per un momento “…devo solo superare il test fisico per rientrare a tutti gli effetti e infatti ogni giorno ho gli allenamenti al campo sportivo con un fisioterapista proprio del settore.” mi spiegò.

 

Ero confusa.

 

“Perché non me l’hai detto?” domandai.

 

“Volevo farti una sorpresa.” a quel punto lasciò cadere le braccia lungo i fianchi.

 

Tremai al solo pensiero di riaverla lì come una volta.

 

Wynonna ci raggiunse insieme ad Alice fermando il nostro incontro.

 

“Ehi, Agente Haught!” scherzò su mia sorella e Nicole sorrise. Si abbracciarono ed io rimasi fisse a guardarle vedendo anche mia nipote interagire con lei.

 

Se quello era un sogno non avrei mai voluto più svegliarmi ma fortunatamente ero perfettamente sveglia.

 

Nei giorni successivi tutto tornò come sempre e nella piccola cittadina tutti si riabituarono ad avere Nicole in giro.

 

Tornare a vederla nel mio locale in uniforme mi faceva sempre mancare il fiato. Ogni mattina ordinava sempre il suo solito cappuccino e ogni volta mi tornava alla mente il nostro primo incontro, quando mi lasciò il suo biglietto da visita con su scritto il suo nome.

 

Era bella come non mai e miei occhi erano sempre in cerca di lei.

 

Avere la sua presenza mi faceva diventare una cretina e nello stesso tempo volevo che lei mi cercasse cosa che quella mattina finalmente fece.

 

Mi invitò a cena a casa sua ed io non ci pensai due volte nel dirle di si.

 

Quando uscì dal locale fui triste nel non vederla più e fui subito riportata nella realtà dalla voce di Rosita.

 

“Adesso devi spiegarmi a che gioco stai giocando.” quelle parole bastarono per ferirmi nel profondo.

 

“E’ solo una cena.” le risposi continuando ad asciugare i bicchieri.

 

“E’ la tua ex….” disse fulminandomi con lo sguardo. Esitò “….o no?” aggiunse.

 

“Si.” esclamai abbassando il capo e concentrandomi sul parquet.

 

Terminai ad asciugare i bicchieri e proseguii con le posate.

 

“Hai intenzione di dirglielo?” mi chiese finendo di sistemare alcune bottiglie di liquore.

 

A quel punto la fissai a causa delle sue insistenze.

 

“Si…” mi voltai di nuovo a guardare il bicchiere che avevo tra le mani.

 

“…glielo dirò.” aggiunsi tristemente.

 

La sera dopo arrivò nel breve tempo possibile e per l’occasione indossai un vestito nero a tubino. Avevo l’esigenza di vestirmi bene ed essere a mio agio al 100%.

 

Quando raggiunsi l’entrata della sua vecchia casa ringraziai il calore che emanava. Fuori la temperatura era sotto lo zero ed io intelligente, avevo pensato bene di vestirmi non troppo pesante.

 

Mi accolse nel migliore dei modi sfilandomi la giacca dalle spalle e appendendola sull’appendi abiti posto all’ingresso.

 

Non la smetteva di guardare il mio fondoschiena ed io questo l’avevo notato.

 

Sorrisi appena.

 

Con gentilezza mi fece accomodare ed io mi comportai come se fosse la prima volta che avevo messo piede in quella casa.

 

Dopo aver assaggiato la sua fantastica cena raggiunsi il divano e notai tutti i suoi movimenti, a partire dalla camminata, fino al modo in cui versò il vino nei due calici. Persino il suo modo di vestire notai. Capelli raccolti in una coda, camicetta blu infilata in un paio di jeans tenuti stretti da una cintura in pelle. 

 

Era davvero sexy.

 

Mi porse il bicchiere e trascorremmo gran parte della serata a bere e chiacchierare come se il tempo non fosse mai passato.

 

Il vino mi stava dando leggermente alla testa. Decisi di alzarmi per andare in bagno a darmi una rinfrescata.

