La mia nuova vita parte 2

di Mir7
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Oxford Arts Academy ***
Capitolo 2: *** Teste bionde a non finire ***
Capitolo 3: *** La nuova ala ***
Capitolo 4: *** You're the one that I want ***
Capitolo 5: *** Field ***
Capitolo 6: *** La gita ***
Capitolo 7: *** Home ***
Capitolo 8: *** La sveglia per semidei ***
Capitolo 9: *** Allentown ***
Capitolo 10: *** Sternennacht ***
Capitolo 11: *** Una targa da guerra ***
Capitolo 12: *** Doubleface Hotel ***
Capitolo 13: *** L'inizio di tutto ***



Capitolo 1
*** Oxford Arts Academy ***


Scrivo questo libro come se fossero le mie memorie, i miei ricordi, perché non so per quanto ancora sopravviverò. Spero gradirete la mia vita prima che abbia preso una brutta piega.

 

Capitolo 1
Oxford Arts Academy

 

Fu difficile riabituarsi alla vita normale. Non essere più al Campo rendeva il resto delle vacanze estive noiose. Ero tornata da qualche settimana dal campo estivo più straordinario di tutti: il Campo Mezzosangue di Long Island, negli Stati Uniti. Un luogo nascosto dove i figli degli Dei greci potevano passare una bella estate tra di loro, allenandosi e giocando. Come faccio a saperlo? Io ero una di loro. Michela Gonnella, il mio nome. Atena, Dea della saggezza, mia madre. Lo scorso maggio due ragazzi, che poi si rivelarono essere un satiro e un figlio di Ade, vennero a prelevarmi alla scuola dove studiavo per portarmi in questo Campo Mezzosangue poco prima che delle belve ci attaccassero. Mostri, già. Scoprii di essere una semidea e che i mostri ci davano la caccia. Si nutrivano di noi e non si facevano scrupoli. Potevano avere varie forme, poteri e livelli di crudeltà. Fortunatamente nel corso della mia prima estate al Campo incontrai solo due tipi di mostri: i lestrigoni e i ciclopi; non erano bei ricordi. Avevo bei pensieri sul Campo mentre tornavo a casa, in Italia. Vivevo a Viareggio, una città di mare che ama festeggiare ogni volta che ce n'è la scusa. Una delle cose più complicate con cui dovetti ambientarmi nuovamente era la colazione: al Campo tutto ciò che volevi ti appariva nel piatto invece, a casa, la colazione dovevo prepararmela da sola. Le uniche cose che potevo fare erano rimanere a casa o andare al mare. Per nulla emozionanti se comparati alle lezioni di equitazione su pegaso o agli allenamenti di scherma nell'anfiteatro del Campo. Anche la televisione, che prima adulavo, divenne barbosa per me. Quando arrivò il giorno del mio compleanno, compievo i tanti attesi sedici anni, fu un giorno come gli altri all'apparenza. La mattina del sette settembre ero nel mio letto, sperando che i miei genitori avessero preparato qualche sorpresa. Mi alzai e il letto accanto, dove ci doveva essere mia sorella Melissa, era vuoto. Oltrepassai i giocattoli che aveva lasciato per terra. Raggiunsi il mio armadio, presi qualcosa per cambiarmi e andai in bagno. Notai che la casa era stranamente vuota. Mi misi una canottiera rossa, dei pantaloncini di jeans e mi feci una coda di cavallo. Mi guardai allo specchio del bagno; mi vedevo solo dalla testa alla vita. I miei capelli mossi castani avevano degli accenni di biondo per effetto del sole, invece, i miei occhi sembravano più scuri del solito, gli ho marroni. Non ero cresciuta affatto quell'estate; ero ancora il mio metro e cinquantacinque. Sbuffai. Da una parte per la mia statura, dall'altra mi balenò in testa il fatto che mancavano tre giorni all'inizio della scuola. Feci colazione. Mentre bevevo il mio Esta Thé alla pesca sul divano, la voce di Annabeth mi rimbombava nella testa:«Forza pelandrona! Vai a sistemare il tuo letto!». Annabeth era una delle sorelle che avevo al Campo. Era bella; aveva gli occhi grigi e i capelli biondi. Qualche volta incuteva paura quando dava gli ordini, ma aveva più energia lei, che era al sesto mese di gravidanza, di me. Dopo aver sistemato la mia camera, mi distesi nuovamente sul divano e guardai la televisione. Fino a quando, a mezzogiorno, qualcuno suonò il campanello. I miei genitori non potevano essere, loro avevano le chiavi, così aprii. Davanti a me apparve un uomo assai singolare. Indossava una tuta da ginnastica azzurra con qualche riga giallo lime; abbinata al cappellino degli stessi colori, con su scritto “Consegne Rapide Hermes”; e un paio di scarpe sportive azzurre. Le ultime erano la cosa più assurda, sapete perché? Erano alate. Nella mano destra teneva un bastone argentato con due serpenti attorcigliati attorno, il caduceo, nell'altra un bouquet di rose rosse.

«Tu sei Michela? Certo che lo sei. Ho una consegna per te» disse l'uomo auto-rispondendosi, mentre mi porgeva il mazzo di fiori.

«E lei è Hermes? Sì che lo è» risposi accettando il bouquet.

«Che ragazza spiritosa» commentò con un sorriso.

«Grazie. Devo pagare?»

I due serpenti, che fino a quel momento erano rimasti immobili, non erano più d'argento ed erano vivi.

«Hey semidea, hai un topo per me? Ho fame» disse un serpente con delle sfumature blu sul corpo.

«Oh George, smettila di chiedere a tutti da mangiare! Dopo Hermes ci darà il compenso, vero capo?» lo brontolò l'altro, questo aveva delle sfumature rosse.

«Ovviamente. Ora tornate come prima, George e Marta. Devo finire le consegne» rispose Hermes.

Così detto, i serpenti tornarono d'argento.

«Stavamo dicendo? Ah giusto, il conto. No, non devi pagare niente. Il figlio di Ade ha saldato tutto. Ora ti devo salutare e buon compleanno!» Hermes sparì ed io tornai ad essere sola.

Andai in cucina a cercare un vaso per i fiori. Mi accorsi che c'era un bigliettino tra le rose. Era bianco e c'era scritto in nero: Buon Compleanno Amore!

Mentre sistemavo il bouquet nel vaso sentii aprire la porta e nello stesso momento mi arrivò un messaggio Iride, mezzo di comunicazione tra semidei, però del primo me ne accorsi dopo.

«Che dolce» sospirai, mentre annusavo le rose.

Sapevano di buono, come tutte le rose, ma si sentiva anche l'odore della morte, si intuiva da dove provenivano.

«Ti sono piaciuti, vedo» la voce proveniva dal messaggio Iride.

L'immagine di un ragazzo galleggiava all'altezza del mio viso. Aveva la pelle olivastra, gli occhi neri profondi e i capelli del medesimo colore erano tutti scompigliati. Dal messaggio si vedeva che indossava una maglia nera a maniche corte con sopra un teschio bianco, e risaltava molto sulla sua carnagione. Di sottofondo si sentivano le urla di dolore e sofferenza, e dietro di lui c'era del fumo nero e qualche fiamma; gli Inferi. Avevo davanti a me Nico Di Angelo, figlio di Ade e il mio ragazzo.

«Da qui non posso fare più di tanto. Ho pregato Demetra per avere le rose e Hermes per venire nell'Ade a prendere il regalo. Vorrei essere lì con te» continuò Nico.

«Anche io lo vorrei, ma hai già fatto tanto. Grazie mille per i fiori! Come va lì?».

«Molto bene. Siamo solo alla prima tappa ma...»

«Mi dispiace interrompervi, ragazzi. Michela, abbiamo un regalo per te».

I miei genitori e la mia sorellina entrarono in cucina e mi porsero una busta. Mio padre aveva i capelli brizzolati, gli occhi marroni e il fisico tipico di un cinquantenne; era poco più alto di me e di mia madre mortale. Lei aveva i capelli rosso scuro e gli occhi verdi. Si chiamavano Ludovico e Rosa. La mia sorellina di dieci anni Melissa, che ancora mi tendeva la busta, era quasi alta quanto me, avevamo lo stesso colore di occhi ma i capelli erano rosso scuro. Rimasero tutti e quattro in attesa che scoprissi il contenuto della busta. Al suo interno c'era un foglio: un certificato di accettazione. Iniziai a leggerlo mentalmente:

 

 

Oxford Arts Academy

 

L'egregia Accademia delle Arti di Oxford è felice di comunicarLe che ha passato il test d'ingresso da noi richiesto e che potrà studiare presso la nostra magnifica scuola.

Le lezioni avranno luogo dal nove Settembre al trentun Maggio; se Lei ritiene di voler rimanere durante le vacanze di Natale sarà pregata di avvisare la Segreteria dell'Accademia. Tutto il materiale scolastico glielo procuriamo noi. Aspettiamo con ansia di vederLa presso i nostri alloggi.

 

Cordiali Saluti,

Il Preside

John Rockfield

 

Mi vennero le lacrime agli occhi, e mio padre lo notò: «Mentre non c'eri abbiamo messo insieme un po' di video in cui canti, e l'insieme lo abbiamo inviato alla scuola dove desideravi andare».

«Mi... mi hanno... accettata» balbettai.

Nella busta c'era anche un biglietto aereo per Londra.

«Quando parto?» chiesi.

«Dovrai partire domani, prima che la scuola cominci. Ora vi lasciamo soli» disse mia madre portando fuori dalla cucina il resto della famiglia e chiudendo la porta.

«Spiegami cos'è successo perché non ci ho capito nulla» disse Nico.

Gli mostrai la lettera d'ammissione: «Mi hanno accettata nell'Accademia delle Arti di Oxford; sogno di andarci da quando sono piccola... non riesco a crederci...» spiegai ancora incredula.

«Sono contento per te» disse con una strana espressione in volto. Era forse paura?

«Perché fai quella faccia?».

«Non è niente».

«Sì, invece. Cos'hai pensato?».

«E' che a Oxford c'è...».

«Allen?».

«Sì».

Allen era uno degli amici che avevo al Campo Mezzosangue. Era biondo con gli occhi verdi prato, figlio di Apollo, e rispecchiava il mio ideale di ragazzo. Lui viveva ad Oxford e non era in buoni rapporti con Nico. Sono stati nemici per tutta l'estate, gareggiavano ad una sfida dove io ero il premio. Mi innamorai del mio “non ideale” Nico e ci mettemmo insieme; ma ancora non si sopportavano. Nico sembrava preoccupato del fatto che partissi per la sua città.

«Non devi preoccuparti. Oxford è grande, c'è una possibilità su un milione che lo incontri. E anche se fosse? Se prova a sfiorarmi, ho sempre il mio pugnale portatile» gli dissi, indicando l'anello con un gufetto che portavo al dito.

Me lo aveva regalato Nico, poco dopo essere arrivata al Campo, per difendermi.

«Ora mi sento tranquillo. Mio padre mi sta cercando. Ti chiamerò domani, per sapere se sei arrivata. Ciao» mi salutò e il messaggio sparì.

Tenevo tra le mani la lettera d'ammissione, non ci credevo ancora. Ne discussi con i miei genitori mentre mi aiutavano a preparare le valigie. Trovai perfino il modo per portare con me il regalo di Nico. La maggior parte degli studenti venivano da famiglie benestanti, almeno così mi disse mia madre. Andai a letto presto e il giorno dopo mi alzai prima per prendere l'aereo che da Pisa mi avrebbe portata fino a Londra. L'aeroporto era pieno di persone e fu complicato passare con due valigie. La stazione non era da meno; sembrava che tutti volessero andare a Oxford. L'Accademia era dalla parte opposta e ci misi un po' a trovarla. In cielo splendeva il sole e un fresco venticello rendeva tutto più gradevole. In più, l'ambiente inglese era bellissimo; ero diretta verso la zona più tradizionale di Oxford, dove tutti i palazzi e, in parte, i negozi avevano l'aspetto della vecchia Inghilterra. Dopo vari consultazioni della mappa, arrivai all'Accademia alle tre circa. Era circondata da una recinzione molto sfarzosa dall'aria importante e di classe. Il cancello era interamente aperto e sopra di esso c'era un arco, sempre di metallo, con su scritto: Oxford Arts Academy. Lo varcai. L'esterno dava l'idea di essere un college. L'intero edificio era circondato da ettari di verde dove gli studenti, in divisa scolastica, passavano il tempo. Alcuni si riunivano in gruppo per cantare, altri creavano uno spettacolo di ballo sul momento, ed altri, invece, se ne stavano semplicemente all'ombra degli alberi a parlare animatamente. La struttura era di un rosso Terra di Siena e attorno alle innumerevoli finestre c'erano delle decorazioni di marmo bianco; anche la scalinata che portava al portone d'ingresso era fatta di marmo; il portone era fatto di legno di quercia, anch'esso con vari ornamenti eleganti. Quando entrai, davanti a me c'era un immenso ingresso che terminava con delle imponenti e sontuose scale. Sopra gli scalini c'era un lungo tappeto rosso acceso; il corrimano era fatto di marmo con delle striature arancioni. Davanti alle scale c'era un incrocio che portava in tre direzioni: l'ingresso, un corridoio a destra e uno a sinistra. Alzai gli occhi per cercare la segreteria; la scoprii alla mia sinistra, poco prima dell'incontro dei tre corridoi. Dentro,mi trovai di fronte ad una scrivania grigia con dietro una signora alla vista molto occupata. Mi guardò da dietro i suoi occhialetti fucsia e disse: «Lei deve essere quella nuova del quarto anno. Salga le scale, dopo di che giri a sinistra, e quando sarà arrivata in fondo svolti ancora a sinistra, così arriverà alla Presidenza» poi tornò a lavorare senza aspettarsi una mia eventuale risposta.

Seguii le sue indicazioni e arrivai all'ultima stanza del corridoio, la Presidenza. La scuola era divisa in due ali, rendendo più semplice orientarsi. Alcuni ragazzi facevano avanti e indietro per i corridoi ma la maggioranza doveva essere fuori, nel prato, e nelle varie camere per sistemarsi. La Presidenza era elegante come il resto dell'edificio. Era tappezzata di foto di vari presidi; di qualche coppa, il più stava nelle teche nei corridoi; davanti all'entrata c'erano due sedie nere di pelle, una scrivania di legno scuro e una sedia girevole dall'altro lato, simile alle due di prima, girata verso una finestra che dava sul giardino; accanto alla porta c'era una pianta che emanava un buon odore di fresco. Chiusi la porta alle mie spalle. La sedia verso la finestra ruotò e mostrò un uomo, dedussi fosse il Preside.

«Tu devi essere Michela. Benvenuta alla Oxford Arts Academy! Io sono il Preside John Rockfield, ma puoi chiamarmi John» disse l'uomo.

Mi sorpresi del fatto che sapesse chi fossi. All'inizio me l'ero immaginato come un vecchietto rognoso e formale, invece, era l'opposto. Era giovane, di bell'aspetto e ispirava fiducia. Aveva i capelli castani legati dietro a formare un ciuffo; gli occhi marroni con un lieve accenno di verde; e vestiva in giacca e cravatta blu scuro, ma non gli conferiva un'aria dura, stonava solo un po' con il suo aspetto.

«Ti stai chiedendo come ho fatto a capire che eri tu, vero?» mi domandò sorridente.

Annuii in imbarazzo.

«Ti ho vista arrivare dalla finestra, ti stavo aspettando. Voglio accogliere bene i miei studenti» fece una pausa «Ti ho preparato la divisa. Là c'è un'altra stanza, puoi cambiarti lì» disse indicando una porta alla mia destra.

«Grazie. Allora vado...» entrai nell'altro locale.

La divisa era carina: una camicia bianca; una cravattina blu a righe verdi; un maglione blu a rombi verdi; una gonna scolaresca blu, sfortunatamente troppo corta per me, che arrivava alla metà coscia; delle parigine bianche di lana; e delle ballerine blu con un minuscolo tacco e un fiocchetto. Uscii dalla stanza cercando di tirarmi in giù la gonna. Appena il Preside notò che ero pronta pigiò sull'auto-parlante: «Il Signor Moore da me in Presidenza» lo spense e si rivolse a me «Il Signor Moore ti farà fare il giro dell'Accademia» mi spiegò.

Mi immaginai che il Signor Moore fosse l'assistente del Preside o il bidello imbranato e anziano della scuola. Nell'attesa John mi fece accomodare. Dopo sei minuti contati, la porta dietro di me si aprì e sentii una voce familiare.

«Signor Preside, cosa desidera?».

«Oh, finalmente Moore! Accompagneresti la tua nuova compagna a fare il giro della scuola?».

Non potevo sbagliarmi, quella voce era di... «Allen!» mi alzai e lo abbracciai.

«Michela! Cosa ci fai qui?».

«Regalo di compleanno dei miei» sorrisi.

«Che bella collanina» commentai indicando il suo ciondolo a forma di sole.

«Grazie. E' un regalo di papà».

«Hai visto tuo padre?».

«No, ma me l'ha fatta portare dal "messaggero"».

«E' stato comunque un bel pensiero, no?».

«Si, vero».

«Molto bene. Vi conoscete già, il sole e il gufo...» si intromise il Preside con fare inquietante.

«Okay... noi andiamo. Arrivederci Preside» Allen lo salutò e ci dileguammo.

«Te le prendo io» disse riferendosi ai miei bagagli.

«Grazie. Il Preside è stato parecchio strano» notai.

«Già. Ci ha chiamati il gufo e il sole...».

«Non sarà che...».

«No, non può essere».

«Giusto, non pensiamoci adesso. Come ti sono andate il resto delle vacanze?».

«Oh, molto bene! Ho invitato i miei amici nella mia villa e abbiamo festeggiato. Ho fatto una festa al giorno, quasi... tu invece?».

«Una noia mortale... non c'era molto da fare da me, dopo la mia strana scomparsa a fine maggio i miei amici facevano finta che non esistessi».

«Non preoccuparti, qui ti andrà meglio! Vieni, andiamo a posare le tue valigie».

«Ti iniziano a pesare? Non sei poi tanto forte, Mr. Muscolo» risi.

«E questo cos'è? Un altro soprannome?».

«Può darsi...».

«E per fartelo sapere: io sono forte. Sennò non ti avrei lasciato delle cicatrici sul polpaccio» disse indicandomi la gamba.

«Ancora con questa storia? Ormai si vede poco».

Durante la Caccia alla Bandiera del Campo, io e Allen eravamo contro e lui mi aveva tirato una frecciata al polpaccio, così avevo ancora il segno.

«Oh, ecco. Siamo arrivati: camera numero sessantasei».

Allen aprì la stanza e mi consegnò le chiavi. Era piccola ma ordinata. In fondo alla stanza c'era un letto a castello di legno davanti a un grande armadio e in mezzo una finestra; vicino alla porta c'erano due scrivanie e una libreria; tra l'armadio e una scrivania c'era la porta del bagno. Era la tipica camera da dormitorio. Allen mi aiutò a portare dentro le valigie; le sistemammo sul letto in basso così da far capire alla mia coinquilina che io non volevo dormire di sopra.

«Quindi il tuo cognome è Moore, eh?» gli domandai, mentre mettevo i vestiti nei cassetti dell'armadio.

«Sì, il cognome di mia mamma. Non credo che Apollo abbia un cognome».

Mentre sistemavamo i vari oggetti che mi ero portata dietro, davanti alla finestra apparve un messaggio Iride.

«Michela, ci sei? Sei arrivata?».

«Ciao Nico! Si, questa è la mia stanza, e guarda qui. Signor Moore!».

Allen era sotto il letto per controllarne la rete; suppone che possa crollare durante la notte. Cercò di uscire di lì. «Dai, smettila, non chiamarmi per cognome!».

Nico si pietrificò a sentire la voce di Allen.

«Ch-che bello! A quanto pare sei proprio quell'uno su un milione» commentò Nico.

«Ciao zombie! Come va lì nell'oltretomba?» gli disse Allen appoggiandosi a me.

«Hey, questo è sfruttamento dei diversamente alti» affermai.

«Sai, mi piacerebbe che mi venissi a trovare e restassi qui per sempre, Allen» gli rispose Nico sorridendo.

«E' bello vedervi andare d'accordo, sapete?» dissi.

«Oh, si. Sfortunatamente devo lasciarvi. Devo tornare da mio padre, ci si sente!».

«Simpatico come sempre, eh?» disse Allen ironico.

«Hey, non fare battute sul mio ragazzo, solo io posso» lo brontolai.

«Okay, scusa. Su, ti faccio fare il tour dell'Accademia».

L'Accademia era divisa di due ali. Prima mi mostrò quella che secondo me era la meno importante: «In questa parte ci sono i dormitori. Fanno una stanza sì e una no per maschi e femmine. Dopo le dieci e mezza non si può uscire dalle proprie stanze. Io una volta ci ho provato e quando il Preside mi ha scovato è sembrato inumano, nel vero senso della parola, quindi non ci provare».

«Nell'altra ala, dove c'è la Presidenza, e nella parte orizzontale ci sono le varie classi, i teatri, le sale da ballo, la palestra e la mensa».

Per i corridoi incontrammo un gruppo di quattro ragazze dai capelli biondi e mossi. Avevano tutte l'aria di chi si monta un po' troppo la testa.

«Hey Allen! Perché vai in giro con quella novellina sfigata?» disse la ragazza centrale del gruppo. Aveva gli occhi azzurro cielo e si era truccata in modo da far risaltare le labbra e le ciglia. Le altre ragazze avevano le sue stesse caratteristiche, tranne che erano truccate e risaltavano meno. Quella a destra aveva gli occhi verde smeraldo; quella di sinistra gli aveva azzurro ghiaccio; e quella dietro gli aveva verde acqua. Le ultime due avevano le sopracciglia marroni, segno del fatto che i capelli se li erano tinti.

«Le faccio fare il giro della scuola. Non è sfigata» mi difese Allen.

«Non sei in grado di difenderti, perdente?» continuò ad attaccare briga l'altra.

«Dejà-vu...» dissi.

«Cosa hai detto, pivella?» chiese lei.

«Niente. Non hai un buon orecchio per essere in una scuola delle arti».

«Tusché!» se la rise Allen.

«Come puoi vedere so difendermi da sola, Barbie» continuai.

«Oh, che arrogante! Ci rivedremo. E Allen... la prossima volta preferirei fossimo soli».

Le ragazze se ne andarono e ci lasciarono nel corridoio.

«Hai ragione. È divertente vedere le persone litigare» commentò Allen.

«Ah ah ah. È stato come un dejà-vu: ho avuto una conversazione simile con Clarisse».

«Se te la sai cavare con lei, puoi cavartela con tutti!».

«Vero. E comunque ho visto che hai fatto breccia nel cuore di quella Barbie. Ma che bravo! Ora sei: Johnny English il Conquistatore!».

«Si, questo è il secondo anno che mi viene dietro e sarà il secondo che la rifiuterò».

«Prova almeno a darle una possibilità!»

«Come tu hai fatto con me?».

Ci fermammo. Era una domanda imbarazzante a cui non avevo mai pensato.

«Lascia perdere, fai finta che non l'abbia detto. Voglio farti vedere un posto».

Mi prese la mano e corremmo per i corridoi finché non entrammo in una sala immensa. Era un teatro interamente di legno verniciato d'oro e decorato con drappi e tappeti rossi.

«Dai, sali sul palco» mi incitò Allen.

«Però vieni anche tu».

Salimmo e il panorama era bellissimo: centinaia di poltrone rosse davanti, e ai lati c'erano dei soppalchi.

«Ora chiudi gli occhi e prova ad immaginarti tutti i posti occupati. Sono qui per vedere te».

Chiusi gli occhi e iniziai a cantare "Just a dream" di Nelly:

«I was thinking about you, thinking about me, thinking about us, what we gonna be? Open my eyes... it was only just a dream...».

All'ultima frase si unì anche Allen; poi aprimmo gli occhi, ci guardammo e ci mettemmo a ridere. Non avevamo mai pensato ad una situazione del genere. Qualcuno si avvicinò battendo lentamente le mani.

«Bravi, bravi e ancora una volta bravi! Sembrate fatti per cantare insieme. E poi tu, Michela, sei veramente spettacolare! Ho fatto un buon acquisto» era il Preside.

«Grazie» diciamo io e Allen all'unisono.

«Michela, il tuo è un talento sprecato per stare con quelli della tua classe. Che ne dici se ti dò il permesso per entrare a far parte della sua?» disse John, e alla parola "sua" indicò Allen.

«Beh... non sarebbe male. Grazie infinite!».

«Bene, allora andrò subito a registrarti. E correte a prepararvi: tra un'oretta si cena» il Preside com'era arrivato se ne andò; in silenzio.

«Ti accompagno alla tua camera, non voglio che ti perda» mi disse Allen, quando fummo fuori dalla sala, in corridoio.

«Grazie. Sai che ore sono?».

«Dovrebbero essere le sei, visto che noi ceniamo alle sette».

Quando arrivammo davanti alla stanza, io aprii la porta.

«Grazie ancora di tutto, e... ciao» dissi, con l'intenzione di entrare.

Allen però si avvicinò. Controllai che non ci fosse nessuno nel corridoio, erano tutti a prepararsi per la cena; toccai il mio anello col gufetto e puntai il pugnale che ne uscì contro di lui. «Okay, okay, me ne vado» si arrese.

Lo guardai sparire dentro un'altra stanza non molto lontana; varcai la soglia della mia e notai una ragazza nel letto di sopra che leggeva un libro dalla copertina gialla e nera.

«Ciao. Devi essere la mia compagna di stanza. Io mi chiamo Michela» mi presentai, con un espressione abbastanza ovvia.

Lei spostò lo sguardo dal libro, lo chiuse, e scese dal letto con un salto che le fece svolazzare un po' la gonna. Aveva, anche lei, la divisa ma non portava il maglione; i capelli biondi lisci fino al gomito le donavano molto, incorniciandole il viso; gli occhi marroni avevano un brillio arguto; aveva un naso piccolo, leggere sopracciglia, labbra rosee come le guance, e una pelle chiara che si addiceva alla popolazione inglese; aveva una figura esile, ed era poco più alta di me; aveva un viso simpatico ed era truccata leggermente, come se costretta da formalità, e non aveva niente a che fare con le ragazze che avevo incontrato poco prima nel corridoio.

«Piacere, io sono Lindsay. Menomale che ci sei tu! La compagna dell'anno scorso era veramente antipatica» disse tutto d'un fiato la mia nuova coinquilina.

«Spero di piacerti, allora! Io ho sedici anni, ma farò lezione con quelli di diciasette, tu...» stavo per dire.

«Vuol dire che saremo in classe insieme, almeno abbiamo gli stessi orari scolastici!» esultò lei.

«Giusto. Tu sei già pronta per andare a cena?».

«Sì, il bagno è tutto tuo!».

«Okay, grazie».

Quando fui pronta, sistemai le mie ultime cose che avevo in valigia; poi Lindsay vide una foto che ritraeva me e Nico. Una foto semplice, scattata sui gradini dell'arena dopo uno dei soliti allenamenti giornalieri, in cui ci tenevamo per mano, e invece che guardare l'obbiettivo, ci guardavamo dolcemente negli occhi sorridendo.

«Oh, ma che carini! Lui chi è?» fece un'espressione maliziosa, mentre si avvicinava con la foto puntata su di me.

«Lui è il mio ragazzo, Nico» dissi semplicemente.

«Che fortunata! E dov'è?».

«E' a Los Angeles, vive lì».

«Ma guardati, sei tutta rossa! E hai un sorriso che va da un orecchio all'altro...».

«Se prima o poi lo incontrerai... non dirglielo, ti prego. Me lo rinfaccerebbe».

«Ma state insieme, perché dovrebbe farlo?».

«Siamo una strana coppia».

«Concordo. Sarà meglio andare a mensa».

La mensa era veramente grande. Beh, doveva ospitare centinaia di studenti dai tredici ai diciotto anni. Per cena c'era: penne al pomodoro, insalata, e una mela. Ci sedemmo a un tavolo vuoto, nel frattempo Lindsay mi spiegava come funzionavano le cose all'Accademia.

«La maggior parte dei ragazzi sono ricchi, ma hanno la testa apposto; poi, come in ogni scuola, c'è il gruppo dei popolari: prevalentemente sono persone vanitose che puntano al successo e alla fama, beh... come tutti del resto. Vedi quel tavolo laggiù? Quello centrale».

Individuai il tavolo principale, più grande e bello degli altri, e annuii.

«E' il loro tavolo. Sono per metà di classe nostra e per l'altra parte di studenti dell'ultimo anno. I ragazzi sono tutti fantastici e la gran parte delle ragazze gli sbava dietro, però alcuni sono un po' sfrontati. Invece, le ragazze di quel gruppo sono tutte delle arpie, si montano la testa».

«Credo di averne incontrata una nel corridoio, l'ho chiamata Barbie» dissi con tutta la naturalezza del mondo.

«Hai avuto il coraggio di risponderle?» domandò sconvolta.

«Sì, odio quando mi prendono in giro. Sono fatta così, non riesco a stare zitta».

«Tu sei proprio forte!» esclamò, dopo aver tirato giù una forchettata di penne.

«Grazie. E' solo che non voglio farmi mettere i piedi in testa da nessuno».

«Hey, uno dei ragazzi popolari sta guardando dalla nostra parte! Oddio, guarda quant'è bello!»

Guardai dove stava indicando.

«Ma chi, Allen? Deve perdere l'abitudine di fissarmi» commentai mentre mettevo un po' di aceto sull'insalata.

«Tu conosci Allen Moore?».

Annuii e poi, dopo aver mandato giù un boccone , risposi.

«Perché?».

«E' uno dei ragazzi più amati e ammirati di tutta la scuola. Come fai a conoscerlo?».

«Quest'estate eravamo insieme ad un campo estivo».

Lindsay mi guardò con occhi adoranti.

«Ho deciso: da oggi sei il mio idolo!» esclamò, sbattendo la forchetta sul tavolo.

Risi «Grazie, ma non so se esserne fiera...».

«Sh...! Sta venendo qui!».

Sospirai, posando le posate e guardando in direzione di Allen. Ero felice che ci fosse qualcuno che conoscevo all'Accademia, ma... lui era anche fin troppo presente.

«Non riesci ancora a smettere di guardarmi mentre mangi?» gli chiesi, scherzando.

«Come potrei smettere? Non posso farne a meno» mi sorrise lui.

«Penso che tu ti ci debba abituare, Moore».

«Smettila di chiamarmi per cognome. Preferisco mille volte Johnny English o Mr Muscolo!».

«Lo so, i miei soprannomi sono imbattibili!»

Ridemmo per un po' mentre Lindsay ci guardava a bocca aperta.

«Hey Lindsay, perché quella faccia?» la notò Allen.

«Ti ricordi di me?» chiese lei sorpresa.

«Ovvio. Sei in classe mia dalla seconda, sono quattro anni!»

«Ora posso morire felice» disse lei, appoggiandosi alla sedia, sollevata.

«Esagerata» dissi, mentre continuammo a ridere.

Barbie venne verso di noi e prese Allen a braccetto.

«Hey, perdenti. Vi porto via Allen, okay?» disse, sfoderando il suo finto sorriso.

«Certo Barbie, fai pure» le risposi.

Mentre lo trascinava via, Allen mimava con la bocca «aiutami!», io per risposta gli feci la linguaccia.

«Pensavo che, nonostante fossi in classe sua, non si ricordasse di me. Il tipico comportamento da popolare, in pratica» riprese Lindsay.

«Io voglio farmi notare. Voglio realizzare il mio sogno e sono qui per questo» dissi, con sicurezza.

«Allora buona fortuna, a Carin non piacerà» commentò lei, inforchettando l'insalata.

«Chi è Carin?».

Lindsay fece un segno col capo verso il tavolo dei popolari, poi ingollò, e disse solamente.

«Barbie».

«Ah... allora ha anche un nome» considerai guardando il mio piatto.

«Che stupida».

Ridemmo per un po', infine conclusi «Penso che Carin ci dovrà fare l'abitudine».

Ci conoscemmo per il resto della cena. Scoprii che Lindsay aveva il padre scrittore di libri gialli, da cui lei ereditò la grande passione per la lettura, e la madre proprietaria di un ristorante in centro; viveva a Londra e aveva due pastori tedeschi di nome Susy e Lily; aveva un fratello maggiore di nome Dan. Arrivati al “dessert” lei diventò più strana di quel che era. Guardava prima me e poi Allen, dopo nuovamente me, poi lui.

«Sai cosa abbiamo scoperto l'anno scorso?» mi domandò.

«No, cosa?» chiesi curiosa, mordendo la mela.

«Abbiamo scoperto che possiamo capire come un ragazzo o una ragazza bacia guardando come mangia una mela» disse tutta soddisfatta.

«Okay, questa è una cosa assurda» la interruppi, per poi dare un altro morso.

«E Allen ti sta osservando» concluse Lindsay.

Per poco non sputavo la mela, o magari mi ci strozzavo.

«Cosa??».

«Mi sembra di essere stata chiara: Allen sta guardando come mangi la mela».

«Non credo sia una cosa sensata».

«E perché non dovrebbe esserlo?».

«Allen mi ha visto baciare il mio ragazzo, perché, ora, avrebbe bisogno dell'aiuto di una mela?».

«Non so... magari vuole prendere il posto del tuo ragazzo?».

«Non lo pensare nemmeno. Non voglio vivere il dejà-vu di quest'estate».

«Quindi...».

«No, lascia perdere, Lindsay. Sarà meglio andare in camera».

Non le diedi il tempo di ragionare e tornammo in camera. Ci infilammo nei letti e mi addormentai quasi subito.

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Capitolo 2
*** Teste bionde a non finire ***


La mattina mi destò la sveglia di Lindsay alle otto. L'aveva messa sul mio comodino la sera prima; aveva la forma di un orsacchiotto di peluche e faceva un suono assordante. Tirai un calcio verso il letto della mia compagna, che fece qualche grugnito e poi rispose: «Sì, mi alzo...». Sospettai che prima che si fosse alzata ci avrebbe messo ancora un po', così mi andai a preparare. Mi misi la divisa e poi, mentre mi stavo pettinando, Lindsay mi chiamò «Michela, qui c'è qualcosa per te!». Andai da lei legandomi i capelli davanti in una codina da mettere dietro. -C'era questo vicino alla porta- mi informò, porgendomi un foglietto bianco, sbadigliando. Lo presi e lo lessi ad alta voce:

-Per Michela

Buon primo giorno! Alla prima ora ci sarà inglese e il prof potrebbe volerti sentire, quindi in bocca al lupo!

A dopo,

Allen-

-Che dolce- commentò Lindsay.

-E' solo un amico che si preoccupa- la corressi, come per chiudere lì l'argomento.

La colazione inglese, come un po' anche gli altri pasti, era molto strana. In quei momenti rimpiangevo casa e il cibo del Campo; uova a colazione, ma perché? Fummo le ultime a fare colazione, e iniziavo a sentire un po' di agitazione. Lo aspettavo da tutta la vita... dovevo farcela.

-Dov'è l'aula di inglese?- domandai a Lindsay, mentre uscivamo dalla mensa.

-Si trova all'inizio dell'ala sinistra al primo piano. Come stai?- mi domandò.

-Bene, spero. Sono solo un po' tesa- sospirai.

-Stai tranquilla, ci riuscirai. Dopo un po' ti sciogli ed è come se nulla fosse, è facile- mi incoraggiò.

Io annuii, lei spinse la porta di una stanza, ed entrammo. Era un piccolo teatrino con di fronte una quarantina di sedie, come un'aula magna; neanche la metà dei posti erano occupati; nello sfondo del palco c'erano dei drappeggi rossi. Un uomo in giacca marrone e cravatta gialla parlava ai ragazzi dal palco. Era alto e ben ritto in piedi nonostante si notasse che la sua giovinezza era sparita, aveva i capelli grigi che al centro della testa lo stavano abbandonando, gli occhi dello stesso colore emanavano dolcezza e gentilezza. Mi vide e si distrasse dal suo discorso.

-Oh, bene! Io sono il professor Davies, piacere. Ora, vieni qui sul palco accanto a me e presentati ai tuoi nuovi compagni- il professore mi fece segno di raggiungerlo.

Tutti i ragazzi, più o meno quindici, si voltarono verso di me mentre salivo gli scalini. Mi saltò subito all'occhio una chiazza di teste bionde, contaminata da qualche chioma scura o particolare. Vidi Carin, accanto alle sue amiche e Allen, che era sconvolta di vedermi lì.

«Cosa ci fa lei qui?».

«Starà nella vostra classe, per richiesta del Preside, anche se ha un anno meno di voi» le spiegò il professore.

«Piacere di conoscervi, io mi chiamo Michela e vengo dall'Italia» dissi rivolta verso la classe.

«Che ne dici se ora, per vedere se sei all'altezza dei tuoi compagni, ci canti... ehm... “I need your love” di Ellie Goulding?».

Annuii e timidamente presi il microfono tra le mani. La musica partì. Carin era ancora turbata per la notizia, e mi stava guardando con aria vendicativa. Io ero nervosa ma, dopo il primo pezzo, i ragazzi cominciarono a battere le mani a tempo; ciò mi dette la carica che mi serviva per sciogliermi, così mi lasciai andare. Alla fine il professore applaudì e gli altri lo imitarono.

«Molto bene, puoi rimanere tra noi» si congratulò lui, poi si rivolse agli altri «Allora, ragazzi venite qui! Iniziamo con un po' di vocalizzi per sgranchirci la voce».

«Sei fortissima!» esclamò Lindsay, mentre mi raggiungeva.

«E non sai quanto...» aggiunse Allen, mettendomi un braccio intorno alle spalle.

«Grazie, e... Allen, visto che sai quanto sono forte, togli il tuo braccino di qui» dissi, intanto che levavo il suo braccio dalle mie spalle.

Allen si allontanò ridendo con un suo amico.

«Ottimo, così si fa! Sei brava a cacciare i ragazzi sai?» mi disse Lindsay.

«Una mia amica mia ha detto la stessa cosa» commentai.

«Sei troppo dura con lui, voleva solo complimentarsi con te».

«Io ho un ragazzo a cui ho promesso di tenere Allen lontano da me, sennò lo farà finire negli Inferi».

«Intendi... che lo ucciderà?» domandò lei perplessa.

«Oh, sì. Sì, certo, è un modo di dire che si usa dalle mie parti».

«Ah, capito».

Non era molto divertente fare vocalizzi, ma almeno era una possibilità per liberare la mia voce; tutti insieme facevamo un bel coretto.

Le prime lezioni di ginnastica furono all'aperto. Eseguivamo vari giochi che si potevano praticare solo in alcuni periodi dell'anno. Il giardino sul retro era molto esteso. Avevano sistemato dei bersagli colorati a cerchi arcobaleno. Sospettavo cosa ci avrebbero fatto fare.

«Allora, finché ne avremo la possibilità, alleneremo le braccia e correggeremo le posture rovinate dalle vacanze» annunciò il professore di Attività Fisica. Era giovane rispetto ai suoi colleghi. Aveva i capelli marroni, pelle chiara, e occhi grigi molto attenti a qualsiasi movimento. Indossava delle scarpe da tennis nere, dei pantaloni da tuta blu, una canottiera nera con sopra una felpa blu. Camminava con passo tranquillo davanti a noi. Fece una pausa, e si soffermò su di me.

«Oh, tu devi essere la novità. Io sono il professor Smith. È il primo anno che frequenti questo tipo di scuola?».

«Si» dissi timidamente.

«Prima cosa frequentavi?».

«Una scuola di turismo».

«Spero riuscirai a stare al passo con i tuoi compagni e sappia tirare con l'arco, per ora» prese un arco e una freccia dalla faretra e tirò centrando in pieno il bersaglio.

«Ora sta a voi» disse con un segno di benvenuto.

I ragazzi si distribuirono davanti ai bersagli e presero ognuno una faretra e un arco. Allen si sistemò alla mia sinistra con una scusa.

«Non si sa mai, potrebbe servirti ancora il mio aiuto» mi sorrise e poi centrò l'obbiettivo.

Io ci andai vicina. Solo Allen riusciva sempre a prendere il segno, gli altri fecero più o meno come me.

«Molto meglio di quest'estate» commentò Allen, girandosi verso di me.

«Che simpatico sei» mi concentrai e presi il bersaglio per la prima volta.

«L'ho preso!» esclamai.

«Ti ci è voluto, eh...» disse Allen, ridendo.

«Complimenti, Michela. Sei molto più avanti di questi ammassi di ruggine a quanto pare. Meglio così» si congratulò il professore.

Poco dopo suonò la campanella e dovevamo dirigerci a Storia della Musica.

«Non è che fate anche gli allenamenti di scherma qui?» chiesi ad Allen mentre camminavamo in un corridoio.

«Oh, certamente. Perché? Non vedi l'ora di battere Carin in qualcosa?» domandò scherzando.

«Io stavo pensando a battere te, invece, sarà divertente vedere come l'idolo di tutte cade in basso»

Allen rise di gusto. «Non è che qui qualcuno è geloso?»

«Chi? Io? Bella battuta. Voglio solo eclissare le persone che pensavano fossero importanti. Voglio far capire che anche gli altri possono essere fantastici come loro, che siamo tutti uguali. Sembra ci sia una gerarchia a scuola. I popolari, detti anche ricconi, stanno in cima e quelli come me o che vengono ritenuti inutili dai “favolosi” stanno in fondo».

«Hai appena detto che sono favoloso e fantastico» mi fece notare sorridendo.

«Di tutto il discorso hai sentito solo quello? Questo spiega molte cose... entra in classe che è meglio» lo spinsi oltre la porta e andammo a sederci.

L'aula era diversa dalle altre. Era una normalissima stanza da lezioni con banchini, cattedra e lavagna multimediale. I muri erano adornati di quadri e foto di personaggi importanti nella musica, collegati da una linea del tempo. Dalle prime divinità musicali fino ai cantanti di oggi come “Thirty seconds to Mars”, “Five Seconds of Summer” o “Shakira”. Storia della Musica la si inizia in quarta e la si studia fino al sesto anno, ma non con ordine cronologico. Dipende da cosa la professoressa ha voglia di raccontare. L'anno prima hanno affrontato l'argomento “Medioevo” e “Dopo prima guerra mondiale”, quindi sono ancora in tempo per conoscere qualcosa. La stanza sapeva di biscotti al cioccolato e l'odore era spiegato dalla professoressa appena entrata in classe. Fece l'appello mentre mangiava il suo ultimo dolcetto, lesse il mio nome e andò avanti. Preferì non ci fossero cerimonie per la nuova arrivata come sono state fatte nelle prime ore. La professoressa si chiamava Orlanda Ones. Ha quarantadue anni, capelli neri ondulati, occhi marroni, è piuttosto alta e ha una passione per la cucina. Ha passato l'intera estate a cavalcare la sua cavalla Rosie nel grande giardino della sua villa. Abbiamo passato tutta l'ora ad ascoltarla parlare delle sue vacanze e a far ingigantire il suo ego. Per pranzo ci avviammo alla sala mensa.

«Adesso preparati» mi disse Lindsay.

«Per cosa?»

«I nostri compagni si installeranno al nostro tavolo per conoscerti... o meglio per farsi conoscere. Così saprai della loro grandezza e avranno un nuovo suddito al loro regno».

Dopo aver preso la mia fettina di manzo con patate e due mandarini, mi avviai con Lindsay ad un tavolo vuoto. Entro poco tutti i ragazzi con cui avevo passato la mattinata si sedettero al mio tavolo. Gli unici che non vennero furono Allen e un suo amico dai capelli bruni. Accanto a me si sistemò un certo Ray Dixon, un ragazzo alto e biondo pure lui, il cui padre era un attore e la madre una modella, lo si vedeva dal suo atteggiamento pomposo che la fama gli piaceva. Davanti a me si installò Philip Lee, un biondino dagli occhi azzurro ghiaccio che rappresenta fieramente la controparte maschile di Carin; a differenza degli altri i suoi non facevano parte del mondo dello spettacolo: suo padre era un “semplice” banchiere, ricco, con tanti soldi, ed ha trasmesso la sua mentalità di superiorità al figlio, la madre, invece, è un'istruttrice di fitness che dedica la sua vita alla forma fisica. Al suo fianco c'era Shane Bailey, un ragazzo dai capelli biondo cenere e occhi marroni, sta dalla parte dei popolari e fa credere loro di avere parenti famosi mentre i suoi hanno una piccola libreria (informazione segreta ottenuta da Lindsay).

Tutt'intorno c'erano delle ragazze, Carin compresa, che abbracciavano i ragazzi. La Adams mi perdonò per averla contrastata in corridoio dicendo che non sapevo con chi avevo a che fare, iniziò a parlarmi della sua super vita: adora tutte le discipline ed è sicura che finirà a Broadway o Hollywood, essendo i suoi genitori due importanti attori di fama mondiale. La servetta di Carin, detta anche Deborah Young, aveva occhi verde acqua e le sopracciglia marroni che risaltavano molto sotto i suoi capelli biondo platino mossi innaturali, aveva ereditato da suo padre la passione per i film e il teatro e per questo adorava recitare.

Due ragazze, invece, tenevano a braccetto Carin: erano le amichette che passeggiavano in corridoio con lei il giorno prima. La prima, Emerald Oliver, aveva gli occhi luminosi come lo smeraldo, rispecchiando il suo nome, era la migliore amica di Carin da quando avevano cinque anni. La seconda era Zara Vincent, una ragazza minuta ma dagli occhi azzurro ghiaccio magnetici che adora il francese e spera di poter vivere a Parigi un giorno.

Quell'enorme mucchio di informazioni mi stava facendo venire il mal di testa. Lindsay era scomparsa dal tavolo e si era andata a sedere con Allen e il suo amico. Continuai ad annuire sorridente finché non se ne andarono. Magari loro mi avevano chiesto “Va bene per te se dopo scuola ti facciamo volare con un cannone?” e io avevo risposto di sì, esaltante. Spiaccicai la faccia sul tavolino, sperando in un po' di pace. Qualche minuto più tardi sentii muovere la sedia, finalmente Lindsay era tornata da me. Quando alzai la testa però non era lei che vidi ma un ragazzo. Aveva la pelle scura, capelli neri mossi e due occhi marroni che mi guardavano divertito. Non oso immaginare come devo averlo guardato. Sembravo spaventata? Scioccata? Curiosa? Sconcertata? Trovai subito risposta.

«Hai visto un fantasma? Dov'è? Dov'è??» esclamò pauroso il ragazzo davanti a me.

«Non preoccuparti, principessa. Cioccolatino non ti mangia. Noi non siamo gli altri» rise un ragazzo alle mie spalle mettendosi seduto accanto a me. Fece segno con la testa verso i ragazzi “super” che se n'erano da poco andati. Aveva gli occhi blu notte, e i capelli castani erano sistemati alla ben e meglio con il gel.

«Io sono Neal Elliott, piacere. E lui è Otis Kent» si presentò sorridendo.

«Cioccolatino sa presentarsi da solo, sai?» disse offeso.

«Allora, come puoi aver capito io sono Otis Kent. Ho un nome da cane e sono l'unico cioccolatino vivente» fece una risata maligna, inquietante.

«Se continuate così, ragazzi, la spaventerete» disse una ragazza mettendosi alla mia destra.

«Mi chiamo Sophie Price» mi strinse la mano.

«Condoglianze per quel che ti sei dovuta subire prima» continuò con un sorriso sincero. Aveva i capelli lisci e rossi che le incorniciavano il viso e, per rendere il tutto un po' più fantastico, gli occhietti verdi luccicavano di simpatia.

«Noi non ti vogliamo assalire, vogliamo solo conoscerti» disse lei.

«E farti passare al nostro lato oscuro invece del loro» concluse Neal.

«Già, siamo tremendi. Due volte al mese ci raduniamo per sgraffignare qualcosa di buono dalla mensa, di notte. Se qualcosa di buono c'è» disse una ragazza mettendosi accanto a Otis. Aveva i capelli neri a caschetto ricci, una rarità in quella scuola. Di certo la si notava subito. Anche gli occhi avevano un che di speciale. Erano color nocciola con un accenno di oro che li rendevano preziosi. Erano uno strano gruppo ma preferivo loro a tutte le teste bionde dei popolari.

«Io mi chiamo Beth Newton» si appoggiò il viso sulle mani e mi sorrise.

«Quindi voi... siete una banda di ribelli? Nel senso buono ovviamente» riuscii a dire.

«Ci rivoltiamo contro la gerarchia scolastica, sì, non sopportiamo quei simpatici meno di te» disse un altro ragazzo apparso accanto ad Otis.

«Da che pulpito, eh?» esclamarono Neal e Cioccolatino all'unisono.

Il nuovo arrivato era biondo come gli altri. Oddei, un altro? Si sistemò i capelli per rivolgersi ai compagni.

«Io non sono più come loro, vi prego. Risparmiatemi la solfa. Sono in ritardo perché Emerald mi voleva far tornare al lato oscuro» si scusò.

Ora gli vidi gli occhi. Erano marrone scuro con un piccolo accenno color smeraldo. I capelli gli ricaddero sulla fronte e lui, prontamente, se li ritirò indietro.

«Ma ti prego, Felix. Li chiami ancora per nome? Così gli dai solo importanza» lo corresse Neal.

«Per oggi sei perdonato, non vogliamo fare brutte figure con la nuova arrivata. Ne ha già passate troppe per oggi» disse Beth facendo un cenno verso di me.

«Tranquilli, non vi avete sconvolta più del dovuto» risposi sarcastica.

«Menomale» commentò Otis sempre sorridente.

Iniziammo a ridere insieme, mi salutarono e tornarono ai loro tavoli.

 

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Capitolo 3
*** La nuova ala ***


Le lezioni di vocalizzi andarono avanti per almeno una settimana ed ebbero uno strano effetto sulla mia voce. Si stabilizzò e, non essendo abituata a fare esercizi di questo genere, divenne unica, senza enormi sbalzi di tono. Quando il professor Davies ci lasciò qualche minuto di pausa, notai Allen bere qualcosa a me familiare così mi avvicinai.

-È nettare?- gli chiesi curiosa.

Annuì. -Ne vuoi un po'?-

-Oh sì, ti prego! È dall'incontro con i ciclopi che non ne bevo- esclamai.

Allen mi zittì. -Sh! Abbassa la voce. Non mi ricordare quel giorno, lo odio-

-Va bene, grazie per...- stavo per prendere la bottiglietta ma lui la ritrasse.

-Ah ah ah, tutto ha un prezzo- sorrise scherzoso.

-Cosa vuoi?- chiesi stufa di saltare nel tentativo di arrivare alla fiaschetta.

-La stessa cosa che ho cercato di rubarti tutta l'estate, un bacio- mi guardò divertito incrociando le braccia al petto.

-Un bacio per un sorso di nettare? Tu sei tutto pazzo!- rifiutai.

-Sì, lo so, pazzo di te- mise la bottiglietta nel borsone, continuando a ridere.

-Mh...mi fai impazzire!-

-Spero in senso buono- continuò a tempestarmi dei suoi splendidi sorrisi.

-Non ti sopporto quando fai così!- girai i tacchi e andai da Lindsay brontolando.

Nell'ora dopo ci fu la lezione di recitazione.

-Allora ragazzi, adesso farete un po' di esercizi di coppia ma prima vorrei dirvi una cosa. A febbraio inizieremo le prove per un musical e i ruoli verranno decretati dai voti che avrete in tutte le materie- annunciò il professore, girovagando per il palcoscenico.

Alla parola “coppia”, Allen si voltò a guardarmi.

-E ora gli esercizi! Dovete fare tutto ciò che farà il vostro partner. Le coppie le decido io, allora...- finii in coppia con Allen, la cosa mia terrorizzava.

-Devi imitarmi, ricordi?- mi disse lui con un sorrise scaltro.

-Sì, lo so, ma non pensare di approfittarne- mossi le mani come se fossi davanti ad uno specchio, sperando che mi imitasse.

-Non so se accontentarti...- si avvicinò prendendomi il viso tra le mani; mi scansai.

-Prof Oakins, posso cambiare partner? Con il mio ho qualche problema-

-Certamente, Carin vai al posto di Michela-

Lei ne era entusiasta, al contrario di Allen. Il compagno di Carin era un certo Ton, aveva i capelli castano scuro e gli occhi marroni; non sembrava sgradevole anche se continuava a parlare del figlio di Apollo.

-È un bravo ragazzo, dagli una possibilità- mi disse mentre mimavamo.

-Sono felicemente fidanzata- risposi tranquilla.

-Sai, io lo conosco bene. È stato abituato sin da piccolo ad avere tutto ciò che vuole essendo ricco. Penso che non si arrenderà facilmente, è testardo- mi spiegò. -Se sei fortunata, però, lui avrà Carin attaccata quasi sempre-

-Lo spero, così capisce com'è averci qualcuno come lui vicino costantemente-

-Povero il mio amico, non è così insopportabile come Carin- rise Ton.

La sua risata era contagiosa; almeno lo copiavo come l'esercizio richiedeva.

-A quel livello credo non ci sia nessuno, comunque deve ancora farsi perdonare per prima- assunsi una finta espressione offesa, e lui mi imitò. -Si farà perdonare qualunque cosa-

Non erano esercizi molto sensati, ma se servivano...non lo so. A ricreazione mi diressi verso la mia camera. Stavo aprendo la porta quando qualcuno mi spinse dentro e caddi a terra. La serratura scattò.

-Chi è il coglione che...- dissi mentre mi rialzavo; poi lo vidi. Allen era davanti alla porta.

-Oh, Allen, come sei delicato- commentai.

-Scusami, mi sentivo inseguito- si appoggiò alla porta coprendosi il viso con le mani.

-Inseguito da chi?-

-Direi più da cosa...non lo so, ho avuto una strana sensazione-

-E perché saresti qui?-

-Ti stavo portando una bottiglia di nettare e sentendomi osservato ho aumentato il passo. Ho visto qualcosa o qualcuno, non lo so, che mi sembrava avventarsi su di te; ho reagito d'impulso e ti ho buttata dentro. A raccontarla sembra un'idiozia...me lo sarò immaginato. Torno in camera mia- lasciò il nettare sulla scrivania e aprì la porta. Notammo dei segni d'artigli su di essa. -Penso tu abbia visto bene- gli dissi riportandolo dentro e chiudendo la porta alle sue spalle. -Conviene stare attenti, non sappiamo cosa sia. Hai qualcosa per difenderti?- continuai.

-Ho il coltello di Ryan-

-Perfetto...allora stai attento fuori- gli aprii la porta.

-Certo, e...scusa per prima. È dura trattenermi, mia madre mi ha sempre raccontato che papà è quel tipo di persona, devo aver preso da lui- si scusò in corridoio.

-Tranquillo, ora vai. Devo fare una chiamata privata-

-Salutami Nico, a dopo- disse dirigendosi verso camera sua.

Andai in bagno e aprii il cassetto dove nascondevo una manciata di dracme d'oro. Creai un arcobaleno con l'acqua del rubinetto e vi gettai una monetina.

-Accetti quest'offerta, divina Iride, e mi mostri Nico Di Angelo negli Inferi, per favore-

Al posto dell'arcobaleno apparve l'immagine di un ragazzo di schiena, il quale stava dando indicazioni a degli scheletri.

-Nico!- lo chiamai. Il ragazzo si voltò, era sporco di fuliggine sul viso.

-Hey, Michela. Non è un buon momento-

-Neanche per me...abbiamo scoperto che c'è un mostro a scuola. Se non fosse per Allen, ora non sarei qui a parlare con te-

-Non voglio lasciarti da sola con un mostro alle calcagna, ma non posso lasciare gli Inferi. L'unica cosa positiva di Allen è che ti difende-

Lo guardai dolcemente pensando a quanto possa essere carino da geloso. Nico mi sorrise di rimando. -Sfortunatamente devo andare. Stiamo costruendo una specie di autostrada...e c'è bisogno del mio aiuto. Stai attenta, non voglio vederti apparire qui negli Inferi-

-Mi...- la chiamata scomparve. -...manchi-

Sembrava non volesse parlare con me, sapevo fosse impegnato ma...meglio non pensarci.

Durante la lezione seguente, in palestra, non parlai con nessuno, volevo starmene per i fatti miei con i miei pensieri. A pranzo, però, Lindsay mi fece sputare il rospo.

-Cos'hai?-

-Niente- risposi indifferente guardando il piatto.

-Dai, dimmelo, ti prego!- mi fece il labbrino.

-Ho parlato al telefono con il mio ragazzo. Mi ha detto di essere occupato, come sempre...- ammisi.

-Non preoccuparti, non ti starà tradendo-

-Io non alludevo a quello, grazie per il pensiero- mi alzai per buttare il resto del mio pranzo; avevo perso l'appetito.

-Scusami, non volevo!- mi urlò Lindsay.

Mi diressi verso l'uscita della mensa, mi sentii chiamare da Allen. -Mi hai salutato Nico?-

-No, non ho potuto- tagliai corto.

-E...perché?- insistette il figlio d'Apollo.

-È occupato e parliamo poco- mi strinsi nelle spalle.

-È per questo che sei così giù? Cosa ti ha fatto venire in mente Lindsay?-

-Magari non è vero che è negli Inferi, magari è con una bella ragazza a spassarsela ed io sono qui come una tonta- dissi tutto d'un fiato.

-Nico non ti tradirebbe mai, non la pensare così-

-Allen stai bene? Ti rendi conto di quello che hai appena detto?- lo guardai meravigliata.

-Devo cominciare a farmi perdonare seriamente, no?- mi sorrise dolcemente.

-Grazie Allen, sei un amico- lo abbracciai.

Notai un'altra ala dalla parte opposta alla nostra, così la indicai ad Allen. Ero sicura di non averla mai vista in una settimana.

-Non ho mai visto quest'ala. Come può essere apparsa qui così?- Allen confermò la mia paura: qualcosa non andava.

-Dobbiamo andare a vedere cosa c'è là- dissi infine. Mi sporsi curiosa, guardandomi intorno.

-Non è sicuro...- mi fermò Allen.

-Quest'estate ci siamo allenati per resistere nel mondo mortale ed è quello che faremo, ora mi segui- lo spinsi a venirmi dietro anche se era poco convinto.

Ci dividemmo per perlustrare meglio. C'erano stanze con letti a castello e bagni annessi, solo quelle e niente più; entrai in una di esse. L'arredamento era sottosopra e vi erano indumenti ridotti a brandelli ovunque, le pareti erano lacerati da graffi simili a quelli sulla mia porta. Avanzai fino ad una scrivania, stringendo il pugnale. Mi sentii prendere la caviglia destra da mani grosse e pelose, i suoi artigli affilati mi stavano entrando nella gamba.

-Fratello, ne ho preso uno!- annunciò il proprietario della brutta mano pelosa.

Tagliai il polso del mostro con un colpo di pugnale e scomparve.

-Bravo, così si mangia meglio! Non quegli insulsi pasti da mortali che ci porta Field- disse un mostro uscendo dal bagno con un accappatoio bianco addosso.

Avevo già incontrato un mostro simile, era quello...quello a...

-I cannibali si fanno la doccia?- mi scappò.

-Sì, mezzosangue. Io voglio tenermi pulito, ma penso che dovrò farmi un'altra doccia, visto che adesso mi sporcherò con il tuo sangue!-

Deglutii, preparandomi al peggio, non potevo andarmene. Osservai intorno a me provando ad indietreggiare. -Fatti sotto, brutto mostro, non ho paura di te!- esclamai con un coraggio che non mi apparteneva.

Lui se la rise sentendo la mia esclamazione. -Stupida semidea, sento la tua paura, puzzi di terrore- al mio allontanarsi lui fece un passo verso di me.

-Tu puzzi di morto e concime, anche se ti sei appena lavato!- dissi ironica.

Pessima scelta. Il cannibale si buttò verso di me, per mia fortuna lo evitai. Ripartì subito alla carica e questa volta mi prese in pieno petto rovinandomi la parte superiore della divisa, quindi persi l'equilibrio e caddi all'indietro. La bestia mi pestò i piedi, mentre io urlai dal dolore, poi prese un'asta di metallo dal letto. Essa s'infuocò e, anche alla vista, si percepiva che il solo tocco avrebbe potuto sciogliere qualcuno. Mi teneva ancorata al pavimento per la gola con una mano; sentivo i suoi artigli a contatto con la mia pelle, e un liquido caldo scendere verso il basso.

-Sarai riuscita ad uccidere mio fratello, lui era debole, capace di morire con un semplice taglietto! Io sono forte quindi...addio mezzosangue, sarai un buon pranzetto!-

Cercai di liberarmi dalla presa tagliando la mano al cannibale. L'asta incandescente, che teneva nell'altra mano, prese il parquet al posto mio. Mi toccai il collo e quello che avevo sentito colare era il mio sangue; barcollai. Mentre il mostro si voltava verso di me, gli infissi una pugnalata nel petto, così scomparì. I tagli alla gola mi fecero respirare a stento, la parigina destra era diventata rossa sangue. Uscii dalla stanza zoppicando e sentii Allen urlare. Corsi, più o meno, verso la sua voce. -Allen, cosa...?- mormorai appoggiandomi alla porta della stanza dove lui si trovava. Un mostro stava sbattendo il mio amico al muro, le sue mani erano aperte come se si fosse arreso e il coltellino svizzero di Ryan era sulla moquette. La belva era fino alla vita una donna dalle sembianze rettili, mentre le gambe erano due code di serpente verdi palude: una gorgone; queste creature sono come Medusa, tranne che non si corre il rischio di rimanere pietrificati con uno sguardo. Gli avrebbe spaccato la testa se avesse continuato così, fortunatamente mi vide e lo lasciò andare.

-Molto bene, è arrivato il dessert!- disse annusando l'aria e leccandosi le labbra con la sua lingua biforcuta. Forse il sangue che scorreva fuori dalle mie ferite aveva un odore appetitoso. Tutto questo citare il cibo con i mostri mi stava mettendo un certo languorino. La gorgone venne verso di me con una lancia puntata, alternò i colpi con degli sputi di uno strano liquido verde. Un po' di quella melma verde finì su una libreria, la quale iniziò a disintegrarsi piano piano. Deviavo i colpi della lancia ma ero troppo lenta, dell'acido atterrò sul maglione; se fosse arrivato alla pelle avrei fatto una brutta e dolorosa fine. Afferrai la sua arma e le diedi un calcio, come potevo, per atterrarla. Le conficcai il pugnale in faccia mentre continuava a sputacchiare acido, dopodiché sparì ed io caddi a terra stremata. I piedi non mi reggevano più, toccai il gufo al centro del pugnale e tornò ad essere un anello. L'acido iniziò a disintegrare la cravatta, pensai al peggio.

-Michela, non mollare, resisti!- Allen mi si accucciò vicino, durante il mio attacco doveva essersi ristabilito un po'. Mi prese in braccio e si mise a correre per i corridoi della scuola, cercando di attirare meno attenzione possibile.

-Rimani con me, ora ti porto in camera e ti curo- disse il figlio di Apollo, notando il mio volto sofferente. La cravatta si divise in due e l'acido arrivo alla camicia. Arrivati in camera, Allen mi posò delicatamente sul letto e cercò gli oggetti che gli servivano in un borsone sotto di esso: un po' di fasciature, nettare, ambrosia, disinfettante, la sua creazione per le ferite e una crema. Quest'ultima era bianca ed assomigliava alle comuni creme antirughe mortali. Iniziò a curarmi i tagli sul collo con la melma gialla di sua invenzione. Mi tolse lentamente la parigina e notò dei tagli profondi lungo il mio polpaccio.

-E questi come te li sei procurati?- domandò sconvolto mentre mi disinfettava le ferite.

-Un cannibale mi ha afferrato il polpaccio e i suoi artigli sono penetrati nella mia pelle, niente di che insomma- feci spallucce.

-Come fai a scherzare quando sei ridotta così?- domandò serio, tamponandomi i tagli; ora iniziavano a bruciare e pizzicare.

-Tanto ora morirò quindi...meglio finire la mia esistenza scherzando-

-No, non morirai perché ci sono io qui con te- mi guardò per qualche secondo negli occhi mentre stringeva le ultime fasciature.

-Grazie ma...non mi sento più niente...- chiusi gli occhi e mi piegai in due dal dolore, letteralmente; il respiro mi si bloccò per qualche attimo.

Allen mi fece sdraiare di nuovo, io tenevo le mani strette sul petto dove il dolore proveniva.

-Cos'hai lì?-

Allen mi tolse le mani dal petto per guardare il problema: l'acido aveva cominciato a bruciarmi la pelle, così come il mio respiro che ormai andava a scatti. Allen era preoccupatissimo, non si era accorto dell'acido velenoso. Rovistò nella sua borsa alla velocità della luce ed estrasse una pomata.

-Scusa...ma devo...- divenne rosso, iniziando a tirarsi su i capelli come se si stesse mettendo il gel, lo fa ogni volta che è nervoso. Mi aprì la camicia e spalmò la pomata nel centro del petto, dove l'acido stava agendo. Capii perché arrossì ma, per me, non era il momento per pensare a certe cose, visto che l'acido poteva perforarmi da un momento all'altro. Il bruciore sparì piano piano dopo alcuni minuti e il respiro tornò più regolare.

-Vado in camera tua a prenderti un cambio e torno- annunciò Allen.

-Stai attento!- gli raccomandai.

Allen mi rispose con un sorriso dolce. Grazie a lui ebbi una seconda (terza?) possibilità di vita. Mi misi a sedere a fatica e davanti a me apparve un messaggio Iride.

-Ecco, ora posso parlare- si sistemò Nico -ma dove sei?- puntuale come un orologio svizzero.

-Sono in camera di Allen- risposi tranquilla.

-Che ti è successo?-

-Abbiamo trovato dei mostri qui a scuola, se non fosse stato per Allen che mi ha curata, sarei morta- gli spiegai.

-Perché hai la camicia aperta?- Nico mi guardò serio.

-Una gorgone mi ha sputato dell'acido sul petto e Allen mi ha spalmato una crema. È un interrogatorio?- domandai stizzita.

-Lo sai, non mi fido di lui- il figlio di Ade incrociò le braccia al petto.

-Io rischio la vita e ti preoccupi della mia camicia aperta? Parliamo poco perché sei “occupato” e, quando ci riusciamo, è per farmi la predica su qualcosa che non esiste?- mi animai, forse un po' troppo per come ero messa.

-Perché mi rispondi così? Non ti starai mica innamorando di quello là?- il suo tono era una via di mezzo fra il triste e la rabbia.

-No, non dire idiozie, ma perché non ti fidi di me?- sentii bussare alla porta. -Ora devo andare, ciao Nico- feci sparire la chiamata.

Allen entrò con una pila di vestiti in mano. -Ti ho sentita litigare, era Nico?-

Annuii sconsolata, abbassando il capo.

-Perché avete discusso? Te l'ho detto di non pensare a ciò che ha detto Lindsay- chiuse la porta.

-Non è per quello. Ha iniziato a farmi il terzo grado...non si fida di me e non so il perché-

-Certo che si fida di te! È solo preoccupato- Allen appoggiò i vestiti sulla scrivania. -Grazie di avermi salvato- il suo sguardo era fisso su di me.

-Avresti fatto lo stesso, anzi, lo hai fatto. Se i mostri provano anche solo a toccare i miei amici, io li riduco in polpette! E poi è colpa mia, lo avevi detto di non andare là...pensavo di esserne capace, invece sono ancora debole- tornai ad abbassare lo sguardo, non riuscendo più a sostenere il suo.

-Non è affatto vero, sei la semidea più potente che conosca!- si mise a sedere sul letto mettendo la sua mano sulla mia.

-Allora non ne conosci molte- commentai restando immobile.

-In effetti...però conosco tua sorella Annabeth, e per me sei più forte. Hai coraggio da vendere e riesci ad essere spiritosa anche quando sei vicina alla morte- strinse la mia mano.

-Grazie, io non mi descriverei così- condivisi i suoi sguardi e lo abbracciai.

Risultò imbarazzante con la mia camicia ancora aperta.

-Bene, ehm...puoi cambiarti, intanto io avvertirò il professore della prossima ora che noi non ci saremo. Ah, fra poco dovrebbe arrivare Lindsay. Fatti trovare decentemente, in modo da non sembrare sul punto di morte. Le ho detto che sei caduta, ti sei slogata la caviglia e ti sei sporcata la divisa- mi spiegò abbassando la maniglia della porta.

-Okay capitano, ai suoi ordini!- mi distesi sul letto e restai da sola.

Ero viva, sì, ma stanca da morire (quasi nel vero senso). Allen teneva sul comodino diverse foto, mentre non c'era nessuna sveglia dato che era piuttosto mattiniero. La cornice più vicina al letto conteneva lo scatto di tre persone che si abbracciavano amorevolmente. La prima era una donna dai capelli color caramello e gli occhi verde prato, teneva in braccio un bambino di quattro anni circa, aveva i suoi stessi occhi verdi ma lo sguardo era diverso. Esso era come quel del ragazzo biondo che gli stava di fianco, quegli occhi azzurri come il cielo sarebbero riusciti ad affascinare chiunque. Apollo, il Dio del Sole, gentile e misericordioso com'è ha voluto donare quest'abilità al figlio. L'impressione che si ha della foto è che, nonostante gli Dei stiano poco con i loro figli, la famiglia Moore sia molto unita, e Allen ci tiene molto; anche se non vuole che tutto ciò che ha, ed otterrà in futuro, sia grazie alla sua discendenza divina perché desidera farcela con le sue sole forze. Lo stimo molto per questo. La seconda foto era stata scattata quest'estate al campo dopo un duro allenamento, ma eravamo tutti allegri perché stavamo tutti insieme. Ci si appoggiava gli uni agli altri per la stanchezza ma sui nostri visi brillava un sorriso radioso. Mi cambiai cercando di nascondere al meglio i tagli del collo. Quelli che per me furono attimi interminabili che passai a pensare, invece furono solo pochi minuti prima che qualcuno bussasse alla porta.

-Sono Lindsay, posso entrare?- disse la voce oltre la soglia.

-Entra pure-

-Ho visto Allen tenersi la testa per i corridoi, cos'ha?- prese una sedia e si mise al mio fianco.

-Ha picchiato una testata contro il muro- spiegai, ed era vero, senza dover raccontare della dracena e delle multitudini di botte prese.

-Mi ha avvertito che salterete la prossima ora e Allen non ha mai saltato una lezione in due anni; non è che c'è il tuo zampino dietro?- mi fece una faccetta maliziosa; in risposta alzai gli occhi al cielo.

-No, siamo solo molto stanchi-

Scartai la barretta di ambrosia che Allen mi aveva lasciato, ne staccai un quadratino e lo mangiai con calma.

-Posso assaggiare...? Sembra delizioso- domandò Lindsay.

-Sì, lo è ma...no, mi dispiace, lo dico per te- soprattutto perché esploderesti se lo mangiassi, amica mia.

-Comunque scusa per prima a pranzo-

La tranquillizzai; non aveva detto niente di esorbitante dopotutto. Chiaccherammo un po' fino a tornare sull'argomento “ragazzi”.

-Lindsay, sono curiosa...com'è il tuo ragazzo ideale?- mi misi a sedere serena.

Mi sentivo decisamente bene grazie all'ambrosia e alla compagnia di Lindsay.

-Beh...mi piacciono i ragazzi dai capelli bruni e gli occhi color nocciola...-

-Non ti starai alludendo a Ton?- la stuzzicai.

Arrossì e nascose il viso fra le mani, ma si riprese subito. -Ma cosa dici!-

Finimmo a parlare delle varie mode e dicerie della scuola, quale “la rarità e la perfezione di Allen Moore”. Si tratta del modo in cui tutti lo vedono, dicono non si sia mai visto un ragazzo biondo con gli occhi verdi come il prato al mattino, e questo lo rende ancora più spettacolare. È come se avesse un'aurea intorno a sé che lo rende rispettato e ammirato da tutti, come in quei film in cui il ragazzo bellissimo fa i suoi movimenti a rallentatore in armonia con l'ambiente, solo moltiplicato per metà dio nel caso di Allen. Forse lui rendendosi conto di ciò che lo circonda non si arrende mai di fronte a nulla, proprio perché crede nella figura che tutti gli altri vedono.

-Disturbo, signore?- il figlio di Apollo entrò in camera.

-Parli del Diavolo e spuntano le corna- mi sussurrò Lindsay.

-Farò finta di niente- disse Allen voltandosi verso di me -Ti fa sempre male la caviglia?-

-No, dopo aver mangiato ehm...un pezzo di barretta. Hai visto qualcos'altro?- domandai.

-Per ora no, le acque si sono calmate-

Lindsay ci guardava confusa, come se fossimo degli alieni e parlassimo un'altra lingua, osservazione quasi esatta.

-Vado in camera, vorrei dormire- provai ad alzarmi ma i piedi non mi ressero.

Allen mi prese in braccio. -Ti porto io-

Fortunatamente la mia stanza era abbastanza vicina da non voler sparire dall'imbarazzo per la situazione. Lindsay ci seguì.

-Mi raccomando, guarisci in fretta- disse Allen dopo avermi sistemata sul letto.

Ricambiai e lo intimai di stare attento. Chissà cosa avremmo trovato d'ora in poi, o in quali circostanze ci saremmo ritrovati.

-Allen preoccupato è tremendamente dolce!- commentò la mia compagna quando restammo da sole.

-Gli amici lo fanno. Ma te non stai ritardando a lezione?- precisai.

-Oh, giusto! Mi sembrava di star dimenticando qualcosa, ci si vede dopo!-

Appena Lindsay uscì, chiusi gli occhi ed entrai nel mondo dei sogni.

 

La mattinata seguente fu stancante. Sentivo ancora i dolori del combattimento ed ogni passo era una tortura per i miei piedi. Prima ora: spagnolo. Il prof volle iniziare con una dimostrazione di Allen, essendo il più “brillante” studente della classe. Fu eccellente, come l'insegnante si aspettava.

-Allora come sono stato?- mi chiese il biondo scendendo dal palco.

-Bravissimo! Dovresti saperlo bene-

-Sì, ma detto da te è molto meglio- mi sorrise.

Prontamente arrivò Carin, che mi salvò da quel momento imbarazzante.

-Come osi parlare con il mio Allen, inutile perdente?- sì, mi salvò, per modo di dire.

-Hey, non ti allargare. Io non sono di nessuno- esclamò Allen incrociando le braccia al petto.

-Perché? Non posso parlare con il mio migliore amico?- intervenni.

-Impossibile che siate migliori amici- disse Carin piuttosto stupita.

-A differenza tua- sussurò Allen, e Carin lo sentì.

-Cosa?!-

-Oh, ma allora devo proprio regalarti un amplifon!- commentai esasperata.

-Non puoi permetterti di insultarmi due volte. Ora io e te sul palco, duello di voci!-

-Duello di voci?- chiesi perplessa.

Esistevano questo tipo di cose? Lindsay mi spiegò tutto: consisteva in un duetto di una canzone da singoli, e chi prevale sull'altra vince. Tutto molto semplice, anche se preferivo i duelli con la spada. Cantammo “Rabiosa” di Shakira. Fu divertente vedere Carin nella parte. Mostrava la sua aria da sfacciata vincitrice e al tempo stesso cercava di apparire sensuale per il pubblico. Io cercavo solo di essere me stessa perché sarebbe stato imbarazzante per me ballare come lei. Vinsi, non so ancora come, ma fu così. Carin odiava perdere e se ne andò imbufalita. La lezione di ballo fu terribile. Carin potè vendicarsi, prendendomi in giro per la condizione in cui i miei piedi riversavano. A metà ora mi fermai e Allen, che per ogni evenienza si era portato una crema, mi insegnò come massaggiarmi le ferite. Carin mi odiava sempre di più, lo notavo dagli sguardi che mi riservava, come se potessi farci qualcosa. Menomale che avevo del nettare a disposizione grazie ad Allen!

 

Il passare delle settimane non rese le cose più facili, o comunque meno strane. Avvistammo degli esseri dalle sembianze mostruose nei pressi della “nuova ala”; e se fosse tutta un'illusione della nostra mente perché impazzissimo? Quest'opzione fu cestinata dopo una significativa lezione di storia da parte del preside John. Volle farci un discorso speciale sui greci: ci parlò della mitologia, degli dei e dei mostri antichi descrivendoli in modo molto accurato. John ci inviò occhiate profonde durante tutta la spiegazione, fu difficile anche solo muovere un muscolo. Durante la pausa Carin se ne inventò una per fare colpo su Allen. Si avvicinò a lui come una gatta morta, mettendogli una mano sul braccio.

-Sei per caso figlio di Apollo? Perché mi fai cantare il cuore- gli disse convinta.

Allen ed io ci guardammo per due secondi e scoppiammo a ridere. Non volevo che suonasse come una presa in giro, ma a quanto pare non ci riuscii.

-Oddei!- esclamai fra le risate.

-Mi prendi in giro? Sei gelosa?- disse senza staccarsi dal biondo.

-No no, non preoccuparti. Non potevi trovare un modo migliore!- le sorrisi ironica.

-Mh...okay, ma non mi fido di te- i suoi occhi si socchiusero leggermente, guardandomi in cagnesco.

-Mi ricorda Nico- mi sussurò Allen.

-Non me lo ricordare- non volevo pensarci, parlavamo pochissimo.

Il preside fece due colpi di tosse per attirare l'attenzione su di lui.

-Vorrei dirvi un'ultima cosa, poi potrete andare. Questi figli degli dei con i mortali, i semidei, non sanno farsi gli affari loro e si divertono ad uccidere i mostri a destra e a manca. Quindi...attenti mezzosangue o ne pagherete le conseguenze- mentre diceva quest'ultima frase guardò Allen e me dritti negli occhi.

Un brivido mi percorse tutta la schiena fino a farmi venire la pelle d'oca.

-Perché Signor Preside parla al presente?- chiese Zara Vincent.

John non rispose, e se ne andò senza distogliere lo sguardo da noi.

-Perché vi stava guardando?- chiese Lindsay, rivolgendosi a me e Allen.

-Non ne ho idea, Lindsay- le risposi, cercando di mantenere la calma.

Presi Allen per un braccio e lo portai in un angolo. -I miei timori erano giusti, lui sa cosa siamo. Stasera si va in perlustrazione-

-Sei sicura di farcela? Non voglio che ti rifacciano del male, andrò da solo-

-No, andare in due è meglio. Non voglio che ti succeda qualcosa-

Acconsentì e ci accordammo per vederci la sera stessa. Mi diressi verso il giardino anteriore della scuola per potermi rilassare in pace, e rimuginare sull'accaduto. Mi misi a guardare le nuvole sdraiata sul prato, il vento mi accarezzava i capelli, quasi quasi un sonnellino non sarebbe stato male...ma no! Sopra la mia testa apparve un messaggio Iride, era Annabeth.

-Hey, sorellina, tutto bene? Ho chiamato per farti sapere una cosa-

-Sì, tutto bene. È qualcosa d'importante?-

-Nico mi racconta delle vostre conversazioni e qualche giorno fa l'Oracolo ha predetto una nuova profezia, così dal nulla. Unendo quello che mi ha detto Nico alla profezia...insomma ho pensato di avvertirti- mi spiegò lei.

-Va bene, dimmi la profezia-

 

Tre mezzosangue verso il cuore andranno.

Il mostro in divisa sarà e a portar via l'anima del gufo proverà,

Ma al fianco della morte esso sopravvivrà.

Con la figlia del mare il rifugio troveranno.

Acqua, saggezza e sole la pace temporanea porteranno.

 

-Non esistono delle profezie belle, vero?- la tentai.

-No...visto che te sei in divisa, il verso del mostro potrebbe riferirsi a te. Stiamo cercando di capire la profezia. Tieni gli occhi aperti, siamo preoccupati-

-A Nico non interessa-

-Vuoi tornare ad essere testarda come quest'estate? Gli interessi come sempre ed è molto preoccupato, ma non può venire da te-

Quando si chiuse la chiamata non sapevo a cosa pensare, ero confusa e con più nozioni nella testa di prima. La sera feci finta di andare a dormire e quando fu abbastanza tardi mi ritrovai con Allen davanti all'ala mostruosa.

-Stai bene anche in pigiama- mi disse lui, indicando le mie ciabatte a maialino.

-Non è il momento di scherzare, e non dire così, dopo loro ci rimangono male-

-Scusa, era più forte di me-

In fondo all'ala c'era una luce rossa come il fuoco, ci avvicinammo carponi facendoci piccoli piccoli per non farci notare. Allen si accovacciò di fianco a me e cercammo di capire cosa fossero quelle ombre che si muovevano e parlavano attorno al bracere.

-Field, stiamo cercando di farne venire il più possibile, ma la maggior parte sono indecisi- disse la voce alla nostra sinistra.

-Dovete muovervi prima che quei due mezzosangue vi ammazzino tutti! Io non posso farli fuori durante l'anno scolastico, i mortali se ne accorgerebbero!- disse qualcuno alla nostra destra.

Alla luce del fuoco apparve la forma di una sottospecie di pungiglione. Feci un respiro profondo, forse anche troppo. Allen mi tappò la bocca. Iniziai a sentirmi osservata...ci avevano sentiti. Allen mi portò via e, quando fummo abbastanza lontani, iniziai a mugolare: mi stava ancora tappando la bocca. Mi appoggiò al muro del corridoio e tolse la mano.

-Finalmente- respirai grandi boccate d'aria.

-Scusami, ma ci hanno scoperti- si grattò la testa.

-Ti sei ripreso totalmente dalla botta?- gli chiesi.

-Non male, direi. Chissà come andrà adesso che sappiamo di più...- disse Allen volgendo lo sguardo verso la “nuova ala”.

-Non sappiamo realmente di più...solo qualche briciola di notizia che dobbiamo collegare a tutto il resto- commentai.

-Già, si fa sempre tutto più strano- esclamò Allen tirandosi indietro i capelli.

-Sarà meglio tornare nelle nostre camere, domani abbiamo lezione- dissi.

-Sì, hai ragione- Allen concordò con me.

-Eh beh, io ho sempre ragione- lo spinsi mentre ci dirigevamo verso i dormitori.

Ad un bivio ci separammo dandoci la buonanotte e augurando a l'altro di riuscire a dormire.

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Capitolo 4
*** You're the one that I want ***


Le settimane seguenti alla perlustrazione notturna passarono più o meno tranquillamente. Prendevo bei voti, ero la prima della classe alla pari di Carin e la mia bravura la disturbava. A lei davano noia molte cose di me, come il fatto che stessi sempre con il suo caro ed amato Allen Moore. La nostra amicizia migliorava di giorno in giorno, dal mio punto di vista, e ci stavamo lasciando alle spalle la nostra esperienza estiva confusionaria; invece Nico mi chiamava meno, e la maggior parte delle volte si litigava, sempre per lo stesso argomento. Lui non vedeva in Allen quello che vedevo io, continuava a credere che fosse il solito ragazzo del campo per semidei e che stesse affatto cambiando. Il 17 Ottobre era il compleanno del figlio di Apollo, si può solo immaginare quale ultra mega galattica festa organizzò nella sua villa ad Oxford. Io e Lindsay ci sbalordimmo alla vista di quella “casa”, perché non era come quelle tipiche casine inglesi, non aveva niente a che vedere con l'affascinante stile accademico di Oxford. Era una villa moderna, dal ingresso curato ricco di peonie azzurre e erica lilla. La signora Moore, a sentire Allen, era un'appassionata di fiori e di giardinaggio, quelle due piante erano le sue preferite. Lei, che chiamarla signora è un peccato, ci aprì il portone stuccato bianco calorosamente. Aveva i capelli castano chiaro tendenti al ramato che le scendevano mossi e delicati sull'abito da sera argentato, nessuna ruga osava sfiorarle il viso, il trucco leggero le risaltava gli occhi verdi come il prato al mattino. Linday ed io non potemmo non rimanerne scioccate, sembrava una dea. Questo era solo uno dei pochi motivi che di sicuro avrà spinto il melodico Apollo fra le braccia di...come si chiamava?

-Piacere ragazze. Io mi chiamo Abigail, ma potete chiamarmi Abbie!- Ecco, giusto, Abbie.

-E voi dovrete essere Lindsay e Michela, dico bene? Allenuccio mi parla molto di voi!- continuò lei facendoci entrare.

L'espressione “OH MY GODS” ci stava a pennello direi! Mi dimenticai per un attimo del nome “Allenuccio” decisa a tornarci dopo, per ammirare il lampadario che scendeva elegantemente dal soffitto decorando il marmoreo ingresso. Non serviva nient'altro a quella sala, marmo di Carrara, un lampadario di Swarovsky, e due scale modulari impeccabilmente bianche che mostravano un quarto del piano di sopra. Si sentiva della musica provenire da uno stereo nella stanza alla nostra sinistra, e altra musica in lontananza...ma non riuscivo a capire da dove venisse. Fortunatamente il regalo gliel'avevo fatto insieme a Lindsay e Ton, perché odio il momento in cui bisogna consegnare un regalo a qualcuno e a questo, stavolta, non ho dovuto pensarci io. Ci guardammo intorno stranulate dall'ambiente ricco e importante. Su qualche mensola c'erano premi per miglior apparizione teatrale, dischi d'oro formato baby, piccole medaglie canore e giù di lì. Oltre a contenere trofei, la casa ospitava una sala da ballo, un cinema, un'enorme cucina, e il giardino posteriore... era altrettanto wow! Ricordava una zona termale con la piscina riscaldata e la vasca idromassaggio. Delle piante di non so quale nazionalità crescevano rigogliose intorno al campo da basket dove, all'estremità di esso, era stato allestito un palco provvisorio per chi volesse suonare o cantare; dopotutto gli invitati erano per lo più cantanti e musicisti. Ton stava suonando la chitarra insieme ad un gruppo di ragazzi che non conoscevo, straordinariamente tutti biondi! Alla festa erano per di più teste bionde, ma cos'hanno quest'inglesi da essere tutti biondi? Comunque sia, appena ci notò...o dovrei dire appena vide Lindsay raggiante nel suo abito rosa cipria, ci venne incontro e mi indicò Allen. Era dalla parte opposta del giardino a chiaccherare con altre teste gialle, mentre sorseggiava qualcosa di rosso da un bicchiere di plastica trasparente. Lasciai soli Ton e Lindsay, dando loro la possibilità di “parlare”. Mi feci notare da Allen punzecchiandogli il braccio. Si voltò e mi sorrise entusiasta.

-Ce l'hai fatta ad arrivare! Che te ne pare di casa mia?- fece la faccia da orgoglioso, sapendo già la risposta alla sua domanda.

-E' strepitosa! Come fai a stare all'Accademia per rinunciare a questo?-

-Beh...mia mamma è spesso fuori e l'esperienza di star da soli in un dormitorio non è male alla fine- rispose sincero. -Ti va di vedere camera mia??- annuii e lui si congedò dai suoi amici.

La sua stanza era al piano sopra, salire le scale dell'ingresso mi fecero sentire importante come se fossi in una reggia. Al contrario del resto della casa, la camera di Allen sembrava quella di un normalissimo adolescente, se non fosse per le coppe vinte ai concorsi canori e...

-E' un letto ad acqua- mi informò Allen indicandomi il letto ad una piazza e mezzo.

Si trovava alla nostra sinistra nel centro dalla stanza, sopra vi era una coperta verde acqua e sembrava così morbida da volerci saltare su!

-Ti dispiace se...?- non ero mai saltata su un letto ad acqua!

-Vai pure- acconsentì Allen.

Presi la rincorsa e mi buttai sul letto, il quale simulò delle onde.