 

Quando uscii non la trovai più sul divano e d’istinto mi incamminai verso l’ingresso per cercarla e ci scontrammo come due ragazzine.

 

Sorridemmo come due sceme.

 

“Ehi.” mi tenne per le spalle.

 

“Scusa. Non ti trovavo e quindi ti stavo cercando.” le dissi socchiudendo gli occhi.

 

“Sei ubriaca?” mi chiese scherzosamente.

 

“Cosa? No.” la rimproverai, inarcando le sopracciglia.

 

Ridemmo. Non ridevamo così da tempo.

 

Nel momento in cui le nostre risate si affievolirono ci guardammo per interminabili secondi e d’istinto mi alzai in punta di piedi e la baciai tenendola per il collo. Lei fu sorpresa dal mio gesto e mi tenne per i polsi. Proseguii a baciarla e finalmente socchiuse la bocca permettendomi di assaporarla. Le nostre lingue si toccarono e si cercarono come non mai. Era da più di un anno che non accadeva una cosa del genere tra noi. Sentire le sue mani stringere i miei fianchi fu bellissimo. Il suo sfiorarmi era delicato e i suoi baci sempre carichi di dolcezza.

 

Continuavo a prenderla e a stringerla più verso di me fin quando le mie mani furono decise ad andare verso la camicetta che cominciai a sbottonare. Le mie dita sfiorarono la sua pelle calda del petto e incessanti brividi attraversarono tutto il mio corpo. Mi staccai dalle sue labbra concentrandomi sulla sua cicatrice che aveva sul collo. La percorsi tutta accarezzandola e lei si lasciò toccare non togliendomi mai gli occhi di dosso.

 

Era eccitata ed io con lei.

 

Osservai la sua cicatrice, poi guardai le sue labbra e tornai a baciarla famelica.

 

Subito dopo le mie mani scesero sulla sua cintura pronte a slacciarla, ma lei anticipò il mio movimento mettendo le sue mani sopra le mie.

 

Mi tirai subito indietro.

 

“Scusa.” mi chiese tenendomi le mani.

 

“E’ che non sono ancora pronta.” aggiunse non sentendosi ancora a suo agio con il suo fisico.

 

Ad un tratto realizzai che forse avevo un pò esagerato.

 

“No, sono io che devo scusarmi, non so cosa mi sia preso.” chiusi gli occhi mettendo una mano sulla fronte e l’altra su un fianco.

 

Lei si ricompose e tornò ad abbottonarsi la camicetta.

 

Nel breve silenzio decisi che forse la scelta migliore era quella di andare via.

 

“Forse è meglio che io vada. Avevo promesso a mia nipote che le avrei letto un racconto prima di andare a dormire.” le dissi afferrando la giacca dall’appendiabiti.

 

Lei mi osservò dispiaciuta della mia decisione.

 

“Va bene.” disse dolcemente. Mi sporsi per afferrare la sciarpa ma lei fu più veloce di me. La prese e cominciò ad arrotolarla attorno al mio collo.

 

Era la stessa sciarpa che indossai la prima volta che la baciai nel suo ufficio.

 

Imbarazzata glielo lasciai fare. Il mio viso si colorò di un rosso vivido ripensando anche a quel ricordo.

 

Mi sorrise.

 

“Sicura di voler guidare?” mi chiese con premura.

 

“Sto bene.” la rassicurai.

 

Mi accarezzò il viso ed io mi sciolsi del tutto.

 

“Allora ci vediamo.” mi ritrassi dal suo tocco. Dovevo andar via.

 

“Ci vediamo.” disse permettendomi di uscire.

 

Tornata a casa mi salì il senso di colpa. Prima di fare qualunque cosa doveva sapere ciò che era successo. Mi maledii nell’averla baciata, ma ormai il danno era stato fatto.

 

NICOLE:

 

Da quando Weaverly era venuta a cena a casa mia, pian piano tornai ad innamorarmi di quello splendido visino che non lasciava mai in pace le mie fantasie.

 

Ogni giorno prima di recarmi nel mio ufficio andavo nel suo posto di lavoro con la speranza di vederla e di parlare con lei ma puntualmente la sentivo distante e fredda cosa che mi preoccupò molto a tal punto da volerle organizzare una sorpresa nel nostro vecchio posto che lei tanto amava. Ormai ero decisa e pronta nel voler stare con lei.

 

Entrai in questo piccolo negozio che vendeva ogni genere di cose. Cominciai a pensare a cosa prepararle ed afferrai più oggetti possibili elaborando delle idee. Presi alcune candele e delle lucette di colore bianche da addobbo. Nel mentre sceglievo fui sorpresa di vedere la figura di Wynonna davanti a me intenta a scegliere roba per bambini.

“Wynonna!” esclamai e lei si voltò verso di me non dandomi più le spalle.

 

“Nicole!” mi salutò. Ormai anche a lavoro ci vedevamo di meno dato che lei era sempre di pattuglia.

 

“Cosa ci fai qui?” le domandai curiosa.

 

“Sto scegliendo un peluche per mia figlia. Volevo farle un regalo.” disse.

 

“E tu?” aggiunse poco dopo e a quel punto fui costretta a dirle cosa stavo organizzando.

 

Osservai gli oggetti che avevo tra le mani e sorrisi.

 

“Sto organizzando una sorpresa per Weaverly, ma io non ti ho detto nulla.” la rimproverai poco dopo.

 

Inizialmente fu entusiasta ma la sua espressione si spense poco dopo.

 

“Ho capito.” mi rispose.

 

La guardai stranita.

 

Rimanemmo un altro pò a parlare fin quando di fretta e furia mi salutò lasciandomi lì con alcuni dubbi per la mente.

 

WEAVERLY:

 

Feci sedere la piccola Alice a tavola pronta per assaporare la cena che avevo preparato con tanto amore. Wynonna non fece altro che fissarmi per tutta la sera quasi rendendomi nervosa.

 

“Mi spieghi che hai? E’ tutta la sera che mastichi chewing gum e mi osservi senza dire nulla.” le dissi nervosa.

 

“Nicole lo sa?” mi chiese e a quel punto alzai la testa sgranando gli occhi.

 

“Cosa c’entra adesso?” le chiesi. Sistemando meglio la sedia alla piccola.

 

“Non gliel’hai detto.” Questa volta guardò attraverso la finestra. Aveva qualcosa da dirmi ma non disse nulla.

 

Mi precipitai verso di lei.

 

“Mi dici cosa c’è da sapere?” mi misi le mani sui fianchi.

 

“Gliel’hai detto?” mi ripete.

 

“No, non l’ho fatto.” Ero infastidita.

 

“Allora dovresti.” non aggiunse altro.

 

“Quando sarà il momento glielo dirò.” tornai a sentirmi in colpa.

 

Deglutii.

 

“Dovresti sbrigarti.” guardò di nuovo la finestra.

 

“Mi spieghi perché cavolo mi stai mettendo fretta?” le domandai impaziente.

 

“Nicole sta organizzando una sorpresa per te e credo sia decisa nel fare quel passo avanti.” Me lo disse scendendo dal ripiano della cucina e oltrepassandomi.

Io rimasi a bocca aperta e non ebbi nemmeno il coraggio di chiederle come lo sapesse.

 

Come aveva detto Wynonna, Nicole aveva seriamente organizzato una sorpresa per me e senza oppormi fui costretta a seguirla.

 

Desideravo più che mai trascorrere del tempo insieme a lei ma nello stesso tempo ripensavo a ciò che mi aveva detto mia sorella.

 

“Dove stiamo andando?” le chiesi dal lato del passeggero mentre Nicole guidava rispettando le segnaletiche.

 

“Adesso, lo vedrai. Non essere cosi impaziente.” mi rispondeva sempre con dolcezza.

 

La osservai con la coda dell’occhio.