-Oh dei! È troppo figo!-

Quando le onde si calmarono, fissai il soffitto grigio sul quale vi era disegnato un sole giallo e arancione. Chissà quante volte Allen deve averlo fissato pensando a suo padre o a ciò che significasse portare i geni di un Dio. Mi scrollai di dosso quei pensieri quando vidi il figlio di Apollo accarezzare i pochi libri che la libreria di fronte al letto conteneva.

Mi misi a sedere osservandolo.

-Perché sei così pensieroso? È il tuo compleanno, dovresti gioire e divertirti!- gli dissi.

Allen si tirò indietro i capelli, come faceva sempre quando è nervoso.

-Io ti devo delle scuse. Per l'essere capoccione che sono stato quest'estate, nonostante fosse chiaro che non era con me che volevi stare. Io tengo molto tutt'ora a te, e ci terrò sempre. Vorrei solo che tu mi perdonassi e che formassimo quella squadra invincibile che siamo destinati ad essere, tu sarai la mia migliore amica per sempre e il nostro rapporto non potrà che rafforzarsi anno dopo anno, avventura dopo avventura. Sono stato così cocciuto anche perchè volevo credere in quella cotta, quasi come ultima risorsa di felicità. Ho riflettuto molto sull'estate trascorsa con te, Ryan, Alessandra ed Isabelle...io adoro stare con voi ragazzi, così come adoro passare le mie giornate scolastiche con Ton e Lindsay. La mia testa credeva che quello fosse amore, ma alla fine sono riuscito a capire che era solo un enorme affetto nei tuoi confronti, l'ho capito all'Accademia che noi due siamo come fratello e sorella legati dal tempo e dal nostro sangue divino. Io sto iniziando a confabulare cose ma tutto questo mi tormentava da molto, e volevo esprimertelo, spero tu concordi con me- si constrinse a tacere, anche perché aveva detto il discorso tutto d'un fiato, e aveva bisogno di bere.

-Non potrei essere più che d'accordo! La penso così anch'io, ed è ovvio che ti perdono, si vedeva che ti eri pentito- lo tranquillizzai. -Se provassi l'acqua del letto ti andrebbe bene?- suggerii.

-Non credo- rise di rimando. -Dai andiamo giù, ho bisogno di un buon vino rosso-

-Il buon Dionisio sarebbe fiero di te!- scherzai.

 

 

 

Mentre mi preparavo per andare a dormire, Annabeth mi chiamò per riferirmi le informazioni del suo parto ed io le promisi che sarei riuscita ad andare da lei in tempo. La data stabilita era il 10 Dicembre. Allen mi accompagnò, per non lasciarmi da sola, con il permesso del preside. L'appuntamento era in un ospedale di Manhattan, semplice da trovare. Rimanemmo in sala d'aspetto con Percy, sua madre Sally e il satiro Grover; aspettammo circa quattro ore, nelle quali Nico chiamò, ovviamente si preoccupò più del fatto che Allen fosse con me, che di Annabeth che era in sala da parto da tanto tempo. -Perché lui è lì?- chiese.

-Mi ha voluta accompagnare- gli dissi semplicemente. -Non vuoi sapere come sta Annabeth?- continuai. -Sì, mi interessa, ma ho chiamato per parlare con te...in privato-

-Va bene, vado in bagno e mi richiami- feci sparire la chiamata e mi diressi verso il bagno dell'ospedale. Chiusi la porta a chiave e arrivò la chiamata.

-Dopo questi mesi sono arrivato alla conclusione che se vuoi stare con lui, va bene, tanto la mia vita è sempre stata una schifezza. Pensavo che dopo averti conosciuta mi sarebbe andata meglio, ma a quanto pare la nostra relazione è stata tutta una finzione. Mi hai soltanto preso in giro. Tornerò alla mia vita in solitudine- esordì Nico senza lasciarmi la parola.

-Nico, ti prego ascoltami... non c'è niente tra me ed Allen. Siamo solo migliori amici, devi credermi- provai.

-Sì, certo-

-Mi manchi cavoli! Tra me ed Allen non è successo niente, mi vuoi credere una volta per tutte?- iniziai a piangere, non riuscivo a fermare le lacrime.

-Michela stai bene?- mi chiese lui, facendo sparire la sua aria arrabbiata e disperata.

-No! Mi manchi e noi continuiamo a litigare, è ovvio che non sto bene...- mi calmai piano piano.

-Anche tu mi manchi, ma sai che non posso andarmene dagli Inferi prima dell'inizio del campo estivo. Scusami per prima, mi faccio troppi film mentali senza ascoltarti veramente-

-Tranquillo, non scusarti- restammo un attimo a guardarci, poi Nico si ricordò che ero sempre in un bagno d'ospedale e lui doveva tornare a lavorare.

-Ora vai, salutami il piccolo da parte mia- ci salutammo e la chiamata sparì.

Feci in tempo a mettere piede in sala d'aspetto che qualcuno mi travolse.

-E' già nato?!- guardai verso la voce e scoprii che la persona che mi aveva maldestramente appena travolta era Alessandra.

La chiamai per farmi notare e l'abbracciai, era bello vederla lì.

-Mi dispiace interrompere la vostra rimpatriata ma non sopporto l'attesa, vado a sentire le infermiere- Percy si alzò e uscì dalla stanza insieme a sua mamma e Grover.

-Grazie dell'accoglienza fratello!- gli urlò di rimando Alessandra.

-Allora Ale, come va la tua relazione a distanza?- chiesi incuriosita.

Alessandra si spostò dei ciuffi riccioluti da un lato all'altro della testa. -Molto bene. La mia classe pensa di andare in Spagna...magari riesco a vedere Ryan! Mi spiegate una cosa, ma...perché avete la stessa divisa voi due?-

-Vado a scuola con lui, in Inghilterra- dissi semplicemente.

-Oh, io ho sempre adorato le divise scolastiche, quelle inglesi poi! Vorrei averne una anch'io- iniziò a confabulare qualcosa sul fatto che anche in Italia dovrebbero esserci cose simili.

-Hey, non bubbolare. È comprensibile, è una delle cose che adoro di questa scuola- le diedi una spintarella. -Io non bubbolo- protestò Alessandra incrociando le braccia sul petto.

La fissai un attimo. Il suo atteggiamento mi metteva sempre di buon umore e inventava ogni scusa per ricevere un abbraccio, riusciva a trasmettermi felicità con poco. Quando Alessandra finì il suo momento di “finta rabbia” mi ricordai che mancava veramente poco al 13 Dicembre!

-Ale, ma tra tre giorni non è il tuo compleanno?- le domandai curiosa, visto che la mia memoria su certe cose fa un po' cilecca.

-Sì!- esclamò entusiasta. -Mia mamma mi ha promesso che mi preparerà i miei cibi preferiti!- aveva già l'aria sognante al sol pensiero del suo compleanno.

-Non credi di esplodere con tutta quella montagna di pizza, cozze, pane, pasta e fanta?- chiese Allen dubbioso. -Non è mai abbastanza...- Alessandra aveva gli occhi a forma di pizza, o almeno io me li immaginavo così invece che a cuoricino come nei cartoni animati. -Giusto, a volte dimentico che tu sei quella che mangia la pizza a colazione, nevermind- commentò Allen scherzando. -Vorrei anche un unicorno...- continuò Alessandra.

-Va bene, ci rammenteremo di regalartene uno per un prossimo compleanno- la consolai.

Grover entrò nella stanza saltellando. -È nato, venite!-

Ci portò nella stanza numero sette, in mezzo al corridoio. Le pareti erano rosa cipria e azzurro cielo, colori rilassanti secondo il mio modesto parere, perfetti per l'ambiente. Annabeth stava sdraiata a bere del nettare che Percy le porse mentre le accarezzava la testa. Diedero il bambino in braccio ad Alessandra, mi avvicinai a lei per osservarlo.

-Saluta le zie, piccolo Luke- disse Alessandra mostrandomi il bambino.

Era il neonato più bello che avessi mai visto. Aveva gli occhi grigi con qualche accenno di verde che ci scrutavano confuso. I pochi capelli neri in testa erano sparati a caso.

-Ciao Luke, sono la zia Michela. Ti piace qui?- Luke mi fece un grande sorrisone. -Ti saluta tuo cugino, vorrebbe essere qui ma deve lavorare- diedi un bacino al piccolo.

Provai a chiamare Nico, sperando mi rispondesse e...funzionò! -Nico, guarda che tenero il mio nipotino!- glielo indicai fiera. Sì, devo ammetterlo, io adoro i bambini piccoli. Sono troppo carini! -Sì, è molto carino, ma il nostro sarà meglio- mi fece un sorrisino orgoglioso che mi fece arrossire come un peperone. -Mi diverte molto farti arrossire però, sfortunatamente, devo tornare a lavorare-

Dopo che Nico chiuse la chiamata, rimasi tutto il giorno con Annabeth. Non ci vedevamo da un po' e dovevamo ragionare su un po' di cose...molte cose, tipo...la profezia? Avevamo ancora pochi spunti su cui riflettere ed eravamo ancora lontani dal capire cosa significasse. Mia sorella mi disse che ogni profezia la si capisce solo alla fine...come se potesse consolarmi una cosa del genere.

 

 

Allen mi fece sapere che all'Accademia c'erano vari club scolastici. Si differenziavano, come qualunque club di tutto il mondo, dall'attività che i membri svolgevano. Secondo il figlio del sole, questo avrebbe fatto al caso mio. Non conosceva i partecipanti, probabilmente non scorreva buon sangue tra di loro. Non era una novità che una cerchia di studenti avesse dei pregiudizi verso i più popolari della scuola; molto spesso Allen veniva guardato con diffidenza, quasi quanto veniva adorato. Ovviamente anche lui ci metteva il suo impegno: era conosciuto come “colui che è capace di tutto”, il figlio di Apollo moriva sempre dalla voglia di mettersi in mostra e far vedere alle persone quanto fosse bravo e riuscisse veramente in tutto, per mantenere alto il suo buon nome. A volte, o almeno con me, Mr-sono-bravo-solo-io sapeva essere umile, poiché credeva che gli altri lo sfidassero in continuazione. Il gruppo in questione cantava e ballava k-pop e j-pop (rispettivamente pop coreano e giapponese),ma soprattutto le canzoni dei cartoni animati giapponesi più disparati. La maggior parte di essi hanno costumi, coreografie e canzoni a non finire, quindi ci sarebbe stato materiale a sufficienza per sempre. Allen si divertiva a riprendermi nelle situazioni più strane: vestita da orso, da fiore arcobaleno, con una cacca rosa in testa...comunque sia diceva che era per i posteri, in modo da prendermi in giro in futuro. Una volta notai che mi riprese durante un esercitazione di una canzone giapponese di nome “Nevereverland”, la quale aveva dei pezzi in inglese. Era una canzone che adoravo molto perché era dolce ma mi dava la grinta giusta per iniziare la giornata e, cosa più importante, mi piaceva il significato delle parole. Me la fece conoscere Alessandra del tempo fa, avendo interessi comuni ci scambiavamo spesso opinioni sulla musica. Mi sistemai delicatamente sullo sgabello, davanti al pianoforte nero ludico di cui la sala del club disponeva. Era una stanza come tutte le altre nella scuola. Davanti all'ingresso si diramavano varie sedie, poste verso il palcoscenico di media grandezza. Il sipario verde e oro copriva una parte del teatro di legno massello. Ogni volta che sfioravo i tasti bianchi del pianoforte, una scarica elettrica mi attraversava l'intero corpo. Perfezionai la posizione del microfono da testa e stiracchiai le mani. Erano sempre le stesse note, non dovevo aver paura. Scaricai tutte le mie emozioni sui tasti ed iniziai a suonare.

Long ago, inside a distant memory, there is a voice that says: Do you believe a world of happy endings? Even when the road seems long, every breath you take will lead you closer to a special place within you Nevereverland.”

Dopo questo pezzo vidi che mi si affiancarono Jonathan e Coralie, altri due membri del gruppo, con la chitarra elettrica. Era magico far parte di quel club che, come gusti, mi comprendeva, invece di schernirmi perché “sono solo cartoni” o “sono giapponesi”. Il club era un posto dove rilassarmi e svagarmi dopo la scuola, non c'erano impegni da prendere come una gara o simili. Lo facevamo solo per passione e divertimento, il che è la parte migliore. Non come Allen che, essendo nel gruppo principe dell'Accademia, doveva partecipare a seri allenamenti per poter vincere le competizioni canore tenute tra le scuole di tutto il mondo; era un peso troppo grosso da dover sopportare secondo me. Ma Allen...lui può tutto no? Inoltre questa storia che sono i campioni in carica gli monta un po' la testa, però...che possiamo farci? Lui è Allen Moore, figlio del dio Apollo, è normale pensarla così per lui.

Con queste attività che ci occupavano le giornate il tempo passò più in fretta, e non avevamo neanche il tempo di pensare a certe stranezze. Il rapporto con Nico tornò ad essere normale, per quanto si possa definire normale parlare da un bagno di un dormitorio agli Inferi. Quando arrivò il 14 Febbraio, San Valentino, io volevo metterci tutta me stessa per ignorare quella festività che ho sempre odiato. Fu difficile visto che, già la sera precedente, qualche studente incaricato degli addobbi stava decorando i corridoi di cuoricini rosa e rossi. Non avevo voglia di fare colazione in un ambiente così...così...veramente indescrivibile! Il succo era che non volevo trovare un Eros alato dotato di frecce per la mensa. Dissi a Lindsay di andare senza di me, e ne approfittai per rimanere di più a letto. Chissà perché il letto sembrava più comodo del solito, era odioso alzalsi per andare a lezione, dovetti prepararmi contro voglia. Sistemai i capelli davanti, che un tempo erano una frangetta, in un codino da tenere dietro sui capelli sciolti. Finii di allacciarmi la camicia bianca quando mi sentii abbracciare da dietro. Mi girai confusa e mi baciò. -Hey, come va?- mi disse lui.

-Nico! Ma che ci fai qui?- esclamai.

-Sono riuscito a convincere mio padre a darmi un giorno libero per venire da te!-

-Ma è fantastico!-

-Meglio approfittare dei suoi attimi di gentilezza.- Nico s'interruppe di colpo e si guardò intorno. -Che bella camera tua!- si buttò sul letto e si mise comodo.

Mi sedetti accanto a lui. -Una stanza come tutte, rispetto alle aule le camere sono sciatte- dissi.

Poco dopo Lindsay passò a prendermi per andare a lezione, me ne ero completamente dimenticata! Nico e Lindsay si presentarono e poi corremmo verso la classe. Io ero tutt'altro che pronta, mentre correvamo per i corridoi Nico cercava di aiutarmi a mettermi la cravatta. Quando entrammo nell'aula Allen stava finendo di cantare, quindi... sì, eravamo decisamente in ritardo. Ci sedemmo in fondo alla stanza, sperando che il professore non notasse il nostro ritardo.

-Signorine Hall e Gonnella, finalmente vi siete degnate di venire a lezione.- tutta la classe si girò a guardarci. -Visto che avete tardato, fatemi quella canzone che vi ho dato lunedì- concluse il professore.

Salimmo sul palco e prendemmo i microfoni. Cantammo in duo “In the name of love” come se fossimo una cosa sola.

 

If I told you this was only gonna hurt
If I warned you that the fire's gonna burn
Would you walk in? Would you let me do it first?
Do it all in the name of love
Would you let me lead you even when you're blind?
In the darkness, in the middle of the night
In the silence, when there's no one by your side
Would you call in the name of love?

 

-Va bene, siete più o meno riuscite nella canzone, tenendo conto del fatto che ve l'ho assegnata due giorni fa- si complimentò il professore. -Oggi, in nome dell'amore e del musical a cui dovete prepararvi, vi lascerò liberi di provare o partecipare ai club durante la mia ora- concluse.

La fortuna a volte esiste, grazie San Valentino! Forse il professore era intenzionato ad invitare qualcuno d'importante ad un'uscita romantica e si voleva sbarazzare di noi, ma questo non era importante. Approfittai dell'occasione per far fare a Nico il giro della scuola. Lo portai al club asiatico che frequentavo e mi sorpresi di trovare lì alcuni miei compagni: anche loro avevano avuto “la benedizione dei professori” per qualche ora libera. Sfortunatamente, io avevo solo quella perchè dopo sarei dovuta andare alle prove del musical. Scelsi la sigla perfetta da far ascoltare a Nico: si trattava dell'anime Kamigami no Asobi, il quale parlava di divinità di ogni tipo, tra cui Ade e Apollo. In fondo al palcoscenico di cui la stanza disponeva vi era uno schermo dove, di solito, mettiamo i video dei balli da imparare o la sigla base dell'anime in questione. Quando stava per partire la canzone scelta da me, arrivò Allen ricco d'orgoglio che indicò lo schermo. -Io ne sono capace!- dichiarò sicuro di sé.

-Di cosa? Su, sentiamo Mr. So-fare-tutto-io- lo canzonai avvicinandomi a lui.

-Già, vorresti dire che vuoi provare a fare quello che facciamo noi?- dalle tende delle quinte sbucò fuori Jonathan, molto interessanto alla sfida di Allen. -Nonostante che per tutti i popolari sia una cosa da sfigati senza successo?- Jonathan incrociò le braccia e si piazzò di fronte al figlio di Apollo, apparendo in tutta tranquillità.

-Io non ho mai pensato una cosa del genere, non sono come gli altri. Voglio testare le mie abilità, visto che c'è questa presunta guerra tra di noi. Ti va?- Allen stese il braccio e aspettandosi una stretta di mano.

Jonathan invece tornò dietro le quinte ridendo. -Vediamo cosa sai fare- e fece partire Daddy di Psy. Una canzone in coreano, per Allen? Era strano vederlo in quel contesto, ma la canzone ci stava a pennello! Dopotutto Allen aveva preso proprio da suo padre. Passato neanche un minuto di canzone, l'aula era gremita di persone, soprattutto ragazze, che ammiravano Allen. Era chiaro che sarebbe andata a finire così con lui. La situazione fece ridere Nico e me, così feci un cenno di saluto da lontano al figlio di Apollo, anch'esso divertito per la scoperta del k-pop, e partii alla volta della classe di recitazione per l'ora successiva.

-A cosa ho appena assistito?- chiese Nico tra l'incredulo e il divertito.

-Fai finta di niente, qui ogni giorno è così. Allen le prova tutte per essere il migliore in tutte le discipline. Pensa che è riuscito a battere da poco Philip Lee per il ruolo di protagonista nel musical! Loro due sono in competizione da sempre, per quel che ne so-

I corridoi, che normalmente sembravano infiniti, con Nico duravano due secondi netti. In aula c'erano già tutti, compreso Allen che sarà fuggito dalla folla alla velocità della luce.

Prima di entrare Nico ed io ci baciammo con Carin che faceva l'osservatrice stizzita.

-Allen perchè te non mi baci così?- entrò in classe disperata.

Lui di tutta risposta disse. -Non ci penso neanche! Sto bene così, grazie-

Durante la lezione provammo vari pezzi del musical “Grease”, in cui Allen ed io interpretavamo i due protagonisti Danny e Sandy. Ci esercitammo soprattutto su “Summer Night” e “You're the One that I want” per ben due ore, sia nel canto, nella coreografia e nei pezzi recitati prima e dopo le canzoni. Fu estenuante. Vidi Nico storcere il naso ogni tanto. Immaginai a cosa stesse pensando: proprio due personaggi innamorati dovevano interpretare? Perchè così vicini? Perchè non sono capace a ballare e cantare? Così magari rubo il posto ad Allen! Okay, no, quest'ultima era ridicola. Credo, però, che non gli dispiacesse l'outfit della seconda canzone: interamente in pelle nera. Per quel che mi riguarda, era troppo stretto. Menomale che Lindsay era nel reparto “costumi” e mi aiutò ad uscire da quella tortura. Tornai alla divisa scolastica, molto più comoda, ed andai a sedermi accanto a Nico in fondo all'aula.

-Cosa ne pensi?- gli chiesi.

-Sei bravissima, ma preferirei che non foste tutti e due protagonisti- disse sincero Nico.

-Ma la bravura non può essere fermata!- gli urlò Allen da lontano ridendo.

Non riuscivo a capire se Allen scherzasse con Nico perchè voleva farsi perdonare anche da lui e provare ad essere suo amico, o provava gusto a dargli fastidio. Probabilmente questa cosa non cambierà mai, ci sarà sempre un po' di dissidio fra i due.

Una mezz'oretta più tardi era già l'orario del pranzo. Ci sedemmo con Ton e Lindsay (sembravano sospettosi), poi Allen ci raggiunse sedendosi di fronte a me.

-Cosa ci fai te qui?- Gli chiese Nico imbronciato.

-Mangio. Posso, piccolo principe?- esclamò il figlio di Apollo alzando la testa dal suo sandwich.

-Ah ah, simpatico. Vuoi che finisca quello che avevo iniziato al campo? Questa volta non c'è Ryan a salvarti- sentenziò il Re degli Spettri.

-Provaci, se ne hai il coraggio- lo sfidò il biondo.

-Vuoi vedere?- Nico si alzò e si avvicinò a lui.

Visti da vicino sembravano i due eterni opposti, come la luce e il buio. La luce del sole calda e pacifica, ma capace di bruciare. Il buio più temibile, quello degli Inferi, freddo e apparentemente indifferente, che sa uccidere con lo sguardo. Così diversi, ma entrambi volevano bene alla stessa persona, e non avrebbero permesso a nessuno di torcergli un capello. Tutti e due emanavano un'aria potente e rispettabile, quasi temibile. Ecco cos'avevano in comune. Inoltre le apparenze ingannano: la luce calda può diventare triste, preoccupata, turbata e fredda, così come il buio può amare come nessun altro e illuminare il mondo con il suo raro sorriso. Perchè non riuscivano a vedere quello che vedevo io?

-Smettetela, vi prego!- li zittii.

I due semidei si guardarono con sguardo di sfida per poi tornare a sedersi tranquilli, godendosi il pranzo. Ogni tanto si guardavano accigliati, ma i miei sguardi su di loro riusciva a fargli capire che non era né il momento né il luogo giusto, soprattutto in mezzo ai mortali.

 

Quando la giornata scolastica finì, io e Nico decidemmo di passare il resto di San Valentino a Londra. -Sei qui da settembre e non hai ancora visto Londra?- mi domandò Nico confuso.

-No, sono uscita solo qualche volta per delle passeggiate fuori dall'Accademia e a casa di Allen per il suo compleanno- risposi.

-Sei stata a casa sua?-

Iniziai a capire cosa gli frullava per la testa così lo fermai. -Nico è San Valentino, la festa degli innamorati. Io sono innamorata di te, non pensiamo ad Allen, godiamoci questa giornata-

-Hai ragione, scusami- disse Nico prendendomi per mano.

-Non preoccuparti, ti va di andare sulla ruota?-

-Facciamoci un giro su questa ruota!- Nico era entusiasta all'idea e corremmo verso il fiume, dove si trovava la ruota, dalla stazione metro più vicina.

Londra era magica. Rilasciava una sensazione incantevole, sembrava di essere in una favola. I palazzi tipici londinesi, il Big Ben, i negozietti, tutto dava il presentimento di essere nell'età vittoriana. Solo le macchine e i grattacieli moderni ti riportavano alla realtà. All'inizio era bello vedere il panorama con Nico ma, quando fummo in alto, cominciò a darmi noia l'altezza. Mi attaccai alla sua camicia nera e non guardai più fuori. Vidi Nico arrossire per la mia azione. Chiusi gli occhi per paura di guardare ancora di sotto e strinsi la presa. Nico mi accarezzò i capelli, così allentai la presa e aprii gli occhi. Mi tirò in su il mento con le dita e mi baciò.

-Non avere paura, è come sul pegaso- mi tranquillizzò.

Con lui le mie paure svanivano, forse sarei riuscita a guardare di nuovo fuori il meraviglioso panorama, ma non riprovai. Rimasi abbracciata a Nico finchè non finì il giro.

Andammo al museo delle cere, un enorme edificio rosso, che ospitava dalle cere degli attori più famosi ai politici, dai personaggi della Marvel ai personaggi storici più conosciuti. Ci scattammo delle foto stupide con le statue con una macchina fotografica usa e getta comprata in un negozietto vicino. Visitammo anche la casa-museo di Sherlock Holmes! Lindsay avrebbe adorato quel posto: le scale erano strette e, ovunque si camminasse, il pavimento scricchiolava. Tutti i mobili erano antichi e riproducevano la casa del rinomato Sherlock Holmes.

Mentre passeggiavamo per strada, vidi un negozio di vestiti interessante (avvenimento al quanto singolare), e Nico fu così gentile da farmici dare un'occhiata. Trovai un abitino nero molto carino: la parte superiore era a fascia e a pois, invece la parte inferiore era un po' ampia e mi arrivava poco sopra il ginocchio. Quando me lo provai chiesi il parere a Nico.

-Come mi sta?-

-Stai benissimo, sei meravigliosa...- mi prese da fianchi per abbracciarmi -...sei la perfetta Regina degli Spettri- mi strinse e mi diede un bacio dolce.

La sua recensione mi convinse a comprare il vestito e, quando tornammo all'Accademia per l'ora di cena, iniziò a svelarmi i piani per la sera.

-Mettiti il vestito nuovo e aspettami in camera. Non andare a cena con gli altri-

Annuii incuriosita da cosa poteva aver preparato. Lindsay ritardò per la cena perché volle truccarmi: qualcosa di nero per gli occhi, come il vestito, e per le labbra un semplice lucidalabbra. Aspettai una decina di minuti, dopo che la mia compagna se ne fu andata, sentii bussare alla porta. Andai ad aprirla e mi ritrovai Nico vestito di tutto punto, in giacca e cravatta nera, che mi porgeva una rosa rossa. -E' qui una certa Michela, figlia di Atena?-

-Certamente, e lei è il mio affascinante cavaliere?- gli risposi sorridente.

-Spero di sì, se lei accetta il mio invito- s'inchinò divertito dalla nostra messa in scena e mi baciò la mano.

-Come potrei mai rifiutare?- gli strinsi la mano e mi lasciai condurre da lui.

Arrivammo in un cortile tutto buio, ai cui margini si potevano vedere delle luci tenue che lo illuminavano. Più ci si avvicinava più si sentiva una musica dolce e leggiadra provenire da quell'angolo di paradiso. Quando raggiungemmo il posto vidi una leggera tovaglia argentata da picnic stesa per terra con un cestino. Poco distanti da noi, degli scheletri suonavano una melodiosa sinfonia con i violini. Tutto inneggiava all'amore e al romanticismo. Era la perfetta conclusione di una giornata da favola. Eravamo circondati da piccole luci gialle come lucciole, e da rose rosse profumate.

-Nico...- ero stupefatta, senza parole.

-Ti piace?- chiese Nico guardandomi teneramente.

-E' stupendo, sei così dolce!- lo abbracciai forte per la gioia.

Dal nostro abbraccio nacque un ballo lento, in cui eravamo molto, molto vicini. Mi sentii una principessa che ballava stretta al suo principe azzurro. Mi sentivo osservata, ma pensavo di sbagliarmi. -Nico, io...- iniziai.

-Si...?- mi incitò in modo amorevole Nico.

-Ti amo- penso non se lo aspettasse, ma avevo il bisogno di dirglielo.

-Ti amo anch'io- mi baciò.

Questo San Valentino ci aveva rafforzati, eravamo più vicini di prima, ci capivamo più di prima. Ogni cosa era al suo posto, tutto stava andando alla perfezione, non avrei potuto sognare di meglio. Ballammo ancora un po', per poi sederci sulla tovaglia argentata.

-Grazie, ragazzi- Nico fece un segno con un dito e gli scheletri scomparvero.

-Ti piacciono le fragole?- mi domandò mentre ci sedevamo.

-Sì, ma siamo a febbraio e le fragole non sono di questa stagione-

-E invece sì, guarda un po'!- Nico tirò fuori dal cestino delle fragole e mi imboccò con dolcezza.

-Sono buonissime! Ma come hai fatto?- chiesi curiosa.

-Eh... è un segreto- mi si avvicinò.

-Vuoi rubarmi un altro bacio?- gli sorrisi.

-Mh... forse- sorrise di rimando e continuò ad avvicinarsi.

Ero pronta a ricambiare ma mi sentii presa da qualcosa. L'ultima cosa che vidi era una specie di pungiglione sopra la testa di Nico, poi il buio.

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Capitolo 5
*** Field ***


 

Dal giardino Carin corse nell'edificio a cercare Allen. L'Accademia era grande e poteva metterci un po', ma per lei non c'era tempo da perdere. Era l'occasione giusta per aprire gli occhi alla persona di cui era cotta. Lo trovò per i corridoi con Ton e Lindsay e non gli permise di andare altrove finché non avesse ascoltato ciò che gli doveva dire e mostrare la prova inconfutabile che la persona giusta per Allen era lei.

-Allen, devo farti vedere una cosa! Così capirai una volta per tutte che quella non ti vuole- esclamò Carin mostrando il suo smartphone glitterato ai tre.

Allen era piuttosto confuso, non capiva a cosa volesse dire. Ma certo, chi se non Carin, la persona che gli viene dietro da anni, poteva notare che il suo sguardo verso Michela era ancora velato di qualcosa più dell'amicizia? Non poteva negarlo, ci stava provando con tutto se stesso a cambiare quei sentimenti, ed era così: iniziava a vedere veramente la figlia di Atena come una sorella. Però, agli occhi di Carin, quello era ancora amore puro.

Nel telefono era in corso un video, poco illuminato ma si poteva capire che era l'esterno dell'Accademia ad essere stato ripreso. Due ragazzi in abiti neri danzavano dolcemente, l'uno abbracciato all'altra, e si dichiaravano amore. Era chiaro come il sole che il padre di Allen trasportava ogni giorno: quei due erano Nico e Michela che si stavano godendo il loro San Valentino.

-Devi smetterla di starle alle costole, sei solo gelosa- esclamò Allen.

-Non ero l'unica ad osservarla- si difese la bionda. -C'era anche il Preside, sicuramente era lì per cacciarla dalla scuola. Infatti appena l'ho visto avvicinarsi ai due me ne sono andata- terminò.

Allen strinse i pugni, ebbe un brutto presentimento. -Il Preside era lì?- chiese spaventato.

Carin annuì senza capire perché il suo amato si stesse agitando tanto.

-Cavoli! Non vi consiglio di seguirmi- disse lui prima di correre via.

 

****************************************

 

Quando riaprii gli occhi ero stordita. Mi girava la testa e vedevo sfuocato, senza contare la poca luminosità del luogo in cui mi trovavo. Sentivo la corteccia di un albero dietro la mia schiena, il mio corpo era legato ad esso con una corda molto robusta. Il mio corpo iniziava a soffrire della ferocia con cui ero stata bloccata e la mia testa rimbombava per la botta presa, come se ci fosse qualcuno dentro a suonare il gong. Alzai la testa, che era stata per tutto questo tempo penzolante sul mio petto, e vidi due figure che stavano parlando.

-Menomale avevi detto che non la volevi uccidere durante il periodo scolastico- rise divertita la figura più piccola.

-E' passato del tempo e le cose sono cambiate. Oltre a combinare casini, questa stupida mezzosangue ha portato anche il figlio di Ade! Non lascerò che il piano su cui sto lavorando da anni vada in fumo per colpa di un inutile semidea. Cambieremo rifugio, sta per arrivare il nostro elicottero che ci porterà là. Mi rimane solo da decidere se portarla via con noi o ucciderla qui- rispose l'altro.

-Ti prego Field, posso? Usiamola come spuntino da viaggio!-

-Penso di poterti accontentare, visto che ha ucciso alcuni dei tuoi fratelli-

-Grazie, capo!-

-Sì, ma fai in fretta, sta per arrivare l'elicottero- il più grande liquidò la questione con un gesto della mano e si voltò a guardare l'orizzonte.

Provai a liberarmi dalla prigionia, dimenandomi e andando ad urtare spesso l'arbusto dietro di me, ma senza successo.

L'essere volenteroso di trasformarmi in uno spuntino da viaggio si avvicinò. -Hey Field, è sveglia- esclamò al suo capo.

-Zitto e ammazzala- lo ammutolì lui.

La vista stava migliorando, così riuscii a vedere il suo corpo grosso, peloso e disgustoso compresso. Aveva gli occhi gialli e sporchi che mi esaminavano affamati. Dalle sue fauci bavose uscivano grosse zanne da maiale e, nonostante camminasse su due zampe, sembrava poco in equilibrio, la sua postura era quella di un gobbo. Mi agitai ancora di più per cercare di uscirne viva, non volevo essere il banchetto portatile di nessun mostro. Stremata dai vari tentativi, chiusi gli occhi quando il mostro ormai mi era davanti, sperando in un miracolo. Riaprii gli occhi sentendo le pale dell'elicottero che atterrava e mi resi conto di essere ancora viva e vegeta. Qualcuno mi si avvicinò con cautela. -Nico...- dissi a bassa voce, ma lui mi zittì mettendomi un dito sulle labbra. -Sh...-

Iniziò a slegarmi ma la corda era troppo dura, ma lui non si arrese.

-Hai finito, stupido?- la figura più grande si girò e vide che il suo compagno non c'era più.

L'elicottero era pronto, però l'essere venne verso di noi. Adesso riuscivo a vederlo bene, era il Preside, vestito di tutto punto per la partenza. -Figlio di Ade... Nico Di Angelo, sono passati sette anni ormai- esclamò quasi nostalgico.

-Di cosa stai parlando? Io non ti ho mai visto prima- rispose pacato Nico.

-Oh si, invece- l'aspetto del Preside mutò.

Da giovane e avvenente uomo divenne un uomo sulla sessantina dai capelli grigi e corti. Non indossava più il suo bel abito formale bordeaux ma una divisa militare con guarnizioni rosse. Nico rimase a bocca aperta, in senso negativo, era terrorizzato.

-Dottor Thorn, vicepreside...- sospirò spaventato.

Il Preside smise di avanzare. -Bene Nico, vedo con piacere che ti ricordi di me. Sicuramente adesso non sei più lo sciocco bambino che giocava a Mitomagia, vero? Dimmi una cosa, tua sorella come sta?- gli scappò una risata fragorosa.

Le guance di Nico erano rigate da lacrime silenziose, ma strinse i pugni intorno alla spada, pronto per l'attacco. Il Preside fece intendere che non era interessato a combattere e si girò verso l'elicottero, non curante del figlio di Ade armato.

-Per questa volta te la lascio, ma ci rivedremo- saltò sul mezzo e volò via.

La tensione del momento mi dissolse le ultime energie rimaste e crollai come potevo, essendo ancora legata all'albero. La corda era talmente stretta da togliermi quasi il respiro. Nico mi si avvicinò scusandosi. -Sono rimasto paralizzato davanti a lui- disse asciugandosi le lacrime.

-Di cosa stavate parlando? Chi o cosa è quello?- domandai sconvolta.

-Non è importante adesso, sei importante tu- abbandonò l'idea di slegarmi a mani nude -Ho trovato- Nico sguainò la spada e mirò alla corda.

La distrusse con un taglio netto ed io caddi subito tra le sue braccia. Le mie gambe non reggevano molto e la testa mi stava scoppiando.

-Sei debole- sospirò Nico tenendomi stretta.

-No, sto bene. Mi gira solo un po' la testa- negai l'evidenza con un filo di voce.

Non volevo apparire fragile, volevo riuscire a camminare da sola, ma Nico era irremovibile.

-Ti porto io, monta sulla mia schiena-

-Deduco che il nostro picnic romantico sia finito- dissi appoggiandomi alla schiena di Nico.

-Sì, mi dispiace. Non stai bene e la tua salute viene prima di tutto- si voltò a guardarmi dolcemente. -Non permetterò mai che ti venga tolto un capello, sarò sempre al tuo fianco in modo che tu possa sempre essere al sicuro. Ti proteggerò ad ogni costo- concluse.

Rimasi affascinata dalla sua dichiarazione: il mio cuore batté all'impazzata al suono delle sue parole e ne restai talmente incantata che la mia mente non seppe come replicare. Mi strinsi di più a lui per sentire ancora una volta quella sensazione di protezione che tanto mi piaceva.

Nico scosse la testa per cambiare discorso. -In ogni caso, dopo proverò a chiedere del tempo in più a mio padre, troverò una scusa-

Annuii sollevata, almeno qualcosa di buono questa situazione l'aveva portato. Pochi passi più in là arrivò Allen di corsa.

-Cos'è successo? Michela, stai bene?- aveva il fiatone.

Sbucai da dietro la testa di Nico e feci di sì con la testa.

-Sì, ti spiegheremo tutto in camera- rispose Nico per me.

Sommando l'altezza di Nico più la mia sulla sua schiena, riuscivo ad arrivare ben oltre il capo di Allen, era divertente per una volta non essere la nanetta di turno. Spazzolai dall'alto i capelli di Allen compiaciuta.

-Com'è essere alti?- mi domandò lui sistemandosi i capelli.

-Molto bello!- risi e scombussolai di nuovo la chioma del biondo.

Nico mi tirò più su e mi fece sobbalzare.

-Sarai più alta ma inizi a pesare, sai?- Nico si divertì a farmi saltellare sulla sua schiena.

-Se vuoi possiamo fare a cambio, la porto io- scherzò Allen.

Sì, lo stava decisamente punzecchiando. Infatti Nico lo guardò accigliato.

-Col cavolo- gli rispose.

Iniziò a correre verso l'Accademia per perdere di vista Allen, ma senza riuscirci. Il figlio di Apollo era proprio dietro di noi. -Non ti stanchi mai tu?- gli domandò lui ridendo.

-Sicuramente meno di te- rispose Nico.

 

Quando arrivammo in camera, Nico mi mise sul letto e si sedette accanto a me. Allen si appoggiò al grande armadio di fronte al letto. Fortunatamente Lindsay era ancora fuori a festeggiare. -Allora, cos'è successo?- domandò impaziente Allen.

-Sinceramente, l'ho capito poco anch'io- ammisi. -Stavamo passando una bellissima serata e ad un tratto non vidi più nulla. Appena sveglia vedo i mostri che abbiamo sentito mesi fa, poi arriva Nico per salvarmi e fa discorsi strani con il Preside, finché non se ne va-

-Il Preside? Allora avevo ragione, non è umano. Ma cosa è?- si chiese il biondo.

-Nico lo sa- dissi voltandomi verso il figlio di Ade, il quale stava guardando per terra da quando eravamo arrivati.

Lo guardammo per qualche minuto aspettandoci delle risposte alle nostre domande.

-Sì, so cosa è- ammise finalmente stringendo i pugni.

In un qualche modo sembrava arrabbiato. Forse con il mostro/Preside che sembrava tanto conoscere, oppure era terrorizzato dalla sua apparizione.

-Allora perché ne eri spaventato?- domandai confusa.

Nico fece un respiro profondo. -Io non ti ho mai raccontato del periodo, della situazione, che era quando mi hanno salvato. Diciamo la verità, tu non sai niente di me. È ora che ti racconti tutto- mi lanciò uno sguardo profondo e mi strinse le mani.

Nico ci raccontò la sua storia, affatto allegra. Ascoltai attenta e concentrata, nonostante nella mia testa mi chiedessi come avesse potuto sopportare tutto questo. Io non sarei mai sopravvissuta a quegli avvenimenti, dovevano aver fortificato in maniera significativa Nico, nonché averlo fatto soffrire molto. Ci informò che il Preside era una manticora: un mostro difficile da uccidere con il corpo da leone spinato e la coda appuntita.

-Per arrivare al campo, alla divina Artemide venne la brillante idea di chiedere a suo fratello gemello Apollo. Diciamocelo, è un vero stupido! Ci prova con le ancelle di sua sorella sapendo che non possono avere compagni!- appena Nico finì la frase, la finestra si frantumò e fra i suoi piedi si conficcò una freccia infuocata.

-Ops, scusi Apollo- disse Nico.

Lo incitai ad andare avanti con il racconto. La sua vita era stata un'avventura epica ma solitaria.

-Nella battaglia di Manhattan contro Crono guidai un esercito di morti con mio padre. Tutto ciò ad undici e dodici anni, quindi ora posso fare cose ben peggiori- guardò Allen con sguardo di sfida. -Tutto è partito da quella manticora- concluse.

-Povero il mio Nico! Come hai fatto a sopportare tutto questo?- lo abbracciai forte.

-Te l'ho detto, la mia vita è migliorata solo dopo averti incontrata- mi diede un bacio a stampo.

-Vado a chiedere a mio padre se posso rimanere un altro po'- Nico si alzò e si chiuse in bagno.

-Dovremmo inventarci una scusa per il vetro infranto- disse Allen.

-Già, decisamente- ammisi.

-Ti senti meglio o hai bisogno di qualcosa?- Allen si mise a sedere di fianco a me.

-No, tranquillo. Un po' di riposo mi basterà- lo tranquillizzai.

Lui annuì e mi scompigliò i capelli per vendetta. Si chinò verso di me per darmi un bacio sulla fronte, mi diede la buonanotte e se ne andò. Presi un pigiama azzurro dall'armadio e mi sistemai per la notte. La testa di Nico sbucò dalla porta del bagno. -Posso farmi una doccia?- domandò.

-Che domanda sciocca, certo che puoi!- esclamai. -Vado a chiedere ad Allen un pigiama per te-

Nico non era molto convinto della mia ultima affermazione, glielo si leggeva in faccia, ma non ci pensò più di tanto. -Mio padre ha detto che posso rimanere fino alle due- mi informò.

-Perfetto! Utilizza pure il mio accappatoio per adesso- lui annuì e richiuse la porta.

Dall'armadio presi una vestaglia grigia e la indossai per uscire dalla camera. Non mi ci volle molto ad arrivare alla stanza di Allen, visto che era vicina alla mia. Mi aprì un figlio di Apollo con solo i pantaloni del pigiama verde chiaro addosso. Il petto nudo e muscoloso era in bella mostra e mi ci soffermai un po' troppo. L'allenamento estivo e le sue abitudini atletiche dovevano aver dato i suoi frutti.

-Di cosa hai bisogno?- la voce di Allen mi fece riprendere dai miei pensieri.

Sperai che non avesse notato il mio tentennamento di qualche secondo.

-Ehm...volevo chiederti se avevi un pigiama per Nico, si sta facendo la doccia ma non ha niente da mettersi dopo, e di certo non può indossare i miei indumenti- dissi io tornando a guardarlo negli occhi.

Allen annuì e mi fece segno di entrare. -Sicuramente meglio con il pigiama che nudo- si girò a guardarmi, sorridendomi scherzoso, mentre cercava nel cassettone.

Avvampai in un attimo. Sentii la mia faccia diventare improvvisamente calda e il corpo irrigidirsi. Al solo pensiero il mio cuore era corso a farsi una maratona. Tranquilla, respira, non pensarci. È solo Allen che si diverte male, come sempre.

-Ecco a te- esclamò lui porgendomi una maglietta blu e dei pantaloni grigi.

Notò che il mio rossore era ancora vivido sul mio volto. -Sul serio? Ma dai, stavo solo scherzando!- mi strattonò un po' per farmi riacquistare il controllo, poi mi girò verso la porta e mi spinse via. -Ora vai, avrà già finito come minimo-

Allen si stava decisamente impegnando ad essere un buon amico. Ero contenta di questo suo cambiamento progressivo e potevo immaginare quanto fosse difficile per lui. Sperai che incontrasse presto la persona adatta a lui che lo avrebbe amato come nessun altra.

 

Allen sapeva leggere nel futuro: quando arrivai in camera, trovai Nico appena uscito dal bagno con indosso il mio accappatoio blu. Gli stava troppo corto. La mia mente e il mio corpo si bloccarono come davanti alla porta di Allen, ma stavolta era infinitamente peggio. Rimasi paralizzata, e non volli immaginare il mio viso di che colore fosse.

Nico mi notò, probabilmente anche il mio nuovo colorito, e mi si avvicinò.