 

Quella sera era tremendamente bella.

 

Tornai a guardare la strada e capii subito di cosa si trattasse. Spalancai la bocca e lei mi sorrise.

 

“Si, stiamo andando in quel posto.” disse capendo la mia reazione.

 

Il posto di cui parlava era uno dei miei preferiti dove mio padre portava me e mia sorella da piccole. Era un lago ghiacciato con uno scorcio incantevole. 

 

Pensai subito a quanto fossi fortunata ad avere accanto una persona così premurosa, sempre pronta a sorprendermi. Cercai di non pensare a nulla.

 

Arrivate a destinazione, Nicole parcheggiò la macchina e in lontananza notammo subito il panorama. Il sole stava per tramontare e la luce giallo arancio rifletteva sull’acqua ghiacciata conferendole un colore d’orato. Il tutto fu completato da una serie di lucette attaccate su due alberi vicino la sponda e delle piccole candele che segnavano il percorso verso la riva.

 

Scesi dall’auto estasiata.

 

Senza dire nulla presi a percorrere lentamente quella strada segnata dalle piccole fiammelle fino ad arrivare davanti un pic nic improvvisato su una coperta.

 

Mi fermai e sentii Nicole arrivare da dietro subito dopo di me.

 

“E’ meraviglioso. Sono senza parole.” le dissi guardando ogni singolo dettaglio preparato da lei. Le mani strette in un pugno per cercare di stemperare il freddo.

 

“Tu sei meravigliosa.” mi rispose e lì mi mancò il respiro.

 

Mi voltai con il cuore in gola e lei era là, di fronte a me che mi sorrideva.

 

Da quel momento passammo una delle serate più belle della mia vita dove provai emozioni del tutto diverse. 

 

Tra una chiacchiera e l’altra, seduta l’una di fronte l’altra a mangiare alcune prelibatezze mi strinsi nelle spalle in cerca di calore. Lei lo notò subito e prontamente si alzò in piedi andando verso la macchina.

 

“Aspetta, ho una giacca in più dentro la macchina.” disse.

 

Le sorrisi e lei tornò subito poco dopo con la giacca del dipartimento di polizia. Con mia sorpresa la posò sulle mie spalle e me l’avvolse, poi si sedette dietro di me allargando le gambe e permettendomi di stare in mezzo. Cinse le sue braccia intorno a me ed io mi feci cullare dal suo abbraccio.

 

“Va meglio?” mi chiese dopo qualche minuto.

 

“Si.” le dissi ormai presa dall’imbarazzo.

 

“Nicole?” la chiamai, voltandomi dietro verso di lei. La vicinanza tra noi due aveva oltrepassato il limite. I nostri nasi si sfiorarono appena.

 

“Mmh..” fece un cenno per farmi capire che era li per ascoltarmi. Mi strinse più forte.

 

Quando i nostri sguardi s’incrociarono non ebbi più il coraggio di fermare quel momento magico.

 

Avevo tante cose da dirle ma mi morirono in gola.

 

“Io…” iniziai a parlare ma lei mi zittì di colpo portando una mano sopra la mia guancia. Il pollice sfiorò le mie labbra.

 

“Shh, non parlare. Godiamoci questo momento.” disse non staccando gli occhi dalle mie labbra. Ed è lì che annullò le distanze. Mi baciò con lentezza quasi fosse inesperta. Mi sfiorò più volte prima di approfondire il bacio. Le luci ad intermittenza illuminavano i nostri visi e chiudendo gli occhi mi feci trascinare da quel forte sentimento che mai aveva cessato di esistere.

 

Mi accoccolai sul suo petto continuando a baciarla. Ebbi persino la prontezza di afferrare il suo viso tra le mani e accarezzarle i capelli sciolti. 

 

Rimanemmo strette e avvinghiate per un lungo tempo senza dire nulla, dato che i nostri cuori avevano già parlato per noi.