-Lo so, faccio un certo effetto con i capelli bagnati- disse scuotendo i suoi capelli bagnati, tipo i cani dopo essere stati lavati.

-Scemo- esclamai tirandogli il pigiama.

Non mi lasciò scappare, mi abbracciò forte guardandomi dritta negli occhi. -Sai, sei molto tenera tutta rossa- mi baciò.

Tutto questo non fece altro che amplificare il mio rossore soltanto che, questa volta, le mie gambe da immobili per la tensione divennero molli come il budino.

Nico mi lasciò andare e, sorridendomi, tornò in bagno a cambiarsi e a prendere l'asciugacapelli.

Chiamai Annabeth per riferirle della serata, doveva assolutamente sapere del mostro.

-Quindi una parte della profezia si è avverata- dichiarò lei.

-A quanto pare...- cambiai discorso. -Cosa ti ha regalato Percy?- domandai.

-Una scatola di cioccolatini, e a te Nico?- chiese curiosa.

-Beh...- iniziai.

-Non dirmi che...- mia sorella mi interruppe e, immaginando a cosa alludesse, tornai bordeaux come poco prima.

-No, Annabeth!- esclamai imbarazzata.

-Ah, okay. Allora cosa?-

-Essere qui. Penso che il fatto che lui sia qui con me sia il regalo più bello di tutti- affermai.

Nico uscì dal bagno con il pigiama di Allen addosso e l'asciugacapelli tra le mani.

-Allora ci si sente, è bello vedervi insieme. Ciao ragazzi!-

Dopo aver salutato Annabeth, ci sedemmo sul letto e ricevetti il phon da Nico. Lui continuava a scuotere i capelli come un cagnolino fino a che non accesi l'asciugacapelli contro di lui.

-Smettila!- esclamai ridendo.

-Aiuto un phon! Potrebbe uccidermi!- mi rispose lui.

Gli tirai una botta in testa con l'asciugacapelli. -Sta fermo, sennò diventa complicato asciugarteli- dissi.

Si calmò e riuscii ad asciugarglieli in pace. Andammo a dormire nel mio letto, Nico mi cingeva in un abbraccio e si appoggiava a me.

-Buonanotte Michela- mi sussurrò dolcemente.

-Buonanotte Nico- mi addormentai con il sorriso sulle labbra.

 

La mattina dopo Nico rimase a dormire mentre io andai a lezione. Ci avvisarono che il Preside Field, volevo dire Rockfield, si era dovuto licenziare per dei problemi familiari, doveva tornare a casa dai suoi parenti. Sì, certo, problemi familiari. Disse che lo avremmo rivisto, chissà dove, chissà perché, ma era futile pensarci adesso. Non potevamo sapere quanto c'avrebbe cambiato la vita, e non potevamo fare niente per evitarlo. La rabbia mi scorreva in corpo al pensiero di Field, ma non potevo lasciarla trasparire, l'avrei tirata fuori al nostro prossimo incontro. Nico mi raggiunse alla terza ora, alla lezione d'inglese. Provammo delle canzoni del musical come “Greased Lightning” e “We Go Together”. Un uomo entrò e si mise in fondo all'aula a parlare con Nico mentre finivamo l'ultima canzone, sembravano conoscersi. Lo sconosciuto aveva i capelli biondi tirati su con il gel e portava degli occhiali da sole neri. Indossava un completo di gessato blu scuro, mentre la cravatta era verde chiaro. Era molto bello, quasi divino oserei dire, aveva qualcosa di familiare. A fine canzone il professore lo vide e lo salutò calorosamente.

-Oh, mio caro Fred! È un onore averla qui con noi- gli strinse ripetutamente la mano.

-Sono venuto a vedere come stanno i miei piccoli talenti- gli rispose togliendosi gli occhiali.

Tutte le ragazze, me compresa, rimasero a bocca aperta. I suoi occhi azzurri lo rendevano ancora più bello di quanto già non fosse prima, sembrava risplendere di luce propria. Lui non notò tutta la folla di ragazze ammaliate, fece finta di nulla, probabilmente era abituato a ricevere certi sguardi.

-Devo ancora capire come fai, cugino- esclamò Nico, dietro di lui.

-Dovresti saperlo, sono bello come il sole- guardò Nico lanciandoli un sorriso splendente e affascinante.

Allen ed io ci avvinammo, incuriositi dalla loro conversazione, senza badare a toglierci i costumi di scena. -Cugino?- domandai.

-Non mi hai riconosciuto?- mi chiese l'uomo. -Eppure sono così bello- si tirò indietro i capelli biondi già perfetti.

-E vanitoso- aggiunse Nico.

-Vuoi un'altra freccia oltre a quella di ieri?- lo sconosciuto lo fulminò con il suo sguardo azzurro cielo.

Mi si accese una lampadina, dovevo arrivarci prima. -Vuol dire che lei è...-

-Apollo, ragazza mia, in persona! Lo splendido dio del sole, della poesia, della medicina e della musica- sì, era decisamente gasato di sé.

Allen ne rimase sorpreso e meravigliato, gli saltò al collo. -Papà!-

-Ora capisco da chi hai preso Allen- osservai.

Non solo in quanto bellezza, anche per quel che riguarda la vanità. Nico mi guardò male, ovviamente capì male la mia affermazione.

-Ragazza, io e i miei figli siamo tutti bellissimi- mi spiegò, poi si rivolse ad Allen. -Lei è la tua ragazza?- domandò curioso.

Vidi Allen arrossire, una delle poche volte, ma negò subito e prima che potesse dire qualcosa Nico si fece avanti per chiarire il malinteso. -No, cugino. Lei è mia- mi prese vicina a sé.

Apollo scrollò le spalle. -Peccato, sarebbe stato meglio avere al tuo fianco una ragazza che possiede la mia benedizione-

-Ho la sua benedizione?- esclamai meravigliata.

Il dio del sole annuì come se avesse detto la cosa più ovvia e banale dell'intero universo.

-Allora devo ringraziarti, papà- intervenne Allen. -Mi hai messo sulla stessa strada della persona più importante al mondo- concluse.

Spintonai Allen scherzando. -Esagerato-

Nico non la prese così bene. -Lei è mia, non te lo dimenticare- mi prese e mi portò nei camerini dietro il palco a cambiarmi.

 

Quel giorno non riuscii a pranzare, nonostante la fantastica compagnia di “Fred” rallegrasse il nostro tavolo, almeno per Lindsay e me. Mi girava la testa e mi sentivo accaldata, forse erano le conseguenze della sera prima. Nico mi accompagnò in camera per provarmi la febbre. Gli indicai dove cercare il termometro, forse l'avevo messo nei cassetti dell'armadio, mentre io mi sdraiai sul letto un po' stordita. Nel primo cassetto che aprì trovò tutt'altro, la mia biancheria.

-Non credo si trovi qui il termometro- disse scherzando tirando fuori un reggiseno celeste.

-Chiudi subito quel cassetto!- gli tirai una cuscinata.

-Allora non sei tanto debole- notò Nico parando i colpi.

-Sono abbastanza forte da picchiarti se non chiudi quel cassetto- gli tirai un'altra cuscinata.

-Uhhh, chiedo perdono alla potente Michela- disse Nico inchinandosi divertito.

Alla fine lo trovammo nei cassetti della scrivania e risultò un bel 37,5 come temperatura corporea. Pensai che non fosse tanto male come risultato, dovevo solo stare attenta a non sforzarmi troppo, e se avessi mai avuto un crollo ci sarebbe stato Nico al mio fianco. Dopotutto non volevo sprecare le ultime ore insieme. Andai in bagno a cambiarmi: indossai dei jeans grigi, una felpa azzurra con un gufo nero e le nike nere. Decidemmo di unirci ai miei compagni che avrebbero fatto un giro per Oxford per comprare l'occorrente per una festicciola serale. Mano nella mano raggiungemmo gli altri appena fuori dal cancello dell'Accademia. Il vento era leggero e freddo e il cielo era coperto da una fine coltre di nuvole, non si stava affatto male. Notai i miei amici: Allen aveva Carin appiccicata come una sanguisuga, era in cima al gruppo e avrebbe guidato lo shopping per la festa, Lindsay era con Ton a ridere e scherzare vicino ad Allen.

-Siamo tutti?- domandò il figlio di Apollo mentre cercava di allontanare Carin da lui.

-Sì!- urlammo tutti in coro (un bel coretto tra l'altro).

La strada dei negozi principale era lontana, Nico ed io non parlammo molto per la via perché non era necessario, ci bastava guardarci negli occhi dolcemente sorridendoci a vicenda. Nico diventava ancora più bello di quanto già non fosse quando sorrideva, era un incanto. Eravamo talmente assorti l'uno negli occhi dell'altra che non ci accorgemmo di star dirigendo il gruppo, camminavamo abbracciati senza sapere dove stavamo andando.

Comprammo i soliti alimenti da festa come popcorn, patatine, fanta, coca-cola, stuzzichini dolci e salati, senza dimenticarci delle bandierine e dei palloncini per rallegrare l'ambiente. Quando tornammo indietro la terra iniziò a tremare. Allen si avvicinò a noi e ci abbracciò. -Hey Nico, guarda un po' che ore sono?- gli indicò la torre orologio vicina a noi.

-Porco...! Mio padre si sta arrabbiando, sono in ritardo!- la terra continuava a tremare.

-Okay, ho capito, me ne vado- si rivolse a me. -Accompagnami in un posto dove le persone non possono vedermi- annuii rattristata al pensiero di non rivederlo fino a giugno.

Andammo in un posto oscurato dalle mura dei palazzi, lontano da sguardi indiscreti.

-Allora... ci si vede- disse Nico.

Si abbassò e appoggiò la testa sulla mia fronte, ci guardammo dolcemente negli occhi. Il mio cuore iniziò a battere forte, mi sarei potuta perdere nei suoi occhi così scuri da sembrare neri.

-Mi mancherai tantissimo...- sospirai.

-Anche tu... sono stato benissimo con te, anche ieri sera- mi sorrise.

Un'altra scossa tremò sotto i nostri piedi, sperai che fosse solo una nostra sensazione e che i mortali non notassero niente di tutto ciò.

-Sarà meglio che tu vada, prima che Ade distrugga tutto-

Mi misi sulle punte, legai le mie braccia intorno al suo collo mentre le sue mani scivolarono sui miei fianchi e ci baciammo. Fu il bacio più dolce, romantico e fantastico di tutti i tempi. Avevo le farfalle allo stomaco come se fosse la prima volta.

 

 

La festa serale durò qualche ora. Ci eravamo stazionati nel teatro d'inglese decorandolo con gli addobbi comprati. Sfruttammo le casse dietro le quinte per mettere un po' di musica e ballare. A fine serata giocammo ad “obbligo o verità”, era mia abitudine rispondere sempre verità, perché non volevo essere costretta a fare qualcosa che non volevo, ma Allen non era del mio stesso avviso.

-Okay, Allen. Obbligo o verità?- gli chiese Carin divertita, aveva sicuramente un piano in mente.

-Obbligo- rispose lui ignaro.

Carin sorrise scaltra. -Ti obbligo a baciare la ragazza più carina della classe, non un semplice bacio, ma uno passionale- si girò verso di lui convinta di riceverlo, ma non arrivò.

Allen si voltò a guardarmi negli occhi. -Non posso farlo- disse infine.

Carin rimase a bocca asciutta e senza parole. Allen si alzò e uscì dalla stanza. Lo seguii ma quando fui in corridoio lui non c'era già più. Andai a cercare Lindsay che poco prima se ne era andata con Ton, ma in poco tempo persi le speranze, erano introvabili! Tornai in camera mia, con l'obbiettivo di mettermi a dormire. Mi stavo per mettere nel letto quando qualcuno bussò alla porta. Dall'altra parte vi era Allen che richiedeva asilo politico, nel senso che camera sua era stata occupata da Lindsay e chiedeva un posto dove poter dormire.

-Mi hanno buttato fuori di camera, anche se in modo gentile- mi informò.

-Va bene, dormi pure nel letto di Lindsay, basta che non mi crolli addosso- scherzai un po' assonnata.

-Grazie mille- dopo due scalini era già nel letto.

Mi infilai anch'io nella mia cuccetta e rimuginai sulla giornata appena passata, finché non mi addormentai beata.

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Capitolo 6
*** La gita ***


La mattina seguente mi svegliai presto e non fui l'unica. Allen era appoggiato all'armadio e guardava fuori dalla finestra pensieroso. Il sole iniziava a mostrarsi all'orizzonte. Quella visione era meglio di un tranquillante per il figlio di Apollo, lo aiutava a mettere in ordine le idee. La delicata luce del sole si posò su di lui gentile e ne risaltò i tratti come se facesse parte di lui. Vederlo così rilassato e pacato mi fece pensare che forse potevamo avere una vita da normali adolescenti e che quella fosse una mattina di scuola come tante. Mi decisi ad uscire dal letto. -Buongiorno, raggio di sole- gli dissi alzandomi. Si voltò verso di me e mi sorrise dolcemente. -'Giorno. È il soprannome più decente che tu mi abbia mai dato finora-. Mi misi ad osservare il panorama con lui dalla parte opposta. -Secondo te, avremo mai una vita normale?- mi chiese, stavamo avendo gli stessi pensieri. Le nuvole bianche formavano varie strisce nel cielo, non erano compatte ma si riusciva a leggere qualcosa: hope. -Hai ricevuto la tua risposta- gli indicai le nuvole facendogli notare la scritta. -Certo, la speranza è importante, ma si sa che per noi semidei è difficile condurre una vita come gli altri- disse lui un po' sconsolato. Continuammo a parlare finché non fu l'ora di andare a lezione. I prof ci avvisarono che vollero premiare il nostro ottimo rendimento scolastico con una gita a Milano per puro svago e cultura generale. Saremmo partiti a metà Aprile, quindi avevamo tutto il tempo per migliorarci, continuare le prove di Grease, che avremmo messo in scena a ottobre, e per iscriverci al concerto di fine anno. Per quest'ultimo bisognava organizzarci bene, nonché allenarci correttamente per non fare brutte figure. Avevamo a disposizione due canzoni, le quali potevano essere esibite sia da solisti che in gruppo oppure in coppia, e potevano essere in qualsiasi lingua o a tema. Era l'opportunità per tutti di brillare. Allen pensò di fare entrambe le canzoni con me perché, su questo Field aveva avuto ragione, formavamo un duo impeccabile. Decidemmo di cantare una canzone a tema in cui io sarei stata la protagonista ed una americana in cui lui sarebbe stata la voce principale. Tornando alla gita, i professori decisero che non avremmo dormito esclusivamente con i nostri compagni di stanza abituali. Erano convinti, e avevano ragione, che la classe fosse poco unita quindi avremmo dovuto dormire in piccoli gruppi. L'importante, per quel che mi riguardava, era non capitare con Carin, lei non sarei riuscita a sopportarla. Ovviamente gli insegnanti puntavano proprio a quello: avevano capito che fra me e la biondina non scorreva buon sangue, così Lindsay ed io finimmo in camera con l'irritante Barbie e la sua servetta Deborah. Secondo i miei canoni, l'albergo era veramente bello: era un tre stelle, il tipico alloggio delle mie vacanze, niente di troppo pretenzioso. La facciata stretta e alta era color avorio e risplendeva grazie alla luce del pomeriggio. La reception era piccola ma ben arredata. Sfortunatamente non c'entravamo tutti, così fummo costretti ad aspettare sul marciapiede con le valigie che creavano intralcio ai passanti. Un gruppo alla volta oltrepassava la soglia, prendeva le chiavi e saliva le rampe di scale fino al piano designato. L'edificio era senza ascensore e la nostra stanza era al terzo piano dell'edificio, Carin non lo gradì affatto, nello stesso modo in cui non gradiva l'albergo. Si fece portare i bagagli dalle sue “amiche” e per tutta la salita non fece che lamentarsi. -La finirà mai?- domandai a Lindsay alzando gli occhi al cielo. -Sarà un luuuungo pernottamento- esclamò lei già stufa della nostra nuova compagna di stanza. -Aprimi la porta- mi ordinò Carin quando arrivammo di fronte all'ingresso della camera. -Mi rifiuto di toccare un posto talmente povero- disse schifata. La guardai sbigottita, era seria? Sospirai scuotendo la testa. Lindsay aveva proprio ragione, avremmo patito questa convivenza obbligata. Siccome era evidente che mi rifiutavo di aprirle la porta, le sue servette corsero in suo aiuto e la sollevarono da quell'ingrato compito. La stanza era grande abbastanza per quattro letti singoli con il copriletto arancione smorto e un armadio di legno scuro che fischiava ogni volta che si aprivano le ante. Lo spazio era appena necessario per far passare i nostri corpi fra una brandina e l'altra. Per terra vi era una moquette marrone, l'incubo degli hotel, mentre il muro era stato dipinto a spugnate color rosa antico e vi erano stati appesi dei quadri ritraenti paesaggi naturali: campi di girasoli, una foresta e un papavero gigante. Al lato sinistro della camera, fra un letto e l'armadio, c'era la porta del bagno privato. Nell'armadio non ci sarebbero mai entrate le nostre cose, sopratutto con Carin che occupava i tre quarti della camera solo con le sue valigie. Lindsay ed io optammo nel sistemare le nostre sotto ai letti, in modo da non invadere più superficie. Ci sdraiammo subito, non perché fossimo stanche o pigre (anche se stare in compagnia di Carin toglieva le energie), ma perché dovevamo testare la morbidezza del materasso. Chiusi gli occhi per rilassarmi un attimo e dimenticarmi di essere in quell'assurda situazione per colpa dei professori. Feci un respiro profondo. Dovevo sorbirmi Carin solo prima di andare a dormire, appena sveglia e nel momento in cui bisognava toglierla dal bagno per farci una doccia, per il resto del tempo non sarei stata costretta a restare con lei. Sarebbe andato tutto bene. Qualcuno bussò alla porta e Barbie ordinò a Deborah di aprire, perché lei era occupata a darsi una rinfrescata. La sua servetta sospirò sorpresa ma non emise parola. Percepii dei passi, ma non aprii gli occhi nonostante fossi curiosa di sapere cosa stesse succedendo. Volevo volare via di lì con il pensiero, pensare a cosa avrei potuto visitare a Milano, a cosa avrei potuto fare una volta tornata al Campo. Mi piaceva viaggiare con la mente quando potevo, mi rasserenava i sensi, una volta ogni tanto era concesso abbassare la guardia. Sentii il letto sprofondare leggermente come quando qualcuno ci si mette sopra o ci si appoggia. Qualcosa sfiorò le mie gambe, poi una presa ai fianchi, proprio dove soffrivo il solletico, mi colse alla sprovvista. Aprii gli occhi, mi tirai su di scatto per l'impulso del solletico e finii per picchiare una testata contro qualcuno sopra di me. Gridammo all'unisono dal dolore per la botta. -Hai proprio una testa dura- mi disse. Mi massaggiai la fronte e notai che lui fece lo stesso, Allen. -Potevi evitare di attaccarmi alla sprovvista mentre mi rilassavo- esclamai tirandolo giù dal letto con una spinta. Lui mi prese per un braccio e mi portò sul pavimento con sé. Carin concluse la sua sessione di bellezza in quel momento e notò Allen, o meglio, notò me sopra di lui. -Capisco che mi hai rifiutato perché ami un'altra, ma non posso comprendere, perché lei? Perché lei sapendo che hai perso? Io sono molto meglio di lei. Lei è cattiva, ti fa solo soffrire, non vedi? Ti fa queste cose sapendo ciò che provi e poi davanti ai tuoi occhi si bacia con un altro. Spiegami perché lei- Carin gli fece la predica. Nel frattempo noi c'eravamo alzati ed Allen si era avviato alla porta. -Tu proprio non vuoi capire. Forse tu continui a pensare a lei come una rivale in amore perché non vuoi ammettere a te stessa che io non sarò mai interessato a te, neanche se fossimo gli ultimi sulla terra. Michela non è più una tua rivale, non sono innamorato di lei, quindi finiscila. Sappi una cosa, tu non sarai mai al suo livello, mettitelo bene in testa- esclamò il figlio di Apollo serio guardando dritto negli occhi Carin prima di uscire e tornarsene in camera sua. Barbie rimase scossa dall'affermazione di Allen ma il suo cervello, se esisteva, decretò velocemente che la causa di tutti i mali ero comunque io, non lei. Iniziò a fissarmi piuttosto arrabbiata ed io sperai che non volesse fare a botte per non rovinarsi la manicure, non avevo voglia di rovinare la regina di bellezza e prendermi le sgridate assicurate dei professori. -Imbarazzante...- canticchiò Lindsay a bassa voce notando la tensione che aleggiava nell'aria. -Mh...io andrei a fare un giro per Milano, che ne pensi Lindsay?- le chiesi supplicante. Non volevo stare un secondo di più in stanza con Carin-ora-ti-ammazzo-Adams, ero sopravvissuta ai mostri e mi bastavano loro ad attentare alla mia vita. Sicuramente la mia amica la pensava come me: meglio non rivederla per qualche ora e lasciarla a Deborah, che avrebbe sicuramente curato i suoi nervi turbati da tutte quelle emozioni che rischiavano di farle venire delle rughe precoci. Lindsay mi prese a braccetto e uscimmo di corsa dalla camera. -Sembrava volesse divorarti viva- commentò lei. Qualche metro più in là Allen e Ton erano sulla porta della loro stanza a chiacchierare, mi immaginavo l'argomento principale della loro conversazione. Fortunatamente l'albergo era vicino, secondo alcuni punti di vista, al Duomo. Era immenso e vederlo dal vivo mi dava la sensazione di essere una formica minuscola. Amavo l'architettura e il Duomo era mozzafiato. Non sapevo dove posare lo sguardo: se osservavo intensamente le statue sulla facciata mi sembrava di fare uno sgarbo alle alte guglie che si innalzavano verso il cielo. Era pazzesco, almeno per me. Stare di fianco o all'interno di alcuni edifici mi faceva stare bene, mi rendeva felice senza motivo. I miei amici mi avrebbero presa per matta visto che avevo un modo tutto mio di divertirmi. Visitammo l'area nei dintorni, Lindsay scattò qualche foto qua e là fino a quando uno stormo di piccioni prese il volo davanti a noi e dallo spavento indietreggiai e andai a sbattere contro qualcuno. -Oh, scusami- dissi per abitudine prima di voltarmi. -No, scusami tu- disse l'altra. La vidi e lei vide me. Mi ero appena scontrata con la riccia figlia di Poseidone. Fu sorpresa di trovarmi lì, e per un attimo anch'io di vederla lì, finché non mi ricordai che ci viveva. -Hai rivisto Ryan come mi avevi accennato?- le domandai curiosa. -Oh, sì. È stata la gita più bella di tutti i tempi! Sai perché? Ryan mi ha fatto conoscere sua madre, è stata molto carina con me, ma sopratutto cucina i frutti di mare come nessun altro sulla faccia della Terra! Alla fine non sembrava una gita scolastica visto che ero sempre con lui, ma i miei compagni mi reggevano il gioco con i professori- mi raccontò Alessandra. -Beata te, io sono scappata da poco da una mia compagna di classe che voleva uccidermi con le sue mani- le riferii. -Come mai?- domandò non comprendendone il motivo. -Questa mia compagna ha una cotta per Allen da parecchio...- le bastò questo per iniziare a ridacchiare. -...e se la prende con me anche se non centro niente- conclusi. -Se ti importuna ancora e non vuoi finire nei guai con i prof, fammi un fischio che te l'affogo- esclamò lei divertita dalla mia situazione. Accettai con piacere la sua offerta. -Così per sapere, non è che tradisci Ryan con la cucina di sua madre?- scherzai. -Ammetto che ci ho fatto un pensierino e lui mi ha persino risposto che mi capirebbe benissimo. Il tradimento perfetto- rise Alessandra fiera di sé. Mi ricordai che erano le sei e mezzo di sera, dovevo tornare indietro. -Cosa ci fai in giro a quest'ora?- chiesi alla riccia. -Stavo tornando a casa con la cena, molto veloce- mi mostrò i sacchetti di plastica bianca che portava con sé. -Dopo cena io e mia mamma andiamo allo stadio a vedere l'Inter- le brillavano gli occhi di gioia. Ero un po' invidiosa, per me sarebbe stato impossibile andarci. -Mi intrufolerei ma gli insegnanti ritengono che “la prima sera dobbiamo stare tutti in albergo insieme a socializzare”, stupida logica- sbuffai. Alessandra annuii comprensiva. -Facciamo così, domani torna qui verso le tre e ti faccio fare un giretto. Ora che ci penso voglio farti vedere una cosa. Ora scappo a casa!- la figlia di Poseidone corse via mentre io tornai da Lindsay, la quale mi stava cercando come una pazza domandandosi dove fossi. -Dove eri finita?!- mi chiese lei con un leggero accenno di rabbia. Le spiegai l'accaduto sperando mi perdonasse. Feci la faccina da cane bastonato puntando sulla bontà della mia amica. -Devi smetterla di usare questi trucchetti. Ci casco sempre perché non riesco ad arrabbiarmi con te, la mia stupidissima amica!- mi abbracciò e mi diede dei colpetti sulla testa. -Grazie, però non sono un cane- le ricordai. -Mh...non lo so, magari lo sei. Ora tu sarai la mia Lessy!- decise radiosa Lindsay. L'aria di Milano stava rincretinendo la mia amica e ciò si rifletteva su di me. Per farmi salire le scale mi prese il retro della maglietta e mi tirò su, come se mi stesse portando al guinzaglio. Menomale che ci fu Ton a riportarla tra di noi. -Hey Lindsay, perché la stai portando così?- domandò straniato dal teatrino portato avanti da lei. -Perché lei è il mio cagnolino, non è vero, Lessy?- mi sorrise divertita la bionda. Allen raggiunse Ton ed insieme risero della brutta situazione in cui mi ero ritrovata. -Finalmente un soprannome anche per te, e questo penso sia addirittura peggio. Non è così, Lessy?- esclamò il figlio di Apollo ridendosela con gusto. Il mio sguardo si assottigliò e lo guardai in malo modo. -Moore, vacci piano. Posso sempre trovartene uno infinitamente peggiore- lo avvertii. -Peggio che chiamarmi per cognome non puoi fare- ammise. Annotai quell'informazione nel cervello poi riversai la mia attenzione sulla mia amica. -Lindsay, ti prego mollami. Ti chiedo perdono in ginocchio ma lasciami. Mi dispiace di averti abbandonata come un sacco di patate- la pregai. -Va bene, non sono così crudele da farti vedere in questo stato da Carin- esclamò lei mollando la presa.

 

Quella sera restammo in albergo e dopo cena andai in camera di Allen, mentre i suoi compagni erano in altre stanze. Sperai che Carin si addormentasse prima del mio ritorno. Ci sdraiammo a pancia in giù su uno dei letti, l'uno di fianco all'altra, per esaminare la cartina di Milano che Allen mi aveva gentilmente trovato. Segnai qualche luogo da visitare con i miei amici la mattina seguente. -Facciamo...Galleria Vittorio Emanuele II e il Palazzo Reale, che dici?- gli domandai concentrata cerchiandoli sulla mappa. -Come fai ad avere così tanto interesse in un semplicissimo pezzo di carta- rise lui sconcertato. -Questo pezzo di carta ci aiuterà a capire dove andare, cosa vedere e come organizzare al meglio la nostra gita. Ecco perché mi diverte- gli spiegai seria. Allen poggiò la testa sulla mano e mi guardò dubbioso. -Se lo dici tu-. -Sai, io non capisco come Carin possa essere innamorata di te- esclamai per tornare a ciò che era successo quella mattina. -Vuoi dire che sono così orribile che è impossibile innamorarsi di me? A dire il vero in molte si sono dichiarate- disse lui scherzosamente offeso. -Ti svelo un segreto. Il mio ragazzo ideale è biondo con gli occhi verdi, ma ciò non vuol dire che abbia trovato l'amore in te. Questo va oltre ai banali modelli, ed è questo che ritengo che Carin pensi di te. Bello e talentuoso, può bastare per una come lei, non pensi?- mi spiegai. -Il tuo ragionamento non fa una piega, almeno hai ammesso che mi trovi bello- mi sorrise divertito. Gli diedi una spinta giocosa. -Quanto sarai scemo. Nonostante ciò io preferisco Nico a te, ovviamente. Per dirti che non ha senso farsi castelli mentali, l'amore viene quando meno te lo aspetti e sopratutto con chi meno ti aspetteresti- cercai di fargli capire. -Quando una ragazza dai capelli neri mi farà perdere la testa, ti darò ragione- ammise. -Cos'hai contro i capelli neri?- gli chiesi facendo la finta ferita. -Niente di particolare- rispose Allen cambiando posizione e mettendosi a pancia in su.

 

Quella notte sognai. All'inizio ero con Nico al Campo Mezzosangue a giocare ad acchiappino come due bimbi delle elementari ma, nel momento stesso in cui mi prese, la scena cambiò. Tutto intorno a me diventò angusto e povero, un paesaggio di siccità pieno di grandi rocce. Alcune di esse sembravano edifici, non complicati, costruiti con la terracotta ma indistruttibili. Ero nel mezzo di una battaglia, non vedevo molto bene chi stava lottando ma percepivo l'odore del salmastro, acqua. Le urla assordanti squarciavano l'aria, la maggior parte erano mostruose ma la cosa che mi preoccupava di più era che, anche se in minoranza, alcune era umane. Le conoscevo, erano le voci dei miei amici, non potevo sbagliarmi. Il cielo nuvoloso e minaccioso annunciava un temporale inevitabile, ma così non fu. Tutto d'un tratto apparve un raggio di sole che trafisse tre creature insieme. A quel punto capii che il profumo di mare proveniva da Alessandra e il bagliore solare da Allen. Loro stavano combattendo contro i mostri che erano troppi da contare. Cosa stavo facendo lì ferma? Perché non intervenivo in loro aiuto? Ero soltanto una spettatrice esterna della lotta? Mi guardai in giro per cercare di capire, per trovare una soluzione a quel blocco, ma trovai tutt'altro. Una manticora mi saltò addosso digrignando i denti affilati, mi stringeva forte fra i suoi artigli e percepii la sua stretta mortale. -Questa volta morirai!- ringhiò il mostro. Mi svegliai di soprassalto nel mezzo della notte. Avevo il respiro affannoso, sudavo e morivo di caldo, eppure era stato solo un sogno e niente di più. Mi era sembrato così reale... come se i miei amici stessero veramente rischiando la vita, come se io stessi per morire per mano della manticora. Odiavo quel mostro. Era riuscito ad entrare nella mia mente. Mi alzai e mi diressi fuori nel corridoio. Restai a guardare le stelle per un po' dalla piccola finestra appena fuori dalla mia stanza, mentre continuavo a pensare alle mie visioni. Annabeth mi aveva raccontato che spesso i sogni, o gli incubi, dei semidei si avverano come se fossero premonizioni. Ero terrorizzata al pensiero che potesse accadere ciò che avevo visto quella notte. Non volevo pensare che avrei portato a morte certa i miei amici prima o poi. Non volevo morire per mano di Field. Non gli avrei permesso di rovinare la vita a me e ai miei amici. L'incubo non si sarebbe avverato. Quando tornai in camera con questi timori, ci misi un po' a riaddormentarmi. Il brutto sogno si ripeté all'infinito finché non venni svegliata di soprassalto la mattina dopo. Intorno a me i miei compagni mi accerchiavano preoccupati perché non riuscivano a svegliarmi. Picchiai una testata contro qualcuno. -Finalmente ti sei svegliata! Mi stavi allarmando- esclamò Allen tirando un sospiro di sollievo. Si massaggiò la fronte per la botta presa contro la mia testa. Diedi il buongiorno agli altri come se tutto fosse normale, dopotutto io non mi ero resa conto della sveglia. -Ti agitavi nel sonno, urlavi e dopo un po' hai iniziato a sudare. Pensavo che Allen sarebbe riuscito a svegliarti in un modo o nell'altro, così l'ho chiamato- disse Lindsay stringendomi la mano preoccupata. L'unica che se ne stava fregando altamente delle mie condizioni ovviamente era Barbie. I miei compagni iniziarono ad uscire dalla camera ed andarono a fare colazione, rimanemmo solo Allen ed io. -Cosa hai sognato?- mi chiese schietto. Sentii gli occhi lucidi, le lacrime non dovevano scendere, non dovevo piangere. -Va tutto bene, tranquilla. Non provare a far uscire neanche una piccola lacrima, sennò comincio anch'io e finiamo come in Alice nel Paese delle Meraviglie- mi consolò Allen abbracciandomi. -Grazie, anche se non mi dispiacerebbe capitarci- provai a sorridere. -Due matti in più o meno laggiù a loro cosa cambia?- esclamò lui ponendo fine all'abbraccio. -Dimmi la verità, hai sognato Field?- divenne serio tutto d'un tratto, come la questione lo richiedeva. Annuii piano fissando la moquette marrone. -Devi star tranquilla, non ti farà più del male- si alzò e mi invitò a fare lo stesso. -Cambiati. Ti aspetto fuori così si va a fare colazione con gli altri- disse sorridendomi prima di uscire dalla camera.

 

 

-Dovete sapere che questa galleria è stata la prima architettura italiana creata con i nuovi materiali dell'età del ferro europea, quali il vetro e il ferro, appunto. Ci misero ben dodici anni a costruirla- spiegai ai miei amici. -Potevi evitare- esclamò Allen guardando la cupola di vetro sopra le nostre teste. -A me è interessato- mi confortò Lindsay. La ringraziai con lo sguardo prima di tornare ad osservare la magnificenza della Galleria Vittorio Emanuele II. -Tutte le cose affascinanti hanno bisogno di una spiegazione, così sono più attraenti- giustificai la mia mania di spiegazioni architettoniche. -Io non ho bisogno di chiarimenti o interpretazioni, eppure sono così affascinante- mi sorrise divertito Allen. Lo spinsi via rischiando di buttarlo addosso ad altri passanti. Il Palazzo Reale era uno dei palazzi più belli che avessi mai visto. Le scalinate non mi facevano più effetto, visto che ero abituata a vederle e camminarci ogni giorno all'Accademia. Le sale, però, erano favolosamente decorate, ognuna di un colore diverso e sarei voluta rimanere ad assaporarne ogni dettaglio per minuti e minuti, se non mi avessero trascinato via. La sala da ballo era ricca di grandi candelabri eleganti che scendevano dal soffitto. Sfortunatamente era in restaurazione, ma mi bastò chiudere gli occhi per immaginarmi il suo aspetto originario e regale. Volteggiai da sola per la sala come una scema, lo facevo ogni volta che visitavo una sala da ballo di un castello, fregandomene degli altri turisti. Ballavo sognante, fantasticando sulle mille feste e ricevimenti che si erano susseguite al suo interno. -Mi manca solo l'abito blu notte dei miei sogni e il mio cavaliere- sospirai immaginando la mia favola personale. -Potresti tornarci con Nico qui, così ti mancherà solo l'abito che penso sia il minimo- mi consigliò Allen raggiungendomi. La stanza successiva era la biblioteca del palazzo e a me sembrò di essere finita nel cartone de La Bella e la Bestia. I suoi colori azzurro e bianco la illuminavano senza il bisogno della luce solare o artificiale. Era spettacolo puro. Ero circondata da librerie alte dieci metri colme di libri rilegati in pelle rossa, blu, verde, marrone, arancione, bordeaux. Quell'arcobaleno di libri mi aveva ipnotizzata. -Oh no, ha visto i libri- si disperò Allen conoscendo la mia passione per la lettura e le biblioteche. -Vi prometto che non ci metterò tanto, voglio solo godermi questo posto finché posso- esclamai accarezzando le librerie bianche. Il pavimento era a scacchi color rame e avorio mentre le pareti libere erano azzurro pastello con delle rifiniture laccate d'oro. La cupola sopra le nostre teste splendeva come un gioiello e al suo interno erano rappresentati vari personaggi. Presi la cartina del palazzo per cercare delle informazioni sulle decorazioni del soffitto che vedevo a malapena. -Questa stanza è stata dedicata alla dea romana Minerva, in quanto dea, protettrice e seguace della saggezza, dell'ingegno e delle arti utili quali l'architettura, l'ingegneria...- iniziai a leggere ad alta voce fino a quando la luce dell'immensa finestra che avevo di fronte non mi accecò. Mi parai il volto con le braccia e il sole venne coperto da qualcosa che mi stava volando incontro. Abbassai le braccia e vidi che una civetta bianca e marrone stava venendo verso di me con un ramo nel becco. Allungai il braccio destro verso il volatile che vi si posò e lo avvicinai per accarezzarlo delicatamente. Mi donò ciò che teneva nel becco: un rametto di ulivo. Lo riconobbi subito perché, oltre ad essere uno dei simboli di mia madre, era un ricordo della mia infanzia passata a giocare fra gli ulivi. -Mamma...- bisbigliai. Per la prima volta da quando avevo scoperto di essere una semidea sentivo che mia madre mi era vicina. -Forza, andiamo! Farai tardi all'appuntamento con Alessandra- il figlio di Apollo mi incitò a proseguire con la visita ma si zittì non appena mi vide in compagnia della civetta, che nel frattempo si era appollaiata sulla mia spalla destra. -Wow...com'è arrivata qui?- mi domandò lui sconcertato. -Non ne ho idea, da lassù ma la finestra è chiusa come puoi notare- gli riferii. -La divina Atena ti starà ponendo i suoi omaggi o è il suo modo per salutare i figli, non lo so- esclamò Allen sistemandosi i capelli. -Qualunque sia il motivo, ne sono felice- accarezzai un'ultima volta la civetta prima che riprendesse il volo ed io la mia gita. Il resto della giornata lo passai in compagnia di Alessandra. Mi portò a pranzare nella sua pizzeria preferita, un locale piccolo ma accogliente. Decisi di optare per una con speck e mascarpone. Alessandra e il suo amore indissolubile per la pizza non fallivano mai, era deliziosa! –Quali sono i piani per oggi?- domandai alla figlia di Poseidone mentre tagliavo un pezzo di pizza. –Ti porto in piscina- borbottò addentando il suo pasto preferito. La guardai male. Odiavo le piscine, odiavo l’acqua. –Sai che odio nuotare- mi lamentai continuando a mangiare. –Infatti non dovrai farlo, noiosa. Voglio farti vedere una cosa- mi chiarì lei. Quando uscimmo dalla pizzeria, Alessandra non era sicura se la nostra destinazione fosse a destra o sinistra, eppure ci viveva lei a Milano. Alla fine si decise e proseguimmo verso la nostra destra, dove si stagliavano nel cielo alti edifici, alcuni ultra moderni, altri in disuso. Qualcosa spuntò fuori da una delle strutture abbandonate e prese Alessandra per un braccio. La trascinò dentro con sé ma, appena entrai per inseguirli, ciò che aveva afferrato la mia amica era già scomparso. Rimaneva solo lei con un po’ di polvere sui vestiti. –Cosa diamine è appena successo?- chiesi stupefatta. La figlia di Poseidone si pulì gli indumenti come meglio poté. –Scusami, non te l’ho detto ma succede più spesso di quel che si pensi. A quanto pare il mio odore da figlia di uno dei Pezzi Grossi si sente parecchio- mi spiegò. –È stato piuttosto rapido e indolore- commentai. Dietro di lei qualcosa si erse su due gambe pronto ad attaccare. –Ale!- le feci segno di stare attenta alle sue spalle. La semidea volse a malapena lo sguardo verso il mostro e con un movimento rapido del braccio sinistro lo fece diventare polvere. –Ma fortunatamente sono solo creature deboli, il più delle volte, tipo questa- disse girandosi verso il mucchio di cenere che poco prima l’aveva attaccata. Con cosa aveva attaccato? Avevo semplicemente visto il suo braccio muoversi ed ero sicura che fino a qualche minuto fa la figlia di Poseidone non fosse armata, almeno non visibilmente. –Quale arma hai usato?- le domandai mentre continuavamo la nostra passeggiata verso la piscina. –Oh, questi bracciali- mi indicò i due braccialetti ramati che portava su entrambi i polsi. Non gli avevo dato molta della mia attenzione in precedenza, pensando fossero solo due oggetti decorativi. Si allontanò da me con un passo e mi mostrò i suoi giochi nuovi di zecca. Due pugnali emersero dai bracciali con un movimento secco delle sue mani. Capì la domanda che le stavo per fare con un solo sguardo e mi precedette. –Sono un dono di Ryan. Durante le nostre chiamate gli raccontavo dei miei incontri “mostruosi” e lui me li ha forgiati su misura con il bronzo celeste e gli attrezzi che si era portato via dal Campo, con il permesso di Chirone ovviamente-. Erano due pugnali decisamente notevoli e pronti all’uso. In piscina ci sedemmo al centro della gradinata come normali spettatrici. Tutto era sui toni del blu e del verde acqua, chiari e scuri. Vicino a noi qualche coppia di genitori osservava i figli nuotare e li incitavano a dare il meglio. Di tanto in tanto Alessandra muoveva lievemente le mani, o semplicemente le dita, e l’acqua si muoveva a suo piacimento. Se vedeva qualcuno che le stava antipatico gli faceva prendere delle botte contro l’acqua durante i tuffi indurendola o cambiando la corrente inesistente della piscina. Quando tutti se ne andarono negli spogliatoi, mi fece vedere ciò che sapeva veramente fare da brava figlia del dio del mare. Si alzò e mi consigliò di scostarmi un po’ da lei. Sollevò le braccia orizzontalmente, l’acqua l’ascoltò subito e si levò sotto i suoi comandi. Non aveva bisogno di urlare gli ordini, doveva solo pensare a quel che voleva che accadesse, i movimenti del suo corpo bastavano a far reagire l’acqua sotto di lei. Alessandra diede uno schiaffo all’aria e nella piscina si formò un’onda alta, di quelle che i surfisti sognano per tutta una vita. Sul comando della mia amica, l’acqua andò a schiantarsi contro il muro e, prima che altri abbonati tornassero e vedessero ciò che Alessandra aveva combinato, scappammo via. La vacanza passò tranquilla, tranne le notti. Continuavo a fare il solito sogno, anzi incubo, ma non dovevo pensarci troppo perché sarei tornata presto al Campo.

 

Un mese dopo festeggiammo la fine dell’anno scolastico in pieno stile musicale. Fu allestito un palco nell’immenso giardino dell’Accademia, di fronte all’ingresso. Molti ragazzi preferirono fare da tecnici e truccatori piuttosto che mettersi in mostra, mentre i più piccoli emozionati se ne stavano sull’erba aspettando l’inizio dello spettacolo. Eravamo in cento a volersi esibire, infatti la festa sarebbe durata tutto il giorno, concludendo così l’anno in bellezza. Allen ed io partimmo con una canzone americana della band “Skillet”. Restammo in divisa senza preoccuparci dei costumi di scena, visto che avremmo dovuto indossarli per la canzone a tema successiva. Cantammo “Hero”, di cui avevamo molto a cuore il testo e pensavamo che, in un certo senso, potessimo rispecchiarci in essa, ma ancora non sapevamo quanto fosse vera questa nostra idea.


I am just a man
Not superhuman
I'm not superhuman
Someone save me from the hate

It's just another war
Just another family torn
Falling from my faith today
Just a step from the edge
Just another day in the world we live
Who's gonna fight for the weak
Who's gonna make 'em believe
I've got a hero
Livin' in me

I'm gonna fight for what's right
Today I'm speaking my mind
And if it kills me tonight
I will be ready to die

Allen non era fatto per il rock, infatti intonò la canzone a modo suo e la sua voce melodiosa risaltò lo stesso. Ovviamente appena le ragazze nel pubblico lo videro salire sul palco partirono delle urla eccitate da tutto il giardino che culminarono in un “tu sei il mio eroe” generale alla fine dell’esibizione. Lindsay ci aiutò con i costumi da pirati con cui ci saremmo dovuti mostrare tra qualche canzone. La mia casacca era interamente di pelle nera con rifiniture blu, mentre quella di Allen era nera e bordeaux. Sì, le ragazzine sarebbero morte sul colpo. –Se ogni tanto ti sistemi i capelli e ammicchi al pubblico rischi di far secca qualche ragazza- lo avvertii. –Non posso farci niente, è il fascino irresistibile del pirata che è in me- mi sorrise divertito. Sapeva essere un vero idiota. Durante questa canzone io sarei stata la voce principale, ma poco importava perché le persone si sarebbero concentrate sul figlio di Apollo probabilmente. “What’s my name” fu divertente da provare ed era l’occasione buona per darmi delle arie, nonché la scusa perfetta per il mio migliore amico di vantarsi e far sbavare qualcuna.

I’m the queen of this town
I call the shots, you know who I am
I don’t need to wear no fake crown
Stand up to me you don’t stand a chance
It’s our time we up next!
My crew’s as real as it gets
The worst is now the best
And leaving us here
Will be their last regret
What’s my name?
Say it louder!
What’s my name?
Feel the power!
No one’s gonna stop us
Soon the world will be ours
What’s my name?
What’s it!, what’s it!
Say it! say it!
 

La frase che stava più a pennello ad Allen fu: never learned how to count cause I'm number one. Fu difficile rimanere seria, ma subito dopo l’esibizione glielo feci presente e lui concordò con me. –Ovvio che sono il numero uno- disse alzando le spalle mentre se la rideva. Il mattino seguente avremmo preso un aereo per New York e avremmo fatto ritorno al Campo Mezzosangue, tornando alla nostra vita da semidei, ed io non vedevo l’ora di riabbracciare Nico.

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Capitolo 7
*** Home ***


-Finalmente a casa- dissi dopo un lungo sospiro. Allen ed io eravamo sulla cima della collina del Campo Mezzosangue, rinvigoriti dall'aria energica e divina che si respirava in quel luogo. Dovevamo solo oltrepassare le grandi colonne bianche che ci dividevano dal mondo mortale e avremmo passato un'altra estate all'insegna di risate e allenamenti, circondati da altri semidei. Adesso non dovevamo più nasconderci, potevamo essere noi stessi al cento per cento e nessun mostro avrebbe attentato alla nostra vita. -Andiamo- esclamò Allen mettendomi una mano sulla spalla. Superammo la soglia con le valige in mano e scorremmo lo sguardo lungo il campo. Tutto era come un anno fa: un posto tranquillo dove le ninfe si rilassavano e giocavano in riva al lago, ma allo stesso tempo scalpitante per qualche combattimento. Il rumore di una piccola esplosione riecheggiò nell'aria e fece volare via gli uccellini appisolati sui rami degli alberi. Guardammo in direzione dell'officina dei figli di Efesto e ci scappò una risata sincera. Si iniziava bene. Ci dirigemmo verso le cabine pregustandoci le attività che avremmo potuto fare. Nel piazzale dei gruppetti di semidei correvano avanti e indietro tra una capanna e l'altra, mentre al centro tre ragazzi e mezzo chiacchieravano tranquilli. Allen me li fece notare e mi salutò andando a sistemare i suoi bagagli. Annabeth con il piccolo Luke in braccio mi intravide e mi indicò agli altri due che mi davano le spalle. Il primo era Percy e il secondo Nico. Il cuore iniziò a battermi all'impazzata appena si voltò verso di me. Ogni volta che lo vedevo mi emozionavo come se fosse la prima volta. Sul suo volto si dipinse il sorriso più bello di tutti ed era riservato solo a me. Non ci pensai due volte, lasciai a terra le valige e corsi da lui. Nico mi aspettava a braccia aperte ma l'impatto fu così violento da farci cadere sull'erba. Ci baciammo con trasporto, l'uno abbracciato all'altra. -Anch'io sono felice di vederti- esclamò mia sorella porgendo Luke al suo papà. Nico ed io ci alzammo in modo che io potessi salutare Annabeth e dare un bacino al mio nipotino. -Hey, così mi ingelosisco- brontolò il figlio di Ade. Allacciai le braccia intorno al suo collo e lui mi cinse i fianchi. -Tu sarai sempre il numero uno- lo rassicurai dandogli un bacio leggero. -Visto che sei così amorevole...mi aiuteresti con le valige?- gli indicai le mie cose facendogli il labbrino. Non riuscì a dirmi di no. Sopra il letto misi due foto. Nella prima a sinistra ero ritratta mentre cantavo nel teatro di inglese. Me l'aveva scattata Allen, lui amava avere dei ricordi per il futuro quindi lo faceva assai spesso. Nella seconda, invece, c'eravamo io, Allen, Ton e Lindsay nel giardino dell'Accademia tutti e quattro rigorosamente in divisa. -Dopotutto non era male quella scuola- disse Nico avvicinandosi. -Già, ma ora sono qui con te e niente è più importante- dichiarai guardandolo negli occhi. Prima o poi sarei caduta in quel pozzo profondo che era il suo sguardo. Mi accarezzò dolcemente le guance e mi lasciai cullare dal suo tocco. Nico portò il suo viso vicino al mio, i nostri nasi si sfiorarono. Puntammo entrambi alla bocca dell'altro e, quando le nostre labbra si stavano per toccare, qualcuno spalancò la porta della cabina di Atena. -Michela! Mi hanno detto che sei arrivata!- era la mia amica Isabelle, bella e puntuale come sempre. La raggiunsi sull'uscio per abbracciarla e a lei bastò, visto che non voleva interromperci oltre. -Scusate il disturbo, a dopo!- se ne andò via saltellando. Scossi la testa divertita. -Perché i miei amici devono essere tutti anormali?- mi chiesi ad alta voce. Dietro di me Nico mi prese un punto preciso dei fianchi e iniziò a farmi il solletico. Mi ritrassi per scappare e mi precipitai verso la finestra vicino al mio letto. Nico apparve di fronte a me e proseguì con il suo piano malvagio. Arretrai istintivamente per evitare il solletico ma ormai mi aveva in pugno. Inciampai nel letto e ci caddi. Lui non demorse e continuò a farmi ridere. Provai a ribellarmi ma lui mi tenne ferma con le gambe, si mise sopra di me bloccandomi. Non resistevo più, il mio petto stava per scoppiare dal dolore per le risate e i miei muscoli chiedevano pietà. -Ti prego, basta solletico!- mi dimenai disperata per liberarmi. Nico mi trattenne i polsi ai lati della mia testa e smise come gli avevo gentilmente implorato. Il solletico era il mio punto debole, altro che il tallone d'Achille! Il figlio di Ade si avvicinò alle mie labbra senza lasciarmi andare. -Come vuoi- sussurrò ad un soffio dalla mia bocca. Il mio cuore perse un battito e ancora una volta mi persi nei suoi occhi scuri, ne ero ammaliata come se mi avesse fatto un incantesimo. Sentimmo dei colpi di tosse provenire dall'ingresso della cabina. -Andiamo a pranzo- mi disse Annabeth. Ci alzammo dal letto ed io ero ancora rintontita dall'atmosfera precedente. -Ricordami di portarti in camera mia la prossima volta, i suoi sguardi truci non mi piacciono- mi bisbigliò Nico in un orecchio. -I miei sguardi non sono minacciosi- esclamò mia sorella davanti a noi dopo averlo sentito.

A pranzo Thomas ci aggiornò sulla sua vita sentimentale con Isabelle, raccontandoci di come l'aveva sorpresa andando a Parigi. Aveva conosciuto suo padre, il quale era felice che la figlia avesse trovato un bravo ragazzo che non badasse solo all'incredibile bellezza di Isabelle. Thomas le aveva organizzato la giornata perfetta secondo i suoi gusti da figlia di Afrodite: shopping a Lafayette, baci sotto la Tour Eiffel, cenetta romantica e elegante su un battello lungo la Senna e un film d'amore per concludere. Ci confessò che fu complicato per lui fare spese pazze per cinque ore, ma per la sua Isa questo e altro. Fortunatamente per lui si rivelò proficuo perché il giorno seguente lei lo portò a fare un tour architettonico della capitale. Ogni tanto Luke si aggiungeva ai nostri pettegolezzi con dei commenti costruttivi. -Da da da!- urlava il bimbo battendo le mani sopra il tavolino. -Sì, sì. Da da da- gli rispose Annabeth. Sembrava un'altra persona quando si occupava di suo figlio. Nessuno avrebbe mai pensato che fosse lo stress formato ragazza, o che organizzasse splendide strategie per le battaglie. -Io ho finito. Se vuoi tengo Luke...- non feci in tempo a concludere che mia sorella mi porse il bambino in tutta fretta. -Grazie infinite! Mi ci vuole proprio una pausa- esclamò lei. Mi alzai con Luke in braccio e decisi di avviarmi verso l'anfiteatro. Per i primi dieci minuti la zona era desertica, nessuno si stava allenando con l'arco e le frecce. Mi sistemai in alto sulle gradinate. L'aria fresca mi fece volare leggermente i capelli. Respirai profondamente per godermi la sensazione del venticello sulla mia pelle. Dopo pranzo un consistente gruppo di ragazzi tra gli otto e i diciotto anni invase l'area. Tra di loro vi era anche Allen, che mi salutò con la mano prima di concentrarsi sul bersaglio. Sperai di non disturbare nessuno mentre cercavo di convincere Luke a mangiare qualcosa. Ipotizzai ci fosse lo zampino di Percy nell'abbigliamento del piccolo, perché indossava un completino blu e bianco decorato con qualche delfino sorridente. Annabeth aveva provato a fare una cresta con i ciuffi di capelli neri che gli erano cresciuti, ma con poco successo. -Dai, tesorino mangia. Guarda quanto è buona questa...- gli avvicinai il cucchiaino pieno di una sostanza arancione. Luke si scansò rifiutandolo, non voleva ascoltarmi. Lo capivo, anch'io non avrei voluto mangiare un omogenizzato del genere, non sembrava affatto gustoso. Abbassai lo sguardo verso il centro dell'anfiteatro e vidi Nico salire gli scalini nella mia direzione. -Posso provare?- mi chiese mettendosi al mio fianco. -Con piacere- gli passai il bambino. Luke iniziò a giocherellare con i capelli di Nico non appena gli fu in braccio, come se avesse scoperto un nuovo gioco. Erano un duo molto tenero e il sorriso mi venne spontaneo. -Allora, facciamo così. Io lo distraggo e te lo imbocchi, okay?- mi propose il mio ragazzo. Provammo questo “esperimento” e Nico ci aveva preso in pieno: Luke era troppo impegnato con i capelli neri del figlio di Ade per rifiutare la sua pappa. Fissava intensamente Nico, che apriva e chiudeva la bocca come se stesse mangiando, e lo imitava. Fu un momento molto dolce e Nico sapeva essere molto affettuoso con il bambino. -Saresti un bravo papà- commentai senza rendermene conto. Nico si girò verso di me con le guance arrossate. -Grazie, ma non è niente di che...semplicemente a Luke piacciono i miei capelli- mi sorrise un po' impacciato. -Non è vero, sei dolcissimo con lui- continuai sicura. -Allora speriamo che...- arrossì di nuovo e non finì la frase, ma lasciai correre. Quando Luke finì il suo pranzo lo riportammo ai suoi genitori e ci dirigemmo all'arena mano nella mano. Duellammo per un po', fu stancante riprendere il ritmo dopo un intero anno di stop, ma riuscii a farmi valere. Infatti fui capace di far indietreggiare Nico fino a sbatterlo contro il muro dell'arena. Misi il piatto della spada sotto il suo mento, soddisfatta della mia prestazione di combattimento. -Okay, mi arrendo- fece cadere la sua arma in segno di resa. -Ma sappi che io non mi alleno mai al massimo delle mie forze con te, solo al minimo sennò ti distruggerei- mi chiarì sorridendomi. -Tutte scuse- dissi spavalda. -Vuoi vedere?- mi domandò divertito prima di prendere la lama della mia spada con la mano. Non soffrì minimamente e mi allontanò spingendo l'arma che tenevo in pugno. Raccolse la sua e si avvicinò minacciosamente. I suoi colpi erano così rapidi e forti che non riuscivo più a tenerlo sotto controllo. Quando mi fu abbastanza vicino, mi prese dal fianco con la mano libera e mise la spada dietro la mia schiena. Appoggiò la fronte sulla mia e mi guardò negli occhi profondamente. -E questo è ancora poco- mi sussurrò. Mi sentii avvampare in un secondo. Il suo tono di voce sicuro mi attraeva e mi destabilizzò. Adoravo la sua potenza e la forza che emanava con un solo sguardo. Ero certa che il mio cuore si sarebbe preso una bella vacanza dopo tutte le corse che gli stavo facendo fare. -Sei sorprendente- riuscii a dire. Mi sorrise appagato dal mio complimento e solo gli Dei potevano sapere quanta forza avessi in corpo per non correre via. Il suo viso mi stava uccidendo dentro ed io volevo solo nascondere il mio, ormai rosso come un pomodoro. Menomale che ero stretta a lui, perché le mie gambe si stavano sciogliendo sotto il suo sguardo ipnotico. -Ho solo più anni di esperienza- ammise infine. Mi liberò dalla sua presa ed io barcollai un po' sulle mie gambe come se fossi su una barca. La nave in questione si chiamava “Nico-si-diverte-a-farmi-perdere-la-testa”. Quel giorno andammo sulla spiaggia a guardare il tramonto, prima di raggiungere gli altri al falò serale. Ci sistemammo l'uno di fianco all'altra a pochi passi dalla battigia, dove l'acqua s'incontrava con la sabbia. Il rumore del mare mi rilassava e l'odore del salmastro mi pizzicava il naso. Nico mi strinse la mano destra e insieme guardammo il sole scendere e il cielo cambiare colore. -È spettacolare, non pensi?- dissi osservando l'arancione dinanzi a noi. -Lo è finché non pensi che in realtà è il padre di Allen a fare tutto questo- esclamò scherzando. Gli diedi una leggera spinta e lui mi sorrise di rimando. -Ti ricordi il mio primo giorno qui?- domandai appoggiando la testa sulla sua spalla. -Intendi il giorno in cui la mia vita è migliorata, come potrei dimenticarmene-mi cinse i fianchi con il braccio sinistro e mi strinse a sé. -Quel giorno ero molto confusa ma tu mi aiutasti molto. Ah...sei un sogno- esclamai alzando la testa per ammirarlo. -Tu sei il mio sogno divenuto realtà- mi disse guardandomi negli occhi. Come si poteva non amare un ragazzo così? Adesso il tramonto era solo lo sfondo del vero spettacolo, Nico. Gli accarezzai dolcemente i capelli per poi passare alle guance. -Ti amo- dichiarai avvicinando il mio viso al suo. -Ti amo anch'io- mi rispose venendomi incontro. Le nostre bocche s'incontrarono e sbocciarono in un bacio dolce. Le mie labbra calde e rovinate dal continuo mordicchiarle contro le sue fredde e lisce come il marmo. Avrei voluto che non finisse mai. Raggiungemmo i miei amici al falò, i quali erano seduti in cerchio intorno a un focolare isolato e arrostivano marshmallow e wurstel. L'unico che mancava all'appello era Allen che stava strimpellando qualcosa con i suoi fratelli e si unì a noi poco dopo. -Fatemi spazio, grazie- disse il biondino mettendosi a sedere fra Ryan e me. -Gentilissime coppiette avvicinatevi tra di voi, così ci sto anche io- continuò lui spingendo me verso Nico e Ryan addosso ad Alessandra. Il figlio di Apollo si mise comodo e prese un dolcetto dal sacchetto infilzandolo in un ramoscello. -Sei tu che ingombri, amico- esclamò Ryan. -Ti stavo per dire cosa occupa spazio, Ryan- rise Allen ironico. -Sapete, questa primavera ho conosciuto mia madre- ci informò Isa cambiando discorso. Fortunatamente c'era lei a modificare l'argomento della conversazione, sennò saremmo finiti in un turbinio di frasi a doppio senso a non finire. Lei era accanto ad Alessandra e teneva per mano mio fratello. -Mi ha riferito che ti ha dato la sua benedizione, Allen- continuò la figlia di Afrodite. -Ecco perché fai svenire le ragazzine in corridoio, Afrodito. Posso chiamarti così?- gli chiesi sorridente. -No, ti prego. Basta soprannomi brutti- supplicò il biondo. -Ha ragione- concordò con lui il figlio di Efesto. -Molto meglio Ermafrodito- Ryan si unì a me nella creazione di soprannomi per Allen. Quest'ultimo si voltò verso il riccioluto poco divertito. -Ti ho già fatto intendere che sono molto maschio- iniziò Allen. Tornammo nel turbinio dei doppi sensi, evviva. -In ogni caso preferisco Afrodito- dichiarò infine. -Finalmente accetti un mio soprannome, Moore- gli feci una linguaccia. -Non ho detto che mi va bene e non chiamarmi per cognome- mi guardò male, o almeno ci provò perché ci mettemmo a ridere subito dopo. Non avrei scambiato quelle giornate con nient'altro al mondo. Loro erano la mia famiglia. Qualche giorno dopo, il cinque giugno, io e Nico festeggiammo il nostro anniversario. Lui non accennò alla ricorrenza per tutto il giorno, così credetti che se ne fosse dimenticato. Erano le nove e mezza di sera circa e indossavo ancora i pantaloncini di jeans e la canottiera blu del pomeriggio. Ci demmo appuntamento nella sua cabina per discutere degli allenamenti dopo cena. Quando arrivai le finestre erano chiuse ma si intravedeva una luce fievole provenire dall'interno. Bussai e Nico mi aprì subito. Era vestito elegantemente con un completo nero e i suoi capelli, intonati con l'abito, erano più pettinati del solito. Nella camera le luci soffuse e una dolce musica di sottofondo creavano un'atmosfera romantica. Il pavimento era di legno scuro e si abbinava alla perfezione con le pareti grigio tenebra. Alla mia sinistra vi era un letto matrimoniale nero e rosso, un cassettone e una porta che ipotizzai conducesse al bagno privato. In fondo alla stanza una statua di Ade si delineava austera. Nico chiuse la porta non appena oltrepassai l'uscio. -Ho provato a ricreare l'atmosfera del nostro San Valentino mancato, che ne pensi?- mi chiese baciandomi la mano. -Non pensavo te lo ricordassi...- rimasi visibilmente compiaciuta. -Come potrei dimenticarmi del giorno in cui ci siamo messi insieme? Non lo scorderei mai- esclamò serio e al tempo stesso dolce. Dentro di me mi stavo sciogliendo dall'emozione ma dovevo riuscire a mantenere sotto controllo i miei sentimenti. -Ma io non sono vestita per l'occasione!- gli feci notare indicando la mia mise. -A questo ho pensato io- disse porgendomi un vestito che teneva sul letto. Andai in bagno per indossarlo. Ebbi il sospetto che qualcuno gli avesse fatto la spia sui miei gusti perché era come l'abito dei miei sogni: di color blu notte, lungo fino al ginocchio, in chiffon e pizzo. Quando tornai in camera ballammo abbracciati, i nasi si sfioravano e le farfalle nel mio stomaco stavano dando una festa. -Sei un incanto- mi sussurrò Nico. -Credimi, è difficile resisterti- continuò. Sentivo il suo respiro sulla pelle e mi vennero i brividi, adoravo quella sensazione. -Anche tu fai un certo effetto, sentissi che baldoria stanno facendo le farfalle nel mio stomaco- ammisi. Nico rise divertito e compiaciuto dell'impressione che ancora mi faceva. Mi provocava uno scompiglio interiore e dovevo ammettere che in giacca e cravatta stava divinamente, in tutti i sensi. Era più affascinante di un Dio. Ci riusciva perché era se stesso e niente per me era più perfetto di Nico Di Angelo. Passai la notte migliore ed appassionante della mia vita, tra i suoi baci e i suoi dolci tocchi. Il mattino seguente mi svegliai tra le sue braccia mentre lui mi accarezzava delicatamente i capelli. -Buongiorno amore- mi disse dandomi un bacio sulla guancia. -'Giorno tesoro- risposi stiracchiandomi. Nico era tutto ciò che volevo vedere appena avessi aperto gli occhi. Mi dava un senso di protezione stare tra le sue braccia e il suo viso sereno mi trasmetteva tranquillità. Iniziai a giocherellare con i suoi capelli mentre lui percorreva con le dita tutto il perimetro del mio corpo come se fossi un gioiello prezioso. Le parole non servivano, bastavano gli sguardi innamorati che ci lanciavamo per capirci. Mi sembrava di vivere una favola, invece era la realtà. -Sai che ore sono?- gli domandai curiosa. -Quasi le otto credo- suppose guardando la luce che passava tra le tapparelle della finestra. -Si saranno accorti della mia assenza?-. -Secondo me appena torni in cabina troverai Annabeth ad aspettarti- esclamò Nico ridendo. -Allora sarà meglio che vada prima che si svegli- dissi a malincuore alzandomi. Si stava così bene sotto le coperte con Nico. Andai in bagno per svegliarmi e rimettermi i vestiti del giorno prima. Presi l'abito blu regalatomi dal figlio di Ade e gli diedi un bacio per salutarlo prima di dirigermi verso la cabina numero sei. Anche se Nico stava scherzando, ci azzeccò in pieno: Annabeth era davanti alla porta a braccia conserte ad aspettarmi. -Quando pensavi di tornare?- mi chiese veemente alterata. -Era l'anniversario mio e di Nico, abbiamo festeggiato, mica mi sono cacciata nei guai. Non abbiamo fatto niente di male- esclamai entrando. Mia sorella mi annuì poco convinta e mi seguì all'interno della cabina. Mi feci una doccia e mi cambiai. A colazione guardavo sempre in direzione del tavolo di Ade, dovevo apparire come un ebete. Ero innamorata di Nico e non riuscivo a smettere di pensare a lui. -Ah, si svolgerà una riunione alla Casa Grande per indire un'impresa dopo pranzo- Annabeth mi riportò alla realtà. -Perché un'impresa?- ero assai confusa. Non ne avevo mai sentito parlare. Ma soprattutto, perché doveva avvisare me? Non ero così importante da dover essere a conoscenza della prossima spedizione. -Ogni volta che viene enunciata una profezia ci deve essere un'impresa, e sappiamo chi deve partire a seconda dei versi e delle situazioni in cui ci troviamo. L'abbiamo esaminata abbastanza a fondo da sapere chi sono i tre semidei che partiranno- mi spiegò mia sorella. -E chi sarebbero?- chiesi curiosa. Annie mi guardò come se avessi dovuto saperlo, come se fosse ovvio. -Tu sei il gufo di cui parla la profezia, quello che “a fianco della morte sopravvivrà”. È chiaro che si riferisse a Nico. Esiste solo una figlia del mare, in quanto l'altro discendente di Poseidone è maschio, quindi si tratta di Alessandra ed è stato piuttosto facile capirlo. Il sole beh...è Allen- mi chiarì in modo molto semplice. Noi dovevamo partire per realizzare una profezia? Ed io che volevo godermi la mia estate con Nico. Okay, non dovevo preoccuparmi di questo. Mi sarei divertita durante l'impresa, per come fosse possibile senza la protezione del Campo, e poi sarei tornata dal mio ragazzo. Non sarebbe sorto nessun problema, tutto sarebbe andato liscio come l'olio. -Tranquilla, ne parleremo oggi alla riunione- cercò di rilassarmi Annabeth. Non mi aiutò molto, ma ci potevo lavorare su. Sicuramente agitarsi non sarebbe servito. Nel luogo del raduno varie persone erano sedute intorno ad un tavolo da ping pong verde, dove avevano disposto varie lattine di Diet Coke e stuzzichini da merenda salati e dolci. Alessandra era seduta tra Percy e Ryan e mangiava i popcorn per il nervoso: dovevano averla avvisata della nostra imminente partenza. Per lei, che aveva convissuto per tre quarti di un anno con gli attacchi dei mostri, non doveva essere affatto divertente dover lasciare il Campo quando pensavi di poterti finalmente godere la vita. Allen chiacchierava serenamente con il figlio di Efesto, il quale giocherellava con alcune viti. Poco più in là Clarisse, della casa di Ares, stava litigando animatamente con i fratelli Stoll. Io mi sistemai nel mezzo tra mia sorella e Nico. Dall'altra parte del tavolo, Chirone in carrozzella si fece avanti mutando il caos in silenzio. -Iniziamo. Alcuni di voi sanno già chi dovrà partire, infatti sono presenti: Michela, Alessandra e Allen- annunciò il centauro. Nico si paralizzò al suono del mio nome. Gli accarezzai una gamba per tranquillizzarlo, nonostante anche io avessi bisogno di una buona dose di sicurezza per affrontare l'impresa. -Dovrete trovare il rifugio dei mostri e scoprire il loro piano, entro il 21 giugno. Partirete domattina così avrete due settimane di tempo. Il rifugio, secondo la profezia, si trova verso il centro degli Stati Uniti vicino ad una grande concentrazione d'acqua. Noi possiamo portarvi fino a New York e darvi le provviste per i primi giorni, ma di più non riusciamo- finì di spiegare. Se ne stava per andare quando si ricordò il consiglio più prezioso di tutti. -Giusto, cercate di rimanere vivi- ci sorrise e uscì dall'edificio lasciandoci in balia di una Clarisse ancora infuriata. Lei si alzò inveendo contro noi tre poveri semidei prossimi al macello. -Perché dovete andarci voi? Non valete niente! Io e i miei fratelli siamo molto meglio di uno stupido figlio di Apollo con le sue inutili frecce, la smidollata sorellina di Annabeth e un pesce!- ci urlò contro. Mi alzai con tutta la calma che possedevo in quel momento e la fissai dritta negli occhi. -Io non sono debole, tu lo sei. Non ci conosci, non puoi sapere la forza che portiamo con noi- ribattei. -Ed io non sono un pesce!- aggiunse Alessandra. Stringemmo i pugni. Nessuno ci avrebbe parlato così senza aver dimostrato il nostro valore, le avremmo fatto vedere noi cosa voleva dire portare a termine un'impresa. -Tenete le energie per domani, non mi meraviglierei se tornaste con un insuccesso o se perfino non tornaste- continuò la figlia di Ares. -Vuole solo farvi arrabbiare- esclamò Percy serio. Nico mi prese per mano e mi portò fuori. Lui continuò a camminare senza dirmi una parola e si bloccò solo quando arrivammo alla riva del laghetto. Non si voltò verso di me, il suo sguardo era sprofondato nell'acqua. -Lo sapevi?- mi chiese schietto. -Sì- risposi colpevole. -Perché non me l'hai detto?- la sua voce era cambiata, qualcosa non andava. -Pensavo lo sapessi- accarezzai la schiena di Nico e mi avvicinai a lui. Probabilmente aveva imparato a farlo silenziosamente, in modo che nessuno se ne accorgesse, però era evidente che le lacrime stavano levigando il suo viso. Mi misi di fronte a lui e lo strinsi forte. Non volevo che stesse così. Singhiozzò piano sulle mie spalle e ricambiò l'abbraccio. Quando si scostò, provai ad asciugargli il viso ma le lacrime scendevano incessanti come se non riuscisse a controllarle. -Scusami, non dovresti vedermi così- mi disse cercando di riprendersi. -Io non penso che Clarisse abbia ragione, ma... ho paura. Mi hanno tolto tutto, non voglio che mi portino via anche te- esclamò avvolgendomi le mani con le sue. -Io ho il timore di non farcela, ma il pensiero di tornare da te mi darà la forza per fare ogni passo- gli sorrisi fiduciosa prima di far incontrare delicatamente le nostre labbra mettendomi sulle punte. Mi venne l'idea di giocare ad acchiappino per risollevarli il morale, così gli toccai la spalla e lo intimai di tentare a prendermi. Iniziai a scappare per tutto il Campo Mezzosangue mentre Nico mi rincorreva. Sarà stato un gioco da bambini ma a noi non interessava, ci divertivamo così. Mi nascosi dietro ad un grande albero per non farmi trovare. Chiusi gli occhi due secondi per riacquistare il fiato e quando li riaprii Nico era davanti a me soddisfatto. Mi bloccò all'albero e si abbassò verso di me. -Presa- esclamò vincente. -Quindi... sei mi hai presa sono tua- suggerii allacciando le mie braccia intorno al suo collo. -Mia e solo mia- disse prima di baciarmi con ardore. Dopo mesi di lontananza ci erano stati concessi solo sei giorni per stare insieme, era proprio una scocciatura. Nico mi prese le mani e fece dondolare le braccia lentamente. -Sai, ho dato un nome al pegaso che usiamo dall'anno scorso e mi è sembrata molto d'accordo con me. Se durante l'impresa ne avrai bisogno, basterà un fischio e lei verrà da te- mi informò facendo sfiorare i nostri nasi. -Come l'hai chiamata?- domandai. -Gloria, come quella che hai portato nella tua cabina dopo la Caccia, come quella che porterai a casa dopo la spedizione- esclamò dandomi sicurezza. -Hai ragione, ce la farò- gli sorrisi entusiasta. Tutto d'un tratto Nico si fece serio, spaventosamente serio. Strinse le mani ancora più forte e mi guardò dritta negli occhi. Il suo sguardo era amorevole e sincero come nessun altro. -Nessuno ci dividerà mai, né gli anni né i mostri potranno mai osare, te lo giuro sul fiume Stige- dichiarò con una sicurezza tale da farmi arrossire.

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Capitolo 8
*** La sveglia per semidei ***


La mattina della partenza andai a trovare Gloria alla stalla. Il pegaso era forte e fiero come me lo ricordavo, sembrava in ottima forma per trasportare tre semidei stremati. Le spazzolai la lunga criniera nera e le diedi qualche zuccherino, meglio farsi amico il pegaso che potrebbe salvarti da situazioni mortali. Strinsi la presa sullo zaino grigio scuro che portavo sulle spalle, diedi un'ultima pacca all'animale e feci per raggiungere i miei amici quando intravidi qualcosa tra il fieno. Era una molletta a fiocco a strisce oro e viola. La pulii e la misi sulla criniera di Gloria come ornamento. Il pegaso s'illuminò di una luce talmente abbagliante da farmi distogliere lo sguardo. Quando tornai a guardare nella sua direzione, una ragazza dai lunghi capelli neri mi sorrideva felice. Ecco, un'altra persona molto più alta di me, a prima vista sembrava poco più bassa di Allen e tra me e lui c'erano circa venticinque centimetri. I suoi occhi color ambra osservarono intorno increduli. Indossava un abitino lilla con delle parigine nere e delle ballerine viola. La molletta che le avevo applicato era fra i suoi lisci capelli. A cosa avevo appena assistito? Rimasi decisamente sbigottita dalla sua trasformazione, peggio delle Winx. -Oh, grazie! Non sopportavo più di essere un cavallo- disse lei abbracciandomi. Non riuscii a ricambiare da quanto ero impietrita dalla stranezza della situazione. -Sono felice di esserti stata d'aiuto ma...tu chi sei?- chiesi infine. -Oh, già. Che sciocca, non mi sono presentata. Io mi chiamo Gloria Gottman e sono figlia di Ermes, piacere- mi porse la mano ben curata. Le mie unghie erano più trasandate delle sue...e lei era un pegaso. Giusto, ma per quale motivo? -Piacere...- dissi poco convinta -perché eri un pegaso?- domandai schietta. Non appena le strinsi la mano, lei la ritrasse. -Non sono sicura di volerlo dire, a te. Forse un giorno, ma non oggi- esclamò avvicinandosi al portone di legno della stalla. -Ne approfitto per tornare alla mia vita, grazie ancora!- provò ad uscire ma io la fermai. Le tolsi la molletta e tornò ad essere il pegaso di prima, solo più arrabbiato. Gloria nitrì infuriata. -Te la ridarò quando ne avrò voglia- la informai mettendomi il suo caro oggetto in tasca. Ops, forse ero stata un po' cattiva ma noi avevamo bisogno di lei. Alessandra ed Allen mi aspettavano tra le due colonne greche che segnavano l'ingresso del Campo Mezzosangue. Non mi stupii di non trovarci Nico per un ultimo saluto, in quanto mi aveva avvertito che non voleva esserci nel momento in cui avessi lasciato il campo. I miei amici ed io ci scambiammo uno sguardo d’intesa, oltrepassammo la soglia e corremmo verso il furgone di Argo. New York aveva un fascino diverso dalle altre città che amavo visitare, ma era comunque degna di nota. I grattacieli con sessanta piani spiccavano tra le nuvole e riflettevano la luce solare. Erano così alti da far perdere l’orientamento a chiunque, ti facevano sentire come un granello di sabbia in mezzo a tanti altri come te. In quel mare di persone che si riversavano sulle strade era difficile non andare addosso a qualcuno. Spesso i newyorkesi ci squadravano dalla testa ai piedi come se avessimo qualcosa di sbagliato ma, a parte la faretra piena di frecce di Allen e le fodere con le spade mia e di Alessandra che dubito la Foschia mostrasse, le uniche cose strane con noi erano la mia maglietta grigia dei Pokemon e quella nera di Naruto della figlia di Poseidone. –Qualcuna di voi sa come uscire da questo posto infernale?- chiese Allen scostandosi dal millesimo passante che se ne fregava altamente di prestare attenzione a dove andasse. –Io sono l’ultima persona qui che sa orientarsi, quindi non calcolatemi- ci avvertii Alessandra. Ripensai quando a Milano non sapeva che strada prendere nonostante ci vivesse. Sì, era un po’ disorientata. –Continueremo ad andare a dritto finché non troveremo un’uscita- consigliai. –Dopotutto “la grande mela” ha uscite da tutte le parti- ipotizzai. Passammo di fronte a centinaia di negozi e cafè, in quantità talmente esorbitante da far venire il vomito. Alla fine sembravano tutti uguali e si confondevano tra di loro. Isolato dopo isolato New York pareva infinita, si poteva quasi credere di girare in tondo da quanto ogni edificio appariva uguale all’altro dopo un po’. Mi consolava il fatto che dentro di me potessi riconoscere ogni palazzina, come se fosse qualcosa di nuovo e mai visto per ogni sua piccola sfumatura. Ognuna aveva una particolarità, dalla targhetta delle poste di colore diverso alla disposizione delle finestre, dall’usura dei materiali allo sporco sui muri. Quando arrivammo al confine della città dopo ore di cammino, la via si aprì in grandi strade a più corsie e sensi di marcia. Era circondata ai lati da boschi poco fitti dove ci inoltrammo appena senza perdere di vista la via principale. Fra i rami degli alberi il cielo arancione ci indicò che il sole stava tramontando. L’approssimarsi del buio voleva dire due cose: ci saremmo dovuti fermare e le nostre pance avrebbero iniziato a brontolare presto, soprattutto quella mia e di Alessandra. In lontananza si intravedevano le luci artificiali dei fast food autostradali, ma la nostra stanchezza e le urla silenziose dei nostri piedi erano più forti della fame. Pensandoci bene un modo per mettere a tacere entrambe le necessità c’era. Fischiai sonoramente e poco dopo nel cielo apparve un pegaso nero,che molto probabilmente non vedeva l’ora di planarmi addosso. Atterrò a breve distanza da me sbuffando irritata. Alessandra si avvicinò al pegaso e fece da mediatrice. –Non so se ho capito bene, ma ha detto che ci porterà solo se potrà mangiare con noi...- ci informò lei. -...è normale? Dovremo portare un cavallo alato in un fast food?- domandò la figlia di Poseidone abbastanza confusa. –Lo vedrete- risposi guardando torva Gloria. Nel momento stesso in cui fummo tutti e tre in groppa, il pegaso galoppò veloce verso la meta. Ci reggemmo stretti al primo appiglio che trovammo. Sembrava avesse una furia immensa di tornare umana e mangiare come qualunque mortale, forse aveva fatto indigestione di fieno. Il pegaso si fermò nel retro del primo autogrill e attese con ansia la sua ricompensa. Presi il fiocco viola e oro dalla tasca dei pantaloncini e lo misi sulla criniera nera sotto lo sguardo curioso e perplesso dei miei amici. Gloria tornò ad essere la ragazza curata e ben vestita che avevo conosciuto quella mattina. La sua mise era poco adatta ad una missione. Si sistemò la gonna e si presentò agli altri sorridente, probabilmente era gioiosa per il cibo umano che avrebbe mangiato. –Andiamo a mangiare, non metto in bocca un cheeseburger da troppo tempo!- esclamò entusiasta. Alzai gli occhi al cielo e la seguii verso l’ingresso. Alessandra ed Allen rimasero bloccati, la prima a bocca aperta per la trasformazione e il secondo era rimasto imbambolato. –Dai, non rimanete lì così, ho fame!- tornò indietro e spintonò i miei amici fino all’entrata. Troppo impulsiva ed esuberante per i miei gusti.

[Allen]

-Okay, okay, forse sto esagerando. Sarà solo una mia impressione- pensai. Accennai un’occhiata verso la ragazza di fronte a me. Gloria si stava gustando serena il suo pasto e badava poco a noi. Riuscivo a malapena a mangiare, forse mi stavo ammalando. -Avrò la febbre- mi misi una mano sulla fronte per sentire la temperatura. Era un po’ calda, ma non in modo esagerato. Il mio cuore aveva iniziato a battere forte ma non ne capivo il motivo, o almeno non volevo ammetterlo. Era passato qualche mese da quando ero uscito da quel turbinio di emozioni forti che fu la mia cotta per Michela. Non volevo rivivere le stesse vicende. Osservai Gloria: quei suoi occhi ambrati e il suo modo di esprimersi attirarono la mia attenzione, sentivo il bisogno di conoscerla. -Di dove sei?- chiesi incuriosito. Lei alzò lo sguardo dal suo panino e mi ispezionò dubbiosa, come per valutare se rispondermi fosse opportuno o meno. -Francoforte, in Germania- disse infine. Iniziai ad immaginarmi Gloria con le trecce nere lungo il corpo e il tipico abito tedesco, quello piuttosto corto con il corpetto stretto che mette in evidenza... All'improvviso sentii più caldo di prima, supposi di essere arrossito. Ma...io? Arrossire? Era un avvenimento più unico che raro. Lei mi tolse subito ogni dubbio. -No, non indosso quegli abitini. Sono bavaresi, se tu te lo stessi chiedendo- mi sorrise scaltramente come se mi avesse letto nella mente. Ricambiai il sorriso automaticamente, era piuttosto interessante. Non aveva paura di dire ciò che pensava o prendersi gioco degli altri anche se non li conosceva o poteva imbarazzarli. Non aveva peli sulla lingua e questo mi piaceva.-Anzi gli abiti tipici assiani sono piuttosto coperti, non credo siano nel tuo stile- continuò Gloria lanciandomi frecciatine. –Beh, dipende. Una donna sa essere bella anche senza fronzoli o abiti minuscoli- ammisi rubandole una patatina fritta. –Prendine un’altra e ti farò vedere la Baviera a suon di calci- mi minacciò lei. Risi divertito, capii che con lei non si scherzava. Era come se ci fossimo solo noi, in un universo a parte, mentre Alessandra e Michela parlavano dei loro interessi comuni non curandosi di noi. Riuscii a farla chiacchierare almeno del più e del meno e le frecciatine da parte sue non fecero che aumentare il mio interesse.

[Michela]

A cena conclusa tornammo nel bosco per cercare un luogo dove accamparci. Decisi di lasciare la molletta a Gloria, l’avrei fatta trasformare in un pegaso nel momento del bisogno. Meno diventava irascibile nei miei confronti e meglio era per me. Ci sistemammo in un luogo protetto dagli alberi vicino ad un ruscello, il cui passaggio creava un dolce suono rilassante. Alessandra si appostò lungo l’acqua e vi fece passare le dita. Buttammo gli zaini dove ci capitò e mi sdraiai per terra. -Dovremmo allestire una sottospecie di accampamento, lo sapete vero?- dissi chiudendo gli occhi. –Sì, ma devi partecipare anche te- esclamò Allen picchiettando con la punta della scarpa sul mio fianco. –Non c’è bisogno del solletico per ricordarmi dei miei doveri- aprii gli occhi e lo guardai male. Mi tirai su a sedere con uno scatto e incitai Alessandra a raggiungermi. –Non so quanti di voi abbiano campeggiato in vita loro, io no. So solo che non ci serviranno tante cose- iniziai prendendo uno stecchino accanto a me. Feci qualche segno senza significato e qualche riga per farmi un ordine mentale di ciò che dovevamo fare. –Allen e Gloria andate a cercare dei ramoscelli, possibilmente più sostanziosi di questo che ho io, grazie. Accenderemo un fuoco al vostro ritorno. Nel frattempo Alessandra ed io ci procureremo delle pietre e sistemeremo qui- ordinai. Allen alzò un sopracciglio poco convinto. –Sicura? Secondo me è tutta una scusa per poter poltrire senza che io ti dia noia- esclamò lui imbracciando di nuovo l’arco e la faretra, prima di avviarsi con la nuova arrivata dentro il bosco.

[Allen]

Nell'oscurità della sera le lucciole ci mostrarono il cammino grazie alla loro luce, perché le stelle che si intravedevano tra i rami degli alberi servivano solo come decorazione preziosa del cielo. Sembravano piccoli diamanti incastonati nelle tenebre, a differenza degli animaletti che ci volavano intorno. L'atmosfera che si stava creando mi spronò ad andare avanti nel tentativo di conoscere Gloria. -Quindi...quali sono i tuoi hobby? A parte brucare l'erba, s'intende- le domandai. Si voltò dalla parte opposta alla mia nascondendo il sorriso nato dalla mia battuta. Nonostante avesse voluto mascherarlo, ero riuscito a farla sorridere sul serio. -Ballo- rispose secca. Teneva lo sguardo puntato a terra alla ricerca di ramoscelli decenti come Michela aveva richiesto. -Che genere?- continuai. Mi guardò stizzita. I suoi occhi arancioni erano come lame taglienti alla luce soave delle lucciole. -Ogni tipo di ballo- disse schietta. Probabilmente assunsi un'espressione incredula senza volerlo, perché il suo sguardo si fece più affilato osservandomi contrariato. -Ti metterei alla prova, ma non credo tu ne sia capace- la sfidai continuando a camminare. Gloria mi si parò davanti incrociando le braccia. -Sono capace di fare qualsiasi cosa, anche meglio di te- esclamò spavalda. Risi leggermente compiaciuto, mi piaceva il suo atteggiamento. -So ballare sia il tango che l'hip-hop, sia il classico che il moderno- iniziò ad elencare lei. -Il tango? Non ci credo- ammisi scettico. -Te lo dimostro- disse sicura di sé avvicinandosi a me. Inaspettatamente mi prese la mano destra, mi afferrò il braccio sinistro e mi strinse a sé. La lasciai fare, improvvisò qualche passo ed io la seguii nei movimenti. Mi chiesi cosa stesse provando in quel momento, forse a lei non cambiava niente da tutti gli altri partner ballerini. Io sapevo ciò che sentivo, perché era difficile non percepire il cuore che si dibatteva nel petto. Probabilmente anche lei lo avvertiva data l'estrema vicinanza tra di noi: busto contro busto, le gambe intrecciate e i visi che si sfioravano. Provai a sporgermi più del dovuto, giusto per vedere la sua reazione. Gloria divise le nostre mani e posò un dito sulle mie labbra. Mimò un no con la testa sorridendomi divertita. Le sorrisi di rimando soddisfatto del suo rifiuto. Gloria mi incuriosiva sempre di più. Non si lasciava abbindolare, voleva avere lei il controllo della situazione. Tornammo a cercare i ramoscelli come se nulla fosse successo. C'erano veramente pochi consistenti come ci servivano a noi. -Sul serio la tua arma è un arco e qualche freccia? È un po' da femminucce- mi stuzzicò lei ironica indicando la faretra che portavo sulle spalle. -Al contrario, è molto utile negli attacchi a distanza. Volendo posso diventare un cecchino- replicai serio. -Stavo solo scherzando, Al- esclamò dandomi una lieve spinta. Al? Lo trovai un nomignolo carino, molto meglio dei soprannomi che mi trovava Michela. “Al” sarebbe rimasta una cosa tra noi due, qualcosa di speciale. -Dici così solo perché non mi hai ancora visto tirare con l'arco, sono un gran figo- scherzai. -È per questo che piaci a tutte?- chiese schietta puntando il suo sguardo indagatore su di me. -E da cosa lo hai dedotto?- la sua domanda mi intrigò. Davo davvero l'impressione di essere il solito sbruffone amato dalle ragazze? Gloria fece spallucce. -Forse il tuo modo di agire, o semplicemente il tuo bell'aspetto. Devi aver spezzato molti cuori- giudicò lei. -Sei molto sicuro, cosciente di te stesso ed emani fascino da tutti i pori. Sono tutte cose che fanno imbambolare una ragazza normale- si spiegò. -Tu non sei una ragazza normale, vero?- le chiesi un po' ovvio. -Affatto, mio caro Al- mi fece una linguaccia. -Lo avevo capito- sorrisi raccogliendo un rametto.