 

Il mattino seguente mi precipitai a lavoro con qualche minuto di ritardo. In fretta e furia mi vestii ancora sconvolta dalla sera prima. Non optai per nessuna acconciatura. Lasciai i capelli sciolti, mi misi la giacca e corsi alla macchina il più veloce possibile.

 

Arrivata al locale, scesi dall’auto e percorrendo il lungo marciapiede cominciai a rovistare nella borsa in cerca delle chiavi del locale. Quel giorno avrei dovuto aprire io.

 

Senza che me ne accorgessi davanti a me apparve Nicole in divisa. Alzai lo sguardo e la vidi.

 

Mi venne un colpo.

 

“Wave.” Mi chiamò con un sorriso. Non sentivo da parte sua chiamarmi così da molto tempo.

 

“Ehi.” dissi sorpresa.

 

Era così sexy nella sua nuova divisa.

 

“Pensavo che il locale fosse già aperto.” mi disse con una mano sulla cintura e l’altra con il pollice alzato, indicando l’entrata.

 

“Si…” iniziai a balbettare “…mi sono svegliata tardi e ho fatto più veloce che potevo.”

 

Lei annuì con la testa tornando a sorridere.

 

Conosceva bene il mio motivo del ritardo, dato che la sera prima eravamo rientrate a tarda notte.

 

Improvvisamente accade ciò che non avrei voluto. Rosita sbucò dal vicolo adiacente il bar già con il grembiule addosso.

 

Ci osservò da lontano venendoci in contro. Io e Nicole guardammo nella stessa direzione scrutandola.

 

“Rosita, che ci fai qui?” chiesi nel panico.

 

“Ho aperto io il locale. Alla fine ho visto che non arrivavi e ho provveduto. Ho già buttato la pattumiera.” mi rispose stizzita.

 

Nicole mi guardò come se avessi combinato un bel guaio.

 

“Ciao, Nicole.” salutò lei leggermente infastidita.

 

“Rosita.” la chiamò in segno di saluto, inarcando le sopracciglia, data la sua strana reazione.

 

Questa volta portò entrambe le mani sulla cintura mostrando tutta la sua autorità.

 

Rosita a quel punto mi fissò.

 

“Hai intenzione di venire a lavoro oppure devo ancora fingere che vada tutto bene?” A quelle parole sgranai gli occhi fulminandola con lo sguardo. Non era proprio il caso di iniziare una discussione davanti a Nicole.

 

“Non gliel’hai ancora detto.” disse sconvolta senza voler più reggere quella situazione.

 

Nicole rivolse prima l’attenzione su di lei e poi su di me non capendo più nulla.

 

“Cosa devo sapere?” chiese.

 

“Nulla.” intervenni.

 

“Io ora devo andare.” le dissi abbassando lo sguardo. Corsi all’interno del Shortys bar senza voltarmi.

 

Ero amareggiata.

 

Rosita mi seguì a ruota ed entrambe lasciammo Nicole a bocca aperta.

 

Una volta all’interno buttai la giacca e la borsa sopra il bancone.

 

Ero furiosa.

 

“Spiegami perché cavolo te ne sei uscita in quel modo.” le dissi con rabbia.

 

“Credevo che dopo tutto questo tempo gliel’avessi detto che ci frequentiamo.” A quell’ultima parola non fui molto d’accordo. Lei lo lesse dalla mia espressione.

 

“Ah, non è così? Con chi sono stata allora? Con un’altra Weaverly?” mi chiese, slacciandosi il grembiule e dirigendosi all’altro lato del bancone.

 

Mi misi nella mia solita posa, con le mani lungo i fianchi.

 

“Non sto negando questo, ma devi capire la mia situazione.” Portai una mano sulla fronte.

 

“La tua situazione?” corrucciò le sopracciglia. “Ti ho lasciata il più libera possibile. Sei andata con lei a Toronto, pur andando contro la mia volontà, ti sei presa la briga di accettare il suo invito a cena, è sempre qui come se non fosse mai cambiato nulla. Mi spieghi come mi devo comportare?” Alzò troppo la voce e in quel preciso istante Rosita alzò gli occhi verso l’entrata. Si ammutolì di colpo.

 

Ero di spalle. Mi voltai seguendo il suo sguardo e ciò che vidi mi ferì nel profondo.

 

Nicole era lì, sopra i tre gradini che separava l’entrata dal locale. Ci guardava sbalordita e nello stesso tempo delusa.

 

Il mio cuore cominciò a pulsare velocemente. Non avrei mai voluto arrivare fino a quel punto.

Nicole non perse tempo. Uscì dal locale senza nemmeno rivolgermi uno sguardo.

 

“Nicole.” la chiamai cercando di fermarla.

 

Non mi misi nemmeno la giacca. 

 

Stavo per uscire fuori quando Rosita parlò di nuovo.

 

“Sai cosa c’è?” alzò di nuovo la voce per farsi sentire. Le rivolsi per un attimo l’attenzione.

 

“Io non potrò mai competere con lei.” disse quasi in lacrime.

 

Mi dispiaceva da morire ma non potevo farci nulla. Avrei dovuto solo avere il coraggio di parlare prima.

 

“Mi dispiace.” Le dissi tra le lacrime ed uscii fuori dal locale. 

 

La paura di perdere Nicole era più forte di qualunque altra cosa.

 

Una volta fuori la vidi a qualche metro di distanza, pronta già a salire in auto. La chiamai più volte ma non si girò.

 

Salii dal lato del passeggero senza il suo consenso e lei mi guardò malissimo.

 

“Scendi dalla macchina.” mi disse guardando dritta davanti a se.

 

“No, lascia che ti spieghi.” le risposi infreddolita.

 

“Non voglio sentire spiegazioni. Per favore scendi dalla macchina.” Non voleva ripeterlo.

 

“No.” mi puntai. Finalmente riuscii a conquistare i suoi occhi che mi guardavano con rabbia.

 

Sospirò stringendo la mascella e allargando leggermente il naso.

 

Ci fu qualche minuto di silenzio. 

 

“Ora capisco perché non mi hai mai risposto quando ti chiedevo cosa avessi fatto durante il tempo che ero in coma.” aggiunse, scuotendo la testa.

 

“Non è come pensi.” cercai di trovare una giustificazione ma la mia cazzata era palese.

 

“Ah no? Pensi che sia stupida? Pensi che non l’abbia notato o capito che qualcosa non andava?” adesso era seriamente arrabbiata.

 

I suoi occhi erano diventati di colore scuro.

 

“Non penso che tu sia stupida.” non sapevo che altro dirle. Abbassai la testa colpevole.

 

“State insieme?” mi chiese dopo averci riflettuto.

 

Dovevo dirle la verità.

 

“E’ successo qualcosa tra di noi, ma non è mai stata definita come una relazione. Posso solo dirti che mi è stata molto vicino quando ne avevo bisogno.”

 

Lei annuì non rivolgendomi lo sguardo.

 

“Perché non me l’hai detto prima? Non mi sarei mai comportata in quel modo, nemmeno davanti a Rosita.” mi disse riferendosi al fatto di flirtare con me davanti a lei.

 

Era cosi premurosa e nonostante i miei errori si preoccupava anche di Rosita che in quel momento era diventata la sua rivale.

 

“Mi sono comportata male e questo non me lo perdonerò mai.”

 

Mi sentii una stupida.

 

Nicole mi guardò con dolcezza ma non volle aggiungere altro.

 

“Io devo andare a lavoro.” mi disse accendendo la macchina.

 

La conoscevo molto bene. Non voleva piangere davanti a me.

 

Mi limitai solo ad annuire e la lasciai andare.

 

Da quel giorno non ci sentimmo per buone due settimane. Non si presentò ne al locale e ne la incontrai nel suo ufficio.

 

Ogni volta che uscivo i miei occhi vagavano in cerca di lei, ma pensai che probabilmente aveva avuto solo il bisogno di riflettere senza essere influenzata.