[Michela]

-Siete tornati al campo per prendere quei ramoscelli?- esclamai appena Allen e Gloria tornarono all'accampamento improvvisato. Avevano impiegato troppo tempo per la raccolta dei legnetti. -Non ce n'erano molti- mi spiegò il figlio di Apollo. Lui e Gloria sistemarono tutto al centro dell'area . Accendere il fuoco fu più complicato del previsto. Ancor prima di riuscire ad intravedere qualche scintilla, Gloria si addormentò e fu inevitabile accorgersene. -Deve proprio russare così forte?- si lamentò Alessandra al mio fianco che stava cercando di prendere sonno. -Lasciatela stare, chissà da quant'è che sogna di poter dormire così- esclamò Allen guardando la ragazza dai lunghi capelli neri, poi spostò il suo sguardo su di me. -Come mai sei così silenziosa? È strano da parte tua- commentò. -Non lo so, l'adrenalina se n'è andata- scossi la testa stanca. Alessandra annuii appena, concordando con me prima di addormentarsi anche lei e raggiungere Gloria nel regno di Morfeo. -Pensatela come una gita negli Stati Uniti! Non è emozionante?- esultò Allen puntando le mani verso le stelle. Era il contrario di Alessandra e me. Noi eravamo stanche e assonnate mentre lui sprizzava entusiasmo da tutti i pori. -Spero che i miei suggerimenti siano serviti a qualcosa- disse subito dopo cambiando argomento. -Di cosa stai parlando?- gli chiesi guardandolo confusa. -Niente di che, semplicemente ho riferito a Nico i tuoi gusti in fatto di vestiti. Mi auguro di essere stato di aiuto-si voltò sorridendomi sincero. Arrossii e sorrisi al ricordo del mio anniversario. -Grazie, Allen- gli dissi dal profondo del mio cuore. Ero veramente felice del suo cambiamento di atteggiamento nei nostri confronti. Il figlio di Apollo iniziò a sbadigliare debolmente. -Vai pure a dormire, sto di guardia io- lo avvertii. Si accucciò anche lui mentre presi la cartina degli U.S.A dal mio zaino ed cominciai a ripetermi la profezia nella mente. “Tre mezzosangue verso il cuore andranno”... il cuore. Il cuore umano non è precisamente centrale, ma verso nord-est, quindi il rifugio dei mostri era più vicino a noi di quanto pensassimo. La concentrazione d'acqua dovrebbe essere abbastanza grande perché Alessandra possa sentirla, come un lago. Ricontrollai la cartina e notai che a nord-est c'erano due città vicine ad un grande lago: Detroit e Chicago. Avevamo due possibilità, due posti da ispezionare. La mattina seguente lo avrei detto ai miei compagni e avremmo deciso cosa fare. Sarebbe stato più semplice e gradevole se, dopo una notte passata in bianco, non fossero venuti dei tenerissimi uccellacci neri dal becco lungo e affilato a darci il buongiorno. Appena li vidi, trasformai il mio anello e mi preparai all'attacco. Scesero in picchiata producendo un rumore assordante in grado di svegliare i miei amici. Quando i volatili furono vicini li infilzai con un colpo secco del pugnale. -Cos'è tutto questo baccano?- esclamò Allen sbadigliando. -La nostra sveglia mattutina, gli Uccelli di Stinfalo- lo informai tra una coltellata e l'altra. -Mettete tutto in ordine e preparatevi a decollare- continuai. -Gloria dorme ancora!- protestò il biondo. -Non mi interessa, svegliatela e toglietele la molletta- gli ordinai seria. Non c'era tempo per discutere perché qualcuno voleva riposarsi, dopo ci sarebbe stato tutto il tempo del mondo, ma capii che Gloria sarebbe stata contrariata e avrebbe avuto paura di non ricevere più il suo caro oggetto. -Ale, rassicurala che la riavrà indietro dopo. È solo una cosa temporanea- dissi voltandomi verso di lei. Alessandra annuì comprensiva e si mise a lavorare insieme ad Allen, mentre cercavo di tenere occupati i disturbatori della nostra quiete. -Ora vi spiego il piano. Ale, tu, dovrai volare oltre gli alberi e, quando sarai ad una giusta quota da poterci tenere d'occhio, farai salire l'acqua. Allen ed io la useremo come sostegno e da lì attaccheremo gli Uccelli di Stinfalo. Piano piano ci porterai verso di te. Ci puoi riuscire?- spiegai velocemente per non deconcentrarmi. -Certo, capo- Alessandra salì in groppa al pegaso ancora rintontito e partì verso il cielo. -Sei abbastanza sveglio per poter centrare qualche uccellino?- chiesi ironica ad Allen che mi si mise accanto. -Certo, dovresti saperlo- mi fece l'occhiolino pronto per combattere. -Non c'è nessuno che possa battermi con l'arco- prese la mira in pochi secondi e la freccia, che poco prima teneva stretta tra le dita, si conficcò nel petto di uno dei mostriciattoli trasformandolo in polvere. -Lo so, ma detto da te è meglio- gli feci la linguaccia e partimmo alla carica. Gli Uccelli di Stinfalo erano veloci ma me ne accorsi solo dopo. Miravano alla carne, agli occhi, ai nostri punti scoperti. L'adrenalina che la sera prima mi aveva abbandonata era tornata e mi rinvigorì il corpo. Il dolore delle ferite procurate dai volatili sparì momentaneamente e tutta la mia attenzione si riversò sui mostri da attaccare. Allen scoccava una freccia dopo l'altra senza fermarsi e dalla faretra ne apparivano sempre di nuove. Era piuttosto singolare e volevo chiedere come fosse possibile, ma non era il momento per fare domande. Mi distrassi in quei pochi secondi che concessi alla mia curiosità di porre la mia concentrazione su altro che non fossero gli Uccelli di Stinfalo e uno di loro passò il suo becco sul mio braccio sinistro. Mi provocò un grosso taglio che iniziò presto a sanguinare, ma per fortuna non era il braccio che usavo di più. Mettemmo i piedi in acqua e guardai in su per cercare un segnale da parte di Alessandra. Vidi qualcosa luccicare nel cielo e poco dopo Allen ed io cominciammo ad alzarci grazie all'acqua del torrente. I mostri non finivano mai, anche se erano in quantità ridotta rispetto a prima. Quando ci avvicinammo al pegaso dissi al figlio di Apollo di saltare mentre io tenevo occupati gli ultimi volatili. Durante il mio slancio, uno degli uccelli mi graffio con gli artigli la ferita sul braccio sinistro. Questa volta sentii il dolore lancinante dato che l'energia stava facendo spazio alla stanchezza per la notte in bianco. Alessandra tirò un vortice d'acqua potente verso il mostriciattolo che scomparve. Ci allontanammo da lì molto velocemente, sembrava che fossero spariti tutti. Tirai un sospiro di sollievo. -Scusate, ragazzi...vi dispiace se dormo un po'? Stanotte ho fatto nottata e...-iniziai ma Alessandra non mi fece finire. -È il minimo, dormi pure- si affrettò a dire. Li ringraziai e mi appoggiai alla schiena di Allen addormentandomi subito.

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Capitolo 9
*** Allentown ***


[Allen]

 

Mentre Alessandra vegliava su Michela che dormiva appoggiata ad una panchina, io ne approfittai per cercare informazioni e una cartina sul posto in cui eravamo atterrati con Gloria. La cittadina sembrava tranquilla e piacevole, un bel luogo in cui trascorrere la giornata. Il vento soffiava leggero e fresco alleggerendo il caldo estivo che stava arrivando. Allargai per qualche secondo la mia maglietta verde per far passare l'aria e rinfrescarmi leggermente. La città era simile a tante altre americane che si vedono in televisione, niente di così emozionante. Alti palazzoni grigi e marroni ci accompagnavano ai lati della strada, alcuni avevano un negozietto al piano terra. Accanto a me Gloria passeggiava esaminando ovunque e contenta di essere di nuovo nel suo corpo. Diceva che non si metteva gli abiti tradizionali bavaresi...ma anche lei con gli abitini non ci scherzava. Il vestito lilla le evidenziava le forme perfette sotto di esso, mentre i capelli neri si posavano con delicatezza sulla sua schiena risaltando la pelle chiara. La esaminai velocemente con lo sguardo per poi fissare di nuovo davanti a me. Dovevo smetterla di farmi distrarre. Con la coda dell'occhio vidi che lei si era girata a guardarmi a sua volta e sperai che non mi avesse notato, visto che l'avevo osservata un po' troppo. -Tornando al discorso di ieri, riguardo al fatto che sono pazzesco e tutte mi adorano...- iniziai per rompere il ghiaccio. A Gloria scappò un risolino ironico, ma mi fece segno di andare avanti. -Anche io sono stato rifiutato, una volta. È stato complicato per la mia testa dura lasciar perdere- le feci sapere. -Ah, sì? E da chi?- chiese incuriosita dal gossip. -Beh, la conosci...si tratta di Michela- dichiarai semplicemente. Gloria storse il naso. -Ti piaceva una così? Io sono infinitamente meglio- scherzò. -Ma ti ho incontrata solo adesso, quindi non essere gelosa dei miei vecchi sentimenti- le misi un braccio intorno alle spalle e le diedi un bacio delicato sulla tempia destra. Il rossore leggero che si creò sulle guance risaltò sulla pelle chiara. Gloria si spostò verso sinistra staccandosi da me e andò a sbattere contro una scala di metallo sopra cui erano sistemati degli attrezzi per la pulizia dei vetri. La scala si mosse e gli oggetti sopra di essa iniziarono la loro caduta verso Gloria. Istintivamente la presi per un polso, la avvicinai e la strinsi a me in modo che non venisse colpita. Il suo viso era nascosto nel mio petto ed io la abbracciai più forte appoggiando la mia testa sulla sua. Sapeva di lavanda, un profumo così dolce e inebriante che non fece altro che aumentare il mio battito cardiaco. -Tutto okay?- chiesi a bassa voce accarezzandole i capelli. Gloria annuì con la testa senza parlare, molto strano per una come lei che è sempre pronta a dire qualcosa di punzecchiante. Si staccò improvvisamente dal mio abbraccio e continuò a camminare lungo la strada lasciandomi indietro. -Ci saranno delle cartine della città da qualche parte?- domandò lei esasperata guardandosi intorno. Appena la raggiunsi, lei riprese a camminare senza permettermi di starle accanto. Forse qualcosa non andava, chissà cosa le stava passando per la mente. Passeggiammo per qualche altro metro finché non trovammo un piedistallo con sopra delle cartine della città in un angolo vicino ad un vicolo. -Finalmente!- esclamò Gloria. Ne aprimmo una e le demmo una breve occhiata. Il posto si chiamava Allentown. Non pensavo esistesse un luogo con il mio stesso nome. -Ho come l'impressione che Michela ci si divertirà molto- dissi piegando la carta. Risi al pensiero della figlia di Atena intenta a programmare l'intera giornata basandosi sulla cartina, era uno strano modo di divertirsi. Gloria storse il naso a sentire la mia affermazione e si voltò verso il vicolo cieco. Alzai un sopracciglio confuso dal suo comportamento. Non avrei fatto lo stesso sbaglio stavolta, dovevo capire cosa le frullava nella testa. La presi delicatamente per un braccio e la portai nel vicolo. -Ora mi dici cosa hai- esclamai serio. -Non ho proprio un bel niente- disse lei schietta incrociando le braccia al petto. -Non sarò un medico ma le malattie basilari le so curare. Se, invece, hai problemi equini, mi dispiace ma non sono un veterinario- esclamai scherzando. Finalmente Gloria mi mostrò un sorriso, e che sorriso. Mi prese alla sprovvista e mi spiazzò, sorridente era ancora più bella. Mi ci volle la sua voce per farmi tornare alla realtà. -Continuerai con la storia del pegaso finché non me ne libererò, vero?- rise lei. -Finché morte non ci separi- le risposi sorridente. Mi prese la mano che ancora tenevo sul suo braccio e mi condusse fuori dalla stradina. -Torniamo dalle altre, Al. Se rimaniamo nel vicolo potrebbe sembrare che abbiamo brutte intenzioni- disse Gloria sorridendomi.

 

[Gloria]

 

Perché a me? Perché lui? Lui, che faceva perdere la testa a tutte, perché doveva impressionarmi? Ogni volta che mi sorrideva il mio cuore aveva un sussulto, nonostante non lo dessi a vedere. Il calore del suo sorriso mi scioglieva e il suo sguardo su di me faceva scoppiare una battaglia interiore. Sarei finita come le altre vittime? No, di lui non mi colpiva solo l'aspetto, ciò che provavo non era così banale. Mi piaceva il fatto che fosse sicuro di sé, non perché lo rendeva più affascinante, lo faceva apparire più forte ai miei occhi. Non gli importava del pensiero degli altri, non sarebbe cambiato per nessuno, proprio come me. I ragazzi che avevo conosciuto fino a quel momento vomitavano complimenti e lusinghe mentre Allen rimaneva se stesso, mi stuzzicava e si lodava da solo. Durante la dimostrazione delle mie capacità di ballerina avevo percepito qualcosa di diverso, che non sentivo con i miei compagni di ballo. Ci fu una sintonia fisica istantanea. Mi mise alla prova con quel tentativo di baciarmi, me lo sentivo, voleva vedere se ci fossi cascata come le altre, se ero come loro. Ovviamente non lo ero. Era simpatico e premuroso, ma era così con tutte? Non potevo saperlo. Poi c'era quella Michela... perché sentire il suo nome mi irritava? Da quando Allen mi aveva raccontato di aver avuto una cotta per lei, il pensiero di Michela mi infastidiva. Sperai non se ne accorgesse, non gli avrei permesso di prendersi gioco di me come faceva con le altre. Eppure per le persone che mi conoscevano ero un tipo difficile in tutti i sensi, invece con Allen era tutto così facile... chissà se anche lui la pensava così. Persino il silenzio riusciva ad emozionarmi se ero con lui, le farfalle nello stomaco non mi abbandonavano anche se tentavo di non considerarle. Cercavo di guardarlo il meno possibile perché i suoi occhi verdi come il prato al mattino mi ipnotizzavano. Me ne stavo innamorando, però non superficialmente come il resto delle ragazze, bensì in modo profondo e sincero per quello che era e che mi faceva provare. Mi irritava che fosse riuscito a rendermi vulnerabile, tuttavia dovevo accettare che in sua compagnia stavo bene e i miei sentimenti per lui erano veri.

 

[Michela]

 

-Michela, svegliati. Non puoi dormire tutto il giorno- era la voce di Allen che, insieme alle sue scrollate, cercava di svegliarmi. -Voi avete dormito tutta la notte, io dormirò tutto il giorno- borbottai muovendomi leggermente. -Non ha tutti i torti- concordò Alessandra. Mi resi conto di essere seduta da qualche parte mentre le braccia e il viso poggiavano su una superficie. Aprii gli occhi piano e vidi che ero seduta su una panchina da picnic. -Dove siamo?- chiesi strusciandomi gli occhi per abituarli alla luce. -Il cartello dice Allentown- mi informò Alessandra seduta di fronte a me. Accanto a lei Gloria era tornata umana e mi passò una cartina. La ispezionai per controllare la nostra posizione. Avevamo fatto un po' di strada, ma era solo l'inizio. -Allentown, sul serio? Allen, non è che ti appartiene?- domandai ironica iniziando a ridere. -Sento che sta per arrivare un altro soprannome- commentò lui sconsolato al mio fianco. -Infatti, che ne dici di “Mastro di Chiavi”?- dissi assumendo la posa di chi sta riflettendo. -Questo è ancora più brutto degli altri. Dai, avvicinati che ti curo le ferite- cambiò velocemente discorso. Il figlio di Apollo prese una crema verde lime dallo zaino e iniziò ad applicarla sui graffi del braccio sinistro. -Sai che odio il disinfettante- sbuffai irritata. Odiavo quel tipo di medicamenti, frizzavano sempre al contatto con la pelle e mi veniva voglia di grattarmi la ferita. -Sì, e te sai che ti serve- ribatté serio lui. Provai a togliere il braccio dal suo controllo. Preferivo mille graffi profondi e non rimarginati al bruciore della crema. -Non ci pensare neanche- strinse la presa sul braccio per finire il lavoro in pace. Notai che Allen lanciò uno sguardo veloce verso Gloria mentre mi metteva dei cerotti più o meno grandi sui tagli. La osservai anch'io per curiosità: stava storcendo il naso guardandoci di sottecchi. Probabilmente non le piacevo, il mio piano di esserle simpatica era partito male in ogni caso, me ne sarei fatta una ragione. Allen sorrise ampiamente mentre mi sistemava l'ultimo cerotto. Conoscevo quel sorriso fin troppo bene, era trionfante. Chissà cosa gli frullava in quella zucca bionda. Mi si accostò decisamente troppo ed io lo guardai confusa. Cosa aveva intenzione di fare? -Stai al gioco- mi bisbigliò in un orecchio. Subito dopo mise un braccio intorno alle mie spalle nel momento in cui aprii la mappa degli Stati Uniti. -Cosa credi sia meglio fare?- mi domandò guardando la cartina. -Dovresti conoscerla bene, visto che porta il tuo nome. Dovresti dircelo tu- lo canzonai. Alessandra ed io iniziammo a ridere di gusto. Allen tornò ad osservare rapidamente Gloria e lei si voltò dall'altra parte. -Adesso puoi togliere il braccio da sopra le mie spalle prima che te lo tronchi?- gli chiesi a bassa voce sorridendo. Non se lo fece ripetere due volte. -Avete fatto colazione?- continuai. I miei amici scossero la testa. -Possiamo mangiare delle barrette energetiche- suggerì Alessandra. -Almeno che Gloria non voglia una zolletta di zucchero- scherzai. -Datemi quella maledetta barretta- esordì lei guardandomi di sbieco. -Più che altro, da quando hai una faretra che non si scarica mai?- domandai ad Allen sorpresa. -È un regalo di mio padre- mi informò lui distribuendo la colazione. -Dove l'hai tenuto per tutto questo tempo?- una faretra l'avrei sicuramente notata in quella minuscola stanza del dormitorio. -Nel saccone delle meraviglie sotto il letto insieme al nettare e ai medicinali- mi spiegò semplicemente. Annuii soddisfatta della risposta. Aveva senso, era un ottimo nascondiglio. Gloria aveva lo sguardo più confuso di me poco prima, ma ci pensò Alessandra a far sparire i suoi dubbi. -Loro vanno a scuola insieme e stanno in dormitori- le chiarì. -A proposito, com'è finita con quella tua compagna che voleva ucciderti per colpa sua?- mi chiese Alessandra presa dal pettegolezzo scolastico. Ovviamente si riferiva a Carin, quella simpaticissima ragazza, sentivo proprio la sua mancanza. -Ci odiamo a vicenda come sempre- affermai senza troppi rigiri di parole. -Probabilmente continuerà a rompere finché non mi fidanzerò. Forse, a quel punto la finirà- esclamò Allen finendo la sua barretta. -Spero di trovare qualcuno che la conci per le feste- continuò lui ridendo leggermente e posando lo sguardo per qualche secondo su Gloria. Tornai a concentrarmi sulla cartina, decisamente più importante e interessante di Carin Adams. -In ogni caso, ho studiato la mappa tutta la notte riflettendo sulla profezia. Il succo è che dobbiamo andare a Chicago o Detroit- condivisi con i miei amici ciò che avevo capito la sera prima. -Direi di fare una tappa prima a Detroit per controllare e poi a Chicago, visto che Detroit viene prima. Che ne pensi Michela?- osservò Alessandra indicando la mappa. -Certamente, ma perché domandi a me?- morsi perplessa la barretta al cioccolato. -Perché questa mattina sei stata straordinaria, ci hai salvati da una situazione da rintronati e con gran velocità! Inoltre essendo figlia della dea della saggezza, prendi le scelte più giuste- rispose con entusiasmo Alessandra. -Grazie...non ho fatto poi questa gran cosa- dissi finendo la colazione. -Allora andiamo a cercare un'uscita a piedi. Allen, sai dove possiamo andare?- domandò la figlia di Poseidone sul punto di ridere. -Ti ci metti anche tu? Non ne so nulla di questa città- esclamò Allen. Non poteva capitare un'occasione migliore per prenderlo un po' in giro, dopotutto lo ammiravano e adoravano sempre, che male c'era se noi invece lo canzonavamo un pochino? -Là c'è un gruppo di turisti con una guida, potremmo chiedere a loro- suggerì Gloria indicando delle persone poco distanti da noi. Annuimmo e ci avviammo verso il gruppo. Allen fermò la guida e parlò con lei per qualche minuto, poi ci fece segno di raggiungerlo. -Buongiorno a tutti ragazzi! Io sono la guida turistica di Allentown. Mi chiamo Elodie e sarò felicissima di accompagnarvi all'uscita della città alla fine del nostro giro turistico- si presentò lei. I suoi piccoli occhi marroni ci studiavano dalla testa ai piedi. -Che ne dite di seguirci?- concluse la guida. Si voltò verso il suo gruppo di turistico facendo oscillare i capelli castani. -Un po' di svago non ci farà male, no?- commentò Alessandra seguendo Elodie.

 

[Gloria]

 

-Eppure dovrebbe essere facile per lei capire che non mi piace. Oltre ad averglielo detto non so quante volte, io provo a baciare la ragazza che mi piace, cerco il contatto fisico. Con Carin non ho mai tentato, neanche mi è passato per l'anticamera del cervello- sbuffò Allen tornando sul discorso della sua compagna di classe. -L'abbiamo notato- risero Alessandra e Michela. Lui gli lanciò uno sguardo assassino. -Era diverso, con te avevo un rivale da far fuori- si giustificò. -No, il fatto è che sei un testardo abituato ad ottenere tutto ciò che vuoi- lo corresse la figlia di Atena. -Okay, solo perché sono sempre riuscito ad avere ciò che volevo, non vuol dire che mi cadeva dal cielo- Allen fece il finto offeso. -Ma io scherzo!- esclamò lei abbracciandolo. Una morsa mi strinse lo stomaco e istintivamente storsi il naso. Non mi piaceva vederli così vicini, così come odiavo essere gelosa. Il figlio di Apollo si voltò appena verso di me ed io iniziai a fissare insistentemente l'asfalto. Il biondino iniziò a fischiettare una canzone a me sconosciuta, mentre sembrava essere assai nota a Michela. -Sul serio “Smile” di Avril Lavigne?- disse lei poco convinta. Non capivo a cosa si riferisse visto che non conoscevo la canzone, così chiesi ad Allen di cantare almeno il ritornello.

And that's why I smile

It's been a while

Since every day and everything

Has felt this right

And now you turn it all around

And suddenly you're all I need

The reason why I smile

La sua voce era melodiosa e intonata come poche, perché Apollo aveva dovuto donargli anche una bella voce canterina? Il resto non bastava? Mentre cantava guardava intensamente il cielo splendente sopra di lui, come se stesse facendo un omaggio al padre, ma agli ultimi versi si girò nella mia direzione. Il suo sguardo mi trafisse in profondità come una delle sue frecce però non distolsi il mio, al costo di arrossire non gliel'avrei data vinta. Entrammo in un parco divertimenti immenso, senza la mappa mi sarei sicuramente persa. Alessandra voleva andare sui giochi d'acqua mentre Michela sulle montagne russe, ma la figlia del mare era troppo terrorizzata per accompagnarla. -Verrò io con te- si offrì Allen. Impulsivamente lo presi per un braccio e lo portai dalla parte opposta indicandogli un'attrazione a caso. -Guarda quello!- esclamai. Aumentai il passo sperando che le altre non c'avessero seguito. Perché l'avevo fatto?Non era da me, era tutta colpa di quello stupido. Se prima non risultavo interessata a lui, adesso avrà dei sospetti assicurati grazie alla mia trovata. Mi ero scavata la fossa da sola. Non sapevo neanche cosa stessi indicando. Guardai meglio e notai che avevo scelto un'attrazione acquatica in cui si sedeva in una canoa indiana e si affrontava un percorso fra le rapide artificiali. Perfetto, ed io dopo come mi sarei asciugata? Lo condussi alla fila del gioco e lui non si lamentò del malo modo con cui l'avevo portato via. Mi sarebbe piaciuto sapere cosa pensasse di me ma non volevo chiederglielo direttamente, sarebbe stato fin troppo evidente che ci tenessi. Dovevo trovare una scusa adatta. -Cantami qualcosa, la prima che ti viene in mente guardandomi, così per passare il tempo- dissi mentre avanzavamo nella coda a serpente. Allen aveva le mani nelle tasche dei jeans e stava osservando le persone che partivano con la canoa. Chissà cosa gli frullava in quella testa bionda. Abbassò lo sguardo verso di me e intonò un pezzo di una canzone a bassa voce per non disturbare nessuno. -Right beside you, I'll never leave you. Let me be your heart and your company, I'll let you be the one who can lean on me, I'll catch you when you fall, when you're falling free. Let me be, be your gravity-. -Apprezzabile?- mi sorrise dolcemente. Annuii senza parole. Dovevo riprendermi. -Potevi fare di meglio- gli risposi indifferente distogliendo lo sguardo. Lui rise della mia affermazione. -Non mi toglierai la convinzione di essere bravo- esclamò divertito. Mi voltai sorridente, mi piaceva la sua cocciutaggine. Ripensai al testo che aveva finito di cantare da poco e mi sentii arrossire, così nascosi il viso dalla sua vista. Era possibile o me lo stavo immaginando? Collegando quello alle sue dichiarazioni riguardo ciò che farebbe con chi gli piace... -Oddei, ce l'abbiamo fatta!- esclamò Allen interrompendo la linea dei miei pensieri. Montò sulla canoa di legno e mi porse la mano per aiutarmi a scendere davanti a lui. Mi sarei goduta quel giro sulla giostra con lui senza starmi a scervellare. Non c'era una divisione dei posti e bisognava reggersi a delle aste di metallo laterali. Strinsi le mie mani alle barre pronta per la partenza. Alle mie spalle Allen non si teneva a niente finché non fummo completamente soli. Mise la mano sinistra sopra la mia e mi cinse la vita con il braccio destro. Dovevo stare tranquilla e non pensare al mio cuore che batteva forte. Andava a tempo con il suo, che riuscivo a percepire avendo il suo petto appoggiato contro la mia schiena. -Cosa ti ha ispirato di questa giostra?- mi chiese accarezzandomi la mano. Stava decisamente cercando il contatto fisico. Chiunque ci avesse visti, ci avrebbe scambiati per una coppia di fidanzati, cosa che non eravamo. -Ah...non saprei- risposi. Era vero, avevo indicato totalmente a caso solo per portarlo via da Michela. -È rilassante- commentò Allen. Posò il mento sulla mia spalla destra e chiuse gli occhi. I raggi del sole lo facevano risplendere, odorava di luce, un profumo delicato e dolce. Le ciglia bionde brillavano come se fossero fatte d'oro sulla pelle chiara. Sembrava che Apollo volesse aiutare il figlio ad apparire come un dio per fare bella figura e ci stava riuscendo. Era perfetto da qualunque lato lo guardassi, senza imperfezioni. Lo osservai mentre si abbandonava alla pace interiore, probabilmente si stava godendo il momento di relax dell'impresa, finché non entrammo in un tunnel semi buio. Ero capace di vederlo anche se poco e a tratti. Approfittai della quasi oscurità per posare dolcemente le mie labbra sulla sua guancia. La sua pelle era calda e morbida, il suo tepore mi incitava a ripetere la mia azione ma mi bloccai, fortunatamente. Allen strinse la presa che aveva sul mio corpo, come se volesse avvertire di avermi sentito.

[Michela]

Alessandra ed io ritenemmo strano il comportamento di Gloria, ma non ci badammo più di tanto perché tornammo a discutere su quale attrazione salire. Per non perdere tempo iniziammo a passeggiare fra le stradine vivaci del parco divertimenti mentre ancora eravamo indecise su cosa fare. Lei si rifiutava di salire sulle montagne russe perché le riteneva troppo pericolose. Certo, era abituata ad uccidere mostri che cercavano di farla entrare nel loro lunch box in giro per Milano, ma le montagne russe erano troppo per lei. Acconsentii a fare i suoi giochi a patto che si sarebbe messa lei davanti, in modo che io non mi bagnassi. Nonostante la fila fosse corta, l'addetta insistette per far salire con noi altri due passeggeri. Parlavamo così fittamente tra di noi riguardo all'ultimo libro letto che non ci accorgemmo della loro presenza finché il gioco non partì. Eravamo in un gommone arancione che doveva affrontare delle rapide un po' all'aperto e un po' al chiuso. L'attrazione consisteva nello sballottare e bagnare il più possibile chi era all'interno del gommone. Dalla parte opposta alla nostra sentimmo uno strano rumore e ci voltammo all'unisono per notare che avevamo una mostruosa compagnia. Erano due bestie bitorzolute senza pelle con le vene viola in superficie che riuscivano a stento a stare sedute. Al posto delle braccia avevano lunghi tentacoli rosa, ma sembravano incapaci ad usarli come si deve. Rimanemmo bloccate per qualche secondo sconvolte, non ci saremmo mai aspettate una cosa del genere. Lo spazio era decisamente a nostro svantaggio. Un timone di metallo si frapponeva tra noi e i mostri, ma loro sarebbero riusciti ad attaccare con più facilità rispetto a noi. Ci alzammo cautamente senza poter scappare, visto che il giro era iniziato da poco. -Ale...- richiamai la sua attenzione per indicarle, un po' impaurita, che stavamo per entrare in un tunnel semi buio. I mostri sembravano gustarsi il nostro sgomento come il profumo di un buon pasto che aleggia nell'aria. Alessandra chinò a malapena la testa per non picchiarla all'ingresso dell'area chiusa. Appena oltrepassammo la linea che divideva la luce dalla semi oscurità, fu automatico. Scattai alla mia destra impugnando la spada e trasformando l'anello. La figlia di Poseidone investì uno dei mostri con un enorme turbine d'acqua che lo travolse a tal punto da farlo cadere dal gommone. Io squarciai il nemico con la spada e me la cavai con qualche graffietto lieve che sarebbe sparito con un po' di nettare. Uscimmo dall'area coperta e tirammo un sospiro di sollievo. Alessandra si rilassò e si rimise a sedere. Si appoggiò allo schienale lasciandosi cullare dal ritmo delle finte rapide. -Molto meglio averlo tutto per noi- esclamò stendendo le gambe. Fu un attimo, ma sembrò durare in eterno. Dei tentacoli rosati e viscidi circondarono il collo di Alessandra e strinsero la presa cercando di portarla verso sé. La bestia che aveva messo fuori gioco poco prima non si era disintegrato, anzi sapeva usare bene le sue armi. Il volto della mia amica stava perdendo gradualmente colore e oltre il bordo vidi il mostro aprire le fauci mostrare mille denti. Mi riscossi dal panico e mirai al tentacolo fregandomene se avessi preso anche i capelli di Alessandra. Lo tagliai e l'essere mollò la presa. Balzai decisa verso la bestia e gli diedi il colpo di grazia dritto in testa. Quando mi sedetti, la figlia di Poseidone si stava toccando il collo incredula. Lo osservai per vedere in che condizioni fosse: una linea bordeaux lo attraversava sotto il mento ed era segnato da tanti piccoli pallini viola. Mi adoperai per prenderle del nettare ma lei lo rifiutò preferendo qualcosa di più pratico. Mise una mano in acqua, ora che il pericolo era scampato, e un rivolo d'acqua le percorse tutto il perimetro del braccio fino ad arrivare al collo, dove si depositò. Qualche secondo più tardi la ferita era sparita ed Alessandra era come prima. -Te l'avevo detto io di scegliere le montagne russe- la canzonai ironicamente quando scendemmo dall'attrazione. La riccia mi fece il verso e si voltò verso la postazione dell'addetta al gioco. Feci lo stesso e notai che era cambiata. Facemmo spallucce e ci allontanammo da lì più in fretta che potemmo.

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Capitolo 10
*** Sternennacht ***


[Gloria]

Fortunatamente solo qualche goccia insignificante mi sfiorò alla fine della corsa. Quando scendemmo, Allen ed io ci accostammo ad un negozio di souvenir chiuso. Oltre le sue spalle notai qualcosa di inequivocabilmente non umano. Mi abbassai verso le mie parigine cautamente e vi sfilai una lunga piuma nera dalla punta dorata. D'istinto scattai in avanti ponendomi tra Allen e ciò che lo stava per aggredire, ma fu una pessima mossa mostrarmi di schiena. Sentii bruciare le fiamme del Tartaro sulla spalla destra ma mi costrinsi a resistere mordendomi le labbra. Passai le mie dita tra le file della piuma ed essa si trasformò in una sfavillante katana nera con l'impugnatura dorata. Mi voltai rapidamente e menai un fendente senza mirare. Il mostro contro cui stavo combattendo era per la parte superiore donna e quella inferiore rettile. Gli artigli affilati erano bloccati in aria pronti all'attacco mentre la sua bocca aperta era ricoperta da una sostanza verdognola. I serpenti sulla sua testa sibilavano e mostravano i denti assetati di sangue e desiderosi di affondarli nelle nostre carni. Il tiro aveva leggermente sfregiato il volto già orribile. Un semplice taglietto, era evidente che ero fuori allenamento. Non le diedi il tempo di muoversi o sputare ulteriore acido e la trapassai per tutto il busto con la spada. Il mostro sparì, così come il pericolo. Sospirai pesantemente, forse troppo. Non mi sentivo affatto bene e aver attaccato utilizzando la spalla destra malconcia ne aveva solo peggiorato la situazione. Sfiorai la katana con la punta delle dita e tornò ad essere una piuma fine. -Wo...- commentò Allen alle mie spalle. Il dolore mi aveva fatto dimenticare della sua presenza, eppure ero partita all'attacco per difendere lui. -Sì, lo so...sono un po' fuori allenamento- mi voltai verso di lui cercando di tirar fuori il miglior sorriso che potessi fare con le fitte devastanti che mi stavano massacrando. -Sei stata incredibile!- si complimentò sincero Allen. Sul suo volto si dipinse “l'espressione da dottore” che aveva assunto quella mattina stessa nei confronti di Michela, solo che questa volta c'era qualcosa in più che non riuscivo a decifrare bene. -Troviamo una panchina in modo che io possa medicarti la spalla- disse serio puntando lo sguardo sulla mia ferita rosso vivo. Era paragonabile al sugo di pomodoro in ebollizione, qualche bolla e delle scottature si stavano portando via la mia pelle bianca latte. Inoltre il bruciore era insopportabile e con chi sa quale forza riuscivo a resistere. Quando fummo a sedere, Allen si sistemò dietro di me e iniziò a cercare nel suo zaino. Mi posò una mano sul braccio destro e con l'altra mi spostò i capelli con delicatezza. -Sulla tua pelle l'erosione si nota di più...- esclamò il figlio di Apollo mentre spalmava cautamente una crema sulla ferita. Non sapevo se prenderlo come un complimento o meno. -Ha parlato l'africano- commentai scherzosa. Sentii lo sbuffo di una risatina sulla mia pelle che mi irrigidì completamente. E pensare che che fino a qualche minuto prima su quella spalla era appoggiato proprio Allen... non dovevo fantasticarci su, cavoli! -Se ti faccio male dimmelo- mi avvertì lui concentrato sul suo lavoro facendomi tornare alla realtà. Annuii appena e mi voltai a sinistra notando che Alessandra e Michela ci stavano raggiungendo. -Che ti è successo?- domandò sconvolta la figlia di Poseidone. -Attacco a sorpresa- spiegai velocemente. La riccia si appoggiò con l'aria stanca allo schienale della panchina. Michela si allontanò dalla sua amica e si avvicinò a noi. Sarei stata molto meglio se non l'avessi vista. Si abbassò al nostro livello, non che le ci volesse molto, e osservò incuriosita la mia spalla poco prima che Allen iniziasse a fasciarla. -Assomiglia a quella che mi ero procurata sul petto all'Accademia, può essere?- domandò dubbiosa al figlio di Apollo. -Sì, lo è. Fortunatamente in questo caso non è in un luogo così pericoloso, quindi sono sicuro che dopo una notte di riposo starà anche meglio di prima- ci informò stringendo la benda. -Non potrà volare?- chiese Alessandra allarmata. C'era una grande probabilità che fosse più preoccupata di dover camminare piuttosto che per la mia salute, ma non me la presi, dopotutto non me ne importava molto. Allen scosse la testa rimettendo la crema e le bende nello zaino. -Non c'è problema, prenderemo un treno- disse Michela tranquilla tornando dalla sua amica. -In ogni caso, anche noi siamo state attaccate- continuò la figlia di Atena. -Ed io non ho neanche un graffietto! Non sono stata brava?- esclamò entusiasta la riccia facendo una giravolta su se stessa. -Ci credo, hai trasformato un gioco d'acqua per bimbi in una sorgente curativa e non ti sei per niente bagnata- commentò Michela guardandola contrariata. -Non è colpa mia se ho certi poteri- le sorrise la figlia di Poseidone.

[Michela]

Trovai la stazione sulla cartina di Allentown e, mentre ci dirigevamo là, ci fermammo ad un supermercato da pochi soldi. Prendemmo il necessario per aumentare le scorte di cibo e acqua, avevamo sgarrato abbastanza per quel giorno. Ci rimanevano a malapena i soldi per prendere un treno che ci avrebbe portato fino a Mansfield in Ohio. Secondo i miei canoni, che si rifanno ai treni regionali italiani, questo era assai elegante, raffinato e ben pulito. Tutto girava intorno ai colori rosso e caramello. Passammo per uno stretto corridoio, largo giusto per una persona e mezzo, che ci condusse in una saletta ricca di posti a sedere completi di poltroncine rosse e tavoli legno castagno. Al momento il vagone dove ci trovavamo era completamente vuoto. Allen fece sedere Gloria accanto al finestrino per poter godere della vista notturna dei campi e delle città che si sarebbero susseguite, ma io non ebbi la stessa fortuna. Mi ritrovai a discutere con Alessandra su chi avrebbe avuto il grande onore di far perdere i propri pensieri nella notte stellata che ci stava aspettando. A volte arrivavamo a livelli incredibilmente infantili. Lasciai stare e concessi il posto alla figlia di Poseidone. Mi sistemai di fronte ad Allen, lo guardai esasperata e a lui scappò un risolino. Presi coraggio e iniziai a controllare quanto contante ci rimanesse. Mi misi a contare i pochi soldi mortali...veramente pochi. -In tutto sono quindici dollari- decretai desolata. Sicuramente una persona in più non calcolata nel viaggio e i turisti che erano in noi avevano influito in modo sostanziale. -Però abbiamo ancora tutte le dracme, quindi se volete fare una chiamata fatevi sotto!- esclamai buttando in mezzo al tavolo un sacchetto colmo di dracme dorate. -Vado io!- Alessandra saltò su, prese una monetina e si diresse alla ricerca del bagno. -Tu non chiami Nico?- domandò Allen confuso. -No...cioè non saprei. Non voglio spaventarlo o farlo preoccupare di più di quel che già è- risposi altrettanto confusa. -Piuttosto- iniziai riferendomi a Gloria. Lei stava guardando fuori dalla finestra e mi guardò stralunata, come se non si aspettasse che le rivolgessi la parola o fosse appena caduta dalle nuvole. -Non vorresti cambiarti? Forse con qualcosa di più “sportivo” staresti più comoda- le consigliai. Gloria mi fissò per qualche secondo riflettendo sulla mia richiesta, poi annuì leggermente. -Bene! Io ho poche cose, e non credo siano della tua misura ma forse tra qualcosa di mio e qualcosa di Alessandra riusciamo a trovarti qualcosa- esclamai iniziando a cercare nello zaino. Presi tutto l'occorrente e la incitai a seguirmi verso il bagno. La ragazza dai capelli neri sembrava sempre più confusa dal mio gentile invito. -Ecco cosa vuol dire essere in una compagnia di donne...- sospirò Allen prendendo un sandwich dallo zaino. -Hai detto bene, Moore. Anche tu sei una donna- mi rivolsi a lui facendogli una linguaccia prima di sparire nel corridoio con Gloria. Percorremmo la strada in un silenzio tombale, per fortuna il bagno era vicino. I silenzi, per la maggior parte dei casi, mi mettevano ansia. Pensavo di sbagliare qualcosa, di non essere simpatica o gentile, che la persona con cui ero non volesse stare in mia compagnia e forse in questa occasione era anche vero. Non sapevo come comportarmi con lei, per me era puro mistero. Pareva avesse un innato astio nei miei confronti e mi irritava non sapere quale fosse il problema in me. Non mi interessava piacerle per forza solo che, dovendo viaggiare insieme, avrei preferito capire perché non le andavo a genio. Quando entrammo in bagno, Alessandra aveva appena chiuso la chiamata e sprizzava energia e gioia da tutti i pori. -La positività di Ryan mi rinvigorisce sempre, menomale che c'è lui! Adesso sono sicura che l'impresa andrà benissimo- esclamò entusiasta. Notò i vestiti che portavamo tra le mani. -Oh, volete cambiarvi? Buona idea. Gloria prendi pure quello che vuoi, anche se non so come potrebbero starti- fece spallucce, prese una maglietta arancione dalla pila ed entrò nella zona wc. Era decisamente fine per essere un bagno di un treno. I colori variavano dal resto del mezzo. Il legno si era scurito ed era diventato mogano di prima classe, mentre le piastrelle erano color crema. Invece di aspettare che Alessandra avesse finito, in quanto c'era solo un wc e questo era piuttosto singolare per l'eleganza del luogo, mi tolsi l'indumento di sopra per indossare una maglietta nera con scritte grigie sfuocate. Mi sentivo a mio agio con i miei colori preferiti, il blu e il nero. Gloria continuava a fissare la pila dei vestiti senza emettere parola, eppure di primo attrito mi era sembrata una persona piuttosto eloquente e senza peli sulla lingua. -Prendi quello che ti va- la incoraggiai. Sfogliò gli abiti a sua disposizione per controllarli e alla fine prese un paio di pantaloncini di jeans miei e una maglietta floreale gialla e verde di Alessandra. -Sfortunatamente non posso darti scarpe, quindi ti dovrai accontentare delle tue ballerine- la informai. Lei annuì e in silenzio aspettammo che la figlia di Poseidone uscisse dalla zona wc. Gloria ci si catapultò dentro e in pochi minuti fu pronta. Si sistemò i capelli e il fiocchetto davanti allo specchio e provò a tirare giù la maglietta. Il fatto che Alessandra avesse molte tette non servì a far stare la maglietta un po' corta a Gloria, in quanto lei era comunque più alta della figlia di Poseidone. Come si poteva intuire anche senza questo cambio d'abito, il fisico di Gloria era ben messo e la maglietta floreale ne risaltò il giusto seno e la piattezza della pancia. Quando tornammo dal nostro amico abbandonato a se stesso, Alessandra si ricordò di dirci che aveva notato Elodie sul treno mentre andava in bagno, ma fu costretta a ripeterlo perché Allen sembrava non prestarle attenzione. -Ho detto- disse seccamente la riccia riferendosi al biondino con la testa fra le nuvole. -Ho sentito Elodie parlare con qualcuno, affermando che tra qualche ora farà esplodere una bomba qui sul treno- ci informò. -Cosa?!- gridammo Allen ed io sconvolti sia dalla notizia che dalla pacatezza della nostra amica nel raccontarcelo. Lei annuì piano e sicura di ciò che aveva sentito. -Non mi avevi detto che Ryan era riuscito a farti pensare che sarebbe andato tutto bene? Come può una cosa del genere rilassarti?- esclamai terrorizzata. -Infatti non mi rilassa affatto, soprattutto se urlate così. Non sono io quella che farà esplodere una bomba!- Alessandra ricambiò l'urlo, tra l'offesa e l'avvilita per essersi quasi dimenticata di quel piccolo particolare e per le voci alte. Non le piaceva sentirsi urlare addosso e mi sentivo in colpa per averlo fatto. -Sì, mi dispiace. Hai ragione- mi scusai immediatamente. Allen concordò con me. -Segnati il fatto che ha dato ragione a qualcuno che non sia lei stessa, potrebbe non succedere più- aggiunse provando a risollevare gli animi impauriti. -Io non voglio morire- disse Gloria a bassa voce, così piano da essere a malapena percettibile. -Nessuno morirà, dobbiamo solo capire cosa fare- la tranquillizzò il figlio di Apollo accarezzandole il braccio destro lievemente.