 

Con Rosita le cose fortunatamente furono chiarite e ora mi ritrovai nuovamente al bar a parlare tranquillamente con lei.

 

“Dovresti provare ad andare da lei.” mi disse poggiando a terra una cassetta con bottiglie vuote.

 

“Non lo so.” le risposi pensierosa.

 

“Lo sai che da parte di Nicole, per te, la porta è sempre aperta.” mi rassicurò.

 

Dopo tutto quello che avevo combinato, Rosita c’era sempre per me. Sapeva in cuor suo che non avrebbe mai avuto una possibilità con me, per questo mi aveva lasciata molta libertà con Nicole. Dovevo solo avere il coraggio di capirlo e mettere in chiaro la situazione, ma puntualmente per paura scappavo.

 

Ora che le cose si erano sistemate non mi restava altro che tentare e provare solo a seguire il mio cuore.

 

Passati una ventina di giorni decisi che era arrivato il momento di andare da lei. Presi coraggio e bussai alla sua porta con la speranza che fosse lì.

 

Fortunatamente c’era e nel momento in cui la vidi non riuscii neanche a dire una parola. 

 

Fui ammaliata dalla sua costante bellezza e il mio cuore cominciò nuovamente a battere forte.

 

Anche lei aveva il respiro leggermente più alto. Era da un pò che non ci vedevamo.

 

Ci fissammo per interminabili secondi fin quando lei, senza dire nulla, mi fece cenno di entrare.

 

Nel momento in cui misi piede nella sua dimora oltrepassandola da sotto il braccio chiuse la porta.

 

Si girò di scatto e senza farmi parlare mi baciò.

 

Non capivo esattamente cosa stava succedendo ma mi concessi senza esitazioni.

 

Le cinsi il collo con le braccia continuando a baciarla e lei guidata dall’istinto mi prese in braccio portandomi verso la sua camera da letto.

 

Mi adagiò sul letto e facemmo l’amore come se fosse la prima volta. Lei sempre dolcissima e io attenta per paura di farle male alla gamba. Mi sorrise quando ebbi quel pensiero. La sentivo sicura sotto la mia stretta.

 

Era pronta.

 

Quel pomeriggio non parlammo per niente e una volta terminato quel tenero momento la strinsi più forte per paura che scappasse via da me. Avevo la testa poggiata sul suo petto e lei di tanto in tanto mi lasciava dei baci sul capo in segno di affetto.

 

“Mi sei mancata da morire.” mi uscii dalla bocca senza pensarci.

 

“Anche tu.” mi rispose baciandomi ancora e ancora.

 

Ero così minuta fisicamente rispetto a lei che mi cinse le braccia coprendomi completamente. Alzai il capo e la guardai negli occhi.

 

“Vorrei rimanere qui per sempre.” Ora stavo facendo la parte della sdolcinata.

 

Lei rise di gusto mostrando il suo sorriso in tutto il suo splendore. 

 

“Adoro quando fai la parte della sdolcinata.” mi disse mettendo una mano sotto il mio mento e tirandomi su verso di lei.

 

Baciò le mie soffici e piccole labbra.

 

Persa in quel tocco le accarezzai la guancia.

 

Non volevo scendere da quel letto.

 

Il telefono prese a squillare ed entrambe ci staccammo di malavoglia. Mi sporsi andando sopra di lei ed afferrai il mio cellulare che avevo lasciato sul comodino tempo prima.

 

“E’ Wynonna.” le dissi. Cominciai a digitare un messaggio.

 

“Ma tua sorella arriva sempre nei momenti meno opportuni?” mi rispose e insieme ridemmo di gusto.

 

“Non sarebbe mia sorella.” e le lasciai un bacio frettoloso.

 

Non avrei mai più rinunciato al tempo trascorso con Nicole e da quel giorno tutto andò per il verso giusto tornando finalmente ad avere quella complicità che avevamo perso.





FINE

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