-Non sappiamo con precisione tra quante ore farà esplodere la bomba- notò Alessandra incrociando le braccia al petto. Guardai fuori dal finestrino al suo fianco, ormai era notte. Il blu scuro e il nero si intrecciavano con il bianco perla delle stelle. Se non avessimo fatto qualcosa, quelle pietre rare e luminose si sarebbero spente per i passeggeri di questo treno, e non eravamo solo noi. Provai a pensare a quando avrebbero potuto attaccare e mi sembrò quasi ovvio da essere impossibile. -Uno dei migliori momenti per creare il caos è quando nessuno se ne accorge, mentre dormiamo. Succederà stanotte- dedotti ad alta voce continuando a osservare l'esterno. -Come fai ad esserne così sicura?- domandò schietta Gloria lanciandomi uno sguardo freddo come l'iceberg che affondò il Titanic. La tranquillità e la sicurezza nella sua voce fecero crollare la mia. Non ero mai stata molto fiduciosa nelle mie capacità o coraggiosa in qualsiasi situazione, ma la scoperta di essere una semidea mi aveva cambiata rapidamente, come forse accadeva a tutti, chi più chi meno. Dovevo avere fede nei miei ragionamenti, nelle mie tattiche e nei miei pensieri per non mandare tutto a rotoli perché i miei amici credevano in me più di quanto facessi io. Dovevo tirar fuori un coraggio da leoni, diventare spavalda e sfrontata per affrontare ciò che la vita da mezzosangue mi aveva riservato. Ma in momenti come questi anche quella sicurezza che mi ero costruita piano piano, mattone dopo mattone, in quell'anno rischiava di creparsi un po'. Respirai profondamente e mi voltai verso di lei. -Infatti non ne sono così sicura- le sorrisi tranquilla -però penso che nessuno farebbe esplodere una bomba in pieno giorno. Ci sarebbero più probabilità di salvezza per alcune persone e chi vuole far esplodere un ordigno non lo gradirebbe- spiegai con un briciolo di sicurezza. -È vero. Dobbiamo avvisare i viaggiatori di questo treno, prima loro poi noi- suggerì Alessandra alzandosi di scatto. Seguii il suo esempio e feci lo stesso. -Sì, hai ragione. Loro ne sono all'oscuro- concordò Allen imitandoci. -Sarà meglio dividerci, una coppia va a sinistra e l'altra a destra, così faremo prima- esclamai. -Uff...siete sempre così “eroici”, non potete farne a meno, eh?- domandò ironicamente Gloria alzandosi a fatica dalla poltroncina. Guardai i miei amici e arrossimmo per il complimento, un po' esagerato. Era naturale per noi pensare che la vita di altre persone venisse prima della nostra, dopotutto noi ce la saremmo cavata in un modo o nell'altro. Dovevamo salvarli, o almeno ci avremmo provato. Alessandra ed io andammo verso i vagoni di sinistra mentre Allen e Gloria s'incamminarono verso il lato opposto. Fu difficile farsi credere, soprattutto perché in noi vedevano solo dei ragazzini. Forse pensavano stessi mettendo in atto uno scherzo di cattivo gusto però, non so come, alla decima volta ci credettero. Intanto che Alessandra provava a convincere il terzo vagone di persone, notai che al collo portava un ciondolo a forma di delfino interamente azzurro con dei dettagli blu e oro. Era molto carino e piccolo, percepii che lei avesse un forte legame con quell'oggetto, come se se lo fosse messo per darsi forza. La figlia di Poseidone mi fece segno di proseguire e mi dimenticai di chiederle dove avesse preso quel ciondolo. Avvertimmo i passeggeri di un altro vagone e, quando volevamo raggiungere il macchinista, trovammo un ostacolo ambiguo. Tra noi e la sala macchine c'era un vagone dove io e la mia amica avremmo immensamente gradito non entrare: era pieno di mostri. Ci nascondemmo dietro la porta e ne controllammo l'interno senza farci sentire. A sinistra delle gorgoni squamose sputacchiavano veleno sui mobili mentre due ciclopi giocavano a carte. A destra cinque telchini stavano costruendo qualcosa dal metallo. I telchini non facevano molta paura come il resto del mostruoso “equipaggio”, ma erano ugualmente da ribrezzo perché avevano la faccia da cane e assomigliavano a delle foche per il resto del corpo. -Cavoli!- esclamò Alessandra sconvolta. -E ora che si fa?- chiese dubbiosa. -Sh...aspetta- la zittii -sta uscendo qualcuno dalla sala macchine- la informai lanciando uno sguardo oltre il vetro del vagone. Non uscì un umano ma un orribile cannibale con un cappellino da macchinista. -Mancano sì o no tre ore per Mansfield, quando hai intenzione di far esplodere questo treno?- domandò il presunto conducente. Era rivolto a qualcuno in fondo al vagone alla mia destra, qualcuno che non riuscivo a vedere bene. -Presto. Non preoccuparti, ho tutto sotto controllo- rispose pacatamente la voce di Elodie. L'unica umana in un gruppo di mostri. Perché lo faceva? Cosa le era preso? Era a conoscenza di ciò che stava per fare? -Ti conviene. Al capo non piacciono gli errori- la intimò il mostro prima di tornare a “lavoro”. -Ritorniamo al punto di partenza. Dobbiamo salvare i passeggeri prima che sia troppo tardi- dissi facendo retro marce. -Ma...ma non sappiamo come fermare il treno, si faranno male e non ce la faremo!- esclamò Alessandra in preda al panico. -Vuoi farti sentire da loro o ascoltare i miei pazzi piani di salvataggio?- le chiesi stressata. Lei annuì provando a calmarsi e ci incamminammo verso il punto in cui ci eravamo divisi con gli altri.

[Allen]

La situazione era preoccupante e non sapevamo se saremmo usciti vivi da quell'ammasso di ferro. Gloria ed io ci dirigemmo verso il fondo del treno per avvisare i passeggeri. Molti ci risero in faccia per la bella battuta mentre altri ci sgridarono perché non era divertente scherzare su una cosa del genere. In momenti come quelli lo sguardo serio e autoritario di Gloria faceva miracoli, spesso i viaggiatori si beccavano anche una bella ramanzina da lei. “Se non fosse vero me ne sarei stata seduta bella comoda sulla mia poltroncina a dormire”, “Per me potete pure rimanere qui sopra” e “Okay, mettete in pratica il non fidarsi degli sconosciuti ma credeteci per favore!” erano le più quotate. Sapeva passare in poco tempo dall'indifferenza, all'arrabbiata o alla disperata in casi critici. Mi rassicurò che non pensava sul serio di lasciare le persone qui, solo che la irritavano perché non si fidavano di noi e delle nostre buone intenzioni. Stavamo per entrare nell'ultimo vagone quando mi ricordai che dovevo sempre ringraziare Gloria per quel giorno. -Non ti ho ancora ringraziato per avermi difeso oggi...- iniziai ma Gloria mi fermò subito. -Infatti non devi. Tu mi hai medicato la spalla, per me siamo più che pari- esclamò lei sorridendomi radiosa. Probabilmente doveva essere difficile per lei farlo per la situazione in cui era stata catapultata contro il suo volere e per il dolore che proveniva dalla ferita. Era una ragazza molto forte e l'ammiravo per questo. Grazie a lei e alle mie amiche riuscivo a trovare la forza e la speranza per sopravvivere, non sarebbe stato facile. Le sorrisi di rimando. -Dai, manca l'ultimo. Presto saremo fuori di qui, e soprattutto vivi- la incitai a proseguire. Prima avessimo finito, prima quell'incubo sarebbe finito. Fortunatamente a fine treno c'erano solo tre persone e fu più facile convincerle. La prima ci credette subito, forse perché sembrava non starci molto di testa. Gli altri due ci guardavano da lontano con sguardo scettico e bisbigliavano tra di loro. Iniziavo a pensare che lasciarli qui non sarebbe stato tanto male. Dopo aver parlato anche con loro tornammo indietro dalle altre. Passare per i corridoi stretti che collegavano le carrozze del treno era la cosa meno elegante del mezzo. Erano illuminati solo da qualche lucina sul soffitto e, quando il treno ondeggiava, oscillare a destra e a sinistra in quei minuscoli passaggi non era affatto bello e sicuro, o almeno pensavo. Gloria, al mio fianco, controllava con attenzione il pavimento per sistemare i piedi in modo da non cadere. Una scossa più forte delle altre ci fece perdere definitivamente l'equilibrio. Il treno proseguì con una lieve svolta ed andammo a sbattere contro la parete del corridoio. Per poco non picchiai la testa contro quella di Gloria. Mi appoggiai al muro con l'avambraccio. Gloria posò le sue mani sul mio petto per aiutarmi ad assestarmi dopo lo sbando. Doveva essere stata una botta penosa per lei, soprattutto alla spalla destra. -Stai bene? Ti sei fatta male da qualche parte?- le domandai preoccupato. Lei scosse la testa noncurante. -Mi fa solo un po' male la spalla, ma niente di che- mi avvisò mentre fece zampettare le sue dita, compiendo dei piccoli passi lenti e delicati sul mio petto. Iniziò a giocherellare con il colletto della mia t-shirt e mi sentii improvvisamente agitato. -Se vuoi ho del nettare o...- mi bloccai. Solo in quel momento mi resi conto di quanto eravamo vicini. Il piccolo naso di Gloria sfiorava appena il mio ed io rimasi catturato dal suo sguardo. L'ambra dei suoi occhi brillava di luce propria, amplificata dalle lampadine sul soffitto. Non avrei mai pensato che potesse esistere qualcosa di così prezioso. Quegli occhi dovevano essere ultraterreni e lei era bella quanto una dea greca. Lo sguardo di Gloria, che prima mi osservava interessato, si spostò sulle mie labbra e il mio cambiò direzione con il suo. Eravamo ipnotizzati l'uno dall'altra. Nessun mago sarebbe riuscito a far di meglio in materia di ipnosi. Lentamente ci avvicinammo e la tensione era palpabile. Le nostre labbra s'incontrarono e si schiusero in un bacio dolce. Avvolsi i suoi capelli setosi fra le mie dita per approfondire e il profumo alla lavanda mi inebriò i sensi. Gloria legò le sue braccia intorno al mio collo e mi strinse a sé. Tutta l'agitazione che provavo fino a poco prima svanì e mi parve di volare.

 

[Michela]

Come per la raccolta di legnetti, Allen e Gloria ci stavano mettendo troppo. Gli avevamo dato la parte più lunga del treno a nostra insaputa? Nonostante questa probabilità, quando spuntarono fuori oltre la porta Allen era troppo tranquillo per uno che si trova su un treno che sta per esplodere. -Hey, avete avvisato tutti?- ci domandò sorridente. -Sì, ma non mi sembra il caso di fare con comodo in una circostanza come questa, Moore- gli risposi secca. Si avvicinarono a noi e Allen non mutò il suo sorriso. Okay, era totalmente impazzito ed emozionato all'idea di farsi saltare per aria. Gli raccontammo cosa avessimo visto e sentito e ci preparammo un piano di emergenza. -Vedete per caso dove siamo? Perché potrei avere un'idea- esclamai affacciandomi ai finestrini. Allen mi si affiancò strofinandosi deciso le mani. -Anche io ne avrei una e oggi mi sento molto fortunato quindi potrebbe funzionare- commentò continuando a pulirsi le mani. Mi fece cenno di aprirli la finestrella. Chissà cosa aveva in mente. Il figlio di Apollo si concentrò sull'esterno e vi puntò i palmi delle mani. Dei leggeri fasci di luce solare iniziarono ad illuminare il prato sottostante. Wow, avevamo la nostra lampadina portatile. Quando questa corsa esplosiva si sarebbe conclusa gli avrei annunciato il suo nuovo soprannome. -È mai possibile che tu sappia fare proprio tutto?- esclamò incredula Gloria alle spalle del biondo. -Oh sì- rispose lui voltandosi verso di lei sorridendole. -Okay, il mio piano è questo: potremmo usare l'acqua per creare uno scivolo con cui far scendere i passeggeri, evitando così di farsi male, che ne pensate?- provai a spiegare. Alessandra guardò fuori dal finestrino e Allen continuò a far luce. -Ci sono solo ettari d'erba, potrei provarci- mi sorrise la figlia di Poseidone convinta. -Salviamo prima quelli in fondo al treno, così non trarremo alcun sospetto ai mostri- consigliò Gloria indicando verso destra. Accettammo il suggerimento e ci incamminammo a passo svelto. Ognuno di noi aveva qualcosa di specifico e importante da fare, anche se il grosso toccò alla figlia del mare: spaccavo i vetri dei vagoni con il pugnale, Allen era la torcia di turno per Alessandra che formava scivoli d'acqua resistenti per far scendere le persone (alcuni si divertirono pure, chissà cosa stavano vedendo grazie alla Foschia) e Gloria aiutava le persone a non farsi male. Non fu semplice farli atterrare delicatamente visto che il treno viaggiava veloce, ma le persone ci ringraziarono e non ci chiesero niente. Quando ci avvicinammo al vagone dei mostri, cercammo di far in modo più rapido possibile però non fu abbastanza. Elodie uscì dal suo scompartimento mostruoso e ci notò intenti a salvare gli ultimi viaggiatori rimasti. -Oh, molto eroico da parte vostra. Mezzosangue. Ma la corsa finisce qui per voi- annunciò lei ridendo malignamente. -Saltate anche voi!- ordinai severa ai miei amici senza voltarmi. -Ma dopo tu...- iniziò Allen per niente convinto della mia decisione. -Voi buttatevi, io la tratterò. Vi raggiungerò, tranquilli- mi girai verso di loro e gli sorrisi. Continuavano ad essere poco sicuri ma saltarono giù uno dopo l'altro, dopotutto sapevano che era dura convincermi quando mi mettevo in testa una cosa. Quando mi fui accertata che i miei amici fossero in salvo, tornai a concentrarmi su Elodie. -Mossa poco saggia, figlia di Atena. Morirai qui, lo sai vero?- disse lei con un ghigno malefico. Fischiò e alcuni dei suoi “amichetti” uscirono dal vagone dietro di lei. -Il capo sarà felice di avere una nuova testa da collezionare e loro qualcosa di buono da mangiare- concluse Elodie. Impugnai la spada e la guardai dritta negli occhi. -Brava, sottovalutami. Sarà divertente- mi avvinai rapidamente a lei e le tirai un pugno sul naso facendolo sanguinare. Subito dopo fui costretta a saltare su un divanetto per evitare il veleno delle gorgoni e vidi Elodie allontanarsi. Sarebbe andata ad attivare la bomba in sala macchine, lo sapevo. Non avevo tempo da perdere con quei mostri, uccisi i telchini e le gorgoni il più velocemente possibile. Corsi verso il prossimo vagone per inseguire la donna dimenticandomi che i mostri che avevo ucciso non erano gli unici sul treno. Appena entrai nella stanza, un ciclope mi prese per il braccio destro sbattendomi contro la parete e i finestrini. A causa del colpo delle macchie nere iniziarono a danzare davanti ai miei occhi occultandomi la vista. Il ciclope stava ingobbito nel vagone essendo molto più alto, ma utilizzava la sua grande forza senza problemi. Mi afferrò per la testa e mi alzò preparandosi a colpirmi ancora, ma questa volta non gliel'avrei lasciato fare. Non sarei finita come la scorsa estate per colpa di quei mono occhiuti schifosi. Sollevai il braccio destro con cui stringevo l'arma e infilzai lo stomaco del mostro con tutta la forza che possedevo. La bestia sparì ma dietro di lui emerse l'altro suo simile e feci appena in tempo a scostarmi verso destra per evitare il suo colpo. Il secondo ciclope mi afferrò per la gamba sinistra e mi trascinò a sé. Cercai di aggrapparmi ai rimasugli dei mobili ma fu inutile. Mi tirò su finché la mia testa non si sollevò da terra. Non avevo mai combattuto a testa in giù, ma c'è sempre una prima volta per tutto. Alzai il busto e mi ritrovai faccia a faccia con il bulbo oculare cisposo del ciclope. Senza pensarci due volte lo colpì con il pugnale dritto nel suo unico occhio accecandolo. Mollò la presa ed io caddi sul pavimento provocando un brutto rumore. Ahia, a questo non avevo pensato. Mi grattai leggermente la testa e la schiena approfittando del momento di panico e dolore del ciclope. Menai un fendente verso di lui e misi fine alle sue sofferenze. Arrivai in sala macchine dopo troppo tempo perso dietro ai mostri. Elodie stava parlando con il cannibale guidatore e si voltò verso di me non appena mi sentì entrare. -Ormai è tardi, la bomba esploderà tra quindici...quattordici...tredici...dodici...- Elodie iniziò a fare il conto alla rovescia. Il “macchinista” suonò una campana assordante e mi distrasse facendomi tappare le orecchie dal frastuono. Grazie alla mia distrazione il mostro e la donna si buttarono fuori dal treno salvandosi, senza che io avessi potuto fare niente per impedirglielo. Spaccai la finestra subito alla mia destra e saltai. Qualche istante dopo il treno esplose ed io caddi a terra.

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Capitolo 11
*** Una targa da guerra ***


[Michela]

Misi le braccia sopra la testa per proteggermi dai detriti volanti del treno. Lasciai passare qualche minuto per accertarmi che fosse tutto finito, cercando di far tornare il battito cardiaco regolare. L'erba fresca mi solleticava il viso mentre respiravo a pieni polmoni. Mi costrinsi a sedere e, quando riuscii ad abituarmi al buio della notte, guardai il treno, o meglio quello che ne era rimasto. A complicare la vista, delle macchie nere danzavano ancora davanti ai miei occhi. Per quel che riuscivo a vedere c'erano solo ammassi di ferraglia sparsi un po' ovunque. Una delle ruote si trovava accanto a me, probabilmente mi aveva sfiorata. Le orecchie mi fischiavano per lo scoppio e la testa iniziò a girarmi non appena recuperai lo zaino. Sfiorai delicatamente la fronte dove trovai un taglio sanguinante, mentre tra i capelli dietro alla testa percepii un grosso bernoccolo. Cercai nello zaino un cerotto per la ferita e un po' di nettare per una cura fai-da-te che sperai bastasse. Quando tornai a sentire il rumore persistente delle cicale, provai ad alzarmi ed iniziai a barcollare verso la fine del treno in cerca di qualcuno. Dopo un po' di cammino sentii delle voci familiari che si trasformarono presto in urla. -Michela!- esclamò Alessandra saltandomi addosso in un impeto tale da farci finire per terra. Okay, forse l'avevo fatta preoccupare più del dovuto. Ci rialzammo e gli altri ci raggiunsero a corsa. -Sei viva! Non osare più offrirti per una cosa del genere, chiaro?- mi sgridò Allen mentre mi stringeva forte. Quando si staccò controllò la mia medicazione fai-da-te sulla fronte e gli scappò un risolino. Doveva far decisamente ridere il modo in cui mi ero messa il cerotto. -Cosa ti è successo?- domandò scostando il cerotto per ispezionare il taglio. Gli scansai la mano dalla mia testa. Dopotutto stavo bene così, non mi servivano altre attenzioni. -Non te lo posso assicurare. È successo il solito: un po' di boom, un po' di bam e sono finita sul prato. Elodie e il mostro capotreno sono riusciti a scappare- spiegai senza entrare nei dettagli irrilevanti. -Come stanno i mortali?- chiesi preoccupata. -Stanno bene, hanno chiamato aiuto. Le autorità della città più vicina e la tv nazionale stanno venendo per un servizio sull'esplosione da mandare in onda per il telegiornale del mattino- mi informò Alessandra. -E sarebbe meglio non essere qui in quel momento- consigliò Allen. Fortunatamente la prossima cittadina era più vicina del previsto, in quanto dovemmo camminare per tutto il tragitto per far riprendere Gloria al meglio. Ci fermammo in un café un po' scialbo per fare colazione e bere un po' di nettare in tranquillità finché dal grande televisore del locale non partì il tg. Non ero interessata a niente che non fosse il mio caffè e il mio panino, ma la voce irritante e vittimistica che proveniva dalla tv fece alzare il mio sguardo verso di essa. Elodie era stata intervistata dalla televisione nazionale e in lacrime aveva indicato noi come i colpevoli dell'esplosione descrivendoci per filo e per segno. -Vi prego, trovateli e fermateli. Quei ragazzi sono pericolosi per l'incolumità delle persone. Io ho provato a fermare una di loro e guardi cosa ha fatto al mio naso!- esclamò sconvolta indicandosi il naso evidentemente rotto e sanguinante. -Non si preoccupi, ci penserà la polizia ai malviventi- la rassicurò l'inviato. -Chiunque sappia qualcosa o noti questi ragazzi avvisi subito le autorità- dichiarò infine il telecronista prima di mostrare il treno distrutto. -Ma che cavolo?!- esclamammo tutti e quattro all'unisono quando il servizio finì. Adesso non solo dovevamo fuggire e fare attenzione ai mostri ma anche non farsi vedere da nessuno di umano. -Spero sia uno scherzo...- iniziò Gloria stringendo i pugni. -Quando rivedrò quella Elodie la farò definitivamente fuori, così impara!- urlai battendo i pugni sul tavolo. I miei compagni mi zittirono subito, in effetti non era stata una buona mossa. Le poche persone che erano nel café iniziarono a guardarci sospettosi. Ci allontanammo dal luogo con discrezione e a passo svelto finché non arrivammo in una radura fuori città circondata da alti alberi dove poter riprendere fiato. Ci stendemmo sull'erba fresca contemplando il cielo azzurro. Respirai a pieni polmoni e chiusi gli occhi. -O una botta di fortuna ci viene incontro o non ne usciremo incolumi- commentò Allen mettendosi a sedere. -Ci servirebbero dei cappellini o qualcosa di simile per nascondere in parte il nostro aspetto...ma non abbiamo abbastanza soldi- suggerii la figlia di Poseidone sconsolata al mio fianco. I suoi ricci erano sparsi sul prato verde come gli occhi del figlio del dio del sole, teneva le mani unite sul petto e fissava il cielo in cerca di risposte e speranza. Le belle parole di conforto di Ryan dovevano esserle già sparite dalla mente dopo il telegiornale. -Ed io non indosserei mai un cappello che rovini i miei capelli sensazionali- ribatté Allen cercando di migliorarci l'umore. Mi misi a sedere anche io e notai che Gloria se ne stava accucciata stringendo le gambe al petto come se stesse riflettendo su una cosa importante e avesse paura di rivelarla, ma forse era solo spaventata di essere scoperta dalla polizia. Persino Allen sembrò accorgersi del cambiamento di umore della ragazza, perché si voltò verso di lei e la guardò confuso. Gloria parve non sentire i nostri occhi su di lei e continuò a fissare i ciuffetti d'erba di fronte a lei. -Cos'hai?- ruppe il silenzio il biondo interrogando serio la figlia di Ermes. Lei sembrò svegliarsi da un sonno profondo e ci guardò disorientata. Allen ripeté la sua domanda con tono fermo continuando a guardare verso di lei. Gloria si avvinghiò ancora di più alle sue ginocchia e sospirò profondamente. -Ho riflettuto sulla vostra missione e, appunto, è vostra. Io non centro niente...quindi vorrei poter tornare al campo per guarire del tutto- disse infine. Ci riflettei qualche secondo. Lei era il nostro unico mezzo di trasporto al momento, non avendo molti soldi mortali ed essendo ricercati, e senza di lei avremmo fatto tutto il viaggio a piedi. Ma io non avevo il diritto di tenerla lì a rischiare la vita contro la sua volontà, non avevo nessun potere su di lei. -Va bene- accettai sicura di aver preso la scelta giusta. Alessandra si alzò di scatto al suono di quelle parole. Lei sapeva più di me che non era una buona idea per la nostra sopravvivenza e i nostri poveri muscoli, ma ero stata io a trascinarla in questa situazione rischiosa e mi sentivo in dovere di lasciarla andare se lei chiedeva così. Allen continuò a fissare la ragazza dai capelli neri senza emettere parola. -Dobbiamo avvertire i ragazzi del campo del tuo arrivo. Alessandra potresti aiutarmi per creare un messaggio Iride?- chiesi voltandomi verso la riccia. Lei, piuttosto turbata dalla mia scelta, si avvicinò a me e formò un mini turbine d'acqua per la chiamata divina. Poco dopo davanti ai nostri occhi apparve Nico in tutto il suo splendore semidivino. Non riuscii a decifrare la sua espressione facciale, non capivo se fosse felice di vedermi o preoccupato per il fatto che l'avevo chiamato. -Tranquillo, sto bene- iniziai sorridendogli con una frase rassicurante, per sicurezza. -Gloria c'è stata molto d'aiuto e adesso tornerà da voi. Sì, è stata qualche giorno con noi perché...beh lo vedrai- dissi tutto d'un fiato senza che lasciassi a Nico il tempo di comprendere. -Le legheremo al collo una molletta a forma di fiocco, quando arriverà dovrai inserirglielo nella criniera, okay?- spiegai velocemente. -Perché?- domandò il figlio di Ade piuttosto confuso. Risi tra me e me, sarebbe stata una bella sorpresa per tutti, così come lo era stato per noi. -Vedrai, non voglio rovinarti la sorpresa- dissi semplicemente divertita. -Okay...non vedo l'ora che tu torni da me- sospirò Nico guardandomi negli occhi. Cavoli, avrei voluto essere lì tra le sue braccia. -Anche io, non vedo l'ora che quest'impresa finisca- ammisi avvilita. -Lo vogliamo tutti...- aggiunsi ricordandomi della presenza dei miei amici. Non era il momento di fare i sentimentali, soprattutto quando si è ricercati dalla polizia nazionale. Ci salutammo e chiusi il messaggio Iride. Preparammo Gloria per il suo ritorno al campo e decidemmo di rimanere nella radura per quella notte. Non dormivamo da un bel po' e non ci faceva certo bene. Gloria era appena partita quando su di noi scese il violaceo della sera. -Dobbiamo trovare poso- commentai buttandomi a sedere sul prato ancora stremata. -Già...non ne posso più di tutto questo sballottamento senza poter riposare. I mostri lo sanno il significato della parola “dormire”?- domandò sarcastica Alessandra, nonostante di ironico nella sua frase ci fosse ben poco. Ipotizzai, più che altro sperai, di essere nelle vicinanze di Mansfield, la città di destinazione del nostro treno. Allestimmo un mini accampamento giusto per illuminare un poco intorno a noi senza farci notare da nessuno. -Ora che ci penso- iniziai mentre alimentavo il fuoco con qualche pezzo di corteccia caduta. -Mr Lampadina, non potresti metterti al centro e far luce tu?- gli chiesi divertita per scuoterlo un po'. Sembrava più preoccupato di Alessandra e me e non mi piaceva vederlo abbattuto. Il biondo mi lanciò uno sguardo poco divertito. -Non dirai sul serio- esclamò serio. -Cosa? La mia idea di usarti come lampada ambulante o il tuo soprannome nuovo di pacca?- io e la riccia iniziammo a ridere. -Basta soprannomi, I beg you- mi pregò Allen con un lieve accenno di sorriso. -Guarda, è semplice- dissi mettendomi in ginocchio. -Devi semplicemente posizionarti così e sei pronto all'uso- spiegai assumendo la posa di una tartaruga ribaltata con i palmi delle mani sul petto riversi verso l'alto. Quando tornai seduta, Alessandra rideva a crepa pelle mentre Allen si copriva il volto con le mani in segno di rassegnazione. -Perché la mia migliore amica è così fuori di testa?- disse ridendo anche lui. -Lo prendo come un complimento- sorrisi soddisfatta di aver portato un po' di risate all'interno del gruppo.

Il mattino seguente ci rimettemmo subito in viaggio ed uscimmo dalla radura protettiva. Non c'era tempo da perdere. Camminavamo vicino all'asfalto dell'autostrada come linea guida per non perderci mangiando barrette energetiche finché vedemmo una motocicletta venirci incontro. Ci spaventò perché il nostro primo pensiero andò alla polizia, ma non era affatto così. La moto era interamente nera, se non fosse per le strisce rosso fiammeggiante e per la scritta “Harley” elegante e argentata. Su di essa i due passeggeri, un uomo e una donna, ci osservavano interessati. L'uomo aveva i capelli neri sistemati con tanto, ma tanto, gel, qualche accenno di barba e due occhi azzurri magnetici e intimidatori. Indossava abiti di pelle nera e una leggera maglietta rossa. Noi sotto tutta quella pelle saremmo morti di caldo, come poteva lui non versare neanche una goccia di sudore? La donna aveva i capelli neri e lisci raccolti in una coda alta e perfettamente sistemata, senza neanche qualche ciuffo fuori posto. Era bellissima comunque la guardassi. Gli occhi azzurri e ben truccati e il bel vestito rosso, abbinato alla maglia dell'uomo, li fece apparire come due eterni opposti. Lei bella e raffinata mentre lui bruto e per niente elegante. In ogni caso, insieme non mi davano l'idea che mi sarebbero piaciuti. -Vi serve un passaggio?- domandò la donna dall'altra parte del guard rail. Alessandra mi si avvicinò poco convinta dai due stranieri. -Emh...perché degli sconosciuti ci stanno offrendo un passaggio? Non vorranno portarci dalla polizia spero... e comunque non c'entriamo in cinque su una moto...- mi bisbigliò piano la riccia. -Oh, non preoccuparti cara. Non vi porteremo da loro- la tranquillizzò la donna scendendo dalla moto. Com'era riuscita a sentirla? Aveva parlato a voce talmente bassa che ero riuscita a sentirla a malapena io a causa del rumore che proveniva dall'autostrada. -Voglio offrirvi il mio aiuto perché mi avete fatto divertire tantissimo con quell'esplosione! È il mio modo per ringraziarvi del divertimento- disse l'uomo seguendo il comportamento della compagna. -Io lo accoglierei felicemente al posto vostro- esclamò la donna prendendo il braccio dell'uomo. -Pochi riescono ad avere un privilegio del genere- si affrettò a dire lei. Scavalcai il guard rail bollente incuriosita ed andai a guardare la targa della moto: A.R.E.S.5.1.0. Qualcuno doveva aver ascoltato le parole di Allen, qualcuno di cui lui ha la benedizione e che ha convinto l'amante. -Bella targa, zio- mi congratulai ironica. I miei amici mi imitarono e controllarono dopo di me. -Era l'ora! Posso capirlo da una figlia di Poseidone, ma da parte vostra non tanto...- esultò Ares incrociando le braccia al petto. -Hey, io non sono stupida- esclamò offesa Alessandra guardando male il dio della guerra. -Se sei come tuo fratello, sparisci. Non mi piaci- chiarì subito lui. La riccia sbuffò e incrociò anche lei le braccia. -Sono qui perché, come ha detto la mia amata, voglio offrirti un aiuto che da parte mia è un avvenimento più unico che raro, ragazza mia- iniziò a spiegare. -Sei stata pazzesca con il treno, seriamente. Non so, forse è il caldo, ma voglio imprestarvi una delle mie moto. Non rovinatela se potete, sennò la ripagherete con gli interessi- concluse il dio della guerra con uno sguardo fulminante. -Quando non vi servirà più, non dovrete fare altro che toccare la targa secondo la combinazione “01RAS5E”- ci informò la bella Afrodite prima di sparire insieme ad Ares. Guardammo la moto insicuri e spaventati di rovinarla. -Dai, montiamo sulla moto e andiamo a Detroit!- esclamai entusiasta. Salimmo tutti e tre sulla Harley e Allen si offrì di fare il primo turno di guida e provare ad insegnarci per i turni seguenti.

 

I due giorni successivi riuscimmo ad uscire dall'Ohio ed entrare nel Michigan. Ci fermammo raramente, anche se il bisogno di riposare era forte, perché avevamo paura che qualcuno potesse riconoscerci o la polizia potesse trovarci non avendo a nostra disposizione dei travestimenti utili. Dormivamo quando non era il nostro turno di guida, mangiavamo le poche volte in cui sostavamo e le provviste iniziavano a scarseggiare insieme ai soldi. Fortunatamente la benzina di Ares era infinita, magica diciamo, così non dovevamo preoccuparci di dover pagare anche quella. Quando arrivammo a Detroit pianificammo un giro di perlustrazione veloce prima di trovare un posto appartato dove dormire. Controllammo la zona intorno al lago in quanto la profezia citava “con la figlia del mare il rifugio troveranno”. Niente di stranamente mostruoso si aggirava nelle vicinanze dell'acqua e, cosa più assurda e spaventosa, non incontrammo nessun mostro durante la nostra perlustrazione. Avevo la sensazione che qualcosa non andava, non era normale poter girovagare senza essere attaccati. Serbai quel presentimento per me e, dopo qualche ora di esplorazione, ci fermammo a riposare decisi a ripartire il giorno dopo più carichi di prima.

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Capitolo 12
*** Doubleface Hotel ***


[Michela]

Avevamo appena finito il giro di perlustrazione di Detroit quando ci arrivò un messaggio Iride. L'immagine apparve nello sfondo blu della notte alla luce del fuoco che avevamo da poco acceso e di qualche stella. -Gloria sarà arrivata al campo?- chiese Allen, non notando la chiamata. -Direi di no, signor Moore- ad ironizzare la sua domanda fu una voce che conoscevo molto bene, limpida ma sprezzante allo stesso tempo. Ci girammo tutti e tre all'unisono verso la proiezione poco lontana da noi. Lì, con un sorriso vincitore che risplendeva, c'era il mio vecchio Preside. Lo avevo creduto tanto amabile, ma poi si era rivelato essere uno dei miei nemici più temibili. Vedendolo pensai a San Valentino, quando era indeciso se tenermi in vita o no. Sembrava felice ora di aver optato per la vita, anche se quasi sotto obbligazione, forse per farmi soffrire di una morte dolorosa dopo. Sentire il suo cognome da quella voce irritò Allen. -Cosa vuoi dire con questo?- gli domandò indispettito. -Molto semplice Al... ti piace il mio nuovo accessorio?- Field cambiò discorso mettendosi tra i capelli una mollettina a fiocco viola e oro. Allen fece una strana espressione quando sentì quel soprannome, come se fosse qualcosa a cui teneva molto. Strabuzzammo gli occhi alla vista del fiocco. Non poteva essere che...

-No! No! No! Dove lo hai preso?- scattò Allen, cercando di prenderlo, ma sapendo che non poteva raggiungerlo. -Semplice, anche questo, Moore... penso vi ricordiate della vostra amichetta... come si chiama? Ah sì, Gloria...- spiegò giocherellando con il nuovo oggetto piuttosto divertito dalla situazione. -Non pronunciare il suo nome! Tu... dov'è lei?- Allen era arrabbiato, e non l'avevo mai visto così. -Penso che stia giocando con qualche mio amico... il punto è che se volete averla ancora viva, vi consiglio di farvi vedere entro mezzogiorno al Doubleface Hotel, qui a Detroit- continuò sorridendoci malignamente. -Dove si trova?- domandò Allen stringendo i pugni. -E perché dovrei dirvelo? Non sei più un mio studente, Moore, ma una cosa te la insegnerò: risolvi i tuoi problemi da solo- scoppiò in un'ultima risata e la chiamata sparì. Allen rimase sotto shock per qualche secondo, poi si sbloccò e si mise a fare il suo zaino. -Cosa stai facendo?- gli chiesi sconvolta. -Vado da lei, la devo trovare- disse, senza degnarmi di uno sguardo. Alessandra si stava sistemando nel sacco a pelo, ancora turbata dall'accaduto. Cosa diamine stava frullando in quella testa bionda? Era impazzito? Non poteva correre in braccio al nemico così. Alessandra ed io ci guardammo un po' preoccupate, rifletté e parlò quasi subito. -Partiremo all'alba, tranquillo- disse la riccia calma. -Io non posso, e non voglio, perdere lei- disse con determinazione guardandoci negli occhi. I suoi erano lucidi in maniera evidente. -Andrà tutto bene, dobbiamo solo riposarci un po', così domani sarà tutto perfetto- lo provò a convincere Alessandra. Io stetti zitta, mi misi a dormire dalla parte opposta alla loro. Ero angosciata, sì, ma non quanto Allen. Non ero brava in queste occasioni. Non sapevo essere calma e irradiare tranquillità come Alessandra. Mi addormentai con questi pensieri poco piacevoli.

[Allen]

Aspettai che le ragazze sprofondassero in un sonno profondo prima di rimettermi a preparare lo zaino per la mia partenza. Non sarei rimasto lì ad aspettare mentre non sapevo cosa stesse succedendo a Gloria. Non volevo lasciarla in balia dei mostri un minuto di più. Approfittai del mio nuovo potere per creare una luce tenue ma abbastanza luminosa da farmi vedere il contenuto dello zaino. Mi dispiaceva lasciare lì le mie amiche ma non potevo fare altrimenti. Sarei andato da solo a salvare Gloria e ci sarei riuscito. La rabbia che provavo verso Field e la preoccupazione nei confronti di Gloria alimentavano la mia determinazione. La stanchezza era sparita e le gambe erano mosse dall'adrenalina. Non fu facile trovare il Doubleface Hotel, soprattutto perché era notte e l'unica illuminazione a mia disposizione erano le mie mani. Immaginai di averci impiegato almeno un'oretta o due, visto che non lo avevo notato durante la perlustrazione, e la cosa mi innervosì parecchio: più tempo ci mettevo e più Gloria soffriva. Come potevo averlo notato? Anche alla luce del sole sarebbe apparso come un vecchio e fatiscente albergo con l'insegna a penzoloni. Mi ci soffermai poco perché, appena vidi il nome, mi ci catapultai dentro senza riflettere. Tutte le luci erano spente, neanche delle fiammelle di qualche candela illuminavano il posto, così fui costretto ad utilizzare le mie mani come se fossero torce. Sotto ai miei piedi il pavimento faceva rumore ad ogni mio minimo movimento. Forse la scelta giusta non era mettersi a correre per l'edificio, però optai per una camminata svelta in modo da concludere la questione il prima possibile. Le stanze al pian terreno erano chiuse o vuote e davano la sensazione di totale degrado e abbandono, mentre il piano successivo mostrava i segni del passaggio di qualcuno. O meglio, di qualcosa. Diedi poco conto ai graffi lasciati lungo la ringhiera di legno delle scale e sulla carta da parati, perché nello stesso momento vidi una luce trasparire attraverso uno spiraglio di una delle porte. Scattai avanti senza pensarci una seconda volta e l'aprii. Ciò che creava quel raggio rosso e arancione era un caminetto acceso dall'altra parte della stanza rispetto alla porta. Davanti a quella fonte di calore erano state posizionate due sedie e, cosa più importante, su quella più vicina al fuoco sedeva Gloria. Aveva la testa era appoggiata sul suo petto in un'espressione distrutta, mentre le caviglie e i polsi erano legati alla sedia di legno. Appena la vidi, lasciai perdere le cose che portavo con me non considerando di essere nella tana del nemico e corsi da lei. Le alzai leggermente il volto e lo tenni fra le mie mani. Dei rivoli di lacrime segnavano ancora il suo viso, così come dei graffi rossi risaltavano sulla sua pelle. Le asciugai le ultime lacrime versate e Gloria aprì gli occhi. -Allen!- sospirò tra l'entusiasta e la spaventata. Feci il sorriso più speranzoso che potessi fare il quel momento per non preoccuparla. -Tranquilla, adesso ti libero- esclamai appoggiando la mia fronte sulla sua. -Che scena romantica...- disse una voce irritantemente familiare. Mi voltai verso la porta ponendomi di fronte a Gloria. -Credevi davvero che vi avrei lasciati andare così?- chiese retoricamente Field.

[Michela]

Fu una notte tormentata dai miei incubi. Ancora Nico che mi rincorreva e la battaglia in cui io stavo a guardare poi, stranamente, Allen che lasciava la nostra postazione nella notte. Lo scenario cambiò un'altra volta: ero in una sala lunga e stretta, molto buia, illuminata da qualche candela e dal grande camino dall'altro lato della stanza, mentre sul pavimento c'era una tappezzeria rossa. Vicino al fuoco si vedevano dei movimenti, così mi avvicinai. Un uomo era seduto su una poltrona accanto al camino e beveva da un calice un liquido rosso scuro che preferii pensare fosse vino. Davanti a lui su due sedie scomode erano legati Gloria e Allen. La prima aveva vari tagli ancora freschi e dormiva. Lui, invece, era sveglio, pieno di segni, e guardava torvo l'uomo. Dietro di loro si stagliavano due grossi Cannibali. -Verrà...- sorrise il Preside divertendosi con il calice. -Non ci cascherà, non le interessa nulla di noi- ringhiò Allen.

-Questo è quello che pensi tu...Moore. Mi ha rovinato i piani per troppo tempo. Questo è perfetto, diventerà la sua tomba. Sua e della vostra cara amica- continuò calmo. -Non verrà, ti dico che non verrà!- tentò il figlio di Apollo intestardito. -Ora basta, tappategli la bocca! Io me ne vado, non c'è più bisogno di me- concluse buttando il calice nel fuoco. -Sei un codardo!- urlò all'ultimo Allen. -Mi degnerò solo per la battaglia finale, se ce ne sarà una- Field si alzò, percorse la sala e ne uscì. Mi svegliai di soprassalto con un brutto presentimento. Mi guardai intorno in cerca di Allen, ma c'era solo il buio. Qualche stella brillava ancora nel cielo infinito. Un leggero venticello fresco, tipico della stagione, muoveva i rami degli alberi. L'aria sul viso mi fece tornare alla realtà, quello non era un momento di calma come appariva. Alla mia destra si sentiva un respiro tranquillo e dolce, segno che Alessandra stava ancora dormendo beata. Accanto a lei Allen non c'era, né lì né da altre parti e come nel mio sogno se n'era andato. L'unica cosa di cui fossi sicura in quel momento era il fatto che dovevo ritrovarlo. Cosa lo aveva spinto a partire senza di noi, quando avevamo deciso per l'alba? Ero molto preoccupata. Mi alzai e legai la spada alla cintura dei miei jeans. Mi misi il giacchetto di pelle nera che tenevo dentro lo zaino per riscaldarmi in quella fresca sera estiva. Quando finii di sistemare il rimanente svegliai Alessandra. Era stordita per il brusco risveglio e per la sorpresa dell'orario. Si aspettava di essere svegliata da un cielo rosa e un Allen scalpitante, di certo non da me e il buio freddo e penetrante della notte. L'unica luce era quella che proveniva dalla mia spada. Essendo poca anche quella, Alessandra estrasse dalla fodera la sua per vedermi meglio.-Cos'è successo?- domandò comprensiva dopo aver visto un accenno di terrore nei miei occhi e nei miei lineamenti. -So che sei stanca. Ieri hai fatto un ottimo lavoro, ma... ma...- cominciai ma non riuscivo ad andare avanti perché il nodo alla gola non me lo permetteva. -Ma?- mi incitò lei stringendomi le braccia fiduciosa. -A proposito, dov'è Allen?- si voltò dal suo lato senza trovarlo. Non ce la feci e scoppiai. Per tutta la notte, durante il mio sogno, mi ero trattenuta dal piangere come per paura di far sentire le mie emozioni al nemico. Ma ormai era più forte di me: ero spaventata per il mio migliore amico. Cercai di riprendermi per continuare ciò che stavo dicendo ad Alessandra. -Allen... Allen se n'è andato- ammisi. La figlia di Poseidone rimase a bocca aperta sconvolta per qualche secondo, per poi mettersi subito al lavoro preparandosi in silenzio per la partenza. Si mise il giacchetto di jeans sopra la maglietta color tramonto e una focaccia in bocca. -Andiamo- disse infine sistemandosi lo zaino in spalla. La seguii in silenzio, illuminando la strada con la spada di bronzo celeste. -Vuoi metà?- domandò lei, porgendomi la focaccia. -No, grazie...ho lo stomaco chiuso- bloccai subito il discorso. Nessuna delle due aveva molta voglia di parlare, ma Alessandra non sapeva ciò che avevo visto. -Serve più a te che a me la focaccia. Ieri è stata dura per te, ti meriteresti di riposare però...- non sapevo come continuare, ma lei mi aiutò. -Hai sognato qualcosa?- mi chiese irradiando l'asfalto di azzurro. Annuii finendo di asciugarmi il viso e le raccontai il sogno cercando di non tralasciare niente. -In pratica dobbiamo andare in braccio alla morte?- domandò la figlia di Poseidone ironizzando il fatto che stessimo andando di nostra spontanea volontà nello stomaco del nemico. -Io adoro la morte- le sorrisi ritrovando la carica che avevo perso. Ci mettemmo a correre verso il centro della città, dove la mattina prima avevo notato l'albergo abbandonato.. La struttura era vicina, poco più a est, alla nostra posizione se la si sapeva individuare. Esternamente era un posto desolato e sporco con mattoni rossi e bianchi adornati dal muschio, totalmente in contrasto con il resto della città. Saltava facilmente agli occhi di chi adorava ammirare i paesaggi architettonici o la composizione di un luogo. Il palazzo aveva almeno tre piani, non era molto largo ma di sicuro era esteso. C'erano quattro finestre per ogni piano da cui era impossibile vedere all'interno per le tende chiuse. Dentro si sentiva l'odore di muffa ed era buio quanto il fuori. Nessuna luce era accesa e noi non sapevamo come muoverci nel buio totale. Andammo avanti nel buio tendendo le nostre spade in avanti, tastando i muri per cercare delle porte. Il parquet di legno vecchio scricchiolava al nostro passaggio e non aiutava di certo ad essere silenziose. Arrivammo in una grande sala, collegata al corridoio appena percorso, che si divideva in due corridoi e portava al piano di sopra. Se dovevamo setacciare piano per piano insieme ci avremmo messo un'eternità. Era meglio dividerci, avremmo fatto prima. -Tu controlli questo piano e io quello di sopra, che ne pensi?- bisbigliai ad Alessandra. Lei annuì alla luce del bronzo. -Okay, allora se siamo in pericolo urliamo. Tanto peggio di essere già scoperte non potremmo fare- continuai a bassa voce. Lei fece ancora sì con la testa e si avventurò nel corridoio alla sua destra. Io, invece, mi feci coraggio e salii le scale fino al secondo piano. Dovevo concentrarmi e stare all'erta, infondo un'escursione del genere l'avevo già provata a scuola nella nuova ala. Arrivata su, toccai il muro in cerca di porte. Ne trovai cinque tutte vuote, abbandonate e distrutte, col solito odore di muffa. Qualcuna aveva ancora degli arredi: dei letti, comodini, tavoli e degli armadi. Alcune erano attrezzate di camino, come quello nel mio sogno, ma spenti e pieni di ragnatele. Provai tutte le porte del piano, convinta che i mostri si fossero accampati al terzo piano, quando arrivai all'ultima. L'aprii e una forza mi schiacciò lo stomaco. Mi accorsi di sputare sangue quando chiusi la bocca e ne sentii il sapore metallico. Mi piegai dal dolore tenendomi l'area colpita con le braccia, e caddi in ginocchio. La vista mi si offuscò e per un po' vidi le immagini doppie di qualcosa che mi prendeva e mi portava da qualche parte. Qui c'era luce, quella del camino e di qualche candela. Era la lunga sala rossa del mio sogno. Prima di rendermene conto mi trovai seduta con le mani legate ai braccioli di una sedia. Guardai verso il pavimento, tossii e sputai altro sangue. Vedevo sempre sfuocato e la spada l'avevo abbandonata dopo la botta allo stomaco. Sentivo il suono di risate e qualche urlo di dolore contorto. I miei sensi erano un po' stravolti. Dopo qualche minuto alzai lo sguardo al soffitto e vidi che era molto alto, probabilmente arrivava fino al piano successivo. Non capii perché progettare una stanza così, fin quando non mi arrivò un colpo in faccia e mi costrinsi a guardare il mio aggressore. Un ciclope, ovvio, avrei dovuto capirlo. Iniziai a tremare, non solo per il troppo sangue che mi stava abbandonando, ma anche per la vista del mostro. Odio i ciclopi, non mi danno bei ricordi. -Che fai, tremi? Hai paura?- una voce divertita risuonò nella stanza, ma non ne vedevo il proprietario. L'avevo già sentita però non riuscivo a capire di chi fosse. La vista mi si ristabilì. Una donna si mostrò di fronte a me e mi osservò con il suo sguardo violaceo divertito. -È divertente vedervi soffrire. Field ha proprio ragione- rise in un misto tra il divertimento e il sadismo. I suoi lunghi capelli biondo platino scivolarono dietro la sua schiena mentre lei si lisciava l'abito rosso sangue. -Tu non hai idea di chi sia vero?- mi chiese continuando a ridere tra sé e sé. Sapevo di aver già sentito quella voce e aver già visto la forma del suo viso, ma credevo di conoscere una persona dagli occhi viola. -Voi mezzosangue non durerete a lungo- dichiarò la donna lanciandomi uno sguardo sprezzante prima di dirigersi verso la porta. -Trattatela con cura, ragazzi- ordinò ai mostri nella stanza. -Okay, signorina Elodie- esclamarono quasi sull'attenti. Eppure quella donna non mi sembrava così temibile come facevano credere i mostri. Elodie...? Quello era il vero aspetto di quella stupida umana? Non feci in tempo a razionalizzare il pensiero su Elodie che l'attenzione del ciclope tornò su di me. -Ne vuoi altre?- esclamò il ciclope che poco prima mi aveva aggredita. Deglutii e lo guardai. I suoi pugni erano grossi quanto la mia testa ed era vestito solo di stracci grandi abbastanza per coprire quattro letti matrimoniali. Distolsi lo sguardo e lo puntai avanti. C'erano Gloria ed Allen. Lei dormiva e lui cercava di gridare disperato attraverso le bende che gli permettevano di fare ben poco. Aveva gli occhi lucidi e il viso bagnato dalle lacrime. Ero lì per loro, non potevo mollare così. Cercai di ritrovare un po' del mio coraggio, della spavalderia, e dell'intelligenza che avevo imparato a sviluppare nel mio primo anno semidivino. Risi ironica alla domanda del ciclope. -Non sai fare di meglio? Pff... patetico- lo guardai sorridendo. Mi misi comoda accavallando la gamba destra. Il ciclope stava per reagire all'insulto tirandomi un altro pugno, ma un suo compagno lo fermò. -Così non reagisce. Dobbiamo torturarla, tanto non si può liberare- gli consigliò il secondo.-Dov'è la tua amichetta?- mi domandò sogghignando.-Sono venuta da sola. La sua vita è molto più importante della mia- risposi seria. I ciclopi risero. -Vedremo se hai ragione- si girò verso due Cannibali alla porta. -Uno rimanga qui a controllarli. Noi scendiamo- ordinò il ciclope aggressore. Lasciarono la stanza e l'ultimo mostro rimase alla porta. Mi guardai intorno in cerca di un piano ma non c'era niente. Almeno che... Mi guardai le mani e vidi l'anello, la mia unica arma e fonte di salvezza. Provai a toccarlo più e più volte ma non era affatto semplice. Quando ci riuscii il mostro diede una rapida occhiata verso di me, senza accorgersene. Mi liberai i polsi. Ora mi sentivo osservata non solo da Allen speranzoso, ma anche dal Cannibale che aveva sentito il rumore delle corde tagliate. Mi avventai su di lui con il pugnale non pensando alle ferite. Mi graffiò il braccio destro nello stesso momento in cui lo colpii al cuore, se mai un cuore ce l'avesse avuto. Riuscì a strappare la pelle del giacchetto e passare ancora sotto. Il graffio iniziò a grondare di sangue. Non era profondo come taglio ma, essendo al braccio che uso di più, era una ferita grave. Mi avvicinai alla porta per prendere la mia spada. Spostai il pugnale nella mano sinistra così da poter usare la spada con la destra e cercai di slegare i miei amici più in fretta possibile. Allen mi stava per abbracciare in segno di ringraziamento ma lo rifiutai. -Non è il momento. Porta Gloria dove ci siamo accampati stanotte. Chiama Annabeth così la verrà a prendere. Curala, fai quello che puoi, ma andatevene da qui subito- dissi più in fretta che potevo e sottolineando la parola “subito”. Il figlio di Apollo annuì soltanto, prese in braccio Gloria e corse via. Presi le sue cose e lo seguii. Era senza protezione e, in ogni caso, dovevo raggiungere Alessandra. Fuori ormai era l'alba, la luce illuminava un po' anche l'albergo. Vidi Allen uscirne. Lui e Gloria erano al sicuro. Mi avvicinai ad una porta vicino all'ingresso dalla quale provenivano dei rumori. -E' inutile che continui a combattere. I tuoi amici sono morti, tu sei rimasta sola. Non andrai mai via di qui- era la voce del ciclope che mi aveva attaccato. Guardai nel buco della serratura. Avevano circondato Alessandra in un angolo e, a quanto pare, lei opponeva resistenza. Bussai. Il Cannibale, che prima stava di guardia, mi aprì la porta. Non persi l'occasione per trafiggerlo. Entrai nella stanza e dall'angolo più lontano mi arrivò qualche schizzo d'acqua. Vidi una Dracena catapultata dall'altra parte della stanza da una tromba d'acqua. Sì, direi che la figlia di Poseidone si stava ribellando ai mostri. Non era necessario ucciderli tutti, bastava aprirci un varco per riuscire a scappare, non ci sarebbero venuti dietro. Rimasi dov'ero e con qualche freccia di Allen feci scomparire la prima fila. Sfortunatamente si accorsero di me, ma almeno Alessandra aveva una via di fuga. Lei abbatté qualche mostro e mi raggiunse. Era illesa a parte qualche graffio sul volto e sulle braccia. Corremmo fuori dall'hotel e oltre fino a toglierci il respiro. La luce del giorno ci indicava che erano le cinque di mattina. Arrivati all'accampamento mollammo le armi e ci lasciammo qualche minuto per riprendere fiato. Ci avvicinammo ad Allen, che era seduto poco distante e curava le ferite di Gloria con quel che aveva, mentre parlava con qualcuno via messaggio Iride. -Annabeth sta sistemando le ultime briglie, poi lei e qualche tuo fratello verranno a prenderla- avvertì Percy. -Oh, ciao Ale! Menomale stai bene- la salutò il figlio di Poseidone non appena vide la chioma da leone di Alessandra. Lei gli sorrise distrutta ma fiera della riuscita del salvataggio. Eravamo stanchi e doloranti, anche parlare era complicato. Come potevano biasimarci se io e Alessandra, appena toccammo l'erba fresca, crollammo addormentate? Il mattino era vicino e con esso anche i soccorsi per Gloria. Sapendo che Allen sarebbe rimasto sveglio finché non avesse dato indicazioni sufficienti per farlo stare tranquillo, mi appisolai rilassata sperando di riuscire a fare dei sogni accettabili. Per mia grande fortuna non ci riuscii. Nei miei incubi c'erano solo mostri e distruzione in un paesaggio di disperazione. Le città sembravano come in quei film sulla fine del mondo: desolate, dove la natura aveva preso il sopravvento. Gorgoni e telchini passeggiavano sereni, se un mostro può avere sentimenti del genere, mentre i ciclopi andavano di negozio in negozio a rubare e rompere quello che era rimasto. Ero cosciente in quel “sogno” ma non potevo destarmi. Sarà quello il nostro futuro? Tutti noi semidei sappiamo che non avremo mai una vita lunga e di felicità duratura, però eravamo anche a conoscenza che la storia si ripete. Dopo le guerre contro Titani, e successivamente Giganti, dove i mostri erano solo pedine di un'enorme scacchiera, come potevano prendere il controllo di tutto? Era un avvenimento mai successo in milioni di anni, non poteva aver luogo così semplicemente. La visuale cambiò e mi mostrò un'ora di lezione nella mia vecchia scuola. Mi osservai durante un'interrogazione a tappeto di tutta la classe: un ricordo sepolto che non aveva alcun significato. Ero capace di rispondere a tutto e in quell'occasione avevo studiato solo mezz'ora. Un altro ricordo: la gita scolastica a Roma. Descrivevo ogni monumento come se i Romani fossero da disprezzare per aver copiato e rubato dai greci, non avevo mai studiato architettura ma seppi riferire molte nozioni sull'arte greca. Eravamo in campo romano, sì, ma visitammo anche musei accompagnati con l'arte ellenica. Dopo un mio ultimo giudizio ammirevole su una statua ritraente la dea Atena mi svegliai. Non avevo mai riflettuto molto su quei ricordi, ma ora era chiaro che la mia mente, sollecitandomi a pensieri felici e non agli incubi, cercava di spiegarmi e ricordarmi la mia metà divina. Non diventai figlia di Atena quando, con molto garbo, me lo avevano annunciato Aaron e Nico lo scorso anno, lo ero sempre stata. Avevo sempre avuto atteggiamenti diversi, avevo sempre avuto momenti strani. I miei suddetti proclamatori di verità non potevano sapere molto senza che io avessi avuto qualche riconoscimento. Mi decisi ad aprire gli occhi e a parlarne con gli altri. Dovevamo andare a Chicago a piedi, ed essendo ancora ricercati, dovevamo farlo con cautela. Ci affidammo al senso d'orientamento di Allen per uscire da Detroit, senza osare fare luce sugli avvenimenti della scorsa notte. -Voi come siete stati riconosciuti?- domandai di punto in bianco. -Intendi quando mi si è illuminato un tridente in testa?- s'informò Alessandra. Annuii passandomi una mano sui capelli, faceva troppo caldo anche con i capelli sistemati in una treccia. -Credo una settimana prima che mi venissero a prendere, grazie al cielo ero in casa perché non posso immaginarmi cosa avrebbe mostrato la foschia ai mortali- ci raccontò la figlia di Poseidone. -Magari un palloncino, o forse una di quelle nuvolette piovose che seguono la gente nei film- commentò scherzoso Allen. -Preferisco un palloncino a forma di delfino, o farfalla. No, no, no, un unicorno, ancora meglio!- Alessandra si era talmente concentrata sull'idea del palloncino da non tornare più sul suo discorso. Più tardi scoprimmo che a 8 anni aveva scatenato un'onda in piscina contro delle bambine che si prendevano gioco di lei, e che sua mamma era stata costretta a chiamare molte volte l'idraulico perché sua figlia, durante i traumi adolescenziali, aveva distrutto i tubi del condominio dove vivevano. Continuando sulla linea della conversazione sulle cose che ti volano sulla testa, io pensavo di aver fatto una figura imbarazzante girando per Viareggio con l'ologramma di un gufo ed uno vero appollaiato sulla spalla, ma Allen ammise che a lui era andato peggio. -Ero ad una festa di amici a Londra, quando successe l'impensabile. Stavo ballando fra gli invitati con un bicchiere in mano, era sera e qualche luce illuminava la piscina e il giardino del mio amico, quando a un certo punto tutti iniziano a fissarmi. Posso credere fino a certi limiti di essere così bello da diventare l'oggetto dell'attenzione della festa- iniziò a riferirci Allen. Io ed Alessandra ci guardammo e scoppiammo a ridere mentre il figlio di Apollo continuò facendo finta di niente. -Deciso a capire cosa tanto ammiravano di me mi osservai, pensando di avere delle scarpe o dei jeans all'ultima moda. Invece ero diventato una torcia umana! Brillavo di luce solare, non di fuoco come quello dei Fantastici Quattro. Poi sopra la mia testa ha iniziato a brillare una lira, e anche io non voglio sapere cosa abbiano visto realmente. Sono rimasto chiuso in bagno per tutta la sera- lo osservammo per capire se avesse finito e si unì alle nostre risate.

Chicago era un traguardo molto lontano, almeno duecento miglia. Ti sembra ancora più lontano quando le provviste scarseggiano e al telegiornale parlano di te come un assassino. I mostri scarseggiavano verso l'ultimo giorno e mezzo di tragitto, il che era molto strano. Questa missione non stava andando molto bene: non avevamo ancora capito quali fossero le loro intenzioni. Inoltre Allen spendeva molte dracme per chissà quale motivo. Di sicuro avevamo ancora molto tempo a nostra disposizione, ed io e Alessandra volevamo sapere perché il nostro amico sembrasse così giù quando distoglievamo lo sguardo. Ci lasciava spesso da sole e si incaricava di mansioni da svolgere da solo, non voleva compagnia, lasciandoci così modo di riflettere sulla causa del suo malumore. La figlia di Poseidone disse che vide quell'espressione solo una volta e fu il giorno dopo la consegna delle fragole a New York, quindi dopo essermi messa con Nico, però dopo se ne fece una ragione. Doveva essere qualcosa di profondo da farlo angosciare così per giorni. Appena usciti da una cittadina lungo il lago Michigan, Allen camminava tranquillo davanti a noi guardando il cielo. Io e la mia amica rimanemmo indietro ad osservare i suoi comportamenti e a cercare di trovare una soluzione a quella che sembrava una malattia incurabile. -Cosa lo può far stare così male?- domandò pensierosa Alessandra. -L'ultima volta è stato per una cotta ma per poco tempo... cosa ci può essere di peggio?- bisbigliai dubbiosa controllando che il figlio di Apollo non ci sentisse. -A meno che...- iniziammo a bassa voce all'unisono. Ci bloccammo e ci guardammo per un istante. Cacciammo quasi un grido di incredulità misto a felicità e confusione. Allen si girò a controllarci preoccupato. Si fermò anche lui chiedendoci se ci fossimo fatte male, ma noi lo tranquillizzammo motivandolo ad andare avanti. Riprendemmo il percorso poco sotto l'autostrada, in vicinanza con un bosco e più in là il lago dell'omonimo stato. Alessandra inspirò l'aria che le fece da medicina. L'acqua, anche se solo l'odore, la faceva sempre stare bene e sentire a casa, per quanto paradosso possa essere per una ragazza che vive a Milano. Ritornammo a bisbigliare tra di noi, cercando di non farci sentire. -Significa che lui è...- iniziai piano, ma smisi subito. Vidi Allen girarsi leggermente verso di noi, come se volesse origliare i nostri discorsi. -E' innamorato!- concluse Alessandra entusiasta ancora a bassa voce. Ci consultammo ridendo con occhi sognanti ipotizzando ogni minimo dettaglio nonostante fosse ovvio chi fosse la diretta interessata, soprattutto dopo gli ultimi avvenimenti. Lui era lì, passeggiava abbagliato dal sole con in spalla lo zaino, l'arco e la faretra senza fondo. Sembrava piuttosto... sereno? No, stava pensando a lei e avrebbe preferito essere con lei al Campo. Il sole, il suo elemento, lo faceva sembrare a suo agio, ma non era così. Io e Alessandra lo conoscevamo troppo bene ed eravamo troppo affezionate per lasciarlo in quella condizione. Prima l'impresa sarebbe finita e meglio sarebbe stato per tutti, ma finché eravamo lontani da casa dovevamo cercare di aiutarci il più possibile. Il meglio che potevamo fare era far esternare i suoi sentimenti facendoli condividere con noi, facendoci raccontare cosa non andava, cosa pensava. Ci demmo l'okay e ci mettemmo ai suoi lati prendendolo a braccetto, per quanto fosse possibile con una persona molto più alta di noi. -Hey, cosa vi prende tutto d'un tratto?- chiese uscendo dai suoi pensieri. -Ci stai nascondendo qualcosa...- aprii il discorso sorridendo maliziosa. -...e a noi non piace quando succede- finii la frase la figlia del mare sorridendo anche lei. Allen ci guardò una per una sconvolto, forse pensando a chissà quanto fossimo uscite di zucca per il caldo e la stanchezza. Negò la nostra proclamazione e cercò di ignorarci, ma noi non ci facemmo scoraggiare così. -Sappiamo per quale motivo sei così giù di tono, Allen- rivelò Alessandra persistendo. -O meglio per chi- la corressi. Alessandra mi fece un gesto con la mano come dire “si scusami, dettagli”. Il biondo continuò a fare il finto tonto. -Non so di cosa state parlando, mi sembra di essere stato abbastanza discreto- ammise indirettamente. Io e Alessandra ci affacciammo oltre il corpo dell'amico che aveva appena confessato. -Ah ah!- esclamammo puntandogli contro un dito indagatore. -L'hai detto, ora devi raccontarci tutto!- sorrise scherzosa la riccia. Per quanto divertente, allegra e qualche volta stupida, possa sembrare lei è sempre seria in questi momenti. Non si scherza sui suoi amici; solo che lei sceglie la strada migliore per far passare un brutto momento, quindi lo sdrammatizza sorridendo, che è la cosa che riesce a fare meglio. Allen si fece convincere dalla dolcezza dell'amica e iniziò a raccontare. Si scusò per averci fatto impensierire e capì che ci fossimo un po' preoccupate, ma non riusciva a non essere distante mentalmente. L'unica spiegazione? L'amore, certo. -Potrà sembrare una reazione stupida e smielata ma quando ho visto fra le mani di quel mostro il suo fiocchetto...non ci ho più visto. Lei, lei non poteva essere nelle loro grinfie, non volevo crederci. Poi lui mi ha chiamato Al...- spiegò afflitto dal ricordo. -E cosa c'è che non va con “Al”?- domandai confusa, non riuscendo a capire. -”Al” mi ci chiama Gloria. Field deve averlo sentito da lei- si fermò un attimo sospirando e noi ci arrestammo con lui. -Michela...- continuò voltandosi verso di me – tu sai com'è Field. Sai come si diverte a prendersi gioco di noi, come se fossimo ancora i suoi studenti, ancora i suoi giocattoli e le sue prede. È una sensazione che non sopporto più- finì carico di risentimento. Mentre parlava una moltitudine di immagini mi passarono per la mente: alcuni ricordi sfuocati, altri fin troppo vividi come la sua coda a pungiglioni e i mostri che ci circondavano. Era riuscito persino ad entrare nei miei sogni trasformandoli in incubi. -Sì, io capisco come ti senti. Dobbiamo porre fine a questa storia e in positivo per noi- commentai riprendendo a camminare, allungando il passo. La strada si apriva di fronte a noi infinita, l'acqua ci accompagnò ancora per qualche chilometro, mentre il bosco non ci abbandonava. Il vento fresco della sera ci accarezzava il viso ed inspirai come se fosse l'ultima cosa che sarei riuscita a fare.

 

 

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Capitolo 13
*** L'inizio di tutto ***


[Michela]

Era il 20 Giugno ed eravamo appena fuori Chicago. Il cielo era nuvoloso, pronto per un temporale. Il tempo, o Zeus, non ci rese le cose più facili. Per la città passava un fiume e proprio al centro di esso si era creato un isolotto, dove residenti e turisti facevano picnic in tranquillità, ma quel giorno doveva essere un eccezione. -Dobbiamo sbrigarci, questo tempo non mi fa stare meglio- esclamò Allen massaggiandosi i muscoli delle braccia. Giusto. Il sole non si intravedeva, quindi il figlio di Apollo era indebolito sebbene possa sembrare strano che le sue statistiche fisiche possano migliorare ulteriormente con il bel tempo. -Dimmi qualcosa che non so- commentai alzando gli occhi al cielo. Mancavano solo dieci ore alla data prestabilita per la fine della missione e dovevamo ancora trovare il rifugio dei mostri. In sogno mi appariva come un'isola al centro di Chicago e non fui l'unica a sognarla: anche Alessandra ebbe un incubo simile al mio. Ci fu semplice pensare che “tentar non nuoce”, quindi avremmo provato a perlustrare quel luogo. Però com'era possibile costruire un rifugio in un posto molto trafficato dai mortali? Nonostante il tempaccio, gran parte delle persone erano in giro per la grande città a fare acquisti. Ci tirammo su il cappuccio della felpa che indossavamo per non farci notare e provammo a comportarci come turisti senza dare troppo nell'occhio. Un figlio di Ecate, la dea dell'illusione e della magia, avrebbe fatto comodo in quest'occasione usando la foschia per cambiare la realtà a suo piacimento. Dopo essere entrati in possesso della cartina di Chicago, e aver localizzato la nostra posizione, fu piuttosto semplice indirizzarci nella zona prescelta dai mostri. In riva al fiume erano attraccate alcune barchette a dei piccoli ponti di legno. Tutt'intorno la città moderna si estendeva con la sua giungla di grattacieli grigi, rossi e blu facendomi sentire più piccola di quanto già non fossi. Diversi mortali non si fecero intimidire dal tempo e pescavano intonando delle canzoncine fischiettando. Notai dei turisti che volevano prendere una delle imbarcazioni per andare a visitare l'isolotto, così lo feci notare agli altri. -Non va bene... come possiamo ispezionare il posto con loro qui?- domandò Allen stanco. -Forse ho un'idea- intervenne poco dopo Alessandra allontanandosi dalla nostra postazione. La guardammo confusi e la seguimmo vicino al fiume. Lei si inginocchiò mettendo una mano in acqua mentre noi ci sistemammo ai suoi lati, osservandola in silenzio. L'acqua sotto di lei tremò un poco, poi smise, e vicino all'altro capo arrivò come un'onda sonora subacquea che causò qualche spruzzo. Volevo sapere cosa stesse combinando. Era molto concentrata in quello che faceva, guardava fissa lo specchio d'acqua come volerlo piegare al suo comando. Infine il suo sguardo scattò all'altra riva, sorrise soddisfatta di sé e con la stessa espressione si alzò sistemandosi i capelli in una crocchia senza bisogno di sostegni. Si girò verso di noi mettendosi le mani sui fianchi fiera. -Là sotto il terreno è molto profondo, più del dovuto, e nello stesso senso è solido e regolare come se fosse stato modellato da mano esperta. Le radici degli alberi sono profonde... quasi fungessero da colonne. Non c'è solo terra, l'acqua incontra un altro ostacolo decisamente diverso- Alessandra proclamò la sua scoperta. -E... e tu hai capito tutto questo solo mettendo una mano sott'acqua?- chiesi sbalordita. -Sì, più o meno- ci sorrise radiosa -Non è niente di che, ho solo mandato qualche onda verso il terreno e al ritorno ho percepito che qualcosa non andava. Inoltre mentre la guidavo sempre quel qualcosa mi impediva di andare oltre- finì di spiegarci come meglio poté. -Ale, hai fatto la scoperta del secolo! Il nascondiglio deve essere per forza lì!- esclamai entusiasta scuotendo l'amica. -Oh davvero? Ne sono felice- esclamò allargando il suo sorriso. Poteva sembrare un po' incredula del suo risultato ma in realtà dentro di sé avvampava di orgoglio ed era sempre stata sicura di quello che faceva. -Sarà meglio avvisare il campo che li abbiamo trovati, così partono. Faccio io, tranquille, non vi scomodate- esclamò Allen sorridendoci complice. Certo, certo. Lui ne approfittava sempre per parlare qualche secondo con Gloria, come se non lo sapessimo. Si appartò per qualche minuto in un posticino riservato poco lontano da noi. Quando tornò convincemmo un pescatore a prestarci il suo piccolo peschereccio, anche se mi era venuta una mezza idea di utilizzare Alessandra come mezzo navale. L'isola era circondata da alberi di ogni genere, tutti verde acceso. A nord-ovest lo spazio era occupato da una grotta di pietra grigia circondata da cespugli, non c'erano altri arbusti se non a far da cornice. Il resto dell'ambiente era caratterizzato da terra, sabbia e pietre, come se l'ambiente stesse degradando. -Questo posto l'ho già visto- commentammo io e Alessandra all'unisono. Alzammo insieme lo sguardo verso il cielo controllandolo minuziosamente. -Anche il cielo è lo stesso- ponemmo fine ai nostri dubbi. -Vi prego, non fatelo più. Siete inquietanti- si espresse Allen guardandoci sconvolto. Ispezionammo vicino alla grotta e la luce solare calò ancora di più, come se qualcuno avesse abbassato la luce di una stanza, come se fossimo su un palcoscenico di una tragedia greca. Ci scansammo dalla caverna, lì c'era l'entrata del loro rifugio. Percepimmo la terra tremare a malapena ed istintivamente mi voltai verso la figlia del mare che stava serrato i pugni. L'aveva generato lei? Vari tipi di mostri apparvero oltre la soglia della grotta puntandoci come prede deliziose, e di conseguenza noi ci stringemmo impugnando le nostre armi. Vidi gli occhi di Alessandra restringersi in due fessure e subito dopo non molto distante da noi l'acqua esplose in uno schizzo energico simile ad un geyser. -Oh guardate un po' cosa abbiamo qui, la figlia di Poseidone vuole giocare?- ringhiò un mostro ricco di aculei notando la rabbia che la mia amica trasmetteva al fiume. Eravamo pronti e concentrati: nulla c'avrebbe fermati. Ci eravamo rafforzati molto durante il viaggio e, sopratutto, avevamo la motivazione ad andare avanti, oltre alla voglia di vivere. Andammo all'attacco, ognuno sul proprio lato. Toccai il gufo sull'anello per avere un'arma in più. Si sentivano i fendenti delle spade graffiare l'aria, le frecce infinite di Allen fischiavano mentre i mostri ruggivano. I primi cinque mostri se ne andarono facilmente, ma solo loro non ci diedero filo da torcere. Quello che dubitò di Alessandra si trovò quasi ad implorarla, se non fosse che i mostri non supplicano, così lei lo spedì dritto nel Tartaro. Un'altra orda di mostri uscì dalla caverna attaccandoci all'unisono e allora fu difficile tenere tutti a bada. Iniziò a sentirsi l'odore del sangue ed io sperai non fosse dei miei amici, non me lo sarei mai perdonato. Ad un certo punto il cielo si schiarì, o almeno così pensai di primo attrito: un fascio di luce lacerò le nuvole e con un incredibile potenza colpì sei telchini contemporaneamente. Quelle foche-cane diventarono cenere in poco tempo. Mentre respingevo l'ennesima empusa mi girai e notai che fu proprio Allen a squarciare il cielo donando un po' di luminosità allo scontro. Era una mossa che non avevo mai visto fare dal figlio di Apollo e che di certo non ne aveva avuto bisogno fino ad ora. È nelle peggiori circostanze che si scopre qualcosa di più su di noi, che si da il meglio, e che vediamo quanto siamo forti fisicamente e psicologicamente. Pressoché di riflesso Alessandra ci avvisò di tenerci pronti a qualcosa di... bagnato? L'acqua intorno all'isola si sollevò come in preda ad una forza superiore e si scaraventò sul mucchietto di terra che ospitava la battaglia, portando via i mostri restanti sul campo. La figlia di Poseidone ne restò indenne mentre non si poté dire lo stesso di me ed Allen, bagnati fradici fino al midollo. -I miei...capelli- sospirò il figlio di Apollo toccandosi desolato la chioma non più perfetta. Il biondo lasciò perdere immediatamente l'interesse per i suoi capelli e si dedicò a qualcos'altro. -Fammi provare- tentò la nostra nuova lampadina. Lui si concentrò e dalle sue mani uscì una tenue luce calda. Se le passò sulla maglia e piano piano si asciugò. Non ci fu il tempo di pensare anche a me perché, proprio mentre volevamo avanzare, un'idra uscì dal loro rifugio. Di primo impatto mi chiesi come fosse possibile far entrare tutti quei mostri in un rifugio, soprattutto un'idra di tre metri, anche se Alessandra aveva appurato che lì sotto c'era molto di più che semplice terreno. Indietreggiammo rapidamente presi alla sprovvista. Allen tentò qualche tirò ma per l'enorme serpente da nove teste era come solletico. Dalla sua bocca uscirono nuvole di fumo verdastro in risposta ai pizzicotti di Allen. -Stateci lontani! È veleno!- urlai allontanandomi il dovuto. Alessandra scrutava la bestia quasi impaurita. Di fronte ad un essere del genere andare nel pallone fu facile, ma tentammo di mantenere la calma. -E ora... che si fa?- chiese la riccia nel panico affiancandosi a me. Riflettei velocemente senza farmi prendere dall'ansia. L'idra avanzò e con un passo fu perfettamente davanti a noi. Evitammo l'acido e ci riunimmo per pensare ad una strategia. -Le teste delle idre si sdoppiano se vengono tagliate, quindi non provateci o è peggio per noi- cominciai sicura delle mie conoscenze. -Inoltre la testa centrale... è immortale- riferii un po' affranta. Mi ascoltarono come se non avessero mai sentito una descrizione del genere. -Ascoltate mai Annabeth quando ci insegna strategia?- domandai di punto in bianco sconvolta. Io le trovavo molto interessanti ed istruttive, non capivo come potessero non saperne quanto me. Alessandra annuì poco convinta. -Sì ma, sai, tua sorella è noiosa quando parla quindi a volte mi perdo qualcosa- ammise Allen facendo spallucce. Feci un respiro profondo e cercai di pensare positivamente. Potevamo sicuramente uscirne vivi. -Dobbiamo tagliare le teste, sì, però bisogna atrofizzare il pezzo rimasto, in modo che non ne escano due teste. Capito?- spiegai il più velocemente possibile. -Allen... forse con la tua nuova abilità possiamo fare qualcosa se amplifichi il raggio- suggerii dubbiosa. I miei compagni acconsentirono all'unica strategia che avevamo a disposizione: Alessandra ed io al taglio teste mentre la nostra lampadina di fiducia si trasformava in una torcia. Fu faticoso e pesante mozzare un capo di serpente alla volta, mentre dovevi controllare che le altre teste non ti divorassero o vomitassero addosso qualche strana sostanza acida. La stanchezza si fece sentire quando tagliammo la penultima e la restante era immortale. -Secondo le Dodici Fatiche- iniziai a raccontare ma venni interrotta dall'immortale capo che stavo intrattenendo con un balletto -Eracle schiacciò l'idra con un masso, ma qui non abbiamo nulla di così e neanche una forza sovrumana come lui. Qualche idea?- esposi il problema ai miei amici fermandomi qualche secondo mentre il mostro era intenzionato a mangiare la riccia. -Non dovresti essere te quella delle idee?- domandò Alessandra alle prese con la zucca vuota dell'idra. -Ho qualcosa in mente, ma è troppo. Non voglio farti stancare- confessai indecisa. -Tranquilla, tutto pur di liberarci di questo coso- mi sorrise stremata la figlia di Poseidone. -Dovrei ancora avere un po' di nettare da parte, in casi estremi lo berrà- mi rassicurò Allen mentre finiva di cicatrizzare la penultima testa. Il figlio di Apollo i allontanò dal mostro e tirò fuori la bottiglietta di liquido divino pronto per l'evenienza. -Okay. Allora, Ale vai vicino alla riva, cerca la presenza di un masso o qualcosa che reputi adatto all'occasione e prova a spingerlo in superficie con la forza dell'acqua. Vorrei farti rischiare il meno possibile però non mi vengono altre idee- dissi tutto questo mentre facevo uno strano balletto per attirare l'attenzione dell'idra, o di quel che ne era rimasto. Il professore di ballo dell'Accademia non avrebbe approvato i miei movimenti scomposti. -Sono al sicuro con Allen qui con me, non preoccuparti- continuò a mantenere il sorriso nonostante avesse sicuramente bisogno di riposo. Andarono verso la riva del fiume e io concentrai la mia attenzione sul mostro, e lui su me. Il suo collo si distese di scatto verso di me ed io lo evitai provando un fendente, giusto per intrattenerlo. Corsi verso le gambe e vi infilzai la spada, ma il massimo che ottenni fu un grido di dolore e un calcio come risposta. Atterrai di schiena e rialzarmi fu dura. Provai a far aggrovigliare il collo insieme al corpo, girando fra le gambe più che potevo ma non dette i risultati che speravo. Perciò feci avvicinare la testa dell'idra a me tentandola con qualche altro balletto che avrebbe deteriorato di certo il buon nome di Atena, la dea della saggezza e non di “come essere un'esca in modo ridicolo”. Appena abboccò e il suo muso fu abbastanza vicino usai il pugnale per accecare il mostro, ma in risposta il mostro espulse del gas velenoso che mi prese il polpaccio della gamba destra. Iniziai ad urlare dal dolore allucinante: mi sembrava di andare a fuoco, come se la mia gamba fosse a cuocere in padella. Mi sdraiai a terra stremata mentre il serpente gigante ebbe una reazione più esagerata della mia, continuando a dondolare da una parte all'altra del campo di battaglia. Accettavo ogni sua reazione, affinché mi lasciasse soffrire in pace. Avevo bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa in quel momento che ponesse fine al bruciore. Alzai gli occhi al cielo e vidi un masso mastodontico volare poco più in là in direzione dell'idra. Sentivo la voce di Allen in lontananza dare indicazioni. -Più a sinistra...no, non così, più verso di te...- urlava lui a gran voce. Mi ricordava uno di quegli impiegati all'aeroporto che indicano la strada agli aerei. L'idra continuava a dimenarsi e non fu facile per Alessandra trovare la posizione giusta al masso. Di positivo c'era che il serpente non vedeva e non capiva niente di cosa stesse succedendo. La roccia gocciolava appena sopra la testa del mostro che si fermò sentendo l'acqua scivolarli addosso. -Ora!- gridò Allen. Alessandra mollò la presa e il masso crollò sul serpente, spiaccicandolo a terra. Il dolore mi stava lacerando l'anima e delle lacrime calde uscirono spontaneamente dai miei occhi. Avvertii dei passi veloci indirizzati verso di me. Allen si accucciò al mio fianco reggendomi con le braccia per farmi stare seduta. Mi fece bere qualche goccia di nettare, il sapore di cocco mi invase i sensi e mi sentii subito meglio. Alessandra arrivò con calma barcollando sulle gambe esauste dall'enorme peso trasportato. Nel frattempo il mostro si dissolse lasciando l'enorme roccia da sola in mezzo all'isola. -Oh cavoli- esclamò la riccia notando l'idra esplodere in cenere. -Abbiamo passato anche questa- dissi orgogliosa provando ad alzarmi. -La prossima volta evita il veleno magari- scherzò Allen aiutandomi a rimettermi in piedi. -Grazie, ascolterò il tuo consiglio, lampadina- gli diedi una spintarella divertita. -No- esordì lui ridendo riferendosi alla mia mania di dargli soprannomi assurdi. Non sapevo come, ma riuscimmo a ridere anche sul campo di battaglia nonostante fossimo malconci. Sfortunatamente la nostra gloria durò poco perché una moltitudine di ciclopi, cannibali, dracene e altre tipologie di bestie uscirono allo scoperto. Per completare il quadretto dalla caverna si innalzarono in volo degli uccelli di Stinfalo. -Ecco, questo è il momento giusto per dire “oh cavoli”- commentai ironica. -Ma perché non diventano vegetariani?!- esclamò esasperata la figlia dell'acqua mettendosi le mani fra i ricci. I volatili scesero in picchiata cercando di beccare la nostra carne e noi li evitammo abbassandoci. Quelle belve sembravano non finire mai ed divenne presto un ciclo infinito di evitare, colpire, uccidere e venir feriti. Fra tutti e tre avevamo dei graffi un po' ovunque, ma la certezza che i nostri amici dal campo sarebbero arrivati presto sul posto ci rese più battaglieri che mai. Fino a quando...-Bene bene bene... allora siete ancora vivi. Vi faccio i miei più sentiti complimenti!- dalla grotta uscì elegantemente Field che vi si appoggiò incrociando le braccia e ci sorrise amabilmente. Infilzai la spada nel petto al mostro molliccio che avevo davanti poi mi bloccai spaventata dalla sua presenza. No, non potevo fermarmi adesso. Non dovevo farmi intimorire da lui. -Michela, mia cara...sarei onorato di poter decretare il tuo ultimo e decisivo ballo- disse lui con voce soave avvicinandosi a me. Fece un profondo inchino e poi batté le mani. Divenne il mostro che vidi la prima volta all'Accademia, la belva che mi veniva sempre a trovare nei miei incubi. Oggi farò sì che quegli incubi non diventino reali. Avanzò con passo felpato e mi balzò incontro ma non mi feci atterrare. Lo evitai provando all'ultimo un colpo di pugnale che non lo scalfì minimamente. Schivai la sua coda da scorpione come se stessimo giocando a limbo. Era troppo agile ed io troppo stanca: non riuscivo a reggere il confronto, non avevo successo con gli attacchi. Ero solo capace di difendermi e contrastare con il piatto della spada e la punta del pugnale i suoi artigli, il pungiglione, le zanne e gli aculei che correvano sulla sua pelliccia e i suoi arti. La manticora, nella mia modesta opinione, è il mostro più armato fra tutti e quindi il più difficile da fronteggiare. I suoi artigli mi graffiarono il braccio sinistro e il sangue cominciò a sgorgare lungo il braccio. Field smise di attaccarmi, ma io non riuscii ad agire, così mi prese per le braccia e le sue grinfie entrarono nella mia pelle. Urlai a causa di un dolore talmente forte che quasi svenni. In quel momento ero fisicamente immobilizzata dall'ibrido. Mi puntò verso l'alto come voler esporre la sua vittoria e vidi i volti sconvolti di Allen ed Alessandra, ma non poterono porre troppa attenzione alla scena o avrebbero fatto la mia stessa fine. Perché non potevo aiutarli? Perché? Non doveva finire così la nostra fantastica impresa. -Questa volta morirai!- ringhiò trionfante la manticora. Mi mollò lungo la caverna, alla caduta picchiai una testata sulla roccia e sentii un piccolo rivolo di sangue gocciolarmi dalla fronte, oltre che uscire copioso dalle braccia. Field tornò alla sua forma umana e la vista mi si appannò. L'ultima cosa che vidi fu un pegaso nero volare sopra di noi e a cavallo di esso un cavaliere oscuro che partiva all'arrembaggio verso i mostri. “Vidi” l'ex preside annunciare la ritirata ai suoi compagni, incitandoli a correre verso il loro nascondiglio. I nuovi arrivati fecero in tempo ad uccidere solo qualche mostro che i nemici si erano già rifugiati ed erano impossibili da raggiungere. Scorsi Nico saltare dal pegaso ancora in volo e correre verso di me, poi il vuoto.


Angolo dell'autrice:
Sì, lo so. Dovrei perire nel Tartaro per un finale del genere, ma vi prego di abbassare
 le armi perché entro la giornata pubblicherò il seguito che nominerò "Heroes". Spero che la mia storia continuerà a piacervi. A presto!

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